The Blade

di The_RoadSoFar
(/viewuser.php?uid=692452)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 0 - The Born of a New Wor(l)d ***
Capitolo 2: *** 1 - Highway to Hell ***
Capitolo 3: *** 2 - I Turn To You ***



Capitolo 1
*** 0 - The Born of a New Wor(l)d ***


La lama di una spada

è una storia inenarrabile;

l'anima di una persona

è una storia vivente.

 

 

 

 

 

New York City, 6 Aprile 1953 – 04:01 AM

 

 

La data in cui tutto cambiò. Il mondo intero, cambiò. Avvenne tutto al New York-Presbyterian Hospital, in quella notte. Solita routine, soliti feriti, soliti malati, soliti parti. O almeno così credeva il dottor James Culligan, 45 anni, medico da 19, che doveva gestire l'ennesimo parto. Un classico. Informato dall'infermiera di servizio del reparto, di corsa a cambiarsi: camice, guanti, mascherina, tutto rigorosamente sterile. Sala parto, una delle tante. Con lui il suo solito team, pronto ad assisterlo. Certo, non a quello che sarebbe accaduto. La donna, bianca, capelli rossi, pelle pallida, sudata, ferita alla testa, come se avesse preso una botta, era giunta fin qui da sola con una macchina. Nulla di particolare, se non fosse che la donna non era cosciente: infatti, nonostante fosse sul punto di partorire, non sentiva nulla, niente, nessuno riusciva a svegliarla, come se fosse morta, ma non lo era. Il battito era regolare, solo, era incosciente, priva di sensi. Eppure, dal suo grembo la nuova forma di vita trepidava ad uscire, come se avesse una propria coscienza. Il dottor Culligan non sapeva trovare alcuna spiegazione logica, ma doveva svolgere comunque il suo lavoro: quel bambino o bambina che fosse, doveva nascere. Durò meno del previsto. Ore 4:01 AM sull'orologio della sala parto. E' nato. Un maschio. 3 chili e 7. Tutto nella norma, tranne per una cosa. Il bambino non piangeva. Respirava, certo, al ché pensarono che fosse muto. Affatto. Il bambino emetteva suoni simili a parole, come se volesse parlare. Stupore generale. La madre del bimbo, invece, perisce appena il bambino nasce. Come se fosse stato quel bambino a tenerla in vita. Lo stupore più grande, però, avvenne qualche ora più tardi. Nella culla, infatti, il bambino aveva qualcosa in più: due piccole ali sulle spalle. Si grida al miracolo, al divino, il nuovo messia. Il dottor Culligan, però, è l'unico che nota, nella frenesia generale, che quel bambino di sole poche ore di vita, con due piccole ali sulle spalle, ha aperto gli occhi e ha sorriso, come se fosse divenuto qualcun altro. Come se fosse divenuto qualcos'altro...

 

 

 

Fiamme. Ovunque. Questo è quello che aveva visto il dottor Culligan dopo aver ripreso conoscenza. Cosa è successo? Semplice. Subito dopo aver visto quel bambino sorridere e aprire gli occhi, finalmente urlò: ma non un pianto, un boato. Un esplosione. Il dottore aveva fatto in tempo ad abbassarsi, altri non erano stati più veloci. L'intero reparto in fiamme. Tutti morti, lui ferito ad una gamba e in parte ustionato. Tenta di alzarsi, ce la fa, ma a fatica. Guarda in giro. Guarda quella culla da lontano. Il bambino non c'è più. Scomparso, del tutto. Delle 134 persone di quel reparto, fu l'unico sopravvissuto. Dottor James Culligan, 45 anni, medico da 19. Il primo nella storia ad averlo visto. Il primo nella storia ad aver iniziato a studiarli, da quel giorno. La notizia subito si sparse nel mondo. Da quell'anno, negli ospedali di tutto il mondo nascevano questo tipo di bambini: nuovi umani. Il dottor Culligan, insieme ad una grande equipe di esperti, a lungo studiarono questo tipo di nuovo umano, e alla fine, la rivelazione: gli esseri umani possiedono un'anima. Tale rivelazione fu possibile solo grazie al genio dello scienziato tedesco, ex nazista, Jacob Berger e all'invenzione del giapponese Hiroto Otsumaki, una macchina in grado di vedere oltre la normale anatomia dell'uomo, il Soul Cube. Così venne chiamato. Quello che sorprese gli scienziati fu non solo che tutti gli uomini possedessero un'anima, ma che questo genere di neonati ne potessero avere due. La cosa che però non si riuscirono a spiegare fu che nessuno di questi bambini e bambine fu uguale a quello del Presbyterian. Nessuno. E nessuno riuscì mai a ritrovarlo, nessuno. Dal giorno dell'attivazione del Soul Cube, il 9 Febbraio 1965, l'ONU prese una decisione che cambiò radicalmente il mondo: con voto unanime di tutti le nazioni membri di tale organizzazione, si prese la decisione di formare, in tutti e cinque i continenti, delle scuole specializzate dove questi bambini potessero imparare a gestire le due anime presenti nei loro corpi.
Il primo istituto ad essere aperto fu appunto quello di New York City, nel 1972, a tempo record, a Staten Island. Un edificio moderno, del tutto simile ad un'università, con un campus e dormitori per i ragazzi e le ragazze 'speciali'. Dopo molte discussioni su come dovessero essere chiamati questi nuovi umani, alla fine, lo stesso dottor Culligan coniò, insieme al professore Otsumaki, questi nuovi individui. Nijujinkaku. Per abbreviare, Niju. Un termine che letteralmente significa '' doppia personalità '', a sottolineare chi fossero questi esseri. Tale termine fu approvato da tutti, persino da questi individui che, nel frattempo, avevano raggiunto un'età matura. Furono la prima generazione, quella che doveva formare quelli che sarebbero venuti dopo di loro. Man mano, vennero formati altri 23 istituti in tutto il mondo simili a quello di New York: 10 nelle due Americhe ( Washington, San Francisco, Los Angeles, Chicago, Atlanta, Vancouver, Ottawa, Città del Messico, San Paolo, Buenos Aires ), 8 in Europa ( Roma, Parigi, Londra, Madrid, Berlino, San Pietroburgo, Mosca e Stoccolma ), 3 in Asia ( Pechino, Hong Kong e Tokyo ), 1 in Oceania ( Sidney ) e 1 in Africa ( Johannesburg ), il più recente. Con il passare degli anni, il numero dei Niju è aumentato, anche se non in maniera esponenziale, tanto che, oggigiorno, costituiscono una piccolissima parte della popolazione mondiale. Questi, dopo aver ricevuto il diploma finale dopo 4 anni di studi e pratica, si sono ben inseriti nella società, nei lavori più disparati, ognuno secondo le sue capacità e le sue necessità.


Tuttavia, mai e poi mai venne ritrovato il bambino del Presbyterian. Le ricerche continuarono, senza esito. Il dottor Culligan morì il 22 Dicembre del 1987, a 79 anni, e con lui si spense l'indagine per ritrovare questo bambino. Ancora oggi, quel bambino, divenuto oramai anziano, è disperso e nessuno sa come ritrovarlo. Nessuno.

 

 

Sono passati precisamente 65 anni dal giorno in cui tutto cambiò. 16 generazioni di Niju. Secondo l'ultimo censimento datato 14 Gennaio 2017, i Niju, in tutto il mondo, sono 876.342. Eppure, pochi di loro cambiarono nuovamente la storia. Questa è la storia di quei pochi, ma anche quella di una spada.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** 1 - Highway to Hell ***


Senza un guerriero
una spada è inutile;
Senza un cuore
un'anima è vuota.

 

 

 

 

 

Tokyo, 13 Settembre 2018 – 8:01 AM

 


Un sole cocente si abbatteva sulla testa delle 9 milioni di persone che popolavano Tokyo, la capitale del Giappone, uno dei centri economici, culturali e tecnologici più importanti e famosi in tutto il mondo. Nonostante la stagione estiva fosse oramai alla sua fine per lasciar spazio al temperato autunno, i 31 gradi centigradi si manifestavano prepotentemente sull'intera popolazione della città, soprattutto per coloro che freneticamente circolavano nelle strade, a piedi o con veicoli, per svolgere i propri doveri e impegni. Sono circa 6 milioni i lavoratori occupati nella metropoli nipponica, rendendola una delle località con il minor di disoccupati al mondo, cosa che aveva reso e rendeva possibile un notevole progresso economico da parte della nazione orientale, la quale, dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, aveva vissuto un momento di profonda crisi e si era ripresa in gran parte grazie all'immensa volontà dei giapponesi di voler ricominciare dalle polveri e dalle macerie di quel conflitto che aveva portato solo morte e sofferenza. Nel giro di pochi decenni, tutto questo si era ribaltato. Ora il Giappone era una delle grandi potenze del mondo, tutto grazie ai propri cittadini, che duramente e responsabilmente affrontavano ogni giorno gli ostacoli e le fatiche che dovevano superare nel corso della giornata lavorativa. Anche gli studenti, benché non tecnicamente lavoratori, ma baluardo di una generazione prossima, si davano da fare per svolgere al meglio il proprio dovere. Almeno, una grande parte di loro..


<< MERDA, LO SAPEVO! FARO' TARDI IL PRIMO GIORNO DI SCUOLA! >> Urlò una voce da quella folla esorbitante di persone circolanti nel centro di Tokyo. L'origine di tale voce era un ragazzino vestito con una divisa diversa da quelle dei classici studenti giapponesi: pantaloni lunghi verdi, camicia bianca a maniche corte, un distintivo a croce di sant'Andrea cucito nella tasca superiore della camicia, presso il pettorale destro, scarpe marroni allacciate in fretta, tanto che i nodi erano sul punto di sciogliersi. Sulle spalle, mentre di gran foga correva e cercava di districarsi in quel groviglio di persone, reggeva una cartella nera dai bordi bianchi, di rilegatura lucida, di recente acquisto, che sbatteva su e giù, a destra e a sinistra per via dei movimenti del proprietario: occhi color terra, capelli lunghi fino al collo di un viola spento, di corporatura apparentemente robusta, dovuta ad allenamenti, di altezza media con i suoi coetanei, uno sguardo deformato e provato per via della pazza corsa che era in atto a svolgere per dirigersi verso una fermata lì vicina, diversa da quelle classiche degli autobus. Infatti, a differenza di altre, questa fermata era posta sottoterra, nella metropolitana, in un settore a parte costruito appositamente per una tipologia di persone. Sceso di fretta per le scale, appunto, si diresse verso una grande porta di metallo chiusa, sulla cui parete a fianco era posto uno scanner. Frettolosamente, il ragazzo prese quello che sembrava un ID, che mostrava una sua foto, dove mostrava una faccia sorridente ma tesa, e il suo nome: Petar Javorov, nato a Veliko Tarnovo, in Bulgaria, il 22 Giugno 2004. Porta gli occhiali, ma quel giorno aveva deciso di mettersi le lenti a contatto, sicuramente per far una bella figura il primo giorno nella sua nuova vita scolastica. Lui, però, non era come gli altri.
<< . . .ID riconosciuta. Matricola Niju n° 9915. Benvenuto e buon primo giorno! >> Disse una voce computerizzata proveniente dallo scanner. Subito dopo, la porta metallica si aprì e il giovane corse all'interno, mentre sentì il rumore della chiusura della porta alle sue spalle. Percorse un breve corridoio illuminato, poi schiacciò nervosamente il bottone per uno dei tre ascensori presenti in fondo a quel breve corridoio.
<< DAI, VELOCE! >> Pregò a gran voce il ragazzo all'ascensore, le cui porte si aprirono qualche secondo dopo che era stato chiamato. Infilatosi nel vano, premette uno dei tue tasti disponibili, che portava ad un piano addirittura inferiore alla metropolitana. Il piano N. Nell'intervallo di tempo in cui l'ascensore procedeva verso la destinazione, il ragazzo controllò maniacalmente la sua cartella, per capire se avesse con sé tutto quello che gli serviva.
<< Allora... Astuccio c'è.. Occhiali pure.. Telefono.. Auricolari.. Libri.. Quaderni.. L'ID.. Pranzo.. Bene, ho tutto.. Non sono ancora in ritardo! >> Esclamò, dopo aver visto l'orario sul suo orologio. Erano ancora le 8:09. L'ascensore si aprì e lui si precipitò fuori. Tutto sembrava simile ad una comune fermata di una metropolitana, solo che non vi erano binari, ma una strada costruita in metallo, precisamente una lega composta da rame e ferro. Vi erano panchine, tre distributori automatici di bevande, cibo e utensili come fazzoletti e posate di plastica. Si fermò poco distante dalla linea che delimitava la distanza da prendere rispetto alla strada di ferro ed aspettò nervosamente battendo velocemente il piede e guardando una schermata che mostrava:

 

FERMATA ISTITUTO NIJU – ULTIMA CORSA – 8:10 AM.

 

Guardò nuovamente l'orologio. 8:10. Nessun segnale della corsa in arrivo. Il ragazzo, però, non si fece prendere dal panico.
<< ...DOVE DIAVOLO E' LA CORSA?! >>
Presto detto. Con una folata di vento improvvisa che scombinò la sua pettinatura e gli fece sbarrare gli occhi, la corsa arrivò: era un treno IGV a trazione magnetica di ultima generazione, la G-4, in funzione dal 5 Settembre 2017, capace di passare da 0 a 120 km/h in soli 3 secondi e dotato di una potentissima intelligenza artificiale in grado di autogestire l'intero treno senza bisogno di assistenza umana. Dopo essersi immediatamente ripreso, Petar salì sul treno e notò che il vagone su cui era non accoglieva nessuno. Prevedibile, del resto, dato che l'orario di inizio delle lezioni era le 8:15 AM e il treno percorreva la distanza necessaria per arrivare all'istituto in un solo minuto. Si sedette su uno dei sedili ed aspettò che quel minuto passasse per poter respirare e pensare a come era arrivato lì. Di certo doveva tutto alla sua famiglia, il cui padre Dimitri, un Niju inserito nell'esercito, e la cui madre Erina, maestra umana, avevano dato il massimo per educare e aiutare il proprio figlio a dare il meglio di sé. Nonostante ciò, un enorme aiuto l'aveva avuto dal fratello di suo padre, il Niju Ivan Javorov, uno dei più celebri per via della sua posizione: Niju combattente. Difatti, con una disposizione ONU del 6 Maggio 1991, i Niju avevano avuto il permesso di fondare un'organizzazione formata da soli Niju che avevano il compito di affrontare i loro simili divenuti criminali. Lo zio era uno di loro, ed uno dei più forti e celebri dell'organizzazione, denominata F.U.N, Federazione Unita dei Niju. Non era sempre presente in famiglia per via del lavoro, ma durante le festività Petar passava molto tempo con lo zio, il quale gli raccontava tutte le sue imprese, nonostante fosse solo un bambino. Gli voleva bene e lo stimava tantissimo per quello che faceva. Tuttavia, un giorno...


<< Fermata Istituto Niju. >>
Riaprì gli occhi Aveva pensato così tanto al passato che per un attimo si era appisolato. Si riprese velocemente, non poteva perdere tempo a ripensare il passato. Prese la cartella e corse fuori dal vagone, usando nuovamente l'ascensore per risalire, verso la sua meta: l'Istituto Giapponese per l'Educazione e Formazione Niju '' Hiroto Otsukami ''. Una delle strutture di istruzione per Niju più grandi al mondo, con gli edifici in modo circolare rispetto all'edificio scolastico, costruito su un modello dell'architetto italiano Lorenzo Ciani: era dotato di due piani e di due ali a formare un H, alto 20 metri, largo il triplo, può ospitare al suo interno tutti i 1.124 studenti e l'intero corpo docente, formato da circa 250 persone, tutti qualificati, non escludendo il restante personale, tra inservienti, guardie, cuochi, giardinieri e altre professioni. Difatti, a parte la scuola, edificio principale, intorno erano stati disposti, oltre i dormitori degli studenti e dei docenti, anche diversi negozi e servizi utili agli studenti, inclusi parrucchieri e fiorai, in modo tale che agli studenti che restassero nell'istituto per tutto il periodo scolastico non avessero nulla di meno rispetto a quanto avevano in superficie. Era persino dotato di un piccolo parco e tutti gli ascensori che erano collegati alla complessa rete di corse dei treni IGV trasportavano gli studenti direttamente all'interno dell'Istituto, separato dal resto del mondo esterno da una muraglia. L'intero istituto era posto a 6,7 chilometri distanti da Tokyo ed era circondato principalmente da un ambiente naturale necessario per le lezioni agli studenti Niju. Oggigiorno, l'Istituto conta, a causa dell'elevato numero di iscritti, dieci sezioni, dalla A alla J, ognuna con lo stesso numero di lezioni e le stesse materie per i primi due anni, di cui altre aggiunte nel secondo biennio, e Petar, appena giunto lì, doveva trovare la sua classe, la 1-B. Erano le 8:11. Aveva quattro minuti per trovare l'aula ed evitare di essere in ritardo il primo giorno della sua nuova vita scolastica. Aveva faticato, e non poco, tra studio ed allenamenti, per prepararsi ed affrontare il test di selezione che l'Istituto nipponico riservava agli studenti stranieri, poiché delle dieci sezioni disponibili, solo due erano riservate a tali studenti, la sezione A e la sezione B. 2 classi da 19 studenti. Ora però non era il momento di pensare a ciò. Doveva sbrigarsi. Notò che in giro gli studenti erano di etnia giapponese, pertanto si rese conto che molto probabilmente gli studenti delle due sezioni erano venuti prima appositamente per non figurare male, al contrario suo, anche se non voluto. Si era dimenticato, tra i mille preparativi e l'ansia, di attivare la sveglia al suo cellulare, e pertanto era stato svegliato solo a causa dei lavori in corso vicino alla sua abitazione in affitto a Tokyo. Aveva sudato sette camicie per tentare di essere in orario, non poteva mollare adesso, non ora che il traguardo era così vicino! Corse più forte che poteva, sotto gli sguardi sorpresi degli studenti giapponesi, che rimanevano leggermente sorpresi non solo per lo studente di nazionalità diversa, ma anche per il suo modo di correre così veloce, non molto decoroso. Raggiunse l'ingresso della scuola, dove lasciò le scarpe per mettersi quelle idonee alla scuola, facendo il più velocemente possibile. Sbrigata questa pratica, vide l'orologio: 8:14 AM. Un solo minuto. Notò un cartello con scritte tutte le indicazioni necessarie per raggiungere la propria classe. La 1-B si trovava al primo piano, primo corridoio a sinistra, seconda aula. Poteva farcela, se usava le ultime energie rimaste per un ultimo scatto. Corse verso le scale, salendo a due a due, per poi sterzare a sinistra, rischiando di scivolare, e si diresse a tutta velocità, con il sudore sulla fronte, verso la seconda aula. 1-B! Era lì! A pochi passi! Nessun passo sbagliato, non ora che la sua destinazione era davanti ai suoi occhi. Frenò bruscamente per trovarsi di fronte alla porta, respirando a fatica e tenendosi sulle ginocchia.
<< Sì.. Finalmente.. Ce l'ho f- >>
Campanello. 8:15 AM. Lezioni iniziate. La porta dell'aula, interamente computerizzata, si chiuse in automatico per gli studenti. Solo l'ID di un insegnante poteva aprirla. Sul viso di Petar vi era enorme rassegnazione e disperazione. Finse di non aver sentito la campanella. Tentò di aprire la porta, ma nulla. Era fuori dall'aula, il suo primo giorno di scuola. Tremò, si trattenne, non sapeva se urlare furibondo contro sé stesso o piangere disperatamente per via della situazione tragica che gli si poneva davanti ai suoi occhi. Ritirò le labbra all'interno della bocca e inclinò le spalle, lasciando scivolare leggermente la cartella. Peggiore cosa che gli potesse capitare quel giorno. Cosa avrebbe detto ai suoi genitori? Soprattutto a suo padre, che avrebbe iniziato a martellarlo di rimproveri. Cosa più importante: cosa avrebbero pensato i suoi compagni che ancora non conosceva?! Sicuramente che era un poco di buono, uno che andava contro le regole, un furfante, un delinquente. Questo passò per la sua mente, poi un urlo interiore. Si lasciò scivolare con le gambe e mise le mani a terra, piagnucolando, sconfitto, afflitto, poiché non era riuscito nella sua impresa. Arrivare in orario il primo giorno di scuola. Una catastrofe inimmaginabile per uno studente novello delle superiori.
<< ...Ei. Che ci fai lì a terra? Guarda che ti sporchi i vestiti di polvere. >>
Una voce alle spalle riattivò per un istante le sue normali funzioni cognitive, tutte interessate alla depressione e alla disperazione di quel momento. Alzò di poco la testa, ancora con alcune lacrime agli occhi e le labbra retratte, tremante. Vide una figura dai capelli rossi, corti, con un ciuffo che arrivava sopra l'occhio destro, vestita con pantaloni neri, in cui aveva infilato nelle tasche le mani, insieme ad una giacca a collo stretto, camicia bianca e uno sguardo impenetrabile, quasi gelido, che incuteva quasi timore. Solo qualche secondo dopo al suo cervello arrivarono i dati necessari per capire che quella figura era una donna, a prima vista molto giovane, per via della voce.
<< ...Fammi indovinare. Sei rimasto chiuso fuori l'aula, giusto? >> Esclamò la donna, capendo facilmente cosa fosse successo visto dove si trovavano. Furono necessari alcuni secondi per Petar affinché potesse tornare alla normalità, del resto c'era da biasimarlo, non era per nulla piacevole presentarsi in tal modo il primo giorno di scuola, soprattutto in quella scuola.
<< ...Sì.. E' così.. Sono finito.. Il primo giorno di scuola... Rovinato... >> Disse disperato Petar, rialzatosi, ma completamente avvilito e ancora con la testa in basso.
<< ..Ragazzino, com'è che ti chiami? >> Chiese la donna, non molto interessata.
<< ..Petar... Petar Javorov... >> Rispose dopo qualche istante, con tono pesante, circondato da un'aura completamente nera e con la testa un po più in su, per rispondere il più cortesemente possibile.
<< …Vediamo.. >> Disse la donna mentre prendeva qualcosa dalla sua cartella, di cui il ragazzo non aveva fatto caso. E non solo a quello. Ora che aveva guardato meglio, sulla spalla sinistra, dove non vi era la cartella, c'era qualcos'altro. Il cervello di Petar, ancor leggermente sotto shock, faticò per riconoscere cosa fosse, ma appena lo capì, il suo sguardo passò dall'essere disperato all'essere leggermente spaventato. Legata ad un cinturino nero, infatti, alla spalla destra, vi era una katana. L'elsa era inconfondibile, dopotutto le armi erano uno dei suoi campi, dato che suo padre gli aveva praticamente imposto di studiare ogni arma possibile su questo pianeta. Era una katana. Perché aveva una katana, in una scuola, poi? I pensieri scorrevano veloci nella mente di Petar, mentre un brivido e un po' di sudore freddo si impossessavano della sua mente e della sua pelle. I suoi occhi si dilatarono molto di più, sorpresi, e rimase fermo immobile sia per paura sia per lo shock da pochissimo accaduto.
<< ...Vediamo, vediamo... >> Continuò la donna, la quale aveva tra le mani un foglio, evidente piegato più volte e rovinato. Lesse con calma il contenuto nella mente, mentre Petar non riusciva a muovere un muscolo << ...Trovato. Javorov. Sì, sei con me, sei fortunato ragazz- …Ei, non dirmi che ti sei imbambolato un altra volta? Pronto?! >> Disse, per poi schioccare le dita di fronte al viso del ragazzo dai capelli violacei, il quale ritornò in sé, benché leggermente sorpreso e timoroso ora della donna armata.
<< ..S-S-Sì...? >> Balbettò, oramai completamente con la testa in subbuglio. Prima il ritardo, ora questo. Un segno? Doveva morire lì per il peccato che aveva commesso? Era entrato in contatto con una criminale psicopatica che si era intrufolata nell'Istituto? Non ragionò molto sul come e perché fosse arrivata, non poteva. Restò fermo, con il cuore a mille, mentre la donna sbuffò.
<< Oh, ci sei allora. Dicevo, è il tuo giorno fortunato, moccioso. >> Continuò la donna, avvicinandosi alla porta dell'aula. Petar la seguì con lo sguardo, in preda al panico. Ora che voleva fare? Entrare nella classe per fare una strage con quell'arma? Imprecò mentalmente, stringendo i pugni per via della sua mancanza di coraggio.
<< ...ID riconosciuta. Benvenuta, professoressa Ayami Nukuchi. >> Proferì la voce metallica dall'interfono della porta, che si sbloccò.
<< ...Bene, entria- ...Ragazzino? Tutto bene? Sicuro di sentirti bene? >> Disse la rossa, giratasi di spalle verso Petar, che era crollato a terra per i nervi andati a pezzi per via della tensione della situazione che si era creato nella sua mente.
<< Muoviti, guarda che la porta si richiude, ti lascio fuori se non ti sbrighi. >> Continuò, poco importandosi nuovamente del ragazzo, mentre aprì la porta dell'aula.
<< ...Sì... Sì... >> Queste furono le uniche parole che uscì a dire, rialzandosi da terra e mettendo sulla spalla la cartella. Cercò di ritrovare la sua solita compostezza, a fatica, mentre la donna, scoperta una delle professoresse della sua sezione, entrò dentro l'aula. La seguì subito dopo, chiudendosi la porta alle spalle, che si bloccò nuovamente.
Entrato in aula, Petar, ancora un po' con la mente scombussolata, analizzò solo i dettagli necessari del luogo: cattedra rialzata di un gradino, lavagna classica con gessi, lavagna digitale, diciannove banchi, disposti in tre file: due file da sei banchi e una sola da sette. Notò il banco vuoto, il suo, nella fila centrale, quella da sette. Era il quarto a partire dalla cattedra, proprio quello centrale, dove si trovava più esposto ai suoi nuovi compagni, che dopo essersi alzati rispettosamente per salutare la docente, fissarono, in modo diverso ognuno, l'ultimo arrivato.
<< …Siediti, non restare lì come un palo. Non perdiamo ulteriore tempo. >> Disse la donna, togliendosi la katana,che poggiò sulla cattedra, la cartella e la giacca nera, che posò sulla spalliera della sedia.
Petar, intanto, coraggiosamente e con le forze ancora in corpo rimaste dopo la folle corsa e l'imbarazzante situazione di prima, si diresse verso il suo banco, con gli occhi puntati addosso di tutti i suoi compagni, di cui cercò di non fare caso, anche se l'aria intorno a lui cominciò ad appesantirsi. Finalmente, poté sedersi sul suo banco, distrutto fisicamente e mentalmente. Appese la cartella sul gancio posto sotto la superficie del banco e respirò, poggiando le braccia sul banco e respirando, stanco. Che doveva fare ora? Cosa pensavano i suoi compagni di lui? Certo non cose rassicuranti o belle. Tutti i suoi sogni di far una bella figura il primo giorno di scuola erano saltati. Non voleva pensarci. Prima di tutto, ora come ora doveva seguire le lezioni ed aspettare almeno la prima pausa, fissata alle 11:15 AM. Guardò davanti a lui, verso la professoressa che, di nuovo, colse di sorpresa lui ed anche tutta la classe. Sfoderò la katana e, dopo aver preso un gesso, lo schiacciò tra le dita e mise sulla punta della lama la polvere che usciva dal pugno chiuso. Dopodiché fissò la lavagna e, con tre fendenti ben mirati e controllati, scrisse il proprio nome, con l'alfabeto alla occidentale, sulla superficie nera della lavagna: Ayama Nukuchi. Fatto ciò, mise il dorso della lama sulla spalle e si girò verso gli studenti, sorpresi, Petar incluso.
<< Questo è il mio nome. Per vostra informazione, questo è il mio primo anno d'insegnamento. Nonostante questo, sarò la vostra coordinatrice. Seguo tre semplici regole che spero tutti voi abbiate il buon senso di tenere stampate nelle vostre menti. >> Detto ciò, la professoressa alzò l'indice destro per indicare che era in procinto di spiegarle elencando con i numeri. << Numero uno. Voi portate rispetto a me, io porterò rispetto a voi; numero due. Qualsiasi problema che non sia inerente all'intero contesto classe ve la sbattete voi. Non sono la vostra mamma o il vostro papà; numero tre. Anche se non sono la vostra mamma o il vostro papà, questo non vuol dire che io non mi preoccupo per voi. Siete sotto la mia tutela, non esitate a rivolgervi a me. Bene.. Spiegato questo... >> Finì, per poi prendere un panno presente nel fodero e pulire la punta della lama, sporcatasi di gesso, davanti agli studenti sempre più sorpresi dell'atteggiamento della loro docente. Rinfoderata la katana, schioccò le dita e il collo. D'improvviso, il suo sguardo distaccato e freddo, quello che Petar aveva potuto osservare qualche minuto prima, mutò. Era scurito, sorriso leggero, occhi, il cui colore dorato divenne ancora più acceso, e un'aura intorno a lei alquanto minacciosa e sull'orlo del maligno.
<< ..Benvenuti all'inferno, mocciosi. >>

 

 

n.d.r. : la lingua che Petar prima dell'incontro con la professoressa è quella della sua nazione, il bulgaro. Quando incontra la professoressa, entrambi si rivolgono in inglese, la lingua che si parla negli Istituti Niju.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** 2 - I Turn To You ***


Chi tende la mano
verso chi è a terra
è il guerriero più onorevole
verso il nemico più spregevole





Un silenzio tombale. Prevedibile, data la situazione che si era generata nella classe, dopo quella presentazione alquanto minacciosa da parte della professoressa Nukuchi. Anche se ancora in parte scosso sia per quello che era successo qualche minuto prima, sia per quello che era accaduto qualche istante fa. Petar, però, cercò di non pensarci. Dopo aver preso il libro, una matita, la gomma e il temperamatite, decise di concentrarsi interamente sulla lezione. Scoprì che la professoressa insegnava Letteratura Giapponese, cosa che non si sarebbe mai aspettato, soprattutto per come si era presentata all'intera classe. Nel frattempo, il ragazzo riuscì ad avere il suo primo contatto con uno dei suoi compagni, in maniera molto classica. Difatti, mentre era intento ad ascoltare e prendere appunti, sentì il rumore di qualcosa di leggero cadere al suo fianco. Era una gomma. Senza farsi vedere dalla professoressa, che era intenta a scrivere sulla lavagna con un gessetto, Petar si abbassò e prese la gomma, cercando di capire a chi appartenesse. Presto detto.
<< ...S-Scusami..! La gomma è mia.. >> Sentì alle sue spalle un sussurro e si girò di lato per passare la gomma, entrando in contatto finalmente con un suo compagno. Anzi, compagna. Era una ragazzina dai capelli lunghi neri ben pettinati tutti di un lato, occhi castani, carnagione pallida e occhiali leggermente abbassati sul naso.
<< ...Ah, eccola. >>
<< Mh.. Grazie... Petar.. Giusto..? >>
<< Sì.. Ehm.. >>
<< Ah... Io sono Alexis! Piacere..! >>
<< Uh, sì.. Piacere.. >>
Questo fu il dialogo, dopodiché entrambi terminarono di parlarsi, non sapendosi cosa dire, e ritornarono sui loro libri per continuare a seguire la lezione. Nel profondo Petar era sollevato, perché aveva potuto comunicare per la prima volta con un suo compagno di classe, per di più una ragazza, con cui non aveva mai avuto tanto successo, anche perché non era molto popolare alle medie, nella sua terra natia. Dietro di lui, invece, la ragazza sembrò essere in parte imbarazzata e in parte contenta per aver parlato con il ragazzo davanti a lui, ma cercava di non darci troppo peso, per quanto fosse possibile. Ad ogni modo, la lezione continuò finché Petar non ebbe modo di far conoscenza con un altro suo compagno, questa volta in maniera alquanto diversa. Infatti, intento a scrivere, sentì all'improvviso uno strano rumore alla sua destra, come se qualcuno stesse dormendo. Incuriosito, Petar voltò di poco la testa verso la direzione del rumore, notando uno spettacolo alquanto curioso: un suo compagno, di cui poteva scorgere solo i suoi capelli ricci di color biondo, aveva la testa totalmente spiaccicata sul banco, con il libro messo a schermo per coprirlo, che dormiva beatamente durante la lezione indisturbato. Petar non fu così sorpreso per il fatto che un suo compagno schiacciasse un pisolino, ma per il fatto che una mano del ragazzo scrivesse lo stesso su un qualcosa che non riusciva a vedere, molto probabilmente un quaderno. Questo lo lasciò di sasso per qualche secondo, fintantoché provò qualcosa che forse era meglio non fare: tentare di svegliare il suo compagno.
<< ..Ei.. Ei..! Svegliati..! Ei..! >> Tentò di dire a bassa voce al ragazzo, senza alcun esito. Provò ad alzare di pochissimo la voce, ma ancora nulla. Il suo compagno era totalmente perso nei suoi sogni e sembrava non voler affatto tornare alla realtà. Mentre tentava ciò, Petar udì un bisbiglio proprio da dietro quel ragazzo, proveniente da un altro suo compagno di classe, un ragazzo dai capelli azzurri legati in un codino, occhi verdi, un piercing sul naso e un viso gentile ma serio. Una volta capito che aveva l'attenzione di Petar, si rivolse a bassa voce a lui.
<< Lascia stare.. Ci ho provato anche io..! Ma niente..! >>
<< Ah.. Ok..! >>
<< Piacere, comunque..! Io sono Philaretos.. Ma chiamami Phil..! >>
<< Oh.. Piacere..! Sono Petar...! >>
E anche qui la conversazione terminò, anche perché la professoressa si voltò ed entrambi tornarono prontamente di testa sui propri banchi, cercando di non pensare a quel ragazzo che dormiva.
Dopotutto, si era promesso che avrebbe aspettato la prima pausa per poter cercare di parlare il più possibile con i suoi compagni di classe. Più che altro, rimase sorpreso anche di come la professoressa Nukuchi spiegasse in modo chiaro e semplice, senza perdersi in dettagli futili o dilungarsi in digressioni alquanto superficiali, pertanto non gli era molto difficile seguirla o prendere appunti nel modo più efficiente possibile. L'ora passò infatti subito, tanto che il bulgaro rimase leggermente sorpreso e anche contrariato. Decisamente l'impressione iniziale che aveva per quell'insegnate era svanita nei suoi pensieri, per cui poté posare per un attimo la matita e sospirare soddisfatto per il suo lavoro, al momento.
<< Mi raccomando.. Non trascurate quel che ho detto a pagina 4, sarà importante per la verifica di metà trimestre. Per il resto, mi aspetto da tutti voi il massimo. Ci vediamo, mocciosi. >> Disse la professoressa, dopo aver riposto tutto nella cartella e aver messo sulla spalla la katana, e uscì dalla porta, che si aprì per via della fine dell'ora, per poi richiudersi. Aveva qualche minuto prima dell'inizio della prossima lezione, poteva interagire con i suoi compagni. Tentò con la ragazza alle sue spalle, Alexis, la prima con cui avesse parlato in classe. La ragazza, che era intenta a prendere i libri della prossima ora, rimase sorpresa dal fatto che il ragazzo davanti a lui si fosse girato.

<< Uhm.. Piacere di nuovo. Sono Petar, Petar Javorov.. >>
<< Ah! Ehm.. Sì.. Io sono Alexis, Alexis Baskerville. Grazie ancora.. sai, per la gomma.. >>
<< Oh.. Ah.. Quella.. No, non era nulla, sai com'è, sono abituato.. >>
<< ..Abituato..? >>
<< … >>
Aveva sbagliato risposta. Abituato? Che cosa voleva significare quella risposta? Per un momento Petar si sentì in panico, come era successo prima per quanto riguarda la porta, ma cercò di non farlo trasparire, per quanto il suo volto fosse teso e le pupille dei suoi occhi immobili, senza alcun segno di apparente vita.
<< …Uhm.. Tutto ok..? >>
<< EHM.. Volevo dire.. Insomma, che non è stato nulla di che, ho visto la gomma lì e non potevo lasciarla lì, no...? >>
Salvato in calcio d'angolo, più o meno. Difatti, dopo che Petar, tutto agitato, diede quella spiegazione muovendo anche le mani come per proteggersi, la ragazza rimase per qualche secondo a fissarlo, per poi ridacchiare leggermente e sorridergli, salvo poi accorgersi che forse non era opportuno farlo.
<< Ah..! Scusa..! Non dovevo.. E' che.. Non c'era bisogno di agitarsi così! >> Disse la ragazza a Petar, accennando un sorriso. << Comunque.. Da dove provieni, Petar? Il nome mi sembra dell'Est europeo.. >>
<< ..Ah, sì.. Hai ragione.. Sono bulgaro, provengo da una piccola città di lì.. Veliko Tarnovo.. >>
<< Uh, davvero? Allora sei europeo come me! Sai, io sono inglese, di Coventry.. Sapevo che non ero l'unica europea.. Però sono felice che ci sia qualcuno nella mia classe proveniente dall'Europa! >> Disse contenta la ragazza, alzandosi di nuovo con due dita gli occhiali che scivolavano.
Una buona notizia per Petar. Era intento a conversare con un suo compagno di classe, per di più una ragazza che pareva disponibile e gentile, forse quel giorno non era stato del tutto sfortunato. Parlarono, in quei pochi minuti, anche dei loro genitori e di cosa facessero. Scoprì che il padre di Alexis era nient'altro che un parlamentare della Camera dei Comuni e che la madre insegnasse come docente di ruolo ad Oxford, una delle università più prestigiose al mondo, precisamente Lettere Antiche nella facoltà di Lettere.
<< Ah, tuo padre è un generale dell'esercito?! Immagino che sia duro e severo di carattere.. >>
<< Sì.. Ma non così tanto.. In fondo è gentile e si preoccupa sempre per me e mia madre.. E' stato grazie a lui, in parte, se sono qui... >>
<< ..Ah.. In parte, dici..? >> Disse, quasi con un velo di malinconia, anche se Petar non se ne accorse. Mentre erano intenti a parlare, però, nella loro discussione si intromisero le altre ragazze della classe, nove in totale inclusa Alexis, che la circondarono, tappando così ogni possibilità di ulteriore conversazione da parte di Petar con lei.
<< Ciao! Come ti chiami? Io sono Natalie, ma puoi chiamarmi Nat! >> Disse una delle ragazze, dalla pelle abbronzata, dai capelli lunghi fino alla schiena color magenta, occhi con una pupilla doppia color terra e uno sguardo curioso verso Alexis.
<< Uao, che bello smalto nero che hai! Ah, io sono Tamires, per gli amici Tammie! >> Si meravigliò una di loro rannicchiata e poggiata con le mani sul banco per vedere le unghie della sua compagna. Era di carnagione mulatta e dall'accento portoghese, capelli corti neri, a forma di piccolo cespuglio, occhi castani e uno sguardo vivace.
<< Hai capelli ben pettinati.. >>
<< ..Che shampoo usi? >> Esordirono due ragazze, gemelle, entrambe con gli occhiali, dal colore dei capelli sul biondo scuro, lunghi fino alle spalle, occhi sul castano scuro e sguardi che sembravano spenti, a prima vista.
<< Ah.. Scusa.. Io sono Erika. >>
<< E io Barbara, piacere. >> Si presentarono porgendo le mani alla ragazza, che era ancora confusa per via di quel caos creatosi intorno a lei, tanto che non riuscì a coordinarsi per dare la mano alle due ragazze, che rimasero a fissarla senza dir nulla.
<< E dai, ragazze, così la mandate in crisi! Una alla volta! >> Disse una ragazza, molto più alta delle altre, dai capelli a caschetto marroni, occhi scuri, sguardo serio ma gentile, che in parte riuscì a contenere l'entusiasmo delle coetanee, per poi presentarsi lei ad Alexis, che in parte si riprese da quella baraonda e poté sentire con calma. << Ciao! Io sono Darsey, molto piacere! >> Porse la mano, che Alexis strinse con timidezza e insicurezza, come se non fosse per niente abituata a queste attenzioni.
<< Bene! Di nuovo, ragazze, con calma. >> Disse, rivolgendosi alle compagne, che si calmarono e si presentarono nuovamente ad Alexis.
<< ...Ciao, io sono Natalie, per le amiche Nat. >>
<< Io invece sono Tamires, ma per tutti sono Tammie! >>
<< Io sono Erika.. >>
<< ..E io Barbara. E' un piacere conoscerti. >>
<< ..Ah, uhm, ciao! Io sono Safiya! >> Disse una ragazza dalla carnagione simile a quella di Tamires, capelli lunghi come Natalie di color marrone scuro, occhiali che mostravano occhi color scuri, sguardo leggermente timido ma sorridente.
<< Salve! Io sono Yohanna, piacere. >> Disse una ragazza dalla carnagione scura, tipica africana, coi capelli legati interamente con trecce neri e occhi dello stesso colore. Aveva uno sguardo tranquillo e sereno, di quelli che trasmettevano sicurezza, tanto che Alexis in parte riuscì a trovare un po' di coraggio.
<< Ciao. Sono Ela, piacere di conoscerti. >> Proferì una ragazza dalla carnagione diversa da quella di Tamires, molto più chiara, dai capelli corti color cenere, occhi color rosso scuro, particolare per via dei due punti rossi sulla sua fronte. Per presentarsi, giunse le mani a preghiera e fece un leggero inchino. Dall'accento si poteva intuire che parlasse molto bene l'inglese. Rassicurata anche dal fatto che le ragazze davanti si fossero calmate per metterla a suo agio, la ragazza si presentò a sua volta alle sue compagne di classe.
<< .. U-Uhm.. Ciao a tutte.. Io sono Alexis.. E' un piacere conoscervi.. >>
<< Alexis? >> Si sorprese leggermente Natalie, che piegò il capo di poco a lato. << Sei di origini inglesi, per caso? >>
<< Ah..! Sì! Sono inglese.. Anche tu... Ehm.. >>
<< Nat, non mi piacere essere chiamata Natalie. Sì, solo che io sono statunitense, di Tucson, per l'esattezza. >> Ammise la ragazza dai capelli magenta, quasi come se fosse un vanto.
<< Sei inglese, Alexis? Da dove provieni? >> Chiese curiosa Tamires.
<< Ah.. Da Coventry.. >>
<< Coventry? Mai sentita. >> Disse decisa la ragazza dall'accento portoghese.
<< Beh.. Sì.. Non è una delle città più famose dell'Inghilterra.. >>
<< Se per questo, io provengo da Natal.. E' uno dei posti più sperduti del Brasile.. >> Sbuffò Tamires, come se fosse un dispiacere.
<< Oh.. Beh.. Io credo che ogni posto sia importante.. A suo modo.. >> Disse Alexis convinta, dato che, per via dell'educazione classica ed artistica ricevuta, credeva che ogni luogo al mondo avesse qualcosa da raccontare.
<< Mh, non hai tutti i torti, Al. >> Disse Darsey sorridente e poggiando una mano sulla spalla della ragazza.
<< ...Al? >> Disse quasi a bassa voce Alexis, come se la voce le venisse a mancare.
<< Sì, Al! Perché no? Così non ti staremo a chiamare continuamente Alexis! >>
<< ..Uhm, Darsey.. >> Tentò di dire Yohanna all'enorme ragazza, ma non venne ascoltata.
<< Dato che staremo quattro anni insieme, dobbiamo già entrare in confidenza, non credi? Eh? >> Continuò Darsey, mettendo un braccio lungo le spalle della ragazza, che aveva abbassato la testa e teso le braccia, stringendo i pugni sulle gambe.
<< ..Darsey, davvero.. >> Continuò Yohanna, e subito dopo anche le altre ragazze notarono che cosa la ragazza dalla carnagione scura volesse far notare alla compagna di classe.
<< Che c'è? Dai, siamo tra coetanei! Che male c'è?! Non faccio del male a nessuno! >>
<< Ei! >>
Dal silenzio che si era imposto per via dell'arrivo irruento delle sue compagne di classe, Petar prese parola, alzandosi dalla sedia e girandosi verso le ragazze, in particolar modo verso Darsey.
<< Mh? E tu chi sei? >> Disse poco interessata la ragazza, molto più alta di lui, cosa evidente quando lei ritornò alla posizione eretta.
<< Mi chiamo Petar.. >>
<< Petar? Allora sarai.. Pet! Sì, e' il nome che secondo me ti starebbe a pennello, non credete? >> Rispose la ragazza coinvolgendo le altre sue compagne di classe, che però decisero di non intromettersi nella situazione che andava creandosi.
<< …Ne ho viste tante di persone come te, da dove provengo. Ora lasciala stare, non riesci neanche a provare un po' di empatia, vero? >> Disse il ragazzo, che aveva preso un insolito coraggio e sicurezza, diventando quasi un'altra persona rispetto a prima.
<< ...E a te cosa importa, scusami? Ooooh, non dirmi che ti interessa lei? Che romanticone, neanche vi conoscete e già ci vuoi provare? Ah, voi maschi siete tutti uguali! >> Sospirò Darsey, alzando le mani in segno di resa, per poi mettere una mano sul capo di Alexis, che era ancora in quella posizione, chiusa quasi a riccio, come per difendersi.
<< ...E' vero, non la conosco, hai ragione. So solo come si chiama, dov'è nata e cosa fanno i suoi genitori.. Non so altro di lei. Non dovrebbe fregarmene nulla di lei, se ragionassi come te. Però... >> Strinse i pugni, per poi guardare deciso Darsey, con occhi sicuri e del tutto deciso ad andare in fondo alla faccenda. << …Non riesco proprio a starmene fermo quando qualcuno si sente come mi sono sentito io altre volte, è più forte di me. Quindi, te lo chiedo di nuovo, lasciala stare. >>

Tomba. L'aula, ancora privo dell'insegnante che era in procinto di arrivare, era tutta intenta ad osservare la situazione generatasi all'improvviso, solamente il primo giorno di scuola, anche se non si erano ancora conosciuti tutti. Però, tra Darsey e Petar vi era già un'enorme tensione, come una bomba sul punto di esplodere. Le ragazze, che avevano altre intenzioni rispetto alla loro compagna Darsey, non sapevano ancora se intervenire, e i ragazzi, invece, non ne avevano nessuna intenzione. Erano intimoriti dall'imponenza della ragazza e dalla sua corporatura, evidentemente allenata e più robusta rispetto a Petar, che però non era per nulla spaventato.
<< …Come, scusa? Chi ti credi di essere per dirmi cosa posso o non posso fare..? Sei solo un maschio.. E come tale hai proprio bisogno di capire qual è il tuo posto.. >> Disse Darsey, che mostrò l'altra faccia della moneta: il suo volto serio e gentile divenne alquanto tetro e minaccioso, tanto che si schioccò le dita come se fosse pronta a scatenare una rissa.
<< ..Non sono nessuno, così come tu non sei nessuno per fare quel che vuoi. Te l'ho chiesto con gentilezza. >> Rispose Petar, che non si mosse da dov'era, benché le sue gambe tremassero, cosa che venne notata solo da Tamires ed Ela, le uniche che potessero vedere dalle loro postazioni per intero Petar.
<< Allora sei sordo. Chi ti credi di essere, formica? >> Minacciò Darsey che si mise poco distante da Petar, con i pugni stretti, come se fosse sul punto di usarli contro il ragazzo.


La tensione aumentò ancora, nessuno aveva ancora avuto il coraggio di frapporsi tra i loro due compagni per tentare di fermare qualsiasi cosa volessero scatenare in classe. Non potevano neanche avvisare un professore, poiché non potevano aprire la porta per il sistema di sicurezza di cui era dotata. Le ragazze erano ancora ferme, Alexis invece aveva iniziato a tremare e si vedeva, tanto che Ela e Tamires si avvicinarono per cercare di calmarla. I ragazzi, invece, erano bloccati per via della imponenza della loro compagna di classe, irraggiungibile, secondo loro. Se avesse voluto, avrebbe potuto stendere ognuno di loro senza fatica, ma a Petar questo pensiero non passò neanche per la testa. Non era una questione di essere cavalleresco per lui, ma una questione di essere umani: fin da piccolo si era cacciato in guai del genere e non sempre era finita bene per lui, tanto che era stato anche picchiato alle medie pur di far valere i suoi principi. Per lui, ogni persona doveva essere trattata egualmente, con rispetto e gentilezza, senza mai osare, esagerare o vantarsene. Non era un guerrafondaio, anzi, se era possibile evitava sempre di usare la violenza, però si era reso conto, nelle sue esperienze, che se fosse usata come legittima difesa, allora sarebbe stata giustificata. Quella, però, non era la situazione idonea. Se la sua compagna gli avesse tirato un pugno, non avrebbe risposto, perché non sarebbe stata necessaria e avrebbe solo combattuto il fuoco con il fuoco. Fortunatamente, questo caso non avvenne. Proprio nell'istante in cui sembrava che tutto dovesse degenerare, la porta segnalò l'arrivo dell'insegnante, il professore di Storia Igor Dostoevskij, e a quel rumore Darsey ritornò improvvisamente al suo stato d'animo precedente, tanto che sorrise a Petar e decise di tornare al suo banco, non senza prima avergli sussurrato qualcosa.
<< ..Sei stato salvato in calcio d'angolo, formica. Non sperare che sia finita qui. Nessuno di voi maschi può dirmi che cosa dire o fare, ficcatelo in quella testa vuota che ti ritrovi. >>
Nulla. Petar non accennò alcuna reazione a quella minaccia, tanto che continuò a fissare deciso l'energumena senza battere ciglio, finché non la vide tornare al proprio posto. Dopodiché, come se fosse in apnea, il ragazzo scivolò sulla sedia, tutto sudato e tremante alle gambe, tirando un enorme sospiro di sollievo. Dovevano capitare tutte a lui oggi, tutto nel giro di poche ore, era assurdo, era come se la sfortuna aleggiasse intorno a lui quel giorno. Salutato il professore, un uomo sui cinquant'anni, con una lunga barba nera e grigia, capelli arruffati neri con una striscia bianca al lato, vestito con giacca marrone, camicia bianca, cravatta rossa, pantaloni marroni, scarpe nere di pelle e calzini dello stesso colore, la classe tentò di tornare allo status che aveva avuto l'ora precedente, anche se a fatica, soprattutto per Petar ed Alexis, che in parte si era ripresa anche se la mano le tremava, tanto che la matita le scivolò proprio sotto le gambe di Petar, che la raccolse e si voltò verso Alexis, notando un espressione che aveva potuto immaginare, per via della posizione che aveva assunto, una posizione che aveva potuto provare ed anche vedere più volte. Era spaventata, i suoi occhi non potevano mentire, ma era anche in preda ai sensi di colpa, poiché tutta quella tensione si era generata a causa sua, una cosa che non avrebbe mai voluto che capitasse, non ora che aveva potuto iniziare una nuova vita scolastica, lì, in Giappone. Petar non sapeva cosa dirle o cosa pensare: era stato necessario intervenire? Aveva davvero agito in linea con i suoi principi oppure dal suo ego?
Eppure, date le sue esperienze, anche in prima persona, riguardo queste situazioni, era convinto che avesse fatto bene ad agire in tal modo. Non aveva causato nessuna rissa, nessuno si era fatto male, nessuno era dovuto intervenire. Allora, perché si sentiva come se fosse stato lui a far del male? Perché sentiva, in cuor suo, che era stato tutto sbagliato? Non lo capiva, nonostante si sforzasse a trovare una soluzione. I suoi occhi divennero pieni di rammarico, tristi, non sapeva davvero che dire, pertanto si limitò a posare la matita sul banco di Alexis. Era giusto così. 

<< ..A-Aspetta.. >> D'un tratto, proprio l'istante dopo che la mano aveva lasciato la matita sul proprio banco, Alexis sembrò per un attimo tornare in sé. Era ancora tremante, spaventata e in parte si sentiva anche lei colpevole, come Petar, però usò tutte le energie che aveva per accennare un sorriso e smettere di tremare, solo per poter sfiorare le dita di lui con la sua mano. Per lei era stato uno sforzo enorme, tanto che respirò piano a fatica, per non farsi notare.
<< ...I-Io... Voglio solo dirti... Grazie. >>
Dopo quella risposta, tutti i dubbi di Petar furono spazzati via, come un tornado che sradica gli alberi e spazza via intere abitazioni, e dopo che il vento cessa, il tempo si rasserena e vige solo il silenzio e la pace sul territorio totalmente sconvolto, così il ragazzo fu sorpreso dal vedere che, nonostante la sua compagna fosse ancora inquieta, lei avesse tentato di rassicurarlo e di far cadere ogni preoccupazione nei suoi confronti. Petar non seppe che dire a quelle parole e a quel gesto, non lo sapeva davvero, perché era dura rispondere quando vedeva che qualcuno si sforzava di comportarsi nella maniera opposta in cui si sentisse.
<< …Di nulla. >>








n.d.r. Darsey chiama Petar Pet poiché nell'inglese parlato nelle nazioni oceaniche tale termine non indica solo il cucciolo di un animale, ma anche i neonati. Qui viene usato in modo ovviamente dispregiativo.
Coventry, città da cui proviene, Alexis, durante la seconda guerra mondiale, fu la prima città al mondo ad essere rasa al suolo per via di un bombardamento aereo. Da lì si coniò il termine 'coventrizzare' per indicare il bombardamento a tappeto su un area popolata o ad indicare una persona che è stata distrutta sotto ogni profilo: psicologico, fisico e mentale.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3789512