The Natural Order

di Spoocky
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


Disclaimer: Non scrivo per soldi ma per divertimento mio e - spero - di chi legge, un po' meno dei personaggi ma pace amen ^.^

Buona Lettura ^.^


Un fragore assordante scatenò l’inferno attorno a loro e l’onda d’urto scaraventò le squadre addette ai cannoni contro la paratia opposta.
Il sedicenne Calamy si precipitò a soccorrere il Primo Tenente Pullings, che giaceva bocconi sulle travi del pavimento mentre una pozza di sangue si allargava sotto il suo corpo.
“Signor Pullings? Signor Pullings!” lo prese per una spalla e lo scosse forte, terrorizzato per essere rimasto da solo sul ponte di batteria.
Il tenente rimase immobile e non emise un suono mentre lo muoveva, a malapena respirava.
Con la voce rotta dall’angoscia, l’allievo ordinò a due possenti marinai di trasportare l’ufficiale ferito sottocoperta e a Blackney di convocare il Capitano.
Dovevano uscire da quel disastro, in un modo o nell’altro.

Joe Plaice.
Frattura cranica con avvallamento, probabilmente non avrebbe superato la notte.
Lord Blackney.
Il più piccolo degli allievi con un braccio rotto tanto malamente che quasi sicuramente gli sarebbe stato amputato la mattina dopo, sempre che ci fosse arrivato.

Jack Aubrey esitò un momento prima di seguire Stephen alla terza delle brande in cui aveva ricoverato gli uomini feriti più gravemente durante l’attacco dell’Acheron
Mentre avanzava a piccoli passi incerti verso la branda sospesa, la voce forzatamente inespressiva di Stephen gli sussurrava all’orecchio: “La bordata li ha investiti in pieno, deve aver sbattuto contro la paratia o la culatta di un cannone. Ha un brutto taglio sull’avambraccio provocato da una scheggia, e sul fianco sinistro quattro costole rotte in più punti che si sono distaccate dalle altre. Ho già operato per ridurre le fratture ma è ancora molto grave. Sto facendo tutto il possibile ma non sono sicuro di riuscire a salvarlo. Mi dispiace infinitamente, fratello.”
Jack digerì in silenzio quella terribile notizia e si curvò sul caduto.
Sapeva già chi vi fosse disteso senza bisogno di vederlo in viso: il grande assente sul ponte di coperta durante la battaglia, il suo secondo in comando.

Il ferito giaceva immobile in modo innaturale, il magro torace avvolto da bende macchiate di sangue, il braccio ferito, sempre il sinistro, legato al collo per immobilizzarlo e impedire che muovendolo aggravasse le fratture alle costole. Era pallido e sudato, nonostante fosse evidentemente sotto l’effetto del laudano i lineamenti erano contratti per il dolore e respirava in brevi rantoli frastagliati, con un raschio leggero che accompagnava ogni movimento del torace.

Conscio del fatto che quella avrebbe potuto essere l’ultima volta in cui gli avrebbe parlato, Jack raccolse la mano sana di Pullings con una delicatezza quasi reverenziale per stringerla tra le sue: “Tom? Tom, riuscite a sentirmi?”
L’altro aprì gli occhi e in un primo momento sembrò stentare a riconoscerlo ma poi un sorriso timido gli distese il volto: “Signore.”
Alle spalle di Aubrey, Stephen lo sgridò bonariamente: “Non cercate di parlare, Tom. Risparmiate le forze.”
Pur a malapena cosciente Pullings riuscì ad annuire e Jack gli strinse forte la mano, cercando di reprimere le lacrime e sforzandosi di sorridere: “La nave è al sicuro. Avete fatto un ottimo lavoro. Sono fiero di voi: siete un ottimo ufficiale.”
Di solito non si abbandonava a dimostrazioni d’affetto ma Tom poteva essere sul letto di morte e meritava di sentire quelle parole: non potevano che fargli bene.

Per un momento infatti fu proprio come se il dolore lo avesse abbandonato del tutto, soppiantato da una gioia immensa che sembrò illuminarlo e gli fece brillare gli occhi.
Ebbe vita breve, tuttavia, e venne presto soppiantata da un’espressione di profonda amarezza mentre la mano di Pullings si aggrappava a quelle di Aubrey come ad un’ancora di salvezza: “Vi prego, signore. Abbiate cura della mia famiglia.”
Le parole erano appena udibili, praticamente muoveva le labbra a vuoto.
“Ve lo prometto, Tom. Ve lo prometto. Ma non ce ne sarà bisogno: andrà tutto bene.”
Pullings fece appena in tempo a sentirlo prima che il dolore e la droga avessero il sopravvento e perdesse i sensi.
L’ombra di un sorriso fiducioso ancora gli aleggiava sul viso.

Mentre Stephen lo guidava fuori, Aubrey sentì distintamente quel profondo senso di malinconia che lo assaliva dopo ogni battaglia e dovette ricorrere a tutta la propria forza di volontà per trattenere le lacrime davanti all’equipaggio.
In momenti come quello la gravità dell’accaduto lo investiva con la sua piena potenza e si rendeva conto di quanto fosse crudele la guerra che combatteva. Essa gli si figurava come un’entità superiore, quasi una divinità malevola ed ingorda che non guardava in faccia nessuno quando esigeva il suo tributo di sangue, che fosse un marinaio anziano ed esperto, un bambino o un caro amico, quasi un figlio.
Nessuno ne era immune e lei si prodigava per ricordarglielo, ogni volta che s’illudeva di essere superiore alle leggi del mondo. E per quanto sapesse che i morti in battaglia rientrino di diritto nell’ordine naturale delle cose era sempre difficile accettare la presenza tra loro di una persona ormai cara al suo cuore.
Ma in cuor suo sapeva quanto Stephen odiasse quel particolare aspetto dell’ordine naturale delle cose e sapeva che avrebbe lottato anche con le unghie e con i denti per non permetterle di portarsi via i suoi pazienti.
Questo almeno gli dava la speranza sufficiente per arrivare al giorno dopo.

Quella sera, l’infermeria fu teatro di una vera e propria processione di uniformi: tutti tra ufficiali ed allievi vennero a far visita ai compagni caduti.
Una serie di fruscii accompagnò l’entrata di Hollom, che accennò un probabile sorriso passando accanto alla branda di Blackney e a Calamy che vi si era appollaiato vicino prima di pietrificarsi nel centro della stanza, contorcendo le dita sul cappello che teneva in mano mentre aspettava nervosamente che Allen si accomiatasse da Pullings.
Rimase bloccato in quella posizione finché i due ufficiali si strinsero la mano, poi il più anziano si allontanò e nell’uscire assestò ad Hollom una pacca sulla schiena che quasi lo fece ribaltare, così per consolazione.

Per nulla consolato da quel gesto premuroso, l’allievo si avviò titubante al capezzale di Pullings: il giovane tenente era l’ufficiale di squadra suo, di Calamy e di Blackney – i più indisciplinati Williamson e Boyle li avevano rifilati a Mowett, avendo egli più tempo da dedicare loro – e il più alto in grado a bordo dopo il capitano ma avrebbe compiuto ventotto anni quell’agosto mentre Hollom andava per i trenta. C’era quindi un’enorme difficoltà di rapporti data da quello scompenso tra grado ed età e dalla timidezza di entrambe le parti che avevano risolto tacitamente con l’evitare il più possibile di rivolgersi la parola.
Tuttavia Hollom aveva sentito il bisogno di infrangere quel tacito accordo perché si sentiva in colpa per il ferimento del suo superiore. Sebbene agli occhi di chiunque altro sarebbe stato ovvio che non avesse alcun tipo di responsabilità per l’accaduto, sentiva di esserne la causa per non aver avvisato in tempo della presenza del nemico e voleva scusarsi personalmente. In cuor suo sperava più di tutti gli altri che il tenente si salvasse perché il senso di colpa non gli avrebbe permesso di vivere a lungo altrimenti.
Tremando da capo a piedi, Hollom si accostò alla branda del giovane ufficiale.

Era talmente pallido che la cicatrice sul volto spiccava come una ferita aperta, aveva gli occhi chiusi e respirava con la bocca semiaperta emettendo un rumore gracchiante ad ogni ansito, ogni centimetro di pelle visibile era coperto da una patina di sudore che gli aveva incollato alcuni capelli alla fronte mentre gli altri erano aggrovigliati e spenti.
Quando l’allievo trovò il coraggio di chiamarlo, sollevò lentamente le palpebre e voltò la testa in direzione del visitatore.

La sua voce era talmente soffocata che Hollom dovette leggergli le labbra per capire cosa stesse dicendo: “Signor Hollom? Che ci fate qui?”
“S- sono venuto a trovarvi, signore. Per assicurarmi che steste bene.” Fece una pausa, per radunare tutto il suo coraggio prima di proseguire a voce più bassa “E’ stata colpa mia, signore.”
“Che cosa?”
“Se avessi avvisato prima della nave nemica non saremmo stati colti alla sprovvista e non sareste stato ferito.”
Pullings aprì la bocca per rispondere ma venne travolto da un attacco di tosse che lo lasciò boccheggiante sul cuscino e terrorizzò l’allievo: “V- volete che chiami il dottore?”
L’ufficiale fece un cenno di diniego con la testa e continuò come se nulla fosse accaduto, fermandosi spesso a riprendere fiato: “Non dite sciocchezze. Non è stata colpa vostra. Magari non saremmo stati presi tanto a mal partito ma i loro cannoni avrebbero fatto gli stessi danni. Nessuno di noi poteva prevederlo. Non è stata colpa vostra.”
Lo sforzo di parlare fu troppo per il suo corpo esausto e si accasciò privo di sensi sul cuscino.

Ufficialmente libero da ogni responsabilità ma con il cuore ancora pesante Hollom si avviò verso il ponte di coperta.
Durante tutto il tragitto lo seguì lo sguardo accusatore di Calamy, che lo fissava come a volergli scavare un buco nella schiena. 

 

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


Disclaimer: stesso di prima.

Buona Lettura ^.^


Quando Padeen arrivò con le ciotole di minestra per i feriti Calamy era ancora accovacciato sulle casse accanto alla branda di Blackney, accanto a quella di Pullings adesso c’era Mowett che gli stava raccontando come fossero usciti dallo scontro, pur consapevole del fatto che non fosse del tutto cosciente.
Mentre parlava il Secondo Tenente spostava i capelli dalla fronte sudata dell’altro pettinandoli all’indietro con la mano, un gesto tipico dell’intimità derivata da una lunga amicizia.
Calamy lo osservava incuriosito: era palese che i due giovani ufficiali fossero molto legati e, in cuor suo, provava una punta d’invidia per non avere accanto nessuno che tenesse tanto a lui.

Intercettando lo sguardo dell’infermiere, Mowett passò un braccio dietro alle spalle dell’amico e gli appoggiò la mano aperta sul petto, sollevandolo di peso mentre l’irlandese gli aggiustava i cuscini dietro la schiena per metterlo seduto.
Il dolore per lo spostamento fu impossibile da sopportare in silenzio e Pullings emise un grido strozzato reclinando il capo sulla spalla di Mowett che tentò inutilmente di rassicurarlo mentre lo adagiava sul guanciale, rispondendo ai suoi lamenti con parole di conforto.  

Una volta che Tom fu di nuovo a posto nella sua branda, l’ufficiale prese in mano la sua ciotola: “Grazie, Padeen, ci penso io.”
Calamy seguì il suo esempio e, di lì a poco, sentirono la sua voce stridula chiedere a Padeen la minestra per Blackney.
Con il braccio così fasciato e le costole rotte, Pullings non era in grado di alimentarsi da solo e Mowett si risolse ad imboccarlo, un cucchiaio per volta. La procedura sarebbe stata di norma piuttosto umiliante, soprattutto per un ufficiale, ma i due avevano condiviso tutto fin da ragazzini e non provavano più vergogna nell’affidarsi l’uno all’altro, sul campo di battaglia come nella vita.

Stando più dritto, Tom aveva ripreso a respirare quasi normalmente e la voce era arrochita ma perfettamente udibile quando si rivolse all’amico:“Will?”
“Dimmi.”
“Quanti ne abbiamo persi?”
Mowett sospirò profondamente prima di rispondere perché quello era ancora un tasto molto dolente: “Nove morti e ventisette feriti, compresi tu ed il piccolo Blackney.”
“Anche Blackney?”
“Purtroppo sì. E’ qui nella branda vicino alla tua, vuoi vederlo?”
“Per favore.”

Da quella posizione, Pullings poteva guardarsi intorno muovendo solo la testa e riuscì ad incrociare lo sguardo dell’allievo senza troppa difficoltà quando Mowett glielo indicò. Già pallido, sbiancò completamente.
Sembrò che il cuore gli si fosse spezzato nel petto quando vide la ferita del ragazzino: pur non completamente lucido capiva benissimo che quell'arto sarebbe stato impossibile da salvare e, per quanto fosse una situazione del tutto normale nella loro vita, non era facile accettare che un bambino di pochi anni più grande del suo primogenito sarebbe rimasto mutilato a vita.
Cercò di ingoiare il groppo che gli si era formato in gola prima di rivolgere la parola all’allievo e  fece del suo meglio per darsi un contegno: “Come vi sentite, Signor Blackney?”
Il piccolo era stravolto dal dolore almeno quanto lui ma la sua vocetta lo lasciò appena trasparire: “Nulla di grave, signore. Solo un braccio rotto.”
Un dolore bruciante iniziò a farsi strada nel suo torace e sentì le costole pulsare ad ogni battito del suo cuore, Pullings strinse i denti e si portò distrattamente la mano libera al petto: “Siete un giovane coraggioso, Signor Blackney. Sono sicuro che presto starete meglio.” Si fermò a riprendere fiato  ma riuscì a sorridere nel concludere“Scommetto che nel giro di un paio di giorni tornerete a darci del filo da torcere arrampicandovi come un gatto sulle crocette.”
Anche il ragazzino sorrise con Mowett e Calamy nel ricordare quell’episodio.

Una settimana dopo aver lasciato Portsmouth il piccolo Blackney aveva brontolato sonoramente al momento di accompagnare Pullings in coperta per la sua prima comandata notturna e nel momento in cui questi aveva cercato di agguantarlo per punirlo, si era inerpicato in cima all’albero di maestra svelto come una scimmia e non c’era stato verso di recuperarlo, finché non era sceso intorno all’ora di cena e aveva trovato ad aspettarlo il bastone del Capitano in persona[1].
Aubrey aveva passato tutto il giorno a ridacchiare immaginando la scena svoltasi quella notte ma quando se lo trovò davanti non gli risparmiò nessuna delle cinque scudisciate a cui si riteneva avesse diritto.
Da quel giorno non aveva più sgarrato.


Un momento di calore e serenità che ebbe vita breve perché di lì a poco Pullings ricominciò a tossire, tanto da spaventare Mowett che fece del suo meglio per sorreggerlo fino all’arrivo di Stephen.
Il medico controllò rapidamente i bendaggi per essere sicuro che le suture fossero intatte, poi recuperò un cuscino e lo mise in braccio all’ufficiale: “Stringetevi questo al petto, Tom. Vi farà meno male.”
Pullings gli obbedì ma, alla fine, era comunque talmente stremato da avere delle zone scure davanti agli occhi che gli impedivano di vedere: “Will, ti prego: fammi coricare.”
Mowett e Padeen riuscirono ad ingegnarsi a farlo stendere senza che patisse troppo mentre Stephen si grattava nervosamente la testa: era evidente che il suo paziente stesse soffrendo molto ma, al contempo, il suo cuore e i polmoni erano sottoposti ad uno sforzo abnorme e il laudano avrebbe potuto comprometterli in modo definitivo.
Alla fine si risolse nel calibrare una dose moderata che somministrò sotto lo sguardo ansioso del Secondo Tenente, per scacciarlo subito dopo.

Voltandosi vide che Blackney era ancora sveglio nella sua branda e Calamy era ancora appollaiato poco più in là: “Quanto a voi due, l’ora di andare a letto è passata da un pezzo.”
L’allievo ancora dotato di mobilità si dileguò in un batter d’occhio e l’altro si affrettò a fingere di dormire.

Laudano o no, nessuno dei due dormì molto.
Il dolore delle ossa rotte affliggeva entrambi orribilmente, stringendoli in una morsa spietata. Nonostante le cure premurose del dottor Maturin sembravano intrappolati in un mondo a parte mentre combattevano una guerra solitaria che sembrava persa in partenza.
Passarono la notte gemendo, sudando e digrignando i denti mentre cercavano in tutti i modi di resistere a quell’assalto tremendo, sempre consapevoli della presenza dell’altro e traendo conforto dalla coscienza di non essere soli in quell’inferno.
Al sorgere del sole erano entrambi distrutti e ancora sofferenti, ma vivi.

Avevano vinto la prima battaglia.


Note: 
[1] Gli allievi venivano puniti a  colpi di canna sulle natiche e sulle gambe in numero variabile a seconda dell’infrazione commessa e somministrati dagli ufficiali o dal comandante della nave facendo piegare il colpevole sul fusto di un cannone.

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Capitolo 3
*** Capitolo III ***


Disclaimer: Vidi, scripsi, nihil lucratus sum

Buona Lettura ^.^


Verso metà mattina Stephen decise che era arrivato il momento di amputare il braccio a Blackney.
Pur con la vista offuscata dal dolore, Pullings osservò Calamy, Padeen e Higgins portarlo via e radunò tutto il poco fiato che gli restava per salutarlo: “Buona fortuna, signor Blackney. Andrà tutto bene.”
Il ragazzino, ormai febbricitante, gli diresse un fugace cenno di assenso e lui crollò di nuovo nella sua branda.

Trascorse un tempo indefinito scivolando dentro e fuori dalla coscienza, aveva iniziato un Padre Nostro per l’allievo e quando si ricordava aggiungeva una frase, o ripeteva la stessa più volte o ricominciava da capo.
Non riuscì ad arrivare alla fine perché di lì a poco venne il suo turno di tornare sul tavolo operatorio.  

Il dottor Maturin aderiva infatti al metodo di Anel[1], come discusso da Boerhaave, per il drenaggio delle ferite toraciche e aveva deciso di applicarlo anche a quella di Pullings visto che, durante la notte, i rumori respiratori si erano ridotti in modo preoccupante.
Sospettava un accumulo di liquido nel cavo pleurico e voleva evitare a tutti i costi che il polmone collassasse, altrimenti lo avrebbero perso.
Non aveva un bell’aspetto quando arrivò sul suo tavolo: era pallido e sudato, il respiro era troppo rapido e superficiale, faticava a tenere gli occhi aperti e dava risposte confuse, anche se coerenti, alle sue domande.

Avevano appena finito di sciogliere le bende che arrivò Mowett, visibilmente teso ed in maniche di camicia.
Trattandosi di Pullings in circostanze normali Jack Aubrey avrebbe fatto carte false per essere presente durante l’intervento ma in quel momento non poteva muoversi dal ponte e aveva delegato il Secondo Tenente, la cui presenza in coperta non era altrettanto indispensabile.
Seguendo le istruzioni di Stephen, Mowett si posizionò alla testa del tavolo con una mano sulla fronte e una sulla spalla del ferito, che era stato posizionato sul fianco illeso.

Mentre Padeen preparava le catene imbottite per legare il paziente al tavolo, Maturin gli mise in bocca il pezzo di cuoio che aveva usato per Blackney poco prima: “Mordete questo più forte che potete, Tom. Devo incidere di nuovo.”
Nonostante tutta la sua buona volontà, Pullings gridò attraverso il bavaglio quando gli spostarono il braccio per scoprire il fianco ferito e sollecitarono le costole rotte.
Gridò di nuovo mentre Stephen praticava la seconda incisione sulla schiena e prima della fine dell’operazione Mowett e Padeen grondavano di sudore per lo sforzo di tenerlo fermo sul tavolo.
Riuscirono a drenare una soddisfacente quantità di liquido e, per quanto alla fine ansimasse penosamente, entrambi i polmoni poterono espandersi di nuovo.
L’ultima cosa che vide prima di perdere i sensi fu il viso del dottore e sentì la sua voce ovattata, come se molto distante: “E’ finita, Tom. Siete stato bravo.”

Le tre operazioni del mattino ebbero decorsi molto diversi.

Quella stessa sera, secondo suo cugino Bonden, Joe Plaice aveva dato diversi segni di risveglio e gli mancava solo la parola.
William Blackney ricevette il capitano Aubrey seduto tranquillamente nella sua branda e conversò con lui di Lord Nelson.
Thomas Pullings invece provava troppo dolore o era troppo debole per stare seduto e addirittura per muoversi, tanto da essere stato legato alla branda con i tradizionali sette giri[2]. Respirava regolarmente ma parlava a fatica e, cosa ancora più inquietante, la tosse del giorno prima si era fatta stizzosa e persistente, facendolo stancare per nulla.

Ragion per cui Jack si affrettò ad offrirgli una tazza d’acqua appena giunto al suo capezzale.
Nel toccargli il collo per aiutarlo a bere sentì la sua pelle calda e sudata, ma non vi diede troppo peso: avere la febbre dopo una ferita rientrava perfettamente nell’ordine naturale delle cose.
Aiutò Pullings a ridistendersi e sistemò la coperta che aveva spostato, sollevandola fino a coprirgli la spalla bendata.
Aveva avuto la sua dose di costole rotte e sapeva quanto il freddo potesse peggiorare il dolore, e mentre il suo secondo riprendeva fiato gli mise una mano sulla spalla coperta: voleva che sapesse che gli era vicino e sperava traesse almeno un po’ di conforto dalla sua presenza.
Glielo doveva, per tutte le volte che aveva tratto lui e Stephen d’impiccio.

Se dovesse morire si ritrovò a pensare, suo malgrado se dovesse morire lo seppelliremo come Comandante Pullings. E farò tutto quanto in mio potere perché sua moglie recepisca una pensione da capitano di fregata. Se l’è sudata la promozione! Che a Whitehall dicano quello che vogliono: non ne troveranno mai un altro come lui.
Teoricamente avrebbe anche potuto farlo, in caso di cattura o affondamento dell’Acheron era prevista la promozione immediata del Tenente Pullings, essendo l’altra nave di una classe superiore.
Jack aveva già gli ordini sigillati in cabina, sperava solo di non doverli distruggere.

Si chinò sull’ufficiale più per averlo visto muovere le labbra che per averlo effettivamente sentito e rimase ad ascoltarlo a lungo: la tosse costante gli rendeva quasi impossibile parlare.
“Se il dottore scopre che ne abbiamo discusso vorrà la mia testa. Comunque anche il signor Lamb è della stessa opinione e io concordo con voi: si potrebbe effettivamente arrivare a casa con un raddobbo essenziale. Però... Mowett non ve l’ha detto?”
“Cosa?” Il ‘signore’ si perse tra i colpi di tosse.
“Non andremo a casa... No, no. State giù, non vi agitate.” Iniziò ad accarezzargli la spalla per cercare di farlo calmare e per l’ennesima volta in vita sua rimpianse di non aver tenuto la bocca chiusa mentre vedeva la tosse sconquassargli il torace “Cercate di stare tranquillo, Tom. E’ tutto a posto. Passerà presto.”

Quando finalmente la tosse si fu placata, Pullings respirava ancora affannosamente e sembrava ancora comprensibilmente scosso dalla notizia, ma ebbe presto ragione di sé: “Pensate davvero che possiamo farcela, signore? Dall’ultimo scontro non siamo usciti bene. “
“Ne sono consapevole quanto voi, Tom.” Estratto il fazzoletto di tasca prese a tamponare il sudore dalla fronte dell’ufficiale “Così come sappiamo entrambi che la Marina non ha altre navi in zona e che dobbiamo assolutamente portare a termine la missione o, come avete giustamente sottolineato, l’Acheron potrebbe sbilanciare la guerra in favore di Bonaparte e dobbiamo assolutamente evitarlo. Questa volta le abbiamo prese di santa ragione, è vero. Però ci aveva anche colti alla sprovvista e non succederà di nuovo. Per Dio, Tom! Se ci trovassimo sopravvento potremmo anche prenderla. Dopotutto la Sorpresa è dalla nostra, non trovate?”
Rise di gusto e, nonostante quella battuta fosse ormai più che famigliare, anche Pullings sorrise.

Nella sua incrollabile fiducia nei confronti di Aubrey si sentiva infine più tranquillo: se diceva che sarebbe andato tutto bene, sarebbe andato tutto bene, in un modo o nell’altro.
Era nell’ordine naturale delle cose.
 
 Note:
 
[2] Sulle navi da guerra era uso comune legare alle brande tutti i malati e i feriti che non fossero in grado di muoversi, sia come misura contenitiva ma soprattutto per impedire che cadessero durante le manovre. E’ ragionevole pensare che questo criterio si applicasse in particolar modo a coloro le cui fratture avrebbero potuto aggravarsi in seguito ad una caduta.

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Capitolo 4
*** Capitolo IV ***


Disclaimer: sarebbe che non c'è bisogno di ripeterlo, no?

Buona Lettura ^.^
                           

La mattina dopo Stephen scese in infermeria per il consueto giro di visite. Trovò Plaice che russava e borbottava nel sonno mentre il piccolo Blackney si era addormentato abbracciando un libro che era sicuro fosse di Jack. Nessuno dei due sembrava avere febbre e il colorito era ottimo.
Le ferite stavano guarendo bene e senza la minima traccia di lodevole pus, caso strano ma ben accetto.

Pullings invece era tutto un altro discorso. Aveva il volto arrossato ed il torace teso fino allo spasmo, respirava di nuovo superficialmente e la sua fronte scottava.
Stephen non perse tempo a fare una diagnosi: polmonite[1].
Era comune dopo un trauma toracico simile, lui stesso ne aveva sofferto dopo essersi rotto qualche costola cadendo da una nave[2]. Non era auspicabile, dato lo stato di prostrazione in cui versava il suo paziente ma confidava di poterla gestire efficacemente.
Lo avrebbe curato con ogni mezzo a sua disposizione: non aveva alcuna intenzione di lasciare che una persona tanto cara diventasse l’ennesima vittima della tirannia di quel troll malnato vomitato dalla Corsica.
Non lo avrebbe permesso.

“Tom? Thomas Pullings? Mi sentite?” dovette strofinargli energicamente lo sterno con le nocche solo per fargli aprire gli occhi e capì che non avrebbe potuto collaborare in quello che stava per fare “Padeen! Padeen! Oh, eri già qui? Perfetto. Aiutami a tirarlo su, per favore: mettiamolo seduto.”
Insieme lo sollevarono e lo fecero reclinare sui cuscini, per evitare che sforzasse troppo i muscoli del torace stando dritto.
Notarono subito un miglioramento nella respirazione e il tenente riprese lentamente conoscenza, grazie al sangue che gli affluiva di nuovo al cervello.
Stephen gli appoggiò una mano sulla fronte: “Riuscite a tenere in bocca il termometro?”

Ci riuscì, nonostante lo stimolo della tosse e la gola irritata.
101,3°[3].
Non era altissima, meglio però somministrare subito la corteccia di china per evitare che si alzasse.
Pullings accettò il farmaco senza fiatare ma fece una smorfia di disgusto per il sapore amaro.

“Eh lo so, mio caro. Lo so, ma non posso farci niente.”lo compatì Stephen mentre scioglieva la fascia che gli immobilizzava il braccio contro il tronco “Tom riuscireste... no, no. Lasciate stare prima di farvi male. Padeen, pensaci tu per favore.”
L’infermiere sorresse il braccio ferito mentre il medico auscultava attentamente i polmoni: entrambi si gonfiavano e ritraevano in modo soddisfacente ma, come sospettava, erano pieni di liquido. Si augurò vivamente di non dover ripetere la procedura di drenaggio per non arrecare altro dolore a quel poveretto. Aveva già patito più che a sufficienza, a parer suo.

Nel cambiare le medicazioni, Stephen notò con piacere che la ferita sul braccio – uno squarcio sottile ma profondo che arrivava fino al gomito – si stava rimarginando bene. L’incisione sulla schiena stava guarendo più lentamente delle altre e ciò era da attribuire principalmente alla posizione, obbligata dal sito delle fratture, di decubito supino e non ci si poteva far nulla.
“Riposate pure adesso “ sussurrò mentre gli stendeva la coperta addosso “lasciate agire le medicine: il laudano farà effetto in pochi minuti e potrete dormire tranquillo. Per qualunque cosa, sono qui.”
 

Padeen fece alzare Blackney dalla branda e lo lavò da capo a piedi. Una volta indossate brache e camicia il ragazzino decise di non tornare subito a letto e l’irlandese lo lasciò fare. Il ragazzino era di nuovo perfettamente in grado di badare a se stesso, prima o poi se ne sarebbe accorto anche il dottore.
Era partito con l’idea di andare avanti con il libro del Capitano ma qualcosa lo aveva distratto. Nella penombra della stanza si era diffusa una strana nenia, le cui parole sussurrate a mezza voce non era certo di capire ma che lo incuriosì.

Ave Maria,
Gratia plena
Dominus tecum
Benedicta tu in mulieribus
Et benedictus fructus ventris tui, Jesus
Sancta Maria, Mater Dei
Ora pro nobis peccatoribus
Nunc, et in hora mortis nostrae
Amen


Ave Maria

Seguendo la direzione della voce, l’allievo si ritrovò nel cantuccio dov’erano appese le brande e accanto a quella di Pullings vide il dottor Maturin tenere in mano una strana cordicella e bisbigliare quella litania come soprapensiero, senza distogliere mai lo sguardo dal volto pallido dell’ufficiale.
Senza rendersene conto, si avvicinò un po’ troppo e il medico voltò di scatto la testa nella sua direzione: “Cosa fate in piedi, signor Blackney?” lo apostrofò, non senza lasciar trapelare una punta di irritazione.
“Beh, signore, oggi mi sento meglio e ho pensato...” non gli riuscì di finire “Scusate, signore.”
“Tanto prima o poi vi sareste dovuto alzare comunque. Però non dovreste andarvene in giro: restate qui con me, piuttosto. “
“Non vi disturbo, signore?”
“No, se state in silenzio. E adesso lasciatemi finire il rosario.”
Quell’ultima parola spiazzò completamente l’allievo, che si lasciò sfuggire qualcosa del tipo “Non sapevo foste papista, signore!” per rimangiarselo immediatamente.
Stephen però era abituato da anni ai brontolamenti di Jack in materia, alle sue geremiadi sul rischio di “inciampare nei rosari” e storie simili, quindi l’infelice uscita del ragazzino non fece che divertirlo: “Sì, Lord Blackney, sono uno sporco papista! E felice di esserlo, per giunta. Ora, se non avete altre istanze, vorrei continuare a pregare per il signor Pullings e vi suggerirei di fare altrettanto.”
“E’ molto grave?”
“E’ grave, sì, ma non incurabile. Con l’aiuto di Dio starà meglio tra pochi giorni.”

Ave Maria

Rimasero seduti vicini, assorti nel proprio personale raccoglimento, finché il malato non sussurrò qualcosa. Nulla di comprensibile a parte alcune parole sconnesse: “Diciotto libbre... sottovento... al mascone... diciotto libbre...” e di nuovo quella tosse violenta a soffocare tutto.
Stephen interruppe la sua litania per versare un liquido denso in un cucchiaio e somministrarlo al paziente, che mormorò una risposta.
“Sì, lo so. Lo so. Shh. State tranquillo.”
“Cos’ha detto?”
“Niente di sensato. Comunque sarebbe stato troppo influenzato dal laudano per essere preso sul serio. Non preoccupatevi.”

Ave Maria

Blackney fece molta fatica a proseguire nella lettura.

Il moncherino del braccio gli pulsava e aveva cominciato ad avvertire un fastidioso prurito al gomito che non aveva più. Lo avevano avvertito che sarebbe successo e gli avevano anche spiegato cosa fare. Mise un segno alla pagina dov’era arrivato e fendette con la mano l’aria dove avrebbe dovuto esserci l’avambraccio in questione. Il fastidio non svanì del tutto ma si sentì meglio.
Poi il suo sguardo venne catturato dalla figura che giaceva di fronte a lui e si perse nelle sue considerazioni a riguardo.

Di primo impatto Blackney e gli altri ragazzi avevano preferito Mowett, che era più gioviale e incline a lasciar correre sulle loro piccole distrazioni mentre Pullings si era dimostrato da subito esigente ed inflessibile. Pur essendo una persona dal carattere mite e servizievole, era chiaro che si sentisse addosso tutta la responsabilità del proprio ruolo e non avesse timore di esercitarla. Raramente alzava la voce ma, quando lo faceva, ruggiva da far paura al demonio e con i suoi sei piedi e tre pollici[4] di altezza li spaventava a morte.
Con il tempo, però avevano imparato ad apprezzarlo.
Perché, a loro insaputa, era pur sempre un giovane padre di famiglia e – al contrario di Aubrey, che era negato per la vita genitoriale e che in generale sopportava a fatica i giovani gentiluomini – sapeva bene come comportarsi con i bambini.
Il terzo giorno di viaggio Williamson era scoppiato a piangere all’improvviso perché si trovava lontano da casa per la prima volta, subito Pullings si era seduto accanto a lui e lo aveva aiutato a calmarsi[5].
Quando Blackney, che era scivolato sulle sartie e per poco non era caduto in mare, aveva manifestato la propria paura di salire a riva, lo aveva accompagnato di persona, spiegandogli passo per passo come fare. Gli aveva insegnato fin troppo bene e la cosa gli si era ritorta contro quella famosa mattina.
Sapevano inoltre che aveva perso delle ore di sonno per correggere personalmente i diari di Hollom e Calamy, che si sperava fossero prossimi agli esami. Un pomeriggio aveva ripetuto a Calamy fino allo sfinimento come rilevare la posizione in mancanza di riferimenti conosciuti e lo aveva interrogato ripetutamente per accertarsi che lo avesse capito.
E non avrebbe dimenticato facilmente i suoi tentativi di incoraggiarlo mentre era straziato dal dolore quanto lui.
Si sentiva orgoglioso di avere come superiori uomini tanto valorosi ed esperti nel mestiere, sapeva di non poter essere in mani migliori. Pensò che Nelson sarebbe stato fiero di loro.


Una mano pesante calò sulla sua spalla, spaventandolo tanto da farlo sobbalzare, poi riconobbe la voce di Mowett: “Scusate dottore, potrei rubarvi Blackney per qualche minuto? Tra pochi giorni dovremmo arrivare in un porto amico e spedire la corrispondenza. E’ giusto che scriva a casa anche lui, non trovate?”
“Va bene, William. Ma deve tornare sulle sue gambe, capito? Non fatelo stancare troppo.”


Note: 
[1]  Nei casi di fratture multiple alla cassa toracica, qualora non si riesca a drenare correttamente il fluido che si accumula nei polmoni attraverso la tosse o procedure chirurgiche, si hanno frequentemente infezioni dell’apparato respiratorio. Una volta venivano definite semplicemente “Polmoniti” o “Broncopolmoniti”. https://bit.ly/2PvOfjN
 
[2] Patrick O’Brian, Verso Mauritius.
 
[3] 38,5°C
 
[4] 1,91m
 O’Brian descrive Pullings solo come “un uomo alto e magro” ma James D’Arcy, che lo interpreta nel film e sulla cui fisicità mi baso per le mie storie, è alto 1,91m.

 
[5] In “Duello nel Mar Ionio” Stephen racconta a Jack che Pullings ha consolato il piccolo Calamy, scoppiato a piangere appena arrivato a bordo. E’ plausibile lo abbia fatto di nuovo. 

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Capitolo 5
*** Capitolo V ***


Disclaimer: Uguale a prima.

Buona Lettura ^.^


Dopo cena, Mowett tornò a far visita in infermeria.

Joe Plaice era tale quale a quella mattina, non si era mosso di un centimetro.
Poche ore prima, il dottore si era arreso ed aveva dimesso Blackney, che ora ciondolava beato nell’alloggio degli allievi.
Steso nella sua branda, Pullings tossiva ancora forte e cercava inutilmente di riprendere fiato mentre il capitano in persona si prodigava a passargli uno straccio sulla fronte per alleviare il fastidio della febbre. Aubrey stava dicendo qualcosa ma il tenente si impose di non ascoltare per rispettare quel momento privato, e comunque aveva un tono insolitamente basso che rendeva impossibile capirlo.

“Perdonatemi, signore. Killick va sbraitando a destra e a manca perché la cena è in tavola e non c’è nessuno. Il dottore è ostaggio di Padeen che lo sta aiutando a ripulirsi… dovreste davvero andare, signore.”
“Vi ringrazio, signor Mowett. Avete fatto bene ad avvisarmi. Tom, è meglio che vada o quella megera di Killick vorrà la mia testa. Cercate di riposare un po’ adesso, tornerò domani. Signor Mowett. Buonanotte signori.”

“Buona notte capitano. Ciao, Tom. Come ti senti?”
“Will...” probabilmente avrebbe voluto dire qualcos’altro ma la tosse gli spezzò la voce.
“Tranquillo, tranquillo. Ti va un po’d’acqua?”
Il corpo di Pullings era già reclinato grazie ai cuscini, quindi bastò reggergli la nuca mentre beveva e aiutarlo ad asciugarsi le labbra.
“Vuoi che ti raccolga i capelli?”
“Per favore.”

Seguendo la linea tradizionalista di Aubrey, anche Pullings portava i capelli lunghi e di solito li raccoglieva con un nastro per evitare che gli finissero in faccia. Nelle occasioni speciali – punizioni, visite ufficiali,  eventi formali – chiedeva a qualcuno di intrecciarglieli in un codino, come facevano i marinai per i compagni di mensa e Stephen per Jack.
In quel momento la capigliatura del tenente era una matassa aggrovigliata e sparsa ovunque sul cuscino, cosa che fece desiderare a Mowett di avere sotto mano una spazzola per la prima volta in vita sua.
“Hai mai pensato di tagliarli? Non avresti di questi problemi. E poi non si usa quasi più.” Pullings lo fulminò con lo sguardo “Sì, so come la pensi in proposito ma dovresti considerare... non guardarmi così: ho diritto ad avere un' opinione e anche ad esprimerla. Quando sarai comandante farai come ti pare.”
“Pensi che...”
“Ma certo, amico mio. Ma certo! Staneremo l’Acheron, la cattureremo e finalmente ti promuoveranno. Devi solo portare un po’ di pazienza e vedrai che andrà tutto bene.”
Finì di districargli i capelli con le dita, si armò del pezzo di nastro che avrebbe completato l’opera e trasformò quello scempio in una coda almeno decente.
“Grazie, Will.”
Mowett sapeva di non ricevere gratitudine solo per quel piccolo gesto di assistenza.
Erano entrambi coscienti della possibilità, sempre più concreta, che Tom non si rialzasse da quella branda e avevano bisogno di guardare al futuro con speranza perché l’alternativa era terribile.
Rimasero per un po’ in silenzio, interrotto solo dai colpi di tosse.

Poi Mowett si ricordò di una cosa: “Tom, a breve dovremmo raggiungere un porto da cui sarà possibile spedire la corrispondenza. Se vuoi puoi dettarmi una lettera da inviare a casa.”
“Magari domani, grazie: adesso non ce la faccio. Avevo iniziato una lettera per Katie, me la porteresti? E’ insieme alle altre.”
“Nel solito posto? Certamente.” Si fermò a riflettere un momento “Ehi, vuoi sentire una poesia? Niente di che, solo un piccolo frammento per celebrare la nostra impresa.”
“Te ne prego.”
“Molto bene.”
Mowett si alzò dal suo cantuccio, evitò per un soffio di battere la testa contro il soffitto e si schiarì la voce.  
Il frammento non era davvero niente di speciale, ma bastò per rinfrancare l’animo del malato.
 
Se la mia parola non è errata
Presto l’Acheron dovrà essere presa o affondata
Non importa quanto lontano correrà
La Surprise la spedirà nell’aldilà![1]


Il poeta si fece prendere troppo dall’estro compositivo e finì la declamazione impattando con la nuca contro le travi del soffitto.
Risero entrambi come ragazzini ma la cruda realtà della malattia li riportò presto al presente, manifestandosi con un feroce attacco di tosse che non dava segno di smettere.

Il rumore evocò Stephen che si materializzò in mezzo a loro al colmo della sua irascibile preoccupazione: “Fuori di qui, William Mowett! Arrampicatevi sulla testa di morto[2] più alta che trovate e stateci tutta la notte: vi rinfrescherà le idee. Padeen! Vieni qui subito!”
In cuor suo, Stephen sapeva di aver esagerato e il giorno seguente sarebbe andato a scusarsi con il giovane ufficiale ma in quel momento gli premeva solo la vita del suo paziente.

Padeen sollevò Pullings dalla branda con la stessa facilità di una bambola di pezza e lo mise seduto mentre gli accostava un fazzoletto alla bocca.
Nonostante la violenza, la tosse non era produttiva e quando le labbra del malato iniziarono ad assumere un’inquietante sfumatura violacea Stephen dovette risolversi a prendere di nuovo la siringa.
Non stette neppure a sciogliere le bende, tolse solo la fascia del braccio e scoprì solo la zona in cui inserire l’ago: “Padeen, tienilo fermo mi raccomando.”
Tom non aveva abbastanza fiato per urlare ma rabbrividì da capo a piedi mentre il metallo gli penetrava nella carne.
Stephen trovò il coraggio di alzare gli occhi solo dopo molto tempo, ma non trovò nulla che alimentasse il suo timore: accasciato sulla spalla dell’infermiere, Pullings era pallido come un fantasma e privo di sensi ma la cianosi era regredita del tutto e anche la tosse era passata.

Avevano vinto un'altra battaglia.
 
Note:
 
[1] Tra le scene tagliate del film c’è un frammento in cui Mowett declama durante la cena con Aubrey (quella dei curculioni, per intenderci) il seguente componimento:

The Acheron if I am not mistaken
 must shortly be sunken or taken
No matter how far she may run
The Surprise will blow her to Kingdom come!

L’ho tradotto nel modo più fedele possibile ma non sono riuscita ad adattarlo alla metrica italiana perché avrei dovuto stravolgerlo. Comunque lo stesso O’Brian avanza spesso dubbi sulla reale competenza di Mowett in fatto di poesia, porello ^.^  

 
[2]  La testa di moro è l’articolazione che lega insieme i pezzi di cui è composto l’albero di una nave a vela.

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Capitolo 6
*** Capitolo VI ***


Disclaimer: è uguale al solito.

Buona lettura ^.^


Febbre e tosse afflissero Pullings per altri tre giorni prima di scemare lentamente.

Nel giro di una settimana non aveva che una tossetta sporadica e più fastidiosa che altro.
Era anche riuscito ad alzarsi da solo ma il dottore ancora si ostinava a tenerlo confinato in infermeria.
“Per precauzione.” Aveva detto e non c’era stato nulla da fare.
Piccolo e mingherlino com’era, Blackney non aveva avuto problemi a sgattaiolare fuori ma l’ufficiale scoprì presto che la propria fisionomia non gli conferiva lo stesso vantaggio e dovette rassegnarsi alla vecchia tattica dei marinai: prendere il dottore per sfinimento.
Anche questo metodo, per quanto collaudato ed efficiente, incontrò una resistenza insolitamente ostinata.

La verità era che Stephen, nonostante avesse seguito assiduamente il decorso della malattia e fosse intervenuto con prontezza su ogni sintomo, non si capacitava di quella guarigione.
Non era nella natura ordinaria delle cose.
Secondo lui.

Secondo i marinai era solo l’ennesimo esempio del miracoloso potere taumaturgico del Dottore. Come Joe Plaice, che ora camminava e parlava quasi meglio di prima.
Il fatto che ne andasse in giro a proclamare a caso citazioni della Bibbia senza logica apparente non poteva essere altro se non una conferma dell’avvenuto miracolo.
“Sarebbe che anche il profeta Geremia aveva preso una sassata in testa.” Proclamò una sera Preservato Killick, considerato un’autorità grazie alla sua frequentazione della Cabina, e gli venne data ragione: l’episodio della sassata di Geremia era uno dei più conosciuti della Bibbia.

Non venne in mente a nessuno che la vittima della sassaiola fosse in realtà un certo Golia.
 

L’unica consolazione di Pullings in quella che ormai considerava una prigionia erano le visite.

Il Capitano che veniva a scambiare due parole a fine giornata e si consultava con lui.
Allen che brontolava con lui sulle decisioni del Capitano per il raddobbo e chiedeva la sua opinione in merito.
Mowett che lo aggiornava sulla vita a bordo, gli chiedeva consigli sul suo poema o lo faceva ridere.
Ma soprattutto il piccolo Blackney.
Nei suoi giorni di convalescenza, l’allievo si era affezionato molto al dottore e lo seguiva praticamente ovunque, ed ora era diventato una presenza quasi costante in infermeria. 
Sembrava anche essersi preso l’impegno di alleviare le sofferenze del suo superiore: aveva iniziato a vegliare su di lui mentre dormiva e si era fatto sempre più spavaldo, fino a introdurre una scacchiera e, su sua richiesta, i quaderni di bordo dell’ufficiale.
Presumibilmente ad insaputa del dottore.

Un pomeriggio Pullings aveva ceduto alla stanchezza che ancora lo assillava e si era appena steso in branda per riposare quando comparve il ragazzino.
Non ebbe il cuore di mandarlo via ma lui sembrò interpretare la situazione e si limitò a salutare e sedersi nel suo angolino con un libro sulle ginocchia.

“Potrei chiedervi cosa state leggendo, signor Blackney?”
“Oh, signore. Il dottore ha detto che dovete riposare e mi ha ordinato di non disturbarvi per nessun motivo.”
“Così ha detto. Ma non preoccupatevi, mi fa piacere chiacchierare un poco.”
Il ragazzo non sembrava del tutto convinto: “Se lo dite voi, signore. Comunque è una biografia di Lord Nelson, signore. Il Capitano dice che ci sono tutte le sue più grandi battaglie.”

L’allievo depose delicatamente il volume in grembo a Pullings che lo aprì con la mano libera, aveva sempre il braccio appeso al collo perché le costole non erano ancora guarite, e sorrise. Conosceva quasi intimamente quel libro, uno dei pochissimi che avesse letto per intero, perché Aubrey gliene aveva regalato la prima edizione che altrimenti non si sarebbe potuto permettere.
Lo sfogliò rapidamente e lo restituì a Blackney.

“Perdonatemi, signore, Peter... ehm volevo dire il signor Calamy mi ha detto che siete stato suo allievo insieme al Capitano. E’ vero?”
“Verissimo. Il capitano era appena stato promosso ufficiale e io avevo circa la vostra età. Un grande uomo e un grande marinaio, ma soprattutto un condottiero.” Si tirò a sedere e si sporse leggermente verso il ragazzo, con gli occhi che brillavano per l’ammirazione verso l’Ammiraglio “In battaglia ci diceva sempre: ‘Non preoccupatevi delle manovre, puntate dritto su di loro’ sembrava che nulla potesse toccarlo e ci faceva sentire invincibili. “ si portò il pugno alla bocca e tossì.
“Volete dell’acqua, signore?”
“Sì, grazie. Non disturbatevi, riesco a tenerlo da solo. Grazie.”

Pullings rimase un momento a fissare il vuoto masticandosi il labbro inferiore, voleva dire ancora qualcosa ma gli sembrava non avere le idee del tutto chiare. Sapere che il ragazzino pendeva dalle sue labbra lo metteva a disagio e lo innervosiva: non era abituato a fare conversazione con gli allievi.
Non era abituato a fare conversazione in generale, a meno che l'interlocutore fosse un vecchio compagno di navigazione.

La pazienza di Blackney fu premiata pochi minuti dopo, quando finalmente l’ufficiale si ricordò dell’aneddoto di cui gli voleva parlare: “Un giorno convocò tutti noi, gli allievi voglio dire, nella sua cabina. Ci guardò dritti negli occhi e ci disse: ‘Ci sono tre cose, giovani signori, che dovete sempre tenere a mente. Primo, dovete sempre obbedire incondizionatamente agli ordini, senza cercare di farvi opinioni personali riguardo alla loro legittimità. Secondo, dovete considerare come un nemico qualunque uomo parli male del vostro re. Terzo, dovete odiare i Francesi come odiate il diavolo[1].’ E ci ha congedati.”  
Di nuovo la tosse, e questa volta dovette portarsi la mano al petto per il dolore che gli causarono le costole.

Il rumore evocò un’altra volta il buon dottore, che provvide immediatamente a somministrare uno sciroppo e a far distendere il suo paziente: “Voi vi ritroverete legato di nuovo alla branda molto presto, se insistete a fare così! No, non voglio sentire scuse Thomas. Fate un favore a voi stesso e dormite: starò qui finché non vi sarete addormentato.”
Stephen rimase piantato a braccia conserte accanto alla branda di Pullings fino a quando il suo respiro rallentò e si regolarizzò tanto da dargli la certezza che stesse dormendo.
“Signor Blackney, voi siete fuori servizio se non sbaglio.”
“Sì, signore.”
“Non perdetelo di vista, mi raccomando, e datemi una voce se cerca di fare qualunque cosa non sia dormire. Non fatevi scrupoli se anche vi ordinasse di non farlo: qui dentro la sua autorità non vale quanto la mia. Per qualsiasi evenienza, mi trovate nella mia cabina.”   
Girò i tacchi e se ne andò.

Non era passato un minuto che Pullings aveva già riaperto gli occhi, sveglio come un grillo, e si era voltato verso l’allievo sussurrando: “Signor Blackney, vi andrebbe di sentire un resoconto completo della Battaglia del Nilo[2]?”
“Oh, signore!”sulla bocca del ragazzino si dipinse un sorriso che andava da un orecchio all’altro “Ve ne prego.”
 
- The End -


Note:

Un sentito ringraziamento alla gentilissima nattini1 per avermi aiutato con la revisione :D 

In questo periodo sono parecchio in crisi per questioni personali e non sono soddisfattissima della storia, mi fareste sapere se comunque funziona?
Grazie mille e alla prossima ^.^

[1] There are three things, young gentlemen, which you are constantly to bear in mind. Firstly, you must always implicitly obey orders, without attempting to form any opinion of your own respecting their propriety. Secondly, you must consider every man your enemy who speaks ill of your king; and thirdly, you must hate a Frenchman, as you do the devil.
Il consiglio di Nelson ai suoi allievi (1793), come citato in Memoirs of the Life of Vice-Admiral Lord Viscount Nelson K.B.(1849), pubblicato da Thomas Joseph Pettigrew, Vol. 2, p. 580
La traduzione è mia.
 
[2] E’ la battaglia di Abukir (1-2 agosto 1798).

Easter Egg:
L'ammonimento di Stephen a Pullings è un omaggio a Pilato in 'Brian di Nazareth' dei Monty Python: "Tu ti vitovevai alla scuola dei gladiatovi molto pvesto, se insisti a fave così!" 

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