Roswehn di Dale

di Sinden
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Addio al Governatore ***
Capitolo 2: *** Di fronte al Re ***
Capitolo 3: *** Attacco a Dale ***
Capitolo 4: *** Il figlio del Re ***
Capitolo 5: *** Elrond a Dale ***
Capitolo 6: *** In viaggio ***
Capitolo 7: *** Gli Elfi ***
Capitolo 8: *** Le prigioni nel Bosco ***
Capitolo 9: *** Nim ***
Capitolo 10: *** Vita e morte a Boscoverde ***
Capitolo 11: *** Regan di Arnor ***
Capitolo 12: *** I corvi di Pontelagolungo ***
Capitolo 13: *** Le rivelazioni di Thranduil ***
Capitolo 14: *** I tre fratelli del Lòrien ***
Capitolo 15: *** La Regina di Eryn Galen ***
Capitolo 16: *** Celeborn e Galadriel ***
Capitolo 17: *** Nel cuore di Caras Galadhon ***
Capitolo 18: *** Domande e risposte ***
Capitolo 19: *** Anima in guerra ***
Capitolo 20: *** Gandalf il Grigio ***
Capitolo 21: *** Roswehn e Regan ***
Capitolo 22: *** Risveglio ***
Capitolo 23: *** Tempesta a Dale ***
Capitolo 24: *** A Rivendell ***
Capitolo 25: *** La notte ***
Capitolo 26: *** Il sogno di Haldir ***
Capitolo 27: *** Argentaroggia ***
Capitolo 28: *** Gli Haradrim ***
Capitolo 29: *** La guerra dei Lord ***
Capitolo 30: *** Ricordi ***
Capitolo 31: *** La seduzione del Male ***
Capitolo 32: *** Verso Arnor ***
Capitolo 33: *** La scelta ***
Capitolo 34: *** Libertà ***
Capitolo 35: *** Ritorno a Eryn Galen ***
Capitolo 36: *** Elvellyn ***
Capitolo 37: *** Ferite antiche ***
Capitolo 38: *** Novaer...addio ***
Capitolo 39: *** Rosso d'estate ***
Capitolo 40: *** Incontri ***
Capitolo 41: *** Decisioni ***
Capitolo 42: *** Dopo la festa ***
Capitolo 43: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Addio al Governatore ***


La prima cosa che Regan vide, al risveglio, fu Bard che si aggirava per il dormitorio improvvisato, quello che rimaneva di un palazzo una volta imponente ed elegante.

Il pianto dei bambini affamati e i lamenti dei feriti l'avevano svegliata. Era già incredibile che fosse riuscita ad addormentarsi, in quel freddo e in quelle condizioni. Non c'era un solo muscolo del suo corpo che non fosse indolenzito, per via della corsa a perdifiato lungo i pontili e fra le casette in legno di Pontelagolungo, mentre il Drago si avvicinava da Erebor.

Non aveva mai provato un terrore simile in vita sua, seguito dallo smarrimento di fronte alla devastazione che aveva visto qualche minuto più tardi. Tutta la popolazione di pescatori ed ex contadini si era riversata a Dale, dopo il disastro compiuto da Smaug. Moltissimi avevano raggiunto la terra a nuoto, qualcuno era purtroppo affogato. I suoi genitori erano lì con lei, suo padre, Hannes Monrose, con una profonda ferita a un braccio e sua madre, Yohlande, che l'aveva vegliato tutta la notte, appariva assonnata, ma lucida.

Regan sentì una voce roca che ben conosceva. "E cosa mangeremo ora? Non abbiamo provviste..." Era Edith, che vendeva fiori al mercato cittadino. Una ruvida donna di cinquant'anni, che si vantava di essere l'ultima discendente di una famiglia che aveva contribuito grandemente all'economia cittadina, grazie ai vasi in terracotta e alle piante coltivate nel grande giardino dietro la sua casa sulla collina ad Est, quando il mercato di Dale era grande e famoso e richiamava visitatori dai molti angoli delle Terra di Mezzo. Edith era anche l'unica persona della comunità a chiamarla con il suo vero nome, Roswehn, che nell'antica lingua Dalish del posto significava "rosa bianca". Ma, crescendo, la ragazza aveva deciso che Regan le piaceva di più, era più facile da pronunciare ed era stato il nome di una regina dei tempi remoti di cui la giovane aveva letto, una meravigliosa donna che si diceva avesse amato molto la natura e che, dopo aver rinunciato alla corona del decaduto regno di Arnor, era fuggita nel Lindon, a Nord Ovest, e si era stabilita in un'area popolata fino a quel momento solo dagli Elfi. Era una figura che la giovane Roswehn ammirava per la scelta di lasciare un palazzo meraviglioso e il potere assoluto per dedicarsi ad una vita riservata e umile. La considerava in qualche modo simile a lei.

"I bambini...i poveri bambini..." continuò la fioraia.

"Edith, smettila...non farti sentire. Dobbiamo mostrarci forti proprio per i piccoli, sono già terrorizzati. " Disse sua madre.
La donna non replicò. Dal suo volto trasparivano sfiducia e smarrimento. Regan pensò che non sarebbero usciti vivi da quella situazione. Erano destinati a morire tutti di freddo e di fame. Era inverno, non avevano cibo né sarebbe stato possibile coltivare qualcosa in quei campi gelati lì attorno. Che avrebbero fatto? Certo, potevano nutrirsi con qualche radice e qualche pesce di lago, ma... per quanto tempo? Tutte le scorte di farina erano andate distrutte nell'incendio al villaggio lacustre. Chi poteva sapere per quanto tempo non avrebbero visto del pane. L'acqua fortunatamente non mancava. I vecchi pozzi di Dale erano utilizzabili, bisognava solo rompere le lastre di ghiaccio che si erano formate sulla superficie e filtrare l'acqua con dei panni. Alcuni uomini ci avevano già pensato.

Regan si alzò e fece per andare a scaldarsi vicino a uno dei falò accesi tra le macerie. Poi sentì un a voce maschile "Regan... Regan!" Era Alaisdar, comandante della guardia cittadina. Dietro di lui, un manipolo di soldati. Erano stanchi, feriti e avevano negli occhi un'espressione che alla ragazza non piaceva affatto. "Ascolta, Regan..."

"Roswehn!" intervenne Edith, con fastidio. "Il suo nome è..."

"Basta Edith!" sbottò Regan. Quella donna era incredibile: come poteva puntualizzare sul suo nome in una situazione del genere? Poi si voltò verso il soldato: lo sguardo di Alaisdar le stava facendo tremare le gambe. "Cosa è successo...parla." Il comandante abbassò gli occhi verdi e un ciuffo di capelli gli ricadde sulla fronte. Guardò sua madre, che come lei si era alzata subito. "Cosa è..." stava per chiedere anche Yohlande.

"Il Governatore, tuo zio...e...tuo cugino. Li hanno...trovati nel lago. I loro cadaveri, cioè." Alaisdar guardò le due donne, addolorato. "Mi dispiace." Yohlande soffocò un grido e si girò di scatto verso Hannes, che dall'espressione della donna comprese tutto. Impallidì di colpo e per un attimo lui e Regan, che tanto si somigliavano , assunsero la stessa, identica espressione di dolore, come se una spada avesse trafitto nello stesso istante il petto di entrambi.

🌿🌿🌿

La notizia l'aveva gelata dalla testa ai piedi. Mai aveva provato qualcosa di simile.

Suo zio e suo cugino erano stati letteralmente schiacciati dalla carcassa di un Drago. Smaug era precipitato nel lago dopo che la grande freccia di Bard lo aveva trafitto nel suo unico punto debole. Le sue pesanti ossa e le membra gigantesche avevano fatto affondare subito il corpo, sotto il quale si erano sventuratamente trovati anche i suoi parenti che stavano tentando una disperata fuga in barca...naturalmente, dopo aver trafugato quasi tutto l'oro presente a Pontelagolungo.

Alaisdar non voleva raccontar loro i particolari, ma Regan aveva sentito uno dei soldati raccontare ad un altro di come i loro cadaveri fossero stati ripescati gonfi d'acqua; a suo cugino mancavano entrambi gli occhi, quasi fossero schizzati fuori per via della pressione. Povero Archie. Beh, quel ragazzo non era mai stato un granché in vita, ma se non altro la sua morte sarebbe entrata nella storia.

La ragazza non era affatto legata allo zio, Viktor Monrose, nè al cugino. Suo zio era solo e con lui viveva ancora l'unico figlio, un ragazzone di trent'anni. La moglie era fuggita vent'anni prima, quando, stanca della grettezza del marito, aveva preferito andar via, un giorno d'estate, lontano dallo squallore casalingo e dall'umidità di Pontelagolungo. Nessuno aveva più avuto notizie su di lei da allora. Nemmeno si sapeva se fosse ancora viva. Regan aveva capito la decisione della donna, anche se criticava in cuor suo la scelta di aver abbandonato il figlioletto all'epoca ancora bambino.

Nei suoi riguardi, lo zio e il cugino erano da sempre stati ostili: la supponenza verso di lei perché era nata femmina, la pessima opinione che aveva lo zio di sua madre, e che non mancava di farle presente
(tua madre viene da una famiglia di pazzi furiosi...e lo è anche lei)
la generale pigrizia che metteva in ciò che faceva. Lo zio poteva passare due ore seduto ad un tavolo a ingozzarsi di frattaglie e di vino...ma non trovava dieci minuti della sua giornata per parlare con la popolazione, e ascoltarne i problemi. Pessimo Governatore. E quel laido Alfrid, da cui non si separava mai. Gli concedeva il diritto di darle degli ordini...a lei, sangue del suo sangue.

Archibald Monrose, detto Archie, era un lezioso e codardo giovane: nominato Consigliere senza averne le qualifiche, bravo nello sperperare il denaro in abiti e preziosi pugnali decorati che non sapeva nemmeno usare. Non sarebbe stato capace di uccidere un orchetto cieco e zoppo, figurarsi. E non era mai stato un cugino per lei, era più...una sorella gelosa. La derideva, quando la sorprendeva nella libreria del Palazzo di suo zio a leggere avidamente i volumi antichi. Favole erano, per lui. Favolette di cui Regan, a suo dire, si riempiva la testa inutilmente. C'erano trattati filosofici, libri di storia e di politica scritti da sovrani illuminati e saggi Stregoni. C'era un'immensa fonte di sapienza in quella biblioteca, dove in pratica solo lei entrava. Quell'ignorante di Archie avrebbe dovuto metterci piede qualche volta.

No, non aveva amato i suoi parenti. Ma la loro improvvisa morte la addolorava e preoccupava. Ora la popolazione era senza Governatore, e suo padre, per quanto uomo buono e intelligente, non poteva prendere il suo posto. Era anziano, e aveva sempre evitato di esporsi al popolo, lasciando suo fratello minore prendere il potere. Molti cittadini sostenevano che fosse Bard, il discendente di Girion, a dover governare e da molto tempo ormai si parlava di elezioni a Pontelagolungo. La famiglia di Bard aveva nobili origini, ma l'Arciere preferiva vivere tranquillo con i suoi figli, che dopo la morte dell'amata moglie Anna erano il centro della sua vita.
Adesso però, Bard sarebbe stato certamente travolto da una nuova responsabilità e stavolta non avrebbe potuto evitarla. Aveva ucciso Smaug. La sua popolarità fra i cittadini era cresciuta smisuratamente. Senza più suo zio, la gente lo avrebbe acclamato nuovo Governatore. O forse Re.

Già, suo zio e Archie.
Come era successo? Regan aveva perso le loro tracce durante l'attacco di Smaug al villaggio. Era intenta ad osservare le acque sporche di Pontelagolungo e a rammaricarsi di quel degrado a cui non sembrava vi fosse soluzione, quando aveva visto nel cielo la terribile sagoma scura avvicinarsi. Poi, in un lampo, tutto era stato avvolto dalle fiamme. Non avrebbe mai dimenticato le urla, lo strazio dei corpi bruciati, il terrore che aveva divorato qualunque cosa in quel momento. E quel calore, quel terribile calore proveniente dalle macerie lasciate da Smaug, quel fuoco che aveva fatto liquefare i portoni delle case, perfino quelli battuti in ferro. Correndo come il vento per salvarsi, era fuggita a casa e aveva ringraziato tutti i suoi dèi quando aveva visto la mamma e suo padre sulla piccola barca che tenevano sotto al pontile. Si erano salvati e le stavano facendo cenno di raggiungerla. Con un balzo era salita a bordo e avevano velocemente preso il largo verso il centro del lago, dove le fiamme non potevano raggiungerli. Avevano sentito in lontananza le urla delle povere persone che non avevano avuto la stessa prontezza nel mettersi in salvo. Quelle urla l'avrebbero perseguitata per molti anni, nei suoi incubi.

Alaisdar chiese un incontro con lei e con i suoi genitori diverse ore dopo aver dato la notizia, e dopo averli lasciati sfogare il loro dolore. Si incontrarono con il soldato in uno degli androni del dormitorio, lontano dagli sguardi degli altri. Suo padre Hannes, con un braccio fasciato e sostenuto da un pezzo di tela, soffriva visibilmente. La morte del fratello e del nipote era stato il colpo finale al suo morale. Aveva il volto pallido e tirato. Sua madre cercava inutilmente di scuoterlo. "Sono dolente di disturbarvi in queste ore terribili" Iniziò il soldato, contrito. "Ma è opportuno mettervi al corrente della situazione". Hannes lo guardò con occhi lucidi. "Cosa devi dirci, Alaisdar? Ti prego di non portarci altre notizie che non potremmo sopportare, amico mio. La mia famiglia è già abbastanza provata."
Il soldato lo guardò, scosse la testa e continuò. "Siete i rappresentanti della famiglia che ha governato la nostra gente negli ultimi anni. Devo informarvi che Bard l'Arciere si è attirato l'ammirazione della gente di qui per aver ucciso il drago. Lo acclamano come legittimo ...capo di questa comunità." Hannes chinò la testa. Sembrò un cenno di rassegnazione.
"E' giusto che sia così. Quell'uomo ci ha salvati tutti. E' comprensibile la loro gratitudine. Anch'io lo rispetto".

Alaisdar annuì e continuò. "Il fatto è, Hannes, che in questo momento sta parlando con Lord Thranduil. Il Re in persona è giunto qui a capo delle guarnigioni elfiche."
Regan aveva infatti visto centinaia di soldati occupare Dale. Un'intera armata, probabilmente giunta durante le prime ore del mattino e silenziosamente in attesa di ordini dal loro re. Perfettamente allineati in formazione, con le loro armature dorate. Era da sempre curiosa di incontrare e vedere da vicino un Elfo, erano creature che vivevano in modo schivo e le leggende su di loro si sprecavano...ma ora che erano lì, la cosa non la emozionava minimamente . Dopo aver visto un Drago attaccare e incendiare Pontelagolungo, dopo ave rischiato lei stessa di morire incenerita, ormai più nulla la soprendeva nè impressionava. Avrebbe potuto ritrovarsi un piccolo gnomo in tasca, e non avrebbe fatto una piega.

"Gli Elfi hanno portato cibo, acqua e perfino olio e vino per la nostra popolazione. Una cosa che mi ha sorpreso: Thranduil ha mostrato una generosità mai vista prima." continuò il soldato. " "...Credo voglia qualcosa da noi. Bard sta discutendo con lui a nome di tutta la cittadina. Probabile che stiano decidendo cosa fare nelle prossime ore...devono stabilire se attaccare Erebor oppure no." Tutti e tre lo guardarono. "E credo che uno di voi Monrose dovrebbe essere presente."

🌿🌿🌿

Suo padre non voleva sentirne parlare.

"Non andrò da quell'arrogante che già in passato ha irriso mio fratello. Thranduil è qui per un unico scopo: vuole garantirsi il nostro appoggio contro Thorin e i Nani. L'aiuto che ci sta dando è interessato. Non gli importa affatto della nostra popolazione. Conosco il suo disprezzo per gli Uomini. Che parli Bard con lui, che sia lui a sopportare il suo sguardo e le sue fandonie. Non ho intenzione di inchinarmi davanti a quel bugiardo!" L'improvviso livore che sentiva per il re di Mirkwood aveva ridato a suo padre un po' di colorito in volto.
Yohlande intervenne. "Già, ma Alaisdar ha ragione. Le guardie di questa città rispondono alla nostra famiglia. Forse la gente sta con Bard, ma l'autorità è ancora in mano a noi, formalmente. Cioè, a te, che sei l'unico fratello del vecchio governatore. Non puoi evitare questo, Hannes."

Regan, nel frattempo, stava ripensando allo zio e ai discorsi che gli sentiva fare spesso sugli Elfi di Bosco Atro, loro vicini. Come suo padre, anche Viktor aveva sempre provato astio per loro. Egoisti, infimi, indifferenti a tutto ciò che esisteva al di fuori della loro oscura foresta, così diceva. Nel tempo, benché non si fidasse molto delle opinioni dello zio, anche la ragazza aveva maturato una certa diffidenza per il "Popolo fatato". Certo, gli Elfi, maschi e femmine, erano creature bellissime e sagge, molto legate alla Natura e avevano il dono prezioso della guarigione...ma erano anche esseri da cui stare in guardia. Aveva addirittura sentito dire che rapissero nel sonno i neonati mortali, per portarli nel bosco e compiere strani riti magici che prevedevano il loro sacrificio. E quante volte l'avevano ammonita di non avvicinarsi al confine con Mirkwood, perché i loro canti e le loro musiche potevano indurre gli umani a seguirli per poi scomparire per sempre?

Tornando ai fatti della città, quello che aveva detto Alaisdar era vero: qualcuno di loro avrebbe dovuto partecipare a quell'incontro. Thranduil avrebbe potuto usare l'astuzia e abilità persuasiva tipiche del suo Popolo per convincere Bard a fare i suoi interessi. Regan aveva fiducia nell'intelligenza di Bard, ma sapeva che l'Arciere non era un politico. Ci voleva qualcuno che parlasse per la comunità, che conoscesse la situazione economica e le esigenze della gente di Dale. Suo zio, il Governatore, conservava tutti i registri, aveva un archivio in cui Alfrid regolarmente depositava tutti i documenti relativi alle entrate di Pontelagolungo. Si poteva dire qualsiasi cosa su Alfrid, ma almeno era un buon contabile. Ora tutta quella responsabilità passava in mano a suo padre Hannes, che di certo in quelle ore non poteva farsene carico: era molto debole, a stento stava in piedi e il suo odio per gli Elfi non gli avrebbe dato la necessaria lucidità. Suo madre non c'entrava nulla con il governo della città e doveva vegliare il marito. Dunque chi rimaneva....lei? Cosa poteva dire in presenza di un Re Elfo millenario e dell'unico uomo che in tutto quel paese miserabile aveva dimostrato un po' di fegato? Del resto, qualcosa sul governo cittadino sapeva, aveva insistito spesso con lo zio per venire ammessa alle riunioni amministrative. Di certo, era più informata di Bard. Inoltre, era curiosa di sapere cosa Thranduil avesse deciso di fare.

"Vado io." disse. Suo padre la guardò, sorpreso. "Cosa?"
"Vado io" ripetè Regan. "Sarò lì solo per ascoltare e verrò a riferirti le loro intenzioni. Poi, tu e Alaisdar discuterete sul da farsi. La mamma ha ragione: per quanto in gamba, Bard non può essere il solo responsabile di questa città e di ciò che rimane di Pontelagolungo. Gli serve il vostro consiglio."
Hannes e Yohlande si guardarono. "No...no. Lascia perdere, tu non c'entri con tutto questo." provò a dire Hannes. Ma Yohlande non era d'accordo. "Beh, perché no? Regan non è una stupida. E poi, non c'é alternativa."

"E va bene. Proviamo." si arrese il padre. "Ma ricorda: ascolta in silenzio, non perdere una sola parola di ciò che dice il Re, ma non rispondergli. Thranduil è un Elfo molto vecchio e molto furbo, indovinerà ogni tuo pensiero se glielo permetterai. Lascia che sia Bard a condurre la conversazione." La madre aggiunse. "E non scordare di trattarlo con rispetto quando verrai presentata a lui, la sua tenda è il suo territorio, anche se si trova all'interno dei nostri confini. Inoltre...credo sia il caso che tu ti dia una rassettata. Laggiù c'è un secchio d'acqua...è gelida, ma pulita. Non vogliamo che il Re e i suoi superbi Elfi pensino che noi uomini ci comportiamo alla stregua di animali."

Regan si guardò. Aveva in effetti un aspetto miserabile. Il suo abito era logoro a addirittura bruciacchiato in alcuni punti. Il viso, nonostante si fosse sciacquata con l'acqua gelida dei pozzi, era ancora sporco di quella che poteva essere fuliggine. I bei capelli, che sciolti le arrivavano fino alla vita, erano come incollati. Ci sarebbe voluta un'ora di pettine per sistemarli, ma non aveva tempo. Si lavò di nuovo il viso, sistemò la chioma castana in un semplice, ma dignitoso, crocchio e uscì all'aria aperta. Per l'abito, non poteva fare nulla.

Dopo una lunga boccata d'aria fredda, si avviò.

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Capitolo 2
*** Di fronte al Re ***


Thranduil aveva fatto allestire una tenda da campo, piuttosto grande. Mentre la ragazza si avvicinava, vide subito Bard, di spalle, in piedi. Davanti a lui una figura grigia, alta e ricurva...un anziano? Regan rallentò il passo in prossimità della tenda. Sentì distintamente una voce protestare a proposito di chissà che, probabilmente era del vecchio. Era in corso una discussione animata.

Regan chiamò. "Bard?" L'arciere si girò subito e la vide. "Regan, che fai qui?" Uscì velocemente. "Sono stata mandata da mio padre, investita dell'autorità di mio zio. I miei genitori mi hanno pregato di dirti che la nostra famiglia non può essere esclusa da questo incontro." rispose lei, sbirciando all'interno. Bard la guardò, rimanendo in silenzio qualche attimo. Poi annuì. "Sì. Questo è vero." ammise. "Ho saputo stamane della morte di tuo zio e di Archie...mi dispiace. Ma perché tuo padre non è qui?"
"E' ferito, non riesce quasi a camminare" rispose lei, notando l'espressione scettica dell'Arciere.

Sapeva cosa pensava Bard di suo padre: lo considerava il fratello codardo del peggior Governatore che Pontelagolungo avesse mai avuto. Il fratello maggiore di un uomo senza morale, il fratello remissivo che aveva lasciato la comunità in balìa di un intollerabile malgoverno , senza intervenire. Bard era un uomo buono, ma Regan era quasi certa che la morte di suo zio non gli dispiacesse affatto. Non era stato forse il Governatore a farlo imprigionare qualche giorno prima? Quanto aveva litigato con lo zio e con Alfrid per quella decisione! Ma le sue proteste erano come sempre state liquidate con un: "Questi non sono affari tuoi, torna a passeggiare sul pontile, cara."

Bard la osservò pensieroso per qualche secondo. Probabilmente, l'Arciere aveva concluso in quel momento che suo padre avesse addirittura preferito passare la responsabilità alla figlia piuttosto che mostrare finalmente un po' di carattere. Regan leggeva disappunto nei suoi occhi, e aggiunse con decisione: "E' distrutto per la morte di suo fratello. Cerca di capire, Bard."

L'uomo la guardò di nuovo negli occhi "E tu?" le chiese: "Tu non piangi per tuo zio?" Alla domanda, Regan abbassò lo sguardo.

"Ascolta," continuò lui, togliendola dall'imbarazzo. "Re Thranduil è disposto ad aiutarci. Ed è arrivato uno Stregone, si chiama Gandalf. Ha portato brutte notizie." Quali altre brutte notizie, in nome di Eru! pensò Regan.
"In questo caso vorrei ascoltare. Devo sapere cos'altro sta per succedere e riferire a mio padre e alle guardie cittadine."
Bard annuì, dopo qualche secondo di silenzio. "Va bene. Seguimi. Ma attenta a quello che dici davanti all'Elfo." Sembrava che tutti fossero preoccupati di cosa avrebbe potuto dire in presenza di Thranduil. Era certamente un sovrano temuto.

Regan seguì Bard, ma si fermò alla soglia della tenda. Attendeva il permesso del Re, che arrivò dopo una scambio di parole con l'Arciere. "Vieni avanti." disse una voce maschile.
Regan entrò lentamente nello spazio privato di Thranduil, che sedeva su un trono improvvisato. Lo osservò: doveva essere molto alto, a giudicare dalla prestanza che si intravvedeva sotto quella specie di caftano nero che indossava, impreziosito da un ricco mantello in broccato color argento e bronzo. Aveva lo stesso incarnato di porcellana dei soldati elfici che ancora occupavano le strade della città .
Notò i capelli biondi, gli occhi azzurri e la tipica bellezza del viso, di cui tutti gli Elfi erano dotati.

In un primo istante, l'aveva quasi preso per un Elfo femmina, tale era la delicatezza dei lineamenti. Portava una coroncina d'argento, al centro della quale splendeva una gemma bianca, forse una pietra di fiume. Adornavano le sue mani molti anelli; uno in particolare attirò la sua attenzione: lo portava al dito indice della mano sinistra, era un'enorme pietra bianca, sicuramente il dono della famiglia della sua defunta Regina. Sapeva che quando gli Elfi si sposavano, i genitori della sposa regalavano al futuro consorte un anello da portare sempre, come segno di approvazione per il matrimonio. A giudicare dalle dimensioni di quella pietra, anche la sua amata sposa doveva provenire da una famiglia di alto lignaggio Quante cose si possono imparare da libri polverosi, pensò Regan.

Suo zio lo aveva incontrato anni prima, a Bosco Atro, invitato per discutere degli scambi commerciali con Pontelagolungo. Era tornato dopo due giorni, arrabbiato a morte con il Re. Regan aveva sentito lo sfogo dello zio con Archie e suo padre: Thranduil intendeva pagare il vino e gli altri prodotti di Pontelagolungo ad un prezzo molto inferiore rispetto al vero valore. Specie il vino, che veniva prodotto apposta per gli Elfi, con un metodo di lavorazione impegnativo e lungo. Quel presuntuoso e arrogante Elfo delle foreste! Per chi ci ha presi?! si era lamentato.

Lo zio non sopportava di non avere alternative: Bosco Atro ospitava il reame più vicino, l'unico che aveva abbastanza risorse economiche per acquistare beni dagli Uomini. I Nani di Erebor erano stati ottimi compagni di affari per decenni, ma dopo che Smaug li aveva di fatto cacciati dalla Montagna e spinti all'estremo Ovest, la situazione economica della gente era decisamente peggiorata. Rivolgersi ai vicini Elfi Silvani era stata l'unica opzione.
Archie aveva suggerito di proporre scambi commerciali a Rohan e Gondor. Regan, che origliava, aveva subito pensato: Sono reami troppo lontani, idiota! Lo zio, che normalmente ascoltava le scempiaggini del figliolo e qualche volta le avvallava, lo aveva zittito: Credo che tu sappia che esistono miglia e miglia di distanza fra noi e quei regni, vero testa di legno? Regan avrebbe pagato qualsiasi cosaper vedere l'espressione di Archie, colpito dagli insulti del padre. Poteva immaginarselo: con la bocca aperta in una grande O di sorpresa. Aveva soffocato una risata, per non farsi scoprire.

Il vecchio Stregone la salutò. "Chi è questa giovane signora?" I suoi occhi sorridevano. Le trasmisero sicurezza. "Sono Regan Monrose, figlia di Hannes e nipote del defunto Governatore Viktor Monrose." Guardò Thranduil, per vedere se l'Elfo avrebbe reagito nel sentire il nome dello zio. Del Governatore poco perspicace che aveva trovato il modo di raggirare per anni.
L'Elfo aveva un'espressione cortese, ma guardinga. "Non è il tuo vero nome." disse, fissandola. Regan lo guardò stupita. "Come lo..." stava per chiedere, ma si interruppe. Questi esseri leggono nel pensiero, si disse, sa il tuo vero nome. Devi essere sincera. E cauta.

"Sì. Roswehn sarebbe il mio nome. Ma qui mi conoscono tutti ormai come Regan."
Gandalf intervenne "Sono entrambi graziosi". Poi aggiunse con aria desolata: "E mi dispiace che tu abbia perso i tuoi cari." Di nuovo, Regan lo guardò e stavolta sorrise. Quel vecchio stava cominciando a starle simpatico. Aveva lo sguardo buono e comprensivo. "Vi ringrazio per la vostra sensibilità. Sono momenti duri per la mia famiglia" gli rispose.
Dall'esterno, un brusìo di voci si levava sempre più alto. I soldati e i civili, insieme agli Elfi, si esercitavano nel combattimento. "Comunque..." continuò lei." ...sono qui su richiesta di mio padre per ascoltare le vostre decisioni e riferirle. E so che state discutendo su ciò che potrebbe succedere nelle prossime ore."
Gandalf la guardò con rispetto e annuì. "Puoi rimanere. E ascoltare." disse Thranduil. Conosceva quel tono. Lo stesso di suo cugino, quando Regan chiedeva di presenziare ai consigli. Puoi ascoltare, ma non azzardarti a dire qualcosa. Iniziò a innervosirsi di nuovo. Fece uno sforzo per mantenere la calma, e si mise leggermente in disparte. Forza dell'abitudine.

Gandalf sembrava preoccupato per una possibile azione degli Orchi. Thranduil lo guardava come si guarda un bambino simpatico, ma non troppo sveglio. Secondo lui, lo Stregone era eccessivamente ansioso e stava trascinando nel panico anche Bard. "Se dovesse esserci un'invasione di Orchi o Goblin mercenari, la popolazione di Dale farà la sua parte" disse comunque Bard. "Ma il nostro problema sono i Nani. Abbiamo diritto ad una parte del Tesoro, ma Thorin e i suoi si sono asserragliati lassù nella montagna e non ci daranno nulla. Inutile insistere nel dialogo. Sono solo tredici, ma..."

"Tu vedi un problema dove non c'è." rispose Thranduil, lapidario. Regan era arrivata tardi, ma la conversazione doveva essere stata davvero improduttiva fino a quel punto, a giudicare dal comportamento del Re. Sembrava averne abbastanza di quei discorsi. "Il mio esercito schierato farà cedere le resistenze di Scudodiquercia e di quel manipolo di Nani. Sono ottusi, ma non del tutto stupidi."
Gandalf si agitò spazientito. "Perché deve essere solo questa la soluzione, Thranduil? Non capisci che non ha senso scontrarsi con loro, che l'ostilità fra i vostri popoli è una perdita di tempo? Gli abitanti liberi della Terra di Mezzo dovrebbero essere sempre alleati contro il Nemico più grande. Non dovrebbero cercare lo scontro fra loro." aggiunse con tono di rimprovero.
A quella frase, Thranduil si risentì. "Immagino per te sia più sensato continuare con i discorsi. Preferiresti andare tu stesso là fuori e parlare con Thorin. Prova. Forse ti ascolterà." 
E poi guardò verso Regan, che ascoltava con aria preoccupata. Dale farà la sua parte. Un momento, Bard. Che intendi dire? Noi non abbiamo un esercito. Chi vorresti trascinare sul campo di battaglia, in caso di scontro con i Nani o contro gli Orchi? Donne, bambini..? E poi, siamo sicuri che sia solo Thorin l'unico Nano che si metterebbe contro gli Elfi e gli Uomini? Dain Piediferro è qui vicino. I Colli Ferrosi. Possibile che Thorin non abbia... Il suo cervello, come spesso capitava, fu preso da un turbinìo di ipotesi.

"Perché la giovane Regan non ci mette al corrente dei suoi pensieri?" , domandó all'improvviso lo Stregone. Anche lui, al pari dell'Elfo, la stava osservando. Probabilmente si stavano entrambi chiedendo da quale manicomio provenisse quella ragazza dall'aspetto emaciato, dall'abito logoro e dallo sguardo che stava diventando spiritato. Non mangio da ieri, pensò all'improvviso. Si sentiva debole e inopportuna in quel posto. Riuscì comunque a raccogliere il coraggio e a parlare.

"Credo che dovremmo....dovreste riflettere sulla presente situazione. State sottovalutando i Nani." Gandalf si illuminò di improvviso interesse. "So che...il cugino di Thorin, Dain, vive con la sua gente non lontano da qui. E sarei sorpresa se Thorin non avesse già inviato una richiesta di aiuto. I Nani dei Colli Ferrosi sono molto più aggressivi e pericolosi dei Nani di Erebor. Meglio armati e meno propensi al dialogo. Molte volte in passato hanno sconfitto legioni di Orchi molto più numerose di loro. Hanno la guerra nel sangue." Il silenzio dei tre la esortò a chiarire. "Ho letto libri al riguardo" Gandalf si complimentò. "Toh, una fanciulla ben istruita. Ne esistono, ringraziando il Cielo!" Poi girò un'occhiata torva prima a Thranduil e poi a Bard. "Ha ragione".

Thranduil la guardava e sorrise brevemente. Ma in un attimo cambiò espressione. "Anche se Thorin chiamasse a raccolta tutti i suoi cugini sparsi per la Terra e questi portassero con loro dieci eserciti, non possono vincere. I miei numeri sarebbero comunque maggiori." Sembrava infastidito dalla possibilità di aver perso un dettaglio. Ovviamente non aveva pensato a Piediferro e questo la stupì: un Re saggio come Thranduil, con i suoi millenni di vita e le molte battaglie in cui aveva combattuto e che aveva vinto. Si aspettava da lui maggior acume.
"Dico solo che in caso di battaglia contro uno schieramento molto numeroso di Nani, od Orchi, Lord Thranduil non potrebbe contare sull'aiuto degli Uomini di questa città. La nostra è una popolazione stremata...e dobbiamo ricostruire. Questa è la priorità." aggiunse la ragazza, tenendo lo sguardo basso. Non si azzardava a guardare il re negli occhi.

Bard intervenne. "Regan, non è possibile alcuna ricostruzione senza denaro. Le ricchezze di Erebor sono la nostra speranza. L'oro dei Nani salverà la nostra gente. Questo lo capisci?" Regan si girò verso di lui. "In passato la nostra gente ha affrontato un periodo come questo. I racconti dei nostri nonni, Bard, te li sei dimenticati? I nostri antenati hanno vissuto l'attacco di Smaug a Erebor. Distrusse parte di Dale. E nei giorni, mesi, anni successivi decine e decine di uomini, ragazzi perfino donne e bambini a scavare fra le macerie per recuperare il recuperabile. E ricostruire. Certo, questa città non è tornata come era prima. Fuggire a Pontelagolungo era l'unica alternativa. Ma, noi mortali, abbiano provato a reagire alla catastrofe." Si voltò verso Thranduil che la guardava, di nuovo impassibile. "E Mirkwood non fece nulla per aiutarci, allora, se mi è stato raccontato il vero."
L'accusa cadde gelida. Regan aveva parlato con il cuore, ed era sorpresa dalla schiettezza delle sue parole.

(Attenta a quello che dici di fronte all'Elfo).

Ma cosa le stava succedendo? Suo padre, sua madre, Bard le avevano intimato cautela...ma non si sentiva affatto in vena di misurare le parole. Proprio per niente. Quell'espressione di superiorità negli occhi della creatura seduta davanti a lei...di certo, Thranduil non provava più che compassione per gli sventurati mortali. Prima di tutto, per il fatto di essere mortali. Creature inferiori agli Elfi.
La giovane sentiva il sangue ribollire. "E adesso, il grande Re cerca di comprare la nostra lealtà, con le sue offerte di cibo e promesse senza fondamento." Lo guardò in quegli occhi celesti che ora si riempirono di sorpresa. E continuò. "Io vi ringrazio per aver sfamato la mia gente, ma...chi può dire che ci concederete di avere parte del tesoro? Chi può dire se questo non sia solo un trucco per spingere le nostre povere anime verso la battaglia e rischiare la vita...per non avere niente in cambio?" Ormai la donna era un fiume in piena, ma non riusciva ad arrestarsi.

Si voltò verso Bard, che nel frattempo era impallidito."Sbaglio, o questo è lo stesso Elfo che ha irriso mio zio e mancato di rispetto al nostro popolo, rifiutandosi di pagare il prezzo dovuto per quello che noi mandavamo nel suo regno?"
A quel punto la ragazza si trovò a fissare un viso fattosi improvvisamente di pietra. I bei lineamenti aggraziati rivelarono allora una durezza inaspettata, e Regan ebbe la conferma un'altra cosa che aveva letto sui libri. Gli Elfi non erano come gli Uomini Mortali. Certo, condividevano le fattezze con loro, ma c'era qualcosa di selvaggio nella loro fisicità, che di tanto in tanto emergeva ...era la loro profonda connessione con la natura a renderli, in certi momenti, simili agli animali, più che agli Uomini. Thranduil per un breve momento somigliò a un lupo famelico, o ad un rapace. Aveva perso l'aria solenne ed enigmatica. Bard colse la tensione nel Re, e tentò di mediare. "Regan, rifletti, per favore. Non possiamo negare il nostro appoggio a Lord Thranduil e alla sua gente. Hanno bisogno anche di noi per trattare con Thorin."

Lei si voltò. "Di chi ci sarà bisogno nella battaglia, Bard? Dei tuoi figli? Di Tilda, Sigrid, Bain..." L'Arciere la interruppe. "Non nominarli nemmeno, Regan." La sua famiglia era tutto per lui, tutto ciò per cui viveva. La sola idea dei suoi tre ragazzi in pericolo lo atterriva.
La ragazza comprese e cambiò registro. "Bard, io non permetterò questo... per quanto possa valere la mia parola, io sono contraria a tutto ciò." disse lentamente. E poi vi fu silenzio. Non capiva che cosa l'avesse spinta a parlare in quel modo, aveva sentito una forza nuova e sconosciuta dentro di lei. Non si riconosceva. Gandalf stesso era senza parole, ma il suo sguardo tradiva una certa ammirazione. Quella ragazza parlava con il cuore, aveva coraggio. Lo Stregone ammirava da sempre il coraggio, in tutte le sue forme.

Parlò Thranduil. "Non è mia abitudine intrattenermi in conversazioni di questo tipo. Credo che questa città abbia bisogno di ben altra...guida. A quanto pare, Viktor e Hannes Monrose, e le loro progenie, non sono mai stati adatti alle responsabilità." Nel sentire il nome di suo padre, Regan lanciò all'Elfo uno sguardo carico di livore. Ma di certo Thranduil non ne fu intimorito. "Ad ogni modo, se i rapporti fra il mio Reame e la vostra comunità sono così dannosi, possiamo certamente concludere i nostri trattati, dopo aver risolto questa...faccenda con i Nani." Era una minaccia nemmeno troppo velata. Tenetevi il vostro vino, le mele e gli altri frutti dei vostri preziosi campi... e scordatevi il nostro oro. Bard lanciò verso Regan un'occhiata furiosa e disperata allo stesso tempo. Complimenti, Governatrice. Ora sì che questa città è condannata , sembrava dirle quello sguardo. Ora sì che abbiamo un futuro.

🌿🌿🌿

"Tu non ti rendi conto. Regan...ma sei uscita di senno? Parlare così a Thranduil?!" Bard era ancora incredulo.
Dopo aver lasciato la tenda da campo del Re, poiché lui e Gandalf dovevano discutere in privato, l'Arciere e Regan si erano recati nel Grande Salone, dove altri sfollati nel frattempo si erano radunati. "Hai fatto arrabbiare l'unico essere nei dintorni che non andava provocato, oltre a Smaug... ora pagheremo le conseguenze". La gente si girò a guardarli, poiché Bard parlava con tono di voce fattosi improvvisamente stentoreo. "Non è certo stata una dimostrazione di diplomazia!"

La ragazza rispose spazientita. "Beh...neanche l'Elfo si è comportato da grande sovrano. E' venuto qui solo per il suo interesse, e lo sai. Non gli importa che la nostra popolazione venga falcidiata dagli Orchi...o da qualche cugino pazzo di Thorin. E poi...io simpatizzo per i Nani. Combattono per la loro casa, hanno grande dignità e carattere. Non dimenticarti che i rapporti fra noi e loro sono stati ottimi negli anni passati. Eppure, quando Thorin è venuto da noi in cerca di aiuto, come lo abbiamo trattato? Mio zio lo ha umiliato. Non abbiamo nemmeno avuto cuore di aiutare quel suo compagno moribondo. Ricordi che ci hanno chiesto medicine per il giovane arciere...Kili? Oh, io non dimentico...ho ancora nella memoria i loro sguardi increduli e addolorati... li abbiamo mortificati. Gran bella figura abbiamo fatto."

Bard si girò di scatto. "Parla per te. E' stata la tua famiglia... è stato il vostro tirapiedi Alfrid a deriderli. Io li ho ospitati a casa mia, ho dato loro cibo, coperte e le armi che ho trovato. Ho provato ad aiutarli, i miei figli ne sono testimoni."
La ragazza lo guardò sorpresa. "Cosa?" Non ne sapeva nulla. "Non ho tempo ora per raccontarti tutto. Comunque, Thorin non è molto diverso da Thranduil. Entrambi divorati dalla sete di ricchezze. Purtroppo però, a noi servono disperatamente quelle monete d'oro nella montagna. E se il tuo sfogo di poco fa porterà come temo alla fine dei rapporti con Bosco Atro, ci serviranno ancora di più. Thranduil è disposto ad impegnare le sue forze accanto alle nostre per entrare ad Erebor, e questo per noi è tutto. Quella montagna, Regan, è la soluzione alle nostre sofferenze. E' il nostro futuro." scosse la testa. "Ti ostini a non capire."

"Ho pensato ad un'alternativa," disse la giovane "mio cugino suggeriva spesso a mio zio di cercare contatti con Gondor e Rohan...ecco, pensavo anch'io che potremmo chiedere aiuto a loro." Bard corrugò la fronte. "E in che modo?" chiese.
"Potremmo chiedere un prestito. Poi, una volta che Dale sia tornata al vecchio splendore e abbia ritrovato la sua florida economia, potremmo ampiamente ripagare." azzardò Regan. Bard sospirò e volse lo sguardo altrove. "Rohan è un grande regno, ma non ha risorse. Da quel che so, molti dei suoi abitanti vivono nell'indigenza. Forse Gondor ha abbastanza ricchezza, ma il suo sovrintendente è un uomo avaro e consumato dalla sete di potere...non meno di quanto fosse Viktor Monrose." poi si girò verso la ragazza. "Scusa, non avrei dovuto dirlo."

Regan non registrò la sua ultima considerazione verso lo zio, e proseguì nel suo ragionamento. "Vedi, Bard, io vorrei davvero evitare di dover essere in debito con Elfi o Nani. Sono convinta che ogni popolo, ogni razza, dovrebbe mantenere la propria indipendenza dalle altre. Vedi cosa è successo tra Nani ed Elfi? Due comunità troppo diverse entrano in contrasto presto o tardi...e questo può portare a guerre che coinvolgono tutti."
Bard la guardò. "Sebbene io riconosca una certa verità in ciò che dici, stavolta non è possibile far ricorso all'isolazionismo. Non abbiamo scelta. Thranduil ha bisogno di noi e noi, purtroppo, delle sue armate elfiche e dell'oro dei Nani. Anch'io ero contrario ad entrare in quella montagna, lo sai, ma ho deciso che porteremo qui solo la quantità di denaro che ci serve per andare avanti...lasceremo il resto a chi vorrà prenderselo. Dopo di che, potremo fare come dici tu. Penseremo solo al benessere dei nostri concittadini. Mai più scambi con gli Elfi, se non ti fidi di loro, nè con i Nani. Faremo tornare Dale il gioiello dell' Est, questo te lo prometto. Ti chiedo solo di appoggiarmi, e spero che i tuoi genitori facciano altrettanto. Le guardie della città prendono ordini da tuo padre, e ora Hannes deve guidarli, che lo voglia o no."

Regan lo osservò in silenzio, e annuì. Poi chiese improvvisamente: "Ma perché Thranduil è così ansioso di entrare ad Erebor?"
"Per quella collana." disse Bard. Vide l'espressione confusa della ragazza e continuò. "A quanto pare fra i tesori di Thror, nonno di Thorin, c'è anche una collana, molto preziosa, che in qualche modo è legata a Thranduil. Era della moglie o meglio, doveva essere sua, ma la Regina morì prima di riceverla. E' l'unico ricordo che ha di lei." spiegò Bard.

La giovane rimase perplessa. Sapeva della Regina Elfo di Mirkwood, uccisa e orrendamente fatta a pezzi dagli Orchi, ad Angmar, secoli prima. Non credeva però che il Re avesse ancora un legame così assoluto con il suo ricordo, al punto da trascinare il suo esercito in una potenziale guerra per un monile appartenuto a lei. Non sembrava, in effetti, una persona sentimentale. Quegli occhi azzurri come il ghiaccio avrebbero potuto trafiggerla solo poche ore prima nella tenda...eppure, sapeva tutto al riguardo.
Suo padre gliene aveva parlato quando era bambina, una delle favole con cui l'addormentava la sera: la fine dell'amicizia fra Elfi e Nani. Due razze che mai si erano amate nella Storia di Arda, troppo diverse, diametralmente opposte in fatto di cultura, maniere, abitudini. Tuttavia, fra Lord Thranduil, figlio di Oropher e Re degli Elfi Silvani e Thror, sovrano dei Nani di Erebor, si era nel tempo consolidata una forma di rispetto reciproco, se non di vera amicizia. Due sovrani che, a debita distanza, mantenevano buoni rapporti. Una situazione di pace che era bruscamente cessata proprio a causa di quella collana.

A quanto pareva, il Re Elfo aveva commissionato ai Nani la fabbricazione di una favoloso ornamento, disegnato da lui stesso. Thranduil era fiducioso nelle loro doti eccelse di orafi. Ma la collana era stata fatta così bene, era talmente magnifica, che Thror se l'era tenuta per sè. Aveva giustificato il suo gesto dicendo che il Re Elfo non aveva offerto un prezzo adeguato...dunque era abitudine di Thranduil non onorare i suoi debiti? si chiese Regan. O forse Thror voleva davvero quel meraviglioso oggetto solo per i suoi scrigni. Era famosa la sua ingordigia per i beni preziosi.
In ogni caso, Thranduil e il regno di Erebor avevano rotto ogni rapporto, e era stata inimicizia da quel momento. Alla luce di questo, la bramosia dell'Elfo per il gioiello poteva essere giustificata. Tuttavia, ciò che Regan non perdonava a Thranduil era il mancato intervento a sostegno della sua gente centinaia di anni prima, dopo il primo attacco del Drago a Dale. Non aveva nemmeno mandato uno dei suoi soldati ad accertarsi della situazione. Non gli importava nulla, nonostante gli Uomini fossero suoi vicini e uniti nel commercio.

"Cercherò di parlare ancora con l'Elfo, in effetti...non voglio che ci siano ripercussioni per la città." disse Regan, con amarezza. "Gli chiederò scusa...a denti stretti."
Bard sospirò, "Spero non sia inutile. Thranduil non ha un carattere morbido. Ora la sua concentrazione è tutta su Thorin, ma una volta ottenuto quello che vuole tornerà nella sua foresta, e da quel momento non lo vedremo più, nè potremo parlare con lui. Solo con i suoi emissari." Regan capiva il guaio in cui si era messa, ma in quel momento anche altri problemi la angustiavano. "Bard, dobbiamo organizzare la permanenza della gente di Pontelagolungo, trovare un riparo per la nostra gente. Bambini, soprattutto." Pensò a Edith e alla sua grande casa sulla collina. Due, tre famiglie potevano stare da lei. Si augurò che quella brontolona non avesse da ridire, almeno non in quelle circostanze. E poi le case diroccate di Dale...certo, erano un rifugio temporaneo, ma...erano sicure? Molte erano solo relitti. "Coraggio, diamoci da fare"

🌿🌿🌿

L'Arciere stava parlando con due uomini del posto, raccomandandosi di distribuire il cibo degli Elfi soprattutto ai più deboli.
Intercettò Alfrid e gli ordinò di pensare ai feriti e quest'ultimo si prostrò quasi davanti a lui, in quello che voleva essere un inchino. Lo zio non c'era più, e Alfrid aveva bisogno della protezione del nuovo potente del posto. "Farò tutto quello che posso, Sire. Sempre a vostra disposizione!" Regan fu sollevata che l'avesse del tutto ignorata. Quel fasullo le ispirava solo repulsione, non avrebbe sopportato che le saltellasse intorno tutto il tempo.

"Ricordati di mettere al sicuro le donne con figli molto piccoli." si limitò a dirgli. Alfrid si girò."Cosa? Tu mi dai ordini?" le disse con sarcasmo. "Ti posso ricordare, cara, che tuo zio concedeva a me ti darti ordini, e non il contrario?" aggiunse con un ghigno. "Tu non puoi comandare proprio nessuno, Roswehn cara. Tu non eri che una fonte di imbarazzo per tuo zio..." sibilò Alfrid, godendosi l'espressione ferita della ragazza "...oh sì, la sua nipote, pazza come la madre, che passava ore chiusa in quella libreria a immaginare mondi popolati da fate e folletti...sai, pensava di bandirti da..."
"Basta Alfrid!" lo interruppe Bard. Poi si avvicinò a quel laido ometto. "Adesso scusati con lei." gli intimò.
"Lascia stare." disse Regan. Si avvicinò ad Alfrid, che non aveva smesso di guardarla con aria canzonatoria. "Puoi divertirti a provocarmi, se vuoi...ma azzardati a parlare ancora di mia madre in quel modo...e il giorno in cui lo farai, sarà l'ultimo tuo giorno." gli disse, fissandolo.
Poi si girò e riprese il cammino. La ragazza non aveva di certo un'indole violenta, ma qualcosa in lei era esploso. Come successo nella tenda di Thranduil, ad un certo punto aveva sentito una nuova Regan sbocciare in lei, molto più ardita. Bard la seguì. "Tutto bene?" le chiese, notando il suo viso rosso dalla collera. "Quel borsaiolo ha poco da ridere ancora, lo giuro." disse lei. 

All'improvviso una voce chiamò. "Bard, perdonate, lord Thranduil chiede che voi lo raggiungiate di nuovo nella sua tenda". Si voltarono entrambi. Uno degli Elfi dell'esercito del Re era in piedi davanti a loro. Non aveva un'uniforme dorata come gli altri, era nera, con strisce argentee sul petto. Forse era il capitano.
L'Arciere guardò prima lui poi Regan con apprensione. Thranduil non aveva chiesto di lei, non la riconosceva dunque come autorità cittadina. O forse Bard si era attirato il rispetto del Re per aver ucciso Smaug, dopo tutto lui stesso aveva affrontato dei Draghi in passato e ne era uscito ferito, così si diceva. Bard era riuscito dove il grande Re Elfo aveva fallito. Comunque fosse, Regan era stata esclusa dal nuovo incontro. Non era affatto un bel segnale. "Va' pure. E' comprensibile, non sono stata cortese con lui. Portagli le mie scuse." mormorò lei, demoralizzata.
Bard si accorse della sua espressione e ribattè: "Vieni anche tu." Regan lo guardò senza dire nulla, ma poi con un cenno della testa fece di no. Non era il momento. Thranduil era già maldisposto nei suoi confronti, andare contro una sua richiesta avrebbe complicato la situazione. "No, va' tu. Davvero Bard, è meglio così. Torno dai miei genitori, mio padre aspetta notizie"
"D'accordo. Ma non parlerò a nome tuo. Dovrai chiarire le cose con Thranduil di persona. Raggiungici quando viene sera, nel frattempo cercherò di preparare il terreno per te". Bard si voltò e seguì l'Elfo.

Regan guardò il cielo diventare arancio nel pomeriggio ormai inoltrato. Presto la sera sarebbe arrivata e lei doveva pensare a cosa dire a quel superbo Re Elfo per calmare la sua collera e fargli riconsiderare i rapporti con Dale. A prescindere da come sarebbero andate le cose con Thorin, gli scambi fra Elfi e Uomini dovevano continuare.
Bard aveva ragione, Dale e la cittadina ora semi-incenerita di Pontelagolungo non avevano abbastanza risorse per stare in piedi da sole, non erano autosufficienti. L'oro dei Nani, sempre che fossero riusciti ad averne una parte, non poteva durare per sempre e chi poteva dire se Dale sarebbe davvero tornata al vecchio splendore? Era un sogno suo e di Bard, per il momento, nulla più. La realtà era che solo Bosco Atro forniva delle entrate annuali sostanziose e garantite , nonostante l'avarizia del Re.
Regan avrebbe fatto in modo che Thranduil iniziasse a nutrire rispetto per lei e dopo, dopo che quella faccenda di Thorin fosse stata risolta una volta per tutte, avrebbe spinto Bard a chiedere un cambio nell'andamento dei commerci. Sentiva dentro di lei crescere la consapevolezza di essere destinata ad un ruolo in quella città.

Era probabile che in futuro Bard avrebbe preso i pieni poteri, ma lo conosceva: la sua correttezza gli avrebbe imposto di coinvolgerla nel governo cittadino. Non avrebbe mai tagliato del tutto fuori la sua famiglia. Se doveva imparare l'arte della politica, meglio farlo velocemente. Raggiunse la madre che stava trasportando con fatica un secchio d'acqua verso il loro riparo. Le ferite di suo padre erano lontane dal rimarginarsi, le bende andavano cambiate in continuazione. "Dovremo chiedere dei pezzi di stoffa alla gente." disse Yohlande.

Purtroppo gli Elfi non avevano portato anche medicinali o materiale utile per medicare le ferite. Avevano abilità curative, ma di solito un atto di guarigione toglieva loro molte energie. Usavano con parsimonia quel potere. Inoltre, necessitavano di erbe particolari per guarire le ferite e lì intorno c'erano solo terreni gelati e boschi avvizziti. "Aspetta mamma." disse la ragazza, e si strappò l'orlo dall'abito. "Tanto questo vestito è da buttare." disse, porgendole la pezza merlettata.
"Non servirà a molto. Non abbiamo neanche un ricovero per i malati..." aggiunse, con voce pericolosamente vicina al pianto. Sua madre aveva un carattere di ferro, ma evidentemente stava cominciando a cedere. Si girò verso la figlia. "Guarda, i gemelli di Brenna...poveretti." Mentre camminavano, passarono accanto a due bambini completamente coperti di fango. Stavano giocando in una pozzanghera e la madre, seduta lontano, non aveva nemmeno la forza di redarguirli. Forse le dava sollievo vedere i suoi bimbi che, anche in quelle condizioni, trovavano la voglia di divertirsi. Suo marito non c'era. Forse era andato a cercare cibo o forse era morto, chissà. Avrebbero fatto la conta dei deceduti nei giorni a venire, e sarebbe stato dolorosissimo.

Arrivarono al punto in cui il padre si era rannicchiato. Si rivolse subito a Regan. "Cosa è successo dunque in quella tenda?" chiese, preoccupato. La ragazza decise che raccontare la verità avrebbe suscitato ancora più apprensione nella mente già provata del padre. Giunse a un compromesso con la sua coscienza e riferì solo metà dei fatti. Tralasciò la parte in cui stava per far imbestialire il Re. Tralasciò anche la discussione sui rapporti economici fra le due comunità. "...e questo è il succo: Thranduil e Bard desiderano mettere alle strette i Nani e, di fatto, farli capitolare. Lo Stregone insiste per un dialogo pacifico, ma credo non potrà fare nulla in questo senso. Il Re è ostinato."
"Ma certo che lo è." commentò amaramente Hannes. "Però in fondo è l'unica strada percorribile. Thranduil ha ragione. Thorin e i suoi nipoti non sono individui con cui ragionare, ma il loro immenso tesoro ci serve. Ricorrere alla forza è inevitabile."
"Tornerò più tardi in quella tenda e ti riferirò il resto." disse Regan. Hannes si voltò sorpreso. "Perché?" Anche Yohlande si girò. "Non c'è alcun motivo perché tu torni lì. Ora sappiamo cosa accadrà. Rimani qui, ho bisogno del tuo aiuto."
Regan arrossì. "Certo...ma potrebbero esserci sviluppi. Non mi è chiaro fino a che punto lo Stregone abbia influenza su Thranduil. A quanto pare si conoscono da secoli." Di tutte le scuse che poteva inventarsi, questa era la meno plausibile. Sperò che i genitori abboccassero e si vergognò di se stessa. "Stregoni ed Elfi sono creature magiche. Si intendono a meraviglia, non c'è dubbio. Ma tu stanne fuori, Regan. Sei fragile di fronte a loro, indifesa di fronte a cose molto più grandi di te. Aspettiamo gli eventi insieme, stai qui con la tua gente. E, insieme, preghiamo i nostri avi che ci aiutino."
"No, papà perdonami. Devo andare, è in corso qualcosa di fondamentale per le nostre vite. La scelta di altri può cambiare il nostro futuro in meglio. O distruggerlo. Quelle frasi di Gandalf su legioni di Orchi, e oscuri signori...sono troppo sottosopra, adesso. Ho bisogno di sapere, o non potrò chiudere occhio stanotte. Ti racconterò al mio ritorno." e si allontanò con passo svelto. La madre la chiamò da lontano. "Non andare!"

 Scusa, mamma.

🌿🌿🌿

Gandalf era sull'orlo di una crisi nervosa.

Quando Regan giunse alla tenda del Re Elfo, colse distintamente lo sfogo dello Stregone. "Cosa credi che voglia fare?!" stava chiedendo, presumibilmente a Thranduil. L'Elfo rispose qualcosa, che Regan non capì perché, al solito, il Re usava un tono di voce misurato. Poi lo vide alzarsi e avvicinarsi a uno dei suoi luogotenenti. Gli diede un ordine, l'ordine definitivo che sanciva l'inizio delle ostilità: voleva che la montagna fosse costantemente sotto il tiro degli arcieri, così che qualsiasi povero disgraziato che si fosse trovato nei paraggi sarebbe stato ucciso al minimo movimento.

Regan si innervosì. Dov'era finita la saggezza degli Elfi? Si chiese se Lord Elrond avrebbe agito nello stesso modo: sognava di visitare Gran Burrone almeno una volta nella sua vita. Le meravigliose illustrazioni sui libri e i racconti di chi vi aveva trascorso un periodo di tempo l'avevano fatta innamorare di quel luogo lontano. Ammirava la figura di Elrond, un mezzo sangue che, nella sua scelta di vivere la sua vita secondo le leggi degli Elfi rinnegando la sua parte mortale, aveva preservato alcuni tratti degli esseri umani, primi fra tutti, la compassione e la generosità verso il prossimo.
Thranduil era decisamente diverso dal Signore di Rivendell, era un Elfo di pura e antica razza Sindar, come il glorioso padre Oropher: da quest'ultimo Thranduil aveva preso la stoffa del grande guerriero, ma sfortunatamente aveva nei secoli sviluppato tendenza all'isolamento e grande intolleranza verso ciò che esisteva al di fuori del suo dannato bosco. I molti orrori a cui aveva assistito nella sua vita, non ultimo la morte terribile dell'amata moglie, avevano peggiorato il suo carattere. Regan non sapeva se aveva figli, ma in caso ne avesse avuti, provava sincero dispiacere per loro. Immaginava che razza di padre distante e freddo dovesse essere.

Il Re congedò il suo soldato e girò lo sguardo verso di lei. La donna provò un forte senso di disagio. Guadagnarsi il suo rispetto sarebbe stata un'impresa durissima. "Vorrei parlarvi, Lord Thranduil, se non vi è di eccessivo disturbo" provò a dire. Il Re non si mosse, ma tutta la sua persona si ergeva contro di lei come un muro.
"Non credo ci sia altro da dire." la gelò. Bard uscì dalla tenda, seguito da Gandalf, dopo aver sentito la sua voce. "Un momento...come vi dicevo prima, Regan non intendeva offendervi. Tutti noi siamo a pezzi, ma questa ragazza ha avuto una giornata terribile...vi chiedo ancora una volta di perdonarla."
A Regan dispiaceva per Bard: vederlo in difficoltà a causa sua. Come se non avesse avuto altri problemi.
"E' vero, io sono venuta qui per scusarmi con voi. Vi ho ....mancato di rispetto." Thranduil cercò, senza riuscirci, di trattenere un sorriso. Era incredibile come sorridesse sempre con le labbra e mai con gli occhi. Il suo cuore non era di ghiaccio: doveva essere proprio di pietra.
Dietro di loro, Gandalf appariva stanco e provato dalle lunghe discussioni. "Sei tornata, fanciulla, spero tu abbia imparato a tenere la lingua a freno..." e girò lo sguardo verso il Re come a dirle: hai dunque compreso con chi hai a che fare? Poi lo sguardo dello Stregone venne attirato da qualcosa dietro di loro. Si girò anche Regan per guardare. Vide un uomo piccolissimo che si avvicinava timoroso verso di loro. Non era un Uomo, in effetti, era...un Nano? No, nemmeno un Nano.

"Bilbo Baggins!" Esclamò Gandalf. Era felice di vederlo, segno che si conoscevano. Il Vecchio si rivolse a Thranduil. "Costui ci porta notizie di Thorin. Dobbiamo ascoltarlo." L'esserino, anch'egli evidentemente provato, disse: "Sì, è un piacere vederti Gandalf...e...beh, quello che vengo a riferirvi è che...i Nani non hanno intenzione di arrendersi, seppur in inferiorità numerica. Ma forse ho trovato il sistema per evitare lo scontro tra voi e loro". Entrarono tutti nella tenda, Regan compresa. Thranduil non se ne era neppure accorto, la sua attenzione era interamente sul piccolo visitatore.

"Se non vado errato, questo è il mezz'uomo che ha fatto fuggire i Nani dai miei sotterranei sotto il naso delle mie guardie". L'ometto arrossì e farfugliò delle scuse.

Regan rise.
Si girarono tutti a guardarla. Non aveva potuto trattenere l'ilarità, immaginandosi quell'altero sovrano su tutte le furie dopo aver scoperto l'incompetenza delle sue guardie. Dopo aver realizzato che quella creatura piccolissima l'aveva fregato ben benino.
"Scusate." Abbassò lo sguardo, perché se i suoi occhi avessero incontrato quelli di Thranduil sarebbe scoppiata in un'altra risata . Quella giornata si stava rivelando la più bizzarra della sua esistenza e questo l'aveva in qualche modo snervata: in meno di ventiquattr'ore ore erano avvenuti tanti fatti importanti. La città di Pontelagolungo era stata ridotta ad un cumulo di cenere, un'intera popolazione era allo sbando, i suoi parenti erano morti, aveva incontrato il potente Re Elfo di cui tanto aveva sentito parlare, uno Stregone era entrato a Dale e ora...quello strano ometto, vestito come un folletto e con uno sguardo vivace e furbo come poche volte aveva visto. Chissà perché, le venne in mente uno scoiattolo.

"Trovi divertente tutto ciò?" chiese l'Elfo. Di nuovo quello sguardo gelido. "No...è che, non ho mai visto prima un essere come questo." Regan tentò di cambiare discorso. Ci mancava solo che il Re l'avesse sorpresa a ridere di lui. "Se posso chiedere... che cosa sei tu?" chiese, rivolta al mezz'uomo. "E perché hai a che fare con i Nani?"
Il piccoletto deglutì, come imbarazzato, poi disse: "Sono un Hobbit della Contea, mi chiamo Bilbo Baggins e sto seguendo la Compagnia dei Nani. Ecco...lavoro per loro. Sono mesi che siamo in viaggio per arrivare qui a Erebor." Regan corrugò la fronte. La Contea..sì, aveva visto una regione nominata Contea su una delle sue mappe. E gli Hobbit....quel laborioso e semplice popolo, dedito all'agricoltura e alla pesca. Eccone qua uno di fronte a lei! Vivevano in comunità ridotte, ma molto solidali e...avevano qualcosa in comune con i Nani, a parte l'altezza: erano molto uniti alle loro famiglie.
Bilbo sembrò indovinare i suoi pensieri e continuò "Sì...ecco...c'è una certa differenza fra noi Hobbit e i Nani...loro hanno maniere molto peggiori delle nostre."

Gandalf intervenne. "Bilbo, prima hai detto di avere trovato un modo per evitare la guerra fra questi nostri Popoli. Che cosa intendevi dire?" Bilbò annuì e mostrò il suo tesoro: in un pezzo di tela era avvolta la Arkengemma, come la chiamò Thranduil, meravigliato.
Una pietra che Regan scoprì essere estremamente importante per la famiglia di Thorin. Per quella pietra Scudodiquercia stava rischiando la follia, era alla sua disperata ricerca in mezzo a quella montagna d'oro. Bilbo spiegò che si era impossessato legittimamente della gemma, dopo aver affrontato a viso aperto il Drago. La considerava una sorta di pagamento per il lavoro svolto per i Nani. Regan non aveva capito quale lavoro esattamente avesse svolto, ma non si azzardò a chiedere. Inoltre, si stupì che quel piccoletto fosse riuscito a sottrarre una cosa di quel valore nientemeno che a Smaug. Come c'era riuscito?
Ora, stava cedendo la pietra a Thranduil, per usarla come riscatto. Thorin poteva averla, ma in cambio avrebbe consegnato le gemme di Lasgalen a Thranduil e una parte dell'oro alla gente di Dale, che ne aveva disperatamente bisogno. Brillante trovata. Niente male, per un piccolo Hobbit di una remota regione chiamata Contea. Un Hobbit che attribuiva più valore all'amicizia che ai soldi e alle gemme preziose.

Gandalf, Bard e Thranduil furono subito d'accordo sul piano. Gandalf, chiaramente orgoglioso del suo amico, disse. "Vedo che infine la saggezza di questo piccolo Uomo ha prevalso sui vostri...desideri di guerra." guardò Thranduil. "Ora, io e il mio amico Bilbo vi lasciamo...mancano poche ore all'alba, e questo povero vecchio deve riposare. Bilbo, ti prepareremo un giaciglio. Seguimi." Anche Bard volle prendere congedo. "Torno dai miei figli. I ragazzi non mi vedono da stamane. Andiamo, Regan." I due fecero per andarsene, ma Thranduil li fermò.
"Solo un momento." guardò Regan. "C'è qualcosa di cui vorrei parlarti."

🌿🌿🌿

"Pochi esseri, fra Uomini, Elfi e Nani, hanno osato rivolgersi a me in quel modo, nel corso della mia lunga vita." esordì il Re, solennemente seduto sul trono di legno, la lunga spada in bella vista vicino a lui. Bard aveva lasciato la tenda qualche attimo prima, dopo avere lanciato a Regan uno sguardo implorante. Ti prego non peggiorare le cose, le avevano detto i suoi profondi occhi castani. Regan sentì il suo viso accendersi. "Perdonatemi." mormorò contrita, gli occhi bassi.

Aveva la sensazione di stare conversando con una scultura in pietra anziché con un essere in carne e ossa. Il gelo che proveniva dagli occhi di quell'Elfo doveva essere simile al gelo del suo corpo. Aveva sentito dire che gli Elfi avevano una temperatura corporea di molto inferiore rispetto a quella degli Uomini, poichè il loro sangue era una sorta di linfa scura, un liquido simile a quello che si trovava nelle piante. Non era il rosso sangue umano, e quindi i loro corpi emanavano poco calore, non conoscevano la febbre e altre malattie umane, non conoscevano dolore...se non quello inferto dalle armi in battaglia. E il profondo dolore dell'anima, che avvertivano in maniera più penetrante rispetto agli Uomini, per via della loro estrema sensibilità. Regan sapeva che, quando un Elfo perdeva l'amore della sua vita, la sua compagna o compagno, spesso preferiva lasciarsi morire, oppure andava ad imbarcarsi su quelle navi bianche di cui si raccontava nelle favole, quei velieri che portavano gli Elfi verso l'altra vita, ad Ovest. Verso la vita immortale.

"Non sono le tue scuse che volevo sentire, dato che sono prive di sincerità." disse Thranduil con studiata lentezza. Voleva metterla in imbarazzo. "Credo che tu intendessi davvero quello che hai detto. Non è così?" le chiese.
La ragazza sollevò lo sguardo. "Ai tuoi occhi non sono nient'altro che un ladro."
L'Elfo sembrava in attesa di vibrare un colpo feroce, lo capiva dallo scintillio dello sguardo. La giovane umana tentó una disperata difesa. "Io credo che voi siate un grandissimo sovrano. Conosco la storia della vostra vita, l'ho letta. E conosco le gesta di vostro padre. Ho molto rispetto per la nobile famiglia di Bosco Atro." disse d'un fiato, abbassando di nuovo lo sguardo. Suonava tremendamente forzata, lo riconosceva lei stessa, ma doveva provare a convincerlo della sua buona fede. Provare ad ammorbidire quella tensione fra loro due che rischiava di diventare molto pericolosa. "Quello che ho detto è stato dettato dallo...sconvolgimento in cui mi trovavo. Ho perso mio zio e mio cugino, mio padre sta male e mia madre è..."

"Basta così, ti prego." disse Thranduil. Regan lo guardò, sorpresa. "La nostra discussione del pomeriggio è stata abbastanza sgradevole, non aggiungere altre inutili chiacchiere." La ragazza scosse la testa. "Non avete capito...sto cercando di ..." non riuscì a terminare perché lo sguardo di Thranduil le stava letteralmente invadendo la mente. Era inutile opporsi: mentire con un Elfo era fuori discussione.

"Come dicevo, tu hai un'opinione ben precisa nei miei riguardi. Non ti biasimo, posso intuire cosa ti abbia detto tuo zio su di me." continuò serafico. "E credimi, rispetto il tuo dolore. So che voi Mortali piangete lungamente i vostri cari al loro trapasso, nonostante in vita questi abbiano fatto poco per meritarsi rispetto e amore." Sembrava che il Re sapesse tutto dei suoi pessimi rapporti con lo zio. Forse le leggeva nella mente o forse, dopo aver incontrato Viktor Monrose di persona, aveva immaginato che fosse un individuo poco amato, persino dai suoi congiunti. Regan cercò di sostenere quello sguardo invasivo. "Quello che sapete, o che credete di sapere su noi Mortali, è comunque più di quanto io sappia su voi Elfi. Ecco, per esempio, non credevo foste così crudeli da esprimere giudizi su coloro che ormai non sono più in vita, in presenza di loro parenti."

Thranduil inarcò un sopracciglio, poi sorrise. "Non è vero ciò che ho detto? Tu amavi tuo zio?"
"Sì, amo la mia famiglia" mentì lei. "... benché i comportamenti di alcuni suoi membri non siano stati condivisibili, benché io abbia sofferto a causa loro...erano sangue del mio sangue. Presso noi mortali, questo è un legame sacro." disse, convinta stavolta delle sue parole. Convinse anche il Re, che cambiò tono e girò lo sguardo verso l'esterno della tenda. Era notte fonda. "Per noi Elfi è lo stesso. I nostri legami sono preziosi. Specialmente...quando rimangono pochi di noi a tramandare il nostro sangue."

A quel punto, a Regan scappò una domanda, che si pentì immediatamente di aver fatto.
"Avete figli?"
Il re tornò a guardarla con un'espressione di rimprovero, come se la curiosità della donna lo avesse infastidito. Però rispose. "Sì, ho un figlio."
"Immagino che vostro figlio vi somigli." continuò lei, tentando invano la strada delle lusinghe. Thranduil rispose: "Il principe di Eryn Galen è saggio e coraggioso ed ha il temperamento altruista di sua madre."

Eryn Galen era il nome elfico di Boscoverde, che gli uomini avevano ribattezzato Bosco Atro. Regan si stupì che nominasse la moglie. Da quel che sapeva, la sua scomparsa era stata insopportabile per lui, un dolore infinito da cui non si era mai ripreso. E, pensandoci, si meravigliò che Thranduil non si fosse lasciato morire, secondo la natura elfica, dopo la scomparsa della sua Regina. D'altro canto, era presumibile che il fatto di essere Re ed avere la responsabilità di guidare un popolo lo avesse tenuto in vita. Regan era comunque sicura che questo gli avesse richiesto un enorme sforzo. Che il suo animo fosse ferito, era fin troppo evidente.

"Ti ho trattenuta qui parlarti di tuo zio, per dirti qualcosa che potrebbe chiarire le tue idee su di lui e sul perché ho preso certe decisioni in passato." disse improvvisamente l'Elfo. "Ma ora ho cambiato idea. Provo pietà per te e per la tua condizione. Ritengo non sia il momento per le rivelazioni.." si fermò per qualche secondo, poi riprese "....puoi tornare dai tuoi genitori. Sta' vicino a loro." fece un cenno col capo in direzione dei numerosi falò accesi all'esterno. " Siete un popolo forte, devo ammetterlo. Essere privati di tutto in poche ore e avere la forza di reagire. E' ammirevole."
Regan notò per la prima volta una punta di benevolenza nel suo sguardo. Si augurò che non fosse una farsa. Avrebbe voluto indagare sullo zio e su ciò che doveva rivelarle...ma era d'accordo con il Re: quello non era il momento. Era stanchissima e soprattutto affamata. Immaginava anche perché l'Elfo avesse deciso di congedarla: rammentare il dolore per la morte della moglie gli aveva fatto comprendere come si sentiva lei in quel momento.

"Vi ringrazio per la vostra comprensione e per avermi ammessa di nuovo davanti a voi. Torno dalla mia famiglia. Pregherò perché domani non vi siano scontri né violenze ad Erebor"
Prima di andarsene, scrutò velocemente l'interno della tenda e notò un canapè color ocra con dei grandi cuscini in un angolo. Nell'angolo opposto, un tavolo su cui era posata una grande ciotola con dell'uva e una bottiglia di vino con qualche calice. Vicino all'uscita, la straordinaria armatura del Re sistemata su una piantana. Un vero capolavoro di arte Elfica: ornata e impreziosita da due "ali" realizzate in maglia di metallo.

E lì, seduto davanti a lei, ancora con l'abituale sguardo indagatore, il Re, avvolto nel suo ricco mantello. Non aveva perso l'aria leggermente minacciosa. C'era ancora qualcosa che doveva dirle, qualcosa di poco piacevole. Un piccolo buffetto conclusivo sulla guancia...o forse uno schiaffo. No, non era il tipo da lasciar correre un affronto, per quanta pietà potesse provare per lei.
"Permettimi un consiglio: il nome Regan è troppo altisonante e nobile per te. Non ti si addice. Tu vieni dal popolo e questa semplicità è evidente nel modo in cui ti esprimi e nelle tue maniere. In verità, trovo Roswehn più adatto...una rosa bianca dalle molte spine. E dalla vita breve, come tutti i fiori. " Regan avvertì un brivido lungo la schiena. Thranduil sapeva sottilmente giocare con i suoi interlocutori, non c'era dubbio. "Conoscevo bene quella Regan, che tu ammiri. Una donna che si illuse di entrare nel mondo degli Elfi e divenir come noi. Una regina che abbandonó il suo popolo e in punto di morte tradì gli Eldar giurando fedeltà a Morgoth... sapevi questo?"
La ragazza trasalì. Quell'Elfo aveva perfino scoperto la sua passione per la Regina di Arnor. E non le piaceva per niente quel che aveva detto di lei. Sentì una fitta improvvisa alle tempie. "Lei e gli Elfi Verdi di Lindon vissero vicini per anni..." Thranduil continuó, alzandosi in un fruscìo di vesti e versandosi del vino ( il Dorwinion di Pontelagolungo, pensò lei, pagato un prezzo ridicolo) "...vissero in amicizia e rispetto reciproco... fino a quando lei cominciò ad invecchiare. E allora la vergogna la travolse e si lasciò morire in solitudine, in quella capanna che si era fatta costruire tra i boschi. L'imbarazzo di avvizzire di fronte agli Elfi, che rimanevano giovani con il passare dei decenni, le fu fatale e divenne il motivo della sua conversione ai culti malvagi. A quanto pare la vanità è uno dei più grandi difetti di voi donne mortali." disse, con un sorriso.

 Sì, sei mortale, e morirai, ben prima di me. Io sarò ancora qui, fra mille anni, quando di te e del tuo sangue umano non resterà che un lontano ricordo e, forse, qualche granello di polvere, le diceva quel sorriso.
Regan non si scompose. "Il mio è un nome troppo nobile, dite. Nobiltà.... è un concetto profondo e complesso, Lord Thranduil. Ho sempre pensato che non sia uno scettro a fare di qualcuno un Re. Trovo più nobiltà in una donna coraggiosa che decide di rinunciare a ciò che tutti vogliono, ricchezza e potere, per vivere secondo la propria natura. Sì, trovo più regale dignità in questo, piuttosto che nell'ostentazione di corone, ricchi abiti e preziosi gioielli. Inoltre, non ho mai letto da nessuna parte che la grande Regan avesse scelto di avvicinarsi al Male. E ora, se me lo concedete, torno da quel che resta della mia famiglia. I miei genitori mi attendono."
 
Nel dire questo, non si curò nemmeno della reazione del Re. E con questo siamo pari, Vostra Grazia immortale. Infine, ormai consumata dalla tensione e dal freddo e dalla fame, uscì a passo svelto dalla tenda.

Si augurò di non dovere rivedere mai più quella creatura.

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Capitolo 3
*** Attacco a Dale ***


L'indomani, Regan si sveglió presto.

Era successo qualcosa: sentiva le urla della gente, un fracasso proveniva dall'esterno del rudere in cui lei e i suoi genitori, insieme a qualche altra famiglia, avevano trovato riparo. La schiena, il collo, le scapole le facevano un male del diavolo: si era addormentata appoggiata ad un muro, sopra ad alcuni sacchi di juta recuperati da un vecchio mulino a Pontelagolungo, che miracolosamente non era andato in fiamme. Ancora una volta, si stupì di essere riuscita a dormire. Si ricordò all'improvviso di Thorin, dello Stregone, di Bard e di Thranduil. Si ricordò che all'alba ci sarebbe stato il confronto finale tra i tredici Nani e i rappresentanti dei popoli che ambivano al tesoro della montagna.

Pensò al piccolo Hobbit, si chiese dove fosse. Alfrid era stato incaricato di sorvegliarlo, il che voleva dire che molto probabilmente il piccolo Uomo era fuggito. Quel vociare e urlare faceva supporre che le trattative con i Nani fossero fallite. Sembrava ci fosse una guerra in atto. Come un tuono, a un certo punto ci fu un rumore assordante, e il terreno vibrò. La madre di Regan e altre donne urlarono d'istinto. "Hanno sfondato il muro di cinta!" gridò un uomo. Regan si sentì mancare. Trovò comunque la forza di mettersi in piedi, e cercò di fermare una delle guardie, per avere notizie. Ma sembravano tutti in preda al panico, il soldato la spinse via e fuggì. "Chi ha sfondato il muro?" chiese allora la ragazza a un giovane che stava scappando trascinandosi dietro una bambina, forse la sorellina. "I Troll! I TROLL!!" urlò il ragazzo, correndo a più non posso, dopo aver preso in braccio la bimba. "I Troll!!" esclamò suo padre. "Allora non abbiamo scampo! Contro quelle creature non c'è difesa!"

Regan si stava chiedendo cosa c'entrassero i Troll con tutto il resto. Da dove sbucavano fuori? Perché la città era sotto attacco? Dove diavolo era Bard, con lo Stregone e l'Elfo? Poi ripensò alle parole di Gandalf: un nemico più grande. Allora aveva predetto il vero. Gli Orchi infine avevano fatto capolino in tutta quella storia e ora stavano aggredendo Dale. Si erano trascinati dietro anche i maledetti Troll, che di solito usavano come bestie da soma, ma che potevano essere molto pericolosi, poiché aggressivi per natura e giganteschi. Gli Orchi crudelmente mutilavano e a volte accecavano quelle creature per sottometterle, accrescendo la loro ferocia. Ci sarebbero voluti almeno cinque Uomini per abbatterne uno, e non si poteva immaginare quanti ce ne fossero. Sentì il terrore saettare dentro di lei. Poi si girò verso i genitori:"Dobbiamo scappare al Grande Salone. Saranno tutti lì dentro. E' l'unico edificio abbastanza resistente da proteggerci contro un attacco. Forza!" e lei e la madre aiutarono Hannes ad alzarsi.

I tre iniziarono a correre per i vicoli, tra la gente spaventata che si spintonava e urlava. Vide da lontano Alfrid strattonare la figlia maggiore di Bard, Sigrid, e gridò: "Alfrid, idiota, cosa stai facendo?!!". L'uomo la guardò di sbieco e continuò a trascinare la ragazza, seguita dai due fratelli. Probabilmente li stava conducendo a sua volta al Grande Salone, benché fosse evidente che avrebbe preferito fuggire da solo e lasciarli in balìa degli eventi.
Regan, Hannes e Yohlande stavano attraversando di corsa una stradina quando dinanzi a loro si parò un enorme Troll armato di mazza di ferro. Aveva un'espressione stupida, gli occhi minuscoli e una bocca enorme quasi completamente sdentata. Regan indietreggiò e d'istinto aprì le braccia a protezione dei genitori. Fortunatamente, un soldato li vide e colpì il mostro con una freccia. Con una seconda freccia, gli trapassò il cranio e il Troll infine crollò. Finalmente arrivarono al grande palazzo, che, come previsto, era stato preso d'assalto dalla gente terrorizzata.

Una volta giunti al portone, fecero per entrare, ma qualcuno urlò: "Via di qua, voialtri! Siete una famiglia di vigliacchi! Siete i parenti di quel maledetto ladro usurpatore di Viktor Monrose!!" Ma molte voci si levarono in loro difesa, e vennero ammessi nel palazzo ormai sovraffollato. Lei e i suoi genitori si avvicinarono a una finestra che aveva il vetro in frantumi, per osservare cosa stava succedendo all'esterno. Non si vedevano ancora Orchi o Troll, ma presto sarebbero arrivati. Forse gli Uomini e gli Elfi li stavano tenendo lontani e ne stavano uccidendo quanti più possibile, ma il loro numero si diceva fosse enorme. Cosa sarebbe successo, si chiese Regan? Capì all'improvviso che era stato un madornale errore dovuto al panico affollarsi in un unico punto. Che stupidi, stupidi erano stati! Gli Orchi avrebbero sfondato quel portone e fatto scempio di tutti. Certo, avrebbero avuto gioco facile: non c'erano armi là dentro, solo donne, bimbi, anziani, feriti. Gli Uomini erano fuori a combattere. Lì dentro, erano assolutamente vulnerabili. Quelle bestie avevano trovato il modo di abbattere l'imponente muro di cinta, distruggere un palazzo sarebbe stato uno scherzo. Bisognava organizzare una difesa, una protezione, un...argine.

Come un improvviso bagliore, vide nella sua mente un'immagine. Una vecchia illustrazione di un libro sulle tecniche di battaglia. Fuoco. Un muro di fuoco a protezione di un avamposto militare. Come l'avevano realizzato quegli antichi guerrieri... con della pece. Sì, avevano circondato il loro avamposto con un anello di nera pece, e avevano poi dato fuoco a quel liquame. E i nemici, spaventati dall'altezza delle fiamme, erano rimasti lontano. Già, ma dove trovare della pece? Chi si sarebbe avventurato là fuori? Pensò a una cosa detta da suo padre, che aveva il compito di coordinare le attività di pesca, a proposito delle barche di lago: erano rivestite di pece per proteggerle dalle infiltrazioni d'acqua.

Un pensiero assurdo la colse: si poteva provare.
"Papà," disse rivolta a Hannes, pallido e rannicchiato su se stesso. Il dolore al braccio era ormai insopportabile. "...la pece per le barche...dove la tenevate?" Hannes sgranò gli occhi. "Ma di che parli?" rantolò. "La pece che usavate per proteggere il legno delle barche. Dove si trova?" ripetè Regan, con frustrazione. Forza papà riprenditi. "In un magazzino a Pontelagolungo. Ma perché me lo chiedi?" disse Hannes, con aria confusa. Maledizione, imprecò fra sè la ragazza, in un magazzino ridotto in cenere di una città ormai distrutta.
"Veramente, Hannes, ne abbiamo sei barili pieni nella stalla in fondo alla strada." disse il vecchio Georg, nipote di allevatori e mandriani. A Pontelagolungo si occupava di eviscerare il pesce pescato e vender carne di coniglio, ma il ritorno a Dale gli aveva fatto sperare di tornare all'antico mestiere della sua famiglia. Là intorno c'erano prati abbastanza estesi per allevare buoi o cavalli. Aveva ascoltato la conversazione fra padre e figlia. "In una stalla?" chiese Regan, improvvisamente speranzosa. "Oh beh, la pece viene di solito usata anche per sigillare le casse di biada per gli animali, fissare le assi delle pareti, per evitare che la pioggia entrando, renda umide le stalle. I cavalli sono come noi, sapete? si ammalano." Sorrise. "Ho portato i barili sul mio carretto, quando siamo fuggiti dalle rovine di Pontelagolungo."

"Bravo, Georg!" esclamò Regan. Gli avrebbe dato un bacio, benché fosse un uomo ben poco affascinante. "Ma che te ne devi fare?" chiese Yohlande alla figlia. Regan spiegò il suo piano. Georg si mostrò scettico, come altri anziani che stavano ascoltando. "E chi diavolo oserebbe andare a prendere quei barili, tanto per cominciare? ...con quei mostri che scorrazzano per i nostri vicoli..." disse ruvidamente Morris, pronipote di Gregor Bannock, il vecchio costruttore della città. Aveva progettato lui l'ingegnoso metodo delle palafitte per Pontelagolungo, abitazioni a livello d'acqua su solida base. "Non contate su di me." continuò l'uomo. "Però la teoria è corretta," disse Argyle, ex comandate delle guardie. "Sì, nei tempi antichi il fuoco era una difesa formidabile. E gli Orchi temono il fuoco, è risaputo. Sono poco più che bestie."

"Ma che ne parliamo a fare," continuò Morris. "tanto nessuno andrà lì fuori a circondare questo edificio con un...un anello di pece! Sono sciocchezze." "Beh io voglio provare." disse Regan. "Ho abbastanza energie per farlo. Solo, per favore qualcuno in forze venga con me." "Non se ne parla!" disse seccamente Hannes. "Falla finita Regan. Dobbiamo stare qui, protetti da queste mura, e aspettare gli eventi."
"Ma certo, è ovvio che un Monrose parli così." sbottò una giovane voce. Era Tobey Cullogh, figlio di un fabbro. Ragazzetto arrogante e ribelle. Aveva solo quindici anni, suo padre lo aveva trascinato al Grande Salone non senza difficoltà. Avrebbe preferito rimanere fuori e combattere. "Siete codardi, tutti voi." Hannes tentò di alzarsi in piedi, a fatica. "Non osare..." sibilò. "Altrimenti che fai, vecchietto?" lo rimbeccò Tobey, avanzando con fare minaccioso verso l'uomo. Era un ragazzino, ma era già ben piantato. Due uomini lo spintonarono via, e ricevette un ceffone meritato dal padre. "Adesso piantatela, piantatela!" disse Yohlande, stentorea.

Regan era ferita da quelle parole. Tobey era sciocco e presuntuoso, ma le sue insinuazioni erano come lame di un coltello. Ne aveva abbastanza delle ironie sulla sua famiglia. Il sarcasmo di Thranduil, il velato scetticismo di Bard, la maleducazione di quello sfacciatello davanti a lei. I mormorii della gente. Era ora di darci un taglio.

"Beh, vi farò vedere di cosa è capace una Monrose." disse fieramente. "Io vado là fuori e farò quello che ho detto. Chi ha un po' di coraggio venga con me." Yohlande urlò. "No! sta' qui ho detto, Regan!!" ma la ragazza aveva già aperto il portone in legno del Grande Salone ed era uscita.
Tobey Cullogh, con la guancia ancora rossa dalla sberla del padre, disse. "Che roba...una donna che mostra più coraggio di noi Uomini. Una donna discendente dei Monrose, per di più. Non permetterò questa vergogna!" e in un lampo corse fuori. "Ma dove andate!!" Urlò anche Fenor, padre di Tobey.
"Vado anch'io!" disse Jacob, altro ragazzetto quattordicenne figlio di un mugnaio.
"E io vengo con te!" lo seguì il suo amico Larsen, incurante delle grida della madre. Sembrava che solo i giovanissimi fossero motivati ad una reazione.  Avrebbero potuto venire fatti a pezzi da un orco o calpestati a morte da un enorme Troll. Ma non avevano paura.

"Bene, dov' è la stalla di cui parla Georg?" chiese Regan. Tobey indicò una strada che proseguiva in discesa. "Se mi dai indicazioni sbagliate, Tobey, la pagherai." lo ammonì la ragazza. "Non ti preoccupare per me. Preoccupati di quelli piuttosto." e rise indicando tre Orchi in armatura che ringhiando avanzavano verso di loro. Ma perché Tobey rideva?
Poi la ragazza capì: quei tre mostri non si erano accorti, accecati com'erano dai pesanti elmi, di una buca proprio davanti a loro, nella quale ovviamente finirono gambe, o zampe, all'aria. Fu facile per Tobey, Jacob e Larsen massacrarli a colpi di pietra. Gli Orchi erano aggressivi, ma Regan notò che i loro corpi erano stranamente fragili. Facili da ferire, e da uccidere. E quelle armature che indossavano alla bell'e meglio, lasciavano scoperti molti punti.
"Avanti!" urlò ai ragazzi. " Non perdete tempo."

Scesero la strada correndo a perdifiato e finalmente giunsero alla stalla. Con un calcio, Tobey spalancò la porta di legno marcio. Eccoli lì, i sei barili di cui parlava Georg, allineati contro un muro. Non erano molto grandi, e quando Regan provò a spostarne uno si accorse che non erano nemmeno troppo pesanti. Tuttavia, ci sarebbe volute due persone per sollevarne uno, e bisognava fare attenzione che il catrame contenuto in essi non si rovesciasse. Fuori, nella strada, c'era un carretto di legno, avrebbero potuto caricare i barili su di esso e trascinarlo verso il Grande Salone.
Lei e Jacob sollevarono un barile, Tobey e Larsen un altro e camminando a ritroso, uscirono dalla stalla. Caricati i primi due, ripeterono l'operazione con gli altri, sempre attenti che Troll o Orchi non fossero nei paraggi. Miracolosamente, quella strada sembrava libera. A quel punto, dovevano pregare di non incontrare quei mostri lungo il percorso per il Grande Salone. Era molto probabile che li avrebbero intercettati. Sentivano strane grida in lontananza, come il ringhiare di cani rabbiosi, e seppero all'istante che quelle bestie stavano arrivando. Ma non avevano molte alternative, ormai erano lì e dovevano finire ciò che avevano iniziato.

Si misero faticosamente in marcia, Regan e Tobey trascinavano quell'aggeggio in legno da davanti e gli altri due ragazzi lo spingevano da dietro. Tobey improvvisamente disse: " Sai, c'è una cosa che ti devo dire riguardo al tuo piano." Regan, che camminava con la sguardo fisso sulla strada, si girò. "Cosa?"
Sghignazzando, Tobey continuò:"Immagino tu sappia che mio padre è un fabbro, vero? Sono cresciuto in mezzo a fuochi, mantici , pece e materiale per forgiare metalli. Vuoi sentire una bella cosa? C'è una differenza tra il fuoco che divampa dal legno che brucia, e quello generato dalla pece." Regan lo fissò preoccupata, sempre attenta a dove metteva i piedi. C'era ghiaccio per terra, potevano scivolare tutti. La strada inoltre era in salita. "Spiegati meglio."

"Il fuoco acceso con il catrame genera fumo. Moltissimo fumo. Un vapore denso, nero, che se per sbaglio ti entra nei polmoni ti uccide in pochi attimi. Una volta mio padre ci ha provato a usare la pece per alimentare il forno. Beh, siamo fuggiti di casa per paura di morire asfissiati. Ora, prova a immaginare cosa succederebbe se per un colpo di vento quel fumo entrasse nel Grande Salone. Credo che quasi duecento persone non farebbero una bella fine, che dici?" Regan rimase atterrita e si fermò. "Non potevi dirlo prima? che cosa stiamo facendo allora, con questi barili?" La donna venne presa dalla frustrazione. Era convinta del suo piano e adesso questo ragazzino lo ridicolizzava. Anzi, le stava dicendo che era una trovata potenzialmente criminale. "Perché in fondo la tua idea è giusta: la pece può essere usata come arma, ma non nel modo in cui intendi tu. Perciò continua a camminare, e attenta a non inciampare!" rise Tobey.

Giunsero lentamente al Grande Salone, e lì il ragazzino svelò la sua idea. Voleva trasformare quel liquame nero in una sorta di trabocchetto, prima spargendolo tutto intorno al Grande Salone, come aveva detto la ragazza, ma dandogli fuoco al momento in cui i Troll e gli Orchi si fossero avvicinati. Le loro zampe sarebbero rimaste attaccate al catrame e sarebbero in sostanza bruciati vivi. Non un argine, quindi, ma una vera arma di sterminio. Se quegli esseri avessero abboccato, potevano ucciderne a centinaia in un colpo solo. "Sai, l'ho visto succedere con le mosche una volta. Mia madre odia le mosche quando entrano in casa, così una volta ha cosparso un piccolo straccio di miele e zucchero e lo ha lasciato vicino alla finestra. Si sono attaccate a decine e poi, mamma ha raccolto lo straccio e lo ha incendiato." Regan pensò subito che l'idea di quel ragazzetto fosse migliore della sua.
"Tua madre è una donna pratica, Tobey. Certo, gli Orchi non sono come le mosche, ma la tua trovata mi piace." si complimentò Regan. "Forza allora, al lavoro!" Giunti nell'area antistante al Grande Salone, i quattro scaricarono i barili dal carretto e iniziarono a versare il contenuto tenendosi a cinquanta passi dall'entrata del palazzo. Qualcuno degli Uomini uscì e iniziò ad aiutarli. Il catrame non era purtroppo sufficiente a coprire tutto il perimetro, ma se non altro l'entrata e i muri laterali erano protetti. Ora si trattava di vedere se quelle bestie avrebbero abboccato. Regan, con l'abito ormai ridotto ad uno straccio, gelava dal freddo, ma era contenta del risultato. In qualche modo, aveva cercato di difendere la sua gente. Il piano poteva anche fallire, ma ci aveva provato.

Pensò a Bard...dov'era in quelle ore? I suoi figli erano rannicchiati vicino a un fuocherello, gli sguardi disperati. Di Alfrid, nessuna traccia. Era scappato chissà dove. Un'ombra improvvisa nel cielo: la ragazza, e tutti gli altri, sollevarono lo sguardo. Erano uccelli giganteschi che sorvolavano la città. Ad un'occhiata più attenta, capì che non erano affatto uccelli. Erano pipistrelli mostruosamente grandi. Servi di Sauron, certo, l'Oscuro Signore che Gandalf aveva definito il Nemico più grande nella tenda di Thranduil. Non aveva voluto parlare esplicitamente di lui, ma sia lei che Bard che il Re Elfo sapevano a chi si riferiva.
L'essere innominabile che si credeva definitivamente scomparso, ma che in realtà non aveva mai lasciato veramente quel mondo; lo spirito malvagio per eccellenza che tutti preferivano immaginare estinto, ma che non lo era affatto.
Sapeva tutto di Sauron: egli a sua volta era sottomesso a Morgoth, un demone antico e infinitamente potente, che faceva parte della storia della Terra di Mezzo dai suoi albori. Tutte le creature malvagie di quei tempi, dagli Orchi ai Goblin ai Troll fino ai vari mostri come quei pipistrelli giganti, erano servi di Sauron, lavoravano per lui. Regan pensò a quanto male c'era, a quanto dolore invadeva il suo mondo da secoli. Un male strisciante e silenzioso, che permeava l'aria della Terra e di tanto in tanto lanciava segnali della sua esistenza.

Pensò allora a Gandalf e ai suoi occhi buoni e azzurri, e alla calma che le trasmettevano. Pensò a Thranduil e alla sua alterigia, che tuttavia non poteva mettere in ombra la sua eleganza e nobiltà. Pensò alle bellezze della Terra di Mezzo, che lei conosceva ancora pochissimo, pensò che non voleva morire quel giorno, perché non aveva ancora visitato Gran Burrone, non aveva visto i verdi prati della Contea degli Hobbit, né le foglie rosse di Bosco Atro durante l'autunno. Il reame degli Elfi doveva essere bellissimo in ogni stagione, un reame costruito nel mezzo di un bosco...chissà com'era la dimora di Thranduil, il suo trono, i suoi fiumi sotterranei, le feste notturne degli Elfi che si diceva impazzissero per la luce delle stelle.

Tutte meraviglie che rischiava di non vedere mai. Aveva conosciuto, nella sua breve vita, solo il lago, i pescatori, aveva visto solo barili e barili di pesce appena pescato, e frattaglie gettate in acqua, e l'oscurità del palazzo di suo zio, la polvere della biblioteca, i vicoletti di Pontelagolungo con i suoi ponticcioli, su quali bisognava camminare con attenzione per non sdrucciolare. Non conosceva altro che l'amore dei suoi genitori, non aveva amiche, poiché le ragazze del villaggio tenevano le distanze da lei, e le poche che le davano attenzione erano vecchie signore. Non aveva mai conosciuto l'amore di un uomo. Non ci pensava nemmeno, nonostante avesse notato gli sguardi dei ragazzotti del posto. La sua solitudine l'aveva spinta a rifugiarsi nella lettura e nelle sue fantasie e ora aveva la tremenda sensazione di essersi dimenticata di vivere, di aver rinunciato a vivere. Ora che poteva morire da un momento all'altro.

Tobey urlò all'improvviso: "Eccoli! Si avvicinano!" Regan vide due gruppi di Orchi e due Troll trascinati in catene puntare dritti al Grande Salone. Avanzarono con decisione, noncuranti di quel liquame. I primi quattro corsero verso di loro convinti di fare scempio di quegli stupidi Mortali che si erano radunati tutti come topi...ma presto le loro zampe si imbrattarono di catrame e rimasero incollate al terreno. Ringhiarono di dolore e rabbia. Regan pensò che gli altri Orchi, vedendo i compagni in difficoltà si fermassero prima di fare la stessa fine. Invece quelle sciocche creature continuarono ad avanzare e ben presto una decina di loro furono prigionieri della pece. La ragazza gridò: "Adesso ragazzi! Appiccate il fuoco!" ma Tobey rispose: "Non ancora, cerchiamo di prenderne il più possibile, aspetta!" Molti arrivarono e alcuni, evidentemente più intelligenti, arrestarono la loro corsa prima di finire invischiati nella pece, ma altri continuarono la loro avanzata e finirono come le mosche della mamma di Tobey : si agitavano impotenti ma non potevano staccare le zampe dal terreno.
Allora Tobey urlò di nuovo. "Oraaaa!" e lanciò una torcia sul quel mare di catrame. Subito si levarono le fiamme e avvolsero gli Orchi e i Troll che iniziarono a ruggire e a torcersi disperatamente. Non era affatto un bello spettacolo e come predetto da Tobey, iniziò a levarsi subito un fumo nerastro. Non c'era vento, e la colonna di fumo si alzò dritta in verticale. I ragazzi e gli uomini gioirono nel vedere la strage di Orchi, molte donne invece stavano male, per il vapore nauseabondo e per quelle grida disumane. Regan non sapeva come sentirsi: la sensazione di trionfo per aver ideato quel piano non era comunque sufficiente a farle passare il panico che ancora avvertiva. Non erano affatto al sicuro, ancora. C'era una guerra in corso là fuori.

Nel frattempo, arrivarono gli Elfi soldato e iniziarono a colpire con le loro precise frecce gli Orchi che non erano caduti nella trappola. Regan immaginò che Thranduil fosse da quelle parti, era tornato a difendere la città. Sperò con tutta se stessa che Bard e Gandalf e Bilbo fossero sani e salvi. Notò che i tre figli di Bard non erano in mezzo alla gente e si preoccupò: forse erano usciti dalle mura del palazzo per cercare il padre. Si rannicchiò vicino ai suoi genitori e a quel punto iniziò a pregare. Non poteva più fare altro. Dopo qualche ora, sembrò che ci fosse meno fragore, sembrò che pian piano la situazione si tranquillizzasse. Regan aveva esaurito le sue preghiere.

Udì allora una voce meravigliosamente famigliare: "Regan, Hannes, Yohlande!" Era Bard. Regan si alzò subito e gli corse incontro. "Bard! Sono così felice di vederti" lo abbracciò con slancio. "State bene?" chiese l'Arciere. Non era ferito, appariva solo affaticato. "Sì, noi sì...oh Bard mi dispiace, i tuoi figli...non so dove siano!" disse Regan quasi piangendo. "Sono al sicuro." la informò l'uomo. "Ma cos'è stata questa trovata del fuoco?"
"Una mia idea." disse Regan, leggermente orgogliosa. "Una mia idea!" gridò Tobey che era nelle vicinanze con i genitori. "Non dimenticarlo, bella!" la canzonò. Bard aggiunse: "Beh, chiunque l'abbia avuta, congratulazioni. Avete fatto strage di Orchi, i loro cadaveri qua fuori saranno decine. Ora però abbiamo spento il fuoco con dell'acqua, troppa fuliggine nell'aria. Ho visto quella colonna nera in lontananza e mi sono preoccupato."

"Com'è la situazione ad Erebor? Cosa è successo con Thorin?" la curiosità la divorava.
"E' successo quello che ti eri immaginata. Thorin non si è arreso, è arrivato suo cugino Dain a dargli man forte. L'offerta dell'Arkengemma è stata respinta: il Nano credeva fosse un trucco per ingannarlo." Regan impallidì nuovamente. "E quindi?" chiese.
"Quindi stavamo per scontrarci, noi Uomini con gli Elfi e dall'altra parte i Nani di Piediferro. Nemmeno Gandalf è riuscito a mediare. Ma poi... sono apparsi gli Orchi. Sono sbucati dalla Terra, Regan, dalle montagne. Avevano costruito dei cunicoli fra quelle stramaledette montagne, per questo le loro legioni non si vedevano. Per questo gli avvertimenti di Gandalf erano caduti nel vuoto. Se solo lo avessimo ascoltato..." Regan tremò. Immaginò che razza di terrore dovevano aver provato i suoi compaesani che si erano avventurati sulla spianata di Erebor a seguito di Bard. Anche diverse donne erano con loro. Armati con vanghe e rastrelli. Sicuramente c'erano stati dei morti. "Beh, Thranduil si è offerto di difenderci, ha messo i suoi Elfi in prima linea." Aggiunse Bard, intuendo i suoi pensieri. "Quando abbiamo visto due colonne di Orchi puntare su Dale siamo tornati qui entrambi." Poi tristemente aggiunse: " Non so cosa sia successo ad Erebor. Quando sono corso qui a cavallo la battaglia era nel pieno. C'erano Troll e pipistrelli giganti e altre mostruosità. Giuro in vita mia non avrei mai creduto di vedere niente di simile. Tutti esseri comandati da un Orco bianco, chiamato Azog. E' il loro generale."

Ad un certo punto, si udì un suono prolungato. Il suono di un corno militare. Regan istintivamente sentì di dover andare in quella direzione. "Dove vai adesso?" chiese sua madre.
"Questo suono mamma, devo sapere da dove proviene...potrebbe essere il segnale che la guerra è cessata. Vado a vedere." rispose lei con decisione. E si avviò. "Non temere Yohlande, la situazione qui in città si è calmata. Io credo... che siamo alla fine" disse Bard per tranquillizzarla. "Questo è il suono di un corno elfico. Thranduil sta richiamando i suoi."
I tre osservarono Regan allontanarsi e suo padre avvertì un brivido. C'era qualcosa che non quadrava in sua figlia. Da quando era stata nella tenda di Thranduil sembrava non vedesse l'ora di avvicinarsi agli Elfi. L'aveva notato già il giorno prima, quando aveva insistito per tornare nella tenda del Re e aveva grossolanamente mentito sulle motivazioni. Temette che fosse preda di qualche incantesimo. Quel maledetto folletto poteva manipolare la mente di sua figlia in qualche modo, forse per arrivare, tramite lei, al controllo della città? Sua figlia poteva essere plagiata facilmente. Era una sognatrice, una ragazza ancora ingenua e in fondo priva di esperienza di vita. Si girò verso la moglie e dal suo sguardo capì che stava pensando la stessa cosa.

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Capitolo 4
*** Il figlio del Re ***


Lo spettacolo davanti a lei era, se possibile, ancora più insopportabile di quello seguito alla distruzione di Pontelagolungo. Decine e decine di carcasse e cadaveri di Uomini, Elfi e Orchi ammassati gli uni sugli altri, lungo le strade di Dale. Intanto, aveva cominciato a nevicare. Non era un fatto negativo: la neve avrebbe congelato i cadaveri e il puzzo della decomposizione sarebbe stato meno intenso.
Regan raccolse da terra il mantello di un soldato morto e lo avvolse attorno alle spalle. C'erano schizzi di sangue, ma non se ne curò. Quel suono. Doveva raggiungere il punto da cui proveniva. Scorse alcuni soldati radunarsi in fila e andare in una direzione precisa. Li seguì fino al centro della città.

Vide Thranduil. Non sembrava lui, non era affatto quella creatura altezzosa che aveva incontrato nella tenda da campo. Era in armatura, lo sguardo atterrito e perso. Sembrava devastato dalla visione dei corpi dei suoi soldati riversi sul terreno. Aveva come delle striature nere sul viso, sangue di Orco. Arrivò anche Gandalf trafelato e gli disse qualcosa. Qualcosa sui Nani. Regan colse la parole "Thorin" e "là sopra".
Thorin aveva risalito Collecorvo, occupato da quell'Azog e dai suoi Orchi e ora era nei guai. Probabile che il Principe di Erebor avesse deciso di affrontare Azog senza valutare il pericolo. Gandalf stava chiedendo a Thranduil di accorrere in suo aiuto, ma subito gli occhi del Re ritrovarono quella durezza che Regan ben conosceva. Non se ne parlava neanche. Thranduil voltò le spalle a un incredulo Gandalf e s'incamminò a passo deciso. Stava lasciando Dale.

Regan volle seguirlo, doveva dirgli qualcosa, doveva dirgli di non andarsene, di non abbandonare la città. Avevano ancora bisogno di essere difesi. Poi vide il Re arrestare la sua falcata bruscamente. Davanti a lui doveva esserci un ostacolo, qualcosa o qualcuno lo aveva fermato. Regan fece il giro del palazzo e sbucò da una viuzza, dove vide meglio quello che accadeva.

C'era una donna Elfo parata davanti a Thranduil.
Incredibilmente, gli puntava una freccia addosso. Era piuttosto esile, più minuta di Regan, ma aveva il corpo tonico e snello e lo sguardo orgoglioso. Lunghi capelli ramati le arrivavano alla vita. Un'elfa guerriera. Ma perché si era rivoltata contro il suo Re? Non capiva cosa si stessero dicendo, ma ad una tratto Thraduil, con un movimento fulmineo che gli occhi della ragazza non erano nemmeno riusciti a seguire, tagliò letteralmente in due il lungo arco dell'elfa.
Regan si mise una mano davanti alla bocca per soffocare un gemito di paura. Temette per la vita di quella donna, se così si poteva chiamare. Qualcosa negli occhi di quella guerriera le suggeriva che era disperata, che stava soffrendo per qualche motivo e che il Re non era in grado di capire il suo dolore. Ma lei lo vedeva chiaramente.
Poi, dal nulla, sbucò un altro Elfo, che si mise fra Thranduil e la guerriera dai capelli rossi. Lo guardò: dal modo aggressivo in cui guardava il Re negli occhi, e dal fatto che quest'ultimo non avesse accennato ad una reazione, capì che si trattava del principe di Boscoverde. Non somigliava affatto al padre, a parte per il colore dei capelli. Non aveva nulla della solenne eleganza di Thranduil, ma era giovane e fiero; stava evidentemente difendendo l'Elfo femmina, della quale forse era invaghito. Regan osservò tutta la scena da dietro un muro, stava assistendo a un litigio famigliare in piena regola.

Poi il Principe e la sua amica se ne andarono, senza che il Re facesse nulla per fermarli. Li guardò allontanarsi, come pietrificato. Regan immaginò che quando, secoli prima, Thranduil aveva saputo della morte della moglie, avesse avuto la stessa identica espressione sul viso. L'Elfo stava provando un nuovo dolore, stava rivivendo quel senso di abbandono che aveva provato già nella sua lunghissima vita. Questa volta, era stato il figlio a ferirlo. Gandalf, che come lei aveva assistito alla scena a distanza, gli disse: "Tua moglie non ti ha lasciato solo quella collana..." parlava delle gemme di Lasgalen. Lo Stregone continuò dicendo che il principe di Boscoverde, di cui Regan non sapeva il nome, era il lascito più prezioso del legame con la Regina e che Thranduil avrebbe dovuto dare a lui tutta la sua attenzione, anziché a un mucchio di pietre. La ragazza non poteva che essere d'accordo: era probabile che Thranduil avesse ignorato il figliolo per tutta la vita, dopo aver perso la moglie.

Pensò a Bard e all'amore smisurato che dimostrava sempre verso i suoi tre ragazzi, due modi totalmente opposti di essere padri. Pensò anche a suo padre e a sua madre. Erano sicuramente preoccupati in quei momenti. Nonostante le parole di Bard, la situazione in città non era affatto tranquilla: qualche Orco sopravvissuto ancora scorazzava per le vie di Dale. Decise di tornare subito dai suoi. La scena fra il Re e il Principe l'aveva riempita di amarezza e aveva fatto nascere in lei il bisogno insopprimibile di stare con la sua famiglia. Qualsiasi fosse stato il richiamo che l'aveva spinta fin lì, non l'avvertiva più.

Si girò e si allontanò da quel posto pieno di morti, attenta a non inciampare nelle carcasse lungo la via. Iniziò a riflettere sulla situazione, pensava più velocemente mentre camminava. L'indomani sarebbe iniziata una nuova era. Regan si sentiva nervosa al pensiero che il mondo, il suo mondo nel quale era cresciuta, era cambiato così repentinamente. Cosa sarebbe stato di loro? Sarebbero riusciti a ricostruire Dale? Nani, Elfi, Hobbit, Stregoni e anche Orchi...tutte quelle creature sarebbero di nuovo sparite dalla sua vita, sarebbero tornate ad abitare solo la sua immaginazione, oppure era in atto un cambiamento epocale, che avrebbe portato quelle genti a interagire sempre di più, e in che modo?

Una volta, aveva sentito uno degli anziani di Pontelagolungo dire che il futuro apparteneva agli Uomini, che la loro razza avrebbe infine prevalso sulle altre. Diceva, quel vecchio, che nei secoli a venire tutte quelle creature che nelle ultime ore Regan aveva incontrato, sarebbero state protagoniste solo delle fiabe. Sentì allora una fortissima malinconia, come se fosse l'impotente testimone della fine di qualcosa.
In tutta la storia, gli Uomini avevano in realtà fatto una figura meschina, a parte Bard l'Ammazza-draghi.
I protagonisti erano stati gli Elfi e i Nani, assieme gli Orchi e a Gandalf fino al piccolo Bilbo della Contea. E anche il terribile Smaug aveva avuto un suo ruolo, seppur di assassino. I Draghi erano esseri dotati di straordinaria cultura e intelligenza, e l'ultimo era morto. Smaug era stato una catastrofe per gli Uomini, doveva ricordarselo, ma si dispiacque anche che, con la sua morte, la sua razza fosse estinta: in fondo, esisteva qualcosa di nobile anche in loro. Si iniziava con lo sterminare i Grandi Serpenti alati e poi ...di chi sarebbe stato il turno? Che mondo sarebbe stato, senza tutte quelle creature magiche? Un mondo noioso, pensò la ragazza. Un mondo forse più triste.

Pensava a tutto ciò mentre procedeva a passo svelto verso il Grande Salone dove aveva lasciato i suoi.
Il gelo era insopportabile, e Regan si chiese se non fosse anche la temperatura estrema a far nascere dentro di lei quei pensieri lugubri e pessimisti, oltre alla morte che la circondava. Ma si doveva continuare, la vita sarebbe andata avanti e tutti dovevano ritrovare la forza per continuare il loro cammino, almeno per un altro giorno. Si concentrò dunque su immagini più gradevoli: immaginò una tinozza con acqua calda e un pezzo di sapone e quell'estratto di mirtilli con cui sua madre le lavava i capelli quando era bambina. I suoi capelli rimaneva blu per giorni, e le comari del posto la chiamavano genzianella. Poi, sempre tenendo gli occhi fissi sul terreno davanti a lei e tentando di non vedere i corpi riversi, immaginò una fetta di torta alla vaniglia e del té caldo. Anzi no, della cioccolata. Un camino, un fuoco acceso, lo scoppiettare della brace e qualche castagna arrosto da sgranocchiare. E poi, un grande letto con materasso di piuma e lana e non di paglia come era abituata a Pontelagolungo, lenzuola di seta e una grande a calda coperta. Doppi guanciali e una camicia da notte con pizzi e merletti. Una finestra vicino al letto da cui osservare i fiocchi di neve che cadevano lenti all'esterno. Magari il suono di un'arpa. Non sapeva che suono avessero le arpe, erano strumenti che aveva visto solo in disegno, ma le piacevano molto, avevano una forma strana ed elegante. Gli Elfi sapevano suonare le arpe e le cetre, e cantavano in un modo melodioso che gli Uomini potevano solo sognarsi. Già, gli Elfi.

Poi all'improvviso un nuovo pensiero, mai avuto fino a quel giorno: sentì dentro di lei anche il desiderio di un abbraccio...ma non quello di suo padre. Braccia forti che la stringevano sotto le lenzuola di seta e la facevano sentire protetta. Occhi celesti che la fissavano e una voce profonda che le diceva .... "Regan, maledizione, dove eri finita!" le urla di sua madre la strapparono dalle piacevoli fantasie. "Ti rendi conto di quanto eravamo preoccupati? Come ti viene in mente di sparire in questo modo?" le disse, mentre si avvicinava. Bard non era più lì. "Ora sta qui con noi, e se ti allontani di nuovo, userò la cinghia!" le disse anche il padre, con occhi torvi. Minaccia fasulla: Hannes non aveva mai alzato un dito sulla figlia e mai lo avrebbe fatto. "E con quale braccio vorresti cinghiarmi, papa'? Con quello rotto?" sorrise Regan. "Non provocarmi. Eravamo davvero in pensiero!" rispose il padre. Povero papà , pensò la ragazza. Questa tua figlia sbalestrata che altro non ti dà che ansie. Vorrei sparire, sai. Vorrei sparire e darti un'altra Regan. Una migliore di me.

"Alfrid è morto." le comunicò la madre. La giovane si girò di scatto: aveva avuto il presentimento che quel furbastro avrebbe fatto una brutta fine in quella faccenda. Non le era mai piaciuto, anzi tempo addietro era arrivata al punto di detestarlo... ma lo stesso provò una strana sensazione alla notizia, come del resto sempre accadeva, quando apprendeva della morte di qualcuno conosciuto. "Come?" chiese. Yohlande sospirò e rispose: "Non devi saperlo, meglio così. Diciamo...che ha fatto la fine che meritava. Che gli dèi lo perdonino per le sue azioni in vita."
"E dov'è Bard?" chiese ancora Regan. "Credo sia con i suoi figli. Quei ragazzi hanno un padre straordinario." disse la madre con un sorriso. "Già." convenne Regan. Era sicura che Bard sarebbe diventato il re di Dale, e ne era felice. Con la sua guida, la città sarebbe tornata prospera e avrebbe vissuto in pace. Certo, restava da capire che fine avesse fatto Thorin. Inoltre, fuori dalle mura cittadine nessuno sapeva cosa stesse accadendo: c'era ancora una guerra in corso o era tutto terminato? Sapeva solo che dentro il perimetro della città non vi era che morte, carcasse, cadaveri e neve sporca di sangue.

C'era un silenzio surreale, rotto solo da qualche lamento. Regan pensò al Principe di Mirkwood di cui non sapeva il nome, all'Elfa guerriera e alla scena con Thranduil. Chissà dove erano scappati quei due e provò una improvvisa invidia. Aveva visto amore negli occhi del giovane Elfo e anche in quelli di lei. Ma non era reciproco: l'Elfo femmina amava qualcun altro, ne era certa. Lo aveva capito da come aveva lanciato una fugace occhiata al biondo principe, e nient'altro, quando lui l'aveva difesa. La sua mente era occupata da un altro Elfo, o forse da un Uomo. Sapeva che molti Uomini rimanevano affascinati dalle donne Elfo, per via della loro innata bellezza e grazia. Aveva letto la storia meravigliosa di Beren e Lúthien almeno tre volte, e ogni volta, arrivata all'ultima pagina di quel vecchissimo libro, non aveva potuto trattenere il pianto. C'erano addirittura tracce delle sue lacrime sulla carta. Forse quella donna Elfo dai capelli fulvi aveva donato il suo cuore a un Mortale e per questo era entrata in contrasto con Thranduil, che certamente non poteva tollerare che uno dei suoi Elfi si unisse a quella miserabile razza. Avvertì un brivido strano. Non era il gelo della neve, era più una sensazione di improvviso disagio.

(Eh già, non hai speranza)

La voce di Edith di nuovo nella sua mente. Non vedeva la vecchia fioraia nei dintorni, ma si augurò che fosse sopravvissuta a quelle ore tremende. Improvvisamente, vide arrivare Gandalf, quasi zoppicante. Aveva combattuto anche lui, povero vecchio, ma ovviamente non aveva l'energia per reggere tanto sforzo. Al di là delle sue arti magiche, era pur sempre un anziano. Regan si offrì di aiutarlo, sorreggendolo per un braccio. "Ti ringrazio. Non sono più quello di una volta." disse con un mezzo sorriso. Regan cercò di immaginarselo giovane e non ci riuscì. Chissà se era mai stato ragazzo, o era semplicemente apparso in forma di anziano in quel mondo. Stranissime e misteriose creature, gli Istari.

"Temo sia successo qualcosa a Thorin e ai Nani." disse, con voce grave. "Anzi, so che è successo qualcosa." I suoi occhi celesti si volsero verso Collecorvo, la torre in rovina dove Azog si stava nascondendo con i suoi. "Legolas non ha potuto salvarlo." disse di nuovo Gandalf, come parlando a se stesso. "Legolas?" chiese Regan. "Oh, il principe elfico, figlio di re Thranduil. Forse lo hai intravisto qui a Dale." rispose Gandalf. Ecco dunque come si chiamava il figlio del Re.
Legolas, un nome grazioso pensò lei. "Sì, so di chi parlate. C'era anche un Elfo femmina con lui...chi era?" chiese Regan. Gandalf era ancora perso nei suoi pensieri, ma venne richiamato alla realtà da quella domanda: "Non lo so, credo fosse il capo della loro guardia. Non conosco il suo nome, mi dispiace."

Regan guardò pensierosa verso il cielo. Non era affatto azzurro, anzi, era di un triste color ghiaccio. Inoltre, si era levato un gelido venticello che le scompigliava i capelli e le gelava ancora di più le guance. Non aveva guanti, e le sue mani stavano assumendo un color violaceo. Provò a scaldarle con l'alito. Cosa avrebbero fatto a quel punto e che cosa stavano aspettando tutti, in quel silenzio? Alcune donne e ragazzi si aggiravano lentamente per le viuzze, sperando di non incappare nel cadavere dei loro mariti,o padri. Regan si sentì fortunata ad avere i genitori lì con lei e provò sollievo per il fatto di non avere un marito o fidanzato da cercare in mezzo a quella disperazione. Provò l'impulso di uscire dalla cittadella e recarsi all'ingresso di Dale, al grande cancello che divideva la città dalla spianata di Erebor. Non sentiva più urla nè fragore in lontananza, dunque qualsiasi cosa fosse successa là fuori, era cessata. Ma chi poteva dire se la battaglia era vinta o persa? I Nani e gli Elfi avevano avuto la meglio sulle creature di Sauron? Guardò di nuovo i genitori e comprese che non poteva allontanarsi nuovamente o questa volta le avrebbe prese sul serio. Era una donna adulta ormai, ma per sua madre e suo padre non lo era affatto. Forse perché figlia unica, i suoi erano eccessivamente protettivi con lei. Però non poteva stare lì con le mani in mano. Bisognava se non altro aiutare i meno fortunati, i suoi concittadini, la sua gente. C'erano poveri disgraziati che avevano perso tutto, e purtroppo, anche qualche orfano ancora bambino.
"Sentite, io credo che dovremmo fare qualcosa." si rivolse ai genitori. "Intanto, voglio capire dove è finito Bard. Ora deve prendere il comando della città. E' tempo. " Suo padre la guardò e deglutì. "Certo, lo so. Ma prima attendiamo notizie da là fuori. Per quello che ne sappiamo, potremmo essere attaccati nuovamente da quelle bestie. Il pericolo non è affatto passato." disse guardando verso la moglie, che lo abbracciò.

Una voce portò la notizia attesa. Alaisdar, fortunatamente sopravvissuto, corse verso di loro. "Hannes! La battaglia è vinta!" era ferito e aveva parte dell'armatura danneggiata, ma era felice. Il padre di Regan, in un moto di entusiasmo, afferrò le spalle dell'amico: "Ripetilo, ti prego!" "E' finita. Quelle orride creature, quelle poche centinaia sopravvissute, si sono ritirate. Molte sono state uccise dalle Grandi Aquile e da una specie di orso gigante, credo fosse un muta-pelle. Dain e i suoi Nani, inoltre, sono stati eroici. Mai visto un coraggio simile, si sono lanciati contro quelle legioni tre volte più numerose di loro. Anche gli Elfi sono stati fondamentali. Purtroppo, molte sono state anche le perdite." disse tristemente. "Questa volta ci porti notizie liete, vecchio amico." disse Yohlande. Poi si girò verso la figlia. "Ora, ora puoi andare a cercare Bard. Va', e affrettati!" Regan non se lo fece ripetere una seconda volta e corse alla ricerca del barcaiolo, che molto presto avrebbe assunto ben altro ruolo a Dale.

Perlustrò ogni via, ogni rudere che trovava sulla sua strada. Cercò di aiutare come poteva i feriti, ma erano troppi, troppi e lei non aveva tempo. Poi, da lontano, intravide una sagoma conosciuta. Un Elfo biondo, con arco e frecce, si allontanava da una torre diroccata. Il figlio del Re, Legolas. Stava venendo nella sua direzione, ma non la guardava. Aveva gli occhi bassi, come fosse terribilmente rattristato. D'istinto, Regan si avvicinò ad un muro, per liberare il passaggio. Legolas passò vicino a lei e per un istante, brevissimo, la guardò. Poi l'Elfo continuò nel suo cammino e sparì definitivamente dalla sua vista. L'Elfa guerriera non era con lui, e Regan si chiese se non fosse morta.

In un attimo, ebbe la risposta: la vide da lontano, era in piedi vicino ad un dirupo. Immobile. Regan lentamente camminò verso di lei, temendo che si gettasse nel vuoto. Ma cos'era successo? L'Elfa aveva il viso pallido, e sembrava stesse guardando qualcosa ai suoi piedi. I lunghi capelli rossi erano mossi dal vento. Vide cosa stava guardando. C'era un Nano riverso sul terreno, privo di vita. Era quello più giovane, Kili. Quello che era stato colpito dalla freccia morgul e che quell'idiota di Alfrid si era rifiutato di aiutare. Immediatamente capì. Certo era incredibile, un Elfo femmina innamorata di un Nano. Questo andava decisamente contro tutte le leggi logiche della Terra di Mezzo e poteva immaginare la reazione di Legolas quando aveva finalmente realizzato. Pensò fosse per quello che stava lasciando a passo deciso la città, probabile che avesse capito solo quel giorno di non poter avere l'amore della ragazza Elfo. Regan era incapace di qualsiasi movimento, avrebbe voluto andare da lei e dirle qualcosa, ma non poteva. La scena che stava osservando era straziante, ma anche bellissima. Un esempio di amore puro che sfidava qualsiasi ostacolo, perfino la morte. Sembrava che l'Elfa non volesse abbandonarlo, non si allontanava da lui, lo guardava e basta. Impotente. Aveva qualcosa in mano, stringeva un oggetto che forse era appartenuto a Kili.

Un nuovo movimento attirò lo sguardo della giovane. Lì vicino c'era anche Thranduil. Si stava allontanando, e, come il figlio, aveva sul viso un sguardo grave. Lo sguardo di chi ha perso qualcosa. La differenza era che l'espressione di Legolas era turbata, come se stesse sperimentando per la prima volta una sensazione a lui sconosciuta. Thranduil, invece, aveva il volto di uno che stava rivivendo per l'ennesima volta un dispiacere già provato. Anche lui, sparì dalla sua vista in pochi secondi. Era sicura che avrebbe lasciato la città subito dopo con quel che rimaneva del suo esercito. Regan non si trattenne più. Raggiunse il dirupo e si rivolse all' Elfa, che non si era accorta di lei, persa nel suo dolore.

"Mi dispiace. Non conoscevo bene Kili, ma so che era molto coraggioso." La donna elfo sollevò lo sguardo verso di lei. Aveva gli occhi verdi e gli zigomi alti. Se non fosse stata per quella maschera di dolore, sarebbe stata bellissima. Non le rispose, si limitò a socchiudere gli occhi, come in cenno di assenso. "Siete stati fortunati a incontrarvi", aggiunse Regan, non sapendo che altro dire. Una frase molto banale, ma di meglio non le era venuto in mente. L'Elfa guardò verso Kili e disse con voce rotta dal pianto che tentava di trattenere. "Nei pochi momenti che ci sono stati concessi, non sono riuscita a dirgli quello che provavo. Lui ha detto che mi amava, io non ho potuto." e subito una lacrima le corse su una guancia. "Non credo ce ne fosse bisogno. Lui sapeva, tu sapevi. Per certe cose, le parole non sono necessarie." rispose la ragazza. Non capiva perché sentisse il bisogno di consolare quella che per lei era una perfetta sconosciuta. Ma sentiva che se l'avesse lasciata lì, da sola, avrebbe potuto tentare di togliersi la vita. Non erano gli Elfi quelle creature tanto sensibili da non resistere alla perdita dell'amore? E se si fosse buttata giù dal dirupo, magari davanti a lei? No, doveva condurla via, quella donna doveva tornare a Boscoverde, tra la sua gente, e trovare consolazione al suo dispiacere. "Il tuo Re se ne sta andando, dovresti andare con lui nel vostro territorio." disse Regan. La donna elfo non la guardò, rimase silente e poi, dopo essersi chinata su Kili, gli diede quello che era forse il primo e sicuramente l'ultimo bacio che si fossero mai scambiati. "No. Rimarrò qui fino a che non verranno a prenderlo. Lo vogliono seppellire nel buio della terra." sospirò di nuovo. "Sai, non abbiamo mai visto una alba, né un tramonto, insieme. Non abbiamo mai ammirato insieme la luce della luna e delle stelle. Non abbiamo mai camminato insieme nel bosco a primavera, quando il sole attraversa i rami degli alberi e illumina i sentieri fioriti di Boscoverde. Ora per lui non ci sarà che oscurità...e anche per me."

Regan, a quelle parole, sentì il cuore stringersi. Comprese improvvisamente che la sua presenza era una sorta di invasione in quel momento doloroso e intimo, e decise di allontanarsi, ma si augurò che quella ragazza, che poteva essere sua coetanea se fosse stata umana, ritrovasse la forza per andare avanti. Avrebbe vissuto un nuovo amore? Regan era sicura di no. Gli Elfi non si innamoravano due volte nella loro vita. Mai. Ma forse, Thranduil l'avrebbe accolta di nuovo come un padre e l'avrebbe aiutata se non altro a sopportare quella sofferenza. Dopo tutto, non l'aveva provata lui stesso? La donna si girò, e si rimise alla ricerca di Bard che in quel momento era chissà dove. Desiderava disperatamente che quel maledetto giorno finisse, che il mattino dopo arrivasse presto e portasse con sè un nuovo sole, splendente, a ridare gioia a voglia di vivere a tutti.

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Capitolo 5
*** Elrond a Dale ***


C'erano stati grandi festeggiamenti in città, dopo la vittoria.

Thorin era morto, come aveva immaginato Gandalf. Il suo sacrificio era stato purtroppo necessario per liberare Erebor e Dale dall'incubo di Sauron e del suo servo Azog, ucciso eroicamente dal Nano.
Dopo il funerale di Thorin, Fili e Kili, venne nominato Dàin Piediferro nuovo Re sotto la Montagna. Regan l'aveva conosciuto durante le celebrazioni per la vittoria alle quali erano stati ovviamente invitati anche i Nani: con la sua barba rossa e la personalità vivace e orgogliosa, le era stato subito simpatico.

Bard aveva a sua volta assunto i pieni poteri nella città degli Uomini e l'aveva presentata a Dàin e ai Nani sopravvissuti come "guardiana e protettrice dei regni di Dale e Pontelagolungo". Aveva raccontato della sua ingegnosa idea di spargere pece intorno al Grande Salone per proteggere la sua gente, facendole guadagnare un applauso da tutti. I suoi genitori sembravano orgogliosi, e Hannes, finalmente rimessosi in sesto, aveva perfino chiuso un occhio quando la figlia aveva preteso una danza con Bard. Gandalf e Bilbo, invece, erano spariti prima della festa. A Regan era dispiaciuto moltissimo, c'erano tante cose che avrebbe voluto chiedere allo Stregone e anche all'Hobbit. Era una piccola creatura che l'affascinava per la sua genuinità, e stava pensando di andare a trovarlo alla Contea.

Un giorno avrebbe sellato il cavallo e avrebbe fatto un lungo viaggio: voleva andare a Rivendell, nel Lothlórien a trovare Dama Galadrièl, che si diceva fosse una potente Strega, ma benevola; voleva vedere con i suoi occhi Contea Baggins, le Montagne Azzurre a Ovest e poi, naturalmente, il Lindon dove la sua eroina, la Regina Regan, aveva vissuto gli ultimi anni. Chissà se la capanna di cui le aveva parlato Thranduil era ancora in piedi? Ma più di tutto, sognava di visitare Boscoverde. Anche l'Elfa innamorata di Kili era sparita prima dei festeggiamenti, così come re Thranduil. Gli Elfi non avevano preso parte alla serata in onore di Bard e Dain, nemmeno si erano visti al funerale di Thorin. Regan capiva che probabilmente il cuore del re stava affrontando il dispiacere per la partenza del figlio, e che non sarebbe stato in vena di festeggiare un bel niente.

Sperò solamente che dopo la sepoltura di Kili, alla quale Tauriel (così si chiamava, le disse Bofur) aveva assistito, la donna elfo avesse scelto di tornare nel suo reame, e che non avesse invece preso la decisione di lasciarsi morire in qualche luogo lontano da tutto e da tutti. Avrebbe voluto chiedere a Bard di lasciarla partire per il suo viaggio, ma in quei primi mesi dopo la sua nomina a Re non era stato possibile. C'era troppo da fare, un'intera comunità da ricostruire e Bard aveva bisogno di lei.
Dàin Piediferro aveva mantenuto la promessa fatta agli abitanti di Dale da Thorin: parte dell'oro di Erebor venne concesso alla città dei Mortali. Una cospicua parte: c'erano voluti dieci cavalli in tre giorni di andata e ritorno da Erebor per trasportare tutte quelle monete e quelle pietre preziose. Alla fine, le casse del Palazzo Reale traboccavano d'oro e si poteva finalmente ricostruire.

Bard fece chiamare i migliori artigiani e costruttori di Gondor e Rohan per aiutare a far rinascere la città. Portarono con loro materie prime e progetti a sufficienza per creare un reame favoloso. Grande spazio venne dato al mercato: venne completamente riedificato, doveva tornare a essere il gioiello dell'Est e dell' Ovest. Come promesso a Regan, Bard intendeva rendere Dale economicamente autosufficiente. Anche Pontelagolungo doveva essere riedificata: non più ad uso abitativo, ma come sede amministrativa dell' economia lacustre. Gli orfani, gli infermi, gli anziani rimasti senza parenti vennero tutelati dalle casse comuni: ciascuno doveva avere diritto a dei fondi per mantenersi. Bard diede il compito importante a Regan di curare la salute e il benessere dei cittadini, doveva fare rapporto al Re ogni settimana sulle condizioni degli abitanti della città. Le diede l'incarico, conoscendo la sua cultura riguardo agli Elfi, di cercare contatti con Lord Elrond di Rivendell (cosa che la entusiasmò) e Lord Celeborn di Lothlórien per informarli sulla ricostruzione di Dale e del suo mercato. Suo padre Hannes, che per la prima volta mostrò di voler avere parte attiva nella gestione della città, si rivelò un prezioso consigliere negli affari esteri.

Passò in fretta un anno, e, alla vigilia della primavera, molti erano stati i cambiamenti: la città era rinata, anche se era ancora in fase di ricostruzione. Bard aveva previsto che ci sarebbero voluti almeno tre anni per rivedere lo splendore originario di Dale. Il mercato aveva cominciato ad attrarre di nuovo moltissimi visitatori che portavano denaro nella casse della città. Denaro che Bard amministrava con infinita saggezza, al contrario di Viktor Monrose. Dàin aveva mandato suoi emissari a sincerarsi sulle condizioni dei vicini e già aveva acquistato quintali di prodotti agricoli. Il Re di Rohan aveva venduto duecento dei suoi splendidi cavalli a Bard, più un centinaio di puledri, e con essi l'Arciere aveva ricostituito parte della cavalleria dell'esercito. Erano tempi di pace, ma Dale doveva avere un'armata, pronta a difendere la città ad ogni evenienza. Nessuna notizia, né visita, dagli Elfi di Boscoverde. Regan ne era dispiaciuta. Era convinta che un nuovo rapporto di amicizia fra le loro genti sarebbe nato dopo la battaglia, era sicura che Thranduil prima o poi sarebbe giunto in persona a visitare Dale.
Regan aveva inviato almeno tre missive d'invito portate da un loro soldato agli Elfi di guardia all'ingresso del bosco.
Sempre senza risposta.
Finchè sparirono.

🌿🌿🌿

Un giorno di Maggio giunsero visitatori elfici da un altro Regno.
Regan riconobbe da lontano lo stemma di Gran Burrone, dopo che Alaistar aveva suonato il corno posto sulla torre al confine Est della città per informare i cittadini di stranieri in arrivo. Corse subito a indossare il suo abito più grazioso e si preparò a ricevere con Bard il famoso Signore di Gran Burrone.
Lord Elrond entrò a cavallo a Dale seguito da dieci suoi soldati. Non era in armatura, poiché era una visita di cortesia. Regan e Bard lo aspettavano sulla scalinata del Palazzo Reale. Nemmeno Bard indossava la sua veste regale, nè portava la corona. Alla cerimonia di investitura, era stato ovviamente incoronato, ma non aveva più indossato quel diadema che era rimasto custodito da secoli nei sotterranei del Palazzo e che suo zio aveva trafugato e tenuto sempre con sè a Pontelagolungo. A Bard non piaceva ostentare il suo potere, altra cosa che lo rendeva tanto caro a Regan. Era rimasto un uomo semplice, un ex chiattaiolo, un uomo del popolo.

Con un inchino, Regan accolse Lord Elrond, emozionata nel vederlo finalmente di fronte a lei. Bard chinò il capo in segno di rispetto ed Elrond, sceso da cavallo, ricambiò il saluto. "Lord Elrond, a nome delle città di Dale e Pontelagolungo, vi dò il benvenuto." disse Bard. "E' con piacere che ho accettato il vostro invito a visitare la nuova Dale." esordì Elrond. "E permettetemi di farvi un omaggio." dicendo questo, si voltò verso uno dei suoi soldati, che portava quello che sembrava un rotolo di stoffa sulla sella del cavallo. Il soldato si avvicinò e la distese per mostrarne lo splendore: era di un bellissimo colore blu notte e sembrava aver mille riflessi. Regan non aveva mai visto una lucentezza simile, e sembrava anche molto morbido. "Noi la chiamiamo seta del Re, è un particolare velluto che viene intessuto dai nostri filai." aggiune l'Elfo. Bard sembrò quasi imbarazzato. "Non avreste dovuto, è un onore ricevere da voi un dono simile." Elrond a quelle parole sorrise. Un sorriso caldo, sincero, simile e a quello di Gandalf: trasmetteva tranquillità.
"Per celebrare il vostro Regno, Sire Bard. Sono molto felice di rivedere questa città rinascere con il vostro duro lavoro. Dale è sempre stata un modello fra i reami degli Uomini." Bard sorrise e di nuovo chinò il capo in un cenno di ringraziamento. Lord Elrond si girò verso Regan e continuò: "Ho pensato che con questo tessuto avreste potuto cucire un abito per la Signora protettrice di Dale. Ho sentito molto parlare di voi, Regan. Mi dicono siate studiosa e grande conoscitrice della cultura elfica." Regan deglutì, si sentiva contemporaneamente lusingata e imbarazzata. Poi rispose: " Ho passato la mia infanzia e la mia adolescenza a leggere libri su Gran Burrone, lord Elrond. Visitare i vostri meravigliosi luoghi natii è un mio grande sogno e conto di realizzarlo presto." disse questo tenendo gli occhi bassi, perché troppo forte era la soggezione che provava per il signore elfico. Per lei, era una sorta di leggenda vivente e ancora non riusciva a credere di essere in sua presenza e addirittura essersi guadagnata la sua considerazione. "Sarà un piacere avervi come nostra ospite." disse Elrond, gentilmente.

Bard a quel punto lo invitò ad entrare nel Palazzo per riposarsi dopo il lungo viaggio e annunciò a Regan che quelle sera stessa sarebbe stata anche lei ospite della cena in onore dell'Elfo. Le disse anche di portare suo padre e sua madre con sè, dato che Hannes aveva assunto il ruolo ufficiale di Consigliere del Regno. Bard aveva scoperto in Hannes un'abilità inaspettata nel condurre relazioni con emissari di altre terre e, nel tempo, aveva cambiato opinione su di lui. Non lo vedeva più come un vigliacco che si era fatto soggiogare dal fratello, ma più come un uomo buono e mite che preferiva lavorare dietro le quinte, perché la sua natura era quella, ma lavorava scrupolosamente. Come la figlia, Hannes possedeva grande cultura e conoscenza della Terra di Mezzo. Conosceva la storia delle varie genti e tutti accadimenti degli ultimi secoli. Era importante, credeva Bard, avere un uomo di tale intelletto nel governo della città, una persona che avrebbe potuto prevedere gli eventi, un po' come Gandalf. Ipotizzava addirittura affidare a Hannes e a sua figlia la costruzione della prima scuola di Dale: molti adulti erano analfabeti, e Bard voleva che le nuove generazioni crescessero con un'istruzione. Ne voleva parlare ai due Monrose, padre e figlia, molto presto.

🌿🌿🌿

Quella sera, Hannes si sentiva particolarmente ansioso di incontrare Elrond. L'invito di Bard cadde a proposito. C'era una domanda che doveva assolutamente fare al Signore di Imladris, una domanda riguardante sua figlia. Come Elfo, forse Elrond aveva la risposta.
Hannes, infatti, era sempre più convinto che la ragazza fosse vittima di qualche incantesimo di Thranduil. Da quando Bard era diventato Re e la ricostruzione di Dale era cominciata, sua figlia era cambiata moltissimo. Era più matura, più responsabile e questo era certamente un bene...ma c'era qualcos'altro. Non faceva che parlare degli Elfi di Bosco Atro. Si rammaricava in continuazione che il Re di Bosco Atro non fosse ancora venuto in visita a Dale e Hannes non capiva come lei si aspettasse che quel lezioso di Thranduil, famoso per i suoi atteggiamenti alteri  verso ciò che non lo riguardava, potesse anche solo lontanamente considerare l'idea di andare a trovare i vicini mortali.

Certo, aveva combattuto fianco a fianco a Bard in difesa di Dale, l'anno prima, ma soprattutto perché desiderava impossessarsi della collana della moglie. Le gemme di Lasgalen gli erano state consegnate da un Nano dell'esercito di Piediferro, che le aveva trovate all'interno di Erebor, contenute in uno scrigno. Ormai aveva ottenuto quello che voleva. Sua figlia forse si aspettava che da quel momento sarebbe nata una grande amicizia? Quanto era ingenua. Nonostante tutte le sue letture, non aveva capito che gli Elfi di Bosco Atro rimanevano creature schive e dalle quali diffidare, il loro Re prima di tutti. A meno che, e questo era il timore dell'uomo, la ragazza non fosse stata preda di qualche strana magia che il Re forse esercitava a distanza. Dopo tutto Dale si stava arricchendo, le casse del Regno erano molto più floride che in passato e Hannes riteneva che in futuro le cose sarebbero andate ancora meglio. E se Thranduil avesse progettato di controllare tutto quel potenziale economico, magari attraverso sua figlia? Forse era paranoico, ma ne aveva sentite abbastanza su quelle creature dalle orecchie a punta da non riuscire a stare tranquillo, gli dèi solo sapevano di quali trucchi erano capaci.

Si augurò che Lord Elrond gli chiarisse le idee, e mettesse in fuga quei brutti sospetti. Inoltre, era un mezzo sangue, e questo lo metteva in una luce diversa agli occhi di Hannes. In qualche modo, era come se lo ritenesse più affidabile di un Elfo comune. La cena in onore del Signore di Imladris fu piacevole; Elrond era di ottima compagnia, intrattenne Regan con dettagliati racconti sul suo regno e sulla sua gente. La ragazza lo ascoltava assorta, gli occhi le brillavano. Aveva indossato un grazioso abito rosa pallido, semplice e senza fronzoli, ma che a lei donava moltissimo. Osservandola, Yohlande si trovò a pensare che la giovane era ormai una donna fatta e finita e che molto presto avrebbe dovuto avere un compagno. Non c'era mai stato un ragazzo speciale nella vita di sua figlia e, se da un lato questo non le dispiaceva ( i ragazzi di Pontelagolungo erano per lo più bifolchi ), dall'altro si rendeva conto che Regan avrebbe dovuto vivere la sua giovinezza in modo più completo. Sembrava accontentarsi delle sue letture e delle sue passeggiate solitarie, ma Yohlande immaginava che non fosse del tutto serena. Non poteva esserlo. Bard avrebbe potuto essere un ottimo fidanzato per la figlia, ma aveva quindici anni più di lei e tre figli. Inoltre, Yohlande sapeva che era ancora innamorato della moglie, Anna: il suo ricordo era incancellabile.

Ad un certo punto, uscirono tutti sulla terrazza del Grande Salone, che era stato rimesso a nuovo ed era diventato una magnifica sala per le grandi occasioni. Ormai era notte fonda, e Lord Elrond disse :"Credo di avervi annoiato abbastanza con i miei monologhi. La luna splende alta, non mi ero accorto fosse così tardi." Bard fu d'accordo. "E' vero, Lord Elrond, i vostri racconti sono oltremodo interessanti, ma vi abbiamo trattenuto a parlare mentre voi siete probabilmente molto stanco. Prendiamo subito commiato, prima però vi accompagno al vostro alloggio nel Palazzo Reale...come vedete è stato tutto rimesso a nuovo."
Elrond annuì. "Non credo di essermi complimentato a sufficienza per la ricostruzione in atto. In un solo anno avete riportato in vita una città dalle macerie. Sono un grande ammiratore della vostra gente e della sua forza d'animo." Bard ringraziò a nome dei cittadini di Dale. Hannes intervenne. "Bard, lascia che sia io ad accompagnare Lord Elrond. Tu, per favore, fai scortare mia figlia e mia moglie a casa da una delle tue guardie."
Bard lo guardò sorpreso, ma acconsentì. "Vi lascio in ottime mani, Lord Elrond. Domattina vi condurrò in visita al nostro grande mercato. Sono certo che vi lascerà a bocca aperta. Vi auguro buon riposo." Detto ciò, Bard chiamò a sè uno dei soldati e gli ordinò di accompagnare le donne a casa. La ragazza sembrava contrariata: avrebbe probabilmente passato l'intera notte ad ascoltare i racconti dell'Elfo. Hannes e Elrond si avviarono in direzione del grande edificio. I soldati di Rivendell li seguivano a distanza. Elrond si girò improvvisamente verso Hannes e chiese. "Di cosa mi volete parlare, Hannes Monrose?" Hannes sgranò gli occhi. "Come sapete che devo parlarvi?" gli chiese stupito. Elrond rise. "Avete dimenticato che sono un Elfo? Il mio istinto mi dice che non a caso vi siete offerto di accompagnarmi." e lo guardò con aria divertita. Hannes arrossì leggermente imbarazzato. "Già, dimenticavo..."
"So che non amate troppo gli Elfi, Hannes. A differenza di vostra figlia, provate una sorta di rancore per il mio Popolo." disse Elrond. "Beh non vi si può nascondere nulla. Tanto vale dirvi la verità."

Hannes si fermò e guardò Elrond negli occhi. "Devo ammettere di essere prevenuto sulla vostra gente. Ho sentito storie...non troppo lusinghiere sulla razza elfica, diciamo così." Elrond sorrise, e disse :"Non avreste dovuto ascoltare vostro fratello, Hannes. Mi dispiace dovervelo dire, ma Viktor non fu un grande uomo. Ciò che può aver detto sui noi Elfi sono state fandonie. " Hannes si girò e riprese il cammino. "Non voglio parlare di Viktor, se me lo concedete. Non amo ricordare i suoi misfatti. E poi, baso le mie opinioni indipendentemente dalle convinzioni del mio defunto fratello." disse freddamente. "Comunque, avete ragione: ho detto a Bard che vi avrei accompagnato, perché in effetti vi devo chiedere una cosa. E' una domanda della quale forse riderete, ma sono molti mesi che questo dubbio non mi permette di dormire sereno."

"Qualcosa su vostra figlia, vero?" chiese Elrond. Di nuovo, Hannes sgranò gli occhi incredulo. Poi disse: "Se riuscite a prevedere ogni mia frase, Lord Elrond, meglio non parlare affatto." Elrond rise di gusto e i due ripresero a camminare. "In verità noi Elfi non possiamo leggere nel pensiero, abbiamo solo intuizioni molto forti. Solo i più potenti di noi hanno facoltà di entrare nelle menti altrui...ad esempio Dama Galadriel. Io sono solo un mezzo sangue, come sapete."

"Già. Comunque," riprese Hannes. " mia figlia mi preoccupa, questo è vero. C'è una parte di lei che non riconosco più. E' cambiata." disse. "E in cosa è cambiata, esattamente?" chiese l'Elfo. "Mi sembra una fanciulla a modo e molto intelligente." Hannes lo guardò e scosse la testa. "Da quando ha incontrato Lord Thranduil qualcosa in lei è mutato. Sta sempre con la testa fra le nuvole, e...non fa che parlare degli Elfi Silvani e del loro Regno. Certe mattine temo di scoprire che è fuggita da casa per andare in quel bosco."

Elrond nel frattempo aveva assunto un'aria seria.
Corrugò la fronte e gli chiese: " Perché vostra figlia ha incontrato Thranduil? In quale occasione?" Hannes gli raccontò ogni cosa, gli accadimenti dell'anno prima fin da quando Alaistar lo aveva informato della morte di Viktor. "....perciò Lord Elrond, io temo che Regan sia preda di qualche strana forma di magia elfica. Non mi fido affatto di Thranduil e se voi lo conoscete bene, sapete a cosa alludo." Lord Elrond rimase in silenzio, assorto. Poi chiese :"Ditemi, quanti anni ha vostra figlia?" Hannes non aveva previsto quella domanda, e si stupì: "Beh...ne fa ventisei tra due settimane. Perché?" Lord Elrond lo guardò con indulgenza e sorrise di nuovo: "Appunto. Per quella che è la durata della vita di un mortale, ha raggiunto la piena maturità. Una donna, amico mio. Non vi è venuto in mente che quell'incantesimo di cui parlate non sia altro che una normale infatuazione?" Hannes rimase interdetto per qualche secondo.

"Cioè...credete che mia figlia possa essersi invaghita di Thranduil?" No, non era proprio possibile. Regan forse era una sognatrice, ma non era una sciocca. Non concepiva l'innamoramento fra individui appartenenti a razze diverse, ne aveva perfino parlato a lui e a Yohlande, una sera a cena, quando aveva raccontato loro la storia di quell'Elfo femmina, Tauriel, e del suo tragico amore per uno dei Nani nipoti di Thorin. Sua figlia era convinta che Tauriel fosse un' ingenua, e che avrebbe dovuto sapere a quale dolore sarebbe andata incontro se si fosse lasciata trascinare da quell'amore impossibile. E poi, Regan non si era mai innamorata di nessuno uomo, e certamente non si sarebbe presa una sbandata per un Elfo.

"No, non credo sia questo. Nonostante a volte ami vagare con la fantasia, mia figlia sa essere anche molto lucida, sapete." Elrond inarcò le sopracciglia. "Credete davvero? Thranduil...beh, gli Elfi di razza Sindar sono i più belli fra tutte le nostre linee di sangue. Non ci sarebbe nulla di strano se fosse rimasta colpita da lui."
Hannes non voleva accettare l'ipotesi di Elrond. Si innervosì. "Io credo invece che ci sia sotto qualcosa. Qualcosa che non mi piace affatto." iniziò a temere che Elrond tentasse in qualche modo di sviare i suoi sospetti da Thranduil. Forse confidarsi con un altro Elfo era stato un errore. "Hannes," disse Elrond " Siete eccessivamente apprensivo. Thranduil non ha cuore perfido. Dite bene, lo conosco. E' altezzoso e irascibile, questo ve lo concedo...ma non avrebbe motivo di nuocere a vostra figlia e a questa comunità. Noi Elfi non siamo corrotti dal male...quelli fra noi che si sono lasciati trascinare dalla malvagità sono diventati Orchi." gli disse con calma. Il suo tono amichevole tranquillizzò un po' l'uomo. "E poi, Thranduil non possiede alcun arte magica, gli Elfi Silvani non sono circondati da quello speciale potere concesso a me e a Dama Galadriel e ai portatori degli Anelli. Questo credo lo sappiate."

Elrond sembrava aver intuito il vero motivo per cui Hannes era angustiato, così provò a rincuorarlo. "Per un padre è sempre difficile assistere alla crescita di una figlia, accettare che possa provare sentimenti verso un altro uomo. Anch'io ho una figlia, sapete. E' ancora piccola, ma temo il giorno in cui mi dirà di avere trovato l'amore." e sorrise di nuovo. "Non so. A questo punto sono confuso." disse amaramente Hannes. "Vi dò un consiglio: lasciatela partire per Boscoverde. Credo sia un bene che si stacchi per un po' da voi e rimanga con se stessa. Inoltre, se rivedesse Thranduil potrebbe confrontarsi con le sue emozioni, e scoprire di persona che sono solo sogni. Dovrebbe soggiornare con gli Elfi Silvani per un po'... In questo periodo Boscoverde è meraviglioso. La primavera con il suo fiorire lo rende un posto incantevole."

"Non se ne parla!" tagliò corto Hannes, "Mio fratello passò due giorni laggiù, non fu trattato come un ospite. Tutto il contrario." disse. "Inoltre, mia figlia non è stata invitata. Anche se volesse fare questo viaggio, non può presentarsi al confine con Boscoverde e semplicemente varcare la soglia. La imprigionerebbero." Elrond continuò. "Vostra figlia ha passato tutta la sua vita nella tristezza di quel villaggio sul lago. Sapete perché trascorreva tante ore sui libri? Per evadere da una realtà che sentiva stretta. E credo si sia infatuata di Thranduil per vivere...diciamo così...un sogno. Perché non le concedete di provare a sentirsi viva, finalmente? Di andare incontro a quelle esperienze, negative e positive, che le sono mancate. Di vivere l'avventura della vita. Quella di voi Mortali è talmente breve..."

Hannes poteva essere d'accordo con Elrond su quel punto, ma non gli era chiaro perché sua figlia avrebbe dovuto rischiare di esser fatta prigioniera dagli Elfi. "Non temete. Anche se la imprigionassero per punizione, Thranduil la lascerebbe libera dopo qualche giorno. Finirà per trattarla come un' ospite, se non altro per rispetto verso Bard. Vostro fratello, invece, si era meritato l'ira del Re, da quel che so..." aggiunse. Hannes sapeva a cosa si riferiva Elrond.

Viktor si era recato a Boscoverde per discutere sulla vendita di mele, vino e altri prodotti di Pontelagolungo con re Thranduil, ma con i suoi modi grezzi e presuntuosi aveva finito per fare innervorsire il Re, che come ritorsione lo aveva convinto ad accettare condizioni economiche a dir poco ridicole, dietro la minaccia di interrompere del tutto il commercio fluviale. Viktor si era dovuto piegare, e senza troppi complimenti era stato fatto accompagnare ai confini della foresta subito dopo l'accordo. Cacciato letteralmente fuori. "Ancora una volta, non tirate in ballo Viktor. Sta riposando per sempre ora...in pace o no." disse Hannes, che già stava immaginando la sua figliola chiusa in una buia cella elfica nei sotterranei di quel reame costruito fra gli alberi. "Ma non mi piace affatto, Lord Elrond, l'idea di lasciare mia figlia sola con gli Elfi. Perdonate se insisto, ma la vostra razza ha qualcosa di pericoloso. Riconosco molte vostre qualità, ma siete esseri più scaltri di noi Uomini. Mia figlia è intelligente, come dite voi, ma non abbastanza disincantata per entrare nel vostro mondo e affrontarne le insidie"

Elrond guardò la luna, una luce chiara illuminò il suo volto grazioso. "Non vi sono insidie a Boscoverde per chi vi entra in pace. Non abbiate paura Hannes, dovreste invece essere preoccupato perché vostra figlia sta trascorrendo i suoi anni migliori nella solitudine e nell'infelicità. Lasciatela seguire questo sogno. Lasciate che vada da Thranduil, e poi nel Lothlorien, se vuole, e a Gran Burrone, dove vi garantisco sarebbe ben accolta. La Terra di Mezzo ha angoli meravigliosi sapete...tutti dovrebbero poterla girare in lungo e in largo." Hannes sospirò e, giunti infine alla grande palazzina che avrebbe ospitato Elrond e i suoi, disse: "Ci rifletterò sopra. Avete ragione, per un genitore è durissima lasciare andare i figli verso la loro crescita e autonomia. Ho creduto scioccamente di tenerla sempre legata a me, di non farle mai conoscere la durezza della vita. Ma l'ha sperimentata l'anno scorso, durante quei giorni terribili, quando qui non vi era che morte. Forse la Regan che conoscevo io non esiste già più, una parte di lei se ne è andata...la sua innocenza è stata portata via." Elrond gli sorrise benevolmente. "Fate come vi dico, Hannes. Vedrete, vostra figlia ve ne sarà infinitamente grata." e detto questo si girò e salì le scale che lo portavano all'ingresso del palazzo. Hannes si girò e contemplò la luna, la cui luce illuminava tutta la città e le Montagna dei Nani.

Era vero, la Terra di Mezzo era un luogo meraviglioso e la sua Regan aveva diritto di conoscerlo.

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Capitolo 6
*** In viaggio ***


Bard fu d'accordo.
Al pari di Hannes e Yohlande, aveva anch'egli notato un cambiamento nella ragazza, e riconosceva che un viaggio non poteva farle che bene. Era molto legato a Regan, la considerava una specie di sorellina e, quando Anna era ancora in vita, la invitavano spesso a casa loro, perché si divertivano ad ascoltare i racconti con cui intratteneva i loro ragazzi, storie che leggeva nei suoi libri e che poi ripeteva a Sigrid e Bain. Tilda non era ancora nata e ogni tanto Regan accudiva i suoi due figli.

Lui e Hannes discutevano nella sua sala privata, nel nuovo Palazzo Reale. Lord Elrond se ne era andato da una settimana, ma le sue parole continuavano a riecheggiare nella mente di Hannes. Riferì tutto a Bard, che ascoltava annuendo, poi disse la sua: "Se devo dire la verità, stavo pensando anch'io di inviare Regan a Mirkwood. E' rimasta in sospeso la questione degli scambi con Bosco Atro. E' da più di un anno che non abbiamo notizie degli Elfi, e la cosa mi stupisce. Un tempo, i loro soldati aspettavano i nostri chiattaioli al confine Sud della foresta, me compreso, per ritirare la nostra merce e pagarci, ora i pescatori mi riferiscono che nessun Elfo si è più visto sulle loro sponde. Non capisco perché abbiamo rinunciato ai nostri prodotti, so che Thranduil apprezzava molto il nostro vino."
Bard guardò fuori dalla finestra, con aria pensosa. " Regan ha inviato tre lettere al re, ma non è seguita risposta. E' molto strano, e mi preoccupa. Ora è tempo che qualcuno vada lì."
"Beh, ora non abbiamo più bisogno di loro, Bard. Le nostre casse traboccano d'oro ormai." disse Hannes.
"Già, ma la cosa non mi quadra. Thranduil non ha mai preso una decisione senza un valido fondamento. Voglio vederci chiaro, e tua figlia puó aiutarci." rispose Bard.
"In realtà vorrei che mia figlia prendesse un anno di tempo per se stessa e non si fermasse solo a Mirkwood," disse Hannes. "Mi piacerebbe che girasse e che scoprisse nuovi posti, nuove genti. E' talmente affamata di esperienze..." Bard annuì. "Lo so. Tua figlia è sempre stata curiosa, al punto da spingere la sua fantasia in una direzione pericolosa. Come te, credo che abbia idealizzato un po' il mondo degli Elfi, è giunto il momento che entri in contatto con la loro comunità. Le darò un foglio, con il mio sigillo in calce, che possa esibire a Thranduil quando le chiederà perché si è spinta fin dentro al loro regno. Sarà una specie di mia ambasciatrice. Il Re non oserà farla rinchiudere in una cella, anche se valicherà il confine. Gli Elfi non sopportano chi si addentra senza permesso nel loro territorio...ma potrei farla passare per una visita diplomatica."
Hannes era perplesso. "Non dimenticarti che Thranduil ha fatto imprigionare Thorin, nipote di Thror, quando entrò a Mirkwood. Un Principe erede del sangue di Durin. Non credo abbia molta considerazione per lo status dei suoi visitatori, se lo fanno arrabbiare." Bard prese una pergamena dal grande tavolo su cui teneva tutte le sue carte, scrisse un breve messaggio e infilò la lettera in una busta. Sigillò il tutto con della ceralacca.
"Già, ma tu non dimenticare che fra Thorin e Thranduil non correva buon sangue. Regan non ha fatto nulla al Re....a parte essere un po' insolente quell'unica volta in cui si sono incontrati, ma da quel che so l'aveva perdonata. Dalle questa, dovrà mostrarla agli Elfi quando la troveranno nel bosco e non ci saranno problemi." e consegnò la busta ad Hannes. Quella sera, l'uomo affrontò il discorso con la figlia. Erano seduti a tavola, lei e Yohlande. Regan era nella sua stanza, intenta a rimirare lo splendido abito che si era cucita con il velluto di Lord Elrond. Era assolutamente magnifico, degno di una principessa elfica. Aveva aggiunto alcune gemme argentee per decorare il corpetto e le maniche a sbuffo. 

Regan arrivò nella sala adibita ai pasti con un sorriso stampato sul volto, continuava ad immaginarsi l'evento speciale in cui avrebbe potuto indossare quel bellissimo vestito. Magari al fidanzamento di Sigrid con Tobey Cullogh? La figlia maggiore di Bard si era infatti innamorata di quel ragazzino impertinente, ma che da quando si frequentavano aveva rivelato anche un'indole dolce e premurosa. Erano entrambi ancora adolescenti, ma Regan era più che pronta a scommettere sulla loro storia. Si volevano molto bene e Tobey aveva idee ben chiare sul futuro: non voleva diventare fabbro come il padre, voleva entrare a far parte della cavalleria di Dale, e diventarne il capitano. Di sicuro, non gli mancava la stoffa del leader. Sigrid era una principessa di Dale, adesso, e sarebbe stata un'unione perfetta. Invidiava un po' la ragazzina, e il tenero amore giovanile che stava vivendo.
"Regan, ti devo parlare." esordì Hannes. La ragazza si allarmò. "Di cosa, papà?" chiese. "Io, tua madre e Bard abbiamo discusso di te, oggi. Di te e del tuo futuro. Abbiamo concluso che è tempo che tu ti affacci alla vita oltre i confini di Dale." Regan ascoltava ammutolita. "Cosa vuoi dire?" chiese di nuovo, girando lo sguardo spaventato verso la madre. "Che da ora in poi sarai padrona della tua esistenza e del tuo tempo." disse Yohlande. "Da ormai un anno vai ripetendo che ti piacerebbe andare a trovare gli elfi, non è così? Bene, ti stiamo dicendo che, se vuoi, sei libera di partire per il tuo viaggio. Domani stesso."
Regan era basita. Era vero, pensava in continuazione al Reame Boscoso e al suo Re, ma non credeva davvero che i suoi genitori la lasciassero libera di andarsene. E ora che aveva improvvisamente quella libertà, ne era terrorizzata. "Cioè, dovrei...partire da sola?" chiese con voce tremolante.
"Ma certo," disse Hannes. "Non è quello che vuoi? Ovviamente, verrai scortata fino al confine sud di Mirkwood, dove inizia la loro foresta...poi sarai libera di proseguire sul sentiero elfico. Credo che in una giornata di cammino arriverai al Palazzo di Thranduil, al centro del bosco."
Nel sentire il nome del Re, Regan ebbe un sussulto quasi impercettibile...ma Yohlande se ne accorse. Era sicura anche lei, come Lord Elrond, che Regan stesse nutrendo uno strano sentimento verso quell'Elfo. Fantasie di una ragazza sognatrice, senz'altro, ma che ora Regan doveva affrontare per poi liberarsene. Sua figlia doveva capire che avrebbe potuto trovare la vera felicità solo fra gli Uomini, fra la sua gente, doveva togliersi dalla mente quell'assurda idea, che sarebbe presto diventata un'ossessione.
"Sì, ci ho pensato molto. Ma.." disse la ragazza, ancora confusa. "...attraversare da sola quel bosco..."
"Regan ascolta," disse Hannes. "Il tempo giusto è ora. Fra qualche anno la tua vita potrebbe essere molto diversa, potresti aver perso l'entusiasmo e l'energia che senti dentro di te in questo momento. Devi affrontare il mondo adesso, scoprirlo e fare ora le esperienze che desideri fare. Certo, io e tua madre siamo molto preoccupati. Anche Bard lo è, e i suoi figli e di certo mancherai molto alla gente di Dale che in quest'anno ha imparato a conoscerti e a volerti bene. Ma è la tua vita, e devi viverla a modo tuo. Con coraggio."
"Prenditi due giorni per riflettere," disse Yohlande. "Al termine dei quali, dovrai decidere. Vai o rimani. Ma la tua decisione dovrà essere definitiva, guai a te se ci ammorberai con i rimpianti, dopo. E' tempo di ragionare come un'adulta, quale sei." Regan venne presa da una sensazione di panico. Sua madre le dava un ultimatum? Perché quell'improvvisa durezza da parte dei suoi? Doveva riconoscere di aver parlato molto dell'idea del viaggio nell'ultimo anno, ma era un'idea, un progetto vago, una fantasia. Adesso doveva decidere se farla diventare realtà oppure no. Sentiva dentro di sè il desiderio furioso di andare via, ma era come frenata dal timore di quello che avrebbe potuto incontrare.

Quella sera, dopo cena, Regan si trovò a fare un bilancio fra questi due impulsi. Quale avrebbe avuto il sopravvento sull'altro? La comodità e la tranquillità della propria, abituale esistenza a Dale...o l'ignoto, oltre i suoi confini. Se fosse rimasta, non avrebbe rischiato nulla. Se fosse partita, avrebbe potuto morire il giorno dopo, magari colpita dalla freccia di un Elfo che aveva ricevuto l'ordine di uccidere chiunque e qualsiasi cosa avesse valicato i confini di Mirkwood.
Scelse l'avventura. No, aveva ragione suo padre. La paura era per i vigliacchi e lei non lo era. Pensò a quando si era avventurata nella stalla di Georg per cercare i barili di pece: quel giorno poteva finire molto male per lei, ma non aveva avvertito il minimo timore. Anzi, aveva provato una strana scossa nel suo intimo, come se il pericolo stimolasse in lei qualcosa che fino a quel momento aveva tenuto sopito.

🌿🌿🌿

Non ci dormì sopra quella notte, e il giorno seguente comunicò ai genitori la decisione.
I preparativi per la sua partenza furono istantanei: per prima cosa, Regan andò da Bard personalmente per annunciargli il suo viaggio, e per dirgli che tutti i compiti a lei assegnati fino a quel momento sarebbero stati svolti dalla madre in sua assenza. Il Re fu felice di vederla così emozionata e si raccomandò di tornare tutta intera da quella lunga vacanza, come la chiamò lui.
"Sii prudente quando entrerai a Bosco Atro. La pergamena che ho dato a tuo padre ti presenterà agli Elfi come estensione della mia persona. Questo dovrebbe proteggerti, ma conosci meglio di me quel popolo: non dare nulla per scontato quando entri nel loro mondo...e per l'amor del cielo, tieni a freno quella lingua e non fare arrabbiare di nuovo Lord Thranduil.Come vedi, hanno interrotto con noi tutti i contatti e non vorrei fosse una conseguenza delle tue passate insolenze nei suoi riguardi."
"Non riesco a spiegarmelo, Bard. Mi ero scusata con lui, sembrava mi avesse perdonato quel giorno." disse Regan, perplessa.
"È improbabile sia tu il motivo. Ma quell'Elfo é molto permaloso, le sue reazioni sono imprevedibili. Cerca di scoprire la ragione e quando avrai saputo qualcosa in più, scrivimi. I chiattaioli hanno avuto ordine di venire al confine sud la sera del terzo giorno di ogni settimana e aspettarti sull'argine per un'ora. Consegna a loro la tua lettera, me la porteranno. E poi, potrai continuare il tuo viaggio." detto ciò, Bard l'abbracciò e la tenne stretta. "Mi mancherai molto, Regan. Mancherai a tutti."

Sigrid la riaccompagnò a casa. Era forse più emozionata di lei per la sua partenza. "Non sai quanto ti invidio! Pensa a quali luoghi meravigliosi vedrai, Regan. Vorrei venire con te." Regan la guardò e sorrise, mentre entrambe entravano in casa Monrose. "Sigrid, tu non hai bisogno di partire per trovare te stessa e la felicità, come devo fare io. Tu hai qualcosa di importante qui." disse, riferendosi a Tobey. "Deve essere bello condividere le giornate con qualcuno a cui tieni davvero." le disse. Sigrid arrossì. "Sì, io e Tobey stiamo bene insieme. Sai, mi fa ridere!" poi divenne seria. "Mi è sempre dispiaciuto vederti sola. Sei bella e intelligente...non l'ho mai trovato giusto." Nemmeno io lo trovo giusto, cara Sigrid, ma è così che vanno le cose. L'amore non è un diritto di tutti, pensò.
"Beh, non ho mai cercato un fidanzato, a dire il vero. La gente trova che io sia strana, ma basto a me stessa. Finché ho un buon libro da leggere..."
"Ma forse troverai l'amore là fuori. Magari in un altro regno...si dice che il Sovrintendente di Gondor abbia un figlio di nome Denethor." insisteva Sigrid, come se non avesse sentito l'ultima frase di Regan. La donna rise. "Denethor ha appena otto anni. Comunque, mi fa piacere che tutti non vedano l'ora che io trovi marito. Ricordate che la vita è mia."
Lei e la ragazzina entrarono nella sua stanza, Sigrid voleva aiutarla a fare i bagagli. "Ma non vorresti dei figli, una famiglia? Saresti un'ottima madre...ricordo quando accudivi me e Bain..." continuò.

Regan cambiò discorso: "Non so che cosa portare con me. Non posso caricarmi di eccessivo peso." Aprì l'armadio, che cigolò sonoramente. "Dunque, dovrò camminare molto: devo portarmi indumenti comodi, una casacca leggera visto che l'estate sta arrivando. Almeno un altro paio di stivali, oltre a quello che indosserò. Ma devo pensare anche a quando arriveranno autunno e inverno...Non ci starà tutto il corredo necessario in questa sacca. Accidenti!" Sigrid suggerì di portare solo abiti estivi, avrebbe potuto acquistare quelli invernali in qualcuno dei villaggi che avrebbe certamente attraversato. Guardò lei stessa nell'armadio ed estrasse l'abito blu a cui Regan teneva più di ogni altro. "Devi portare questo." disse la ragazzina. "No! Non se ne parla, si sgualcirebbe lì dentro. E poi, non avrò mai l'occasione per metterlo. Ricorda che sto per diventare una raminga." e buttò sul letto una tunica che normalmente usava per andare a passeggio nei boschi. "Questa è più adatta."
"Ma come puoi sapere che non ci sarà un'occasione? Per non rovinarlo, puoi avvolgerlo in una pezza di fustagno." disse Sigrid. "Immagina se un gran signore ti chiedesse di cenare con lui su una terrazza di un meraviglioso palazzo...vorresti presentarti con quei pantaloni da cacciatore?" Regan ridacchiò. "Sigrid, dicono che io abbia sempre la testa immersa in assurde fantasie...ma anche tu non scherzi! Passerò i prossimi dodici mesi a cibarmi di bacche e radici, ed è probabile che dovrò dormire in qualche sudicia grotta piena di pipistrelli...altro che signori e terrazze." Sigrid rimase in silenzio per qualche secondo. "Regan..." disse piano. La donna si girò a guardarla. "...ma non hai paura?"
La giovane Monrose sospirò. "Sì, certo che ne ho. Ma mio padre ha ragione, devo seguire i miei desideri ora che posso farlo. O me ne pentirò per sempre."
"C'è una cosa che vorrei dirti. Non è vero che la gente di qui dice che sei pazza. Non lo pensa nessuno. Non lo pensano nemmeno di tua madre." disse Sigrid. Regan la guardò e sentì un nodo alla gola. Ritrovò in lei gli occhi dolci di Anna. "Grazie cara. Anche se lo pensassero, non me ne importerebbe nulla. Ricorda: se permetti alle persone di farti sentire male con te stessa, vivrai come un'infelice. Non è un consiglio che do a te, perché non ne hai bisogno. Sei sempre stata più matura della tua età. Sei cresciuta in fretta dopo...che tua madre se ne è andata." disse. La ragazza le rivolse il suo più sincero dei sorrisi. "Quando avrò la tua età farò come te. Viaggerò. Studierò, vedrò il mondo come vuoi fare tu adesso." disse Sigrid, con gli occhi lucidi. Io non credo, sai. Quando avrai la mia età, sarai occupata in ben altre cose. Cose assai più belle e importanti, pensò Regan. Vivi la tua giovinezza anche per me, Sigrid. Ama più che puoi. Io non ci sono riuscita.

Prese un paio di libri da uno scaffale. "Ecco, di questi non posso proprio fare a meno." Uno era intitolato La Storia delle Razze Elfiche, l'altro era un trattato su tutte le creature esistenti nella Terra di Mezzo. "Non dirmi che lasci qui quell'abito e ti porti dietro due vecchi libri che conosci a memoria?" disse Sigrid, scandalizzata. "Ma certo. Oh, e non posso dimenticare questa!" disse, e prese una pianta dettagliata sulla Terra di Mezzo. "Non ti capirò mai, Regan." disse la ragazza.
"Che ci vuoi fare, io sono così." rispose la donna con una breve alzata di spalle. Sigrid si alzò dal grande letto di Regan dov'era seduta e si lisciò la gonna di raso. Anche lei finalmente stava provando il piacere di avere abiti su misura, erano finiti i tempi in un cui girava per l'angusta casetta sul lago con maglie sgualcite e grembiali. Quando tutte le sue energie erano al servizio dei suoi fratelli e non aveva nemmeno tempo di guardarsi in un quel piccolo specchio nel sottoscala.
"Tornerò per il tuo fidanzamento con Tobey. Non osate sposarvi prima del mio ritorno!" l'ammoní scherzosamente la donna. Sigrid diventò rossa come un pomodoro: "Vuoi prendermi in giro? Ma chi ci pensa...domattina verrò a salutarti presto, non voglio perdermi la tua partenza." E detto questo, la salutò con un abbraccio e lasciò casa Monrose.

Regan aveva pianificato di partire l'indomani, all'alba, prima che tutti si svegliassero. Non sopportava l'idea di dover salutare tutti, quello che veniva doveva essere il primo giorno della sua nuova vita e fin dalle prime ore doveva badare a se stessa senza appoggiarsi più a nessuno. Aveva del denaro, non troppo, con il quale intendeva pagare un barcaiolo di Pontelagolungo che la portasse al confine sud di Mirkwood. Suo padre voleva assolutamente accompagnarla con la sua barca, ma Regan era determinata a sbrigarsela da sola. Preparato il bagaglio, e deciso sul da farsi, si coricò aspettando l'abbraccio della notte. La sua ultima notte in un letto, in camera sua, tra le sicura mura della loro casa. Osservò la luna piena dalla finestra, e come spesso capitava, il suo diafano bagliore le fece tornare in mente quel bellissimo volto che l'aveva a lungo osservata in una tenda da campo, un anno prima. Una rosa bianca dalla vita breve. Breve ma intensa, promise a se stessa. Presto il sonno la colse e si immerse nei suoi soliti sogni.

🌿🌿🌿

L'alba arrivò.
Regan era silenziosamente sgattaiolata fuori da casa, senza nemmeno girarsi quando aveva chiuso la porta. Sua madre gliene avrebbe dette di tutti i colori, dopo aver scoperto la sua fuga mattutina... ma poi si sarebbe messa a piangere, per non aver potuto salutare la figlia e averla caricata di cibo che comunque Regan non sarebbe riuscita a consumare. Era troppo emozionata, non aveva nemmeno fatto colazione.
Arrivò a Pontelagolungo quando la bruma ancora ricopriva il terreno. Uno dei pescatori che uscivano all'alba per ritirare le reti dal fondale del lago la vide e la salutò, stupefatto. "Regan Monrose, che ci fai qui a quest'ora?" chiese. "Buongiorno a voi. Quanto mi chiedereste per portarmi al confine sud di Mirkwood il più in fretta possibile con la vostra chiatta?" chiese la ragazza. L'uomo la squadrò. "Cosa devi fare laggiù? Stai scappando da casa, forse? Non voglio essere coinvolto, se è così!" le disse, allarmato. Regan sorrise. "No no, non vi preoccupate. Sto partendo per un viaggio, devo raggiungere il regno degli Elfi per ordine di Re Bard." poi mostrò quello che interessava al chiattaiolo. "Ho del denaro per pagarvi. Quanto volete?"
L'uomo rimase in silenzio per qualche minuto, valutando il da farsi...poi il suo sguardo cadde sul sacchetto di monete d'oro della donna. "Beh...per un trasporto veloce...cinque monete d'oro possono bastare. Mi assicuri che non passerò dei guai?" chiese, in apprensione. "Vi assicuro di no. Ho un incarico preciso da svolgere per conto del Re e di mio padre. Sapete chi è mio padre, vero?" chiese lei. L'uomo annuì e le disse. "Va bene, sali a bordo e dammi qualche minuto per caricare questi barili vuoti." Regan, non senza fatica, si accomodò sulla grande barca, e il tanfo di pesce subito le invase le narici. Tentò di resistere all'impulso di dare di stomaco, per non offendere il barcaiolo, ma, pur essendo avvezza a quegli odori dopo gli anni trascorsi a Pontelagolungo, non riuscì a resistere ed ebbe un attacco di nausea. "Questa chiatta è da ripulire, lo so. Mi devi scusare, ma non sono abituato ad avere passeggeri a bordo." disse l'uomo, con una risata. Regan si pulì la bocca e si premette la manica della tunica sul volto per non avvertire più quel fetore. Osservò l'acqua del lago, scura, torbida e coperta da una fitta nebbiolina. Poi volse lo sguardo verso la banchina in legno, e poi ancora più su, verso quel restava di Pontelagolungo. Bard, contrariamente a quanto progettato all'inizio, aveva scelto di non fare ricostruire anche la città lacustre, aveva solo riedificato il ponte tramite cui era unito al territorio di Dale, e la grande casa in cui aveva vissuto lo zio, diventata un centro amministrativo dove i pescatori dichiaravano la quantità di pesce pescato e venivano pagati. Regan era riuscita a recuperare la maggior parte dei libri: fortunatamente le fiamme di Smaug avevano solo distrutto il tetto del Palazzo, ma le stanze erano rimaste quasi del tutto intatte. Non avrebbe sopportato di trovare quelle decine e decine di volumi inceneriti.

Il barcaiolo saltò sulla chiatta, sciolse le cime e diede un poderoso colpo di remi. L'imbarcazione si staccò dal pontile e Regan sentì un brivido: ci siamo, pensò, il mio viaggio inizia adesso
Ci volle una buona mezz'ora prima che la barca entrasse nelle acque di Mirkwood. La piccola baia antistante l'ingresso sud del bosco era parte del territorio elfico. Gli Elfi, in verità, raramente si erano visti attraversare in barca quel canale: erano creature che si trovavano a loro agio nei boschi, nelle grotte, nell'intrico delle sterpaglie. Non erano attratti dal fiume e, da quel che Regan sapeva, non si cibavano nemmeno di pesce.
Chiese improvvisamente: "Bard dice che voi barcaioli non vedete più gli Elfi da un anno...è la verità?" L'uomo, continuando a lavorar di remi, le rispose: "Proprio così. Un tempo, ci aspettavano il primo giorno di ogni mese per ricevere la merce. Sempre riservati, prendevano il carico e ci pagavano. Mai scambiato una parola con quelle creature... sai, finché non te li trovi a due passi non ti accorgi nemmeno della loro presenza. Sono silenziosi, sembrano fatti d'aria." disse con una punta di ironia. "Comunque, dopo che quel maledetto Drago ha ridotto in cenere la mia casa e la mia vecchia barca, ho creduto che i miei giorni di pescatore fossero finiti, sai. Ero disperato. Poi, con Re Bard le cose sono cambiate, è arrivato il benessere e a me è stato dato un fondo con il quale ho potuto pagare un falegname per ricostruirmi un'imbarcazione e ho anche avuto una piccola casa. Sia benedetto il Re, cara ragazza, diglielo pure da parte mia quando lo rivedi. Ho moglie e un figlio ancora piccolo, sai... " Regan sorrise. Era vero: Bard e l'oro di Erebor avevano salvato diverse famigliole dalla rovina. Che sciocca era stata ad aver messo in dubbio le sue decisioni, un anno prima.
Il pescatore continuò: "Per prima cosa, una volta riavuta una chiatta sono venuto qui con il mio solito carico di mele e di bietole, credendo di trovare gli Elfi ad aspettarmi come sempre. Ma non c'era nessuno. Tornai il mese dopo, ancora nessuno. Dopo quattro mesi, ho compreso che era successo qualcosa e da allora mi dedico esclusivamente alla pesca. Le cose non vanno male, di pesce ce n'è in abbondanza!" La donna chiese, mentre la barca si avvicinava sempre di più alle sponde di Mirkwood: "E cosa credete sia capitato agli abitanti di questo bosco?"
"Accidenti a me se lo so!" disse il pescatore, strappandole una risata. "Non ne ho idea...ma sai, sono esseri bizzarri. In passato quel loro Re ha chiuso i confini diverse volte. Sembra che sia molto preoccupato che il loro territorio possa essere invaso in qualche modo. Io credevo che tutti gli Elfi avessero una specie di magia, cioè che potessero comandare gli elementi della Natura a loro piacimento, ad esempio. Ma non è così, a quanto pare." Regan lo guardò con aria interrogativa: "Perché dite questo?" L'uomo iniziò a ritirare i remi sulla barca, dato che la sponda era ormai prossima. "Beh, pensaci: se tu fossi in grado, diciamo, di scatenare una tempesta con la forza del pensiero, non lo faresti per tenere lontano gli invasori? Se potessi provocare tuoni e fulmini solo con uno sguardo, o causare una valanga con uno schiocco di dita, non sarebbe questa un'arma formidabile? Gli Elfi di questa foresta sono poco più che folletti, io credo. Se avessero a disposizione qualche potente magia, il loro re non sarebbe così preoccupato di eventuali nemici, ne sono arcisicuro."
La donna ripensò alla nobiltà di Thranduil e alla fierezza di Legolas. Se quel rozzo pescatore li avesse incontrati una sola volta, non avrebbe avuto simili opinioni. Thranduil, come suo padre e forse anche suo figlio, era un leggendario guerriero. Imbattibile, con la spada...altro che folletto da quattro soldi.
Nel frattempo, la barca si era accostata al pontile degli elfi. Il barcaiolo aiutò la ragazza a scendere una volta ricevute le monete, e le diede un lungo coltello. "Cos'è questo?" chiese Regan. "Non sei armata vero?" chiese di rimando il pescatore. "No..." rispose la ragazza, "... non credo di aver bisogno di alcuna arma in questa foresta. Vado in pace, inoltre in passato ho avuto modo di incontrare il Re degli elfi silvani. Non sono una sconosciuta ai loro occhi.." Nell'udire queste parole, l'uomo rise forte. "Oh, hai avuto l'onore, non sapevo...allora, quand'è così, sei in una botte di ferro. Verrai accolta in pompa magna!" Regan si innervosì. "Io credo solo che per me in questa foresta non ci siano pericoli. A parte forse qualche animale selvatico..." poi fece per porgere il coltello al pescatore. "Riprendetevi quest'affare." Ma l'uomo le disse: "E' meglio che tu te lo tenga, ragazza mia. Credimi, meglio avere con sé delle precauzioni" poi levó nuovamente gli ormeggi, e si allontanò con la sua chiatta. Si voltó all'improvviso, e da lontano le urló: "In bocca al lupo per la tua missione!" , e di nuovo una risata.

Regan lo guardó allontanarsi, e cominció a sentire uno strano tremolio alle gambe. Ora era davvero sola, responsabile da quel momento in poi di se stessa. Rimase ferma per qualche minuto, guardando di fronte a sé il lungo sentiero fra gli alberi. Il sole era sorto, e illuminava l'interno della boscaglia. Quella foresta non sembrava affatto accogliente.

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Capitolo 7
*** Gli Elfi ***


Ora stammi bene a sentire, Regan.
C'é un fiume che scorre in quel bosco, un fiume che gli Elfi utilizzavano per scaricare le botti una volta svuotate del vino. Lo vedrai subito dopo esserti inoltrata nel fitto della boscaglia. Mantieniti alla sinistra di quel fiume, durante il tuo cammino. Risalendolo, arriverai all'entrata meridionale del Regno di Thranduil. Là troverai una piccola diga, con Elfi di guardia. Fatti vedere da loro e consegna la lettera con il sigillo di Bard al loro capitano. Ti condurranno all'interno del Reame. Non badare alle loro maniere, potrebbero essere diffidenti verso di te. Ma ricorda più di tutto di rimanere vicina al fiume. Se perderai di vista l'acqua, affidati al tuo udito. Devi continuare a sentire lo scroscio. Se non l'udirai più, vorrà dire che ti sei persa.


Le parole di suo padre le tornarono in mente quando vide il famoso fiume.

Si avvicinó subito alla sua riva, e inizió a risalirlo, facendo attenzione a non scivolare sull'erba bagnata. Ringrazió mentalmente Sigrid per averle consigliato di portarsi pochi indumenti: la sua sacca era già piuttosto pesante con quello che si era portata appresso. Quella che pesava più di tutto era la borraccia d'acqua, che comunque sarebbe durata poco: era il mese di maggio e la calura iniziava a farsi sentire. Regan aveva consumato già quasi metà del contenuto.

Ormai il sole splendeva alto, era mattino inoltrato. Inizió a sentire i morsi della fame, la mela che aveva mangiato una mezz'ora prima non l'aveva affatto saziata. Si fermó, e si sedette su una roccia coperta di morbido muschio. Scrutó l'ambiente circostante mentre addentava una fetta di pane. C'era un profumo piacevole nell'aria, di gelsomini e legno e resina. Era troppo presto per i funghi, ma Regan immaginó che a fine estate quel bosco fosse pervaso dal loro odore. Sentiva dei rumori attorno a sè, come di foglie calpestate e rametti spezzati e le prime volte che li aveva uditi il suo cuore si era quasi fermato. Poi, guardando fra i cespugli, si era accorta che non erano altro che merli a caccia di vermetti, e qualche scoiattolo sceso a terra dagli alberi in cerca di ghiande. Regan osservava i tronchi degli alberi, speranzosa di vedere qualche volto diafano e con le orecchie a punta dietro di essi.

Desiderava che gli Elfi la trovassero il prima possibile. Era sicura che l'avrebbero scortata fino al cuore del loro reame, dove poi le avrebbero offerto una confortevole sistemazione e le avrebbero fatto scoprire le meraviglie di quel luogo. Che cibo avrebbe mangiato da loro? Sicuramente non carne: gli Elfi rispettavano gli animali e ucciderli era ai loro occhi un gravissimo delitto. Si cibavano di verdure, cereali, frutta.

Nei giorni a venire avrebbe dovuto accontentarsi di pasti insapori, pensó. Inoltre, avrebbe dovuto variare le sue abitudini. Gli Elfi Silvani erano esseri che prediligevano la penombra e l'oscurità per sbrigare le loro faccende. Non erano affatto attratti dalla luce del sole, anzi, la fuggivano. Vivevano di sera e di notte, e prolungavano il loro riposo fino a dopo mezzogiorno, quando normalmente i mortali consumavano il pranzo. La donna si chiese quanto tempo avrebbe passato con loro: forse un paio di giorni, o una settimana, o un mese intero. Chi poteva saperlo?

Bard era certo che lei sarebbe riuscita a guadagnarsi la fiducia degli Elfi, ma non ne era così sicura. Ricordava perfettamente il gelido sguardo del loro Re, un anno addietro, e l'impenetrabilità del suo volto. L'idea di rivederlo, peró, la riempiva anche di una fortissima emozione. Sentiva dentro di sé timore ed euforia allo stesso tempo. Paura, perché questa volta era lei che si addentrava nel suo territorio, e sarebbe stata alla sua completa mercè. Poteva farla imprigionare, come temeva Hannes, oppure accoglierla, come si auguravano lei e Bard. Ma sentiva anche una gioia dirompente, perché il viso del Re Elfo, pur nella sua glaciale inespressività, le era mancato. Non aveva mai visto una bellezza simile, come se tutta l'energia vitale di ogni essere vivente fosse concentrata in lui.
Lord Elrond aveva una sua eleganza, ma non era affatto paragonabile a quella di Thranduil. Nemmeno Legolas, che discendeva da lui, era così attraente. Probabilmente in quella famiglia la bellezza si tramandava al contrario. Partendo da quel presupposto, Re Oropher, padre di Thranduil, doveva esser stato bello oltre ogni immaginazione.

Rise fra sé pensando a quanto fossero stupidi quei pensieri, poi si alzó dal masso e riprese il cammino. Doveva assolutamente giungere a quella diga prima del calar della sera. Nonostante la spavalderia mostrata mentre parlava con la figlia di Bard, la sola idea di passare la notte in una grotta piena di pipistrelli o chissà quali altri animali l' atterriva.
Avanti Roswehn o Regan o come diavolo vuoi farti chiamare, le disse la vecchia Edith nella sua mente, fai andare quelle gambe e vedi di sbrigarti, o questa notte non ci saranno biondi re elfici ad aspettarti sotto la luna. Questa notte, verrà il lupo a mangiarti.

🌿🌿🌿

Le ci vollero sei ore prima di vedere in lontananza la famosa diga di cui parlava suo padre.

Durante il tragitto, il terreno diventava ripido in corrispondenza delle numerose cascatelle; la ragazza aveva corso rischio di sdrucciolare e cadere molte volte. Continuava a volgere lo sguardo attorno a sé, scrutando fa la fitta boscaglia, ma non c'era alcun segno del passaggio degli elfi. Aveva intravisto qualche cerbiatto, qualche volpe, aveva persino notato una biscia strisciare attorno ai suoi piedi a un certo punto e si era spaventata. La preoccupava un po' la possibilità di incappare in qualche cinghiale. Era la stagione degli amori, e gli animali si stavano riproducendo; un cinghiale femmina con i piccoli poteva diventare molto pericoloso.

Ma degli elfi, nemmeno l'ombra.

Era come se si fossero ritirati da quel territorio, che una volta era di loro assoluto dominio. Regan temette che fosse successo qualcosa di grave al Popolo di Bosco Atro. Il pescatore aveva parlato dell'idea ossessiva di Thranduil che la sua gente venisse attaccata dalle forze oscure. Nella sua gretta ignoranza, l'uomo aveva ragione su un punto: il Re era di natura sospettosa, ed era sempre all'erta su ogni movimento, poiché sapeva di non possedere alcun potere speciale come era invece era concesso a Galadriel e a Lord Elrond. Non per niente aveva fatto costruire l'epicentro del suo reame dove la boscaglia diventava più intricate e fitta.

Sapeva che Thorin e i suoi nipoti avevano avuto non poche difficoltà a raggiungere il grande cancello di Bosco Atro. Avevano dovuto attraversare paludi fetide, e passare dove l'aria del bosco diventava più densa, quasi irrespirabile. Se non fosse stato per quell' Hobbit, Bilbo, non sarebbero riusciti ad orientarsi. La donna avrebbe voluto che quel piccolo, furbo e gentile uomo fosse con lei in quel momento. Uno dei nani, Balin, il più anziano, le aveva raccontato tutti i dettagli di quell'avventura durante la festa in onore di Bard. Ad un certo punto, sembrava che avessero incontrato un enorme cervo bianco. 

Aveva sperato ardentemente di vederlo lei stessa, ma nemmeno di quella bestia c'era traccia.

🌿🌿🌿

La donna si stava avvicinando alla diga, e finalmente vide quello che da ore sperava di vedere: una creatura simile a un uomo camminava lentamente sulla sommità della piccola costruzione. Sembrava solo.

Un elfo di vedetta.

Regan avanzó lentamente, sperando che la creatura la notasse. Infatti, subito l'elfo si fermò e guardò il punto in cui era lei, poi si girò e disse qualche cosa che la donna non fu grado di intendere, poiché la distanza era troppa. Venne raggiunto da altri tre, che a loro volta guardarono nella sua direzione.

Regan alzó subito le mani in segno di resa. Doveva ricordarsi che gli elfi erano muniti quasi sempre di arco e frecce, e potevano colpirla credendola ostile.

Disse, a voce abbastanza alta: "Sono una cittadina del regno di Dale. Vengo in pace."

Nonostante le sue braccia alzate, due degli elfi si armarono e puntarono le frecce verso di lei. La ragazza si spaventó, e ripeté a voce ancora più alta: "Vengo a nome di Re Bard di Dale. Vi ripeto di essere giunta qui in pace." Suo padre le aveva anticipato che gli elfi avrebbero potuto essere sospettosi nei suoi confronti, dunque tentó di non farsi trascinare dal panico.

Mentre si avvicinava lentamente, uno dei quattro le gridó: "Ferma dove sei!"

La ragazza arrestó subito il suo cammino. "Non aspettavamo visitatori." continuò la vedetta.

Regan deglutì e disse: "Lo so. Ma ho con me una lettera con il sigillo di Re Bard, sovrano di Dale e Pontelagolungo. Nel suo messaggio troverete il motivo per cui io sono giunta qui. Il vostro Re Thranduil mi conosce, in passato ho avuto modo di incontrarlo."
Uno degli elfi sorrise. Da lontano, la ragazza vide il suo ghigno sarcastico: "Tu avresti incontrato il nostro Re? E in quale circostanza?" le chiese.

"Dopo che il drago Smaug distrusse Pontelagolungo, il vostro Re venne nella nostra città per offrire l'aiuto della vostra gente. Dovresti saperlo. In quell'occasione lo incontrai e parlai con lui." I quattro elfi si guardarono, e scambiarono qualche parola. Erano evidentemente confusi. I due arcieri abbassarono le loro armi. Poi il primo che aveva parlato si girò verso di lei e le disse: "Vieni verso di noi. E tieni le mani ancora alzate."

Regan non capiva di cosa avessero paura. Era una donna, una donna sola. E loro erano in quattro e armati di arco e frecce. Era lei che avrebbe dovuto sentirsi minacciata. La giovane estrasse la busta che le aveva dato Bard, e fece per porgerla al primo elfo che aveva parlato, evidentemente il capo del gruppetto.

"Non mi interessa quello scritto. Non so leggere la vostra lingua." la geló l'essere.

"Ma c'è il sigillo del reame di Dale. Questo dovresti riconoscerlo." disse seccamente la donna. "Il nostro sovrano mi ha inviato qui, quale portavoce della nostra gente. Ho conosciuto anche il vostro capitano, non so il suo nome, ma scortava re Thranduil, a Dale. Lui mi riconoscerà."

"Questo lo vedremo." disse l'elfo, con un sorriso. "È bene che tu sappia che il nostro re, e il capitano Feren, sono nel Lothlórien in questi giorni. In mancanza di ulteriori ordini, siamo tenuti a arrestarti e portarti le nostre prigioni."

Regan sentì il sangue ghiacciarsi nelle sue vene. "Cosa?! Non potete farlo, io rappresento Re Bard. Verrete puniti per questo!"

I quattro non risposero: uno di loro saltó giù dalla diga e, con una corda , le legó le mani dietro la schiena. "Meglio per te se non ti opponi. Se provi liberarti da questa corda elfica, i tuoi polsi verranno feriti." Prese la sacca di Regan e la gettó a un altro. "Questa è requisita. La ispezioneremo più tardi. Tutti gli oggetti di tua proprietà diventano ora proprietà di Eryn Galen."

"Ladri! Non posso credere che stiate facendo questo! Non siete veri elfi...siete...siete..." urló Regan, disperata.

"... cosa? Orchi?" rise uno di loro "Non credevo di essere diventato così brutto." tutti e quattro risero di gusto. Poi l' Elfo che teneva l'estremità della corda alla quale la ragazza era legata la strattonó e le disse. "Ora cammina in silenzio." Un altro si girò e la guardó di sbieco dicendole: "E sappi una cosa: sei fortunata ad essere viva".

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Capitolo 8
*** Le prigioni nel Bosco ***


I quattro elfi, con Regan appresso, iniziarono a risalire le sponde del fiume, si inerpicarono fra i massi, e finalmente giunsero a una piccola porta che sembrava nascosta dalle fronde: dava accesso a un corridoio sotto terra.

La donna entró in un ambiente scuro, umido, con enormi radici al posto delle pareti. Attraversó, sempre trascinata da quelle ostili creature, un cunicolo illuminato solo da qualche candela. La portarono in quello che sembrava un sotterraneo. C'era un fiumiciattolo che scorreva in un canaletto sulla pavimentazione. Tutto intorno, rocce, radici che spuntavano, e penombra. C'erano dei lumi, non erano trattenuti da alcun cavo, erano semplicemente fluttuanti nell'aria.
Regan li guardava stupefatta: allora, dopo tutto, gli Elfi Silvani erano dotati di qualche magia.

L'elfo che la trascinava la condusse all'entrata di una piccolissima stanza chiusa con una porta a sbarre. La aprí e spinse dentro Regan senza tanti complimenti. Ecco, infine era stata rinchiusa in una di quelle famose celle di cui suo padre parlava. Le stesse anguste prigioni che avevano ospitato Thorin e gli altri nani quasi due anni prima.

La donna protestó: "Quando il vostro Re ritornerà dal viaggio, e scoprirà come mi avete trattata, pagherete le conseguenze."

L'elfo carceriere, con le chiavi in mano, si avvicinó a lei e le disse: "Tu credi di conoscere bene lord Thranduil?"

La ragazza gli rispose: "Lo conosco abbastanza da dirti che non perdonerà questi vostri modi. Fra lui e il re di Dale c'è rispetto reciproco e amicizia. Trattando in questo modo me, avete mancato di rispetto anche al mio sovrano."

I due elfi si guardarono, e sorrisero. Poi si scambiarono qualche parola nella loro lingua. Regan non conosceva l'elfico, aveva studiato tutto sulle loro maniere e costumi, ma non era mai riuscita ad apprendere il loro difficilissimo idioma. Si diceva ci volessero decenni per imparare a padroneggiarlo. "Qualsiasi punizione il Re ideerà per noi, aspetterà. È da più di un mese che Lord Thranduil manca da Boscoverde, potrebbe prolungare ulteriormente la sua assenza. E tu aspetterai qui, che ti piaccia oppure no".

La ragazza era atterrita all'idea. Ma in che razza di situazione si era cacciata? Tentó di impietosire le due creature, che ancora la fissavano con aria divertita. "Aspettate un attimo... vi prego...ho bisogno di lavarmi...ho bisogno... di un posto dove...di una latrina, insomma."

L'Elfo carceriere la guardó con una punta di disgusto. Poi si allontanò, e tornó dopo qualche attimo con un secchio. Aprì la porta, spinse dentro l'arnese, e richiuse la porta. Poi le disse: "Ecco, tieni questo. Puoi usarlo per i tuoi bisogni" e fece una smorfia. Regan venne travolta dall'imbarazzo.

Gli disse, con il viso rosso dal livore e dalla vergogna: "Non potete trattarmi come un animale!"

L'altro la guardó in tralice, e le disse: "Ti ricordo che hai valicato tu i nostri confini senza permesso. Possiamo riservarti il trattamento che meglio crediamo. Ora, farai bene a stare in silenzio." poi si voltò, e si allontanò.

"Avete intenzione di lasciarmi morire qui?" Disse al carceriere, che ancora l'osservava in piedi davanti alla porta. Era probabilmente la prima volta che vedeva da vicino una donna mortale.

Le rispose: "No. Sarebbe contro le nostre leggi. Ti porteremo del cibo, verrai sorvegliata fino all'arrivo del nostro signore Thranduil. Perciò, cerca di rimanere viva." e sbattè violentemente il mazzo di chiavi contro le sbarre.

La donna venne infine lasciata sola con se stessa. Era incredibile: finalmente era riuscita entrare nel regno degli elfi, il sogno della sua vita si era realizzato, stava vivendo un'esperienza sulla quale aveva fantasticato per anni e anni. Ma era chiusa in una cella minuscola dove non sarebbe neanche riuscita a distendersi per dormire quella notte. Il pavimento era umido, le pareti erano rocce scure. Non c'erano giacigli, né mobili di alcun tipo. Erano solo lei e quel secchio di legno. Subito le lacrime le riempirono gli occhi verdi. Sarebbe impazzita in quello spazio angusto, ne era certa. Anche l'elfo carceriere era scomparso, e le altre celle attigue alla sua erano vuote. Avesse avuto almeno un compagno di sventura con cui conversare...

Sentì i morsi della fame, ormai era sera inoltrata. Aveva anche molta sete, la sua sacca era stata sequestrata degli elfi, e la sua bisaccia d'acqua con essa. Chiamó: "Hey tu! dove sei finito?" , ma non ebbe alcuna risposta.
Si chiese se quell'elfo sarebbe tornato per darle del cibo, e quando.

🌿🌿🌿

Dopo qualche ora, la creatura tornó da lei.

Aveva un piatto che sembrava d'argento, con sopra alcune verdure. Aveva portato anche una brocca d'acqua e un bicchiere. La donna prese tutto avidamente, e divoró in breve quella specie di pasto.

"Eri affamata vedo" sorrise l'elfo.

La ragazza lo guardò infastidita: "Suppongo di doverti ringraziare per questo"

"Come hai attraversato il nostro bosco da sola, e in così poco tempo?" Si informò lui, curioso.

"Prima di risponderti, mi useresti la cortesia di dirmi il tuo nome?" ribattè lei.

L'elfo rispose: "Mi chiamo Rael. E tu?"

"Sono Regan Monrose, figlia di Hannes Monrose. Consigliere del reame di Dale." disse lei, con malcelato orgoglio.

"Oh, e che ci fai chiusa in una cella, figlia di un politico?" rispose l'altro.

ù"Quando mio padre, e il mio Re, scopriranno quello che è successo manderanno qui un esercito, te lo posso assicurare" disse lei.

Rael rise di gusto. "Come no, certo, il famoso esercito di Dale. Temuto in tutta la Terra di Mezzo!"

La donna preferì ignorare le provocazioni della creatura. Lo osservó: aveva capelli castani, lunghi. Come i capelli, anche suoi occhi erano scuri e di forma allungata, come quelli di un gatto. Nell' insieme, era piuttosto grazioso. Era alto poco più di Regan.

"Sai, Rael, ho passato molti anni della mia vita a studiare la vostra razza. Ma oggi mi rendo conto di non conoscere molte cose. Non credevo foste così infimi!" disse lei.

"Difatti abbiamo trovato dei libri nella tua sacca. Non comprendiamo le parole che ci sono scritte, ma le illustrazioni ci hanno suggerito che fossero volumi a proposito del nostro popolo. Scritti da un mortale, il che li rende ben poco attendibili" disse Rael, "Vuoi conoscere il nostro mondo? Ti assicuro che avrai tutto il tempo per farlo. Scoprirai molte cose che non conosci. In fondo, dovresti ringraziarci per averti rinchiuso, prendila come un'esperienza istruttiva." e di nuovo si lasciò andare a un risolino. Poi si giró e fece per allontanarsi di nuovo.

Regan gli gridó: "Quando tornerai? Ho bisogno d'acqua!"

L'Elfo si giró appena, e le rispose: "Fatti bastare quello che ti ho portato. Tornerò domani, a mattina inoltrata. Ti auguro buon riposo, sempre che tu riesca dormire qui" e si allontanò definitivamente.

🌿🌿🌿

Passó una notte terribile.

Non poteva stare sdraiata, figurarsi se si sarebbe mai addormentata, quindi si appoggiò a una delle pareti di roccia, e tentò perlomeno di riposarsi. Faceva freddo, e l'aria intorno a lei era umida. C'era comunque un profumo gradevole, di muschio, fiori, e legno ovviamente. Il suo carceriere non si vide più, e Regan penso al piccolo Hobbit, a Bilbo. Forse proprio Rael era stato lo sciocco che si era fatto rubare le chiavi delle celle dal mezz'uomo. L'elfo sembrava un tipo sveglio, Regan si chiese come avesse fatto lo Hobbit a sottrargli le chiavi delle prigioni da sotto il naso.

Si era immaginata, come una stupida, che gli elfi le avrebbero dato una stanza tutta per lei, con un mobilio decorato, lenzuola in seta, e morbidi tappeti. Quelle erano le famose fantasie di cui parlava sua madre, e delle quali avrebbe dovuto liberarsi. Regan, e lo capì proprio in quel momento, avrebbe dovuto aprire gli occhi su quella che era la realtà della vita. Nel mondo reale, gli elfi non erano creature benevole e accoglienti: come aveva detto suo padre, e come diceva anche suo zio in vita, erano invece furbi, circondati da una aura di malizia che traspariva dai loro comportamenti. Ne aveva avuto un assaggio quando aveva incontrato re Thranduil, ma chissà come mai in quell'ultimo anno aveva continuato a pensare che il mondo dei mortali e quello degli immortali non fossero poi così diversi.

Era chiaro, ad esempio, che il concetto di ospitalità per gli elfi e per i mortali era quasi all'opposto . Se un elfo si fosse presentato ai confini di Dale, non sarebbe certo stato imprigionato. Bard lo avrebbe accolto, lo avrebbe ascoltato, lo avrebbe trattato con ogni riguardo.

In quella scomoda posizione, la donna inizió ad avvertire un mal di schiena insopportabile. Speró solamente che le dure rocce, con le loro sporgenze, non le lasciassero lividi sulla pelle.

Mentre le ore notturne passavano, pregó perchè il Re tornasse presto nel suo regno. Era sicura che Thranduil l'avrebbe fatta scarcerare. E molto probabilmente, avrebbe punito i suoi soldati. Avevano frugato nella sua sacca. Avevano guardato i suoi libri. Era come se fosse stata violata una parte di lei. Si chiese che cosa avrebbero detto se avessero trovato anche l'abito blu, che Sigrid insisteva perché avesse con sé durante il viaggio. Magari lo avrebbero fatto a pezzi, e avrebbero tenuto il preziosissimo velluto di Lord Elrond.

L'arsura stava diventando insopportabile. Rael le aveva detto di farsi bastare l'acqua della brocca, ma era finita già da qualche ora. Regan cercó di non pensare alla sete e alla fame che avvertiva, e speró con tutta se stessa che l'alba arrivasse presto.

🌿🌿🌿

"Sveglia, mortale."

Regan aprì gli occhi improvvisamente. Rael era lì davanti a lei, con un nuovo rifornimento di cibo e altra acqua. Si era addormentata, e ancora una volta si stupì la sua capacità di prendere sonno nelle situazioni più scomode. "Passato una buona nottata?" chiese l'Elfo, divertito.
Poi appoggió il cibo e l'acqua sul pavimento. "Non voglio neanche risponderti" disse seccamente la donna.

"Ti consiglio di non essere troppo impertinente, mortale. Non te lo puoi permettere qui." disse l'Elfo. "Ad ogni modo, sono lieto di annunciarti che hai una visita."

Regan sbarrò gli occhi, stupita. "E chi sarebbe?"

Il suo carceriere si scostò, e dietro di lui, la ragazza notò una figura femminile. Lunghi capelli rossi cadevano sui fianchi in morbide onde. Indossava una tunica grigia, austera. Le bastó un occhiata per riconoscerla. "Oh dèi... Tauriel!" esclamó Regan, stupefatta. Come si era augurata, la donna elfo era rimasta in vita. Aveva resistito al dolore per la perdita del suo amato Kili, ed era tornata tra le braccia di Bosco Atro.

Regan ne fu felice. "Sei viva, ho tanto pregato per questo!" disse con gioia.

La donna Elfo la guardó, un po' sorpresa. "Sì, ricordo molto bene il tuo viso. Eri lì con me mentre piangevo per la morte di Kili." disse.

Regan l'osservó meglio: la trovava dimagrita, e trasfigurata. Sembrava che un velo di sofferenza l'avesse coperta. Anche la tunica che indossava non era un'uniforme da guerriera, era una sorta di veste funebre. "Sei ancora in lutto, vedo." disse la ragazza.

"Ci vorranno diversi anni prima che io possa riprendermi." disse l'elfa guardandola negli occhi. "Devo ringraziare Re Thranduil di avermi riammessa nel regno."

Nel frattempo, Rael il carceriere osservava le due donne con stupore. Evidentemente non si era immaginato che fra loro ci fosse quel livello di confidenza. "Ho saputo che una donna umana è stata arrestata ieri e condotta qui. Ho voluto vedere di che si trattava...non so perché, ma mi aspettavo che fossi tu. Per quale motivo sei entrata nel nostro territorio?" chiese Tauriel.

"Vengo in visita. Mi hanno rinchiuso ingiustamente. Ho con me una lettera che prova che sono un' inviata di Re Bard di Dale. Spiegalo tu ai tuoi compagni elfi. Gandalf il grigio, lo stregone, mi aveva detto che tu sei il capo della loro guardia. Ti ascolteranno." La imploró Regan.

Ma Tauriel scosse la testa in cenno di diniego. "Ho lasciato la Guardia. Non posso più ricoprire quell'incarico, finché il dolore riempirà la mia mente. Non ho più alcuna autorità sui soldati." disse lentamente.

Regan la guardó disperata. "Come? Ma potresti almeno spiegare che..."

"Non serve che io ti aiuti. Hanno riconosciuto il sigillo in ceralacca presente sulla tua lettera. Sanno che vieni dal reame di Dale e ora sanno che sei di passaggio. Ma sei stata rinchiusa, e senza l'autorizzazione del re, nessun prigioniero può essere scarcerato. Questa è la legge di Boscoverde".

"Ma è fuori da ogni logica! Io sono innocente, sto marcendo in questo buco senza nessuna colpa. Non posso credere che voi permettiate una simile ingiustizia!" protestó lei, con veemenza.

Rael sì allarmò sentendo il suo tono di voce alzarsi, e portó la mano al pugnale che teneva legato in vita. Con un cenno, Tauriel lo tranquillizzò. "Non posso fare nulla per te, credimi. Dovrai aspettare il ritorno del nostro re. In ogni caso, ti consiglio di non agitarti. Devi capire che questi elfi, che questa comunità silvana, non ha familiarità con i mortali. Se darai l' impressione di essere aggressiva, ti riterranno pericolosa. E allora io non so cosa potrà capitarti." Poi appoggió una mano sulle sbarre, e disse: "...dammi la tua mano."

Timorosamente, Regan appoggiò la mano tremante alle sbarre. Tauriel le diede qualcosa, una pietra. E disse: "Ricevetti questa da Kili, come promessa del nostro amore. E' immensamente preziosa per me, la sto dando a te. Non ho lasciato che la seppellissero con lui. Ti prometto su questa pietra che non ti accadrà nulla, se farai quello che dico. E se ti fiderai di me."

Regan guardó quel piccolo sasso, quella pietra runica, e la strinse forte. Avrebbe tenuto duro, promise all'Elfa.

🌿🌿🌿

 La ragazza passó altri tre giorni in quella cella, senza riuscire ad abituarsi alle dimensioni di quello loculo: il grave problema era la notte. Non riusciva mai a dormire per un'ora di fila, si addormentava per brevi istanti e poi si svegliava. Rael le portava regolarmente i pasti, che spesso consistevano in foglie di cicoria e qualche legume.

Dopo il secondo giorno, e dopo insistenti preghiere da parte sua, le concessero di uscire e lavarsi sotto una delle piccole cascate presenti in quel sotterraneo. Naturalmente, sotto la sorveglianza di un elfo femmina armata di spada.

Un giorno, Rael le portó del pane elfico, di cui Regan aveva sentito parlare. Si chiamava lembas. Ne addentó un piccolo morso, e subito avvertì il suo stomaco gonfiarsi. Non poté più mangiare nient'altro per quasi un giorno.

Di tanto in tanto, Rael si sedeva su di una piccola roccia vicino alla porticina della cella, e in silenzio osservava mentre la donna consumava i pasti. Aveva anche notato che quelle poche volte che altri Elfi passavano davanti alla sua cella si giravano incuriositi a scrutarla. Come fosse stata qualche strano animale in gabbia.

Un giorno in cui il suo carceriere la stava fissando con fastidiosa insistenza, si spazientì: "Che hai da guardare?" chiese, irritata.

"Stavo pensando che voi donne mortali siete piuttosto differenti dalle nostre donne elfo." rispose, faceto.

"In cosa saremmo diverse, se posso saperlo?" sbottò Regan, sempre più seccata. Non le piaceva avere gli occhi degli uomini addosso, mortali o elfi che fossero.

"Sembrate più... morbide." disse Rael, con un sorrisetto allusivo. Le stava osservando il petto. Come sua madre, Regan era piuttosto procace. Le donne elfo invece, erano più snelle, meno formose.

La ragazza gli lanciò un'occhiataccia: "Mi tieni prigioniera, mi deridi quotidianamente...ora vorresti anche importunarmi?" gli disse, rabbiosa.

Rael buttó la testa all'indietro e rise sonoramente. "Perdonami, stavo solo osservando questi ...interessanti dettagli." 

Era sempre più incredula. Non immaginava che quelle creature, così leggiadre, così sagge e intellettuali, potessero perdersi in pensieri tanto volgari. Sembrava di sentire parlare uno dei rozzi chiattaioli di Pontelagolungo.

L'elfo indovinó i pensieri della donna, e le disse: "Ti stupisce essere guardata in questo modo? Sai, sono convinto che tu abbia delle idee un po' distorte su noi Elfi. Credevi che noi passassimo le nostre giornate a osservare fiori, o a correre di prato in prato dietro le farfalle? Credi forse che trascorriamo le nostre notti ad osservare le stelle, la luna e a danzare attorno ai falò, come satiri? Alcuni di noi lo fanno, certo, ma siamo attratti anche da molte altre cose..." E nel dire questo, il suo sguardo tornó ad accarezzare il corpo di Regan.

"Adesso falla finita. Dico sul serio." gli intimò la giovane. "...non sono certo venuta qui per diventare oggetto delle tue attenzioni inopportune".

"Sono spiacente ma, che ti sia gradito o no, hai attratto il mio interesse. E anche quello di diversi altri Elfi maschi." le riveló Rael. "Sai cosa si dice di voi donne mortali?"

"No! Non lo voglio sapere." Rispose lei, voltandosi dall'altra parte. Ne aveva abbastanza di quei discorsi. "Ti ho pregato di smettere."

Ma l'elfo non resisteva alla tentazione di stuzzicarla. "Si presume che emaniate gran calore. E che unirsi a voi sia particolarmente...piacevole." rise.

Regan provò un forte senso di disagio. Maledetto villano.
"Ne deduco che tu non abbia avuto esperienze di questo tipo, se ti basi solo su voci." Sperò che il suo sarcasmo lo zittisse.

"Non ancora... ma conto di averne presto." disse invece l'Elfo, ancor più malizioso.

"E dimmi, come è stata invece l'esperienza di farsi derubare da un piccolo Hobbit?" chiese lei. Finalmente poteva metterlo all'angolo.

L'Elfo sbarrò gli occhi, e la donna capì aver fatto centro. "Oh, ti riferisci a quello che è successo quasi due anni fa..." rispose Rael, "Ti sorprenderà sapere che non fu io il responsabile. Quella guardia che si fece sottrarre scioccamente le chiavi delle porte fu allontanata da Re Thranduil...fu messo a pulire le botti di vino giù nel fiume." poi la guardó, divertito. "Dato che non voglio fare la sua fine, stai pur certa che ti sorveglierò con molta attenzione."

"Sembra una minaccia bella e buona." commentó Regan a bassa voce.

"E lo è," ammise l'elfo. "Resta inteso che per me sarà un gran piacere posare lo sguardo sulle tue grazie ogni giorno."

"Ti prego di lasciarmi da sola," disse Regan. "Questo comportamento non ti fa onore."

"Forse hai ragione. Ma ho come l'impressione che tu abbia bisogno, un disperato bisogno, di essere guardata così. Di sentire parole come queste da un maschio... di una qualsiasi razza." poi si alzó con una smorfia furba e se ne andò.

Regan sì auguró che il re arrivasse presto perché ne aveva abbastanza di quel posto. Voleva raccogliere le informazioni che servivano a Bard, scrivere quella lettera, e andarsene. Voleva farla finita con il reame di Bosco Atro, Boscoverde, Eryn Galen o come diamine lo chiamavano. Era stata per lei una grande delusione fino a quel momento.

Ma la sua permanenza in quel bosco non era finita.

🌿🌿🌿

La notizia attesa arrivó all'alba del quinto giorno di prigionia.

Regan si destó dal dormiveglia quando udì clamore dai piani soprastanti. Giunse Rael, e le disse subito: "Sarai felice di sapere che Lord Thranduil è tornato."

La ragazza si alzó faticosamente in piedi, e afferró le sbarre. "Voglio parlare con lui all'istante!" ordinó.

Rael la guardó basito. "Ho sentito un comando, forse?" poi la squadró con sdegno. "Il nostro sovrano parlerà con te quando e se lo vorrà lui stesso."

"Informalo della mia presenza qui!" ringhió lei. "Vedrai se non mi farà scarcerare..."

Rael sorrise, "Credo lo sappia già. Non ti resta che attendere le sue decisioni, rosa bianca." aggiunse.

Regan sgranó gli occhi, "Come mi hai chiamato?" gli chiese.

"Nella pergamena di Re Bard è scritto di dare a colei che la porta, cioè Regan Roswehn Monrose, la massima considerazione." le disse. "Roswehn è un nome delizioso...e molto adatto a te."

La donna, sempre più confusa, chiese: "Credevo non comprendeste la nostra lingua scritta...per quale strana magia ora sai leggere il Dalish?"

"Io non la conosco. Ma alcuni vecchissimi Elfi che vivono qui, sì. L'hanno tradotta loro." fu la risposta dell'Elfo.

 Improvvisamente, si sentì un suono di passi concitati nelle vicinanze. Si stava avvicinando qualcuno di gran fretta. Regan guardó ansiosa l'ambiente attorno a lei, ma la visuale dalla cella era ridotta. Dall'espressione tesa che assunse Rael d'improvviso, capì che era sceso nei sotterranei qualche d'uno di importante. Vide il carceriere chinare subito il capo. "Capitano Feren," disse Rael con rispetto, nella lingua che anche Regan poteva comprendere, "...ai vostri ordini."

La donna guardó alla sua destra e vide l'uniforme nera con striscia argentata che aveva già visto a Dale, un anno prima. Si rivolse subito all'Elfo, che si stava avvicinando. "Gli dèi siano ringraziati... voi mi conoscete!" esclamó.

Feren la guardó accigliato, ma non rispose. Si giró verso il carceriere, che continuava a tenere il capo chino. Gli disse qualche frase in elfico, in un tono che sembrava contrariato. Forse gli stava domandando come mai l'ambasciatrice di un altro Regno fosse chiusa in quella minuscola gabbia con un dannato secchio come latrina. Rael assunse un'aria mortificata, e rispose qualcosa. Feren gli diede un altro ordine perentorio, e il carceriere subito estrasse il mazzo di lunghe chiavi e aprì la porta della cella dove la donna mortale ormai da cinque giorni stava sopravvivendo al freddo e alla fame.

A Regan non parve vero. Sospiró di sollievo mentre usciva da quel gelido buco. Il Capitano le disse: "Lord Thranduil sa che sei qui e desidera incontrarti. Verranno presi provvedimenti contro gli Elfi di vedetta alla diga sud. Non avrebbero dovuto riservarti questo trattamento. È stato un doloroso...equivoco."

"Equivoco?!" quasi urló la donna, incredula. Stava per dirne quattro al Capitano elfico, ma si ricordó dell'ammonimento di Tauriel: doveva mantenere la calma.

"Ti daremo una sistemazione consona al tuo nuovo stato di ospite. Seguimi." disse Feren.

Regan chiese, esasperata: "Avete sequestrato i miei bagagli. Potrei riaverli, se non vi dispiace?".

Il Capitano annuì. "Ti sarà reso tutto. Avrai a disposizione una nostra dama, che ti aiuterà ad ambientarti. Parla e legge la tua lingua. Non so per quanto tempo starai qui, il Re non ha ancora preso una decisione al riguardo." la informó Feren. Fecero per andarsene, ma improvvisamente Regan si fermó. Tornó sui suoi passi, andó dritta verso Rael, che stava ancora immobile, a capo chino. Gli disse: "Sai, a proposito, ho dimenticato di dirti una cosa...". L'Elfo carceriere sollevó lo sguardo, e la donna lo schiaffeggió con forza. "Questo per le tue insolenze, buffone."  Si sentì subito liberata da un peso.

A pochi passi da lei, Feren aveva osservato la scena. Subito si mise in mezzo. "E' forse capitato qualcosa di sconveniente qua sotto, in questi giorni? Parla."

Ma Regan, godendosi lo spettacolo di Rael che si massaggiava la guancia dolorante, replicó: "Nulla di grave...ma ora mi sento molto meglio."

Feren guardó prima lei poi l'altro Elfo con severità. Infine disse: "Andiamo. Questo pomeriggio è stato fissato l'incontro con il Re. È stupito che tu sia giunta qui. Ti daremo qualche ora per riprenderti e prepararti."

"Grazie tante." mormoró la donna, con evidente nervosismo.

"Quello che è successo è da biasimare. Ma ti informo che i miei soldati hanno solo eseguito gli ordini. Abbiamo ricevuto disposizione dal nostro Re, più di un anno fa, di sorvegliare tutti i valichi al confine con il nostro regno, di presidiare le dighe, e le quattro entrate a Bosco Atro. E se vuoi saperlo, siamo tenuti ad uccidere chi oltrepassa i nostri territori senza invito del Re. Direi che sei stata oltremodo fortunata, Roswehn Monrose. Perciò, controlla la tua ira."

"Ci sto provando, credetemi." disse Regan. "Tornando alla situazione del vostro Regno...è proprio per questo che sono qui, capitano Feren." continuó, mentre i due salivano una scalinata fatta di roccia. Feren la stava conducendo ai piani superiori, lontano dai bui sotterranei. "Il mio sovrano vorrebbe sapere come mai Lord Thranduil ha preso questa decisione. A dire il vero, è molto preoccupato. Tutti noi cittadini di Dale lo siamo. Fra il nostro reame e il vostro i rapporti negli ultimi decenni sono stati continui. Anche se non sempre a nostro favore." disse lei.

"E di questo ti parlerà il nostro re in persona." disse l'Elfo.

I due arrivarono finalmente al cuore del regno di Thranduil.

Regan sollevò lo sguardo, e lo splendore di quello che vide la lasció senza fiato.

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Capitolo 9
*** Nim ***


Non aveva mai visto nulla di lontanamente paragonabile.

Il grande antro di Thranduil si estendeva fra tronchi di giganteschi alberi, lunghe scalinate, ponti che sembravano sospesi nell'aria. Cascate altissime riempivano quello spazio oscuro di un roboante suono, che tuttavia trasmetteva pace. La donna osservò meravigliata gli elaborati decori, le strane e colorate piante e i lumi fluttuanti che davano a quell'immenso spazio un aspetto fatato. Notò la presenza di molti Elfi, maschi e femmine, che salivano e scendevano da quelle lunghissime scalinate e sparivano chissà dove. C'era tuttavia una strana quiete, Regan non udiva alcun mormorío, aveva l'impressione che quelle eteree creature non parlassero affatto.

Regan guardò in alto e vide che le sommità di quei giganteschi alberi che costituivano le colonne portanti del regno si intrecciavano, per non lasciar passare i raggi del sole o la pioggia. Era una sorta di immenso tetto fatto di rami e foglie. Feren la stava conducendo attraverso quelle piccole, tortuose strade che si snodavano davanti a lei. Doveva ricordare a se stessa di non girovagare mai da sola in quel luogo, che Edith avrebbe definito un maledetto labirinto per topi.

Il capitano elfico si fermò bruscamente e le disse: "Aspetta qui." Poi avanzò di qualche passo e chiamò: "Nim!"

Dopo un breve attimo, durante il quale Regan si guardó attorno spaesata, comparve da un oscuro corridoio una ragazza elfo. Aveva una veste color sabbia, una catenella d'oro le cingeva la vita. I suoi capelli erano lunghissimi, e terminavano in morbidi boccoli. Un filo d'oro ornava la sua fronte. I suoi occhi, color nocciola, erano penetranti, come quelli di Rael.

"Lei si chiama Nim. Sarà a tua disposizione per tutta la durata del tuo soggiorno. Puoi conversare con lei nella lingua comune, e può anche leggerla."

Regan sorrise alla donna elfo, che abbassó lo sguardo umilmente.

"Nim si prenderà cura di te. Ti mostrerà l'alloggio preparato per la tua permanenza. Se il Re lo riterrà opportuno, ti accompagnerà attraverso il nostro territorio. Esistono angoli in questo regno che in ogni caso tu non dovrai mai visitare."

Regan ascoltava, troppo emozionata per parlare.

"Sappi che questa donna elfo è stata incaricata di riferire a me tutto quello che succede. Tutto ciò che ti riguarderà. Se tenterai di fare qualcosa di contrario alle leggi di Boscoverde, o se il tuo comportamento offenderà la nostra gente, lei me lo dirà. Dunque non considerarla una tua amica, ma una sorta di sorvegliante." disse Feren, molto freddamente.

"State pur certo, capitano, che non sono giunta qui per offendere il vostro popolo. Chiedo solo di poter parlare qualche minuto con Sire Thranduil. Il mio Re aspetta notizie su questo incontro. Una volta terminato il colloquio, vi prometto che lascerò i vostri confini per mai più farvi ritorno."

Feren annuì, poi si volse verso Nim e le disse qualcosa in elfico. Di nuovo guardó Regan: "Ti lascio con lei. Questo pomeriggio, poco prima del tramonto, verrò al tuo alloggio per accompagnarti dal nostro re."

Detto questo, si voltò e sparì in uno dei numerosi corridoi di quell'ambiente oscuro.

Senza ulteriori esitazioni, Nim le disse: "Potete seguirmi, Dama Roswehn, la stanza destinata a voi si trova lassù.". E indicó con lo sguardo la parte superiore di un enorme albero. Guardando meglio, Regan si rese conto che non era veramente un albero. Era una costruzione solida, intarsiata e decorata in modo da ricordare un tronco gigantesco.

"Puoi chiamarmi Regan," disse la donna.

Ma l'Elfo femmina rispose subito: "In realtà, il nostro sovrano ha dato a me e agli altri elfi precise disposizioni per quanto riguarda voi. La prima, è quella di chiamarvi Roswehn."

"E posso chiedere il motivo?", disse Regan stupefatta.

L'Elfa le rispose: "Noi non indaghiamo sulle decisioni del nostro sovrano. Così deve essere fatto, e così sarà fatto."

"Immagino di dovermi adeguare, e del resto quello é il mio vero nome. Thranduil ha buona memoria...Tutti voi dormite sulla sommità di questa specie di alberi?" chiese la ragazza, mentre Nim la conduceva per la grande scalinata che l'avrebbe portata nella sua stanza: doveva essere lunghissima, e Regan si preoccupò all'idea di doverla percorrere per chissà quante volte al giorno. Inoltre, non esistevano protezioni visibili: nessuna barriera, né corrimano. Scivolare e cadere per quelle ripide scale, avrebbe certamente significato la morte istantanea.

"A dire il vero, la maggior parte di noi elfi silvani dorme in grotte, un alloggio come quello che avrai tu, è un gran privilegio." disse l'Elfa, con un tono improvvisamente informale.

"A giudicare dalla fatica che sto già sentendo, non sembra un privilegio." sospiró Regan, mentre sentiva il cuore che cominciava a martellarle nel petto per lo sforzo.

Le due donne giunsero a quella che sembrava una porta fatta interamente di rami intrecciati. Non c'era una toppa, né una chiave. Nim spinse la maniglia e la porta si aprì senza alcun rumore. All'interno, c'erano già diverse candele accese. Regan notó subito quello che doveva essere un letto. Le ricordó il baccello di un fagiolo, tale era la forma. Morbidi cuscini, ricoperti da quella che poteva essere seta, erano messi ai lati di quella specie di grande canapè. In quello spazio, che non era molto ampio, era stato sistemato anche un un piccolo tavolo, sempre intarsiato, con una sedia. Sul tavolo, una clessidra che conteneva una sorta di polvere rosa. Non c'erano finestre, e questo causó a Regan un piccolo attacco d'ansia .

A Dale, la sua camera aveva due finestre e anche un terrazzo. Adorava ammirare il panorama della città, sentire l'aria fresca quando spalancava le ante.

"Se desideri, potrai lavarti nelle grandi vasche." E descrisse una non meglio identificata zona ai piedi del palazzo fatto a tronco. "Non immergerti mai in quei laghetti dove vedi le cascate. Sono spazi proibiti." l'ammonì Nim.

"Dov'é l'alloggio del vostro Re?" Chiese improvvisamente la ragazza.

Nim la guardó sorpresa: "Le sue stanze private sono nella parte sotterranea del regno. Non ti sarà consentito avvicinarti. Ci sono sempre due elfi di guardia." Poi chiese: "Perché lo vuoi sapere?".

Regan non aveva una risposta. Già, perché lo voleva sapere?

"Mi stavo solo chiedendo quale meravigliosa stanza fosse riservata a lui. Conoscendo il suo amore per lo sfarzo, immagino sia piena di pietre preziose, e abbia un letto d'argento, con diamanti incastonati e lenzuola intessute con fili d'oro." disse la giovane.

"No. I suoi alloggi sono in verità molto austeri. Ha scelto di farli costruire nel sotterraneo perché possano essere maggiormente protetti." spiegò la ragazza elfo. Nim la informó che i suoi oggetti personali, la sua sacca e i suoi libri le sarebbero stati portati in seguito.

Regan si avvicinó alla donna, e le disse: "Ti chiedo un favore, Nim. Da' questo a Tauriel... conosci Tauriel, vero?"

"Certamente. È stata il nostro capitano della guardia per seicento anni, e figlia adottiva di Re Thranduil." rispose Nim, prendendo delicatamente la pietra runica che Regan le porse.

"Non ho più avuto modo di incontrarla, nei passati giorni." disse lei. "Ma questa è sua. Dille, se puoi, che ora sono salva. E ringraziala da parte mia."

"Tauriel passa molti dei suoi giorni a vagare per i boschi, raccolta nei suoi pensieri. Penso tu sappia che è in periodo di lutto. Dovrebbe stare in totale isolamento, di tanto in tanto si fa rivedere qui. Mi stupisce che sia scesa nei sotterranei per parlare con te." Rivelò la donna elfo. "Comunque, farò quello che chiedi. Le darò questa pietra."

"Perché in isolamento?" Si informò Regan, incuriosita.

"Era stata bandita da questo reame. Il re l'ha accolta di nuovo, spinto a compassione. Ma non l'ha del tutto perdonata. Tauriel fu gravemente irrispettosa nei suoi confronti. Questo richiederà un periodo di espiazione." spiegò Nim.

"Irrispettosa perché si era innamorata di un nano? Cosa c'è di irrispettoso nell'amore?" obiettó la ragazza.

"Non per quello. Perché disobbedì sfacciatamente alle disposizioni del re." le raccontó Nim. "Non c'è nulla che Lord Thranduil detesti di più dell'insubordinazione. Ti consiglio di non metterlo mai alla prova in questo."

"Sì, so di cosa parli. Conosco molto bene il temperamento del vostro sovrano. Già una volta fui incauta nei suoi confronti, e ciò stava per attirare la sua collera su di me su tutta la mia gente." ribattè la ragazza.

Nim la guardó stupita, ma non volle indagare. Le disse: "Ció non di meno, il mio re ha una certa considerazione nei tuoi confronti. Ti sta accogliendo come un' ospite. Se tu fossi stata un'altra persona probabilmente ti avrebbe condannata alla prigionia fino alla morte."

"E' di re Bard che ha considerazione, non di me. È solo per riguardo nei suoi confronti che io ora parlo con te...e non con quell'idiota di Rael laggiù." disse lei.

L'Elfa sorrise, segno che sapeva a cosa si riferiva. Il carceriere doveva avere una pessima reputazione in quella comunità.

"... sai Nim, non riesco ancora a credere di essere qui. Ho passato così tanti anni a leggere storie, saggi, leggende su voi Elfi. Vivere per qualche tempo con voi è una specie di strano sogno. Sebbene questi primi cinque giorni siano stati un vero incubo..." sospirò l'umana.

"Il capitano Feren mi ha ammonita di non prendermi eccessive confidenze con te, Roswehn. Ma sento di doverti dare un consiglio: non dimenticare che sei umana, mentre sei qui. Non dimenticarlo mai." le disse Nim, abbassando il tono della voce.

Regan rimase interdetta da quel consiglio. Cosa voleva dire? Ma certo che sapeva di essere umana, non poteva scordarselo. Era fin troppo evidente la differenza fra lei e quelle creature. Rispetto a Nim, ad esempio, lei si sentiva goffa e ...pesante. Aveva notato la leggiadrìa con cui la l'Elfa aveva risalito le scale. Sembrava sorvolare quegli scalini, non percorrerli. Le sue mani delicate, il suo viso appuntito, il chiarore del suo incarnato, la lucentezza dei suoi capelli. Tutto strideva con la fisicità di Regan. Comprese in quell'istante perché molti Uomini mortali si invaghivano delle donne elfiche. Regan venne presa da un improvviso complesso di inferiorità.

"Ricorda che questo pomeriggio ti attende l'incontro con il Re. Hai qualche ora per prepararti." disse improvvisamente Nim, scuotendo la donna dai suoi pensieri.

"Come calcoleró il passare del tempo? Non ho orologi qui."

Nim la guardó confusa. "Non so come sia un orologio... ma quella clessidra è tarata su un tempo corrispondente a quello che riteniamo un'ora intera per voi mortali. Contiene polvere di granito. Usa quella per organizzare la tua giornata." spiegó l'Elfa.

"Voi invece come fate?" chiese Regan.

"Il nostro concetto di tempo è diverso dal vostro, ovviamente. Osserviamo il passare delle stagioni, e in base a quello viviamo le nostre esistenze. Parole come ora, giorno, mese o secolo per noi non avrebbero alcun significato."

"Affascinante." commentó Regan.

"Con permesso, ti lascio sola." disse l'Elfa e uscì.

Regan si guardó nuovamente intorno: non c'era nemmeno uno specchio, non sapeva che aspetto avesse in quel momento, dopo cinque giorni di carcerazione. Sapeva solo di essere dimagrita, lo capiva dalle costole che sentiva sottopelle emergere sempre di più.

Bard, ho tanta paura, pensò.

🌿🌿🌿

Come annunciato, Feren si presentò alla porta di Regan diverse ore dopo averla lasciata sola con Nim.

La ragazza, nel frattempo, si era cambiata. Un elfo della Guardia le aveva portato il suo bagaglio, ed era riuscita finalmente a togliersi quei luridi vestiti che portava da ormai cinque giorni.

Il bagno nelle vasche elfiche era stato favoloso. Erano conche di acqua tiepida, circondate da salgemma e nonostante non avesse ricevuto alcun pezzo di sapone, era fuoriuscita perfettamente pulita, e anche profumata. La donna ebbe l'impressione che quelle pozze fossero piene di uno strano olio, che aveva proprietà detergenti naturali.
Inizialmente, era preoccupata che qualcuno potesse spiarla, ed era entrata in acqua indossando la tunica. Ma la sensazione di quel liquido vischioso era troppo piacevole, aveva finito per spogliarsi, e si era abbandonata nell'acqua. Se qualche Elfo l'avesse osservata di nascosto, tanto meglio per lui, pensó: almeno avrebbe scoperto come erano fatte le donne mortali.

Scendendo quegli scalini ripidi, si era resa conto anche di un'altra cosa: l'avevano sistemata in modo che potesse essere controllata. Qualsiasi suo movimento non sarebbe mai passato inosservato. C'erano elfi di guardia ovunque, sparsi per quell'immenso spazio. In pratica, era passata da una cella ad un'altra, un po' più confortevole.

Quando aveva ispezionato il suo bagaglio, si era accorta che le avevano sottratto il lungo coltello donatole dal pescatore. Era chiaro che non si fidavano di lei. Non riusciva a immaginarsi che cosa poteva aver pensato Thranduil quando gli avevano riportato che era rinchiusa nelle sue prigioni. Non sapeva assolutamente cosa aspettarsi da quell'incontro, come l'avrebbe trattata il Re, questa volta?

Feren le chiese di seguirlo su di un ponte, molto stretto, che sembrava totalmente sospeso nell'aria. Regan si azzardó a guardare in basso, e vide sotto di sé un buio abisso. Improvvisamente, le vennero le vertigini. "Dobbiamo... camminare su questo ponte?" chiese, tremando.

Il capitano si girò, e con aria leggermente infastidita, rispose: "Qual' è il problema?"

"Perdonate, ma ho paura di cadere." balbettò lei, con lo sguardo sempre rivolto verso il basso. Sembrava che in quello spazio non ci fosse un fondo.

"Non guardare laggiù, non cadrai. E seguimi, per favore." disse Feren, proseguendo il suo cammino.

Facile per te parlare, amico mio. Tu sei leggero come un fuscello, io invece ho l'impressione che ad ogni passo questa specie di passerella stia per cedere, pensó la donna.

L'elfo la stava portando nel luogo dove era stato sistemato il trono di Thranduil, esattamente al centro del regno. Mentre lentamente si avvicinava, Regan vide quel meraviglioso lavoro di artigianato degli elfi ergersi in tutta la sua perfezione. Sembrava che nel legno fossero stati intagliate gigantesche corna di cervo.

Vide anche il Re.

La aspettava seduto elegantemente sul trono. Indossava una veste argentea, e dietro di lui un manto con riflessi di rame, lasciato cadere casualmente fino ai suoi piedi. Portava la famosa corona di rametti intrecciati e adornata con piccolissimi fiori di campo, di cui aveva letto nei libri. Aveva visto un'illustrazione che ritraeva suo padre, Re Oropher, portare sul capo quel simbolo del potere supremo di Bosco Atro. L'aspettava con un'espressione quasi divertita. Non aveva quello sguardo freddo, che Regan ricordava.

Feren la condusse ai piedi del trono, poi si mise rispettosamente da un lato.

"È la seconda volta che giungi a me a nome di qualcun altro," esordì Thranduil, "Questa volta è il tuo Re che ti manda"

"Sì. Vi porto i saluti di re Bard. E sono felice di rivedervi." rispose Regan, con il cuore che batteva all'impazzata. Si era quasi scordata dell'emozione di parlare con lui. Aveva immaginato quel momento quasi ogni giorno, durante l'ultimo anno. Questa volta non erano più all'interno di una tenda da campo, con il freddo gelido e la paura di quello che stava per accadere. Questa volta era nell'intimità del suo regno, fra i suoi elfi, fra la sua gente. E lei non era più la ragazza spaurita, con un abito logoro, e il volto pallido. Inoltre, cosa più importante, ormai lo conosceva: non avrebbe più perso la calma di fronte ai suoi sguardi altezzosi. Era maturata anche lei, era diventata una donna riflessiva, più saggia. Sentiva, in quel momento, di essere pronta ad affrontarlo.

"Mi hanno detto che hai attraversato il territorio a Sud del mio regno in meno di un giorno. Non è da tutti." le disse, con la sua voce profonda.

"Sì. Ho risalito il fiume, questo ha accorciato il mio cammino." spiegó Regan. Scorse un lampo negli occhi dell'elfo: era come se fosse sobbalzato nel sentire la parola fiume.

"Immagino la tua delusione, quando ti è stato detto che non ero qui." disse il Re.

"Se devo essere sincera, è stato più forte il panico, quando sono stata arrestata ingiustamente." osservó Regan, che ancora non aveva digerito il trattamento a lei riservato.

Il Re sorrise, e le disse: "Non hai perso la tua impertinente loquacità, vedo." poi tornó serio: "Questo è ció che capita quando si entra nel mio regno senza permesso e senza invito. I miei Elfi non hanno fatto altro che eseguire i miei ordini."

"Questo mi è già stato detto dal capitano Feren. Avrei preferito che i vostri elfi fossero meno solerti." rispose la donna. "Ad ogni modo, sono qui perché il mio re è preoccupato. Mi ha mandato a chiedervi che cosa è capitato al vostro popolo. Non sappiamo più nulla di voi da molti mesi."

Thranduil a quel punto si alzó in piedi e discese quei pochi scalini che lo separavano da dove era ferma lei.

"Sono tornato stamane dal Lothlórien, dove ho incontrato Lord Celeborn e Dama Galadriel. A Sud, nel regno di Mordor, qualcosa pare essersi svegliato. Già lo scorso inverno, dopo la battaglia nell' Erebor che credo ricorderai, ho avuto la sensazione che una nuova minaccia fosse in arrivo. Il Nemico è stato solo apparentemente sconfitto, una parte del suo potere sopravvive, e cresce. Ho deciso che il mio regno sarebbe diventato inaccessibile a chiunque, inclusi voi mortali di Dale." disse, camminando lentamente attorno a lei, che a fatica rimaneva immobile. Sentirlo così vicino le dava un brivido. "Lord Celeborn ha confermato i miei sospetti. Ci siamo spinti fino ai confini di Mordor, da dove il Monte Fato è ben visibile: il male che vive laggiù è come una scintilla destinata a diventare incendio...e lo diventerà, lo abbiamo sentito entrambi. Una forza che potrebbe travolgere il nostro pacifico mondo. Dovresti informare di questo il tuo Re, e dirgli di costruire mura più alte di quante ne abbia mai viste lui stesso."

"È precisamente quello che faró. Si aspetta difatti una messaggio da me." disse Regan, sperando che il suo nervosismo non fosse troppo evidente.

"Sarebbe più opportuno che tu tornassi fra la tua gente, anzichè scrivere lettere." disse il Re, "Il mondo per come tu lo conosci sta per cambiare. Non allontanarti dal tuo sangue." Si era fermato accanto a lei. Regan non osava voltarsi.

"In verità ho preso la decisione di partire per un viaggio. Bosco Atr...cioè Boscoverde, era la prima destinazione. Ma non mi fermeró qui, e non torneró a Dale. Con il permesso di Bard e della mia famiglia, visiterò Gran Burrone, dove Lord Elrond mi attende. E poi voglio vedere lo splendore del Lothlórien, la verde Contea degli Hobbit. E naturalmente il territorio del Lindon... Per un motivo che ben conoscete." riveló.

"É incomprensibile che tuo padre te l'abbia permesso. E' un viaggio rischioso." obiettó l'Elfo.

"Anche vostro figlio Legolas, se ben ricordo, è partito tempo fa. Ció non vi preoccupa?" osó chiedere lei. Regan si aspettó a quel punto una risposta tagliente, o peggio. Cosa le era saltato in mente di nominare Legolas? Non rammentava che la sua partenza era stato un grande dolore per il Re? Ma perché diceva sempre la cosa sbagliata al momento sbagliato di fronte a quella creatura?

Ma Thranduil non sembrò aversene a male. "Mio figlio è addestrato a combattere, e a combattere in modo eccezionale. Può difendere se stesso da qualsiasi nemico. Tu, invece..." e si voltò, osservando il suo trono.

"Certo non combatto come una guerriera elfica delle vostre compagnie, ma ritengo sia giunto il momento per me di affrontare ció che esiste al di fuori della mia terra. Sono adulta." osò replicare lei.

"Sono sicuro che tu lo creda." le disse, con velata ironia. "Non dovremmo avere troppe certezze riguardo a noi stessi. " aggiunse, e si voltó verso di lei. "Ma ora, vorrei che tu mi dicessi il vero motivo per cui sei qui."

Regan trattenne il respiro. Il suo cuore avevo fatto un balzo nel petto. Attese qualche secondo, poi provó a rispondere: "È scritto a chiare lettere su quella pergamena che il vostro capitano custodisce. È stata una decisione di Bard, e di mio padre. Noi volevamo..."

"Ti ho già ammonita una volta: non mentirmi." disse Thranduil. Stavolta la donna provó a reggere il suo sguardo, e fu oltremodo difficile. Improvvisamente, le labbra del Re si schiusero in un sorriso che le ricordó molto, troppo, il ghigno allusivo di Rael.

"Non capirò mai voi Mortali. Inseguite sogni impossibili, pur sapendo che questo vi porterà all'infelicità." disse lentamente, fissandola.

A quelle parole, Regan arrossì violentemente e il suo cuore perse un battito.

"Ti do la possibilità di restare qui per qualche tempo, se vuoi. Solitamente non accolgo visitatori, il mio Regno non é aperto a qualsiasi vagabondo, come é invece Rivendell..." - non le sfuggí la frecciata a Elrond - "...ma tu mi diverti. O meglio, la tua presunzione mi diverte. Come l'antica regina di cui hai preso il nome, Regan di Arnor, ti illudi di sapere e di comprendere...e ti perdi in sciocche fantasie." le disse. Poi si voltó e scambió qualche frase con Feren. Dopo averle lanciato un fugace sguardo, s'incamminó deciso verso uno degli innumerevoli anfratti di quel reame e sparì. Non le aveva dato tempo di replicare.


"Il Re si è ritirato. Dice che sei libera di visitare il resto del reame, salvo le zone proibite. Informeró Nim. Puoi tornare nella tua stanza." le comunicó l'elfo soldato, con un sorriso che di amichevole aveva ben poco.

🌿🌿🌿

Regan era assolutamente incredula.

L'incontro con Thranduil era durato una manciata di minuti, e l'esito era del tutto inaspettato. In quelle ore che avevano preceduto il colloquio con il re, Regan aveva immaginato che sarebbe stata accompagnata senza tanti complimenti ai confini del reame già l'indomani, esattamente come era capitato a suo zio un decennio prima.

Se dovevano cacciarla a pedate, aveva pianificato almeno di farsi scortare al confine ovest, dal quale erano entrati i nani di Thorin. Da lì, con qualche giorno di cammino sarebbe arrivata finalmente a Gran Burrone. Ora quella decisione di Thranduil cambiava la sua prospettiva sul futuro. Le era stata data possibilità di scegliere, ma aveva avuto la strana sensazione che il Re avesse scelto per lei. E poi, quella strana luce negli occhi dell'Elfo...era come se l'avesse derisa, in qualche modo. Come se avesse preso in giro le sue emozioni.

Feren aveva già dato disposizione a Nim di prepararle qualche veste elfica adatta a quel posto: Regan aveva notato con imbarazzo lo sguardo compassionevole di Feren mentre osservava la sua tenuta da raminga. Probabile che avesse chiesto a Nim di rendere la donna mortale presentabile davanti agli altri Elfi.

Dopo il tramonto, la dama elfica si era presentata alla porta di Regan con un pezzo di formaggio e pane, le solite foglie di insalata e delle noci. Aveva avuto ben due brocche d'acqua, per le quali fu infinitamente grata, e un piccolo libricino in grezza carta, dalle pagine bianche con annessa penna e inchiostro.

"Cosa devo farmene?" chiese Regan, confusa.

"È un mio regalo. Il capitano Feren non sa che te l'ho portato." ammise Nim, con grazia. "Devo chiederti perdono, ma in tua assenza ho aperto i tuoi due libri. Quello sugli elfi contiene pensieri e descrizioni errate su di noi." e la guardó corrugando la fronte. "Non so chi l'abbia scritto, ma di certo si trattò di un mortale che non è mai davvero entrato in contatto con la nostra gente." disse.

"Non devi preoccuparti, Nim. Se vuoi, hai il permesso di leggerli. Anche se, da quello che mi dici, dovrei buttarli." sospiró Regan. "Cosa c'è di sbagliato in queste pagine?"

"Beh, i racconti a proposito del mio popolo sono quantomeno curiosi. Per cominciare, si dice che le donne elfo non partoriscano piccoli, ma...uova. Non è affatto così, e ti devo confessare di aver riso di gusto! Le nostre gravidanze, e parti, sono simili a quelle di voi mortali, soffriamo lo stesso dolore, e viviamo la stessa grande gioia." disse Nim.

"È probabile che chi ha scritto questo libro si basasse su voci, o leggende." disse Regan, un po' a disagio. "io stessa leggendolo, a volte sono rimasta scettica di fronte a certe descrizioni..."

"Allora perché porti appresso quel volume con te, nel tuo viaggio?" chiese Nim.

"Perchè nonostante tutte le imprecisioni, è l'unico libro esistente su di voi. Ho pensato che mi sarebbe tornato utile." rispose la donna.

"Ed è per questo che ti faccio dono di questo. Le sue pagine sono ancora tutta da scrivere. E sai una cosa? Dovresti farlo tu. Fino a quando il tuo cuore vorrà rimanere qui, avrai modo di vedere con i tuoi occhi come viviamo, com'è la nostra cultura, come sono le nostre usanze." le disse l'Elfa. "Scriverai il più grande saggio mai esistito sugli Elfi di Eryn Galen, e in esso racconterai solo la verità. Il tuo libro verrà letto dalle generazioni a venire."

"Ti ringrazio. Non so se ne saró all'altezza, ma l'idea mi solletica. Sono privilegiata ad essere qui, lo so." disse Regan con un sorriso.

"Ti chiedo solo una piccola cortesia: avrei bisogno anche di carta da scrivere, una pergamena. Devo preparare un rapporto per il mio Re."

"E come pensi di farglielo avere?" Si informò Nim.

"Sono stati presi precisi accordi con i barcaioli di Pontelagolungo, uno di loro mi aspetterà di tanto in tanto al pontile sud del regno, da dove sono entrata. Gli consegnerò la lettera." spiegó lei.

"Ti illudi se credi che il nostro Re ti permetterà di entrare e uscire dai confini." disse Nim. "Se ti avventurerai ancora oltre la diga, non ti sarà più concesso rientrare".

Regan venne presa improvvisamente dal panico. Già, non aveva pensato a quello. Eppure, Bard doveva ricevere quella lettera. Al di là delle preziose informazioni su Mordor che aveva avuto dal re elfo, doveva far pervenire notizie di lei. Se fosse scomparsa per molti giorni, di sicuro Bard, suo padre e sua madre, si sarebbero preoccupati enormemente. Erano già passate quasi sei giorni dalla sua partenza, e non aveva ancora avuto modo di comunicare con la sua gente. Era probabile che a Dale fossero già tutti in apprensione.

"Sentimi bene, Nim. Credi sia possibile che uno di voi elfi recapiti la missiva che sto per scrivere al regno di Dale? Non vorrei che la mia famiglia si preoccupasse." le chiese con agitazione improvvisa.

L'Elfa la squadró: "Credo tu abbia sentito le parole del mio sovrano. I confini sono chiusi, nessun Elfo uscirà dal nostro territorio. Mi dispiace."

Regan avvertì di nuovo la sensazione di terribile angoscia di quando Rael l'aveva spinta nella minuscola cella, nei sotterranei.

"Ti prego, io devo far sapere ai miei genitori che sto bene. Almeno questo!" la imploró.

Nim restó in silenzio per qualche attimo. Poi le disse: "Ti porteró quello che hai chiesto. Scrivi il tuo messaggio e dammelo più tardi. Ci penseró io."

Poi la lasció di nuovo sola in quella stanza illuminata solo da candele. Regan si sedette al tavolo con il viso tra le mani. Poteva benissimo andarsene. Avrebbe potuto fare velocemente i bagagli, e lasciare quel regno. Lo sapeva. Nessuno poteva trattenerla, nè Thranduil avrebbe insistito perché rimanesse.

Ma dentro di lei, una voce misteriosa le suggerì che non doveva farlo. Non ancora.

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Capitolo 10
*** Vita e morte a Boscoverde ***


Nim fu di parola.

Quando Regan le consegnó la lettera destinata a Bard, l'elfa la informó che un suo piccolo amico di nome Caleth si sarebbe addentrato nella boscaglia e l'avrebbe portata di soppiatto ai barcaioli che attendevano sull'argine. Era un elfetto non ancora adulto, e se fosse stato mortale avrebbe avuto sui dodici anni, calcolò Regan. Non parlava la lingua degli uomini, Nim faceva da traduttrice. Di tutti gli elfi che la donna aveva incontrato, Caleth era forse quello che somigliava maggiormente a quelli disegnati sui suoi vecchi libri: i capelli biondi e gli occhietti vispi color cielo, il nasino deliziosamente all'insù, la tunichetta verde bosco lo facevano somigliare ad un grande giocattolo vivente, di quelli che si regalavano ai bambini al Solstizio di Inverno. Gli mancava un cappello a punta con sonagli.

Regan diede precise istruzioni al piccolo: gli disse di recarsi il terzo giorno della settimana a venire sul pontile al quale l'aveva portata il chiattaiolo, e di attendere lí l'arrivo di qualcuno. Strappò il vecchio sigillo della prima pergamena, e gli raccomandò di mostrarlo al pescatore o a chi Bard avrebbe inviato, di modo da dimostrare che la lettera proveniva proprio da lei. Caleth annuí alle parole di Nim, che stava traducendo in elfico, e poi rispose qualcosa.

"Dice che ti puoi fidare. Dice che nessuno conosce la foresta meglio di lui. Sa di scorciatoie nascoste che gli elfi di vedetta non percorrono mai." riferí l'elfa. Regan lo guardò con gratitudine e ricevette in cambio un sorriso furbo. Poteva fidarsi di quella creaturina? Non aveva scelta. Non le restava che mettere da parte le sue diffidenze e rischiare. Non era forse partita per quello? Per andare incontro a dei rischi, per metterse se stessa alla prova al di fuori della casa di mamma e papà?

Era passata ormai una settimana da quando la donna era stata ufficialmente accolta nel grande Reame Boscoso. Nim l'aveva condotta attraverso la parte orientale di quel grande antro, le aveva mostrato le zone proibite, e quando Regan aveva chiesto come mai fossero inaccessibili, la sua risposta fu che un tempo solo la regina di Boscoverde si recava in quei luoghi. Erano una specie di area benedetta dal suo spirito, dal suo ricordo.

Regan non aveva pensato affatto alla defunta sposa di Thranduil, mentre si trovava lì. Era strano: in tutti quegli anni non si era mai chiesta come si chiamasse, nè che aspetto avesse avuto in vita.

Perfino suo padre non lo sapeva, e quando si riferiva a lei, mentre raccontava alla figlia storie sugli elfi, la descriveva sempre come la "regina del Bosco Oscuro."

Regan si era immaginata fosse una splendida ed eterea creatura, dai lunghissimi capelli dorati e dagli occhi blu come la notte. Non conosceva alcun dettaglio certo su di lei...sapeva solo che era stata barbaramente uccisa degli orchi nell'antico regno di Angmar, secoli prima. Un territorio permeato da malvagità, la cui roccaforte, Gundabad, veniva utilizzata come punto di partenza per tutti gli attacchi di quelle orrende bestie che nei secoli si erano succeduti.

Thranduil e la sua sposa, con esercito al seguito, avevano oltrepassato Gundabad, decisi a sterminare le legioni di orchi che proliferavano ad Angmar. I due, durante la folle battaglia, si erano separati. Trovatasi sola, la regina era stata accerchiata dagli Orchi, che non si erano limitati ucciderla, ma avevano smembrato il suo corpo per poi darlo alle fiamme. Si erano accaniti su di lei per umiliare Thranduil. Quando il re fu giunto finalmente sul luogo dove la sua amata era stata colpita, non aveva trovato altro che un cumulo di cenere. Era stato quello il momento in cui il cuore del grande Re elfo, già colpito dalla morte del padre, venne serrato ancora di più al resto del mondo.

Regan non aveva mai capito come mai la moglie di Thranduil fosse andata insieme al Re a rischiare la vita in quel regno maledetto. Legolas era già nato, come mai non era rimasta al sicuro nel loro territorio a prendersi cura di lui? Decise di chiederlo a Nim.

Stavano passeggiando insieme sulla grande terrazza al lato Est del bosco, costruita in un punto in cui gli alberi si aprivano e dalla quale si poteva ammirare l'orizzonte fin quasi a intravvedere la Montagna dei Nani. Era quasi il tramonto.
 
"Nim, vorrei chiederti una cosa sulla vostra regina." L'elfa si giró a guardarla.

"Non sarebbe permesso parlare di lei. È come se il Re sentisse qualcosa dentro di sé, un dolore sordo, quando uno di noi la nomina." poi sorrise, "Ma chiedi pure. In fondo, sei una mortale. Per te questa regola non dovrebbero valere."

"Come si chiamava? È buffo: in nessuno dei libri che ho letto la vostra Regina ha un nome." chiese come prima cosa.

"Si chiamava Calenduin." Rispose Nim. "Significa verde fiume in elfico".

"Calenduin..." ripetè lentamente la ragazza. "Suona molto elegante. Immagino fosse una donna meravigliosa, di una bellezza inarrivabile." disse.

"Io non l'ho mai vista. Nacqui qualche secolo dopo la sua morte. Ma chi l'ha conosciuta, la descrive come una combattente temeraria e gentile. Non credo avesse una bellezza particolare. Non come quella di dama Lúthien, o di Galadriel, ad esempio." ricordò Nim.

"Invece io immaginavo fosse una Sindar, come Thranduil. E che in qualche modo somigliasse a lui." si stupì la donna.

"Hai letto molti libri, ma non rammenti la storia. Dovresti sapere che Re Oropher e suo figlio furono gli unici Elfi Grigi ad essere mai giunti a Boscoverde. Non c'erano donne con loro. In verità, se a Legolas capitasse qualche cosa, la loro razza si estinguerebbe qui ad Est." spiegó l'elfa. "Calenduin era un'elfa silvana, non molto diversa da me e da Tauriel. Una guerriera, formidabile con arco e frecce. Un dono che ha trasmesso al Principe. Thranduil la scelse come sposa perché voleva che il suo sangue si unisse a quello di noi Elfi Silvani. Voleva che la sua razza e la nostra si fondessero. Legolas nacque presto, e fu la loro gioia fino...ad Angmar." disse Nim. "Credo tu sappia cosa capitó laggiù."

"Sì, so che fu un orrore difficile da dimenticare. Quello che vorrei chiederti è proprio questo: come mai la Regina, Calenduin, andó a rischiare la vita laggiù?" chiese Regan.

"Perché era nella sua natura di guerriera. Non avrebbe mai lasciato il marito e lui lo sapeva. L'aveva presa in moglie anche perché poteva combattere al suo fianco. Voleva che anche la sua Regina fosse in grado di difendere questo popolo. Il piccolo Legolas fu lasciato qui, alle cure...di mia madre." Regan la guardó stupita. "È stata mia madre, Morath, ad allevare Legolas. Quando il Re tornó da Angmar, era cambiato. Inizió incomprensibilmente a tenere le distanze dal figlio. Era come se...non riuscisse a guardarlo, forse perché gli ricordava lei."

Regan credette subito a quelle parole. Aveva visto lei stessa, a Dale un anno prima, la freddezza con cui Thranduil aveva trattato il figlio, quando Legolas aveva preso le parti di Tauriel. Ma c'era un'altra cosa che non le tornava. "Nim, hai detto che il tuo Re aveva scelto Calenduin come sposa...ma...non si era anche innamorato di lei?" chiese.

"Ma certo. Si amavano molto. Vedi quelle cascate laggiù? Sono inaccessibili a chiunque perché spesso il Re e la Regina vi si recavano insieme. Pare che Legolas sia stato concepito lí." aggiunse con un sorriso. 

"Il Re ha fatto sistemare una statua dedicata a Calenduin all'entrata Ovest del Bosco. Mi piacerebbe condurti lí e mostrartela, anche perché quel monumento è ricoperto da rovi e sterpaglie, ho saputo. Nessuno si reca più in quella zona, ed è lasciato in stato di abbandono." disse Nim, mentre con delicatezza si lisciava una ciocca di capelli fra le mani.

"Cosa?! La statua della vostra Regina...dovrebbe essere sorvegliata. Il Re non va mai lí?" si meravigliò la donna.

"No. È un po' come con Legolas...vederla risveglia in lui ricordi dolorosi, credo. Inoltre, quella parte del bosco brulica di ragni giganti. Si dice siano progenie di Shelob, quel mostro orrendo che..." rispose l'Elfa.

"Ci sono ragni giganti nella vostra foresta, non ne sapevo nulla!" esclamò Regan, turbata. "Io ho attraversato da sola quel bosco...avrei potuto imbattermi in quelle creature!"

Perché Balin non gliene aveva parlato?

"...allora forse i Nani di Thorin li hanno veduti...loro sono entrati da quella parte." disse Regan.

Nim rise. "A dire il vero, Thorin Scudodiquercia e i suoi furono fatti prigionieri dalle loro ragnatele. Vennero liberati dal Principe Legolas e da Tauriel. Non te l'hanno raccontato perchè non ammetterebbero mai di essere stati salvati da un gruppo di Elfi. Per loro è un gran disonore."

Regan pensò che in quell'occasione Kili e Tauriel dovevano essersi incontrati per la prima volta. Chissà, forse lei gli aveva salvato la vita. "Più passo il tempo con te e più mi rendo conto di non sapere quasi nulla della vostra storia, di quel che è capitato qui. Capisco cosa intendeva dire il tuo Re l'altro giorno. Tutte le mie certezze sono messe in discussione, Nim."

"E questo è senz'altro un bene, Roswehn." rispose la donna Elfo.

"Non sono ancora abituata a sentirmi chiamare col mio vero nome..." disse Regan. "A Dale nessuno lo fa, a parte una fioraia pettegola..."

"Il tuo nome nella lingua Dalish è molto poetico...rosa bianca...ed è una piccola cosa che abbiamo in comune: sai cosa significa nim, in elfico? Significa bianca. " le disse l'Elfa, con un sorriso.

"E roswehn come si può tradurre?" chiese la donna umana, incuriosita.

"Beh, ros- significa fontana oppure onda. Mentre -wehn significa ragazza." spiegò Nim.

"Quindi sarebbe ragazza dell'onda...non è un granché." si lamentò Regan, con una smorfia.

"In verità, la traduzione più corretta sarebbe ondina. Tu sai cosa sono le ondine, vero?" chiese l'Elfa.

Certo che lo sapeva. Erano creature delle favole, simili alle fate, ma non avevano ali e vivevano sull'acqua, fra le paludi, attorno agli stagni, ai ruscelli, ai...fiumi. Facevano innamorare gli uomini e poi li trascinavano con l'inganno verso l'acqua, dove spesso affogavano. Non erano spiriti benevoli.

"Ora non mi dire che esistono anche le fate e le silfidi, te ne prego. La mia testa già scoppia se penso a quanti strani esseri ho visto negli ultimi mesi." disse Regan, portandosi le mani alle tempie. "Che gli dèi mi aiutino...mi sembra di vivere in un sogno. Certe volte mi auguro di risvegliarmi di colpo..."

"Non so se esistano, non ne ho mai viste. Nemmeno di notte, durante le nostre feste. Qualche volta Caleth mi ha raccontato di aver visto piccoli scintillii nel cielo, ma forse erano lucciole." rivelò Nim, guardando in alto, nell'aria.

Il viso Regan si accese di improvviso interesse: aveva dimenticato le famose feste degli Elfi. Ecco cosa le rimaneva da fare prima di lasciare quel Regno, voleva assistere a uno di quei raduni. Era sinceramente curiosa di vedere quello che sarebbe capitato.

"Queste feste di cui parli... Quando hanno luogo?" si informó.

"Ogni Luna Nuova...e ad ogni solstizio ovviamente." rispose l'Elfa, mentre inizió ad alzarsi un vento fastidioso. "Immagino tu voglia parteciparvi."

"Sì. Sono curiosa di assistere a questa celebrazione della vostra vita. È vero che durano tutta la notte fino all'alba del giorno dopo?" chiese lei.

"Durano fino a quando il nostro Re desidera." rispose Nim.

"Lui partecipa?" si stupì Regan. Nemmeno se l'avesse visto con i suoi occhi avrebbe creduto che fosse un tipo festaiolo. "Scusa, fatico a immaginarlo."

"No, ovviamente. Lui non ama mischiarsi a noi. Il più delle volte, ci osserva dal suo trono... oppure dà disposizione ad altri di iniziare e concludere la celebrazione, mentre lui rimane confinato nelle sue stanze. É con il Capitano Feren che comunica più spesso, e, tempo fa, anche con Tauriel. Ma è come se non gradisse avvicinarsi troppo al resto della popolazione di questo bosco. Io non ho mai avuto l'onore di parlare con lui." aggiunse Nim.

Eppure scelse una donna della vostra gente come moglie. Curioso, pensó Regan.

"Comunque..." continuó l'Elfa, "noi tutti lo amiamo e rispettiamo. Ha sempre protetto la nostra comunità. Le sue decisioni sono sempre state a nostro favore."
"Non ne dubito." disse Regan, con una smorfia. Inclusa quella di ricattare mio zio, pensó ancora. "Perché non si è mai risposato?" chiese ingenuamente.

Nim sgranó gli occhi e la guardó come se l'avesse vista uccidere un gattino a sangue freddo. Era assolutamente sdegnata.

"Risposarci...questa è una cosa che noi non facciamo!" rispose.

Regan arrossì: "Beh scusami... mi stavo solo chiedendo come un uomo...cioè un elfo così...affascinante..."

Nim la guardó corrugando la fronte. Regan pregó perchè una buca si aprisse improvvisamente sul pavimento e la inghiottisse. Era più che imbarazzata. "Insomma, deve passare l'eternità...in solitudine? Lord Elrond si è sposato due volte...la seconda sposa è stata una donna mortale. Non credo fosse una domanda tanto stupida..." disse Regan.

"Lui è un mezzo sangue...è libero di ignorare le leggi degli Elfi. Sua figlia Arwen potrà perfino scegliere se vivere come un elfo o come un mortale, poichè sua madre era umana come te. Ma per noi, e per il Re, è diverso. Questa è la legge di Manwë." disse freddamente Nim.

"Già, il vostro dio..." mormoró Regan. "Immagino che la sua Regina lo stia aspettando nell'altra vita. Dovrà aspettare a lungo."

"Se la morte di un elfo è stata violenta, il suo spirito va a Valinor, nel giardino di Mandos. Lì attende la reincarnazione, oppure puó scegliere di tornare sulla Terra di Mezzo e rimanere in forma di spirito, benedicendo con la sua presenza i luoghi che lo videro in vita. Calenduin ha già scelto." disse l'elfa.

"È diventata spirito." disse Regan.

"Proprio così." confermó Nim. "Questo è uno dei motivi per cui Lord Thranduil ha lasciato che il suo cuore diventasse gelido."

Regan la guardó con aria interrogativa. Il vento nel frattempo era diventato più forte.

"La sua Regina ha scelto di non reincarnarsi...ha scelto...di non tornare da lui." terminò Nim.

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Capitolo 11
*** Regan di Arnor ***


"Hai avuto notizie della figlia di Monrose?" chiese Elrond.

"No. So che è partita da Dale verso la metà di maggio, avrebbe dovuto fermarsi a Eryn Galen solo pochi giorni." rispose Lindir.
Passeggiavano sotto uno dei numerosi portici di Rivendell. La giornata era calda e luminosa. "Dite che le è successo qualche cosa? Avrebbe dovuto essere qui da tempo". 

"Sono sicuro di no. È probabile che abbia scelto di rimanere per Thranduil. " rispose Elrond, scuotendo il capo.

"Il figlio di Oropher ha lo stesso magnetismo del padre, a quanto pare." sorrise Lindir. "Ma quella donna andrà incontro ad un grave dispiacere se si perde in queste illusioni."

"Non c'è da preoccuparsi. È giovane, non ha esperienza del mondo, sta attraversando una fase di conoscenza e crescita. In verità, quando l'ho conosciuta l'ho trovata molto arguta. E riflessiva...insolitamente riflessiva." aggiunse, parlando piano.

"Cosa volete dire?" disse Lindir, curioso.

"Che mi fa pensare a qualcuno, amico mio. Qualcuno dimenticato da tempo. Qualcuno che si ritiró dal mondo prima di terminare il suo compito." rispose Elrond, girandosi a guardare l'Elfo.

Il suo consigliere non capiva."Chi?"

"Conosci la storia del Regno di Arnor?" chiese Elrond.

"Sì, è un antichissimo Reame non più esistente. Fu fondato dai Numenoriani in esilio guidati da Elendil, figlio di vostro fratello Elros...ed un tempo era unito a Gondor. Elendil era sovrano di entrambi i regni. La morte di Isildur portó alla separazione dei due territori e Valandil, figlio di Elendil, prese il potere su Arnor. Il regno si espanse, divenne potente e ricco... ma la guerra contro Angmar lo indebolì. Venne distrutto definitivamente nell'anno 1975 di questa Era. Ora non è che un deserto di pietra fra le montagne." rispose Lindir.

"Esatto. Tu sai anche che Valandil ebbe una figlia? La sua unica erede." disse Elrond.

"Già, la principessa Regan, poi divenuta Regina negli ultimi anni. Sparita misteriosamente, fu rintracciata nel Lindon. Si era rifugiata dagli Elfi Verdi, quando aveva compreso che Arnor era perduta." spiegó Lindir. "Morì di stenti e vecchiaia."

"Era una mia pronipote, ma non l'ho mai incontrata; so che era una donna intelligente e sensibile. Aveva cuore e carisma. Una vera erede di Elendil. Se Arnor non fosse caduta sarebbe diventata una sovrana leggendaria. Avrebbe riunito Gondor e Arnor in un regno vastissimo, forse il più grande mai esistito nella Terra di Mezzo." aggiunse Elrond.

"Ma scelse di scappare, Elrond. La storia dice questo." disse Lindir amaramente.

"Regan subì gravi perdite nella sua vita: la madre morì alla sua nascita e lei, una volta cresciuta, visse il trauma di scoprire il cadavere del padre, morto dopo aver ingerito veleno. Quando si accorse che legioni di Angmar avrebbero invaso Arnor, poichè troppo numerose, Valandil si perse d'animo e scelse la morte: non voleva cadere preda degli Orchi. Lasció il potere in mano alla figlia, già adulta, credendo che sarebbe stata risparmiata. Gli Orchi di Angmar vennero fortuitamente fermati al confine con Arnor, respinti dai coraggiosi soldati del Regno." continuó Elrond, mentre Lindir lo ascoltava con interesse. Non conosceva questi dettagli. "La sua scelta di andare dagli Elfi non fu una resa. Fu il tentativo di trovare pace in una vita tormentata."

"Già, ma abbandonó le sue responsabilità, la sua gente." obiettó Lindir. "E ci sono anche voci che narrano di una sua conversione al culto di Morgoth prima di morire."

Elrond non fu d'accordo. "Arnor era condannata. Precedenti eventi catastrofici avevano comunque decimato la popolazione. Quel Regno era destinato a diventare fantasma." Elrond sapeva che Regan aveva anche tentato di portare con sé la rimanente popolazione, ma i suoi sudditi, troppo spaventati all'idea di lasciare le loro case, si erano di fatto condannati allo sterminio per opera delle forze maligne di Angmar.

"Non capisco come tutto questo c'entri con la figlia di Monrose, Elrond." disse d'un tratto Lindir. Era confuso.

"Non so. Una strana sensazione. La giovane Roswehn ha una gran conoscenza della storia di Arda, specie la storia di Arnor. Si fa chiamare Regan, perfino." disse Elrond.

"Questo è tipico di chi si perde in fantasie, come dite faccia spesso quello ragazza. Si identifica in qualcuno che ammira, tutto qui." rispose l'Elfo.

"Sì ma...quella forte attrazione verso gli Elfi...La sua cultura, tutti quegli anni passati a studiare...come se si fosse preparata per qualcosa. E poi, è anch'ella piuttosto forte e risoluta. Ha difeso con coraggio il popolo di Dale contro Azog e i suoi." mormoró Elrond.

"Volete forse dire che si tratta di una specie di...di...reincarnazione?" azzardó Lindir, sorridendo. "Le anime dei mortali non possono farlo, lo sapete."

"Non esserne certo." disse Elrond. "Tutto può capitare a questo mondo, specie se intervengono forze malvagie e incontrollabili. Certo è che Regan lasció questo mondo piena di rimpianti. Non ci sarebbe da stupirsi se il suo spirito desiderasse tornare. Ma forse hai ragione. Sto permettendo alla mia immaginazione di avere la meglio sulla mia logica." ammise con un sospiro. "Spero solo che la figlia di Monrose non abbia irritato di nuovo Thranduil, e che il suo ritardo non sia la conseguenza di qualche punizione."

"O forse Thranduil vuole tenerla nel suo regno. Magari lo ha stregato. " rise Lindir. "Anche se ne dubito."

"Oh no. Questo no. Probabile che per lui quella donna sia un fastidio. Conosci le sue opinioni riguardo agli umani. La terrà ospite a Boscoverde in considerazione a Bard, come avevo predetto al padre." rispose Elrond. Poi guardó verso una fontana, doveva una bambina elfo giocava con gli spruzzi. "Arwen cresce a gran velocità, Lindir." un fremito gli attraversó il cuore. "E se dovesse lasciarmi, come Roswehn ha fatto con i suoi? Saprei sopportare la lontananza?" chiese.

Lindir disse: "Succederà prima o poi. Solo, auguratevi che si allontani da voi per andare verso la felicità. Non per fuggire da qualcosa."

Lo spero con tutto cuore, caro amico. Con tutto il cuore, pensò il Signore di Gran Burrone.


🌿🌿🌿

Caleth era tornato dalla sua missione con aria trionfante.

Aveva consegnato il messaggio a un pescatore, inviato da re Bard. Regan si sentì sollevata. Almeno i suoi genitori avrebbero saputo che lei era viva, e che stava relativamente bene.

Erano già passati dieci giorni dalla sua non proprio entusiasmante entrata a Boscoverde. Aveva deciso che era arrivato il tempo di andarsene. Non aveva potuto assistere a una delle famose feste notturne, ma ritenne che non fosse così importante. Ormai, aveva scoperto molto sulla cultura di quel popolo. Ogni giorno prendeva appunti, con scrupolo. Caleth si era appropriato dei suoi antichi e consunti saggi, e li sfogliava avidamente nonostante non capisse una parola di quello che c'era scritto. Aveva riso come un matto osservando le illustrazioni che rappresentavano gli elfi.

"È divertito perché queste figure hanno orecchie troppo lunghe!", disse un giorno Nim, che come l'elfetto ogni tanto andava a trovare
Regan nella sua stanza, di sera.

"Beh, ma questi non siete voi. Sono gli Elfi oscuri." chiarì lei, mentre tentava di descrivere nel suo libro la stanzetta che la ospitava. Non riusciva a disegnare in modo convincente il letto, in cui peraltro dormiva benissimo.

"Non è mai esistita una razza oscura, se con oscura intendi malvagia." obiettó Nim.

"Coloro che non compirono il Grande Viaggio verso Valinor e che non videro la luce dei Due Alberi. Sai che gli Elfi di razza Sindar, o Grigi, fanno parte di quel gruppo? Dunque anche il tuo sovrano".

Nim ascoltava perplessa.

"Non è buffo che io conosca la storia del tuo popolo meglio di te?" le chiese Regan.

"Oh, ma quella è storia antichissima. Queste definizioni non sono quasi più in uso ormai. Come avrai notato, noi Elfi in generale siamo creature benevole, a prescindere dalle molte varietà di razza. Non esistono tenebre che ci circondino...se non quelle che porta la nostra amata notte." rispose l'Elfa.

"Sto per partire." disse improvvisamente Regan, fissandola.

"Lo so. L'ho capito da qualche giorno. È come se la tua fame di conoscenza fosse diminuita. O meglio, provi l'impulso di portarla da qualche altra parte." ribatté Nim, un po' intristita. Si stava affezionando a quell'umana chiacchierona e cosí bizzarra da voler avere ben due nomi. Era però anche molto intelligente e le piaceva la sua compagnia.

Regan confermò. "In verità, sento che non imparerei abbastanza su di voi nemmeno se rimanessi qui tutta la mia vita. Siete un popolo affascinante, così diverso da noi Mortali. Mi dispiace solo di avere avuto dubbi, in passato." confessò, con un sospiro.

Per essere più precisi, gli Elfi erano due spanne superiori agli Uomini in molti più aspetti rispetto a quello che aveva creduto la giovane Monrose. Adorava le loro maniere delicate, la perfezione dei loro corpi, l'armonia che regnava fra la loro gente. Era riuscita perfino a perdonare i loro modi aggressivi verso di lei, il giorno del suo arrivo.

Rael no, non era ancora riuscita a perdonarlo. Anzi, aveva in mente di dirgli altre due paroline prima della sua partenza.

"Mi piacerebbe visitare la tua Dale, sai." disse Nim, d'un tratto. "Dici che sarei ben accolta?"

"Saresti splendidamente accolta dal nostro Re Bard, di sicuro. Certo non ti farebbe rinchiudere." rispose Regan.

"Hai più avuto modo di parlare con Lord Thranduil?" chiese l'Elfa.

"No. Non l'ho più veduto. A proposito, dove passa la sue ore? Credevo fosse presente sempre, per sorvegliare la vita nel suo reame. Ma sembra sparito" ripose l'umana.

"Come Tauriel, passa molto tempo nei boschi, a raccogliere i pensieri. Non c'è molto da sorvegliare, la nostra gente vive in tranquillità e i confini, come tu stessa hai visto, sono protetti. Feren e altri suoi luogotenenti si occupano delle faccende interne. Spesso si reca vicino al fiume che attraversa il nostro territorio, quello che tu hai risalito. Esiste un tratto di quel fiume che, per via dei riflessi delle foglie degli alberi sulla superficie, sembra color smeraldo. La famiglia di Calenduin stanziava lì. Da lì venne il suo nome." spiegò la ragazza elfo.

"Molto romantico." disse seccamente Regan. "Avete un posto meraviglioso in cui vivere, Nim. Sei fortunata."

L'Elfa la guardó perplessa. Regan avvertì un forte nervosismo dentro di lei, si sforzó di mascherarlo.
"Ti irrita parlare della Regina, vero?" chiese d'improvviso.

 Regan deglutì imbarazzata. "No, affatto."

"Sei innamorata del nostro Re, non negarlo." disse Nim.

"Ma neanche un po'!" rispose con decisione la donna, alzandosi di scatto dal tavolo e urtando la clessidra che per poco non cadde. Non le era servito a niente quell'aggeggio. Aveva tentato di tenere la conta delle ore inizialmente, ma poi ci aveva rinunciato. In quel luogo, esistevano solo due dimensioni temporali: giorno e notte.

"Non è una cosa che puoi nascondere, amica mia." continuó Nim, incurante della sua reazione.

Regan a quel punto cedette. Che senso avrebbe avuto continuare a fingere? Perfino a sè stessa... Si coprì il viso con una mano. "Sono così stanca, Nim..." disse lentamente.

"Stanca di cosa?" chiese l'Elfa.

"Di sentirmi così...impotente verso quello che provo." ammise finalmente. Sentì che un grosso peso le si era levato dal cuore con quella confessione. "Tutte le volte che mi ha rivolto la parola, è stato gelido. Tutte le volte che io gli ho parlato, mi ha guardato con fastidio. Ogni suo sguardo verso di me tradiva solo pietà..."

Caleth nel frattempo si era appisolato sul letto di Regan. Le due donne parlavano la lingua comune di cui lui non capiva una parola. Gli era venuta sonnolenza.

"...allora perché non riesco a smettere di pensare al suo viso, dimmi. Che diritto...che diritto ha di invadere la mia mente in questo modo? È da più di un anno che mi ripeto di farla finita con questi sogni...ma non ci riesco". Si portó entrambe le mani sugli occhi. "È entrato nella mia testa e non ...puó ....farlo!" sbottó di colpo.

Nim la guardava con gravità. "Leva quelle mani dal volto, non c'è nulla di sconveniente in questi sentimenti. Solo, devi convincerti dell'assurdità di ció che desideri. Dell'impossibilità che ció si realizzi. Lord Thranduil non potrebbe mai darti quel cerchi. Mai. Sì, perché sei umana e perché troppo forte è il legame con Calenduin..."

"Lei è morta..." sussurró la donna.

"I nostri matrimoni sono legami dello spirito, Roswehn. Sono indissolubili." disse Nim.

"Non è voluta tornare da lui, lo hai detto tu..." mormoró di nuovo la mortale.

"Non importa, lui si sente legato a lei e sarà sempre così. Tu sei un'ospite da un altro regno e forse ti ha tenuta qui anche per darti modo di approfondire la conoscenza su di noi. Ma lo dici tu stessa, non ti ha più parlato negli ultimi giorni. Credimi, il Re vede te come vede tutti noi: siamo tutti piccole scintille per lui, quasi invisibili ai suoi occhi."

Regan sospiró e si passó una mano fra i capelli. Nim sentiva il suo dispiacere.

"So che vuoi andare a Imlradis. Mi sembra un'ottima decisione. Gran Burrone è diverso da questo luogo. C'è più luce, gli Elfi laggiù non si nascondono nell'ombra come noi. Ti farà bene." le disse Nim, con delicatezza.

La donna si riprese di colpo. Sembró ritrovare la lucidità.
"Giusto, mi farà bene. Certo, devo partire. Domani stesso..." sentì le lacrime riempirle gli occhi. Nim non doveva accorgersene. "Mi servirà un cavallo...dici che posso acquistarne uno da voi? Ho ancora dei soldi, le vostre guardie non me li hanno sottratti grazie al cielo..."

"Roswehn..."

"... e poi voglio portare con me una delle vostre vesti. Sono talmente leggere, adatte per camminare..."

"Roswehn."

"COSA?!" urló lei.

Caleth si destó di soprassalto.

La donna si giró verso Nim con il viso rigato dal pianto.

"Non fingere di essere più forte di quella che sei. Puoi piangere. Non c'è alcun male in questo." Poi l'elfa si alzó e prese il viso della sua amica fra le mani.

"Oh Nim, non è giusto...lui è così solo." Singhiozzó la donna, mentre Caleth si stropicciava gli occhi, confuso.

"Il nostro Re ha vissuto la sua vita. Ha amato, perduto, sofferto. Ha accettato il suo destino. Tu, invece, devi ancora costruirtelo. Non perdere ulteriore tempo qui." le disse, guardandola negli occhi. "Ho l'impressione che ci sia qualcosa di irrisolto in te. Non chiedermi perchè, ma avverto un'energia pronta ad esplodere. Cerca di indirizzarla verso la direzione giusta."

Come no, ho intenzione di farlo prima di quanto tu creda.

Nim indietreggió. C'era qualcosa che non andava. Aveva avvertito come una scossa, una sensazione di improvvisa e feroce ostilità. La ragazza era ancora lì che singhiozzava e si asciugava gli occhi con le mani. Non era da lei che veniva quell'energia negativa. Passava attraverso lei...ma non era generata da Regan.

"Caleth!" chiamó Nim, poi gli disse qualche parola in elfico, forse gli stava intimando di alzarsi. "È la tua ultima notte qui. Ricorda che per andartene dovrai comunque chiedere il permesso al nostro Re. Ti auguro buon riposo." Poi si giró e con Caleth lasció la stanza.

Per la prima volta, da quando Regan era lì, Nim aveva paura.

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Capitolo 12
*** I corvi di Pontelagolungo ***


"Non avreste dovuto lasciarla partire!" sbuffó Edith.
Era andata a trovare Yohlande e Hannes, dopo aver saputo che la ragazza aveva inviato un messaggio. Tutti e tre sedevano attorno al grande tavolo che faceva mostra di sè al centro del salotto.
"Che diavolo vuol dire torneró quando la mia mente sarà pronta ad affrontare la vita ? Ma che razza di scempiaggini sono?" sbraitò la fioraia.
"Ha scritto a Bard che sta bene, e che dobbiamo stare tranquilli. Per me questo è sufficiente. Fortunatamente gli Elfi la stanno trattando con riguardo." rispose l'uomo.
"E chi ti garantisce che sia stata lei a scrivere quella lettera? Potrebbero averla rapita e inviato un messaggio falso. Vi siete bevuti il cervello, ve lo dico io..." disse rabbiosamente la donna. "Se fosse stata mia figlia col cavolo che l'avrei lasciata andare!"
"Non è tua figlia, Edith. È mia figlia. E riconosco la sua scrittura. Adesso smettila, per favore." disse Yohlande.
"Ti ricordo che in parte l'ho cresciuta io. Veniva sempre a visitare il mio roseto quando era piccola, passava ore con me. E io ho scelto il nome per lei quando è nata in questo miserabile mondo. Quindi, la sento come fosse un po' mia...al contrario di voi due sono preoccupata. E tanto, se lo vuoi sapere!" rispose Edith. "Lasciarla sola con quei...quei...cosi dalle orecchie appuntite! Scommetto che l'hanno rinchiusa in una delle loro oscure grotte." continuó la donna. Era ormai da un'ora che proseguiva con quella litania. Covava un indistruttibile disprezzo verso gli Elfi, i Nani, gli Stregoni e tutte le altre creature diverse dagli Uomini. Se fosse stato per lei, Arda avrebbe dovuto essere popolata solo dai Mortali, in barba al fatto che gli Uomini fossero comparsi nella Terra di Mezzo ben più tardi degli Elfi.

"Se fosse rimasta a Dale sarebbe lentamente appassita...proprio come una delle tue meravigliose rose bianche, Edith. Avresti preferito questo per lei? Non so se il suo viaggio si rivelerà una buona idea o no, alla fine...ma so per certo che ora è più soddisfatta di quanto lo fosse qui." le disse Hannes. Quanto detestava discutere con Edith, quella donna non riusciva a tenere la bocca chiusa.
"Io credo invece che ora sia in catene e quel fasullo di Thranduil si stia facendo quattro risate alle vostre spalle." rispose Edith. "Avere per le mani la nipote di Viktor....figuriamoci...starà facendo scontare a lei l'astio verso tuo fratello. Gli Elfi non dimenticano, caro Hannes."
"Hai visto tu stessa Lord Elrond in visita qui da noi. Ti è parso un tipo sgradevole, forse? È un Signore, uno dei pochi, veri Signori che io abbia mai conosciuto. Sai che in passato anch'io nutrivo diffidenza verso i popoli elfici, ma sto cambiando idea grazie a lui, non l' avrei mai detto..." sorrise Hannes, scuotendo il capo divertito. Ma sapeva che erano parole sprecate. Edith era più cocciuta di un asino.
"Un Signore...beh io non dormo in una grotta. Non mi nutro di bacche e radici. Non mi denudo davanti a tutti per lavarmi sotto una cascata gelida..."
"...siano lodati gli dèi..." mormorò Hannes, trattenendo una risata. Yohlande gli lanciò un'occhiataccia.
"...e quelli sarebbero più civili di noi. Nah, non mi convincerete mai di questo." sputò la donna, facendo un gesto con la mano come per scacciare una mosca. "Inoltre Thranduil non è come Elrond. Lui e la sua gente sono furbi come piccoli dèmoni. Spero solo che non le mettano le mani addosso o andrò di persona in quel bosco a dare fuoco a tutto, lo giuro su mia madre, buonanima."
"Di questo non c'é pericolo. Dicono che gli Elfi siano molto casti. In tutta la loro vita immortale pare vivano l'amore fisico poche volte, e dopo aver avuto un figlio, smettono del tutto." disse Yohlande.
"Casti?! Scherzi? Quegli esseri sono ossessionati dalle donne umane... se potessero, ingraviderebbero tutte le femmine in età feconda di questa città e riempirebbero le nostre case di mostriciattoli mezzo sangue..." ribattè Edith seccamente.

"Questo mi fa tornare alla mente il giorno in cui Regan nacque..." riflettè Yohlande.
"Già. Quel giorno." disse la fioraia. "Ricordo bene quel giorno...ti aiutai a partorire, insieme alla madre di Bard. E poi successe quella cosa..."
"Non ne parlare. Non voglio rammentare quel...fatto." taglió corto Yohlande. Era impallidita.
"Certo fu una faccenda bizzarra a dir poco..." continuó Edith, quasi in un sussurro. Aveva lo sguardo perso in un punto indefinito, quasi stesse sognando ad occhi aperti. "Ma da dove erano venute...da dove erano sbucate tutte quelle bestiacce nere..."
"Basta, ti prego. Ora scusatemi, devo andare." disse Yohlande, e si alzó d'improvviso. Poi uscì dalla stanza.
"Ma perché si comporta così?" chiese la fioraia, turbata.
"Lo sai perché. Quel che capitó quel giorno fu il motivo principale per cui si scatenarono le malelingue su nostra figlia. Il motivo per cui molti, a Pontelagolungo, l'hanno sempre tenuta a distanza come un'appestata..."
"Gente ignorante, Hannes..." disse Edith.
"Sì, ma Regan ne ha sofferto. E anche mia moglie..." rispose tristemente Hannes. "Purtroppo ci si mise anche mio fratello, con le sue insinuazioni..."
"Che cosa orribile. Era suo zio, per la miseria. Sangue del suo sangue. Avrebbe dovuto proteggerla, che gli dèi lo stramaledicano!" ringhiò Edith. "Scusa se te lo dico, ma tuo fratello e quel rammollito di tuo nipote hanno fatto la fine che meritavano." Hannes si alzò a sua volta e si passò una mano fra i capelli radi. Come darle torto? Povera Regan.

"Ricordi cosa diceva Viktor? Che tua figlia era maledetta. Per quei corvi...quei corvi..." disse Edith. "Ci provai a scacciarli. Uscii e li presi a sassate. Ma quelli non si muovevano, Hannes. Per tutto il travaglio di Yohlande rimasero sul tetto di casa tua, come tanti lugubri soldati. Spiccarono il volo solo quando..." poi Edith non poté continuare.
"...quando Regan fece udire il suo primo vagito." terminò Hannes.
"...si levarono tutti insieme in volo. E si diressero ad Ovest...li seguii con lo sguardo." continuò Edith, come parlando fra sé. "Come se avessero atteso un segnale..." "Come se stessero portando da qualche parte la notizia della sua nascita." aggiunse Hannes. Avvertí anch'egli un brivido.
"Balle, amico mio," la voce roca di Edith lo portó alla realtà. "Quegli uccellacci si erano radunati sul tuo tetto solo per riposare dopo un lungo volo, nient'altro. Non era colpa di quella bambina se la gente di Pontelagolungo è sempre stata una massa di pecore superstiziose. Lo é ancora, purtroppo."
"Sí, lo so bene. Per questo mi fa piacere che ora stia un po' lontana da qui." disse lui. "Regan è sempre stata sola. Ma non è detto che lo rimanga. Non è detto che la sua felicità non si altrove."
"Roswehn! Quante volte dovró ripeterlo, a tutti voi branco di paesani..." disse la donna. "Si chiama Roswehn."

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Capitolo 13
*** Le rivelazioni di Thranduil ***


Le stanze private del Re erano effettivamente più spoglie di quanto la donna si fosse aspettata.
Feren l'aveva condotta lungo una scalinata in discesa, che si addentrava fin sotto le fondamenta di quel gigantesco reame in mezzo ai boschi. Mentre discendeva, Regan udì uno strano rumore, come di gocciolìo, e immaginó che fosse l'acqua filtrata dalle radici dei grandi alberi. Tutto quel territorio sotterraneo era pieno di radici, alcune si intravvedevano attraverso le pareti, altre sbucavano da quella specie di soffitto e arrivavano quasi ad impigliarsi nei capelli della ragazza.
Regan, giunta al termine della scalinata, vide subito una conca d'acqua, nella quale era immersa la base di un grande albero. Le ricordó una tinozza da bagno, ma molto più larga. Girando lo sguardo attorno a sé, vide anche un tavolo, con il solito cesto d'uva, ma stavolta senza bottiglia di vino. In un altro angolo, notó una panca decorata, e dietro di essa, appeso alle pareti, quello che sembrava un piccolo arazzo, con raffigurato uno stemma, il cui disegno non si poteva distinguere perché il tessuto era sbiadito. Tutt'intorno, colonne che dividevano l'ambiente in tanti piccoli angoli.

Una voce che Regan ben conosceva ruppe il silenzio del luogo.
"Mi hanno detto che vuoi partire." Thranduil apparve da dietro un angolo che la ragazza non aveva nemmeno notato. Feren l'aveva nel frattempo lasciata sola. "Nim ti ha condotto fino al centro del regno. La permanenza é stata di tuo gradimento?" le chiese.
Regan, ancora una volta preda di quella insopprimibile tensione che si manifestava sempre in presenza del Re, tentó una risposta. "Nim è stata la migliore delle guide, Lord Thranduil. Attraversare il vostro territorio con lei è stato un privilegio." Lo osservó: per la prima volta, non portava né corone, né diademi di alcun tipo. La sua regalità si mostrava tuttavia dalle vesti preziose: indossava quel giorno un manto color dell'acqua, con decorazioni che parevano floreali. Suo cugino Archie gli avrebbe invidiato tremendamente quegli abiti. Su di lui, sarebbero sembrati fin troppo ricchi ed esagerati, ma sul Re di Bosco Atro erano perfetti. Sottolineavano la sua innata eleganza.

"Se non sbaglio, era rimasto un discorso in sospeso fra me e te." disse l'Elfo.
"Ricordate bene...in effetti, dovevamo discutere su come cambiare i trattati fra le nostre genti, ma direi che ormai è inutile, considerando il fatto che avete chiuso i confini." rispose Regan.
"Non mi riferivo a questo. Ricorderai che ti avevo parlato di tuo zio." disse il Re, avvicinandosi lentamente a quel piccolo laghetto sotterraneo. Non la stava guardando.
"Ah, sì... Volevate rivelarmi qualcosa a Dale, quella notte." rispose, cauta. "Se ritenete di volerlo fare adesso, ascolterò."
"Hai detto di essere adulta. E gli adulti sanno affrontare le prove, anche se dolorose. Ti parleró con sincerità, poiché ritengo sia giunto il momento che tu sappia." disse il Re, girandosi a guardarla. La sua bellezza strideva terribilmente con il tono duro della sua voce. "Ascoltami dunque, Roswehn Monrose: il defunto Governatore della tua gente, nonché tuo zio, voleva venderti a me." disse.
Regan rimase paralizzata. Sentí un terribile bruciore nel petto e, allo stesso tempo, un brivido gelido su tutta la schiena. Come se le avessero contemporaneamente gettato addosso del ghiaccio e pungolata con tizzoni ardenti.
"...cosa avete detto?" Riuscí solo a sussurrare.
"Che tuo zio mi voleva offrire la tua vita in cambio di una considerevole quantità d'oro. Diceva che avrei potuto trattarti come schiava, farti lavorare per noi. O lasciarti marcire nei miei sotterranei. Purché tu venissi allontanata dalla vostra comunità." continuò l'Elfo. "Riteneva tu fossi preda di un qualche maleficio. E voleva che sparissi dalla sua vita."
"Non è vero..." provò a ribattere lei, nonostante le bastasse guardare Thranduil negli occhi per sapere che era assolutamente sincero. "Dite questo per ...confondermi. Ma non credo a una parola." mentí, in uno sforzo disperato di rifiutare quelle rivelazioni. "I miei genitori...loro...si sarebbero opposti."
"Monrose avrebbe cercato di convincerli di una tua fuga improvvisa." continuò Thranduil. "Era persuaso che, nel tempo, avrebbero accettato la tua scomparsa."

Regan era senza parole. Non sapeva cosa pensare, non voleva affatto pensare. Era come se la sua mente fosse stata travolta da un uragano di improvvise emozioni; la piú forte veniva dalla conferma di quello che sospettava da anni: la sua nascita era stata accolta come un evento funesto dai suoi parenti. Forse non da suo padre né da sua madre, che senza dubbio l'amavano. Ma crescendo aveva sempre avuto l'impressione che attorno a lei vi fosse un'aura di disprezzo, di rifiuto, da parte di suo zio, di suo cugino, di gran parte degli abitanti di Pontelagolungo. Ma perché...perché? Cosa aveva mai fatto di male? Edith le aveva raccontato che il giorno della sua nascita era capitato qualcosa di strano...ma non aveva mai voluto dirle cosa, esattamente. Forse era stato per quel fatto che la gente la additava per strada. Per quella faccenda strana, che i suoi parenti la tenevano alla larga. Voleva scacciarmi, pensó. Mio zio voleva...scacciarmi. Come si scaccia un ratto quando entra in casa.

Thranduil sentiva la sua disperazione. "Spero che ció che ti ho detto non ti abbia turbata troppo." si avvicinò a lei. "Personalmente, credo non ci sia alcun sortilegio attorno a te. Tuo zio e il vostro popolo sono stati accecati dall'ignoranza, tu sei stata solo una vittima. Va' incontro al tuo cammino, hai molta strada da percorrere."
"Vi aspettate che vi ringrazi per quello che mi avete rivelato?" si sforzò lei di dire. Le tremava la voce. "In che modo credete possa continuare la mia vita...con che stato d'animo?"
"Credo che la tua mente sia più consapevole, ora. Credo che in virtù di ciò che ti ho raccontato tu possa riesaminare la tua esistenza e trovare risposte a domande che forse ti hanno angustiata per anni." disse lui, asciutto. "Perciò, sí. Ritengo tu mi debba ringraziare." Suonava come una beffa.
"Mi prendete in giro?!" disse, "...chi vi dà questo diritto? Chi credete di essere, si può sapere?" Esattamente come un anno prima, la donna perse il controllo. Era come se Thranduil riuscisse sempre ad individuare in lei un punto debole, un nervo scoperto da tormentare.
"Ho cercato di chiarirti le idee. Ho cercato di darti ciò che vuoi: rispetto. Nonostante tu ti sia presentata di nuovo a me, stavolta fin dentro al cuore del mio reame, e abbia osato rivolgerti ancora a un Re con l'arroganza tipica della tua razza...e hai fallito la prova. Come immaginavo." sorrise lui, mentre osservava la ragazza diventare sempre più rossa dall'agitazione. "Ed è solo per comprensione del tuo stato che non ti faccio rinchiudere di nuovo. Ma usa ancora quel tono in mia presenza, e stavolta non saró tanto clemente."
Regan sollevó lo sguardo verso di lui. Il tuo trono diventerà polvere, Elfo. Su di esso costruiró il mio impero.

Thranduil avvertì qualcosa. Una forma di energia che improvvisamente si manifestava in quella donna. Qualcosa di antico, qualcosa di aggressivo. Non ne fu intimorito, perché niente lo spaventava. Ma lo stesso avvertí l'istinto di allontanarsi da lei. Avvertí anche un'altra cosa, ancora più profonda: una parte di lei implorava aiuto. Si pentì delle sue parole dure.
"Io lascerò il vostro reame oggi stesso. Sono qui per chiedervi il permesso, come sapete. Attendo una risposta, Lord Thranduil." disse Regan, la voce ancora fremente di rabbia.
"Ti ho detto che puoi andare. Ma..." le si avvicinò ancora di più e fece qualcosa che la ragazza non si sarebbe mai aspettata. Le diede una carezza. "... prenditi cura di te stessa. Va' da Elrond. Egli accoglie chiunque a Imladris, quel luogo è una specie di ricovero, ormai." disse. "Forse lui potrà aiutare il tuo spirito."
Regan si godette la profondità degli occhi blu del re nei suoi. Erano vicini, molto vicini. Quella carezza inaspettata aveva magicamente calmato il nervosismo, e aveva riacceso le sue pulsioni verso la creatura davanti a lei. Con uno sforzo sovrumano, riuscí a resistere alla tentazione di gettarsi fra le sue braccia, anche perché un atto del genere le sarebbe costato la carcerazione immediata, e stavolta Rael avrebbe gettato via la chiave.
"Io spero che abbiate ragione. Io spero...di rivedervi, un giorno." disse infine.
"Nonostante l'irritazione che riesco sempre a provocare in te?" le chiese lui, con un sorriso.
"È reciproco, temo. Comunque, provocate in me molte sensazioni. Non tutte negative." fu la risposta di Regan. Non aveva piú niente da perdere: se ne stava andando, era più che certa che non lo avrebbe visto mai più. Tanto valeva dichiararsi.
"Portale con te, allora. Aggrappati a loro, quando sentirai che ti stai perdendo." rispose il Re. Finalmente vide i suoi occhi sorridere. "E cosa più importante: qualunque percorso seguirai, non lasciare che...qualcun altro decida per te." le disse infine. Regan non capì. Ma non le importava.
"Vi prego di ringraziare Nim e anche Tauriel da parte mia. Io non riesco a farlo. Non mi sono mai piaciuti i commiati."
"Questo é un arrivederci, Roswehn." disse Thranduil. La donna annuí, sforzandosi di sorridere. Si voltó e fece per lasciare le stanze più inaccessibili di quel Reame. "Ricordi cosa ti dissi un anno fa, riguardo al tuo nome?" Ancora una volta, il Re l'aveva fermata prima che se ne andasse. "Non farti chiamare Regan. Quel nome non ti appartiene. Lascia riposare i morti in pace. È più di un consiglio, stavolta, è un avvertimento." La donna lo guardò. Thranduil era diventato serio d'improvviso. Non sapeva cosa rispondergli. Non sapeva più nulla in quel momento.
In silenzio, se ne andò. Lasciò a passo svelto le stanze in cui volentieri, invece, avrebbe passato il resto della sua vita. Lasció dietro di sé le emozioni, le fantasie, i sogni che l'avevano accompagnata nell'ultimo anno.

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Capitolo 14
*** I tre fratelli del Lòrien ***


Arrivare a Gran Burrone sarebbe stato oltremodo difficoltoso, le aveva detto Feren, mentre l'accompagnava al confine Ovest.

Avrebbe dovuto attraversare il fiume Anduin, e l'unico ponte costruito su di esso era in rovina. Per non parlare del valico fra le Montagne Nebbiose: una grande catena montuosa separava infatti Bosco Atro da Rivendell e attraversarla avrebbe comportato una serie infinita di potenziali pericoli perfino per gli agili Elfi, figurarsi per una donna umana, sola e del tutto impreparata.

Il capitano le aveva spiegato che sarebbe stato molto più agevole raggiungere Imladris passando dalla parte del Lothlórien, perché fra i due regni erano stati aperti passaggi privilegiati, data la profonda amicizia fra Lord Celeborn e Lord Elrond. In questo modo, però, la donna ci avrebbe messo molto di più e non era nei suoi piani: aveva progettato di visitare il Lórien come tappa finale durante il suo ritorno a casa, la primavera dell'anno venturo. Voleva che l'incontro con la celebre Dama Galadriel fosse l'ultima, grande esperienza della sua avventura.

La ragazza aveva ricevuto dagli Elfi diversi oggetti che potevano tornarle utili: un mantello per proteggersi dalle intemperie, e che avrebbe potuto usare come coperta se avesse dormito all'addiaccio; uno strano oggetto, dono di Caleth, che puntato verso il sole indicava sempre il Nord, per meglio orientarsi; pane elfico in buona quantità; una tunica che indossata sembrava fatta d'aria, tanto era leggera. Le avevano lasciato i libri e il denaro che si era portata da Dale.

"Non andare in quella direzione," l'aveva ammonita Feren, indicando un punto a Nord. "Lassù si trova la casa di Beorn, un muta-pelle. Di giorno non c'é pericolo, ma di notte è meglio non farsi trovare nei paraggi."

"Sì, lo so. I nani mi hanno raccontato tutto. A pensarci bene peró, Beorn potrebbe darmi uno dei suoi pony..." rifletté lei.
"Darti non significa regalarti. Beorn é molto affezionato ai suoi animali. Inoltre, non dimenticare che hai un ponte da attraversare, e un valico molto stretto fra le montagne da percorrere. Non puoi che procedere a piedi." rispose il Capitano.

"Non credevo che il Re mi avrebbe fatto scortare proprio da voi, Feren, e non da uno qualsiasi dei vostri soldati. E vorrei anche ringraziarvi per i doni che mi avete fatto, oltre che per l'ospitalitá." disse Regan, voltandosi a guardare quello che l'aspettava: erano entrambi usciti dal bosco, e di fronte a lei vedeva un'immensa radura che si estendeva a perdita d'occhio. Le venne il capogiro nel respirare finalmente aria fresca, dopo due settimane passate nella fitta boscaglia.

"Io sono l'unico di cui lord Thranduil si fidi ciecamente." le rispose Feren, "...e mi ha anche pregato di dirti questo: la prossima volta che oserai entrare nel nostro reame senza preannunciare la tua visita, andrai dritta da Rael e con lui finirai i tuoi giorni."

"Ah davvero, che novità." replicó la donna, caricandosi con fatica la sacca sulle spalle. "Potete riferirgli che la sua benevolenza mi commuove."

Feren sorrise. "Osserva il sole tramontare e procedi verso il punto in cui si unirà alla terra. Lì troverai il ponte." le consiglió.

"Magnifico. Addio, capitano Feren." disse lei. Poi lo osservó sparire di nuovo nel bosco.

Giunse al rudere che l'Elfo aveva definito ponte dopo circa cinque ore di cammino e varie imprecazioni.

Ormai era Giugno e faceva un caldo terribile: aveva dovuto fermarsi e sedersi un paio di volte in quella spianata desolata e farsi ombra con il mantello, per non rischiare un colpo di sole.

Feren aveva uno strano senso dell'umorismo: il ponte non era altro che un ammasso di pietre nere tenute insieme per chissà quale miracolo. D'altra parte, era l'unica via: non c'era modo di attraversare l'Anduin a nuoto, la corrente era troppo forte. Si arrischió. Provó a percorrere qualche passo su quella costruzione in rovina e subito si accorse che i massi di cui era costituito si muovevano. Uno cadde in acqua. E adesso cosa intendi fare? Non vorrai tornare indietro piagnucolando, tesoro, disse la voce della sua coscienza, ovvero Edith.

"Non ci penso neanche. Io attraverserò questa cosa fosse l'ultima follia che faccio in vita." si disse risoluta. Avanzò ancora di qualche metro, ma subito le pietre iniziarono a crollare in acqua una dopo l'altra. Regan ebbe solo il tempo di esclamare: "Oh, maledizio..." e in un lampo si aprí una voragine sotto di lei.

Il volo fu il minore dei mali, poiché il ponte non era altissimo. La corrente però era micidiale e la trascinò via in un baleno. La donna tentò di gridare, e subito l'acqua la sommerse. Riuscí con grande sforzo a tornare in superficie, ma le rapide la spingevano inesorabilmente a valle. Non c'era un appiglio, un tronco galleggiante, una roccia che la fermasse.

Ad un certo punto, sentí un dolore improvviso alla gamba sinistra, forse un masso sul fondo l'aveva tagliata. Vide il sangue salire in superficie. Oh miseria schifa! .. moriró dissanguata, affogherò! Pensò, travolta dal panico e da quella corrente impietosa. "Aiutatemi! ...aiut..", riuscí a gridare.
Poi svenne.

🌿🌿🌿

"Puoi sentire la mia voce?" disse qualcuno.

Aprí gli occhi e vide un volto sfocato chinato su di lei. Avvertí anche una fitta alla gamba che le strappò un gemito.

"Non ti devi muovere. Hai un taglio profondo." disse di nuovo la voce.

Regan provò a mettere a fuoco. C'erano alberi lì attorno. Doveva essere distesa su qualcosa di morbido, forse muschio. C'erano anche delle persone vicino a lei. E c'era luce.

"Chi siete voi..." riuscí a chiedere.

"Haldir è il mio nome. Loro sono i miei fratelli..." rispose la voce.

"Rùmil e Orophin." mormorò la donna. Aveva provato faticosamente a mettersi seduta.

"Sai come si chiamano?!" chiese Haldir, incredulo.

"Ho letto di te e della tua famiglia su un vecchio libro. Guardiano delle frontiere di Lothlórien, giusto?", mormorò. Lo guardò: era biondo come Thranduil e Legolas, ma aveva la carnagione leggermente più scura. Sembrava anche più solido, fisicamente. I suoi fratelli erano dietro di lui, e non gli somigliavano affatto. "Non posso crederci, sono nel Lòrien..."

"Sí," rispose Haldir. "Il fiume ti ha trascinata fin qui. Orophin ti ha visto galleggiare sull'acqua, priva di sensi. È un miracolo che tu non sia affogata."

Regan notó che le avevano fasciato la gamba ferita. "Dovevo andare a Rivendell..." disse. "Ho attraversato quell'avanzo di ponte ed è crollato. Ma che ore sono?.. questo chiarore..."

"È l'alba. Sei stata trascinata dalla corrente tutta la notte. Qualche forza misteriosa ti ha tenuta a galla." commentó Haldir, ancora stupefatto.

"L'alba...non è possibile...". La donna sospiró. Ma c'era qualcosa che sarebbe andata per il verso giusto in quel viaggio?
"Bene, Haldir di Lórien, ora cosa intendete fare di me? Ho attraversato senza permesso anche i vostri confini, a quanto pare: adesso mi porterete nei sotterranei, mi terrete rinchiusa per qualche giorno finché mossi a compassione mi libererete? Volete usarmi come schiava? Decidete presto, perché sono già stata ospite di altri Elfi Silvani e non vorrei rivivere daccapo quelle esperienze..." disse, esasperata e indebolita. Aveva perso molto sangue in acqua, era inspiegabile che non fosse morta.

Rùmil e Orophin si guardarono perplessi. Rùmil disse qualcosa in elfico e dal tono Regan indovinó il senso. Questa deve essere matta.

"Se tu avessi passato due settimane nel reame di Thranduil mi capiresti, te l'assicuro." gli disse.

L'Elfo spalancó gli occhi, basito.

"Qui non ci sono sotterranei, Mortale-senza-nome. Qui, sei nel territorio di Lord Celeborn e Dama Galadriel e riceverai le cure di cui ha bisogno. In verità, trovo più stupefacente che tu sia sopravvissuta a Thranduil, più che alla caduta da un ponte." sorrise Haldir. "Ora, prova a metterti in piedi. Abbiamo messo delle erbe curative sulla tua gamba. Dovresti riuscire a camminare."

Regan si alzó aiutata dall'Elfo. Si strinse a lui mentre tentava di trovare l'equilibrio.

"... oh no, la mia sacca...é andata perduta in acqua!" realizzò improvvisamente. E il mantello, e il pane.

"Vuoi dire questa roba qui?" le chiese Orophin, mostrandole un fagotto sgocciolante. "Era rimasto impigliato in un albero caduto in acqua su a monte".

"I miei fratelli porteranno le tue cose ...o quel che ne resta," disse Haldir, che ancora la sorreggeva. "Ora dobbiamo andare. Un nostro guaritore dovrà esaminarti." Si avviarono.

"Scusa, non ti ho detto il mio nome: mi chiamo R-Roswehn Monrose, sono cittadina del regno di Dale. Grazie per avermi soccorsa, Haldir."

L'Elfo non rispose, ma avvertí la sua presa farsi più forte attorno alla vita. Nella sua mente sentí improvvisamente una voce nuova, che la ragazza non aveva mai udito prima. Una voce femminile, profonda. Un sussurro.

Figlia di Valandil, non sei la benvenuta qui.

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Capitolo 15
*** La Regina di Eryn Galen ***


Perché aveva scelto lei?

Suo padre aveva insistito perché si fosse recato nel Lindon, dove era rimasta una piccola comunità di Elfi Sindar. La loro razza.

Re Oropher non aveva dubbi: Thranduil avrebbe incontrato lí una donna Elfo adatta a diventare principessa, e poi Regina.
Era persuaso che la grazia dei Sindar si sarebbe tramandata, e che quell'antica e nobile stirpe non si sarebbe estinta con il figlio.
Ma il principe aveva altre idee.

Raggiunta l'età per cercare una compagna, Thranduil aveva mostrato uno strano disinteresse per l'argomento.

Era il comandante dell'esercito a quel tempo, e tutte le sue energie e i suoi pensieri erano rivolti alla difesa del Reame Boscoso. Soleva passare moltissimo tempo in perlustrazione con i suoi soldati, spesso si avventurava fino a Dòl Guldur, quell'antica fortezza che attirava in sé forze malevoli e minacciose. Il suo scopo era trovare il modo di allentare la presa di Sauron su quel luogo, e farla tornare un avamposto degli Elfi.

Era stato un Principe amato, ma anche temuto dai suoi soldati, noto per l'ombrosità del suo carattere, e la severità con cui puniva gli incompetenti. Non conosceva mezze misure: chi aveva l'onore di servire sotto di lui nell'esercito, aveva il dovere di esserne altezza.

Feren era sempre stato il suo favorito, fra tutti i luogotenenti. Aveva la tempra adatta per affiancare Thranduil in battaglia, e presto era stato promosso a rango di comandante di tutta l'armata di Boscoverde. Proprio Feren aveva fatto entrare Calenduin nell'esercito, come arciere, dopo aver osservato le straordinarie capacità dell'Elfa: sapeva colpire un bersaglio piccolissimo a grande distanza, e non falliva mai.

Thranduil l'aveva notata un giorno, mentre stava passando in rassegna i soldati. A differenza degli altri, Calenduin non aveva chinato il capo, né abbassato lo sguardo dinanzi a lui. Se fosse stato un altro, l'avrebbe cacciato senza complimenti per grave insubordinazione, ma con lei non gli era riuscito. Aveva trovato quel gesto di ribellione delizioso, in qualche modo: la donna arciere dai capelli neri e dagli occhi castani mostrava carattere, proprio come lui.

Calenduin era andata a Mordor, a seguito dell'esercito di Oropher e Amdìr, a quel tempo re di Lothlórien. Era con Thranduil, quando l'esercito degli Elfi Silvani dei due regni era stato accerchiato dalle forze di Sauron; era con lui, quando Dologon, il grande Drago grigio, si era alzato in volo e aveva liberato il suo tremendo soffio di fuoco sulla legione di Elfi capitanata dal principe, sfigurandolo; era con Thranduil, quando suo padre Oropher fu colpito e ucciso a Dagorlad. Non erano ancora uniti nell'amore, lei era una semplice guerriera dell'esercito, ma lo stesso il suo cuore si era spezzato nel vedere il dolore del futuro consorte.

Dopo il ritorno a Boscoverde, quando Thranduil era stato incoronato Re, aveva deciso che Calenduin doveva essere la sua Regina. L'amava di un amore profondo e viscerale? Forse no, ma avrebbe impararo a farlo, nel tempo.

Voleva una compagna guerriera, su cui poter contare. Voleva una Regina che con il suo esempio incoraggiasse gli Elfi Silvani a essere sempre all'erta, e pronti a difendere Eryn Galen. Quando Legolas venne al mondo, il Re aveva compreso finalmente di volerle bene come marito. Calenduin aveva dato alla luce un piccolo Elfo che poco aveva del padre, e molto della madre. Lo stesso sguardo vispo, lo stesso sorriso aperto. Quei pochi anni erano stati i più lieti nella vita del Re, già messo a dura prova dal destino.

E poi c'era stata la tragedia di Angmar...ma Thranduil non voleva pensarci.

Si stava recando, dopo secoli, a visitare il monumento in memoria della sua Regina, ad Ovest del Bosco.

Aveva portato con sé cinque soldati della sua scorta personale, un tempo guidata da Tauriel.

Già, Tauriel.

Soffriva per lei, anche se non lo dava a vedere. Sapeva esattamente quale tormento stesse passando. Per quel Nano...quell' insignificante Nano. Non era riuscito a credere che lei si fosse innamorata di un nipote di Thorin, fino a quando non ebbe visto visto con i suoi occhi il cuore di Tauriel andare in frantumi, inginocchiata su quel cadavere.

Il Re temeva che le ferite nel suo animo fossero incancellabili e se ne dispiaceva anche perché Tauriel era stata un'ottima guerriera, oltre che quasi una figlia per lui. L'aveva bandita dal reame perché con sfacciataggine gli aveva disobbedito, e incurante delle conseguenze aveva trascinato suo figlio con sé, illudendolo di corrispondere il suo amore; aveva fatto soffrire Legolas e poi lo aveva spinto ad andarsene. Ma, in fondo, di cosa poteva incolparla? Era giovane ed era stata irruente, come lui e Calenduin e tutti i giovani. Sempre che si potesse usare la parole giovane per gli Elfi, creature senza tempo.
L'aveva riaccolta a Boscoverde, ma le cose non sarebbero tornate come prima. Non nel breve periodo, comunque.

"Andate avanti e liberate il passaggio." comandò ai suoi Elfi.

C'era un intrico di rami e fronde basse sul vecchio sentiero. Due Elfi estrassero le spade e iniziarono a tagliare la vegetazione di modo che il loro Re potesse attraversarla agevolmente. Procedevano a piedi, non era possibile portare cavalli in quella fitta boscaglia piena di paludi e rocce. Quante volte ho detto di bonificare il bosco. Quante volte...

"Siamo quasi arrivati." annunciò uno degli Elfi. In lontananza, Thranduil poté infatti scorgere il vecchio e grigio monumento. Sentí subito il cuore stringersi. Non sapeva esattamente perché avesse avvertito l'esigenza di andare fin lí, ma era da quando la mortale era partita alla volta di Rivendell che ci pensava.

Negli anni passati, aveva evitato di andare di persona alla statua di Calenduin, poiché troppo forte era il dolore quando i suoi occhi si posavano su quel viso di pietra. Oltretutto, non le somigliava.

"Fermatevi qui." disse improvvisamente il Re, e proseguí da solo verso il monumento. Con amarezza, notò lo stato in cui si trovava: coperto da erbacce rampicanti e rovinato dalle intemperie. Rabbiosamente strappò via quelle piante moleste.

Eccola, la sua Sposa.

"Solitudine, a questo mi hai condannato..." riuscí solo a sussurrare. "... fino alla fine dei tempi. Parlami, ora."

Aveva bisogno del suo consiglio. Quella donna, la nipote di Viktor Monrose, lo preoccupava: il suo istinto gli suggeriva che qualcosa aveva preso possesso della sua mente. Qualcosa che poteva trasformarsi in un gravissimo pericolo per tutti. Qualcosa di malvagio, che avrebbe potuto attirare a sé altre entitá malvagie. E se fosse stata un'arma segreta di Morgoth? L'Oscuro non era riuscito a usare Smaug per i suoi scopi, perché il Drago era stato ucciso dal Re di Dale, ma avrebbe potuto farlo. Sauron e il suo padrone erano costantemente alla ricerca di due cose: l'Unico Anello e nuovi alleati nella lotta contro i Popoli della Terra di Mezzo.

Thranduil voleva un segnale, un indizio che lo spirito della regina fosse lí con lui. Lo sentiva sempre, quando andava nei boschi a passeggiare. Perché in quel momento no, quando più aveva bisogno di lei?
"Quella donna non è come te. È debole e confusa. Cosa devo fare?" continuó Thranduil.

Eppure, Roswehn gli ricordava Calenduin, in parte. La stessa incosciente spavalderia. Non aveva affatto paura di lui. Proprio come la sua Regina, la Mortale non abbassava lo sguardo quando incrociava il suo.

Nel frattempo, si era alzato un venticello freddo e fastidioso. I soldati osservavano il Re confusi: non osavano avvicinarsi, ma quella situazione era perlomeno grottesca. Lo vedevano parlare con una statua.

"Sire Thranduil...Maestà...", osò dire uno, "...vi ricordo che questa parte della foresta è pericolosa...sapete, i nidi di ragno..."

Thranduil si girò a guardarlo, i suoi occhi erano carichi di rimprovero.

"Hai paura, forse?" chiese. "Non credevo ci fossero vigliacchi nella mia guardia."

Il soldato chinò il capo, pieno di vergogna.

Poi il suo sguardo venne attratto da qualcosa ai piedi della statua. Una piccola rosa bianca, che al loro arrivo non c'era, era spuntata proprio sotto Calenduin. Ne spuntò un'altra, e un'altra ancora. In breve, tutta l'area ai piedi del monumento fu piena di rose. Tutte candide come la neve. I loro gambi magicamente s'intrecciarono attorno a quella pietra, fino quasi alla vita della Regina. Con i suoi Elfi, Thranduil osservò stupefatto il prodigio. Poi accadde un'altra cosa: da un albero nelle vicinanze si levò un piccolo stormo di uccelli, che cinguettarono all'unisono. In quel suono, Thranduil riconobbe subito la voce cristallina e a lui immensamente cara che non aveva più udito da secoli.

La sua Regina gli parlò.

Una breve frase, la risposta alla domanda del marito.

Devi aiutarla.

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Capitolo 16
*** Celeborn e Galadriel ***


"L'hanno trovata nell'Anduin, era quasi annegata. Sembrava si fosse ripresa, ma durante il tragitto fino a qui ha perso di nuovo i sensi. Haldir ha dovuto sorreggerla tutto il tempo. Ora è con Vander, il nostro Guaritore." disse Celeborn, mentre con Galadriel osservava le mille luci del cuore di Lórien.

"Ha preso possesso della sua mente. La sua morsa non è ancora forte come vorrebbe, ma sta traendo energia dai sentimenti di quella ragazza." disse lentamente la Dama bianca. I suoi lunghissimi capelli biondi ondeggiavano attorno alla vita mentre parlava.

Era molto preoccupata, e il marito lo sentiva.

"Cosa hai avvertito dentro di te quando è entrata nei nostri confini?" chiese Celeborn.

"Rancore." rispose Galadriel, gli occhi color zaffiro che osservavano il magico panorama.

"Verso chi?" insistette Celeborn. Anch'egli era nervoso. A differenza della moglie non aveva potere psichico, ma una parte di lui aveva comunque sentito una intensa negatività aleggiare attorno a quella Mortale che indossava le vesti di Boscoverde. Possibile che Thranduil non si fosse accorto di nulla? Perché l'aveva lasciata andare? Forse il Re degli Elfi Silvani l'aveva spinta di proposito verso il Lothlórien, nel tentativo di scaricare il problema su di lui e su Galadriel. Considerata l'antipatia che nutriva verso sua moglie, era probabile.

"Rancore verso suo padre, che si tolse la vita, abbandonandola. Rancore verso gli Uomini di Gondor, che lasciarono Arnor al suo destino. Rancore verso gli Elfi." La voce di Galadriel era una specie di cantilena.

"Perché, gli Elfi? Accolsero Regan nel Lindon, fu trattata con amore." osservó Celeborn.

"Invidia per la nostra immortalità. Paura della vecchiaia. Odio verso il destino degli uomini, cioè la morte fisica." continuó Galadriel. "Regan, figlia di Valandil, si mise disperatamente alla ricerca di un modo per fuggire alla fine terrena. Ricorse alla magia nera. Rinnegó la sua devozione agli Eldar. E fece un patto con forze spaventose, che le promisero la rinascita in questo mondo." disse.

"Proprio come re Ar-Pharazôn. Fu convinto da Sauron che Eru Ilùvatar fosse una menzogna, che non esistesse alcun dio supremo a governare Arda." aggiunse Celeborn. "E divenne seguace di Morgoth, che venerava in segreto. Molto presto a Numenor, e attraverso le sue colonie, fra cui Arnor e Gondor, il culto delle tenebre si diffuse, e nacquero i Numenoreani Neri. Erano ossessionati dall'idea di rubare il segreto della vita eterna a noi Elfi." terminó il Signore del Lórien.

"Regan seguì quel culto, secoli dopo. Vendette la sua anima a Morgoth, in cambio di una seconda vita. Una nuova esistenza, nel corpo di una fragile ragazza di un piccolo reame dell'Est. Una...seconda possibilità." disse Galadriel, guardando finalmente il consorte.

"Anche se si fosse reincarnata, come dici, non avrebbe alcun potere. Arnor non esiste più. Non avrebbe seguaci." Le disse Celeborn.

"Ti sbagli." ribattè Galadriel. "I Numenoreani neri hanno percorso miglia e miglia in questa Terra, hanno cambiato nome e abitudini. Si sono nascosti. Ma esistono. Come locuste, si sono diffusi in tutti gli angoli del nostro mondo, in attesa di un segnale. Il segnale del suo ritorno... il ritorno della loro Regina."

Celeborn avvertì un forte disagio. Poteva aver ragione Galadriel. Regan di Arnor, con il suo carisma, avrebbe attratto a sè tutti i discendenti di quei rinnegati, di quei servi di Morgoth e Sauron che avevano con disprezzo rifiutato l'amicizia con gli Elfi, bestemmiato il nome di Eru, compiuto sanguinosi riti magici millenni addietro. Tutto quel male poteva tornare e lo spirito di Sauron ne avrebbe di certo tratto vantaggio.
"Cosa dovremmo fare? Tenerla qui, forse. Il tuo potere benefico puó contenere lo spirito malvagio di Regan. Ma per quanto tempo?" chiese Celeborn.

"Tutto dipenderà dalla forza di quella ragazza mortale. Solo lei puó estirpare l'entità che dimora dentro il suo corpo e la sua mente fin da quando era nel ventre di sua madre." spiegó Galadriel.

"E come potrebbe..." disse Celeborn, poco convinto. Non aveva molta fiducia nei Mortali, conosceva la debolezza della loro volontà.

"Se il suo cuore resiste, l'anima di Regan non potrà nulla." mormoró Galadriel. Celeborn sembrava non aver sentito.

"Ho dato ordine che due nostre donne Elfo le stiano vicine e si prendano cura di lei. Ma non puó fermarsi qui per sempre. Bisogna allertare Elrond, Gandalf e anche Saruman. Devono darci il loro consiglio."

"No." disse Galadriel.

Celeborn si giró a guardarla. "Che vuoi dire con...no?" chiese.

"Di' ad Haldir di starle vicino." rispose la bianca Signora di Lórien.

"Haldir?! Lui ha altri compiti da svolgere, deve sorvegliare il nostro territorio. Non posso toglierlo da questo incarico per fargli fare la guardia ad una ragazza...per quanto pericolosa." obiettó Celeborn. La moglie lo guardó, con un sorriso.

"Hai ancora fiducia in me?" chiese.

"Certo...ma non ti capisco." disse lui, corrugando la fronte.

"Capirai a tempo debito. Fate quello che ho detto." concluse Galadriel.

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Capitolo 17
*** Nel cuore di Caras Galadhon ***


Era distesa su quello che sembrava un altare di marmo.

Le avevano offerto un abito del Lórien, poiché i suoi vestiti erano logori e fradici, e i suoi capelli erano stati raccolti e sistemati in una di quelle elaborate acconciature elfiche. La veste era tirata sopra al ginocchio in modo che Vander potesse intervenire sul suo polpaccio ferito. Ci aveva messo poco a suturare e medicare lo sfregio, e la donna non aveva avvertito alcun male.

"Operarmi su di un letto sarebbe stato troppo complicato?" protestó Roswehn. Aveva deciso di seguire il consiglio di Thranduil e usare il suo vero nome nel Lórien.

"Fossi in te non mi lamenterei: avresti perso la gamba se non ti avessero portata da me."
Il Guaritore era il primo Elfo che Roswehn avesse incontrato con il viso segnato dal tempo. Non si poteva definire proprio vecchio, ma il suo volto era solcato da alcune rughe e aveva addirittura qualche capello bianco. Poteva sembrare un Uomo di quarantacinque anni, più o meno, in realtà era sulla Terra da circa sette millenni.

"Non mi lamento, anzi vi sono debitrice. Solo, questo marmo è gelido." rispose.  Le avevano assegnato due donne Elfo, più fredde e silenziose di Nim, ad assisterla. Erano creature bionde e diafane, entrambe avevano occhi celesti. Non sapeva i loro nomi, non avevano detto nulla in sua presenza. Si era svegliata, dopo aver perso conoscenza nel tragitto, e la prima cosa che le due avevano fatto era stata offrirle una strana bevanda, amara e sgradevole, che peró le fece recuperare parte delle energie.

"Ti informo che puoi camminare, con cautela, anche subito. Non sanguinerai più. Quell'estratto di radice che ti hanno fatto bere deve essere il tuo unico alimento per tre giorni." la informó Vander.

"Mi vedrete deperire velocemente, allora.", protestó la ragazza. Ne aveva abbastanza di mangiare verdure come un coniglio. "...quanto vorrei una bistecca." sospiró.

Capì di aver detto qualcosa di grave quando vide i tre Elfi sgranare gli occhi.
"Vi divertite a togliere la vita a creature innocenti, vero? In questo modo vi nutrite voialtri." le disse Vander.

"Anche gli animali si uccidono fra loro per sopravvivere. Quindi risparmiatevi i rimproveri e le occhiatacce, ve ne prego..." replicó Roswehn. Non sopportava le paternali.

"Perció convieni con me sul fatto che voialtri vi comportiate come bestie?" chiese polemicamente l'Elfo, mentre fissava la fasciatura.

Roswehn si indispettì.
"Mi piacerebbe presentarvi una donna del mio regno, si chiama Edith. Sono sicura che passereste ore piacevoli con lei a disquisire su quale delle nostre due razze sia più civile. Ma io ho un tremendo mal di testa, e non intendo proseguire sull'argomento, vogliate perdonarmi."

"La Mortale ha mal di testa. Spero che la sua permanenza qui da noi non sia troppo dura da affrontare." disse una voce sarcastica alle sue spalle. Provó a girarsi. Vide Haldir. Subito Vander e le ragazze chinarono il capo. "...altrimenti potremmo rimandarla a Boscoverde, se preferisce." continuó l'Elfo.

Aveva uno sguardo infastidito. Scambió qualche frase in elfico con il Guaritore, e poi quest'ultimo e le donne si allontanarono. Haldir, come Roswehn, era avvolto dal velluto: un caftano color argilla, con annesso mantello, gli davano un'aria nobile. Era decisamente il tessuto favorito dagli Elfi.
"Che fai qui?" gli chiese Roswehn. "Come mai non hai frontiere da sorvegliare oggi?"

"Dama Galadriel ha deciso che è più importante fare da tutore ad una donna mortale e ascoltarla mentre blatera su di noi." rispose l'Elfo, con un'altezzosità che le ricordó subito Thranduil.

"Beh, mi dispiace. Non è stata una mia richiesta." disse Roswehn. Sembrava che Haldir ce l'avesse con lei. "Toglieró il disturbo non appena mi verrà concesso. Non avrei dovuto nemmeno essere qui, ti ho detto che mi stavo dirigendo a Rivendell..."

L'Elfo la guardó per un attimo, poi le disse: "Vander dice che puoi reggerti in piedi. Perció alzati."

"Ti dispiacerebbe essere più gentile?" gli disse lei, squadrandolo con nervosismo.

"Devo mostrarti il tuo alloggio, e non credere che per me sia un piacere." le rispose. "Visto che è anche il mio."

Roswehn ammutolì. La sua espressione confusa spinse Haldir a chiarire. "È stata una decisione di Galadriel. Dice che devo sorvegliarti sempre, non posso perderti d'occhio neanche un attimo. Non chiedermi il motivo."

Roswehn gli chiese: "Ma perché proprio tu? ...non erano sufficienti quelle due donne?"
Era incredula: avrebbe dovuto vivere con un Elfo. E non con un semplice Elfo: quello che occupava la più alta carica di Lothlórien, dopo Celeborn e Galadriel. Visto Sigrid? Guarda che mi sta capitando.

Haldir non rispose, e fece per andarsene.

"Aspettami..." gli disse la donna, mentre faticosamente scendeva da quella specie di tavolo operatorio. "Potresti anche aiutarmi...sono ferita."

"Se non ricordo male, ti ho portata in braccio dall'Anduin fino a qui. Ora però puoi stare sulle tue gambe. Seguimi." le disse seccamente.

"Fammi indovinare, vivi sulla cima di un albero. Altre interminabili scale, quindi." si lamentò. Si stavano dirigendo infatti sotto un' altissima quercia, il cui tronco era circondato da luminosi scalini.

Boscoverde era bellissimo, ma Caras Galadhon, la capitale del Lórien, era uno spettacolo di luci e meravigliose costruzioni elfiche sospese sulle fronde di quei giganteschi alberi. Pensò a Nim e a quando le aveva detto che non esistevano le fate: se fossero esistite, certamente avrebbero vissuto in un posto come quello. Il polpaccio miracolosamente non le doleva: Vander sapeva il fatto suo come Guaritore, non c'era dubbio.

"E prima che tu possa annoiarmi con altre lamentele, sappi che non dormiremo insieme: avrai un tuo spazio, la mia abitazione è grande a sufficienza, per fortuna." spiegó Haldir, mentre salivano le scale.

"Fino a quando staró qui, si puó sapere? Se posso camminare, posso anche andarmene." chiese, guardando sotto di sé. Quelle scale sembravano fatte di cristallo.

"Sei rimasta due settimane a Boscoverde, o mi sbaglio?" ribatté Haldir.

"Sì, ma fu una mia scelta. Re Thranduil non aveva affatto insistito perché rimanessi." mormorò la donna, mentre iniziava ad avere le vertigini per l'altezza. Ed era praticamente a stomaco vuoto.

"Mi sarei sorpreso del contrario. Non chiedermi i motivi che hanno spinto Sire Celeborn e Dama Galadriel a decidere questo. Io devo solo eseguire gli ordini." ripeté lui. Nel frattempo erano arrivati a una specie di casa sugli alberi. Era in perfetto stile elfico, strutturata ad archi e adornata con piccoli rosoni. Veniva illuminata all'interno da una luce intensa, che tuttavia non infastidiva gli occhi. Sembrava che una piccola luna splendesse in essa. "Entra. Fa' come se fossi a casa mia." disse ironicamente Haldir.

"Questa situazione è imbarazzante per me...", disse lei, mentre l'Elfo le faceva strada all'interno. Non c'erano porte. "...non ho mai vissuto con un uomo."

"Ti ricordo che non sono un Uomo." replicó, secco. "Ma capisco cosa intendi. Fa' finta di essere mia prigioniera, se ti mette più a tuo agio. E che questa sia una prigione speciale."

"Perché non ho ancora incontrato Galadriel? E dove sono le mie cose?", la donna si passó le mani fra i capelli, esasperata.

"Dama Galadriel non è a tua disposizione. Ti riceverà quando lo riterrà opportuno." Haldir corrugó la fronte. "Stai iniziando a irritarmi, giovane. È meglio che accetti la situazione, perché così è stato deciso e sono stufo delle tue chiacchiere. Dormirai lì," indicó un angolo dove si trovava un canapé simile a quello che aveva visto nella tenda da campo di Thranduil. Evidentemente gli Elfi non conoscevano il significato della parola letto. "La parte che occupo io, invece, è là sopra." Fece cenno con la testa verso una larga scala a chiocciola che portava ad un piano superiore.

"È piuttosto grande la tua tana sugli alberi." disse lei. C'era perfino una piccola terrazza. Non vedeva nulla di simile a una cucina, o a un bagno. Scorse un grande specchio, a figura intera, a una delle pareti.

"Questi sono i privilegi di un Capitano...seppur degradato, al momento." ribattè Haldir. "Comunque, dovremo adattarci uno alle abitudini dell'altra. Ti avverto: anche se la tua presenza qui è di grande importanza per i miei Signori, non avrai da me trattamenti di favore." Si avvicinó lentamente a Roswehn, nel frattempo irrigiditasi. "Non toccherai nulla, qui dentro; non ti sposterai da questa casa senza che io lo sappia e non ti illudere che qualcuno di noi porti messaggi ai tuoi cari a Dale. Finché durerà la tua permanenza qui, io saró la tua ombra."

"Una grandiosa prospettiva, non c'é che dire." Sbuffó la donna. "Sto cominciando a rivalutare Rael."

"Chi sarebbe?" chiese Haldir.

"Lascia perdere. Allora, dove sono le mie stramaledette proprietà? Il bagaglio e tutto il resto..."

"Gettate via." disse l'Elfo, lapidario.

"Coooosa?!" Roswehn trasecoló. I...suoi...libri. Il diario di Nim. La pergamena di Bard.

"In quella sacca c'era solo poltiglia. L'acqua del fiume non ha risparmiato nulla...a parte questo." Estrasse da sotto il mantello il sacchetto con le monete e glielo porse. "Il vostro denaro non ha valore qui."

Roswehn lo afferró velocemente e lo aprì.
"Sono d'oro..." sussurró lei, aprendo subito il sacchetto.

"Controlla pure...non siamo ladri." disse Haldir. "E un'ultima cosa, mortale. Ti permetto di farmi solo una domanda al giorno. Alla seconda, ti ritroverai a dormire laggiù, nel fango. Puoi credermi." Haldir aveva gli occhi terribilmente seri.

Roswehn comprese che non avrebbe potuto tenere testa a quell'Elfo. Era perfino più ostico di Thranduil. "Ora, se non ti dispiace, devo incontrare Lord Celeborn. Deve parlarmi." le disse il Capitano del Lórien, incredulo nel vedere la donna finalmente zittita.

"E io che dovrei fare?" osó chiedere lei.

"Ti ho detto una domanda al giorno...sei già alla ventesima per oggi." rispose lui. "Rimani qui. E non ti muovi da qui. Uno dei miei fratelli sarà incaricato di sorvegliarti in mia assenza" detto ció, uscì.

Roswehn rimase sola nella casa sugli alberi di un Elfo. Edith sarebbe morta dalle risate, se l'avesse vista.
Sai papà, comincio a credere che questa idea del viaggio non fosse così buona come pensavamo.

Guardó fuori, e l'intrico di rami davanti a lei le fece tornare in mente Boscoverde e il suo Re. Aveva sperato che dopo avergli dichiarato i suoi sentimenti si sarebbe tolta un peso, e che quell'ossessione sarebbe passata. Ma non era più una semplice infatuazione e non era passata e si era cacciata in un altro maledetto guaio.

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Capitolo 18
*** Domande e risposte ***


Uno dei fratelli di Haldir, Rùmil, venne mandato a sorvegliare Roswehn in sua assenza.

La donna decise di giocare d'astuzia e avere da lui le risposte ai suoi dubbi.

Il giovane Elfo osservava il panorama di Lòrien dal piccolo gazebo, se così si poteva chiamare, annesso alla casa di Hàldir sugli alberi. Aveva con sé arco e frecce, e Roswehn si chiese se gli Elfi si portassero quelle armi appresso anche durante il sonno.

"Questa costruzione toglie il respiro..." esordì. "Sembra fatta di cristallo."

L'abitazione di Haldir era in effetti uno spettacolo: sottili colonne davano all'interno un'aura mistica, quasi sacra. Le fece venire in mente un piccolo tempio.

"Quello che vedi non è cristallo, ovviamente." rispose Rùmil. "E' resina."

Roswehn toccò una delle colonne. "...resina?"

"Sì...hai presente quel liquido che cola dal legno e quando si solidifica diventa ambra?" continuò Rùmil. "E' sufficientemente solido e resistente per costruirci anche un alloggio...e tuttavia leggero quanto basta per non pesare sui rami degli alberi e farli crollare."

"E' meraviglioso." osservò la donna. "Ho passato quasi tutta la mia vita in una casa costruita su di un lago. L'acqua faceva marcire il legno, c'era sempre odore di umido e muffa...".

L'Elfo la guardò senza rispondere, ma, dall'espressione che aveva, Roswehn comprese che era abbastanza disgustato. Se gli avesse raccontato anche degli avanzi di pesce su cui spesso scivolava a Pontelagolungo l'avrebbe probabilmente visto dar di stomaco.

"Non somigli molto a tuo fratello." gli disse, cambiando argomento. Era vero: Rùmil aveva zigomi alti, lineamenti quasi femminei e capelli di un biondo più scuro. "E sembri più giovane."

"Lo sono. Io e Orophin consideriamo Haldir un secondo padre, più che un fratello. Ci ha cresciuti lui, dopo la morte dei nostri genitori." si girò ad osservarla, con lo stesso guardo supponente del Capitano del Lòrien. "Sei nervosa, vedo. Puoi stare tranquilla qui, è la casa più sicura e protetta di Caras Galadhon, dopo la residenza di Celeborn e Galadriel." le disse.

"Non so fino a che punto possa considerarmi al sicuro. Tuo fratello, a dire il vero, sembra piuttosto ansioso di buttarmi fuori." rispose la ragazza. "Magari mi ucciderà nel sonno."

Rùmil rise. "Non hai capito niente di lui, se dici questo..." disse.

"Ho capito solo che da quando ha ricevuto l'ordine di tenermi qui si comporta come se avesse una spina nel fianco, e non riuscisse a togliersela. Non so perché Galadriel lo abbia gravato di questo peso...tu conosci il motivo?" chiese, con finta innocenza. Ma aveva sottovalutato Rùmil.

"Non provare a estorcermi informazioni con la furbizia, mortale. E' una scommessa persa, con me. Della famiglia, io sono il più giovane e sveglio." sorrise l'Elfo.

"Come mai mi chiamate sempre mortale ? Io ho un nome, Roswehn. Non è un gran nome, lo so, difatti mi facevo chiamare in un altro modo fino a ...un giorno fa. Ma è il mio nome, per la miseria! Anche a Boscoverde venivo chiamata mortale...con quel tono di disprezzo...ma perché? Per quale ragione perversa lo fate sembrare un insulto?" La cosa la infastidiva.

"Perché lo è." rispose Rùmil. "La vostra è una razza che ha causato immense sciagure alla Terra di Mezzo. E' a causa di un Mortale, Isildur, e della sua sete di potere se l'Unico Anello è stato perduto, e se tutti i popoli di questo mondo son costretti a vivere nell'angoscia da quel giorno. Nel timore che, se ritrovato dalla persona o dall'essere sbagliato, venga riconsegnato a Sauron...con conseguenze inimmaginabili. " spiegò l'Elfo.

Roswehn non poteva replicare, perché stava ascoltando la pura verità, e lo sapeva.

"E' colpa di nove Re mortali, blasfemi e avidi oltre ogni dire, se Sauron ha ora a disposizione nove invincibili guerrieri ... avrai sentito parlare dei Nazgûl, vero? Nove rinnegati, che offesero gli Eldar e scelsero di schierarsi con le forze oscure di questa..."continuò Rùmil, ma Roswehn lo interruppe.

"Va bene, basta. Hai ragione."

L'Elfo la guardò dall'alto in basso. "Voi siete la Seconda Razza, siete comparsi sulla Terra dopo noi Elfi...ma per chissà quale strana ragione vi ritenete più intelligenti di noi."

"Non è così. Non tutti siamo uguali. Io rispetto la vostra gente e la vostra cultura." disse lei con decisione.

"Ah davvero? Perchè allora non rispetti il nostro concetto di matrimonio?" chiese Rùmil. Quella domanda la spiazzò.

"Che significa?" gli chiese, confusa.

"Hai lasciato il tuo cuore riempirsi di affetto per lord Thranduil pur sapendo che ha già avuto una moglie. Questo significa che non capisci, né rispetti, le nostre unioni." le disse lui, fissandola con i suoi occhi celesti, che si riempirono di malizia. Roswehn divenne paonazza.

"Ma che...che vai dicendo?" gli rispose, quasi balbettando.

"Ti rivelo una cosa che forse non sai su te stessa: parli molto quando sei addormentata. Anche quando sei sveglia, a dire il vero." e sorrise. Roswehn sentì le guance farsi roventi. "Mentre eri priva di sensi fra le braccia di mio fratello, al ritorno dall'Anduin, hai chiamato il Re di Boscoverde in continuazione. Una volta hai anche mormorato qualcosa come ti prego tienimi con te nel tuo regno! " disse in falsetto, portandosi una mano al cuore per prenderla in giro. Poi rise.

"Smettila!" urlò la donna, ormai travolta dall'imbarazzo. "Non sono affari tuoi!"

"Tu davvero credi che se Thranduil avesse voluto un'altra moglie, sarebbe ancora solo adesso? La Regina Calenduin è morta due millenni fa. Se per noi fosse possibile un secondo matrimonio, decine di principesse elfiche da ogni angolo della Terra di Mezzo si sarebbero messe in marcia verso Boscoverde per proporsi a lui. E' noto il suo fascino." le disse, sempre con quel sorrisetto che Roswehn stava iniziando a trovare insopportabile. "E invece tu hai sperato che notasse te, fra quella moltitudine di bellissime donne Elfo di stirpe reale che darebbero ogni cosa per stargli a fianco, hai osato credere che lui potesse risvegliare i suoi sentimenti proprio per te e, senza paura di sfidare i Valar, andare contro le leggi di questo universo...per te, anonima femmina umana che non sa nemmeno reggersi in piedi su un ponte..." continuò imperterrito. "Voi mortali siete ben strani. Lo avevo sentito dire, e ne ho la prova."

Roswehn sentì una scossa, come se la sua frustrazione si fosse espressa in un brivido improvviso. Rùmil se ne accorse, e divenne serio in un attimo. "Comunque, nel delirio dell'incoscienza hai detto anche un'altra frase, qualcosa che ha turbato Haldir."

Roswehn lo guardò.
"...cosa?" volle sapere.

"Hai detto... il nero esercito, il mio esercito mi aspetta. Non arrestate il mio cammino miserabili bestie." disse lentamente l'Elfo, guardando altrove.

"Sì, certo ti credo. Come no. Inventatene un'altra se vuoi spaventarmi, Rùmil di Lòrien." replicò Roswehn, acida. "Noi mortali non siamo del tutto idioti."

L'Elfo tornò a guardarla sorridendo. "Sai, mio fratello non ha moglie. Nè l'ha mai avuta." le rivelò, facendole l'occhiolino.

"E che vuoi che mi importi?" disse Roswehn.

"Dato che hai un debole per quelli della nostra razza, pensavo ti interessasse." rise di nuovo Rùmil. "Haldir non é come sembra. Comunque, avrete tempo per conoscervi, qui dentro..."

"Di cosa discutete, voi due?" chiese una voce. Haldir era tornato.

"La ragazza mi diceva che le piacerebbe salire al piano superiore e provare la comodità del tuo giaciglio. Desidera un po' d'amore elfico, e le ho detto che non hai rivali in certe cose." rispose Rùmil, guardando verso Roswehn.

"Non è vero, bugiardo! Parlavamo invece di come sarebbe opportuno che voi Elfi imparaste a farvi gli affaracci vostri!" disse la donna, rivolgendo a quel chiacchierone uno sguardo micidiale.

"Puoi andare, Rùmil. Ora sono qui." disse freddamente Haldir. L'umorismo del fratello non l'aveva divertito. Anzi, pareva ancora più cupo di prima.

Guardò verso Roswehn, che l'osservava ancora rossa in viso. "E tu, adesso...tu mi ascolterai con attenzione."

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Capitolo 19
*** Anima in guerra ***


Haldir cercó di spiegarsi meglio che potè, nonostante egli stesso non avesse ben compreso il discorso di Lord Celeborn.

Il Guardiano del Lothlórien era stato informato da lui e da Galadriel della situazione di Roswehn: erano ormai certi che l'anima di una defunta regina di un Regno antico, Regan di Arnor, figlia di Valandil, avesse preso possesso della ragazza mortale. I segnali c'erano tutti, il più importante dei quali veniva dal profondo intuito di Galadriel. Erano sicuri che la donna fosse sopravvissuta alla caduta nell'Anduin per intervento sovrannaturale della stessa Regan, che non avrebbe mai lasciato l' ospite umana finire i suoi giorni prima di raggiungere il suo scopo: tornare sul trono di Arnor, riunirla a Gondor, e, molto probabilmente, allearsi a Sauron, richiamando a sè la sterminata popolazione di Numenoreani Neri, sparsi per la Terra di Mezzo. Il suo nero esercito. Poteva essere una catastrofe. La donna doveva perciò rimanere confinata nel Lòrien, dove il potere di Nenya, l'Anello di Galadriel, poteva contenere il démone.

Quando Haldir ebbe terminato con le spiegazioni, il viso Roswehn assunse un colorito marmoreo.

"Tu mi stai...dicendo che sono posseduta da uno spirito?", chiese con voce flebile. Entrambi sedevano sotto uno dei portici della casa di Haldir. Era sera.

"I miei Signori credono questo." confermò l'Elfo.

"No...non è possibile...non avverto niente di strano in me..." farfuglió Roswehn, e Haldir si stupí della sua calma, ma sarebbe durata poco, ci avrebbe scommesso.

"Te l'ho spiegato. La luce di Nenya tiene a bada quello che c'è dentro di te." disse Haldir. Una delle innegabili qualità del Guardiano di Lothlòrien era la sua voce: sempre misurata e vellutata. In realtà, anch'egli era nervoso, Galadriel lo aveva investito di una grande responsabilità, perché se la mortale fosse fuggita dal loro territorio la comunità di Lothlórien ne avrebbe pagato lo scotto.

"Tiene a bada...quello che c'è dentro di me." ripetè Roswehn. Sembrava non riuscisse a capire. "E allora come mai non può scacciare lo spirito dentro di me?" chiese improvvisamente, ad alta voce.

Sta per perdere il controllo, Haldir pensò. Ecco un'altra grana per concludere la giornata: una donna in piena crisi isterica a casa sua.

"Non è forse la più potente fra le Streghe elfiche? Non è forse la più antica creatura di questa Terra?" continuò la donna, levandosi in piedi di scatto.

"Non può farlo, perché il demone, cioè, quello che un tempo era Regan figlia di Valandil, è la trasmutazione di un'anima umana, non è uno spirito elfico. Galadriel non può distruggerlo. E come se venisse da una dimensione sconosciuta per noi. Il vostro aldilà." tentò di spiegare. "Forse Gandalf, o Saruman...uno Stregone potrebbe estirparla da te."

Roswehn era in piedi, immobile e ammutolita. Sembrava come frastornata. Haldir temette di aver commesso un errore a rivelarle quello che gli era stato detto da Galadriel e Celeborn, che in realtà si erano raccomandati di tenerla all'oscuro di tutto fino all'arrivo di Gandalf, già allertato da Galadriel con il suo potere psichico. Haldir aveva deciso di mettere Roswehn al corrente della situazione perchè non avrebbe sopportato ancora le sue domande, peraltro legittime, e le continue richieste di incontrare Galadriel. La sua Signora non voleva parlare con lei prima dell'arrivo dello Stregone, poiché temeva che Regan in sua presenza si potesse risvegliare in modo violento e far del male alla ragazza.

"Ma...ma qui siamo alla follia! Insomma, ti rendi conto di quello che mi hai appena detto?" sbottó improvvisamente lei, girandosi a guardare l'Elfo. "Mi prendete per un'idiota?!"

Era ovvia la sua reazione: la giovane non avrebbe digerito facilmente la realtà dei fatti. Del resto, l'intera faccenda era incredibile: Haldir non aveva mai sentito storie del genere, e sí che la sua vita era stata lunga fino a quel momento. Tremilacinquecento anni su quella Terra e non le aveva ancora viste tutte.

"Cioé...so che voi Elfi vi divertite a prendere in giro gli umani, insomma, me l'hanno detto da quando sono nata ..." continuò, ormai sopraffatta dall'agitazione. "E' narrato in tutte leggende, io non volevo crederci. Ma è vero dunque! Vi divertite a torturare le nostre menti..ci portate a dubitare di noi stessi e della nostra vita!" si portò le mani al viso.

Haldir non replicò subito: si limitava ad osservarla con un'espressione fra il preoccupato e il compassionevole. "La tua confusione è legittima. Ma è la parola di Galadriel...e devi accettarla. Lei non ti farebbe del male. Nessuno di noi lo farebbe. Al contrario, sei tu che hai portato un grave pericolo qui da noi." disse infine.

"E tu? " gli chiese, girandosi a guardarlo.

Haldir notò che il colore dei suoi occhi era cambiato. Anche il suo viso....aveva qualcosa di diverso.

"Si può sapere perché mi tieni qui? Perché a parte te e i tuoi fratelli non mi è concesso parlare con nessuno?" gli si avvicinò. "A Bosco Atro fui imprigionata, ma mi dissero almeno il motivo, avevo valicato i loro confini. Un motivo stupido, un motivo che contestai...ma, per gli dèi, era un motivo! Qui invece, non c'è alcuna ragione valida perchè io venga sorvegliata da te in continuazione."

L'Elfo iniziò a spazientirsi. "Non costringermi a ripetere ciò che dico infinite volte. Sei con me perchè Celeborn e Galadriel non si fidano di altri. Devi essere controllata. Se tu dovessi fuggire...o meglio, se il dèmone ti spingesse a farlo, tutte le conseguenza graverebbero su Lòrien, ne saremmo responsabili." spiegò.

"E perchè Re Thranduil non si è fatto questi scrupoli?" chiese Roswehn.

"Probabilmente non sapeva." glissò Haldir. Roswehn sembrò colta da un ricordo inprovviso. Aggrottò le sopracciglia.

"...in verità, mi disse di non usare il nome Regan, e mi disse di...non lasciare che il mio cammino venisse indirizzato da altri..." mormorò, mentre sentì un brivido gelido sulla schiena.

Haldir si alzò in piedi. "Quello che dici è di grande importanza per i miei Signori. Se è vero che Thranduil ha avuto qualche intuizione su questa faccenda, ha mancato di prendere provvedimenti. Ti ha lasciata andare, esponendo tutti noi a un potenziale pericolo. Dovrà risponderne." disse seccamente l'Elfo.

"Sai, conoscendolo...credo che non gli importi proprio niente." rispose la ragazza. Le era di nuovo scoppiato il mal di testa, stavolta lancinante. "Sentimi bene, Guardiano: io non credo a una sola parola di quello che hai detto. E mi dispiace, ma non credo neanche a Galadriel. Non so che cosa stiate complottando contro di me...forse volete il mio oro...o volete rapirmi per qualche oscuro motivo che ancora mi sfugge...ma non sono disposta a bermi le vostre fandonie. E domani, all'alba, io prenderò uno dei vostri cavalli e me ne andrò. Ti avverto: non tentare neanche di fermarmi."

Haldir la guardò impassibile. "E io sfido te: provaci." disse gelido. "Ti sei scordata di essere in un territorio popolato da elfi silvani? Se anche tu riuscissi a allontanarti dalla mia casa, ti ritroveresti subito decine di miei soldati addosso, tutti con arco e frecce puntati verso di te."

Roswehn annuì, "Minacciami, se vuoi, ma te lo ripeto: io me ne andrò da qui." gli disse.

Subito dopo la ragazza si ritirò verso l'angolo della casa riservato a lei.

Haldir scosse la testa: quella sciocca non si rendeva conto di quello che diceva. Se non avesse accettato l'aiuto di nessuno, Regan l'avrebbe uccisa. O meglio, avrebbe soffocato la sua anima e preso totalmente possesso di lei nel tempo. In parte, la trasformazione era già in atto.

L'Elfo non voleva che ciò accadesse. Non voleva che la donna venisse abbandonata a quel triste destino. In fondo, non gli era dispiaciuto tenerla con sé, a casa sua. Si era irritato inizialmente per la decisione di Galadriel, ma una parte di lui avvertiva una strana emozione in presenza della ragazza umana. La stessa che aveva provato mentre la sorreggeva durante il ritorno dal fiume Anduin.

Era graziosa, benché insolente.
Era forte, benché terrorizzata.
Era sola.

Come lui.

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Capitolo 20
*** Gandalf il Grigio ***


Gandalf procedeva con il suo carro lungo il confine tra il Lothlòrien e Imladris.

Aveva passato più di un anno a girovagare per l'Ossiriand in cerca dell'erede di Isildur: quell'Aragorn, figlio di Arathorn II, che nelle vene aveva il sangue di Numenor. Il giovane era cresciuto a Gran Burrone con Lord Elrond, accolto da lui insieme a sua madre quando aveva appena due anni.

C'era una lontana parentela fra i due: Aragorn era l'ultimo di una linea di sangue iniziata proprio da Elros, fratello di Elrond, che aveva scelto millenni prima di vivere una vita mortale, al contrario del Signore di Gran Burrone rimasto fedele alle leggi degli Elfi. Il figlio di Elros, Elendil, aveva avuto a sua volta un erede: Isildur, il capostipite di una dinastia umana che si era bruscamente interrotta con la morte di Regan, unica figlia di Valandil, quarto e ultimo dei suoi discendenti: una donna erede legittima al trono di Arnor.

Anche Valandil era cresciuto a Imladris, per poi recarsi ad Arnor per diventarne il Re, quando aveva appena vent'anni. La stessa età che aveva Aragorn a quel tempo.

Gandalf ignorava quale dei figli di Isildur fosse l'antenato diretto del giovane ramingo, che stava prestando servizio come soldato nelle fila di diversi eserciti. Elendur, Aratan o Cyrion?

Non lo sapeva, ma di certo non era da Valandil che veniva la sua discendenza. Egli aveva avuto una sola erede, quella principessa Regan, morta senza aver avuto figli, che sembrava essere tornata sotto forma di dèmone e che si era incarnata nel corpo di una graziosa ragazza di Dale.

Questo gli aveva detto Galadriel, con il potere della mente. Per questo si stava dirigendo nel Lothlòrien, per questo aveva quasi perso il sonno negli ultimi giorni. Nonostante la ragione lo spingesse a credere a Dama Galadriel, la cui immensa conoscenza non falliva mai, ostinatamente sperava che si fosse sbagliata.

Non poteva essere vero.

Se Regan si fosse ripresentata in quel mondo, e se si fosse lasciata manipolare da Sauron, un'altra tremenda guerra era da prevedersi. Stavolta, non più Nani contro Elfi o contro Orchi. Stavolta, sarebbero stati i Mortali la razza sfidante. E considerando che la popolazione degli Uomini, inclusi gli abitanti di Rohan e Gondor, stava diventando la più numerosa della Terra di Mezzo, sarebbe stato un disastro.

Gli Elfi stavano lentamente lasciando il continente, per andare a Valinor, nella nuova vita alla quale le creature mortali, Hobbit, Uomini o Nani che fossero, non potevano accedere, se non grazie a speciali permessi. Ormai quei bianchi velieri partivano con regolarità dal Mithlond. La grazia degli Elfi si stava spegnendo, troppo male c'era in quel mondo e quelle delicate creature non riuscivano a sopportarlo.

I Nani, duri e testardi, sarebbero rimasti abitanti della Terra insieme agli Uomini, ma anche per loro sarebbe arrivata la fine, prima o poi. La razza umana era destinata a prendere totale possesso di Arda, nei secoli a venire. Così era stato era stato predetto, e così sarebbe stato, rifletté Gandalf.

Il problema era capire chi sarebbe stata la guida degli Uomini. Era di fondamentale importanza che il futuro Re di Gondor - perché sicuramente sarebbe tornato un sovrano su quel trono da troppo tempo vacante - fosse un uomo di provato onore e rettitudine. Gandalf riponeva grandissime speranze in Aragorn, poiché suo padre Arathorn era stato meritevole di rispetto e stima in vita.

Ma la crudele reincarnazione di una Regina assetata di sangue e vendetta proprio no, non doveva mettere le mani su quella potentissima corona. Era oltretutto un pericolo per lo stesso Aragorn: Regan poteva travolgere tutti quelli che avrebbero ostacolato la sua salita al trono dei due Regni, e un erede diretto di Isildur in vita, sarebbe stato un ostacolo formidabile. Avrebbe cercato Aragorn con furiosa insistenza e, una volta trovato, lo avrebbe senz'altro ucciso. O fatto uccidere.

Gandalf pensava a come il destino della Terra rischiasse di essere nelle mani di quella strana ragazza, Roswehn di Dale: una giovane insolente che però gli piaceva.

Il vecchio mago ridacchiò fra sè pensando a quando lei aveva chiamato Lord Thranduil "questo Elfo qui"  come fosse stato uno qualsiasi, in barba al protocollo da tenersi verso un sovrano. Incredibilmente, Thranduil non si era scomposto. Lei lo aveva accusato di disonestà verso i cittadini di Pontelagolungo e il Grigio Pellegrino non aveva capito se la pazienza inaspettata del Re fosse stato atto caritatevole nei confronti di una donna disperata, semplice indifferenza o qualcos'altro.

Aveva notato che il Re l'aveva guardata per tutto il tempo con occhi pieni di tenerezza, come se stesse osservando qualcuno a lui molto caro. Ormai conosceva le espressioni di Thranduil: la sua glacialità, a volte, era solo apparenza. Era un trucco per non rivelarsi appieno, orgoglioso com'era...ed anche la sua bellezza, che tanto aveva colpito la ragazza di Dale, era una finzione.

Thranduil aveva delle cicatrici sul viso, Gandalf lo sapeva. Le mascherava con la magia, ma aveva un parte del volto sfigurata. Era anche cieco da un occhio. Tutto a causa di Dologon, il Drago grigio, uno dei più possenti Serpenti alati della Terra di Mezzo. In confronto a lui, Smaug era poco più di una lucertola. Thranduil aveva avuto la sventura di scontrarsi con lui al confine con Mordor, mentre era al seguito del padre, Re Oropher. Sauron aveva liberato la sua arma più micidiale, un Drago che con le sue dimensioni poteva oscurare la luce del sole. Le sue fiamme avevano travolto la legione di Elfi Silvani capitanati da Thranduil, che aveva riportato gravissime conseguenze fisiche. Il suo viso era stato ustionato, e si diceva che il corpo fosse stato ridotto anche peggio dalle bruciature.

Roswehn non sapeva questo.

Non sapeva della forza d'animo che c'era voluta perché il Re sopravvivesse a quella sciagura. Si era invaghita di lui, come una stupida, ma era ignara delle ferite visibili e invisibili che portava con sé.

In quei giorni era confinata nel Lothlòrien sotto la sorveglianza di Haldir, un altro superbo Elfo con il quale si era probabilmente già scontrata diverse volte, Gandalf poteva giurarci. Lo Stregone aveva avuto il piccolo sospetto che la scelta di affidarla ad Haldir non avesse molto a che fare con ragioni di sicurezza. Gli era balenata l'idea che Galadriel di proposito avesse lasciato la ragazza con il suo elfo più affascinante per fare in modo che i due si innamorassero. Non era forse l'amore la più potente forza al mondo? La più inattaccabile delle fortezze? Cosa avrebbe potuto fare un démone, contro l'Amore?

Ma quelle erano solo supposizioni. La realtà era che Galadriel l'aveva richiamato nel loro territorio, voleva che aiutasse lui la ragazza. Lei non ne aveva le capacità. Morgoth aveva avvelenato il sangue e la mente di Regan di Arnor e lei stava trasmettendo quella negatività all'umana di cui occupava il corpo. Era come se una piccolissima parte del potere di Morgoth fosse in lei, e Galadriel non poteva niente contro di esso.
Ma Gandalf, sì, avrebbe potuto aiutarla. Doveva liberarla.

Spronò Rigel, il suo cavallo. "Forza, amico, non abbiamo molto tempo."

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Capitolo 21
*** Roswehn e Regan ***


Roswehn doveva fare attenzione.

Aveva finto di addormentarsi, ma il suo piano era di fuggire nottetempo, mentre Haldir riposava.

Voleva uscire silenziosamente da casa sua, discendere quegli infiniti scalini, prendere uno dei cavalli che durante la notte venivano liberati dal morso e dalle selle ...e fuggire, infine. Erano passati tre giorni dal suo colloquio non proprio felice con Haldir: si era sforzata di rimanere calma durante quel periodo, aveva lasciato che l'Elfo allentasse un po' la sorveglianza su di lei prima di tentare la fuga. In veritá, sia lui che i suoi fratelli erano stati servizievoli nei suoi confronti - seppur dietro ordine di Galadriel - e di certo non poteva lamentarsi del trattamento ricevuto.

Ma non riusciva più a tollerare quella prigionía, per quanto dorata. Gli abitanti del Lòrien dormivano solo poche ore a notte, e di solito il loro sonno era più profondo nel momento in cui la tenebra lasciava il posto al sole, cioè poco prima dell'alba. Roswehn aveva atteso pazientemente che l'attimo arrivasse.

La preoccupava il fatto di dover montare un destriero: non ne era assolutamente capace. C'erano pochissimi cavalli a Pontelagolungo, quelli dei soldati. A Dale ne venivano impiegati molti di più, anche nei campi, ma per chissà per quale stupida ragione non aveva mai pensato di imparare a cavalcare. Erano l'unico mezzo di trasporto nella terra di Mezzo, oltre alle barche.

Pensò che in qualche modo si sarebbe arrangiata, del resto, che ci voleva? E poi non poteva arrivare a Rivendell a piedi, era troppo distante e i soldati di Lothlórien, con il loro Capitano in testa, l'avrebbero raggiunta in un lampo, una volta resisi conto della sua fuga.

Con tutta la cautela di cui fu capace, si alzò dal suo giaciglio e lentamente si diresse all'uscita della casa, priva di porte. Gli Elfi dovevano avere cieca fiducia gli uni degli altri per vivere in quel modo, in quegli alloggi che potevano essere accessibili a chiunque. Si domandó se conoscessero il senso della parola serratura, o chiave. A Boscoverde, invece, le porte esistevano, e anche ben resistenti.

Mentre procedeva con passo felpato, notò il grande specchio illuminato dai raggi della luna che filtravano attraverso i rami degli alberi. Si avvicinò, e vide nel riflesso la sua immagine: provò una grande tristezza. Era dimagrita, e sciupata in viso. Forse a causa di quella specie di bevanda alla radice che era costretta ad assumere, o forse per i raggi di luna che si riflettevano dallo specchio, il suo volto aveva un colorito perlaceo, simile a quello degli Elfi.

Con un dito, tracciò la linea del suo profilo sul vetro. "E tu saresti la reincarnazione di una Regina?", si chiese. "Che cosa ridicola. Tu sei sempre la stessa fragile, insignificante, patetica ragazzetta di Dale." si insultò. "Credevi che questo viaggio ti avrebbe cambiata, vero? Povera che sei. È stato solo un fallimento."

Improvvisamente, una forza sconosciuta tirò la mano di Roswehn contro il vetro. In un attimo, anche l'altra fu trascinata contro lo specchio. I palmi si attaccarono saldamente alla superficie, come se dall'altra parte una calamita li stesse attraendo con forza. Fece per urlare, ma una terza mano, invisibile, premette sulla sua bocca. Guardó atterrita davanti a sé: il riflesso del suo viso stava cambiando. Le sue fattezze, nello specchio, erano mutate. Il colore dei suoi occhi perfino era diverso. Vide una donna che non era lei. Una donna giovane come lei, ma dall'aspetto feroce. E bellissima, molto più bella di Roswehn.

L'immagine parlò.

Tu...STUPIDA! Ti sei fatta catturare da questi esseri miserabili, da questi oltraggi viventi! Hai lasciato che la Strega mi incatenasse dentro di te, che soffocasse la mia voce nella tua mente. Roswehn gemette, mentre la mano misteriosa che le chiudeva la bocca non allentava la presa. Azzardati a urlare, disse la donna nello specchio, azzardati a farlo, e la tua vita finirà ORA.

Roswehn tentò di scuotere la testa, come a dirle che no, non avrebbe urlato. Stava per svenire dal terrore, ma incredibilmente manteneva un barlume di lucidità. Sentí il viso liberarsi da quella pressione. L'aveva lasciata andare.

"Chi sei tu?" disse sottovoce, mentre un tremito inarrestabile le scuoteva il corpo. Le gambe avrebbero ceduto di lí a poco, ne era certa. Conosceva già la risposta.

Sai chi sono. Ho attraversato gli oceani del tempo per riavere ciò che é mio. E tu mi aiuterai.

Roswehn provò a risponderle: "Non sei Regan di Arnor. Lei fu una grande regina. Saggia, compassionevole di buon cuore. Tu sei solo...un démone che abusa del suo nome." disse. Di nuova sentí la mano invisibile uscire dallo specchio, stavolta la presa micidiale si strinse attorno al suo collo.

TU hai abusato del MIO nome per anni, insignificante insetto! Dita invisibili le afferrarono il mento e la obbligarono ad alzare lo sguardo. Guardami, donna...A cosa mi ha portato la saggezza? A quale infame destino mi ha condannata la bontà? Qual'è stato il premio per la mia compassione? ringhiò l'entità nello specchio, i suoi occhi scuri pieni d'odio. Roswehn si lasció andare ad un gemito soffocato, ma prima che perdesse i sensi lo spirito la lasció di nuovo.

"Ti sei venduta al Male. Fu una tua scelta." sussurrò Roswehn. "...ma io so che in vita eri una straordinaria...donna di intelletto e di grande...cuore." finí faticosamente, mentre la gola cominciava a bruciarle. Il contatto con il démone era stato doloroso, come se una lingua di fuoco avesse avvolto il suo collo. Guardò nello specchio. Regan stava ghignando.

Tu non sai nulla. Come nulla sa il Vecchio, che sta venendo qui credendo di liberarti da me, povero stupido.

"Gandalf? sta venendo qui..." mormorò, mentre una scintilla di speranza le si accese nel cuore. Sentí un altro dolore fortissimo proprio al petto. Ci volle tutta la sua forza perché non gridasse.

Indugi nella tua ignoranza senza vergogna, donna del lago. Gandalf non é niente. Elrond, Galadriel, Saruman, Radagast...tutti coloro che si credono depositari di saggezza e potere in questo mondo, non sono che vermi al cospetto dell'unico vero dio, Morgoth. Lui, che ci solleverà entrambe dalla mediocrità e dalla volgarità di questi tempi per portarci dove meritiamo di essere. Sulla vetta del mondo. Lo spirito nello specchio sembrava preda del delirio. Nei suoi occhi scuri, Roswehn intravvedeva una follia antica, la stessa che l'aveva spinta secoli prima a donarsi Morgoth.

"Tu sei pazza, ora lo so. Devi esserlo stata sempre..." mormorò Roswehn, mentre piccole gocce di sudore le colavano sulla schiena. Il vetro dello specchio era rovente. L'entità le sorrise. Fiamme blu ardevano dietro di essa.

Allora siamo in due. Non eri la reietta in quel lurido villaggio sul lago? Non eri tu la povera sventurata di cui i tuoi parenti volevano liberarsi? disse con perfidia. Ti offro di elevarti da questa infame esistenza e avere tutto ciò che desideri. Se ti unirai a noi.

Roswehn sollevò lo sguardò di nuovo e stavolta provò a ricambiare con la stessa ferocia. "Non voglio niente da te...se stata tu a farmi odiare dalla mia gente. Tu hai portato la mia famiglia a temermi, tu hai causato la mia infelicità...e devi tornare da dove sei fuggita. Un inferno ti aspetta, quello è il tuo regno, con tutti i dèmoni come sudditi..." Di nuovo, la ragazza avvertì una stretta terribile al collo e stavolta disse addio mentalmente ai suoi genitori, a Bard, Sigrid, Edith, Nim e coloro di cui riuscì a ricordarsi. Fu certa di morire, a quel punto.

Avrai l'Elfo, sibilò lo spirito. Sarà tuo, ogni volta che lo desideri.

Si riferiva a Thranduil.

Ma Roswehn non abboccò. "Tieniti le tue bugie...lui...ha amato la sua sposa, e l'amerà sempre." disse, tentando faticosamente di respirare.

Quell'Elfo femmina dei boschi gli ha dato un figlio. Ha esaurito il suo compito ed è morta. Ma lui non l'ha mai amata davvero. Non avrebbe potuto, non era una regina, non era degna di stargli accanto. Tu, con noi, diventeresti la sovrana di due regni...e con Thranduil al tuo fianco domineresti anche sugli Elfi Silvani. Galadriel si inginocchierà dinanzi a te... continuò quell'essere fatto d'aria. Perciò scegli: la grandezza o la rovina. E guardati dallo Stregone. E' vicino ora, molto vicino.

Detto questo, sparì.

Roswehn crollò a terra. Il tonfo avrebbe svegliato Haldir, pensò. Rimase immobile, sul bianco pavimento di resina. Non provò nemmeno a mettersi in piedi, sentiva che le sue gambe avevano perso la sensibilità. Forse quello che stava vivendo era un semplice incubo. Forse si sarebbe a quel punto svegliata per ritrovarsi nella sua comoda stanza a Dale. Ma poi osservò il suo viso sfatto allo specchio. No, era reale. Tutto orribilmente vero.

Rovina o grandezza, le aveva detto una donna fantasma dall'aldilà. Roswehn si trovò a pensare che, in fondo, erano entrambe facce della stessa medaglia. Era stata la sete di grandezza a portare Regan verso la rovina, fisica e spirituale.

Lui sarà tuo.

Mentre gli ultimi istanti di quelle notte passavano, la ragazza chiuse gli occhi e lasciò il tenue chiarore che annunciava il nuovo giorno investirla.

Non c'erano dèmoni nella luce.

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Capitolo 22
*** Risveglio ***


Haldir osservava i segni rossi sul collo della donna.

Era capitato qualcosa di indicibile in casa sua. L'aveva trovata immobile a terra, ma non era svenuta: aveva gli occhi sbarrati, e guardava verso la luce che arrivava da fuori. Sembrava si stesse abbeverando dei raggi del sole, come se quel caldo splendore le fosse disperatamente mancato. Oppure, come se in esso trovasse un rifugio sicuro. L'aveva delicatamente sollevata e portata al piano superiore, e poi l'aveva adagiata sul suo letto. Attendeva l'arrivo di Rùmil, che si presentò qualche ora dopo l'alba.

"Ma guarda," disse, non appena vide Roswehn distesa. "Non ci hai messo molto, fratello."

"Smettila." gli rispose seccamente Haldir. "Sta' con lei. Devo andare a parlare con Celeborn."

"È arrivato Gandalf il Grigio. Celeborn e Galadriel sono con lui ora. Tra poco verrà qui." gli disse Rùmil, mentre osservava perplesso il collo della donna. "Ma che le è capitato?"

"Una cosa troppo orribile a dirsi, temo." guardò Roswehn che ancora non si muoveva. "La sua mente è stata violata, Rùmil. Ho paura per lei. Ho paura che abbia oltrepassato il confine e non farà più ritorno."

Il giovane Elfo guardó il fratello. "E perché dovrebbe importarti? Cos'è questa mortale per te?"

Haldir non riuscí a trovare una risposta. Di solito zittiva sempre Rúmil, che rispetto a Orophin era piú irruente e spesso si attirava i suoi rimproveri. Ma quella volta non sapeva come replicare.

"Se si muove o dice qualcosa, fa' attenzione." gli raccomandó, e poi uscì di gran fretta. Roswehn continuava a tenere lo sguardo fisso rivolto verso l'alto.

Rùmil provó a parlarle: "Questo letto è decisamente meglio di quello scomodo divano, vero?"

Non ci fu alcuna reazione da parte della donna.

"Ho l'impressione che mio fratello sia ammaliato da te." le disse. "Mi hai sentito, donna umana? Sei riuscita a far breccia nel suo cuore. E sai, è una cosa straordinaria."

Roswehn non si mosse, ma Rùmil continuó, sedendosi sul letto vicino a lei. "Perché vedi, lui non ha mai voluto bene a nessuna. Cioè, ha avuto alcune amanti, ma non si è mai innamorato. Ed è una vera disdetta che tu sia legata al destino caduco dei mortali, e che al momento sia posseduta da un fantasma e preda di una folle passione per un re algido che ti considera meno di niente. Perché se la tua anima e il tuo cuore fossero liberi, se potessi vivere in eterno come noi, tu e mio fratello sareste felici."

Rùmil sospiró di fronte al silenzio della donna. "Ti sto parlando inutilmente. Sei in un'altra dimensione, vero? Sei lontana da qui."

Colse un impercettibile movimento in lei. Aveva sbattuto le palpebre un paio di volte. Inizió a respirare forte e Rùmil la guardó allarmato. Improvvisamente, si levó seduta sul letto, come se si fosse svegliata bruscamente da un incubo.

"Oh dèi del cielo, aiutatemi!" disse Roswehn, portandosi una mano al collo. Poi guardó verso l'Elfo con gli occhi spalancati. "Dove sono?!" chiese.

"Sei sempre a casa di Haldir. Sta' calma." le rispose Rùmil. Doveva avvisare subito il fratello, ma non poteva allontanarsi. La osservó bene: gli occhi di Roswehn erano rossi, come se fossero stati abbagliati o feriti da qualcosa.

"E dov'è lui?" chiese lei. Si guardó intorno confusa.

"È andato da Galadriel. Presto arriverà qualcuno che potrà aiutarti. Non aver timore, ragazza." la rassicuró l'Elfo.

"Le mie gambe...oh le mie gambe!" urló Roswehn, toccandole. "Non le sento più, Rùmil! Sono morte!"

"Cosa vuol dire, sono morte?!" chiese. "Ieri deve esserti successo qualcosa. Questa è una delle conseguenze, credo, ma passerà." le disse per darle coraggio.

"No...Io devo tornare a casa mia. A Dale. Devo stare con la mia famiglia." mormoró lei, sconvolta. Poi guardó verso Rùmil. "Aiutami ti prego. Portami nel mio regno sul tuo cavallo. Ti darò tutte le mie monete d'oro. Non posso rimanere qui." lo imploró.

Rùmil fece cenno di no col capo.

"I tuoi non possono aiutarti. Staresti peggio con loro, qui almeno hai la speranza che il tuo spirito venga guarito. È arrivato Gandalf..."

"NON MI IMPORTA NIENTE DEL MIO SPIRITO!" Gridò lei. "Voglio tornare da mio padre e da mia madre! Mi hai sentito, con le tue orecchie a punta?! Voglio...tornare...a...casa!" e poi scoppiò in singhiozzi. "Io ti chiedo di aiutarmi...solo aiuto!"

Rùmil si rattristó nel vederla in quello stato. Ma cosa poteva fare? Niente, un accidenti di niente.

"Ascoltami: tutti noi vogliamo aiutarti. Non sei giunta qui a caso. Io non credo nel caso, io credo che Eru, nella sua infinita conoscenza, guidi le vite di tutti i suoi figli, di ogni razza. E ti dico che la tua venuta fra di noi ha uno scopo. Non so quale sia, a dire il vero, ma con il tempo tutto sarà chiaro."

Roswehn lo guardò in silenzio per qualche minuto, asciugandosi gli occhi con il dorso della mano: "Beh, potevi impegnarti di più, Rùmil. Sembra tanto il discorso di uno sciocco che vuole farsi passare per intelligente."

L'Elfo rise di gusto. "Quella cosa dentro di te non ti ha tolto l'insolenza. Ciò mi rincuora."

"O forse è proprio lei a parlare." Roswehn si portò entrambe le mani alla testa. "Non so. Non so più niente adesso."

"Ho un regalo per te, ti farà stare meglio!" sussurrò Rùmil, poi scese velocemente di sotto.

"Dove vai, non lasciarmi!" gridó ancora la ragazza. Dopo qualche minuto, sentì un profumo celestiale provenire dal piano inferiore. Profumo di cioccolata. Ma come potevano avere della cioccolata gli Elfi?

Rùmil salì con una piccola scodella fumante.
"Questa dovrebbe tirarti su il morale. Così mi è stato detto." La giovane prese la ciotolina tra le mani e inspiró incredula il profumo meraviglioso.

"Non posso crederci, ma dove l'hai presa?" chiese. "Perfino a Dale non potevo averne...vuoi assaggiarla anche tu?"

Ma Rùmil non era convinto: "No, non mi piace l'odore che emana. Ma è un' estasi per voi umani, pare."

Dopo un sorso, Roswehn inizió subito a sentire un po' di energia scorrerle nelle vene. Quanto le erano mancati quei sapori. "Immagino che avere anche una bistecca sia fuori discussione." azzardó.

"Adesso chiedi troppo, mortale. Non farmi andare contro i miei princìpi." rispose Rùmil. "E ti svelo un gran segreto sulle nostre orecchie a punta..." le prese una mano e se la portó al suo orecchio sinistro, facendo scorrere le dita di Roswehn sul suo lobo, dal fondo fino alla punta. Sussultó, come se la mano della ragazza fosse stata ardente.

"Che succede?" si spaventó lei, mentre con l'altra mano sorreggeva la ciotola ed era pericolosamente vicina a far versare il contenuto sul letto. "È doloroso?"

Rùmil sorrise. "No...tutto il contrario." Aveva un'espressione deliziata. "Voi avete le vostre estasi...noi le nostre. Un piccolo trucco che potrai usare con Thranduil, se ti capiterà l'occasione. O con Haldir, il che mi sembra più probabile."

"Vuoi dire che basta toccare le orecchie di un Elfo per avere il suo amore?" chiese Roswehn, sorridendo. A Rùmil piacque il suo sorriso, era la prima volta che glielo vedeva. "Beh non proprio l'amore, ma lunghe ore piacevoli in sua compagnia, sì."

"Di', per caso conosci un tale chiamato Rael? È guardiano delle carceri a Boscoverde, sareste ottimi amici, ho idea." disse Roswehn con una smorfia. Era incappata in un altro Elfo con manìe da seduttore, ma almeno Rùmil la faceva divertire. Ed era gentile.

"Sul serio...dove hai preso questa?" disse finendo quell'ottima bevanda.

"Gliel'ho data io, fanciulla. Ho avuto una giusta pensata, me ne compiaccio." disse una voce che Roswehn conosceva. Gandalf apparve dalle scale, il solito abbigliamento da viandante randagio, ma non portava il cappello. "Vedi cosa puó portare un nuovo giorno? Polvere di cacao dal villaggio di Brea, per non lasciarsi andare all'afflizione." le disse.

Haldir era dietro di lui.

"Gandalf!" Roswehn provó a muoversi. "Non posso alzarmi per salutarti, non ci riesco."

"Non importa." lo Stregone sembrava preoccupato. "Ho saputo. Mi dispiace immensamente che tu stia soffrendo.Ci sono spiriti che non accettano la fine del loro tempo e trascinano nell'oscurità anime incolpevoli, come la tua. Proveró ad aiutarti, per quanto mi sarà possibile."

A quel punto, Roswehn inizió a ridere. Un riso dapprima timido, poi più forte, poi selvaggio.

Cosa credi di fare, pellegrino delle tenebre, misero incantatore? Lei verrà con me. È deciso.

Haldir e Rùmil si guardarono impressionati. Non era la voce di Roswehn. Il viso era il suo, i capelli erano i suoi...ma non era lei.

"Fa' silenzio!" disse lo Stregone, con tono imperioso, poi cominció a parlare una lingua sgradevole all'udito, una lingua che infastidiva i due Elfi. Rùmil si coprì il viso con una mano. Era un linguaggio profano, più antico dello stesso Gandalf, ma che solo gli Stregoni e Sauron potevano comprendere: il linguaggio dei Maiar, dei quali anche Morgoth faceva parte. Pose la mano sulla fronte della donna, nel frattempo abbandonatasi sulle coperte. Sembrava che stesse soffrendo terribilmente.
Gandalf le prese la mano: "Tu devi combattere, Roswehn! Sii forte, figlia di Hannes e Yohlande. Opponiti a lei!"

Lei non vuole che io la lasci, non l'hai capito? Lei ha scelto ME. Disse ancora quell'entità malvagia.

"Lei ha scelto le vane promesse che le hai fatto! Non te!" tuonó lo Stregone.

D'un tratto, Roswehn sembró calmarsi, e lentamente riaprì gli occhi. Guardó Gandalf.

"Cosa dicevi sul villaggio di Brea? Non è quel luogo dove Uomini ed Hobbit vivono insieme?"

Era come se nulla fosse capitato.

Lo Stregone sospirò, avvilito. Non ce l'aveva fatta. La donna aveva deciso di perdersi nell'aura di Regan. Cosa sarebbe stato di lei, a quel punto? Galadriel non poteva niente, lui non poteva niente. E sospettava che nemmeno Lord Elrond, Saruman e Radagast insieme avrebbero potuto fare qualcosa. Regan di Arnor si era legata a Morgoth, era un'iniziata, e aveva purtroppo plagiato la mortale. Quale forza immensa avrebbe potuto opporsi al grande Male? L'amore, davvero?

Guardò Haldir.

Forse il Capitano di Lothlórien aveva iniziato a sentire qualcosa per Roswehn, ma non era corrisposto. Poi si concentrò, e trovò la risposta: gli restava un'altra carta da giocare.

La più rischiosa.

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Capitolo 23
*** Tempesta a Dale ***


Bard osservava pensoso il temporale che si stava avvicinando.

Non sopportava le tempeste estive, erano più violente di quelle autunnali e rovinavano i raccolti. L'acqua faceva bene ai campi, ma guardando quelle nuvole nere all'orizzonte, immaginò che sarebbe seguito anche un bel carico di grandine e quella no, per le coltivazioni non andava bene affatto.

"Pa'! Paaa'!" sentí urlare.

Seppe subito che era Sigrid, senza nemmeno voltarsi. Solo lei poteva berciare a quel modo. Nonostante fosse elevata ormai al rango di principessa del regno, e futura regina in quanto primogenita, non riusciva a imparare le buone maniere. Sua sorella Tilda, benché ancora bambina, era inaspettatamente più educata.

Sigrid corse verso il padre, che la guardò severamente.

"Non devi urlare a quel modo. Ma che ti prende?" la rimproverò Bard. Sua figlia aveva in mano un oggetto.

"Pa'...devo mostrarti una cosa..." disse lei, respirando con affanno. "Devi vedere questo." gli mostrò un piccolo libro. Aveva la copertina in pelle e sembrava usato parecchie volte.

Bard lo aprí. Era un diario: le sue pagine erano scritte a mano, in una calligrafia elegante e precisa.

"Di chi è questo, Sigrid?" chiese.

"È di Regan." rispose la ragazzina. Sembrava agitata. "Due giorni fa era il suo compleanno. Sono stata a casa dei suoi genitori, pensavo si sentissero tristi perché lei è lontana e non hanno potuto festeggiare tutti insieme." raccontò Sigrid. "Yohlande mi ha dato questo, è suo. Le ho detto che Regan mi manca molto, cosí me l'ha regalato per sentirla vicina mentre lo leggo."

Bard sfogliò le pagine. Molte parole erano state cancellate e riscritte. Erano frasi semplici, piccole riflessioni sulla sua vita quotidiana a Dale.

"Sua madre non avrebbe dovuto dartelo. Questi sono pensieri di Regan, dovrebbero rimanere solo per i suoi occhi. Non sarebbe contenta se sapesse che tu lo leggi." obiettò.

"Ma..mi ha detto che lo ha lasciato di proposito in camera sua. Forse voleva che venisse trovato." rispose Sigrid. Guardava il padre preoccupata. "Comunque pa', te l'ho portato perché devi leggere qui." Girò velocemente le pagine, fino ad arrivare ad una figura.

Bard riconobbe subito il soggetto: un re elfo, seduto su di un trono di legno e avvolto da un lungo mantello.

"È Thranduil..." mormorò Bard. Lo aveva rappresentato come l'aveva visto l'inverno dell'anno precedente, nella tenda, la notte prima della grande battaglia ad Erebor. "È piuttosto brava nel disegno." osservò.

"No, leggi cosa scrive sotto..." insistette Sigrid. Bard fece correre lo sguardo sulle frasi che seguivano l'illustrazione.

L'ho sognato anche stanotte, il mio Re. Ho immaginato il suo caldo abbraccio, le sue mani su di me come...

Bard chiuse il libretto bruscamente. "Sigrid!" guardò la figlia, "sei andata avanti a leggere?"

La ragazza arrossí lievemente e annuí.

"Non avresti dovuto...e nemmeno io. Riporterò questo a sua madre. Mi stupisco di Yohlande." disse rabbuiato.

"No ma, papà...va' avanti." disse Sigrid, mentre iniziava a piovigginare.

"Dov'è Bain?" chiese Bard. "Corri a chiamarlo e chiudetevi nel Palazzo con Tilda. Sta arrivando un temporale."

La figlia non rispose ma, dopo avergli lanciato uno sguardo pieno di apprensione, girò le spalle e si diresse a passo svelto verso casa coprendosi con un fazzoletto. Anche Bard camminò velocemente verso uno dei fienili del regno per mettersi al riparo. Giunto sotto il portico, aprí di nuovo il diario di Regan.

Ho svolto una piccola ricerca sul nome "Thranduil": pare che in elfico significhi "vigorosa primavera"...beh lo trovo un nome perfetto per lui. La sua bellezza è in effetti paragonabile alla bellezza della primavera. E, a giudicare dalla sua fisicità, non vedo proprio perché in amore non debba essere vigoroso.

Bard sorrise fra sé. "Ah, Regs..." mormorò. La chiamava affettuosamente Regs, a volte. "Che stupida che sei". Quella sciocchina sognatrice si era presa una sbandata coi fiocchi per Thranduil. Elrond aveva ragione, dunque.
Ecco perché era cosí ansiosa di andare a Bosco Atro. Altro che discussioni sui commerci e proposte di nuovi accordi. Si chiese cosa stesse facendo in quel momento.

Girò la pagine e vide che la calligrafia cambiava, frase dopo frase. Diventava più confusa, meno nitida. E anche il contenuto dei suoi pensieri cambiava.

Ucciderli devi ucciderli tutti comincia dai suoi figli devi colpirli nel sonno taglia le loro luride gole e per ultimo il barcaiolo non risparmiare nessuno

Bard sentí come un colpo al cuore. Rilesse quel pensiero più e più volte, con il sangue che si ghiacciava nelle vene, e non certo per il freddo portato dal temporale.

Ma cosa voleva dire quella roba? Cosa accidenti era? Forse Regan era stata male. Forse, provò a riflettere, era stata vittima di un febbrone e aveva buttato giù frasi sconnesse dettate dal delirio. Forse era uno scherzo...già, ma che razza di scherzo?

Aveva descritto il massacro della sua famiglia. E, non ultimo, il suo assassinio. Un fremito gli corse lungo la spina dorsale. Decise di non parlarne a Sigrid. E nemmeno a Yohlande e ad Hannes. Decise di dimenticare... per il momento. Avrebbe restituito l'indomani stesso il diario alla madre di Regan. Si chiese se Yohlande l'avesse sfogliato, prima di metterlo in mano a sua figlia. No, probabilmente no.

Un lampo e un tuono improvviso.

Bard corse a casa.

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Capitolo 24
*** A Rivendell ***


Elrond si volse verso Lindir.

"Questa sera spiegheró ad Arwen perché ho deciso di farla andare nel Lothlórien. Sarà dura per me, lei non capirà." sospiró. "Ma è troppo rischioso che resti qui, adesso che quella ragazza è in arrivo."

L'esile Elfo, che con Elrond si occupava di organizzare la vita degli abitanti di Gran Burrone ormai da secoli, annuì.

"Partiremo domani. Ho già dato ordine ai nostri soldati di scortarci fino al territorio di Lord Celeborn." Le nuvole stavano giungendo anche a Imladris, scure e illuminate da piccoli lampi.  "Dama Galadriel sarà felice di rivedere vostra figlia. Le è molto legata." disse Lindir, guardando Elrond.

"In effetti vorrei che Arwen crescesse nel Lórien. Ho l'impressione che le manchi una figura femminile, qualcuno che sia per lei una sorta di madre. Ha perso la sua quando era in fasce." disse, osservando il cielo. Una lieve malinconia attraversó il suo sguardo. Aerin, la sua seconda moglie mortale, lo aveva lasciato solo con la bambina, stroncata da un brutto male che non aveva nome. Un male umano. "Galadriel puó insegnarle molto." disse.

"Questo significa che non la rivedrete per un bel po'. Vi mancherà." riflettè Lindir. "Non temevate la lontananza?"

"Temo molto di più la vicinanza con la donna mortale, Roswehn. Mithrandir vuole portarla qui, conosco le sue intenzioni. Si è già messo in viaggio con lei."

"Perché ha preso questa decisione, secondo voi? Nemmeno il potere del vostro Anello, Vilya, può aiutarla. Dite che non sappia questo?" chiese Lindir.

Non gli piaceva per nulla quella faccenda. La tranquillità di Imladris rischiava di essere messa a repentaglio dall'arrivo della donna. O meglio, dall'arrivo di quello che c'era dentro di lei.

"Non è il mio aiuto che vuole. Il suo piano è diverso, e include un'altra persona. Qualcuno che difficilmente, peró, si farà coinvolgere." gli rispose Elrond. "Del resto, Mithrandir vuole provare e quando inizia qualcosa, sai bene che ostinatamente la porta a termine."

"Chi sarebbe questa persona?" chiese Lindir.

"Colui che non ha mai messo piede qui e che non considera altro che il suo regno. Un signore elfico che non si degna di partecipare ai nostri consigli e che con orgoglio seguí il padre quando questi portò la loro gente lontano da Lothlórien, per ribellarsi a Celeborn e Galadriel." disse Elrond, con un'espressione seccata. "Non vorrei il suo aiuto, Lindir, se non fosse davvero necessario. Ma lo Stregone ritiene sia una strada da percorrere. E la ragazza è in pericolo."

"Dunque è vero quello che temevate. Regan si è reincarnata in lei. È incredibile." disse Lindir in un mormorío. "Ma perché si è manifestata solo ora? Durante l'infanzia, la gioventù...è rimasta silenziosamente nascosta. Nessuno si è accorto di niente, prima di queste settimane?" osservò Lindir.

"Perché Roswehn ha compiuto ventisei anni qualche giorno fa. La stessa età che aveva Regan quando rinunciò al trono di Arnor e fuggí. Quando lasció il suo ruolo di regina per nascondersi. E questo terribile rimpianto l'ha accompagnata per tutta la vecchiaia. L'ha spinta ad allearsi con le forze oscure di Arda, per poter tornare in vita. Vuole riprendere da dove ha lasciato, capisci? A scapito di un'innocente giovane di Dale." disse Elrond.

"Le ha rubato la vita. È terribile." commentò Lindir. Iniziò a piovere.

I due Elfi si ripararono nell'atrio dove erano custoditi i frammenti di Narsil, la spada di Isildur fatta a pezzi durante lo scontro in battaglia con Sauron.

"Come quella spada, anche la dinastia di Elendil è andata in pezzi. Solo Aragorn può farla rinascere. Non Regan." disse Elrond. "E c'è un'altra cosa che mi preoccupa: Mithrandir intende attraversare il territorio dal Lórien a qui con il suo carro. Ma è rischioso, potrebbero esserci Numenoreani sulle sue tracce, forse lo stanno già inseguendo dall'Ossiriand per tentare di rapire Roswehn e portarla ad Arnor con loro. Mi domando se ci saranno Elfi di scorta con quei due...forse dovremmo mandar loro una guarnigione incontro."

"Haldir e i suoi fratelli sono stati incaricati di questo, immagino. E comunque Mithrandir è uno Stregone, dovrebbe essere in grado di tenere la ragazza al sicuro grazie ai suoi poteri." rispose Lindir. Di certo non intendeva andare lui a riceverli.

"Bisogna ammettere che quella donna è sfortunata: era partita da casa sua per conoscere le bellezze della Terra di Mezzo e guarda che le sta capitando..." pensó Elrond ad alta voce.

"Beh, ha visitato già Boscoverde e Caras Galadhon... questo sarebbe il terzo regno elfico che vede. In un certo senso, sta esaudendo i suoi desideri." rispose Lindir.

"Già, ma non era questo il modo. Non era cosí che doveva andare." gli disse Elrond. "Falle preparare una stanza entro stasera, per favore."

L'Elfo si avvió.

"E Lindir... assicurati che abbia mura ben solide." aggiunse Elrond.

Non era nella sua natura correre rischi.

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Capitolo 25
*** La notte ***


Roswehn si infiló faticosamente l'abito che le avevano dato per affrontare il viaggio.

Era una semplice veste bianca, sembrava quasi una camicia da notte, ma era l'unico indumento adatto a lei, in quelle ore.

Le sue gambe stavano lentamente riprendendo la sensibilità, ma ancora non riusciva a muoverle, non avrebbe mai potuto mettersi dei pantaloni.

Haldir l'aveva lasciata sola perché si cambiasse in pace, ma dopo un po' salì le scale dal piano di sotto. Doveva aiutarla ad alzarsi e portarla giù in braccio, l'idea di Gandalf era di adagiare la donna sul suo carro e trasportarla in quel modo verso Rivendell. Aveva deciso di partire di notte, contrariamente al suggerimento di Lord Celeborn che consigliava uno spostamento diurno.

Lo Stregone riteneva che l'oscurità avrebbe aiutato il loro viaggio, poiché eventuali nemici li avrebbero difficilmente rintracciati nel buio. Anche Haldir era stato incaricato di andare con loro, ma non i suoi fratelli, che dovevano riprendere la sorveglianza dei confini di Lothlórien.

"Di' addio a questa stanza e a questa casa, Roswehn. Dobbiamo affrettarci ora." le disse l'Elfo avvicinandosi al letto.

La donna lo guardó. La luce di qualche candela illuminava la camera ed i loro volti.

"È la prima volta che mi chiami per nome. Devo dedurre che la tua diffidenza verso di me si sia un po' attenuata." sorrise. Aveva il viso pallido e scure occhiaie circondavano i suoi occhi verdi.

"Ti chiamo con il tuo nome perchè il dèmone dentro di te sappia che nessuno qui accetta né riconosce la sua oscena presenza. Per come posso, cerco anch'io di aiutarti." disse Haldir guardandola intensamente. "Non te l'ho detto, ma sono veramente dispiaciuto per la tua situazione. È qualcosa di tremendo e tu dimostri forza nell'affrontarlo."

Roswehn chiuse gli occhi e sospirò.

"Vorrei che le tue parole avessero la stessa potenza della presa di Regan su di me." disse, guardandolo di nuovo. "Così forse lei se ne andrebbe. Comunque...la solidarietà che dimostri é gradita, Haldir. E del tutto inattesa."

L'Elfo sorrise benevolmente.
"Sono stato così terribile?" chiese, sedendosi sul letto accanto alla ragazza. La sua fretta era improvvisamente scomparsa. "So di essere un po' ruvido, a volte, ti chiedo scusa."

"Il primo giorno ti ho detestato per come mi hai accolta, lo ammetto. Il tuo ostile comportamento mi ha ferita. E mi ha ricordato..." si interruppe, guardando la fiammella di una candela.

"Il tuo amato Re, giusto?" finì lui.

Quella ragazza aveva un pensiero fisso, Boscoverde e il suo sovrano.

Haldir non riuscì a trattenersi dal farle una domanda ridicola, lo riconobbe lui stesso, ma che gli venne spontanea. "Cos'é successo fra te e lord Thranduil? Perché il tuo cuore non riesce a dimenticarlo?"

Roswehn lo guardó a occhi sbarrati.
"Cosa dovrebbe essere successo, secondo te?" gli chiese.

Haldir si sentí un po' imbarazzato ad affrontare la questione, ma la curiositá lo divorava. E anche, forse, un po' di gelosia si faceva largo in lui.
"Avete passato del tempo insieme?"

Roswehn non rispose subito, i suoi occhi di nuovo si fissarono sul fuocherello delle candele.
"No. Se ho capito cosa intendi... non è successo nulla. Solo una fugace carezza da parte sua. Un gesto d'affetto e di pietà. Nient'altro." disse con tristezza.

"Allora non conosci ancora la gioia dell'amore. Un vero peccato." sorrise. "Thranduil si é perso qualcosa di importante."

Roswehn agitó le lenzuola, irritata.
"Parli come tuo fratello. Ma che avete voi Elfi, sembra non vediate l'ora di infastidire le donne umane..."

Haldir rise."Sei lesta a fraintendere ciò che ti viene detto. E hai una mente maliziosa...Vorresti forse essere infastidita? Questo stai cercando di far capire?" poi si alzó dal letto. "Lo avrei già fatto, se avessi voluto. Ma sono un po' a disagio, perché nei tuoi pensieri c'é già qualcun altro e non è mia abitudine lanciarmi in battaglie perdute in partenza."

La ragazza lo squadró in malo modo. "Questo potevi risparmiartelo, Haldir. Un Capitano di esercito non dovrebbe parlare cosí. Dov'é la tua temerarietà?" gli disse ironica. "Aiutami adesso, per favore. Devo purtroppo appoggiarmi a te anche per questa volta, e spero sia l'ultima..."

L'Elfo la sollevó e la prese in braccio. Poi si giró.

I loro occhi erano vicinissimi, e l'azzurro delle iridi di Haldir le fece tornare alle mente il cielo di maggio sotto al quale il suo viaggio era iniziato.

"Devo riconoscere che hai ragione su un punto: avremmo potuto passare diversamente le ore che ci sono state concesse qui." la strinse a sé. "Non credo che questo rimpianto se ne andrà da me molto velocemente. E sei autorizzata a darmi del codardo, se vuoi."

Roswehn sentì come una fiammata invisibile scorrerle lungo tutto il corpo, per esploderle infine nello stomaco. Di nuovo Regan, che si risvegliava in lei? No, questa volta era piacevole. Un gran calore l'avvolse.

Lo avvertì anche Haldir. "Sebbene... ho idea che mi sarei bruciato con te. C'è un tale fuoco qui dentro..." le sussuró, facendo scorrere lo sguardo sul viso e sul collo di Roswehn, per poi scendere verso il suo petto. Quella veste lasciava intravvedere il suo corpo e, per la prima volta, la donna non avvertì alcun senso di disagio nel venire guardata in quel modo da un uomo...o Elfo maschio.

La giovane non tentó nemmeno di opporsi al bacio di Haldir, che arrivó atteso e delicato come il primo sole del mattino. In fondo l'aveva desiderato anche lei, l'aveva segretamente voluto fin da quando i due si erano incontrati sulle rive dell'Anduin. Erano stati anche i discorsi di Rùmil, che forse aveva compreso prima di tutti come stavano le cose con il fratello, a instillare quell'istinto poi faticosamente tenuto a bada.

Haldir era incredibilmente seduttivo, in un modo brusco e diretto, e le aveva fatto cedere tutte le resistenze, infine. La sensazione di quel contatto la riempiva di una passione fino a quel momento mai provata, solo immaginata. L'Elfo per un attimo sembró lasciare la presa e la giovane pensó che volesse continuare il loro amoreggiare sulle coperte di bianco lino...ma lui si fermó.

"Non posso fare questo." mormoró. "Né a te, né a me."
Era come pentito di essersi lasciato andare a quel breve momento di dolcezza

Roswehn non era dello stesso avviso: si era acceso qualcosa in lei, non poteva reprimerlo. Non più. "Finisci quello che hai iniziato, te ne prego. Qualsiasi cosa sia." sussurró.

"No." rispose l'Elfo. "Abuserei della tua debolezza. E ad ogni modo non è il momento...Gandalf attende."

"Che attenda, gli Stregoni sono pazienti..." disse languidamente la ragazza, mentre si portava la mano dell'Elfo sul seno.

"Guarda che razza di indole stai rivelando, mortale." sorrise lui, compiaciuto. "Esistono due tipi di femmine: quelle di ghiaccio e quelle di fuoco. E' piuttosto evidente a quale tipo appartieni, tu."

"E tu non dovresti accendere qualcosa... che poi non riesci a spegnere..." continuó Roswehn.

Haldir per un attimo temette che fosse l'entità dentro di lei a parlare. Quella non era affatto la ragazza pudica che era arrossita alla sola idea di vivere in casa sua, che dormiva vestita da capo a piedi nonostante il caldo per paura che lui la guardasse, che una volta l'aveva sorpreso mentre si toglieva la casacca della tunica e si era subito voltata dall'altra parte, piena di imbarazzo di fronte al suo torso nudo.

"Ho detto no. Forza, reggiti a me e dimentichiamo questa storia. E...perdonami per il mio comportamento." le disse, sollevandola bruscamente.

Roswehn lasciò scappare un gemito, che rischiò di minare seriamente l'autocontrollo di Haldir. La desiderava, e tanto.
"...crudele da parte tua, provocarmi e poi tirarti indietro. Mi fai sentire stupida." lo accusó. Si richiuse la veste sul seno. "E mi respingi come fossi una volgare prostituta."

Haldir nel frattempo l'aveva portata fuori di casa e si era apprestato a discendere gli scalini.
"Oh no, non sei stupida. Né penserei mai che tu non sia degna di rispetto. In verità, la tua reazione mi fa sperare che tu possa essere salvata. Regan non ha spento i tuoi ardori...la tua vitalità."

Roswehn lo guardó confusa.

"So che non mi capisci..." le disse " ...io invece ho finalmente compreso le decisioni di dama Galadriel e, forse, mi é più chiaro anche il piano di Gandalf. So perché ti vuole portare a Gran Burrone...per farti una sorpresa."

"Quale sorpresa?" chiese lei, preoccupata.

"Oh, una che non ti immagini neanche." le rispose Haldir. "Qualcosa che nemmeno in mille anni ti aspetteresti."

Guardò la luna nuova e pensó che in un reame lontano, proprio quella notte, centinaia di Elfi Silvani come lui danzavano e cantavano e celebravano quella magica luce d'argento. Ma il loro Re non era con loro.

Era già partito.

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Capitolo 26
*** Il sogno di Haldir ***


Gandalf teneva saldamente le redini del cavallo.
Il carro procedeva sul sentiero battuto, nella notte stellata. Gli Elfi avevano dato a Roswehn una coperta e dei cuscini per essere più comoda. Il carro dello stregone era di grezzo legno, e ad ogni scossone, ad ogni buca nel terreno, ad ogni sasso sporgente in cui incappavano lungo la via, la donna avvertiva dei fastidiosi colpi alla schiena. 

Galadriel l'aveva incontrata qualche minuto prima che si mettessero in marcia: Roswehn era rimasta colpita dall'eterea bellezza della donna elfo, e dalla grande bontà che s'intravvedeva nei suoi occhi. Guardandola nel volto, la donna mortale finalmente aveva realizzato quanto grande fosse il potere di Galadriel, come se l'intera Terra di Mezzo la riempisse della sua energia. Le aveva dato una speciale benedizione, consigliandole di cercare sempre il bene negli altri, e di non farsi mai sedurre dalle emozioni negative come la rabbia, o la vendetta. Regan, le aveva detto, avrebbe strenuamente provato a trascinarla verso la rovina, e Roswehn doveva in qualche maniera trovare la forza di opporsi.

Haldir seguiva il carro di Gandalf sul suo cavallo: era in armatura, e un lungo mantello color cremisi si appoggiava morbidamente sul dorso dell'animale.

Spesso, lui e Roswehn si lanciavano fugaci sguardi d'intesa, memori entrambi del bacio che si erano scambiati qualche ora prima. La donna provava una sorta di senso di colpa: forse era stata un po' troppo lasciva nel cedere al desiderio di Haldir. Egli aveva toccato in lei un punto debole, l'aveva sorpresa nella sua vulnerabilità.

Erano stati troppi gli anni di solitudine, troppo dolorosa la mancanza di un uomo al suo fianco, e, nonostante avesse detto a Sigrid che era stata una scelta, la sua ostinata vita solitaria aveva fatto nascere in lei una frustrazione latente. Oh, nei suoi anni da adolescente avrebbe voluto innamorarsi, eccome! Quante volte si era invaghita di personaggi immaginari, che trovava nelle leggende e nei racconti dei suoi libri. Re, principi, cavalieri, soldati, eroi mitici e figure realmente esistite. Tutto per compensare alla mancanza di un amore reale, che non era riuscita ad incontrare nella vita vera.

Ed ora, ecco un Elfo che poteva offrirle tutte quelle meravigliose emozioni. Haldir, che ormai le aveva dichiarato la sua passione. Una passione ahilui dolorosa, perché non corrisposta. Roswehn aveva manifestato attrazione, ma il Capitano del Lórien era stato lucido nel respingerla: egli non era ciò che il cuore della giovane realmente desiderava. Ciò che voleva, era lontanissimo da lei. Era irraggiungibile, tanto quanto lo erano stati i personaggi immaginari che avevano popolato le sue fantasie di ragazzina.

Di tanto in tanto, Gandalf si appisolava. Per permettergli di dormire qualche ora, Haldir aveva preso il suo posto alla guida del carro, dopo aver legato il suo cavallo al retro del mezzo. La notte era fresca, nonostante fosse ormai Giugno, e Roswehn si era coperta fino al collo.

"Tu non dormi mai?" chiese lei, mentre lo Stregone ronfava, sdraiato anch'egli sul carro.

"Dovresti saperlo, visto che abbiamo vissuto tre giorni insieme..." rispose Haldir a voce bassa, per non disturbare Gandalf. "A me bastano un paio d'ore. E ora non ho sonno."

Si sentiva il canto dei grilli tutt'intorno. La donna guardó il cielo nero: era uno spettacolo di stelle, non una nube copriva quello splendore. La luna era al suo primo spicchio, quindi la sua luce era flebile. Una lanterna posta sulla cassa vicino ad Haldir emanava un bagliore giallo e tremolante.

"Sei mai stato a Gran Burrone?" chiese lei, improvvisamente. Aveva voglia di parlare, e, come l'Elfo, non sentiva affatto sonnolenza.

"Sì, circa quindici dei vostri anni fa. Elrond mi accolse per qualche mese." rispose Haldir, "...è un luogo magnifico, lo amerai."

"Hai conosciuto Arwen, la figlia di Elrond?" Roswehn si chiese come fosse la discendente mezzo sangue di un Elfo e di una donna umana. "È molto bella?"

"Non era nata a quel tempo. Ma ho conosciuto la moglie di Elrond, Aerin, donna affascinante e gentile. Aveva occhi blu come un meraviglioso lago montano, e capelli color mogano. Si dice che la piccola le somigli." raccontó Haldir, mentre spronava il ronzino con le redini. "Dovrei mettere Jedeon al posto di questo mulo. Procederemmo più in fretta."

Jedeon era il nome del suo cavallo, un bellissimo animale dalla lunga criniera e dal manto bianco.

"Ho conosciuto un bambino mortale a Rivendell," riprese Haldir. "Si chiamava Aragorn. Sarà un uomo, ormai."

Roswehn venne improvvisamente colta da uno spasmo alla bocca dello stomaco.
"Ah..." gemette, mentre si piegava in avanti.

Haldir fermó il cavallo.
"Che succede?" si giró, preoccupato.

Roswehn fece un cenno con la mano, il dolore era passato.
"Nulla, forse un crampo per la fame..." rispose in un sussurro.

"Ti hanno dato del lembàs, perché non ne mangi un po'? " propose Haldir, riprendendo la marcia. Ma la ragazza non aveva fame, e quello non era stato un crampo. Era Regan, ne era più che certa. Regan che aveva udito qualcosa, tramite le sue orecchie, che non le era piaciuto. Forse quel nome, Aragorn? Chi era?

"Quel bimbo di cui parli...cosa puoi dirmi di lui?" provó a chiedere.

"Un piccolo mortale molto sveglio e pieno di vita. Un Dunedàin, una razza di Uomini discendenti anche dagli Elfi...lontanamente imparentato con l'entità dentro di te. Sarebbe l'erede al trono di Gondor, sai?" disse l'Elfo.

Roswehn avvertì una nuova fitta, stavolta a un braccio. Regan la stava tormentando, non voleva evidentemente che si parlasse del giovane erede di Isildur. Il suo rivale.

"Haldir...smetti ti prego. Basta così." Il Capitano si giró a osservarla e comprese tutto. Si zittì subito.

"Sai, c'é un sogno che faccio quasi ogni notte ultimamente." le disse dopo un po'. "...un sogno cupo, che lascia dentro di me una sensazione dolorosa al mio risveglio..."

"Raccontamelo, ti prego." lo incoraggiò la ragazza, appoggiandosi con la mano al bordo del carro. Iniziava a sentire nausea per via del dondolío continuo.

"Sono nel mezzo di una grande battaglia. O meglio, sto aspettando che essa inizi. Ed è notte, una notte nera come questa, senza stelle però. Sta piovendo. Sono sulla sommità di una roccaforte...una costruzione difensiva, nel mezzo di una gola rocciosa. Sento qualcuno che la chiama... Fosso di Helm." diede un altro colpo con le redini. "Un mare di orribili creature davanti a me. Tutte in fila, una legione o cento legioni, silenziose e armate fino ai denti." continuò.

"Orchi?" chiese lei.

"No, più grandi, più pericolose." rispose l'Elfo. "Un lungo, interminabile silenzio...e poi la battaglia ha inizio. Decine di Elfi al mio fianco, tutti sotto la mia guida e ...Uomini con noi. Combattiamo insieme, fianco a fianco. Un Uomo in particolare prende il comando della situazione...un Uomo coraggioso, d'onore. I suoi occhi risplendono di carisma e forza. Un futuro Re, forse. Nel sogno, io so che é mio amico e lo rispetto."

Seguí una pausa.

"...e poi? Come continua, Haldir?" incalzò Roswehn. Era rapita dal suo racconto.

"Beh, qualcuno urla ritirata!... forse è proprio quell'Uomo. Stiamo perdendo la battaglia, molti corpi sono accanto a me...tutti morti, Uomini, Elfi...e io sento qualcosa, un colpo terribile alla schiena...mi giro e vedo una di quelle bestie pronta a vibrare un nuovo fendente..."

Poi Haldir rimase di nuovo in silenzio.

"...insomma, come va a finire?" chiese la donna.

"A quel punto mi sveglio." le disse l'Elfo, girandosi con un sorriso. "Non so come finisce, ma spero bene!" rise.

Roswehn era perplessa. Chissà cosa significava quel sogno. Una premonizione, una semplice fantasia notturna? Si augurò per Haldir che fosse solo un incubo. Alcuni Elfi sapevano vedere nel futuro, a volte mentre dormivano.

"Comunque, la cosa bella di questa visione è il fatto che Elfi e Mortali sono uniti contro il male. Ció è rassicurante, non trovi?" le chiese. I suoi biondi capelli vennero mossi da una brezza improvvisa.

"Sí, lo é. Peccato non possano esserlo nell'amore." commentò amaramente lei.

"Ci sono state coppie di quel tipo. Beren e Lùthien, lo stesso Elrond e Aerin... ma sono unioni destinate a concludersi nella sofferenza, lo sai. La vostra mortalità é l'ostacolo insormontabile, irrisolvibile. E tu dovresti finalmente accettarlo." mormorò Haldir. "Non pensare più a Thranduil...oppure, pensa a lui se ció ti aiuta nei momenti di sconforto. Ma sii consapevole che si tratta di utopie."

"Lo so benissimo. Mi viene ripetuto in continuazione: da te, da tuo fratello, da Nim a Boscoverde. E vorrei che il mio cuore desse ascolto a tutti voi. Ma non é facile."

Roswehn si portò una mano sugli occhi. Ora le stava venendo un po' di sonno. "Vorrei non essere mai andata a Boscoverde...anzi, vorrei non essere mai entrata in quella tenda da campo, a Dale. Non l'avrei mai conosciuto, e sarebbe stato meglio cosí." disse lentamente, mentre le palpebre le si chiudevano. "Sai Haldir cosa ho scoperto? Che l'ignoranza, a volte, é un bene." concluse.

"Permettimi di dirti che non é cosí. L'ignoranza è un brutto male, e ti porta a non vedere la realtá: esistono cose spiacevoli a questo mondo, Roswehn, fra cui i disincanti, le disillusioni...ma c'é anche l'amore sincero, l'affetto delle amicizie. E dove più fitta é la tenebra, più grandi possono crescere, a volte, quelle..." si girò a osservarla.

Stava dormendo.

"Beh, grazie della tua attenzione..." mormorò l'Elfo, poi sorrise.

Spense la lanterna e arrestò il carro in prossimità di un salice: le sue grandi fronde l'avrebbero nascosto. E anche lui si apprestò a riposare per qualche ora; guardò per l'ultima volta la ragazza addormentata, e seppe che, vicino a lei, almeno quella notte sarebbe passata senza incubi.


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NDA = Sì, lo so che la moglie di Elrond è Celebrian, ma nella mia storia ha avuto una seconda moglie umana da cui è nata Arwen. Le FF sono divertenti perché si può cambiare, no? 

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Capitolo 27
*** Argentaroggia ***


Gandalf si sveglió all'alba, e per un attimo fu disorientato dalle lunghe fronde del salice, che coprivano il carro come tende di un letto a baldacchino. Giró lo sguardo verso Roswehn, e quello che vide lo sorprese ancora di più: Haldir era raggomitolato sulle gambe della ragazza, addormentato, la testa posata sul suo grembo.

Sorrise.

Un'immagine molto tenera, e si rammaricó di non essere un pittore per poterla ritrarre.

Povero Haldir.

Si era innamorato di lei. Gandalf sapeva che per l'elfo quella era una specie di condanna.

Se il suo piano fosse riuscito, se a Gran Burrone la giovane di Dale fosse stata liberata da Regan come sperava, sarebbe tornata alla sua famiglia subito dopo, fra la sua gente, nel Regno di Bard l'Arciere. Nel tempo, avrebbe certamente dimenticato lord Thranduil, si sarebbe sposata con un uomo mortale e avrebbe avuto figli, forse. Avrebbe proseguito la sua esistenza in pace e serenità.

Ma Haldir, no. Non l'avrebbe mai scordata, per tutta la sua vita immortale. Costretto a vivere nel ricordo di quei pochi giorni trascorsi insieme, sapendo che la donna, lontana mille miglia da lui, sarebbe invecchiata, la sua bellezza appassita, e si sarebbe spenta prima o poi.

Era così per gli elfi: provavano amore sincero solo una volta nella vita, e il Guardiano del Lórien aveva incontrato la persona più sbagliata a cui dare il suo affetto.

Roswehn dormiva ancora, ma l'Elfo, forse sentendo i pensieri di Gandalf, aprì gli occhi improvvisamente. Lo stregone guardó da un'altra parte, e si stiracchiò le braccia.

"Dimmi Haldir, quanto credi che ci vorrà ancora per Imladris?" chiese, osservando il manto color smeraldo del bellissimo salice.

Haldir saltó giù dal carro, evidentemente a disagio. Di sicuro Gandalf, dopo aver sorpreso lui e la mortale dormire insieme a quel modo, aveva compreso tutto. Del resto, nemmeno ai suoi fratelli aveva potuto nascondere i sentimenti per la donna. Orophin, l'unico dei tre ad aver sperimentato il sesso con donne umane, si era addirittura spinto a dargli dei consigli nel caso in cui lui e Roswehn si fossero trovati in intimità. Come se ne avesse avuto bisogno.

"Credo ancora due giorni, Mithrandir. Mi preoccupa il valico tra le Montagne Nebbiose. Hai scelto di risalire il fiume Celebrand per evitare di passare davanti alle miniere di Mória, e lo capisco. Ma anche questa è zona pericolosa, perfino noi Elfi del Lórien raramente ci mettiamo piede. Le sue acque cristalline sono gelide, e se dovesse piovere il corso puó straripare. È un rischio per noi e per i cavalli." gli disse, mentre si aggiustava la tunica e si allacciava la cintura con pugnale alla vita.

"È vero, ci sono nubi nere là in fondo. Ma non voglio pensare al peggio... ecco, ora il sole è sorto!" sorrise lo Stregone, i cui occhi celesti si riempirono di luce mattutina. "Lei dorme placidamente, ancora." disse, osservando Roswehn

"Si sveglierà lamentandosi di avere fame." sbuffó Haldir. "La conosco, ormai." Salì in groppa a Jedeon, e condusse il cavallo sul sentiero battuto. "Non ci sono alberi da frutto, qui. Dovrà accontentarsi del pane elfico. E lo detesta." commentó, guardandosi in giro.

Gandalf gli disse: "Non essere troppo premuroso con lei, amico mio. Potrebbe non essere di buon umore quando aprirà gli occhi!"

Difatti, subito dopo la ragazza si sveglió. Gli scossoni del carro l'avevano destata di colpo.
"Buongiorno Gandalf..." mormoró. Si massaggió il collo, ancora piagato. "Hey Haldir!" urló. "Buona giornata anche a te, eh!"

L'Elfo fece un breve cenno, senza voltarsi. "Ma tu guarda...mi ignora dopo avermi usata come dannato cuscino per mezza nottata..." brontoló.

"E tu l'hai lasciato fare, giovane." rispose Gandalf, faceto. "Eravate graziosi, qualche minuto fa."

"Mi riscaldava. Tutto qui." ribattè lei, scontrosa.

"Ah, se lo dici tu..." continuó lo Stregone. "In due giorni saremo a Gran Burrone. Sei felice?"

Roswehn era entusiasta, a dir poco. Avrebbe finalmente visitato quel luogo meraviglioso, avrebbero visto lord Elrond, che con lei era stato tanto gentile a Dale. E sperava che quella maledizione sarebbe finita, se Eru voleva. "Forse laggiù saró liberata da questa tortura. Regan mi sta prosciugando, lo sento." disse la ragazza, mentre provava inutilmente a muovere le gambe. Non le riusciva ancora.

Haldir fece affiancare il cavallo al carro.
"Non avevi detto che consideravi Regan di Arnor una grande donna, un modello?" le chiese, ironico. "Perché ora vuoi che se ne vada da te?"

Roswehn lo squadró. "Perché mi sta facendo del male, folletto spiritoso. E poi, questa cosa dentro di me non è più quella che era in vita. Sì, la ammiravo, e mi sono fatta chiamare Regan, come lei, per moltissimi anni. Era un nome che mi trasmetteva forza, mi dava coraggio. Ma me ne pento amaramente, adesso." Avvertí un fitta terribile nello sterno. "Mi hai sentita, fantasma maledetto? Puoi pungolarmi finché credi, ma io ti disprezzo..." un nuovo colpo, stavolta alla base del collo.

Gandalf si girò.
"Non provocarla, Roswehn. È inutile, tanto non se ne andrà in quel modo. Ti farà solo soffrire."

"Beh, anch'io la sto facendo soffrire, a modo mio. È una piccola vendetta, lascia che me la goda..." rispose lei.

"Ha ragione Gandalf. Smetti." le consigliò anche Haldir. Lo disturbava vedere i suoi tormenti.

"Non mi hai detto qual'è la sorpresa che mi attende a Gran Burrone." chiese la ragazza a Gandalf, dopo qualche minuto di silenzio. "Sono curiosa, sai?"

"Non posso svelarti nulla. E poi, non sono sicuro che andrà come ho progettato. È stata un'idea improvvisa, e spero che Elrond mi stia aiutando a realizzarla. Per ora, rimani tranquilla e cerca di recuperare le energie." replicò il Grigio Pellegrino.

Gandalf era consapevole che l'entità dentro Roswehn era cosí attaccata a lei perché proprio Roswehn desiderava questo. Il fantasma gliel'aveva perfin detto. La donna umana poteva fingere e negare quanto voleva, ma era lei a non volere che Regan l'abbandonasse. Aveva creduto alle sue promesse, prima fra tutte, quella di avere Thranduil, e anche quella di diventare una potentissima sovrana. Gandalf si chiese, amareggiato, perché i mortali, perfino i più illuminati, si lasciassero sempre sedurre dal Potere. Era stato cosí per Isildur, per Regan, per Ecthelion, sovrintendente di Gondor. Sarebbe arrivato qualcuno, prima o poi, immune a quella tentazione infima? Lo Stregone se lo augurò di tutto cuore.

🌿🌿🌿

Dopo una giornata di lento procedere, erano finalmente riusciti a superare lo stretto valico. Arrivati dove il Celebrand si disperdeva in tanti piccoli ruscelletti, il cielo arancio annunciò il tramonto.

"Proseguiamo ancora, finché riusciremo a resistere. È importante accorciare la distanza fra noi e Imladris il più possibile. Da ora in avanti, avanzeremo attraverso una pianura brulla. Non dovrebbero esserci ostacoli né brutte sorprese." spiegò Gandalf.

"Elrond ci manderà incontro degli Elfi esploratori, forse li vedremo già domani mattina." disse Haldir. Era stranamente stanco. Avevano cavalcato senza quasi fermarsi, solo con brevi soste per permettere a Roswehn di rifocillarsi senza il fastidioso movimento del carro a darle il capogiro.

Stare seduta per tante ore in quella posizione era tremendo: avvertiva un dolore sordo al bacino e alla schiena. "Déi del cielo, vorrei poter stare sulle mie gambe. Non ne posso più..." si lamentò. Si fermarono.

Haldir, nel frattempo, stava osservando un laghetto nelle vicinanze. Sembrava più uno stagno, a dir il vero, ma l'acqua era pulita. Doveva anche essere gelida, considerato che quella conchetta si era formata dal Celebrand: nella lingua dei mortali il lungo fiume si chiamava Argentaroggia. I riflessi della superficie difatti erano argentei, talmente limpida era l'acqua. Ma era anche freddissima. Solo gli Elfi, che non soffrivano né freddo né caldo, potevano bagnarsi in essa.
"Ho un'idea," disse a Roswehn. "Se non ti secca farti prendere in braccio ancora." Scese da cavallo e si tolse velocemente l'armatura.

"Cioé?" chiese lei.

"Ho trovato il modo per farti sgranchire un po' le gambe." le disse, con un sorriso preoccupante. "Che ne dici?"

"Non so che dirti, dato che non so cosa diamine hai in mente!" rispose lei

 "Beh, ora vedrai. Spero tu sappia nuotare." le disse, sollevandola con attenzione.

"Oh no...no... Haldir! Quell'acqua è ghiacciata, si ammalerá!" provò a farlo ragionare Gandalf.

Anche Roswehn si agitò: "Di', sei impazzito?!" gli gridò, reggendosi all'Elfo, che sembrava oltremodo divertito. Le ricordò un bambino in procinto di combinare una marachella. "Lasciami giù!" gli intimò.

Arrivato alla sponda, Haldir entrò in acqua con lei, lasciando che entrambi vi si immergessero. Roswehn urlò per il gelo che l'avvolse subito.

Poi l'Elfo si allontanò, portandosi verso il centro del laghetto. L'acqua era bassa, camminava sul fondale. "Ma si può sapere che fai?" gli disse, rabbiosa.

"Quello che hai chiesto, ti ho lasciata andare." rispose con aria furba. "È un ottimo modo per esercitare le membra intorpidite. Prova a nuotare fin qui, dovresti riuscirci anche se le tue gambe non rispondono."

"Le mie membra si stanno intorpidendo adesso per il freddo dell'acqua, razza di..." ringhiò lei.

Haldir sollevò le sopracciglia.
"Continua pure, e passerai la notte in quest'acqua ghiacciata." Era tornato il suo lato sadico. "Ora vieni fin qui, ho detto."

"Certo che ci vengo, e quando ti avrò preso..." lo minacciò Roswehn.

Da lontano, Gandalf osservava quei due, divertito. Ah che coppia sarebbero stati, se avessero potuto amarsi, pensò. Litigiosi, testardi, a volte insopportabili entrambi.

E bellissimi, insieme.

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Capitolo 28
*** Gli Haradrim ***


Sei uomini, seduti attorno a un faló, osservavano in silenzio il fuoco giallo che si levava alto, circondato da una miriade di minuscole scintille.

Si erano nascosti dietro un enorme masso, non lontano da dove era fermo il carro dello Stregone. Erano mascherati, portavano un fazzoletto grigio sul viso e una sorta di turbante nero attorno al capo; i loro occhi erano incorniciati da una linea nera, che dava loro un aspetto ancora più inquietante. Non avevano parlato, per tutto il tragitto, non dovevano farsi sentire dallo Stregone né dall'Elfo di Lórien, il cui udito era finissimo. Li seguivano da quando avevano lasciato i confini protetti dalla magia di quella strega bianca.

Il Negromante aveva detto loro di attendere la seconda notte in cui i tre viaggiatori, fra cui la Regina di Arnor, si sarebbero fermati per dormire all'addiaccio. Dovevano sottrarla silenziosamente alla sorveglianza dell'Istari e dell'Eldar, e condurla nel luogo ove era attesa. Si sarebbe ribellata, aveva detto. O meglio, l'ospite umana si sarebbe rivoltata furiosamente contro di loro dapprincipio, e dovevano essere forti e preparati. La reincarnazione non era completata, perché la donna di Dale in parte ancora si opponeva alla Regina, ma era questione di pochissimo. Una volta giunta ad Arnor, una volta tornata sul maestoso trono di marmo un tempo occupato da Elendil il grande, le sue resistenze avrebbero ceduto.

I sei uomini erano Numenoreani Neri, anche detti Haradrim. Pronipoti di coloro che per primi avevano abbracciato il culto di Morgoth, ed erano solo un'infinitesima parte della sterminata moltitudine che pian piano si stava raccogliendo attraverso Arda.

"Non riusciremo a passare sotto il naso del Vecchio." disse uno, spezzando quel silenzio pesante. Si abbassó per un attimo il fazzoletto e sputó sulla brace. "Gli Stregoni dormono con gli occhi aperti."

"Ci sta già pensando la nostra sovrana." rispose un altro, affilando un lungo pugnale contro un pezzo di cuoio. "Non dovremo far altro che essere lì, quando verrà verso di noi, e fare in modo che l'ospite non si metta a starnazzare come un'oca."

"Per questo non c'é problema. Ho qui una cosa che l'addormenta di sicuro." disse un terzo, agitando una bottiglietta azzurra. Conteneva del liquido trasparente, sembrava acqua.

"Fammi sentire l'odore..." gli disse il tizio con il pugnale, allungando una mano.

"No. Ti manderebbe in letargo all'istante..." rispose l'altro, rimettendo la boccetta in tasca.

"Ricordate che l'ospite non deve essere ferita, in nessun modo." fece il primo, girando uno sguardo severo sugli altri.

"Lo sappiamo Erdeód, non devi ripetercelo ogni giorno," rispose l'uomo col pugnale, intento a rimirare la lama scintillante. "Se venisse ferita anche solo di striscio, noi sei finiremmo a ingrassare i porci!" rise. 

"Non è cosa divertente, idiota." ribatté il primo che aveva parlato. Era il loro capo. "Ricorda che questo è un onore immenso, per tutti noi: scortare la figlia di Valandil nel grande regno che verrà. I nostri antenati sarebbero orgogliosi. Abbiamo atteso secoli la sua rinascita."

"Per ora non è che una ragazza petulante." rispose l'altro con malcelato disprezzo. "E spero tanto che non ci dia problemi."

🌿🌿🌿

"Ti giuro Haldir, me la pagherai..." disse Roswehn, balbettando dal freddo. Si stava asciugando attorno al fuoco acceso da Gandalf, avvolta da una coperta. "Questa non te la faró passare..." continuó, guardandolo di traverso.

L'Elfo, che stava liberando Jedeon dalle finiture, rise.
"Non senti davvero alcun beneficio ora?" le chiese, togliendo la sella dalla groppa dell'animale, che lo ringrazió con un nitrito.

"No. Per niente." rispose lei, seccata.

"Mi stupisce, l'acqua di Argentaroggia è benedetta." disse lui.

Gandalf lo guardó torvo...ma poi non riuscì a fare a meno di ridacchiare.
"Non lo è mai stata, Haldir, non prenderla in giro...povera Roswehn!"

La ragazza si avvicinó ancora di più al fuoco.
"Puoi proprio dirlo, Gandalf...povera me. Ci mancava solo un bagno serale in uno stagno gelido, accidenti agli Elfi di Lórien e ai loro Guardiani...Cos'altro puó capitarmi adesso?" ringhió.

"Non mettere limiti alla sventura: potrebbe ad esempio arrivar notizia che Thranduil si é risposato." disse Haldir, facendo l'occhiolino a Gandalf. "...con una bellissima donna umana, dopo aver chiesto uno speciale permesso ai Valar, magari."

Il vecchio Istari rise di nuovo, di gusto.

"La volete smettere con questa storia? Prendere per i fondelli una ragazza non è galante." brontoló Roswehn.

"Beh, devi ammettere che è una faccenda spassosa, ragazza." le disse bonariamente lo stregone. "Di tutti gli individui su questa benedetta Terra che potevano rubare il tuo cuore ...proprio Thranduil? Il Signore dal cuore di ghiaccio, più gelido anche di questo laghetto?"

"Trovane un altro egualmente affascinante in tutta Arda, e allora accetteró il tuo sarcasmo." rispose Roswehn, lanciando un pezzo di legna sul fuoco. "Ti sfido."

"È solo per quello? Per il suo aspetto?" chiese Haldir, accovacciandosi vicino al faló. "Allora non sai che Thranduil ha il volto..."

"Haldir!" lo interruppe Gandalf. Fece cenno di no con la testa. Non parlarne, gli disse con il pensiero. Haldir ammutolì.

"... allora? Che cosa ha il suo volto?" incalzó la ragazza, incuriosita.

"Il volto del re è grazioso, ma suo padre Oropher era ancor più bello, voleva dire. Tu avresti perso la ragione se l'avessi conosciuto," motteggió lo Stregone.

Roswehn guardó prima lui, poi Haldir.
"Bah." si voltó verso il fuoco.

Sentì un improvviso formicolío alla parte inferiore del corpo. Partí dalla vita e si irradió fino alla punta dei piedi. "Hey!... mi sta succedendo qualcosa alle gambe!" disse, levandosi la coperta. Provó a piegare un ginocchio. Le riuscì, dopo qualche attimo. "Si stanno risvegliando! Finalmente!"

"Te l'ho detto che il Celebrand è un fiume magico..." sorrise Haldir.

"Non ci posso credere..." esultó Roswehn, provando a mettersi in piedi. Ma ricadde mollemente

 "Non avere fretta, ci vuole tempo." disse Gandalf.

La donna non aveva affatto pazienza, peró. Riprovó a stare eretta, sostenendosi al carro. Riuscì infine a trovare una po' di equilibrio, sebbene le sue gambe sembrassero fatte di mollica di pane.
"È stata l'acqua di quello stagno, dici?" chiese ad Haldir, mentre si massaggiava incredula le cosce.

"Può essere stata la sferzata di gelo unita al calore del fuoco ad averti aiutato." riflettè l'Elfo. "Hai finito il lembas?"

"Sì. Adesso che le mie gambe rispondono, il problema sarà zittire il mio stomaco. Se c'é una cosa che questo viaggio mi ha insegnato, è che la Fame è una brutta bestia." sospiró lei.

"È terribile," aggiunse Gandalf "...e ti insegna la compassione per chi vive in povertà."

Roswehn annuí. "Come hai ragione."

"Perché annuisci, tu conosci forse la miseria?" chiese Haldir. "Non sei la nipote di un uomo che fu il Governatore della tua comunità? E sei figlia del Consigliere di Re Bard a Dale.. sei cresciuta e vissuta nei privilegi..."

"Cosa c'entra questo? Tu hai visto con i tuoi occhi come ho trascorso la mia esistenza a Pontelagolungo?" rispose lei, un po' offesa. "La tua casa di resina nel Lòrien è una reggia rispetto a quella in cui sono cresciuta. Credi che non sappia cosa vuole dire saltare un pasto, o mangiare pesce di lago fino a che ti dà la nausea, perchè altro non c'é?" Si risedette accanto al falò. "Si dice che gli Elfi rubino i bambini umani ai loro genitori....beh, sai come passavo le notti, a volte? Spalancavo la finestra, e osservavo le stelle pregando che uno di voi saltasse dentro all'improvviso e mi rapisse, per portarmi in un luogo come Gran Burrone, o il tuo Lòrien o Boscoverde. Volevo crescere in un bellissimo reame fatato, lontano da quell'odore di muffa e di pesce e dai volti smagriti e tristi dei miei compaesani. Ma non siete mai venuti a prendermi...non mi avete mai rapita, purtroppo."

Haldir non sembrava commosso.
"Se la tua gente viveva nell'indigenza puoi incolpare tuo zio. Da quel che so, gravava di tasse i cittadini del villaggio, e teneva per sé gran parte del ricavato."

Roswehn si sentí a disagio. Era vero. Per quanto tempo ancora la vergogna di essere nipote di Viktor Monrose l'avrebbe perseguitata?
"Mio zio non c'é più. Parliamo d'altro, ti prego." disse, incupita.

"No, ora riposiamo. È notte fonda. Haldir, tu cerca di tenere gli occhi aperti finché puoi. Questa radura dovrebbe essere tranquilla, ma non si sa mai." rispose Gandalf. "Lasceremo il fuoco acceso. Domani in serata saremo finalmente a Rivendell. È un pensiero piacevole, no?" Detto questo, lo Stregone si adraiò sul suo mantello, si calcò il grande cappello a punta sugli occhi e sembrò addormentarsi subito. Aveva cavallerescamente lasciato lo spazio sul carro tutto per la ragazza...o forse immaginava che lei e Haldir volessero di nuovo riscaldarsi insieme.

I due si guardarono in silenzio per un po'. Poi lei fece per salire sul retro del carro.
"Oltre alla fame, c'è un'altra sensazione che sto provando, una a me finora sconosciuta." sussurrò.

"Quale?" chiese l'Elfo, sistemandosi sul sedile.

"Il desiderio di appartenere a qualcuno." rispose lei. "Sono sempre stata cosí indipendente...e gelosa di quella condizione. Ma adesso, non so..."

Haldir la osservò qualche secondo, poi scosse la testa.
"I re elfici non sono un porto sicuro per le donne mortali, te l'ho detto. Specie...quelli che con l'amore non vogliono più avere a che fare"

"Non penso a lui, stavolta." rispose Roswehn con uno sbadiglio, sedendosi sui cuscini. "Per favore, girati. Devo togliere questa veste umida e mettere la mia tunica, ora che ci riesco."

Haldir si girò controvoglia. A giudicare da quello che aveva intravisto dall'abito bagnato, e dopo il fugace incontro in casa sua, il corpo della donna doveva essere molto sensuale. Ma la sua classe gli impedí di spiare come probabilmente avrebbe fatto Rùmil, al suo posto.

Entrambi si lasciarono abbracciare dalla notte e aspettarono il sonno. Durante l'ora più buia, dopo che anche l'Elfo ebbe chiuso gli occhi, la donna si destò. Spinta da una forza misteriosa, si alzò sulle sue gambe ritrovate, saltò giù dal cassone del carro e come una sonnambula si incamminò in una direzione precisa.

Erano lí.
I sei la stavano aspettando.

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Capitolo 29
*** La guerra dei Lord ***


Haldir fece svegliare Gandalf di soprassalto. "Mithrandir...è sparita!"

Non c'era più traccia di Roswehn nei dintorni.

Le orme che aveva lasciato sul terreno conducevano a un nascondiglio posto dietro un imponente masso: lí Haldir aveva trovato i resti di un faló e null'altro. Niente che potesse dare un indizio su chi fossero i rapitori. Quello che lo turbava di più era il fatto che la donna si fosse recata di sua volontà verso i responsabili dell'agguato. Forse, anzi certamente, era stata Regan dentro di lei a spingerla fra le loro braccia. Si era allontanata da lui e da Gandalf mentre entrambi erano profondamente addormentati. Le orme confuse lasciate sul terreno, nei pressi del fuoco, faceva supporre che vi fossero anche cavalli con loro, e a quel punto dovevano essere molto lontani.

Gandalf era costernato quanto lui: la donna era letteralmente svanita da sotto al loro naso. "Dobbiamo seguirli, forse riusciremo a raggiungerli!" disse Haldir concitato, mentre velocemente saliva in groppa a Jedeon.

"No, Haldir, è tardi. Troppa distanza è stata posta fra noi e loro." replicó lo stregone, avvilito. "È inutile."

Gandalf aveva immaginato che una cosa simile sarebbe capitata. Era però certo che in qualche modo lui ed Haldir avrebbero difeso la donna, l'avrebbero protetta da qualsiasi tentativo di rapimento. Celeborn si era raccomandato di fare attenzione, e aveva insistito perché, oltre ad Haldir, altri elfi soldato accompagnassero i tre a Rivendell. Gandalf aveva ritenuto non fosse necessario, e amaramente realizzó di aver sbagliato. Non aveva calcolato che Roswehn, spinta da Regan, avrebbe potuto di sua iniziativa tentare la fuga. Vedendola lucida, lo stregone aveva creduto che l'entità dentro di lei non avesse ancora una presa tanto forte da influenzare le sue azioni. Altro fatale errore.

"Non ci resta che andare a Gran Burrone senza di lei. Informeremo Elrond." poi guardó verso Haldir. "Sarà molto contrariato".

"Ne avrebbe motivo. Siamo stati ingenui, il signore di Rivendell non perdonerà questa leggerezza." ammise Haldir, con rabbia. Ce l'aveva con se stesso: come aveva potuto addormentarsi?

"Non è solo l'ira di Elrond che temo. Un altro signore elfico ci sta aspettando lì e quando vedrà che lei non è con noi, conosceremo entrambi il suo lato più sgradevole." disse Gandalf, lanciando al compagno di viaggio uno sguardo preoccupato. Haldir lo guardó, confuso.

"Dunque...lui è davvero giunto fin a Gran Burrone?" Gandalf annuì.
"Era il mio piano, io e Elrond abbiamo avuto quest'idea." rispose lo Stregone. "...un piano andato in malora."

Haldir pensó che Roswehn fosse la donna più sfortunata della Terra. Il suo sogno era lì, l'avrebbe incontrato di nuovo quel giorno stesso... se non fosse stato per quello spirito maledetto dentro di lei. Povera, povera ragazza.

Si misero mestamente in marcia. Haldir giró lo sguardo verso le montagne ad Ovest, al di là delle quali si entrava nel vecchio territorio di Arnor. Dove la stavano portando, mentre era probabilmente priva di sensi. Immaginó che l'avessero addormentata in qualche modo, era probabile infatti che Roswehn avesse tentato di ribellarsi in un momento di lucidità.

Ovunque tu sia, resisti. pensó.

🌿🌿🌿

La ragazza si sveglió. Era su un cavallo, dietro di lei un uomo vestito di nero e mascherato, la sorreggeva. "Chi sei..." chiese, con un filo di voce.

"Sono colui che per voi non ha nome, Maestà. Un umile soldato al vostro servizio. Manca poco ad Arnor. Siete al sicuro ora..." le disse, ossequioso.

"Sei un pazzo, ecco cosa sei...lasciami andare." gli disse agitandosi. Provó a muoversi, ma l'uomo le cinse la vita con forza.
"Oh, è l'ospite che parla. Tu 'sta buona. In breve tempo arriveremo dove la nostra sovrana è attesa. E tu non ti opporrai." le disse, minaccioso. "Tu, dammi quel fazzoletto..." ordinó a un altro tizio mascherato. Prese la pezza di stoffa e la premette sul volto della ragazza, che inaló subito un aroma intenso, sgradevole. La stordì e perse i sensi di nuovo.

"Sai, è molto carina, bellissimo corpo...peccato che...", disse il Numenoreano che teneva la tela imbevuta di narcotico.

"Abbi più rispetto! Lei non è qui per i tuoi sollazzi...non dimenticare chi è." lo rimproveró Erdeód, il capo del piccolo gruppo. "Spronate i cavalli! Quei due forse ci seguono. Cerchiamo di arrivare alle mura prima del pomeriggio." esortó il capo.

🌿🌿🌿

Giunsero all'entrata di Rivendell dopo tre ore, scortati da alcuni soldati del reame.

Elrond aveva dato ordine che andassero loro incontro, ma ormai era troppo tardi. Costernato, osservó i due entrare a Imladris senza Roswehn.
Lindir, che attendeva accanto a Elrond, commentó.
"Quel che temevate si è avverato."

Elrond guardó negli occhi Gandalf, che scese dal carro con aria rattristata.
"Sì, Lindir. A quanto pare, sì."

Haldir smontó da Jedeon, che venne subito portato nelle stalle di Rivendell. Anch'egli aveva negli occhi un'espressione grave e imbarazzata. "Salute a te Haldir di Lórien. Sono spiacente di rivederti in una circostanza tanto seria." gli disse Elrond. Haldir chinó il capo con rispetto.

"Porto cattive notizie, lord Elrond: la mortale ci è sfuggita" annunciò gravemente l'Elfo biondo.

Elrond e Gandalf si salutarono con un'amichevole stretta al braccio.

"Vi è...sfuggita." Commentó una voce lontana. Una voce che Gandalf aveva udito l'ultima volta un anno prima e Haldir secoli prima. Nonostante le moltissime ere trascorse, il Guardiano del Lórien riconobbe subito il timbro.

Dietro Elrond, in cima a una scalinata che conduceva al reliquiario di Narsil, comparve infatti il Re di Boscoverde.

Haldir sentì un brivido: non gli piaceva lo sguardo di Thranduil. Sembrava più che arrabbiato. Lo vide discendere lentamente gli scalini, nella sua regale veste nera come la notte e come il suo umore. "L'hai lasciata scappare, vuoi dire, soldato del Lórien." gli rinfacció, tagliente. "Celeborn non è dunque in grado di addestrare i suoi capitani?"

"Non è stata colpa di Haldir, te ne prego. La donna è fuggita di sua iniziativa mentre...dormivamo." tentó di spiegare Gandalf.

"Mentre dormivate, Mithrandir?" chiese Thranduil, girando lo sguardo di ghiaccio verso Haldir. "Da quando gli Elfi dormono?"

"Haldir ha svolto egregiamente il suo compito, non essere severo con lui. Non sai contro quale forza ci stiamo scontrando..." rispose Gandalf.

"La ragazza è in balìa dello spirito, ormai ha invaso la sua mente, decide le sue azioni. La mortale non vuole opporsi a questo." intervenne Elrond.

Nel frattempo, Thranduil continuava a fissare Haldir con durezza. 
"Non tollero incapacità da un comandante, nè del mio esercito, nè di altri."

A quel punto, Haldir osò replicare. Non aveva risposto subito a Thranduil per rispetto verso il suo rango, ma quelle accuse lo ferivano. Si era scrupolosamente preso cura di Roswehn fin da quando l'aveva vista, le aveva salvato la vita. Aveva accettato di rinunciare ad amarla in favore di chi ora lo accusava di dabbenaggine.
"Perdonate se vi rammento questo, lord Thranduil: siete stato voi a lasciare che la mortale abbandonasse i vostri confini, dopo aver capito la sua situazione. Roswehn stessa mi ha confidato che voi avete avuto un presentimento riguardo all'entità dentro di lei." gli disse, sostenendo il suo sguardo.

Elrond si girò: "È vero, questo?" gli chiese, aggrottando le sopracciglia. "Tu sapevi, Thranduil?"

Il re non rispose subito, giró il viso in un'altra direzione.
"Lo sospettavo." disse, secco.

"Allora non prendertela con Haldir. Egli è responsabile quanto te" gli disse Elrond, "tutti noi dobbiamo rispondere di quanto accaduto."

"Io devo rispondere solo di aver lasciato che voi vi occupaste della questione. Sono giunto fin qui su tua richiesta, Elrond. Perchè, come già successo in passato, il mio aiuto pare essere irrinunciabile." rispose Thranduil. "...nonostante io non venga mai invitato ai vostri Consigli. Sembra che la mia presenza sia considerata inopportuna quando vi riunite tu, Galadriel, Saruman e il nostro Mithrandir. Tuttavia, ricorrete a me per risolvere le più intricate faccende, siano esse guerre contro i Nani, gli Orchi o vecchi spiriti che si ripresentano dopo secoli, non è così?"

"Questo non è il momento di discutere di cose già dette. E' sempre stata una tua scelta quella di rimanere nascosto a Boscoverde. Tu hai preteso che i vostri confini fossero inaccessibili. Tu hai rifiutato di unirti a noi nella perenne lotta contro Sauron e Morgoth."

Thranduil ascoltava impassibile le accuse di Elrond.

"L'altr'anno hai deciso di schierarti con noi solo per riavere le gemme di Lasgalen. Credevo tu fossi cambiato in questi mesi, ma vedo che sei sempre lo stesso, Thranduil." terminó Elrond.

Gandalf e Haldir lo guardavano, colpiti dalla durezza delle sue parole. Era risaputo che fra lui e il re di Boscoverde i rapporti fossero tesi, ma fino a quel giorno avevano ignorato il livello di diffidenza reciproca che c'era fra i due Signori. Sembravano detestarsi.

"E tu invece come sei, Elrond? Devo ricordarti che fra me e te c'è una differenza: tu hai anche sangue umano nelle vene...temo sia esso il responsabile di molte tue paure, dei tuoi infiniti tentennamenti." gli disse Thranduil, lo sguardo lasciato piovere dall'alto alla sua consueta maniera. "I mezzo sangue... razza ancora più irritante dei mortali."

"Un mezzo sangue che possiede questo." gli rispose Elrond, mostrandogli il suo Anello, Vilya. "A te non è stato dato, e non riesci ancora a sopportarlo. Un'invidia che ti corrode il cuore. Viene da questo la tua arroganza."

Haldir guardó sorpreso il Signore di Rivendell. Non gli aveva mai sentito quel tono superbo. Il saggio, placido, benevolente Elrond che si lasciava andare ad un moto d'orgoglio.

"Non litigherete come bambini adesso?!" intervenne Gandalf. Ne aveva abbastanza di quella faida, era in corso una potenziale catastrofe e quei due si beccavano come vecchie comari. Roswehn andava rintracciata e strappata dalle braccia di Morgoth e non c'era tempo da perdere. "Una ragazza ha bisogno di noi. Dobbiamo aiutarla... e sí, Thranduil, in questo ci puoi davvero dare una mano." disse, rivolto al re.

"Cosa vi aspettate da me? La donna ha scelto di donarsi al Male. Non c'è nulla che io possa fare." replicò lui freddamente.

"È innamorata di voi, Lord Thranduil." disse Haldir, nonostante per lui quella consapevolezza fosse una spina nel cuore.

"Lo so. Ed è una dimostrazione della sua stupidità." replicò il re. "Vive di fantasie puerili."

"Ma tu puoi convincerla a tornare alla Luce, a rinunciare alle promesse di Morgoth e ad esorcizzare quel fantasma che è in lei." spiegò Elrond.

"In cambio di cosa? Di ciò che non posso offrirle? Non è mia intenzione dare speranza se non ce n'é. Sarebbe ancora più crudele." obiettó il re, guardando il gran burrone che dava il nome a quel territorio. Era la prima volta che lo visitava e non gli piaceva. Troppa luce.

"Allora preferiresti che Regan dentro di lei portasse a termine il suo compito e ricostituisse le legioni nere di Numenor? Che trascinasse la Terra in una guerra mai vista?" gli chiese nervosamente Elrond.

"Comunque è lontana da qui. Il tuo piano è fallito sul nascere, Mithrandir. Ora non vi resta che trovare un'altra soluzione, pare." rispose Thranduil, con un mezzo sorriso. Elrond preferì non replicare e si allontanó. Lo innervosiva l'atteggiamento del re, nonostante avrebbe dovuto esservi abituato. Oh, se lo conosceva.

"Imladris vi accoglie come ospiti. Se intendente riposarvi, vi sarà data una sistemazione." disse Lindir, timidamente. La presenza di Thranduil lo metteva in soggezione, non aveva proferito parola durante il battibecco fra i due.

Haldir osservó la glaciale compostezza del re di Boscoverde e comprese di non aver mai avuto speranza contro di lui nella lotta per avere il cuore della donna umana. Era davvero bellissimo e nobile in ogni suo movimento. C'era peró qualcosa che non comprendeva di lui, qualcosa che in tutta quella storia gli sfuggiva. Se davvero a Thranduil non importava della ragazza né del destino della Terra di Mezzo, perché si era spinto fin lì? L'altero sovrano che non aveva mosso un dito per aiutare la gente di Dale dopo il primo attacco di Smaug al regno degli Uomini, che aveva sdegnosamente voltato le spalle a Thorin e tutta la sua gente quando il Drago aveva violato Erebor, che usava la parola mortale con un disprezzo pari solo alla sua alterigia... perché aveva portato la sua regale persona fino a Gran Burrone? E perché si era adirato con lui a quel modo, dopo aver saputo della fuga di Roswehn?

Decise di provare a chiederglielo, più tardi quella sera.

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Capitolo 30
*** Ricordi ***


Erdeód arrestó il cavallo in prossimità delle mura gigantesche che nei tempi antichi delimitavano i confini della capitale di Arnor, Fornost. 
Arnor non esisteva più da centinaia di anni, ma i simboli della sua grandezza non erano stati spazzati via dal tempo. 
La grande muraglia, ad esempio, i resti delle abitazioni, saccheggiate dagli Orchi senza alcuna pietà per gli abitanti. Tutti trucidati.

E il Grande Palazzo, all'interno del quale si ergeva il trono che era stato occupato da Valandil, Isildur e, prima di tutti, da Elendil. L'imponente edificio, sormontato da una grande cupola, era disabitato da tempo immemorabile. Fornost era completamente diversa dalla luminosa Minas Tirith, e non solo perché era una città fantasma a quei tempi. Anche all'epoca in cui Valandil regnava, la capitale di Arnor era luogo lugubre, austero, deprimente perfino. La potenza di quell'immenso reame si intuiva tuttavia dalle grandi statue e dai marmi preziosi che una volta abbellivano la residenza del re. Tutto finito, distrutto, sparito. Le creature di Angmar avevano rubato quello che c'era da rubare, distruggendo, insozzando quel nobile luogo.

I sei cavalcarono all'interno delle mura, e presto raggiunsero il Palazzo, dove altri li aspettavano. Moltissimi altri. In silenzio, la moltitudine di Numenoreani Neri osservó Erdeód cavalcare lentamente sorreggendo la loro regina, ancora addormentata. La massa di uomini  si divise in due, per lasciar libero il passaggio.

        

"Portiamola sul trono...una volta lì, la nostra sovrana si risveglierà definitivamente in lei." disse Erdeód al suo fidato aiutante, che si chiamava Kromm. L'inventore di quel liquido soporifero. "Il Negromante attende il suo arrivo. Ci penserà lui a questa ragazza umana." rispose Kromm, togliendosi il fazzoletto dal volto. "Forza, dalla a me."

Detto questo, prese Roswehn fra le braccia e, nel silenzio generale, la portó verso la grande scalinata nera che conduceva all'interno del Palazzo. Qualcuno dei Numenoreani si inchinó.

"Alzatevi, stupidi." sputó Kromm, guardando i compagni con disprezzo. Branco di deficienti. "Aprite quella porta." ordinó. Uno degli uomini gli aprì il grande portone decorato con lo stemma di Arnor, e ai lati, con le effigi dei passati sovrani. Inclusa quella di Regan.

"Altezza, siete a casa." annunció Kromm alla donna, che lentamente aprì gli occhi. Occhi neri.

"Casa..." mormoró. "Casa mia..."

Si guardó intorno e la vista di tutte quelle macerie sembró turbarla. Afferró con forza la spalla di Kromm, che soffocó un gemito di dolore.

"Padre...cosa hanno fatto di questo luogo..." sussurró di nuovo. "La nostra amata casa..." disse. Guardó Kromm con ferocia. L'uomo si spaventó.

"Avete lasciato il MIO palazzo cadere in pezzi?" gli chiese. Kromm non sapeva cosa e come rispondere.

"Abbiamo ripulito e ricostruito come abbiamo potuto. Ma c'è molto da fare. Attendevamo il vostro ritorno, Maestà. Il nostro padrone vi aspetta."

"Portami da lui, allora." sibiló la donna.

  🌿🌿🌿

A Rivendell il sole stava calando. Le belle case degli Elfi di Gran Burrone, con i loro fiori a decorarne le pareti e i tetti, riempivano gli occhi di pace e bellezza. Le cascate, i piccoli ponti, i giardini profumati, tutto era un trionfo di armonia e colore.

Era davvero un luogo incantevole, pensó Haldir, e si dispiacque che la ragazza non fosse lì ad osservare quel paesaggio meraviglioso. Quel tramonto mozzafiato.

Dov'era, in quel momento? Con chi era, cosa stavano facendo a quella donna indifesa? Le domande lo tormentavano. Cosa poteva fare, lui? Aveva pensato di sellare Jedeon e di andare da solo a cercarla, ma sarebbe stato come cercare un ago in un pagliaio: il territorio di Arnor era immenso, e comprendeva altri sub-territori come Brea, e la Contea degli Hobbit. Quei rapitori misteriosi potevano averla nascosta ovunque.

"Una visione diversa da quella a cui siamo abituati noi, vero?" chiese una voce alle sue spalle.

Thranduil.

Chi poteva sapere da quanto tempo era dietro di lui. Chi poteva sapere se avesse sentito i suoi pensieri.

Haldir si giró a guardarlo, mentre l'irritazione iniziava a farsi largo nel suo animo. Non aveva digerito il modo in cui il re lo aveva trattato.

"Noi Elfi Silvani siamo avvezzi alla penombra, questa luce ci disturba." continuó Thranduil, guardando il panorama dalla grande terrazza di Elrond.

"Voi non appartenete alla razza silvana, maestà." rispose Haldir, seccamente. "Perdonate se ve lo ricordo."

Thranduil sorrise, senza guardarlo. "Questo è vero. Sebbene, io e mio figlio ci sentiamo ormai parte di quella comunità." disse, laconico.

Forse tuo figlio, pensó Haldir. Ma di certo non tu. Thranduil che si definiva un umile Elfo dei boschi? Ma nemmeno per sogno.

Il re lo guardó. "Vuoi bene a quella donna. Ha conquistato il tuo cuore, soldato." gli disse.

Haldir non tentó di negare. 
"Sì," confessó. "Ma non lo ha fatto di proposito. Sapete bene a chi vuole donare il suo amore."

Thranduil sorrise, e in quella smorfia Haldir colse una vaga aria di trionfo. "In questo momento, io credo che non sappia più nulla di se stessa, nè delle sue emozioni." gli rispose. 
"...non fate che abusare della parola amore, tu e la ragazza... ma non conoscete il suo autentico significato."

"Con tutto il rispetto, Lord Thranduil, non credo possiate dirlo. Non vi è concesso entrare nel cuore di tutti per sapere cosa provano." rispose Haldir. Lo indispettivano quelle considerazioni da parte del re. Come poteva giudicare i sentimenti di altri?

"Tu non conosci l'amore come non conosci la guerra, guardiano delle frontiere. Di cosa ti occupi nel Lórien? Vaghi con i tuoi fratelli pei boschi e sorvegli i fiumi, i laghi, le colline e gli alberi?" gli chiese, con quel sarcasmo che gli riusciva così bene. "Non sei mai stato in un vero scontro, scommetto. Non sai cosa vuol dire essere al centro della battaglia, venire circondato da orchi il cui unico scopo è disarcionarti dalla tua cavalcatura e farti in mille pezzi. Non hai mai visto uno dei serpenti del Nord, il più terribile, spalancare le fauci e liberare il suo mare di fuoco su di te e sui tuoi soldati." raccontó Thranduil, gli occhi fissi in quelli di Haldir. "E non sai cos'è la paura, l'angoscia di sapere che chi ami è lì con te, e sta rischiando la sua vita con te e per te. Non sai cos'è la perdita, quando realizzi che il tuo amore è caduto, colpito da quegli stessi nemici che avrebbero dovuto ucciderti al suo posto. Non sai nemmeno cosa sia il rimpianto, di non essere stato al suo fianco mentre moriva. Di essere arrivato tardi."

Haldir ascoltava, ma non riusciva a replicare. Sì, sapeva che Thranduil aveva sofferto molto nella sua vita. Non immaginava peró fino a che punto.

"Non sai nemmeno cosa voglia dire guardare negli occhi tuo figlio e ritrovare i suoi. E provare una pena così forte da non riuscire più a stargli vicino." scosse la testa. "No Haldir di Lórien, quello che tu e la mortale sapete sull'amore è solo illusione."

Fece per andarsene, ma Haldir lo fermó. "Vorrei farvi una domanda, se me lo concedete."  Thranduil si giró a guardarlo. Il diadema che portava splendeva al sole del tramonto.

"Perché siete qui?" chiese Haldir. "Da come parlate di Roswehn, sembrerebbe che non vi importi di lei, allora perchè avete attraversato tutto questo territorio per arrivare a Imladris? "

"Ero giunto qui per vedere di persona quello che Elrond sosteneva nel messaggio che ha mandato a Eryn Galen. Mai, prima d'ora, ha cercato il mio consiglio. E perché in fondo quello che hai detto prima è vero: sono responsabile, l'ho lasciata andare." ammise il re.

Che bugiardo, pensò Haldir.
"O forse perchè, negli occhi di Roswehn, avete ritrovato i suoi?", chiese. Il silenzio del sovrano, e la sua espressione sorpresa, gli fecero capire che aveva indovinato.

"Non credo manchereste di rispetto alla  memoria della vostra regina, se ammetteste di sentire qualcosa in voi, ogni volta che pensate a quella ragazza. Se riconosceste di essere preoccupato quanto lo sono io." gli disse.  "...e ora, con permesso, vi lascio. Domani alla luce del giorno ho intenzione di partire per cercarla. Ci ho riflettuto: anche se è un'impresa disperata voglio provare."

Detto questo, se ne andó verso la stanza che Lindir aveva fatto preparare per Roswehn, e che avrebbe occupato lui.

Thranduil osservó l'ultimo raggio di sole all'orizzonte. No Haldir, non sento nulla per lei. Non mi importa del suo destino. La lascio a te, al tuo cuore ingenuo. Salvala se puoi.

Ma poi pensó a Calenduin, alla sua frase devi aiutarla, udita nel vento di Boscoverde, alle rose bianche che come lunghe braccia avevano avvolto la statua di sua moglie. Cos'era stata quella, una benedizione? Forse la sua regina gli stava dando, in quel modo, il permesso di... amarla?  Da quanto tempo non provava qualcosa di simile alla felicità. E se Haldir avesse avuto ragione...

"Mai più." prometteva sempre a se stesso, ogni volta che la sua memoria tornava a quel cumulo di cenere sul nero suolo di Angmar. Tutto quel che era rimasto di Calenduin.

Peró, non poteva negare di aver pensato alla ragazza. Già quella notte del loro primo incontro, dopo che lei aveva lasciato a passo spedito la sua tenda da campo, aveva provato il desiderio di tenerla vicino a sé. E dopo la battaglia delle cinque armate, dopo il suo ritorno a Boscoverde senza Legolas, durante quell'ultimo anno la sua memoria era tornata a lei...e parecchie volte. Aveva perfino pensato di mandare un'ambasciata a Dale, a re Bard, per chiedergli notizie su Roswehn. Per chiedergli di poterla incontrare.

E mentre Roswehn era stata ospite da lui, in quei giorni spesi a Boscoverde, l'aveva osservata di nascosto: aveva seguito da lontano lei e Nim mentre giravano nel suo territorio, aveva imposto a Feren di riportargli tutto ció che faceva l'umana, e aveva notato come si fosse perfettamente integrata nel loro mondo, quasi fosse il suo ambiente naturale.  Una notte si era perfino sorpreso a desiderare che la donna fosse lì insieme a lui, a osservare la meraviglia della luce lunare e per poco non aveva dato ordine a uno dei suoi attendenti di mandarla a chiamare.

Aveva amato sua moglie Calenduin. L'aveva amata molto. Ma il loro era stato un rapporto condizionato dal ruolo di regnanti in quella comunità, un amore istituzionale, si poteva dire, legato a tanti schemi, e con diversi limiti. E quando Legolas era nato, tutto il loro ardore di amanti era svanito.

Quella ragazza umana provocava in lui sensazioni nuove. Forti, selvagge, ancestrali.

Ma perché? Chi era in fondo Roswehn Monrose? Una donna mortale. Un'appartenente alla razza che Thranduil aveva sempre considerato meno nobile rispetto a quella elfica.

Come Haldir aveva intuito, c'era in lei qualcosa che lo attraeva irresistibilmente. Qualcosa a cui il grande, potente Re di Boscoverde non sapeva dare un nome.

Mai più.

Poi la sera arrivò ancora, come sempre. E guardando le sue amate stelle, il Re non fu più tanto sicuro di quel giuramento.

 

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Capitolo 31
*** La seduzione del Male ***


L'avevano lasciata sola all'interno della grande sala del Re, nel semidistrutto palazzo di Fornost.

Roswehn aprì gli occhi, e non capì come fosse giunta lì, che razza di posto fosse mai quello e perchè si trovasse in piedi davanti a quel gigantesco trono di marmo nero. Regan l'aveva momentaneamente liberata dal suo influsso. In pratica, due anime condividevano lo stesso corpo, ed ora la ragazza di Dale aveva ritrovato possesso delle sue facoltà. L'ultima cosa che ricordava, era l'acre odore del fazzoletto che le era stato premuto sul viso.

Si portò le mani alle tempie, disperata.
"Dèi aiutatemi... sto perdendo la testa!" pianse.

"Non ci sono dèi ad aiutarti qui...loro non ti ascoltano. Ma io sì." disse una voce profonda. La ragazza si guardò intorno. Non sembrava esserci nessuno oltre a lei, in quell'enorme sala oscura. Ma poi intravide una sagoma umana, seduta sul trono.

La postura era disinvolta, una lunga gamba era piegata fin al petto, e con una mano sorreggeva il capo. L'essere sembrava annoiato, o afflitto da qualche triste pensiero. Si avvicinò con timore per distinguere i lineamenti e subito vide che era un Elfo. Lunghissimi capelli neri gli arrivavano fino alla vita, portava una corona in ferro, con un gioiello rosso come il sangue proprio al centro. La carnagione era biancastra, ma era un pallore simile a quello della malattia, non era il solito candore perlaceo degli Elfi. Un ciuffo ribelle scendeva a coprirgli gli occhi, e sotto, Roswehn vide un ghigno inquietante. Indossava pantaloni neri, era a torso nudo, e portava stivali di pelle nera.

"E tu chi saresti?" chiese la ragazza, senza tuttavia essere sicura di voler sentire la risposta. Aveva un terribile presentimento.

"Mi chiamo Melkor." disse la creatura, sollevando un po' il viso. La fissava.

Melkor...pensò Roswehn. Melkor...dove aveva sentito quel nome? Si concentrò e in un attimo trovò la risposta. Si portò la mano alla bocca senza riuscire a trattenere un grido e arretrò di qualche passo.
"MORGOTH!" gridò. Si girò di scatto e provò a scappare, ma un muro invisibile arrestò la sua corsa dopo un passo. Cadde rovinosamente all'indietro.

"Credi di riuscire a scappare da me?" chiese serafico l'essere.

No, certo che non poteva, pensò la donna, mettendosi faticosamente a sedere sul pavimento. Nella caduta, si era fatta male ad un gomito. Se la creatura era veramente chi diceva di essere, non poteva sperare di uscire viva da quella situazione.

Era in presenza del Male. Il Male assoluto della Terra di Mezzo. Sperò che fosse un trucco per spaventarla.

"No, puoi credermi. Sei in presenza di un Dio, mortale. Aspetto i tuoi omaggi." disse di nuovo l'Elfo oscuro. Leggeva nella sua mente.

Roswehn lo osservò spaventata. "Tu menti. Melkor è il nome di un Vala. Un Vala che scelse la via del terrore e della morte. Se sei lui, dovresti presentarti in altro modo." replicò la donna.

"Questa faccenda dei nomi..." continuò la creatura, "è tediosa, non trovi? Tu ti sei fatta chiamare Regan per tutta la tua vita fino a poco tempo fa. E adesso...Roswehn...questo genera confusione." disse Melkor. "Un'insopportabile confusione." si alzò in piedi, e si diresse verso di lei.

Era alto e snello, aveva un' eleganza felina nel muoversi. Le offrì la mano dalle unghie affilate per aiutarla ad alzarsi, ma Roswehn non osò dargli la sua.

"Non temere, se avessi voluto ucciderti l'avrei già fatto." sorrise. Il suo viso non era sgradevole, anzi, i lineamenti erano più mascolini rispetto a quelli degli altri Elfi e gli occhi erano grandi, scuri e penetranti. Le labbra carnose si aprirono in un sorriso più convincente. "Hanno faticato per portarti qui, non è mia intenzione vanificare gli sforzi dei tuoi sudditi." le disse, "...lasciati aiutare, donna."

Roswehn allungò la mano poco convinta e la creatura la afferrò saldamente. Una volta in piedi, l'Elfo la squadrò da capo a piedi. "Come dicevo, questa storia dei nomi mi ha stancato. Morgoth è il nome con cui i vermi che abitano Arda mi conoscono, ma in origine ero Melkor: il Re Antico, primo fra tutti i Valar. Tutto ciò che vedi attorno a te, creature, cose, spiriti, tutto è piegato alla mia volontà. E lo sarai anche tu, presto." sorrise l'Elfo.

"Tu saresti quello che si è opposto a Eru, che negava la sua esistenza, che fu...allontanato dalla Luce per trascinarsi nell'oscurità?" chiese Roswehn. Non ci credeva ancora, tentó di illudersi che fosse un semplice elfo arruolato dai suoi rapitori allo scopo di terrorizzarla e ottenere da lei chissà che diamine. Non poteva essere Morgoth, il padrone di Sauron.

"Sei testarda. Sauron è un mio servo, è vero, ma sfortunatamente è senza poteri finché l'Unico Anello non gli verrà riconsegnato." disse il nero essere. "Nemmeno quegli uomini là fuori conoscono la mia identità, credono io sia un...Negromante." e rise.

"E per quale motivo ti stai rivelando a un'umile ragazza umana? A cosa devo questo onore?" chiese lei, sarcastica.

"Perché purtroppo vedo che non hai ancora accettato le nostre offerte, e voglio tentare di convincerti di persona." rispose l'Elfo. "Non hai ancora compreso che sei una prescelta, porterai tutta questa Terra sotto il mio comando, e verrai ricompensata per questo. Lautamente ricompensata."

"Ah sì, conosco le vostre promesse, Regan lo spirito irrequieto me le ha fatte: diventare Alta Regina di Gondor e Arnor, avere l'amore di Thranduil...tutte menzogne di un essere malvagio. Tu stai reggendole la parte, credi che basti un costume da Lord delle tenebre e un finto diadema per impressionarmi? Mi credete tutti tanto stupida..." ringhiò lei.

L'Elfo rise. "Mi piace la tua rabbia, potresti essere la mia sposa..." si avvicinò a lei. "Hey, questa è un'idea: ti potrei sposare. Sono sicuro che saresti un'ottima moglie, la degna consorte di un essere malvagio come me. Thranduil e Haldir ti hanno sedotta con la mente ma non con il corpo, che incapaci, io invece ti darei esattamente quello che vuoi..." le accarezzò il viso, il collo e lentamente fece scorrere le dita sulle forme del seno. "...anche se, mia cara, temo non sarei affatto un buon marito."

Guardò Roswehn negli occhi e la ragazza vide che le sue iridi avevano assunto un color giallognolo, sembravano gli occhi di un animale. Rabbrividì e si allontanò da lui.
"Cosa vuoi da me? Si può sapere?" chiese lei, con un filo di voce. Stava iniziando ad avere veramente paura.

"Voglio che ti arrendi al tuo destino e lasci libera Regan di tornare su quel trono." le disse l'essere, afferandola per un polso, e facendole male. "Voglio che tu e lei insieme rinuniate tutte le legioni di Numenor, e che dichiariate guerra agli Elfi, ai Nani, agli Istari e a tutti gli Uomini che si metteranno contro di me. E voglio che trovi quel ragazzo, quell'Aragorn, e mi porti la sua testa." la strattonò, strappandole un grido. "Ti è chiaro ora, donna, quello che voglio?"

"Se sei così potente, perché non lo fai tu?" chiese lei.

L'Elfo la lasciò bruscamente.
"Ottima domanda." rispose. "Perché quei valorosi difensori del Bene, che tu hai conosciuto...la strega bianca di Lòrien, il Grigio Pellegrino, quell'inutile maggiordomo di Rivendell, strenuamente si oppongono. Gli Eldar non lasciano la presa su questa Terra, convincono con i loro vacui discorsi sull'amore tutte le creature libere a opporsi a me. E ci riescono, sai, ci riescono molto bene."

"Già, così deve essere." disse lei con rabbia.

L'Elfo la guardò irritato, poi sorrise.
"Fingi di stare dalla loro parte...tuttavia ti sei lasciata portare qui." ghignò. "Come mai? Perdona la mia curiosità, ma questo dubbio mi riempie la mente da un po'..." disse, voltandole le spalle. "...non ti sei opposta a Regan. Se tu avessi voluto, lei ti avrebbe lasciata da un pezzo."

Ci fu silenzio.

Roswehn non sapeva cosa dire. L'essere continuava a darle le spalle, intento a rimirare la grande sala. "Questo era davvero un magnifico palazzo, un tempo. Oh, Arnor era il più grande reame che gli Uomini abbiano mai visto. Più grande di Gondor, più potente di Gondor. Un esercito imponente difendeva i suoi confini...pensa, riuscirono a respingere le mie legioni di Orchi...ed erano cinque volte più numerose." si girò di nuovo a osservarla. "...ma poi ho vinto."

"Sì, le bestie di Angmar trucidarono tutti gli abitanti senza pietà per nessuno. Conosco bene la storia." rispose Roswehn. "Non comprendo perché Regan scelse di diventare seguace di chi dici di essere. Morgoth sterminò la sua gente."

"Perché il suo popolo era debole, cara. Lei lo sapeva. Non meritavano di vivere. Il mondo non è per i deboli, per i codardi, per i pavidi che si nascondono nelle loro case anziché combattere. Regan fu oltremodo nobile a lasciare che le mie armate facessero scempio di una popolazione di conigli. Una popolazione che ora ricostruiremo, e sarà forte questa volta, sarà pronta a dominare. Tu non comprendi la grandezza di questa visione." l'Elfo allargò le braccia, enfatico.

Roswehn gli vide striature scure sul corpo, peraltro muscoloso e ben definito: era come se le vene, piene del suo sangue nero, fossero salite in superficie. Una visione sgradevole.

"Comprendo solo che questo luogo è dominato dalla follia. Io non sarò complice di questa assurdità." disse Roswehn. "Non mi importa cosa sarà di me. Non contate su nessun tipo di aiuto da parte mia."

"Oh beh...questo mi addolora, perché vedi, senza di te, nulla di quello che sto progettando da millenni può realizzarsi. Dovrò trovare il modo di convincerti." le disse l'Elfo. Due uomini entrarono allora nel salone. Afferrarono Roswehn per le braccia.

"Lasciatemi...è un ordine" provò a fingere di essere Regan.

La creatura rise.
"Ottimo tentativo, ma sanno che non sei lei, per il momento. Non riprovarci."
L'Elfo Nero si avvicinò alla donna e le prese il viso tra le mani, per obbligarla a guardarlo. "Non devi essere nervosa, stai per vivere un'esperienza memorabile. Beh, forse non proprio piacevole...ma puoi immaginare che io sia Thranduil per godertela di più."

Roswehn si divincolò. "Ma cosa..." poi perse i sensi.

Morgoth guardò i due uomini. "Portatela al Grande Talamo."

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Capitolo 32
*** Verso Arnor ***


"È presumibile che sia a Fornost, l'avranno portata al centro del vecchio reame. Non puoi andarci da solo, verró insieme a te." disse Elrond ad Haldir, mentre quest'ultimo conduceva Jedeon per le briglie. Erano all'entrata di Rivendell, quella stessa da cui sarebbero passati Frodo, Sam e gli Hobbit, con Aragorn, sessant'anni più tardi.

La grande veranda era punteggiata da qualche fogliolina che si staccava dagli alberi circostanti, e che roteava in piccoli vortici causati dalla brezza.

Il sole era alto e il calore estivo già piuttosto intenso, Gandalf aveva il viso rosso dall'affanno.
"Vengo anch'io Haldir, hai bisogno di tutto l'aiuto possibile, vi chiedo solo di darmi un cavallo. Il mio buon Rigel non sopporta le lunghe galoppate."

"E lord Thranduil, cosa farà?" chiese Haldir.

"Dubito sarà dei nostri," rispose Elrond amaramente "...è già sorprendente che si sia scomodato fin qui." guardó verso gli otto soldati di Boscoverde che l'avevano scortato, e che attendevano pazientemente il sovrano.

Sarebbe tornato nel suo territorio. Haldir credeva che Thranduil stesse combattendo una dura battaglia con la sua coscienza e il suo orgoglio: testardamente rifiutava di arrendersi all' affetto per Roswehn e preferiva indugiare nel glaciale distacco che lo caratterizzava nelle ultime stagioni della sua vita. Pensó che fosse desolante una simile scelta: in quel modo, si precludeva ogni possibilità di essere felice.

"Non vuole soffrire di nuovo, bisogna capirlo. Ha già perso sua moglie tragicamente. Se provasse ad amare Roswehn, dovrebbe prima o poi assistere alla sua morte. È comprensibile che soffochi i suoi sentimenti." gli disse Gandalf, mentre accarezzava lo splendido cavallo baio che Elrond gli aveva dato. Il Signore di Rivendell nel frattempo li aveva lasciati, forse per andare a parlare proprio con Thranduil.

Haldir lo guardó.
"Quindi anche tu hai questo sospetto?" gli chiese, stupito.

"Certo. È il motivo per cui ho chiesto a Elrond di convocarlo qui. Avevo visto qualcosa nei suoi occhi a Dale, un anno fa, nel momento in cui Roswehn si presentó dinanzi a lui." gli riveló, sistemando spada e bastone ben legati alla sella. "Credo che gli piaccia."

Haldir annuì. "Sì ma lo nega a se stesso. È davvero triste."

"Quando hai attraversato un mare bollente, caro Haldir, e ne sei uscito per miracolo, ci pensi bene prima di ributtarti in acqua. Ho sperato, ma vedo che è inutile insistere, non ci aiuterà. Piuttosto sono davvero preoccupato per quella ragazza, chissà che le è capitato stanotte." sospiró Gandalf, guardando ad Ovest. "È totalmente indifesa."

"Quella gente la considera una regina: non le avranno fatto del male." ribattè Haldir.

"Tu dici?" chiese Gandalf. "Non ci metterei la mano sul fuoco. Stiamo parlando di legioni di invasati. Spero sia stata abbastanza furba da assecondarli, per prendere tempo."

Haldir montó su Jedeon, che scalpitava.
"Aspettiamo Elrond, dunque?"

"Sì, dagli ancora qualche attimo." rispose lo stregone. Convincilo, amico mio. Convincilo tu, se puoi.

🌿🌿🌿

"La nostra ultima conversazione non è stata piacevole. Riconosco di aver perso la calma, ho detto cose ingiuste verso di te. Ti chiedo scusa." disse Elrond, mentre lui e Thranduil sedevano al tavolo al centro della piccola rotonda che molte volte aveva ospitato il bianco consiglio. Avrebbe voluto che anche Galadriel fosse lì con lui, per sostenerlo in quella difficile impresa. Thranduil sorrise.

"Tu e quella ragazza avete una straordinaria abilità nel porgere scuse false."

"Ti chiedo di fare uno sforzo, adesso." gli disse Elrond, sporgendosi in avanti. Era difficilissimo resistere al nervosismo che Thranduil provocava in lui. Ma doveva tenere a bada quella rabbiosa sensazione: non era più tempo di scherzi. "Dobbiamo mettere da parte le nostre diffidenze...e parlare. Con calma."

"Sto ascoltando. Parla." ribatté Thranduil.

"Tu tieni a quella donna?" chiese Elrond. Non voleva più girarci intorno. "T'invito ad essere sincero."

"No." fu la risposta del re. Secca, incontestabile, definitiva. Elrond non nascose uno scatto d'impazienza, che Thranduil colse. "Una domanda del genere è perfino offensiva, da parte di un Elfo."

"Perché? Perché è mortale?" si sforzó di chiedere l'altro. "È quello il tuo problema?"

"Il mio problema... tornare al mio regno dopo aver perso tre giorni qui è il mio problema. Prendere su di me la responsabilitá di governare Eryn Galen da solo, è il mio problema. Resistere al male che arriva da Dol Guldur, respingere gli orchi, i ragni e le altre mostruosità che infestano i miei confini, è un problema." Si guardó intorno. "Vedo che qui non avete guai del genere. La vostra esistenza prosegue placida."

"Insisti con questa storia. Non ho deciso io l'assegnazione degli Anelli, Imladris è protetta da Vilya, questo è vero, ma ció non mi ha mai spinto a nascondermi per evitare il Nemico." replicó Elrond.

"Credi? Non ti ho visto lo scorso inverno ad Erebor, in mezzo a quella guerra che è costata la vita a duemila dei miei Elfi. Né ti vidi a Dale, a combattere contro gli orchi che volevano distruggerne la popolazione. Quella donna, il suo Re, la sua famiglia, sono vivi perché io trascinai lì le mie armate in loro difesa. Perció non darmi dell'egoista."

"Non ti sto accusando di nulla. Ti ho solo fatto una domanda, per ora, alla quale tu hai risposto con una menzogna." incalzó Elrond. "Non ammetti quello che tutti hanno capito, qui. E ti dico io cosa è offensivo, per me: che tu respinga la possibilità di amare una donna solo perché è umana. Dimentichi che Aerin era nata da mortali. Ció non mi ha impedito di volerle bene, e di avere avuto una splendida figlia da lei."

Thranduil lo guardó infastidito. Le accuse di Elrond lo avevano colto alla sprovvista. "E dov'é ora tua moglie?" chiese.
Elrond si alzó dalla sedia. "Lo sai dov'é. È morta."

"È...morta. Proprio così." ripetè Thranduil. "Non è questo il destino dei ...mortali?"

"Anche tua moglie non c'é più." rispose Elrond.

"Lei è stata uccisa in battaglia." Thranduil gli lanció un'occhiata feroce. "E francamente, ti consiglio di non continuare sull'argomento."

"Comunque, sei solo ora. Come lo sono io: ed è vero, sapevo sarebbe andata così quando scelsi di amarla, ma non rimpiango un solo giorno passato con lei. Forse devo ringraziare Eru che l'abbia chiamata a sé a causa di un male e non di vecchiaia, non l'ho vista spegnersi lentamente. Le ho voluto bene ogni attimo e lei ha amato me. Tu dici, cento anni non sono che un battito di ciglia per la vita di un Elfo, giusto? Beh se Aerin potessere tornare a me, preferirei dieci anni, dieci giorni in sua compagnia che un'eternità da solo." disse, camminando lentamente attorno al tavolo. Poggió le mani sul suo bianco marmo. "Mi dispiace che tu non lo capisca, Thranduil. La felicità ha bussato di nuovo alla tua porta, ma tu sei sordo, la lasci fuori."

Il re non replicó. Osservava il cielo terso, la luce abbagliante infastidiva i suoi sensibili occhi.
"Legolas un giorno verrà qui da te, Elrond. "disse improvvisamente. "Verrà qui nel suo peregrinare e avrà bisogno di aiuto. Ti concedo di dargli il tuo consiglio. Ma per quanto riguarda me..." disse, alzandosi a sua volta "... non mi servono lezioni né rimproveri. Né tantomeno suggerimenti su come vivere la mia vita."

Detto questo, si avvió verso i suoi soldati. "È stato un piacere, Lord di Imladris. Delizioso soggiorno. Pianta qualche albero, c'è troppo chiarore qui." salì in groppa al suo destriero bianco, e si mise alla testa dei suoi Elfi. Lasciarono velocemente Gran Burrone davanti agli occhi stupiti di Gandalf e Haldir. Aveva lanciato una fugace occhiata proprio ad Haldir, prima di sparire lungo il sentiero.

Elrond tornó deluso dai due. "Non è possibile farlo ragionare. Rifiuta tutte le evidenze, perfino ció che gli dice il suo cuore. Andremo noi."

I tre uscirono da Rivendell e presero la direzione opposta a quella di Thranduil.
"Quanto ci vuole da qui fino a Fornost?" chiese Haldir.
"Cavalcando velocemente, altri due giorni." rispose Elrond.

"Sono troppi." disse Haldir. "Se solo potessimo volare..." , poi guardò Gandalf.

"Oh no, no...non me lo chiedete. Le Aquile non sono creature da chiamare a piacimento. Possono essere aggressive, sai?" ribatté lo stregone. "Una beccata da una di loro ti manderebbe nel giardino di Mandos in un lampo e addio Roswehn." gli fece l'occhiolino. "Sei contento di averla tutta per te, ora che il rivale ha rinunciato?"

"Io spero solo che sia viva, Mithrandir. Tutto il resto non ha importanza." rispose Haldir.

Non ha rinunciato, pensó il Guardiano del Lórien. Ha solo preso tempo. Grande Eru, fa' che ne rimanga abbastanza.

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Capitolo 33
*** La scelta ***


Roswehn riprese i sensi dopo che un raggio di sole entrato dalla finestra della grande camera la colpì in pieno viso.

Si strofinó gli occhi, e subito notó che l'avevano cambiata. Non indossava più la sua tunica, nè gli stivali. Era distesa su un enorme letto con lenzuola di seta rossa, e quattro colonne di legno nero agli angoli. Le mura erano scrostate, le finestre polverose non permettevano di vedere cosa c'era al di fuori, gli antichi candelabri sembravano sul punto di crollare a terra da un momento all'altro. Tutto, salvo il grande letto, aveva un aspetto vetusto e squallido.  Sopra di lei, un grande specchio fissato al soffitto.

Spaventata, per qualche attimo osservò la sua immagine nel riflesso. Le avevano messo un abito di pizzo nero, che sembrava quasi una veste da funerale. Provó a concentrarsi sulle sensazioni che le trasmetteva il suo corpo, non avvertiva alcun dolore. Un pensiero tremendo le attraversó tuttavia la mente: l'elfo che si faceva chiamare Morgoth aveva dato ordine ai suoi di portarla in quella stanza, nel talamo, come l'aveva definito. Per fare cosa di lei? Sì alzó faticosamente a sedere sul letto, e si guardó. Non sembrava ferita, né avvertiva fastidi nel muoversi.

"Credevi che ti avrei usato violenza?" disse una voce melliflua. Roswehn sobbalzó e si guardó intorno.

L'Elfo era accanto a una delle grandi finestre, nascosto da una tenda. Non pareva sopportare la luce del sole e aveva cambiato abbigliamento: indossava un lungo caftano blu notte che gli copriva interamente il corpo. "Te l'ho già detto: non sei il mio tipo. Ma terrorizzarti è stato divertente!" , e rise.

"Dove sono? Cos'è quest'altro posto maledetto?" chiese la ragazza.

"Il talamo che i re di Arnor occuparono tanti, tanti anni fa." Rispose la creatura. "E che ora sarà tuo."

"Questo palazzo ha tutta l'aria di un rudere." rispose lei, con aria di sfida. "Ed è probabilmente infestato dai ratti, puoi tenertelo."

"È curiosa la tua arroganza: una piccola paesana come te, cresciuta in una baracca di legno a Pontelagolungo, dovrebbe sbarrare gli occhi di fronte la meraviglia di questo posto." sorrise Melkor. "Certo, tu e la gente di Numenor dovrete lavorare per riportare questa reggia al suo splendore. Io sono fiducioso. E come vedi hai schiere di devoti sudditi al tuo servizio lì fuori."

"Sono solo una masnada di pazzi furiosi. Non so ancora chi sei tu, ma ti avverto: qualcuno è già sulle mie tracce. E non mi lascerà al mio destino qui." ribatté Roswehn.

"Ah già... Mithrandir, quell' Istari. I vegliardi sono una spina nel fianco per me da quando Arda fu creata. Peró, tu sai che gli stregoni non possono utilizzare pienamente i loro poteri nella Terra di Mezzo? Sei così colta, dovresti averlo studiato sui tuoi libri." disse Melkor, incrociando le lunghe braccia sul petto. "Il loro ruolo in questo mondo è solo quello di vagare di regno in regno, di terra in terra, e dare i loro saggi consigli a quegli stupidi che li ascoltano. Quindi, cosa credi che possa fare contro di me?"

"Anche tu non hai potere, mi pare. Ti servi di una ragazza anonima per richiamare a te legioni di uomini cenciosi e randagi come quei disperati là fuori. È questo il tuo esercito? Se sei davvero Morgoth, sei caduto in basso." gli disse lei, con perfidia. Speró di colpirlo nell'orgoglio, ma l'Elfo nero sembró stranamente compiaciuto.

"Non sai quanto apprezzi quell'espressione malevola nei tuoi occhi. Significa che stai cambiando, significa che stai diventando come me. Ti nutri di odio, ora, e questo è un bene. L'odio rende forti, vigili, e combattivi. È il preludio al nostro trionfo." disse. "E come premio per il tuo cambiamento repentino, ho qualcosa per te. Qualcosa che ti piacerà molto." Indicó un tavolo a tre piedi su cui era stato appoggiato un oggetto coperto da un pezzo di seta blu.

"Sai che c'è lì sotto?" chiese Melkor.

"La testa di qualcuno?" rispose Roswehn, non troppo ironica. Poteva essere vero.

Melkor rise. La sua risata la faceva rabbrividire, sembrava che un nido di vespe gli si agitasse in gola. Era un suono inquietante.
"No, mia cara futura sovrana. Guarda pure se vuoi."

La donna si alzó raccogliendo l'ampia gonna con le mani. Non fosse stato per il colore funebre, sarebbe stato un abito meraviglioso. "Naturalmente, l'ho scelto io." disse la creatura, sempre all'ombra della tenda. Leggeva continuamente i suoi pensieri.

Roswehn timorosamente si avvicinó al piedistallo, e tolse con cautela il pezzo di tessuto. C'era una corona sotto. Era realizzata in oro massiccio, senza pietre, né intarsi. Solo oro, e sembrava abbastanza pesante. "Provatela, e guarda la tua immagine allo specchio."

"No," replicó la ragazza. "Ti ho detto che non voglio niente da te. Non sono una regina, né voglio esserlo. Smetti con questa messinscena."

"Non vorrei che tu stessi confondendo la mia calma serafica con pazienza." disse lentamente l'elfo oscuro. "Ricorda bene di chi sei in presenza. Non mi costerebbe nulla spezzarti collo, lo farei con la stessa facilità con cui romperei un ramoscello fra le mani. Perciò, se la continuazione della tua vita ti interessa, fai quello che ti ordino." disse, con la stessa leggerezza con cui avrebbe declamato una poesia.

Roswehn non era ancora convinta dell'identità di quell'essere, ma decise che non era il caso di rischiare. La corona era davvero pesante e poggiandosela sul capo avvertì dolore e pressione alle tempie. Si guardó a uno dei grandi specchi alle pareti. In effetti la sua immagine, con quell'abito regale e quella grossa corona, le piaceva. Non poteva negarlo a se stessa.

"Perfetta. Davvero sublime." si complimentò Melkor.

"Non mi mancherebbe che un re, per completare il tutto..." mormoró lei.

"Ah, eccoci... la parte che ti interessa di più." rise Melkor. "Io davvero non riesco a capire come quel lezioso elfo delle foreste abbia tanto fascino sulle donne. È un bene che decida di rimanere confinato a Boscoverde anziché vagare per la Terra di Mezzo. Farebbe più strage di cuori lui, di quante ne abbia mai fatta io di anime."

Roswehn si giró a guardarlo in malo modo, poi si voltó di nuovo verso lo specchio. Pensó a quando Regan l'aveva aggredita attraverso lo specchio a casa di Haldir. Lei non era una regina, non era degna di stargli accanto, le aveva detto, riferendosi alla moglie di Thranduil.

"Devo chiederti una cosa, anche se detesto farlo." disse a Melkor.

"Ma certo mia cara, tutto quello che vuoi." rispose l'Elfo trionfante. La donna stava per cedere, era più che certo.

"È possibile per un mortale, diventare immortale?"

Melkor applaudì. "Eccellente domanda, Roswehn di Dale! Ma la risposta, per sfortuna tua, è no." la geló. "Non posso darti la vita eterna. E nemmeno Gandalf puó, né Galadriel. Devi rassegnarti."

Roswehn abbandonó le braccia sui fianchi, delusa. Allora non lo avró mai, pensó.

"Oh sì che puoi. Ma non come consorte: come schiavo." disse Melkor. "Porta i miei eserciti fino a Eryn Galen. Circonda quel grande bosco con le mie legioni, minaccia di dare fuoco a tutto il suo territorio, di far strage dei suoi elfi, di portargli il cadavere di suo figlio. Il giovane Legolas sta vagando solitario da più di un anno, lo sai questo? È perfettamente intuibile dove sia: é nelle Terre Selvagge, sta cercando Aragorn. Possiamo trovare entrambi e ucciderli." spiegó Melkor, eccitato dalle sue stesse parole.

Roswehn lo ascoltava annichilita: mai aveva udito tanta ferocia.

"... e poi prometti a quell'altezzoso Re di risparmiare lui, la sua gente e suo figlio, se solo si arrenderà a te. Se ti concederà il dominio su tutto il territorio degli elfi silvani e la sua totale sottomissione. A quel punto, sarà tuo. Come ti ha promesso Regan, ogni volta che vuoi... e forse avresti anche un erede da lui. Sarebbe perfetto. Un mezzo sangue con la grazia dei Sindar nelle vene. Dopo la tua morte, inevitabile visto che sei umana, sarebbe tuo figlio a reggere il regno. Un re immortale, per un regno senza più limiti, né confini." incrociò le mani sotto al mento. "Un grandissimo sovrano... manipolato da me."

Roswehn scosse la testa. "Pura follia. E poi non vorrei mai niente di simile. Non sarebbe amore, ma un orrendo ricatto."

Melkor sfidó i raggi del sole e si avvicinò deciso a lei. La donna indietreggiò impaurita. "Ma cosa credi di poter fare? Non esiste altro modo, per avere Thranduil!" ringhió.

Roswehn non capiva.
"E perché mai?"

Melkor sorrise e continuó.
"Ero ad Angmar, quando sua moglie morì. Cioè, non ero fisicamente lì, ma vidi tutto attraverso gli occhi dei miei Orchi." spiegò. " Lei, Calenduin, fu circondata dei miei soldati, è vero, ma non cadde subito. Le diedero la possibilità di scegliere. Le dissero che l'avrebbero risparmiata, che l'avrebbero tenuta in ostaggio per obbligare suo marito, il tuo amato, ad arrendersi. A sottomettersi a me. Sarebbero ritornati entrambi a Boscoverde, avrebbero continuato a vivere. Il piccolo principe avrebbe avuto un padre e una madre. Certo, sarebbero stati tutti schiavi miei, ma avrebbero vissuto. Sai cosa scelse lei, invece? Preferì farsi uccidere. Per un motivo che trovai stupido."

Roswehn annuì. "La stessa scelta che avrei fatto io. Meglio la morte, che vedere mio figlio crescere in catene." Provó una pena improvvisa per la regina di Bosco Atro.

"Sì. Una scelta nobile. Stupida, ma indubbiamente nobile." ammise Melkor. "Thranduil la ama perché con il suo sacrificio permise a loro figlio di crescere libero. Che speranze credi di avere tu, contro una devozione del genere?"

"Nessuna." riconobbe lei.

"Quindi, non ti resta che prendertelo con la forza. Non ne convieni?" chiese.

Roswehn si guardava allo specchio, ammutolita.

Melkor ghignò. "Ti lascio riflettere, donna, ma ricorda: non hai molto tempo. E se rifiuti questa mia offerta, non ne riceverai mai più un'altra". Sparì. Letteralmente, il suo corpo venne come inghiottito dall'ombra.

Roswehn avvertì allora un brivido gelido: forse quell'essere era davvero Morgoth? Non aveva mai assistito alla sparizione di qualcosa o qualcuno. All'istante, capì cosa doveva fare. Si avvicinó di nuovo allo specchio.
"Regan." chiamó. "Avanti, mostrati."

Subito apparve la bellissima donna che Roswehn aveva già visto nel Lothlórien, una notte. Le sorrideva, e appoggió una mano allo specchio. Stavolta non provó ad aggredirla. Sembrava aver messo momentaneamente da parte la sua malvagità. Eccomi sorella, disse dallo specchio. Hai deciso?

"Sì." rispose la ragazza. "La decisione è presa. Ascolta."

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Capitolo 34
*** Libertà ***


"Ho scelto di diventare te", annunció Roswehn. "Voglio il potere che mi hai promesso. Voglio tutto."

Lo spirito esultó dallo specchio.
Avrai quello che desideri. Il nostro padrone attendeva questa decisione. I nostri eserciti stanno già arrivando, dal Nord, dal Sud, dall'Est e dall'Ovest, le disse.

L'entità sembró ringiovanire di colpo. Davanti a lei nello specchio, Roswehn vide infatti un volto nuovo, ancora più bello, incorniciato da una gran massa di capelli castani, come i suoi. Sul capo, portava uno spettacolare diadema con la stessa pietra rossa che aveva visto sulla corona di Melkor.

Ora non devi far altro che abbandonarti a me. Diventa ció che sogni da sempre di essere, una grande Regina, le disse il fantasma.

Roswehn chiuse gli occhi senza sapere cosa aspettarsi. Non era affatto vero che voleva concedere il suo corpo a Regan, ma aveva capito che era l'unica maniera per uscire da quel lugubre posto. Melkor, che era ovunque e osservava ogni suo movimento, non le avrebbe mai permesso di scappare. Forse, aveva pensato, poteva fingere di essere diventata una loro seguace, e cogliendo l'occasione giusta riuscire a darsela a gambe. Del resto, che alternativa aveva? Aspettare Gandalf e Haldir? E se non fossero mai arrivati? No, doveva sbrigarsela da sola.

Papà, mamma, aiutatemi... pensó. Voglio tornare a Dale, voglio rivedervi... avvertì una grande energia saettare dentro di lei. Regan si stava risvegliando completamente. Oh Bard, spero di non essermi sbagliata... spero che quest'essere non mi uccida...

"Bentornata altezza." disse quella voce odiosa che Roswehn aveva imparato a conoscere. "Permettetemi di inchinarmi davanti a voi." la salutó Melkor, con una grottesca riverenza.

"Mio signore Morgoth. Al tuo servizio." disse la bocca di Roswehn. Ma non era lei a parlare. Oh dèi! Pensó la ragazza. Sta parlando con la mia voce...attraverso ME!

La situazione si era ribaltata: adesso era la ragazza umana lo spirito, Regan si era del tutto incarnata in lei, e manipolava le sue membra come una marionetta. Roswehn era ospite del suo stesso corpo. Oh no...cosa ho fatto! Pensó lei disperata.

"Gli eserciti non sono ancora al completo, ma puoi presentarti finalmente a quelli che si sono radunati qua fuori. Vederti ecciterá i loro animi!" suggerì Melkor, prendendole la mano con eleganza. "Mostra loro che la Regina dei due regni è tornata."

Si avviarono entrambi verso l'enorme scalinata che conduceva al piano inferiore.

Roswehn sentì atterrita le sue gambe muoversi, il suo corpo irrigidirsi nella regale postura da sovrana, e la gelida mano di Melkor tenere la sua. Come ne usciró adesso? pensó.

Fuori, vedeva già le fila e fila di neri soldati con i loro elmi e le armature, le lance e gli scudi. "Stanno arrivando anche cento olifanti da guerra dal Nord. Rimarrai esterrefatta quando li vedrai. Sono bestie magnifiche." le annunció Melkor, orgoglioso dell'armata che aveva messo insieme. Un'armata silenziosa e composta.

Quando Regan oltrepassó il portone, Melkor sparì. Doveva presentarsi ai suoi uomini da sola.

Una volta di fronte a quella moltitudine, la donna allargó le braccia, quasi in un gesto accogliente.
"Haradrim! Io sono Regan, figlia di Valandil. Erede del sangue di Elendil, Alta Sovrana di Gondor e Arnor, padrona delle vostre vite. Sono tornata per riprendere ció che e' mio e condividerlo con voi. Mi seguirete?"

Un boato di seguì quella domanda. Gli uomini esultarono all'unisono, agitando in aria le loro armi. Era uno spettacolo incredibile e Roswehn, dentro Regan, ne fu impressionata. Lo stava osservando, ma non era partecipe. Ecco cosa le offriva Regan: solo osservare. Godere del ruolo di Regina senza vivere davvero quell'esperienza. Un incubo terribile. Ma cosa ho fatto, Gandalf? Come ho potuto? si disperó.

Proprio un attimo dopo aver pensato allo Stregone, capitó qualcosa: una luce fortissima arrivó dal fondo di quella massa di Uomini, dove le mura della città si aprivano. Un chiarore azzurrognolo che avvolse tutti e che terrorizzó gli Haradrim. La schiera di Uomini si aprì in due, e Roswehn potè vedere due individui cavalcare di gran carriera verso di lei. Uno dei due era anziano e reggeva un bastone da cui erompeva quella luce abbagliante.

Gandalf! Haldir! pensó.

Lo stregone stava usando la Fiamma di Udûn per spaventare gli Haradrim. E per tenere lontano Morgoth: la Fiamma Imperitura era l'unica arma di cui il Signore del Male aveva timore. Era il Fuoco Sacro di Eru, che Morgoth aveva da sempre cercato di rubare al Dio Supremo di Arda, senza mai riuscirci. Giunti entrambi davanti a Regan, Haldir saltó giù da cavallo e si avvicinó a lei.

La afferró e la sollevó di peso. "Perdonami." le sussurró.

"Lasciami, lasciami subito!" urló la Regina, furiosa. La corona le cadde dalla testa e rotoló lontana.

Portami via! Pensó invece Roswehn, dentro di lei. Oh Haldir, ho paura!

L'Elfo sembró sentire i suoi pensieri e la strinse. "Ce la faremo, Roswehn. Sei salva." Poi la issò su Jedeon e ripartí al galoppo, Gandalf era dietro di lui.

"Portala via di qui, Haldir! Affrettati!" e girò di nuovo il cavallo. Lui non se ne sarebbe andato: doveva ricacciare Morgoth nel suo inferno e disperdere quell'esercito malvagio.

🌿🌿🌿

Haldir stringeva i polsi di Regan dietro la schiena con una mano e con l'altra teneva le redini: la donna si agitava.

Era complicato cavalcare in quelle condizioni e per un attimo Haldir temette che entrambi sarebbero ruzzolati giù da Jedeon. "Non ribellarti, il tuo tempo è finito sul serio, ora. Lascia questa ragazza." intimò alla Regina, sempre più irrequieta sul cavallo. Era riuscito a legarle le mani, e con fatica la teneva in equilibrio sulla sella davanti a lei.

"Tu finirai da Mandos in men che non si dica, Elfo. Ti ci manderò io con le mie mani." rispose rabbiosa. "Vedrai il vostro aldilà prima di quanto pensi."

"Minacce senza valore. Tu non sei più niente ormai. Mithrandir sta ricacciando il tuo padrone nel suo inferno e con esso sparisce per sempre anche la forza che ti ha trasmesso. La tua rinascita è fallita." le disse Haldir, non nascondendo un sorriso di trionfo.

Elrond lo stava aspettando a cavallo, fuori dalle mura di Fornost.

"Forza, dalla a me." disse ad Haldir. I due fecero salire Regan/Roswehn sul cavallo del signore di Rivendell.

"Ma guarda chi c'é, il mezz'elfo. Ora il vostro gruppetto è al completo." ghignò Regan. "Il mio caro prozio. Ci si incontra in momenti inaspettati, vero?"

Elrond! Elrond! aiutami! Implorò Roswehn. Non vuole andarsene!

Elrond udí le sue preghiere nella mente.
"Lo so, ragazza. Abbi fede. Ti aiuteremo." le disse, e con Haldir si avviò di nuovo verso il suo territorio. Se solo Thranduil fosse rimasto, se fosse qui... pensò Elrond, mentre cavalcava attraverso la pianura sconfinata.

Gli Haradrim non li stavano seguendo, segno che Gandalf aveva avuto successo: Morgoth era sconfitto.
"Il tuo padrone se ne é andato, figlia di Valandil." intimò Elrond. "Va', Regan. Scegliesti il male, ora seguilo."

La donna perse di colpo conoscenza, dopo aver sussurrato un'ultima incomprensibile maledizione. "È finita, Haldir. Roswehn é libera." disse al Guardiano di Lòrien, che accolse la notizia con un sorriso. "Portiamola a Rivendell." aggiunse Elrond. "Ha bisogno di cure"

"No. Portiamola a Boscoverde. Lí ne riceverà di amorevoli." suggerí Haldir.

Elrond fu d'accordo.

Entrambi si avviarono.

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Capitolo 35
*** Ritorno a Eryn Galen ***


Nim asciugò la fronte di Roswehn con un fazzoletto ormai madido del suo sudore. La donna scottava.

Gli Elfi non sapevano come guarirla, la febbre era un malanno che non conoscevano. L'aveva lavata e asciugata e le aveva messo una loro veste.

Elrond, Haldir e Gandalf erano arrivati a Boscoverde in un batter d'occhio, un viaggio che normalmente avrebbe richiesto una settimana da Arnor fu compiuto in soli tre giorni. Dovevano ringraziare i loro cavalli, e la loro fenomenale resistenza.

Elrond era tornato subito a Gran Burrone, una volta affidata la donna agli Elfi Silvani. Si era raccomandato di trattarla con ogni riguardo. Lo Stregone, provato dallo scontro vittorioso con Morgoth, aveva scelto di fermarsi a Boscoverde qualche giorno e poi aveva progettato di rimettersi in viaggio. Voleva provare a raggiungere il reame di Dale e portare ai famigliari e amici di Roswehn la notizia che la ragazza stava bene. Erano probabilmente disperati da settimane, per non aver avuto più alcuna informazione su di lei. Non avrebbe raccontato nulla su Arnor, Morgoth e quello che le era capitato, anche perché non avrebbero capito. Haldir scelse di starle vicino, per assicurarsi che si fosse pienamente ripresa prima di tornare nel Lórien. Era anche curioso di vedere cosa sarebbe successo con Thranduil: se doveva rinunciare al suo amore, voleva che almeno lei fosse corrisposta dal re, e felice.

Ma il sovrano non si fece vivo; era stato informato dell'arrivo dei quattro, li aveva lasciati entrare dalla Grande Porta scortati dai suoi Elfi, ma quando Gandalf aveva chiesto a Feren di poter parlare con lui, non si era palesato.

Haldir era amareggiato dal suo cinismo. Roswehn era miracolosamente sopravvissuta nientemeno che a Morgoth, al quale stava per donarsi soprattutto per avere lui... era stata riportata forse non sana, ma salva a Boscoverde e Thranduil sembrava del tutto indifferente.

Durante il lungo tragitto fin lí, le era salito un febbrone da cavallo, come lo chiamó Gandalf. Troppe paure, il suo organismo non aveva retto lo stress. L'avevano riportata nella sua vecchia camera, dove era stata ospitata alla sua prima visita a Bosco Atro. Nim e Caleth le stavano vicino. L'elfetto era felicissimo di riaverla lí, anche se la donna era intontita. Non vedeva l'ora che si riprendesse, per farsi raccontare le sue imprese e i suoi viaggi in quell'ultimo mese e mezzo.

Nim chiese proprio a Caleth di portarle ancora un po' d'acqua con cui bagnarle la fronte.
"Sei bollente, amica mia. Cosa posso fare per te?" chiese dispiaciuta. Era riuscita a nutrirla con dei frutti schiacciati in una specie di mortaio: Roswehn aveva male alla gola e non poteva deglutire cibi solidi. Ogni tanto si svegliava, ma non era lucida e diceva di non vederci bene. Aveva la vista annebbiata. Caleth arrivò di corsa con un piccolo secchiello colmo d'acqua e fece per porgerlo a Nim.

Ma poi si voltò verso la porta e la sorpresa per quel che vide gli fece rovesciare metà contenuto sul pavimento. Nim lo rimproverò in elfico e si chinò per asciugare la chiazza. A sua volta si giró verso l'entrata della stanza per vedere cosa diamine avesse agitato Caleth e subito scattò in piedi.

"Maestá..." disse, chinando il capo.

"Uscite." disse Thranduil con calma. Senza farselo ripetere i due si allontanarono da Roswehn. "Tu, chiudi la porta." disse a Nim.

Una volta rimasto solo con lei, osservó la donna. Scosse tristemente la testa vedendo come era ridotta: pallida, semi-incosciente, dimagrita. Non aveva mai visto uno dei suoi Elfi in condizioni simili. I mortali erano così deboli. Si avvicinó al letto di Roswehn che si lamentava sommessamente.

"La gola...brucia..." mormoró. La ragazza improvvisamente socchiuse gli occhi e li giró verso Thranduil. Vide solo una cascata di capelli biondi e una lunga tunica chiara. "Haldir..." sussurró, con un lieve sorriso "Sono a Rivendell, vero?" Allungó una mano. "Sapevo che saresti venuto a cercarmi... mi hai salvata ancora..." sorrise con gratitudine. Poi giró di nuovo lo sguardo verso il muro. "L'ho combinata grossa eh? Stavo per...stavo per..." si passó una mano sul viso bagnato di sudore. "Ma adesso mi è tutto chiaro... ora so perché non posso averlo..."

Thranduil corrugó la fronte. Ma di che parlava? Era forse in una fase di delirio. Quelle malattie umane erano un mistero.

"L'ho finalmente capito, non è per me. Rimarrà solo un sogno. È seduto sul suo trono nel bosco ora...é lontano...troppo..." disse ancora Roswehn, parlando ad Haldir, che in quel momento era invece con Gandalf a discutere sul da farsi.

Parlava di lui.

Thranduil a quel punto si sedette sul letto e le prese la mano. Sentiva una nuova, strana tenerezza. Da tempo immemorabile non stringeva fra le sue mani quelle di una donna. Roswehn ricambió la stretta, e con sorpresa, si accorse che l'Elfo lì con lei portava diversi anelli. Da quando Haldir aveva anelli alle mani? Non le sembrava proprio di avergliene mai visti. Se fosse stata più lucida le sarebbe bastato quel dettaglio per capire chi era la creatura al suo fianco. Ma lo stordimento della malattia glielo impedì e si addormentó all'improvviso.

Il re la guardó per qualche attimo, poi mormoró: "Pare proprio che io non riesca a liberarmi di te, mortale"

🌿🌿🌿

"È con Roswehn adesso. Me l'ha detto quella ragazza elfo che si prende cura di lei." disse Haldir a Gandalf.

Stavano entrambi camminando lungo le rive di uno di quei ruscelletti sotterranei di Boscoverde la quiete del bosco era totale. Non si udiva che il suono delle fontanelle, lí intorno.

"Credi che Thranduil possa cambiare idea?" chiese Haldir. "Rivedere quelle che sono le sue convinzioni?"

"È difficile, te l'ho detto. Ma non impossibile." rispose Gandalf, appoggiandosi alla piccola staccionata che li separava dal corso d'acqua. "Non potrebbero sposarsi, questo é certo, perché i Valar non glielo permetterebbero. Ha già avuto una moglie."

"Nemmeno se lo spirito di Calenduin desse il consenso?" Chiese Haldir.

"No, nemmeno in quel caso. Poi, ricorda che Thranduil è un elfo oscuro, la sua razza rifiutó di andare a Valinor. Lui e il suo sangue sono banditi dall'ovest, dalle terre immortali. I Valar non gli concederebbero nulla neanche su questa terra." rifletté Gandalf. "Nessun permesso speciale."

"Non devono per forza sposarsi. Celeborn e Galadriel hanno vissuto come amanti per secoli, prima di unirsi in matrimonio." obiettó Haldir.

"E tu credi che il sovrano di Boscoverde potrebbe fare entrare una donna umana nel reame come sua concubina? Cosa direbbero i suoi Elfi?" rispose Gandalf, "... sarebbe disdicevole."

"Allora anche se si innamorasse di lei non potrebbero comunque stare insieme." concluse Haldir amaramente. "È una situazione triste."

"Potrebbero stare insieme solo in un caso: dovrebbe rinunciare alla sua immortalitá e stare accanto a lei come Uomo." disse Gandalf "... ma non puó fare nemmeno questo.."

"Dunque siamo punto e a capo." rispose Haldir.

"Sai che ti dico? Non sono affari nostri!" disse Gandalf, alzandosi. "Lasciamo che se la sbrighino loro due...sono adulti dopotutto!" si avvió verso le stalle. "Il cavallo di Elrond si sarà riposato a sufficienza. È tempo per me di andare a trovare Re Bard. Posso immaginare quanto sia angustiato, con tutta la loro gente."

"Cosa gli dirai?" chiese Haldir.

"Quello che sapeva già, cioé che Roswehn è a Boscoverde e che sta bene." rispose Gandalf allontanandosi.

"E Morgoth? È davvero sconfitto ora?" chiese l'Elfo.

"Nient'affatto. Lui e Sauron sono al momento confinati nella loro oscura dimensione, ma torneranno. Puoi scommetterci." sospiró lo Stregone. "Purtroppo ci sono altri esseri al loro servizio in questa Terra... gli orchi, i goblin, i Balrog..."

"Cos'é un balrog?" volle sapere Haldir, non aveva mai sentito quel nome.

Gandalf lo guardó e un lampo di terrore gli attraversó gli occhi.
"Spero tu non debba mai scoprirlo, Haldir." Poi ritrovó la sua usuale espressione serena. "E tu che farai, adesso, amico mio?"

"Staró ancora qui per un po' " rispose Haldir, "non voglio lasciarla sola."

"Non ti preoccupare. Vedrai che Thranduil prenderà la decisione giusta. Da millenni è su questa terra, saprà il da farsi." lo rassicuró. "E in ogni caso, l'amore è sempre la cosa giusta. La mancanza di amore... quella, è una cosa sbagliata."

Haldir guardó in alto, verso la camera di Roswehn.

Forse era il momento di andare a trovarla.

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Capitolo 36
*** Elvellyn ***


"Come, a Boscoverde? Credevo mi avessero portata a Gran Burrone!" chiese Roswehn, sbigottita, non appena riprese contatto con la realtà.

Era sobbalzata quando aveva riconosciuto Nim. C'erano voluti altri due giorni prima che la febbre si abbassasse. La dama elfica era stata con lei praticamente sempre.
"Mi sembri dispiaciuta di essere qui." le disse, "... io e Caleth invece siamo cosí lieti di riaverti con noi."

L'Elfa era un po' amareggiata.

"No, non mi fraintendere! Anch'io sono molto contenta di rivedervi, anzi, ti ringrazio: suppongo sia stata tu a prenderti cura di me in queste ultime ore." rispose Roswehn, "... solo, avrei preferito non essere riportata qui, almeno non adesso."

"E perché?" chiese Nim. "Non sei felice di rivedere il nostro territorio? E il nostro Re?"

La ragazza avvertì un formicolìo nel ventre. Il solo sentire qualcuno riferirsi a lui le dava ancora quelle sensazioni.

"Beh è proprio questo il punto... quello che è capitato ad Arnor mi ha fatto riflettere. È incredibile a dirsi, ma è stato Morgoth a farmi aprire gli occhi definitivamente sulla questione." notó l'espressione confusa di Nim. "... ti spiegheró in un altro momento."

Si guardó in giro. "... questa stanza... è rimasta uguale..."

"Sì. Sapevo che saresti tornata presto. Sai, forse non dovrei dirtelo, ma ero convinta che il tuo lungo viaggio attraverso la Terra di Mezzo non si sarebbe portato a compimento. Certo, una cosa simile era inimmaginabile. Non posso credere che tu abbia incontrato Morgoth, e abbia addirittura parlato con lui!" disse Nim impressionata.

Ho rischiato di fare ben altro con lui, oltre a parlare... stavo per consegnargli questa Terra con tutti quanti voi dentro, cara Nim, pensó Roswehn, ma preferì tenersi quei pensieri per sé. "Gandalf, Elrond e Haldir...sono qui?" chiese.

"Lord Elrond é tornato a Imladris. Gandalf si è spinto fino al tuo regno, a Dale... almeno, così voleva fare." la informó.

"Eru lo benedica! Se non fosse stato per lui... non voglio immaginare la fine che avrei fatto. Ora è andato a portare notizie di me alla mia gente. Sono molto preoccupata per la mia famiglia e Bard e i miei amici. Saranno in gran pena!" disse lei con un sospiro.

"Il Guardiano del Lórien invece è ancora qui." continuó Nim.

"Sì, lo so. L'ho visto seduto accanto a me l'altro giorno. È davvero un caro amico..." disse la donna con un sorriso.

"No, il capitano Haldir non è ancora venuto a trovarti. Cioè, voleva farlo, ma gli ho consigliato di tornare quando ti saresti rimessa. Più tardi lo informeró che stai meglio." le disse invece Nim. "Quello che hai visto era proprio il nostro Re."

Roswehn provó a puntellarsi sui gomiti.
"Cooosa?" trasecoló. "Mi stai dicendo che Thranduil è venuto fin qua sopra?" chiese, spalancando gli occhi. "...e mi ha vista in questo stato?!"

Doveva avere un aspetto terribile, non aveva uno specchio, ma lo sapeva benissimo. Quando le veniva la febbre sembrava sempre una strega.

Nim annuí. "Sí, è rimasto qua dentro qualche attimo. Poi è uscito dalla stanza e mi ha raccomandato di avere cura di te." la informò. "Mai, da quando io sono venuta al mondo, ho sentito dire che il re si sia spinto a visitare uno di noi nel suo alloggio."

Roswehn preferí non replicare. Non sapeva perché Thranduil avesse mostrato improvviso interesse per la sua salute, ma era ben decisa a non costruirsi castelli in aria. Il rischio tremendo che aveva corso ad Arnor era stato più che sufficiente per lei: era ormai chiaro che quel desiderio non corrisposto le avrebbe causato solo infelicità e problemi. Aveva addirittura rischiato di scatenare una guerra mossa dalla tentazione di avere una creatura irraggiungibile. No, la faccenda doveva finire lí.
"Sai Nim, ho perduto il diario che tu mi hai aiutato a scrivere." disse, cambiando argomento. "O meglio, Haldir lo ha buttato."

"Non importa, te ne porterò un altro. Avrai tempo per scrivere tutto quanto da capo." le rispose Nim, mentre sprimacciava il cuscino dietro di lei.

"Non mi fermeró qui a lungo stavolta. Quando sarò in grado di reggermi in piedi, tornerò anch'io a Dale. Ho bisogno di stare con i miei, devo rivedere la mia gente." disse Roswehn, "...devo ripulire la mente, dimenticare tutto quello che è capitato. Riprendere la mia vita normale."

Nim sembrò rattristata. "Capisco come ti senti. Ho provato a farti tornare in forze, ma non so nulla delle vostre malattie. Non so come accelerare la tua guarigione."

"Mi conosco. Credo basti qualche altro giorno e un po' di cibo consistente. Non potete darmi carne, ma almeno potete portarmi legumi e formaggi. Mi faranno recuperare le forze." spiegò. Poi afferrò il polso di Nim. "Grazie amica. Grazie davvero, di tutto. Sei preziosa. Verrai a trovarmi vero, nella mia città?"

L'Elfa sorrise. "Ma certo." poi tornò seria. "E del nostro sovrano? Davvero non ti importa più?" chiese.

"No. Credimi." rispose lei. "Tu sei stata la prima a cercare di dissuadermi da quelle speranze assurde. Non ti ascoltai e stavo per pagarne gravi conseguenze. Ma ora mi è tutto meravigliosamente chiaro. E sai, mi sento libera."

"Allora dovrai fare ricorso a tutta la tua forza di volontà. Perché Thranduil ha detto che quando sarai tornata in piedi vuole parlarti. In privato." disse Haldir, dopo essere entrato nella camera senza bussare.

"Le buone maniere, te le sei scordate?" chiese Roswehn, innervosita dalla sua intrusione e da quello che le aveva detto.

"Ti ho sentita parlare da dietro la porta, sapevo che eri sveglia." le disse divertito. "Accoglienza magnifica, verso chi ti ha salvata."

"Lo so, sono infinitamente in debito con te. Ma avrei potuto anche non essere presentabile adesso!" obiettò, tirandosi le lenzuola sul viso.

"Stai comunque meglio di com'eri quando sei arrivata. Ora almeno non somigli a un goblin." le disse per stuzzicarla.
Nim soffocò una risata nella mano.

"Ridete pure." sbuffò la ragazza, alzando gli occhi al cielo. "E di cosa mi deve parlare Thranduil, stavolta? Altre rivelazioni sui miei famigliari? Altre opinioni non richieste sulla mia vita da mortale sciocca e sognatrice?" chiese acida.

Haldir si stupí del suo tono.
"Credevo che la notizia ti fosse gradita." Di colpo quell'infatuazione disperata era scomparsa? Meglio cosí, pensò. "Non so dirti. Ma vuole un incontro."

Nim comprese che era di troppo in quel momento. "Con permesso, Capitano" disse, e uscì, chiudendo la porta dietro di sè.

Haldir avvicinò la sedia al letto e si sedette accanto a Roswehn. "Come ti senti?"

"Beh, ora ci vedo. Non mi gira più la testa e riesco a mangiare. Sono molto dimagrita, lo sento...io credo che non riusciró mai completamente a capire cosa è successo. Spero solo che tutto quello che ho vissuto non mi perseguiti nei miei incubi." disse, toccandosi le ginocchia. Aveva perso così tanto peso da sentire nettamente le giunture delle ossa. "Sai cosa è curioso? Mi hai vista più spesso sdraiata che in piedi. Sono stata male a casa tua, ero immobile sul carro di Gandalf e ora questo... penserai che sono patetica, vero?" sorrise.

"No. Sei solo umana." celiò Haldir. "Ma hai tante qualità che apprezzo. Non molti avrebbero affrontato qualcosa di tanto mostruoso senza perdere la ragione."

"Devo ringraziare anche te." gli disse lei, prendendogli la mano. "Anzi, soprattutto te. Per il tuo affetto, il tuo aiuto, il tuo coraggio; per come mi vuoi bene nonostante io non possa corrispondere. Per come mi hai curata. È una meravigliosa forma di amore."

Haldir la guardò e le regalò un altro di quei sorrisi che avrebbero fatto impazzire le ragazze di Dale. "Non sopravvalutarti, non sono perdutamente travolto dai sentimenti! Sei graziosa, certo, sei coraggiosa a modo tuo, sei buona di cuore. Ma da qui a dire che ti sposerei domani..."

"Hmm. Molto gentile." rispose lei, un po' offesa.

Haldir rise. "Ti accompagnerò a Dale se vuoi partire. Oppure ti scorterò fino ai confini. Poi ci saluteremo per sempre."

"Sí... forse tra qualche tempo mi rimetterò in viaggio. Ma ora devo ritrovare la mia realtà, e posso farlo solo nel mio regno. Ho tanto bisogno di abbracciare mia madre." Si guardò le mani. Erano magre e screpolate. "Mi sento invecchiata, sai?"

"Sei più matura, forse. È diverso, e inevitabile. Quello attraverso cui sei passata avrebbe stravolto chiunque. Però, a pensarci la faccenda della vostra età è curiosa: quando avevo io ventisei anni ero alto cosí." e fece un cenno con la mano, tenendola a mezzo metro da terra. "Un elfetto."

"Sai cosa ho notato? Ci sono pochissimi bambini elfo. Qui, a parte Caleth, non ne ho visti. Ma non vi ... riproducete?" chiese, curiosa.

"Gli animali si riproducono." rispose Haldir. "Non noi. Comunque è vero, gli Elfi in generale hanno un solo figlio, a volte nemmeno quello. Io e i miei fratelli siamo un caso raro."

"E come mai Arda non è sovraffollata dalla vostra razza? Cioè, se siete immortali, dovreste essere una moltitudine, ormai tanto vasta occupare tutti gli angoli della Terra. È un'altra cosa che non mi é chiara."

"Perché molti di noi scelgono di andare a Valinor. È una decisione che si può prendere in ogni momento. Ultimamente la popolazione elfica si sta riducendo: non è più la nostra Terra. Tocca a voi ora, ve la cediamo. Buona fortuna a dividere questo continente con i Nani!" scherzó lui. "Nel Lórien abbiamo interrotto i contatti con loro sin dalle epoche oscure."

"Io ammiro i Nani. Hanno un carattere straordinario." confessó lei.

"Punti di vista..." concluse Haldir. Poi si alzó. "Ti lascio, hai ancora bisogno di riposo. Tieni questo." le porse una spilla verde a forma di foglia. "Simbolo di Caras Galadhon. Tienilo come portafortuna e ricordo del regno di Galadriel, Elvellyn."

"Cosa significa?" chiese Roswehn.

"Vuol dire amica degli Elfi... oppure amante degli Elfi...come preferisci." tradusse lui.

"Grazie. Per questo, e per il resto." ripeté la giovane. "...e stavolta lascia che ti ringrazi senza rovinare tutto!"

Haldir sorrise nuovamente e dopo un cortese inchino, lasció la stanza.

La donna guardó la spilla. Haldir aveva scherzato, ma sapeva che per lui averla incontrata era stata una gran sventura. Era entrata nel suo cuore e gli dèi solo sapevano se ne sarebbe mai uscita.
Grazie del tuo amore. Se questo mi bastasse, sarei la donna più fortunata al mondo.

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Capitolo 37
*** Ferite antiche ***


"Lord Thranduil?" chiamò con voce incerta e lieve, come quella di una bambina che sta per confessare una birichinata al padre. "Lord Thranduil, siete qui?"

Bontà di Eru, dov'è? pensò Roswehn, mentre lentamente avanzava nella grande caverna che ospitava lo spazio privato del re. Era già stata in quel luogo, e ricordava molto bene il laghetto, il mobilio spartano, il piccolo colonnato, e quel rumore continuo e fastidioso, di gocce che cadevano nell'acqua chissà da dove.

Thranduil l'aveva fatta chiamare una volta informato del suo miglioramento. La ragazza si guardò ansiosamente intorno, finché notó una figura seduta sotto il vecchio arazzo con lo stemma di Eryn Galen. Il re sedeva a gambe accavallate su una grande panca di legno intarsiata, indossava quel giorno un soprabito di velluto color mosto che ricordava una vestaglia da camera, con un lungo strascico. Sotto di essa, i soliti stivali neri e una tunica scura che non gli aveva mai visto. Non ha una grande fantasia nel vestirsi, ti pare? sghignazzò Edith nella sua mente. Adesso che Regan l'aveva lasciata libera, si ripresentava in lei la voce della fioraia di Dale, quella scorbutica piantarose. Quasi quasi avrebbe preferito la regina psicopatica.

Il re sorreggeva un calice di Dorwinion fra le mani, e questo sorprese un po' la donna. Non erano finiti gli scambi commerciali con Dale? Da dove veniva quel vino?

"Ti sei rimessa in sesto, vedo. Dovrò premiare Nim." le disse. Roswehn si avvicinò un po' a lui, tenendo a bada l'agitazione. Sta' calma, ora. Ricordi cosa hai giurato ad ogni scalino disceso fino a qui? Mai più fantasie, né cavolate, né sogni su questo Elfo. È finita finita finita, le sussurró Edith.

"Sí, come sempre lei è stata meravigliosa. E anche Caleth. Non ho parole per ringraziare i vostri sudditi."  Pronunció queste frasi in un tono freddo e sbrigativo, era decisa a terminare velocemente quell'incontro e a partire con Haldir al più presto verso casa. Lo avrebbe presentato ai suoi genitori e a Bard come suo salvatore e amico, quello che aveva fatto per lei doveva essere raccontato alla sua gente, e ricompensato in qualche modo.

"Sei passata attraverso un'esperienza terribile. Mi è stata riferita ogni cosa e sono colpito dalla tua forza." le disse, "Quello che ti é successo é lontano da ogni comprensione. Mai, nella mia lunga vita, ho sentito storie simili. Spero per te che la tua mente non ne sia uscita troppo provata. Ora è finito tutto e tornerai dal tuo Re. Ringrazia gli dèi perchè la tua vita è stata risparmiata."

"Io ringrazio Gandalf, Haldir e Lord Elrond. Gli dèi, se esistono, sono rimasti confinati nei loro cieli." rispose lei. Anche a Roswehn era state riportate un po' di cose: una di queste, era che Thranduil aveva fatto ritorno a Boscoverde senza pensarci due volte, anziché aiutare gli altri nella sua ricerca. "Voglio convincermi che sia stato un incubo, Lord Thranduil. Perché nel momento in cui dovessi realizzare che è successo davvero, sento che potrei perdere la ragione. Uno spirito...c'era un maledetto demone dentro di me..."

"Non pensarci più. Eru ha avuto pietà di te. So che Haldir di Lórien ti accompagnerà a Dale e stavolta passerete dal lato Est del mio territorio, ci sono terreni battuti che possono essere percorsi dai cavalli." spiegó alzandosi. "E ti interesserà sapere che ho deciso di riprendere il commercio con il tuo popolo."  Lo annunció con un breve sorriso.

"Davvero?" si stupì lei. "Ne sono lieta. Bard avrà accolto la notizia con gioia."  Ecco perché il vino aveva fatto la sua ricomparsa sul tavolo del re. Thranduil infatti si avvicinó al piccolo banco in un angolo della stanza dove ce n'era una brocca piena. "Ho concluso che fosse inutile e dannoso interrompere i nostri scambi. Per entrambe le comunità." se ne versó un altro po' nel calice di bronzo.

"A proposito ... dovremmo discutere su questo mercanteggiare fra i nostri reami... ve l'avevo accennato, vi ricordate?" disse Roswehn, cogliendo il re di sorpresa.

"Vorresti parlare di affari con me?" le chiese, vagamente divertito. "Ti stai già riprendendo, allora. Ma dimmi: ne sei qualificata?"

"Beh...non ricordo con precisione i dettagli, ma ero stata messa al corrente dei trattati fra mio zio e voi." rispose lei, mentre lo sguardo le cadde sul laghetto che, con tutta probabilità, era una specie di gigantesca vasca da bagno a uso esclusivo del sovrano. "Mi ero appuntata alcune cifre su di un libricino che purtroppo e' andato distrutto nell'acqua dell'Anduin, quando ci sono caduta... ma qualcosa ho ancora in mente."  continuò, mentre in un lampo le apparve un'immagine nitida nella mente: Thranduil immerso in quell'acqua, come mamma elfo lo aveva fatto. Smettila, maledizione. Si sforzò di concentrarsi su quello che stava dicendo.

"Ad esempio: voi avete sempre pagato una botte del nostro vino tre grammi d'oro, non é cosí? Io ritengo dobbiate salire a cinque. Quello è un giusto prezzo." spiegò. Si rammentava molto bene i calcoli riguardo al Dorwinion perché aveva sentito infinite volte suo zio lamentarsi con Alfrid dei guadagni su quel prodotto.

Thranduil la osservava piuttosto colpito dalla sua preparazione. "Cosa ti fa pensare che accetterei?"

"Perché sarebbe scorretto rifiutare. Sapete bene che la mia gente prepara quel vino con fatica. La vendemmia, la pigiatura, l'attesa dell'invecchiamento e il costo delle botti... sono realizzate dai nostri falegnami in legno di castagno, un albero che non si trova facilmente nei dintorni di Dale e Pontelagolungo. Voi le tenete qui, e anche quelle hanno un prezzo. E poi..." 
continuó lei, mentre pian piano le tornavano in mente gli appunti di quel libretto, "...la frutta, la verdura dei nostri campi. Un cassa delle nostre mele veniva pagata da voi mezzo grammo d'oro ed è poco, la mia proposta è un grammo abbondante. E lo stesso le bietole, le patate e i pomodori." concluse Roswehn. "Sapete, mio zio sosteneva che l'aveste raggirato negli anni passati. Non ho mai dato troppa credibilità alle sue parole, conoscevo la sua indole bugiarda... ma dopo aver parlato con i nostri contadini e vignai, ho dovuto dargli ragione. Il lavoro della mia gente va pagato il giusto, Lord Thranduil. Vi chiedo quindi di comportarvi da grande re quale siete e agire in modo giusto." lo esortó la ragazza, mentre una nuova visione si fece largo dirompente come un'eruzione nella sua testa: lei e il re avvinghiati in quel laghetto. Intenti ad amarsi in quel modo tenero o passionale che aveva immaginato in tanti, diversi momenti. Chissà se Thranduil poteva spiare nella sua mente come Morgoth? Eru non voglia! pensó. Riportó lo sguardo su di lui, imbarazzata.

L'Elfo era stupito. "Non posso che complimentarmi, un discorso da commerciante navigata." Poi bevve un sorso di quel vino improvvisamente diventato caro. "E sia."

"Accettate?" chiese lei, incredula. Non credeva sarebbe stato cosí facile.

"Accetto." confermò lui. "Porterai tu la notizia al tuo re, quando sarai giunta a casa." poi osservò per un attimo la caraffa rosso rubino. "Te ne offrirei un sorso, ma non è adatto a voi umani."

"È molto forte lo so." disse lei. Una volta suo padre ne aveva bevuto un bicchiere ed era finito a letto per un intero giorno in stato d'incoscienza.

"Qualche goccia ti darebbe alla testa e ti spingerebbe ad azioni sconsiderate... come gettarti in quella vasca e dare imbarazzante spettacolo di te." Si girò improvvisamente a guardarla. Roswehn sentí il viso infiammarsi. Oh no...no no no no, pensó disperata. 
Eh sí invece, gioia mia, disse Edith, la sua petulante coscienza, ha visto i tuoi pensieri. Non te l'aspettavi questa eh? Adesso sai che risate.

"Non capisco..." provó a nascondersi lei.

"Sarebbe opportuno che prima di immaginare certe cose, tu le vivessi. Non conosci nemmeno l'amore di un uomo... e desideri quello di un Elfo." disse bonariamente Thranduil. "A dire il vero, sarebbe ancor più opportuno che la smettessi del tutto di immaginare certe cose."

Roswehn sentì un brivido come piccole scintille bianche lungo tutto il corpo. 
Cosa poteva rispondergli? Colta in flagrante. 
Optó per la sincerità. "Non sapete quanto io ci provi. Ci provo fino a farmi scoppiare la testa, ma non è facile, altezza. Non è facile." ammise finalmente. "Siete entrato dentro di me come un tornado. Volete sentire la verità? Eccola. Siete voi il motivo che mi ha spinto verso Regan, verso Arnor, verso Morgoth. Perfino... verso Morgoth... grande Eru, non riesco ancora a crederci..." disse di getto. "Ho messo da parte il mio raziocinio, la mia logica, la mia integrità. Ho passato un anno a desiderare ogni giorno di lasciare la mia famiglia e la mia terra...per voi."

Thranduil l'aveva ascoltata impassibile. "Già...Morgoth. Per questo sei qui, ti ho fatta chiamare per sapere di Lui." Non sembrava turbato o emozionato dalla sua improvvisa dichiarazione d'amore. Questo la mortificó. Emozionare quest'essere? la derise Edith. Di', vuoi scherzare?

"Vi siete parlati, lo hai raccontato ad Haldir." si avvicinó a lei. "Voglio sapere cosa ti ha detto il grande démone. Quali sono i suoi piani?" chiese.  Aveva negli occhi uno sguardo preoccupato e, forse, spaventato. "È importante che tu me lo dica."

"Non mi ha detto nulla che tutti quanti voi non sappiate già. Vuole conquistare il mondo, sottomettervi tutti e così via. Sperava di usare me, ma non ha potuto farlo. Poi Gandalf lo ha rispedito nelle sue tenebre. Fine della storia." ribattè seccamente. Melkor le aveva parlato anche di Calenduin, ma Roswehn non era così stupida da tirare fuori l'argomento con Thranduil.  E poi, non voleva parlare di lei.

"È tutto?" chiese il re.

"Sì. È tutto ció che ho da dirvi." rispose. "E se anche voi non avete altro da aggiungere, io preparerei le mie cose e già questo pomeriggio mi metterei in marcia verso casa."

"Haldir crede di amarti." disse Thranduil.

"Lo so. Mi è molto caro." rispose lei.

"Lo hai portato verso l'abisso, illudendolo." aggiunse Thranduil. "Non avresti dovuto."

"No, Lord Thranduil. Io non l'ho ingannato affatto. Sono stata onesta con lui." fu la replica di Roswehn.

"Dici?" rimbeccó Thranduil. "Un Elfo prova sentimenti così profondi che per voi umani non sono nemmeno comprensibili. Avresti dovuto saperlo, prima di sfogare i tuoi istinti fra le sue braccia."

Il Re Elfo aveva spiato fra i suoi pensieri e aveva visto il bacio fra lei e Haldir.

"Sì." ammise la ragazza. "...sì, quello fu un errore. Un attimo di debolezza. Ma vi sbagliate su un punto: anche i sentimenti dei mortali possono essere profondi. Voi...non sapete quanto...e soffriamo, quando l'oggetto del nostro amore è lontano, troppo lontano da noi."

A quel punto, il re le si avvicinó e si mise esattamente davanti a lei. Era talmente alto da obbligarla a piegare il collo per guardarlo negli occhi. Con entrambi le mani, lentamente si sbottonó la tunica all'altezza del petto.
Roswehn si agitó, mentre il pavimento sembró improvvisamente sparire sotto di lei. Un momento, fermi tutti. Che succede qui? si chiese.

"Lord Thranduil...?" mormoró, confusa. Ma il re non disse nulla. Sembrava triste. Sotto i lembi della sua veste, la donna potè intravvedere il petto glabro e ben definito dell'Elfo che tante volte aveva visitato le sue fantasie di notte. Roswehn provó ad arretrare di qualche passo, ma Thranduil le afferró in un lampo una mano, e delicatamente se la portó al cuore. "Non ..." farfuglió lei, mentra le sue dita finalmente sfioravano quel corpo tanto sognato. Era tiepido, dunque era vero che gli Elfi avevano una temperatura più bassa di quella dei mortali. "Cosa fate? ...prima vi ho detto quelle cose solo perchè..." 

D'un tratto, la sua mano avvertì una sensazione inaspettata. Era come se stesse toccando una superficie ruvida, sembrava quasi carta vetrata. Qualcosa molto diverso dalla pelle, umana o elfica. Scostó i lembi della tunica e vide quello che aveva sperato fosse solo un pettegolezzo: la parte sinistra del corpo di Thranduil era attraversata da una serie di rosse cicatrici, che un tempo dovevano essere state bruciature, dalla spalla fino all'anca. Un piccolo souvenir dell'incontro con un Drago. E dovevano fargli ancora male, a giudicare dall'espressione sofferente che aveva mentre Roswehn lo sfiorava. "Oh no..." disse lei. "Mi dispiace...è terribile..."

"È questo ció che vuoi?" le sollevó delicatamente il mento con le dita. Una nuova ferita, profonda, apparve allora anche sulla guancia sinistra, e si estese fino al mento e alle tempie. L'iride celeste dell'occhio sparì, lasciando il posto al bianco bulbo. "Di questo sono fatti i tuoi sogni? Vorresti questo nella tua vita, ogni giorno?" chiese, asciutto.

"Sapevo delle vostre ferite. Non credevo fossero così..." rispose lei, sconvolta.

"...ripugnanti?" finì il re. "Torna al tuo regno e cerca lì la tua felicità. Qui non c'è niente per te."

Lei fece cenno di no con la testa. "Io potrei ignorare quelle ferite, e aiutarvi a guarire le altre, se voi... dimenticaste che sono umana." 

Il viso del Re magicamente tornó come prima. Bellissimo e perfetto. 
Roswehn continuò imperterrita: sentiva che era quello il momento di dirgli tutto, e doveva parlar chiaro mentre ne aveva l'occasione, perché un'altra non ce ne sarebbe più stata. 
"Se io posso ignorare le vostre cicatrici... voi forse potreste andare oltre la mia condizione di mortale. Ma non volete, non volete nemmeno provare. Questo è triste, lord Thranduil" continuò. "So che siete venuto a Rivendell. Credevate che io fossi lí. Questo puó forse voler dire..."

Il re si sistemò la tunica e andó di nuovo verso la conca d'acqua, voltandole le spalle. "Non posso darti ciò di cui hai bisogno, Roswehn. Ma ti auguro ti trovare la gioia, presto o tardi."

La ragazza avvertì come una fiammata sul viso, quasi che con quella risposta il re le avesse chiuso un'invisibile porta in faccia. Si irrigidì.

"Come volete, me ne andró. Ma lasciate che vi dica questo: io torno al mio reame non perchè abbia rinunciato a voi. Ma perchè ho rinunciato a combattere inutilmente per voi. Come dice Haldir, non è saggio lanciarsi in battaglie perdute in partenza. E con te, Thranduil, è solo tempo perso. Tu non vuoi essere amato da me, questa è la triste realtà. Non vuoi essere amato più da nessuno, forse nemmeno da tuo figlio. Ma questa scelta non riporterà tua moglie in vita. Renderà solo più amara la tua infinita esistenza."

A quel punto, il sovrano si voltó di scatto. Puoi fulminarmi con lo sguardo quanto credi, ma qualcuno deve pur dirtelo, pensó lei. "Ora, mi perdonerai se non chiedo il tuo permesso per andarmene." 
L'Elfo non rispose, né sembrò risentito per il tono confidenziale che la giovane aveva appena usato con lui. Era tornato ad essere una statua inespressiva.

Contento lui, le disse la voce di Edith. Peró, che soggetto questo re.

Poi Roswehn si voltó e risalì le scale. Basta, era finita. 

Bard, Edith, Sigrid, mamma, papà... sto tornando a casa.

 

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Capitolo 38
*** Novaer...addio ***


"Hai preso tutto?", chiese Haldir. "Non torneremo indietro, sappilo." 
Stava conducendo Jedeon sul piccolo ponte in pietra che univa l'entrata principale di Eryn Galen alla boscaglia selvaggia. Roswehn era dietro di lui.

"Sì, non avevo un gran bagaglio, solo questa sacca." e la porse all'Elfo, che la fissó alla sella del cavallo. "Ce la faremo in una giornata, credi?"

"Anche meno: tu ci hai messo un giorno intero perché eri a piedi, e hai attraversato un territorio impervio. Ma i sentieri che ci ha indicato Feren sono molto più agibili." spiegó Haldir. "Monteremo su Jedeon entrambi." 
Il cavallo sembró capire le parole del suo padrone e accolse la notizia con un nitrito di disapprovazione. "Mi dispiace amico mio, ma la donna non sa cavalcare." gli sussurró, guardando verso Roswehn.

"Impareró a fare anche quello, una volta a Dale. Togliti quel sorrisetto ironico dalla faccia, mellon." gli disse lei, squadrandolo.

"Ma guarda, hai imparato qualche parola in elfico. Forse prima che i tuoi capelli diventino bianchi imparerai anche una frase completa..." la pungoló Haldir, divertito.

"Il solstizio d'estate ti ha portato una ventata di improvvisa simpatia, vedo. Sarà fantastico passare una giornata intera con te..." sospiró lei.

"Te ne stai andando." commentó una voce femminile dietro di lei. Roswehn si giró. Tauriel la osservava, a pochi passi di distanza.

"Tauriel, come stai?" le chiese Roswehn, felice di vederla. "È da molto che volevo parlarti! Hai avuto la pietra? Chiesi a Nim di consegnartela." aveva avvertito l'impulso di abbracciarla, ma qualcosa nello sguardo dell'Elfa gliel'aveva impedito. Leggeva rimprovero nei suoi occhi color giada.

"Lo stai abbandonando." continuó Tauriel, gelida. "...non posso crederci." scosse la testa, in un gesto che sembró d'indignazione.

Roswehn si innervosì. "No, un momento..." si avvicinó alla donna elfo e l'afferró per un braccio. Tauriel la guardó allarmata. "... io non sto abbandonando proprio nessuno, sorellina. È lui che non ne vuol sapere di me, se ti riferisci al Lord del Ghiaccio là dentro." fece cenno con la testa verso il grande palazzo. "È una sua precisa scelta, e lo sai."

Tauriel si divincoló dalla stretta. 
"Allora sei più stupida di quello che credevo. Lui ti sta mettendo alla prova! È venuto fino a Gran Burrone perché credeva di trovarti lì. Ed è la seconda volta che ti accoglie nel nostro territorio. Inoltre, mi hanno detto che sei stata ammessa nelle sue stanze private: erano accessibili fino ad ora solo a Legolas, al capitano Feren e a me. Non comprendi questo cosa significa?" le chiese. "Vuole vedere fino a che punto sei disposta a combattere per averlo!...vuole vedere se sei forte abbastanza da sfidare il suo orgoglio. Ma andandotene, dimostri solo di essere debole. E lui non vorrebbe mai una compagna debole."

"Oh ti prego, smetti con queste storie!" rispose Roswehn, quasi urlando. Tauriel la guardó basita. 
"Lui vuole solo perdersi nel suo dolore. Voi Elfi non fate che cullarvi nella vostra afflizione..." le rinfacció la ragazza. "Tu sei afflitta per Kili, Legolas è afflitto per averti persa, Thranduil è afflitto per sua moglie... e io ne ho abbastanza di questa tristezza che vi portate appresso!" poi afferró di nuovo Tauriel per un braccio, stavolta tirandola a sé. La portó sotto a un raggio di sole che attraversava le fronde del bosco e che la colpì in piena faccia. Tauriel giró il viso, accecata dalla luce, ma Roswehn la obbligó a volgere lo sguardo di nuovo verso il bagliore. "Guardati, amica guerriera. Guarda come sei ridotta: sei il fantasma della donna elfo indomita che un giorno vidi puntare una freccia contro il suo stesso sovrano. Sei appassita perché ti sei lasciata andare all'oblìo del dolore. E io ti dico che Kili non approverebbe questo, se ti vedesse."

Tauriel abbassó il viso, guardando sotto al ponte. "Kili se ne è andato, capito? Se ne è andato e non tornerà più, né lo rivedró nemmeno nell'altra vita. E lo stesso è per il nostro re. Lascia che piangiamo per i nostri morti."

"Guarda questa luce. Per me questa è vita: è calore, è energia. Voi siete liberi di sentirvi avviliti per l'eternità e trascinarvi nelle vostre grotte o all'ombra dei vostri alberi e sospirare invano sotto la luce delle stelle... ma io no. Io non voglio passare la mia breve esistenza in questo modo... né ho intenzione di trascorrere del tempo qui in compagnia solo di Nim, in attesa che Thranduil un mattino si svegli e decida di darmi una possibilità. Magari fra trent'anni, quando guardandomi allo specchio non vedró altro che un volto grinzoso e, come dice Haldir, una gran chioma di capelli bianchi."

Guardó proprio verso il Comandante del Lórien, che osservava le due donne a distanza, in groppa ad un impaziente Jedeon.

Roswehn abbassò il tono della voce, parlando quasi in un bisbiglio. "Haldir, qui dietro di me, mi sta aspettando. Sai una cosa? mi vuole bene. Molto bene. Ma ha capito che il suo è un sentimento che non posso ricambiare e dovrà tornarsene nel suo territorio con questa consapevolezza. Non sarà facile per lui, ma andrà avanti. E così faró io. La vita prosegue. Solo voi sembrate opporvi ad essa." detto questo, si giró e fece per andarsene.

"Codarda." sussurró Tauriel. Roswehn sentì, e tornó sui suoi passi.

"Tu dai a me della codarda? Ho affrontato esperienze terribili per lui. Mi stavo per vendere a Morgoth perfino... devo ringraziare Gandalf di avermi strappata a quel destino orribile. E quando sono tornata qui e gli ho confessato il mio affetto ha ignorato le mie parole, facendomi sentire stupida." Roswehn guardó verso la Grande Porta.

"Ho molto riflettuto, cara amica. E ho compreso una cosa: siamo tutti schiavi delle apparenze. Il tuo re nasconde le sue cicatrici con la magia, e io mi sono fatta irretire dal suo aspetto...ma altro non è che un trucco. Non gliene faccio una colpa, comprendo che i ricordi di quel che capitò a Dagorlad e Angmar lo facciano soffrire. E gli riconosco anche una qualità: pur nel suo tentativo di dissimulare il reale, il tuo sovrano mantiene un'onestà di fondo, mi ha detto che qui non c'é niente per me, e molto chiaramente. Ha ragione. Forse, peró, c'é qualcosa qualcuno per me da qualche altra parte. Perciò non perdo ulteriore tempo in questo dannato bosco e ti dico: novaer, Tauriel. O come diciamo noi umani: addio."

"Non lo dimenticherai mai." le disse la donna elfo. "Dici cose in cui non credi. Tenti di convincere te stessa, ma la tua voce trema e i tuoi occhi tradiscono la verità. Lo ami. Ti stai condannando al rimpianto.""

Roswehn salì in groppa a Jedeon, aiutata da Haldir. Senza risponderle, fece un cenno con la mano, come a dirle falla finita.

Il Capitano guardó brevemente Tauriel, poi giró il cavallo e partì al trotto.

          🌿🌿🌿

"Immaginavo sarebbe andata così." disse l'Elfo, dopo qualche minuto di silenzio. "Ma lo sapevo: se lord Thranduil non avesse un carattere di ferro non potrebbe reggere un reame di tale vastità fra le mani. La sua durezza si ripercuote su ogni aspetto della sua vita, ha rinunciato a tutte le emizioni positive. Peró mi dispiace per te."

Come no, disse la voce roca di Edith, nella sua mente, sta godendo più di un'ape in un'arnia intasata di miele. Il principale pretendente a un posto nel tuo letto è fuori dai giochi e ora sotto al prossimo eh?

Roswehn tentó di mettere a tacere la vocetta impudente della sua coscienza cambiando discorso.

"Lascia stare, è finita. Haldir, quando arriveremo a Dale dovrai fermarti con noi per un po'. Insisto. Voglio che i miei cari e i miei amici ti conoscano. Starai con la mia famiglia, ospite a casa nostra. Abbiamo ben due stanze per gli ospiti." annunció con un sorriso.

Haldir non sembró entusiasta. "Vivi con i tuoi genitori?" le chiese.

"Sì. Certo. Per noi è così: le figlie femmine si allontanano da casa solo dopo il matrimonio." spiegó, un po' imbarazzata.

"E i maschi?" chiese Haldir.

"Alcuni scelgono di andare a vivere da soli verso i diciotto anni... ma anche diversi ragazzi continuano a vivere con i genitori. Per aiutarli. Chi vive in totale solitudine è considerato strambo." aggiunse lei. "Per voi non è così?"

"No. Noi Elfi ci allontaniamo dalle famiglie di origine più o meno all'età di Caleth. Scegliamo un alloggio, una grotta, oppure ce lo costruiamo. Maschi e femmine, sposati o no." raccontó. Sembrava un po' seccato all'ipotesi di vivere a casa Monrose.

Ma è ovvio, sperava non ci fossero i tuoi genitori fra i piedi... indovina perché? la derise Edith. Ti avevo consigliato di andare a vivere in quella casetta vicino a me sulla collina sei anni fa, ricordi? Se mi avessi ascoltato, non avresti fatto questa figura haha!

"Beh, invece da noi questa è la norma. Ma starai bene dai miei, vedrai!" disse Roswehn a Haldir.

"Hm." rispose lui. "Per ora spero solo che non ci siano guai lungo la via. Ho capito che quando sono con te non c'è limite a quel che puó capitare." mormoró.

"Lo prendo come un complimento." rispose lei, asciutta.

"Non lo è, mortale."

Roswehn rise. Poi appoggiò la testa sulla schiena di Haldir, che non aveva indosso l'armatura. Gli Elfi non soffrivano il caldo ma la temperatura di metà Giugno cominciava a essere fastidiosa anche per lui. Sentí sulla guancia la setosità dei suoi capelli biondi.

Dí quello che vuoi su questi folletti, cara Edith, ma devi ammetterlo: sono la fine del mondo. Pensò. La fine del...

Qui non c'è niente per te.

In un lampo della mente, Roswehn rivide gli occhi tristi del re, e si strinse ancora di più ad Haldir. "Per favore, allontaniamoci in fretta da questo bosco." lo esortò.

Jedeon partí al galoppo.

 

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Capitolo 39
*** Rosso d'estate ***


Sentirono un cavallo giungere al galoppo, alle loro spalle. Haldir fermó subito Jedeon e lo fece girare in direzione del rumore sordo degli zoccoli sul terreno.

"Chi sarà?!" si allarmò Roswehn.

"Non ti preoccupare, è un soldato di Boscoverde. Non ci sono altri abitanti in questa foresta. Si saranno dimenticati di dirci qualcosa."

Videro infatti Feren, il severo capitano di Eryn Galen, avvicinarsi. Era solo e sembrava seccato dalla situazione. Probabilmente gli avevano dato un incarico che avrebbe volentieri delegato ad altri. Sospirò.
"Haldir, fermati. Porto un messaggio dal nostro re." guardó verso Roswehn. "Tu sei stata invitata a partecipare al nostro raduno di stasera. Celebriamo la prima notte d'estate. Lord Thranduil tiene alla tua presenza."

"Volete scherzare? Il vostro sovrano mi ha invitato a tornare al mio reame proprio stamattina. Dovrei credere che abbia cambiato idea improvvisamente?" rispose la donna incredula.

"Quel tono sarcastico non ti è consentito. Ti informo che mai, nella storia del nostro regno, una creatura esterna alla nostra comunità é stata invitata dal re alle nostre feste. È un grande onore." ribatté seccamente Feren. Detestava occuparsi di simili sciocchezze. Roswehn sentí un nuovo brivido. Era forse di soddisfazione?

Voleva che tornasse indietro.
Voleva che tornasse da lui.

Ma decise di non cedere.

"Potete riferire al vostro re, che rispettosamente rifiuto. Ho deciso di tornare a casa mia, e il cammino é lungo. Haldir, ripartiamo per favore." intimò all'Elfo seduto sulla sella davanti a lei, che girò il viso per guardarla negli occhi.

"Pensaci bene. É vero quello che dice Feren: l'invito di Thranduil é qualcosa di straordinario. La comunità di Eryn Galen è la più riservata di Arda, non ammettono estranei a questi eventi. Potresti rimpiangerlo." le spiegò. Quella era la dimostrazione definitiva che il re provasse qualcosa per lei, pensò Haldir. Non la lasciava andare. Ogni barlume di speranza di averla per sé, se ne andò da lui dopo le parole di Feren. Ma d'altro canto, era anche felice per la ragazza. Ora, si trattava di vincere il suo orgoglio, che non era meno ostinato di quello di Thranduil. "Non agire d'impulso, stavolta." le consigliò.

"Hai capito cosa ho detto, Haldir? La mia avventura qui é terminata. Voglio tornare a Dale. Lontana dalla penombra, da Re depressi e dall'insopportabile silenzio di questo posto. Non é il mio mondo. Il mio mondo sono le colline, il lago, il mercato con i suoi rumori e la sua gente indaffarata. Sono i miei genitori, é Sigrid che mi vede come un modello e che ha bisogno dei miei consigli, e Bard. Il nostro Re intende creare la prima scuola di Dale e vuole che io lo aiuti, assieme a mio padre. Come vedi, ho ottimi motivi per tornare." disse lei ostinatamente.

"Il tuo mondo... in cui sarai sola." le disse Haldir. "Tu pensi a tutti meno che a te stessa. Come vivrai, una volta tornata a casa? Trascinerai la tua vita nel rimpianto di non aver provato a realizzare il tuo più grande sogno? Magari darai te stessa a un insignificante uomo, per non invecchiare da sola, pentendoti ogni giorno di non poter tornare a questo momento, e non fare un'altra scelta, quella che ti sta offrendo Feren?" le chiese.

"Chi ti ha detto che mi pentiró?" ribatté lei. "Chi ti dice che, come del resto anche Thranduil sostiene, la mia felicità non sia fra la mia gente?" Haldir sentì un lieve tentennamento nelle sue parole. "E da sola o no, io invecchierò comunque. È il mio destino, purtroppo."

"Io ho rinunciato a te, e, sia che tu torni a Dale, o che scelga di dare a Thranduil un'ultima possibilità, dovró presto o tardi riprendere la mia vita nel Lórien e dimenticarti. Ma preferisco farlo sapendo che sei felice. E secondo me, se tornerai nel tuo regno adesso, non sarai felice." le disse. "Ti ho salvato la vita. Non voglio che la sprechi. Torna da lui, provaci. È un favore che ti chiedo."

Roswehn quasi si commosse a quelle parole. Abbracció Haldir da dietro: gli voleva un bene dell'anima, in quel momento. Poi guardó verso l'intrico del bosco, lungo il sentiero che li avrebbe condotti a Dale entro sera. Quindi giró lo sguardo verso Feren, che attendeva una risposta sempre più spazientito.

"Va bene, Capitano. Accetto l'invito. Ma solo se questo include Haldir." disse infine.

"È chiaro. I nostri fratelli del Lórien sono i benvenuti. Seguitemi, allora." rispose il Capitano, sollevato che quella pantomima fosse finita. Per la terza volta nella sua vita, Roswehn tornó dunque a varcare le porte di quel reame in mezzo ai boschi.

"Ti giuro Haldir: tutto questo ha qualcosa di ridicolo." riflettè lei ad alta voce, mentre Jedeon trottava a ritroso sul sentiero appena percorso. "Vi state rincorrendo. Entrambi non siete sicuri di ció che volete, ma siete ostinati nel mettere ostacoli uno di fronte all'altro. Questo sta succedendo. Peró, Thranduil inizia ad essere un po' meno irremovibile. È un buon segno." commentó Haldir. "Perché hai voluto che rimanessi?"

"Perché ce ne andremo insieme, e alla svelta, se vedró qualcosa che non mi piace." rispose lei. "Questa sua decisione è inspiegabile. Ti assicuro che quando ci siamo parlati l'ultima volta ha fatto di tutto per spingermi ad andarmene. Non mi quadra."

"Magari ha riflettuto un po'. E poi, cosa potrebbe succedere di spiacevole, secondo te?" chiese perplesso.

"Non so. Forse questa è la sua ultima provocazione. Forse vuole darmi la lezione definitiva... di modo che lo dimentichi del tutto." azzardó lei.

"Beh sarebbe più crudele anche di Morgoth se facesse una cosa simile. No, non lo credo." rispose lui, sorridendo. "Abbi fiducia e metti un po' di gioia nel tuo cuore! Per i Valar, sei più cupa di una notte d'autunno... e critichi Thranduil." rise.

"Ne ho abbastanza di colpi bassi, diciamo così." ribattè lei, pizzicandolo scherzosamente sul fianco. "E tu mi dovresti appoggiare!"

"Galadriel si starà chiedendo che fine ho fatto, e anche i miei fratelli. Spero tu apprezzi la mia infinita disponibilità e ... pazienza." disse lui, sospirando.

La verità era che voleva staccarsi da lei il più tardi possibile. Era inevitabile, ma non riusciva ancora a salutarla per sempre. Era sicuro che lei e Thranduil sarebbero finiti insieme, anche se si chiedeva in che modo il re avrebbe annunciato quell'unione e cosa avrebbe fatto quando Roswehn si fosse incamminata verso l'inevitabile decadimento fisico. L'avrebbe ripudiata?

E Legolas? Cosa avrebbe detto quando sarebbe tornato, trovando il padre fra le braccia di un'umana? Inoltre, da che ne sapeva lui, era la prima volta nella storia di Arda che un Elfo maschio iniziava una relazione con una donna mortale. Di solito, capitava il contrario. Le donne mortali in generale non attiravano gli Elfi. Poche avevano caratteristiche attraenti ai loro occhi...specie se paragonate alle leggiadre e bellissime donne elfiche.

Quelle volte che si era spinto fino ai reami degli Uomini, come Gondor o Rohan, aveva visto donne scialbe, dai vestiti cenciosi e, perfino le più giovani, poco femminili. Orophin però sosteneva che il sesso con loro fosse grandioso, soprattutto per il calore dei loro corpi e per come lo vivevano, con una passione che le donne elfo non mostravano mai. Ma Haldir non riusciva comunque a sentirsi interessato a loro.

Roswehn era stata una bella eccezione, forse anche perché cresciuta in una famiglia di un certo peso nella comunità di Pontelagolungo, che le aveva dato una buona educazione. Poi, tutti i suoi studi e i libri che aveva letto, l'avevano resa colta: conversare con lei era un piacere. Haldir immaginava che fosse anche questo un elemento interessante agli occhi di Thranduil. Un re non avrebbe mai provato attrazione per una piccola ignorante. Ed era molto carina. Si mosse un po' a disagio sulla sella.

"Promettimi una cosa, Roswehn." le disse, senza voltarsi.

"Cosa?" rispose lei.

"Che farai di tutto per essere pienamente felice. Con Thranduil o con chiunque sceglierai. Non accontentarti della serenità... devi pretendere la gioia nella tua vita." le disse. "Lo farai?"

"Ci proverò. Fallo anche tu. E promettimi che sarai sempre amico degli Uomini. Che accorrerai in aiuto della mia razza, se ne avremo bisogno. Che combatterai sempre con noi, come in quel tuo sogno." gli disse.

"Ne sarò fiero." rispose lui.

🌿🌿🌿

"Mi viene da ridere, scusami." disse Nim, provando a trattenersi. Ma non ce la fece e scoppiò in una sonora risata. Era la prima volta che Roswehn la vedeva lasciarsi andare all'ilarità. Di solito era cosí riservata e mite.

"Sí ridi pure, fai bene." disse laconicamente Roswehn. Era di nuovo in quella stanza. "È tutto fuori da ogni logica."

"Quindi Feren ti ha rincorsa sulla via ad est per invitarti alla festa?! Immagino quanto gli sia piaciuto!" e rise al punto da farsi venire le lacrime agli occhi. "Il nostro altezzoso capitano... che si vanta di essere l'unico a cui il re si degni di rivolgere la parola.. ridotto a semplice valletto!"

Roswehn sorrise vedendo il divertimento di Nim. "Eh già, sembrava sul punto di mandare a quel paese me e Haldir!" raccontò. "È stato proprio lui convincermi. Caro Haldir... si merita una migliore di me."

"Sai non te l'ho detto, ma il Capitano di Lòrien ha una certa fama nelle comunità elfiche. Molte nostre ragazze sospirano dietro a lui. E ti invidiano, per aver rubato i suoi sentimenti." le confessò, con fare pettegolo.

"Ah sí? Beh nel Lòrien occupa una posizione di prestigio, è molto vicino a Celeborn e Galadriel. Forse anche per questo. Il potere aumenta il fascino, si dice..." mormorò, asciugandosi con il telo che le avevano dato. Quanto le era mancato il bagno nelle vasche di salgemma!
"E Thranduil, invece? Immagino che la popolazione femminile di questo bosco sia tutta devota lui..."

"No, nessuna di noi osa pensare al nostro re in quel modo. Noi sappiamo che è semplicemente impossibile che apra di nuovo la sua anima a qualcuna. Perciò, non perdiamo nemmeno tempo a innamorarci di lui."

Stavolta fu Roswehn a ridere.
"Questa è buona: non perdete tempo a innamorarvi. Curioso, per un popolo che di tempo ne ha finché ne vuole. Allora sono stata doppiamente stupida, io."

"Non so, l'invito che hai ricevuto è insolito. Inspiegabile, se vuoi la mia opinione. Forse quello che si riteneva impossibile non lo è più." le disse. "Allora, hai pensato a quale indossare?" le chiese, guardando verso i tre abiti che le aveva portato.

Uno era di un grazioso color petalo, con diversi ricami di madreperla sul corsetto; l'altro era di un elegantissimo color miele, in pura seta e lungo strascico; il terzo era di un vivace color rosso fuoco, con diversi inserti in organza sulle maniche e sullo scollo. Non sembrava in stile elfico: ricordava più uno di quegli abiti sgargianti con cui Bella Hogkin, la prostituta ufficiale di Pontelagolungo, raccattava clienti di notte.

Il favorito di Roswehn era quello color miele, ma optò per il rosso. Voleva che Thranduil ricevesse un messaggio ben chiaro quando l'avrebbe vista: il suo umore era agguerrito più che mai, e quello era il colore giusto per rappresentarlo.
"Questo. Che veda subito con chi ha a che fare." disse a Nim. "Ma cosa succede a questi raduni, cioè cosa mi devo aspettare?"

"Scorre molto vino, ovviamente. Noi non ci ubriachiamo, ma tu non berne neanche una goccia. È quel vostro Dorwinion, che dà alla testa ai mortali. E poi aspettiamo che la luna sia ben visibile, così come le stelle. A quel punto, vengono intonati dei canti che tu non capirai perché sono in elfico. Uno di noi, davanti a tutti, si mette al centro del reame, sotto al trono del re, e pronuncia un ringraziamento a Manwë e una benedizione generale."

"Tutto qui?" chiese Roswehn.

"No, poi ci sono musicisti, suonatori di arpa e flauto... chi vuole si lascia andare a delle danze. Altri conversano fra di loro. Credo sia qualcosa di simile alle vostre feste." spiegó Nim. "Stavolta, peró, tu sarai l'attrazione principale."

"Ecco, questo temo: forse mi ha fatta tornare qui per schernirmi davanti a tutti." disse, togliendosi la fascia che le conteneva il seno. "Scommetto quel che vuoi che capiterà qualcosa alla sottoscritta, qualcosa che..." si fermó perché Nim le stava fissando i seni, perplessa. "Cosa c'é?" le chiese, allarmata.

"Noi non abbiamo quelle... quelle macchie." rispose Nim, sempre fissandole il petto voluminoso.

"Quali macchie? Di che parli?" chiese Roswehn, guardandosi. Nim indicó verso il suo seno, facendo un segno come un piccolo cerchio. "Vuoi dire i cap... i capezzoli?" chiese Roswehn. "Voi non avete i capezzoli?"

Nim fece cenno di no.
"A cosa servono quelle cose?" chiese, mentre continuava a osservare rapita quel dettaglio anatomico.

Roswehn non sapeva come spiegare.
"Servono per allattare: ecco, i bambini alla nascita si nutrono di latte materno e ..." vide Nim sgranare gli occhi.

"Cioè, le donne umane producono latte? Come capre?" chiese l'Elfa, mentre Roswehn intravvide una nuova, potente risata lì lì per scoppiare sul suo visino.

"Perché scusa, voi come nutrite i vostri neonati?" provó a chiedere, arrossendo violentemente e girandosi di schiena.

"Alla nascita, i piccoli elfi sono già in grado di assorbire estratti vegetali, di radice ad esempio, o succo di alcuni frutti. Ma latte, proprio no. Non lo beviamo neanche da adulti... nè ...lo produciamo." disse, e poi si mise a sghignazzare in modo irrefrenabile. "Potreste venderlo, a pensarci bene. Iniziare un commercio con i Nani!" 

"Non mi fa ridere, smettila! Mi fai sentire un mostro!" disse Roswehn, provando a infilarsi quell'abito prezioso. "Aiutami per favore, invece di ridere... ma che ti prende, eri così gentile una volta!

"Scusami davvero, ma è più forte di me..." rispose Nim, asciugandosi gli occhi. "Peró in fondo sono graziosi quei cap..."

"Capezzoli." suggerì Roswehn, e si chiese come mai Haldir non avesse notato quella caratteristica, quando si erano lasciati andare a un breve momento di lussuria a casa sua. "Neanche gli Elfi maschi li hanno?" chiese Roswehn, infilando delicatamente le braccia nelle maniche di organza.

"No." rispose Nim, che si stava mordendo le guance per non ridere.

"Mi chiedo quali altre differenze fisiche ci siano fra noi e voi." riflettè Roswehn.

"Per esempio, ho notato che tu hai un po' di...di... dove non dovrebbero esserci." le disse lei, allacciandole il corsetto sulla schiena.

"Di che?" si giró di scatto Roswehn. Nim guardó in basso, verso il suo bacino. "Ah, ho capito. Ma quelli ce li togliamo con un composto di acqua, zucchero, limone e miele. È doloroso."

"Ve li strappate?" disse Nim con una smorfia.

"Eh sì, che ci vuoi fare. Scommetto che voi Elfi siete anche completamente glabri ovunque." sospiró Roswehn.

Nim annuì.

"Avete tutte le fortune, che ti devo dire. Beati voi." concluse Roswehn, ammirando l'abito. "Peró c'é un'imperdonabile mancanza di specchi qui."

"Ti sta davvero bene, credimi." le disse l'altra.

Era vero.
Il rosso esaltava la sensualità delle sue forme e il castano dei lunghi capelli, che Roswehn aveva deciso di tenere raccolti con due fermagli d'argento. L'aggiunta di una collanina di madreperla, dono di Nim, era un tocco di classe. Si piaceva molto così: aveva un'aria elegante e sicura. Per la prima volta in vita sua, si sentiva donna, non più ragazza. Le due sentirono il melodioso suono di un'arpa echeggiare nell'aria.

"Ci siamo. Il re ha ordinato di iniziare." annunciò Nim. Poi andò verso la porta della stanza e lentamente la aprí. "Ti aspettano. Buona fortuna, Roswehn."

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Capitolo 40
*** Incontri ***


Quanti Elfi potevano esserci in quel grande spazio? Mille, duemila, tremila?

Roswehn non aveva mai visto una moltitudine simile, nemmeno gli Haradrim a Fornost erano così numerosi. Tutti sparsi per quell'immenso antro che si era improvvisamente illuminato di tante luci, ricordandole un po' Caras Galadhon.

 Roswehn, osservando con attenzione la popolazione di Eryn Galen, notó subito che anche lì esistevano delle differenze sociali evidenti: c'erano Elfi di rango decisamente elevato, lo capiva dalle loro vesti e dai monili preziosi che indossavano. Tutti, maschi e femmine, portavano diademi d'argento o d'oro sul capo, di diverso spessore a seconda del sesso. Inoltre, i più ricchi scendevano dalle grandi scalinate che conducevano agli alloggi sopraelevati, come quello che occupava lei. Solo chi aveva una certa posizione gerarchica poteva vivere in alto, le aveva detto Nim. E poi, c'erano gli Elfi di casta inferiore, che vivevano in grotte e che indossavano semplici tuniche. Molti erano soldati, arcieri, o addetti alle cantine e alle prigioni.

Non vide Rael da nessuna parte, e ne fu contenta: Nim l'aveva informata che Thranduil lo aveva spedito in perlustrazione nella zona Ovest, quella infestata dai ragni; Feren gli aveva raccontato del suo diverbio con Roswehn, mentre era confinata nelle prigioni, e che Rael probabilmente l'aveva importunata. Ben ti sta, aveva pensato lei.

Non vide nemmeno il re.

Si accorse invece delle occhiate che gli Elfi le stavano riservando. Molti la guardavano incuriositi, molti altri - specie le donne - le lanciavano sguardi malevoli, o di superiorità. Qualcuno sembrava intimorito.

Haldir l'aspettava al termine delle scalinate, e appena Roswehn si fu mostrata, scosse la testa.
"Avresti dovuto scegliere un altro abito. Questa è una specie di festa religiosa per Eryn Galen. Quel colore è fuori luogo." le disse, accigliato.

"Questo vestito è fatto da loro, non è mio..." replicó seccamente, pensando all'abito blu che si era cucita con il velluto di Elrond e che stava prendendo polvere nel suo armadio a Dale. Sigrid, avevi ragione tesoro, pensó, maledicendosi per non averle dato ascolto e non averlo portato con sé. Quello sì, che sarebbe stato perfetto.

"E poi, non sono suddita di Boscoverde. Non sono tenuta a seguire i loro costumi." aggiunse. "Il loro re mi ha voluta qui, non ho di certo fatto la fila per entrare in questo luogo."

"Sì, ma sei un'ospite. Dovresti rispettare il posto che ti accoglie." la rimproveró Haldir. "Comunque, ho parlato con alcuni di loro mentre tu ti stavi cambiando. Non hai una bella nomea qui, se lo vuoi sapere."

"Cioè, cosa dicono di me? Che sono la concubina di Thranduil?" sorrise lei.

"No," rispose Haldir, girandosi a guardarla. "La mia."

Roswehn lo guardó basita. "Scusa?"

"Nessuno arriverebbe a credere che una mortale possa diventare l'amante del re...ma ti hanno vista spesso con me e la voce che sta girando è quella. E l'abito che indossi aumenterà le insinuazioni." disse lui.

"E tu hai chiarito che siamo solo amici, vero?" chiese lei, preoccupata e imbarazzata.

"Ho detto che ti sto scortando dietro ordine di dama Galadriel. Questo ha calmato un po' i pettegolezzi. Ma ti consiglio di non starmi troppo vicino, questa sera." le disse lui.

"Non conosco quasi nessuno qui. Nim è rimasta nella mia stanza, non so se parteciperà. E Caleth non parla la mia lingua, cosa dovrei fare? Vagare da sola e subíre i loro sguardi?" gli rispose lei, mentre sentiva un fremito d'ansia scorrerle lungo le schiena. "Ti prego, stai accanto a me!"

Haldir fece per rispondere, ma all'improvviso calò il silenzio. Tutti i lumi si spensero allo stesso istante e ci fu buio totale.
"Guarda lassù." le disse l'Elfo.

La donna sollevò lo sguardo e vide che le grandi fronde intrecciate che costituivano il tetto del reame di Boscoverde si stavano allargando. Una forza misteriosa stava trascinando gli immensi rami uno lontano dall'altro fino a che il cielo notturno fu pienamente visibile, con le stelle e la luna che illuminò subito il popolo degli elfi.

"Ora sta' attenta. Inizia la benedizione. Non capirai quello che verrà detto, io tradurrò per te." bisbigliò Haldir.

Una donna elfo che indossava un veste argentea, percorse infatti il lungo e stretto ponte che conduceva al trono. Allargò le braccia e iniziò a pronunciare frasi in elfico. La struttura ovale dell'immenso spazio faceva echeggiare le sue parole, che tutti udirono. "Sta pregando Manwë affinché l'estate sia prodiga di doni e fruttuosa. Sta invocando la protezione dei Valar su questo popolo... e ora chiede una benedizione speciale per il loro sovrano." spiegava Haldir.

"Lui dov'é?" disse Roswehn.

"Forse sta aspettando il momento opportuno per fare un'entrata spettacolare." sorrise Haldir. "Dovresti conoscerlo, no?"

La donna elfo terminò il suo discorso, e tutti, incluso Haldir, si portarono una mano al cuore e chinarono il capo. Un gesto che Roswehn aveva già visto: era una sorta di saluto, o ringraziamento, o, a volte, dimostrazione d'affetto. Tornó la luce a quel punto. Lumi, candele e diverse piccole braci si riaccesero per magia.

Haldir la prese da parte. "Ora, cerca di non sembrare a disagio. Mostrati sorridente se qualcuno proverà a parlarti, anche se non comprenderai le loro parole. Pochissimi qui conoscono il linguaggio comune, forse proveranno ad avvicinarsi a te. Se ti chiedono perchè sei qui, rispondi che vieni da un altro reame e che sei ospite per qualche tempo. E che io..."

"...mi stai scortando, lo so. Ma in fondo è la verità." rispose lei. "E poi ho giá passato due settimane qui, prima di venire nel Lórien, ricordi? Non sono del tutto un'estranea."

"Sí, ma stasera è presente quasi tutta la popolazione. Pochi ti videro in quei giorni. Per moltissimi sei un'estranea." aggiunse Haldir. "E rammenta, non bere quel vino. Neanche una goccia. Mi hai capito bene?"

"Rilassati. So meglio di te com'é il Dorwinion. Non voglio finire lunga distesa, non preoccuparti." gli rispose lei, sollevando gli occhi al cielo. Per l'amore di Eru, nemmeno alla festa in onore di Bard a Dale si era ubriacata!

"Bene, allora. Io andrò a parlare con quegli Elfi laggiù, sono signori di alto rango che conoscono molto bene Celeborn. Vogliono sapere come vanno le cose nel Lothlórien. Tu fa' attenzione e ricorda quello che ti ho detto." le disse, poi si allontanò.

"Haldir!" chiamò lei. "Almeno quest'abito mi sta bene?"' gli chiese. L'Elfo si girò e sorrise.

"Per me, sei magnifica." Poi la lasciò sola.

E adesso che faccio? Pensò.

Non poteva stare lí ferma come una statuina, cosí si avvicinò a un gruppo di musici che stavano suonando una melodia piacevolissima, che calmó il suo nervosismo. Qualcuno dei suonatori, peró, la guardò in modo strano, facendola ripiombare nell'imbarazzo.

Nacque allora in lei un amaro sospetto: forse Thranduil l'aveva invitata lí per farle comprendere che, anche se si fosse fermata a Boscoverde con lui, anche se lui l'avesse accolta nel sua vita, sarebbe stata sempre un'estranea per loro. Un'umana, un essere fuori posto in quella comunità, una creatura aliena. Era forse quella la lezione definitiva che voleva darle? Dopo averle mostrato le sue ferite, in un gesto che Roswehn non aveva capito, adesso voleva metterla in contatto con tutta la sua gente, per vedere come avrebbe superato anche quella prova? Beh, non ne sarebbe uscita umiliata, promise a se stessa.

Mentre ragionava su questo, non si era accorta che una ragazza elfo le si era avvicinata.

"Salve." disse la donna con voce tenue. Aveva lunghi capelli neri e occhi azzurri, indossava un abito arancio, sgargiante quasi quanto quello di Roswehn e piuttosto rivelatore delle sue forme. Portava bracciali d'oro ai polsi e e anelli su entrambe le mani. Doveva essere di casta elevata.

Roswehn le rispose, intimidita."Salve a te." e sorrise.

La donna ricambiò il sorriso, in una smorfia un po' forzata.
"Io... Drâgana." disse, portandosi una mano al petto. Si stava presentando.

"Ti chiami Drâgana? Lieta di conoscerti...io sono Roswehn." rispose la giovane, felice di avere qualcuno con cui provare a parlare. "

"Conosco tuo nome. Tu...mortale. Ospite del re." disse la ragazza, in uno sforzo di esprimersi nella lingua comune.

"Sì, sono in visita qui." confermó Roswehn, mentre con disagio notó che Drâgana la stava guardando dalla testa ai piedi. Poi la donna si avvicinó a un tavolo dove erano state poggiate diverse brocche di vino e riempì due bicchieri. Ne offrì uno a Roswehn che declinó gentilmente.

La donna elfo sembró sorpresa. "No? Allora acqua?"

"Sì. Ho sete in effetti." rispose la donna umana, riempiendosi da sola un calice direttamente da una fontanella.

"Tu... Haldir... insieme?" chiese Drâgana, curiosa. Poi fece un gesto incrociando le dita delle mani. "...amore con lui?"

A Roswehn andó quasi l'acqua di traverso. "No. No. Io e Haldir amici...solo amici. Mellyn, capisci?"
Aveva proprio una bella reputazione lì, e sì, quell'abito non la stava aiutando. Ma non lo aveva indossato per quegli Elfi pettegoli, né per Haldir.

"Allora lui solo qui?" chiese la donna, girandosi verso il Guardiano del Lórien, nel frattempo impegnato in conversazione con diversi altri sudditi di quel regno. In molti gli si erano radunati intorno, curiosi di parlare con un esponente del reame di Galadriel.

Ecco un'ammiratrice, pensó Roswehn.
"Sì , Haldir è solo. Non credo peró stia cercando compagnia." le disse, ma Drâgana non capì. Fece a Roswehn un breve sorriso e si allontanó in direzione del gruppetto di Elfi che aveva di fatto rapito il suo amico. Era di nuovo sola.

Guardó intorno a sé, cercando Thranduil, che non aveva fatto ancora la sua comparsa. Era forse nelle sue stanze a prepararsi o forse non avrebbe partecipato affatto. E allora perché le aveva mandato dietro Feren?

Cominciava a sentirsi stupida, e le venne l'impulso di andare in camera sua, prendere le sue cose, abbandonare quell'abito da cortigiana e pregare Haldir di riaccompagnarla finalmente a casa, e pazienza se era notte inoltrata. O magari se ne sarebbe andata da sola, perché se quella Drâgana fosse riuscita nel suo scopo Haldir avrebbe avuto ben altro da fare nelle ore seguenti.

"Buonasera, mortale." sentì una voce maschile dietro di lei. Si giró di scatto, e vide un elfo che la osservava sornione. "Ci rivediamo in luoghi e momenti inaspettati."

Roswehn non sapeva chi fosse, non le sembrava di averlo mai visto. "Possibile che non ti ricordi?" le chiese l'Elfo, con un bicchiere in mano. Roswehn fece cenno di no col capo... poi un ricordo le affioró nella mente saettante come un freccia.

"Ma certo, tu eri uno di quegli Elfi di vedetta alla diga... quello che mi arrestó e mi fece chiudere nelle vostre galere!" esclamó lei.

"Brava. Per la precisione, sono quello che ti legó i polsi dietro la schiena. Vedo che il tuo stato è migliorato: da prigioniera a ospite di re Thranduil." si complimentó l'Elfo. "Il mio nome è Findred, comunque."
 
"Venni accolta come ospite già la prima volta, cinque giorni dopo la carcerazione. Il mio arresto fu del tutto inutile. E una mossa avventata da parte vostra: Feren mi disse che il re vi avrebbe puniti tutti quanti..." rispose lei seccata. Ricordava ancora le abrasioni sui polsi lasciate da quella corda.

"Sì, ci mandarono nel bosco a bonificare una parte del territorio. A ripulire la statua della regina. Passai una settimana a strappare erbacce e raccogliere carcasse di animali. Ne sarai felice." le disse Findred. Sembrava divertito. "Posso offrirti del vino? Vorrei farmi perdonare in qualche modo. Riconosco che io e gli altri fummo un po' troppo zelanti."

"Non essere svenevole, non funziona con me. E non c'é molto da perdonare: in fondo stavate eseguendo gli ordini. Ma vino no, non posso berne." rispose lei.

Lo guardó meglio: era alto, aveva lunghi capelli castani e occhi chiari, sembravano quasi grigi. Anche lui, molto attraente.

Roswehn si congratuló mentalmente con Manwë, o come si chiamava il loro dio, per aver creato una razza tanto bella. Non aveva mai visto un elfo brutto, né ne avrebbe trovato uno in tutta quella moltitudine, poteva giurarci.

"Perché no? È un vino dolce, ti piacerebbe. Io non so come faccia la tua gente a produrlo ma è una vera delizia." le porse il suo bicchiere. "Avanti. Solo un piccolissimo sorso. Non ti succederà niente." le disse Findred, che già sognava di accompagnare quell'umana ubriaca nella sua stanza e lì farle quello che aveva immaginato subito dopo averle legato i polsi dietro la schiena, quel giorno lontano.

Nel suo abietto piano, l'Elfo non si era accorto che nel frattempo nella sala era calato un nuovo, glaciale silenzio. Se i suoi sensi non fossero stati offuscati dal vino e dalle sue fantasie sulla donna, avrebbe visto la regale figura avvicinarsi dietro di lui, e avrebbe certamente evitato quel che accadde dopo.

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Capitolo 41
*** Decisioni ***


Il sovrano reggeva un lungo bastone, che fungeva da scettro.

L'aveva picchiato lievemente a terra due volte, in un gesto marziale, facendo sobbalzare Findred. Quest'ultimo si era girato di scatto e dall'espressione che gli si dipinse sul volto, quando si rese conto di chi c'era dietro di lui, sembró perdere cent'anni di vita.

"Feren." chiamò Thranduil. Il capitano, che pareva seguirlo come un'ombra, si avvicinò subito. "Di' a questa vedetta che nel regno non c'é più posto per lui."

Il soldato subito riferì in elfico a Findred, che quasi lasció cadere il calice a terra.
"Mi ha solo offerto un po' di vino. Voleva essere cortese!" protestò Roswehn: aveva osservato tutta la scena incredula. Le era venuto un colpo quando aveva scorto il re, che era letteralmente apparso dal nulla.

"Stai attirando molta attenzione su di te." rispose Thranduil, guardandola attentamente. "I miei sinceri complimenti per la tua tenuta di stasera. Oltremodo appropriata."     Come Haldir, anche il sovrano non sembrava gradire l'abito scelto dalla donna.

"Nim me l'ha portato, è un indumento fatto qui, dalla vostra gente. È un omaggio al vostro popolo, e a voi." replicò Roswehn. "Ma posso tornare ad indossare il vestito che mi diede Morgoth, se preferite", lo sfidó.

Aveva notato che la popolazione degli Elfi, tutt'intorno, li osservava. Perfino i musicisti si erano fermati. Nel frattempo due guardie avevano condotto lontano Findred, senza tanti complimenti.

Haldir la guardava preoccupato, ma anche un po' divertito. Vieni qui, lo implorò lei con lo sguardo. Toglimi da questa situazione ti scongiuro!
No, cara. Arrangiati. Le rispose lui, sorridendo con gli occhi celesti. Vediamo come ne vieni fuori da sola, stavolta.

"Sei tornata a darmi del voi." disse Thranduil. Le incuteva per la prima volta un po' di timore. Forse era la presenza di tutti i suoi sudditi, che sembravano assolutamente increduli della sua comparsa in mezzo a loro. Forse era quella meravigliosa veste bianca che indossava, e il mantello color argento e la corona appuntita. Non aveva mai visto un re somigliare tanto a un re come lui, quella notte.

"Haldir mi ha detto che devo mostrarvi rispetto davanti al vostro popolo." rispose.

"Haldir ti ha anche detto che dovresti inchinarti, davanti a me?" chiese lui allora, i suoi occhi azzurri che la guardavano dall'alto.

Puoi scordartelo, gli rispose lei nella mente. 
"Vi sembro il tipo che si inchinerebbe davanti a qualcuno?"

Come Calenduin. Esattamente come lei, pensò Thranduil. La stessa sfrontatezza, la stessa resistenza verso il mio potere.

Fu in quel momento che prese la decisione.

Poteva essere una scelta terribilmente sbagliata, ma del resto anche passare duemila anni in solitudine lo era stata. Ignorare Legolas per tutti quei secoli, era stato uno sbaglio. Voltare le spalle a Thorin e alla sua gente quando lo avevano implorato, era stato uno sbaglio. Non aver riconosciuto la presenza di un piccolo Hobbit nel suo reame era stato uno sbaglio, e quanto l'aveva pagato. Lasciare la sua sposa da sola in mezzo agli Orchi era stato uno sbaglio. Il più colossale.

Cosa poteva essere quello di passare un po' di anni, magari qualche decennio, in compagnia di una mortale, al confronto? Cosa avrebbe rischiato, di vederla invecchiare? Sarebbe stato un problema per Roswehn, non per lui. Per un po' sarebbero stati felici, avrebbero goduto insieme della sua gioventù...e poi avrebbe lasciato a lei la scelta. Tornarsene dalla sua gente e lí morire, o rimanere a Boscoverde e trascorrervi l'inverno della sua vita. Elrond aveva ragione su un punto: non darsi una possibilità era peggio che stupido. Non provare a tornare alla vita, sarebbe stato uno sbaglio. Meglio un anno d'amore fra due calde braccia che un'esistenza millenaria in solitudine, giusto? Eh sí, il signore di Imladris su quello aveva tutte le benedette ragioni.

Allungò allora una mano verso la donna, con fare cavalleresco. Roswehn lo guardò confusa, mentre un mormorío di incredulità si levò da quell'oceano di Elfi. Si girò verso Haldir, che le suggerí con lo sguardo di porgergli la sua. Che aspetti? sembrò che le dicesse.

Roswehn infine cedette e lasciò il re accompagnarla per mano al centro dell'enorme antro.

"Nim." chiamò Thranduil, e subito apparve l'elfa, che arrivò da chissà dove emozionata e un po' tremante. "Traduci per lei le mie parole."

Si giró verso la sua gente e inizió a parlare in elfico.

Popolo di Eryn Galen, ho incontrato questa donna mortale l'inverno scorso, durante quella guerra in cui molti vostri fratelli persero la vita. Ho deciso di tenerla qui con me. Mi è molto cara, ha riportato luce dove c'era il buio. Se sceglierà di restare, le dovrete lo stesso rispetto che in vita avete riservato alla vostra regina, a mia moglie, Calenduin. Non saranno tollerate intemperanze di nessun tipo verso di lei.

Roswehn, ascoltando Nim, a quel punto cominció a tremare.

Conoscete le nostre leggi, non posso sposarla. Ma forse i Valar, nella loro infinita generosità, mi concederanno di tenerla al mio fianco... finché la sua condizione di mortale glielo permetterà. Confido nella vostra lealtà e devozione a me.

Ci fu silenzio totale. Nim era forse più scioccata della ragazza umana. Finì di tradurre balbettando.

Thranduil guardó Roswehn e le chiese, nel linguaggio comune. "Qual'é la tua risposta, donna di Dale?"

Roswehn lo fissó per qualche attimo, poi rispose: "Che te ne puoi andare a quel paese. Che si chiami Valinor o altro." Non ci fu bisogno che Nim traducesse, la sola occhiata che Roswehn lanciò a Thranduil bastò perché il popolo di Boscoverde comprendesse. Si sentí un lunghissimo oooooh di costernazione.

Il re socchiuse le labbra incredulo.

"Chi venne a prendermi ad Arnor, strappandomi da Morgoth? Non tu, se ben ricordo. Tu tornasti qui con i tuoi soldati. Chi mi curò per tre giorni in casa sua, fino a che non mi ripresi completamente? Non tu, tu delegasti questo compito a Nim, qui vicino a me. Chi mi ha sempre e solo spinta verso la felicità, a scapito della sua? Non tu, che non hai fatto altro che ridicolizzare le mie emozioni."'poi si girò verso Nim, rimasta di sasso. "Tu per favore traduci in elfico. E ad alta voce."

Nim fece di no, con la testa. Aveva paura della reazione del re se avesse osato farlo. Far sapere a tutte quelle migliaia di Elfi che il loro sovrano veniva respinto in malo modo... da un'umana. Thranduil non lo avrebbe tollerato.

"Nim, ti prego. Sei mia amica." la esortó Roswehn. Nim deglutì e inizio a parlare. Thranduil nel frattempo non aveva tolto gli occhi da lei. Gli era tornato quello sguardo che Roswehn aveva visto nella sua tenda da campo a Dale. Un'espressione mortalmente offesa, due occhi celesti che le urlavano come osi?

Chi poteva saperlo, forse era vero che gli piaceva un po'. O forse gli ricordava qualcuno. In ogni caso, in quel preciso istante la donna capì che dall'Elfo lì davanti a me, con mantello, scettro e corona, non avrebbe mai avuto amore. Ma solo un'imitazione di quel sentimento. Forse le avrebbe fatto conoscere l'estasi, come diceva Rùmil, ma sarebbe stato un gioco passeggero, un capriccio per lui. Un battito di ciglia... ma a lei, sarebbe costato molto di più. La sua giovinezza, la sua breve vita. Non poteva sposarla, non le avrebbe mai fatto concepire un figlio né dato a Legolas un fratellastro mezzo sangue.

Lasciò la mano di Thranduil poi andò dritta verso Haldir, che la osservava allibito.
"Andiamocene." gli disse.

"Ci ucciderà entrambi." rispose lui. Ne era certo. Offendere Thranduil figlio di Oropher, che da seimilacinquecento anni era su quella Terra, e farlo in casa sua, avrebbe avuto una sola conseguenza: morire.

"Così poco mi conosci, Guardiano di Lórien.", disse proprio Thranduil, avvicinandosi lentamente ai due. "Non ucciderei mai un altro Elfo. Lei, invece...è esattamente la fine che farà questa notte. Ho intenzione di mettere a tacere per sempre la sua voce insolente." e le sorrise. "Preparati, mortale. C'è una parte delle mie stanze che non hai ancora visto."

Roswehn credeva di non aver sentito bene.
"Ho detto che..." provò a ribattere.

"Ho sedotto la tua anima come tu la mia. Saresti già a Dale se credessi in quello che hai detto. Ma sei qui." la zittí lui. "So bene cosa vuoi. L'ho sempre saputo. Negalo ancora a te stessa, e darai solo una dimostrazione di debolezza. Smetti con questi giochi."

"È vero Roswehn. Pensa a cosa hai passato. A tutte le cose che mi hai detto. Il tuo posto è qui." le disse Nim. "Non condannare te stessa ad una vita di rimorsi scappando un'altra volta."

Lei guardò allora il suo amico, e poi di nuovo Thranduil, e poi Nim. Sentí quel silenzio pesantissimo intorno, tutti aspettavano una decisione definitiva. L'avevano vista girarsi contro il loro re, una scena inimmaginabile. Solo Tauriel, che forse era lí in mezzo a loro, da qualche parte, poteva comprenderla.

Pensò alla sua famiglia, che l'aveva lasciata andare sebbene fossero tutti preoccupati per lei. Sebbene fossero consapevoli che sarebbe potuta anche non tornare più. Padrona di vivere la tua vita, le aveva detto sua madre. Ma di viverla, non più sognarla.

Pensò a tutti i giorni passati ad aiutare Bard a ricostruire Dale, e a come rivedere nelle sue fantasie il Re di Boscoverde l'avesse aiutata a sopportare i momenti di sconforto, la durezza di quei primi mesi fra le macerie, la fame, il freddo dell'inverno. Pensò anche alla regina che aveva fatto un patto terribile con Morgoth, che stava per risucchiarle la vita mossa dal rimorso di aver sprecato la sua.

Si arrese.
"Resto, e che gli dèi mi aiutino. Non so cosa sarà di me, forse me ne pentiró. Ma Nim dice il vero: rinuncerei a qualcosa di troppo grande per non rimpiangerlo. E ho capito una cosa in questi ultimi giorni: non esiste nulla che avveleni lentamente il cuore più di un rimpianto. Regan di Arnor me l'ha insegnato." annunciò, guardando Thranduil, che finalmente si lasciò andare al primo, vero sorriso che gli avesse mai visto.

Dalla parvenza di felicità sul viso del re, la gente di Boscoverde comprese, e si lasciarono andare tutti a un lunghissimo applauso.

Questi sanno anche applaudire? Però, sono bestiole molto ben addestrate, commentò Edith nella sua mente.

Roswehn, per la prima volta, non la ascoltò.

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Capitolo 42
*** Dopo la festa ***


"Devi venire con me, adesso." le disse Nim.

Roswehn non si era ancora capacitata dell'accaduto. Thranduil l'aveva di fatto presentata a tutti come sua nuova... compagna, si poteva dire?

Haldir le aveva sorriso dopo il suo annuncio di voler rimanere a Boscoverde, ma era più che sicura che dentro stesse soffrendo tremendamente. Non era stata davvero una gran serata per lui, quella.
Mi dispiace tanto, aveva pensato. Se c'era qualcuno al mondo che, in quel momento, detestava far soffrire era lui.

"Devo venire dove?" chiese Roswehn, dopo l'iniziale sorpresa. Aveva sentito il re comandare qualcosa alla sua amica, e dopo un breve sguardo, l'aveva lasciata con lei. Nemmeno un bacio, niente. "E cosa fa lui, adesso?"

"Il re rimane, la celebrazione non é conclusa. E tu devi essere preparata per dopo." rispose Nim, forse ancora più emozionata di lei.

"Cosa succede, dopo?" continuó a chiedere Roswehn, mentre l'Elfa la conduceva verso le stanze che già due volte aveva visitato.

Nim si giró un po' spazientita. "L'hai sentito prima, no? Ha intenzione di passare la notte con te."

Roswehn si fermó improvvisamente. "Non lo diceva sul serio."

"Oh sì. Puoi crederci." confermó Nim. "E tu devi essere pronta. Mia madre mi aiuterà."

"Tua madre?!" si agitó Roswehn. "Come faceva a sapere, tua madre, che avrei scelto di fermarmi?"

"Io credo che il nostro re lo sapesse già prima che la festa avesse inizio. Conosce i tuoi desideri meglio di te. L'ha fatta avvertire in anticipo. Certo, tu stavi per spiazzarlo..." spiegó.

Roswehn non nascose un brivido di nervosismo. Nim non capiva le reazioni della ragazza.
"Sei l'innamorata del sovrano ora...come dite voi: fidanzata? E desidera che stiate insieme, tu e lui. Io credevo che anche tu lo volessi."

"Sì... ma non così in fretta... due persone dovrebbero conoscersi meglio prima di...insomma..." tentó di rispondere la donna. La situazione rischiava di sfuggirle di mano.

"Perché?" chiese Nim. "Cosa devi sapere su di lui che già non sai? Vi siete dichiarati amore davanti al popolo di questo regno. Non capisco quanto altro tempo ti occorra"

La ragazza aveva immaginato che prima di arrivare a quello sarebbero passati altri giorni, un po' di ore spese da soli, a passeggiare nel suo grande bosco o a parlare sulla terrazza... ma era evidente che per gli Elfi le cose fossero molto più dirette. Niente chiacchiere.

È inutile che ti spaventi, gioia. Lo hai voluto tu, le disse la coscienza.

Nim la portò nelle stanze sotterranee. "Mia madre ti aspetta. Lei è stata dama di compagnia della regina, oltre che tutrice di Legolas."

Infatti, scendendo le scale, Roswehn vide subito una donna elfo che attendeva le due vicino al laghetto. Sembrava la sorella maggiore di Nim, più che sua madre. Si somigliavano molto.
"Roswehn, io sono Morath. Mia figlia ti ha certamente detto che sono qui per aiutarti. È un grandissimo onore quello che stai per avere. Io e Nim dobbiamo assicurarci che tu sia adeguatamente preparata prima che il re ti degni del suo amore." le disse la donna, che come Nim parlava la sua lingua molto bene.

"Che mi de...degni del suo amore?" ripetè Roswehn. "Cosa vuol dire, che non sarei alla sua altezza?"

Nim, che ormai conosceva il suo caratterino, tentò di calmarla.
"Mia madre vuol dire questo: da noi, mai è successo che il re abbia accolto nel suo letto una donna diversa dalla moglie. Nemmeno re Oropher lo ha mai fatto. È un privilegio fuori dalla tua comprensione, credo."

"Proprio cosí. Non intendevo offenderti. Ora," continuò Morath, indicandole l'acqua. "...dovrai spogliarti ed entrare in questa conca."

"Mi sono già lavata nella vasche di salgemma. Perché un'altra volta?" chiese Roswehn. L'idea di spogliarsi lí davanti a loro non le piaceva per niente.

"Appunto. Nelle vasche entrano tutti. Sono impure. Questa invece è solo per il re. Devi immergerti nuovamente qua dentro. Comprendi?" chiese Nim.

Sí, Roswehn capiva.
Non aveva però immaginato che Thranduil fosse cosí schizzinoso. Nim l'aiutò a spogliarsi.
"Non rimanere troppo nell'acqua. Basta qualche minuto." disse sua madre.

Roswehn si immerse in quella grande vasca di acqua tiepida, che l'avvolse come un abbraccio. Era piacevole, e sarebbe rimasta anche di più se Nim non le avesse fatto cenno di uscire.

Nel frattempo Morath le aveva portato un telo di seta blu.
"Copriti con questo e seguici." La condusse verso una zona che non aveva mai visto. Una grotta molto ampia, la cui entrata era nascosta da un tendaggio di velluto rosso.

Ci siamo, pensò Roswehn.

Le due donne elfo scostarono la pesante tenda e la fecero entrare.

Il letto di Thranduil occupava tutto lo spazio. Era gigantesco. Potevano dormirci almeno sei persone. E ricordava un po' il suo trono: anche sopra il letto erano state intagliate sculture in legno, avevano la forma di rami di albero. Seta ovunque: le lenzuola, i guanciali, erano ricoperti di raso bianco. Non c'erano armadi, né sedie, né tavoli, né canapé.

"Ora, dobbiamo cospargere il tuo corpo con questo." annunciò Morath e le mostrò una bacinella di quel che sembrava olio.

"È un estratto di rosa. Adattissimo a te." le sorrise Nim.

"Cos'é, un profumo?" chiese lei.

"No. È un olio. È necessario che tu ne sia completamente ricoperta." spiegò Morath.

"Necessario...ditemi per cosa, ve ne prego." chiese Roswehn, senza risposta. Si sentiva una vera idiota. Era entrata di prepotenza in un mondo di cui non conosceva un accidente di niente. Lasciò fare le due donne, che le tolsero il telo e iniziarono a spandere quel liquido su di lei. Ovunque. "Ne state mettendo troppo, non penetrerà nella mia pelle." obiettò.

"Così deve essere." rispose Morath.

Roswehn era sempre più perplessa. A cosa sarebbe servito quell'olio, solo Eru lo sapeva. Le sembrava di essere in un postribolo, quello che Bella Hogkin prometteva sempre di aprire a Dale e che Bard avrebbe sprangato il giorno successivo, se solo ci avesse provato.
"Sentite, nessuno dormirà con me se non voglio. Questa situazione mi umilia." protestò, coprendosi con il telo.

"Capisco la tua ritrosia. Nim mi ha detto che non hai mai avuto un uomo." disse Morath. "Ma questo é un fatto positivo, il re apprezzerà il fatto che tu sia esclusivamente sua." Si girò verso la figlia. "Nim é inesperta come te, non ha conoscenza sufficiente per aiutarti. Per questo io sono qui. E ti devo spiegare ancora un po' di cose prima che il re arrivi, ma non manca molto. Ora ascolta." disse Morath, accomodandosi sul letto. Roswehn si mise vicino a lei. Nim rimase in disparte, un po' a disagio. "Tu non conosci la sessualità degli uomini, perciò non farò paragoni. Ti dico solo che é molto diversa da quella di noi Elfi." Iniziò, mentre Roswehn la ascoltava preoccupata. "Per noi, il grande piacere non viene dall'unione di un sesso con l'altro, come per i mortali, ma dalle carezze, dal contatto spirituale, dalla fusione delle anime. Il nostro amore dura giorni, non ore. L'unione fisica come la intendete voi é solo l'ultimo atto, quello più breve, ed ha come fine il concepimento. Ciò ti sembrerà strano, ma é importante che tu lo sappia per non vivere momenti imbarazzanti con lui."

Roswehn non sapeva cosa dire.
"Cioé, devo aspettarmi di essere accarezzata tutto il tempo? Solo questo?" chiese.

"No, succederà anche il resto, ma dovrai pazientare. Ti sto avvertendo di questo: i vostri istinti naturali, carnali, sono per noi incomprensibili. E non saranno subito soddisfatti. Lui deciderà quando." chiarí Morath. "So anche che voi donne mortali sanguinate la prima volta che vi unite a un maschio."

Roswehn divenne paonazza. Nemmeno con sua madre Yohlande aveva fatto discorsi di quel tipo.
"Non sempre, ma sí, è comune." rispose. Guardò le lenzuola di seta bianche come la neve e sentí un brivido. Già, e se fosse successo? Come avrebbe reagito lui?

"Questo potrebbe infastidire il re." disse infatti Morath. "Sarebbe sgradevole."

"Grazie tante. Non me lo sarei immaginato da sola. Ora sí che mi sento tranquilla." ironizzò lei, mentre le tornava l'ansia, intensa più che mai. "Se capitasse, cosa dovrei fare?"

"Fa' in modo che non se ne accorga. Come ti dicevo, gli Elfi maschi si accoppiano molto velocemente, e subito dopo si lasciano prendere dal sonno. Approfittane." le consigliò Morath.

Roswehn si portò le mano sul viso. Ma cosa stava facendo lì? Che follia era quella...
"Forse avete ragione, non è una cosa che posso affrontare." mormorò. "E se a lui non piacesse? Se vedesse qualcosa in me che le donne elfo non hanno e ne fosse disgustato?" sentì il panico salirle fino in gola. Sarebbe morta d'imbarazzo.

"Il re sa bene che sei umana, si aspetta che ci siano differenze tra te e noi. Di questo non devi aver paura." intervenne Nim. "Devi solo lasciare che sia lui a guidare il vostro ... incontro."

"Adesso ce ne andremo. Lui arriverà fra poco. Aspettalo sul letto. E ricorda: sei qui perché lui l'ha voluto. Non provare nessun tipo di disagio." le disse Morath. Poi, Nim raccolse il contenitore d'olio e uscirono.

Lei rimase sola, nel silenzio piú totale. Lo stomaco le si riempí di piccole scosse elettriche dalla tensione, che si sforzó di tenere a bada. Provó a sdraiarsi su quelle morbide coltri e a rilassarsi. Certo che, aver passato due millenni in solitudine in quel letto doveva essere stato peggio che avvilente. Nim le aveva detto che non c'era stata più nessuna nella vita di Thranduil dopo sua moglie, ma non sapeva se crederci. Le sembrava assurdo. Per lei, era già incomprensibile come Bard avesse resistito otto anni senza una donna. Gli aveva consigliato tante volte di cercare una nuova compagna, ma non ne aveva mai voluto sapere. Eppure era un bell'uomo, nel pieno del vigore. Adesso che era re, la faccenda si era complicata: trovare una donna che amasse lui e non il suo potere sarebbe stato più difficile che trovare l'Arkengemma tra l'oro di Erebor.

Le tornó in mente anche Bilbo. La sua Contea. Pensó improvvisamente a quanti posti doveva ancora visitare. Thranduil gliel'avrebbe permesso? E sarebbe stata lasciata libera, qualche volta, di tornare a casa? Ma certo. E se non l'avesse lasciata, sarebbe scappata. Doveva pur rivedere i suoi, presto o tardi. Si chiese come avrebbe reagito Edith, se avesse saputo quello che le stava capitando. Con un Elfo. Avrebbe detto sconsolata. Di tutti quelli che avresti potuto trovare, proprio una di quelle meschine creature che...

"Morath ti ha istruita?" le chiese Thranduil, facendola quasi cadere dal letto dalla sorpresa. Era entrato silenziosamente nella stanza. Come mai riusciva sempre a sbucare dal nulla?

Roswehn lo guardó e pensó subito: non posso davvero farcela. Indossava una specie di vestaglia nera, simile a quella che gli aveva visto già. Ma sotto non portava niente. Era bellissimo, divino quasi.

"Spero tu sia pronta..." continuó, divertito dalla sua espressione tesa. "...tra poco avrai quello che desideri da tempo."

"Thranduil, non so dirti se sono pronta. Io non ho conoscenza di queste cose..." rispose lei. "Non mi aspettavo che già questa sera..."

"Conoscenza di queste cose..." ripetè lui. "Io ne ho abbastanza per entrambi."

"Sì ma... quello che voglio dire è che potrebbe non piacermi...e nemmeno a te, cioè." continuó lei.

"Su questo ho i miei dubbi." ribatté il re, mentre si toglieva la veste. Presuntuoso, pensó lei.

Vide che le cicatrici erano sparite dal suo corpo. Le stava nascondendo con la magia. Thranduil indovinó i suoi pensieri. "Per non impressionarti." le disse.

In realtà, Roswehn era già abbastanza impressionata. Il corpo dell'Elfo era spettacolare. Come se l'era immaginato, un corpo tonico e scolpito, da guerriero, alla faccia dei suoi seimilacinquecento anni d'età. Non si azzardó a guardarlo lì.

Lui se ne accorse e rise. "Non sai quanto mi diverta la tua timidezza. Con Haldir però non sei stata altrettanto pudica." le disse sedendosi vicino a lei .

Roswehn spalancó gli occhi. "...come?" gli chiese.

"Tu ti saresti concessa a lui, se il suo senso dell'onore non lo avesse fermato. L'ho letto nei vostri sguardi." chiese Thranduil, scostando lentamente il telo che ancora avvolgeva il corpo della ragazza. Roswehn provò improvvisa vergogna. Quel riferimento ad Haldir suonava come una provocazione. Lo so di che pasta sei fatta, mortale. Femmina di fuoco, ti ha definita lui, vero? Ora vedremo, lesse nei suoi occhi.

Il re ammirava le sue forme generose, una visione a cui non era abituato. Ma che gli piacque moltissimo. "Curioso il destino di alcuni di noi: una situazione del genere, un anno fa, era del tutto inimmaginabile. Di tutte le cose che pensavo potessero capitarmi nel lungo trascorrere dei secoli, accogliere una donna umana nella mia vita era in fondo alla lista." Roswehn lo lasció guardare, con il cuore che stava per esplodere. Poi pensó duemila anni senza...

"Due lunghi millenni di notti solitarie, sì. Perció, se credi che io abbia intenzione di trattenermi stanotte, ti sbagli." sussurró, tirandola a sé.

Roswehn cominciò a preoccuparsi. Ripensò al discorso di Morath: non ti prenderà subito.

"No, non ti torturerò con inutili attese. Tu sei umana, e dovrò adeguarmi alle tue esigenze..." le disse, strappando via quel pezzo di seta in un lampo.

Roswehn si irrigidí e per la prima volta, con lui, non le riuscì di rispondere a tono. Aveva immaginato una scena del genere tante di quelle volte, ma viverla... era tutt'altra cosa. E poi, bontà divina, Thranduil era stupendo. Nulla vedeva in lui, che non fosse perfetto. Aveva ragione Morath: non era degna di essere lì. Ma chi credeva di essere, non era che una banale cittadina di un reame nemmeno troppo potente. Thranduil era un re, il Re degli Elfi di Boscoverde. Avrebbe dovuto giacere con una principessa elfica, con una gran dama, con... quella Drâgana, magari. E cosa stava facendo Haldir, in quel momento?

"Smettila. Se provassi interesse per le mie suddite, tu non saresti certo qui. Loro non sono altro che piccole api operose nel mio vasto alveare. Sottomesse, capisci, intimidite da me. Ma tu...tu sei la rosa bianca piena di spine che aspetta solo di essere colta. L'ho letto nei tuoi occhi fin dal primo momento in cui ti vidi." le disse, e subito dopo lasciò cadere un bacio delicato, esploratore, sulle sue labbra. Roswehn fu travolta da quel primo, breve contatto intimo. "E non voglio che ci siano altri nei tuoi pensieri, mentre sei qui." le disse subito dopo. "Rammenti quella notte d'inverno? ...indossavi un cencioso vestito pieno di bruciature..." Thranduil sorrise, divertito dal ricordo. "Eri una ragazza spaurita e tremante...tuttavia, non eri a disagio come sei ora. Sei silenziosa. Perché?" Le sue mani scivolarono sull'olio.

Roswehn gemette, strappandogli un sorriso di trionfo. 
"Non hai idea di quanto abbia pensato a te, da quel giorno." riuscì in qualche modo a dirgli. Poi lo sentì bloccarsi. Ecco, lo sapevo. Non gli piaccio. Adesso si fermerà. Adesso mi dirà di andarmene da questo letto e prendere le mie cose e sparire...

"Fermarmi, ho appena cominciato..." mormorò lui, sentendo la sua apprensione. Lo divertiva il repentino cambiamento della donna: da sfrontata a timorosa.

"Dovresti smettere di leggermi nel pensiero." provó a dire lei, finalmente la sua bocca si era riconnessa alla mente. "...mi...mi... imbarazza."

"Capisco...e avermi trattato in quel modo, davanti a tutta la mia gente, non ti ha imbarazzata? Non ti sei fatta scrupoli. Neanche uno." le disse, accarezzandole i fianchi, colpito dalla loro forma sinuosa. Quel corpo umano si stava rivelando niente male. Un morbido trionfo di curve. "Non mi sembra di aver ricevuto scuse, a proposito."

Non se ne parla, pensò lei, mentre tentava di rimanere lucida, nonostante quel calore che iniziava già a sentire fra le gambe. Non mi sottometterai.

Lui colse la sfida dal suo sguardo. "Ci sono due modi in cui posso fare quello che voglio farti: uno di questi, potrebbe essere quel timido e delicato amoreggiare su cui tu hai tanto fantasticato, prima di venire qui. Non è esattamente il mio modo preferito, ma ti accontenterò. Se invece non ti scuserai, stanotte non ci saranno tenerezze per te... vuoi conoscere l'amore come lo vivono gli Elfi adulti? Te ne darò una prova, e pazienza se non potrai reggerlo." le sussurrò in un orecchio, prima di lasciarsi andare a una serie di baci lungo tutta la curvatura del suo collo. Roswehn decise di non combattere inutilmente. Si era dimenticata di esser lì con un tizio ben poco paziente, che non tollerava affronti, che non perdonava le offese, che non faceva sconti a nessuno.

"Scusami." gli concesse, infine. Ma anche per quello le piaceva, non si poteva mai abbassare la guardia con lui. Evidentemente, la regola valeva anche a letto. Forse peró poteva sorprenderlo: si girò e decise di provare il trucco suggeritole da Rùmil. Diede un leggero morso alla punta del suo orecchio. Era curiosa di vedere la sua reazione.

"Ah, questo non avresti dovuto farlo." disse lui. "Chi te l'ha insegnato?" volle sapere. Gli occhi celesti iniziarono a brillare.

"Il fratello di Haldir..." rispose lei. Cara Morath, mi sa che ti sei sbagliata. E tu Rùmil caro, avevi ragione.

"Anche suo fratello? Cos'hai combinato nel Lòrien?..." chiese lui, guardandola sorpreso. "Non ti sei certo annoiata lí."

La donna sentì la sua mano scendere di nuovo, scorrere su quello strato d'olio senza trovare resistenze. Oh dèi aiutatemi... pensò.
"Morath mi ha detto che tu non avresti..." provò a dire. Ma Thranduil rise di nuovo.

"... fatto cosa? Ti rivelo un segreto, donna del lago: all'interno di questi confini, io posso fare quello che voglio. Come voglio, e quante volte mi pare. Resta ancora da capire, se tu riuscirai a sopportarlo."

Roswehn inizió a sentire tutto il suo corpo accendersi, e incurvò istintivamente la schiena. I seni pulsavano al punto da farle male. Capì in quell'attimo il discorso di Morath sulle carezze: Thranduil era riuscito ad infiammare i suoi sensi in un modo che, se solo l'avesse sfiorata con un dito, là sotto, nel suo punto più nascosto, sarebbe esplosa di piacere.

"È vero quello che dicono: voi umane siete calde... roventi quasi. Schiave della carne, vi definiscono. La cosa mi ha sempre incuriosito..." disse l'Elfo , mentre si accomodava meglio sul letto. I suoi lunghissimi capelli sfiorarono il viso della ragazza, che potè avvertirne la fragranza. 

"Thranduil... aspetta. Io non ho mai..cioè...devi saperlo... perché..." balbettò, sentendosi stupida. Contro cosa stava combattendo, esattamente? Tutta sè stessa implorava di accogliere l'amore dell'Elfo in un modo così feroce, così disperato, che mostrarsi ritrosa era perfino ridicolo. 

"Ah, questa paura..." le disse Thranduil, fermandosi. "Non è che hai fatto la scelta sbagliata stasera?" le chiese.

Roswehn gli rispose: "No, questo no. Lo sai bene cosa provo."

"Allora, forse l'ho fatta io." aggiunse lui. "Potrei averti sopravvalutata, dici?" ironizzó, lanciandole uno di quegli sguardi superbi che tanto l'avevano irritata in passato. Punta nell'orgoglio, Roswehn finalmente reagí. Lasciò i suoi desideri liberi di manifestarsi senza vergogna, senza imbarazzi, senza ipocrisie. Stavolta fu lei a baciarlo con passione. Thranduil ricambió, compiaciuto. Ecco, la donna di fuoco di cui si era innamorato, ecco la rosa che infine  si schiudeva e si apriva. Per lui.

"Vigorosa primavera...ti chiami così? Metterò alla prova il tuo nome, folletto." gli disse. Thranduil rise di nuovo.

Come le piaceva sentirlo ridere. Sentirlo vivo.
"E tu sta' a guardare, quel che ti fa ora...il tuo folletto."

Iniziò la prima notte incandescente di una serie lunghissima di notti memorabili, nel verde bosco a Est di Arda.

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Capitolo 43
*** Epilogo ***


Faceva freddo quella notte.

Haldir era arrivato al Fosso di Helm dopo cinque lunghissimi giorni di cammino, alla testa di una legione di Elfi inviati da Rivendell da Lord Elrond.

Re Thèoden era solo. Suo nipote Eomer, con i Rohirrim, era stato bandito da Rohan proprio dal sovrano, nei giorni in cui la presa di Saruman sulla sua mente era totale. Non aveva alleati fra gli Uomini: Denethor di Gondor non intendeva inviare aiuti, e comunque Theoden non gliene avrebbe mai chiesti. Troppe volte Gondor aveva ignorato i problemi della sua popolazione.

Un po' come Thranduil con i Nani, rifletteva Haldir. Ma lui non poteva girare le spalle a Rohan. Non dopo la promessa fatta a Roswehn. Elrond aveva chiesto a Celeborn di inviare Haldir a capo della sua armata, perché era uno dei pochi Elfi a saper parlare la lingua comune e per il suo valore. E Haldir aveva accettato subito, pur sapendo che avrebbe perso la vita quella notte. Era il suo incubo che prendeva forma nella realtà, e se si fosse avverato tutto, avrebbe visto quel giorno stesso il giardino di Mandos.

Sotto la pioggia che iniziava a scendere gelida, ripensò alla mortale di Dale che negli ultimi sessant'anni era riuscito a dimenticare, in parte. Al tempo della guerra contro gli Uruk - Hai, doveva essere ormai ottuagenaria, o forse era già morta. Haldir non lo sapeva.
Da Boscoverde erano nei decenni arrivate poche notizie, e frammentarie: sapeva che Roswehn era rimasta con Thranduil per trent'anni, e che era stata un'unione felice e molto solida. Si diceva che il re passasse il suo tempo solo con lei, e che i suoi sudditi raramente li vedevano. Era convinzione di tutti che Thranduil l'avesse amata anche più della sua regina.

Sapeva che a un certo punto la donna aveva lasciato Boscoverde, per tornare fra la sua gente, a Dale, e lí trascorrere i suoi ultimi anni da vegliarda
Quello che non sapeva, era che i due avevano avuto un figlio, che si chiamava Haldir, proprio come lui. Un principe mezzo sangue che molto aveva della madre e molto del padre. Straordinario guerriero, dal fine intelletto.

Quello che Haldir non poteva certo immaginare, mentre osservava le legioni di Sauron avvicinarsi alle mura, era che, molti anni più tardi, il suo omonimo avrebbe preso il posto di Thranduil sul trono di Eryn Galen, dopo la decisione di Legolas di partire per Valinor con Gimli, e dopo la scelta di Thranduil di abdicare. Haldir Thranduilion sarebbe diventato forse il migliore re della Quarta Era della Terra di Mezzo, un'era in cui gli Uomini avevano decisamente preso il comando di Arda. Un re elfo con sangue umano nelle vene, rispettato da tutti, amico di Re Elessar di Gondor e di sua moglie Arwen. E protettore del reame di Dale, da cui veniva sua madre.

Il figlio sarebbe andato spesso, di nascosto, a trovare Roswehn, durante i suoi ultimi anni, per portarle notizie del padre. I due si erano lasciati in pace, per decisione della donna, e dietro la promessa che Thranduil non sarebbe mai andato a cercarla. Lei non avrebbe sopportato che l'avesse vista invecchiata, e fragile. Era rimasta con lui finché aveva potuto, ma un giorno si era svegliata scoprendo che lo specchio restituiva un'immagine consumata dal tempo, un'ombra di quello che era stata. E, a differenza di Regan di Arnor, lo aveva accettato. Lei poteva attendere in serenità il crepuscolo della sua esistenza, ma il suo amato non doveva assistervi.

Thranduil non aveva neanche provato a dissuaderla, aveva capito. Avevano deciso di vivere entrambi nel ricordo di quello che si erano dati, e di ricordi ne avevano moltissimi: il primo incontro a Dale, le schermaglie infinite, la festa del solstizio d'estate, a cui era seguita una meravigliosa notte insieme, e le molte altre notti e giorni trascorsi in quel grande letto e le passeggiate nei boschi; la nascita del piccolo Haldir, la gioia di Legolas quando aveva saputo, il passare sereno delle stagioni. Non avevano nemmeno discusso sul destino di loro figlio: doveva rimanere con il padre, era ovvio, la comunità elfica lo avrebbe accolto molto meglio di quella umana.

E di certo il Capitano di Lórien non immaginava che Thranduil avrebbe scelto di continuare a vivere a Boscoverde una volta lasciato il trono, non si sarebbe imbarcato per Valinor, né si sarebbe tramutato in spirito. Voleva continuare a vivere sulla Terra, fino alla fine dei tempi, aiutando il figlio.

Haldir sapeva solo, mentre gli Uruk-Hai si avvicinavano, che in quei pochi giorni trascorsi con lei, era stato felice. La ragazza aveva scelto Thranduil, ma ciò non gli aveva impedito di continuare a volerle bene. Anche lui aveva dei ricordi, pochi, ma importanti. Era perfino andato una volta a Dale, vestito in modo da non essere riconosciuto come Elfo, per vederla. Si era avvicinato alla casa dove gli avevano detto che la vecchia Roswehn viveva sola, una semplice casetta sulla collina ad est. Circondata da un roseto. Ma mentre il cavallo si avvicinava, aveva capito che non doveva farlo. Lei sarebbe morta di pena, se le fosse comparso davanti all'improvviso. Non voleva che Thranduil la vedesse, ma neanche Haldir. Dovevano entrambi ricordarsi di lei com'era stata nel fiore degli anni.

Passando vicino al centro della città, aveva visto quel famoso mercato che la donna tanto gli decantava, di cui lei e il defunto re Bard erano stati fieri. Una delle bancarelle era di un pittore, vendeva quadri di paesaggi e ritratti. Uno, in particolare, lo aveva colpito. Avvicinandosi e guardando meglio, aveva riconosciuto subito il soggetto: una donna seduta, con indosso una camicia bianca che lasciava voluttuosamente scoperte le spalle, sopra di essa un corpetto nero e un'ampia gonna marrone. Aveva la testa reclinata, come fosse concentrata su qualche pensiero, e le mani sulle gambe. Una posa in cui l'aveva vista spesso. Aveva proposto al pittore di acquistarlo, ma l'uomo aveva rifiutato.

"Questo non é in vendita. Rappresenta la Signora di Dale, lo dipinse mio padre tanti anni fa a Pontelagolungo. Lo aveva pagato per farle un ritratto il giorno del suo ventunesimo compleanno, ma poi finí alla regina Sigrid. Roswehn glielo regalò qualche anno fa." aveva spiegato il pittore. "Per noi ha un valore affettivo, lo esponiamo qui in piazza per volontà proprio della regina... Roswehn Monrose è sua grande amica. È una specie di omaggio."

"Capisco. Fate bene allora. È giusto che la gente di Dale la veda com'era in gioventù." aveva commentato Haldir.

"Sai, si dice sia stata l'amante di re Thranduil di Bosco Atro..." aveva aggiunto l'uomo, sghignazzando. "Ci pensi? Con un elfo..."
"Cosa ci sarebbe di male?" aveva chiesto Haldir, fingendo noncuranza. Il pittore non si era accorto delle sue orecchie a punta.

"Ah, vivi e lascia vivere dico io... ma non mi fido di quegli esseri, furbi e ladri...se ne stanno andando tutti ad Ovest. Scappano, amico mio. Hanno capito che non è piú tempo per loro, qui." aveva detto l'uomo, accendendosi una pipa.

"Hanno passato secoli a tramare alle spalle di noi Uomini, a rubare ai Nani... che se ne vadano pure." aveva aggiunto una paesana, che ascoltava lì vicino.

A Haldir non erano piaciute quelle considerazioni. Roswehn gli aveva detto che gli Uomini erano diffidenti verso gli Elfi, ma non si immaginava fino a che punto. Dunque, era questa la loro opinione sulla sua gente? E lui avrebbe dovuto schierarsi con coloro che dileggiavano la sua razza? Immaginó che doveva essere stato duro per lei, il ritorno a casa. Tornare in quella comunità con il marchio di amante di un folletto. Forse era per quello che si era rintanata in quella casupola sulla collina. Ció lo aveva convinto definitivamente ad andarsene da lì, non dovevano vederlo con lei o le voci sarebbero degenerate ancora di più, anche se ormai era anziana.

Ripensava a tutto questo, mentre Aragorn stava dicendo ai suoi soldati di non mostrare pietà a quegli esseri, perché loro non ne avrebbero ricevuta. Mentre tuoni e fulmini squarciavano quel silenzio irreale. Mentre Eowyn, la nipote di re Theoden, altra donna forte e combattiva, cercava di tranquillizzare donne e bambini nei sotterranei del Fosso di Helm. Pensó che forse Roswehn era morta, ma sicuramente era vissuta senza rimpianti. Lui invece, uno l'aveva: di non averle detto, mentre erano insieme, quella semplice frase che non era riuscito a dire mai a nessun'altra.

"...ti amo." sussurró alla pioggia.

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