Vittima per Rapimento

di gigliofucsia
(/viewuser.php?uid=564269)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un combattimento rabbioso ***
Capitolo 2: *** I ragazzi scomparsi ***
Capitolo 3: *** Sensi di colpa ***
Capitolo 4: *** Giulio e sua sorella ***
Capitolo 5: *** Minacce affondate ***
Capitolo 6: *** la punta del pugnale ***
Capitolo 7: *** Lungo i corridoi ***
Capitolo 8: *** Gli occhi azzurri di Anna ***
Capitolo 9: *** Il peccato ***
Capitolo 10: *** Il biglietto per la prigione ***
Capitolo 11: *** La madre della vittima ***
Capitolo 12: *** Diciotto vite per una. ***
Capitolo 13: *** Mezzo Respiro ***
Capitolo 14: *** la morte di un criminale. ***
Capitolo 15: *** Mio figlio era uno stupido ***
Capitolo 16: *** Vivere o morire, scegli tu. ***
Capitolo 17: *** Tutto finito. ***
Capitolo 18: *** Il tempo delle scuse ***



Capitolo 1
*** Un combattimento rabbioso ***


 

Il vento scuoteva le fronde dei pini. Il cielo diveniva sempre più grigio. L'aria autunnale invadeva il cortile. L'atmosfera era pesante. Lucia era al centro di un cerchio fatto di ragazzi che la guardavano. Doveva concentrarsi sul suo avversario e stare calma.

Chiara aveva lo stesso sguardo di tutti gli altri. La guardava come se avesse fatto qualcosa di orrendo. Ma Lucia non aveva fatto nulla di male, o meglio, niente che giustificassero quegli sguardi. Sapeva benissimo a cosa stavano pensando.

Chiara puntò gli occhi si di lei, poi attaccò: fendente, attacco al braccio destro, al sinistro, affondo, passo indietro e poi ripresa in avanti. Lucia era un muro, rimanendo nella stessa posizione deviava ogni attacco.

Per lei combattere era diventata una questione personale, come lo era per Chiara. Sentiva l'odio di lei anche senza che dicesse nulla, lo sentiva dai suoi colpi, dai suoi respiri, era ovvio. Il solo pensiero di lasciarla vincere era fuori discussione. Era costretta a tenere per sé le sue emozioni ed i suoi pensieri, quindi non poteva fare altro che dire la sua con le semplici azioni, mostrando loro che non avrebbe ceduto in nessun modo. Lottare contro Lucia, sarebbe stato come lottare contro una montagna, per quanto potessero corroderla sarebbe rimasta in piedi. Prima o poi l'artefice dei rapimenti sarebbe stato preso e allora si sarebbero ricreduti

Chiunque si fosse disturbato a rapire quei ragazzi e quelle ragazze, era un criminale e sarebbe stato preso, o almeno se lo augurava. Se non fosse successo c'era il pericolo che venisse presa come la colpevole, le cose avrebbero potuto solo peggiorare.

Ad un tratto l'istruttore alzò le mani e ordinò imperioso:

– Ferme! Ferme! – chiara smise di attaccare e Lucia abbassò l'arma. La sua barba bianca era arruffata sul mento. I suoi occhi marroni e guardinghi viaggiarono su di loro mentre le mani rugose si afferravano i fianchi.

– Allora... – mormorò, andando da Lucia a Chiara come a decidere da quale cominciare.

– Lucia, quando ti troverai davanti ad un soldato nemico, lui cercherà di ucciderti, puoi difenderti in ogni modo, ma se non attacchi finirai con il perdere, ci siamo? –

Poi parlò a tutta la classe:

– Qui, non stiamo giocando capito? Se non sapete come combattere non durerete un attimo sul campo di battaglia –

Poi si girò verso Chiara e disse:

– Chiara, va bene tenere occupato l'avversario, ma quando sei davanti ad una difesa che non ammette errori, come quella di Lucia, attaccare a caso non serve a niente. Devi aspettare che sia l'altro ad attaccare, altrimenti anche tu potresti perdere le energie prima del tuo avversario –

Era ovvio che dovesse attaccare, ma non voleva, per lei sarebbe stato come ammettere una colpa. L'istruttore fece un paio di passi indietro e ordinò di riprendere.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** I ragazzi scomparsi ***


Chiara e Lucia incrociarono gli sguardi per qualche minuto, poi entrambe attaccarono. Chiara attaccava con ferocia, come se ne andasse della vita di qualcuno. Lucia continuò a difendersi, sentendo una stretta allo stomaco ogni volta che provava ad attaccare. Seguirono occasioni in cui avrebbe potuto avere la vittoria ma che lasciò scorrere per uno strano timore.

L'istruttore alzò la voce tra l'accozzare delle lame spronando:

– Non limitate ad attaccare e difendere a caso! Usate ogni spiraglio per acchiappare il vostro nemico! In guerra o si vince o si muore! –

Dopo qualche secondo, Lucia si sentì indietreggiare ma cercò di mantenere la posizione. Chiara si fermò dicendo:

– Allora? Dove li tieni? – aveva in viso un ghigno beffardo, come se si credesse capace di leggerle nella mente.

Lucia non rispose. Le lanciò uno sguardo freddo e distante. Chiara ricominciò con un fendente laterale, Lucia lo frenò, poi venne uno frontale che respinse.

– In uno scantinato? O li hai già uccisi e sepolti? – continuò, ancora quel ghigno.

Un altro attacco frontale, placcato e respinto, ma con affanno. Si sentiva improvvisamente debole. Sentì il suo cuore pulsare veloce:

– Io non ho fatto proprio nulla a loro! – gridò, con i nervi tesi e il cuore palpitante. Fece l'errore di abbassare l'arma e Chiara ne approfittò. Quando lei la attaccò di nuovo, si trovò impreparata. Alzò la lama e placcò l'attacco mettendo una mano sulla scanalatura. Sentì le ginocchia piegarsi, ma poi con uno sforzo riuscì a rialzarsi e a respingere di nuovo.

– Mi riesce difficile crederti – rispose Chiara – Perché,... metà dei cadetti di questo corso sono spariti dal giorno in cui tu, ti sei iscritta a questa scuola, strana coincidenza vero? –

Chiara attaccò di nuovo ma Lucia la fermò con i sudori alle tempie replicando:

– Infatti... è una coincidenza... non li conoscevo, non mi avevano fatto nulla di male, perché avrei dovuto rapirli? –

Più andava avanti la conversazione più si sentiva instabile, come a camminare sul ghiaccio.

– Non lo so – rispose Chiara, sempre quel ghigno – dimmelo tu –

Attaccò di nuovo, questa volta un affondo sul fianco, che evitò subito saltando di lato.

– Io non ho nulla da confessare – replicò tonante. Il fatto che la accusassero la faceva andare fuori di testa, ne erano certi solo per una voce di corridoio senza alcun fondamento.

Chiara attaccò di nuovo, sempre più decisa e letale:

– e del ragazzino che hai ucciso nell'altra accademia che cosa mi dici? – Chiara la attaccò soffocando il grido dello sforzo L'attacco fece incrociare le lame un'altra volta.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Sensi di colpa ***


In quel momento Lucia sentì il cuore fermarsi. C'era stato un momento di nulla in cui il suo cervello sembrava essersi spento. Poi riprese a battere. La lama stava per avvicinarsi alla giugulare. Un fuoco si era acceso nel suo stomaco. Non avrebbe sopportato un'altra parola contro di lei. Specialmente su quella faccenda.

Tirò indietro la lama. Uno schiocco e la spada dell'avversaria si allontanò. Si preparò ad attaccare, allungò la lama in avanti e la punta propria lama scivolò sul collo. Chiara si pietrificò, era stata troppo veloce. Lucia aveva ancora il cuore in gola per l'irritazione. Aveva intenzione di chiarire un fatto:

– Questa faccenda non vi riguarda, chiaro? – quella fu la goccia che scatenò l'inondazione. Loro non avrebbero nemmeno dovuto saperlo. C'era un accordo tra lei e il direttore della scuola precedente. Era stato un disgraziato incidente e non sarebbe dovuto saltare fuori in nessun modo. Se loro lo sapevano voleva dire che qualcuno aveva fatto la spia.

Quando allontanò la lama dalla gola di Chiara lei sembrò riprendere colore. Purtroppo l'aveva attaccata d'istinto. Allungò la lama alla prossima coppia e si ritirò pensando a cosa potesse averle preso. L'istruttore era soddisfatto ma Lucia pensava che se la lama fosse stata affilata avrebbe potuto ferire mortalmente anche lei.

 

Era passata la lezione ed era subentrato quel momento della giornata in cui si faceva la pausa. Lucia, seduta sotto un pino da sola.

Non ci capiva niente. Forse il direttore dell'altra accademia l'aveva tradita, ma si rifiutò di pensare che lo avesse fatto di proposito. Per lui non avrebbe avuto senso.

Dei passi si avvicinarono a lei. Lucia sortì dai suoi pensieri con una certa tremarella alle gambe. Avrebbe tanto voluto che quel ragazzo che stava davanti a lei si accorgesse in che stato si stava riducendo per via di tutto ciò. Cominciava ad avere un timore orrendo, come se da un momento all'altro potessero rapire anche lei.

Stando da sola, inoltre era un facile bersaglio ora che ci pensava e se avesse avuto qualche amico, anche una sola persona fidata con cui confidarsi, si sarebbe sentita sicuramente più tranquilla. Invece aveva tutti contro e non riusciva a levarsi dalla testa il pensiero che un po' della colpa fosse sua. Se non avesse ucciso Mattia, la gente ci avrebbe pensato due volte prima di andarle contro, ne era sicura di questo.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Giulio e sua sorella ***


   

Il ragazzo non sembrava avere intenzioni amichevoli, questo era certo. Si alzò in piedi guardando i suoi occhi così concentrati e mormorò:

– io non ho fatto niente e non ho idea di dove siano... se sei venuto per questo –

Il ragazzo si morse il labbro e rispose con un tono il più possibile controllato:

– Io sono Giulio, posso parlarti in privato? –

Era troppo formale. La situazione continuava a non piacerle. Con un sospiro accettò. Lui le dette le spalle e le fece segno di seguirlo. Lucia lo seguì con una brutta contrazione allo stomaco. Attraversarono il cortile popoloso e si nascosero dietro ad un angolo dell'edificio. Lucia non voleva parlare con lui, ma non pensava di avere altra scelta.

– Che cosa vuoi da me? Giuro che io non ho niente da dire – rispose cercando di mettere le mani avanti un'altra volta. Non sapeva cosa aspettarsi, sperava di avere qualche possibilità di avere una vera discussione. Sperava più di tutto di non doversi difendere e che i suoi sospetti non fossero fondati.

Lui si voltò, la guardò negli occhi e rispose quasi borbottando:

– Invece hai qualcosa da dire eccome, dato che sei stata tu –

Difficile dire cosa provò Lucia in quel momento, non era sorpresa ma quell'accusa le faceva male. Lui si avvicinò tanto che, se avesse voluto, avrebbe potuto sentire il cuore di Lucia partire per il suo viaggio. Lucia cercò di sostenere il suo sguardo.

– Dimmi dove sono o lo dico alle autorità, ti metteranno in prigione –

Lucia sentì il sangue confluire al cervello in un attimo. Doveva mettergli in testa che lei era innocente.

– Non mi metteranno proprio da nessuna parte! – esclamò, rabbiosa – Voi non avete nulla contro di me, io non ho niente da nascondere! Dalla vostra avete solo delle chiacchiere di corridoio e un incidente di qualche anno fa! – non si rendevano conto di quello che stavano facendo. Perché l'avevano presa di mira in quel modo? Pensavano di aver capito tutto, oppure erano così disperati da credere a qualsiasi cosa pur di pensare di avere una possibilità di recuperare quei ragazzi. Non voleva essere un capro espiatorio.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Minacce affondate ***


Lui, veloce come un animale, la afferrò per il colletto della camicia e la schiaffò sul muro. Lucia sentì i suoi polmoni tremare alla botta e d'istinto afferrò i polsi di lui. Lo guardò quasi pregandolo. Non voleva fare del male a nessuno. L'ultima cosa in cui sperava era di dover combattere per la propria vita con quel ragazzo.

– Guarda che ti ho visto! So cosa fai durante la notte! Non hai più scuse! Dimmi dove sono o spiffero tutto! –

Era chiaramente una bugia. Lucia si irrigidì. Durante la notte Lucia non faceva altro che dormire nel suo letto, se sperava di prenderla in contropiede così, si sbagliava di grosso. Lucia tolse le mani dai polsi di lui e lo guardò con gli occhi più seri che potesse fare. Se voleva convincerlo doveva essere credibile, doveva dimostragli che non diceva bugie. Con le mani che prudevano ed il cuore che saliva in gola rispose:

– Tu non hai proprio un bel niente! Se lo vai a dire al direttore, lui mi farà seguire durante la notte e scoprirà che io di notte non mi muovo dalla mia camera. Il tuo è un bluff inutile –

Accadde una cosa che la fece vacillare. Lucia sentì le mani del suo aggressore tremare, gli occhi cominciarono a diventare lucidi mentre il viso di lui si contraeva. Seguì un silenzio di tomba. All'improvviso, Giulio tirò fuori il suo pugnale dalla cintura, l'unica arma affilata di cui tutti gli studenti erano dotati per autodifesa e allenamenti senza l'istruttore. Attaccò il filo della lama al suo stomaco. Lucia era sicura di non essere mai stata minacciata in quel modo. Era sicura che non l'avrebbe uccisa se prima non avesse confessato tutto, ma avere quella lama allo stomaco la faceva sentire sotto torchio.

– Mia sorella Anna è sparita dalla nostra camera quattro giorni fa. Era giovane, bionda, con gli occhi azzurri, era il suo primo anno. Da allora non la trovo più. Ora tu mi dici subito dov'è, oppure... te lo farò sputare con la forza – Sembrava così serio che per un attimo le fece paura. Per un attimo le venne male al cuore. Era davvero disperato come sembrava. Aveva perso una persona importante e si era fiondato su di lei perché sperava, in cuor suo di ritrovarla. Se solo avesse capito che lei era innocente, Lucia avrebbe voluto aiutarlo, ma non poteva permettersi di avere compassione per il momento.

Lucia afferrò con la mano destra l'unica mano ancora avvinghiata al suo colletto. Era cosciente che se non si fosse difesa, quel ragazzo poteva essere abbastanza disperato da pensare di torturarla pur di avere le informazioni che voleva. Non poteva ucciderla, ma se avesse deciso di usare il coltello, si sarebbe messa male. La voce le tentennava per l'agitazione mentre cercava di difendersi:

– Ascoltami, ti scongiuro, stai prendendo un abbaglio, io non centro niente, chiunque ci sia dietro a queste sparizioni mi ha incastrato, io non ho idea di dove sia tua sorella. Se lo sapessi lo avrei già detto al preside –

Lucia sentì il filo della lama immergersi ancora di più nelle fibre della sua camicia e si senti tremare.

– Bugiarda! – mormorò a denti stretti, con le lacrime che cadevano dagli occhi, non sapeva se avere paura di lui, arrabbiarsi o compatirlo – se non sei stata tu, allora chi è stato? – la sfidò.

Lucia cercò di riprendersi rimanendo immobile e rispose:

– Non lo so, te l'ho detto; se avessi un'idea di chi fosse lo avrei già detto, non sono la persona che tu pensi... Quella di Mattia è stato un tragico incidente! Mi avrebbe ucciso se non lo avessi fermato, io non ho rapito quei ragazzi, credimi! –

La lama cominciò a tremare. I suoi occhi trasmisero il fuoco della rabbia e con voce rotta e tremante rispose:

– N-non mi lasci altra scelta! – lo sguardo di lui non le piaceva. Non era riuscita a convincerlo, neanche lei aveva altra scelta. Avrebbe dovuto combattere per la sua vita.

Lucia allungò la mano sinistra verso l'elsa del suo pugnale, sentendo già un ribaltamento di stomaco e il ribrezzo per quello che stava per succedere, di nuovo.

Lui tirò indietro la lama e la lanciò verso il suo fegato. Lucia sguainò il pugnale e la fermò. Il suo cuore era diventato una locomotiva, andava così veloce da far tremare le costole.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** la punta del pugnale ***


Il ragazzo cominciò a combattere contro di lei con una furia inimmaginabile. Sembrava che la rabbia avesse amplificato a dismisura la forza dei suoi colpi. Mentre Lucia si limitava a difendersi, lui gridò una frase che riuscì a distrarla:

– SE LE HAI FATTO QUALCOSA! GIURO CHE TE NE FARÒ PENTIRE! –

Quell'esclamazione attirò tutti i vicini. Una folla cominciò ad acclamare Giulio, lo incitavano. Ad un tratto al sua forza fu tale che con un fendente, la punta del pugnale le saltò, spezzata fra l'erba. Un'esclamazione carica di soddisfazione partì dalla folla. Il panico si impadronì di lei. I suoi movimenti si fecero ancora più veloci.

Lo sbigottimento del ragazzo alla vista della punta del pugnale sull'erba, durò una frazione di secondo. Permise a Lucia di afferrare il braccio armato, torcerglielo dietro la schiena e mettergli il filo del pugnale, ormai spezzato, alla gola. Così finì il combattimento.

Con il fiato corto, rimase ferma e zitta. La folla fece un sospiro di delusione. Alcuni le dissero di lasciarlo andare. Lucia fece un sospiro e chiese al ragazzo di prendere la sua arma ed andarsene. Lo lasciò andare. I due si guardarono penetranti. Giulio se ne andò insieme alla folla che lo seguì a ruota per fargli domande.

La lasciarono di nuovo sola e Lucia si appoggiò al muro respirando. Sotto gli occhi vide la punta del suo pugnale e si allungò per prenderla. Lasciò che la mente si svuotasse. Poi all'inizio delle lezioni se la mise nella tasca posteriore dei pantaloni e si diresse verso l'istruttore.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Lungo i corridoi ***


Il resto della giornata passò. Era lento e pesante più del solito. Sempre sola continuava a pensare a tutto quello che stava succedendo. Avrebbe tanto voluto avere qualcuno dalla sua parte, ma non poteva fidarsi di nessuno. Non mangiò nemmeno in mensa. Andò direttamente a letto e senza cambiarsi si avvolse nelle coperte chiudendo gli occhi. Si sentiva molto meglio così. Sinceramente non si aspettava di dormire, ma poi la mancanza di ossigeno fece la sua parte e si addormentò.

Il suo sonno fu nero come un pozzo, non sentiva altro che il calore della lana, la sua guancia affondata nel cuscino. Il suo respiro che si alzava e si abbassava. Una corrente di aria fresca le invase le guance ardenti. L'aria della notte penetrò nelle le narici. Qualcosa di ancora più freddo toccò il suo collo. Poi una voce di donna sussurrò:

– Svegliati principessa – Il sonno si spezzò.

Il torpore svanì. Aprì gli occhi lentamente e nell'ombra della camera, vide un'ombra di donna chinata su di lei. Sentì quel freddo alla gola, anche se il cervello era rallentato dal sonno, capì che era un oggetto in ferro. Pensò subito ad un pugnale e si sentì più sveglia di prima. Mentre il cuore cominciava a pulsare l'immagine di quell'ombra nell'oscurità notturna divenne più nitida.

Il suo respiro divenne pesante. La sua compagna di stanza dormiva nel suo letto. Lucia poteva svegliarla e chiedere aiuto.

– Se provi ad urlare o a crearmi guai in qualche modo, ti squarcio la gola – mormorò la donna.

Lucia deglutì con le mani che cominciavano a tremare nelle coperte.

– Ora alzati in piedi e mettiti le scarpe, dobbiamo fare una lunga camminata –

Lucia si alzò lentamente. La lama si stava allontanando di qualche centimetro ma era comunque letale. Non aveva idea dei suoi obbiettivi.

Si alzò a sedere sul letto e si infilò le scarpe il più in fretta possibile. La donna le disse di alzarsi lentamente. Lucia lo fece e la donna la prese per la spalla e la strinse a sé mettendogli il coltello alla gola. Il suo corpo si irrigidì per l'ansia. Il suo sguardo diretto alla porta.

Non aveva idea di dove l'avrebbe portata, di cosa le avrebbe fatto, ma quella sensazione era fin troppo familiare per farla entrare veramente nel panico.

La condusse nei corridoi, freddi e vuoti dell'accademia. Poi una piccola porta di servizio. Una scala a chiocciola tempestata di torce infuocate. Giù, sempre più giù. L'aria si raffreddava sempre di più, come se stesse per entrare in una ghiacciaia. Gli scalini si facevano sempre più polverosi e consunti. Stavano entrando nella parte più antica dell'accademia. Lucia, senza mantello aveva gli arti quasi insensibili per il freddo.

Quando si fermarono al penultimo scalino la donna le tolse il pugnale dal collo e la spinse. Lucia incespicò sull'ultimo scalino e riprendendo l'equilibrio si tenne ad una porta sul quale c'era scritto: “Attenzione, lavori in corso, pericolo crolli” su un cartello attaccato ad un'asse di legno appoggiata su due ganci sui muri ai lati di essa.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Gli occhi azzurri di Anna ***


Un orribile pensiero le parve in testa. Il pensiero che la stesse portando in quel posto isolato per ucciderla. La guardò alla luce della torcia. Sul suo viso c'era un ghigno di scherno e soddisfazione che aveva già avuto l'occasione di vedere.

– Hai intenzione di uccidermi? – chiese, già nel panico. Sperava che lo negasse.

La guardò negli occhi. Quando la vide scendere l'ultimo scalino il suo cuore partì ancora più furioso verso le costole. Aveva paura di quella donna armata, avrebbe potuto fare di lei quello che voleva perché Lucia era disarmata. Ma non disse niente, solo:

– Apri la porta –

Lucia strinse un pugno e rispose cercando tutto il suo coraggio:

– Non hai risposto alla domanda – se la stava minacciando per ucciderla non ci sarebbe stato motivo di seguire i suoi ordini,

La donna fece ancora un passo, il pugnale che aveva in mano era sul petto. Lucia riusciva quasi a sentire il suo cuore sbatterci contro.

– Non ti ucciderò se farai quello che dico io, te lo garantisco – il suo tono era convinto, si sentì persuasa a fidarsi nonostante tutto.

Lucia ci pensò un attimo. Poteva provare a disarmarla, ma non era allenata per questo; avrebbe potuto avere la peggio. Si voltò verso la porta, sentendo il pugnale stuzzicare la sua schiena. Tolse l'asse dalla porta e la spalancò.

Non aveva idea di cosa avrebbe trovato ma ciò che successe aprendola non avrebbe potuto prevederlo. A quanto pareva,alcuni dei rapiti credevano ancora che ci fosse lei dietro alla loro cattura, pensavano che Lucia e quella donna fossero complici. Perché la donna, si era limitata a legare mani e piedi e lasciarli in quella ghiacciaia vuota per dei giorni.

Quando, al fuoco di un'unica torcia, lei vide i loro visi. La metà di loro inveì dicendo:

– lo sapevo che c'eri tu dietro a tutto questo! – avrebbe voluto dire che non centrava nulla ma visto quanto ci aveva provato e quanto era riuscita a farsi ascoltare rinunciò in partenza e chiuse gli occhi cercando di non prenderla sul personale.

Lucia sentì la donna entrare con una risatina e chiudere a porta con un tonfo. Non ebbe il coraggio di parlare. Il pugnale ricominciò a stuzzicare la sua schiena un secondo dopo.

Uno dei ragazzi delle ultime file smise di parlare con la vicina sbottando:

– Ma vai a quel paese! – poi si rivolse a loro – Cosa avete intenzione di farci? Eh? Di tenerci qui per sempre? – Lucia lo guardò negli occhi desiderando con tutta se stessa che potesse vedere il pugnale puntato sulla sua schiena. All'improvviso, qualcuno: una ragazzina con capelli biondi, lunghi e degli occhi azzurri luminosi gli urlò con udibile irritazione:

– Lorenzo! non è una complice! – il ragazzo si voltò verso la ragazzina sorpreso:

– Cosa? Sei seria Anna? –

Lucia ringraziò mentalmente la ragazzina guardandola alla luce della torcia. Anna disse a Lorenzo, ansimando:

– Ha un coltello puntato alla schiena, è stata rapita come noi! – dopo di che riabbassò la testa sul pavimento rimanendo in silenzio. Lucia li guardò, i ragazzi erano sorpresi, non si aspettavano davvero che lei potesse essere una vittima come loro. Ma poi ritornò ad Anna.

Anna, occhi azzurri e capelli biondi, che quella fosse la sorella del ragazzo che l'aveva aggredita? Per Lucia non c'erano molti dubbi.

Lorenzo si guardò in giro e qualcuno annuì, poi la guardò con la bocca aperta e rimase zitto. Lucia deglutì e abbassò lo sguardo pensando a cosa aveva intenzione di fare la donna. Non poteva averla portata lì solo per farla stare in piedi davanti a dei ragazzini. Ma la risposta venne subito. La donna mormorò suadente:

– Adesso parliamo un po' – Lucia non riusciva a trattenere le domande, se doveva morire voleva sapere almeno il motivo. Perché tutto questo?

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Il peccato ***


– Tu chi sei? – mormorò. Cercò di mantenere la calma, anche se non le riusciva molto bene.

– Davvero non lo capisci? – lo chiese con un tono vagamente sorpreso anche se freddo. Lucia aveva il timore che la donna volesse essere riconosciuta, ma non poteva essere sicura di chi fosse. Non si azzardava a dare una risposta di cui non era sicura, avrebbe potuto provocare più guai che altro. Quindi con il cuore in gola scosse la testa, pregando che non la uccidesse per averla “dimenticata”.

Lei, con somma sorpresa non reagì. Rimase in silenzio per un po' di tempo e poi, con noncuranza rispose:

– Non importa, vedrai che ti verrà in mente... – sembrava quasi che si divertisse a vederla in difficoltà, dopo ciò assunse un tono molto più pratico – adesso metti le mani dietro la schiena.

Lucia unì i polsi. Sentì la donna fermarli con la mano e rinfoderare la lama. Una corda spessa cominciò a stringere i polsi. Estremità di corda si incrociavano intorno ai polsi, la avvolse per quattro volte, poi la arrotolò in mezzo a loro, stringendo ancora di più. Capì che aveva finito quando sentì lo strappo del doppio nodo. Sentì la donna mormorare soddisfatta mentre lo stomaco si rigirava per la tensione. Rimase ferma ad aspettare che succedesse qualcosa. Ormai era chiaro che quella donna non la voleva come alleata, anzi, sembrava odiarla con tutta se stessa.

Una pedata vibrò sulla sua colonna vertebrale. Lucia cadde in ginocchio, poi precipitò battendo sul fianco. Adesso il suo odio era chiaro. Rimase in uno stato di confusione per quel tempo che servì alla donna per legarle anche i piedi, allo stesso modo. Si chiese perché doveva sopportare tutto ciò. Cosa aveva fatto a quella donna per farla tanto arrabbiare?

Un dolore alle costole e alla schiena pulsavano ma Lucia cercò di contenersi solo per fare un ultima domanda:

– Cosa ci faccio qui? – sperava in una risposta più di qualsiasi cosa. Tutto ciò aveva l'aria di una punizione. Avrebbe voluto sapere qual'era il suo destino per potersi, quanto meno preparare al peggio. Quando la donna si alzò, la vide stringere ancora più convulsamente il pugnale nella mano e rispondere con voce tremante di rabbia:

– Non ci arrivi proprio? – lo sguardo di lei era fulminante. Lucia cominciò a non capirci nulla, l'ansia e la tensione le impedirono di ragionare. L'unica cosa a cui riusciva a pensare era che la sua vita era in pericolo. Era tutto quello che riusciva a discernere dalla conversazione con quella donna. Il suo sguardo diceva che era intenzionata a farla soffrire.

La guardò, senza rispondere. La donna si mise una mano sul fianco e con tono distante mormorò:

– sei ancora viva! Dopo aver commesso un peccato orrendo –

Con ciò era arrivata al cuore della questione. Era qui per lui, ormai era certo. Era l'unica cosa che poteva definire “peccato orrendo”.

Era per lei che aveva rapito tutti quei ragazzi e l'aveva portata laggiù. Riusciva a capire il punto di vista della donna. Aveva ucciso una persona e non era stata condannata, avrebbe dovuto quanto meno andare in prigione per questo, invece no. Ma cosa ne sapeva quella donna di Mattia?

Respirando annuì. La donna si avvicinò e si chinò su di lei guardandola negli occhi, uno sguardo freddo, pieno di rabbia.

– Quindi lo ammetti – mormorò – hai ucciso mio figlio e senza il minimo senso di colpa – riusciva a sentire tutta la sua rabbia.

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Il biglietto per la prigione ***


Lei era la madre di Mattia, ora che lo sapeva le pareva ovvio come il sole. Ecco perché le importava tanto, forse voleva vendicarsi. Ma non era vero che non se ne era pentita. Dopo che successe, non ebbe più il coraggio di attaccare qualcuno senza avere paura. La morte di Mattia aveva fatto molto più di quello che sua madre si immaginava. Lucia, guardandosi intorno con la coda dell'occhio non poté non notare che tutti avevano gli occhi puntati su di lei come se si aspettassero una spiegazione. Doveva dargliela, tanto non aveva altro da fare, forse avrebbe potuto salvarsi la vita, mostrando alla madre che si sbagliava su di lei, e che era pentita davvero.

Quindi, con il tono più calmo che riuscisse a trovare rispose:

– no, non è vero, non c'é giorno in cui... non mi penta di averlo fatto... –

La donna si alzò. Le mani che tremavano più di prima. Lo sguardo era peggiore del precedente. Si strinse i capelli poi la guardò con occhi affilati come spade. Si avvicinò e... le tirò un calcio nello stomaco. Questo entrò più di quanto avrebbe pensato. Lucia sentì il suo fianco sfregare sul pavimento. Lo stomaco si ribaltò all'istante, il respiro si mozzò, le vennero e lacrime agli occhi, e per un attimo rischiò di vomitare. Le ginocchia si avvicinarono al ventre mentre cercava di respirare. Non aveva mai pensato che ricevere un calcio nello stomaco fosse così tremendo.

– Sei una bugiarda – mormorò la donna con la voce tremante. Non le aveva creduto, come tutti gli altri, Lorenzo all'istante gridò rabbioso:

– Smettila brutta strega! – Lucia lo vedeva dimenarsi sul pavimento e si sentì un po' rincuorare – ha detto che le dispiace! Cosa vuoi? Che si metta a pregare? –

Anche se non avrebbe sortito grandi effetti era bello sapere di avere qualcuno dalla propria parte, non ti faceva sentire completamente abbandonato.

Anna dall'altra parte della stanza rispose:

– Lorenzo non la provocare! – che era un ottimo consiglio visto il soggetto.

Lucia puntò il suo sguardo su Lorenzo perché questo stava per rispondere ma, la donna indicò il ragazzo con il pugnale i guardandolo negli occhi disse:

– Tu non ne sai nulla! – poi si rivolse agli altri – VOI NON AVETE IDEA DI CIÒ CHE HA FATTO QUESTA RAGAZZA! –

In effetti era vero, loro non lo sapevano. Lucia si era quasi ripresa dal colpo, ma la sua voce sembrava venire da un flauto tappato. La fatica che fece per parlare la stancava, ma doveva quanto meno sapere una cosa:

– Cosa vuoi fare con loro? – chiese, perché il fatto che fosse arrabbiata con lei era ovvio, ma non aveva capito cosa centravano gli altri ragazzi. Che senso aveva rapire ragazzi che non avevano nulla a che fare con Mattia, per mettere in atto una vendetta? I ragazzi guardarono tutti verso la donna. Lucia sperava solo che non avesse intenzione di farli fuori, se qualcuno fosse morto per colpa sua, non se lo sarebbe più perdonato.

– Cosa voglio fare con loro? – borbottò fredda come il ghiaccio – la domanda vera è: Cosa voglio fare con te? Loro sono il tuo viaggio di sola andata per la prigione di stato, Lucia –

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** La madre della vittima ***


Prigione? Di cosa stava parlando? Voleva mandarla in prigione a vita? La cosa non le piaceva.

– Ma di che ca**o stai parlando? – mormorò Lorenzo, la sua voce era più tesa di una corda di violino. La donna rispose con un tono di voce che mostrava tutto il suo rancore.

– Ho provato a rivolgermi alle autorità ma l'hanno classificato come un incidente, quando noi sappiamo che è stato un omicidio giusto? Tu lo odiavi mio figlio, avresti fatto di tutto per togliertelo dai piedi. – lo disse con un tono strafottente, guardandola negli occhi come si fa con un criminale per farlo confessare – Lo hai ucciso, poi sei andata dal preside con la tua bella faccia e lui ti ha creduto. – fece una piccola pausa e poi riprese – Sei stata trasferita qui e l'hai fatta franca, ma per fortuna, io insegnavo alla scuola, le guardie mi hanno avvisato essendo la madre della vittima, e quindi mi sono fatta trasferire anche io. Contenta? –

Quella donna voleva vendicarsi per la morte di suo figlio. Pensava che l'avesse ucciso apposta. Una volta capito il suo fiato si fece ancora più breve. La guardò negli occhi, fissa senza dire niente. Era rimasta attonita. Non avrebbe mai creduto di entrare in una situazione simile. Ma ancora di più non voleva immaginare cosa avesse provato quella donna quando le guardie hanno detto a lei che Lucia aveva ucciso suo figlio per errore, non avrebbe mai potuto pensarci.

In automatico le venne l'impulso di muoversi. I polsi e le caviglie erano strette e la posizione le faceva venire mal di schiena. Tirò i polsi, tirò le braccia, cercando di allentare le corde.

– è inutile che ci provi, le ho legate strette – mormorò.

Aveva ragione, non avrebbe potuto sfilare i polsi nemmeno con le braccia di gomma. Si distese ansimante sul pavimento pensando ad una soluzione per fuggire e liberare quei ragazzi. Le venne in mente la punta del suo pugnale. Il pugnale se l'era tolto prima di infilarsi nel letto ma la punta doveva trovarsi ancora nella sua tasca posteriore dei pantaloni. Se il suo ragionamento era giusto aveva una possibilità di svignarsela e chiamare qualcuno.

– Lucia! Sta dicendo la verità? – era la voce di Anna che mormorava alle sue spalle – hai ucciso qualcuno e lo hai fatto sembrare un incidente? – Lucia non rispose, non le piaceva essere messa sotto esame e aveva altro a cui pensare. Pensava che cercare di fuggire fosse più importanti di dare spiegazioni. Si distese schiacciando il fondo-schiena sulle mattonelle avrebbe capito in quale tasca e se c'era davvero.

– Certo che sì, piccola stupida! – le rispose la madre con tono strafottente – lei e il direttore hanno insabbiato tutto ed io oggi farò giustizia, la manderò in prigione per i suoi crimini, per questo l'ho portata quaggiù – tutto si zittì. Insabbiato? Se non avesse detto la sua versione, tutti avrebbero creduto a quella della donna. Una versione plagiata dalla sua rabbia e nient'altro. Inoltre era necessario distrarla se voleva cercare la punta del pugnale indisturbata.

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Diciotto vite per una. ***


Lucia prese fiato e scosse la testa:

– Non è così... le autorità sanno che sono stata io e sanno cosa è successo, è stato un incidente, il direttore mi ha solo garantito che la notizia non si sarebbe diffusa in giro... per proteggermi – rispose.

Con sollievo sentì subito una sagoma a forma di freccia in fondo alla tasca. Doveva solo arrivare a prenderla con una mano e poi usarla per liberare i suoi polsi.

Ancora Silenzio. La madre non rispose. Le andò vicino e con una nota di disprezzo nel viso e nel tono rispose:

– Ritornando a noi, io ho un piano preciso per te... – e così con un ghigno soddisfatto spiegò – Ucciderò tutti questi ragazzini... – Lucia fece un balzo insieme allo stomaco, si era trattenuta dal darle un calcio perché stava contemplando la sua vendetta – uno per uno... – li avrebbe uccidi tutti? No! Perché? Loro non centravano niente come poteva? Non era diversa da suo figlio – Quando andrò a chiamare le autorità, loro ti vedranno e trarranno le loro conclusioni – era un piano così diabolico e congegnato, Lucia si chiese come le era saltato in mente, pensava di incastrarla fin dall'inizio. Era stata sincera quando aveva detto che non l'avrebbe uccisa, non sarebbe stato necessario, ci avrebbe pensato le autorità al posto suo, così avrebbe avuto la giustizia che voleva.

Lucia sentì il suo cuore salire fino alla gola. Non voleva che succedesse. I ragazzi cominciarono a parlare tutti insieme. Anche Lorenzo gridò disperato:

– Non puoi farlo! Noi non centriamo nulla in questa storia! – ma la madre non sembrava volere ascoltare giustificazioni. Era determinata a farlo a qualunque costo. Come poteva pensare di fare una cosa del genere? Per Lucia era privo di senso.

Lucia allungo la mano entrando nella tasca. Doveva riuscire a liberarsi prima che iniziasse la strage, ma la donna si era già alzata e si dirigeva verso Lorenzo, con il pugnale in mano. I ragazzi la pregavano di non farlo. Lucia prese fiato e, prima che potesse alzare il pugnale gridò:

– NO! – la gola cominciava a grattare ed il cuore non rallentava più – NON FARLO TI SCONGIURO, TI PREGO! – non voleva che degli innocenti morissero a causa sua. Se avesse dovuto pregare per le loro vite lo avrebbe fatto.

Doveva trattenerla a tutti i costi. Doveva tenerla occupata finché non sarebbe riuscita a liberarsi, altrimenti sarebbe stato tutto inutile. Purtroppo non era facile andare a frugare in una tasca con le mani legate. La donna fece un finto viso stupito e tenendo la schiena dritta, si voltò e rispose:

– oh!... mi preghi?... dimmi... – ora aveva tutta la sua attenzione, per un attimo smise di cercare –... mio figlio ti ha pregato di risparmiarlo prima che tu lo uccidessi a sangue freddo? – silenzio di tomba, di nuovo.

urlare l'aveva lasciata senza fiato, ma non poteva permettersi di stare zitta. Con la lama tra le dita, cerco di avvicinarla alle corde del polso opposto. La contorsione del polso la faceva quasi sudare. La lama doveva essere abbastanza affilata da rompere le corde in poco tempo.

– Non è così – spiegò – tu... pensi che io l'abbia ucciso apposta, ma non è così... – fece del profondi respiri e formulò – è... è vero lo odiavo tuo figlio... ma non l'ho ucciso... lui mi è venuto addosso... ed ho dovuto difendermi... se... se lui avesse chiesto pietà per la sua vita... io lo avrei risparmiato... è la verità! – ora stava davvero pregando per essere risparmiata. Era la verità, avrebbe risparmiato Mattia in nome della sua compassione, non avrebbe mai avuto il coraggio di togliere la vita a qualcuno senza provare pietà per lui.

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Mezzo Respiro ***


– Ma stai dicendo sul serio? – chiese Lorenzo, anche lui a corto di fiato, forse per lo spavento.

Lucia lo guardò con uno sguardo implorante e ripeté:

– si! Se... se avessi potuto evitarlo non lo avrei ucciso –

Silenzio. Lorenzo aveva uno sguardo assorto.

Lucia, con sommo orrore, vide la donna camminare verso di lei con lo sguardo irato. Lucia strinse di nuovo la punta della lama nella sua mano. In qualche modo aveva creduto un'altra volta che mentisse, forse pensava che volesse ingraziarsi gli altri ragazzi, manipolarli per i suoi scopi e la cosa la fece arrabbiare. La donna tirò indietro la gamba. Chiudendo gli occhi, Lucia cercò di farsi indietro, di farsi coraggio. Il colpo esplose nelle costole. Senti dei sussulti intorno a se. Sentì il proprio corpo spostarsi saltando quasi per il colpo. Una scossa invase l'addome, Lucia rimase senza fiato. Il dolore si ingrandì nello stomaco e nei polmoni. Cominciò a tossire di continuo.

Anna gridò: – lasciala stare!... Anche se avessi ragione... tutto questo è orribile! Smettila! – Ma la donna non rispose. Quando Lucia alzò lo sguardo su di lei, la vide guardarla con rabbia e disgusto. Non le avrebbe mai creduto e non avrebbe mai ceduto, era crudele tanto quanto suo figlio.

Ebbe la sensazione che anche i suoi polmoni stessero per scoppiare. Tossì con forza sentendo le dita intorno alla lama bruciare: qualcosa di caldo scivolava tra di esse.

– Non raccontarmi fandonie – lo disse con un tono distaccato, come se non gli importasse di lei, quanto delle sue parole. Lucia provava a respirare, ma era come se i suoi polmoni fossero stretti da una corda.

– Tu sei una bugiarda – disse – Anche se ti avesse pregato, lo avresti fatto fuori comunque, anzi, probabilmente lo ha fatto e tu lo hai ucciso proprio per questo –

Lucia aveva la sensazione che la donna confondesse la propria crudeltà con quella di Lucia. Forse pensava che loro due ragionassero allo stesso modo. Con il fiato spezzato Lucia trovò la forza di scuotere la testa:

– No... – la sua voce era poco più che un rantolo. Il solo pensiero di parlare era insopportabile. Non sapeva nemmeno se riusciva a sentirla ma ci doveva provare. Era disposta a prendere tutti i calci che lei voleva dargli, pur di salvare quei ragazzi. Loro non centravano niente e si meritavano di essere liberi. Cercò di trovare la forza di riprendere tra le dita tremanti quel pezzo di lama, e ritentare.

– Non è andata così... – riprese a tossire sentendo lo stomaco ammaccato ed in subbuglio – credimi, – mormorò – il mio desiderio non era quello di liberarmi di lui... nonostante lo odiassi davvero... non lo avrei ucciso per questo... – Lucia non la guardava, non voleva guardarla, ma il silenzio le diceva di continuare – Lui era un... un criminale, per quel che mi riguardava... – altri due colpi di tosse le mozzarono il fiato, era cosciente di starsi dando la zappa sui piedi ma in qualche modo doveva tenerla occupata.

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** la morte di un criminale. ***


– Lui... ricattava i cadetti frugando nella loro vita personale...si approfittava delle persone... godeva... nell'avere tutto e tutti sotto controllo... era più lui... a volermi morta... è per questo... che mi ha attaccato quel giorno... perché... io... non volevo cedere alla sua prepotenza...– il suo stomaco buttò fuori altri due colpi di tosse, si contorceva sempre di più – lui... mi è venuto a cercare... e... ha chiesto a me di... farmi da parte prima che... potessi farmi male sul serio... io risposi di no... de - detestavo le persone come lui... allora lui ha tirato fuori il pugnale... ha detto che dopo avermi fatto fuori... mi avrebbe nascosto e... avrebbe preso il controllo della scuola... n-nessuno mi avrebbe cercato...non... non potevo permetterlo... – in qualche modo la storia sembrava interessarle, sapere come era morto suo figlio, aveva catturato la sua attenzione, tanto che non la interrompeva, quindi continuò – … mi attaccò con il suo pugnale... io... fui costretta a difendermi... ma lui era una furia e... mi mise all'angolo ...senza che... – ancora colpi di tosse – … che potessi fare altrimenti... ero contro il muro... lui... ha alzato la lama verso di me... mi... mi avrebbe ucciso... ma... a... aveva lasciato... il fianco scoperto e... ed io ne ho approfittato... – Sentiva che solo due corde la separavano dalla libertà, le serviva altro tempo. Si fermò per recuperare fiato.

– Quindi è stata semplice autodifesa – mormorò Lorenzo con un tono che andava verso il malinconico – lo hai pugnalato perché non avevi scelta, era... la sua vita contro la tua – alzò gli occhi e vide che cercava il suo sguardo come a volere chiarimenti. Lucia annuì e abbassò lo sguardo, continuando a respirare. Nella sua testa stava ancora a ripensarci.

Lucia fissò lo sguardo famelico e interessato della donna, le diceva di continuare. Lucia non aveva ancora detto cosa aveva provato. Forse poteva persuaderla a perdonarla, non ne era certa ma comunque, cercò di dire solo la pura e semplice verità, mormorò:

– Qu-Quando l'ho visto cadere... in quella pozza di sangue...e...ero così... così disgustata da me stessa... – il senso di colpa crebbe e le strinse la gola, davanti ai suoi occhi era ancora viva la scena – ero... co-così sconvolta... che... che mi venne da vomitare... mi-mi dispiace tanto per averlo fatto... n... non avrei voluto – mormorò, la terza corda si spezzò. Lucia riprese il contatto visivo verso la donna. Aspettando la sentenza. Dopo lunghi secondi smise di guardarla. Gli occhi le si facevano pesanti, nonostante il cuore battesse ancora fortissimo. Era così stanca. Tutti stavano in silenzio.

Non aveva raccontato a nessuno quella storia, e l'aveva raccontata ad una persona che la voleva in prigione a tutti i costi, non si aspettava di essere compresa. Non si aspettava nulla a dire la verità.

La donna rimise la lama nella fodera e si chinò su di lei. Lucia aveva paura che la picchiasse un'altra volta. Dai sussulti che sentiva intorno a ne deduceva che era così anche per gli altri.

La donna la afferrò per il colletto e la tirò su di peso. Anna le gridò ancora di non farle del male, ma la madre non sembrava nemmeno sentirla. Lo stomaco era tutto un dolore ma Lucia resistette all'impulso di gemere.

– Scusami... – mormorò la donna – ma non mi interessano le tue giustificazioni. Spiace più a me che sia morto, su questo non ci piove. – Lucia non poteva dire che gli mancava, ma non si prendeva il merito di averlo ucciso, sarebbe stato meschino. Anche se la madre sembrava volergli fare male, Lucia sapeva che dentro di lei c'era un grande dolore, una grande sofferenza, altrimenti non avrebbe reagito in quel modo, e se pensava che lei stessa lo aveva provocato, si sentiva malissimo.

Forse era vicina con lo spezzare l'ultima corda. Ma voleva sapere un'ultima cosa, forse poteva riuscire a far risparmiare la vita agli altri ragazzi e convincerla a concentrarsi solo su di lei. Un ultimo disperato tentativo per farla desistere dal suo intento. Poteva offrirgli qualcosa in cambio della vita di quei ragazzi.

– Lo so di essere al centro... del tuo odio, ma... vorrei che tu mi spiegassi... per... per quale motivo... vuoi... sacrificare ragazzi innocenti, per colpa mia... Loro non lo meritano... perché... non mi uccidi... e la fai finita?... per favore. –

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Mio figlio era uno stupido ***


La donna la lasciò cadere in terra con un tonfo e uno sguardo di ghiaccio. I polmoni ricevettero un colpo che li scosse. Lucia si rannicchiò d'istinto. Con fare razionale la donna rispose:
– Mio figlio era uno stupido... – quella dichiarazione la sorprese più di qualsiasi cosa – Perché anche se ti avesse ucciso e nascosto, se qualcuno avesse trovato il tuo corpo lo avrebbero condotto subito a lui. Nessuno avrebbe esitato ad additarlo; l'unico modo per uccidere qualcuno con il minor numero di rischi è lasciare che siano le autorità a farlo. Se in questo momento io ti uccidessi, tutti arriverebbero alla conclusione che io volevo vendetta per mio figlio, tutti lo sanno chi sono. Invece ho rapito persone che con me non avevano nulla a che fare lasciando te. Io dirò a qualcuno di averti seguito, nessuno si chiederà il perché e quando ti vedranno legata con i corpi senza vita dei ragazzi rapiti qui dentro, dirò che ti ho legato io e tutti trarranno la conclusione che sei una sporca assassina. Perché è quello che sei. Nessuno sospetterebbe di me. Tu hai un riflettore puntato addosso da quando sei entrata in questa scuola e nessuno negherà il fatto che ci potresti essere tu dietro le morti, visto che gliel'ho detto io. La gente è molto manipolabile sai? –
I suoi polsi erano liberi, ora poteva agire. Le venne l'impulso di muovere le mani e i polsi. Adesso doveva solo aspettare che si girasse per liberarsi le caviglie.
– Ci hai manipolato per farci credere che fosse colpa sua! – esclamò Lorenzo incredulo. La madre confermò e poi torno a guardarla.
Lucia non rispose. Si appoggiò sul pavimento. Non poteva fare niente finché non si fosse girata. Non sapeva nemmeno da quanto tempo stavano lì, potevano essere ore come minuti. Era stanca, aveva freddo e avrebbe tanto voluto riposarsi.
La donna però la guardava come ad aspettare qualcosa:
– Allora? – mormorò con tono piatto – sto per rovinarti la vita, non dici niente? –
Lucia non doveva inventarsi nessuna scusa, perché c'era un motivo più che valido del perché non aveva voglia di parlare.
– N-non ho altro da dire... – rispose – s... sono stanca –
Ma non poteva permettersi di dormire. Era venuto il momento di agire una volta per tutte e doveva raccogliere le energie. Fu per questo che cercò di riprendere fiato chiudendo gli occhi, come a riposare, rallentare il ritmo cardiaco, riempire i polmoni, sopportare il dolore.
– Ormai hai capito anche tu che te lo meriti, non cerchi nemmeno di fermarmi, – così concludendo sentì la donna alzarsi in piedi, e fare due passi verso Lorenzo. I ragazzi cominciarono ad urlare: chi cercava di spronarla a fare qualcosa, chi pregava o cercava di concordare qualcosa con la donna.
Lucia aprì gli occhi e con fatica mise i gomiti a terra e si alzò a sedere. Molti, dalla sua parte, si zittirono. Anche con le mani ed il polso destro pieno di tagli si fiondò sul nodo delle caviglie. Ci mise un paio di secondi a tagliare il filo vicino al nodo. Le caviglie si liberarono in un attimo, le corde si afflosciarono.

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Vivere o morire, scegli tu. ***


Sentì dei sussulti ma non aveva intenzione di farsi rallentare. Lei era arrivata a chinarsi sul ragazzo.

Non aveva detto ancora nulla e la donna non si era accorta di niente. Lucia lasciò andare la punta di ferro, si afferrò lo stomaco dolorante con la mano sinistra, che buttava sangue dai tagli sul dorso del polso. Si alzò in piedi.  Con la mano destra, in cui i tagli erano quelli più profondi, afferrò la spalla della camicetta della donna e la spinse a terra.

La donna sussultò. Lucia non perse tempo ad ascoltare le esclamazioni e le incitazioni dei ragazzi. Le mise un ginocchio in petto e bloccò il braccio sinistro. Lei cercò di immergere la lama nel fianco. Fu una fortuna che non la colpì. Con la mano sinistra la afferrò per il polso armato, prima che potesse fare qualcosa. La lama tremava verso di lei mentre la sua mano spingeva lontano. La fatica fu incredibile, se si fosse arresa sarebbe morta insieme a tutti gli altri, non poteva permettersi di perdere. La spinse sempre più giù, più andava avanti e più sentiva energie che non sapeva di avere. Con un tonfo la mano armata cadde sul pavimento.

La donna si era arresa: l'arma scivolò dalla mano a poca distanza dal palmo. Lucia la prende e la puntò sotto il mento di lei. La donna smise all'istante di dibattersi. Lucia aveva il fiato pesante e le tempie che pulsavano. Adesso però aveva un problema. Non voleva ucciderla, però non poteva legarla senza l'aiuto di qualcuno. Ma se doveva liberare i ragazzi doveva lasciarla andare. Intanto sentiva Lorenzo gridare alle sue spalle:

– Uccidila! Non hai altra scelta! –

Alcuni più indietro gli davano ragione. Sentiva Anna gridare di non farlo perché non l'avrebbe passata liscia questa volta. Ma Lucia scosse la testa:

– No! La scelta è sua – rispose – ascolta – disse rivolta alla donna – posso ucciderti qua e adesso, oppure potresti lasciarti legare da me e giudicare dalle autorità. Decidi cosa vuoi fare? –

La donna la guardò fissa rimanendo in silenzio per molto tempo. Lucia non si azzardò ad interromperla, aveva la sensazione che avrebbe fatto male a farlo. Se si fosse lasciata legare sarebbe stato perfetto.

– Potrei andare in prigione al posto tuo, ma scelgo di morire come mio figlio, almeno così lo rivedrò in paradiso – Quella risposta fu peggio di una pugnalata. La donna era così disperata da scegliere di morire. Si chiese se era così che doveva andare a finire, doveva uccidere un altro essere umano?

Lucia non aveva idea di cosa di preciso l'aveva fatta commuovere in quel modo. Il respiro si fece ancora più ansimato. Un rospo si era fermato in gola e gli occhi avevano cominciato a bruciare e a buttare giù lacrime. La donna spalancò gli occhi, come se non avesse mai contemplato una cosa del genere. Avrebbe voluto nascondersi ma non poteva, aveva le mani occupate. Si sentiva come se stesse per sprofondare in un buco nero. Stava mordendosi la lingua per evitare di singhiozzare, inutilmente perché non riusciva a smettere. Ma questa poteva essere l'occasione per liberare almeno il ragazzo che era dietro di lei.

Quindi allontanò la lama un poco sentendo la sua mano tremare e mormorò:

– d- d'accordo... c-chiudi gli occhi...f-farò in fretta –

Anche allentando la presa sul braccio non successe nulla. La donna chiuse gli occhi con un'espressione di fierezza che soffocava Lucia ancora di più.

Quella donna avrebbe voluto davvero morire, ma Lucia non poteva permetterlo. Si voltò subito verso il ragazzo alle sue spalle e con un rapido colpo di lama gli liberò i polsi. Lucia non gli lasciò il tempo di ringraziare.

– A-Aiutami a tenerla ferma – mormorò.

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Tutto finito. ***


Quando la donna sentì quella frase allungo le mani. Lucia sentì le spalle spingere verso l'esterno. La donna cercava di tirarsi in piedi. Lucia allungò le mani verso le spalle di lei, imbrattando la camicia di altro sangue, cercò di tenerla giù con le sue restanti forze. Intanto aveva sentito il ragazzo alzarsi in piedi. Con la coda dell'occhio lo vide riprendere le corde ancora utilizzabili in giro.

Quando lo vide arrivare, non ebbe il tempo di dire nulla. Lui prese le braccia della donna e cercò di staccarle dalle spalle di Lucia, e ci riuscì. Poi prese il suo posto. Cercarono di tenerla ferma in due, la girarono nonostante tutte le sue grida e l'agitazione.

– Truffatrice! Bugiarda! Disonorata! – gridava.

Insieme le prenderono i polsi e li legarono dietro la schiena con il suo stesso nodo. Con un altro pezzo di corda legarono strette le caviglie e mentre lei si dibatteva come una sogliola fuori dall'acqua, cominciarono a liberare gli ostaggi. Lucia con il pugnale della donna e Lorenzo con la recuperata punta di pugnale.

Lucia, una volta finito, si appoggiò contro il muro cercando di calmarsi ,ma le lacrime scendevano lente sul suo viso. Le dispiaceva per tutto, per tutti i guai che aveva causato. Non rispose alle domande, ai ringraziamenti ed ai festeggiamenti. Quando ebbero finito rimase in piedi a guardare le persone che si rimettevano in piedi, senza dire niente. Si strofinò il naso e cercò di asciugarsi gli occhi. Era ora di andare a chiamare le autorità. Si guardò le mani, piene di tagli sanguinanti che bruciavano. Guardò quella donna e le venne un brivido lungo la schiena. Non voleva più vederla. Era felice che fosse tutto finito.

Loro cominciarono a discutere di cosa farne della donna, di quello che era successo e ancora nessuno ci credeva che erano stati rapiti per una vendetta del genere. Lucia però era stanca e mentre tutti parlavano alzò la voce nel tentativo di richiamare l'attenzione:

– Ragazzi! – tutti si girarono e Lucia mormorò – Andiamo via per favore, non... non ho voglia di restare qui –

Tutta la stanchezza di un'intera giornata passata a combattere si stava abbattendo su di lei, tanto che si sentiva ancora il fiato in gola. Si diresse verso la porta dondolando e, come se dovesse spostare un oggetto pesante, spalancò la porta. Era pronta a salire tutti gli scalini, si era già appoggiata al telaio, dopo di che si avviò lungo di essi. Li salì uno alla volta. Non sapeva quanto tempo ci mise ma sapeva di star andando più lenta degli altri. A momenti si appoggiava al muro. Ad un tratto Lorenzo e Anna la presero per le braccia e la aiutarono ad arrivare in cima. La lasciarono andare nel corridoio e Lucia li ringraziò.

Quando uscirono fuori era ancora buio. Il preside non ci sarebbe stato fino alla mattina quindi decisero di andare tutti a letto. Tanto la donna non sarebbe potuta uscire nemmeno se si fosse slegata. Lorenzo si era premurato di chiuderla dentro. Il giorno dopo avrebbero avvertito il preside. Lucia ritornò alla sua camera, entrò e si buttò sul letto così com'era, senza badare ai tagli o altro.

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Il tempo delle scuse ***


Il giorno dopo un'esplosione di chiacchiere e urla la svegliarono piano piano. La sua compagna di stanza si era alzata mormorando:

– Ma cosa sta succedendo? –

Lucia sentì il bisogno di alzarsi a sedere. Anche con la testa che girava seguì la sua compagna fuori dalla stanza. Una ragazza andò dalla compagna di stanza dicendo che gli scomparsi erano tornati. Lei rimase a bocca aperta chiedendo cosa fosse successo. Entrambe la guardarono e poi l'amica rispose:

– è stata l'istitutrice del corso per spie! Loro stanno raccontando tutto, vieni! –

Le due si avviarono lungo il corridoio, alla luce del sole. Una discreta folla , un po' vestita ed un po' in camicia da notte si immergevano in semicerchio, dal suo interno, il preside spiccava con i suoi capelli grigi e l'occhio analitico.

Lorenzo stava raccontando tutto. Lucia avrebbe tanto voluto sapere se l'avevano già portata via o se era ancora nelle segrete o era scappata in qualche modo.

Lui sembrava essere partito da poco:

– A me mi ha svegliato durante la notte e mi ha chiesto di seguirla dicendo che aveva bisogno di aiuto, dato che era una professoressa che conoscevo di vista io l'ho fatto e mi ha portato in quella ghiacciaia. Quando sono arrivato io c'erano già una decina di ragazzi e … si sospettava ancora che ci fosse Lucia dietro a tutto questo quindi ho subito pensato che avere un complice nei professori era una buona strategia per rapire i ragazzi senza che nessuno sospettasse nulla. Mi ha minacciato di uccidermi se non avessi acconsentito a legarmi e.. io ho acconsentito non potevo fare altro.

A quel punto intervennero gli altri dicendo che la dinamica era più o meno la stessa. Erano stati fregati, alcuni per il fatto che era una professoressa e anche un'ottima attrice, altri perché si aspettavano che Lucia li avrebbe minacciati con un coltello.

Il ragazzo si mise a raccontare di come li trattava. A quanto pareva lasciava il cibo in un sacco e loro mangiavano con le mani, aveva legato le mani davanti per evitare di doverli imboccare uno per uno. Per i bisogni naturalmente era un'altra storia, hanno dovuto arrangiarsi un po' da soli. Lucia vide Anna con il ragazzo che l'aveva attaccata il giorno prima per disperazione, ne rimase un po' sorpresa ma le faceva comunque piacere vedere che alla fine si erano riuniti. Quel ragazzo poteva essere stato anche uno stupido ed un impulsivo ma amava davvero la sua sorellina. Senza pensarci fece un piccolo sorriso.

– Insomma... siamo andati avanti così finché... lei non ha portato giù anche Lucia, io pensavo che fosse una sua complice ma... poi qualcuno mi ha detto che aveva un coltello puntato alla schiena –

A Lucia non stupiva il fatto che fosse stata l'unica ad essere stata minacciata mentre dormiva; quella donna ce l'aveva a morte con lei e, probabilmente, non l'avrebbe seguita, viste le circostanze. Ma nel momento in cui ci pensava il preside aveva interrotto il ragazzo per chiedere a Lucia cosa era successo di preciso dopo. Lucia strinse i pugni e con lo stomaco rivoltato al ricordo cominciò a raccontare. Da quel momento dovette continuare lei. Raccontando tutto quello che aveva saputo e quello che sapeva. Il racconto non rispecchiava molto la realtà dei fatti per il semplice fatto che Lucia non fece cenno a ciò che veramente aveva provato, dal racconto sembrava una persona molto più razionale e calcolatrice ma la verità era che non se la sentiva di svelare i suoi pensieri e le sue emozioni a persone che non conosceva. Voleva solo levarsi dai piedi quell'esperienza il prima possibile. Però la storia aveva preso proprio tutti. Anche le vittime ascoltarono come se non fossero stati presenti.

Il preside disse di aver chiamato subito delle guardie per farla portare via, il prima possibile. Dopo le dovute spiegazioni tutti si dispersero tornando dai loro amici continuando a raccontare. Il direttore disse che per quel giorno le lezioni erano sospese quindi Lucia era pronta a ritornare in camera sua quando sentì il suo nome venir chiamato alle sue spalle.

Con una contrazione di stomaco si voltò per ritrovarsi davanti il fratello e la sorella Anna. Il ragazzo aveva una faccia che raccontava qualsiasi cosa avesse da dire. Guardando in basso teneva le mani intasca. Dopo un paio di secondi si avvicinò mormorando:

– io... mi... mi sento un idiota... sul serio non so come... come scusarmi per... per quello che ho fatto ieri – Lucia sentì il suo cuore aumentare i suoi battiti come se si trovasse davanti ad un precipizio. Un brivido che non aveva alcuna attinenza con la paura la percorse in tutto il corpo e non aveva idea di cosa significasse.

– è che... ero spaventato per mia sorella, pensavo che non l'avrei rivista mai più e... credo di aver perso la testa.. mi... mi dispiace da morire –

Lucia non sapeva proprio cosa dire, non le era mai accaduta una cosa del genere, così, per evitare che il ragazzo continuasse ad avere i sensi di colpa rispose:

– beh... ecco... sono... sono contenta che vi siate ritrovati... alla fine –

Il ragazzo finì con un giuramento:

– Giuro che la prossima volta farò più attenzione alle...alle chiacchiere di corridoio –

Lucia annuì sorridendo e se la svignò. Quel giorno non finirono le scuse nei suoi confronti, anche i ringraziamenti per aver salvato, l'amico, il figlio, il fratello e così via. Quando sentì la voce della madre di Mattia scuotere le pareti uscì da camera sua e la vide attraversare il corridoio attaccandola e dimenandosi tra le guardie. Lucia vedendola in quello stato era abbastanza sicura che non sarebbe uscita di prigione. Infatti, da quando la vide uscire dall'istituto non la rivide mai più. Fu processata e condannata a morte più per il timore che potesse rifarsi di nuovo su Lucia che per altro, alla fine non aveva ucciso nessuno. Lucia rimase un po' sull'attenti per i primi giorni successivi ma poi, divenne una specie di eroina. Quindi piano piano riuscì a rilassarsi e a farsi degli amici. Finalmente la storia di Mattia era definitivamente chiusa. Non l'avrebbe più disturbata.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3790772