The butterfly effect

di _RockEver_
(/viewuser.php?uid=296349)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** #Prologo ***
Capitolo 2: *** #01 ***
Capitolo 3: *** #02 ***
Capitolo 4: *** #03 ***
Capitolo 5: *** #04 ***
Capitolo 6: *** #05 ***
Capitolo 7: *** #06 ***
Capitolo 8: *** #07 ***
Capitolo 9: *** #08 ***
Capitolo 10: *** #09 ***
Capitolo 11: *** #10 ***
Capitolo 12: *** #11 ***
Capitolo 13: *** #12 ***
Capitolo 14: *** #13 ***
Capitolo 15: *** #14 ***
Capitolo 16: *** #15 ***
Capitolo 17: *** #16 ***
Capitolo 18: *** #17 ***
Capitolo 19: *** #18 ***
Capitolo 20: *** #19 ***
Capitolo 21: *** #20 ***
Capitolo 22: *** #21 ***
Capitolo 23: *** #22 ***



Capitolo 1
*** #Prologo ***


Le gambe le bruciavano da morire. Le pareva di avere dei tizzoni ardenti negli stinchi che consumavano tutto ad ogni passo.
Erano  ore che correva cercando di seminare quel mucchio di marines che, purtroppo, l'aveva riconosciuta in meno di un secondo.
Erano passati quattro anni ormai da quando aveva iniziato a fuggire e si nascondeva dal governo mondiale. Sengoku le avrebbe volentieri messo una taglia sulla testa per questa sua strabiliante abilità di fuga e di rompiscatole, ma persino lui - ordini dall'alto - aveva le mani legate. 
Lei, la ragazza della cui esistenza dovevano essere tutti all'oscuro, aveva in pugno persino il grand'ammiraglio della Marina. Certamente con una taglia sulla testa molti cacciatori di taglie si sarebbero prodigati per acciuffarla e questo sarebbe senza dubbio stato di grande aiuto ad affrettare i tempi. Ma meno persone sapevano di quella donna meglio sarebbe stato per tutti, nessuno poteva permettersi di rischiare questa volta.
La ragazza giunse a quello che doveva essere un mercato ed un sorriso le spuntò ribelle sulle labbra: probabilmente molto presto la sua corsa sarebbe giunta al termine. Si addentrò tra due file di bancarelle che percorrevano tutto  il margine dei due marciapiedi della strada, accostandosi in particolare a delle casse impilate piene di mele. Con un colpo secco del braccio e una poderosa spinta le rovesciò in modo che le mele rotolarono sulla strada in discesa. Urlò sincere scuse al fruttivendolo che le sbraitava contro insulti particolarmente crudi e riprese la sua corsa frenetica. Non poté tuttavia trattenere una risata divertita nell'osservare alcuni dei sui inseguitori capitolare inciampando sulla frutta. 
"Quei mastini non mollano, non imparano mai la lezione" pensò voltandosi per controllare la situazione. I suoi lunghi capelli castani, ormai madidi di sudore, le si erano completamente appiccicati al viso, così decise di legarli, scoprendo sulla tempia quella voglia a forma di gelso rosso che l'accompagnava dalla nascita. 
Dei monelli di strada si erano messi a correre con lei, incitandola ad  andare più veloce per seminare quegli "idioti in divisa", facendola inevitabilmente sorridere. Delle donne affacciate alla finestra invece le lanciavano sguardi di disapprovazione, indicando ai marines in che direzione si stava dirigendo.
Funzionava così da sempre: riceveva sempre l'affetto dai bambini e l'astio dagli adulti. Da sempre pecora nera della famiglia, da sempre la vergogna dei suoi genitori, l'errore, la testa calda. Non che naturalmente le fosse mai importato.
All'improvviso sentì un sussurro provenire dalla sua destra. Voltandosi scorse la figura di una donna anziana appoggiata ad un portico abbastanza in ombra che le faceva cenno di avvicinarsi. 
Non seppe il perché, ma si fidò.
  -     Nasconditi qui fin quando non saranno andati via, vedrai che non ti troveranno - le disse la donna spingendola delicatamente dietro ad una colonna poco illuminata. 
  -     Gr.. Grazie - mormorò con voce spezzata dalla fatica, poggiandosi sulle ginocchia nude per far riprendere fiato ai suoi polmoni in fiamme. 
  -     Come ti chiami, ragazzina?
  -     Erin. La ringrazio molto per quello che sta facendo, ma non deve rischiare per colpa mia. Potrebbero arrestarla per intralcio alla giustizia, lo sa?
  La donna sembrò ignorare volontariamente la sua domanda, piuttosto le accarezzò i capelli: - Sei così giovane... - disse - Perché sei perseguitata dalla Marina? Non mi sembri una cattiva ragazza, sei così carina, avrai sì e no vent'anni...
Erin abbassò lo sguardo e strinse le labbra.
  -     Ho fatto solo quel che ho potuto per garantirmi la libertà. Mi sono state fatte cose orribili per tre lunghi anni, e sono disposta a correre ogni giorno della mia vita pur di sentirmi libera.
 La vecchia donna fece uno sguardo comprensivo, rientrò in casa e ne uscì qualche secondo dopo con una pagnotta avvolta in un tovagliolo e una borraccia piena d'acqua.
  -     Non é molto, ma é tutto quello che ho e te lo do volentieri ragazzina.
 Erin prese quanto le veniva offerto, lo infilò nel suo zaino e si inchinò a baciare la mano grinzosa di quella donna. Dopodiché le sorrise un'ultima volta e riprese la sua corsa da dove era venuta, direzione opposta a quella intrapresa dagli uomini della  Marina. 
Percorse tranquillamente alcune stradine silenziose mangiucchiando distrattamente il pane, finquando non si ritrovò in un ampio spazio aperto e venne abbagliata dal sole che luccicava sulla superficie del mare. Era arrivata al porto. 
Un pescatore con un'enorme corda sulle braccia le diede una spallata avvertendola scocciato di stare più attenta. Ovunque c'erano pescivendoli che elogiavano la freschezza del loro pesce, pescatori che ormeggiavano i loro pescherecci e persino qualche piratucolo da due soldi. 
Decise di proseguire verso destra e la sua vista venne rapita da una delle  cose più imponenti che avesse mai visto: era una nave.
Quella nave era enorme, forse una delle più grandi che avessero solcato i sette mari, con una polena bianca a forma di balenottera azzurra. Sulla vela maestra e sulla bandiera nera spiccava fiero un jolly roger composto da due ossa in croce al cui  centro un teschio con una mezza luna all'insù all'altezza della bocca faceva la sua maestosa figura.
Sgranó gli occhi e rimise il pane nello zaino, avvicinandosi con meraviglia a quell'enorme galeone per osservarlo da vicino. 
L'incanto venne spezzato nel momento in cui vide il mucchio di marines di prima sbucare da un vicolo. 
Imprecò tra i denti e si nascose velocemente dietro delle casse di legno sulla banchina. Si lasciò scivolare a terra e si guardò intorno, analizzando ogni cosa alla ricerca di una soluzione. 
Un dettaglio su quella nave attirò la sua attenzione e sorrise: ora sapeva esattamente cosa fare.







  ______________
Ehm... Salve :)
È la mia prima fan fiction  su One Piece, quindi vi prego di essere clementi :') 
Dunque, vi starete facendo mille domande a questo punto: chi è Erin? Perche scappa dal governo mondiale? Cosa le hanno fatto? Beh, ogni cosa a suo tempo, vi chiedo solo di pazientare un pochino.
Poi, la polena a forma di balenottera azzurra. Chi non riconoscerebbe quella nave (a parte Erin LOL) **
Dal prossimo capitolo inizieranno a fare la loro comparsa gli altri personaggi :) Spero di essere puntuale nelle pubblicazioni, anche se un po' ne dubito... Farò del mio meglio :)
Grazie mille a chi recensirá,  anche le critiche sono gradite! 
Un bacio a tutti, alla prossima!

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** #01 ***




                                          << Si dice che il minimo battito d'ali di una farfalla sia in grado di provocare un uragano dall'altra parte del mondo >>




Fortunatamente i marines sembravano non essersi accorti della sua presenza e questo permise a Erin di tirare un sospiro di sollievo. 
Si dice che quando si è in una situazione di pericolo i sensi vengono potenziati e la capacità di analisi aumenti. La ragazza, che dopo quattro anni di fuga aveva ormai potenziato quest'abilità oltre misura, non si lasciò sfuggire quel dettaglio importante sulla nave che aveva di fronte: una delle cabine aveva la finestra aperta. 
Si guardò rapidamente intorno e rovistò nelle casse che la nascondevano dagli uomini della Marina. Erano impilate per un' altezza di quattro o cinque metri, quindi avrebbe potuto raggiungere la nave senza essere vista. I suoi occhi verdi si illuminarono dalla felicità quando in una di quelle casse trovò un arpione da pesca. Lo afferrò velocemente e, dopo aver fatto dei nodi ad una corda, la infilò nell'apposita fessura.
Si sporse qualche secondo dalle casse per controllare la situazione e quello che vide la sorprese. I marines sembravano spaventati da quella nave: indicavano il jolly roger e discutevano animatamente tra loro con ampi gesti delle braccia. Uno di loro, probabilmente il comandante a giudicare dalla divisa, restava in silenzio ad ascoltare i suoi sottoposti. Erin si chiese cosa ci fosse o di chi fosse quella nave per spaventare così tanto dei marines. Ebbe seri dubbi sulla sua precedente decisione di salire su quel galeone, ma un moto di impellente curiosità prese il sopravvento. 
Si rigirò l'arpione tra le mani, cercando di capire come usarlo. Ne aveva usato uno solo in tutta la sua vita, all'età di nove  anni, quando Sore, il suo vecchio e amorevole maggiordomo, aveva accompagnato lei e il piccolo Xan  a pescare. Le si strinse il cuore ripensando a quell'uomo e a suo fratello, avrebbe dato qualsiasi cosa per poterli riabbracciare. 
Scosse la testa scacciando quei ricordi per tornare alla realtà. Si rialzò e avvicinò l'arpione al viso. Chiuse un occhio e prese la mira. Il primo tentativo fallì miseramente: il rinculo la sbilanciò abbastanza da far finire l'uncino in acqua. Quando pescava con Sore era lui a mantenere la struttura metallica per impedire che si facesse male. Imprecò e recuperò la freccia per provarci di nuovo, questa volta sistemandosi meglio per restare in equilibrio. L'uncino si conficcò nel fasciame di dritta, circa un metro sotto la finestra. 
Le labbra di Erin si piegarono in un sorriso compiaciuto. Si rimise lo zaino in spalla e strattonò con forza la corda per assicurarsi che avrebbe retto il suo peso. Quando se ne fu accertata sussurrò una preghiera tra i denti e si lancio con i piedi in avanti verso nave. 
L'impatto fu doloroso e le scappò un gemito. Probabilmente aveva appoggiato male il piede, prendendosi quella che a occhio e croce doveva essere una dolorosa distorsione. La pelle delle ginocchia era ricoperta di sangue dovuto allo strusciamento sul legno dello scafo. 
Solo allora si rese conto della strana sostanza che ricopriva la superficie della nave: sembrava una bolla gigante. 
" E questa che roba è? " pensò. Aveva sentito parlare di navi che riuscivano a scendere a profondità abissali grazie a un rivestimento trasparente e molto resistente per sopportare la pressione. In ogni caso non vi  prestò moltissima attenzione e iniziò ad arrampicarsi sulla corda malgrado il dolore.
Arrivata all'uncino allungò il braccio per raggiungere il davanzale della finestra, con scarsi risultati. Così cercò molto lentamtente di sollevarsi in piedi sulla freccia.
  -     Non guardare giù. Non guardare giù. - 
 Si trovava ad un'altezza di 20 metri dalla superficie dell'acqua e si diede mentalmente dell'imbecille per aver cercato di infiltrarsi in una nave pirata per sfuggire a dei marines. 
Mentre allungava timidamente un braccio per raggiungere la finestra la freccia spezzò il legno in cui era incastrata e cadde di sotto. Erin riuscì per miracolo ad aggrapparsi al davanzale e a non finire in acqua. 
Imprecò ad alta voce e con tutta la forza che aveva in corpo si sollevò sulle braccia e rotolò a terra nella cabina della nave. Era distesa supina con le braccia spalancate e il fiato corto per  la fatica appena compiuta. Aveva sforzato troppo la caviglia, tanto che stava visibilmente cominciando a gonfiarsi. Si tirò su a sedere sul pavimento, rovistò qualche secondo nel suo zaino ed estrasse la borraccia regalatale dalla vecchia e delle garze. Pulì le ferite con l'acqua e fasciò caviglia e ginocchia con le garze. Non appena ebbe finito si alzò a fatica e si affacciò con cautela alla finestra per vedere cosa stessero  facendo i marines. La maggior parte di loro era andata via, era rimasta solo qualche guardia. Il timore di quella nave era stato più importante della sua ricerca ed Erin, impavida come sempre, moriva dalla voglia di scoprire il perché. 
"Resterò qui fino a quando non saranno andati via tutti.."
Cominciò col perlustrare la cabina in cui si trovava. Era molto semplice, con pochissimi tocchi personali: a destra della finestra si trovava un letto sfatto con una coperta blu; accanto al letto c'era un armadio con le ante aperte al cui interno erano gettate alla rinfusa camicie colorate e pantaloni corti neri. Il fatto che l'abitante di quella stanza dovesse essere particolarmente disordinato era confermato anche dagli avanzi di cibo sparpagliati in vari piatti su una scrivania di fronte all'armadio. La colpì una parola incisa sul legno che si intravedeva sotto uno dei piatti. Lo spostò e riuscì a leggere la parola "ASCE" con una croce sulla S fatta con la punta di una lama. Non aveva idea di cosa significasse, quindi la memorizzò per sicurezza e aprì la porta per dare un'occhiata in giro. 
" Strano che non ci sia nessuno su questa nave... " si domandava mentre apriva silenziosamente ogni cabina. In una più grande vi  era un letto a due piazze accanto ad un tavolo con una quantità esorbitante di medicinali e diversi sacchetti per la flebo. Doveva esserci un malato grave su quella nave e questo sarebbe stato un punto a suo favore nel caso avessero cercato di ucciderla, dato che possedeva conoscenze mediche non indifferenti.
Decise di salire al ponte di coperta e si rese conto che quella nave in realtà non era vuota: un uomo dai lunghi capelli rosa e una giacca lunga grigia, sicuramente la persona incaricata di sorvegliare la nave, faceva su e giù sul ponte controllando di tanto in tanto chi si avvicinava al veliero. 
Erin convenne che non era il caso di uscire allo scoperto e affrontare quell'uomo, quindi decise di ritornare, seppur zoppicante, nella cabina da cui era entrata.
Una volta arrivata gettò lo zaino sulla scrivania e si buttò sul letto, beandosi della sua comodità. 
  -     Dio, da quanto non dormivo in un letto così comodo - si disse rigirandosi  in ogni posizione. 
  " Biru biru biru. Biru biru biru "
Scattò in piedi in un istante allo squillo della radio snail che proveniva dalla scrivania e si catapultò sul suo zaino. Estrasse il lumacofono e accettò la chiamata.
  -     Xan! Xan sei tu? - disse quasi urlando. Dopo pochi secondi una voce giovane rispose.
  -     Erin! Sì, sono io!
  -     È successo qualcosa? Sei ferito? Puoi parlare? - chiese preoccupata.
  -     No, sto bene, non preoccuparti! E non sono osservato, sono in cantina adesso.
 Erin si buttò a sedere sul letto tornando a respirare.
  - Che sollievo! Perché hai chiamato? Sai che è pericoloso...
  - Sì, lo so. Il fatto è che mi manchi. Mi manchi tantissimo. Sono stufo di stare qui, odio questo posto. - disse il ragazzino dall'altro lato della cornetta con la voce spezzata dalle lacrime.
  -     Ehi, quante volte devo dirti di non piangere? Xan,  andrà tutto bene. Te l'ho promesso  sette anni fa e te lo ripeto adesso. La megera ti ha fatto qualcosa?
  -     No, anzi. È come se non esistessi, lo sai.
  -     Lo so. 
 Ci fu qualche lungo secondo di silenzio in cui nessuno dei due parlò, ed Erin lottava con tutte le sue forze per trattenere lacrime di felicità nell'ascoltare la voce del suo fratellino. 
  - Erin...
  - Sì, Xan?
  - Quand'è che potrò venire con te? Me lo hai promesso.
  - Molto presto, Xan, vedrai... - gli disse cercando di tranquillizzarlo, e si asciugò una lacrima mal trattenuta. - Hey, non immaginerai mai dove mi trovo ora!
  - Dove? Dove?! - chiese con euforia il giovane.
  - Su una nave pirata!      
  -     Ma dai! Di quelli con la benda sull'occhio che cantano e bevono tutta la notte? Quelli che c'erano sui libri che mi leggevi da piccolo?
  -     Sì tesoro, proprio quelli! - disse Erin, felicissima nell'immaginare lo sguardo incantato di suo fratello.
  -     Allora stai attenta, non si sa mai...
  -     Certo, me la so cavare, lo sai.
 Si sentì un rumore e un vociare confuso in sottofondo dalla cornetta e Xan mormorò qualcosa a qualcuno.
  -     Erin, devo andare. Lei mi cerca.
  -     OK, certo, devi andare... - torturò con le dita la stoffa della maglietta, con le lacrime che ormai non si fermavano più - Xan, era Sore? Ti prego, abbraccialo da parte mia, digli che gli voglio bene e che mi manca, per favore!
  -     Certo Erin, ma ora devo per forza mettere giù, ti voglio tanto tanto bene!
  -     Anche io te ne voglio, Xan, stai attento, e... - disse tra le lacrime mentre il fratello chiudeva la chiamata - Xan, ti prego, non riattaccare! Xan! Ho bisogno di sentire la tua voce!
 Ma ormai un familiare silenzio aveva preso il posto del ragazzino.




                                                                                               ***




  -     Non capisco perché dai sempre la colpa a me - disse il ragazzo con aria di sufficienza guardando distrattamente qualcosa su una bancarella vicina.
  -     Oh, certo, non lo capisci. Quindi spiegami, abbiamo finito le provviste per sei  mesi di navigazione in due settimane per opera degli spiriti?! - chiese irritato il biondo con una vena della tempia che rischiava di esplodere da un momento all'altro. Di tutta risposta il moro fece spallucce con finta innocenza.
  -     Smettila di fare il cretino Ace! Sei un irresponsabile! 
  -     Andiamo Marco - lo interruppe un altro uomo con dei grandi baffi neri e un cilindro sulla testa - lo conosciamo, è un tratto di famiglia!
  -     Vista non ti ci mettere anche tu! Perché lo difendere tutti?! Quando moriremo di fame in mezzo all'oceano per colpa di quel narcolessico mi darete ragione. - concluse Marco avvicinandosi ad un macellaio per acquistare della carne.
  -     Neanche Halta se la prende così tanto. Come sei melodrammatico, pennuto... - mormorò Ace con un sorriso malizioso alla vista del suo migliore amico rosso di rabbia.
  -     Le vuoi proprio prendere, eh Ace?! 
  -     Calmi bambini... -
  Due grandi mani si posarono sulle spalle dei due ragazzi e li costrinse ad allontanarsi di qualche passo l'uno dall'altro. Quelle mani appartenevano ad un uomo anziano, enorme, con dei baffi bianchi a forma di mezzaluna.
  -     Papà, a te sembra normale che ci siamo dovuti fermare su quest'isola per rifornirci di tutto cibo il cibo che "qualcuno" ha divorato? - chiese Marco a Barbabianca enfatizzando sulla parola "qualcuno".
  -     Gurarararara! Che vuoi farci, figliolo, Ace è fatto così e dobbiamo tenercelo! - concluse l'uomo  scompigliando con le sue grosse mani i capelli di entrambi i giovani.
 Il biondo scosse la testa sorridendo e diede una spallata all'amico, continuando gli acquisiti di cibo. Tutta la gente si voltava a guardarli mentre passavano, avvicinandosi al loro capitano per ringraziarlo.
Si trovavano infatti su una delle isole che godevano del protettorato di Barbabianca, e la gente sbucava da ogni dove per elogiare le imprese del grande Edward Newgate. Sentì suo padre tossire un paio di volte e sperò vivamente che il lungo viaggio che stavano per intraprendere non incidesse sulle condizioni di salute dell'uomo. Si rendeva conto sempre di più dell'importanza di avere un medico a bordo, ma quel testardo continuava a ripetere che lui, uno dei quattro imperatori, il grande Barbabianca, l'uomo con una taglia da un miliardo e cinquecento milioni di berry, non sarebbe mai e poi mai stato sconfitto da un'insufficienza cardiaca o respiratoria. 
 - Sappi solo, Ace, - disse il capitano non appena Marco si fu allontanato - che dopo questa sosta non ne faremo per un bel po', quindi trattieniti, navigheremo per molto tempo... Il Nuovo Mondo aspetta il nostro ritorno!










______________
Ciaooo! 
Sono tornata prima di quanto avessi mai immaginato per la gioia (oddio, mi auguro x'D) di coloro a cui la storia interessa :) ma non abituatevi, non vi conviene TT.TT
Ordunque, qualcosinainaina su chi dovrebbe essere Erin si sta cominciando a intuirla, ma per cosa ha fatto state tranquilli che siamo ancora in alto mare LOL.
Ha fatto la sua comparsa Xan, il fratello della protagonista che, ahimè, ha i suoi problemi come tutti quanti, vabbè, i nodi verranno al pettine u.u
E chi altro abbiamo qui?? Il nostro fuocherello ribelle e il pennuto !! Inutile dire che amo scrivere gli pseudo-litigi tra quei due, sono uno spasso. Ce ne saranno altri, tranquilli XD 
Un enorme e gigantesco  GRAZIE a chi recensisce e inserisce tra preferite/ seguite/ da ricordare, siete dei tesori e vi amo tanto :D
Un bacione e a presto!!

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** #02 ***


Correva.
Correva ancora, sempre più veloce. 
Ignorava tutti i graffi che i rovi le stavano facendo su ogni parte del corpo, quella foresta di spine doveva pure avercela una fine. 
E lui si avvicinava sempre di più, con quei suoi occhi neri come la morte.
  -     Erin! - si sentì chiamare, ma attorno a lei non c'era altro che un cespuglio inestricabile di nero e spine.
  -     Erin! Sono qui!
 Quella voce familiare e giovane giungeva dalla sua destra. Si voltò e vide un fascio di luce oltre i roveti. Facendosi largo con le mani e le gambe, ormai sfigurati, giunse ad uno spazio aperto illuminato al centro da un fascio di luce che proveniva dall'alto. 
  -     Erin.
  -     Xan? - disse aprendo appena la labbra, con il volto ridotto ad una maschera di sangue. - Xan! Xan!! - urlò correndo verso il ragazzino con i capelli ricci neri, ma non appena si avvicinò si rese conto che quello non era suo fratello, bensì lui. L'uomo assunse le sembianze di un mostro e ad un certo punto la sua testa si sdoppiò. Una parte assunse le sembianza del volto di un uomo, l'altra di una donna, persone che lei ben conosceva.
 Indietreggiò di alcuni passi. Sentì il suo cuore smettere di battere, poi il pavimento le si sfaldò sotto i piedi, mentre una voragine nera la risucchiava nella sua eterna oscurità.



Erin si svegliò di scatto, ansimante e completamente sudata.
Le ci volle qualche secondo per mettere a fuoco il luogo in cui si trovava e riprendersi dal terribile incubo che le aveva attanagliato la mente
impedendole di svegliarsi. 
Si ricordò di essere su una nave, una nave pirata enorme.
Aveva ancora la radio snail in mano, e ricordò di essersi addormentata pochi minuti dopo la chiamata di Xan.
Sentiva delle voci provenire dal corridoio, ma non fu questo quello che le fece venire un brivido lungo la schiena, quanto il nauseante ondeggiare del pavimento.
- Oh no.
Si alzò repentinamente e non appena provò a fare un passo cadde per terra, ricordandosi anche della distorsione alla caviglia. Si rialzò col cuore che batteva a mille e si affacciò alla finestra, scossa da puro terrore nel constatare che quello che aveva davanti era solo oceano aperto e la banchina era sparita.
  -     Oh no. No no no! Maledizione! Ma quanto ho dormito! No! - disse ad alta voce portandosi le mani tra i capelli. 
 Si voltò di scatto sgranando gli occhi quando sentì dei passi farsi sempre più vicini e la porta aprirsi.




                                                                                                                    ***




 - Ehi Jaws! Ti serve una mano con quella cima? - urlò Ace all'uomo sulla coffa che sistemava la vela maestra.
Barbabianca e ciurma avevano appena finito i preparativi per il viaggio: da quasi tre ore erano salpati e nessuno si era fermato un attimo prima che fosse tutto a posto. 
Sul ponte di coperta il viavai di gente con barili, corde, cannoni e l'intero arsenale si era finalmente calmato. 
Ace si appoggiò alla balaustra per riprendere un po' di fiato. Il cielo del tramonto aveva assunto quella meravigliosa sfumatura tra il rosa e l'arancione che si rifletteva sul mare limpido, il che dava alla nave l'impressione di navigare nel cielo. 
Il moro distolse lo sguardo da quello spettacolo solo quando sentì qualcuno sedersi accanto a lui.
  -     Aye! - esordì Marco asciugandosi con il braccio la fronte sudata.
  -     Che lavoraccio.
  -     Già... Mi sorprende che tu non sia caduto addormentato su qualche cassa di legno mentre trasportavamo la roba sulla nave! - lo stuzzicò il biondo.
  -     Adoro quando mi svilisci con le tue battute, amico - disse Ace sbuffando.
  -     Guarda che dovevo vendicarmi per avermi chiamato pennuto questa mattina! - spiegò Marco non riuscendo a trattenere una risata.
  -     Ma tu sei una fenice! Tecnicamente sei quindi un pennuto, è un dato di fatto!
  -     Beh, è anche un dato di fatto che tu soffri di narcolessia. Quindi siamo fifty fifty.
  Ace aprì la bocca per ribattere ma cambiò idea subito dopo, sbuffando, limitandosi a un " touchè " detto tra i denti.
  - Senti, abbiamo lavorato tanto oggi, vai in cabina a riposarti un pò, io avviso gli altri.
Il moro non se lo lasciò ripetere due volte. Si staccò dalla balaustra con un colpo di reni e si diresse alla sua cabina, quella in fondo al corridoio di sottocoperta. Aprì la porta e si avvicinò alla finestra, storcendo il naso nell'accorgersi di averla lasciata aperta.  
Si sporse per chiuderla ed un insolito particolare attirò la sua attenzione: c'era del sangue sul davanzale. 
Strano, eppure non ricordava di essersi ferito di recente. 
Lo toccò con la punta dei polpastrelli e si rese conto che era ancora fresco, non poteva avere più di qualche ora. Seguì la scia di colore rosso che scendeva dal davanzale fin sul pavimento. Continuava per un bel tratto e si fermava al centro della stanza. Spostò lo sguardo poco più avanti e sgranò gli occhi in un gesto di puro sgomento nel vedere due stivali neri, a cui erano collegate due gambe nude e poi anche un corpo, allontanarsi zoppicando in punta di piedi.




                                                                                                                    ***



Erin, rimasta paralizzata qualche secondo dal terrore della situazione in cui si era cacciata, recuperò con velocità invidiabile lo zaino dalla scrivania, infilandoci dentro la radio snail, e si nascose nello spazio tra letto e armadio, proprio un attimo prima che la porta si aprisse.
Il rumore dei passi sul legno si fece sempre più intenso e la ragazza vide un uomo avvicinarsi alla finestra e chiuderla. 
Aveva schiena e petto scoperti, capelli neri e uno strano cappello arancione. Riuscì a vederne solo la schiena dato che era girato e proprio lì vide un tatuaggio enorme con il simbolo del jolly roger presente sulla bandiera. Era abbastanza alto a muscoloso. Sul suo braccio sinistro vide la stessa scritta "ASCE" con la S sbarrata che era incisa sul tavolo. Capì che quel tipo doveva essere il proprietario della cabina, anche se non aveva ancora capito cosa quella parola volesse significare.
Ad un certo punto l'attenzione del ragazzo venne catturata da qualcosa sul davanzale e ad Erin non servì molto per capire che si trattava del suo sangue.
Deglutì il più silenziosamente possibile e sgattaiolò via dallo spazio angusto in cui si trovava avvicinandosi alla porta. 
Il piede offeso le faceva sempre più male e dovette portarsi una mano alla bocca per evitare di gemere ad ogni passo. Si voltò un secondo per controllare il ragazzo nella stanza e sussultò scoprendo il suo sguardo attonito posato su di sè.  
In alcuni attimi di irreale silenzio Erin osservò il volto del giovane: trovava abbastanza attraente quel viso tempestato di lentiggini, nonostante l'espressione ebete con cui la stava fissando. Effettivamente doveva essere alquanto sorprendente trovare una ragazza nella cabina di una nave pirata lasciata praticamente vuota...
Il moro sbatté più volte le palpebre prima di voltarsi completamente e  fare un passo nella sua direzione.
  -     Ma che...
 Erin si voltò in un batter d'occhio e cominciò a correre, per quanto la gamba le consentiva, attraverso il corridoio.
Ace fece per inseguirla ma andò a sbattere contro Marco che proprio in quel momento usciva dalla stanza accanto.
  - Com'è che diventi così attivo proprio quando non serve? Sei il solito fancazzista Ace! - ironizzò il biondo meravigliandosi dello sguardo sconcertato dell'amico.
  -     L-La ragazza! 
  -     La ragazza? Ma chi, Halta? Cosa c'entra lei ora? - chiese Marco inarcando un sopracciglio.
  -     No, idiota! L'altra ragazza! Quella con i capelli lunghi! Quella ragazza! - urlò il moro, ancora sconvolto da quella situazione assurda, indicando Erin che fuggiva indisturbata davanti a loro. Con una spallata spostò il biondo e si mise a correre per raggiungere la fuggitiva.
 Erin stava morendo di dolore, ma aveva approfittato del vantaggio accelerando notevolmente. Passò accanto ad alcuni membri dell'equipaggio che si voltarono a guardarla stupiti e salì le scale che portavano al ponte di coperta, con gli occhi pieni di gioia nell'intravedere il cielo oltre la porta.
Un attimo dopo averla oltrepassata si ritrovò di faccia sul pavimento del ponte, urlando e tenendosi la caviglia con le mani.
Halta, che le aveva fatto lo sgambetto, si avvicinò alla ragazza a terra con mille domande nel cervello. Subito sopraggiunsero anche Ace e Marco. 
Tutto l'equipaggio si voltò verso il punto dal quale provenivano le urla, compreso Barbabianca.
L'uomo squadrò la ragazza a terra: era giovane, poteva avere vent'anni, aveva capelli castani lunghi fino a metà schiena e un viso molto grazioso; indossava una maglia blu con dei pantaloncini neri e degli stivali dello stesso colore. Era distesa di lato con le mani sulla caviglia destra, probabilmente doveva essere ferita. Le stesse ginocchia erano ricoperte una fasciatura bianca, ormai sporcata da una chiazza di sangue che si allargava sempre di più. 
Erin stava sul serio convincendosi di avere dei chiodi piantati nella caviglia. Qualcuno da dietro la porta le aveva fatto uno sgambetto, proprio a quel piede, che non era riuscita a evitare. Per di più era precipitata a terra sulle ginocchia, permettendo alle ferite di riaprirsi.   
Vide sul pavimento un'ombra che si avvicinava, sollevò lo sguardo e scorse il viso di un uomo enorme che la stava fissando.  Quei baffi e quella mascella squadrata assomigliavano molto al jolly roger  della nave: quello che aveva davanti ne era il capitano.
  -     E questa chi è? - chiese serio Newgate  rivolgendosi alla sua ciurma in cerca di spiegazioni.
  -     Non lo so! - disse Ace - L'ho trovata in camera mia. Non ho idea di come ci sia entrata.
  -     Dalla finestra - chiarì Erin. Si era sollevata per mettere la caviglia in una posizione comoda.
  -     Cosa?! - disse scandalizzato l'uomo dai capelli rosa che aveva il compito di sorvegliare la nave.
  -     Sì, beh, senza offesa, ma avete un sistema di sicurezza che fa schifo. Per non parlare del fatto che chi ha lasciato quella finestra aperta è un imbecille. È un errore da dilettanti...
  -     Ehi! Guarda che l'imbecille di cui parli sono io! - proruppe Ace irritato - E poi tutte le persone normali non oserebbero neppure pensare di mettere piede su questa nave senza il nostro permesso.
  -     Non ha tutti i torti... - disse Marco riferendosi alle parole appena pronunciate dal moro.
  -     Beh, io non sono come tutti gli alti. È stata comunque una mossa stupida.
  -     Come osi? Perché diavolo credi che avrei lasciato la finestra aperta se non fossi stato certo che nessuno sarebbe entrato?!
  -     Perché evidentemente sei un idiota... - 
  -     Stupida mocciosa!!! - esclamò Ace offeso e indignato. Fece un passo verso di lei prima di essere fermato da Marco.
  -     Chi siete voi? - chiese tutt'un tratto la ragazza, guardando attentamente i tipi bizzarri che la circondavano.
  -     Cosa? Davvero non sai chi siamo? - domandò Barbabianca.
  -     Temo proprio di no.
  -     Io sono Edward Newgate, meglio noto come Barbabianca, uno dei quattro imperatori, e questa è la mia ciurma. Sulla mia testa pende una taglia da più di un miliardo di berry.
  -     Capisco... Dovrei avere paura? - chiese con ferma serietà Erin, sostenendo lo sguardo dell'uomo nonostante la guardasse dall'alto in basso.
 Calò il silenzio e tutti i presenti guardarono la ragazza con la bocca aperta, probabilmente chiedendosi quali intenzioni avesse. - Ma fa sul serio?! - domandò un uomo vestito come una geisha ai suoi compagni.
  -     Gurararararara! - il vecchio scoppiò in una fragorosa risata di puro divertimento, contrariamente a quello che tutti, Erin compresa, si sarebbero aspettati - Però! Il fegato non ti manca signorina! Gurarararara! E dimmi, chi sei tu?
  -     Secondo me è una recluta della Marina... Dovrebbero sceglierseli meglio però i loro membri... - mormorò qualcuno a bassa voce suscitando una risatina diffusa.
 Erin strinse i denti a quella affermazione, ma decise di lasciar perdere.
  -     Mi chiamo Erin. Sentite, io non faccio parte della Marina, anzi. Stavo cercando di fuggire da dei marines che mi stavano inseguendo, ho visto la finestra aperta e sono entrata. Non avevo intenzione di addormentarmi, ma è successo e purtroppo mi sono ritrovata qui. Non voglio nessun problema.
  -     Aspetta - la interruppe una ragazza vestita da maschio con i capelli rossi - Hai detto che i marines ti davano la caccia. Perché?
  Erin rispose solo dopo qualche secondo: - Questo non è affar vostro.
  -     Beh, dal momento che sei sulla nostra nave lo è eccome! - continuò la rossa.
 La ragazza si sentì punta sul vivo. Serrò le labbra e strinse i pugni. L'ultima cosa che voleva era rivelare a quegli sconosciuti qualcosa sul suo passato. Un passato che apparteneva a lei e lei soltanto. Per il nervosismo cominciò a torturare con le mani la catenina d'oro che portava al collo.
Di tutto questo Barbabianca se ne accorse.
  -     Halta, insomma, non farle così tante domande! Lei è nostra ospite!
 Un vociare confuso si sollevò tra l'equipaggio, sgomento davanti a quell'insolita uscita del loro capitano.
  -     Cosa?! Papà, stai scherzando?!? - intervenne Ace facendo un passò avanti stupefatto. 
 Persino Erin aveva sgranato gli occhi per la sorpresa di quella affermazione.
  -     Assolutamente no. Cos'altro potremmo fare?
  -     Beh, io la butterei in mare. La terraferma non è poi così lontana... - disse l'uomo con i capelli rosa che Erin aveva visto per primo su quella nave.
Barbabianca digrignò i denti e sollevò la sua grande mano per dare uno scappellotto sulla nuca dell'uomo. Questo si massaggiò dolorante la zona colpita: - Ahia!!! Perché l'hai fatto?!
Il capitano incrociò le braccia al petto e chiuse gli occhi.
  -     Per prima cosa perché, a quanto pare, non hai custodito a dovere la nostra nave. Seconda cosa: vergognati Squardo! Io non butto una fanciulla ferita fuoribordo! Non arriverebbe mai a riva in quelle condizioni! Io sono il comandante, quindi decido io il da farsi! La signorina è nostra ospite! Qualcuno ha qualcosa da obiettare? 
 Nessuno rispose, anche se probabilmente tutti erano contrari a ospitare un'infiltrata a bordo, soprattutto Ace. Non riusciva proprio a capire perché suo padre si fidasse così tanto di lei, dopotutto nessuno la conosceva.
L' uomo con il cilindro, Vista, si avvicinò alla ragazza e le porse una mano per aiutarla ad alzarsi. Erin sorrise e accettò l'aiuto, cercando di caricare meno peso possibile sulla caviglia slogata.
  - E sentiamo, dove dovrebbe stare? - chiese a quel punto Ace incrociando le braccia al petto.
  -     Mi sembra ovvio. In camera tua - rispose il capitano con nonchalance.
  -     Che cosa?!? Non esiste! Quella in camera mia non ci dorme!- sbraitò il moro.
  -     Beh è ovvio... Lei è un'ospite, non possiamo mica farla dormire sul pavimento. - spiegò Marco non riuscendo proprio a trattenersi dal ridere, guardando i suoi compagni fare lo stesso.
  -     Ma perché la mia stanza?! Falla dormire in camera tua!
  -     Ma la finestra aperta l'hai lasciata tu!
  -     E dove diavolo dovrei dormire io?!
  -     Non lo so! Metti un sacco a pelo in cambusa!
 Il dibattito tra i due si faceva sempre più acceso. 
  - Gurararara! Non preoccuparti, loro fanno sempre così! - disse Barbabianca ad Erin che a stento riusciva a non sorridere.
Dal corpo di Ace si levarono delle fiamme sempre più alte e a Marco spuntarono due ali di fiamme azzurre al posto delle braccia.
  -     Oh mio Dio! Ma sono fiamme vere? - chiese Erin avvicinandosi ai due.
  -     Fossi in te non le toccherei, ragazzina. Sono fiamme vere dovute ad un frutto del mare! - le disse l'uomo vestito da geisha vedendo la sua mano in procinto di toccare le fiamme. 
Erin aveva già sentito parlare di un tipo di frutto che dava poteri sovrumani, ma non aveva mai incontrato qualcuno in grado di usarli, almeno non per quanto ne sapesse lei.
  -     Ma tanto tu ti addormenti ovunque! A te non serve una stanza per dormire!
  - Questo cosa c'entra?! Pensa prima di parlare idiota di un pennuto! 
  - Testa di legno che non sei altro!
  -     Insomma piantatela! - disse un uomo che in un secondo si trasformò in diamante, mettendosi tra quelle due fiamme per separarle.
  Ace e Marco smisero di insultarsi e si diedero le spalle con un finto broncio che divertì tutti. 
L'equipaggio stava ancora confabulando sul fatto che lei sarebbe rimasta a bordo, ma Erin non era il tipo di persona a cui piace creare problemi.
  -     Sentite, sono abituata a dormire dove capita, non serve creare discussioni.. Anche un mucchio di corde andrebbe bene.
  -     Certo che no. Userai la stanza di Ace, è deciso. Signorina, benvenuta sulla Moby Dick! - esclamò il capitano con un sorriso generoso.
 Ma Erin non prestò attenzione al benvenuto appena ricevuto, concentrata sul fatto che il ragazzo chiamato Ace la stava osservando da qualche minuto con irritazione e allo stesso tempo con quella che sembrava essere insaziabile curiosità.










________________
Guten Tag! 
Sì, ho deciso che da questo momento in poi vi saluterò sempre in una lingua diversa, fatemi togliere questo sfizio XD
Allora, vi avevo promesso le liti stupide tra Ace e Marco ed eccovele calde calde (letteralmente LOL).
Spero di avervi incuriositi nella primissima parte, riguardo alle persone misteriose nell'incubo di Erin... Ma saprete, saprete... ;)
Per quanto riguarda il benvenuto dato alla ragazza da parte dell'equipaggio, beh... non ci si può aspettare chissà che accoglienza festosa, è pur sempre un'infiltrata...
Continuo e continuerò sempre a ringraziare chi segue, chi recensisce, chi preferisce e anche solo chi perde quei dieci minuti della sua vita a leggere questa storia, siete dei veri angeli *.*
Un bacio, ci vediamo (ehm... Leggiamo?) al prossimo capitolo! 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** #03 ***


Dopo che Erin si accorse dello sguardo di Ace, il moro sbuffò  e si allontanò, vistosamente innervosito.
Barbabianca le porse il braccio e la accompagnò nella sua nuova cabina. Non che avesse molto senso, in effetti, dal momento che Erin quella cabina l'aveva già vissuta a sufficienza... Ma il vero scopo di Barbabianca era permetterle di curarsi le ferite e farla ambientare tranquillamente, senza alcuna pressione da parte del suo equipaggio.
Appena arrivati Erin gettò da parte lo zaino e si sedette  sul letto, tirando un sospiro di sollievo.
  -     Ti fanno molto male? Si può saper come te le sei fatte? - domandò il capitano incrociando le braccia al petto.
  -     Per cercare di salire devo aver messo male il piede... E ho strisciato le ginocchia sul legno - rispose la ragazza prendendo acqua e bende.
  -     Brutta storia... Aspetta, credo di avere del disinfettante in cabina...
  -     Quindi sei tu! - esclamò Erin sporgendosi verso l'uomo - La cabina piena di medicinali è la tua!
  -     Ah, quindi l'hai vista... - disse Newgate abbassando lo sguardo - Beh, sai, sono vecchio ormai... Il mio corpo non resiste più come un tempo, gurarararara!
  -     Mi dispiace... Se vuoi posso darti un'occhiata, sono un medico - spiegò la ragazza.
  -     Avevo immaginato che fossi qualcosa del genere. Sei troppo furba, troppo sveglia... Ma perché vorresti curare un vecchio pirata come me? - chiese ancora Barbabianca.
 Erin sorrise dolcemente, accarezzandosi il ciondolo d'oro che portava sempre al collo: - Per ringraziarti. Volevo ringraziarti per avermi ospitata nonostante tutto e... - deglutì - ...per aver capito che del mio passato non voglio parlare. E per non avermi obbligata a farlo. Grazie, davvero.     
Barbabianca sorrise facendole un mezzo inchino e rise, con la sua risata particolarmente strana e simpatica che lo caratterizzava.
  -     Purtroppo, signorina, come forse scoprirai conoscendo i miei figli, noi pirati siamo irreparabilmente testardi. I miei figli fanno sempre di tutto per cercare di farmi star meglio con le medicine, ma io sono un vecchio orgoglioso, gurararara! Quindi declino generosamente la tua offerta.
  -     Certo, capisco. Se mai dovessi cambiare idea io sono qui - disse Erin con un sorriso adorabile che fece convincere il capitano ancora di più di quanto avesse fatto bene a tenere quella ragazza a bordo.
  -     Ora pensa solo a curarti, signorina. Quando sarà ora di cena manderò qualcuno a venirti a prendere. 
  -     Grazie mille - rispose gentilmente la ragazza. 
 Proprio mentre l'uomo stava per uscire dalla stanza sentì una voce alle sue spalle esclamare "E comunque mi chiamo Erin, non signorina!" e non riuscì proprio a non ridere mentre chiudeva la porta. 



                                                                                                                 ***



Marco, appoggiato alla parete del corridoio con le braccia incrociate, pensava a quanto era appena successo osservando Ace che faceva su e giù proprio davanti a lui.
  -     La vuoi finire? Mi stai facendo venire il mal di mare!
 Ace ignorò dl tutto la sua domanda e continuò la sua camminata irritante, a metà tra l'infuriato e lo scazzato.
  -     Mi ha dato prima dell'imbecille e poi dell'idiota! Capisci? Dell'idiota! - sbraitò tutt'un tratto facendo sussultare il biondo.
  -     Diciamo che ti ha inquadrato subito... - ironizzò Marco sorridendo per cercare di tranquillizzare l'amico. 
  -     Piantala. Io non capisco. Perché papà si fida di lei?
  -     Non lo so... Però lo conosci, la sua prima impressione è quasi sempre giusta, quindi dobbiamo fidarci. O quanto meno bisogna tentare.
  -     Con Teach non è stato così - obiettò il moro.
 Marco sapeva perfettamente che Ace aveva ragione, ma non si poteva tornare indietro, e in ogni caso sarebbe stato meglio per tutti provare a farsi amica quella ragazza. Se Barbabianca, il loro fidato capitano, si fidava di lei allora anche lui l'avrebbe fatto, con tutte le conseguenze che da ciò sarebbero potute derivare.
I due videro proprio in quel momento uscire Newgate dalla stanza di Ace. O meglio, dalla ex-stanza di Ace.
Il moro lo fissò con le braccia conserte alla ricerca di spiegazioni, ma il vecchio si limitò ad una delle sue risate e gli scompigliò i capelli con la sua grande mano, risalendo in coperta con il biondo. Ace sospirò e bussò alla porta della sua camera, cosa che mai avrebbe pensato di fare, attendendo la risposta della sua non gradita ospite.


Marco seguì Barbabianca  a prora, aspettando delle risposte che cominciava a credere non sarebbero mai arrivate.
  -     Allora? - si decise a chiedere. 
  -     Allora cosa? - disse con ingenuità il capitano.
  -     Cos'ha? Perche ti fidi tanto di lei?
 Barbabianca si voltò completamente e chiuse gli occhi, sollevando il capo verso le stelle della sera ormai giunta. Dopo qualche secondo di silenzio disse: - E chi ti dice che io mi fidi? Ero serio quando dicevo che non l'avrei gettata in mare. Noi non siamo quel tipo di pirati.
  -     Andiamo papà... Ti conosco. Non è solo per quello, altrimenti non l'avresti trattata con i guanti. Cosa hai visto di così speciale in lei? - chiese Marco portandosi le mani dietro la nuca.
  -     Mmh...- il capitano sembrò pensarci un attimo - È intelligente. È furba se è riuscita a salire su questa nave.
  -     O è solo molto stupida... - lo interruppe il biondo.
  -     No, figliolo... E un cervello come il suo a bordo potrebbe sempre essere utile. Per non parlare del fatto che mi ha detto di essere un medico. Sarò anche un vecchio cocciuto, Marco, ma riconosco di aver bisogno di qualcuno che si prenda cura della mia salute, soprattutto in un viaggio lungo come questo.
  -     Bene, e serviva quella ragazza perché te ne rendessi conto. E, comunque, questo spiega perché la tratti come una regina, ma non perché ti fidi di lei. - chiese ancora una volta la fenice, mentre suo padre riapriva gli occhi e lo fissava con un ghigno fiero e sicuro di sé.
  -     Lo scoprirai, figlio mio, lo scoprirai...
 


                                                                                                                            ***




Il moro si irritò maggiormente quando non udì alcun suono provenire dall'interno della cabina. Pensò che quella ragazza lo stesse facendo apposta.
Bussò ancora una volta, con più veemenza, e la voce di Erin dichiarò decisa "Avanti".
Finalmente Ace spalancò la porta e vide la ragazza sul letto impegnata a cambiarsi le fasciature sulle ginocchia. Quelle ferite avevano davvero un bruttissimo aspetto.
La ignorò del tutto e aprì il suo armadio, rovistando con impeto il suo contenuto alla ricerca di una coperta su cui dormire.
  - Stai mettendo ordine? - si sentì dire all'improvviso, cosa che lo rese ancora più nervoso del solito, per quanto possibile.
  -     Stai giocando col fuoco, letteralmente - sibilò  tra i denti il moro, ricevendo di tutta risposta un'alzata di spalle.
  -     Scusa. Ho provato a persuaderlo dal fatto di darmi la tua stanza ma non ha accettato, hai visto anche tu...
  -     Bene. Spero almeno che tu stia comoda qui dentro, dato che io dovrò buttare una coperta chissà dove - sbottò Ace con rabbia chiudendo con un po' troppa forza l'armadio. - E se vuoi un po' di ordine puliscitela da sola la stanza! - aggiunse con freddezza aprendo la porta. Questo atteggiamento fece scattare la ragazza sull'attenti, facendole abbandonare il tono amichevole e leggermente ironico che aveva assunto all'inizio.
  -     Ehi, ascoltami - lo richiamò Erin costringendolo a voltarsi di nuovo - mi dispiace di averti dato dell'idiota, non avrei dovuto, ti chiedo perdono.
 Il moro si voltò con un ghigo derisorio e incrociò le braccia al petto prima di dire: - A me non dispiace per averti dato della stupida mocciosa, invece. 
A quel punto Erin non ci vide più.
Strinse le labbra talmente forte da farle diventare bianche, si alzò nonostante il dolore e si avvicinò al ragazzo. Prima che Ace se ne accorgesse un rumore secco riecheggiò nella stanza, e pochi secondi dopo la guancia tempestata di lentiggini del moro cominciò a bruciargli per lo schiaffo appena ricevuto.
  -     Ora stai a sentirmi, ok?! Tu non hai idea di quello che io ho passato in tutta la mia vita! Tu non sai cosa ho dovuto provare sulla mia pelle! E non sai che sono stata costretta a crescere prima di quanto io avessi mai voluto. Ho passato l'inferno e me ne sono tirata fuori da sola, rischiando ogni giorno di perdere la mia vita e quella delle persone che amo. Quindi non azzardarti mai più a darmi della mocciosa. Non mi faccio dare della mocciosa da un pirata viziato come te - esclamò la ragazza quasi urlando. 
 Ace era rimasto inizialmente atterrito dalle parole pronunciate dalla ragazza, basito dinanzi allo schiaffo appena ricevuto, ma successivamente scoppiò in una risata e, guardandola dall'alto in basso, disse: - Certo, perché tu credi di sapere tutto di me invece, vero? Dici che sono viziato, ma tu non sai niente di quello che ho passato io! Niente!
Detto questo si girò e uscì sbattendo violentemente la porta. 
Marco e Izo che stavano discutendo nel corridoio videro il ragazzo venire verso di loro con le fiamme che gli si sollevavano dalle spalle e gli occhi iniettati di sangue.
  - Ehi, avete litigato? - chiese il biondo seriamente preoccupato.
  -     Fatti i cazzi tuoi per una buona volta Marco!!! - urlò Ace allontanandosi. 
  -     Il biondo si volto verso l'amico e sollevò le spalle, non sapendosi dare una risposta per quel comportamento.
  

Erin, rimasta ancora in piedi vicino alla porta, sollevò un pugno e lo scagliò sul tavolo. 
Era nervosa e arrabbiata.
Era arrabbiata per essere salita su quella nave, arrabbiata per la sua stupidità nell'essersi addormentata, arrabbiata per colpa di quel ragazzo, arrabbiata per essere sempre oggetto di ricerca della Marina, per essere una fuggiasca, per non essere mai davvero libera.
Un secondo pugno seguì il primo sul tavolo, e poi un terzo, e un quarto.
Indietreggiò e si avvicinò alla finestra, fissando la luna che ormai splendeva alta e piena nel cielo. Lasciò che la brezza della sera investisse il suo volto, chiuse gli occhi e tirò un profondo respiro. Prese tra le mani la medaglietta che portava al collo e percorse con le dita l'incisione a forma di rosa dei venti. 
Ricordò il giorno in cui suo fratello gliela aveva regalata, prima che lei fuggisse, dicendole "Affinché tu possa ritornare sempre da me". Ricordò il giorno in cui Sore la regalò a Xan, poco dopo la sua nascita. Quella catenina d'oro era il suo tesoro. Era la cosa che le ricordava che, in fondo, anche lei aveva qualcuno per cui lottare, un motivo per sopravvivere.
Riaprì gli occhi, finalmente più calma, e continuò a fissare il mare.
Pochi secondi più tardi qualcuno bussò alla porta.
  - Se sei Ace prendi quello che devi prendere e vattene.
La porta si aprì ed Erin sentì una voce diversa da quella del moro.
 - Ehm, non sono Ace. Mio padre... Barbabianca mi ha mandato a chiamarti per la cena - disse Marco, mentre la ragazza rimetteva a posto le garze - Comunque io sono Marco - si presentò il biondo, allungando una mano verso Erin che ricambiò la  stretta presentandosi.
I due si incamminarono verso la cambusa senza fiatare per un bel po'.
  -     Allora... Non hai stretto un grandissimo legame con Ace, ho visto... - esordì Marco con quanta più disinvoltura riuscisse a dissimulare.
  -     A quanto pare no. Credo che non riusciamo a capirci.
  -     Mh... Non trattarlo male, non è un cattivo soggetto... Pensa che sa essere molto più dolce di quanto appaia - spiegò il biondo con un sorriso.
  -     Sarà, fino ad ora non mi è sembrato tutto questo pozzo di simpatia - concluse Erin avvicinandosi alla porta della cambusa. 
 Marco le fece cenno di entrare, e lei si ritrovò in una stanza enorme piena di tavoli su cui tantissima gente rideva, mangiava e beveva. Tutti quei pirati insieme facevano un chiasso madornale: molti cantavano, alcuni si erano addormentati con un boccale di rhum in mano, altri erano semplicemente occupati a trangugiare senza ritegno ogni cosa si presentasse sotto il loro naso.
Il biondo le fece strada fino a un tavolo dove erano seduti Barbabianca, Ace, la ragazza che aveva sentito chiamare Halta, Vista e l'uomo vestito da geisha, Izo. Marco si sedette accanto a Vista, mentre la ragazza prese posto di fronte ad Ace e tra Halta, che non la degnò di uno sguardo, e il capitano che la salutò calorosamente, versandosi altro sakè  nel boccale.
Erin afferrò con meno cerimonie di quante ne avesse previste un pezzo di carne da un piatto e lo divorò in qualche minuto. Stessa fine fecero anche un panino e un cosciotto di pollo. Si accorse solo dopo aver mangiato quasi tutto il cibo presente nel raggio d'azione del suo braccio che tutti la stavano osservando stupefatti. Divenne rossa in viso in meno di due secondi e si pulì educatamente la bocca con un tovagliolo prima di dare spiegazioni.
  -     Perfetto, questa è peggio di Ace - disse Marco scocciato, facendo ridere tutti.
  -     Vi chiedo scusa... Il fatto è che non mangio un pasto soddisfacente da cinque giorni - spiegò Erin.
  -     Gurararara! Allora non preoccuparti, signorina, su questa nave non succederà più che tu rimanga senza cibo! - esclamò Barbabianca versandosi altro sakè.
  -     Tutta quella roba non migliora le tue condizioni di salute, lo sai? - chiese la ragazza al capitano.
  -     Io posso fare qualsiasi cosa! Io sono Barbabianca! Gurararara!
 La mora agitò la testa con disapprovazione e continuò a mangiare, stavolta con meno fretta.
Da quando aveva messo piede lì dentro Ace la stava fissando. Sembrava che volesse alzarsi e strangolarla ogni volta che lei ricambiava il suo sguardo. Il risentimento di Erin nei confronti del moro si era ormai spento, non era una persona rancorosa. Ma questo sembrava continuare ancora ad avercela con lei, e davvero non riusciva a spiegarsi il perché.


                                                                                                                    ~~~




Quel corridoio sembrava non voler finire mai.
Tutto in quella casa era enorme, anche oltre il necessario. Forse a lui che era ancora un ragazzino sembrava grande, ma la verità era che era un fasto inutile e vergognosamente sbagliato.
Il giovane dai capelli ricci arrivò in fondo e aprì la porta della biblioteca di quella gigantesca magione. Percorse il dorso di ogni libro con la punta delle dita prima di fermarsi ad un settore in particolare, protetto da una teca di vetro. Quegli scaffali contenevano ogni libro su quasi ogni argomento, anche se i suoi genitori ne avevano messa sotto chiave la maggior parte, probabilmente per evitare che il ragazzo prendesse la strada della loro disgraziata figlia maggiore.
Ma il tredicenne, molto più sveglio di quanto i suoi genitori immaginassero, estrasse dalla tasca la copia di una chiave e la girò nella serratura. Amava da impazzire l'odore della carta che c'era in quel luogo, e ancora di più quello di quella zona, perché sapeva di antichità. 
Avvicinò una scala allo scaffale e si arrampicò prendendo alcuni libri dalla sommità. Si sedette sul pavimento e li sfogliò sino ad arrivare alle carte nautiche che vi erano disegnate, strappando tutte quelle che riuscì a trovare. 
Si voltò di scatto quando sentì la maniglia della porta girare, con il cuore che perse un battito per lo spavento.
  -     Signorino Xan, siete qui? - sussurrò un uomo abbastanza anziano con i capelli grigi e un abito bianco e nero molto elegante facendo sbucare la testa nella stanza.
  -     Sore! Accidenti mi hai fatto prendere un colpo! Credevo fosse mio padre! - rispose il ragazzino rimettendo i libri al proprio posto e chiudendo la teca di vetro.
  -     Quante volte devo dirle che venire qui è pericoloso! Se i suoi genitori la scoprissero...
  -     Sì, lo so, mi rinchiuderebbero in questa prigione a vita - mormorò Xan seccato, raccogliendo i fogli dal pavimento e raggiungendo il maggiordomo.
  -     Che cosa sono? - chiese l'uomo esaminando una ad una le carte che il giovane gli porgeva.
  -     Carte nautiche. Ho chiamato Erin, mi ha detto di essersi imbarcata su una nave pirata. Mi ha anche detto che presto staremo di nuovo insieme. E dubito che verrà a prendermi lei, dato che metterebbe a repentaglio tutto ciò che ha fatto in questi tre anni mettendo piede qui a Marijoa. Quindi mi sembra ovvio che dovrò raggiungerla io in qualche modo. Le mappe mi serviranno... - spiegò il giovane stringendo quei fogli di carta al petto.
  -     H-ha chiamato Erin? E come sta? Mangia a sufficienza? Riesce a vivere dignitosamente? E aspetti un momento! Cos'è che vuole fare lei, signorino?!
 Xan sorrise e abbracciò il vecchio maggiordomo.
  -     Lei sta bene. Mi ha detto di dirti che le manchi e che ti vuole tanto bene.
 Sore strinse le labbra, cercando di trattenere le lacrime. 
Non vedeva quella ragazza da tre lunghi anni. L'aveva lasciata adolescente, ma avrebbe dato qualsiasi cosa per rivederla ora, come donna.
  -     Sore.... - lo richiamò Xan.
  -     Mi dica, Xan - rispose dolcemente l'uomo ricambiando l'abbraccio del ragazzino.
  -     Mi aiuterai, vero? Mi aiutrerai ad andarmene come hai fatto con lei? E stavolta verrai con me?  
 Il maggiordomo allontanò gentilmente Xan, costringendolo a sciogliere l'abbraccio, e lo fissò nei suoi bellissimi occhi verdi, che così tanto gli ricordavano quelli della ragazza che aveva cresciuto praticamente lui.
  - Certo che lo farò, Xan. Tu e tua sorella siete la mia famiglia. E nom permetterò che anche tu passi quello che ha dovuto passare lei. Ho aiutato Erin e aiuterò anche te, e farò in modo che vi possiate riabbracciare, promesso. - disse porgendo il mignolo al giovane.
Xan emise una risatina di pura felicità e strinse col suo mignolo quello del maggiordomo. 
Entrambi uscirono di soppiatto dalla biblioteca e Sore accompagnò il ragazzo nella sua camera. 
Xan si chinò sul pavimento e rimosse con attenzione un pezzo di legno del parquet, rivelando la radio snail e la marea di carte e mappe che vi erano nascoste. Vi posò le nuove ed estrasse un piccolo scrigno argentato. Lo accarezzò un po' con il pollice prima di aprirlo e sorridere nel vedere un piccolo pezzettino di carta che si muoveva puntando a est. La sua vivre card era tutto quello che gli era rimasto di sua sorella e quello che l'avrebbe riportato da lei. 
Si chiese se anche Erin, da qualche parte, stesse pensando a lui.










___________
Bonjour!
Finalmente ce l'ho fatta a postare, fiuuu.
Allora, come si è potuto ampiamente vedere tra Erin ed Ace non è stato esattamente quello che si può definire "amore a prima vista"... Chissà col tempo che succederà ;)
Oh oh oh, con la comparsa di Xan e di Sore è comparso anche un dettaglio importante: Marijoa. Eh sì, le cose si stanno cominciando a chiarire...
Il mio più grande ringraziamento va tutti voi che seguite, leggete e recensite, siete adorabili *.*
Un bacio enorme, alla prossima!! Xoxo

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** #04 ***


Dopo poco meno di una settimana a bordo della Moby Dick le ferite di Erin si erano rimarginate quasi del tutto e la sua caviglia era ritornata come nuova.
I rapporti con gli altri invece no.
A ogni passo che faceva sul ponte tutti le lanciavano occhiate sprezzanti, scocciati di averla tra i piedi. Ace soprattutto cercava, per quanto possibile, di starle a debita distanza. In quei momenti in cui, invece, si incrociavano nei corridoi o in cambusa il moro le riservava occhiate fugaci di puro fastidio.  Dire che la ragazza non fosse altamente seccata da questo suo comportamento sarebbe stato un eufemismo. 
Stesso comportamento del moro nei suoi confronti aveva anche Halta, l'altra ragazza presente sul galeone. Il fatto che, come uniche due donne a bordo, avrebbero dovuto "coalizzarsi" o quanto meno cercare di andare d'accordo non sembrava sfiorarla neanche per sbaglio. 
In fin dei conti ad Erin tutto questo importava poco. Aveva passato tutta la vita da sola, se l'era sempre cavata con i propri mezzi ed era stata disprezzata sempre da tutti quando viveva a Marijoa, eccezion fatta per suo fratello e Sore. Quindi anche in questo caso essere l'ultima ruota del carro non la toccava più di tanto, a conti fatti.
Gli unici membri di quella sgangherata ciurma che la trattavano con un po' più di riguardo erano Barbabianca e Marco: il primo cercava di metterla a suo agio qualsiasi cosa facesse; cercava, lei stessa non sarebbe riuscita a spiegarsi la motivazione, di farla ambientare. Lo faceva con battutine durante la cena, pacche sulla spalla fin troppo forti per una ragazza esile come lei, inviti a partecipare a qualsiasi cosa. Questo atteggiamento non faceva altro che accrescere il disappunto dell'equipaggio verso di lei. La famigerata domanda restava sempre: perché diavolo il capitano Edward Newgate tratta così questa mocciosa infiltrata rompiscatole? La reticenza dell'uomo sull'argomento era passata ormai alla storia.
Marco, invece, era quello che andava da lei quando era sola sul ponte di coperta a fissare il mare. Lui la tranquillizzava quando gli altri bisbigliavano sulla sua inutilità, la rassicurava sul comportamento apparentemente feroce di Ace, le forniva un po' di compagnia quando anche lei sentiva di desiderarne. Per questa serie di ragioni vedeva i due come le persone più simili a degli amici che avesse mai incontrato. 

Erin stava ripensando a quanto accaduto in quei pochi giorni sotto la doccia, uno dei pochi momenti in cui sentiva di potersi abbandonare del tutto ai meandri della sua mente senza sentirsene turbata. 
L'acqua bollente che le scivolava sul corpo la isolava alla perfezione dal mondo esterno, persino lo scorrere dell'acqua veniva percepito dalla ragazza come un tutt'uno con le sue funzioni vitali.  
Ma quel momento di estasi venne interrotto bruscamente dall'aprirsi della porta delle docce.
  -     Ma che diamine! - urlò imbarazzata Erin, cercando di coprirsi con le mani alla bell'e meglio. Fortuna che il vecchio aveva minacciato di buttare in mare chiunque fosse entrato, pensò.
  -     Calmati, sono io - disse Halta chiudendo con calma la porta alle sue spalle. Non per questo Erin si sentì più tranquilla.
  -     Non ti hanno comunque insegnato a bussare? - chiese sprezzante.
  -     Sarà che dopo tanti anni a contatto con soli uomini ho perso le buone maniere... - rispose Halta con un che di sarcastico nel tono di voce - Avevi dimenticato l'asciugamano. Sono venuta a portartelo.
  Erin rimase imbambolata per alcuni secondi, sorpresa da quel gesto inaspettatamente gentile. Non credeva che la rossa si sarebbe mai accorta di un dettaglio così "inutile" quale l'asciugamano. 
  -     Oh... Grazie... - mormorò la ragazza afferrando l'asciugamano che le veniva offerto. 
 Halta fece per andarsene ma, nel momento in cui la mora le diede le spalle per asciugarsi, sgranò  gli occhi e le si riavvicinò velocemente: - Ma che cavolo ti sei fatta su quella schiena?!
La pelle nivea della ragazza era ovunque percorsa da cicatrici: alcune erano talmente vecchie da aver lasciato solo un lieve segno più chiaro, altre, relativamente più recenti, erano profonde e rosee. La maggior parte sembrava essere stata fatta con una frusta, alcune addirittura con un'arma da taglio.
Le guance di Erin si imporporarono all'istante e si voltò completamente verso la rossa, senza la vergogna provata all'inizio. 
Le sembrò per un istante di sentire il sibilo sinistro della frusta vicina al suo orecchio, poi il veloce infrangersi contro la sua schiena, e infine il dolore lento e lancinante che, da essere concentrato in una fascia di pelle, si irradiava al suo intero corpo. 
  -     Non volevo che voi le vedeste... - cominciò Erin abbassando lo sguardo e accarezzandosi una spalla - Questi sono... ehm... i segni del... - fissò la rossa davanti a lei con sguardo implorante, prima di uscirsene con la cosa più stupida mai pronunciata dalla sua bocca: - Da piccola cadevo spesso.
 Halta incrociò le braccia al petto e storse appena le labbra. Certo quella non era la risposta che aveva sperato ma sapeva di avere dei confini da non superare con quella ragazza, che fossero dettati dal suo capitano e dalla sua etica aveva poca importanza: - Ok, ok. Questa è la bugia più stupida che abbia mai sentito. Lasci molto a desiderare come bugiarda, lo sai? 
Erin cercò di dire qualcosa ma preferì tacere.
  - Comunque non sei obbligata a parlarne... - aggiunse Halta sospirando.
La mora le sorrise riconoscente, felice e sorpresa che su quella nave tutti sembravano almeno capire e rispettare le sue scelte, seppur non stravedendo per lei. Detto questo la ragazza girò sui tacchi e uscì dalla stanza, lasciando Erin sola con i suoi pensieri.




 
  -     Hai provato a scappare di nuovo?! Stupida piccola mocciosa! 
 La frusta si scagliò con forza ad una velocità impressionante sulla schiena della ragazzina.
  - Ti avevo avvertita che non sarei stato così gentile in futuro. Ma tu, piccola testarda, vuoi sempre disobbedirmi!! 
L'ennesimo colpo seguito da urla di dolore riecheggiò nell'aria di quella sontuosa e bellissima stanza. 
Erin sollevò gli occhi pieni di lacrime dal tavolo in mogano su cui era distesa a pancia in giù e cercò di smettere di urlare. Un altro colpo ancora sulla sua candida schiena da poco più di una bambina. Si morse le labbra talmente forte da farle sanguinare pur di tenere la bocca chiusa, ma dopo molto tempo diventava sempre più difficile.
  -     Vuoi capirlo che sei di mia proprietà adesso?! I tuoi genitori non ti hanno proprio insegnato l'educazione! - sbraitò per l'ennesima volta il suo carnefice.  Era un ragazzo sui diciotto anni, alto, lunghi capelli biondi, ricco.
 La ragazzina strinse i pugni e strattonò con forza le braccia cercando di liberare i polsi dalle cinghie che la tenevano inchiodata al tavolo, purtroppo con scarsi risultati. Anche gli sguardi imploranti alle due guardie ai lati della porta non sorbirono effetti. Quei due giganti avevano le mani legate. Non potevano fare nient'altro se non guardare il loro padrone sfogare tutta la sua rabbia su quella povera ragazza di soli quindici anni e sperare che smettesse.
  -     Per favore, basta!!! - implorò tra le lacrime, quel supplizio era durato fin troppo - Non lo farò più! Non lo farò più ma per favore basta!!!
 Il giovane si fermò con la frusta a mezz'aria e, dopo qualche secondo, la abbasso lentamente, sganciando i polsi arrossati della ragazzina.
Erin si sollevò lentamente, sentendo la schiena bruciare, quasi si stesse per lacerare. L'uomo afferrò un asciugamano bianchissimo e glielo porse, dopodiché le asciugò le lacrime con i pollici, afferrò il mento della giovane tra le dita e con la sua voce maliziosa, che a lei ricordava il sibilo di un serpente, le sussurrò: - Oh, so che non lo farai più piccola. In fondo, a te piace stare qui, non è così?
" Arriverà il giorno. Arriverà il giorno in cui scapperò definitivamente da questo schifo di inferno una volta per tutte, lo giuro" pensò Erin.
Riuscì a mordersi ancora una volta quelle labbra fin troppo martoriate prima che lui le si avvicinasse per posarvi le sue.






Una Erin piuttosto cresciuta e completamente diversa scosse la testa per scacciare quella visione orrenda dal suo cervello. 
Senza accorgersene aveva stretto con molta forza l'asciugamano e le nocche le erano diventate bianchissime. 
Non sapeva ancora come, ma aveva giurato vendetta contro quello che le avevano fatto. Era una semplice ragazza, era debole, ma aveva promesso che, fosse l'ultima cosa che avrebbe fatto nella vita, si sarebbe vendicata. Poco le importava che fosse una farfalla contro un branco di lupi.
Si avvolse l'asciugamano attorno al corpo, facendo attenzione a coprire bene le cicatrici e uscì, dirigendosi verso la sua - ma non realmente sua - stanza.
Aprì la porta e vide un alquanto indaffarato Ace alla disperata ricerca di qualcosa. Doveva essere qualcosa di importante data la condizione deplorevole in cui si trovava la cabina. Rimase quasi un minuto buono a fissarlo immobile sulla soglia, cercando di sopprimere una risatina che faceva di tutto per uscire.
  -     Ma che diavolo stai facendo? - chiese ad un certo punto, facendo sussultare il moro che non si era accorto della sua presenza. Ace, che al momento curiosava sotto il tavolo, sollevò di scatto la testa sbattendo contro il legno.
  -     Ahia! - urlò massaggiandosi la nuca e uscendo da lì sotto.
  -     Allora? Cosa stai facendo?
 Erin aveva incrociato le braccia al petto e lo stava fissando accigliata aspettando una risposta. 
- E-ecco io stavo... - il moro cominciò a tergiversare quando si accorse che la ragazza indossava solo un semplice asciugamano - Ehm... Cercavo il mio coltello. Dovrebbe essere qui, credo... - mormorò cercando di distogliere lo sguardo da lei e sperando che non si accorgesse del colorito che sicuramente dovevano aver assunto le sue guance.
La mora rimase immobile per qualche secondo per poi dirigersi con sicurezza ad una mensola piuttosto alta sopra la scrivania. Afferrò un coltello in un fodero verde e lo porse al ragazzo.
  - Capisci a cosa serve mettere ordine in questa masnada? 
Ace si portò una mano dietro al collo e le sorrise imbarazzato. 
  -     Scusa, non volevo metterti in imbarazzo... 
  -     Quale imbarazzo? Non sono imbarazzato - disse con disinvoltura il moro, tradito però dal colore rosso sempre più intenso sulle gote.
  -     Se lo dici tu... - sorrise Erin. 
  -     Allora... - disse titubante Ace cercando di iniziare una conversazione civile, per una volta - Come... Come ti trovi qui?
  -     Oh, ehm... Non male. Cioè, quasi tutti mi trattano come se fossi appena uscita di quarantena... Ma per il resto tutto bene, immagino.
  -     Bene.
Ace rimase a fissarla per qualche secondo, ma il fatto di avere quella ragazza quasi nuda davanti lo metteva profondamente a disagio.
  -     D-dovresti vestirti - balbettò distogliendo lo sguardo dall'asciugamano. 
  -     Già, dovrei - annuì Erin. Ace aveva sollevato gli occhi a fissare il soffitto e quest'atteggiamento alquanto puerile la fece inevitabilmente sorridere - Forse... Dovresti uscire? - continuò la giovane indicandogli la porta.
  -     Sì. S-sì dovrei.  
 Il ragazzo afferrò l'arma che gli veniva data e se ne andò senza dire un'altra parola, lasciando Erin con la mano ancora a mezz'aria.
Solo quando fu uscito dalla stanza tornò a respirare normalmente e si diede dell'imbecille per quel comportamento da scolaretta. Era sicuro di non  provare alcuna simpatia per quella ragazza, solo che non sapeva spiegarsi il profondo imbarazzo che provava quando si trovava in sua presenza.




                                                                                                               ***




Il vecchio Barbabianca era sempre stato orgoglioso dei suoi figli.
Fatta eccezione per Marshall D. Teach non era mai stato deluso da nessuno e non c'era mai stato nulla che avesse mai potuto rimproverare loro.
Dal momento che avevano preso quella ragazza a bordo con loro, però, era rimasto abbastanza irritato dal comportamento che il suo equipaggio aveva assunto nei confronti della giovane.
C'era qualcosa in lei, neanche lui avrebbe saputo dire esattamente cosa, che lo rassicurava e lo convinceva che quella ragazza si sarebbe rivelata più utile di quanto potessero credere. Nutriva un profondo interesse verso di lei, la rispettava e provava quasi affetto nei suoi confronti.
Tutti avrebbero detto che la adorava e, forse, era realmente così.
Proprio mentre rifletteva su tutto questo vide la persona interessata sbucare sul ponte e avvicinarsi timidamente alla sua poltrona.
  -     Buongiorno signorina! 
  -     Buongiorno... - rispose Erin con poca convinzione. La verità era che stare in mezzo agli altri membri dell'equipaggio sapendo di non essere gradita le metteva addosso un grande senso di disagio.
  -     C'è qualcosa che non va? Qualcuno ti ha importunata? - chiese l'uomo preoccupato sporgendosi verso di lei. 
  -     Come? No no! - si affrettò a spiegare Erin con un gesto delle mani - Non è questo... È solo che... Mi chiedevo...
 Barbabianca cominciava a spazientirsi: - Cosa?
  -     Beh, ecco, io sono su questa nave da un po' e mi chiedevo se ci fosse qualcosa che potrei fare per rendermi utile.
  -     Ah! Quindi... mi stai chiedendo un lavoro?
  -     Sì, esattamente. Vorrei potermi sentire meno infiltrata di quello che in realtà sono. Non mi sta bene l'idea di avere vitto e alloggio gratis, non è da me - spiegò la ragazza sorridendo.
  -     Beh... Non c'è molto che i ragazzi già non facciano... - disse il capitano accasciandosi nella sua poltrona.
  -     Ti prego, qualsiasi cosa andrebbe bene!
  -      Mh... - l'uomo sembrò pensarci un po', accarezzandosi i baffi con le dita: - Sì, a dire il vero c'è qualcosa, sempre che a te vada bene... 








________
Good afternoon!
Allora, l'altro giorno ho  avuto la conferma che il karma esiste. Questo perché mentre disegnavo (Ace, tra l'altro) nell'alzarmi sono inciampata e mi sono slogata la caviglia. Coincidenze?
Voglio augurarmi di sì dato che quella povera anima di Erin passerà ancora molto altro... 
Sì, ehm... Riguardo a cosa è successo nel capitolo... Beh, diciamo che verrà chiarito tutto, solo voglio avvisarvi che mi sono presa diverse libertà narrative (di cui avviserò) rispetto all'opera originale di Oda, cose completamente messe lì da me. Ma vabbè, in futuro ve ne renderete conto.
Sempre scongiurando altre eventuali ripercussioni del karma sulla mia povera persona, volevo ringraziarvi tutti per essere sempre così cari nel seguire la storia ** 
Ma soprattutto, cosa più importante, nonostante io sia quasi agnostica volevo augurare a tutti voi di passare un meraviglioso e felice Natale con le persone che amate. Siate felici e divertitevi!
Un bacio, al prossimo capitolo!

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** #05 ***


Il suono dei suoi passi che riecheggiava nel corridoio era appena percettibile, coperto da una meravigliosa sinfonia orchestrale che proveniva dalla porta in fondo. 
L'uomo si sistemò meglio la mascherina da notte verde acqua che portava perennemente sulla testa con fare altamente seccato.
La sua indole pigra e generalmente spensierata lo avrebbe portato volentieri in tutt'altro posto, ma si rendeva perfettamente conto, quale uomo ligio al dovere, che il lavoro veniva prima di qualsiasi altra più tranquilla occupazione.
L'ammiraglio mise le mani in tasca e proseguì con calma, prendendosi del tempo per osservare i costosissimi quadri appesi alle pareti, i vasi di porcellana finissima, le preziose sculture di marmo di altissima qualità. Il pavimento stesso era intarsiato da mosaici talmente belli che sembrava quasi un sacrilegio camminarci sopra. 
Alla sua destra si apriva un grande balcone, il cui soffitto era sorretto da bellissime e aggraziate cariatidi, circondate qua e là da edere in fiore.
L'uomo distolse lo sguardo e sbuffò, ritrovandosi a pensare che tutta la bellezza, tutto lo sfarzo, il lusso e l'immensità di quella dimora si contrapponeva disgustosamente all'animo dei suoi proprietari. Era quasi una malvagia ironia osservare gli schiavi magrissimi che vi lavoravano sapendo gli sprechi che ogni giorno avevano luogo lì dentro.
Arrivato alla porta l'ammiraglio bussò un paio di volte, girando la maniglia d'oro sola quando una voce dall'interno gli ordinò di farlo.
Una volta entrato una ventata di vapore caldo e profumato lo investì in pieno, procurandogli per un istante un giramento di testa.
Aokiji si trovava in un bagno enorme e scintillante. La prima cosa che riuscì a distinguere in tutto quel vapore furono le tende immacolate che coprivano delle enormi vetrate opache. Tutto nella stanza era bianchissimo e splendente, come se venisse strofinato ogni ora, e probabilmente doveva essere così.
Al centro della stanza c'era una vasca da bagno in cui un uomo abbastanza giovane era disteso con le braccia sul bordo. Ai lati della vasca erano inginocchiate due ragazze incredibilmente belle, che immergevano delle spugne nell'acqua piena di schiuma e strofinavano il petto del loro padrone. L'unica cosa che sembrava scalfire la loro bellezza erano le loro espressioni, in cui si riusciva a cogliere paura, frustrazione, timore. Aokiji storse il naso a quella vista.
  -     Kuzan! Finalmente sei arrivato, vecchio mio! - esclamò l'uomo non appena riuscì a metterlo a fuoco in tutto quel vapore.
  -     Le voglio augurare un buon giorno, signor Akahito - disse l'ammiraglio in modo abbastanza distaccato.
 L'uomo nella vasca si sollevò appena e fece cenno alle due ragazze di allontanarsi. Queste si alzarono e si congedarono con un umile inchino a entrambi i presenti. 
Aokiji si avvicinò all'uomo e lo salutò ufficialmente chinando il capo.
  -     Passami quell' accappatoio che vedi sulla poltrona - ordinò il nobile, per nulla abituato a chiedere le cose.
 L'ammiraglio sospirò senza farsi notare e gli porse l'accappatoio.
  -     Perché ci hai messo tanto a venire fin qui, Kuzan? Spero che tu abbia buone notizie da darmi - domandò Akahito con calma, sorridendo. 
  -     Mi dispiace, signore, ci sono stati dei contrattempi al quartier generale. Sono venuto appena possibile - spiegò l'uomo dalla pelle scura, sistemandosi meglio la giacca bianca sulle spalle, mentre Akahito scese dalla vasca da bagno senza apparente vergogna e si mise l'accappatoio addosso, abbassando con una mano il volume della radio snail da cui proveniva la meravigliosa melodia udita fin dal corridoio.
  -     Bene. E...? Nessuna buona notizia? 
 L'ammiraglio poté percepire una nota di irritazione nella domanda: - Sono spiacente, signore, non siamo ancora riusciti a catturare la ragazza.
L'uomo, che nel frattempo era intento ad asciugarsi i suoi lunghi capelli biondi davanti allo specchio, si voltò con una lentezza inquietante e fissò Aokiji con rabbia. 
  -     Che cosa? Sono passati quattro anni, Kuzan. Quattro. E voi idioti della Marina non siete ancora riusciti ad acciuffare una ragazzina di vent'anni - disse il biondo scandendo ogni parola con fin troppa calma perché potesse essere considerata autentica.
  -     Signore, proviamo profonda vergogna per questo, gliel'assicuro - Non siamo noi quelli che si sono fatti scappare la suddetta ragazzina da una casa ultra sorvegliata, pensò il moro - Ma le buone notizie ci sono. La ragazza è stata avvistata da un gruppo di marines su un'isola del mare occidentale, che l' hanno inseguita sino a perderne le tracce. Un'isola con protettorato di Barbabianca.
  -    Barbabianca, mh? - Akahito abbassò lo sguardo, sovrappensiero, e pochi secondi dopo un sorriso soddisfatto comparve sul suo viso - Beh, avrete delle tracce allora, immagino.
  -     Ci stiamo lavorando, signore. Io stesso sto facendo del mio meglio per trovarla.
  -     Kuzan, se quella ragazza dovesse aprire bocca con qualcuno sarebbe la fine per tutti noi, lo sai. Vi do altri tre mesi. Se entro questo tempo non riuscirete a portarmela qui darò avvio al piano B. Sai di che parlo.
  -     Certo, signore.
 Aokiji sapeva fin troppo bene quanto fosse importante quella ragazza e quanto folle potesse essere quell'uomo.
Akahito si gli si avvicinò lentamente e disse calmo: - Ognuno di noi, anche il più forte, ha un suo punto debole. Un punto di pressione talmente intenso che basta toccarlo con un dito... - fece una pausa, sollevò una mano e guardò un punto indefinito davanti a sé -... per far crollare una persona. Proprio come un burattino.
L'uomo dai capelli ricci deglutì, a disagio.
  -     E tu, Kuzan, anche tu hai un punto debole - continuò, fissandolo - E il tuo punto debole sono i tuoi ideali. Ma non preoccuparti, mi fido di te. So che non sei un disertore - concluse, dando una pacca sulla spalla del moro.
 Questo restò immobile per qualche secondo, reggendo il contatto visivo, ma poi fece un inchino e si avviò verso la porta della stanza, prima che il nobile lo richiamasse: - Ah, Kuzan, un'ultima cosa. 
L'ammiraglio si fermò con la mano sul pomello, senza voltarsi. 
Non aveva detto tutto. Non aveva detto che qualcuno su quell'isola aveva visto una giovane donna salire sulla nave di Barbabianca da una finestra. Non aveva detto che lui una traccia già l'aveva. Non aveva detto che sapeva esattamente quello che doveva fare per trovarla.
  -     Kuzan, - lo richiamò Akahito, costringendolo a voltarsi controvoglia - la voglio viva. 




                                                                                                     ~~~




Il lavoro che Erin aveva così ostinatamente chiesto a Barbabianca si era rivelato essere più snervante di quello che aveva creduto all'inizio.
Era stata incaricata, infatti, di pulire il ponte di coperta. 
All'inizio non credeva ci fosse nulla di male e anche se non le fosse piaciuto lo avrebbe fatto lo stesso. Dopotutto non voleva comportarsi come una specie di scroccona.
Passò ancora una volta, con tutta la buona volontà di cui era capace, lo straccio su quelle ostinate macchie sulla balaustra, ottenendo nient'altro se non arrabbiarsi ancora di più. Erano passati almeno quindici minuti da quando aveva iniziato a perseverare su una stessa singola parte del legno, e la sua pazienza aveva raggiunto l'estremo capolinea.
  -     Ma dannazione! - urlò senza curarsi troppo degli sguardi meravigliati con cui la fissarono tutti i presenti.
 Gettò di lato lo straccio e si alzò spazzolandosi le ginocchia con le mani.
  -     Ma questa nave la pulite mai!?
  -     Gurararara! - le si avvicinò il capitano ridendo - Ora capisci perché questo lavoro non lo fa mai nessuno, signorina!
 Con la futura esperienza che avrebbe avuto su quel veliero avrebbe scoperto che il ponte di comando era la parte più sporca della nave per due semplici ragioni: la prima era che molte volte le sbronze i pirati preferivano farle lì e non in cambusa, per il fatto che il cuoco teneva molto che la sua cucina fosse pulita "come la fottuta stanza da bagno di un fottuto Drago Celeste"; il motivo numero due era che il mare in tempesta sporcava ovunque di sale, e pulire ogni volta sarebbe stato quanto meno da pivello. Ma se la ragazza desiderava proprio contribuire...
Erin si riavviò con una mano i capelli madidi di sudore e si appoggiò alla "stupida  balaustra", come l'aveva definita più volte in quel quarto d'ora, cercando di riprendere fiato.
Ace, che per tutto il tempo era rimasto accanto al timone a fissarla, ricevette una leggera spallata da Marco che lo distolse dai suoi pensieri.
  -     Non riesco davvero a capirti, amico. Non la sopporti eppure la fissi sempre. Cosa dovrei pensare? - chiese il biondo prendendo il timone.
 Ace sbuffò  infastidito e disse: - Semplicemente mi incuriosisce. Hai visto quella macchia rossa che ha sulla tempia? Cosa può essere? 
  -     Non ne ho idea. Vai a chiederglielo scusa - propose il suo amico sporgendosi  per poterla vedere meglio.
   -     Sai cosa? Lo faccio. 
  Detto questo il moro scese dalla piattaforma di comando e si diresse con passo sicuro verso la ragazza.

Erin si voltò a guardare il mare, solcato da poche basse onde. 
La sua mano era istintivamente salita ad accarezzare la sua collana. La aprì e sorrise alla vista della piccola vivre card che era perennemente nascosta nel ciondolo. Puntava ad ovest, e, inevitabilmente, la ragazza si ritrovò a fissare l'orizzonte occidentale, quasi speranzosa di vedervi comparire Xan. Questo comportamento nostalgico nel guardare l'orizzonte le ricordò un suo amico. Una persona che aveva conosciuto diversi anni prima e a cui doveva la vita...
  -     Ciao - disse qualcuno all'improvviso alle sue spalle.
 La ragazza si voltò e scoprì che a parlare era stato il moro: - Ehi, ciao - rispose cordialmente.
  -     Che cos'è? È una vivre card? - chiese curioso Ace indicando il foglietto nelle mani della ragazza.
  -     La conosci? - rispose Erin con un sorriso.
 Il moro aprì il marsupio azzurro che portava alla gamba sinistra ed estrasse un fogliettino del tutto identico al suo.
  -     E sentiamo, chi è la tua persona importante? - domandò il ragazzo rimettendo la vivre card al suo posto.
  -     È... È il mio fratellino. Questa me l'ha data lui, in cambio della promessa che sarei tornata per portarlo con me.
  -     Che coincidenza - disse il moro sorridendo e incrociando le braccia al petto, fissando il mare.
  -     Come?
  -     La mia vivre card... Anche io ne ho data una a mio fratello... - non riuscì a non scoppiare a ridere al ricordo: - Quel gran rompiscatole combinaguai. Non immagini quanto riusciva ad essere fastidioso da piccolo! - fece una pausa - Però farei qualsiasi cosa per lui.
 Erin era rimasta assorta ad ascoltare con quanto amore il ragazzo parlasse di suo fratello e, dato che su questo erano simili, non poté non provare grande empatia per lui in quel momento: - Allora almeno su una cosa siamo d'accordo.
Ace scoppiò a ridere: - Già!
Subito dopo si ricordò il reale motivo per cui era andato a parlare con lei, e chiese: - Posso sapere cos'è quella macchia sulla tua tempia, accanto ai capelli?
Erin si toccò il punto oggetto di intetesse di Ace e si incupì un poco.
  - Oh, questa. È una voglia, ce l'ho da quando sono nata, ma ne farei volentieri a meno. Mi ricorda solo un posto al quale non appartengo e non mi ha mai portato     altro che problemi - disse coprendola con una ciocca di capelli.
  -     Capisco... Beh, anche io ho avuto qualche problemino con le mie origini, quindi non posso che darti ragione.
 - Quindi saliamo a due cose in comune - puntualizzò la mora facendolo sorridere.
Dopo aver riposto la vivre card nel ciondolo dove era gelosamente custodita, Erin si accovacciò per ricominciare la sua logorante ed epica battaglia contro la macchia di rhum sulla balaustra.
Ace le sorrise inconsciamente, seppur non visto, e si allontanò lasciandola lavorare.
  -     Comunque rinuncia, è una battaglia persa! - la avvisò prima di andare.
Di  tutta risposta la ragazza scosse la testa e sorrise, guardando il tatuaggio sulla sua schiena sparire oltre la porta che conduceva al ponte.





                                                                                                           ***




Passarono le settimane e la ciurma dei pirati di Barbabianca stava navigando in una di quelle fasce di mare in cui l'inverno la fa da padrone.
Erin non era mai stata in una delle "zone d'inverno" e si rese conto di non aver mai avuto idea di cosa significasse morire di freddo prima di arrivare lì. 
Si strinse ancora di più nel cappotto imbottito che Vista le aveva gentilmente prestato, dato che sembrava possederne più di uno. Non riusciva a dire da quanto tempo stava tremando, ma si rifiutava categoricamente di scendere al calduccio in coperta mentre tutti gli altri sul ponte si davano da fare come pazzi per far proseguire la nave senza intoppi. La temperatura dell'acqua, infatti, era qualche grado sotto lo zero e la superficie era ricoperta da diverse lastre di ghiaccio. 
L'equipaggio cercava di fare di tutto per non andare a schiantarsi con gli iceberg: avevano estratto i rostri dalle costole laterali della nave, in modo da usarli come rompighiaccio; Barbabianca scagliava ogni tanto qualche palla di cannone sulle grosse lastre che incontravano a prora, attività che il capitano sembrava trovare altamente divertente.
Persino Ace lanciava qua e là delle saette fiammeggianti per sciogliere il ghiaccio.
Nonostante la ragazza avesse scelto di restare sul ponte era comunque la più inutile. Non sapeva cosa fare e, soprattutto, non poteva fare alcunché. Mentre i pirati erano abituati a questo genere di contrattempi, lei non aveva idea di come comportarsi. Non poteva fare altro se non condividere le sofferenze dei suoi compagni di viaggio.
Ace, qualche metro alla sua destra, aveva fiamme che gli uscivano ovunque lungo le braccia e i palmi, ma quello che realmente stupì la ragazza era il fatto che il ragazzo era a petto nudo come al solito, come se si trovasse a prendere il sole su una spiaggia tropicale.
Non sembrava sentire minimamente i morsi pungenti e dolorosi del freddo e questo le procurò un intenso brivido lungo la schiena che la fece stringere ancora di più nei suoi indumenti.
  -     Freschetto qui, non trovi? - chiese Izo avvicinandosi, anche lui stretto in un pesante giubbotto come i comuni mortali.
  -     Già, ma nulla a cui non potrei abituarmi - scherzò la giovane, notando le nuvolette di condensa che uscivano dalla sua bocca a ogni parola pronunciata.
  -     Squardo! Iceberg a dritta! Vira un po' a sinistra! - urlò Jaws, che, sporgendosi dalla balaustra, forniva importanti indicazioni a Squardo che governava il timone.
 Sembrava una situazione estremante complicata.
  -     No! No aspetta! A sinistra c'è... 
 Marco non fece in tempo a finire la frase che la nave ebbe uno scossone talmente forte che fece tremare persino l'albero maestro. 
Erin finì per terra così come tutti gli altri, ma notò che c'era qualcosa che non andava in tutta quella situazione.
  - Ma che cazzo succede qui?! - gridò il capitano avvicinandosi al resto della ciurma.     
  -     Merda! - esclamò qualcuno affacciato alla balaustra, immediatamente raggiunto da tutti gli altri.
 - Jaws! Jaws è caduto in mare! - urlò Ace agitato correndo verso il capitano.
Barbabianca non fece in tempo a elaborare quanto gli era stato appena detto  che vide Erin togliersi il giubbotto e buttarsi in acqua in meno di mezzo secondo. 











_________
Ta ta ta taaaaa!
Godmorgen! (Danese)
Che dire... Abbiamo Aokiji e si comincia a capire un po' di più la personalità di quello psicopatico di Akahito. A proposito, l'ho chiamato così perché il nome è simile a quello di quel bip di Akainu, essere che odio da morire e che troneggia nella mia lista nera di nemici mortali per ciò che ha fatto. Quindi la somiglianza mi permette di identificare meglio il personaggio insomma.
Forse alcuni se ne saranno accorti, ma nel testo ho inserito un piccolo riferimento a una persona... Una persona che ha avuto un ruolo moooolto importante nella vita di Erin e nella storia. Se non l'avete notato non preoccupatevi perché se ne riparlerá in futuro. 
E la fine.. Eh eh, mi piace tenervi sulle spine :p
Un bacio grande come una casa a tutti voi che seguite, recensite, preferite e leggete, siete fantastici, dico davvero.
Ci si sente al prossimo capitolo!

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** #06 ***


Nel momento in cui la nave aveva urtato un grosso iceberg, Erin si era accorta subito che c'era qualcosa che non andava.
Poi aveva visto Ace correre da un parte all'altra dicendo che Jaws era finito in mare.
Per qualche secondo non pensò che ci fosse tanto di cui preoccuparsi, subito dopo, però, una consapevolezza atroce la assalì e capì. Ricordò del giorno in cui aveva conosciuto l'equipaggio, ricordò Jaws che si era trasformato in diamante per separare Ace e Marco, e ricordò ciò che Sore le raccontava da bambina. 
"Chi ha mangiato un frutto del mare perde per sempre la capacità di nuotare. È come se il corpo diventasse di pietra: non ha altro destino se non quello di affondare negli abissi", questo le aveva detto.
Marco, Ace e Barbabianca erano immobili, non potevano fare nulla per aiutare il loro amico.
Così Erin prese una decisione senza quasi pensarci, agì d'istinto: si guardò velocemente intorno e la sua attenzione venne catturata da una corda arrotolata su una cassa, la cui estremità era fermamente legata ad un pilone metallico che sporgeva dal legno del ponte.   
Si alzò immediatamente e corse a prendere quella corda, la srotolò e gettò l'estremità libera in acqua. Dopodiché si tolse il giubbotto e, sotto lo sguardo meravigliato e contemporaneamente terrorizzato della ciurma, balzò sulla balaustra con agilità felina.
Ace si era immobilizzato sul posto a quella scena, ma fece appena in tempo a chiamare il nome della ragazza che questa si lasciò cadere in mare.
  -     Erin, no!!! - urlò Barbabianca, sporgendosi dalla balaustra con l'ansia che saliva sempre di più.
  -     Maledizione! - urlò Marco, assicurandosi che la corda usata dalla ragazza li avrebbe retti entrambi.
 Ace, intanto, era davvero rimasto paralizzato sul posto. Sbiancò  all'istante e trovò appena la forza di muovere le gambe e avvicinarsi agli altri per controllare la situazione. Era come se all'improvviso si fosse ritrovato schiacciato sotto una pressa gigantesca, e il suo stomaco si contorse al punto da fargli solo venir voglia di vomitare. Provò in quel momento, una delle rarissime volte in tutta la sua vita, quello che la maggior parte delle persone identifica come paura.

L'impatto con l'acqua fu una delle cose più dolorose che Erin avesse mai provato, non tanto per il colpo in sé, quanto per le fitte lancinanti che pervadevano ogni centimetro del suo corpo. 
Le pareva di essere precipitata in un letto fatto di lame sottili e affilate piuttosto che in acqua, non immaginava che il freddo potesse fare tanto male.
Riemerse il più velocemente possibile, imprecando a ogni movimento. 
Alzò lo sguardo e vide l'equipaggio affacciato dalla nave che urlava il suo nome e le diceva di aggrapparsi immediatamente alla corda. Non credeva che  la distanza con il livello dell'acqua fosse così grande, doveva aver fatto un tuffo di almeno 30 metri.
Fece del suo meglio per recuperare al più presto la mobilità motoria, seppur con estrema fatica. 
Le si gelò ulteriormente il sangue quando si accorse che Jaws era sparito e che stava cominciando ad affondare. Trattenne il fiato e si immerse iniziando a guardarsi intorno. Notò subito il corpo del compagno che si faceva sempre più piccolo andando a fondo.
Cercando con tutte le  sue forze di ignorare il dolore agli occhi e a ogni altra parte del suo corpo, raggiunse Jaws e lo prese per un braccio, mettendosi a nuotare per raggiungere la superficie.
Non immaginava che,  nonostante si trovassero in acqua, la stazza dell'uomo rendesse così difficile trascinarlo.
Con una forza che non sapeva nemmeno di avere riuscì a emergere in superficie, tenendogli sollevata la testa fuori dall'acqua.
Nuotò ancora verso la corda che pendeva dal ponte e ne avvolse più volte l'estremità al petto dell'uomo privo di sensi, fissandola con un nodo abbastanza robusto.
  -     T-tiratelo su - balbettò Erin con un filo di voce, troppo debole perché gli altri potessero sentirla.
  -     Tiratelo su, ora! - urlò, con le ultime forze che le rimanevano.
 Non riusciva a sentire più braccia e gambe, aveva iniziato a tremare convulsamente e a battere i denti, quasi non riusciva più a stare a galla.
 Barbabianca spostò tutti malamente e afferrò a mani nude la corda, tirandola con una forza incredibile. Le vene delle braccia e del collo sporgevano dalla pelle per la fatica, si poteva quasi vedere pulsare il sangue.
  -     Salvate Erin! Fate qualcosa, non statevene impalati!!! - gridò il capitano, con la voce rotta dallo sforzo.
 All'improvviso un'idea balenò nel cervello di Ace. Il ragazzo, aggrappandosi finalmente ad una solida speranza, si riscosse dalla specie di trance in cui era caduto e corse immediatamente a cercare Marco.
  -     Marco! Marco!!! Dove sei?! - urlò, prima di andare a sbattere contro qualcuno.
  -     Ace ! Sono qui! Cosa c'è? - chiese il biondo, con il viso ricoperto di sudore nervoso nonostante il freddo.
  -     Trasformati!
  -     Come? - chiese stupefatto il ragazzo.
  -     Trasformati in fenice! Vola là giù e salvala! Muoviti!!! - gridò il moro indicando in punto in cui si trovavano i suoi amici.
  -     Dannazione, sta andando in ipotermia! - disse Halta correndo a cercare una corda, aiutata da Vista e Izo.
 Marco annuì e prese la rincorsa verso la balaustra. In un secondo il suo corpo mutò in quello di un fiammeggiante uccello azzurro e scese in picchiata verso l'acqua. Afferrò la maglia di Erin con gli artigli e la riportò sulla nave.
Si trasformò nuovamente in un uomo e prese la ragazza in braccio, portandola al sicuro al centro della nave.
  -     Ace! - urlò il biondo, cercando con gli occhi l'amico - Ace, maledizione, vieni subito qui!!! 
 Il moro si fece largo tra l'equipaggio e raggiunse i due, rabbrividendo nello scorgere la pelle pallida di Erin tra le braccia di Marco. 
  -     Sono qui.
  -     Bene. Halta! Halta, tu ed Ace venite con me, voi occupatevi di Jaws! - ordinò la fenice dirigendosi velocemente verso la cabina. 
  Aprì la porta con un calcio e adagiò il corpo della ragazza sul letto, sotto lo sguardo preoccupato dei suoi amici.
  -     Ok. Va tutto bene - disse, millantando più calma di quanta non ne avesse. Si girò per chiamare Ace ma cambiò idea quando si accorse che il ragazzo era impietrito davanti a quel corpo in preda alle convulsioni.
  -     Ok. Halta, toglile i vestiti bagnati,  bisogna riscaldarla. Ace... Ace, guardami - disse calmo frapponendosi tra il moro e le due ragazze - Ace, se la vuoi aiutare devi riprenderti, capito amico? 
 Il moro sbatté più volte le palpebre e scosse la testa, riprendendosi e riuscendo finalmente a mantenere la calma: - S-sì. Dimmi che devo fare.
Marco sorrise e si avvicinò al letto, dove Halta aveva praticamente tolto ad Erin quasi tutti gli indumenti, avendo cura di non far vedere ai due le cicatrici sulla schiena e le spalle della ragazza. Il biondo prese una coperta e la porse al moro: - Abbracciala e copritevi con questa.
Il viso di Ace divenne rosso come le sue fiamme all'istante. Non riusciva a credere che l'amico potesse fare scherzi in un momento drammatico come quello.
  -     Non è il momento di scherzare, Marco!
  -     Non sto scherzando, imbecille! La tua temperatura corporea è di circa 45 gradi, devi riscaldarla! Quindi smettila di pensare a chissà cosa e mettiti sotto quella cazzo di coperta con lei! - sbraitò il biondo con il consenso di Halta.
 Ace lo spostò e si avvicino ad Erin che si agitava e tremava convulsamente sul letto ripiegandosi su se stessa. Purtroppo Halta non riuscì a impedire che si girasse e rivelesse i segni sulla schiena.
  -     Ma che... 
  -     Lascia perdere! Fa' come ti ha detto Marco! - disse la rossa, bloccando la domanda del moro sul nascere.
 Il ragazzo le passò le braccia sotto le ascelle e si sedette sul letto, facendola sedere sulle sue gambe. Erin si aggrappò a lui con tutte le sue forze, accoccolandosi in modo da avere più pelle possibile a contatto con quella bollente del moro. Lo stringeva come se da quello dipendesse la sua vita, e non era escluso che fosse davvero così. Ace coprì entrambi con la coperta e strinse a sua volta quel corpo tremante, pregando mentalmente che tutto funzionasse.
Erin aprì gli occhi debolmente e  incontrò quelli neri e spaventati del ragazzo. Sorrise per un momento, comunicando con quel sorriso quello che Ace interpretò come un "grazie, sai che ce la farò", poi tornò a nascondere il viso sulla sua spalla.
Per la prima volta Ace si accorse di quanto fosse buono il profumo di Erin e di quanto bella potesse essere. 
  -     Molto bene. Io vado a vedere come sta Jaws, la lascio nelle vostre mani, ragazzi - disse Marco uscendo dalla stanza, mentre Ace e Halta annuirono.
 Il moro a quel punto non riuscì più a resistere alla curiosità e, molto lentamente, scostò la coperta quel tanto che bastava per mostrare la schiena della ragazza. Erin emise un gemito: forse dal suo stato di semi-svenimento riusciva a percepire che la stessero fissando. 
Ciò che Ace vide non gli fece per nulla piacere, facendo sorgere ancora altre mille domande nel suo cervello.
  -     Wow... Ma cosa le è successo? - chiese, senza un interlocutore preciso.
  -     Non lo so - rispose Halta, rimettendo la coperta sulla ragazza - So solo che non deve essere nulla di piacevole né da dire né da ascoltare. Sarà già abbastanza scossa quando si sveglierà, quindi non dire nulla agli altri, nemmeno a papà, meglio non interferire, per ora...
  -     Tu le avevi già viste?
 Halta ricordò l'episodio sotto la doccia, ricordò come era diventata nervosa Erin in quella situazione, quindi annuì.

Passò circa un'ora. Erin si era addormemtata, ancora tra le braccia di Ace, e il suo respiro si era fatto regolare.
 Un Marco alquanto trafelato fece irruzione nella stanza, beccandosi un'occhiataccia dai due che gli ricordavano di fare silenzio per non svegliare la ragazza.
  -     Oh, scusate! - bisbigliò il biondo congiungendo le mani in segno di pentimento - Come sta? - chiese poi indicando Erin.
 Ace la fissò per un attimo e sorrise: - Sta bene, si è addormentata.
Marco si avvicinò ad Ace e gli sussurrò all'orecchio, facendo meno rumore possibile: - Ace, abbiamo bisogno d'aiuto con Jaws, puoi venire?
Il moro annuì, seppur leggermente dispiaciuto di doverla lasciare. La appoggiò delicatamente sul letto e la coprì con la coperta.
  -     Ora mi occupo io di lei. Le metterò dei vestiti puliti e poi nel letto - disse Halta, alzando un pollice in direzione dei due ragazzi.
 Ace si affrettò a seguire l'amico ma, prima di chiudere la porta, si riaffacciò nella stanza e fece cenno alla rossa di avvicinarsi: - Se la caverà, vero?
La ragazza sorrise gli mise una mano sulla spalla: - Amico, certo che se la caverà. Si è gettata in mare per salvare uno dei nostri, è forte. Vedrai che starà meglio di prima!
Sentì Ace tirare un sospiro di sollievo.
  -     E, comunque... - lo richiamò la rossa, sorridendogli maliziosa - Dio mio, Ace, sei più cotto delle mele che cucinava Satch! 
 Il moro divenne rosso in viso: - M-ma c-che cosa dici?! N-non è affatto vero! Sono solo preoccupato come lo sei tu, tutto qui! - si difese e incrociò le braccia al petto, anche se questo non fece altro che far scoppiare a ridere Halta.
Indignato, ma anche segretamente divertito, uscì dalla cabina con il broncio e raggiunse il biondo nella cabina di Jaws.




                                                                                                      ***



Il tempo passava e, mentre Jaws si ristabilì completamente mel giro di mezza giornata, Erin cominciò a mostrare i primi segni di notevole miglioramento solo tre giorni dopo.
Halta l'aveva sottoposta ad una cura di antibiotici - presi ovviamente dalla cabina del capitano, con il suo ampio consenso - e, con una febbre inizialmente di 41 gradi, si era finalmente stabilizzata a circa 38 in tre giorni, tre giorni di preoccupazione per la ciurma.
Barbabianca era seduto sulla sua poltrona a godere della brezza primaverile di quel tratto di mare, finalmente lontani dalle grinfie del freddo. Marco, accanto a lui, gli stava cambiando la flebo. 
  -     Credo che la risposta ti sia stata data da sé - disse tutt'un tratto Newgate al comandante della prima divisione.
  -     Mh? - domandò a sua volta Marco, non capendo a cosa si riferisse.
  -     Un po' di tempo fa mi hai chiesto perché io mi fidassi della signorina. Beh, non ti ho risposto. Non saprei darti una risposta nemmeno ora. Sapevo che era coraggiosa e leale, non so cosa me lo abbia suggerito, ma è così. Ma ora, con gli ultimi avvenimenti, credo che vi siate resi conto anche tutti voi del fatto che merita tutta la nostra fiducia - spiegò il capitano, fissando negli occhi il biondo.
  -     Già, Erin è una ragazza a posto, lo dicono tutti a bordo ormai - confermò Marco sollevandosi da terra - E... qualcun altro sembra anche molto preso, mi sembra... - concluse, scoppiando in una risata liberatoria.
 Barbabianca sgranò gli occhi e si voltò completamente a fissarlo: - Cosa? Di chi parli?
  -     Come di chi parlo? Tu, papà, riesci a vedere se di una persona ci si può fidare e non riesci a notare l'evidenza? - chiese Marco, ridendo ancora.
  -     Ehi! Sono il capitano! Non prendermi in giro! - esclamò Newgate, offeso.
  -     Capitano o no, permettimi di ripagarti con la stessa moneta. Non ti dirò chi, lo scoprirai da solo! - disse la fenice allontanandosi, mentre suo padre abbandonò il suo broncio e scoppiò il quella risata strana che lo caratterizzava.
  -     Cos'avete tanto da ridere? - chiese Ace al biondo quando gli si fu avvicinato abbastanza.
  -     Cosa? No, niente, gli raccontavo una barzelletta - rispose, silurando l'argomento.
 Marco, quale migliore amico di Ace, si era accorto molto bene della preoccupazione del moro in quei giorni: era sempre taciturno, cosa assai improbabile, mangiava meno del normale e preferiva sempre starsene da solo. Così decise che era ora di fare una chiacchierata.
  -     Ok, dimmi cos'hai - chiese, non che in realtà non lo sapesse.
  -     Io? Niente, cosa ti fa pensare che abbia qualcosa? - disse il moro facendo il finto tonto.
 Marco sospirò e chiuse gli occhi per la disperazione: - Ok, amico, fai finta di niente ancora un altro secondo e giuro che ti butto in mare.
  -     Ok, ok! Non c'è bisogno di ricorrere alle minacce! - esclamò Ace. Poi sospirò e si lasciò scivolare lungo la balaustra, sedendosi per terra con l'amico.
  -     È solo che... - cominciò, esitante - Vedi, quando Jaws è caduto in mare mi sono agitato tantissimo. Lui ha mangiato un frutto del mare come noi, quindi sapevo a quali conseguenze sarebbe potuto andare incontro...
 Il biondo ascoltava attentamente, riconoscendosi nelle parole del moro.
  - Ma quando l'ho vista saltare su quella balaustra e poi gettarsi in mare... - fece una pausa - ... Io sono entrato completamente nel panico come mi è successo solo un paio di volte in tutta la mia vita. Ho avuto davvero paura di perderli entrambi.
- Beh, Jaws è tuo amico da tanti anni, ma Erin? Com'è che ci tieni così tanto?
- Non lo so. Davvero, non ne ho idea. All'inizio io non la sopportavo sul serio, la trovavo così, come dire... Sembrava che tutto le fosse dovuto!
  - Strano, - obiettò Marco - a me non ha dato questa impressione.
  -     Non so, così mi sembrava. Però ora... - esitò il moro, alzando gli occhi al cielo, quasi sperando che gli suggerisse cosa dire.
  -     Però ti sei accorto che non è così e qualcosa è cambiato - completò il biondo, dando una leggera spallata all'amico - Beh, non posso darti torto. Non è niente male, davvero. È coraggiosa, bella, in gamba, sveglia... Che stai aspettando?
  - Come che sto aspettando?! - sbraitò Ace, evidenziando la presunta ovvietà della domanda - Amico, io una cosa così non l'ho mai provata in tutta la mia vita! Certo, ho avuto dei... ripieghi ogni tanto, lo sai. Ma così mai. E mi spaventa. Odio questa situazione - aggiunse esasperato, mettendosi le mani nei capelli.
  -     Andiamo, Ace! Non fare tutta questa tragedia! Vedrai che le cose si risolveranno da sé, non preoccuparti - lo tranquillizzò il biondo con una pacca sulla spalla.
 Ace sorrise, pregando vivamente che fosse così.










_____________
Hyvää houmenta! (Finlandese)
Wo wo woooo il primo capitolo del 2015 oleeee! XD
Cooooomunque, il capitolo parla da sé, non avrei nulla da dire...
Sì, lo so, sono cattiva, me l'hanno ripetuto fino alla nausea, ma non posso farci nulla DX  
Volevo solo aggiungere una precisazione riguardo Satch... In questa storia Barbanera l'ha ucciso, solo che, per ovvii fini narrativi, Barbabianca è riuscito a dissuadere Ace dall'andare a farlo a fette. Cosa fantastica dato che sappiamo tutti che così ci risparmiano anche di vedere quel povero ragazzo trafitto da una mano di magma e quel grand'uomo di Ed... beh, sapete TT.TT
 Così sarebbe dovuta andare, infatti, maledetto Oda-sensei e il nostro rapporto di odi et amo. No scherzo, Oda sei un genio ** ma sei più cattivo di me, quindi ti odio. No, non è vero ti sposerei TT.TT
Ok. La smetto di rendermi ridicola e mi dileguo, che magari è meglio ^.^'''
Temo anche che la mia velocità nel postare subirà una piega più o meno drastica con la fine delle vacanze... Purtroppo ho gli esami alle porte >.< Farò del mio meglio, ma non assicuro nulla.
Ringrazio come sempre tutti voi meravigliosi lettori e ci tenevo ad augurarvi un meraviglioso 2015!!! 
A presto :*  

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** #07 ***


I tre giorni di convalescenza di Erin furono molto lunghi, soprattutto per Halta. La rossa era stata incaricata dal capitano di occuparsi della ragazza al meglio delle sue possibilità e  lei, ovviamente, aveva obbedito. 
Per velocizzare la guarigione ed evitare di ritrovarsi sommersa una valanga di malati influenzali, ora che l'unico vero medico a bordo era ammalato,  aveva categoricamente vietato a chiunque, Barbabianca incluso, di entrare in quella cabina. Permetteva ad Erin di uscire solo per andare in bagno, le poche volte che era sveglia, e, puntualmente, le portava da mangiare.
Quel comportamento severo aveva fatto inizialmente pensare ad Erin una specie di qualche risentimento nutrito dalla ragazza nei suoi confronti, ma, conoscendola meglio, si rese conto che quello era solo il suo modo di essere gentile e, strano a dirsi, amorevole.
La verità, infatti, era proprio questa.
Il terzo giorno Halta si svegliò e, come faceva ormai da due mattine, la cosa che fece anche prima di fare colazione fu andare in camera di Erin a controllare in che condizioni fosse.
La trovò profondamente addormentata, nonostante fosse abbastanza tardi. Approfittò di quella situazione di immobilità per misurarle la temperatura, quindi prese un termometro dalla scrivania e glielo infilò sotto il braccio.
Halta era stata parecchio spaventata all'inizio, temendo che, con le scarse conoscenze accumulate dalle numerose infermiere di suo padre, non sarebbe mai riuscita a far star meglio la nuova arrivata. Si stupì anche del fatto che le importasse così tanto. 
Dopotutto non le capitava tutti i giorni di soccorrere una pazza che si butta giù da una nave nell'acqua ghiacciata in un folle -e indiscutibilmente eroico- tentativo di salvataggio.
Dopo quell'incredibile episodio l'opinione dell'equipaggio verso quella ragazza era notevolmente cambiata in meglio: si erano resi conto del perché Newgate insisteva così tanto sul fatto che potevano fidarsi di lei. Persino la stessa Halta, generalmente fredda, iniziava a provare una profonda simpatia per lei e per il suo coraggio. 
E, inoltre, nonostante fosse quasi allergica a quel genere di cose, trovava adorabile il sentimento che Ace cominciava a provare.
Quando il termometro suonò e il filo dei suoi pensieri si interruppe la rossa si ritrovò con un sorrisetto stampato sulle labbra.
Si avvicinò e quasi gridò di gioia quando scoprì che la temperatura aveva raggiunto i 37,2 gradi.
Erin, dal suo stato di sonno comatoso, venne svegliata dal fastidioso trillo dell'aggeggio che aveva sotto il braccio. Si stiracchiò e cercò di aprire gli occhi, ancora impastati dal sonno.
  -     Halta... - sussurrò debolmente, con la testa che ancora le doleva un po'.
  -     Oh, ma buongiorno principessina - la salutò la rossa con un sorrisetto.
  -     Non chiamarmi così! - borbottò Erin con una smorfia tirandosi su a sedere, mente l'amica aveva smesso di trattenere le risate.
  -     Allora? Come ti senti? Ti farà piacere sapere che non hai più la febbre!
  -     Ah... - mormorò Erin distratta, quasi ignorando la domanda - Come sta Jaws? - aggiunse poco dopo.
 Halta rimase profondamente stupita da quella domanda: - Cosa? Sei stata in bilico tra la vita e la morte per giorni. Ti ho detto che sei guarita e la prima cosa che mi dici è "come sta Jaws"?
La mora rimase imbarazzata per qualche secondo, non riuscendo a capire  cosa avesse detto di sbagliato: - Oh... Io... Mi dispiace, Halta, non volevo offenderti, davvero! Io apprezzo moltissimo tutto quello che hai fatto per me e te ne sono infinit... - spiegò, portando le mani davanti.
  -     Frena, frena! - la interruppe bruscamente la rossa chiudendo gli occhi e sospirando - Erin, non sono offesa. Non ce l'ho con te perché non mi hai ringraziata appena sveglia, scema.
  -     ... Oh. - disse la mora, ora davvero confusa.
  -     Ciò che mi stupisce e che non ti sei interessata delle tue davvero tragiche condizioni di salute, bensì di quelle di Jaws! È... - rifletté per un attimo sulla parola da usare - ...interessante.
  -     Oh, grazie - rispose timidamente Erin, con un sorriso presto ricambiato dalla rossa.
  -     Comunque sta bene... - disse Halta dopo un po' - Si è ripreso del tutto molto prima di te. Sei stata tu il mio vero problema.
  -     Mi dispiace - mormorò la mora mettendosi una mano sulla nuca - Però hai fatto un ottimo lavoro! Per non essere un medico sei brava, mi sento molto meglio!
  -     Sì, beh... Con un padre cocciuto come il mio e in quelle condizioni mi sono fatta insegnare le cose fondamentali dalle sue infermiere occasionali, nel caso di situazioni come... Che cavolo stai cercando di fare?! - urlò Halta, troppo sconvolta per concludere la frase. 
 Erin, infatti, si era alzata barcollante dal letto e si stava dirigendo alla porta della cabina, tutto davanti allo sguardo attonito della rossa.
  -     Voglio solo andare a salutare gli altri... - rispose la ragazza innocentemente, come se fosse la cosa più naturale del mondo.
  -     No! No, non se ne parla! È vero che non hai più la febbre ma sei ancora debole! Guarda, a stento ti reggi in piedi. Hai mangiato poco e niente in questi giorni, quindi torna subito a letto!
  -     Halta, - sospirò Erin mettendole una mano sulla spalla - ti ringrazio per tutto quello che hai fatto, davvero. Ma fidati di me, so quello che faccio. Mi sento meglio e voglio salutare gli altri.
 La ragazza ci pensò per qualche secondo e sospirò, le porse una giacca e la aiutò a raggiungere il ponte di comando -    Anche se fuori è bel tempo è comunque freschetto, quindi copriti bene.
  Quando Erin mise piede all'aperto la prima cosa che fece fu chiudere gli occhi e riempirsi i polmoni di aria fresca e profumata di salsedine. Aveva sempre amato l'odore del mare, salutare e ristoratore.
La parte di ciurma presente sul ponte si accorse di lei quasi subito, e quasi subito le fu addosso per abbracciarla, mentre Halta sbraitava a destra e a manca di lasciarle un po' di respiro.
Barbabianca si alzò dalla poltrona sorridendo e le corse incontro, incurante delle varie flebo che si portava dietro. Appena la raggiunse non le diede nemmeno il tempo di salutarlo che la abbracciò. Il problema era che, quello che per lui era un abbraccio, per una ragazza esile come lei si rivelò essere una morsa d'acciaio in cui si sentiva stritolata. Fu Vista che disse al capitano di non sballottarla troppo e, quando la lasciò andare, non poté fare a meno di ridere facendole un inchino.
Marco, seguito a ruota da tutti tranne due, cominciò a farle mille domande su cosa o come si sentisse.
Ace e Jaws, intanto, erano rimasti appoggiati alla balaustra a guardare la scena incerti su cosa fare, chi per un motivo e chi per l'altro.
  -     Come mai non vai a parlarle? Ti ha salvato la vita - disse il moro rivolgendosi all'amico.
  -     E tu l'hai salvata a lei. Vai anche tu a parlarle, allora.
  Ace sorrise sghembo cercando di farsi coraggio, ma aspettò quando vide Jaws farsi avanti nella direzione di Erin. Sapeva come doveva sentirsi: un pirata come lui in una situazione come quella doveva essere profondamente combattuto tra la vergogna e il riconoscimento.
 Jaws si sentiva, da un lato, un imbecille per essere caduto in acqua e si sentiva quasi offeso nell'orgoglio per essere stato salvato da una donna. Ma, dall'altro, le doveva la vita e, per onore, non avrebbe mai smesso di esserle grato per questo.
Quando Erin si accorse di lui gli si avvicinò sorridendo: - Jaws! Che piacere vederti! Come ti senti?
L'uomo la fissò senza un'espressione particolare, facendola indietreggiare di un passo. Poi fece una cosa che Erin non si sarebbe aspettata neanche tra un milione di anni: si inginocchiò poggiando la fronte sul pavimento, proprio ai suoi piedi.
La ragazza divenne rossa in viso in un istante, guardando gli altri attorno a sé con sguardo perso.
  - Grazie - disse Jaws, scandendo bene ogni parola     - Erin, hai rischiato la tua vita per salvare la mia. Io ti ringrazio e sarò per sempre in debito con te. Qualsiasi cosa dovesse servirti in futuro non esitare a chiederla, affinché io possa ripagarti.
Quello divenne più di quanto lei potesse sopportare.
Si chinò e gli afferrò un braccio, costringendolo a sollevarsi da terra: - Ok, Jaws, ora basta, per favore. Io non l'ho fatto per avere qualcosa in cambio. Sei mio amico, non potevo permettere che tu morissi. Non devi ringraziarmi. E odio quando qualcuno si inginocchia ai miei piedi, l'ho sempre odiato. Quindi non preoccuparti, sono solo felice che tu stia bene.
Tutti la fissarono in religioso silenzio, stupiti da quanto era appena accaduto sotto i loro occhi. 
Erin odiava che la gente si inginocchiasse davanti a lei. Era una cosa che non riusciva a sopportare in generale, ma questo odio raggiunse l'apice un giorno di otto anni prima, per qualcosa che la segnò profondamente, quando aveva solo dodici anni.





  -     No, Erin-san. La sequenza corretta a questo punto è Si-Mi-Si-Do, non Re - spiegò dolcemente Sore, ripetendo sul piano quella sinfonia, con le dita che si spostavano abilmente da un tasto all'altro.
  -     Accidenti, mi confondo sempre! - borbottò Erin seccata. 
 Non amava particolarmente suonare. Le piaceva però ascoltare Sore suonare: era bravissimo e riusciva quasi a penetrare il suo animo con quelle melodie.
  - Non preoccuparti, non c'è fretta. Vai troppo veloce. Quando parli hai bisogno di respirare, no? Anche le note ce l'hanno. Prendi una pausa tra una nota e l'altra, vedrai che verrà molto meglio - le consigliò l'uomo, accarezzandole amorevolmente i capelli.
Erin mosse involontariamente la testa verso la mano dell'uomo, l'unico da cui ricevesse affetto autentico.
  -     Riprova, su.
 La bambina si voltò alla sua destra, dove suo fratello Xan, di cinque anni, aveva smesso per un po' di giocare e si era avvicinato al pianoforte, mettendosi in punta di piedi per sbirciare cosa stessero facendo. Erin lo prese in braccio e lo fece sedere sulle sue gambe, dandogli un bacio sulla testolina.
Poi si concentrò, tirò un profondo respiro con gli occhi chiusi e posò le mani sulla tastiera. 
Con soave delicatezza ricominciò a suonare la melodia, seguita da Sore che dava il tempo con piccoli cenni del capo. Arrivata al punto critico Erin trattenne il fiato e si velocizzò un poco, beccandosi un'occhiataccia dal tutore. 
Cercò di rilassarsi e rallentare e, sorprendendosi di se stessa, riuscì ad andare avanti senza intoppi. Stava per suonare le ultime due note quando il silenzio della villa venne scosso dalle urla di un uomo agonizzante. La bambina smise immediatamente di suonare e strinse a sé Xan, che si guardava intorno spaventato.
Sore si alzò, andò alla finestra e scostò le tende, dato che le urla sembravano provenire dal giardino. Il suo viso sbiancò in un istante alla vista di quella scena.
  -     Cosa succede? - domandò Erin, notevolmente agitata.
  -     Erin-san, non muovetevi di lì.
 Erin, come tutte le ragazzine ribelli che si rispettino, fece scendere suo fratello dalle sue ginocchia e si precipitò giù dalle scale, ignorando le urla dell'uomo che le intimavano di fermarsi.
Aveva iniziato da un po' di tempo a studiare medicina, il suo sogno era diventare un chirurgo. Se c'era qualcuno in difficoltà che gridava, lei sentiva il dovere di aiutarlo. Non si sarebbe mai aspettata però quello che vide una volta aperta la porta della grande villa.
In piedi nell'erba c'erano sua madre e suo padre. La prima era a braccia conserte, con il solito sguardo di ghiaccio puntato sul marito. Suo padre, invece, teneva in mano una canna di bambù dall'estremità sfilacciata, e la scagliava molte volte verso il basso. Quando Erin abbassò lo sguardo si rese conto da chi provenivano le urla: immerso in una pozza di sangue, pieno di ferite sul viso e in ogni parte del corpo, c'era un cameriere.
La prima cosa che le venne in mente guardandolo era che lo conosceva. Non ricordava il suo nome, ne avevano così tanti che ricordarne tutti i nomi era impossibile. Però ci aveva parlato un paio di volte, era un tipo simpatico, sulla trentina. Le aveva portato il bis del dolce di nascosto, una volta.
Un altro urlo si levò dalla figura riversa a terra, e solo all'ora Erin si mise a correre e si appese al braccio di suo padre, impedendogli di scagliare un altro colpo.
  - Fermo! Basta! Padre, che state facendo!    - urlò la ragazzina fuori di sé, mente l'uomo si dimenava per scrollarsela di dosso.
  -     Erin! Torna subito qui, piccola teppistella! - le ordinò sua madre con la sua solita voce ferma e atona.
  -     Non ascolti tua madre?! Questo miserabile deve pagare per aver tentato di far scappare una mia schiava.
  -     Non mi interessa! Lasciatelo subito! - replicò lei, aggrappandosi ancora con più forza.
  -     Non mi stufare, ragazzina! - disse l'uomo, mollandole un potente schiaffo col dorso della mano.
 Erin fu costretta a lasciarlo andare per massaggiarsi la guancia dolorante, che mostrava ancora il segno delle cinque dita. Sentì un liquido caldo bagnarle le guance, ma cercò di ignorare il bruciore e si asciugò il viso.
Suo padre sollevò il braccio per scagliare quella frusta improvvisata sulla sua vittima ma Erin gli si frappose con le braccia spalancate, guardandolo truce.
  -     Non sferrerete un altro colpo, padre.
 Lui abbassò la mano e continuò a fissarla, con gli occhi iniettati di sangue per la rabbia. Stava per punirla quando un movimento da parte dell'uomo lo distrasse.
Il povero cameriere aveva afferrato il piede di sua figlia, facendola voltare. La ragazzina lo fissò negli occhi e riuscì a scorgere un sorriso in mezzo a tutto quel sangue. Aveva un occhio chiuso, ma l'altro,  fisso su di lei, sembrava tremolare, questo perché era pieno di lacrime.
  -     T-tu... - disse debolmente, con la voce tremula - Tu, E-Erin, diventerai una grande donna... Tu non sarai come l-loro... Tu sarai la farfalla che resiste alla tempesta. L-loro t-tremeranno davanti a te. G-grazie - disse infine, piegando il capo in quello che sembrava essere un inchino.
  Erin rimase sconvolta a quelle parole. L'uomo cominciò a ridere in preda alla follia, continuando a ripetere cose apparentemente senza senso come "non riuscirete a fermarla" e "tremerete".
Non riusciva ancora a capire cosa fosse appena accaduto. Suo padre all'improvviso l'afferrò con scarsa delicatezza per un braccio e la scagliò verso sua madre. Lei cercò di dimenarsi ma la donna la tratteneva per le braccia e la obbligava a guardare.
  -     È arrivato il momento che tu impari qual è il tuo posto. Tu sei un Drago Celeste, Erin, impara a comportarti come tale.
 Detto questo si riavvicinò a grandi falcate all'uomo ed estrasse la rivoltella dalla cintola.
  -     No!!! Fermo!!! Non farlo!!!
 Il rumore dello sparo riecheggiò tutt'intorno con un boato assordante. Erin lo avrebbe impresso a fuoco nel suo cervello per anni, insieme alle risate dell'uomo che cessarono improvvidamente.
Fissò con ad occhi sbarrati quel corpo privo di vita sull'erba, dalla cui fronte sgorgava un'infinità di sangue.
A quel punto sopraggiunse Sore, che si fermò terrorizzato accanto alla bambina. Non avrebbe mai voluto che Erin vedesse tutto quello e si chiedeva come avesse potuto quell'uomo lasciare sua figlia assistere ad uno spettacolo simile.
Erin rimase immobile, il sangue le si gelò nelle vene e i suoi occhi si riempirono di un liquido trasparente che le inondò il viso. Si liberò dalla stretta ferrea della madre e corse tra le braccia di Sore, rifugiando il viso nella sua giacca.
  -     Come ha potuto! Come ha potuto farlo! Io non volevo che accadesse!! È colpa mia!!! - urlò la bambina, singhiozzando.
  -     Fate rimuovere il corpo e pulite il prato. Tutto quel rosso mi disgusta - disse la donna rivolta a dei servi che si erano precipitati in giardino. Il suo tono di voce era estremamente calmo, distaccato, inflessibile e indifferente. Come se suo marito non avesse appena ucciso un uomo davanti a sua figlia dodicenne.
  -     Non è colpa tua, Erin-san, non dirlo mai più. Non permetterò che succeda ancora. Non permetterò che ti capiti mai niente. Te lo giuro sulla mia vita - sussurrò Sore alla bambina, accarezzandole i soffici capelli castani.
 Peccato che, di tutte le promesse fatte e mantenute, su quella Sore si sbagliava.





Si accorse si aver chiuso le palpebre a quel ricordo.
Le riaprì di scatto e si sentì a disagio nell'essere osservata.
  -     Non puoi vedere qualcuno morire davanti ai tuoi occhi, e per questo rischieresti persino la vita. Interessante.
 Era stato Barbabianca a parlare, ed Erin voleva quasi dirgli di aver colto nel segno.  
Si accorse poco dopo che Ace, un po' più lontano degli altri, la stava guardando con un sorriso d'ammirazione, e questo le provocò un grande senso di piacere.
  - Avanti, basta battere la fiacca! Ritornate al lavoro, signorine! - gridò Marco, battendo un paio di volte le mani per incitare gli altri a rimettersi all'opera.
Mentre la folla sul ponte si diradava, Erin cominciò a camminare lentamente in direzione del moro. Non sembrava esserlo,  ma in fondo era timida.
  -     Ciao - disse una volta che lo ebbe raggiunto.
  -     Ehi, ciao! 
 La ragazza diventò tutta rossa al ricordo di come lui aveva impedito che si ammalasse ancora di più: - Senti... - cominciò, distogliendo lo sguardo dai suoi occhi - Ehm... Io volevo ringraziarti per quello che hai fatto. 
Ace sbatté le palpebre e le guance gli si imporporarono: - Oh, ma figurati, è stato un piacere! - disse, senza rendersene conto. 
Quando vide Erin sollevare le sopracciglia, perplessa, avrebbe voluto darsi uno schiaffo per la sua imbecillità.
  -     Oh... No no no! Non intendevo dire che è stato un piacere in quel senso! Io non sono, sai, quel genere di ragazzo! Dico solo che è stato un piacere aiutarti. Non che non sia anche un piacere... beh, abbracciarti. Come complimento insomma... 
 Il ragazzo stava completamente per entrare nel pallone. Le risate della mora lo costrinsero e mettere su uno dei suoi bronci adorabili.
  -     Perché ridi? 
 Erin si resse la pancia e cercò di smettere di ridere, con scarsi risultati: - Scusa... È solo che sei buffo, mi fai ridere.
  -     Ah. Quindi è questo che pensi. Sono buffo - ripeté il moro incrociando le braccia la petto, stavolta davvero offeso.
  -     Ace, dico in senso buono. Non sei il ragazzo spocchioso e antipatico che ti credevo all'inizio. Sei divertente! - esclamò lei, con un sorriso radioso e sincero.
  -     Beh, nemmeno tu sei la mocciosetta viziata e pazza che pensavo... - fece una pausa - Cioè, no. Pazza sì. Quello che hai fatto è stato... Non ho mai visto nulla del genere in tutta la mia vita. Hai sangue freddo, complimenti! E sei pazza.
  Erin si incupì un po' e abbasso lo sguardo: - È una cosa così negativa?
  -     No! - esclamò Ace senza pensarci due volte - Certo che no! È fantastico! Incredibilmente fantastico!
 La ragazza, a quella risposta, risollevò il viso e vide il sorriso genuino di Ace. Si perse per un momento nella profondità del suo sguardo, nei suoi occhi così radiosi, come pochi ne aveva visti in tutta la sua vita. Si soffermò su quelle vivaci lentiggini che costellavano le sue gote così attentamente che avrebbe potuto contarle una per una. Ace era un ragazzo che ispirava voglia di vivere al solo guadarlo. Si chiedeva perché ne avesse visti così pochi.
Un gorgoglio improvviso interruppe questa sua contemplazione con la stessa irruenza di un pugno sulla spalla. Si portò istintivamente una mano sullo stomaco, massaggiandoselo per cercare di placare i morsi della fame.
  -     Wow, qualcuno ha fame, eh?
  -     Già... Halta mi aveva avvisato di mangiare qualcosa prima di salire... - borbottò Erin, rimpiangendo di non averla ascoltata.
  -     Vieni, ti accompagno in cambusa. Anche io sento un certo languorino...
  -     Ace! Miserabile farabutto! Hai appena finito di fare colazione! Se ti azzardi a toccare altro cibo prima dell'ora di pranzo ti do un calcio nei gioielli! - urlò il cuoco, intento a pulire una cassa di pesce fresco a prora.
  -     Ehi ehi, calmo! Non preoccuparti, preparo solo qualcosa per lei! - replicò il ragazzo, nonostante il suo istinto e la sua coda di paglia gli fecero portare una mano sul cavallo dei pantaloni, a scopo difensivo.
 Erin non riuscì a non scoppiare a ridere con tutti gli altri, imitata subito dopo persino dallo stesso Ace, che, naturalmente, l'avrebbe fatta franca ancora una volta.









__________
Bonswa! (Haitiano)
Duuuunque, eccomi quaaaa!! :)
Sì, scusate il ritardo, vi  avevo avvisate però TT.TT
Allora, ho una serie di precisazioni da fare sul capitolo, quindi andiamo con ordine:
1) La sinfonia che Erin suona al piano nel flashback è "Clair de lune" di Debussy. Ho voluto mettere questa perché la trovo semplicemente meravigliosa.
2) (questa avrei dovuto dirvela all'inizio della storia, ma vabbe XD) In realtà i comandanti delle varie divisioni sono su navi diverse, com'è giusto che sia dato che devono comandare flotte numerosissime. Tuttavia, per ovvi motivi, li ho messi nella stessa nave, perciò perdonate questa piccola diversità.

Bene, quelle erano le cose "importanti", ora veniamo alle curiosità:
1) Io Sore lo immagino come Alfred, il fedele maggiordomo di Bruce Wayne nella serie TV " Gotham"... Per chi la segue sa di chi parlo, se non la conoscere ve la consiglio vivamente, è molto interessante per chi ama il genere :)
2) Questo potrei anche non dirlo, ma dato che sono sadica mi piace mettervi curiosità. Erin è un drago celeste (non ha dei genitori adorabili?). Domanda: ma se è un drago celeste perché è stata "schiavizzata" da Akahito? La risposta nelle prossime puntate che la mia mente malata sfornerà XD
Grazie a tutti voi che seguite la storia, siete sempre più numerosi e questo mi dà un piacere davvero immenso **
Un bacio a tutti, alla prossima!!

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** #08 ***




Passò circa un mese dall'episodio che aveva visto Erin come un'eroina, e la ragazza si era ormai conquistata la simpatia di tutta la sgangherata famiglia di Barbabianca. 
La ragazza aveva imparato ad apprezzare ciascuno di essi, scoprendo di non essersi mai sentita così libera prima di trovare loro. Certo, libera era una parola usata impropriamente, considerato che era ricercata dal governo e che avrebbe avuto una delle taglie più alte di qualsiasi pirata che avesse mai solcato le acque del Nuovo Mondo, se solo avessero potuto mettergliene una. 
Purtroppo, però, Erin sapeva che tutta la felicità che provava con quelle persone era destinata a finire presto. 
Sapeva di essere una mina vagante, una di quelle persone che portano guai dovunque vadano, proprio per questa sua condizione da ricercata. In tutta la sua vita le era sempre capitato di mettere in pericolo le persone che amava e a cui voleva bene. E proprio perché voleva bene a quei suoi nuovi amici non aveva altra scelta se non quella di scendere dalla nave non appena sarebbe stata attraccata su un isola e rimettersi sui suoi passi, sulla sua strada. 
Non avrebbe mai potuto sopportare che ai suoi amici fosse fatto del male per causa sua, aveva già sofferto abbastanza per suo fratello. Non aveva potuto portarlo con sé, ma era stato necessario. 
Per una volta che riusciva ad essere davvero felice, per una volta che nessuno cercava di inseguirla, o di puntarle un dito contro, o di considerarla un errore... Tutto sarebbe stato destinato a finire, l'unica variabile indipendente della sua vita. 
La felicità non era stata fatta per lei, evidentemente. La sua vita da vagabonda, da fuggiasca e da infelice sarebbe continuata da sola, come era giusto che fosse.
Questa amara consapevolezza le provocò un senso di dispiacere con cui aveva imparato a convivere. Aveva smesso da molto tempo di piangere, abbandonata com'era alla rassegnazione. 
Tutto quello che poteva fare per il momento era godersi ancora un po' quel misero tempo che le rimaneva con quelle persone, sperando di non trovarne più di simili. Sperando di non dover soffrire più così.

Marco mollò finalmente quelle cime con cui stava armeggiando da ore e si portò una mano sulla fronte per asciugarsi il sudore. Tirò un profondo respiro e stabilì di aver bisogno di fare una pausa. 
Si sporse dal parapetto della nave, osservando con attenzione la vela di una nave che si allontanava all'orizzonte. 
Girò la testa quando notò con la coda dell'occhio dei lunghi capelli scuri fluttuare col vento, e solo allora ai accorse di non essere solo.
  -     Erin! - esclamò, fissandola con attenzione. Era raggomitolata su un barile, si stava abbracciando le gambe nude e aveva la testa abbandonata sulle ginocchia. Quando si sentì chiamare sollevò lentamente il viso e cercò con tutta se stessa di sorridere, anche se quella che venne fuori fu più una smorfia.
  -     Merda, hai un'aspetto orribile! - disse il biondo, avvicinandosi di più.
  -     Però, grazie del complimento, amico, neanche tu sei male... - replicò lei piccata, tornando a poggiare la guancia su un ginocchio.
  -     Scusami. Il fatto è che ti vedo particolarmente giù... Va tutto bene? - chiese la fenice, accomodandosi accanto a lei.
  -      Sì, non ho niente.
  -     Come niente? Guarda che con me puoi parlare liberamente.
  -     Dannazione Marco, ho detto che sto bene! - disse la ragazza, con un tono più alto di quello che pensava, pentendosene subito dopo.
 Il ragazzo la guardò accigliato e si alzò: - Ok, scusa. Potevi dirmelo prima che avevi le tue cose - aggiunse poi agitando la mano, facendo per andarsene.
Erin a quel punto si alzò di scatto e lo raggiunse, facendolo voltare con le mani: - Mi dispiace, non intendevo alzare la voce.
Marco sorrise bonario, indicandole di nuovo il barile, un chiaro invito a sedersi.
  -     Allora, ne vuoi parlare? Però se riguarda le tue cose preferirei non sapere nulla. Halta mi basta già.
 Erin non riuscì a trattenersi dal ridere: - Rilassati, non è questo - disse, felicitandosi del sospiro di sollievo dell'amico.
  -     Marco, tu sai che è una coincidenza il fatto che io sia su questa nave. Non sarebbe dovuto succedere, non era nei mie progetti nè nei vostri...
  -     Beh sì, ma è stata una fortuna, non credi? Ora siamo amici, ti trovi bene qui con noi e noi ci troviamo bene con te - disse lui, con un sorriso sincero.
 Le sue parole furono come una pugnalata nel cuore per lei. Le resero ancora più difficile convincersi della sua scelta e continuare il suo discorso. Non voleva lasciare i suoi amici, avrebbe dato qualsiasi cosa perché le cose  fossero diverse, ma non poteva.
  -     Lo so. Io sto bene qui con voi, dico sul serio... - gli occhi le diventarono lucidi, ma non pianse, non lo faceva mai - Ma io qui non posso restare. Farò i bagagli non appena la nave attraccherà.
 L'espressione del ragazzo cambiò improvvisamente. Sbatté le palpebre perplesso, incerto su cosa dire: - M-ma... Non capisco. Perché vuoi farlo? Non vogliamo che tu vada via. Ora siamo amici. Guarda, se è perché credi di essere un peso posso assicurarti che non è così. Sei eccezionale, sei intelligente, tu sei utile a bordo! No, non se ne parla. Non te ne andrai.
Però si rese subito conto di non poter segregarla in dispensa come una prigioniera. Se sarebbe voluta andar via di sicuro avrebbe trovato il modo di farlo. Tutto ciò che poteva fare era almeno provare a dissuaderla. 
  -     Insomma... Perché?
 Erin sospirò e distolse lo sguardo dal suo: - Perché devo. Ho delle cose da fare là fuori. Devo ritrovare una persona che ha bisogno di me. Devo... seguire una mia strada. La vostra è così bella e piena di avventure meravigliose. Questa vita non è fatta per me.
Marco non rispose. Si limitò a fissarsi i piedi in silenzio. Un secondo dopo però le sorrise, sollevando un pollice.
  -     Perché ridi adesso? - chiese Erin, sorpresa da quel repentino cambio di espressione.
  -     Perché magari cambi idea. L'Oceano è così grande...
 A quel punto la ragazza non riuscì a resistere. Si avvicinò di più a lui e gli circondò il petto con le braccia . 
  -     Grazie. Grazie davvero per tutto questo - gli disse, mentre il biondo ricambiava quell'abbraccio.
  -     E di che, siamo amici. Gli amici fanno questo.
 In quel momento il sangue della fenice gelò nello scorgere Ace che gli lanciava uno sguardo omicida in lontananza. Deglutì e allontanò delicatamente la ragazza. Sapeva che non c'era nient'altro che amicizia in quell'abbraccio da parte di Erin, ma il moro questo non lo sapeva.
  -     Allora... Io ritorno ad occuparmi delle mie cime. 
  -     Certo - disse la ragazza sorridendo.
 Marco lasciò la ragazza ai suoi pensieri e si affrettò a raggiungere l'amico, per chiarire tutte le seghe mentali che era sicuro si stesse facendo. Lo vide appoggiato al parapetto con le braccia conserte e un ghigno serafico stampato sulle labbra.
  - Ma guarda un po' chi è venuto a infettare l'aria col suo brutto alito da traditore. 
  - Ace... - sospirò il biondo, socchiudendo le palpebre seccato.
  -     Sai, potrei regalarti trenta pezzi d'argento e chiamarti Giuda.
  -     Ace, mio Dio, non essere così melodrammatico! Non è quello che pensi tu. Era depressa perché dice che vuole andare via quando la nave attraccherà e volevo solo dare una mano a star meglio...
  -     Cosa? Come hai detto? - chiese il moro sull'attenti.
  -     Che volevo farla star meglio.
  -     No, prima. Vuole andare via? Perche? - domandò, leggermente agitato.
  -     Dice che ha delle cose da fare, che questa vita non fa per lei.
 Ace si staccò dal parapetto e fece per andarsene.
  -     Ehi, dove vai ora? - gli chiese Marco, curioso.
  -     A farle cambiare idea! 

Erin era impegnata a fissare un punto fisso dell'orizzonte da almeno una decina di minuti, senza interrompere l'incessante vagabondare del suo pollice sul ciondolo che le ricadeva sul petto. 
All'improvviso qualcuno le schiaffò  sulla testa quello che sembrava essere un cappello. Lo sollevò un po' per liberare la vista e riconobbe immediatamente il cappello arancione di Ace. Il ragazzo le si avvicinò di più e sorrise, accomodandosi accanto a lei.
  -     Sai, dona di più a te - le disse, indicando il suo cappello.
 Erin rise, accarezzandone il bordo con le punte delle dita: - Dici? 
Ace allungò le braccia per sistemarglielo meglio, dopodiché annuì: - Sì, sta decisamente meglio.
La ragazza gli sorrise, tornando a perdersi in quegli occhi di cui si sorprendeva sempre di più.
  -     Davvero vuoi andare via? - le chiese all'improvviso il moro, con molta dolcezza.
 Erin sospirò, piuttosto scoraggiata nell'affrontare il discorso: - Beh... In teoria sì. Ci sono questioni che ho rimandato da troppo tempo...
  -     C'entrano con quelle cicatrici che hai sulla schiena? - chiese il moro, storcendo le labbra davanti all'espressione cupa assunta dalla ragazza - Le ho viste. Sono piuttosto evidenti... - aggiunse subito dopo.
  -     È una lunga storia... - mormorò Erin, mettendosi a giocherellare nervosamente con la placca a forma di teschio appesa alla cordicella del cappello di Ace.
  -     Beh, ho tutto il tempo del mondo - disse il ragazzo, avvicinandosi di più.
 Erin capì che qualsiasi tentativo di sviare il discorso sarebbe stato pressoché inutile, quindi sospirò rassegnata e cercò di raccontare qualcosa che lo avrebbe soddisfatto, dicendo tuttavia il meno possibile: - Diciamo solo che sono stata una schiava di persone potenti. Sono stata prigioniera per diversi anni prima di scappare. Quelle cicatrici non sono altro che un brutto ricordo di quei tempi. 
  -  Che merda - disse all'improvviso Ace - Persone così dovrebbero essere eliminate dalla faccia della terra.
  -     Posso assicurarti che esiste di peggio - replicò la ragazza, nascondendo ancora di più il viso nel cappello. Dalla sua reazione il moro decise di non indagare più di tanto.
  -     Anche tuo fratello?
  -     No - finalmente Ace vide i suoi occhi ravvivarsi per un attimo - Fortunatamente sono riuscita a tenerlo lontano da tutto questo.
  -     Tu? Non avrebbero dovuto farlo i tuoi genitori?
 Erin stette in silenzio per qualche secondo, prima di rispondere in modo assolutamente freddo, secco: - Io e Xan non abbiamo un buon rapporto con i nostri genitori.
Ace poté riconoscere ancora di più una certa affinità con la ragazza, ripensando a suo padre, quello biologico, a quanto profondamente lo disprezzasse, a quanto aveva passato per causa sua.
  -     Capisco. Io odio mio padre - disse il ragazzo, scandendo le ultime parole.
 Erin rimase alquanto sorpresa da quella confessione: - Tuo padre ti ha fatto cose brutte, Ace? - chiese, poggiandogli una mano sulla spalla.
  -     Ecco... Non direttamente. Per colpa sua io sono stato etichettato sempre, fin da bambino, come un demonio. Come il figlio di un diavolo. Sono state pochissime le persone che mi hanno accettato per quello che sono. È per colpa di mio padre se oggi continuo ancora a chiedermi se ho il diritto di poter vivere. È questa la mia grande domanda.
 La ragazza ascoltò tutto con estremo interesse, domandandosi come qualcuno potesse incolpare un bambino per le colpe dei suoi genitori. A come si potesse arrivare a tanta ottusità.
  -     Chi era tuo padre? Come si è potuto procurare una reputazione talmente infamante da trasmetterla persino a suo figlio?
 Ace sospirò e si contorse le mani. Detestava ammettere quella odiosa verità che preferiva nascondere persino a se stesso. Ma con Erin sentiva di doverlo fare. Sentiva di doverle tutto il rispetto che meritava. Aveva raccontato quella storia solo a poche persone nella sua vita, e se parlandone con Erin avrebbe perso qualsiasi forma di rispetto o amicizia che lei poteva provare per lui se ne sarebbe fatto una ragione, in un modo o nell'altro.
  -     Mio padre... - fece una lunga pausa - ... era Gol D. Roger.
 Erin spalancò gli occhi trattenendo il respiro. Quella risposta era l'ultima che si sarebbe mai potuta aspettare.
  -     G-Gol D. Roger? Il re dei pirati?!
  -     Sì. 
 La ragazza riprese a respirare normalmente, non attutendo però la sua sorpresa e il suo senso di curiosità. 
  -     Wow... È... - cominciò a dire, senza trovare le parole adatte.
  -     Disgustoso? - le suggerì Ace, abbassando la testa per la vergogna.
  -     Cosa? No! È... straordinario. 
 Il moro sollevò un sopracciglio, allo stesso tempo perplesso e curioso.
  -     Ho sempre ammirato quell' uomo. L'ho sempre visto come un modello di come sarei voluta diventare: era coraggioso, forte, non arretrava mai davanti ai pericoli e avrebbe protetto sempre chi amava - sorrise e lo guardò negli occhi - Anche tu sei così, Ace. So che hai i tuoi buoni motivi se odi tuo padre, ma il fatto che tu sia come lui, sotto certi aspetti, ti rende un grande uomo. Soprattutto il fatto che hai il coraggio di conviverci e affrontare i tuoi demoni ti fa onore. 
  -     Sei la prima persona che mi fa un discorso del genere. Non me l'avevano mai posto sotto questa prospettiva... Lo pensi veramente?
  -     Assolutamente sì! - esclamò la ragazza a quel punto, togliendosi il cappello e mettendolo di nuovo sulla testa del suo proprietario.
 Solo pochi minuti prima, Ace era convinto che  dopo quella rivelazione Erin non gli avrebbe parlato più. Non sarebbe stata la prima volta, comunque. Poi, però, nel momento in cui lei lo aveva definito come un grand'uomo, così, dal nulla, aveva seriamente pensato per un millisecondo di fiondarsi in avanti e baciarla. Si era però limitato a sorriderle in pura contemplazione, perdendosi nella bellezza dei suoi occhi. Occhi che tradivano ancora malinconia e quella che sembrava essere quasi nostalgia per qualcosa, o qualcuno. In quel momento gli venne in mente un' idea, una cosa carina che forse l'avrebbe tirata un po' su di morale.
Erin vide le spalle e braccia di Ace ricoprirsi di un sottile strato di fiamme, finché dalla sua mano non si levò nell'aria una delle cose più straordinarie che avesse mai visto.
  -     Oh mio Dio... - mormorò a bassa voce.
 Dalla mano incandescente del ragazzo si era staccata una piccola parte di fuoco che aveva assunto la forma di una farfalla, con tanto di ali che sbattevano per sollevarsi. Quella meravigliosa magia, però, durò all'incirca un paio di secondi, e la mora si voltò a guardarlo con gli occhi pieni di entusiasmo.
  -     Si può sapere come hai fatto?
  -     Non hai idea di quanto sia faticoso... - spiegò il ragazzo, asciugandosi la fronte con il dorso della mano, beandosi della sua felicità - Credo di poterlo rifare solo un'altra volta, è estremamente complicato.
  -     Sì! Sì, per favore! - pigolò lei, avvicinandosi di più.
Il moro si concentrò al massimo e produsse una bellissima farfalla di fuoco, a cui immediatamente se ne aggiunse un'altra. Subito dopo sparirono entrambe.
  -     Sei incredibile, Ace.
  -     Lo so, lo so - disse lui, gonfiando il petto in un impeto di orgoglio prima di scoppiare a ridere per l'occhiata divertita che le aveva lanciato Erin. Aveva ancora quella voglia e quel bisogno impellente di baciarla che sembrava crescere in modo esponenziale. 
  -     Devo andare ad apparecchiare giù in cambusa, sono in punizione per aver mangiato a scocco quando il cuoco non c'era - disse, enfatizzando la parola punizione con dei movimenti delle dita.
  -     Sei un pozzo senza fondo - commentò la ragazza ridendo - Vuoi che venga ad aiutarti di nascosto? - bisbigliò, facendosi più vicina a lui.
  -     Se lo fai sarò in debito con te. E, per sdebitarmi, sono pronto a darti un quinto del mio dolce per tre giorni.
  -     Un quinto? Almeno la metà! Per quattro giorni.
  -     Ma scherzi? Sono pronto a trattare per meno della metà, non di più - replicò Ace, incrociando le braccia al petto.
  -     Due quinti. Quattro giorni. Accetta o vai ad apparecchiare per un'intera squadra di pirati affamati da solo.
 Al moro sembrava di aver fatto un patto col diavolo e si masaggiò le tempie, combattuto: - Ok, affare fatto - borbottò stringendole la mano, meritandosi un ghigno di vittoria da parte sua.
  -     Mira alto e colpisci basso, è questo il trucco - sussurrò Erin facendo l'occhiolino, mentre Ace, senza staccare la mano dalla sua, si alzò e la trascinò con sé in cambusa. 



Halta, che aveva osservato l'intera conversazione da lontano in compagnia di Barbabianca, si voltò verso il capitano sollevando un sopracciglio con fare vittorioso e beffardo.
  -     Allora, papà, che ti dicevamo? Sono o non sono una coppia?
 Newgate fece finta di sminuire il discorso con un gesto della grande mano, solo perché era imbarazzato di non averlo notato subito.
  - Eh, ma non era poi così evidente... - mormorò con uno sguardo di sufficienza.
  -  Sì, come no - si intromise Izo, intento a fumare una sigaretta poco distante.
Le guance del capitano si imporporarono sempre di più, così cercò di mettere su uno dei suoi sguardi più autoritari per rimediare: - Ehm... Ehi! Insomma! Voi due non avete dei compiti da svolgere su questa bagnarola? Al lavoro, forza!
Halta e Izo si allontanarono per tornare a svolgere i propri compiti, entrambi però non riuscirono a sopprimere una risatina che giunse alle orecchie del loro babbo.
Barbabianca, quando fu sicuro di non essere guardato da nessuno, abbandonò la sua aria autoritaria e sorrise sotto i baffi bianchi nell'osservare il suo adorato figliolo allontanarsi mano nella mano con Erin. Da un lato era al settimo cielo per lui, felice che potesse provare l'amore, quel tipo di amore che lui, per un motivo o per l'altro, non aveva mai provato. D'altro canto, però, ma in minima parte, l'uomo si sentiva turbato. Era preoccupato per cosa sarebbe potuto accadere, per come sarebbero andate le cose. L'ultima cosa che voleva, infatti, era veder soffrire suo figlio. Accantonò quei cupi pensieri per il resto della serata: decise che ci avrebbe pensato in un altro momento, quando sarebbe stato necessario, nella speranza che fosse il più lontano possibile.





                                                                                                           ***




Subito dopo aver aiutato Ace a sistemare la cambusa per il pranzo, Erin salì di nuovo in coperta per sgranchirsi le braccia: non aveva immaginato che apparecchiare due dozzine e mezzo di tavoli potesse essere così impegnativo.
Uscì sul ponte e la sua attenzione venne catturata quasi subito da un'isola di medie dimensioni. Sembrava che la nave si stesse dirigendo proprio verso quel punto, e gli obiettivi che si era preposta quella mattina le tornarono in testa di colpo come una doccia fredda. 
Corse verso la balaustra, dove Halta era appoggiata con i gomiti intenta a mangiare una mela.
  - Dobbiamo attraccare su quell'isola? - le chiese non appena l'ebbe raggiunta.
La ragazza finì con calma l'ultimo morso e gettò il torsolo in mare. 
  - No - disse con la bocca piena.
Erin annuì, a metà tra il sollievo e l'angoscia.
  -  Quell'isola non è nel nostro itinerario - continuò la rossa dopo un po' - Per non parlare del fatto che Marco, Ace e il babbo si sono prefissi una nuova "super missione segreta" per impedirti di scendere dalla nave. Praticamente l'idea utopica è quella di non attraccare mai più.
La faccia che la mora fece in quel momento Halta non l'avrebbe mai dimenticata. La faccia di qualcuno che non sa se scoppiare a ridere o buttarsi in mare per la disperazione.
 - Cosa?! - esclamò Erin, sconvolta.
 - Non dirlo a me. È un'idea assolutamente idiota. Ma ovviamente sanno di non poterlo fare... Sono talmente affezionati a te - le disse Halta, con un sorriso che alla ragazza fece più che piacere.
  -     Nemmeno io voglio che tu te ne vada, ma loro stanno raggiungendo livelli ai limiti del patetico.
 Erin rise: - Mi mancheranno tantissimo... Ehi, ma quindi non vuoi che me ne vada! Lo hai ammesso! Quindi mi vuoi bene! - esclamò scherzando, abbracciandola alla sprovvista.
  -     Beh... Sì... Cioè, ora che stai cominciando a starmi simpatica... - mormorò la rossa liberandosi dall'abbraccio. 
 Erin le sorrise, comprensiva: - Anche tu mi mancherai... Sei una brava ragazza, Halta. Mi dispiace solo per il poco tempo che abbiamo avuto per conoscerci. Saremmo potute diventare... amiche?
  -     Sì, credo di sì.
 Entrambe ripresero a guardare l'isola che si faceva sempre più vicina, prima che delle urla richiamarono l'attenzione di tutti coloro che erano sul ponte.
Ci vollero pochi secondi prima che Erin riconoscesse la voce di Vista che urlava il suo nome. Scese dalla plancia e corse verso l'uomo che la chiamava.
  -     Erin! Vieni! Vieni subito!
  -     Vista, calmati! Dimmi che diavolo succede! - disse lei, cercando tenerlo fermo con le braccia.
  -     Il babbo! Barbabianca! Lui è giù in cambusa e...!  
Erin roteò gli occhi seccata, cercando di spiegare allo spadaccino che non le fregava dove fosse successo che cosa, ma il cosa.
  -     Accidenti, amico, dimmi solo cosa è successo!
  -  Barbabianca non respira più!







____________
Noswaith dda  (gallese) :)
Cavolo, non so come ho fatto a postare stasera, sono un mito.
Ok, allora... Non avrei niente da dire sul capitolo...
Ah, sì. 
Non so se il fatto della farfalla di fuoco sia fisicamente possibile.  Non che una persona che mangia un frutto e fa uscire fiamme da tutto il corpo sia possibile, effettivamente, ma neanche nell'universo di One Piece credo si possa fare... Vabbe, dettagli :D
Lo so, sono sadica e faccio accadere sempre casini, ma non temete. Io non sono Oda, non farò (molto) male a Eddie ** 
Tanti tanti baci ai miei amati lettori, recensori e chi inserisce tra seguite/ preferite/ da ricordare :) Grazie mille dal cuore, davvero...
Ci sentiamo al prossimo capitolo, tanti baci! xo xo  

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** #09 ***


Barbabianca raggiunse i suoi figli in cambusa, per godersi finalmente un abbondante e meritato  pasto ristoratore. Spalancò la porta con fare trionfale e si diresse subito al suo tavolo, dove Ace era già tutto spaparanzato sulla sua sedia, l'aria di chi per poco non muore di fame e di stenti. 
Si domandava ogni volta dove lo mettesse tutto quel cibo che trangugiava senza ritegno. Nonostante fosse più piccolo di lui di stazza riusciva a mangiare il doppio, se non di più. 
  -     Muoio di fameeee - cantilenava il moro, agitando le braccia avanti e indietro.
  -     Sii paziente, figliolo, presto... 
 L'uomo si accorse che qualcosa non andava. 
Il cuore aveva pulsato molto più forte delle altre volte, facendolo bloccare di colpo. Si portò istintivamente una mano sul petto, strofinandola sulla parte sinistra, ricoperta di cicatrici.
  -     Papà? Tutto ok? - chiese Ace.
 Il capitano continuò a respirare tranquillamente, notando il dolore al petto che si faceva più rado.
  -     Sì. Sì, va tutto be... AH! 
 Barbabianca strinse forte un pugno sul petto e si piegò su se stesso, poggiando l'altra mano sul tavolo per mantenersi. 
Ace si alzò di scatto dalla sedia e si avvicinò verso suo padre, ormai riverso sul pavimento. Nella caduta aveva spostato tutti i tavoli e rovesciato mezza dozzina di sedie, allarmando tutti i presenti.
  -     Papà!! Papà che hai??
 Marco e Vista corsero verso i due con aria preoccupatissima, sconvolti da una cosa che non era mai successa prima. Marco si inginocchiò accanto ad Ace e poggiò l'orecchio sul petto dell'uomo per ascoltarne il battito.
Si rialzò immediatamente con gli occhi sbarrati: - Merda! È il cuore! Vista! Vai a chiamare Erin!! Subito!!!
Lo spadaccino non se lo fece ripetere due volte e, dopo aver dato un'ultima occhiata all'uomo che so contorceva dal dolore sul pavimento, uscì di corsa sul ponte per chiamare la ragazza.
  -     Che ha, Marco?? Cosa cazzo ha?! - sbraitò Ace, con la voce colma di terrore per quello che sarebbe potuto succedere. 
  -     Credo che stia avendo un collasso circolatorio! Bisogna fare qualcosa! E subito!
  -     Allora fa' qualcosa! - esclamò concitato il moro indicando Barbabianca.
  -     Io non so cosa fare! Aspettiamo Erin, dice di essere un medico!
 Proprio mentre parlavano Vista entrò trafelato nella stanza, seguito da Erin e Halta. La ragazza lo scostò malamente e si inginocchiò senza tante cerimonie accanto al capitano, che sembrava respirare poco e molto faticosamente. Sul suo viso era dipinta un'espressione di sofferenza che fece sorgere già qualche teoria alla mora. 
  - Cosa è successo? - chiese, piuttosto calma considerata la situazione.
  - Stavamo parlando e tutt'un tratto ha cominciato a sentire male al petto. Poi è caduto a terra! - spiegò Marco, mentre Erin aveva già controllato il polso e il respiro dell'infortunato. Poi fece un smorfia e disse, semplicemente: - Questo non ci voleva.
  -     Che significa?! - urlò il biondo, quasi mangiandosi le dita.
  -     Significa che ha il polso veloce e debole, direi 130 battiti al minuto, respira a fatica e ha la pelle fredda. Se non faccio subito qualcosa avrà un arresto cardiaco! 
 Detto questo si alzò velocemente e si guardò intorno, legandosi i lunghi capelli: - Ok, andrà tutto bene. Vista, Ace, Marco e Jaws. Prendetelo e portatelo immediatamente in camera sua, è qui accanto. Fatevi aiutare se necessario. Halta, vieni con me e fammi vedere dove tenete le flebo e i vari medicinali.
Prese la rossa per un braccio e precedettero gli altri nella cabina di Barbabianca. Nessuno riusciva a spiegarsi come facesse la ragazza a mantenere quella calma invidiabile mentre il cervello di tutti stava andando in panne. Doveva aver affrontato situazioni del genere molte volte per essere così calma e ferma. 
Una volta arrivate, Halta aprì i vari cassetti dell'armadio dell'uomo e tirò fuori tutto quello che Erin le chiedeva. Subito arrivarono i ragazzi che poggiarono il capitano, per ordine della mora, sul pavimento.
  -      Molto bene. Fate un cumulo di cuscini e metteteglieli sotto le gambe per tenerle sollevate.
 Mentre i ragazzi si prodigavano in questo, lei gli slacciò la grossa cinta e tutti gli indumenti che avrebbero potuto rendere ancora più difficoltosa la situazione.
 Quando ebbero fatto, Erin descrisse un cerchio con il braccio, atto a far allontanare tutti dal corpo per avere più ossigeno.
  -     Adesso vi voglio a tutti fuori di qui tranne Halta. Gli praticherò il massaggio cardiaco esterno e la respirazione artificiale. Quindi fuori! - ordinò categorica, in viso una maschera di impassibilità.
  -     Ce la farà?! - domandò Squardo, con la voce roca e tremula per l'ansia.
  -     Certo. Non lo lascerò morire, ve lo prometto.
 Tutti spostavano continuamente lo sguardo da lei al loro capitano, sperando vivamente che sapesse quel che stava facendo.
  -     Fuori!!! - urlò ancora una volta, al punto che tutti obbedirono immediatamente.
 Halta la fissava paralizzata, incerta su cosa fare e sorpresa che Erin credesse il contrario. Suo padre stava andando lentamente incontro alla morte davanti ai suoi occhi. L'uomo che l'aveva salvata dalla squallida vita a cui sarebbe stata destinata, quello a cui aveva giurato fedeltà, l'uomo che l'amava come una figlia, che le aveva dato tutto stava morendo, e lei si sentiva impotente e inutile lì davanti a lui. Fin quando una voce calma, tranquilla e rassicurante la richiamò alla realtà. Fin quando una mano delicata ma ferma la scosse bruscamente, e all'improvviso la sua proprietaria le apparve quasi come un angelo.
  -     Halta! Sei stata così in gamba quando sono stata io ad aver avuto bisogno di te! Dov'è finito il tuo sangue freddo? Forza, ora ho bisogno del tuo aiuto. Sei con me? - le disse Erin con convinzione.
  -     S-sì. Certo. Sono con te - ripeté la rossa, finalmente col pieno controllo di sé.
Erin le sorrise e si inginocchiò ancora accanto a Barbabianca, ormai privo di conoscenza.
  - Abbiamo un defibrillatore a bordo. Vuoi che lo prenda?  
  - No, sta' tranquilla, non sarà necessario. Se tutto andrà come credo ce la faremo presto - rispose la ragazza - Allora, infermiera Halta, ho bisogno ora che     gli sollevi la nuca e, tappandogli il naso, comincia a soffiargli aria nella bocca. Questo ossigenerá il sangue. Io intanto gli farò il massaggio cardiaco, tu rischieresti di metterci più forza del dovuto. Alterneremo una tua insufflazione a cinque mie compressioni. Inizierò io a farne tre o quattro, così vedi come si fa. Tutto chiaro?
La rossa annuì, ed Erin cominciò subito a fare la respirazione bocca a bocca. Dopo la quarta insufflazione si spostò e unì le mano sullo sterno del capitano, comprimendolo a ritmo regolare e contando ad alta voce, alternata a tempo debito da Halta con la respirazione artificiale. Dopo circa tre cicli, Erin controllò l'arteria del capitano, sospirando di sollievo quando sentì finalmente del battiti regolari. Continuò lei con la respirazione artificiale, fermandosi solo quando i respiri dell'uomo sembravano essersi stabilizzati.
  -     Brava! Halta, ce l'abbiamo fatta! Sei stata bravissima! - esclamò Erin, asciugandosi una goccia di sudore dalla fronte.
 La rossa aveva gli occhi lucidi per l'emozione e la felicità. In un secondo si gettò in avanti e circondò la ragazza con le braccia, rendendola sorpresa e meravigliata.
  - Grazie! Grazie per averlo salvato! Hai salvato mio padre! - disse la ragazza, stringendola sempre di più.    Erin non poté fare nient'altro se non accarezzare la schiena dell'amica - perché ormai erano questo, amiche - per tranquillizzarla.
  -     Andiamo, bisogna avvisare gli altri - le sussurrò con un sorriso dopo qualche secondo, aiutandola ad alzarsi.
 Erin aprì lentamente la porta e subito Ace si fiondò da lei, sollevandosi per guardare Barbabianca.
  -     Lui sta bene, se la caverà - annunciò la ragazza, facendo sollevare subito un brusio di felicità tra la ciurma - Ora potete sollevarlo e metterlo sul letto, devo ancora sistemargli le flebo - aggiunse, spostandosi per fare largo ai comandanti che sollevarono l'uomo e lo posarono delicatamente sul suo grande letto. 
  -     Sei grande, Erin! - le disse Marco, sollevandola da terra con un abbraccio.
 Tutti le si avvicinarono fieri, dandole pacche sulle spalle e complimentandosi con lei. Erin non sapeva cosa dire: aveva fatto una cosa per lei normalissima, cosa che avrebbe potuto fare anche ad occhi chiusi, eppure tutti sembravano doverle la vita e l'eterna riconoscenza. La commosse talmente tanto che cominciò a sorridere come una scema, anche se con gli occhi vagamente lucidi. Non si era mai reputata una persona importante, anzi. Dopo tutti quegli anni aveva imparato a considerarsi come la consideravano tutti: un'anomalia, l'errore, la ragazza nata nel posto sbagliato al momento sbagliato. Non si sarebbe mai aspettata tutta la riconoscenza che le mostrava la ciurma di Barbabianca. E, per una delle pochissime volte in tutta la sua  vita sino a quel momento, Erin si sentì importante. Si sentì apprezzata, quasi amata.




La prima volta in cui Erin si sentì a quel modo fu quando aveva dieci anni e suo fratello Xan ne aveva solo tre. I due fratelli stavano giocando nel giardino della loro immensa magione, con la spensieratezza tipica dei bambini. 
Già da appena nato, la bambina  aveva capito di amare profondamente suo fratello. Quando lo aveva visto per la prima volta così piccolo tra le braccia di sua madre era scoppiata a piangere per la gioia, sapendo che non avrebbe mai più giocato da sola. In genere era  Sore l'unico che le faceva veramente compagnia, che giocava con lei, la viziava e le insegnava tutto. Ma con qualcuno di più piccolo era convinta che si sarebbe divertita molto di più.
Erin si era stesa sul prato, respirando il profumo intenso dei fiori. Quello di lavanda era il suo preferito. Xan intanto stava incrociando dei rametti, concentratissimo. Le sue manine piccole e delicate erano diventare tutte rosse per lo sforzo, ma in compenso quella specie di piccolo cestino sembrava star venendo proprio bene. 
La bambina sorrise nella sua direzione e tornò a sdraiarsi sull'erba, godendosi il sole caldo dell'estate che picchiava sulla pelle liscia del suo viso. Una farfalla volteggiò davanti ai suoi occhi: aveva delle ali arancioni striate di nero, che si muovevano leggere sfruttando la corrente ascensionale del vento. Si voltò per un momento a fissarla, seguendola fino a perderla di vista. 
Interruppe il contatto visivo quando sentì Xan tossire forte accanto a lei. Lo guardò senza particolare preoccupazione: suo fratello era solito passare tanto tempo all'aperto anche nelle serate più rigide, senza mettersi nemmeno una felpa.
La situazione peggiorò quando il piccolo si portò le mani alla gola e la sua tosse divenne sempre più roca e intensa. Un campanello d'allarme scattò in Erin, tanto che gli si avvicinò di corsa urlando il suo nome.
  -     Xan!! Che succede?! Che hai?? - urlò scuotendolo, spaventandosi sempre di più.
  -     Xan!!! Rispondi!!! Mamma! Mamma!!! Aiuto!!! Sore!!!
 La bambina non riusciva più a smettere di piangere, ignara di cosa stesse succedendo e spaventata di trovarsi da sola, senza nessuno che potesse aiutarla.
Continuò a chiamare aiuto ancora per un po', fermandosi quando si accorse che le labbra di Xan erano diventare viola e la sua pelle pallidissima. Notò per un attimo il cestino abbandonato pochi metri più avanti e le venne un'idea. Rinunciando a qualsiasi speranza di aiuto, Erin si accovacciò accanto alla testa del fratello e gli spalancò la bocca più che poté, cercando di fargli meno male possibile. Si chinò per guardare nella bocca e, come aveva ipotizzato, riuscì a intravedere un pezzetto di legno che sporgeva dalla base della lingua. Cercò di infilare la mano nella sua bocca, afferrò tra indice e medio il rametto e lo tirò fuori. Non appema lo fece il bambino si girò di lato e cominciò a tossire forte, facendo respiri molto profondi. La piccola in tutto questo non aveva mai smesso di piangere e si portò le mani sulla bocca cercando di calmarsi.
  -     Xan! Non farlo mai più!! Mi hai fatto morire di spavento!! Stai bene?! Xan!!! - gridò, con la voce rotta dalle lacrime. Prese il fratellino in braccio e lo abbracciò strettissimo, accorgendosi che tremava come traumatizzato e aveva cominciato a piangere.
  -     Ho avuto tanta paura, Xan. Promettimi di non farmi mai più spaventare così! - gli disse dolcemente, singhiozzando di tanto in tanto.
 Il bambino annuì con la testa e mormorò delle scuse, rifugiandosi il viso bagnato sul vestitino della sorella, lasciando che gli accarezzasse i capelli.





Ripensando a quell'episodio, Erin capì che, forse, fu proprio quello il giorno in cui scelse che da grande sarebbe diventata un medico. 
Non seppe dire come, ma era rimasta sola nel corridoio del ponte: tutta la ciurma era stretta nella cabina del capitano, preoccupati delle sue condizioni. Sorrise tra sé e si sistemò una ciocca di capelli sfuggita alla coda. Vide Ace farsi largo tra gli uomini ammassati nella stanza e raggiungerla. 
  -     Accidenti, quel vecchio mi ha dimezzato la vita in meno di dieci minuti! - ironizzò il moro, appoggiandosi alla parete accanto a lei.
  -     Già... - confermò Erin - La vostra fortuna è stata quella di avere qualcuno a bordo ferrato in medicina!
  -     Non so come avremmo fatto senza di te. Prima Jaws, ora Barbabianca... Cosa sei, una specie di angelo custode della Moby Dick?
 Erin rise: - Può essere, chi lo sa...
Stettero senza parlare per un po', godendosi inconsapevolmente la reciproca compagnia l'uno dell'altra, fino a che Ace decise di rompere quel silenzio. Si staccò dalla parete con aria innocente e disinvolta e si andò a mettere davanti a lei: - Quindi... Ora che papà sta male non puoi lasciarlo qui da solo, non credi? Voglio dire... Non sei il genere di persona che abbandona un paziente in gravi condizioni, giusto?
Erin sbuffò, troppo orgogliosa per ammettere di essere stata messa con le spalle al muro: - Far leva sulla mia etica professionale e sui miei principi morali è altamente sleale, sai?
  - Beh, io provo di tutto. In certi casi il gioco pulito non basta - disse il ragazzo facendole l'occhiolino.
Erin sospirò, facendo finta di pensarci un po': - E va bene. Hai vinto. Rimarrò sulla nave fin che Barbabianca non si sentirà meglio. Dopodiché toglierò le tende, sappilo - dichiarò, incrociando le braccia al petto.
  -     Sarai anche il medico più in gamba che c'è o la ragazza più sfuggente del mondo. Ma tu sottovaluti la grande forza persuasiva di Ace "Pugno di Fuoco". Scommetto che riuscirò a farti cambiare idea.
  -     Mi stai lanciando una sfida, Ace " Pugno di Fuoco"? - chiese Erin, sfoggiando il suo miglior sorrisetto malizioso e strafottente.
  -     Assolutamente sì, dottoressa Erin.
  -     E sentiamo, cosa saresti disposto a scommettere?
  -     Un bacio - disse il ragazzo con fermezza, lasciandola di sasso.
 Erin strabuzzò gli occhi, incredula: - Un bacio?
  -     Un bacio - ripeté il moro - Se riesco a farti scegliere di rimanere, non necessariamente per sempre, dovrai farti baciare da me. Come dico io e quando dico io.
  -  Mmh... Si potrebbe fare - mormorò la ragazza, accarezzandosi il mento - E se non dovessi vincere?
  -     Beh, se vinci tu... Se vinci tu ti darò tutto il mio dolce. Per quanto tempo vorrai.
  -     Però... Sembri molto sicuro di te, ragazzo di fuoco - lo stuzzicò lei.
  -     Ah ah, dolcezza, nessuno riesce mai resistere a lungo a questo - disse, indicandosi dalla testa ai piedi - E poi, fidati, ti conviene molto di più perdere, ne trarresti molte soddisfazioni - concluse con un occhiolino.
 La ragazza si lasciò andare ad una risata divertita, facendogli uno sguardo dolce ma allo stesso tempo scosso da una punta di malizia: - Si vedrà, Ace... Si vedrà... 
Fu Marco a decretare la fine di quella conversazione, uscendo dalla cabina del capitano con gli altri a seguito.
  -     Erin, tu sai cosa fare, lo lasciamo a te, ok? - le disse il biondo, prima di dirigersi in cambusa con gli altri.
  -     Certo - mormorò la ragazza con un sorriso. Diede un leggero pugno sul braccio di Ace, quasi a ricordargli la scommessa fatta e la sconfitta imminente, e infine entrò nella stanza chiudendosi la porta alle spalle.
 Trovò Halta seduta al capezzale dell'uomo, con in viso un'espressione stanca, piuttosto che triste, e pensierosa.
  -     Credevo che fossi andata anche tu a mangiare con gli altri.
 La rossa sembrò riscuotersi all'improvviso dai suoi pensieri ed ebbe un sussulto: - No, io... volevo restare ancora con lui. Voglio assicurarmi che si svegli.
  -     Halta, si sveglierà - la rassicurò Erin, mettendole le mani sulle spalle - Gli sistemerò le flebo e domani sarà come nuovo. Va' con gli altri.
 Di tutta risposta la ragazza sospirò profondamente, non accennando neanche ad alzarsi. 
  -     Devi volergli proprio bene... - le sussurrò, abbassando lo sguardo.
  -     Sì, tantissimo. Lui è... è mio padre. Non sarò realmente sua figlia, è vero, ma lui mi ha salvato la vita - spiegò, le lacrime che minacciavano di uscire da un momento all'altro.
  -     Ti capisco... Anche io ho una persona così, là fuori.
  -     È per lui che devi tornare?
  -     Sì, anche per lui... - Erin si rese conto realmente della situazione in cui si era cacciata, rendendosi conto che con le spalle al muro ci era finita sul serio - Ma per adesso non vado da nessuna parte. Il vostro capitano ha più bisogno di me in tempo reale.
  -     Ti ringrazio - le sussurrò Halta, in un tono dolce e calmo che Erin non aveva mai sentito uscire dalle sue labbra e che poco si addiceva alla ragazza pragmatica quale era.
 La mora sorrise, facendole cenno di alzarsi: - Fidati di me, so quello che faccio. Resto io con lui e ti giuro solennemente sul mio onore che domani si sveglierà e starà bene.
Questo sembrò convincere la rossa, che finalmente decise di raggiungere gli altri.
Rimasta sola nella stanza, Erin prese un sacchetto per la flebo dalla scrivania e lo collegò all'ago nel braccio dell'uomo, appendendolo poi all'apposito sostegno. Si sedette al posto di Halta, poggiando il mento sulle ginocchia e vegliando il sonno del capitano della Moby Dick. Tutti avevano grande rispetto per lui, e di certo lei non poteva dar loro torto. Barbabianca era davvero un uomo straordinario e lo si capiva anche dalla più piccola cosa che faceva: da come camminava, da come si rivolgeva alle persone, dalle sue decisioni, seppur all'inizio apparentemente prive di senso, dalla sua postura fiera, dalla sua gentilezza. Si sorprese che tra tante navi e tanti posti fosse finita proprio con delle persone straordinarie quali erano quei pirati.
Passarono delle ore, ed Erin si accasciò col busto sul letto, poggiando una guancia sulle braccia. Il russare regolare di Newgate fu sufficiente a farla addormentare.

Era ormai scesa la sera, e le prime stelle avevano fatto la loro comparsa nel cielo notturno.
Ace aprì lentamente la porta della cabina di Barbabianca e sorrise scorgendo Erin che dormiva beatamente accanto a suo padre. Le si avvicinò e la scosse dolcemente per le spalle. La ragazza aprì lentamente gli occhi e si voltò per capire chi l'avesse svegliata.
  -     Ehi - bisbigliò stiracchiandosi, con la voce ancora roca dal sonno - Che ora è?
  -     Tardi. È ora che tu vada a letto, resto io con lui - le propose il moro, prendendole una mano per aiutarla ad alzarsi.
  -     Mh... Non serve - biascicò Erin, senza il reale tentativo di opporsi.
  -     Oh, sì che serve. Sei stata con lui tutto il giorno, mangia qualcosa e vai a letto.
 Erin annuì stancamente, portandosi una mano alla bocca per coprire uno sbadiglio. Fece per andarsene ma si girò all'improvviso: - Ah, dimenticavo. Bisognerà fare un breve sosta su quell'isola verso cui ci stavamo dirigendo. Ho notato che mancano dei farmaci molto importanti a bordo, e lui ne ha bisogno adesso - spiegò, indicando Newgate.
  -     Ok. Devi dirlo a Squardo, è lui che ha il timone adesso.
 Detto questo la ragazza fece un cenno con la testa e aprì la porta.
  -     Erin - la richiamò il moro.
  -     Sì? 
  -     Ricorda che abbiamo fatto un patto. Non provare a scappare su quell'isola una volta che la nave attraccherà.
  -     Io non vado proprio da nessuna parte per ora, Ace - rispose la giovane con un sorriso dolce, che diede al ragazzo la sicurezza di potersi fidare di lei in tutto e per tutto.
 Ace promise a se stesso che se fosse andata via sarebbe andato a cercarla anche in capo al mondo. L'avrebbe riportata sulla sua nave con ogni mezzo a sua disposizione, anche sollevandola di peso se necessario. Non le avrebbe mai permesso di andare senza averla baciata almeno una volta, senza averle detto quello che provava per lei, senza averle fatto capire quanto avesse sconvolto la sua esistenza anche semplicemente esistendo.








____________
Dobry vecer (Ceco) :)
Ok, sono riuscita ad essere puntuale, meraviglioso *.*
Poiché non ho nessuna precisazione sul capitolo passo direttamente ai ringraziamenti, che oggi saranno un tantino lunghi.
Dunque, considerato che siamo arrivati, ufficialmente secondo l'ordine di efp, al decimo capitolo, voglio cogliere l'occasione per ringraziare singolarmente ciascuno di voi, miei amati lettori **
Grazie tantissimo a Elenami55, Keyra Hanako D Hono, Ilaria D Piece, Musa00, Heilig e Lorelayne_kiri_chan16 per aver recensito la storia fino ad ora!!!
Grazie a AceDPortogas, AceWillNeverDie (hai il mio stesso nome di Tumblr LOL xD), Angel 69, Bisca88,Black Firework, Citronella, cola23, Dolorean, Elenami55, fede95, giada1999, Ikki, Jess chan, Jiuls, Kahle, kuroitsuki, Lorelayne_kiri_chan16, Misuzu, mojikomoji, Musa00, One Piece_999, OrderMade96, Sabry_Ace_Will_Never_Die, Shirin17, Silver Angel, simile is the way, TheLadyVampire97 e valepassion95 per aver inserito la storia tra le seguite!!!
Grazie a mariasole per aver inserito la storia tra quella da ricordare!!!
Grazie a Asra, Elenami55, Heilig__, Makoto15, mojikomoji, Musa00, sakuragi e _Stupid Wise_ per aver inserito la storia tra le preferite!!!
Se ho dimenticato qualcuno o se ho sbagliato a scrivere i vostri nomi vi chiedo umilmente scusa TT.TT
E infine, the last but not the least, grazie a tutti voi lettori anonimi, un grazie dal profondo del cuore per l'importanza che date alla storia, vi adoro da impazzire come Ace ama dormire  *.* 
Ci sentiamo al prossimo capitolo ragazzi, tanti baci xo xo!!!

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** #10 ***




Quello che svegliò Erin quella mattina, oltre al caldo tepore del sole sulle sue guance, fu il brusio concitato e i rumori di casse che venivano spostate, ordini che venivano impartiti e gente che faceva su e giù sul ponte.
Aprì lentamente gli occhi e sbadigliò sonoramente, stiracchiandosi le braccia e le gambe.
Nessuno era venuta a chiamarla quella notte, segno che Barbabianca si stava riprendendo del tutto, come aveva immaginato. La ragazza si alzò dal letto e si vestì in tutta velocità, decidendo di andare di persona a controllare la situazione. 
Uscì dalla cabina e si diresse verso la porta del capitano della Moby Dick, notando che era socchiusa. Dall'interno provenivano vari suoni e risate che Erin collegò a Newgate, Halta e Marco. Aprì lentamente la porta, catturando l'attenzione su di sé non appena mise piede nella stanza.
  -     Oh, eccola qui! Buongiorno luce dei miei occhi - la salutò affettuosamente il capitano.
  -     Buongiorno, Ed! Mi fa piacere vedere che stai meglio. Hai dormito bene? - chiese la mora avvicinadoglisi e tastandogli il polso.
  -     Sì, sto benissimo grazie a te!
 Erin sorrise, felicitandosi nel riscontrare valori perfettamente normali. Marco le si avvicinò e le accarezzò una spalla, con un sorriso d'ammirazione stampato in volto: - È incredibile! Prima Jaws, ora nostro padre... Non so cosa o dove saremmo senza di te!
La ragazza arrossì molto, per nulla abituata a ricevere complimenti: - Ecco... È stata una coincidenza molto fortunata...
  - Ragazza mia, - la interruppe il vecchio, prendendole una mano nella sua - sottile è il confine tra coincidenza e destino.
  - Una persona a cui devo la vita una volta mi disse che ce lo costruiamo noi il nostro destino - obiettò Erin, stringendo la mano dell'uomo.
  -     Però, la ragazza mi piace sempre di più! - esclamò la rossa a quel punto, facendo sorridere tutti.
 Stettero in silenzio per il tempo in cui Erin controllò tutti i valori di Newgate, appuntando su un block notes sulla scrivania dei numeri di cui nessuno capiva il significato. Il vecchio, seduto con la schiena poggiata alla testiera, la osservava placidamente in ogni suo movimento, sorridendo enigmaticamente di tanto in tanto. 
Non sapeva perché, ma aveva il presentimento che, presto o tardi, tutto sarebbe cambiato. Sapeva che con quella ragazza qualcosa sarebbe successo, ma sarebbe comunque stato pronto a tutto.
  -     Molto bene - affermò Erin incrociando le braccia - I tuoi valori sono perfettamente normali, ma hai comunque bisogno di un trattamento per prevenire un altro possibile attacco. E dovrai cambiare abitudini, innanzitutto moderati nel bere...
  -     Oh, andiamo!  - si lamentò lui immediatamente.
  -     Niente ma - ordinò perentoria la ragazza. 
 Il suo sguardo sfuggì per un secondo e si soffermò su qualcosa fuori dalla finestra alle spalle di Halta. 
  -     Quella è una spiaggia? - chiese, schiacciando il naso sul vetro.
  -     Già. Avevi detto a Squardo che avremmo dovuto fermarci. Abbiamo attraccato in una parte isolata dell'isola, non è il caso di fasci vedere al porto principale - spiegò la rossa.
  -     Concordo. Molto bene. Dovrò scendere per comprarti le medicine del trattamento. 
 Barbabianca allungò un momento il braccio e recuperò un pezzo di pane da un vassoio sul comodino portandoselo in bocca, poi aprì il primo cassetto e ne tirò fuori un sacchetto di cuoio tintinnante.
  - Ecco, questi sono per te. Sono parecchi, quindi compra quelle dannate medicine e il resto spendilo per quello che preferisci. Vestiti, scarpe, libri, quello che vuoi - le disse, porgendoglielo.
Erin accettò con un sorriso e si congedò, avendo prima preso una mela dal vassoio sul comodino, salendo subito sul ponte.
Solo allora si rese conto che tutta confusione che l'aveva svegliata quella mattina era dovuta ai movimentati preparativi per l'attracco. Non c'era un singolo pirata non indaffarato con qualcosa.
  -     Ciao, Erin! - urlò Ace alla sua destra.
 Il ragazzo lasciò la cima che aveva per le mani e le corse incontro.
  -     Buongiorno, Ace! 
  -     Come sta? Perché hai detto di attraccare? È grave? - domandò a raffica il moro, quasi mangiandosi le mani per l'ansia.
  -     No! Lui sta benissimo. Devo comprare dei farmaci in città per una terapia, tutto qui.
 Ace tirò un rumoroso solito di sollievo, così felice che la abbracciò.
  -     Oh, aspetta! - esclamò, staccandosi da lei subito dopo ma tenendole comunque le mani sulle spalle - Non intenderai mica andarci da sola, vero?
  -     Beh, perché no. Il tempo di andare e tornare e...
  -     Non se ne parla! - gridò, sconcertato dalla sua mancanza di esperienza - Non abbiamo idea di che tipo di gente abiti quest'isola. E poi, ora navighi con dei pirati, se qualcuno dovesse venire a saperlo o se ci avessero spiato non hai idea di cosa ti farebbero pur di ottenere un riscatto da noi o dallo stesso governo mondiale.
  Quell'idea le fece accapponare la pelle. Non avrebbe mai corso il rischio di essere catturata dal governo. 
  -     Ace ha ragione - affermò Vista, avvicinandosi ai due - Non possiamo permettere che ti accada qualcosa.
  -     Ok, avete ragione. Quindi chi viene con me?
  -     Vengo io - propose il moro facendo un passo avanti.
  -     Certo, così ti fai riconoscere subito - obiettò Izo, tirando una boccata alla sua sigaretta - Ti conoscono tutti, Ace, serve qualcuno che dia meno nell'occhio.
  -     Ci vado io, con un buon travestimento passeremo inosservati - disse infine  Vista, ponendo fine al discorso.  




                                                                                                           ***




Poche ore dopo Erin e Vista erano scesi dalla nave e si erano messi in viaggio verso la città più vicina. 
Camminavano in silenzio uno accanto all'altra, entrambi stretti in dei mantelli che nascondevano alla perfezione i loro volti. Vista aveva deciso di lasciare il suo amato cilindro sulla nave, ma camminava svelto con una mano sull'elsa della spada, pronta a sguainarla non appena si fosse presentato un qualche pericolo. 
Il sentiero di terra battuta che stavano percorrendo da circa due ore sembrava più lungo e contorto del previsto, e la ragazza sperò vivamente di farcela a tornare alla nave prima del buio. 
Decise di porre fine a quel silenzio imbarazzante che aleggiava tra loro da fin troppo tempo e cercò di intavolare una conversazione: - Fammi capire bene. Ho capito che voi pirati non siete davvero figli di Barbabianca. Mi chiedo se qualcuno sia davvero suo figlio biologico...
Vista si girò a fissarla qualche secondo e sorrise: - Oh, no. Il babbo non ha figli biologici, ma è comprensibile la tua perplessità a riguardo.
Vista si era sempre comportato con riguardo nei suoi confronti fin dall'inizio. Erin non dubitava che fosse una persona gentile e altamente sensibile, a modo suo.
  -     Ah! - esclamò sorpresa - E quindi perché lo chiamate tutti papà? In genere i pirati chiamano capitano quello che è effettivamente il loro capitano. È la prima volta che invece vedo una ciurma come una... famiglia.
  -     Beh, è quello che siamo. Nostro padre... Barbabianca... Lui non ha mai sognato gioielli, potere o soldi. Ha sempre voluto una famiglia. È l'uomo migliore che io abbia incontrato. Sono fiero di far parte del suo equipaggio e di poter essere un figlio per lui. Così come sono profondamente orgoglioso di avere quel branco di idioti per fratelli. Darei la vita per ciascuno di loro, dal primo all'ultimo. Sono la sola famiglia che io abbia mai avuto.
 Erin era rimasta meravigliata dalle sue parole. Era incredibile come quell'uomo potesse avere tutto quel carisma necessario per mettere su una flotta di uomini così fedeli e coraggiosi. Si ritrovò a stimarli ancora di più, dal primo all'ultimo. 
Soddisfatta dalla spiegazione di Vista, Erin tornò a fissare il percorso, cominciando a scorgere pochi chilometri più avanti il confine di quello che sembrava essere un piccolo villaggio.
I due affrettarono il passo, nascondendo i volti nel cappuccio. Quando entrarono nel paese si resero conto che quello doveva essere un giorno di festa. Tutti gli abitanti erano abbigliati con i loro vestiti migliori, c'erano balli e musica ovunque, la gente sembrava davvero felice. Ai lati delle strade erano allineate tantissime bancarelle in cui si vendeva veramente di tutto: dalla frutta al pesce, dalle pentole agli attrezzi da lavoro, dai vestiti alle tende. Persino Erin, nel suo lungo vagabondare in giro per io mondo, non aveva mai visto tutta quella roba prima d'allora. 
La gente era talmente accalcata che Vista prese la ragazza per un braccio per evitare di perderla tra la folla, che li spintonava in ogni direzione. 
  -     Che cosa si festeggia oggi? - le chiese l'uomo, urlando per farsi sentire da lei.
  -     Non lo so! Ma è una fortuna, così la gente non presterà attenzione a noi! - rispose Erin nello stesso tono. 
 La ragazza sollevò lo sguardo, cercando di scorgere tra tutte le ghirlande e le decorazioni l'insegna di una farmacia o di un'erboristeria. C'era qualcosa di strano in tutta quella situazione, se lo sentiva. Non le erano sfuggiti i numerosi marines che scrutavano tutto intorno a loro con attenzione, quasi cercassero qualcosa. Le persone non sembravano farci molto caso, ma a Erin venne un brivido lungo la schiena, spaventata da quelle presenze.
  -     Li hai visti? - sussurrò Vista al suo orecchio.
  -     Sì, li ho visti. Ci conviene muoverci. 
All'improvviso una donna sollevò improvvisamente un braccio e le abbassò senza farci molto caso il cappuccio. La mora abbassò immediatamente lo sguardo e cercò di nascondere immediatamente il viso e la voglia sulla tempia. Un marine poco lontano si accorse del suo fare sospetto, si avvicinò facendosi largo tra la gente e raggiungendola.
  -     Buongiorno, signorina.
  -     Salve, signore. Le serve qualcosa? - disse la ragazza sorridendo, con uno sguardo affabile che non riuscì tuttavia a far cambiare all'uomo quell'espressione inquisitoria.
  -     Posso vedere un suo documento? - chiese improvvisamente, ed Erin perse un battito.
  -     Ecco, ehm... Sarebbe possibile, ma...
  -     Rin!! Eccoti qui, razza di scansafatiche! Guarda come ti sei conciata pur di non essere riconosciuta!- urlò Vista avvicinandosi ai due e prendendo la giovane per un braccio - Ti stavo cercando da ore! Non riesci proprio a stare ferma e lavorare un po', eh?!
 Erin lo guardava stranita, non capendo cosa stesse succedendo. I suoi occhi perplessi mostravano tutta la sua confusione.
  -     Le chiedo scusa per il disturbo che mia figlia Rin le ha arrecato, signore. La ragazza non vuole lavorare mai! Siamo i proprietari del negozio di ferramenta qui all'angolo. Sarà meglio tornare, ho lasciato aperto - spiegò il pirata, portandosi una mano sul collo.
 Il marine annuì e li lasciò andare senza altre domande.
  - Ma dove hai imparato a recitare così? - chiede Erin, una volta che si furono allontanati.
 Vista le sorrise bonario, lasciandole il braccio: - In questo mondo se vuoi sopravvivere bisogna saper recitare. E poi non mi sarebbe dispiaciuto fare l'attore...
La ragazza scoppiò a ridere e gli diede una pacca sul braccio, complimentandosi ancora e ringraziandolo per averla tirata fuori dai guai. 
Finalmente, dopo pochi minuti, scorsero l'insegna di una farmacia in una strada meno trafficata e più silenziosa.
Entrarono e la ragazza passò in rassegna ogni scaffale prendendo tutte la scatole di cui aveva bisogno. Quando andarono alla cassa per pagare, Erin non riuscì a resistere alla curiosità di sapere che festa fosse.
  -     Mi scusi, avrei una curiosità - disse con un sorriso all'uomo dietro il bancone. Era un tipo basso, sulla cinquantina, con dei grossi occhiali e dei baffi neri che gli conferivano un'aria simpatica.
  -     Ma certamente! Di che si tratta, signorina?
  -     Vede, io e mio padre siamo dei forestieri e vorremmo tanto sapere che cosa si festeggia oggi in paese. Sinceramente non ci aspettavamo tutta questa allegria...
  -     Oh! Beh, oggi si festeggia la ricorrenza del giorno in cui il governo e la Marina liberarono l'isola dalla piaga dei pirati. Vede, questo posto era stato per lunghi anni controllato da pirati e briganti, che compivano le loro scorribande impunemente e senza alcun rispetto per le persone. Almeno fin quando un uomo, uno dei tre ammiragli della Marina, non ristabilì l'equilibrio impedendo ai pirati di mettervi piede.
  -     Oh... - mormorò la ragazza, con mille domande nel cervello - La ringrazio, è stato molto chiaro.
 Salutarono il farmacista e uscirono dal negozio, fermandosi per qualche minuto in un vicolo deserto.
  -     Ora che so cosa succede tutta questa situazione mi puzza ancora di più - annunciò Erin, prendendosi il mento tra le dita, pensierosa.
  -     Di che parli?
  -     Se questo è il giorno della liberazione... Se quest'isola è sotto diretto controllo del governo, probabilmente perché è un punto strategico, non ti sembra strano che siamo approdati così facilmente? Non è strano che non ci sia nessuna nave della Marina a fiancheggiare le coste? 
  Vista sbarrò gli occhi, dandosi dello stupido per non averci pensato prima: - Oddio, stai cercando di dire che...
  -     Ho due ipotesi: o si tratta di un'imboscata o c'è qualche altra cosa sotto che però non ci danneggerà. Pensaci, se fosse stata un'imboscata il marine che mi ha fermata ti avrebbe arrestato all'istante o usato come esca. Aveva me, non sarebbe stato poi così difficile. 
  -     Quindi cosa credi che ci sia sotto?
  -     Non ne sono sicura, - disse la ragazza - ma qualunque cosa sia ci conviene sbrigarci a fare quello per cui siamo venuti e andarcene da qui.
 Vista annuì e la seguì per strada. In realtà Erin aveva un'idea a riguardo. Non sapeva spiegarsi come o perché, ma aveva in mente un solo uomo dietro tutto quello. L'ammiraglio di cui aveva parlato il farmacista per lei non poteva essere che uno, avrebbe riconosciuto il suo tocco in ogni missione, in ogni movimento. Tuttavia non ne era spaventata, anzi, provava quasi uno strano senso di sollievo e sicurezza.




                                                                                                            ***




Il giovane non riusciva davvero a credere a cosa gli si fosse appena presentato sotto gli occhi.
Era certo di aver visto bene. Riguardò almeno altre tre volte la foto che aveva tra le mani e non ebbe più dubbi: i lunghi capelli scuri, gli occhi verdi, il volto pallido e delicato. Ma soprattutto quel segno inconfondibile, la voglia rossa sulla tempia. 
Gli erano stati impartiti ordini molto precisi, ma proprio non riusciva a capire per quale motivo non avrebbe dovuto catturare una ragazza nella lista nera della Marina e dell'intero governo mondiale. Con la foto in mano, il marine si sistemò il cappellino sulla testa e si mise a correre tra la folla, nella direzione opposta a quella intrapresa dai due. Quando arrivò ad una porta di legno con una croce azzurra disegnata sopra la spalancò e si precipitò su per le scale, irrompendo nella prima stanza che trovò davanti.
  -     Signore! L'abbiamo avvistata! - urlò, mettendosi ben dritto e portando una mano sulla fronte, tipico saluto militare.
 L'uomo nella stanza si sollevò pigramente la mascherina da notte azzurra dagli occhi e si raddrizzò sulla sedia, sbuffando infastidito.
  -     Calmati, soldato, hai il fiatone - disse, guardando l'uomo dalla testa ai piedi.
  -     Signore! Si tratta di una questione della massima importanza! Ho fermato la ragazza, è su quest'isola con un uomo! Crediamo che sia uno dei comandanti delle flotte di Barbabianca, signore! 
 L'ammiraglio si alzò e gli andò incontro, sovrastandolo con tutta la sua altezza: - Molto bene. E...? Dov'è ora?
Il marine deglutì, visibilmente a disagio: - I-io l'ho lasciata andare, signore. Lei aveva detto di correre da lei non appena l'avessimo avvistata.
  -     Bravo, soldato. Hai fatto bene il tuo lavoro. Vieni, indicami da che parte è andata  - disse l'uomo alto, superandolo e scendendo il primo gradino delle scale. 
  -     Certo! - esclamò il giovane marine con il sorriso sul volto, desideroso tuttavia do capire - Ehm, ammiraglio Aokiji! - lo richiamò, facendolo voltare pigramente - Io... Mi chiedevo... Mi chiedevo perché, signore.
  -     Perché cosa? - domandò Aokiji, curioso.
  -     Ecco, perché ha lasciato le coste incustodite. E... perché sta disubbidendo agli ordini del signor Akahito. 
 A quel punto Kuzan tornò indietro e, quando fu a un passo dal giovane marine, lo guardò con fare minaccioso e disse: - Soldato, tu sai che se qualcuno dovesse mai venire a sapere di... questo, io farò in modo che la tua carriera sia rovinata e che ti accadano cose spiacevoli, vero?
  -     S-sì, certo signore - balbettò il soldato, maledicendo la sua curiosità.
  -     Molto bene, apprezzo la tua lealtà - mormorò Aokiji, sorridendo per tranquillizzarlo - Lo sto facendo perché è giusto. Lo faccio perché obbedire senza pensare lo fanno solo le persone senza principi, e mi sto assumendo tutte le responsabilità per le mia azioni. E tu... tu sei un bravo marine, ragazzo, perché tu sai pensare, e certamente saprai capire da te se sia giusto o meno imprigionare una ragazza la cui unica colpa è desiderare a tutti i costi di essere libera - disse infine, lasciando il ragazzo immobile nella sua posizione, soddisfatto e senza parole.
  -     Dunque! Vediamo un po' dove si è andata a cacciare quella piccola rompiscatole. Devo assolutamente accertarmi che stia bene. 







________
Maj choS!! (Klingon x'D)
Et voilà!! Son qui!!
Vi chiedo scusa per il ritardo, ma sto avendo un sacco da fare in questo periodo >.<
Cercherò di postare puntualmente la settimana prossima, ma non assicuro nulla.
Non credo di avere nulla da aggiungere sul capitolo, quindi passo ai ringraziamenti, anche perché devo scappare. Grazie infinite a tutti voi angeli che leggete questa storia e che perdete tempo a recensirla, grazie a chi inserisce tra preferite, seguite o da ricordare. Siete fantastici, davvero, non ho parole per descrivervi.
Grazie, grazie, e ancora grazie!! Un bacio, al prossimo capitolo! xo xo 

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** #11 ***


Ace fissava lo scrosciare delle onde sulla riva, turbato ed estremamente pensieroso. Di tanto in tanto sollevava lo sguardo sul sentiero di terra battuta che scompariva tra la fitta vegetazione  nella speranza di veder comparire il suo amico e la persona che da un po' di tempo occupava un posto fisso nei suoi pensieri. Accucciato sulla balaustra giocherellava nervosamente con il suo cappello, tanto per tenersi occupato e non correre alla ricerca dei due.
Barbabianca aveva ovviamente notato  il comportamento ansioso del moro, ma di certo non poteva biasimarlo. Si era pentito quasi immediatamente di aver mandato Erin  in città, lontana dalla protezione della ciurma. Naturalmente si fidava ciecamente di Vista, uno dei capitani delle sue flotte, ma non per questo non riusciva a non provare una certa preoccupazione.
Poggiò le sue grandi mani sul legno della balaustra, un tipo pregiatissimo proveniente da un'isola del mare occidentale. Halta dietro di lui faceva di tutto per intimargli di tornare a riposare nella sua cabina, ripetendo le prescrizioni di Erin e ricordandogli le sue condizioni. Newgate, ovviamente, aveva fatto in fretta ad abbandonare il discorso, ricordando fieramente alla rossa di star parlando con uno l'uomo più forte del mondo.
Ace seguiva i movimenti del padre con la coda dell'occhio, sospirando rassegnato: -   Non ce la fai proprio ad ascoltare le persone che ne sanno di più di te, vero papà?
All'uomo sfuggì una risata e non riuscì a non dargli mentalmente ragione.
-   Non sapevo ti importasse così tanto. Dopotutto non volevi nemmeno che restasse a bordo...
-   Di che parli? - chiese Ace, confuso.
-   Non fare il finto tonto, ti conosco bene. Parlo di Erin... Provi qualcosa per lei, ho indovinato? - disse a voce bassa il capitano, in modo da non essere udito dagli altri.
Il moro fece un altro  sospiro, uno dei tanti, incerto persino con se stesso su cosa rispondere: - Io... - cominciò a dire, fermandosi qualche secondo a riflettere - ... Non lo so. So solo che più tempo é lontana più mi sento vuoto. Non so cosa sia. Non ho mai provato nulla del genere, non so come definirlo.
-   Capisco figliolo - disse Barbabianca con dolcezza, poggiando una delle sue grandi mani sulle spalle muscolose del ragazzo - Sai... - continuò - Io non sono molto bravo in queste cose, credo che sia più saggio parlarne con i tuoi fratelli in effetti...
Ace era completamente sull'attenti. Non aveva mai visto suo padre affrontare una conversazione del genere.
-   Ma credo che tu le piaccia - concluse l'uomo con un sorrisetto complice, capace di strappare al moro una risata e facendolo arrossire un po'.
-   Io non credo... 
La conversazione fu bruscamente interrotta dalla voce di Squardo che, dalla coffa, aveva avvistato Erin e Vista.
-   Stanno tornando! Sembra che siano tutti interi!
Ace scosse il capo per l'infelice battuta dell'amico, ma non poté fare a meno di sentirsi piacevolmente sollevato, sentendo lo stomaco in subbuglio nel momento in cui li vide spuntare dagli alberi. Balzò giù dalla balaustra e raggiunse il resto della ciurma per aiutarli nei preparativi della partenza.

                                           


                                                                                                                                                       ***





Non si poteva certo dire che Erin non fosse scossa e anche leggermente inquietata dall'incongruo susseguirsi di eventi di cui era stata partecipe nel corso delle ultime 4 ore. 
Aveva sospettato immediatamente che qualcosa non tornava nel loro approdo sull'isola, ma non immaginava che qualcuno fosse riuscito a organizzare tutto così minuziosamente. Molti dei dettagli che aveva raccolto le erano stati più che sufficienti per capire di chi fosse lo zampino in tutta la situazione, e non le servì molto per dedurre che la cosa migliore era levare subito le tende.
Questo era uno dei particolari del suo rapporto con la Marina, e, in particolare, con uno degli ammiragli.








Aveva avuto modo di conoscere Aokiji una decina di anni prima, quando viveva ancora con i suoi genitori e suo fratello Xan a Marijoa. L'uomo dalla carnagione scura era solito far visita alla sua famiglia periodicamente per assicurarsi che andasse tutto bene. Non era ovviamente una cosa comune, ma la sua era una delle famiglie più influenti e ricche della capitale, e il comando generale non esitava mai a fare qualsiasi cosa pur di rabbonire chi aveva la possibilità di perorare nelle loro cause.
Tra lei e l'ammiraglio vi era sempre stato un rapporto  di curiosità, specialmente da parte del marine nei confronti della bambina. Non vi era un giorno in cui  non la vedeva con un qualche libro di medicina tra le mani. 
Una giorno, una primavera, era in attesa di ricevere i suoi genitori nel giardino interno della gigantesca magione. Un luogo meraviglioso con un'enorme cupola in vetro che custodiva centinaia di piante diverse di tutti i colori e dimensioni dove la ragazza amava rifugiarsi per divorare con la mente qualche libro. Accucciata su un divano di velluto al centro della stanza, seguì con lo sguardo i movimenti dell'uomo, palesemente annoiato come qualcuno che é lì solo per dovere.
Passati alcuni minuti nel totale silenzio, Aokiji le si avvicinò in modo disinvolto e lei distolse lo sguardo.
-   Posso? - le chiese molto gentilmente indicando la parte vuota del divano.
Erin annuí timidamente, non mascherando la sua diffidenza. Dopotutto non era come suo fratello, amichevole e dolce con tutti. Lei non si fidava di nessuno, pensava che più amici avesse avuto, più coltelli si sarebbe potuta ritrovare nella schiena in un futuro.
-   Tu sei uno dei cani del governo, non é così?
Kuzan sgranò gli occhi per qualche istante, non riuscendo a credere alle proprie orecchie. 
-   Sei molto sboccata e sincera per essere una bambina della tua età e del tuo stato sociale... - le disse, mutando la sua perplessità in un sorriso complice - Io preferisco definirmi qualcuno che assicura la giustizia in questo mondo.
Erin rimase impassibile, abbassando gli occhi sulla figura del sistema circolatorio del libro che aveva in grembo. Poco dopo aggiunse: - Non c'è giustizia in questo mondo. Tanto meno qualcuno che la amministra. Basta vedere te che lasci il libertà persone come i miei genitori.
A quel punto l'attenzione di Aokiji per la bambina era totale.
-   Purtroppo non sempre si può agire per quello che si ritiene giusto, ma ci si può provare... Giustizia indolente la chiamo io... - fece una pausa - Ho modo di pensare che anche se sei un Drago Celeste  ti vergogni di esserlo, dico bene?
-   Sí - rispose seccamente - Ma durerà ancora per poco. Un giorno me ne andrò di qui e potrò essere libera, senza nessuno che mi dica cosa devo fare, come devo pensare, chi devo essere. 
L'uomo non aveva mai visto una bambina dalla mentalità così precoce, così pura nei suoi ideali.
-   Sai che non avresti vita facile, là fuori, tra cacciatori di taglie e pirati... Ma tu sei troppo intelligente per non saperlo. Ti consiglierei di stare attenta a ciò che desideri.
-   Altrimenti cosa? Potresti arrestarmi?
L'ammiraglio si lasciò andare a una risata e fissó la piccola della testa ai piedi, curioso e meravigliato dalla sua intelligenza: - Solo se mi darai motivo per farlo ... - fece una pausa, prima di continuare - Te l'ho detto, io amministro la giustizia. Credo che ci incontreremo in futuro, da qualche altra parte.
-   Lo penso anche io.
-   Kuzan! Sei qui! 
Era stata sua madre a parlare, con la sua voce irritante e stupida, come la piccola Erin la definiva. 
-   Spero che quella peste di mia figlia non ti abbia disturbato con le sue chiacchiere insignificanti.
-   Tutt'altro, signora, sua figlia é molto... interessante.
Le rivolse un sorriso complice e genuino prima di andarsene. Un sorriso che voleva dire tutto. Le sembrò che fosse dalla sua parte, ma anche che avrebbe avuto un'altra persona da cui guardarsi le spalle. Non riuscì a capirlo allora, come non lo capí dieci anni dopo.






-   Erin? Erin, siamo arrivati alla nave, guarda!
Vista la riportò alla realtà, indicando con entusiasmo il gigantesco galeone che si intravedeva oltre la fine della foresta.
-   Cosa diremo agli altri? - chiese l'uomo, sistemandosi meglio la spada.
-   Beh, diremo loro ciò che abbiamo visto. Non é che sappiamo poi cosi tanto. É una situazione delicata.
I due salirono sulla passerella in legno che conduceva al ponte accolti dalla ciurma che si accalcava attorno a Erin per assicurarsi che stesse bene.
-   Oh beh grazie, anche io sto bene ragazzi. Lieto di esservi mancato, ma non dovevate mica preoccuparvi così tanto per me - ironizzò Vista, offeso, incrociando le braccia al petto.
Il suo commento e il mezzo broncio che aveva messo avevano fatto scoppiare la ciurma in una fragorosa risata che coinvolse lo spadaccino stesso.
La ragazza si sentiva onorata e felice che tutti tenessero a lei in quel modo e che si fossero preoccupati per lei. La figura di Barbabianca si ergeva imponente su tutti gli altri, il viso disteso per il sollievo, ed Erin non parve più di tanto sorpresa nel constatare che il capitano aveva chiaramente ignorato il suo consiglio di restare a letto.
-   Ed ti avevo detto di restare a letto - disse dolcemente.
-   Non potevo starmene in cabina mentre la mia preziosa dottoressa era in balia di chissà quali squali! Potevi aver bisogno di aiuto in qualsiasi momento, anche se potevi contare sull'aiuto del nostro degno spadaccino! 
Vista non esitò a impettirsi  per rendere ancora più evidente quanto fosse alto il suo onore e il suo senso di protezione.
Erin sentì qualcuno sfiorarle le dita con le mani, un tocco delicato e molto, molto caldo. Intuì in un millesimo di secondo di chi si trattava, ma si girò ugualmente per trovare il dolce sorriso di Ace che si era fatto largo per raggiungerla. 
La ragazza sorrise a sua volta, ritraendo però la mano dal tocco gentile del moro. Ace sembrò stranito da quel comportamento freddo, anche se effettivamente aveva notato che Erin non era particolarmente disponibile dal punto di vista affettivo, l'aveva notato soprattutto nei suoi confronti. Tuttavia quel gesto bastò per farle capire che anche lui era sollevato dal suo ritorno e che ci sarebbe stato in caso di difficoltà, e questo non poté che riempirle il cuore di tenerezza. 
-   Erin! - la chiamò Halta facendosi largo tra i suoi compagni, dando ulteriormente prova della sua pragmaticità - Stai bene? Cosa é successo? Perché ci avete messo tanto?
Erin e Vista raccontarono al resto della ciurma cosa avevano scoperto di tanto importante in città, suscitando sgomento e perplessità in ognuno.
-   Aspetta, - la interruppe il capitano - stai cercando di dirmi che la Marina conosceva la nostra posizione fin dal principio? 
-   Non so come, ma credo di sì... Fatto sta che la cosa migliore è andarcene da qui al più presto e far perdere le nostre tracce per un po'.
-   Ma non possiamo stare a lungo per mare, avremo presto bisogno di rifornimenti - obiettò Marco, conscio della perenne precaria condizione delle dispense della nave.
-   Certamente, ma l'importante é andarcene di qui e da questo tratto di mare, per sicurezza - suggerì Erin, sedendosi su una cassa di legno.
-   Ho solo una domanda da fare. - la interruppe Izo 
-   Chiedi pure.
-   Quel marine che ti ha fermata sembrava che ti avesse già visto... Perché?
Erin rimase immobile, presa in contropiede. Non riusciva nemmeno a deglutire. Dopo qualche secondo che le sembrò eterno, con le mani che le tremavano impercettibilmente, rispose: - Ecco, credo che in quel momento avessi assunto un atteggiamento abbastanza sospetto, date le circostanze... Avrò dato nell'occhio per quello.
Né Izo né tanto meno l'equipaggio sembrarono particolarmente convinti della risposta, ma preferirono prenderla per buona e lasciar perdere.
-   Beh, avete sentito la ragazza! - urlò Barbabianca subito dopo - Prepararsi a salpare! - ordinò ponendo fine alla conversazione, mentre la folla radunata attorno a loro si disperdeva in ogni angolo della nave per mollare  gli ormeggi.
La ragazza restò invece seduta sulla cassa. Tirò un sospiro di sollievo e ringraziò gli dei che i suoi compagni non avessero insistito di più. 
Persa nei suoi pensieri, fu riportata alla realtà quando percepì Ace sedersi accanto a lei.
-   Sono contento che tu stia bene - le sussurrò dolcemente, come se non volesse essere sentito da nessuno. 
-   E io sono contenta che tu ti sia preoccupato per me. Il vostro supporto è molto importante per me.
-   Se avessi avuto problemi io mi sarei catapultato ad aiutarti, voglio che tu lo sappia.
Erin si sentiva felice con Ace, si sentiva protetta e al caldo. Non solo per la sua elevata temperatura corporea, ma per la sua straordinaria abilità di farla sentire in pace con se stessa. Sentiva di stare iniziando a provare qualcosa per lui, qualcosa che una volta avrebbe potuto coltivare, ma che ora le risultava estremamente difficile. Da un lato era lieta delle sensazioni che provava con lui, ma dall'altro si rattristava al pensiero che sarebbe stato meglio per lui se le fosse stato alla larga. Una persona come lei non era altro che una mina vagante, pronta a esplodere da un momento all'altro.
-   Grazie Ace, grazie davvero - rispose in un sussurro, con un sorriso genuino, dolce, troppo dolce per ciò che avrebbe voluto. Quel sorriso sembrò incoraggiare Ace ad avvicinare una mano alla sua. Inizialmente si limitò a sfiorarla con i polpastrelli, in movimenti lenti e delicati. Un tocco dolce ma allo stesso tempo fermo, caldo. Erin restò a bearsi di quel momento, dimenticando per qualche secondo i suoi  opprimenti pensieri. Lasciò che la sua mano venisse guidata da quella di lui, seguendo i suoi movimenti. 
Questi istanti di beatitudine durarono fino al momento in cui Marco, dalla soglia del ponte di comando, non la chiamò a gran voce: - Ehi Erin, se puoi raggiungimi nella cabina di papà, bisogna che inizi il trattamento di cui hai parlato stamattina!
Erin parve come svegliarsi da un sogno.
Ritrasse fin troppo rudemente la mano da quella di Ace, pentendosi di avervi indugiato così tanto. Si alzò e si avviò verso Marco, prima che il moro la richiamasse facendola voltare.
-   Mi dispiace per l'atteggiamento scorbutico e antipatico che ho assunto con te i primi tempi. Non avrei mai dovuto e per questo ti chiedo scusa - disse infine il ragazzo, rimasto abbastanza perplesso dal suo comportamento repentino.
-   Anche a me dispiace, ma non c'è bisogno che ti scusi: ti ho già perdonato - concluse la giovane prima di sparire oltre la soglia, mentre la nave cominciava a muoversi lentamente, lasciandosi l'isola a poppa.





                                                                                                                                                   ***





L'ammiraglio Aokiji scrutò la nave allontanarsi dalla costa nascosto dietro un albero. Nel momento in cui fu sicuro che non sarebbero più riusciti a vederlo mosse qualche passo alla luce del sole, lasciando che la calura del tardo pomeriggio gli avvolgesse le membra. Sospirò e si incamminò con molta calma lungo la spiaggia, arrotolandosi le maniche della camicia fino al gomito. 
Dopo qualche minuto giunse ad un'insenatura nella scogliera, all'interno del quale vi era poggiata una bicicletta di grandi dimensioni. La prese e la accompagnò sulla sabbia, a qualche centimetro dall'acqua di mare. A quel punto sollevò una mano e una nuvola di vapore si levò alta dal suo palmo, prima che il mare si congelasse davanti a lui. La lastra di ghiaccio aumentò le sue dimensioni creando un sentiero che avanzava sempre di più verso il mare aperto. 
Kuzan montò in sella alla sua fedele Ao Chari e pedalò, seguendo la Moby Dick attraverso l'oceano.











___
Buonasera a tuttiiii :D :D
Ok, vi devo delle profondissime scuse.
Ehm... Ehm... É da febbraio che non posto e mi sono sentita molto in colpa per questo. Tra università, impegni vari, affetti e stanchezza  un po' non volevo e un po' non potevo scrivere. 
Ma ora grazie al messaggio di una mia lettrice credo di essermi convinta a ricominciare la storia, perché certamente intendo portarla a termine ;) 
Vi chiedo ancora umilmente scusa per il ritardo e cercherò di essere più puntuale, anche se, ripeto, non assicuro nulla per cause di forza maggiore.
Spero tantissimo che il nuovo capitolo vi piaccia e che non ce l'abbiate a morte con me, anche se ne avreste tutto il diritto TT.TT
GRAZIE a tutti voi angeli che leggerete questo capitolo mostrando ancora fiducia in me e nella storia, GRAZIE a tutti coloro che recensiranno o inseriranno tra preferite / seguite / da ricordare.  E  GRAZIE a tutti coloro che amano la storia, farò di tutto per non deludervi *.*
Al prossimo capitolo e buona vita ;*

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** #12 ***


 


Il piccolo Xan era era sempre stato caratterialmente diverso da sua sorella maggiore. Mentre Erin era una ragazza decisamente schiva e fredda con la maggior parte delle persone, Xan non perdeva mai occasione di mostrare la sua gentilezza e dolcezza con gli altri. 

Questo ovviamente nel tempo non fece altro che alimentare le speranze dei suoi genitori che, delusi profondamente dalle aspirazioni e dal carattere della loro primogenita, avevano riposto la loro migliore fiducia nel bambino. 
Ma nonostante le buone apparenze che Xan continuava a mostrare nei loro confronti, più per furbizia che per voler compiacergli, tutto questo non poté continuare a servirgli. La cattiva luce che sua sorella continuava a gettare sul buon nome della sua famiglia, anche da miglia di distanza,  era troppo forte perché i suoi potessero riscattarsi con la sua educazione. 
Era per questo motivo che oggi avrebbero ospitato un uomo che conoscevano molto bene. Precisamente, l'uomo che aveva strappato Erin dalla loro casa. 
Quel giorno tutto fu preparato con estrema meticolosità: la villa fu pulita e lucidata da cima a fondo ancor più di quanto non lo fosse già, tutto sotto il severo e freddo sguardo della padrona di casa, naturalmente; gli schiavi vennero lavati e imbellettati per l'occasione e, una dozzina di loro, venne preparata per essere ceduta all'ospite come regalo per l' "onorata" presenza. Xan ricevette perentorie raccomandazioni da parte di suo padre, il quale lo incitava fortemente a comportarsi come uno del suo rango sociale dovrebbe, senza fare scherzi e senza comportarsi come la piccola peste quale, in fondo, era. 
Persino Sore, il suo fedele maggiordomo, l'unica persona che si fosse comportata da genitore per i due fratelli, lo prese in disparte e, con entrambe le mani sulle sue spalle, gli disse di stare attento e non commettere imprudenze. 
Aveva gli occhi lucidi mente lo diceva, e Xan non poteva biasimarlo. 
Conosceva molto bene il profondo odio che Sore provava per quell'uomo. Aveva intuito, anche se non gli era mai stato detto, cosa aveva fatto quel mostro a sua sorella e sapeva quanto lei avesse sofferto e perché fosse scappata. 
Se avesse potuto non avrebbe esitato ad avvelenargli il piatto di caviale.
Quando l'ora dell'appuntamento arrivò, tutti gli abitanti della casa si disposero in due file parallele ai lati del gigantesco portone, in modo che, entrando, il signor Akahito avesse avuto di fronte la sontuosa vista delle due rampe di scale in marmo bianco e l'enorme candelabro di cristallo appeso al soffitto.
I minuti passavano, ma del loro ospite neanche l'ombra.
  -   Dove sarà? Aveva detto mezzogiorno! Che ci abbia ripensato?! - disse nervosamente la madre di Xan al marito, il quale la guardò seccato.
  -   É il  figlio di uno dei cinque astri di saggezza. É uno degli uomini più ricchi e potenti del mondo. Fossi in te non mi meraviglierei se fosse in ritardo. E, in nome del cielo, smettila di agitarti donna, o ti farai venire un'emorragia nasale.
Non appena l'uomo concluse la frase si sentì un gran fracasso da fuori e il padre di Xan ordinò di aprire le porte.  Il bambino rimase abbagliato da ciò che vide: una gigantesca portantina di quello che sembrava essere oro si avvicinava lentamente sorretta da una cinquantina di uomini muscolosissimi, seguita dall' esercito personale del loro ospite. Sulla sommità della portantina troneggiava il signor Akahito, in compagnia di due donne bellissime.
Il bambino provò un senso di inadeguatezza guardandolo, accompagnato da un istinto violento che mai aveva provato prima. Lo osservò scendere dalla sua portantina aiutato da alcuni schiavi e lo vide avvicinarsi verso i suoi genitori. Passandogli davanti gli riservò un ghigno che evidenziava tutta la sua superiorità.
  -   Signor Akahito! Benvenuto nella nostra umile dimora! - si affrettò ad accoglierlo il padrone di casa, andandogli incontro.
  -   Incantata di rivederla - gli fece eco sua moglie.
  -   Da quanto tempo, vero? - disse il biondo, stiracchiandosi un po' dopo il lungo viaggio - Vi chiedo scusa per il ritardo, tutta colpa di quella feccia - continuò sprezzante, facendo un cenno con la testa agli schiavi stremati che avevano portato in spalla quel monumentale aggeggio d'oro massiccio. 
La signora si accorse solo allora delle due ragazze che facevano capolino alle spalle del loro ospite e non si risparmiò dall'arricciare il naso guardandole . Erano due ragazze molto giovani e belle, con lo sguardo basso.
  -   Purtroppo questo é un mio enorme difetto - disse Akahito, notando la perplessità della donna - Non riesco a resistere alla tentazione della bellezza... - spiegò, accarezzando il mento di una delle ragazze al suo seguito. Dopodiché tornò a guardare Xan e si abbassò per poterlo fissare negli occhi, e con un sorriso cattivo gli disse: - Come per la tua bella sorellina, del resto... 
Sore mise una mano sulla spalla di Xan e lo fermò dal saltare addosso a quel tipo e picchiarlo a sangue. Il ragazzino strinse i pugni e continuò a sostenere il suo sguardo.
Akahito scoppiò a ridere e si alzò, ricominciando a ignorarlo.
  -   Allora, é arrivato il momento di parlare di affari.
Si avviò verso una stanza a caso, come se fosse a casa sua, e i genitori di Xan lo seguirono come dei cani seguono il padrone.
  -   Xan - disse dolcemente Sore quando se ne furono andati, inginocchiandosi di fronte al ragazzo immobile con i pugni ancora così stretti quasi da farlo tagliare con le unghie - Xan, devi cercare di contenerti. Sai quanto é pericoloso quell'uomo. Non puoi permetterti questi scatti d'ira o finirai come... come Erin - si pentì quasi immediatamente di averlo detto.
  -   Io lo odio - sibilò Xan tra i denti.
  -   Lo so, lo odio anche io.
  -   Non sopporto ciò che ha fatto ad Erin. Non sopporto che le abbia rovinato la vita e odio i miei genitori che gliel'hanno gettata contro. 
La rabbia era arrivata al punto tale da essere troppa. Xan non riuscì a trattenersi dallo scoppiare in lacrime e abbracciare Sore, il suo unico amico, l'unica persona che lo avrebbe sempre protetto. 
Il dolce maggiordomo lo strinse forte, compatendo io suo dolore che, in fondo, era lo stesso che provava anche lui. 
Ogni notte Sore era perseguitato dalla promessa infranta che le aveva fatto. "Non ti succederà mai niente finché ci sono io" le aveva detto. E ora lei era chissà dove come fuggiasca. 
Ogni giorno ripensava all'ultima volta che l'aveva vista, una notte di quattro anni prima...






Quella notte avrebbe ripagato in parte il suo debito. Mesi e mesi di preparativi segretissimi per cercare di redimersi dal peso che lo tormentava. 
Il maggiordomo faceva nervosamente su e giù per la camera di Xan aspettando che il momento arrivasse. 
  -   Che stiamo aspettando di preciso? - chiese il bambino di solo 9 anni spalancando la bocca in uno sbadiglio. Era comprensibile che avesse sonno, erano le tre del mattino. 
  -   Aspettiamo... qualcuno di importante. Lo vedrai presto, Xan - rispose Sore fermandosi per concedere una carezza sulla testa del piccolo.
  -   E perché non lo aspettiamo all'ingresso invece che davanti alla mia finestra?
L'uomo non poté fare a meno di sorridere davanti all'espressione tenera e curiosa del suo -quasi- figlio.
  -   Non ho potuto parlartene prima per motivi di sicurezza tuoi e della missione, mi dispiace...
Xan era sull'attenti: - Quale missione?
L'uomo sospirò e decise di parlare: - Figliolo... Stanotte... Stanotte aiuteremo Erin a fuggire.
Il bambino non fece in tempo ad esprimere la sua felicità e urlare di sorpresa che si sentirono dei colpetti sul vetro della finestra. Quando si voltarono e scorsero Erin con la faccia appiccicata al vetro e il viso illuminato dalla Luna i due non riuscirono a non scoppiare in lacrime.
  -   Erin!!! - urlò il bambino correndo ad aprire la finestra, mentre io maggiordomo gli faceva cenno di non farsi sentire.
Quando non ci furono più vetri a separarli Erin si sporse e strinse il suo amato fratello in un abbraccio.
  -   Ciao Xan! Quanto mi sei mancato! Mi sei mancato tantissimo! - sussurrò singhiozzando.
Xan, dal canto suo, non riuscì a dire nulla tanto piangeva. Sore si sporse dalla finestra e abbracciò la ragazza, baciandole ripetutamente i capelli e le guance.
  -   Ma fatti guardare - le disse prendendole il suo morbido viso tra le  mani callose. 
Era evidente che non dormiva bene, aveva dei segni violacei sul collo e sulle braccia e il segno di una ferita in guarigione sul labbro inferiore. Però era bellissima.
  -   Diventi sempre più bella...- sussurrò  Sore e, non riuscendo più a trattenersi, scoppiò in lacrime - Scusami. Mi dispiace tanto! Non sono riuscito a proteggerti! Perdonami, figlia mia, perdonami! - 
Erin mise una mano sulla guancia dell'uomo che l'aveva cresciuta e gli sorrise. Subito dopo, con voce dolce e sincera, aggiunse: - Non ho mai dato la colpa a te nemmeno per un secondo. Non so dove sarei ancora senza di te.
Questo bastò a far provare al suo vecchio maggiordomo un sollievo e una felicità mai provate prima.
Solo allora Sore si accorse dell'uomo incappucciato alle spalle della ragazza, così si affrettò ad alzarsi e asciugarsi le lacrime.
  -   Non so come ringraziarti per quello che hai fatto, amico mio! 
  -   Si fa tutto per un vecchio compagno d'infanzia, specie se per una buona causa - rispose l'uomo misterioso alzando lo sguardo. La pallida luce della Luna rese evidenti i tatuaggi rossi sulla guancia sinistra, e una folata di vento freddo mosse i suoi lunghi capelli neri.
  -   Come avete fatto a scappare?
  -   Eludere la sorveglianza della casa é stato un giochetto da ragazzi. E poi é bastato dirle che mi mandavi tu per convincere questa ragazza a seguirmi. 
  -   Ti ringrazio ancora, Dragon.
Il capo dei rivoluzionari fece un cenno col capo, commosso nel profondo dalla scena che aveva davanti. Non poté in quel momento non pensare a suo figlio Rufy, non riuscì a non chiedersi dove fosse o come stesse. Non poté desiderare di riabbracciarlo.
  -   Non c'è molto tempo - disse Sore ai due fratelli, interrompendo il loro abbraccio.
  -   Cosa? - chiese Erin, preoccupata.
  -   Ha ragione - proruppe Dragon, tornando alla realtà - Potrebbero arrivare rinforzi da un momento all'altro. Dobbiamo andar via.
  -   No! - disse Xan stringendosi ancora più forte a sua sorella - Erin non te ne andare! Ti prego, resta con me! 
  -   Xan! - lo incitò lei, separandosi da lui - Non posso restare qui! Domattina scopriranno che sono scappata e non devono sospettare di voi due. Puniranno te e uccideranno Sore! É questo che vuoi?
  -   N-no...- singhiozzò il piccolo - Ma io voglio stare con te!
  -   Tornerò! Xan, ti giuro che tornerò da te e un giorno ti porterò con me, così potremo stare sempre insieme! 
Abbracciò il fratello ancora più forte e gli baciò la testa, strizzando gli occhi per smettere di piangere.
  -   D'accordo, ma prendi questa - disse Xan, porgendole la sua medaglietta a forma di rosa dei venti, regalatagli da Sore il giorno della sua nascita - Così potrai sempre tornare da me.
Erin accarezzò il ciondolo con il pollice e si sporse per un ultimo abbraccio al suo fratellino: - Oh Xan, grazie...
  -   Anche io ho una cosa per te... - Sore estrasse un foglietto dalla tasca e lo strappò in due, dando una metà ad entrambi i fratelli - É una vivre card. Vi indicherà sempre dove si trova il possessore dell'altra metà. Così sarete sempre sicuri di potervi ritrovare.
  -   Grazie, Sore!- esclamò la ragazza abbracciandolo e dandogli un bacio sulla guancia.
A quel punto il momento di salutarsi incombeva, e bisognava per forza che Erin e il rivoluzionario lasciassero la villa. Dopo che i due compagni d'infanzia si furono stretti la mano nel loro definivo addio, Erin prese per mano Dragon e lo seguì fuori dalle mura di quella che era stata la sua casa.
" Ti porterò con me Xan, te lo prometto!" fu l'ultima frase che i due le sentirono dire, prima di vederla sparire nell'oscurità della notte.









Il maggiordomo cercò di scrollarsi dalla mente quell'episodio e accompagnò Xan in camera sua. Passarono davanti alla porta della stanza in cui il signor Akahito e i suoi superiori stavano parlando e notò che era socchiusa, così non riuscì a resistere alla tentazione di origliare.
  -   Va in camera tua Xan, io ti raggiungo tra un attimo con un bel vassoio di latte e biscotti.
Il bambino, però, come sua sorella, era fin troppo sveglio per farsi abbindolare da questi mezzucci. Scosse la testa e si avvicinò alla porta per sentire cosa stessero dicendo al suo interno...

  -   Siamo ancora terribilmente dispiaciuti per nostra figlia, signore... - ripetè ancora una volta la signora Hiroumi, guardando con la coda dell'occhio il marito in cerca di sostegno - Erin é una peste, ma non immaginavamo...
  -   Oh, so che non era nei vostri progetti... Tuttavia, potete capire benissimo che in parte é anche vostra la colpa dei miei numerosi grattacapi di questi ultimi quattro anni... - esordì Akahito, camminando intorno al grande tavolo e fissando con sguardo tagliente i due coniugi - Vedete, quella sgualdrinella di vostra figlia é scappata via come se niente fosse portandosi appresso tutti i segreti di stato che ha raccolto vivendo con me. Certo, molti glieli riferivo io stesso in momenti di, come dire, debolezza e vulnerabilità... Come ho già detto sono facile vittima della bellezza, e converrete che quella di Erin é disarmante.
Akahito ripensò in quel momento alla prima volta in cui aveva visto Erin. Già da allora aveva sempre avuto una fissa per lei. Provava una morbosità malata e un senso di possessione terrificante nei suoi confronti, e da quattro anni non riuscire ad averla sotto il suo controllo era più di quanto potesse sopportare.




Conobbe Erin nella primavera di sei anni prima, quando lui aveva vent'anni e lei quattordici. 
Quel giorno Akahito era nel giardino della sua casa a Marijoa, steso sul prato a bearsi del profumo dei fiori e della calura del sole. Suo padre era uno dei cinque astri di saggezza, uno cinque uomini al vertice del governo mondiale, perciò non era insolito che ricevessero visite di nobili, come in quel giorno. Ma a lui la politica non interessava, per cui preferiva starsene a pisolare in giardino.
Fu distratto da un rumore di passi sull'erba a pochi metri da lui, così si girò per minacciare di morte chiunque avesse osato disturbare il suo sonno. L'ultima cosa che si aspettò di vedere fu una ragazza dai lunghi capelli castani che era uscita da casa sua per andare a sedersi su una delle panchine  del giardino. La vide stendere le gambe e alzare gli occhi verso il sole, e solo allora si rese conto della sua bellezza. Notò i suoi occhi verde smeraldo, le sue labbra rosse e carnose. Non gli sfuggì  nemmeno la morbidezza delle sue forme. Ormai era abbastanza grande per iniziare a capire certe cose.
Si alzò e le si avvicinò, sedendosi a pochi centimetri da lei.
Erin sussultò quando lo vide, non essendosi accorta prima della sua presenza.
  -   Scusami, non intendevo spaventarti - disse Akahito sorridendole e fissandola meglio. 
  -   No, non fa niente - rispose Erin, sentendosi a disagio di fronte allo sguardo indagatore di quel tizio che nemmeno conosceva.
  -   Come ti chiami?
  -   Erin.
  -   Erin, che nome stupendo... - sussurrò  Akahito avvicinandosi di più a lei, mentre si allontanava.
  -   Grazie... E tu saresti? - chiese Erin cercando di tenere più distanza possibile da lui.
  -   Io sono Akahito, sono il figlio dell'uomo con cui stanno parlando i tuoi genitori in questo momento.
Solo allora la ragazza si rese davvero conto dell'importanza di chi avesse davanti: - Oh, onorata di fare la vostra conoscenza.
Akahito la ignorò e il suo sguardo si concentrò sulle sue labbra. La ragazza notò i suoi occhi languidi mentre lo faceva.
  -   Sei molto bella, Erin... - sussurrò con voce bassissima. Le si avvicinò in meno di un secondo e le afferrò il mento con le mani prima di posare voracemente la bocca sulla sua. 
Erin sgranò gli occhi e si alzò di scatto, sconvolta. Gli mollò un sonoro schiaffo sulla guancia e si pulì le labbra con la manica della giacca.
  -   Non si permetta mai più!- urlò.
Quella reazione fece provare al ragazzo qualcosa che non aveva mai provato prima. Qualcosa sembrò svegliarsi dentro di lui, qualcosa che si riversò nel suo sguardo. Fu per quel motivo che quando si alzò e si stagliò contro di lei Erin ebbe davvero paura di cosa avrebbe potuto farle.
Per una volta, forse l'unica, i suoi genitori la salvarono. Le dissero di raggiungerla perché stavano per andar via. Così lei, dopo averlo guardato per un'ultima volta, girò sui tacchi e corse via. 
" Sarai mia. In un modo o nell'altro, tu diventerai mia proprietà, Erin"







Ripensando a quell'episodio, Akahito provò un intenso senso di soddisfazione nel constatare che, almeno per un momento, aveva mantenuto la promessa. Erin era stata di sua proprietà in ogni modo possibile e avrebbe fatto di tutto per riaverla.
  -   Come stavo dicendo... - continuò, ricominciando il discorso iniziato pochi secondi prima - Purtroppo la ragazza sa delle cose che non avrebbe dovuto mai sapere. Se dovesse rivelarle a qualcuno potrebbe capovolgere l'intero governo mondiale.
Si fermò un momento e poggiò le mani ad una sedia, spostando delle  occhiatacce dall'uno all'altra che loro, ovviamente, cercavano di evitare.
  -   Tuttavia, - continuò il biondo, riprendendo a camminare - io sono un uomo molto magnanimo e generoso. Ecco perché vi sto offrendo la possibilità di riscattarvi dalla pessima educazione che avete impartito ad Erin.
  -   Cosa? - chiese sorpreso il signor Hiroumi, alzandosi di scatto.
  -   Sì, la prego! - intervenne sua moglie - Faremmo qualsiasi cosa per rimediare al nostro errore!
Akahito sorrise, aspettandosi quella reazione: - Molto bene... Dunque, tutto quello che dovete fare per redimervi é consegnarmi vostro figlio minore.
Xan e Sore, dall'altra parte della porta, rimasero attoniti davanti alla piega che aveva preso la conversazione.
"No.. Non può essere" pensò il maggiordomo sbiancando di colpo "Non può succedere di nuovo". Xan invece non sapeva cosa pensare. Percepì solo un sinistro e gelido brivido scivolargli lungo tutta la spina dorsale.

Il signor Hiroumi, dopo qualche secondo di sbigottimento, prese il coraggio necessario per parlare: - N-nostro figlio Xan?
  -   Esatto. Mi sembra che ne abbiate uno solo, no?- ironizzò il biondo.
  -   Posso chiederle perché?
  -   Oh, ma é molto semplice! Vedete, sono anni ormai che quei buoni a nulla della Marina cercano di catturare una ragazzina senza successo, e io mi sono stufato. Quindi ho deciso di puntare su qualcos'altro. L'unica cosa che vostra figlia ha davvero a cuore, anche più della sua vita, é suo fratello. Si farebbe ammazzare per lui. L'unico modo che ho per sperare di catturarla é usare suo fratello come esca, capite?
I due non sapevano cosa dire. Non avevano mai pensato ad una cosa del genere e non sapevano in che modo reagire. Cosa ne sarebbe stato dunque della loro reputazione?
  -   M-ma... - disse debolmente la signora Hiroumi - Noi avevamo altri progetti per lui... Contavamo di combinare un matrimonio e...
  -   Oh, mia cara signora - la interruppe Akahito sfoggiando il suo miglior sorriso persuasore - Posso solo dirle che se accetterete di vendermi Xan vi ricoprirò di così tante ricchezze da vivere come nababbi per altri cento anni.
I signori Hiroumi non seppero assolutamente cosa dire per ringraziarlo. Era evidente che non erano per niente interessati alla sorte del loro figlio, ma tutte le ricchezze promesse loro dal loro ospite - e le promesse di quell'uomo sapevano essere sempre rispettate - sarebbero bastate a riscattare il nome della loro famiglia. 
Fu per questo che nel sentire la parola "accettiamo" Sore capì che non poteva perdere altro tempo. 
Non avrebbe mai permesso che ciò che era accaduto ad Erin accadesse di nuovo a Xan, e questa volta era più preparato ad affrontarlo.
Prima che il ragazzino avesse il tempo di accorgersene, il maggiordomo si allontanò diretto alla sua stanza. Una volta arrivato chiuse la porta a chiave e spostò leggermente la scrivania. Si accovacciò e sollevò un'asse dal pavimento, estraendo una radio snail. Compose il numero e aspettò che una voce maschile e molto roca rispondesse.
  -   Sono Sore - annunciò non appena riconobbe la persona dall'altra parte - Ho bisogno ancora un'ultima volta del tuo aiuto, amico mio.
" Xan" pensò intanto "ho promesso che ti avrei protetto e, almeno per una volta, intendo tener fede al mio giuramento".








____
Buonasera a tutti! :)
Dunque, ho molta fretta e devo scappare, quindi mi limiterò a dire l'essenziale sul capitolo.
Abbiamo scoperto finalmente di chi parlava Erin quando raccontava di un suo amico che fissa sempre l'oriente, no? ;) personalmente adoro il padre di Rufy e i rivoluzionari, quindi ho fatto di tutto per inserirli nelle vicende *.*
Per quanto riguarda Akahito invece...
Non ho mai avuto a che fare con un personaggio simile, con tutta la sua morbosità per Erin e la sua malvagità. Spero di riuscire a renderlo bene ora e nel corso della storia, e spero di riuscire a farvelo odiare xD 
Detto questo, un grazie giganterrimo (esatto, giganterrimo) a chiunque legge la mia storia e chi la recensisce *.*
Grazie a chi l'ha inserita tra preferite, seguite o da ricordare ^.^ 
Grazie di tutto, vi adoro :*
Auguro una buona serata e un buon week end a tutti, ci sentiamo al  prossimo capitolo!

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** #13 ***






Il trambusto della ciurma di Barbabianca arrivava ovattato alle orecchie di Erin, che quella sera era particolarmente distratta. Giocherellava distrattamente con l'insalata nel suo piatto, altra delusione per il povero chef che cercava di portare un po' di salute su quei banchi dove i pirati mangiavano solo carne. Si aspettava che almeno  le due donne a bordo dessero il buon esempio ma, mentre l'una rideva sguaiatamente con un bottiglia di rum in mano, l'altra fissava il piatto con sguardo assente persa in continui sospiri. E come dare torto a Erin, del resto, dopo tutti i pensieri e timori che l'ossessionavano?
Pensava al suo fratellino, si chiedeva se stesse bene, se stesse studiando, se mangiasse abbastanza. Poteva contare solo su Sore per la sua protezione, non di certo su quegli arrampicatori sociali senza cuore quali erano i suoi genitori.  E, tanto per rigirare in dito nella piaga, c'era l'affetto sincero che iniziava a provare per quei pirati che l'avevano accolta mentre chiunque altro l'avrebbe gettata in mare. Che l'avevano sfamata, riscaldata, amata e protetta quando sentiva di non meritare nulla.
C'era quel qualcosa di caldo e leggero che le divampava nel petto ogni volta che scorgeva in lontananza una schiena nuda e muscolosa su cui era tatuato il jolly roger della Moby Dick. Non poteva ignorare quello che stava iniziando a provare per Ace. Se n'era accorta dal fatto che si sentiva al sicuro quando lui era nei paraggi, a come sorrideva quando lo sentiva bisticciare con Marco per qualsivoglia sciocchezza, al rossore che le saliva sulle gote quando sentiva che lui la stava fissando. Anche in quel momento si perse per un secondo a guardarlo, a testa bassa per non farsi vedere. Rideva con quel suo sorriso radioso, gli occhi brillanti e pieni di vita e quelle lentiggini che quasi sembravano danzare.
Una stretta violenta allo stomaco le ricordò di smetterla di fare la ragazzina. In tutto quel trambusto non riusciva a pensare lucidamente e razionalmente come sempre. Sentiva sempre di più il bisogno di andarsene via  da quella nave. I sentimenti e gli affetti sono pericolosi, lei lo sapeva. E doveva fuggirne prima di trovarsi irrimediabilmente immischiata.
Gettò con poche cerimonie la forchetta nel piatto e si incamminò verso la porta della cambusa, cercando di attirare meno attenzione possibile.
Purtroppo per lei, però, non si era accorta che Marco la stava fissando fin dall'inizio della serata. Aveva quasi contato i suoi sospiri, intuendo che qualcosa nel profondo dentro di lei la stesse consumando.
Si voltò verso di Ace che, ignaro di tutto, tirò un altro morso all'arrosto che aveva in mano, ridendo scompostamente per una barzelletta sconcia raccontata da Squardo.
- Ace! - lo richiamò severamente, senza successo.
- Ace! Mettiti composto e ascolta, narcolettico cazzone! - gli gridò infine, mollandogli uno scappellotto.
- Ma insomma che vuoi! Che modi sono! - rispose il moro, massaggiandosi la nuca.
- Se usassi gli occhi per osservare ti renderesti conto che per tutta la sera Erin non ha toccato cibo e che se n'è appena andata. E ti saresti accorto anche che ti ha fissato per tutto il tempo.
Ace a quel punto si girò del tutto verso l'amico e si pulì la bocca, diventando subito serio: - Dici davvero? Cazzo, sono un idiota! - si rimproverò, facendosi largo tra i compagni stravaccati sui tavoli e tra quelli ubriachi a terra.
- Sono d'accordo!- gli urlò Marco, riuscendo a sentire un "fottiti" tra tutti quegli schiamazzi mentre il moro usciva di corsa dalla cambusa.



                                                                                                                                      ***


Erin si era appoggiata alla balaustra della nave, rivolta verso la luna che illuminava le creste del mare, conferendo loro una parvenza di magia. La brezza marina era fresca al punto da farle venire la pelle d'oca, ma non le importava.
Quando viveva a Marijoa era solita passare ore prima di andare a letto sul balcone della sua camera, anch'essa rivolta verso il mare, sognando di potersene andare.
Adorava ancora di più sentire la salsedine tra i suoi lunghi capelli mossi dal vento, come in quel momento. Poggiò gli avambracci sul legno e chiuse gli occhi, con il solo suono delle onde come compagno.
- É bellissimo - commentò improvvisamente qualcuno poco lontano, facendola sussultare.
- Mio Dio! - disse Erin voltandosi di scatto con la mano sul petto. Ace era fermo sulla soglia della porta che conduceva ai ponti inferiori, ma in penombra non capiva se guardasse lei o il mare e, soprattutto, a chi o cosa fosse riferito il commento - Mi hai spaventata...
- Ti chiedo scusa, non era mia intenzione - disse il moro con gentilezza, avvicinandosi a lei e porgendole un piatto.
- Che cos'è?
- Non hai toccato cibo, ho pensato che avessi fame. Come mai sei qui tutta sola?
Erin sorrise e afferrò il piatto che le veniva offerto: - Ti ringrazio Ace - disse debolmente, accorgendosi di arrossire - Mi piace stare qui, mi piace molto il mare di sera. E, se devo essere sincera, il chiasso infernale che fate lì sotto mi deconcentra - aggiunse, sollevando enfaticamente un sopracciglio.
- Tu pensi troppo, donna - rispose Ace di tutto punto, senza farla sembrare tuttavia una critica. Dopodichè si appoggiò col sedere alla balaustra, sollevando la testa al cielo ad occhi chiusi.
La giovane si sedette su una cassa e mise un pezzo di pane sotto i denti. Rimase in silenzio per un po', anche se a lei sembrò un tempo infinito.
- Mi dispiace - disse all'improvviso.
- Mh? - mugugnò il moro, richiamato dal suo torpore.
- Mi dispiace per quello che sono.
Ace si inginocchiò davanti a lei, tuttavia senza permettersi di toccarla: - Ma di cosa stai parlando?
- Sono sempre così scontrosa, così inaffabile. Non so ridere, non ho il senso dell'umorismo, non riesco a non pensare. Mi sento un pesce fuor d'acqua qui - concluse debolmente, abbassando il capo per non incontrare lo sguardo di Ace.
- Anche io lo ero, all'inizio - disse lui dopo un sospiro, sedendosi per terra accanto a lei.
- Che cosa? - domandò la ragazza sbigottita - Tu? Non ti ci vedo proprio!
Il moro ridacchiò, ripensando al suo ingresso nella ciurma del babbo, non senza un po' di nostalgia per i bei momenti passati con i suoi fratelli.
-  Sono successe anche a me cose brutte, Erin. Cicatrici che, come te, non posso nascondere.
A quelle parole lei si portò istintivamente una mano al ciondolo che portava al collo, sentendo per un secondo il sibilo della frusta vicino all'orecchio prima che si scagliasse sulla sua schiena virginea.
- Due cose, in vita mia, mi hanno salvato... - continuò il moro, fissando il cielo stellato - I miei fratelli, prima di tutto. Quando ho perso Sabo, e mi sono sentito smarrito, ho sempre avuto Luffy al mio fianco. E sono andato avanti sapendo di avere ancora lui da proteggere. Ma quando siamo diventati entrambi abbastanza grandi per poter prendere il mare, mi sono perduto, fino a ritrovare me stesso grazie a mio padre e i miei nuovi fratelli.
Erin ascoltò tutto con attenzione, rivedendosi quasi nelle sue parole.
- Può succedere anche a te, Erin - ricominciò il moro, guardandola dritto negli occhi - Quale che siano i tuoi demoni, puoi ricominciare. Qui, adesso. Io ero il figlio di un mostro, ora sono il figlio del mare. Tu sei... amata, qui.
Non riuscì a non tremare nel pronunciare quell'ultima frase. Non riuscì a non aver paura che lei potesse scomparire per sempre.
Erin si incupì: - Non é così semplice. Mio fratello é ancora là fuori e ha bisogno di me. Non credere di sapere cose che non ti riguardano, Ace.
Il moro le si allontanò col busto e aggrottò le sopracciglia, poi alzandosi in piedi disse: - Va bene, scusa. Hai ragione, questi non sono affari miei. Che idiota sono stato a credere che ti servisse qualcuno con cui parlare. Volevo solo portarti qualcosa da mangiare. Ora che l'ho fatto ti lascio sola.
La ragazza lo vide voltarle le spalle per andarsene, e le sue mani si mossero prive di controllo ad afferrargli un braccio: - No! Mi dispiace! Mi dispiace,  non te ne andare.
Il ragazzo, colto di sorpresa, rimase piacevolmente stupefatto da quel cambio di reazione improvviso. Allora, nonostante ci fosse qualcosa di molto contraddittorio nel cuore della ragazza, lei apprezzava davvero la sua compagnia. Rassicurato da questo sentimento, Ace si sedette sulla balaustra e rimase in silenzio.
- Sono proprio un disastro - continuò lei - A volte penso davvero di non meritare tutto ciò che mi circonda, come il vostro affetto, per esempio.
Il ragazzo accanto a lei le posò per un secondo la mano sulla spalla, un gesto che la rassicurò molto e servì a tranquillizzarla.
- Ho conosciuto un ragazzo che si chiamava Sabo, una volta. Era... Era molto gentile, mi ha aiutata molto in un periodo buio della mia vita - riprese Erin, una volta riacquistato un briciolo di serenità - Era molto simile a me, era un nobile, se non ricordo male... Scusa, non dovrei parlar...
- Che cosa hai detto? - disse Ace scendendo di colpo dalla balaustra.
- Nulla, sono sciocchezze, non volevo disseppellire il passato - rispose Erin con un gesto della mano.
- Erin, ti prego, rispondimi!
Erin si stava spaventando. L'espressione del moro era cambiata di colpo. Da quando aveva parlato di Sabo il ragazzo si era agitato ed era impallidito. Le aveva afferrato un braccio, ma anche senza farle male quella presa non le piaceva affatto.
- Ho... Ho detto... - balbettò, cercando di ricordare - Ho detto che credo fosse un nobile... Lo sembrava anche per via dei suoi capelli biondi e dell' abbigliamento. Anche se abbastanza rovinati, si vedeva che un tempo dovevano essere stati abiti nobiliari...
La stretta sul suo braccio si era allentata sempre di più. Ace ora era immobile davanti a lei, gli occhi gli si erano bagnati di lacrime.
- Ace! - urlò Erin spaventata, posandogli le mani sulle guance  - Santo cielo, Ace! Va tutto bene, che succed...
Non fece ora tempo a finire la frase, perché Ace la abbracciò e scoppiò in lacrime. Sentì le ginocchia del moro farsi pesanti, mentre i singhiozzi aumentavano, così lo aiutò a mettersi in ginocchio, senza rompere l'abbraccio.
- Ace... - gli sussurrò dolcemente Erin, ricambiando la stretta. Sentì le lacrime calde del ragazzo scivolargli lungo le spalle e la schiena. Il suo corpo bollente premuto contro il proprio era una delle sensazioni più belle che avesse mai provato, per cui chiuse gli occhi, ricacciando indietro le sue mille domande.
- Erin... - si sforzò di dire Ace, cercando di smettere di piangere - Erin, grazie! É mio fratello! Lui... Lui é vivo! E io l'ho saputo solo ora, solo grazie a te... Solo grazie a te...
La guardò negli occhi e sorrise, e solo allora lei capì.
- Oh mio Dio - disse Erin, portandosi una mano alla bocca, con gli occhi lucidi dalla commozione.
- Ma dimmi di lui! Come sta? Come l'hai conosciuto? Cosa fa? - chiese allora Ace, asciugandosi gli occhi e sedendosi accanto a lei.
- Lui fa parte dell'armata rivoluzionaria di Dragon. Dragon gli salvò la vita, una volta, nel mare orientale. Mi aiutarono a scappare dall'uomo di cui ero prigioniera. So poco di lui, ma gli devo molto...
Ace non sapeva cosa dirle, non sapeva come ringraziarla. Per tutti questi anni aveva pensato che Sabo fosse morto, e dal nulla era comparsa una ragazza per dirgli che si sbagliava. Per dirgli che si sbagliava a considerarsi un mostro. Per fargli riscoprire qualcosa che credeva non gli appartenesse. E lui non aveva nulla da poterle offrire, pensava, se non consacrarle una vita intera.
- Non so cosa farei senza di te - le disse, scostandole una ciocca di capelli dal viso.
- Oh... Figurati, io non ho fatto nulla - disse Erin, arrossendo, non abituata ai complimenti.
Ace sorrise e basta.
Rimasero per molto tempo vicini a fissare il mare, senza dire più nulla, ma col sorriso sulle labbra. E quando Ace si accorse che Erin si era addormentata, la prese in braccio e la condusse nella sua cabina, ormai di proprietà della ragazza. La posò delicatamente sul letto, attento a non svegliarla, e la coprì col lenzuolo.
Si perse per qualche secondo a guardarla dormire così pacificamente, sperando che almeno nei suoi sogni il suo animo fosse libero.
Si inginocchiò davanti al suo bel viso. Vide gli occhi che si muovevano sotto le palpebre, segno del suo sonno profondo. I suoi occhi scivolarono fino alla bocca rosea e carnosa, schiusa e leggermente arricciata in un sorriso, e non riuscì a non avvicinarvisi per posarvi le sue.
Ace temette di averla svegliata, ma lei fece un versetto dettato dal sonno e si girò dall'altra parte.
Il ragazzo rise tra sé e sé e uscì dalla stanza. Si appoggiò alla porta e sospirò, sentendosi leggero come mai in vita sua.
- Cos'è quella faccia? Non ti ha preso a schiaffi come speravo facesse? - disse Marco all'improvviso, avvinandosi al moro e colpendolo amichevolmente sulla spalla.
- Idiota - ridacchiò Ace, dandogli le spalle e sparendo in fondo al corridoio.







_____
Salve a tutti!
Ogni tanto risorgo dalla tomba quando tutti mi danno per morta, lo so.
A dire il vero questo capitolo era già abbozzato da un po', ma per diverse cose non sono riuscita a postarlo prima... Vi devo delle scuse in ogni caso, cercherò di essere più puntuale (anche se non garantisco per il risultato ^.^''). Piccolo spoiler: dai prossimi capitoli le cose cominceranno a farsi movimentate e gli equilibri nella ciurma rischieranno di vacillare. Ma tranquilli, non rivelerò altro :p
Un grazie ENORME a tutti coloro che recensiranno, inseriranno da qualche parte o anche solo leggeranno questo capitolo, vi voglio bene *.*
Buona continuazione della settimana, a presto! :-*

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** #14 ***






Il suono dei passi di Erin riecheggiava intensamente sul pavimento di marmo, accompagnato solo dal fruscio del suo lungo abito di seta che evidenziava poco le forme non molto accentuate di quella che era poco più di una bambina. In mano stringeva rabbiosamente un foglio di carta stropicciato più e più volte, sul viso adolescenziale  era dipinta un'espressione di collera e delusione estrema. Nonostante il generale silenzio del corridoio, nel suo cervello si era scatenato l'inferno.
A grandi passi arrivò all'enorme porta del salotto dei suoi genitori e la spalancò senza cerimonie, facendo sussultare l'uomo e la donna al suo interno.
- Che diavolo significa questo?! - urlò la ragazzina mostrando la pergamena elegantemente rifinita che stringeva tra le dita.
L'uomo la fissò impassibile per qualche secondo, poi disse: - Non vedi che stiamo prendendo il thè?
- Al diavolo il vostro inutile thè! Cosa vuol dire tutto questo?! Vi siete forse bevuti il cervello? - ribatté Erin avvicinandosi al tavolino dove i suoi genitori la fissavano immobili, ma segretamente imbarazzati. 
- Erin, cara... - esordì pacatamente la signora Hiroumi - Ci é stata fatta un'offerta che non potevamo rifiutare. Conosci anche tu la nostra situazione finanziaria...
- Non é colpa mia se avete sperperato tutte le vostre ricchezze in piaceri e schiavi! Che diritto avete voi di farmi questo?! - sbraitò la giovane fuori di sé, scaraventando sul pavimento la teiera in finissima porcellana, mandandola in frantumi. 
A quel punto il signor Hiroumi si alzò di scatto e le tirò uno schiaffo talmente forte da farla barcollare.
- Siamo i tuoi genitori. É nostro diritto scegliere cosa é meglio per te. 
Gli occhi della ragazzina si riempirono di lacrime. Si portò una mano sulla guancia dolorante e abbassò sommessamente lo sguardo.
- Erin... - disse sua madre posandole una mano sulla spalla - Starai benissimo. Continuerai a ricevere un'ottima istruzione, vivrai ancora nel lusso e... 
- Sappiamo tutti che non é così, mamma - rispose debolmente la ragazza - Me lo avete scritto in una lettera lasciata sotto la mia porta. Non avete avuto nemmeno il coraggio di dirmelo.
A quelle parole i signori Hiroumi abbassarono lo sguardo, provando un lieve senso di vergogna che, tuttavia, sparì sepolto dalla loro sete di ricchezza.
- Quell'uomo mi fa paura... É un folle! Sapete tutti e due che mi farà del male! - continuò lei scoppiando in lacrime.
- Ma no figliola, come fai a... 
- Non fare finta di nulla! Sai anche tu che genere di persona é! Non potrò più rivedere Xan! E Sore! Non mi permetterà di studiare, mi toglierà la libertà o peggio!
- Erin, stai parlando a sproposito. Vedrai che il signor Akahito ti tratterà come una principessa, lo facciamo solo per darti una vita ancora più lussuosa e...
- Zitta mamma! Non voglio sentire le tue ridicole scuse per salvarti la coscienza! La verità é che mi avete venduta a un uomo che voleva solo un'altra schiava. E l'avete fatto senza pensarci due volte!
- Non avevamo altra scelta - disse il padre di Erin, senza mutare la sua espressione irremovibile.
Sua moglie si aggrappò subito al suo braccio, vedendo la sua ultima possibilità di sentirsi ancora moralmente salva scivolare via dalle sue mani come la vita di sua figlia: - Caro, non credo che sia il caso.
- E perché? - rispose l'uomo scrollandosela di dosso - Credevi davvero che fosse così stupida? La verità é che siamo in un mare di debiti, Erin, e saremmo rovinati se si sapesse in giro. E tu... Tu sei una disgrazia per la nostra famiglia. Tu non sei un Drago Celeste. É la cosa migliore per tutti noi. Potrai finalmente capire quanto sei fortunata a essere nata di sangue nobile, e non é detto che poi tu non possa tornare a casa.
A quelle parole Erin smise di piangere. Si asciugò gli occhi con la manica e strappò il foglio davanti ai suoi genitori. 
- Voi siete solo dei mostri privi di umanità. - disse con tutto l'odio di cui poteva essere capace una ragazzina di quattordici anni - Non siete i miei genitori e non lo sarete mai. Mi riprenderò Xan un giorno e ce ne andremo via per sempre. E quando mi scaricherete come un rifiuto da quel depravato voglio che sappiate che mi fate solo pena - concluse, dopodiché girò sui tacchi e tornò da dove era venuta, sbattendo la porta alle sue spalle. 
Quelle furono le ultime parole che disse alle due persone che l'avevano messa al mondo, ma che non l'avevano mai amata davvero.





                                                                                                                                              ***




Edward Newgate si era svegliato straordinariamente bene quella mattina, come non accadeva da tempo. Pensò che era tutto dovuto al nuovo medico di bordo, così capace nonostante la giovane età. 
Aveva fatto colazione molto presto e si era subito recato sul ponte di comando a beneficiare dell'aria marina. Stava quasi per addormentarsi quando udì dei passi delicati sempre più vicini, e sorrise e quando capì a chi appartenessero.
- Buongiorno principessa! - disse quando Erin si fu avvicinata a lui - Non credevo fossi così mattiniera.
- Buongiorno a te, Ed - disse la ragazza, sorridendo amabilmente. Si sedette su una cassa accanto al capitano e continuò: - Beh, io adoro il silenzio. Questo é l'unico momento della giornata in cui posso beneficiarne.
- Gurarararara! I miei figli sono rumorosi, lo sai!
- Sto imparando ad apprezzarli così come sono - commentò lei, dopodiché si accorse che il capitano non aveva i soliti tubi infilati nelle braccia.
- Dove sono le flebo? - disse alzandosi di scatto.
- Non ne ho bisogno, oggi mi sento in gran forma! - ribatté Newgate, tirando un forte respiro.
- Chi é il medico qui, io o tu?
- Sei tu, ma ricordati che io sono l'uomo più forte del mondo e se volessi ti potrei stritolare con sole due dita - la minacciò bonariamente, prima di sorriderle e scoppiare a ridere.
- Non riusciresti mai a farlo... - rispose la giovane con un sorriso furbetto - Dai, vado a prendertele.
- Erin, aspetta... - la richiamò subito l'uomo, costringendola a tornare da lui - Stasera approderemo su un'isola. Molti uomini desiderano un po' il contatto con la terraferma, per non parlare del fatto che mi occorrono dei medicinali. Credo che resteremo qualche giorno. Puoi andare, se lo desideri.
Erin strabuzzò gli occhi a quelle parole: - Dici davvero?
- Certo - continuò lui, serio - So che hai altri progetti per te. Non posso trattenerti. Sto migliorando visibilmente da quando sono sotto le tue cure, puoi andare se lo desideri, parlerò io con i miei figli.
- Io... Non ho parole, ti ringrazio tanto, capitano.
- Consideralo un ringraziamento per tutto ciò che hai fatto per noi. E sappi anche che potrai tornare da noi una volta aver fatto... quello che devi fare.
Erin sorrise dolcemente e strinse affettuosamente la grande mano di Barbabianca: - Significa molto per me.
Dopo qualche secondo la ragazza si allontanò lungo il ponte e scomparve oltre la porta.




Era ormai calata la sera, e i preparativi per l'ancoraggio di una nave grande come la Moby Dick sono sempre momenti molto caotici. Gente che sbraita ordini da una parte all'altra della nave, viavai di gente con corde, casse ovunque, vari aggeggi per le vele... Per questo motivo Erin preferiva starsene in cabina per non essere tra i piedi di nessuno. 
Ace tutto questo ovviamente lo sapeva, per cui si avvicinò alla porta socchiusa della cabina e bussò prima di entrare. Ciò che vide lo fece divertire non poco: Erin era in punta di piedi per cercare di prendere qualcosa da una mensola troppo in alto per lei. Non riuscì a non ridere di gusto.
- Ciao Ace! Ti serve qualcosa? - disse Erin a fatica provando ad allungarsi sempre di più. 
- Io credo che a te serva una mano, invece - disse lui sorridendo, poi le si avvicinò e allungò il braccio per cercare il misterioso oggetto sulla mensola. 
Erin aveva il petto muscoloso del moro proprio all'altezza dei suoi occhi, cosa che la fece arrossire come un peperone.
- Trovato! - annunciò dando alla ragazza il suo elastico per capelli - Si può sapere come ci é finito lassù?
- Beh... - mormorò la ragazza abbassando il viso per l'imbarazzo - Mi stavo annoiando e lo lanciavo in aria...
Ace scoppiò a ridere contagiando anche la ragazza, la quale provò un'intensa voglia di essere baciata da quelle labbra meravigliose.
- Comunque, desideravi chiedermi qualcosa? 
- Desideravo solo vederti e chiederti se verrai con noi stasera alla locanda dove mangeremo, dato che non scendi mai per queste occasioni di solito.
- Mi stai invitando ad uscire? - chiese lei con una risata.
Le guance del ragazzo si imporporarono in un istante, suscitando in lei ancora più risate: - Scherzavo.
- Spiritosa... Voglio solo passare più tempo possibile con te prima che tu vada via...
- Oh... Hai parlato con Newgate, vero? - chiese Erin abbassando lo sguardo. 
- Non sono stupido, sai. Ho visto che stamattina hai raccolto tutte le tue cose, e poi papà ha detto di volermi parlare - spiegò a bassa voce il moro, sollevando il mento della ragazza con due dita.
- Già, credo che andrò via domani. Sei un ragazzo molto attento, Ace, e mi onorano le tue attenzioni... Quindi sì, accetto l'invito e scenderò con voi.
Il ragazzo fece un sorriso soddisfatto: - A stasera allora! - la salutò uscendo dalla stanza.



                                                                                                                                             ***



Il buon gusto di Erin aveva trovato particolarmente discutibile la scelta della locanda che la ciurma aveva scelto per passare la serata, più simile a una bettola che altro.
- Ok, capisco che non é esattamente ciò che ti aspettavi... - si scusò Ace grattandosi la nuca, profondamente imbarazzato. 
Erin si era fermata sulla soglia con le sopracciglia sollevate per lo stupore: - No, direi di no. Ma dopotutto siete pirati, non credo che avrei potuto aspettarmi altro - disse sorridendo.
Incoraggiato da quello sguardo dolce, il moro la spinse gentilmente all'interno dell'edificio, facendole cenno di sedersi di fronte a lui all'estremità di una lunga tavolata. 
Cameriere dall'abbigliamento discutibile si avvicinarono chiedendo cosa potessero servire, e alla ragazza non sfuggirono gli guardi languidi che la ciurma lanciava loro. 
- Penso che dovrai abituartici - disse Halta cercando di farsi udire da Erin - Sono pur sempre maschi!
Erin rise e riconobbe che l'amica aveva ragione.

La serata non fu esattamente come la ragazza se l'era immaginata. Si aspettava di aver modo di parlare con Ace per poter beneficiare della sua compagnia quell'ultima sera, ma aveva visto quel progetto andare in fumo quando un Marco piuttosto ubriaco e alquanto lascivo aveva trascinato via il moro con sé al bancone per bere.
Halta, accortasi che la mora era molto seccata dalla situazione, cercò di risolvere la cosa come meglio poteva. 
- Sete? - le disse porgendole una pinta di birra.
Erin fissò scocciata il bicchiere per un po', ma poi scosse la testa e la appoggiò sul palmo della mano, giocherellando col bicchiere vuoto che aveva sul tavolo.
- Sai... - disse a quel punto Halta, anche lei con qualche goccia d'alcool in più nello stomaco - Non prendertela se fanno così... Loro sono pirati, urlano e si divertono. Credo che dovresti farlo anche tu.
- Beh, mi divertirei molto di più se quella sgualdrina togliesse la mano dalla coscia di Ace, per iniziare - borbottò la mora piccata.
Halta la fissò, sollevando le palpebre con stupore: - Non credevo ti importasse fino a questo punto.
La mora scosse la testa e si alzò, mentre l'amica non poté fare altro che guardarla mentre si allontanava.

Contemporaneamente, dal lato opposto del locale, Izo aveva finalmente deciso di svelare ai suoi fratelli quei dubbi che da un po' di tempo lo stavano turbando. Non era convinto di ciò che Erin diceva o faceva. Non le aveva creduto fin dall'inizio e desiderava vivamente che lasciasse la nave al più presto.
- Tu vedi cose che non esistono, amico - disse Vista, buttando giù un altro sorso di rhum - Come quella volta in cui eri convinto che Halta ti stesse spiando nelle docce!
Izo si spazientì ancora di più per le fragorose risate della ciurma.
- È così vi dico! - urlò sbattendo il boccale sul tavolo di legno - Ma vi rendete conto di quanto siete ciechi? Non vi dice nulla il fatto che sia inseguita dalla Marina?
- Anche noi lo siamo - ribatté Jaws, strenuamente sicuro di voler difendere la ragazza fino alla fine per avergli salvato la vita.
- Ma noi siamo pirati! Lei cosa può aver mai fatto? Non parlandocene mette tutti in pericolo.
- Izo, solo perché non ti é simpatica non vuol dire che non è chi dice di essere. Ricorda che ha salvato sia la mia vita che quella del babbo.
- E parlando del babbo, - si intromise Vista - sarà meglio che tenga per te tutto ciò, sai quanto le é affezionato. Per la tua salvaguardia ti conviene smetterla di pensare che Erin sua una specie di spia del Governo Mondiale o ciò che diavolo credi che sia.
Izo non seppe come rispondere al commento dell'amico. Non aveva altro su cui basarsi se non il suo sesto senso: - Quando quella donna si svelerà per quello che é vi renderete conto finalmente che ho sempre avuto ragione.



Erin si strinse la giacca sulle spalle, percependo il freddo pungente della brezza notturna. Non avrebbe dovuto essere sorpresa del fatto che molte ragazze flirtassero con Ace. Era un ragazzo bello e avvenente dopotutto, per non parlare del fascino che le sue lentiggini esercitavano. Non aveva nessun motivo né diritto di comportarsi da ragazzina gelosa, eppure...
"Accidenti" pensò, rendendosi conto che, talmente presa dai suoi pensieri, si era inoltrata in una serie di vicoli senza uscita. 
Tornò sui suoi passi facendo mente locale sul percorso da fare, ma scorse all'imboccatura della strada una figura losca che ne bloccava l'uscita. Si fermò per qualche secondo e svoltò subito a destra. Una stretta viscerale le mozzò il respiro: anche se in penombra, vide due uomini che le si avvicinavano lentamente. Provò a tornare indietro ma si rese conto troppo tardi di essere circondata da tre uomini che non aveva mai visto in vita sua.
"Merda"
- Buonasera, bambolina.






______
Buonaseeeera anche a voi! 
Finalmente sono riuscita a trovare lo spazio per scrivere e prevedo anche che il prossimo capitolo arriverà prima rispetto al solito ;-)  Non sono cattiva al punto da lasciarvi così (anche se vi ho fatto aspettare 9 mesi per un capitolo.... Dettagli ^.^")
Scherzi a parte, spero vivamente che questo capitolo vi sia piaciuto e aspetto di sapere cosa ne pensate, se avrete tempo e voglia :) Mi auguro anche che la storia vi stia dando ciò che desideravate che vi desse (anche se il meglio inizia ora ;-)) Fatemi sapere anche questo xD
Vi auguro una splendida serata, al prossimo capitolo!! :* 

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** #15 ***






- Buonasera, bambolina - sussurrò con un ghigno l'uomo che Erin aveva di fronte. Era alto più di lei e largo il triplo, sebbene la flebile luce che filtrava nel vicolo impedisse alla ragazza di distinguerne i tratti.
Erin con un sorriso nervoso e un "buonasera" sbiascicato cercò di sgattaiolare via, prima che l'uomo poggiasse il braccio sul muro bloccandole l'uscita.
- Cosa ci fa una bella ragazza come te tutta sola in questo postaccio?
- Io in effetti stavo giusto andando via - disse la ragazza voltandosi dall'altra parte, avendo dimenticato per un istante la presenza dagli altri due uomini dietro di sé. 
- Ti abbiamo vista nel locale, volevamo accertarti che non ti fossi persa - spiegò uno dei due, mentre Erin si era posizionata in modo da averli tutti di fronte.
Più la ragazza arretrava verso la fine del vicolo, più si rendeva conto del mare di guai in cui si era cacciata.
- I-infatti é così, sono membro della ciurma di Barbabianca, sto cercando la strada per tornare alla mia nave - mentì, cercando di apparire più disinvolta possibile. Sperava che giocandosi la carta "Barbabianca" gli uomini sarebbero stati dissuasi da qualsiasi cattiva intenzione.
Sfortunatamente per lei, non fu così.
- Beh ma - commentò allora il terzo uomo, facendo finta di guardarsi intorno - pare proprio che né lui né nessun altro sia qui...
Erin era ormai con le spalle al muro. Si lasciò scivolare lungo la parete e scavò con le dita nel terreno, stringendo un pugno di terra nella mano.
- Fossi in voi guarderei un po' meglio - disse poi, e prima che loro capissero cosa stava accadendo, Erin lanciò la fragile terra dritta negli occhi dei suoi aguzzini.
Mentre si dimenavano in preda al dolore, la mora si alzò di scatto e spinse uno di loro di lato, correndo all'impazzata verso la strada. Riuscì a fare solo pochi metri prima che l'uomo che le aveva bloccato inizialmente la strada , quello più grosso fra i tre, le si gettasse alle spalle e le portasse un braccio attorno al collo. 
Erin gettò un grido soffocato, sentendosi mancare il respiro da quella morsa di ferro. Fu trascinata nuovamente nel vicolo e i due uomini la bloccarono per le braccia.
- Dove credevi di andare! - ringhiò tra i denti l'uomo che l'aveva bloccata dal collo, sganciandole un poderoso pugno nello stomaco.
Erin sgranò gli occhi e si chinò in avanti  privata del respiro, mentre un dolore lancinante si espandeva dalla sua pancia a tutto il resto del corpo. Sentì le ginocchia cedere e sarebbe finita a terra se gli altri due non avessero continuato a tenerla per le braccia.
Alzò lo sguardo e riuscì a guardare in faccia il suo aggressore: gli occhi gli erano diventati rossi a causa della terra, tanto da sembrare sul serio iniettati di sangue.
- Questa tua piccola bravata ti costerà caro, dolcezza, e credo che ti farò male - ridacchiò, iniziando a sbottonarle i pantaloncini.
La ragazza avrebbe voluto fare qualcosa, ma si sentì incapace di muovere un muscolo. Così si limitò a chiudere gli occhi e un pensiero le passò per la testa in quell'istante, una sola parola, semplice anestetico naturale del suo cervello.
"Ace".
Straordinario il cervello umano, straordinaria la sua abilità di sopprimere i traumi. Erin sentì la presa sulle sue braccia allentarsi sempre di più, sentì di essere libera.
Fu quando le sue ginocchia urtarono pesantemente la terra sotto di sé che si rese conto che non si trattava di un sogno lucido, ma che i due uomini l'avevano mollata davvero. Vide uno di loro precipitare a terra davanti a lei, colpito da un pugno in faccia.
Improvvisamente il vicolo fu rischiarato da una luce rossa e pulsante; un senso di calore proveniente dalla sua destra la costrinse a voltarsi.
Ace era lì, le sue spalle ricoperte da un velo di fiamme.
- Temo di non aver capito bene... - esordì il moro, nero dalla rabbia - A chi vorresti fare male?- 
I tre uomini, che non erano stati spaventati dall'amicizia di Erin con Barbabianca, lo furono senz'altro dalla presenza di Pugno di Fuoco a due metri di distanza.
Ace si chinò immediatamente su Erin, che giaceva in ginocchio con le mani sullo stomaco: - Ti hanno fatto del male? - chiese premuroso prendendola in braccio, mentre i tre se l'erano ormai data a gambe.
- No, sto bene - rispose lei, non del tutto convinta.

Il tragitto fu piuttosto silenzioso all'inizio. La ragazza aveva poggiato la testa sulla spalla del moro, ringraziando la sua buona stella per averlo condotto da lei.
- Come cazzo ti é saltato in mente di aggirarti in questo bordello da sola?! - urlò all'improvviso Ace, che l'avrebbe volentieri presa a schiaffi per la sua mancanza di prudenza.
Erin fece un mugolio di rassegnazione, consapevole della sua leggerezza, dopodiché mormorò con un filo di voce: - Mi ero solo stufata di vederti circondato da tutte quelle belle donne... Insomma, ero venuta qui soltanto perché me lo avevi chiesto tu, per poterci poi lasciare in un rapporto di piena amicizia. E tu poi ti allontani con quelle pros...
- Ma che cazzo stai dicendo! Marco voleva che bevessi con lui, ed é l'unico motivo per cui mi sono allontanato. Quelle tipe non le ho quasi notate! Un tempo l'avrei fatto più che volentieri, ma, ora che ho qualcun altro a cui pensare, ho pensato a te per tutto il tempo!
Fu tutto un fiume di parole, così rapido che Ace non si rese nemmeno conto di averle dette. Arrossì istantaneamente e non riuscì a deglutire per l'imbarazzo. La ragazza lo fissò per qualche secondo, incredula per ciò che aveva sentito, sebbene il suo cuore stesse esplodendo di gioia.

Arrivarono alla nave in silenzio. Ace la condusse fin nella sua cabina e la adagiò dolcemente sul suo letto, sistemandola come meglio poté.
- Va tutto bene? - le sussurrò con la voce più calda e dolce che lei avesse mai sentito.
Erin annuì con un sorriso, allungando una mano per accarezzare la guancia del moro, inginocchiato ai piedi del suo letto.
Quel contatto fu ciò che Ace aveva sempre desiderato: una carezza, leggera e spontanea, segno che finalmente la ragazza che occupava il suo cervello e il suo cuore stava almeno iniziando a creare un posticino per lui nella sua vita, seppur ignaro che lei, in realtà, lo aveva già fatto.
Pensava però che lo stesse facendo la sera prima di lasciarlo per sempre; non avrebbe saputo dire se fosse peggio questo o non l'essere considerato affatto.
Strinse per qualche secondo la sua mano nella propria, dopodiché si alzò e si avviò verso la porta della cabina.
- Ace aspetta - lo richiamò lei, al che lui si voltò appena per guardarla.
- Ecco... Mi chiedevo se... - il moro si accorse che era imbarazzata - Se ti andasse di... rimanere qui... stanotte. 
Erin non seppe mai da dove aveva tirato fuori quella richiesta, ma non si pentì nemmeno un secondo per averlo fatto. Per questo sorrise quando vide il ragazzo togliersi le scarpe e stendersi sotto il lenzuolo accanto a lei.
- Sei sicura di volermi qui con te? - chiese dopo essersi puntato col gomito sul cuscino.
La ragazza gli sorrise dolcemente e disse: - Certo. E vorrei ringraziarti per avermi salvata. E per tutto quello che hai fatto per me in questi due mesi. 
- Non devi ringraziarmi, Erin. Se ti fosse accaduto qualcosa io... - fece una pausa, pensando che sarebbe stato capace di ardere vivi quei tre se solo fosse intervenuto qualche minuto più tardi.
Alla ragazza luccicarono gli occhi per tutta quella premura. Non era mai stata abituata alle attenzioni e alla dolcezza, se non quella di Sore. Le si strinse il cuore in una morsa a pensare che tutto sarebbe finito il giorno dopo. Anche se nella vita, si sa, nulla va come programmato e lei lo aveva capito da tempo.  
- Devi andare via per forza? - domandò Ace in un sussurro, accarezzandole con la punta delle dita il braccio che lei aveva posato sullo stomaco.
- Sì, Ace... Purtroppo devo. Ma non é detto che non ci rivedremo più... Il mare offre molte possibilità, lo sai anche tu.
- Già, come quella che mi ha permesso di conoscerti... - disse lui con un sorriso - Vorrei solo capire perché devi fare tutto da sola... Resta con noi, noi possiamo aiutarti.
Erin fece una smorfia e si stese supina: - Ace, ti prego. Io non... non posso. Lasciarvi é già difficile per me, non complicare le cose anche tu.
- Ok, ok, mi dispiace, scusami - rispose il ragazzo, fermando per un po' il moto delle sue dita sul braccio della ragazza al suo fianco; avrebbe riaperto il discorso il giorno successivo con più calma, convinto com'era a non volerla lasciare andare.
Dopo diversi secondi di silenzio, Erin si accorse che il moro la stava fissando con un sorrisetto.
- A cosa stai pensando? - chiese, sollevandosi sui gomiti per poterlo guardare meglio negli occhi.
- Sto pensando a tutti i modi in cui potresti farmela pagare per quello che sto per fare.
- Eh? Di cosa stai parl...
Ace portò una mano sulla nuca della ragazza e avvicinò il suo viso, in modo delicato ma deciso, e in un secondo azzerò la distanza tra le loro labbra. Erin, shockata da quel bacio inaspettato, rimase immobile per qualche secondo. La sensazione della labbra morbide e bollenti del moro sulle sue, però, fu troppo perché lei potesse resistere. Quindi fece la cosa che non aveva mai fatto nella sua vita: non pensò affatto. 
Chiuse gli occhi e rispose al bacio, sostenendosi al materasso con una mano e accarezzando i capelli di Ace con l'altra, il quale attendeva timoroso un pugno in faccia che non arrivò mai.
Mentre il bacio si faceva sempre più approfondito, mosse la mano sui capelli castani della ragazza tastandone la morbidezza, prima di scendere ad accarezzarle la schiena e i fianchi senza azzardarsi a sfiorare punti nevralgici. Dopo alcuni minuti dovettero necessariamente staccarsi per mancanza di ossigeno. Erin lo fissò immobile, con le labbra rosse e dischiuse, comunicandogli con lo sguardo che aveva appena ricevuto il bacio più bello della sua vita.
Per Ace quello sguardo era decisamente troppo ed Erin era semplicemente bellissima: i capelli un po' spettinati, gli occhi lucidi e grandi dall'emozione, le labbra piene e dischiuse, per non parlare delle forme che si intravedevano sotto la sua maglietta blu, così vicine al suo petto. Sentiva i suoi pantaloni farsi fin troppo stretti per i suoi gusti, ma non sapeva assolutamente cosa fare. Non si sarebbe mai e poi mai azzardato a muovere un dito su di lei senza la sua volontà, ma ciò che c'era nelle sue mutande iniziava dolorosamente a farsi sentire. La cosa che avrebbe realmente voluto sarebbe stata precipitarsi fuori dalla stanza alla velocità della luce.
Per sua fortuna, però, Erin era straordinariamente calma. Si distese completamente e portò le mani sulle guance del ragazzo, attirandolo su di sé.  Mentre le loro lingue iniziavano un  appassionato gioco di incastri, Ace si posizionò su di Erin, la quale aprì timidamente le gambe per far aderire meglio i loro bacini.  Le mani del ragazzo scesero dalle spalle di lei sul suo seno per massaggiarlo, cosa che le piacque parecchio considerati i gemiti che la giovane iniziava a produrre. 
Ace fu più che soddisfatto di quella reazione. Scese con le labbra sul suo collo delicato alternando i baci a qualche piccolo morsetto, incentivato ogni volta che la sentiva inarcarsi contro di sé.
Erin, dal canto suo, si sentiva come mai in vita sua. Le attenzioni di Ace, del tutto inaspettate, si stavano rivelando migliori di quanto lei avesse mai potuto immaginare. Le sue precedenti esperienze non le avevano mai procurato quelle sensazioni, quel senso di amore, se poteva permettersi di chiamarlo così. Forse perché tutti i rapporti che aveva avuto sono generalmente chiamati in un altro modo. Quando abitava a Marijoa, Akahito era solito prendere ciò che voleva e non importava che lei stesse dormendo, leggendo o mangiando. I suoi baci per lei erano comunque una violenza, inutili per alleviare ciò che seguiva dopo. E c'erano state volte, quando era fuggita, in cui la fame era troppa per poter essere ancora sopportata e le scelte che le rimanevano erano ben poche. Aveva capito però, salendo a bordo di quella nave, che in un modo o nell'altro quella vita non le apparteneva più.
Il suo cervello si scollegò nuovamente nel momento in cui sentì la mano del ragazzo insinuarsi nei suoi pantaloncini. Inarcò la schiena quando lui iniziò ad accarezzarla delicatamente, seguendo il movimento delle sue dita esperte mentre si facevano pian piano strada dentro di lei. Emise un gemito che Ace soffocò con un bacio. 
Tuttavia, dopo qualche minuto, il ragazzo si fermò e ritrasse la mano con tutto il disappunto di Erin.
- Qualcosa non va? - chiese lei in un sussurro, la voce ancora flebile dall'eccitazione.
Ace scosse appena la testa e posò un bacio sulla sua fronte: - Va tutto bene - le disse, con tutta la tenerezza di cui era capace - Voglio solo essere sicuro che tu voglia andare oltre, non sei obbligata a fare nulla e io non farò altro senza il tuo consenso.
Per la prima volta in vita sua, qualcuno le aveva chiesto cosa desiderasse. Qualcuno le aveva chiesto di poter prendere qualcosa di suo anziché rubarglielo senza ritegno. E lei non poté che esserne grata.
- Ace... - sussurrò, mandando un brivido che viaggiò lungo la spina dorsale del moro fino al suo inguine - Io voglio tutto ciò che tu vorresti fare.
A quel punto il moro non ebbe più dubbi. La baciò appassionatamente e intanto sollevò i lembi della sua maglietta fino a sfilargliela completamente. Il suo seno era morbido e grazioso, non abbondante come quelli a cui era abituato in precedenza, ma non gli importava. Continuò facendo fuori i pantaloni di entrambi che furono gettati sul pavimento. Con estrema cautela, infine, le sfilò le mutandine, potendo finalmente ammirare Erin in tutta in tutta la sua semplicità e bellezza.
- Cosa c'è? - chiese lei, imbarazzata dal modo in cui la stava fissando.
- Sei... Sei solo la cosa più perfetta che io abbia mai visto.
Sorridendo amabilmente, Erin si sollevò a sedere e lo abbracciò, percependo chiaramente l'eccitazione di Ace contro la sua coscia. Gli diede un delicato bacio sulle labbra e gli fece un cenno con la testa, concedendogli il suo permesso.
Il momento che Ace aveva tanto desiderato, il momento in cui sentiva di poter consolidare quello che provava per lei stava finalmente prendendo forma. Le accarezzò la schiena scendendo lungo i fianchi e la guidò con le mani verso di sé, aiutandola a posizionarsi a cavalcioni su di lui. La penetrò con una delicatezza che non credeva nemmeno di possedere, nonostante la sua eccitazione avesse raggiunto un livello notevole. Erin lo abbracciò più forte, gemendo nel suo orecchio ogni volta che lui spingeva il bacino verso l'alto.
Sentire Ace dentro di sé, percepire il calore del suo corpo contro il proprio, ascoltarlo gemere di piacere per lei...  Una valanga di emozioni che avrebbe portato con sé per tutta la vita. 
Ace, invece, stringeva quel corpicino esile tra le braccia baciandole le spalle e il seno e cercando, per quanto possibile, di non pensare al fatto che il giorno successivo l'avrebbe perduta, probabilmente per sempre. 
Raggiunsero il culmine insieme, soffocando i loro gemiti in dei baci possessivi che sfiatarono pian piano in un delicato sfiorarsi di labbra. Si ridistesero ansimanti sul materasso  ed Erin posò la testa sul petto sudato di Ace, divertendosi a tracciare dei ghirigori immaginari sulla sua pelle mentre il moro le accarezzava la schiena, solcata dalle cicatrici.
Avrebbero voluto parlare, avrebbero voluto dire qualcosa, ma entrambi sapevano che ciò che si sarebbero detti non avrebbe portato nulla di buono. Preferirono addormentarsi così, l'una nelle braccia dell'altro, in silenzio. Avevano passato dei momenti troppo belli per essere rovinati da parole o comprensioni sbagliate. Qualsiasi problema avrebbe potuto aspettare il nuovo giorno, perché le notti più buie si affrontano meglio se si sa che, in ogni caso, seguirà sempre un'alba.





_____
Buongiorno lettori!
Ok, mi meraviglio di me per la velocità con cui ho postato, ho rispettato la parola data al capitolo precedente.
E su questo... Beh, che dire, si é scritto da sé x'D Molti di voi diranno "Finalmente", altri forse "Di già?", in ogni caso spero che vi sia rimasto impresso ;-)
Come molti forse avranno già capito dalla puzza di bruciato, ci sono guai in arrivo: per Erin? Sì. Per la ciurma? Anche. Per Xan e Sore? Pure XD
Anyway, mi auguro col tutto il cuore di riuscire a postare in tempi brevi un po' come ho fatto con questo capitolo, anche se con gli esami di settembre in arrivo me la vedo male... Chissà, potrei stupirvi ;-)
Per concludere un sentito ringraziamento a tutti voi che leggete la storia, che la preferite, la recensite e vi aspettate molto da lei, farò in modo di non deludervi! 
Grazie di vero cuore a tutti, vi voglio bene *.* a presto! xoxo

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** #16 ***


Ehm… Ehm… Buonasera a tutti!
Oddio, che momento imbarazzante. Ebbene sì, torno a pubblicare dopo più di un anno di silenzio. 
Sono terribilmente dispiaciuta e non la tirerò molto per le lunghe visto che avete già aspettato a sufficienza, uoooops xD
Innanzitutto voglio augurare a voi tutti un meraviglioso 2018! Io non sono mai stata così felice che un anno sia finito come col 2017. Purtroppo è stato un anno spiacevole per me, sono successe varie cose in famiglia e non… Questo è stato anche uno dei motivi per il quale ho tardato così tanto.
Però questo è un anno nuovo e sono ricca di nuovi, buoni propositi! Uno di questi è proprio quello di finire questa fic (dovessero volerci vent’anni ma la finirò, non lascio mai le cose a metà). 
Unica postilla è che, ahimè, non posso garantire nulla sulla costanza avendo anche iniziato il tirocinio di laurea ^.^’’  
Comunque cercherò di fare del mio meglio (certamente in tempi più brevi di come è capitato in questo anno sventurato, almeno)! 
Grazie per il vostro supporto e BUONA LETTURA! 









Erin fu svegliata quella mattina dagli strilli dei gabbiani che volavano tutt'attorno alla nave.
Sollevò appena la testa dal cuscino con gli occhi impastati dal sonno, rendendosi conto solo allora dei suoi vestiti sparsi sul pavimento. 
Si voltò dall'altra parte del letto quando udì qualcuno russare in modo alquanto sonoro: Ace giaceva a pancia in giù sul materasso con i capelli corvini sparsi sul cuscino e il lenzuolo che gli copriva appena il sedere. 
La ragazza restò imbambolata per qualche secondo sul jolly roger tatuato sulla sua schiena,  poi si fissò il seno lasciato scoperto dal lenzuolo, ricordando in un secondo i dettagli della fantastica notte appena trascorsa.
" Accidenti a me, ci sono cascata fino in fondo " pensò tra sé alzandosi dal letto e indossando della biancheria pulita, sentendo le gambe piacevolmente indolenzite. Recuperò la maglietta e si coprì il seno avvicinandosi all'oblò, osservando la vita che scorreva fuori da quella nave: i marinai a terra che legavano delle corde ai loro pescherecci, due bambini che si rincorrevano giocando con delle lunghe aste di legno, due anziane signore che parlavano della loro spesa.
Era così presa da quelle scene, segno di una normalissima vita che lei non avrebbe mai avuto, che non si era accorta che il russare alle sue spalle si era interrotto e due braccia forti le avevano circondato i fianchi.
- Buongiorno - si sentì mormorare in un orecchio da una voce calda e suadente. 
Si voltò di scatto prima che il moro iniziasse a baciarla sul collo.
- Ace! Mi hai spaventata! - lo rimproverò lei, poggiando le mani sul petto del moro per tenerlo a debita distanza e facendo così cadere la maglietta per terra.
- Non era certo mia intenzione... - rispose lui con dolcezza, avvicinandosi pericolosamente alle sue labbra e schiacciandosi di più contro di lei.
Erin, incastrata com'era tra il ragazzo nudo davanti a sé e la finestra alle sue spalle, si divincolò abilmente dall'abbraccio del moro e riuscì a sfuggire al suo bacio.
- Ma che stai facendo? - chiese accigliato Ace, fissando perplesso la ragazza davanti a sé - Ti comporti come se ti stessi molestando!
- Ace... Noi... - borbottò Erin, cercando accuratamente le parole da pronunciare - Quello che é successo stanotte... non sarebbe dovuto accadere. É stato un... - deglutì, indugiando sulle sue ultime parole - ...grave errore.
Ace rimase immobile per qualche secondo prima di scoppiare in una fragorosa risata nervosa: - Errore? Ma se sei stata tu a volerlo...
- Lo so - mormorò lei abbassando lo sguardo.
- Tu hai chiesto che restassi... E ora mi dici che é staro tutto un errore? - domandò Ace avvicinandosi a lei.
- Mi dispiace tanto, non sarebbe dovuto accadere. Ero in un momento di debolezza e...
Smise di parlare quando il ragazzo diede un poderoso pugno nella parete che la fece sussultare: - Momento di debolezza? Dunque avrei fatto l'amore con te solo perché sei stata momentaneamente debole? Mi prendi forse per il culo, Erin? Ma chi diamine ti credi di essere!
- Ace, cerca di calmar..- disse Erin, indietreggiando spaventata dall'improvviso scatto d'ira del ragazzo, prima che scagliasse un altro pugno sul tavolo spaccandolo a metà. 
- Maledizione! Io provo qualcosa di forte per te come non mi é mai capitato, lo capisci? Ieri sera ho finalmente pensato che chiedendomi di fare l'amore con te anche tu stessi ricambiando i miei sentimenti. Ho fatto tutto quello che ho potuto per renderti felice e mi era sembrato di esserci riuscito. Dunque perché? Perché cazzo ora mi dici che non sarebbe dovuto succedere? Deciditi una buona volta! - chiese urlando. 
- Perché... - rispose Erin a testa bassa, tremando per la vergogna che provava in quel momento - ... é stata la notte più bella della mia vita. E ti ringrazio per questo. E nonostante anche io provi qualcosa per te non cambierà il fatto che oggi lascerò te e questa nave. Ed é stato un errore per il fatto che ora, in qualche modo, sono legata a te più di quanto avessi mai voluto.
Ace ascoltò tutto in silenzio, sentendo qualcosa nella sua pancia che si attorcigliava. Non riusciva a dire niente. E guardando il viso rassegnato della ragazza davanti a sé capì che non c'era nulla da poter dire.
-  E allora vattene da questa nave - disse infine il moro senza nemmeno guardarla negli occhi.
Erin si morse le labbra, ingoiando un singhiozzo e trattenendo le lacrime che bramavano di uscire. Si infilò i pantaloncini e la maglietta e aprì la porta della cabina richiudendola alle sue spalle, in silenzio.
Quando fu uscita Ace si sedette sul letto e appoggiò le tempie sulle mani, chiuse gli occhi percepì qualcosa che aveva da tempo dimenticato: una sensazione, la sensazione di sentire qualcosa di bagnato scendere lungo le sue guance. 
Marco entrò nella sua cabina senza bussare, dal momento che aveva udito la lite che aveva appena avuto luogo e aveva osservato la ragazza lasciare il ponte con le lacrime agli occhi: - Ehi... Va tutto bene? - disse prima di accorgersi che il suo migliore amico era accasciato sul letto con i gomiti sulle ginocchia e la testa bassa, completamente nudo - ... Ma... Hai fatto sesso con lei? - domandò, chiedendosi come mai, dopo una nottata di fuoco, Ace fosse così giù di morale.
Il moro gli lanciò un'occhiataccia e solo allora Marco si accorse che aveva gli occhi molto arrossati: - Non é stato solo sesso - chiarì alzandosi dal materasso  e indossando i suoi vestiti.
- Oh... Capisco - annuì il biondo grattandosi la nuca - Ma perché allora non siete rimasti a letto per qualche altro round? 
- Merda Marco, piantala di fare l'idiota! - urlò Ace fuori di sé, alzandosi - Fare l'amore con lei stanotte é stata la cosa più bella che abbia mai fatto! Ma non é stato abbastanza, capisci? Lei partirà oggi stesso e io non la rivedrò mai più. Non ha fatto altro che illudermi per tutto il tempo!
Marco si sforzò di capire cosa stesse provando il suo miglior amico in quel momento, ma non riusciva a immaginarlo  poiché non era mai riuscito a innamorarsi sul serio. Non capiva cosa volesse dire per Ace la differenza tra amore e sesso, non riusciva a capire nemmeno le motivazioni di Erin. 
L'unica cosa che sentiva di poter fare era sdrammatizzare un po' la situazione: - Beh, francamente mi chiedo come quello possa non essere stato "abbastanza" - disse allora con un sorrisetto malizioso, ammiccando a ciò che c'era tra le gambe del moro e che, evidentemente, non gradì la battuta.
- Io ti giuro sullo One Piece che alla prossima stronzata ti afferro per quell'ananas che chiami capelli e ti dò in pasto agli squali.
Il sorriso del biondo improvvisamente svaní.


Erin attraversò a passo svelto il corridoio e salì sul ponte, diretta alla passerella collegata con la banchina. Newgate si accorse dei suoi occhi lucidi e cercò di dirle qualcosa, ottenendo solo che lei scrollasse le spalle mentre stava per toccarla. 
La ragazza si asciugò gli occhi umidi e proseguì a testa bassa attraverso la strada sterrata, lontano dalla Moby Dick.  
Si sentiva profondamente egoista per ciò che aveva fatto. Non poteva certo biasimare Ace, non c'era assoluzione, ai suoi occhi, per le sue azioni.
Il moro aveva ragione. Chi si credeva di essere per giocare così con i sentimenti delle persone?
Nonostante sapesse quanto Ace la amava, aveva agito egoisticamente e aveva voluto fare l'amore con lui. Gli aveva infuso una speranza, la speranza che non sarebbe andata più via, pur sapendo che nulla sarebbe cambiato.
Pur sapendo quanto questo lo avrebbe ferito aveva deciso, per una sola volta, di essere lei quella amata, lei quella venerata, quella rispettata. 
Aveva voluto sapere cosa si prova ad abbandonarsi a una persona che é disposta a tutto per te.  Cosa si prova ad essere accarezzati e baciati dalla persona che si ama.
Perché era vero, seppur fosse difficile per lei da ammettere: lei amava Ace.
Era la prima persona che fosse mai riuscita ad  amare in quel modo e nonostante tutto lo aveva ferito. Si sentiva un completo disastro. Si sentiva indegna di ricevere l'amore del ragazzo  e incapace di donarne.
Le aveva fatto male dicendole di andarsene, le faceva male il modo in cui si erano lasciati, ma soprattutto la dilaniava la sofferenza che lei stessa gli aveva inflitto.
Si portò una mano sul petto, asciugandosi con l'altra le lacrime dagli occhi. Sollevò lo sguardo e si rese conto di essere giunta in un villaggio.
Proseguì per un po', fermandosi all'istante quando sentì un brivido freddo percorrerle la schiena dalla sua sinistra.
Voltò lo sguardo e si rese conto che uno spiffero gelido proveniva da un vicolo buio. 
L'esperienza della notte precedente in fatto di strade appartate avrebbe dovuto farla restare all'erta e prudente, ma sembrava quasi che il soffio facesse il suo nome.
Non poté resistere e mosse i primi passi attraverso quella oscurità.
Si arrestò quando sentì un fruscio alle sue spalle, accompagnato da un respiro di ghiaccio che le sembrava di riconoscere.
In un secondo ogni cosa le fu evidente e non poté fare a meno di sorridere: - Chi non muore si rivede - disse, incrociando le braccia al petto e voltandosi lentamente - Dico bene, ammiraglio Aokiji?



 
***



Dall'altra parte dell'oceano, la notte precedente, un uomo con un grande cappuccio nero a coprirgli il volto era poggiato contro un albero a braccia conserte, gli occhi fissi sull'elegante viale impreziosito da fiori di ogni specie e colore, benché non distinguibili alla flebile luce lunare.
Sbuffò, annoiato dalla lunga attesa. Si guardò intorno circospetto: non era affatto sicuro per un rivoluzionario - e non uno qualunque -  aspettare nel giardino di uno dei nobili mondiali, ma  conoscendo la persona per cui era lì era quasi del tutto certo di non correre alcun pericolo.

- Xan, Xan! Svegliati- sussurrò Sore, scuotendo gentilmente il ragazzino addormentato. 
Dopo un breve momento di rintontimento dovuto al sonno, il  giovane aprì gli occhi, riconoscendo subito la sagoma del suo maggiordomo e il motivo per cui era lì.
- Oh... É ora di andare?
- Temo di sì, hai preparato le tue cose? 
Xan annuì e si alzò, dirigendosi verso un angolo della stanza per prendere un grosso zaino all'apparenza pesantissimo. Sore notò piacevolmente che il ragazzino era già vestito di tutto punto, ma nutriva seri dubbi sull'utilità del contenuto dello zaino.
- Avevamo detto solo lo stretto necessario, ricordi? - disse facendo cenno allo zaino che Xan aveva faticosamente sollevato.
- Certo che lo ricordo. Ho preso solo i miei libri preferiti, dei ricambi d'abito, la radio snail e le mappe. 
Il maggiordomo lo fissò dubbioso.
- Dimenticavo, anche lo spazzolino da denti! - esclamò il ragazzino tutt'un tratto, strappandogli un sorriso.
- Andiamo adesso, - disse l'uomo sistemandosi la propria sacca sulle spalle appena incurvate - a Dragon non é mai piaciuto aspettare.
Si avviarono quatti attraverso i corridoi silenziosi della dimora addormentata, la luce della luna che filtrava dalle ampie vetrate come unica testimone e complice del loro piano. 
Arrivati all'entrata principale Sore estrasse una chiave dorata dalla tasca del mantello e la rigirò il più silenziosamente possibile nella serratura, indugiando per qualche secondo prima di aprire la porta.
- Dai un'ultima occhiata a questa casa, se gli Dei vorranno sarà l'ultima volta che la rivedremo - sussurrò a Xan con una vena di quello che al ragazzo parve un grande senso di eccitazione.
La verità era che nessuno al mondo bramava quel momento più di Sore, il momento in cui avrebbe finalmente potuto lasciare Marijoa con quello che era per lui come un figlio. Nella sua trascorsa, e all'apparenza così lontana, vita da pirata di Dragon il Rivoluzionario era sempre lui quello in prima fila quando l'avventura si presentava dinanzi ai loro occhi, la sua incommensurabile curiosità a spingerlo oltre le frontiere del pericolo.
Lo stesso sentimento di allora gli provocò un fremito lungo la spina dorsale e un largo sorriso beffardo comparve sul suo viso.
- Andiamo via di qui, non mi mancherà questo posto - rispose Xan arricciando il naso, provando disgusto per quel posto e per le persone che ci vivevano - Erin ci sta aspettando! - aggiunse infine, varcando senza rimorso, per l'ultima volta, la porta dell'inferno.
- Il cappuccio - gli ricordò Sore prima di precederlo attraverso il giardino.
Procedettero attraverso alcune siepi e, dove possibile, nascosti dalle fronde degli alberi che abbondavano in quella rigogliosissima distesa verde. Il maggiordomo si bloccò immediatamente quando scorse una figura nera riversa a terra poco distante da loro e intimò a Xan di restare dov'era. Si avvicinò di più alla sagoma e non rimase sorpreso quando scoprì che si trattava di una guardia  profondamente addormentata.
Sollevò una mano verso Xan e gli fece cenno di avvicinarsi, dopodiché ripresero il loro cammino verso la costa.
- Sono tutte addormentate? 
- Quasi tutte - spiegò l'uomo, pur continuando a stare in guardia - Altre sono solo corrotte a dovere.
- Non pensi che i miei genitori potrebbero far loro del male quando si accorgeranno che sono fuggito?
- Ne dubito. Sono stato io a farti fuggire. E inoltre... - disse voltandosi verso Xan, con un sorriso furbetto in volto - Credimi, domani avranno altri grilli per la testa - sghignazzò pensando all' avviso di taglia che aveva appeso alla porta prima di uscire, raffigurante un riottoso uomo di nome Asorey, detto la "Spada silente", taglia 25.000.000 di Berry: l'uomo che é stato e che, molto presto,  sarebbe rinato dalle sue stesse ceneri.



 
***



Erin si ritrovò a correre a perdifiato in direzione della Moby Dick, contro ogni sua aspettativa nella giornata.
Si fermò qualche secondo e appoggiò le mani sulle ginocchia, stremata. Della nave non intravedeva nemmeno l'ombra
- Maledizione - imprecò tra i denti, ripensando a quel che Aokiji le aveva appena detto - Devo assolutamente recuperare il mio zaino e quella fottuta radio snail! 
Ricominciò a correre più veloce che poteva, strizzando gli occhi di tanto in tanto per le fitte che sentiva nei polpacci.
- Maledizione! Maledizione! Dannato spocchioso nobile bastardo! - si ripeteva con rabbia, incentivandosi ad andare più veloce immaginando quanti denti avrebbe potuto rompere ad Akahito con un solo pugno se solo se lo fosse trovato davanti.
Raggiunse la nave dopo una buona dozzina di minuti e le persone sul ponte, vedendola arrivare così trafelata e dall'aria sconvolta, sospesero momentaneamente quel stavano facendo, incuriositi.
- Erin, finalmente sei qui! Vorrei un tuo parere sul... - le chiese Halta cercando di confrontare le etichette di due scatole di medicinali che teneva in mano.
- Non ora Halta, per favore! - rispose la mora sbrigativa, dirigendosi verso il corridoio che conduceva alle cabine dell'equipaggio, riuscendo a udire la rossa bofonchiare "ma che le prende?".
Si fermò di botto quando per poco non sbattè il naso contro il petto di Ace che attraversava il corridoio. Il ragazzo la fissò con uno sguardo impassibile che mai aveva visto sul suo viso. Non gli si addiceva affatto quella inespressività. 
Lo fissò di rimando per qualche secondo, desiderando immensamente fermarsi a parlare con lui e confessargli i suoi sentimenti. Quello che invece fece fu scuotere la testa e scansarlo, arrivando finalmente nella cabina del moro.
Si inginocchiò di fronte al suo zaino, compagno fedele del suo vagabondare, e rovistò in ogni angolo alla ricerca della radio snail.
" Ma dove diavolo si é andato a cacciare quel dannato marchingegno" 
A un certo punto, irritata, rovesciò l'intero contenuto dello zaino sul pavimento, rendendosi finalmente conto che la radio snail era sparita.
- No, no! Ricordo perfettamente di averla messa qui dentro! - strillò in preda al panico, non accorgendosi che qualcuno era stagliato sulla porta già da un po' e la stava osservando con uno sguardo corrucciato e diffidente. 
- Stavi forse cercando questa? -.

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** #17 ***




Erin fissava sbigottita l’uomo vestito da geisha sulla soglia della cabina, senza capire.
- Izo… M-ma cosa…- balbettò confusa, spostando lo sguardo dal viso dell’uomo alla radio snail che egli teneva in mano. La ragazza capì che Izo aveva chiaramente frugato tra le sue cose, voleva indagare su di lei con un fine ben preciso per un motivo che le sfuggiva.
- Credevi che non lo avremmo mai scoperto, non è così? – le chiese con un sorriso amaro, ruotando l’oggetto nella sua mano fino a mostrarle chiaramente il logo della Marina posto ai due lati.
La ragazza si rialzò lentamente e fece per avvicinarglisi: - Izo, non è come pensi! Ti prego, ridammela, non hai idea di quanto sia importante!
A quel punto l’uomo fece un balzo indietro, allontanandosi prima che lei potesse afferrare il lumacofono. Erin non capiva cosa stesse accadendo e questo non fece altro che renderla ancora più inquieta di quanto già non fosse.
- Ma si invece, mia cara Erin – disse ironico – Capisco benissimo quanto sia importante – si voltò attraverso il corridoio, fissandola sottecchi – Come potresti fare altrimenti a comunicare la nostra posizione alla Marina?
- Io te lo giuro su quello che ho di più caro, non è così! Dammi quella dannata radio snail! – urlò Erin fuori di sé, scagliandosi contro l’uomo che sollevò il braccio per impedirle di raggiungerlo.
- Sapevo che non c’era da fidarsi di una come te! – sputò velenoso, mettendosi a correre verso il ponte di coperta.
Erin ebbe il terrore che volesse gettare la radio in mare.
- Izo! Fermati ti prego!
La ragazza lo inseguì e con una forza che non credeva più di possedere, dopo la lunga ed estenuante corsa fatta per arrivare alla nave, fece un balzo e finì addosso all’uomo che perse l’equilibrio.
Urtarono la porta della cambusa e capitolarono entrambi sul pavimento. Scrollandosela di dosso, il moro si alzò e si mise dietro al lungo tavolo di legno che ora lo separava da lei.
A udire quel trambusto un discreto numero di pirati aveva formato una piccola folla di fronte alla cambusa, tra cui figurava un perplesso Marco che si fece largo tra i tavoli: - Si può sapere che diavolo sta succedendo qui?!
- Diglielo tu cosa sta succedendo, sporca traditrice – disse Izo accennando a Marco con la testa -Dopo tutto quello che abbiamo fatto per te… Che nostro padre ha fatto per te! Ti abbiamo sfamata e curata. E alla fine sei solo una vile doppiogiochista! – concluse, posando l’oggetto nelle mani del biondo.
Erin volse più volte lo sguardo da Marco a Izo e viceversa, non sapendo più a che santo voltarsi in quella situazione paradossale: - Non farei mai e poi mai una cosa simile! Quella radio snail non è della Marina! Credetemi, vi prego. Restituitemela e vi prometto che non mi rivedrete mai più! – gridò la ragazza piangendo, ormai in preda ad una crisi di nervi.
- Erin che cazzo significa tutto questo? – domandò Marco, impallidendo nello scorgere lo stemma della Marina.
- Io non… non posso…non posso spiegare – biascicò la mora tra le lacrime, rendendosi conto di quanto la situazione stesse degenerando – Dovete credermi, è una situazione più grande di me…
- Oh sì invece, tu spiegherai eccome – la interruppe allora il moro afferrandola in malo modo per un braccio e trascinandola quasi di peso sul ponte di comando, al cospetto del capitano.
- No! No, vi prego, ascoltatemi! Non sapete in che cosa vi state andando a cacciare! – urlò, ottenendo solo che la stretta di Izo attorno al suo braccio si facesse più forte e più dolorosa – Marco, almeno tu, aiutami ti prego! – disse infine appellandosi all’amico, il quale si limitò solo ad abbassare lo sguardo, con un’evidente espressione dolorosa stampata sul viso.
Newgate già si chiese cosa stesse succedendo quando vide arrivare un corposo gruppo di gente chiassosa ma, quando Izo gli scaraventò Erin davanti ai piedi, si alzò furibondo dalla sua poltrona e tutti non poterono che fare un passo indietro: - Ma che diavolo stai facendo?!
Erin si sollevò sulle ginocchia, massaggiandosi con la mano il braccio dolorante e ripensando alla conversazione avuta poco prima con uno dei più importanti ammiragli della Marina.





- Chi non muore si rivede, vero, ammiraglio Aokiji? – chiese Erin con sicurezza, voltandosi per trovarsi davanti un gigantesco uomo dalla pelle scura e con una mascherina da notte sulla fronte.
- Erin, da quanto tempo – le rispose, cordiale.
- Sapevo che ci saremmo incontrati presto. L’ho capito da quella festa della liberazione, pochi giorni fa. C’era il tuo zampino, non è così?
Kuzan si accomodò su una cassa di legno di fronte a lei, e solo così riusciva ad essere alla stessa altezza dei suoi occhi:  - Eh già, non ti ho sottovalutata nemmeno per un secondo, mia cara ragazza. Ero sicura che l’avresti capito.
- Come potevo non capirlo, un marine mi ha persino fermata. Era fin troppo improbabile che in una occasione del genere le coste non fossero controllate – spiegò lei, osservando attentamente la persona davanti a sé – Dunque c’erano due possibilità: o era un’imboscata, o c’eri di mezzo tu. Visto che siamo ripartiti illesi la risposta mi è stata evidente.
- Sai, è un vero peccato che tu non sia un marine, hai così tanto potenziale – sospirò l’ammiraglio, sollevando gli occhi al cielo.
Erin scoppiò in una fragorosa risata: - Buona questa! Io un marine! E vediamo, poi potrei anche diventare presentatrice in una casa d’aste, non è così?
L’uomo roteò gli occhi: - Stavo solo scherzando, ragazzina.
La bruna incrociò le braccia al petto e si appoggiò col sedere al muro alle sue spalle: - Bando alle ciance, cosa ti porta da queste parti, Kuzan? Non avrai lasciato il profumato palazzo di quell’idiota imbellettato per niente, vero? Sei da solo, stai rischiando grosso stavolta…
Aokiji si fece serio e la fissò. Appoggiò i gomiti sulle ginocchia e disse: - Sai che io sono un uomo di giustizia, per cui ti pregherei di non interpretare quello che sto per dire come insubordinazione o tradimento. Io credo solo che debba essere fatto quello che è giusto per…
- Sì, sì va bene, amico, li conosco i tuoi ideali – lo interruppe lei, conoscendo bene la tiritera che passava per la mente del marine – Arriva al dunque.
L’uomo sospirò, notando – non senza soddisfazione, dovette ammettere – che la ragazza non era cambiata per nulla. Certo, a vederla ora era più alta, più formosa, più bella, più matura, un fiore appena sbocciato insomma, ma fondamentalmente restava sempre la bambina testarda, intelligente, altruista e determinata che aveva conosciuto dieci anni prima.
- Sono qui per metterti in guardia. Akahito ha perso la pazienza, sta cominciando a capire che non è possibile che dopo tutti questi anni la Marina non ti abbia individuata. Credo sospetti di me. Voglio avvisarti che ha intenzione di prelevare Xan dalla casa dei tuoi, in cambio di un lauto compenso, e di usarlo come esca per attirarti a Marijoa.
- Cosa?! – urlò Erin, facendo qualche passo verso di lui, incredula – E quei figli di puttana dei miei genitori lo hanno permesso un’altra volta??
- Purtroppo sì…
- Brutto bastardo, lurida feccia – ringhiò la mora, rossa dalla rabbia – Giuro che se oserà toccare mio fratello lo ucciderò con le mie stesse mani!
- Cerca di calmarti adesso! – le disse Aokiji, posandole una mano sulla spalla – Preparati Erin, tempi molto bui sembrano attenderti. Per tutti questi quattro anni ho fatto tutto ciò che è stato in mio potere per proteggerti perché credo in te, credo che tu sia una grande donna, immeritevole di tutte le cose terribili che ti sono state fatte. Però adesso temo di avere le mani legate, questo è l’ultimo avvio che posso darti: fa’ tutto quello che puoi per proteggere tu fratello. Se il fato vorrà, riuscirò ad aiutarti di nuovo.
Erin ascoltò con devoto silenzio quelle parole. Le vennero le lacrime agli occhi nel pensare, forse per la prima volta, a quanto quell’uomo avesse fatto per lei, al fatto che gli doveva gran parte della sua libertà.
Per questo gli si avvicinò un po' di più e gli diede un leggero bacio sulla guancia, in segno di gratitudine. Sorrise nel vedere per la prima - e forse unica – volta in vita sua l’ammiraglio arrossire: - Grazie, Kuzan. Grazie di tutto – disse, allontanandosi verso la strada principale – Sei un grand’uomo – concluse, cominciando a correre verso la Moby Dick.
Aokiji arricciò le labbra in un sorriso e scosse la testa di fronte a tanta sfrontatezza, pensando che quella ragazza prima o poi lo avrebbe fatto licenziare. Mise le mani in tasca e anche lui si avviò pigramente verso la sua adorata bici.




 
 
- Fattelo spiegare da questa traditrice, papà! – disse Izo, guardandosi intorno compiaciuto di essere finalmente riuscito a far capire a tutti che non si sbagliava. Strappò la radio snail dalle mani di Marco e la lanciò al capitano – Ecco, era nel suo zaino.
Ace, che aveva assistito a tutta la scena, si fece largo tra la folla e si stagliò accanto a Barbabianca, osservando l’oggetto che stringeva tra le mani.
- Ma come è possibile? – chiese il capitano abbassando lo sguardo su di lei.
Erin, in ginocchio e circondata, si rannicchiò ancora di più. Non riusciva davvero a smettere di piangere. Tutti i suoi amici, tutte quelle persone che le volevano bene e contavano su di lei ora la vedevano come una spia, come qualcuno che si è sempre preso gioco della loro fiducia. Alzò il viso e incontrò lo sguardo perplesso di Ace puntato su di sé e, per un istante, le sembrò che quella perplessità fosse, in realtà, disprezzo. Avrebbe voluto spiegare, avrebbe voluto chiarire ogni equivoco, se solo ciò non avesse comportato metterli in mezzo ad una questione troppo amara, troppo grande. Ed era molto più di quanto lei potesse sopportare.
A quel punto Izo, spazientito, si avvicinò a lei a grandi falcate.
- Il capitano ti ha fatto una domanda! – sibilò nel suo orecchio e la afferrò per i lunghi capelli lisci, facendole sollevare la testa. La ragazza obbedì e chiuse gli occhi con una smorfia di dolore, prima di sentire un rumore secco e la presa sui suoi capelli allentarsi del tutto.
Riaprì gli occhì.
Ace era in piedi accanto a lei a pugni chiusi e Izo aveva un rivolo di sangue che gli gocciolava dal naso: - Ma che cazzo fai, Ace! Hai capito o no che ci ha presi per il culo per tutto questo tempo!
- Ho capito. Potrebbe essere anche quel dannato Teach in persona, ma giuro su Dio che se ti azzardi a toccarla un’altra volta ti farò molto più male – disse il moro fermamente, pur senza guardarla.
Erin gli fu grata ancora una volta per quanto amore continuasse a dimostrarle.
A quel punto Izo si allontanò da lei e si stagliò al centro della folla, in modo da poter essere visto da tutto l’equipaggio: - Ora potete vedere finalmente che avevo ragione su di lei! Ci ha spiati per tutto questo tempo e ha comunicato i nostri movimenti alla Marina per incassare le nostre taglie!
- Ma scusa, – lo interruppe Jaws – non abbiamo prove a sostegno di questa tesi…
- E per di più – aggiunse Squardo – non ci ha mica attaccato nessuno!
A quel punto intervenne Halta: - E allora che senso avrebbe avuto il salvataggio di nostro fratello Jaws? E vuoi forse dimenticare che ha salvato la vita di papà?
- Ok, la caduta di Jaws potrebbe essere stato un caso, ma chi ci assicura che non abbia drogato papà per fargli avere un collasso solo per poi curarlo e conquistarsi la nostra fiducia? Sapeva benissimo di essere l’unico medico!
- Per l’amor del cielo Izo, piantala! – sbraitò Vista, dai nervi a fior di pelle – Non credi di stare esagerando?! Ma guardala, non ha certo chissà che faccia da genio del male!
All’improvviso si levò un urlo che fece tremare il ponte: - Silenzio!
Newgate aveva i pugni stretti e gli occhi chiusi ma molto, molto severi. Tutti i presenti concordarono nel dire che faceva paura.
- Ne ho abbastanza di tutto questo vociare! Adesso parlo io! – disse in modo autoritario, e tutti stettero zitti. Si avvicinò ad Erin, tremante sul pavimento. Si chinò e le afferrò il mento con le sue grosse dita, costringendola ad alzarsi in piedi: - Per onorare tutto quello che hai fatto per me e per i miei figli, ti concedo la possibilità di spiegare.
Erin si ricompose, come si addiceva ad una donna come lei.
- Io sono un medico – cominciò, scandendo bene ogni parola – e come tale io faccio quello che faccio per aiutare gli altri, non per ferirli. Per questo ritengo estremamente offensive le accuse infamanti che mi sono state fatte. Posso giurare sul bene che voglio a mio fratello che non sono una spia della Marina o simili, non sono nemmeno lontanamente paragonabile  a qualcosa del genere. Non posso dirvi come faccio a possedere quella radio snail, o il perché. Vi chiedo solo di credermi quando dico che lo faccio per il vostro bene, la vostra sicurezza…
- Stronzate.
- Izo, fai silenzio! – intervenne Ace.
Erin chiuse gli occhi, amareggiata: - Mi dispiace molto se vi ho delusa, ma non cambierò idea a riguardo, non voglio coinvolgere nessuno. Se mi restituirete la radio snail toglierò le tende e non dovrete più avere a che fare con me.
Ci furono lunghi secondi di silenzio, dopodichè il capitano disse: - Molto bene. Marco, accompagna Erin in una delle celle della nave. Parlerà quando avrà voglia di farlo.
- Edward ti prego, non sai quanto quella radio sia importante per me! – urlò la giovane avvicinandoglisi, prima che Marco la trattenesse per le spalle.
- Mi prenderò cura personalmente di questa radio. Te la restituirò quando mi renderai di nuovo in grado di fidarmi di te – concluse il capitano, infilando l’oggetto in tasca e tornando a sedersi sul suo trono.
Erin non capiva: le sembrava di aver fatto più che il necessario per conquistarsi la fiducia del capitano. Dopotutto, se lui aveva più volte affermato di avere fiducia in lei prima ancora di conoscerla, prima ancora che compisse i due gesti eroici che le avevano garantito la stima della ciurma, come poteva ora tutto questo venir meno? E, soprattutto, cos’altro poteva fare di più?
Rassegnata seguì Marco nei meandri della nave attraverso una buia scalinata in legno, senza dire una parola.
Giunsero in un freddo corridoio in cui non era mai stata: c’erano cinque celle su ciascun lato, tutte dotate di un gabinetto ed uno scomodissimo pagliericcio ricoperto da un lenzuolo lercio e strappato, delimitate da fredde sbarre di ferro arrugginite. L’unica fonte di illuminazione era una piccola feritoia in alto alla fine del corridoio, sottile al punto che il piccolo spiraglio di luce filtrante evidenziava il pulviscolo fluttuante nell’aria, pregna di umidità e fetida di chiuso. Dal tragitto percorso e dalla posizione della finestrella pensò che dovesse trovarsi a poppa della nave.
- Non la usiamo molto spesso, sai… - disse Marco, atono, notando la smorfia di disgusto che aveva assunto Erin.
- Beh, sono felice allora di rendere utile questo posto – rispose la ragazza con la sua solita ironia, mentre il biondo la sospingeva gentilmente nell’unica cella illuminata in modo diretto, chiudendola alle sue spalle.
Si sedette sul pagliericcio sconfortata, stringendo le ginocchia al petto mentre Marco afferrò il mazzo di chiavi che pendeva da un chiodo sulla parete, girando qualche mandata nella serratura.
- Erin – la richiamò il ragazzo, avviandosi alle scale che conducevano ai ponti dell’equipaggio – Conosco abbastanza bene mio padre da sapere che fa tutto quello che fa per un motivo. Io non credo che tu sia un cattivo soggetto… Sono sicuro che lo pensino tutti a bordo.
- Marco… - bisbigliò lei, implorante – Tu mi credi, non è così?
Il ragazzo sembrò pensarci su un po' : - Io… - poi però scosse la testa e rispose – Sì, io ti credo, Erin.
- Allora ti prego, dimmi cosa devo fare per uscire da qui.
- Credo che tu debba fare l’unica cosa che resti per acquistare la fiducia di qualcuno: dire la verità – concluse dandole le spalle è sparì.
Erin appoggiò la testa sulle ginocchia e chiuse gli occhi, riflettendo sul da farsi.
Marco, forse, aveva ragione.









___________ 
Wow! Arrivo a sorprendermi di me stessa!
Questo nuovo capitolo, scritto davvero – ma davvero – di getto è arrivato subito subito questa volta! Sono stata brava, vero?? *^*
Ok, mi è tornata in mente una mia prof delle medie che ripeteva sempre “Chi si loda si sbroda”, quindi sarà meglio che la finisca qui (che ansia) ^.^’’
Voglio davvero ringraziare i numerosi che, nonostante la latitanza, hanno continuato a seguirmi, recensire e aggiungere la storia tra le preferite… Davvero, siete bellissimi, mi fate commuovere! Anche solo il tempo che passate a leggere i miei deliri mi colma di gioia e soddisfazione, quindi GRAZIE!!!! *^*
Ora devo proprio scappare però, vi auguro una buona lettura e una buono giornata, a presto!!
 
PS. Ho deciso di aggiungere di volta in volta alla trama della storia qualche piccolo estratto del capitolo corrente, così, giusto per stimolare di più la vostra curiosità XD Chissà se avrà effetto… Starò a vedere!

 

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** #18 ***


 
Ace non fu il solo a svegliarsi.
Era difficile rimanere tra le braccia di Morfeo nonostante delle urla a squarciagola alle 4 del mattino suonate.
Marco aprì svogliatamente gli occhi sbattè le palpebre per qualche secondo prima di collegare cosa stesse succedendo. Il minuto successivo era vestito di tutto punto e si era precipitato fuori dalla cabina, sbattendo contro il petto nudo di un trafelato Ace che lo spinse via in malo modo.
La ciurma era stata svegliata dalle urla di una donna: non avevano faticato molto a rendersi conto che la voce apparteneva a Erin e, nonostante tutti si chiesero perplessi cosa stesse succedendo, il moro, Marco, Halta e il capitano avevano raggiunto immediatamente la cella sottocoperta nella quale la ragazza era momentaneamente rinchiusa, facendo cenno al resto dell’equipaggio di tornarsene a letto e che se ne sarebbero occupati loro.
Quando Ace giunse in quell’antro sporco e buio riconobbe subito Erin grazie al riflesso della luna sulla sua pelle imperlata di sudore. La ragazza urlava e si agitava sul pagliericcio, stringendo convulsamente il lenzuolo che lo ricopriva.     -   Lascialo! Vattene! – urlava nel sonno – Scappa, Xan! Va’ via!!! Il moro faticò un po' per trovare le chiavi della cella al buio. Intanto il capitano e i due comandanti rimasero bloccati sulla soglia, consapevoli del fatto che Ace sarebbe stato l’unico a capire la situazione e in grado di calmarla.
Una volta che l’ebbe spalancata, il ragazzo attraversò l’inferriata e si sedette sul pagliericcio accanto a Erin, scuotendola con poca grazia per le spalle.
    -    E’ solo un sogno, Erin! Svegliati, non è reale!
La ragazza aprì gli occhi di colpo, col petto che ancora faceva su e giù velocemente per la paura. Le ci volle qualche secondo prima di riconoscere chi fosse la persona accanto a lei, ma una volta che l’ebbe fatto gli si gettò tra le braccia, senza dire niente.
“ Si addormenta nei luoghi meno opportuni, nemmeno le cannonate lo svegliano. Eppure, lei urla nel cuore della notte, dall’altra parte della nave, e lui è già sul posto in un batter d’occhio” si ritrovò a pensare Marco, con un sorrisetto sulle labbra.
   -   Andiamo, - sussurrò Halta ai due, spingendoli leggermente per le spalle – Ace può cavarsela da solo.
 
Erin si era addormentata molto tardi quella notte, continuando a pensare al cosa fare – ma soprattutto al come farlo – l’indomani, cercando di capire se i suoi amici le avrebbero creduto, a cosa avrebbero pensato di lei. In quella pessima mezz’ora di sonno, poi, aveva sognato Akahito che torturava suo fratello per scoprire dove fosse nascosta.
Non aveva mai fatto sogni tanto crudi in vita sua, ma adesso la minaccia era incombente e Xan era davvero in pericolo.
Si vergognava di aver urlato e aver svegliato tutta la Moby Dick, però pensava anche che, se non l’avesse fatto, non avrebbe potuto godere del profumo, del calore e della sicurezza che solo Ace sapeva infonderle, anche solo abbracciandola e accarezzandole i capelli come stava facendo in quel momento.
 -  Questa ciurma è importante per me – esordì all’improvviso, fissandolo dritto negli occhi – E per questo motivo vi racconterò tutto.
Il ragazzo si limitò ad annuire con un sorriso, porgendole la mano per farla finalmente uscire da quella fredda cella.
 
Tutti i comandanti compreso lo stesso Barbabianca si erano riuniti nella cambusa, essendo questa la stanza più grande della nave, e avevano chiuso la porta.
Erin si sedette al centro della lunga tavolata torturandosi una ciocca dei suoi lunghi capelli, a disagio dalla presenza di tutti quegli occhi puntati su di lei.
Il primo a parlare fu il capitano: -  Mi dispiace che tu ti senta obbligata a farlo per forza, – disse, palesemente rammaricato della situazione – ma devi capire la situazione in cui ci troviamo. Abbiamo bisogno di comprendere, Erin. Dobbiamo sapere a che gioco stai giocando, se è di questo che si tratta – concluse Newgate posando davanti a lei la radio snail.
La ragazza si irrigidì e trasse un profondo respiro, chiudendo gli occhi per alcuni secondi per fare ordine nella sua mente.
 -  Mi chiamo Erin Hiroumi, sono nata il 10 settembre di ventuno anni fa nella terra sacra di Marijoa, figlia di due Draghi Celesti.
Fece una pausa. Tutti i presenti restarono immobili, con gli occhi spalancati. Per nulla sorpresa da quella reazione, Erin proseguì.
 -  Fino all’età di sei anni i miei genitori mi hanno adorata: passavo con loro la totalità delle mie giornate e crescevo proprio come ci si aspettava da una bambina del mio rango. Già a quell’età avevo imparato a leggere e scrivere alla perfezione, conoscevo tutte le basi dell’aritmetica e della geometria, la storia e la geografia. Sapevo suonare discretamente, cantare e ricamare, proprio come mi era stato insegnato. I miei genitori e istitutori mi ritenevano una prodigio, e questo non poteva che essere un motivo di vanto e orgoglio da parte della mia famiglia.
Purtroppo – o per fortuna, non saprei – la mia precocità mi portò a comprendere profondamente che c’era qualcosa di profondamente marcio in tutta la bellezza e il fasto che mi circondava. Dall’età di sei anni cominciai a chiedere a mio padre perché c’erano bellissime ragazze, una diversa quasi ogni giorno, che portavano dei collari di metallo, oppure chiedevo a mia madre come mai il cameriere che il giorno prima aveva distrattamente rovesciato sul tavolo un bicchiere di vino zoppicasse e avesse un rivolo di sangue che scendeva dalle tempie… E così venni a sapere che le persone da cui ero circondata e con cui giocavo persino, erano in realtà schiavi. Mi fu spiegato che sbagliavo ad affezionarmi, perché quelli erano esseri insignificanti che osavano respirare la mia stessa aria e che avrebbero potuto uccidere dal giorno alla notte solo per un semplice prurito di mani.
 
Barbabianca interruppe il racconto dando un poderoso pugno sul tavolo, facendo sussultare Erin e rovesciare il bicchiere d’acqua che Vista le aveva gentilmente messo davanti.
 -  Io non posso credere che tu sia davvero un Drago Celeste! – proruppe Halta sporgendosi verso di lei -  Come sei riuscita a vivere per tutta la tua vita in quella merda?!
 -  Halta, calmati, lasciala parlare – le disse Jaws, facendo poi a Erin un cenno con la testa.
 
 -  I miei genitori cominciarono a notare i miei strani atteggiamenti. Notarono le mie domande insistenti, il mio comportamento nei confronti dei camerieri, delle donne delle pulizie, dei miei istitutori… Io non ero come loro. E paradossalmente cominciati a passare con queste persone le mie giornate: loro mi raccontavano le loro storie e ho imparato tantissime cose. Ovviamente, per il bene che mi volevano, evitavano di parlarmi di cosa dovessero subire quotidianamente per colpa della mia famiglia, o del modo in cui fossero stati comprati come merce. Loro mi trattavano come una qualsiasi bambina vivace e curiosa, non come qualcuno a cui inchinarsi, e a mia volta io trattavo loro come persone e non come carne da macello. Per questo motivo i miei genitori mi portarono per la prima volta in una casa d’aste e assistetti per la prima volta alla compravendita di un essere umano. Acquistarono 3 schiavi, due uomini e una donna. Li portarono a casa e… - il suo sguardo, fino a quel momento impassibile, divenne buio e gli occhi le luccicarono.
 -  Cosa successe? – la incitò Marco, con dolcezza.
Lei deglutì e abbassò lo sguardo: -  … e poi mio padre li ha uccisi tutti e tre davanti a me, per farmi capire quale fosse il mio posto e quale il loro.
Halta si portò una mano alla bocca, scioccata, ed Erin sentì un sommesso brusio, mentre qualcuno si chiedeva come si potesse far assistere una bambina a scene del genere.
 -  Ok, adesso basta – si intromise Ace , alzandosi in piedi – Non devi parlarne per forza. E’ evidente che tutto questo sia molto doloroso per te. Anzi, è un vera montagna di merda a dirla tutta. Penso che nessuno qui continuerebbe ad assistere a questa tortura – concluse rivolto ai presenti, i quali annuirono in segno di empatia.
 -  No, io voglio finire. E’ importante – affermò la mora pensando che il peggio doveva ancora arrivare, al che Ace non potè che sedersi assecondando il suo volere -  Quando avevo sette anni successero due eventi fondamentali nella mia vita: ho conosciuto le due persone che hanno alleviato quell’inferno. Innanzitutto nacque  Xan, il mio fratellino, e in secondo luogo si presentò a casa nostra l’uomo che sarebbe poi diventato il nostro tutore. I miei genitori cominciavano a disprezzarmi, non riuscivano a ritenermi più come la loro degna erede, non capivano come potessi essere così diversa da loro. Tuttavia, e questa è l’unica lancia che potrei mai spezzare a loro favore, non sono mai stati indifferenti alla mia istruzione: per quanto potessero disapprovarmi, non avrebbero mai permesso che le mie potenzialità venissero sprecate così. Anche se secondo me lo hanno fatto solo per poter avere ancora qualcosa di cui potersi vantare con le altre famiglie, parlando di figli… - fece una pausa -  In ogni caso, dicevo, un giorno arrivò un uomo…
 
 
La piccola Erin aveva passato l’intero pomeriggio a fare versi strani e a sventolare dei peluche davanti al viso del suo appena nato fratellino, appoggiata in punta di piedi alla culla di un bianco splendente, sotto lo sguardo vigile di una signora grassoccia che lavorava ai ferri. Aveva sempre desiderato avere un fratello e da quando era nato stare con lui era la cosa che la divertiva di più: adorava guardarlo ridacchiare e fare quelle cose tenere che fanno i bambini come mordersi le dita dei piedi, aveva persino trovato vari modi per farlo smettere di piangere quando faceva i capricci. Tuttavia, quando sua madre entrò nella stanza dicendole che le avrebbe presentato qualcuno, posò il peluche accanto al piccolo Xan e la seguì fino all’atrio, dove suo padre era intento a parlottare con una persona.
I suoi genitori avevano visto un grandissimo numero di persone negli ultimi due mesi al fine di scegliere solo il meglio, solo la persona più competente di tutte per poter istruire la loro intelligente quanto ribelle figlia. Avevano varie valide alternative tra cui scegliere, una persona migliore dell’altra. Credevano quasi di aver deciso quando si presentò un ultimo candidato, una persona che non avevano mai visto prima, privo di referenze, di titoli e di qualifiche. Furono talmente colpiti dalla sua erudizione e dalla sua cultura che, nonostante tutto, non ebbero alcun dubbio.
Erin si fermò nell’atrio e rimase qualche secondo a osservare l’uomo con i suoi occhietti vispi: era un uomo abbastanza in là con gli anni, non poteva avere meno di sessanta anni; aveva una postura eretta e fiera e indossava un completo molto elegante formato da una giacca nera su una camicia bianca, attraverso i quali si poteva intuire un corpo muscoloso e resistente, frutto di duri allenamenti e molto lontano da quello che ci si aspetterebbe da uno della sua età; aveva i capelli grigi e corti, un viso abbronzato e segnato da poche rughe, prevalentemente attorno agli occhi, i quali erano azzurri e molto penetranti. Per qualche motivo, però, tutti quei dettagli non le sembravano nuovi, le sembrava di avere già visto quell’uomo da qualche parte, sebbene non ricordasse dove.
Non lo avrebbe mai ricordato, nonostante quell’impressione sarebbe rimasta sempre presente.
 -  Erin, – esordì suo padre – voglio presentarti il signor Sore, il tuo nuovo tutore. Da oggi lui si prenderà cura della tua istruzione e comincerai a studiare materie nuove e molto più complesse. E’ una persona che sa il fatto suo, ti ci troverai bene.
A quel punto Sore si abbassò per poter guardare negli occhi la bambina, la bambina per cui lui era effettivamente lì. Sorrise nel guardarla: era una splendida bimba con un caschetto castano, gli occhi verdi e una pelle diafana. La trovava adorabile inoltre col vestitino azzurro con i merletti bianchi. Dopotutto, avere una figlia era uno dei suoi sogni nel cassetto.
 -  Ciao Erin – disse gentilmente, stringendo la piccola manina della bambina nella sua – E’ un vero piacere conoscerti, sembri davvero molto sveglia! Sono sicuro che sarà un onore per me insegnarti tutto quello che so.
E se solo i suoi genitori avessero immaginato quanto quell’uomo avrebbe influito sulla figlia, forse sarebbero riusciti a evitare lo scoccare della campana a morto di quel briciolo di spirito da Drago Celeste che le rimaneva.
 
 -  …Tutto quel che ho di buono lo devo a  mio fratello e a Sore. Quell’uomo mi ha insegnato il valore della conoscenza, della libertà, della compassione… E’ l’unico che mi ha avuta a cuore per quello che ero, che ci tenesse davvero a me e che volesse vedermi libera.
 -  Sore… Sore… - ripetè a voce alta Newgate, accarezzandosi il mento -  Perché il nome non mi è nuovo?
Erin fece spallucce:  -  Purtroppo non ha mai voluto rivelarmi nulla del suo passato. Ha detto che l’avrebbe fatto un giorno, ma per ora tutto quello che so di lui lo so grazie ad altre persone, a cui arriverò a breve.
 
Ormai l’alba era passatala un pezzo, Erin osservò il sole del mattino filtrare attraverso le ampie vetrate della cambusa andando a finire proprio sul suo collo.
Ace ascoltava la storia della ragazza in religioso silenzio, cercando di trattenersi il più possibile dal correre da lei e stringerla tra le braccia, chiedendosi come potesse una persona vivere con macigni del genere sul cuore e perché, per quanto dolorosi, non li avesse condivisi con lui, come lui aveva fatto parlandole del suo passato.
 -  Passarono gli anni, - riprese Erin - io diventavo sempre più ribelle e cominciai ad approfondire i miei studi in medicina, mio fratello cresceva e diventava come me. I miei genitori si vergognavano e avrebbero fatto di tutto per sbarazzarsi di me, e l’occasione non tardò ad arrivare. E fu così che, quando avevo quattordici anni, conobbi Akahito.
Al moro bastò sentirne il nome per decidere che già gli stava sulle palle.
-  Dovete sapere che i miei genitori sono particolarmente avidi anche per gli standard dei Draghi Celesti: spendevano ogni giorno denaro per schiavi, inutili oggetti d’oro massiccio, armi… qualsiasi cosa. E senza capire come, anno dopo anno le nostre finanze si erano ridotte all’osso, nemmeno il “tributo celeste” bastava più. La loro fortuna era intrattenere stretti rapporti con persone ancora più potenti di loro, in particolare con uno dei cinque Astri di Saggezza.
Marco si strofinò gli occhi, incredulo:  -  Tutto questo potere mi da’ alla testa.
 -  Non capisco,  - si intromise Izo – gli Astri sono addirittura più potenti dei Draghi Celesti?!
Erin annuì: -  Hanno il potere di fare cose che altri nobili non possono fare, come ordinare un Buster Call. Sanno anche cose che nessuno sa, o meglio, che quasi tutti non sanno, per non parlare del fatto che sono ancora più schifosamente ricchi.
Barbabianca scosse la testa, profondamente disgustato.
 -  Akahito è l’unico figlio di quest’uomo. Lo conobbi quando i miei mi portarono con loro ad uno di questi incontri d’affari, ed io rimasi da sola nel cortile. Lui tentò di baciarmi e io gli diedi uno schiaffo. Non so cosa gli sia preso, ma da quel sviluppò un’ossessione morbosa per me… Lui ha sempre detto di amarmi, ma in realtà ha sempre desiderato solo possedermi, come se fossi una schiava, un suo oggetto. E così propose ai miei genitori di vendermi a lui: se loro mi avessero ceduta avrebbero ricevuto un lauto compenso, e in più si sarebbero potuti liberare finalmente di me, sperando addirittura in un possibile futuro matrimonio. Capite? Vendettero la loro figlia ad un uomo che nemmeno conoscevano, ma che sapevano benissimo essere dannatamente ossessionato da me.
Ace sentiva la temperatura del suo corpo alzarsi dalla rabbia. Marco, accanto a lui, sperò vivamente che il racconto non mettesse alla prova ancora di più l’autocontrollo del suo migliore amico, ma si sbagliava.
Erin strinse il suo ciondolo contenente la vivre card di Xan: -  Fui strappata dalla mia casa, dalle due persone che amavo di più, e mi ritrovai catapultata in un inferno completamente diverso…
 
 
Erin sedeva tra due uomini enormi e muscolosi all’interno della vettura che la stava portando al suo nuovo, terrificante futuro.
Aveva ancora gli occhi gonfi e arrossati dalle lacrime che fino a poco tempo prima aveva versato per salutare suo fratello e Sore, in uno dei momenti più strazianti della sua vita. Il suo sguardo spento era posato su un punto non meglio precisato dello splendido vestito di seta rossa che indossava. Aveva i capelli pettinati nell’acconciatura più bella che avesse mai visto, che contornava due guance rosee e un paio di labbra piene dipinte da un sottile velo di rossetto scarlatto. Si specchiò nel finestrino: era semplicemente bellissima. Era bella come un pacco regalo incartato con cura prima di essere scartato, con più o meno violenza.
La vettura si fermò e i due uomini la aiutarono a scendere davanti all’enormità della casa di Akahito.
Mentre il suo sguardo vagava su ogni dettaglio di quella maestosa villa, una voce molto vicina – troppo vicina – la colse alla sprovvista, quasi facendole perdere l’equilibrio, e comparve alle sue spalle Akahito in tutta la sua splendente regalità:
indossava una lunga pelliccia bianca a mo’ di mantello, aperta a rivelare un petto glabro e scolpito, guanti rossi, pantaloni neri e scarpe dello stesso colore di pelle lucida; i lunghi capelli biondi incorniciavano un viso perfettamente rasato e pallido, i cui gelidi occhi blu erano inchiodati nei suoi. A un certo punto le sue labbra piene si allargarono in un sorriso che la fece tremare da capo a piedi:  -  Benvenuta a casa, mia dolce Erin.
La ragazza restò immobile, limitandosi a reggere il suo sguardo, nonostante lui fosse parecchio più alto di lei. L’uomo le afferrò una ciocca di capelli e la portò vicino al viso, inebriandosi del suo profumo. Le posò la mano coperta dal guanto sul viso e col pollice strofinò le sue labbra, sporcandole il mento di rossetto. Si accorse che una lacrima aveva ripreso a scendere lungo in volto della giovane  e avvicinò prontamente  la bocca prima di raccogliere la scia salata con la lingua.
Akahito stava dando fondo a tutte le sue energie per trattenersi dal farla sua lì e subito, ma voleva decisamente assaporare il momento al meglio. Erin rimase scioccata da quel gesto e si pulì immediatamente con la manica del vestito, suscitando la risatina divertita del biondo.
A quel punto Akahito mise le mani nelle tasche dei pantaloni e le fece strada all’interno della villa, notando solo allora la grossa valigia che i due uomini che l’avevano scortata avevano è portato dentro. Lui si avvicinò all’oggetto e lo aprì senza nemmeno chiederle il permesso, notando che non conteneva abiti o effetti personali di prima necessità, bensì una valanga di libri.
 -  Cos’è questa roba inutile? Getta via tutto – ordinò ad una donna nelle vicinanze.
A quel commento, Erin strinse i pugni e decise di parlare, ferita nella sua intelligenza: - Se avessi mai letto un libro in vita tua capiresti che quella “roba” vale più di te, idiota!
Akahito si voltò verso di lei, molto lentamente. In una sola frase quella ragazzina gli aveva dato dell’idiota, dell’ignorante e del buono a nulla,e in quel momento si chiese se fosse davvero così intelligente come i suoi genitori dichiaravano.
Le si avvicinò in un istante  e le diede uno schiaffo così forte da farla cadere a terra.
 -  Con chi diavolo credi di avere a che fare, mocciosa – sussurrò abbassandosi, mentre la ragazza cercava di alzarsi lentamente, asciugandosi il sangue che le gocciolava dal naso. Le strinse il mento con forza tanto da farle male, avvicinandola al suo viso  -  Tu  adesso appartieni a me, ed io posso fare qualsiasi cosa mi vada di farti, in qualunque momento. Non scordarlo mai.
  -  Curatela, la voglio nelle mie stanze questa sera – disse infine rivolto a due ragazze della servitù, sparendo poi in un gigantesco corridoio.
 
Erin scoprì ben presto la disarmante gentilezza ed empatia che le due ragazze che l’avevano curata e cambiata possedevano, in particolare nei suoi confronti. Aveva scoperto che erano sorelle di ventisei anni e i loro nomi erano Sya e Kim, l’una rossa e l’altra mora, provenienti da Sabaody e acquistate in una casa d’aste due anni prima.
Quando le ebbero messo addosso una semplice camicia da notte bianca, la accompagnarono attraverso la villa verso la camera del suo – ahilei – padrone.
Si fermarono tutte e tre davanti alla porta e da que momento Erin cominciò a tremare. Kim, la sorella dai ricci capelli rossi, le accarezzò il viso con dolcezza.
 -  Tieni duro, tu sei più preziosa degli altri, andrà tutto bene – le disse invece Sya per tranquillizzarla, anche se Erin si chiese se le cose stessero davvero così.
Bussò, e dopo aver avuto il permesso, entrò nella stanza, ritrovandosi in uno degli ambienti più grandi che avesse mai visto. Era chiaro che il colore che il biondo prediligeva fosse il bianco: quasi ogni oggetto, dalle tende al marmoreo camino scoppiettante, ai vasi e ai  pezzi d’arte erano bianchi. Pochi elementi, come  il letto a baldacchino o il tappeto al centro della stanza, possedeva tocchi dal profondo e sinistro rosso carminio.
Akahito era appoggiato allo stipite del finestrone che portava al balcone, senza indossare la pelliccia che ora giaceva abbandonata su una poltrona accanto al camino. Aspettò qualche secondo prima di voltarsi a guardarla.
Erin era immobile al centro della stanza, rigida e con lo sguardo basso. Quando l’uomo si decise poi a guardarla, si avvicinò lentamente e le girò intorno, scrutandola senza alcun pudore. La ragazza si sentì profondamente intimorita da quello sguardo addosso e si irrigidì ancora di più quando lo vide togliersi i guanti con i denti e lo sentì armeggiare con i lacci del suo vestito, facendolo poi scivolare via dalle sue spalle fino al pavimento. Cercò invano di coprirsi con le mani alla bell’e meglio, ma lui glielo impedì.
Akahito continuò a girarle attorno, ammirando quel corpo giovane e poco pronunciato, ancora un po' acerbo, eppure così dannatamente sensuale.
 -  Sei bellissima Erin – le sussurrò sulle labbra, prima di baciarla con fervore. Schiacciò il petto nudo della ragazza contro il proprio, impossessandosi della sua bocca con la lingua e percependo tuttavia la rigidità della ragazza, che aveva strizzato gli occhi e cercava di allontanarlo con le mani.
A quel punto Akahito cominciò ad accarezzarle i seni e a stringerli con vigore, spingendola sempre più verso il letto fino a obbligarla a sedersi. Erin cercò di fare di tutto per non pensare a cosa sarebbe seguito, ma divenne difficile dal momento che il biondo aveva infilato un dito nella sua intimità, muovendolo sgradevolmente mentre continuava a baciarla e a tenerla ancorata al letto.
 -  Non voglio  - bisbigliò sulle sue labbra, fissandolo dritto negli occhi.
Akahito per un secondo si fermò:  -  Come dici, Erin?
 -  Ho detto che non voglio! – ripetè lei, cercando di alzarsi.
Il biondo la riafferrò per la vita sbattendola con poca grazia sul materasso e bloccandole i polsi sulla testa:  -  Mi dispiace che la pensi così, - le disse, fingendosi toccato  - ma sono sicuro che ti piacerà, tesoro.
Akahito scoppiò a ridere divertito, più eccitato che mai. La voltò velocemente a pancia in giù sul materasso, tenendole i polsi sopra la testa con una sola mano e togliendosi i pantaloni con l’altra. Mordendole con forza una spalla, la penetrò privo di delicatezza, facendole lanciare un grido di dolore.
Erin sentì un dolore acuto trafiggerla, ma decise di tenere duro. Non gli avrebbe dato questa soddisfazione, non avrebbe gridato. Mentre il biondi si muoveva velocemente dentro di lei gemendo senza ritegno, lei aveva stretto i denti, ripetendosi che prima o poi sarebbe finita.
Quando arrivò al limite si svuotò in lei con un grido, dopodichè si staccò, sudato e ansimante, e rotolò al suo fianco tenendo ancora saldamente il braccio attorno alla sua vita, nel caso le fosse venuta la malsana idea di scappare. Erin, invece, si accoccolò su un lato, asciugandosi le lacrime che avevano ricominciato a cadere copiose e cercando di non pensare alla fitta che sentiva in mezzo alle gambe.
Il biondo si sollevò su un gomito dietro di lei e prese ad accarezzarle la testa.
 -  Oh, Erin… Ci divertiremo tanto insieme.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
_________________
 
Buonasera, popolo di EFP.
Era da parecchi giorni avevo programmato questa giornata come quella in cui aggiungere le ultime cose al capitolo, revisionarlo e postarlo! A proposito, avrei voluto mettere l’intera storia di Erin in un capitolo solo ma mi sono resa conto che sarebbe venuto eccessivamente lungo, così ho pensato che fosse meglio spezzarlo in due.  Già così è un capitolo bello lungo, eh!
Ho una piccola chicca da appuntare: la data di nascita che ho scelto per Erin (10 settembre) è la stessa di Lady Godiva, bellissima nobildonna anglosassone che  secondo la leggenda prese le parti della popolazione di Coventry, che stava soffrendo per le tasse imposte dal marito. Con coraggio allora lei, sfidandolo, cavalcò nuda nelle vie della città, coperta soltanto dai suoi lunghi capelli. Il paragone con Erin mi è parso più che azzeccato!
Vi chiedo nuovamente (e purtroppo succede sempre, ahi-ahi) scusa per avervi fatto attendere un po’ troppo, non mi smentisco facilmente xD Spero comunque che il capitolo sia di vostro gradimento, ora che l’ingarbugliata vicenda della nostra Erin sta sciogliendo pian piano i suoi nodi, malgrado i brutti aneddoti…
Voglio ringraziare dal profondo del cuore tutti i tesori che leggono la storia e che continuano a perseverare nonostante i miei ritardi. Grazie di cuore a tutti voi che perdete il vostro prezioso tempo a recensire, siete stupendi *.*
Al prossimo capitolo (stavolta arriverà prima, davvero!), a presto!
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** #19 ***


 
 


Il lungo tavolo della cambusa fu nuovamente molto vicino a prendere fuoco, come stava accadendo più volte in quella giornata.
Una volta che Ace ebbe sentito il racconto della  prima volta di Erin, si alzò e uscì velocemente dalla stanza con un velo di fiamme che gli guizzavano dalle spalle e che stavano per incenerire, per l’appunto, il tavolo.
 - Ace! – lo chiamò Marco, seguendolo fuori dalla stanza per riportarlo dentro – Ace! Dove diavolo vai? – chiese parandoglisi di fronte.
Il moro lo guardò con uno sguardo che il ragazzo non gli aveva mai visto, e dovette ammettere che faceva paura.
 -  Vado a Marijoa a tagliare le palle a quel verme – affermò serio, dandogli una spallata per spostarlo dalla sua strada.
 - Ace, per la miseria! – il biondo a quel punto lo afferrò con violenza dalle spalle infuocate e lo sbattè contro la parete di una cabina, incrinandone il legno  - Non farai mica sul serio!
 - Mai stato più serio di così! – urlò fuori di sé – Ma hai sentito cosa le ha fatto?! Quel figlio di puttana e i suoi dannati genitori non la passeranno liscia, lo garantisco! Nessuno può ferire impunemente le persone che amo!
“ Ecco, lo ha detto”
 - E se dici di amarla ti sembra ragionevole andartene via così? Senza finire di starla a sentire? Senza capire le sue ragioni e ignorando tutto quello che ha fatto fino ad oggi? Eh? Rispondi!
Ace fece per rispondere ma non seppe cosa dire. A volte quell’idiota del suo migliore amico sapeva essere la voce di quella sua coscienza che, nella sua grandissima istintività, andava a farsi friggere.
 
Erin e i comandanti stettero per qualche secondo a fissare Ace infuriato che lasciava la cambusa seguito da Marco, ma immediatamente rivolsero lo sguardo alla ragazza che ora teneva la testa bassa, intenta a torturarsi le mani.
 -  Mi dispiace moltissimo, Erin… -  Newgate fu il primo a rompere il silenzio  - Io… Anzi, nessuno di noi poteva avere idea che fosse una situazione così dolorosa. Scusami per averti obbligata a parlarne.
Erin sollevò lo sguardo e fissò dolcemente il capitano, rivelando i suoi occhi gonfi e dalle profonde occhiaie: -  Non fa niente. E’ strano, sapete… - disse con un leggero sorriso – E’ la prima volta in vita mia che mi apro così tanto con qualcuno, che parli dei miei segreti più intimi. Se avessi saputo come ci si sente nel farlo, probabilmente l’avrei fatto già molto tempo fa…
A quel punto Halta le strinse una spalla con la mano, trasmettendole tutto il suo calore. Non era una ragazza molto brava a dimostrare affetto, ma conoscendola Erin aveva capito i profondi significati dei suoi piccoli gesti.
In quel momento Ace e Marco rientrarono nella stanza e chiusero la porta alle loro spalle, accomodandosi nuovamente di fronte alla ragazza.
 -  Perdonami per averti interrotto – le disse Ace gentilmente – Va’ pure avanti, se è questo che vuoi.
La mora annuì con un sorriso e proseguì.
 -  Dopo quella notte, ovviamente, ne susseguirono molte altre ugualmente spiacevoli… Tuttavia, oltre a continuare segretamente i miei studi, imparai a conoscere meglio Akahito, imparai quali erano le sue abitudini, i suoi passatempi, il suo ruolo all’interno della famiglia, i suoi punti deboli. Ma soprattutto, imparai a sfruttare tutto questo a mio vantaggio, perché se sperava che io restassi a fare la sua bambolina si sbagliava di grosso. In poche parole conquistai la sua fiducia e imparai a fare l’unica cosa che mi potrebbe permettere di restare in vita se il governo mi catturasse.
 - Cosa intendi dire? – chiese Marco – Ha a che fare col fatto che i marines ti danno la caccia?
Erin annuì nuovamente: - Voglio dire che presi da lui l’arma più potente che potesse mai offrirmi, pur senza volerlo, naturalmente.
Ace si sporse di più verso di lei, senza capire: -  Di che parli?
 - Segreti – dichiarò la mora, facendo una piccola pausa.
 - Segreti? – ripeterono tutti in coro.
 - Esattamente. Ho vissuto per circa due anni in uno dei posti più ricco di segreti che ci possano essere al mondo, persino per gli standard di Marijoa. Sfruttavo tutte le debolezze di Akahito nei momenti più… intimi, per così dire, per farmi rivelare cosa avesse fatto nella giornata, cosa stesse accadendo nel Nuovo Mondo e roba del genere. Quando suo padre, uno degli Astri per l’appunto, andava a trovarlo per parlare di affari io facevo in modo di origliare le loro conversazioni tutte le volte che ne avevo la possibilità. Quando lui dormiva, mangiava o usciva… In qualsiasi momento potessi mi intrufolavo nel suo studio per rubare informazioni.
 -  Porca miseria! – esclamò Halta, impressionata da tanta spavalderia – Per una cosa del genere ti avrebbero potuto uccidere in qualsiasi momento!
La ragazza fece spallucce: - Beh, non è che avessi molta scelta… Avrei potuto provare a scappare, cosa che ho provato a fare più volte quando ritenni di possedere abbastanza “armi”. Ma se l’avessi fatto subito sarei stata senz’altro catturata e uccisa e non avrei mai potuto permetterlo, per il bene di mio fratello.
Infatti, circa un anno dopo, ho provato a scappare varie volte ma sono sempre stata ricatturata e punita, naturalmente – detto ciò, Erin si sollevò e diede le spalle ai presenti, sollevanosi la maglietta senza vergogna e scoprendo completamente la sua schiena, rivelando la macabra mappa che tutti quei solchi e quelle ferite avevano creato.
 -  Cazzo… - mormorò Vista, permettendosi di avvicinarsi e sfiorare le cicatrici con la punta delle dita. Ace strinse i pugni rabbioso, ricordando la prima volta che le aveva viste insieme ad Halta, mentre il capitano e gli altri comandati rimasero in silenzio, solidali di fronte a tanta crudeltà.
Erin si abbassò la maglietta dopo qualche secondo e si sedette nuovamente, a sguardo basso.
 - Erin,- la interruppe Barbabianca – ci sono due cose che non capisco. Per prima cosa, il fatto che tu avessi informazioni riservate non avrebbe dovuto spingere quelle persone a farti fuori all’istante, piuttosto che a risparmiarti la vita? E poi, che genere di informazioni possono essere così preziose da mettere in ginocchio un Astro di Saggezza?
Erin lo guardò fisso negli occhi, tacendo per qualche secondo.
 -  Francamente, - disse, esitante – informazioni che avrei davvero voluto non sapere. Sto parlando del “segreto del mondo”. Parlo delle armi ancestrali nei cento anni di grande vuoto e di Raftel.
Silenzio.
 -  T-tu… - balbettò Ace, sbigottito.
 -  Tu c-conosci il segreto di One Piece?! – urlò Ace scattando in piedi e rovesciando la sedia.
 -  Sì.
Il capitano incrociò le braccia e sorrise:  - Capisco, ora è tutto più chiaro.
 - Anche nostro padre conosce la storia dei cento anni. Gli fu raccontata da Gol D. Roger in persona – disse Jaws pacatamente, apparentemente poco colpito dalla rivelazione della ragazza.
La mora guardò prima Ace, il quale strinse i pugni nell’udire il nome dell’uomo che lo aveva messo al mondo, e successivamente Newgate.
 -  Dice davvero? – disse  flebilmente, ricevendo un segno d’assenso dall’uomo.
 -  Loro non sanno nulla – spiegò il capitano, facendo un cenno verso i comandanti – Non voglio che lo sappiano, non avrebbe senso data la scarsa mole di informazioni attuali che possiedono. Scopriranno la verità solo quando sbarcheremo su Raftel e conquisteremo One Piece.
La ragazza annuì:  - Certe cose non ha senso che si sappiano subito, io avrei preferito non sapere nulla. In ogni caso, se non mi hanno immediatamente uccisa è perché la penultima volta che provai a scappare riuscì a incontrare una persona, la persona che mi ha regalato quella radio snail per tenermi in contatto con mio fratello – disse rivolgendosi a Izo, il quale prontamente abbassò lo sguardo -  Devo premettere che la mia famiglia aveva stretti rapporti con la Marina, e comunicava spesso con i vertici così come faceva con gli Astri di Saggezza. In particolare, il tramite attraverso cui avvenivano questi contatti era l’ammiraglio Kuzan Aokiji.
 - Come immaginavo… - sussurrò Barbabianca, incrociando le braccia al petto possente.
 -  Presumo che voi tutti conosciate l’operato di Kuzan. E’ una delle poche persone in quel mondo che apprezzo e che mi abbia aiutata. Fin da bambina, ogni volta che veniva a casa nostra, mi incoraggiava ad andare avanti per la mia strada con attenzione, a distinguermi, pur sapendo quanti guai questo mi avrebbe portato.
Lo incontrai nuovamente quando scappai e mi diede anche un registratore: io registrai tutto quello che sapevo, tutte le informazioni che avevo raccolto in quei mesi, tutta la verità. Poi,  a suo enorme rischio e pericolo, prese il registratore  e lo nascose.
 -  Lo nascose? – domandò Halta, mentre un brusio si diffuse velocemente nella stanza.
 -  Esattamente. Decidemmo insieme un posto molto preciso e lui vi andò per nascondere il registratore. E’ un luogo difficile da trovare, ma non così impossibile. Immaginate cosa accadrebbe se qualcuno lo trovasse…
Quando fui ricatturata mantenni il silenzio ma naturalmente fui punita. A modo suo – un modo malato e possessivo - Akahito mi amava e non mi avrebbe mai uccisa. Poco tempo dopo, finalmente, Sore mi chiamò e mi disse che aveva trovato un modo per aiutarmi a scappare. E così una notte venni a sapere che Sore in passato era stato un rivoluzionario, e a prendermi venne niente poco di meno che Dragon il Rivoluzionario.
Marco per poco non sputò l’acqua che stava bevendo.
 -  E’ una storia che intreccia così tante vite che sembra avere dell’impossibile – obiettò Izo, ancora un po’ scettico.
Erin sospirò:  - Vi giuro che è la verità. Quella notte scappai da Marijoa verso Baltigo e lasciai un biglietto ad Akahito, in cui rivelai l’esistenza di una registrazione scomoda e dicendo che avrei fatto in modo di fargli sapere l’esatta ubicazione dopo 5 anni, solo se mi avesse lasciata libera. Naturalmente lui riprese a darmi la caccia e contemporaneamente lanciò un’indagine parallela per contro proprio per trovare il registratore. Conoscendomi sapeva che non avrei mai mentito su una cosa del genere, e nessuno, nemmeno suo padre sa dell’esistenza della registrazione. Se lo venisse a sapere immaginate quanti problemi gli cadrebbero addosso! L’erede di uno degli Astri si era fatto fregare da una ragazzina! Quanta vergogna deve provare…
Spera di trovare me e quell’affare prima che lo faccia qualcun altro e si fida molto di Kuzan, sono stata estremamente fortunata in questo. 
 -  Però! – esclamò Marco battendo le mani – Gran bel colpo!
Ad Erin scappò una risata ed Ace fu lieto di vederla ridere, era bellissima:  - Cosa hai fatto dopo? – chiese poi.
 -  Beh, ho vissuto due anni a Baltigo, sotto la protezione di Dragon… Da lui ho scoperto che Sore in realtà si era infiltrato a Marijoa per cercare informazioni, e invece si è affezionato a me e ha fatto di tutto per farmi diventare migliore delle persone che mi avevano messa al mondo. Ho riferito ai Rivoluzionari tutto quello che sapevo perché se c’è qualcuno a questo mondo che può cambiare le cose, io credo siano proprio loro. Li ho conosciuti bene, ho conosciuto meglio Sabo, uno dei fratelli di Ace, – disse facendo un cenno verso il moro – e ho tantissima fiducia in quelle persone.
Poi ho desiderato andar via, volevo trovare un modo per ricongiungermi a mio fratello e a Sore, dovevo andare a cercarli. Purtroppo però ho incontrato tantissimi ostacoli: la piccola imbarcazione che Dragon mi aveva regalato non resse per molte tempeste. Feci diversi lavoretti per guadagnarmi il pane ogni giorno e comprare una piccola nave, ma se non erano sufficienti mi intrufolavo a casa di qualcuno e ne approfittavo per lavarmi, fare scorte di cibo e medicinali. E se ancora questa strada non era attuabile, non mi rimaneva che una sola cosa da fare… - concluse, abbassando il capo – Sapete, non vado fiera di tutto quello che ho fatto, ma non avevo altra scelta.
 -  Non preoccuparti, - disse Ace dolcemente, accarezzandole una mano – Nessuno qui pensa che sia colpa tua, non devi giustificarti.
 -  Ha ragione, per la miseria! – confermò Marco, dandole una pacca sulla spalla.
 -  Vi ringrazio… - mormorò la mora, asciugandosi una lacrima che le era sfuggita e ringraziando il cielo di aver trovato degli amici così  - Comunque, - riprese, facendosi forza un’ultima volta - per arrivare alla conclusione di questo lunghissimo racconto,  stavo fuggendo dalla Marina quando sono salita sulla nave, era l’unica possibilità di salvezza che intravedevo.
 - Per nostra fortuna, direi – aggiunse Jaws, a cui tutti diedero ragione.
 - Già, mi sono trovata nel posto giusto quando ce n’era bisogno!
 - E quindi, correggimi se sbaglio, se ora vuoi andar via è per tuo fratello e il tuo mentore, dico bene? – domandò Ace.
 -  Esatto, è proprio qui che volevo arrivare. Quando prima sono uscita ho incontrato Kuzan! Sono corsa poi subito alla nave per prendere la radio snail  e avvisare Sore! Aokiji mi ha detto che Akahito ha perso la pazienza e ha intenzione di usare Xan contro di me! A breve lo andrà a prendere dalla nostra casa e probabilmente lo sbatterà in una cella senza possibilità di vedere mai più la luce del sole, e tutto per attirarmi a Marijoa da lui! E io non posso… - a quel punto non ce la fece più e scoppiò a piangere, mentre le parole si impastavano con le lacrime – Non posso permettere che gli faccia del male! Lui è tutto quello che ho! Io… io devo trovarlo, mi manca così tanto!
Marco ed Ace si guardarono e dopodichè rivolsero lo sguardo verso il capitano, il quale scoppiò presto in una fragorosa risata:  - Gurararara! E’ qui che ti sbagli, principessa! - Erin sollevò gli occhi gonfi verso di lui, chiedendosi cosa volesse dire – Non sei mica sola in questa impresa. Guardati intorno! – gridò esultante allargando le braccia a indicare tutti i comandanti – Guarda quanti compagni che ti rispettano hai trovato, compagni che darebbero la vita per te come tu hai fatto per loro, guarda le persone che ti amano, anche se credo che qualcuno lo faccia più degli altri… - disse furbetto, ammiccando in direzione di Ace che arrossì di colpo  – Tu non sei sola nelle tue battaglie e non lo sarai più, è questo che forse non hai ancora capito.
Fu un attimo. Erin sentì un profondissimo calore nel petto, sentì gli occhi bruciare. Non se ne rese conto ma fu subito dall’altra parte del tavolo e abbracciò forte quell’omone enorme, la cui forza era grande solo quanto il suo cuore.
 - Grazie! – singhiozzò come una bambina – Grazie infinite!!!
I comandanti stessi si commossero a quella scena e si avvicinarono per contribuire a quell’abbraccio così importante, che segnava finalmente l’inizio di un nuovo capitolo per lei.
Solo Ace e Izo restarono in disparte. L’uomo vestito da geisha aveva lo sguardo basso e i pugni stretti lungo i fianchi, non riuscendo a sopportare lo sguardo bollente del moro posato su di sé. Si rese conto di aver preso un grosso, grossissimo granchio, ed Ace non stava facendo altro che suggerirgli di assumersene la responsabilità.
Fece un passo avanti, pronto ad agire di conseguenza, ma un rumore alle sue spalle lo fermò e fece girare tutti verso il tavolo.
“  -Birubirubiru birubirubiru -”
Erin sgranò gli occhi e fissò Newgate. Solo dopo che ebbe ricevuto un segno di assenso si pulì velocemente gli occhi e si avvicinò alla radio snail, sollevando la cornetta.
 - Pronto?
Una vivace vocina adolescenziale riempì la stanza, così come alla ragazza si riempirono nuovamente gi occhi di lacrime.
 - Erin!
 - Xan! Ciao tesoro mio! Dio, quanto mi sei mancato! – urlò singhiozzando, col terrore che potesse perdere i contatti da un momento all’altro – Xan, ascoltami! Dovete scappare! Kuzan mi ha detto che Akahito vuole usarti per arrivare a me! Tu e Sore dovete lasciare Marijoa immediatamente!
 - Erin, noi abbiamo già lasciato Marijoa!
Tutti i comandanti ed Erin per prima sgranarono gli occhi in gesto di meraviglia.
 -  Come sarebbe a dire? Non siete più a Marijoa?!
 -  No, siamo partiti da una settimana ormai, abbiamo potuto chiamarti solo ora per essere sicuri di essere sufficientemente lontani. Sore ha sentito papà parlare con Akahito, ecco perché sapevamo già tutto!
La ragazza si lasciò cadere di peso sulla panca, tirando un sospiro di sollievo: - Grazie al cielo… Sore è lì con te?
 - Certo! Aspetta, ora arriva – si sentì un leggero frusciare per qualche secondo, dopodichè una voce molto più profonda risuonò per la stanza – Erin?
 -  Sore! Non hai idea di che gioia sia sentire di nuovo la tua voce!
 -  Credo di saperlo invece, bambina mia. Erin, dove sei adesso?
La ragazza guardò per un secondo le persone che la circondavano e poi disse fiera:  - Sono sulla nave di Barbabianca, l’uomo più forte del mondo!
Si riuscì a distinguere un rapido movimento dall’altra parte della cornetta prima che Xan urlò:  -  Barbabianca hai detto!? Wooooah!!! Quello è fortissimo! Dicono che riesca a polverizzare una montagna con un pugno e che riesca ad annientare una flotta di duecento corazzate lanciando lui stesso le palle di cannone!!!
 -  Gurararararararararara!!! – schiamazzò Newgate, con le lacrime agli occhi per le risate – Mi piace il ragazzo! – commentò, ed Erin non potè non mettersi a ridere, seguita a ruota da Ace e gli altri.
Sore riprese presto la parola: -  Sulla nave di Barbabianca hai detto?! Erin potrebbe essere molto pericoloso!
 - No, no! – si affrettò a chiarire – Sono nostri amici Sore, possiamo fidarci, affiderei loro la mia vita!
 - Che sollievo! Se lo dici tu allora va bene… Ascoltami bene, Erin, noi saremo sull’isola di Tars, nel mare occidentale, fra tre giorni. Vi è possibile raggiungerci?
La ragazza guardò i comandanti e subito Ace prese una mappa da un tavolo lì vicino e vi diede un’occhiata, controllando il suo log pose. Dopo pochi secondi esclamò radioso: - Siamo vicinissimi! Ci vorranno massimo cinque giorni a vele spiegate!
Erin sussultò, non riuscendo a credere che avrebbe rivisto due delle persone che amava più di tutto al mondo e che non vedeva da così tanto tempo:  - Sore,  aspettateci, ci vedremo presto all’isola di Tars!
 
 
 
 



__________
 
Buonasera a tutti!
Dai dai, stavolta sono stata brava, non mi si può dire nulla u.u Solo due giorni di ritardo rispetto alla data che mi ero prefissata. Spero di non fare più figuracce e tornare dopo mesi ^.^’’  Però oh, l’importante è essere ottimisti!
Duuunque, ora finalmente la storia del passato di Erin è completa e senza buchi, chissà come sarà l’incontro tra lei e il suo dolce fratellino…
Siete curiosi? Beh, lo scopriremo nel prossimo capitolo!
Grazie di cuore a voi tutti che tenete la storia in considerazione con tanto ardore, non siete stupendi, di più!! *.*
Alla prossima e tanti baci!
 

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** #20 ***


 

Una volta che Erin ebbe messo giù la cornetta del lumacofono riuscì a percepire chiaramente un gigantesco macigno che le si sollevava dallo stomaco.
Trasse un profondo respiro e si asciugò gli occhi, provati e arrossati dall’enorme stress che rivelare completamente il suo passato aveva comportato.
Si era ormai fatto mezzogiorno: il suo lunghissimo racconto aveva portato via l’intera mattinata.
 -  E’ meglio che tu vada a riposare ora – disse Halta, prendendola per un braccio e aiutandola ad alzarsi.
 -  Grazie Halta, ma sto bene – ribattè la mora, senza tuttavia opporsi realmente.
 -  Devi risposare Erin, non hai dormito per tutta la notte e hai un aspetto terribile. Non preoccuparti, ci penseremo noi a spiegare la situazione al resto dell’equipaggio! – disse infine rivolgendosi al moro – Ace, va’ con lei.
Il ragazzo spostò lo sguardo dall’una all’altra, prima che Halta gli si avvicinasse e si sporgesse in punta di piedi: -  Ho l’impressione che anche voi due dobbiate parlare un po’…
Il ragazzo fissò per qualche secondo Erin, provando solo a immaginare cosa avesse voluto dire vivere nei suoi panni. Era sicuro che non avrebbe più permesso che rivivesse cose del genere, avrebbe fatto qualsiasi cosa per impedirlo. Sperò solo di riuscire a mantenere la promessa.
Erin si avvicinò alla porta della cambusa prima che una grossa mano la bloccasse per il braccio. Si voltò e trovò l’enorme viso di Barbabianca a un palmo dal suo. Dopo qualche secondo il vecchio le sorrise bonario e le porse in mano la sua radio snail:  -  Non vorrai dimenticare questa, il tuo adorabile fratellino potrebbe richiamare, gurararara!
 -  Oh, grazie Ed.
 -  Ora va’, riparleremo meglio della faccenda dell’incontro quando avrai ripreso un po' di forze. Sono stati giorni molto faticosi per te, ti meriti un po’ di riposo in un letto più comodo del pagliericcio di una fredda cella. Ti farò portare qualcosa da mangiare.
La ragazza si rigirò l’oggetto tra le mani, percependo chiaramente la stanchezza e il peso della nottata gravare sulla sua testa. Si congedò con un leggero inchino e lasciò la stanza, seguita da Ace.
 -  Anche noi dovremmo tornare alle nostre occupazioni! – proruppe Marco richiamando l’attenzione generale – Questa bagnarola non si manda avanti da sola. Lasciamo il cuoco a fare il suo mestiere in santa pace.
Qualcuno lanciò qualche imprecazione, ma alla fine tutti i comandanti fecero per uscire dalla cambusa. Il capitano, invece, restò comodamente seduto con le braccia incrociate e un piede poggiato al bordo della gigantesca panca di legno.
Pronunciò una sola parola, sufficiente  a far ghiacciare sul posto un certo pirata che cercava di rimandare quella conversazione il più tardi possibile.
 -  Izo.
L’uomo vestito da geisha si irrigidì sul posto e sollevò gli occhi al cielo, conscio però che la ramanzina gli toccava eccome. Sospirò e chiuse la porta della cambusa, avvicinandosi a Barbabianca.
 -  Avanti papà, dillo.
 -  Io ti conosco, figliolo. Non ho bisogno di dirti proprio niente che tu non capisca da solo. Sai quello che devi fare – disse soltanto, con una fierezza e austerità che era propria solo di un grande uomo come lui.
Izo annuì a testa bassa e si diresse verso la cucina, sperando quanto meno che un buon piatto di bistecca e patate lo aiutasse a farsi perdonare.
 
Quando Erin ed Ace giunsero nella cabina di quest’ultimo, la ragazza si sedette a peso morto sul letto, beandosi della sua morbidezza.
 - Nulla a che fare con la mia ultima sistemazione provvisoria – commentò ironica rivolta verso il ragazzo, il quale si appoggiò col bacino alla scrivania e la fissò impassibile.
Erin si guardò le ginocchia e si torturò per un po' le mani, non sapendo esattamente come il moro avesse reagito realmente per quella vicenda, non sapendo cosa dirgli e non riuscendo a reggere il suo sguardo.
 -  Ace, senti… Io –
 -  Sei stata molto coraggiosa – la interruppe Ace, cambiando repentinamente espressione  e allungando gli angoli della bocca in uno straordinario sorriso che le fece girare la testa – Ecco, non solo per tutto quello che hai fatto finora, perché posso solo immaginare quanto sia stata dura vivere in una situazione del genere. Ma parlo anche di quello che hai fatto oggi. Sei stata molto coraggiosa a parlarne, si vedeva che la cosa ti ha messo addosso delle difficoltà – concluse avvicinandosi di più. Quando fu a un passo da lei le accarezzò la guancia con le dita ed Erin chiuse gli occhi per qualche secondo, beandosi del calore che solo la vicinanza del moro riusciva a infonderle.
-  Mi dispiace, Ace – disse poi alzandosi dal letto – Il fatto che io non te l’abbia detto prima… Non era una mancanza di fiducia, credimi. E’ solo che, ecco, non ce l’ho fatta… - tentennò evasiva, abbassando lo sguardo.
A quel punto Ace le sollevò delicatamente il mento, obbligandola a fissarlo:  - Sono io che dovrei chiederti scusa per non averti creduta – sussurrò fissandola dritto negli occhi, notando le pupille della ragazza che si dilatavano sempre di più, pur essendo ancora lucidi e arrossati per l’impegnativa giornata trascorsa.
Erin scosse il capo, sollevando il braccio per accarezzargli una guancia, prima che lui la stringesse a sé. In un attimo il ragazzo azzerò la distanza tra le loro bocche, inabissandosi finalmente in quel bacio che entrambi bramavano come ossigeno.
La ragazza fece scorrere la mano dietro la nuca del moro, passando quelle ciocche corvine tra le dita mentre le loro lingue si divertivano in un famelico gioco di incastri.
Solo allora si resero davvero conto di quanto quei contatti fossero stati desiderati da entrambi, che non ne avrebbero mai potuto fare a meno. Ace, accaldato ancora di più del suo solito, indietreggiò verso il suo letto e vi si sedette attirando Erin a cavalcioni su di sé. Senza interrompere il bacio, posò entrambi i palmi delle mani sui suoi fianchi, risalendo sotto la maglietta per lambire interamente la schiena della giovane, resa ruvida a causa di tutti i solchi che le cicatrici le avevano lasciato.
Erin storse il naso a quel contatto. Aveva appena condiviso con tutti i suoi più intimi segreti, aveva ricordato tutto in una volta i momenti più brutti della sua vita come non faceva da anni. Ace continuava a baciarla con passione, le sue dita insistevano su ogni cicatrice, lentamente percorrevano quella rosea mappa marchiata sulla sua pelle, proprio come era solito fare qualcun’altro non molti anni prima.
Aprì gli occhi e fu lì, per una frazione di secondo, che davanti a lei vide Akahito.
Ace sentì Erin cacciare un grido e alzarsi di scatto dalle sue ginocchia, arretrando fino a sbattere violentemente con la schiena al muro:  - Erin!
La ragazza si limitò a fissarlo tremante, le gambe non la ressero più e si lasciò scivolare lungo la parete mentre il moro le si accovacciava vicino.
 - M-mi dispiace! – balbettò Erin, cercando disperatamente lo sguardo di Ace, del suo Ace – Scusami, non volevo! E’ solo che anche lui faceva così! A lui piaceva guardarmi e toccarmi la schiena mentre mi violentava, mi faceva sentire inferiore e gli dava l’idea che fossi una sua proprietà! – disse di getto, con la voce tremante e impastata dalle lacrime. Il momento dopo si sentì inondata dal calore del corpo di Ace che la strinse forte a sé, accarezzandole i capelli e la schiena:  - Shh, va tutto bene! Tu adesso sei qui, con me, e  sei al sicuro. Nessuno ti farà più del male Erin, te lo prometto, ci sarò io a proteggerti!
Erin si sciolse a quelle parole: affondò il viso nel collo di Ace,  respirando a fondo il suo odore di salsedine e di libertà e si lasciò andare ad un pianto liberatorio. Nonostante tutto, non si era mai sentita così bene. Tra le braccia dell’uomo che amava, protetta e al sicuro, senza più segreti, senza più macigni. Finalmente, con tutte quelle lacrime riuscì ad eliminare molto di più.
Ace, dal canto suo, strinse ancora più forte quell’esile corpo, continuando ad accarezzarlo e baciandole i capelli, la fronte, le guance. Solo quando la sentì calmarsi la prese tra le sue forti braccia e la adagiò sul letto, stendendosi accanto a lei: -  Per oggi direi che questa testolina abbia già lavorato abbastanza – disse, picchiettando con l’indice sulla fronte di Erin, la quale arricciò il naso stizzita.
 -  Guarda che la mia testolina non smette di lavorare a comando, come sembra che faccia quella di voi uomini – ribattè, incrociando le braccia sotto il seno.
 - Sarà, - rispose il moro, stendendosi con le braccia dietro la testa – ma a voi donne a un certo punto comincia a fare brutti scherzi. Vedi adesso, per esempio. Sei addirittura riuscita a resistermi – affermò orgoglioso gonfiando il petto, prima che un cuscino gli si spiaccicò sulla faccia.
 -  Di’ un po',  Portgas D. Ace, da dove esce tutta questa vanità? – chiese la giovane con un sorrisetto divertito, osservando il moro che si puntellava con i gomiti sul materasso -  Cosa ti fa credere di essere così irresistibile?
Ace si passò una mano tra i capelli, con un movimento che evidenziò il suo collo, le braccia muscolose e il fisico statuario:  - Diciamo che ho una certa esperienza – si gongolò, sottintendendo con quei gesti un chiarissimo “Devo davvero risponderti?”.
Erin, tuttavia, pensò bene di rispondere nuovamente con la sua nuova arma, quindi scagliò il cuscino su di Ace che però riuscì a parare il colpo. Con il braccio con cui aveva deviato il cuscino, afferrò il polso della ragazza con una mano e il fianco con l’altra e la spinse sul letto, mettendosi a quattro zampe sopra di lei.
 -  Se andiamo avanti così questo diventerà un vero e proprio campo di battaglia – disse lui con una vena di malizia nella voce, guardandola con occhi languidi e vogliosi. Erin rispose allo sguardo col lo stesso desiderio, conscia di avere davanti a sé Ace e lui soltanto, che mai avrebbe fatto quello che le aveva fatto Akhaito. Che l’avrebbe protetta e amata, che non l’avrebbe mai lasciata sola.
 - Nel caso non lo avessi capito ti ho appena dato una cuscinata, ti ho ufficialmente sfidato a duello – disse fiera, sorridendo.
Ace guardò per un attimo i polsi della ragazza, bloccati dalla sua ferrea presa,  dopodichè le si rivolse nuovamente dicendo:  -  E come intendi fare in questo stato, sentiamo.
 -  Mi pare ovvio, – lo canzonò lei, imitando la sua voce  - ti farò cadere ai mie piedi, abbagliato dallo sfavillante splendore del fascino piratesco del grande Ace Pugno di Fuoc-
Prima che potesse concludere la frase, il moro la interruppe con un bacio appassionato. La ragazza ridacchiò di tanto ardore e rispose, incatenando nuovamente la sua lingua a quella del moro. Quando Ace le ebbe lasciato liberi i polsi, Erin posò delicatamente le mani sulle quelle guance tempestate di efelidi, attirandolo ancora di più verso di sé. Sentiva di desiderarlo da impazzire, almeno quanto lui desiderava lei: c’era però qualcosa che ancora non andava. La sua mente era concentrata su Ace, ma il suo corpo non stava collaborando. Si sentiva rigida, il suo basso ventre pareva non provare in quel momento lo stesso della sua mente.  Tuttavia percepiva chiaramente l’eccitazione del moro contro la sua coscia, e fu per questo che fece una smorfia di disappunto quando percepì l’intensità del bacio diminuire e le labbra di Ace allontanarsi pian piano dalle sue.
La ragazza aprì gli occhi, trovando il moro, ancora sopra di lei, che le sorrideva con uno sguardo adorabile, lontano da quello malizioso che aveva assunto solo pochi minuti prima.
 -  E’ tutto ok? – sussurrò Erin, con un leggero affanno dovuto alla foga dei loro baci.
Di tutta risposta, il sorriso di Ace si allargò ancora di più e, prima che lei potesse protestare, quest’ultimo si spostò da sopra di lei sedendosi al bordo del letto.
 - Certo, è tutto ok – disse dolcemente, accarezzandole una gamba – Solo voglio che tu sappia che ero serio prima. Non voglio che tu ti senta obbligata a fare qualcosa che non hai voglia di fare, mai più. E ora mi sembra che sia così.
Erin si bloccò di sasso di fronte  a tanta premura. Non potè che abbassare lo sguardo:  -  Mi dispiace… E’ solo che…
-  Oggi è stata una giornata difficile per te. Ti abbiamo fatto rivivere cose a cui non avresti mai voluto ripensare, lo capisco. E lo rispetto -  concluse, sporgendosi verso di lei per baciarla nuovamente, stavolta con rinnovata dolcezza.
 -  Grazie, Ace – sussurrò Erin abbracciandolo stretto, prima che fossero interrotti dal bussare di qualcuno alla porta.
Il moro si staccò di malavoglia da quell’abbraccio e aprì la porta della cabina, trovandosi davanti un rammaricato e visibilmente imbarazzato Izo con in mano un vassoio colmo di cibo.
 -  E tu che diavolo ci fai qui? – chiese irritato il moro, appoggiandosi allo stipite.
 -  I-io pensavo c-che Erin avesse fame, ecco, così ho pensato di portare la cena – balbettò l’uomo in preda alla vergogna, trovando quell’impresa più difficile del previsto.
 -  Beh, grazie – mormorò atono Ace, strappando il vassoio dalle mani di Izo -  Ora che l’hai fatto puoi anche andare.
 -  Ace! – lo rimproverò Erin, comparendo alle sue spalle e spostandolo dalla porta con poca grazia  - E’ tutto apposto qui, anche Ace stava giusto andando a cenare, vero?  – osservò infine, facendo al moro un palese cenno con gli occhi e prendendogli il vassoio.
Il ragazzo scosse la testa e uscì dalla stanza, fissando Izo con degli occhi ridotti a una fessura:  -  Ti tengo d’occhio, fratello – lo minacciò con uno sguardo di fuoco, prima di allontanarsi verso la cambusa.
 -  Devi scusarlo, - aggiunse Erin, rivolta all’uomo vestito da geisha – lo conosci meglio di me, è molto protettivo.
 - Lo so, è così con le persone a cui tiene – ammise Izo, entrando nella cabina una volta che lei gli ebbe fatto cenno di accomodarsi. La seguì con lo guardo, osservandola posare il vassoio sulla scrivania e quasi leccarsi le labbra alla vista di tutto quel cibo: - Wow, mi ci voleva proprio! Sto morendo di fame! Ti ringrazio del pensiero, Izo!
L’uomo si stupì della reazione della giovane: l’aveva fatta rinchiudere in una cella disgustosa, accusata di tradimento e le aveva fatto rivivere un passato terrificante. Ma, nonostante tutto, lei si comportava come se nulla fosse. Lo aveva ringraziato per il cibo e stava mangiando con gusto un onigiri più grande di lei, lo aveva invitato a entrare nella cabina nonostante suo fratello avesse voluto dargli un pugno in faccia e aveva quello straordinario dono di mettere tutti a proprio agio con lei, sempre.
 - So cosa stai pensando – mormorò la ragazza, mandando giù un boccone di carne -  Ma vedi, il rancore non mi appartiene.
 -  Io sono terribilmente dispiaciuto -  confessò Izo, facendo un inchino con le braccia tese lungo i fianchi -  Non avevo idea di come stessero le cose. Temevo solo che potesse esserci pericolo per la mia famiglia. Ti chiedo scusa, Erin, spero sinceramente che tu possa perdonarmi.
Di tutta risposta, Erin gli tirò una coppetta da sakè che lui afferrò al volo. Dopodichè la giovane si alzò afferrando la bottiglia di sakè dal vassoio e gli si avvicinò sorridente, riempiendo la coppa che teneva in mano.
 -  Anni fa sono stata su un isola dove un tale mi disse che tutti i malintesi si possono risolvere bevendo sakè dalla stessa coppa – spiegò, dopodichè prese la coppa dalle mani di Izo e bevve tutto d’un fiato metà del suo contenuto, tossicchiando con una smorfia subito dopo.
 - Dio, questo sakè sembra fuoco liquido! – commentò leggermente schifata, porgendo il contenuto all’uomo.
Izo non parve pensarci due volte, e con un sorriso divertito bevve l’altra metà del liquido chiaro, schioccando poi la lingua in segno di apprezzamento.
 -  Halta sarebbe stata capace di scolarsi la bottiglia in un sorso solo!
Erin rise di gusto al pensiero, sorridendo poi soddisfatta in direzione dell’amico:  - Visto? Ti ho già perdonato, Izo. L’hai fatto per il bene della tua famiglia! Questo non può che farti onore, ai miei occhi.
Restarono in silenzio per un po'. Erin si sedette alla scrivania, continuando a mangiare affamata, Izo si poggiò contro l’armadio a braccia conserte, pensieroso.
 -  Cosa hai intenzione di fare una volta arrivati a Tars? – domandò una volta che la ragazza ebbe finito di mangiare – Non pensi possa trattarsi di una trappola?
Erin si lasciò scivolare contro lo schienale, incrociando le braccia al petto mentre rifletteva sulla domanda che le era stata posta.
 -  Sinceramente, non lo so – ammise, prendendo a giocare con una ciocca di capelli – Ci avevo pensato in effetti. D’altra parte, però, se Sore si è affidato a Dragon per aiutarlo nella fuga non credo abbiamo molto di cui preoccuparci. Tuttavia, io credo che Akahito stia cominciando a nutrire sospetti su Kuzan. Se così fosse, non c’è molto altro da poter fare se non fuggire e nascondersi – spiegò la mora, non mascherando la sua preoccupazione a riguardo – Tempo fa stabilimmo che se Akahito lo avesse incriminato, Kuzan avrebbe rivelato l’ubicazione esatta del registratore, in modo da alleviare la gravità delle azioni commesse. E’ giusto così.
Izo annuì, sospirando per la complessità di quella ingarbugliata situazione.
 - Dunque, per rispondere alla tua domanda, – puntualizzò lei -  sarà meglio che io scenda da sola. Non voglio mettere in pericolo nessuno di voi.
 -  Non esiste! – sbottò Izo – Io sicuramente scenderò con te, è il minimo che possa fare. Ace verrà per forza e di sicuro anche qualcun altro!
 -  Avanti non fate così! – protestò Erin parandoglisi di fronte  - E’ la cosa più ragionevole da fare! Tanto è me che vogliono! Voi non le conoscete quelle persone!
 -  Ho detto che non se ne parla! – ribadì Izo, irremovibile nella sua decisione.
 -  Ha ragione lui – si intromise Ace, facendoli voltare verso l’uscio -  Tu non sei un pirata, Erin. Tu sei calma e logica e razionale. Noi no, siamo impulsivi e testardi – affermò avvicinandosi a lei – Per cui non c’è montagna che tu possa smuovere che mi impedirà di scendere con te, qualsiasi cosa succeda.
Erin sopirò sconsolata, conscia che non avrebbe mai potuto dissuadere quei pazzi da una decisione già presa. Nonostante tutto, però, quella scelta non le dispiacque affatto.
 
 
 
Tre giorni dopo, la notte prima di approdare sull’isola di Tars, Erin non riusciva proprio a prendere sonno.
Dal giorno in cui aveva rivelato il suo passato alla ciurma, il suo rapporto con loro era migliorato ancora di più. Tutti contavano su di lei, le si affidavano come medico e come compagna. Il suo rapporto con Ace, inoltre, era finalmente sincero, privo di segreti e senza la minaccia incombente che la ragazza sparisse da un momento all’altro.
Erin si rigirò più volte nel letto, ormai sull’orlo di una crisi di nervi nell’attendere le braccia di Morfeo che tardavano ad abbracciarla. Si voltò verso l’oblò e scorse la luna piena che brillava in un cielo senza nemmeno una nuvola. Stanca di stare senza far nulla e per non svegliare Ace che dormiva accanto a lei, si alzò dal letto e decise di uscire sopra coperta, per godere quanto meno della meravigliosa visione del mare.
Una volta giunta sul ponte di comando si diresse a poppa e si sedette sul pavimento con la schiena contro la balaustra, scrutando le onde scure infrangersi contro lo scafo. In verità, il motivo per la quale la giovane non riusciva a prendere sonno era quella sensazione di avere un nodo allo stomaco dovuto a un misto di adrenalina, ansia e alte aspettative per la mattina seguente. Non stava più nella pelle di rivedere due delle persone al mondo che più amava: si chiedeva quanto fosse cresciuto Xan, se l’avesse superata in altezza, se Sore avrebbe apprezzato come era diventata, se avrebbero potuto essere felici da quel momento in poi. D’altra parte però non poteva fare a meno di pensare che fosse tutto troppo bello per essere vero: la verità era che aveva terribilmente paura. Paura di essere catturata dal governo, senza poter più rivedere suo fratello, i suoi amici e l’uomo che amava, paura che potesse essere fatto loro del male.
Estrasse la vivre card di suo fratello dal ciondolo che portava costantemente al collo, assicurandosi che puntasse proprio verso la prua della nave. Allisciò con le dita il pezzo di carta e sorrise, mentre la brezza notturna le provocò un brivido lungo la schiena. Era uscita sul ponte indossando solo una maglia che le arrivava fin sotto il sedere e gli slip, senza curarsi molto della possibilità di trovare qualche membro della ciurma, dopotutto era notte fonda. Cercò di coprirsi un po' di più le gambe con la maglietta prima che qualcuno le mise addosso una camicia a fiori.
Erin lanciò un grido, rendendosi subito conto che Ace era salito con lei sul ponte a tenerle compagnia.
 -  Shh! Non vorrai mica svegliare tutti! – disse il moro, sedendosi con la schiena appoggiata ad uno degli alberi della nave.
 -  Merda, mi hai spaventata! – ribattè piccata la ragazza, stringendosi di più nella camicia.
 -  Che ci fai qui da sola? Avresti quanto meno potuto coprirti un po'.
 -  Non riesco a dormire. E poi non credevo fosse così fresco – ammise, gattonando poi verso di lui posandogli la testa sulla spalla.
 -  Si vede proprio che non sei abituata alla vita in mare – osservò Ace con una risata, beccandosi un leggero pugno sul fianco -  Che c’è? Guarda che è vero!
Erin chiuse gli occhi e non disse nulla per un po', persa com’era nei suoi pensieri. Il moro le prese una mano nella propria, decidendo che quel silenzio era ormai diventato più di quanto lui fosse in grado di tollerare.
 -  Allora, me lo dici che hai? – chiese gentilmente, spostandosi un poco per guardarla negli occhi.
 -  Io ho paura, Ace. – confessò la giovane con un sospiro.
 -  Di che cosa hai paura?
 -  Di tutto. Che sia tutto una stupida illusione. Domani potrebbe succedere qualsiasi cosa, potrei mettervi in pericolo.
 -  Erin, - disse lui serio, prendendole il viso tra le mani – non ti succederà niente. Né a te, né a Xan e Sore, né tantomeno a noi. Ci penserò io a proteggerti, te lo prometto.
La ragazza annuì distrattamente, sperando che il moro avesse ragione. Cullata dal suono delle onde, dal calore e dall’aura protettiva che Ace emanava, dopo qualche minuto si addormentò profondamente.
 
Fu svegliata all’alba dal viavai di gente che transitava sul ponte, intenta a compiere le manovre per l’attracco sull’isola. Aprì gli occhi del tutto quando sentì qualcuno bussare con insistenza alla porta: - Erin! Erin, svegliati, siamo arrivati!  - la voce familiare di Halta le arrivò così ovattata da farle credere che stesse sognando. Si mise a sedere rendendosi conto di essere nel letto di Ace, benché lui non ci fosse. Doveva averla accompagnata in camera una volta addormentata.
 - Ma che…? – mormorò distrattamente, alzandosi per raggiungere la porta della cabina.
Halta reggeva un mantello nero lungo fino ai piedi e glielo porse: -  Ace si sta preparando, abbiamo attraccato proprio adesso. Sei pronta?
La mora annuì decisa:  -  Certo, arrivo subito.
Si vestì velocemente con una maglietta verde e dei pantaloncini bianchi e indossò il mantello, dirigendosi poi dagli altri sul ponte. Marco e Jaws erano intenti ad abbassare la passerella , mentre Barbabianca e Izo, anch’esso coperto dalla stoffa nera, discutevano di qualcosa che il comandante teneva in mano.
La ragazza si avvicinò al capitano e fu subito raggiunta da Ace, il quale si avvolse nel mantello. Diede uno sguardo all’isola e si rese conto che era abbastanza piccola, con una sottile lingua di spiaggia che sembrava circondare una fittissima vegetazione. In particolare, si trovavano in una zona dalla quale la porzione di spiaggia a vista era molto poca, di conseguenza anche la nave sarebbe stata nascosta dagli alberi fino a che non le si fosse andati sufficientemente vicino.
 -  Oh, Erin, eccoti qui – la chiamò Newgate, mostrandole l’oggetto che aveva in mano – Abbiamo attraccato in questa zona in modo da essere il meno visibili possibile. Tu, Izo ed Ace scenderete a terra e andrete alla ricerca della tua famiglia, loro ti proteggeranno in caso di necessità. Questo è un razzo di segnalazione, voglio che lo tenga tu nel caso le cose dovessero mettersi male. Noi vedremo il segnale  e accorreremo subito, è tutto chiaro?
 -  Chiarissimo – rispose Erin, infilando il razzo nella cintura e sistemandosi il cappuccio sulla testa.
Si avviò subito  verso la passerella seguita da Ace e Izo, i quali si guardarono intorno titubanti prima di dare l’ok per mettere piede sulla terraferma.
Decisero di percorrere il perimetro dell’isola: il luogo dell’appuntamento non era stato definito in modo preciso, di conseguenza sembrava ragionevole credere che si sarebbero incontrati lungo il litorale, di certo non nell’entroterra.
Erin estrasse la vivre card e la appoggiò sul palmo della sua mano, notando che questa si spostava verso sinistra:  - Per di qua – annunciò, indicando la strada.
-  Resta dietro di noi, è più sicuro – si raccomandarono entrambi i due uomini precedendola.
Proseguirono per una dozzina di minuti, in silenzio, seguendo gli spostamenti del pezzetto di carta. Nonostante non sembrava esserci anima viva su quell’isola apparentemente disabitata, la ragazza sentiva una strana sensazione. Non riusciva a fare a meno di guardarsi alle spalle, sentendosi osservata. Si trattava solo di sesto senso, forse dovuto alle poche ore di sonno, ma non riusciva proprio a stare tranquilla. Inoltre i due ragazzi davanti a lei sembravano non avere gli stessi dubbi, continuavano a chiederle se la direzione fosse giusta e osservavano i dintorni guardinghi: Izo camminava con la mano sulla pistola che teneva legata alla cintola, Ace era pronto a sputare lingue di fuoco da ogni parte del corpo.
Dopo aver fatto un altro po’ di strada, Erin sentì un fruscio tra gli alberi e fu abbastanza sicura di non esserselo solo immaginato. Si bloccò di colpo e si voltò del tutto in direzione degli alberi, assottigliando gli occhi per vedere meglio attraverso quelle fittissime fronde. Si avvicinò lentamente alla vegetazione e, nel momento in cui stava per entrarvi, sobbalzò spaventata nel sentire Ace chiamarla a gran voce: - Erin! Erin, ci sono delle persone laggiù!
La ragazza si sporse in direzione dei due, lanciando un’ultima occhiata agli alberi prima di correre verso di loro e constatare che, a circa 500 metri, si intravedevano due sagome sfuocate dal sole che cominciava a farsi più cocente.
 - Xan… - mormorò Erin con gli occhi lucidi – Xan! – urlò successivamente a gran voce, togliendosi il cappuccio dal capo e cominciando a correre con quanta più forza potesse verso quelle due figure.
 - Erin! Aspetta! – gridarono in coro Ace e Izo correndole dietro:  -  Merda, è impazzita?!
La ragazza non ne volle sapere di fermarsi. Più si avvicinava e più riusciva a distinguere chiaramente le fattezze di suo fratello e del suo tutore, i quali cominciarono anch’essi a correre in loro direzione.
 - Xan! Sore! Sono io! Sono Erin! – urlò ancora a squarciagola, asciugandosi le lacrime che le scivolavano lungo le tempie per il troppo correre. Le facevano malissimo la milza e i polpacci, ma non le importava affatto: ancora poche decine di metri e li avrebbe finalmente riabbracciati.
Ace, alla volta di Erin, riuscì poco dopo a distinguere una ragazzino e un uomo decisamente possente e abbronzato venire verso di loro: intuendo dalle loro espressioni che si trattasse delle persone che cercavano, fece cenno a Izo di rallentare:  - Sembra che siano loro,  ma stai all’erta – ordinò il moro, osservando finalmente la ragazza buttarsi a terra in ginocchio, stringendo a se un ragazzino che piangeva disperatamente. L’altro uomo li raggiunse pochi secondi dopo, e anche lui con uno sguardo carico di commozione si lasciò cadere in ginocchio, stringendo con affetto i due fratelli ritrovati.
Izo sorrise a quella scena, mettendo una mano sulla spalla di Ace per intimarlo ad avvicinarsi, sicuro che anche Erin desiderasse la sua vicinanza in un momento così importante.
 
 
Poco distante, tra le fitte fronde degli alberi, un uomo ridacchiò mestamente e prese un lumacofono dalla tasca della lunga giacca bianca che teneva appoggiata sulle spalle. Dopo aver composto il numero, attese qualche secondo prima che la voce di un giovane uomo rispondesse.
-  E’ proprio come pensava lei, signore. E’ in compagnia di Ace Pugno di Fuoco e della ciurma di Barbabianca. Proprio ora si è ricongiunta con il fratello e il tutore – spiegò con aria impigrita l’uomo sollevando poi il dito indice, il quale si illuminò di una intensa luce gialla, in direzione di Ace -  Ce li ho sotto tiro.
Dall’altra parte della cornetta, il suo interlocutore sorrise irritato e si ravviò i lunghi capelli biondi. Camminò con il lumacofono in una mano verso l’ampia vetrata della stanza, la quale era affacciata in un gigantesco giardino ricco di fiori di ogni specie e colore. Poggiò il pugno chiuso contro il vetro e strinse i denti, metabolizzando l’informazione ricevuta: -  Con Pugno di Fuoco, eh? No, lascia perdere. Continua a seguirli come hai fatto finora, ho in mente qualcosa di meglio per riprendermi quello che mi appartiene.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
___________
 
Eeeehhh sono tornata!
In ritardo imbarazzante come sempre, ma ormai penso ci abbiate preso l’abitudine ^-^’’ Spero vivamente che nel valga la pena per voi aspettare i miei capitoli! Ringrazio come di consueto i miei lettori, recensori e… ìnsersori? Insomma, ogni volta mi riempite il cuore di felicità e mi fate capire che vale la pena, almeno per me, continuare a scrivere questa storia! *.*
A presto!
 
P.S. Mi sono presa la libertà di provare a disegnare Erin per come la immagino nella mia testa e… bho, a voi i commenti xD  Fatemi sapere nelle recensioni cosa ne pensate, voi cosa avreste immaginato di diverso? O di uguale? (Siate clementi, i manga non sono il mio forte, gulp >.<)
 

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** #21 ***


 
 
Erin non avrebbe saputo dire da quanto tempo era in quella posizione, inginocchiata ad abbracciare Xan e Sore e piangendo come mai aveva fatto in vita sua. Fosse per lei sarebbe rimasta così per una vita, tanto era felice di essersi finalmente ricongiunta a loro.
Si staccò qualche secondo dalla morsa d’acciaio del fratellino solo per poterlo guardare meglio e vedere quanto fosse cresciuto: era diventato più alto e le arrivava più o meno al collo, ma nonostante non avesse più il viso paffuto e candido che aveva da piccolo, non resistette a mettergli i palmi aperti sulle guance e a riempirlo di baci in fronte e sul naso, proprio come faceva quando erano bambini.
 -  Waaaaa – protestò lamentoso Xan, pulendosi subito con le maniche della maglietta quel mix di lacrime (sue ma anche di Erin), saliva e sudore dovuto alla corsa. Non aveva mai sopportato il modo in cui la sua sorellona solesse agguantargli la faccia per sbaciucchiarlo in quel modo -  Onee-chan!! Non ho più sette anni! Sono grande ormai, e che cavolo! – replicò poi, mettendo in chiaro già da subito che il fatto che non si vedessero da quasi sei anni non voleva certo dire che doveva ancora essere trattato da marmocchio.
Erin si mise le mani sulla pancia e scoppiò a ridere fragorosamente osservando l’aria imbronciata che aveva assunto Xan, con le sopracciglia corrucciate e il labbro inferiore più sporgente dell’altro:  -  Scusa, scusa! Non ho davvero potuto resistere! – ammise asciugandosi le lacrime che finalmente si erano calmate.
Si alzarono lentamente in piedi, sebbene la ragazza provasse un lieve intorpidimento delle gambe e le ginocchia un po' dolenti. Una volta in piedi si fiondò tra le braccia di Sore, il suo adorato mentore.
 - Accidenti, quanto sei diventata bella, Erin-san! – disse l’uomo ricambiando con affetto quella stretta, prendendo ad accarezzarle i capelli in modo paterno.
Erin sollevò la testa verso l’alto per fissarlo, dopodichè rispose: - Tu hai molti più capelli bianchi, Sore!
L’uomo ridacchiò divertito e, indicando Xan, disse: -  Tutta colpa di questa piccola peste che mi fa invecchiare prima del tempo!
 -  Eh?? Ma se hai più di settant’anni! – replicò l’accusato puntandogli il dito contro, offeso.
 -  Cosa c’entra, ne dimostro quaranta per quanto sono in forma!
 -  Ma smettila! Ti brucia solo il culo perché stai invecchiando!
 -  Ehi, ehi! Chi ti ha insegnato a parlare così?! – si intromise Erin allibita, mollando uno scappellotto sulla nuca del fratello.
 -  Ahia! E’ stato lui! – rispose Xan indicando Sore.
L’uomo sgranò gli occhi sentendosi tirato in causa: - Ma questo non è vero! – ribattè, spaventato dallo sguardo omicida di Erin -  C-cioè, mi è sfuggito… Solo una volta!
Ace e Izo, intanto, non capirono se sentirsi commossi per il loro incontro o scoppiare a ridere per quella comica messinscena familiare.
 - Ma secondo te faranno sempre così? – chiese Izo, avendo scelto la seconda opzione.
 -  Non saprei, ma sono uno spasso! – rispose il moro ridendo, osservando la ragazza rimproverare il suo tutore fingendosi sconvolta, quasi come fosse lei la più grande lì. La osservò poi scoppiare a ridere e allargare nuovamente le braccia per stringerli a sé. Non conosceva Erin da molto tempo, ma avrebbe giurato di non averle mai visto l’espressione che aveva in quel momento: era la prima volta da quando la conosceva che la vedeva così felice, e non potè non soffermarsi a fissarla qualche secondo di più del necessario per ammirare quanto fosse ancora più bella.
Xan, accortosi solo allora della presenza degli altri due in lontananza, si allontanò dall’abbraccio di Erin e assottigliò gli occhi per guardare meglio i due loschi figuri incappucciati che pedinavano sua sorella.
 - Onee-chan, il tizio con la pistola e quello che ti fissa con la faccia ebete sono con te? – chiese allora senza troppi complimenti. Si poteva dire tutto di suo fratello, tranne che non fosse un ragazzino senza peli sulla lingua.
Erin si girò a fissare i suoi compagni e sorrise in loro direzione, ridacchiando sotto i baffi nello scorgere Ace scuotere la testa per riacquistare lucidità e grattarsi la nuca.
 - Sì, sono miei amici. Venite, ve li presento – disse, dopodichè si avviò con loro al seguito non appena ebbero recuperato i loro zaini.
Ace e Izo videro i tre venire verso di loro e poterono finalmente guardarli per bene: l’uomo era una figura alta e imponente, con un robusto fisico proporzionato e forte. Aveva gli occhi chiari, i capelli neri tinti qua e là di ciuffi bianchi e un viso abbronzato e decisamente con pochissime rughe rispetto agli anni che sembrava avere. Se non avessero saputo di essere dalla stessa parte, certamente i due ragazzi erano convinti che avrebbero avuto delle rogne ad iniziare un combattimento con lui.
Il più piccolo, invece, era un ragazzetto magrolino e apparentemente molto agile e sveglio. Aveva gli occhi verdi e i capelli castani, come la sorella, che guizzavano ribelli verso l’alto mentre un ciuffo ricadeva sulla fronte. Dalla sua espressione, Ace giurò che fosse anche una ragazzino estremamente vivace, con l’aria di uno che sfiderebbe persino Dio e che, probabilmente, vincerebbe anche. Indossava una maglia nera a maniche lunghe e si avvicinava spavaldo con le mani nelle tasche di un paio di pantaloni verde militare che gli arrivavano al ginocchio, mentre ai piedi portava degli stivali neri alti sino alla caviglia
Una volta che li ebbero raggiunti, Erin sfiorò affettuosamente la mano di Ace, il quale          ricambiò stringendole gentilmente il polso e accarezzandole una spalla da sopra il mantello, cercando di non farsi vedere dalla famiglia di Erin, con scarsi risultati. Non per nulla, ma la massiccia figura di Sore che aveva così tanto un atteggiamento paterno verso Erin e suo fratello che lo fissava diffidente lo avevano messo a disagio. La ragazza non si accorse delle turbe interiori di Ace e si mise di lato, allungando la mano a indicare i suoi compagni: - Xan, Sore, vi voglio presentare due delle persone che in questi ultimi mesi-
 - Aspetta! – la interruppe Xan, avendo messo a fuoco i volti dei due – Ma io li conosco! Tu sei Izo della ciurma di Barbabianca! – squittì Xan sovraeccitato girandogli intorno, incredulo che sua sorella fosse veramente in compagnia della ciurma di uno dei quattro imperatori. Credeva che gli avesse mentito al lumacofono solo per farlo stare tranquillo e sapendo quanto lui amasse i pirati.
Si soffermò poi davanti ad Ace e la sua espressione mutò completamente, senza più alcuna euforia: -  E tu sei Portgas D. Ace, quello che prende fuoco – disse atono con sufficienza, fissando il moro negli occhi con aria scocciata. In realtà, dentro di sé, non stava nella pelle di conoscere  Pugno di Fuoco, uno dei suoi pirati preferiti in assoluto. Di persona era persino più figo di come appariva nell’avviso di taglia. Però quel bellimbusto aveva accarezzato sua sorella, e sua sorella gli aveva sorriso, e lui poi aveva fatto gli occhi dolci a sua sorella! E come si permetteva quel tizio di toccare sua sorella senza il suo permesso di fratello? Queste cose erano l’ A B C, e che cavolo! Se si sentiva in diritto di farlo solo perché era un pirata famoso si sbagliava di grosso, eccome se si sbagliava.
Ace, dal canto suo, guardò dall’alto in basso il marmocchio che lo fissava con le braccia incrociate al petto, come uno che la sa lunga. Si era tutto impettito quando il ragazzino aveva detto di conoscerli, si era sentito come una rockstar a passeggio per le strade di un paese dimenticato da Dio che viene fermato da un fan per un autografo, però poi era rimasto di sasso con un sorriso tirato a metà quando quest’ultimo si era rivolto a lui con quello sguardo di superiorità.
 -  V-veramente io creo e manipolo il fuoco, non prendo fuoco… Il mio è un frutto Rogia – puntualizzò il moro sbattendo più volte le palpebre, sentendosi in dovere di farlo poiché la descrizione del moccioso l’aveva fatto sembrare un idiota auto-piromane.
Xan lo liquidò bellamente con un gesto della mano e si voltò rivolgendosi ad Erin, la quale era ancora più meravigliata di Ace della reazione del fratello:  - E dunque da qualche parte c’è la Moby Dick? Con Barbabianca e tutti i comandanti?! – chiese con rinnovata euforia.
 -  Sì, certamente! Anzi, sarà meglio lasciare questo posto il prima possibile – rispose Erin, incamminandosi con gli altri sulla via del ritorno.
Mentre camminavano, Sore aveva fatto un inchino verso Ace e Izo presentandosi educatamente, con Xan troppo intento a trotterellare attorno a quest’ultimo riempiendolo di domande sul grande Barbabianca.
Erin allora approfittò della distrazione del fratellino per avvicinarsi ad Ace.
 - Non so cosa gli sia preso, da quel che so lui va matto per i pirati forti come te! – gli sussurrò facendo spallucce e allargando le braccia.
Ace si voltò di soppiatto verso Xan e sobbalzò nell’accorgersi che questi lo stava nuovamente osservando con gli occhi ridotti ad una fessura.
 -  Mi spaventa! Sembra voglia farmela pagare cara per qualcosa! Ma poi, che ho fatto? – piagnucolò sconsolato. Insomma, pensò che per essere il primo incontro col fratello della sua ragazza –sua ragazza?- non sembrava avesse fatto scintille.
Erin si coprì la bocca per sopprimere una risata: -  Non mi dire, Portgas D. Ace ha paura di un ragazzino di tredici anni?
Il moro non cedette a quella provocazione e ghignò, destabilizzandola con un sinuoso colpetto di fianchi:  - Quante volte devo dirti che se scherzi col fuoco finisci per scottarti? – le sussurrò con uno sguardo provocatorio.
 -  E’ così divertente che potrei abituarmici – rispose lei incrociando le braccia sotto il seno e sollevando un lato della bocca verso l’alto, con aria di sfida.
Ace le si avvicinò, dimenticando per un momento che non erano soli, e si sporse verso le labbra della ragazza per darle un bacio. Erin ridacchiò e chiuse gli occhi facendosi più vicina, prima di sentirsi sospinta con forza in avanti da suo fratello, inibendole ogni possibilità di scambiare effusioni col moro.
 -  Oneeee-chaaaaan! – cantilenò suo fratello appendendosi al suo braccio e sorridendole a trentadue denti – Abbiamo così tanto da raccontarci! Mi sei mancata da morire!
Le perplessità iniziali di Erin a quella spinta che per poco non la faceva cadere sulla sabbia svanirono presto, presa com’era ad abbracciare Xan e a raccontargli come aveva fatto a finire sulla Moby Dick.
Ace rimase per la seconda volta come uno stoccafisso con la bocca ancora pronunciata in un bacio, suscitando l’ilarità di Izo che si resse la pancia per il troppo ridere.
 - Qualcuno è un po' geloso! – commentò Sore divertito in direzione di Ace, sorpreso e anche sollevato di scoprire che la sua adorata figlioccia era innamorata di niente poco di meno di Ace Pugno di Fuoco, il comandante della seconda flotta di Barbabianca. Fu felice di sapere che era stata in buone mani negli ultimi tempi, non solo protetta dall’uomo più forte del mondo e conosciuto in ogni angolo del pianeta, ma persino dall’amore di uno dei suoi comandanti. Non sapeva naturalmente che genere di rapporto avessero quei due, ma era palese da come si guardassero quanto fossero forti i sentimenti che li legavano, l’aveva notato nell’istante in cui si erano avvicinati, sebbene i due credevano che lui non se ne fosse accorto.
 - Smettetela di ridere voi due! Non è divertente! – urlò Ace in loro direzione, ottenendo solo che le loro risate aumentassero.
Sospirò sconsolato e riprese a camminare cercando di ignorarli, mentre davanti a sé Erin e Xan si raccontavano di tutto con la stessa allegria e trasporto di due comare che non si vedono da una vita. Si vedeva che avevano un rapporto molto stretto prima che si separassero e nonostante non fosse stato amore a prima vista con Xan (come del resto non lo era stato con Erin, a ben pensarci) gli bastava sapere che Erin era felice per potersi sentire in pace, e andava bene così.
 
 
 
***
 
 
 
Intanto, a Marijoa, l’ammiraglio Aokiji aspettava da circa mezz’ora nell’atrio di una villa a lui ormai infelicemente familiare.
Allungò di più le gambe per sgranchirsi un po' e incrociò le braccia al petto, accomodandosi meglio su quel divano di pelle immacolata e attendendo che qualcuno lo andasse a chiamare. Aveva fin troppo chiaro in mente il motivo per cui era lì, sapeva che non ci sarebbe voluto molto prima che quel giorno arrivasse, solo che immaginava di poter macchinare le cose ancora un altro po'.
Ad un certo punto vide un ragazzo di bell’aspetto e vestito in modo elegante che si avvicinava nella sua direzione. Aveva decisamente difficoltà a ricordare i volti dei domestici in quella casa gigantesca: c’erano così tante cose da fare lì dentro per mantenere la dimora in condizioni degne di un principe che la servitù era estremamente numerosa e ogni volta che vi si recava notava un nuovo arrivato. Non che non sapesse, anche, che il cambio così frequente del personale dipendeva dal fatto che spesso quei poveracci venivano uccisi per i più insignificanti motivi.
Vi erano volte in cui l’ammiraglio odiava davvero tanto quel lavoro: sia chiaro, non l’essere un Marine, era fiero di lavorare per la giustizia e di rendere servizio alla sua nazione difendendo i più deboli contro le angherie dei pirati più spietati, però non riusciva a tollerare che la Marina prendesse ordini da quella schifosa oligarchia che spesso e volentieri si preoccupava solo dei propri, di interessi.
I suoi pensieri furono interrotti dal ragazzo che gli si fermò davanti e con un educato inchino annunciò:  -  Voglia cortesemente seguirmi, Aokiji-sama.
Kuzan si alzò sistemandosi al meglio la giacca bianca sulle spalle e si tolse la mascherina da notte dalla testa, riponendola con cura nella tasca. Seguì il giovane lungo il corridoio che sapeva condurre allo lo studio privato di Akahito, zona off-limit per chiunque alloggiasse in quella residenza se non invitati direttamente dal proprietario.
Il ragazzo aprì la porta della stanza e fece un mezzo inchino rivolto verso l’ammiraglio, facendogli cenno di entrare con la mano e richiudendo poi la porta alle sue spalle.
Akahito era fermo davanti alla vetrata che dava sul giardino, la quale occupava quasi una parete intera, dava le spalle alla porta ed indossava la sua adorata pelliccia bianca, con le mani guantate nelle tasche degli eleganti pantaloni neri.
 -  Desiderava vedermi, signore? – chiese Kuzan con voce ferma e sicura, come si addiceva ad una persona del suo calibro.
Il biondo si prese qualche secondo per rispondere. Si voltò lentamente e si avvicinò alla lucida scrivania di ebano che occupava il centro della stanza e che da sola poteva valere quanto cinque dei suoi stipendi.
 - Siediti – gli ordinò il biondo perentorio, accomodandosi anch’egli sulla poltrona rossa in pelle. Sembrava proprio avesse un diavolo per capello quel giorno, e lo sguardo omicida che gli rivolse destabilizzò per un attimo la sicurezza che aveva mostrato appena entrato nella stanza.
 - Ho una sola domanda per te, Kuzan – proseguì Akahito serissimo, poggiando i gomiti sul legno e sporgendosi verso di lui – Pensavi davvero che non avrei scoperto tutte le stronzate che mi hai rifilato per tutti questi anni? – concluse fissandolo col ghigno poco rassicurante di qualcuno che se avesse avuto un pugnale in mano non ci avrebbe pensato due volte a sventrarti.
Aokiji lo fissò serio, appoggiando la schiena contro la poltrona e accavallando le gambe: - A dire il vero no, signore. Ero certo che lo sarebbe venuto a scoprire prima o poi.
Il biondo lo fissò impassibile per qualche secondo, prima di scoppiare a ridere istericamente ed accasciarsi all’indietro sulla poltrona.
 - Tu sì che hai una bella faccia tosta, Kuzan! Hai fegato! Non hai paura di dire quello che pensi, proprio come quella deliziosa bambolina che hai aiutato a scappare per tutto questo tempo. Ed è solo perché mi piaci che non ti faccio a pezzi seduta stante.
Aokiji storse il naso a quel commento, chiedendosi se l’uomo sapesse che nemmeno per il figlio di un Astro di Saggezza fosse così semplice fare a pezzi un ammiraglio.
 - E dimmi, – continuò, poggiando i talloni delle scarpe sulla scrivania, come se non fosse fatta del legno più pregiato al mondo – non ti ha sfiorato nemmeno per un secondo, quando l’hai aiutata a scappare da questa casa, che potesse rappresentare un pericolo per la stabilità e l’equilibrio del mondo in cui sia io che tu viviamo?
 -  Non sono stato io a farla scappare da Marijoa, signore. Per quanto io trovi la cosa disgustosa, la nostra legge impone che uno schiavo, o comunque qualcuno acquistato da qualcun altro, come Erin in questo caso, è a tutti gli effetti proprietà dell’acquirente. Pertanto aiutarlo a fuggire sarebbe l’equivalente di rubare. E’ contro la legge ed io sono un Marine, non avrei mai potuto fare una cosa del genere, per quanto lo avessi desiderato vedendo quanto Erin ne soffrisse. E’ stato Dragon il Rivoluzionario a portarla via da Marijoa.
 - Ah, ma davvero? – chiese il biondo sgranando gli occhi per la sorpresa, conoscendo abbastanza Kuzan e la legge per non dubitare che stesse dicendo la verità – Non smetterà mai di sorprendermi quella ragazzina. Non sto più nella pelle all’idea che tra non molto potrò rimettere le mani su quel bel faccino…
Disse l’ultima frase più a sé stesso che al suo interlocutore, chiudendo il pugno in aria quasi avesse immaginato di possedere Erin in una mano e di stritolarla.
L’ammiraglio si sporse in avanti, scattando sull’attenti per ciò che l’uomo aveva  appena detto: - Di cosa sta parlando? Che significa?
 - Ah, giusto, tu non lo sai – spiegò Akahito con calma, si alzò in piedi e prese a camminare attorno alla scrivania, vicino a Kuzan – Vedi, si dà il caso che per mia fortuna il giorno in cui tu hai incontrato Erin, se non sbaglio su un’isola su cui si teneva una celebrazione, una nuova recluta l’abbia riconosciuta e ti abbia fatto rapporto. Tu gli hai detto di dimenticare di averla vista e ti sei subito precipitato da lei scoprendo che era in compagnia della ciurma di Barbabianca, così da allora l’hai seguita e le hai spifferato del mio piano di usare Xan Hiroumi come esca, dico bene?
Aokiji chiuse gli occhi e annuì, mentre l’uomo si era fermato dietro di lui e gli aveva posato entrambe le mani sulle spalle.
 - Bene. La fortuna ha voluto che quel bravo Marine, che ti ricordo prima di ogni altra cosa lavora per me, proprio come dovresti fare anche tu, mi riferisse di averla finalmente trovata. Non avrei mai immaginato che dissertassi in questo modo, lo sai, Kuzan? – chiese con una finta aria triste piegandosi in avanti per potergli sussurrare in un orecchio – Certo, avevo cominciato a nutrire sospetti su di te già da un pezzo perchè, beh, tutti sappiamo come sei fatto – concluse sorridendo, ponendoglisi nuovamente davanti e allargando le braccia come se tutto ciò che aveva appena detto fosse scontato.
 - Tsk, ma tu guarda quel pivello buono a nulla – sbuffò, ripensando all’episodio.
Il sorriso di Akahito a quel punto cessò di esistere.
 - Quel pivello buono a nulla ha fatto quello che avresti dovuto fare tu, lurido pezzo di merda! – urlò fuori di sé il biondo afferrandogli il colletto della camicia con una rabbia che l’ammiraglio non gli aveva  mai visto – Lo capisci o no che quella puttanella se ne sta bella e tranquilla sulla nave di uno dei quattro imperatori a scoparsi uno dei suoi comandanti mentre da qualche parte è nascosto un registratore del cazzo che se cadesse nelle mani sbagliate non solo genererebbe il caos, ma manderebbe anche a puttane la mia carriera! Non parlare come se non fosse anche un tuo fottutissimo problema!  
Kuzan lo fissò serio senza dire nulla, aspettando pazientemente che la furia di Akahito si placasse e la vena che vedeva pulsargli sulla tempia, così vicina al suo viso, non tornasse alla normalità.
Il biondo gli lasciò il colletto della camicia e sistemò i lunghi capelli che gli erano ricaduti sulla faccia a seguito di quello scatto d’ira.
 - Per non parlare di Erin stessa, poi – aggiunse – Quella ragazza è una mina vagante, se parlasse sarebbe la fine del mondo per come lo conosciamo.
 - Con tutto il rispetto, signore, ma non sono uno sprovveduto – ribattè Kuzan.
Si alzò dalla poltrona e si avvicinò ad Akahito, rovistò per qualche secondo nella tasca della giacca e ne tirò fuori un oggetto mettendolo nelle mani dell’uomo, il quale aveva seguito ogni movimento dell’ammiraglio con occhio attento.
 - Non ci posso credere – commentò subito dopo aver visto cosa avesse appena ricevuto: era una grossa conchiglia, molto simile ad un murice, ed Akahito si rese immediatamente conto che non si trattava di un semplice mollusco, bensì proprio del registratore!
 - Io sono un Marine, signore. Conosco il mio ruolo e sebbene mi comporti in modo insolito rispetto agli altri ammiragli, so benissimo quali sono le cose che non posso fare. Erin non è a conoscenza della cosa, ma quel registratore l’ho sempre tenuto io, non è mai stato nascosto chissà dove. E come vede, ancora una volta, non ho infranto nessuna legge – spiegò calmo, rimettendosi le mani nelle tasche e fissando il biondo dall’alto della sua statura.
Akahito accese il registratore e sentì una voce lieve e femminile che ben conosceva annunciare che il contenuto di quell’audio sarebbe stata una rivelazione che avrebbe potuto cambiare le sorti della storia, nel bene o nel male. Stoppò pochi secondi dopo, non appena ebbe appurato che si trattasse proprio dell’oggetto di cui era alla ricerca da quattro anni.
 - E così è stata tutta una messinscena? – chiese il biondo, ridacchiando divertito – Avete finto entrambi in modo da avere qualcosa da poter usare contro di me nel caso fossi riuscito a catturare Erin?
 - Diciamo che si può mettere in questo modo, sì.
 - E bravo il mio ammiraglio. Sei riuscito a pararti il culo anche stavolta, eh? – continuò, chiudendo la conchiglia in uno dei cassetti della sua scrivania e mettendosi la chiave nella tasca – E come intendi scagionarti per quanto hai fatto dopo? Per avere spifferato ad una donna ricercata dal governo delle informazioni in tutto e per tutto riservate e per averla lasciata andare quando avevi il preciso ordine del governo di catturarla? – domandò sorridendo vittorioso – Potrei portarti di fronte alla corte marziale per quello che hai fatto.
Kuzan fece finta di riflettere per qualche secondo, poi disse:  - Non ho scusanti per questo, signore. Ha ragione, tutti sanno come la penso sulla giustizia. E, per quanto mi riguarda, conosco Erin sin da quando era una bambina. Sono molto affezionato a lei, è una donna in gamba, per cui davvero non me la sono sentita di prenderla di peso e riportarla nuovamente all’inferno. E ci terrei a ricordarle, signore, che Erin resta pur sempre un Drago Celeste, e come tale ha dei diritti che sono inestirpabili agli occhi della legge.
Akahito sembrò riacquistare la rabbia che fino a poco prima lo aveva accompagnato: - Non quando questo Drago Celeste è ricercato dal governo per alto tradimento!
- Sarà, - rispose Aokiji – ma fossi in lei io non farei parola con nessuno di questo fatto, signore.
 - Mi stai forse minacciando, Kuzan? – ringhiò il biondo afferrandogli nuovamente il colletto della camicia per costringerlo ad abbassarsi alla sua stessa altezza.
 - Certo che no, non mi permetterei mai. Le ricordo solo che suo padre non sa nulla di tutta questa faccenda, lui crede ancora che Erin stia marcendo in una cantina della casa dei suoi genitori come gli diceste voi quattro anni fa, dico bene?
L’uomo diventò ancora più rosso in viso per la rabbia e Aokiji pensò che da un momento all’altro gli avrebbe dato un pugno in faccia, ma non lo fece e anzi lo laciò andare.
 - Pensi a come si arrabbierebbe se sapesse che il suo figlio prediletto non solo gli ha tenuto nascosta una cosa così importante, ma per di più non è ancora riuscito a risolvere questo grosso problema dopo ben quattro anni – argomentò, con una chiarezza ed una sottintesa eloquenza che fece davvero venire voglia al biondo di tagliargli la gola con le sue mani.
 - Sei un vero figlio di puttana. Mi sono affidato a te solo perché conoscevi Erin meglio degli altri, e guarda questo dove mi ha portato.
 - Beh, mi dispiace, signore – disse l’ammiraglio senza essere realmente dispiaciuto.
Il biondo scoppiò in una sentita risata prima di sedersi nuovamente sulla sua poltrona e accavallare le lunghe gambe, mettendosi a giocherellare con una freccetta da bersaglio che si trovava sulla scrivania: -  Ti dispiace, eh? Eccome se ti dispiacerà. Non siete gli unici ad aver inscenato una commedia, lo sai?
 - Cosa intende?
Kuzan ammise a sé stesso di aver cominciato a preoccuparsi a quel repentino cambiamento di umore della persona che aveva di fronte.
 - Credevi davvero che avrei rischiato un’altra volta di mettermi nei casini con un altro Drago Celeste, sottraendo anche il fratello di Erin? – lo scimmiottò l’uomo, rigirandosi la freccetta rossa e bianca tra le dita -  Ho fatto sì che lui e quel vecchiaccio che vive con loro sentissero la mia conversazione con i suoi genitori. Abbiamo tutti recitato. Come volevasi dimostrare, quei due sono scappati e hanno raggiunto Erin, senza sapere di essere seguiti da uno degli ammiragli della Marina. E ora puff – con uno scatto felino si alzò e scagliò la freccetta in direzione di Aokiji e la osservò conficcarsi al centro di un tabellone posto sulla porta alle sue spalle, esattamente nel cerchietto rosso centrale – ti ho trovata, Erin!
L’uomo dalla pelle scura chinò il capo e sollevò gli angoli della bocca in un mezzo sorriso, ammettendo anche la loro parte di sconfitta: - Bel colpo – commentò solo, lasciando in dubbio l’altro se si riferisse solo al tiro al bersaglio.
 - Ho deciso di lasciare che si goda per un po' la sua ritrovata famigliola felice, voglio che creda di aver vinto prima di riprendermela del tutto. Kizaru la seguirà e poi, eheh, poi starai a guardare.
A quel punto fu Kuzan quello a ridere: - Borsalino? Avrei giurato mandasse Sakazuki a fare il lavoro sporco.
 - Scherzi? Akainu è il galoppino di mio padre. Gli sta sempre attorno a scodinzolare come un cagnolino.
Aokiji sbuffò, chiedendosi se l’altro si rendesse conto di fare esattamente la stessa cosa, e girò sui tacchi incamminandosi lentamente verso la porta della stanza. Ritenne che quella conversazione fosse ormai finita, finita con l’amara sconfitta di entrambe le parti in gioco. Posò la mano sulla maniglia quando il biondo lo richiamò ancora una volta: -  Erin non la passerà liscia questa volta, te lo garantisco. La farò soffrire, e allora vedrai quanto sarai dispiaciuto. Deve pagare per quello che ha fatto. E’ una mia proprietà e deve imparare a comportarsi come tale. Deve capire che se ho scelto che lei è mia, non ci sarà mai niente che lei o qualche altro pazzo bastardo possano fare per cambiare questa cosa, mai.
Il moro si fermò sulla porta e si voltò a guardarlo, non potendo fare a meno di stendere le labbra in un sorriso:  - E lei crede davvero di riuscire a piegare la volontà di una persona come Erin? Potrà torturarla, privarla di qualsiasi cosa, persino ucciderla, ma non riuscirà mai a cambiare quello che pensa e il suo modo di essere. Non potrà mai fare di lei una vittima. Si vede che lei Erin non la conosce affatto.
Akahito lo fissò intensamente con sguardo di sfida, infine aggiunse: -  Sparisci dalla mia vista, Aokiji.
Quando l’ammiraglio se ne fu andato, il giovane si riempì un calice di un vino rosso pregiato che teneva gelosamente custodito in un armadietto di cristallo, si diresse verso la vetrata e mise l’avambraccio sul vetro all’altezza del suo viso, poggiandovi sopra la fronte. Era stato più volte molto vicino a perdere del tutto le staffe in quella breve ma intensa conversazione, non credeva di riuscire a provare così tanta rabbia come in quel momento, persino più del giorno in cui aveva scoperto che Erin era fuggita.
Vide il vetro davanti a sé appannarsi a causa del vapore prodotto dalla sua respirazione e si rese conto che aveva il battito del cuore accelerato e il respiro pesante. Gli tornarono alla mente le parole di Aokiji circa suo padre e gli riaffiorò alla mente il momento in cui aveva fatto la seconda grande cazzata della sua vita.
 
 
 - Dunque hai posto rimedio al nostro piccolo problema? La ragazza è al sicuro? – si sentì domandare da un uomo non molto anziano con i corti capelli e la barba biondi, il quale si sistemò il colletto della camicia, sbottonata sul petto.
 - Sì, otoo-sama. L’hanno ritrovata subito al largo delle coste dell’arcipelago Sabaody. Non aveva mai navigato prima d’ora ed era inesperta, è stato facile ritrovarla – mentì.
L’uomo, a quella spiegazione, sembrò distendere lo sguardo rasserenandosi.
 - Dove si trova adesso?
Il più giovane deglutì a vuoto a quella domanda, sperando che suo padre non si accorgesse dei suoi tentennamenti nel rispondere: - E’ a casa della sua famiglia, otoo-sama. I signori Hiroumi hanno garantito affinché non metta più piede fuori dalla sua camera, sarebbe troppo pericoloso se lo facesse – mentì nuovamente, pensando a quanti quattrini aveva dovuto sganciare alla famiglia di Erin per far accettare loro questa versione dei fatti e ringraziando il cielo che almeno suo padre non sapesse nulla del registratore nascosto chissà in quale buco di culo di posto.
 - Hai commesso una vera leggerezza con quella ragazza, Akahito, mi hai molto deluso – lo rimproverò suo padre, unendo le mani dietro la schiena e fissandolo serio – Potevi avere tutte le schiave che desideravi, te le avrei comprate io stesso. Perché ti sei andato a mettere nei guai proprio con un Drago Celeste? E’ una cosa che non si è mai vista nella storia del nostro paese!
 - Avete ragione, vi chiedo perdono – si scusò il ragazzo con un profondo inchino.
L’uomo sospirò e scosse il capo.
 - Fosse stata una persona qualunque l’avrei già uccisa con le mie stesse mani. Ma è anche lei un Drago Celeste e non ha mai rinunciato al suo titolo, dunque è intoccabile persino per noi. E ci è andata bene che la sua famiglia non abbia fatto molte storie a riguardo! Devono covare davvero un gran rancore verso di lei. Non che li biasimi, certo, quella è una ragazza tanto bella quanto inesauribile fonte  di problemi.
L’uomo si distrasse per qualche secondo per godere della brezza primaverile che soffiava sulla terrazza. Una ragazza dai lunghi capelli biondo cenere si avvicinò loro porgendo un vassoio contenente due bicchieri di un qualche cocktail rinfrescante. I due presero la bevanda e l’Astro di Saggezza fece cenno alla giovane di allontanarsi.
 - Bah, l’importante è che però la faccenda si sia risolta. Sarei andato davvero su tutte le furie se non lo fosse stato – riprese, guardando serio suo figlio mentre sorseggiava il suo drink – Sei il mio unico erede, Akahito. Qualcuno col mio sangue che scorre nelle sue vene non commette simili vergognose stronzate, tienilo bene a mente d’ora in avanti.
 - Certo, otoo-sama – annuì Akahito abbassando il capo in segno di riverenza.
 - Dimostrati degno del nome che porti, o ne pagherai le amare conseguenze.  
 
 
 
L’ Akahito di quattro anni più grande digrignò i denti con rabbia a quel ricordo.
Strinse violentemente il calice di vino che reggeva ancora in mano prima di sollevarlo e scagliarlo a terra mandandolo in mille pezzi, sporcandosi i pantaloni e la pelliccia con il liquido rosso carminio.
Serrò i pugni lungo i fianchi giurando a sé stesso che, non appena avesse avuto modo di metterle le mani addosso, avrebbe riservato ad Erin un trattamento speciale che avrebbe ricordato per tutta la vita.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
___________
Buonasera a voi, popolo di efp!
Non ci credo di essere riuscita a postare il capitolo oggi, innanzitutto per lo studio trascurato alla vigilia di un esame, e in secondo luogo perché per scrivere questo capitolo mi sono davvero fatta violenza. La parte su Aokiji e Akahito è stata una delle più difficili che abbia mai scritto, giuro! Avevo così tante cose in testa che volevo mettere nero su bianco da non sapere da dove iniziare, però credo di essermela cavata tutto sommato :P
Piccola nota: ho preferito usare i titoli onorifici giapponesi per esprimere le parole “sorellona”  (onee-chan) e “padre” (otoo-sama) in quanto li trovo particolarmente belli. Inoltre mi sembra che si adattino bene alla situazione e alle personalità dei due personaggi  che le pronunciano.
Fatta questa precisazione, mi dileguo ringraziandovi tutti dal profondo del cuore e augurandovi una buona serata!
Sayonara! xoxo
 

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** #22 ***


 
Durante tutto il tragitto per tornare alla nave, lo sguardo di Ace si spostava continuamente da Erin e Xan a Izo e Sore, per poi indugiare sulla fitta vegetazione che costeggiava l’intero litorale dell’isola.
Gli altri non sembravano farci più caso, ma era da quando erano sbarcati che aveva avuto l’impressione di non essere soli. Aveva notato che anche Erin se n’era accorta, ma ora era troppo distratta per prestarci attenzione.
In ogni caso, riuscirono a tornare alla nave senza problemi, assolutamente nessun ostacolo. Il che, per il moro, era peggio. Il sentirsi osservato senza poter affrontare di petto la causa del suo sinistro sesto senso lo rendeva inquieto.
Cercò di smettere di farci caso nel momento in cui raggiunsero finalmente la meta.
Xan spalancò letteralmente la mascella alla vista di tale magnificenza: la Moby Dick era una nave enorme, decisamente una delle cose più grandi che avesse mai visto oltre le ville di Marijoa. Le vele erano talmente grandi da sembrare mongolfiere e gli alberi che le sorreggevano sembravano gigantesche torri che si ergevano a toccare il cielo. Fu mentre ammirava il jolly roger che sventolava fiero sull’albero di mezza che scorse un’imponente figura stagliarsi contro la balaustra per guardare in basso. Riconobbe immediatamente quei baffi a forma di mezzaluna e i suoi occhioni castani parvero brillare di luce propria.
 -  Woooah!!! – urlò con un acuto, mettendosi le mani sulle guance come una ragazzina.
 -  Ma che… - borbottò Marco con un sopracciglio inarcato, guardando uno strano ragazzetto che correva come un forsennato lungo la passerella seguito da Erin che gli intimava di stare fermo.
Xan salì a bordo della nave e trotterellò un po’ qua e là tra lo sgomento di tutto l’equipaggio, prima di fermarsi di fronte a Barbabianca a guardarlo dal basso verso l’alto.
 -  Oh mio Dio! Ma tu sei Edward Newgate! Uno dei quattro imperatori! L’uomo con una taglia da un miliardo e cinquecentomilioni di berry! Uno dei pochissimi pirati che hanno saputo tener testa a Gol D. Roger! Quello che… Ahi!
Erin intervenne a fermare il fiume di parole del fratello tirandogli una guancia:  -  Questo lo sa anche lui, Xan.
 - Gurarararararara! – scoppiò a ridere il capitano, accasciandosi comodamente sul suo trono e facendo loro cenno di avvicinarsi -  Ma lascialo fare! Mi piace il ragazzo! Gurarararara!
Quando anche Ace, Izo e Sore furono saliti a bordo, Marco si avvicinò al moro e lo colpì amichevolmente sulla spalla, sorridendo:  -  E’ andato tutto bene? Avete avuto problemi? – chiese il biondo, leggermente in disparte.
Ace ricambiò il gesto dell’amico e disse: -  Diciamo di sì, è stato tutto fin troppo tranquillo, forse. Sarà meglio partire il prima possibile, comunque.
Il primo comandante annuì e si rivolse all’equipaggio, al quale urlò:  -  Ammainate le vele! Si riparte!
 
 -  Capitano, ciurma di Barbabianca, questi sono mio fratello Xan e Sore, il mio tutore – spiegò la ragazza indicando la sua famiglia, i quali si presentarono con un profondo inchino all’uomo che avevano di fronte.
 -  Non c’è bisogno che io mi presenti! Questo ragazzino pare saperne di più di me di quanto ne sappia io stesso! Gurararara! – ironizzò Newgate, ridendo in modo così scomposto da far sorridere Erin e Xan - Beh, finalmente posso conoscere le persone di cui Erin ci ha così difficilmente e affettuosamente raccontato. Vi dò il benvenuto a bordo della Moby Dick! Voglio che sappiate che potete restare qui per tutto il tempo che vorrete! Anche per sempre, se lo desidererete! – concluse, gentile come al solito.
 -  E’ un vero onore per me poter incontrare una personalità di tale livello – disse Sore, facendo un passo avanti.
 - Oh! E lo è anche per me!! E’ tutto così fico! – si intromise Xan, tornando a guardarsi intorno e a presentarsi a tutti.
 -  La curiosità del ragazzo sprizza da tutti i pori! Erin, tu ormai sei di casa qui, perché non accompagni Xan a fare un giro della nave per ambienarsi? Così avrà anche modo di conoscere il resto della ciurma – propose infine il capitano, rivolgendosi alla giovane.
Erin accettò di buon grado e, seguita dal fratello e circondata dall’equipaggio, cominciò a raccontare tutto quello che sapeva della nave.
Sore stava per raggiungerla prima di venire richiamato dal capitano: - Se non ti dispiace, Sore, gradirei scambiare qualche parola con te. Scommetto che Xan sarebbe felice di ripeterti fedelmente tutto ciò che avrà imparato in un altro momento.
 - Ma certamente, ne sarei lieto.
 - Andiamo nella mia cabina, staremo più tranquilli – ordinò Newgate facendogli strada, allontanandosi da quella masnada che i suoi figli erano soliti creare.
Una volta arrivati nella cabina, Barbabianca si sedette aldilà di una grossa scrivania, la quale era quasi completamente ricoperta di scatole di medicinali, e fece cenno all’uomo di accomodarsi.
Sore si chiese per un momento quale fosse la reale differenza di età tra lui e il capitano della Moby Dick, poiché non gli sembrava affatto così grande come aveva pensato.
 - Devo ammettere che il mio stato di salute non è affatto dei migliori. Odio profondamente tutte queste schifezze, ma qualcuno più in gamba di me a tal proposito si preoccupa della mia salute, per mia fortuna – disse alludendo alle medicine di fronte a loro e ad Erin.
Sore sorrise e incrociò le braccia al petto: -  Noto con piacere allora che la mia figlioccia ha proseguito a dovere i suoi amati studi.
 - Devo a Erin la mia vita e quella di uno dei miei figli. E’ una ragazza davvero eccezionale, la considerò già come una figlia e sarei davvero onorato se diventasse un membro della mia ciurma. Intendo chiederglielo ufficialmente, non appena se ne presenterà l’occasione.
 - Io credo che ne sarebbe felice. Non ha più nulla a trattenerla, ora che siamo insieme.
 - Beh, come potrebbe! A maggior ragione ora che qualcun altro sulla nave non ha occhi che per lei! – confessò il capitano, alludendo al suo secondo comandante.
Il tutore della ragazza rimase perplesso per un po', prima di scoppiare a ridere e grattarsi la nuca, quasi imbarazzato:  - Ci avevo visto giusto allora, c’è del tenero tra quei due!
Dopo qualche secondo, però, Newgate chiuse gli occhi pensieroso e assunse un tono serio:  - Venendo al punto della questione, c’è una cosa che mi frullava per la testa da un po'. Erin, raccontandoci la sua storia, ci ha detto che sei stato uno dei Rivoluzionari di Dragon. Ha detto che è stato grazie a lui se siete riusciti a fuggire. Presumo che anche questa volta sia stato così, o sbaglio?
 - Sì, è esattamente così.
 - Allora la mia domanda è: com’è possibile che un rivoluzionario sia finito a lavorare per i Draghi Celesti a Marijoa senza destare il minimo sospetto? – domandò il capitano, sporgendosi in avanti.
Sore sospirò e si mise più comodo sulla sedia, prese dalla tasca un foglietto ingiallito e lo spiegò sul tavolo. Newgate ipotizzò che quello che aveva davanti doveva essere il suo avviso si taglia, ma qualcosa non andava.
 - Non capisco,- obiettò, soffermandosi a osservare meglio l’immagine – il nome di  quest’uomo somiglia al tuo, ma non sei tu – quando però sollevò lo sguardo verso il suo interlocutore sgranò gli occhi: al posto di Sore c’era un’altra persona, vestita in modo identico ma con un viso e una corporatura completamente diversi.
 - Ma che diamine?!
 - Sono sempre io – disse l’uomo, i cui tratti somatici mutarono nuovamente in un secondo e riapparve il Sore che aveva appena conosciuto – Ho mangiato il frutto Muta-muta quando avevo dodici anni. Posso cambiare i tratti somatici del mio viso e la mia corporatura come voglio e ogni volta che voglio. Solo il colore dei miei occhi e il sesso restano gli stessi.
 - Capisco, ora è tutto chiaro – annuì il capitano, avendo chiaro nella sua mente come avesse fatto l’uomo a non farsi mai riconoscere – Erin sembra non sapere nulla di tutto ciò…
 - E’ una cosa di cui sono a conoscenza solo i rivoluzionari. E’ un’abilità che ci fa molto comodo. E inoltre non volevo che Erin lo sapesse, non volevo metterla in pericolo. Così è stato meglio per lei.
 - E per quale motivo un rivoluzionario avrebbe mai voluto diventare la talpa tra gli affari della Città Sacra?
 - E’ stato Dragon ad affidarmi questo compito, poiché ero l’unico che avrebbe potuto portarlo a termine – spiegò pacatamente Sore – L’idea era quella di intrufolarsi a Marijoa, tra i Draghi Celesti, per riuscire a ottenere informazioni riservate che potessero essere utili alle causa che Dragon vuole portare avanti. Isole su cui sarebbero gravate più tasse, rotte per le tratte degli schiavi, segreti di stato… Gli ho fornito innumerevoli informazioni, sebbene siano state molto poche rispetto a quelle che Erin è riuscita a recuperare dopo la permanenza da Akahito.
 - Quindi l’esistenza di Erin non era prevista nel vostro progetto?
L’uomo ci pensò un po’ su, sentendo un dolce tepore nel petto al ricordo del fatto che Erin l’aveva cresciuta lui: - No, non lo era. Sono rimasto a Marijoa anche una volta che ebbi svolto il mio compito. Mi sono affezionato a lei come se fosse stata mia figlia, l’ho cresciuta come tale. Non potevo lasciarla sola in balia di quel mondo schifoso, a maggior ragione dopo la nascita di Xan. E nonostante mi penta di non essere riuscito a proteggerla da Akahito, mi pento ancora di più del fatto di averle permesso di sapere troppo – disse portandosi una mano sul petto, pensando con dolore a tutto quello che la ragazza aveva e avrebbe dovuto subire per colpa di quelle informazioni – Se lei fosse stata all’oscuro di tutto, ora il Governo non le darebbe la caccia. Sarebbe una persona libera, come merita di essere.
 - Non è colpa tua, non potevi impedirlo. Ci ha spiegato la situazione nei dettagli…
Sore scosse la testa:  -  Non si cancella il fatto che non abbia tenuto fede alla mia promessa. Spero di potermi redimere, un giorno…
Barbabianca si alzò alla sedia e gli si avvicinò, stringendogli una spalla:  - Io credo che il modo migliore per redimerti sia dimenticare questo triste passato e pensare al futuro. Restate a bordo della mia nave, entrate a far parte della mia ciurma. Cercate di recuperare il tempo perduto e di ricostruirvi una vita felice, ve lo meritate, tutti e tre.
L’uomo si commosse a quelle parole, ma non lo diede a vedere. Non poteva certo versare lacrime di fronte ad un uomo come Edward Newgate, no?
 - E’ quello che farò. Lo farò per loro, che sono la mia famiglia.
 - Questo è lo spirito! – esclamò l’imperatore, avvicinandosi alla porta della cabina – E ora vieni con me in cambusa! Ti farò assaggiare il rhum più buono di questo mondo! Questa sarà una sera da festeggiare alla grande!
 
Una volta che Erin ebbe mostrato a Xan ogni centimetro cubo della nave questi, più gasato che mai, aveva deciso di tornare a curiosare per i fatti suoi mentre la sorella si concedeva un bagno caldo per distendere i muscoli.
Ace era rimasto a poppa per tutto il tempo, invece, per controllare che la situazione alle loro spalle non degenerasse, come invece aveva creduto dal momento che erano partiti dall’isola. Quando il sole cominciò a calare decise che poteva bastare per ritenersi tranquillo. Si alzò dal pavimento di legno del ponte su cui era seduto e si stiracchiò un po’ le braccia. Decise che sarebbe andato da Erin, desideroso di passare un po’ di tempo con lei in tranquillità. Era da un po’ di tempo che lui e la ragazza dormivano insieme, non potè non pensare a cosa ne sarebbe stato di lui ora che c’erano Xan e Sore con lei. Dove l’avrebbero buttato a dormire?
Sospirò sconsolato, conscio che Xan non gli avrebbe lasciato vita facile con la ragazza, e diede le spalle al mare per raggiungere i ponti sottocoperta.
Pensando al diavolo, spuntarono le corna nel momento in cui, non appena si voltò, notò Xan appollaiato sui talloni su una cassa dietro di lui e per poco non ebbe un colpo.
 - E tu da quanto tempo sei lì?! – chiese basito rivolgendosi al ragazzino, il quale sorrise sornione e lo fissò con aria di sfida.
 - Da un po’… - rispose – So essere molto silenzioso.
 - Vedo… - commentò Ace seccato, facendo qualche passo in avanti per andar via prima che Xan saltò dalla cassa sul parapetto di poppa – in modo decisamente pericoloso – e gli si parò davanti.
 - Senti un po’ – riprese, avvicinando il viso a quello del moro e fissandolo negli occhi – Tu fai cose con mia sorella?
Ace sentì le guance andare a fuoco - e non per il frutto Mera-mera – e sgranò gli occhi: - D-di che tipo di cose stai parlando?
 - Non fare il finto tonto con me, fiammifero – sibilò il ragazzino puntandogli l’indice contro – Sai benissimo di cosa parlo.
 - Ma come ti permetti! E pur ipotizzando che lo sapessi, - rispose Ace, decidendo di vincere quella gara di sguardi – che problema ci sarebbe? Non credo che siano affari tuoi.
 - Sono affari miei eccome! – replicò piccato – Lei è mia sorella e la devo proteggere! Non crederai mica che mi stia bene che il primo pirata che passa possa prendersi certe libertà con lei!
 - Ma di che diamine stai parlando?! Io ed Erin siamo una coppia a tutti gli effetti! Credi forse che mi approfitti di lei? Per chi diavolo mi hai preso! – sbottò Ace, offeso dalle insinuazioni di Xan.
 - Ah sì? Siete una coppia? E lei lo sa? Glielo hai mai detto?
 - Beh… Non ne abbiamo mai parlato testualmente, ma lo siamo, è l’unico modo di definire la nostra situazione.
 - Senti un po', Portgasqualcosa – intimò Xan minaccioso, scendendo dal parapetto con un balzo e guardando Ace dal basso verso l’alto, serissimo – Persino Akahito dice sempre di amare Erin. Lei non ha mai conosciuto cosa sia l’amore e non posso rischiare che fraintenda le tue intenzioni solo perché ti dimostri un po' più gentile con lei per ottenere qualcosa!
Il moro era profondamente irritato per quella conversazione, in cui il fratello della donna che amava stava apertamente insinuando che lui si stesse solo prendendo gioco dei suoi sentimenti. Però, mentre Xan parlava, il moro notò che aveva gli occhi lucidi, quasi come se fosse sul punto di piangere. Riuscì a comprendere talmente tante cose da quello sguardo che tutta la rabbia che stava provando scomparve, lasciando il posto ad una grande tenerezza. Xan sapeva di essere solo un ragazzino che non aveva la minima idea di tutto quello che Erin era stata costretta a subire, di tutto il dolore che doveva provare, pur senza darlo mai a vedere. Tutti i sacrifici che aveva fatto per lui, per potergli risparmiare tutta quella sofferenza. Ma nonostante ciò, stava disperatamente cercando di essere lui, per una volta, quello a proteggere, non da proteggere.
 - Non credere che io sia debole solo perché sono un ragazzino! Mia sorella ha fatto di tutto per me! Non permetterò che soffra di nuovo! Credi che non sappia cosa è stata costretta a fare da quel verme? O cosa abbia fatto in questi anni per sopravvivere?! Non ha quasi conosciuto altro che abusi nella sua vita e, dannazione, ora è il mio turno di doverla proteggere! – concluse gridandogli contro, potendosi finalmente fermare a riprendere fiato, respirando pesantemente.
Intanto, nascosta ai piedi del cassero di poppa, Erin aveva ascoltato l’intera conversazione. La ragazza si morse il labbro, percependo il sapore salato delle lacrime sui denti. Si portò una mano sugli occhi e singhiozzò in silenzio, provando ancora un dolore che difficilmente sarebbe stato completamente spazzato via.
Sentì qualcuno alle sue spalle che la abbracciò e le strinse la testa al petto, non curandosi delle lacrime che bagnavano la maglietta. Erin non faticò molto a riconoscere le forti braccia di Sore.
 - Va tutto bene, adesso – sussurrò dolcemente l’uomo accarezzandole i capelli, attento a non farsi sentire dai due – E’ normale che Xan si senta così. E’ come mi sento anche io. Ma adesso è tutto finito, non ci sarà più bisogno di versare lacrime, mai più.
Sul cassero, Ace sorrise e chiuse gli occhi, potendo comprendere alla perfezione quello che Xan stava provando. Se si ama tanto una persona è normale volerla proteggere, a qualsiasi costo.
 - Non penso affatto che tu sia un debole, sai. Anzi, credo che tu sia più forte di quello che credi di essere – disse, allungando una mano per scompigliargli i capelli ribelli – Io amo Erin, Xan. Non è stato un colpo di fulmine o chissà che, ma io la amo. E non so nemmeno perché non gliel’ho mai detto, sono proprio un idiota in queste cose – continuò il moro, grattandosi la nuca sorridente – E non hai motivo di temere che qualcuno si approfitti di Erin, o di voi. Tutte le persone su questa nave vogliono solo potervi proteggere, se glielo permetterete.
Xan rimase immobile a quelle parole, incredulo di fronte al cambio repentino di espressione del moro, nonché di quello che aveva detto. Davvero Ace Pugnodifuoco lo riteneva una persona forte? Davvero amava Erin? Davvero poteva smettere di avere paura?
Xan aveva sentito parlare di Ace, sapeva in realtà che persona gentile, leale e sincera fosse. Sentiva già di potersi fidare, ma aveva bisogno di una prova, aveva bisogno di una reazione, ed ebbe la sua conferma dopo quella conversazione.
Il moro ebbe l’accortezza di superarlo per potergli dare le spalle nel momento in cui si era accorto che una lacrima era sfuggita al suo controllo, per permettere al ragazzino di asciugarla senza essere visto. Perché in fondo Xan era esattamente come Erin: una persona testarda ed estremamente orgogliosa che, pur dilaniata da innumerevoli ferite, preferisce stringere i denti e ricucirle a mani nude piuttosto che coinvolgere qualcun altro nel suo dolore. Che fosse giusto o sbagliato non stava a lui deciderlo.
  - Sappi che ti terrò comunque d’occhio! – sentì ammonirlo alle sue spalle, prima di scoppiare a ridere e rispondere che si sarebbe guardato bene dal farlo arrabbiare.
Erin vide Ace balzare agilmente dal cassero e dirigersi verso prua, senza essersi accorto di loro.
A quel punto Sore liberò la ragazza dal suo abbraccio e la fissò con un sorriso: - Sembra davvero un ragazzo adorabile, mi piace molto!
La giovane sorrise e si asciugò gli occhi con le maniche di una felpa che aveva preso dall’armadio di Ace: - Lo è davvero – ammise, prima di dirigersi verso le scale ce conducevano in cima al cassero dove si trovava Xan.
 - Prendi Xan e poi raggiungeteci in cambusa, il capitano vuole festeggiare stasera!
Erin annuì col capo e raggiunse il fratello, il quale era appoggiato con i gomiti alla balaustra di poppa, pensieroso. Si avvicinò al ragazzino e lo fece voltare, stringendolo al petto prima che questi potesse rendersene conto. Xan non era un grande amante degli abbracci, ma quella volta non vi si oppose. Strinse la sorella a sua volta, posando l’orecchio sul suo petto e cullandosi col battito regolare e tranquillo del suo cuore.
Rimasero così per alcuni minuti, prima che Erin prese parola: - Ci tenevo a dirti che è inutile il tuo senso di colpa. Non cambierei nulla di tutto quello che ho fatto, se questo volesse dire poterti sapere al sicuro. Tu sei da sempre la mia priorità, Xan.
La ragazza sentì il fratello avere un sussulto tra le sue braccia.
 - Se potessi tornare indietro, farei in modo di diventare più forte per cercare di cambiare quello che è stato – sussurrò il moretto sulla sua maglietta, quasi in modo incomprensibile, ma che Erin sentì benissimo.
Dopo un po' sciolsero l’abbraccio e la ragazza si inginocchiò, asciugandogli gli occhi con i pollici.
 - Questa è stata una giornata importante per noi. Che ne dici se andiamo di sotto con i tuoi pirati preferiti ad abbuffarci?
Xan si strofinò gli occhi con le maniche e prese la mano della sorella, trascinandola energeticamente verso la cambusa:  -  Allora andiamo, onee-chan! Si mangia!!!
 
 
Sore buttò giù in tre sorsate l’ennesima pinta di idromele, posando con scarsa grazia il bicchiere tra quelli già presenti sul tavolo.
Erin, anche lei più brilla che altro, inarcò un sopracciglio e piegò la testa di lato, osservandolo: - Ma tu sapevi che bevesse così tanto?! – chiese rivolgendosi a suo fratello che, nel frattempo, le provava tutte per cercare di rubare anche lui un qualche tipo di alcolico dalla lunga tavolata.
 - Tsk, il bue che dice cornuto all’asino – rispose, approfittando dell’attimo di distrazione di Erin per allungarsi per prendere una pinta incustodita.
 - Cheeee? – chiese la ragazza con voce piuttosto acuta, troppo poco lucida per capire il senso del commento.
Ci mise più del dovuto per ricordarsi cosa dovesse fare in quella situazione: si buttò su Xan, il quale era spalmato sul tavolo, gli circondò la vita con le braccia  e lo sollevò di peso rimettendolo seduto sulla sedia prima che potesse bere.
 - Ma andiamo! Tutti bevono come se non ci fosse un domani qui! – protestò lamentoso osservando tutti quegli omaccioni ubriachi fradici che ridevano a crepapelle. Sore brindava con Barbabianca come se fossero stati amici da una vita; Marco ed Ace giocavano a braccio di ferro, incuranti del tavolo che pericolosamente si incrinava sotto la forza delle loro braccia; Halta aveva perso qualsiasi briciolo di compostezza e rideva sguaiatamente per qualche barzelletta di dubbia moralità; ovunque c’era gente che sembrava non avere più una religione.
Erin si mise una mano sul fianco e si sporse verso di lui, agitandogli il dito indice dell’altra mano davanti al naso: - Non de-vi be-re! No-no-no! – scandì chiaramente, anche se piuttosto che sembrare perentoria, sembrava senza qualche rotella.
 - Ma sono l’unico a essere sobrio qui!
 - Vedi come sono ridotti questi per quanto bevono!?! - replicò confusamente la mora alludendo ai suoi compagni – E poi l’alcol danneggia… non so, qualcosa qui, qui… E forse anche qui – continuò indicandosi varie parti del corpo a caso – E comunque sei troppo piccolo per farlo, questa è roba forte! – concluse bevendo un altro sorso di rhum.
 Xan sospirò, le condizioni pietose in cui versava sua sorella lo stavano facendo demordere: - Eccome se vedo… Ma poi chi sei scusa, mia madre?!
Erin sembrò pensarci un po' su: - Mmmh… No! Ho indovinato, vero? Cioè, almeno credo… - borbottò barcollante con la mano sul mento, pensierosa.
 - Oh, santa pace – sbuffò il ragazzo sbattendosi una mano sugli occhi.
 - Ehi, Xan… - lo richiamò la ragazza, sedendosi nuovamente e avvicinandosi al suo orecchio, come a volergli confessare un segreto.
 - Che c’è adesso? – chiese, fissandola con pietà.
 - Ma tu lo sai cosa fa una sardina dopo la doccia?
 - No e non lo voglio sapere.
 - Si acciuga!!! – gridò Erin scoppiando a ridere da sola come una schizofrenica.
Xan si portò stavolta entrambe le mani sulla faccia, non sapendo a che santo appellarsi per farle recuperare il senno ormai andato: - Non ce la posso fare.
 - E’ cos-così diver-divertente!! – continuò la giovane, incapace di smettere di ridere in tutto quel casino – E lo sai, lo sai perché i pesci hanno le spine? Eh?? Lo sai???
 - Risparmiami.
 - Perché nel mare c’è la corrente!!! – urlò in una nuova risata isterica, battendo la mano sul tavolo per rafforzare l’idea di quanto fosse una ragazza divertente.
A quell’altra freddura patetica, Xan cambiò definitivamente idea sul bere e la aiutò ad alzarsi sollevandola per un braccio: - Ma guarda come sei ridotta! Ma vai a dormire!
 - Uuuh! Ma quello è un pianoforte! – esclamò Erin cambiando del tutto espressione, come se quel piano non lo avesse mai visto in più di tre mesi di navigazione.
 - Non ti si può nascondere nulla.
Xan non riuscì a trattenerla che si era già precipitata verso il pianoforte ed era salita in piedi sullo sgabello: - Ehi!!! – urlò per richiamare l’attenzione, anche se con tutti quegli schiamazzi parvero non sentirla.
 - Ehiii genteeee!
Nulla.
 - Onee-chan! Che stai facendo! Scendi subito!
A quel punto la ragazza si infilò gli indici di entrambe le mani nei lati della bocca e lanciò un fischio da perforare i timpani, richiamando finalmente l’attenzione su di sé.
Sore fu il primo a sbattere convulsamente le palpebre, chiedendosi cosa volesse fare con quell’aria da psicopatica.
 - Erin, così rischi di cadere! Sei ubriaca fradicia! – la raggiunse subito Ace, prendendola su una spalla per metterla giù.
 - Voglio cantarvi una canzone e suonarvi qualcosa! – esclamò fiera quando fu scesa, beccandosi l’occhiataccia del moro di fronte a lei: - Tu? Una canzone? In queste condizioni?
La ragazza arricciò le labbra, offesa, e lo ignorò.
Si sedette sullo sgabello sotto lo sguardo stupefatto dell’equipaggio e nel più religioso silenzio cominciò a suonare un’accozzaglia di note senza madre né padre.
 - Nnnno, così non va proprio – borbottò tra sé, facendo mente locale per cercare di ricordare come si suona.
Intanto, Marco si era avvicinato a Xan che cercava disperatamente di nascondere la faccia, dicendogli: - Ma sta bene? Non l’ho mai vista comportarsi così, sai…
Il ragazzino lo guardò sconsolato e cercò di giustificarsi dicendo che un’entità malvagia e rompiscatole si era impossessata di sua sorella.
Newgate si sbudellava dalle risate alla vista di una Erin talmente brilla da sembrare fuori di testa, così troppo fuori dal personaggio per i suoi gusti.
 - Ci sono! – annunciò la ragazza, suonando finalmente una sinfonia che qualsiasi pirata degno di questo nome doveva conoscere.
Dopo che ebbe cominciato a cantare, Ace rise sommessamente tra sé e sé e si mise a cantare con lei, seguito a ruota da tutti gli uomini che innalzarono in alto le pinte colme di liquore.
 
Yohohoho yohohoho!
 
Porto il liquore a Binks
veleggiando sopra il mar
vento in poppa, arriverò
e glielo consegnerò!
 
Tutti insieme lo berrem
e poi ci divertirem
mentre il sole cala già
gran festa si farà!
 
E' gia tanto tempo ormai
che il villaggio mio lasciai
ma per sempre, io lo so, nel cuor lo porterò!
 
Le onde spruzzan su di me
fresche gocce d'acqua e
mi vien voglia di cantar la mia felicità!
 
Yohohoho yohohoho!
Yohohoho yohohoho!
Yohohoho yohohoho!
Yohohoho yohohoho!
 
La musica cessò con un teatrale gesto delle mani di Erin sulla tastiera, che ricordava tanto quelli di maestri d’altri tempi. Si voltò verso gli altri e sollevò le braccia verso l’alto, venendo investita dagli applausi dell’equipaggio e dai fischi di apprezzamento.
 - Se ne avessi, ti lancerei dei fiori! – le urlò Vista.
 - E io ti lancerei un reggiseno se ne portassi! – disse invece Marco applaudendola, facendo piegare in due dalle risate i suoi compagni e beccandosi uno scappellotto da Ace.
 - Ma cosa è successo a questa ragazza stasera? Non è la Erin che conosco io! – si lamentò giocosamente Sore, non riuscendo tuttavia ad essere serio.
 - E’ l’effetto che fa la libertà, amico mio! – gli rispose Halta, mentre il capitano annuiva alle sue parole.
 - Ok bellezza, ora è arrivato per te il momento di ritirarsi dalle scene – ordinò Ace prendendola nuovamente in spalla, ignorando i suoi lamenti in proposito e lasciandola dimenare.
Si avviò verso la porta della cambusa e si soffermò davanti a Xan: - La metto a letto, direi che per stasera ha già dato il meglio di sé a sufficienza!
Il ragazzino annuì con un sorriso impietosito rivolto alla sua sorellona:  -  E’ troppo strano vederla così, non so se mi ci potrei mai abituare.
Il moro non potè che trovarsi d’accordo.
 
Quando furono arrivati, Ace posò una lamentosissima Erin sul letto e cercò di toglierle le scarpe, sebbene scalciasse come una bambina di tre anni.
 - Io voglio tornare di sotto! Non ho mica finito! Ho tutto un repertorio ancora!
Ace ridacchiò divertito al pensiero: - Per stasera basta così Mozart, hai davvero bisogno di riposare.
 - E chi lo dice?
 - Lo dico io.
 - E se ti corrompessi? – chiese allora la ragazza, ammiccando in modo pericolosamente seducente al ragazzo che arrossì all’istante.
 - Tu cos… - non fece in tempo a rispondere che fu agguantato dalla ragazza che lo tirò su di sé, prendendo a baciarlo con passione. Il suo primo istinto fu di ricambiare, ma poi si schiaffeggiò subito mentalmente e si rialzò cercando di tenerla ferma sul letto.
 - Non mi tirerei mai indietro di fronte ad una cosa del genere, ma sei troppo ubriaca, non è il  caso – le disse con un sorriso.
 - Sei davvero cattivo! – esclamò la mora con una linguaccia, osservando il suo ragazzo alzarsi per andar via.
 - Ace stavo scherzando! Ti prego non mi lasciare! – lo implorò cambiando nuovamente umore repentinamente, sembrando una disperata.
Il moro strabuzzò gli occhi, incredulo per il rilevante numero di sfaccettature che potesse assumere una persona per nulla abituata a reggere l’alcol: - Eh? Ma no, sto solo tornando di sotto per farti riposare un po', cos’hai capito!
 - Io ti amo, Ace! Non te l’ho mai detto e questa cosa mi pesa! Ti amo ti amo ti amo! – disse allora la ragazza, allungando le mani verso di lui.
Il ragazzo rimase in silenzio a quelle parole, segno del nuovo cambiamento di umore di quella contraddizione fatta a donna. E’ vero, era ubriaca da fare schifo, ma sperò comunque che quelle due paroline magiche fossero sincere. La sua verità era che desiderava davvero confessarle chiaramente i suoi sentimenti, ma di certo non lo avrebbe fatto in quel momento, sapendo che il giorno dopo se ne sarebbe dimenticata per colpa della sbronza.
Così si limitò a sorriderle e a sedersi accanto a lei, lasciandosi abbracciare.
 - Non mi sono mai divertita tanto, questo è stato il giorno più bello della mia vita – disse infine Erin con parole impastate dal sonno in un ennesimo e ultimo stato d’animo, prima di addormentarsi profondamente tra le braccia dell’uomo che amava.
 
 
 
 
 
 
 
 
___________
Ooook, mamma, papà, sono tornataaa!!! (cit. Jumanji)
No vabbè, ho approfittato a postare oggi perché mi sento tanto nell’ ErinUbriaca mood, quindi non potevo scegliere momento migliore!
Comuuunque, venendo al capitolo, ditemi che non sono l’unica che quando legge il testo di “Binks’ sake” non riesce a non cantare a squarciagola nella sua testa.
Potrete mentire a voi stessi, ma non potete mentire a me, seppiatelo u.u
Piccolo appunto serio sul capitolo: naturalmente il frutto muta-muta di Sore l’ho inventato io per l’occasione, e spero vivamente che non ci sia nel manga perché davvero, se pur esistesse, io non ne ho affatto memoria ^.^’’
Detto questo, vi auguro una buona serata e mi dileguo, nella speranza di riapparire prima della prossima era glaciale.
Bye!

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2937589