Amelia's scribble

di MadAka
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The Anchor ***
Capitolo 2: *** Patient Love ***
Capitolo 3: *** When We Were Lovers ***
Capitolo 4: *** Way Back When ***
Capitolo 5: *** Song 6 ***
Capitolo 6: *** Chocolate ***
Capitolo 7: *** Not With Haste ***
Capitolo 8: *** Love Illumination ***
Capitolo 9: *** Don't Look Back in Anger ***
Capitolo 10: *** I Always Knew ***
Capitolo 11: *** Autopilot ***
Capitolo 12: *** Beautiful Birds ***
Capitolo 13: *** Machines ***
Capitolo 14: *** What You Know ***
Capitolo 15: *** Jackie Blue ***
Capitolo 16: *** Dive ***
Capitolo 17: *** Broken Crown ***
Capitolo 18: *** A Step You Can't Take Back ***
Capitolo 19: *** Ready To Change ***
Capitolo 20: *** Eleanor Put Your Boots On ***
Capitolo 21: *** Flaws ***
Capitolo 22: *** Your Love is My Favorite Band ***
Capitolo 23: *** Photograph ***



Capitolo 1
*** The Anchor ***


 

Ciao a tutti.

Prima di lasciarvi alla lettura di questo primo capitolo vorrei fare solo una precisazione. 

Il racconto che state per iniziare è quello che a me piace definire una “storia con colonna sonora”. Ogni capitolo, infatti, ruota attorno a una canzone che, se vi va, potete anche ascoltare durante la lettura.

Spero l'idea possa piacervi – così come il capitolo, ovvio xD 

Intanto vi ringrazio.

Buona lettura.

 

 

 

 

 

You’re the song I sing again and again | All the time, all the time | I think of you all the time”

Bastille. The Anchor.

 

 

 

The SSE Hydro, Glasgow, 7 febbraio

Ore 11:07 PM

 

Gli sembrava di sentire ancora distintamente nelle orecchie le urla del pubblico, le voci che si accavallavano una sull’altra cantando le parole delle canzoni in un coro grandioso e in grado di far venire la pelle d’oca per la sua bellezza. Alla fine di un concerto gli rimaneva sempre una riserva di adrenalina sufficiente per farlo sentire felice e appagato per ore e, quando questa spariva completamente, la prospettiva di esibirsi su un nuovo palcoscenico nel giro di alcune ore – o pochi giorni al massimo – gli consentiva di rimanere di ottimo umore.

Camminando lungo il corridoio che lo avrebbe ricondotto al camerino, i compagni – Chase, Chris e Trent – alle spalle, Ewan si stava asciugando il sudore dal collo, tamponandolo con un morbido asciugamano. Sentiva gli altri ridere, chiacchierando del concerto appena concluso, commentando le esultanze del pubblico, la loro energia. Di tanto in tanto il cantante si voltava verso di loro e annuiva, aggiungendo dettagli sfuggiti agli atri.

Raggiunto il camerino si diresse subito verso il suo borsone, da cui estrasse una t-shirt pulita, l’orecchio sempre teso alla conversazione dei suoi amici e un sorriso inestinguibile dipinto in volto. Si sfilò la maglietta che aveva portato al concerto e si sistemò meglio gli stretti jeans a sigaretta. Compiendo quel gesto, però, si accorse di avere qualcosa in una delle tasche, qualcosa che era sicuro non avrebbe dovuto esserci. Fattosi improvvisamente serio, Ewan estrasse dalla tasca l’oggetto incriminato, che riconobbe subito come un foglietto di carta ripiegato su se stesso tante volte, così da risultare uno stretto e compatto cubetto. Cercò di fare mente locale, pensando se si potesse trattare di qualcosa – forse uno scontrino o un appunto – che lui stesso si era infilato in tasca per poi dimenticare di averlo fatto, tuttavia l’unico modo per averne la conferma era quello di aprirlo e osservarne il contenuto.

Districò i vari lembi ripiegati su se stessi con calma, nonostante la curiosità che gli urlava di fare in fretta. Più apriva il foglietto di carta, però, più si rendeva conto che quello che aveva fra le mani non ere nulla di suo; non si trattava di uno scontrino, non di un appunto, né di un banale pezzo di carta bianca.

Era un disegno. Un piccolo disegno a tratto-pen meravigliosamente eseguito. Il soggetto di quella piccola opera erano due ragazzi, un maschio e una femmina, raffigurati nell’atto di scattarsi un selfie insieme. Ewan lo analizzò meglio, avvicinando il foglietto al viso. La qualità del tratto, per quanto rapido e sintetico, era tale da fornire alle due figure tratti somatici ben definiti, evidenziati maggiormente dal sapiente uso di pochi e calcolati tratti di colore. Si rese conto che il ragazzo del disegno era lui. Era evidente; aveva gli stessi capelli scuri, lo stesso sguardo, il modo di vestire, perfino lo stesso sorriso.

La cosa lo lasciò di stucco ma, superata la sorpresa iniziale, gli fece anche molto piacere. Quel piccolo disegno era stato fatto certamente da una fan della band e lei altri non poteva essere se non la ragazza raffigurata lì accanto a lui, dal viso dolce e dal caschetto di capelli ramati, come i colori e il tratto evidenziavano sulla carta. Non poteva essere altrimenti.

Si chiese quando la ragazza fosse riuscita a infilargli quel foglietto in tasca e capì che l’unico momento possibile era stato durante Chalk quando, come faceva spesso, era sceso dal palco per camminare cantando in mezzo al suo pubblico. Non poteva essere avvenuto diversamente, il che voleva dire che chiunque gli avesse fatto quel piccolo ritratto era stato al concerto quella sera e che lui gli era passato accanto, forse l’aveva addirittura guardato.

Continuò a far scorrere a lungo gli occhi sulla sua versione cartacea, portandoli sulla giovane che era raffigurata al suo fianco, sentendo dentro una sensazione curiosa, calda. Quel disegno gli stava trasmettendo delle piacevoli sensazioni, gli comunicava qualcosa; gli faceva venire voglia di vivere il momento che lì, su carta, era così sapientemente registrato.

«Che stai guardando?»

La voce di Trent lo riportò alla realtà. Sollevò la testa, voltandosi verso il suo amico e lo guardò un momento. Si rese conto che si era estraniato, che si era allontanato dal resto degli Shards, dal camerino e dal luogo in cui avevano appena suonato. La sua mente aveva vagato, immaginato, catturata da quel piccolo disegno.

«Ho trovato questo in tasca» rispose il cantante, tendendo a Trent il disegno.

A sentire quelle parole anche gli altri due lo raggiunsero, incuriositi. Guardarono il disegno, i due soggetti posti uno accanto all’altra.

«Ehi, questo sei tu» esclamò Chase, divertito.

«È fatto bene» commentò Chris.

«Non ho idea di chi lo abbia fatto» disse poi Ewan, passandosi una mano fra i capelli scuri che avevano ormai perso la piega. «Non è firmato, non c’è scritto nulla.»

«Beh, l’ha fatto senz’altro una fan» osservò Chris, ricevendo consenso unanime.

Il cantante riprese in mano il piccolo disegno, tornando a osservarlo. Dentro provava uno strano senso di malinconia. Quel lavoro gli piaceva, gli piaceva tantissimo e l’idea di non sapere chi lo avesse realizzato gli procurava dispiacere. Era sicuro che fosse opera di una ragazza e che probabilmente doveva esseri autoritratta al suo fianco. Da quel piccolo insieme di linee e colori era nato quel volto femminile in grado di trasmettergli qualcosa; gli sembrava quasi di conoscerla, di saperla simpatica, di trovarla bellissima. Aveva visto un’infinità di disegni ma nessuno gli aveva fatto provare così in fretta simili sensazioni.

«Forse,» esordì Trent, vagamente perplesso dall’atteggiamento del suo cantante, «può essere che chiunque ha fatto questo disegno sia là fuori insieme a tutti quei fan che di solito aspettano il nostro rientro nel tourbus.»

Ewan lo guardò, sorridendo leggermente. Diede ragione all’amico, sentendo animare in sé la speranza. Desiderò come non gli capitava da tanto di riuscire a incontrare quella ragazza che si era ritratta insieme a lui, di parlarle, di vedere se l’idea che si era fatto di lei – così immediata e impossibile da ignorare – era esatta.

Posò il piccolo foglietto in carta, ciò che era appena e con estrema rapidità diventata la sua prima preoccupazione e ultimò di cambiarsi i vestiti; si ritrovò presto pronto per tornare insieme alla band e ai roadie verso il tourbus che li avrebbe condotti alla prossima destinazione, consapevole che prima di varcarne la soglia avrebbe incontrato un gruppo dei propri fan – come capitava sempre a fine concerto – e che forse, in mezzo a loro, poteva anche esserci quella ragazza.

 

 

 

 

Whitehall Rd., Leeds, 10 febbraio

Ore 2:33 AM

 

Stare seduto al bancone del bar di un hotel a notte fonda era una di quelle cose che aveva visto fare spesso nei film, ma che non aveva mai sperimentato prima. Eppure in quel momento stava facendo esattamente quello. Ewan era seduto proprio al bancone dell’hotel in cui avrebbe dovuto dormire, un bicchiere vuoto davanti – che aveva contenuto acqua tonica al limone, a differenza di quanto succedeva nelle pellicole – con cui giocava distrattamente, i gomiti appoggiati al piano, la testa bassa e sporadiche parole di The Anchor dei Bastille in testa.

Leeds era stata la loro ultima meta; ora per gli Shards si prospettava un periodo di riposo di circa due mesi, prima di ripartire per la seconda metà del tour europeo. L’adrenalina che lo aveva inondato durante il concerto era scesa completamente e non c’era alcuna prospettiva di un nuovo live ad alimentare il suo buonumore. Si sentiva stanco, ma non aveva sonno. Era soddisfatto, ma anche dispiaciuto.

Con la mente stava vagando da tutt’altra parte mentre gli occhi blu scorrevano assenti sulle iridescenze vitree del bicchiere. Da ormai due giorni non faceva altro che tormentarsi continuamente domandandosi chi fosse – e dove fosse – la ragazza che gli aveva fatto il disegno che si era trovato in tasca dopo il concerto di Glasgow. Quella sera lei non era in mezzo ai fan che avevano atteso il ritorno degli Shards al tourbus; in mezzo a quel gruppetto che li aveva tanto calorosamente accolti nessuna aveva fatto allusioni a un disegno, nessuna aveva un caschetto di capelli color rame. Lei non era fra loro. Quando Ewan si era allontanato dai fan e li aveva salutati un’ultima volta si era reso conto, con sua enorme sorpresa, di essere profondamente amareggiato per non aver potuto incontrare quella ragazza, anche solo per ringraziarla di quel piccolo e inaspettato regalo.

Non riusciva a capire perché il pensiero di lei continuava a tornargli alla mente, perché di tanto in tanto cedeva al desiderio di andare a guardare quel disegno ancora una volta. Lo aveva conservato insieme a molti altri regali che i fan gli avevano fatto, ma per quel piccolo lavoro aveva riservato un posto speciale, unendolo con una graffetta a quelle carte che lui teneva sempre con sé, su cui abbozzava pensieri, parole e note e da cui spesso nascevano canzoni. Quel disegno, per quanto banale in apparenza, non gli dava pace; tutto quello che lo riguardava non gli dava pace.

Abbandonò il bicchiere, portandosi le mani al volto e respirando profondamente alcune volte. Si sforzò di farsi una ragione del modo in cui le cose era andate, si disse che le possibilità di incontrare quella ragazza erano – e sarebbero rimaste – talmente basse che non avrebbe dovuto né sorprendersi né rimanere deluso dal modo in cui si erano svolte le cose.

Si tolse le mani da davanti al viso e prese irrequieto a ticchettare con le dita sul piano del bancone. Improvvisamente si concentrò sul ritmo che stava battendo. Qualcosa in lui si animò. Insieme a quel ritmo nuovo, che non aveva ancora sperimentato in nessuno dei suoi pezzi, si fecero largo nella sua testa tutta una serie di parole. Si affacciarono confuse, per poi prendere ordine spontaneamente, seguendo il ritmo che lui stava componendo, in parte in quel bar, in parte nella sua testa, dove si proponeva ben più articolato e complesso.

Si alzò dallo sgabello su cui era seduto, avviandosi in gran fretta verso la sua stanza, canticchiando fra sé quello che continuava a nascergli in mente con semplicità sorprendente, sforzandosi di non dimenticare nulla prima di poter afferrare carta e penna.

 

 

 

Sala prove degli Shards, Shaftesbury Ave., Londra, 18 febbraio

Ore 11:15 AM

 

Quando Ewan raggiunse la sala prove sapeva perfettamente di essere in ritardo, sebbene di poco, ma aveva avuto una serie continua di contrattempi che lo avevano rallentato, primo fra tutti il fatto che la sua sveglia aveva deciso di ammutinarsi. Quando si era reso conto dell’orario era sceso in tutta fretta dal letto, si era lavato, vestito ed era uscito di casa prendendo con sé la bicicletta, decidendo di fermarsi a metà strada per prendere qualcosa da mangiare. Un nuovo contrattempo gli si era presentato lì, quando il locale scelto si era dimostrato pieno e lui era ormai troppo incastrato fra la folla per decidere di andarsene.

Era una mattina particolarmente piacevole, nonostante fosse febbraio. Il cielo era terso, limpido e la brezza saliva solo delicatamente fino al cuore della città. Quest’ultima appariva viva come sempre, piena del suo caratteristico via e vai di persone, ricca di cittadini, lavoratori e turisti.

Ewan lasciò la bicicletta dove la metteva abitualmente, chiudendola con un catenaccio. Corse letteralmente dentro l’edificio, proseguendo lungo i corridoi e salutando chi incontrava nel tragitto con un rapido saluto e un gesto della mano. Mentalmente si fece forza, ripetendo fra sé quello che avrebbe dovuto dire ai suoi compagni. Non sapeva se lo avrebbero capito, ma sapeva per certo che avrebbe comunque potuto contare su di loro e tanto gli bastò per motivarsi.

Varcò l’ingresso della sala prove che avevano affittato, controllò l’orario e prese effettivamente nota del suo ritardo. Più di venti minuti. Imprecò mentalmente contro la sveglia, il caos e perfino contro il caffè, mentre Chris, Trent e Chase si voltavano a guardarlo sentendolo entrare.

«Alla buon’ora» gli diede il benvenuto Trent.

«Scusatemi» disse Ewan recuperando fiato.

Entrò nella sala prove già perfettamente organizzata e si sfilò lo zaino e la giacca, dopodiché si voltò verso gli amici. Erano lì, tutti e tre, fermi a guardarlo in attesa, curiosi di sapere per quale motivo Ewan avesse chiesto loro di trovarsi in sala prove quella mattina nonostante avessero concordato di provare il giorno successivo.

Il cantante li guardò uno a uno, infine respirò a fondo e si fece forza; quello che voleva dire loro lo imbarazzava, in un certo senso, e non sapeva se i suoi amici avrebbero assecondato o meno la bizzarra idea che si era impossessata di lui il pomeriggio precedente, quando aveva chiamato gli altri per pregarli di trovarsi in sala prove.

Non partì dal principio per cercare di ottenere la loro collaborazione, partì dal risultato. «Ho scritto una canzone» disse, estraendo dalla tasca dei jeans il telefono cellulare.

Gli altri tre commentarono entusiasti la notizia, sistemandosi sul divano della sala, in attesa di ascoltare il nuovo lavoro composto dal loro cantante.

Come faceva sempre ogni volta che sottoponeva agli amici una canzone nuova a cui stava lavorando, Ewan collegò il cellulare al computer, copiò la canzone sul desktop e premette play, lasciandola libera di riempire tutta l’aria della stanza. In quel momento, però, si sentiva più agitato del solito. La canzone che stava scorrendo, registrata con il telefono e composta solo dalla sua voce, dal piano e da una base ripetitiva trovata fra gli effetti della tastiera, era la stessa che gli era comparsa in mente a Leeds, mentre, a sedere al bancone del bar dell’hotel, aveva continuato a pensare alla ragazza che gli aveva fatto il disegno. Sebbene l’avesse arricchita, decorata e articolata sapeva che quella canzone parlava di lei, di una ragazza che non aveva mai realmente incontrato. L’aveva intitolata Penelope e racchiudeva dentro di sé una metafora della storia di Penelope e Ulisse. Per quanto sottili, le allusioni a quello che gli era accaduto dopo Glasgow vi erano tutte. Poiché Ewan era convinto che ai suoi amici non sarebbero sfuggite, pensò fin da subito a cosa poter dire per giustificarsi, sebbene continuasse ad ascoltare la sua composizione, scoprendosi piuttosto soddisfatto di quanto aveva scritto.

Quando la canzone finì calò un breve silenzio, che venne subito interrotto da Chase: «Mi piace, Ewan, davvero.»

Il cantante gli sorrise, sollevato.

«Come mai una canzone su Penelope e Ulisse? » domandò Chris, interessato.

Ewan si strinse nelle spalle, rendendosi conto che il momento era arrivato. Inspirò a fondo cercando di non farsi notare dagli amici e si decise a dire loro come stavano le cose.

Non tralasciò nulla, raccontando tutto quello che c’era da sapere. Disse loro della delusione provata dopo che si erano allontanati da Glasgow, quando quella ragazza che aveva tanto sperato di incontrare non era fra i fan rimasti ad attenderli. Spiegò quanto quel piccolo disegno continuasse a essere un chiodo fisso nella sua testa. Raccontò agli amici di quella notte a Leeds e di come la canzone era nata in fretta. Infine, leggermente imbarazzato nel raccontare una storia che poteva avere dell’assurdo, disse loro quanto la speranza di riuscire a conoscere la ragazza fosse tale da averlo portato a scrivere Penelope e di come fosse inestinguibile anche in quel momento per ragioni che, davvero, sfuggivano completamente alla sua comprensione.

Si zittì di colpo quando non seppe che altro dire, sentendosi sotto esame, squadrato da tre sguardi diversi.

«Certo» esordì infine Trent, rendendo ulteriormente nervoso Ewan, «che questo genere di cose possono capitare solo a uno come te.»

A quelle parole il cantante scoppiò a ridere, seguito a ruota dal resto della band. «Lo so» disse poi, quando si ricompose.

«E come speri di incontrare questa fantomatica ragazza? Aver scritto una canzone non basta, soprattutto perché non è così palese che tu stai parlando di lei e di quello che è successo a Glasgow» gli fece notare Chris, ricevendo consensi in risposta.

Ewan sapeva che l’amico aveva ragione, ma aveva pensato anche alla soluzione a quel problema nel suo continuo pellegrinaggio mentale. Prima che potesse proporre agli altri il suo progetto – che era la cosa che lo preoccupava maggiormente in quel momento – Chase lo precedette: «Basta solo tornare a suonare a Glasgow» disse, con un’innocua alzata di spalle.

Ewan lo guardò, sentendo un sorriso formarsi sul suo viso. «Era quello che volevo proporre io» ammise poi.

Trent e Chris lo guardarono.

«Vorresti tornare a suonare a Glasgow? E quando?» domandò Chris.

«Il prima possibile» rispose Ewan. Guardò gli amici e sospirò. «Sentite, lo so che vi sto chiedendo molto e capisco se non volete assecondarmi. È solo che... Non lo so, c’è qualcosa in tutta questa faccenda che non mi dà pace. Sono addirittura arrivato a scriverci una canzone. Ho pensato che, in fin dei conti, provare a fare qualcosa non mi costasse nulla. Chi può dire che alla fine non otterrò niente?»

Di nuovo calò il silenzio e Ewan non ebbe il coraggio di interromperlo. Sapeva che stava chiedendo ai suoi compagni di seguirlo in quello che aveva tutte le sembianze di essere un banale capriccio, ma il suo buonsenso e la sua ragione erano stati completamente sopraffatti dal desiderio; il desiderio di incontrare quella ragazza, di vedere se era come continuava a immaginarla, di capire come fosse possibile che quella situazione potesse ossessionarlo a tal punto. Se Chris, Trent e Chase gli avessero detto di lasciar perdere se ne sarebbe fatto una ragione, ma finché non avesse sentito quelle parole lui avrebbe continuato a provarci.

Vide gli altri scambiarsi un’occhiata d’intesa, e trattenne il respiro sapendo che di lì a poco avrebbero dato il loro personale giudizio. Come spesso accadeva uscì dalla bocca di Trent: «Ok, facciamolo.»

Il cantante si convinse di aver capito male e li guardò incredulo. «Dite sul serio?»

«Sì, diciamo sul serio. Ci hai addirittura scritto una canzone sopra, Ewan, lo hai detto anche tu. Probabilmente questa cosa ti sta davvero molto a cuore» rispose Chris.

«Grazie ragazzi» sorrise radioso Ewan, passandosi una mano fra i capelli.

«Se vuoi tornare a Glasgow però dobbiamo discuterne con Eddie e fare in modo che ci inseriscano la data nella seconda parte della tournée» gli fece notare Chase, alludendo al loro manager.

«Mi occupo io di Eddie» replicò il cantante.

Trent continuò a guardare l’amico in silenzio, un leggere sorriso in volto. «Così torniamo a Glasgow per amore, eh?» chiese.

«Per amore? Di che parli?» si intromise Chase.

«Oh, andiamo, non hai sentito le parole? È chiaramente una canzone d’amore.»

Chris diede ragione a Trent quando quest’ultimo pronunciò quelle parole, dopodiché tornò a guardare il suo cantante. Ewan rispose allo sguardo di entrambi, senza dire nulla per alcuni secondi.

«Io… forse. Questa storia è assurda e non so che mi sta succedendo. So solo che ci voglio provare, che solo così potrò finalmente capire che diavolo mi prende.»

I suoi occhi avevano vagato per la stanza mentre parlava, tormentandosi i capelli con la mano destra e la cerniera della felpa con la sinistra. Quando tornò a posare lo sguardo sui suoi compagni li trovò lì, fedeli.

Forse non c’era niente di sensato in quello che voleva fare. Forse stava facendo perdere tempo a tutti – ai suoi amici, al suo staff, al suo manager. Forse non avrebbe ottenuto niente da tutta quella storia, ma non riusciva a desiderare altro se non fare un tentativo, quel tentativo. Voleva portare la sua canzone per la prima volta a Glasgow nella speranza che potesse servire a qualcosa, desiderando con tutto se stesso che le sue parole e la musica che avrebbe perfettamente arricchito il testo potessero comunicare con la diretta interessata. La musica era la sua arma più forte e l’unica che sapeva avrebbe potuto funzionare in una simile circostanza. Niente poteva essere meglio di quel tipo di messaggio per trovare qualcuno che lo aveva cercato proprio a un suo concerto.

Non sapeva se avrebbe ottenuto o meno dei risultati, ma in quel momento capì che Chris, Trent e Chase erano pronti ad aiutarlo anche in quel assurdo tentativo.

 

 

 

 

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Rieccomi.

Innanzitutto vorrei ringraziare quanti di voi sono arrivati a leggere fin qui. Spero che il capitolo possa essere stato di vostro gradimento e che, magari, vi abbia anche incuriosito al punto di portarvi ad avere voglia di continuare nella lettura. 

Vorrei dire solo un'altra cosa – in aggiunta a quanto ho scritto all’inizio. La storia in questione nasce come fan fiction sui Bastille, ma dal momento che non mi piace molto pubblicare long su artisti musicali – preferisco le one shot, infatti – ho deciso di renderla un’originale e approfittarne per “manipolare” un po’ i personaggi. Nonostante tutto, però, vi lascio immaginare chi sono i presta volto dei quattro Shards.

Ok, chiudo. Come già detto vi ringrazio per aver letto fin qui, spero davvero che questo capitolo vi abbia fatto venire voglia di proseguire anche con i prossimi.

Nel caso vogliate lasciare un commento sentitevi liberi, a me fa piacere :)

Alla prossima.

MadAka

 

 

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Capitolo 2
*** Patient Love ***


 

 

 

Two sips of whiskey in the flask but I’m not gonna drink them | I swear I’ll make it last |

Til we’re drinking out of the same glass again

Passenger. Patient Love.

 

 

 

The SSE Hydro, Glasgow, 2 luglio

Ore 9:54 PM

 

Esibirsi a un concerto liberava Ewan da qualsiasi tipo di pensiero, portandogli esclusivamente sensazioni positive.

Quella sera, però, qualcosa continuava ad affacciarglisi in mente, ricordandogli ogni minuto il perché della presenza degli Shards a Glasgow. A ogni canzone, quando la musica stava per iniziare e prima ancora che il cantante potesse aver modo di ricordare le parole del testo, nella sua mente si ripresentava il disegno che qualcuno, in quella città, gli aveva messo in tasca cinque mesi prima. Sapeva che il reale motivo di quel nuovo concerto a Glasgow era quello di riuscire in qualche modo a rintracciare la ragazza del disegno – perché non aveva mai dubitato si trattasse di una ragazza – ma voleva anche che quello fosse un nuovo concerto della propria band e, per tale motivo, stava dando il meglio di sé.

L’energia e la carica che il pubblico gli trasmetteva lo stavano facendo sentire più vivo che mai, al punto di caricarlo dell’euforica convinzione di sapere che tutto sarebbe andato secondo i propri piani. Avevano aggiunto Penelope alla scaletta della serata e il momento di suonarla era finalmente giunto.

Quando concluse Sin, mentre il pubblico urlava e applaudiva per far sentire tutto il suo sostegno, Ewan guardò in direzione dei compagni, ricevendo da loro i cenni di incoraggiamento di cui aveva bisogno. Avvicinò il microfono alle labbra e respirò a fondo, sentendo davanti a sé il silenzio formarsi.

«Ehi» esordì, ricevendo in risposta un boato che lo fece sorridere. «Vi ringrazio tantissimo per esserci stasera, anche se abbiamo suonato qui solo cinque mesi fa.»

Un nuovo boato, qualcuno urlò frasi di apprezzamento da lontano.

«Ora abbiamo in scaletta un pezzo nuovo, che non abbiamo mai fatto prima. Si intitola Penelope.

«Questa canzone è fortemente legata alla vostra città, sapete? Quando abbiamo suonato qui, a febbraio, qualcuno mi ha fatto un bellissimo disegno che ho trovato a fine concerto. Non so chi lo abbia fatto, purtroppo, ma è davvero bello.» Si passò una mano fra i capelli scuri, lievemente in imbarazzo all’idea di raccontare quella storia davanti a centinaia di persone. «A ogni modo, quel piccolo disegno mi ha ispirato questa nuova canzone e ci tengo a far sapere alla persona che lo ha eseguito, sperando sia qui stasera, che questa canzone è per lei.»

Chiuse gli occhi, ascoltando l’emozionante risposta del pubblico. Ispirò a fondo appena sentì Chris eseguire alla tastiera le prime note del brano. Sapeva che era arrivato il momento che aveva atteso e rincorso negli ultimi cinque mesi e sentì tutte le tensioni e le ansie scivolargli di dosso.

 

 

 

 

Congress Rd, Glasgow, 3 luglio

Ore 12:18 AM

 

Gli ultimi due ragazzi si allontanarono dagli Shards commentando entusiasti le foto che avevano appena fatto con i membri della band, sebbene a dividerli vi fosse un alto cancello con sbarre in metallo, quello che delimitava l’area backstage del concerto. Ewan li guardò allontanarsi, la fiducia ancora forte in sé, attendendo l’arrivo di altre persone.

Il concerto si era concluso nel migliore dei modi. Penelope aveva riscosso successo, il cantante lo aveva capito dalla reazione estasiata del pubblico, così come gli era stato direttamente rivelato dal gruppetto di fan che aveva atteso la loro uscita a fine concerto, fermandoli prima che potessero salire sul tourbus per rientrare in albergo. Fra di loro, però, nessuno aveva parlato del disegno, se non per dire che quella storia aveva del fascino incredibile.

Tuttavia, guardando gli ultimi ragazzi allontanarsi e non vedendo nessun altro sopraggiungere nella loro direzione, Ewan dovette arrendersi all’evidenza che il suo tentativo era fallito. Avrebbe dovuto accettare il fatto che non avrebbe mai incontrato la ragazza a cui aveva pensato continuamente negli ultimi cinque mesi, pur non avendo alcuna idea di chi fosse.

Sentì gli occhi degli amici su di sé; era certo che stavano tutti pensando la stessa cosa. Si voltò verso di loro, abbozzando un sorriso e stringendosi nelle spalle. I quattro si guardarono in silenzio.

«Mi spiace, Ewan » disse Chase, parlando a nome di tutti.

Nei mesi precedenti, mentre provavano e componevano le musiche per Penelope, i tre amici avevano avuto modo di capire quanto, inspiegabilmente, Ewan fosse ossessionato dal disegno che una sconosciuta gli aveva fatto. Il cantante non era mai riuscito a spiegare il perché di quella sua fissazione, ma diventava evidente ogni giorno più del precedente e non gli dava pace. Aveva insistito con Eddie per poter ottenere una nuova data a Glasgow, attendendo quella sera con desiderio sempre crescente. Aveva riposto in quel solo concerto tutte le sue speranze, sentendosi catapultato in qualcosa al limite del surreale.

Tuttavia dovette accettare l’esito di quella sera, così palese da non poter venire ignorato. Le possibilità erano due: lei non era venuta al concerto, oppure non voleva far sapere al cantante chi fosse. Quale delle due fosse la motivazione esatta, però, a Ewan non importava. Dentro provava una gran delusione che solo un nuovo concerto avrebbe potuto aiutare a superare.

Si incamminò seguendo i suoi amici, costringendo la sua mente a pensare a tutt’altro, proiettandola sullo show appena concluso e sentendosi un po’ più sollevato nel ripercorrere quei ricordi.

A un tratto sentì uno scoppio provenire alle sue spalle. Sì voltò di scatto, lievemente preoccupato, così come fecero Trent, Chris e Chase. Il botto non era stato molto forte, forse per quel motivo ciò che era più forte nel cantante – insieme alla preoccupazione – era la curiosità.

Voltandosi, contro ogni possibile previsione, i quattro Shards videro arrivare verso di loro una pioggia di coriandoli. Ewan fu quello che ne rimase più colpito; molteplici rettangoli di carta colorata volteggiavano nell’aria, arrivando fino al punto in cui si trovava lui, posandosi ai suoi piedi. Seguì a ritroso il tragitto dei coriandoli, trovando quella che era stata la loro fonte e dello scoppio che li aveva preceduti. Lì, oltre le sbarre del cancello, il tubo dei coriandoli ancora in mano, stava ferma una ragazza. Guardava in direzione degli Shards, sorridendo, gli occhi fissi in quelli di Ewan.

Colpito e incuriosito, il ragazzo si avvicinò d’istinto verso di lei – che aveva forse venticinque anni o pochi in più – osservandone il viso, i capelli scuri raccolti in una lunga treccia che le ricadeva sulla spalla e un abbigliamento a metà fra l’indie e il grunge. La raggiunse al cancello e si fermò; alle sue spalle Trent, Chris e Chase assistevano immobili alla scena.

Ewan e la ragazza si guardarono, sorridendosi reciprocamente, dopodiché lei tese al cantante, oltre la cancellata, un biglietto. Era il biglietto del concerto degli Shards appena concluso su cui lei – e Ewan la riconobbe subito – aveva disegnato con un pennarello la stessa figura femminile che aveva raffigurato accanto al cantante nel disegno che lui si era trovato in tasca cinque mesi prima. Sebbene non vi fossero colori a confermare la cosa, Ewan aveva guardato quel piccolo disegno così tanto che non ebbe il minimo dubbio si trattasse della stessa figura, così come si trattava dello stesso disegnatore.

«Hai scritto di Claire» gli disse d’improvviso la ragazza, con dolcezza.

Il cantante alzò gli occhi su di lei, incredulo. L’aveva trovata. Aveva trovato la ragazza a cui aveva pensato continuamente negli ultimi cinque mesi. Non la riconobbe solo dal lavoro che lei gli aveva appena porto, ma anche dagli occhi, gli stessi della ragazza disegnata. Per un lunghissimo momento quella situazione lo fece sentire strano, come se fosse alle prese con qualcosa di molto simile a un sogno. Aveva tutte le sembianze di qualcosa di irreale, eppure non lo era affatto. In quel momento lui era lì a Glasgow e di fronte vi era la persona che aveva tanto cercato; avrebbe potuto toccarla se solo avesse voluto e un primo contatto era già avvenuto nel momento esatto in cui le loro mani si erano sfiorate nel passaggio del biglietto.

«Sei tu» mormorò infine.

La ragazza si strinse nelle spalle. «Dipende dai punti di vista. Non ci assomigliamo molto» disse con un sorriso, indicando in direzione del disegno che Ewan ancora teneva in mano.

Lui controllò il biglietto, confrontando la persona che aveva davanti con quei rapidi e precisi tratti schizzati sulla carta. Trovò che la giovane sotto i suoi occhi fosse ancora più bella di quella disegnata nei lavori che aveva avuto modo di vedere, mentre una parte dentro di sé gli disse ostinata che era esattamente come l’aveva immaginata fin da subito, quando si era disegnata nella sua mente con le parole e le note di Penelope.

«Speravo di incontrarti, sai? Quel disegno che mi hai fatto a Glasgow, la volta scorsa, mi è davvero piaciuto» le rivelò il cantante, restituendole il biglietto e passandosi una mano fra i capelli, sopraffatto dalla situazione e incapace di resistere all’impulso di continuare a sorridere.

Lei tormentò per un breve istante la treccia con la mano libera, guardando imbarazzata da un’altra parte. «Io…» attaccò, ma dovette respirare a fondo prima di riuscire effettivamente a proseguire. «Non era mia intenzione metterti in tasca quel disegno. Lo avevo fatto perché speravo di riuscire a farmelo autografare a fine serata. Solo che, durante Chalk, mi sei passato così vicino che mi è bastato allungare appena la mano.»

Se non ci fosse stato buio Ewan avrebbe potuto vederla mentre arrossiva.

«Sono contento che siano andate così le cose» rispose lui, sovrappensiero.

I due tornarono a guardarsi, in silenzio. Il cantante si voltò un attimo in direzione degli amici, accanto al tourbus, fermi a osservare la coppia che si era appena formata. Tutti e tre temevano di rovinare quel momento e per tale motivo nessuno aveva il coraggio di intromettersi.

Ewan tornò a rivolgere la sua attenzione alla ragazza. «Ti chiami Claire?» domandò, alludendo al nome che lei aveva pronunciato prima.

Di tutta risposta quest’ultima scosse la testa. «No. Questa è Claire» disse, sollevando il biglietto e mostrando nuovamente il personaggio da lei raffigurato. «Io mi chiamo Amelia.»

Poter dare un’identità alla figura che aveva immaginato per mesi fece sentire sorprendentemente appagato Ewan. Rimase a guardare la ragazza – Amelia – con attenzione, registrando meglio che poté il suo viso, il sorriso, gli occhi. Averla trovata era una sensazione unica, qualcosa che sentiva di non aver mai provato prima. Proprio per quel motivo, però, non voleva che finisse tutto in fretta come, al contrario, sembrava essere predestinato ad accadere. Protrarre ancora quell’attimo, renderlo qualcosa di molto vicino all’eternità, era appena diventato il suo nuovo desiderio. Aveva aspettato troppo per consentire a quel momento di allontanarsi e avrebbe fatto del suo meglio per impedire che ciò accadesse.

Tuttavia la realtà dei fatti era pronta a strapparlo alle sue illusioni ancora una volta.

«Ewan.»

Sentì Chris chiamarlo alle sue spalle. Si voltò verso i suoi compagni, distanti abbastanza da non capire cosa stava accadendo.

«Dobbiamo rientrare in hotel» gli ricordò Chase.

Il cantante rimase in silenzio, dopodiché si voltò nuovamente verso Amelia. Non era affatto stanco e, soprattutto, non aveva alcuna voglia di separarsi da lei, non ora che l’aveva finalmente trovata. Fece scorrere gli occhi sull’alta cancellata che lo separava dalla ragazza e sorrise. Erano un paio di metri, niente che non avesse già affrontato.

«Hai da fare?» chiese ad Amelia, divertito dall’idea che gli era appena venuta in mente.

«Cosa? Ora?» domandò lei in risposta, perplessa.

«Sì, ora.»

«No. Non ho niente da fare, è l’una di notte» rispose infine, soffocando una risata.

Quelle parole bastarono al cantante. Si voltò nuovamente verso i tre amici e sorrise loro. «Prendo un taxi» disse.

Trent, Chris e Chase capirono subito le sue intenzioni. Si misero a ridere o sorrisero, ma salutarono tutti l’amico con un cenno. Se Ewan avesse prestato attenzione, inoltre, avrebbe potute sentire Chris che intonava appena le parole di Patient Love di Passenger.

Subito dopo il cantante tornò a concentrarsi sul cancello, prese meglio le misure e vi si arrampicò sopra. Si aggrappò con agilità nei punti giusti, sotto lo sguardo incredulo di Amelia, infine atterrò con precisione al fianco della ragazza, dal lato opposto della cancellata.

«Ti va di andare a bere qualcosa?» propose poi il cantante, con una naturalezza disarmante.

Lei lo guardò sorpresa, senza riuscire a proferire parola per diversi secondi. Fu evidente per Ewan che non riusciva a credere a quello che stava succedendo, lo capì dai suoi occhi e la cosa gli fece tenerezza. Quella era un’ottima occasione per farle capire che, dopotutto, lui era un ragazzo normalissimo.

Amelia spostò lo sguardo in direzione degli altri componenti della band e li vide salire sul tourbus, chiacchierando fra loro. Era come se fossero avvezzi a situazioni del genere, come se il loro cantante abitualmente scavalcasse cancelli per chiedere a una sconosciuta di bere qualcosa insieme. Quello che, però, lei non poteva capire era il fatto che per Ewan lei non era affatto una sconosciuta. Dentro di lui qualcosa continuava a ripetergli che Amelia era esattamente come l’aveva immaginata, che l’aveva aspettata e pensata per cinque mesi per poi trovarsi davanti ciò che sapeva avrebbe trovato. Sentiva di conoscerla.

«Perché vorresti farlo?» domandò di punto in bianco la ragazza, riferendosi all’offerta che il cantante le aveva appena fatto.

Ewan, di tutta risposta, si strinse tranquillo nelle spalle. «Perché voglio conoscerti» rispose.

Per lei tutto quello che stava accadendo non poteva essere reale, soprattutto perché non avrebbe neanche potuto immaginare una simile situazione. Quando a febbraio aveva messo il suo disegno in tasca a Ewan, mentre lui le sfilava accanto cantando, aveva agito di impulso, senza alcun intento preciso e, certo, mai avrebbe creduto di ritrovarsi lì, davanti a un uomo che ammirava, cantante della sua band preferita e sua unica infatuazione da anni.

Dopo un lungo, chiaro, momento di indecisione e smarrimento, Amelia si decise a cogliere al volo quell’occasione, consapevole di quanto fosse unica nel suo genere. Sorrise. «Mi viene difficile credere che stia succedendo tutto davvero» ammise.

«Eppure è così.» Ewan rimase in attesa. Non voleva mettere alcun tipo di fretta ad Amelia, gli bastava anche solo averla davanti e saperla lì per lui.

«Bere qualcosa insieme ti basterebbe per conoscermi?» chiese infine la ragazza, con lo stesso tono incredulo che non la voleva abbandonare.

«No, naturalmente» rispose lui consapevole. «Ma può comunque aiutare. In fin dei conti abbiamo tutta la notte.»

Amelia sollevò le sopracciglia, sorpresa. Sul suo viso affiorò un sorriso, che si rifiutò di nascondere. «D’accordo» esclamò. «Sarei pazza a rifiutare un simile invito.»

Ewan le sorrise, radioso. «Conosci qualche posto aperto fino a tardi?» le chiese.

Lei annuì, indicando in un punto alla sua sinistra. «Ne conosco uno proprio bello. E anche molto tranquillo.»

«Direi che è perfetto» concluse il cantante.

I due si avviarono, uno al fianco dell’altra, mentre la luce elettrica dei lampioni proiettava lontano le loro ombre. Si poteva quasi respirare l’atmosfera che vi era fra loro, carica di incredulità, appagamento e felicità, una combinazione tanto rara da essere addirittura magica.

 

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Capitolo 3
*** When We Were Lovers ***


 

 

 

“To save the night | the night was all we saw | That’s what the darkness is for”

Jack Savoretti. When We Were Lovers.

 

 

 

Sauchiehall St., Glasgow, 3 luglio

Ore 12:58 AM

 

Quello che colpì maggiormente Ewan della Glasgow notturna fu il suo profumo. Era fresco e riposante al tempo stesso, un mix di acqua, terra e vita. Mentre camminava al fianco di Amelia verso posti che non conosceva non riuscì a fare a meno di notare il profumo di quella città. Ci avrebbe potuto scrivere una canzone e forse lo avrebbe fatto.

Accanto a lui la ragazza passeggiava con calma, tenendo le braccia incrociate davanti al petto e facendo scorrere con dolcezza gli occhi sui palazzi della sua città. Il leggero giacchino di pelle riverberava dei bagliori ambrati dei lampioni mentre seguiva il lento ondeggiare del suo corpo. Di tanto in tanto si voltava verso Ewan, scoprendolo quasi sempre intento a osservarla. Gli sorrideva e riprendeva a guardare davanti a sé.

Al ragazzo quell’atmosfera stava piacendo particolarmente. Prima di diventare famoso con i suoi amici e di fondare gli Shards era sempre stato un’anima notturna. Aveva visto Londra molto più spesso con il buio che con la luce e una parte di sé continuava a vivere bene sotto la luna. Per tale ragione in quel momento si sentiva a proprio agio, soprattutto perché sapeva che fra lui e Amelia si era formata un’atmosfera unica, una bolla sospesa che avrebbero fatto scoppiare solo quando fosse stato il momento giusto.

«Siamo quasi arrivati» volle informarlo Amelia a un certo punto.

«Dove stiamo andando?» domandò Ewan, voltandosi verso la ragazza.

«Dietro l’angolo c’è un piccolo pub, un posto tranquillo dove vengo spesso con una mia amica.»

«Sembra carino» sorrise lui.

«Lo è» esclamò Amelia, sorridendo a sua volta. «Inoltre passano ottima musica alla radio e la tengono sufficientemente bassa per riuscire a conversare senza dover urlare» precisò.

Ewan la guardò con attenzione quando lei finì di parlare. Fece scorrere lo sguardo sui suoi lineamenti, il naso leggermente all’insù, le labbra piene e rosee, gli occhi allungati dall’eyeliner nero; notò le lentiggini sul naso e sugli zigomi, che le donavano molto e il piercing al setto nasale, una sottile anella argentata. Aveva un viso particolare; non convenzionale ma indubbiamente affascinante.

Ripensò al modo in cui gli eventi si erano evoluti per permettere a loro due di trovarsi lì in quel momento e di come entrambi avevano giocato un ruolo decisivo per far ruotare quegli eventi a favore. Ewan credeva nel destino; in modo ingenuo, forse, ma ci credeva e per lui l’incontro con Amelia aveva esattamente le sembianze di qualcosa voluto dal destino.

La ragazza si fermò d’improvviso davanti all’ingresso di un locale. Il posto faceva angolo e aveva un’alta vetrata che consentiva di vedere dentro, sulla sala costellata di tavolini in legno. Le luci erano calde e studiate per dare un’atmosfera rilassante. Alla sinistra del lungo bancone c’era un piccolo palco, per le band.

«Eccoci. Se pensi possa andare bene, entriamo» disse Amelia, rivolgendosi al cantante.

Ewan analizzò il locale una seconda volta, soffermandosi sulle poche persone presenti all’interno. Acconsentì e seguì la ragazza all’interno.

Dentro regnava un delicato mormorio di voci, generato dal limitato numero di persone presenti. La radio si sentiva poco nonostante tutto, ma Ewan fu ugualmente in grado di percepire le note di When We Were Lovers di Jack Savoretti. I due salutarono il barista e il giovane cameriere che passò loro accanto. Quest’ultimo indicò un tavolo dicendo che sarebbe arrivato subito. Amelia e Ewan vi ci sistemarono e per un breve, iniziale, momento nessuno dei due seppe cosa dire. Amelia si sentiva come a un primo appuntamento, come se davanti a lei ci fosse un ragazzo che le piaceva ma da cui non era certa di sapere cosa aspettarsi. Se avesse ripensato al modo, a ciò che era accaduto per permetterle di stare nello stesso metro quadro di Ewan Hill, si sarebbe sentita talmente strana da non avere idea di come comportarsi, perciò decise di non farlo. Era come un film; un film in cui le veniva concessa una sola notte in compagnia di un ragazzo che ammirava tremendamente e la consapevolezza che non ci sarebbe stata alcuna replica.

Di fronte a lei il ragazzo non sembrava dello stesso avviso. Il sentimento che lo stava riempiendo totalmente era la curiosità, nient’altro. Nei cinque mesi in cui aveva aspettato quel momento si era fatto molte idee diverse riguardo alla persona che aveva eseguito il disegno da cui era partito tutto. Per tale ragione tutto quello che gli premeva sapere in quel preciso momento era se le migliori supposizioni che aveva formulato si avvicinassero un minimo alla realtà.

Il cameriere portò loro due menù, dando così anche una scusa per avviare un dialogo.

«Cosa prendi?» chiese Ewan, cominciando a spulciare l’elenco delle birre di cui il locale ne offriva un’ampia varietà.

«Penso che prenderò un tè, ne hanno di ottimi qui» rispose Amelia, sollevando lo sguardo dalle pagine.

Per un momento si sentì mancare il fiato. L’emozione prese il sopravvento quando incrociò gli occhi blu del cantante, che la stava osservando con la stessa attenzione che si può dedicare a qualcosa di appassionante. Il sincero interesse trapelava anche dal suo mezzo sorriso e dalle sopracciglia leggermente sollevate.

Era una situazione in cui Amelia si era già trovata, ma non in compagnia di un ragazzo simile. Si sentì fortunata come non mai. Tuttavia si sentì anche improvvisamente insicura. Poteva benissimo essere la sua unica possibilità in tutta la vita di stare così a stretto contatto con Ewan – per lei molto più che il cantante della sua band preferita – e si scoprì incapace di sapere cosa dire.

«Non ti hanno riconosciuto» osservò dopo un momento di indecisione, guardando le persone intorno a loro.

Il ragazzo si strinse nelle spalle. «Non mi riconoscono molto spesso. Sono abbastanza normale, passo inosservato.» Sorrise, passandosi una mano nei capelli. Amelia ammirò affascinata quel gesto; le mani da pianista – lo strumento di Ewan oltre alla voce – scivolarono con delicatezza fra le ciocche spettinate color dell’ebano.

«Perciò, spiegami. Perché siamo qui?» domandò poi la ragazza, facendosi forza.

Ewan non si scompose, né parve sorpreso dalla domanda. «Te l’ho detto,» le sorrise, «perché voglio conoscerti.»

Amelia rimase spiazzata per la seconda volta nel giro di un’ora nel sentire quell’affermazione. «Solo perché ti ho fatto un disegno?» chiese, stupita.

Dovette portare pazienza per sentire la risposta. Il cameriere li raggiunse e prese le ordinazioni, lasciandoli nuovamente soli in meno di due minuti. Il cantante allora tornò a guardare la ragazza. «No» rispose infine. «Non solo perché mi hai fatto un disegno. Solo perché mi hai fatto quel disegno» specificò, calcando con cura la parola “quel”. «Mi ha ispirato una canzone, un’intera canzone.»

«Molto bella» volle precisare Amelia.

Ewan le sorrise in segno di ringraziamento. «Allora dovresti aver capito perché siamo qui» concluse.

Non raccontò l’esattezza dei fatti. Non disse alla ragazza che il desiderio di darle un’identità era stato un chiodo fisso per lui nei mesi precedenti. Immaginava fosse emozionata, dopotutto era pur sempre un cantante famoso – nonostante lui si sentisse tutto fuorché quello. Stare in mezzo alle persone gli piaceva davvero, ma sapeva che per molti stare vicino a lui era un avvenimento. Valeva anche per Amelia, lo aveva intuito, sebbene lei fosse molto più spigliata e si sentisse meno in soggezione rispetto a tante altre fan che aveva avuto modo di incontrare.

«Beh non...non so cosa dire» rispose la ragazza. Si tormentò leggermente la punta della treccia con le dita, guardando da un’altra parte.

«Senti,» prese poi parola lui, «non pensare a me come al cantante degli Shards. Non adesso, d’accordo? Sono Ewan, Ewan e basta.»

Amelia lo guardò con attenzione, permettendo al ragazzo di percepire le sfumature mogano nei suoi occhi castani.

«Va bene» disse infine. «Ma non puoi darmi torto se sono emozionata» aggiunse prima che lui potesse ricominciare a parlare.

Il cantante rise, passandosi nuovamente la mano fra i capelli. Si ricompose giusto in tempo per permettere al cameriere di posare sul tavolino la sua birra e il tè ai frutti rossi di Amelia.

Quest’ultima inspirò una lunga boccata dell’aroma della bevanda, sollevando lo sguardo su Ewan quando lo sentì domandare: «Perciò sei un’illustratrice?»

«Una specie di grafica. Ho un sito internet e lavoro su richiesta, ma per pagare l’affitto sono costretta a fare la commessa in negozio. Come grafica non ho ancora avuto la mia grande occasione» ammise, nascondendo a stento l’amarezza.

«Hai studiato qui a Glasgow?»

La ragazza annuì con il capo, senza aggiungere altro. Tanto bastò al cantante per capire che avrebbe dovuto fare la sua parte per evitare la formazione di silenzi imbarazzati o altre cose in grado di rovinare un’uscita. Per sua fortuna ci era già passato e sapeva come fare per consentire a quella situazione di procedere. Domandò ad Amelia cosa l’aveva portata a scegliere la carriera di grafica, sottolineando quanto la cosa fosse affascinante e anche quanto – almeno nel suo parere da “profano” – il suo talento fosse evidente. Dopo un lieve arrossamento delle gote la ragazza rispose, prendendo via via sempre più confidenza con la situazione e con il ragazzo che aveva davanti.

Da quel momento la conversazione fra i due si avviò con estrema naturalezza. Amelia e Ewan si raccontarono a vicenda le proprie esperienze universitarie, lei alla Glasgow School of Art, lui alla City University di Londra, dove aveva studiato letteratura inglese. Le rispettive vite da studenti diedero modo ai due di parlare a lungo, permettendo ad Amelia di rilassarsi completamente e a Ewan di mostrare tutta la sua naturalezza. Non si confrontarono solo sulle rispettive esperienze, ma anche sulle scelte che li avevano portati a percorrere quella strada. Quel discorso portò via loro molto tempo. Quando vennero raggiunti dal cameriere, il quale li informò che stavano per chiudere, nessuno dei due si era accorto che il locale si era svuotato, che le sedie erano state riposte sulla maggior parte dei tavoli e che la musica era stata spenta. Si scusarono con il gestore per essersi fermati tanto a lungo, pagarono il conto e uscirono dal locale.

Amelia controllò l’ora: erano quasi le tre. Ne rimase sorpresa. Non si era resa conto che fossero trascorsi tutti quei minuti da quando Ewan aveva scavalcato il cancello per unirsi a lei. Si sentiva felice al pensiero del tempo trascorso con il cantante degli Shards, del modo in cui era riuscita a sciogliersi e a conversare con lui. Era particolarmente contenta di come stava procedendo quella notte.

«Ora dove andiamo? Non penso che ci siano molti locali aperti in giro, vero?» chiese il ragazzo, facendo un breve movimento per far intuire ad Amelia che non voleva stare fermo.

Lei ci pensò un momento, dopodiché ebbe la giusta illuminazione. «Da questa parte. È un po’ distante ma penso che ne valga la pena.»

Ewan si avviò al suo fianco, immergendosi nuovamente nella Glasgow notturna. Stavano ripercorrendo a ritroso il tragitto che li aveva portati verso il centro della città.

«Ti piace Glasgow?» domandò poi Amelia, con l’intenzione di avviare nuovamente la conversazione.

«È una bella città. Anche se ammetto di non averla mai vista bene come avrei voluto.»

«Non ci hai mai fatto un giro prima di un concerto?»

Il cantante si strinse nelle spalle. «Più o meno. Il tempo che abbiamo a disposizione per riuscire a vedere una città e sempre strettamente legato all’orario di arrivo e al luogo in cui suoniamo.»

«Mi sono sempre chiesta come dev’essere la vita di una band in tour» osservò la ragazza, come se stesse pensando a voce alta. Il suo amore per la musica l’aveva portata spesso a immaginare la vita in continuo movimento di certi artisti, in particolare ogni volta che si fermava su Facebook a guardare i diari video di certe band.

La curiosità di Amelia diede modo a Ewan di trovare altro di cui parlare. Raccontò alla ragazza della vita su strada, delle prove pomeridiane, di cosa i fan avevano fatto per loro. Non lo disse con nessuna arroganza, non volle vantarsi con lei di quella fortuna che aveva arricchito la sua vita. Volle mostrarle solo il suo punto di vista, la sua quotidianità.

Era in procinto di porre una simile domanda ad Amelia, chiederle della sua vita, del suo lavoro e dei suoi disegni, quando lei si fermò. Ewan sollevò lo sguardo, accarezzato dalla brezza notturna che si era fatta più intensa. Avevano raggiunto il Clyde Arc, uno dei ponti più recenti e suggestivi di tutta la città. Il cantante ne ammirò i colori per un lungo momento, le luci che sotto la volta dell’arco cambiavano lentamente riproponendo tutto lo spettro cromatico, e ne osservò i riflessi saturi sull’acqua nera del fiume Clyde, che attraversava Glasgow giungendo da Uddingston.

«Nessuno oggi può dire di avere visto Glasgow se non è passato almeno una volta da qui alla sera» lo informò Amelia, guardando verso il ponte. «Anche se non so bene perché» aggiunse, sovrappensiero.

Raggiunse il muretto che delimitava la sponda del fiume e vi si appoggiò con i gomiti, il viso rivolto verso il Clyde Arc. Ewan la imitò.

«Non è il Tower Bridge, lo so» disse poi la ragazza.

Lui le sorrise. «Non importa, merita lo stesso. L’ho sempre visto solo di sfuggita, anche questo pomeriggio.»

I due rimasero in silenzio, osservando ciascuno a proprio modo la notte che continuava a espandersi sopra le loro teste.

«Chi è Claire?» domandò di punto in bianco Ewan, incuriosito. Aveva ripensato ai disegni di Amelia, a quella piccola figura con il caschetto di capelli ramati raffigurata accanto alla sua versione animata. Lo chiese perché pensava che potesse esserci una storia dietro a quel disegno all’apparenza senza nulla di speciale, proprio come una storia si celava dietro a ogni sua canzone.

La ragazza lo guardò, quasi non si spiegasse la domanda, infine si strinse nelle spalle. «Nessuno di particolare. È nata da uno scarabocchio che ho fatto i primi anni di università, sovrappensiero. Poi però mi ci sono affezionata ed è diventata una specie di mascotte. Un po’come Mickey Mouse per Walt Disney.»

«Un paragone esaustivo» disse semplicemente Ewan, strappando l’ennesimo sorriso ad Amelia.

I due ripresero a parlare. Il cantante ebbe finalmente modo di sapere qualcosa in più sul lavoro della ragazza, su cosa significasse fare la grafica e sul tipo di lavori che le venivano richiesti. Chiacchierando ripresero a camminare, si allontanarono dal Clyde, addentrandosi verso il cuore della città, non così deserta nonostante l’ora tarda.

Fra i due fu Amelia la prima a rendersi effettivamente conto del fatto che la notte era ormai giunta agli sgoccioli. Le bastò dare una fugace occhiata al cielo sopra la città, in parte coperto di nuvole ma sufficientemente pulito per consentirle di notare la sfumatura di blu più delicata, presagio dell’alba. Tornò a rivolgere l’attenzione a Ewan, al suo fianco, concentrato a parlare di altro. Quando ultimò la frase e si zittì in attesa di un possibile riscontro da parte della ragazza, lei controllò rapidamente l’orario.

«Sono le cinque» disse.

Ewan spalancò gli occhi, sorpreso. Aveva intuito che era in compagnia di Amelia da diverso tempo, era semplice da capire anche solo vista la quantità di argomenti differenti che avevano trattato, ma non aveva idea del fatto che fosse praticamente arrivato il mattino. Sollevò lo sguardo verso il cielo e ne ebbe conferma.

Una parte di sé si sentì dispiaciuta dalla notizia. Nonostante fosse contento di com’erano andate le cose e di come era trascorsa la notte in compagnia di quella ragazza che aveva tanto sperato di incontrare, il pensiero che dovesse finire gli lasciava ugualmente una sensazione amara dentro. Tuttavia doveva rientrare in albergo, lo sapeva perfettamente. Quella stessa mattina gli Shards dovevano partire alla volta di Belfast e il programma prevedeva la sveglia alle sette, di modo da mettersi in viaggio il più presto possibile. Anche se aveva ormai perso ogni interesse per dormire non gli sarebbe affatto dispiaciuto concedersi almeno una doccia. Non poteva più restare; per quanto quella consapevolezza lo rattristasse, non avrebbe più potuto ignorarla.

«É meglio che vada» disse infine. «Sai dove posso trovare un taxi?»

Amelia si ridestò dopo che un lieve dispiacere le ebbe attraversato lo sguardo. «Te lo chiamo» si offrì.

Fece partire la telefonata e dopo alcuni secondi ricevette risposta. Indicò l’indirizzo in cui si trovavano, ringraziò e chiuse la chiamata.

«Arriva in un paio di minuti.»

L’atmosfera fra loro si fece improvvisamente strana. Amelia non sapeva cosa dire, mentre Ewan era intento a pensare in che modo avrebbe potuto avere nuovamente a che fare con lei.

«Beh, grazie» disse poi Amelia, sentendosi in imbarazzo.

Il cantante le sorrise. «E di cosa? Anzi, grazie a te per il disegno, dico davvero. È stato un’ispirazione.» Si passò una mano fra i capelli. «E questa notte è stata davvero piacevole. Sono contento di averti conosciuta.»

Per Amelia fu inevitabile arrossire. Non credeva quasi a quello che aveva appena sentito; una parte di sé era totalmente incredula. «Vale anche per me. Trovo pazzesco il fatto di essere rimasta tanto a lungo con il cantante della mia band preferita» disse tutto d’un fiato, come fosse l’ammissione più importante della sua vita.

Il ragazzo sorrise. «Ricordati, solo Ewan.»

In lontananza i fari di un’auto illuminarono la strada. Entrambi si voltarono in quella direzione, notando il taxi.

«Ha fatto presto» osservò il cantante.

«Non c’è molto traffico, dopotutto.»

«Tu come torni a casa?» domandò il ragazzo, improvvisamente preoccupato.

Amelia si strinse nelle spalle. «Abito qui vicino. L’ho fatto apposta a fare questa strada.»

Ewan si rilassò; dietro di lui il taxi accostò al marciapiede. «Senti,» esordì poi, una leggera incertezza nella voce, «se volessi sentirti di nuovo?»

Amelia sollevò le sopracciglia, incredula e sorpresa. Aprì bocca per parlare ma non le riuscì di dire nulla. Il cantante, però, non si scompose. «Non voglio costringerti, né metterti a disagio» precisò. «Facciamo così. Ti lascio il mio indirizzo e-mail, quello personale. Se ti va puoi scrivermi.»

Lo disse con una tale semplicità da lasciare la ragazza spaesata. In uno stato di assoluta incredulità Amelia annuì, porgendo il telefono a Ewan affinché potesse scrivere sopra il suo contatto. Una volta terminato, lui aprì la portiera del taxi e si voltò verso la ragazza un’ultima volta. «É stato un piacere. Ci risentiamo, se vuoi.» Le sorrise. «Buona giornata.»

Salì sul mezzo dopo aver atteso il saluto di Amelia. Quest’ultima rimase ancora immobile a guardare il taxi partire e allontanarsi, senza sapere con esattezza cosa pensare. Dentro aveva una quantità tale di emozioni che chiunque ne sarebbe rimasto stordito. Lei invece sorrise, ripensò a quella notte, si immaginò di colorarla su carta e si avviò verso il proprio appartamento canticchiando fra sé.

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Capitolo 4
*** Way Back When ***


 

 

 

“Oh will I ever see that girl again? | The girl from way back when

Kodaline. Way Back When.

 

 


A77, 3 luglio

Ore 8:47 AM

 

Il multivan stava percorrendo la A77 in perfetto orario con la tabella di marcia. Lungo la strada non vi era traffico e ciò contribuì a non rallentare il tragitto. Nei nove posti disponibili sul van i membri degli Shards ne avevano occupati solamente quattro, sparpagliandosi fra i vari sedili in modo tale da non stare l’uno appiccicato all’altro. Chase si era seduto davanti, alla sinistra dell’autista, sebbene fosse voltato indietro verso i suoi amici. Stava infatti parlando con Trent e Chris, gli occhi di tutti e tre fissi sul loro cantante e il tono di voce di chi sta confabulando per compiere qualcosa.

Ewan, invece, era completamente addormentato, il volto schiacciato contro al finestrino. Era precipitato in un sonno profondo appena si era seduto sul van e non aveva quasi rivolto parola ai suoi amici. La notte prima – o, meglio, quella stessa mattina – il cantante era rientrato in albergo, si era fatto una doccia e aveva sistemato le cose nella valigia. Ultimata questa operazione, quando l’idea di coricarsi si era fatta più intensa e aveva pensato di assecondarla, il telefono della sua stanza aveva squillato per ricordargli che era arrivato il momento di alzarsi e scendere per poter partire alla volta di Belfast. L’arrivo nel capoluogo era previsto entro l’ora di pranzo e dal momento che sul traghetto Ewan era consapevole che non sarebbe riuscito a chiudere occhio, aveva deciso di dormire durante l’ora e mezza del viaggio in auto. Tuttavia i suoi compagni non sembravano disposti a lasciarglielo fare.

«Tiragli una gomitata, vedi che si sveglia» suggerì Chase in direzione del chitarrista, Trent, seduto accanto al cantante.

Lui eseguì. Sollevò il gomito e lo piantò con sufficiente energia nel costato di Ewan. Quest’ultimo si svegliò di soprassalto, strappato a un profondo sonno ristoratore. Guardò confuso gli amici, le loro espressioni e per un momento si chiese dove fosse. Fuori vide il paesaggio scozzese scorrere veloce e un senso di soddisfazione lo pervase d’improvviso a quella vista. Dopo il primo momento di smarrimento, immediatamente dopo il risveglio, ogni cosa gli era tornata alla mente.

«Che vi prende?» chiese. Aveva lo voce bassa, impastata e sentiva di avere bisogno di un caffè – e, magari, anche un muffin.

«Che ci prende?» esclamò Chris, i baffi seguirono precisi i movimenti delle sue labbra. «Non sappiamo a che ora sei rientrato e questa mattina ci hai a malapena salutato e ti sei messo a dormire.»

Ewan si sistemò meglio a sedere, massaggiandosi la guancia che aveva tenuto appiccicata al vetro. «Erano le cinque e mezza, credo» borbottò sovrappensiero.

«Ci stai dicendo che sei rimasto con quella ragazza tutta notte?» chiese Trent.

Il cantante guardò i tre amici, sentendosi sotto processo. Avrebbe raccontato tutto ciò che era avvenuto, non aveva motivo per non farlo, tuttavia non voleva farlo in quel momento. Era ancora intontito per colpa del poco sonno e si era svegliato di soprassalto impiegando più tempo del previsto per capire dove fosse.

«Sì, ero con lei. Ragazzi possiamo parlarne dopo? C’è tutto il viaggio in traghetto per discuterne.»

«No, Ewan, non ne parliamo dopo. Ormai sei sveglio, che ti frega? Avanti, racconta» disse Chase, sistemandosi sul sedile in modo tale da riuscire a guardare meglio il suo cantante. Scostò la cintura di sicurezza quel tanto che bastava per impedirle di infastidirlo, dopodiché posò un gomito sullo schienale.

Il cantante sospirò. «Va bene, d’accordo. Si chiama Amelia» esordì.

«Amelia come?» intervenne subito Chris.

Ewan guardò perplesso il suo tastierista. «Amelia e basta» rispose.

«Deve avere un cognome, no? Dubito che “e basta” sia il suo cognome» proseguì ostinato Chris.

Un nuovo, lungo, sospiro sfuggì alle labbra del cantante. Si passò le mani sul viso, poi nei capelli spettinati, infine lasciò libere le proprie dita di esibirsi in un gesto di esasperazione. «Sentite, non le ho chiesto il cognome. Ero molto più interessato a chiederle altre cose.»

«Del tipo?» scattò Chase, un sorriso sornione in volto.

Ewan non collegò l’espressione dell’amico all’ambiguità della sua affermazione e proseguì: «Qualsiasi cosa mi passasse per la mente.»

«E cosa avresti scoperto?» domandò Chris.

Il cantante inspirò, preparandosi a fare l’elenco. «Ha ventisette anni. Ha studiato alla Glasgow School of Art. Convive con la sua migliore amica, da quello che ho capito. Vorrebbe diventare una grafica, ha un sito internet e lavora su commissione, anche se le capita di rado e per mantenersi deve lavorare in un negozio. Segue il rugby – inutile dire che tifa Scozia e i Glasgow Warriors – e ha incontrato più volte alcuni dei giocatori. Ama il fish and chips e la pizza e non si sente in colpa quando li mangia. È stata in Spagna, Francia e Italia. Siamo il suo gruppo preferito, ci ha visti dal vivo sei volte. La-»

«Ok, ok,» lo interruppe Trent, «abbiamo capito. Ci manca solo che reciti a memoria il suo codice fiscale.»

La sua affermazione strappò un sorriso a tutti i componenti del gruppo.

«Perciò avete praticamente parlato tutta notte» osservò Chris.

Ewan annuì. «Già. Abbiamo parlato un po’ di tutto: università, lavoro, musica, cose del genere. E poi era già l’alba.»

«La rivedrai?» chiese Trent incuriosito.

Il cantante si bloccò a quella domanda. Gli fu inevitabile domandarsi se ci sarebbe stata una nuova occasione di incontrare Amelia. Lo sperava davvero. Quella ragazza gli aveva fatto una splendida prima impressione e aveva lasciato dentro di lui il desiderio di poterla vedere ancora. Tuttavia sapeva bene che la cosa non dipendeva da lui. Aveva lasciato completamente in mano ad Amelia il loro futuro. Dal momento che lui le aveva scritto solo il suo contatto mail e che non aveva neanche chiesto il cognome di lei, c’era poco che poteva fare. Se lei non lo avesse cercato le probabilità di potersi incontrare di nuovo si riducevano drasticamente, forse annullandosi. Nonostante tutto, però, si sentiva fiducioso. Non riusciva a pensare a un motivo per cui Amelia non avrebbe dovuto scrivergli.

«Beh, spero di sì. Non ho il suo numero» ammise infine, preparandosi all’affondo degli amici.

I tre si guardarono, infine puntarono gli occhi su Ewan.

«Non ti ha dato il suo numero?» Trent parlò per primo.

Il cantante lo guardò, limitandosi a scuotere il capo in un gesto negativo. «Lei ha il mio» rispose poi, omettendo volutamente il fatto che non era esattamente il numero di cellulare quello che aveva dato alla ragazza; quello rimaneva ancora troppo personale.

Dal sedile anteriore Chase fece un curioso verso con le labbra. «Allora è fatta. Siamo la sua band preferita, no? Io al posto suo non mi lascerei sfuggire questa opportunità.»

Ewan gli sorrise, rincuorato dall’affermazione dell’amico. Chase aveva la capacità di dire spesso la cosa che lui sperava di sentirsi dire e ciò contribuiva ogni volta a farlo stare meglio.

«Lo penso anche io» si accodò Chris.

Trent si limitò a un semplice cenno di approvazione e tanto bastò al cantante per capire che i tre amici erano soddisfatti della cosa. Dopotutto lo avevano seguito in quell’assurdo desiderio e rendersi conto che alla fine ne era valsa la pena permise loro di capire che non avevano sprecato tempo e che avevano aiutato il loro compagno.

«Ora posso tornare a dormire?» domandò Ewan, sopprimendo a stento uno sbadiglio.

Chase lanciò un’occhiata alla strada, infine si voltò verso il cantante, un’espressione divertita in volto. «Temo di no, amico mio. Siamo arrivati al traghetto» disse, iniziando poi a canticchiare Way Back When dei Kodaline senza apparente motivo.

 

 

 

 

Casa di Amelia, Little St., Glasgow, 3 luglio

Ore 10:12 AM

 

L’aroma di caffè stava riempiendo la sala con angolo cottura. Da una delle stanze sopraggiunse la ragazza, la pelle dorata dei popoli del Pacifico, i capelli scuri e ondulati stretti in una lunga coda di cavallo. Con passo scattante com’era la sua figura raggiunse i fornelli, spense il fuoco e versò una generosa tazza di bevanda scura in una tazza a pois, zuccherandola come nel gusto della sua migliore amica. Con il caffè in mano raggiunse la camera della coinquilina, bussò appena e aprì la porta.

«Svegliati Ami. È giorno» esclamò.

La grigia luce di una nuvolosa mattinata scozzese entrava dalle finestre, le tende spalancate. Amelia era distesa nel proprio letto, le lenzuola a coprirla malamente, la testa sotto il cuscino da cui spuntavano alcune lunghe ciocche di capelli castani.

«Ami» la chiamò nuovamente l’amica, sedendosi sul bordo del letto.

La ragazza si svegliò. Si tolse il cuscino da sopra la testa e guardò in modo confuso Pani. Aveva dormito pochissimo. Era rincasata subito dopo aver salutato Ewan, si era fatta una doccia e aveva preso un infuso alla menta. Nulla di tutto ciò le aveva permesso di calmarsi. Aveva osservato a lungo l’indirizzo mail del cantante degli Shards, incapace di credere che tutto fosse accaduto veramente. Prima di prendere sonno aveva ripercorso con la mente ogni minuto della notte trascorsa con il ragazzo, rendendosi conto che era troppo emozionata per riuscire a chiudere occhio. Aveva preso sonno solo quando la luce che entrava dalla finestra le aveva confermato che il mattino era arrivato, quando tutta l’euforia custodita dentro di sé aveva lasciato posto alla stanchezza, scivolandole delicata di dosso.

«A che ora sei rientrata ieri? Non ti ho proprio sentita» domandò Pani porgendo all’amica la tazza di caffè che aveva preparato per lei come faceva spesso.

Amelia l’afferrò ringraziando; si passò una mano sul volto nel vano tentativo di riprendersi, consapevole dell’inutilità del suo gesto. «Alle cinque più o meno» mormorò.

«Le cinque? Che diavolo hai combinato?» esclamò l’altra, illuminandosi. I pettegolezzi erano uno dei suoi argomenti preferiti.

«Ho...» iniziò Amelia, intervallando quell’esordio con un sorso di caffè.

Improvvisamente, come se si fosse ricordata solo in quel momento di ciò che era avvenuto poche ore prima, si drizzò sul letto, spalancò gli occhi e posò con energia la mano sulla spalla dell’amica. «Pani non lo sai. Sono stata con Ewan!» esclamò, euforica ed eccitata, contenta di poter finalmente dire cos’era avvenuto alla sua coinquilina.

«Ewan chi?» domandò l’altra non sapendo se essere perplessa o stuzzicata dalla notizia.

«Ewan Cassian Hill. Il cantante degli Shards, maledizione» aggiunse di fronte all’occhiata basita di Pani, dandole anche un colpo sul ginocchio, come se il gesto potesse aiutarla a ragionare più in fretta.

L’amica spalancò gli occhi. «Mi prendi in giro?»

«No, te lo giuro. È stato assurdo, ancora non ci credo.»

Pani scosse Amelia, eccitata. Il contenuto della tazza della ragazza oscillò pericolosamente, al punto che lei decise di posare il caffè sul comodino per non correre il rischio che l’eccitazione della coinquilina potesse diventare pericolosa per il pigiama e le lenzuola.

«Devi raccontarmi tutto, non perdere tempo. Com’è successo?» incalzò Pani. Si mise più comoda sul letto, incrociando le gambe e fissando impaziente Amelia.

Lei si sistemò frettolosamente i capelli, un sorriso fisso sulle labbra e una tale euforia dentro che si stupì di riuscire a rimanere ferma al suo posto. «Hai presente il disegnino che avevo fatto e che volevo farmi autografare da Ewan?» esordì.

Pani ci pensò un po’ su, infine scosse la testa.

«Quello che avevo fatto a febbraio.»

«Oh, sì» scattò, battendo le mani in un unico colpo. «Quello che gli avevi messo in tasca quando ti è passato accanto.»

«Esatto. Beh, so che può sembrare assurdo, ma gli era piaciuto. Ci ha addirittura scritto una canzone» proseguì Amelia, stringendosi incredula nelle spalle.

«No!» esclamò l’amica, visibilmente esaltata.

«Sì!» affermò l’altra, con lo stesso tono.

Amelia raccontò tutto a Pani, senza omettere il più minimo particolare. Mano a mano che sentiva la sua voce procedere nel raccontare quello che era avvenuto con il cantante degli Shards si ritrovò a chiedersi se non si fosse immaginata tutto. Aveva dell’incredibile quello che era avvenuto, al punto che per un momento si chiese come fosse stato possibile. Davanti a lei Pani ascoltava in silenzio, gli occhi scuri quanto i capelli rilucevano di sorpresa, incredulità e gioia. C’era un forte legame a unire le due ragazze, che avevano coltivato con il tempo dopo essersi conosciute a una festa di amici comuni. Fra le due era scattato immediatamente un feeling notevole che le aveva portate a diventare inseparabili in brevissimo tempo.

Quando Amelia terminò di raccontare tutto si zittì, in attesa della reazione della coinquilina. Pani non si fece attendere: «Tutto ciò ha del pazzesco» disse. «Sono così contenta per te.»

Amelia si limitò a sorriderle, recuperando finalmente il suo caffè dal comodino.

«Gli scriverai, vero?» domandò Pani.

L’altra si strinse brevemente nelle spalle, distogliendo lo sguardo. Non aveva ancora pensato a quell’eventualità. Prima di prendere sonno, per un breve momento, si era chiesta se avrebbe mai trovato la forza di inviare una mail a Ewan. Il pensiero che la bloccava – e che si era appena ripresentato da lei – era legato principalmente al fatto che dopotutto lui era il cantante degli Shards. Cosa le garantiva che lui volesse davvero sentirla di nuovo? Quel piccolo dubbio si era istillato con prepotenza nella sua testa e sembrava non avere alcuna intenzione di abbandonarla.

«Beh, penso di sì» rispose infine, decidendo silenziosamente di prendersi tempo sufficiente per pensare se farlo veramente e, in tal caso, cosa poter scrivere.

Pani le diede un’affettuosa pacca sul ginocchio, dopodiché si alzò. «Sono così felice per te» esclamò. «Avrei voluto esserci solo per vederti sparare quei coriandoli davanti alla band» rise.

«Se ti piacessero...» la punzecchiò Amelia, lasciando volutamente cadere la frase.

L’amica fece una smorfia. «Sai che non è il mio genere» disse. «Però lui è davvero carino» osservò subito dopo, riferendosi a Ewan.

Amelia acconsentì con un leggero cenno del campo, ripensando al cantante degli Shards. Le tornarono alla mente i suoi occhi blu, il modo in cui l’aveva guardata. Ripensò alla sua risata, al suono della sua voce, al modo con cui si era rivolto a lei per tutta la notte. Quelle ore si erano già trasformate in un ricordo, un ricordo che la ragazza non avrebbe mai pensato di poter custodire.

Si alzò anche lei dal letto decidendo di iniziare la sua giornata. Aveva dormito poco ma nonostante ciò si sentiva più viva del solito. Dentro di sé c’era sufficiente euforia per tenerla reattiva e animata per tutto il giorno, nonostante il turno al negozio che l’attendeva alle due di quel pomeriggio.

 

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Capitolo 5
*** Song 6 ***


 

 

 

“And everybody is chasing the beauty the don’t have | and I, oh I, I’m chasing you.”

George Ezra. Song 6.

 

 

 

Sala prove degli Shards, Shaftesbury Ave., Londra, 7 agosto

Ore 11:19 AM

 

Un sole splendente illuminava la città di Londra. Il vento aveva spazzato dal cielo le nubi, permettendo al suo azzurro cristallino di brillare sopra la città. In quella mattina soleggiata e calda, nella sala prove affittata dagli Shards, si trovava Ewan. Il suo umore non rispecchiava affatto la bella giornata, al contrario. Il ragazzo era malamente seduto sul divanetto in ecopelle nera, fra le mani la sua mini tastiera Casio su cui suonava distrattamente poche note. Teneva gli occhi fissi in un punto imprecisato della stanza, la mente che vagava lontana.

Era passato poco più di un mese dal concerto di Glasgow, dal suo incontro con Amelia. Gli Shards avevano ultimato anche la seconda parte del tour europeo ed erano rientrati a Londra, la loro città, per concedersi alcuni mesi di riposo prima della tournée che li avrebbe condotti a promuovere l’album nuovo negli Stati Uniti e in Canada.

Nei giorni di stop Ewan era solito concedersi sempre del tempo per mettersi in pari con la serie tv che amava seguire e che gli risultava difficile guardare con continuità negli spostamenti fra una città e l’altra. In quel periodo, però, anche le migliori serie tv sembravano aver perso interesse per lui. Si ritrovava sempre più spesso a pensare ad Amelia. Nei giorni successivi al loro primo incontro aveva controllato la mail più volte nell’assoluta speranza di scoprire che lei gli aveva scritto. Tuttavia non era mai accaduto. Mano a mano che i giorni trascorrevano Ewan si rendeva sempre più conto che forse quello che per lui era stato un bellissimo incontro poteva non essere stato tale per la ragazza. Sebbene in un primo momento si fosse convinto che anche per Amelia la loro uscita nella Glasgow notturna fosse stata un piacevole momento, il fatto che in un mese lei non gli avesse scritto neanche un semplice saluto lo aveva portato a dubitare drasticamente della cosa.

In compagnia di Trent, Chase e Chris non ci pensava mai, ma quando i suoi compagni non erano con lui il pensiero di quella ragazza si ripresentava ogni volta, unitamente al ricordo del profumo della città. Tentava di farsene una ragione, si ripeteva che le cose erano andate in quel modo e che lui aveva comunque fatto la sua parte per poter riuscire a rivederla ancora. Era probabile che non fosse destino; in fin dei conti lui credeva nel destino e di conseguenza non poteva che credere che le cose erano andate come avrebbero dovuto.

Si sforzò di pensare ad altro ancora una volta, decidendo di concentrarsi nella ricerca di una musica in grado di accompagnare le nuove parole che aveva scarabocchiato su un block notes nei giorni precedenti. Tuttavia le note ancora non volevano saperne di venirgli in testa, anche se continuava a suonarne a caso sulla tastiera. Quando non riusciva a smettere di pensare a qualcosa era sempre così. Arrivavano solo le parole, proprio come in quel momento. La situazione lo faceva sentire abbastanza demotivato. Vista la marea di frasi che gli si stavano accavallandosi in mente, però, pensò che non avesse senso lasciarle scappare così; forse, in un momento migliore per la sua creatività, sarebbe riuscito a tirarci fuori qualcosa di buono. 

Si sporse verso il basso tavolino alla destra del divano, afferrando il block notes e la matita. Mise quest’ultima fra i denti – come aveva il vizio di fare – ordinando il caos di lettere che gli si presentava in testa. Cominciò a buttare giù le prime parole alle quali – grazie alla  capacità che aveva più l’aspetto di un dono nel suo caso – ne seguirono altre, unendosi in frasi più articolate, che già avevano un suono.

Tutto ciò cominciò a farlo sentire meglio, ma non gli sfuggì il fatto che c’era una sola parola che continuava a tornargli costantemente in testa e che lui si ostinava a ignorare: Glasgow. C’entrava ancora Amelia, inutile fingere il contrario. 

Ewan scarabocchiò le ultime righe scritte, un chiaro riferimento a lei, e posò block notes e tastiera accanto a sé. Non sapeva che fare. Sebbene si fosse ripromesso di smettere di rimuginare sul modo in cui erano andate le cose, era evidente che non ci sarebbe riuscito. Voleva fare qualcosa, un ultimo tentativo. Era vero, credeva nel destino, ma forse, per quella volta, avrebbe potuto provare a dargli una leggera spinta in quella che lui considerava la giusta direzione. Voleva rintracciare Amelia, sentirla un’ultima volta; se anche dopo quel nuovo tentativo lei non si fosse più fatta viva o se gli avesse detto che non voleva avere a che fare con lui, si sarebbe messo l’anima in pace. 

Il problema, però, sorgeva su come avrebbe fatto a ritrovarla. Lui non aveva alcun contatto riconducibile a lei e Glasgow contava più di cinquecentomila abitanti. 

Nonostante ciò, pensò di non essere totalmente a corto  d’informazioni. Aveva trascorso una notte con lei. Conosceva il suo principale interesse – la grafica – il suo percorso di studi, la sua band preferita – dato inutile, però – quindi forse sarebbe riuscito a trovarla. Una parte di sé gli fece notare che se lei ancora non si era fatta viva forse c’erano dei validi motivi; un’altra, però, gli disse che non era così certo che la ricerca avrebbe dato dei risultati, quindi tanto valeva provare ugualmente, anche solo per curiosità.

Ewan assecondò quell’ultimo istinto. Afferrò lo smartphone e iniziò la sua ricerca. I primi risultati furono un buco nell’acqua; digitando Amelia, Glasgow e grafica uscivano decine e decine di risultati, nessuno dei quali utile. Le prove successive andarono anche peggio. Ewan scorse un’infinità di siti internet, blog, profili Twitter, ma nessuno era quello che cercava.

Era ormai certo che non avrebbe più trovato la ragazza; ci aveva provato, ma non era riuscito a trovare un granché. Quando stava per rinunciare definitivamente, un’idea gli balenò in mente e decise di provare con quell’ultimo tentativo. Andò sul sito della Glasgow School of Art, nella sezione dedicata agli archivi. Lì, con sua grande sorpresa, trovò qualcosa. C’erano tre ragazze laureate in grafica di nome Amelia negli anni in cui avrebbe dovuto finire gli studi lei. Ewan segnò i nomi delle tre su un foglio. D’un tratto si sentì uno stalker. Avrebbe fatto bene a fermarsi, ma la curiosità lo stava divorando; il voler continuare quella ricerca era più forte di lui. Una volta trovata Amelia, forse, si sarebbe detto soddisfatto, ma fino a quel momento non lo avrebbe potuto sapere. 

Cercò sul web la prima delle ragazze che aveva individuato, ma già dai primi risultati capì che non si trattava di quella giusta. Tentò allora con la seconda. I risultati furono più scarsi dei precedenti, ma lui scorse comunque gli occhi sui link apparsi. Il quarto di questi attrasse la sua attenzione, collegato a un sito internet chiamato Amelia’s Scribble.

Lo aprì e appena la pagina finì di caricarsi spalancò gli occhi. Sul lato destro del sito, vicino alle varie voci delle aree virtuali, c’era Claire. Non aveva alcun dubbio: era lei. Era finalmente riuscito a trovare il sito di Amelia. Cliccò sulla biografia della ragazza. Lì non c’era la sua foto, ma un autoritratto eseguito con quello che aveva tutta l’aria di essere il suo stile. Era molto realistico, con poche e sapienti linee nette, senza sbavature, eseguite probabilmente a computer e, dietro il volto, un semplice cerchio verde donava la sua nota di colore. Ewan lo trovò sorprendentemente bello. Lesse la bibliografia di Amelia, trovando gli Shards annoverati fra i gruppi musicali preferiti, dopodiché controllò tutti i disegni presenti nella gallery.

A mano a mano che li scorreva rimaneva sempre più colpito. Lo stile della ragazza gli piaceva moltissimo. Quelle linee nette, così sicure, che con pochi tratti davano vita alle figure; gli sfondi appena abbozzati, le frasi tratte dai testi delle canzoni, le bande di colore a fare da riempimento. Amelia univa tutti questi elementi nei suoi lavori e dava vita a uno stile personale, che colpì molto il cantante. Lo trovò poetico, ma al tempo stesso malinconico, come se i disegni della ragazza fossero intrisi di un velo di tristezza. 

Quando ebbe finito di vederli tutti posò la testa contro lo schienale del divano, pensando.  L’aveva trovata, ora? Scriverle sarebbe stato troppo, poi a che scopo? Lei non si era fatta sentire, quindi significava che non le interessava più di tanto rimanere in contatto con lui. Tuttavia gli sarebbe piaciuto davvero parlare con lei dei suoi disegni, chiederle a cosa si ispirava, farle i complimenti per il suo stile, che era uno di quelli che a lui piaceva di più. 

Il suo telefono cominciò a squillare. Dal momento che lo aveva già in mano gli risultò piuttosto semplice sollevare il braccio, premere il tasto verde di chiamata e rispondere.

«Che fine hai fatto?» Era Trent.

«Perché?» domandò Ewan in risposta.

«L’appuntamento con Jacob, te ne sei dimenticato?»

Al cantante scappò un’imprecazione. Si alzò di scatto dal divano, chiudendo la chiamata – a Trent, in fondo, non serviva altro per capire che l’amico si era completamente dimenticato della cosa. Inforcò gli occhiali da sole, infilando quelli normali – che gli servivano per i problemi di astigmatismo – nella tasca superiore dello zainetto, poi si avviò di corsa verso la sua bicicletta. 

L’appuntamento di cui si era completamente dimenticato era allo studio di Jacob; non troppo lontano da lì, ma avrebbe comunque dovuto pedalare in gran fretta per arrivare senza incrementare ancora il suo ritardo. Ora capiva perché gli altri non lo avevano ancora raggiunto in sala prove.

Quando ebbe parcheggiato la bicicletta nell’apposito spazio e averla chiusa con il catenaccio, il suo ritardo era di circa trentotto minuti. Stava sudando, aveva il fiato corto per la corsa e i suoi capelli scuri dovevano aver perso la piega dal momento che diversi ciuffi continuavano a ricadergli sugli occhi. Entrò con foga nell’edificio dell’appuntamento, salutando in fretta l’addetta alla reception ma riuscendo ugualmente a decifrare Song 6 di George Ezra alla radio. Quando varcò l’ingresso dello studio di Jacob, i presenti si bloccarono. Erano intenti a conversare fra di loro, ma si zittirono e guardarono tutti in direzione di Ewan. Insieme al resto dei componenti della band e a Jacob c’era anche Eddie, il loro manager.

«Perdonatemi» disse Ewan, che ancora non aveva ripreso fiato. Congiunse le mani in segno di scuse davanti al volto, esibendosi in un’espressione colpevole. 

«D’accordo, Ewan, non ti preoccupare. Siediti, stavamo giusto parlando di qualche possibile nuova grafica per la vostra prossima tournée» disse Jacob, indicandogli la sedia vuota che aveva alla sua destra.

Il cantante andò subito a sedersi e si mise in ascolto di quanto Jacob stava dicendo. Quest’ultimo era uno scenografo, con notevoli doti anche nella grafica e, nello specifico, si occupava di curare la parte prettamente scenica degli Shards. Pensava alle luci, alle immagini da far scorrere sullo schermo, alle locandine. Dopo che gli era stato detto quale volevano che fosse l’argomento intorno a cui far ruotare la tour e tutti i concerti, Jacob iniziava a far lavorare il cervello, a contattare le persone ea mettere insieme le migliori idee per delle scenografie perfette. Agli Shards piaceva molto il suo modo di lavorare, specie perché si confrontava spesso con la band, che ci teneva a fare comunque parte del processo creativo dei loro stessi concerti.

Oltre al suo cervello vulcanico Ewan amava molto anche lo stile di Jacob. Era di poco più alto del cantante – il che valeva dire che era più alto di un metro e ottanta – e aveva una lucente pelle scura. I suoi genitori erano originari del Ghana e lui, nato e cresciuto a Londra, dato che non voleva perdere le sue origini, aveva mescolato alcuni elementi della sua traduzione al suo stile indie, in un genere unico, tutto suo, che a Ewan piaceva davvero molto. 

«Allora» esordì lo scenografo appena il cantante si fu sistemato e cambiato gli occhiali. «Stavamo discutendo sulla questione delle grafiche per la vostra tournée in America. Trent e Eddie mi dicevano che pensavate di cambiare tutto.»

Il cantante annuì. 

«Avevate già qualche idea?»

Per la parte di grafica era sempre a Ewan che si rivolgevano tutti. Trent, Chris e Chase non avevano mai fatto mistero di apprezzare le sue idee e, soprattutto, del fatto che considerassero gli Shards come una creatura del cantante. Ewan spendeva tutte le sue energie nella band, scriveva ogni testo – sebbene la versione finale era sempre legata a un confronto con gli amici – e si impegnava come un matto anche sui dettagli più semplici, come le grafiche per le t-shirt o gestire il profilo Instagram del gruppo. Loro erano diventati la sua famiglia, ma non si poteva negare che se quella famiglia restava così unita buona parte del merito fosse proprio sua. Anche l’idea di cambiare la grafica per la tour in America era stata una decisione del cantante, ben accolta dal resto dei membri.

«Sì, qualcosa in mente l’avremmo» rispose infine il cantante, lanciando uno sguardo al resto dei suoi compagni. Jacob si mise in ascolto e il ragazzo proseguì: «L’idea sarebbe di usare esclusivamente lavori di grafica, un po’ alla Sin City. Disegni “piatti”,» disse facendo segno di virgolette in aria, riferendosi a lavori privi di un eccessivo chiaroscuro o con troppi dettagli, «uso totale del bianco e nero e qualche simbolico tocco di colore» concluse.

Gli altri tre membri degli Shards annuirono a quelle parole, a conferma del fatto che Ewan stava semplicemente elencando quello che avevano deciso insieme. Jacob soppesò quelle parole e congiunse le mani davanti alle labbra, pensando. Nella sua testa si stavano di certo già delineando le prime idee. Sorrise, chiaro segno che apprezzava l’idea. «Decisamente un cambio di rotta rispetto al tour europeo che avete appena concluso» disse. Si riferiva all’ultima grafica che aveva accompagnato i quattro negli ultimi live, la quale era a base di elementi geometrici e tantissimo colore.

«Sì, decisamente» confermò Ewan.

«Beh, ragazzi, l’idea mi piace molto. Dobbiamo solo trovare un buon grafico capace di darvi le immagini che cercate.»

«Hai qualche nome?» si intromise Eddie, a cui piaceva molto mettere sempre e subito i puntini sulle i.

Jacob stava già snocciolando qualche nome a lui noto quando Ewan ebbe un’illuminazione. Sembrava quasi che il suo cervello gli avesse tirato una violenta gomitata. «Io conosco qualcuno» disse, senza rivolgersi a nessuno di preciso. Gli occhi di tutti si puntarono su di lui. «Sì, insomma» prese a dire, stringendosi nelle spalle. «Ho visto i suoi lavori e sono quello che cerchiamo» concluse.

«Come si chiama? Così posso dirti se lo conosco anche io» osservò Jacob.

«Amelia Campbell.»

«Quella del disegno?» intervenne Chris. Per gli amici di Ewan la ragazza era diventata proprio “quella del disegno”. Il cantante annuì. «Ho visto i suoi lavori, sono bellissimi.»

Estrasse di tasca lo smartphone, scoprendo che la pagina del sito della ragazza era ancora aperta. Mostrò la galleria a Jacob e quest’ultimo parve piuttosto colpito dai suoi lavori. Fece intuire con uno sguardo che anche lui aveva in mente all’incirca lo stesso stile. I disegni di Amelia vennero visionati da tutti i presenti e non mancarono i complimenti. Ewan fu piuttosto soddisfatto della cosa e anche molto speranzoso. Poteva avere la possibilità di sentire ancora la ragazza, magari di collaborare con lei; gli sarebbe piaciuto molto darle la possibilità di preparare le grafiche per la nuova tournée che erano in procinto di avviare. Pensò che, dopotutto, anche per lei potesse trattarsi di una buona occasione. 

«Se sono i suoi lavori che volete, posso provare a contattarla» disse Jacob.

«Può farlo Ewan» sorrise sornione Chase, lasciando intendere che sotto doveva esserci qualcosa. Jacob e Eddie, infatti, si lanciarono un’occhiata, mentre il cantante fulminò l’amico con lo sguardo.

«C’è qualcosa che devo sapere?» domandò il manager.

«L-la conosco. Più o meno» rispose Ewan, cercando di non far trapelare troppo della situazione. Al resto della sua band, inoltre, non aveva ancora detto nulla riguardo al fatto che la ragazza non gli avesse più scritto.

«Vuoi contattarla tu?» chiese Jacob.

«No, penso sia meglio che a chiamarla sia qualcuno di voi» disse il cantante, riferendosi al manager e allo scenografo. «Io forse farei solo della gran confusione. È di Glasgow» aggiunse prima di zittirsi. Aveva lasciato per ultima la parte più problematica, esattamente come intuì dal mutamento di espressione sul volto del manager.

Fra i presenti calò il silenzio. L’ultima parola spettava a Eddie, doveva essere lui a dire se era d’accordo o meno con il fatto di assumere una grafica scozzese. Era lui a curare i bilanci della band, lui a sapere se la spesa potesse valere oppure no.

Ewan quasi contò quei secondi di silenzio, secondi che avevano tutta l’aria di un muto rimprovero.

«Organizza un incontro, Jacob. Sentiamo quanto ci costerebbe questa scozzese e poi valutiamo se prendere lei o cercare un altro.»

Il cantante sorrise a quelle parole, sentendosi alleggerito di un peso. Era riuscito a trovare un modo per avere ancora a che fare con Amelia e aveva trovato, al tempo stesso, il perfetto stile per le grafiche della tour americana. Si sentiva felice. Non gli restava altro da fare se non sperare che lei accettasse almeno l’incontro, così da poterla rivedere e chiarire, almeno a se stesso, coma mai lei non si era più fatta sentire. Avrebbe accettato qualsiasi motivazione, ma gli serviva sapere cos’era successo. Solo allora se ne sarebbe fatto una ragione.

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 6
*** Chocolate ***


 

 

 

Hey now, you say you’re gonna quit it  |  but you’re never gonna quit it  |  Gotta get it, gotta get it, gotta get it  |  gotta get it, Go!”

The 1975. Chocolate.

 

 

 

Luogo di lavoro di Amelia, Buchanan Street, Glasgow, 8 agosto

Ore 1:02 PM

 

Amelia si stava mordendo il labbro inferiore. Era così concentrata sulla linea che stava eseguendo con il tratto nero da non accorgersi che qualcuno si stava avvicinando alla cassa in cui lei era in servizio; inoltre non si trattava di una persona qualunque, ma del suo superiore, Susan McFarland.

La ragazza lavorava come commessa in un negozio di abbigliamento piuttosto famoso a Glasgow e non era affatto contenta della cosa. Non era ciò per cui aveva studiato e se non avesse avuto delle spese nella sua vita, avrebbe abbandonato quel posto già da mesi. Non era neanche molto portata per i rapporti umani e lavorare a contatto con il pubblico la faceva spesso rientrare a casa con un senso di frustrazione e irritazione per niente irrilevante. Inoltre Susan era una donna maniacale, fissata con l’ordine e la puntualità, il tipo che quando aveva accettato di prendere Amelia come commessa aveva dato l’idea di star compiendo una grande opera di bene. La ragazza aveva imparato in gran fretta a destreggiarsi fra ordini e vendite, ma dopo mesi aveva capito di non poterne più di stare rinchiusa fra quelle quattro mura e sperava disperatamente, ogni giorno più del precedente, di riuscire a farcela e diventare una grafica come aveva sempre sognato di fare, così avrebbe potuto dire addio a quel lavoro e a molti altri simili.

«Amelia non ti pago per disegnare» la bacchettò Susan da sopra la sua spalla, facendola sussultare. La ragazza tentò invano di nascondere in gran fretta il disegno, una figura femminile intera con il volto nascosto da una maschera Kabuki.

«Mi scusi» rispose, piegando il disegno. 

«Mi serve che ti occupi di queste. Fatti sostituire da Gwyneth» disse la donna, senza dare segno di aver accettato – o anche solo udito – le scuse di Amelia. Lasciò cadere accanto alla cassa un grosso plico di carta stampata, senza aggiungere nulla più del minimo indispensabile. «Entro un’ora» concluse, tornando a chiudersi nel suo ufficio.

La giovane sospirò, analizzando di cosa avrebbe dovuto occuparsi. Erano ordini d’acquisto e sembravano una montagna per quanti ce n’erano. Sapeva che avrebbe dovuto verificare che coincidessero con i precedenti e imprecò mentalmente: quel lavoro detestavano tutti doverlo fare. Afferrò il plico di carte, chiese alla collega di sostituirla e andò a chiudersi nel piccolo stanzino che avevano a disposizione i commessi, proprio dietro le casse.

Un’ora, soltanto un’ora per un lavoro del genere. La ragazza sarebbe stata proprio curiosa di sapere quanto tempo si sarebbe concessa Mrs. McFarland se avesse dovuto farlo lei. Fece un lungo respiro, dicendosi di calmarsi. Avrebbe preferito di gran lunga andare avanti con il suo disegno – ora appallottolato nella tasca della divisa – ma non poteva. Le rimanevano due ore prima di concludere il turno – che per sua fortuna, quel giorno, durava solo fino alle tre – quindi tanto valeva stringere i denti e concentrarsi sul lavoro. Iniziò a canticchiare mentalmente qualcosa e subito le venne alla mente una canzone degli Shards.

Si ritrovò a pensare a Ewan ancora una volta.  Le sembrava passata un’eternità dalla notte che aveva trascorso insieme a lui, ma non era ancora riuscita a dimenticare la sfumatura scura dei suoi occhi, il suono della sua risata, né tantomeno il gesto naturale e fluido con cui si passava la mano fra i capelli. In quel mese aveva ripensato a tutto ciò di continuo, ma non era mai riuscita a trovare la forza di scrivergli. Aveva avviato decine di mail, ora per lo più bozze virtuali, senza però trovare il coraggio di premere il tasto invio a nessuna di esse. Quando le rileggeva le sembravano sempre prive di senso, superficiali, come scritte da una fan in cerca di attenzioni. Era vero, aveva trascorso una notte insieme a Ewan Cassian Hill in persona, ma chi le garantiva che lui avesse voglia di risentirla davvero, di avere una fan degli Shards fra i piedi, che gli scriveva mail a cui lui doveva rispondere? Probabilmente si era già dimenticato di lei, oppure si era pentito di averle lasciato il contatto mail cinque minuti dopo averla salutata. Il suo cervello le poneva sempre gli stessi dubbi ogni volta che tentava di scrivere al ragazzo e, alla fine, ci aveva rinunciato. Aveva archiviato quella serata come qualcosa di unico, bellissimo e indimenticabile, ma si era arresa alla consapevolezza che la cosa non avrebbe mai avuto un seguito. Non avrebbe più visto Ewan se non dall’alto di un palcoscenico e non avrebbe più sentito la sua voce se non negli auricolari, a cantare le sue canzoni preferite. Allontanò tutti quei pensieri, concentrandosi sul lavoro.

Quando più di due ore dopo arrivò a casa, canticchiando Chocolate dei The 1975 con la speranza di alleviare un po’ il morale, un bicchiere di carta con un mocaccino d’asporto in mano, era stanca, molto più del solito. Si svestì subito, infilandosi nei suoi vestiti da casa – un paio di pantaloncini neri e una larga maglia dei The Vaccines, a cui aveva arrotolato le maniche per farla diventare una canotta. Si legò i capelli in una alta e buffa pallina sopra la testa, infine si accoccolò sul divano con l’intento di finire la bevanda senza maledire la sua vita. 

Il mocaccino stava sortendo il consueto effetto benefico sulla ragazza, al punto che quando il telefonò iniziò a squillare non ebbe l’idea di evitare di rispondere. Premette il tasto verde per abitudine, senza badare a chi la stava chiamando; se avesse prestato attenzione, però, si sarebbe resa conto che la chiamata proveniva da Londra.

Dopo che ebbe risposto, una calda e sicura voce maschile chiese: «Parlo con Amelia Campbell?»

Lei scattò sull’attenti, sedendosi sul divano come se l’uomo che le stava telefonando fosse presente lì davanti. Forse si trattava di un cliente, di un colpo di fortuna inaspettato; forse, dopo più di due anni, poteva dire addio al suo tremendo lavoro da commessa.

«Sono io» rispose, con un tono che mascherava a stento la speranza.

«Ah, bene. Prima di tutto: buon pomeriggio. Mi chiamo Jacob Okoye, la chiamo per conto degli Shards.» 

Quelle parole quasi gelarono Amelia. Era uno scherzo? Gli Shards? Quegli Shards? Gli stessi del cantante a cui non aveva mai scritto? 

«Sta scherzando?» chiese istintivamente all’altro, mordendosi la lingua con un attimo di ritardo. Il suo interlocutore, però, scoppiò a ridere. Cosa che lasciò la ragazza terribilmente perplessa.

«No, nessuno scherzo» la tranquillizzò. «Il gruppo ha espressamente chiesto di lei.»

Se non fosse già stata a sedere, la ragazza avrebbe avuto bisogno di farlo. Stentava a credere a quello che aveva appena sentito. Nel caso l’uomo, Jacob, l’avesse chiamata per chiederle qualche lavoro di grafica da parte degli Shards, come aveva fatto la band a trovare i suoi disegni? Che si fosse dimenticata di aver detto a Ewan del suo sito? Eppure era piuttosto sicura di non averlo fatto.

«Sarò breve» proseguì Jacob dall’altra parte del telefono, riportandola alla realtà. «Stiamo iniziando a lavorare alle nuove grafiche della band in vista della tournée che li terrà impegnati in America e che partirà a gennaio. I ragazzi hanno espresso interesse per i suoi lavori e per il suo stile e volevamo chiederle se fosse disposta a collaborare con noi. In poche parole: le sto offrendo un lavoro.»

Amelia spalancò la bocca, senza sapere cosa rispondere. Quella era un’occasione più unica che rara, qualcosa di irripetibile, che solo un folle non avrebbe accettato. Tuttavia era tutto talmente sorprendente da sembrare impossibile.

La porta di casa si aprì e apparve Pani, appena rientrata dal lavoro. Fece per salutare Amelia ma si zittì in tempo quando si rese conto che lei era al telefono.

«Aspetti, mi sta dicendo che hanno chiesto di me?» iniziò Amelia, più per confermarlo a se stessa.

Notò che Pani si era bloccata, mettendosi in ascolto nella speranza di scoprire qualcosa, da tremenda curiosa che era.

«Esatto. Il suo stile coincide con quello che stanno ricercando per le nuove grafiche. Se fosse interessata a questa collaborazione potremmo organizzare un appuntamento» propose Jacob, vicino alla parte conclusiva della sua chiamata.

«Ah, ehm, sì, certo. È una grande occasione, infondo. Cosa dovrei fare?» domandò lei, che quasi non si stava capacitando di quanto accadeva in quei frangenti.

«Le spiego come facciamo di solito. Organizziamo un appuntamento con la band, il manager e me e discutiamo della cosa. Lei ci dice se è disposta a collaborare e quanto costerebbero in suoi lavori, dopodiché vediamo come vanno le cose. »

Amelia trovò che tutta quella conversazione fosse tremendamente professionale. 

«D’accordo. Si tratterebbe di un incontro di tipo informativo, prima, immagino.»

«Sì, esatto. Non è costretta ad accettare.»

La ragazza guardò Pani, la quale stava sospettando qualcosa – ma comunque qualcosa di sbagliato. Pensò in fretta a cosa fare, sebbene fosse consapevole che rifiutare quell’incontro sarebbe stato il suo errore più grande. Anche se quest’offerta di lavoro non fosse andata a buon fine avrebbe comunque avuto modo di incontrate di nuovo la sua band preferita.

«Quando sarebbe?» domandò, poi pensò di formulare la domanda in maniera un po’ più elegante. «Avete già pensato a una data?»

«Lei è di Glasgow, giusto?» fu la risposta, che non era affatto tale.

«Sì» disse lei, confusa.

«Se mi dice che è interessata alla collaborazione posso organizzare tutto, incluso il viaggio in treno Glasgow-Londra e il suo pernottamento nella capitale, se necessario. Se è d’accordo potrei individuare alcune date e poi starà a lei dirci quale le è più congeniale. Cosa ne pensa?»

Amelia pensò che quell’organizzazione avesse  dell’incredibile. Se in quegli ambienti organizzazione e lavoro raggiungevano tali livelli era il posto giusto per lei, che non sopportava molto le cose improvvisate e fatte all’ultimo.

«Sì, certo che sono interessata» rispose in un fiato, quasi avesse paura di sentite Jacob chiudere la telefonata.

Quest’ultimo, invece, le rispose con il garbo che sembrava ben radicato in lui – ma che poteva essere benissimo una semplice facciata. «Molto bene, allora. Mi informo per alcune date disponibili e gliele riferisco. Posso telefonarle domani?»

Si accordarono per sentirsi nella tarda mattinata del giorno successivo e quando la chiamata terminò, Amelia non poteva credere a quanto era appena accaduto. Lanciò un’occhiata a Pani – che nel frattempo aveva posato le sue cose – e appena l’amica la guardò capì subito che doveva essere avvenuto qualcosa di incredibile.

«Chi diavolo era?» chiese Pani, non resistendo più alla curiosità. Amelia era incredula, come se fosse precipitata in un mondo surreale, nella tana del Bianconiglio.

«Era una proposta di lavoro, vero?» la incalzò l’altra, davanti all’improvviso silenzio dell’amica.

Amelia prese fiato, si imposte di stare calma e annuì con la testa. «Gli Shards» disse infine, mormorando il nome del gruppo musicale.

Pani sentì alla perfezione. «Che cosa?» urlò, esibendosi nel sorriso più contagioso che conosceva. Amelia infatti non poté fare a meno di sorridere a sua volta. Cercò di stare calma, di farsi una ragione di ciò che era appena accaduto ma le risultò impossibile. «Mi hanno chiesto un incontro per discutere delle nuove grafiche della loro tournée americana» riuscì a dire infine, quando fu in grado di mettere in fila più parole di senso compiuto. Ripercorse a grandi linee la conversazione che aveva appena concluso con Jacob Okoye, l’amica che si limitava ad ascoltare, lasciandosi sfuggire qualche sporadico gridolino di gioia. Ad Amelia non servì molto tempo per aggiornarla su tutto e quando si zittì, in attesa di una reazione qualsiasi da parte dell’altra, si chiese se davvero tutto ciò stesse avvenendo proprio a lei. 

«Mio Dio, Ami» riuscì a dire Pani dopo un po’. «Ma ti rendi conto? Una proposta di lavoro a quei livelli. Se la cosa dovesse andare a buon fine potresti vedere la tua carriera decollare. Potresti finalmente lasciare quel lavoro che odi e fare la grafica com’è giusto che sia.»

«Non accelerare troppo i tempi» la frenò Amelia, anche se non poteva negare di aver formulato lei stessa quei pensieri e di averlo fatto in tempi record.

Pani fece un gesto con la mano, lasciando intuire all’amica che doveva smettere di avere i piedi così ancorati a terra. «Ewan non ti aveva accennato della cosa?»

Amelia si bloccò, resistendo a stento alla tentazione di mordersi il labbro inferiore come faceva solo in precise occasioni: quando si concentrava, quando era imbarazzata o nervosa e, soprattutto, quando era nel torto. Non aveva ancora avuto il coraggio di dire alla coinquilina di non avere mai scritto al cantante; ogni volta che l’argomento veniva tirato in ballo lei rispondeva in modo approssimativo, con frasi che non erano delle vere e proprie risposte. 

«No, niente del genere» disse, sempre rimanendo sul vago.

«Curioso, però. Insomma, una notizia del genere avrebbe dovut–» Pani si bloccò  all’improvviso, notando l’espressione dell’altra. Le bastò la sua faccia per capire tutto. Spalancò gli occhi  con fare sconvolto, «Mi hai mentito» esclamò. «Mi avevi detto di avergli scritto.»

Amelia si alzò dal divano. «Non ho mai detto di avergli scritto» precisò. «Semplicemente non ho mai ammesso di non averlo fatto» bofonchiò. 

Pani si esibì in un gesto che lasciava intendere che avrebbe strangolato molto volentieri la coinquilina. «Perché diavolo non gli hai mai scritto?» sbottò.

«Davvero me lo chiedi? Parliamo di Ewan Cassian Hill, Pani. Il cantante di una band due volte disco di platino.»

«Va bene, avranno pure vinto due dischi di platino, ma sta di fatto che lui ha scavalcato un cancello solo per rimanere con te una notte intera. Per, e cito, conoscerti.»

Amelia incassò il colpo, pentendosi al tempo stesso di aver raccontato tutto all’amica di sempre. Non fu in grado di replicare prontamente e questo diede modo all’altra di proseguire. «Penso che avessi tutto il diritto di scrivergli. Dopotutto lui ti ha lasciato il suo contatto.»

«Ho avuto paura, d’accordo?» si lasciò sfuggire infine la ragazza, affranta da quella sua stessa ammissione. «Ho iniziato decine di mail, dico davvero, ma non ne ho invitata neanche una. Insomma, chi mi garantiva che davvero lui volesse risentirmi? Che non mi avesse lasciato la sua mail e poi non se ne fosse pentito? Se non mi avesse mai risposto, o se lo avesse fatto lasciando trapelare che di me non gli interessava poi molto, mi sarei sentita distruggere.»

Tornò a sedersi sul divano, abbandonando sul tavolino lì davanti il bicchiere di mocaccino, che aveva tenuto in mano per tutto quel lasso di tempo. «Forse è meglio che sia andata così. Apparteniamo a due mondi diversi. Ho un bellissimo ricordo e non ho voluto rischiare di rovinarlo.»

Pani le si sedette accanto. «Certo che potevi dirmelo» le fece notare.

Amelia si limitò a stringersi nelle spalle. 

«Giuro che a volte non ti capisco» borbottò l’amica, strappando un sorriso alla coinquilina. «Beh, per lo meno adesso hai la tua grande occasione. Non te la lascerai sfuggire, spero» la ammonì.

Amelia la guardò come se avesse appena detto la più grande assurdità del mondo. «Vorrai scherzare?» esclamò. «Per nessuna ragione al mondo. Tralasciamo il committente, non sprecherei mai l’occasione di fare ciò per cui ho studiato. Oltretutto questa potrebbe essere davvero la volta buona. Con un po’ di fortuna potrei riuscire a vedermi spianata la strada. Devo fare del mio meglio e sperare che davvero i miei lavori siano ciò che cercano» disse, con la sua migliore motivazione.

«Su questo non dovresti dubitare» le fece notare Pani. «Altrimenti perché ti avrebbero chiamata?»

L’altra ragazza avrebbe voluto dirle di non cantare vittoria tanto presto ma evitò di farlo. Pani credeva in lei, era una delle poche a farlo realmente; magari per quella volta aveva ragione. Pensò che forse si preoccupava troppo, che costruiva castelli in aria già malfermi in partenza. Dove stava scritto che, almeno quella volta, le cose non sarebbero andate per il verso giusto? Tuttavia non riusciva a farsi illusioni, a immaginare che tutto si sarebbe risolto come, sotto sotto, desiderava. La sua fantasia, la sua fervida immaginazione, funzionavano alla perfezione per l’arte, ma lo scetticismo che era profondamente radicato in lei, ogni volta, le impediva di immaginare per sé ciò che, molto spesso, riservava agli altri. Quella sua incapacità la faceva spesso sentire sbagliata, come incapace di desiderare per sé qualcosa di bello, quasi non se lo meritasse.

«Hai già pensato a che disegni gli farai vedere?»

Amelia scosse la testa, più per allontanare i pensieri che per rispondere all’amica. «Non ancora» aggiunse. «Penso che andrò a cercare i migliori e poi metterò insieme qualcosa.»

«Speriamo bene» esclamò Pani, esaltata da tutta quella situazione. «Chissà come sarai emozionata. Ultimamente le cose ti stanno andando piuttosto bene, eh?» Si alzò dal divano, avviandosi verso la sua stanza.

«Sarebbe anche ora» mormorò a se stessa Amelia, che iniziava già a sentire una certa pressione addosso.

 

 

 

 

 

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Capitolo 7
*** Not With Haste ***


 

 

 

“Your eyes, they tie me down so hard | I’ll never learn to put up a guard

Mumford & Sons. Not With Haste.

 

 

Euston Station, Londra, 14 agosto

Ore 12:05 PM

 

Quando il treno cominciò a rallentare la corsa, Amelia si sentì risvegliata dalla sensazione di torpore che l’aveva avvolta almeno un paio di ore prima. Chiuse il libro che teneva in grembo, di cui non aveva più letto una sola parola da un po’, e lo mise nel piccolo trolley che si era portata con sé. Si stiracchiò, sistemandosi la camicia e lanciò uno sguardo fuori dal finestrino.

Glasgow e Londra erano divise da quattro ore e mezza di viaggio. La ragazza era rimasta tutto quel tempo in treno a vedere la campagna scozzese trasformarsi in quella inglese, ad abbozzare qualche schizzo sul suo quadernino, a cercare di dormire – tentativi in cui aveva miseramente fallito ogni volta – e a leggere il romanzo che aveva iniziato da pochi giorni. Nonostante si fosse tenuta impegnata in tutti quei modi, le ore del viaggio le erano sembrate eterne e più si avvicinava a Londra più la sua ansia cresceva. Forse era per colpa di ciò che non era riuscita a dormire durante il viaggio, o che non ricordava a che pagina fosse arrivata a leggere.

Dopo aver sentito Jacob Okoye per la seconda volta, a distanza di un solo giorno, e aver accordato con lui la prima data disponibile per poter incontrare gli Shards e parlare delle grafiche della nuova tournée, Amelia non era riuscita a rilassarsi un solo istante. Aveva subito chiesto i giorni di permesso necessari – due – per assentarsi dal lavoro e aveva controllato la mail continuamente in attesa dell’arrivo dei biglietti del treno che la casa discografica della band le aveva pagato perché raggiungesse la capitale inglese – insieme a una stanza d’albergo in cui passare la notte prima di rientrare in Scozia. L’incontro che avrebbe potuto cambiarle la vita sarebbe avvenuto quel pomeriggio alla sede londinese della Virgin, l’etichetta che aveva sotto contratto gli Shards.

Era la terza volta che raggiungeva la capitale, ma mai per un motivo tanto importante. Cominciava a sentirsi davvero in agitazione e, con sua sorpresa, impotente. Veniva da una grande città, ma Glasgow non poteva competere con Londra. Lì vi erano più di otto milioni di persone ed era sconfinata, al punto da far sembrare la metropoli scozzese molto più simile a un paesello di periferia. Amelia non vi era mai stata da sola ed era la cosa che la preoccupava maggiormente di tutta quella situazione dover affrontare un incontro di tale portata senza qualcuno che le facesse forza, che la motivasse a dovere. Non che avesse sempre bisogno di qualcuno del genere alle sue spalle, ma quella volta un po’ di compagnia, almeno prima di fare il grande passo, le avrebbe fatto comodo. Soprattutto perché avrebbe dovuto raggiungere la sede di una major discografica per incontrare il suo gruppo preferito e rivedere, dopo oltre un mese, Ewan.

Afferrò la valigia e si apprestò a scendere dal treno, che stava rallentando sempre più ed era in procinto di fermarsi nella stazione di Euston. Appena posò il primo piede sulla banchina si rese subito conto del traffico umano che affollava quel luogo ed era solo arrivata in stazione. Decise di fermarsi da un lato della banchina e controllare il percorso che avrebbe dovuto compiere per raggiungere l’albergo. Si era segnata sulle note dello smartphone tutto il tragitto, con appuntate fermate e corse metropolitane, e, dopo averle rilette e annotate nella mente, sia avviò con passo sicuro in quella soleggiata e – fin troppo – calda giornata di metà agosto. Lungo il tragitto cercò di far caso a quanti più particolari possibili, tentando di trovare un po’ d’ispirazione per qualche disegno, ma sapeva già che non ci sarebbe riuscita. Sentiva qualcosa di molto simile a un peso sul petto, qualcosa che la stava lentamente corrodendo dentro. Sapeva che quella era ansia, che era agitata per l’appuntamento che si stava avvicinava e a cui mancavano poco più di tre ore.

Fece tutto il percorso fino in hotel con fare assente, quasi in uno stato di trans, la mente che costantemente vagava senza soffermarsi su un pensiero preciso. Per un istante le si formarono in testa le prime parole di Not With Haste dei Mumford & Sons ma, come per tutto il resto, sparirono con la stessa rapidità con cui erano arrivate. Una volta arrivata in albergo – che grazie ai suoi meticolosi appunti non era stato complicato da trovare – Amelia decise di farsi una doccia e di rimanere lì ad aspettare l’ora dell’appuntamento, consapevole che uscire nella città non le sarebbe servito a molto visto lo stato in cui era. Prima di infilarsi sotto l’acqua fresca, la ragazza aveva tolto tutti i suoi lavori di piccolo e medio formato dal trolley e li aveva disposti sul letto accanto agli abiti puliti che si era portata appositamente per l’incontro. Il peso che sentiva al petto parve ingigantirsi e lei fece del suo meglio per non pensarci. L’ansia era da tutta la vita la sua migliore compagna, quella sempre presente, che non l’abbandonava mai. Era una tortura, nient’altro, capace molto spesso di rovinare le cose. Sapeva che quella sensazione terribile e spiacevole si sarebbe ingigantita alla vista degli Shards, ancora di più a quella di Ewan e si fece forza per fare in modo che, fin da subito, tutto ciò non le rovinasse la più grande occasione di sempre.

 

 

 

 

Kensington High St., Londra, 14 agosto

Ore 2:48 PM

 

Era puntuale come suo solito. L’edificio della Virgin Records non le parve niente di che a una prima occhiata: un comune palazzo, con vetrate e pareti in mattoni. Se non fosse stato per la scritta che capeggiava sopra all’ingresso ad Amelia sarebbe parso di raggiungere un normale ufficio, mentre invece, in quel momento, sentiva il cuore battere a ritmi frenetici. Strinse la cartella contenente i disegni e si diede una sistemata ai vestiti – una camicia bianca infilata in un paio di stretti pantaloni neri, uno degli accostamenti che reputava più sobri ed eleganti. Inspirò una generosa dose di aria, spronandosi mentalmente per farsi forza, dopodiché entrò.

Trovò scontato che, proprio davanti all’ingresso, vi fosse la reception. La donna seduta dietro la scrivania non la degnò di uno sguardo e dal momento che, appena la porta le si era chiusa alle spalle, questa era stata aperta da due nuovi venuti, alla ragazza bastò poco per capire il perché del comportamento della receptionist. Quel posto doveva essere in continuo movimento, sotto assedio da persone che entravano e uscivano e che, cosa ancora più evidente, sapevano perfettamente dove andare; a differenza di lei.

Si avvicinò alla donna e questa, capendo prima ancora che le venisse rivolta la parola, che aveva a che fare con una povera smarrita, sollevò lo sguardo. «Buongiorno» salutò gentilmente.

«Salve. Ho appuntamento con Jacob Okoye. Mi ha detto che ci saremmo trovati qui e di chiedere di Edward Jones» disse Amelia, cercando di apparire il più disinvolta possibile, come se cose del genere le capitassero di continuo, pur non avendo la più pallida idea di chi fosse questo Edward Jones.

«Il suo nome?»

«Amelia Campbell.»

La donna sollevò la cornetta del telefono e digitò diversi numeri. Dall’altra parte risposero subito e lei ripeté il nome della ragazza, dicendo che era appena arrivata. La telefonata durò meno di trenta secondi; la receptionist posò il ricevitore e indicò ad Amelia le poltrone vuote che si trovavano alla destra del suo banco. «Si accomodi, intanto. Il signor Jones scende subito.»

La ragazza ringraziò e si spostò verso le poltrone, senza sedersi. Rimase in piedi a guardare le foto appese alla parete e a osservare la città oltre le vetrate dell’edificio, finché qualcuno non la chiamò.

«Miss Campbell.» La voce era profonda e ben calibrata. Amelia si voltò per vedere il suo interlocutore in volto, l’uomo che, dedusse, doveva essere Edward Jones.

«Molto piacere di conoscerti. Puntualissima, qualità che adoro, credimi» proseguì lui, tendendole le mano. Aveva una stretta forte, che lasciava intuire sicurezza in se stesso. «Edward Jones, manager degli Shards. Mi permetto di lasciare da parte le formalità, se la cosa non ti crea del disturbo.»

«No, affatto» lo rassicurò lei, sorpresa di scoprire di chi si trattava.

«Sentiti libera di fare lo stesso. Vieni, ti porto dal resto dei ragazzi.»

Amelia notò che tutto nella figura di Edward Jones lasciava intendere che l’uomo avesse una certa fiducia in se stesso e soprattutto, cura per la propria persona. Doveva avere all’incirca una quarantina d’anni ed era un uomo molto affascinante. Gli occhi nocciola risaltavano grazie alla barba scura e perfettamente tenuta e i capelli brizzolati donavano molto al suo viso maturo. Era vestito con una camicia di cotone leggero, celeste e con una piega impeccabile. Anche il resto della sua figura era curata, dalle mani fino ai più minimi dettagli, come i lacci delle scarpe della sfumatura giusta. Amelia cercò di immaginarsi quell’uomo alle prese con l’imprevisto, con una sbavatura nei suoi piani perfetti e per poco non si lasciò scappare una risata mentre seguiva Edward verso l’ascensore.

«Com’è andato il viaggio?» le chiese lui appena si furono sistemati in cabina. Premette il tasto del terzo piano e si concentrò sul viso della giovane ospite.

«Molto bene, grazie» rispose lei, senza sapere che altro aggiungere.

«La camera è di tuo gradimento?»

«Sì.»

Decisamente Edward era uno meticoloso. Amelia se lo immaginò alle prese con gli Shards, che le avevano sempre dato l’impressione di essere tutto fuorché puntuali. Immaginava quell’uomo così ben curato telefonare ininterrottamente ai ragazzi per ore, imprecando – ma sempre con eleganza – per il loro non essersi ancora presentati a una data intervista. 

«Hai mai fatto qualcosa del genere?» proseguì lui con il suo interrogatorio. La domanda, però, colse impreparata la ragazza, che intuì che quelle di prima erano solo banali formalità. A lui interessava il lavoro, in fondo per quello erano lì.

«Di tale portata no, lo ammetto. Ma ho già avuto commissioni importanti alcune volte» rispose, sperando fossero le parole giuste.

«Lo so. Ho guardato il tuo sito. I miei ragazzi hanno espressamente chiesto di te. Ewan ha detto di conoscerti.»

Il tono della sua voce si stava facendo neutrale, quasi non volesse far trapelare le emozioni. Amelia pensò potesse trattarsi di una tattica, fatto sta che le bastarono quelle poche parole per capire che con Edward Jones era bene non scherzare e che, soprattutto, il solo fatto che gli Shards avessero chiesto di lei non le garantiva che sarebbe riuscita a ottenere quel lavoro. Tuttavia lei lo voleva, quel lavoro, e avrebbe fatto del suo meglio per ottenerlo.

L’ascensore si fermò e aprì le porte al terzo piano con uno scampanellio. La giovane seguì il manager lungo il corridoio, la cartellina con i lavori ancora sotto braccio e quando lui varcò una delle porte lei, prima di seguirlo ostentando sicurezza, prese una lunga boccata d’aria e si sistemò lo chignon che aveva in testa.

La stanza era una piccola sala da conferenze, con un tavolo rettangolare stretto e lungo e svariate sedie imbottite. Le vetrate garantivano luce naturale, intensa in quel momento per via della bella giornata.

Gli occhi di tutti i presenti si posarono su di lei e, quasi lo avesse fatto apposta, i primi che incrociò furono quelli di Ewan. Il ragazzo le sorrise e lei rispose al suo gesto, per quanto le fosse possibile. Sentì il cuore balzarle in gola e il vuoto invaderle lo stomaco. Lui era semplice e splendido come al solito, come sul palcoscenico durante un concerto, o quella notte vicino alle volte multicolore del Clyde Arc, quando la brezza che saliva dal fiume gli smuoveva i capelli scuri. La figura del cantante aveva un effetto ipnotico su di lei, ammaliante e Amelia rimase lì, a osservare i suoi occhi blu come se in quel luogo non ci fosse nessun altro.

La voce di Edward, però, la riportò alla realtà subito. «Ecco a te la ciurma» le disse, indicando con un cenno le cinque persone presenti. 

Questi le andarono incontro per le presentazioni e il primo che strinse la mano alla ragazza fu Jacob Okoye, che disse il suo nome con quella voce sicura che Amelia aveva sentito la prima volta al telefono. Rimase colpita dallo stile di quel giovane uomo, che non aveva voluto rinunciare al legame che lo univa alla sua terra d’origine. La ragazza scambiò una stretta di mano anche con Trent, Chase e Chris – che non aveva mai incontrato prima da vicino. L’ultimo fu Ewan, che diede anche lui la mano alla ragazza, ma aggiunse anche: «Sono contento di rivederti.»

Quelle poche parole bastarono per far sentire Amelia pervasa da un fremito, una nuova scossa. Fu ancora la voce di Edward a interrompere ogni cosa. «Bene, ora che abbiano sistemato i convenevoli, siediti pure, Amelia, parliamo di lavoro.»

La ragazza si sedette nel posto che le venne indicato e non poté fare a meno di sentirsi sotto esame. Gli altri, infatti, si disposero praticamente di fronte a lei, come avveniva ogni volta per un colloquio di lavoro. Jacob fu il primo a prendere parola, cosa che lasciò intuire ad Amelia che era lui l’uomo da prendere a riferimento. Le spiegò di cosa si occupava e del fatto che, se lei avesse accettato il lavoro, avrebbe dovuto collaborare con lui. In poche parole, Jacob era la mente e lei sarebbe stata il braccio, a cui spettava il compito di trasformare in realtà le fantasie sue e degli Shards. Aveva l’aria di essere un lavoro impegnativo, ma lei si sentiva motivata ed emozionata e aveva davvero tanta voglia di provarci e afferrare quell’occasione rendendola la sua occasione.

La parte peggiore fu rimanere seduta mentre il resto dei presenti si passavano una alla volta le tavole che lei aveva portato con sé, come prova delle sue capacità. I suoi occhi seguivano inevitabilmente la figura di Ewan. Lui sembrava apprezzare i disegni e la cosa la tranquillizzò abbastanza, ma rimaneva il fatto che era ancora preoccupata e lo divenne ancora di più quando fu il momento di scendere in trattative, di parlare davvero di ciò che avrebbe dovuto fare. 

Quella parte non fu affatto semplice. Amelia non voleva affatto perdere quell’opportunità, pertanto fece del suo meglio per dare la migliore immagine di sé. Parlarono di disegni, di bozze e di idee; lei dimostrò di avere già capito cosa volevano gli Shards e propose qualche piccola aggiunta qua e là, ottenendo pareri favorevoli da parte di tutti. Discussero di soldi e di tempistiche e quando gli argomenti terminarono, la ragazza si sentiva ottimista. Tuttavia si rifiutò di cantare vittoria, perché l’ultima parola non spettava a lei.

Infatti fu Edward a sancire chiuso il loro incontro. «Dunque» esordì e il silenzio si diffuse fra tutti i presenti. «Se tu sei d’accordo, direi che ci sentiamo nei prossimi giorni, per farti sapere se ci avvarremo o meno dei tuoi lavori.»

Amelia pensò che suonasse quasi come una minaccia. Tuttavia, al tempo stesso, sapeva che era quello il giusto percorso da seguire, pertanto annuì. Il manager si alzò, lasciando intendere che era ora, per la ragazza, di andarsene. Si alzò anche lei, raccolse la cartella di disegni e strinse la mano a Edward e Jacob, che nel frattempo l’avevano raggiunta. Ringraziò tutti i presenti, li salutò un’ultima volta e si avviò verso l’uscita.

«Aspetta, ti accompagno.»

Non le servì voltarsi per sapere a chi apparteneva quella voce. Ewan si era alzato dal suo posto e si stava avvicinando a lei. La maglietta che indossava – quella bianca con il simbolo della NASA che lei già più volte gli aveva visto indosso – si mosse più del dovuto dato che gli cadeva larga. 

«Sì, bravo, accompagnala» disse Edward al cantante, compiaciuto dai modi cortesi del ragazzo. Quest’ultimo si avviò, seguito da un’Amelia che, nuovamente, si sentì sprofondare in qualcosa al limite del surreale alla consapevolezza di essere in compagnia del cantante. Ewan si incamminò in direzione dell’ascensore. 

«Preferirei usare le scale» lo fermò la ragazza. «Non sono una grande amante degli ascensori» gli rivelò.

Lui le sorrise. «Posso capirlo. Sono scatole di metallo sospese nel vuoto, dopotutto.»

«Hai reso l’idea.»

Quel rapidissimo scambio di parole piacque molto ad Amelia. Era come ritrovare un ricordo, il ragazzo che era stato con lei a Glasgow, con cui aveva parlato e riso di un sacco di cose diverse. Come riusciva Ewan a essere così? Alla mano e semplice, pur essendo osannato da migliaia di persone? 

Il ragazzo le fece strada verso le scale e, almeno per la prima rampa, nessuno dei due parlò. La ragazza non sapeva come esordire, consapevole di non aver fatto nulla per poter avere un secondo contatto con il cantante prima di quel giorno e perfino lui sembrava nervoso. Non certo quanto lei, ma era chiaro che qualcosa lo agitava.

«Davvero splendidi i tuoi lavori» prese parola lui d’un tratto, lanciando un’occhiata ad Amelia. Il modo in cui sollevava le sopracciglia quando parlava con qualcuno, la luce che brillava nei suoi occhi, erano chiaro simbolo di interesse, evidente e sincera curiosità. Lei aveva già avuto a che fare con quel ragazzo, ma si sentì impreparata proprio come al loro primo incontro.

«Ti ringrazio. Ammetto di aver portato con me i migliori.»

«Ho visto il tuo sito. È stato così che ho capito che era il tuo stile quello che cercavamo» proseguì lui, sempre con quel suo modo di fare calmo.

Amelia si fermò. Ewan se ne accorse solo un gradino dopo e si arrestò a sua volta, voltandosi. Erano quasi alti uguali, ora e più vicini di quanto lei avesse creduto. 

«Dici sul serio?» chiese al ragazzo, lasciando trasparire tutta la sua emozione.

Lui annuì con il capo. «Chiamalo caso, o destino se preferisci, ma avevano ipotizzato lo stile delle nuove grafiche prima che vedessi i tuoi lavori. E quando li ho visti ho capito che erano quello che ci servivano.»

Amelia si sentì scaldare da quelle parole, sorpresa dalla disinvoltura con cui erano uscite dalle sue labbra. Lo ringraziò ancora e riprese a scendere lungo le scale. «Però non voglio cantare vittoria troppo presto. Prima ascolto il verdetto del vostro manager» disse, dando dimostrazione del suo radicato scetticismo.

Ewan si strinse nelle spalle. «Beh, al massimo insisto un po’ io con Eddie. Lo esaspero spesso ma mi vuole bene.»

Lei dedusse che Eddie doveva essere Edward e non dubitò del fatto che il manager gli volesse bene, visto i modi amichevoli e l’umiltà che pareva caratterizzare il cantante. Tuttavia neanche a quelle parole cantò vittoria. Il ragazzo continuò a lodare il suo lavoro fino a che non giunsero al piano terra e Amelia non riuscì più a capire il disordine emotivo che provava dentro. Era emozionata, lusingata e imbarazzata, inoltre desiderava davvero di vedersi accettata per il progetto con gli Shards così da avere ancora la possibilità di stare insieme a Ewan. La sua compagnia le piaceva e non solo perché era il cantante del gruppo che più amava; aveva un’aura unica, capace di farla sentire a suo agio, di farle desiderare di non vederlo mai allontanarsi.

Poco dopo la fine delle scale, però, lei già sapeva che avrebbe dovuto salutarlo di nuovo e fu proprio in quel momento che sperò, come non aveva ancora fatto prima, di rivederlo; non da sotto un palco però, ma di persona, così, o com’era successo a Glasgow. 

Ewan si sistemò gli occhiali con lo stesso modo disinvolto in cui si passava la mano fra i capelli. Non li portava molto spesso – non aveva gravi problemi di vista, dopotutto – ma la ragazza trovava che gli donassero particolarmente per via della montatura spessa e non troppo scura, che non nascondeva la sfumatura blu dei suoi occhi.

«Beh, grazie per avermi accompagnata» gli disse infine, decidendo di sbrigare in fretta la noiosa parte del doversi separare da lui.

«Che ne dici di uscire, stasera?»

Non suonava come un saluto, quello, al contrario. Amelia spalancò gli occhi, nello stesso, esatto, modo in cui aveva fatto a Glasgow, quando lui aveva scavalcato la cancellata per unirsi a lei sulla strada. Sembrava il solo capace di simili gesti. La ragazza cercò una ciocca di capelli, come faceva sempre quando si sentiva agitata per qualcosa, ma con i capelli legati non riuscì a trovarne nessuna e finì con lo sfiorare la linea del collo, lo sguardo basso. Sarebbe stata folle a rinunciare a quella nuova possibilità di trascorrere del tempo con Ewan.

«D’accordo, volentieri» rispose infine.

«Bene. Sono ancora in debito per Glasgow» sorrise lui.

«In debito per cosa?» domandò sorpresa l’altra.

«Un tour della città. Anche se penso che per Londra saranno necessari un minimo di tre incontri.»

Le sue parole lasciarono Amelia perplessa, la quale, però, evitò accuratamente di iniziare qualsivoglia supposizione a riguardo.

«Va bene alle sette e mezza?» continuò Ewan.

«Direi che è perfetto.»

Dopo quella conferma, salutarsi fu più semplice. Amelia disse al ragazzo in che hotel albergava e si diedero appuntamento lì davanti, dopodiché lui pensò bene di ritornare dagli altri per discutere dell’incontro che avevano appena avuto proprio con lei.

La ragazza si avviò fuori dall’edificio, immergendosi nella soleggiata metropoli londinese. Sentiva di avere voglia di un mocaccino, qualcosa di buono e molto zuccherato da bere a passeggio per la città, mentre camminava verso l’albergo. Si sentiva bene, avvolta da una sensazione frizzante come non le accadeva da diverso tempo. Non era solo per il fatto che il colloquio sembrava essere andato bene, ma anche perché poco meno di tre ore dopo avrebbe rivisto Ewan, quel ragazzo che nell’ultimo mese era stato uno dei suoi pensieri più ricorrenti. 

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Capitolo 8
*** Love Illumination ***


 

 

 

When you’re happy from a dream | Is it hard to work out what’s real | Is the real over there |

More vivid than here ever feels

Franz Ferdinand. Love Illumination

 

 

 

Camera d’albergo di Amelia, Scarsdale Pl., Londra, 14 agosto

Ore 7:23 PM

 

Davanti allo specchio Amelia si sentiva come a un primo appuntamento, benché non stesse per affrontare né il primo, né un vero e proprio appuntamento con Ewan. Tuttavia si sentiva così, emozionata e al tempo stesso nervosa, quasi fosse tornata a essere una liceale alle prese con quello che sarebbe stato il suo primo ragazzo e, poi, il primo disastro sentimentale. 

Non aveva portato con sé molti vestiti, perciò decise di optare per la t-shirt che avrebbe indossato per dormire, che altro non era se non una maglietta dei Franz Ferdinand, che infilò nei pantaloni che portava quel giorno. La stampa della t-shirt le faceva sempre venire in mente Love Illumination e anche in quel momento iniziò a canticchiarla fra sé, mentre si pettinava i capelli. Lisci e lunghi fino a metà della schiena, quella cascata di ciocche scure aveva bisogno di un sacco di cure per non arruffarsi continuamente a causa del clima britannico sempre umido. Si truccò – eyeliner e rossetto, nulla di più – e si diede un’ultima occhiata quando mancavano giusto cinque minuti alle sette e trenta.

Afferrò la borsa e scese in fretta le scale, l’ansia che le montava a ogni gradino. Convivere con quello stato emotivo di continuo era una tortura. Anche le cose più semplici, che aveva fatto mille volte, come prendere un treno o andare a un appuntamento l’agitavano e tutto peggiorava quando le cose prevedevano l’incontro con persone importanti, come in quel momento. Era già stata sola con Ewan e sapeva che quel ragazzo era in grado di farla sentire a proprio agio, di toglierle di dosso ogni tensione, ma ciò non era sufficiente per tranquillizzarla in quel momento. Arrivò alla reception e si disse di calmarsi, ma dentro sapeva che quella poteva essere l’ultima volta a stretto contatto con il cantante degli Shards. Avrebbe voluto essere consapevole che ci sarebbero state altre occasioni, ma non poteva dirlo. Prese un lungo respiro, come faceva sempre in occasioni importanti e si avviò fuori dall’hotel, lo sguardo già in cerca della figura di Ewan.

Quando uscì in strada, tuttavia, a stazionare sul marciapiede non c’era lui, o meglio, non solo. Tutti e quattro i membri degli Shards erano lì, chi addossato ai paletti in metallo che delimitavano la strada, chi in piedi a parlare con gli altri presenti. C’erano tutti: Trent, calmo e austero, Chase, che da chiacchierone qual era – come lei aveva dedotto dalle interviste – stava parlando con Chris, intento a sfiorarsi la barba e Ewan, che si stava guardando le scarpe, un sorriso in volto per via della conversazione. 

Le fu inevitabile fermarsi subito dopo la porta, sperando di non essere vista, ma si sbagliava. Ewan la notò, quasi avesse un radar quando si trattava di lei. Le sorrise e allargò le mani, includendo nel gesto tutti gli altri presenti. «Ciao» disse. «Te li ho portati tutti. Volevano conoscerti meglio anche loro.»

Se fosse stata la verità, questo lei non poteva saperlo, fatto sta che si sentì catapultata nell’ennesima situazione surreale, che sembrava uscita proprio da una delle canzoni degli Shards.

«Ho per caso vinto qualche gioco a premi?» domandò, facendo riferimento a quei giochi delle compagnie radiofoniche che danno la possibilità di incontrare i propri idoli.

«Hai superato splendidamente il tuo primo incontro con Eddie, meriteresti tutti i premi di questo mondo» rispose Chase, avvicinandosi a lei e abbracciandola, fra i sorrisi generali. Amelia rimase spiazzata da quel gesto, al punto di non sapere se doveva ricambiare o restare immobile. Decise di ricambiare, era pur sempre Chase Mitchell, non sapeva se avrebbe avuto di nuovo una simile occasione. Chase era quello più espansivo, le aveva sempre dato quell’impressione e in quel momento nulla le avrebbe fatto pensare il contrario. Aveva un viso simpatico, occhi vispi color ambra e un sorriso contagioso.

«Dove ti piacerebbe andare?» chiese Chris, alzandosi dal posto in cui si era sistemato. «Sei nostra ospite.»

«Ehm, non saprei» rispose lei, sempre più spiazzata. Quella situazione era davvero surreale. Solo la settimana prima era a Glasgow, totalmente ignara del fatto che a Londra si stava facendo il suo nome, e ora era lì, circondata dagli unici quattro artisti che per lei equivalevano a un’ossessione.

«Ok, allora ci pensiamo noi» esclamò Chase, prendendola sotto braccio e incamminandosi con Amelia a destra e Chris a sinistra. La ragazza lanciò un’occhiata alle sue spalle, dove incrociò lo sguardo di Ewan. Quest’ultimo sollevò le sopracciglia, abbozzando un sorriso, intendendo che i suoi amici erano così, ma se Chase era già partito a quel modo significava che lei gli piaceva. La ragazza, però, non capì nulla di quel non detto e spostò lo sguardo su Trent, silenzioso come lei lo aveva sempre visto. Alla fine decise di smetterla di preoccuparsi e preferì lasciarsi coinvolgere, pensando che di certo stava per immergersi in un’altra serata unica nel suo genere.

Camminarono per un po’, immergendosi nella città. Amelia li seguì senza sapere dove la stessero portando, ma capì che non le interessava. La stavano guidando in una zona di Londra che aveva visto una sola volta, per di più di sfuggita, e che non le dispiaceva affatto. Si perse in chiacchiere con i ragazzi e, mentre rispondeva alle loro domande o replicava a qualche loro commento, ebbe modo di analizzarli tutti. Trent era un po’ come la voce della ragione lì in mezzo, quello che parlava meno di tutti ma ogni volta che lo faceva era sempre in grado di dire qualcosa di azzeccato e colto. Le ricordava un cavaliere inglese, fiero, e il suo cognome – Linton – accresceva in lei questa immagine. Chris, invece, aveva sempre la battuta pronta e non si prendeva affatto sul serio. Scherzava su di sé e sugli altri senza alcun problema ed era palese che il sarcasmo fosse la sua arma più forte. Chase era parecchio alla mano, contagioso nei modi di fare e parlava di tutto con un trasporto tale che sembrava che qualsiasi cosa fosse il suo argomento di conversazione preferito. Infine c’era Ewan, che se ne rimaneva calmo in mezzo al gruppetto, a ridere e fare qualche osservazione di tanto in tanto, ma sempre con un’espressione rilassata in volto. Era chiaro che non amava stare al centro dell’attenzione, anche se il suo ruolo nella band era quello del cantante. Non dava nell’occhio e non focalizzava le attenzioni su di sé, anzi, era quasi il contrario, proprio come un ragazzo in uscita con gli amici che preferisce stare in ascolto, magari alla ricerca di qualcosa di interessante. Ad Amelia piaceva questa particolarità di Ewan, questo suo modo di fare così semplice e alla mano che, probabilmente, era una delle ultime cose che ci si poteva aspettare dal cantante di una band. Tuttavia, nel caso degli Shards, ogni possibile stereotipo scompariva quasi del tutto.

Continuarono a passeggiare, addentrandosi sempre più un vie e strade che la ragazza non aveva ancora visto, ma che riconobbe come la zona di Nottingh Hill. Pub e negozi di fast food riempivano le vie principali, alternandosi a negozi di vario genere ormai quasi tutti chiusi; il traffico del pomeriggio si era ormai affievolito. Mentre proseguivano nella loro conversazione, parlando di festival musicali – argomento tirato in ballo da Amelia, curiosa di sapere la visione di una band a riguardo – Chris si fermò accanto all’ingresso di un pub. «Ehi» chiamò. «Chi di voi ha fame?»

Amici da pub, dunque, ecco che tipo di ragazzi erano. Non che lei ne rimase sorpresa, ma la cosa le consentì di dare a tutti loro,  definitivamente, sembianze umane.  Intervistatori, giornali, televisioni e fan elevavano sempre gli artisti a personaggi simili a divinità, figure irraggiungibili, eppure gli Shards erano la dimostrazione che non era così per tutti. Stavano trascorrendo del tempo con lei, fra le strade di Londra, a parlare di un sacco di cose diverse e a trattarla come fosse loro ospite. Era evidente che prima di essere gli Shards, loro erano quattro amici, ragazzi alla mano che amavano passare il loro tempo in compagnia, magari con una birra davanti. Erano umani, tutto qui.

L’invito di Chris venne accolto volentieri da tutti i presenti, i quali si riversarono nel pub, non troppo affollato dato il lunedì sera. Riuscirono ad avere un tavolo per pura fortuna, però, e vi si accomodarono. Amelia continuava a rimanere sorpresa dal fatto che nessuno sembrasse riconoscere i quattro. Forse perché lei era una fan, forse perché non le voleva entrare in mente il fatto che a Londra c’erano più di otto milioni di persone, ma trovava assurdo che nessuno, da quando erano usciti, non avesse ancora fermato i quattro per una foto o due chiacchiere veloci. 

«Vi capita mai di essere riconosciuti?» domandò alla fine Amelia, pervasa dalla curiosità.

«Di tanto in tanto» rispose Chase. «Non è una delle cose più frequenti» rivelò.

«Ma non è che la cosa ci crei molti problemi» intervenne Trent, in uno dei suoi sporadici discorsi. «Per lo meno così possiamo continuare ad avere una vita normale.»

«Giusto» rispose lei. «L’ho chiesto solo per curiosità visto che...insomma, nessuno…» si zittì prima di proseguire, dicendosi che avrebbe fatto meglio a stare zitta – e a non tirare più in ballo quella faccenda.

I quattro però non diedero l’impressione di non aver gradito la domanda e la presero come un buon pretesto per trovare qualcosa di nuovo di cui parlare. Conversarono per tutto il tempo della cena e anche dopo. Toccarono ogni argomento: i disegni di Amelia, le copertine degli album che la band aveva pubblicato, lo sport, le birre preferite. Per la ragazza era come stare in compagnia di vecchi amici con cui si poteva parlare di qualsiasi cosa senza paura di venire giudicati. Avrebbe voluto che quella serata non finisse mai.

Tuttavia, aveva appena formulato quel pensiero che vide Trent alzarsi. Controllò l’orario, erano quasi le dieci. Mancava ancora un po’ alla chiusura del locale, perciò Amelia pensò che il gruppetto fosse in procinto di portarla da qualche altra parte, ma il chitarrista le lasciò intendere di rimanere dove si trovava.

«Ok, allora» esordì, sistemandosi i vestiti «è stato un piacere, Amelia. Non credere sia colpa tua, ma noi abbiamo una vita sentimentale. A differenza di Ewan» disse, lanciando quella frecciatina in pieno petto al suo cantante con la calma che pareva contraddistinguerlo. Ewan non si scompose, si limitò a fare l’espressione di chi aveva già sentito quelle parole rivolte a sé un numero indicibile di volte. Chase e Chris si alzarono a loro volta dal tavolo, affiancandosi a Trent.

«Spero davvero di rivederti» disse Chase in direzione di Amelia, l’ennesimo sorriso contagioso in volto. Anche Chris lasciò intendere che avrebbe collaborato volentieri con lei e dopo un ultimo saluto da parte di tutti, i tre si allontanarono, lasciando soli la ragazza e il cantante. Per un istante nella mente di Amelia balenò l’idea che li avessero lasciati volutamente da soli, ma accantonò subito quel pensiero. Era molto più semplice che il ragazzo avesse chiesto agli amici di andare con lui quella sera, trovando il giusto compromesso nell’orario in cui i tre sarebbero potuti andare via senza alcun senso di colpa. Senza Trent, Chase e Chris le parve di essere tornata alla notte di Glasgow, quando erano solo lei e Ewan. Solo che il posto in cui si trovavano non era quasi vuoto e non sarebbe stato compito suo accompagnare per le vie della città il ragazzo.

«Com’è andata?» chiese Ewan, alludendo al resto dei componenti della band di cui faceva parte.

«Direi bene. Per te non è andata bene?» domandò in risposta lei, improvvisamente pervasa da un dubbio.

La sua reazione strappò un sorriso al cantante. «Devi dirmelo tu. So che il primo incontro con loro può essere complicato, alle volte. Sono un po’ particolari.» Nonostante le sue parole, però, era evidente l’affetto che provava nei confronti dei tre amici.

«Voi siete sempre così?» volle sapere Amelia.

«Così come?» chiese perplesso lui.

«Così espansivi, alla mano.»

«Perché non dovremmo?» Non attese una replica prima di riprendere a parlare: «Avevamo già parlato della cosa a Glasgow, se non sbaglio. Non devi pensare a noi come agli Shards. Ok, lo siamo, ma prima di tutto siamo ragazzi normali e facciamo le cose che fanno tutti.»

«Lo so» si scusò lei. «È solo che mi riesce difficile. Non biasimarmi, per favore.»

Lui le sorrise di nuovo. Se nel loro rimanere soli le cose iniziavano già a quel modo, la ragazza capì che quel resto di serata non sarebbe stato affatto semplice per lei. Era facile invaghirsi del proprio cantante preferito, specie quando si ascoltava tanta musica quanta ne ascoltava lei ogni giorno. Le parole, il suono della voce di Ewan le entravano nella mente e lì si fermavano, ricomparendo in più occasioni nell’arco della giornata. Lui non poteva saperlo, ma spesso proprio quelle parole, proprio la sua voce, erano state l’ancora di salvezza per Amelia, aiutandola a superare alcuni dei momenti più difficili in cui si era imbattuta. Come poteva stare tranquilla davanti a quel ragazzo che tanto l’affascinava, che l’aveva aiutata senza saperlo, facendola stare meglio anche quando sembrava che nulla avrebbe potuto spazzare via il dolore? Sapeva di non essere innamorata di lui – ma solo dell’idea che aveva di Ewan – eppure, nella sua semplicità, il ragazzo le stava dando l’idea di essere esattamente come nel suo immaginario. E anche questo non semplificava affatto la situazione.

Tuttavia quella poteva essere l’ultima volta in cui si trovava faccia a faccia con Ewan e decise di approfittarne, costringendo la parte di sé più insicura, incerta e dubbiosa a farsi da parte.

«Prometto che da ora in poi vi vedrò come cittadini di Londra con età compresa fra i ventotto e i trentun anni» disse infine, sorridendo in direzione del cantante.

Lui parve gradire la cosa, quasi non aspettasse di sentire altro. Amelia pensò a qualcosa da dire, ma non le venne in mente molto. Per sua fortuna, però, anche se in compagnia Ewan non voleva stare al centro dell’attenzione, ciò non significava che non fosse pieno di argomenti di cui aveva voglia di parlare. Iniziò chiedendo ad Amelia cosa ne pensava della loro idea per le grafiche della tour americana, di cui avevano parlato quel pomeriggio. La domanda avviò una versa e propria conversazione, con scambi di idee e opinioni, che contribuì anche a immaginare nuovi possibili soggetti da usare per quel progetto. Stavano praticamente facendo ciò che avrebbero dovuto fare se la ragazza avesse ottenuto il lavoro e a Ewan piacque molto vedere la sintonia che avevano a riguardo. Lavorare con lei sarebbe stato stimolante e sperò che Eddie non complicasse tutto decidendo di non avvalersi della collaborazione di Amelia ma di cercare qualcun altro. Non che fosse preoccupato a riguardo, ma capitava che alle volte il manager rendesse le cose più difficili.

Erano ancora nel pieno di quella conversazione – che li aveva catturati in modo particolare – quando la campana del pub trillò.

«Quindici minuti e chiudiamo, gente» urlò il responsabile. I due lanciarono d’istinto un’occhiata ai loro bicchieri, vuoti, e ripresero a parlare in attesa della chiusura. Alle undici spaccate le persone si alzarono e si avviarono fuori dal locale senza fare storie, come da buona prassi inglese. Amelia e Ewan uscirono insieme agli altri.

«Ti riaccompagno in albergo» si offrì il cantante.

La ragazza non aveva molta voglia di vedere quella serata finire, ma iniziava a essere piuttosto stanca per via della sveglia che aveva puntato all’alba quella mattina, del lungo viaggio in treno e delle troppe emozioni provate in una sola giornata. Oltretutto anche il giorno dopo si sarebbe dovuta svegliare presto per rientrare a Glasgow perciò, anche se con dispiacere, accettò l’offerta del ragazzo.

La conversazione ricominciò da dove era stata interrotta, ma non riuscì più ad avere lo stesso trasporto che aveva prima, nel pub. Forse complice l’orario, o il fatto che i due stavano passeggiando piano nella Londra della sera, fatto sta che dopo poco più di cinque minuti smisero entrambi di avere idee su cui confrontarsi. Si zittirono, rimanendo a guardare le luci della città intorno a loro. 

«Possono farti una domanda?» Fu Ewan ha interrompere quel silenzio. Amelia lo guardò e annuì, senza sapere cosa il ragazzo era in procinto di chiederle. 

«Perché non mi hai mai scritto?» La domanda uscì semplice dalle labbra dal ragazzo, chiaro segnale che la sua era solo curiosità. Tuttavia ci teneva a sapere com’erano andate le cose, perché dalla risposta di Amelia avrebbe capito come tutto poteva evolversi. 

La ragazza si sentì presa in contropiede; non poteva dire a lui – il diretto interessato – le reali motivazioni che l’avevano bloccata ogni volta nell’inviare  la mail come aveva fatto con Pani. Avrebbe voluto non rispondere, ma sapeva che doveva delle spiegazioni al cantante; dopotutto le aveva lasciato la sua mail, cosa che lasciava intendere un invito a fare ciò per cui esiste la e-mail: scriversi.

«Non sei costretta a rispondere» intervenne lui davanti al suo silenzio protratto. 

La ragazza cercò le parole migliori per dire a Ewan com’erano andate le cose, di come avesse sprecato quella che poteva essere la migliore occasione della sua vita per paure che si era autoindotta. «Sai, la verità è che...sono un po’ bipolare, diciamo così» esordì, facendo una smorfia indecifrabile. «Delle volte agisco di puro impulso, come quella volta in cui ti ho messo in tasca il disegno o quell’altra in cui vi ho aspettato sul retro dell’arena con i coriandoli» proseguì, sentendosi arrossire. Ormai aveva iniziato a parlare e fermarsi, per sua fortuna, le riuscì impossibile. «Altre, invece, mi faccio così tanti problemi anche sulle cose più insignificanti da riuscire a distruggermi da sola. Come per la mail» concluse.

Ewan sorrise, intuendo cosa intendesse. Stava per dire qualcosa, ma Amelia lo anticipò. Ormai aveva trovato in che direzione portare il discorso e fermarla sembrava impossibile. «Insomma, ok che mi hai detto di non pensare a te come al cantante degli Shards, ma devi anche capire che per me è pressoché impossibile. Tu sei il cantante degli Shards e siete la mia band preferita, ogni volta che mi decidevo a scriverti pensavo a questo e mi bloccavo» esclamò, tutto d’un fiato.

Ewan la guardò, il sorriso ancora in volto. Quando Amelia alzò lo sguardo lui disse: «Questa era la tua parte più impulsiva?» riferendosi allo sfogo che la ragazza aveva appena avuto. Quest’ultima arrossì di colpo, coprendosi il volto con le mani. «Cielo, scusami.»

«Perché? Mi piace» replicò lui ridendo. 

Era proprio quello ciò che metteva in crisi Amelia quando si trattava di Ewan. Lo aveva notato già al loro primo incontro e anche in quel momento non le stava lasciando scampo. Aveva una naturalezza unica, una semplicità che non ci si aspetta da qualcuno che riempie gli stadi e si trova orde di persone in fila ore prima solo per assistere al proprio concerto.

«Mi dispiace di non averti scritto» ammise infine, tormentandosi un lembo di stoffa della t-shirt. «Solo che non ero così certa che avessi voglia di risentirmi.»

«Beh, non ti avrei lasciato la mia mail privata in quel caso» le fece notare il ragazzo, tranquillo. Non poteva negare che il fatto che non gli avesse mai scritto gli era dispiaciuto in modo particolare, ma ora lei era ugualmente lì e stavano trascorrendo del tempo insieme. Non era tipo da pensare a “come sarebbero andate le cose se”, spesso, infatti, quell’esercizio portava solo dolore. Aveva forzato un po’ il destino cercando Amelia sul web, ma era comunque riuscito ad avere ancora a che fare con lei. Soprattutto, aveva capito che se lei avesse avuto la forza di non lasciarsi condizionare dalla sua figura, gli avrebbe scritto.

«Beh, sì» riprese parola lei. «Ma non potevo sapere con certezza se tu eri davvero sicuro di volere che io ti scrivessi o meno. Insomma, non ti è mai capitato di lasciare il tuo numero a qualcuno e poi pentirti della cosa?» gli chiese. A lei era capitato e sapeva cosa si provava a ritrovarsi fra capo e collo qualcuno per cui non si provava molta simpatia.

«Oh, sì. Più di una volta, in verità» le disse in cantante.

Quella situazione diede modo a entrambi di trovare qualcos’altro di cui parlare, qualcosa in grado di farli conoscere meglio, parlando del proprio passato e di alcune vicende che li avevano coinvolti. Visti da fuori potevano apparire come una normale coppia di amici e il clima che si stava instillando fra loro permise ad Amelia di capire per quale motivo a Ewan premesse tanto che lei lo trattasse come un ragazzo qualunque. Se lei non si sentiva in soggezione per ciò che lui rappresentava, se non aveva paura del fatto che non gli interessassero i suoi aneddoti, tutto diventava più semplice per entrambi.

Quando raggiunsero l’albergo di Amelia, la ragazza non si era accorta di essere arrivata. Guardò Ewan nello stesso modo in cui avrebbe guardato un amico che non avrebbe rivisto presto e si strinse nelle spalle.

«Ok, allora. Spero vivamente che Eddie acconsenta a prenderti per le grafiche» esordì il ragazzo, che pensava tutto ciò per davvero.

«Beh, lo spero anche io» si lasciò sfuggire Amelia, sovrappensiero. Notò il sorriso di Ewan e si calmò di colpo, finendo con l’imitarlo.

«A ogni modo, se le cose non dovessero andare in porto, beh, hai sempre la mia mail. Scrivimi ogni tanto.»

Era la naturalezza con cui quelle parole gli uscivano la cosa che destabilizzava maggiormente Amelia. Aveva ormai capito che era un ragazzo semplice e alla mano, ma quella maledetta parte di sé che continuava a ricordarle che lui era pur sempre il cantante degli Shards non la voleva lasciare in pace.

«Lo farò» rispose infine, cercando di scacciare la sensazione di vuoto che le aveva appena invaso le membra.

«Però fallo veramente questa volta» la rimbeccò simpaticamente lui.

La ragazza gli sorrise, consapevole che la loro serata insieme era giunta al termine. Non sapeva quando e se avrebbe rivisto Ewan, né se avesse mai più avuto occasione di parlare di nuovo con lui, ma decise che non si sarebbe più fatta sfuggire una possibilità di tale portata. In un modo o nell’altro avrebbe fatto il possibile per avere ancora a che fare con quel ragazzo, che l’aveva conquistata con le sue canzoni e le sue parole e i cui modi di fare, così semplici e alla mano, non stavano facendo altro che rinforzare ciò che, dentro di sé, sentiva di provare.

«D’accordo» disse infine in risposta alle parole del cantante. 

«Bene» concluse lui. Ebbe una lieve incertezza, ma alla fine si avvicinò ad Amelia e l’abbracciò. Lei era convinta che ci sarebbe morta in quell’abbraccio quando sentì il contatto del corpo del ragazzo e il suo profumo invaderla, più o meno nell’istante esatto in cui il suo cuore saltò un battito. Prima Chase, poi Ewan; decisamente gli Shards erano ragazzi espansivi. Quando si separarono Amelia fece del suo meglio per non lasciare trapelare le sue emozioni, ma non era così sicura di esserne in grado. 

«Perciò ci sentiamo» disse lui con fare tranquillo. «Oppure ci rivediamo qui» concluse, alludendo alla possibilità di lavorare insieme.

La ragazza annuì, incrociando mentalmente le dita perché il ragazzo avesse ragione. Dopodiché si salutarono, augurandosi buonanotte. Amelia rientrò in hotel, un agglomerato di emozioni ad agitarla dall’interno. Non sapeva se era successo tutto veramente. Si sentiva spiazzata, come se fosse in un ambiente surreale, fiabesco. Eppure era successo tutto quanto, lo sapeva; sentiva ancora il profumo di Ewan, il suono della sua voce. Rivedeva il suo sorriso e le sembrava di percepire ancora sotto le dita il suo corpo al momento del loro abbraccio. Solo un’altra volta si era sentita così, per tale ragione le fu inevitabile venire catapultata indietro dalla propria mente a quella notte a Glasgow, dove sentiva che tutto aveva avuto inizio.

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Capitolo 9
*** Don't Look Back in Anger ***


 

 

 

But all the things that you’ve seen | Will slowly fade away | So I start a revolution from my bed | ‘Cause you said the brains I had went to my head”

Oasis. Don’t Look Back in Anger

 

 

 

Casa di Amelia, Little St., Glasgow, 18 agosto.

Ore 04:33 PM

 

Amelia era distesa sul letto a pancia in su, le braccia spalancate, lo stereo accesso che passava Don’t Look Back in Anger degli Oasis. Fissava il soffitto quasi fosse la volta della Cappella Sistina, cercando di non pensare, cosa pressoché impossibile per una come lei. La sua mente era un vortice continuo in ogni momento e per qualsiasi cosa. Faceva sempre supposizioni su supposizioni, ipotizzava scenari – molto spesso pessimistici – ed era il miglior generatore d’ansia esistente al mondo, a detta della ragazza. Lei, infatti, era così. Diceva a sé stessa di non farsi aspettative, salvo poi farsele ugualmente e soffrire quando queste venivano disattese. Cercava di affrontare le cose con calma e ragione, ma anche gli incontri più semplici le mettevano addosso pressioni inutili. Infine rimaneva il fatto che non sapeva se con i rapporti umani se la cavava bene oppure no; lei era se stessa in ogni occasione, ma alle volte sembrava che la cosa non fosse sufficiente. Altre, invece, non riusciva a capire se quel suo essere sé piacesse o meno. 

Tutto quel caos mentale le fece di nuovo pensare agli Shards e al loro incontro londinese. Chissà cosa pensavano di lei, se la trovavano simpatica, se fosse piaciuta. Tutto sommato sentiva di aver fatto una buona impressione. Ewan gli aveva detto di scrivergli e lei era intenzionata a farlo se la sua possibilità di lavorare alle grafiche della band fosse andata in fumo, ma rimaneva il fatto che non riusciva a smettere di rimuginarci sopra. Avrebbe tanto voluto spegnere il cervello.

Proprio a quel pensiero entrò nella stanza Pani, dopo una rapida bussata. «Ami sto entrando» si annunciò, ricevendo in risposta un verso privo di senso.

Pani trovò l’amica distesa sul letto con i piedi che toccavano terra; era chiaro che prima si era seduta e poi accasciata a quel modo, ed era possibile che si trovasse in quella posizione da tempo. Il disco degli Oasis passò alla traccia successiva e Pani, che non amava quel genere – i reciproci gusti musicali erano spesso motivo di confronto in quella casa – spense lo stereo senza chiedere il permesso di farlo.

«Mi serve una lobotomia» borbottò Amelia con fare lamentoso.

«Sono venuta qui giusto per dirti che volevo affittare la tua stanza a un’ameba. Organismi simpatici, dicono» replicò prontamente l’amica. Quei botta e risposta erano qualcosa di molto frequente fra le due ragazze, che si conoscevano così bene da intuire su cosa e quando si potesse scherzare.

Amelia, però, non rispose, limitandosi a far uscire un altro mugugno insensato.

«Che ti prende?» chiese Pani, davanti all’assenza di reattività dell’altra.

«Sto pensando» disse lei, come se quelle parole valessero a giustificare tutto.

«Beh, è quello che le persone fanno» le fece notare l’altra, con tono ovvio, sedendosi sul bordo del letto, accanto ad Amelia. Quest’ultima si passò le mani sul viso. «No» esclamò. «Sono ossessionata, è questo il problema. Sai come funziona il mio cervello, no?» chiese retorica, picchiettandosi la tempia con l’indice destro. «Sto rimuginando di continuo su Londra. Non riesco a non pensarci.»

Amelia aveva già raccontato all’amica dell’esito dell’incontro con il manager degli Shards e della riunione a cui aveva preso parte. Aveva anche fatto un riassunto dettagliato della sua uscita con la band e della conclusione di serata con Ewan.

«E quindi? Che c’è di male?»

«Ogni cosa» esclamò Amelia esasperata, sollevando le braccia al soffitto. «Non riesco a pensare ad altro, è da quando sono tornata che ci penso, ti sembra sensato?»

«Considerando che stiamo parlando di te direi di sì.»

«Sto vivendo in simbiosi con il cellulare. A momenti lo porto con me perfino in bagno» continuò a lamentarsi l’altra, senza aver dato l’impressione di ascoltare i tentativi consolatori da parte dell’amica. 

«Ma quando dovrebbero farti sapere se ti prendono o no?»

«Jacob ha detto che mi avrebbe chiamata entro pochi giorni, indipendentemente dall’esito. Ne sono già passati quattro e ancora niente.»

Si girò sulla pancia, puntellandosi con i gomiti. «Se non ottengo quel lavoro mi ammazzo» sbottò. Ci teneva davvero. Non tanto per il fatto che, grazie a quell’incarico, avrebbe potuto lavorare con gli Shards, ma anche perché in cuor suo sentiva che quella era una grande occasione, forse quella che le avrebbe cambiato per sempre la vita. Le sue grafiche sarebbero andate dall’altra parte del mondo, accompagnate dal nome di una band di fama internazionale. Poteva essere la giusta svolta, ciò che le avrebbe consentito di dire addio a lavori frustranti per potersi finalmente dedicare alla sua più profonda passione. L’attesa, però, la stava uccidendo. Se solo quel telefono si fosse deciso a squillare avrebbe accettato qualsiasi esito, anche il più negativo.

«Sì, ma se l’ottieni dovrai lavorare a stretto contatto con Ewan» la voce di Pani si levò dopo qualche secondo di silenzio, il tono di chi sta punzecchiando il destinatario delle proprie parole.

Amelia recepì l’affermazione dell’amica e l’assimilò quel tanto che bastava per farle sbuffare di nuovo una generosa dose d’aria. Si accasciò sul letto, schiacciando la testa contro le coperte. «Grazie» borbottò, ma la parola uscì per lo più come un suono indistinto. «Hai ragione» proseguì, rialzando la testa. «Se non ottengo il lavoro non so che fare, ma se l’ottengo non so come fare a lavorare così a stretto contatto con Ewan. È la fine, avrò paranoie mentali per i prossimi mesi» concluse, tornando a posare il capo sul letto. 

Pani scoppiò a ridere. Quell’aspetto della sua coinquilina lo trovava sempre esilarante. Amelia non era persona da piangersi addosso, infatti quegli eccessi di frustrazione apparivano più come qualcosa di comico che altro. Inoltre lei la conosceva bene e sapeva che, qualunque fosse stato l’esito di quel possibile lavoro, nessuna paranoia eccessiva le avrebbe invaso la mente; solo molta frustrazione in caso negativo e una buona dose di eccitazione mista ad ansia in caso positivo.

«Beh, se fossi al tuo posto non mi dispiacerebbe affatto lavorare a stretto contatto con Ewan» disse Pani, citando l’amica. «Ha l’aria di essere un bravo ragazzo da come me ne hai parlato.»

«Oh, Pani non puoi capire» esclamò lei, tornando a girarsi sulla schiena e alzando le braccia al soffitto. «È perfetto.»

«Nessuno è perfetto, Ami. Avrà sicuramente dei difetti.»

«Forse sì, ma in quel caso sono ben nascosti e riescono a far risaltare ancora di più i pregi.»

L’amica sbuffò, sogghignando. Quando Amelia parlava degli Shards sembrava sempre tornare ai tempi del liceo – anche se allora le due non si conoscevano.

«E se non gli piacesse la pizza?» azzardò Pani. «Non potresti mai stare con qualcuno a cui non piace la pizza.»

«Gli piace la pizza» tagliò corto Amelia in tono piatto, dopodiché si alzò di scatto, mettendosi a sedere e voltandosi verso la coinquilina. «È un ragazzo splendido, dico davvero.»

«Non ti pare di star esagerando con i superlativi?»

«Vorrei, ma lui è davvero così. È simpatico e alla mano, non vuole essere sempre al centro dell’attenzione e ti ascolta veramente quando parli. Non è come me lo immaginavo dalle interviste, è perfino meglio. Il tipo di ragazzo di cui potrei benissimo innamorarmi» sospirò. Abbassò il capo e i lunghi capelli castani le ricaddero sulle spalle; ne afferrò alcune ciocche, iniziando a tormentarle con le dita, chiaro segnale che qualcosa dentro di sé la stava turbando. Pani la conosceva a sufficienza, così come conosceva cosa, con tutta probabilità, stava affollando la sua mente; pensieri che non erano affatto piacevoli e che non c’entravano con il cantante degli Shards. 

«Va bene, va bene» disse infine, decisa ad aiutare l’amica in qualche modo. «Tralasciamo per un momento questa cosa, hai intenzione di uscire dalla tua camera o no? È da questa mattina che sei chiusa qui dentro.»

Amelia lanciò d’istinto un’occhiata al telefono cellulare. «Vorrei andare a farmi una doccia» borbottò. «Ma ho paura che appena mi infili sotto l’acqua il telefono squilli.»

«Beh, ci sono io. Posso farti da segretaria se dovessero cercarti proprio mentre ti stai lavando.»

La ragazza guardò Pani, pensando. Forse una doccia fresca le avrebbe fatto bene, magari le sarebbe servita per schiarirsi un po’ le idee. Non ci avrebbe messo molto e il suo smartphone non trillava per via di una telefonata da giorni, cosa che la faceva sentire sempre più frustrata. Perché ancora non l’aveva chiamata Jacob, cosa stava aspettando? Quelle giornate di attesa, quelle lunghe ore che separavano un giorno da un altro erano una tortura snervante per lei. Voleva solo sapere com’erano andate le cose, non le sembrava di chiedere molto.

«Ti preparo anche un infuso alla menta, nel frattempo» provò a convincerla Pani, alla quale non piaceva molto vedere Amelia in quello stato di ansia perenne. L’amica conviveva con l’ansia, questo lo sapeva, ma alle volte la rendeva davvero passiva, esattamente come in quel momento. Sembrava quasi che si spegnesse, che perdesse la sua abituale effervescenza e ironia, proprio come se dentro di sé avesse qualcosa intento a divorarla. Quando le capitava tutto ciò Amelia pensava di continuo e non c’era cosa peggiore che potesse fare, Pani lo sapeva; perché non si limitava a ripercorrere infinite volte lo scenario che la turbava, ma rimuginava sul proprio passato, sulle scelte sbagliate, sulle cose andate. E lì c’era anche molto dolore, che puntualmente riaffiorava come una goccia d’olio in mezzo all’acqua. Perciò, in quelle occasioni, Pani faceva del suo meglio per aiutare la coinquilina, spesso servendosi di armi come il cibo, la musica e il cinema – oltre alle chiacchiere.

Dopo diversi secondi di silenzio, in cui aveva pensato a cosa fare, Amelia alzò gli occhi bruni sull’amica. «Ok,» disse, «vada per la doccia e l’infuso. Però promettimi che se mi telefonano tu rispondi» concluse, indicando con fare accusatorio l’amica.

«Sul mio onore» rispose l’altra, fingendosi offesa.

Amelia allora si alzò dal letto e si avviò verso il bagno dopo aver preso dei vestiti puliti. Staccarsi dal telefono forse le avrebbe fatto bene, anche solo non averlo davanti per dieci minuti. Quel suo continuo rimuginare sul perché non l’avevano ancora chiamata non le dava pace e le faceva provare una fastidiosa sensazione alla bocca dello stomaco. Avrebbe voluto sapere se c’era la possibilità di incontrare nuovamente Ewan e gli Shards, se poteva avere un lavoro degno di essere definito tale, oppure se doveva mettersi l’anima in pace e lasciare perdere tutto. L’assenza di un responso – positivo o negativo che fosse – invece la faceva stare male e basta. Pensava di continuo alla riunione a cui aveva preso parte a Londra, a quello che aveva detto, al modo in cui erano stati giudicati i suoi lavori. Insieme a tutto ciò, inoltre, le tornava alla mente Ewan e lo scambio di parole che avevano avuto mentre lui la stava riaccompagnando in albergo. Perché quel ragazzo era così? Perché distruggeva i cliché su molti artisti famosi con i suoi modi di fare e il suo sincero interesse nel fare amicizia con le persone? Forse sarebbe stato tutto più semplice se lui si fosse dimostrato uno stronzo; avrebbe fatto male le prime volte, ma poi sarebbe stato facile dimenticarlo. Invece con quella sua innata vitalità, il sorriso gentile e la spigliatezza era pressoché impossibile per Amelia non desiderare di trascorrere ancora un po’ di tempo con lui, almeno un’altra volta. Ed era così che i suoi pensieri tornavano al punto di partenza, alla speranza di ricevere la famosa telefonata e di sapere in cosa poteva ancora auspicare. Era come un cane che si mordeva la coda, un cerchio infinito di tormenti.

L’acqua fresca, tuttavia, parve alleviare un po’ la mente della giovane. Mentre lei era lì, sotto il getto fresco, riuscì a deviare i pensieri verso un’altra direzione. Cominciò a sentirsi meglio, ma fu proprio in quel momento che accadde. Pani bussò alla porta con forza per farsi sentire da sopra lo scroscio dell’acqua sotto cui si trovava la coinquilina. «Ami» chiamò.

«Che c’è?» chiese lei, capendo con un secondo di ritardo cosa significasse la bussata delle sua amica. 

«Il telefono.»

Amelia non riuscì a fermare un’imprecazione. Se la lasciò sfuggire mentre chiudeva l’acqua, afferrando in gran fretta l’accappatoio e infilandoselo alla meglio. Uscì dalla doccia con i capelli grondanti, in parte appiccicati al viso e spalancò la porta senza preoccuparsi di bagnare ovunque, sperando di essere ancora in tempo.

Pani era al telefono. «Quindi mi faccia capire,» stava dicendo, «lei sarebb–oh, eccola, gliela passo» disse appena incrociò lo sguardo sgomento di Amelia. Le allungò il cellulare, mimando con le labbra il nome di Jacob.

Lei sbottò mentalmente; c’era da scommetterci che dopo giorni il telefono squillava in uno dei pochi momenti in cui si concedeva un po’ di relax.

«Sì, pronto» rispose, portandosi lo smartphone all’orecchio.

«Buonasera Amelia. Spero di non averti chiamata in un brutto momento» rispose Jacob, con quel suo modo professionale e affabile.

«Non preoccuparti, niente di grave» volle tranquillizzarlo, con la speranza che giungesse subito al punto della chiamata, ovvero l’esito del loro incontro.

«Ho buone notizie» riprese l’uomo. Quelle poche parole bastarono per far avere ad Amelia un tuffo al cuore. Si disse di ascoltare tutta la frase prima di esultare, poiché le buone notizie potevano essere tali solo per loro. Trattenne il respiro quando sentì Jacob riprendere parola: «Abbiamo deciso di avvalerci della tua collaborazione. Benvenuta in squadra.»

La ragazza alzò gli occhi sull’amica, la quale capì subito cosa significasse quel cambio di espressione. Pani trattenne a stento un’esultanza, coprendosi la bocca con le mani.

«C’è un biglietto per Londra prenotato a tuo nome per lunedì. Se accetti il lavoro, naturalmente.»

«Certo che accetto» si sbrigò a rispondere Amelia, forse con un po’ troppa enfasi. «Scusami, è solo che sono emozionata» si scusò poi. «È un’occasione incredibile e quasi non posso credere stia succedendo davvero a me.»

«Beh, è tutto vero» rise l’uomo dall’altra parte del telefono. Amelia non poteva saperlo, ma anche a lui era successo qualcosa di molto simile quando aveva iniziato a lavorare nell’ambiente musicale; quando si riceveva il primo incarico da un artista di fama internazionale c’era sempre una parte di sé restia a credere che stesse avvenendo tutto per davvero.

Jacob passò i restanti cinque minuti di conversazione ad aggiornare Amelia su ciò che sarebbe avvenuto a distanza di tre giorni. Sarebbe stato compito suo seguirla, come faceva ogni volta con chi veniva assunto per lavorare alle grafiche. Per qualsiasi dubbio, avrebbe potuto chiedere a lui. Si sarebbero incontrati alla stazione di Euston, dopodiché l’avrebbe accompagnata nel suo temporaneo alloggio, un piccolo appartamento di proprietà della casa discografica nella zona di Bayswater. Al momento si parlava di un mese di lavoro, ma non era escluso che le cose si sarebbero potute protrarre. 

Amelia segnò ogni cosa detta da Jacob sul suo taccuino, che Pani, da buona amica, era andata a prenderle prima ancora che lei glielo chiedesse. I capelli avevano smesso di gocciolare, ma la ragazza aveva comunque bagnato ogni superficie che aveva toccato. 

Si segnò l’orario del treno per Londra, sottolineandolo un paio di volte mentre Jacob le diceva: «Ti mando tutto per mail, se dovessi avere dei dubbi o ti mancasse qualcosa non esitare a contattarmi, d’accordo? Chiama pure a questo numero.»

Amelia acconsentì, dopodiché si scambiarono i convenevoli finali e la telefonata forse più importante della sua vita si concluse lì. Quando lo schermo dello smartphone diventò nero, la ragazza prese una lunga boccata d’aria, incredula. Le tremavano le mani per l’emozione ed era senza parole – circostanza abbastanza rara. 

«Vado a Londra» disse, quasi più per confermarlo a se stessa che a Pani, la quale aveva capito tutto dalla telefonata. «Oddio. Ho bisogno di sedermi» proseguì, dirigendosi verso la cucina e ignorando il fatto di stare bagnando ogni cosa al suo passaggio. Si mise a sedere, portandosi le mani al volto. Non poteva crederci. Una delle più grandi occasioni della sua vita era lì, finalmente fra le sue mani, afferrata come in un sogno. Respirò a fondo diverse volte prima di decidersi a far ragionare il cervello, ancora attonito per la notizia. Gli vennero subito in mente due cose che avrebbe dovuto assolutamente fare ora. La prima era accettare l’esito della telefonata: avrebbe lavorato con gli Shards. Avrebbe fatto meglio ad assimilare la cosa in tempi brevi, dato che avrebbe rivisto Ewan la settimana successiva. Era tutto così bello ed esaltante che si aspettava di risvegliarsi da un momento all’altro e andare a cozzare contro la realtà delle cose. Si piantò le unghie nel braccio fino a farsi male.

«Non stai sognando» le disse Pani, che l’aveva notata compiere il gesto.

Le due si guardarono per un lungo momento, dopodiché scoppiarono entrambe a ridere. Amelia sentì gran parte dell’ansia scivolarle di dosso, ma parte di essa rimase comunque aggrappata alla ragazza, come sempre.

«Stasera dobbiamo festeggiare» esclamò Pani. «Altro che infuso alla menta. Finisci di lavarti e vestiti per bene che ti porto a vivere una delle serate più belle della tua vita.»

«Suona molto strana questa tua frase» osservò Amelia.

«Oh, piantanala tu. E torna nella doccia, stai bagnando dappertutto.»

La ragazza eseguì. Tornò dentro la doccia, pensando a dove l’amica avrebbe potuto portarla; Pani conosceva sempre dei locali nuovi a Glasgow, sembrava quasi che li aprissero solo per lei. Non riusciva a smettere di sorridere all’idea di com’erano appena andate le cose. Sarebbe andata a Londra per un mese, avrebbe frequentato gli Shards per tutto quel lasso di tempo e, cosa più importante, avrebbe avuto la grande occasione di lavorare come grafica, ciò che avrebbe voluto fare per la vita. In quel momento le tornò in mente la seconda cosa che avrebbe dovuto fare: lasciare il suo attuale lavoro. La faceva sentire frustrata, non avrebbe avuto senso continuare. Il lavoro con gli Shards le avrebbe dato un compenso sufficiente per tirare avanti anche senza un posto fisso per alcuni mesi, giusto il tempo di diventare una grafica professionista – cosa che sperava proprio grazie all’occupazione che aveva appena ottenuto – o di trovare un lavoro che non la rendesse tanto infelice. Era decisa a chiudere i ponti con Susan McFarland e lo avrebbe fatto il mattino successivo.

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Capitolo 10
*** I Always Knew ***


 

 

 

“I try my best to unwind | Nothing on my mind but you | Oblivious to all that I’ll owe | I'm hanging on to what I don't know

The Vaccines. I Always Know

 

 

 

Ufficio di Jacob, Conduit St., Londra, 21 agosto.

Ore 2:56 PM

 

I quattro membri degli Shards erano seduti su divano e poltrone dello studio di Jacob, posto che sembrava uscito da alcune delle migliori riviste di design. Il loro scenografo e amico sarebbe arrivato a breve e non da solo. Amelia, infatti, aveva raggiunto Londra quella mattina e si sarebbe incontrata con gli Shards proprio lì, dove loro stavano aspettando. Era un’altra bella giornata su Londra; mite e soleggiata. I quattro ragazzi si stavano perdendo in chiacchiere, parlando del più e del meno, ma Ewan era meno partecipe del solito. Pensava ad Amelia e al fatto che l’avrebbe rivista a breve. Ne era contento. C’era qualcosa, in quella ragazza, che lo attraeva in modo particolare. Forse era la sua bellezza insolita, con quel viso dai tratti particolari delineati dal buon uso del trucco; o forse erano i suoi modi di fare, timidi in un momento e spigliati in quello successivo. Magari era il suo abbigliamento, le magliette delle band che ascoltava infilate nei pantaloni a vita alta. Non sapeva cosa fosse, ma era chiaro che qualcosa in quella ragazza lo attirava a sé. Era molto più probabile che fosse tutto dovuto al modo in cui ai erano conosciuti, al fatto che lei – prima ancora di incontrarla dal vivo – era stata un suo pensiero fisso per cinque mesi, e che il loro primo scambio di sguardi era avvenuto alla fine di un concerto fatto apposta per trovarla e dopo una pioggia di coriandoli colorati. Amelia sembrava uscita da una delle sue canzoni e lui era sempre stato certo di scrivere di persone inesistenti, fiabesche. 

«Allora, che ti ha detto a riguardo? È contenta?»

La voce di Chris arrivò con un po’ di ritardo a Ewan. Il cantante alzò gli occhi sul suo tastierista, comprendendo solo in quel momento che questi stava parlando con lui.  «Cosa?» 

«Sempre fra le nuvole, eh?» lo punzecchiò in modo amichevole Chris.

«Chissà a chi pensava» intervenne sornione Chase, che per una volta alludeva esattamente alla persona a cui stava pensando Ewan.

«Dai, smettetela di fare i deficienti» rise il cantante. «Cos’è che hai chiesto?»

«Ti ho chiesto se è contenta di lavorare con noi.»

Sebbene il soggetto non fosse stato nominato era piuttosto semplice per Ewan capire a chi stava alludendo. «Non ci siamo sentiti da quando è tornata a Glasgow» tagliò corto, senza scendere in ulteriori dettagli, come il fatto che non si erano mai sentiti in generale. Di solito raccontava tutto ai suoi amici, ma per amor proprio, almeno quella volta, decise di sorvolare sulla faccenda. 

«Chissà, sarà emozionata» pensò Chase a voce alta. «Siamo il suo gruppo preferito, no? Dev’essere una bella emozione lavorare con la propria band preferita.»

«A me era parsa molto professionale la volta scorsa» intervenne Trent, alludendo alla prima riunione che avevano svolto tutti insieme. 

«Certo che è una bella coincidenza. La stessa ragazza che ti fa recapitare quel fantomatico disegno ha lo stile che stiamo cercando per le grafiche nuove. Suona come la trama di un film» osservò Chris.

«Ci ho pensato anche io» rispose Ewan. «Infatti se non avessi visto i suoi lavori con i miei occhi non ci avrei mai creduto.»

Non aggiunse altro. Non disse loro che era stato lui a cercarla, che aveva considerato il suo stile di disegno un colpo di fortuna sorprendente, che era felice, davvero felice, di sapere che stava raggiungendo Londra per lavorare insieme a loro. La cosa che lo preoccupava più di tutta quella situazione, però, erano proprio i suoi amici. Alludevano con troppa frequenza alla possibile situazione che si sarebbe andata a creare con l’arrivo di Amelia ed era inutile soffermarsi a contare le frecciatine che lanciava Chris, o i sorrisetti di Chase. Perfino Trent, quando si parlava della ragazza, si lasciava sfuggire qualche commento di troppo. Nonostante tutto ciò, però, Ewan cercava di non fare caso a nessuna delle allusioni degli amici o anche solo al fatto che sembravano non vedere l’ora di saperlo impegnato con qualcuna – neanche fossero i suoi genitori. Amelia gli piaceva; la trovava simpatica e attraente, ma ancora non sapeva molto di lei, come i suoi gusti in fatto di cibo o cinema, se le piacesse o meno ballare, che tipo di libri leggeva. Certo, volerla incontrare era stato per lui un chiodo fisso per circa cinque mesi, ma due sole serate insieme non erano sufficienti per capire quanto potesse interessargli quella ragazza. Non sapeva neanche se fosse fidanzata o meno.

Dirlo ai suoi amici, però, non sarebbe servito a nulla. Da mesi Ewan non aveva una storia, semplicemente perché non la stava cercando. La maggior parte delle ragazze che aveva conosciuto nell’ultimo periodo, tutte legate al mondo musicale per lo più, lo avevano relegato allo stadio di amico perché “affabile”, “alla mano” e “gentile” – tutti aggettivi che gli erano stati rivolti – e lui aveva smesso di cercare. Con la sua ultima ragazza le cose non erano andate tanto male; si erano lasciati di pari accordo e alle volte si sentivano anche, sebbene lei avesse già trovato un altro e la loro storia fosse finita circa sette mesi prima. Probabilmente, però, era stata proprio la buona separazione fra i due a non abbattere Ewan e a lasciargli la voglia di continuare a provarci quando aveva a che fare con qualcuno che lo interessava, nonostante spesso venisse “friendzonato” ben prima di capirlo.

Prima che qualcuno potesse aprire bocca di nuovo, la porta dell’ufficio si spalancò, introducendo Jacob. Stava chiacchierando con qualcuno e ai presenti non servì vedere il suo interlocutore per indovinare di chi si trattava. Amelia fece il suo ingresso alle spalle dello scenografo, apparendo piuttosto a suo agio in compagnia dell’uomo. Jacob era bravo a far sentire le persone benvenute, specie quando si trattava di lavoro.

I nuovi arrivati salutarono i presenti. 

«Siediti pure, Amelia. Inizieremo con una chiacchierata informale» le disse Jacob, indicando una delle poltrone lasciate vuote dagli Shards. La ragazza si accomodò, posando in grembo il piccolo zaino che aveva con sé. Ricominciava a sentirsi sotto pressione, come le accadeva sempre davanti alla band. In quel momento, però, sentì di avere addosso meno ansia rispetto all’incontro precedente. 

«Come stai?» le chiese Ewan appena si fu sistemata.

«Molto bene, grazie. Voi?»

«Una favola» rispose subito Chase, energico come suo solito.

«Siamo passati dalla sua temporanea residenza» intervenne Jacob, andando a sedersi nell’altro posto rimasto libero vicino al gruppetto che si era appena formato.  «È alloggiata a Bayswater.»

La ragazza ripensò alla casa in cui avrebbe vissuto per il prossimo mese – e forse anche più a lungo. Era un piccolo appartamento di proprietà della casa discografica, perciò non avrebbe dovuto preoccuparsi di alcuna spesa. Era grazioso e molto luminoso e sembrava costruito su misura per lei. Sotto le ampie vetrate del soggiorno era stato montato un tavolo servendosi di due cavalletti e un piano di legno verniciato grande a sufficienza per lavorare senza problemi su un foglio di dimensioni 50x70. Vi aveva trascorso dentro solo una ventina di minuti e già lo adorava. 

Prima di partire si era detta di approfittare appieno di quella possibilità, di vivere Londra al massimo che le era consentito in quel mese di permanenza e, soprattutto, di non sprecare le occasioni che le erano concesse in compagnia degli Shards, ora a tutti gli effetti i suoi datori di lavoro.

«Allora, chiacchierata conoscitiva» esordì poi Jacob, battendo una sola volta le mani, come se fosse in procinto di fare qualcosa che amava molto – cosa che, in effetti, era vera. «Ho già introdotto diverse cose ad Amelia. Le ho detto a grandi linee quali sono le vostre idee e il tipo di lavoro di cui abbiamo bisogno, ma ovviamente dovrete essere voi a dirle con esattezza cosa volete. È il vostro progetto, come sempre, quando si tratta di voi» disse ridacchiando. 

Amelia lanciò un’occhiata in direzione di Ewan, che subito se ne accorse e ricambiò. 

«Di’ un po’, Amelia, vuoi anticipare qualcosa?» le chiese Jacob. 

Lei annuì. Si era ripetuta fra sé che avrebbe mantenuto la calma qualunque cosa fosse avvenuta come un mantra e sembrava finalmente essere riuscita ad assimilare la cosa. Era emozionata quando iniziò a parlare, ma non c’era traccia dell’abituale ansia che sembrava non volerla abbondare per il resto del tempo. «Beh, innanzitutto, anche se può suonare scontata come frase, vorrei ringraziarvi per questa occasione. Per me, e per la mia professione di grafica, significa molto.» Attese una possibile replica, che si manifestò principalmente con diversi sorrisi, prima di andare avanti. «Riguardo al lavoro, Jacob mi ha già detto qualcosa e sono curiosa di sapere quali altre idee avete in mente. Mi piace che abbiate scelto di non avvalersi dei colori, se non per i dettagli importanti. Sono certa che il risultato sarà molto interessante. »

Si zittì, non sapendo che altro aggiungere. Jacob, a sua insaputa, le venne incontro. «Amelia ha un mucchio di idee ed essendo vostra fan sarà molto più semplice, per lei, dare forma alle vostre canzoni.»

La ragazza si sentì lusingata da quel rapido elogio. 

«Bene, ne sono contento» prese parola Ewan. Dato che per le grafiche era lui che se ne occupava sempre, era anche compito suo instaurare un buon rapporto con  il grafico di turno designato. «Lo stile dei tuoi disegni è perfetto per quello che abbiamo in mente, ma questo te l’ho già detto. Penso che,» proseguì, lanciando un’occhiata allo scenografo in cerca di sostegno, «se per te va bene potremmo iniziare già a confrontarci a riguardo, così avresti qualcosa su cui poter lavorare fin da oggi.»

Amelia lo guardò, cercando di mascherare la sua espressione perplessa. Avrebbe lavorato con gli Shards, quello ormai lo aveva assimilato, ma perché tutto d’un tratto sembrava che avrebbe dovuto lavorare solo con Ewan?

Come se le avesse letto nella mente, Jacob intervenne: «È Ewan che si occupa delle grafiche. È lui la mente artistica dietro agli Shards. Con un po’ del mio aiuto, naturalmente» sorrise.

«Sì, è tutto vero. Noi siamo solo gli esecutori materiali» confermò Chris, strappando una risata ad Amelia.

«Per me non c’è alcun problema » rispose infine la ragazza, dicendosi di non fare la parte di quella che fa storie. Si era ripromessa di sfruttare ogni istante nel suo soggiorno a Londra, a partire da subito. «Così, come ha detto Ewan, avrei già qualcosa su cui lavorare.»

«Ottimo» esclamò Jacob, soddisfatto di vedere la piega positiva che aveva preso in poco tempo quell’incontro. «Allora voi due comincerete a confrontarvi subito sulle grafiche, così avremo presto le prime bozze. Amelia, ricordati, per ogni cosa chiedi pure a me.»

La ragazza annuì, ringraziandolo. Parlarono per un altro po’ di tempo, una mezz’ora, all’incirca. Gli Shards, insieme al loro scenografo, spiegarono nel dettaglio l’aspetto più generico delle grafiche e delle scenografie che avevano in mente per la tournée americana, così da dare ad Amelia un quadro del progetto. Per lei fu bellissimo sentirsi coinvolta in qualcosa del genere; finalmente stava facendo ciò per cui aveva studiato, ciò per cui voleva dedicare anima e corpo. Come se non bastasse, poi, la sua prima, importante, commissione coinvolgeva la sua band preferita e un tour estero. Decisamente tutto ciò aveva la parvenza di un sogno, al punto che se si fosse svegliata all’improvviso non ne sarebbe rimasta affatto sorpresa.

Le idee del gruppo le piacquero molto. Erano surreali e d’impatto, proprio come ogni altra cosa riguardasse la band – alcuni testi delle loro canzoni, le copertine degli album, il merchandising e così via. Dentro di sé Amelia iniziò già a vedere tutta una serie di immagini, prima semplici, poi sempre più articolate, pensando a qualche dettaglio da aggiungere. 

«Ci sono» disse poi, quando Ewan e gli altri smisero di elencare particolari e idee. «Ho capito cosa volete. Magari possiamo già entrare nel dettaglio di ogni singola canzone.»

«Questa ragazza mi piace» esclamò Jacob. «Meno male che l’hai trovata, Ewan.» 

Amelia lanciò un’occhiata al cantante, ma questa volta lui non vi rispose. 

«Io purtroppo ho mille altre faccende da sbrigare, ma se voi volete iniziare a lavorare, ben venga» proseguì Jacob, alludendo a Ewan e alla ragazza. «Amelia, non mi stancherò mai di dirtelo, per qualsiasi cosa chiamami pure.»

Di nuovo lei lo ringraziò, annuendo. Tuttavia rimase ferma al suo posto, non capendo bene che fare. I quattro Shards, invece, si alzarono. 

«Andiamo?» domandò Ewan.

La ragazza si alzò e prese i suoi effetti – fra cui vi era anche il portatile con la tavoletta grafica – e seguì il gruppetto fuori dall’ufficio, salutando lo scenografo che si era sistemato alla scrivania. I cinque arrivarono al piano terra e uscirono sulla strada, prima di fermarsi nuovamente.

«Ok, allora ci vediamo» salutò Chris.

«Tu non vieni?» gli chiese Amelia.

«Noi, non veniamo» specificò Trent, indicando sé, Chris e Chase. «Te l’ha detto Jacob, è Ewan che si occupa delle grafiche. Noi siamo buoni solo a distrarlo e ad approvare le cose a cui pensa.»

«Suona in modo orribile detta così. E non è neanche vero, tra l’altro» intervenne il cantante, ma l’occhiata che gli lanciò il chitarrista era qualcosa di non detto che lui recepì subito, smettendo di insistere.

«Comunque non preoccuparti, Amelia. Una sera di queste usciremo tutti insieme, promesso. Ti portiamo in giro per Londra» le disse Chase, facendole l’occhiolino.

La ragazza sorrise. «Ci conto allora.»

Si salutarono tutti e rimasero solo Amelia e Ewan. Si guardarono e fu evidente che se uno dei due non avesse trovato subito qualcosa di cui parlare la ragazza sarebbe sprofondata nell’imbarazzo totale. Era come se le servisse sempre del tempo per sentirsi a proprio agio con il cantante, solo che quel breve periodo era sempre caratterizzato da una forte sensazione di disagio. Fece del suo meglio per ignorare la cosa e, per sua fortuna, Ewan trovò presto qualcosa da dire.

«Che ne dici se andiamo a prendere un caffè mentre iniziamo a lavorare?»

Lei acconsentì ben volentieri all’offerta e si incamminò insieme a lui, seguendolo in quelle vie di Londra che lui conosceva alla perfezione. Sicuramente Ewan andava spesso in quel quartiere della città per via dello studio di Jacob, ma aveva del sorprendente il modo disinvolto con cui si muoveva per quelle strade.

«Conosci bene Londra, immagino» disse Amelia, cercando spunto per una conversazione. 

«Come il palmo della mia mano. Più o meno» ridacchiò lui. «Prima di riuscire a diventare il “cantante degli Shards” mi pagavo da vivere facendo il ragazzo delle consegne. Presente quello che porta le pizze? Ho imparato a conoscere così la città.»

La ragazza non conosceva quel particolare sulla vita di Ewan, sebbene dai giornali avesse imparato diverse altre cose sul passato del giovane, come i suoi studi al college o i suoi gruppi musicali preferiti. Il fatto che anche lui avesse fatto un lavoro che non era ciò che desiderava solo per riuscire a sopravvivere in una grande città la fece sentire più vicina a lui. 

«Non era certo il lavoro dei miei sogni,» proseguì Ewan, «ma aiutava a pagare le bollette. E poi, quando per qualche misterioso motivo il cliente non si trovava a casa, oppure faceva tornare indietro la pizza, potevo sedermi da qualche parte e mangiarla io.»

«Potevi farlo?» chiese la ragazza, sorpresa.

«No» rispose prontamente lui, ridendo. «Semplicemente evitavo di dirlo. Quando rientravo la pizza non c’era più e nessuno faceva domande» si strinse nelle spalle, infilando le mani nelle tasche dei pantaloni.

«Come Fry di Futurama» pensò a voce alta Amelia.

Ewan rise di nuovo. «Come Fry di Futurama» ripeté, confermando di aver apprezzato il paragone. «Ecco qui il caffè.» Il ragazzo si fermò davanti alla caffetteria, dove diversi tavoli erano disposti sul marciapiede, corredati da fiori e menù colorati, con il risultato di fornire un piacevole dehors. «Preferisci stare dentro o fuori?»

«Ti dispiace se stiamo dentro? Fa un po’ troppo caldo per me.»

Ewan acconsentì alla richiesta della ragazza, consapevole che una scozzese era abituata ad altre temperature in agosto. Si accomodarono in un tavolino sufficientemente appartato, così da evitare possibili interruzioni dovute a fan degli Shards. Amelia aveva notato che un gruppo di ragazze aveva analizzato il cantante a lungo, ma non avrebbe saputo dire se fosse dovuto al fatto che lo avessero riconosciuto o, più semplicemente, perché fosse davvero un giovane di bell’aspetto.

Il ragazzo andò a prendere da bere per entrambi – un mocaccino per Amelia e un caffè freddo per sé – dopodiché si sistemò al tavolo. Ebbero una rapida diatriba sulla questione soldi poiché Ewan si rifiutò di far pagare alla ragazza la sua bevanda e alla fine lei dovette cedere, ringraziandolo.

«Ok, allora, possiamo parlare di lavoro» disse lei dopo aver preso il primo sorso della sua bevanda. Iniziò ad estrarre dalla propria borsa il taccuino su cui avrebbe preso appunti, ma, come le accadeva spesso, la penna si era sfilata dal punto in cui era stata fissata ed era finita sul fondo. La ragazza provò a cercarla, ma senza risultati, così decise di svuotare la borsa da parte del suo contenuto, per semplificare l’operazione. Si scusò con Ewan, dopodiché iniziò con la sua ricerca. Per prima cosa estrasse il portatile, seguito nell’ordine dal portafoglio, dal libro, dalle chiavi della sua stanza e dalla macchina fotografica, prima di riuscire a individuare la penna.

Appena il cantante vide posarsi sul tavolo la piccola e celeste macchina fotografica, l’afferrò. «Ehi, bellissima questa. Che macchina è?»

Amelia ripose le sue cose, osservando il ragazzo rigirarsi la sua compagna di viaggio fra le mani. «È la mia lomo» lo informò. Lui la guardò perplesso.

«Mai sentito parlare di lomografia?» gli chiese, divertita.

«Vagamente» ammise Ewan, restituendole macchina.

«È una sorta di...corrente artistica, chiamiamola così» proseguì lei, stringendosi nelle spalle. «Si usano macchine come questa, a pellicola, compatte e leggerissime – perché sono in plastica.»

«Infatti sembra finta.»

«Invece è vera. Questa è una Diana Mini, la porto sempre con me. Ci ho scattato un numero incalcolabile di foto.»

«Quindi sei anche una fotografa, oltre che una grafica» ipotizzò lui, sorridendo. Amelia cominciava a mostrare il suo lato più artistico e aperto, cosa che gli piaceva, come ebbe modo di capire.

«Sono una lomographer. Fotografo per me stessa.»

«È interessante tutto ciò, devo ammetterlo. E hai già fatto qualche foto da quando sei arrivata?» proseguì lui. Sapeva che avrebbero dovuto parlare delle grafiche per la tour americana, ma non ne aveva voglia. Trovava molto più interessante stare lì a chiacchierare con Amelia, a scoprirla piano piano, una passione alla volta.

Lei annuì alla sua domanda. «Qualcuna, sì» rispose, senza aggiungere altro. Era bello che Ewan le facesse simili domande, le sembrava di essere alle prese con qualcuno che sarebbe potuto diventare un buon amico, con il tempo. Tuttavia sapeva che, almeno in quel momento, il fatto di approfondire la loro conoscenza avrebbe dovuto aspettare. Amelia, infatti, ripose la sua Diana Mini nella borsa e tolse il tappo alla penna. «Dovremmo parlare di lavoro, però» fece notare al ragazzo.

Lui fece una smorfia, cosa che lasciò intendere che non ne avesse molta voglia. Davanti a quel gesto il cuore della ragazza accelerò; preferiva parlare con lei, quindi? Era una sensazione strana e sorprendente, sebbene in quel momento non le avesse provocato lo stesso scuotimento interiore come al loro primo incontro a Glasgow o quando, a Londra, lui l’aveva accompagnata dopo la prima riunione che avevano avuto tutti insieme. In quel momento tutto era soltanto una calda e piacevole sensazione, la consapevolezza di aver ormai assimilato che quello sotto i suoi occhi era il cantante degli Shards in persona e che stava parlando con lei e non a qualcun altro. Con il passare dei giorni anche il leggero stordimento che la sua espressione di poco prima le aveva provocato sarebbe sparito e, Amelia ne era certa, avrebbe finito con il vedere Ewan un ragazzo come tutti gli altri – anche se con una predisposizione al canto ben superiore.

Quest’ultimo aveva appena aperto bocca per dire alcune cose riguardo alle sue idee per le grafiche che subito furono interrotti. Tre ragazze, con un’età compresa fra i diciassette e i diciannove anni, si erano appena palesate al loro tavolo. Sembravano nervose ed emozionate – e piuttosto rosse in volto.

«Ehm, scusa, Ewan» esordì una delle tre, forse la più coraggiosa del gruppetto. «Potremmo farci una foto insieme a te?»

Allora veniva riconosciuto, di tanto in tanto. Lui non parve affatto sorpreso dalla cosa, né infastidito. Si alzò in piedi mentre rispondeva: «Ma certo» regalando alle tre uno dei suoi sorrisi più dolci. Le ragazze trattennero a stento dei gridolini al suo gesto e, sotto gli occhi di Amelia – che assisteva da spettatrice a tutto ciò – si scattarono alcuni selfie. La giovane grafica non poté fare a meno di pensare, davanti a quella scena. Stava ancora finendo di assimilare per bene il fatto che avrebbe lavorato a stretto contatto con gli Shards, si era appena detta che, a breve, non avrebbe più visto Ewan come il suo cantante preferito ed era prossima a eliminare tutte le ansie che queste due cose comportavano, quando avveniva quello che era appena successo. Sospirò lievemente, distogliendo lo sguardo dai quattro davanti a lei. Forse sarebbe riuscita a imparare a convivere con tutto ciò, con gli Shards, con il loro ruolo, ma ci sarebbe sempre stato qualcosa in grado di ricordarle per chi lavorava, alimentando ansie e preoccupazione di non essere all’altezza. Perché il ragazzo con cui aveva appena avuto una piacevole chiacchierata, per quanto semplice e alla mano, era pur sempre quel Ewan Cassian Hill.

 

 

 

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Capitolo 11
*** Autopilot ***


 

 

 

I’m trying to connect with you | To see the world the way you do | Try ‘n’ understand what’s in your head | I’m hearing what you said

Kodaline. Autopilot

 

 

 

Ufficio di Jacob, Conduit St., Londra, 6 settembre

Ore 4:26 PM

 

Amelia stava facendo scorrere le immagini sotto lo sguardo attento e soddisfatto di Jacob. Erano soli nell’ufficio e sul portatile della ragazza alcuni dei suoi ultimi lavori si alternavano uno dopo l’altro. Di tanto in tanto lei diceva a quali titoli delle canzoni corrispondevano, aggiungeva qualche appunto a voce e segnava i pareri dell’uomo insieme a lei, il quale sembrava piuttosto soddisfatto di ciò che gli stava venendo mostrato.

Nelle ultime due settimane Amelia aveva lavorato assiduamente alle grafiche per gli Shards e vedere che Jacob le stava apprezzando la riempì d’orgoglio. Si sentiva in ritardo rispetto alla sua tabella di marcia. Era circa a metà del suo mese di permanenza a Londra e ancora le mancavano da fare una decina di progetti. Tuttavia, insieme a Ewan, non era così semplice lavorare in fretta. Il cantante era un vulcano di idee. Loro due trascorrevano insieme molte delle loro giornate, a parlare dei disegni, a confrontarsi sui possibili risultati finali, a discutere su cosa fare. Alla ragazza piaceva molto quel clima, perché la stimolava. Ormai lei e Ewan non erano più il cantante degli Shards e la ragazza che si occupava delle grafiche e la cosa la faceva sentire su di giri. Amelia non era più agitata quando stava per incontrare il ragazzo, al contrario non vedeva l’ora di passare un po’ di tempo con lui a parlare di disegni, canzoni e di tante altre cose diverse. Era proprio questa una delle cause che portava ai rallentamenti nel lavoro, il fatto che alle volte loro due perdessero il filo del discorso, arrivando a una digressione che poteva anche richiedere parecchio tempo per essere corretta. Erano ormai diventati amici.

Anche il rapporto fra la ragazza e i restanti tre membri degli Shards era migliorato. Era uscita spesso con la band al completo e aveva avuto modo di approfondire la conoscenza con tutti loro. Aveva capito che ciascuno di quei ragazzi le piaceva per i propri modi di fare, sebbene continuasse ad avere una predilezione particolare per Ewan. Chase e Chris scherzavano di continuo insieme a lei e Trent si era arreso al fatto che sarebbe stato chiamato da Amelia solo per cognome, Linton, perché lei gli aveva detto che le ricordava un eroico cavaliere medievale.

Per la prima volta da diverso tempo Amelia si sentiva felice. Stava facendo ciò che amava e aveva introdotto nella sua vita quattro persone che non avrebbe mai sperato di incontrare – se non nella sua fantasia. Tutto sembrava stare andando per il verso giusto. C’era solo una cosa che le provocava dispiacere, ovvero la consapevolezza che quello stato di gioia non sarebbe durato. Il suo soggiorno a Londra aveva una scadenza impressa sopra e anche se fosse rimasta in contatto con Ewan e gli Shards, quel periodo unico sarebbe finito.

Tuttavia stava facendo del suo meglio per non pensarci troppo, incluso in quel momento, insieme a Jacob, mentre l’ultima delle grafiche che aveva preparato era ferma sullo schermo. Trattenne il fiato davanti al silenzio dello scenografo, consapevole che l’approvazione definitiva avrebbe dovuto essere la sua.

Jacob prese fiato. «Splendidi» sentenziò.

«Davvero?» si lasciò sfuggire lei. La risata dell’uomo le fece capire che non aveva parlato a sproposito.

«Sì, sono davvero dei lavori ben fatti. Immaginavo proprio delle cose del genere quando ne parlavo con Ewan. Di’ un po’,» aggiunse, dopo una leggera incertezza, «come ti stai trovando con lui?»

La domanda colse Amelia impreparata. «Bene. Abbiamo diverse cose in comune e lavorare con lui è parecchio semplice» rispose infine. «Perché?» chiese, non riuscendo a trattenersi. Se mai ci fosse stato qualcosa di “non detto” nella domanda di Jacob avrebbe voluto saperlo. Lui scosse le spalle con fare disinvolto. «Oh, non c’è un motivo, semplice curiosità. Adoro Ewan, ma ciò non significa che possa piacere a tutti.»

«No, beh, lavoro bene con lui, sul serio. Poi è il cantante del mio gruppo preferito, perciò...» lasciò cadere la frase, preferendo zittirsi. Quelle ultime parole se la poteva proprio risparmiare; delle volte avrebbe fatto meglio a mordersi la lingua.

«Sì mi avevano accennato alla cosa» rispose tranquillamente l’uomo, lanciando un sorriso rassicurante alla ragazza. Dopodiché il suo fare professionale tornò a galla. «Possiamo rivedere i lavori? Ho qualche appunto da farti, poi lo riferirò anche a Ewan.»

Passarono circa un’ora a discutere di diverse migliorie nei disegni. Amelia si sentiva sempre più estasiata vedendo come il confronto con qualcuno di così esperto di grafica, scenografia e ambientazioni potesse aiutarla a migliorare la sua arte. Anche lavorare con Jacob le piaceva molto; era professionale e competente e non imponeva la sua idea, ma la illustrava consentendo all’interlocutore di assimilarla e renderla propria, una dote che non possedevano in molti. La ragazza si stava segnando ogni suggerimento, anche quello all’apparenza più insignificante, riempiendo di appunti il proprio taccuino. D’un tratto, mentre Jacob era in procinto di dire un’altra delle sue ottime migliorie, il cellulare di Amelia squillò. Lei si scusò, cercando in fretta lo smartphone, pronta a chiudere la telefonata senza neanche rispondere, ma come lesse il nome in sovrimpressione si bloccò.

«È Ewan» informò Jacob.

«Ah. Rispondi pure, magari c’entra con questo lavoro.»

Dopo il via libera dell’uomo la ragazza accettò la chiamata. «Ciao» disse.

«Ciao. Ti disturbo?»

Trovò bellissimo sentire la voce del cantante anche se lui non era lì. Ewan le aveva dato il suo numero di telefono solo pochi giorni dopo che avevano iniziato a lavorare insieme, così da potersi sentire per qualsiasi idea improvvisa che avesse loro invaso la mente. Anche se la ragazza continuava a ripetersi di vedere Ewan come un ragazzo normale, come ce n’era tanti, trovava la consapevolezza di avere il numero del suo cantante preferito era piuttosto eccitante.

«Sono con Jacob. Stiamo parlando dei lavori che abbiamo preparato.»

«Ottimo. Gli piacciono?» volle sapere il ragazzo.

«Li ha definiti splendidi» rispose lei, dando un’occhiata d’intesa al diretto interessato, che replicò con un sorriso.

«Beh, questo è un complimento a te» disse Ewan ridacchiando. «Ne sono contento, comunque» proseguì prima che Amelia potesse intervenire. «Allora sarò breve, visto che questa chiamata non c’entra niente con il lavoro. Stasera ti va di uscire?»

Formulò l’invito con la semplicità con cui aveva formulato tutti quelli precedenti. La ragazza era già uscita più e più volte di sera con gli Shards, era così che aveva imparato a conoscerli e ad apprezzarli ancora di più e ogni volta l’invito era arrivato con la voce di Ewan. Non avrebbe neanche dovuto chiederle se aveva voglia di uscire quella sera, era ovvio che le andava.

«Volentieri» rispose semplicemente.

«Bene allora. Alle otto sotto casa tua?»

Amelia acconsentì e i due si salutarono in fretta. Quando lei chiuse la chiamata lanciò d’istinto un’occhiata a Jacob, ma l’espressione dell’uomo le lasciò intendere che aveva già capito quanto bastava sulla telefonata appena conclusa. La ragazza si scusò per l’interruzione – seppur breve – e tornò a concentrarsi su quanto lo scenografo stava iniziando a dire. Cercò di fare del suo meglio per non perdere il filo del discorso, ma in più punti le risultò complicato. Quella sera sarebbe uscita con gli Shards di nuovo. Non era certo la prima volta che andava in giro con loro per Londra, tuttavia, com’era già avvenuto prima di quel giorno, il pensiero di trascorrere altro tempo con quei ragazzi la riempiva di gioia.

 

 

 

 

St. Petersburgh Pl Londra, 6 settembre

Ore 8:00 PM

 

Amelia posò piede fuori dall’appartamento in cui risiedeva alle otto spaccate. La puntualità era sempre stata un tratto distintivo della sua persona e, forse, una delle prime cause della sua eccessiva ansia. La serata era mite, anche se faceva ancora troppo caldo per lei, abituata al clima di Glasgow. Nella borsa aveva con sé anche la piccola Diana Mini, che, da brava lomographer, portava sempre con sé. Aveva appena inserito un nuovo rullino; quello precedente era stato terminato in diverse delle precedenti uscite con gli Shards. Le facce dei quattro ragazzi erano impresse nella pellicola che avrebbe fatto sviluppare al suo ritorno in Scozia. Trovava divertente come loro si fossero impossessati della sua piccola lomo per fotografare quello che incontravano nelle loro uscite nella Londra notturna. Avrebbe intitolato la seconda metà di quel rullino Il mondo visto dagli Shards. Rise da sola a quell’idea e si rimise in attesa, sistemandosi un momento i collant che portava sotto gli shorts di jeans neri a vita alta.

Dopo altri minuti d’attesa vide sopraggiungere Ewan sulla sua bicicletta, che usava quasi sempre per muoversi in città. Arrivò in fretta, scese agile dalla sella e salutò la ragazza, la quale rispose allo stesso modo.

«Sai quando arrivano gli altri?» volle informarsi Amelia.

«Non ci sono gli altri» le rispose il cantante. Si avvicinò al palo di un segnale stradale e legò lì la bicicletta con la catena. «Quando ti riaccompagno la recupero, così evito di portarmela in giro tutta sera» continuò, sebbene lei non lo stesse ascoltando.

Sarebbero stati solo loro due e nessun altro. D’improvviso la ragazza si sentì strana. Era già stata un sacco di volte sola con il cantante, ma qualcosa, in quel momento, le diceva che era diverso. Forse perché si era preparata a una serata per cinque e ora si ritrovava catapultata in un appuntamento per due. E non si trattava di uno qualsiasi, ma di Ewan, quel ragazzo con cui si sentiva sempre a proprio agio e con cui parlare le risultava incredibilmente semplice. Non era pronta, ma una grande parte di sé le disse che, pronta o meno che fosse, quella serata le avrebbe riservato qualcosa di bello.

Approfittare di ogni occasione, questo si era detta prima di partire da Glasgow ed era più che intenzionata a mantenere fede al proprio proposito. Cacciò via l’ansia prima che questa potesse palesarsi, ma lo stomaco le giocò comunque un brutto scherzo quando incrociò lo sguardo di Ewan. Non aveva fatto caso al leggero rossore che gli colorava le gote, di certo dovuto alla corsa in bicicletta, né al modo in cui i suoi capelli avevano perso un po’ della loro piega caratteristica, ricadendo appena sul viso del ragazzo. Lo trovò naturale e bellissimo, un miscuglio perfetto di alcune delle qualità migliori che potesse desiderare. Fu anche per quello che si sentì avvampare. Per sua fortuna aveva il fondotinta.

«Dove si va?» domandò poi, pensando bene di fare un po’ di conversazione, almeno per cercare di scacciare la sensazione che l’aveva morsa alla bocca dello stomaco. Ewan si infilò in tasca le chiavi della bicicletta e cercò di sistemarsi alla bell’e meglio i capelli – gesto che non aiutò per niente Amelia.

«Vediamo un po’» esordì, facendo mente locale. Guardò da una parte e poi dall’altra, ritrovando nella sua cartina mentale la loro esatta collocazione. «Avviamoci di qua. Tu devi cenare?»

La ragazza gli si affiancò mentre rispondeva che, sì, doveva cenare e cominciava anche ad avere un po’ di fame. 

«Allora per di qua, sì. Andiamo a caccia di cibo. »

Una delle cose belle di Ewan era che, nonostante i soldi di cui certamente disponeva e il ruolo che ricopriva, rimaneva un ragazzo alla buona, un po’ come Amelia. Cenarono da KFC, una soluzione che soddisfò entrambi. Preferirono mangiare pollo fritto da un cestello piuttosto che farselo servire su un piatto da portata. Ewan trovava bello il fatto che Amelia fosse una ragazza di così poche pretese. Non era una che si accontentava, semplicemente sapeva apprezzare quello che aveva senza dover per forza cercare chissà che. Era anche per quello che lui si trovava tanto bene in sua compagnia, perché sapeva che non avrebbe dovuto inventare la serata del secolo per passare del tempo con lei e godere della sua compagnia. Inoltre non si vergognava di mangiare pollo fritto con le mani davanti al cantante della sua band preferita, cosa che le conferì punti extra. Lo stesso valeva per Amelia, sempre felicemente sorpresa di constatare, giorno dopo giorno, quando Ewan fosse spontaneo e lontano dai cliché. Trascorsero più di un’ora in quel fast food e gli argomenti di conversazione che toccarono furono i più svariati. Parlarono di Glasgow, di Londra, di sport e di musica. Su quest’ultima, poi ci passarono sopra la maggior parte del tempo, snocciolando nomi di band e concerti a cui avevano preso parte. Il nome degli Shards comparve più volte, ma era chiaro, per Ewan che la cosa non lo facesse sentire fuori posto.

Uscirono da KFC e ripresero a camminare, diretti verso la zona di Kensington, con Amelia che seguiva il ragazzo lungo strade che non conosceva ancora. Incontrarono diversi pub e, sopraggiunti al terzo, Ewan pensò fosse un’ottima idea bere una birra, proposta subito assecondata dalla ragazza. Il pub era affollato, ma i due riuscirono comunque a trovare un paio di sgabelli vuoti vicini a un tavolo alto. Si sistemarono lì e ordinarono una birra ciascuno. Amelia si guardò intorno, notando che nessuno sembrava aver riconosciuto Ewan. Era già successo più volte, quando lei era in compagnia dei ragazzi, che qualcuno li riconoscesse e li avvicinasse per chiedere una foto, un autografo o anche solo per fare un complimento e due chiacchiere. Le prime volte  aveva provato una sensazione straniante – sebbene avesse sempre compreso le motivazioni dei fan – ma con il passare dei giorni aveva imparato a non fare caso alla cosa. Quando quel genere di situazioni si verificavano, una parte di lei – quella più nascosta e arrogante, che cercava di non mostrare mai – quasi gongolava nel chiedersi cosa potessero pensare quei fan degli Shards di quell’unica ragazza seduta al tavolo con loro. Non andava affatto fiera di quel pensiero, per tale ragione cercava di non formularlo mai e, negli ultimi giorni, c’era anche riuscita. 

In quel pub gremito, però, non dovette preoccuparsi di tenere a freno la propria mente. Il tavolo a cui erano seduti era piuttosto riparato e non troppo vicino al bancone, cosa che consentiva di non avere a che fare con i nuovi venuti. Rimasero nel pub fino alla sua chiusura – all’incirca per un’ora e mezza. In quel lasso di tempo, mentre Amelia beveva quasi centellinando la sua IPA, Ewan bevve due birre, sentendosi sempre più di ottimo umore. 

Quando uscirono dal locale, che chiuse le porte dietro di loro, era chiaro che nessuno dei due avesse voglia di rientrare.

«Che si fa ora, guida?» domandò Amelia con fare scherzoso. 

Il ragazzo ci pensò un momento; dapprima si grattò il collo, poi infilò le mani in tasca e, notando il contenuto di una di esse, gli venne l’illuminazione. «Hai mai girato facendoti trasportare totalmente dalla musica?» chiese alla ragazza, senza apparente motivo.

Lei, infatti, sbatté perplessa gli occhi un paio di volte prima di rispondere: «Sì. Ascolto sempre la musica quando vado in giro.»

«No, intendo...lasciarti trasportare. Anche se quando giri per Glasgow ascolti la musica comunque sia continui a pensare ai fatti tuoi. La musica ti fa da contorno, da colonna sonora. Quello che dico io è: hai mai girato per la città staccando la mente e lasciandoti trasportare solo dalle note?»

Lei ci pensò un momento, arricciando le labbra. Fu chiaro, per Ewan, che se aveva bisogno di rifletterci sopra era perché non l’aveva mai fatto. 

«Il mondo cambia del tutto» le disse poi, estraendo dalla tasca l’oggetto che gli aveva dato l’ispirazione e mostrandolo ad Amelia.

«Un jack?» domandò quest’ultima, senza capire bene dove volesse andare a parare lui.

«Un cavo splitter, per essere esatti» replicò subito Ewan, con fare eccitato.

La ragazza capì di cosa si stava parlando. Quell’oggettino all’apparenza insignificante dava la possibilità di ascoltare la musica dallo stesso dispositivo con due paia di cuffie, cosa che permetteva a due persone di utilizzare entrambi gli auricolari, anziché uno solo con tutte le noie che ne derivavano di conseguenza. Ewan lo portava spesso con sé; se fosse stato una donna, quello, sarebbe stato uno degli oggetti immancabili nella sua borsetta.

«Perciò cosa vorresti fare?» chiese la ragazza, che cominciava a sospettare qualcosa.

«Facciamo un giro per la città ascoltando la musica. Ci lasciamo trasportare, vediamo cosa succede. Credimi se ti dico che cambia tutto.»

Non che Amelia fosse scettica riguardo alla sua idea, si chiese solo se avrebbe funzionato. Tuttavia l’energia del ragazzo le fece venire voglia di assecondarlo come poche altre cose.

«D’accordo.»

Lui sorrise. «Ottimo. Da che playlist iniziamo? La tua o la mia?»

Lei si strinse nelle spalle. «Beh, nella mia praticamente ci siete quasi solo voi Shards» ammise, il che era vero dato che i tre album del gruppo vi erano tutti.

Ewan non fece una piega. «Ok, usiamo il mio telefono» concluse, facendo ridere Amelia. Estrasse di tasca il proprio smartphone e un paio di cuffie tutte aggrovigliate. Guardò la ragazza e lei intuì che avrebbe dovuto estrarre anche i suoi auricolari. Per sua fortuna li trovò quasi subito, mentre ancora Ewan era intento a districare i suoi. «Ci sono quasi» le disse. 

Quando entrambi ebbero in mano il necessario, il ragazzo si guardò un momento intorno, facendo mente locale rispetto al posto in cui si trovavano. «Manca solo una cosa» disse.

Con “cosa”, intendeva una birra. Si diresse verso un piccolo negozio di alimentari, aperto fino a notte fonda. Era sovraccarico di prodotti e sembrava uscito da una serie tv americana. Anche a Glasgow ce n’erano, ma decisamente meno caotici di quelli londinesi. Mentre Amelia seguiva Ewan per gli strettissimi corridoi, facendo attenzione a non far cadere alcuna delle confezioni colorate, quasi si sentì soffocare da quel silenzio, interrotto solo dal ronzio dei frigoriferi e dei neon. Il cantante si fermò davanti a uno di quei frigo, carico di bottiglie di birra.

«Vuoi qualcosa?» domandò prima di prendere da bere.

«No grazie, ho già bevuto» rispose la ragazza.

«Cosa? Una sola birra» ridacchiò lui, alludendo a quella che aveva preso Amelia nel pub. «Non sei una vera scozzese allora» scherzò.

Lei si finse offesa, ma non riuscì a trattenersi dal sorridere.

«Vorrà dire che divideremo questa» concluse Ewan. Afferrò una bottiglia da 0,66 lt. e si avviò per andare a pagarla. La birra venne infilata dal negoziante nell’immancabile sacchetto di carta marrone e, con il nuovo acquisto, i due ragazzi uscirono.

In strada il cantante aprì la bottiglia con le chiavi, offrendo il primo sorso ad Amelia. In quel momento le fu chiaro, come mai prima di allora, che il successo non aveva affatto gonfiato l’ego di quel ragazzo se ancora si concedeva di condividere una birra per strada a quel modo. Dopo che anche lui ebbe bevuto, allungò il proprio smartphone alla ragazza.

«Cosa dovrei farci?» chiese lei, dubbiosa.

«Scegli le canzoni. Funziona così: tu scegli dalla mia playlist e io dalla tua.»

Amelia accettò l’invito e iniziò a scorrere le canzoni del ragazzo. Inutile dire che non vi era traccia degli Shards – lei stessa lo avrebbe trovato un po’ strano – ma c’erano diversi brani che conosceva e amava. Musicalmente avevano gusti abbastanza simili, sebbene fosse chiaro che la conoscenza musicale del cantante fosse più vasta. Scorse titoli e artisti, finché lesse il nome di una delle sue band preferite. «Mio Dio, hai i The Vaccines» esclamò e premette play su I can’t quit prima che Ewan potesse replicare.

Quando la traccia partì entrambi inforcarono i rispettivi auricolari e si avviarono, Amelia al seguito del cantante. Per un primo momento la ragazza si sentì strana; perché era straniante l’effetto che faceva camminare accanto al suo cantante preferito e ascoltare canzoni di altri nella Londra della sera. Tuttavia si lasciò andare in fretta. Appena si concentrò solo sulla musica capì che Ewan aveva ragione. Farsi trascinare dalle note portava a guardare le cose di tutti i giorni con occhio diverso. Seguì Ewan una via dopo l’altra, notando che anche lui si stava divertendo. Rideva, ballava e guardava Amelia con fare complice e di lode a ogni canzone nuova che la ragazza sceglieva. Anche lei si stava divertendo molto, l’unica differenza era che rispetto a Ewan non ballava affatto; Amelia non era una di quelle che ballavano. Amava la musica più di ogni altra cosa e spesso sentiva che le note le stavano salvando la vita, ma non ballava, se non in rare occasioni: ai concerti e quando ascoltava gli Shards – ,a solo quando era a casa da sola. Tuttavia a Ewan sembrava non importare il fatto che lei non si stesse facendo trascinare allo stesso modo in cui faceva lui, perché era chiaro che, nonostante tutto, anche la ragazza si stava divertendo. Camminarono a lungo, ormai assorbiti dall’atmosfera che loro stessi si stavano creando e che mutava a ogni canzone. Incontrarono persone che li guardavano perplessi alle volte, non capendo cosa stava avvenendo, finirono la birra – Ewan ne bevve più di Amelia – e continuarono a camminare mentre la ragazza scattava qualche fotografia con la piccola Diana Mini, ispirata dalle note che le riempivano la testa.

La ragazza aveva da poco scelto Autopilot dei Kodaline, vedendo un parco che faceva capolino fra due case e sentendo l’ispirazione per quella traccia, quando la musica si fermò di colpo e, con essa, i due ragazzi. Dapprima si guardarono fra loro, dopodiché Amelia controllò lo smartphone e capì subito cos’era successo.

Ewan le si avvicinò. «Ah. È morto» sentenziò.

“Morto” non era proprio il termine più consono, si era solo scaricato. La ragazza pensò di proporre al cantante di usare la sua playlist; giunta a quel punto non aveva senso non farlo, oltretutto si stava divertendo molto. Tuttavia pensò prima di chiedere al cantante la sua opinione.

«È l’una passata» disse quest’ultimo dopo aver controllato l’orologio.

«Cosa?» esclamò lei, sbigottita. Avevano camminato ascoltando musica, scattando foto e ballando – almeno, Ewan aveva ballato – per quasi due ore: tutto ciò aveva dell’incredibile. Amelia non si era per niente resa conto del trascorrere delle ore e rimase sorpresa nel constatare come, anche solo ascoltare musica e camminare accanto a quel ragazzo, facesse scivolare via il tempo senza quasi sentirlo scorrere.

Controllò l’orario anche lei, quasi non credesse a quanto le era appena stato detto e si sorprese nel constatare che lui non la stava prendendo in giro. Si guardarono e, nessuno dei due seppe dire perché, scoppiarono a ridere. Fu quasi una risata liberatoria, disinibita, forse il giusto coronamento di una serata davvero piacevole e divertente. Amelia restituì lo smartphone al legittimo proprietario e si legò i capelli in un’alta coda di cavallo.

Rimasero in silenzio per un lungo momento, infine il cantante le disse: «Ti riaccompagno. Siamo un po’ lontani da St. Petersburgh Pl., credo ci vorrà almeno un quarto d’ora.»

Si incamminarono, tornando indietro per la strada che avevano imboccato solo pochi minuti prima che il cellulare di Ewan si ammutinasse. Pur essendo stati insieme tutta sera avevano ancora argomenti di cui parlare. Il cantante sembrava felicissimo e certo l’alcol che aveva in corpo lo stava aiutando a mantenere il suo umore elevato. Anche Amelia, a ogni modo, era contenta, soprattutto di aver passato una così bella serata in compagnia di quel ragazzo di cui, ormai, apprezzava la vera personalità e non tanto quella che lei aveva idealizzato attraverso interviste o concerti – nonostante non fosse poi tanto distante da quello reale.

«Domani mattina proviamo» le disse il ragazzo appena svoltarono in St. Petersburgh Pl. «Vuoi venire? Ci sono anche i ragazzi questa volta.»

«Sicuro che vi convenga avere una fan alle prove? Vedrei tutti i vostri errori» scherzò lei.

Il cantante si strinse nelle spalle. «Come se il nostro profilo Instagram non fosse pieno di figuracce» disse, schioccando la lingua. «Possiamo andare avanti con le grafiche. Magari riusciamo a coinvolgere anche gli altri, questa volta.»

«Come mai non vogliono partecipare?»

«Oh, non c’è un vero motivo. Mi considerano quello creativo e lasciano a me tutta quella fase. Nel processo di scrittura di una canzone invece sono molto partecipi. Ammetto che mi va bene così. Adoro lavorare alle grafiche di merchandising, album e tournée.»

«Ho capito. Beh, comunque vengo volentieri domani. A che ora?» rispose infine la ragazza, che pensò che quella potesse essere un’altra occasione imperdibile. Si segnò mentalmente di portare la sua Diana Mini, già convinta che avrebbe potuto avere a disposizione alcuni scatti incredibili.

«Direi alle dieci. Non siamo molto mattutini. La sala prove è in Shaftesbury Ave. Di fronte a Starbucks. Possiamo trovarci lì davanti.»

Per un breve istante ad Amelia parve che il cantante fosse quasi in imbarazzo, ma era piuttosto certa di aver intuito male perché riprese a parlare con il suo solito piglio disinvolto. Tuttavia la nuova, possibile, conversazione fra i due non durò a lungo. Il palazzo in cui alloggiava la ragazza comparve lungo la via, così come la bicicletta di Ewan, ancora al suo posto, legata al palo. Si zittirono entrambi a quella vista, come se nessuno avesse voglia di separarsi dall’altro. In effetti ad Amelia l’idea non andava molto a genio, così come al ragazzo, così abituato a fare le ore piccole da non avere alcuna voglia di rientrare a casa per andare a dormire.

Mentre si avvicinavano all’ingresso del condominio, Amelia estrasse le chiavi della sua temporanea casa londinese, pensando a qualcosa da dire. Avrebbe rivisto Ewan – e il resto degli Shards – solo poche ore dopo, eppure le sembrava di doverlo salutare per l’ultima volta, tanto era intenzionata a trovare le parole migliori da pronunciare. Si fermarono davanti alla porta e lei si voltò verso di lui, trovandoselo di fronte. Ogni volta che doveva guardarlo negli occhi si sorprendeva del fatto che fosse tanto alto, sebbene lei non superasse di molto il metro e sessanta.

«Grazie per la serata. Ammetto che non pensavo fosse così divertente girare per la città lasciandosi avvolgere dalla musica.»

«Che ti dicevo?» sorrise lui, apparendo estasiato dalla notizia. «Ha un altro aspetto. Vedrai che anche le foto che hai fatto non ti sembreranno le stesse.»

«Cercherò di ricordarmi quali erano, allora» disse Amelia, provando a fare mente locale. Era così presa dalla musica che non si ricordava neanche cosa e dove avesse fotografato. Era stata totalmente avvolta dall’atmosfera che lei e Ewan si erano creati. Dentro di sé sapeva che se avesse fatto quell’esperimento con qualcun altro che non fosse stato il cantante, il risultato non avrebbe mai potuto essere lo stesso. Forse tendeva ancora a idealizzarlo, ma trovava che lui fosse unico.

«Da dove ti è uscita l’idea?» volle sapere poi, sistemandosi meglio la borsa in spalla. Cominciava a sentire la stanchezza avanzare, ma voleva ancora trascorrere qualche minuto con il ragazzo, al punto di non volerne sapere di salutarlo e basta.

«Ammetto che non è stata una mia idea» rispose lui dopo una leggera smorfia. «L’ho copiata da un film con Mark Ruffalo. Giuro che non ricordo il titolo.»

«Beh, però mi hai detto l’attore, è già qualcosa. Tanto Mark Ruffalo ha fatto solo tre film» replicò pronta lei, dando fondo a una buona dose del suo sarcasmo.

Ewan scoppiò a ridere e lei sentì di essere riuscita nel suo intento. Adorava la risata del ragazzo, era così fresca e piena di vita; perfetta, come lui. Scacciò quel pensiero in fretta appena si rese conto che stava arrossendo.

«Sono una frana con i titoli» disse Ewan appena ebbe smesso di ridere. «Se mi viene in mente te lo dico. È un film molto carino, dopotutto.»

Amelia annuì, senza sapere cos’altro dire. Sperò che qualcosa le venisse in mente in fretta, ma non fu così.

«Ti lascio andare a dormire adesso. Direi di averti rubato anche troppo tempo per questa sera.»

«Rubat–no» esclamò lei, sorpresa da quella frase. «Mi sono divertita, dico davvero.»

Ewan sorrise, annuendo con il capo ma senza aggiungere altro. Si guardarono e Amelia si chiese se lui le fosse stato tanto vicino anche prima; le sarebbe bastato alzare una mano per posarla sul petto del cantante. Cominciò a sentire il cuore che accelerava i battiti e si sentì in imbarazzo. Stava succedendo qualcosa, qualcosa che non riusciva ad afferrare ma che li stava coinvolgendo lì, in quel momento, davanti alla porta di casa. Avrebbe voluto distogliere lo sguardo ma non ci riusciva; gli occhi di Ewan erano magnetici per lei, ci si sentiva incatenata, senza via di scampo e anche lui sembrava intenzionato a non voler perdere il contatto visivo con la ragazza. Quest’ultima si morse appena il labbro inferiore, un gesto che compiva involontariamente quando era agitata, nervosa o imbarazzata, e qualcosa nel cantante scattò.

Baciò Amelia. Lo fece senza pensarci, senza chiedersi se fosse la cosa giusta o meno; sentiva solo di volerlo fare e di volerlo fare da un po’. Lei spalancò gli occhi, sentendo le gambe cedere sotto il suo stesso peso. Il battito del cuore era quasi assordante per quanto forte e una sensazione di calore la riempì. Venne invasa dal profumo del ragazzo, sentì il suo respiro, il suo sapore.

Stava accadendo realmente? Ewan la stava davvero baciando? Lui, un ragazzo a cui non avrebbe mai pensato di poter aspirare le aveva appena fatto trascorrere una splendida serata e ora la stava salutando a quel modo. Pensò che l’alcol fosse stato il miglior complice per quel gesto, ma decise che avrebbe riflettuto in un altro momento sulla faccenda. Con tutta probabilità ora avrebbe potuto morire felice. Quel bacio non durò a lungo; fu semplice, leggero, ma per Amelia sembrava che fosse stato strappato via da un sogno per esserle regalato.

Quando Ewan si separò da lei le sorrise. Per la prima volta in quella sera non sapeva bene cosa dire. «Ok, ehm...buonanotte allora» balbettò infine, mettendo in mostra quella parte di sé che continuava ancora a farlo sentire impreparato sul palcoscenico.

Anche la ragazza faticò a trovare le parole, ma pensò che la sua temporanea incapacità nel formulare frasi di senso compiuto fosse più che perdonabile. «A domani» disse infine, augurando buonanotte a sua volta.

Cercò la chiave per aprire la porta, facendo il possibile per nascondere il lieve tremore che aveva alle mani, dovuto all’emozione. Quando tornò a sollevare lo sguardo sul ragazzo si sentì più imbarazzata che mai, ma anche tremendamente felice; perché era felicità quella che aveva dentro di sé, pura, semplice e calda. Si sussurrarono un ultimo “ciao” dopodiché Amelia entrò, mentre Ewan si girava per tornare alla sua bicicletta. A metà della rampa di scale la ragazza non riuscì più ad andare avanti. Si bloccò, una mano sul petto, un sorriso sconfinato in volto. Scivolo con la schiena lungo la parete fino a sedersi a terra, facendo del suo meglio per non gridare. Strinse le ginocchia al petto, vi posò sopra la fronte e si mise a ridere. Era al settimo cielo, come non si sentiva da molto, troppo, tempo.

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Capitolo 12
*** Beautiful Birds ***


 

 

 

But one day you asked for a different song | One that I just couldn’t sing | I got the melody sharp and the words all wrong

Passenger. Beautiful Birds

 

 

 

Starbucks coffee, Shaftesbury Ave., Londra, 7 settembre 

Ore 9:45 AM

 

Mancavano ancora quindici minuti all’appuntamento con gli Shards. Amelia aveva pensato di arrivare prima – molto prima – per evitare di fare brutte figure. Non conoscendo Londra non era così sicura di riuscire a trovare subito quel posto, dovendo destreggiarsi fra fermate metropolitane, vie e laterali, invece era riuscita ad arrivare senza incontrare troppi problemi e con parecchio anticipo sull’orario previsto. Per sua fortuna, però, proprio di fronte all’edificio in cui di trovava la sala prove degli Shards c’era un caffè Starbucks, uno delle decine di locali della catena che tempestavano la città. Ci si era chiusa dentro, ordinando un mocaccino, e aveva individuato un tavolino perfetto, proprio di fronte alla vetrata, che le consentiva di tenere sott’occhio la situazione in strada. Se Ewan – o qualcuno degli altri ragazzi – fosse arrivato, lei lo avrebbe visto di sicuro. In quel lasso di tempo aveva deciso di mettersi a lavorare, così aveva estratto il portatile dalla borsa – poiché lo portava quasi sempre con sé in quel periodo – e approfittando della confessione Wi-Fi del locale aveva iniziato a lavorare a qualche nuova tavola, sistemando le grafiche di cui aveva discusso solo due giorni prima con Ewan.

Il pensiero del ragazzo era ormai qualcosa di fisso nella sua mente. Quella notte si era addormentata con una felicità addosso che non provava più da tempo al pensiero della serata che aveva trascorso con il ragazzo e al bacio conclusivo che si erano scambiati. Ancora stentava a credere che fosse avvenuto tutto davvero, al punto che quella mattina il suo umore era cambiato. Non era più incredula ed emozionata, ma si sentiva insicura. C’era una parte di sé, quella che emergeva sempre con forza in simili momenti, che sembrava intenzionata a non voler lasciare che si creasse aspettative. Quella metà della sua personalità le considerava solo illusioni e voleva evitarle più di ogni altra cosa, perché spezzavano solo il cuore. Così facendo la ragazza era di nuovo alle prese con le sue insicurezze più grandi, i dubbi, le domande. Non le piaceva stare in quello stato, perché spesso si ripercuoteva anche su tutto il resto. Spesso trovava complicato essere sé.

Si ripeté nella testa di smetterla di riesaminare sotto tutti i punti di vista possibili quanto era successo con Ewan. Da quando si era svegliata quella mattina aveva pensato a ogni tipo di scenario possibile sul loro primo incontro quel giorno. Si era detta che se lui l’aveva baciata era perché comunque le piaceva – anche se non aveva osato indagare quanto e come – e subito dopo si era anche detta che lui, dopotutto, la sera prima aveva bevuto. L’alcol forse lo aveva spinto a compiere quel gesto; forse se non avesse toccato nemmeno una birra tutto ciò non sarebbe successo. Era quell’ultimo il pensiero che più le rimbalzava in testa, scatenando tutte le sue insicurezze più caratteristiche.

Cominciava a sentirsi in ansia per il momento in cui avrebbe incrociato lo sguardo di Ewan, quei suoi occhi blu che sembravano sempre in grado di farle provare sensazioni infinite. In un modo o nell’altro qualcosa avrebbe capito e avrebbe fatto almeno un po’ di chiarezza dentro di sé, scacciando quel caos che ormai l’attanagliava. Era solo questione di tempo.

Tornò a concentrarsi sul lavoro, tendendo l’orecchio quando si accorse che alla radio stava passando Beautiful Birds di Passenger. Riprese a disegnare linee sulla tavoletta grafica, il programma di elaborazione digitale aperto sul portatile. Si stava esternando dal locale, si stava per dimenticare di Ewan e di quanto era avvenuto solo poche ore prima, quando fu riportata alla realtà.

«Vedo che hai trovato il mio Starbucks preferito.»

Amelia alzò gli occhi sul nuovo arrivato: Chase. Pensò a quanto appena detto dal ragazzo, dopodiché spostò lo sguardo sulla vetrata del locale – e su quello che vi stava oltre – infine tornò a guardare il batterista. «Perché è di fronte alla vostra sala prove, vero?»

Lui incassò il colpo e si sedette. «Sì» borbottò. «Ma anche perché hanno un ottimo caffè» proseguì, posando la bevanda calda sul tavolino, vicino al bicchiere di Amelia. 

Nella mente della ragazza balenò d’improvviso un dubbio e si chiese se Ewan avesse detto ai suoi amici del fatto che la sera prima si erano baciati. Si sarebbe sentita davvero a disagio alle prese con tutti e quattro in una stanza sola, in tal caso. Per sua fortuna quel pensiero scomparve con la stessa rapidità con cui si era presentato e la ragazza poté concentrarsi su Chase, il quale riprese a parlare. «Sei con noi questa mattina?»

Lei annuì. «Mi ha inviata Ewan.» Non le serviva una giustificazione, in realtà, ma sentiva di doverla agli altri tre membri degli Shards; dopotutto sarebbe stata presente proprio alle prove, non era tanto sicura del fatto che a loro la cosa non creasse disturbo. Tuttavia Chase, come sembrava sempre capace di fare, spazzò via quel dubbio. «Bene. Ci sarà da divertirsi» esclamò, per poi bere un sorso del suo caffè. «Come procede il lavoro?»

Il repentino cambio di argomento colse Amelia impreparata, ma non più del dovuto. Aveva la bozza di una nuova grafica proprio sotto gli occhi. Ruotò il portatile in direzione di Chase. «Questa è la bozza per Smoke Apart.»

Il ragazzo osservò lo schermo, ma gli risultò piuttosto difficoltoso riuscire a interpretare qualcosa di sensato in quel miscuglio di linee digitali. Gli sembrava solo di vedere una figura femminile cadere nel vuoto, il vestito gonfio. «Non è che si capisca poi così tanto» sentenziò.

Amelia si scusò. Dimenticava sempre che le sue prime bozze erano solo un ammasso caotico per gli altri, mentre per lei erano la base di qualcosa impresso a fuoco nella sua testa. Aprì la cartella con alcuni dei file più completi e diede il tempo a Chase di guardarli. Dall’espressione che si disegnò sul suo volto la ragazza poté intuire che i lavori gli piacevano. Il batterista, infatti, stava pensando che Ewan ci avesse proprio visto giusto a scegliere Amelia. Quella ragazza le piaceva ed era anche un’ottima artista. «Complimenti» le disse, regalandole uno dei suoi sorrisi migliori. Lei lo ringraziò e riprese il portatile.

«Tu e Ewan siete un’ottima coppia. Mi sembra che lavoriate bene insieme.»

Amelia alzò di scatto gli occhi su di lui. Nella voce di Chase non c’era alcuna nota sospetta; non stava ammiccando, non stava facendo allusioni, niente del genere. La sua era stata una semplice osservazione. Eppure la ragazza non aveva potuto fare a meno di ripetere fra se quel “siete un’ottima coppia” come se volesse dire ben altra cosa. Le venne inevitabile chiedersi se Ewan avesse detto ai propri amici della sera precedente, se avesse detto loro qualcosa su di lei, qualcosa che avrebbe voluto sapere, che bramava di conoscere.

Dall’ingresso della caffetteria fece la sua comparsa Trent. Il chitarrista puntò dritto verso il tavolo a cui sedevano Amelia e Chase.

«Oh, ehi bello» lo salutò quest’ultimo appena lo vide.

L’altro rispose al saluto, dopodiché spostò la sua attenzione su Amelia.

«Linton» disse lei.

«Camp–» esordì lui, ma ci rinunciò subito. Gli sembrava stupido chiamarla per cognome. Sbuffò un po’ d’aria prima di afferrare lo schienale della sedia e sistemarcisi. «Amelia» la salutò infine.

Chase gli allungò il suo caffè e lui ne bevve un po’. 

«Ho visto le grafiche» annunciò il batterista, lanciando uno sguardo d’intesa ad Amelia, alla quale lei non capì di dover rispondere.

«Ewan mi ha detto che sono eccellenti. È molto contento» rispose Trent. 

La ragazza si morse appena il labbro inferiore, ma riuscì a nascondere il gesto grazie alla penna della tavoletta grafica, che stava tenendo posata sulla bocca. Iniziava a sentirsi nervosa. Mancava sempre meno alle prove degli Shards, al momento in cui avrebbe rivisto il cantante. Solo quello bastava a innervosirla, se poi si considerava il fatto che lei – e i suoi lavori – erano stati più volte argomento di conversazione fra i membri della band, era chiaro che si agitasse ancora di più. Fece del suo meglio per non pensarci, per rimanere concentrata sui due ragazzi che aveva davanti. Bevve un po’ del suo mocaccino e ringraziò mentalmente Chase quando questi iniziò a parlare. Il tempo, però, scorreva. Amelia spense il portatile quando capì che non sarebbe più riuscita a produrre nemmeno un nuovo puntino vista la presenza dei due ragazzi e si concentrò su di loro.

Chris fu il terzo ad arrivare. Comparve dall’ingresso del locale, ordinò un cappuccino al volo e raggiunse gli altri, rimanendo fermo in piedi accanto al tavolo. Erano le dieci spaccate.

«L’ometto non è ancora arrivato?» chiese.

Amelia dedusse che “l’ometto” non poteva che essere Ewan.

«Indovina» disse piatto Trent.

Il cantante degli Shards non spiccava per puntualità. In sole due settimane la ragazza aveva potuto capirlo alla perfezione. Per sua fortuna – o sfortuna, in base al punto di vista – lei era abituata ai ritardatari, soprattutto perché anche Pani faceva parte di quel club esclusivo.

«Cos’avete combinato ieri sera, Ami?» le chiese Chris. Aveva iniziato a chiamarla così da qualche giorno, più o meno da quando aveva capito che i suoi modi di fare irriverenti non rappresentavano un problema per la giovane.

A quella domanda Amelia si bloccò, sentendosi osservata da tutti i presenti. Cosa aveva detto a loro Ewan? Si morse di nuovo il labbro inferiore, sapeva che questa volta il gesto non sarebbe passato inosservato, ma non riuscì a trattenersi. Si disse di stare calma e riuscì a esibirsi in una smorfia convincente, con tanto di alzata di spalle. «Siamo usciti» si limitò a dire. «Voi perché non siete venuti?» aggiunse sollevando un sopracciglio con fare ammiccante, cercando di deviare un po’ il dialogo.

I tre si scambiarono un’occhiata, in cui Amelia pensò di notare qualcosa di non detto.

«Mi sembrava di avertelo già detto» rispose Trent, alzandosi dalla sedia. «Noi abbiamo una vita sentimentale.»

«È proprio a questo che alludevo» replicò prontamente la ragazza, arricciando le labbra.

Chase scoppiò subito a ridere, seguito da Chris. Trent, invece, si limitò a un’espressione di lieve ammirazione, un sorriso accennato a illuminargli il viso. «Forza, andiamo» disse poi, avviandosi verso l’uscita.

Amelia seguì i tre, lanciando fra sé un invisibile sospiro di sollievo per essere riuscita a ritardare un altro po’ l’argomento relativo alla sua uscita con Ewan. Era convinta che i tre Shards sapessero qualcosa e ciò la innervosiva. Cominciò a pensare che avrebbe fatto meglio a rimanere a casa, oppure a chiudersi in una caffetteria e a continuare i suoi lavori anziché accettare l’invito del cantante, ma ormai era troppo tardi per tirarsi indietro. Seguì i ragazzi all’interno dell’edificio in cui si trovava la loro sala prove e scoprì con sua grande sorpresa che si trattava di un locale interrato, dalle cui finestrelle si potevano intravedere solo i piedi delle persone che passeggiavano sul marciapiede. Era una sala prove non tanto grande, dal pavimento di parquet e dalle pareti tappezzate di pannelli insonorizzanti – a loro volta ricoperti di poster o bandiere. Gli strumenti musicali erano disposti in cerchio e si affacciavano tutti verso un’asta da microfono, ferma al centro della stanza. Un divano in ecopelle nera era addossato alla parete di fondo, vicino a un tavolino con sedie, mixer, computer e un frigo.

«Benvenuta nella tana» disse Chase quando superò Amelia, la quale si era fermata sulla soglia della porta per studiare a modo il luogo in cui la sua band preferita trascorreva le ore più creative. Era semplice e accogliente, rispecchiava benissimo i quattro ragazzi che lì erano soliti provare.

Chris invitò la ragazza a sedersi sul divano e lei eseguì, accoccolandocisi sopra dopo essersi sfilata le Vans nere. Era eccitata all’idea che, a breve, avrebbe assistito a una specie di concerto privato degli Shards.

«Vi dispiace se mentre suonate io lavoro?» domandò ai ragazzi appena si fu sistemata con accanto la propria borsa.

I tre non capirono subito, ma se avessero conosciuto un po’ meglio Amelia avrebbero capito il perché della sua domanda. Lei, molto spesso, disegnava seguendo il filo dei suoi pensieri; altre volte, invece, si lasciava trasportare dalla musica. Prendeva una matita e abbozzava ciò che le note le suggerivano sul suo taccuino e quando trovava un lavoro che la soddisfaceva, ricopiava tutto su tavoletta grafica e pc.

«Magari trovo l’ispirazione per qualche nuova tavola» aggiunse, davanti all’assenza di risposte da parte degli altri. Loro si esibirono in una serie di “oh” e “ah”, infine diedero il via libera alla ragazza, dicendole che se riusciva a trovare un’idea in mezzo al caos che, di solito, erano le loro prove era più che gradito il suo voler seguire l’ispirazione. Lei li ringraziò, estrasse il pc e lo accese di nuovo, mentre Chris prese a suonare qualcosa sulla sua tastiera per riempire un po’ l’aria. Nessuno di loro sembrava infastidito dal ritardo del cantante, chiaro segnale del fatto che fosse una cosa frequente – e anche del fatto che gli volessero davvero bene.

Trent diede un’occhiata ai lavori di Amelia, almeno a quelli conclusi e si complimentò con lei per le sue capacità, dicendole anche che era quello ciò che si aspettava dalle idee che Ewan aveva avuto riguardo le grafiche nuove. Quasi lo avesse chiamato, il cantante entrò dalla porta trafelato, sollevando gli occhiali da sole.

«Scusate» disse e si tolse lo zaino di spalla.

Amelia pensò che l’essere sempre in ritardo gli donasse. Sembrava il solo a cui il rossore delle gote conferisse un fascino irresistibile, il solo a cui i capelli dalla piega rovinata stessero bene. Proprio come la sera precedente, al momento del suo arrivo, trovò che la semplicità e la bellezza di Ewan erano disarmanti. Il suo cuore accelerò di colpo quando fece vagare lo sguardo sul suo viso, soffermandosi sulle labbra; la stessa bocca che ricamava i testi delle sue canzoni preferite, la stessa che la sera prima si era posata sulla sua. Stava arrossendo, se lo sentiva e nella stanza c’era un tale e inaspettato silenzio che si sorprese che nessuno sentisse il cuore che continuava a batterle contro lo sterno.

Incrociò lo sguardo di Ewan e lui le sorrise. «Ehi» la salutò.

Anche lei salutò, ma dopo non avvenne altro. Il cantante venne rimproverato in modo amichevole dagli amici un paio di volte – cosa che sembrava essere normale routine – dopodiché chiese se erano pronti o meno per iniziare a provare. Suonarono diversi pezzi e per Amelia fu incredibile poter assistere a tutto ciò. Sentire Ewan cantare dal vivo era sempre una sensazione unica per lei, come se ogni volta fosse la prima. Passò all’incirca un’ora e lei ebbe modo di vedere come i quattro si rapportavano in sala prove. Alle volte si interrompevano nel bel mezzo di un pezzo, altre sbagliavano, scoppiando a ridere e riprendendo. Fra una canzone e l’altra si perdevano in chiacchiere di qualsiasi genere, dalle scalette per un live o da un avvenimento che li aveva visti coinvolti in una qualche tournée e a cui avevano legato una determinata canzone.

Amelia riuscì ad abbozzare qualcosa, ma niente di eccezionale. Veniva coinvolta dai quattro, che scherzavano con lei e le chiedevano quali canzoni avrebbe voluto ascoltare, o quali consigliava loro di mettere nelle prossime scalette. Nonostante tutto, però, la ragazza non riusciva a reprimere il pensiero della sera precedente. Si chiese cosa avesse intenzione di fare Ewan, per quale motivo, anche durante le pause che si prendevano di tanto in tanto, non sembrasse interessato a dedicarle più attenzioni del solito. Le sorrideva e la coinvolgeva, ma allo stesso modo in cui aveva sempre fatto. Cominciò a sentirsi a disagio e dispiaciuta. Non sapeva cosa si sarebbe dovuta aspettare da quel loro incontro, ma era innegabile che quello che stava succedendo non era ciò in cui aveva sperato. Si era convinta del fatto che avrebbero affrontato la questione ed era proprio quel pensiero ciò che l’aveva terrorizzata più di qualunque altra cosa. Invece sembrava quasi che per lui non fosse accaduto niente, che il bacio che le aveva dato fosse stato quasi un saluto come un altro. Quel pensiero si fece strada nella mente di Amelia seguito da un altro. Ewan, dopotutto, la sera prima aveva bevuto. Forse a lui risultava semplice compiere e dimenticare quei gesti sotto l’influsso dell’alcol; forse era stato solo mosso da uno stimolo e non da qualcosa di più. La ragazza venne pervasa da una spiacevole sensazione e quella si intensificò all’improvviso quando gli Shards decisero di provare Penelope, la canzone che il cantante aveva scritto anche grazie al disegnino che lei gli aveva fatto trovare in tasca; la stessa canzone che, a Glasgow, le era stata dedicata. Come fantasmi Amelia sentì riaffiorarle alla mente situazioni del passato molto simili a quella. Situazioni in cui si era creata aspettative e illusioni e che erano, tutte, crollate. Abbassò lo sguardo, un nodo in gola per l’andamento che aveva preso la mattinata. Aveva sperato in un chiarimento con Ewan e invece non era avvenuto nulla del genere. Sembrava quasi che per lui non fosse successo niente, che quella che aveva davanti fosse solo Amelia, la ragazza che aveva imparato a conoscere e con la quale passava il tempo per lavorare alle grafiche nuove e parlare di musica, cinema e viaggi quando staccavano un po’. Lei, invece, si era aspettata qualcosa di diverso; aveva sperato di sentirlo chiederle di parlare di cosa era successo fra loro, cosa avrebbe voluto fare lei a riguardo. Non era successo niente del genere e la ragazza si sentì d’improvviso una stupida per aver creduto che Ewan Cassian Hill, cantante degli Shards, potesse provare un simile interesse per lei.

Chiuse lo schermo del portatile senza neanche darsi la pena di spegnerlo prima, le parole della canzone, unite alla voce di Ewan a riempirle la testa. Si costrinse ad apparire impassibile o, perlomeno, non turbata da quanto aveva preso ad affollarle la mente. Quando la canzone finì, Amelia aveva già riposto le sue cose nella borsa. Era da poco passato mezzogiorno e lei si alzò in piedi.

«Ragazzi» chiamò. Tutti si voltarono verso di lei, già pronta per andare. «Scusate ma io andrei» disse.

«Già? Sei sicura? Potremmo pranzare tutti insieme.» Chase diede voce al pensiero di tutti i presenti, specie quello di Ewan, che si era bloccato, microfono alla mano, a guardare la ragazza.

Quest’ultima, come faceva spesso quando era nervosa, cominciò a tormentare una ciocca di capelli, facendo il possibile per far apparire quel gesto fluido e naturale. «Mi spiace. È che ho prenotato una visita guidata al Science Museum e visto che devo ancora capire come ci si arriva mi conviene muovermi.» Si inventò di sana pianta quell’appuntamento, ringraziando di aver letto solo il mattino precedente il fatto che il museo organizzasse quelle visite.

«Beh, ti possiamo accompagnare noi» propose Chris.

Lei scosse la testa. «No, non voglio disturbarvi. Siete già fin troppo gentili con me. Sorridete» aggiunse, estraendo la sua lomo. I quattro non capirono subito e furono le loro espressioni perplesse quelle che andarono a imprimersi sulla pellicola della piccola macchina fotografica. Amelia scoppiò a ridere vedendo le loro facce e pensò che quello potesse essere un ottimo modo per uscire di scena. Aveva bisogno di stare un po’ da sola, cercare di schiarirsi le idee e fare mente locale sulla sua situazione. Al tempo stesso, però, non voleva far capire ai ragazzi che si era rattristata a stare insieme a loro – anche se era meglio dire insieme al cantante.

«Sei davvero sicura?» la incalzò Trent.

Lei annuì con convinzione, chiedendosi perché stessero cercando tutti di trattenerla tranne Ewan, l’unico a cui avrebbe risposto di sì se le avesse chiesto di restare. Il ragazzo, invece, sembrava aver perso la parola e si limitava a osservare Amelia con quei suoi magnetici occhi blu. Alla fine la ragazza salutò e, con le sue cose ben incastrate nella borsa si avviò verso l’uscita, diretta alla stazione della metropolitana più vicina.

Nella sala prove degli Shards l’atmosfera cambiò di colpo. Il cantante si passò una mano fra i capelli, sospirando. Avrebbe dovuto dire qualcosa riguardo alla sera precedente ad Amelia, dirle quanto era stato bene, che avrebbe voluto si ripetesse, che lei gli piaceva e che, forse, le era sempre piaciuta, da prima ancora di conoscerla, quando l’aveva immaginata da quel semplice disegnino che si era trovato in tasca. Tuttavia lei, in quelle ore, non lo aveva quasi mai guardato negli occhi, cosa che gli aveva fatto pensare che forse aveva sbagliato a baciarla – per quanto, per lui, il lieve contatto di labbra che c’era stato fra loro non potesse considerarsi un bacio vero e proprio.

Si tolse gli occhiali da vista, pulendoli con un lembo della t-shirt. Il mondo parve acquisire colore quando li inforcò di nuovo.

«Che le hai fatto?» la domanda di Chase sembrò più un’accusa che un quesito.

Ewan si voltò verso l’amico. «Cos-io? Niente» si giustificò.

«Forse è proprio questo il punto» osservò Chris con fare grave. Ewan gli lanciò un’occhiataccia.

«Ieri sera vi abbiamo lasciati soli apposta, pensavo lo avessi capito.» Come al solito fu proprio Trent a spiegare cosa intendessero gli amici con quelle mezze frasi. Il cantante era sempre più convinto che se non fosse stato per il chitarrista il più delle volte non si sarebbero capiti fra loro.

«Sì lo so» confermò il ragazzo.

«E quindi che è successo?» insisté Chris.

Sembrava un interrogatorio. Non era facile essere quello sotto processo quando gli altri tre si coalizzavano.

«Niente di grave. Siamo usciti insieme e a fine serata ci siamo baciati.»

Ewan individuò subito il mutamento di espressione di Chase. Decise di zittirlo prima ancora che potesse parlare e spegnergli quel sorriso sornione dal volto. Lo guardò di sbieco. «Senza lingua» disse piatto. Come aveva previsto, l’amico si lasciò sfuggire uno sbuffo e incrociò le braccia al petto.

«Vi siete baciati? Perché da come ti sei comportato non l’avrei mai detto» intervenne Chris, guardando Ewan con sufficienza. Quest’ultimo corrucciò la fronte. «Sì, ok, è solo che...beh, non è che mi abbia degnato di molte attenzioni. Ho pensato che forse ho sbagliato a baciarla.» Si sedette sul divano, lanciando un lungo sospiro e passandosi entrambe le mani fra i capelli. I tre amici sollevarono un sopracciglio all’unisono, gesto che lasciava intendere che il cantante non aveva poi tutti i torti.

«Insomma, sono il suo cantante preferito ma questo non vuol dire che le piaccio in tutti i sensi» proseguì. Portò le mani al viso. «Che palle. Sono di nuovo stato friendzonato senza avere la possibilità di provarci sul serio» borbottò.

Chase, Chris e Trent si scambiarono un’occhiata e fu chiaro a tutti che, anche quella volta, sarebbe stato compito del chitarrista dire qualcosa di confortevole. Alle volte essere la voce della ragione in un gruppo era estenuante. «Penso» esordì, ma Chris si schiarì la voce, sovrastandolo. Trent alzò gli occhi al cielo prima di riprendere a parlare. «Pensiamo che tu debba comunque parlare con lei.»

Ewan lo guardò, in attesa. Sapeva che c’era dell’altro, doveva esserci dell’altro, e il chitarrista non lo deluse. «È probabile che si sentisse in imbarazzo per via della nostra presenza. Non è così semplice affrontare simili argomenti davanti agli amici di un ragazzo. Specie quando uno di loro è Chase» disse, indicandolo con il pollice.

«Ehi» sbottò il batterista.

Il cantante pensò a quanto gli era appena stato detto. Aveva fatto tutto quello che era in suo potere per avere ancora la possibilità di incontrare Amelia e ora lei era lì, a Londra. Sapeva che non era solo per le grafiche che aveva tanto sperato che lei raggiungesse la capitale. Tutta la faccenda che la riguardava era così surreale da affascinarlo ancora di più. In quelle settimane lui aveva avuto modo di capire che era il tipo di ragazza con cui non si sarebbe stancato di avere a che fare, di cui ne aveva diverse annoverate fra le file dei suoi amici, con l’unica differenza che non voleva fossero semplici amici, almeno finché poteva provare a costruire qualcosa di più complesso. Aveva forzato il destino una volta, forse provarci una seconda e ignorare il loro distacco di quella mattina per fare un nuovo tentativo poteva essere un’idea degna di venire seguita. Qualcosa si sarebbe inventato e se lei gli avesse dato il ben servito, beh, avrebbe imparato a conviverci.

«Forse avete ragione» rispose infine, pensando. «Potrei provare a chiederle di nuovo di uscire.»

«Sì ma magari questa volta diglielo subito che sarete soli» intervenne Chris. «Oppure che si tratta di un’uscita in quel senso.»

Il cantante annuì. «Mi inventerò qualcosa.»

«Possibilmente qualcosa che funzioni» gli fece presente Trent. 

«Domani pomeriggio abbiamo appuntamento con Jacob per le grafiche» riprese Ewan. «Magari posso cercare di capire già lì se ho incasinato tutto o no.»

Gli altri tre fecero cenni affermativi con il capo, sottintendendo che erano d’accordo con il suo progetto e sancendo anche come chiusa, almeno per quel momento, la questione.

 

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Capitolo 13
*** Machines ***


 

 

 

“‘Cause I’ve started falling apart I’m not savoring life | I’ve forgotten how good it could be to feel alive

Biffy Clyro. Machines

 

 

 

Appartamento di Amelia, St. Petersburgh Pl, Londra, 8 settembre

Ore 8:23 AM

 

La luce del mattino entrava intesa anche con le tende tirate. Amelia era distesa a pancia in su nel letto, coperta dalle  lenzuola nonostante il caldo. Era sveglia da più di due ore, più di due ore in cui era rimasta lì, ferma, a cercare di riordinare lo sconfinato caos che aveva dentro. Andare a letto presto le era sembrava l’idea migliore il giorno prima, ma quando il sonno l’aveva abbandonata, intorno alle sei di quella mattina, tutto ciò a cui non aveva fatto in tempo a pensare si era ripresentato da lei.

Ewan era quel pensiero, inutile anche solo ipotizzare il contrario. Amelia non riusciva a ignorare quanto accaduto nella sala prove della band. Aveva il fastidioso, fisso, pensiero che le cose fra di loro avessero preso una piega sbagliata all’improvviso. Aveva sperato che il ragazzo avrebbe affrontato l’argomento, dicendole perché l’aveva baciata, dicendole anche solo che era stata colpa dell’alcol; invece non aveva fatto nulla del genere ed era proprio questo che la faceva sentire peggio. Cominciava a provare dei sentimenti seri per lui. L’idea che si era fatta di Ewan, quella che aveva costruito giorno dopo giorno prima di conoscerlo, non era molto distante dalla realtà. Ed era proprio quello il problema maggiore, perché temeva ciò che sarebbe potuto accadere dopo.

Non si era neanche preoccupata di vestirsi. Quando scivolò fuori dal letto aveva indosso solo l’intimo, spaiato come sempre. Comprava bellissimi completi e  irrimediabilmente li indossava separati, per ragioni istintive a cui non avrebbe saputo dare una valida motivazione. In bagno si mise davanti allo specchio, posando entrambe le mani sul bordo del lavandino. Si guardò, pensando a cosa fare, a come affrontare quella situazione, consapevole che avrebbe dovuto fare qualcosa. Mosse la punta del naso a destra e a sinistra, osservando il suo riflesso rimandarle quello stesso gesto, guardando il sottile anello argentato che portava al setto. Si era fatta quel piercing a diciotto anni, dopo la rottura con il suo ragazzo di allora. La prima volta che si era innamorata, davvero innamorata, di qualcuno che le aveva detto di amarla a sua volta. Quando si erano conosciuti a un concerto lei frequentava ancora il liceo, aveva diciassette anni. Lui, invece, ventuno e faceva il college. Per lei era stata un’infatuazione immediata, irresistibile, di quel tipo che le diciassettenni possono arrivare a provare anche per colpa di libri e telefilm. Contro ogni previsione, il ragazzo – Eric – si era fatto avanti. Per sei mesi lui l’aveva trattata come una principessa, dedicandole attenzioni e facendola sentire protetta e coccolata, e Amelia si era innamorata. La sera del suo diciottesimo compleanno, cedendo alla richiesta di Eric, lei si era lasciata andare e le aveva concesso tutta se stessa. Dopo essersi donata a lui, però, tutto era esploso. Il loro rapporto era crollato. Eric aveva iniziato a diventare sempre più freddo, distaccato e voleva una cosa soltanto. Quella condizione non durò a lungo. Lui si stancò in fretta e la lasciò, causandole un dolore intenso come non ne aveva mai provati prima. Lo ricordava ancora; si era sentita schiacciare, svuotata di ogni emozione, un guscio senza anima. Si era sentita tradita e usata da qualcuno cui si era aperta, lasciando trapelare passioni e incertezze più profonde. Le era servito molto tempo prima di tornare a fidarsi di qualcuno, aveva avuto bisogno di anni.

I suoi occhi scesero lungo il proprio riflesso fino al costato. Ruotò appena il busto per vedere il tatuaggio nero che vi era impresso, il triangolo simbolo dell’acqua e della donna.  Se lo era fatta fare a venticinque anni, dopo la sua seconda rottura, forse più dolorosa della precedente, quella con Richard. Era uno sportivo, amico di sua cugina ed era proprio grazie a lei che si erano conosciuti. Richard aveva molti hobby e una visione unica della vita, quasi poetica. Lui e Amelia avevano approfondito la loro conoscenza, finché un giorno il giovane le aveva chiesto di uscire e lei aveva capito di non desiderare altro. Erano stati insieme tre anni, avevano detto di amarsi e per lei era vero. Finché non aveva scoperto che lui la tradiva. Il mondo che si ribaltava, era quella la sensazione che aveva provato quando lo aveva saputo, quando una loro amica aveva deciso di dirglielo. Appena ne avevano parlato, Amelia si era sentita ancora più umiliata. Lui non aveva neanche provato a negare la cosa. Aveva ammesso che, sì, quella era la verità, che si vedeva con un’altra, che aveva rapporti con un’altra, ma non voleva che le cose con Amelia finissero perché con lei ci stava bene. Solo non ne era più attratto fisicamente come all’inizio della loro storia. La ragazza si era sentita presa in giro e aveva eliminato ogni possibile ricordo legato a Richard, colui che era riuscito a farla sentire una nullità, una stupida e un’illusa per aver deciso di provare a innamorarsi di nuovo.

Come la volta prima, con la rottura con Eric e con la decisione di farsi il septum, anche dopo aver sentito il suo cuore spezzato per colpa di Richard, Amelia aveva deciso di fare qualcosa per riprendere il controllo di sé. Aveva usato il dolore come mezzo purificatore, un’incisione per ricordare a sé stessa che quel corpo apparteneva solo a lei, che esisteva sempre una via di uscita, che c’era altro oltre le delusioni.

Tuttavia era difficile trovare ancora la voglia di tentare, di provare a costruire qualcosa con qualcuno. Negli ultimi anni aveva conosciuto diversi ragazzi, perlopiù interessati al suo corpo anziché alla sua mente e ogni volta, anche quando sembrava esserci la possibilità di trovare qualcuno di buono, onesto, forse davvero interessato a lei, aveva mandato a monte tutto, per paura. Non era semplice aprirsi, provare a donarsi a una persona quando le ombre del passato continuavano a perseguitarla, ricordandole che il suo cuore si era spezzato per due volte, che per due volte si era sentita precipitare in un baratro dopo aver camminato a un palmo da terra accanto alla persona che amava. Innamorarsi le era diventato complicato, quasi minaccioso, per tale ragione la situazione con Ewan la preoccupava e rattristava al tempo stesso.

Tornò a scrutare il suo riflesso, seria. Si sentiva una donna fiera di ciò che era, non più disposta a lasciarsi andare con persone che non la meritavano. Al tempo stesso, però, cominciava a sentire una lieve angoscia invaderle lo stomaco. Qualcosa si smuoveva in lei, l’inizio di un sentimento forte, incontrollabile, che la portava a pensare con più frequenza e intensità del solito al cantante degli Shards. Cercò di scacciare quel pensiero, ma le fu chiaro che non ci sarebbe riuscita. Ewan le era sempre piaciuto, al punto che quando si erano baciati una parte di lei avrebbe ceduto subito ai sentimenti più impellenti, quel bisogno quasi viscerale di passare tutto il tempo del mondo insieme a lui. Tuttavia era la sua metà più spaventata quella che aveva preso il sopravvento dal giorno prima, quando il cantante l’aveva trattata come sempre, come se fra loro non fosse accaduto niente.

Non crearsi illusioni. Questo si disse allo specchio Amelia prima di imporre alla sua mente di smettere di rimuginare su tutta la faccenda. Era a Londra per lavoro e sarebbe stata il più professionale possibile fino alla fine. Poi, terminato il lavoro, sarebbe rientrata a Glasgow e tutto ciò si sarebbe tramutato in un bellissimo ricordo e una nota sul curriculum degna di lode. Se Ewan la voleva solo come amica, anche lei avrebbe visto il ragazzo allo stesso modo, per quanto la cosa potesse dispiacerle. Tuttavia, se l’alternativa era illudersi di avere delle possibilità o, peggio, innamorarsi di nuovo di un uomo che prima o poi le avrebbe spezzato il cuore, rimanere solo amica di Ewan sembrava senza dubbio l’opzione migliore.

Tornò in camera da letto, decidendo di vestirsi. Avviò una delle sue compilation di Spotify, che partì da Machines dei Biffy Clyro e tirò fuori dall’armadio dei vestiti puliti per affrontare quel nuovo giorno. La canzone si interruppe di colpo quando il telefono di Amelia cominciò a squillare. Guardò chi la stava chiamando, accorgendosi che era Pani. Si morse la lingua: la sera prima aveva dimenticato di chiamare l’amica. Rispose alla chiamata, già pronta a fare le sue scuse, ma il tono dell’altra sembrava piuttosto allegro e nient’affatto accusatorio.

«Ho pensato di chiamarti mentre vado verso il lavoro» esordì Pani. Amelia la immaginò lungo le vie di Glasgow, un sole alto in cielo e un vento frizzante a rendere mite la città.

«Trovo tu abbia avuto un’ottima idea.»

«Mi sono detta “lo faccio, visto che a quanto pare lei non è intenzionata a tenermi aggiornata”.»

Eccola, l’accusa. Amelia incassò, infossando la testa nelle spalle in modo pentito – gesto che, chiaramente, l’altra non avrebbe potuto vedere. «Scusami tantissimo. È che, beh...sono, successe un paio di cose, ecco» borbottò poi.

«Stai diventando una di quelle dive di città, per caso?»

L’altra spalancò gli occhi. «Cielo, no» esclamò.

«Allora cosa sarebbe successo?»

Amelia si immaginava benissimo l’espressione di Pani: scettica; un sopracciglio inarcato alla perfezione, le labbra tirate. Immaginava anche il mutamento che avrebbe subito il suo volto appena lei avesse smesso di pronunciare le prossime parole: «Io e Ewan ci siamo baciati» disse in un sol fiato.

Piombò il silenzio, al punto che la ragazza si convinse che la linea fosse caduta. «Pani, ci sei?» tentò dopo qualche istante di nulla.

La voce dell’amica sembrava distante. «Voi vi...Si può sapere perché non me l’hai detto? Questa cosa richiedeva una telefonata immediata» esclamò, scandendo con cura l’ultima parola.

Amelia sospirò. «Sì, hai ragione, ti chiedo scusa. Ma erano le due di notte passate quando è successo» esagerò, «e non volevo svegliarti.»

«Potevi chiamarmi lo stesso» replicò con fare ovvio l’amica.

L’altra si morse il labbro, facendosi forza per dire alla coinquilina ciò che era successo il mattino precedente, nella sala prove degli Shards. Sapeva che Pani l’avrebbe capita, che non le sarebbe servito rivangare sulla storia di Eric o su quella di Richard o di tutti quegli altri che avevano provato ad avere solo il suo corpo, perché  sapesse cosa la spaventava di quella storia. Quando terminò di raccontare l’accaduto ci fu un momento di silenzio. Pani stava di certo cercando le parole migliori e Amelia rimase in attesa.

«Beh,» esordì poi Pani, con fare titubante, «forse non voleva parlarne quando c’erano anche i suoi amici. Magari era imbarazzato.»

«Ci avevo pensato anche io» ammise la coinquilina. «Solo che non mi ha neanche scritto o qualcosa del genere.»

«Potresti provare tu a tirare in ballo la questione, allora.»

«Già, così mi gioco qualsiasi possibilità, incluso il lavoro.»

«Non esagerare» esclamò Pani. «In fondo la tua sarebbe una curiosità più che legittima.»

Amelia sospirò, consapevole che l’amica avesse ragione. Restava il fatto che l’idea di affrontare l’argomento con il diretto interessato la rendeva nervosa; e  spaventata. Si morse il labbro, sfiorando con l’indice il punto sulle costole in cui aveva il tatuaggio. «D’accordo. Forse hai ragione» rispose infine. «Questo pomeriggio dobbiamo vederci con Jacob. Magari dopo posso provare a parlargli.»

Sentì Pani lasciarsi sfuggire un leggero sbuffo d’aria. «Però fallo, eh. Mi raccomando.»

«Va bene, va bene» tagliò corto Amelia, che cominciava a sentirsi un po’sotto pressione. 

Pani aveva la sorprendente capacità di convincerla a fare cose che altrimenti avrebbe evitato di fare – per tutta una serie di motivi. L’amica si scusò con Amelia, dicendo che era arrivata al lavoro. Si raccomandò un’ultima volta di fare come le aveva detto, per poi farle i suoi migliori auguri.

Quando la telefonata finì la ragazza, di nuovo sola nel temporaneo appartamento londinese, si passò una mano fra i capelli. Sentì le ciocche lunghe solleticarle la schiena, mentre rifletteva su quanto le aveva appena detto l’amica. Pani aveva ragione, meritava delle risposte da parte di Ewan, almeno per non dover passare il resto della sua permanenza nella capitale divorata da dubbi e incertezze al solo sentire il nome del cantante – o al suo solo pensiero. L’ansia cominciò lentamente e inondarle lo stomaco, in quel caos emotivo che, purtroppo per lei, conosceva fin troppo bene. Chiuse i pugni e si colpì sulla gamba, costringendosi a riprendere il pieno controllo di sé. Non aveva senso il comportamento che stava avendo, specie perché non era motivato da una situazione reale, ma solo da una serie di sue supposizioni. Si alzò in piedi, mettendosi in cerca dei vestiti giusti per affrontare quella mattina. Avrebbe fatto qualcosa, indipendentemente da quello che le sensazioni le avrebbero provocato per il resto di quel giorno.

 

 

 

 

Ufficio di Jacob, Conduit St, Londra, 8 settembre

Ore 5:04 PM

 

Le grafiche andavano bene. Amelia cominciava ad avere fra le mani i primi definitivi e la cosa dava a quei lavori un alone d’importanza. Jacob aveva fatto una serie di osservazioni accorte sulle nuove bozze che la ragazza gli aveva mostrato e lei si era già premurata di segnarsi ogni commento, anche quello all’apparenza più insignificante. Anche Ewan di tanto in tanto faceva qualche piccola annotazione; perlopiù dava voce a sporadiche idee che gli comparivano lì, sul momento, a cui prima di allora non aveva ancora avuto modo di pensare.  Per Amelia era stimolante lavorare insieme a loro due e quel pomeriggio il lavoro le stava dando la giusta carica ad andare avanti e a farsi forza per quanto avrebbe fatto a breve. Non sarebbe tornata al suo appartamento senza aver prima chiesto a Ewan di poter parlare con lui, senza aver prima cercato di fare chiarezza su quel loro bacio. Solo così avrebbe potuto tornare a dedicarsi al lavoro.  A prescindere da quello che avrebbe scoperto, avrebbe trovato un po’ di pace, cosa che sembrava mancarle in quel momento a causa dell’ansia che l’accompagnava da quella mattina, come una vecchia amica. Proprio come il giorno precedente per Ewan sembrava quasi non fosse accaduto nulla fra lui e Amelia – nulla più del solito, almeno – ma lei continuò a farsi forza per tutto il tempo, motivata da una carica che sentiva provenire in buona parte da Pani.

Jacob controllò l’ora, dopodiché si rivolse ai due ragazzi: «Allora, io devo fare una chiamata piuttosto importante. E so che anche tu, Ewan, hai un impegno con Eddie.»

Il cantante annuì, mentre Amelia si voltava d’istinto a guardarlo. 

«Se siete d’accordo magari per oggi possiamo chiudere qui.»

Gli altri due risposero in modo affermativo e il gruppo si diede appuntamento a tre giorni dopo, lunedì. Mancava ormai solo una settimana alla fine del mese di permanenza a Londra di Amelia e lei non poteva credere che fosse già passato tanto. Aveva sentito i giorni scorrere con una fretta innaturale, regalandole ricordi ed emozioni, ma quasi scappando da lei. Mentre riordinava le sue cose capì che le dispiaceva di dover tornare a Glasgow per diversi motivi – sebbene la sua città le mancasse moltissimo. Per prima cosa, il suo periodo da grafica si sarebbe concluso. Tornata in Scozia non ci sarebbe stato il lavoro dei suoi sogni ad attenderla, anzi, non ci sarebbe stato alcun lavoro dal momento che aveva mollato anche l’unica occupazione che aveva. Qualche lavoretto di ripiego lo avrebbe trovato – le catene commerciali, poi, erano sempre in cerca di personale – ma aveva ormai capito che il clima e l’atmosfera che si respiravano a lavorare come grafica erano impareggiabili. Era quello ciò che voleva fare della sua vita, ormai lo sapeva con assoluta certezza e avrebbe davvero voluto rimanere insieme agli Shards per lavorare a tutte le loro grafiche, anche quelle future.

Proprio la band, infatti, era il secondo motivo per cui le dispiaceva andarsene. Quando avrebbe potuto incontrarli di nuovo e trascorrere con loro il tempo allo stesso modo in cui stava facendo ora? Forse mai più. Conservava ricordi stupendi di quella sua esperienza e l’ammirazione che provava per gli Shards non aveva fatto altro che aumentare in quelle settimane. Per questo era tanto difficile tornare a essere solo una loro fan, senza avere più la possibilità di prendere un caffè insieme o di uscire in loro compagnia. E poi c’era Ewan. Come poteva separarsi da lui senza sapere se il gesto che il cantante aveva compiuto avesse un significato profondo o meno? Si accorse che per lei, al momento, era quella la parte peggiore. Puntò lo sguardo verso di lui, finendo di riempire la borsa con i suoi effetti e il ragazzo la notò. Le sorrise e attese che si fu sistemata prima di alzarsi in piedi, imitato proprio da Amelia.

I due salutarono Jacob, rinnovando l’incontro di lunedì, dopodiché si avviarono verso l’uscita. Appena furono fuori Ewan infilò subito gli occhiali da sole, celando gli occhi blu dietro le lenti scure. Mise gli occhiali da vista nella tasca superiore dello zaino e si mise in spalla quest’ultimo. La ragazza rimase a guardarlo compiere quei gesti con il cuore che le martellava per colpa dell’agitazione.

Ewan slegò la bici, fissata a un palo proprio davanti alla porta del palazzo, infine si voltò verso Amelia. Alla ragazza parve quasi imbarazzato, come se non sapesse bene da che parte iniziare ad affrontare un argomento. Decise di prendere lei in mano la situazione, almeno per evitare di vederlo andare via senza aver provato a fare qualcosa. Dalla risposta che avrebbe ricevuto, inoltre, avrebbe anche capito in che direzione sarebbe potuto finire il loro rapporto. «Pensavo, se hai tempo, potremmo andare a prendere un caffè adesso. Prima che tu vada da Edward, intendo» tentò.

Lui sollevò le sopracciglia, come sorpreso da quell’invito. Amelia detestò di non potergli vedere gli occhi in quel preciso momento. Ewan abbozzò un sorriso prima di dire: «Sono già in ritardo, purtroppo.»

Lei capì che non avrebbe avuto il chiarimento che stava cercando e non poté negare a se stessa che la cosa le fece male. Era spaventata da ciò che avrebbe potuto scoprire, ma voleva sapere più di ogni altra cosa. Annuì appena con la testa, non riuscendo a mascherare la delusione. 

Ewan pensò in fretta a cosa fare e alla mente gli tornarono anche le parole degli amici. «Se ti va» iniziò. Amelia lo guardò e lui ebbe un attimo di esitazione, che per sua fortuna riuscì a ignorare. «Potremmo uscire questa sera. Ti devo ancora un giro per Londra.»

Amelia sorrise. «E l’altra sera, allora? Quello non valeva, forse?» chiese. Sperò che l’allusione facesse aggiungere qualcosa al cantante, ma lui parve non farci caso più del dovuto. Si strinse nelle spalle con fare divertito. «Mi sembrava di averti detto che una sola uscita a Londra non sarebbe stata sufficiente per ripagarti del tour di Glasgow.»

È vero, glielo aveva detto. Per la ragazza era bello vedere come lui si ricordasse tutto ciò, come sembrasse non ignorare nulla che la riguardasse. Allora perché continuava a girare intorno al loro bacio senza affrontare la questione? Davvero aveva bevuto così tanto da non ricordarsi più? Era impossibile.

Amelia decise di arrendersi all’andamento dei fatti. Forse non avrebbe fatto chiarezza con il cantante in quel momento, ma aveva comunque un appuntamento con lui ed era qualcosa di molto vicino a una vittoria – anzi, lo era. Finì con il lasciarsi sfuggire un sorriso al pensiero di poter trascorrere un’altra serata un compagnia di Ewan; tuttavia le venne spontaneo chiedersi se sarebbero stati soli. Anche quello avrebbe significato qualcosa. 

«Va bene. Usciamo» rispose infine la ragazza, cercando di rimanere il più calma possibile.

Il sorriso di Ewan si allargò. «Non ci saranno gli altri» le disse, quasi ad avvertirla.

Il cuore di Amelia ebbe un leggero mancamento: sarebbero stati solo loro due. 

«Va bene alle otto da te?» continuò il ragazzo, risvegliando Amelia dal suo improvviso torpore. Lei acconsentì con un leggero ritardo. «Va benissimo.»

«Ottimo. Allora a più tardi.»

Il cantante si avviò dopo aver atteso un cenno da parte della ragazza. Amelia avrebbe voluto salutarlo in un modo migliore che con un semplice gesto, tuttavia non ci riuscì. Il suo “a più tardi” le era morto sulle labbra senza che riuscisse a formularne anche solo l’inizio. Adesso sì che si sentiva nervosa.

 

 

 

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Capitolo 14
*** What You Know ***


 

 

 

“I am leaving, this is starting to feel like | It’s right before my eyes | And I can taste it, it’s my sweet beginning

Two Door Cinema Club. What You Know

 

 

 

St. Petersburgh Pl, Londra, 8 settembre

Ore 8:03 PM

 

Ewan fu puntualissimo quella sera. Quando Amelia arrivò sul marciapiede davanti a casa, il ragazzo era già lì, fermo in piedi con lo zaino su una spalla, una borsa di carta in una mano e la  bicicletta nell’alta. Non sembrava essere arrivato in tutta fretta per recuperare il tempo. Era Amelia a essere in ritardo.

Raggiunse il cantante e lo salutò. Dopo i convenevoli il ragazzo andò a legare il mezzo allo stesso palo del cartello stradale in cui l’aveva lasciato la volta precedente, chiaro segnale che anche quella sera sarebbero rientrati insieme. Mentre Ewan chiudeva il lucchetto intorno al telaio della bicicletta, la ragazza ne approfittò per accennare un’occhiata in direzione della borsa di carta, provando a intuirne il contenuto. «Che c’è lì?» chiese poi.

«La nostra cena» rispose subito lui. «O, meglio, la mia se tu vuoi qualcosa di più sostanzioso. O salutare» concluse, stringendosi nelle spalle.

Amelia aprì la borsa, ormai troppo incuriosita. C’erano patatine, birra e dell’acqua. Ne osservò il contenuto per un po’ chiedendosi cosa avesse in mente di fare il cantante. «Beh, in effetti» disse dopo un po’ di silenzio, «temo ci sia troppa acqua per me. Dovremo fermarci a prendere della birra per strada.»

La sua affermazione strappò una risata sincera a Ewan. Gli piaceva il senso dell’umorismo di Amelia, ogni giorno più del precedente. 

«Che cosa vorresti fare, Hill?» continuò lei, con fare circospetto.

«È una sorpresa» replicò lui con tono ovvio. «Se te la senti di provare.»

Aveva quasi la parvenza di una provocazione, ma molto più velata, uno stuzzicarla per la precisione, e Amelia si lasciò coinvolgere del tutto nella cosa. «Va bene, allora. E da dove si comincia?»

«Dalla Tube.»

Ewan afferrò zaino e borsa e si incamminò insieme alla ragazza, la quale non era affatto sicura di ciò che si sarebbe dovuta aspettare, sebbene ne fosse parecchio incuriosita. Amelia lo seguì fino alla metropolitana, poi sul mezzo, fuori dalla Tube una volta arrivati, e continuò a seguirlo lungo le vie, fino a che raggiunsero il Tamigi. Per tutto quel tempo i due avevano continuato a parlare, di musica per lo più, dalle band che ispiravano il lavoro del cantante a quelle che Amelia ascoltava quando nei suoi auricolari non c’erano gli Shards.

«Siamo quasi arrivati» annunciò Ewan a un certo punto. Camminarono per qualche altro metro, finché lui, d’improvviso, non si fermò. La ragazza se ne accorse diversi passi dopo, per via del fatto che aveva smesso di sentire il piacevole suono della sua voce. Si voltò, trovandolo fermo davanti a una pizzeria al taglio.

«Credo di aver trovato qualcosa di meglio delle patatine» annunciò lui, un sorriso contagioso in volto.

Anche lei sorrise. «Stai davvero aspettando che io sia favorevole alla tua idea?» domandò retorica, sollevando un sopracciglio. 

Il cantante rise. Entrarono nella piccola pizzeria, dove What You Know dei Two Door Cinema Club suonava a volumi abbastanza alti alla radio, e ordinarono una margherita da portare via. Mentre aspettavano che fosse pronta la loro conversazione finì inevitabilmente sul cibo, nello specifico proprio sulla pizza. 

«Penso che sia l’unica cosa che mangerei a qualsiasi ora del giorno» esordì Ewan, tenendo gli occhi fissi sul pizzaiolo.

Amelia acconsentì con un cenno del capo, per poi chiedere: «L’hai provata in Italia?»

Il cantante la guardò con fare ovvio. «Che domande. Mai mangiato niente di tanto buono.»

«Oh, Dio, grazie. Qualcuno che sa cosa significa» esclamò lei. «I miei amici non ci credono.»

«Beh, c’è solo un modo, allora: Italia e pizza italiana» concluse con ovvietà il ragazzo, divertito da quella strana e improvvisata conversazione. Il discorso andò avanti ancora, almeno finché il pizzaiolo non avvisò i due che la margherita era pronta. Più di dieci minuti a parlare della pizza italiana, ad Amelia venne spontaneo chiedersi se sarebbe riuscita a fare una cosa del genere anche con altre persone. Le riusciva così semplice parlare con Ewan. Non giudicava i pareri altrui e ascoltava veramente, dimostrando di prestare attenzione. E quando parlava lui, poi, Amelia lo avrebbe ascoltato per ore. La sua voce gli piaceva moltissimo, calda, piena, eppure leggera e vitale al tempo stesso. Perfetta per un cantante, ma anche per un ragazzo con cui si voleva trascorrere del tempo insieme.

Ad Amelia spettò il compito di condurre la pizza fino al punto in cui Ewan si stava dirigendo – ancora sconosciuto per lei. 

«Ti dispiace se me ne prendo una fetta? Quando è ancora bollente mi fa impazzire.» Il cantante alludeva alla pizza, chiaro, ma la ragazza impiegò qualche istante di smarrimento per capire con esattezza a cosa si riferiva. 

«Oh, certo. L’hai pagata tu» rispose, aprendo il cartone perché lui potesse servirsi.

Il ragazzo ne afferrò una fetta, osservando la mozzarella filare. «Ne vuoi?»

«Con il formaggio a temperatura lavica? No grazie» rise lei. 

Ewan, invece, diede un morso alla punta della fetta, divertito.

«Si può sapere dove stiamo andando?» chiese poi Amelia, ormai troppo incuriosita per riuscire a trattenersi. 

Il cantante finì di masticare prima di rispondere. «Ci siamo quasi, credimi.»

Ed era vero. Prima che lui potesse finire la sua fetta di pizza annunciò che erano arrivati. Scese un paio di gradini in muratura, per poi posare i piedi su una larga distesa di sabbia. Erano arrivati su uno degli argini del Tamigi, uno di quelli su cui le persone potevano scendere per osservare da vicino il fiume che fendeva in due Londra. L’acqua scorreva nera per via della sera, impetuosa e, oltre  essa, si stagliava uno dei molti profili della città. Da lì si poteva vedere un pezzo del London Eye, le mille luci della metropoli a brillare come lucciole nella notte. Era una prospettiva diversa, insolita, e toglieva il fiato. Amelia si sentì piccola davanti a quello spettacolo, con i piedi sulla sabbia e la brezza che le sfiorava le spalle scoperte, scoprendosi più affascinata che mai da quella città. Trovò che Ewan avesse la capacità di scovare sempre qualcosa di nuovo, di offrire una prospettiva diversa anche su cose abituali, come ascoltare la musica o osservare la città.

Mentre lei era impegnata a sciogliere lo sguardo nella città colorata e maestosa, non si accorse che il ragazzo aveva tirato fuori dallo zaino un grosso telo e lo stava posando in terra, in un punto in cui la sabbia non era troppo umida. «Ehi, qui» la chiamò.

Amelia si ridestò; osservò il cantante, poi il telo, infine sorrise, capendo la sua idea. Lo raggiunse, si sistemò accanto a lui e mise la pizza da condividere al centro. Le sembrava tutto perfetto, al punto da desiderare che quel momento non finisse mai; lei, che era sempre stata spaventata dall’eternità per via del bagaglio che costringeva a portarsi appresso.

«Tu non ci vai mai nei ristoranti?» domandò poi Amelia, afferrando una fetta di pizza, che aveva raggiunto la temperatura giusta. 

Ewan stava stappando una birra quando gli venne posto il quesito. Bloccò per un momento la sua azione, ma poi riprese a fare leva sul tappo di alluminio. «Non è andando nei ristoranti che si conosce bene una città» sentenziò con un’alzata di spalle. Allungò la birra alla ragazza. «Anche a Glasgow, dopotutto, eravamo andati in quel pub perché te lo avevo chiesto io, ma poi mi hai portato in giro» proseguì. Prese anche lui una fetta di margherita. «Però se vuoi la prossima volta ti porto in un bel ristorante» concluse, con fare amichevole.

Di tutto quel discorso le parole che rimasero più impresse ad Amelia furono le ultime: ci sarebbe stata una “prossima volta”. Cercò di non farsi distrarre da quel pensiero, perché era abbastanza sicura che altrimenti si sarebbe tradita in qualche modo. Rigirò la bottiglia di birra in mano, pensando che nessuna cena in un ristorante, anche in compagnia di Ewan, avrebbe mai potuto eguagliare quella sera. I posti inusuali, i tagli più insoliti e intimi, era quello il modo in cui lei amava trascorrere il suo tempo, parlando davanti a una birra e una pizza, senza dover per forza dimostrare qualcosa a qualcuno. Su quello il cantante degli Shards sembrava essere sulla sua stessa lunghezza d’onda e la cosa avrebbe potuto arrivare a rappresentare un problema. Amelia provava già qualcosa per il cantante, da prima ancora di conoscerlo, ma quelli non erano reali sentimenti, solo sensazioni. Ora che aveva avuto modo di scoprire la sua personalità, invece, sentiva dentro di sé che qualcosa stava nascendo e cominciava a esserne preoccupata. Cercò di ignorare quel pensiero.

«Non sono una da ristoranti» disse infine, in risposta alla precedente osservazione di Ewan.

Lui le sorrise. «Lo avevo immaginato. In questo ci assomigliamo.»

Per poco lo stomaco di Amelia non si chiuse con un tonfo secco. Anche il cantante pensava che sotto certi punti di vista si assomigliassero e questo l’agitava dall’interno. Avrebbe voluto chiedergli cosa intendesse con quelle parole, chiedergli chiarimenti su ciò che era successo fra loro ormai due sere prima, ma le mancavano le forze. Temeva di sapere la verità, perché aveva paura di rimanerne ferita. Valeva la pena passare quei minuti in compagnia di Ewan parlando d’altro, sulla riva del Tamigi, davanti a una Londra notturna che sembrava uscita da una scenografia. Forse quella conversazione sarebbe arrivata da sé, prima o poi, in qualche modo sarebbe stata tirata in ballo. Si concesse un nuovo morso di pizza, ritrovando l’appetito, decidendo di fare il possibile per ignorare la sua mente e ogni possibile pensiero in grado di distrarla da quel momento. Alzò gli occhi sulla città, senza accorgersi del ragazzo, intento a osservare il suo profilo. Lui trovava che la notte donasse ad Amelia, come se, insieme al rossetto e all’eyeliner, facesse risaltare i tratti del suo viso. Ewan ne aveva conosciute molte di ragazze con la mente artistica e aperta, ma dovette ammettere a se stesso che verso Amelia provava un’attrazione unica. Pensò che fosse in gran parte dovuto al modo in cui si erano conosciuti, a come lei gli fosse entrata nella testa solo lasciando che trovasse un piccolo disegno che avrebbe voluto farsi autografare. Dopo aver fatto amicizia con lei lì, nella sua Londra, il cantante si era convinto che qualcosa lo legasse ad Amelia.

«Vengo spesso qui. Dopo che ho scovato questo posto non sono più riuscito ad abbandonarlo» esordì poi, così da avviare una conversazione.

Amelia si voltò a guardarlo e per un momento, nella sua testa, balenò il pensiero di quanto fosse bello trovarsi davanti gli occhi blu del ragazzo, ora così scuri per colpa della sera. «Ah sì?» chiese, capendo che la frase di Ewan doveva essere più un pretesto che altro.

Lui annuì con la testa.

«E come lo avresti trovato?» proseguì lei.

«Ragazzo della pizza» disse semplicemente il cantante, afferrando la terza fetta di margherita. Lì per lì Amelia non capì cosa intendesse dire con quelle parole, ma proprio quando si convinse di esserci arrivata, lui riprese a parlare: «C’era un tipo che ordinava sempre la stessa pizza; con i carciofi, non lo dimenticherò mai.» Fece una smorfia nel nominare il condimento – i carciofi non erano di suo gradimento. «Lui era un tipo abbastanza simpatico e dava anche delle buone mance. Una sera, però, non era in casa e, beh, ti ho detto cosa facevo quando il destinatario della pizza non si faceva trovare» ammiccò, ricevendo un cenno affermativo da parte della ragazza. «E sono venuto qui. Ho tolto tutti i carciofi dalla pizza, mi sono seduto e poi è venuto a piovere e addio cena tranquilla» concluse, con un’alzata di spalle.

Amelia si mise a ridere. Gli aneddoti di Ewan erano un’altra delle cose che gli piaceva di lui. Era un ragazzo che sperimentava, domandava, viveva. Sapeva che non avrebbe mai potuto stancarsi della sua compagnia perché aveva sempre qualcosa di nuovo di sé da svelare. Trovava davvero triste il fatto che a giorni sarebbe dovuta rientrare a Glasgow, ma, come si era imposta poco prima, scacciò quel pensiero dicendosi di concentrarsi solo su quello che stava avvenendo. Iniziarono a parlare. Amelia chiese a Ewan di raccontarle di più di Londra, di com’era viverci e di cosa potesse offrire al resto dell’umanità. Da quando era arrivata la capitale l’aveva conquistata, al punto che, un paio di volte, l’idea di trasferircisi l’aveva sfiorata. Tuttavia sentiva anche la mancanza di Glasgow e sapeva che se non fosse stato per gli Shards, lei sarebbe di certo tornata nella sua Scozia. Dopotutto era scozzese da generazioni e sentiva un legame viscerale con la sua terra natia. Dopo Londra parlarono di viaggi, dei posti che avevano visto e di quelli che avrebbero voluto visitare – e qui la lista di Amelia era drasticamente più lunga di quella di Ewan, che per via della musica viaggiava di continuo. La ragazza non poté fare a meno di invidiare le possibilità che la sua professione di cantante gli offriva a riguardo, ma trovava bellissimo poterlo ascoltare mentre parlava di quei luoghi, descrivendo le persone, gli ambienti e i colori con un tale trasporto da permettere ad Amelia di vederli alla perfezione davanti a sé. Ewan aveva il dono della parola, che, unita alla sua fantasia e alla sua visione del mondo, gli consentivano di scrivere alcune delle canzoni più belle che lei avesse sentito.

Erano già passate almeno un paio di ore quando la brezza che saliva dal Tamigi, divenne più fresca e intensa. L’odore dell’acqua si mescolava a quello della città, che continuava a brillare nella notte come una fiamma. Amelia strinse le braccia al petto e iniziò a sfregarsi le mani sulle spalle, nella speranza di scaldarsi un po’. Cominciava ad avere freddo; abituata al clima scozzese, quella sera non aveva pensato a portarsi un golfino o la sua giacca di pelle leggera e se ne stava pentendo, soprattutto perché era in canottiera. 

Ewan si accorse del suo gesto. Afferrò lo zaino e lo svuotò dal resto del suo contenuto: una delle sue felpe. Era una delle sue preferite, oltretutto, la letterman nera e bianca. La tese ad Amelia. «Se hai freddo metti questa.»

Lei guardò prima la felpa, poi il ragazzo. «No, beh, non preoccuparti. L’hai portata per te.»

«Sì ma io sto bene. Se la vuoi mettere, tieni.»

Di nuovo la ragazza fece scorrere lo sguardo dall’indumento al viso del cantante. La metteva un po’ in imbarazzo quella situazione, ma non poteva negare che coprirsi le spalle con qualcosa di caldo le avrebbe procurato non poco sollievo. Accettò l’offerta del cantante, aprì la morbida felpa, fece scorrere la cerniera fino in fondo e la infilò, divertita dal fatto che le stesse larga come aveva immaginato. Sembrava di essere avvolti in un caldo abbraccio. La stoffa aveva lo stesso profumo di Ewan, fresco, che le ricordò vagamente quello dell’erba appena tagliata in primavera. 

Il ragazzo si puntellò sul braccio sinistro, avvicinandosi di conseguenza ad Amelia. «Ti sta bene» le disse.

Lei sorrise. Sollevò il colletto con un gesto in perfetto stile Arthur Fonzarelli, per poi arricciare le labbra, fingendosi sovrappensiero. Al ragazzo piaceva quando compiva quel gesto. Trovava avesse labbra troppo belle per non scatenare in lui qualcosa. 

«Potrei tenermela, sai?» chiese retorica Amelia, alludendo alla felpa che indossava. Ewan sorrise, senza aggiungere altro. Nessuno dei due parlò e, mentre si guardavano, il silenzio scese tutto intorno a loro. La ragazza avrebbe voluto distogliere lo sguardo per impedire all’imbarazzo di prendere il sopravvento, ma non riusciva a staccarsi dalle iridi del cantante. E, piano, il suo viso si fece sempre più vicino.

Ewan la baciò per la seconda volta proprio lì, sulla sponda del Tamigi e Amelia non poté fare a meno di sentirsi alle prese con un sogno. Quel bacio fu più intenso del primo ed era chiaro fosse desiderato da entrambi. Amelia avrebbe voluto stringersi a Ewan, ma per via della loro posizione le fu impossibile. Rimase ferma come si trovava, intenzionata a vivere fino in fondo quel momento. Il cantante fece lo stesso; si concentrò sulle sue labbra, morbide come le ricordava, il cui sapore era lievemente alterato da quello della birra. I capelli della ragazza continuavano e venire smossi dal vento e lui glieli scostò con la mano libera, sfiorandole la guancia e provocando in lei un fremito interiore che la percosse da capo a piedi. 

Quando si separarono nessuno dei due seppe cosa dire. La ragazza abbassò lo sguardo sulle sue mani, pensando. Si morse appena il labbro inferiore, il sapore di Ewan ancora presente. Si fece forza, decidendo di chiedergli ciò che la perseguitava da giorni. «Sai volevo...volevo giusto chiederti se l’altra volta mi avessi baciata con intenzione o se lo avessi fatto solo...»

Prese fiato, gesto che diede tempo a Ewan di completare la frase al suo posto: «Solo perché avevo bevuto?»

Amelia sussultò al suono di quelle parole; non si aspettava di sentirle pronunciare proprio da lui. «Non lo avrei detto in modo così diretto» disse, quasi a giustificarsi.

«Oh, non lo metto in dubbio. Avresti usato un elegante giro di parole, ne sono certo» replicò lui con fare amichevole. Non era turbato dalla cosa, né sorpreso. Era solo questione di tempo prima che quell’argomento venisse tirato in ballo. E dopo quello che aveva appena fatto si sarebbe sorpreso se il loro primo bacio non fosse stato nominato. «La tua è una curiosità più che legittima» proseguì. Prese fiato. «Non...non pensare che lo abbia fatto perché avevo bevuto. L’ho fatto perché volevo farlo.

«C’è qualcosa in te, Amelia...che mi piace. Che mi è sempre piaciuto, ancora prima di conoscerti.»

Al suono di quelle parole alla ragazza morì il respiro in gola. Si voltò di scatto per vedere il cantante in volto e lo trovò lì, tranquillo, quasi avesse detto una cosa da tutti i giorni. Aveva il cuore che le batteva a ritmi sfrenati e cercò nella testa qualcosa di sensato da pronunciare per non rimanere ferma imbambolata davanti a lui. Distolse di nuovo lo sguardo, le era difficile mantenere il contatto visivo con tutte quelle emozioni che l’assalivano.

«Non so che dire» mormorò infine.

«Beh, non devi per forza dire qualcosa» la rassicurò lui, con dolcezza. «Ci tenevo solo a fartelo sapere, perché l’altra volta non ho avuto modo di dirtelo.»

«Se penso che è iniziato tutto con quello scarabocchio di Claire» si lasciò sfuggire Amelia, insieme a una risata sommessa.

«Non si può mai sapere, vedi?» Ewan ridacchiò al pensiero di come tutto era cominciato. Avrebbe voluto raccontate ad Amelia il fatto che, in un certo senso, aveva forzato un po’ il destino cercandola sul web, perché era per quel suo volere se lei ora era lì. Tuttavia, sì, tutto era iniziato da quel piccolo disegno, quello “scarabocchio” come la ragazza lo aveva definito, che si era trasformato quasi in un’ossessione per lui, qualcosa di cui voleva assolutamente scoprire l’origine. Ora sentiva di avere fatto bene. Amelia era come l’aveva immaginata prima ancora di incontrarla, anzi, era perfino meglio. Era la sua Penelope, proprio come recitavano i versi della canzone che aveva scritto ispirato dal piccolo disegno di Claire e da quanto successo quella prima volta a Glasgow. Avrebbe voluto dire tutto ciò alla ragazza, ma non lo fece. Quando si voltò verso di lei, Amelia teneva gli occhi fissi su Londra, lo sguardo che rifletteva il baluginare delle luci degli edifici.

«È bellissima, no?» le chiese, accorgendosi con un fremito che non si riferiva solo alla città. Lei annuì, sorridendogli.

Parlarono ancora, mentre i minuti scivolavano via. Quando passarono le due di notte, però, capirono entrambi che era ora di rientrare. Raccolsero le cose, buttarono via le bottiglie vuote e il cartone di pizza, dopodiché chiamarono un taxi perché li riaccompagnasse a casa. Una volta arrivati all’appartamento di Amelia, Ewan l’accompagnò fino all’ingresso, come la volta precedente.  Lì davanti la ragazza fece per togliersi la felpa del cantante, ma quest’ultimo la fermò. «No, tienila. Me la ridai un’altra volta. Non è la mia unica felpa.»

«Non lo metto in dubbio, ma–» Si interruppe al gesto del ragazzo. «Ok, allora. Beh, grazie» balbettò.

«Domani pomeriggio, se ti va, potremmo trovarci allo Starbucks davanti alla sala prove con i ragazzi. Ti portiamo in un posto, se può incuriosirti la cosa» propose.

Amelia sollevò un sopracciglio. «Immagino che non riceverò più informazioni di così» disse. Aveva ormai capito che con gli Shards si sarebbe dovuta aspettare di tutto e, soprattutto, che ogni uscita sarebbe stata una sorpresa. Ewan, infatti, non la deluse. «Lo scoprirai domani» sorrise, eccitato. 

Sorrise anche lei davanti a quel gesto e accettò la misteriosa uscita. «Allora a domani» disse poi, augurando la buonanotte al cantante. Lui fece lo stesso, dopodiché si avvicinò, lasciandole un bacio sulla fronte. Amelia si sentì scaldata da quel gesto delicato, che riuscì a chiuderle del tutto lo stomaco. Si salutarono un’ultima volta e quando la ragazza rientrò e si chiuse la porta alle spalle si portò una mano sul cuore, sconvolta da quanto si sentisse leggera. Accarezzò la stoffa della felpa di Ewan; non voleva sfilarsi quell’indumento, le sembrava di avere il cantante ancora lì, accanto a sé.

 

 

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Capitolo 15
*** Jackie Blue ***


 

 

 

“The whole night through, feels like the truth | I was meant to be with you | I can’t get you off my mind, I think about you all the time | I don’t even have to try, I just think of you

Jack Savoretti. Jackie Blue

 

 

 

Starbucks coffee, Shaftesbury Ave, Londra, 9 settembre

Ore 3:19 PM

 

Quando Ewan entrò al caffè era il primo, situazione che sarebbe stata celebrata dagli amici come un avvenimento, se solo fossero stati presenti. Aveva appuntamento lì per le tre e mezza con Chase, Chris e Trent e, dopo la sera precedente, anche con Amelia. Era stato il pensiero di lei a spingerlo a uscire di casa. La sera prima si era trovato benissimo in sua compagnia; avrebbe voluto dirglielo ma la cosa lo faceva sentire  come un tredicenne alle prese con la prima infatuazione amorosa. Non si sentiva così da tempo, perché era da un po’ che non approfondiva a tal punto la conoscenza con una ragazza. Di solito veniva incluso nella “lista amici” ben prima di avere la possibilità di sfiorare le labbra della persona in questione una sola volta. Con Amelia era diverso. Non sapeva se fosse dovuto al fatto che lui era il cantante della sua band preferita, ma era abbastanza sicuro non fosse per quello. Si era aperto totalmente a lei, le aveva fatto conoscere se stesso, quello che per molti rimaneva nascosto sotto il ruolo di cantante che ricopriva. Sentiva che alla ragazza lui piaceva per quello che era.

Per quanto lo riguardava, invece, Amelia iniziava a piacerle davvero molto. Quella ragazza era stata una sorta di bellissima maledizione, per lui. Si era insinuata nella sua testa prima ancora di saperne le fattezze e il suo pensiero non l’aveva mai abbandonato. Dopo averla vista per la prima volta, dopo quella pioggia di coriandoli che lei aveva pensato bene di provocare, qualcosa nel ragazzo gli aveva urlato che fra loro c’era un legame, quasi fossero predestinati, e lui, che confidava in modo ostinato al destino, vi aveva creduto. Per questo si era sentito rattristato quando Amelia non gli aveva più scritto, al punto da spingerlo a cercare sue notizie in qualche modo. Ora che lei si trovava a Londra, che stava donando una parte di sé per realizzare le grafiche nuove e che stava trascorrendo insieme a lui del tempo, sentiva di aver compiuto tutte le scelte esatte. 

Si passò una mano fra i capelli, sorridendo a quel pensiero. Aveva altro tempo da trascorrere con lei, tempo per farle scoprire ancora più della sua persona e per approfondire ulteriormente la figura della ragazza. Tempo per innamorarsene; perché forse era proprio quello che voleva quando pensava ad Amelia: innamorarsi di lei. Così, almeno, le sue canzoni non sarebbero stati più testi di storie che altri vivevano, ma avrebbero potuto essere rapportati anche alla sua vita, elemento che teneva sempre escluso da gran parte del suo processo di scrittura. Voleva raccontare storie, non parlare di sé, ma se per una volta una di quelle storie si fosse riuscita a ricondurre alla sua vita gli avrebbe fatto piacere.

La figura di Trent entrò nel suo campo visivo. «Domani nevica» disse sarcastico il chitarrista, alludendo al fatto che Ewan fosse arrivato in anticipo sull’orario di ritrovo.

«Ho dormito qui» replicò il cantante con un sorriso.

«Vedo che sei di buon umore. Che avete fatto ieri sera?»

«Penso di piacerle.» Ewan non rispose alla domanda dell’amico, andando dritto al punto, il motivo per cui si sentiva così effervescente.

«Ovvio» replicò piatto l’altro.

Fu chiaro per Ewan che Trent si stava riferendo al fatto di essere il cantante della sua band preferita, ma non diede segno di essere infastidito o perplesso dalla cosa. «No, intendo, di piacerle veramente.»

«È per questo che sei tutto felice e, soprattutto, puntuale?» chiese il chitarrista, alzando un sopracciglio, dopodiché capì tutto. «Viene anche lei, vero?»

Non servì che Ewan dicesse qualcosa perché tutto fu chiaro e, ad ogni modo, Chris e Chase comparirono come tornado prima ancora che gli altri due membri degli Shards potessero prendere fiato.

«In orario?» esclamò Chris.

«In anticipo, vorrai dire, siamo puntuali noi» osservò Chase.

«Ciao ragazzi.» La voce di Amelia interruppe ogni cosa. Si voltarono tutti e dal modo in cui lei e Ewan si guardarono fu chiaro che ci fosse del non detto di tutto rispetto fra loro. L’espressione sorniona tipica di Chase gli si impresse all’istante sul volto e il cantante cercò di ignorarla, così come di ignorare il suo battito cardiaco irregolare. Il rossetto di Amelia faceva risaltare la carnosità delle sue labbra e lui dovette tenere a freno la tentazione di alzarsi e andare a baciarla davanti a tutti, in mezzo a quel caffè.

«Ti ho riportato questa» disse poi la ragazza, mostrando a Ewan la sua felpa. Le dispiaceva separarsi da quell’indumento, ci avrebbe addirittura dormito insieme se la cosa non fosse stata strana. Il cantante afferrò la sua felpa e la ringraziò, mentre i tre amici osservavano la scena come spettatori al cinema. Amelia iniziava a sentirsi sotto pressione. Chase, Chris e Trent avevano sicuramente capito tutto e lei cominciava a essere nervosa a quell’idea. Tuttavia, quando Ewan le sfiorò la mano nel riprendere la letterman, parve riacquistare sicurezza. «Potreste smetterla di fissarci così? È inquietante» disse. 

Il cantante scoppiò a ridere, guardando gli amici divertito.

Chris si arricciò i baffi con fare altolocato. «Solo quando ci avrete raccontato tutto, voi due» li bacchettò.

«Prima vorrei sapere dove andiamo. Come al solito non so nulla» proseguì ostinata Amelia.

«Come “non sai nulla”?» esclamò Chase. Mise un braccio intorno alle sue spalle, stringendola a sé. «Non sei una nostra fan?»

Lei stava per replicare che non capiva il senso del suo discorso, essere una fan di un gruppo non significava conoscere ogni abitudine a riguardo, ma venne attraversata da un pensiero. «L’intervista alla BBC Radio 1» disse tutto d’un fiato.

«Ding! Indovinato. Vinci un caffè» esultò il batterista e andò a prendere da bere per entrambi.

«V-volete davvero portarmi con voi? Ma potete farlo?» domandò Amelia. Sembrava sconvolta e Ewan sperò che fosse un bene. 

«Tecnicamente no» rispose Chris. «Ma lo abbiamo già fatto.» 

«Più di una volta» aggiunse Ewan. «Se non ti va non sei costretta a venire» volle rassicurarla.

«No mi va, eccome» esclamò. Cercò di darsi un contegno. Entrare in una radio era una delle cose che avrebbe voluto fare prima di morire, ma che già sapeva non avrebbe mai fatto, almeno prima di conoscere gli Shards. Troppe cose impensabili le stavano succedendo; aspettava solo il momento del risveglio. 

«Così ti immergi un po’ nel nostro stile di vita» riprese Chris. «Ah, giusto, come vanno le grafiche?»

«Vanno bene» rispose lei, che non riuscì a capire il senso della domanda piazzata durante quella conversazione. «Forse non riuscirò a finire entro il 14 ma le ultime cose posso sistemarle anche a Glasgow.»

Notò Trent lanciare uno sguardo al proprio cantante e dedusse che doveva esserci qualcosa sotto.

«C’è un’altra cosa» prese parola Ewan.

«Cosa? Insieme a voi ci saranno i Kodaline?» chiese la ragazza, cominciando a sentirsi piuttosto in ansia. Si appoggiò allo schienale della sedia, pensando che così avrebbe avuto tempo sufficiente per mettersi a sedere prima di crollare a terra in caso di una notizia shock. 

Il cantante si dipinse in volto un sorriso perfetto, che per un attimo fu in grado di scacciare ogni sensazione opprimente dal corpo di Amelia. «Eddie ti ha prorogato la permanenza di un altro mese. Vorremmo che lavorassi anche alle grafiche del merchandising.»

Eccola la notizia shock. La ragazza si mise a sedere, gli occhi spalancati. Non poteva credere a quello che le aveva appena detto. Un altro mese a Londra. Altri trenta giorni in compagnia della sua band preferita, in compagnia di Ewan e la possibilità di mettere la firma nei lavori grafici del  merchandising degli Shards, qualcosa che veniva venduta online in tutto il mondo, portata con orgoglio dai fan, sfoggiato nei negozi. 

«Non mi state prendendo in giro, vero?» domandò con un filo di voce, incredula. I ragazzi scossero la testa. Era stato Ewan a insistere con il manager. Il giorno prima, quando aveva dovuto salutare Amelia sotto all’ufficio di Jacob per  quell’appuntamento a cui era “già in ritardo”. Sapeva di averlo fatto per trascorrere più tempo con lei, ma era innegabile che fosse più che felice di avere anche la nuova merce degli Shards con la firma di quella giovane artista scritta sopra. La trovava estremamente brava e il suo stile era proprio ciò che cercava in quel periodo. Attraverso un detto si sarebbe potuto sostenere che l’utile si univa al dilettevole.

«Di solito non scherziamo quando si parla di lavoro» disse Trent, austero.

«Jacob ti telefonerà domani mattina, fingiti sorpresa dalla notizia» le suggerì il cantante, facendole l’occhiolino.

«Non so cosa dire» mormorò la ragazza, un ammasso di emozioni dentro in grado di annichilirla. Era felice, tremendamente felice, ma sconvolta e sorpresa al tempo stesso.

«Beh, dicci solo se accetti oppure no. E di’ la stessa cosa a Jacob domani quando ti chiama» le rispose Ewan.

«Certo che accetto» replicò subito lei, ritrovando il controllo delle sue sensazioni. Cercò di classificarle: gioia, stupore, incredulità, ansia, gratitudine. Le mise tutte in fila e cercò di assimilarle, sebbene fossero tutte emozioni difficili da controllare, soprattutto davanti a Ewan.

«Ecco il tuo mocaccino Ami» disse Chase appena ricomparve fra i quattro, posando un bicchiere di carta sotto al naso della ragazza e canticchiando parole a caso di quella che lui sapeva essere Jackie Blue di Jack Savoretti. Avevano bevuto caffè insieme più volte e lui ormai sapeva cosa ordinava la ragazza. «Che mi sono perso?» 

«Amelia ha deciso di accettare la proroga sul lavoro» lo informò Trent, alzandosi poi dal suo posto a sedere. «Ora però è meglio se andiamo» concluse, senza dare tempo al batterista di festeggiare la ragazza come avrebbe voluto. Chase le regalò uno dei suoi sorrisi più contagiosi quando lei lo ringraziò per il mocaccino. Mentre gli Shards si avviavano verso l’uscita Amelia disse loro che li avrebbe raggiunti subito, giusto il tempo di zuccherare la bevanda.

Ewan rimase indietro con lei. «È tutto a posto?» le chiese, osservandola versare una generosa dose di zucchero sulla schiuma.

Lei alzò lo sguardo sul cantante. Le era vicino, molto, al punto che le sarebbe bastato allungare appena il collo per baciarlo; e aveva voglia di farlo. Resisté alla tentazione – erano insieme al resto dei ragazzi ed era anche sicura che nel caffè qualcuno li avesse riconosciuti – rispondendo alla domanda che le aveva fatto. «Sì, è tutto a posto. Solo, beh, troppe belle notizie tutte insieme. Mi hanno un po’ destabilizzata. In senso buono, intendo» volle precisare. Il cantante le sorrise, dopodiché i due si ricongiunsero al resto del gruppo, in attesa sulla strada. Si avviarono verso la sede della BBC Radio utilizzando la metropolitana. Gli Shards si sentivano a loro agio a muoversi per la città sui mezzi pubblici, il fatto di non essere riconosciuti di frequente giocava in loro favore. Amelia passò il tempo a chiacchierare con Chris e Chase, di cui le piaceva molto la compagnia, ma scambiava di continuo sguardi con Ewan. Si sentiva al settimo cielo, per quello che era avvenuto con il cantante, per la notizia che le aveva dato quella mattina sulla possibilità di rimanere a Londra, per il fatto che la stessero accompagnando in una delle radio britanniche più famose. Tutto ciò quasi la  disorientava per quanto la facesse stare bene. Sentiva un senso di leggerezza al petto e, quando scambiò una nuova occhiata con Ewan, capì che stava succedendo: si stava innamorando di lui; del vero lui, non del cantante degli Shards, ma del ragazzo sempre in ritardo che amava la pizza, il canto e la musica. Quello che andava ovunque in sella alla sua  bicicletta, che comprava la birra nei negozi di alimentari aperti ventiquattr’ore, a cui Londra piaceva molto più di notte che di giorno. Quella consapevolezza la spaventò, perché ciò che portava con sé era un’incognita. Sarebbe finita come con Eric? O, peggio, con Richard? Oppure ci sarebbe stato un lieto fine, almeno per una volta? Il suo passato si ostinava a non volerla lasciare in pace ed era come se qualcuno le premesse con forza un pugno all’altezza dello stomaco. Tuttavia, alla vista di Ewan, quella sensazione opprimente si affievoliva.

Amelia continuò a seguire i quattro fuori dalla Tube, lungo alcune strade di Londra, finché l’edificio della BBC, sede delle radio, non comparì in lontananza. Davanti agli ingressi c’erano alcune transenne e personale della sicurezza e, lì vicino, un numero abbastanza nutrito di persone. Erano fan degli Shards, in attesa della band. I quattro ragazzi non parvero affatto turbati dalla cosa. Proseguirono con passo tranquillo, diretti proprio verso quella schiera di persone e quando qualcuno li riconobbe e la voce si sparse fra il resto dei presenti, li salutarono come fossero tutti loro amici. Chiacchierarono con loro, si fecero foto insieme, ed erano socievoli e alla mano. Si stavano   comportando allo stesso modo in cui avevano fatto con Amelia da quando l’avevano incontrata la prima volta. Erano quattro ragazzi sorprendenti ed era chiaro che amassero stare insieme ai loro fan, gli stessi per cui componevano le loro canzoni.

Si fermarono il tempo sufficiente per fare in modo di accontentare quante più persone possibili, ma alla fine si avviarono oltre l’ingresso della sede della radio, salutando tutti e seguiti da Amelia, che si sentiva più fortunata che mai per l’occasione che stava avendo la possibilità di vivere. Come varcarono la soglia dell’edificio furono subito accolti da una donna, la quale si avvicinò sorridendo ai quattro. «Shards, benvenuti» disse. Scambiò una stretta di mano con ciascun componente della band e arrivata ad Amelia si bloccò, interdetta.

«Ehm, lei sarebbe con noi, se la cosa non crea disturbo» intervenne Chris, con il suo tono più innocente, a cui risultava impossibile dire di no. La donna – Elizabeth Woods – infatti, cedette subito. «Oh, no, nessun disturbo. Provvedo a farti arrivare un pass da visitatore» le disse, scambiando una stretta di mano anche con Amelia. Lei la ringraziò e se ne tornò in silenzio, ad assistere da spettatrice a quell’aspetto della vita degli Shards.

Il pass che le diedero, con la scritta visitor a caratteri cubitali, le dava la possibilità di girare  liberamente per la sede, fatta eccezione per alcuni luoghi – un po’ come l’ala ovest de La bella e la bestia. Tuttavia lei non aveva dubbi su ciò che avrebbe voluto fare e seguì la band, guidata da Elizabeth, fino alle sale in cui avrebbero avuto la diretta audio.

Prima che la trasmissione iniziasse fu tutto uno stringersi di mani, scambiarsi convenevoli e sorridersi, al punto che tutto ciò quasi arrivò a stancare Amelia. Per sua fortuna, però, quando gli Shards e il dj infilarono le cuffie cambiò tutto. Lei rimase nella cabina di regia, oltre quel vetro che separava il punto in cui il gruppo stava svolgendo l’intervista. In un angolo della sala c’erano una chitarra acustica e una tastiera elettrica, cosa che le permise di capire che, presto, ci sarebbe stata anche della musica. Rimase ad ascoltare i ragazzi parlare del più e del meno, mentre l’intervistatore sottoponeva loro tutta una serie di domande. Ridevano, rispondevano con leggerezza e tirarono in ballo una serie di argomenti diversi. Parlarono della tour che avevano concluso in luglio, di quella che avrebbero iniziato in gennaio, negli Stati Uniti. Quando Ewan parlava di tutto ciò i suoi occhi erano inondati di una luce vivace, eccitata. Era chiaro che amasse profondamente girare per il mondo insieme alla sua musica, suonare dal vivo in quanti più posti possibili, davanti ai propri fan. Quella era la sua vita, ormai e lui amava viverla. Dopotutto, un’anima vitale e artistica come la sua non avrebbe potuto fare altro se non scegliere una strada del genere, insieme a tre amici fidati e tantissima voglia di non fermarsi mai. Amelia si chiese come sarebbe stato passare i propri giorni accanto a Ewan, se fosse il tipo che portava con sé la propria ragazza durante le lunghe tournée o se invece si facesse aspettare a casa, telefonando ogni giorno per sentire se era tutto a posto. La sua mente stava cominciando a correre troppo e lei pensò bene di fermarla prima che fosse troppo tardi. Tornò a concentrarsi sull’intervista che si stava svolgendo sotto i suoi occhi. Vi aveva appena teso l’orecchio quando l’intervistatore disse: «Adesso in scaletta abbiamo una canzone.» Lasciò cadere la frase, chiaramente volendo che fossero gli Shards a proseguire.

Ewan non si fece attendere, segnale che ormai era avvezzo alle interviste e ai trucchi dei vari giornalisti. «Sì, esatto. È il nostro ultimo pezzo. Lo abbiamo suonato una sola volta dal vivo, a Glasgow. Si chiama Penelope.» D’istinto sollevò lo sguardo verso la cabina di regia, dove avrebbe dovuto esserci Amelia, ma il vetro era oscurato e lui riuscì solo a vedere il suo stesso riflesso. La ragazza, invece, lo vedeva alla perfezione e si sentì arrossire.

I ragazzi si disposero nei rispettivi posti mentre la regia mandava un po’ di pubblicità e quando tornarono in onda il dj presentò il brano e lasciò alla band il giusto spazio. Penelope iniziò in una versione acustica che tolse il respiro ad Amelia. La voce calda e piena di Ewan ricamava le parole con trasporto e lei riusciva a sentirlo prendere fiato a ogni nuova strofa. La ragazza non poté fare a meno di pensare a tutto ciò che ruotava attorno a quella canzone. A detta del cantante, Penelope era nata dopo il disegno che lei gli aveva infilato in tasca durante il loro penultimo concerto di Glasgow, per tale ragione sentiva di avere un legame speciale con quel pezzo. Si ricordava ancora come si era sentita la prima volta che l’aveva ascoltata, quando Ewan, dal palco, aveva detto che quella canzone era dedicata alla persona che le aveva fatto quel disegno, chiunque fosse. Le era sembrato che in tutta la The SSE Hydro ci fossero stati solo loro due, la fan e il cantante. Il brano l’aveva toccata come nulla prima di quel momento. Aveva sentito di esservi legata, come se parlasse di lei, come se fosse la sua canzone, quella che racchiudeva nei propri versi la sua intera vita. Per tale ragione quando il concerto era finito era corsa a casa, a prendere il tubo di coriandoli che aveva lasciato nella sua stanza per mesi, decidendo di fare la follia che, alla fine, l’aveva condotta fin lì. Anche con tutta la spietata onestà di cui era in possesso, non avrebbe mai potuto dire che sarebbe andata a finire così, né tanto meno che avrebbe avuto il coraggio di attirare l’attenzione degli Shards a quel modo. Mentre la voce di Ewan continuava a riempirle la testa con le meravigliose parole di quella canzone, Amelia capì che se non avesse agito in modo impulsivo quella notte a Glasgow, lei ora non sarebbe stata lì, ad ascoltare cantare dalla cabina di regia della BBC radio il ragazzo che, un giorno alla volta, riportava dentro di lei quei fremiti che sembravano averla ormai abbandonata.

Il suo cellulare prese a vibrare nella borsa e la sua concentrazione venne meno. Imprecò mentalmente contro chiunque la stesse chiamando, decidendo di non rispondere. Non voleva perdersi una sola nota di Penelope, specie in quella versione acustica in grado di lasciare senza fiato. Controllò per scrupolo chi la stesse chiamando, ma appena lesse il nome in sovrimpressione capì che non poteva rinunciare: era Edward Jones.

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Capitolo 16
*** Dive ***


 

 

 

“And I could live, I could die | Hanging on the words you say | And I’ve been known to give my all | Sitting back, looking at | Every mess that I’ve made”

Ed Sheeran. Dive

 

 

 

Appartamento di Amelia, St. Petersburgh Pl, Londra, 10 settembre

Ore 8:23 AM

 

Amelia allungò la mano ad afferrare la tazza, bevendo un sorso dell’infuso alla menta contenuto al suo interno. Infusi alla mente e mocaccino, erano quelle le due cose che beveva ogni volta che si metteva a lavorare. In verità la sua bevanda preferita rimaneva quella alla menta, ma da quando lavorava fuori casa, nei caffè soprattutto, aveva anche iniziato a fare ampio uso di sostanze a base di caffeina. Si passò una mano fra i capelli, dopodiché guardò il lavoro che stazionava sullo schermo del portatile nel suo insieme. Era la grafica di Penelope. A differenza di tutte le altre, Ewan le aveva dato completa libertà per quel lavoro, come fosse stato certo che qualsiasi risultato ottenuto dalla ragazza sarebbe stato perfetto. La cosa aveva messo addosso ad Amelia una pressione ineguagliabile, soprattutto dopo la telefonata che aveva ricevuto il giorno prima da Edward, proprio mentre gli Shards suonavano una versione acustica di quella canzone. Il manager della band l’aveva chiamata solo per darle notizia ufficiale di quanto Ewan le aveva anticipato poche ore prima. Tuttavia, nella conversazione che ne era seguita, alla ragazza era parso di leggere un lieve insoddisfazione per il dilatarsi delle tempistiche di consegna. In verità Amelia si sentiva a un ottimo punto, così come Ewan e Jacob, ma forse Edward voleva un lavoro che fosse più veloce. Lei non ne aveva parlato con il cantante. Aveva deciso di dedicare ogni ritaglio del proprio tempo al disegno, rinunciando anche a qualche ora di sonno, come aveva fatto per alcune delle poche commissioni che le avevano dato speranza negli anni precedenti. Nonostante un inizio titubante, il cosiddetto “panico da foglio bianco”, la ragazza era riuscita a dare vita a un disegno di tutto rispetto per la canzone di Penelope e lo aveva fatto cercando di rappresentare ogni emozione, perfino quella più insignificante, che provava quando ascoltava quella canzone.

Il cellulare che aveva accanto al pc trillò, l’icona di un nuovo messaggio WhatsApp apparve sullo schermo. Era Pani.

 

Ricordati di chi è stato a rispondere alla telefonata di Jacob mentre tu eri sotto la doccia.

 

Amelia rise. Aveva raccontato tutto quello che era successo negli ultimi due giorni alla migliore amica e questa sembrava non avere voglia di smettere di parlare della questione. Anche quella mattina Pani aveva tirato di nuovo in ballo l’argomento, senza apparente motivo, e avevano iniziato a discutere della cosa nonostante Amelia tentasse in ogni modo di zittire la coinquilina. Pani era la cosa che più le mancava di Glasgow; stare lontana da lei un altro mese le dispiaceva, tuttavia l’amica le aveva garantito che ne valeva la pena. “Parliamo degli Shards” le aveva detto, consapevole di quanto Amelia amasse la band – ora anche più di prima.

Amelia non rispose al messaggio, posò il telefono con lo schermo rivolto al tavolo e diede una nuova occhiata al disegno che ancora dominava lo schermo del portatile. Eseguì solo un altro paio di righe sulla tavoletta grafica prima che il suo smartphone suonasse di nuovo. Diede una rapida occhiata alla notifica della chat, convinta fosse Pani che non ne voleva sapere di venire ignorata, ma si sbagliava, il messaggio era di Ewan. Fu semplice e diretto, rispecchiando alla perfezione il suo stile.

 

Che ne dici se stasera ti porto in un posto?

 

Un messaggio vago. Dopotutto cos’altro si poteva aspettare? Dopo aver conosciuto gli Shards aveva imparato che, quando si parlava di loro, le cose diventavano chiare solo quando ci si trovava in mezzo a esse. Eppure la cosa non la infastidiva, al contrario. Ormai si fidava di loro e sapeva che, ovunque l’avessero accompagnata, si sarebbe trovata alle prese con qualcosa di inatteso e sorprendente. La loro era un’abilità. Tuttavia cercò ugualmente di provare ad avere qualche informazione in più, come ogni altra volta.

 

Immagino non possa avere un’anteprima di questo ipotetico posto... 

 

Scrisse. Tornò a concentrarsi sul disegno, ma attese la risposta del cantante con impazienza. Tutte le volte che si scrivevano per lei era così; aspettava la risposta del ragazzo, quasi la bramava, salvo poi lasciar passare qualche minuto prima di scrivergli per non dare l’impressione di essere sempre attaccata al telefono. Sapeva che anche quel suo comportamento era un segnale, ma si ostinava a ripetere a sé stessa che non volesse dire tutto, sebbene ormai le fosse chiaro che i sentimenti che provava per Ewan diventavano ogni istante più intensi. Arrivò il messaggio di risposta, che lei si costrinse a leggere solo dopo qualche minuto.

 

Se te lo dicessi non sarebbe una sorpresa.

 

Sorrise. Si chiese come fosse stare insieme a Ewan. Avrebbe continuato a esserne sempre affascinata come lo era in quel momento o prima o poi anche lui avrebbe smesso di intrigarla? Scacciò subito quel pensiero. Lei e Ewan non stavano insieme, non erano una coppia e il solo fatto che si fossero baciati due volte non significava nulla. L’esperienza le aveva insegnato alcune cose, dopotutto.

 

Ah, allora non mi lasci altra scelta.

A che ora?

 

La risposta del cantante non si fece attendere, cosa che provocò in Amelia un moto di gioia a suo parere irrazionale.

 

Alle 8.30 PM sono da te.

 

Lei si disse d’accordo con una emoticon, ma poi le fu impossibile chiudere subito la chat. Iniziò a scorrere a ritroso le conversazioni avute con Ewan, sorprendendosi di quando si fossero scritti dal momento in cui si erano scambiati il numero. Il cantante tornò online e lei subito chiuse la chat, improvvisamente imbarazzata, spingendo lontano lo smartphone. Si diede della stupida, dicendosi che quell’atteggiamento andava bene per una ragazzina di quindici anni, non per una che ne avesse almeno dodici in più. Tuttavia Ewan le faceva quell’effetto e per quanto lei si sforzasse di ignorare il fatto che si trattava del cantante degli Shards, quel dettaglio non era per niente insignificante. 

Tornò a concentrarsi sulla grafica di Penelope, guardando d’improvviso il lavoro con occhi diversi. Qualcuno che ne capiva di psicologia avrebbe sicuramente visto di più, in quel disegno, di una coppia si ragazzi – il cui volto era in ombra, quindi impossibile da interpretare – che cercano di afferrarsi mentre una lingua di fuoco, l’unico elemento a colori, riempiva lo sfondo alle loro spalle. Amelia si chiese come sarebbe apparso quel suo lavoro su un grande schermo, mentre luci e programmi di computer ne muovevano linee e forme per dargli vita. Avrebbe avuto la pelle d’oca per l’emozione, lo sapeva. Quel pensiero, pur collegato agli Shards e a Ewan, le consentì di distrarsi dalla prospettiva dell’appuntamento con il cantante, in cui sarebbero andati in quel luogo “misterioso” che non aveva avuto modo di conoscere ancora. 

Terminò il suo infuso e riprese a disegnare, in attesa delle otto e trenta di quella sera.

 

 

 

 

St. Petersburgh Pl, Londra, 10 settembre

Ore 8:28 PM

 

Data la puntualità di Ewan l’ultima volta, Amelia decise di scendere di casa così da essere in perfetto orario. Tuttavia il cantante sembrava essere tornato alle vecchie abitudini. La ragazza aspettò per più di cinque minuti, canticchiando fra sé le parole di una canzone degli Shards. Si sistemò la gonna e la giacca di pelle – di cui quella sera si era munita – quando sentì un clacson suonare. Sollevò lo sguardo, incuriosita, cercando di capire se stesse succedendo qualcosa in strada, ma non vide nulla di eclatante. Il clacson suonò ancora e lei si accorse della Golf nera parcheggiata al lato del marciapiede. Il finestrino dell’auto si abbassò e Amelia poté riconoscere Ewan.

«Ciao» la salutò lui, facendole cenno di raggiungerla.

La ragazza rimase interdetta; non si aspettava di vederlo in auto, era convinta che il ragazzo sarebbe arrivato in bici, come suo solito, scendendo agile dalla sella, il viso arrossato per la corsa. Tuttavia ignorò la cosa e si avvicinò alla macchina, abbassandosi all’altezza del finestrino. «Dove hai lasciato il tuo destriero?» domandò con fare scherzoso, alludendo alla bicicletta.

Ewan lo capì subito. Sorrise, sollevando le sopracciglia. «Sono venuto in carrozza, questa sera. È decisamente più comoda visto dove dobbiamo andare.»

Invitò Amelia a salire e lei si sistemò sul sedile del passeggero. Diede d’istinto un’occhiata all’auto, notando diversi fogli sparsi sul cruscotto, il cellulare in carica, lo stereo acceso. C’era una bottiglietta d’acqua incastrata nel piccolo portaoggetti vicino alla leva del cambio e alcuni indumenti sui sedili posteriori, insieme allo zaino e a una delle innumerevoli giacche letterman di Ewan.

«Sì, c’è un po’ di caos» disse lui, a motivare la situazione della propria auto. Non aveva la fissazione della macchina, faceva abbastanza fatica a tenerla in ordine e tirata a lucido.

«Dovresti sapere che non sono il tipo che bada a queste cose» rispose Amelia.

Il cantante ingranò la marcia e si avviò lungo la via. Abbassò appena il volume della radio, così che non disturbasse la conversazione con la ragazza.

«Ora posso sapere dove stiamo andando?» insisté lei. Le piaceva l’alone di mistero che aleggiava intorno agli Shards, ma il fatto che Ewan fosse passata a prenderla in macchina voleva di certo dire che non sarebbero stati nel centro di Londra e la cosa le provocava una strana sensazione.

Il ragazzo fece schioccare la lingua. «Te l’ho detto, è una sorpresa. Piuttosto, hai cenato?» le chiese, sovrappensiero.

Lei annuì e si arrese all’idea di dover aspettare che l’auto venisse fermata per scoprire in che posto erano diretti. Cominciarono a parlare. Amelia osservava fuori dal finestrino la città che scorreva, luminosa come ogni altra sera. Non si accorgeva delle occhiate sfuggenti che ogni tanto Ewan le lanciava. Lo speaker radiofonico annunciò il prossimo pezzo e subito iniziò Dive di Ed Sheeran. Dopo le prime strofe, però, il ragazzo allungò il proprio telefono ad Amelia, invitandola a scegliere della musica da ascoltare. Lei impiegò un po’ di tempo; quella canzone di Ed Sheeran le piaceva e temporeggiò apposta per poterne sentire il più possibile. Poi, proprio come la prima volta in cui erano usciti insieme per le strade di Londra, la ragazza fece partire come prima canzone un pezzo dei The Vaccines. Si decise anche a farsi forza e a chiedere a Ewan che tipi fossero, dato che avevano suonato insieme già un paio di volte in qualche festival. Prima d’allora non aveva mai avuto il coraggio di fare una domanda del genere a nessuno dei membri degli Shards, incluso Chase che, quasi sicuramente, le avrebbe risposto più che volentieri. Temeva che la considerassero fuori luogo, il classico quesito che può venire formulato da una fan alla ricerca di gossip. Tuttavia in quel momento decise di tagliare la testa al toro e soddisfare la sua curiosità. Ewan non parve affatto infastidito dalla domanda, al contrario. Rispose alle curiosità della ragazza e da lì il discorso si spostò anche su altri gruppi musicali che Amelia seguiva e che lui aveva la fortuna di conoscere – primi fra tutti i Kodaline.

Viaggiarono a lungo, allontanandosi da Londra, diretti verso la M11. Il cantante aveva voglia di guidare quella sera e, soprattutto, di portare Amelia in un posto che le sarebbe rimasto bene impresso, dove lui era finito una volta, prima di diventare famoso, in seguito a un viaggio con alcuni amici e un serbatoio non pieno a sufficienza.

Quando le strade cominciarono a essere meno fitte, sinonimo del fatto che stavano abbandonando la metropoli, la ragazza iniziò a sentirsi nervosa. Un alone di mistero andava bene, ma quella situazione cominciava davvero a preoccuparla. Ewan sembrava non avere intenzione di fermare l’auto e le case si facevano via via più rade, lasciando spazio alla campagna e alla notte. Si chiese che intenzioni avesse il ragazzo e le venne spontaneo temere di aver lasciato intendere cose del tutto sbagliate. Si ritrovò a sperare che anche lui non appartenesse a quel gruppo di ragazzi più interessati al suo corpo che alla sua persona e temette di essere stata fraintesa in qualcosa, anche se non sapeva cosa. Era davvero a disagio, ora, e Ewan avrebbe dovuto accorgersi del suo improvviso silenzio, se non fosse stato troppo occupato a parlare.

Il cartello della Contea dell’Essex sfrecciò accanto all’auto e i due proseguirono ancora lungo la strada finché, più di un’ora dopo la loro partenza, il cantante accostò su un lato della strada, vicino a un campo, nel nulla più assoluto. Amelia si guardò intorno, terribilmente nervosa. Che intenzioni aveva quel ragazzo? Il cuore le batteva all’impazzata per la preoccupazione, ma fece del suo meglio per mantenere la calma, maledicendosi mentalmente per aver messo la gonna e non un paio di jeans, magari di quelli stretti e lunghi.

«Ci siamo» annunciò Ewan con un sorriso. Spense il motore e guardò Amelia, sorridendole. Lei, per quanto agitata e rossa in volto al timore di quello che sarebbe potuto avvenire da lì a poco, non riuscì a non pensare a quanto fosse bello quel sorriso.

Il cantante scese dall’auto e si stiracchiò un po’, prendendo una lunga boccata di quell’aria notturna fresca e piacevole che aleggiava tutt’intorno. Si chinò per vedere Amelia, ancora seduta in macchina nel vano tentativo di rendersi piccola e invisibile. «Scendi» la invitò.

Lei eseguì, titubante. Ewan si infilò la sua letterman e afferrò dal sedile posteriore gli indumenti incomprensibili che vi erano appallottolati e che la ragazza identificò come delle coperte. I due si guardarono per un lungo momento e Amelia si sentì avvampare. Avrebbe voluto dire qualcosa ma non le uscivano le parole. Il ragazzo intuì che qualcosa non andava – sebbene non capisse cosa – e pensò bene di spiegare alla ragazza perché l’aveva sottoposta a più di un’ora d’auto. «Che te ne pare?» le chiese. Spalancò le braccia verso il cielo, alzando lo sguardo sulla notte.

Lei inarcò un sopracciglio, perplessa. Per la prima volta da quando aveva conosciuto Ewan non capiva cosa cercasse di farle intendere. Alla fine seguì il suo sguardo, sollevandolo verso il cielo. E capì tutto. C’erano un’infinità di stelle sopra di loro, quante lei era sicura di non averne mai viste. Ewan non aveva intenzione di farle chissà che in quel posto, voleva solo mostrarle una prospettiva che in una città come Londra, o anche solo Glasgow, era impossibile da trovare. Il turbamento le scivolò di dosso quando capì tutto. Guardò il cantante e si lasciò sfuggire un sorriso. «Tu sì che sei capace di sorprendere» gli disse e lo pensava davvero.

Lui rise, illuminandosi. La invitò a sistemarsi sul cofano dell’auto, accanto a lui, la testa posata sul parabrezza, gli occhi al cielo.

«Non è molto comodo» ammise Amelia quando si fu sistemata. Tirò giù la gonna, che le si era alzata mentre cercava di sedersi e si sistemò nel modo che le fosse più confortevole possibile, sentendo il corpo di Ewan accanto al suo. «Però ne vale la pena» ammise, davanti a quell’oceano nero e argentato che ora si trovava davanti. Il ragazzo le diede ragione e lei proseguì: «Di’ un po’, questo posto come lo hai trovato?» gli chiese, sperando che dietro vi fosse un altro di quegli aneddoti unici che solo lui sembrava in grado di raccontare.

Lui, infatti, non la deluse. La storia fu piuttosto semplice e coinvolgeva un Ewan di ventiquattro anni appena compiuti, un viaggio in auto con alcuni compagni di college ed errati calcoli su dove e quando effettuare le soste per i rifornimenti. «Eravamo convinti di arrivare giusto in tempo a Londra» raccontò il cantante ad Amelia, che stava già ridendo a immaginare la dinamica del viaggio. «Siamo rimasti a secco in questa zona, chilometro più, chilometro meno. Era luglio ed erano le dieci di sera passate. Abbiamo iniziato a spingere l’auto con l’illusione di riuscire a rientrare.» Si mise a ridere al ricordo. «Poi ci abbiamo rinunciato. Abbiamo chiamato un carro attrezzi e ci siamo sdraiati sul prato nell’attesa. Era una sera limpida quanto questa, puoi immaginare a che spettacolo assistemmo.»

«Direi di sì.»

«Quando vivi in una città come Londra quasi ti dimentichi di quante stelle ci sono.»

Amelia lo guardò di sottecchi. L’anima da sognatore di Ewan stava facendo capolino ed era in grado di dimostrare come potesse quel semplice ragazzo scrivere canzoni tanto belle. Venne attraversata da un brivido; si disse che doveva essere colpa del fresco della sera e si coprì con la coperta che il cantante le aveva porto in precedenza. Ne offrì un lembo anche a lui, ma quest’ultimo declinò l’offerta, dicendo che stava bene.

«Ti ha chiamata Jacob questa mattina?» volle sapere poi Ewan. Doveva capire se poteva parlare del mese di permanenza aggiuntivo di Amelia senza che venisse a galla il fatto che lui le aveva anticipato tutto prima dell’effettivo consenso del manager.

«Mi ha chiamato Edward. Ieri.»

Il ragazzo si voltò di colpo a guardarla. «Eddie? Perché?»

«Per la cosa della proroga.»

«Sì, certo. È solo che, beh, ero convinto ti avrebbe chiamata Jacob.»

Sembrava sorpreso. Amelia pensò che forse il manager fosse abbastanza nuovo a questo genere di mosse, all’apparenza immotivate. Tuttavia era convinta che la chiamata dell’uomo avesse anche un altro scopo di fondo, una specie di messaggio subliminale per farle capire che una proroga di un mese poteva anche andargli bene, ma oltre era fuori discussione. Tentò di sondare un po’ il terreno, magari lui era a conoscenza di qualche informazione in più.

«Senti ma» esordì, in cerca delle parole più appropriate, «pensi che per Edward sia troppo lenta nel lavorare?»

Ewan sbuffò appena. «Cosa ti ha detto?» chiese, con la voce di chi stava pensando di fare “un bel discorsetto” al proprio manager.

«Niente di che, in realtà. Solo che lo ha detto in un modo che mi ha fatto pensare che, forse, avrebbe voluto le grafiche finite in questo mese, invece che vederne solo una parte.»

«Se non ti ha detto niente di preciso allora puoi stare tranquilla» la rassicurò. «Eddie è, beh, un po’ pignolo. E un vero e proprio rompiscatole delle volte. Ma non ha problemi sul tuo modo di lavorare, ne abbiamo parlato. Solo che, come ogni uomo che deve stare dietro a numeri e scadenze, ha un po’ la fissazione affinché tutto venga fatto in fretta.»

La ragazza ripensò a quelle parole e si sentì meglio. Non aveva motivo di dubitare di Ewan e inoltre sapeva che non avrebbe impiegato più tempo del nuovo mese che aveva a disposizione per ultimare le grafiche che le restavano per la tournée e quelle quattro o cinque che avrebbero composto il merchandising – oltre al fatto che in gran parte sarebbero state tratte proprio dalla grafica della tour. 

«Quanti disegni ti mancano?» le chiese Ewan prima che lei potesse ringraziarlo per il conforto.

«Quattro. Più uno che ho quasi finito» rispose dopo averci pensato su. «E i lavori per il merchandising, naturalmente.»

«Beh allora sei a buon punto. Devono solo essere finite entro il primo novembre, per avere il tempo di fare tutto.»

«Oh, allora ce la faccio. Solo che, te l’ho detto, temevo fosse scontento.»

«No, tranquilla. Non prendere troppo sul serio Eddie. Gli piace fare la parte del cattivo.

«Come sta andando?» domandò dopo alcuni istanti di silenzio.

«Cosa?» chiese in risposta lei, che non capì ciò a cui stava alludendo.

«La tua esperienza a Londra. Come sta andando?» Era davvero curioso di saperlo perché, in fin dei conti, da quando Amelia era arrivata non avevano mai realmente parlato di ciò e voleva sapere se la permanenza della ragazza stesse procedendo bene o meno. Amelia rispose che, sì, stava andando tutto bene, anzi. Le stavano succedendo cose che non avrebbe mai pensato e non aveva dubbi su chi fosse il responsabile della cosa.

Ewan voleva che continuasse a parlare. Era piacevole ascoltarla, il suo accento scozzese gli piaceva in modo particolare, specie per le erre belle arrotolate che aveva e che donavano un suono unico a diverse parole. La incalzò con qualche domanda di tanto in tanto, finché lei non proseguì da sola a raccontare di quanto le stava succedendo da quando lavorava alle grafiche degli Shards.  Spiegò com’era andata avanti con i lavori, di come quello fosse l’ambiente che più le si addiceva, suddivisa fra bozze e definitivi con Illustrator o Photoshop. Gli rivelò anche di quanto era rimasta soddisfatta dalla serietà che aveva incontrato in Jacob e, in fondo, anche in tutti i componenti della band – specie in Linton.

Come capitava spesso quando erano insieme, persero il conto del passare del tempo. Amelia continuò a chiacchierare, sempre spinta da Ewan a farlo ed era felice, per quella volta, di raccontare qualcosa di sé. Sollevava le mani per gesticolare, davanti a lei solo il cielo e, ogni tanto, le brevi osservazioni e le risate del cantante le consentivano di capire che lui la stava ascoltando. Era intenta a parlare di Jacob, di quanto apprezzasse il costante confronto che c’era fra di loro, quando lasciò cadere la mano sinistra che stava tenendo sollevata. Quando le ricadde sulla coperta, la sentì sfiorare la mano di Ewan, che teneva distesa lungo il fianco. Le fu impossibile non sentire un brivido, per quanto il loro contatto fu leggero e lasciò la mano lì, accanto a quella del cantante.

La notte li stava ospitando come una sapiente padrona di casa. I due passarono il loro tempo distesi sul cofano della macchina a parlare, con il ragazzo che, di tanto in tanto, canticchiava le parole di alcune delle sue canzoni, provocando in Amelia – che lui cercava invano di coinvolgere – delle momentanee variazioni al battito cardiaco. Cercava di rimanere calma, ma più tempo trascorreva insieme a lui in quel posto, più sentiva una morsa chiuderle lo stomaco. Le fu inevitabile chiedersi come sarebbe potuta andare a finire quella serata, quella notte insieme a Ewan e si rese conto che nelle ultime tre uscite che aveva avuto con il ragazzo, la conclusione era sempre stata più intensa della precedente. Cercò di non pensare alla cosa – perché pensarci, poi? - e tornò a concentrarsi sul cantante che aveva preso a dire qualcosa riguardo Chris .

Tuttavia la notte si stava facendo sempre più largo fra loro e Amelia cominciò a sentire di essere piuttosto stanca. Aveva delle ore di sonno arretrare, dovute al fatto che la notte prima aveva dormito poco, presa dall’ansia di rendere Edward insoddisfatto del suo modo di lavorare. Per sua fortuna, però, al suo terzo sbadiglio Ewan capì che, forse, era ora di andare.

«Io faccio l’una e quarantacinque» disse.

La ragazza si stropicciò gli occhi. «Ah sì?» Una parte di lei, in verità, non aveva voglia di rientrare, dopotutto lì ci stava bene; tuttavia le conveniva andare a dormire, soprattutto perché prima di arrivare a Londra ci sarebbe voluta un’altra ora d’auto. Cercò di scendere dal cofano della Golf nel modo più elegante possibile, ma il risultato fu mediocre. Incespicò appena nella coperta e perse l’equilibrio in fase di atterraggio, rischiando di cadere a terra, cosa che per sua fortuna non avvenne.

Ewan la guardò divertito. «Quasi. Di solito ci vuole un po’ per imparare a scendere discretamente da qui» le disse. «Poi secondo me la gonna non aiuta.»

«Non dare la colpa alla gonna. Sono incapace io» sentenziò lei, sistemandosi i vestiti e strappando una risata al ragazzo.

Sistemarono quanto avevano utilizzato nei sedili posteriori dell’auto, dopodiché partirono per tornare a Londra. Durante il viaggio Amelia fece il possibile per rimanere sveglia, ma il dondolio della macchina non faceva altro che farle venire più sonno. Avrebbe voluto fare conversazione con Ewan ma lui, al contrario, sembrava intenzionato a lasciarla riposare. Cantava ogni canzone passava la radio – collegata al suo smartphone – e la ragazza si sentiva terribilmente fortunata ad avere quell’occasione. Erano come una coppia, il ragazzo che guida e la fidanzata che cerca invano di rimanere sveglia per fargli compagnia. Nonostante tutto, però, lei riuscì a non addormentarsi fino all’arrivo. Aveva deciso di improvvisarsi dj, scegliendo lei le canzoni da ascoltare e, in quel caso, da far cantare a Ewan, e il ragazzo parve molto divertito dalla cosa.

Londra appariva abbagliante in confronto al cielo stellato che i due avevano fissato nelle ore precedenti ma, di notte, era anch’essa uno spettacolo in grado di togliere il fiato, come lo era quella sera sulla riva scura del Tamigi. Ad Amelia sarebbe mancata quella città, se lo sentiva, e si chiese se mai avrebbe avuto modo di tornarvi, lanciando d’istinto un’occhiata a Ewan. S’immersero sempre più nelle vie della capitale, finché non svoltarono in St. Petersburgh Pl, via che ormai Amelia aveva imparato a conoscere bene. Erano quasi le tre e in giro non vi era nessuno. Il cantante accostò l’auto al bordo del marciapiede e spense il motore, segno, almeno per la ragazza, che non aveva fretta di andarsene. Come lei, del resto; pur di stare ancora insieme a lui avrebbe passato la notte in bianco; inoltre, d’improvviso, sentiva di non avere più tanto sonno. Non diede segno di voler cercare le chiavi nella borsa; in verità, non diede segno neanche di volersene andare.

«Beh, è stato bello. Sul serio. Grazie per avermi portato fin là. Ammetto che subito ero parecchio confusa dalla cosa» disse ridacchiando.

«Sì, immagino. Volevo farti una sorpresa, ma un’ora di macchina in effetti sarebbe stata inquietante anche per me. Magari la prossima volta ti dico che dobbiamo andare fuori Londra, così ti prepari.»

Ancora quelle parole, di nuovo una “prossima volta”. Amelia avrebbe voluto che fosse ora quella “prossima volta”, anche se erano in una macchina e parcheggiati sotto la sua temporanea casa. Le era così difficile separarsi da lui, già temeva il momento in cui sarebbe dovuta tornare a Glasgow, senza nessuna proroga lavorativa a consentirle di avere altro tempo da spartire con il cantante. Quel pensiero le fece venire in mente il motivo che l’aveva portata a raggiungere Londra la prima volta: le grafiche per gli Shards. Non aveva ancora mostrato a Ewan nulla relativo ai disegni di Penelope, nemmeno una bozza, neanche l’idea. Per sua fortuna teneva sempre una copia dei propri lavori sul cloud e le bastò prendere il telefono. «Visto che ci sono, vorrei farti vedere questo» disse, cercando nei suoi file il disegno in questione. «Non l’ho ancora finito, ma l’idea è questa. Per Penelope.»

Il pensiero di quella canzone le portava sempre alla testa una moltitudine di aneddoti, inevitabilmente connessi a lei e agli Shards e non perché quel brano fosse loro. Mise il disegno a schermo intero e allungò il cellulare al ragazzo. «Non so se può andare bene. L’ho disegnata di getto, pensando alla canzone, ma forse ci sono troppi elementi. Temo di essermi persa in fronzoli inutili» ammise. Il disegno, in realtà, le piaceva molto, ma era consapevole che non fosse esattamente in linea con gli altri. Forse parlarne con Ewan sarebbe stato d’aiuto per perfezionare quel lavoro.

Quest’ultimo osservò ancora il disegno sullo smartphone, dopodiché alzò gli occhi sulla ragazza. «È perfetto» rispose, con una semplicità e un tono disarmanti. «È davvero, davvero bello. Meglio di qualunque altra idea mi sarebbe potuta venire in mente» continuò lui, restituendo alla ragazza il suo telefono. «Forse avrei dovuto lasciarti libertà anche per gli altri lavori» concluse, ridendo e passandosi una mano fra i capelli.

«Ok, non esagerare. Ci ho messo venti minuti prima di fare una riga per questo disegno, quindi non è che mi hai fatto proprio un favore» replicò lei scherzando, anche se il complimento l’aveva lusingata. «Se avessi dovuto fare tutto io partendo da zero allora sì che Edward si sarebbe potuto definire insoddisfatto.»

Ewan si lasciò sfuggire uno sbuffo. «Andiamo, smettila di preoccuparti di lui. Non è insoddisfatto, te l’ho detto. È solo pignolo e gli piace marcare per bene il territorio.»

«Che strana immagine mi è appena apparsa in mente» borbottò lei, frugando nella borsa in cerca di qualcosa – anche se non sapeva cosa.

«Però è così, credimi. O non ti fidi di me?»

Alzò la testa. «Certo che mi fid–» si bloccò. Lui le era vicino, molto più di prima. Il cuore prese a batterle in modo frenetico e lo stomaco le si svuotò del tutto, chiudendosi. Si sentiva ribaltata, schiacciata dallo sguardo del ragazzo. Ewan le faceva un effetto unico e, quando abbassò lo sguardo sulle sue labbra, capì di volerlo. Lo voleva. Voleva stare con lui sempre, non solo in quel periodo di lavoro, voleva che serate come quella fossero all’ordine del giorno, che le desse appuntamento e la salutasse con un bacio sulla testa. Voleva qualcosa che temeva di non poter avere, ma che in quel momento era davvero a pochi centimetri da lei. Il suo passato cercò di riaffiorarle alla mente come ogni altra volta, ma lei lo scacciò baciando Ewan per la terza volta.

Lui non aspettava altro e sentì che c’era un’intensità, in quel bacio, ben maggiore rispetto ai precedenti. C’era del desiderio, una sorta di fame che li avvinghiò totalmente, portandoli a desiderare di più. Amelia fece scorrere una mano fino alla sua nuca, affondando le dita nei capelli del ragazzo, lasciandosi trasportare dall’ammasso di sensazioni che le attanagliava lo stomaco. Sentì le mani di Ewan scivolarle sotto la giacca, poi sotto la camicia, sfiorarle la pelle nuda con insistenza maggiore, risalendo lungo il costato dove aveva il tatuaggio, facendo partire scariche e fremiti a ogni contatto. Un senso di piacere la pervase in ogni sua parte scuotendola nel profondo.

Il telefono squillò nel momento sbagliato. Ewan cercò di ignorarlo, concentrandosi sulle labbra di Amelia, sulla pelle fresca che gli scorreva sotto le dita, ma gli risultò impossibile. Aveva scelto una suoneria troppo insistente per venire facilmente ignorata, infatti nemmeno la ragazza riuscì a farlo. Si separarono e lui si scusò. Lo smartphone continuava a trillare ostinato.

«Non rispondi?» domandò Amelia.

Il cantante estrasse il cellulare e controllò chi – diavolo – lo avesse interrotto proprio in un simile momento. Fece una smorfia, decidendo di ignorare la chiamata. «È Chase.»

«Beh potrebbe avere bisogno» tentò la ragazza. Si chiedeva perché lui continuasse a lasciare squillare quel telefono sapendo che dall’altra parte c’era il batterista della sua band.

«Non conosci ancora abbastanza bene Chase» rispose lui, ma alla fine – forse davanti all’espressione di Amelia – decise di rispondere. «Ehi» disse solo. Dall’altra parte Chase prese a parlare di qualcosa, ma la ragazza non riusciva a capire una sola sillaba. Si limitava a guardare Ewan, il quale le lanciò un’occhiata e sollevò le sopracciglia. Lei sospettò che la domanda che gli era stata rivolta fosse qualcosa di molto simile a un “Ti disturbo?”.

«Dai, che c’è?» chiese il cantante. Non sembrava affatto arrabbiato o infastidito, non era nuovo a queste uscite da parte dell’amico, né alle sue chiamate agli orari più impensabili. «Eh...Ok, fin qui ci sono» proseguì, annuendo un paio di altre volte. Fece schioccare la lingua. «Ah, sì, d’accordo....Solo, perché sono sempre l’ultimo a saperlo?»

La risposta del batterista lo fece ridere. Ewan lo mandò al diavolo con fare amichevole, dopodiché si scambiarono qualche altra veloce parola per poi salutarsi.

Il cantante infilò in tasca il telefono e guardò Amelia. «Hanno organizzato un secret show per domani» annunciò.

«E te lo dicono sempre la notte precedente? Se avessi altro da fare?» chiese lei, un sopracciglio sollevato.

«Rimando» rispose lui ridendo. «Hanno già pubblicato i primi indizi sui social.»

La ragazza si limitò ad annuire, capendo subito la modalità di quel secret show. Avrebbero postato indizi di tanto in tanto, lasciando che fossero i fan a indovinare tutto e spargere la voce – cosa che avveniva sempre con tempistiche inverosimili per rapidità.

«Verrai, vero?» le chiese Ewan.

Amelia tornò a dedicargli la sua attenzione. C’erano leggere tracce del suo rossetto borgogna sulle labbra del cantante. Erano stati interrotti nel momento di impeto maggiore; sentiva perfettamente che non avrebbero più ripreso quanto avevano concluso, sebbene non per loro scelta, e la cosa le dispiaceva. Tuttavia cercò di superare quel pensiero. Prese una boccata d’aria prima di tornare a puntare di nuovo gli occhi in quelli di lui. «Certo che ci vengo.»

Come aveva sospettato, l’interruzione fu in grado di cambiare tutto. Rimasero in silenzio per un momento, una sorta di imbarazzo a riempire lo spazio fra loro, finché la ragazza non pensò bene di scendere dall’auto, ringraziando Ewan per la bella serata e dandogli appuntamento al giorno dopo.

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Capitolo 17
*** Broken Crown ***


 

 

 

“But oh, my heart was flawed  I knew my weakness  So hold my hand  |  Consign me not to darkness”

Mumford & Sons. Broken Crown

 

 

 

Piccadilly Circus, Londra, 11 settembre

Ore 4:45 PM

 

Piccadilly Circus era il luogo in cui Trent, Chase e Chris avevano organizzato il secret show mentre Ewan era insieme ad Amelia. L’avevano scelto perché era un posto centrale, sufficiente ad accogliere un vasto numero di persone e ben servito dai mezzi pubblici – oltre a essere iconico e suggestivo.

Amelia aveva raggiunto i ragazzi da una decina di minuti, aveva spento la musica su Broken Crown dei Mumford & Sons e si era ritagliata un piccolo angolo all’ombra da cui poterli osservare predisporre la strumentazione per suonare. Stava scorrendo la sua home di Instagram e aveva già individuato alcuni degli indizi che la band aveva disseminato per consentire ai fans di individuarli. Avevano postato un orario, un pezzo del nome della fermata metropolitana – una foto tagliata non semplice da riconoscere per chi non era di Londra o non conoscesse a memoria il complicato reticolo della Tube – e una serie di cavi che lasciavano intendere di essere collegati a una chitarra e un microfono. Dai commenti che Amelia stava leggendo fu in grado di capire che molte persone avevano già indovinato cosa stavano organizzando gli Shards. Forse in molti si stavano già muovendo per cercare di individuare il luogo esatto.

Bloccò lo schermo dello smartphone, sollevando gli occhi sui quattro ragazzi, ancora intenti a sistemare i propri strumenti mentre intorno a loro le persone continuavano a passare. Ewan aveva un cappellino calcato sulla testa e occhiali da sole che gli donavano in modo particolare. Era anonimo con quel look semplice e la cosa contribuiva a farlo passare ancora più inosservato del solito. 

Chi l’avrebbe mai detto che un giorno lei sarebbe stata lì, a osservarli montare i propri strumenti per uno show segreto alle masse? Amelia non riusciva a togliersi dalla mente quanto tutto ciò che le stava succedendo fosse inverosimile. Negli ultimi giorni era riuscita, almeno un minimo, a ignorare quel costante pensiero, ma dalla sera precedente quello si era ripresentato da lei con forza, portando con sé altre sensazioni. La ragazza non riusciva a fare a meno di pensare a come sarebbero andate le cose se la telefonata di Chase non avesse interrotto lei e Ewan. Nel modo in cui si stavano baciando c’era un tale trasporto che non dubitava del fatto che le cose si sarebbero potute evolvere in un solo modo. Lei voleva Ewan ed era certa che se Chase non avesse chiamato il ragazzo loro avrebbero passato la notte insieme. Tuttavia quell’idea – più simile a una consapevolezza che altro – aveva generato qualcosa in Amelia. Una sensazione frustrante le si era annidata dentro il petto, appena sotto al cuore. Una morsa opprimente, come un piccolo buco nero pronto a inghiottire ogni altra sensazione. Ed era il suo passato l’autore di quell’orrendo stato emotivo, un passato che per quanto lei si ostinasse a ignorare ricompariva sempre, con insistenza maggiore a mano a mano che i suoi sentimenti per qualcuno si intensificavano. Non sapeva perché, ma la paura di soffrire di nuovo aveva la spaventosa capacità di annichilire tutto il resto, inclusa quel senso di caldo e piacere che Ewan era in grado di trasmetterle ogni volta che sorrideva nella sua direzione. 

«Quinto indizio.»

L’esclamazione di Chris la riportò alla realtà, sul marciapiede di Londra. Seguì con lo sguardo il giovane fare una foto alla facciata di uno dei palazzi presenti per poi postarla sui social, dopodiché la raggiunse. «Una decina di minuti al massimo e iniziamo» la informò. «Perciò prima devo chiederti un favore.» Si grattò il mento in attesa della risposta, la barba che cominciava a diventare piuttosto lunga. La ragazza acconsentì a fargli il favore e lui le passò il telefono. «Quando iniziamo vorrei che ci facessi una foto in cui si vede bene il posto e noi. Dovresti pubblicarla su Instagram e Twitter, sono già connesso con gli account degli Shards. Scrivi qualcosa tipo “Adesso” e metti hastag come “Secret show”, o roba del genere, sentiti libera. Il codice per sbloccare il telefono è 2588.»

Amelia lo guardò perplessa. «Vuoi davvero che lo faccia io?»

Di tutta risposta Chris si strinse nelle spalle. «Perché no? Sei una dei nostri adesso.» 

Si incamminò per ricongiungersi agli altri, lasciando la ragazza incredula su quanto le era appena stato detto. Si chiese se ci fosse altro sotto e, soprattutto, di quanto i membri degli Shards sapessero di lei e Ewan. Quelle domande avevano appena iniziato a ronzarle in testa quando il tastierista tornò a richiamare la sua attenzione. «Ricordati eh, 2588» disse, scandendo il codice con lentezza.

Amelia corrugò la fronte, guardando torva il ragazzo. «Guarda che me lo ricordo. Hai scelto una sequenza a prova di idiota.»

«E secondo te perché l’ha scelta lui?» si intromise Chase. La ragazza scoppiò a ridere, incrociando poi lo sguardo di Ewan, che stava sorridendo nella sua direzione. Quel suo semplice gesto le provocò una fitta nel petto, la stessa che si può provare nel guardare qualcosa di estremamente bello. Insieme ad essa, però, fu in grado di intensificare anche quel senso soffocante che da ore non voleva saperne di scomparire. Si concentrò su Trent, l’unico che le donava un’immotivata sicurezza. L’aura austera del chitarrista le piaceva in modo particolare, forse perché a differenza di Chase e Chris – che comunque adorava – lui non aveva mai fatto allusioni in qualche modo riconducibili a quanto stava avvenendo fra lei e il cantante.

Ewan le si avvicinò, facendola sussultare quando, una volta averla raggiunta, disse: «Che te ne pare?»

Amelia si voltò a guardarlo, spostando poi gli occhi sul piccolo angolo di strada che i quattro si erano ritagliati. La piazza era trafficatissima fra turisti e persone di passaggio, ma qualche sospetto fan degli Shards cominciava già a comparire. Piccadilly Circus in fin dei conti era uno dei luoghi simbolo di Londra, facile per chi conosceva la città individuare il luogo anche attraverso sporadici e criptati indizi.

«Trovo che sia un bellissimo lunedì per un concerto» rispose la ragazza, dopo aver pensato un momento a cosa dire.

«Hai qualche richiesta particolare? Non abbiamo pensato a nessuna scaletta, credo improvviseremo ogni pezzo» proseguì lui, dopo aver sorriso all’affermazione di Amelia.

Quest’ultima soppesò la domanda del ragazzo, in cerca di una canzone che avrebbe voluto ascoltare quel pomeriggio, in quell’atmosfera unica. Avrebbe voluto sentire ogni singolo brano degli Shards, proprio come ai loro concerti; non c’era canzone che non le dispiacesse non venisse suonata, ma era inevitabile che molte fossero sacrificate quando un gruppo aveva tre album all’attivo. Tuttavia, da quel 2 luglio che sembrava ormai appartenere a un universo parallelo, c’era solo una canzone a cui sentiva di non voler rinunciare.

«Penelope» disse piano, quasi imbarazzata. Voleva sentirla di nuovo cantata da Ewan, sentirlo mormorare le prime strofe di quel brano con il lento accompagnamento della tastiera, per poi salire di tono fino a esplodere nel ritornello, il momento della canzone in cui musica e parole scatenavano in Amelia brividi per l’emozione.

Ewan sorrise nel sentire la sua richiesta. Era contento del fatto che alla ragazza piacesse quella canzone, dopotutto lui sapeva di averla scritta per lei, per quella persona a cui sentiva di essere legato prima ancora di incontrarla. Penelope era la loro canzone, quella era una consapevolezza di entrambi, innegabile, ma che nessuno dei due aveva ancora avuto il coraggio di ammettere.

«Sarà fatto» promise il cantante con un cenno.

«Ewan sono le cinque» urlò Chase, che si era già sistemato sul suo cajón, pronto per suonare.

Il cantante si ridestò, borbottando un “accidenti”. Il ritardo: perenne tratto distintivo di Ewan Cassian Hill; ad Amelia sfuggì un sorriso. Il ragazzo si tolse il cappello e glielo allungò. «Ti dispiace tenermelo?» le chiese.

Amelia acconsentì, mettendosi il cappello in testa. Le andava largo, ma sentiva che le donava. Ewan si sistemò malamente i capelli con un rapido gesto della mano, scuotendo qualcosa dentro la ragazza, dopodiché le diede un veloce bacio sulla guancia e raggiunse i suoi compagni, tutti sistemati con i relativi strumenti. Amelia si sfiorò il viso, sentendo ancora il tocco leggero delle labbra del ragazzo. La sua mente stava per iniziare a fantasticare ma non ne ebbe il tempo, la voce di Chris, infatti, la tenne ancorata alla realtà: «Ami ricorda: 2–»

«588. Lo so Chris, lo so» sbottò lei, ma non riuscì comunque a fingersi infastidita dalla cosa e finì con il mettersi a ridere.

Il gruppo iniziò poi a suonare, portando la prima delle loro canzoni in versione acustica. L’impianto improvvisato contribuiva a incrementare il volume della voce di Ewan, che iniziò a mescolarsi al traffico di mezzi e persone in Piccadilly Circus. Qualche passante iniziò a voltare la testa in direzione del gruppo e Amelia pensò bene di eseguire gli ordini che Chris le aveva dato poco prima. Scattò un paio di fotografie in modo che si vedesse bene la band e la piazza che li stava ospitando, riprendendo dall’angolazione migliore per inquadrare anche i display luminosi, banale e palese indizio del punto della città in cui si trovavano. Ora che il secret show era iniziato il luogo del concerto andava sbandierato per bene. Attraverso i profili degli Shards la ragazza pubblicò le foto sui vari social, inserendo una descrizione semplice e alcuni hastag, incluso quello che le aveva suggerito prima Chris. Aveva appena pubblicato le foto che subito cominciarono a piovere le prime notifiche. Cuori, commenti e retweet comparvero sotto le immagini, diffondendo la notizia del concerto improvvisato con una velocità sconvolgente. I social network erano un ottimo mezzo, Amelia l’aveva sempre saputo, ma in quel momento si rese conto della potenza che possedevano. Alcune persone già si fermavano davanti agli Shards ad ascoltarli suonare e lei, temendo che in meno di venti minuti la piazza di Piccadilly si sarebbe riempita all’inverosimile, decise di godersi un po’ di quella musica con cui la sua band preferita stava riempiendo l’aria.

Gli Shards erano una eccellente band da stadio. Le loro canzoni erano energiche ed erano le uniche che Amelia ballasse, lei che non era mai stata amante del ballo. Tuttavia le versioni acustiche delle loro canzoni la lasciavano senza fiato e le piacevano allo stesso modo di quelle originali. La voce di Ewan era portata per cantare a quel modo, sapeva essere delicata e avvolgente, perfetta per essere accompagnata dalle tastiere, da una chitarra acustica e un semplice cajón come percussione. Il modo in cui riusciva a far vibrare le parole scatenava nella ragazza un’infinità di emozioni diverse. La musica era sempre stata un rifugio sicuro per lei, in cui nascondersi e riprendersi dai dolori della vita, in particolare le canzoni degli Shards; quelle, ormai da anni, erano l’incarnazione della salvezza. Per tale ragione poter essere lì insieme ai creatori di quelle melodie continuava a essere qualcosa di surreale e bellissimo. Non avrebbe saputo spiegare a parole quello che tutto ciò le faceva provare, non avrebbe mai trovato termini o aggettivi con una tale forza. Tuttavia le sarebbe piaciuto far capire a qualcuno cosa sentiva, almeno per non passare da persona ossessionata o, peggio, fanatica.

Le canzoni suonate dagli Shards si susseguirono in una sequenza perfetta, ciascuna mostrando il suo lato più leggero e sensibile nella versione acustica. Con il passare del tempo, però, sempre più persone si fermarono intorno ai quattro, creando un capannello fitto e impenetrabile. Amelia sapeva che erano tutti loro fan. Il numero di notifiche sui vari social aveva ormai superato le quattro cifre e dal modo in cui ragazzi e ragazze raggiungevano di corsa il luogo del concerto – uscendo in fretta dalla Tube, scendendo dai bus o giungendo dalle strade laterali – era chiaro che quel secret show non era più tale. La visuale di Amelia fu totalmente oscurata, non superare il metro e sessantacinque non le era affatto d’aiuto. Si accontentò di sentire la voce di Ewan, sebbene il traffico e il chiacchiericcio – a tratti isterico – di tutti i nuovi arrivati non le consentivano di assaporare quei momenti con il desiderato trasporto. Si spostò in cerca di un punto migliore, ma la calca di gente che continuava ad aumentare rese la sua idea del tutto inutile.

La prima ora scorse così, con persone su persone che continuavano a intasare Piccadilly Circus e gli Shards che cantavano e intrattenevano i fans, ringraziandoli di essere venuti a quel loro show segreto. Sebbene non riuscisse a vederlo, Amelia poteva capire dal suo tono che Ewan si stava divertendo per il fatto che l’idea partorita dai suoi amici avesse portato una così vasta quantità di persone nel cuore pulsante di Londra.

«Vi facciamo un regalo» disse dopo l’ennesimo pezzo il cantante. Alla ragazza parve quasi di vederlo mentre lo sentiva inspirare, le labbra a sfiorare la superficie ruvida della testa del microfono. «Questo è un brano nuovo, che abbiamo suonato davvero poche volte. Sono molto legato a questa canzone e spero davvero che vi piaccia.» Gli venne spontaneo cercare con gli occhi Amelia, ma non fu in grado di trovarla. Davanti e tutt’intorno a lui c’erano solo volti sorridenti ed eccitati. Sapeva che la ragazza era lì da qualche parte, che lo stava ascoltando, ma in quel momento avrebbe solo voluto incontrare i suoi occhi castani. Anche lei avrebbe voluto udire Penelope in condizioni ben diverse rispetto a quelle in cui si trovava in quel momento. Le prime parole di quella canzone la stavano già facendo fremere quando si rese conto che qualcuno dei presenti conosceva quel brano. Lo canticchiavano con fare insicuro, mugugnando più che altro, ma era evidente che dovevano aver premuto play più volte sui pochi video di YouTube che esistevano di quella canzone.

D’improvviso si sentì strana, violata. Le sembrava quasi che quelle persone le stessero portando via qualcosa di personale, di suo. Come se si fossero intromessi a centinaia nel rapporto fra lei e il cantante e facessero di tutto per allontanarli. Non avevano senso quelle emozioni, lo sapeva, eppure non riusciva a ignorarle. Lo aveva sempre saputo che quando si trattava di Ewan non si sarebbe mai potuto avere l’esclusiva, non riguardo la sua musica e le sue canzoni. Lui le scriveva apposta per condividerle, per far sì che tutti potessero provare emozioni a ogni ascolto. Non avrebbe dovuto sorprendersi della cosa, né esserne infastidita o addolorata; dopotutto anche lei faceva parte di quella sfilza di persone che poteva usufruire dell’arte degli Shards. Tuttavia per Penelope provava emozioni uniche, inclusa una sorta di gelosia. La prima volta che era stata suonata dal vivo Ewan l’aveva espressamente dedicata a lei e anche la notte stessa, in giro per Glasgow, le aveva rivelato che era stato il suo disegno – per lei così banale – ad ispirarlo. Penelope era il brano che la faceva sentire legata al cantante, che rendeva concreto e tangibile quanto le stava accadendo ormai da più di un mese. Quando sentiva quella canzone, anche quando ripensava solo alle parole, alla mente le affioravano la moltitudine di ricordi che aveva immagazzinato di Ewan dal momento del suo arrivo a Londra. Ripensava ai caffè presi insieme, le ore di lavoro per le grafiche, le chiacchiere su cinema, musica e tutte le altre cose su cui avevano speso il loro tempo. Rivedeva con una nitidezza sorprendente le uscite con il ragazzo, quasi le sembrava di sentire ancora i suoi baci. Era sconvolgente ciò che quella canzone scatenava in lei, il modo in cui le ribaltava lo stomaco e le scaldava l’anima.

Continuò a guardarsi intorno, a guardare quelle centinaia di giovani e meno giovani che affollavano Piccadilly Circus per ascoltare gli Shards e si rese conto che la sensazione opprimente che provava al petto si stava intensificando, divenendo quasi claustrofobica. Si chiese cosa ci facesse lei in quel posto, con il cappellino di Ewan calcato sulla testa e il cellulare di Chris in mano, che continuamente si illuminava per via di nuove notifiche dai vari social della band. Pensò a come sarebbero potute evolversi le cose, a come avrebbe potuto sentirsi nel dover sopportare ogni volta di doversi fare da parte affinché sconosciuti potessero avere la possibilità di incontrare i propri idoli, incluso il ragazzo di cui lei sapeva di starsi innamorando. Come avrebbe potuto reggere a tutto quello se nemmeno quando la riservatezza, la quiete e l’intimità erano garantiti, le sue storie erano andate a buon fine? Cercò di scacciare quei pensieri concentrandosi sulla voce di Ewan ma le fu impossibile. Il caos del traffico e delle persone sembravano dare nuova forza a ciò che di negativo le aveva invaso il petto e allagato la mente. Le sembrava tutto così complicato, impossibile, al punto che si chiese se davvero stava facendo le scelte giuste per sé. La sofferenza era sempre lì, pronta a ripresentarsi al primo segno di instabilità. Forse lei non era fatta per quell’ambiente, non era all’altezza dei quattro ragazzi che continuamente le donavano sostegno e sollievo con le proprie canzoni.

Forse lei non era abbastanza per Ewan.

Sentì il respiro morirle in gola appena formulò quel pensiero. Eric e Richard l’avevano abbandonata e tradita perché lei non era stata sufficiente per entrambi e anche i pochi ragazzi che erano venuti dopo di loro non la consideravano adeguata se non per il suo corpo. Una delusione dietro l’altra le avevano distrutto ogni sicurezza, ferendola nel profondo, e tutto ciò era sempre avvenuto proprio quando lei si era aperta con quelle persone, alle volte anche donando tutta se stessa. A causa di ciò le risultava impossibile ignorare quella voce che, come un monito, le chiedeva perché con Ewan avrebbe dovuto essere diverso se, fino a quel momento, i ragazzi che le avevano detto di provare dei sentimenti per lei non avevano fatto altro che ferirla.

Fece del suo meglio per concentrarsi sulla musica degli Shards, sulla voce rassicurante di Ewan che sembrava quasi volerla accarezzare in mezzo a quel caos di persone. Tuttavia il pensiero del ragazzo fu solo in grado di incrementare quel tormento che ormai l’aveva presa.

I minuti successivi parvero durare un’eternità. Le persone intorno a lei urlavano e si divertivano, cantando le canzoni e battendo le mani. Amelia, invece, si sentì d’un tratto senza difese come se qualcuno, da un momento all’altro, potesse arrivare per strapparle il cuore dal petto. Era già passata almeno una volta da quello stato e anche allora riuscire a stare meglio aveva richiesto molto tempo.

Il secret show degli Shards terminò. La ragazza sentì Ewan annunciarlo al microfono e ringraziare di cuore tutti i presenti. Lei ebbe un moto di rabbia verso di sé per non aver saputo godere appieno di quelle ore in cui la sua band preferita aveva offerto intrattenimento senza chiedere nulla in cambio, ma anche la sua stessa rabbia fu di scarso aiuto nel recupero di un adeguato autocontrollo. Aveva bisogno di stare un po’ sola, almeno per cercare di riordinare le idee, di capire cosa, davvero, avrebbe dovuto fare.

Tuttavia non poteva andarsene in quel momento, perciò rimase lì, ad aspettare che i ragazzi si liberassero dai nugoli di persone che si erano loro radunati intorno. Come le avevano già dimostrato più volte, i quattro erano cortesi e alla mano con i propri fan. Si scattavano foto, firmavano autografi e chiacchieravano con tutti, dando a ciascuno il proprio tempo da trascorrere insieme. Amelia rimase lì, immobile a osservare la scena, il petto schiacciato dalle emozioni e domande su domande che le accalcavano la mente. Non riusciva a spiegarsi perché si fosse sentita così dal momento in cui Penelope era iniziata, sebbene capisse che c’entrava quella canzone e tutto ciò che la legava a Ewan. La paura era un’emozione brutale, più forte e intensa di molte altre e, purtroppo per lei, ormai ben radicata nel suo cuore.

Ci volle quasi un’ora perché gli Shards si liberassero dai propri fan. Amelia raggiunse i quattro mentre questi cominciavano a smontate e scollegare i propri strumenti, riponendoli con cura nelle rispettive custodie. La ragazza restituì il cellulare a Chris, il quale controllò le varie notifiche. «Certo che potevi anche farle sparire ogni tanto» le disse, riferendosi alle piccole note rosse che in ogni social brillavano in un punto preciso.

«È il tuo telefono, non mi sembrava garbato» si scusò lei arricciando le labbra con fare indispettito.  Il ragazzo sollevò un sopracciglio. «Beh, la prossima volta non farti tutti questi problemi. Avresti potuto pubblicare anche una foto delle tutte scarpe, per farti capire quanto teniamo in considerazione i nostri social.»

«È un modo bizzarro per spiegare che non siamo dei fissati riguardo ai contenuti dei nostri post sui social network. Ma direi che dovresti averlo capito anche da sola.» Ewan comparve con quelle parole al fianco di Amelia. Era  visibilmente soddisfatto del piccolo e improvvisato show che avevano tenuto, la ragazza lo capì dal sorriso che gli illuminava il volto. Trovava che quando il cantante era così felice diventasse ancora più bello. Si tolse di testa il cappello, pronta per restituirlo al suo proprietario, ma Ewan fece un cenno con la mano. «Tienilo pure. Ti dona.»

Amelia si sentì arrossire a quelle poche parole e non ne capì con esattezza il motivo. Era un marasma di emozioni quello che le stava invadendo la cassa toracica e pensò che rincasare, cercare di riordinare il tutto e capire come muoversi potesse essere la soluzione migliore alla sua situazione. 

«Si va a mangiare qualcosa?» propose Chase, che nel mentre aveva raggiunto i tre. 

Chris e Ewan acconsentirono subito, Amelia, invece, non ne fu in grado. Non poteva stare insieme a loro, non nello stato in cui si sentiva in quel momento. Non avrebbe potuto fingere di stare bene, che tutto andasse a meraviglia; i ragazzi erano svegli, avrebbero capito che qualcosa la stava turbando. Le servivano tempo e spazio per sé e, in quel preciso momento, una valida scusa. 

«Io...scusate, ma io devo passare» disse.

Chase, Chris e Ewan la guardarono delusi. Nonostante il disagio che si ritrovò a provare fu in grado di proseguire: «Ho detto a Pani che ci saremmo sentite verso le otto e, beh, gliel’ho promesso.»

Non riuscì a evitare di sentirsi in colpa a udire la sua stessa voce, ma la scusa parve funzionare. Anche se dispiaciuti, i ragazzi la lasciarono andare verso casa. Ewan si offrì di accompagnarla, ma lei declinò dicendo che non gli andava di sapere che rinunciava alla sua uscita con gli Shards per lei. 

Il ragazzo allora le sorrise. «Vorrà dire che ci sentiamo» le disse.

«Ci sentiamo» rispose lei. Tentò di nuovo di restituirgli il cappello e lui di nuovo non lo volle. Amelia quindi salutò i presenti – incluso Trent che nel frattempo li aveva raggiunti – e si avviò in direzione della Tube. Quando fu certa di non essere vista da nessuno dei ragazzi si portò una mano sullo stomaco. Il cuore le batteva a ritmi forsennati e cominciava a sudare freddo. Si sentiva invasa da un’angoscia irrazionale e violenta. Quello stato emotivo aveva tutta la parvenza di un attacco di panico, per lei inspiegabile. Perché doveva andare a finire così? Perché ora che sapeva di essere in procinto di innamorarsi di nuovo, e di qualcuno che sembrava davvero interessato a lei, il suo passato e le sue paure sembravano essere più capaci che mai di afferrarla e trascinarla a fondo, nella parte più buia e fredda della sua anima?

 

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Capitolo 18
*** A Step You Can't Take Back ***


 

 

 

So you find yourself at this subway  When your world in a bag by your side

Keira KnightleyA Step You Can’t Take Back

 

 

 

Sala prove degli Shards, Shaftesbury Ave, Londra, 14 settembre

Ore 11:17 AM

 

Trent posò la chitarra in terra, così da avere le mani libere per allacciarsi la sneaker sinistra. I capelli gli si erano ormai asciugati dopo quel veloce acquazzone che si era battuto sulla città un paio d’ore prima, sorprendendolo quando stava raggiungendo la sala prove. Mentre il resto degli Shards attendeva che lui finisse di sistemarsi, i ragazzi si tennero impegnati strimpellando tastiere, batteria e cantando un po’. A breve avrebbero avuto un’altra apparizione in radio e non volevano farsi trovare impreparati, soprattutto perché avrebbero suonato diversi brani. Quel tipo di comparsate – alle radio, in qualche show televisivo – erano il modo migliore per tenersi impegnati e far parlare di sé fra una tournée e l’altra, o durante la lavorazione del disco nuovo, e in alcuni casi erano più efficaci dei sociale network. Servivano ai fan per non dimenticarsi dal fatto che loro ancora c’erano ed erano operativi. A forza di venire chiamati ospiti in alcune stazioni radio, inoltre, era diventati amici dei dj.

Trent riprese in mano la chitarra e si accodò all’improvvisazione che i tre compagni stavano svolgendo. Durò solo qualche minuto. Ewan si interruppe dicendo che aveva bisogno di bere e andò a recuperare una bottiglietta d’acqua dal frigorifero della sala. Durante quel lasso di tempo nessuno degli altri disse una parola. Si scambiarono solo diverse e rapide occhiate cariche di un significato comprensibile esclusivamente a loro. Quando Ewan tornò a guardarli gli fu chiaro che qualcosa non andava. Osservò prima Chase, poi Chris e infine Trent e, nonostante quest’ultimo fosse all’apparenza quello più imperscrutabile, fu proprio grazie a lui che il cantante capì che stava succedendo qualcosa.

«Cosa?» domandò, sollevando le sopracciglia in modo confuso.

Batterista e tastierista spostarono in fretta lo sguardo sul chitarrista, quasi a dirgli che, visto che Ewan aveva capito tutto guardandolo, doveva essere suo compito rimediare alla situazione. Trent replicò con uno sbuffo, ben conscio del fatto che sarebbe toccato a lui mettere in chiaro la faccenda – come la maggior parte delle volte, oltretutto.

«Ci stavamo chiedendo dove fosse Amelia» disse infine. «E per quale motivo da due giorni non la vediamo più in giro.» Lasciò la frase sospesa, nella speranza che Ewan spiegasse il resto in tempi celeri. Chris e Chase avevano fatto una serie di supposizioni a riguardo, ma Trent non si era detto d’accordo con nessuna di esse. L’unica cosa su cui concordava era che fra il cantante e la ragazza doveva essere successo qualcosa di grosso, forse proprio l’ultima sera in cui erano usciti insieme – anche se il giorno successivo lui era di ottimo umore.

Tuttavia, in quel momento, a sentire la domanda dell’amico, Ewan si irrigidì. Fu un gesto appena percepibile, ma venne notato da tutti . La verità era che nemmeno lui sapeva dove fosse Amelia o, meglio, non sapeva perché non fosse lì con loro. L’aveva invitata a prendere parte a quelle prove, dopotutto, ma lei aveva rifiutato con i suoi modi gentili, dicendo che era presa da una delle tavole di grafica a cui stava lavorando. Erano due giorni che si sentivano e basta, due giorni fatti di sporadici messaggi e telefonate a cui il più delle volte lei diceva di non aver fatto in tempo a rispondere.

Il cantante non sapeva cosa fosse preso d’improvviso alla ragazza. Aveva pensato di andare a trovarla, ma non aveva mai assecondato quell’idea, preoccupato di dimostrarsi troppo indiscreto. Amelia si era allontanata da lui con una rapidità inspiegabile ed era piuttosto certo che c’entrasse quello che era successo – o non successo – nella sua auto la sera in cui Chase li aveva interrotti per annunciare del secret show. Già la mattina successiva, infatti, aveva notato che in lei c’era qualcosa di strano; era più silenziosa, meno partecipe ed era letteralmente scappata via quando si era presentata la possibilità di trascorrere del tempo sola con gli Shards, e forse proprio perché c’era lui. Aveva pensato a cosa tutto ciò potesse significare, ma nessuna conclusione degna di essere definita tale gli era venuta in mente. Sentiva solo di aver detto o fatto qualcosa di sbagliato. La sua prima frequentazione seria da mesi rischiava di andare in pezzi e sapeva di dover fare il possibile per risolvere lui stesso la situazione. Non voleva perdere Amelia, ormai aveva capito quanto quella ragazza significasse. Solo che lei sembrava non essere dello stesso avviso ed era questo ciò che complicava le cose. Non poteva costringerla a provare sentimenti di tale portata verso i suoi confronti.

Il suo silenzio stava durando da un po’ troppi secondi, al punto che Chris si sentì in dovere di incalzarlo per avere una risposta. «Beh?»

Ewan si riscosse. Prese una boccata d’aria, si passò un mano fra i capelli, infine si strinse nelle spalle, tutti gesti che evidenziavano il suo nervosismo e che i tre compagni sapevano identificare. «Mi ha detto che lavorava alle grafiche. È molto concentrata su queste, al momento» rispose infine, ma era chiaro, dal tono della sua voce, che non credesse alle sue stesse parole. E nemmeno gli amici.

«Ma è successo qualcosa?» lo incalzò Chase.

Il cantante si lasciò cadere sul divano, scavando nella mente alla ricerca di possibili motivazioni per l’improvviso comportamento di Amelia. Tuttavia, se c’erano, lui non riusciva a trovarle. La mente delle donne sapeva essere davvero un intricato mistero. «Non credo. No» rispose alla domanda. «Voglio dire, l’ultima volta che siamo usciti, quando l’ho riaccompagnata a casa in macchina...beh, per farla breve, ci stavamo baciando quando tu mi hai telefonato» disse in direzione di Chase.

Quest’ultimo si sentì sotto accusa. «Ehi, mi avevi detto che non ti stavo disturbando» cercò di scusarsi, sebbene non ve ne fosse bisogno. Ewan non era arrabbiato con lui.

«A ogni modo,» riprese parola il cantante, sollevando le mani per far intendere all’amico che era tutto a posto, «era chiaro che se non fossimo stati interrotti le cose sarebbero potute andare in un modo solo. Era evidente per me e penso proprio lo fosse anche per lei.»

Si aspettò di vedere dei sorrisetti eloquenti da parte dei tre – da Chris e Chase soprattutto – ma nessuno mutò espressione. Forse anche loro sospettavano che qualcosa fra lui e Amelia si fosse incrinato proprio in quel momento. Forse la ragazza si sentiva in imbarazzo per quanto avvenuto con il cantante, ma Ewan non riusciva a spiegarsene la ragione.

«Perciò non è successo niente?» volle sapere Trent.

Ewan scosse la testa. «È cambiato qualcosa dopo. L’atmosfera, qualcosa, non lo so. Non mi sembra di aver fatto nulla di male dopotutto. Non l’ho di certo costretta ad avere un rapporto» sbuffò, davvero incapace di capire quale fosse il problema, dove tutto si fosse complicato.

Chase stava per esordire con una delle sue abituali battute, ma l’occhiata incrociata di Chris e Trent gli fece capire che quello non era né il momento, né il luogo. Il cantante era visibilmente turbato per ciò che era accaduto con Amelia, alla fine lo capì anche il batterista.

«Io le donne davvero non le capisco» sentenziò Chris, sovrappensiero.

«E se fosse il contrario? Se lei ora ti stesse evitando perché non ti sei dato da fare?» azzardò Chase nel silenzio generale. Tutti lo guardarono perplessi e lui si sentì in dovere di continuare: «Magari era quello che voleva. Forse il fatto che, dopo che vi ho interrotti, tutto sia finito in un nulla di fatto l’ha convinta di non piacerti e ora preferisce stare lontana, forse per la vergogna.»

Per quanto paradossale, il ragionamento del batterista pareva avere un senso.

«Ma è palese che mi piace» esclamò Ewan dopo aver ripensato alle parole dell’amico.

Chase allargò le braccia, come a dire che la sua era solo un’ipotesi, ma Trent intervenne: «Non darlo così per scontato, Ewan. Non dimenticare che siamo il suo gruppo preferito e tu il suo cantante preferito. Forse Chase ha davvero ragione, forse il fatto che tutto si sia interrotto a causa di una telefonata l’ha mandata in crisi. C’è il caso che Amelia non si senta alla tua altezza.»

«È ridicolo» mormorò il cantante.

«Non così tanto, dopotutto. Magari ora potete considerarvi amici, ma rimane il fatto che tu continui a ricoprire un ruolo ben più alto per lei e forse non riesce a ignorare la cosa.»

L’altro ripensò a quelle parole. Sapeva che quanto detto da Trent – e anche da Chase, alla fine – aveva un senso, ma a lui sembrava tutto così inspiegabile. Aveva sempre fatto del suo meglio nel mostrarsi per ciò che era: il fatto che amasse strinarsi la lingua mangiando la pizza quando questa era ancora bollente non era certo una cosa che raccontava ai giornalisti. Tuttavia quanto detto dai suoi amici era vero; per Amelia lui sarebbe sempre rimasto il cantante degli Shards, indipendentemente da quanto di sé avesse mostrato. Il problema, però, rimaneva lo stesso: se lei non si sentiva alla sua altezza, anche volendo, lui cosa avrebbe potuto fare? Non era tipo da imporsi, né da andare contro le scelte di qualcuno solo per avere un tornaconto personale. Si passò le mani sul volto, sbuffando.

«Sai cosa? C’è da dire che sei proprio sfigato» Chris spezzò l’aria tesa che si stava respirando da diversi minuti e lo fece con il suo personale stile irriverente. Lo disse perché sapeva di poterlo fare e anche perché sapeva che il suo cantante aveva bisogno di sentirsi dire qualcosa del genere.

Quest’ultimo, infatti, sollevò lo sguardo sul tastierista, lo osservò per un breve momento, infine si mise a ridere. «Quella ragazza è una maledizione» mugugnò poi. «Insomma, tutta questa storia, avete presente? Prima il disegno che mi sono trovato in tasca, poi Penelope, il concerto a Glasgow. È tutto assurdo.»

«Considerando che stiamo parlando di te non penso proprio» gli fece notare Chris, strappando un nuovo sorriso a Ewan. «Le cose semplici non ti sono mai piaciute. In fin dei conti il motivo principale per cui sei ancora single è il fatto che aspetti di innamorarti, prima. Non mi dirai che questa è una cosa semplice?» proseguì, un sopracciglio severamente inarcato.

«Tutta questa storia con Amelia sembra fatta su misura per te. Bisogna solo capire se lo stesso vale per lei» aggiunse Trent.

«Sorvola sul fatto che sia “palese che ti piace”, per citare te e diglielo» disse Chase.

Il cantante guardò i tre, sentendosi sotto un fuoco incrociato. Per quanto potesse sembrare strano si sentiva rincuorato dalle loro parole perché sapeva che, dopotutto, potevano benissimo avere ragione.

«D’accordo, d’accordo» si arrese infine. «Vedrò di fare qualcosa.»

«Sì ma qualcosa di concreto» scattò Chase, apparendo rinvigorito dall’evolversi dei fatti. «Se necessario prendila e sba–»

«Ok. Ho capito» lo interruppe Ewan, balzando in piedi. Sapeva già come si sarebbe conclusa quella frase. «Le parlerò, d’accordo.»

Trent si lasciò sfuggire uno dei suoi sporadici sospiri. «Bene, ora che abbiamo chiarito questa cosa possiamo riprendere con le prove?»

Gli altri tre acconsentirono e Chris e Chase ne approfittarono per dare la colpa di quella momentanea interruzione al loro cantante, il quale abbozzò un sorriso stringendosi nelle spalle. Si sentiva meglio rispetto a prima e gli faceva sempre particolare piacere constatare come i suoi amici fossero in grado di aiutarlo ogni volta. Gli era stato insegnato di circondarsi delle persone giuste e non aveva dubbi riguardo al fatto di essere riuscito in quell’intento.

Ricominciarono a suonare e anche la musica fu d’aiuto a Ewan. Cantare lo liberava sempre dai pensieri più negativi, sia che si trovasse sotto la doccia, nella sala prove o in qualunque altro posto. Stavano provando da circa una quindicina di minuti quando Amelia entrò nella sala prove. Si era fermata sulla soglia, preoccupata di disturbare e Chase fu il primo a notarla. Smise di suonare e di conseguenza anche gli altri, finché non capirono per quale ragione il loro batterista si fosse interrotto.

Quando il cantante vide la ragazza non poté trattenere un sorriso, ma si rese conto subito che c’era qualcosa che non andava. Lei teneva il cappellino di Ewan con entrambe le mani e sembrava nervosa. Nonostante il trucco accurato che si era stesa sul volto – il consueto eyeliner e rossetto – il ragazzo fu in grado di notare che aveva gli occhi gonfi, quasi non avesse chiuso occhio per tutta la notte. Tuttavia la cosa che più attrasse la sua attenzione, scatenando in lui un moto di preoccupazione, era il fatto che lei, accanto a sé, avesse la propria valigia. Quest’ultimo elemento era stato notato da tutti i presenti e, quando gli Shards salutarono la nuova arrivata, l’atmosfera nella sala prove si fece più tesa.

«Ciao ragazzi» rispose lei al saluto. Iniziò subito a sentirsi più agitata e nervosa di quanto già non lo fosse stata prima, sulla Tube, mentre raggiungeva quel luogo. Si rigirò una lunga ciocca di capelli bruni fra le dita in cerca di sicurezza, ma le fu impossibile. Si sentiva irrequieta e, in un certo senso, anche spaventata. Da due giorni non riusciva più a dormire bene, né a concentrarsi adeguatamente sul lavoro e sapeva a cosa era dovuto tutto ciò.

Il pensiero di Ewan non le dava tregua, in particolare tutto quello che aveva compreso ormai tre giorni prima a Piccadilly Circus. Da quella mattina non era riuscita a sentirsi meglio un solo giorno e aveva capito che l’unica cosa che avrebbe potuto aiutarla era allontanarsi da tutto ciò che le provocava quell’angoscia, anche se quello significava allontanarsi dagli Shards e da Ewan. Aveva cercato invano di trovare la forza per rimanere a Londra, insieme a lui, ma non c’era riuscita. Continuamente si chiedeva a che scopo restare, perché sperare che le cose con lui sarebbero andate in modo differente da tutte le altre volte. Non era riuscita a trovare nulla in grado di farla sentire adeguata a quel posto e, soprattutto, a quel ragazzo e sentiva che la cosa giusta da fare era proprio andare via e conservare quanto le era accaduto fino a quel momento come lo splendido ricordo che, a breve, sarebbe diventato.

«Perché la valigia?» Chase per primo diede voce al quesito che si stavano ponendo i membri della band.

Lei sussultò, nonostante avesse saputo che quella domanda le sarebbe stata rivolta. «Torno a Glasgow» disse in un sussurro.

Ci fu un “Cosa?” generale che provenne da tutti, Trent incluso.

«Come sarebbe torni a Glasgow?» chiese Chris, improvvisamente infervorato. Non gli piaceva quell’idea, neanche un po’ e non solo per quello che si erano appena detti con Ewan: la compagnia di Amelia gli piaceva e non voleva saperne di vederla andare via prima del tempo.

Il tastierista la colse impreparata, soprattutto perché non pensava di sentirlo formulare una domanda del genere. Si strinse nelle spalle con fare colpevole, incapace di nascondere il gesto di mordersi le labbra prima di rispondere: «Mi dispiace davvero, ragazzi. È solo che ho accettato la proroga prima di sapere come stavano le cose. Ho un altro lavoro a Glasgow e ho dato fondo a tutte le mie ferie per venire qui, solo che, beh, mi ha chiamata il mio capo ieri e...ha detto che se non rientro mi licenzia. Non so se può farlo ma non voglio rischiare.»

Mentiva. Mentiva sapendo di farlo. Non c’era più alcun lavoro ad aspettarla in Scozia, non dopo che aveva mandato al diavolo Susan McFarland e il suo infernale negozio in Buchanan Street. Tuttavia non era riuscita a trovare altro modo o, meglio, altra scusa, per allontanarsi da Londra senza che il reale motivo si venisse a sapere. Il senso di colpa la stava già divorando, ma non sapeva che altro fare. Rimanere a contatto con i ragazzi aveva d’improvviso iniziato a provocarle dolore, al punto da non avere la forza di guardare negli occhi Ewan.

«Non può farlo» esclamò Chase. «E poi, anche se fosse, tu ormai sei una grafica, no? Qualunque sia l’altro lavoro di cui parli, a meno che non sia per altre grafiche importanti, può aspettare» tentò Chase, formulando quella frase senza neanche pensare a quanto stava dicendo.

«No, non c’entra con nessuna grafica» si sentì in dovere di precisare lei. «Solo che, una volta terminato quanto sto facendo per voi, non avrei più un’entrata garantita. Ho anch’io delle spese da sostenere, come tutti.»

«Vorrà dire che ti troveremo noi una nuova commissione. I Seafret stanno lavorando al disco nuovo, magari hanno bisogno di grafiche» proseguì ostinato il batterista. Sembrava l’unico, in quel momento, capace di formulare qualche proposta per convincere Amelia a rimanere, per quanto potessero apparire campate in aria. Da un lato la ragazza era sollevata dal fatto che Ewan non stesse aprendo bocca per cercare di dissuaderla dalla sua decisione, separarsi da lui sarebbe stato meno doloroso; dall’altro lato, però, non poteva fare a meno di essere delusa dalla cosa, dal suo silenzio. Se solo l’avesse guardato in faccia, però, si sarebbe resa conto di quanto fosse sconvolto. Lui sentiva che c’era dell’altro, che quella del lavoro non poteva essere la reale motivazione che la stava spingendo ad andarsene. Avrebbe voluto chiederglielo ma non sapeva come.

«Allora vuoi che chiediamo ai Seafret di ingaggiarti?» insisté Chase, che non aveva alcuna intenzione di arrendersi.

Amelia gli sorrise. «Sei molto dolce, Chase. Ma credo che il problema rimarrebbe. Almeno finché non sarò una grafica di professione nel vero senso del termine» disse, stringendosi nelle spalle.

Il batterista stava per tornare alla carica, ma fu preceduto dal tono austero di Trent: «E per i nostri lavori?»

La sua domanda suonava più come un’accusa di tradimento. Tuttavia la ragazza si era preparata anche a questo. «Ho già parlato con Jacob» replicò calma. «Non mi mancano molti lavori e gli invierò aggiornamenti costanti. In fin dei conti Edward voleva che lavorassimo così fin da subito. Quella di farmi venire a Londra è stato uno strappo alla regola.»

Lanciò un’occhiata fugace in direzione del cantante. Durò per pochissimi istanti, ma sentì una violenta morsa chiuderle lo stomaco. Doveva andarsene in fretta da lì. Prese una lunga boccata d’aria e proseguì: «Sono passata per salutarvi. E per ringraziarvi di cuore per l’opportunità che mi avete dato. È una specie di sogno che si avvera» rise.

«Non sei costretta ad andare via, troveremo un modo» intervenne Chris. «Magari non con i Seafret però–» Amelia lo interruppe: «Sapete che vi adoro?» chiese retorica con un sorriso. «Mi dispiace davvero andarmene, ma devo. Prometto che appena avrò le ultime bozze pronte sarete i primi a cui le farò vedere.»

«Quindi vai?» domandò Chase.

Lei annuì con un gesto del capo e batterista e tastierista le si avvicinarono, stringendola in un abbraccio. Quando si separarono Amelia raggiunse Trent. Non sapeva con esattezza come salutare il chitarrista e per sua fortuna fu lui a prendere l’iniziativa. Le tese la mano e si scambiarono una semplice stretta, perfetta per un cavaliere come Linton, pensò la ragazza.

Infine si voltò verso Ewan. I due si guardarono e Amelia si sentì mancare. Lui era bellissimo e ferito, così come lei, che si sentiva schiacciata dal dolore e dal senso di colpa per la decisione che aveva preso. Tuttavia non aveva trovato un’alternativa. Sentiva che non avrebbe mai potuto funzionare con Ewan, ci sarebbe sempre stato qualcosa in grado di farla sentire inadatta, qualcosa che costantemente le avrebbe ripetuto di tenersi pronta per il prossimo cuore spezzato, per l’ennesima ferita pressoché impossibile da ricucire.

Gli tese il suo cappellino e il ragazzo lo afferrò. A Ewan non venne niente di sensato da dire, non una parola uscì dalla sua bocca. Era sconvolto per quanto la ragazza stava facendo, al punto di non sapere come comportarsi. Non poteva costringerla a rimanere, ma cosa dirle?

«Ci vediamo al prossimo concerto allora» gli disse. Lui non replicò e in quel silenzio surreale Amelia si avvicinò, lasciandogli un leggero bacio sulla guancia. Dopodiché guardò i quattro un’ultima volta e sorrise loro: «Grazie ancora di tutto, davvero» fece un cenno di saluto con la mano e si avviò con la sua valigia.

Ewan non fu in grado di fare nulla. Si trovava in uno strano stato emotivo, come se fosse dentro una bolla, circondato da ovatta, sordo al resto del mondo. Poi, quando anche il profumo di Amelia sparì dalla stanza, si ridestò nello stesso modo in cui ci si può svegliare da un brutto sogno. Spalancò gli occhi, il cuore accelerò il battito e il cappellino gli sfuggì di mano. Perché se ne andava? Perché glielo aveva detto così? Perché?

Chase, Chris e Trent lo stavano fissando, incapaci di dire parole che potessero in qualche modo aiutare l’amico, ma il cantante sapeva che toccava a lui fare qualcosa, che se avesse permesso ad Amelia di andarsene senza prima averle detto cosa sentiva per lei avrebbe fatto il più grosso errore della sua vita. 

Senza dire niente scattò in direzione della porta, correndo lungo il corridoio che dava sull’esterno. Individuò la ragazza, con la valigia al seguito, a pochi metri di distanza, sul marciapiede della soleggiata Shaftesbury Ave.

«Amelia. Aspetta.»

Sentendo il suo nome pronunciato con la perfetta voce di Ewan, lei si bloccò, voltandosi verso di lui. Il ragazzo la guardò per un momento; appariva sorpreso, sconvolto, gli occhi blu sgranati e il fiato corto – e non certo a causa della corsa.

«Che ti prende?»

Amelia si sentì pugnalata da quella domanda, così come dal tono con cui era stata formulata. Fece del suo meglio per riuscire a guardare il cantante negli occhi mentre rispondeva, tentando di fare il possibile per non cedere davanti al suo sguardo che sembrava implorarla. «Ve l’ho detto. Insomma, il lavoro e tutta questa storia...» lasciò cadere la frase, incapace di aggiungere altro. Un nodo le si stava formando in gola e una fitta di paura e tristezza le serrò lo stomaco. Sarebbe potuta crollare da un momento all’altro, sentiva di doversene andare al più presto.

«Ok, d’accordo» rispose Ewan a denti stretti. «E riguardo a noi, allora?»

La ragazza spalancò gli occhi, il cuore variò il proprio ritmo. Che bel suono aveva quel “noi”, così bello eppure così doloroso; perché Amelia sentiva che nessun “noi” sarebbe potuto durare fra loro, non finché ci fosse stata lei. Prese ad agitare nervosamente le dita intorno al manico della valigia, sperando con tutta se stessa che lui non la notasse. Cercò qualcosa da dire ma non fu in grado di aprire bocca e, davanti a quel silenzio, Ewan prese l’iniziativa. «Andiamo, lo sai che mi piaci. Davvero c’è bisogno che te lo dica?»

Fu al suono di quelle parole che Amelia distolse lo sguardo, incapace di continuare a guardare Ewan. Dio, stava così male, ma non sapeva come comportarsi altrimenti. Non riusciva più a rimanere lì, a Londra insieme a lui, sentiva che avrebbe solo reso tutto più complicato per entrambi. Non poteva ignorare quella paura viscerale che ormai da giorni l’aveva presa, che le impediva di immaginare un futuro sereno insieme a quel ragazzo. Lo avrebbe solo ferito, ben più di quanto stava già facendo. Schiuse le labbra per dire qualcosa, ma non le uscì nulla. Si sentiva orribile, avrebbe voluto scomparire, scivolare fra le persone che scorrevano accanto a lei e andare via, lasciando al ragazzo il tempo e il silenzio per comprendere che era meglio che le cose fra loro fossero andate a quel modo, perché sentiva che lui avrebbe potuto capirlo.

Davanti al silenzio protratto di Amelia, Ewan non fu più in grado di resistere. Non ce la faceva a sopportare quella situazione, voleva solo che finisse, indipendentemente da quanto avrebbe scoperto. Era chiaro che quello che la ragazza gli aveva raccontato aveva più l’aspetto di una scusa che altro e anche Amelia aveva ormai compreso che il cantante sapeva la verità. 

Lui prese fiato, pronto all’affondo finale. Voleva delle risposte, sebbene sapesse già che lo avrebbero ferito. «Sii sincera con me: c’entra davvero il lavoro? O sono io?»

Amelia si sentì cedere. Stava sempre peggio e la morsa allo stomaco si era stretta, violenta come mai. Avrebbe voluto dirgli la verità, tutta, racchiudendola in quella frase all’apparenza priva di significato che aveva portato alla fine di centinaia di storie diverse: “non sei tu, sono io”. Tuttavia non le riuscì neanche di dire quelle poche e insulse parole.

Tentò di farsi forza, sperando di non sentire la  voce morirle in gola. «Mi dispiace» disse solo, dopodiché lanciò un’ultima, incerta, occhiata al cantante e si allontanò.

Non lo sentì avviarsi per raggiungerla, né chiamare il suo nome per fermarla e una parte di sé quasi morì per quello. Avrebbe voluto fermarsi, guardarlo ancora una volta, trovare una soluzione, ma non fece nulla. Si affrettò per raggiungere la Tube, diretta verso Euston Station, dove avrebbe preso un treno per Glasgow un paio d’ore più tardi con il biglietto che aveva prenotato la notte precedente, quando ancora l’insonnia era stata la sua più intima amica. 

Mentre aspettava la linea blu, in mezzo a una folla costante di persone in arrivo e in partenza, Amelia non poté fare altro che pensare a quanto appena accaduto con Ewan, al modo in cui lei se n’era andata, a come lui l’aveva guardata, supplicandola con  gli occhi di restare. Cercò di canticchiarsi in testa qualcosa, nella vana speranza di alleggerire il proprio stato d’animo. L’unica canzone che le venne in mente fu A Step You Can’t Take Back, di Keira Knightley, ma quella canzone era nella colonna sonora di Begin Again, lo stesso film da cui Ewan aveva preso spunto per la passeggiata notturna per Londra ascoltando la musica, la notte in cui si erano baciati la prima volta. Quel ricordo fu come una lama nella carne viva della ragazza.

Sembrava una statua, immobile, lo sguardo basso, un nodo in gola soffocante. Si sentiva atterrata, nient’altro, e consapevole di esserlo per sua stessa scelta. In casi simili solo la musica sapeva come aiutarla e, in particolare, note e parole degli Shards. Tuttavia, in quel momento, come avrebbe potuto il quartetto londinese esserle d’aiuto quando solo il pensiero di loro era in grado di acuire il suo dolore?

 

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Capitolo 19
*** Ready To Change ***


 

 

 

You feel the knife in your gut | But you’re so scared of what you want | You bite you lip, and hold your tongue | What are you hiding?”

Kodaline. Ready To Change

 

 

Casa di Amelia, Little St, Glasgow, 14 settembre

Ore 6:18 PM

 

Davanti all’appartamento in cui viveva, Amelia non riuscì a evitare il paragone con quello che si era lasciata a Londra e in cui era stata nell’ultimo mese. La luce, forse, era l’elemento che l’aveva portata a fare quel confronto mentale.

Glasgow le era mancata, molto, così come Pani e la casa che condivideva con lei, con le porte cigolanti e un paio di tapparelle difettose. Rientrare lì le aveva fatto piacere, sebbene avesse desiderato di tornarvi in uno stato d’animo ben diverso. Aveva sperato di rincasare a Glasgow felice, realizzata, con la mente piena di idee e il cuore carico di ricordi. Invece, ora, si sentiva svuotata di ogni emozione, un guscio su cui anche le cose più belle sarebbero potute scivolare; così vuota e così delusa da se stessa da non aver neanche versato una lacrima. 

Nel viaggio di quattro ore che separava Londra da Glasgow, l’Inghilterra dalla Scozia, la sua mente aveva cercato invano di trovare qualcosa su cui focalizzarsi che non fosse Ewan. Aveva tentato di ascoltare canzoni che non fossero quelle degli Shards, di fare il possibile per non aggiungere ferite a quelle che si era fatta e a quante già possedeva. Alla fine si era assopita ma, forse, risvegliarsi in viaggio su un treno e ricordare per quale ragione vi fosse aveva solo peggiorato la situazione.

Pani non era ancora rientrata. Amelia, che conosceva a menadito gli orari dell’amica, sapeva che sarebbe tornata a breve. Si trascinò la valigia fin nella sua camera e rimase sulla soglia per almeno un minuto a osservare quello che era da anni il suo rifugio sicuro, il posto in cui poteva disegnare senza interruzioni, in cui poteva dimenticarsi di ogni delusione; la sua tana piccola, accogliente e tappezzata di fotografie.

Cominciò a togliere i vestiti dal trolley, facendo piccoli mucchietti sul letto, in un silenzio disturbato solo dai rumori che provenivano dall’esterno. Aveva appena ultimato quel lavoro quando sentì la porta di casa aprirsi. Si affacciò sulla soglia di camera sua e incrociò lo sguardo di Pani, che sembrò impiegare un po’ per riconoscerla.

«Ami» esclamò. «Sei tornata?» La domanda aveva un suono strano, come se non si spiegasse la presenza dell’amica lì; dopotutto Pani era stata informata della questione della proroga che avrebbe dovuto tenere Amelia a Londra fino alla metà di ottobre.

Dopo quel primo momento di confusione, però, l’amica si avvicinò e strinse la coinquilina in uno dei suoi abbracci più affettuosi. «Mi sei mancata» disse, la testa affondata nei suoi capelli. L’altra le rispose che quel sentimento era reciproco e per la prima volta da ore si lasciò andare a un sorriso, stretta in quell’abbraccio.

Quando Pani si separò da lei, le posò entrambe le mani sulle spalle e la guardò negli occhi. «Ma che è successo? Non dovevi rimanere fino a ottobre?»

Amelia sapeva che avrebbe potuto dirle tutto e ricevere in cambio l’aiuto di cui aveva bisogno, ma non ne fu in grado. Si strinse nelle spalle, cercando una mezza verità da usare in sostituzione, qualcosa da dire affinché non fosse così palese il modo in cui era fuggita. «Beh, visto che alla fine mi mancano davvero poche grafiche non era necessario che rimanessi ancora là. Sai com’è, il mio alloggio era comunque una spesa che hanno preferito tagliare.» Fece del suo meglio per sembrare convincente e forse ci riuscì davvero, perché l’amica assunse un’aria dispiaciuta.

«Cavolo» disse questa, «ci sarai rimasta male.»

Amelia non avrebbe usato quelle esatte parole, ma in fin dei conti non aveva neanche rivelato la realtà dei fatti. Aveva mentito prima agli Shards e ora alla sua migliore amica. Fuggire dalla realtà non era mai una soluzione e sapeva le si sarebbe ritorto tutto contro. Tuttavia in quel momento non riusciva a fare altrimenti.

Alla fine cercò di non apparire triste quanto si sentiva. Si strinse appena nelle spalle, abbozzando un sorriso. «Beh, il mio nome sulle grafiche c’è comunque. Mi dispiace aver lasciato gli Shards, d’accordo, ma non posso dire di essere triste per quello che è successo.»

Pani arricciò le labbra. «Sì, direi che hai perfettamente ragione.» Dopodiché parve esaltarsi molto più di prima. «Devi raccontarmi tutto, anche le cose all’apparenza più insignificanti» esclamò, calcando con cura la parola “tutto”.

«Ti dispiace se prima mi faccio una doccia? Ne ho un bisogno folle.» Amelia pensò che quello potesse essere un buon modo per guadagnare un po’ di tempo. Aveva bisogno di riordinare le idee e pensare con cura a cosa – e quanto – poter dire. 

«Oh, sì, giusto, scusa» rispose in fretta Pani. «Hai ragione, sarai stanca. Ne parliamo a cena, magari. Potremmo uscire, che ne dici?»

La coinquilina si disse d’accordo con la proposta. Forse uscire le avrebbe fatto bene. Si avviò per andare nella sua stanza, ma la voce dell’amica la fermò: «Solo una curiosità.» Amelia sapeva già dove sarebbe andata a parare. Si preparò a ricevere la fatidica domanda, l’equivalente dell’ennesima pugnalata.

«Che mi dici di Ewan?»

La ragazza avrebbe voluto dire che era una stupida – e che quello era solo un eufemismo – che aveva rovinato ogni possibilità avesse mai avuto con Ewan, che lei non era all’altezza di quel ragazzo e certo non lo sarebbe stata ora, dopo il modo in cui era scappata. Non una di queste parole uscì dalle sue labbra. Si strinse nelle spalle, facendo una fugace smorfia. «Non...non ha funzionato.»

L’amica si lasciò sfuggire un lungo sospiro. «Accidenti» borbottò. «E pensare che avevo già iniziato a pensare a come chiamare la vostra coppia.» Sporse il labbro inferiore, dispiaciuta e Amelia rise a quel gesto. Insieme a Pani avrebbe potuto riprendere controllo della sua vita, lo sentiva. Gli amici erano sempre stati la cosa migliore della sua esistenza e, per sua fortuna, viveva sotto lo stesso tetto di qualcuna in grado di farle trovare una ragione per sorridere anche quando ogni cosa sembrava andare in frantumi.

«Dai, non fare così» cercò di rassicurarla Amelia. «Appena esco dalla doccia ti racconto tutto.»

Si avviò in camera per prendere dei vestiti puliti e lì si chiese cosa avrebbe potuto raccontare alla coinquilina riguardo a Ewan. “Tutto” voleva dire ogni cosa, ovvero il fatto che se fosse rimasta a Londra si sarebbe certo innamorata di quel ragazzo, di cui apprezzava i pregi e perfino i difetti – come il suo perenne essere in ritardo, eccetto che ai concerti. Non poteva dire tutto; nemmeno alla sua migliore amica, non finché la consapevolezza delle sue azioni continuava a scavarle dentro gallerie profonde, quasi toccando punti che Amelia a malapena sapeva potessero provare dolore e rimorso.

 

 

 

 

St. Vincent St, Glasgow, 10 ottobre

Ore 3:35 PM

 

In tre settimane la vita era capace di prendere una svolta drastica, imboccare un sentiero nuovo con una sterzata. Al contempo, però, era anche capace di resettarsi completamente, in quel lasso di tempo breve per alcuni ed eterno per altri.

In quel frangente della propria esistenza, Amelia apparteneva alla serie di persone per cui tre settimane equivalevano a un’eternità.  Aveva ultimato le grafiche per gli Shards, lavorando come non aveva fatto a Londra, dedicando ogni minuto della sue giornate a quei disegni. Si era tenuta in costante contatto con Jacob – soddisfattissimo di quei lavori – e con Chris e Chase, che le avevano inviato spesso messaggi per chiederle come stava. Ma non con Ewan. Il cantante non l’aveva più cercata dopo che se n’era andata da Londra e lei non sapeva come dargli torto di ciò. D’altro canto nemmeno Amelia aveva tentato qualcosa per riallacciare i rapporti. Proprio come aveva fatto con le e-mail, di cui ne aveva iniziate a decine senza mai inviargliene una, aveva più e più volte aperto la chat WhatsApp con il nome del ragazzo scritto sopra, pensando a qualcosa da dirgli, a un modo per scusarsi, ma ogni volta finiva con il rileggere alcuni passaggi delle conversazioni, sentire un nodo formarsi in gola e chiudere tutto con l’ennesimo nulla di fatto. 

Ewan le mancava tantissimo. Era in assoluto la cosa che più le mancava di Londra. Non ascoltava più gli Shards ormai; anche in quel momento dagli auricolari che teneva inforcati uscivano note e parole di Ready To Change dei Kodaline. Forse un giorno sarebbe riuscita a tornare ad ascoltare le canzoni di quello che rimaneva, senza alcun dubbio, il suo gruppo musicale preferito, ma trovava che in quel momento fosse ancora troppo presto. 

Era in una caffetteria-libreria, la sua preferita in tutta Glasgow, chiamata Molière. Stava sorseggiando un infuso alla mente e leggendo il libro che aveva appena acquistato. Con sé aveva anche il portatile e le sarebbe piaciuto lavorare un po’ a qualche grafica, ma non aveva voglia di estrarre il pc. Inutile dire che non aveva alcuna commissione, al momento. In fin dei conti le nuove grafiche degli Shards non erano ancora state rese pubbliche, perciò era impossibile che qualcuno al di fuori della band, del manager e di Jacob avesse visto uno dei suoi lavori. Tuttavia sapeva anche che quel lavoro non poteva darle la certezza di ottenere le attenzioni che lei tanto sperava, consentendole finalmente di entrare a pieno regime nel mondo della grafica. Stava anche pensando di cercarsi un lavoro nuovo, almeno per tornare ad avere quell’entrata mensile assicurata con cui coprire le spese della casa e concedersi un concerto ogni tanto. 

Alzò gli occhi dal libro, fissandoli in un punto qualsiasi della piccola libreria. Continuava a rimuginare su Londra, sulla sua carriera da grafica, su Ewan. Così non si aiutava. Come poteva riprendere il controllo di sé e della sua vita se costantemente andava a rivangare su quanto gliel’aveva stravolta? Perché, in fin dei conti, questo aveva fatto Ewan: le aveva stravolto quell’equilibrio che aveva trovato, sebbene fosse stato fatto di giornate pressoché identiche, di convinzione sulla mediocrità dei propri lavori e di consapevolezza che, forse, qualcuno di cui valesse la pena innamorarsi non lo avrebbe mai trovato. Certo, quello non si poteva definire il miglior equilibrio del mondo, ma ridimensionare le proprie aspettative le aveva consentito di superare indenne anni di giornate all'incirca uguali, in cui bastava una birra in compagnia e un selfie di gruppo per migliorare le cose.

Poi era arrivato Ewan e, come un uragano, aveva cambiato le cose in Amelia con una velocità sorprendente. Le aveva fatto capire che c’era sempre qualcosa, in un giorno, che valeva la pena di essere approfondito e reso speciale, che le sue doti di grafica potevano essere apprezzate, che c’era del talento in lei e, soprattutto, che qualcuno di cui valesse ancora la pena di innamorarsi esisteva, sebbene meritasse una persona in grado di ricambiare senza alcuna esitazione quel sentimento, cosa che a lei risultava complicata, se non impossibile. 

Chiuse il libro, capendo che non sarebbe riuscita a proseguire oltre e si concentrò sul suo infuso alla menta, ormai freddo. Fuori dalle vetrate poteva vedere la pioggia scrosciare sulla città, rendono il pomeriggio buio. Spense anche la musica, così da udire il suono dell’acqua, qualcosa che le aveva portato serenità fin da quando era piccola. Cercò di non pensare a niente, ma le risultò impossibile come ogni altra volta in cui si cimentava invano in quell’assurdo tentativo. Non esisteva modo per fermare una mente pensante, alcuno, e lo sapeva.

Per sua fortuna il cellulare interruppe il flusso del suo cervello. Puntò gli occhi sullo schermo illuminato, scoprendosi a desiderare di vedere un solo nome in sovrimpressione. Tuttavia, quel nome non era comparso. Amelia afferrò il telefono. Lo portò all’orecchio, inumidendosi le labbra prima di rispondere.

«Ciao Amelia, sono Philip.»

Il “buon Phil” salutò la ragazza con tono raggiante. Era il fotografo di fiducia di Amelia, l’uomo che le aveva ormai sviluppato tutti i cinquantaquattro rullini che avevano iniziato ad affollare la stanza della giovane da quando aveva acquistato la sua piccola Diana anni prima. Fra lei e il fotografo si era instaurato un buon rapporto di amicizia, soprattutto perché ormai più nessuno, a detta di Phil, si presentava con un rullino a colori da far stampare – quelli che loro due chiamavano in simpatia i “C-41”. Per lui, fotografo nato negli anni della pellicola, il ritorno al mondo analogico di Amelia era stato qualcosa di molto positivo, quasi sentisse di non aver trascorso gli anni migliori della sua vita a lavorare su qualcosa che sarebbe presto finito nel dimenticatoio.

Il contagioso ottimismo di Philip fu in grado di far sorridere la ragazza anche nello stato in cui si trovava. «Ciao Phil» gli disse. Avrebbe voluto aggiungere che ormai il suo numero lo aveva salvato in rubrica da parecchio, che non serviva si presentasse ogni volta, ma preferì non farlo. Si immaginò l’uomo nel suo studio di fotografia, alto più di una montagna, la pelata lucida, due baffoni a manubrio degni di una competizione e una delle innumerevoli polo della nazionale di rugby scozzese indosso.

«Spero di non disturbarti» proseguì lui, «ma ti ho chiamata perché le tue foto sono pronte da giorni e non sei ancora passata a ritirarle. Pensavo te ne fossi dimenticata e ho preferito avvisarti.»

Amelia si passò una mano sulla fronte, buttando indietro la testa. Philip aveva ragione, se ne era dimenticata eccome e, forse, non aveva neanche tanta voglia di andarle a riprendere. Aveva portato due rullini a far sviluppare il giorno dopo il suo rientro a Glasgow, settimane fa, ormai. Era entrata nello studio del fotografo quasi in uno stato di trance, salutando il proprietario – ormai un amico – e lasciandogli i rullini sul bancone, contrassegnati dal numero 55 e 56. “Per quando hai tempo”, gli aveva detto prima di uscire. Chiaramente Phil aveva stampato le foto con la stessa tempistica di sempre, ovvero in un paio di giorni – alle volte Amelia sospettava che lui le “mettesse avanti” i lavori perché si trattava di fotografie su pellicola.

«Come stanno i miei C-41?» chiese lei, cercando di mascherare la situazione.

«Oh, benone. Ci sono molti scatti belli. Sei stata a Londra, eh?» Scoppiò nella sua potente risata, a cui di solito Amelia andava dietro, ma non in quel momento. Aveva nominato Londra, la capitale, il contenuto non unico di quei rullini. Forse avrebbe fatto meglio a lasciare quelle foto dov’erano, a non recuperarle; tuttavia non poteva fare una cosa del genere a Phil, era suo amico e un fotografo di tutto rispetto, che meritava di essere retribuito per il suo lavoro. Con che faccia gli avrebbe portato il rullino 57 senza prima prendere i due che ora erano là ad aspettarla?

Prese una boccata d’aria e chiuse gli occhi. «Passo a prenderli ora, che ne dici?»

«Va benissimo, tanto sai dove trovarmi.»

Una nuova risata e, questa volta, rise anche la ragazza. «Allora a fra poco. E grazie, me ne ero dimenticata, infatti.»

Si salutarono e Amelia chiuse la chiamata. Mise il libro nella borsa, tirò su fino al limite la cerniera della felpa e si avviò fuori dalla piccola libreria-caffetteria, l’ombrello tenuto di traverso per proteggerla dalla pioggia che scendeva di taglio.

Il negozio di Philip era sovrastato da una storica insegna in ferro battuto – o, almeno, Amelia era convinta fosse in ferro battuto – da cui era sempre stata affascinata. La pioggia era calata di molto quando entrò nello studio fotografico. Il proprietario era impegnato con un cliente, ma salutò la giovane con un cenno della mano appena la vide varcare la soglia. Mentre aspettava che si liberasse, Amelia si guardò un po’ intorno, sulla moltitudine di fotografie che decoravano il locale a testimonianza delle capacità del fotografo. Ormai conosceva a menadito quelle immagini, ma non poté fare a meno di guardarle anche quel giorno per quanto erano belle.

Quando il cliente se ne fu andato, Phil si voltò per afferrare qualcosa nello scaffale che aveva alle sue spalle. Fece scorrere sul piano, fino alla ragazza, due piccole buste in carta e altrettanti cilindretti in plastica opaca, contenenti i negativi sviluppati.

«Ti ho già detto che mi piacciono molto?» le chiese lui, sorridente.

«Hai accennato alla cosa per telefono» rispose Amelia. Aveva gli occhi posati sulle buste in carta con i positivi stampati. Avrebbe voluto vedere quelle foto, ma sapeva che cosa vi avrebbe trovato. Il rullino 55 conteneva per più di metà foto di Londra, molte scattate dagli stessi Shards. E il 56 era stato iniziato e finito nella capitale, inutile anche solo sospettare avesse un contenuto differente dal precedente.

«Quanto sei stata là?»

Lei sollevò gli occhi sul fotografo al suono di quella domanda. Per un primo istante non capì di cosa stesse parlando, dopodiché collegò fra loro le cose. «Un mese.»

«Ah, una bella vacanza» scherzò l’uomo.

Amelia sorrise. «No, per lavoro. Sono stata chiamata a realizzare le grafiche per la nuova tournée di un gruppo musicale.»

«Pensa un po’. I miei complimenti. E questo gruppo si chiama?»

«Shards.» Le sembrò strano il suono che le uscì dalle labbra, come se il nome della sua band preferita le fosse d’un tratto diventato estraneo.

«Mai sentiti» borbottò Philip, battendo il conto sulla cassa che aveva accanto.

Amelia estrasse il portafoglio, contenta di sapere che, a breve, si sarebbe cambiato argomento.

«Allora, il solito per due» disse lui, senza aggiungere altro. Mise sopra le fotografie stampate anche un paio di album, un omaggio che continuava a fare alla ragazza nonostante casa sua già strabordasse di album fotografici – per lo più perché lei preferiva sistemare in altro modo le fotografie stampate.

Amelia gli allungò il bancomat e appena ebbe finito di pagare afferrò le sue cose e le infilò in borsa, con la cura che sempre riservava al suo materiale fotografico. Ringraziò il fotografo e gli augurò buona serata, dopodiché si avviò diretta verso casa. Fece il tratto di strada senza ascoltare musica, concentrandosi solo sul ticchettio delle gocce di pioggia sull’ombrello, le quali riacquistavano forza di tanto in tanto, per poi calare di nuovo di intensità.

Quando arrivò a casa, come ben sapeva, Pani non era ancora rientrata. Si cambiò i vestiti, tamponandosi con un asciugamano le punte dei capelli che non era riuscita a proteggere dall’acqua. Con indosso una delle sue felpe più larghe e comode, Amelia svuotò la borsa del suo contenuto, spargendolo sul letto come faceva ogni volta. Afferrò i cilindretti contenenti i negativi e li andò a sistemare nella vecchia ventiquattrore che le aveva regalato sua madre, insieme a tutti i cinquantaquattro rullini sviluppati in precedenza. Dopodiché si voltò verso il letto, dedicando la sua attenzione alle buste in carta con i positivi stampati. Non se la sentiva di aprire quelle buste, svuotarle dal contenuto, guardare le foto. Sapeva già cosa vi avrebbe visto e, al tempo stesso, come si sarebbe sentita. Forse a distanza di qualche giorno o settimana, le sarebbe risultato più semplice.

Sospirò, pensando di prepararsi un altro infuso alla menta. Ne aveva bevuto uno da poco ma aveva bisogno di qualcosa che l’aiutasse a calmarsi. Raggiunse la cucina e fu lì che capì che non era una bevanda calda ciò che le serviva. Aprì il frigorifero e afferrò una birra. La stappò e ne bevve il primo sorso come se non bevesse da secoli. Dopo il secondo goccio tornò nella sua stanza, fermandosi però sulla soglia della porta. Fissò il punto del letto su cui stavano le buste con le foto a lungo, finché, d’impulso, non decise di guardarle. Si allungò sul letto ad afferrarle, poi si sedette in terra, posando la birra accanto a sé.

Per prima forzò la busta con impresso a pennarello il numero 55. Nella stanza regnava un silenzio assoluto, sospeso. Estrasse le prime foto e il cuore iniziò a batterle con forza maggiore. Una decina di immagini, quelle che tirò fuori subito, le aveva scattate prima di raggiungere Londra e le riconobbe tutte. Forse avrebbe fatto meglio a fermarsi, guardare quelle fotografie e richiudere nella busta le altre, ma non lo fece. Prese un nuovo sorso di birra e continuò ad afferrare un positivo dietro l’altro, riconoscendo la capitale inglese, i posti e, poi, le persone. I volti degli Shards le scorsero sotto gli occhi uno a uno. Li aveva immortalati chiedendo loro una foto, oppure quando non se l’aspettavano o mentre erano intenti a fare altro, risultando naturali.

I colori dei positivi analogici sembravano sbiaditi, consumati, una particolarità che lei amava. Vedere Ewan con quei colori era come metterlo sotto una luce diversa, effimera e impalpabile. Quelle fotografie avevano la consistenza dei ricordi; anzi, quelle fotografie erano ricordi, e Amelia sapeva che se quelli si fossero potuti afferrare sarebbero stati le immagini che ora teneva fra le mani.

Ormai non riusciva più a staccarsene. Ne scorreva una e subito voleva vederne un’altra, nonostante il nodo che le si stava formando in gola e la sensazione opprimente che si faceva largo nel petto. Si era lasciata alle spalle qualcosa di sconvolgente in quanto a emozioni e bellezza, qualcosa che la stava rendendo felice. Forse aveva sbagliato ad andarsene nel modo in cui aveva fatto, ma non aveva trovato una soluzione differente e ora le sembrava troppo tardi per rimediare in qualche modo ai suoi sbagli. Inoltre continuava a rimanere il fatto che aveva paura; di cosa cominciava a non saperlo più nemmeno lei, ma non si era dimenticata quella sensazione di non essere abbastanza per Ewan che era stata una delle cause principali del suo improvviso allontanamento.

Però, ora, lui le mancava allo stesso modo in cui poteva mancarle qualcosa di vitale e prezioso, qualcosa di irrinunciabile. Il nodo in gola le si chiuse con forza e, per la prima volta da quando aveva lasciato Londra, le venne da piangere. Prima di quel momento era riuscita a non versare una sola lacrima ma lì, con le foto sparpagliate come petali di fiori intorno a sé, non riuscì a trattenere il pianto. Debole e stupida, questo si ripeté nella mente, in cerca del coraggio necessario per prendere un’iniziativa. 

Sentì l’ingresso di casa aprirsi e, per non farsi vedere da Pani, spinse la porta della camera con il piede, così da socchiuderla. Cercò di asciugarsi gli occhi ma altre lacrime arrivarono a bagnarli. Si maledisse; maledisse le sue scelte la sua codardia, quella incapacità di provare a concedersi qualcosa di bello a causa di un passato ingombrante.

Sentì i passi della coinquilina avvicinarsi e la sua voce levarsi nella sua direzione. Pani spalancò la prota. «Pensavo che magari stasera potrem–» Si bloccò subito alla vista dell’amica, seduta in terra, circondata da fotografie e inutilmente intenta ad asciugarsi gli occhi. 

«Ami che è successo?» le chiese, preoccupata. Si fece strada con garbo fra i positivi di stampa, sedendosi sul pavimento accanto ad Amelia. Quest’ultima non riuscì a rispondere prima di essere scossa da nuovi singhiozzi, ricominciando a piangere. 

Le ci vollero diversi minuti e tutta la calma che Pani riuscì a trasmetterle perché si placasse, sentendosi pronta a raccontare quella verità che aveva tenuto nascosta anche alla migliore amica. Le disse perché era rientrata prima, la vera ragione per cui aveva lasciato Londra. Il senso di impotenza che aveva provato a Piccadilly Circus, di come, da quel momento, anche il solo pensiero di Ewan le provocasse fitte di angoscia dovute a quel suo passato che sembrava intenzionato a ostacolarla ogni volta e dal quale lei si faceva sottomettere. Infine le disse quello che aveva capito quel pomeriggio, ovvero che Ewan le mancava allo stesso modo in cui può mancare qualcuno di cui si è innamorati, ma continuava a essere paralizzata dalla paura di vedere le cose andare come con Eric, o con Richard, e provocarle dentro un’altra ferita incurabile. 

Quando si fu calmata, vomitando addosso all’amica paure e consapevolezze, si zittì e allungò a Pani la bottiglia di birra – forse le avrebbe fatto comodo un goccio per riprendersi dalla confessione appena ricevuta. La ragazza ne bevve un generoso sorso, poi un altro, svuotando la bottiglia e lasciando che questa rotolasse sul pavimento. Si girò verso Amelia e la guardò nei suoi occhi arrossati.

«Oh, tesoro.» Era sempre così che esordiva Pani per prendersi cura dell’amica, con un “Oh, tesoro”, l’equivalente a parole di un abbraccio. «Perché non me lo hai detto?»

Amelia smise per un momento di asciugarsi il volto con il fazzoletto che Pani le aveva recuperato dal marasma di oggetti sparsi sul letto e la guardò con fare ovvio.

«Oh, giusto, me lo hai appena spiegato» si corresse Pani. Iniziò a tamburellare con le dita sul ginocchio, pensando. «Perché non gli scrivi?» propose, illuminandosi. «Digli quello che hai detto a me, sono certa che capirà.»

L’altra impiegò un po’ prima di parlare; si sentiva la bocca impastata e già sapeva che la sua voce avrebbe avuto un suono diverso. «Non posso, non sarebbe giusto.» Il tono era roco proprio come si aspettava. «Me ne sono andata senza dargli una spiegazione, non posso scusarmi e tentare di motivare la cosa attraverso un messaggio. È così che Eric mi ha scaricata, se ti ricordi, e abbiamo sempre sostenuto che avesse fatto schifo.»

«Una verità imprescindibile» sostenne Pani, facendo un “pop” con le labbra. «Beh, allora hai solo due possibilità: chiamarlo o lasciare le cose come stanno.»

«Non posso chiamarlo, non riuscirei a dirgli una sola parola» ammise affranta Amelia.

«Allora vai da lui.»

La mancanza di reazione dalla coinquilina le valse come una risposta. Pani capiva la paura, l’ansia della migliore amica, tuttavia aveva anche capito che, quella volta, se avesse ponderato correttamente le parole sarebbe riuscita a imprimere in Amelia la spinta necessaria per aiutarla ad agire e andare a prendersi quanto le spettava – o, almeno, provarci.

Prese una boccata d’aria, pensando alle parole migliori da usare, dopodiché disse: «Ami, io ti conosco alla perfezione, ormai lo sai, e so che c’è una cosa che ti caratterizza: tu non balli. Ma calcò con cura quell’ultima parola, «con gli Shards lo fai, balli eccome. Io penso che questo significhi molto. C’è un legame speciale che ti unisce a quella band e a Ewan in particolare e intendo da prima che vi conoscente. Il fatto che tu abbia capito di essere innamorata, o quasi, di lui non fa altro che rafforzare quel legame. 

«Perciò, vuoi farti scappare l’unico uomo che ti abbia mai fatta ballare? Non puoi sapere come andrà a finire fra voi, chi ti dice che tutto si romperà? Nessuno può saperlo. Ma se rimani qui, se non lo chiami o non gli scrivi, allora sì che tutto si rompe e finisce. Anzi, è già finito.»

Le spostò i capelli su una spalla, così da riuscire a vederla bene in viso. «Non voglio costringerti a fare nulla, sai che non sono il tipo e capisco che tu sia spaventata da come potrebbero andare le cose, specie vista la sfilza di stronzi che non hanno fatto altro che ferirti. Quello che voglio dirti è che non dovresti precluderti la possibilità di essere felice solo perché, forse, qualcosa potrebbe andare storto.»

Pani smise di parlare, regalando all’amica uno dei suoi sorrisi migliori. Quella ragazza aveva una capacità unica di usare le parole, era chiaro che la laurea in giornalismo se la fosse meritata tutta. Nelle parole che aveva appena finito di pronunciare c’era tutto ciò che Amelia sperava di sentirsi dire, l’incitamento di cui aveva bisogno. Ripensò a quanto appena detto da Pani, riflettendo sul da farsi. Non aveva paura, peggio: era terrorizzata. Sapeva il significato di una delusione amorosa importante fin troppo bene. Il suo cuore si era già strappato due volte e lei lo aveva ricucito a fatica, con punti deboli che facevano ancora male e che cedevano ogni volta che il forte sentimento che le aveva provocato tali ferite era in procinto di affiorare dentro di lei. Tuttavia non poteva sapere se le cose con Ewan sarebbero andate come con Eric, o con Richard. Non poteva sapere se fra loro avrebbe funzionato davvero, se lui l’avrebbe amata per sempre, insieme a quell’ingombrante bagaglio che l’eternità costringe a portare con sé. E se Ewan fosse stato quel ragazzo, quello con cui avrebbe trascorso il resto dei suoi giorni e lei se lo fosse lasciato scappare, allora non si sarebbe mai perdonata la cosa. Alle delusioni provocate dagli altri sapeva sopravvivere, ormai l’aveva capito, anche se facevano male; alle sue, invece, non avrebbe mai saputo come reagire. Doveva provarci e decise di farlo.

Le serviva solo un biglietto per Londra.

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Capitolo 20
*** Eleanor Put Your Boots On ***


 

 

 

“So Eleanor, put those boots back on | Put the boots back on and run | Run, come on over here, come on over here, come on over here

Franz Ferdinand. Eleanor Put Your Boots On

 

 

 

Starbucks coffee, Shaftesbury Ave, Londra, 14 ottobre

Ore 9:37 AM

 

“Per fare pace con un ragazzo bisogna prima fare pace con i suoi amici”. Così le aveva detto Pani prima di salutarla alla stazione di Glasgow, per poi stringere l’amica in un lungo, incoraggiante, abbraccio. Amelia sapeva che aveva ragione, per questo nelle quattro ore di viaggio che la separavano dalla capitale aveva deciso di studiare attentamente le sue prossime mosse.

Era arrivata nella capitale la sera precedente e aveva raggiunto l’ostello in cui aveva affittato un letto per le tre notti successive, incontrando i suoi temporanei compagni di stanza. Quelle erano tutte spese che avrebbe potuto benissimo risparmiarsi se solo non fosse scappata da Ewan, ma si disse che così, almeno, avrebbe imparato la lezione, soprattutto perché non era affatto certa che lui l’avrebbe perdonata per il suo comportamento – e, in tal caso, lei non lo avrebbe certo biasimato.

Seguendo il consiglio della migliore amica, Amelia aveva deciso di scusarsi con ciascun membro degli Shards, lasciando Ewan per ultimo. Sperava che raccontando le reali motivazioni che l’avevano portata ad allontanarsi da Londra, Chase, Chris e Trent l’avrebbero aiutata a riappacificarsi con Ewan. Voleva incontrare i tre separatamente, chiedere loro scusa, sperando che le cose andassero per il meglio. Per quello si trovava lì, nello Starbucks di fronte alla sala prove degli Shards, il luogo in chi sapeva avrebbe potuto incontrarli tutti. In quel momento, però, ne stava aspettando uno in particolare. 

Si era seduta in uno dei tavolini più appartati, il cappuccio della felpa in testa e il libro fra le mani per far scorrere il tempo. Si era appostata come nei film, sentendosi quasi un’agente segreto. Era lì da più di mezz’ora, ormai, e, dopo il mocaccino che stava finendo di bere, aveva pensato di concedersi la colazione che, anche complice l’ansia, non era riuscita a mandare giù quella mattina.

Non sapeva se sarebbe riuscita a mandare giù un boccone, si sentiva agitata all’idea di rivedere i quattro Shards. Ancora non sapeva bene cosa avrebbe detto loro, da che parte avrebbe iniziato a raccontare la sua verità, se i ragazzi l’avrebbero capita o, al contrario, si sarebbero accaniti contro di lei, spezzandole definitivamente il cuore. Impossibile stare calmi con tutte quelle incognite addosso, impossibile anche solo pensare di mangiare qualcosa.

Tornò a concentrarsi sulla lettura, tenendo però l’orecchio ben teso verso la porta, così da monitorare ogni movimento, anche se si fosse trattato di persone in cerca di un riparo dalla pioggia che stava scendendo su Londra. Qualcuno di tanto in tanto entrava, ordinava un caffè e usciva, ma di lui nessuna traccia.

Passò all’incirca un’altra mezz’ora, altre persone, altra pioggia.

Amelia sospirò. Forse quella di parcheggiarsi da Starbucks non era stata una gran idea, ma ormai aveva preparato il necessario e il barista aveva consentito ad aiutarla. Quando aveva ipotizzato la cosa le era sembrato un buon piano. Proseguì nella lettura, diventando sempre più impaziente. Si disse che se entro le 11:30 il ragazzo non fosse arrivato avrebbe trovato un altro metodo per incontrarlo, anche se quello che aveva ipotizzato lì nel caffè era perfetto per lui.

Alla fine, quando era ormai prossima a perdere del tutto le speranze, pronta per recuperare le sue cose e andarsene da lì per studiare un piano di ripiego, il ragazzo entrò.

Chase superò la soglia del locale, salutò il barista e ordinò un caffè americano come suo solito. Il ragazzo di Starbucks gli disse che glielo avrebbe preparato a breve, il tempo di ultimare quelli che stava facendo, e il batterista prese posto a uno dei tavoli. Quasi lo avesse fatto apposta, si sedette poco lontano dal punto in cui si trovava Amelia e le diede le spalle, senza neanche vederla. Lei, infatti, si era calcata per bene il cappuccio in testa e si era nascosta dietro le pagine del libro, facendosi il più piccola possibile, osservando circospetta la scena sotto i suoi occhi. Il cuore cominciò a batterle forte per l’agitazione. Cosa avrebbe detto Chase trovandola lì, a Londra? 

Osservò il barista avvicinarsi al tavolo del ragazzo, lanciare a lei uno sguardo d’intesa, infine posare il bicchiere sotto al naso di Chase con un “Il suo caffè, prego” di tutto rispetto. Il batterista lo ringraziò, un po’ sorpreso per quel servizio extra e afferrò il bicchiere.

Amelia, alle sue spalle, trasse un profondo respiro, chiuse il libro e si abbassò il cappuccio, mettendosi in attesa. Il suo piano era appena, ufficialmente, scattato.

In un primo momento Chase non si accorse di nulla, troppo preso a rispondere al messaggio della sua ragazza, ma quando bevve il primo sorso della bevanda notò che sul bicchiere c’era qualcosa. Un segno a pennarello e non erano le lettere del suo nome. Ruotò il bicchiere per vedere bene di cosa si trattava e ne fu incredulo. C’era un disegno, un piccolo e ben eseguito schizzo a pennarello di un ragazzo con indosso un costume intero da dinosauro – tyrannosaurus rex, per essere esatti. Osservandolo meglio si rese conto che il soggetto rappresentato era lui, una sua versione a cartoni. Riconobbe il ciuffo che sbucava da sotto il cappuccio a bocca del dinosauro. Anche lo sguardo; quello era il suo sguardo, non aveva dubbi. Quel bicchiere era stato indirizzato appositamente a lui e si mise subito a pensare a chi potesse averglielo mandato. Una volta aveva fatto una chiacchierata con Amelia a riguardo. Più che una conversazione era stato un fantasticare. Le aveva rivelato che stava pensando di comprarsi uno di quei costumi da dinosauro, per adulti, perché gli erano sempre piaciuti, pensando che sarebbe stato buffo indossarlo durante un concerto. Amelia, come faceva ogni volta, lo aveva ascoltato e aveva fantasticato insieme a lui su un concerto in costume degli Shards, magari per una data di halloween, o carnevale, o in un festival come lo Sziget. Per questo, guardando quel bozzetto sul bicchiere, Chase capì che c’entrava la ragazza e alzò subito la testa per trovarla. Si guardò intorno, senza vederla, arrivando addirittura a pensare di aver preso un granchio, almeno finché non si voltò per vedersi alle spalle. Lei era lì, proprio alle sue spalle, seduta al tavolino, un lieve sorriso in volto. I capelli le ricadevano sulla spalla destra e tra le mani teneva il bicchiere di carta, ormai vuoto.

Chase spalancò gli occhi, un sorriso si fece largo sulle sue labbra. «Amelia» esclamò, felice di trovarsela lì davanti. Era anche sorpreso di saperla lì, ma fu la gioia ad avere la meglio. Si alzò e la raggiunse al suo tavolo, portando con sé il suo bicchiere. 

«Sapevo fosse un tuo lavoro» le disse, riferendosi al disegno sul bicchiere. La ragazza sorrise, annuendo. A breve sapeva che avrebbe dovuto iniziare a raccontare la realtà dei fatti a Chase, che presto lui le avrebbe chiesto perché era lì senza aver avvertito nessuno. Amelia, allora, avrebbe dovuto dire tutto, spiegare perché era tornata, scusarsi con lui e pregarlo di aiutarla. 

«Sono contento di vederti» proseguì Chase. «Ma, che ci fai qui?»

Nonostante la ragazza si fosse aspettata e avesse temuto quella domanda, sentirla formulata dal batterista a quel modo fu meno preoccupante del previsto. Certo, lui ancora non sapeva le reali motivazioni che l’avevano allontanata dagli Shards, ma c’era dell’ingenua curiosità nella sua domanda.

«Ewan ha detto che non ti sente da un po’» proseguì lui.

Quelle parole, al contrario delle precedenti, scatenarono nella ragazza una valanga. I sensi di colpa la invasero, quasi fossero una pioggia di mattoni. Era giunto il momento di raccontare la verità. Dopotutto cos’altro poteva fare, scappare? Aveva già visto cosa significava fuggire e si era ripromessa di non farlo più, soprattutto con Ewan. Parlare con Pani di quella storia le aveva fatto bene, non c’era motivo di dubitare del fatto che fare lo stesso anche con Chase – e poi con tutti gli altri – le avrebbe giovato.

Trasse un lungo respiro, chiaro segnale che quanto era in procinto di uscire dalle sua labbra non era nulla di semplice. «C’è...c’è una cosa che devi sapere» esordì.

L’espressione di Chase si fece confusa. Inarcò un sopracciglio, inclinando appena la testa di lato. «Cioè cosa?»

«Non c’è nessun lavoro a Glasgow» disse in un sol fiato lei. Si strinse nelle spalle con espressione colpevole. «Non c’è mai stato, a dire il vero. Almeno non da quando sono arrivata qui la prima volta.»

Diede a Chase il tempo di ragionare su quanto aveva appena detto. Sapeva gli sarebbe servito un momento per capire con esattezza a cosa stava alludendo, dopotutto non aveva per niente contestualizzato la sua ammissione.

Il batterista, però, arrivò alla corretta conclusione in brevissimo tempo. «Se non c’è nessun lavoro, allora perché sei andata via?»

Non sembrava arrabbiato; confuso, quello sì. Amelia pensò da dove iniziare per raccontargli tutto affinché le cose gli fossero chiare. Alla fine decise di partire dalla principale causa di tutto.

«Ho avuto paura» gli rivelò, distogliendo lo sguardo.

Chase si sporse appena sul tavolo, improvvisamente preoccupato. «Paura di cosa?» le chiese, con il tono di chi sottintende di voler fare qualcosa, se necessario, per poter essere d’aiuto. La ragazza non poté fare a meno di pensare a quanto fosse sensibile e premuroso quel ragazzo. Si morse appena il labbro inferiore per via dell’agitazione, iniziando anche a tormentarsi le mani in grembo. Alla fine, però, si fece forza e disse: «È che…ho cominciato a provare…qualcosa, verso Ewan. E, beh…la cosa mi ha spaventata.»

Era una motivazione debole, lo sapeva bene anche lei, ma lì per lì non le era uscito nulla di più efficace di quello.

Chase sollevò le sopracciglia, sorpreso, per poi esibirsi in un sorriso. «Non so se sono autorizzato a dirtelo, ma visto che siamo in argomento ne approfitto: tu piaci a Ewan. E molto, aggiungerei.»

Una fitta di calore si irradiò nel petto di Amelia a quelle parole. Il cantante le aveva detto che lei gli piaceva anche il giorno in cui si erano separati, ma le parole del batterista le avevano appena dato speranza; forse poteva ancora risollevare la situazione, recuperare quanto aveva rovinato con Ewan. Sentì una nuova ondata di motivazione riempirla e si decise a proseguire.

«Sì, lui me lo ha detto. È solo che…tutto ciò mi spaventa» mormorò. Faticava ancora a mettere in fila parole sufficienti per dare un senso alle sue emozioni. Avrebbe dovuto inventarsi qualcosa di efficace. Si costrinse a pensare in modo razionale, a mettere uno dietro l’altro i concetti giusti, quelli sensati e quelli utili.

«Non ci sto capendo niente, lo ammetto» disse Chase, prima di bere un sorso del suo caffè.

Amelia lo guardò, quasi sentendosi in colpa. Non lo stava di certo aiutando a capirla con quel casino di mezze frasi che continuava a borbottare. Doveva partire dal principio affinché lui comprendesse tutto, ovvero da quel passato opprimente e ingombrante che era la principale causa della sua paura di amare.

«È una storia lunga» gli rivelò. «Ma forse è l’unica che posso raccontarti perché tutto ti sia chiaro.»

Quasi contò i secondi successivi, preoccupata di sentire il batterista dire che avrebbe fatto meglio a smettere di prenderlo in giro, che doveva sbrigarsi a spiegarle per quale motivo aveva lasciato Londra ormai un mese prima servendosi di una scusa. Tuttavia Chase non fece nessuna di queste cose. Sollevò le spalle e sorrise alla ragazza. «Beh, il tempo non mi manca.»

Amelia si sentì così sollevata da quella risposta che avrebbe voluto abbracciare e ringraziare il ragazzo finché non si fosse stancata. Alla fine si fece forza, almeno quel tanto che bastava per iniziare a parlare, dopodiché chiuse un momento gli occhi e cominciò a raccontare, decisa a non tralasciare alcun dettaglio.

Con lui fu più complicato che con Pani. L’amica sapeva già tutto del trascorso sentimentale di Amelia, Chase invece no. Pertanto la ragazza si vide costretta a dirgli davvero tutto, partendo dal principio. Gli raccontò prima di Eric, poi di Richard, senza tralasciare nulla del modo in cui si era sentita dopo ciascuna rottura. Gli disse anche degli altri, di quelli che la volevano quasi esclusivamente per il corpo. Il batterista non diede mai segno di non comprendere cosa tutto ciò potesse c’entrare con uno dei suoi migliori amici e lasciò che Amelia finisse di raccontare. Fu così che la sentì ammettere piano che i suoi trascorsi l’avevano portata ad avere una sorta di diffidenza, di paura verso quello che sarebbe dovuto essere il sentimento più importante e puro: l’amore.

Di persone che avevano paura di amare Chase ne aveva già sentite, spesso raccontate in film, canzoni, romanzi, ma non aveva ancora incontrato qualcuno che lo ammettesse davanti a lui. Il fatto che quella prima reale ammissione provenisse proprio da quella ragazza, che aveva conosciuto così spensierata e felice, gli fece provare una gran empatia verso di lei. 

Amelia gli rivelò che era quella la causa reale del suo allontanamento, del perché non avesse motivato la cosa ma si fosse servita di una banale scusa. Sentiva di essere prossima a innamorarsi di Ewan, forse lo era già, e la cosa l’aveva spaventata al punto di farla scappare. 

«Ridicolo, eh?» chiese a Chase dopo averglielo confessato. Era una domanda retorica, di certo non si sarebbe aspettata di sentire il ragazzo risponderle: «Non per me. E di certo non per Ewan.» 

Amelia non disse niente, si limitò a schiudere le labbra in cerca di qualche parola.

«Sei venuta fin qui per dirglielo?» proseguì lui. 

La ragazza annuì. «Già. Non volevo spiegargli tutto e chiedergli di perdonarmi con un messaggio. Patetico. E una telefonata, beh, non credo avrei avuto la forza di farla. Volevo vederlo, chiedergli scusa guardandolo in faccia. Ma...mi serve il vostro aiuto» concluse, alludendo anche a Chris e Trent. Era nervosa, ma molto meno rispetto a quando aveva iniziato a rivelare tutto al batterista. Il modo in cui lui l’aveva ascoltata, dimostrando di capirla, le aveva dato sicurezza. Tuttavia c’era un’altra cosa che ci teneva a dire. «Non ho scuse per il mio comportamento, lo so e, credimi, capirò se doveste mandarmi tutti al diavolo, soprattutto Ewan.»

Le sembrò di essersi tolta un macigno dal petto, ma i secondi di silenzio che anticiparono la risposta di Chase le parvero eterni.

«Non so cosa vorranno fare i ragazzi,» disse poi lui, con una delle sue alzate di spalle più innocenti, «ma io voglio aiutarti. So che è la cosa giusta da fare, anche per Ewan.»

Amelia provò un forte moto di gratitudine dopo quelle parole. Lui sembrava aver capito alla perfezione il tormento che aveva afferrato la ragazza, che l’avesse compreso senza pregiudizi senza “se”. Lei non voleva essere compatita, sapeva di aver sbagliato, di essersi comportata nel modo peggiore, infantile, tuttavia sentire che il batterista era disposta ad aiutarla significava che lui l’aveva capita e che non aveva intenzione di sbarrarle la strada nel suo percorso verso Ewan. 

«Grazie Chase» gli disse infine. Posò le mani sul tavolo, ogni sorta di tremore o agitazione era scomparsa. 

Lui le sorrise. «Mi dispiace per quello che ti è capitato» ammise poi. «Credo che nessuna ragazza si meriti di incontrare degli stronzi del genere. Specialmente tu.» Le parole gli uscirono un po’ impacciate dalle labbra, ma con tutta la sincerità di cui era capace. Rigirò un paio di volte il bicchiere fra le mani, poi tornò a concentrarsi su Amelia. «Sono contento che tu sia tornata qui. Ewan non sarebbe capace di fare una cosa del genere» disse, alludendo a quanti avevano solo usato e basta la ragazza. 

Lei sorrise. «Lo penso anche io, sebbene non lo conosca ancora quanto te.  Ewan è...diverso.»

Il termine “diverso” era qualcosa che non sapeva mai bene in che modo contestualizzare, ma alle volte sembrava l’unica parola in grado di esplicare un pensiero. 

Chase annuì a quell’affermazione. «Oh sì» disse solo, strappando una risata ad Amelia.

Nel silenzio che seguì lui prese un lungo sorso del suo caffè, dopodiché posò il contenitore della bevanda sul tavolo allo stesso modo in cui si potrebbe veder fare nei film western. «Chi  è il prossimo sulla tua lista?»

Lei pensò che, vista la scena e la domanda, ci sarebbe stato bene anche pulirsi la bocca con la manica della felpa. Per fortuna lui era un ragazzo ben educato. 

«Direi Chris» rispose dopo essersi stretta nelle spalle.

Al batterista quelle parole parvero bastare. Estrasse il cellulare e scorse in fretta sull’elenco dei numeri preferiti. «Puntiamo all’effetto sorpresa?» le chiese con un sorriso. Lei replicò con lo stesso gesto, annuendo. 

La chiamata fra batterista e tastierista non durò a lungo. I due si diedero appuntamento per l’ora successiva, in un piccolo locale di Camden Market che, Amelia ebbe modo di scoprire, piaceva molto a Chris. Quest’ultimo non fece alcuna domanda riguardo al perché dovevano trovarsi, la ragazza lo dedusse dalle frasi che sentì dire a Chase. 

Il ragazzo chiuse la chiamata, con un soddisfatto “ok”. Alzò lo sguardo su Amelia e lei gli sorrise per ringraziarlo. Tuttavia non le riuscì di trattenersi dal dire: «Hai dimenticato di dirgli una cosa importante, però.»

«Ovvero?» domandò preoccupato lui.

«Vieni da solo» recitò con tono teatrale la ragazza. 

Chase scoppiò a ridere, annuendo un paio di volte per far intendere che il riferimento gli era piaciuto. Quando si fu ricomposto osservò la piccola riproduzione da dinosauro che Amelia gli aveva fatto. «Penso che conserverò il bicchiere» le disse.

Lei scattò subito. «Oh, no, non sei obbligato.» Frugò nella propria borsa in cerca di qualcosa. Aveva riposto il piccolo rettangolo di carta in un angolo sicuro, per tale ragione non ebbe bisogno di molto tempo per individuarlo. Lo allungò a Chase, senza però farlo scorrere sul tavolo.

Il batterista lo prese in mano e lo guardò, riconoscendo lo stesso disegno che c’era sul bicchiere. A differenza di quest’ultimo, però, quello che aveva fra le mani era fatto molto meglio e con un delicato e sapiente uso del colore.

«Lo adoro, Ami» esclamò, sorridendo.

Lei ne fu contenta e non riuscì a nascondere la cosa. Era chiaro che Chase non sembrava aver alcuna intenzione di condannare o rinfacciare le decisioni prese da Amelia in merito a tutta quella storia con Ewan. Anzi, aveva appena deciso di aiutarla e aveva mosso la pedina di un ulteriore passo verso il cantante.

Il ragazzo si alzò in piedi. «Vogliamo andare? Così magari riusciamo a fare anche un giretto per Camden prima che Chris arrivi.»

Amelia si disse d’accordo. Guardò Chase infilare nel portafoglio il disegno che gli aveva appena regalato e prendere il caffè, così da finire quanto rimasto lungo il tragitto.





Camden Market, Londra, 14 ottobre

Ore 11:54 AM



Ferma davanti al luogo in cui si erano dati appuntamento con Chris, Amelia non riusciva a fare a meno di continuare a leggere la vetrata e quanto vi stava evidenziato sopra. Davvero quello era uno dei posti preferiti di Chris? Era un localino piccolo, di recente comparsa – senza alcun dubbio – e specializzato in centrifugati e frullati di frutta, oltre alla più comune caffetteria. 

La ragazza ricamò con le labbra la parola “Bio” mentre questa le si parava davanti, sempre più incredula. Non avrebbe mai detto che il tastierista degli Shards fosse uno da centrifugato di frutta vitaminico e bio, non dopo tutta la quantità di patatine fritte che lei gli aveva visto ingurgitare da quando lo aveva conosciuto. Era proprio vero che non si smetteva mai di scoprire cose nuove sulle persone.

«Chris mi ha appena scritto che è sceso dalla Tube. A breve sarà qui.»

Amelia si voltò verso Chase quando lo sentì parlare. Il batterista mise via lo smartphone e lanciò un’occhiata alla ragazza, un sorriso – all’apparenza incoraggiante – in volto. Lei annuì con il capo, dopodiché disse: «Non pensavo che fosse uno da centrifugati bio

«Perché no? Sono ottimi» rispose lui. «Dovresti provarne uno.» Si bloccò a quelle parole, con un’idea che gli era appena balzata alla mente. Estrasse il portafoglio e allungò dieci sterline ad Amelia. Lei le afferrò, confusa.

«Giochiamo sull’effetto sorpresa, sarà divertente» esordì lui. «Io lo aspetto, tu nel mentre prendi qualcosa da bere, anche per lui.» Si voltò in direzione del locale e lesse in fretta la lista delle bevande. «Il suo centrifugato preferito è quello arancione, con il frutto della passione.»

«Interessante» disse con tono scherzoso Amelia, dopo aver fatto schioccare la lingua. Aveva capito cosa voleva fare Chase e trovò che sarebbe stato divertente comparire alle spalle di Chris a quel modo. «Tu vuoi qualcosa?» gli chiese. Il batterista scosse la testa e lei fece per avviarsi, ma la sua voce la fermò prima: «E prendine uno anche tu. Ne vale la pena, davvero.»

Lei promise che lo avrebbe fatto ed entrò nel locale, rigirandosi la banconota in mano mentre leggeva le varie bevande.

Fuori, Chase notò Chris arrivare facendosi strada fra un gruppetto di turisti. Quando il tastierista lo ebbe raggiunto si salutarono e il batterista fece in modo di concentrare l’attenzione dell’amico su di sé. Non che ce ne fosse poi tanto bisogno, Amelia, infatti, era ben nascosta dietro la moltitudine di scritte e disegnini che decoravano la vetrata del locale.

«Ti andava un giro per Camden?» chiese Chris.

Chase alzò le spalle. «Qualcosa del genere.»

L’altro lo guardò perplesso, ma il messaggio che ricevette sul cellulare consentì a Chase di prendere altro tempo. Il tastierista rispose, canticchiando qualcosa che l’amico non riconobbe, ma che lui sapeva essere Eleanor Put Your Boots On dei Franz Ferdinand – e che gli era venuta in mente perché l’aveva sentita come suoneria del telefono a una ragazza sulla metro. 

«Dove si va?» chiese poi, dopo aver risposto al messaggio, sollevando la testa verso il compagno di band. 

A Chase serviva altro tempo. Si guardò intorno, pensando in fretta, ma per sua fortuna non ce ne fu bisogno.

«Arancione?»

La mano di Amelia comparve fra i due ragazzi, un bicchiere colmo di liquido arancio dal profumo fresco e invitante. Chris guardò il centrifugato corrucciando la fronte, confuso, poi seguì mano e braccio fino a voltarsi, trovandosi davanti la ragazza.

Piombò un silenzio da far rabbrividire. Il tastierista rimase immobile a fissare Amelia con gli occhi sbarrati, quasi davanti a sé avesse un fantasma. Chase pensò che le cose si stessero mettendo male; di solito il suo amico aveva tempi di reazione celeri, non si bloccava così. Forse puntare sull’effetto sorpresa era stato un po’ eccessivo. Proprio quando era in procinto di fare qualcosa, però, Chris reagì. Si voltò verso la ragazza e l’abbracciò senza dire nulla, stringendola forte.

Il suo gesto colse gli altri due così impreparati da non sapere bene come comportarsi. Amelia allargò le braccia con l’intento di proteggere la t-shirt bianca del ragazzo da possibili schizzi di bevanda arancione o verde – quest’ultima era il centrifugato che si era presa per sé, così da onorare il volere di Chase.

«Grazie al cielo sei tornata» le disse il tastierista prima di lasciarla andare.

«Mi hai fatto paura» ammise Chase. «Dio, credevo le avresti tirato un pugno.»

«Anche io» si accodò la ragazza.

Chris li guardò perplessi. «State scherzando? Non sono uno da scazzottata. Tranne forse con qualche deficiente» aggiunse sovrappensiero. Dopodiché indicò il centrifugato arancione. «È mio quello?»

Amelia annuì, tendendoglielo. Lui la ringraziò, ignorando il fatto che era stato Chase a offrirglielo quando lei glielo disse. Il batterista non parve sorpreso dalla cosa e mise via il proprio resto, tendendo l’orecchio ai due, in attesa di sentirli iniziare la conversazione.

«Allora? Non pensi di doverci una spiegazione?» chiese  Chris dopo il primo sorso della bevanda.

La ragazza annuì, abbozzando un sorriso. «Chase sa già tutto.»

Il tastierista si voltò verso di lui. L’altro si limitò ad annuire grave, cosa che lasciò intendere che, di qualsiasi cosa fossero in procinto di parlare, andava presa seriamente. 

«Ok, lui sa tutto, ma io no.»

«Forse conviene andare a sederci da qualche parte» propose il batterista, avviandosi.

Gli altri due lo seguirono lungo vie e viottoli di Camden, finché raggiunsero una panchina poco distante dalle stradine principali, abbastanza tranquilla per poter parlare senza essere interrotti. Si misero a sedere. Si vedeva benissimo che Chris moriva dalla curiosità di sapere per quale motivo Amelia fosse tornata senza dire nulla a nessuno, così come di sapere per quale ragione Chase fosse stato a conoscenza della sua presenza a Londra prima degli altri.

Come prevedibile, alla ragazza servì un lungo respiro prima di iniziare a parlare, lo stesso che si era reso necessario quando aveva deciso di aprirsi con il batterista. Non che avesse paura di dire la verità a Chris, ma non era facile mettere a nudo il lato più sensibile e fragile di sé. Il ragazzo, però, le diede il tempo di cui aveva bisogno.

«Ok, beh» iniziò lei, cercando le parole migliori. Come spesso le capitava quando doveva raccontare qualcosa che la toccava nel profondo, l’esordio non fu dei migliori. «Il vero motivo per cui ho lasciato Londra prima del tempo è perché ho avuto paura.»

Di nuovo le sembrava di essersi liberata da un masso di quintali posto sullo stomaco. La verità era liberatoria.

«Paura di cosa? Di noi?» chiese basito Chris. La questione della paura non l’aveva calcolata, specie perché non capiva di cosa si potesse avere paura riguardo a loro.

Amelia scosse la testa. «Tu sai cosa stava succedendo fra me e Ewan» disse, lasciando cadere la frase.

Non era una domanda, ma il ragazzo capì che lei aveva bisogno di una risposta o, meglio, una conferma. «Certo, l’avevo capito. Tutti lo avevamo capito, per questo non siamo riusciti a spiegarci per quale motivo te ne fossi andata così su due piedi.»

La ragazza rigirò il proprio bicchiere fra le mani. Lo tese a Chase, che le sorrise e bevve un sorso del contenuto verdino. Per un attimo pensò che fosse bello essere lì, insieme a quei due ragazzi a sputare fuori la propria realtà, le insicurezze, consapevole che almeno uno dei due era pronto e disposto a sostenerla.

«Ewan ci è rimasto malissimo» proseguì Chris, riportando Amelia alla realtà con una stretta al cuore. «Per questo sono stato così felice di rivederti, prima. Se sei tornata vuol dire che le cose si sistemeranno, vero? In un modo o nell’altro.»

Lei si morse il labbro inferiore a quelle ultime parole. Era lì per sistemare le cose, su questo il tastierista aveva ragione. Il punto era: Ewan voleva? Lei non aveva raggiunto Londra con la certezza assoluta del fatto che lui le avrebbe perdonato il suo comportamento, pronto a riprenderla e, soprattutto, lei non poteva neanche pretendere che le cose andassero a quel modo. Si era comportata in modo deplorevole, lo sapeva, ed esisteva il rischio che lui avesse deciso di chiudere ogni possibile relazione o contatto con lei. Tuttavia Amelia stava inseguendo uno a uno i membri degli Shards per poter spiegare cosa l’aveva spinta a comportarsi a quel modo, per chiedere loro di scusarla e pregare il cantante di avere quella seconda chance che non sentiva di meritare.

«In qualche modo sì, si risolverà» rispose infine.

«Dobbiamo aiutarla a fare pace con Ewan» intervenne Chase con fare risoluto, facendo sorridere la ragazza.

«Fare pace» bofonchiò Chris prima di bere un altro po’. «Tecnicamente non hanno litigato, si sono solo allontanati.»

«Io mi sono allontanata» precisò Amelia, ben decisa a prendersi le proprie responsabilità.

«Ma perché poi?» domandò il tastierista, approfittando del fatto di essere tornati sull’argomento. 

Anche la ragazza colse al volo l’occasione. Come aveva fatto con Chase, specificò al ragazzo che si trattava di una storia abbastanza lunga, che per necessità richiedeva di andare un po’ indietro nel tempo. Anche a Chris non parve importare quella digressione all’apparenza senza scopo e ascoltò la storia di Amelia e di quelle delusioni che le avevano scavato tali voragini nel profondo da portarla a temere di vederne comparire altre.

«Per farla breve – anche se direi che ormai è tardi – avevo capito che stavo iniziando a provare qualcosa di serio per Ewan e la cosa mi ha...resa insicura» disse, preferendo quel termine a “spaventata” che le era venuto in mente subito. «Ho iniziato a pensare agli uomini che avevo incontrato nel mio passato, al modo in cui erano andate le cose con tutti loro. Stavo male all’idea che sarebbe potuto succedere anche con Ewan, davvero male. Sono sensazioni che non sono in grado di controllare.

«Non so» proseguì, giocherellando con la cannuccia del bicchiere che Chase le aveva restituito. «Ho pensato che allontanarmi da tutto fosse la scelta migliore, anche per Ewan. So di aver sbagliato, in tutti i sensi. Per questo sono qui. Vorrei rimediare, per quanto possibile.»

Abbassò lo sguardo sulle proprie mani, non sapendo che altro dire. Aspettò una qualche reazione da parte del tastierista e, per sua fortuna, quella avvenne in tempi celeri. Il ragazzo, infatti, si sfregò un paio di volte le mani sulle cosce, sentendo la stoffa ruvida del jeans contro i palmi, dopodiché attorcigliò la punta del baffo destro fra indice e pollice e prese fiato. «Ho capito. Beh, ansia e paura alle volte giocano davvero dei brutti scherzi» disse poi, sorridendo in direzione della ragazza. «Quello che conta per me, è che ora tu sia qui, intenzionata a spiegare tutto a Ewan.»

Amelia acconsentì a quelle parole. Sospettava già che anche Chris acconsentisse ad aiutarla, se non per lei almeno per il suo cantante e amico. La cosa le avrebbe dato una spinta ulteriore nel proseguire la sua “caccia”, a cui ora mancavano solo due membri su quattro.

«Ewan è mio amico e anche tu ormai sei mia amica» proseguì lui, facendo sorridere di dolcezza la ragazza con quelle ultime parole. «E io voglio poter essere d’aiuto ai miei amici. Hai fatto male ad andartene senza prima confrontarti con Ewan» continuò, assumendo un tono grave. «Ma visto le persone di merda che hai incontrato non riuscirei a biasimarti neanche volendo. Quello che conta è che ora sei qui per rimediare e, se possibile, vorrei fare la mia parte.»

La ragazza rimase a guardarlo, rincuorata e grata per quelle parole. Si piegò verso il ragazzo e lo abbracciò alla bell’e meglio. «Grazie Chris.»

«Qual è il piano?» domandò poi il tastierista, dopo aver avuto il tempo di godersi il gesto di Amelia. «Si va da Ewan e gli si dice tutto?»

Amelia scosse la testa. «Pani mi ha dato un consiglio che intendo seguire fino in fondo. Prima devo farmi perdonare dagli amici di Ewan, ovvero voi. Quando avrò spiegato a tutti voi cosa ho fatto e avervi chiesto scusa, allora potrò andare da lui consapevole di non aver lasciato indietro niente» disse, snocciolando i passaggi come un piano d’attacco studiato nei minimi dettagli.

Chris si lasciò sfuggire un lungo fischio. «Questa mi mancava. Però se è il tuo piano, va bene.»

«Anche io sono dentro» intervenne Chase, che cominciava a divertirsi molto con tutta quella storia. «Perciò, se Ewan è l’ultimo, ne manca uno solo» osservò.

I tre fissarono davanti a sé, consapevoli della cosa. Era semplice indovinare chi sarebbe stato il prossimo. Il suo nome, infatti, uscì nello stesso istante dalle loro labbra.

«Trent.»

 

 

 

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Capitolo 21
*** Flaws ***


 

 

 

“All of your flaws and all of my flaws | Are laid out one by one | Look at the wonderful mess that we made”

Bastille. Flaws

 

 

 

Appartamento di Chris, Upper Wimpole St, Londra, 14 ottobre

Ore 2:23 PM

 

Trent era forse quello che più preoccupava Amelia, quasi più di Ewan. La ragazza non aveva dimenticato come l’aveva guardata il giorno in cui li aveva salutati per andarsene, ormai il mese scorso. Anche allora aveva sospettato che il chitarrista avesse compreso tutto, che avesse capito che quella di Amelia era una scusa bella e buona. Lei lo aveva intuito dal tono della sua voce, dal modo brusco, austero, con cui le si era rivolto, così diverso e severo rispetto al solito. Per tale ragione si sentiva piuttosto nervosa, neanche dovesse prepararsi ad andare in scena per uno spettacolo teatrale.

Chris e Chase erano insieme a lei e il fatto che avessero acconsentito ad aiutarla le dava la motivazione necessaria per non arrendersi. Non che volesse mollare tutto, al contrario. Subito il consiglio di Pani le era sembrato strano, privo di senso. Ora, invece, cominciava a capire cosa l’amica l’avesse spinta a fare. Per gli uomini amicizia e cameratismo erano due aspetti molto importanti, quasi irrinunciabili, in un certo senso. Se Amelia voleva fare adeguatamente pace con Ewan era necessario che prima regolasse le cose con i suoi migliori amici, così da avere la certezza che loro non potessero intromettersi nel suo tentativo di recuperare i rapporti con il cantante. Non che lei temesse che Chase, Chris e Trent potessero rovinare tutto, ma era chiaro che sapere che loro comprendevano la sua situazione l’aiutava a calmarsi. Pani era davvero furba; era molto più semplice affrontare il diretto interessato consapevoli di avere i suoi amici, almeno un po’, dalla propria parte. Appena finito di parlare con Trent si ripromise di inviarle un messaggio per farle sapere come stava procedendo quella sua “missione” e ringraziarla per tutto. 

Mentre lei era intenta a pensare a tutto quello, fissando fuori dalla finestra, Chase era impegnato a cambiare stazione radio in cerca di qualcosa di bello da ascoltare in attesta del chitarrista, il quale, stando al suo messaggio, sarebbe arrivato a breve. Sulle frequenze radio della BBC il batterista trovò Flaws dei Bastille e, soddisfatto, alzò il volume. Amelia gli sorrise per fargli capire che apprezzava quel gesto; quel pezzo le piaceva molto, specie per le parole del testo. In quel momento sentì che era azzeccata per lei, che sembrava quasi stesse parlando di sé. E di Ewan.

Ascoltò quella canzone fino all’ultima parola, cercando di non pensare a quello che sarebbe avvenuto a breve, né al fatto che mancava sempre meno all’incontro con il cantante. 

«Mi ha scritto Ewan.»

La frase di Chris si sollevò nel silenzio generale, nemmeno la radio parlava più. Amelia guardò in direzione del ragazzo, che rispose al suo sguardo.

«Cosa dice?» volle sapere Chase.

«Chiede dove sono.»

«Possibile che Trent gli abbia chiesto qualcosa?» intervenne la ragazza. Il fatto che il cantante potesse arrivare quando lei ancora non si sentiva pronta per incontrarlo l’agitava.

Chris scosse la testa. «No, altrimenti avrebbe scritto sulla chat di gruppo. È che questa mattina gli avevo detto che stavo pensando di andare a chiedere informazioni per una tastiera e gli avevo chiesto se voleva venire con me. Dubito sospetti qualcosa su quanto sta succedendo.»

Amelia si sentì rincuorata da quelle parole e si calmò, ma rimaneva comunque il fatto che Ewan era in giro da qualche parte a chiedere di Chris.

Chase fu il primo che pensò di cogliere quell’occasione al volo. «Ho un’idea. Digli che vi trovate in sala prove per le cinque. Gli facciamo una bella sorpresa.» Sorrise radioso al suono del proprio piano. Era quel genere di idea che una volta che gli veniva in mente doveva assecondare a ogni costo.

Chris acconsentì, iniziando a digitare sulla tastiera virtuale la risposta per Ewan. Amelia lo fermò. «Aspetta. E Trent?» chiese, alludendo al fatto che ora erano in attesa del chitarrista.

I due ragazzi la guardarono perplessi per un istante. «Ce la facciamo in due ore e mezza a parlare con Trent» le fece notare Chris.

«Sì ma, se lui non volesse aiutarmi?»

Le sembrò strano formulare quel pensiero, ma il suo progetto era chiaro: prima gli amici, poi il cantante.

A Chase sfuggì una risata all’ingenuità di Amelia. «Davvero ti preoccupi così tanto?» chiese, retorico. «Ami, Trent non ha motivo di essere arrabbiato con te, esattamente come non ne avevamo noi. Potrebbe essere infastidito per il tuo gesto, ok, ma arrabbiato non penso proprio.»

«E poi Ewan è il suo migliore amico in assoluto. Ha un occhio di riguardo per lui e tu sei venuta fin qui per sistemare le cose, perciò stai tranquilla. Si risolverà tutto» cercò di rassicurarla Chris, il quale finì poi di rispondere a Ewan.

La ragazza ripensò alle loro parole e capì che avevano ragione. Voleva mettere le cose in chiaro con il chitarrista, ma se questi non avesse voluto sentire ragioni di sorta ciò non significava che lei avrebbe dovuto rinunciare a tutto. Il pensiero che meno di tre ore dopo avrebbe rivisto Ewan cominciò a bruciarle dentro come una fiamma. Quella consapevolezza la innervosiva molto di più di quella di vedere Trent a minuti.

Chris parve accorgersi del mutamento di espressione della ragazza. «Andrà bene, vedrai» la rassicurò.

Lui e Chase le si avvicinarono, forse entrambi con l’intento di essere d’aiuto in qualche modo, quando sentirono la voce di Trent chiamarli. Il chitarrista apparve sulla soglia, dopo aver usato la sua copia delle chiavi come Chris gli aveva detto di fare. Quando entrò, però, gli altri membri degli Shards stavano involontariamente comprendo Amelia alla sua vista. L’ultimo arrivato li salutò e i due, dopo esservi voltati, si spostarono dalla ragazza, aprendosi come le acque davanti a Mosè, uno da una parte, uno dall’altra.

All’apparenza Trent non mutò espressione alla vista di Amelia, ma era chiaro che la sua presenza lì l’avesse colto impreparato. Non disse nulla, rimase immobile con gli occhi fissi in quelli di lei, rigido. Per la ragazza fu evidente che lui non l’avrebbe abbracciata come Chris, né le avrebbe detto di essere contento di vederla come Chase – almeno così pensò davanti alla sua faccia.

Tuttavia non si fece intimidire da quel silenzio protratto. «Linton» lo salutò, sorridendo, pronunciando il suo cognome anche in onore di quell’abitudine che aveva preso dopo averlo conosciuto. 

«Campbell» replicò asciutto l’altro.

Chase e Chris si scambiarono un’occhiata. Il primo stava per dire qualcosa, ma fu preceduto dal chitarrista. «Cosa ci fai qui?»

«Volevo risolvere le cose con Ewan. E con voi» rispose la ragazza. Si strinse nelle spalle, assumendo un’aria colpevole, dopodiché cominciò subito a pensare a quanto dire.

«D’accordo. Allora perché non sei da lui?»

«La mia migliore amica mi ha detto che per fare pace con un ragazzo bisogna prima fare pace con i suoi amici» sorrise alle sue stesse parole e non poté fare a meno di notare che anche Trent, sebbene cercasse di non darlo a vedere, stava sorridendo lievemente. Forse, dopo il momento iniziale, la tensione fra i due cominciava a sciogliersi. 

«Beh, ognuno ha la sua scuola di pensiero» proseguì il chitarrista. Si sfilò la giacca e la mise sullo schienale di una sedia. Fuori iniziò a piovere piano, quasi in silenzio. 

«Allora dimmi: che cosa è successo?» domandò lui, ormai stanco di quel continuo rimpallarsi di mezze frasi. Non erano in un telefilm, non serviva a niente perdere tempo con inezie del genere.

Amelia si preparò a raccontare tutto per l’ennesima volta e come nelle precedenti decise di partire dalla motivazione per cui era scappata, per poi andare a ritroso fino a dare al tutto un senso – per quanto personale e introspettivo. «Ho avuto paura» esordì, con lo stesso tono di pacata ammissione che aveva usato con Chase e Chris. Si aspettò di vedere Trent sollevare le sopracciglia, guardarla perplesso come se non capisse cosa c’entrasse quell’affermazione, invece lui la sorprese. Corrugò appena la fronte, assumendo, seppur lieve, l’espressione di qualcuno che sapeva cosa significasse tutto ciò.

Lui non la invitò ad andare avanti e fu Amelia a continuare di sua spontanea volontà. Proseguì a raccontare, spiegando tutto ciò che le era successo per arrivare a portarla a compiere il gesto – che ora lei sapeva benissimo sbagliato – che l’aveva allontanata da ciò che di più bello aveva incontrato a Londra. Le sembrava quasi di aver premuto play su un disco registrato, su una litania che ormai conosceva a menadito. Le era diventato quasi noioso stare a sentirsi, al punto che arrivò a chiedersi come fosse possibile che Trent rimanesse ad ascoltarla. Ripercorse come già aveva fatto i nomi e gli eventi che più l’avevano segnata dal punto di vista sentimentale.

Quando arrivò alla fine trasse un lungo respiro. «Non è che voglia giustificarmi con questa storia, tipo dire “non è stata colpa mia”. È colpa mia ciò che è successo con Ewan, speravo solo che sapendo ciò che mi è accaduto, almeno un po’, voi poteste capire perché mi sono comportata a quel modo.»

Attese una reazione da parte del chitarrista, che non avvenne – almeno non in modo evidente. Trent continuò a guardarla senza proferire parola; tuttavia l’ansia e l’agitazione di Amelia erano sparite dal suo corpo, lasciando spazio alla motivazione. In un modo o nell’altro qualcosa lo avrebbe presto ottenuto.

«Capisco benissimo che tu possa essere arrabbiato e–» proseguì, ma venne interrotta dal ragazzo.

«Arrabbiato?» esclamò. «Non sono arrabbiato, sono incazzato. Ewan è uno dei miei più cari amici e ha sofferto molto per quello che è successo fra di voi» proseguì. Sembrava davvero infuriato per quella storia. Amelia si sentì piccola davanti a lui, ma rimase comunque ferma sulle sue gambe a guardarlo negli occhi. Era chiaro prendesse le difese del cantante, chiaro che, dovendo scegliere, non sarebbe mai stato dalla parte della ragazza. Lei già sapeva, prima ancora di tornare nella capitale, che una di quelle sfuriate se la sarebbe presa e, anzi, era rimasta quasi sorpresa di scoprire che Chase e Chris si erano resi subito disponibili ad aiutarla. Pensò a qualcosa da dire, al modo migliore per formulare le sue prossime scuse. Il chitarrista, davanti a lei, si mosse, improvvisamente nervoso. Sbuffò un po’ d’aria, stropicciandosi la fronte con la mano sinistra. Tornò a rivolgere la sua attenzione ad Amelia e, nei suoi occhi, la ragazza poté notare un cambiamento di luce. Non sembrava più adirato, quasi rassegnato, piuttosto.

«Perché non ne hai parlato con lui prima di andare via?»

La ragazza si strinse nelle spalle, mordendosi il labbro inferiore con aria colpevole. Perché; non lo sapeva nemmeno lei il perché. Forse perché risultava molto più semplice scappare dai problemi anziché affrontarli e questo anche quando risolvere il problema avrebbe potuto significare stare insieme a Ewan. Non disse nulla, sperando che il suo silenzio fosse abbastanza esaustivo e per Trent lo fu eccome. Lui fece una smorfia, la stessa che si poteva fare quando si capiva qualcosa ma si era ugualmente restii ad accettarla. Tuttavia quell’espressione gli sparì in fretta dal viso, sostituita da uno sguardo di comprensione. Dopotutto Amelia era tornata; aveva sbagliato e ferito Ewan, certo, ma era lì per rimediare alla cosa e l’ultima parola spettava proprio al cantante, non certo a lui, per quanto fosse suo amico. Sbuffò di nuovo, sentendosi alle strette. Chase e Chris, che conoscevano eccome il loro chitarrista, compresero che era sul punto di cedere. Quest’ultimo guardò Amelia e capì che non riusciva a essere arrabbiato con lei e non solo per quello che gli aveva appena detto. Amelia gli piaceva e ormai era sua amica, era chiaro che avesse voglia di aiutarla. 

Si grattò il collo, facendo una smorfia. «Beh, non posso tenerti il broncio» disse infine. «Sei venuta fin qua, no? Chi sono io per impedirti di vedere Ewan proprio ora?»

Amelia si illuminò a quelle parole. Un sorriso si fece strada sul suo volto. Pensò in fretta al modo migliore per ringraziare il chitarrista, ma Chase fu più veloce. Si avvicinò a Trent e lo abbracciò, sentenziando un “Ora ti riconosco”.

Chris si affiancò alla ragazza. «Bizzarro» osservò, facendo ridere Amelia. 

Appena Trent si fu liberato dalla stretta del batterista – che non era nuovo a gesti simili – fissò i due davanti a sé. «E ora?» 

«Abbiamo appuntamento con Ewan alle cinque, in sala prove.» 

L’altro annuì. «C’è tempo per un caffè allora» disse.

 

 

 

 

Sala prove degli Shards, Shaftesbury Ave, Londra, 14 ottobre

Ore 5:11 PM

 

Ewan posteggiò la bicicletta al consueto paletto di metallo, fra il marciapiede e la strada, e la chiuse con la spessa catena, facendo scattare la serratura del lucchetto. 

Dopo quel 14 settembre tornare in sala prove gli metteva addosso sensazioni strane, contrastanti. Non poteva fare a meno di ripensare a quanto accaduto con Amelia quel giorno quando varcava la soglia della stanza, ma al tempo stesso sapeva che la musica era la cura migliore per uno come lui e desiderava guarire in fretta da quel vuoto che la partenza della ragazza gli aveva lasciato.

Mai avrebbe pensato di arrivare a provare sentimenti di tale portata in così breve tempo, ma quando si parlava di lei non c’era nulla di “normale”. Il modo in cui si erano incontrati la prima volta, quello in cui lui aveva sentito di esserle legato, il modo in cui, prima ancora di conoscerla, la sua mente tornava in modo costante al suo pensiero; tutto era stato inspiegabile, unico e bellissimo al tempo stesso e Ewan sentiva di aver perso qualcosa che, a quel modo, non si sarebbe più ripresentato. 

Al momento la musica si stava rivelando la cura migliore. Delicata ed efficace come solo lei riusciva a essere. Provare con gli Shards riusciva a non fargli pensare a niente, a concentrarsi solo sulle note, sulle parole e sulle sensazioni che riuscivano a scatenargli.

C’era solo una canzone che non avevano più provato da settembre: Penelope. Il significato nascosto in quel brano lo portava in modo spietato a ripensare ad Amelia. Sapeva che un giorno quella canzone avrebbe acquistato un senso diverso, forse si sarebbe trasformata in una cicatrice, qualcosa capace di farlo tornare con la mente a un preciso punto del proprio passato, a ripensare a quanto accaduto, forse con un po’ di malinconia ma con la consapevolezza di essere cambiato, cresciuto. Con il tempo avrebbe imparato a convivere con il ricordo di Amelia. Tuttavia, in quel momento, sentiva solo un asfissiante vuoto dentro di sé.

Fece il possibile per scacciare il pensiero della ragazza ma quello, ormai, si era trasformato in un chiodo fisso, proprio come il disegnino che lei gli aveva fatto trovare nella tasca dei jeans dopo il concerto, quello “scarabocchio” che per mesi non gli aveva dato pace. Amelia era unica e forse aveva fatto male a lasciarsela scappare così. In quel momento, però, pensò anche che correre dietro a una persona per pregarla di rimanere con qualcuno di cui non le importava più di tanto fosse pressoché inutile, oltre al fatto che presto si sarebbe trasformato tutto in una specie di tortura, un cappio al collo che si sarebbe via via stretto nel tempo. E lui, quello, non lo avrebbe mai potuto sopportare. Pensò fosse meglio soffrire subito, ma ricordare Amelia nel modo in cui la ricordava, per il suo essere pungente, sarcastica, curiosa e bellissima. Per il modo in cui lo guardava, per come si mordeva il labbro in preda all’agitazione o all’imbarazzo; per i disegni che sapeva fare – ora le ufficiali grafiche della nuova tournée – per i suoi gusti in fatto di musica. Quello era il modo in cui voleva ricordarla, con le vesti della sua Penelope, perché quella canzone continuava imperterrita a parlare di lei ed era quello il motivo per cui cantarla gli risultava ancora tanto difficile. 

Il vuoto dentro di sé era ancora lì, ma sapeva che a breve lo avrebbe colmato con gli amici e la musica – e anche un po’ di birra – e la cosa gli diede una ragione per sorridere.

Prese una lunga boccata d’aria su quel pensiero, riempiendo a fondo i polmoni. Non doveva abbattersi così, non gli era d’aiuto. Infilò le chiavi del lucchetto in tasca e si voltò, rimanendo confuso da ciò che vide. 

Sulla soglia del palazzo in cui avevano la sala prove c’erano fermi gli altri tre membri degli Shards. Lo stavano aspettando, dedusse.

«Ce la farai mai ad essere puntuale?» domandò retorico Chris.

«Perchè tutti qui?» chiese il cantante, ignorando del tutto le parole del tastierista. «Trasferta di gruppo al negozio di strumenti?»

Gli altri si scambiarono un’occhiata. Fu inevitabile che, con quello sguardo, Chris e Chase intendessero dire a Trent che volevano fosse lui a prendere in mano la situazione. Sembrava quasi che in presenza del chitarrista le cose più importanti diventassero subito di sua competenza. Quest’ultimo sollevò gli occhi al cielo, consapevole di essersi appena visto passare il testimone. Non che quella in cui si era appena cacciato fosse una situazione piacevole, ma avrebbe significato aiutare Ewan e Amelia a riunirsi, perciò alla fine decise di sorvolare sul fatto che quel genere di beghe finivano sempre sulle sue spalle.

«Certo, il negozio di strumenti» borbottò.

Il cantante inarcò perplesso un sopracciglio a quelle parole.

«In verità avevamo pensato di provare un po’, se per te va bene. Io e Chase ci siamo aggregati quando Chris mi ha detto che vi sareste visti qui» proseguì il chitarrista.

«Oh.» Ewan rifletté su quanto gli era appena stato detto. Aveva parecchia voglia di andare al negozio di strumenti, provarne il più possibile e lasciare che la musica lo inondasse fino a prevaricarlo. Al tempo stesso, però, nulla avrebbe potuto farlo sentire meglio che cantare le proprie canzoni con i suoi migliori amici, in ciò che per loro era diventato naturale come il respiro e che continuava a essere una delle cose più belle e vitali che insieme potessero fare. Nessun negozio di strumenti, addirittura nessun concerto di ogni altra band, poteva donargli la stessa energia di una sessione di prove con gli Shards, anche se questa fosse avvenuta nello scantinato più sgangherato e malconcio pensabile.

«Abbiamo fissato le prove per domani» osservò poi, senza sapere perché stesse dicendo tutto ciò.

«Sì, vero, ma che c’entra? Manca poco alla tour in America, no?» improvvisò Trent.

«E poi io avevo voglia di suonare» si intromise Chase, pensando di poter essere in qualche modo d’aiuto.

Ewan annuì con il capo. «Beh, sì, proviamo. Non so neanche perché sto qui a rimuginarci sopra» esclamò, avviandosi verso l’ingresso della sala prove.

Gli altri tre si fecero da parte, lasciando che lui entrasse per primo nel corridoio che, pochi metri dopo, avrebbe loro fatto raggiungere la piccola e accogliente sala. Ewan non si chiese perché non fossero entrati prima loro, né perché lo stessero aspettando sulla soglia anziché dentro la stanza, ma quando ebbe raggiunto l’ingresso della sala prove quelle domande gli affiorarono in testa. Aveva appena posato la mano sul pomello della porta, la chiave infilata nella serratura quando si fermò. Si voltò verso gli amici e li squadrò. «È tutto a posto?»

«Perché?» chiesero all’unisono i tre. Avevano spalancato gli occhi, eccetto Trent, che si era fatto ben più serio di prima.

«Non so, siete strani» replicò il cantante, così da motivare la sua domanda di poco prima.

Altro silenzio da parte degli amici. Alla fine fu Chris a reagire. Sbuffò, allargando le braccia, quasi arrendendosi all’inevitabilità dei fatti. «Ok, d’accordo» scattò. «Doveva essere una sorpresa ma ho già capito che non riusciamo più a fartela.»

Chase e Trent si voltarono di colpo verso il tastierista, fulminandolo con lo sguardo. Prima che uno dei due potesse intervenire, però, Chris riprese in fretta parola: «Abbiamo comprato un divano nuovo.»

Il batterista per poco non si fece scoprire a tirare un sospiro di sollievo. Trent, invece, aveva una capacità tale di rimanere impassibile da essere invidiabile. 

L’espressione perplessa sul viso di Ewan si accentuò. «Un div– Che aveva l’altro che non andava?»

«Niente in realtà» sentenziò Chase. Si sentì in dovere di dire qualcosa a riguardo, lui adorava il loro divano, non si sa mai che Chris avesse voluto cambiarlo sul serio. 

«Ma se invece di fare domande tu dessi un’occhiata?» Chris aveva ormai preso in mano la situazione. Ruotò la chiave nella serratura e aprì la porta, sospingendo il cantante per fargli capire che doveva entrare.

Quando questi fu dentro guardò la sala prove, trovandola identica al solito, senza nessun divano nuovo. Si voltò per chiedere delucidazioni agli amici – che davvero si stavano comportando in modo assurdo, perfino Trent – ma Chris gli chiuse la porta in faccia, girando di nuovo la chiave nella serratura e chiudendo nella stanza Ewan. Il ragazzo sollevò gli occhi al cielo e sbuffò. Chiuso a chiave nella sala prove, quello era uno scherzo da ragazzini della prima liceo. I suoi amici si stavano comportando così perché erano regrediti, per caso? Prese a battere i pugni contro la porta, avvicinando le labbra alla superficie dei pannelli isolanti, consapevole che, dall’altra parte, la sua voce sarebbe arrivata flebile e ovattata.

«Andiamo ragazzi, aprite» sbottò. Posò la fronte contro la superficie ruvida del materiale che rivestiva la porta. «Non mi va di scherzare» concluse. Lo disse piano, quasi mormorando, pur sapendo che era impossibile che gli altri lo sentissero.

«Mi è sempre piaciuta quella maglietta.»

La voce lo fece sussultare. Non tanto perché non si aspettava che ci fosse qualcun altro nella sala, ma per via di chi era quella persone. Non ebbe bisogno di vedere in faccia il suo interlocutore per capire di chi si trattava. Conosceva troppo bene quella voce ormai, quell’accento dalle belle erre arrotolate.

Ewan si voltò, trovandosi davanti Amelia, distante qualche metro da lui. Fu un momento strano quello che si formò fra di loro, così strano che nessuno dei due avrebbe detto di arrivare a vivere un giorno.

Quando lei incrociò il suo sguardo si rese conto di quanto lui le fosse mancato. Lo trovò splendido come ogni altra volta e si sentì trafitta e incatenata da quegli occhi blu, spalancati per la sorpresa. Il cuore le batteva a ritmi forsennati ora, divenendo quasi assordante. Si inumidì le labbra, pronta per parlare, ma il cantante la precedette: «Che ci fai qui?» chiese piano. Lanciò d’istinto un’occhiata alla porta chiusa alle sue spalle. «Cos’è, avevate organizzato tutto?»

Ad Amelia parve che la sorpresa non fosse stata di suo gradimento. Le sembrava nervoso, teso, sul punto di arrabbiarsi sul serio.

La verità, però, era che lui non sapeva come sentirsi. Alla vista della ragazza nel suo petto era esplosa una bomba, il caos. Non sapeva cosa fare, come comportarsi. Capì solo che era lei il motivo per cui i suoi amici si era comportati a quel modo assurdo solo pochi attimi prima. Non riusciva a staccarle gli occhi di dosso come se, facendolo, lei potesse sparire. Non un solo dettaglio del suo viso si era cancellato dalla sua memoria, non si era nemmeno smussato; la sfumatura bruna degli occhi, la sottigliezza dell’anello che aveva al setto, il modo in cui si dava l’eyeliner. Quando fece scivolare gli occhi sulle sue labbra venne scosso da un fremito, ma non lo assecondò. 

Amelia notò che lui rimaneva immobile, nello stesso modo in cui era rimasto quando aveva annunciato che se ne sarebbe andata, in quella stessa sala prove. A differenza di allora, però, nello sguardo di Ewan non c’era tristezza, ma una luce indecifrabile, un misto di rabbia e speranza. Il suo corpo era rigido e teso. 

La ragazza prese a guardarsi intorno, non riuscendo a reggere oltre la vista del cantante. Il pensiero che, forse, non sarebbe più riuscita a ricostruire le cose fra loro cominciò a farsi strada nella sua mente. Iniziava ad avere paura, di nuovo, ma questa volta si decise a proseguire. Non voleva più sentirsi allo stesso modo in cui si era sentita giorni prima, nella sua camera da letto alla vista delle foto, e per farlo doveva andare avanti, parlare con Ewan, dirgli quello che provava e prepararsi alle conseguenze. Forse avrebbe sofferto – anzi, vedendolo era piuttosto sicura che nulla sarebbe tornato lo stesso fra loro – ma in quel caso avrebbe saputo di aver fatto tutto ciò che era in suo potere. Con il tempo, poi, avrebbe anche imparato a ricucire quella nuova ferita.

«Ho chiesto io ai ragazzi di aiutarmi» esordì, facendo il possibile fin da subito per mettere in chiaro il fatto che loro non c’entravano.

Ewan non disse nulla e lei si decise ad andare avanti: «Volevo parlare con te. Al tempo stesso però volevo che anche loro capissero perché me ne sono andata, a settembre.» Si morse il labbro, inspirando a fondo. «Non c’era nessun lavoro a Glasgow. La verità e che me ne sono andata perché ho avuto paura.»

Il cantante schiuse le labbra, ma non per parlare. Quello che Amelia gli aveva appena detto lo aveva sorpreso. Era incredulo, ora, stupito da quell’ammissione. Avrebbe voluto chiederle di cosa aveva paura, perché non ne avevano parlato se in quella storia c’entrava anche lui, perché andarsene a quel modo, ma non fece in tempo. 

Amelia era nervosa, molto, si capiva dal modo in cui si tormentava le mani, ricacciava indietro le ciocche di capelli che, ostinate, continuavano a scivolarle sulle spalle a ogni movimento, così come dal modo in cui guardava ovunque nella sala prove senza però puntare lo sguardo su di lui.

«Stavo...sto» si corresse, «iniziando a provare qualcosa di serio, per te. E la cosa mi ha mandata nel panico perché non riesco a ignorare il mio passato, a fare in modo che non influisca sulla mia vita.

«Sono arrivata a convincermi di non avere nessuna qualità particolare per il disegno. Che il mio lavoro fosse mediocre, che non avrei mai fatto nulla di cui sentirmi veramente fiera. E poi sei arrivato tu. Ho sofferto per amore al punto da persuadermi che non sarei mai riuscita a trovare qualcuno con cui vivere una storia come se ne vedono al cinema. Credevo che intorno a me ci fossero solo uomini intenzionati a prendere, usare e gettare. E poi sei arrivato tu. Mi ero convinta che avrei avuto un’esistenza scontata, forse addirittura monotona. Mi immaginavo la solita routine, sai? Alzarmi alla mattina, lavorare, uscire ogni tanto, dormire. E poi sei arrivato tu. Mi hai completamente stravolto la vita e io sono felice che tu lo abbia fatto al punto che vorrei continuassi a stravolgermela ancora. Ma…quel cambiamento cominciava a spaventarmi a...rendermi insicura. Così ho scelto la via più semplice e sono scappata. Mi pento di averlo fatto, Ewan, mi pento tantissimo perché sono consapevole di aver rovinato tutto…Mi dispiace così tanto… Volevo che lo sapessi.»

Quando finì aveva quasi il fiatone per la foga con cui aveva parlato, per il modo in cui aveva buttato tutto fuori, quasi avesse aspettato per tutta una vita di liberarsi da quelle parole. Ewan l’aveva ascoltata in silenzio per tutto quel tempo, cercando il suo sguardo che continuava a sfuggirgli. Ripensò a quanto gli era appena stato detto, la disperata ricerca di una valida replica, ma sembrava aver perso d’improvviso l’uso della parola.

Come poteva trovare il modo di esprimere la confusione che provava dentro in quel preciso momento? Nessun insieme di parole sarebbe mai stato in grado di far sì che lui riuscisse a esprimere quanto ciò che Amelia gli aveva appena detto lo avesse fatto sentire improvvisamente rinato. Non era mai stato arrabbiato con lei; dispiaciuto, ferito dall’andamento degli eventi, quello sì, e molto anche. Ma arrabbiato no e l’avrebbe inseguita lui stesso se avesse saputo che il motivo per cui lei era andata via era quella paura di non essere ricambiata che gli aveva appena rivelato e non quel disinteresse sentimentale come lui aveva sospettato.

Amelia era tornata a puntare lo sguardo sul ragazzo, ancora fermo davanti alla porta. Quel suo silenzio protratto, però, la stava facendo impazzire. Avrebbe voluto scuotere Ewan, pregarlo di dirle qualcosa, qualsiasi cosa, purché smettesse di stare lì, immobile a guardarla senza proferire parola. Cominciava a sentirsi male in quella situazione, le lacrime le punsero gli occhi, minacciando di scendere.

Proprio quando Amelia era in procinto di parlare di nuovo, spronare il cantante, quest’ultimo si mosse. Raggiunse la ragazza con pochi passi sicuri, senza mai staccarle gli occhi di dosso. Poi, appena l’ebbe raggiunta, le prese il viso fra le mani e la baciò.

In quel bacio vi era racchiuso ciò che a parole non si sarebbe mai potuto spiegare. In quel mese di separazione da Ewan, Amelia non aveva dimenticato i suoi baci e capì che non aveva desiderato altro. Voleva sentire il calore della sua bocca, il suo corpo vicino, il tocco leggero delle sue mani. Ogni cosa di quel ragazzo le era mancata come ossigeno e in quel momento quasi le sembrava di tornare a vivere. Ewan, allo stesso modo, non avrebbe più voluto lasciarla andare. Si era pentito di non aver trovato un modo per fermarla quando lei si era allontanata da Londra e aveva passato il resto dei giorni a maledirsi per quello. Solo pochi minuti prima, quando lei si era aperta, raccontando la sua verità, lui aveva capito che a parole non sarebbe riuscito a farle comprendere quanto le fosse mancata, quanto bisogno avesse di rivederla. Quel bacio, al contrario, sembrava in grado di esprimere alla perfezione quel sentimento.

Nessuno dei due avrebbe voluto separarsi dall’altro, ma, dopo un po’, il bisogno d’aria lo rese necessario. 

«Quanto ti fermi?» chiese Ewan fra una boccata d’aria e l’altra, sfiorando le labbra di Amelia mentre parlava.

«Un altro paio di giorni» rispose la ragazza, prima di avvicinarsi e baciarlo ancora.

«Potremmo uscire stasera» propose lui appena si furono separati nuovamente.

Lei acconsentì, facendo segno con la testa più volte. Non riusciva più a smettere di sorridere e si sentiva leggerissima, neanche fosse stata piena d’elio.

«Mi inventerò qualcosa» proseguì il cantante.

«E io immagino di non poterlo sapere in anteprima» lo ammonì lei.

L’espressione di Ewan fu piuttosto esaustiva. Sollevò le sopracciglia e le sorrise come a dirle che conosceva la risposta e non aveva senso che chiedesse. La ragazza arricciò le labbra. Quell’aspetto del suo rapporto con il ragazzo non era affatto cambiato e lei si rese conto che le piaceva così. Anzi, forse si sarebbe dispiaciuta se lui le avesse detto ciò che aveva intenzione di fare.

In quel momento la porta della sala prove venne aperta piano e la voce di Chris introdusse i tre membri degli Shards rimasti fuori fino a quel momento. «State ancora litigando?»

Amelia e Ewan si voltarono verso la porta, guardando i ragazzi con facce perplesse.

«Non vi sentivamo più» spiegò Trent, usando come d’abitudine poche, calibrate ed efficaci parole. 

«Stavate origliando?» esclamò sconvolta la ragazza. L’idea che loro tre avessero sentito parola per parola quanto aveva detto al cantante la mise d’improvviso in imbarazzo, sebbene non avesse detto nulla che loro già non sapessero.

«Origliando è una parola grossa» borbottò Chris, che sembrava quasi deluso della cosa. «Diciamo che abbiamo percepito un mormorio indistinto.»

«Allora?» li incalzò poi Chase, che voleva conferme, non sorrisi di sorta. 

I due interpellati si scambiarono un’occhiata, poi un sorriso, due gesti più che esaustivi.

Il batterista rise. «Il nostro super piano ha funzionato.»

Trent gli lanciò un’occhiataccia, sbuffando appena.

«Quale super piano?» chiese Ewan.

«Ehm, stasera ti spiego. E ti racconto per bene cos’è successo» gli rispose Amelia, decisa a raccontare tutto ciò che era successo al ragazzo, pronta a ripetere per l’ennesima volta di quel passato ingombrante che si portava dietro.

«Ah, grande. Quindi stasera si esce?» continuò Chase.

Ewan e Amelia si scambiarono una nuova occhiata, dopodiché il cantante fissò gli amici. Non gli sarebbe dispiaciuto avere un po’ di privacy con la ragazza, specie ora che si erano ritrovati. Tuttavia il ragazzo non poteva precludere loro la possibilità di trascorrere del tempo con lei ora che si trovava a Londra. Poi li conosceva bene e sapeva che dopo un paio d’ore tutti insieme li avrebbero lasciati soli.

 

 

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Capitolo 22
*** Your Love is My Favorite Band ***


 

 

 

“I know you like to do me wrong | But your love is my favourite song | I knew you wouldn’t understand | But your love is my favourite band”

The Vaccines. Your Love Is My Favorite Band

 

 

 

Manchester Arena, Manchester, 21 novembre

Ore 8:58 PM

Quattro anni dopo

 

Nel camerino che condivideva con i compagni di sempre, Ewan stava mettendo tutto sottosopra. Aveva sfilato dal suo borsone ogni indumento, inclusi quelli puliti e stirati che avrebbe infilato una volta sceso dal palco.

Vittima principale di quella sua agitazione fu Chris, troppo vicino a lui per impedire che gli abiti gli volassero addosso. Il tastierista bloccò lo smartphone e lanciò un’occhiataccia in direzione del cantante. «Quanta roba hai infilato lì dentro?» sbottò, temendo di essere, a sua insaputa, alle prese con l’equivalente maschile della borsa di Mary Poppins. Asciugamani, maglie, pantaloni, c’era perfino una bandiera; di tutto stava uscendo da quel dannato borsone.

Ewan, inginocchiato sul pavimento, si arrestò e sollevò lo sguardo sull’amico. «Non c’è» disse, quasi a motivare il caos che, era consapevole, stava facendo.

«Non c’è cosa?»

«La mia t-shirt della NASA» rispose il cantante, ricominciando a frugare nonostante il borsone fosse ormai del tutto svuotato del suo contenuto.

«Tutto ‘sto casino per quella maglia?» esclamò Chris. Si appoggiò di peso allo schienale del divano su cui stava e sollevò le braccia al cielo. «Ne hai tipo sei di t-shirt della NASA» gli ricordò.

«Sì ma non stasera e non qui.»

«Beh, Ewan, qualcosa dovrai pur metterti addosso. Non ti faremo salire sul palco a torso nudo» intervenne Trent, con il suo abituale tono austero.

«Alle fan piacerebbe» si intromise dal fondo della stanza Chase, finendo di masticare un pezzetto di cioccolato che si era da poco messo in bocca. Gli altri tre lo guardarono di sbieco, ma il ragazzo si limitò a una lieve smorfia seguita da un’alzata di spalle.

«D’accordo» sospirò il cantante. «Vorrà dire che terrò questa» concluse, tirando appena la stoffa dell’indumento che indossava. Si alzò in piedi, rimettendo alla rinfusa i vestiti nel borsone. Tuttavia continuava a ripensare alla cosa. Quella maglietta della NASA, lo sapeva, l’aveva portata con sé.

La porta del camerino si aprì e Ronan, il tour manager degli Shards, infilò la testa oltre la porta. «Stanno iniziando» li informò, per poi scomparire di nuovo. Sintetico e di poche parole, non si poteva negare fosse un uomo efficace quando si trattava di dare informazioni. Ciò che voleva lasciare intendere con quella sua sbrigativa apparizione era il fatto che la band supporto che avrebbe aperto il concerto degli Shards era appena salita sul palco.

I quattro ragazzi si alzarono, pronti per avviarsi in quel punto del backstage dove il loro fonico di palco li avrebbe agghindati con tutto il necessario per amplificare i loro strumenti. Lungo il corridoio che portava al palcoscenico, Ewan cominciò a sentirsi eccitato e nervoso. Le, ormai, centinaia di volte in cui si era esibito in un live show non gli erano bastate per non sentire l’ansia montare quando si avvicinava allo stage, consapevole del numero di persone alle quali erano stati staccati i biglietti per la serata. Quando iniziava a cantare tutta quell’agitazione gli scivolava di dosso, l’adrenalina lo inondava e lui si divertiva per tutto il tempo. Tuttavia, prima che quelle sensazioni potessero avvolgerlo doveva sempre fare i conti con quella salubre agitazione pre-concerto.

Il gruppo che apriva la loro esibizione era formato da cinque componenti, di cui due ragazze, tutti giovanissimi e piuttosto simpatici, originari di Llanelli. Gli Shards li avevano scovati un po’ per caso, ma l’idea di proporli come band supporto per la tour Europea era balzata subito alla loro mente.

Raggiunto il backstage, davanti alle scale che avrebbero portato sul palco, il cantante si fermò, osservando i cinque ragazzi suonare. Le luci colorate erano accecanti e oscuravano del tutto il pubblico che, dall’altra parte, sembrava gradire la performance dei giovani gallesi. Ewan li ascoltò, assaporando la voce delicata della cantante e cercando di sbirciare meglio per tentare – inutilmente – di vedere il pubblico, o anche solo una parte di esso. Il cuore prese a battergli per l’emozione e lui non poté fare a meno di sorridere. Erano mesi che gli Shards non facevano un concerto. Avevano da poco pubblicato il loro quinto disco, talmente nuovo che molti dei fan non avevano ancora avuto modo di ascoltarlo. Dopo mesi di stop per rifinire quell’album, finalmente, tornavano a esibirsi dal vivo, a fare una delle cose che a ciascuno dei quattro componenti della band piaceva di più.

Il cantante fremeva dalla voglia di salire sul palco, anche se in quel momento era teso e agitato. Non vedeva l’ora di cantare per quel pubblico, di sentirlo restituirgli l’energia e la carica, di udirli recitare come un’unica, possente, voce le parole dei loro testi. Non stava più nella pelle, nient’altro.

I due rodie aiutarono i ragazzi a sistemare quanto di elettronico era necessario per il concerto, dopodiché li lasciarono liberi di rimanere lì, in attesa della loro esibizione. Il cantante rimase in un angolino, ben nascosto da possibili sguardi del pubblico, a godersi il resto del concerto di apertura, gli auricolari abbandonati sulle spalle. Si passò una mano in testa, sentendo i capelli corti al suo passaggio, freschi di rasatura. Era da diversi mesi che aveva cambiato taglio. Ai suoi capelli sempre in piega aveva iniziato a preferire una corta rasatura – con sorprendente dispiacere generale da parte dei fan – piuttosto divertente anche da toccare – a detta della sua ragazza. Alle volte, però, i capelli di un tempo gli mancavano, perciò aveva deciso che se li sarebbe fatti crescere di nuovo. Per il resto il suo look non era affatto cambiato, al punto che molte t-shirt che continuava a indossare erano le stesse da anni, inclusa quella della NASA che avrebbe voluto portare quella sera per il suo ritorno alla vita dei concerti live. Era sicuro di averla portata con sé, per questo ancora non si dava pace al pensiero di non averla trovata, prima. D’un tratto, però, gli venne l’illuminazione e la cosa lo fece ridere. Aveva capito dov’era quella t-shirt e anche perché non l’avesse trovata.

 

 

 

 

Manchester Arena, Manchester, 21 novembre

Ore 9:17 PM

 

Anche dopo tutti quegli anni gli Shards continuavano a essere la band preferita di Amelia. Ne erano successe di cose da quando li aveva incontrati per la prima volta, da quando aveva incrociato gli occhi blu di Ewan in quel post concerto a Glasgow. Eppure vederli suonare dal vivo continuava a essere una gioia per lei, una festa dei sensi e della mente. Continuavano a essere l’unico gruppo musicale di cui ballava ogni singola canzone, senza che si sentisse nervosa o a disagio nel farlo – e lei si sentiva sempre nervosa e agitata quando si trattava di ballare, al punto che preferiva non farlo. Amava cantare ogni parola di ogni canzone come se non sapesse fare altro nella sua vita. Aveva ascoltato il loro ultimo album e lo trovava un vero capolavoro, un gioiello, degno successore del precedente e non vedeva l’ora di sentirlo suonare dal vivo per la prima volta.

La ragazza si era ritagliata un angolino vicino alla postazione del fonico. La band supporto stava riempiendo l’aria con la propria musica, mettendo il massimo dell’impegno nella loro esibizione. Amelia batteva il piede al ritmo della batteria, ascoltando la loro performance. Era sola. Dopotutto a Manchester non conosceva nessuno e quella di andare ad assistere al concerto in mezzo al pubblico era stata una sua idea, una di quelle che non avrebbe mai ignorato, perciò essere sola non le dispiaceva molto. In mano teneva una birra, che avrebbe voluto conservare almeno per metà del live degli Shards – nonostante fosse già consapevole del fatto che non ci sarebbe riuscita.

Nello stadio cominciava a fare caldo, perciò si sfilò il giacchino di pelle e lo appoggiò alla ringhiera alle sue spalle, quella che delimitava l’area dei fonici. Scambiò un’occhiata con il tecnico luci e si sorrisero, dopodiché lei tornò a dedicare la sua attenzione davanti a sé. Arrotolò le maniche della t-shirt fin sopra le spalle, soddisfatta del suo abbigliamento. Il logo della NASA capeggiava sulla maglietta bianca che indossava, di qualche taglia più grande di lei, al punto che l’aveva infilata dentro i jeans skinny neri per evitare che sembrasse un pigiama. I lunghi capelli scuri erano stati tagliati il mese precedente, lasciando che ricadessero appena sopra alle spalle, con un taglio netto. 

Fatta eccezione per i capelli, Amelia non si sentiva affatto cambiata. La sua vita, però, quella sì che aveva preso una piega del tutto nuova. Era finalmente diventata una grafica; una libera professionista contattata da persone che chiedevano i suoi lavori. Inutile anche solo sospettare che il merito di tutto ciò non fosse degli Shards. Una volta rese pubbliche le grafiche per la tournée in America a cui lei aveva lavorato, le prime chiamate avevano già iniziato ad arrivare. All’inizio nell’ambiente musicale, poi le richieste dei suoi lavori  si erano estese anche alle case editrici e pubblicitarie.

Il silenzio che si era formato al termine dell’esibizione della band supporto, quel silenzio interrotto solo da qualche grida di un fan o uno sporadico fischio, in cui le luci blu illuminavano lo stage deserto e pronto ad accogliere i protagonisti della serata, stava rendendo Amelia fremente, sempre più eccitata al pensiero che, a breve, il quartetto londinese si sarebbe presentato sul palco per un paio di ore di musica.

Come aveva sospettato la birra non le era bastata. Andò a buttare il bicchiere vuoto, pensando se valesse la pena prendere altro da bere, ma l’improvviso fervore del pubblico le fece capire che il concerto stava iniziando.

L’esibizione degli Shards fu bellissima. Amelia non vide molto, l’altezza non era dalla sua parte quando andava ai concerti, soprattutto perché sembrava sempre che le persone alte lo facessero apposta a fermarsi davanti a lei. Tuttavia la cosa le importò poco. Conosceva bene i volti del quartetto londinese ed era lì, fra quelle centinaia di persone, per la loro musica, le loro canzoni e le loro parole. Era lì per godersi un po’ di sana musica dal vivo ed era ciò che aveva fatto, al punto che quando gli Shards salutarono ringraziando il pubblico e sparirono dietro le quinte  per la seconda e ultima volta, lei si sentiva rinata. Come quei ragazzi riuscissero a farla sentire così ogni volta non avrebbe mai saputo spiegarselo, fatto sta che sembravano essere in grado di aiutarla come nessun altro al mondo.

Quando gli spettatori iniziarono a scemare, procedendo verso le uscite, la ragazza riprese la propria giacca di pelle e la infilò dopo essersi sistemata la t-shirt. «Grazie» disse in direzione del tecnico luci quando incrociò il suo sguardo, a ringraziarlo di aver dato un’occhiata di tanto in tanto al suo indumento mentre lei era troppo presa dalla musica. Questi le fece l’occhiolino e riprese a smontare la sua strumentazione.

Stretta nell’abbraccio della prioria giacca anche Amelia si avviò verso l’uscita, seguendo la massa di gente come fossero animali migratori. Frugò nella borsa in cerca del suo cartellino e appena lo trovò se lo legò a un passante dei pantaloni, svoltando subito a sinistra appena fuori dalla porta antipanico. Affiancò buona parte del perimetro dell’arena, fino a un cancello, sorvegliato da un paio di buttafuori dall’aria seria. Qualche fan titubante gravitava intorno a quel punto, oltre il quale si potevano vedere i tourbus delle band.

Amelia sollevò il proprio cartellino, un pass, mostrandolo alle due guardie. La scritta “All Areas” risaltava al centro di esso, poco sopra il nome della ragazza; le lettere iridescenti vibravano alle luci dei lampioni e delle torce dei due. La lasciarono passare senza proferire parola, senza neanche un borbottio di qualche genere al ringraziamento di Amelia. A lei non importò e si infilò oltre l’ingresso, lungo i corridoi. Proseguì per un breve tratto di strada, canticchiando appena Your Love Is My Favorite Band dei The Vaccines, perdendosi un paio di volte ma ritrovando subito il percorso, finché non raggiunse la zona dei camerini. Arrivata alla porta con affisso il foglio “Shards”, la ragazza bussò un colpo e abbassò la maniglia. «Ragazzi si può?» domando prima di entrare, socchiudendo la porta.

«Ewan è nudo» esclamò subito Chase dall’altra parte.

Il cantante, ancora del tutto vestito, lo guardò di sbieco.

«Come se non l’avessi mai visto» replicò lei, entrando nella stanza e facendo sogghignare il batterista. Sentì subito l’odore di sudore che vi era lì dentro. Come a ogni concerto i quattro non si erano risparmiati e anche le luci non erano d’aiuto nel mantenere mite la temperatura corporea. D’altro canto neanche lei sembrava appena uscita da un bagno all’acqua di rose. «Abbiamo tutti bisogno di una doccia» disse, lasciando intendere che, venendo da fuori, l’aria lì dentro non era esattamente respirabile. 

Consapevoli dello stato in cui versavano, gli altri ignorarono la questione.

«Ehi, Amelia ha trovato la tua maglietta» disse Chris con fare ironico, mentre la ragazza gli sfilava davanti per raggiungere Ewan. Lei sorrise.

«Avevo capito che c’entravi tu» le disse il cantante appena lei l’ebbe raggiunto, dandole un veloce bacio sulle labbra. 

«Beh era facile indovinare. Ti ho anche lasciato la mia camicia.»

Il ragazzo lanciò un’occhiata vicino alla sua borsa, notando solo in quel momento l’indumento di Amelia abbandonato sullo schienale di una sedia. Si lasciò sfuggire un verso privo di significato mentre Chris interveniva: «Ha fatto un caos che non ti immagini per cercare la maglia, dubito l’abbia vista.»

La ragazza trattenne una risata. «Recupero la mia camicia e vado a cambiarmi» disse poi. «Così lascio a voi maschietti tutta la privacy di cui avete bisogno.»

Aveva appena posato la mano sulla porta per poter uscire quando Chase disse: «Guarda che mica ci vergogniamo.»

Amelia lo guardò, inarcando un sopracciglio. «No, lo so, come quella volta a Barcellona» sghignazzò. 

A quelle parole batterista e tastierista sbuffarono. 

«Continuerà a ricordarvelo in eterno» ci tenne a precisare Trent, l’unico a non essersi ancora espresso su nulla.

«Io la odio la tua ragazza» disse Chris in direzione del cantante, ma era palese scherzasse e regalò un sorriso ad Amelia prima che questa potesse chiudersi la porta alle spalle.

Una volta fuori lei si avviò verso i bagni, così da cambiarsi la maglia e sistemarsi un po’. Si sentiva in disordine per via del concerto, in cui non si era risparmiata in quanto a canto e ballo. Anche dopo tutti quegli anni trascorsi dalla prima volta che aveva sentito uno dei loro pezzi, gli Shards continuavano ad avere su di lei l’effetto di una bomba. La stravolgevano, riempiendola di sensazioni positive.

Dopo quattro anni si era abituata alla relazione fra lei e Ewan, ma per i primi mesi era stato davvero difficile convivere con quel pensiero. Aveva faticato a capacitarsi del fatto che Ewan volesse proprio lei, che quel ragazzo di cui amava voce e testi, che aveva visto ai concerti, nei video su YouTube, sentito alla radio in interviste di ogni genere, fosse lo stesso che aveva raggiunto Glasgow a poche settimane dall’inizio della propria tournée americana per chiederle di – magari – rendere ufficiali le cose fra loro. C’era la tour, certo, ma esisteva Skype e in America il WiFi era ovunque e poi si trattava solo di un paio di mesi. Da quel giorno – in cui Amelia aveva capito che se non fosse morta lì per un attacco di cuore allora non sarebbe stata quella la causa del suo decesso – erano trascorsi quattro anni.

In quel lasso di tempo avevano imparato a stare lontani, a concentrarsi ciascuno sul proprio lavoro, a superare i lunghi mesi di separazione per via delle tour della band. Capitava che a volte Amelia si unisse ai ragazzi; grazie a ciò aveva la possibilità di vedere frammenti di mondo che non aveva ancora esplorato. 

Ewan l’avrebbe voluta sempre con sé ma, forse, per loro quella era la soluzione migliore. Amelia poteva portarsi ovunque il lavoro, ma aveva sempre bisogno del costante confronto con il cliente e, inoltre, durante le tournée lui non poteva dedicarle tutto il tempo che avrebbe voluto. 

Amelia si univa agli Shards quando questi facevano concerti nel Regni Unito. Per quelle serate lei era sempre insieme a loro, assistendo ai live show da sotto il palco, in mezzo ai fans. Quella vita, divisa fra Glasgow e Londra, ormai era la sua vita e le piaceva moltissimo. E stare con Ewan, inoltre, continuava ad avere per lei le sembianze di un sogno. Dopotutto, quando mai si sarebbe stancata dell’idea di poter indossare liberamente le t-shirt del cantante della sua band preferita?

Sorrise a quel pensiero, sistemandosi la camicia che si era appena infilata. Prese fra le mani la maglietta di Ewan, osservando il logo della NASA stampato su di essa. C’erano ancora altre tre serate in programma in Gran Bretagna, prima che il nuovo tour si spostasse nel resto dell’Europa, partendo dal Belgio. Amelia era nel pieno di una consegna e non poteva permettersi di seguire i ragazzi per il continente anche nelle date successive. In verità anche quelle poche serate britanniche che si stava concedendo non facevano bene al suo lavoro. La consegna che aveva in programma era piuttosto impegnativa e con numerose tavole, ma rimaneva il fatto che lei preferiva lavorare di notte piuttosto che stare lontana da Ewan quando questi si trovava in Gran Bretagna.

Anche quella notte sapeva già che avrebbe fatto le ore piccole. Si sarebbe preparata un caffè nel cucinino del tourbus e si sarebbe seduta al tavolo, il portatile davanti, la musica nelle orecchie, e mentre fuori le città scorrevano una dietro l’altra, luminose come fiamme contro il cielo notturno, sarebbe andata avanti con i lavori, avvinandosi alla consegna finale. Forse, a un certo punto, Linton l’avrebbe raggiunta e si sarebbe messo a chiacchierare con lei, sorseggiando una birra. Molto spesso lui faticava a dormire – a differenza di Ewan, che una volta addormentato, a qualsiasi ora del giorno, non si svegliava neanche con le cannonate – ed era già capitato più volte che si ritrovassero soli sul tourbus in movimento, nel cuore della notte. Bevevano qualcosa insieme e parlavano piano, era così che Amelia aveva scoperto che persona fosse Trent Linton, capendo che le piaceva davvero molto, come Chase e Chris del resto.

Nonostante tutto si rese conto che il pensiero di fare le ore piccole anche quella notte non le dispiaceva più di tanto. Disegnare fino a tardi dopo essere stata a un concerto degli Shards aveva il suo fascino. Forse si sarebbe pentita di quel pensiero il giorno successivo ma, a differenza di Ewan che avrebbe dovuto prendere parte al soundcheck per il concerto della sera, lei avrebbe potuto appallottolarsi nelle coperte del letto fino a che lui non fosse rientrato. Era un’ottima prospettiva.

Si incamminò per tornare nel camerino dei ragazzi, dove trovò Ewan fermo davanti alla porta intento a guardare il proprio smartphone.

«Si stanno cambiando?» gli chiese appena l’ebbe raggiunto, alludendo al resto dei componenti della band.

Il cantante si mise in tasca il telefono e si strinse nelle spalle. «Non l’ho capito nemmeno io» rispose. «Per sicurezza sono uscito.»

La ragazza annuì, dopodiché gli tese la t-shirt.

«Sai cosa pensavo? Che forse farei prima a regalartela» disse Ewan, sollevando la maglietta che aveva appena afferrato per farle capire che si stava riferendo a quella. «Sono, cosa? Due anni che me la rubi di continuo? Se te la regalo risolvo tutto. Ti sta anche bene.»

«Ma io non la voglio.»

«Ma...» esordì lui, senza sapere che altro aggiungere. La secca affermazione di Amelia l’aveva colto di sorpresa.

La ragazza arricciò le labbra, divertita. «Pensaci. Se tu me la regali, dove sta il divertimento nel rubartela di continuo, per citare te?»

Ewan si mise a ridere. Aveva capito tutto e quello, in effetti, era proprio un comportamento da Amelia Campbell. Si diede un colpo in fronte con il palmo della mano, come se avesse appena scoperto l’acqua calda. «Oh, giusto. Come ho fatto a non pensarci?»

Fu Amelia a mettersi a ridere ora. Al suono della sua risata Ewan si sentì scaldare. Si avvicinò per poterla baciare, con calma questa volta, ma come era successo molte – troppe – volte nel corso di quei quattro anni, le sue intenzioni vennero rovinate. Alle sue spalle la porta del camerino si aprì di scatto, quasi stessero tenendo sotto controllo la situazione nel corridoio. Chase uscì con la vitalità che lo contraddistingueva.

«Vogliamo provare a fare una cosa» esclamò, sembrava su di giri. Portò fuori, in corridoio, una sedia da ufficio su ruote.

«Specifica che vuoi provarlo tu. Non mi assumo alcuna responsabilità» si intromise Chris, incrociando le braccia al petto.

Trent, come prevedibile, non si espresse riguardo al progetto del batterista. Amelia e Ewan, invece, si scambiarono un’occhiata, per poi posare lo sguardo sulla sedia.

«Ovvero?» chiese la ragazza perplessa.

«Presente le gare di sedie da ufficio?» continuò Chase.

«Disciplina olimpica» intervenne sarcastico Chris.

Il batterista lo ignorò. «Voglio vedere quanto riesco a spingerti lontano su questo corridoio» concluse poi, guardando Amelia e lasciando intendere che era lei la diretta interessata del suo piano.

Quest’ultima sollevò le sopracciglia. «No, tu vuoi uccidermi» esclamò.

«Oh, dai. Che ti costa. Fra di noi sei la più leggera» tentò ancora il ragazzo.

Lei, però, sembrava inamovibile. Ci vollero parecchie suppliche e altrettante lusinghe per convincerla ad assecondare l’assurda idea di Chase. In verità una parte della ragazza avrebbe voluto prendere parte a quell’insensato gioco fin da subito, ma farsi desiderare un po’ era una leziosità che, di tanto in tanto, le piaceva concedersi.

Ewan rimase guardare da spettatore a quella scena, divertito. Un po’ era anche preoccupato all’idea di lasciare la propria ragazza nelle mani del batterista, ma era certo che non sarebbe accaduto nulla di male. Però, sì, era preoccupato, dovette ammetterlo. Ok, forse molto preoccupato.

Stava per intervenire quando Amelia lo fermò. «Lasciami fare» gli disse, dal momento che aveva già capito le intenzioni del cantante. Puntò un dito in direzione di Chase. «Nel caso, sai chi è il colpevole.»

Per il ragazzo fu strano assistere a quella gara contro nessuno in cui il batterista aveva coinvolto Amelia. Tuttavia lo trovò divertente, soprattutto perché anche lei dava l’impressione di divertirsi. Rideva e imprecava scherzosamente verso il batterista, ormai un caro amico, che l’aveva coinvolta in tutto ciò.

A Ewan piaceva molto vederla così, allegra e spensierata. Dopo quattro anni Amelia continuava a piacergli come il primo giorno, come in quello stesso momento in cui aveva compreso che lo stomaco rivoltato e il cuore in tumulto potevano significare solamente una cosa. Si era sempre chiesto se mai sarebbe arrivato a provare un sentimento di tale portata nei confronti di qualcuna e non avrebbe potuto essere più felice di così nel constatare che la persona in questione era proprio Amelia.

Non avrebbe mai voluto doversi separare da lei. Anche se sapevano stare distanti per lunghi periodi di tempo ogni volta che si salutavano prima di una qualche partenza era sempre piuttosto difficile per lui. Tuttavia aveva imparato a vivere quei giorni di distanza come un buon modo per assimilare quante più storie possibili da raccontare ad Amelia al suo ritorno, consapevole che anche lei avrebbe avuto tante cose di cui parlare. Funzionava così fra loro e lui trovava fosse perfetto, al punto che ogni tanto faticava ancora a credere che la ragazza che gli aveva arricchito a tal punto la vita fosse comparsa con un disegno, quel piccolo scarabocchio – a detta di Amelia – che si era ritrovato in tasca.

 

 

 

________________

Hello there!

Ho un annuncio. Non so quanti possano essere interessati, ma lo faccio ugualmente.

La storia di Amelia e Ewan finisce qui. Spero davvero possa esservi piaciuta, almeno un po’. Spero vi abbia fatto sorridere e, perché no, arrabbiare ogni tanto.

Come avevo anticipato nasce come fan fiction, quindi sono consapevole che non brilli di originalità, ma ci tenevo comunque a scriverla e portala avanti. È nata in “due tempi”. Ho scritto i primi cinque capitoli quasi due anni fa, dopodiché l’ho “abbandonata”. Solo che continuava a tornarmi alla mente, ad articolarsi e alla fine ho deciso di non chiuderla così, ma darle una seconda opportunità ed eccola qui.

 

MA, c’è un ma. Non è del tutto finita.

Sì, perché per questa storia ho pensato e scritto anche un finale alternativo. Finale che, in realtà, doveva essere quello originale, a cui poi ho preferito questo.

Ho intenzione di pubblicarlo, quel finale, giusto il tempo di rivederlo. Mi piacerebbe leggeste anche quello, quindi vi invito a non considerare chiusa del tutto questa storia.

Grazie di tutto, per ora!

 

A presto.

MadAka

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Capitolo 23
*** Photograph ***


 

 

 

Loving can hurt, loving can hurt sometimes | But it’s the only thing that I know | When it gets hard, you know it can | get hard sometimes | It’s the only thing that makes us feel alive

Ed Sheeran. Photograph

 

 

 

Blue Jam, Glasgow, 21 novembre

Ore 10:13 PM

Quattro anni dopo

 

Il locale, non tanto grande, era pieno di persone, molte delle quali in piedi a riempire ogni angolo pensabile. Il basso mormorio era un suono costante, un sottofondo fisso sul quale si stagliava chiara la voce di Ewan.

Un uomo solo sul palco insieme alla sua tastiera elettrica: quello era Cassian o, meglio, il “progetto Cassian”, come lui lo aveva nominato. Il ragazzo non si era messo a fare il solista o, meglio, quello che stava portando avanti non ne aveva le intenzioni. Come Cassian non aveva pubblicato alcun album, tutte le canzoni che aveva inciso in quell’anno dalla nascita del progetto erano scaricabili in download gratuito dal sito internet degli Shards. Anche i concerti, le “tour”, si limitavano a qualche sporadica serata in piccoli locali sparsi per la Gran Bretagna.

Di certo non avrebbe lasciato gli Shards, mai. Sarebbero partiti a breve per la nuova tournée europea, con lo scopo di pubblicizzare il loro ultimo album, finalmente nato dopo alcuni ritardi.

Con la band era in grado di provare emozioni uniche e vivere con un’intensità ineguagliabile i concerti in giro per il mondo. Inoltre, Trent, Chase e Chris gli erano sempre stati vicino e  Ewan era da sempre convinto che gli amici salvano la vita. Perciò non avrebbe mai chiuso con gli Shards. Il progetto Cassian era solo un passatempo, nato più per distrazione e bisogno che altro. Da quasi un anno aveva iniziato a comporre canzoni che con gli Shards non avevano nulla a che vedere, perché parlavano di sé, a differenza delle storie che raccontava come cantante del quartetto.

Gli amici si erano detti d’accordo, così Ewan aveva cominciato a comporre, solo voce e tastiera e un fiume di emozioni a sgorgare dalla sua voce. Aveva capito cosa significava parlare di sé, condividere con altri pensieri personali e non gli dispiaceva. Solo che, ogni volta, farlo gli scatenava dentro un uragano, ondate continue di sensazioni contrastanti, che per quanto piacevoli a volte e dolorose altre, erano capaci di animarlo.

Tuttavia era dell’energia e della vita degli Shards che Ewan sembrava nutrirsi, per questo, come Cassian, aveva preso la scelta di non ingrandire il suo progetto. Quello del solista non era la sua natura, era solo una valvola di sfogo. Per sua fortuna i suoi migliori amici questo lo avevano capito e continuavano a sostenerlo nel suo voler portare avanti il progetto a quel modo. Forse avevano capito quanto gli facesse bene avere la possibilità di parlare di qualcosa che voleva mantenere distante dalla sfera degli Shards. 

L’esibizione del cantante era prossima a finire. Non aveva lunghe scalette e non le voleva nemmeno. Quella che aveva scelto di portare avanti come solista era una dimensione più piccola e ristretta in tutti i sensi; esibizioni brevi e poche parole, così che la musica potesse essere la sola protagonista. 

Fra i presenti all’esibizione vi era anche Amelia. La ragazza apprezzava molto quella versione acustica di Ewan, sebbene anche lei sapesse che non avrebbe mai potuto avere lo stesso significato degli Shards. Conosceva le canzoni di Cassian e le piacevano molto ma, esattamente come il cantante, era ben consapevole che quel progetto sarebbe sempre rimasto ben nascosto dall’ombra della band, un’ombra che negli anni aveva accresciuto la sua intensità con un nuovo disco di platino e alcune delle canzoni più belle che la ragazza avesse mai udito. Anche per quei motivi sapeva che gli Shards avrebbero continuato ininterrotti sul loro cammino e che, se mai si fossero separati, la causa non sarebbe certo stata la calibrata attività da solista di Ewan.

Era in piedi vicino al bancone, accanto a lei George, gli occhi fissi sulla figura del cantante. Ne osservava le mani scorrere precise sui tasti dello strumento musicale, gli occhi blu tenuti bassi sui propri gesti, le labbra che sfioravano il microfono a ogni nuova parola, i capelli di pochi centimetri spettinati sulla testa. In quella versione acustica, in Cassian, Amelia trovava vi fosse una bellezza struggente, tale da incantarla. Le era innegabile ammettere che Ewan continuasse a esercitare su di lei un magnetismo unico, ma dopo quattro anni quell’attrazione, quei sentimenti che sentiva per lui, erano diventati una parte di sé che aveva imparato a comprendere e a cui, ora, si sentiva legata.

Quando il concerto finì ci volle quasi un’ora prima che Ewan riuscisse a salutare tutti i fan accorsi lì per lui. Era pur sempre il cantante degli Shards e molte delle persone che a fine concerto interagirono con lui lo fecero più per quel suo ruolo di cantante che per il progetto Cassian in sé – anche se tutti gli dissero di apprezzarlo.

Anche nei suoi rapporti con i fan non era cambiato affatto in quegli anni. Continuava a essere uno a cui piaceva scambiare quattro chiacchiere con i propri sostenitori, ringraziandoli con sincerità per il supporto che sempre dimostravano. Si fece foto, firmò qualche autografo e intavolò conversazioni con alcuni fans con cui parlò di musica e cinema. 

Quando nessuno sembrò più interessato alla presenza di Ewan, il ragazzo tornò sul piccolo palco nell’angolo destro del locale e smontò la sua strumentazione, riponendo cavi, microfono e tastiera al sicuro, così da recuperarli prima di andarsene. 

Era da poco passata la mezzanotte quando ultimò il tutto. Nel locale le persone erano calate di molto, ora sembrava più un pub come un altro, con amici che si ritrovano a trascorrere del tempo insieme davanti a una birra, senza alcuna voglia apparente di andarsene da lì. La radio stava trasmettendo Photograph di Ed Sheeran, appena percepibile sopra il vocio delle persone. In quel clima di calma, Ewan andò a sedersi al bancone del locale, ordinando una lager che gli venne servita subito. Il ragazzo dietro alle spine si complimentò con lui per il piccolo show, ma non aggiunse altro, venendo subito richiamato al suo lavoro da un cliente. Il cantante bevve un goccio di birra e iniziò a scorrere messaggi e notifiche sui social, finché non venne raggiunto.

«Ciao.»

Riconobbe quella voce prima ancora di vedere il viso della persona che l’aveva salutato. Dopotutto aveva avuto modo di memorizzarne fin troppo bene ogni sfumatura.

Si voltò per sorridere ad Amelia e salutarla a sua volta. La ragazza si sistemò nello sgabello libero accanto a lui e per un lungo, sospeso, attimo di silenzio, i due si guardarono. A Ewan piaceva molto come le stava il nuovo taglio di capelli; la ragazza aveva iniziato da pochi mesi a portarli poco sopra le spalle, con un taglio netto. Lui trovava le donasse in modo particolare, sebbene non avesse ancora avuto modo di dirglielo. Aveva visto il suo nuovo look solo sui social network, il principale mezzo che era loro rimasto per essere costantemente aggiornati sull’altro.

Fra Ewan e Amelia, ormai da quasi un anno, era tutto cessato. Avevano portato avanti la loro relazione per tre anni, una storia che aveva donato moltissimo a entrambi e che i due ricordavano con dolcezza ogni volta che, per qualche ragione, quel rapporto veniva tirato in ballo. In quei tre anni Ewan era rimasto accanto alla ragazza, l’aveva vista diventare una grafica di professione, coronando così il suo sogno e l’aveva amata come non aveva mai fatto con nessun’altra prima. 

Lo stesso valeva per Amelia. Le era servito un po’ di tempo per assimilare appieno il fatto che il cantante degli Shards si fosse trasformato in qualcosa di più di un idolo prima e un amico poi, ma una volta resa quella consapevolezza una parte di sé, per lei era stato semplice lasciarsi andare alla più bella storia della sua vita. Con lui si sentiva completa, arricchita e non c’era stato un solo giorno, vicino o lontano dal ragazzo che fosse, in cui non si fosse sentita felice. Così come Ewan. Non erano sempre insieme, Amelia non seguiva gli Shards in ogni tournée, ma quella era parsa sempre la soluzione migliore; così facendo, quando si rivedevano, entrambi avevano mille cose di cui parlare. La loro relazione era diventata con gli anni qualcosa di unico, di profondo ma, in un certo senso, di diverso.

Tuttavia, un giorno, era successo qualcosa che nessuno avrebbe potuto sospettare, soprattutto se avesse visto la coppia trascorrere del tempo insieme: sottile e silenzioso com’era arrivato, quel sentimento di amore che li univa era lentamente scivolato via.

Se ne accorsero quasi per caso, quando divenne chiaro che, più che amanti, erano diventati amici. Amici profondamente legati da qualcosa che andava oltre tutto, talmente inspiegabile che nessuno sembrava in grado di comprenderlo. Ne avevano discusso insieme un pomeriggio. Amelia ricordava ancora che fuori il sole stava tramontando, virando di rosso e blu il cielo. Lui e il ragazzo si erano guardati, si erano scambiati un sorriso e avevano affrontato l’argomento, senza nascondersi. Avevano capito che ognuno rappresentava qualcuno di importante per l’altro, ma non quel qualcuno, la persona con cui trascorrere ogni attimo della propria vita. Ne avevano parlato a lungo, con calma e si erano scambiati un ultimo, leggero, bacio, sancendo così la loro decisione di porre fine – ma non con tristezza – alla loro relazione. Era una consapevolezza arrivata da entrambe le parti e avevano capito ciò che andava fatto. 

Solo che Ewan, quel giorno, non aveva raccontato tutta la verità ad Amelia. La ragazza continuava a ricoprire un ruolo troppo importante per lui, lo stesso che aveva avuto nei loro tre anni di relazione. L’amava ancora, così come l’aveva amata quando stavano insieme e anche quel giorno in cui avevano deciso di smettere di essere una coppia. Tuttavia lui non aveva trovato il coraggio, né il modo, di fermare la ragazza, di far sì che le cose fra loro non finissero, che non si trasformassero in quella bella amicizia che condividevano ora. Aveva pensato a frasi da dire, parole da usare, ma non era servito a nulla, perché non aveva fatto niente. Mentre discutevano della cosa lui aveva capito che non ci sarebbe stato niente da fare. Se l’avesse pregata di non andarsene, di rimanere insieme a lui, le cose sarebbero sicuramente andate per il verso sbagliato. Non poteva costringerla a rimanere la sua ragazza, perché era ormai chiaro che, in quelle vesti, lei non ci si specchiava più e lui non voleva perderla, non Amelia. L’unica soluzione che aveva trovato era stata quella di assecondare il suo volere, fingere che anche per lui vigesse la stessa condizione sentimentale e lasciarla andare. Così facendo avrebbe ancora potuto rivederla; l’aveva persa, ma non per sempre.

Infatti ora Amelia era lì, seduta davanti a lui al bancone di quel piccolo locale nel cuore di Glasgow e sembrava che il tempo avesse perfezionato ancora la sua figura.

Ewan richiamò a sé il barista per consentirle di ordinare qualcosa da bere, ma la ragazza declinò l’offerta; le dispiaceva, ma non si sarebbe potuta fermare a lungo.

«Dove hai lasciato Joe?» le chiese il cantante così da avviare la conversazione. L’aveva visto, quel ragazzo, accanto ad Amelia quando era riuscito a scorgere la sua figura fra i presenti durante l’esibizione. Quando aveva alzato gli occhi sul pubblico l’aveva trovata subito, quasi avesse saputo in che punto esatto guardare. E accanto a lei aveva individuato quel ragazzo che non aveva ancora avuto modo di incontrare di persona, ma di cui aveva letto sui social e sentito parlare direttamente dalla voce di Amelia.

«Si chiama George» lo corresse lei, sorridendo. «E ha detto che meritavamo un po’ di privacy visto che è un po’ che non ci vediamo di persona.»

Ewan sorrise. «Ti ha lasciata andare a parlare da sola con il tuo ex?» domandò con una punta di ironia.

La ragazza sorrise. «Tecnicamente io e lui non stiamo ancora insieme.»

«A maggior ragione, allora.»

Nuovamente lei sorrise. «Sa di noi, Ewan. E sa di potersi fidare.»

Era chiaro alludesse al modo in cui si erano lasciati, a quanto era rimasto a unirli, solo che Amelia non sapeva che per il ragazzo c’era tanto di non detto da parte sua, settimane di silenzio che per lui avevano il peso di un segreto importante, un macigno di cui non voleva sbarazzarsi.

La vedeva, sapeva che se le avesse detto quanto ancora provava per lei, la ragazza si sarebbe allontanata, non sapendo come comportarsi, che altro fare. Un giorno i sentimenti che provava per Amelia se ne sarebbero andati, affievoliti fino a scomparire, lo sapeva e, allora, lui avrebbe avuto accanto un’amica insostituibile come sapeva lei sarebbe diventata. Era solo questione di avere pazienza, di resistere a tutto ciò. Era anche per quello che era nato Cassian. I testi di quelle canzoni erano in molti casi velati riferimenti a lei, a quello che c’era stato fra loro e al vuoto che Ewan provava non avendola più vicina. Comporre quelle canzoni era come una cura, una medicina fatta di note e parole che gli donava emozioni e vita, consentendogli di esprimere quello che non poteva – o, meglio, non voleva – affrontare con gli Shards.

«Blueberries mi piace davvero moltissimo» proseguì la ragazza, alludendo all’ultimo pezzo suonato da Ewan.

Il ragazzo la guardò con attenzione, per cercare di capire se lei avesse inteso il messaggio più profondo di quella canzone. Blueberries parlava di lei, anche se in modo indiretto, velato, e aveva intitolato così quella canzone perché Amelia, quando loro facevano colazione insieme nei bar di Londra, ordinava sempre un muffin ai mirtilli, tanto amava quei dolci. Il cantante sospettò che il motivo per cui quel brano le piacesse tanto fosse dovuto proprio al fatto che parlasse di lei. 

«Ti ringrazio» disse infine, senza aggiungere altro. Gli sarebbe piaciuto dirle la verità su quella canzone, ma preferì non farlo. Gran parte di sé, a ogni modo, sperò intensamente che lei capisse tutto.

«I ragazzi come stanno?» proseguì Amelia.

«Oh, benone» rispose subito Ewan, felice del fatto che si stesse cambiando argomento. Gli risultava piuttosto complicato resistere alla tentazione di dichiarare tutta la verità riguardo al vero significato delle sue canzoni e a quello che ancora provava per lei quando insieme parlavano del progetto Cassian. Anche quando ne discutevano per messaggio o telefonicamente – in quelle sporadiche chiamate che ancora si consentivano – per Ewan era sempre piuttosto difficile mantenere il proprio segreto. Parlando degli Shards, però, quel desiderio veniva annichilito, come se i suoi amici fossero lì pronti a fermarlo dal compiere qualche gesto sbagliato. «Tra l’altro gli sarebbe anche piaciuto venire qui, ma per una serie di motivi non ce l’hanno fatta. Ti mandano i loro saluti.»

Amelia rise al pensiero dei saluti dei tre ragazzi. Negli anni in cui era stata partner di Ewan aveva imparato a conoscerli bene, incluso Trent, e con ognuno di loro aveva instaurato un rapporto unico, personale e bellissimo che, proprio come per quello che aveva con il cantante, era piuttosto felice di non essersene dovuta separare. «Salutameli allora. È di’ loro che la prossima volta che qualcuno di voi è in zona Glasgow voglio assolutamente vederlo.»

«Sarà fatto» acconsentì il cantante, fingendo un saluto militare. «Come va con il lavoro?»

Non gli dispiaceva l’idea di sentirla parlare di sé. Era indubbio che gli mancassero i suoi aneddoti e i suoi resoconti delle proprie giornate, così come tutto quel parlare delle idee che le erano venute in mente, delle proposte di lavoro, dei disegni e delle grafiche nuove. Amelia, infatti, era finalmente riuscita a diventare una grafica di professione, coronando il suo sogno. Lei aveva sempre sostenuto che il merito fosse solo degli Shards e delle grafiche per la tournée americana che le avevano consentito di realizzare, ma Ewan sapeva che era solo questione di tempo prima che si accorgessero del suo talento; in fin dei conti la quantità di incarichi e commissioni che aveva di continuo non potevano che essere conferma delle sue capacità.

Amelia parve illuminarsi al suono di quella domanda. Aveva da poco iniziato a lavorare a qualcosa di molto stimolante con cui aveva la possibilità di liberare al massimo la propria fantasia. Uno di quei lavori che, appena le era stato proposto, aveva accettato senza neanche indagare più del dovuto su tempi di consegna e quant’altro, desiderando solo di poterlo fare.

Ne parlarono e da lì la loro conversazione si snodò con una naturalezza invidiabile perché totalmente loro. Ewan era contento di avere la possibilità di sentire Amelia parlare con tutto quel trasporto di ciò che aveva la possibilità di fare. Le mancava, gli era impossibile negarlo. Gli sarebbe piaciuto poter rivivere ancora quei giorni in cui stavano insieme, solo loro due, a parlare di cose di cui avevano già discusso più volte ma facendolo come se quella fosse la prima volta. Lui non si stancava mai di sentirla parlare, perché sembrava quasi che Amelia avesse la capacità di rendere interessanti anche le cose che lui già sapeva, le parole che aveva già sentito. Probabilmente erano i sentimenti che provava per lei a rendere unici a quel modo i minuti trascorsi insieme, fatto sta che al cantante sarebbe piaciuto molto poterli rivivere ancora.

Tuttavia continuava a tacere. Amelia non era più legata a lui come prima e, quando si erano lasciati, Ewan non era stato sincero. Dire ora alla ragazza quello che lui provava per lei l’avrebbe messa in crisi, allontanata, forse addirittura ferita. Ormai aveva preso la sua decisione e avrebbe continuato per la sua strada.

Parlarono per svariati minuti – quindici, forse venti – ma alla fine la ragazza si ricordò di non essere sola in quel locale. Lanciava continue occhiate in direzione del punto in cui George le aveva detto che l’avrebbe aspettata e, dopo un po’, Ewan non poté più fingere di non vedere.

«Vai pure» le disse. «Non sei da sola dopotutto.»

Amelia abbozzò un sorriso. Le dispiaceva sempre dover salutare Ewan. La compagnia del cantante continuava a piacerle molto, soprattutto perché con nessuno era riuscita a instaurare un’amicizia come quella che si era creata fra loro. Tuttavia lui aveva ragione: lei non era sola e per quanto le sarebbe piaciuto rimanere ancora a conversare, non poteva. «Hai ragione» rispose. «È meglio che vada» si alzò dallo sgabello, sistemandosi i vestiti. «Mi ha fatto davvero piacere rivederti, Cassian» gli disse, arricciando le labbra.

Ewan sorrise. «Felice di sapere che queste canzoni ti piacciano» rispose, sebbene lo sapesse da tempo. Lei, infatti, già dai primo ascolti aveva subito riferito al cantante che quel lato di lui era davvero bello e interessante. Al tempo stesso, però, non aveva mai fatto mistero di preferire gli Shards e Ewan era molto felice della cosa. Gli Shards, infatti, continuavano a essere tutto il suo mondo e sarebbe rimasto molto deluso nel sapere che Amelia aveva trovato qualcosa che le piacesse più di quella band.

«È difficile che tu faccia qualcosa che non sia di mio gradimento» ammise, riferendosi per lo più alla musica.

Il cantante cercò di non scavare a fondo il senso di quelle parole; non gli serviva e probabilmente gli avrebbe solo fatto male. Sorrise alla ragazza per ringraziarla del complimento, preparandosi a separarsi da lei un’altra volta. Sempre, quando la vedeva andare via, parte di sé gli diceva che avrebbe potuto non rivederla mai più. In quel momento quella voce, quel monito, si stava facendo largo nella sua mente.

«Mi ha fatto piacere rivederti. Grazie per essere venuta» le disse poi, cercando di ultimare in fretta quella parte. Non gli erano mai piaciuti molto i saluti, specie se si trattava di qualcuno da cui non avrebbe voluto separarsi.

«Anche a me, ma sono sicura che non serva a niente dirtelo» rispose Amelia, regalandogli uno dei suoi sorrisi più sinceri. «In bocca al lupo per la prossima tour. Ho già i biglietti per Edimburgo» gli rivelò, intensificando il suo sorriso.

«Beh allora ricordamelo. Così troviamo il modo di farti entrare nel backstage e puoi salutare anche gli altri.»

Usare gli amici come scusa era un trucco vecchio come il mondo, ma funzionava sempre.

«Volentieri» esclamò Amelia, radiosa.

Ewan si alzò per poterla salutare. Si strinsero in un abbraccio, spontaneo e delicato, dopodiché si augurarono una buona serata e Amelia si allontanò, inoltrandosi fra le persone che ancora erano presenti nel locale.

Il ragazzo rimase a guardarla finché non scomparve, già pregustando il momento in cui l’avrebbe rivista. Non era semplice per lui vivere con quel peso, con la consapevolezze di essersi allontanato da qualcosa che amava per paura di perderla per sempre.

Era da lì che nascevano le canzoni del suo progetto Cassian, da quella sensazione di perdita che gli inondava il petto ogni volta che pensava ad Amelia. Cantando le canzoni degli Shards, sul palco insieme a loro, era in grado di non pensare a nulla di tutto ciò, tuttavia lui non era intenzionato a dimenticarsene, non ancora. Quella ragazza continuava ad avere un significato troppo importante e prezioso per lui, nonostante il modo in cui erano andate le cose. Quando faceva i suoi piccoli e intimi concerti come Cassian, suonando quelle canzoni che i giorni in cui Amelia c’era, e quelli in cui non c’era, gli avevano ispirato, quasi gli sembrava di averla ancora lì, saperla sotto il palco per lui. Agli occhi di molti sarebbe di certo apparsa la cosa più deprimente e patetica immaginabile, ma per Ewan era un modo come un altro per sentirsi vivo. 

 

 

 

 

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Eccomi di nuovo!

Come vi avevo anticipato nel capitolo precedente, questo è il finale alternativo che ho pensato e scritto per la storia. Finale alternativo che, per la cronaca, avrebbe invece dovuto essere quello originale. Tuttavia non c’è l’ho fatta. Chiamatemi inguaribile romanticona, ma non sono proprio riuscita a far separare Ewan e Amelia, meritavano il lieto fine, per me.

Non so dirvi se ho scritto questo finale perché volevo cimentarmi nel angst, davvero non lo so, ma si delineava nella mia testa di continuo, bramando di essere scritto, così ho deciso di farlo, ed eccolo qui.

Non so se è piaciuto, lo avete odiato, non so niente. Spero che un minimo possiate aver gradito questa “alternativa triste” per la coppia.

 

Vi ringrazio ancora di cuore per essere arrivati a leggere fin qui.

Spero di risentirvi qualora dovessi pubblicare qualcosa di nuovo.

 

Alla prossima!

MadAka

 

p.s. Ho pensato addirittura a un terzo finale xD Ma questo non lo scriverò mai.

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