Una rosa nel bosco

di Sinden
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Lettere dal bosco ***
Capitolo 2: *** Un ritorno inatteso ***
Capitolo 3: *** Il principe e l'Anello ***
Capitolo 4: *** Distacchi ***
Capitolo 5: *** Ritorno a Dale ***
Capitolo 6: *** Sigrid ***
Capitolo 7: *** Streghe ***
Capitolo 8: *** Genitori e figli ***
Capitolo 9: *** Mosche ***
Capitolo 10: *** Fra le montagne ***
Capitolo 11: *** Dialoghi nel ghiaccio ***
Capitolo 12: *** Lindir ***
Capitolo 13: *** Stella del Vespro ***
Capitolo 14: *** Il ramingo di Brea ***
Capitolo 15: *** Donne ***
Capitolo 16: *** A casa di Bilbo ***
Capitolo 17: *** In un buco nella terra ***
Capitolo 18: *** Confessioni ***
Capitolo 19: *** Nel Lòrien ***
Capitolo 20: *** Andreth e Aegnor ***
Capitolo 21: *** Un Re a Imladris ***
Capitolo 22: *** Re e Principi ***
Capitolo 23: *** Nel buio ***
Capitolo 24: *** Famiglie ***
Capitolo 25: *** Attese ***
Capitolo 26: *** Confronti ***
Capitolo 27: *** Madri ***
Capitolo 28: *** Incubi ***
Capitolo 29: *** Padri ***
Capitolo 30: *** Partenze ***
Capitolo 31: *** La guardiana della notte ***
Capitolo 32: *** Spettri ***
Capitolo 33: *** Nella tela del ragno ***
Capitolo 34: *** Lo stregone bruno ***
Capitolo 35: *** Spiegazioni ***
Capitolo 36: *** Sopra la cascata ***
Capitolo 37: *** La fine dei tempi ***
Capitolo 38: *** L'eroe nascosto ***
Capitolo 39: *** Il tempo di Roswehn ***
Capitolo 40: *** In arrivo ***
Capitolo 41: *** Haldir Thranduilion ***



Capitolo 1
*** Lettere dal bosco ***


"Non riesco a crederci."

Furono queste le prime parole di Bard, quando Hannes, sconvolto, gli riferí cosa era capitato.

Un elfo di Boscoverde si era spinto fino a Dale a consegnare il messaggio di Roswehn. Hannes aveva dovuto leggere le parole della ragazza due volte, e farsele ripetere una terza da sua moglie Yohlande per riuscire a realizzare pienamente l'accaduto. Su quel foglio di cruda carta c'era scritto che sua figlia si era fermata a Boscoverde e... si era... innamorata di Thranduil.

E la cosa più straordinaria, era che il potente e millenario Re Elfo sembrava aver ricambiato il sentimento. Anzi, l'aveva tenuta con sé nel suo reame come nuova compagna.

Sua figlia. La sua Roswehn, che non si faceva più chiamare Regan, che era furtivamente uscita di casa una mattina di maggio, per iniziare un viaggio che doveva avere Bosco Atro come prima tappa, e che era finito proprio lí.

"Bard, dobbiamo andare a riprenderla." disse, mentre camminava su e giù attraverso la grande sala del Palazzo reale di Dale, quella in cui il re riceveva emissari di altri territori e riuniva i consigli cittadini. Monrose era sconvolto e furioso. "Lo sapevo... sapevo che sarebbe successo. L'avevo detto a Elrond, lui mi convinse che stavo esagerando... è colpa mia, dovevo seguire il mio istinto... non dovevo lasciarla andare!" sembrava devastato dai sensi di colpa. "Cosa le faranno... quegli esseri maledetti!" gridó al soffitto.

"Non tornerà più...la mia povera Roswehn non tornerà più..." piagnucolava Yohlande, seduta con le mani sul volto. Non aveva fatto che versare lacrime, dopo aver avuto la notizia.

"Calmatevi, per favore. Non pensate subito al peggio. Ha scritto di essere felice, mi pare. Questo dovrebbe pur valere qualcosa." tentó di dire Bard, senza in realtà crederci molto. La faccenda era strana, a dir poco.

"Sei inciampato stamattina e hai battuto la testa, Bard?" gli ringhió Hannes, dimenticandosi per un momento di essere in presenza del suo sovrano. "Ma come puoi dirci di stare tranquilli? Ma come puoi solo pensare che mia figlia sia davvero felice in quel posto... in quella... foresta!" Hannes si mise le mani sui fianchi, senza riuscire a fermarsi. Era talmente agitato che Bard temette di vederlo cadere vittima di un attacco di cuore. Hannes era anziano, ormai, e quelle improvvise emozioni potevano essere fatali per lui. "L'hanno rapita! L'hanno rapita... Thranduil... lo sapevo, quell'infimo, vuole ricattarci come ricattò mio fratello..."

"Fammi rileggere la lettera, per favore." disse Bard con calma. Yohlande gliela porse, afflitta.

"Non può averla scritta lei. Le hanno dato qualcosa, qualche pozione per farla istupidire. Mia figlia non può essere cosí matta!" si lamentò la donna. Il re fece correre di nuovo lo sguardo sulle frasi vergate in inchiostro nero sulla pergamena giallastra. La calligrafia lineare e pulita di Roswehn, però, non faceva supporre che la ragazza fosse in stato confusionale mentre scriveva.

Cara Mamma, caro Papà,

è difficile per me scrivervi questa nuova lettera. Mi maledico per l'agitazione in cui vi farò cadere con le mie parole, ma é giusto che sappiate come stanno le cose. Mi sono allontanata da casa per iniziare un viaggio, lo sapete. Ne parlammo molto, eravate d'accordo, anzi foste voi a spingermi. Boscoverde (che non chiamerò più "Bosco Atro" perché il mio amato odia quel nome) doveva essere la mia prima destinazione. È diventata invece la mia seconda casa. Qui ho trovato la vita, l'amore, ho scoperto sensazioni che non conoscevo e delle quali non posso più fare a meno. Qui ho trovato nuovi amici, una nuova cultura, e tante meraviglie. Vorrei potervi descrivere in modo esauriente il mondo fantastico in cui sono svegliata, ma nemmeno in mille lettere riuscirei a farlo. È questo il mio mondo ora, e non voglio lasciarlo. Re Thranduil e io ci amiamo. So che faticherete a crederlo, ma é cosí. Credo che stesse aspettando me per tornare a vivere, come io aspettavo lui per iniziare a farlo. Ci siamo incontrati, nel buio, e siamo tornati alla luce insieme. Sono felice, credetemi. Più che felice. Spero di potervi venire a trovare al più presto, se lui me lo permetterà. Per ora vi mando un abbraccio, so che un elfo della scorta di Thranduil vi consegnerà il messaggio. Sto bene, davvero, spero lo stesso per voi. I miei saluti più cari a Bard, ai suoi figli e a Edith...ah, vi prego di dire a Edith che in qualche modo mi ha aiutata in questi mesi. Dite anche a Sigrid che l'abito blu ora è suo.
A presto,
Roswehn
(il nome Regan non mi appartiene più, e vi prego di cancellarlo dalla vostra memoria)


"Ora dimmi se questo ti sembra il messaggio di una persona lucida, Bard..." disse Hannes "Guardami negli occhi e dimmi che ci credi davvero!"

Bard non poteva mentirgli. Conosceva molto bene Roswehn.

Miseria ladra, era cresciuta con i suoi ragazzi, in pratica! Fin da quando era una bambina aveva mostrato una vivace intelligenza e gran senso logico. Certe volte, era rimasto esterrefatto da alcuni suoi ragionamenti, che dimostravano una maturità molto superiore rispetto a quella delle sue coetanee. La persona che aveva inviato quel messaggio non era Roswehn. Cioè, era una versione alterata di Roswehn, istupidita forse, come diceva Yohlande.

Sapeva bene che si era innamorata di Thranduil, l'aveva letto su quella specie di libercolo che aveva in camera sua, quel diario consunto che la ragazza teneva segretamente e che Sigrid aveva sfogliato. L'aveva presa per una cottarella passeggera, per l'infatuazione di una giovane donna da sempre affascinata dalle creature magiche, che non era mai riuscita ad avere dei veri amici a Pontelagolungo, ma nemmeno a Dale. Una persona solitaria un po' troppo incline a perdersi nei sogni.

Era forse possibile che nella vita di Roswehn fosse capitato qualcosa di sconvolgente durante gli ultimi mesi, qualcosa che l'avesse confusa, turbata? Quello stregone, Gandalf, era stato da loro poco prima che il soldato di Boscoverde arrivasse con la missiva. Aveva confermato che la ragazza era dagli Elfi Silvani e che stava molto bene.

Ma Bard aveva avuto lo spiacevole sospetto che quella non fosse tutta la verità. Aveva letto uno strano imbarazzo negli occhi del vecchio, come se vi fosse una parte della storia che stesse tenendo per sé. Aveva a lungo parlato con lui, a Dale, prima della battaglia delle cinque armate, e non gli era sembrato affatto un tipo parco nel dare consigli: anzi, ricordava bene l'ostinazione con cui aveva intimato a lui e a Thranduil di non sottovalutare gli orchi, e la schiettezza con cui si era rivolto proprio al re elfo. C'era qualcosa di cui non aveva voluto parlare, Bard era pronto a scommetterci.

Su Thranduil, Bard aveva invece le idee più chiare. L'aveva conosciuto e aveva avuto, in generale, l'impressione che fosse nobile d'animo, per quanto altezzoso e poco paziente. Nulla aveva visto in lui che gli avesse suggerito qualche malevolo intento. Bard non condivideva le paure di Hannes: non riteneva, come il padre di Roswehn, che il re degli Elfi potesse avere mire nei confronti di Dale.

Hannes sosteneva da anni che Thranduil fosse alla ricerca di un modo per ingrandire il suo tesoro personale: mosso dalla frustrazione di non avere un Anello, cercava costantemente di riempire i suoi scrigni, nel tentativo di compensare. Certo, il regno di Dale si era arricchito nell'ultimo anno, e parecchio. Avevano oro, argento e anche diamanti in gran quantità. Ma non poteva credere che Thranduil fosse cosí indegno da aver rapito la ragazza per ottenere un riscatto, o simile.

Si era innamorato di lei. Quello sí che era un fatto ben poco plausibile, secondo Bard. Si ricordava la caparbietà dell'Elfo nel voler riavere le gemme di Lasgalen, quella maledetta collana che doveva essere di sua moglie e che Thror aveva custodito ad Erebor. Duemila soldati, al suo seguito, avevano pacificamente invaso la sua città, per entrare in quella Montagna l'inverno dell'anno prima. Un amore coniugale che era resistito nei millenni, una devozione verso la sua regina più profonda dell'oceano... tutto finito così? Messo in discussione per Roswehn, per un'umana?

Bard osservò la disperazione di Yohlande. E poi, perché la ragazza stava facendo quello a sua madre ed a Hannes? Amava moltissimo i suoi genitori, erano sempre stati l'unico punto di riferimento affettivo per lei. Bard non riusciva a capire perché non fosse almeno tornata a Dale per parlare con loro, spiegare la situazione guardandoli negli occhi. Anche quello era strano. Roswehn, comunque, era una sua suddita e fino a prova contraria lui ne era responsabile.

"Andrò io a in quel bosco. Voglio vederci chiaro." annunciò ai due.

"Verrò anch'io con te. Mia figlia non rimarrà con quegli esseri, lo giuro sul mio nome!" disse Hannes con impeto. "Se avesse scritto di essersi legata ad un uomo, avrei potuto anche capirlo, accettarlo. Mi sarei solo preoccupato che fosse onesto. Ma non un Elfo...non lui."

"Per ora voglio sapere se sta bene, se è pienamente convinta di questa decisione. Non voglio intromettermi nelle sue questioni personali..." aggiunse Bard, guardando fuori dalla finestra.

"Questioni personali...." ripetè Hannes con fastidio "...un corno! Non è lí per sua scelta, o io non conosco più Roswehn!"

"Le avrà fatto del male, dici?" chiese Yohlande con voce flebile. "Puó averla sedotta...?"

"Taci, ti prego. Non voglio nemmeno pensarlo." la zittì Hannes. La sua mente di padre semplicemente rifiutava quell'eventualità. "Ma se l'ha fatto, i suoi giorni su questa Terra finiranno presto."

"Non dobbiamo andar lí con intenti bellicosi, Hannes. Per ora non abbiamo che questa lettera, in cui dice di star bene. Non ci sono prove che le sia successo qualcosa." provò a calmarlo Bard. "Thranduil ha di recente dato ordine di riprendere con noi gli scambi commerciali. Non voglio inimicarmelo. Mi hanno detto che sta pagando la nostra merce un prezzo più elevato, senza che io gli abbia chiesto niente. Forse è stata tua figlia a convincerlo."

"Bard, se non ti conoscessi da quarant'anni direi che ti sei bevuto il cervello." rispose Hannes. "Tu sei il mio re. Dovrei mostrarti rispetto, ma sono allibito. Ti rendi minimamente conto di chi sia l'essere con cui abbiamo a che fare? Un egoista che nei secoli non ha fatto che pensare a se stesso e al suo prezioso reame...e suo padre era peggio di lui! Non fu Oropher a ribellarsi a Galadriel e Celeborn? Sono una stirpe elfica avvelenata dalla presunzione e dall'avidità. Un ramo maledetto della famiglia degli Elfi Grigi. Thranduil non può nemmeno imbarcarsi per Valinor, lo sapevi? Gli dèi degli Elfi, i Valar, lo bandiscono dalle Terre Immortali." raccontò, adirato. "E mia figlia dovrebbe stare con lui? No, non finché sono in vita."

"La mia unica figlia..." ricominciò Yohlande, nella sua ormai incessante cantilena. "Cosa le stanno facendo..."

Bard capí che doveva risolvere da solo quella faccenda. I due Monrose erano emotivamente fragili e se Hannes fosse andato con lui a Bosco Atro avrebbe affrontato Thranduil in un modo che gli sarebbe come minimo costato un lungo soggiorno nelle carceri elfiche. O peggio.
"Andrò da solo, Hannes. E non voglio sentire proteste." disse.

"NO! Vengo con te, non me ne starò seduto qui con le mani in mano." ribatté il padre di Roswehn.

"Sono il tuo re. Non te lo dimenticare. Sai quanto detesti rimarcare il mio ruolo in questa comunità, ma ora ti sto dando un ordine, come tuo sovrano. Sta' qui con tua moglie, e abbiate fiducia. In un modo o nell'altro, vi riporterò vostra figlia." promise. Già, ma come? Si chiese, osservando la luce calda dell'estate che entrava prepotente nella sala, dalle grandi finestre.
Roswehn, cosa hai combinato questa volta?

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Capitolo 2
*** Un ritorno inatteso ***


Roswehn si svegliò come sempre prima del Re.

Andò svelta verso il laghetto privato nelle grandi stanze di Thranduil e si immerse in quella meravigliosa acqua limpida, che arrivava da una sorgente sotterranea. Le avevano spiegato che il reame era stato costruito in prossimità di un antichissimo vulcano, ormai inattivo, e la lava nella profondità della terra riscaldava l'acqua.

Le bellezze di Boscoverde erano una fonte di continuo stupore per lei. Tutto era pervaso da un'aura di magía, ma anche di bellezza naturale. Stava lentamente imparando ad amare perfino la penombra, che in passato le era stata così fastidiosa da sopportare. I suoi occhi ormai si erano dimenticati della luce del sole, un sole che in quel mese di Luglio splendeva altissimo tutto il giorno.

L'aspetto piacevole di vivere in mezzo al bosco era la temperatura fresca dell'ambiente: i grandi rami degli alberi di Eryn Galen fungevano da filtro sia per la luce che per il caldo, evitando ai suoi abitanti, elfi, animali e ora anche una donna umana, di subíre l'intensa afa estiva.

Mentre lasciava l'acqua accarezzarle la pelle, Roswehn notó che la sua carnagione stava diventando più chiara: l'oscurità in cui viveva le aveva fatto perdere il colorito lievemente ambrato che aveva prima. Non sapeva se quella nuova dimensione avrebbe fatto bene o male alla sua salute, nel lungo periodo; era trascorso appena un mese dalla sua unione ufficiale con Thranduil, ma, per il momento, stava divinamente.

Il cibo degli Elfi, in grande parte vegetale, aveva alleggerito e snellito la sua figura. Aveva notato anche un nuova lucentezza nei capelli, e non avvertiva più quel fastidioso mal di testa che la colpiva ogni tanto.

Uscita dalla conca, si vestí con uno dei tanti abiti di lino che le erano stati offerti per il periodo estivo. Il velluto in quella stagione era decisamente inappropriato. Si sedette sulla sedia, che ricordava molto un trono, vicino al grande tavolo dove era sempre presente un cesto pieno d'uva. La sua colazione di ogni giorno.

Gli Elfi non bevevano latte, e non sapevano neanche cosa fosse il té. Non si alimentavano altro che di frutta fresca,verdure, noci e nocciole e mandorle. Si concedevano del formaggio, ogni tanto, ma evitavano di produrne troppo per via del latte. Erano ripugnati all'idea di mangiare uova. Roswehn, dopo essere stata rimproverata nel Lòrien, non si era più azzardata nemmeno a nominare la carne, ma ne sentiva la mancanza.

In quel regno, non venivano allevati buoi o mucche, c'era qualche capra selvatica, pochi conigli e in ogni caso non erano animali di cui era possibile cibarsi. C'erano moltissimi cavalli, c'erano falchi addestrati che venivano usati come segnalatori di Orchi, e poi le varie bestiole che naturalmente popolavano la foresta, e che dividevano lo spazio vitale con gli Elfi. Moltissimi cervi, daini e qualche alce: Thranduil non ne aveva più voluto cavalcare uno dopo la morte di Henok, il meraviglioso cervo dalle gigantesche corna che aveva montato quando era giunto a Dale.

Adorava stare da sola al risveglio. Poteva in pace raccogliere i suoi pensieri nella quiete delle stanze sotterranee del re. Anche gli altri Elfi dormivano. Tutta la gente di Boscoverde rimaneva nel proprio alloggio fino a dopo mezzogiorno, quando finalmente la comunità riprendeva a vivere. La luce mattutina d'estate era talmente intensa da riuscire a penetrare tra i rami degli alberi e feriva i delicatissimi occhi degli Elfi. Stavano chiusi nelle loro grotte come topolini nelle tane.

Anche Thranduil era ancora immerso nel sonno. Le piaceva osservare quello splendore coricato vicino a lei per qualche minuto, prima di alzarsi, e ogni mattina si chiedeva cosa avesse fatto per meritarsi un regalo cosí bello dalla vita. Era magnifico realizzare che era suo. Non completamente, perché Roswehn sapeva che la parte più profonda del cuore dell'Elfo era riservata a sua moglie, ed era giusto cosí. Ma insieme stavano benissimo, nel letto come nella vita quotidiana erano più che affiatati.

Osservava il laghetto blu rilassandosi mentre ascoltava il gocciolío incessante che ancora non capiva da dove provenisse. Mentre piluccava un chicco d'uva dopo l'altro, pensò anche che i suoi genitori dovevano aver reagito molto male alla sua lettera. Conosceva suo padre e i suoi pensieri riguardo agli Elfi: era probabile che la notizia della sua relazione con Thranduil lo avesse fatto imbestialire. Sua madre forse sarebbe stata più tollerante, come solo le madri sanno essere, perché per lei non desiderava altro che la gioia. Ma Hannes no, non l'avrebbe digerito affatto.
"Povero papà," mormorò lei. "Perdonami."

E Bard? Cosa poteva aver pensato di lei? Si chiese se avrebbe dovuto parlare con lui prima di trasferirsi stabilmente a Boscoverde. Forse il Re di Dale avrebbe dovuto darle il permesso, poichè era ancora una sua cittadina e suddita.

Si dispiacque pensando a tutti i progetti che aveva dovuto abbandonare, primo fra tutti quello di creare una scuola. Una delle cose che la ferivano maggiormente, quando viveva ancora con gli Uomini, era vedere tutti quei bambini e quei giovani crescere nell'ignoranza. Generazione dopo generazione, il popolo prima di Pontelagolungo e poi di Dale non riusciva ad elevarsi intellettualmente. Nascevano da genitori semplici, artigiani, contadini, pescatori, e diventavano adulti semplici. Era cosí anche a Rohan e Gondor, ma per Roswehn era un fatto molto grave. L'istruzione, la cultura, aprivano la mente, nobilitavano lo spirito, rendevano più tolleranti gli animi.

Quello strisciante risentimento degli umani verso gli Elfi, ad esempio, da dove nasceva? Dall'ignoranza. Dalla totale mancanza di conoscenza sul loro mondo, sulle loro usanze, sulla loro straordinaria società. I mortali di ogni reame avrebbero avuto moltissimo da imparare su di loro.
I paesani della sua città, invece, sapevano solo che gli Elfi erano folletti dispettosi, bugiardi, che si ingegnavano in ogni modo per metterla nel sacco agli Uomini, e che erano creature da temere. Ladri di bambini, seduttori di fanciulle, furbi, falsi, vili. Tutto il contrario di quello che erano in realtà... a parte per la faccenda della seduzione. Quello era vero, poteva testimoniare Roswehn.

Gli Uomini sembravano avere più simpatia per i Nani, con i quali condividevano una rozzezza di fondo (benché fossero esistiti Nani nobili, come Thorin ad esempio) e gli stessi gusti in fatto di cibo, divertimento e altri piaceri terreni. Anche gli Hobbit erano una razza con cui i rapporti erano sempre stati positivi, addirittura esisteva un villaggio, nel vecchio territorio di Arnor, in cui le due genti coesistevano: Brèa. Gandalf aveva preso lí la cioccolata che l'aveva fatta tornare in forze, a casa di Haldir. Haldir. Ogni tanto Roswehn pensava al suo amico. Era tornato nel Lórien e la giovane si augurò che fosse sereno, se non proprio felice.

"Ancora lui?" chiese una voce. Thranduil si era svegliato, alzato e vestito con la sua solita tunica color argento.

"E tu... ancora quegli abiti? Dovresti variare costumi. Poi, ti ho già detto di non spiare fra i miei pensieri." rispose lei, guardandolo da capo a piedi. Come poteva essere cosí bello appena sveglio? E perché i suoi capelli erano sempre meravigliosamente ordinati mentre quelli della ragazza necessitavano di lunghe e dolorose sedute con Nim, che le passava un pettine di madreperla fra le chiome per districarli quasi ogni giorno?

"Vuoi per caso andare nel Lòrien a trovarlo?" continuò Thranduil, mentre a sua volta prendeva un grappolo d'uva. "Ti mancano anche i suoi fratelli, scommetto."

Nonostante l'amore e la passione da cui erano uniti, il re non riusciva a perdere quell'istinto irrefrenabile di provocarla. Lo divertivano le sue reazioni stizzite. Lo divertiva anche la petulanza con cui la donna ogni tanto si permetteva di muovergli critiche, che a volte ignorava, molto più spesso ascoltava. Era piacevole avere qualcuno a fianco con cui mettersi anche in discussione, una persona che proveniva da un mondo cosí diverso dal suo e che non aveva nessuno timore a dirgli quello che pensava. Nessuna inutile riverenza.
"Sto riflettendo piuttosto sulla possibilità di tornare a casa per qualche giorno, magari una settimana. Devo rivedere i miei genitori, parlare con Re Bard. Mi sento un po' in colpa per non aver mandato altro che un breve messaggio. Ho il tuo permesso?" chiese lei.

"Ti ho detto che puoi allontanarti quando vuoi, se credi. Non devi chiedermi permessi, non sei mia moglie." rispose lui, accomodandosi a sua volta su di un'altra grande sedia.

"Ti piace ricordarmelo, vedo." commentò lei.

"Cosí stanno le cose. Non saremo mai uniti in matrimonio...non ci é concesso. E quindi io non posso mettere veti di alcun tipo sulle tue scelte." spiegò Thranduil. "Non sarei nemmeno tenuto a darti un Elfo di scorta: se ti allontanassi da qui, lo farei solo perché voglio che torni a me sana e salva."

"Sì, anche di questo vorrei parlarti: una volta a casa, è probabile che mio padre tenti di convincermi a rimanere a Dale. Sono più che certa che non approvi la nostra unione." gli disse, a disagio.

"Lo so. Cova astio verso di me per via di tuo zio. Non mi perdona per come lo trattai quando venne qui." rispose lui, accavallando le sue lunghe gambe.

"Seppi solo che tu lo cacciasti in malo modo." azzardò lei, che ancora ricordava le invettive di Viktor Monrose contro Thranduil. Aveva sedici anni all'epoca ed era rimasta turbata da tutti quegli insulti, che mai aveva udito in vita sua.

"Già, e feci bene." le disse il re, guardandola negli occhi. "Oltre a quello che mi disse su di te, fu arrogante verso la mia persona. E come ben sai, la mia capacità di tollerare prevaricazioni è piuttosto bassa. Gli consigliai di prendere le sue cose, la sua scorta e tutti i suoi carteggi e di andarsene alla svelta. Ebbe la saggezza di ascoltarmi." raccontó. "Tu sei simile a lui, devo dire. Anche in te ho visto una gran predisposizione alla polemica e alla sfacciataggine." le sorrise.

"Non esagerare con i complimenti di primo mattino..." gli disse. "A proposito, cosa fai alzato a quest'ora?" si stupí.

"È in arrivo qualcuno di molto importante. Ieri ho avuto la notizia. Come me, dovrai prepararti a riceverlo. È essenziale che tu faccia ottima impressione." le rivelò. Sembrava addirittura un po' emozionato.

"E chi è? Elrond?" scherzò lei. Sapeva che sarebbe stato più facile avere Sauron ospite a cena che vedere il lord di Imladris in visita a Boscoverde. Thranduil le rivolse una smorfia che voleva essere un sorriso.

"No. È qualcuno che ha vagato incessantemente nell'ultimo anno, mosso dal dispiacere di avere perso una cosa a lui molto, molto cara. Quasi quanto sei tu per me."

"Hmm. Allora forse è un povero infelice che pensa di venire a cercare consolazione da te? Illuso, oltre che infelice." ribattè Roswehn, alzandosi da quella sedia bellissima, ma dura e scomoda.

"Spero non sia più infelice, ma in quanto a povero...quello che vedi qui attorno un giorno sarà suo." disse pacatamente il re. "È mio figlio, Roswehn." aggiunse. "Legolas sta tornando."

La donna rimase interdetta per qualche attimo. Il principe... che si ripresentava lí e...la trovava?!

"E perció, il tuo breve viaggio a Dale attenderà. Dovete conoscervi." aggiunse Thranduil. "Sarà a Eryn Galen in meno di un'ora."

"Tuo figlio...non accetterà questa situazione." disse lei tremando. Temeva la reazione di suo padre Hannes, ma non aveva calcolato che c'era qualcun altro che avrebbe potuto non gradire quella storia d'amore bizzarra. Aveva visto Legolas solo di sfuggita, a Dale, e ricordava un volto grazioso, diverso da quello del padre, ma che mostrava la stessa fierezza e nobiltà. Il principe avrebbe dovuto far ricorso a tutta la sua capacità di comprensione per affrontare la nuova vita di suo padre. Con lei.

"Legolas non oserà mettere in discussione le mie scelte." la rassicuró Thranduil. "Capirà."

"Perché é tornato, secondo te? Non era partito per dimenticare Tauriel? E come reagirà quando la rivedrà?" chiese la donna.

"Immagino abbia incontrato il figlio di Arathorn, deve aver passato con lui diversi mesi a vagare per l'Ossiriand e a mettersi alla prova come guerriero. Credo che Tauriel non sia più nel suo cuore ormai, ma in caso contrario, ti chiedo un aiuto: voglio che vi conosciate bene, e voglio che tu gli stia vicino come fossi...sua madre." le chiese. Era per Roswehn un grandissimo onore, e inaspettato. "Mio figlio è cresciuto senza l'amore materno, Morath è stata solo una balia per lui. Credo abbia bisogno di avere accanto qualcuno con sufficiente sensibilità per ascoltarlo e sostenerlo. La tua giovane età può essere un vantaggio: vi capirete meglio."

"Perché non ci pensi tu? Sei suo padre." obiettó lei.

"Sai bene che fra me e Legolas c'è stato distacco in passato. Lo hai visto tu stessa e te l'ho spiegato anch'io. Dobbiamo ricostruire quello che nel tempo, nel lunghissimo trascorrere del tempo, si è logorato. Nè io nè lui siamo preparati a farlo, per ora. Perció avró bisogno di te. Non sei mia moglie, ma in questa particolare circostanza ti chiedo di starmi vicino come se lo fossi." le disse. "Posso contare su di te, spero."

Roswehn annuì.
"Sì. Non potrei negarti una cosa del genere. Ma ho paura della sua reazione."

"Non hai avuto paura nemmeno di Morgoth. Questa è una prova molto meno ardua da affrontare, credimi." rispose lui.

Roswehn sospirò. Beh, sarebbe dovuto succedere prima o poi. Thranduil aveva un figlio ed era destino che il figlio si ripresentasse alla soglia di casa. Anche lei voleva rivedere la sua famiglia, lo capiva bene. E Thranduil... un padre freddo e anaffettivo era pur sempre un padre. Ma lei cos'era? Come l'avrebbe considerata Legolas? Gli Elfi di Boscoverde in quel primo mese le avevano mostrato rispetto, ma anche perché cosí era stato loro ordinato. Erano sudditi. Legolas però non era solo un suddito... era soprattutto un figlio. E nonostante le certezze di Thranduil, un figlio non era affatto tenuto ad attenersi agli ordini. Lo aveva già dimostrato, quando era andato contro le volontà del padre per seguire Tauriel.

"Ora preparati. Manca poco al suo arrivo." le disse il re.

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Capitolo 3
*** Il principe e l'Anello ***


Legolas era arrivato da solo.

Nessun soldato lo accompagnava, né erano state pianificate celebrazioni per dargli il bentornato, più tardi quella sera. Il suo ritorno fu accolto con lo stesso entusiasmo che gli Elfi Silvani avrebbero mostrato per l'arrivo di uno qualsiasi.

Roswehn, che ormai aveva capito un po' dell'indole della gente di Boscoverde, non si sorprendeva più di fronte ai loro modi freddi e sempre distaccati. Erano creature molto riservate e silenziose, li vedeva raramente ridere fra loro, o lasciarsi andare a giochi e lazzi. Si chiedeva sempre quali pensieri tanto profondi tenessero occupata la loro mente per tutto il tempo. Nel Lórien aveva visto molta più vitalità, sebbene le fosse stato concesso solo di spiare i suoi abitanti da lontano, dalla terrazza della casa di Haldir.

Il Principe entró dalla Grande Porta e gli Elfi soldato che piantonavano l'entrata chinarono il capo e poi si misero sull'attenti, in segno di rispetto.

Lei era vicina a Thranduil, che aspettava il figlio in piedi, proprio sotto al trono. Il cuore le stava per esplodere nel petto, all'idea di venir presentata come nuova compagna di suo padre. Si accorse subito che Legolas, mentre si avvicinava, aveva lo sguardo fisso su di lei, con la fronte corrugata in un'espressione interrogativa.
Oh dèi aiutatemi in questa prova, pensó.

"Mae athollen, Legolas. Glasse an achened le." gli disse Thranduil, quando il principe fu finalmente davanti a loro. Roswehn stava faticosamente imparando l'elfico nelle ultime settimane, e quella era una delle prime frasi che aveva appreso, significava più o meno: bentornato, sono lieto di rivederti.
Anche lei aveva memorizzato un'espressione nella loro lingua da dirgli, ma l'emozione del momentó le causó un'improvvisa amnesia. Il principe salutó il padre e si giró di nuovo a guardarla, confuso.

Thranduil intervenne: "Lei si chiama Roswehn." gli disse nell'idioma comune, perché anche la ragazza comprendesse. "Vive qui. Vive con me. L'amore ci ha uniti negli ultimi mesi." Una spiegazione semplice, asciutta, senza fronzoli. In puro stile Thranduil.

Legolas sembrava del tutto disorientato. Guardó lei, poi il padre, poi ancora Roswehn. Quest'ultima aveva quasi smesso di respirare dalla tensione. A quel punto si aspettó che Legolas rispondesse qualcosa come: non se ne parla, io non accetto tutto questo. O lei o me. S'immaginava che subito dopo avrebbe girato i tacchi per andarsene di nuovo. Sarebbe stato del tutto comprensibile, e legittimo. Tornare a casa al termine di un lunghissimo girovagare per Arda e ritrovare il padre in compagnia di una donna mortale, che dal nulla era sbucata per prendere il posto di sua madre. Ma Legolas la stupì. Si avvicinó a lei, con un sorriso molto dolce, e si portó la mano al cuore, nel tipico saluto degli Elfi.

"Salve Roswehn, sono felice che tu sia qui. Il tuo viso non mi è nuovo." le disse. La donna prese coraggio e provó a sciogliere la lingua, che sembrava essersi bloccata.

"Sì...sì ti vidi a Dale, il reame da cui provengo, l'inverno dell'anno scorso, durante quel terribile assedio degli Orchi. Sei passato accanto a me dopo aver lasciato Ta..." e si bloccó. Stava per nominare Tauriel. Deglutì imbarazzata.

"Tauriel." finì lui. Di nuovo le sorrise, notando il suo disagio. "Sì ora ricordo. I nostri sguardi si incrociarono per un istante."

Thranduil lasciava silenziosamente che i due si parlassero. Voleva vedere come Roswehn avrebbe superato la prova, ma aveva piena fiducia in lei. Era forte a sufficienza per farsi accettare da suo figlio. Forse avrebbe solo faticato un po' nel convincere se stessa di essere all'altezza del suo nuovo ruolo. Amava molto quella parte insicura di lei, sotto sotto era ancora la bambina solitaria di Pontelagolungo, che scappava a nascondersi in casa perchè gli altri bambini la schernivano. Quella paura di essere inadeguata le sarebbe rimasta addosso sempre, il re lo sapeva. Gli aveva raccontato tutto della sua breve vita, l'infanzia sul lago, la prima giovinezza, la nuova esistenza a Dale.

Thranduil, nella sua millenaria saggezza, aveva capito che Roswehn era come un meraviglioso fiore che faticava a sbocciare. Con lui, qualche petalo aveva cominciato a schiudersi, ma era ancora ben lontano dall'aprirsi del tutto. Al di là del caratterino, era attanagliata da troppe insicurezze, conseguenze di un'infanzia passata in un villaggio sul lago, marcio d'acqua e fra gente che definire modesta era già troppo. Lui aveva scorto qualcosa di interessante dietro tutte quelle spine e voleva tenerla per sè il più a lungo possibile.
"C'è molto di cui ti devo parlare, padre. Io e Aragorn abbiamo scoperto qualcosa di straordinario." disse il principe, rivolto a Thranduil. "È stato ritrovato."

"Dove?" chiese subito Thranduil, mentre un'espressione allarmata apparve sul suo bel viso. "Da chi?"

"Te ne parleró più tardi." si giró verso Roswehn. "Anche tu dovresti ascoltare, forse sai qualcosa di importante." La ragazza lo guardó interdetta. Su che cosa? pensó. Si giró verso Thranduil, che sembrava essere stato colpito da una saetta. Non si ricordava di averlo mai visto così preoccupato, tranne forse quando l'aveva incontrata dopo il suo ritorno da Arnor.

"Non dobbiamo stare in pensiero: se le informazioni che abbiamo raccolto sono esatte, è ben protetto. Chi lo custodisce, se ancora lo custodisce, non se lo farà sottrarre facilmente." continuó Legolas.

"Non fa differenza chi sia il nuovo portatore. È comunque una creatura che puó essere scovata e uccisa dai servi di Morgoth e Sauron. Bisogna rintracciare quell'essere al più presto." rispose Thranduil, camminando lentamente attorno a loro. "Questa sera dovrai dirmi quello che sai. Ora riposa, il tuo viaggio fin qui è stato lungo."

Legolas annuì e si allontanó verso le sue stanze, che al contrario di quelle paterne erano in alto, e ricordavano molto l'alloggio di Haldir nel Lórien.

Roswehn non sapeva cosa dire. Guardava il re, che fissava il pavimento come fosse perso in un sogno ad occhi aperti.
"Cosa succede, Thranduil?" si azzardó a chiedere. "Di cosa parlava tuo figlio?"

"L'Anello." rispose lui. "Se Legolas dice il vero, è stato trovato." la guardò. "I Valar non vogliano."

"L'Unico Anello di Sauron?!" chiese lei, "non era sparito con Isildur?"

"Sí. Dopo la morte del re di Arnor e Gondor per mano degli Orchi fu invano cercato ovunque, si pensava fosse stato nascosto ad Arnor o fosse andato perso in qualche luogo oscuro. Ma se è stato ritrovato, significa che per tutti questi anni qualcuno o qualcosa lo ha custodito e lo ha tenuto con sé. Il suo potere avrà certamente avvelenato la mente di quell'essere. Legolas ci metterà al corrente questa sera." spiegò Thranduil.

"E perché io dovrei saperne qualcosa?" chiese lei.

"Forse per quello che capitò nel tuo reame un anno fa." rispose Thranduil, avviandosi verso la Grande Porta. "Daró disposizione a qualcuno dei miei elfi di portare la notizia al tuo re, dopo aver parlato con mio figlio. È giusto che siate avvisati anche voi mortali." Roswehn ne approfittó per fargli una proposta sulla quale aveva rimuginato nelle ultime ore.
"Vorrei andare io, di persona."

Thranduil si voltò a guardarla. "Ti ho chiesto di rimanermi vicino in questi giorni."

"Lo so. E mi attengo alla promessa. Ma dopo vorrei andare a Dale. Tu stesso mi hai detto che sono libera di farlo, quando voglio. E questa mi sembra l'occasione più giusta. Andrò ad avvisare Bard e ne approfitterò per vedere i miei." continuò lei. "Non ci sarà bisogno di scorta."
Thranduil la guardò ancora brevemente e, senza risponderle, si girò e se ne andò. Aveva notato una punta di fastidio in quell'occhiata. Non penserà mica di tenerti legata qui per sempre, questo folletto? Le chiese Edith nella mente. Aveva una voglia disperata di rivedere quella donna, la sua schiettezza le mancava moltissimo.

Aveva voglia di tornare a Dale.

🌹🌹🌹

"Stavamo risalendo l'Anduin da Sud, io e Aragorn. Nei pressi dei Campi Iridati, ci siamo imbattuti in un villaggio di Hobbit Sturoi, quei piccoli e abili pescatori. Lì Aragorn ha iniziato a parlare con il capovillaggio, e da lui abbiamo saputo quello che ha fatto nascere in noi il sospetto sull'Anello."

Legolas stava raccontando la sua storia seduto al tavolo che Thranduil aveva ordinato di preparare per la cena. Erano sulla grande terrazza ad Est, quella su cui Roswehn adorava passeggiare per godersi il panorama e il venticello piacevole. La donna sedeva con loro, concentrata sulle parole del principe.

"Questo vecchio Hobbit, mi pare si chiamasse Cletus, ci raccontó che uno della loro comunità, un barcaiolo di nome Déagol, fu ucciso cinquecento anni fa: la storia tramandata nei secoli dice che l'assassino sia stato suo cugino Sméagol, in quel momento a pesca con lui. Ritrovarono infatti il cadavere di Déagol sulla riva dell'Anduin." disse Legolas. "Uno degli abitanti vide il cugino, nei giorni seguenti. Disse che sembrava trasfigurato, avvelenato da qualcosa. Fu cacciato dal loro villaggio, poiché era diventato aggressivo, e molesto. Iniziarono a chiamarlo gollum, per via degli orribili rumori gutturali che emetteva. Continuó a farsi vedere nei Campi Iridati per un po' e il suo aspetto peggiorava.... fino a diventare mostruoso. Infine sparì." continuó il Principe. "Cosa puó aver causato una trasformazione simile?"

"L'influsso nefasto di quell'Anello." disse Thranduil.

"È quello che pensa anche Aragorn." confermó Legolas. "Sméagol potrebbe averlo trovato sul letto di quel fiume. Dopo tutto Isildur venne ucciso lì. Nessuno ha mai pensato che l'Anello potrebbe essergli scivolato dalle dita ed essere finito sul fondale, duemila anni fa."

"O forse lo ha trovato Déagol. E quel suo parente lo ha ucciso per rubarglielo." intervenne Roswehn. Padre e figlio la guardarono.

Thranduil sorrise.
"Precisamente." poi tornó serio. "Dove puó essersi nascosto?"

Legolas scosse la testa.
"Potrebbe essere ovunque, non è possibile rintracciarlo. A meno che non venga allo scoperto da solo, ma dopo cinquecento anni non possiamo certo aspettarci che si presenti di nuovo al mondo come nulla fosse."

Roswehn domandó: "Quell'Anello risponde solo a Sauron giusto? Ma che abilità conferisce a chi lo possiede?"

"Non è conosciuto il suo potere. Isildur lo tenne con sè convinto di avere un'arma formidabile, ma non si sa in che modo lo usó, nè se lo usó mai." rispose Legolas.

"L'unica cosa certa è che puó corrompere la mente, trascinare il suo portatore verso la pazzia." spiegó Thranduil. "Quell'Hobbit del fiume si è nascosto perché teme che qualcuno possa sottrarglielo...e molto probabilmente non è più un Hobbit."

"Perché credi che io sappia qualche cosa al riguardo?" chiese lei a Legolas.

"Ricordi quel piccolo uomo che venne a Dale, Bilbo Baggins o come si chiamava?" le rispose il principe. "Gandalf me ne parló. Disse che era riuscito a rubare l'Arkengemma a Smaug. Ora, un mezz'uomo che riesca in un'impresa simile è certamente un Hobbit speciale, sei d'accordo?"

Roswehn rifletté un attimo. In effetti, anche lei si era chiesta come fosse riuscito Bilbo non solo a prendere la pietra, ma anche a sopravvivere a Smaug, uno dei Draghi più feroci che avessero mai sorvolato Arda. A meno che non fosse diventato invisibile, non capiva come e perché la bestia sputafuoco lo avesse lasciato scappare. Guardó Thranduil.
"Anche tu incontrasti quel Baggins: io non ebbi l'impressione che fosse preda di un oscuro incantesimo. Non credo fosse lui il portatore. E da quel che so, se ne andò con Gandalf. Lo Stregone avrebbe certamente notato qualcosa di strano in lui."

"No, lui no. Veniva dalla Contea, non dai Campi Iridati. Ma andrebbe approfondito il suo ruolo nella faccenda. Riuscì anche a liberare i Nani dalle mie prigioni, eludendo la sorveglianza delle guardie." commentó il re.

Roswehn fece una smorfia. "Thranduil, le tue guardie non sono un esempio di efficienza. Alcuni di loro passano il tempo a bere Dorwinion nei sotterranei. Perfino io riuscirei a sgattaiolare sotto al loro naso senza che se ne accorgano."

Legolas sorrise, divertito.

"Questa è un'altra storia." taglió corto il re. "Quella comunità degli Hobbit, nella Contea, forse nasconde qualche informazione. Sarebbe il caso di parlare con loro. Dovró avvisare Elrond e Celeborn."

"Oppure potrei andare io." si offrì la donna. "Dopo essere passata da Dale."

"Ho l'impressione che tu non veda l'ora di andartene." commentó il re, seccato. "Mi sbaglio?"

"No. Lo sai bene. Ma mi sembra di averti ricordato, poco fa, che tu non hai mai posto limiti alla mia libertà. Non capisco perché ora ti stia contraddicendo." rispose lei, a sua volta innervosita. Legolas guardó prima uno poi l'altro, ammutolito. Non aveva ancora approfondito la conoscenza con l'umana e già li vedeva litigare.

"Io non capisco invece perché tu senta il bisogno di rimetterti a girovagare da sola per la Terra di Mezzo. Non ti è bastato quello che è successo ad Arnor?" le disse lui.

"Sai una cosa? No, non mi è bastato. Amo te e questo posto." sbottò la ragazza, poi guardò verso Legolas. "E vorrei conoscere meglio tuo figlio. Ma... due mesi fa io ho lasciato la mia famiglia con uno scopo: vedere il meraviglioso mondo in cui viviamo con i miei occhi. Volevo te, e ora sei mio. Ma non è sufficiente: sento che ancora qualcosa mi aspetta."

"Avere il mio affetto e la mia devozione non è... sufficiente." commentò il re, e la donna comprese di aver usato per l'ennesima volta le parole sbagliate. "Questo chiarisce la situazione."

Legolas provò a dire la sua.
"Anch'io ho girato per Arda, padre. Capisco come si senta Roswehn. Se le impedisci di soddisfare la sua curiosità la farai soffrire."

Thranduil rimase in silenzio sentendo il figlio prendere le parti della sua amata. Si alzò dal tavolo, e fissò entrambi.

Poi guardò lei e le disse: "Fa' quel che credi." e si allontanò. Roswehn si portò una mano al volto.
"Cosa ho detto..." si lamentò Roswehn.

"Mio padre tende a reagire male quando viene messa in discussione la sua autorità. Ma ti vuole molto bene. L'ho capito al primo istante in cui vi ho visti insieme." le disse il principe per rincuorarla. "E ti ringrazio per avergli ridato il sorriso."

"Ora è adirato con me, però..." rispose lei.

"No. Credo che abbia solo paura che ti succeda qualcosa, se lasci il nostro regno." disse Legolas. "Ma cos'è questa storia di Arnor?" chiese, curioso.

"Oh, è lunga da spiegare. E poi, è qualcosa che con fatica sto cercando di cancellare dalla mente. Diciamo solo che, come quell'Anello elfico, anche io ho rischiato di diventare un'arma del nemico. Devo a Gandalf e a Elrond la mia vita. E ad Haldir di Lòrien." spiegó.

Legolas la guardava confuso. In che modo quella ragazza mortale avrebbe potuto diventare un'arma per Sauron?

"Parlerai con Tauriel, nei prossimi giorni? Sai, non dovrei dirtelo, ma soffre ancora per Kili." disse Roswehn, cambiando discorso.

"Tauriel é stata il mio affetto più grande, ma ho iniziato a pensare a lei in modo diverso. No, non ho intenzione di incontrarla, per ora, ma spero che un giorno tornerà a comandare la nostra guardia. Io mi concentrerò su altro: prenderò in mano la guida delle nostre legioni, come un tempo fece mio padre per mio nonno, re Oropher. Né tu né lui dovete preoccuparvi per me."

Roswehn guardò il panorama dalla terrazza. La luna piena illuminava tutto quello sterminato territorio che ancora doveva scoprire. Era felice a Boscoverde, come mai lo era stata in vita... ma la sua esistenza non poteva consumarsi tutta lí. E poi, quella faccenda dell'Anello aveva stuzzicato la sua curiosità. Legolas era tornato, Thranduil doveva ricostruire il rapporto con lui e lasciarli soli per un po' poteva in fondo essere giusto.

Tentò di mettere a tacere la sua coscienza con quest'ultima considerazione. Non lo sto lasciando solo. Lo sto lasciando con suo figlio, che ha più diritto di me di stare qui. Sí é giusto cosí. È la cosa migliore.

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Capitolo 4
*** Distacchi ***


Roswehn trascorse altri dieci giorni a Boscoverde, prima di organizzare la partenza verso Dale.

In quelle settimane, aveva passato diverso tempo con Legolas, per mantenere la promessa fatta al Re. Il principe le aveva raccontato tutto delle Terre Selvagge, di Aragorn, del loro incontro in una radura del Lindon, quel luogo che Roswehn avrebbe tanto voluto visitare perchè lí aveva passato gli ultimi anni la regina Regan di Arnor, sua personale eroina di gioventù, e che successivamente sarebbe diventata il più grande incubo che la ragazza avrebbe mai vissuto. Non disse nulla a Legolas sull'accaduto, nonostante il giovane elfo si mostrasse curiosissimo al riguardo.
Preferí raccontargli della sua esperienza nel Lórien, e della sua amicizia con Haldir, che Legolas conosceva molto bene. Thranduil e suo figlio erano lontanamente imparentati con Celeborn, benché secoli addietro il loro ramo famigliare si fosse ribellato agli Elfi di Lórien. In passato, Haldir qualche volta era stato inviato a Boscoverde su incarico di Celeborn per trattare con Thranduil, dato che i due Lord preferivano evitarsi. Padre e figlio erano davvero diversi, non solo fisicamente:
Legolas aveva una gran voglia di vivere, un entusiasmo che Roswehn non aveva mai visto nel re. Forse era ancora dispiaciuto per aver rinunciato a Tauriel, ma nei suoi occhi non si vedeva mai la malinconia sempre presente in quelli di Thranduil.
"Il fatto è che mio padre ha vissuto due enormi dolori, prima la morte di mio nonno, poi quella di mia madre. E per entrambi si sente responsabile. Se anche a te capitasse qualcosa, non resisterebbe al dispiacere. Per questo é così restìo a lasciarti partire." le disse un giorno il principe, notando la tensione della donna. Lei e il re avevano continuato a discutere sull'argomento in quei giorni.
"Lo capisco, ma se mi vuole bene come dici dovrebbe comprendere i miei desideri. Il nostro amore è nato dopo che io sono venuta nel vostro territorio, da sola. Non è stato tuo padre a venire a Dale a cercarmi. È stata la mia voglia di conoscenza a spingermi fin qui, e da ciò è nato tutto. Dovrebbe ricordarselo, dico solo questo." gli spiegó lei, mentre passeggiavano nel bosco. "Io non sono altro che un amore fatuo per lui, so bene che quello che ci unisce non è paragonabile al sentimento che visse con tua madre. Proprio per questo la nostra unione dovrebbe essere vissuta in modo più libero. La sua ostinazione a tenermi qui mi pare un controsenso, sei d'accordo?" "In parte, sì. Ma non quando dici che l'amore di mio padre verso di te abbia meno valore rispetto a quello per mia madre. È diverso, certo, ma ció non significa che abbia minor importanza." rispose Legolas. "Se ti devo dire la verità, dopo il mio ritorno ho notato nel re una serenità che prima non aveva. Quando ero piccolo, Morath mi parlava spesso di mia madre: diceva che la sua più grande gioia era passare del tempo con me, che ancora ero in fasce, anche perché mio padre era incessantemente impegnato con le faccende del reame. Con te, invece, sembra più amorevole. È un lato di lui che non conoscevo."
"Forse perché é un periodo di pace, non ci sono nubi nella sua mente. A parte la storia dell'Anello... cosa credi che capiterà alla creatura che lo custodisce, a quello Sméagol?" chiese la ragazza.
"Non resisterà al veleno di Sauron. Lo consumerà prima o poi. Se dovesse morire e lasciare l'Anello incustodito non c'è modo di prevedere chi lo troverà. Dovesse cadere in mano ad un servo di Morgoth, ad esempio, tutta questa Terra andrà perduta." rispose Legolas, pensieroso. Era pomeriggio inoltrato e il bosco era avvolto da una suggestiva luce arancione. "E sarebbe un peccato, è davvero una bellissima Terra. Fai bene a volerla visitare."
"Com'è Aragorn? Dicono sia l'erede di Isildur." chiese Roswehn.
"È un buon amico, ma non intende diventare Re di Gondor, benché possa legittimamente aspirare al trono. Il fatto di avere il sangue di Isildur nelle vene è per lui fonte di vergogna, lo so. Crede di appartenere a una stirpe debole, e teme che quella debolezza sia anche dentro di lui. Non ha tutti i torti: Isildur non volle distruggere l'Anello, lo tenne per sé, e infine lo smarrí. E poi ci fu Re Valandil che si tolse la vita piuttosto che affrontare gli Orchi sul campo di Arnor... per finire con sua figlia Regan, la regina maledetta, che fuggí lasciando il trono e la sua gente. Quella linea di sangue è in effetti macchiata dal disonore." mormorò il principe. Roswehn era trasalita sentendo nominare quella donna, ma fortunatamente Legolas non se ne accorse.
"Quindi vivrà da uomo semplice per tutta la sua vita?" chiese lei.
"Le sue intenzioni sono queste. Ma io, Mithrandir, Elrond e Galadriel speriamo che trovi il coraggio di andare incontro al suo destino. Gondor ha bisogno di un re. Ecthelion sta usurpando quel trono." rispose Legolas.
"Un giorno sarai re anche tu." gli disse lei, sorridendo. "É davvero un pensiero esaltante."
"Sai, ho sempre avuto il sentore che per me non sarà cosí. Mio padre non può andare a Valinor, e non riesco a immaginarlo mentre lascia il trono di sua volontà. Non so se ti sei accorta che ama molto il suo potere" Le disse facendole l'occhiolino. "Poi, essere un Re è noioso. Seduto tutto il tempo su quel trono a osservare la vita del tuo popolo...non è per me!" disse, saltando su una roccia. "C'è molto da fare, da scoprire, in questa vita."
"Non potrei essere più d'accordo, Legolas." rispose Roswehn.

🌹🌹🌹

"Se non tornerai qui entro la fine di questo mese, verrò a cercarti." le disse Thranduil senza esitazione. "Questa volta puoi credermi."
"Ti ho detto che non ho intenzione di fermarmi a Dale. Non rinuncerei mai a te, e se mio padre non vorrà capirlo, tanto peggio per lui. Ti prego abbi fiducia, tornerò."rispose lei.
"Mi preoccupa il tuo viaggio verso la Contea. Ti tendi conto della distanza? Dovrai andare ad Est, per tornare a Dale, e poi tornare indietro e dirigerti verso Ovest." le disse Thranduil, lievemente irritato.
"Ho un itinerario preciso in mente: esiste una linea retta che collega il mio territorio, Esgaroth, al villaggio di Brea. È ben visibile sulla mappa che ho con me, è la grande Via dell'Est. Dovrò passare per Rivendell, e cosí vedrò un altro luogo che ho tanto immaginato." spiegò Roswehn, mentre preparava un nuovo bagaglio.
"Sí ma ci saranno le Montagne Nebbiose da attraversare. Non credere che sarà facile. Esiste un sentiero, come dici, ma è antico, e quasi seppellito da polvere e massi." obiettò Thranduil. "Non ho intenzione di farti accompagnare da miei soldati, se speri in questo." le disse bruscamente, nel tentativo di farla desistere dal suo intento.
"Non te l'ho chiesto, mi sembra." commentò Roswehn. "Non mi succederà nulla, vedrai."
"Vorrei farti capire come tutto questo mi riempia di amarezza." disse lui, fissandola. "Ma perché te ne vai?" La donna si fermò a guardarlo nei occhi.
"Finora ho evitato di parlare di tua moglie per rispetto verso l'affetto che senti ancora per lei. Ma ora ascolta: quando la tua regina venne con te ad Angmar, per affrontare gli Orchi, sapevi che sarebbe potuto capitarle qualcosa. Potevate entrambi morire, ma non glielo impedisti. Perché sapevi sarebbe stato inutile farlo. Era una guerriera, era nel suo spirito combattere. Amare significa rispettare il carattere di chi amiamo, la sua natura. E la mia è quella di viaggiare, scoprire. Viaggiavo con la fantasia quando ero bambina...ora sono adulta e posso farlo anche con il corpo. Puoi trattenermi? Certo. Potresti farmi rinchiudere per impedirmi di lasciare il tuo Palazzo. Ma sarebbe la prova che non mi ami, che mi tieni qui solo per un capriccio." Thranduil incroció le braccia sul petto.
Poi sorrise. "Una delle cose che tanto apprezzo in te è la tua abilità dialettica. Sapresti perfino ingannare Galadriel con le tue parole." La donna lo guardó sorpresa.
"Non mi credi?"
"Tu e le tue fantasie. Mi chiedo quando la smetterai, Roswehn...", le si avvicinó e le prese il viso fra le mani "...tu ignori il pericolo là fuori. Credi che questi siano tempi di pace? Illusa. Non esiste tempo di pace su questa Terra. E...mi mancherai terribilmente."
"Sarà così anche per me. Quasi non riesco a respirare se non ti sento vicino. Ma troppo forte è il richiamo là fuori, Thranduil." gli disse mentre prendeva le sue mani. "E vedrai, la temporanea distanza ci avvicinerà ancora di più."
"Questa è stata una notte magnifica. Come riuscirai a fare a meno di noi?" le chiese, mentre il suo sorriso tradiva una punta di malizia e le sue braccia le cingevano la vita. Roswehn rise.
"Non ti preoccupare, a Gran Burrone troveró senz'altro compagnia." rispose. Certo che le sarebbe mancato, in quel senso. Oltre ogni dire.
Thranduil commentò: "Se ti capiterà, ti consiglio di sparire il giorno dopo. Chiunque sarà il fortunato farà di tutto per tenerti stretta. E sarà certo meno permissivo di me." Roswehn si lasciò andare fra le braccia del suo amato, in attesa del bacio che sarebbe arrivato di lí a poco. "In tal caso, dovrò fuggire a gambe levate."
"È la seconda cosa che ti riesce meglio, mortale." disse Thranduil.

🌹🌹🌹

Le avevano concesso di prendere un cavallo dalle stalle. Lei aveva scelto una femmina, un bellissimo animale dal manto nero come la notte, e una criniera lunga e folta che per poco non toccava terra. Aveva sulla fronte una macchia bianca, che ricordava una stella. Proprio per quello, l'avevano chiamata Eléntari, che in elfico significava regina delle stelle.
Roswehn aveva preteso di imparare a cavalcare, a Boscoverde, e dopo cadute, disarcionamenti e perfino un cavallo che si era rifiutato di farsi montare da lei, era riuscita finalmente a imparare. Le avevano sconsigliato di prendere Eléntari, per via del carattere ombroso, ma Thranduil aveva commentato: "Lasciategliela. Quelle due sono uguali. Si capiranno a meraviglia."

Stava procedendo sulla cavalla attraverso quello stretto sentiero che lei e Haldir avevano percorso un mese prima, quando aveva deciso di tornare a Dale, delusa dall'indifferenza del re nei suoi confronti. Giunto sul luogo dove Feren li aveva fermati, arrestó l'animale. "Sai, proprio in questo punto il tuo padrone mandó un suo soldato a richiamarmi. Mi domando che cosa sarebbe stato di me, se avessi fatto un'altra scelta." Eléntari, con un alto nitrito, la esortó a riprendere il cammino. "E va bene! Sta' calma." Era passata quasi mezza giornata dalla partenza della donna, il sole splendeva alto, e la calura di luglio era atroce. Giunta in prossimità di un piccolo laghetto, la ragazza scese da cavallo, si tolse velocemente i vestiti e si immerse in quell'acqua. Eléntari si abbeverava, e intanto osservava perplessa la donna sparire completamente sott'acqua per poi riemergere.
"Non guardarmi cosí! L'acqua non è pulita, lo so, ma non resistevo più. Pazienza, mi laverò quando arriverò a casa. Mia madre sarà ben felice di..." s'interruppe all'improvviso, perché udì il rumore di zoccoli avvicinarsi. Era un cavallo al trotto che stava arrivando dalla direzione di Dale. Poteva essere un Uomo. Roswehn uscì velocemente dall'acqua e prese i vestiti, tentando di coprirsi alla bell'e meglio.
Sentì infatti una voce maschile: "Guarda, guarda, guarda..." La voce era vicinissima, ora. "Ho trovato un passero caduto in acqua dal nido." La donna riconobbe la voce. "BARD!" corse velocemente verso il suo re, che saltó giù da cavallo. Si abbracciarono, e si tennero stretti per qualche attimo. "Oh Bard, non riesco a crederci, sono così felice!! Ma cosa fai qui?" gridò lei, emozionata.
"Beh, sono venuto a vedere in quale razza di pasticcio ti sei cacciata stavolta. E a riportarti a casa. Ma vedo che mi hai anticipato."sorrise il Re di Dale. "Quanto mi sei mancata, Roswehn!" le disse, baciandola sulla guancia.
"Anche tu, oh anche tu, sapessi quanto!" gridó lei, mentre gli occhi le si riempirono di lacrime. Dopo due mesi passati fra gli Elfi, le sembrava strano avere di nuovo a che fare con un umano come lei, e provò una meravigliosa sensazione di calore e famigliarità. I due cavalli guardavano gli umani, incuriositi.
"Tu invece che fai su questo sentiero? Stai scappando da Mirkwood?" chiese Bard.
"No, ho il permesso di Thranduil. Non è una fuga." spiegó lei, asciugandosi gli occhi.
"Il ...suo permesso?! Siete dunque marito e moglie ora?" chiese Bard, incredulo. "No...perdonami, ma vorrei parlare di questo una volta a casa, in presenza anche dei miei genitori. È per me un argomento piuttosto delicato." rispose la donna, a disagio.
Dopo un attimo di silenzio, il re di Dale le disse: "Forza, allora, rivestiti.Torneremo alla svelta verso casa. Sono tutti impazienti di rivederti!"
"Sì, sì certo! Come stanno i miei genitori? È successo qualcosa in questi mesi?" chiese lei.
"Stanno bene. Anche se sono molto scossi per la tua ultima lettera." disse questa frase con una punta di rimprovero, che la donna colse subito. Preferì non rispondere, mentre velocemente si rimetteva i suoi abiti.
"Tu come stai, piuttosto? Sei pallida, e dimagrita" chiese Bard.
"È il cibo degli elfi. Ho tanta voglia di tornare a casa, non sai quanto abbia pensato a tutti voi in questo periodo!" rispose lei, montando velocemente sopra Eléntari. I due si rimisero in marcia verso il reame degli Uomini.
"Roswehn, devo dirti una cosa. A parte me e i tuoi genitori, nessuno sa della tua unione con Thranduil. Ti consiglio di essere discreta con tutti, a questo proposito." disse lui, serio.
"Lo immaginavo. È un grande imbarazzo per tutti voi, vero?" rispose lei, incupita d'improvviso. "Le cose stanno così, Bard. Ci amiamo, e non c'è niente che nessuno di voi possa fare al riguardo."
"A Dale tutti non vedono l'ora che tu torni. Sigrid, mia figlia, è su di giri da quando le ho detto che sarei venuto a prenderti. Abbiamo organizzato una grande festa in tuo onore. Ti chiedo solo di non rovinare la gioia di tutti." le disse Bard.
"Non mi è intenzione farlo. Ma sia ben chiaro: questa è una visita temporanea. Andrò in un altro posto dopo essere passata da casa, e poi tornerò a Boscoverde. Il mio amore, la mia vita, sono lì." disse la donna, guardandolo.
"Molto bene. Lo dirai tu ai tuoi genitori, guardandoli negli occhi." rispose Bard. "Ora affrettiamoci."
Lanciarono i cavalli al galoppo.

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Capitolo 5
*** Ritorno a Dale ***


"Fatemela vedere...voglio vederla...quella disgraziata!" urló Edith, piombando come un uragano a casa Monrose.  Bard aveva  accompagnato Roswehn al piccolo edificio in cui suo padre e sua madre vivevano: i due quasi erano svenuti quando si erano trovati la figlia sulla porta d'ingresso.

Hannes, dopo un lunghissimo momento di confusione, l'aveva abbracciata e tenuta stretta a sé, talmente stretta che la ragazza aveva quasi rischiato di soffocare. Sua madre era scoppiata in lacrime, come Roswehn aveva previsto, ma erano lacrime di gioia, e di incredulità. I due coniugi l'avevano coperta di baci, abbracci, e fino all'arrivo di Edith, le erano stati sempre attaccati, emozionati di riaverla lì.

Bard era rimasto ospite da loro, Hannes lo aveva invitato a cena come ringraziamento per aver riportato la figlia. La burbera fioraia di Dale era stata informata del ritorno di Roswehn da alcuni cittadini che l'avevano vista entrare in città a cavallo.

"Eccoti, vagabonda che non sei altro! Quanto sono stata in pena per te!" le urló con una rabbia che era solo apparente... ma non poté trattenere la commozione, e anche lei l'abbracció con slancio.

"Ma che avete tutti quanti?" chiese la giovane donna, tentando di non farsi stringere troppo dalle braccia carnose di Edith, mentre Yohlande apparecchiava la grande tavola. "Sono stata lontano da qui solamente due mesi! Ricordate che avrei dovuto stare via un anno intero."

"Sono le notizie arrivate su di te che ci hanno sconvolto, Roswehn." le disse suo padre. "Quelle tue due lettere ci hanno fatto piombare nella paura e nell'angoscia. Non te l'eri immaginato?"

"Non capisco il motivo. Sono stata bene dagli Elfi, è stata un'esperienza meravigliosa." Rispose la ragazza, evitando accuratamente di accennare al resto. Al Lórien, ad Arnor, e a quel che era capitato lì.

"Di quelle creature parleremo più tardi. Oh se ne parleremo! Voglio sapere che ti hanno fatto!" ringhió Edith. "E se mi dirai che una di quelle bestie ti ha anche solo sfiorata con un dito, andrò in quel bosco a fargliela vedere io!"

"Non parlar così di loro, non sono animali, per favore! Ho molti amici in quella comunità. E Bard," si rivolse al suo sovrano, che ascoltava un po' divertito, un po' preoccupato. "... ti sarai accorto che hanno iniziato a pagare la nostra merce un prezzo più elevato. È stata una proposta che ho fatto io al re, e ha accettato. Spero sarai contento di questo." riveló Roswehn, con una punta di orgoglio.

"Sì, mi è stato riferito. Resta da capire, in che modo tu l'abbia convinto..." rispose Bard. A quelle parole, i genitori di Roswehn, ed Edith che in quel momento stava aiutando Yohlande a portare le cose in tavola, si voltarono a guardarla. Piombó il silenzio.

"Credo che tutti voi abbiate letto la mia seconda pergamena. Sapete bene qual è la situazione." disse la giovane, con calma. Ma non poteva nascondere l'imbarazzo, evidente dal rossore del suo viso.

"Già. Quella situazione. Non voglio rovinare la cena, perciò affronteremo più tardi l'argomento. Ma sta pur tranquilla che ne parleremo a fondo." rispose Hannes. Il suo volto era diventato improvvisamente di pietra. Roswehn non abbassó lo sguardo di fronte all'ostilità evidente negli occhi del padre.  Era determinata a difendere il suo amore per il re degli elfi. Non avrebbe lasciato che nessuno, nemmeno i suoi genitori, lo mettessero in discussione. Era la cosa più preziosa che avesse mai avuto.

"Quale questione?" chiese Edith mentre portava alla bocca un cucchiaio dell'ottimo farro saltato di Yohlande, la sua prima portata.

"Ah dimenticavo, la nostra fioraia ancora non sa..." mormoró Bard, alzando gli occhi al cielo.

Edith giró uno sguardo interrogativo su tutti. "Cioè, vi dispiacerebbe informarmi?"

"Io e Thranduil ci amiamo." annunció  Roswehn, secca.

Alla notizia, Edith deglutì male e le andò di traverso il farro: cominció a tossire, mentre il viso le diventava rosso. Yohlande le porse un bicchiere d'acqua, e le diede due pacche sulla schiena. "Bevi, Edith, bevi." disse la donna, mentre l'altra stava faticosamente provando a respirare.

"Tu...stai scherzando spero!!" riuscì finalmente a dire Edith.

"No. E da più di un mese vivo con lui. Passiamo ogni singolo giorno insieme. E ci vogliamo molto bene." Ripeté la ragazza, fieramente.

"Avevo detto di tenere questo argomento per dopo, mi pare. Non voglio rovinare questa buona cena che tua madre ha preparato con amore e fatica solo per te. Ti è chiaro?" disse Hannes.

"Hai tenuto un Elfo fra le gambe?!" disse Edith, ripresasi dalla notizia. Hannes si voltò dall'altra parte, quello era troppo per lui.

"Oh per l'amor del cielo!" le urló Yohlande. "Ti pare il caso di dire certe cose?"

Bard scosse la testa e fece un sospiro. "Smettila, Edith, sei inopportuna. Questi non sono affari nostri, Roswehn ha ragione. Vi prego, calmatevi tutti."

La ragazza lottó strenuamente contro la tentazione di alzarsi da tavola, e fuggire via. Detestava sentirsi a quel modo: sapeva di non avere nulla da farsi perdonare. Non aveva fatto niente di male.

"Sentite, ho fame. Mamma, porta in tavola quello che hai preparato, per favore. Sono sicura che è tutto delizioso. Vostra figlia è tornata, solo questo dovrebbe contare adesso" disse, per allentare la tensione che si respirava in quel momento.

Yohlande annuì, anche se i suoi occhi tradivano una certa tristezza. Roswehn aveva confermato quello che lei temeva. Era stata sedotta. La sua bambina, era diventata donna. Silenziosamente, andò a prendere il resto delle vivande. Le aveva cucinato in fretta della carne, manzo, e anche pollo, perché sapeva che in quei due mesi si era alimentata poco, e male. Non era riuscita a prepararle il dolce, perché Roswehn si era presentata a casa solo poche ore prima, così era in tutta fretta andata ad acquistare delle fragole al mercato cittadino. Con un po' di panna montata, sarebbero state deliziose. Sapeva che sua figlia ne era ghiotta. 
Quando era una bambina, le piacevano tanto, pensava fra sé e sé. Quando era una bambina...

                                                                                           🌹🌹🌹

La giovane decise di raccontare solo le cose più gradevoli del suo viaggio di due mesi. Parló del suo arrivo a Boscoverde, tralasciando la sua permanenza nelle prigioni, descrisse la sua amica Nim, il piccolo Caleth e la bella stanza che le avevano dato. Tentò di esprimere a parole la meraviglia che aveva provato quando aveva osservato per la prima volta il grande antro del reame elfico. Raccontó delle lunghe passeggiate nel bosco, di come avesse imparato a cavalcare;  spiegò i modi, gli usi e i costumi degli elfi, sottolineando la perfetta armonia in cui vivevano. Descrisse la festa del solstizio d'estate, ma evitó di parlare di quello che capitó dopo.

Non nominó Haldir, né Thranduil.

Concluse dicendo che aveva preso la decisione di allontanarsi momentaneamente da Boscoverde, e raccontó al suo re della paura che serpeggiava nella comunità degli Elfi
per il ritrovamento dell'Anello. In realtà, Bard non era molto informato sull'argomento: Hannes, invece, sapeva tutto al riguardo, e difatti la notizia lo turbó.

"E tu che c'entri con questa storia?" chiese alla figlia.

"Voglio andare alla Contea degli Hobbit, nel vecchio territorio di Arnor." rispose lei, mentre si gustava le sue fragole. Non si ricordava l'ultima volta che aveva provato davvero soddisfazione a consumare un pasto. "Lì c'è un Hobbit che forse può aiutarci a chiarire la faccenda."

"Quindi vorresti partire di nuovo?" chiese Hannes. Sembrava tanto una domanda che in sé contenesse già una risposta: non se ne parla. 

"Proprio così, e Thranduil è d'accordo. Andró prima a Gran Burrone, poi mi dirigeró verso la Contea. " confermó lei.

"Quel folletto dei boschi non tiene molto a te, se ti ha lasciata andare così..." disse Edith. Per tutta la durata dei racconti di Roswehn a tavola, aveva mantenuto il silenzio, con gran fatica. Ma dalle sue espressioni, la ragazza aveva capito perfettamente i pensieri della donna. Aveva sbuffato più di una volta, mentre Roswehn diceva che gli elfi erano più civili dei mortali, che le loro maniere erano più eleganti, che erano saggi e profondi. Non me la bevo, le dicevano i suoi occhi.

"Thranduil non ha molto a cuore le sue amanti... anche se dovrei usare un altro termine." aggiunse Edith, con sarcasmo.

"Che cosa hai detto?!" chiese Roswehn, offesa.

"Perché, non è quello che sei?" continuó la fioraia, mentre la fissava. "Lui non può sposarti, vero? È un vedovo, e le leggi di quelle bestie gli impediscono di prendere una seconda moglie. Non credere che io non lo sappia. E perciò ti tiene nelle sue stanze come grazioso gingillo e ti fa entrare e uscire dal suo letto quando meglio gli aggrada. Sei nient'altro che un'amante, cara, un sollazzo di breve durata."

Roswehn provó una fitta al cuore, come se un punteruolo le avesse trapassato lo sterno. "Tu non sai niente, Edith. Non ti azzardare a parlare di una cosa che non conosci affatto!"

"Questo è vero, gioia,  io non so più niente. Non so più chi sei tu. Non sei la mia Roswehn, la bambina sensibile, intelligente, consumata dalla sete di conoscenza che ho cresciuto nel mio roseto. Fui io a consigliarti di leggere libri su libri, ricordi? Avevo visto in te un grande dono: l'intelletto, l'amore per la logica, l'insaziabile curiosità verso i fatti della vita. Riponevo grandi speranze in te. E guarda cosa sei diventata, un oggetto di piacere nelle mani di uno spiritello dei boschi."  continuò la donna, scuotendo la testa amareggiata. "Per gli dèi, ho fallito."

"Adesso non esagerare, Edith. Thranduil è un re, e si è innamorato di lei. In questo non vedo alcuna vergogna." intervenne Bard. "Ricorda che lui venne qui l'anno scorso, a difendere la nostra popolazione da Azog. Combattè per noi con i suoi soldati. Quelle creature di Sauron avrebbero potuto fare una strage se lui non avesse trascinato qui il suo esercito. Questa comunità è in debito con Thranduil, non lo dimenticare."

Roswehn annuì. "Esatto. E se tu lo conoscessi di persona, capiresti perché mi sono innamorata di lui. E anche più nobile di quanto Bard creda."

Edith sorrise e si preparò al nuovo affondo. "Ahi ahi , queste tue recenti ed eclatanti esperienze di vita non ti hanno fatta crescere, vedo: sei ancora una sognatrice, una ragazza ingenua che non si spinge oltre la superficie dei fatti. In una rosa, tu vedi solo la bellezza della corona di petali, e ti godi il suo profumo... ma ancora non riesci a scorgere le spine del gambo. E come da bambina ti pungevi con esse, anche con quell'elfo ti farai molto male, prima o poi. Tu dici, egli è nobile: io non vedo alcuna nobiltà nel tenere una donna umana con sé, di fatto segregata, sapendo che prima o poi invecchierà, sapendo che consumerà la sua breve vita senza poter diventare una moglie, una madre, una nonna per dei nipoti. Se ti amasse davvero, se volesse la tua felicità, ti  esorterebbe a lasciarlo, a cercare un compagno che possa darti quello di cui hai davvero bisogno per vivere una vita completa. Invece ti tiene per sé, si tiene stretta la calda donna mortale, con i suoi seni prosperosi e la sua pelle morbida, incatenata a quello che lui chiama amore, e che altro non è che sottomissione."

"No! Non è così. Tu non puoi capire, lui mi ama, mi sta dando una gioia che nemmeno in mille sogni avrei provato..." provó a ribattere Roswehn, mentre sentiva lo stomaco annodarsi improvvisamente.

"Lui ti sta USANDO!" gridó allora la fioraia, alzandosi di scatto e sbattendo le mani sulla tavola. "Che farà di te quando avrai la mia età, quando non sarai altro che un involucro grinzoso di un'anima infelice? Te lo dico io: ti abbandonerà, ti darà in pasto ai ragni giganti che si dice infestino il suo territorio, o ti farà portare qui. In ogni caso, non ne vorrà più sapere di te. E tu rimarrai di nuovo sola! E stavolta irrimediabilmente, oh puoi credermi!" concluse, con gli occhi fiammeggianti.

"BASTA!" gridó allora Roswehn, alzandosi a sua volta di scatto. I suoi genitori e Bard sobbalzarono. "Non ti permetto di parlare così di lui. Lo amo. Tu non puoi capire quanto. E la mia vita legata a lui, è una strada che ho preso consapevolmente, e sulla quale ho intenzione di proseguire. Nessuno di voi può contestare le mie scelte." Giró il viso, perché sentì gli occhi riempirsi di lacrime.

"Scommetto che ti sei concessa la prima notte, vero?" proseguì Edith, impietosa. "Già... ha dovuto solo schioccare le dita e tu ti sei fiondata nel suo letto. Puoi dirmi che questo è amore?" le domandó. "Tesoro, io la chiamo lussuria. E tu non sei altro che una..."

"Ora sono io a dire basta, Edith!" intervenne Hannes, "... stai parlando a mia figlia, ricordatelo. E anche se non sono felice della sua situazione, non voglio che venga offesa, o che si senta mortificata." Si giró verso Roswehn, che teneva lo sguardo basso. "Tu non sentirti avvilita, figlia mia. Sei solo molto confusa. Affronteremo insieme, io, te e tua madre, questa storia. Ti prometto che non ti lasceremo sola nel caos di questo mondo."

Bard aveva ascoltato il litigio fra Edith e Roswehn senza intervenire. In realtà, non sapeva quali parti prendere. Alcune delle argomentazioni della fioraia gli parevano esagerate, ma con altre concordava. Bastava guardare la ragazza per capire che la sua permanenza dagli elfi non era stata del tutto positiva. Era sciupata in viso, aveva profonde occhiaie attorno ai begli occhi verdi, era magra. Non era affatto il ritratto della salute.  Diceva di essersi perdutamente innamorata del re di Bosco Atro, ma come poteva esserne certa? E se fosse stato solo un gioco di seduzione, per l'Elfo, come sosteneva Edith?

Aveva sempre sentito dire che gli Elfi provavano sincero amore una sola volta nella vita, e che se perdevano il loro compagno o compagna, dimenticavano anche ogni impulso sentimentale e ... sessuale. Quale sorta di legame stava allora unendo il Re di Boscoverde, il vedovo Thranduil Oropherion, alla giovane Monrose? Non riuscì a darsi una risposta, e si sentì improvvisamente molto stanco.

"È tardi. Torno dai miei figli. Cena deliziosa, Yohlande, come sempre sei un asso in cucina." disse Bard con un sorriso, per rompere l'imbarazzo generale. "Roswehn, domani Sigrid ha intenzione di precipitarsi qui, non vede l'ora di parlare con te... ma se non te la senti, le dirò di lasciar perdere. Vi vedrete un altro giorno."

"No, lasciala pure venire. Ho bisogno di confrontarmi con persone giovani, dalla mente fresca." e guardó Edith con aria di sfida. "Forse in tua figlia troveró un po' di comprensione."

"Come no, comprensione da una ragazzina sedicenne. E mi raccomando, intrattienila con i dettagli sulla tua sordida storia con il
folletto." rispose la donna. "Io me ne vado a dormire. Non venirmi a trovare nel mio roseto, prima di esserti schiarita le idee sulla tua vita. Perché non ti ci voglio a casa mia." 

Roswehn preferì non rispondere. Era stato davvero un gran ritorno a casa, quello. Ma se l'era immaginato. Cos'altro c'era da aspettarsi da gente di paese come quella?

Andó verso una finestra e guardó la luna. Quante volte, in passato, ammirare quel chiarore le aveva fatto pensare al Re Elfo, che a quei tempi per lei altro non era che un sogno.

Nessuno mi farà dubitare di noi. 
Nessuno al mondo, te lo giuro.

 

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Capitolo 6
*** Sigrid ***


Sigrid si era presentata a casa loro il giorno dopo, mentre Roswehn ancora dormiva al piano di sopra.

Yohlande l'aveva fatta entrare intimandole di parlare a voce bassa, per non svegliare la figlia. La ragazzina non stava più nella pelle all'idea di parlare con la sua amica, e le aveva portato un regalo: per un ritratto che Roswehn si era fatta fare in occasione del suo ventunesimo compleanno, aveva acquistato una bella cornice decorata in legno di cedro, così che la donna avrebbe finalmente potuto appenderlo, anziché tenerlo ad ammuffire.

Era tipico di Roswehn: si dimenticava delle sue cose. Si era cucita da sola un magnifico abito, e non lo aveva mai indossato, anzi voleva regalarlo proprio a Sigrid, che comunque non aveva la vestibilità giusta per portarlo. Aveva pagato un pittore ben dieci monete d'argento per farle un ritratto e, dopo averlo rimirato un giorno, aveva ficcato la tela in un cassetto, e lì era rimasta, con il rischio che le tarme o altri animaletti lo rovinassero. Aveva un diario, che aveva iniziato a scrivere cinque anni prima e l'aveva dimenticato a casa, sopra il tavolino della sua camera.

"Sta bene Regan?" chiese la ragazza a Yohlande, che le aveva offerto un po' di acqua con limone e menta. Faceva già caldo fuori e anche in casa, tenere le finestre spalancate serviva a poco.

"Sì, abbastanza. Ma non chiamarla più cosí, ora vuole che tutti noi usiamo il suo vero nome con lei." rispose la donna, roteando gli occhi. "La troverai dimagrita, e un po' stanca. Non farle troppe domande oggi, ricorda che è tornata solo ieri sera." aggiunse Yohlande, sedendosi al tavolo.

"No, no, voglio solo darle questo..." disse Sigrid indicando la cornice incartata, e adornata con un bel fiocco. "...e parlare un po' con lei. Mi è mancata."

"Dov'è Tobey?" chiese Yohlande, con un sorriso.

Sigrid arrossí.
"Gli ho chiesto se voleva venire a trovare Roswehn insieme a me, ma ha preferito di no. Dice che si sente in colpa perché una volta lui e lei si sono presi a male parole. È troppo orgoglioso per chiederle scusa." rispose la giovane principessa.

Ormai la sua relazione con Tobey Cullogh era nota a tutti, ma ancora si imbarazzava quando la gente le chiedeva di lui. A suo padre non piaceva molto quella faccenda, anzi lo infastidiva proprio, difatti Tobey non metteva mai piede a casa loro; dovevano sempre incontrarsi in giro, in città, e senza lasciarsi andare a smancerie in pubblico. Se volevano baciarsi, dovevano farlo di nascosto, se volevano scriversi lettere, se le facevano portare furtivamente da uno degli amici di Tobey, se volevano farsi piccoli regali, li nascondevano in un luogo concordato in anticipo, dove poi lui o lei andavano a prenderseli. Era un'impresa stare insieme, ma entrambi erano risoluti nel portarla avanti.

Sigrid non vedeva l'ora di farsi raccontare da Roswehn tutto sul suo breve viaggio. Non sapeva se la sua amica avesse trovato un amore in quei due mesi: l'aveva chiesto a suo padre, che aveva glissato, ma di certo non l'avrebbe chiesto a Yohlande. Sapeva solo che Roswehn si era presa un sbandata peggio di un carro sul ghiaccio per il re degli Elfi Silvani che vivevano nel territorio lí vicino.

Ricordava le frasi appassionate dedicate a lui che aveva trovato nel suo diario. Sigrid era perplessa al riguardo. Era noto che Thranduil fosse bellissimo...però la intimoriva. Aveva sentito parlare del Re degli Elfi tante volte, si diceva che fosse più vecchio perfino del suo bosco e avesse un carattere difficile. Nei suoi anni a Pontelagolungo, sentiva spesso dire "...dobbiamo fare cosí per non irritare il Re di Bosco Atro." oppure, "...se non faremo quest'altra cosa re Thranduil si infurierà!", ed era cresciuta pensando fosse una creatura cattiva e pericolosa, di cui aver sempre paura.

E allora come mai Roswehn si era infatuata di lui?

"Rimarrà qui adesso?" chiese la ragazzina.

"Temo di no, Sigrid. Da quel che ho capito vuole andarsene un'altra volta. Mia figlia è matta. Tu, non seguire il suo esempio, mi hai sentita bene? Non gettare mai i tuoi famigliari nell'angoscia." l'ammoní Yohlande, portandosi una mano alla fronte, sconsolata. "Mi chiedo da chi abbia preso. Né Hannes né io abbiamo mai avuto scalmane di questo tipo." mormorò.

Sigrid, nei suoi sedici anni, non sapeva come rispondere. Non aveva ancora abbastanza saggezza nè conoscenza della vita e del mondo per dire la sua, cosí si limitò a prenderle la mano, in un gesto d'affettuosa solidarietà.

"Mi piace il tuo vestito. E anche i capelli, mi piace come li tieni adesso." disse una voce, che arrivava dalle scale. Sigrid si alzò di scatto facendo quasi cadere la sedia all'indietro.

"Regan!!!!" le urlò, correndo da lei, ma la donna la fermò.

"No! Mai più voglio sentire quel nome. Mai più. Capito?" disse guardandola negli occhi. Era molto seria. Poi si lasciò andare a uno dei suoi sorrisi aperti e prese la ragazzina per un braccio, tirandola a sé. "Come stai, cara?"

"Bene! Oh, ho tante cose da dirti, sai?" le disse, "...però prima ti lascio fare colazione. Ha ragione tua madre, sei magra." notò Sigrid, che mentre la stava abbracciando aveva sentito la spigolosità delle ossa sotto la camicia da notte.

"Meglio cosí, no? Almeno adesso riuscirò ad allacciare i corsetti facilmente." rispose Roswehn, che già non ne poteva più di quelle osservazioni sul suo aspetto. Lei si sentiva bene, che accidenti volevano tutti quanti?

Andarono in camera sua più tardi, dopo che Roswehn ebbe finito di consumare il té con il latte e i biscotti e la fetta di torta alla vaniglia e le uova sbattute con bacon affumicato e la marmellata di more su pane di segale. Tutti cibi di cui si era scordata dalla sua entrata nel mondo degli Elfi. E che divoró in un baleno.

"Cavoli se avevi fame!" commentó Sigrid. "Ma cosa ti hanno dato gli Elfi? Solo radici e bacche?"

"Quasi. Allora, fammi vedere il tuo regalo...non avresti dovuto, Sigrid." disse Roswehn, scartando la cornice. "Meravigliosa! Ma dove hai preso i soldi?" si stupí.

"Mio padre mi dà un po' di denaro ogni settimana, perché sto insegnando a leggere a Tilda ed altri bambini. Non è la scuola che volevi fondare tu, ma è un inizio." rispose Sigrid. "Tua madre dice che vuoi andartene ancora. Perché non stai qui, Roswehn, e mi aiuti?"

"Perché non posso. Sono fiera di quello che fai, e vorrei darti una mano, credimi. Ma la mia vita non è più a Dale." rispose lei, rimirando la preziosa opera in legno. Avrebbe fatto incorniciare il suo ritratto e l'avrebbe lasciato a casa, appeso in bella vista. Un ricordo per i suoi genitori e per i suoi amici.

"Ti sei innamorata di qualcuno in questi mesi?" volle sapere Sigrid. Roswehn si era aspettata quella domanda, ma decise di non parlare di Thranduil con la ragazza. Come diceva Bard, su quella faccenda era meglio mantenere il riserbo.

"Sí. In effetti, sí." disse laconica.

"È il Re degli Elfi?" chiese Sigrid.

Roswehn sentì un tuffo al cuore.
"No. Cioé, è un Elfo, ma non è lui." tentó di mentire.

"Lo sapevo! Sono felice per te! Come si chiama? Che aspetto ha?" incalzó Sigrid, con la curiosità tipica delle adolescenti.

"Si chiama...ehm... Rùmil. È un arciere dell'esercito di Eryn Galen. È biondo, è alto un po' più di me, ha occhi blu... è simpatico. Ti piacerebbe."

Non sapeva perché le fosse venuto in mente il fratello di Haldir. Forse perché con lei era stato tanto carino, e spiritoso. Sapeva invece perché il suo istinto le avesse impedito di fare proprio il nome di Haldir, con il quale c'era stato un timido inizio di storia sentimentale: era abbastanza conosciuto anche fra i mortali, perché Celeborn lo mandava nei reami degli Uomini come portavoce suo e di Galadriel, ogni tanto, e un giorno sarebbe potuto giungere fino a Dale. Non voleva nascessero chiacchiere su loro due.

"E vi sposerete?" chiese ancora Sigrid.

"No. Non credo. Non nei prossimi anni, comunque." rispose Roswehn, che disperatamente cercava di farsi venire in mente un altro argomento di conversazione. "Dimmi, ti piace l'abito blu? È tuo, ora. Te l'ha detto mia madre?" chiese infine, aprendo l'armadio e tirandolo fuori. Era impolverato e dovette sbatterlo con un canovaccio. Mi ero scordata di quanto fosse bello , pensó. A Thranduil sarebbe di certo piaciuto.

"Non mi sta bene, Roswehn, è grande! E secondo me è troppo largo anche per te ora. Riprovatelo." suggerì Sigrid. La donna si spoglió e aiutata dalla ragazza si infiló il vestito, che in effetti le ballava addosso. Tranne che sul seno. Il corpetto sembrava essere diventato improvvisamente stretto. Faceva quasi fatica a respirare. "È strano. Ti è largo ovunque, ma non sul petto. Sembra quasi...che ti siano cresciute." osservó Sigrid.

"Ma che dici, non è possibile." disse Roswehn, toccandosi. Peró era vero: si sentiva i seni più gonfi.

"Ma sì, è così evidente! Guarda che difetto ti fa in vita. Il corpetto invece è troppo teso..." aggiunse Sigrid.

Roswehn andó velocemente davanti allo specchio. Eh sì, il suo seno quasi strabordava fuori dall'abito. Immaginó che fosse perché da lì a qualche giorno avrebbe avuto il suo sangue mensile. Le era saltato il mese prima, quindi si stava aspettando una specie di inondazione. Non si era preoccupata troppo per il ritardo del ciclo: era probabile che il suo fisico non si fosse ancora adattato a quella nuova vita nel bosco, al cambio di alimentazione, alla mancanza di luce.

"Lo sistemeró, che devo fare. Peccato, peró, prima era perfetto." disse Roswehn.

"Senti...c'è una cosa che vorrei chiederti. Una cosa che ha a che fare con il tuo diario. Quello che tenevi qui a Dale." disse Sigrid, mentre le slacciava l'abito. Sembrava un po' agitata.

"Quale diario...ah, sì. L'ho lasciato qui, che idiota." si ricordó Roswehn. "L'hai letto?" le chiese.

"Mi devi scusare ma...sì. E ho trovato una pagina che mi ha fatto spaventare. Ci avevi scritto delle cose strane." continuó Sigrid.

"Quale?" chiese lei, preoccupata. Pensó che avesse trovato qualche suo pensiero un po' spinto riguardo a Thranduil. La cosa divertente, era che tutte le fantasie che aveva avuto su di lui prima di iniziare la loro storia impallidivano di fronte a quello che avevano fatto poi nella realtà. Ma di certo non ne avrebbe parlato a una sedicenne.

"Avevi scritto che volevi uccidere mio padre...e me...e i miei fratelli." disse Sigrid, guardando da un'altra parte.

Roswehn trasalì.
"Ma di cosa parli, Sigrid. Non ho mai scritto niente del ge..." si interruppe, perchè d'un tratto le balenó nella mente la spiegazione. Regan...no, non ci voglio più pensare. Quell'incubo è finito. Finito per sempre. Già, ma come poteva spiegare la faccenda a Sigrid? Si inventó una balla.

"Forse stavo male, quando le scrissi. Magari ho mangiato qualcosa che mi ha fatto venire le allucinazioni... sai, dagli Elfi ho imparato che esistono dei funghi speciali, che, se ingeriti, danno delle visioni." provó a scherzare, ma vide che Sigrid la guardava scettica. Tornó seria. "Credimi, non fare mai del male a nessuno. Siete una seconda famiglia per me. Voglio molto bene a tutti voi." le disse. "Per favore, dimentica di aver letto quelle cose."

Infine Sigrid si convinse e le sorrise.
"Dove vuoi andare stavolta?" le chiese.

"Fra qualche giorno mi metteró in cammino verso Rivendell." annunció Roswehn.

"Da Elrond?!" esultó la ragazzina. Lo aveva incontrato anche lei, quando era stato in visita a Dale, e le era piaciuto molto: l'aveva lusingata chiamandola la principessa dagli occhi zaffiro.

"Sì, te lo saluteró." disse Roswehn, vestendosi. Aveva una gran voglia di passare la giornata in giro per Dale, anche se le seccava la prospettiva si venire fermata dalla gente incuriosita di rivederla. Peró aveva anche un gran bisogno di tornare a sentire i rumori, e perfino gli odori, del mercato; il chiacchiericcio della gente, i prodotti dei loro campi, gli abiti delle sartorie e i mille oggetti di artigianato che agli uomini di Dale venivano così bene. "E i Nani, come stanno? Li avete più visti qui?" chiese all'improvvo. Già, si era dimenticata di loro.

"No. Noi mandiamo ad Erebor la nostra merce, ma Dàin non si fa mai vedere qui, e nemmeno altri. Stanno diventando schivi come gli Elfi." rispose Sigrid. "Allora, andiamo?"

Le due giovani donne uscirono di casa in direzione del mercato e la prima persona che incontrarono fu Violette della bottega degli orafi.

Grandissima pettegola. Fermó subito Roswehn.

"Tesoro, eccoti!! Mi avevano detto che eri tornata, come stai?" le disse, facendo cadere lo sguardo subito sul suo seno.

"Salve Violette. Sto bene, ti ringrazio. So che sei passata spesso a trovare mia madre in mia assenza, e a farle compagnia, è stato carino da parte tua." rispose Roswehn, che non amava troppo parlare con quella donna. Peró, a sua madre stava simpatica, perché sapeva sempre tutto di tutti.

"Tua madre sa fare torte favolose, e mi fa ingrassare, guarda qui..." le disse, e le mostró i fianchi generosi. "...dovrei smettere di andare a trovarla, in verità."

"Sì, in quello è imbattibile. Passa da noi più tardi, mi farà piacere." mentì. Non vedeva l'ora di liquidarla, perché non le piaceva affatto l'insistenza con cui la fissava. "Ora vado al mercato con Sigrid."

"Oh, sì scusa, ti stavo trattenendo...divertitevi a fare spese! Ho visto che sono arrivati tanti nuovi abiti, magari ne troverai qualcuno adatto per la tua situazione." aggiunse l'orafa, con un sorriso furbo.

"Quale situazione?" chiese Roswehn, girandosi mentre si allontanava con Sigrid.

Violette fece un gesto con il braccio, mimando un ventre rigonfio.
"E, a proposito, auguri cara!" le urló.

Roswehn si fermó, interdetta.

Sigrid rise.
"Quella stupida pensa che tu sia incinta." le disse. "Dai, andiamo! Voglio vedere subito la bancarella dei tessuti!"

Roswehn per un attimo si sentì mancare. No, non era possibile. Violette aveva le traveggole, o forse cercava un pretesto per far nascere il prossimo pettegolezzo di paese. Era la sua attività preferita, dopo tutto.

Incinta? Ma neanche a parlarne.

"Calma, Sigrid, non correre!" disse allora.

Incinta?

Le due si affrettarono, tenendosi per mano, verso il cuore del Regno
.

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Capitolo 7
*** Streghe ***


Le parole di Violette continuavano a tornarle alla mente.
Tanti auguri cara, seguite da quel gesto. Quel grottesco mimare una pancia rigonfia, che le aveva fatto intendere: ce l'hai dentro, sta crescendo, e io lo so.
Era rimasta silenziosa per tutto il giorno, mentre con Sigrid camminava per la sua amata Dale. Ogni volta che incontrava una madre con figli, non poteva fare a meno di guardarla. Sentiva una strana angoscia dentro di lei, una nuova, martellante preoccupazione. Non aveva mai lontanamente valutato la possibilità di rimanere incinta. Nell'ultimo mese, lei e Thranduil si erano amati moltissimo. Praticamente ogni giorno avevano dato libero sfogo alla loro passione. Il re non si era certo risparmiato la prima notte, come in nessuna delle successive, e Roswehn non era più una ragazzina ingenua, sapeva bene come avveniva il concepimento. Né lei, né lui, tuttavia, avevano mai parlato dell'eventualità di una gravidanza. Era come se Thranduil non considerasse nemmeno l'ipotesi, come fosse del tutto impossibile che una donna umana potesse rimanere incinta di un elfo.
Eppure, i mezzosangue esistevano in quel mondo, Lord Elrond ne era un esempio bello e buono. La donna rifletteva su quello che sarebbe potuto capitare, se l'impressione di Violette si fosse rivelata esatta. Non riusciva a immaginare la reazione dei suoi genitori, specialmente di suo padre. Avrebbe letteralmente perso la testa. Sua figlia, che già si era disonorata diventando l'amante di un elfo, avrebbe partorito un figlio bastardo? Un piccolo con le orecchie a punta? Sarebbe morto di crepacuore, e sua madre lo avrebbe seguito poco dopo. Il fatto che il neonato sarebbe stato un piccolo principe, o principessa, avrebbe avuto ben poca importanza per la sua famiglia.

Prima di lasciarsi andare al panico, Roswehn doveva comunque sincerarsi delle sue condizioni.
Quella sera, di ritorno dalla passeggiata con Sigrid, andò in camera sua, si spogliò e si guardó attentamente allo specchio. Passó una mano sul ventre, ma non le sembrava rigonfio. Era magra, sentiva solo una strana tensione ai seni. Però era anche vero che lei e Thranduil avevano iniziato a dormire insieme da appena un mese, e se ci fosse stata una gravidanza in corso, sarebbe stata solo all'inizio, praticamente impercettibile. E allora perché Violette aveva avuto una sensazione tanto forte da congratularsi, addirittura? Come se n'era accorta? Quello le metteva più angoscia di tutto: per esperienza, sapeva di non dover sottovalutare mai le osservazioni delle paesane, vecchie volpi che sapevano molto più di lei sui fatti della vita. Doveva approfondire.

C'era in città una persona che avrebbe potuto aiutarla. Un'anziana levatrice, che viveva da sola in una casa spoglia e buia, dove riceveva le sue pazienti. Nei tempi antichi, una come lei sarebbe stata considerata una strega. E il suo aspetto era proprio quello di una megera: aveva lunghi capelli grigi, vestiva quasi sempre di nero (perfino d'estate) , si circondava di gatti, e coltivava nel suo piccolo giardino delle strane erbe, con le quali preparava infusi per ogni sorta di malanno. Era l'unica, a Dale, ad esercitare quella professione e sapeva molto su gravidanze, parti, e malattie dei bambini. Si chiamava Babiyar.
Roswehn si decise ad andare da lei il quarto giorno dal suo ritorno in città. Nelle due notti precedenti, aveva dormito poco e male. Continuava a svegliarsi, e a pensare e a ripensare a quello che le aveva detto Violette. Le incalzanti paure che la stavano attanagliando non le davano tregua. E poi di lì a poco sarebbe partita ancora, non poteva certo mettersi in viaggio con il sospetto di avere una creaturina in grembo. Una mattina piovosa, decise di andare da lei. Portó con sé del denaro, perché Babiyar voleva essere pagata subito, e bene. Si era coperta il viso con un fazzoletto, per non essere riconosciuta. Non voleva che qualcuno la vedesse andare dalla levatrice, o i pettegolezzi che Violette probabilmente aveva già iniziato a far girare sarebbero aumentati a dismisura. Arrivata alla piccola casa, bussó alla porta di legno. Non rispose nessuno, e Roswehn temette che la donna non fosse lì. Bussó di nuovo, più forte, allora si udì una voce che proveniva dall'interno.
"Vengo...vengo... calmati, chiunque tu sia." La porta si aprì, e la giovane donna si trovó di fronte una signora assonnata, vestita con un abito di tela grezza, ovviamente nero, che la guardó incuriosita. Sembrava avere la stessa età di Edith, o forse era anche più vecchia. Un grosso gatto tigrato si lanció fuori dalla porta, e si diresse verso i campi. "Ecco, maledizione... è scappato un'altra volta." disse guardando verso la bestiola ormai sparita lontano. "Dovrei castrarlo... non fa che andare in cerca di gatte in calore."
Roswehn chiese timidamente: "Potete ricevermi subito?" La donna la guardó di nuovo e strizzó gli occhi, per metterla a fuoco. Forse non ci vedeva bene.
"Tu non sei la figlia di Monrose?" chiese.
"Sì," confermó Roswehn. "e... ho bisogno di un consulto da voi." mormoró a disagio. "Vi prego, potreste farmi entrare in casa?" Non sopportava l'idea che qualcuno di conosciuto potesse passare di lì in quel momento e vederla. La levatrice capì al volo.
"Ma sì, certo, mi stavo preparando del té. Entra, ragazza." disse, aprendo l'uscio.
"Grazie infinite." disse Roswehn, facendo il suo ingresso in quella casa. Ebbe subito una sensazione sgradevole: l'arredamento intorno a lei era vecchio, trascurato, e c'era odore di chiuso.
"Oggi è una giornata triste." commentó la donna, "...quelle brutte nubi là fuori, rovinano l'estate." Si avvicinò al piccolo camino acceso, dove un contenitore in rame pieno d'acqua stava bollendo. Un camino acceso a Luglio? si chiese mentalmente Roswehn. "Allora, cosa posso offrirti: té alla rosa, alla vaniglia, oppure semplice?" domandó la donna.
"Alla rosa, non l'ho mai provato." rispose la ragazza, che non era in realtà molto sicura di voler bere quell'infuso: perfino il pentolino sembrava sporco. Babiyar rise.
"Sì... té alla rosa per la nostra Roswehn." Prese un vaso da una credenza e versó delle foglioline secche unite a un'altra miscela nell'acqua bollente. Subito si levó nell'aria un profumo dolciastro. "Allora, figlia di Monrose, perché sei qui?" le chiese, dopo averle passato una tazza fumante. "Ho saputo che sei tornata qualche giorno fa da un viaggio nel territorio degli elfi. Non è che per caso una di quelle creature con le orecchie appuntite ha combinato un grosso guaio?" la guardava con divertita curiosità. "... e magari sei venuta da me per liberartene?"
Roswehn si innervosì. "Per ora vorrei solo sapere se sto bene, se va tutto per il verso giusto nel mio corpo. Ho... avuto dei fastidi, diciamo così."
"Che fastidi, esattamente? E sappi una cosa: la mia sola consulenza ti costerà due monete d'oro. Spero tu sia ben fornita di denaro." rispose Babiyar. Aveva due occhi azzurri penetranti, e furbi.
"Posso pagare, non preoccupatevi." Roswehn estrasse il sacchettino con le monete, e le fece tintinnare.
"Bene, meglio per te." rispose Babiyar, laconica. "Il mio tempo è prezioso."
"Dicevo... non credo di stare molto bene. Ho giramenti di testa, dormo male: e poi, sembra che il mio seno sia cresciuto. Voi potete capirci qualcosa?" chiede Roswehn. "Detta così, è difficile." rispose la donna, scrutando il viso di Roswehn. "Certo non hai un bell'aspetto. Sei rimasta per caso a digiuno negli ultimi mesi?"
"No, ero ospite degli elfi, mi sono nutrita con il loro cibo. Loro non mangiano carne, come sapete, sono dimagrita per questo." spiegó Roswehn, che intanto sorseggiava il té. Non era male.
"Hmm. Temi di essere gravida?" chiese la donna, brutalmente. "Scusa, ma è meglio non girarci intorno." Roswehn rimase zitta per un interminabile minuto. Era imbarazzata, e confusa. A quel punto avrebbe dovuto rivelare quello che era successo negli ultimi tempi. La sua vita intima, quello che era capitato con lui. Ma io non ho fatto niente di male, si ripeté con ostinazione.
"Puó essere, sì." ammise finalmente. "Sono qui per fugare questo dubbio."
"In tal caso, dovrò visitarti. E questo ti costerà altre due monete d'oro." sorrise la levatrice. Quel giorno stava diventando interessante. "Vieni con me." Si alzò e la invitó a seguirla in una stanzetta attigua, dove c'era un letto, sistemato in malo modo, con lenzuola che almeno sembravano pulite. "Forza, stenditi." Roswehn sì accomodò sul giaciglio, non sapendo cosa aspettarsi. "Togliti gli indumenti intimi. E solleva la gonna fin sopra la vita." le disse Babiyar, mentre si lavava le mani in un catino pieno d'acqua. "Quello che sto per farti non sarà piacevole. Ma se vuoi delle risposte, sarà necessario." Roswehn sentì un fremito di paura lungo tutta la schiena. La levatrice si avvicinò a lei, e le divaricó lentamente le gambe. Con le dita ispezionó il suo intimo, fino in fondo. La ragazza trasalì: era una sensazione odiosa. Le sembrava di essere violata, invasa. Si irrigidì e contrasse i muscoli del basso ventre. "Devi rilassarti, manca poco." le disse Babiyar. "Ecco, tutto fatto. Avanti, rivestiti."
Roswehn si alzó subito dal letto, chiedendosi quante altre giovani donne come lei fossero andate di nascosto in quella casa. Si domandó quante emozioni fossero passate in quel lugubre posto: gioia, disperazione, rassegnazione. Da parte sua, si sentiva solo terribilmente preoccupata. La prospettiva di diventare madre, in quel momento, non la entusiasmava. La sua storia d'amore con Thranduil era bellissima, ma era anche anomala, e purtroppo destinata a finire, prima o poi. Cosa ne sarebbe stato di un eventuale figlio nato da quell'unione? Che vita avrebbe avuto?

"Sei gravida." annunció improvvisamente la donna. "È solo all'inizio, meno di un mese. Ancora per qualche tempo non si vedrà." Roswehn si sentì mancare. Oh dèi, oh Valar, non è possibile, riuscì solo a pensare, mentre il suo volto impallidiva. Come avete potuto...
Babiyar si accorse del suo sgomento. "Non è una gran notizia per te, vedo." poi sorrise. "Ti sei divertita e ora te ne vergogni, non è così? Eh, capita, ragazza mia... la bella gioventù... così bella, e così pazza!" rise di gusto. "Certo, questa è la prima volta che mi capita di incontrare una giovane sedotta e abbandonata da un elfo!"
"Non mi ha abbandonata affatto!", le rispose seccamente Roswehn. "Siamo innamorati. Ma non mi aspettavo che succedesse una cosa simile."
"E perché no? Sono maschi come gli Uomini. Possono riprodursi come noi. Cosa credevi, che gli Elfi nascessero dai fiori?" le chiese la donna. Sembrava stesse parlando con una povera idiota. "Comunque, se questa gravidanza non è gradita, posso aiutarti."
"E in che modo?" chiese Roswehn, che ancora tremava.
"Sono esperta anche di ferri adunchi. Posso liberarti dal problema senza nemmeno farti soffrire. Sei solo all'inizio, sarà breve e indolore. Ma se aspetti qualche altro mese, sarà molto peggio per te. E ti costerà anche di più." le rispose Babiyar. Andó verso un grande mobile in un angolo della stanza, e tiró verso di sé uno dei cassetti. Estrasse quello che sembrava un lungo filo di metallo, e terminava con un uncino piccolissimo. "Questo è il miglior amico di tante giovani infelici, è un magico attrezzo che...risolve i problemi." le spiegó la donna. "E se vuoi conoscere anche tu il mio amico, il prezzo da pagare adesso sono cinque monete d'oro. Aspetta altri due mesi, e dovrai pagarne dieci." Roswehn rabbrividí.
"No." disse solo. "Rimettete via quella cosa orribile! Non voglio neanche sentirne parlare."
"Fate tutte così... E dopo qualche mese tornate qua per implorare di aiutarvi. E, povere voi, soffrite le pene dell'inferno." sospirò la donna, evidentemente abituata a reazioni simili. "Ma se vuoi aspettare, per me non cambia nulla. Anzi, ci guadagnerei." sorrise. Roswehn inizió a detestarla. "Una volta, venne da me una ragazza molto più giovane di te. Si chiamava Gayle. Ne avrai sentito parlare, tanti anni fa, quando eravamo ancora tutti topi di lago." inizió a raccontare Babiyar. Sì, Roswehn si ricordava quella brutta storia: la giovanissima e lentigginosa Gayle Abbott, rimasta incinta all'età di Sigrid, sparita col figlio neonato, che si diceva fosse frutto indesiderato della seduzione di un elfo. "Venne da me quando era troppo tardi. Era di otto mesi ormai. Non potevo risolvere il problema... ma riuscii a farmi comunque venire un'idea: le dissi di aspettare il termine della gravidanza, e di tornare da me quando sarebbero iniziate le doglie." continuó la donna. "Le arrivarono di notte, e questo fu una fortuna. Andammo in un bosco, una zona molto lontana da Pontelagolungo. Giunte in un punto adatto, scavai una piccola buca, e l'aiutai a partorire. Puoi immaginare quel che capitó, dopo."
Roswehn inizió a sentirsi male ascoltando quel racconto. "Non credo di voler sentire altro..." le disse. "Fermatevi qui."
"Sai, quel bimbo non era figlio di un elfo. Non aveva le orecchie a punta... Era un bambino normale, e anche bello. Somigliava a tuo cugino Archie, mi era parso." sogghignó la donna, perfida. "Comunque, per la piccola Abbott era un problema, e il problema finì sotto terra."
Roswehn la guardó spalancando gli occhi. "Avete ... seppellito vivo un neonato?!" Improvvisamente, avvertì una sensazione di nausea.
"Per forza. E poi dissi alla ragazza di sparire, di lasciare la città. O sarebbe finita là sotto con il suo bambino." concluse Babiyar, con il tono più tranquillo al mondo.
"Ma tu sei pazza! Sei un'assassina! Lo diró a Bard, ti faró gettare nelle nostre galere!" urló Roswehn, correndo verso la porta.
"Fa' pure. E io diró ad Hannes Monrose che diventerà nonno di un tenero elfetto. Me lo vedo, mentre lo porta in braccio orgoglioso." disse la donna. Non sembrava per niente turbata dalle sue minacce. Roswehn si fermó. Imparó in quel momento il significato della parola ricatto.
Babiyar rise di gusto. "Stai tranquilla, tu sta' zitta sulla faccenda di Gayle e io non diró nulla sul tuo amante del bosco."
Roswehn sibiló: "Maledetta. Tu sia maledetta."
"Mi ferisci, così." rispose l'altra, ironica. "E, considerando che mi hai maledetta, il prezzo per il mio silenzio aumenta: dammi tutto il contenuto di quel sacchetto." le intimó. Roswehn estrasse il denaro e lo gettó a terra.
Le monete rotolarono tutt'intorno. "Tieni. E se oserai parlare a qualcuno di me e di quello che mi è capitato, ti uccideró io. Te lo giuro." Poi aprì la porta e sparì come il vento.
"Non ne dubito, cara. Non ne dubito." mormoró Babiyar, mentre si chinava a raccogliere le monete. Dovevano essere più di venti. Che grande giornata.

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Capitolo 8
*** Genitori e figli ***


Mentre Roswehn si allontanava a passo svelto dalla casa di Babiyar, un altro confronto stava per avere luogo lontano da Dale, in un reame costruito in mezzo ai boschi.

"Vorrei parlarti." Legolas si avvicinó a suo padre, che stava osservando la foresta illuminata dal sole. Thranduil si giró a guardarlo, mentre si appoggiava al suo scettro. "Sai come chiamano i mortali Eryn Galen? Bosco Atro, cioè oscuro. Stupidi. Non c'é nulla di oscuro né tetro qui. La loro ignoranza è senza limiti." mormoró il re. Roswehn gli aveva raccontato tutte le leggende e le dicerie a proposito degli Elfi che si tramandavano fra la sua gente, storie fantasiose che avevano finito per far nascere quella diffidenza tanto ardua da sradicare verso il popolo di Manwë. "Non capisco le loro ottuse superstizioni." continuó il re.
"È perché non ci conoscono," rispose il principe. "Non c'è da stupirsi che abbiano timore di noi: tu non lasci avvicinare nessuno a questi confini." Suonó come una specie di rimprovero.
Thranduil lo guardó. "E continueró a farlo. Nessuno puó entrare e uscire liberamente da questo reame. Non abbiamo altra difesa che l'incessante sorveglianza, lo sai." rispose.
"Roswehn l'ha fatto, peró. E la cosa non ti ha irritato. Tutto il contrario." obiettó Legolas, sorridendo.
"Non abbiamo ancora parlato di questo, mi devi perdonare. Avrei dovuto spiegarti meglio la situazione quando sei tornato." disse Thranduil. "Non è facile per te, lo capisco." Legolas si stupì: suo padre che gli chiedeva di perdonarlo? Roswehn doveva aver compiuto un mezzo miracolo per aver ammorbidito la personalità del re in quel modo.
"Non mi devi spiegazioni, padre. È una scelta tua, come tua è la vita."
"C'è molto di cui dovremmo parlare invece, Legolas. Non solo a proposito di Roswehn: secoli sono passati dalla morte di Calenduin e in tutto questo tempo nei tuoi confronti sono stato solo un re, quasi mai un padre. Tua madre avrebbe detestato il mio comportamento." ammise Thranduil. "Quanti anni sprecati." sembrava piombato di nuovo nella mestizia che il principe ben conosceva. In quel momento capì quanta importanza l'incontro con la mortale di Dale avesse avuto per lui. Mancava da appena quattro giorni, eppure le conseguenze della sua assenza già si vedevano sul suo viso.
"Ho sempre saputo che il tuo ruolo di sovrano doveva venire prima di quello di genitore. Non devi sentirti in colpa." tentó di dire Legolas. Era strano per lui parlargli a cuore aperto, quella forse era la prima volta che discutevano del loro rapporto. "Ma c'è un dubbio che mi attanaglia, ora. E non solo me."
Thranduil corrugó la fronte. "Quale? Dimmi."
"Tu la ami davvero?" chiese il principe. "Roswehn crede di no. Crede che il tuo non sia che un affetto superficiale verso di lei. Crede di non essere importante."
"Te l'ha detto lei?" chiese Thranduil, mentre il figlio scorgeva un'ombra di dolore nei suoi occhi azzurri.
"Sì. E se non le vuoi bene, non dovresti tenerla qui. Sarebbe sbagliato." disse Legolas. "Crede che tu non la ami come amasti mia madre." Thranduil giró di nuovo il volto verso il panorama davanti a loro. Il vento accarezzava morbidamente le cime degli alberi, splendidi nel loro verde estivo.
"Quando tua madre viene nominata, si alza sempre il vento. È una cosa che ho notato molte volte, e non puó essere un caso. Sai cosa credo? Credo che sia lei." disse il sovrano, come parlando fra sé. "Vuole dirci che è vicino a noi, che il suo spirito è qui, ci protegge." guardó di nuovo il figlio. "Oh, se l'ho amata! Il nostro amore era più profondo del mare, Legolas. Eppure..." non riuscì a continuare.
"Con Roswehn è diverso?" chiese il principe.
"Quando piombó nella mia tenda, due inverni fa, fu come vedere un lampo improvviso in una notte buia. Si presentó davanti a me una donna impaurita, debole, travolta dalla catastrofe portata dal Drago. Non c'era nulla in lei che potesse attrarre la mia attenzione. Eppure, i miei occhi non riuscivano a staccarsi dal suo viso." riveló a Legolas. Suo figlio aveva iniziato a capire.
"Un amore nato al primo sguardo, allora. E con mia madre non fu la stessa cosa." disse il principe.
"No." rispose Thranduil. "No, con Calenduin fu diverso. Imparai ad amarla nel tempo."
"Quand'è così, dovresti dirglielo. Roswehn deve sapere." rispose Legolas, non troppo turbato dall'aver appena appreso che il grande amore di suo padre non era l'Elfa che l'aveva dato alla luce.
"Non posso sposarla. La nostra è un'unione al di fuori delle leggi elfiche, e comunque lei non è immortale. Dovremo dirci addio, è inevitabile." riflettè amaramente Thranduil. "Eru sa essere crudele con i suoi figli."
"Possibile che non esista un modo perché abbia anche lei la vita eterna? Che so, un incantesimo... forse Gandalf può intervenire presso i Valar in suo favore..." chiese il principe. "Certi Elfi possono rinunciare all'immortalità, perchè non il contrario?" Thranduil scosse il capo.
"No. Una leggenda dice che bere il sangue di un Drago possa donare l'immortalità a un umano. Ma è una leggenda, nient'altro."
"E se fosse vero?" chiese Legolas.
"I grandi serpenti comunque sono spariti, la loro razza è stata cancellata. Ancalagon è stato ucciso da Eärendil, Scatha e Glaurung sono morti millenni fa. L'ultimo era Smaug, e ha conosciuto la sua fine per mano dell'Arciere. La sua carcassa giace sul fondo di quel lago. In verità, non mi dispiace che tali creature se ne siano andate da questo mondo." raccontó Thranduil, che doveva fare i conti con le sue cicatrici ogni giorno, davanti allo specchio. "Esseri infernali."
"Si dice che negli anfratti del Fodorwaith ve ne siano ancora, non sono alati e non sputano fuoco. È un tipo di drago non pericoloso. Forse Roswehn..." disse Legolas. "No! Non ne parlare nemmeno." lo zittì il re. "Lei sarà di ritorno in meno di due settimane, così ha promesso. Quando tornerà, voglio che le insegni a combattere, a usare arco e frecce e pugnali e le armi in cui sei esperto. Deve poter difendere se stessa."
"Avrei dovuto farlo prima che partisse," obiettó il principe. "Perché l'hai lasciata andare verso la Contea disarmata e sola? E' pericoloso."
"Perché voleva farlo. E l'amo troppo per negarle qualcosa. Mi auguro solo che riesca ad arrivare a Rivendell sana e salva. Elrond tenterà di convincerla a tornare qui. So che ha molta influenza su di lei, lo ascolterà." mormoró Thranduil, un po' seccato di dover lasciare la sua amata sotto la protezione del Lord di Imladris. Era già in debito con lui e con Gandalf per averla salvata da Morgoth, non sopportava l'idea di dover ancora sperare nel suo aiuto.
"Magari le darà qualche Elfo di scorta fino al villaggio di Bréa. Ad esempio, quel Lindir..." scherzó Legolas.
"Eru ce ne scampi. Lindir, delicato come una piccola primula? Se per sventura incontrassero degli Orchi sarebbe Roswehn a doverlo difendere." rispose Thranduil, ironico. Legolas rise. Non si ricordava di aver mai sentito il padre fare una battuta. "Deve attraversare le Montagne Nebbiose. Questo mi preoccupa più di tutto." Continuó il re. "Spero sia abbastanza assennata da seguire il sentiero che Feren le ha indicato su quelle sue mappe. E che non si perda nei meandri dei monti."
"Se cosí fosse, andrai a cercarla?" chiese Legolas
"Sí," confermò il re, girandosi per tornare alle sue stanze. "E quando l'avrò trovata, la chiuderò in un posto da dove non potrà più scappare."

🌹🌹🌹

"Parto domattina, mamma. Ho deciso." annunciò Roswehn a cena. Suo padre non era ancora tornato dal lavoro a Palazzo Reale.
"Come, domani?! Bard non ti ha detto che è stata preparata una festa per te fra due giorni? E' la ricorrenza annuale in memoria di Thorin e del giorno in cui Dale è tornata alla vita, e il re ha colto l'occasione per celebrare anche il tuo ritorno," la informò la madre.
"Festa in memoria di Thorin..." disse Roswehn, "... e quando organizzerete una festa in onore a Thranduil e ai suoi soldati caduti per difenderci?"
"Smettila, per favore." ribatté Yohlande, "abbiamo già affrontaro l'argomento."
"No, non la smetto per niente, mamma. Anche per questo me ne vado. Non sopporto questa ipocrisia. Vi state comportando tutti come se non vi avessi detto nulla, come se il mio rapporto con lui non contasse per voi. Non l'avete più neanche nominato in questi quattro giorni..." rinfacciò Roswehn, arrabbiata.
"Io e tuo padre stiamo riflettendo. E ci vuole tempo, ci vuole... tempo. Per favore, rimani un po' con noi. Questa storia dell'Anello, da quel che ho capito, non è un tuo problema. Non è nemmeno un problema. Sbagli ad allontanarti da qui un'altra volta, sei ancora confusa." provò a dire Yohlande, senza guardarla. Era concentrata sul suo piatto di patate e fave.
"Io sarei confusa? Io non sono mai stata più lucida, mamma. Tu piuttosto: non mi guardi neanche negli occhi. Chi delle due dimostra più paura adesso?" rispose lei. Odiava parlare a sua madre in quel modo, ma le era impossibile mantenere la calma.
"L'Elfo ti ha avvelenato la mente. Edith ha ragione..." mormorò sua madre, sconsolata.
"Oh, magnifico! Adesso Edith è diventata l' Oracolo di questo posto?! Una donna che ha passato la sua vita a coltivare rose e a togliere larve d'insetto dai fiori? La sua opinione vale più della mia per te?" disse Roswehn con un tono di voce improvvisamente alto.
"Abbassa la voce, o esci da quella porta. Sai che non tollero scenate in questa casa." rispose Yohlande con calma. Nemmeno da adolescente Roswehn si era lasciata andare a sfuriate simili. E lei era sempre stata orgogliosa del fatto che sua figlia non avesse dato mai né a lei né ad Hannes i grattacapi che le figlie delle sue amiche riversavano sui genitori. Quella ragazza davanti a lei le sembrava una sconosciuta. Era arrivata a detestare Edith, che per lei era sempre stata una seconda madre, quasi. "Non capisco perché volete la mia infelicità..." disse Roswehn, facendo strenuamente ricorso a tutta la sua pazienza. La scoperta della gravidanza le aveva logorato ancora di più il sistema nervoso. "Tu mamma, sei la stessa persona che due mesi fa mi disse che potevo vivere la vita a modo mio... ma con questo naturalmente intendevi fra gli Uomini, fra la nostra gente? Non hai mai pensato che forse il destino mi avrebbe portato altrove?"
"Intendevo dire che eri libera di fare le tue esperienze di viaggio nel mondo... e poi, credevo che saresti tornata qui, e che avresti ripreso la tua vita con più serenità. Non mi sarei aspettata certo di vederti ricomparire a Dale subito... senza più il tuo onore e preda delle stesse frenesie di prima." le rispose, finalmente guardandola. Sembrava indignata. "Come hai potuto?" Ecco qual'era il problema di Yohlande: non sopportava di immaginarla a letto con lui
"Il mio onore è salvo, mamma." disse lei, ma Yohlande scosse la testa. ".... sí, invece! Lui mi vuole bene, mi tratta come fossi una regina, la sua nuova regina." continuò Roswehn.
"Ma non lo sei." disse Yohlande, lapidaria. Roswehn dovette pizzicarsi un fianco per tenere a bada la frustrazione. Non avrebbe vinto con sua madre. Avevano una personalità simile, entrambe volevano avere sempre l'ultima parola. Preferí non proseguire la diatriba, non voleva trascinarsi dietro dei rimorsi una volta lontana. Era decisa a chiedere consiglio a Elrond riguardo alla creatura che aveva in grembo. Da mezz'elfo qual'era, certamente le avrebbe potuto dare suggerimenti opportuni. In quanto a Thranduil, non doveva sapere. Non ancora.
"Va bene, non voglio litigare. Comunque, domani partirò, stasera informerò anche papà. Vado a fare una passeggiata adesso, ho bisogno d'aria." disse brevemente, poi aprí la porta e uscí. Una paesana passò di lí con il suo carretto di verdure e Roswehn notò i suoi occhi scendere verso il suo ventre. Maledetta Violette, poi pensò: non sono un fenomeno da baraccone, accidenti a tutti voi... non vi lascerò guardarmi in quel modo.
Sí, era tempo di tornare dagli Elfi, dove non avrebbe dovuto sopportare né sguardi indagatori, né pettegolezzi. Dove la sua relazione con Thranduil sarebbe stata motivo d'invidia nei suoi confronti, e non di imbarazzo. Dove tutto sarebbe tornato ad avere un senso.

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Capitolo 9
*** Mosche ***


Roswehn era distesa sul letto, in camera sua.
Era mattina, il sole era sorto da appena qualche ora e la luce timida faceva capolino dalle persiane socchiuse. C'era una mosca nella stanza. Volava silenziosa attorno al portacandele appeso al soffitto; la traiettoria che tracciava nell'aria era quadrata. La donna osservava rapita quel volo perfettamente simmetrico: l'insetto cambiava direzione sempre nello stesso, identico punto. Le venne in mente la sua infanzia a Pontelagolungo.
Da bambina, a volte si divertiva a cacciare le mosche con un piccolo battipanni: le osservava fermarsi sui muri delle casette in legno del villaggio, si avvicinava lentamente e le colpiva. Andava sempre a segno. Nella sua caccia all'insetto, le piaceva andare spesso al vecchio casale di Louis Gozel, un anziano pescatore vedovo che, da quando la figlia era andata via di casa, passava tutto il suo tempo a intrecciare contenitori in paglia, che poi vendeva alle donne di Pontelagolungo per qualche moneta di bronzo. L'uomo aveva tutto un campionario di oggetti che a Roswehn piaceva studiare: canne da pesca, arpioni, esche finte a forma di vermetti, retini, strumenti per eviscerare il pesce, vecchi libri su mitologiche creature marine. Louis la lasciava curiosare fra le sue cose, perché Roswehn non lo disturbava, se ne stava lí silenziosa, a parte quando tendeva gli agguati ai mosconi.
Improvvisamente, aveva smesso di andare da lui perché il vecchio, dopo qualche tempo che la bambina frequentava casa sua, aveva iniziato a guardarla in modo strano. I suoi occhi dai bulbi giallognoli sempre più spesso si posavano sulle gambe nude di Roswehn, che d'estate indossava gonne, vestitini e prendisole. Pur giovanissima, lei si era accorta che qualcosa non andava in quello sguardo, e quando lui un giorno le aveva chiesto di seguirlo all'interno della casa, dietro la promessa di una fetta di torta, era fuggita. Aveva visto qualcosa di brutto in quegli occhi, qualcosa di sporco e pericoloso che avrebbe potuto farle male. Molto male.
Quell'istinto formidabile che hanno le donne fin dall'infanzia, di riconoscere i predatori, l'aveva salvata quel giorno. Ma Tilly Conway, altra bambina coetanea di Roswehn, non era stata cosí accorta. Anche Tilly era stata attratta da Gozel in casa sua, ma nella sua ingenuità lo aveva seguito. Ne era uscita devastata mentalmente: quel lurido vecchio raggrinzito si era lasciato andare con lei a ogni sordida depravazione, a parte violentarla nel senso stretto del termine. Una volta che il fatto fu scoperto, perfino Viktor Monrose, che di solito ignorava i problemi cittadini delegando la loro soluzione ad Archie o Alfrid, aveva deciso di alzarsi dalla comoda poltrona del suo Palazzo e prendere l'iniziativa. Non fu nemmeno avviato un processo: Gozel venne rinchiuso nella più buia e fetida cella delle carceri, dove morí dopo un anno per un attacco di cuore. Gli andò perfino bene, considerando che la gente di Pontelagolungo aveva chiesto la sua testa. Alla piccola Tilly, peró, non sarebbe bastata una vita per dimenticare. Roswehn si chiese cosa fosse stato di lei, era da moltissimo tempo che non la vedeva più. Si augurò che avesse almeno trovato la forza di continuare a vivere.

Quell'amaro ricordo ne fece affiorare un altro, come talvolta capita quando si apre quel vecchio armadio polveroso che ognuno ha nella mente, e dal quale fuoriescono d'improvviso frammenti di memoria che si credevano perduti. I conigli di Georg.
Roswehn era solita osservare rapita la loro fine per mano del mandriano, che non potendo tenere buoi sul lago, aveva dato vita ad un piccolo allevamento casalingo: li uccideva e ne vendeva la carne con buon profitto. Le altre bambine di Pontelagolungo portavano insalata e carotine agli animaletti, si affezionavano a loro e poi piangevano quando Georg ne prendeva uno dal recinto per ucciderlo. Lo imploravano sempre di lasciarlo vivo, ma lui dopo un po', spazientito, le cacciava: "Via di qui, sciò! Andate a giocare con le bambole, non con questi animali pulciosi!" Le bimbe scappavano via inorridite dal sangue e da quello che Georg avrebbe fatto dopo, ma Roswehn no. Rimaneva lí ad osservare con attenzione il momento in cui l'uomo tagliava la piccola gola alla creatura scalciante, la lasciava morire dissanguata e poi la spellava. Letteralmente, con un coltello toglieva la pelliccia attento a non rovinarla, perché alcuni artigiani la compravano per farci guanti e cappelli e altri accessori per l'inverno. Il coniglio morto e scorticato rimaneva lí, sul tavolone di legno di Georg, con tutti gli organi interni in bella vista. Roswehn chiedeva sempre di vedere il cuore, il piccolo cuoricino rosso scuro dell'animale.
Georg, notando la sua curiosità, un giorno le aveva detto: "Dovresti partire per Isengard quando sarai grande. Potresti diventare l'assistente di uno Stregone. Sai, sono anche esperti in medicina. Impareresti a curar le malattie, saresti una scienziata o simile." Roswehn ci aveva fantasticato sopra per un bel po', crescendo: non sarebbe stato affatto male come destino. E invece, la vita l'avrebbe portata a diventare l'amante di un Re Elfo e probabile futura madre di un mezzosangue.
Ancora non era sicura se credere o meno alle parole di Babiyar: forse quella megera si era inventata la sua gravidanza per ricattarla, ingolosita da quel tintinnante sacchetto di monete. Cosa c'era da aspettarsi da una persona dall'animo malvagio che aveva scavato una buca profonda un metro e larga cinquanta centimetri per buttarci dentro un neonato che ancora piangeva? Un'altra viscida carogna come Louis Gozel. Era un mistero che Eru riempisse il mondo di personaggi simili. Ah, come le mancavano gli Elfi: a Boscoverde, nel Lòrien e a Rivendell fattacci del genere non sarebbero mai potuti capitare. Cos'avrebbe fatto Thranduil a due laidi individui come quelli? Non avrebbe nemmeno perso tempo a chiuderli nelle sue prigioni, li avrebbe decapitati lui stesso, con la sua spada.

Però, al di là della scarsa fiducia che nutriva per Babiyar e dei dubbi sulle sue parole, non poteva ignorare i segnali che le dava il suo corpo. C'era senz'altro qualcosa che non andava, lo sentiva. L'istinto femminile che l'aveva salvata dalle mani sudicie di Gozel, da bambina, ora le diceva che era incinta. Gravida di una creaturina che avrebbe avuto un futuro difficile, comunque fossero andate le cose: la comunità umana l'avrebbe rifiutata, questo era certo. Gli Elfi di Boscoverde, dal canto loro, l'avrebbero vista come la progenie bastarda del loro re, un elfetto di sangue misto che sarebbe vissuto all'ombra di Legolas, del tutto impossibilitato ad accedere al rango e ai privilegi di Principe, o Principessa. Magari l'avrebbero tenuto a Eryn Galen come parente inopportuno, una presenza molesta che avrebbe imbarazzato il Re e messo in difficoltà il Principe.
Legolas era buono d'animo, Roswehn lo sapeva. Di certo avrebbe amato e protetto il fratello o la sorella, e anche Thranduil avrebbe fatto spazio nel suo cuore per il nuovo arrivo. Ma lui o lei, come si sarebbero sentiti in quella situazione? Un figlio o figlia immortali, sempre avviliti dalla consapevolezza di essere i secondi in ordine di importanza. Davvero un'esistenza meschina. E lei, Roswehn? Cosa sarebbe diventata? La ragazza madre che non sarebbe mai stata moglie, né Signora di nessuno. L'amante ingravidata, portatrice di un erede impuro del sovrano.
Certo, gli Elfi la trattavano con riguardo per paura dell'ira di Thranduil, e anche perché la sua presenza lí a Eryn Galen era stata discreta durante quel mese. In pratica, viveva nelle stanze del Re e ogni tanto si concedeva delle passeggiate nel bosco. Sempre con lui, mai sola. In pubblico, si comportavano quasi come fossero stati buoni amici, anziché innamorati. Thranduil non la teneva mai per mano, né si erano mai scambiati effusioni lontano dalle camere reali.
Vederla a spasso per il regno con il ventre rigonfio avrebbe cambiato un po' le cose. A quel punto, sarebbe stato chiaro cosa facevano lei e il re. E allora, non era possibile immaginare quale sarebbe stata la reazione degli Elfi.
Il problema, comunque, non era tanto Roswehn, ma l'essere che cresceva in lei. Doveva disfarsene, come suggerito dalla strega?
Anche questo le fece tornare in mente un ricordo: il giorno in cui Edith aveva portato un'intera cucciolata di gattini verso la riva del lago, per affogarli. I gatti randagi erano un problema per la comunità: attratti dal pesce, scorrazzavano per i pontili del villaggio, portando con loro anche brutte malattie, come la rabbia. Il metodo più brutale per conterne la proliferazione era ucciderli non appena la madre iniziava a lasciarli incustoditi. Spesso venivano messi tutti in un sacco, nel quale venivano messe anche grosse pietre, e che veniva chiuso con uno spago. Buttando il sacco nel lago, i micini venivano trascinati sul fondale, e annegavano. Roswehn piangeva sempre tutte le sue lacrime quando vedeva scene simili: indifferente, per non dire attratta, dallo smembramento di un coniglio, sentiva il cuore andare in mille pezzi quando venivano uccisi i gatti. Era ben strano.
Comunque, un giorno la fioraia aveva raccolto quattro gattini che la importunavano nel suo roseto, perché giocando rovesciavano i vasi di fiori e combinavano altri piccoli guai: uno era rosso e aveva brillanti occhi verdi come smeraldini. Riuscí a fuggire, saltando fuori dal cesto di canapa in cui Edith li aveva buttati per portarli al lago. Scappò lontano e sopravvisse, nonostante fosse ancora troppo piccolo per cacciare. Si cibava di rifiuti che trovava vicino alle case. Roswehn si era affezionata moltissimo a quel gattino coraggioso, che strenuamente aveva lottato per rimanere in vita. Lo aveva chiamato Emerald.

Pensò a quella bestiola, mentre ragionava sulle sue condizioni, sdraiata sul letto. Aveva sistemato il bagaglio e alle nove del mattino si sarebbe preparata a salutare di nuovo tutti e si sarebbe messa in marcia verso Gran Burrone. Doveva parlare a Elrond, chiedere consiglio all'illuminato Signore di Imladris che già una volta l'aveva salvata da un gigantesco guaio. Per un po', Bilbo Baggins e la faccenda dell'Anello sarebbero stati messi in fondo alla sua lista personale di priorità. Doveva decidere come affrontare la situazione, perché non voleva che la creatura che aveva in grembo facesse la fine di Tilly o dei conigli di Georg o dei fratellini sfortunati di Emerald. Non voleva fosse destinata al sacrificio.
Ma non voleva neanche che trascorresse la sua vita lunghissima in un roteare incessante e senza meta come faceva quella mosca nera.
Si accarezzò il ventre.

Ho fatto tante stupidaggini in vita mia, caro bambino o bambina. Tanti errori che avrei potuto evitare...ma li ho commessi, e indietro non si torna. Ho visto cose orribili e altre bellissime. Ho sognato, e realizzato i miei sogni. Alcuni sí, altri no. Ma su questa faccenda, non sarò io a decidere. Su di te, ascolterò l'opinione di qualcun altro, qualcuno di quasi infallibile. Qualcuno più avveduto di me. Non sarai un errore, te lo giuro.

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Capitolo 10
*** Fra le montagne ***


Thranduil aveva ragione.
Il valico fra le montagne nebbiose era quasi impraticabile, esisteva un sentiero che Feren aveva tracciato sulla sua mappa e che la ragazza avrebbe dovuto seguire, una stretta via piena di massi, sporgenze, e rifiuti di passati viaggiatori. Una volta giunta all'inizio del percorso, aveva spinto Elentàri, la cavalla che le avevano dato a Boscoverde, a tornare indietro perché sicuramente non ce l'avrebbe fatta con la sua mole ad attraversare quel cammino strettissimo e che si affacciava su uno strapiombo. Ma Eléntari non ne aveva voluto sapere, così la ragazza fu costretta a tenerla per le briglie, e a procedere davanti a lei.
"Se cadrai ti lasceró andare, sappilo. Non mi faró trascinare giù con te." le disse. "Feren me l'aveva detto, sei più testarda di un asino!"
Era già stata un'impresa attraversare il fiume Anduin, doveva ringraziare il suo amato per averle fatto trovare una barca con un Elfo soldato ad aspettarla, e che l'aveva trasportata da una riva all'altra. Anche in quel caso, la stazza del cavallo era stata un problema, l'imbarcazione aveva rischiato di rovesciarsi più volte nel tragitto. D'altro canto, così erano i destrieri degli elfi: si affezionavano morbosamente al loro padrone. Ora, doveva capire come far procedere l'animale su quella stradina che nemmeno uno stambecco avrebbe percorso agevolmente.

A metà giornata e dopo spaventi vari, le due erano comunque riuscite ad arrivare nel mezzo delle Montagne, dove la temperatura si abbassó decisamente. Luglio, con la sua calura, aveva fatto sciogliere i ghiacciai, ma la parte più interna della catena montuosa mostrava ancora qualche vetta imbiancata da quel poco di ostinata neve che rimaneva. Roswehn si mise un mantello.
"Mi ammaleró qui... se non finiró prima in quel burrone." D'un tratto, avvertì un suono. Come il verso dell'aquila, ma più lungo, e penetrante. Elentári si spaventó e arretró, tirando le briglie. "Buona, sta' buona. È solo un uccello." le disse per calmarla. Ma il cavallo non si calmó per niente. Inizió a nitrire, e a scuotere la testa per liberarsi dalla presa di Roswehn. "Ma che hai...daro, daro!" le disse in elfico. Daro significava fermati, l'aveva sentito spesso dire dagli Elfi, quando addestravano i puledri. Guardó sopra di lei, per capire da dove venisse quel verso acuto. Non vide niente, nè aquile, nè falchi. Nulla. Scrutó le pareti di roccia e vide una superficie irregolare, qualche grotta, e la fitta foschia che dava il nome alle Montagne Nebbiose. L'attenzione della donna venne attratta da una delle caverne dall'altra parte dello strapiombo: la sua entrata sembrava più ampia delle altre.

La fissó per qualche attimo e vide un movimento, o meglio, vide qualcosa. Qualcosa che la stava osservando. Da quella distanza, scorgeva una forma dai contorni indefiniti, ma ebbe la fortissima impressione che fosse un muso. Sentì un brivido, e si giró di nuovo verso Elentàri, che si agitava terrorizzata. "Cadrai giù, se non la smetti! Sta' buona, ti prego!" la imploró. La cavalla nitrì nuovamente, e Roswehn colse un avvertimento in quel grido. Stai attenta!
Sentì un nuovo rumore. Stavolta, era simile al battito di ali, ma ali gigantesche. Duró solo qualche secondo, Roswehn alzó subito gli occhi, ma in quello spazio non vide niente. Qualunque creatura avesse sorvolato il burrone, se n'era andata. Strattonó di nuovo le redini. "Adesso vedi di muoverti, capito? Non rimarró in questo gelido posto tutto il giorno..." Elentàri, peró, era inchiodata in quel punto e non cedette di un millimetro; continuava a sollevare la grossa testa come a indicarle qualcosa. Roswehn guardó in alto, proprio sopra di loro. La parete di roccia era grigia, con varie screziature azzurrognole dovute ai residui di ghiaccio.

Ma c'era come una macchia nel mezzo, una macchia bianca. La macchia si mosse. All'inizio lentamente, poi con maggior velocità si spostó verso di loro, scendendo in direzione del sentiero. Gli occhi di Roswehn si spalancarono e sentì il cuore perdere un battito. Cercó di guardare oltre la nebbiolina e notó come prima cosa degli artigli: erano delle specie di lunghe dita affusolate, ed erano attaccati a membrane bianche ed enormi. Le ricordarono immense ali di pipistrello. Dalla foschia apparvero due occhi rossi, con fessure sottili al posto delle pupille. Subito pensó agli occhi di un serpente. Vide anche due grandi narici nere, che si aprivano e si chiudevano per fiutare quelle due ospiti inattese. Per fiutare lei. Roswehn urló. L'istinto le disse subito di scappare a gambe levate, ma la logica le ricordó che si trovava su una mulattiera strettissima, dalla quale sarebbe bastato un niente per cadere. E poi, scappare da cosa? Pur avendola solo intravista, la donna ebbe la terribile sensazione che fosse una creatura da cui tentare di fuggire sarebbe stato inutile.
"Il passaggio è stretto, umana. Troppo stretto." sibiló l'essere candido, mentre si avvicinava ancora di più a lei. La ragazza era totalmente indifesa e disarmata. Si era portata appresso solo un piccolo pugnale, con il quale fare a pezzi il pane e la frutta e le vivande che aveva nel bagaglio. Non sapeva maneggiare armi: aveva provato a chiedere a Thranduil almeno di insegnarle a usare la spada, ma il re aveva risposto alla sua richiesta con una risata. "Finiresti per tagliarti un braccio da sola." Le aveva comunque promesso che sarebbe stata addestrata a combattere, prima o poi.
L'essere si riveló alla luce finalmente. Non è possibile, pensó subito lei, quando capì cos'era. Dovrebbero essere tutti estinti.

Un drago.
Un piccolo drago bianco come il latte, con le grandi ali ripiegate dietro il dorso pieno di escrescenze, una lunga coda che subito si attorciglió e che terminava con una punta che sembrava molto pericolosa. Vide nitidamente le scaglie su tutto il corpo, che si schiudevano ad ogni movimento della creatura. Poggió un'ala munita di artiglio sulla stradina, proprio davanti a Roswehn, per chiudere il passaggio. Elentàri s'impennó, spaventata, e le briglie sfuggirono di mano alla donna. Arretró di qualche centimetro, mentre le piccole rocce sull'orlo del burrone iniziarono a franare. "Fermati, ferma!" gridó. "Elentàri!"
La cavalla perse l'equilibrio e i sassi franarono del tutto sotto di lei. Cadde nel burrone lasciandosi dietro un lungo nitrito che si affievolì man mano che l'animale precipitava. Roswehn si tappó le orecchie per non sentire il tonfo, e poi urló di nuovo. "No!"
"Non disperarti. Non sarebbe mai riuscita ad attraversare questo passo. Peró che peccato, stavo quasi per avere carne di cavallo per cena stasera." disse il drago, che aveva allungato il collo flessuoso verso di lei nell'intento di osservarla meglio. "Mi dovró accontentare di carne umana." Aveva una voce suadente. Melodiosa, quasi. Non era la voce cavernosa che si era udita fra le fiamme di Pontelagolungo, quando Smaug aveva deciso di fare un'improvvisata ai pescatori.
Roswehn arretró di colpo e la sua schiena andró a sbattere contro la dura parete dietro di lei. Era atterrita. Il drago inclinó leggermente la testa irta di spine, allo stesso modo dei cani quando sono incuriositi da qualcosa. Poi la grande mandibola si contrasse lasciando scoperta la dentatura impressionante. Roswehn, con un brivido, comprese che l'essere stava ghignando. "Sto solo scherzando, non temere. Non mi piace il sapore degli Uomini. Anzi, diciamo pure che mi fate schifo." le disse, sollevando la testa. Roswehn gli vide come dei rigonfiamenti sotto il collo. Le sue ghiandole piene di combustibile pensó lei, che aveva letto tutto quello che c'era da leggere sui draghi, da cui scaturiscono le fiamme .
"Non uccidermi, ti scongiuro." riuscì solo a mormorare, mentre fissava le iridi rosate della creatura. Il drago aveva due piccole corna sulla sommità del capo, e quattro zampe, esattamente come aveva letto nei suoi libri. Sei, considerando le ali. L'essere spalancó le fauci, a quel punto, e Roswehn si preparó a morire. Come sarebbe stato farsi uccidere da un drago? Immaginó la sua carne strappata a brandelli, un intensissimo dolore e poi il buio. Addio a tutti: a te mamma, a te papà, che non mi hai voluto nemmeno salutare quando son partita, a te Edith, e alla tua linguaccia. Addio, amore mio, che invano mi aspetterai a Boscoverde seduto sul tuo trono. E addio creaturina dentro di me, maschio o femmina che sei, spedito nell'antro di Mandos prima ancora che mi sia concesso di vederti.

Il drago giró il muso verso un'altra parte e sputó un lunghissimo fiotto d'acqua, che subitó si dissolse, trasformandosi in una nube di nevischio. "Gli sputafuoco sono finiti. Siamo rimasti solo noi, ormai." Un drago del ghiaccio, pensò lei, che sentí crescere una timida speranza nel cuore. Erano molto meno aggressivi dei Serpenti del Nord, e molto più curiosi. Vivevano in zone solitarie, lontano dalla vita brulicante di Arda, e forse per questa solitudine, quelle rare volte in cui si imbattevano in un incauto viaggiatore che si trovava a passare per il loro territorio, lo catturavano e lo tormentavano con infinite domande. Uomo, Nano, Elfo o Orco che fosse. Poi, soddisfatti o meno dalle risposte, lo cacciavano via. Più spesso, lo facevano precipitare nei burroni attorno ai quali vivevano.
"Tremi, vedo. È solo il freddo? O ti faccio paura?" iniziò subito a domandare il drago. Roswehn doveva cercare il modo di annoiarlo: se il drago non l'avesse trovata interessante, forse c'era qualche possibilità che l'avrebbe lasciata andare.
"Ho conosciuto un altro della tua specie, prima di te. Uno sputafuoco. Smaug era il suo nome. Sono sopravvissuta per miracolo al suo inferno." si azzardó lei a dire. "Perciò sí, ho paura."
"Smaug!" ringhiò la bestia. "Vagamente offensivo definirlo della mia specie. Un selvaggio e avido assassino, ecco cos'era. Non commettere l'errore di considerare tutti noi allo stesso modo." L'essere guardò il sentiero che Roswehn stava percorrendo. "Questa via è pericolosa per una femmina della tua razza. Dove vai cosí sola?" indagò. "Sto andando a Gran Burrone." rispose lei, secca.
"E cosa c'é a Gran Burrone?" chiese il drago.
"Un grande burrone." rispose Roswehn, intenzionata a non rivelare nulla che potesse stuzzicare la curiosità della creatura.
"Ha! Vedo che hai familiarità con la mia specie. Credi che provare a prendermi in giro ti salverà?" chiese allora l'essere, alzando la testa come impermalosito. "Mi chiedo perché una donna indifesa sia giunta qui, e perché stia rischiando la sua vita, e quella piccola vita dentro di lei..." le disse, portando il muso appuntito all'altezza del suo ventre. "E a proposito... è un maschio."
Roswehn si sentì attraversata da un'emozione fortissima. Come aveva capito che era incinta? Che stupida. Era un Drago: come gli Elfi, anch'essi avevano poteri psichici. Quelli del ghiaccio, particolarmente. Un maschio.
Un piccolo principe, sissignori. Mi sa che dovrai fare i conti con un fratellastro, Legolas, pensò lei.
"Ma questa vita che sta crescendo in te ha qualche cosa di strano, lo avverto... non è figlio di un uomo, vero?" chiese il drago immacolato.
"No." rispose lei. "No. Suo padre è un Elfo."
"Un Elfo," ripetè il drago, mentre Roswehn cominciava a sentirsi ipnotizzata dai suoi occhi rossi. "E come c'é riuscito, un Elfo?" Roswehn tentó di rimanere fredda, almeno quanto la temperatura di quel luogo.
"Questi non sono affari che ti riguardino."
"E ora vai da quelli di Rivendell in cerca di consiglio?" Il drago continuava imperterrito con la sua inquisitoria, mentre Roswehn sbirciava attorno a lei per cercare una potenziale via di fuga. Che non c'era. "O forse, sei venuta qui in cerca di una soluzione." chiese la creatura. La donna non capì.
"Quale soluzione?"
"Faccio io le domande, umana." le sibiló il drago, digrignando i denti. "E credi forse di essere la prima? Credi che io non sappia cosa volete voi mortali, quando vi addentrate nei nostri territori?" Spiegó le enormi ali bianche e si alzó nell'aria. Alla ragazza sembró di essere travolta da una folata di vento improvvisa, si attaccó a una sporgenza per non perdere l'equilibrio. "Vuoi il mio sangue!" gridó la creatura, allontanandosi da lei in volo. Inizió a compiere grotteschi cerchi nell'aria. "Vuoi l'immortalità!" Roswehn osservava il drago librarsi e si ricordó allora dell'antichissima leggenda sul sangue di drago che dava la vita eterna a chi si azzardava a berlo. E anche, che un serpente alato poteva scegliere di donare metà del suo cuore a un'altra creatura, alla quale sarebbe rimasto legato da un vincolo perenne di amicizia e amore. Decise di non mettere alla prova quella leggenda.
"Voglio solo... ti chiedo solo... ti lasciarmi andare. E di lasciarmi viva!" implorò lei, urlando alla creatura in volo. "Non voglio niente da te."
"Lasciarti viva?" rispose il drago, torcendo il collo per guardarla. "Perché tu vada da Elrond e gli dica che uno di noi vive fra queste montagne? Perché mandi una sua legione qui con l'intento di stanarmi e uccidermi, e impossessarsi dei miei tesori?"
I tesori dei draghi consistevano in piccole pietre preziose, che quelle bestie usavano mettersi sotto le scaglie per rendere ancora più impenetrabile e dura la loro corazza. Smaug era entrato di prepotenza ad Erebor anche per quello, la moltitudine di pietre che Thror custodiva era stata un richiamo formidabile. Roswehn immaginó che la grande grotta che aveva visto qualche attimo prima fosse la tana di quel draghetto, ed era presumibile che fosse colma di gemme di ogni sorta. Se re Dàin Piediferro lo avesse saputo, avrebbe trascinato tutte le sue armate naniche fin lì, e in un baleno, per far razzía.
"No! Te lo prometto. Non diró che sei qui...a nessuno!" gridó di nuovo Roswehn."Facciamo un patto: se mi lasci andare, ti porteró dei diamanti! Vengo dal reame di Dale, abbiamo quintali di diamanti nella tesoreria." Provó a contrattare la sua vita. Aveva buona abilità nei mercanteggi. Almeno, con Thranduil le era riuscito. "Io mi chiamo Roswehn Monrose, te lo giuro sul mio nome." Il drago si abbassó in volo verso di lei, e si attaccó a una delle pareti, proprio come un pipistrello.
"Diamanti, ne ho fin troppi. Nome? Non ho alcun nome su cui io possa giurare. Ho invece una proposta per te, umana, su cui tu potrai riflettere: rispondi alle mie domande, e se ciò che dici mi soddisferà, ti lasceró andare. In caso contrario..." si levó di nuovo nell'aria "...potrai riunirti al tuo cavallo, laggiù, e tu e il tuo elfetto cavalcherete di nuovo insieme verso la vita eterna."
Ma perché ogni volta che mi metto in cammino per Rivendell mi capita sempre qualche grana della malora? si chiese la donna. Poi alzó lo sguardo verso il drago. "E va bene, accetto. Ma se avró la meglio, e mi lascerai andare, ti daró io un nome. E te lo terrai fino alla fine dei tuoi giorni." gli propose.
"Affare fatto." accettó il drago. "Allora, mortale ... prima domanda..."

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Capitolo 11
*** Dialoghi nel ghiaccio ***


"...hai mai volato?" chiese il Drago.

Roswehn rispose: "Certo che no."

"Allora preparati a farlo. Questo posto non è adatto per conversare. Dovremo andare nel mio rifugio." disse la bestia, avvicinandosi a lei. "Sali sul mio dorso."

"Non voglio." rispose la donna. Farsi portare  nella tana di una creatura come quella non sarebbe stata esattamente una grande idea.

"Tu credi davvero di poter dire la tua in questa situazione? Sali. Sul. Mio. Dorso." ripetè il Drago, sollevando il cranio biancastro.

"Se proverai a farmi del male, se mi ucciderai, verrà un esercito di Elfi Silvani a darti la caccia. Non si fermeranno finché non ti avranno scovato e ti faranno in mille pezzi. Puoi credermi." inizió a minacciarlo Roswehn, mentre timorosamente provava a salire in groppa all'essere.

"Addirittura? Sei tu la loro regina, forse?" chiese il Drago. "Devi sederti alla base del mie ali. E tieniti salda."

La giovane si sistemò a cavalcioni dell'animale. Si stupí quando afferrò il possente e lunghissimo collo: si era aspettata che la pelle fosse viscida al tatto, invece era asciutta, fredda, e dura. Le sue scaglie sembravano le brattee legnose delle pigne, solo che erano più rigide, e fra di esse Roswehn intravide delle pietruzze. "Che non ti venga in mente di sottrarmi anche solo una minuscola gemma da sotto la pelle. Me ne accorgerei."

L'essere prese il volo e Roswehn cacciò un urlo. Elevarsi dal suolo fu una sensazione straordinaria. Provò a guardare in basso ma la profonda gola rocciosa sotto di lei le diede le vertigini e chiuse gli occhi. Si attaccò ancora più saldamente alle protuberanze sul dorso della bestia.

L'aria diventava sempre più fredda mentre il draghetto saliva in verticale verso la sua grotta e il mantello di Roswehn svolazzava di qua e di là. "Capisci quanto piccole e insignificanti siate voi creature della Terra, rispetto a noi?" chiese lui, "... siamo sempre stati i padroni di questo mondo, fin dalla sua creazione." si vantó, mentre atterrava davanti alla caverna. Roswehn saltó giù con un sospiro di sollievo. Il volo era stato in parte esaltante, in parte terrorizzante.

"Lo eravate. La vostra popolazione si è drasticamente ridotta, mi pare." rispose la ragazza, che nemmeno di fronte a due ganasce di quelle dimensioni rinunciava al sarcasmo.

"Dovrei trasformarti in una statua di ghiaccio solo per quel che hai appena detto... ma ti concedo ancora un po' di tempo. Trovo interessante la tua storia. Una mortale gravida di un elfo, e a quanto pare, piuttosto importante nella comunità di Eryn Galen." disse il Drago, indicandole con il muso l'interno della sua grotta. "Sei la benvenuta, fa' pure come fossi..."

"... a casa tua." finì Roswehn. Aveva già sentito quella frase, solo che la prima volta era stato un Elfo affascinante di Lórien ad accoglierla nella sua bellissima abitazione sugli alberi, una casa tutta fatta in resina, non un lucertolone che viveva in un oscuro pertugio probabilmente pieno di scheletri di animali o, Eru non volesse, di uomini.

Roswehn entró nella caverna e vide pareti nere, piccole stalattiti che scendevano dal soffitto, e ghiaccio. Un ghiaccio che era resistito all'estate torrida che imperversava di fuori. Camminó sul pavimento che sembrava fatto di ghiaia, i suoi piedi calpestavano come dei sassolini, sparsi un po' ovunque. Guardó meglio e notó che erano gemme preziose, non sassi. Ne raccolse una manciata e le osservó: le venne quasi un mancamento quando realizzó che si trattava di piccoli rubini, smeraldi, zaffiri, diamanti anche. Poi vide anche quarzi, ematiti, turchesi, lapislazzuli e gemme meno nobili, mischiate tutte insieme. Quelle poche che le erano rimaste in mano da sole valevano una fortuna.

"Guardale, guardale bene...e dimenticale." ghignó il Drago. Roswehn si giró stizzita. "Non sono una ladra."

"Lo capiró a breve, cosa sei." rispose la creatura, accucciandosi su quel letto di pietre colorate. Posó la coda attorno ai suoi piedi. "Siediti pure su di essa, sarai più comoda...mentre parliamo."

Roswehn si accovacció sull'estremità del Drago, un po' a disagio. Provó a non mostrarsi impaurita.
"Questa è senza dubbio la casa più ricca in cui sia mai entrata. Mai visto un tesoro più grande." esordì. "Ci sarà voluta un'eternità per metterlo insieme."

"Ogni singola pietra che vedi qui proviene da un reame. Davvero sbalorditiva la facilità con cui i sovrani di ogni razza aprano i loro scrigni dietro la minaccia di trasformare i loro territori in sterminati ghiacciai." spiegó il Drago.

"Quindi anche tu, come Smaug, ti sei impossessato con la forza di questa ricchezza." disse Roswehn, squadrandolo.

"No. Lui ha ucciso indiscriminatamente  per farlo. Io ho sempre offerto una scelta: o le gemme o la vita. Non ho invaso territori, nè rovinato un'intera popolazione come successo ai Nani di Erebor, nè distrutto un villaggio di mortali per vendetta. Ho solo chiesto qualche insignificante pietra. Nessun morto pesa sulla mia coscienza... tranne naturalmente quelli che se la sono cercata."  disse il Drago, alzando la punta affilata della coda e portandola sotto il mento di Roswehn. La obbligó ad alzare  il viso.

"Veniamo a te, piuttosto. Allora, chi è l'ingravidatore?" volle sapere. "E non ti azzardare a dirmi che non sono affari miei, o finirai nel gruppo di quelli che se la sono cercata."

Roswehn fu costretta a rispondere. "È il Re di Boscoverde. Thranduil."

La creatura spalancó gli occhi da rettile. "Il presuntuoso, intollerante, altero figlio di Oropher?" sembrava sbalordito. "Ma quel tizio non ha già una moglie e un figlio?"

"Quel tizio ha perso la sua regina secoli fa. Fu uccisa dagli Orchi. Suo figlio invece è vivo. Ora è tornato da lui dopo aver girato la Terra di Mezzo per un anno." raccontó Roswehn, sempre più a disagio. Immaginó quale sarebbe stata la domanda seguente.

"Tu sei la nuova consorte? Ah già... dimenticavo che gli Elfi non si sposano due volte..." sorrise di nuovo mostrando le zanne terribili. "Sei dunque una..."

"...sono il suo nuovo amore." finì lei. Farsi dare della donnaccia perfino da un Drago era troppo.

"Amore." disse la bestia. "Questa parola è abusata tanto quanto morte. Per quello che mi riguarda, non credo né all'esistenza di uno né dell'altra."

"Non credi che esista la morte? Ma è un fatto innegabile. Tutti moriremo." ribattè lei.

"Tranne gli Elfi. Tranne Thranduil e il tuo figliolo. Dimmi, futura mamma, come ti sentirai quando il frutto della vostra passione crescerà e ti chiederà come mai non potrà essere principe?" chiese la creatura, abbassando la coda. "Quale sarà la tua risposta di fronte ai suoi occhi confusi?"

Roswehn sentì di nuovo un pugno allo stomaco. La sua coscienza che si faceva risentire con prepotenza. "Gli diró che io e suo padre ci siamo amati molto. Ci siamo amati per tutto il tempo che c'è stato concesso, e che lui è figlio di questo amore." rispose.

"Ti prego non continuare, mi si spezza il cuore." la irrise il Drago. "E dov'è quell'altro?"

Roswehn lo guardó confusa. Non capiva. "Chi?"

"Quello di Lórien." chiarì lui.

La donna immaginó che doveva averle letto nella mente mentre pensava ad Haldir. "È nel Lórien, appunto. Dove deve stare."

"Tu ci pensi ancora, vero? Ti torna in mente ogni tanto." insisté la creatura. "Per questo stai scappando da Eryn Galen."

Roswehn si alzó di scatto. "Non sto scappando da nessun posto! Sto andando a Imladris per parlare con Elrond, e poi andró nella Contea degli Hobbit, dove devo cercare...un'altra persona e poi torneró a Boscoverde."

"Cosa vuoi chiedere al Signore di Rivendell? Gli vuoi forse domandare cosa sia opportuno fare con la creatura dentro di te?" continuó il Drago. "E rimettiti a sedere."

"Lui è un mezz'elfo, mi spiegherà come si vive su questa Terra, quando si appartiene contemporaneamente a due mondi. Questo voglio sapere. Gli voglio chiedere che tipo di esistenza avrà mio figlio." rispose Roswehn, accomodandosi di nuovo sulla coda spinosa del Drago. Doveva stare attenta che una di quelle escrescenze non le si conficasse in un rene per sbaglio. "A cosa andrà incontro."
Il mostro rimase in silenzio per qualche attimo, stava valutando le sue risposte.

"Perchè ti sei innamorata di Thranduil Oropherion? Cosa ha fatto per conquistarti?" chiese improvvisamente. "Oh, non metto in dubbio che sia pieno di fascino, come solo i Sindar possono essere... ma quali sue azioni verso di te hanno fatto volare il tuo cuore da lui dritto come un fuso?"

Roswehn aprì la bocca per rispondere, ma si accorse di non avere una risposta da mettere subito sul piatto.

"Si è spinto fino al tuo reame, a Dale, per cercarti? O sei andata tu da lui?" chiese.

"Sono andata io a Boscoverde." rispose lei.

"Ti ha salvato la vita, una volta o più volte?" domandó ancora la creatura. La ragazza ebbe l'impressione che le domande vere fossero appena cominciate.

"No. Mai." rispose.

"Ti ha aiutata, sostenuta, rinfrancata nei momenti di sconforto?" chiese ancora il Drago.

"Sí, da quando vivo con lui, vedendomi triste qualche volta, mi ha..." iniziò a dire, ma lui la interruppe.

"Intendo dire, prima che la vostra unione iniziasse." aggiunse.

"...no." rispose lei.

"È venuto da te, sapendo che eri in pericolo, o che stavi vivendo qualche difficile situazione?" continuó il Drago. Roswehn pensò ad Arnor, a Morgoth, al rapimento degli Haradrim, allo spirito di Regan. Pensò alle tre persone che l'avevano liberata da quell'incubo: Gandalf, Elrond e Haldir. Thranduil non aveva voluto partecipare alle ricerche.

"No." rispose, con la voce un po' tremolante. Iniziava a non sentirsi bene.

"Si è mai preso cura di te, di persona? E rammenta, mi sto riferendo a quando ancora non stavate insieme come amanti." il Drago sembrava risoluto nel voler affondare il coltello nel punto segreto della coscienza di Roswehn, dove faceva più male. Quella serie di domande retoriche conducevano verso un'unica conclusione.

"No." rispose ancora.

"Eppure, c'é stato qualcuno che ha fatto tutte queste cose per te. E tu sai che era lui il più meritevole del tuo amore. Hai scelto il grande Re mossa da una passione superficiale. Ma tu, di ció che voi chiamate il vero amore, non sai ancora niente. L'avresti potuto scoprire, ma gli hai chiuso la porta in faccia, povero elfetto di Lórien. Ed ora stai andando a Rivendell, perché speri che Elrond ti dica quello che vuoi sentire, cioé  che devi rinunciare al figlio dentro di te. Perché se lo decidesse Elrond, il saggio, illuminato Elrond, sarebbe più facile per te da accettare, la tua coscienza sarebbe messa a tacere. Tu non vai da lui per avere informazioni su come crescere un mezzosangue...ma per avere il suo permesso di eliminarlo. Non è vero?" chiese la bestia. "Il piccolo elfo che cresce in te... non è figlio dell'amore."

"Non lo so." rispose Roswehn, guardando a terra. Si portó le mani alle orecchie. "Non voglio continuare, smetti!"

"Grazie, umana. Grazie, per esserti aperta a me." le disse il Drago. "Ti sei guadagnata la continuazione della tua vita."

Roswehn lo guardó con gli occhi lucidi. "Mi lasci viva?" chiese.

"Sì. Onestamente, mi fai pena. E guarda, ti regalo questo..." si alzó da terra e dal suo petto, da sotto una delle scaglie, cadde un rubino grande quanto una susina. "Non è metà del mio cuore, ma fa' conto che lo sia. Non ti offro la mia amicizia, ma di certo hai la mia solidarietà."

Roswehn raccolse la gemma preziosa. 
"E che mi dici del sangue di Drago che darebbe l'immortalità?" domandó lei.

"Se vuoi te ne offro un assaggio. Ma ti farebbe venire solo un gran mal di stomaco. Non credere a tutte le storie che senti su di noi. La metà sono fandonie." ribatté il mostro alato.

"Tu non ucciderai tuo figlio. Elrond non ti darà mai un consiglio simile, e lo sai. Nascerà, e forse non sarà mai un Re, ma di certo sarà un guerriero. Fa' incastonare quel rubino nella sua futura spada, come portafortuna. E, una volta cresciuto, raccontagli che ha la benevolenza di un Drago." le disse. "Ma avvertilo di questo: farà una gran brutta fine se mi verrà a cercare per il mio tesoro. Ho risparmiato la madre, ma non sarò cosí misericordioso anche con il figlio, se si mostrerà ostile."

"Su questo ci puoi giurare." gli promise Roswehn.

Il Drago la fece nuovamente salire in groppa e la portò in volo fino all'uscita delle Montagne Nebbiose, dove iniziava la grande pianura che in tre giorni di cammino l'avrebbe condotta a Rivendell.

Giunti a terra, Roswehn saltò giù e si allontanò subito dalla creatura, che continuava a farle paura nonostante si fosse rabbonito verso di lei. O impietosito.

"Non hai più un cavallo, dovrai faticare per raggiungere Imladris. Ti porterei fin lí su di me, ma ho come l'idea che Elrond e i suoi Elfi accoglierebbero il mio arrivo con un po' di nervosismo. Non voglio fare la fine di Smaug." le disse.

"Sono abituata alle lunghe camminate, ce la farò. Solo, mi urta di aver perso anche il mio bagaglio. Elentàri si è trascinata giù tutto con lei nel burrone." rispose Roswehn. "Addio, mi scuserai se non mi intrattengo ancora con te." disse lei e velocemente iniziò il cammino, prima che il Drago si ricordasse di essere un drago.

"Avevi detto che mi avresti dato un nome." le rammentó. Roswehn si fermò e si girò a guardarlo. "Già. È vero."

Tornò indietro di qualche passo. "Ti chiamerai Oropher." lo battezzò. "Il nome del padre di Thranduil. Devi esserne fiero. È il nome di un Re."

Il Drago emise un verso che sembrava una risata. "E sia. Non credo però che Thranduil, il cui volto fu sfigurato dalle fiamme di Dologon il Grigio, sarebbe felice di sapere che un maledetto serpente alato porta il nome di suo padre." 

"Ma ti sta a pennello. E sai un'altra cosa? Credo di aver anche scelto il nome per mio figlio." annunciò lei.

"Magnifico. Buona fortuna e buona vita, Roswehn di Mirkwood. E a mai più rivederci." detto ció, Oropher il Drago bianco s'involò di nuovo.

Lei invece rimase sola, sotto il sole rosso del tramonto.

"Allora, Haldir. La strada è ancora lunga fino a Gran Burrone. E siamo io e te, adesso. Coraggio."

S'incamminò.

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Capitolo 12
*** Lindir ***


Roswehn dormì all'addiaccio per due notti, trovando provvidenziale riparo la prima sera in una vecchia tana abbandonata, la seconda sotto l'enorme tronco divelto di un castagno abbattuto da un temporale. Quest'ultima esperienza fu particolarmente sgradevole perché nel legno marcito avevano trovato rifugio anche svariate famigliole di animaletti.

Il mattino seguente Roswehn si era svegliata con il viso pieno di puntini rossastri, probabili morsi di chissà cosa, e si era trovata un millepiedi in tasca.

Saltó in piedi disgustata e furiosa. "Brutti esseri schifosi che non siete altro!" gridó, schiaffeggiandosi la faccia per togliersi qualche formica che si stava divertendo a passeggiarle sulle guance. "Come fanno gli Elfi a dire che ogni vita è sacra? Vi sterminerei tutti!"

La prospettiva di entrare a Imladris, peró, riuscì a riportarle il buonumore. Era davvero vicina, ora. Ci volle tutta la mattinata perché riuscisse a vedere in lontananza una delle belle abitazioni degli Elfi, e dopo mezzodí si trovó finalmente davanti al grande burrone sopra al quale era stata costruita l'eterna città elfica.

Si preparó ad entrare nel territorio di Rivendell. Era più che certa che gli Elfi si sarebbero spaventati vedendola: dopo tre giorni spesi a vagare come una raminga, portando sempre gli stessi abiti ormai sporchi e rovinati dal suo passaggio in una zona piena di rovi, aveva l'aspetto di una vera selvaggia.

Varcò la soglia. 
Gli Elfi di guardia le si avvicinarono subito. Uno dei due, senza nemmeno chiederle il nome, prese un piccolo corno che teneva appeso in vita e lo suonò. Il segnale che era appena arrivato un visitatore.

"Sono Roswehn Monrose. Vengo da Dale, lord Elrond mi conosce bene." iniziò la solita litanía di presentazione, che al suo ingresso a Boscoverde, tre mesi prima, a ben poco le era servita. I due non risposero, si limitarono a squadrarla dall'alto in basso.

Dopo qualche minuto, vide un Elfo vestito di viola con un lungo mantello color vinaccia che gli ricadeva elegantemente sulla schiena, discendere le scale di quella che sembrava una grande casa. Lunghi capelli castani gli incorniciavano il viso. Era carino.

Il consigliere di Elrond, indovinò lei. "Salve, Lindir di Imladris."

"Ti attendevamo da tempo." esordí l'Elfo sorridendo amichevolmente, e si portó una mano al cuore, per salutarla.
"Lord Elrond mi aveva preannunciato il tuo arrivo già nel mese di maggio. Ho saputo quel che ti è capitato." disse Lindir, in un'espressione fattasi subito seria. "La tua disavventura ad Arnor e il... resto. Stai meglio, ora?"

"Sì, ringraziando Eru. É stato orribile, ma sto cercando di dimenticare." rispose lei, scostandosi una ciocca dal viso. Era scarmigliata e in disordine. "Mi dispiace per il mio aspetto... ho camminato per tre giorni fin qui."

"... a piedi fin da Esgaroth?" Lindir si stupì. "Dov'è il tuo cavallo?"

"La mia cavalla è precipitata nei burroni delle Montagne Nebbiose. Ho commesso l'errore di portarla su un sentiero troppo stretto. È scivolata giù, con tutte le mie proprietà. Non ho più bagaglio, e saró costretta a chiedervi vestiti e calzature. Ciò che indosso è ridotto male, come vedete. Sono desolata di arrecarvi disturbo." si scusó Roswehn. Povera Eléntari. Si immaginò il suo possente corpo spiaccicato sul fondo di quell'orrido oscuro.

"Ma certo, non devi nemmeno chiedere!" l'accolse Lindir. "Ti daremo ciò che ti serve per riprenderti."

"Finalmente Imladris ti abbraccia, Roswehn di Dale. Credevo non avrei mai avuto il piacere di ospitarti." disse Elrond, apparendo dietro Lindir all'inizio della scalinata in pietra. "Ti rivedo in un luogo più luminoso di quello in cui ti lasciai." Le regalò subito uno di quei sorrisi caldi e rassicuranti che le erano mancati.

"Lord Elrond!" esultò lei, alla vista dell'individuo con cui più di ogni altro aveva bisogno di parlare. "Non riesco a dirvi quanto sia felice di..." non riuscí a finire la frase, perché un improvviso capogiro dovuto alla stanchezza, alla fame e alle sue condizioni la fecero barcollare vistosamente.

"Presto, portatela in una delle nostre stanze! E offritele del cibo, e acqua." ordinò il Lord. 
"Lindir, occupati di lei. E tu, Roswehn, sei al sicuro, ora...non preoccuparti, avremo tutto il tempo per parlare. Ora riposa. Dal tuo viso, vedo che ne hai bisogno."

Il fido aiutante di Elrond la fece sorreggere dalle due guardie e le fece strada verso la meravigliosa camera che l'avrebbe ospitata nei giorni seguenti. Era grande, spaziosa e molto areata; uno straordinario letto riempiva quasi tutto l'ambiente, sulla sua spalliera era stata intagliata una figura femminile, con le braccia aperte come se stesse accogliendo l'addormentato nell' abbraccio del sonno. Anche in quella stanza, come nel Lòrien, non c'erano porte: l'ambiente era completamente aperto. Chiunque avrebbe potuto entrare di notte, ma Roswehn immaginò che la perfetta armonia che regnava in quel posto, come in tutti i territori elfici che aveva visitato, non rendesse necessaria alcuna protezione.

Nessuno avrebbe fatto del male a nessuno, lí.

 🌹🌹🌹

"Saremo a tua disposizione, se avrai bisogno di qualcosa. Basta che chiamerai il mio nome, e uno di noi verrà ad assisterti." le spiegò Lindir, camminando attorno al letto su cui la ragazza si era coricata. Continuò illustrandole la struttura di Rivendell, indicandole i luoghi dove lavarsi, dove consumare i pasti, e dove non andare mai.

Mentre l'Elfo parlava, Roswehn ripensò a una discussione che aveva avuto con Thranduil riguardo a Imladris e ai suoi abitanti. Al Re non era piaciuto troppo quel luogo, e aveva espresso giudizi poco lusinghieri specie su Lindir. Lo aveva definito un probabile sodomita e Roswehn si era stupita che anche gli Elfi contemplassero nella loro cultura il concetto di omosessualità.  Gli aveva chiesto se a Boscoverde, fra i suoi sudditi, esistessero soggetti con tendenze di quel tipo, ma lui aveva glissato: "Non lo so, ma immagino di sí. Ad ogni modo, non é cosa che mi riguardi."

Lindir era l'equivalente di Haldir nel Lòrien e di Feren a Boscoverde: un fidato braccio destro, un punto di riferimento per il Signore che governava gli abitanti di quel territorio, una specie di coordinatore della comunità. Pensò anche che, al di là delle allusioni del suo amato, Lindir fosse molto attraente.

Sapeva poco di lui, solo che era un buon guerriero, con spiccate doti musicali e grande capacità nella mediazione. Per questo Elrond preferiva tenerlo accanto a sé, anziché assegnarlo a qualche legione: gli serviva un consigliere, e Lindir aveva raziocinio e temperanza. Doti molto preziose a quei tempi.

"Perché non rimani un po' con me?" gli propose Roswehn.

Lindir la guardò, sorpreso dalla richiesta. "Altre incombenze mi attendono." poi si avviò verso l'uscita del piccolo padiglione. "È necessario che torni in forze. Quando starai meglio, Lord Elrond ti riceverà. Immagino tu voglia parlare a lungo con lui." e se ne andò.

No, pensò lei, é necessario che tu ti dia una calmata, Roswehn cara. Non dimenticare che sei incinta. Non dimenticare che c'è un bellissimo Elfo che ti aspetta a diverse miglia da qui, un vero Re del giorno e della notte e che, guarda caso, é il padre di tuo figlio. Non dimenticare che se per caso ti venisse il capriccio di tradirlo non la prenderebbe affatto bene. E non dimenticare che nel Lòrien ce n'è un altro che molto probabilmente sospira ancora dietro al tuo ricordo.

Poi rise. Elvellyn. Amante degli elfi. Haldir ci aveva visto giusto nel darle quel soprannome. Osservò la spilla a forma di foglia che il suo amico le aveva regalato e che portava sempre attaccata ai suoi abiti come portafortuna. Sono nata nella parte sbagliata di Arda, mi sa.

 🌹🌹🌹

"Devo ammettere di aver avuto dei rimorsi, dopo la mia partenza da Boscoverde. Forse avrei dovuto rimanere con te, come fece Haldir, e sincerarmi che tu stessi bene prima di andarmene." le disse Elrond.

Entrambi sedevano al tavolo rotondo preparato per il banchetto serale. Lindir era in piedi accanto al suo signore, e avidamente ascoltava la conversazione. Era incuriosito dalla mortale che era stata posseduta da uno spirito antico, aveva incontrato, parlato e sfidato Morgoth in persona, aveva attratto l'interesse di re Thranduil di Eryn Galen fino ad averlo addirittura spinto a Imladris per cercarla, una cosa inimmaginabile fino a quel giorno. Senza contare che era riuscita in meno di una giornata ad attraversare le Montagne Nebbiose da sola, e normalmente ci sarebbero voluti cinque giorni.  Quando Eru aveva distribuito la predisposizione a cacciarsi in situazioni assurde, quella donna doveva essere stata in prima fila.

"Sei tornata a Dale, hai detto. Vieni da lì. Dunque la tua permanenza a Boscoverde è durata poco. Thranduil non ti ha trattenuta?" chiese Elrond, che si era accorto subito dell'interesse del Re per la ragazza e l'aveva incoraggiato ad aprirsi a lei.

"In realtà sono rimasta da loro un mese e... sì, è stato Thranduil a chiedermi di restare. Siamo legati, ora." confessó Roswehn.

Lindir e Elrond si guardarono meravigliati. Poi Elrond si lasció andare a una breve risata. "Stupefacente! Allora ha messo da parte il suo orgoglio? Questa sì che è un'impresa, figlia di Monrose." si complimentó. "Non voglio chiederti quali arti tu abbia usato..."

"La cosa ha colto di sorpresa anche me. Credevo mi considerasse un fastidioso grattacapo. Invece, i suoi pensieri per me erano più teneri di quanto non mostrasse." riveló lei, arrossendo lievemente. Doveva annunciare a Elrond la sua gravidanza, ma la presenza di Lindir la bloccava. Il Signore di Rivendell sembró capire.

"Lindir, ti prego, controlla che i lumi attorno alla camera di Roswehn siano tutti accesi. La nostra ospite umana teme il buio." disse.

"Temo i fantasmi che il buio porta con sé. Gli incubi, i ricordi..." aggiunse la ragazza.

Lindir annuì rispettoso e si allontanó.

"Allora...cosa c'é? Tu e tuo padre avete una cosa in comune: dovete farvi strappare di bocca le verità. Siete restii alle confessioni." la provocó bonariamente Elrond, prendendo una mela e iniziando a tagliuzzarla.

"Sono incinta." disse Roswehn di getto. Fu come levarsi un macigno da sopra il cuore.

A Elrond scappó di mano il frutto. Era esterrefatto... ma poi il suo viso cambió espressione, mostrando dapprima incredulità, poi comprensione, infine gioia. 
"È una cosa meravigliosa, Roswehn! Sono felice per te. Hai la mia benedizione. Una nuova vita in arrivo è sempre una grande notizia." si congratuló. La giovane sentì l'emozione salirle fino in gola. Elrond era il primo ad aver appreso la lieta novella dopo quella megera di Babiyar e dopo un Drago... ed era il primo a felicitarsi.

Poi chiese: "E lui... come ha reagito?"

"Ancora non sa." rispose lei.

"Cosa?! Ma Thranduil deve sapere... è suo figlio, immagino." chiese.

Roswehn lo squadró un po' offesa. "Certo. Di chi sennó? Per chi mi avete presa?"

"Scusami... hai ragione. Mi sono espresso male." sorrise Elrond, imbarazzato. "Perchè glielo tieni nascosto?"

"L'ho saputo dopo il mio ritorno a Dale. Mi è stato detto da una levatrice... una carogna senz'anima né onore... e sono qui per chiedervi consiglio. Siete un mezzosangue, forse potete dirmi come allevare un piccolo che non avrà mai alcun riconoscimento come uomo o come elfo, un ibrido...e vorrei anche chiedervi ... se è giusto farlo nascere, considerata l'intera faccenda." si sfogó Roswehn.

"Quale faccenda?" volle sapere Elrond.

"La mia condizione di... di... amante. Non sono e non sarò mai sua moglie, lo sapete bene. Temo di condannare me e mio figlio a una vita di umiliazioni. Potete capire cosa intendo?" chiese lei, angustiata.

Elrond rifletté qualche attimo. "Sí...sí capisco. Ma lui è suo padre, e deve sapere.  Cosa sceglierà di fare dopo, è al di fuori della nostra conoscenza. Tenervi con sé o ripudiarvi, è una scelta che spetta a lui. In quanto alla domanda che mi hai fatto, il tuo piccolo mezz'elfo non avrà una vita meno piacevole o gioiosa di una qualsiasi altra creatura. Siamo tutti uguali sotto questo cielo, cara Roswehn, te lo dice uno che ha visto e vissuto due mondi e da ognuno di essi ha tratto il meglio. Ciò che lo renderà speciale rispetto ad altri, sarà la facoltà di scegliere se vivere come Elfo o come Uomo, una vita immortale o mortale... ma questo, se ci pensi, è un grandissimo dono. Ne sarà felice, quando capirà. E ti sarà grato." 

La spiegazione di Elrond calmó un poco le ansie di Roswehn, come si era immaginata. Lui e Galadriel erano due straordinarie rocce alle quali aggrapparsi nella tempesta, due punti fermi: i millenni passati su quella Terra li avevano trasformati in immense fonti di sapienza e saggezza.  Anche Thranduil camminava da seimila anni sui verdi territori di Arda, ma era rimasto irragionevole, impulsivo, ostinato... cinico quasi.  E al di là  delle convinzioni di Elrond, la ragazza provava un vago timore all'idea di comunicargli la nuova, incombente paternità.

"Dove vuoi andare dopo il tuo soggiorno qui?" le domandó Elrond, riportandola alla realtà.

"Pensavo di proseguire verso il villaggio di Brèa, e poi far visita agli Hobbit. Uno di loro forse sa qualcosa di importante su una cosa estremamente importante." riveló Roswehn, decisa comunque a non dire a Elrond dell'Anello e dei sospetti di Thranduil e Legolas. Non voleva metterlo in allarme inutilmente prima che quelle supposizioni non avessero trovato conferma nella realtà.

"Cosa? Puoi dirmelo?" chiese comunque lui.

"Non adesso. Ma non appena avró le idee più chiare, sarete il primo a cui diró tutto. Ve lo giuro." promise Roswehn.

Elrond la contempló in silenzio per qualche attimo. Poi si arrese. "E va bene. Ti auguro la buonanotte, Roswehn. Domani visiterai Rivendell... Lindir sarà felice di starti accanto. E anche tu, credo." le disse, alzandosi per accompagnarla cavallerescamente alla sua stanza. "A proposito, sarei dispiaciuto se Thranduil venisse qui a uccidere il mio consigliere, perció... mi capisci?"

Roswehn rise di gusto.

Giunti all'ingresso di quella camera senza porte, le diede un bacio sulla fronte. "Coraggiosa ragazza. Tuo figlio è fortunato."

Dopo che Roswehn fu entrata,  Elrond guardó la luna.

Thranduil. Ti avevo consigliato di aprirle il tuo cuore, ma forse ho sbagliato. Ora conoscerai la perdita, per la seconda volta. I Valar aiutino te e lei.

 

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Capitolo 13
*** Stella del Vespro ***


"Sì, capisco quello che vuoi dire, ma se anche avessi provato ad attraversare il Guado del Bruinen a piedi sarei probabilmente finita in una delle sue rapide." obiettó Roswehn, mentre con Lindir passeggiava su un ponte da cui si godeva il panorama mozzafiato di Imladris.

L'Elfo non si capacitava di come la donna fosse riuscita a superare la grande catena montuosa in così poco tempo. Le stava dicendo che esistevano passaggi più agevoli per arrivare a Rivendell, uno di questi era rappresentato appunto dal fiume Bruinen, accanto al quale s'inerpicava un sentiero che conduceva esattamente al centro del piccolo regno di Elrond. Lo stesso fiume che sessant'anni più tardi Arwen Undómiel avrebbe attraversato con Frodo Baggins moribondo in groppa al suo cavallo, e che avrebbe travolto i Nazgûl senza pietà.

"Poi, io non ho fortuna con i fiumi: vi ho detto cosa mi capitó quando provai ad attraversare l'Anduin la prima volta..." continuó la donna.

"L'Anduin è molto più grande del Bruinen, e la sua corrente è tre volte più forte... così fu Haldir a trovarti? E per favore, dammi del tu. Io non sono Elrond, non mi devi alcun ossequio." le disse Lindir, con un sorriso grazioso.

"In verità fu suo fratello Orophin a scorgermi mentre galleggiavo trascinata dall'acqua... ma Haldir mi soccorse e mi prestò le prime cure, sì." rispose, mentre le affiorava alla mente il ricordo del biondo Guardiano di Lórien chinato su di lei.

"Ti piace Gran Burrone?" le chiese Lindir. "Sai, è una specie di piccola Valinor. Un Reame Beato in scala ridotta. Noi amiamo immaginare che dopo la morte continueremo a vivere in un posto così." raccontó. "Quei magnifici alberi, ad esempio, ricordano i Due Alberi che troneggiano all'entrata del nostro aldilà, e quelle cascate..."

Lindir seguitava a rimarcare le meraviglie di Imladris, mentre Roswehn era più che altro concentrata ad ammirare il suo bel profilo. Le piaceva anche il suo modo di descrivere le cose, le parole che usava; il suo eloquio era raffinato e coinvolgente, e Roswehn se lo immaginó nei panni di un maestro. Sarebbe stato un educatore favoloso.

"... perció molti Uomini e Hobbit ci chiedono di trascorrere qui gli anni della loro vecchiaia. Un po' di serenità prima della pace eterna." concluse Lindir.
Poi la guardó. "Il tuo aspetto mi sembra migliorato. Sono felice che la notte ti abbia riportato in forma."

"Beh ho dormito molte ore, il silenzio notturno di questo posto mi ha aiutata . A Dale vengo sempre svegliata dai rumori della gente sulla strada: nel mio reame i contadini si destano all'alba per andar nei campi, e si trascinano dietro carri dalle ruote di legno che sui ciottoli dei viali fanno un baccano insopportabile..." spiegó Roswehn.

"Non ho mai visitato un territorio popolato da mortali." riveló Lindir.

"E ti piacerebbe?" chiese lei.

"Penso di sí. Gli umani sono affascinanti: c'è molto che vorrei condividere con voi. Tanto da impare, anche." rifletté.

Come no. Sono sicura che se tu venissi a Dale troveresti una miriade di ragazze disposte a condividere un po' della nostra cultura con te, pensó lei, augurandosi che Lindir non fosse uno di quegli Elfi che leggevano nella mente altrui.

"Elrond dice che vuoi andare a far visita agli Hobbit. Sono molto riservati, sai? Non accolgono con piacere gli intrusi." le disse.

"Quei piccoletti non mi fanno certo paura... non dopo quello che ho passato... Eru è testimone, ho affrontato perfino un Dr..." stava per parlare di Oropher il draghetto sputaghiaccio, ma si ricordó della promessa fattagli: non diró a nessuno che sei qui. E Roswehn Monrose poteva anche essere una squinternata con strane maníe verso gli Elfi, ma non era un'infame. Una promessa è una promessa, così diceva la regola del vivere civile.

"... un cosa?" indagò Lindir.

"... un dolore. Ho affrontato un gran dolore a Fornost e ne sono uscita. Ora più niente mi spaventa." disse mentendo.

Lindir annuí. "Sí, Elrond mi ha raccontato. Una cosa sconvolgente, lo so. Hai il mio rispetto per averla superata."
Roswehn gli lanciò uno sguardo pieno di gratitudine ... e di qualcos'altro. Lindir sembró accorgersene e distolse subito l'attenzione da lei.

Si avviarono insieme verso la casa del Lord di Gran Burrone.

"Porti nel grembo il figlio di Thranduil", disse l'Elfo all'improvviso. "Ho saputo anche che hai molti dubbi sulla vostra unione."

"Alla faccia della discrezione di Elrond...che altro ti ha detto?" disse lei innervosita.

"Ho molta considerazione per il Re di Eryn Galen", replicò Lindir, guardando altrove.
"...perdona la franchezza...ma credo che, dei due, dovrebbe essere Thranduil a farsi qualche domanda sul vostro rapporto..."

"Che vuoi dire?" rispose lei, allibita. Si fermò in mezzo al sentiero, mentre due Elfi che passavano di lí si girarono a guardarli incuriositi.

"Immagino che il concetto di relazione per voi umani sia diverso dal nostro, forse ha confini meno rigidi. Ma stai per diventare madre di un erede a uno dei troni più importanti di Arda. Non puoi dimenticarlo." le disse ancora Lindir.

"Ti sbagli. Mio figlio non vanterà alcun diritto di successione. E non capisco di che parli..." ribatté lei, sapendo invece di essere stata colta in flagrante. Lindir le piaceva, era evidente perfino a un sasso.

"Diritto di successione è una formula che non esiste dagli Elfi. L'aristocrazia elfica non è come quella umana. Per noi, conta il nostro sangue, un figlio di Re è sempre un figlio di Re." spiegò Lindir. "E sua madre, chiunque sia, deve essere all'altezza del ruolo."

"Mi stai dicendo che...in me vedi qualcosa che non va?" chiese lei.

"Non in te. Nei tuoi comportamenti. Conosco quello sguardo, Roswehn." rispose Lindir, sforzandosi di mantenere la compostezza che lo caratterizzava.

"Ce l'hai anche tu... quello sguardo." rispose lei. Oh bella, pensó, mi manca giusto Feren per far filotto.

"Se lord Thranduil ti vedesse adesso, non credere che il piccolo che porti dentro di te ti farebbe da scudo contro la sua rabbia." le disse Lindir.

"...e se io non fossi legata a lui? Cosa faresti?" domandò Roswehn a bruciapelo. Boccaccia della malora chiuditi! pensò subito dopo.

Lindir la osservò con una punta di stupore misto a disapprovazione. "Fingerò di non aver sentito questa domanda. Seguimi, per favore."

Roswehn si pentì delle sue parole. Lindir era cortese e garbato, perché lo stava mettendo a disagio in quel modo? "Scusa. Scusami ti prego. Forse sono confusa." lo pregó, camminando dietro di lui. Non ci fu risposta.

Lindir la accompagnò alla residenza di Elrond, che ancora doveva parlarle.

🌹🌹🌹

"Vorrei darti questo." le disse il nobile Elfo, estraendo da un piccolo scrigno d'argento un ciondolo. 
Aveva l'aspetto di un fiore, ma un fiore stlizzato che sembrava intagliato nel cristallo.

"Lo chiamiamo stella del vespro. È il simbolo della nostra immortalità. Mia figlia Arwen ne ha uno simile." le spiegó Elrond.

"Vi ringrazio. È un dono prezioso oltre ogni dire e non posso accettarlo. Siete già stato generoso con me più di quanto meriti." rispose lei, rimirando il gioiello, poi lo porse a Elrond. "Davvero, è troppo."

"Non è per te. È per Thranduil. Devi consegnarlo a lui. Portando questo con sé, nell'altra vita sarà ammesso a Valinor, cosa che gli è stata negata, così come ai suoi antenati e discendenti. È un mio regalo. Un omaggio per celebrare il vostro amore e per mettere la parola fine sui disaccordi che abbiamo avuto in passato." annunció Elrond. "In questo modo, anche vostro figlio potrà entrare nel Reame Beato, quando arriverà il suo tempo. E ricongiungersi al padre."

Roswehn si commosse. "Elrond, é una cosa splendida! Vi ringrazio dal più profondo del cuore e ...credo di poter parlare anche per lui." disse, stringendo al cuore il piccolo monile.

"Fatico a immaginare Thranduil nell'atto di ringraziarmi per qualcosa..." sorrise l'Elfo "Mi dispiace solo di non poter fare nulla per te. Vorrei che tu e lui poteste stare insieme per sempre. So cosa significa separarsi da chi si ama, e non aver speranze di ritrovarlo...nemmeno dopo la fine dei tempi." commentó amaramente Elrond.

Roswehn abbassó lo sguardo, intristita all'improvviso. "Penso ogni giorno al momento in cui mi allontaneró per sempre da Eryn Galen e da lui. E ho deciso che non aspetteró la morte. Voglio tornare a Dale e passare lì l'inverno della mia vita, la vecchiaia. Non voglio sfiorire di fronte a chi amo." disse. "Mio figlio starà con gli Elfi."

Elrond fu d'accordo. "Mi pare la scelta giusta. E Roswehn... ricorda che hai poco tempo. Vivi le tue avventure nella Terra di Mezzo, se credi, ma rammenta: arriverà presto il giorno in cui gli dirai addio. Perció amatevi, costruitevi dei ricordi, meravigliosi ricordi... quel giorno scoprirai quanto siano importanti."

Roswehn annuì, mentre si metteva al collo il gioiello. "Lo custodirò io. Su di me. Vi ringrazio ancora."

"Per te, invece, ho questo..." continuó Elrond, estraendo un sacchettino dalla tasca del bel mantello che portava. "Hai perso tutto fra quelle Montagne, immagino anche il denaro che ti eri portata. Questa è polvere d'oro. Ti servirà una volta giunta a Brèa... potrai barattarla per del cibo, o una sistemazione in qualche locanda...e altro di cui avrai bisogno."

"No, no questo è decisamente troppo. Il debito con voi sta aumentando a dismisura..." provó a dire Roswehn.

Ma Elrond pose il sacchettino nella mano della ragazza, chiudendola con la sua. "Ti prego, niente complimenti. La tua tenacia merita un premio, e un aiuto. Non c'è nessun debito fra te e noi." la rassicuró. ".... peró ascoltami bene, adesso. Il villaggio di Bréa è un luogo diverso da Dale. È popolato da umani come te, ma è un punto di transito per viaggiatori, soprattutto. Ci sono molte locande, e ricoveri. Da lì passa gente senza nome, senza identità... e a volte senza morale. Briganti e ladri, capisci, gentaglia della peggior specie. Una ragazza come te, sola, puó correre dei rischi." Il lord di Imladris si era improvvisamente fatto molto serio. "Sii cauta, Roswehn. Non intrattenerti a parlare con chiunque, guardati le spalle. Non sono tuo padre, ma se fosse qui ti direbbe le stesse cose, credo."

Se mio padre fosse qui mi trascinerebbe a Dale per un braccio, pensó lei, e senza voltarsi indietro.

"Faró tesoro dei vostri avvertimenti. Grazie per i magnifici regali, per i consigli, per tutto quello che mi aspettavo venendo qui... e che ho trovato." disse lei.

"Dov'è Lindir? Gli avevo detto di starti vicino." chiese Elrond, guardandosi intorno.

"Temo si senta a disagio con me." rispose Roswehn.

Elrond si giró a guardarla. "Oh... non voglio neanche sapere perché." corrugó la fronte. "Non sottovalutare Thranduil. Ti ama, ne sono certo... ma non ha pietà per chi gli manca di rispetto."

Roswehn rispose: "Lo so molto bene. È stata la prima cosa che ho capito di lui, quando lo conobbi."

Elrond fece un cenno di assenso. "Bene, allora. Buona fortuna, rosa bianca. Che il resto della vita ti sia dolce." detto questo, si portó una mano al cuore, e la donna fece altrettanto.

Il crepuscolo arrivó, e Roswehn si preparó a partire di nuovo.

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Capitolo 14
*** Il ramingo di Brea ***


Uno schifo. 
Un vero schifo.

Roswehn si trovó a pensare questo appena mise piede a Brea.
Lo scorbutico guardiano messo a controllare l'entrata alla città, fra le alte mura che ne delimitavano i confini,  l'aveva riempita di domande, osservandola da una feritoia nel pesante portone di legno e ferro.
"Chi sei?" 
"Dove sei diretta?" 
"Porti qualcosa?"
"Devi incontrare qualcuno?"

Roswehn stava per mandarlo a quel paese, quando finalmente l'uomo si decise ad aprire, in un cigolìo di cardini.

"Capisci che devo accertarmi dell'identità di tutti. Questo villaggio si sta riempiendo di balordi..." commentó il guardiano, mentre l'osservava dalla testa ai piedi. "Una  fanciulla sola, vestita con abiti elfici, è una stranezza qui. Sei stata prigioniera di quelle creature?"

"Non credete di avermi tormentata a sufficienza con le domande?" rispose lei di rimando, seccata. "Vi ho detto che devo andare nella contea degli Hobbit, che vengo da Rivendell, e che il mio passaggio in questo territorio sarà breve. Per favore, indicatemi quella locanda di cui mi parlavate. Sono stanca. Sapete se c'é anche una stalla qui?"

Elrond le aveva concesso di montare un cavallo di Imladris, raccomandandosi di averne cura. "E sarà meglio che pensi a una giustificazione da fornire a Thranduil, quando ti chiederà dov'è finita la femmina che ti ha dato... noi Elfi alleviamo con amore i nostri animali e detestiamo perderli." l' aveva ammonita il lord di Rivendell.

La guardia alla Porta le disse: "Una stalla... ma sì c'è quella di Arlon laggiù. Terrà bene la tua bestia." gliela indicó. "Vai alla Taverna del Puledro Impennato, se vuoi una sistemazione. Non è granché, ma è tenuta meglio di altre."

Roswehn attraversò i vicoli di Brea, e notò varia umanità perduta in quelle stradine. C'erano ubriachi seduti a terra che sbraitavano oppure cantavano canzoni dei tempi andati; c'erano soldati di chissà quale reame, forse disertori, che vagavano per il villaggio; c'erano commercianti che tentavano di smerciare la loro roba; c'era anche qualche Hobbit, che si aggirava preso in misteriose faccende. Tutto, intorno a lei, trasudava degrado, miseria, confusione.

Quella sera Roswehn si presentó all'ingresso del dormitorio che il custode aveva definito taverna. Era una specie di bettola, rumorosa e maleodorante. 
Subito il proprietario la squadrò. 
"Veniamo al sodo: puoi pagare?" le chiese. "Ne ho abbastanza di gente che viene qui, dorme, e sgattaiola via all'alba senza darmi un centesimo!"

"Ho dell'oro grezzo. Vi pagherò in grammi, va bene?" ribatté Roswehn. "Non ho altro." In realtà aveva con sé un rubino che da solo valeva tutto quel villaggio, e un gioiello di cristallo che ne valeva due, ma si guardò dal mostrarli. Anzi, chiuse la camicetta ancora di piú sotto alla gola per nasconderlo. Mostrò invece il sacchetto di polverina dorata al locandiere.

"Oro?! Allora sei la benvenuta!" l'accolse l'oste. "Siediti a quel tavolo, mia figlia ti porterà qualcosa."

Roswehn si accomodò a un tavolino solitario, posto nel centro della sala. Arrivò una ragazzetta sorridente e riccioluta, con un piatto di formaggio e un grosso pezzo di pane scuro. "Vino o acqua?" chiese, e Roswehn si fece portare una brocca d'acqua. Aveva una sete del diavolo. "Posso darti un consiglio?" le disse la ragazza. "Non stare qui. Siediti vicino al bancone, è una zona più riservata. A questo tavolo attiri l'attenzione. E ci sono tizi di cui è meglio non attrarre l'attenzione."

"Non mi importa. Sono passata attraverso guai ben maggiori, cara." le rispose stancamente.

Girando lo sguardo intorno a sé, vide infatti un tale che la stava fissando. Le faceva un po' paura, nonostante la spavalderia che aveva mostrato alla servetta qualche attimo prima. 
L'uomo aveva capelli lunghi a mezzo collo, barba di due giorni e uno sguardo malizioso e importuno. Sembrava un ladro, un furfante... le ricordò vagamente Alfrid. Si concentrò sul suo piatto di formaggio acido e pane raffermo, e quando ebbe finito si precipitò su per le scale, alla stanza che le avevano assegnato.

La chiave peró sembrava non volerne sapere di girare nella toppa arrugginita, e Roswehn imprecò fra sé. "Avanti, dannato aggeggio..." mentre freneticamente agitava il perno.

"Problemi con la porta?" sentí una voce dietro di lei. Si girò. Era il tizio che la stava squadrando nel refettorio. "Posso aiutarti, tesoro?"

Roswehn si irrigidí. "Non si apre. È bloccata. Chiamerò l'oste." fece per allontanarsi.

"Oh, per cosí poco? Lascia fare a me, tesoro." disse l'uomo, e con un movimento deciso del polso riuscí a sbloccare la serratura.

"Visto?" le disse con un sorriso furbo.

"Vi ringrazio molto." disse Roswehn a mezza voce e aprí l'uscio. Il tizio la stava ancora guardando, e sembrava poco intenzionato ad andarsene. "Buona notte." disse la donna, provando a chiudere la porta di legno. Ma l'uomo la spinse con forza contro di lei. "Non cosí in fretta, tesoro."

Di prepotenza entrò nella camera, chiudendo la porticina con un colpo di tacco ben assestato. Roswehn arretrò spaventata.

"Allora... una donnetta sola ad un tavolo... cosa sei, una bagascia in cerca di clienti?" chiese il tale, iniziando a sbottonarsi i pantaloni.

"Va' fuori di qui, subito!" gli urló lei.

"Altrimenti?" la provocó lui, "...amore ti conviene aprire la bocca solo per fare quello che ti dico, da questo momento in poi. Forza, inginocchiati."

Roswehn si sentì attraversata da un fremito di rabbia e umiliazione. "Mettiti tu in ginocchio, schifoso!" Poi gli sferró un poderoso calcio in uno stinco, che lo fece quasi cadere sul pavimento. L'uomo ruggì di dolore. Roswehn provó a correre verso la porta, ma il tizio l'afferró per i capelli e la gettó sul letto. 
Non si accorse che l'uscio dietro di lui si stava silenziosamente aprendo.

"Io dico che ti devi calmare, donna. O ti apriró lo stomaco con questo." e le mostró un coltello, che teneva nella cinta dei pantaloni.

"Io dico invece che devi lasciarla stare. O ti apriró la gola con questo." disse qualcuno dietro di lui. Distesa sul materasso, Roswehn vide una mano puntare un pugnale al collo di quel brigante da quattro soldi. Poi apparve un viso.

Giovane, senza barba. Poteva avere vent'anni.

L'uomo si giró per vedere chi diavolo lo avesse interrotto mentre stava per farsi una ragazza dopo sei lunghi mesi di astinenza, e nel farlo la lama del coltello lo tagliuzzó di striscio. Si portó la mano alla gola insanguinata. "Mi hai ferito!"

Ma il giovane non sembrava troppo dispiaciuto. "Va' via." gli intimó. Il tizio, con passo incerto,  uscì dalla stanza dopo aver lanciato a lui e a Roswehn uno sguardo pieno d'odio.

"Ti ringrazio." disse lei, alzandosi dal letto, "grazie infinite..." Era sconvolta, mai nella sua vita era stata aggredita da un uomo. Dopo troll, orchi, draghi e démoni , stava per fare una brutta fine proprio per mano di uno della sua razza.

"Non è una buona idea presentarsi in un posto del genere da sola." disse il ragazzo. Lo sguardo gli cadde sulla scollatura di Roswehn, che si era aperta. Vide la stella del vespro.

"Sei sotto la protezione di Elrond?" chiese. Aveva due grandi occhi celesti.

"Esatto. Sono stata a Rivendell prima di venire qui." mormoró lei. Si riassettó i vestiti. "Lo conosci?"

"Sì," rispose lui. "E molto bene." 

"Tu chi sei?" chiese lei, incuriosita da quel ragazzo.

"Sono uno che sta per insegnarti una cosa," rispose, porgendole il pugnale. "Tieni questo. Se ti ricapiterà di incontrare un tizio del genere, conficcaglielo in una coscia. E rigiralo, così gli farai passare tutti i bollori."

Roswehn prese il coltello. "Non ne sarei mai capace."

"Devi imparare. Se ti muovi da sola in posti come Brea, non hai scelta." detto ció aprì la porta e si dileguó.

"Aspetta..." La donna si precipitó fuori per ringraziarlo un'altra volta, ma il giovane non c'era più. Chiuse l'uscio col chiavistello e sospiró. Il cuore le batteva furiosamente nel petto. Scivolò lentamente seduta a terra, la schiena contro la porta. Strinse la stella del vespro in una mano.

Grande Eru... quante altre volte vorrai mettermi alla prova...cosa mi aspetta ancora...

🌹🌹🌹

"Dormito bene, giovane?" chiese l'oste rubicondo. Stava pulendo il bancone con uno straccio, e i suoi movimenti decisi facevano ballonzolare la pancia lardosa.

"Non direi," rispose Roswehn, "quel vostro materasso è duro e temo ci siano delle pulci. Non ho fatto che grattarmi tutta la notte." si lamentó. A parte lo spavento terribile dovuto all'aggressione, la stanzetta che le avevano dato era quanto di più inadatta, per riposare.  Il letto era malconcio, una delle finestre era rotta,  si udiva il rumore dei passi degli ospiti al piano superiore e aveva intravisto degli insetti girellare sul pavimento. Era scandaloso che dovesse perfino pagare per la notte trascorsa lì.

Roswehn preferì non parlare del delinquente che l'aveva seguita fino in camera, ma volle sapere di più sul giovane che l'aveva salvata. "Ieri ho conosciuto un ragazzo, qui. È alto, ha occhi azzurri, un bel viso. Sapete per caso come si chiama?"

"Molti ragazzi passano in questo locale, cara. Ma so di chi parli. Non ricordo il suo nome, peró..." si giró verso la cucina. "Perla! Hey, vieni qua!"

Arrivó la ragazza che l'aveva servita la sera prima. Era la figlia dell'oste. "Come cribbio si chiama quel giovanotto..." chiese il padre.

Perla stava asciugando un piatto con uno strofinaccio. "Quale giovanotto, pa'?"

"Il tizio, il giovanotto... che gira sempre con quella grande spada... dorme da noi ogni tanto..." suggerì il padre. "Aragog... Argon...te lo ricordi, tu?"

"Aragorn, papá." disse Perla, "il ramingo."

Roswehn non credeva alle sue orecchie. "Scusate... Aragorn figlio di Arathorn?!"

"Figlio di buona donna, più che altro. Quel giovane taccagno non lascia mai la mancia." brontoló l'oste.

"Eddai, pa', è sempre gentile." lo difese Perla. "E bello, anche." aggiunse sorridendo.

"Tu va' in cucina e finisci il lavoro. E cerca di non rompere qualche altro piatto." le intimó il padre.

Poi guardó Roswehn, che sembrava colpita da un fulmine. "... che ti prende, lo conosci?"

Roswehn rimase in silenzio per qualche attimo. "È l'erede di Isildur." disse tremando. Aragorn... aveva parlato con lui, e non se ne era nemmeno resa conto.

"E chi diavolo è Isildur? Un mercante dell'Est?" chiese l'uomo confuso.

Roswehn avrebbe voluto spiegare la storia del regno di Gondor, ma concluse che non ne sarebbe valsa la pena. Non sopportava di perdere tempo con gli ignoranti.

"Dove vive questo ragazzo? Voi lo sapete?"  chiese.

"È un ramingo, hai sentito mia figlia. Non ha casa. Sta prestando servizio in diversi eserciti, così disse una volta. So che va spesso dagli Elfi di Gran Burrone, e dorme da noi quando passa di qui. Stamane è partito all'alba." raccontó l'oste.

"Se ne è andato?! Accidenti, no!" si dispiacque Roswehn, che avrebbe dato chissà che per parlare ancora con lui. Quel giovane che l'aveva salvata poteva diventare Re un giorno. Re del reame più potente di tutti. Il trono più ambito. Thranduil le aveva detto che era molto probabile, se non certo.

"Veniamo a noi, bellezza. Avevi parlato di pagamento in oro... dov'è l'oro?" chiese l'oste, avvicinandosi a lei.

Roswehn estrasse il sacchetto e l'agitó davanti a lui. "Qui."

L'oste prese allora un piccolo cucchiaio e si mise a soppesare la polvere. "Direi che così basta." disse, sollevando una quantità generosa.

"Vengo dal reame di Dale. Non provate neanche a fregarmi. So più di voi quanto valga l'oro... e i vostri servizi non valgono tanto." rispose Roswehn, prendendo il cucchiaio e rovesciando metà porzione d'oro di nuovo nel sacchetto. "Così è giusto, caro voi."

L'oste la guardó arrabbiato. "Di' , vorresti scherzare?" le disse. "Con quello non ci paghi neanche la cena..."

"Cena... un pezzo di formaggio e del pane vecchio di due giorni. Fatemi il piacere." commentó lei, chiudendo il sacchetto e girando le spalle all'uomo. "Hey Perla!" urló.

La ragazza uscì di nuovo dalla cucina, incuriosita. "Se Aragorn passasse ancora di qui, non lasciartelo scappare!" le fece l'occhiolino. "È il miglior consiglio che riceverai nella vita, credimi."

Uscì dalla Taverna, sentendo le imprecazioni dell'oste al suo indirizzo. 
La Contea era vicinissima.

"E ora Bilbo... ora, a noi due."

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Capitolo 15
*** Donne ***


"Aspetta!... aspetta, hey tu!" urló Perla.

Roswehn si giró. "Che vuoi, ancora? Ho detto che non pagheró più di quello che vi ho dato."

"No," ansimó la ragazza, raggiungendola. Suo padre uscì dalla taverna sbraitando di tornare a fare il maledetto lavoro in cucina. 
"No... ti vorrei parlare..."

"Devo andare a prendere il mio cavallo alla stalla. Non farmi perdere tempo, per favore." rispose bruscamente Roswehn, che aveva una gran fretta di andarsene da quel villaggio.

"Ti è successo qualcosa, ieri notte?" chiese Perla, prendendola per un braccio ed allontanandosi con lei prima che suo padre la rincorresse per dargliele di santa ragione. "Ho visto salire un brutto tipo dietro di te sulle scale, dopo che hai finito di cenare."

Roswehn la guardó. "Sì. Sì quel balordo mi ha aggredita. Il ragazzo di cui ti ho chiesto mi ha aiutata. Lo ha cacciato."

Perla scosse la testa dispiaciuta. "Ah... lo sapevo. Quello ci ha provato anche con me, una volta."

Roswehn era incredula. "Cosa?! Lo ha già fatto?! E perché non si trova in qualche galera, adesso?"

"Non te lo immagini? Perché è uno che paga bene. Sai, avevo raccontato tutto a mio padre. Lui mi disse che avrebbe sistemato la cosa, pensavo lo avrebbe detto alle guardie della città. Invece è solo andato da quel disgraziato e gli ha detto che se ci avesse riprovato gli avrebbe mozzato entrambe le mani. Da allora mi ha lasciata stare." disse la ragazza.

"Peró adesso fa i suoi porci comodi con le altre!" urló Roswehn. "È terribile, te ne rendi conto?"  Intanto, diverse persone in strada si erano girate a guardarla.

"Parla piano!" intimó Perla. "Lo so... lo so... è una vera sconcezza. Ma è così che va la vita, qui."

"Ringraziando Eru, io non vivo qui. Il mondo degli uomini è caduto nel degrado, e questo villaggio è la grande latrina dell'Ovest. Per questo non vedo l'ora di tornare dagli Elfi." mormoró lei.

Capì subito di aver detto troppo. Infatti, subito Perla si entusiasmó. "Vivi con gli Elfi? Ma dici davvero?" Un luminoso sorriso le si aprì sul volto.  "Ho notato i ricami sui tuoi abiti... nessuna sartoria in questo posto ne fa di così elaborati. Ho immaginato che venissi da Rivendell."

"Sì. Ascolta, sono di fretta. Ora prenderó il mio cavallo e poi me ne devo andare. Buona giornata, Perla." tentó di liquidarla Roswehn, che nel frattempo era arrivata alla stalla di Arlon. "Scusate, ritiro il mio animale. Quanto vi devo?"

Un tipo biondo e ciondolante uscì dalle stalle, reggendo un rastrello pieno di paglia. "Devo ancora strigliare il tuo cavallo, ci vorrà un'ora. E andrebbero controllati anche gli zoccoli. Dove l'hai portato? Ci sono delle pietre incastrate sotto." le disse lo stalliere.

"E non potevate farlo ieri sera?" ribattè Roswehn, infastidita. Detestava quel posto.

"Che vuoi, insegnarmi il mestiere? La sera non c'è abbastanza luce nelle stalle." disse Arlon, sputando a terra. "Fra un'ora. E tre monete d'oro, cara signora."

"Bene! Ti porto a fare un giro per Brea, visto che hai tempo! Cosí mi racconti degli Elfi!" propose Perla. "Avanti, ti offro io la colazione. Potrai anche far cambiare la tua polvere con delle monete! Abbiamo un orafo, qui."

Roswehn, controvoglia, seguí la ragazza, che la portò da un fornaio. Si sedettero fuori dalla sua bottega e Perla ordinò per lei una treccia di pandolce. La donna dovette riconoscere che era deliziosa.

"Allora," iniziò Perla, "come sono gli Elfi? Qualche tempo fa uno di loro venne qui da Rivendell. Voleva acquistare delle sementi, o qualcos'altro per le loro coltivazioni, non ricordo. Giró per il villaggio un giorno intero... "

"Sono come quello che hai visto." disse Roswehn. "Cosa ti incuriosisce di loro?"

"Dicono che siano tutti bellissimi! L'Elfo che venne qui era fantastico, le ragazze se lo mangiavano con gli occhi...e anch'io." raccontò Perla. 

Roswehn sorrise e annuí. "Sí. Sono esseri molto gradevoli d'aspetto, in generale."

"La mia amica Lisel passò la notte con lui. La invidiai a morte!" rivelò Perla.

"E brava Lisel." mormorò Roswehn, osservando i cittadini indaffarati nelle loro faccende. Alla luce del giorno, Brea ricordava un po' la sua Dale.

"E sai cosa mi disse? Che quell'Elfo la amò tutta la notte senza fermarsi! Capisci, senza stancarsi!" disse Perla, con un luccichío negli occhi.

"Ah sí, lo so bene." disse ancora Roswehn, intenta a osservare un'anziana donna che tentava di caricare dei vasi su un carretto. Le venne in mente Edith.

"Lo sai?! Cioè anche tu...?" chiese Perla, aprendo la bocca dallo stupore. 
Roswehn si morse la lingua. Ma ormai era tardi: da brava diciottenne, la ragazza davanti a lei era preda di una crisi ormonale con i fiocchi e adesso l'avrebbe sommersa di domande di quel tipo.

"Come sono a letto? Come lo fanno? Ti prego, racconta!" le chiese, intrecciando le mani sotto al mento. "La mia prima volta è stata a quindici anni con il garzone del fabbro. Fu dietro al bancone della taverna, sul pavimento, in una giornata di festa in cui il nostro locale era chiuso..."

Invece la mia prima volta è stata a ventisei anni con il Re degli Elfi di Boscoverde, in un grande letto di seta immacolata e con due ancelle che mi avevano cosparsa d'olio di rosa. 
Eh, cosí va la vita, cara Perla.

"Senti, io non so cosa vuoi sentirti dire. Sono come noi, fanno l'amore come gli uomini. Tutto qui." tagliò corto la donna, che in realtà non aveva alcuna esperienza con gli uomini mortali e quindi non poteva lasciarsi andare a paragoni. Ma si sentiva stranamente imbarazzata ad ammetterlo.

Perla era confusa. "Come gli uomini? Ma...Lisel mi ha detto che c'è una grande differenza con gli uomini... ha detto di non aver mai provato una cosa simile ed è perfino svenuta."

"Ci credo, Perla, ci credo."  Era capitato anche a lei, quella volta che avevano passato due giorni filati nelle stanze del re. Ora che ci pensava, poteva essere stato quello il momento in cui il piccolo Haldir era comparso in una minuscola scintilla di vita nel suo ventre.

"E poi ha detto che..." continuó Perla, imperterrita.

"Ascolta," le disse Roswehn. "Ti diró tutto quello che vuoi sapere. Peró fammi un favore: va' via da questo posto, quando sarai un po' più grande. Mettiti da parte dei soldi, e parti. Non consumare la tua vita in una cloaca come questa. Me lo prometti?" chiese Roswehn.

Perla rispose: "E dove dovrei andare, scusa? Mio padre non ha che me, al mondo. Conta su sua figlia per portare avanti la taverna, quando sarà vecchio..."

"Allora vendi tutto, appena puoi. Porta tuo padre con te in qualche posto migliore, dove non ci sono balordi che ti seguono fino in camera, o grezzi individui che ti danno pacche sul sedere quando li servi o bifolchi che si approfittano di te su un pavimento lurido. Cerca di dare un valore alla tua vita." le consiglió Roswehn.

Perla la osservó per qualche secondo e Roswehn si auguró che avesse capito. Ma poi ricominció con le domande. "È vero che gli Elfi sono tutti magri e hanno corpi perfetti e non esistono Elfi grassi?"

Roswehn sospiró e si apprestó a raccontarle quello che sapeva sulla vita intima di quelle belle creature dalle orecchie a punta. 
Perla ascoltava a bocca aperta, arrossendo man mano che la donna di Dale le descriveva i dettagli più piccanti. A quest'ultima in fondo piaceva avere qualcuno con cui spettegolare, visto e considerato che non aveva amiche strette; la persona che le era più vicina era Sigrid ed era troppo innocente per ascoltare quel genere di cose.

Alla fine dei racconti di Roswehn, Perla inizió a farsi aria con il grembiule.

"Mi è venuta voglia di andare a Rivendell." disse, "quanto ci vuole da qui?"

Roswehn rise. "Ti consiglierei piuttosto di andare nel Lórien, a Sud Est. E chiedi di Orophin, se ci arrivi. Di' che ti mando io."

"Miseria ladra, ma in quanti posti sei stata?" chiese Perla, ammirata e un po' invidiosa.

"In tanti, fino a questo giorno. E altri mi aspettano. Senti Perla," le disse Roswehn, presa da un improvviso scrupolo. "Quello che ti ho detto è solo per le tue orecchie, capito? Il mondo degli Elfi è bellissimo, e pacifico. Non vorrei che adesso tutte le ragazze e le donne sole di questo posto si riversassero a Rivendell in cerca di un fidanzato..." 

Perla rise. "No, no... non diró niente a nessuno, te lo giuro." promise.

"Sono creature talmente delicate, sai." disse Roswehn, alzandosi dal tavolo. Un'ora abbondante era trascorsa, era tempo di fare di nuovo visita ad Arlon. Si auguró che il cavallo fosse pronto o quel rastrello gli sarebbe finito lì dove non batteva il sole.

"Beh, delicate... da quello che mi hai detto..." ridacchió Perla.

"Sensibili, va bene?" sbuffó Roswehn. 
Ci mancavano solo discussioni lessicali.

Passarono prima dall'orafo che strabuzzó gli occhi di fronte all'oro di Elrond, e le diede l'equivalente in monete. Un gran bel gruzzolo.

Preso il cavallo, Roswehn salutó la sua nuova amica. "Buona fortuna Perla. Ricorda quello che ti ho detto. C'è solo una vita...per noi."

"Come ti chiami? Non me l'hai detto!" le chiese Perla.

"Roswehn." rispose la donna, montando a cavallo.

"Come?? Rossen?" ripetè la ragazzetta.

Lei alzó gli occhi al cielo. Le venne quasi da rispondere Regan.

"Rosa." le disse allora. "Chiamami Rosa."

Con un colpetto dei talloni, comandò al cavallo di mettersi in marcia. C'erano interminabili campi coltivati da attraversare per arrivare alla Contea.

"Addio, Rosa! Addio!" urlò Perla da lontano.

Addio, cioè a Dio. Ci vedremo davanti a Dio, significava quel saluto.

Ma quale Dio? pensó lei. Da quello che aveva visto, non c'era più nessun Dio nel mondo degli Uomini.

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Capitolo 16
*** A casa di Bilbo ***


Uno sterminato campo di granturco separava Roswehn e il suo cavallo dalla Contea degli Hobbit.
Le piante erano già molto alte, con il loro bel carico di pannocchie gialle e pannocchiette verdi appena spuntate. Mentre lo attraversava, la donna speró che il proprietario di quell'ettaro non fosse nei paraggi, visto che, nel procedere, il cavallo abbatteva senza pietà le coltivazioni, come un aratro trainato da buoi. Stava in effetti rovinando una parte del raccolto, ma non sapeva quale altro giro fare. La Contea era in quella direzione, e in quella direzione doveva andare.

Ben presto si udì qualcuno sbraitare. "Eru stramaledica chi sta passando di qui con un cavallo!!" urló una voce maschile e molto poco amichevole. "Guarda che disastro... che disastro!" Si sentirono anche due cani abbaiare, non molto lontano da lei.
"Forza, andiamo!" spronó il destriero di Elrond con un colpo di briglia. "...o finisce male!"
Roswehn attraversó al galoppo l'intero campo di mais, ma quando provó a farlo rallentare, il cavallo non le ubbidì: i cani lo avevano spaventato a morte. Proseguì la sua corsa impetuosa finchè finalmente sbucarono in una radura e sotto la luce del sole sembró tranquillizzarsi di colpo. La donna sospiró di sollievo e, girando lo sguardo, vide per prima cosa un fiumiciattolo, che scorreva placido. Un mulino, costruito sulla riva, la cui ruota si muoveva trascinata dalla corrente. Un ponticello in pietra, che univa le due sponde.

Davanti a lei, una bambina. Un bellissima bambina, per esser precisi. Bionda, i capelli lasciati liberi in tanti boccoli dorati, una viso da piccola bambola paffuta. Reggeva fra le braccia un cesto di paglia pieno di mele, ma, per lo stupore di trovarsi davanti una donna del Popolo Alto a cavallo, le aveva rovesciate tutte. Roswehn scese subito dall'animale.
"Hey... chi sei?" provó a chiederle. Ma la bimbetta Hobbit cacció un grido e scappó via, in uno svolazzare di gonna. È andata a chiamare i genitori... e non credo mi daranno il benvenuto.
Dal mulino uscirono infatti due Hobbit, un uomo e una donna, che in tutto e per tutto le ricordarono Bilbo. Perfino negli abiti. La bambina bionda rimase nascosta dietro l'uscio di casa. "Chi si permette di entrare nella mia proprietà?" l'aggredì l'uomo, "...con quel cavallo potevi travolgere mia figlia, sei ammattita?!"
Roswehn tentó di scusarsi. "Ho perso il controllo dell'animale, perdonate. Non è mio...me l'hanno dato..." farfuglió, mentre l'Hobbit maschio la guardava torvo. "E credo di essermi persa."
"Persa?!" disse anche la donna Hobbit, "...dove dovresti andare? Questo non è il territorio della Gente Alta. Il villaggio di Bréa è laggiù."
"Vengo proprio da lì. Questa è la Contea, vero?" chiese lei, guardandosi attorno.
"Questo è il Decumano Est della Contea...tu dove sei diretta, di preciso?" chiese il mezz'uomo, alto quanto un Nano e rotondo come una botte. Continuava a osservarla come si osserva qualcosa di troppo incredibile per essere vero. Probabilmente non avevano mai visto umani alti, lì. "Devo andare a trovare un Hobbit della vostra comunità, si chiama Bilbo Baggins. Lo conoscete per caso?" chiese. "I Baggins sono nel Decumano Ovest. Non ce n'è qui..." rispose la moglie.
"Oh, e dove devo dirigermi, potete dirmelo?" ribattè Roswehn, iniziando a irritarsi. Cominciava ad averne abbastanza di strade da percorrere in quella calura soffocante.
"Segui quel sentiero là, quello lastricato con i ciottoli... e va' sempre dritto..." spiegó l'Hobbit, indicandole con la mano tozza la direzione.
"Ma come riconosceró il Decumano Ovest?" chiese ancora Roswehn, che aveva mappe di tutta Arda tranne che della Contea. Che ne sapeva che era frazionata in sub-territori?
"Perché è quello più ricco, e più popolato. E poi, ho sentito spesso parlare di questi Baggins, sono una famiglia piena di soldi... non farai fatica a trovare quel tizio. E adesso... togliti di qui, che mi spaventi le galline!" le disse l'ometto.
"Grazie per le informazioni. E per la cortesia." ribattè Roswehn. Poi rimontó sul cavallo e sbuffando si mise in marcia sotto il sole.

🌹🌹🌹

Arrivó a destinazione mentre il pomeriggio lasciava posto alla sera. E con la sera, arrivó tanto attesa anche la frescura.
Roswehn era totalmente, fastidiosamente ricoperta di sudore: avrebbe dato l'intero sacchetto di monete per una tinozza d'acqua fredda in cui immergersi. Smontó da cavallo e si trovo in una piccola vallata, circondata da collinette verdi: le piccole case sotteranee degli Hobbit. Come trovare casa Baggins in quella specie di formicaio? Si guardó in giro, e non le sembrava di notare nessuna abitazione particolarmente grande, o vistosa, fra le altre. Notó invece diversi Hobbit farsi attorno a lei incuriositi.
"Chi sei tu?" le chiese un tale, "... cosa ci fa qui una donna della Gente Alta?"
Roswehn rispose cauta: "Sono qui per cercare un vostro compaesano. Si chiama Baggins, Bilbo...Baggins. Ditemi che lo conoscete, vi prego."
"Conoscermi? Io sono il Signore di questo luogo." rispose una vocetta da lontano. Roswehn si voltó e vide Bilbo, che sorridendo le venne incontro dalla sommità di una piccola scala scavata nella roccia.
"Chi saresti tu?" rispose l'Hobbit che aveva parlato per primo. "Falla finita, Baggins. Tu non sei il signore di un bel niente!"
"Non dare ascolto a questi villani." disse, guardandola dal basso. "Non mi sembra di averti mai vista, ma sei la benvenuta qui da noi." le disse. Non aveva perso quella luce buona nello sguardo. Era ancora un'anima semplice, che girava con una ghianda in tasca e se la teneva stretta come fosse stato il regalo più grande mai ricevuto. "...aspetta peró...certo che ti ho già vista..." Bilbo corrugó le sopracciglia, preso da un improvviso ricordo. Roswehn si emozionó nel rivedere il piccolo uomo che aveva incontrato a Dale, nella tenda di Thranduil, durante quella notte gelida in cui così tante cose erano accadute. In cui la sua vita era cambiata del tutto.
Bilbo ricordó. "Sì! Certo! Eri ad Esgaroth, eri con noi...con me, con Gandalf e quell'uomo.."
"Bard." suggerì Roswehn.
"Sì, l'Arciere, che uccise il Drago. Eravamo tutti raccolti nella tenda del Re Elfo..." Bilbo la squadró meravigliato. "Cosa ti ha portato qui?"
"Sono qui per te." gli rispose Roswehn. "Devo parlarti. Mi concedi un po' del tuo tempo?"
"Sicuro! Vieni, accomodati a casa mia. Rimani a cena, insisto." la invitó.
"Anche perché non saprei dove andare. Sai, i tuoi compagni Hobbit non sembrano tanto amichevoli..." osservó lei, mentre saliva sulla collinetta che al suo interno ospitava il rifugio di Bilbo. Dovette abbassare la testa per entrare.
"No. È che temiamo gli estranei. Non viene gente come te, tanto spesso. Anzi, mai."
La donna vide subito che la casa di Bilbo era suddivisa in molte stanze, ci dovevano essere almeno cinque piccoli locali là dentro. E l'ambiente era perfettamente ordinato, pulito, tenuto con amore. "Allora. Mi devi dire cosa fai qui. Scusa, ma sono divorato dalla curiosità. Come mai non sei nel regno degli Uomini, ad Est? Come mai indossi abiti elfici?" chiese subito Bilbo, facendola accomodare al piccolo tavolo, su una piccola sedia che per Roswehn era una specie di sgabello. "Tu parla, io intanto ti preparo qualcosa." disse, e corse nella dispensa a raccattare cibo per l'umana in visita. "E resta inteso che dormirai qui... anche se purtroppo non ho divani nè letti adatti a una persona della tua altezza."
Roswehn rise divertita. "Sai cosa mi sembra questa situazione? La favola di Biancaneve e i sette nani. La conosci?" chiese.
"Ne ho conosciuti abbastanza di Nani...ma questa storia no, non l'ho mai sentita." rispose Bilbo, mentre usciva dalla dispensa con una quantità esagerata di ogni sorta di vivande.
"Te la racconteró. Comunque..." riprese Roswehn. "...sono successe delle cose in quest'anno e mezzo. Molti cambiamenti."
Bilbo si mise ai fornelli. "Ti piacciono le uova sbattute? Con le salsicce, e ho anche del formaggio. È il piatto che mi riesce meglio." le disse. "Allora, cosa ti è capitato? Come vanno le cose a Dale?" e prese due uova da un paniere.
"Splendidamente." rispose Roswehn. "Ma io non vivo più lì. Ho scelto di passare la mia esistenza a Boscoverde....che tu forse ricorderai come Mirkwood." Bilbo si giró a guardarla. Si ricordava di un reame in mezzo agli alberi, e buie prigioni sotterranee da cui aveva fatto fuggire i Nani e il suo amico Thorin. Si ricordava di aver usato l'Anello magico sottratto a quel grigio essere per sparire... e poi la fuga nelle botti di vino, giù per il fiume. Si ricordava del loro Re, che aveva avvertito sì la sua presenza, ma non l'aveva visto. Quel Re dal brutto carattere e dagli occhi azzurri come il ghiaccio che aveva fatto carcerare i Nani senza tanti complimenti. "Mirkwood...è il reame degli Elfi Silvani." annuí. "Perchè vivi lì?"
"Perché io e il loro Re siamo legati, adesso." gli disse Roswehn, senza alcun imbarazzo. Quell'Hobbit, con le sue belle maniere, la faceva sentire a suo agio. Come Gandalf, come Elrond. Bilbo fece cadere un uovo a terra dalla sorpresa.
"Legati nel senso che..." "Sì. In quel senso. Aspetto un figlio da lui." aggiunse. Cadde anche il secondo uovo. Roswehn sorrise. "Grande notizia, eh?"
"È... è... magnifico...auguri!" le disse l'Hobbit. Incredulo. "...peró scusa...tu e Thranduil non sembravate andare troppo d'accordo." "Diciamo che... ci siamo conosciuti meglio." spiegó Roswehn. "Quello che sembrava impossibile è diventato possibile e ora ci amiamo. Chissà, magari adesso nevicherà a Luglio."
"Oh...e la tua famiglia, come l'ha presa?" chiese l'Hobbit.
Roswehn s'intristí di colpo. "Non bene."
Bilbo scosse la testa. "Mi rincresce."
"Anche a me. Ma non sono qui per parlare della mia vita." gli disse Roswehn. "Sono venuta qui per te, come ho detto."
Bilbo riprese a cucinare. "Per me? Cosa posso fare, dimmi? O sei venuta a vedere com'è la noiosa vita di un mezz'uomo?"
"Ho bisogno che tu risponda a una domanda, Bilbo. E con la massima onestà di cui un essere onesto come te è capace." gli disse lei. "Quale domanda?" chiese Bilbo, voltandosi a guardarla mentre con una mano rivoltava le salsicce. Roswehn si sporse in avanti, le braccia incrociate sul tavolo. Era perfettamente calma, serena, pronta a sentire la verità. E se quell'Hobbit non le avesse detto la verità, se ne sarebbe accorta subito. Imparare a mentire insegnava anche a riconoscere le bugie. "Una domanda semplice, amico mio..." gli disse lentamente.
"...dov'è l'Anello?"

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Capitolo 17
*** In un buco nella terra ***


"Qua...le Anello?" chiese Bilbo.

La sua mano iniziò a tremare mentre reggeva la padella con l'olio sfrigolante.

"L'Anello che molto probabilmente hai rubato a Smèagol, Gollum, o come si fa chiamare quell'essere. E che a sua volta fu sottratto a suo cugino Dèagol." rispose Roswehn serafica. Non era certa di quelle accuse, ma voleva provare a lanciare il sasso e studiare la reazione. Vedendo l'Hobbit impallidire, capí di essere sulla strada giusta. "Ho molta stima di te, Bilbo. Fin da quando ti vidi provai una gran simpatia, e ammirazione per la tua onestà. Ora, non mi costringere a cambiar giudizio." continuò Roswehn.

"Non so davvero di che parli." rispose Bilbo, girandosi e fingendo di continuare a preparar uova e salsicce. "Inoltre, sono sconcertato...sí sconcertato!" Le rivolse uno sguardo che voleva esser duro, ma che risultó solo molto imbarazzato. "Ti ho aperto la porta di casa mia, sto preparando una ce...una cena per te. E mi accusi di essere un ladro!" scosse la testa. "Davvero poco cortese. Io sono stato uno scassinatore, e fui assunto regolarmente per questo. Ma non un ladro."

Roswehn si stupí. "Assunto? Da chi?" volle sapere. Poi si ricordò che quando l'aveva incontrato a Dale, le aveva detto di stare svolgendo un lavoro per i Nani. Ah, ecco. Vedi come tutto torna infine? Pensò.
"Da Thorin." rispose Bilbo. Nominare il suo amico gli fece passare perfino l'imbarazzo. Un'ombra di dispiacere apparve sul suo viso da Hobbit cinquantenne. Roswehn sospiró. Si era aspettata resistenze da lui. Doveva andare per gradi.
"Bilbo. Caro Bilbo. Ora ti voglio raccontare una cosa. Ti dissi prima che la storia della mia vita non sarebbe stata oggetto di discussione, ma è opportuno che ti chiarisca le idee. Non voglio sembrarti ostile." disse Roswehn, appoggiandosi allo schienale della sedia. "Come hai notato, indosso abiti elfici. Potresti pensare che vengano da Boscoverde, invece no, me li diedero a Rivendell. Il piccolo regno di Elrond, lo conosci?" chiese Roswehn.

L'Hobbit annuí. "Sí, lo incontrai. Con i Nani passammo da Imladris."
"Già. Sono stata anch'io ospite da loro...solo una notte. Qualche mese fa ho visitato il Lothlòrien, altro posto meraviglioso... e adesso la mia casa è Boscoverde. Direi, quindi, di avere sufficiente conoscenza del mondo elfico." disse la ragazza. "E sai cosa ho concluso, dopo aver approfondito la mia cultura su quel Popolo? Che fanno una vita barbosa." aggiunse.
"Gli...gli Elfi?" chiese Bilbo, che stava impiattando con attenzione quello che aveva preparato.
"Sì, loro. Oh, e non mettere sale sulle uova, per piacere. Odio il cibo salato."

Roswehn non aveva molta fame e, a parte la sete maledetta, sentiva più che altro il bisogno di lavarsi. Più tardi gli avrebbe chiesto di usare il bagno, augurandosi che quell'ometto avesse una tinozza abbastanza larga da metterci almeno dentro i piedi. Ma decise di aspettare e vedere dove la discussione sarebbe andata a finire. Era più che certa d'averci visto giusto. "Gli Elfi passano le giornate della loro eterna vita a fare tre cose: lavorare, leggere e meditare. Hanno una vera e propria ossessione per la conoscenza. Tutti i loro reami sono forniti di immense biblioteche, e li vedi girare per i loro bei viali e stradine fiorite e sotto i loro portici decorati, con libri in mano. Silenziosi, raccolti nello studio. Li amo anche per questo, oltre al fatto che divido il letto con uno di loro... perché sono come me. Affamati di sapere, come tu lo sei di salsicce e uova, caro Bilbo. Peró, alla lunga, una vita del genere è monotona, piatta, senza emozioni. Cioè, io la vedo così. Tu, no?" chiese Roswehn all'Hobbit, che nel frattempo si era seduto con lei, dopo averla servita.
"Sì, ma... è nella loro natura, credo." rispose Bilbo.

"Esatto. Siamo arrivati al punto. È nella loro natura. E nella mia natura, come nella tua, c'è anche la voglia di viaggiare, spostarsi, di andare incontro ad avventure. Sai, ho litigato con Thranduil, per questo. Lui non comprende la mia impazienza di esplorare questo mondo. Ha detestato la mia scelta di venire fino a qui. E non sa nemmeno che sono incinta..." riveló lei.
"Davvero, non lo sa? Ma... perché?" chiese Bilbo.
"L'ho scoperto a casa, cioé... a Dale. Comunque, quello che ti voglio dire, é che la nostra indole di esseri mortali è diversa da quella degli Elfi. Noi siamo soggetti a una cosa che loro non conoscono: la passione. Noi umani e i Nani e anche voi Hobbit, bruciamo di passione. Che non è solo quella verso ció che ci piace fare, i nostri passatempi, i nostri progetti... è anche altro. È la passione fisica, sentimentale... è carnale." continuó Roswehn, mentre Bilbo si muoveva un po' a disagio sulla sediola. Era anche arrossito. "Le ragazze umane credono che io sia fortunata a stare con un Elfo. Lo so. Immaginano che siano amanti favolosi e instancabili e che ti facciano toccare il cielo con un dito. E per certi versi è vero, ma... da quando vivo con lui... non ho mai avuto l'impressione che gli piaccia davvero quello che gli sto dando. Che senta quello che sento io quando stiamo insieme, cioè." Roswehn a quel punto di alzó e inizió a camminare intorno al tavolo. "Non so perché ne sto parlando con te, perdonami se ti metto a disagio..."
"No, figurati. Sono un adulto, sai." disse Bilbo, che non sembrava più molto attratto dal suo piatto di uova.

Roswehn sospiró. "Ti dicevo che sono stata a Rivendell. È capitata una cosa, laggiù. Ho incontrato un altro Elfo. Un bellissimo, giovane, delicato Elfo. Talmente aggraziato, da sembrare quasi una ragazza. Stavamo passeggiando lungo un viale e lui improvvisamente mi ha guardato in un modo che..." si portó una mano al ventre. "... ti giuro, se mi avesse chiesto di seguirlo nel suo alloggio, forse lo avrei fatto."
Bilbo la guardava a occhi sbarrati. "Avresti tradito Thranduil? Non...mi sembra una buona idea."
"Ho detto forse. Non lo so, comunque ho avuto questa tentazione. Io amo il mio Re. Tu non hai idea di cosa sia lui per me...eppure, sono stata tentata." disse Roswehn. "Come tu sei stato tentato da quell'Anello e lo hai preso. Come Smèagol ha probabilmente ucciso suo cugino per averlo. Perchè noi mortali non siamo come gli Elfi. È un fatto biologico, naturale, immodificabile. Loro non tradiscono, non si fanno tentare da niente, non uccidono per avidità. Sono pressochè perfetti. Noi no. Noi siamo deboli." Bilbo ascoltava pietrificato. La donna stava andando lì dove sperava che nessuno andasse mai: dritta alla sua coscienza. "Perció se tu ora mi dicessi che hai quell'Anello e lo stai nascondendo per un naturale desiderio di possesso, e che da quando ho messo piede in casa tua mi stai mentendo di proposito...io ti capirei. Non ti accuserei di nulla. Perchè io stessa sono colpevole davanti alla mia coscienza. Non so se puoi comprendere." concluse Roswehn. "Peró Bilbo, sii accorto: la cosa che custodisci ha un'importanza immensa per tutti i Popoli liberi della Terra di Mezzo. Se ce l'hai davvero tu, devi saperlo."

Bilbo era ammutolito. Avrebbe voluto dirle sì, è qui, è nascosto nel terzo cassetto di quella cassapanca che hai visto all'ingresso. Ma non poteva raccontarle del suo Tesoro. Era suo, e basta.
E poi, chi era quella donna che si era permessa di accusarlo? Di lei, si ricordava solo un viso macchiato di fuliggine, capelli arruffati e tenuti insieme alla bell'e meglio, un abito che definire misero era poco...così si era presentata nella tenda da campo del re Elfo, l'anno precedente. Perché ora si permetteva di ergersi a suo giudice? Ladro? Lui non era un ladro. Aveva trovato l'Anello.
"Mi dispiace di non poterti aiutare. Ma non so davvero di cosa parli." rispose Bilbo. "E poi... come sei arrivata alla conclusione che dovrei avere io quell'affare?" le chiese, con un'aria un po' offesa.

"Ti ho detto che gli Elfi hanno grandi biblioteche," spiegó lei. "Anche a Boscoverde ce n'è una. Ci vado a volte, quando Thranduil si ricorda di essere re e si dedica al suo reame. Sono volumi tutti scritti in elfico, quasi non riesco a leggerlo. Ma un po' l'ho imparato. Ho trovato un saggio interessante fra tutte quelle centinaia di libri. Un libro sulla Storia degli Anelli elfici. Ora, non te la voglio riassumere, ti svelo solo una cosa: gli Anelli rispondono ai loro padroni, è vero, cioé coloro ai quali furono assegnati da Sauron... ma chi ne trovi, e porti, uno puó comunque beneficiare di alcuni poteri." raccontó Roswehn. "La capacità di sparire, ad esempio.. L'invisibilità. E la facoltà di percepire cose, vibrazioni, dimensioni che i sensi non potrebbero normalmente avvertire." Bilbo la guardava senza batter ciglio. Sembrava molto agitato, ma rimaneva stoicamente composto. "Tu sei sopravvissuto a Smaug. Lasciati dire una cosa da una che a sua volta ha incontrato un bell'esemplare di Drago... sei stato fortunato. Sfacciatamente fortunato. Oppure, qualcosa ti ha aiutato. Forse una magìa, che ti ha permesso di passare non visto sotto al suo naso?" Roswehn posó le mani sullo schienale della sedia. "Cosa ne dici, ti sembra una buona deduzione?"

"Mi sembra una spiegazione ragionevole, sì. Ma non ha niente a che fare con me. Mi dispiace, davvero, hai preso una cantonata." rispose Bilbo, reggendo il suo sguardo.
"Una cantonata. Molto bene." rispose la donna, tenendo a bada la frustrazione di non riuscire a estorcergli la confessione per cui era giunta a cavallo fin da Eryn Galen sotto il sole estivo. Mentre era in stato di gravidanza, per giunta. "Fingeró di crederti. Fingeró di essermi sbagliata. Anche se sono sicura che quel cerchietto d'oro si trova qui, anche se... vorrei mettere sottosopra la tua casa Hobbit per trovarlo e portarlo a Elrond..." continuó, cercando di non spaventare Bilbo, che sembrava aver appena visto uno spettro. "Ma no, non lo faró. Voglio fidarmi di Bilbo il Grande. Per cui, rimarremo qui, io e te, a cenare come due vecchi amici e a discutere sulle stagioni e sui problemi di questa vita grama e breve che ci è stata concessa. Solo, mi rincresce dover tornare a Boscoverde senza poter dare al mio amato re la notizia che aspettava. Sai, lo preoccupa molto questa storia. E io detesto vederlo preoccupato. Ho combattuto contro il suo orgoglio perché mi accettasse nella sua vita... e voglio che sia felice, capisci..." disse Roswehn, "...no, non puoi capire, Hobbit della Contea." Guardó il piatto che Bilbo le aveva preparato. "Assaggiamo queste buone cose, allora. Se altro non rimane da fare."

"C'è una notizia molto più bella che devi dargli, no?" azzardó Bilbo. "Credo che dopo averla ricevuta, non penserà più ad anelli o altre faccende."
"Sì, come no. Mi auguro che la prenda dal verso giusto." commentó Roswehn con un sorriso amaro. Poi lo guardó. "Non so se davvero hai incontrato quella creatura chiamata Gollum... ma tieni bene a mente una cosa: era come te, una volta. Un Hobbit come te. Rifletti su ció che è diventato. È il tuo destino, se quell'Anello è qui e non riuscirai a separartene."
"Mi dispiace, ma te lo ripeto: davvero non so di che parli." ribattè Bilbo. Roswehn trattenne uno scatto d'impazienza. Poi trasse un profondo respiro e decise di lasciar correre, per il momento. Si ripromise comunque di tornare a Rivendell e riferire a Elrond le sue impressioni. Ci avrebbe pensato lui. Dopo tutto, lei cos'era? In quel momento, niente più che una donna incinta e preda di mille dubbi perfino su se stessa, figurarsi sul destino della Terra di Mezzo.

Un' umana confusa e debole in un buco nella terra.

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Capitolo 18
*** Confessioni ***


"E come chiamerai tuo figlio?" chiese Bilbo, mentre con Roswehn era seduto su una piccola panca, in mezzo ai fiori che coltivava fuori di casa.

Entrambi si stavano godendo il sole del primo mattino. Roswehn aveva scelto di stare da Bilbo almeno cinque giorni, tanti ne bastavano per conoscere il mondo degli Hobbit e visitare i famosi Decumani della Contea. Non ce l'avrebbe mai fatta a tornare a Eryn Galen per la fine di luglio, come promesso a Thranduil. Tanto valeva concedersi un soggiorno più lungo del previsto.
"Haldir." rispose.
"È un bel nome. Ha qualche significato particolare?" chiese Bilbo.
"È il nome di qualcuno che mi ha voluto bene. Un Elfo di Lòrien. Mi ha salvata, protetta e amata. Penso sia giusto omaggiarlo in qualche modo." raccontò Roswehn. "Il significato del nome è eroe nascosto. Quell'Haldir è davvero un eroe, a modo suo. Sai, mi convinse lui a tornare a Boscoverde, nonostante sapesse che cosí mi avrebbe persa. Voleva la mia felicità, e per darmela, ha voltato le spalle alla sua. Gli eroi non sono solo quelli che sacrificano la loro vita per un ideale...ho scoperto anche questo, durante l'ultimo anno."

"Ma, scusa se te lo chiedo, non ti sembra di aver ...voluto bene a un po' troppi Elfi? Cioè Thranduil, e quello di Rivendell e questo di cui parli ora..." Bilbo la guardò sorridendo, ma l'occhiata di Roswehn gli fece serrare la bocca.
"Cosa vorresti dire?" chiese lei. "Vuoi offendermi?"
"No, no, no! Ci mancherebbe. Era una curiosità..." si difese Bilbo. Lei, però, non riusciva ad arrabbiarsi sul serio con lui: non poteva resistere a quel viso genuino e sorridente.

A parte per la faccenda dell'Anello, che a Roswehn non andava giù. Aveva addirittura pensato di rovistare in casa sua, in un momento di disattenzione dell'Hobbit. Ma se ne sarebbe accorto: la sua abitazione scavata nella collinetta era talmente ordinata in ogni dettaglio, che la ragazza non avrebbe mai potuto frugare in giro, senza che lui notasse anche un piccolissimo spostamento del più insignificante oggetto. Come Thranduil conosceva a memoria la posizione di ogni foglia a Bosco Atro, il signor Baggins era perfettamente padrone in casa sua.

Roswehn rise. "Vedo che hai capito il discorso di ieri sera. Il mio cuore è rimasto solo per tutti questi anni, e ora magari mi è venuta voglia di recuperare il tempo perduto. Poi, gli Elfi sanno come ammaliarti, te l'assicuro." rivelò. "Tu non hai moglie, giusto?"
"No. Non ci ho mai pensato. Sto bene qui per conto mio.Con i miei libri..." disse Bilbo, incrociando le mani dietro alla testa.
"L'ho già sentita questa..." commentò la ragazza. "Credo di essere simile un po' anche a te. Magari nella prossima vita sarò una Hobbit. Un' Hobbit paffuta e con tanti boccoli."
"E con grossi piedi. No, non ti piacerebbe." disse Bilbo. "Come credi che reagirà Thranduil alla notizia? Cioè, al fatto che avrà un secondo figlio?"
"Davvero non ne ho idea. Quello che è capitato è contro ogni legge elfica. Il solo fatto che provi dell'affetto per me è in contrasto con la vera essenza di quelle creature. In teoria, quando due Elfi scelgono di unirsi e stare insieme, è per sempre. Cioè, non possono esistere due amori nella vita di un Elfo puro... a meno che non sia un mezzo sangue. È questo pensiero che mi tormenta da quando ho iniziato a stare da lui." disse Roswehn. Le sembrava di essere di fronte a un confessore. Nemmeno a Elrond aveva detto quelle cose. "Lui ha avuto una moglie, con la quale ha generato un figlio. E porta ancora alle dita l'anello che simboleggia il loro matrimonio. Gli Elfi sono indissolubilmente monogami, capisci. Almeno dovrebbero esserlo."
"Non è che... magari... non ha amato veramente la sua sposa?" provò a chiedere Bilbo. "Cioè, sai, a volte i Principi di sangue pianificano matrimoni per motivi che nulla hanno a che vedere con l'amore. Per avere un erede, per dare al loro popolo un successore al trono..."
"Ma non gli Elfi. Prendono tutto terribilmente sul serio, specie i rapporti fra di loro. Ma io sono umana e ... temo di essere solo un bel giocattolo nelle sue mani, come dice Edith." sospirò Roswehn. "Questo dubbio mi fa scoppiare la testa."
"Elrond cosa dice? Gliene avrai parlato immagino." chiese Bilbo, facendo cenno a un tizio che passava lí davanti e li osservava di farsi i fatti suoi.
"Dice che Thranduil mi vuole bene. Ne è convinto. Eru solo sa perché." rispose la giovane.
"Senti, fa' una cosa. Torna a Mirkw... cioè a Boscoverde. E diglielo. La sua reazione fugherà tutti i tuoi dubbi. Se non gli importa di te, ti concederà solo un'occhiata fredda e magari un mezzo sorriso. E allora, scappa, sparisci, vattene da lí con tuo figlio. Se ti ama... non passerà un minuto senza che ti riempirà di tenerezze e attenzioni." disse Bilbo.
"E se non gli importasse? Dove andrò? Che farò?" Roswehn si mise le mani sul viso. "Come lo crescerò? Non potrei portarlo a Dale. Sarebbe circondato da ostilità solo perché è un Elfo."
"Venite qui. Tutti e due. Ci sono delle abitazioni vuote, qua in giro... certo dovremmo sistemarle e adeguarle a voi. Ma un modo si troverà." le offrí Bilbo. "Credo che anche Elrond ti terrebbe a Rivendell, se gli chiedessi rifugio. Non devi avere paura. Nessuno è mai davvero solo in questa vita."

Roswehn gli fece un carezza sul piccolo viso.
"Davvero generoso. Se tutti fossero come te, il mondo sarebbe un posto migliore."
"Me lo disse anche Thorin. Se lo pensi pure tu, dovrò iniziare a crederci." rispose l'Hobbit.
"Mi dispiace moltissimo di non aver mai parlato con lui. Ho conosciuto gli altri Nani... ma Thorin no, purtroppo. Che tipo era?" chiese. "Era....beh era..." sembrava che Bilbo non riuscisse a trovare le parole. "... era un leale, coraggioso e nobile principe. Avrebbe meritato di continuare a vivere, e diventare re di Erebor. È assurdo vero? Lo spirito di Sauron è ancora in giro, gli Orchi, i Troll, i Nazgûl... esistono ancora. E quelli come Thorin devono andarsene."
"È cosí che va la vita, mi disse una ragazza a Brèa. Caro Bilbo, non conosco molto di questo mondo, ma da quello che ho visto ci sono molte, troppe cose ingiuste." commentò Roswehn. E sarà meglio che tiri fuori quell' Anello, piccolo, adorabile bugiardo che non sei altro.

Ma preferí tenersi questo pensiero per sé.

🌹🌹🌹

Thranduil osservava il diadema di sua moglie.

Una coroncina d'argento, con al centro una gemma di fiume color muschio, simile alla spilla che lui portava sempre sulla tunica, per chiuderne i lembi. Calenduin l'aveva lasciata a Boscoverde, quando, alla testa delle loro legioni, si erano entrambi messi in marcia verso Gundabad, decisi a sterminare una volta per tutti gli Orchi del regno di Angmar. Era uno dei due ricordi che aveva di lei, e che si era tenuto. I suoi abiti, i suoi libri, i suoi altri gioielli che lei raramente indossava...aveva fatto sparire tutto. Non riusciva più a guardarli. La sua sposa aveva sempre detestato portare corone, o altri simboli da Regina. Era rimasta per tutti i suoi tremila anni di vita un'Elfa combattente, come Tauriel, una guerriera che si esercitava con arco e frecce anche mentre aspettava Legolas, durante quel lungo anno di gravidanza, quando tante volte le aveva consigliato di non mettere alla prova la sua resistenza e di rimanere confinata nelle stanze regali. Ma Calenduin non ne aveva voluto sapere.

Un'altra cosa in comune con Roswehn: entrambe non gli avevano mai permesso di dar loro ordini. Sorrise pensando che se si fossero incontrate, magari sarebbero anche state amiche. La differenza era che la sua Regina era stata un'Elfa decisa e impavida... Roswehn, invece, di paure ne aveva fin troppe.

L'altro ricordo che aveva di lei, erano le gemme di Lasgalen. Le aveva chiuse a chiave nello scrigno più pesante che aveva, visto che per riaverle due legioni di suoi Elfi soldato erano state spazzate via ad Erebor, un anno prima. Dàin Piediferro gliele aveva cedute senza nulla chiedere. Forse era stato un suo modo per scusarsi di averlo irriso davanti a ben tre popoli, chiamandolo folletto e principessa dalle orecchie appuntite, o forse non aveva idea del loro vero valore, o forse con quel gesto aveva voluto chiudere secoli di faide fra Nani ed Elfi...stava di fatto che quel meraviglioso ornamento era adesso fra i suoi tesori, e lí sarebbe rimasto. Certo, lasciarlo in una scatola era un gran peccato. Lo aveva disegnato lui, la sua elegante forma a cuore era stata pensata per celebrare l'affetto che lo univa alla regina. Se tante vite era costato, qualcuno avrebbe pur dovuto portarlo.

Donarlo a Roswehn?

Si figurò la sua amante umana girare per Eryn Galen con un gioiello come quello, cosí eccessivo su di lei, cosí inadatto alla sua semplicità. Cosa avrebbero detto i suoi sudditi? Non aveva ancora avuto modo di indagare sugli umori della sua gente a proposito di lei. Avrebbe voluto chiedere a Legolas di raccogliere qualche voce, di sondare il terreno per capire se il suo popolo avesse accettato quella relazione fuori da ogni schema, oppure se fingessero di essere bendisposti solo per non provocare la sua ira.
Legolas si era un po' affezionato a lei, Thranduil ne era certo.
Era buono.
Vedeva suo padre felice e tanto gli bastava.
Forse era giunto il momento di rendere la faccenda ufficiale anche davanti al Popolo di Boscoverde. L'aveva già presentata a loro come sua nuova compagna, ma era ormai opportuno dare a quella relazione un peso più consistente. E magari avrebbe fatto un giro anche a Dale, per mettere in chiaro a quei mortali che vedevano come fumo negli occhi la razza elfica, che una loro figlia era stata scelta per diventare ... una regina.

Questo pensiero lo preoccupò. C'era un ostacolo enorme fra lui e quel sogno: i Valar gliel'avrebbero fatta pagare se avesse osato sfidarli. E Thranduil poteva anche essere il più indomito dei re elfici, ma non si sarebbe messo contro i suoi déi.
"Non doveva tornare in questi giorni?" chiese Legolas, entrando nelle sue stanze. Aveva smesso da secoli di piombare negli alloggi privati di suo padre senza annunciarsi.
"Ti ho forse fatto chiamare?" gli chiese lui, seccato di essere stato disturbato mentre rifletteva. "Non devi venire da me senza che io richieda la tua presenza. Non sei più un elfetto." Poi si ricordò dell' impegno che aveva preso con se stesso di iniziare a comportarsi da genitore con lui, e mettere il sovrano da parte. "Cosa c'é, comunque?"
"Roswehn, padre." rispose Legolas. "Non è tornata come aveva promesso."
"Già. Questa cosa mi irrita, ma non mi preoccupa. Avrà scelto di rimanere più tempo con la sua famiglia. O forse è da Elrond. Tornerà fra qualche giorno, vedrai." rispose, richiudendo lo scrigno.
"E se le fosse successo qualcosa?" domandò Legolas.
"Lo avrei sentito dentro di me. Sta bene." replicò Thranduil. "Dobbiamo parlare, Legolas. Credo di aver preso una decisione." Legolas si avvicinò al padre. Stava iniziando ad assomigliare a Thranduil nei modi e nei gesti, sebbene il suo fascino e carisma fossero ancora distanti anni luce da quelli paterni.
"Riguarda lei?" chiese.
"Esattamente. Riguarderà anche noi, cioè me e te. Voglio provare a chiedere un favore proprio a Elrond." annunciò il Re.
"A Elrond?!" si sorprese Legolas. Ora sí che le aveva viste tutte.
"Non sarà piacevole, né facile, per me..." sorrise Thranduil. "... ma non esistono altri modi. Comunque, sempre meno seccante di dovermi rivolgere a Galadriel. Quella dei Noldor non è la mia razza preferita."
"Cosa devi chiedergli?" gli domandò il principe.
"Di intercedere per me presso i Valar. Gli déi sono sempre stati generosi con la sua famiglia. Lo ascolteranno." spiegò Thranduil. "Non mi importa di andare a Valinor. Ma chiederò una concessione, per questa vita."
"Spiegati meglio. Quale concessione?" chiese Legolas, incuriosito.
"Di potermi unire in un nuovo matrimonio." rispose il Re. "Una volta, mi fu concesso di amare la rosa più rara che si sia mai degnata di sbocciare su questa Terra...ma mi fu rubata troppo presto. Solitudine, mancanza di speranza, cosí ho vissuto nei secoli. Non succederà ancora. E lei deve sapere, che non esiste al mondo un amore più grande del mio."

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Capitolo 19
*** Nel Lòrien ***


Immerso nell'acqua tiepida di una vasca scavata nella roccia, Haldir sospirò.
Osservava le fronde degli alberi, sopra di lui, e quel verde gli fece tornare alla mente i rami ondulati del salice sotto al quale aveva passato una notte insieme a Roswehn; raggomitolati come gatti sul carro di Gandalf, che aveva dormito ignaro accanto a loro. Continuava a rivivere il momento in cui si era coricato vicino a lei, addormentata, e le aveva posato la testa sul grembo. La dolcezza di quel ricordo non riusciva ad abbandonarlo.

"Una volta sospiravi solo per me," disse Lúriel, un Elfo femmina che, come Haldir, si stava godendo qualche ora di refrigerio fra le sorgenti rocciose. Nonostante la loro pelle fosse insensibile al freddo e al caldo, l'aria era diventata pesante per via dell'afa estiva, e anche le creature del Lórien ne soffrivano. Lùriel e Haldir avevano consumato l'ennesimo, intenso rapporto fra quelle cascatelle, ma questa volta la bionda donna elfica non era rimasta completamente appagata come di solito capitava.
"Mi hai sentito, Capitano? Temo di non essere più in cima ai tuoi pensieri da un bel po'. La tua mente è lontana da qui." continuó lei, accarezzandogli il petto. "...sei lontanissimo da me."
"Vuoi dire che non ero presente qualche attimo fa?" sorrise Haldir. Lúriel poggiò la testa sulla sua spalla.
"Sei sempre un amatore senza rivali, ma... ultimamente non è con me che lo stai facendo. Pensi a qualcun'altra mentre sei tra le mie braccia. Non credere che non me ne accorga." Haldir non rispose. Era vero.
Lúriel era sua amica e amante occasionale da decenni, ma nell'ultimo mese non era più riuscito a godersi la sua compagnia come faceva prima. C'era sempre il viso della mortale davanti al suo.
"È lei." chiese la donna elfo. "È l'umana che io ed Estel abbiamo curato il primo giorno, quando la portasti qui in braccio."
"Lúriel, smettila. Non parlarne." le rispose Haldir. "È un favore che ti chiedo." La ragazza si mise a cavalcioni su di lui.
"No. Voglio sapere cosa ha fatto per stregare il tuo cuore a questo modo." sembrava irritata. "Mi infastidì quella faccenda. La mortale passó tre giorni in casa tua, ti tenne tutto per sé. Io non ho mai potuto passare più di tre ore nel tuo letto."
"Fu un ordine di Celeborn e Galadriel, lo sai. Dovevo sorvegliarla. La sua presenza fra noi poteva diventare un pericolo, non fu un mio capriccio." spiegó stancamente Haldir. Non sopportava la gelosia di Lúriel, non erano uniti in una relazione. Non aveva diritto di sentirsi tradita ed accusarlo.
"Un pericolo? Sì...un pericolo per me. Ed è riuscita nel suo scopo, vedo." ribattè la donna elfo. "Non riesco a capire cosa tu abbia visto in lei. A me non era parsa davvero un granché... con quei capelli color fango e gli occhi color acqua di stagno..."
Haldir abbandonò la testa sul bordo della vasca e rise. "I suoi capelli erano di un meraviglioso color castano e i suoi occhi erano verdi come due gemme di fiume. Ti prego, Lùriel." le accarezzò un fianco. "Non farti prendere da stupide competizioni. Siete diverse."
"È più bella di me?" insisté la donna. "Credi questo?"
Femmine. Pensò Haldir. Mi chiedo cosa avesse in mente Eru quando le mise in questo mondo.
"Mi stai annoiando. Basta cosí, ho detto." le intimò. Ma Lùriel era travolta dalla gelosia, i suoi occhi azzurri brillavano di sfida.
"Quella mortale..." continuò imperterrita. "... aveva una pelle delicata e candida come la mia? O era ruvida e scottata dai raggi del sole, come quella dei contadini umani nei campi?" gli chiese, sollevando il petto perché lui potesse ammirare la perfezione della sue forme. Lùriel era esile come un gambo di papavero rispetto a Roswehn. "...i suoi capelli, odoravano di bosco e muschio... o avevano la fragranza della mirra, come i miei?" gli chiese ancora, agitando le ciocche dorate. "...le sue labbra, erano morbide come le mie? E la sua voce, era melodiosa come la mia? E dalla sua bocca.... uscivano parole dolci come quelle che ti dico io... o solo impudenze e critiche?" lo provocò. "...ricordo quando aprí gli occhi, distesa sul tavolo di marmo del nostro guaritore. Chiese subito di avere della carne per cibo...della carne. A noi, capisci?"
Haldir rise di nuovo. "Sí, tipico di Roswehn, aveva sempre fame."
"E lo trovi divertente?" gli chiese Lúriel.
"Trovo te divertente. Sei cosí ferocemente gelosa da aver dimenticato il principio che regola la vita di noi Elfi." le rispose, guardandola.
"Quale sarebbe? Che è meglio una donnetta mortale di cento donne elfiche?" gli domandò ironica.
"No. Che esiste una bellezza che va oltre quella che i sensi riescono a percepire. La bellezza dell'anima." le rispose Haldir, prendedole il viso fra le mani. "Roswehn non parlerebbe mai in questo modo di un'altra donna, per mortificarla." Lùriel si allontanò da lui, offesa. "No certo. Solo perché non avrebbe argomenti."
"...e sai cosa mi fa arrabbiare? Che lei sia convinta della superiorità di noi Elfi sugli Umani. Crede che non esistano malizie, cattiverie, stupide rivalse fra di noi. E tu smentisci le sue convinzioni. Tu, sei l'esempio che Roswehn si sbaglia a considerarci meglio di loro. Per questo non posso amarti." le disse.
Lùriel lo osservò in silenzio per qualche attimo. Sembrava che dai suoi occhi uscissero frecce dirette verso di lui. Gli Elfi non potevano arrossire, altrimenti il suo viso sarebbe stato paonazzo dalla rabbia. Si girò e lentamente uscí dall'acqua, lasciando che Haldir contemplasse ogni angolo del suo corpo nudo e perfetto. Poi si girò verso di lui.
"Guarda bene, Capitano. Perché è l'ultima volta che potrai goderti questo spettacolo." poi si rivestì e si avviò su per la scalinata di cristallo, verso i suoi alloggi in cima agli alberi.
Ecco. Ora sei rimasto senza Amore e senza amante. Congratulazioni, Capitano. Un trionfo su tutta la linea! pensò Haldir, e poi non trattenne un sorriso. E spero che tu ti stia comportando come si deve, figlio di Oropher. O stavolta non avró scrupoli a mettermi contro un Re.

🌹🌹🌹

"Haldir è pensieroso da un po' di tempo a questa parte, hai notato?" chiese Celeborn alla moglie. Osservava il loro Guardiano dalla terrazza della loro residenza, lo seguì con lo sguardo mentre si stava dirigendo ai confini del bosco, per riprendere la perlustrazione. "E trascura i suoi compiti."
"È innamorato." rispose Galadriel.
"Sí e sta soffrendo. Perché hai voluto che si prendesse cura dell'umana? Sapevi cosa poteva capitargli. Ora non uscirà più dal suo cuore." chiese Celeborn.
"Se non avessi deciso cosí lo spirito di Regan e Morgoth avrebbero portato a termine il loro piano. Il suo amore e devozione verso la ragazza lo hanno spinto a cercarla, quando la rapirono, e a sventare quel pericolo terribile." ribatté la moglie. "Era necessario il sacrificio di qualcuno."
"Perché siamo sempre noi Elfi a doverci sacrificare per gli errori commessi dai mortali?" chiese Celeborn infastidito.
"Perché cosí deve essere." rispose Galadriel. "La protezione di questa Terra è affidata a noi."
"Dicono che la donna sia a Eryn Galen. Da Thranduil. Quasi non riesco a crederci." commentó il marito.
"La mortale deve fare attenzione. È preda di troppi dubbi. E non puó piú avere ripensamenti o farsi sopraffare dalle tentazioni ormai." mormoró la Dama bianca. "Diventerà madre di suo figlio."
Celeborn rimase esterrefatto. "Un mezz'elfo alla corte di Boscoverde? Il reame più conservatore di Arda. Non posso pensare che Thranduil..."
"... lui non sa ancora. Ed è comprensibile: normalmente le unioni fra Elfi e Umani sono sterili." rispose Galadriel.
"Potrebbe disconoscerlo. Potrebbe abbandonare la donna. Potremmo ritrovarcela qui." riflettè Celeborn.
"Haldir ne sarebbe oltremodo dispiaciuto, immagino." disse Galadriel, con un impercettibile sorriso. "È un'umana speciale, non c'è dubbio. Perfino a Rivendell ha piantato un seme."
"Cosa significa?" chiese Celeborn, che a volte non capiva le frasi criptiche della moglie.
"Che ha messo gli occhi su Lindir. Elrond mi ha comunicato con il pensiero le sue preoccupazioni in merito. Il suo consigliere teme l'ira di Thranduil." Galadriel guardó il marito. "La donna non comprende che noi Elfi possiamo cogliere ogni singola emozione, anche la più nascosta, che ai sensi dei mortali sarebbe impercettibile."
"Questi umani... e se Thranduil lo venisse a sapere? Haldir già mi disse che sembrava infastidito dall'amicizia fra lui e quella Roswehn." chiese.
"Non avrà pietà di lei, se si sentisse tradito. Ha compiuto uno sforzo inimmaginabile per provare ad amare di nuovo...non perdonerà un' offesa al suo orgoglio." rispose Galadriel, scostandosi un lunghissimo ricciolo dal volto. "La sua razza non è certo la più saggia e moderata di Arda."
Celeborn preferì ignorare quest'ultimo commento. Il sangue di Thranduil era anche il suo: erano lontani cugini. "Dici che quella mortale potrebbe portare di nuovo il rischio di una guerra, stavolta fra reami elfici?" chiese Celeborn.
"No. Non sono possibili guerre fra noi e comunque non per motivi così futili. Ma lei, lei rischia molto se non mette da parte le sue pulsioni umane. È voluta entrare nel nostro mondo, ora deve adeguarsi ad esso." concluse Galadriel.
E in fretta. Perché lui è già in marcia verso Imladris.

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Capitolo 20
*** Andreth e Aegnor ***


"Lo penso anch'io. L'Anello potrebbe in effetti essere da lui." commentó Elrond, dopo che Roswehn gli ebbe descritto le sue sensazioni riguardo a Bilbo Baggins.

Le ci erano voluti altri quattro giorni per tornare a Rivendell, perché aveva deciso di passare attorno al villaggio di Brea senza attraversarlo nuovamente, allungando di conseguenza il tragitto. Aveva nausea di quel luogo.
La stessa nausea con cui aveva iniziato a svegliarsi la mattina, e che durante la giornata le si ripresentava a intervalli. Il modo che il suo bambino, o elfetto, aveva di dirle: hey! Ci sono! E adesso comincio a divertirmi dentro di te, mamma.
Aveva anche avuto la mezza tentazione di continuare a cavalcare fino all'Estremo Ovest, per visitare quei luoghi che sognava di vedere con i suoi occhi fin dall'infanzia: lo sterminato Lindon, altro porto franco elfico, le Montagne Azzurre a Nord, e poi, forse, si sarebbe spinta fino al Mithlond, su quelle bianche spiagge da cui partivano le navi elfiche dirette a Valinor. Le sarebbe piaciuto assistere all'addio degli Elfi alla Terra di Mezzo.
Ma stava male.
Al di là delle vertigini e delle nausee, di tanto in tanto perdeva l'orientamento, dimenticava cose sentite o viste appena qualche ora prima, e aveva come l'impressione che la terra sotto i suoi piedi franasse. Si svegliava di notte di soprassalto, dopo aver sognato di cadere. Era tempo di prendere sul serio la sua gravidanza. Elrond l'aveva informata che sarebbe durata dodici mesi, tanto ci mettevano i piccoli Elfi a svilupparsi nel grembo materno.
"Come?" chiese Roswehn, tornando a Bilbo. "Lo credete anche voi?!"
"Per ora, non posso fare altro che supporlo. Ma da quello che dici ci sono buone possibilità." ammise Elrond, accarezzandosi il mento delicatamente con una mano. "Quando l'Hobbit venne qui, non l'aveva ancora con sé. Lo avrei sentito. Potrebbe averlo trovato durante il passaggio attraverso le Montagne Nebbiose. I Nani hanno dovuto oltrepassarle per arrivare ad Erebor. Sospetto che quel Gollum abbia trovato rifugio lì, in una grotta magari. Deve averglielo sottratto in qualche modo, come dici tu." Elrond rimase zitto qualche istante, immerso nelle sue riflessioni. "Sì, il tutto avrebbe un senso."
"Allora, forse, dovreste andare voi di persona a reclamarlo da Baggins. Con me ha finto di non saperne niente. Ma non si opporrebbe alla vostra autorità." disse la donna. Sedeva con Elrond sulla veranda che molti anni più tardi avrebbe ospitato il famoso Consiglio che avrebbe portato alla formazione della Compagnia dell'Anello.
"No. Se fosse lì, deve rimanere lì." rispose il lord di Rivendell.
"Dagli Hobbit?!" Roswehn era incredula. "Come possono custodirlo? Sono piccoli e ...indifesi. Il loro non è che un territorio contadino."
"Appunto. Sauron non lo cercherebbe mai in un luogo del genere. È nascosto meglio in un posto semplice come quello che non nel forziere di un grande regno. Naturalmente, se le nostre supposizioni sono esatte." ribattè, sorseggiando dell'acqua fresca. "Non voglio che quell'Anello venga portato da noi, e che la sua negatività avveleni la valle di Imladris."
"E se dovesse causare problemi agli Hobbit? Non ci pensate?" chiese polemicamente la giovane. In quel momento, Elrond le ricordava un po' Thranduil, che negli anni aveva fatto dell'egoismo e del "prima di tutto la sicurezza del mio reame" due capisaldi della sua personalità e del suo modo di intendere la politica.
"Quegli esseri hanno buona resistenza alla sua energia malevola. Bilbo, se lo conserva in casa sua come sostieni, avrebbe già dovuto cambiare personalità sotto l'influsso dell'Anello. Ma ti è sembrato perfettamente normale, mi pare." riflettè Elrond.
"Sì. Questo è vero." gli concesse la ragazza. "Ma non siete preoccupato che qualcuno o qualcosa possa andare nella Contea e aggredire quei mezz'uomini? Una legione di Orchi, di Troll...che so... qualche mostruosità inviata da Sauron."
"Perché dovrebbero farlo? Nessuno può supporre che sia lì, a parte noi due, Aragorn, Thranduil e suo figlio Legolas. E non credo che uno di questi tre si recherebbe mai nella Contea per impadronirsene." disse Elrond.
Un brivido scosse Roswehn. Beh, non era detto. A Thranduil poteva far gola: non aveva un Anello elfico e provava un forte astio verso Elrond anche perché quest'ultimo ne possedeva uno. Mettere le mani sull'Unico, che poteva dominare gli altri, sarebbe stata una bella tentazione ... anche per il Re di un popolo che non si faceva tentare da nulla.

"...pensi a Thranduil?" chiese Elrond, notando la sua aria assorta.
"... penso che devo tornare da lui, sì. È tempo che sappia." rispose Roswehn, accarezzandosi il ventre. "E che i Valar mi aiutino." Lo guardò con occhi carichi di apprensione. "Ho paura, lord Elrond."
"Non c'è ragione di averne. Thranduil sarà felice. Come lo fui io, quando seppi dell'arrivo di Arwen. Fu una gioia senza paragoni per me e per Aerin." sorrise, ripensando alla sua defunta sposa umana.
"Posso chiedervi una cosa, lord Elrond? È questa la prima volta che un Elfo...cioè un Elfo di pura razza...concepisce con una donna mortale?" domandó Roswehn.
"Si, da quel che so io, tu e Thranduil state costruendo la prima famiglia di questo tipo in Arda. Tuttavia, è nota presso i nostri popoli la storia di un'altra coppia simile a voi. Cioè un Elfo maschio unito a una donna umana. Non ebbero figli, comunque."
"Quale coppia?" chiese Roswehn, subito interessata.
"La mortale Andreth e l'Elfo Aegnor." rispose Elrond. "Si amarono molto ancor prima di Beren e Lùthien. Andreth era una zia di Beren. Fu proprio il doloroso destino di quei due a spingere Manwë, la nostra alta divinità, a concedere a Beren e alla sua amata donna elfo di vivere un po' più di tempo insieme, più di quanto sarebbe stato loro concesso."
"E come finì la loro storia d'amore?" chiese Roswehn.
"Andreth, la donna mortale...morì di vecchiaia. Aegnor fu ucciso in battaglia." rispose Elrond. "La parte interessante di questa antica storia è peró un dialogo fra Andreth e Finrod, fratello di Aegnor, in cui egli spiega ad Andreth che Elfi e Umani appartengono a stirpi diverse e che l'amore fra esse, benché possibile, conduce solo a due cose: la separazione, e la sofferenza. È un dialogo metafisico che ti piacerà molto e che ti riguarda. Abbiamo dei volumi nella nostra biblioteca su questa vicenda. Sei libera di sfogliarli." le propose Elrond.
"Certo. Li cercheró subito. Grazie, lord Elrond." rispose Roswehn, ansiosa di leggere quella storia. Non ne aveva mai sentito parlare.

🌹🌹🌹

 
"No, adaneth, se vi può essere matrimonio tra la nostra stirpe e la tua, allora esso si verificherà per qualche alto proposito del Fato. Breve sarà, e duro alla fine. Sì, il destino meno crudele che potrebbe verificarsi sarebbe che la morte vi porrebbe presto fine."

Roswehn pianse come una fontana leggendo queste parole. Aveva trovato il Dialogo fra Andreth e Finrod negli scaffali della ricca biblioteca di Elrond, e con fatica aveva tradotto le parti salienti, trascrivendole su un foglio di carta. Quelle frasi di Finrod potevano essere state scritte da lei. O meglio, dalla parte più recondita della sua coscienza, quella che sapeva fin troppo bene che triste destino avrebbe avuto il suo amore per il re di Boscoverde.
Erano destinati a separarsi. Erano destinati a soffrire. Lei era destinata ad andarsene lentamente. Non c'era alcun modo per vivere insieme in eterno, nemmeno nell'aldilà.

 
"Perché tali offerte si pagano con un'angoscia che non si può neanche immaginare."

Continuava Finrod, rispondendo ad Andreth che gli chiedeva come mai suo fratello non avesse accettato l'offerta della donna umana di passare con lui la sua breve vita, rinunciando alla giovinezza per amore.
Roswehn si asciugò gli occhi, perché le lacrime le appannavano la vista. Come facevano male quelle frasi. Era tutto lí, la fine che avrebbe fatto il suo grande sentimento per Thranduil era scritta lí. La loro storia, era descritta in quelle pagine.
Forse Elrond le aveva consigliato di leggere quel saggio perché finalmente realizzasse, perché si preparasse a ciò che sarebbe arrivato dopo. Dopo la nascita del piccolo Haldir, dopo il sopraggiungere della vecchiaia, dopo il passare dei decenni, che per Thranduil erano un insignificante battito di ciglia, per lei sarebbero stati la sua vita.

Era seduta sotto a un patio pieno di edera rampicante, su una panca di pietra costruita a semicerchio. Era andata lí in cerca di solitudine, ma presto qualcuno la raggiunse.
"Sei triste?" chiese la voce di chi Roswehn aveva inutilmente tentato di evitare dal suo ritorno a Rivendell. "Perché piangi?"
"Sto bene, Lindir. Mi sono solo commossa per questa storia." rispose lei, asciugandosi le guance con un fazzoletto. "È meravigliosa, ma triste."
Lindir sbirciò le pagine. "Oh... Aegnor e Andreth. Un amore che tentò di sfidare le leggi delle nostre razze, ma ne uscí sconfitto. Capisco perché ti interessi." disse. "Vedo attinenza con la tua situazione, in effetti."
"Grazie. Davvero carino sottolinearlo." rispose bruscamente Roswehn.
"Perdonami, a volte parlo a sproposito." si scusò Lindir, sedendosi vicino a lei. "Come è andata dagli Hobbit?"
"Un mezzo buco nell'acqua. Ero andata da loro per trovare una risposta su una questione, e sono tornata con le pive nel sacco. Una gran perdita di tempo. Benché, la Contea sia un posto adorabile, e da visitare una volta nella vita." rispose Roswehn.
"I mezz'uomini non andrebbero mai sottovalutati. Sono furbi. Calcolatori. La loro bucolica semplicità è solo una faccia della loro natura." aggiunse Lindir.
"Ogni cosa ha due facce, lo so. O meglio, lo sto imparando. Mai fidarsi delle apparenze. E dei cosidetti amici." commentò la donna. "Questa è una considerazione profonda. Sei molto propensa alla riflessione, e ciò ti rende simile a noi. Comprendo perché ti sia stato facile entrare nel nostro mondo." Lindir la guardò. "Solo, non so come Thranduil si sia sentito attratto da una come te."
A Roswehn sembrò vagamente di aver ricevuto un insulto. "...scusa?" chiese.
"...non fraintendere!" sorrise Lindir, e quel sorriso bellissimo le fece sentire una mezza dozzina di farfalle nello stomaco. "Re Thranduil è un sovrano che molto ha del grande guerriero, e poco del filofoso. Tu sei diversa da lui. Siete una coppia stranamente assortita."
"... gli opposti spesso provano attrazione reciproca. Ad esempio, uno come te..." gli disse, guardandolo nei suoi occhi castani. "...con una come me...sarebbe un rapporto scontato. Cioè, saremmo due intellettuali, taciturni e riflessivi, che passerebbero le giornate a rimuginare sulla profondità di questo universo. Bella noia, Lindir."
L'Elfo rise divertito. Sorridi ancora cosí, e sarò io a trascinarti nel mio alloggio. Pensò, vergognandosi. Quel Lindir sapeva pizzicare in lei corde nascoste. E la cosa disturbante, era che lo faceva senza intenzione. Senza malizie.
"Sí, forse sarebbe come dici tu. Io amo molto anche la musica. Nasco come menestrello, sapevi? Componevo liriche e canzoni fino a qualche anno fa. Poi Elrond mi ha dato questo ruolo e da allora l'assisto." raccontò. "Ma mi diverto ancora a scrivere poesie, che tengo per me."
Ecco perché Thranduil ti considera un... pensò lei, mordendosi la lingua. "...sei delizioso, sai? Davvero adorabile." gli disse improvvisamente Roswehn, sistemandogli una trecciolina dietro l'orecchio. Nel farlo, sfioró il lobo che terminava a punta. Lindir sussultò e chiuse gli occhi, sentendo tutto il suo corpo attraversato da un brivido. "Scusa, non ho fatto apposta." Si era dimenticata di quanto fossero sensibili le orecchie degli Elfi...e quali erano le conseguenze, dopo una stimolazione del genere.
"...non so se crederti." commentò Lindir. "Nonostante le tue scuse dell'altra volta, non se ne è andato quello sguardo da te."
"Nemmeno da te." rispose la giovane, rapita da quei lineamenti delicati. "Devo dirti una cosa, Lindir. Mi metti in agitazione. Non chiedermi perché, ma è cosí."
"In tal caso, ti lascio." rispose l'Elfo, in evidente imbarazzo, alzandosi. Roswehn gli prese la mano. Delicatamente, gli sfiorò le dita con le sue. "Sono mani da musicista, in effetti." commentò. "Cosí vellutate..."
"Questo è sbagliato." mormorò Lindir. "Ti prego."
"Rispondi alla domanda che ti ho fatto l'altra volta." gli chiese Roswehn, fissandolo: "... cosa faresti se io non fossi legata ad alcuno?" Lindir sospirò, e raccolse il libro che nel frattempo era caduto in terra.
"Qualcosa di cui entrambi ci pentiremmo. Comunque." glielo porse. "Rileggi questa storia, Roswehn. Ma stavolta, cerca di comprenderla." E si allontanò. Lei lo seguí con lo sguardo, poi osservò l'illustrazione della copertina, che rappresentava un Elfo in ginocchio, avvolto dall'abbraccio della sua amata mortale. Sembrava che le chiedesse perdono, per essere costretto a lasciarla. Aprí di nuovo le pagine. Gli occhi le caddero su una frase.

Un abisso separa le nostre stirpi.




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Ovviamente, le citazioni de "il Dialogo fra Andreth e Finrod" sono tutte opera di Tolkien.

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Capitolo 21
*** Un Re a Imladris ***


Roswehn dormiva placidamente nel comodo letto della sua stanza senza porte a Rivendell.

Aveva deciso di fermarsi qualche giorno da Elrond, come se il suo inconscio le avesse suggerito di ritardare ancora un po' il suo inevitabile rientro a Boscoverde. L'ansia di affrontare Thranduil la attanagliava. Sentiva come gli artigli di un rapace stringersi sulle spalle inesorabilmente, ogni volta che immaginava il momento dell'annuncio.
Aspetto un figlio. Tuo figlio.
Venne svegliata da un suono di corno alto e prolungato, lo stesso che aveva udito al suo arrivo a Rivendell la prima volta. Era arrivato qualcuno. Subito dopo, altri suoni si levarono all'unisono, in un crescendo come quello di una fanfara in onore di un sovrano.
Un sovrano.
La donna si sveglió del tutto e velocemente si levó dal letto. In un lampo, e resistendo alla solita nausea mattutina, indossó una delle belle vesti che aveva ricevuto dalla gente di Imladris, e si precipitó fuori.
Non poteva essere lui. Thranduil si era già recato una volta a Rivendell e la cosa non gli era piaciuta per niente, le aveva detto che sarebbero passati altri diecimila anni prima che Elrond lo rivedesse nel suo territorio...ma poi si ricordó: le aveva anche promesso che sarebbe andato a cercarla se non l'avesse vista tornare entro due settimane.
Infatti, da lontano riconobbe le uniformi dorate dei soldati di Eryn Galen. Si affrettó verso di loro e subito vide lo splendido viso di chi aveva occupato i suoi sogni e i suoi incubi ogni notte da quando aveva lasciato Boscoverde. Thranduil scese da cavallo e le venne incontro, elegante nel suo consueto abbigliamento in broccato argenteo.
"Ecco la mia piccola farfalla. Volata lontano e di nuovo smarrita." Roswehn corse da lui. Senza dir nulla, perché troppo emozionata per parlare, si lasció ingabbiare dal suo abbraccio. "Sei riuscita a trascinarmi di nuovo qui. Sai quanto detesti questo luogo." le sussurrò il re, poi lasció cadere un bacio leggero come una piuma sulle sue labbra, che sarebbe diventato molto più deciso se nel frattempo non fosse sopraggiunto Elrond. Con Lindir al suo fianco, osservavano increduli le effusioni inaspettate di quel re così glaciale da non sembrare nemmeno fatto di carne e sangue, a volte.
"Bentornato a Imladris, Thranduil," li interruppe il lord di Rivendell. "Non ti nascondo il mio stupore nel rivederti."
"Sono venuto a riprendere una cosa che mi appartiene. E a cui tengo oltre ogni dire." lo informó Thranduil, stringendo Roswehn a sé. "Ti ringrazio per averla accolta di nuovo."
"Non ringraziarmi. La tua rosa ha portato un po' di bellezza anche a Rivendell." rispose Elrond, cortese. "Immagino vogliate stare soli. Lindir, occupati della sistemazione dei nuovi ospiti, per favore." disse Elrond al suo consigliere, che aveva tenuto per tutto il tempo gli occhi bassi. Dovette ripeterglielo. "Lindir...vuoi?"
"No." intervenne Thranduil. "Devo prima parlare con te, Elrond. In privato, e subito." Questi lo guardó sorpreso, poi acconsentì. "D'accordo." Roswehn si strinse a lui.
"Ma sei appena arrivato..."
"Non essere impaziente, mio prezioso fiore..." le disse, baciandole la fronte. "Verrò presto da te. Con una notizia che credo ti farà piacere."
Notò la Stella del Vespro, il ciondolo di cristallo che splendeva sul petto di Roswehn. "Porti qualcosa di immenso valore per noi Elfi...dono di Elrond?"
"Sì, ma è per te. Intendevo consegnartela al mio ritorno a Boscoverde." rispose lei. Thranduil lanció una fugace occhiata di gratitudine al Signore di Rivendell, poi le disse: "Tienla tu, per ora."
"Ascolta... devi sapere una cosa... è importante." mormoró Roswehn, sentendo il cuore batterle fino in gola.
"Dopo." rispose il re. "Avremo tutto il tempo oggi. Aspettami."
I due lord si diressero verso la residenza di Elrond, dove nessuno avrebbe osato disturbarli. Lindir guardó Roswehn in silenzio per qualche secondo, prima di occuparsi dei soldati di Thranduil. Sembrava molto teso. Lei rimase immobile al centro del piccolo cortile, sotto al sole che iniziava a battere impietoso sulla valle di Gran Burrone.

🌹🌹🌹

"Vuoi sposarla?!" Elrond era senza parole.
Thranduil sembrava molto serio. "Sai che non ti è consentito. Attireresti su di te la rabbia dei Valar." gli disse.
"È per questo che sono venuto qui, oltre che per riprendermi lei." Thranduil incroció le braccia sul petto, assumendo la sua classica postura solenne. "Tu puoi aiutarmi, Elrond. Che tu ci creda o no, ti sto chiedendo un favore."
"Di cosa parli? Io non sono un Vala." rispose l'altro.
"No, certo che no..." sorrise il re. "...ma la tua famiglia ha beneficiato dell'aiuto dei nostri dèi in passato. Forse ti ascolteranno ancora." aggiunse Thranduil.
"A cosa ti riferisci? Quale aiuto?" chiese Elrond.
"I Valar aiutarono tuo padre Eärendil quando andó ad Ovest con uno dei Silmaril, per sfuggire a Morgoth. Siete una famiglia benedetta, si puó dire. Forse puoi chiedere alle divinità una grazia per me e per Roswehn. La possibilità di diventare marito e moglie." spiegó Thranduil. "Le hai detto di consegnarmi la Stella del Vespro. Puoi tenertela. Non ho intenzione di andare a Valinor. Chiedo solo di avere qui, in questa vita, la felicità che mi fu tolta mentre combattevo per preservare la pace." improvvisamente, un duro sguardo comparve sul suo viso. "Me lo devono, Elrond! Mia moglie se ne è andata perché stava difendendo la nostra Terra."
Elrond riflettè qualche attimo. "Hai ragione su questo. Ma Thranduil," gli chiese "... sei certo di amarla? È una scelta che puó rivelarsi tragica, se non siete entrambi consapevoli di cosa vi aspetta."
  "Tu non hai idea di cosa sia lei per me. Fosti tu ad incoraggiarmi a volerle bene, ricordi? Ascoltai il tuo consiglio, e nel tempo ho capito che era giusto. Ora non posso interrompere quello che è iniziato." rispose Thranduil.
Elrond abbozzó un sorriso. "Vedo che sei cambiato, in parte. Certamente la donna ha un influsso positivo su di te. Ma conosco la tua razza. Voi Sindar agite d'impulso, vi lasciate trascinare dall'orgoglio, dal desiderio di vittoria... in qualsiasi campo. Questa non è una questione da trattarsi senza riflettere, peró."
"Ho riflettuto abbastanza. Mio figlio Legolas è pronto ad accoglierla nella nostra vita, e io non voglio che qualcuno si azzardi ancora a considerarla solo come una mia amante. Né a Boscoverde, né a Dale. E in nessun altro luogo." rispose il Re. Elrond guardó verso una delle grandi finestre della sua abitazione, che ricordava molto un tempietto. Quella grande casa in cui abitava solo, da quando Arwen si era trasferita nel Lórien da Galadriel.
"Faró quello che posso." promise.

🌹🌹🌹

Roswehn era nella sua stanza, ad attendere impaziente l'arrivo del suo amato.
Seduta sul letto, torceva le mani una nell'altra. Si stava domandando cosa fosse quell'improvviso bisogno di Thranduil di parlare con Elrond. Cosa doveva dirgli? Quale notizia aveva portato con sè? Di certo, non sarebbe stata più clamorosa di quella che doveva dargli lei.

"Roswehn." disse qualcuno. La donna alzò lo sguardo verso l'entrata della grande camera.
"Cosa ci fai qui, Lindir?" La ragazza si alzò in piedi. L'Elfo si avvicinò a lei, con lo stesso sguardo preoccupato che gli aveva visto qualche ora prima.
"Re Thranduil è a colloquio con Elrond, abbiamo ancora un po' di tempo." disse lui. "Mi devi ascoltare, adesso." Roswehn lo guardava senza capire. "Devi cancellare dalla tua mente quello che ci siamo detti." inizió Lindir. "Devi fingere che nulla sia mai successo fra me e te."
"Cosa è successo, scusa? Niente. Abbiamo solo parlato qualche volta." rispose lei. "Non capisco."
Lindir sospirò esasperato. "I nostri sguardi non sono stati niente. E lo sai. Quello che mi hai detto, quello che hai provato in te...non era niente." Le prese il viso fra le mani. "Thranduil è uno dei pochi Elfi esistenti ad avere il dono della telepatia. Può leggere dentro di te. Se dovesse vedere il ricordo di quei momenti che abbiamo speso insieme, potrebbe... " Lindir non riuscí a finire.
"...farti del male? Mi sembrano eccessive le tue paure, abbiamo solo conversato. Non essere cosí nervoso." tentò di tranquillizzarlo lei. "... potrebbe fare del male anche a te. Ti prego, dimentica ogni istante passato con me. Lo dico nel tuo interesse." continuò l'Elfo. I due si guardarono senza parlare per qualche attimo. Roswehn vide negli occhi scuri di Lindir un terrore che andava ben oltre quello che stava mostrando.
"Va bene. Se tu vuoi cosí, cosí sarà fatto. Ma non c'é motivo per noi di sentirci in colpa. Credimi." gli disse la donna. "Io credo nelle leggi degli Elfi. E nel nostro mondo non esiste cosa più grave del tradimento. Che sia esso consumato, o anche solo immaginato." le disse Lindir.

"Ti sei fatta nuovi amici, vedo." disse Thranduil. Era sulla soglia della camera. Lindir levò subito le mani dal viso di Roswehn, che sussultó come punta da un'ape. Lindir arretrò di qualche passo e chinò umilmente il capo, in segno di rispetto.
"Lord Thranduil..." balbettò. "...ero venuto a sincerarmi sulle condizioni di Roswehn."
"...sí. Sono stata poco bene in questi giorni." aggiunse immediatamente anche lei, in uno sforzo fin troppo evidente di spalleggiare l'altro. Thranduil li guardava impassibile. Entrò lentamente nella stanza.
"Perché ti giustifichi, Lindir? Sei forse in colpa?" chiese. Quest'ultimo non sapeva come replicare. Sentiva il cuore battergli all'impazzata nel petto.
"No." riuscí infine a dire.
Thranduil lo squadrò con aria sorniona. "Devo complimentarmi per la carriera che hai fatto. Da liutaio a Consigliere di Lord Elrond, nientemeno. Davvero rimarchevole." disse. "Chiunque riesca ad elevare il suo stato in questo modo, ha certamente delle doti." aggiunse, girando lo sguardo verso Roswehn. "Sei d'accordo?"
"Sí. Sí certo. Lindir ha grande intelletto e sapienza. È stato di ottima compagnia mentre ero qui." rispose la giovane, sperando che il Re non fraintendesse quell'ultima frase.
"Non ne dubito. Bene, Lindir. Ti sei sincerato a sufficienza sulle condizioni di Roswehn. Ora va'. " gli disse, in un tono che sembrava tanto un ordine. L'Elfo sparí in un secondo. Thranduil a quel punto guardò la donna, e scosse il capo.
"Roswehn..." mormoró. "Roswehn. Quanta pazienza ho con te."
Lei deglutí e provò a parlare. "Io devo dirti una cosa, adesso. Non posso più aspettare." Il re si avvicinò e delicatamente le sollevò il viso con una mano.
"Cosa? Mi vuoi confessare di aver fatto qualcosa che non dovevi fare?" le chiese. La ragazza umana sentí un brivido correrle sulla schiena.
"No! No. Niente del genere." rispose.
"... allora, hai desiderato forse fare qualcosa...di sconveniente, mentre io e mio figlio eravamo a Eryn Galen a chiederci che fine avessi fatto?" continuò lui. I suoi occhi scavavano in lei come tarli nel legno. Devo resistere, pensò.
"No, Thranduil. Non so di cosa parli. Ti prego, ascoltami..." Era il momento di dirgli che era incinta.
"Ascolterò quello che voglio ascoltare." la zittí lui. Poi di nuovo le si avvicinò. "Quel menestrello ti ha toccata?" A quel punto, Roswehn non riuscí più a nascondere i fatti. In un lampo, le venne in mente il momento in cui le dita di Lindir si erano intrecciate alle sue. Tramite la memoria, rivisse la strana emozione che aveva provato, il desiderio di avere di più, la strisciante attrazione che aveva sentito. Thranduil vide tutto nella sua mente. Il suo viso cambiò immediatamente espressione. Chiuse gli occhi, in una smorfia di acutissima sofferenza, come se fosse stato trapassato da una lancia.
"Preparara le tue cose. Ce ne andiamo." le disse, freddamente. Poi si girò e uscí.
"Thranduil!" Roswehn gli corse dietro. "Perché? Cosa succede?" Ma il Re non si giró, andò verso il suo luogotenente e gli disse qualcosa. Il soldato si avvicinò a Roswehn. "Partiamo adesso. Il Re dice di prendere Elèntari e raggiungerci all'uscita ovest di Rivendell." le annunciò.
"Eléntari è morta. Ha avuto... un incidente." mormorò lei. "Ma perché Thranduil vuole andarsene di colpo? Cosa ti ha detto?" chiese, o meglio, gridò al soldato. L'Elfo in uniforme la guardò con severità.
"Cosa vuol dire, è morta? Era uno dei nostri cavalli migliori." Roswehn si voltò, rossa in viso.
"È stata una disgrazia, ho detto. È caduta in un burrone fra le Montagne Nebbiose."
L'Elfo sembrò indignato alla notizia. "Non avresti dovuto portarcela. Comunque, Lord Thranduil vuole partire, te lo ripeto. Cavalcherai con me, allora. Preparati." Nel frattempo, giunse Elrond in tutta fretta. Si avvicinó alla donna e lesse incredulità e paura sul suo viso. "Cosa è successo?" volle sapere. "Dove va, Thranduil?"
"Vuole tornare a Boscoverde subito!" si disperó lei. "Oh Elrond, non so cosa gli sia preso!" Al pari di Roswehn, il signore elfico non capiva.
"Andarsene?! Ma... mi ha appena chiesto..." Un soldato di nuovo si avvicinò alla donna.
"Il Re dice che se ti attarderai un altro minuto potrai rimanere qui per sempre."
"Va' Roswehn. Va' con Thranduil." la incoraggiò Elrond. "Non ti succederà niente, sta' calma." Roswehn corse a prendere le sue poche cose e si affrettò verso il gruppo di soldati che seguivano il Re. Uno di loro la fece salire sul suo cavallo, dietro di lui. La ragazza si girò a guardare Elrond, lanciandogli un'occhiata spaventata e disperata, mentre la compagnia di Boscoverde si allontanava al galoppo.

Il nobile Elfo le rispose con uno sguardo che voleva essere rassicurante, ma non gli riuscí. Conosceva abbastanza Thranduil da sapere che il re era furioso per qualcosa. Se ne stava andando veloce come una tempesta, senza nemmeno salutarlo. Era stato qualcosa che aveva fatto lei. La donna che doveva diventare sua moglie, per la quale uno dei Re più irascibili di Arda si era umiliato al punto da chiedere aiuto proprio a lui. Poi comprese.
Lindir. Oh dèi..no. Thranduil può sopportare molte cose, ma un tradimento... Volse lo sguardo al cielo. Valar, se davvero mi ascoltate, aiutatela, proteggetela.

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Capitolo 22
*** Re e Principi ***


Una piccola coorte di Elfi cavalcava compatta lungo le stradine boschive che conducevano alla grande via attraverso le Montagne Nebbiose.

Una donna era con loro. Distrutta dalla stanchezza dopo un'intera giornata a cavallo senza alcuna sosta, e avvilita.
Thranduil guidava il piccolo gruppo. Nemmeno una volta si era girato a guardarla. Roswehn avvertiva un dolore insopportabile al bacino per la posizione seduta che stava tenendo da molte ore, mal di testa, e debolezza per non aver potuto mangiare altro che qualche frutto strappato di nascosto da alcuni alberi, mentre i cavalli avanzavano. Aveva provato a chiedere all'Elfo che la scortava di fermarsi, perché doveva almeno dormire un po', ma lui le aveva risposto: "Il re intende arrivare a Eryn Galen in meno di tre giorni. Non possiamo fermarci. Ti concedo solo piccole soste per le tue...esigenze. Se vuoi riposare, appoggiati alla mia schiena."

La donna temeva soprattutto per la piccola vita dentro di lei. Quell'incessante dondolío dell'animale rischiava di nuocere alla sua creaturina. "Devo parlare con Thranduil. Per favore, portami da lui." implorò lei, a un certo punto. Stava per perdere i sensi, lo sentiva. Gli Elfi potevano anche evitare di dormire per una settimana, e cibarsi solo di radici, ma lei no.
"Non è possibile. Meglio per te se stai tranquilla." rispose seccamente il soldato. "Dico davvero Roswehn."
"Thranduil! Fermati!" urló allora la ragazza. "Mi devi ascoltare!" Vide il re girarsi e dire qualcosa a un altro soldato, che si avvicinò con il suo cavallo subito dopo. Si rivolse all'Elfo che accompagnava la ragazza.
"Il nostro re dice che se non sei in grado di tenere a bada la donna, dovrò farlo io." E indicò una spessa corda attorcigliata che teneva appesa alla sella. Roswehn non poteva crederci. Thranduil che avrebbe dato ordine di legarla? Come fosse stata una prigioniera?
"Ma cosa sta succedendo, qualcuno me lo vuole dire?" iniziò a piagnucolare, esasperata.
"Piangi?" chiese l'Elfo davanti a lei. "Qualunque cosa tu abbia fatto, dovevi pensarci prima. Lord Thranduil è in collera con te."
"Non ho fatto niente! Tutto questo è assurdo...e poi...non sto bene." si lamentò. Iniziava a vederci doppio. "Salterò giù dal cavallo se non ti fermi, lo giuro."
"Non te lo consiglio. Ti faresti male, e poi probabilmente il re ti lascerebbe dove sei. Noi proseguiremmo e tu saresti sola, sperduta, affamata e con una caviglia rotta." commentò l'Elfo soldato.

"Sono incinta." disse Roswehn. L'Elfo fermò il cavallo all'istante. Si giró, con gli occhi sbarrati.
"Cosa hai detto?"
"Che aspetto un bambino. Il tuo re è il padre. Ti consiglio di farmi scendere, perché se mi succedesse qualcosa, se dovessi perderlo, dovrai rispondere di avere ucciso un principe."
L'Elfo si guardò intorno confuso, e subito chiamò: "Varian!" Arrivò il luogotenente di Thranduil, un severo Elfo che Roswehn conosceva bene. Era un sottoposto di Feren, ma nonostante fosse di grado inferiore al suo era molto più autoritario. Il soldato riferí in elfico al suo superiore: questi, dopo aver lanciato un'occhiata stupefatta all'umana, si precipitò da Thranduil. Non dovevi saperlo cosí, pensò lei amaramente. Si fermò tutta la compagnia.
"Ti prego, fammi scendere." mormorò ancora al soldato, che stavolta l'aiutó. Roswehn andó a sedersi su una roccia, le mani mestamente in grembo, la testa china. Si sentiva sconfitta. Thranduil sopraggiunse sul suo cavallo bardato, ma rimase in sella. Non sembrava turbato, né commosso dalla notizia, né attraversato da alcuna emozione visibile.
"Cos'è quest'altra storia?" chiese freddamente. "Perché ci hai obbligati a fermare la marcia?"
Roswehn lo guardò esterrefatta. "Non ti ha detto il tuo capitano che sono incinta?"
"E chi è il padre...Haldir? Lindir?" ribatté Thranduil. "O magari il nostro Feren?" La guardava come se di fronte a lui ci fosse stata la più miserevole delle creature, non la donna che aveva giurato di amare davanti ad Elrond diverse ore prima.
"Sei tu il padre, lo sai. Sebbene stia cominciando a vergognarmene." rispose Roswehn. Sentí che la tristezza stava lasciando il posto alla rabbia. Ma come poteva trattarla a quel modo? "Sei disgustoso. Ti ho detto che aspetto un figlio tuo."
"Dovrei darti ascolto? Chi mi assicura che non sia un'altra messinscena... come quella che hai recitato da quando fui così stupido da accoglierti nel mio reame... e nella mia vita." la provocó. Roswehn spalancò gli occhi.
"Non riesco a crederci. Non stai davvero dicendo queste cose... e mi mostri un tale disprezzo...perché? Perché ho osato parlare con Lindir? Così poca stima hai di te stesso da credere che rinuncerei a te per un altro? Dopo quello che ho passato per amor tuo?" Gridò lei, mentre gli altri soldati li guardavano ammutoliti. Se uno di loro avesse provato a parlare in quel modo al re, la sua testa sarebbe rotolata lontano. "Non voglio tornare a Boscoverde. Proseguirò a piedi fino a Dale, a casa mia." gli disse lanciandogli occhiate di fuoco. "Non avrei mai creduto..."
"Sono tentato dall'idea di abbandonarti, infatti. Mi piacerebbe dire ai miei soldati lasciatela qui, e che se la mangino i lupi. Sfortunatamente, la notizia che mi hai appena dato fa nascere in me degli scrupoli." ribatté Thranduil. "Accerterò la tua maternità una volta a Eryn Galen, e se fosse vero che aspetti un erede da me, rimarrai nel nostro territorio finché sarà nato. Dopo, lo affiderò a Morath, e tu tornerai da dove sei venuta." le disse. "... e se per caso questa fosse la tua ennesima trovata per ingannarmi, ti accompagnerò personalmente a Dol Guldur, dove proliferano i ragni, e lí incontrerai la tua fine."
Roswehn non sapeva più cosa pensare, cosa dire. Non era nemmeno certa che stesse succedendo tutto sul serio. Forse era un incubo. Si ricordò delle paure di Lindir, degli ammonimenti di Elrond, perfino delle ironie di Edith, che lei aveva detestato per aver irriso il suo amore verso quel Re Elfo furbo e cinico.
"Ti sbagli. È mio figlio. Ovunque andrò, verrà con me." rispose lei.
"Non credo ti piacerà il posto in cui andrai, una volta tornati nel mio regno." le disse il re. "Ti piace fantasticare sugli Elfi? Sarai libera di farlo quanto vuoi. E se ti sentirai sola, potrai pensare a Haldir o Lindir... o a entrambi. E in piena libertà."
"Non fingere una crudeltà che non ti appartiene. Vuoi solo umiliarmi, perché credi che ti abbia mancato di rispetto..." mormorò lei, scuotendo il capo.
"Perché credo? Con questo vorresti anche darmi del visionario? Hai imparato come amano gli Elfi...ora imparerai anche come gli Elfi puniscono i tradimenti." le disse il re. "Tu, falla risalire a cavallo. E cerca di tenerla d'occhio. Ne sei responsabile." comandó al suo soldato. L'Elfo sembrava restìo a eseguire gli ordini. L'umana gli faceva pena. Thranduil se ne accorse. "Fa' quel che dico. O finirai anche tu a Dól Guldur, a farle compagnia nel mezzo di una ragnatela." gli disse.
Spaventato da quelle minacce, l'Elfo prese la giovane per un braccio e la fece risalire sul suo animale. "È lunga la strada, Roswehn." sussuró il suo custode, dopo che ebbero ripreso il cammino. "Ti prego, non costringermi ad essere duro con te."
"Tu devi solo eseguire gli ordini, vero?" rispose lei, con la voce rotta dalla disperazione e dalla rabbia. "Ma la tua coscienza, non ti suggerisce niente? Siete tutti così sottomessi a lui da non esser in grado di capire quando sbaglia?"
L'Elfo non si voltó. "Dici bene. Sono un soldato, eseguo ordini. Ma mi dispiace per te." Quella solidarietà improvvisa non servì a niente. Roswehn si sentì sola. Sola e circondata da creature ostili, la prima delle quali era quella che più di ogni altra avrebbe dovuto proteggerla. Non posso crederci, continuava a ripetersi, mentre la boscaglia diventava più fitta.

🌹🌹🌹

Arrivarono dopo tre giorni a Boscoverde.
Ordinati e silenziosi, i soldati fecero il loro ingresso fra le alte mura del palazzo di Thranduil. Roswehn era con loro, a fatica riusciva a mettere un piede davanti l'altro. Aveva avuto la tentazione di scappare, di provare a saltare giù dal cavallo e lanciarsi nella fitta boscaglia, correre a perdifiato e vedere fin dove sarebbe arrivata. Ma sapeva che non ce l'avrebbe mai fatta: dopo appena tre falcate sarebbe svenuta, tanto era debole, e ci sarebbero stati degli Elfi ad inseguirla, creature che potevano saltare da un cavallo in corsa ad un altro senza la minima difficoltà.
E poi, dentro di lei c'era una vita: doveva pensare prima di tutto a lui, a quel piccolissimo Haldir che una volta venuto al mondo avrebbe ricevuto senz'altro un nome diverso. Si auguró almeno che avesse il carattere generoso e benevolo del suo omonimo. Si auguró che fosse diverso dal padre. E poi, non voleva scappare da Thranduil. Era in corso un enorme, ingarbugliato equivoco che necessitava di chiarimento. Sì, gli spiegheró ogni cosa. Lui è fatto così, ormai dovrei conoscerlo. Passerà tutto, ci basteranno poche ore insieme, da soli, e tutto tornerà come prima.

Legolas li aspettava nel Palazzo, e si sorprese di vedere la donna sorretta a braccia da due soldati, anziché accanto al re.
"Cosa è capitato?" chiese a Thranduil, che passó vicino al figlio senza neanche quasi vederlo. Il re si giró verso la compagnia.
"Portate quell'umana nei sotterranei. Che sia rinchiusa nella nostra cella più buia. Le venga lasciato un solo filo d'aria per respirare. Rimarrà lì per tre giorni." ordinó. Tutti, Roswehn, Legolas, i soldati guardarono il re ammutoliti. Nessuno riusciva a realizzare quello che avevano appena sentito. "Fatelo subito." li esortó il re, prima di girarsi nuovamente, diretto verso le sue stanze.
"Thranduil, sono incinta!" urló lei. Era troppo. Sarebbe finita di nuovo in quegli orribili sotterranei. Senza luce, senza potersi muovere, costretta a dormire sulla nuda pietra.
Legolas, nel frattempo, la guardava senza riuscire a capacitarsi di quello che stava succedendo. Non sapeva se sentirsi più turbato per l'incredibile ordine paterno o esterrefatto dalla notizia della gravidanza. Si avvicinó a lei. "Aspetti un figlio?" le chiese. La donna si giró a guardarlo disperata.
"Sì. Tuo fratello, Legolas. E tuo padre è impazzito." Due soldati si avvicinarono per condurre la ragazza nelle prigioni sotterranee. Legolas non fu d'accordo.
"Lasciatela stare." intimó ai due. "È un ordine." Varian si avvicinó a sua volta.
"Noi eseguiamo gli ordini del Re, principe." disse seccamente. "Gli ordini sono di rinchiudere la donna."
"E se ti facessi trasferire fuori da questo reame, cosa ne diresti, Varian?" rispose Legolas, per niente intimorito. "Non metterti contro di me, vice-capitano." Tutti i soldati lì presenti non osavano muoversi. Era in corso un bel conflitto di autorità: da una parte la volontà del sovrano, dall'altra quella del figlio.
Parló Varian. "Se ti metti contro gli ordini del Re, ti metti contro il Re. E noi siamo tenuti a proteggerlo. Questo vuol dire affrontare anche te, Legolas." estrasse la spada. "La donna andrà in cella. Così sia fatto." si voltó a guardare i suoi soldati. Uno di loro afferró Roswehn per un braccio. Lei non provó neanche a divincolarsi. Era ormai rassegnata. "Va' a parlare con tuo padre, se vuoi aiutare la ragazza. Ma non rivoltarti contro la tua guardia, principe." gli disse il soldato.
Legolas capì che non poteva far niente in quel momento. Rivoltarsi contro i soldati sarebbe stato un atto di ribellione contro il reame, e gli era bastato guardare suo padre in faccia per capire che quel giorno non avrebbe tollerato più nulla.
"Roswehn, non avere paura. Ti aiuteró. Uscirai in men che non si dica." le promise. Ma la donna sembrava persa nel suo oblìo personale. Non lo guardó neppure. I due elfi in armatura la portarono nelle segrete. Legolas si diresse deciso verso le stanze del padre. Di nuovo. Era costretto ad affrontarlo di nuovo. Ora che il loro rapporto stava migliorando, ora che i legami erano ricostruiti, ora che una nuova felicità poteva entrare nella loro vita.
Avró un fratello. Non ti lasceró rovinare tutto.

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Capitolo 23
*** Nel buio ***


"Tu non intrometterti."

Thranduil si versó una piccola quantità di vino nel calice. Avrebbe voluto riempirlo fino all'orlo, ma quel Dowinion dei mortali era forte, troppo forte e lui doveva rimanere lucido. Doveva pensare.
Legolas era piombato nei suoi alloggi come un tornado. "Voglio sapere cosa stai facendo...e perché lo stai facendo!" ringhió al re.
"Sto dando una lezione a quella donna viziata e capricciosa, ecco cosa faccio. E tu devi starne fuori." gli disse, senza nemmeno voltarsi. Il suo tono di voce era calmo e piatto, come quello di un padre che con pazienza chiarisce al figlio un complicato problema. "Non te lo lasceró fare." replicó Legolas. "Da' ordine di liberarla."
Thranduil non si scompose. "Altrimenti, Legolas?" disse. "Oseresti affrontarmi?"
"L'ho già fatto una volta. Se credi che mi faccia fermare da qualche scrupolo ti sbagli." sibilò il principe. "Oggi hai oltrepassato il limite."
Finalmente suo padre si giró guardarlo. "Quella volta fu per Tauriel. Avevo capito la tua rabbia, le volevi bene allora. Ma che cos'è questa umana per te?" chiese.
"Sarà la madre di mio fratello. Oggi ho scoperto che avrò un fratello, e non ti permetteró di fare del male né a lei né a lui. Falla uscire di lì." ripetè Legolas.
"Questo è ancora da dimostrarsi. Per quel che ne sappiamo, potrebbe essere stata una bugia per impietosire me ed i miei soldati." replicó freddamente il re.
"Sai che é vero. Roswehn non avrebbe mentito su questo. Non puoi tenerla rinchiusa nelle sue condizioni, padre." continuó Legolas. "È di una crudeltà inaudita."
"Ti ho detto che la faró uscire fra tre giorni. Dopo, chiederó a un nostro guaritore di visitarla, per verificare se è gravida. A quel punto sarai autorizzato a fare le tue rimostranze come fratello." rispose Thranduil. "E se fosse vero, avrai delle responsabilità nuove. Quel bambino che potrebbe nascere sarà principe, esattamente come te. Avrà gli stessi privilegi di cui godi tu, e una volta cresciuto, la tua stessa posizione gerarchica verso i soldati. Sarà secondo, in linea di successione. Gli insegnerai a comportarsi, a parlare, a combattere, perfino a pensare da erede al trono di Eryn Galen. E ad agire e decidere, come un figlio di Thranduil deve fare."
"Dovrei quindi insegnargli a torturare gente innocente, come fai tu?" replicó Legolas a muso duro.
Thranduil corrugó la fronte. "Chi sto torturando, si puó sapere?"
"Roswehn." disse Legolas. "Non so come altro chiamare la carcerazione in isolamento di una persona. Senza luce, senza cibo, senza nemmeno aria quasi." Thranduil si versó un altro quantitativo di vino, stavolta un po' più generoso.
"La sto educando. Tu non puoi capire."
"Educando?" Legolas era costernato. "Ma di cosa parli?"
"La sua arroganza deve essere piegata una volta per tutte. Tu sei ancora giovane e inesperto sulle faccende terrene. Non hai compreso con chi hai a che fare, ma io sì." disse, sorseggiando il vino. "La prima volta che la incontrai si rivolse a me piena di presunzione. Capii subito com'era la sua personalità e la trovai interessante. Come tua madre, anche lei aveva due tizzoni ardenti al posto degli occhi. Apprezzo la gente di carattere, Legolas, non ho mai amato i pavidi e i sottomessi. La nostra non è una famiglia debole, non lo era tuo nonno, non lo sono io e non lo sei tu. E voglio circondarmi da chi è come me. Elrond ci considera irruenti e poco saggi... ma questo non mi infastidisce. Si tenga pure il suo amore per la diplomazia e la logica. Qui, a Boscoverde, abbiamo altri valori."
Legolas non riusciva a seguire il discorso del padre. "Dove vuoi arrivare con questo?" chiese spazientito.
Il re si giró a guardarlo. "Così come amo il suo carattere, detesto la sua continua mancanza di rispetto. Lei crede di poter trattare gli altri come stupidi, crede di poter calpestare i sentimenti altrui a suo piacimento, per soddisfare i suoi egoistici desideri umani." disse al figlio. "Le ho aperto il mio cuore, la mia dimora, ho lasciato che vi conosceste. Volevo sposarla, volevo che Elrond ci unisse in matrimonio, l'ho implorato di chiedere una grazia per me agli dèi. E volevo regalarle questo..." pose sul tavolo un fagottino di velluto color notte, che aprì in un rapido gesto. Era la collana realizzata con le inestimabili gemme di Lasgalen. Il gioiello che era inizialmente destinato alla regina. "... sarebbe stato il mio regalo di nozze. Doveva essere di tua madre, lo disegnai per lei. Volevo che fosse Roswehn a possederlo, adesso." disse amaramente. "Ma non lo merita. Non sarà suo, né sarà mai mia moglie. Questa è una decisione definitiva."
"Ma cos'ha fatto, me lo puoi dire? Quale sarebbe la sua mancanza di rispetto?." chiese Legolas, che cominciava a sentirsi confuso. "Desidera. Desidera incessantemente. E lo fa per il gusto del proibito, rendendomi ridicolo di fronte ad esponenti di altri reami. E io non posso permettermi di sembrare ridicolo. Sono un re." spiegò Thranduil. "Le perdonai la sua infatuazione per Haldir di Lórien. Non eravamo ancora uniti, era libera. Ma ho saputo che ha provocato anche quel Lindir, mentre era a Rivendell in questi giorni. L'ho letto nei loro pensieri. Lindir...capisci... una specie di artista da quattro soldi. Un musicista... per gli dèi, fosse stato almeno Aragorn." sembrava disgustato. "E senza il minimo rimorso. Come se tuo padre fosse niente per lei."
Legolas cominciava a realizzare. Sí forse Roswehn era stata incauta e un po' intemperante. "In parte capisco la tua gelosia. Ma quello che hai deciso è eccessivo. Non puoi punirla cosí. Ti odierà per questo...e la spingerai a fare paragoni con altri." disse Legolas. "Tornerà ad avere nostalgia di Haldir."
"Haldir? Sei anche tu convinto che il Capitano di Lórien sia innamorato di Roswehn? Vuoi sapere come si consolò dopo la festa del Solstizio d'estate, quando lei scelse di rimanere qui e unirsi a me? Chiedilo a Drâgana." Drâgana era una dama elfica molto conosciuta a Boscoverde, per la sua avvenenza e la facilità di costumi. "O magari dovrei lasciarla libera di tornare nel Lòrien da lui... sono curioso di sapere tra quali braccia lo troverebbe." sorrise Thranduil. "Roswehn è rimasta ammaliata dal suo coraggio. Certo, le ha salvato lo vita... ma Haldir e i suoi fratelli sono tre Elfi liberi e libertini, se capisci cosa intendo. Nessuno dei tre ha moglie, guarda caso."
"Tu le vuoi ancora bene?" chiese Legolas, "non riesco a capire questo."
"Ma certo. È entrata in me ormai. E quello che sto facendo, è per lei. Perché impari come si sta al mondo. Perché nell'oscurità di quella cella capisca come mi sono sentito io a ogni metro percorso da Rivendell a qui. In quale angoscia sono caduto all'idea di perderla. È stata talmente avvolta dalla bambagia per tutta la sua vita... quei suoi genitori l'hanno trattata da figlia unica, senza darle regole. Nessuno le ha spiegato che esistono anche gli altri a questo mondo. Lo imparerà." terminò Thranduil, guardando verso il laghetto in cui lui e la donna avevano passato tante ore.
"E allora perché quelle minacce? Di cacciarla, di sottrarle il figlio...?" chiese Legolas.
"...come fai a sapere che le ho detto queste cose?" si stupí Thranduil.
"...me l'ha raccontato il soldato che l'ha portata con sé sul cavallo. Disse che l'hai trattata in modo orribile, e davanti a tutti." replicò Legolas.
"Perché aveva bisogno di sentire quelle frasi. La sua coscienza doveva venire scossa in qualche modo." rispose placidamente il re. Era assolutamente convinto d'essere nel giusto.
"Non ti perdonerà, quando la farai uscire. Non temi che possa smettere di amarti?" chiese il principe.
"No. Anzi, ho idea che il nostro rapporto approderà ad un nuovo livello dopo questa prova. Che mi dia un figlio o meno, le cose cambieranno." replicó Thranduil. "E comunque questa è solo la prima delle due punizioni che ho in mente. Tu parli di tortura? Questa breve carcerazione è niente, rispetto a quello che passerà dopo. Per una come lei, la più dura lezione è toglierle quello che le piace di più." sorrise Thranduil. Legolas vide qualcosa di malizioso, in quel sorriso. Decise di non indagare oltre.
"Posso almeno andarla a trovare?" chiese al padre.
"D'accordo. Ma solo una volta. E non lasciarti impietosire dai suoi piagnistei." disse il re.

🌹🌹🌹

Roswehn fu spinta senza complimenti nella cella più angusta di Eryn Galen.
In un secondo, capí cosa significava il termine gattabuia. Non c'era nessun tipo di luce là dentro. Il buio più totale e angosciante. La porticina della cella era dotata di una fessura con piccole sbarre, ma era solo una stretta apertura da cui passava quel poco di aria che le consentiva di respirare. Chiamò. "Chi c'é là fuori??" Silenzio. "Vi prego, chiunque mi stia sorvegliando...aprite...mi sento mancare..!!" gridò da quel buco. Vide un'ombra mettersi davanti alla porta.
"Fa' silenzio. L'aria che arriva da te è sufficiente per vivere. Nessuno muore nelle prigioni degli Elfi."
"Ti prego... sono incinta, io... non posso stare qui..." imploró Roswehn.
"Non è un mio problema." rispose seccamente la guardia. "Non è un tuo problema?" ripetè lei. In un lampo, fece passare un braccio attraverso le sbarre e afferrò il soldato per il bavero della tunica. Gli strinse talmente forte la gola da farlo quasi soffocare. "Adesso è un tuo problema. Passami le chiavi, muoviti!" Subito un pugnale si appoggiò sul suo braccio. Un ammonimento.
"Lascialo Roswehn. E calmati." Era Varian. La donna lasciò la presa.
"Vi odio tutti. Dal vostro maledetto re all'ultimo di voi servi." Vomitò tutta la sua rabbia su di loro.
"Lo so. Ne hai diritto. Ma lí dentro ti conviene risparmiare le forze. Niente più aggressioni ai guardiani o farò chiudere anche questa misera apertura." la minacciò. Poi si allontanarono entrambi. Roswehn provò a sedersi. Si mise le mani sul volto. Lí in quel buio, per tre giorni, sarebbe andata fuori di senno. Dovevi pensarci prima. Le aveva detto l'Elfo soldato.
"Taci." mormorò lei. Non aveva fatto niente di sbagliato. Tutta quella tragedia solo perché aveva simpatizzato con Lindir. "Siete dei selvaggi! Rinchiudere una ragazza gravida!" gridò ancora. Ma chi era Thranduil per trattarla cosí?

È colui a cui la tua anima si è legata. Sentí la voce di Elrond dentro di sé.
Noi prendiamo sul serio le nostre unioni. Sentí anche Galadriel.


"No. È solo un pazzo che vuole togliermi mio figlio." disse ancora fra sè. "Ma non glielo permetterò." Con attenzione, cercò a tastoni una sporgenza tagliente nel muro. Iniziò a sfregare un polso su di essa.
"Te l'ho detto, Thranduil. Io e Haldir ce ne andremo insieme."

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Capitolo 24
*** Famiglie ***


Legolas provó a sbirciare nel pertugio intagliato nella porta.

"Roswehn." Non ci fu risposta.

Battè due volte la mano sul legno. "Roswehn!" Sembrava che la cella fosse vuota.

Si giró verso la guardia. "Apri!" gli ordinó. Il soldato provò timidamente a replicare. "Varian dice che..."

"Apri questa porta, e alla svelta." rispose Legolas. La guardia estrasse allora il mazzo di chiavi e ne inserí una nel pesante lucchetto. Subito Legolas spalancó la porta e vide la ragazza accovacciata a terra, priva di sensi. Notò un rigagnolo di sangue sul polso destro. 
"Aiutami, tiriamola fuori!" disse al soldato. "La porto nelle stanze di mio padre. Tu avverti un guaritore, che ci raggiunga all'istante!" ordinó il principe, sollevandola fra le braccia.

Percorse tutta la distanza dalle galere alla grande stanza paterna pregando i Valar che la donna si riprendesse. Provava un terrore misto a odio per le decisioni di Thranduil. Ma cosa stava succedendo a suo padre? Certo, era severo, lo sapeva bene. Non riusciva peró a capacitarsi di un tale accanimento verso la ragazza che da soli pochi mesi era entrata nella sua vita e sembrava avervi riportato la luce. Come poteva farle del male a quel modo?

Entró con Roswehn in braccio negli alloggi del re, che sedeva su un piccolo trono di legno intento a leggere una pergamena. Alzó subito lo sguardo verso il figlio che per l'ennesima volta si era permesso di entrare nel suo spazio privato senza annunciarsi. La vista di Roswehn tra le sue braccia lo fece alzare di colpo.

"Guarda cosa hai fatto!" disse il principe. Thranduil si avvicinó rapidamente e lo fermò per afferrare il polso ferito di Roswehn, ed esaminarlo. "Hm." mormorò.

"Lascia che si stenda, almeno." gli disse Legolas, portando la donna verso il letto, nella sala più nascosta di quelle grandi stanze. Con infinita delicatezza, la adagiò sulle coltri.

"È svenuta. Ha perso molto sangue." mormorò il principe, agitato. Nel frattempo, Thranduil era sopraggiunto reggendo un bicchiere pieno d'acqua.

"Non sei più in grado di riconoscere una ferita da un graffio, Legolas?" chiese al figlio. Sembrava assolutamente tranquillo. "Mi deludi."

"Non vedi in che condizioni si trova?" chiese Legolas. "Nemmeno di fronte a questo provi pietà?" 

"Provo pietà per suo padre che l'ha allevata. Posso solo immaginare che razza di piantagrane sia stata quando era bambina." replicó il re. "E in quanto a esser svenuta..." le lanció l'acqua sul viso. Roswehn si sollevó seduta sul letto, colta da una tosse irrefrenabile. "Ti sei ripresa velocemente, vedo." le disse. Il classico sorriso sarcastico era tornato sul
suo volto.

"Ti odio." disse Roswehn, passandosi una mano sulle guance bagnate.

"Lasciaci soli." intimó Thranduil al figlio, che nel frattempo sembrava non capirci più niente. "Non conosci i trucchi delle donne, Legolas. Ti serva di lezione."

Il principe lasció in silenzio la stanza del re, dopo aver lanciato alla giovane uno sguardo preoccupato, ma anche un po' seccato. L'aveva ingannato per farsi aprire la porta.

Il re si sedette sul letto vicino alla ragazza. "Che miserabile codarda, che sei." esordì. "Non sei riuscita a rimanere nemmeno un'ora in quella cella. Mi sarei aspettato maggior resistenza da te."

"Sei vile e meschino..." rispose Roswehn. "...mi hai fatta rinchiudere in quel buco, e nel mio stato per giunta." 
Si strizzó i capelli bagnati.

"Tieni, fasciati quel polso graffiato." disse Thranduil, porgendole un pezzo di stoffa. "...voglio vedere la faccia del nostro guaritore quando verrà qui trafelato e convinto di trovarti più morta che viva."

Roswehn gli strappó la pezza dalla mano e inizió a tamponarsi la ferita. "Me ne andró da qui, ti ho detto. Torneró dalla mia famiglia, a Dale. Tu non mi fermerai." ringhió a Thranduil.

"Non devi andare fino a Esgaroth." le disse Thranduil. "La tua famiglia sta per venire qui. Ho avuto oggi il messaggio dal tuo re." sorrise. "Vogliono riportarti a casa e sembrano anche piuttosto arrabbiati."

Roswehn era incredula. Non riuscì a replicare per qualche attimo. "Mio... padre?! Sta venendo a Boscoverde?" Immaginó Hannes lasciarsi andare a ogni sorta di imprecazione durante tutto il tragitto. Andare dagli Elfi: nella lista personale di cose da fare prima di morire di Hannes Monrose, quella occupava certamente l'ultimo posto.

"Sì. Credo voglia affrontarmi. Sono curioso di conoscere l'uomo dai cui lombi si è generata una tale figlia." le disse. "Sarà sollevato quando gli diró che non ho intenzione di rapirti, e nemmeno di sposarti. Rimarrai qui, e rimarrai di tua volontà, lo so. Staremo insieme come amanti. Uniti, ma mai sposi. Questa è la mia decisione. Tu non sei fatta per essere moglie, e nemmeno regina."

"Ti odio." ripetè lei.

"L'hai già detto. Io invece ti amo...benché la cosa stupisca anche me." ripose Thranduil.

Roswehn non cedette al piccolo fremito che sentì nel cuore. Era la prima volta che glielo diceva. Ma ancora troppo forte era la rabbia per tutto quello che era successo appena poche ore prima.

"Hai detto che mi avresti dato in pasto ai lupi, e che mi caccerai dal regno dopo aver dato alla luce nostro figlio. Tieniti i tuoi ti amo, Maestà." gli ripose lei. Gettó la pezza sul fondo della stanza.

Thranduil scosse il capo. "Sei uguale a me. Anche se apparteniamo a due razze diverse abbiamo la stessa tempra. Non fu il caso che ti spinse nel mio accampamento a Dale, quel giorno. Ormai ne sono certo." le disse il re, divertito dalla sua espressione arrabbiata.

Nel frattempo arrivó il guaritore. "Fasciale bene quel polso e visitala. Sostiene di essere incinta."  gli disse Thranduil, alzandosi.

"Va' via!" gli urló Roswehn. "Non voglio più vederti!"

Thranduil rise. "Mi rivedrai invece, per tua gran sfortuna. Torneró prima che tu possa lanciarmi un'altra maledizione." e si allontanó.

L'Elfo prese la mano di Roswehn e strinse il polso fra le sue. Subito la donna avvertì un calore fortissimo, ed ebbe anche l'impressione che dalle mani del guaritore si sprigionasse un'aura, una luce. Sentì immediato sollievo.

"Meglio ora?." le chiese l'Elfo. Appena tolse le mani, la ragazza notó che la ferita si era magicamente chiusa, sebbene fosse rimasta come una cicatrice sbiadita. L'Elfo le mise un bendaggio leggero, imbevuto di una misteriosa soluzione. "Così sparirà anche il segno." 

Poi pose le mani sul ventre di Roswehn, e questa volta la donna sentí una strana tensione, come se le sue viscere si stessero attorcigliando. L'Elfo corrugò le sopracciglia.

"È vero, sei gravida." annunciò. "Ma il tuo piccolo sta soffrendo."

"Non mi stupisce. Dillo pure al tuo re." rispose seccamente Roswehn. "In caso gli rivenisse l'idea di murarmi viva."

L'Elfo la guardò senza replicare. In silenzio, si alzò e anch'egli abbandonó la stanza regale.

Roswehn si accarezzó il ventre. "Povero piccolo. Davvero una sorte infelice ti è toccata." 

Rifletté sulla stranezza della situazione: fino a quella primavera, la sola idea di rivedere Thranduil le faceva battere il cuore a mille. Poi, si erano messi insieme, si erano amati per un intero, meraviglioso mese, lei ora aspettava un figlio, si erano separati, poi ritrovati, infine presi a male parole e la situazione era precipitata alla grandissima.

Inizió ad avere qualche dubbio sulla sua condotta. Forse aveva sbagliato. Forse aveva sfidato troppo il destino. Forse era davvero presuntuosa, come sosteneva lui. Forse con Lindir...

Ma ci siamo solo parlati, schifa miseria! Non è che ci ho fatto l'amore davanti a tutti gli Elfi di Rivendell! E LUI mi ha rinchiuso! Mi ha rinchiuso in una cella buia e se non avessi trovato questo espediente sarei lì dentro a parlare con topi e scarafaggi. Pensó anche. Poi una nuova idea, ancora più angosciosa.

Mio padre sta venendo qui. E non sa che aspetto un figlio. Un piccolo mezz'elfo. Oh Valar.

🌹🌹

"Ma tu guarda che razza di posto selvaggio!" sbottó Edith, a cavallo di quel pony che le avevano dato a Dale. Non sarebbe stata mai in grado di montare un vero destriero, così le avevano dato un pony molto lento e molto tranquillo...ma che sembrava averne già abbastanza di lei. Nitrì spazientito. "Tu sta' zitto. E senti che puzza!" si lamentó. "Odio l'odore di cavallo."

"Non farmi pentire di averti portato con noi, Edith." le disse Hannes. Era partito con sua moglie e la fioraia da qualche ora. Tutti e tre erano decisi a fare una visita ai loro vicini Elfi  per vedere di persona quale potente magia avesse attratto Roswehn un'altra volta.

Hannes si era aspettato che la figlia sarebbe tornata indietro, dopo la sua scampagnata a Rivendell. Era sembrata molto tesa, l'ultima sera che aveva passato a casa, e i suoi genitori avevano intuito che qualcosa non andava per il verso giusto. Era convinto che si sarebbe rifugiata da loro, aveva pregato perchè finalmente capisse che Dale, e la sua famiglia, erano l'unico posto dove doveva stare.

Non da quegli... Elfi. Cosa avevano gli Elfi in comune con gli Uomini?  Niente. Mirkwood non era il suo mondo. L'aveva lasciata libera di conoscerlo proprio perché vedesse con i suoi occhi quante e quali fossero le differenze fra le loro genti.  E invece era capitato l'impensabile.

Thranduil. Solo pensare al loro re gli fece ribollire il sangue. Ah, ma stavolta l'avrebbe affrontato. Non si sarebbe nascosto ancora.

"Quanto ci metteremo, Hannes?" chiese la moglie. "Fa un caldo insopportabile."

"Entro sera saremo arrivati a una delle entrate al loro territorio. Dobbiamo resistere." rispose lui.

"Non vedo l'ora di trovarmelo davanti il folletto dalla corona appuntita. Non vedo l'ora di dirgliene quattro a quel mascalzone!" continuó Edith. "Sedurre una giovane indifesa... "

"Lascerete parlare me, invece. Non voglio sceneggiate davanti a lui. Non voglio che ci veda disperati, o crederà di aver avuto la meglio." rispose Hannes.

"Hai ragionato sempre così, per tutta la tua vita. E guarda dove ti ha portato la tua ... pacatezza. Non sei stato in grado nemmeno di educare tua figlia. È scappata di casa, di fatto. Lo sai questo?" lo provocó Edith.

"Smettila. Abbiamo amato Roswehn più di quanti due genitori dovrebbero fare. Non è stata colpa nostra se gli Elfi l'hanno irretita." rispose Yohlande. Era angosciata da un'altra questione: quella pettegola di Violette aveva diffuso la voce che sua figlia era incinta. Ne era arcisicura, le aveva detto.

Non hai visto il suo corpo come è cambiato? Non hai visto la sua pelle come era diversa? Non hai visto quella luce negli occhi? Segni che la giovane è stata timbrata, e alla grande. Le aveva detto Violette, quando Yohlande si era precipitata a casa sua arrabbiata per quel pettegolezzo. Da un elfo, probabilmente... aveva aggiunto Violette. Oh Yohlande cara, mi dispiace tanto, le aveva detto, con un tono melenso e falso come poche volte aveva udito.

Non ne aveva parlato con suo marito. Gli sarebbe venuto un attacco di cuore e lei sarebbe rimasta vedova e con una figlia beatamente dispersa nel regno dei folletti. No, ci voleva calma. E pazienza.

"E sia chiaro che non ho intenzione di mangiare insalata e lupini. Voglio subito un coniglio arrosto stasera, e me l'andró a cacciare da sola, se non lo faranno loro." continuó a borbottare Edith.

"Saremo loro ospiti, mangeremo quello che ci daranno. Adesso basta, o faró girare il pony e ti rispedisco a Dale." l'avvertí Hannes.

Edith sbuffó, ma finalmente si zittì.

Tutti e tre stavano avanzando sul sentiero, quando un animale improvvisamente si paró davanti a loro. Un animale che Roswehn aveva tanto sperato di vedere, e che non si era mai mostrato durante la sua permanenza a Boscoverde.

"Guardate...è bellissimo." disse Yohlande, meravigliata.

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Capitolo 25
*** Attese ***


"Colpiscilo, Hannes! Dritto in mezzo agli occhi." esclamó Edith. "Con quella pelliccia bianca ci vien fuori una signora coperta per il prossimo inverno."

Il padre di Roswehn rimase immobile. Si era portato arco e frecce da casa, ed era anche un ottimo tiratore, ma quel cervo era davvero splendido. Il suo manto era candido come la neve, e sembrava che fosse circondato da un'aura di luce. Pareva una creatura di un altro mondo.

"No. Non facciamogli del male." disse Yohlande, estasiata. "Non è un cervo... è uno spirito."

Edith ridacchió. "Uno spirito... quello è buono per farci il sugo, te lo dico io. Un ragù da leccarsi i baffi."

La madre di Roswehn scese dal suo ronzino, e si diresse verso l'intrico di sterpaglie dove l'animale si era fermato ad osservarli. Sollevó lievemente il muso mentre la donna si avvicinava, ma non scappó. Yohlande ebbe la netta sensazione che la stesse aspettando.

"Stai attenta! Quelle bestie ci mettono poco ad incornarti." l'avvertì Hannes.

"Non vuole caricare, l'avrebbe già fatto... che strano, sembra proprio che stia guardando fisso verso di noi." commentó Edith, a bassa voce.

Yohlande nel frattempo si era avvicinata ancora di più. Altri dieci passi, e l'avrebbe toccato. Improvvisamente, ebbe come un'illuminazione. Cominció ad arretrare con la stessa cautela con cui si era avvicinata.

"So cos'è...è lo spirito della Regina di Bosco Atro." sussurró, senza voltarsi.

"Cheee?" chiese Edith, "Hannes, la tua dolce metà sta cominciando a vaneggiare. Sarà l'aria rarefatta di questa foresta."

"È la moglie di Thranduil." ripetè Yohlande, come in trance. Il cervo avanzó di un passo, e piegó il collo verso il basso, in una sorta di animalesco inchino.

"Ci sta dicendo di non avanzare. Di non andare oltre. Di lasciarla lì dov'é." disse Yohlande.

"Ma chi? Di cosa stai parlando?" chiese Hannes. La situazione aveva qualcosa di irreale, inquietante.

"Nostra figlia. Roswehn appartiene agli Elfi ormai. Appartiene a lui." mormoró la donna. "E la regina benedice questa unione."

Edith e Hannes si guardarono. "Capisco che tu sia preoccupata, Yohlande. Ma questo non ti autorizza a perdere il lume della ragione. Hai sentito Hannes? Tua moglie parla con gli animali..." borbottó Edith.

"Beh adesso basta..." rispose l'uomo, e rapidamente scoccó una freccia verso la roccia su cui il cervo li stava ancora fissando. L'animale saltó via in un lampo e sparì nel bosco.

"No! Perché l'hai fatto?!" protestó Yohlande.

"Perché non voglio rallentare inutilmente la nostra marcia. Ci manca solo che la notte ci colga in questo bosco." rispose il marito.

"Non abbiamo il permesso di continuare. Ti ho avvertito." gli disse Yohlande. "Non siamo i benvenuti."

"Questo lo vedremo. Che ci provino ad attaccarci." ribattè Hannes, bellicoso.

"Giusto. Ben detto. Che si facciano avanti, questi Elfi. E si portino dietro i loro amici gnomi, fauni e unicorni. Non mi fanno paura!" sputó Edith. "Il mondo è degli Uomini. Tempo che lo imparino queste creature."

Ma Yohlande era triste. Non condivideva la baldanza dei suoi due compagni di viaggio. Sapeva, ormai, che il loro viaggio a Mirkwood era inutile. Aveva perso sua figlia. Cioè, doveva accettare che era stata risucchiata in un altro mondo. Quello spirito in forma di cervo immacolato le aveva trasmesso un pensiero.

Non separateli. Si appartengono.

"Hannes, andiamocene. Per favore. Io...non voglio proseguire." disse Yohlande.

"Sei solo nervosa. Questa è la prima volta che ti allontani da casa. E di certo
la foresta che ci ospita non è delle più accoglienti. Ma sono sicuro che stiamo facendo la cosa giusta. Siamo i suoi genitori. E lei... lei è perduta." mormoró Hannes.

Yohlande fece cenno di no col capo. "È questa casa sua, ora. Siamo noi fuori luogo, qui. Ti prego..."

"Ma che vai blaterando! Vedrete come tornerà a Dale la ragazza, quando ci vedrà. Sai cosa si dice degli Elfi...?" la interruppe Edith, spronando il suo pony.

"No...che altro si dice?" replicó Hannes, roteando gli occhi. Gli era già venuto mal di testa a furia di sentire la donna cianciare senza sosta.

"Che adorino ballare e cantare e che la loro musica sia irresistibile, ipnotica. Quando ero piccola, mia madre mi ripeteva sempre che, se mai avessi incontrato un Elfo, non avrei dovuto accettare di ballare con lui, se me l'avesse chiesto... la loro danza è come il vino, ubriaca chi si lascia trascinare. E poi la gente sparisce nei loro reami nascosti..." raccontó la fioraia. 

"Peccato che tu non l'abbia incontrato allora." rispose Hannes. "Almeno ci saremmo liberati di te."

"Quello che voglio dire..." proseguì Edith. "... è che sono esseri che possono usare infiniti trucchi per attirare a loro le persone. Che ci sia caduta proprio Roswehn, che già da bambina passava le ore a fantasticare, non deve stupire nessuno di noi."

"Beh, il tempo dei sogni sarà presto finito per lei." rispose seccamente Hannes. "Ora dovremo abbandonare i cavalli... ci sono paludi e rocce qui...scendete, forza. Proseguiamo a piedi."

Non fece in tempo a finire la frase che quattro frecce si conficcarono a terra, davanti a loro. I cavalli nitrirono spaventati. Le due donne istintivamente urlarono all'unisono.

Comparvero da dietro i tronchi d'albero cinque Elfi. Uno, sembrava il capo del gruppo. Era biondo, un viso da ragazzo e aveva occhi celesti. Li teneva socchiusi, era intento a scrutare i visitatori umani.

Hannes giuró di averlo già visto.

"Siete qui per lei, vero?" chiese l'Elfo biondo.

Hannes rispose: "Per Roswehn. Siamo qui per mia figlia."

L'Elfo senza nome annuì. "Vi aspettavo. Seguiteci."

Edith, che aveva stranamente messo da parte tutta la sicurezza mostrata fino a quel momento, sussurró a Yohlande: "Vogliono rapirci, dici? Ci legheranno e ci butteranno nelle loro celle?"

"No." rispose l'Elfo. "Nessuno, in questo reame, finirà in prigione. Mai più. Avete la mia parola. Che mio padre sia d'accordo o no, non m'importa ."

"E tu chi sei, scusa?" gli chiese Edith. "E tuo padre chi sarebbe?"

L'Elfo non si scompose. "Mio padre è il re."

🌹🌹🌹

Thranduil non aveva avuto bisogno della conferma del guaritore. 
Sapeva benissimo che Roswehn era incinta. Lo sapeva, perché si era impegnato come un dannato per far sí che concepisse. Era il suo piano fin dall'inizio della loro vita insieme a Boscoverde.

Suo figlio Legolas non poteva diventare re. Non ne aveva le doti. Non ne aveva forse nemmeno la voglia.

Gli mancava il necessario cinismo, le giusta dose di autorità e benevolenza, l'imprescindibile capacità a trovare soluzioni per ogni problema.

Era un giovane Elfo adatto alle avventure, al combattimento, ad andare in avanscoperta in altri territori. Ma a fare il sovrano, proprio no.

E così come era radicata questa consapevolezza dentro di lui, allo stesso modo era certo che un figlio generato con Roswehn Monrose sarebbe stato molto più adatto al ruolo. Sarebbe andata bene anche una figlia, una futura regina, ma il guaritore gli aveva detto che era maschio ed era meglio così. C'era già Galadriel nel ruolo di primadonna elfica in quel mondo.

Roswehn era perfetta: furba, forte d'animo, insopportabilmente irritante e malinconicamente dolce. Era una sorta di Thranduil versione femminile e mortale. L'aveva chiusa in una galera e ne era uscita in un lampo, inventandosi un trucco al quale quell'ingenuo di suo figlio aveva creduto. Un'altra donna avrebbe urlato e pianto fino a sgolarsi. Roswehn non si era fatta scrupolo alcuno a grattarsi il polso su una roccia fino a spillare sangue, ma non si sarebbe mai piegata a implorare pietà.
Era troppo orgogliosa. Il messaggio che gli aveva lanciato con quel gesto era chiaro: vediamo di intenderci, mio signore. Non sono tua schiava e non lo saró mai. Quindi evita di comportarti come se fossi padrone della mia vita perché troveró ogni modo per scappare dalle tue prigioni, che siano vere o ideali.

Uno spirito ribelle che gli piaceva, come gli era piaciuto quello di Calenduin, la sua regina, che non aveva chinato il capo davanti a lui il giorno in cui aveva passato in rassegna i soldati, quand'era ancora principe e lei era un'umile Elfa arciere.

Sua moglie era stata come Legolas in vita: generosa, onesta, talmente pura di cuore da non concepire la disonestà negli altri. Tutte virtù che Thranduili ammirava, ma che in un re avrebbero rischiato di mandare alla malora un reame. Un re doveva anche essere egocentrico, e pensare prima di tutto al benessere del suo popolo; doveva essere  smaliziato abbastanza da cogliere tutti gli intrighi e i complotti degli altri sovrani; doveva essere ambizioso e andare alla ricerca del meglio per sé e per la sua gente. Roswehn aveva tutti quei meravigliosi difetti che ai suoi occhi erano pregi.

Lo faceva uscire dai gangheri solo la sua incapacità di resistere alle tentazioni; aveva civettato dietro a quel Lindir di Rivendell che probabilmente non aveva mai neanche conosciuto una donna in vita sua, e l'aveva fatto quando lui e Elrond sapevano già della loro unione. Gran bel modo di dire a tutti che sí certo, era la compagna del re di Eryn Galen ma lui in quel momento era lontano e quando il gatto non c'è i topi ballano. Beh, non aveva avuto granché modo di ballare in quella prigione larga un metro per due.

Ora però il problema era un altro. C'era il signor Monrose in arrivo, e anche la moglie e una terza persona che si era unita alla gita per riportare la figliola prodiga a casa. Lo seccava dover affrontare quei tre mortali. Aveva mandato loro incontro Legolas, per accompagnarli nel cuore del regno ed evitare che si perdessero su qualche sentiero oscuro.

"Dobbiamo parlare, Thranduil." disse Roswehn, levandosi seduta sul letto, quando lui era tornato nel suo regale talamo. "I miei genitori non devono sapere."

"Cosa? Della tua gravidanza?.... e a proposito.." le rispose, carezzandole il ventre. "...sono davvero felice." le sorrise nel modo più sincero che riuscì a trovare, ma sapeva che sarebbe stato inutile. Era ancora mortalmente offesa con lui.

"Leva quella mano. Non è detto che io scelga di tenerlo." brontoló.

"Non dire così. Sarai una madre meravigliosa di un figlio meraviglioso." le disse.

"Speri di usare quel tono sdolcinato per farti perdonare? Ci vorrà ben altro. Tanto per cominciare, ti impedisco di parlarne a mio padre, non sopporterebbe la notizia." gli ordinó Roswehn. "Di' che la terrai per te. Fallo, e dimenticheró tutto ció che giurai ad ogni minuto speso in quella cella."

"Troppo disonore aspettare un erede da un re elfico? Già, mi pare comprensibile." replicó Thranduil, sarcastico. "Ma se tu vuoi, va bene. E poi, parlerai tu con la tua famiglia quando verranno qui. Non io. C'è anche tua madre e un'altra donna con loro."  la informó il re.

"Mamma... Edith?!" Roswehn era incredula. "Vogliono riportarmi tutti a casa..." mormoró. Un lampo di tristezza passó sul suo viso. Era preparata ad affrontare suo padre, ma sua madre... come avrebbe mai potuto tenerle nascosto che era incinta? La sua pancia non era ancora cresciuta, per il momento era piatta come un tavolo... ma non avrebbe retto allo sguardo di chi l'aveva messa al mondo.

"Sí, credo che Hannes non dorma da un bel po' di notti sapendo che sei qui. Dovrai convincerlo che questo è il tuo posto, ormai. Che... la tua vita è fra di noi." replicò il re. "Per i prossimi dieci mesi non ti muoverai da Eryn Galen: ho già dato istruzione a Morath e sua figlia di aver cura di te durante la gravidanza."

"E tu naturalmente ti farai gli affari tuoi. Resterai placidamente seduto sul tuo trono ad attendere il travaglio della sottoscritta. E quando tutto sarà compiuto ti degnerai di ripresentarti davanti a me per togliermi dalle braccia mio figlio. Giusto?" lo aggredí lei. 

"Oh no. Ti starò vicinissimo invece. Più di quanto tu creda." le rispose il re, e Roswehn gli vide uno di quei ghigni che conosceva bene. Un sorrisetto furbo e compiaciuto, neanche si fosse trovato nel mezzo di un grande spasso. Poi la sua espressione tornò seria, e la donna ebbe l'impressione che le sue orecchie si drizzassero, un po' come quelle dei gatti quando sentono un rumore.

"Sono qui. Sono entrati. Preparati a riceverli con me." disse il re.

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Capitolo 26
*** Confronti ***


Roswehn indossò un abito dalle maniche lunghe e cadenti, perché sua madre e suo padre non si accorgessero della fasciatura al polso.

Thranduil l'aveva lasciata sola, e immaginò che la stesse attendendo sotto al grande trono intagliato nel legno, per dare alla sua famiglia una delle sue calorose accoglienze. Ti conviene fare il bravo con i miei, pensò lei, ti conviene mettere da parte Re Sarcasmo e lasciare spazio a Re Grande Sorriso o vedrai la madre di tuo figlio fare i bagagli e tornarsene a Esgaroth. E pazienza se dovrò crescere un piccolo Elfo da sola.

Thranduil era infatti nello spazio del trono. Era proprio seduto sul trono, e aveva indosso la corona e tutto il suo bel corredo da sovrano. Non stava impersonando né Re Sarcasmo né Re Grande Sorriso, ma una versione piuttosto convincente di Re Baciatemi-Le-Guance-Posteriori.

"Perché sei lì? Hai detto che avremmo ricevuto insieme i miei famigliari." gli chiese Roswehn.

"È quello che sto per fare." rispose lui, alzando leggermente la testa verso di lei.

"Quando tuo figlio tornó a casa, lo attendesti qui, con me. Non lassù. Li metterai a disagio." obiettò la ragazza.

"A disagio? Ti ricordo che questo è il mio reame. Stanno per presentarsi davanti a me, e i re ricevono in questo modo i loro ospiti, non i loro figli. Credevo avessi imparato almeno un po' di etichetta." le rinfacciò.

Roswehn non lo sopportava quando assumeva quell'aria pedante, ma decise di non arrabbiarsi. Doveva sembrare serena, doveva convincere i suoi che tutto procedeva a meraviglia nella sua vita, che tutto era sotto controllo. Non voleva che i suoi anziani genitori tornassero a Dale angustiati.

"Non farai brutti scherzi, vero? È la mia famiglia, Thranduil. Ricordatelo." lo avvertí Roswehn.

"Sono loro che hanno fatto un brutto scherzo a questa Terra..." le disse, osservandola divertito. Facendoti nascere, continuó il suo sguardo. "... ma puoi stare tranquilla. Non sono in vena di cattiverie da Elfo, oggi. Non in presenza di tre delicati umani."

Nemmeno l'improvvisa comparsa di Re Sarcasmo riuscí a innervosirla. Roswehn rimase stupita dalla sua capacità di autodisciplinarsi. Per amore dei suoi, doveva farlo.

E poi, a dispetto degli insulti che ormai si scambiavano in continuazione, era sempre molto attratta da lui. Non poteva smettere di desiderarlo, nemmeno dopo che l'aveva fatta chiudere in un prigione in cui forse solo un ratto sarebbe rimasto. Ah, gli Elfi e il loro fascino. Lí dietro di lei, seduto a gambe accavallate, ce n'era uno che di bellezza ne aveva tanta da far impallidire quella di Glorfindel, Galadriel e compagnia bella. Chi era lei, per opporvisi? Niente più che un'umana molto sensibile allo charme, specie se elfico.

Roswehn colse un movimento nella penombra, oltre i numerosi ponticelli che si elevavano in quel grande spazio. Cinque Elfi, con Legolas in testa, conducevano altre tre figure dietro di loro. Una procedeva esitando. Forse era Edith.

"Eccoli." mormoró Roswehn. Sentì il cuore partire a pieno ritmo nel petto.

Suo padre la riconobbe da lontano e alzó una mano per salutarla. 
"Papá!" gridó Roswehn.

Distratto dalla ragazza, Hannes mise un piede in fallo e rischió di capitombolare giù dalla stretta passerella su cui stavano avanzando. Roswehn urló. Fu la prontezza di Legolas, che lo afferró per un braccio, a salvarlo.

"Agile come la figlia." commentó Thranduil. La donna si giró a lanciargli un'occhiata feroce.

"Finalmente!" esclamó Edith, quando tutti e tre furono davanti a Roswehn. Legolas ordinó ai soldati di ritirarsi e poi si mise in disparte. Era ancora un po' irritato con suo padre, ma adesso più forte era la curiosità di vedere cosa sarebbe successo.

"Capisco perché sei tornata a Dale pallida e smagrita... come fai a vivere in questa oscurità?" chiese Edith.

"...un maledetto labirinto per topi, ecco cosa sembra questo posto..." borbottò, guardandosi in giro.

"Roswehn..." esordí sua madre invece, abbracciandola di slancio. "Perdonami per le cose che ti ho detto a Dale. Non volevo che tu te ne andassi in quel modo... arrabbiata con noi."

Roswehn ricacció giù a forza le lacrime che stavano già inondandole gli occhi. Non riusciva mai a rimanere fredda di fronte a sua madre. "Non importa. Ho sbagliato anch'io a prendermela in quel modo. Vi voglio bene. Mi siete mancati tanto... mi mancate sempre!" rispose, stringendo la madre a sè.

Thranduil, nel frattempo, osservava incuriosito quelle dimostrazioni d'affetto
umane. Gli abbracci non erano contemplati nella cultura degli Elfi; anzi, erano considerati scortesi. Un'invasione nello spazio altrui. Il solo fatto di toccarsi era visto come una mancanza di rispetto... a meno che, naturalmente, non fosse un atto fra individui uniti in una relazione. I mortali erano per certi versi dei primitivi, pensò.

Vide che il padre di Roswehn lo stava osservando con occhi torvi.
"Ti saluto, Hannes Monrose." gli disse, nel suo tono più cortese. "Ho sentito molto parlare di te... prima da tuo fratello, poi da tua figlia."

"I miei rispetti, Lord Thranduil." ribatté l'uomo, in un evidente sforzo di mantenere la calma. "Posso dire lo stesso di voi. Siete stato un argomento di conversazione piuttosto continuo nella mia famiglia... ultimamente."

Thranduil annuí. "Spero che la mia persona non sia circondata da quell'odio che il tuo sguardo lascia intendere."

"Non c'è odio, qui. Solo...richiesta di un chiarimento." rispose Hannes.

"Già, e anche veloce." aggiunse Edith.

Roswehn provò a zittirla. "Ti prego...no."

"Tu sta' buona. Non vedevo l'ora di guardarlo in faccia questo..." si girò verso Thranduil."...FOLLETTO!"

Il re non si degnò neanche di risponderle.

"È belloccio, solo questo ti concedo." mormorò Edith a Roswehn. Poi alzò di nuovo il tono. "Allora, Vostra Maestà, non ci sono abbastanza donne elfo qui per soddisfare le vostre voglie? Era proprio necessario rubare a Dale una delle sue figlie migliori?" lo provocò.

Thranduil si rivolse alla ragazza. "Roswehn, quando questa signora ha finito di blaterare, spiegale che sei qui di tua volontà, ti prego." Se Roswehn era una delle figlie migliori di Dale, il grande Eru doveva essersi dimenticato di quel reame, pensó, ingoiando una risata. Almeno la situazione aveva un lato comico.

"Thranduil, lei è Edith. È una specie di...parente. Una parte di me è stata allevata da lei." spiegò la giovane, livida d'imbarazzo. Stava andando tutto esattamente come aveva sperato non andasse.

"La tua parte più elegante, suppongo." rispose lui. "Se questo è l'esempio che hai avuto durante l'infanzia, capisco molte cose di te."

"L'infanzia di Roswehn è stata dura."
intervenne Yohlande, avanzando timidamente. "Ve lo posso assicurare io, che sono sua madre. Ma è cresciuta bene, io...ci ho provato ad allevarla con giusti valori. E se un grande re come voi si è innamorato di lei, credo di esserci riuscita."

A quelle parole, Thranduil sembró rasserenarsi. Non era ancora arrivato Re Grande Sorriso, ma si stava annunciando. Si alzó dal suo trono e scese verso il gruppetto di mortali. Si avvicinó a Yohlande.

Con garbo, le prese la mano fra le sue. "Siete la benvenuta qui, signora Monrose. Da voi, Roswehn ha preso il bellissimo colore degli occhi, vedo."

Yohlande arrossì. 
Roswehn notó che Thranduil aveva usato una deferenza verso sua madre che non aveva invece mostrato né a suo padre né tantomeno a Edith.

"Vorrei parlare con voi in privato, lord Thranduil." azzardó Yohlande. Gli altri tre, e Legolas, si girarono a guardarla sorpresi.

"Un momento, Yohlande..." disse Hannes, ma Thranduil alzó una mano, interrompendolo.

"Concesso." rispose alla donna. Poi si rivolse al figlio. "Ci ritiriamo sulla grande terrazza. Tu sorveglia i nostri ospiti. E tu..." disse a Roswehn. "... sei libera di condurli attraverso il reame, se ti fa piacere."

Detto questo, Thranduil fece strada a Yohlande verso le grandi scalinate che portavano in alto, su quella terrazza ad Est che era uno dei punti preferiti di Roswehn.

"Lasci tua moglie sola con lui?" sussurró Edith ad Hannes. "Ti fidi?"

L'uomo replicó seccato. "Edith, un giorno tu e la tua boccaccia metterete noi tutti in un enorme guaio. Dobbiamo ringraziare le belle maniere di mia moglie se Thranduil non ci ha fatti rinchiudere."

Roswehn afferró la donna per un braccio. "Come hai potuto dirgli quelle cose?!" sibiló. "E solo perchè Legolas ci sta osservando non faró sceneggiate. Ma sei una stupida! Io sono qui perché voglio essere qui, lo capite?"

"Ah sì?" rispose Edith, divincolandosi e afferrandole il polso a sua volta. Lo scoprì, mettendo in mostra la fasciatura. "E questo? Come te lo sei fatto, intrecciandogli i capelli biondi?"

Roswehn piegó il braccio dietro alla schiena. "Mi sono fatta male da sola." rispose, guardando altrove.

"Sì. Mi rispose così anche Lorna, la mia vicina di casa, quando si presentó al mercato con un occhio nero. Mi sono fatta male da sola, mi è finito un barattolo in testa quando ho aperto la credenza." disse Edith, storpiando la voce di Lorna Pittipack, una sarta di Dale che aveva avuto la sfortuna di sposare un ubriacone e ogni tanto si faceva vedere in giro con lividi di vario tipo.

"Non è stato lui, come puoi pensarlo?" replicò Roswehn, indignata.

"Forse no. Ma c'entra qualcosa, te lo leggo in faccia." le disse Edith.

"Tu non sai nulla. Non puoi capire nulla, perciò non parlare a vanvera. E non t'azzardare più a rivolgerti in quel modo a Thranduil." ribatté Roswehn. "È il re di questo posto, dovete rispettarlo. Hai rischiato molto, Edith."

"Cosa, di finire rinchiusa? Veramente, questo giovanotto qui..." disse Edith, indicando Legolas. "...ha detto che farà chiudere tutte le galere di questo reame, e che la volontà di suo padre conta quanto un guscio di noce. Ragazzo in gamba, eh?"

Roswehn si giró verso Legolas, che confermò. "Non ci saranno più celle né segrete qui a Boscoverde. Come non ci sono a Lothlórien né a Rivendell. Cambieranno le cose anche da noi. Lo prometto."

"Vedi i giovani? Sono innovatori. Non amo molto voi elfetti, ma tu quasi quasi mi piaci, biondo." Edith gli diede un'amichevole pacca sulla spalla. Legolas guardò Roswehn un po' a disagio. "Forse è meglio se tuo padre e...Edith si ristorino. Venite con me."
Roswehn guardò in alto, verso la zona dove Thranduil aveva portato sua madre.

"Non preoccuparti." le disse Legolas. "Perfino mio padre ha degli scrupoli, ogni tanto. Non le dirà niente che possa turbarla."

"Me lo auguro. Per lui." rispose Roswehn.

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Capitolo 27
*** Madri ***


"Ho avuto Roswehn a trentotto anni." raccontó Yohlande. "Per un Elfo, questo numero non significa nulla, ma per una donna umana è un'età in cui ci sono poche possibilità di rimanere incinta. In molti casi, le ultime."

Thranduil ascoltava assorto, le mani unite dietro la schiena. Davanti a loro, sulla terrazza, si estendeva il verde panorama del suo bosco, attraversato ormai dalle ombre che la sera stava portando con sè.

La madre di Roswehn sembrava una donna mite, timida e disorientata da quel mondo che non conosceva, e nel quale si era addentrata per portargli via la ragazza. Per portargli via la sua rosa. Ma non avrebbe ceduto: non lui, Thranduil Oropherion, nonostante tutta la comprensione che poteva avere per i nobili sentimenti materni di Yohlande.

Roswehn era diventata troppo importante nella sua vita, non solo perché avrebbe sfornato un principino su cui il re stava già riversando fior di aspettative, ma perché tutto di lei era ormai penetrato cosí profondamente in lui da non poterne più fare a meno. Con sgomento, delle volte realizzava che nemmeno verso sua moglie aveva provato mai sensazioni simili.

"Roswehn avrebbe avuto due fratelli, sapete? Non doveva essere figlia unica." continuò Yohlande. "Li persi entrambi. Il primo, Hannes jr. , nacque già morto. Dopo due anni, io e mio marito ci riprovammo: rimasi incinta di un altro maschietto, che riuscí a venire al mondo...ma era cagionevole. Lo chiamai Ezra, come mio padre. Morí a due anni, di una malattia che nessuno riuscí a spiegare. E poi..." singhiozzò la donna. "...dopo questo secondo lutto io rinunciai. Mi ero messa il cuore in pace, capite. Ero certa che non avrei vissuto la gioia della maternità. Ma, dopo altri quattro anni, arrivò Roswehn. Mi vergogno a dirvelo...quando nacque, io non riuscivo a provare affetto per lei. Ero sicura che anche quella piccolina non ce l'avrebbe fatta, che mi avrebbe lasciata, prima o poi. Cosí i suoi primi anni trascorsero senza l'affetto di sua madre. Hannes l'adorava e l'accudiva, io l'allattavo solamente ma...era come se il mio cuore avesse elevato un muro fra me e la mia bambina. Non volevo soffrire di nuovo, non so se potete capire."

La donna lo guardò negli occhi, quegli occhi azzurri che sembravano un po' meno glaciali del solito in quel momento. Erano pieni di comprensione.

"Capisco molto bene, Yohlande." disse Thranduil. "Mio figlio Legolas è passato attraverso lo stesso dispiacere. Anche lui è cresciuto privo dell'affetto materno. A differenza di Roswehn, però, non potrà mai conoscerlo. Mia moglie è in un'altra vita, come sapete."

Yohlande annuí. "Sí, so che avete sofferto. E so che mia figlia è riuscita in parte a guarire le vostre ferite. Posso immaginare perché vogliate tenerla qui. Vedendovi insieme a lei, oggi, ho avuto la sensazione che un legame infinitamente profondo vi unisca."

La donna a quel punto giunse le mani, come in segno di preghiera. "Roswehn è la mia unica figlia, è stato un meraviglioso regalo di Eru a me e a mio marito. Come è importante per noi, lo è per voi, ora lo so. Perciò vi imploro: amatela, amatela davvero. Lasciarla qui è per noi un immenso sacrificio, ma lo affrontiamo a cuor sereno se sappiamo che entrambi siete felici. Se sappiamo che vi appartenete, e che è stato il destino, o la mano di Eru in persona, a mettervi insieme."

Thranduil quasi si commosse a quelle parole. Prima di trovarsi la minuta e anziana Yohlande Monrose davanti, non aveva riflettuto su quello che era successo dall'altra parte del suo bosco, nel piccolo reame di Dale, quando aveva proposto a Roswehn di vivere con lui.

La giovane aveva una vita nel regno dei mortali. Lui l'aveva strappata alla sua gente, alla sua razza, ai suoi affetti. Sicuro, Roswehn aveva scelto in piena libertà di stare a Eryn Galen, ma il re improvvisamente sentí qualcosa nel suo cuore, qualcosa di fastidioso e pungente, qualcosa di simile a uno scrupolo, a un piccolo rimorso; una vocetta ronzante e irritante come una zanzara, che arrivava dritta dalla sua coscienza e gli diceva: forse non avresti dovuto. Forse Roswehn non era abbastanza matura da prendere decisioni simili, forse aveva sopravvalutato la sua capacità di discernimento. Era intelligente, era istruita, ma era anche senza esperienza in fatto di vita. Forse avrebbe dovuto permetterle di girare un po' per la Terra di Mezzo, lasciare che passasse attraverso esperienze più varie, che crescesse ancora un po' prima di legarla a sé e al suo reame in quel modo esclusivo, prima di ingravidarla, prima di...

(chiuderla in una maledetta cella)

Si sentí in colpa per quella faccenda. Aveva esagerato. Pazzo di gelosia le aveva fatto del male, poche storie. E la prova era tutta in tre graffietti rimarginati che aveva sul polso, l'equivalente dell'occhio nero di quella misteriosa Lorna di cui Roswehn e l'altra insolente donna avevano parlottato mentre lui si allontanava con Yohlande. Thranduil sentiva tutto, avvertiva ogni minimo pensiero, ogni bisbiglio.

"In città, a Dale, gira un pettegolezzo. Anche di questo vorrei parlarvi." continuò Yohlande. "Una donna del nostro paese sostiene che Roswehn sia incinta. Giurano di averla vista bazzicare la casa di una levatrice. Una specie di strega, se lo volete sapere..." disse Yohlande, con una smorfia. Detestava la vecchia Babiyar. Era pazza, secondo lei.

"Perdonate se vi chiedo...è la verità? A me non ha detto nulla, ma se anche fosse, non me lo confesserebbe mai." chiese la donna.

Thranduil decise che Yohlande doveva sapere. Qualcosa in lui provava una forte tenerezza per la madre di Roswehn, che un po' gli ricordava la sua, di madre. Una regina elegantissima e riservata, vissuta all'ombra di Oropher, che aveva lasciato la Terra di Mezzo diretta a Valinor, poco prima della morte del marito.

"Sì. Aspettiamo un erede." confermó il re. "Avevo promesso a vostra figlia di non parlarvene. Confido nella vostra discrezione, Yohlande. Vi ho detto la verità, andando contro la parola data."

Sul viso della donna passó allora una serie di emozioni che Thranduil non sapeva come interpretare. Sconcerto, incredulità, confusione, gioia... ma vide anche un'ombra amara. "Certo, faró finta di nulla. Ma...ditemi...vedró mai mio nipote?" gli chiese.

"Ritengo non sia il caso che il futuro principe venga nel vostro territorio. Temo non sarebbe ben accolto, per via della sua razza. Ma sarete libera di venirlo a trovare qui, in ogni momento, quando e se vostra figlia deciderà di mettervi al corrente della sua nascita." promise Thranduil. "Lei verrà aiutata da due nostre dame durante la gravidanza. Non affronterà nulla da sola, non temete."

Yohlande annuì e chinó il capo. Una nonna, saró nonna. Oh Roswehn.

Thranduil si sentì in obbligo di aggiungere una cosa. "Yohlande, vostro nipote ha un grande futuro qui. Intendo investirlo di un enorme potere quando crescerà. Non dovrei parlarvene. Roswehn non sa nulla, e nemmeno il mio primogenito. Vi sto dicendo che sarete probabilmente nonna di un re."

Yohlande non sembró troppo colpita. "Spero solo che sia amato." mormoró.

"Su questo, non abbiate dubbio alcuno." rispose l'Elfo. Si sfiló uno dei suoi anelli d'argento dalla mano sinistra. Lo porse a Yohlande. "Un piccolo omaggio, un simbolo del nostro regno. Tenetelo come prova della mia buona fede."

La donna accettó il regalo di Thranduil, e lo ringrazió in un sussurro. Il re non aveva ancora finito: "Riguardo alla vostra preghiera: non abbiate dubbi neanche sul fatto che io ami vostra figlia. Ho imparato perfino ad apprezzare lati di lei che un uomo troverebbe insopportabili..." aggiunse con un sorriso.

"Sì. So che è cocciuta, petulante e spudoratamente irrispettosa, a volte. In quel senso, io e Hannes abbiamo sbagliato ad educarla, è innegabile. Troppe concessioni quando era piccola, ma come vi ho detto..." sembrava quasi che Yohlande volesse scusarsi.

"No, vi prego." disse Thranduil, interrompendola con grazia. "Non giustificatevi. Ho capito perfettamente. Venite adesso, vostro marito si starà chiedendo che fine avete fatto."

Entrambi si diressero alla lunga scalinata intagliata fra i rami di albero che conduceva in basso. Yohlande osservó il modo in cui il re discendeva le scale: era un trionfo di armonia estetica e mascolinità, di classe e autorità. Avvertì un'improvvisa invidia verso la figlia.

"Lord Thranduil, un'ultima preghiera: lei non sa dei suoi fratelli defunti. Vi prego di non dirle niente. Proverebbe un dolore inutile." lo imploró.

"Molte cose che ci siamo detti vanno taciute. Io direi: dimentichiamo che questa intera conversazione abbia avuto luogo, Yohlande." propose il re, senza girarsi.

"D'accordo." rispose lei. "Grazie, lord Thranduil."

🌹🌹🌹

Roswehn aveva accompagnato il padre ed Edith attraverso la parte centrale del reame. Notó che nessuno dei due sembrava particolarmente colpito dalle bellezze di Eryn Galen: Hannes era preoccupato per Yohlande, Edith continuava a criticare tutto ció che vedeva attorno a lei.

"C'è troppa oscurità, c'è troppa umidità, ci sono funghi ovunque e sai benissimo che alcuni sono velenosi, non te li faranno mica mangiare, eh gioia?!" le diceva senza sosta. "Sono stanca comunque. E ho fame. Dovró dormire in una grotta o ci concederanno di riposare nelle stalle, con i cavalli?"

"Vi daranno delle camere. Bellissime camere, non grotte. E fra poco ceneremo tutti insieme, cioè... quando arriverà anche mamma..." rispose Roswehn, esasperata. Si guardó intorno. Thranduil e sua madre erano ancora impegnati in conversazione. Il pensiero di quello che avrebbero potuto dirsi la riempiva d'ansia. Ti conviene fare il bravo.

Quella sera, i quattro umani mangiarono insieme. Né Legolas né Thranduil si unirono al banchetto, in una sorta di rispettoso distacco. La famigliola si era raccolta, dovevano lasciarli godere quel breve momento tutti riuniti. Roswehn continuava a scrutare il viso di sua madre in cerca di un segnale su ció che era capitato con il re: uno sguardo, una mezza smorfia, qualsiasi indizio rivelatore. Ma Yohlande sembrava perfettamente serena, come avesse raggiunto uno stato di totale pace interiore.

Dopo, accompagnó i suoi cari alle stanze che Thranduil aveva loro concesso. Roswehn notó che erano molto spaziose e arredate con gran gusto. Perfino Edith non ebbe nulla da obiettare.

Andó negli alloggi regali dopo aver augurato la buonanotte ai suoi. Lì trovó il re, già ritiratosi da parecchio. "Ti ringrazio per tutto. I miei sono stati accolti come speravo." Gli disse molto freddamente.

"Te l'avevo promesso, mi sembra." ribattè lui. Si stava preparando per andare a letto.

"Sì... senti, io prendo le mie cose e vado a dormire in quella stanza che occupai quando venni qui la prima volta." lo informó.

Thranduil la guardó con aria interrogativa. "Per quale motivo?"

"Sei arrabbiato, se ricordo bene. E dopo quello che è successo, neanch'io ho molta voglia di passare le notti con te, qui." rispose Roswehn.

"Dormirai con me, invece. Come hai sempre fatto. Devo sorvegliarti, prima che ti venga in mente di portarti uno dei miei soldati in camera." disse lui.

Roswehn sentì subito un fiotto di fiele salirle dal fegato. "Cosí volgare da parte tua dire una cosa simile. Sii più creativo, almeno, se vuoi insultarmi."

Thranduil rise. "Vedi mia cara, ho deciso che d'ora in avanti non userò più inutili cortesie con te. Non sei una regina, e nemmeno una signora. Ti tratterò come piace a te, come tu tratti gli altri. Con la stessa deliziosa noncuranza. E c'é un'altra novità..." le rivelò, togliendosi la lunga tunica con un movimento felino, e allo stesso tempo languido, che Roswehn subito colse.

"...dato il cambiamento della situazione, ho deciso che più niente succederà qui dentro, almeno fino alla nascita di nostro figlio." la informò.

"Bene, mi fai un favore. Stavo appunto per dirtelo. Io non voglio più..." mentí lei, arrossendo furiosamente.

"Davvero? Credevo che, vista la tua indole, fosse la peggiore delle torture per te." la prese in giro lui, dirigendosi verso il loro laghetto privato per il suo bagno serale, prima di coricarsi. "Meglio così, allora."

Alla ragazza parve di vedere un sorrisetto perfido sfuggirgli all'angolo del viso, mentre si voltava. Come se non ti conoscessi, Roswehn. Come se non sapessi che la sola idea di non potermi più sfiorare tranne che con il pensiero ti manderà fuori testa. Hai dieci mesi davanti per abituarti all'idea, comunque. Questa la seconda punizione per il tuo misero peccatuccio, per quel piccolo, impertinente desiderio verso il nostro caro Lindir. Il mio reame, le mie leggi, le diceva quella smorfia accennata. Il mio letto, le mie regole. Imparerai a resistere alle tentazioni. Ti ho insegnato tante cose, ti manca solo questa. Ma ci arriveró, cara, ci arriveró infine ad EDUCARTI.

Roswehn non reagì. Anche se la visione dell'ampia schiena del re elfo che si stava allontanando senza niente addosso cominciava già a sommuoverle qualcosa nell'intimo, decise che andava benissimo così per il momento.

Intanto, c'erano lí i suoi. Beh, non proprio lí, ma erano all'interno del regno e l'ultima cosa che aveva voglia di fare erano quattro capriole con il suo amante mentre la sua famiglia dormiva placidamente nelle vicinanze.

Poi, vedremo. Pensò. Il tuo regno, le tue regole. Ma non resisterai. Non...

Certo che resisterà, le disse la coscienza. Ha resistito duemila anni senza le gioie dell'amore, cosa vuoi che siano dieci insignificanti mesi?

Decise di spegnere il cervello e le sue mille vocette. Troppo stress quel giorno e la sua mente poteva reggerne solo un tantino prima di implodere.

Dopo essersi spogliata, si sdraió e provó ad assopirsi, con una mano sul ventre. Buonanotte Haldir. Ah, a proposito: quello rimarrà il tuo nome, caro frugolino, e chisseneimporta se il tuo papà avrà da ridire.

Il MIO grembo le MIE leggi, grande Re.

 

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Capitolo 28
*** Incubi ***


Si sveglió nel cuore della notte.

Thranduil era accanto a lei, addormentato. Era coperto solo dal lenzuolo, e questo la stupì: il re non dormiva mai nudo.
"E' da selvaggi." le aveva detto una volta. Di solito portava una lunga veste di raso leggerissimo, che ora era adagiata morbidamente in fondo al letto.

Roswehn immaginó che fosse la sua ultima provocazione: mostrarsi in quel modo a lei, che aveva il divieto di toccarlo, era come pungolare una ferita già aperta. Un giorno capirò da dove viene tutta questa perfidia, pensó. Delle volte non riesco quasi a credere che tu sia un elfo.

Osservó la perfezione del suo petto a cui il passare dei millenni non era riuscito a togliere tono e definizione.

C'era una gran bella differenza con i corpi degli uomini mortali che aveva visto: quando abitava a Pontelagolungo e ogni tanto d'estate passeggiava sui pontili, si fermava ad osservare i pescatori. Forse era solo una coincidenza, ma quando lei si avvicinava al molo si toglievano subito le casacche, con la scusa del caldo, e rivelavano pance grasse, molli, oppure torsi troppo magrolini, con le costole che spuntavano sotto le pelli scottate dal sole.

Paragonato a loro, il re elfico era una specie di statua scolpita dallo scultore personale di Eru. L'unica caratteristica a cui la ragazza non riusciva ad abituarsi era la mancanza dei capezzoli: dava al suo corpo un aspetto un po' strano, quasi grottesco, seppur bellissimo.

E quel viso meraviglioso. Thranduil aveva un profilo disegnato dagli dèi. Inizió a sentire l'impulso di gettarsi su di lui, ma doveva resistere.

Primo, perché non voleva dargliela vinta. Secondo, perché aveva avuto la netta sensazione che la sua decisione di interrompere i rapporti con lei fosse stato un ordine. Andare contro quell'ordine, avrebbe potuto avere delle nuove, spiacevoli conseguenze. La donna non voleva finire di nuovo in una cella oscura, anche perché stavolta il principe non sarebbe più venuto a liberarla, ne era sicura. Fregami una volta vergogna a me, fregami due volte vergogna a te, diceva il motto.

Legolas non era uno stupido. Le voleva bene, ma, ragazzi, lo aveva preso in giro senza tanti complimenti con la recita del graffietto sui polsi. Ora, altruista sì, ma beota no.

Fece il giro della stanza con lo sguardo. La sua attenzione venne catturata da qualche cosa in un angolo, vicino al pesante tendaggio rosso di velluto.

C'era un uomo laggiù.
La invase un terrore grande come mai le era capitato di provare in vita sua. Il suo corpo, già soffocato dall'afa estiva, liberó da tutti i pori un improvviso fiotto di sudore. Roswehn non se ne accorse neppure. La paura le aveva sgombrato il cervello da ogni altro pensiero, dalla sua bocca non uscì alcun grido, nè gemito. Il panico le aveva mandato in tilt la mente, così come la capacità di produrre suoni.

Si sentì pericolosamente vicina ad abbandonarsi a uno svenimento.

Un uomo. Una creatura, laggiù.

Li stava osservando, o meglio, lei ebbe l'impressione che li stesse fissando.

"Thranduil..." provó a sussurrare, accorgendosi che la sua gola le si era improvvisamente seccata. "Thranduil, svegliati, ti prego..."

Ma sapeva che era inutile: l'elfo era sprofondato in quella fase di sonno pesantissimo a cui si lasciavano andare quelli della sua specie qualche ora prima dell'alba. Una condizione che un medico dei tempi moderni avrebbe definito molto simile a uno stato comatoso. Anche se l'avesse scosso con tutta la sua forza, non si sarebbe svegliato.

Istintivamente, sollevó le gambe piegando le ginocchia contro il suo petto e portó le mani al grembo, per proteggersi, e per proteggere suo figlio.

L'essere era ancora lì nell'angolo, immobile, e li stava guardando. Ormai la ragazza ne aveva la certezza. Da qualche anno, il suo occhio destro cominciava a non vederci più tanto bene, da lontano vedeva un po' sfuocato, ma ringraziando Eru il sinistro funzionava ancora a meraviglia, e fu ad esso che Roswehn si affidò per mettere a fuoco la creatura.

In realtà, non riusciva a distinguere dei lineamenti definiti. Le sembrava di vedere una figura altissima, con lunghissime braccia e lunghissime dita. Mani bianche, simili a quelle di un cadavere. E la testa, la testa sembrava tanto un teschio. Orbite nere, un naso accennato, forse monco, e una bocca già socchiusa in un ghigno terribile.

No, un momento. Pensó improvvisamente la ragazza. Forse è solo un gioco di luci. Forse sono i raggi della luna che sono penetrati qua e stanno creando una fantasia di ombre. Forse è la mia immaginazione. Perché dovrebbe esserci qualcuno che ci sta spiando? Come avrebbe osato venire fin qui, nella stanza privata di Thranduil? Quale pazzo suicida si addentrerebbe fino al punto più inaccessibile di tutta Eryn Galen?

Sì attaccó disperatamente a queste idee per ritrovare un po' di calma. Tutto il suo corpo era scosso da un brivido irrefrenabile. Ma sì, non è niente. Pensó.

Spostó di nuovo gli occhi verso la creatura, ma non riusciva a convincersi. 
Lì c'era qualcuno. 
Era una sagoma illuminata dai raggi della luna, era vero, ma era qualcosa di fisico, di solido, in carne e ossa e odio. Qualsiasi cosa fosse quell'essere, non era certamente benevolo.

Roswehn ebbe anche l'impressione che uno strano odore avesse pervaso la stanza. Un odore acre, fastidioso, lo stesso odore insopportabile che aveva sentito a Dale, un anno prima, quando disperata aveva attraversato i vicoli della sua città ed era incappata in decine di cadaveri di uomini, elfi, e orchi. 
Un odore di morte.

"Chi c'è lì?" mormorò, schiarendosi la gola. "Chi sei?" 
Nessun movimento nell'angolo della stanza.

"Queste sono le stanze pri- private del re di Boscoverde. Te ne devi andare." disse, ansimando. Non colse alcun cambiamento nella posizione della creatura. Era lì, e li guardava.

"Tra poco Thranduil si sveglierà. Si sveglierà e quando ti troverà lì ti farà a fettine. Non so cosa sei, ma non devi stare lì!" urlò allora.

A quel punto, il sorriso dell'essere sembró allargarsi. Mise in mostra, (o Roswehn ebbe questa impressione) una serie di denti grigi, affilati.

Ma guarda che tu mi conosci, le trasmise l'essere col pensiero. Ci siamo già presentati, mia cara.

Roswehn sentì la sua vescica vicinissima a lasciarsi andare. Inizió a respirare a scatti ansiosi, ed ebbe paura che il suo cuore scoppiasse per la velocità con cui batteva. Lo sentiva letteralmente tuonare nel petto.

Un nuovo pensiero, assurdo, indicibile, inaccettabile quasi. Ma che si inoltrò spietato nella sua mente.
"Papà, sei tu?"

Forse suo padre si era alzato dal letto, dal comodo letto in quella stanza ampia e sopraelevata che il re aveva concesso ai suoi genitori. Forse si era alzato per spiarla, per vedere con i suoi occhi che razza di porcherie quell' elfo stava facendo con la sua figliola.

"Papà, va tutto bene. Torna a dormire per favore." Roswehn si accorse che la sua voce era cambiata, era tornata la vocetta impaurita e stridula che aveva da bambina, quando Hannes la sgridava per qualche biricchinata.
Oh ma non è tuo padre. Non è tuo padre e lo sai benissimo. E quello non è neanche un uomo. Non ci sono uomini in questo regno, a parte papà Monrose, e nessun Elfo con un po' di sale in zucca oserebbe mai venire fin qui. Quindi mi sa che il cerchio si restringe, le disse una delle tante voci che impietose arrivavano dalla coscienza.

"No, non sei niente! Sei solo una fantasia, sei solo un gioco di ombre!" gridó allora lei.

Sono molto orgoglioso di te, le disse ancora quell'essere nella mente. Ce l'hai fatta. Sei riuscita ad averlo. E adesso aspetti un futuro re, il mio futuro schiavo. Non riponevo molte speranze, ma anche senza Regan sei riuscita nel nostro scopo. Non male, per un' umana, continuó imperterrita la voce che Roswehn sentiva nella mente. Una voce roca, immonda, come se un nido di vespe stesse ronzando in una cavità e l'eco di quel suono avesse pervaso la sua testa.

Lo aveva già sentito.

Lo aveva udito la prima volta nella capitale di un regno perduto, un reame una volta grandissimo e che ora era solo un cumulo di macerie e tale sarebbe rimasto per sempre.

Fornost, la capitale di Arnor. 
Il palazzo di Elendil. 
Quel trono nero di marmo. 
Quell'elfo oscuro che diceva di essere Morgoth, il padrone di Sauron, che le aveva offerto di diventare una grande regina. E lei aveva accettato, si era fatta possedere dallo spirito di Regan, figlia di Valandil, ed era stato solo per intervento di Gandalf, Elrond e Haldir che non si era consumata quella cosa orribile.

Ma non può essere lui, pensó. Gandalf mi aveva detto di aver cacciato Morgoth nella sua dimensione. Non può essere lui.

"Non sei lui! Tu non sei niente! Sei solo la luce della luna!" gridó di nuovo.

La ragazza si accorse che lo spettro lì nell'angolo aveva qualcosa in mano. Sembrava un fagotto blu. Una delle mani biancastre dalle lunghe dita affusolate scoprì quello che c'era sotto. Una corona d'oro purissimo. Senza gemme, nè intarsi, una corona che sembrava molto pesante. Era molto pesante, lei lo sapeva, perché se l'era provata.

Vedi, doveva essere tua. Ma hai rinunciato. Poco male, sarà di tuo figlio. Avrà questa corona, come il trono, e tutto quello che avevo promesso a te. Sarà tutto suo, e sai una cosa? Lui invece sarà MIO.

A quel punto, una delle vocette della sua coscienza decise di munirsi di gambe, e corse a spegnere tutti gli interruttori della sua mente. Si affrettó a provocare un corto circuito, prima che il meccanismo del suo cervello si surriscaldasse e si fondesse del tutto. Fine dei giochi bellezza, le disse. E tutti a casa. Se ne riparla domani, che dici? Quando lui sarà sveglio.

Roswehn vide davanti a sé un bagliore fortissimo, e poi fu il buio. 



 

⬇️⬇️⬇️
questo capitolo è stato ispirato dal romanzo "Il gioco di Gerald" di Stephen King.

 

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Capitolo 29
*** Padri ***


"Non riesci a sopportare il caldo, vero?"

La voce di Thranduil era lontana. Lentamente sollevó le palpebre, e sentì come una carezza sulla fronte. Il re stava delicatamente asciugando il sudore dal suo viso con un fazzoletto.

"Forse hai ragione. Dovresti dormire da qualche altra parte. In un ambiente più fresco." lo udì mormorare.

I suoi occhi finalmente riuscirono a mettere a fuoco. Si era ripresa dalla momentanea perdita di conoscenza, e il suo amante nel frattempo si era svegliato dal pesante sonno degli elfi. Aveva visto che era svenuta, e doveva aver pensato che fosse per via dell'afa notturna, riflettè Roswehn.

"C'era qualcuno qui, ieri notte." sussurrò, la voce ancora strozzata. "Qualche... dèmone."
Subito vide nella mente le orbite nere di quell'essere fatto d'aria e di luce lunare. Guardó il re allarmata. "Oh Thranduil... era lì, proprio lì!"

L'Elfo non capì. "Cosa? Cosa hai visto?" Era seduto sul bordo del letto, e si era rivestito. La ragazza non si ricordava di averlo mai visto così premuroso nei suoi confronti, e immaginó fosse soprattutto angustiato per la piccola vita dentro di lei, per suo figlio.

Uno svenimento improvviso della madre del futuro erede al trono non era affatto una bella cosa. 

Roswehn provó a spiegarsi. "Lì nell'angolo... C'era qualcosa che ci stava osservando ieri notte. Era... uno spettro... non so come chiamarlo. Ci osservava e sogghignava. Poi mi ha detto qualcosa con il pensiero."

Thranduil stava cominciando a preoccuparsi. Non tanto per quello che diceva la ragazza, che era probabilmente la descrizione di un delirio notturno, ma perché Roswehn sembrava convinta delle sue parole. Un fantasma nella sua stanza da letto? Roba da matti... e da donne sull'orlo di un esaurimento.

"Era un incubo." le disse, tentando di usare un tono il più tranquillizzante possibile. "...solo un incubo." Si alzò e si recò nel punto che la giovane aveva indicato. Osservò attentamente l'angolo e poi si girò guardarla. "Qui non c'è niente, Roswehn."

"Ti ho detto che era una specie di entità. E' ovvio che non abbia lasciato tracce dietro di sé. Ma c'era!" rispose la ragazza, agitata. "...e so anche chi era."

Il re la guardó alzando le sopracciglia. "Davvero? Allora di', avanti: chi era il misterioso visitatore?"

A lei non andava per niente quel tono. Il tono dei maschi, di qualsiasi razza, quando sono costretti ad avere a che fare con una femmina isterica e irragionevole. Ah, le donne... mai senza di loro, e mai averci a che fare quando si lasciano prendere dalle nevrosi. Così diceva ogni tanto suo padre.

"Era Morgoth." rispose, in un sibilo. "È tornato a tormentarmi. Vuole nostro figlio. È tornato dal suo inferno per portarci via la nostra creatura."

A quel punto il re inizió a irritarsi. Era più forte di lui, per quanta pazienza provasse a mettere nel suo rapporto con l'umana, non riusciva mai a mantenere la calma per più di due minuti. Le voleva bene, ma era anche terribilmente infastidito dalla sua ostinazione nel voler sempre aver ragione, anche sulla più grande delle assurdità.

"È stato il caldo. Sei svenuta per il caldo, per via delle tue condizioni. E quello che hai visto era solo un sogno, un bruttissimo sogno, ma era irreale. Il nostro guaritore mi ha detto che è normale per voi donne mortali avere dei malori durante la gravidanza. Sta crescendo una piccola vita dentro di te, il tuo corpo si sta adeguando." tentò pazientemente di spiegarle. "E non nominare mai più quell'essere qui dentro. Ti prego." disse, riferendosi a Morgoth.

"Ma c'era! Non trattarmi come un'idiota per favore." disse Roswehn alzandosi in piedi e alzando anche il tono della voce. "Ti sto dicendo che ieri notte ho visto qualche cosa in questa stanza, qualcosa di cattivo, qualcosa di pericoloso! Qualcosa che mi ha minacciata! Mi devi credere!"

Thranduil a quel punto ne ebbe abbastanza: gli piaceva quando lei tirava fuori tutto il suo carattere, ma lui era il re, e si sarebbe ghiacciato l'inferno prima che qualcuno alzasse la voce in sua presenza.

"Basta!" le ordinó, con un tono che non ammetteva repliche. Roswehn si zittì e si sedette sul letto, intimidita. Non era mai stato così autoritario con lei. Lo aveva sentito rimproverare in malo modo soldati, e anche Legolas certe volte, ma mai lei. 
"Ora vestiti, raggiungi tua madre e quella donna. Si saranno alzate, sta' con loro, prima che si perdano nel mio reame. Io devo parlare ancora con tuo padre."

"Con papà?" La ragazza si era dimenticata che suo padre era giunto fin lì proprio per affrontare Thranduil. L'incontro tra i due, fino a quel momento, non aveva ancora avuto luogo. E certamente sarebbe stato meno sereno di quello con sua madre.

L'Elfo annuí. "È la prima volta che incontro un padre. Il padre della mia... compagna. Immagino che dovrei sentirmi nervoso."

"Non incontrasti la famiglia di tua moglie, prima del matrimonio?" chiese lei, un po' stupita.

"No. Non fu necessario. Quando scelsi Calenduin come consorte, non dovetti chiedere autorizzazione a nessuno. I suoi genitori mi concessero subito la sua mano, del resto erano sudditi di questo regno. Furono costretti in qualche modo a farlo." spiegó il re.

Roswehn avvertì un pungente fastidio, che sempre si risvegliava in lei quando la defunta sposa di Thranduil veniva nominata.  Si immaginó il suo amante, allora giovane principe come Legolas, il giorno delle nozze. Se lo figuró mentre teneva dolcemente la mano di Calenduin, raggiante nel giorno più bello della sua vita, e veniva unito a lei in matrimonio da re Oropher; e dopo, i due sposi innamorati come due colombe, che si avviavano verso il loro popolo in festa. Viva il principe e la principessa! E vissero per sempre felici e contenti. 
Beh, non proprio per sempre: Calenduin qualche anno più tardi sarebbe stata fatta a piccoli pezzi dagli orchi.

"Hmm, scorgo gelosia nei tuoi occhi, o è solo una mia impressione?" la stuzzicó lui. "Stai pensando a me e a mia moglie?"

La ragazza lo guardó. "No. Sto pensando che io sono Roswehn Monrose. Anonima cittadina di Dale. Moglie di nessuno. Madre di un figlio mezzosangue. E così termineró i miei giorni."

Thranduil tornó serio. "Non dire cose del genere. Nostro figlio sarà un principe. Ti ho già detto che ho intenzione di elevarlo al rango che gli spetta, una volta nato. E per quanto riguarda la tua condizione..." la squadró. "... prenditela con te stessa. Era mia intenzione sposarti. Tu hai voltato le spalle al destino." si avvió verso la tenda di velluto scarlatto. Poi si girò di nuovo. "Vuoi rispetto... sei stata tu la prima a non averne."

Roswehn fece no con il capo. Ne aveva piene le scatole di quella storia. "Ancora Lindir di Rivendell... è stata una cosa talmente ridicola, ancora non riesco a credere che tu possa aver pensato..."

"Sai qual è il lato davvero ridicolo della faccenda?" la interruppe lui. "Sono convinto che a Lindir non interessino nemmeno le donne, e te l'avevo perfin detto. Ti sarebbe andata male in quel senso."

"...ne sei sicuro?" ribattè lei, mordendosi subito la lingua. Non avrebbe dovuto dirlo. Troppo tardi, il re la stava già guardando dall'alto in basso. "... Tu sei più informata di me, al riguardo?"

Roswehn preferì tacere. Non poteva certo descrivere gli sguardi che si erano scambiati lei e il bruno consigliere di Elrond, perché a giudicare da quelle occhiate prolungate, il mite elfo di Rivendell non sembrava tanto indifferente al sesso femminile. Sì, forse non aveva mai avuto una donna, ma questo non significava che non avrebbe avuto volentieri lei.

"Ecco, vedi perché non posso sposarti?" sorrise Thranduil, leggendo nella sua mente. "Abbi almeno la decenza di non fingere sdegno." e poi finalmente uscì dalla camera, lasciandola sola con i suoi pensieri e con le sue paure.

Stanotte peró qualcosa c'era lì nell'angolo. Pensó lei, di nuovo scossa da un tremito. Tornó a farsi sentire una delle vocine fastidiose della sua coscienza, probabilmente quella che si era precipitata a farle perdere i sensi, la notte prima, per evitare che impazzisse del tutto.

Certo che c'era. E sai un'altra cosa? Tornerà stasera. Tornerà, ma stavolta non si limiterà a bisbigliare nel buio.

                        🌹🌹🌹

"Voglio essere chiaro con voi, lord Thranduil." disse l'anziano padre di Roswehn, a muso duro. "Non sono venuto qui con piacere. Questa non è una visita di cortesia. Sono qui per avere delle risposte."

Thranduil aveva ricevuto Hannes Monrose nella sala del trono, per far capire all'ospite umano chi comandava lì. Aveva con fatica rinunciato a salire e sedersi sul suo nobile seggio, perché riteneva che il nonno del futuro delfino di Boscoverde meritasse un colloquio disteso. Quantomeno, voleva guardarlo negli occhi.

"So bene cosa pensate di me, Hannes. So cosa puó avervi detto vostro fratello. Siete libero di credere ancora alle sue parole, io rispetto i legami famigliari... benché...Viktor Monrose non sia certo una parentela di cui andare fieri." rispose laconico. Guardava Hannes dall'alto, e non ci voleva molto, visto che il padre di Roswehn era decisamente più basso di lui, e provato dalla vecchiaia. Una statua marmorea di fronte a un abbozzo di tronco d'albero vecchio e consumato dai tarli, sembravano i due.

"Viktor e Pontelagolungo sono il passato. Il presente è Roswehn. Voglio sapere perché tenete qui mia figlia." gli chiese l'uomo, senza tanti giri di parole.

"Non credete che io la ami?" chiese Thranduil, nel tono più affettato che avesse.

"No, per niente." rispose secco Hannes. "Io credo che voi la ospitiate qui per qualche vostro misterioso piano. Conosco le vostre opinioni sui mortali, che credete? E non sono più lusinghiere di quelle che abbia io verso gli Elfi. Nessuno al mondo mi farà mai credere che Thranduil, figlio di Oropher, provi amore per una ragazza umana. Noi non siamo che topi ai vostri occhi."
Si girò a guardare il grande antro, in cui le loro voci rimbombavano. "Avete incantanto mia moglie con le vostre parole, ma con me non ce la farete."

Thranduil gli girò lentamente intorno, come un gatto che rizza la coda attorno alle gambe della padrona, mentre lei gli versa il pasto nella ciotola. "Sono dispiaciuto di sentire considerazioni simili. Roswehn è importante per me, più di quanto crediate." preferí non dirgli che aveva pensato di sposarla. No, decisamente non era argomento da trattarsi con un padre. Decise di rivelare mezza verità.

"Non mi è permesso prenderla in moglie. Ma se avessi potuto..." iniziò a dire.

"Smettetela di mentire, maledizione!" lo interruppe Hannes. "Abbiate rispetto per la mia età, se non altro."

Thranduil lo guardò basito. Chi era quell'ometto incartapecorito che usava un tono simile con lui? Ah già, il padre di Roswehn, che qualche minuto prima lo aveva aggredito esattamente con la stessa veemenza. Grande Eru, che famiglia.

"Lascerei stare la faccenda dell'età, se fossi in voi. Sono abbastanza sicuro di camminare su questa terra da quando la stirpe dei Monrose ancora non si era generata." rispose il re.

Hannes lo guardò con astio. "Mia moglie vi ha detto quanto nostra figlia sia importante per noi, ma sono sicuro che voi non abbiate del tutto compreso le sue parole. Non potete, perché per voi non è mai esistito altro che il vostro trono, il vostro potere, il vostro orgoglio! Avete ereditato questa natura egoista da vostro padre. Ho letto la storia della vostra famiglia, la conosco forse meglio di voi. Oropher respinse la protezione di Celeborn e Galadriel, vero?  Decise di troncare i rapporti con il Lothlórien e trascinò qui a Bosco Atro altri elfi ribelli. Creaste una vostra comunità parallela, soggiogando gli Elfi Silvani." disse Hannes, mentre le labbra di Thranduil cominciavano ad arricciarsi nella sua tipica smorfia di contenuta e regale rabbia. Parlare di suo padre in quel modo davanti a lui? Roswehn stava seriamente rischiando di diventare orfana.

"Voi siete avvelenato dall'ambizione e dall'egocentrismo. L'anno scorso siete venuto a Dale e ci avete aiutato solo per recuperare una collana, me l'ha detto Bard. Le gemme di Lasgalen, i diamanti inestimabili che Thror vi negó secoli fa. Ma dove eravate, negli anni precedenti? In quale circostanza il reame di Eryn Galen ci ha mai offerto solidarietà, durante gli inverni rigidi e le estati torride, dopo le inondazioni dovute alle piogge, quando l'acqua del lago allagava le nostre case? Quando non avevamo cibo, né si poteva pescare, perché un'improvvisa frana aveva riempito il lago di fango? Nemmeno un elfo si vide da quelle parti, allora, tanta era l'amicizia che ci dimostravate." terminò Hannes, amaro.

Thranduil lo squadrava senza perdere la sua composta alterigia. "Sono desolato di sapere che avete passato sventure simili. Non ne avevo idea, altrimenti vi avrei aiutato."

"Quanto è grande la vostra presunzione, se credete di prendermi in giro cosí." rispose Hannes. "Non vi importava nulla di noi mortali a quel tempo e non vi interessa nemmeno di mia figlia adesso, ci scommetto. Roswehn dovrebbe tornarsene a casa sua, e in fretta. Ma lei purtroppo vuole stare qui, non posso trascinarla a Dale con me. Comunque, ascoltatemi bene: vi giuro che scoprirò le vostre trame. Scoprirò cosa volete da lei, cosa avete in mente di fare. So che è uno strumento nelle vostre mani. Mia moglie ha creduto alla favoletta del grande re che si innamora della piccola paesana...cosí sono le donne, si bevono ogni stupida romanticheria. Ma io ho capito che la state usando per qualche vostro sconosciuto interesse e lei ci rimetterà la sua esistenza se ve lo lascerò fare. Avete sul viso la stessa ipocrisia che mostraste a Bard, il mio re, quando vi aprimmo le porte della città, irretiti dal cibo e dall'aiuto che offrivate. Ma io riconosco l'ipocrisia, Thranduil, la fiuto a un miglio di distanza."

Il re aveva compiuto uno sforzo inconcepibile, per mantenere il controllo durante la tirata di Hannes.

Avrebbe voluto ricordargli che duemila elfi erano morti per difendere la gente di Dale.
Avrebbe voluto ricordargli che lui stesso era tornato a cavallo di Henok a far fuori più di un centinaio di orchi, per proteggere quella popolazione di umani.
Avrebbe voluto fargli presente che Roswehn veniva trattata con ogni riguardo a Boscoverde, e che le permetteva addirittura di dargli ordini delle volte. A lui. Al re. 
Sí, c'era stato quell'incidente della breve carcerazione, ma la ragazza se l'era cercata e anche alla grande.

Avrebbe soprattutto voluto informare Hannes che se l'ipocrita Thranduil Oropherion non fosse entrato nella vita di sua figlia, probabilmente quest'ultima non avrebbe mai scoperto l'amore.

Ma preferí lasciar correre. Capiva molto bene l'uomo; lui non aveva una figlia femmina, ma se l'avesse avuta sarebbe stato egualmente protettivo. Hannes era ferito e geloso come solo un padre in presenza dell'amante della sua ex-bambina-ora-donna poteva essere. 
Era chiaro che lui e Roswehn dormivano insieme, non era mica andata a vivere lí per legger libri tutto il giorno e chiacchierare con Nim.  Cioé, nei prossimi dieci mesi le sue attività sarebbero state essenzialmente quelle, ma prima... prima c'erano stati fuoco e fiamme in quella stanza protetta dalla tenda scarlatta.

Scelse la strada del dialogo e della distensione, una via percorsa poche volte in vita sua. "Hannes, siete libero di fare le vostre supposizioni, e... indagini. Scoprirete che non c'é falsità nel rapporto fra me e Roswehn. Ci vogliamo bene. Solo questo posso dirvi."

Hannes lo guardò in silenzio. Non gli restava che abbozzare. Che altro poteva fare? Ingoiare il rospo, sperando di non strozzarsi.

"Partiremo domani. Io, mia moglie, e Edith. Senza Roswehn. Me ne vado sconfitto, lord Thranduil. Questa volta.
Ma ciò non vuol dire che abbia rinunciato a mia figlia." gli disse.

"Come volete. È triste per me sapere che lasciate il mio regno con questo stato d'animo, ma il tempo aggiusterà tutto, vedrete." gli disse Thranduil, freddamente.

"Bene, non rinunciate all'ultima frase ad effetto. Ammetto che in questo siete simile a Roswehn." rispose Hannes.

"Vostra figlia tornerà a Dale un giorno. Per rimanervi per sempre. Non me l'ha detto, ma so che sceglierà di ricongiungersi alla sua gente presto o tardi. Io non la ostacoleró, ve lo prometto." aggiunse il re.

"Mi auguro che succeda il prima possibile. Addio lord Thranduil." furono le ultime parole di Monrose.

Ed era davvero un addio. Né Thranduil né Hannes potevano saperlo, ma non si sarebbero mai più incontrati.

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Capitolo 30
*** Partenze ***


"Mi dispiace papà." 
Roswehn aveva accompagnato i due genitori, con Edith, fino quasi a metà strada sul sentiero verso Dale. "Thranduil vuole che io ritorni subito. Non posso proseguire oltre, mi sono già spinta oltre il dovuto. Ci dobbiamo salutare qui."

Hannes non rispose. Guardava verso l'interno della boscaglia.

"Papà, per favore, guardami." lo implorò lei. "Non lasciamoci cosí."

"Torna da lui, Roswehn. Sappiamo come orientarci nella foresta, ormai. Tra poco è sera, torna al Palazzo e non preoccuparti per noi." rispose Yohlande.

Suo marito non aveva digerito il modo in cui il confronto con Thranduil si era concluso. Aveva fallito, la sua bambina era ancora invischiata in quel mondo di Elfi e boschi da cui voleva strapparla. Ma lei si sentiva in qualche modo sollevata: aveva parlato con il Re e nei suoi occhi aveva colto la sincerità che aveva sperato di vedere. Anche Yohlande avrebbe preferito tornare a casa con sua figlia, ma adesso era almeno libera da quell'angoscia che l'aveva tormentata nelle ultime settimane.

Roswehn era cresciuta, era in procinto di diventare madre. E il padre del suo futuro nipote sembrava del tutto onesto nei suoi sentimenti. Almeno, ai suoi occhi. Convincere anche Hannes sarebbe stata ben più dura.

"Sí, torna dal tuo padrone. Sta schioccando le dita, non senti?" la derise  Edith. "Ti va bene che sia bello, altrimenti...gramo affare avresti fatto."

Roswehn si avvicinò alla donna. "Sei stata odiosa in questi giorni. Mi hai fatto fare una figura terribile. Non te lo perdonerò, Edith." le ringhió. "Non biasimo Thranduil perché ha pessime opinioni sugli umani...tu confermi le sue idee con la tua maleducazione, lo sai questo?"

"Solo perché dico la verità, tesoro? Un tempo ammiravi la mia schiettezza!" le rispose Edith.

"Sí, quando ero una ragazzina come Sigrid. Ma ora sono adulta, ho un amore, un compagno. Vivo con un
Elfo nobile, e da lui ho imparato cos'é la classe." le disse, squadrandola. "Sai cosa credo? Avresti dovuto trovarti un uomo...sei invecchiata da sola, e questo ti ha inacidito... non prendertela con gli altri se sei rimasta zitella!"

Edith le mollò uno schiaffo. 
Un ceffone forte, secco, il cui suono echeggiò nel bosco.

"Edith!" sbottò Hannes.

Roswehn si portó una mano al viso, incredula. Mai Edith l'aveva picchiata. Anzi, una volta aveva litigato con Yohlande perché l'aveva vista tirarle uno scapellotto.

La fioraia la guardava con il viso rosso di rabbia. "Non t'azzardare a compatirmi, tu..." le disse. "Non ti ci provare neanche, disgraziata."

"Hai insultato Thranduil. Lo hai fatto sapendo che mi avresti ferita, cosí. Come dovrei sentirmi, secondo te? Credevo che mi volessi bene..." rispose Roswehn, mentre avvertiva fortissimo l'impulso di piangere. Edith l'aveva fatta tornare bambina, con quella sberla.

"Tu non sei più niente per me. E sai la mia casa sulla collina, e il roseto?
Non ho avuto figli, perció volevo lasciarla a te. Avresti ereditato tutto, i miei soldi, le mie serre, il mio laboratorio di ceramica... avevi un futuro da ricca signora a Dale. Invece non avrai niente.  Perché quel folletto su un punto ha ragione: sei solo un'arrogante e viziata smorfiosa. Mi dispiaceva per te, quando ho saputo che ti eri lasciata incantare dagli Elfi. Ero venuta qui per aiutarti a recuperare il senno. Ma ora provo piú pena per lui, che ha scelto di tenerti al suo fianco. Per lui, e per quel suo figlio che sarà costretto a sopportarti."  le disse Edith, con un tono inaspettatamente calmo.

Questo impressionó Roswehn ancora di più. La tranquillità con cui aveva detto quelle cose le faceva capire che le intendesse davvero. Di solito, quando la fioraia si arrabbiava era tutto un susseguirsi di imprecazioni, urla, strepiti. Ma poi si pentiva, e chiedeva scusa. Invece in quel momento era terribilmente seria.

"E in quanto a ciò che può averti insegnato... non farmi neanche dire cosa penso. Comunque, se hai deciso che questa è la tua vita, sono felice di non farne più parte." concluse Edith. Poi si giró dall'altra parte, spronando il pony ad avanzare.

"...aspettaci, dove vai?" urló Yohlande.

"Voglio tornare a casa mia. In mezzo a gente normale. Ne ho abbastanza di radici, rami, foglie, e sciocchezze." grugnì Edith, senza voltarsi nè fermarsi.

Roswehn la inseguì. "No. Ti prego." le disse, tirandola per una manica.

"Che vuoi ancora?" chiese Edith, guardandola di traverso.

"Ti voglio bene. Non andare via in questo modo. Scusami!" la imploró. Stai perdendo la tua famiglia, le gridava la coscienza. Tuo padre non ti guarda in faccia. Edith è la persona che ti ha cresciuta e amata come una figlia, te lo sei dimenticato? Perchè le hai detto quelle cose, perché?

Edith rimase zitta per qualche istante. "Non frignare. Ti ho detto che non avrai le mie proprietà. Ma, forse quell'Elfo ti concederà parte dei suoi averi un giorno. Sta' allegra, Roswehn, la vita ti sorride." le disse scarcastica.

"Non mi interessano soldi e case. Ti prego. Io ho solo voi tre! Siete il mio affetto più grande. Non voglio perdere nessuno di voi..." si giró verso suo padre. "...nessuno!" pianse.

Edith a quel punto le afferró il viso con una mano. Le strinse le guance così forte neanche avesse avuto tenaglie al
posto delle dita. "E allora torna a Dale! Quella è casa tua! Quello è il posto dove devi stare!"

Roswehn si liberó dalla presa. "Non posso! Non chiedermi il motivo, ma non posso!" Aveva gli occhi disperati.

"E perché non puoi?" insisté Edith. "Quale impedimento c'é? Sei incinta, ti ha messo un figlio in pancia, forse?" le chiese, ironica.

La ragazza non rispose. Guardó Edith negli occhi, e con gli occhi le parló. L'ammissione dello stato in cui si trovava comparve in un lampo nel suo sguardo.

Edith sgranó i suoi, di occhi. Capì tutto. 
"Oh, Eru...oh bontà divina..." mormoró.

Roswehn le afferró con forza una mano. "Non una parola con mio padre." sibiló sottovoce. "Promettilo. Giuralo adesso."

La fioraia pareva costernata. Poi si giró verso Hannes, verso l'anziano Hannes che le osservava senza capire. Era troppo lontano da loro per aver sentito la conversazione.

Edith annuì. "E va bene. Come vuoi." sussurró. "Che guaio, Roswehn. Che guaio hai combinato." mormoró con un misto di rimprovero e pietà negli occhi. "Tua madre sa?"

Roswehn fece no con la testa. "... tu non parlarne neanche a lei, intesi? E non è un guaio: è il nostro bambino. Siamo molto felici." sussurró ancora.

"Che gli dèi ti aiutino, ragazza mia." disse di nuovo Edith. Non riusciva a crederci. "Torna a Dale se quel coso con le orecchie appuntite ti tratta male. Vieni da me. Cresceremo insieme il tuo elfetto."

Roswehn trattenne un singhiozzo. "Non volevo dirti quelle cattiverie. Ti ho sempre ammirata, Edith. Sei una donna forte."

"Impara ad esserlo anche tu, allora. Devi raccogliere tutte le tue energie adesso. Ti aspettano mesi duri. Una gravidanza, per la miseria..." scosse la testa.

"Si prenderanno cura di me gli Elfi. Le loro donne, cioé. Non sarò sola, Thranduil me l'ha promesso." continuò a bisbigliare Roswehn.

"Ah sí? Quante premure. Augurati che non l'abbia fatto apposta." le disse.

"Fatto apposta cosa?" Chiese Roswehn, ma Yohlande la interruppe. Si avvicinò col suo cavallo.

"Torna dagli Elfi. Inizia a fare freddo. Ti verrò a trovare presto, anche da sola. Il re dice che posso venire a farti visita di tanto in tanto. E conosco la strada. Sta' tranquilla, cara." le diede una carezza. "Tuo padre ha bisogno di tempo. Gli parlerò io. Andrà tutto bene, vedrai."

La giovane si girò verso suo padre. "Papà, non essere arrabbiato con me." lo pregò.

"Non con te." rispose lui. "Con lui."

"No. Va bene, va tutto bene fra noi." provó a dire Roswehn.

"Casa nostra è casa tua. Quando tornerai, ti accoglieremo. Sempre a braccia aperte." le promise. "E Roswehn... io non ho molti anni davanti a me. Tua madre rimarrà sola. Avrà bisogno di te. Perció...non tardare."

La donna sentì una fitta al cuore. "Non dire così. Ci rivedremo presto, papà. Siamo ancora legati, noi tre. Lo saremo sempre. Non è che sto andando dall'altra parte di Arda. Dale e Boscoverde sono reami vicini..." disse lei, mentre un nodo le si formava di nuovo in gola. Non devo piangere.

"Certo. Certo." rispose Hannes. Le sorrise tristemente. "Allora, buona fortuna, figlia mia. Mio sangue." Si chinó in avanti per baciarle la fronte. 
"Andiamo, adesso. Fa un po' meno caldo a quest'ora. Arriveremo di notte a Dale." spronó il cavallo.

"Volete che chieda a Thranduil di mandarvi dietro qualche soldato? Mi sentirei più sicura." propose Roswehn.

"No!" gridó Edith da lontano. "Ne ho abbastanza di Elfi."

Yohlande si giró. "Arrivederci tesoro, riguardati!" Avrebbe voluto fermarsi con lei a Boscoverde e accudirla durante la gestazione, non sapeva se star serena all'idea che Elfi si sarebbero presi cura di lei. Ma doveva fingere di non sapere, così aveva promesso a Thranduil.

Comunque, il pensiero di poterla andare a trovare quando voleva le calmava un po' l'animo. Nessuno avrebbe mai rotto il legame fra Yohlande Monrose e sua figlia. 
Nemmeno un re.

🌹🌹🌹

"Mio padre è arrabbiato." disse Roswehn. Era nella stanza di Thranduil. Dopo una breve cena che la ragazza non aveva nemmeno finito, erano in procinto di andare a dormire. La notte era di nuovo sopraggiunta e non poté fare a meno di chiedersi se i suoi con Edith fossero giunti a Dale.

"Lo so." rispose il re. "E' comprensibile. Il legame padre e figlia è speciale, e prezioso. Mi vede come il maledetto che ti ha strappata a lui."

"No. Non è questo. Prima o poi mi sarei allontanata da casa, magari per sposare un uomo. Era preparato a vedermi andar via. Tutti i genitori lo sono." riflettè Roswehn. "È qualcos'altro."

Guardò Thranduil che stava entrando nel letto con la pelle umida dal bagno serale. Ancora nudo? si chiese lei.

"Com'è che hai messo da parte il tuo regale decoro e dormi senza indumenti?" gli chiese. Il re non nascose un sorriso.

"Fa caldo." rispose serafico.

"Hm. Improvvisamente lo soffri?" insisté lei. Voleva vedere fino a che punto avrebbe mentito.

"Non intendevo la temperatura della stanza." le rispose, togliendosi gli anelli. Una volta se li era dimenticati alle dita lasciandole per ricordo dei graffi rossastri sulla schiena. Si giró a guardarla. "Intendo i tuoi bollori, che devi imparare a gestire."

"Sai, io rispetto il fatto che sei su questa Terra da millenni. Cioè, è esaltante avere a fianco una persona con così tanta esperienza di vita. Ma giuro davanti a Eru che a volte ti comporti come un ragazzino, con queste stupide ripicche." gli rinfacció.

Thranduil rise. "Forse hai ragione. Da quando sto con te ho perso il senso della dignità, lo so." guardó verso i candelabri della stanza, che iniziarono a spegnersi per magia.

"No! Lasciane uno acceso ti prego." disse Roswehn. Non voleva dormire nel buio più totale. Non voleva che i raggi della luna entrassero nella stanza, perché nei raggi di luna si nascondevano cose. Cose brutte.

"Hai ancora paura dei fantasmi?" le chiese, adagiando la testa e la cascata di capelli biondo/argentei sul cuscino.

"Sí. E non era un fantasma. E non voglio vederlo più. Anzi, ti prego, rimani sveglio fino a che non mi addormento." lo implorò.

"Sei una bambina, Roswehn. Tua madre ha ragione. Hai avuto troppi vizi. Ma non qui, non con me." le disse, facendo spegnere col pensiero anche l'ultima candela.

Subito la donna si rannicchiò vicino a lui.

"Cosa c'eravamo detti?" le chiese. Ma sentí il cuore di Roswehn battere all'impazzata contro il suo braccio. Tremava come una foglia. Allora, forse, aveva davvero paura. "Ma si può sapere cosa ti succede?"

"Te l'ho detto cosa succede. Ma tu non mi credi, mi prendi in giro." rispose lei con voce tremula.

Il re sospirò. Iniziava ad avere lo sgradevole sospetto che Roswehn stesse perdendo il senso della realtà. Forse il suo fisico e la sua mente non riuscivano ad adattarsi a vivere nel mezzo di un bosco. Che ne poteva sapere lui? Lui era un Elfo, per un Elfo quello era l'ambiente naturale...ma per una mortale? In più, era incinta, una condizione che ingarbugliava ancora di più l'intricata matassa dei suoi nervi umani.

Decise di andare contro il suo stesso ordine e rompere momentaneamente la regola di distanza e castità fra loro due. La circondò con il braccio, stringendola a sé.

"Dormi Roswehn. Non c'é niente lì. Vedi? Niente." la confortó.

La ragazza guardó. In effetti, nell'angolo accanto alla tenda non si vedevano né braccia pendule né dita lunghissime né orbite vuote né ghigni demoniaci. C'era solo la tenda, e un po' di pulviscolo che roteava nei raggi lunari.

"Stringimi, per favore." chiese lei.

"Lo sto facendo. Dormi, adesso. Non c'é nulla in questa stanza, a parte noi tre." mormoró lui.

"Come noi tre? Di chi parli?" chiese lei, spaventata.

Thranduil le mise una mano sul pancino. Era sempre piatta, ma per la suggestione della gravidanza ogni tanto aveva l'impressione che una parvenza di collinetta le stesse crescendo sul ventre.

"Ma lui, no?" sentì il suo sorriso nell'incavo del collo.

"Ah sì." rispose lei. "Vero."

"Siamo noi tre, ora. La tua nuova famiglia." sussurró Thranduil. Poi chiuse gli occhi.

Roswehn provó a calmarsi. Guardó di nuovo nell'angolo. Niente.

Non c'é niente e forse non c'era niente nemmeno l'altra volta. Era un sogno, aveva ragione Thranduil. Che razza di stupida son stata. pensó lei, mentre pian piano sentiva i suoi muscoli rilassarsi.

Eh no, bella, non te la cavi così. Sentì quella odiosa vocina della coscienza che si ripresentava in lei puntuale come il primo giorno d'estate. Il fatto che quella cosa non sia lì nell'angolo non significa che non sia in questa stanza. Anzi, io credo che tu sappia benissimo dov'é in questo momento.

No! Sta' zitta!Ti stai inventando tutto! Io non so un bel niente! urlò lei nei meandri della sua psiche.

Sí che lo sai... continuava la voce... non puoi vederlo vicino alla tenda, perché LUI non è più vicino alla tenda...

Roswehn cominciò a tremare di nuovo mentre sentí un scarica elettrica lungo la spina dorsale.

...lui... è sotto il letto.

 

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Capitolo 31
*** La guardiana della notte ***


Si strinse a Thranduil.

La nuova idea di uno spettro dai denti aguzzi sotto al letto le aveva fatto scendere la pressione tutta in un colpo. Aveva addirittura freddo. Il re avvertì la paura che dal nulla aveva aggredito di nuovo Roswehn: tutti i suoi muscoli si erano irrigiditi e tremava come uno scoiattolo appena scampato all'agguato di un falco. Doveva aiutarla, e in fretta. Quella tensione che aveva origine misteriosa poteva farle male, e fare male anche a loro figlio. E se avesse perso il bambino? No, urgeva subito un po' di balsamo su quel fascio di nervi che si stava aggrovigliando peggio di un rotolo di lana.
"Ho preso una decisione." le sussurró, accarezzandole la nuca. "Una volta che avrai dato alla luce il piccolo, ti lasceró del tempo per riprenderti e poi lo affideremo alle cure di Morath. È stata all'altezza di allevare Legolas, non avrà problemi."
"Perché?! Io non voglio staccarmi da mio figlio!" protestó lei. "Non avrà nessuna bàlia, voglio accudirlo io."
"Lasciami finire," proseguì Thranduil. "Sarà un distacco temporaneo. Ho pianificato un viaggio. Io e te, soli. Non ti sto dando abbastanza attenzione, temo. Forse è per questo che sei confusa e vedi cose che non esistono."
Roswehn sollevó la testa per guardarlo. Si appoggió a un gomito. "Un altro viaggio? Dove?"
"Nel territorio del Lindon, ad Ovest. Lì vive una comunità di Elfi Sindar, la mia razza. Ci accoglieranno con tutti gli onori nella parte dell'Harlindon, dove vivono loro, ma se vorrai potremo visitare anche il Forlindon, dove stanziano gli Elfi Verdi. Volevi vederli no?" chiese lui.
"Dove si nascose Regan di Arnor durante la vecchiaia. No, non credo proprio di volerci andare." rispose lei. Aveva la spiacevolissima sensazione che quel capitolo terribile della sua vita si stesse riaprendo. Perché risvegliare i morti? Sono già abbastanza svegli, ti pare? "Dimenticavo. Allora, se preferisci andremo fino ai Porti Grigi, fino alle sponde del mare. Mi manca, il mare. Lo vidi solo una volta, quando con mio padre attraversai il Mithlond." raccontó l'Elfo.
"Io non l'ho mai visto. Conosco solo l'acqua di lago." rispose Roswehn. Non credeva che Thranduil avrebbe lasciato il suo regno per farsi una vacanza con lei. Forse le stava dicendo quelle cose per tranquillizzarla, per vincere quel panico che avvertiva di sicuro anche lui e come non avrebbe potuto sentirlo? La ragazza tremava come una foglia. "Lasceresti il tuo reame senza una guida?" gli chiese. "Daró i pieni poteri a Legolas, Feren e Varian. Non avranno difficoltà." spiegó lui. "E io lasceró il re da parte durante il nostro viaggio. Abbandoneró qui corone, scettri, e i simboli di Eryn Galen. Saremo solo due innamorati che vedono le bellezze di questo mondo insieme. Ti piace l'idea?" le disse, baciandole la fronte. "Devo pensare a te in modo diverso. Finora sono stato duro, lo so. Mi sono anche pentito per quella storia..." mormoró, pensando al giorno in cui erano tornati da Rivendell e l'aveva spedita in una cella. "Parlare con tua madre mi ha fatto sentire in colpa."
"Non voglio più pensarci, Thranduil. È successo, e basta. Abbiamo imparato entrambi da quella faccenda, spero." ribattè lei.
"Sì. Inoltre, dovremo presto pensare a come chiamare nostro figlio. Io sto valutando diverse possibilità. Eviterei il nome di mio padre, Oropher. Lo caricherebbe di responsabilità eccessive. Sarebbe un paragone troppo arduo per lui da sostenere." disse il re. La ragazza si chiese se non fosse quello il momento di dirgli la sua idea, riguardo alla questione. Vedi, vorrei chiamarlo Haldir. Sì lo so che non è carino dargli il nome dell'Elfo che mi ha fatto battere il cuore prima di te, ma ho deciso così e, sai, noi donne umane non siamo esattamente le creature più malleabili al mondo quando si tratta dei nostri figli.
"... pensavo a un nome elfico che abbia un significato speciale. In cui risuonino forza e autorità. Un nome adatto a un sovrano." disse lui. Era così preso dai suoi ragionamenti da non averle letto nel pensiero.
Roswehn si stupì. "Perché un nome di re? Nostro figlio non avrà questo destino. A meno che a Legolas non capiti qualcosa, e spero davvero di no..." Ci fu silenzio. Improvvisamente, tutti i candelabri si riaccesero. Thranduil la guardó alla luce ambrata del fuoco. "Legolas non diventerà re." disse. Roswehn si mise seduta sul letto. Era incredula. "Cosa?"
"È una decisione che presi molti anni fa. Prima di conoscerti. Solo ora è diventata definitiva." le raccontó. "Non ne ha la stoffa, purtroppo." Roswehn rimase per qualche secondo in silenzio. La notizia che aveva ricevuto era del tutto inaspettata e assolutamente incredibile.
"Ma... è il tuo primogenito... perché non sarebbe adatto?" chiese.
"Lo amo come figlio, ma il mio ruolo mi impone di fare le scelte migliori per la nostra gente. Ad Erebor, quando Smaug violó la montagna, se si fosse trovato lui al mio posto, si sarebbe precipitato con tutto il nostro esercito a dare sostegno ai Nani. Avrebbe trascinato le nostre legioni verso morte certa, spinto dalla sua generosità, dal suo desiderio di aiutare gli altri. Un sovrano deve valutare le situazioni in altro modo, però. Lasciare questo reame in mano a lui, vorrebbe dire attrarre sulla nostra gente una serie di catastrofi, presto o tardi. Non posso permetterlo." spiegó il re.
"Forse sei tu che stai vivendo il tuo potere in modo sbagliato. Forse sei tu che dovresti cambiare, e aprirti di più verso gli altri popoli. C'è chi dice che sei un egoista." ribattè Roswehn. Pensó a Elrond, che non era così ostile verso il mondo esterno, anzi era sempre pronto a mandare aiuti là dove ve ne fosse stato bisogno, eppure la popolazione di Rivendell viveva in pace e prosperava.
"Queste sono le regole di Boscoverde. Le ha decise mio padre, io le ho sempre seguite. E non abbiamo mai avuto problemi qui. Non intendo cambiare. Non voglio che mio figlio rivoluzioni tutto." taglió corto lui. "...comunque, è abbastanza chiaro che togliendo Legolas da ogni ipotesi di successione al trono, resta solo un'altra scelta come erede."
"Nostro figlio." mormoró lei. Augurati che non l'abbia fatto apposta. Le tornó in mente quel commento di Edith che non aveva capito. Ecco a cosa si riferiva. "Quindi mi hai messo incinta di proposito." disse Roswehn, guardandolo. "Non è stata una casualità."
Il re si levò a sua volta seduto sul letto. "Speravo che capitasse, lo confesso." ammise.
"...allora io per te sono una specie di...fattrice. Non sono nient'altro che una femmina da ingravidare." rinfacciò lei, iniziando a sentirti nervosa. "Perciò mi hai tenuta qui." Le tornarono alla mente tutte le angosce che l'avevano tenuta prigioniera nelle ultime settimane. L'insonnia causata dalla paura di come Thranduil avrebbe potuto reagire alla notizia della gravidanza...mentre lui si era addirittura augurato che fosse incinta.
"Non la metterei in termini così brutali, Roswehn. Sai bene cosa provo per te. E sono felice di avere un figlio con te, l'ho già detto." rispose lui. Si era aspettato una reazione simile. "Se ereditasse il nostro carattere, la mia forza e il tuo intelletto, potrebbe essere un re leggendario."
"Tu sei convinto di conoscere già la sua personalità?" rispose Roswehn. "...magari sarebbe un pessimo re, crudele, o stupido. Ci hai pensato? E poi, come credi che la prenderà l'attuale principe, il figlio di tua moglie?"
"Ho l'impressione che Legolas la pensi come me. Io credo che nemmeno lui sia convinto che il suo destino fosse quello di diventare sovrano. La sua reazione non mi preoccupa." rispose Thranduil. "Rimarrebbe comandante di tutto l'esercito. Una posizione comunque molto importante, e avrebbe grosse responsabilità su di sè."
"Haldir." disse improvvisamente la donna. Il re si giró a guardarla. "Haldir cosa?"
"Voglio chiamarlo così, Haldir." disse lei, tranquillamente. L'Elfo la guardó per un attimo, poi sorrise. "Sì, certo." Pensava che stesse scherzando.
"Non è una battuta, Thranduil." aggiunse la giovane. "Mio figlio avrà quel nome. Un nome che suona divinamente, e che ha un bel significato. È perfetto." Negli occhi del re comparve d'improvviso l'antica alterigia che Roswehn conosceva. La sua tipica espressione : spero tu ti renda conto di chi c'è davanti a te. "Ignoro il motivo per cui tu continui a provocarmi. Ma non è divertente." rispose l'Elfo. "Se credi che io intenda dare a mio figlio il nome del Capitano di Celeborn ti sbagli. Oh, quanto ti sbagli."
"Si certo, ma vedi... tu non sei mio marito. L'hai detto e ridetto no? Noi non saremo mai uniti in matrimonio. Quindi, io sono una specie di donna... come dice sempre Violette... sedotta e abbandonata. Una ragazza madre. Cioè, non mi hai abbandonata, ma non mi vuoi sposare: in pratica vuol dire che non mi ritieni degna del ruolo di consorte. Quindi, se non sei mio marito, non puoi neanche avere pretese sul bambino che c'è dentro di me. È nostro figlio, certo, ma allo stato attuale delle cose, è soprattutto mio figlio. E decido io il nome di mio figlio. E si chiamerà Haldir, fine della storia. Se poi, come dici, nostro figlio diverrà sovrano, sarà un nome di buon auspicio. Il suo attuale portatore è un Elfo di valore."
Thranduil aveva l'aria sperduta di chi aveva ascoltato un lungo discorso senza capirci un'acca. "Non fai che dire assurdità. Nostro figlio sarà principe ed erede al mio trono, anche se tu non sei mia moglie. Questo impegno vale molto più di un matrimonio. E poi, io dovrei chiamarlo come un Elfo già conosciuto in tutti i reami di Arda, perché fuori di qui pensino che sia lui il padre? Perchè lo stesso Haldir di Lórien si faccia quattro risate alle mie spalle, vedendo che è ancora nei tuoi pensieri? Tu vaneggi, Roswehn." protestó.
"No. Per niente. E non ho vaneggiato nemmeno l'altra notte, quando in quell'angolo ho visto qualcosa. Io ho paura, Thranduil. So che stai provando a distrarmi con questi discorsi, ma... c'è qualcosa qui che non mi piace. Una forza negativa. Un'entità cattiva... e io sono già passata attraverso una cosa simile e non voglio rivivere quell'inferno. Ne ho abbastanza di spiriti." disse lei, coprendosi con il lenzuolo. Thranduil rimase in silenzio per qualche attimo. Poi spense di nuovo tutte le candele bianche con il potere mentale che Roswehn gli invidiava. Anche lei avrebbe voluto accendere e spegnere fuochi in quel modo.
"Meglio se provi a dormire. E tu non chiamerai mio figlio Haldir." concluse il re, girandosi su un fianco e dandole la schiena.
"E' mio figlio." aggiunse lei, mordendo il lenzuolo.
"Dormi. Ne riparleremo domani." disse lui in un tono che sembrava tanto un comando.
Già, ti pare facile. pensò Roswehn.

🌹🌹🌹

Le venne sete. Nel buio di quella camera regale, sentí una grande e improvvisa arsura. Colpa del caldo, certo. Thranduil si era del tutto assopito. Era lí, sdraiato vicino a lei, il lenzuolo che parzialmente copriva le sue lunghe gambe e il resto del suo corpo glabro. Roswehn rifletté che proprio il sonno era l'unico punto veramente debole degli Elfi. Quando gli Haradrim l'avevano rapita, Haldir non si era accorto di nulla perché stava dormendo. E se in quel momento nella stanza fossero piombati quattro Orchi armati di mannaia, Thranduil non si sarebbe svegliato. Lui, che a Dale ne aveva fatti fuori dieci alla volta a colpi di spada. Quella fase profonda di sonno rendeva gli Elfi assolutamente vulnerabili.
Perciò, anche se qua dentro ci fosse uno spettro, e se quest'ultimo volesse farti qualcosa di spiacevole, il tuo amato non potrebbe difenderti in alcun modo, le disse il raziocinio. Comunque questo non è il problema principale adesso. Il problema è che hai sete.
C'era un calice pieno d'acqua sul mobiletto vicino alla parte del letto dove dormiva lei, a destra. Roswehn era abituata fin da bambina a portarsi un bicchiere d'acqua in camera, nel caso si fosse svegliata con la gola riarsa come la sentiva sentiva in quel momento. La grana era che il letto era talmente ampio che avrebbe dovuto scivolare sul materasso per quasi due metri prima raggiungere l'altro bordo e mettere le mani su quel benedetto bicchiere. Non era una piccola distanza, per una donna già terrorizzata e che vedeva spettri ovunque. Una donna atterrita in una stanza buia. Provò a spostarsi, facendo leva sui fianchi, riuscendo a muoversi di qualche centimetro. Subito venne attanagliata dal panico e sentí le prime goccioline di sudore alla base del collo. Non lo farei se fossi in te. Ci sono cose brutte sotto questo pesante letto d'ottone. Cose che strisciano. Cose con braccia lunghe, che afferrano. Aspettati di vedere una mano scheletrica spuntare da sotto al materasso e prenderti per una caviglia e trascinarti sotto come un sacco di patate e poi...
Già, e poi? Cosa avrebbe potuto farle quel mostro nero con le orbite vuote al posto degli occhi? Ti mangerà. Inizierà dai tuoi ditini e poi passerà alle caviglie e poi su su fino ai polpacci e si fará una sgranocchiatina d'ossa... le disse l'odiosa vocetta della coscienza. E Roswehn per un attimo le vide, quelle lunghe dita affusolate farsi largo sul materasso e allungarsi, allungarsi... finché, poco prima di gridare, realizzò che erano solo le pieghe del lenzuolo di raso.
"Basta, adesso." si disse, risoluta. "Basta. Io ho sete. E chi ha sete, beve. E lì c'è dell'acqua, e io ci arriveró. Nessun problema." Come a risponderle, d'improvviso si udì il verso di una civetta. Roswehn a quel punto urló davvero e si coprì completamente la testa con il lenzuolo. Cosa ci fa una civetta, qui?! Quella non era una civetta, tesoro, era la voce del mostro che rideva e digrignava i denti e sta solo aspettando che tu scivoli sul letto un tantino di più, quel tantino che gli consenta di prenderti per un braccio e... "No! Era una civetta! Questo è un reame in mezzo al bosco e di notte nel bosco ci sono civette e gufi e alcuni spesso volano anche dentro al palazzo, me l'ha detto Legolas." mormoró, parlando a se stessa. Sono esseri viventi, Roswehn, figli della Natura come noi. Hanno diritto di stare qui. Sentì la voce dolce del principe, non più futuro re, tranquillizzarla. A dire il vero, non era mai stata tanto lontana dal sentirsi tranquilla come in quel momento, grazie mille.

La civetta, detta guardiana della notte. O anche, guardiana dell'oltretomba. Molto appropriato, pensò la ragazza, mentre le goccioline di sudore le colavano velocemente sulla schiena. Cominció a respirare freneticamente, e temette che stesse sopraggiungendo quella che sua madre definiva "crisi di panico". Sarebbe stata una bella seccatura farsela passare, se fosse successo. Provó a concentrarsi su quello che aveva detto Thranduil: il loro viaggio. Si figuró la splendida città di Annuminàs, capitale del Lindon, dove avrebbero soggiornato. Esteticamente, era una via di mezzo fra Caras Galadhon, Rivendell e Boscoverde, era stata la prima capitale elfica, e tutto in essa traboccava di storia e bellezza. Visitarla con Thranduil sarebbe stato meraviglioso, avrebbero passato giorni fra gli Elfi Sindar, i suoi lontani parenti, tutti biondi e bellissimi e...

Di nuovo il verso della civetta. Sembrava più vicina. Era probabilmente un maschio in cerca di compagna, a giudicare dalla forza del suo richiamo. Sembrava quasi che il piccolo rapace la prendesse in giro, con quel verso. Che fai nascosta sotto al lenzuolo, razza di codarda? Paura della notte? Ma guarda me, che nella notte ci vivo, ti sembra forse che me la stia facendo addosso? la derise.
"È vero. Sto agendo da codarda. Io non sono una vigliacca, peró. Non lo sono mai stata." si levò il lenzuolo da sopra la testa, e vide solo il buio. Non c'era niente. C'era solo il profilo di quel bicchiere che era lí, ancora lontano da lei, mentre la sua lingua si stava seccando e stava implorando di avere dell'acqua. Strisciò ancora un po' verso destra, dimenando il corpo in un modo che, se il suo re fosse stato sveglio, avrebbe risvegliato in lui istinti che stava soffocando con fatica da due giorni. Stava arrivando alla meta, e finalmente il comò fu lí, vicino a lei. Allungò la mano e i suoi polpastrelli toccarono il vetro del calice decorato. Roswehn si lasciò scappare un urletto di trionfo.
"Hey tu! Hey, bastardo! Mi hai visto? Non mi fai paura, non mi puoi fermare, razza di fantasma. Tu non sei niente. Io credo che tu sia solo luce lunare." bisbigliò nel silenzio. Poi afferrò con decisione il calice e ingurgitò l'acqua, che scivolò nel suo esofago lasciandole una meravigliosa sensazione in gola.
Si accorse d'improvviso che la civetta aveva smesso di stridere.
Si accorse dell'odore, quell'odore di stagno e di carcasse e di morte che aveva già sentito.
Si accorse che faceva freddo. Si gettò dall'altra parte del letto, letteralmente addosso al re. Non poteva essere difesa da lui, ma in quel momento aveva bisogno di sentire il contatto con il suo corpo. Doveva stargli vicino, o sarebbe impazzita. Lo abbracciò pensando e va bene mostro fatto d'aria, se mi devi uccidere, fallo adesso, almeno me ne andrò aggrappata al mio... "Ti amo, Thranduil. Ti amo tanto, sai?" gli disse, disperata.
Sentí il materasso muoversi. Qualcuno era salito sul letto. Chiuse gli occhi.

Fu solo quando sentí un dito gelido sulla schiena, che Roswehn Monrose perse i sensi di nuovo.

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Capitolo 32
*** Spettri ***


"Voglio sapere che cos'ha." comandò Thranduil. "Voglio sapere perché continua a stare male."

Lui e Amon, il Guaritore più esperto di Boscoverde, guardavano la donna umana adagiata sul grande letto del re. "Non so capirci nulla, perdonatemi. Immagino siano effetti della gravidanza. Forse perché il piccolo che ha in grembo è di razza elfica e lei è una donna umana. Forse il suo corpo fatica a portare avanti la gestazione." rispose Amon.
Thranduil s'irritó. "Immagino...forse...Non riesco quasi a crederci." si avvicinó al guaritore, che aveva tutta l'aria di voler sparire dall'imbarazzo. "Sono sconcertato dalla tua incompetenza."
"Vi chiedo di nuovo perdono. Ma davvero non mi spiego perché perda i sensi così spesso. L'ho visitata, il suo organismo è a posto. E anche vostro figlio dentro di lei cresce in modo normale." farfuglió Amon.
"Sono i nervi. Questa donna é un dannato groviglio di nervi." disse allora il re. "Dovrei trasferirla in un altro alloggio."
"Sì, è una buona idea." confermó Amon.
"Una buona idea...ma è venuta a me." Thranduil gli regaló un'altra delle sue occhiate che ammutolivano all'istante chi vi fosse trovato in traiettoria. "Di' a Nim di sistemare una camera nella parte più fresca del reame, vicino alla grande cascata di Calenduin. Dove mia moglie cercava sempre refrigerio. Lì starà meglio."
"Come volete, lord Thranduil." rispose il guaritore, tenendo il volto basso.
"E tu andrai da Radagast il Bruno. Vive non lontano da qui. Quello Stregone ne sa certamente più di te sui mortali e i loro accidenti di malanni." ordinó all'Elfo che da secoli si prendeva cura di tutti gli abitanti di Boscoverde e mai aveva dovuto chiedere l'assistenza di uno Stregone... tantomeno di Radagast.
"Non saprei se fidarmi di quell'Istari. Dicono viva in modo bizzarro... dicono sia un po' matto." provó a ribattere Amon.
"In tal caso sarà la persona adatta a trovare la soluzione." guardó verso Roswehn. "...vista la paziente." Amon chinó la testa, con rispetto. "Partiró all'istante." Thranduil andó a sedersi sul letto vicino a Roswehn, e si giró di nuovo verso Amon.
"Non osare tornare senza una risposta." Il guaritore sparì in un lampo.
Il re le prese la mano. "Ma cosa ti sta capitando, meleth nîn?" Era molto preoccupato. Si era svegliato con la ragazza riversa su di lui, fredda e pallida. Sul viso aveva ancora un'espressione scioccata, quasi che lo svenimento l'avesse provvidenzialmente strappata al più grande dei terrori. Diceva che c'erano spettri in camera sua, ed era seria, ciò significava che li vedeva davvero. Thranduil non voleva cedere al sospetto che in Roswehn ci fosse qualche rotella fuori posto... non si sarebbe mai innamorato di lei, altrimenti. Era testarda, permalosa e un po' infantile, forse, ma non era matta.
"E allora cosa c'è?" chiese sommessamente. Si guardó intorno. La sua stanza sembrava in perfetto ordine, come sempre. Si alzó per ispezionarla in ogni angolo, ma non vide nulla di inusuale. Non c'erano nemmeno specchi, che delle volte potevano essere usati dagli spiriti come passaggi verso la dimensione terrena. Osservó con attenzione ogni dettaglio, perfino dietro al letto. Decise che guardare anche sotto sarebbe stato troppo. Magari l'avrebbe chiesto a uno dei suoi attendenti.
Vide un bicchiere a terra. Era di pesante vetro, nella caduta non si era rotto, e lo raccolse. Roswehn se l'era evidentemente lasciato scivolare dalle mani per lo spavento. C'era anche una chiazza d'acqua, e fu lì che l'attenzione del re si concentró tutta.
Nella pozzetta c'era un'orma. Era come se qualcuno avesse messo il piede sul liquido e avesse allargato la macchia di umido tutt'intorno. Non era un piede grande, poteva essere femminile. Forse Roswehn? No, non sarebbe mai scesa dal letto al buio. E allora? Thranduil inizió ad arrabbiarsi con se stesso. Sono stato io mentre controllavo dietro al letto. Lei sta contagiando anche me con le sue visioni. Si sedette di nuovo accanto alla giovane mortale, ancora incosciente . Le diede un bacio delicato su una guancia. "Dovevi entrare nella mia vita e complicarla, vero? Non hai potuto proprio farne a meno."

🌹🌹🌹

La ragazza si riprese dopo pochi attimi che il re l'aveva lasciata sola con Nim.
La sua amica stava raccogliendo in una grande sacca tutte le sue vesti. Con sua madre, si stavano preparando a trasferirla da lì. "Nim." mormoró la donna, portandosi una mano sugli occhi. "Ma cosa succede?" Avvertiva ancora un forte giramento di testa. "No...ancora...sono svenuta ancora!" Nim le portó un nuovo bicchiere di acqua fresca, con un po' di sciroppo d'acero diluito. Serviva a darle forza.
"Sì, e il re è preoccupato. Nessuno capisce l'origine del tuo malessere. E ora, ti sposteremo dove c'è più aria." le spiegò.
"L'ho già spiegato cosa non va. Qualcosa mi perseguita. Qualcosa è tornato dal mondo dei morti e mi dà il tormento." disse, alzandosi con fatica. Nim e Morath si guardarono in silenzio. Nessuna rispose. "...cosa sono quegli sguardi? Mi prendete per matta anche voi?" chiese.
"Non oseremmo mai. Se tu dici che...che...i fantasmi ci sono, ti credo." le disse Nim. "Vieni, ti aiuto a vestirti." Le porse la mano. "Dove volete portarmi adesso?" chiese Roswehn, mentre resisteva al capogiro. Stava a fatica su due gambe.
"Il re ha dato ordine di trasferirti in un'altra stanza. È vicino a una cascata, è molto fresca. Purtroppo, il rumore dell'acqua scrosciante è forte, e le prime notti ti terrà sveglia. Ma col tempo ti abituerai." spiegó Morath. "Non credo sia un caso che abbia scelto quel punto: la regina Calenduin andava spesso lì. Forse crede che ti piacerà come piaceva a lei." Roswehn ebbe un improvviso guizzo dell'intuito. La regina Calenduin. La coraggiosa e sfortunata moglie di Thranduil, il cui spirito aleggiava a Boscoverde. Sentì il bisogno di vederla. "Nim, ti chiedo un favore." disse all'improvviso. "Potresti condurmi a quel luogo nel bosco dove è stata posta la statua della vostra sovrana?"
Nim si agitó. "No, no! Il re si arrabbierà se facessi una cosa simile! Tu sei debole, e quella zona continua a essere pericolosa, anche se i nostri soldati l'hanno pulita. I ragni giganti si fanno ancora vedere lì."
Roswehn si avvicinó e le strinse le mani nelle sue. "Sei la mia unica amica qui. È un favore che ti chiedo dal più profondo del cuore. Ho davvero bisogno di vedere quel monumento. Spiegherò io a Thranduil ogni cosa, se dovesse prendersela con te."
"No, Roswehn. Nim ha ragione. È un rischio che non si puó correre. Mia figlia non ti seguirà nel tuo delirio, mi dispiace." intervenne Morath.
"Morath, ti prego!" la imploró Roswehn, ottenendo in risposta un altro secco no. La ragazza si mise le mani sui fianchi, spazientita. "Sembra che nessuno voglia aiutarmi. Non mi sono mai sentita così sola. Thranduil non mi crede, voi due vi mettete contro di me. E io devo fronteggiare tutti i dèmoni di questo mondo da sola!" si lamentó.
"Non esagerare, adesso. Non sei per niente sola. Tutti qui si stanno impegnando perché tu stia bene." rispose Nim. "Devi solo calmarti. Siamo convinte, io e mia madre, che sia la tua condizione a farti stare in questo modo. Ma tra poco passerà, quando la gravidanza sarà in fase avanzata..."
"Oh, per favore!" gridó Roswehn. "Vorresti farmi credere che quando voi donne elfo aspettate un figlio vedete fantasmi ovunque? Che non dormite più la notte?"
"No. Questo no." rispose Nim.
"Allora smettila di consolarmi. C'è qualcosa che non va, lo so io e lo sapete anche voi." ribattè Roswehn. Poi restó zitta qualche secondo. Guardó ancora Nim. "Vieni con me. Ti devo parlare." La prese per una mano e la trascinó fuori dalla stanza, vicino al laghetto privato del re. "Dimmi come si arriva a quella statua." prese una delle pergamene del re, ordinatamente impilate su un tavolo, e una penna d'oca con inchiostro. "Avanti, disegna una piccola mappa." le disse, spingendola a sedersi.
"Vuoi scherzare? Non posso farlo!" protestó Nim, provando ad alzarsi. Subito la mano di Roswehn le caló su una spalla senza tante cortesie.
"Sta' seduta lì, mi hai capito bene?" le intimó, con lo stesso tono perentorio di Thranduil. "Traccia un percorso, ho detto."

🌹🌹🌹

Roswehn si era portata con sè ben due pugnali. Uno, era in realtà uno spadino seghettato che doveva servirle per tagliare la fitta vegetazione. Provó a seguire la mappa disegnata a forza da Nim, e le sembrava di essere sulla strada giusta. Lo capiva, perché prima di arrivare al monumento avrebbe dovuto superare un ponte elfico in rovina, e lo vedeva chiaramente. I due lati del ponte avevano resistito al trascorrere dei secoli, ma la passerella centrale era del tutto crollata. Roswehn si rassegnó a dover fare un salto da una sponda all'altra. Un salto di tre metri. Non doveva assolutamente cadere in acqua, le aveva detto Nim. Le paludi di Boscoverde erano rifugio di esseri subacquei misteriosi. Mostri, forse. Devi cercare di non fare rumore mentre ti muovi in quella parte della foresta. Per quanto ti sia possibile, cerca di essere invisibile. Le aveva consigliato Nim.
"Dovrei chiedere l'Anello a Bilbo, allora. Quell'Anello occultato in casa sua." disse a voce abbastanza alta da spaventare una gavia, che le rispose con un verso stizzito. Traendo un profondo respiro e usando parte del rudere come trampolino, Roswehn saltò. Riuscí ad atterrare dall'altra parte, ma un piede le finí in acqua. Subito si allontanò dalla piccola palude, prima di risvegliare gli oscuri esseri che si riposavano sul fondale. Se mi vedesse Thranduil. Se mi vedesse fare queste acrobazie mentre sono incinta.
"Scusami." disse, carezzandosi la pancia. "Del resto sei anche tu un Elfo. Ne farai anche troppe di acrobazie nella tua vita. Chiedi a tuo fratello se non ci credi." Finalmente arrivò al punto indicato da Nim sul foglio con una grande "X". Vide la statua, ripulita dai rovi e coperta da un elegante gazebo di legno che Thranduil aveva dato ordine di costruirle attorno. La statua era circondata da roselline bianche rampicanti, che erano rimaste dov'erano. Nessuno le aveva strappate, erano una specie di graziosa decorazione. "Eccoti." mormorò Roswehn, avvicinandosi e chinando il capo, neanche la statua fosse stata un essere vivente.

Provava rispetto per Calenduin. Aveva amato Thranduil prima di lei, era stata la regina di quella grande comunità, la madre di Legolas. Udí il fischiare del vento fra le fronde, era un suono inquietante. La pelle le si accapponó sulle braccia. Roswehn provò a parlare. "Ho bisogno di aiuto. So che puoi sentirmi." disse, non sapendo esattamente cosa aspettarsi. "Credo di essere in un grosso guaio. Ho paura anche per Thranduil. Io..." Si fermò, perché da dietro gli alberi era spuntata una figura. Una donna elfo, vestita d'azzurro, con un lungo mantello e un cappuccio tirato sul capo, a nasconderle parzialmente il viso. "Chi sei?" chiese Roswehn. La donna non rispose, ma si avvicinò di qualche passo. Era più bassa di Roswehn, più esile. Si levò la cappa del mantello, rivelando i lineamenti. Le parve di averla già vista. Lunghi capelli neri ondulati arrivavano fino alla vita. Gli occhi erano scuri, e... sembravano privi di luce. Non era molto bella, o meglio, Roswehn aveva visto ragazze elfo più attraenti di lei.
"Stai esagerando, umana." la donna parlò. La sua voce era priva di tono. Roswehn non capí.
"Chi sei, ti ho chiesto. Ti sei smarrita?" Guardò meglio il suo viso, gli zigomi alti, gli occhi piccoli e indagatori, le labbra sottili. Non capiva perché, ma quel visto le era molto familiare.
"Sei qui a chiedere consigli ai morti." Roswehn si portò una mano agli occhi, per proteggerli dalla luce del sole che, facendo capolino fra i rami, la stava abbagliando. Voleva capire chi diamine fosse quella donna.
"Ti ho permesso di amarlo..." continuò l'Elfa, avanzando di un passo verso di lei. Roswehn vide che in mano aveva una spada, nascosta sotto la veste. "...vi ho spinti uno verso l'altro, ho protetto il vostro amore..." La ragazza osservò il movimento delle labbra mentre lei parlava. Anche quello le ricordava qualcuno.
"...ma non ti ho detto..."
La forma del viso, la fronte, la linea del naso. Roswehn si rese conto che la donna era la copia fatta e finita di Legolas.
"...che potevi avere un figlio da lui."
"Calenduin!" urlò la ragazza, finalmente conscia di chi c'era dinanzi a lei. "...sei tu? Davvero?!" A quel punto, la donna misteriosa piegò le braccia sul ventre come a proteggerlo. Lasciò cadere la spada, che finí a terra in un rumore metallico.
"Tu non sei niente! Io credo che tu sia solo luce lunare!" disse l'Elfa, imitando la voce di Roswehn. La ragazza gridò, indietreggiando. Era in un serio guaio adesso e nessuna provvidenziale forza l'avrebbe fatta svenire. Doveva affrontare lei, per quanto il suo cervello non riuscisse ad accettare la situazione.
"Eri tu! Eri tu nella stanza! Sei tu che mi stai tormentando!" le urlò.
"Tempo di chiarire la situazione, Roswehn di Dale. Tempo di rimettere a posto ogni cosa." disse lo spirito che aveva assunto le forme della moglie di Thranduil.
"No!" gridò la donna e si girò, iniziando a correre a perdifiato nel fitto del bosco. Sembrava che le regine defunte di Arda si divertissero a perseguitarla. Forse era un passatempo di moda nell'aldilà. Hey ragazze, che ne dite di andare da quella donna del lago a farle venire un po' di strizza? Tanto per farci due risate. "Ma che volete?! Che volete tutte da me?" gridò, mentre si lanciava terrorizzata in un grande cespuglio di more, le cui piccole spine le graffiarono le gambe. Improvvisamente, una parete di rami e foglie arrestò la sua corsa. Con un taglio netto della spada, Roswehn riuscí ad abbatterla e fece per superarla. Ma venne avvolta da qualcosa. Qualcosa di filamentoso, appiccicoso e resistente. Le sembrava di essere cosparsa da una strana sostanza collosa. Non ci volle molto prima che realizzasse cos'era.

Una ragnatela.

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Capitolo 33
*** Nella tela del ragno ***


Non ti muovere.

Questo comando s'insinuó nella sua mente rapido e improvviso come un fulmine.

Devi rimanere ferma.

Era nella tela di un ragno. A giudicare dalle dimensioni di quell'intrico di fili bianchi e spessi, il ragno doveva essere mostruoso.

Ci mancava questo. Ci mancava solo questo, cari amici vicini e lontani, imprecó fra sè. E adesso come mi libero? Adesso mi volete dire come cavolo mi libero da qui!!! Urló il suo cervello, già provato dalla visione di un nuovo spettro, stavolta quello della defunta consorte di Thranduil, che non sembrava molto contenta della nuova famiglia allargata di Bosco Atro.

Roswehn non la vedeva. 
Provó a girare il capo, per metà coperto dai fili della tela, e a scrutare l'ambiente. Aveva le braccia e le mani totalmente bloccate: il braccio destro piegato davanti a lei, la spadina ancora in pugno. Il sinistro alzato quasi ad angolo retto, e sentiva già il sangue fluire verso il basso dal polso alla spalla. Di lì a poco avrebbe perso la sensibilità. Anche le ginocchia erano tenute ferme da quella specie di spaghi, aveva liberi solo i piedi.

No! Non ti muovere! le urló la vocina della coscienza, che sembrava aver messo da parte tutta la sua sicurezza. Era terrorizzata anche lei. Lo sai cosa fanno i ragni vero? Lo sai come catturano le loro prede?

Roswehn si concentró sulla terribile risposta. Sì lo so. Li osservavo a lungo, i ragni, quando ero piccola. Ogni tanto costruivano delle ragnatele negli angoli della mia stanza. Delle piccole, leggerissime, innocue ragnateline. Alcuni si mettevano al centro della tela e aspettavano i moscerini.

Non era quello il caso. Al centro di quella complicata costruzione fatta di saliva di ragno, non c'era che lei. Allora questo è un esemplare dell'altro tipo...suggerì la voce.

"...quello che si apposta lontano, nascosto dietro un angolo, o su un ramo. Quello che aspetta che i fili si mettano a vibrare, perché se vibrano vuol dire che qualche cosa è rimasto impigliato. Qualcosa che non puó scappare." disse piano, rabbrividendo. Per quello era importante che rimanesse immobile. Giró gli occhi verso l'alto, per vedere se una zampa lunga, marrone e pelosa sbucasse dalle fronde. Niente.

Forse non c'è, si disse. Forse è morto. Forse lo sforzo di costruire questa enorme ragnatela lo ha ucciso, forse gli è scoppiato il cuore. Provó a suggerirle l'intelletto, speranzoso.

"Peccato che i ragni non abbiano alcun cuore." disse Calenduin. O meglio, il suo spirito. Era comparsa davanti a lei, lontana qualche metro da dove Roswehn era bloccata in una grottesca posizione. "Ma è lì. Lo vedo. E ha fame."

Roswehn urló. "Va' via!" 
L'entità non si mosse, ma la ragazza notó che aveva recuperato la spada. La stringeva, tenendola appoggiata a un fianco.

"Non ti devi agitare. Altrimenti il nostro amico arriva e ti mangia." continuó il fantasma, con la sua voce atona. Roswehn si accorse che poteva vedere attraverso di lei. Era pura materia spirituale.

"Questa storia di mio figlio che dovrebbe rinunciare al trono in favore del tuo..." proseguí la donna elfo. "...non mi va giù."

"È stato Thranduil! È lui che vuole questo!" gridó Roswehn. "Io non c'entro niente!"

"Ah, no? Chi c'era distesa sotto di lui ogni notte, dal Solstizio d'estate fino a qualche giorno fa? Vi ho visti..." sibiló lo spettro. "...ti ho vista, mentre lasciavi che mio marito ti prendesse. Vuoi dirmi che non credevi potesse succedere? Cosa sei, una bambina?" chiese, osservandole il ventre.

Roswehn divenne paonazza. "Intendo dire che non sono io a volere mio figlio al posto del tuo sul trono."

"Bene!" sbottó lo spettro, poi si diresse verso Roswehn. Alzó la spada portandola proprio sotto alla giugulare della ragazza. "...perché io sono morta per consentire a Legolas di crescere libero, e di diventare un grande sovrano dopo suo padre. E non posso certo lasciare che venga messo nell'angolo in favore di un mezzo sangue."

"Vallo a dire a tuo marito, allora." ribatté Roswehn. "È il suo progetto. Lo vuole il re."

"Non m'importa di lui. A dire il vero, aveva già smesso di importarmi di Thranduil dopo che ho partorito Legolas." rispose stancamente lo spettro. "Lui non mi ha mai amata."

Roswehn avvertì una strana sensazione di déjà vu. Ho già sentito questa frase.

"Tuo figlio deve sparire, e non c'é nient'altro da dire." continuò il fantasma. "Ora, lascia che ti dia un suggerimento."

"Non ci penso neanche! Non andró da una levatrice a farmi mettere dei ferri arrugginiti nella pancia! E non uccideró mio figlio...poi, tu non sei fatta di carne e ossa, sei solo aria, e non puoi farmi del male!" urló lei. "Non puoi farmi niente."

Roswehn sentì improvvisamente la lama premerle sulla gola. Era dura e fredda.

"Ti sembra abbastanza reale, questo?" chiese la donna elfo. Mosse la spada, e taglió superficialmente la pelle dell'umana. Un rivoletto di sangue sgorgó subito, e scese come un ruscelletto vermiglio nell'incavo dei seni, inzuppando subito il corpetto della tunica. "E il tuo sangue, ti sembra di un rosso abbastanza vivace? Come quel volgare abito che indossasti per irretire mio marito..." continuó Calenduin, avvicinando il viso al suo.

La donna guardó i suoi occhi neri, spenti, senza alcuna scintilla di vita. Ebbe un'intuizione.

Si schiarì la voce, perché quello che avrebbe detto doveva suonare forte, e chiaro.

"Osi presentarti come la regina Calenduin...allora rispondi a questa domanda: quale fu il primo pensiero di Thranduil quando ti incontró?" 
Lei lo sapeva, il re gliel'aveva raccontato. 
E se quello spettro fosse stato chi diceva di essere, a sua volta avrebbe dovuto conoscere la risposta.

Invece, la donna elfo sembró interdetta. "Non mi interessano i tuoi giochetti. Ora sentimi bene..." rispose il fantasma.

"No. Sentiró solo la risposta alla mia domanda: cosa pensó Thranduil quando ti vide per la prima volta?" insisté Roswehn. Aveva il corpo semi-immobilizzato e una spada puntata alla gola, ma in quel momento si sentì lei l'aguzzina.

Quella non era la moglie di Thranduil. Era qualcosa che fingeva di esserlo.

"Non sai rispondere, vero? Perché tu non sei lei." continuó Roswehn, mentre sul viso le si disegnava un'aria di trionfo. "Perché se tu fossi lei, sapresti cosa Thranduil pensó quando ti vide. Pensó che avevi due occhi ardenti. Ardenti come braci."

Lo spettro la guardava impassibile, ma poi una smorfia stizzita passó su quel viso slavato. 
Colpito e affondato! Esultó Roswehn. "...ma gli occhi che vedo di fronte a me sono freddi e vuoti. Sono gli occhi di un dèmone, non di un nobile spirito elfico. Dimmi chi sei!"

Lo spettro abbassó la spada, e si giró. Si allontanó di qualche passo da lei. Il mantello cadde a terra.

L'essere aveva cambiato forma. Non era più una donna. Era una schiena maschile, quella che vedeva Roswehn. Nuda, e attraversata da striature nere. Le sue vene.

"Mi ero scordato della tua intelligenza." sospiró il fantasma. "O forse, ti avevo sottovalutata."

🌹🌹🌹

"Gandalf ti aveva ricacciato nel tuo Inferno!" gridó la donna. "Aveva detto che te ne eri andato..."

Morgoth l'ascoltò con un sorriso perfido. "No. A dir la verità, Gandalf mi ha solo messo in castigo. Un po' come ha fatto il tuo amato Thranduil, quando ti ha chiuso in quella cella, vero?"

Roswehn deglutí. Ancora lui. Non riusciva a crederci. Ma quell'incubo era finito! Mi vuoi spiegare perché é ancora qui? Gandalf!

"...non ti avevo detto che gli Stregoni sono impotenti contro di me? Vedi, ci ha provato. Ci provano sempre. Ma non hanno speranza di sconfiggermi." Si portò la lama della spada dietro al collo, quasi fosse stato un giocattolo. "Sarebbe come aspettarsi che un agnello si mangi un lupo in un boccone." proseguí l'Elfo. 
"....tornando a quello sgradevole episodio, devo complimentarmi con te. Ho visto come ne sei venuta fuori, come hai preso Legolas per i fondelli. Lo hai fatto preoccupare, lo hai fatto spaventare...il tuo figliastro. Che cattiveria." rise divertito.

"Smettila!" lo zittì Roswehn, mentre con orrore si accorse che i rami degli alberi sopra di lei si stavano muovendo.

"...arriva!" sussurró Morgoth. "...arriva, il tuo incubo a otto zampe e dal pungiglione pieno di veleno. Ti colpirà proprio lì." disse, puntando la spada alla pancia di Roswehn. "Povero piccolo Haldir, lo sentirà tutto!"

A quel punto la ragazza cominció a dimenarsi. Tanto il ragno ormai sapeva che c'era, e si stava pregustando il pasto. "Schifoso, demonio maledetto!" urló.

Lo spettro poggió la lama sui fili argentei. "Posso aiutarti." le offrì, all'improvviso. "Se ti unirai a me."

Roswehn gli sputó in faccia. O meglio, provó a farlo, perché il fiotto di saliva lo attraversó e finì miseramente a terra. Gran bella idea sputare in faccia a uno spirito, razza di idiota. Sentì una delle mille voci della sua mente, quella che imitava sempre Edith, rimproverarla.

"Che maleducata. Cosa direbbe il tuo re?" rispose Morgoth. "Non si fa."

"Ho già rifiutato le tue offerte. Ti ho già detto che non voglio niente da te, e che non intendo darti mio figlio. Perché mi perseguiti?!" urló ancora la donna. Si stava sgolando. Com'é che nessuno mi sente? Perché non ci sono Elfi nei paraggi? Si chiese.

Perché non vengono mai qui, hanno paura dei ragni. Tu invece hai voluto fare di testa tua, eh? Guarda in che bel casino ti trovi adesso. Le rispose la voce di prima.

"No. Se mi ricordo bene, tu avevi accettato di schierarti con me e con Regan. Fu lo Stregone a portarti via da Fornost. Lui, Elrond e quell'elfo di Lórien...a proposito..." disse Morgoth. "È stato divertente guardare te e il figlio di Oropher ogni notte, mentre vi lasciavate andare alla passione. Peró, ho la triste impressione che lui sia molto più bravo in battaglia che in un letto. Con quell'Haldir ti saresti divertita di più." rise di nuovo.

"Zitto, carogna, guardone! Non nominarlo neanche!" rispose Roswehn, tirando disperatamente uno dei fili della ragnatela. Ma non cedeva.

"Tu devi unirti a me e alle mie legioni. Non appartieni a questi elfi. Tu sei furba, e la furbizia, mia cara, è l'arte di trarre vantaggio dall'ingenuità e dalla bontà altrui. Come fai tu. Mi dispiace dovertelo dire, ma sei molto più simile a me che a Thranduil." si avvicinó e le prese il viso in una mano. "Te l'avevo già detto: sei piena di rabbia e di odio. Sono sentimenti che non appartengono al mondo degli Elfi, ma al mio mondo.
E con me tu e tuo figlio dovreste stare."

Roswehn si agitó disperata. Vide con la coda dell'occhio due zampe sbucare dall'intrico degli alberi, in alto. Poi altre due, infine, la bruna e massiccia sagoma del ragno. Vedeva anche i suoi occhietti neri e privi di luce, come quelli di Morgoth. Vide le sue ganasce, già frementi nell'attesa di assaporare la carne umana.

"Non hai molto tempo. Quel ragno non si muoverà se non glielo permetteró. Decidi: con me o contro di me? Non attenderó inutilmente, stavolta. Tuo figlio verrà impregnato dal mio potere, che è un milione di volte più grande di quello di Thranduil." promise l'Elfo oscuro. Poi la sua espressione cambió.

Roswehn vide il suo viso deformarsi in una smorfia rabbiosa e sofferente, come fosse stato interrotto nel mezzo di una piacevolissima attività.

"Sei fortunata...molto." sibiló l'essere. "...ma non credere che sia finita per te. Ti daró il tormento in quella stanza, o in qualunque altra decideranno di metterti.
Impazzirai, alla lunga...oppure...unisciti a me."

Detto ció, sparì.
Roswehn non capì cos'era successo finché non sentì la voce del Principe in lontananza. "Roswehn!" 
Legolas la stava cercando e non era lontano.

"Hey!! qui! Sono qui!" rispose la giovane, urlando a sua volta. Poi guardó in alto.

Il ragno era a un metro da lei. Una lunga striscia di bava colava da quella specie di bocca.

"Legolas! ... fa' in fretta!"

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Capitolo 34
*** Lo stregone bruno ***


Non fu difficile per Legolas abbattere il ragno. Due frecce conficcate nell'addome bastarono a paralizzarlo, la terza gli strappò via metà del muso, facendolo crollare a terra.

"Liberami! Toglimi questa cosa di dosso, ti prego!" imploró Roswehn. 
L'Elfo estrasse uno dei suoi due pugnali dalla faretra, e velocemente inizió a tagliare i filamenti bianchi che tenevano bloccate le braccia della donna. Erano più resistenti del previsto, ma dopo poco Roswehn fu libera.

"Ah, che schifo!" sbottó lei, strappandosi via il resto della ragnatela. "Grazie, grazie infinite. Se tu non fossi arrivato... non voglio neanche immaginare..."

Legolas l'aiutó a ripulirsi, dopo aver spinto lontano con un calcio la carcassa dell'enorme insetto.

"Ma cosa fai qui, Roswehn?!" le chiese. "Cosa ti è saltato in mente?" Sembrava arrabbiato con lei.

"Volevo solo prendere un po' d'aria..." mentì. Per la seconda volta, fu costretta a raccontargli balle. Non poteva confessare che era andata fino alla statua di sua madre per comunicare con il suo spirito. E di sicuro non gli avrebbe detto che Morgoth aveva assunto le sembianze di lei per minacciarla, o quella sarebbe stata la volta buona che Legolas stesso l'avrebbe gettata in qualche galera, con le braccia legate e una patata in bocca per farla stare zitta.

Roswehn aveva il sospetto che tutti ormai la credessero pazza. Forse Thranduil ancora si rifiutava di cedere a questa idea, ma non le erano sfuggiti gli sguardi corsi fra Nim e Morath, e nemmeno il tono con cui Amon, il Guaritore, le aveva chiesto: sei sicura di sentirti bene?

Perché instillare quel dubbio anche nel principe, insistendo sulla storia delle visioni e degli spettri? 
"...mi sono sentita male nelle ultime due notti, tuo padre te l'avrà detto. Avevo bisogno di camminare all'aperto."

Legolas non parve convinto. "Per te una fitta boscaglia vuol dire all'aperto?
Si avvicinó a lei. "Hai un taglio sul collo. Forza, vai a sciacquare la ferita a quel ruscello." 
Roswehn si guardò: aveva una chiazza porpora sulla parte superiore della tunica, e si stava allargando. Corse al fiumiciattolo lí vicino, una stretta striscia d'acqua nascosta dalla vegetazione. E adesso che gli racconto? Come la giustifico questa? Pensò, mentre si puliva il viso e il décolleté.

Il principe nel frattempo aveva raccolto da terra la spada lasciata cadere da Morgoth. Una spada reale. La esaminò in silenzio. Quando Roswehn tornò verso di lui, l'alzò.

"Questa... dove l'hai presa?" chiese.

"Dall'armeria. Non ho una spada personale, ma avevo paura a venire fin qui senza...precauzioni. Sono andata in armeria e l'ho presa. Credevo di poterlo fare, scusami." mentí di nuovo, sentendosi terribilmente in colpa. "Ho preso quella, e un pugnale e un coltello per farmi largo tra le fronde. Non mi sono serviti a molto purtroppo."

Legolas si girò a osservare la ragnatela fatta a pezzi. "Questa spada era di mia madre. Era chiusa a chiave in un baule. E l'armeria è sempre sorvegliata da due Elfi." Roswehn sentí la pelle accaponarsi. Beccati questa. Eh, ma le bugie hanno le gambe corte, sapevi?

"Mi vuoi dire come sei riuscita ad averla?" le chiese ancora, girandosi verso di lei.

Roswehn non seppe cosa replicare. Mica poteva insistere nella sua versione: e se Legolas avesse interrogato le due guardie, magari davanti a lei? Decise di girare la frittata e buttarla in retorica.

"Se ti dicessi la verità non mi crederesti. Come non mi crede tuo padre. E sai cosa? Sono stufa e arcistufa di essere presa per squilibrata. Perciò ti conviene prendere per buono, o fingere di farlo, quello che ho detto prima. Sono venuta fin qui per fare una passeggiata. Mi sono procurata le spade in armeria. Mi sono imbattuta in un tela di ragno e ringraziando Eru tu eri nei paraggi. Fine." spiegò lei.

Legolas scosse la testa. In quel gesto, Roswehn intravvide delusione e scetticismo. "Io non so piú cosa pensare." le disse amaramente. "Non a caso sono venuto qui. Ho saputo da Nim che volevi vedere la statua di mia madre, che l'hai obbligata a indicarti il percorso. E mi ha anche detto che sei preda di allucinazioni. Amon è andato a consultare Radagast, su ordine di mio padre." le disse. "Non riusciamo a capire cosa ti prende. Mi vuoi dire cosa ti succede? Provaci, almeno."

"Tuo padre..." mormorò la ragazza, improvvisamente preoccupata. "...sa che sono qui?!"

"No. Non ha saputo. Crede che tu sia nella tua stanza vicino alla cascata. Ringrazia gli dèi per questo." rispose il principe.

Lei sospiró di sollievo. Almeno una buona notizia. Non osava immaginare la reazione di Thranduil se avesse sentito che la madre del suo futuro erede si era fiondata da sola nella foresta, in cui, anche senza ragni o spettri, avrebbe rischiato di incappare in qualche altro pericolo. 
Si sarebbe infuriato, a dir poco, e Thranduil furioso tutto era fuorché un bello spettacolo.

"Torniamo al Palazzo, Legolas. Lungo la via tenterò di spiegarti, ma...." lo fissò dritto negli occhi "...se dovessi cogliere uno sguardo incredulo, o confuso, o scettico sul tuo viso, non ti dirò più nulla. Riguardo al taglio che ho sul collo, diremo agli altri che me lo sono fatto strisciando vicino a un ramo pieno di spine. Questa sarà anche la tua versione, con tuo padre. D'accordo?" propose lei.

"...e come te lo sei fatto, invece?" volle sapere Legolas.

"Te lo dirò. Dimmi solo che mi crederai." rispose lei.

"Questo dipenderà da ciò che dirai. Già una volta ti credetti... e mi sentii uno stupido, dopo." ribattè l'Elfo, avviandosi sul sentiero verso casa. Ancora non aveva digerito il trucchetto con cui la giovane si era liberata dalla prigionia nelle segrete. Nè la vergogna che aveva sentito quando suo padre lo aveva accusato di ingenuità. Ti sei fatto fregare da una donna... tu, principe di Boscoverde, nipote di Oropher il grande. Beh se questa non è tutta da ridere, figliolo...

"Sono dispiaciuta, ma dovrai provare a fidarti delle mie parole, se vuoi la verità. E ti avverto: parte di quello che saprai da me ti riguarda. Non so se ti piacerà." lo informò lei. Era ovvio che se doveva venire fuori la verità, doveva venire fuori tutta la verità. Anche il fatto che Thranduil aveva spostato la linea di successione al trono decisamente in favore di loro figlio. Di quel piccolino che dentro di lei aveva le dimensioni di un fagiolo.

Proprio cosí, Legolas. Tuo fratello ti ha già fatto le scarpe. Prima ancora di avere due occhi, due mani e un'anima. E tocca a me dirtelo.

🌹🌹🌹

Amon procedeva in silenzio nel bosco.

La faccenda lo innervosiva. 
Parlare con Radagast, quella specie di giullare. Avrebbe preferito chiedere consiglio a Gandalf, se non addirittura a Saruman...benché sospettasse che se si fosse spinto fino a Isengard per parlare con lui sarebbe stato accompagnato alla porta senza complimenti. Se l'immaginava, il severo Stregone bianco, inarcare le folte sopracciglia mentre lui gli spiegava: ecco, il nostro re ha pensato di farsi un'amante umana, che adesso è incinta e continua a stare male e purtroppo io non so che farci. Qualche suggerimento?

No, quella situazione era incresciosa, davvero incresciosa. Il mondo al di fuori di Eryn Galen non doveva sapere. Quando mai un re elfo aveva permesso a una mortale di unirsi a lui, nella lunghissima storia di Arda? Certo, c'erano state rare storie d'amore fra Elfi e Umani, ma erano relazioni biasimate da tutti, considerate quasi sacrileghe, e tutte terminate tragicamente.

Non si fa. È una cosa che semplicemente non si fa. Gli diceva sempre sua madre, quando Amon era ancora un elfetto ingenuo e ingenuamente chiedeva perchè non avrebbe potuto fidanzarsi con una ragazza umana. Gli umani dovevano stare fra di loro, e così anche gli Elfi.

La popolazione di Boscoverde, manco a dirlo, mormorava dietro a quella storia. La adaneth che aveva rubato il cuore al sovrano era l'essere più banale che si potesse immaginare. Anche volendo ignorare il fatto che era umana, la sua classe di appartenenza a Dale era mediocre. Suo padre era un consigliere di Re Bard, ma non aveva sangue aristocratico. Anche la regina Calenduin non era stata una nobile, ma era la moglie di Thranduil, la prima scelta. E poi, se non altro era stata una buona guerriera in vita, una donna arciere dell'esercito.

Roswehn Monrose non sapeva combattere, non aveva classe, era mortale... Amon era un conservatore reazionario, e una faccenda del genere gli faceva venire l'orticaria. Cosa avrebbe detto in proposito re Oropher, che lui stesso aveva guarito dalle molte ferite che riportava in battaglia?

Comunque, adesso Roswehn e il suo sangue mortale erano il meno assillante dei suoi pensieri. C'era uno Stregone da trovare in quella foresta e non sarebbe stato facile. Immaginó che fosse alla ricerca di funghi o magari appostato nei pressi di qualche tana di volpe. Amava incondizionatamente ogni creatura del bosco, e gli animali gli erano affezionati. Si diceva parlasse con loro.

Vide finalmente quella capanna in cui viveva, nel mezzo del bosco. Sospiró e scese da cavallo.

"Radagast! Sei qui?" provó a chiedere a voce alta.

"Sssssst." udì. 
Amon si guardó in giro. 
"Sssssst. Silenzio, per favore." sentì ancora.

Da un cespuglio sbucó un ometto anziano, dalla lunga e arruffata barba grigiastra, un occhio guercio e uno strano cappello calcato sulla fronte. Aveva in mano della paglia marrone e bagnata.

"È un nido. Un nido di quaglia. Lo hanno costruito troppo in basso. I serpenti mangeranno le uova se non lo sposto." gli disse, mostrando il fagotto pagliericcio in cui erano state depositate tre uova piccolissime.

Amon guardó lo Stregone arrampicarsi su una scala appoggiata a un tronco d'albero. Sparì per metà fra le fronde.

"Cosa posso fare per un suddito del
Reame dei Verdifoglia? Parla pure, amico." gli disse, mentre sistemava il nido su un ramo. E se la mamma quaglia torna e non trova più le sue uova? Si chiese l'Elfo.

"Sono un Guaritore, Amon è il mio nome. Sono stato inviato qui da re Thranduil. Abbiamo un problema." spiegó l'Elfo.

"E vi serve l'aiuto di uno Stregone? Voi Elfi non chiedete mai il nostro consulto, specie voi guaritori...disponete già di molte arti." ribattè. Ad Amon non sfuggì la vena ironica di quella risposta.

"Non sono qui per chiedere aiuto su come guarire uno di noi. Abbiamo accolto una donna mortale nel reame. E... non si sente bene. Purtroppo non conosco le malattie umane. Ma forse tu sì. Siete esperti in medicina, da quel che so." disse Amon.

Radagast non era ancora sceso dalla scala. "Una donna a Boscoverde? Thranduil lo sa che è fra di voi?" chiese.

Amon soffocó un'imprecazione. "Sì certo. È da alcuni mesi nostra...ospite. Ed è incinta. Continua a svenire, dice di vedere cose nel buio...spettri... sono qui per chiedere la tua opinione in merito."

Radagast si abbassó tanto da guardarlo in faccia. "Mi hai preso per una levatrice?" gli chiese. Scese qualche scalino. "Cosa fa una donna umana gravida a Boscoverde, se mi è permesso chiedere?"

Amon dovette dirgli la verità. "Il nostro re è il padre. Ed è preoccupato."

Radagast quasi inciampó negli ultimi due scalini, mentre discendeva. Sembrava basito. "Thranduil?! Aspetta un figlio con una...una..."

"Sì. Mi hai sentito bene. E ti ho anche detto che è preoccupato. La donna ha qualcosa che non va. Attende risposte sulla questione." spiegó il Guaritore, provando a restare calmo. Radagast gli sembrava un rimbambito.

"Risposte...risposte..." mormoró l'ometto. "Difficile dare delle risposte. Vede fantasmi, hai detto?"

"Sì, e sembra sincera. Si sveglia nel cuore della notte terrorizzata da qualcosa e perde i sensi. Parla di entità maligne, di mostri che vogliono strapparle il figlio...spiriti fatti di luce lunare. Temo sia folle, ma non lo direi mai al re." continuó Amon. "Tiene a lei."

"...fatto di luce lunare...." ripetè Radagast. "Forse....forse...."

Corse in casa, e ne uscì poco dopo con un libro in mano. Un libro che dalla copertina sembrava vecchio come lui. Lo aprì e lo sfoglió davanti ad Amon. Puntó il dito su una pagina e fece correre lo sguardo su alcune frasi scritte in una lingua che l'Elfo non sapeva leggere.

"....Eru non voglia..." disse, chiudendo il libro d'improvviso. Poi guardó l'Elfo. "Ho paura di non poterti aiutare. Non così. Devo vedere la donna, devo accertarmi di una cosa, e devo farlo di persona."

Amon annuì. "Se vuoi venire a Boscoverde, il re non avrà nulla in contrario. Vuole solo che qualcuno aiuti la sua..." deglutì. "....la sua ospite."

"Ospite ben poco gradita, sembra..." disse Radagast, osservando l'Elfo. "Conducimi nel tuo regno, allora. E pregate tutti che io mi stia sbagliando."

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Capitolo 35
*** Spiegazioni ***


"Dunque, Legolas. Adesso devi aprire bene le orecchie e ascoltarmi. E quando dico ascoltarmi, intendo che non ti devi perdere una sillaba di quanto uscirà dalle mie labbra. Ti è chiaro cosa intendo con ascoltarmi?" esordí Roswehn, mentre camminavano insieme sul sentiero verso il palazzo fatto di rocce e tronchi d'albero del re.

"Sì certo. Ma non provare a mentirmi. Non spreco la mia fiducia con chi non se la merita. E tu hai già fatto molto per perderla." rispose il Principe.

"Lo giuro, niente favolette. Solo la verità. In parte l'hai già sentita, la mia storia. Ti ho raccontato gli avvenimenti della mia vita, almeno quelli dell'ultimo anno...ma ho tralasciato alcune cose. Ora ti diró tutto. Non sarà facile, ma saró costretta a farti un quadro quanto più possibile completo sulla questione, aggiungendo dettagli che ti sembreranno inverosimili." continuó la ragazza, mentre si teneva un fazzoletto premuto sul collo per arrestare il sangue.

"Ascolto." la esortó Legolas.

"Dunque: sai già come incontrai il re, cioè tuo padre. Sai che venni mandata dai miei nell'accampamento degli Elfi a Dale, quando il tuo popolo portó il suo aiuto alla nostra gente dopo che Pontelagolungo venne incendiata dal Drago. Credevamo fosse giusto che uno di noi Monrose fosse presente all'incontro fra Bard, Gandalf e Thranduil, considerando che il Governatore, cioè mio zio Viktor, era morto la notte prima. Mio padre stava male e decisi di andare io..." inizió Roswehn.

"... e mio padre ti vide e si innamoró di te al primo sguardo. La cosa fu reciproca. Questo lo so già Roswehn. Ti prego, arriva al punto." intervenne Legolas.

"... sì, comunque... dopo che la battaglia dei cinque eserciti fu terminata, dopo che le legioni di Azog furono distrutte, Dale, il mio regno, venne ricostruito, sotto la guida di Bard, eletto nuovo Re. Durante i lunghi mesi della ricostruzione, io continuavo a pensare a tuo padre. Non lo vidi più dopo la battaglia, perché tornó subito qui a Boscoverde...tu te n'eri andato e..." proseguì la donna.

"Mi stai dicendo cose che conosco perfettamente." disse di nuovo Legolas, che come Thranduil aveva ricevuto da Eru una dose scarsa di pazienza.

"... avevi promesso di ascoltarmi! Arriveró al punto, sta' calmo!" sbottó lei. "... dicevo: il ricordo di tuo padre non voleva lasciare la mia mente. Dopo un anno cominciai ad assillare i miei con la richiesta di partire. La scusa era che voi Elfi avevate chiuso i confini del regno, avevate interrotto gli affari con Dale e qualcuno doveva venire qui e parlarvi. Mi proposi io e Bard accettó."

Legolas ascoltava senza quasi registrare quello che lei diceva. Roswehn non aveva il dono della sintesi. D'altra parte, doveva pur sapere cosa c'era dietro quel putiferio che la donna stava portando nel loro regno. E per saperlo, doveva rassegnarsi e sentirla blaterare anche tutto il giorno, se necessario.

"... rimasi poco, peró. Ero perdutamente innamorata di Thranduil, e mi sarei fermata qui per sempre...se dentro di me non ci fosse stata una forza, un istinto irrefrenabile che mi spingeva a levare le tende e ad andarmene. Andare a Ovest. Vedi, qualcosa nel mio subconscio mi spingeva verso l'Occidente più estremo. Verso Arnor. Questa, è la parte che non ti ho raccontato."

Legolas a quel punto ridestó la sua attenzione.

"Mi misi in viaggio ancora e... per ventura finii invece nel Lórien. Lì ebbi la risposta." Roswehn prese una boccata d'aria. Il cuore le batteva forte, anche perchè stavano camminando nella boscaglia e Legolas aveva un passo più spedito del suo. "Galadriel intuì che in me c'era...ecco...come un'entità malvagia, uno spirito antico, che si era incarnato nel mio corpo e voleva spingermi verso quel reame decaduto da secoli, dove..."

Legolas si fermó di colpo. La guardava come si guarda un ubriaco che si trascina per strada barcollando. Roswehn si era aspettava incredulità e scettismo da lui. Lei stessa aveva reagito così quando Haldir le aveva illustrato i pensieri di Galadriel, al riguardo. Era una cosa troppo assurda per essere semplicemente accettata.

"So quello che pensi. Ti giuro che le cose sono andate così. Ho dei testimoni: Gandalf, Elrond, Haldir, Celeborn e Galadriel. Se fossero qui ti confermerebbero tutto." aggiunse lei.

Legolas rispose: "Ma non sono qui. E questi discorsi mi spaventano, Roswehn. Mi preoccupano, perchè stai aspettando un figlio, mio fratello. E sto cominciando a temere per il suo futuro. Tutto ció che dici mi fa pensare che in te ci sia qualche ingranaggio mentale un po' arrugginito, perdona la schiettezza."

Roswehn si sentì ferita. Ma doveva insistere. "Va bene. Questa te la perdono. Ma tu ora sentirai tutto il resto che ho da dirti, e non mi importa delle tue opinioni sul mio equilibrio mentale. Non l'ho ancora perso, sta' tranquillo, anche se ci sono davvero vicina."

Legolas riprese il cammino, senza replicare.

"... Gandalf giunse nel Lórien, su richiesta di Galadriel. Lei era impotente al riguardo, perché lo spirito che avevo in me era quello di una defunta regina umana, Regan, la figlia di re Valandil. Almeno Valandil l'avrai sentito nominare, no?" continuó Roswehn.

"Sì." mormoró Legolas, che ormai doveva aver concluso che lì con lui c'era una pazza lunatica.

"...insomma, secondo Galadriel, Regan di Arnor aveva fatto un patto con Morgoth, prima di morire. Cioè, aveva venduto a lui la sua anima, per avere, millenni dopo la sua morte, la possibilità di rinascere nel corpo di una ragazza dei nostri tempi. Che sarei io, guarda un po'. Per tornare ad Arnor, e riprendersi il trono che aveva lasciato. Voleva una seconda possibilità, anche se questo avrebbe significato vendere la sua nuova vita, cioè la mia vita, a Morgoth. Diventare sua seguace. E voleva ricostituire le legioni dei Numenoreani neri, un gigantesco esercito con cui lei e il suo padrone avrebbero tentato di sottomettere i popoli liberi di questa terra." spiegó Roswehn, sapendo che erano parole al vento. Legolas non la guardava neanche.

"...stavano per riuscirci! Un gruppetto di Haradrim, cioè di uomini schierati con il Male, mi rapirono sulla strada verso Rivendell. Gandalf e Haldir mi volevano portare da Elrond...e anche tuo padre mi attendeva lì. Gli Haradrim invece mi portarono a Fornost, antica capitale di Arnor, dove..."

"...basta, Roswehn! Ho mal di testa. Per la prima volta in vita mia, ho mal di testa. Non credo di poter ascoltare altro." disse Legolas. "Non so cosa pensare di tutto questo, scusa."

"Chiedi a tuo padre! Lui era a Rivendell, fu messo al corrente di tutto! Anzi... Haldir mi disse che proprio Thranduil si accorse prima degli altri che in me c'era un'energia negativa. Non ti resta che chiedere a lui, se non mi vuoi credere." ribattè la giovane. "Peró, fui salvata. Poco prima che Morgoth portasse a termine il suo piano e Regan prendesse totale possesso di me, Gandalf giunse a Fornost e con il suo potere, con la sua Luce, riuscì a liberarmi da quello spirito. E qui arriviamo ai giorni nostri."  continuó Roswehn. "....a quello che mi sta succedendo. Gandalf non puó eliminare Morgoth. Nessuno Stregone, nessun Elfo puó, per quanto grande sia il suo potere."

"Certo che no. Morgoth è il primo dei Valar, è un dio infinitamente potente. Non quanto Eru, ma più di qualsiasi altra creatura vivente. Lo so. Non mi devi dare lezioni su questo." borbottó Legolas.

"Esatto. E purtroppo mi ha presa di mira. Quella brutta storia non è finita...è solo stata rimandata. Vuole trascinarmi verso di lui. E c'è un fatto che sta complicando la questione ancora di più." continuó la ragazza. "...sono incinta... per qualche motivo che non conosco Morgoth vuole mio figlio. Me lo disse già a Fornost. Qui veniamo a te."

Roswehn prese Legolas per un braccio e lo obbligó a fermarsi.

"Vuole il piccolo dentro di me, perché sa che...sarà Re. Sarà lui il Re di Boscoverde. Tuo padre ha deciso questo. Prima che tu arrivassi, prima che tu uccidessi quell'insetto, Morgoth me lo ha ribadito. Vuole mio figlio." gli riveló.

Legolas non sembrava sorpreso. 
"Di tutto quello che mi hai raccontato, questa è l'unica cosa a cui credo. Sapevo già che il trono di questo reame non sarebbe stato mio... te lo dissi, anche. Quando mi hai confessato di essere incinta, ho immaginato quale sarebbe stata la decisione di mio padre." rispose.

Roswehn era desolata. "Avrebbe dovuto dirtelo Thranduil. Mi dispiace."

Legolas sospiró. "E perchè Morgoth dovrebbe volere tuo figlio?" 

"Non lo so. Immagino perché, tramite lui, potrebbe governare questo grande popolo. Un popolo di Elfi guerrieri. Unendolo agli Haradrim e agli Uomini dell'Est, Dale, ed Esgaroth, formerebbe un esercito sterminato. Progetta questo." rispose Roswehn. "Vuole dominare Arda, e farlo tramite due razze: quella degli Uomini e quella degli Elfi."

Legolas la guardó senza replicare. Iniziava ad avere qualche incertezza sulla questione. Il quadro che stava delineando Roswehn non era poi così assurdo.

"Torniamo indietro. Ci devo riflettere. Intanto, ti accompagneró nella tua stanza, sperando che mio padre non ci sorprenda. Augurati che non sappia mai che sei andata nel bosco da sola. Ho già detto a Nim di tenere la bocca chiusa." disse il principe.

"A te l'ha detto, peró." obiettó la ragazza.

Legolas sorrise. "Nim difficilmente resiste alle mie domande."

"Le piaci, lo so." replicó Roswehn. "È carina. Dovresti..."

"Ascolta. Radagast è in arrivo, credo. Sono più che certo che Amon non sia riuscito a cavargli delle risposte, lo starà portando qui. Devi ripetergli quello che hai detto a me. Sentiremo anche la sua opinione." le disse l'Elfo.

"Stai iniziando a credermi? Mi sembri meno scettico." chiese Roswehn, un po' speranzosa. Se fosse riuscita a convincere almeno Legolas...

"Dici che Morgoth è apparso davanti al ragno. Che lo ha fermato. Quella creatura in effetti poteva ucciderti molto
prima del mio arrivo, ma si è bloccato. Uno dei vari nomi di Morgoth è signore dei ragni. Fu lui a creare Shelob. Tutti questi insetti che vagano nel nostro territorio sono progenie di quella femmina enorme, che vive rintanata in una grotta, nei pressi di Mordor. Qualcosa ha impedito a quel ragno di aggredirti. Qualcosa a cui quelle bestie sono sottomesse. Dovrai dire anche questo a Radagast." spiegó Legolas.

Non fu esattamente entusiasmo quello che avvertì Roswehn nel cuore, ma qualcosa di simile. Il principe era arrivato a una conclusione logica, sulla base di fatti di cui egli stesso era stato testimone. Allora, poteva convincere anche Thranduil. Era il primo, importante passo.

"Va bene. Corri Legolas. Sbrighiamoci."

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Capitolo 36
*** Sopra la cascata ***


Legolas e Roswehn s'avviarono verso l'altissima cascata nei pressi della quale Nim e sua madre avevano preparato la nuova stanza destinata all'umana.

Il suono dell'acqua che cadeva e scrosciava era roboante, continuo. La donna pensó: e questo sarebbe il luogo dove dovrei rilassarmi?

Salendo lungo la scalinata, cominció a girarle la testa. Dovette fermarsi qualche minuto e appoggiarsi al principe.

"Manca poco. Coraggio." disse lui, tenendola per il gomito. "Cambiati subito d'abito, appena arrivi. Che mio padre non veda quel sangue."

"Amon non è ancora rientrato, immagino. Tu sei in grado di curarmi la ferita?" chiese lei.

"Non ho le erbe per farlo. Indossa qualcosa che abbia un bavero rialzato, cosí il taglio non si vedrà." rispose l'Elfo.

"Ma che razza di Elfo, sei?" protestò Roswehn. "Voi non avete quel potere, quell'aura? ..."

"Sono l'inutile tizio che è venuto a salvarti mentre ti dibattevi come una mosca nel mezzo di una ragnatela. O te lo sei scordato?" rispose, mentre apriva la porticina in legno dell'alloggio provvisorio. "Sarebbe bene, Roswehn, che ogni tanto tu ti degnassi di ringraziare gli altri per quello che..."

Si bloccò. 
Suo padre era nella stanza.
In silenzio, le mani giunte dietro la schiena, osservava il muro d'acqua della cascata. Era in piedi accanto a una delle finestre senza vetri della camera.

"Thranduil..." mormoró Roswehn. Perfetto. Ottima conclusione di una giornata orrenda.

"Mia moglie amava questa vista. Riusciva a riportarle la calma quando era nervosa. Cosí diceva. Io invece trovo tristi le cascate. Mi ricordano un pianto...il pianto di un gigante intrappolato nella terra." disse, poi si voltò verso Roswehn. "Ero venuto qui per vedere come stai. È superfluo dire che ti sei ripresa... dato che sei in piedi."

Legolas chinò la testa. Era in presenza del suo re, non di suo padre in quel momento. Quando Thranduil assumeva quell'espressione severa, i legami famigliari andavano a farsi allegramente benedire.

Il re si avvicinò ai due. Prese la mano con cui Roswehn si stava tamponando la ferita. Vide il rosso del sangue. 
"Questo?" chiese al figlio.

"Sono stata io, da sola. Stupidamente sono passata accanto a un ramo pieno di spine e mi sono ferita." spiegò la ragazza.

"Quindi sei uscita da Palazzo?" chiese Thranduil.

Sia lei che Legolas sussultarono impercettibilmente. "Sí, l'ho accompagnata io. Solo un giro nei dintorni. Roswehn aveva bisogno di stare all'aperto." ribatté il principe.

"Beh Legolas, sta diventando un abitudine riportarmi Roswehn ferita, vero? Curioso." ironizzò Thranduil. "Questa volta però, state entrambi provando a mentirmi. Ti sei schierato con lei?"

"No! No, è la verità." rispose subito il principe.

"La verità..." ripeté Thranduil. "La verità in questo caso non è che un cumulo di letame."

Roswehn non si ricordava di avergli mai sentito dire frasi del genere.

"Quale albero ha spine acuminate sui rami, esattamente?" chiese Thranduil.

La donna rimase spiazzata dalla domanda. Tentò di farsi venire in mente le lezioni di Edith sui fiori e sulle piante. Quelle ore spese ad ascoltarla nel suo roseto, mentre sotterrava i bulbi di rosa, forse potevano tornarle utili.

...e poi ci sono le Robinie. Le Robinie sono alberi particolari perché hanno spine perfino sul tronco. Io li chiamo "alberi soldato", il loro legno sembra protetto da un'armatura.

"Era ...una Robinia. Sono passata accanto a una di quelle piante senza accorgermene." provò a buttare lí.

Aveva sottovalutato la conoscenza botanica del re. Del resto, era il sovrano di Elfi silvani...la vegetazione non aveva misteri per lui. "Ma le Robinie non sono quegli alberi che crescono vicino al mare? Dov'é il mare, qui?"

Roswehn sentí il terreno franarle sotto i piedi. Tentò una giravolta. "No...forse era una pianta che somigliava a una Robinia... non so, ero distratta."

Thranduil fu lí lí per mettersi a ridere. Il suo composto sdegno glielo impedí. Si girò verso il figlio. "Legolas, da' ordine ai soldati di riprendere la perlustrazione al lato Ovest, e mettiti al loro comando. Mi sono giunte voci di alcuni ragni in zona." gli comandó. "Sono sempre sorpreso quando mi si dice che quegli insetti non hanno intenzione di sparire dal mio bosco. Ho dato disposizione di distruggere i loro nidi infinite volte, eppure sono ancora lí."

"Ci proviamo, padre. Ma dopo aver ripulito la foresta si ripresentano. Vengono da Dól Guldur. Un giorno dovremo deciderci ad andare fin lí." spiegò Legolas. "Inoltre...l'ultima volta due dei nostri soldati sono stati feriti. Abbiamo dovuto ritirarci per prestar loro soccorso."

"Avreste dovuto rimanere sul luogo invece. E finire il lavoro." replicó Thranduil.

"Due di noi erano stati colpiti. Non potevano piú combattere, ada..." obiettó Legolas.

"Non mi importa che fossero zoppi, ciechi o moribondi! Non accetto ritirate quando si parla dei miei Elfi!" disse Thranduil, nel suo tono piú adirato. Roswehn trasalì. "Ora va' dove ti ho detto. Feren attende ordini da te."

Legolas si giró, e con lo sguardo cercó di dire a Roswehn di stare calma. Poi di allontanó dalla stanza.

"Stai dando lezioni a mio figlio su come essere un perfetto bugiardo?" le chiese. "Non mi piace questa nuova influenza che hai su di lui."

"Perché ti arrabbi sempre in questo modo?" protestó lei. "E da quando non ho più il permesso di uscire?"

"Non ti ho mai vietato di lasciare le stanze. Ti ho solo pregato di riguardarti. Vederti tornare sanguinante non combacia esattamente con il mio concetto di riguardarsi." ribatté lui. "Hai un taglio di lama sul collo. Non venirmi a parlare di piante e spine."

La donna rimase zitta. Qualsiasi cosa avrebbe detto, l'unica conseguenza sarebbe stata far arrabbiare Thranduil ancora di più. 
"Non ti chiedo cosa hai fatto. Mi ammorberesti con altri racconti deliranti su spettri e luci notturne. Ma questa..." disse, strappandole dalla cintura la spada di Calenduin, che Morgoth aveva misteriosamente rubato dall'armeria. "...non la devi più toccare. Intesi?"

"Sì. Sì certo. Scusa se l'ho presa." rispose lei.

"Comunque, non la sai usare. Legolas ti darà lezioni di combattimento, dopo il parto. Nessuna donna di questo reame puó permettersi di essere indifesa, sanno tutte combattere. Devi saper padroneggiare almeno un'arma. Arco e frecce, spada, pugnali. Sceglierai tu. E diventerai un'esperta." la informó il re.

"Non avevi detto che saremmo partiti per un viaggio dopo che il bambino, cioé l'elfetto, sarà nato?" chiese lei, per distrarre il re. Voleva parlare con Radagast in privato, prima di dire al Re del suo nuovo scontro con Morgoth. Doveva avere uno Stregone come testimone della sua versione. Così come Gandalf in passato, di sicuro anche Radagast avrebbe capito Roswehn, e le avrebbe creduto. Doveva sperare in lui, in quel buffo ometto che come uno gnomo viveva in una casa fatta a tronco d'albero, e che conversava con istrici, scoiattoli e passeri.

"Devo ancora rifletterci. Era un'idea. Ma se tu ti ostinerai a comportarti come se ti fosse andato in malora il cervello non credo che lo faremo. Sto cercando di essere comprensivo in questi giorni. Molto comprensivo, perché capisco la tua confusione. Per la gravidanza, per l'ostilità della tua famiglia verso il nostro rapporto, perché so che una della tua razza fatica ad abituarsi al nostro mondo. Ma la mia pazienza é poca, ed é legata anche a quell'amore masochistico che sento verso di te." sospiró il re.

Roswehn annuì. "Lo so, è difficile starmi vicino ultimamente. Arriverà il giorno in cui proveró a spiegarti ogni cosa. Questo te lo prometto."

"Per ora... sarebbe già qualcosa se tu riuscissi a vivere questa gravidanza senza gettarmi nell'angoscia ogni giorno. E cambia quell'abito per favore. Non posso vedere del sangue su di te." le disse.

Poi aprì la porta, e uscì. 
Nim, che era arrivata di corsa ed aveva aspettato dietro la porta, entró subito. 
"Oh dèi...quanto sangue... che hai combinato?" le chiese preoccupata, aiutandola a spogliarsi. "Tutti gli altri abiti sono già lì nell'armadio. Devi anche lavarti..."

"Il re mi ha già fatto l'interrogatorio. Non ti ci mettere anche tu, per favore." ribattè lei, seccata. "Radagast e Amon sono qui?"

"...lo stregone? No. Doveva arrivare? Non ne so nulla." rispose l'Elfa. "Vado a chiedere alle guardie all'ingresso, forse..."

"Lascia perdere." disse Roswehn in un sussurro.

                       🌹🌹🌹

Radagast rifletteva, mentre la sua slitta trainata da conigli procedeva lungo i sentieri boschivi.

Amon era rimasto indietro un bel po'. Il suo cavallo non riusciva a raggiungere la velocità delle bestiole.

Su quel grosso libro che lo Stregone teneva sotto il braccio, c'era una pagina che poteva contenere la risposta alle angosce di Thranduil e di tutti i sudditi di quel reame che stava ospitando la giovane mortale. 
Era solo un'ipotesi, ma del resto erano le ipotesi che portavano al progresso della scienza, no?

C'era una profezia, contenuta in quelle pagine consunte. 
Una profezia che aveva un nome spaventoso.

Dagor Dagorath. La Fine.

"...e allora Morgoth scoprirà come abbattere la Porta della Notte e distruggerà il Sole e la Luna..." mormoró Radagast fra sé.

Il sole e la luna. Due elementi temuti da quello spirito malvagio, le due creazioni di Eru che avevano spinto l'Antico Signore a chiudersi nell'oscurità per sempre.

"...Tutti i popoli liberi della Terra di Mezzo parteciperanno a questa battaglia finale, Elfi, Uomini e Nani assieme..." continuó Radagast.

E dopo la battaglia, dopo la vittoria, una nuova era. Gli Elfi morti sarebbero risorti, o tornati dalle aule di Mandos. Un nuovo mondo, in cui ci sarebbe stata la più perfetta armonia.

Ma non era la profezia in sé a far riflettere Radagast. Era quella frase: Morgoth scoprirá come abbattere la porta della notte. Il che voleva dire, che avrebbe trovato uno strumento. Un canale. Forse il figlio di un elfo e di una donna?

C'erano molti mezzosangue a quel mondo, ma erano tutti figli di uomini e donne elfo. Non era mai capitato il contrario, Radagast ne era arcisicuro. Il figlio di quell'umana sarebbe stata una creatura unica al mondo...e Morgoth non era forse apparso di notte alla donna, nascosto (o fermato) dalla luce della luna? Così gli aveva riferito Amon.

Per questo doveva parlare con la mortale. Doveva approfondire. Se le cose stavano come pensava Radagast, la ragazza avrebbe dovuto rassegnarsi. Non ci sarebbe stato niente da fare. La profezia esisteva fino dall'alba dei tempi, e si sarebbe avverata. Morgoth avrebbe messo le sue lunghe mani sul secondogenito di Thranduil, prima o poi...sicuramente dopo molti millenni dalla morte della madre umana.

Per il momento, comunque, quella era solo la più tetra delle ipotesi. 
Per il momento, c'era una ragazza gravida a Boscoverde e gli Elfi gli avevano semplicemente chiesto un consulto.

"Forza Elfo! Dov'è finita la vostra velocità!" Urló Radagast girandosi a guardare Amon, che era talmente lontano da sembrare un piccolo puntino nel bosco.

Sentì l'Elfo urlargli qualcosa. 
Rise. Gli piaceva prendere in giro quelle creature e la loro presunzione.

Poi il pensiero di prima gli si fiondó ancora nella mente e tornó serio. Che ci fosse qualcosa di malvagio nel bosco, lo vedeva anche lui. Già l'anno prima la sua casa era stata attaccata dai ragni e alcune bestiole erano morte all'improvviso. Aveva trovato le piccole carcasse attorno a casa sua.

Ma era troppo presto per la Dagor Dagorath. Dovevano trascorrere ancora molte ere. Non era troppo presto, peró, perché Morgoth tentasse di avere subito il suo strumento. Plagiarlo prima ancora che nascesse.

Diede un colpo di redini più deciso e i conigli partirono lasciando dietro di sé una lunga nube di polvere.

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Capitolo 37
*** La fine dei tempi ***


Roswehn stava ammirando il grosso rubino donatole da Oropher, il draghetto del ghiaccio che l'aveva aiutata a trovare l'uscita dalle Montagne Nebbiose.

Si chiese se avrebbe mai trovato il coraggio di confessare a Thranduil di aver battezzato un drago con il nome di suo padre.

Non era molto rispettoso verso la sua memoria. I Draghi erano esseri creati da Morgoth, come Shelob, erano stati in passato armi terribili usate da lui e da Sauron contro gli Elfi. Negli ultimi tempi, tuttavia, i grandi serpenti sembravano tenere le distanze dal loro antico padrone, quasi avessero sviluppato una sorta di indipendenza. Lo stesso Smaug si era isolato per anni nella Montagna dei Nani, era vissuto solo per se stesso, non per servire i due Signori del Male. Come quei figli che se ne vanno di casa sbattendo la porta e, ingrati, si dimenticano del padre.

Rimiró la pietra: era strepitosa, di un superbo rosso sanguigno. Il colore dei mantelli dei Re, nelle fiabe. Si chiese quanto valesse. Aveva pensato di andare alle fornaci del regno e chiedere ai fabbri elfici di forgiare subito una spada per suo figlio, e incastonare quel gioiello nell'impugnatura. Ma poi le era sovvenuta una frase di Legolas, che le aveva spiegato quanto complicato fosse fabbricare delle spade, soprattutto per l'impugnatura: doveva essere fatta su misura, preferibilmente, in modo da adattarsi alle mani del proprietario. Come gli archi. Quindi, Roswehn doveva aspettare che Haldir nascesse e che diventasse adulto.

Naturalmente, se Morgoth non fosse riuscito a catturarlo, nel frattempo. 
Era terrorizzata dal calar della sera. 
Il démone l'aveva avvertita: le sue vessazioni non sarebbero finite fino a quando Roswehn avrebbe protetto la sua creatura. Doveva cedere, e lei non voleva cedere.

Dov'era lo spirito di Calenduin, in tutto ció? Se, come sostenevano Nim
e gli altri, proteggeva Boscoverde, perché aveva permesso a Morgoth di entrare nel loro territorio, assumere le sue sembianze, e perché non usava la sua aura per aiutarla, per farle da scudo? Eppure, Thranduil le aveva detto che sua moglie nell'aldilà approvava la loro unione. L'aveva sentita, nel vento, raccomandargli di aiutarla... e anche Yohlande aveva avuto questa sensazione. A cena, durante la prima sera spesa a Eryn Galen tutti insieme, sua madre le aveva raccontato di aver sentito la regina parlarle nella mente, e dirle che Roswehn e Thranduil si appartenevano e che nessuno doveva sciogliere quel legame.

Il mondo degli Elfi era pieno di misteri e di magia, molto più di quello che si era immaginata. Era un mondo mistico, bellissimo, ma anche terrificante per chi vi fosse entrato impreparato. Non c'erano i rassicuranti punti di riferimento del mondo umano. Spiriti, immortalità, reincarnazione, voci nel vento, nella mente, telepatia, chiaroveggenza...la logica di
un mortale accettava con fatica concetti simili.

La sua stessa gravidanza era un grande punto di domanda. Sarebbe durata dodici mesi, due erano già passati. Altri dieci mesi di nausee, di incubi, di cambiamenti nel suo corpo la aspettavano. E poi, il parto. Come sarebbe stato il parto? Cosa doveva aspettarsi, di espellere un bambino attaccato a lei con il cordone ombelicale, oppure una specie di uovo?

Morath le aveva detto che gli elfetti nascevano avvolti da un bozzolo trasparente, simile a quello dei bachi da seta...e poi se ne liberavano da soli. E cosa avrebbe bevuto il neonato, latte, succo di radice, o nessuno dei due?

A Boscoverde erano tutti impreparati ad accogliere un mezzosangue: non ne erano mai esistiti lì. Morath le consigliava di rimanere calma e non farsi prendere da inutili preoccupazioni. La natura di tuo figlio farà il suo corso, imparerai più tu da lui che lui da te.

In realtà, la ragazza non si fidava più della madre di Nim: i suoi consigli su come vivere l'amore con un elfo si erano rivelati sbagliati, tanto per cominciare. Le aveva detto che era fatto di spiritualità e contatti molto casti... e non era per niente vero. La prima notte con Thranduil l'aveva addirittura implorato di fermarsi, a un certo punto. Le volte successive era andata meglio, ma dire che nell'intimità degli Elfi non ci fossero altro che carezze e spiritualità era una grandissima balla.

Il rumore della cascata era assordante. Roswehn aveva chiesto a Nim di procurarle dei tappi di cera d'api per le orecchie e, perché no, anche una mascherina per gli occhi. Non sarebbe stato facile per Morgoth tormentarla, se non poteva né vedere né sentire.

Certo, poteva toccarla con le sue dita gelide. Certo, poteva fare mille cose.

Era Morgoth. Anche se si fosse nascosta insieme a Gollum nella più buia delle grotte non sarebbe riuscita a sfuggirgli. 
Comunque, perché non provare a rendergli i suoi tormenti un po' più difficili?

Stare lontano da Thranduil, inoltre, non era una cattiva idea: preferiva andare incontro al buio e ai suoi incubi da sola. Era stanca di sobbalzare nel mezzo della notte e vedere gli occhi del suo amato sgranarsi per la confusione, e riempirsi di quel tragico sospetto: la madre del mio erede designato ha dei piccoli tarli nella testa, vuoi convincermi di questo? Beh sai una cosa, Roswehn, ci stai proprio riuscendo.

Sentì qualcuno bussare alla porta. Probabilmente era Nim.

"Entra." disse Roswehn, alzandosi dal letto e mettendo il rubino nel piccolo scrigno che si era procurata, e dove custodiva anche la Stella del Vespro. Se l'era tolta dal collo per non rischiare di romperla.

Entrò infatti Nim, ma dietro di lei c'erano Thranduil e Amon, con Radagast.

"Ecco la giovane di cui ho sentito parlare. Sono contento di conoscerti. Radagast, al tuo servizio." esordí lo Stregone. Sembrava strambo, ma simpatico.

Di slancio, Roswehn gli corse incontro e lo abbracciò. "Eru sia lodato!" sembrò lasciarsi andare tra le fragili braccia dell'ometto, come un naufrago che dopo tre giorni di nuoto estenuante in mezzo al mare riesce ad arrivare su un una spiaggia e lí si abbandona spossato. "...conobbi Gandalf prima di te, mi aiutò molto." disse, mentre Thranduil e Amon si scambiavano occhiate scettiche.

Il re osservava Radagast con una punta di evidente disgusto: in effetti, lo stregone aveva un aspetto ancora più randagio di Gandalf.  Sembrava quasi un mendicante. Eppure, aveva fama di essere molto potente: il bastone magico di Gandalf, con cui quest'ultimo aveva scacciato Morgoth e disperso gli Haradrim a Fornost, era stato dono proprio di Radagast. Il re si augurò che non lo deludesse, altrimenti non avrebbe saputo più che carta giocare. Non voleva chiedere ancora aiuto a Elrond e in quanto a Galadriel, la Terra di Mezzo sarebbe andata a fuoco prima che il figlio di Oropher chiedesse un favore a quella Strega dei Noldor. Gandalf...beh, rintracciarlo sarebbe stato difficilissimo, in quel momento stava vagando chissà dove.

"Roswehn dice di vedere entità che le danno il tormento. Temo sia una conseguenza sgradevole del suo stato." spiegò Thranduil. "Ci serve il tuo parere."

"Perché non puó essere la verità?" chiese Radagast di rimando.

Thranduil lo guardó sorpreso. "Ti sembra possibile che ci siano spettri che vagano nelle mie stanze private?" gli chiese.

"Sì. Tutto è possibile. Non è escluso che sia Morgoth in persona." rispose lo stregone, nel tono più tranquillo al mondo.

A quel punto, Roswehn si accasció sul letto e scoppió a piangere. Un pianto liberatorio, esasperato, uno sfogo dopo giorni passati a subire gli sguardi giudicanti degli altri. Non era una pazza visionaria. "Io l'ho detto...l'ho detto e non mi credavate! Tu non mi credevi!" accusó Thranduil. "Hai sentito quel che ha detto Radagast? C'è qualcosa qui!"

"Morgoth non può entrare nel mio reame. Tu deliri, stregone, come lei."
Thranduil iniziò ad arrabbiarsi. "Ti ho fatto chiamare per avere delle risposte, non per reiterare questa follia!"

"Perché Morgoth non potrebbe entrare qui? Questo reame non è che un gigantesco bosco, non c'è alcuna magia che lo protegga. Non è come il Lórien o Rivendell." spiegò Radagast, per niente intimorito dall'improvviso cambiamento dell'umore di Thranduil. Con certi Elfi bisognava avere pazienza, specie con i presuntuosi Re della razza Sindar. Una nobile e ribelle stirpe, invisa perfino ai Valar per l'arroganza dei suoi discendenti. Magari anche per quello Morgoth era attratto dal piccolo dentro Roswehn: aveva il sangue di Thranduil, un sangue già infettato con il virus della ribellione e dell'ambizione smisurata. E non erano stati quelli i due motivi per cui Melkor, o Morgoth, il bellissimo e splendente Vala si era messo contro Eru, ribellione ambizione?

Pian piano, il mosaico prendeva forma.

"Ascoltate, devo parlare con la ragazza in privato." disse Radagast, poi si voltò verso Thranduil. "Mi rincresce dovervi chiedere di lasciare la stanza...Vostra...Maestà...elfica. È davvero necessario."

Thranduil non gli rispose, fece cenno a Nim di aprirgli la porta e in silenzio lui e Amon uscirono.

"Anche tu, Nim. Grazie." le disse Roswehn.

Radagast e Roswehn si sedettero sul letto.

"Ora raccontami tutto. Dall'inizio. Non tralasciare una virgola. Voglio sapere anche di Gandalf, quando, come e perché hai avuto bisogno del suo aiuto. Mi hai capito?" chiese lo stregone.

Roswehn annuí. "È una lunghissima storia. Ha avuto inizio...due inverni fa. Quando una notte alzai lo sguardo e vidi la sagoma di un drago in volo sopra di me, a Pontelagolungo..."

                                🌹🌹🌹

"...e mi ha detto di decidere: con lui o contro di lui." concluse la donna. L'incontro con Radagast andava avanti ormai da due ore.

Lei sentiva la gola bruciare, tanto aveva parlato. Per tutto il tempo, il vecchio mago la aveva ascoltata facendo passare sul suo viso tutta una serie di espressioni: interesse, allarme, paura, confusione. Infine, aveva sospirato.

"Vedi, io credo che tu non abbia davvero alcuna scelta. Puoi metterti contro di lui, ma se quello che temo si avvererà, Morgoth arriverà comunque alla vittoria. Alla sua vittoria. Tuo figlio sarà plagiato, ad un certo punto..." disse lo stregone.

"Come? Cosa?!" trasecolò Roswehn. "Perdona, quale sarebbe la tua idea?" sentí il sangue gelarsi in tutto il corpo.

"L'insistenza con cui l'antico dèmone ti dà il tormento mi fa pensare che tu e tuo figlio, specialmente tuo figlio, siate di estrema importanza per lui. Tu, hai mai sentito parlare della Dagor Dagorath?" chiese Radagast.

"Sí, è una profezia, sulla Fine dei Tempi. La battaglia finale dalla quale nascerà un nuovo mondo, fatto di Armonia. La conosco, certo." rispose lei.

"Sai anche contro chi le nostre razze libere combatteranno, quindi?" chiese lui.

"Morgoth...e Sauron, e i Balrog...tutte le creature maligne del mondo, perfino quelle che si credevano sconfitte." rispose lei.

"Ma per scatenare questa guerra Morgoth avrà bisogno di uno strumento...un modo per abbattere le porte della notte, eliminare il Sole e la Luna...le due luminose creazioni di Eru che lo tengono incatenato, che limitano il suo potere. Hai detto di aver parlato con il suo spirito sia di giorno che di notte. Hai avuto l'impressione che fuggisse i raggi del sole? O della luna?" 
continuó a chiedere Radagast.

"Sí. A Fornost rimase lontano dalla luce del sole, rimase...nascosto nell'ombra mentre mi parlava. Anche oggi, nel bosco. E qui nel Palazzo, ho avuto l'impressione che fosse impregnato dalla luce lunare...ma da quello che mi stai dicendo, forse sarebbe più corretto dire che la luce argentea della luna lo bloccava." ragionò lei.

"... e non ti ha fatto mai davvero del male, a parte quel taglietto, che è stato solo un atto dimostrativo. Strano vero? Lui, Morgoth, avrebbe potuto disintegrarti...ma non lo ha fatto. Può entrare qui dentro, ma non ha facoltà di nuocerti sul serio... grazie a lei." Radagast indicò la luna. "... e al sole. Perciò non avere troppa paura."

"Ma mio figlio, cosa c'entra... cosa vuole da lui?" chiese lei. Radagast non si decideva ad arrivare al punto.

"È solo una mia supposizione, te lo ripeto... ma ho pensato, ecco... che in effetti potrebbe essere tuo figlio lo strumento tramite cui la Dagor Dagorath avrà inizio." rispose Radagast.

"In che modo?? Perché proprio lui?!" esclamò Roswehn. Quella notizia era cento volte peggio quello che si era aspettata.

"Di questo, meglio che ne parli in presenza anche di Thranduil. Devo dirvi qualcosa ora. Qualcosa che dovrete tenete a mente per i prossimi anni." rispose Radagast. "Fa' chiamare il Re, per favore."

"Farlo chiamare?! Dovremo andare noi da lui. Seguimi." disse Roswehn. 
Le sembrava di aver appena ingoiato un boccone pieno di chiodi. "Non crederà a una parola. Ti avverto."

"Dovrà farlo, invece. Roswehn, è di vitale importanza che si sforzi. Io faró del mio meglio per convincerlo che tutto questo non è uno scherzo." promise lo stregone.

"Beh, buona fortuna." sospiró lei. "Per di qua. Seguimi."

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Capitolo 38
*** L'eroe nascosto ***


"Il Male non dorme mai." 

Radagast, Roswehn e Thranduil osservavano il vasto panorama del Reame Boscoso dall'alto. Una grande piattaforma in mezzo alle fronde era stata costruita per permettere al re di sorvegliare il suo sterminato territorio. Era come quella che si ergeva attorno alla residenza di Celeborn e Galadriel, nel Lórien, ma non era circondata dalle stesse suggestive luci.

"Purtroppo Morgoth manterrà la promessa, se non glielo impediamo. Non ti darà pace durante la notte fino a che non ti arrenderai a lui e passerai dalla sua parte. Questo vuol dire, che verrai portata a Minas Morgul, nel territorio di Mordor, e lí ridotta a schiava, nell'attesa che tuo figlio nasca. Dopo ti verrà strappato e cresciuto nella malvagità, plagiato e trasformato in un re vendicativo e senza scrupoli. Morgoth lo userà per sfidare il Sole e la Luna, che ora lo tengono incatenato, spingerà tuo figlio e dichiarare guerra a tutta Arda, e gli darà un esercito imponente al suo seguito, oltre a quello di Eryn Galen." spiegò il mago, mentre Roswehn ascoltava con il volto cinereo. Thranduil, invece, scrutava le punte dei suoi alberi in silenzio, senza accennare a una reazione. Notò che non tirava nemmeno un alito di vento.

"Ma...Morgoth disse che sarei stata investita anch'io del suo potere...mi promise una corona...anche per questo cedetti alle sue promesse a Fornost." disse Roswehn, vergognandosi un po'.

Thranduil si girò a guardarla. 
"Gli hai creduto?" le chiese.

"Sí." ammise la ragazza, chinando la testa. "Fu molto persuasivo."

"Non prendetevela con lei. Morgoth conosce le debolezze degli umani. Già il grande Isildur fu ingannato dal potere dell'Anello. Figuriamoci una giovane sprovveduta..." mormorò Radagast, poi si rese conto che Roswehn era lí. Ogni tanto sembrava perdere il contatto con la realtà. "Oh! Scusa!" 

Thranduil sorrise. "Sprovveduta?... non la conosci. Proverei pena per chi osasse farsela nemica..."

Roswehn sembrava non aver sentito. "Allora cosa devo fare, rassegnarmi? Portare avanti questa gravidanza sapendo che mio figlio un giorno sarà l'arma di quell'essere? Beh, allora preferisco rinunciare a lui." disse, secca.

"Non ti azzardare!" sbottò Thranduil. "Non ci pensare neanche."

"Lo hai sentito?" chiese lei, indicando lo Stregone. "Nostro figlio è un pericolo per questa Terra, dovrei farlo nascere per poi sentirmi responsabile di una futura catastrofe? Aveva ragione il Drago, questo bambino andrebbe eliminato..."

"Quale Drago?" chiese Radagast. "Non ci sono più Draghi."

"Incontrai un Drago del ghiaccio fra le Montagne Nebbiose. Mi portò in volo fino al sentiero che conduceva a Rivendell, per questo ci misi cosí poco ad attraversarle. Mi tenne prigioniera qualche ora e mi riempí di domande. Alla fine si convinse a lasciarmi andare...e... mi fece dono di una pietra, un rubino, e disse di farlo incastonare nell'impugnatura di una spada. La futura spada di mio figlio." spiegò Roswehn.

L'incontro con Radagast stava portando alla luce rivelazioni cosí clamorose che si sentí a sua volta tenuta a scoperchiare tutte le sue pentole. A cominciare dall'incontro con il draghetto.

"Questa è buona. Avresti cavalcato un Drago?" chiese Thranduil, negli occhi il suo classico sguardo: fammi il piacere.

Il mago riflettè un attimo. "È possibile. Fra quelle Montagne si diceva vivessero Draghi dei ghiacciai. Non molti, ma qualcuno potrebbe essere sopravvissuto alle grandi epidemie. Un tempo erano decine, e quasi innocui, poi una misteriosa malattia li ridusse di numero. Ti ha donato un rubino, hai detto? E in cambio cosa gli hai dato, a parte le tue confessioni?" chiese Radagast.

Roswehn rispose, guardando Thranduil. "Gli ho dato un nome."

"Che nome?" continuò lo Stregone.

"Oropher. L'ho chiamato Oropher." rispose lei, gli occhi ancora fissi in quelli del re, che si sgranarono.

"Tu...avresti...dato a un Drago...il nome di mio padre?" chiese Thranduil.

La donna avvertí un brivido lungo tutta la spina dorsale fino al collo. "È un nome meraviglioso, e mi sembrava adatto. I Draghi sono creature cosí potenti e nobili, che..."

"Potenti nobili?! Nobili!" esclamò il re. "Sono da sempre le armi più terribili di Sauron. Sono stati i Draghi a distruggere intere legioni di Elfi, è stato Smaug a incendiare Pontelagolungo e a bruciare vivi donne e bambini del tuo popolo. È stato un Drago a sfigurarmi."

"Lo so bene! Però..." provò a ribattere lei.

"E tu hai dato a una di quelle orrende bestie il nome di mio padre..." mormorò il re, avvicinandosi a lei. "Come hai potuto?"

"Mi ha aiutata. Mi ha lasciata libera. Mi ha regalato un gioiello per nostro figlio. Quella pietra vale metà del tuo reame... e ha detto, che sarà suo amico quando crescerà." rispose lei.

"Ti ha lasciata libera... avrebbe potuto divorarti. Probabilmente hai incontrato un drago molto vecchio e ridotto ad aspettare la fine. Non sono esseri generosi, né benevoli. E tu sei stupida!" rispose il re.

Roswehn si sentí come una bambina davanti al padre arrabbiato.

"Stupefacente." disse Radagast all'improvviso.

Entrambi si girarono a guardarlo.

"Un Re Elfo, con un Drago come amico. Ah, Morgoth è davvero l'essere più furbo al mondo." mormorò, accendendosi una pipa. L'odore del tabacco fece subito girare la testa alla ragazza. Non era esattamente tabacco. 
"Però, è un'idea meravigliosa, seppur terrificante... un Re bellissimo e potente, con sangue umano nelle vene, e con al suo fianco un Drago bianco che porta il nome di un altro Re... sarebbe il soggetto perfetto per un poema, anzi per un'epica." continuò il mago, perso nei suoi ragionamenti.

"Io trovo tutto ció terribile, invece. E non ne voglio sentire parlare. In quanto a te, scordati quel viaggio nel Lindon." disse Thranduil a Roswehn. Era ancora accigliato.

"...Re Haldir e il Drago Oropher. La scriverò io, mi piace da matti." continuò Radagast.

"Basta. Ora dicci cosa fare per mettere fine a incubi e deliri. Non sfidate la mia pazienza..." minacciò il re, rivolto allo stregone e alla ragazza, che fissava il pavimento imbronciata. "...nessuno dei due."

"Ah sí, giusto. Dunque..." Radagast sembrò destarsi da un sogno a occhi aperti. "...potrei senz'altro fare una cosa. Benedire questo bosco, fino ai suoi confini. Circondarlo di un'aura protettiva, diciamo. In questo modo, lo spirito di Morgoth non potrà più entrare e tormentarti."

"Benissimo. È già qualcosa." sospirò la ragazza.

"Ma, Roswehn, non potrai più uscire da questo territorio fino a quando sarai in attesa. Dopo il parto, sí." continuò Radagast.

"Questo è ovvio. Non sarebbe più uscita comunque. E in quanto a nostro figlio?" volle sapere Thranduil. Non sapeva se fidarsi o meno di quello Stregone intontito dall' erba pipa, ma quello che gli aveva detto lo aveva spaventato, non poteva negarlo a se stesso. E il solo fatto che Morgoth fosse entrato nel suo regno lo riempiva di frustrazione e rabbia. A Elrond, nella sua Rivendell, non sarebbe mai capitato.

"Eh... qui il discorso si complica." spiegó Radagast. "Vostro figlio deve rimanere confinato in questo regno, fino a quando deciderete di cedergli la corona... " spiegò Radagast. "Fortunatamente, lord Thranduil, voi avete un altro figlio. In via ufficiale, Legolas dovrà rimanere erede al trono e rappresentarvi in tutte le occasioni. Un consiglio indetto da Elrond, ad esempio, una battaglia, una celebrazione a cui sia invitato anche il regno di Boscoverde. Manderete avanti il primogenito. Il vostro secondogenito deve rimanere qui. E sarebbe anche opportuno che al di fuori di questi confini nessuno sappia della sua esistenza."

"Per questo è troppo tardi. Elrond lo sa, e anche Galadriel, credo. Oltre naturalmente a quel Drago, a Bilbo Baggins, a una maledetta strega del mio regno e a...Edith, cioé una mia compaesana. Non è un segreto." disse Roswehn, alzando lo sguardo.

"Lo hai detto a quella donna? Dopo avermi pregato di non parlarne a tuo padre?" chiese il Re.

"Di lei mi fido. Non ne parlerà con nessuno." rispose Roswehn. "Ma Babiyar... vorrei farla sparire." 

"Hai detto a quella levatrice chi é il padre?" chiese Radagast.

"No. Sono rimasta sul vago. Non sa nemmeno se é un Uomo o un Elfo." rispose Roswehn.

"Bene, allora. Vedi, l'importante è che non si diffonda la voce che Thranduil aspetta un altro erede con una donna umana. È quello il fatto che rende il vostro piccolo speciale ... e appetibile per gli esseri oscuri." spiegó Radagast. 
"Un'altra cosa... non dovreste avere altri figli. È più di un consiglio."

"Questo non sarà un problema." rispose il re, guardando ancora verso il bosco. A Roswehn non piacque molto quella risposta.

"E chi sarebbe Bilbo Baggins?" chiese Radagast.

"Un Hobbit della Contea. Un piccolo Uomo a cui feci visita tempo fa. Dovevo interrogarlo su una questione. Non ebbi le risposte che cercavo...cioé, lui non volle aprirsi a me. Ma durante la conversazione finii per dirgli della mia situazione. Lui sa che il figlio è di Thranduil." ammise Roswehn.

"Se non ti fidi del mezz'uomo di cui parli... questo sí, che puó essere un problema..." rispose Radagst, inalando un'altra generosa boccata di erba pipa.

"È una creatura onesta e pura di cuore. Purtroppo, non gli ho detto di tenersi per sé questa notizia. Non credevo fosse importante." sospiró la giovane. "Non mi resta che sperare che se ne sia dimenticato. Del resto, a chi dovrebbe dirlo?"

"Da quello che ho sentito, comunque, nostro figlio non avrà scelta." chiese Thranduil. Roswehn notó la compostezza del sovrano: lei era agitata e sconvolta, il re invece sembrava avvolto da una corazza invisibile che impediva alle parole del mago di scalfirlo. Forse era quella la nobiltà: accettare il fato, anche il più tremendo, con dignità e contegno.

"Purtroppo, sí. Ma non vedetela come una condanna. Vostro figlio sarà la chiave che darà accesso a un mondo migliore per le future generazioni. Inizialmente Morgoth si servirà di lui, ma la profezia dice che Uomini, Elfi e Nani vinceranno al termine della Dagorath. Sceglierà di schierarsi con il Bene, alla fine." spiegò Radagast.

"Tutto questo, secondo te. Spero che le tue parole non siano suggerite da quella sostanza di cui non sembri poter fare a meno, stregone. Ti concedo di benedire il mio bosco. Sul resto, permettimi di avere dubbi." disse il Re.

"Thranduil!" sbottò Roswehn.

"...come voi non riuscite a fare a meno del vino, lord Thranduil." rispose Radagast, offeso. "...non crediate che non si sappia quanto amate i prodotti delle vigne di Dale."

"...il mio è solo un capriccio. Non è un vizio." ribatté il re.

"Ah sí, e qual'è la differenza?" chiese Radagast.

"Per favore, non discutete su cose come queste ora. Io ho paura. La notte sta per scendere e io ho paura."  Si rivolse al mago. "Se davvero puoi fermare Morgoth, ti prego aiutami."

"Sí, hai ragione. Ora..." disse, alzando il bastone magico che sembrava un ramo strappato in malo modo da un albero. "...allontanatevi."

Roswehn si avvicinò a Thranduil. Entrambi si scostarono.

Pronunciando sommessamente un incomprensibile incantesimo, Radagast alzó il bastone. Subito una forte vibrazione scosse la piattaforma. La ragazzà urlò, stringendosi al re. Fu allora che un'immensa bolla trasparente avvolse prima i tre, poi si allargò smisuratamente, fino a inglobare la piattaforma, parte del bosco davanti a loro e poi tutto.

Roswehn vide le punte degli alberi ondeggiare trascinate da quella forza.

Com'era comparsa, sparí d'un tratto. O meglio, esplose, come quelle bolle di sapone che la ragazza si divertiva a fare da bambina.

Rimasero loro tre, sulla terrazza.

"Tutto qui?" chiese Thranduil.

Radagast lo squadrò. "Mi dispiace Maestà, forse volevate anche i fuochi d'artificio? Per quelli, rivolgetevi a Gandalf."

Roswehn intervenne. "Ti ringrazio. Per quello che hai fatto e per le tue spiegazioni. Mi sento già più serena."

"Aspetta questa notte prima di ringraziarlo. Vedremo quali saranno gli effetti di questa magia." disse Thranduil. 
Roswehn s'irritó: non lo sopportava quando provocava gli altri per il gusto di farlo.

"Radagast ha fatto quello che poteva." ribatté, nervosa. "E' venuto qui e ci ha aiutati. E per questo va ringraziato."

"Al tempo, giovane. Non mi servono ringraziamenti. Noi Stregoni abbiamo lo strano vizio di aiutare gli altri, a tal scopo siamo stati messi in questo mondo. Anche se... qualcuno non meriterebbe il nostro intervento." disse, guardando Thranduil. "Ricordate quello che ho detto: il bambi...cioè l'elfetto...insomma, vostro figlio deve rimanere qui. Una volta cresciuto, non ditegli nulla di quello che potrebbe attenderlo. Fatelo crescere serenamente, educatelo, amatelo. Quello che sarà, sarà."

Thranduil non rispose.

"Va bene. E cosa capiterà a me?" chiese la ragazza, ma conosceva la risposta.

"Vivi la tua vita nella gioia, per gli anni che ti restano. È il miglior consiglio che posso darti." rispose lo Stregone. "Haldir è un bel nome. Non vedrai più l'Elfo di Lórien, a proposito?"

"No." rispose Thranduil per lei.

"No." confermò Roswehn. "È entrato brevemente nella mia vita e ha lasciato un marchio. Ma il suo ruolo nella storia è terminato da un pezzo."

"Giusto." rispose Radagast. 
"Ognugno di noi ha un piccolo ruolo nel mondo, anche se crediamo di no. Ci rifletto spesso, su questo." 
Poi guardó la coppia davanti a lui. Un Re Elfo e una donna umana. Un'unione incredibile, a dir poco .

"Voi due, siete stati fortunati ad incontrarvi." disse loro.

"Lo sappiamo." ribatté Roswehn. Strinse la mano di Thranduil nella sua. "Io ringrazio Eru ogni giorno per questo."

"E fai bene." rispose il re.

Radagast rise. "Una coppia davvero strana, ma indubbiamente bellissima. Vostro figlio sarà una meraviglia. Spero di incontrarlo, un giorno."

"Quando vorrai." promise Roswehn.
"Resta qui stanotte. Non mi sento sicura. Posso chiederti questo favore?"

"Ti senti autorizzata a invitare persone nel mio regno?" chiese Thranduil.

Roswehn sospiró. "Thranduil, ti imploro di permettere a Radagast di rimanere. Mi concedi questa grazia?"

Thranduil annuì, poi si giró verso lo Stregone. "L'hai sentita."

"Va bene. Se Roswehn desidera questo..." accettó Radagast. "Non ti fidi del mio potere, lo capisco. Nemmeno gli altri stregoni si fidano. Saruman va in giro a dire che ho uno stile di vita dissoluto, ma ti rendi conto? Il capo del mio Ordine." brontoló.

"Ma guarda un po'..." mormoró Thranduil, poi si allontanó. "Solo per stanotte." aggiunse, senza voltarsi.

Una volta soli, i due scoppiarono a ridere. "Che pazienza che ci vuole, eh?" disse il maghetto.

"Il suo orgoglio è smisurato. Ma amo anche quello. Ed è solo un'infinitesima parte dell'amore che provo per lui." disse Roswehn. "Morirei per Thranduil. Il nostro rapporto é grottescamente in equilibrio fra passione e odio. Una cosa che non avrei mai creduto di provare."

"Dicono siano gli amori più intensi, questi. Personalmente, diffido delle coppie che non litigano mai." disse Radagast. "Un giusto equilibrio, ecco cosa serve."

"Non trovi che Haldir sia un nome perfetto? Significa eroe nascosto in elfico. Se quello che hai detto capiterà davvero, si puó proprio dire che sarà un eroe... ora nascosto dentro di me." riflettè la donna. "Mi dispiace solo di non vedere il suo trionfo, nè di vederlo mai re. È davvero ingiusto che gli uomini siano mortali, tutti dovrebbero aver diritto alla vita eterna."

"Sai, la mortalità fu un dono dei Valar alla razza degli Uomini. Come quel Drago ti ha regalato una pietra preziosa, gli dèi decisero di donare alla tua gente la morte, che se ci pensi è una sorta di liberazione. Tu invidi gli Elfi perchè vivono in eterno. Non commettere questo errore. Prova a immaginare piuttosto cosa significhi venire al mondo e vivere la vita con tutti gli inevitabili problemi, gli sbagli ed i rimpianti. E sapere che non verrà mai la morte a darti sollievo eterno. Io non ho mai invidiato gli Elfi per questo." le disse Radagast.

"Questo è vero." rispose Roswehn. "Tuttavia, è angosciante sapere di esser destinati a sparire, prima o poi. Gli Elfi vanno a Valinor, oppure si reincarnano... la loro essenza permane sempre. Ma noi Uomini...dove andremo dopo, è ancora un mistero"

"Per questo è importante vivere la vita al meglio, giorno dopo giorno. Non lo dimenticare mai, cara." rispose Radagast.

"Ci sto provando." rispose Roswehn, osservando il cielo.

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Capitolo 39
*** Il tempo di Roswehn ***


L'estate passò.

Alla fine di Ottobre, Roswehn si stava preparando ad entrare nel quinto mese di gestazione. 
Senza più incubi, né spettri che la perseguitavano, tutto procedeva in relativa calma.

Ormai la pancia si vedeva, e anche parecchio. Gli Elfi osservavano stupiti il suo ventre lievitare sempre di più. Le donne Elfo non s'ingrossavano mai a quel modo: le loro gravidanze, per quanto lunghe, rimanevano sempre accennate, e il piccolo che partorivano era a sua volta minuto e fragile.

Nim la sommergeva di domande.
"Ma cosa senti dentro di te? Cioè...si muove?" le chiese l'Elfa, mentre passeggiavano nel bosco, in una zona sicura. Dopo aver saputo del suo incontro con il ragno, a Thranduil era letteralmente andato il sangue al cervello: aveva spedito Legolas e un'intera guarnigione a stanare ogni insetto gigante presente nel suo bosco, ed eliminarlo. Aveva dato loro ordine di spingersi fino a Dol Guldúr, una fortezza che si ergeva al di fuori dei loro confini, e da cui arrivavano quelle creature, per fare terra bruciata tutt'intorno, dando fuoco a ogni nido, a ogni grotta, ad ogni anfratto in cui i ragni potevano nascondersi.

Roswehn era al sicuro nel reame, grazie alla magia di Radagast; lo stregone aveva in effetti circondato Eryn Galen con una sorta di invisibile barriera magica, che funzionava egregiamente nonostante lo scetticismo indistruttibile del Re. D'altra parte, convincere Thranduil che gli stregoni non erano solo vagabondi jettatori era più complicato che andare a Mordor a piedi.

"Ogni tanto, sì. Sento come dei piccoli colpi, tutto qui. Credo sia presto perché faccia le capriole dentro di me. E' ancora poco formato, Nim." spiegó Roswehn.

"È da tre mesi che dormi da sola, in quella stanza. Non ti manca il nostro sovrano?" chiese Nim.

"Sì, tantissimo." ammise lei. "...ma è meglio così. Ho bisogno di tranquillità in questo periodo, e purtroppo con Thranduil non riesco ad averne. Ci amiamo, ma riusciamo a litigare su ogni genere di stupidaggine, e io non voglio agitarmi."

"Posso chiederti una cosa?" azzardó Nim, fermandosi e sedendosi su una roccia.

"Certo." rispose Roswehn.

"...come...com'è il nostro Re in privato? Cioé, noi sudditi lo vediamo così severo e autoritario...Ma...con te, nell'intimità, come si comporta?" azzardó l'Elfa. "È sempre così freddo?"

Roswehn rise. Uno scoiattolo si spaventó al suono della sua risata e scappó sulla cima di un albero.
"Se fosse sempre come lo vedete avrei già lasciato il vostro territorio da un pezzo e me ne sarei tornata a Dale." 
le rispose. "No. È molto amorevole, e... appassionato. Ovviamente, se qualche cosa non lo mette di cattivo umore, il che capita spesso."

"Quindi è un buon amante?" continuó Nim. Roswehn non capiva perché le facesse improvvisamente quelle domande indiscrete. La sua amica non aveva mai manifestato interesse per pettegolezzi di quel tipo.

Poi intuì.

Nim era invaghita di Legolas. Forse, immaginava che lui e il padre fossero simili anche nel modo in cui vivevano l'amore e con quell'espediente cercava di carpire informazioni gustose sul principe.

"È uno straordinario amante. Riesce davvero a portarmi alle stelle quando stiamo insieme. Magari è una qualità di famiglia." le fece l'occhiolino. "C'è solo una cosa che mi dà da pensare."

"Quale?" chiese l'Elfa.

"S'incupisce, delle volte. Cioè, da quando abbiamo iniziato la nostra storia lo sento spesso ridere e scherzare, per qualche sciocchezza che dico io o perché qualcos'altro lo diverte. Ma è come se in lui fosse rimasta un'ombra, una malinconia che non gli passa." spiegó Roswehn, accomodandosi a sua volta su un masso coperto di muschio. "Troppe esperienze dolorose lo hanno segnato. Mi sarebbe piaciuto conoscerlo quando era ancora un ragazzo...cioè...un giovane Elfo. Prima della morte di sua moglie, di suo padre...prima che i dolori della vita gli indurissero il cuore. Puoi capirmi?"

"Credo di sì. Io nacqui quando il re era già solo, non so com'era prima." disse Nim. "Sai cosa, peró? Amon puó darti delle risposte. Lui aiutó la Regina Madre a partorire Thranduil, lo vide crescere. Se chiedi a lui, sicuramente saprà dirti di più."

"Amon... buono, quello..." mormoró Roswehn. "Non mi sopporta." disse, strappando un fiorellino azzurro dal masso e mettendoselo in un occhiello dell'abito. "Ah, Nim...mi serve della nuova stoffa. Devo cucirmi degli indumenti più larghi. Sto aumentando di volume, ahimé."

"Non devi farti gli abiti da sola! Il Re ha già dato ordine di prepararti un nuovo corredo." le spiegó l'Elfa.

"A me piacciono i lavori sartoriali. Da bambina imparai a cucire, andavo dalle sarte di Pontelagolungo a osservarle al lavoro. A volte mi regalavano pezzi di stoffa che loro scartavano. A Dale mi sono fatta un abito blu che è una meraviglia...pensa, non l'ho mai messo." raccontó Roswehn. Le mancava un po' la sua città, nonostante fosse piena di bifolchi e di ignoranti che odiavano gli Elfi per chissà quale motivo. A cominciare da Edith.

"Sì, comunque, lui potrebbe arrabbiarsi se sapesse che usi il fuso e i telai da sola. Possono essere pericolosi, puoi pungerti o altro..." disse Nim.

"Cavoli, sai che pericolo! Potrei cadere addormentata se mi pungessi, come la principessa della favola..." sorrise Roswehn. "...e poi il tuo Re mi dovrebbe svegliare con un bacio."

Vide l'espressione confusa di Nim. Gli Elfi non conoscevano le fiabe umane. Non le capivano. Aveva provato a raccontare Biancaneve al piccolo Caleth, ma si era spaventato nel punto in cui la regina, travestita da strega, offriva la mela avvelenata alla principessa. Si era anche messo a piangere e Roswehn aveva deciso di non raccontare più niente.

E poi, a ben pensarci, lo stesso mondo di Boscoverde era una bellissima fiaba, il cui protagonista era un sovrano mille volte più affascinante di tutti i principi dei racconti. 
La differenza era il lieto fine: nelle favole i Re sposavano le loro amate, non le ingravidavano e si tenevano i figli e le liquidavano dopo un po' con un grazie tante ora puoi tornartene a casa tua e invecchiare lontano dalla mia vista.

Era più che certa che il suo destino sarebbe stato quello. Thranduil non avrebbe sopportato di vederla avvizzire. Lui, un esteta di prima categoria. 
Roswehn aveva con orrore scoperto un capello bianco nella sua chioma, agli inizi di Settembre: probabile conseguenze degli spaventi causati da Morgoth, e dal ragno. Un solitario capello argenteo che aveva avuto subito l'impulso di togliere, per poi ricordarsi dei consigli di sua madre: mai strapparli, o ne spunteranno velocemente altri. 
Del resto aveva ventisei anni, mica sedici come Sigrid. Andava verso i trenta, insomma, era prevedibile che arrivassero i primi segni dell'addio alla gioventù. Ma non sopportava che il suo Re lo notasse. Così, aveva iniziato a pettinarsi con trecce e nastri, in modo da nasconderlo.

Sospiró. Di certo la sua amica Elfo non avrebbe avuto mai problemi simili.

"Nim, senti. Ti vorrei dire una cosa: devi lasciar perdere Legolas." disse, rompendo il silenzio.

"Non capisco...." rispose l'Elfa. Era imbarazzata. "Il principe?"

"Sì, capisci molto bene invece. Lui non rimarrà qui, se ne andrà prima o poi. Non affezionarti troppo, o soffrirai." rispose Roswehn. "Il suo futuro è altrove."

"Dove? Lui sarà il nostro sovrano dopo lord Thranduil, perché dovrebbe andar via di nuovo?" obiettó Nim.

Roswehn non poteva dirle dei piani regali in merito. Thranduil aveva tolto a Legolas la precedenza sulla corona, e lo dovevano sapere solo lei, il Re, il Principe e Radagast. Diffondere la voce anzitempo poteva essere un grave errore.

"Vedi, Legolas ha uno spirito avventuroso. Non voglio dire che di sicuro se ne andrà, ma ho questa sensazione. E tu, se non vuoi rischiare di soffrire, dovresti guardarti intorno. Poi, lui è un Elfo di sangue nobile..." tentó di spiegare la donna.

"...e io una servetta, questo vuoi dire?" ribattè Nim, stizzita.

"Nim, svegliati: Legolas non bada a certe cose... ma conosci Thranduil. Il vostro Re non approverebbe. Come non gradiva l'affetto di suo figlio per Tauriel. Non ti devo spiegare io come funziona qui...è casa tua." disse Roswehn.

"Eppure, la tua stessa vicenda ha dell'incredibile. Chi mai poteva credere che lord Thranduil avrebbe accolto con sè un'umana? Io ho gioito quella sera, quando annunció che voleva stare con te. Credevo che si sarebbe aperta una nuova era da noi." raccontó Nim. "E tu tenti di dissuadermi dall'amare suo figlio... dovresti incoraggiarmi, invece."

"E cosa faresti se Thranduil annunciasse il fidanzamento di Legolas con... con... Arwen, ad esempio? La figlia di Elrond." chiese Roswehn, un po' turbata. Nim non si era mai arrabbiata con lei.

"Arwen è una bambina." rispose l'Elfa.

"Ma crescerà...e quando crescerà Legolas sarà ancora giovane come adesso." ribattè Roswehn.

"Il re comunque gradirebbe ancora meno un'unione con la figlia di Elrond. Sai bene che fra i due Lord non c'é simpatia. Ma perché mi dici queste cose?" si innervosí l'Elfa.

"Perché voglio che mi credi. Legolas non fa per te. Ascolta: cerca l'amore da un'altra parte." suggerí Roswehn. "Mi ringrazierai."

"Non sei stanca? Ti accompagno nella tua stanza." disse seccamente Nim, senza guardarla. La conversazione la stava irritando.

"Sí, meglio." rispose l'umana. "E poi, fa freddo."

Le due ragazze risalirono in silenzio il sentiero verso il palazzo regale nel mezzo del bosco. Non uno sguardo né una parola corse più fra loro, quasi fossero separate da un muro invisibile.

                        🌹🌹🌹

Amon le tastó il ventre.

"È tutto a posto, il piccolo ha raggiunto le dimensioni previste a questo punto della gravidanza." disse a Roswehn, sdraiata sul letto. Il suono della cascata le sembrava meno forte, forse perché ormai i suoi timpani si erano abituati. "Continua ad alimentarti con verdure cotte e frutta, solo, evita il lembas. Il nostro pane è troppo pesante per essere assimilato da tuo figlio."

"Tanto non mi piace." rispose Roswehn. Non le andava molto a genio essere visitata da Amon, ma Thranduil lo considerava il migliore dei guaritori, e l'aveva messa nelle sue mani.

Amon non provava simpatia per lei, perfino un topo se ne sarebbe accorto. Perché era mortale, ovviamente. La guardava sempre con fastidio, e quando la visitava, lo faceva in punta di dita, quasi che il suo corpo fosse stato la maleodorante carcassa di un Orco, anzinché un organismo umano.

"Sento dolore alla schiena, ai reni. È normale?" chiese lei, con una smorfia.

"Sí. È lo stesso dolore che avvertirai al momento del parto, ma dieci volte più intenso." rispose l'Elfo. Alla donna non sfuggí la soddisfazione di Amon in quelle parole. Forse godeva nell'immaginarsi le sue future sofferenze. "Radagast dice che dovresti partorire in acqua: per te sarebbe meno doloroso, secondo lui. Io invece opterò per un parto normale, rimarrai distesa su questo letto, e ti aiuterò ad espellere il bambino."

"Ma se lui ha detto un'altra cosa perché non seguire i suoi suggerimenti?" protestò Roswehn.

"Perché noi Elfi non facciamo cosí. Non ho mai visto un parto subacqueo. Le nostre donne danno alla luce i loro figli distese, e tu farai lo stesso." spiegò freddamente. "Sarà veloce, vedrai."

Roswehn ci credeva poco. Se lo ricordava bene il travaglio di Brenna Heerie, la madre di due gemellini: era andata di nascosto sotto alla finestra della donna, mentre Babiyar procedeva ad estrarre la coppia di fratelli. Era rimasta sconvolta dalle grida e dalla durata della procedura. Una giornata intera di contrazioni e di dolori.

"Nim mi ha detto che avete aiutato la madre di Thranduil a partorire." disse.

"La Regina Madre, Hellebeth. Una sovrana molto amata, come lo fu Calenduin in vita." rispose Amon, con uno breve sguardo carico di supponenza. "Due donne Elfo di rara eleganza."

"Al contrario di me, vero?" chiese Roswehn. Ne aveva abbastanza dei suoi modi. "Mi detesti, Amon, ammettilo."

Amon alzò le sopracciglia fingendo costernazione. "Assolutamente no. Mi dispiace che lo pensi."

"Vile bugiardo che non sei altro. Se potessi getteresti me e mio figlio giù dal Grande Ponte. Sei talmente pieno di disprezzo verso di me che ti esce quasi dagli occhi." rispose Roswehn.

"Non capisco queste accuse. Sono qui per seguirti e aiutarti e lo sto facendo, mi sembra." ribatté Amon, alzandosi dal letto. "Io eseguo gli ordini del re, come sempre."

"Già, e con che entusiasmo. Conosco quel modo di fare, ce l'aveva anche mio zio Viktor, pace all'anima sua. Lo chiamano ... razzismo. Lui odiava gli Elfi, tu i mortali, per partito preso, senza una valida ragione. Hai la stessa mentalità chiusa e gretta." continuó Roswehn. 
Poi lo squadró. "Secondo te non sarei degna di amare Thranduil, non é così? Beh, mi dispiace per te e per gli altri Elfi che si mangiano il fegato per questa storia... ma io e il vostro re ci amiamo. E aspettiamo un figlio. Sarà meglio che lo accettiate, tutti quanti voi."

Amon la guardó dall'alto, contraendo i muscoli facciali. Si stava sforzando di non risponderle male. Riuscì a fingere un sorriso. "Noi rispettiamo le scelte del sovrano. Non c'è ostilità verso di te, Roswehn, sei benvenuta fra noi."

"Codardo. È per timore di Thranduil che dici così. Hai paura che io gli dica quello che penso su di te. Hai paura che possa punirti." lo provocó. "Ho combattuto contro i miei cari perché accettassero il mio rapporto con lui... non voglio combattere anche contro i suoi sudditi. Mi hai capito bene?"

Amon annuì controvoglia. "Sì. Sì, certo."

"Bene, meglio per te. Ora esci, ci rivediamo fra un mese." gli comandó Roswehn.

Aveva sfidato Morgoth due volte, figurarsi se poteva lasciarsi umiliare da un guaritore elfico. Mise una mano sulla pancia rigonfia.

"La tua mamma non è una povera stupida, caro Haldir. E non alleverà uno stupido. Mi hai capito, anche tu?"

Sentì un colpetto sotto le dita.

"Bene. Bravo figliolo."

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Capitolo 40
*** In arrivo ***


"Sei davvero sciupata, Roswehn." le disse Yohlande.

Era la sesta volta che si era addentrata nel reame boscoso per visitare la figlia. Sempre da sola.

Aveva giurato a Thranduil di fingere di non sapere nulla, ma non ce l'aveva fatta. Il suo istinto materno l'aveva spinta ad andare a trovarla già a Novembre, all'inizio dell'inverno. Non poteva pensare di lasciare Roswehn da sola ad affrontare l'intera situazione.

"Per favore, non devi venire così spesso, mamma, sto bene. Ci sono due donne di questo popolo e un guaritore a seguirmi. Non è necessario che tu mi sorvegli e poi... non mi va che attraversi quel bosco da sola. Continua ad essere pericoloso, te l'ho già detto." le disse la ragazza. Entrambe sedevano sul letto nella stanza vicino alla cascata.

"Non è vero che stai bene. Guarda come sei pallida ...e questo rumore? Come fai a dormire? Non mi piace il modo in cui ti fanno vivere." ribatté Yohlande. "Dovresti mangiare altre cose, non solo verdure...carne, pesce...quel guaritore non sa fare il suo mestiere, te lo dico io."

"Io mi sento bene. Il piccolo dentro di me è un elfo, è giusto che io mi alimenti in questo modo. Carne, pesce... i nostri cibi potrebbero fargli male. Smettila, ti prego." si lamentò lei.

Non aveva perdonato a Thranduil di aver spifferato con sua madre. E' questa la fiducia che dovrei riporre in te? Avevi giurato, avevi promesso di non parlarne ai miei! gli aveva detto in malo modo durante un litigio sull'argomento.

Avevo promesso di non parlarne a tuo padre, mi sembra. E comunque, trovo crudele che la tua famiglia non sappia. Sono i nonni di nostro figlio. Gli unici che avrà. Aveva risposto Thranduil. Farai anche meglio ad abituarti all'idea che posso andare contro i miei stessi giuramenti, se voglio.

"Tuo padre sta bene. Non me l'hai nemmeno chiesto." mormorò mestamente Yohlande. "Sei diventata così fredda e... nervosa. Mi piacerebbe sapere in che modo la tua vita è migliorata da quando sei qui."

"Senti. Sono contenta di vederti, mamma. Ma passo già abbastanza tempo a litigare con lui...non mi fare arrabbiare anche tu. Voi tutti non sapete come mi sento. Sono piena di dubbi, paure, ansie per il futuro di mio figlio. Certe notti non dormo. Posso avere qualche attimo di pace? Posso?" iniziò a piagnucolare.

"Va bene, non parliamone più. Ma tu non stai bene qui. Di' quello che vuoi...ma sei cambiata in peggio. Provavo dispiacere nel vederti sempre sola a Dale...ma almeno non avevi quell'espressione da cadavere. Non so Roswehn, non so." le rispose sua madre, ottenendo in cambio un sonoro sbuffo.

Frugò nella sacca che si era portata. "Ah, ti ho portato del té, hai detto che gli Elfi non ce l'hanno. E anche del formaggio. Un po' di dolcetti, li ha fatti Sigrid, per te. E questo." tirò fuori un fagotto. "La figlia di Bard mi ha detto che devi tenerlo, e che non devi rimandarglielo."

Roswehn lo aprì: era l'abito blu di velluto. "Che stupida. Lo avevo regalato a lei. Non posso più metterlo io." rispose.

"Non importa. L'hai fatto da te, tienilo come ricordo dei tuoi anni con noi." mormorò Yohlande, sistemando l'abito nel bell'armadio della stanza. "C'è una cosa da dire sugli elfi: il loro artigianato è bellissimo." aggiunse la donna, osservando le ante del mobile. "Mi piacerebbe avere un armadio così a casa."

"Magari te ne farò portare uno da qualche soldato, chiederò a Thranduil il favore." disse Roswehn, odorando i sacchettini di tè.

"Ti permette di fargli queste richieste, nonostante tu non sia la moglie?" volle sapere Yohlande. "Devi esserne orgogliosa."

"Ci risiamo. Perché sempre questo sarcasmo? Avresti preferito che stessi con un...un...fabbro o un contadino di Dale? Magari un ubricone come Tom Pittipack?" s'innervosì subito la ragazza.

"Oh, per l'amore del cielo, smettila di saltare su in quel modo! Era un'affermazione, la mia, non una domanda. Ti tratta con riguardo, questo volevo dire. E poi, non c'è disonore a essere fabbro o contadino. Da quando fai discorsi simili?" rispose Yohlande. Capiva gli sbalzi ormonali, ma sua figlia stava diventando peggio di una lince. Povero Thranduil, pensò.

"Sì, esatto. Mi tratta con riguardo." confermò lei. A parte quando gli viene il ghiribizzo di farmi chiudere nelle segrete.

"Bene. Mi fa piacere, lo sai. E' un ...elfo...molto elegante, un aristocratico. Forse esibisce un po' troppo le sue ricchezze, ma mi va a genio, credimi." continuò Yohlande.

"E' un sovrano, mamma, vuoi che se ne vada in giro vestito come un mendicante?" rispose Roswehn, alzandosi con fatica dal letto. Era Marzo e lei era ufficialmente entrata nel nono mese. Sembrava che il suo ventre stesse per esplodere, per non parlare del seno.

Comunque, Roswehn era preoccupata perché le restavano altri tre mesi di attesa davanti. Il suo corpo si sarebbe adattato a un ulteriore aumento di volume, o sarebbe esplosa come una botte strapiena di vino? Le sembrava di avere in grembo già tre gemelli.

"Certo però, tutti quegli anelli, quei diademi... ho idea che sia un po' vanesio, diciamo così. Forse da' un po' troppa importanza all'esteriorità. Cioè, io la penso in questo modo." rifletté Yohlande. Questa considerazione pizzicò un nervo scoperto nella ragazza. Lo sapeva benissimo che Thranduil amava il bello, si circondava di eleganza e di cose preziose. E lei, Roswehn, non sarebbe rimasta graziosa a lungo. Ricordava Violette quando era arrivata ai trentacinque anni: aveva già i segni del tempo sul viso e un po' di capelli bianchi, un bel ciuffo proprio davanti agli occhi. Alcune donne del suo reame a quarant'anni erano ancora giovanili e in ottima forma, sembravano quasi ragazze, ma altre iniziavano a spegnersi molto prima. E a lei, cosa sarebbe capitato, e quando?

"Ascolta, ho pensato una cosa riguardo al mio futuro." disse improvvisamente.

Yohlande la guardò. "Sì, dimmi."

"Credo che rimarrò qui finché mio figlio non sarà diventato adulto. Non so quanto ci vorrà, non conosco nulla delle loro fasi di crescita...comunque, vorrei che fosse grande prima di staccarmi da lui. Poi tornerò a Dale." annunciò.

"Sì, è comprensibile. Non vuoi invecchiare davanti al re, vero?" intuì la madre.

"Esatto, non ce la farei. Thranduil mi ama, però...la vecchiaia è una cosa che loro non comprendono. Non fa parte della loro vita e io...non voglio proprio che lui un giorno mi guardi con occhi disgustati, capisci?" rivelò lei. "E non poter più vivere l'amore con lui...no. Non sopporterei questo destino."

"Beh, ma se scegli di rimanere per tuo figlio, è chiaro che gli anni passeranno e..." provò a ribattere Yohlande.

"Se arriverò al punto da odiare la mia stessa immagine me ne andrò, so solo questo, per ora." aggiunse Roswehn.

"L'amore non dovrebbe avere queste barriere però. Io e tuo padre siamo anziani, ma lui mi ama come il primo giorno che ci siamo visti. Questo lo sai?" chiese la donna.

"Per gli Elfi la grazia e la bellezza sono essenziali per scatenare l'attrazione. Sono creature intellettuali, ma stranamente sanno anche essere superficiali e grossolani su certe cose. E la passione che c'è ora con lui se ne andrà negli anni, e temo...fra non molti anni. Io non voglio che i ricordi meravigliosi che mi sto costruendo lascino spazio ad altri più tristi. Voglio portare con me la memoria dello sguardo che ha adesso verso di me. Non..." non potè continuare. Yohlande capì.

"Dunque tornerai da noi. Ovviamente, io e tuo padre non ci saremo più. Ma avrai la nostra casa e anche quella di Edith. Alla fine te la lascerà, ti vuole troppo bene. Passerai in tranquillità gli ultimi anni, vedrai." la rincuorò la madre.

"Sai cosa mi dispiace? Di non poter avere una bambina. Io e Thranduil ci fermeremo a questo..." disse Roswehn. "Però avrei voluto avere una figlia. Viziarla, darle quelle cose che io non ho potuto avere a Pontelagolungo."

Yohlande non rispose. Le dispiaceva sentire quelle frasi. Era vero, non avevano fatto una gran vita sul lago, ma Roswehn aveva avuto da lei e da suo padre tutto l'amore possibile.

La giovane si girò verso la madre. "Sai come l'avrei chiamata? l'avrei chiamata...AH!" urlò, rimettendosi velocemente a sedere sul letto. "...mamma.."

Yohlande corse verso di lei. "Cosa? cosa!" le gridò, spaventata.

"Un dolore terribile..." si lamentò. "Credo che...ci siamo!" si sforzò di dire, mentre un'altra fitta le trapassava la schiena. "Chiama Amon...svelta!"

"Corro...e tu...non metterti sdraiata, hai capito? Anche se sentì la voglia di stenderti non farlo...!" disse Yohlande, aprendo velocemente la porticina di legno.

In anticipo, Haldir? Anche tu sei uno che fa di testa sua, eh? pensò Roswehn.

🌹🌹🌹

"Qualcuno ha avvisato il Re e il principe?" chiese il Guaritore, non appena giunto nella camera di Roswehn.

Nim, Morath e Yohlande si guardarono in silenzio. Amon sospiró.

"Nim, pensaci tu, ti prego." le chiese, sistemando la bacinella d'acqua calda vicino al letto, con alcuni panni. L'Elfa corse fuori. "Morath, devi aiutarmi. E anche voi, signora Monrose. Non ho familiarità con i parti umani. Il piccolo è prematuro."

"Non è affatto prematuro! Nove mesi! Nove...mesi durano le gravidanze delle donne razza di ignorante!" gridó Roswehn. "Te l'avevo detto..."

"Calmati, cara. Ora respira, respira e concentrati." le disse Yohlande, sistemandole dei guanciali dietro la schiena.

Roswehn era devastata dal dolore. Le contrazioni erano già molto frequenti, e intense. "Tiralo fuori Amon, in fretta!" urló.

"Al tempo. Non sei pronta. Tu pensa solo a respirare come dice tua madre." ribattè Amon. Avrebbe volentieri lasciato l'umana al suo supplizio, ma c'era un figlio di Thranduil in arrivo e avrebbe fatto meglio ad abbozzare. La donna doveva soffrire il meno possibile, gli aveva detto il re. Provó a guardare l'apertura da cui l'elfetto si sarebbe fatto strada, ed era ancora stretta. "Mi dispiace, Roswehn, ma ci vorrà del tempo. Comunque, puoi trovare sollievo con queste." le disse, porgendole delle erbette intrecciate. "Masticale. È una pianta che lenisce il dolore."

"All'inferno tu e le piante. Fai nascere mio figlio, ti dico! Lo sento, vuol venire al mondo...AH!" gridó di nuovo.

"Basta, adesso. Fa' quello che dice lui. Ti stiamo aiutando." le intimó sua madre. "Non capisco che ti prende. So che fa male, ma..."

"Fa' apposta! Fa' apposta a farmi soffrire! " rispose lei, guardando Amon."...andateve tutti allora! Ci penseró io da sola!"

"Dammi la mano. Devi calmarti." le disse Morath, pentendosi subito perchè la stretta di Roswehn quasi le stritoló le ossa. Ritrasse la mano con una smorfia.
"Forse è meglio se stringi un cuscino."

"Dov'è Thranduil? Dov'è?" chiese la ragazza.

"Nim lo ha avvertito." rispose freddamente il guaritore. "Non verrà qui. Il re non fu presente nemmeno alla nascita di Legolas. Attenderà che tutto sia compiuto prima di farti visita."

🌹🌹🌹

"Maestà! Lord Thranduil!" urló Nim, entrando nelle stanze del re, che si giró basito.

"Entri qui in questo modo?" le chiese, incredulo.

"Sta nascendo! Roswehn é in travaglio!" lo informó l'elfa, felice.

Thranduil non nascose l'emozione. Poi si ricompose, secondo il suo stile. "Avvisatemi quando il principe sarà nato. Fa' chiamare Legolas da una delle guardie."

"È nel bosco, in perlustrazione!" disse Nim. "Vado a cercarlo..."

"No. Torna da Roswehn. Ha bisogno di un'amica in questo momento. Stalle vicino come hai sempre fatto." le chiese Thranduil. "Ho sempre apprezzato le tue attenzioni verso di lei. Non mancheró di ricompensarle. E adesso avvisa i soldati di cercare mio figlio, ti prego."

Nim chinó il capo, e uscì velocemente come era arrivata.

Thranduil uscì dalle sue stanze, e con tutta la tranquillità di cui fu capace si diresse verso il suo trono. Gli Elfi del suo reame non l'avevano mai visto perdere il controllo, né per la rabbia né per la gioia, e così doveva continuare ad essere. 
Anche se il suo secondogenito era in arrivo. Anche se stava nascendo il loro futuro Re.

🌹🌹🌹

"...ma tu devi spingere." le disse Yohlande, asciugandole la fronte. "...ascoltami!"

"...fa troppo male, io non riesco!" rispose la ragazza.

"Manca davvero poco. Un ultimo sforzo." la informó Amon. Erano passate diverse ore dall'inizio del travaglio e stava seriamente rischiando l'esaurimento. Roswehn era ingestibile: aveva urlato, imprecato contro di lui, distrutto due cuscini con le mani e pianto. Sembrava la stessero facendo a fette con una spada.

Finalmente, tutto finì. 
Amon estrasse un bambino perfettamente formato, più grosso di quanto si fosse aspettato e subito urlante. "Eccolo." annunció.

Yohlande, Nim e Morath guardarono tutte verso il neonato, felici. Morath cambió espressione quando si avvicinó e lo osservó meglio. "Ma...un momento..."

Roswehn spalancó gli occhi, allarmata. Era distrutta dalla fatica. "Un momento cosa?? Cosa c'é?!"

"...non ha le nostre orecchie. Ha le orecchie tonde, come le tue." disse la madre di Nim. Anche Amon guardó con attenzione il piccolo, che nel frattempo aveva avvolto in un panno. "Già. Vero." 

Roswehn sospiró. "Oh dèi... tutto qui? Mi avete fatto prendere un colpo..." si abbandonó sui cuscini. "Datelo a me...oh amore!" esclamó stringendolo dopo che Amon lo ebbe adagiato fra le sue braccia. "È bellissimo, guardate. Somiglia a Thranduil!"

"Dici?" chiese Amon. "Non vedo la somiglianza." Nei suoi occhi passó una luce di perfida soddisfazione. Non è figlio di un Elfo. Questa creaturina qui non è figlia di un Elfo, o io non sono più un guaritore. Lo sapevo. I Valar siano benedetti!

Roswehn lo squadró. "Chiudi la bocca. Non vedi il suo viso? Ha i lineamenti del re."

"Lo deciderà il nostro re, questo." Amon si giró verso Nim. "Ti prego, va' ad avvisare lord Thranduil."

Poi tornó a osservare madre e figlio e Roswehn, che non poteva leggere nei pensieri altrui, riuscì comunque a cogliere il messaggio in quell'occhiata e nel sorriso beffardo che l'accompagnó.

Vi caccerà. Vi caccerà via tutti e due. Stavolta non la fai franca, umana.

 

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Capitolo 41
*** Haldir Thranduilion ***


"Guardalo." 
Roswehn esortó il re ad avvicinarsi a letto. "Non è un amore?" 
Thranduil lentamente avanzò fino alla sponda del letto in legno di quercia dove la ragazza e suo figlio lo aspettavano. Il re elfo lasciò cadere uno sguardo pieno di tenerezza sulla piccola creatura, e rimase in silenzio per qualche attimo. Una nuova vita, sangue del suo sangue.

"Vuoi tenerlo un po'?" Chiese Roswehn. 
"Sì. Dallo a me." annuì il sovrano.

Nel frattempo, Amon ascoltava in silenzio in fondo alla stanza, le braccia conserte, appoggiato a una delle pareti. Sembrava si stesse pregustando qualche interessante spettacolo. Probabilmente stava immaginando la reazione irata del suo sovrano nel momento in cui avrebbe notato quella piccola anomalia del bambino. Del bambino umano.

I mezzosangue avevano sempre le orecchie a punta, Amon lo sapeva. Era un tratto caratteristico ereditario e immodificabile, anche se uno dei due genitori era di razza mortale. Magari non avevano l'agilità degli elfi puri, non avevano sensi sviluppati, avevano un'aspettativa di vita ridotta, seppur molto più lunga rispetto a quella degli umani. Ma le orecchie a punta, quelle dovevano essere presenti nel figlio di un elfo.

Thranduil non sembró notarlo, però. Strano, pensó il guaritore. Forse è talmente preso dall'amore per questa piccola creatura da non essersene accorto.

"Lord Thranduil, perché non portate il piccolo vicino alla finestra, così lo vedrete alla luce del sole." gli suggerì allora.

Roswehn si girò verso di lui. "Amon sostiene che questo non sia figlio di un elfo. Tu cosa dici, Thranduil?"  chiese, in tono provocatorio.

Il re si giró subito a squadrare il guaritore. "Che cosa?!"

"In effetti, Maestà, questo bambino presenta caratteristiche inconsuete per uno della nostra razza. Vogliate perdonarmi se vi chiedo di osservarlo bene." rispose Amon. Lui e Roswehn si fissavano con odio. 

Morath, Nim e Yohlande stavano trattenendo il respiro. In quella stanza c'era una tensione talmente densa da tagliarla con un coltello.

Silenziosamente, il re portó il neonato, che nel frattempo si era calmato fra le sue braccia, vicino a una delle ampie finestre. Lo guardó meglio. Aveva le piccole labbra carnose, come quelle della ragazza. E anche la forma degli occhi poteva ricordare quelli di Roswehn. Ma il colore degli occhi, quello rivelava la sua razza elfica. La razza dei Sindar. Le iridi avevano già screziature di ghiaccio. "Ha i miei occhi, gli occhi di mio padre." Mormorò. "Azzurri come il cielo invernale."

"Tutti bambini nascono con gli occhi blu," osó dire Yohlande. "Ma il colore può cambiare... cioé...per noi umani è così."

"Non sono blu. Sono azzurri. E i suoi capelli, sono biondi come quelli di Legolas." rispose il re, gli occhi sempre fissi sul viso del piccolo. Certo che era suo figlio. Nessun dubbio.

"....ma... i lobi delle orecchie, lord Thranduil. V'invito ad osservarli bene." disse il guaritore.

"Sono come quelli degli uomini, è vero." Poi, il re si giró verso Roswehn. "Mi hai detto di aver incontrato Aragorn, nel villaggio di Brea. Ti è sembrato che avesse le orecchie appuntite?"

Nim e Morath corrugarono la fronte. Quella domanda c'entrava come un cavolo a merenda nella discussione.

Roswehn rispose: "No... no, non mi sembra. In realtà, non l'ho guardato bene. Gli ho parlato solo per qualche minuto. Però... era un ragazzo umano, non aveva nessuna caratteristica degli Elfi"

"Eppure, ha anche sangue della nostra razza nelle vene. E' lontanamente imparentato con Elrond, sapevi?" chiese il re, gli occhi ancora persi nel viso di suo figlio. Il piccolo fece una smorfia che somigliava tanto ad un sorriso.

"Sì. Lo so." mormoró la ragazza. Amon, sarà meglio che ti prepari a quella che noi miseri umani chiamiamo "defenestrazione", pensó.

"Allora, è lecito supporre che questa peculiarità non debba essere per forza presente in un mezzosangue, vero Amon?" continuó il re.

Il guaritore sentì un brivido gelido sulla schiena. Provó a rispondere.: "Sì, credo si possa dire così. Però..."

"Vedi, ho la sgradevole sensazione che tu stia cercando di umiliare Roswehn di fronte a me. E mi dispiacerebbe se fosse così, perché ho sempre nutrito grande stima nei tuoi riguardi." disse Thranduil, girandosi a guardarlo. Il neonato si lasció scappare un gorgoglio di disapprovazione, come se il fatto che il padre avesse distolto momentaneamente l'attenzione da lui lo avesse irritato.

"Sì, sono d'accordo con te, figlio mio. Credo che in questo reame ci sarà un guaritore in meno da domani." annunció Thranduil. "Forse troppi secoli sono passati, hai perso la tua arte. Forse domani dovresti sellare il cavallo, e metterti in viaggio verso il Mithlond. Forse è tempo che tu vada a Valinor."

"Ma... mio signore, io ho servito la vostra famiglia con devozione e al meglio delle mie possibilità. Sempre! Ho solo ritenuto giusto portare alla vostra attenzione un dettaglio che forse avrebbe potuto rivelare..." rispose Amon, tremando.

"La mia famiglia? È questa la mia famiglia ora, e Roswehn ne fa parte. Se manchi di rispetto a lei, manchi di rispetto a me." ribattè Thranduil. "Non aggiungerò altro. Ora esci dalla stanza."

Amon rimase fermo per qualche attimo. Incredulo. Una nuova occhiata di Thranduil lo convinse ad andarsene.

"Morath e Nim, siete congedate per il momento. Signora Monrose, voi invece potete rimanere con Roswehn, se credete." disse alle tre donne.

Madre e figlia seguirono Amon in silenzio, e anche Yohlande fece per uscire. "Mamma, dove vai? ...aiutami con il bambino...devo allattarlo adesso, vero?" chiese Roswehn.

"Sì, lascia che si attacchi e faccia da sè. Tuo figlio deve imparare a riconoscerti, inizierà con l'odore della tua pelle. Tienilo fra le braccia adesso. E credo che voi tre dobbiate stare soli. Verró più tardi." rispose Yohlande, raccogliendo i panni sporchi di sangue. "È davvero bellissimo, Roswehn. Sono tanto felice." disse singhiozzando.

Thranduil riportó il piccolo alla madre e lo osservó incuriosito mentre cercava di attaccarsi al seno gonfio di latte. "Si sta nutrendo, così?"

"Sì...ahi! Mi ha morso!" si lamentó la ragazza. Poi rise. "Irruente come il padre."

"Sai che non ha un nome, ancora?" rifletté Thranduil.

"Certo che ce l'ha." rispose Roswehn, appoggiandosi meglio ai cuscini. "Si chiama Haldir ed è affamato."

Thranduil sospiró.

"Non ne voglio più parlare. Ho deciso così, va bene?" disse la donna, guardando il re.

"In fondo è un nome elfico. E sia. Credo di poterlo approvare." le disse Thranduil. Quella donna stava sacrificando la sua breve vita per stare con lui, per dargli un erede all'altezza del ruolo. Permetterle di scegliere il nome era una concessione accettabile.

"Legolas sta arrivando. L'ho fatto chiamare. Sarà felice." disse il re.

Non appena l'ebbe nominato, la porta di legno si aprì in un cigolìo. Entró il principe, il viso illuminato da un dolcissimo sorriso. "Scusate il ritardo, mi ero spinto fino al valico a sud."

"Vieni qui, dai! Ti vuole conoscere!" lo esortó Roswehn. Haldir giró il piccolo viso al suono della voce materna, interrompendo il pasto.

Legolas si avvicinó. Non sapeva cosa dire. Suo fratello. Aveva un fratello. 
"È...è... meraviglioso." mormoró, sedendosi vicino ai due.

"Sai, Legolas, questo piccolino rischia di diventare più bello di te da grande." lo prese in giro Thranduil.

"Hm. Anche di te, padre." rispose Legolas.

"Questo non è possibile." ribattè Thranduil.

"Scusate, nessuna parola per me? Sono quasi morta oggi." sbuffó la ragazza.

Il principe le diede un bacio su una tempia. Un gesto che Roswehn interpretó come il segno definitivo che quel giorno era nata una nuova famiglia. Loro tre, e Legolas. Si sentì come la sua vita, la sua vera vita, fosse iniziata quel giorno.

"Non lodarti troppo. Guarda in che stato si trova questa camera. Due cuscini in seta fatti a pezzi, un costoso talamo semi-distrutto..." osservó Thranduil, girando lo sguardo su quella specie di campo di battaglia che era il letto. "Mia moglie ci mise una manciata di minuti a far nascere Legolas."

"Scusa, puoi ripetere?" esclamó Roswehn. Ma poi vide il sorrisetto del re. Stava prendendo in giro anche lei. La nascita del secondogenito l'aveva riempito di inaspettata goliardia.

La donna abbandonó la testa sul cuscino e sospiró. "Per favore vieni vicino a me, qui, con Legolas e Haldir." gli chiese. Poi si rivolse a padre e figlio. "Vi amo immensamente. Tutti e tre. Ma non staró con voi per sempre, lo sapete. Voi continuerete con la vostra vita immortale, io fra diversi anni andró a Dale, e non torneró più. E mi dovete giurare, adesso, che non mi verrete a cercare. Lo permetteró solo a mio figlio, se vorrà. Non voglio che assistiate all'inverno della mia vita. Sarebbe penoso per me. Promettete." chiese lei.

Thranduil divenne serio. "Roswehn..."

"Ricordi? Ne abbiamo già parlato. È il
mio destino, purtroppo, e sono pronta ad accettarlo. Giurami che non verrai mai a cercarmi." ripetè la ragazza, stringendogli la mano.

Dopo un breve momento in cui l'antico dolore comparve sul suo bel viso, il re annuì. "Va bene."

"E tu, fa' lo stesso." disse rivolta a Legolas.

"Sì. Non capisco fino in fondo questa richiesta, ma se tu vuoi, te lo giuro." confermó anche il principe.

"Bene..." disse la donna, mentre sentiva un nodo alla gola. "...comunque, se ne riparlerà fra molti anni. Per ora sono qui. Cerchiamo di dare valore a ogni giorno, d'accordo?" si giró verso Thranduil. "Basta litigi, Maestà."

Il re le sorrise. "D'accordo. Ora, fammi tenere mio figlio un'altra volta." 
Roswehn gli passó Haldir, che sembrava sazio. Thranduil andó di nuovo verso la finestra, lasciando Roswehn e Legolas a parlarsi.

Guardó il suo secondogenito. "Se per caso dovessi ereditare il carattere insolente di tua madre ti porteró nella foresta. Ti porteró lì e ti lasceró con i ragni." gli sussurró. Haldir tiró fuori la lingua. Un gesto istintivo, la smorfia di un neonato che in quelle prime ore di vita stava imparando a deglutire. 
A Thranduil sembró una linguaccia.

"Hm. Cominciamo bene." mormoró il Re.

FINE 
 

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Grazie a chi ha letto e apprezzato questa storia. Il personaggio di Roswehn, e la sua storia con Thranduil, ricompaiono in “La donna dell’Est.” . 😊

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