We are not done fighting

di JEANPAGET
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***



Clang clang clang.

Cambio di turno delle guardie carcerarie. 6 del mattino. Forse.

Non so bene da quanto sono qui. 6 o 7 mesi forse, ma non ne sono sicuro. Qui la luce non entra. Solo neon, a perforarti gli occhi quando tenti di dormire. A illuminare il resto delle ore di veglia con la ferocia della luce artificiale. Quello sopra lo specchio nella mia cella non mi abbandona mai.
Qui il tempo non si puo’ contare. E qualcosa di fluido. impalpabile. Senza ritmo. Notte. Giorno. Concetti che non esistono in questa prigione di massima sicurezza. Slabside Maximum Security Prison. Ne avevo sentito parlare prima. Prima. Quando ero un uomo libero. Quando ero qualcuno. Di notte il vigilante Green Arrow. Dio giorno Oliver Queen il sindaco di Star City. Adesso non sono piu’ nessuno. Qui dentro sono solo un numero. Detenuto 4587. Uno dei tanti carcerati rinchiusi in questa inespugnabile fortezza.

Sono fermo nella cuccetta. Dopo il cambio dei sorveglianti arrivera’ la colazione. Dovro’ farmi trovare in piedi, gia’ lavato e in ordine, pena una punizione. Qui non si scherza. La minima infrazione viene punita. Non ti trovano in piedi davanti alle sbarre pronto a ricevere il vassoio? Una giornata di punizione in servizio lavanderia. Umidita’ e calore asfissianti, come neanche ai tropici.  odore di detersivi oltre il sopportabile, il peso della biancheria di tutta una prigione da spostare. Ma io sono sopravvissuto a Lian Yu.  Non mi faccio piegare da una lavanderia.

Sono stanco eppure devo sforzarmi di alzarmi. Non ho dormito. Non dormo piu’  piu’ di due-tre ore per notte da parecchio tempo. Mi passo la mano sinistra sugli occhi per schermarli dalla luce violenta dei neon che illuminano questa prigione notte e giorno. E come sempre il pollice sfiora l’anulare. Trovo uno spazio vuoto. Non ho piu’ la fede al dito. Ho dovuto consegnarla quando mi hanno incarcerato, assieme al resto dei miei effetti personali. Non sento piu’ il conforto dell’oro al mio dito. Devo trovare un motivo per alzarmi. Un motivo per guardarmi allo specchio. Ma non lo faccio. Non mi guardo allo specchio. Giusto un’occhiata veloce e mi lavo in fretta la faccia, mi passo il pettine tra i capelli a memoria. Mi sono lasciato cresce la barba, un pizzetto lungo ma curato. Sono stato ieri dal barbiere a darmi una spuntata ai capelli, ma ho tenuto lo sguardo basso, non mi sono guardato allo specchio neanche la’. Sono corti, molto corti. A lei troppo corti non piacciono, mi ritrovo a pensare. Vuole qualcosa fra cui passare le dita. E giuro, a volte, nei lunghi dormiveglia, ho sentito le sue dita leggere con le unghie colorate di azzurro accarezzarmi i capelli. Ma non c’e’ nessuno qui ad accarezzarmi i capelli. E quindi li ho tagliati. Come se potessi tagliare via anche lei.

Felicity… William … mormoro a bassa voce. La mia preghiera mattutina. Vorrei tanto vedervi. Ma le visite sono severamente centellinate e voi siete in custodia protettiva. 6 mesi ho visto solo una persona, Diggle. Il mio buon fratello. Che mi ha fatto il dono piu’ prezioso. La vostra foto. La mia ancora di salvezza. In questa fortezza senza aria, senza finestre esterne il tempo non passa mai. Un bunker. Magari lo fosse. Almeno nel bunker ci troverei te, amore mio. Ti vedo seduta a lavorare ai computer del nostro bunker, le tue dita che cantano sulle tastiere dei PC. Ma la nostra Arrowcave non esiste piu’. Tu sei in un altro luogo, un’altra citta’, con William, probabilmente con nuove identita’. Fino a che Diaz non verra’ sconfitto. Spero che John e gli altri del team si stiano dando da fare. Cosi’ potrete tornare a Star City, un giorno.

Felicity. Penso a te ogni giorno, ogni istante. Quando chiudo gli occhi per tentare di riposare sono tuoi gli occhi che vedo per primi. Il tuo bel volto. Il volto che tanto amo, bagnato di lacrime. Mi sforzo di pensarti sorridente, a quel tuo bellissimo sorriso, di pensare ai tuoi occhi che mi hanno incantato fin dalla prima volta, alla tua coda bionda svolazzante, al profumo dei tuoi capelli, alle tue gambe sotto i vestitini corti e colorati che indossi, al tuo corpo snello e morbido sotto quei vestiti, corpo di cui conosco ogni curva, ogni anfratto, ogni segreto. La tua pelle. Ma no, vedo solo i tuoi occhi. Disperati. Pieni di lacrime. Come l’ultima volta che ti ho visto.

Mi rivedo in quella stanza, il nostro ultimo colloquio prima che mi prelevassero per portarmi qui, inginocchiata davanti a me, dopo che mi hai stretto le mani cosi’ forte da lasciarmi i segni. Il tavolo fra noi, come una protezione. Per me.

Non dovevi farlo da solo

Lo so. Lo so amore mio. Diaz ha cercato di uccidere quelli che mi stanno vicino. Dovevo trovare il modo per salvarvi tutti. E ’ andata cosi’. Questo ti ho detto. Ho dovuto farlo. Ma  non doveva andare cosi. Questo non te l’ho detto. Ti ho chiesto di chiamare William. Non ce la facevo piu’ a vederti piangere. Stavo tentando con tutte le mie forze di trattenere le lacrime, di non piangere assieme a te. Cuore mio.

Ma il peggio e’ stato dopo. Quando ho spiegato tutto a William, con te in fondo alla stanza che piangevi silenziosamente, le tue esili spalle che tremavano sotto al soprabito rosato.

Ho abbracciato mio figlio stretto, cosi stretto che quasi lo stritolavo. Gli ho sussurrato di vegliare su di te e William ha annuito, serio in volto. Anche lui si sforzava di non piangere.

Quando sono riuscito a lasciarlo andare, si e’ girato lentamente e si e’ avvicinato a te. Lo hai fatto uscire e stavi per seguirlo ma ti sei fermata, la mano sulla maniglia senza guardarmi.

Perche’ non me l’hai detto Oliver? perche’ mi ha escluso di nuovo? Perche’ …

Il tono della tua voce. Spezzato. La tristezza. Non erano domande le tue. Erano affermazioni. E mi hai ucciso.  Hai ucciso il mio cuore in un secondo.
Non sono riuscito a parlare. A risponderti. Non sono riuscito ad alzarmi. Non ti ho salutato. Non un abbraccio. non un bacio. Non hai capito che se lo avessi fatto non sarei mai stato capace di lasciarti andare?

E te ne sei andata tu invece. Sei uscita senza guardarmi, lasciando il vuoto, il freddo dietro di te. Tu non lo sai Felicity ma appena si e’ chiusa la porta mi sono arreso. Ho lasciato scorrere le lacrime.  Ho pianto. Pianto amaramente su quello che non poteva piu’ essere cambiato.

Per non essere riuscito a dirti che se ti avessi parlato tu mi avresti convinto a non farlo. Ci sai fare con le parole. Ci sai fare con me. Sei sempre riuscita a farmi ragionare, a toccare le corte piu’ profonde del mio cuore. Mi avresti convinto. E io invece lo dovevo fare. Dovevo salvarvi. Potevo rinunciare alla mia liberta’ non potevo rinunciare a te. Non potevo rinunciare a William.

Dopo che ho parlato alla stampa, prima che mi caricassero sul furgone, mi sono voltato a guardarti un’ ultima volta. Aggrappata a William. Lui mi guardava piangendo. Tu no. Tu fissavi risoluta per terra davanti a te, stringendo il braccio di mio figlio. il volto teso. Non piangevi piu’.

E poi mi hanno portato via. E ho capito che non avevo valutato bene quel che la mia decisione avrebbe comportato. Non ho capito quanto ti avrebbe ferito, fatto male. So che sei forte. Ma e’ stato troppo. Ho capito che ho scavato di nuovo un solco profondo tra di noi. Che avevo infranto quella promessa che e’ la base di un matrimonio: condividere. Esserci l’uno per l’altra, specie nei momenti difficili.  tu sei la persona con il cuore piu’ puro, generoso e compassionevole che conosca. Non dovevo avere la presunzione che tu potessi sopportare di nuovo il fatto che ti avevo escluso di nuovo.

Mi perdonerai amore? 

L’ho fatto per te. L’ho fatto per William. L’ho fatto per il mio team. L’ho fatto per la mia citta’. E sono rimasto da solo.
E il suo silenzio, il loro silenzio mi spaventa. Non ho ricevuto da loro neanche una lettera. Lo so che non dovevo aspettarmi niente, sono in una localita’ protetta e farmi arrivare una lettera sarebbe rischioso. Eppure… questo silenzio mi dice qualcosa. qualcosa che non so se saro’ in grado di accettare, di sopportare.

Il rumore del carrello della colazione mi riscuote dai miei amari pensieri.

Sono pronto, in piedi dietro alle sbarre. L’uniforme a posto. Braccia lungo i fianchi. Il detenuto che ho di fronte mi fissa adirato. Tutti sanno chi ero. E non mi lesinano insulti. Non li ascolto. Non li ascolto piu’. Ho reagito la prima volta durante l’ora d’aria quando hanno definito mia moglie una puttana e mio figlio un bastardo. L’ho pagata con una punizione ma non sono pentito. Ho gia’ dato prova piu’ volte di sapermi difendere. le ferite fisiche non mi spaventano. Ne ho prese e ne ho date. Sono finito in punizione e in infermeria piu’ volte. Ma da qualche settimana nessuno mi sfida piu’. Si limitano a insultarmi dietro alle sbarre. Non mi spaventa. Mi spaventa di piu’ il peso che ho nel cuore.

"Buongiorno carcerato 4587! E’ una bella giornata oggi!" La guardia carceraria mi saluta come al solito prendendomi in giro.

Bella giornata. Non esistono piu’ belle giornate per me. Ma non fiato. Non rispondo.

Poi passa l’addetto alla distribuzione, mi allunga il vassoio della colazione. Faccio per girarmi, tanto il carrello deve proseguire con la distribuzione e non c’e’ altro da vedere. Ma l’addetto mi afferra una manica fermandomi. Mi fa un cenno della testa. Lo guardo. Le sue sopracciglia cespugliose indicano il piatto. Spunta un angolo di carta da sotto il piatto. Annuisco. L’uomo prosegue. Il carrello si muove cigolando sulle ruote.

Mi appiattisco verso il fondo della cella, metto il piatto sul tavolo, vicino al libro che sto leggendo. Il Conte di Montecristo. Dentro al libro il mio tesoro piu’ prezioso, la foto che ho guardato e baciato ieri sera prima di addormentarmi e che ho nascosto lesto stamattina appena alzato. Guardo sotto al piatto. Una lettera. Sopra c’e’ scritto il mio nome.

Ho il cuore in gola. Ho riconosciuto la scrittura di mio figlio.

Apro la busta con mani tremanti.

Ciao Papa’,

come stai? So che la mia domanda puo’ sembrare un po’ stupida, sei in prigione e non in vacanza, ma non sapevo davvero come cominciare. Spero comunque che tu stia bene.
Prima che tu pensi qualsiasi cosa, noi stiamo bene. Non posso dirti dove siamo per ovvie ragioni ma ti assicuro che stiamo bene. la nuova casa e’ bella e confortevole. Ho cominciato ad andare alla nuova scuola e mi trovo bene. C’e’ un fantastico laboratorio di scienze e l’aula di informatica e’ davvero il massimo. Mi ricorda tanto i computer che avevate nel vostro bunker. Felicity ovviamente non e’ d’accordo, dice che come i suoi “bambini” non ce ne sono. E’ lei l’autorita’ in fatto di computer e non mi sogno di contraddirla.

Felicity..

Felicity sta… non so esprimere bene come sta.

Felicity, amore mio… come stai?

Fisicamente sta bene, mi assicuro sempre che mangi abbastanza, sai che come cuoca non e’ un granche’

Un sorriso mi sfiora le labbra. Il pensiero corre a tutte le sue omelettes bruciate.

Ha trovato lavoro, mi segue nei compiti, giochiamo ai video giochi e mi segue pure alle partite di baseball, lei che il baseball lo odia. Mi dice sempre di stare attento, di non fidarmi, mi chiede se sto bene, se sto male, si preoccupa per me. So che mi vuole bene e che posso contare su di lei. Ma e’ triste. Arrabbiata. Abbattuta. No, forse … scusa papa’ ma mi sembra piu’ che altro ..delusa.

Sento Il peso che ho sul cuore da quando sono entrato qui aumentare. Mi sento quasi soffocare. Le parole di mio figlio sono come frecce nel mio cuore. Delusa… si, io l’ho delusa. E non e’ la prima volta.

So che la decisione di consegnarti al l’FBI l’hai presa da solo. Immagino sia per questo che ce l’ha con te.

Si, William. Proprio cosi’. Un ricordo attraversa la mia mente. Quando avevo deciso di mandarti via, per il tuo bene. Anche allora avevo deciso da solo, senza parlarne a lei. Risento le sue parole risuonare nel mio cervello

Matrimonio vuol dire condivisione. Significa poter contare sul tuo compagno quando le situazioni si complicano. E non credo che tu sia capace di farlo.

Se n’era andata. lasciandomi da solo. Con un buco nel cuore talmente grande che nessuno aveva poteva colmarlo. Nessuno se non lei, tornando da me.

Non posso scriverti tante cose, il signor Diggle mi ha raccomandato di essere breve e di non dilungarmi in particolari.

Saggio consiglio, John. Grazie per essere accanto a William.

Felicity mi uccidera’ quando scoprira’ che te l’ho scritto, ma penso che sia giusto che tu lo sappia.
Vedi l’altro foglio dentro a questa lettera. Si spiega da solo.
Devo andare.
So che ti sei sacrificato per noi, perche’ avessimo una vita al di la’ della tua battaglia come vigilante. E anche Felicity lo sa. Quando le passera’ un po’, sono sicuro che ti scrivera’. 
Ti voglio bene papa’.  So che sei con me, sempre. Ma mi manchi tanto.
William

Ma nella busta non c’e’ niente altro. Guardo meglio ma c’e’ solo il foglio che ho in mano. La posta viene controllata prima di essere consegnata ai detenuti. Qualcuno ha preso l’altro foglio dalla lettera. qualcuno mi ha privato di qualcosa che era destinato a me…. devo assolutamente scoprire cosa. Cosa c’e’ sul foglio che mi ha mandato William che Felicity non voleva che sapessi?

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Eccomi qua, con la sorpresa, pronta a lanciarmi in una nuova avventura: scrivere una stagione 6.5-7.A come la vedrei io. Vi va?
Il trailer della stagione che hanno fatto vedere al SDCC 2018 e’ dark, spettacolare e promette bene.  Il mio punto di vista e’ un pochino diverso.
All’inizio pensavo a una one shot a chiusura della raccolta della 6A stagione, ma poi ho ci ho ripensato.
A parte la scena Olicity della 6x23 dove Stephen e Emily come solito sono stati immensi, lo stupido che risponde al nome di Oliver Queen ha di nuovo escluso Felicity dalla sua decisione di consegnarsi anche se per proteggere tutti (il trio coglione poi non se lo meritava neanche).
E io gliela vorrei far pagare un pochettino questa cosa che continua a non capire.  La mia Felicity non sara’ molto felice di… beh, non vi svelo tutto adesso. Spero che questo primo capitolo vi sia piaciuto.
Ci sentiamo a fine agosto. Buone ferie a chi e’ in ferie e buon lavoro a chi deve ancora lavorare.
Un bacio e a presto!

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Sono qui, al lavoro. Al mio nuovo lavoro. Sto pestando sui tasti con tanta di quella forza e rapidita’ che fra un po’ la tastiera del PC fumera’, ne sono quasi sicura.

Il mio sguardo passa da un monitor all’altro, da una videata all’altra con altrettanta velocita’. Non devo perdermi nessun dettaglio. Come ho sempre fatto. Come devo fare. E’ troppo importante .

I miei occhi volano dal monitor di destra a quello di sinistra, da sinistra a destra, di nuovo da destra a sinistra. Processo informazioni e agisco subito. Vedo. Processo. Nessuna esitazione. L’esitazione e’ per i deboli. E nel mondo degli hacker non c’e’ posto per la debolezza. La mia mente e’ iperattiva, ogni cosa deve essere esaminata, considerata da ogni angolo, sezionata come con un laser e incasellata al suo posto. Non sono permessi sbagli. O forse e’ una scusa per far tacere il fragore che sento nel cervello? Quel turbinio di pensieri che che non mi abbandona mai?

Ho finito il programma al cui sto lavorando da tempo,  sta girando adesso. Devo controllarne solo l’esito positivo. Il sistema in cui mi devo infiltrarmi e’ il non plus ultra della modernita’ e della sicurezza. Non devo sbagliare.

E come al solito quando la mia mente non e’ impegnata sul lavoro mi assale la malinconia. La tristezza. Non c’e’ quasi piu’ rabbia in me. C’e’ il vuoto. Il vuoto desolante della delusione.

Avrei dovuto saperlo. Avrei dovuto accorgermene. Tutti quei colloqui a bassa voce a quattro occhi, lontani da me, quel parlottare. John. Dinah. Rene’. A me hai solo detto che ne avremmo riparlato. E io mi sono fidata. Ancora una volta. Nonostante le apparenze. Nonostante il mio sesto senso mi dicesse che c’era qualcosa che non andava. Mi dicevo mi ha promesso niente piu’ bugie. Siamo sposati. Non c’e’ piu’ fare da solo. Essere da solo.  Sei mio marito, l’uomo che amo. Ti conosco. Ti conosco meglio di te stesso. E invece. Invece ho capito solo quando la Watson si e’ presentata in ospedale a prenderti.

Non c’e’ stato tempo per spiegare la cosa a tutti, hai detto. Ma se hai parlato con tutti. Tranne che con me. Tua moglie. La tua partner. La donna a cui hai detto quelle due parole tanto importanti. La donna che ti sei incaponito a voler proteggere, a voler estromettere dalla tua lotta come Green Arrow. Io che sono stata con te fin dal giorno in cui sei strisciato nella mia Mini supplicandomi di aiutarti.

Mi hai messo da parte. Non mi hai detto niente, solo quel To be continued. Come quella frase che mettono nei telefilm alla fine di una stagione quando l’episodio termina sul piu’ bello.

Mi hai escluso. Di nuovo.

Mi fa male solo ricordarlo. Mi sei passato davanti, mi sono alzata cercando di prenderti la mano

“Non c’e stato tempo per spiegare cosa?”  Ti ho chiesto

Ma tu non hai risposto e hai lasciato andare la mano, quasi scansando la mia. Un gesto quasi impercettibile. Sono sicura che gli altri in quel corridoio nemmeno se ne sono accorti. Ma io si, l’ho sentito. Solo allora ho sentito che ti stavo perdendo.

La Watson che dice che tutti noi abbiamo l’immunita’ solo perche tu ti sei consegnato. Tu che respiri a fondo, mi guardi dolente e dici che non c’era altro modo.

Odio quelle parole. Le odio. In quel momento credo di aver odiato anche te. Che diamine, quello non era l’unico modo! Ce n’erano milioni di altri modi. Se solo tu me ne avessi parlato.

Se solo..

Ma no, eccoti ritornato il supereroe da solo, che porta il peso del mondo sulle spalle, schiacciato da tutte le sue responsabilita’ nei confronti della citta’.

Maledetto stupido testone testardo! Ho pensato questo, lo ammetto. Avrei quasi voluto picchiarti, schiaffeggiarti. Dentro di me era montata la rabbia. Ma poi era arrivata Sarah. La notizia della morte di Quentin. Il dolore ci ha assalito all’improvviso. E io sono rimasta quasi inerte. E tutto e’ precipitato.

Mi sono ripresa quel tanto che serviva per chiamare Raisa e far portare la’ William perche’ ti vedesse. Sei suo padre. E volevo affrontarti da solo nella stanzetta in cui aspettavi di essere prelevato.

Sono partita in quarta dicendoti del piano mio e di John per farti evadere dalla prigione ma mi hai subito bloccato. Volevo smuoverti. E invece non ti sei mosso. Mi ha parlato con quel tono basso e rassegnato. Mi rifiutavo di accettare quel che stava succedendo. Quando hai parlato di custodia protettiva sono crollata. Avrei dovuto combattere di piu’ e invece mi sono arresa. Mi sono messa a piangere. E vedevo che stavi crollando pure tu. Ti ho stretto le mani forte. Piu’ forte che potevo per farti sentire che ero li con te. Ma tu Mi hai detto di chiamare William. Hai salutato e spiegato a tuo figlio quel che non hai voluto dire e spiegare a me. Piangevo mentre ascoltavo quello che gli dicevi. Dentro di me solo una domanda Perche’?

Non mi hai baciato. Non mi hai abbracciato. Niente. Allora lo desideravo tanto. Abbracciarti un’ultima volta prima di vederti andare via, sentire la forza delle tue braccia attorno a me, sentirmi amata e al sicuro. Ma forse e’ stato meglio cosi’. Non sono sicura che ti avrei lasciato andare via come sei andato. Ammanettato, tra quelle guardie, scortato dalla Watson che non ti mollava un solo secondo, come se avesse paura che saresti svanito se ti avesse perso di vista.  Rassegnato ma non domo. Fiero e a testa alta. Hai combattuto per questa citta’. Hai detto chi sei. Hai scagionato Roy. E hai chiesto a noi tuoi amici e partner di continuare la lotta per salvare la citta’ da Diaz.

Non ti ho guardato salire sul furgone che ti portava in prigione. Riuscivo solo a  pensare Perche’. Perche’ non me l’hai detto? Perche’ non ha voluto appoggiarti a me? perche’ non ti fidi ancora di me? per te amare significa proteggere e sacrificarti. Perche’ non hai ancora capito che non e’ questo il modo in cui voglio che tu mi ami. Lo capisco e lo posso anche apprezzare, ma non lo condivido. E’ questa la chiave, quel che ho sempre cercato di farti capire. Amare significa condividere.  Io ho condiviso tutto con te. Quando ti ho detto di si, dopo aver tentennato, dopo aver pensato che non volevo di nuovo sfidare il destino che tanto ci aveva fatto soffrire. Ma dopo aver rischiato di perderti ho capito che il nostro amore valeva la pena. E mi sono data a te, per intero. Mi sono impegnata con te. Anche se la mia paura piu’ grande rimaneva : perderti. Tanto tempo fa mi avevi detto che non ti avrei perso mai. E me l’hai ripromesso, che saresti sempre tornato da me. La mia paura e’ diventata realta’. Ti ho perso. Non perche’ sei rinchiuso a vita in una prigione di massima sicurezza. Il nostro amore potrebbe resistere a di peggio. Ma perche’ mi hai allontanata, hai deciso tu per me, hai deciso tu per William, per il team, per la citta’.

Mi hai ferita, di nuovo. Mi hai esclusa, di nuovo. Fa troppo male. Troppo. Siamo divisi non tanto nel corpo e nello spazio, ma ora anche nel cuore.

Adesso, dopo tanti mesi lontana da te, quasi non mi chiedo piu’ perche’ tu ti sia comportato di nuovo in questo modo. Non credo mi interessi neanche piu’ di tanto. O forse me lo dico per autoconvincermi? Ma adesso ho qualcos’altro nella mia vita, un altro impegno, un nuovo progetto. Un impegno al quale ho deciso di dare la massima priorita’. Eppure… so di amarti ancora.  Nel mio cuore ci sei ancora. Il tuo nome risuona ancora nella mia mente, il tuo volto mi appare nei miei sogni agitati. Di notte risento la forza delle tue braccia, la delicatezza delle tue mani, vedo i tuoi occhi azzurri che mi scavano nell’anima a ogni tuo sguardo. Il tuo sorriso. Rivivo situazioni, sogno di stare ancora nelle tue braccia mentre facciamo l’amore, occhi negli occhi, e che mi porti sulle vette piu’ alte dell’estasi. Le nostre discussioni. I nostri colloqui. La tua preoccupazione di crescere bene William. Il bene della citta’. Gli screzi con i vari componenti del team. E io che penso amaramente che ti avevo detto avrai sempre me, non vado da nessuna parte. Quello che se n’e’ andato sei stato tu, immolandoti sull’altare di quel che sembra abnegazione, sacrificio. nonostante tutto non riesco a non pensarti rinchiuso a vita in quella fortezza, lontano da me, dalla tua famiglia, dai tuoi amici. In una cella, privo della liberta’. Una liberta’ di cui tu da solo hai deciso di privarti.

Sai a cosa penso? Penso che quel che tu hai fatto per abnegazione, sacrificio, per proteggerci e’ solo egoismo. Puro egoismo. Hai pensato a cosa voleva dire per me e per William stare lontani da te? Alle conseguenze della tua scelta di consegnarti per me, per tuo figlio, per la mia vita, per la nostra vita? Alle responsabilita’ che hai caricato sulle mie spalle, dando tutto per scontato, tanto io al tuo fianco ci sono e ci sono sempre stata?  Ci hai pensato? E se ci hai pensato, perche’ una citta’ ingrata come Star City e’ piu’ importante per te della tua famiglia? Che fine ha fatto la tua volonta’ di non divulgare la tua identita’ perche’ volevi una vita normale dopo Green Arrow?

Io ho mentito per te. E lo rifarei. Non una, non dieci, ma mille volte. Non mi sono fermata quasi davanti a niente per poter stare con te. Solo tu mi hai allontanato. Per il mio bene dicevi. Fin dall’inizio cercavi di allontanarmi. Ma non potevamo stare lontani. Eri tu ad avere paura dei sentimenti. Di stare con qualcuno a cui potevi tenere veramente. Di quello che c’era tra noi. Ma ci amavamo troppo.

A volte mi sveglio, pensando che e’ stato tutto solo un’incubo, che sei nel letto a fianco a me, che dormi vicino a me. E vorrei solo girarmi ed abbracciarti e sentire che mi stringi e sentirti dire che ti dispiace. E invece mi volto e trovo solo il vuoto dall’altra parte del letto.

Allora mi stringo nella copertina verde, quella che avevamo sul letto a Ivy Town, quella che avevamo nel letto al loft, quella che ho recuperato dal nostro appartamento distrutto dagli sgherri di Diaz. L’unica cosa che ho portato via con me, assieme a poche altre. E che ho messo anche nel letto dove dormo adesso, da sola.  Perche’ era simbolo di noi. Di quel che eravamo. Di quello che ho creduto potessimo sempre essere. Noi. Non piu’ me. Non piu’ te. Noi.

Beh sai che ti dico Oliver Queen? Non e’ vero che non sono piu’ arrabbiata con te. Sono arrabbiata. Sono molto, molto arrabbiata! E vai al diavolo! Ti amo disperatamente, accidenti a te. Non mai amato nessuno come te. E non amero’ mai nessun altro come amo te. Ma vai al diavolo lo stesso!

E non pensare che ti scriva. Lo ha fatto William qualche giorno fa, sicuramente la sua lettera ti fara’ piacere. Ma io non ci riesco. Non e’ per vendetta. E’ che non ce la faccio proprio. Fra un po’ potrai anche ricevere visite. Non ho ancora deciso se e quando ti faro’ visita. Sempre se potro’ farlo. John ci ha detto che stai bene. Ma io non ne ero tanto sicura. Non lo sentivo. E infatti. Comunque non so. Non lo so. Non voglio pensarci. Non adesso. Non dopo quello che e’ successo. Tutto quello che non mi aspettavo.

Finisco questi amari pensieri quando il PC manda il segnale che il programma ha finito di girare. Mi rilasso un attimo sulla sedia, non mi ero accorta di essere cosi tesa.

Sento dei passi che si avvicinano, alzo lo sguardo allarmata. Sono nel bunker segreto ARGUS della localita’ dove ci hanno trasferito dopo che Oliver e’ stato incarcerato. Sono al sicuro ma… sono davvero al sicuro?

Dal buio del corridoio che si apre davanti a me vedo spuntare una figura conosciuta. Una donna. Una donna di cui conosco bene la forza e la personalita’.

“Lyla!!”

“Felicity!”

Che strano sentire il mio nome, il mio vero nome. Da mesi ormai nessuno mi chiama piu’ cosi’.

Mi alzo per farmi incontro a lei, per abbracciarla. Mi stringe tra le braccia con sicurezza, il sorriso sul volto risoluto

“Come stai?”

“Bene, compatibilmente con la situazione. Tu?”

“Sono qui come vedi.”

“John? E JJ?”

“Tutto bene con gli uomini di casa, basta solo non fare discorsi troppo complicati, rischiano di non capire.”

L’ironia di Lyla Michaels Diggle non smette mai di sorprendermi

Sorrido mio malgrado a questa sua uscita.

“E tu, come va l’ometto di casa?”

“Ometto, se continua a crescere cosi presto sara’ alto come suo padre!”

Solo molto piu’ sottile, penso dentro di me. Nessuno e’ come suo padre. Nessuno.

“Si sta adattando alla nuova vita?”

“Si comporta bene, non c’e’ dubbio. Pensavo avrebbe fatto piu’ fatica, gia’ ha perso sua madre un anno fa. Forse e’ per questo, ci e’ gia’ passato. E poi ha gia’ vissuto sotto copertura, un’altra citta’, un altro nome.”

“Beh un conto e’ una madre morta, suo padre non e’ morto.”

“Ed e’ peggio Lyla. E’ peggio.” Mormoro a bassa voce

“So che e’ dura, Felicity.” Commenta con voce comprensiva

“E’ dura non avere speranza, Lyla. Ed e’ stato Oliver a togliercela.”

Non volevo essere cosi acida. Ma e’ la verita’. Lo sguardo di Lyla si incupisce, mi mette una mano sulla spalla

“Meno male che non sono da sola, seguire degli adolescenti e’ impegnativo per una come me che non ha mai fatto la madre prima. Per fortuna c’e’ Raisa che fa da mamma a tutti e tre.”

“Gia’, adesso c’e’ anche Zoe con voi. Mi sembra una ragazzina giudiziosa ma l’ho vista una volta sola.”

“C’e’ di buono che e’ meno impulsiva di suo padre, questo si.”

Rene’ aveva chiesto la custodia protettiva Argus anche per la figlia. Non se la sentiva di lasciarla da sola. Memore di quel che e’ successo a Oliver, non vuole che la figlia rimanga senza nessuno.

E Lyla mi aveva chiesto se potevamo prenderla con noi. Io sarei stata la zia dei due ragazzi, trasferitasi per lavoro, assieme alla loro tata. Questa era la nostra copertura.

Avevo deciso io di essere la zia, non la madre. Non me la sentivo, specialmente con William. Non volevo forzarlo a chiamarmi mamma. Oliver me l’ha affidato, gli voglio bene come se fosse davvero mio figlio, anche se non lo avrei mai creduto prima. Ma io non sono sua madre, cerco di tenerlo sempre bene a mente, anche per non offendere la memoria di Samantha.

“Zia Felicity, anzi Zia Catherine cerca di fare il suo meglio.”

Catherine Richards e’ il mio nuovo nome. William e’ diventato Nicholas e Zoe adesso si chiama Amy.

“Credimi Lyla ci sono giorni...” e mi siedo sulla mia poltroncina girevole, la schiena mi fa male. Mi tolgo gli occhiali, mi passo le mano sugli occhi quasi a volermeli schiarire.

“Lo so Felicity, lo so.”

Giorni in cui sono cosi’ stanca che quasi non riesco ad alzarmi. Gioco distrattamente con gli occhiali che ho in mano. Ho cambiato modello, per la copertura. Non sono piu’ i miei soliti occhiali neri e marrone. Questi hanno una montatura lineare trasparente, quasi invisibile, senza fronzoli, le lenti piu’ grandi e tondeggianti. Non so perche’ me ne accorgo solo adesso.

“Non ti devi strapazzare.”

“Ma questo progetto e’ troppo importante, Lyla. Non posso fermarmi adesso. Non chiedermelo ti prego. Anche se…”

“Anche se?”

“Ho fatto un errore.”

Lyla mi guarda

“Un grosso errore. Un errore che non dovevo fare.”

“Quale errore?”

“Vieni” le faccio segno di sedersi a fianco a me Lyla afferra la poltroncina all’altro desk e si siede vicino a me.

Angolo lentamente uno dei monitors verso Lyla, in modo che possa vedere meglio da dove era seduta. Schiaccio uno dei tasti della tastiera, faccio partire un video

Lyla guarda attentamente il video, le sopracciglia aggrottate. Al termine faccio sparire  le immagini dal monitor. So di avere gli occhi pieni di furia. E di dispiacere

“Capisci cosa ho fatto?”

Lyla rimane in silenzio. Passano alcuni interminabili secondi. Lyla continua a tacere, sembra che la sua mente stia ancora processando quel che ha visto e sentito in quel video.

Mi ripasso le mani sul volto, con un gesto di impotenza abbastanza inusuale in me.

“Ho sbagliato lo so, e sono pronta a pagarne le conseguenze. Vorrei non averlo mai fatto, credimi. Ma non potevo. Non potevo restare con le mani in mano. Pensavo…”

Lyla non commenta

“Non lo so a cosa pensavo. So solo che adesso e’ peggio di prima. Non sapere mi faceva stare male. Ma adesso e’ molto peggio di prima. Molto peggio. Io…” mi porto le mani alla testa, come sconfitta. Adesso ho gli occhi pieni di lacrime. Non ho piu’ pianto da quel giorno. Non me lo posso permettere, visto tutto quello  che c’e’ in ballo. Ma adesso sento che sto per crollare.

Lyla si decide a parlare, infrangendo quel pesante silenzio rotto solo dal mio sproloquio, le mie parole piene di pena

“Pensi possano risalire a te?” pratica, professionale

“No, non credo, penso di essere stata abbastanza veloce da abbandonare prima di essere tracciata.”

Lyla annuisce, l’espressione ancora impenetrabile

“Ma questo non cambia niente. Ti rendi conto, avrei potuto rovinare tutto a causa di questo mio assurdo inpulso? Non avrei dovuto, non avrei dovuto nemmeno provare a…”

“Felicity.” Lyla mi interrompe

Un altro interminabile minuto di silenzio

“Forse non e’ stato un errore.”

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Ciao SIS, buon re-inizio e buona continuazione dopo le ferie di agosto.

Scusate il ritardo. E a presto!

Citazioni:

-          Dove Felicity lavora ai computer : libro Arrow Fatal Legacies M. Guggenheim e J.R. Turck

-          “Sono molto, molto arrabiata” da Lois & Clark le nuove avventure di Superman  quando Lois scopre che Clark e’ Superman

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