It's always you...Martin Freeman

di ChiaFreebatch
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** capitolo uno ***
Capitolo 2: *** Capitolo due ***
Capitolo 3: *** Capitolo tre ***



Capitolo 1
*** capitolo uno ***


 

 

“It’s always you…Martin Freeman”

 

Fanfiction scritta per l’evento “Happy Birthday Martin” Indetto dal gruppo Facebook “Johnlock is the way…And Freebatch of course!”

Eccomi qua, nonostante il mio nickname questa è la mia prima Freebatch. Sin ora ho sempre scritto nel fandom di Sherlock quindi metto le mani avanti ^//^…

Questa storia nasce da una mia personalissima visione del rapporto tra Ben e Martin quindi mi auguro nessuno si offenda in alcun modo, è ambientata nel mese di agosto di quest’anno e presenta riferimenti reali su ambo le parti con i quali la mia fantasia ha giocato ( lasciatemi nel mio mondo di unicorni e arcobaleni, mi ci nascondo per sfuggire alla realtà)

Spero possa piacervi, un abbraccio

Chia.

 

Finale: Happy ending.

Tag: #angst pregresso #BenAttapirato #MatrimonioFinito #FreebatchIsReal #MartinSempreFigo

 

 

CAPITOLO UNO

 

L’estate londinese si rivelò essere una delle più calde degli ultimi anni, la colonnina del mercurio toccò i trentacinque gradi ed ogni inglese che si rispetti provò un moto di sconforto nell’osservarla.

Martin Freeman sospirò pesantemente passandosi una mano sulla nuca.

I capelli serici un poco inumiditi.

Storse le labbra innervosito gettando uno sguardo irritato al climatizzatore fuori uso.

Era reduce da una chiamata piuttosto stizzita con il tecnico che lo aveva gentilmente liquidato con un -Le faccio sapere il prima possibile-

Si mise le mani sui fianchi gonfiando nuovamente le guance.

Le iridi blu corsero alla tv senza volume.

Le immagini scorrevano pigre quasi vittime del caldo a loro volta.

Un insulso programma pomeridiano faceva mostra di sé.

Gossip, per lo più.

Arricciò il naso infastidito e recuperò il telecomando posato sul basso tavolino, con il chiaro intento di porre fine a quella sequela di idiozie.

Chinò il capo.

Il ciuffo biondo scivolò sulla fronte accaldata.

Il pollice sinistro sfiorò il tasto rosso.

Gli occhi corsero nuovamente allo schermo, il braccio teso.

“Ma cosa…”

Martin sussultò un poco.

Serrò i denti con forza.

Il suo cuore vacillò e quella debolezza ebbe il potere di irritarlo profondamente.

Benedict Cumberbatch sorrideva ad una telecamera di fortuna.

Web cam avrebbe azzardato.

Sorrideva seduto sul letto.

Le gambe incrociate.

La t-shirt grigia.

Quella t-shirt, già, una di quelle stupide magliette che tanto piacevano a Ben e che lui non aveva mai sopportato.

Troppo dozzinali, non gli rendevano giustizia.

Martin si passò la lingua sulle labbra.

Retrocedette di un passo e si sedette sul divano.

Non ebbe il coraggio  di alzare il volume.

Restò ad osservarlo nel silenzio del proprio appartamento.

Batté le palpebre, il respiro un poco veloce.

Posò i gomiti sulle ginocchia intrecciando le dita sottili.

Ben parlava, parlava e sorrideva in quella che riconobbe essere la sua stanza.

La stanza da letto non della casa in cui tecnicamente abitava con Sophie.

No.

La sua casa da scapolo.

Si morse un labbro.

Indugiò sulla testa rasata.

Si ritrovò a sorridere scuotendo appena il capo.

Quel look lo faceva sembrare un pulcino bagnato, un ragazzino.

Lo trovò bello come sempre.

Chiuse un istante gli occhi ed inspirò a fondo.

Il ricordo delle proprie dita serrate ai suoi ricci sulla nuca.

Cristo quanto gli piaceva stringerli con forza!

Si passò nervosamente le mani sul viso e rammentò a se stesso che le mani tra quei capelli non erano più le sue ma quelle di Sophie.

Sophie la stronza.

Imprecò scattando in piedi. Volse le spalle alla tv e si impose calma.

A poco servì.

Quell’immagine dolorosa non voleva abbandonare il suo cervello.

Le piccole mani sottili di quell’arrampicatrice sociale infilate tra i capelli soffici di Ben.

Quegli artigli insopportabili che ora sfioravano quella bella testa rasata.

“Cristo” Imprecò fissando la libreria.

Inspirò a fondo una, due, tre volte.

Si volse appena, sbirciando oltre la propria spalla.

Ben sullo schermò gesticolò , le labbra piene piegate in un mezzo sorriso.

Martin inarcò un sopracciglio appellandosi ad una labile consolazione.

Era cosa certa che quei due facessero poco, pochissimo sesso e quelle dannate mani forse non avevano ancora avuto modo di sfiorare il capo fresco di rasatura.

Freeman si passò nervosamente la lingua sulle labbra.

Era poi definibile consolazione quella?

Spense la tv al primo accenno di immagini di repertorio.

La coppia definita perfetta sfilava su svariati red carpet.

Perfetta.

L’ennesima imprecazione sibilò oltre le labbra sottili.

Gettò il telecomando di malagrazia sul tavolino e raggiunse la camera.

Un moto di nausea lo colse e dovette serrare con forza il palmo della mano sulla bocca.

Si sedette sul letto con il viso sorridente dell’altro ancora dinnanzi agli occhi.

Sorridente.

No.

Non era il termine esatto.

O meglio, lo era in termini tecnici, ma personalmente era perfettamente in grado di distinguere un vero sorriso di Ben da uno fasullo.

Fittizio.

Attoriale.

Ecco, quello che leggeva sul volto dell’altro negli ultimi anni era solo la mera caricatura dell’originale.

L’originale che si era preso il lusso di vedere personalmente.

Dentro e fuori dal set.

Dentro e fuori dal letto.

Prima.

Prima dell’arrivo di Sophie e di tutta quella sottospecie di matrimonio nel quale si era imbarcato.

“Merda…”Sospirò sfiorando il comodino.

Le dita scivolarono sul pomello del cassetto, lo afferrò.

Le nocche di indice e medio tirarono con lentezza.

Si sporse guardando il portachiavi ben visibile all’interno.

Un dannato pinguino peluche.

Lo afferrò titubante.

Un paio di chiavi ciondolarono.

Il suono metallico dell’una contro l’altra.

Gli occhi neri del pinguino lo fissavano.

Il becco un poco rovinato.

Martin lo portò ad un palmo dal viso osservandolo con sguardo serio.

Nella propria mente il flash di quella fredda giornata invernale seduti sulla sabbia di Pond’s beach.

Il vento leggero muoveva il ciuffo corvino di quello che per tutti, al momento, era Sherlock Holmes.

Gli occhi acquamarina fissi sull’orizzonte.

Avevano fatto l’amore non più di un’ora prima, nel piccolo cottage a Frensham.

Il loro cottage, quello poco lontano dalla spiaggia.

Quello affittato con la massima discrezione.

Discrezione profumatamente pagata.

Ricordò di averlo fissato con sguardo ai limiti dell’adorazione per svariati istanti.

Poi Ben si era voltato e gli aveva sorriso.

Sorriso per davvero, ed era arrossito sugli zigomi in maniera deliziosa.

Silenzioso si era infilato una mano in tasca ed aveva estratto il portachiavi nuovo di zecca.

Il piccolo pinguino era scivolato davanti al suo viso.

Rammentò di avere riso e di averlo fugacemente baciato.

Le chiavi del cottage erano subito finite al gancio metallico.

Si riebbe dai ricordi e con un gesto brusco richiuse il cassetto scattando in piedi.

“Ok Martin, ok…” Borbottò.

Spalancò l’armadio ed afferrò un piccolo trolley.

Vi ripose con scarsa cura il necessario ed in una dozzina di minuti si chiuse la porta di casa alle spalle.

Era sciocco.

Infantile forse.

Ma aveva bisogno di ritornare a Frensham.

Voleva respirare l’aria del mare.

L’aria dei ricordi seppur dolorosi.

Non aveva mai smesso di pagare l’affitto del cottage.

Nonostante si fossero separati, nonostante quasi non si rivolgessero più la parola.

Non aveva mai avuto il coraggio di liberarsi di quella casetta tra gli alberi.

Era l’unico appiglio, l’unico al quale poteva aggrapparsi sentendosi un dannato idiota sentimentale.

Sbuffò con forza infilandosi nell’utilitaria anonima che aveva da poco acquistato.

Detestava guidare, ma per necessità di copione aveva  dovuto prendere quella maledetta patente e nonostante faticasse ad ammetterlo la cosa si era rivelata piuttosto utile.

Si infilò nel traffico di Londra.

Una settantina di km lo separavano dal paesino nel Surrey.

Piccolo, discreto, quasi confinante con il proprio d’origine, Aldershot.

Pigiò il tasto d’accensione dell’autoradio.

Soul time di Shirley Ellis riempì l’abitacolo.

Martin inspirò a fondo.

Un piccolo sorriso sulle labbra.

…………..

Benedict Cumberbatch chiuse con lentezza la porta dell’imponente frigorifero in stile americano.

Un kiwi ed una mela nella mano sinistra.

Prese posto a tavola posando la frutta sulla tovaglietta plastificata.

L’immagine della Union Jack spiccava sotto la propria tazza di porridge.

Vi aggiunse un cucchiaino di miele e con delicatezza prese a rimestare.

Gli occhi limpidi fissarono i fiocchi d’avena senza in realtà vederli.

Intinse il cucchiaio in quella pappa ricca di fibre e proteine portandosela poi alle labbra.

Il trillo del cellulare lo fece sussultare.

Sbuffò posando il cucchiaio ancora intatto nella ciotola.

Inarcò un sopracciglio ed afferrò il telefono curioso di sapere chi potesse essere così molesto alle sette del mattino.

Serrò un’imprecazione tra le belle labbra piene.

Sophie.

Ovviamente.

Inspirò con forza prima di rispondere.

-Dimmi-

-Buongiorno anche a te Ben-

-Sono le sette del mattino- Replicò sfiorando con l’indice la buccia del kiwi –Sai quanto io mal sopporti le telefonate a quest’ora-

-Non me lo ricordavo- Storse le labbra in un mezzo sorriso ironico.

-Cosa vuoi?- Sospirò.

-Solo ricordarti che lunedì abbiamo appuntamento dall’avvocato alle dieci del mattino, vedi di essere puntuale-

-Punto primo, non potrei scordarmelo nemmeno se finissi sotto un autobus e punto secondo, oggi è sabato, non vedo la necessità di interrompere la mia colazione per rammentarmi una cosa così scontata e che  accadrà tra due giorni-

-Colazione, la tua pappetta immagino- Accavallò le gambe seduta sul proprio divano.

-Non ricominciare con le tue inutili chiacchiere sulla mia dieta per cortesia-

Ben si mise il telefono tra spalla ed orecchio iniziando a sbucciare la mela golden.

-A proposito di inutili chiacchiere…- Ridacchiò.

Cumberbatch inarcò un sopracciglio affettando con decisione il frutto.

-Gesù Sophie! Non sono in vena di fare conversazione con nessuno, men che meno con te- Tagliò corto.

-Nemmeno se ti dicessi che il tuo amichetto si è trovato la fidanzata?- Attaccò cattiva.

Il silenzio giunse in risposta interrotto unicamente dal chiaro suono di una posata caduta a terra.

La donna sorrise.

Gelida.

-Benny ci sei?- Cinguettò.

-Non chiamarmi così- La voce profonda vibrò sino all’orecchio di lei.

-Non dici niente?-

-Dico che non mi interessa, non sono affari miei- Si chinò a raccogliere il coltello da terra per poi gettarlo nel lavandino con un gesto brusco.

-Ho saputo che il fratellino ed il figlio la seguono su Instagram- Seguitò come se il marito non avesse nemmeno replicato –Mettono cuoricini alle foto del tuo amichetto-

-Sophie, dacci un taglio- Ringhiò.

-E dire che non sembrerebbe il suo tipo…Asiatica… Jeannie Jo se non ricordo male…- Si finse meditabonda.

-Smettila- Il palmo picchiò deciso sul tavolo.

Il cucchiaino in bilico sulla ciotola del porridge vacillò per poi scivolare sulla tovaglietta.

-Come siamo aggressivi- Ghignò – Perchè ti scaldi tanto? Volevo solo avvisarti…- 

-Sai che c’è? Vattene al diavolo- Riattaccò gettando con stizza il telefono sul ripiano della cucina.

Inspirò a fondo, le mani sulle tempie.

Prese a camminare rapidamente in maniera totalmente sconclusionata tra cucina e soggiorno.

La colazione abbandonata.

Fermò il proprio incedere dopo un paio di minuti.

Indice e medio tamburellarono sulle labbra.

Le iridi velate fisse sul cellulare.

Meditò alcuni istanti prima di afferrarlo ed aprire il proprio profilo instagram fasullo.

L’indice tremò un poco nel digitare il nome di lei nella barra delle ricerche.

Si vergognò di quella debolezza.

Si sedette sul divano.

I piedi nudi ben piantati a terra.

Pochi secondi.

Eccola li.

Non che fosse questa grande novità.

Erano amici lei e Martin, si sapeva.

Più che amici dedusse, conoscendo Freeman.

Si morse il labbro inferiore ripetutamente, gli occhi limpidi scivolavano lesti alla ricerca di una qualsiasi foto compromettente.

Uno scatto che avesse permesso al mondo esterno di fare deduzioni più o meno azzardate.

Non trovò nulla di così tanto doloroso, nessuna foto di coppia.

Non che fosse nello stile di Martin in effetti.

Gonfiò le guance con forza.

Espirò lentamente.

Il cuore batteva, batteva sin troppo velocemente.

Le pupille piantate su quella foto che ritraeva il biondino di spalle.

Manhattan Beach di sfondo.

Si chiese scioccamente così ci facesse Martin sotto il sole californiano.

Lui, che mal sopportava persino il tiepido sole londinese.

Lui, con quella pelle così pallida che si scottava anche sotto ad un ombrellone.

I like di Jamie e Joe spiccavano peggio di un’insegna luminosa.

Posò il telefono sul basso tavolino.

Chiuse gli occhi lasciando scivolare i grandi palmi sul proprio viso.

“Cristo Ben respira…” Mormorò a se stesso.

Posò la nuca sulla spalliera e cercò di regolarizzare il proprio cuore.

“Non adesso” Pigolò “ Non adesso che ho quelle dannate carte del divorzio pronte da firmare”

Scivolò su un fianco.

Le ginocchia al petto.

Nella mente il flash di se stesso nei panni di Sherlock.

Raggomitolato sul divano nella fittizia Baker Street con il suo Martin/John che gli punzecchiava i fianchi mandando a monte le riprese in corso.

Sorrise al ricordo ed inspirò nuovamente.

Scostò un poco il capo gettando uno sguardo al vasetto di ansiolitici posato sul mobile.

Si morse con forza il labbro inferiore, era seriamente tentato dal cedere dinnanzi a quelle pillole che seppur totalmente naturali gli stavano creando dipendenza.

Il telefono riprese a squillare distogliendolo dalle proprie tentazioni rilassanti.

Ben imprecò posando di malagrazia i piedi a terra.

Il nome della sua quasi ex moglie lampeggiavano nuovamente sullo schermo.

Levò gli occhi al cielo e si trattenne dall’urlare.

Troppo presto.

Troppi vicini impiccioni.

Afferrò l’Iphone e con decisione lo spense.

Tornò in cucina gettando il porridge nell’immondizia insieme ai residui di frutta quasi intatta.

Lo stomaco chiuso in una morsa.

Raggiunse la propria stanza da letto e si fissò allo specchio.

Era pallido, troppo.

Magro, troppo.

Si passò nervosamente le mani sul viso.

Sulla testa rasata.

Notò nuove piccole rughe attorno agli occhi.

Si morse la lingua posando i palmi sullo specchio.

Fissò le proprie pupille sino ad avvertire un senso di vertigine.

Annaspò un poco in cerca d’aria.

Si sentì uno stupido.

Uno stupido idiota sentimentale, legato ad un passato che non gli apparteneva più.

Un codardo che aveva gettato al vento l’unico vero amore della propria vita, nascondendosi dietro a quell’odioso personaggio costruito a tavolino.

Quel marito perfetto.

Il gentelman inglese per eccellenza.

“Coglione” Si additò voltando poi le spalle al proprio riflesso “Coglione….” Sussurrò nuovamente fissandosi la punta dei piedi.

Arricciò le dita sulla moquette blu scuro.

Inspirò ed espirò.

Spalancò le ante del grande mobile bianco.

Si accucciò a terra rovistando alla ricerca di una scatola ben nascosta nella parte bassa.

Si sedette incrociando le gambe.

Ne sfiorò la superfice metallica.

Sollevò il coperchio posandolo con cura accanto a sé e sorrise.

Sorrise sebbene avesse il cuore stretto in una morsa.

Decine di scatti fatti da una polaroid residuo degli anni 70.

Uno di quei cimeli che tanto piacevano a Martin e che personalmente poco capiva.

Si morse il labbro, gli occhi corsero a quegli scatti inediti.

Personali.

Le iridi lucide.

Ogni singola foto raffigurava loro nelle vesti di coppia quale erano stati.

Coppia non dichiarata.

Coppia spesso sospettata, sottointesa.

Scatti fatti nel letto tra le lenzuola sfatte.

In cucina, nel salottino.

Persino in vasca.

Momenti idilliaci di un passato che forse non sarebbe mai tornato.

Il cottage palcoscenico costante di quei momenti di vita felice.

Ben sfiorò con l’indice il volto sorridente di Martin.

Rammentò il momento esatto in cui lo aveva fotografato.

Era una calda mattina di maggio, si erano presi un week-end di riposo tra le riprese di Sherlock ed erano fuggiti da Londra.

I telefoni spenti, irreperibili entrambi per quarant’otto ore.

Martin se ne stava in piedi, l’asciugamano legato in vita, una mano tra i corti capelli biondi.

Più corti e più biondi di quanto non fossero ora.

Cumberbatch sorrise ricordando perfettamente il bacio che si erano scambiati dopo quello scatto.

La pelle ancora un poco umida e profumata dopo la doccia.

Serrò con forza i denti e richiuse la scatola.

La nascose con cura e decise di prendersi quella giornata per sé.

Per rivivere i propri ricordi.

Masochista si disse.

Ma poco importava.

Aveva bisogno di tornare a Frensham.

Voleva passeggiare sul lungo mare di Pond’s Beach e raggiungere il cottage ben nascosto nel piccolo bosco.

Annuì.

Le mani sui fianchi, lo sguardo deciso.

“Coraggio Ben…”

Il piccolo bosco sul limitare della spiaggia di Pond era piuttosto fitto ma ben curato. A tutti gli effetti si sarebbe più potuto definire un parco per quanto la contea del Surrey se ne prendeva cura.

All’interno del presunto bosco, erano stati costruiti dei piccoli cottage in un’area riservata e ben distanti gli uni dagli altri.

Casette utili a chi cercava pace e discrezione beandosi del profumo del mare e della foresta.

Benedict parcheggiò la propria auto in una zona poco distante dalla spiaggia.

In lontananza potè scorgere i bagnanti.

Si spinse con l’indice gli occhiali da sole sulla punta del naso e si calcò meglio il cappello sul capo.

A passo lesto raggiunse il vialetto che si insinuava nel folto della vegetazione.

Inspirò a fondo l’aria salmastra.

Espirò sorridendo alla pace di quei luoghi ben noti e che non frequentava ormai da tre anni.

Le mani infilate nelle tasche dei jeans scuri.

Un refolo di vento mosse i lembi della camicia azzurra.

Si volse verso destra e scorse in lontananza il primo dei cottage.

Accelerò il passo.

I piccoli sassi e la terra asciutta sotto le suole delle converse blu.

Si godette appieno quella passeggiata , quei minuti trascorsi pigri circondato dalla natura.

La luce del sole si infilava tra gli alberi scivolando sulla sua pelle pallida.

D’un tratto il sentiero si fece un poco impervio.

Rammentò quella salita sdrucciolevole ed il capitombolo buffo di cui fu vittima Martin anni prima.

Scosse il capo divertito e nostalgico.

Quello era l’esatto punto in cui il piccolo bivio lo avrebbe condotto alla loro ex casetta.

Gli occhi schermati dalle lenti scure la scorsero in lontananza.

Era identica ad allora.

Rivestita in legno scuro, nascosta all’ombra dei larici.

Osservò la porta a vetri che conduceva al piccolo patio.

La vernice bianca immacolata che tingeva gli stipiti.

Avanzò lentamente.

I suoni del bosco parvero scomparire.

Raggiunse i tre gradini a salire.

Si morse la lingua sollevando il naso all’insù e notando quanto fosse perfetta.

I vasi di fiori sul piccolo davanzale.

Sospirò.

Era dunque nuovamente affittata.

Si chiese cosa avessero potuto pensare i proprietari nel vederlo osservare con tanta dedizione la loro casa.

Fece spallucce ed ebbe il coraggio di sedersi sul secondo gradino ligneo.

Le spalle alla porta di casa, i gomiti sulle ginocchia.

Le iridi limpide levate verso il cielo.

Martin Freeman asciugò distrattamente le stoviglie appena lavate.

Il pranzo appena consumato lo aveva saziato ma meditò di recuperare un dolcetto dalla piccola dispensa.

Necessitava di zuccheri e la cosa lo fece sorridere.

Il dolcino di fine pasto, nemmeno fosse un bambino.

Ripiegò lo strofinaccio e prese a rovistare nell’armadietto.

Aveva raggiunto Frensham da un paio di giorni ed era intenzionato a restarvi per tutta la settimana.

Prima di lasciare Londra aveva fatto una capatina da Tesco per provvedere alla spesa. Lungi da sé l’idea di intrufolarsi nel piccolo emporio del paese. Di tutto necessitava tranne che di rendere partecipi i locali della propria presenza.

Afferrò un muffin al mirtillo e prese a scartarlo con il chiaro intento di gustarselo sul patio.

La posizione del cottage lo collocava in zona d’ombra a quell’ora e Martin pregustò l’idea della frescura comodamente seduto sulla vecchia sdraio in vimini.

Si avvicinò alla porta finestra scostando la tendina e gettando un’occhiata all’esterno augurandosi di non vedere anima viva.

Un’anima c’era.

Ed era decisamente viva.

Viva e seduta sui suoi gradini.

Freeman sussultò.

Il suo cuore mancò un battito ed il muffin quasi ruzzolò a terra.

Inspirò ed espirò con forza svariate volte e batté le palpebre ripetutamente.

Avrebbe riconosciuto quella schiena tra mille.

La camicia azzurra tesa sulle spalle ampie.

La coppola.

Quella bianca.

Quella che gli aveva letteralmente rubato dall’armadio quattro o cinque anni prima e si era sempre rifiutato di restituirgli.

Martin si passò nervosamente la lingua sulle labbra e rammentò a se stesso di essere in vantaggio.

Ben era voltato, non lo aveva ancora visto.

Anzi, per quello che poteva dedurre il suo ex compagno, quella casa avrebbe potuto tranquillamente avere un altro affittuario.

Si morse la lingua ed indugiò sul profilo dell’altro che in quel mentre pareva fissare il corrimano.

Retrocedette di un passo nascondendosi oltre la tenda.

Cosa diavolo ci faceva lì Ben?

Imprecò. Il suo stupido cuore non voleva saperne di darsi una calmata.

Cosa avrebbe dovuto fare? Fingere ed attendere una mossa dell’ex o prendere la situazione di petto ed uscire allo scoperto?

Sbuffò.

Non era mai stato un codardo e non avrebbe iniziato in quella calda giornata estiva.

No.

Non lo incontrava da quelli che gli parevano secoli e sebbene sarebbe stato doloroso non si sarebbe lasciato fuggire l’occasione di rivedere quegli occhi splendidi a pochi passi dai propri.

Prese un profondo respiro ed abbassò la maniglia della porta finestra.

Nella quiete del bosco il rumore non sfuggì alle orecchie di Cumberbatch.

Voltò appena il capo senza abbandonare la propria postura seduta.

Martin adocchiò il lungo collo pallido torcersi appena.

Il profilo perfetto all’insù.

Ben sussultò in maniera scomposta, quasi scivolò dal gradino nello scattare in piedi.

Una mano corse al corrimano serrandolo con forza.

Il cuore prese a battergli furiosamente nel petto, il respiro corto.

Martin lo stava fissando.

Scalzo, con i pantaloni della tuta ed una t-shirt bianca.

Lo fissava con un dolcetto in mano ed il sopracciglio inarcato.

Era bello.

Lo era sempre stato, ma quella maledetta barba ed il ciuffo che sfoggiava negli ultimi mesi lo rendevano ancor più attraente.

Ben cercò di rammentare a se stesso come si facesse a respirare.

Aprì le labbra ed incamerò una dose generosa di aria.

Freeman uscì dal salottino.

I piedi sul pavimento ligneo.

“Ben” La voce uscì limpida.

Non una sbavatura.

Ben.

Tre semplici lettere.

Il suo maledetto diminutivo.

Tre piccole lettere pronunciate da Martin bastarono al suo stupido cuore per fare l’ennesima e quantomeno inutile capriola.

Cristo Benedict datti una calmata.

“Ben” Ripetè l’altro non vedendo cenno di movimento alcuno.

Cumberbatch deglutì sonoramente ed invitò se stesso a reagire così da evitare una figuraccia in perfetto stile teenager.

Uomo, quarantadue anni rammentò.

Dignità.

“Ciao Martin” Risalì i due gradini ponendosi allo stesso livello dell’altro “Sei…Sei qui” Sussurrò levandosi gli occhiali.

Freeman vacillò alla vista di quegli occhi felini che da sempre considerava i più belli su cui mai avesse avuto la fortuna di posare lo sguardo.

“Anche tu” Rispose e le sue labbra si piegarono in un piccolo sorriso.

“Già…” Annuì sorridendo a sua volta.

Quel sorriso debole, carico di rassegnazione.

Il silenzio calò tra i due uomini.

Lo sciabordio delle onde non molto distanti giunse sino a loro.

I suoni del bosco scivolarono delicati.

“Vuoi entrare?” Martin tentennò passandosi la lingua sulle labbra.

Ben spalancò un poco gli occhi ed annuì grattandosi la nuca con nervosismo mal celato.

Freeman gli dette le spalle e tornò sui propri passi inspirando a fondo.

Gli occhi blu indugiarono sulla porta della cucina senza in realtà vederla.

Pochi secondi per decidere come agire.

Pochissimi per capire cosa fare.

Perché se avesse aspettato l’iniziativa di Ben… Beh, sicuramente il sole avrebbe avuto il tempo di tramontare.

La lingua scattò nuovamente alle labbra.

Si voltò.

Cumberbatch se ne stava al centro del salottino.

La porta finestra diligentemente chiusa.

Aveva appeso gli occhiali alla camicia e con le mani in tasca si guardava attorno.

Gli parve un ragazzino timido ed impacciato ma… Cristo era una delle cose che aveva sempre amato di lui!

Si schiarì la voce e l’altro sussultò.

Si accorse il quel momento di avere ancora in mano il muffin. Storse le labbra in un mezzo sorriso posandolo sul tavolo in noce.

Infilò una mano in tasca e con l’altra additò il capo di Benedict.

“Quella è mia”

L’altro sorrise levando entrambe le mani e sfiorandosi il cappello.

Gli occhi all’insù per un istante.

“Sì, beh.. E’ sempre stata meglio a te che a me ma… In questo periodo è stata l’unica soluzione con quel taglio pessimo di scena…” Si grattò nuovamente la nuca “In questi giorni però sono finalmente riuscito a tagliarli”

Martin inclinò il capo ed assottigliò lo sguardo.

“Sì, l’ho visto in tv” Annuì avanzando di un passo.

Ben serrò un poco le labbra in un cenno d’assenso ed indugiò spostandosi ritmicamente su punte e talloni.

“Dai siediti faccio un tè” Indicò con gesti e tono spiccio il divano.

“Grazie”

“O vuoi una bibita? Ho poco in realtà”

“No il tè andrà benissimo” Si sfiorò la punta del naso sedendosi.

Martin annuì senza sorridere.

Le dita intrecciate scivolarono le une sulle altre producendo un suono secco.

Cumberbatch rabbrividì e distolse lo sguardo.

Il biondino si allontanò dileguandosi in cucina.

Pose entrambi i palmi sul piccolo tavolino e chiuse gli occhi inspirando a fondo.

Era difficile, difficile guardarlo negli occhi.

Difficile e pericoloso, per se stesso, per il proprio cuore malandato.

Era sul serio Benedict quello seduto in salotto?

Lui, con quel suo sorriso preoccupato e gli occhi velati di timore?

O era forse frutto di un sogno all’ombra dei larici?

Sbirciò oltre la porta.

Era lì. Reale.

Seduto in poltrona.

Il cappello serrato tra le dita.

Lo stropicciava con nervosismo.

Martin si morse il labbro inferiore osservandolo e confermò la propria sensazione avuta un paio di giorni prima vedendolo in tv.

Quel look lo faceva sembrare tanto più piccolo ed innocente.

“Merda” Imprecò voltandosi e decidendosi a riempire il bollitore “Merdissima”

Recuperò due mug tra la mezza dozzina presente sullo scaffale.

Si accorse dopo averle posate su un vassoio quali effettivamente avesse preso inconsciamente .

Due tazze nere con inciso i nomi di Sherlock e John.

Due tazze regalo scherzoso di Mark al ciack di fine serie.

La terza serie.

Quella del matrimonio.

Martin scosse con forza il capo serrando con forza la tazza con il nome di Sherlock vergato in bianco.

Le dita tremarono.

Rammentò l’istinto di volerle scaraventare a terra il giorno in cui seppe del matrimonio dell’altro.

Rammentò anche di non averlo fatto per puro spirito masochistico.

Per mera illusione romantica e ridicola.

John e Sherlock, almeno nel suo scaffale, stavano insieme.

Martin smettila di fare il coglione!

Imprecò nuovamente e le rimise a posto afferrando di malagrazia due tazze neutre.

Chiuse lo sportello con sin troppa forza.

Tanta che Ben sussultò sulla poltrona.

Il bollitore fischiò.

“Forza Martin” Sussurrò posando un barattolo di biscotti sul vassoio “ Forza”.

Un silenzio irreale avvolse il piccolo salotto del cottage.

Il tintinnare del cucchiaino con cui Benedict rimestava il proprio tè, era l’unico suono percepibile.

Gli occhi limpidi dell’attore fissi sul liquido ambrato.

Quelli blu dell’altro, studiavano la figura di Cumberbatch in tutta la sua interezza.

Martin sedeva sul divano.

I piedi ben piantati a terra.

I gomiti sulle ginocchia e la tazza serrata tra le mani.

Si passò nervosamente la lingua sulle labbra sospirando con forza.

Ben sollevò il capo con un movimento lesto.

Le sue iridi intercettarono quelle più scure.

Si portò la tazza alle labbra soffiandovi sopra.

Freeman, le sopracciglia bionde corrugate, decise di prendere parola.

“Deve durare ancora molto questo gioco del silenzio?”

Ben inspirò a fondo prima di sorseggiare una piccola dose di earley grey.

Deglutì con forza.

A fatica.

“Tu che ne dici?” Replicò.

“Perché sei qui?” Domandò posando con scarsa delicatezza la tazza sul tavolino.

“Anche tu sei qui” Storse le labbra in un mezzo sorriso imbarazzato.

“Questa è casa mia” Rispose aspro allargando le braccia.

Cumberbatch serrò le labbra in una linea triste “Pensavo non ci venissi più”

“Bè pensavi male” Si alzò in piedi con uno scatto nervoso.

L’altro sussultò sollevando un poco il viso per non perdere il contatto visivo.

Martin gli dette le spalle.

Le mani sui fianchi prese a camminare innanzi ed indietro.

“Martin…” Attaccò , con quella sua voce così profonda.

Quel tono grave vibrò sotto la pelle dell’altro.

“Perché sei qui!” Lo interruppe bloccando quell’incedere confusionario.

Ben serrò con forza la tazza nella mano sinistra.

La destra corse alla nuca in un gesto consolidato.

Le dita corsero alla ricerca dei ricci che era solito stropicciare nervosamente.

Non li trovò.

Il palmo risalì nervoso al capo rasato.

“Perché avevo bisogno di…”

“Di?” Lo incalzò accompagnando il tono spiccio ad un gesto della mano.

“Di ritrovare un po’ di pace” Sussurrò distogliendo lo sguardo e posando a sua volta la tazza.

Freeman spalancò un poco i grandi occhi espressivi.

Inspirò ed espirò con decisione.

“Pace” Replicò sprezzante.

“E’ sempre stata la nostra oasi di pace questa” Si sfiorò la punta del naso con l’indice guardandosi intorno.

“Lo era, lo era prima che tu…” Lo additò avanzando di un passo.

Ben levò i propri occhi felini verso il viso di Martin.

Ne percepì l’espressione severa.

I denti serrati.

Il collo teso.

“Avanti dillo” Inarcò un sopracciglio facendo spallucce rassegnato alla piega che avrebbe preso quella discussione.

“Prima che tu mandassi tutto a puttane” Sibilò.

 “Martin…” Attaccò con un sospiro

“O vaffanculo Ben! Non utilizzare quel tono con me… Non osare” Ringhiò.

“Quale tono?!” Si stizzì un poco.

“Quel tono da cantastorie, quel tono bonario che si usa con dei bambini piccoli!”

“Santo Dio Martin non essere assurdo non mi stai nemmeno facendo parlare!” Si alzò in piedi.

Freeman retrocedette di un basso indispettito.

Non aveva mai troppo amato la loro differenza d’altezza.

Levò il naso all’insù additandolo di nuovo.

“Non ti faccio parlare perché non c’è proprio un cazzo da dire”

“Sì invece!” Seguito l’altro caparbio.

L’aria remissiva abbandonata come quella tazza di tè.

“No, non c’è, e anche se ci fosse, io non ti voglio ascoltare”

“Perché?!” Spalancò le braccia esasperato.

“Perché non piombi qui all’improvviso con la faccia da cucciolo bastonato a parlarmi della tua cazzo di ricerca della pace! Se vuoi un po’ di pace continua a cercarla nei tuoi cazzo di esercizi zen come hai fatto sin ora! Non ti sei portato appresso il monaco oggi? ”Urlò.

“Non prendermi per il culo” Si incupì. “Non lo fare”

“E tu non prendere per il culo me. Non si riappare così dopo anni di silenzi, dopo tutto quel cazzo di casino che è successo” La voce scemò rapidamente “ Non si fa” Un sussurro.

Si accorse del tremito di rabbia e dolore che gli attraversò gli arti.

Ben deglutì a fatica.

Si passò con forza i palmi della mani sul viso e poi scosse il capo.

“Cristo Martin perché non vuoi capire?”

“Cosa c’è da capire? Cosa?!!” La voce si fece quasi stridula “ Eravamo io e te Ben” Si allontanò di qualche passo.

Le mani corsero nuovamente ai fianchi.

Le dita sottili conficcate nelle anche.

“Io e te porca puttana e stavamo da Dio! Ho lasciato Amanda per te, lo sai... L’ho lasciata dopo anni insieme e due figli!” Ruggì.

Cumberbatch si lasciò scivolare nuovamente sulla poltrona.

Serrò con forza le palpebre, il volto chino.

“Ero pronto a tutto per stare con te! Me ne sarei strafottuto del giudizio della gente! E tu in cambio  che hai fatto??Eh?? Cosa?!” Urlò.

Ben si morse la lingua e scosse il capo.

“Rispondimi!”

L’altro sollevò titubante il viso.

Gli occhi limpidi velati.

Restò silente.

“Non mi rispondi?” Ansimò e sorrise.

Quel sorriso cattivo che tanto bene portava sulla schermo.

“Molto bene, te lo dico io” Annuì.

La lingua scivolò lesta sulle labbra.

Riprese parola.

“Hai sposato quella stronza, quella cazzo di arrampicatrice sociale! E perché lo hai fatto? Eh?? Perché il signor Cumberbatch è volato ad Hollywood” Lo scimmiottò “Perché il signor Cumberbatch doveva portare avanti quella sua cazzo di immagine da uomo per bene! L’inglese perfetto con moglie e figli al seguito! Perché il signor Cumberbatch non poteva semplicemente dire al mondo di essere un cazzo di bisessuale innamorato di quello stronzo del suo collega!”

Ben imprecò a denti serrati e si alzò nuovamente in piedi.

Superò Martin e raggiunse la finestra , la aprì ed inspirò a fondo.

Una, due, tre volte.

Freeman fissò la schiena un poco ricurva sotto la camicia celeste.

“Fa male eh” Infierì “ La verità sbattuta in faccia”

Benedict non si mosse per svariati istanti.

L’altro non aggiunse nulla.

Si prese del tempo per imporre al proprio cuore un battito regolare.

Si appoggiò con la schiena al tavolo.

Il muffin abbandonato sul tavolo cadde a terra.

Rotolò sfiorando i suoi piedi nudi.

“Hai ragione”

La voce profonda lo fece sussultare.

Ben si volse cercando il suo sguardo.

Lo trovò.

“Hai dannatamente ragione” Levò i palmi in segno di resa.

Freeman si stupì di quell’arrendevolezza.

Arricciò il naso e si impettì un poco.

“Non mi è molto utile questa tua considerazione” Seguitò ad esser ostile.

“No, ma volevo che tu lo sapessi”

Martin si limitò ad annuire con un cenno del capo soppesando quell’affermazione.

Ben si guardò attorno e sospirò.

“Senti, non volevo disturbarti” Scosse il capo “Sul serio non pensavo nemmeno che tu potessi essere qui” Si morse il labbro inferiore.

Freeman si infilò le mani in tasca ed annuì di nuovo.

“E’ solo che…Questa giornata è iniziata di merda e poi… Ho riaperto la scatola con le polaroid” Ammise arrossendo un poco sulla punta delle orecchie.

Freeman gli concesse un piccolo sorriso sincero.

“Giusto, è rimasta a te…”

“Già…E… insomma, avevo bisogno di rivedere tutto questo”

Martin  distolse lo sguardo incamminandosi verso la porta finestra.

Uscì sul patio.

Il sole oscurato da delle nuvole passeggere.

Inspirò a fondo, la rabbia scemata.

L’altro lo seguì mantenendosi a debita distanza.

Lo osservò sedersi sui gradini.

Rimase a fissare la sua nuca ed i capelli argentei.

Il sole fece di nuovo capolino illuminando la sua figura.

Martin consapevole di quelle iridi fisse su di sé restò silenzioso a farsi analizzare.

“Ben” Lo richiamò dopo un tempo indefinito.

L’altro sussultò ancora sulla soglia di casa.

“Sì?” Rispose titubante.

Freeman si volse un poco e con la mano destra batté sul pavimento ligneo accanto a sé.

“Dai vieni qui” Borbottò.

L’altro annuì lesto e gli si sedette accanto.

Il gomito di Martin sfiorò quello di Ben celato dal cotone azzurro.

Il primo contatto seppur fortuito dopo mesi, anni.

Nessuno dei due si mosse.

Restarono fermi in quella posizione.

Il volto di entrambi rivolto al cielo.

“Quelle nuvole laggiù portano pioggia” Benedict sollevò il dito indicando un punto indistinto verso est.

“No, il meteo dava sole sino a domani sera”

Cumberbatch sorrise scuotendo appena il capo.

“Ti fidi ancora delle previsioni metereologiche?” Inarcò un sopracciglio voltandosi verso l’altro.

Freeman inarcò un sopracciglio, pose i palmi sul pavimento allungando un poco la schiena.

“Certo, io mi fido sempre delle previsioni”

“Lo so, ed è per questo motivo che abbiamo beccato più di una volta dei grossi acquazzoni senza avere mezzo ombrello” Azzardò un sorriso timido.

Martin storse le labbra a sua volta in un mezzo sorriso ed annuì “ Touchè”

Il silenzio scese nuovamente sui due, questa volta meno teso, meno pesante.

Un silenzio più carico di imbarazzo e velato di nostalgia.

Benedict lo sopportò per pochi minuti poi si levò in piedi.

“Ho bisogno di fare una passeggiata nel bosco prima che quelle nuvole si facciano nere e si scateni un temporale sul serio” Sospirò.

Freeman levò il viso serrando appena gli occhi colpiti da un raggio di sole.

“Buona passeggiata”

Cumberbatch annuì stirando un poco le labbra, si sfilò gli occhiali dalla camicia e li indossò.

Scese a ritroso i tre scalini.

“Hai dimenticato in casa la coppola” Lo richiamò Freeman.

Si voltò a metà del vialetto mordendosi la lingua e ponderando bene la propria risposta.

“Posso riprenderla al rientro dalla passeggiata?” Azzardò con un filo di speranza.

Martin inspirò a fondo.

Inclinò un poco il capo ed annuì.

“Certo”

Ben sorrise.

Un bel sorriso.

Uno di quelli luminosi, quelli che Martin aveva amato e che non avrebbe mai smesso di amare nonostante la rabbia e la delusione accumulata.

Lo vide sollevare una mano in segno di saluto.

Replicò nella stessa maniera.

Gli occhi blu seguirono la figura aggraziata sino a che non la vide sparire tra gli alberi.

Sapeva esattamente quale sentiero avrebbe percorso.

Quello tra i larici che costeggiava il mare.

Ben amava quegli scorci.

Li amavano entrambi.

Imprecò levandosi in piedi e decise di rientrare in casa.

Chiuse la porta finestra dietro di se.

Gli occhi catturarono lesti ilo cappello abbandonato sul tavolino.

Lo sfiorò titubante quasi fosse un oggetto pericoloso.

Ci mise più di quanto avrebbe mai ammesso a stringerlo tra le mani.

Lo rigirò un poco.

Sbirciò a destra e a manca inconsciamente timoroso della presenza di qualcuno.

Lo avvicinò al proprio viso.

La punta del naso ne sfiorò la stoffa.

Inspirò chiudendo gli occhi.

Il profumo di Ben gli giunse forte e chiaro quanto un pugno allo stomaco.

Cristo se gli era mancato!

Imprecò posandolo sul tavolo.

A passo lesto raggiunse la piccola stanza da letto.

Aveva bisogno di stendersi un poco a riflettere.

 

 Fine capitolo uno

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Capitolo 2
*** Capitolo due ***


 

                “It’s always you…Martin Freeman”

 

Ciao a tutte^^ eccomi qua con il secondo capitolo, spero possa piacervi, buona lettura

Chia <3

 

CAPITOLO DUE

 

Un forte tuono squarciò il cielo su Frensham.

Martin Freeman si destò con un sobbalzo.

I palmi posati sulla coperta dal tessuto scozzese.

Batté le palpebre ripetutamente cercando di capire che ore potessero essere.

Il buio aveva avvolto la piccola camera da letto.

Si mise a sedere arruffandosi i capelli sulla nuca per poi sporgersi verso il comodino.

Strabuzzò gli occhi infastidito dalla forte luce dello schermo del cellulare.

Le sei della sera.

Inarcò un sopracciglio stupendosi d’aver riposato così a lungo.

Nella propria mente riaffiorarono lesti gli eventi di poche ore prima.

Il ricordo di Ben uscito per una passeggiata con la promessa del rientro per recuperare il proprio cappello.

Si morse il labbro inferiore.

Un altro tuono squarciò il cielo.

Martin raggiunse il salottino.

La coppola ancora posata sul tavolo.

Un mano corse al mento. Lo massaggiò meditabondo.

Una sorta di preoccupazione lo pervase.

Si avvicinò alla finestra e scostò la tenda.

La pioggia scrosciava incessante.

“Ah Cristo Ben, dove ti sei cacciato?” Batté un palmo sullo stipite.

Sbuffò con forza e prese a girare per la stanza.

Il sentiero che costeggiava il mare era piuttosto lungo ed impervio, Benedict lo conosceva come le proprie tasche tuttavia quel maltempo avrebbe messo in pericolo anche il più esperto escursionista.

Erano trascorse diverse ore e Martin sperò con tutto se stesso che avesse trovato riparo.

Rammentò la piccola grotta a picco sul mare ma non seppe dire quanto potesse essere sicura.

Imprecò e si chiese perché Cumberbatch non avesse seguito il proprio istinto evitando quella passeggiata.

Scostò nuovamente la tenda.

La pioggia scemò un poco.

Freeman levò gli occhi al cielo.

La lingua scivolò lesta sulle labbra e dopo l’ennesima imprecazione infilò un paio di scarpe ed afferrò l’ombrello.

Si chiuse con un gesto secco la porta alle spalle .

“Vento di merda…” Ringhiò scendendo gli scalini.

Alzò il colletto della felpa nera sino al collo e con le mani già bagnate dalla pioggia portò la cerniera lampo sino a sotto il mento.

Imboccò il vialetto per poi immergersi nel fitto del bosco.

La strada sdrucciolevole in discesa.

Proseguì cauto scorgendo i primi scorci di mare tra gli alberi.

Provò a chiamare Cumberbatch a gran voce.

Non ottenne risposta.

Proseguì inspirando con forza, scosse il capo umido di pioggia nonostante l’ombrello.

Il vento agiva cattivo, la pioggia lo colpiva lateralmente.

Si passò la manica della felpa sugli occhi.

Colse poco distante un grosso masso , punto di riferimento per svoltare verso sinistra.

Vi appoggiò un palmo e scavalcò una grossa radice che non rammentava di aver mai visto prima.

Evitava quel sentiero come se fosse peste da quando si erano lasciati ed era plausibile che in quasi quattro anni il bosco fosse cambiato.

All’ennesimo richiamo si accorse di avere la gola secca.

Deglutì a fatica.

Riprovò.

Un suono lo fece sussultare.

Se fosse realtà o illusione non seppe dirlo ma tanto bastò a fargli accelerare il passo e virare in direzione della presunta voce.

Assottigliò lo sguardo ed urlò di nuovo.

Il viso all’insù verso la piccola cunetta erbosa oltre la quale scorse la figura fradicia di Ben.

Sorrise.

Sorrise ed imprecò.

Oltre la pioggia colse distintamente l’espressione felice sul volto dell’altro.

“Cristo Ben dove cazzo eri finito?!” Gli urlò tendendogli una mano.

Cumberbatch la afferrò e con un salto scese sul sentiero.

Si infilò sotto l’ombrello rabbrividendo.

“Ti avevo detto che si sarebbe messo a piovere” Sorrise.

Freeman levò i propri occhi blu così dannatamente vicini al viso dell’altro.

Non lo abbracciò.

Gli costò fatica, ma si impose di non farlo.

Si accorse del proprio cuore, di quanto battesse veloce.

Veloce per la preoccupazione.

Veloce  per il sollievo di averlo trovato sano e salvo.

Veloce nell’ averlo così maledettamente vicino.

Troppo.

Tanto dal poterne percepire il suo profumo misto a quello della pioggia.

Deglutì con forza e si decise a replicare per non apparire un folle con lo sguardo perso su quelle labbra piene.

“Fanculo Ben se lo sapevi dovevi startene a casa!” Si schermò un poco acido distogliendo lo sguardo” Sei fradicio, IO sono fradicio!”

 L’altro si grattò nervosamente la nuca annuendo.

“Oggi ti ho proprio rovinato la giornata” Gonfiò e sgonfiò le guance.

Freeman tornò a fissarlo e scuotendo il capo lo afferrò per un gomito spingendolo a proseguire lungo il sentiero.

“Bah chiudi il becco” Prese a camminargli accanto.

La pioggia rallentò un poco.

Proseguirono silenziosi per qualche minuto.

Vicini, sotto l’ombrello giallo di Martin.

“Potevi ammazzarti su questo cazzo di sentiero, l’acqua lo rende una trappola”

“Esagerato” Replicò appoggiandosi ad uno steccato per non scivolare. “Mi sono riparato alla grotta ma si stava facendo sera e non accennava a smettere così ho deciso di rientrare nonostante la pioggia”

Martin gli strinse con forza l’avambraccio e scosse il capo.

“Io esagerato, tu esci come un ragazzino viziato sotto il temporale ed io devo venirti a cercare nemmeno fossi tuo padre cazzo!”

“Beh potevi lasciarmi li!” Si indispettì scostando le fronde di un grosso albero .

“Si vabbè…” Replicò “ Così poi saresti finito dritto giù dalla rupe della scogliera, ho già troppi casini senza ritrovarmi la tua morte sulla coscienza” Borbottò.

Ben si fermò scrutandolo severo “Come vedi sono vivo e vegeto, quindi puoi continuare ad ignorarmi come hai fatto da quattro anni a questa parte, la tua coscienza è salva!” Si divincolò dalla presa ed accelerò il passo.

Freeman restò con la bocca spalancata e l’ombrello tra le mani.

Ritto come un fuso al centro del sentiero sempre meno impervio.

Cumberbatche procedette lesto.

Martin scosse il capo mordendosi la lingua e quasi dovette rincorrerlo rischiando un ruzzolone.

“Non fare la Drama Queen” Lo afferrò nuovamente per il gomito riportandolo sotto l’ombrello.

“Lasciami” Grugnì.

“Sei già sufficientemente zuppo, vuoi rischiare una polmonite?” Ringhiò tirandolo a sé.

Il viso puntato verso l’alto.

Il collo teso.

Ben incupì lo sguardo.

Le iridi limpide parvero farsi scure.

Non replicò.

Si limitò a procedere accanto all’altro.

Percepì ogni singolo dito di Martin stretto al proprio avambraccio.

La presa salda.

Quasi l’avvertì scottare.

Non una parola venne detta da ambo le parti sino all’arrivo al cottage.

Freeman richiuse l’ombrello gettandolo malamente sotto la tettoia.

Si infilò in casa, seguito a ruota dall’altro, che senza troppi indugi, raggiunse il tavolo recuperando il cappello.

“Bene, grazie per la disponibilità” Osservò neutro “ Io andrei”

Martin inarcò un sopracciglio e sorrise per metà.

“Sei serio?”

“In che senso?” Strinse la coppola tra le dita.

“Dove cazzo vuoi andare conciato così” Indicò interamente la figura dell’altro.

Ben batté le palpebre ripetutamente.

Un’espressione confusa sul bel viso.

“Beh me ne torno a Londra” Replicò ovvio scrollando le spalle.

“Non essere ridicolo” Borbottò “ Stai allagando il soggiorno! Vuoi fare settanta chilometri ridotto così?”

Cumberbatch chinò lo sguardo fissando le proprie scarpe zuppe.

Martin lo osservò e parve accorgersi solo in quel momento di quanto la camicia fradicia gli aderisse come una seconda pelle.

Distolse lo sguardo schiarendosi la voce ed evitò di scacciare dalla propria mente la linea dei pettorali dell’altro.

“Senti, il bagno sai dove sta, vai a farti una doccia…” Gesticolò in direzione della porta per poi dileguarsi in cucina.

Ben si grattò nervosamente una guancia.

Si morse un labbro e sorrise.

“Grazie” Sussurrò.

Flebile.

Freeman percepì quel ringraziamento chiaramente.

Attese di udire il suono della porta del bagno chiudersi prima di lasciarsi andare sulla sedia.

“Ah Cristo Martin…” Borbottò passandosi una mano nella barba bionda “ Che situazione…” Si accomodò meglio.

Tese le gambe dinnanzi a sé.

La felpa umida lo infastidì.

Se la tolse con un gesto deciso gettandola sulla sedia accanto.

Levò gli occhi al soffitto.

La luce vacillò per un istante.

L’ennesimo tuono.

Un borbottio del proprio stomaco gli ricordò che fosse ora di cena.

Si morse l’unghia dell’indice pensieroso.

Avvertì chiaramente lo scrosciare dell’acqua nella doccia.

Inspirò ed espirò con forza prima di levarsi in piedi e realizzare che nella stanza accanto c’era Ben.

Ben nudo.

Sotto la doccia.

Chiuse gli occhi ed impose alla propria mente di non rimestare nei ricordi.

Scosse il capo con forza e pensò a cosa poter cucinare.

Sì.

Doveva distrarre il proprio cervello macchinoso.

Con scarsi risultati ,ammise ,ma ci avrebbe provato.

Benedict uscì dalla piccola doccia.

Scorse lo specchio appannato e vi passò una mano come era solito fare.

Vide il proprio riflesso.

Ne colse il sorriso.

Un sorriso che nemmeno si era reso conto di avere stampato su volto.

Alle orecchie gli giunse il suono delle pentole.

Martin stava cucinando.

Incrociò nuovamente le proprie iridi cristalline.

Il sorriso si fece più ampio.

Sapeva di non poter sperare troppo.

Aveva fatto troppi errori.

Troppi e grossi.

Dannatamente grossi.

Ma il solo fatto che Martin lo avesse chiaramente invitato a restare era un passo enorme per il loro rapporto così fragile.

Avrebbe fatto tutto ciò che era in proprio potere per cercare di recuperare almeno l’amicizia che li legava un tempo.

Doveva riconquistarsi la sua fiducia ed avrebbe fatto carte false per poterlo fare.

Si guardò intorno e riconobbe l’armadio della biancheria pulita.

Lo aprì e ne estrasse un accappatoio blu.

La sua mano tremò nello sfiorare la spugna soffice.

Lo portò al viso e vi affondò il volto inspirando a fondo.

Riconobbe il delicato profumo del detersivo che Martin era solito utilizzare.

Martin già.

Perché era sempre stato compito suo gestire la lavatrice.

Piccoli gesti che nei loro soggiorni al cottage li riportavano alla normalità.

Alla quotidianità di una qualunque coppia felice.

Lo indossò.

Era decisamente corto ma non vi dette importanza.

Era di Martin e lo avrebbe indossato anche sotto la pioggia.

Rise.

Rise di sè passandosi un asciugamano sulla testa rasata.

Rise della propria vena romantica.

Sfiorò la maniglia della porta inspirando profondamente.

Chiuse un istante gli occhi.

Li riaprì.

Uscì cauto e a piedi nudi raggiunse il salottino guardandosi attorno alla ricerca dell’altro.

Arricciò il naso colpito dal profumo di quello che con tutta probabilità era sugo al pomodoro.

Virò verso la cucina.

La mano posata sullo stipite.

Sbirciò all’interno.

Freeman stava chiaramente mettendo a bollire dell’acqua per la pasta.

Non si accorse subito degli occhi felini dell’altro fissi su di sé.

“Che profumino”

La voce profonda di Benedict vibrò nella piccola cucina e nel corpo di Martin.

Si morse la lingua voltandosi piano.

Serrò un’imprecazione tra i denti.

Perché Ben in accappatoio sulla soglia della cucina, con le braccia incrociate ed il sorriso impresso su quella bella bocca piena  era chiaramente illegale.

Inspirò a fondo e espirò in quel modo che fece sorridere l’altro.

Perché Ben sapeva, sapeva di essere dannatamente attraente ai suoi occhi.

Ed era consapevole che il vederlo in accappatoio lo aveva  sempre mandato fuori di testa.

Deglutì con forza e rammentò a se stesso di essere un attore.

Un bravo attore.

Uno dei migliori su piazza.

Non sarebbe stato difficile simulare indifferenza.

Recita Martin, recita!

“Ah sei qui” Afferrò uno strofinaccio asciugandosi le mani già asciutte.

“Sì, sai che sono piuttosto veloce nel farmi la doccia” Si grattò la nuca.

Freeman annuì sin troppo rigido.

“Già, senti, avrei bisogno di una doccia anche io, riusciresti a non farmi bruciare il sugo mentre mi lavo?” Indicò i fornelli.

“Ci provo” Sorrise avvicinandosi alle pentole.

Martin si scansò con sin troppa velocità.

Cosa che fece sorridere l’altro.

Lo superò e puntò il bagno.

“Vedi di fare il possibile perché sennò resti senza cena!” Gli urlò prima di sbattere con forza la porta.

Cumberbatch ridacchiò afferrando un cucchiaino ed assaggiando il pomodoro.

“Ottimo, come sempre” Sospirò.

Si guardò attorno recuperando poi il proprio cellulare.

Spiccavano tre chiamate di Sophie.

Arricciò il naso infastidito e lo spense.

Quando Martin uscì dalla doccia con il cervello sovraccarico e l’indecisione a fior di pelle, osservò il proprio riflesso nello specchio, inspirò a fondo.

Afferrò il pettine rigirandolo tra le mani un paio di volte prima di passarlo sulla cute con gesti decisi.

Storse le labbra in un ghigno rammentando quanto piacessero a Ben i suoi capelli bagnati e pettinati all’indietro.

Afferrò un asciugamano e lo legò alla vita.

Ulteriore dettaglio che sapeva colpire il suo ex adeguatamente.

Ridacchiò di quella ripicca infantile. Se Benedict aveva osato presentarsi in accappatoio ben sapendo quanto la cosa lo colpisse, beh, gli avrebbe reso pan per focaccia.

Uscì dal bagno ed istintivamente annusò l’aria temendo per la propria cena.

Nessun odore allarmante giunse alle sue narici.

Attraversò il salottino notando la tavola apparecchiata.

Il suo cuore accelerò il battito ed un senso di nostalgia lo colpì con decisione.

Deglutì scuotendo il capo e raggiunse la cucina.

Ben se ne stava sulla sedia, un ginocchio al petto, gli occhi fissi su un libro.

Martin si morse il labbro inferiore e prese parola.

“Vedo che ai ritrovato le tue cose…” Lo additò.

“Sì, mi stupisco che tu non te ne sia liberato” Sorrise sfiorando la propria t-shirt.

Sollevò gli occhi cristallini e sussultò vistosamente.

Freeman si godette appieno quel sussulto e trattenne una risatina tra sé e sé.

Cumberbatch posò il piede a terra e si sedette compostamente.

Non riuscì ad impedire ai propri occhi di radiografare la figura di Martin.

Figura più nuda che vestita.

Imprecò mentalmente mordendosi la lingua captando quei capelli che tanto amava resi più scuri dall’acqua.

Il suo ex lo fissava.

Con le mani ai fianchi e quel sorrisetto stampato in viso.

Lo trovò in forma.

Più di quanto ricordasse.

Si perse un istante ad osservare i sottili peli biondi che sfioravano l’ombelico.

Arrossì distogliendo lo sguardo e riportandolo sul libro.

I gomiti sul tavolo.

La postura rigida.

“Se vai a vestirti nel frattempo butto in acqua la pasta” Borbottò fingendosi interessato al romanzo.

L’altro si avvicinò lentamente al tavolo.

Una mano corse decisa alla spalla di Ben, la spinse appena invitando l’altro ad appoggiarsi allo schienale.

Lo occhieggiò dall’alto in basso.

Analitico.

Storse un poco il capo analizzando prima la t-shirt poi i pantaloni blu della tuta.

“Adesso ci nuoti in questa roba” Inarcò un sopracciglio.

Cumberbatch con il viso ancora un poco arrossato si passò una mano sulla nuca.

Le dita scivolarono poi sul collo in un gesto un poco nervoso.

 “Si ho perso un po’ di peso” Replicò.

“Un po’ tanto “ Lo ribeccò l’altro storcendo le labbra.

Ben non seppe come rispondere.

Si limitò ad arricciare le labbra in una smorfia d’assenso ed incrociò le braccia al petto.

Freeman non aggiunse altro, gli dette le spalle regalando all’altro la visione perfetta della propria schiena pallida.

“Butta la pasta” Gli urlò dalla camera.

Rimasto solo inspirò a fondo svariate volte prima di decidersi ad alzarsi in piedi e raggiungere i fornelli.

Afferrò una piccola bilancia dalla mensola e pesò il quantitativo di pasta da cuocere.

Non aveva mai considerato sensata un’azione del genere.

Non prima che Martin glielo avesse spiegato.

Da allora non aveva mai perso quell’abitudine.

Sorrise gettando gli spaghetti nell’acqua e si infilò poi le mani nelle ampie tasche dei pantaloni.

Chinò lo sguardo osservando la coulisse slacciata.

Si chiese come mai Freeman non avesse cestinato i propri vestiti.

Nell’armadio in camera aveva trovato due cassetti in perfetto ordine carichi di felpe magliette e quant’altro era solito utilizzare nei loro brevi soggiorni al cottage.

Lo interpretò come un segnale positivo.

Si morse il labbro.

Sì, doveva sperare.

La cena si svolse inizialmente in un clima piuttosto silenzioso.

L’imbarazzo era palpabile ed entrambi consumarono quel pasto nel timore di mal gestire le proprie azioni.

Ben timoroso di parlare a sproposito, troppo felice di quella situazione inaspettata e Martin in conflitto con se stesso. In bilico tra l’ostentare un’indifferenza acida ed il cedere a quella sensazione di gioia che gli stava riempiendo il cuore nonostante faticasse ad ammetterlo.

Al termine della propria porzione di spaghetti al pomodoro, Martin si pulì le labbra con un tovagliolo e si alzò in piedi.

Ben deglutì il proprio boccone osservandolo incuriosito.

Ne osservò la figura di spalle, intenta ad aprire le antine del mobile sotto la tv.

Freeman si inginocchiò a terra chinandosi un poco a sbirciare una piccola parte della propria collezione di vinili.

La t-shirt nera aderì alla schiena delineando la colonna vertebrale.

Ben bevve un generoso sorso d’acqua osservandolo e sorrise nel ritrovare per l’ennesima volta un gesto della propria passata quotidianità.

Martin parve soddisfatto della propria scelta e si rialzò chiudendo l’antina con la punta del piede nudo.

“Direi questo…” Si rigirò la custodia tra le mani con un gesto lesto.

“Betty?” Azzardò l’altro riconoscendo la copertina con il viso della cantante.

Freeman sorrise portando le proprie iridi blu in quelle acquamarina.

Quel sorriso colpì dritto al cuore Ben.

Un sorriso dolce, soddisfatto , che in quella giornata non gli aveva ancora concesso.

Gli era così tanto mancato, Dio se gli era mancato!!

“Esatto, la cara Betty Wright” Distolse lo sguardo dirigendosi al giradischi.

Scostò la puntina e posizionò il vinile.

Gesti semplici, che portarono a Ben il sorriso sulle labbra.

Le note soul di Clean Up Woman riempirono la stanza.

Freeman si girò con un gesto fluido, quasi a ritmo di musica.

Sparì in cucina per tornare poco dopo con una piccola ciotola carica di frutta.

“Dubito volessi mangiare altro” Sbirciò in direzione di Ben posandola al centro del tavolo.

“Oh no, la frutta va più che bene” Allungò una mano ed afferrò una mela verde.

Martin annuì tagliando a spicchi una pesca.

La splendida voce di Betty riempì il loro silenzio.

La canzone finì.

La puntina si staccò.

Martin addentò l’ultimo spicchio prima di rovistare tra la frutta alla ricerca di un’albicocca.

Si voltò distratto verso il giradischi conscio del fatto che quel vinile recasse una sola canzone per lato.

Ben si alzò da tavola.

Conosceva molto bene quel disco.

“Vuoi risentirla?” Gli chiese Freeman indugiando con il frutto tra le mani.

“No, voglio sentire il lato b” La voce grave vibrò tra le pareti.

Martin fissò la schiena dell’altro.

Deglutì con forza inspirando a fondo.

Entrambi sapevano quale fosse la canzone gemella.

Le mani grandi di Benedict si mossero delicate sfiorando la puntina.

Sospirò leggendo il titolo stampato sulla carta giallo limone al centro del vinile.

“I’ll love you forever”

Sussurrò a voce così bassa che l’altro quasi non lo udì.

Si morse nervosamente le labbra.

La musica attaccò.

Silente ritornò a tavola e non gli riuscì proprio di terminare la mela.

Martin si rigirò l’albicocca tra le dita, le sopracciglia corrugate.

Non emise fiato.

Le note scivolarono corpose nella stanza, la voce calda vibrò.

Ben bevve un sorso d’acqua e si asciugò le labbra ripiegando il tovagliolo in maniera maniacale.

Freeman lo guardò di sottecchi dopo istanti infiniti.

L’altro non ebbe il coraggio di sollevare i propri occhi.

Li tenne fissi sul tavolo.

L’indice sfiorò la buccia verde della granny smith con movimenti circolari.

Betty terminò il proprio pezzo.

La puntina si staccò.

Martin strinse con forza l’albicocca.

La schiacciò.

Serrò un’imprecazione tra i denti pulendosi poi nervosamente la mano con il tovagliolo.

Cumberbatch sussultò, il cuore in tumulto.

“Faccio un po’ di tè” Mormorò alzandosi da tavola.

Martin annuì senza fiatare mentre l’altro si dileguò in cucina.

Prese a trafficare alla ricerca di due mug.

Scorse quelle di Sherlock e John e scosse il capo evitando accuratamente un azzardo del genere.

Non le avrebbe utilizzate ma il suo cuore fu ben felice di rivederle nella credenza.

Mise l’acqua a bollire ed attese, posando i palmi sul tavolo.

Gonfiò le guance sgonfiandole poi ed emettendo un buffo suono.

“Questo vinile è l’originale del 1971, il mio anno di nascita…”

Sussultò violentemente alla voce di Martin.

Lo vide fermo sulla soglia.

Il disco tra le mani.

“Lo so” Sussurrò annuendo.

“Lo sai?” Inarcò un sopracciglio avanzando di un passo.

“Lo trovasti a Portobello in una piccola bancarella malandata e non credesti ai tuoi occhi, me lo ricordo come se fosse ieri Martin, lo portasti sul set il giorno seguente e me lo mostrasti come se fosse la cosa più preziosa al mondo” Sorrise incrociando le braccia al petto.

Si appoggiò al frigorifero.

Freeman serrò le labbra in una linea dura.

Fu solo per pochi istanti.

La bocca si piegò poi in un sorriso, un bel sorriso.

“E’ vero”

“Certo che è vero!” Annuì Ben voltandosi poi a spegnere il bollitore.

Un tuono squarciò il cielo.

“Merda! Di nuovo? Ha smesso da quanto? Mezz’ora??”Recuperò il latte in frigorifero.

“Continuerà tutta notte…” Posò il vinile sul tavolo sbirciando oltre la tendina.

“Non ci voleva….” Borbottò posando l’occorrente su un vassoio.

Martin si voltò osservando l’altro destreggiarsi con lattiera e zuccheriera.

Si appoggiò con la schiena alla parete e prese a massaggiarsi la barba bionda.

Ben sentendosi osservato si voltò.

I loro occhi si legarono.

Restarono a fissarsi per svariati istanti, poi la voce di Martin vibrò bassa nel cucinino.

“Resta”

La mano di Benedict tremò un poco.

Il cucchiaino tintinnò contro la zuccheriera.

Lo lasciò cadere sul vassoio.

“Restare?” Sussurrò corrugando le sopracciglia.

“Sì”

“M…Martin non vorrei darti fastidio e…” Si grattò la nuca nervosamente.

“Non mi dai fastidio” Arricciò le labbra “ Il divano è libero” Lo superò lesto recuperando il disco “E adesso muoviti e porta il tè che ho un po’ di musica da farti sentire, la tv è inguardabile” Sparì in salotto.

Cumberbatch restò al centro della cucina.

Battè le palpebre incredulo.

Il respiro un poco corto.

Un sorriso sulle belle labbra piene.

….

Martin si rigirò nel proprio letto sbuffando sonoramente.

Pallidi raggi di luna filtravano dalle persiane.

Strisce di luce sul suo viso.

Imprecò serrando gli occhi e portandosi il lenzuolo sin sopra il capo.

Non riusciva a dormire.

Era turbato da quella giornata.

Turbato in senso positivo e la cosa non gli piacque per nulla.

Voleva imporsi nei confronti di Benedict, portare avanti un atteggiamento risoluto, stizzito.

Voleva farlo soffrire, con i propri modi bruschi e scostanti.

Non ci era riuscito.

Ci aveva provato per qualche ora, tuttavia con il trascorrere della serata si era ammorbidito, troppo.

Non che fosse mai stato capace di tenergli il muso, non avendolo davanti agli occhi con quell’aria da cucciolo bastonato.

La distanza lo rendeva forte e cattivo, abile nel gestire il dolore e sputare veleno.

La vicinanza no.

Quei dannati occhi acquamarina, quell’espressione contrita, quell’aria sottomessa, avevano il potere di farlo capitolare in un soffio.

Imprecò di nuovo, contro se stesso.

Contro la propria scarsa capacità di gestire le proprie emozioni quando c’era Ben di mezzo.

Scostò malamente la coperta mettendosi a sedere.

Le mani corsero al viso.

La barba bionda sotto i polpastrelli che presto corsero alla palpebre.

Le premette.

Inspirò a fondo e si alzò.

Aprì lentamente la porta, il piccolo disimpegno buio.

Scorse una luce nel salottino.

Inarcò un sopracciglio e lentamente raggiunse la stanza.

Ben si era addormentato con l’abat-jour accesa.

La piccola lampada da tavolo in stile francese era uno dei tanti acquisti fatti a Portobello.

Uno dei loro primi acquisti fatti insieme, rammentò mordendosi un labbro.

Si avvicinò silenzioso sfiorando il paralume in stoffa bordeaux.

Traballò un poco.

La luce calda che illuminava il volto addormentato di Ben vacillò a quel tocco.

Ombre scure su quella pelle pallida.

Martin si mise ad osservarlo sfacciatamente.

Era bellissimo, come sempre.

Troppo magro, ma bellissimo.

Si passò rapidamente la lingua sulle labbra per poi portare indice e pollice alla radice nasale.

Inspirò serrando gli occhi in quel gesto consumato, che i suoi fan avevano imparato ad attribuire a John Watson.

Cercò la calma oltre le proprie palpebre abbassate.

Un mugugno lamentoso lo fece sussultare.

Aprì gli occhi lesto.

Le iridi blu rese scure dalla scarsa luce.

Cumberbatch si agitava nel sonno.

Freeman colse distintamente il disagio di quella posizione scomoda.

Era rannicchiato su un fianco, il divano a due posti decisamente troppo piccolo per la sua lunga figura aggraziata.

Tese la mano verso la sua spalla indeciso.

La ritrasse, lasciando vagare il proprio sguardo sulla clavicola scoperta dalla t-shirt troppo grande.

Serrò i denti con forza e riprovò.

Riprovò a sfiorarlo, con la mente indecisa ed il cuore in tumulto.

Cristo Martin sembri una cazzo di donnicciola! Muoviti!

 Sbuffò.

Spinse le dita contro la spalla.

Un tocco leggero che ebbe uno scarso risultato.

Ben non si destò, anzi, mugugnò infastidito stendendosi supino.

I polpacci posati sul bracciolo del divano con  i lunghi piedi tesi.

Freeman ridacchiò scuotendo il capo, si chinò un poco e lo chiamò tastando con decisione il suo avambraccio.

L’altro si svegliò sussultando vistosamente per poi voltare il viso lesto.

Gli occhi spalancati.

“Martin! Mi hai spaventato” Si stropicciò le palpebre.

 “Ti lamentavi parecchio” Arricciò le labbra in un mezzo sorriso.

“Mi lamentavo?” Domandò, la voce così grave.

Freeman rabbrividì rammentando solo in quell’istante quanto fosse ancor più bassa la voce di Ben appena sveglio.

Si morse il labbro inferiore retrocedendo di qualche passo.

“Quel divano è uno schifo, è rigido come una panchina, ti avevo detto che non avremmo dovuto comprarlo” Lo additò “ Ma a te piaceva tanto questo cazzo di design moderno…” Seguitò polemico.

“Non è poi così male” Si mise a sedere grattandosi un fianco.

“No infatti, non eri tu che ti stavi lamentando fino a due minuti fa…” Si mise la mani sui fianchi.

Cumberbtach levò i suoi occhi felini verso quelli così grandi ed espressivi dell’altro.

Lo fissò silente per qualche istante poi inspirando piano prese parola.

“Mi hai svegliato solo per rinfacciarmi l’acquisto del divano o c’è dell’altro?” Inarcò un sopracciglio.

“Ti lagnavi, ti ho sentito sino in camera!” Si schermò attaccando.

“Ma smettila” Sbuffò con un mezzo sorriso “ Ho solo…” Mugugnò alzandosi “ Mal di schiena”

“Il che conferma la mia teoria sulla scomodità di quel cazzo di divano…” Incrociò le braccia al petto.

“Dio M! Che palle! Sono le tre di notte!” Spalancò le braccia.

“Appunto! E io non riesco a dormire coi tuoi maledetti lamenti che arrivano fin di la! Quindi muovi il culo e vieni a letto!” Gli dette le spalle allontanandosi.

Benedict battè le palpebre ripetutamente.

Le braccia tese lungo i fianchi.

Il capo inclinato.

Un’espressione incredula sul viso.

“Sei serio?” Urlò.

Freeman risbucò in salotto.

Solo per metà.

Il capo oltre la soglia, una mano serrata allo stipite.

“Da che mi conosci, ti sembro uno facile allo scherzo quando è insonne?”

“No”

“Già, quindi… Muovi.Il.Culo.” Ribadì il concetto ritornando sui suoi passi.

Ben deglutì sonoramente e a passo lento raggiunse la camera da letto…

 

Fine capitolo due.

Eccoci qua, il prossimo sarà l'ultimo capitolo, grazie a tutte quante per aver dedicato del tempo alla mia storia, un abbraccio

Chia

 

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Capitolo 3
*** Capitolo tre ***


“It’s always you…Martin Freeman”

 

Eccoci al capitolo finale, buona lettura a tutti e grazie mille per avermi dedicato la vostra attenzione

Baci Chia

 

 

CAPITOLO TRE

 

Ben rabbrividì sulla soglia.

Eccola.

La loro ex camera da letto.

Inspirò a fondo.

Martin se ne stava già steso dalla propria parte.

La schiena poggiata contro il cuscino, la luce sul comodino accesa.

Cumberbatch scorse quello che aveva tutta l’aria di essere un copione malamente piegato.

Ne fece motivo di conversazione. Ci si aggrappò, per scrollarsi di dosso quell’imbarazzo che lo stava attanagliando.

Raggiunse il letto e titubante prese posto.

“Nuovi lavori in corso?” Additò il comodino.

Freeman si volse gettando uno sguardo al copione ripiegato a metà.

“Già… Ma niente di particolarmente interessante, una commedia sentimentale come se ne sono viste a dozzine” Sbuffò “Lo sto leggendo più per noia che per altro”

Ben si sdraiò su un fianco accoccolandosi sotto le coperte.

Aggiustò sotto il capo due soffici cuscini.

“Niente film leggeri per il signor Freeman?” Si azzardò a scherzare levando un poco con il viso all’insù.

La guancia affondata contro la stoffa blu.

Martin chinò lo sguardo e sorrise.

Non rispose nell’immediato.

Si perse qualche istante ad osservarlo, incredulo nel vederlo ancora nel letto accanto a sé.

I suoi occhi indugiarono sulla testa rasata che mai prima gli aveva visto.

Ben strinse il lenzuolo tra le dita e si morse la lingua.

Gli occhi analitici di Martin avevano sempre il potere di confonderlo.

“Senti chi parla” Si decise a replicare “L’uomo dei film impegnati” Gli additò il capo.” Non pensavo che un film sulla Brexit ti avrebbe portato a questo”

Cumberbach storse le labbra “ Ce l’hai con la mia testa?”

“Ho visto le foto di scena” Rise “Quella mezza pelata!”

“Ehi!!” Si finse offeso sorridendo.

“Erano tremendi cazzo… Ma così… Così non sono male…”

Benedict colse distintamente la mano dell’altro avvicinarsi.

Ne seguì i movimenti e gli parvero rallentati, quasi fosse la scena di un film sapientemente gestita.

Vide le dita tremare appena.

Indugiare.

Prima di posarsi delicate sul proprio capo.

Lo sfiorarono titubanti.

Non mosse un muscolo.

Non si sarebbe mosso per nulla al mondo.

Si beò di quel contatto delicato ed inaspettato.

Sbirciò oltre il braccio di Martin.

Scovò gli occhi blu tremendamente seri.

Non incrociarono i suoi.

Erano fissi sulla sua mano che seguitava lenta.

Il tremore scomparso.

La ritrasse dopo un tempo che entrambi non seppero definire.

Freeman inspirò a fondo e scosse il capo com’era solito fare, quando voleva cavarsi d’impiccio da una situazione imbarazzante.

“Comunque preferivo i tuoi ricci” Si schiarì la voce incrociando le braccia al petto e guardando dritto dinnanzi a sé.

D’improvviso l’armadio divenne particolarmente interessante.

Ben sorrise soddisfatto portandosi il lenzuolo sino agli zigomi.

“Ricresceranno” Sussurrò.

Martin annuì.

Il silenzio avvolse la stanza.

Ben chiuse gli occhi inspirando a fondo.

Il profumo naturale dell’altro gli giunse forte come un pugno.

Affondò ulteriormente il naso nel cuscino e si godette quella sensazione di pace.

Di casa.

Freeman non si perse quel gesto.

Sorrise osservandolo.

Amava guardarlo mentre dormiva.

Le palpebre abbassate, delicate.

Gli era sempre sembrato la creatura più bella e dolce che il mondo avesse mai vantato.

Si stese a sua volta voltandosi sul fianco.

Non distolse lo sguardo.

Cumberbatch arrossì un poco conscio di quelle iridi  blu fisse su di sé .

Mantenne gli occhi chiusi.

Sapeva che a Martin piaceva osservarlo nel sonno e spesso gli aveva lasciato credere d’esser tra le braccia di Morfeo nonostante fosse sveglio.

Amava avere l’attenzione di Martin tutta per sé.

Era sempre stato così tra di loro.

Martin aveva il controllo.

Martin decideva, lui lo seguiva.

Martin lo possedeva, con la mente e con il corpo.

Con lui poteva essere sé stesso.

Senza fingere di essere ciò che in realtà non sarebbe mai stato.

Un capo famiglia, uno stereotipo maschile, il cliché del maschio perfetto.

No.

Con Martin poteva permettersi di essere fragile, di piangere, di arrossire.

Non che fosse stato tutto rose e fiori con lui.

Litigavano.

Oh se litigavano!

Ma poi si riappacificavano in un soffio e facevano l’amore.

Quello forte, rabbioso, in cui entrambi sfogavano i residui di quella lite.

Alla fine Martin si faceva dolce, lo stringeva a sé e non parlava.

Non parlava a volte anche per ore ma sorrideva e lo baciava spesso.

Più di quanto non facesse nei momenti di gioia.

“Ben stai fingendo di dormire o dormi sul serio?”

La voce di Freeman lo fece sussultare interrompendo le proprie riflessioni.

Sollevò le palpebre.

Il buio aveva avvolto la stanza.

La piccola luce spenta.

I raggi della luna filtravano pigri.

“Cercavo di addormentarmi” Replicò.

“Non penserai che mi sia bevuto quella cazzata sulla ricerca della pace” Attaccò inaspettato.

Ben sospirò stropicciandosi gli occhi stanchi.

“Martin…”

“Perché sei venuto qui” Seguitò caparbio in un sussurro.

Cumberbatch si morse il labbro inferiore.

Nella semi oscurità distinse il viso dell’altro così vicino.

Inspirò a fondo.

“Oggi mi ha chiamato Sophie” Attaccò.

Freeman serrò con forza i denti.

Si irrigidì.

Le sopracciglia corrugate.

“Ah” Rispose gelido.

“Mi ha detto che…” Tergiversò.

“Che?” Lo incitò.

Benedict sbuffò con forza, non avrebbe voluto affrontare quell’argomento ma l’ennesima bugia era l’ultima cosa che avrebbe detto a Martin.

Decise d’esser sincero.

“Che ti sei fidanzato con quella tizia cinese o… Coreana….Vabbè poco importa” Ne uscì una risposta flebile.

Sofferta, vergognosa.

“Oh Cristo” Ringhiò “Ancora con questa cazzo di storia”

Ben non rispose.

Trattenne il fiato e attese.

“Maledetto il momento che le ho dato il permesso di pubblicare quelle cazzo di foto!” Scattò a sedere.

Cumberbatch spalancò gli occhi fissando la sagoma del suo profilo nell’oscurità.

“Odio i social, li ho sempre odiati! Amanda lo sapeva e non mi coinvolgeva nelle sue cazzo di foto pubblicate su twitter!” Borbottò passandosi una mano tra i capelli.

“Lo so che odi i social, per questo sono rimasto perplesso nel vederti in quelle fotografie” Si azzardò a rispondere.

Martin si volse con uno scatto.

Non potè coglierne l’espressione ma avrebbe saputo descriverla ugualmente.

“Jeannie è un’amica, abbiamo fatto una vacanza assieme, con altri ragazzi conosciuti sul set di Black Panther… Mi sembrava da stronzi non darle il permesso di mettere due cazzo di foto innocenti!”

Benedict avrebbe voluto ribattere che le foto non fossero due ma tre, anzi, quattro tuttavia si trattenne.

“Beh, dovresti saperlo come funziona Martin la gente aspetta ogni piccola occasione per farsi film mentali su di noi…” Si mise a sedere a sua volta.

Freeman si passò nervosamente la lingua sulle labbra.

“Che cazzo di occasione Ben?! Sono foto innocue! Siamo amici!”

Cumberbatch incrociò le gambe e scostò un poco le coperte.

Si massaggiò il collo meditando se dire o meno ciò che pensava.

Sbuffò lentamente ed optò per la prima opzione.

“Innocenti quelle in cui ci sei tu fisicamente”

“Non ho capito” Corrugò le sopracciglia sinceramente perplesso.

Ben arricciò il naso passandosi con forza il palmo destro contro il mento.

“Ho dato un’occhiata con il mio profilo fake…” Attaccò.

“E quindi?”

“Ci sono foto di lei, con i tuoi cazzo di vestiti addosso” Non riuscì a trattenere una nota piccata.

Non ci riuscì proprio.

“Ma smettila” Rise senza divertimento.

“Le ho viste con i miei occhi”

“Era uno scherzo, solo uno scherzo!” Scostò malamente le propria porzione di coperte.

Ben cercò di imporsi contegno e di non sbraitare come una donnetta gelosa.

Non gli avrebbe dato quella soddisfazione e si sarebbe tenuta stretta un po’ di dignità.

Non amava però le prese in giro.

Quelle no.

“Martin, dille al resto del mondo le stronzate non a me” La voce scura vibrò nella stanza.

“Che stronzate?” Gesticolò vistosamente nonostante la scarsa luce.

“Sei sempre stato più geloso dei tuoi vestiti che di tua moglie!”

“Amanda non era mia moglie” Puntualizzò.

“Non fare il pignolo! Hai capito cosa intendo!!”

“E questo cosa c’entra?” Borbottò.

“C’entra!! Perché quella mi gioco un rene che te la scopi ed i fan non sono scemi, hanno fatto due più due e tac!!”

“Spiegami quale fottuto pensiero logico hai seguito per collegare i miei vestiti al fatto che me la scopo??”

“Ah!!!Lo avevo dedotto, grazie per avermelo confermato” Lo additò scattando in ginocchio.

“Cristo Ben falla finita! Levati i panni di Sherlock per cortesia” Mettendosi in ginocchio a sua volta.

“E tu levati quelli di quel puttaniere di John Watson” Sbraitò in una maniera che si era ripromesso di evitare.

Il silenzio calò per pochi istanti poi Martin rise.

In maniera sommessa e poi sempre più forte.

Ben scosse il capo, le mani sui fianchi ancora in ginocchio sul letto.

La sua risata scura seguì quella più cristallina.

Martin lo spinse su una spalla senza smettere di ridere.

“Fanculo Sherlock, sei geloso?”

“No John, ma fai sparire dalla rete le foto di Janette potrebbero essere compromettenti” Seguitò divertito.

“Jeannie” Lo corresse in perfetto stile Watson.

“E’ uguale” Storse le labbra tornando a sdraiarsi.

Le risate scemarono e Martin si sdraiò a sua volta.

Entrambi supini fissavano il soffitto.

I raggi lunari sparirono.

L’ennesima nuvola dispettosa aveva oscurato la luna.

Ripresero fiato sincronizzando involontariamente i due respiri.

Trascorsero alcuni minuti silenziosi, poi Ben parlò.

“Lunedì mattina ho appuntamento con l’avvocato”

Martin si volse preoccupato.

“Avvocato?” Si turbò “Che succede?”

Benedict inspirò a fondo senza distogliere lo sguardo dal soffitto.

“Firmo per il divorzio.”

Freeman spalancò gli occhi.

La lingua scivolò lesta sulle labbra.

Le mani serrate a pugno lungo i fianchi.

“Divorzi?” Chiese conferma in un sussurro.

Cumberbatch si voltò.

La guancia affondata nel soffice cuscino blu.

Annuì.

“Sì, questa mattina la stronza mi ha chiamato per ricordarmi l’appuntamento…Oltre che per darmi la bella notizia del tuo presunto fidanzamento” Arricciò le labbra.

“Divorzi” Ripetè.

“Già” Sbuffò passandosi una mano sul capo “Era l’unica cosa sensata da fare”

“L’unica cosa sensata da fare sarebbe stata quella di non sposarti proprio” Si fece acido.

“Martin…”

“Sì, sì, lasciamo stare” Borbottò.

Nessuno dei due aggiunse altro per alcuni minuti, entrambi persi nelle proprie riflessioni.

Entrambi indecisi su come agire.

Rabbrividirono un poco, questa volta di freddo.

La temperatura si era abbassata, la necessità di coprirsi meglio sfiorò entrambi.

Nessuno dei due tuttavia si mosse.

Ben rimuginò a lungo e prese il coraggio di tornare su quell’argomento che sostanzialmente era la ragione della sua presenza al cottage.

“M…”

“Umm?” Replicò senza voltarsi.

“Mi rendo conto che non siano affari miei ma…”Si morse il labbro inferiore.

Freeman si girò su un fianco , trovò l’altro nella stessa posizione.

Ben tentennò distogliendo lo sguardo.

“Cosa vuoi sapere Ben? Se io e Jeannie stiamo insieme? Se le tue deduzioni alla Holmes sono corrette?” Arricciò il naso.

“Sì” Rispose in un pigolio “La verità insomma”

Martin annuì e si sollevò un poco.

Qual tanto che bastò per avvicinare il proprio cuscino a quello dell’altro.

Si mosse con disinvoltura prendendo posto a pochi centimetri da Benedict.

Cumberbatch spalancò gli occhi.

Il cuore veloce, troppo.

Martin ad un soffio di distanza.

“La verità…” Sussurrò Freeman aggiustando il lenzuolo con gesti delicati “Vuoi la verità perché la preferisci alla menzogna o al dubbio immagino”

“Sì” Chinò un poco il capo.

“Beh io sarò sincero con te perché so cosa significhi vivere in quella condizione di disagio, di dolore nel non sapere le cose che riguardano le persone che ami” Sospirò senza rabbia.

La mano raggiunse la porzione di lenzuolo che sfiorava la spalla di Ben.

Accomodò meglio la stoffa sino al lungo collo dell’altro in un gesto premuroso.

“Non stiamo insieme, ci divertiamo parecchio, questo non lo nego, ma nessuno dei due è in alcun modo interessato ad una relazione di tipo romantico”

“Ok” Si morse la lingua, soddisfatto ma non troppo.

Sospettava che quei due avessero una relazione sessuale ma il sentirselo confermare lo irritò enormemente.

Non che potesse avanzare alcuna pretesa, ma il tarlo della gelosia era sveglio e più attivo che mai.

Le nubi dispettose scivolarono nel cielo, la luna piena tornò a splendere.

I suoi raggi si insinuarono nuovamente nella piccola stanza, illuminando il piccolo spazio che ancora li separava.

Benedict spostò il palmo della mano sul cuscino, accanto al proprio viso.

Freeman seguì quel gesto osservando rapito la perfezione di quelle mani che conosceva così bene.

Sollevò la propria posandola titubante su quella dell’altro.

Ben tremò appena e mosse pollice ed indice catturando le dita sottili di Martin tra le proprie.

Deglutì con forza cercando il coraggio di parlare.

L’altro restò in attesa senza proferir verbo, godendosi quel piccolo contatto che gli mancava da anni.

La rabbia svanita, il rancore scemato.

La sola cosa che percepiva in quell’istante era la confortante presenza di Ben accanto a sé, quasi come se il tempo non fosse mai passato.

“Mi spiace M… Dico davvero, non sai quanto” La voce profonda vibrò bassa e incerta.

“Lo so invece” Rispose con decisione.

“No, non lo sai, non puoi sapere quanto io mi sia pentito del male che ti ho fatto, di non avere avuto il coraggio delle mie azioni, di aver scelto la strada più semplice che tutti si aspettavano percorressi” Seguitò lesto.

Freeman rafforzò la stretta.

Lo tirò a sé in un gesto deciso.

Fronte contro fronte.

Ben chiuse gli occhi.

“Lo so, e ti giuro che ti ho odiato per questo, non te lo nascondo, sarebbe sciocco e già lo sai, sai come detesto le falsità, sai quanto ho odiato lei e quello che mi ha tolto, che ci ha tolto”

Cumberbatch annuì muovendo piano la fronte contro quella dell’altro.

Il ciuffo biondo gli solleticò un occhio.

“Ma so anche che hai sofferto, ti ho visto, in ogni dannatissima foto, in ogni cazzo di ripresa televisiva…Ti ho visto, ed ho percepito quanto tu stessi male, quanto fingessi che tutto andasse per il meglio”

“Mi conosci” Sussurrò muovendosi appena, nascondendo il viso contro il suo collo.

“Cazzo se ti conosco” Replicò.

La mano sciolse la stretta.

Corse alla nuca e la serrò con forza.

Avvertì il sorriso di Ben contro il proprio orecchio.

Rabbrividì e gli posò un bacio sulla tempia.

Il primo, dopo anni.

“Avrei voluto darti un pugno in faccia questo pomeriggio, quando  te ne stavi li, in salotto, a cercare di rifilarmi quella cazzata della ricerca della pace dopo quattro anni di silenzi e frecciate mediatiche” Lo strinse a sé.

“Non era propriamente una cazzata e anche tu non ti sei risparmiato le frecciate mediatiche” Puntualizzò.

“Ma smettila” Rafforzò la presa sulla nuca.

Ben si mosse un poco e Martin avvertì le sue labbra sfiorargli la clavicola.

Freeman ispirò a fondo e con un gesto deciso lo scostò un poco, quel tanto che bastò per afferrargli il volto tra le mani e fissarlo dritto in quelle iridi impossibili.

“Stai sul serio divorziando?” Corrugò le sopracciglia.

“Lunedì firmo” Annuì posando una mano su quella dell’altro “Martin….”

“Ben….” Le iridi blu analizzarono quel viso che aveva sempre amato.

Scure.

Serie.

“Vorrei…” Le iridi limpide vibrarono “ Voglio…” Sbuffò sonoramente “ Insomma, riproviamoci…” Sussurrò con il fiato corto.

“Cristo, me lo stai chiedendo davvero?” Rafforzò la presa , i pollici scivolarono sugli zigomi ripetutamente.

“Sì” Sospirò.

“Riprovarci…E in che modo? Vivendo una vita clandestina, nascosti in questo cazzo di cottage?”

“No!” Scosse il capo con forza, le mani dell’altro seguirono quei movimenti bruschi “Non voglio una relazione clandestina, discreta, ma alla luce del sole”

“Ti conosco Ben, non reggeresti, non ce la faresti a gestire la pressione della stampa”

“Si che ce la farei, sono cambiato Martin, non sai quanto, non ho più nulla da temere, nulla da nascondere…Se ci sei tu con me, io posso fare tutto”

Si divincolò da quella presa e lo abbracciò.

Freeman chiuse gli occhi ricambiando quell’abbraccio.

Nascose il volto contro quel lungo collo elegante, le braccia strette all’ampia schiena di Ben.

“Cristo cosa mi stai chiedendo…”Sussurrò “ Mi hai già fatto a pezzi una volta Ben, non reggerei una seconda, sono più fragile di quanto creda la gente la fuori ”

“Non succederà di nuovo, te lo giuro, non succederà…Adesso siamo veramente solo io e te e non me ne frega più niente di cosa dicano o facciano gli altri, conti solo tu M…”

Freeman si scostò, portò i propri occhi in quelli dell’altro, studiò il suo viso con precisione maniacale.

Si passò lesto la lingua sulle labbra.

“Sarà un cazzo di casino lo sai?”

“Lo so” Annuì.

“La stampa ci starà addosso”

“Lo so” Sorrise “ Ma non è una novità”

“E’ diverso” Insistette Freeman.

“Non mi interessa” Cumberbtach sbuffò sonoramente.

 Sollevò una mano accarezzando la barba bionda dell’altro.

Martin lo lasciò fare.

“E’ morbida” Inarcò un sopracciglio.

Freeman rise “ Sì lo è, ma stai cambiando argomento”

“Perché per me, l’altro, è un argomento chiuso” Si fece serio senza interrompere quelle delicate carezze.” Dimmi che lo è anche per te” Sussurrò fissandolo negli occhi speranzoso.

Le iridi limpide legate a quelle più scure per diversi istanti.

Il silenzio della notte tra di loro.

“Ok “ Inarcò entrambe le sopracciglia “ Ok Ben, facciamo come dici tu, proviamoci” Rise.

Il volto di Benedict si illuminò con un sorriso così ampio che a Martin fece battere il cuore.

Non ebbe tempo di replica.

La bella bocca dalle labbra piene impattò con la propria.

Martin sussultò sorridendo.

Lasciò che l’altro lo stringesse a sé con irruenza, poco consona a Ben ma chiaro segno di quanto gli fosse mancato.

Lasciò che la bocca lo baciasse ripetutamente.

Che la lingua scivolasse timorosa sulle proprie labbra.

Restò inerme per svariati istanti concedendo all’altro il dominio del proprio volto.

Inspirò a fondo e fu quando avvertì la lingua di Ben scivolare nella propria bocca e decise di prendere il comando di quel bacio.

La mano sinistra scivolò lesta lungo il collo candido.

Raggiunse la nuca e la strinse, rammaricandosi della mancanza dei ricci che amava.

Lo attirò a sè con forza.

Benedict gemette spingendosi contro il corpo dell’altro.

Freeman ringhiò al contatto deciso della propria eccitazione già sveglia, contro la coscia di Ben che maliziosa scivolava tra le proprie.

Gli morse un labbro, con poca grazia.

Ben sussultò scostandosi un poco.

Fronte contro fronte in cerca di ossigeno.

Martin non gli concessa quella tregua.

La sua lingua sbucò di nuovo dispettosa oltre le labbra sorridenti stuzzicando quelle più piene.

Una mano scese possessiva artigliando il fianco sottile.

Si fece strada oltra la t-shirt scivolando in una carezza lasciva sino al bacino.

L’indice indugiò sull’ombelico.

Pochi tocchi smaliziati.

Riprese la propria esplorazione raggiungendo l’elastico del pantaloni.

Lo oltrepassò.

Ben serrò i denti nascondendo il viso nel collo di Martin.

Un pigolio nell’avvertire quella mano esperta sulla propria erezione.

Freeman sorrise consapevole.

Gli morse un lobo, lo baciò poi casto.

Benedict strinse con forza la maglietta dell’altro.

La strattonò infastidito senza tuttavia scostare il proprio viso dal collo del compagno.

“Tesoro se ti sposti un po’ me la tolgo” Ridacchiò sussurrando all’orecchio.

Ben mugugnò allontanandosi un poco.

Pochissimo.

Lo spazio necessario per permettere il medesimo gesto ad entrambi.

Le magliette volarono in un punto indistinto della stanza.

Benedict tentò lesto di riappropriarsi della propria posizione tra le braccia di Martin.

Non fu così semplice.

Freeman gli posò le mani sulle spalle e lo tenne a debita distanza.

I suoi occhi corsero lungo il torace pallido.

Parve analizzarlo con sguardo serio.

Lo spinse a sdraiarsi supino.

Non lo sfiorò per svariati istanti, si limitò ad osservarlo silente.

Ben si grattò nervosamente la mascella.

Arrossì nella stanza buia.

“Martin che c’è?”

L’altro inspirò a fondo , prese a sfiorarlo con delicatezza.

Parve saggiare la consistenza di quella pelle perfetta attraversò il tatto.

Le dita sottili scivolarono consapevoli di quali punti fossero più o meno sensibili.

Ben tremò.

La mano giunse al collo per poi accarezzargli una guancia con una dolcezza che nessuno gli aveva mai riservato.

Freeman si avvicinò col viso.

Il naso sfiorò quello dell’altro.

La mano non abbandonò il volto.

“Martin che succede?” Si incupì.

“Sei dimagrito così tanto” Sussurrò , il pollice prese ad accarezzargli lo zigomo.

Gli occhi limpidi sfuggirono a quelli scuri.

“Me lo hai già detto” Si morse il labbro inferiore.

Martin non rispose, seguitò in quella carezza lenta sul volto.

“Non…Non sono al meglio lo so…Io…” Seguitò mordendosi nuovamente il labbro imbarazzato.

Freeman scosse il capo e posò una mano sulla sua bocca mettendolo a tacere.

“Ben tu sei e sarai sempre la persona più bella che io abbia mai visto” Sorrise “Cristo non farmi diventare sdolcinato”

Cumberbatch sorrise e gli baciò la punta delle dita.

“Sei bellissimo e lo sarai sempre, ma stare lontano da me non ti ha fatto bene”

Si chinò a baciarlo.

L’altro annuì abbracciandolo.

Chiuse gli occhi perdendosi in quel bacio.

Le gambe scivolarono leste ai fianchi dell’altro.

Lo accolse contro il proprio corpo.

Il torace di Martin cedette contro quello così caldo di Ben.

I sottili peli biondi lo solleticarono facendolo sorridere.

Quel momento lento, di dolcezza, presto lasciò il posto alla frenesia.

L’eccitazione palpabile in entrambi.

Freeman spinse deciso i propri fianchi contro quelli sottili, ricevette in risposta un movimento scomposto ed un gemito prolungato.

Abbandonò quelle labbra tentatrici mordendogli lentamente la mandibola ed il collo.

La lingua lambì la pelle morsa.

Vi soffiò facendo rabbrividire l’altro.

“Leva sta roba”  Sussurrò all’orecchio , le dita serrate ai pantaloni.

Benedict annuì, le mani un poco tremanti.

“Anzi no, faccio io”

Fermò quei gesti scomposti inginocchiandosi tra le sue gambe.

Cumberbatch sbuffò tentando di agevolare quel gesto che gli stava facendo perdere sin troppo tempo.

“Ho detto che faccio io” Lo rimproverò l’altro.

Le mani scesero lungo le cosce serrando la stoffa tra le dita.

Il semplice gesto di sfilargli i pantaloni si rivelò una lunga ed estenuante carezza.

Li gettò alle proprie spalle, chinandosi poi con il viso, a sfiorare l’eccitazione ancora serrata negli slip.

Ben sussultò con forza.

Mosse convulso il bacino alla ricerca di un maggior contatto.

Piccoli baci scivolarono sulla lunghezza.

I denti stuzzicarono la pelle del bacino per poi serrare la stoffa scura.

Un gemito insoddisfatto abbandonò le labbra piene.

Freeman ghignò e con un movimento lesto li abbassò.

Ben inspirò a fondo mentre l’altro improvvisamente si scostò scendendo dal letto.

“Cosa fai?!” Spalancò gli occhi.

“Buono…” Gli fece l’occhiolino spogliandosi completamente.

Cumberbtach gemette alla vista dell’eccitazione del compagno, una mano corse tra le proprie gambe sfiorandosi lentamente.

“Ehi fermo, li ci penso io”

Tentò di scherzare, ma il brivido che lo attraversò alla vista di Ben con le mani sulla propria erezione lo portò ad inspirare con forza.

“E allora muoviti Martin cazzo!” Sbuffò tendendo una mano verso l’altro.

“Come siamo impazienti” Rise.

“Non ce la faccio più M…” Si mise a sedere.

Gli occhi blu si fecero cupi.

Trattenne un ringhio.

Una mano scivolò lesta tra i propri capelli in un gesto consumato che fece gemere l’altro.

Benedict si inginocchiò sul bordo del materasso e posò le mani sulle spalle di Freeman.

Lo baciò.

Martin gemette afferrando con forza le natiche perfette.

Lo tirò a sé.

Pelle contro pelle.

Eccitazione contro eccitazione.

Spinse la lingua in quella bocca che tanto amava e si beò dei gemiti dell’altro.

La voce scura si trasformava.

Quel basso pigolio aveva il potere di annebbiargli mente e sensi.

Lo spinse con poca grazia sul materasso.

Nell’impatto Ben spalancò le labbra, annaspò un poco.

“Dio…”Sussurrò sfiorando con il naso la barba bionda.

Le lunghe gambe pallide  si aggrapparono  con un gesto fluido i fianchi.

Le dita serrate con forza alla schiena di Martin.

“Mi sei mancato” Cercò i suoi occhi.

Li trovò.

“Anche tu” Ansimò spingendo il bacino.

Ben non resse quello sguardo profondo.

Non con la propria eccitazione serrata contro quella di Martin.

Chiuse gli occhi e gemette.

Freeman imprecò affondando il viso contro quel collo perfetto.

Spinse e morse.

Movimenti convulsi.

“Non ce la faccio cazzo…” Ringhiò.

“Nemmeno io” La voce profonda vibrò nell’orecchio e nel corpo di Martin.

Le mani di Ben abbandonarono la presa sulla schiena per raggiungere il sedere dell’altro, lo strinse con forza incentivando un movimento già frenetico.

 “Cristo Ben” Gli afferrò il viso con la mancina “Guardami” Sibilò.

Le palpebre si sollevarono a fatica.

Le iridi limpide si persero in quelle blu.

Ansimarono.

Gemettero.

Poche spinte ed il corpo di entrambi non resse oltre.

Martin ringhiò crollando con il volto nascosto contro il collo del compagno.

Ben lo abbracciò.

Stretto.

Mosse il viso alla ricerca della guancia dell’altro.

I propri zigomi accaldati scivolarono contro la barba bionda.

Sorrise.

Il silenzio riempì le stanza per diversi istanti spezzato unicamente dal respiro di entrambi che lentamente riacquistò regolarità.

Martin si mise supino, gli occhi chiusi e le labbra piegate all’insù.

Ben gli si strinse accanto, un poco raggomitolato sul fianco, con il braccio destro ben serrato alla vita dell’uomo.

Il volto posato alla pelle accaldata del torace.

Soffiò lentamente.

I peli biondi si mossero appena, Martin rabbrividì e rafforzò la presa sulle sue spalle magre.

Le dita sottili presero poi a tamburellare lente sul bicipite.

Cumberbtach gli posò un bacio casto sul pettorale.

“Se me lo avessero detto ventiquattro ore fa, non ci avrei scommesso un penny…” La voce di Martin riempì la stanza.

Bassa e delicata.

“Io nemmeno mezzo” Ridacchiò Ben sfiorando con il naso la barba bionda.

Il silenzio scese nuovamente, ora leggero, privo di imbarazzo.

Fu nuovamente Freeman a spezzarlo.

“Ben…”

“Umm?” Mugugnò ad occhi chiusi.

“Sei sicuro?”

La domanda bastò all’altro per far si che sollevasse lesto le palpebre. Si incupì e posando poi un gomito sul materasso si sollevò un poco cercando gli occhi blu nella semioscurità.

“Che vuoi dire?” La voce grave vibrò in quella poca distanza che li separava.

“Sei… Sei sicuro di voler affrontare…Questo” Si morse il labbro inferiore.

“Questo sarebbe noi?”

“Già” Annuì.

“Te l’ho già detto e non voglio ripetermi, ho già fatto troppi errori in passato, scelte sbagliate che mi hanno rovinato la vita, ho imparato la lezione, non sono più la stessa persona di tre anni fa Martin… Ora…Sto bene. Sono tranquillo ed in pace con me stesso ed i miei sentimenti… Non ho intenzione di soffrire più di quanto abbia già fatto…E di far soffrire te.”

Freeman inspirò a fondo ed espirò gonfiando le guance.

Ben tese la mano verso il suo viso accarezzandolo con timore.

Si chinò, posando la fronte contro quella dell’altro.

“Te lo giuro M… Quello che voglio sei tu. Si fotta tutto il resto, si fottano tutti quanti”

Martin rise posando i palmi sulle mani di Ben.

“Cristo non sono ancora del tutto convinto che questo non sia un sogno”

Cumberbatch sorrise e scostandosi dal suo viso gli morse un lobo.

“Ahia!” Sussultò l’altro divertito.

“Sono piuttosto reale, come hai potuto constatare”

Freeman lo spinse con un movimento deciso.

Lo mise spalle al materasso scivolando lesto a cavalcioni del bacino sottile.

Ben gemette afferrandogli il volto.

“Ti sembro un sogno?”

“Lo sei, cazzo se lo sei” Gli morse un labbro.

Cumberbtach sbuffò divertito lasciandosi baciare.

“Era un complimento?” Ghignò e lambì con la lingua le labbra sottili.

Martin scosse il capo “Taci”

 Si intrufolò nuovamente in quella bocca tentatrice.

Le lunghe gambe pallide si mossero in un movimento consumato artigliandosi alla schiena del compagno.

Il bacino scattò deciso.

“Mi stai provocando” Freeman abbandonò le labbra piene dedicandosi al collo niveo.

“Senti chi parla “Gemette stringendolo a sé “Stavamo facendo un discorso serio…” Ansimò “Prima che mi saltassi addosso…”

Il compagno si scostò un istante.

Lo sguardo blu incredibilmente serio cercò quello così limpido.

“Pensavo avessimo concluso il discorso”

Ben sorrise, un sorriso ampio “Chiuso? Davvero?”

“Io e te” Annuì “ Tutto il resto si fotta”

Cumberbtach gli sfiorò la nuca, le lunghe dita presero a giocherellare con i capelli argentei.

“Allora…Lunedì Martin… Lunedì inizierà la nostra nuova vita” Sospirò incredulo.

“E’ già iniziata bellezza… Ma lunedì sera andiamo a festeggiare” Lo baciò.

Ben rise su quelle labbra che non aveva mai smesso di desiderare e lo strinse a sé.

“It’s always you…Martin Freeman…” Gli sussurrò all’orecchio.

L’uomo sorrise di quella citazione.

Il suo cuore si strinse.

Lo baciò.

Le nuvole dispettose oscurarono nuovamente la luna.

Un forte vento prese a soffiare nel bosco.

In lontananza un gufo indispettito bubolò sul ramo di un larice.

Le onde agitate si infransero sulla spiaggia di Pond.

Un temporale minacciava di abbattersi nuovamente su Frensham.

Martin e Ben non si accorsero di nulla.

Il respiro ed il corpo di entrambi uniti.

La prospettiva di una nuova vita alle porte.

Una vita all’insegna dell’amore.

L’amore più puro e più vero.

 

Fine.

 

Maaaaaamma cos’ho scritto *si nasconde*…Me imbarazzatissima, come vi ho già detto è la mia prima Freebatch e lo scrivere di persone reali e non semplici personaggi di un libro/film mi imbarazza tantissimo!

Spero vi possa essere piaciuta ^//^, mi auguro di avervi fatto sognare almeno un po’!

Un abbraccio Chia <3

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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