A touch of light 2

di Lamy_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Incontri inaspettati (e sospetti) ***
Capitolo 3: *** Stelle sanguinanti ***
Capitolo 4: *** Schiaffo mor(t)ale ***
Capitolo 5: *** Una matrioska di segreti ***
Capitolo 6: *** Condanna all'oblio ***
Capitolo 7: *** Nelle fauci della bestia ***
Capitolo 8: *** Di nemici e amici ***
Capitolo 9: *** Guerra, amore e abbandono ***
Capitolo 10: *** Vinci o muori ***
Capitolo 11: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


PROLOGO.

-Il nostro amore è là
Vivo come il desiderio
Crudele come la memoria
Tenero come il ricordo
Bello come il giorno
Fragile come un bambino.-

(Jacques Prévert)
 
 
Theo aveva dovuto affrontare svariate situazioni difficili nella sua vita sin da quando, all’età di nove anni, un trio di scienziati pazzi gli aveva trapiantato il cuore di sua sorella e aveva dovuto imparare a cavarsela da solo per sopravvivere. Aveva rischiato di essere ucciso dalla Bestia, di essere cancellato dai Cavalieri della Caccia Selvaggia, aveva rischiato di essere folgorato vivo dai cacciatori sotto la guida di Gerard Argent. Insomma, la vita non era stata clemente con lui. Una delle tante difficoltà a cui trovava arduo reagire era il matrimonio. Ammirando la sua immagine riflessa nello specchio, si accorse che il cuore gli batteva senza controllo e che le mani erano sudate. Era il dieci giugno, il giorno in cui avrebbe sposato Aranel.  Solo sei mesi prima le aveva fatto la proposta e ora cominciava a pensare che avessero organizzato tutto con troppa fretta. In fondo avevano soltanto ventotto anni e una vita intera davanti. Chiuse gli occhi, prese un bel respiro, e ritrovò la calma. Aranel, la persona migliore che avesse mai conosciuto, l’amore della sua vita, sarebbe diventata sua moglie e non c’erano paure che surclassassero quella gioia. Si specchiò un’ultima volta per assicurarsi di avere un aspetto decente: indossava un semplice completo nero, una camicia bianca e Amanda, sua suocera, gli aveva consigliato di smorzare l’abbigliamento austero con una cravatta color ocra. Infatti, il tema del matrimonio si basava sulle tinte del bianco e del beige, sobrio ed elegante come aveva richiesto la sposa. Guardò l’orologio, mancava solo un’ora prima della funzione, e gli sembrava assurdo che in seguito avrebbe portato un anello al dito per il resto della sua vita. Ad interrompere quella valanga di pensieri furono ripetuti colpi alla porta.
“Stai ancora respirando o sei collassato?”
La voce divertita di Roxy fece ridacchiare anche Theo e all’improvvisò si sentì più leggero. Quando uscì dal bagno, emise un fischio complimentandosi con la ragazza per il bellissimo vestito nero che aveva addosso. Roxanne ‘Roxy’ Smith, un metro e settanta di capelli turchesi e occhi neri, era la migliore amica di Theo. Ex detenuta per truffa informatica, era stata assunta come inserviente nella palestra dove lui lavorava. Da subito avevano fatto amicizia, soprattutto dopo aver scoperto di essere entrambi licantropi. Si ritrovava molto bene con Roxy, era orfana, sola e piena di oscuri segreti proprio come lui. Aranel non apprezzava la ragazza per via del suo carattere invadente, brusco e poco civilizzato, ma per amor suo l’aveva comunque accettata.
“Sto ancora respirando, grazie di esserti preoccupata.”
“Meglio così, altrimenti dire alla principessa che il suo futuro è morto sarebbe un compito penoso.”
Theo si versò due dita di whiskey, giusto per allentare la tensione, e si sedette sul divano insieme alla sua amica, che nel frattempo si era già scolata due birre.
“Smettila di chiamarla ‘principessa’, lo sai che detesta essere etichettata come una privilegiata.”
“Una che si veste sempre in modo impeccabile, che ha sempre i capelli in ordine e vive in un attico con piscina come la chiami?! Aranel potrebbe prendere il posto di Kate Middleton e nessuno se ne accorgerebbe, neanche la regina!”
Roxy non riusciva a capacitarsi di come Theo potesse sopportare Aranel, che non si divertiva mai e pensava solo alla carriera.
“Oh, per favore, Aranel sarebbe proprio la regina!” ribatté il ragazzo con un sorriso ilare, anche perché non aveva dubbi che la sua futura moglie avrebbe potuto governare un paese intero con i suoi modi di fare.
“Quando sarete in viaggio di nozze potrò fare la doccia in casa vostra? Lo sai che quella di casa mia fa schifo.”
“Sì, a patto che oggi non importuni tutte le donne invitate al matrimonio.”
Roxy corrugò le sopracciglia perché immaginava che quell’ordine provenisse da Aranel, che non ammetteva il suo modo di approcciarsi agli altri.
“Non è colpa mia se mi piacciono le donne e tua moglie ha delle amiche strafighe! Io vado dove mi porta il cuore, amico mio!”
Theo ripensò ancora a quando, mesi prima, Roxy ci aveva provato con Aranel senza sapere che fosse la sua fidanzata e si era sbellicato dalle risate quando era saltata fuori la verità.
“Roxanne, dico sul serio. Ti chiedo di fare la brava almeno oggi per non innervosire Aranel più del dovuto.”
“Io ancora non capisco perché la principessa mi odi a tal punto. Quando provo a chiederglielo mi dice che lo so benissimo e che fingo di non ricordare, ma io davvero non capisco.”
“Non te lo ricordi? Era la sera del mio compleanno e ci eravamo riuniti in centro per festeggiare, io ti dissi di dosare le parole perché Aranel si imbarazza facilmente per alcune cose e tu le domandasti se io fossi bravo con la lingua.”
La ragazza dai capelli turchesi ci pensò su e l’attimo dopo scoppiò a ridere a crepa pelle. Ricordava l’espressione sconvolta di Aranel e le sue guance arrossate e rise ancora di più.
“Per questo mi odia? Per una stupida battutina sul sesso?”
“Tu non te ne rendi conto ma fai stupide battutine sul sesso tutto il tempo e lei non lo sopporta.”
“Io lo dico che è proprio una principessa!”
Theo alzò gli occhi al cielo, posò il bicchiere vuoto nel lavandino e afferrò le chiavi della macchina.
“Andiamo in chiesa oppure la principessa mi farà giustiziare.”
Roxy rise di nuovo, dopodiché lo seguì giù per le scale.
 
 
Lydia fissò l’ultima perlina intorno alle dieci e mezzo. Era lei ad occuparsi dell’acconciatura di Aranel, che prevedeva un elaborato chignon costellato da piccole perle luminose.
“Sei pronta. Guardati!”
Aranel si ammirò allo specchio per la prima volta da quando si era svegliata e si stupì dell’ottimo risultato che rifletteva appieno i suoi sogni. Il meraviglioso abito bianco era stato cucito appositamente per lei dall’atelier più famoso della città: dallo scollo a barca si diramava il corpetto in finissimo pizzo e terminava in una gonna a sirena di soffice velo, mentre ai piedi calzava un semplice paio di sandali bianchi col tacco. Anche il trucco era leggero, l’ombretto color oro le illuminava lo sguardo e il rossetto rosso dava un tocco di colore. Era come lo aveva sempre immaginato. Intravide Lydia e Malia sorriderle attraverso lo specchio.
“Grazie per avermi aiutato, ragazze. Siete state incredibili.”
“Scott e Stiles si metteranno a frignare come due ragazzine appena ti vedranno!” scherzò Malia, raggiante nel suo tubino magenta. Al suo fianco, Lydia indossava un lungo abito di velo blu. Appollaiato sulla poltrona della camera da letto, Elliott giocava con le macchinine. Il piccolo, due anni appena compiuti, era il figlio di Stiles e Lydia, la mascotte del gruppo.
Stiles e Scott erano i testimoni di Aranel, mentre all’altare l’avrebbe accompagnata sua madre. Non aveva invitato suo padre, non riteneva giusto farsi accompagnare da lui dopo che l’aveva truffata senza esitare. Theo, invece, sarebbe stato affiancato dai suoi migliori amici Zakhar e Roxy. Zakhar Ivanov, trentacinquenne dai capelli neri e dagli occhi color ghiaccio, ex soldato della marina russa, era entrato a far parte della loro vita dopo che Theo aveva evitato che lo pestassero a sangue a causa di un rissa da bar. Vedovo ed ex alcolista, adesso lavorava come portinaio nel palazzo dove risiedevano loro e abitava nella cantina che era stata adibita ad appartamento. Dal corridoio sbucò sua madre Amanda con un dono speciale. La donna portava indosso un esuberante abito giallo canarino e sul capo un cappello simile ad una margherita gigante.
“Scusate l’interruzione, ma ho qualcosa per mia figlia. Ecco, apri.”
Aranel scoperchiò il piccolo cofanetto e si portò di colpa la mano alla bocca in segno di stupore: spettacolari nella loro maestosità, gli orecchini della sua bisnonna erano adagiati su un cuscinetto di velluto. Era tradizione che fossero indossati nel giorno del matrimonio da almeno cento anni.
“Mamma, sei sicura? Non so, non me la sento di …”
“Non essere sciocca! Noi rispettiamo le tradizioni di famiglia e tua nonna si è tanto prodigata per farteli avere.”
Chantal Thompson, la nonna materna di Aranel, si era sposata sette volte e per sette volte aveva indossato quegli orecchini che da generazioni appartenevano alla loro famiglia. Aveva ottanta anni, era una donna bellissima nonostante l’età, ed era stata la direttrice di Vogue più famosa e amata da tutti. Era grazie a lei che Aranel aveva scoperto la passione per la scrittura, per il giornalismo e per i bei vestiti. Anche lei era stata invitata al matrimonio, però aveva subito rifiutato perché a Parigi si sarebbe tenuta la nuova sfilata di Valentino a cui non poteva mancare. Nessuno era rimasto colpito o offeso dal suo declino poiché era sempre stata poco interessata alla famiglia e agli eventi ad essa relativi, e ciò spiegava i sette divorzi che aveva affrontato senza versare una lacrima. Aranel abbottonò le pregiate perle ai lobi e si guardò allo specchio per l’ultima volta. Quando bussarono alla porta, capì che era giunto il momento.
 
 
Theo dovette ammettere che avevano fatto davvero un’ottima scelta riguardo alla location per la celebrazione. Le nozze, infatti, si sarebbero tenute presso il Castello di Boldt risalente al 1900, prevedeva 120 camere su sei piani, gallerie, un ponte levatoio e un giardino all’italiana. Realizzato da George Boldt per la sua amata Louise, il Castello fu abbandonato dopo la morte di questa ultima. Sia lui che Aranel erano rimasti incantati dalla bellezza della struttura nella sua interezza, così aveva stabilito che la cerimonia avesse luogo nel meraviglioso giardino e il pranzo nella sala da ballo. Da lontano intravide gli invitati, emozionati e colorati, vide Melissa e il signor Argent, e scorse zia Melanie e lo sceriffo Stilinski chiacchierare allegramente. Poi arrivarono Liam, Mason e Corey.
“L’odore della paura è forte.”
Il marcato accento russo fece intuire l’arrivo di Zakhar. Theo si voltò verso di lui e rimase stupito nel costatare che il suo amico vestisse un completo elegante, benché palesemente usurato dal tempo.
“Avresti paura anche tu a sposare Aranel.”
Zakhar si accese un sigaro e si sedette sulla panchina con sguardo perso, come se del mondo intorno gli importasse poco e niente.
“Hai ragione, il matrimonio è sacrificio. Io lo so bene.”
Non parlava mai di sua moglie, si era solo lasciato sfuggire che si chiamasse Sasha e che si fosse dato all’alcol dopo la sua morte. Era un uomo duro, chiuso, e poco incline al rapporto con gli altri, ma sembrava riuscire ad aprirsi con Aranel.
“Ho paura di deluderla, di farla soffrire, e lei non merita tutto questo.”
Zakhar gli diede una pacca amichevole sulla spalla, prese un tiro di sigaro, e tornò a guardarsi intorno.
“Allora non deluderla, altrimenti ti vengo a cercare e ti riduco in brandelli.”
“Scusa, ma tu da che parte stai?”
“Dalla parte della principessa ovviamente.”
Theo non ebbe modo di ribattere perché da lontano Kabir, il patrigno di Aranel, gli stava facendo cenno di avvicinarsi.
 
 
Malia non si meravigliò affatto quando Stiles si commosse alla vista di Aranel in abito bianco. Mentre lui quasi scoppiava a piangere, Scott l’aveva abbracciata e si era complimentato.
“Direi che dobbiamo andare.” Si intromise Lydia, che aveva programmato tutto nei dettagli.
Quando i testimoni ebbero occupato la postazione, Aranel prese a braccetto a sua madre e diede l’ordine al violinista di intonare la marcia nuziale. I cespugli erano decorati da fiori e ghirlande, le panche bianche erano caratterizzate dalla presenza di nastri beige alle spalliere, e il gazebo bianco in fondo ospitava un piccolo altare in marmo altresì bianco. A Theo salì il cuore in gola: Aranel era una visione celestiale in quell’abito candido che le fasciava il corpo alla perfezione e quello sguardo contento. Arrivate sulla pedana, Amanda lasciò la mano di Aranel a Theo e andò a sedersi in prima fila, accanto a Lydia e a Malia.
“Wow.” Si limitò a dire Theo e Aranel sorrise nel totale imbarazzo. Kabir, che avrebbe presieduto alla funzione, tossì per richiamare la loro attenzione e dare inizio all’omelia. Dopo un’ora di risatine, occhiate fugaci e parole sentimentali, Liam portò loro le fedi, al che Kabir poté formulare la parte finale.
“Tu, Theodor Karl Raeken, vuoi prendere in moglie Aranel Marie Jones?”
“Lo voglio.”
“E tu, Aranel Marie Jones vuoi prendere in marito Theodor Karl Raeken?”
“Lo voglio.”
“Pertanto vi dichiaro marito e moglie.”
 
 
Era da poco scoccata la mezzanotte quando l’attuale proprietario del Castello accompagnò Aranel e Theo nell’ala est dell’edificio, dove erano ubicate le stanze da letto. Mason e Corey avevano regalato loro la suite ‘imperiale’, ossia la camera privata più lussuosa. Il signor Murray aprì la porta e si fece di lato per lasciarli andare. Si ritrovarono catapultati nella sontuosità sfrenata: tendaggi di seta verde smeraldo, specchi dalle cornici placcate d’oro, la testata del letto erano un insolito intrico in ferro battuto, e le pareti erano coperte da quadretti idilliaci nei quali figuravano divinità e ancelle presso le rive di fiumi azzurrissimi.
“Mi auguro che la permanenza sia di vostro gradimento, miei cari. Buonanotte.” Esordì l’uomo panciuto e dai baffi attorcigliati, fece un mezzo inchino goffo e si avviò verso l’uscita.
“Grazie, signor Murray. Sono certa che sarà un’ottima permanenza.”
Quando furono soli, Theo si allentò subito la cravatta e si sbottonò la camicia, quasi avesse l’orticaria.
“Mi chiedevo quanto ancora avresti resistito.” Ridacchiò Aranel, mentre si toglieva le scarpe e sbuffava per i talloni sanguinanti. Theo, ormai spaparanzato sul letto, sorrise. Sua moglie era bellissima, non solo fisicamente, aveva un’aura magica che inondava di luce qualsiasi suolo percorresse. Si fissò la fede dorata per qualche istante, luccicava ed aveva un immenso significato.
“Avrei voluto strapparmi quella dannata cravatta un secondo dopo averla indossata.”
“Ci avrei scommesso. Adesso vieni a darmi una mano, Raeken. Questo vestito non si toglie da solo.”
Theo la raggiunse davanti allo specchio e le scostò dolcemente i ciuffi sfuggiti dallo chignon, le baciò la spalla scoperta e il collo in bella mostra. Fece scorrere la zip verso il basso fino a quando il vestito non cadde a terra e ghignò nel costatare che Aranel indossava una delle sue famose sottovesti.
“Chi indossa più la sottoveste oggigiorno?”
Aranel gli fece la linguaccia attraverso la superficie specchiata e si voltò verso di lui, gli allacciò le braccia al collo e gli accarezzò i capelli sulla nuca.
“Quando la smetterai di mettermi in imbarazzo?”
“Quando la morte o il divorzio ci separerà, signora Raeken.”
Entrambi scoppiarono a ridere, anche se nel riso vi è sempre un fondo di verità. Theo si chinò per baciarle delicatamente le labbra, uno sfiorarsi leggero e carico di sentimento.
“Ti dispiace che non abbia preso il tuo cognome?”
“No. Ritengo sia una stupida usanza. Inoltre, sarebbe più utile che io prendessi il tuo cognome data la tua importanza nella elite mondana!”
“Idiota!” lei lo colpì giocosamente al petto, nonostante sapesse che aveva ragione.
“Senti, adesso possiamo aprire la lettera di Richard? Sono curioso!”
Richard non era stato presente a causa del lavoro ma si era premurato di spedire loro una lettera molto speciale. Aranel scavò nella borsa alla ricerca della lettera e, dopo averla trovata, si sedette sul letto, mentre lui si versava qualche goccio di champagne freddo.
“Carissimi Aranel e Theo, mi dispiace non poter partecipare ad uno dei giorni più belli della vostra vita. Nonostante la mia assenza, mi sono impegnato per regalarvi qualcosa di valore e credo di aver fatto una scelta accurata. Ecco il mio regalo: una luna di miele della durata di due settimane nel borgo ligure di Vernazza in Italia. E’ tutto a mie spese, quindi potete godervi ogni istante senza preoccuparvi. Vi auguro tanta felicità. Un immenso abbraccio da Richard Bettencourt.”
“Richard ci regala un viaggio all’anno, direi che salvargli la vita è stato utile.” Disse Theo facendo spallucce.
“Visto? Fare qualche azione buona ha il suo tornaconto positivo!”
Theo si distese accanto a lei e insieme guardarono il soffitto riccamente decorato da putti con cetre e trombe. Aranel gli lanciò uno sguardo e gli strinse la mano.
“Un penny per i tuoi pensieri.”
“Penso che dovremmo onorare la tradizione secondo cui gli sposi si uniscono carnalmente nella prima notte di nozze.”
Aranel si sistemò a cavalcioni e iniziò a sbottonargli la camicia lentamente, come solo lei sapeva fare.
“Ah, sì? E da quando sei il tipo che rispetta le tradizioni?”
“Da quando sei entrata in un bar disperso di Beacon Hills due anni e mezzo fa.”
Theo le accarezzò la schiena per poi tracciarle disegni immaginari sulle cosce. Con quel viso pulito, i capelli ancora intrecciati alla perfezione e con addosso la camicia da notte bianco puro, somigliava tanto ad una scia di luce che si insinuava tra le sue crepe tenebrose. Aranel si incastrava proprio nei punti in cui doveva incastrarsi, tra i demoni e i tormenti della sua anima. Lei sorrise timidamente allo sguardo persistente di Theo.
“Direi che ne abbiamo fatta di strada da quella notte.”
“Io mi immaginavo sotto un ponte a bere vino scadente e a chiedere l’elemosina, quindi direi proprio che le mie prospettive di vita sono decisamente migliorate!”
Entrambi risero nella consapevolezza che, in fondo, si erano aiutati a vicenda.
“Io avrei sposato Gregg, avrei continuato a lavorare per il New York Times e sarei stata costretta a partecipare alle feste delle’elite della città.”
“Che tragedia sarebbe stata la tua vita da riccona!”
Theo si beccò un pugno e di rimando le bloccò i polsi con entrambe le mani.
“Che tragedia sarebbe stata la tua vita senza di me, Raeken!”
“Allora meno male che ci sei.”
La replica di Theo fu così seria e profonda da lasciarla senza parole, quindi si limitò a chinarsi e a baciargli le labbra. Rabbrividì quando l’oro freddo della fede di lui venne a contatto con la sua pelle. Un bacio tirò l’altro, e la luna illuminò d’argento i loro corpi che si univano.
 
 
Una settima dopo:
Il mare era una distesa azzurra e brillante sotto i caldi raggi del sole. Aranel, poggiata al parapetto dell’angusto balcone, ammirava il panorama con un accenno di sorriso. Vernazza era un posto magico, la sua atmosfera ammaliante ti intrappolava nel suo manto e non ti lasciava andare. Quella prima settimana era stata intensa: avevano visitato il Castello e il Parco Nazionale delle Cinque Terre, avevano fatto una escursione lungo il Sentiero Monterosso, avevano assistito alla messa in latino che si teneva nel Santuario di Nostra Signora di Reggio (dove Theo aveva più che altro sonnecchiato), ed avevano cenato ogni sera in un ristorante diverso del centro. Aranel, che era iperattiva come al solito anche in vacanza, aveva già organizzato nei dettagli quella seconda e ultima settimana di luna di miele, malgrado sapesse che suo marito aveva solo voglia di dormire e mangiare.
“Il tuo cervello sta fumando.”
La voce assonnata e roca di Theo la fece sorridere e si voltò per raggiungerlo a letto.
“Il mio cervello ha già programmato le attività di questa settimana, quindi vedi di darti una mossa. Non abbiamo tempo da perdere!”
Theo nascose la testa sotto il cuscino borbottando contro Richard e quella luna di miele. Aranel, già vestita e pettinata, gettò in borsa gli occhiali da sola e indosso il cappellino di paglia bianco che le conferiva una certa teatralità.
“Ti aspetto al ristorante tra venti minuti. Facciamo colazione in fretta e ci dirigiamo da Cosimo, il pescatore che ci ha promesso un giro in barca. Alzati, Raeken!”
Trenta minuti dopo Theo, ancora mezzo addormentato e affamato, raggiungeva il ristorante dell’hotel a passo pesante. Si sedette su uno sgabello e ordinò un martini, benché fossero solo le nove e dovesse fare colazione con Aranel. Sua moglie, infatti, stava discutendo allegramente con una coppia di anziani inglesi circa la spiaggia e un giro in barca.
“Accidenti, quella donna ha l’adrenalina che scorre come sangue nelle vene!” esclamò una voce divertita al suo fianco. Quando si girò, rimase stupito dal bel viso femminile che vi trovò. Si trattava di una donna sulla quarantina, di origine asiatica, che gli sorrideva spudoratamente. Theo sorseggiò con calma il suo martini e annuì.
“Sì, è iperattiva a livelli snervanti.”
La donna ridacchiò spostandosi i lunghi capelli neri sulla spalla e mettendo il collo in bella mostra. Di certo non poteva vedere la fede al dito poiché era seduta alla sua destra, ma Theo era convinto che poco le sarebbe importato comunque.
“E’da una settimana che sento la sua voce e i suoi passi dappertutto, è diventata insopportabile. Da quanto ho capito è qui con il marito, ma non l’ho mai visto personalmente, eppure provo pena per lui. Stare con una donna così non deve essere facile.”
“A dire il vero stare con lei è semplicemente fantastico. Aranel è la donna migliore che potessi conoscere e che potessi decidere di sposare.”
Il sorriso della donna si soffocò di colpo e fu sostituito da una terribile espressione di vergogna, al che Theo sorrise sornione e mandò giù l’ultimo goccio di martini.
“Theodor!”
Aranel si avvicinò a loro sgambettando sui sandali color cuoio e in quel vestito bianco che la rendeva uno spettacolo per gli occhi. Non appena fu di fronte a lui, Theo la strinse a sé e le stampò un bacio sulla bocca.
“Scusa il ritardo, stellina, ma il mio cervello sta ancora dormendo al contrario del tuo. E poi mi sono fermato a scambiare quattro chiacchiere con la signora qui di fianco a me.”
La sconosciuta arrossì quando fu interpellata ed ebbe l’idea di allungare la mano verso la ragazza davanti a sé.
“Piacere, io sono Savannah Wagner.”
“Oh, piacere mio, Aranel Jones!”
“Aranel Jones? Lei è la scrittrice?” Savannah adesso sembrava aver cambiato idea su Aranel e Theo decise di supportare quel cambiamento.
“Sì, mia moglie è la scrittrice che nell’ultimo anno è in testa alle classifiche con ben tre libri!”
“Non esagerare adesso.” Aranel sorrise imbarazzata e strinse la mano si Theo in segno di riconoscenza per le belle parole. Savannah si mise in piedi e disse al barman di segnare il tutto sul conto della stanza.
“Mio marito è un suo grandissimo fan, ha tutti i suoi libri e si è abbonato al The Post solo per leggere i suoi articoli, nonostante abitiamo a Londra.”
“Addirittura? Beh, a questo punto direi sia arrivato il momento di conoscere questo mio fan. Stasera potreste cenare al nostro tavolo, che ne dice?”
Theo si infastidì per quell’invito perché voleva trascorrere quelle due settimane soltanto con Aranel dal momento che, una volta tornati a New York, si sarebbero visti solo a cena, però al tempo stesso era felice che lei potesse essere apprezzata da un suo lettore. Savannah prese la pochette e, prima di allontanarsi, salutò la coppia con una stretta di mano.
“A stasera.”
 
 
Theo non aveva nessuna voglia di partecipare a quella cena ed era evidente poiché se ne stava rannicchiato sulla poltrona col muso lungo, mentre Aranel si preparava.
“Hai intenzione di mantenere il broncio per tutta la serata, Raeken?”
“Perché non me lo togli tu il broncio a suon di baci?”
Aranel lo linciò con lo sguardo e tornò a stendersi l’ombretto, sebbene l’idea di suo marito non fosse poi tanto pessima.
“Perché non posso deludere un mio lettore. Dai, Theo, fammi contenta!”
“Saprei farti contenta in altri modi.”
Theo tornò a sbirciare il mare dalla finestra e si accorse che ormai era calata la sera, il tramonto lasciava il passo ad un velo nero puntellato di stelle luminose. Da un mese circa aleggiava in lui una brutta sensazione, come se qualcosa di male stesse per accadere da un momento all’altro e lui si sentiva impotente dinanzi a quell’emozione negativa. Tra l’altro c’era un dettaglio di cui a sua moglie non aveva fatto parola: da un paio di settimane, a giorni alterni, sognava sua sorella Tara la notte in cui era morta. Non lo raccontava per timore che quella sensazione di disagio si tramutasse in una terribile verità. Sbatté più volte le palpebre per tornare alla realtà, e fece un mezzo sorriso quando vide Aranel sistemarsi la sottoveste prima di infilarsi la gonna, alcune cose per fortuna non cambiavano mai.
“Fallo per me, ti prego.”
“E va bene, andiamo a questa stupida cena!”
Aranel si illuminò, afferrò la borsa e lo trascinò in ascensore. Per l’occasione aveva indossato una gonna bianca ed una canottiera azzurra di velo, semplice ma comunque elegante. Theo la guardò di traverso e ridacchiò, beccandosi ovviamente un pugno giocoso.
“Fa il bravo, Theodor.”
Lui, malizioso come sempre, si avvicinò al suo orecchio per sussurrarle:
“Dopo cena ti voglio tutta per me, stellina.”
Il ristorante era gremito di clienti e camerieri, dalla cucina provenivano svariati profumi, e il pianista incantava tutti con Mozart. Theo riconobbe Savannah da lontano, li stava salutando con un molle gesto della mano e lui strinse il braccio attorno alle spalle di Aranel.
“Andiamo, sono seduti in terrazza.”
Quando furono al tavolo, Savannah li accolse con due baci sulle guance e li invitò ad accomodarsi nell’attesa che arrivasse suo marito.
“Perdonate mio marito, è molto impegnato con il suo lavoro. Sono sicura che Theo mi capisce.”
Aranel fece balzare lo sguardo smarrito da Savannah a Theo come se avesse intuito tra di loro un certo imbarazzo.
“Aranel non lavora quando siamo insieme, per lei contiamo solo noi.”
Savannah incassò il colpo con un sorriso tirato, però poi si alzò in piedi quando vide suo marito avvicinarsi, al che anche la coppia si tirò su.
“Theo e Aranel, sono lieta di presentarvi mio marito …”
“Octavius Wagner!” esclamò Aranel, interrompendo la donna senza esitare. L’uomo davanti ai suoi occhi era il guru nel campo del giornalismo. Theo provò un non so che di irritante per gli occhi ammaliati di sua moglie.
“La mia scrittrice preferita conosce il mio nome, è sorprendente!” disse Octavius dopo averle baciato il dorso della mano. Era senza dubbio un bell’uomo, oltre i quaranta anni, capelli ancora biondi, zigomi affilati e un sorriso incantatore. Theo aveva voglia di prenderlo a pugni.
“Lei sta scherzando, vero? La prego, signor Wagner, lei ha rivoluzionato il mondo del giornalismo e dell’editoria, per non parlare del suo meraviglioso libro! Lei è una leggenda!”
“Diciamo del ‘tu’, per favore. E’ una serata tra amici. Direi anche di accomodarci.”
Le coppie si sedettero ai lati lunghi del tavolo, l’una di fronte all’altra, Theo di fronte a Savannah e Aranel a Octavius.
“Allora, come mai siete qui?” domandò Aranel, che sin da subito si era ringalluzzita.
“Io e Octavius festeggiamo il quindicesimo anno di matrimonio e abbiamo optato per una meta diversa dalle solite. E voi?”
Sebbene fosse stata la ragazza a porre la domanda, Savannah rivolse lo sguardo a Theo perché rispondesse.
“Io e Aranel siamo qui in viaggio di  nozze, ci siamo sposati una settimana fa.”
“Vi suggerisco di viaggiare insieme ogni volta che potete, esperienze in altri paesi uniscono le anime.” Si intromise Octavius, poi bevve un sorso di vino rosso e disse al cameriere di portare loro dello champagne. Savannah ridacchiò e gli baciò la guancia accuratamente rasata.
“Champagne, caro? Hai proprio voglia di festeggiare!”
“Festeggiamo la lettura, l’amore e la vita!”
Dopo che i calici furono riempiti di liquido ambra, il gruppo brindò e bevve alla salute. Sbirciarono il menu, richiesero i piatti migliori dello chef e la serata proseguì tra risate e racconti, e svariati tentativi di Theo di reprimere un urlo di rabbia. Giunti al dolce, fu servito loro un gustoso sorbetto al limone. Fu Octavius ad interrompere il silenzio causato dal dessert.
“Ho notato che guardi spesso la fede, Theo. Ti attira il suo colore luminoso?”
“Mi attira il fatto che io sia sposato con una donna straordinaria quale è la mia Aranel.”
Aranel arrossì e allungò la mano sul tavolo per stringere quella di suo marito. Savannah, invece, proruppe in una risata divertita.
“Scommetto che il vostro è un rapporto esclusivo.”
“Esclusivo? In che senso?” fece Aranel, ormai del tutto confusa dall’atteggiamento frivolo di quella donna. Octavius si intromise nel discorso con fare pacato e serio.
“Io e Savannah abbiamo una relazione aperta.”
“Aperta?!” l’espressione sconvolta di Theo aumentò le risate di Savannah, che bevve dell’acqua per calmarsi.
“Aperta nel senso che io e Octavius, benché sposati, usciamo e andiamo a letto con altre persone.”
Aranel si sentì stritolare il ginocchio dalle dita di Theo e sbarrò gli occhi sia per il dolore sia per la dichiarazione.
“Oh, ehm, sì, noi abbiamo un rapporto esclusivo.”
“Permettetemi di dire che è una decisione terribile.” Disse Octavius con un sorrisetto che spinse Theo a reagire.
“Terribile è accettare che il tuo partner faccia sesso con altra gente. Non sopporterei l’idea di Aranel con un altro, lei è mia moglie!”
“Ecco, è proprio questo che io e Savannah evitiamo. Noi detestiamo il concetto di possesso e gelosia, preferiamo la condivisione e la libertà. Dicendo che lei è tua moglie e impedendole di frequentare altre persone, le vieti di essere libera e di esprimere se stessa al meglio. Tu credi che lei sia tua, credi di possederla, ma in realtà possiedi le tue stesse paure.”
Aranel dovette ammettere che quel discorso non faceva una piega, però al tempo stesso la libertà e la condivisione di cui Octavius blaterava avevano una nota distorta. A Theo pareva tanto una accusa nei suoi confronti e non gli piacque il modo in cui quei due lo stavano giudicando dall’alto della loro perversa moralità.
“Aranel non è un oggetto di mio possesso e non ho affermato questo poco fa. Intendo dire che amare una persona implica un legame esclusivo che impedisce altre relazioni amorose e carnali. Si può concedere la libertà anche all’interno di una coppia, basta saperlo fare.”
“Ognuno vive l’amore come meglio desidera.” Disse Savannah per stemperare l’atmosfera tesa creatasi tra i due uomini. Aranel, non contenta della piega che aveva preso la cena, decise di dire la sua.
“Soprattutto è importante avere rispetto per l’altra persone e assicurarsi che a lei questo rapporto aperto vada bene.”
Theo notò Octavius indurire l’espressione del viso e captò una strana aria tra lui e Savannah, come se fossero crollate le certezze su cui si basavano le loro teorie. Nel frattempo il ristorante si era svuotato e i camerieri cominciavano a pulire, così Octavius e Aranel si accinsero a pagare.
“A quanto pare è Aranel che porta i pantaloni nella coppia.”
Theo lanciò un’occhiataccia a Savannah e scrollò la testa.
“Aranel è indipendente e non rispetta i canoni del rapporto uomo-donna. Lei fa quello che sente, lei paga le cene, mi accompagna al lavoro, mi lascia fare i servizi in casa, insomma lei ribalta le convenzioni.”
“E’ davvero una donna straordinaria.” Adesso la donna sembrava triste e anche i suoi occhi si erano incupiti.
“Sì, lo è.”
Qualche minuto dopo si salutarono e ognuno tornò nelle proprie camere.
 
 
Theo si buttò sul letto non appena furono in camera. Quella cena lo aveva sfinito, adesso era nervoso e di cattivo umore. Aranel uscì dal bagno una decina di minuti dopo struccata e in camicia da notte, attenta a non inciampare nel buio della stanza.
“Che hai, Theo?”
“Niente.”
Il tono brusco del ragazzo preoccupò Aranel perché, quando lui faceva così, era un cattivo segno. Theo andava preso a piccole dosi perché aveva la tendenza ad inglobare la rabbia e a lasciarsi alimentare da essa, e si sa che il veleno a lungo covato è assai pericoloso.
“Va bene. Ne riparleremo domani, se vorrai. Buonanotte.”
Gli diede le spalle e sistemò il cuscino, consapevole che il sonno sarebbe sopraggiunto in ritardo. Poco dopo avvertì la mano calda di Theo accarezzarle il fianco per suggerirle di voltarsi.
“Scusami, è solo che le insinuazioni di quel tizio mi hanno innervosito.”
“Lascia perdere quei due e le loro bizzarre teorie sulle relazioni. Siamo in luna di miele e non è necessario rovinare questa ultima settimana a causa di chiacchiere inutili.”
“Hai ragione.”
“Cosa? Theo Raeken mi ha appena dato ragione? La fine del mondo deve essere vicina!”
Theo sollevò le sopracciglia e fece una smorfia maligna, poi cominciò a farle il solletico. Aranel tentò di divincolarsi mentre rideva a crepapelle, ma non riuscì a liberarsi, così dovette arrendersi.
“Ti prego, basta! Mi arrendo! Basta!”
“La smetto solo se mi dai un bacio, anzi cento baci.”
Frattanto, mentre i raggi della luna penetravano attraverso le imposte, Theo la sovrastava e la guardava dritto negli occhi. Sapeva che lei avrebbe insistito per capire l’origine del suo costante nervosismo, però confessarle di sognare la sorella morta per la sua stessa mano non gli sembrava qualcosa facile da dire.
“Sei luminosa, Aranel Jones. Sei la mia stella.”
Le dita affusolate di Aranel dolcemente gli segnarono i tratti del viso e lui chiuse gli occhi, respirò a fondo come se tutta quella calma potesse invadergli i polmoni e placargli la mente.
“Che cosa ti tormenta? Lo vedo che qualcosa ti agita e vorrei che tu me ne parlassi.”
Theo, anziché rispondere, la baciò con una intensità asfissiante, aveva il bisogno vitale di sentirla vicina, di sentire la loro pelle fondersi nel calore e nei sentimenti. Per quanto lei volesse conoscere la natura delle sue preoccupazioni, riconobbe che gliene avrebbe parlato quando si fosse sentito pronto e forzarlo sarebbe stato controproducente, pertanto si abbandonò alla libidine sfrenata che esigeva di essere sprigionata. Si lasciò spogliare, sfilò la camicia a Theo e lo aiutò a togliersi i pantaloni, continuarono a liberarsi degli indumenti fino a quando non rimase alcuno strano a dividerli. Ansimavano freneticamente l’uno sulle labbra dell’altro, le mani si ricorrevano in modo vorace e inarrestabili, e il tutto si mescolava al suono dei loro profondi sospiri. Intrappolati in un abbraccio stretto e lussurioso, trascorsero la notte ad amarsi tra parole sussurrate e risate sommesse.
 
 
Una settimana dopo:
Quegli ultimi sette giorni di vacanza erano stati paradisiaci per Theo. Dopo la disastrosa cena con i coniugi Wagner, i quali erano ripartiti per Londra il giorno dopo, si era lasciato alle spalle le inquietudini per godersi il resto della settimana in compagnia di sua moglie. Avevano visitato il resto di Vernazza e dintorni, avevano passato una notte intera ad ammirare le stelle dal centro della città, avevano fatto l’amore in spiaggia a mezzanotte, e si erano anche ritagliati il tempo per assemblare l’album fotografico del viaggio. Affacciato alla finestra dell’hotel, sorrise quando Aranel gli circondò le spalle da dietro e gli baciò la guancia.
“Buongiorno, stellina.”
“Buongiorno a te. Come mai sei già in piedi?”
“Avevo voglia di osservare per l’ultima volta questo panorama mozzafiato. Tornare a New York sarà difficile dopo aver sperimentato tutta questa bellezza, e non mi riferisco solo alla città.”
Aranel, con indosso solo la camicia da notte, aveva ancora le labbra arrossate per i baci ardenti ed era la cosa più bella che lui avesse mai visto.
“Anche io vorrei poter restare qui, credo sia un posto magico.”
“Ma devi pubblicare l’inchiesta, dico bene?”
Da un anno stava lavorando ad una inchiesta sulla condizione delle donne che le aveva garantito la candidatura per il Premio Pulitzer, la massima onorificenza internazionale per il giornalismo, e l’articolo sarebbe stato pubblicato dopo essere tornati a New York.
“Lo sai che questo articolo è importante per me, al di là del premio. Nessuno si occupa delle donne vittime di violenza domestica a dovere e delle loro condizioni precarie, perciò è fondamentale sollevare la questione nella speranza che le autorità competenti si mobilitino. Mi dispiace se negli ultimi tempi sono stata distratta dal lavoro, ma ti prometto che adesso sarà tutto diverso.”
L’espressione afflitta di Aranel intenerì Theo perché, nonostante fosse stato difficile vederla e parlarle a stento per quasi un anno, era orgoglioso del suo impegno e della sua volontà di aiutare gli altri. Le afferrò i fianchi e la fece sedere sulle sue gambe.
“Non ti devi dispiacere, stellina. Hai scritto un articolo eccellente e sei stata candidata per il Pulitzer perché sei una giornalista sensazionale. Ti ho appoggiato nei mesi passati e continuerò a farlo perché te lo meriti. Sono davvero orgoglioso di te.”
“Io ti amo.” Disse Aranel prima di baciarlo con irruenza.
“Ti amo anche io.”
 
 
 
 
Salve a tutti! :)
Purtroppo per voi sono tornata con questa storia perché continua ad ispirarmi.
Beh, direi che per il momento Aranel e Theo sembrano stare bene, ma ovviamente tutte le cose belle sono destinate, ahimè, a finire.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima.
Un bacio.
 
Ps. Perdonate eventuali errori di battitura.
 
 
 

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Capitolo 2
*** Incontri inaspettati (e sospetti) ***


1. INCONTRI INASPETTATI (E SOSPETTI).
 
-Ogni incontro è portatore di mistero.-
(Silvano Agosti)
 
 
Erano circa le sei del mattino quando Theo, dopo aver trascorso una nottata insonne, decise di lasciare il letto. Al suo fianco, rilassata e addormentata, c’era Aranel, e la coprì meglio prima di chiudersi la porta alle spalle. Erano rientrati dalla luna di miele da circa due settimane e la mancanza del paradisiaco borgo di Vernazza si avvertiva quando gli asettici profili dei grattaceli gettavano ombra sui marciapiedi. La macchina del caffè suonò, si versò il liquido scuro nella tazza e si diresse in terrazza. Sognava ancora sua sorella Tara negli scenari più svariati: sangue, urla, cuori strappati e unghia che strisciavano. Quando si metteva a letto, fingeva di dormire per non destare preoccupazioni in sua moglie ma sapeva di non poter nascondere la verità ancora per molto. Aveva deciso che glielo avrebbe detto non appena avesse capito di cosa si trattava. Posò la tazza vuota per terra, si tolse i pantaloni del pigiama e si tuffò in piscina nella speranza che una nuotata lo avrebbe aiutato a cambiare idea. Restò seduto sul fondo per circa un’ora, fino a quando attraverso la superficie distorta dell’acqua notò Aranel fissarlo con le mani sui fianchi. Tornò a galla tirandosi i capelli bagnati indietro. Sorrise, come aveva sempre fatto.
“Buongiorno, stellina.”
“Hai intenzione di trasformati in una aragosta? Hai forse scoperto questo altro lato da chimera?”
Aranel quasi si strozzò quando lui uscì dalla piscina e si distese sulla sdraio di fronte alla sua. I raggi del sole delineavano con accuratezza quasi artistica il suo fisico scolpito, i muscoli tonici del petto e dell’addome, e le goccioline d’acqua segnavano il suo corpo come fiumi che solcano il deserto; era uno spettacolo per gli occhi.
“Vuoi una foto e un autografo?”
“Ma che simpatico, Raeken! Stavo solo ammirando mio marito, non ci vedo nulla di male.”
Theo le rivolse un sorriso divertito e le rubò la tazza di mano per bere altro caffè. Storse le labbra per il gusto eccessivamente zuccherino.
“Bleah! Questo caffè è pessimo.”
“Ho bisogno di zuccheri oggi, è una giornata importante!”
Quella mattina Aranel e i candidati al premio Pulitzer avrebbero conosciuto il Presidente della commissione che avrebbe decretato il vincitore e avrebbero, poi, pubblicato i loro lavori perché la commissione li esaminasse.
“Stai tranquilla, sono sicuro che il Presidente apprezzerà il tuo articolo. Inoltre, il fatto che tu sia una scrittrice di successo e una pluripremiata giornalista influisce sulla votazione.”
“Lo spero. Beh, anche per te oggi è una giornata di novità. Avete idea di chi possa essere il nuovo proprietario della palestra?”
Nei mesi precedenti Theo aveva rischiato il licenziamento perché la palestra presso cui era personal trainer aveva dichiarato fallimento dopo che il figlio del proprietario aveva rubato tutti i soldi, ma fortunatamente un imprenditore inglese aveva acquistato lo stabile e il lavoro era salvo.
“Non abbiamo alcun indizio. Non sappiamo neanche se sia una donna o un uomo.”
“Secondo me è un uomo grosso, col triplo mento, la calvizie e cravatte orribili!”
Aranel balzò sulla sdraio quando la voce di Roxy piombò alle loro spalle senza preavviso. Al contrario, suo marito continuava a prendere il sole per nulla sorpreso. Era proprio vero che tra lupi ci si intendeva.
“Potresti bussare, per favore? Sai, è così che fanno le persone normali!”
Roxy fece spallucce ignorandola del tutto e andò in cucina per mangiare la torta che Aranel aveva comprato la sera prima.
“Non arrabbiarti più del dovuto, lo sai com’è fatta.” Le disse Theo, beatamente rilassato.
“Io vado a preparami, e tu non metterti in testa di fare la doccia con me! Resta a fare compagnia alla tua amica!”
“Sei perfida, stellina!”
La risata di Theo innervosì Aranel ancora di più, che si chiuse in bagno senza dar loro retta.
“Certo che stanotte devi aver fatto proprio cilecca altrimenti tutto quel nervosismo non si spiega.”
Roxy si stava ingozzando di torta alle noci mentre alternava un sorso di latte fresco. I suoi lunghi capelli turchesi erano in netto contrasto con gli abiti scuri e il rossetto nero, sembrava una bambola punk. Theo scosse la testa e ridacchiò.
“Io non faccio mai cilecca, amica mia. Offro sempre un servizio eccellente!”
“Farò finta di crederci. Allora, oggi arriva il nuovo boss, eh? Io già lo detesto.”
Theo affondò il dito nella panna e lo portò alla bocca, sperava che un pizzico di dolcezza ammorbidisse i suoi pensieri.
“Come fai a odiare qualcuno che non hai mai conosciuto?”
“Boh, so solo che è così.”
“Ho bisogno di un altro caffè, sì, decisamente.”
Roxy gli diede il piatto vuoto e si incamminò verso la cucina ridendo.
 
Aranel ripose nell’armadio l’ennesima giacca con un sospiro irato. Non sapeva cosa indossare per l’incontro col presidente e, per quanto l’abito non faccia il monaco, voleva rendersi presentabile per fare una bella impressione. Dopo una colazione abbondante, Theo tornò in camera per vestirsi e la vide con la faccia premuta contro il cuscino, ancora in accappatoio.
“Aranel?”
“Mmh.”
“Va tutto bene?”
“No. Io all’incontro non ci vado!”
Sembrava proprio una bambina con quel tono piagnucoloso e imbronciato, così lui le si sedette accanto e le accarezzò i capelli.
“Hai lavorato per un anno intero all’articolo e non puoi abbandonare tutto perché non sai cosa indossare. Non è da te.”
Aranel sollevò la testa e gli lanciò uno sguardo truce, poi si mise seduta e prese un respiro.
“Hai ragione, ma il fatto che il presidente sia stato nominato solo ora mi mette agitazione. Ci tengo davvero a questo progetto e vorrei guadagnare comunque un buon riscontro, a prescindere dalla vittoria o no.”
“Allora direi che serve la mia vasta conoscenza in questioni di moda.”
“Disse quello che indossa sempre jeans e maglie monocolore.”
Theo rise e scosse la testa, quella dona riusciva a incalzarlo sempre. Aprì l’armadio e passò in rassegna i vestiti, afferrò qua e là dei capi e li depose sul letto.
“Che te ne pare?”
Aveva scelto una semplice gonna bordeaux a tubino, una camicetta sbracciata bianca e un paio di sandali neri col tacco. Semplice ed elegante, proprio come lei.
“Vanno benissimo. Grazie.”
Aranel lo abbracciò e cercò di trarre da quel contatto tutto il coraggio necessario per affrontare quella giornata, sorrise quando si sentì baciare sulla fronte.
“Avanti, Aranel Jones, va e conquista il mondo!”
 
“'Cause if you liked it, then you should have put a ring on it. If you liked it, then you should have put a ring on it. Don't be mad once you see that he want it. If you liked it, then you should have put a ring on it. Oh, oh, oh!”
Aranel non ne poteva più di Roxy che cantava, stonando per di più, da quando erano entrati in macchina. Theo aveva insistito per accompagnarla al Plaza, dove si sarebbe tenuto l’incontro, ma al tempo stesso doveva dare un passaggio alla sua migliore amica poiché lavoravano insieme. Roxy scuoteva i capelli turchesi dai sedili posteriori mentre si muoveva in modo convulso nel tentativo di imitare Beyoncé in Single Lady.
“Ti prego, smettila. A momenti mi sanguinano le orecchie!”
“Avanti, principessina, divertiti. Mi sto preparando per stasera.”
Quella sera si sarebbero incontrati tutti a Le Bain, il locale notturno più in voga di New York, per il compleanno di Mason, ed era sicura che la lupa avrebbe dato il peggio di sé tra balli e drink. Theo, al suo fianco, picchiettava l’indice sullo sterzo a suon di musica e rideva della sua espressione infuriata.
“Abbiamo opinioni diverse sul divertimento, Roxy.”
“Ovvio, il mio divertimento include alcol, belle donne e nottate sfrenate, mentre il tuo include tisane rilassanti e libri noiosi. Il qui presente Theo Raeken muore di noia, ogni tanto dagli una botta!” Roxy schiaffeggiò amichevolmente il braccio di Aranel, la quale si irrigidì sul sedile e spostò lo sguardo verso il finestrino. Theo provò a toccarle il ginocchio ma le si tirò indietro.
“Roxy, adesso basta. Fa la brava.”
Theo rimproverò la sua amica con gli occhi attraverso lo specchietto e lei annuì, benché ridesse ancora. Il viaggio proseguì in silenzio fino a quando l’Hotel Plaza si parò dinanzi ai loro occhi. Non appena l’auto si fermò, Aranel prese la borsa e scese sbattendo lo sportello.
“Si è davvero arrabbiata, fratello.” Commentò Roxy, guardando Aranel camminare svelta verso l’edificio. Theo si slacciò la cintura e in fretta attraversò il marciapiede per rincorrerla. Le afferrò il braccio e la fece voltare.
“Aranel! Fermati!”
“Che vuoi?”
“Mi dispiace per Roxy, lo sai che parla a sproposito.”
“Sono stufa della gente che parla della nostra relazione senza saperne nulla, soprattutto una persona superficiale come lei. Ho sposato te, Theo, eppure mi sembra che di aver sposato anche lei.”
Theo si mise nei suoi panni e subito comprese il suo disagio. Come lui detestava che Stiles mettesse bocca nella loro storia, anche Aranel odiava l’invadenza di Roxy.
“Scusami per non aver capito quanto ti desse fastidio. Ci parlo io con Roxy e la metto in riga.”
“Va bene, mi fido. Adesso devo andare.”
Prima che si allontanasse di nuovo, si chinò a baciarla con una passione tale che lei dovette lasciarsi andare.
“Ce la puoi fare, stellina. Basta crederci.”
Aranel sorrise sulle sue labbra e gli diede un bacio a stampo.
“Basta crederci?”
“Basta crederci.”
 
Aranel ringraziò il cameriere che l’aveva accompagnata nella sala riunioni del Plaza ed entrò un attimo dopo.
“Aranel!”
Dall’altra parte della stanza, con indosso un abito verde mela e un fiocco enorme sulla testa, Nadia la stava salutando. Nadia Fields, venticinque anni in un metro e sessanta di altezza, era la nuova segretaria del direttore del The Post, il giornale presso cui lavorava Aranel. Si era trasferita a New York dalla fattoria di famiglia in Texas dopo aver saputo di un branco di lupi composto da Liam Dunbar e Theo Raeken. Era stata nominata pochi mesi prima emissario dopo la morte di sua nonna, ma non era affatto pratica del mondo sovrannaturale. Eccetto qualche informazione sporadica, erano Liam e Theo ad impartirle numerosi e utili insegnamenti. Nessuno, infatti, si meravigliò quando lei e Liam annunciarono di essere una coppia.
“Ciao, Nadia. Come vanno le cose qui?”
“I candidati sono tutti arrivati, aspettiamo il presidente e la Commissione. Accipicchia, che fermento!”
Nadia era una ragazza particolare, era solare, gentile, non diceva parolacce, indossava solo abiti dai colori accessi e grossi frontini che le ricoprivano la piccola testa bionda. All’improvviso si udì il suono di una campana e pian piano tutti presero posto perché iniziava la riunione. Aranel e Nadia si sedettero insieme al loro capo in seconda fila. Il direttore dell’Hotel fece accomodare i membri della Commissione sul piccolo palco allestito, dopodiché il membro più anziano si avvicinò al leggio.
“Buongiorno a tutti voi. L’incontro di oggi suggella la nomina del nuovo Presidente del Premio Pulitzer. Dopo un anno di colloqui e dopo un duro lavoro di ricerca, la Commissione ha espresso voto unanime riguardo alla figura di un personaggio importante per il mondo della scrittura in generale. Signori e signore, la Commissione è oggi lieta di presentarvi il Presidente: Octavius Wagner!”
“Ci avrei scommesso le bretelle.” Mormorò il signor Bennett, il capo, e Aranel annuì distrattamente. Quando Octavius comparve per salutare la folla, lei strabuzzò gli occhi. Non poteva crederci che l’uomo conosciuto in vacanza come il suo scrittore preferito era appena diventato l’artefice del suo destino lavorativo. Appostatosi al leggio, Octavius le fece un cenno del capo a mo’ di saluto.
“Ringrazio la Commissione per tale incarico e voi per la fiducia che spero riporrete in me. Siete stati candidati per un premio assai prestigioso e ciascuno di voi è qui perché possiede grandi doti che non sono passate inosservate alla Commissione. Un’ora fa le vostre opere sono state editate, stampate e pubblicate cosicché io e la Commissione potremo decretare un vincitore per ciascuna delle ventuno categorie. Nonostante il ritardo di questa edizione, il Premio sarà comunque assegnato a fine mese. Ora, senza perderci in chiacchiere, auguro buona fortuna a tutti. Godetevi il brunch gratis!”
I presenti risero e batterono le mani, mentre Octavius scendeva dal palco e riceveva pacche amichevoli e strette di mano.
“Aranel, vieni con me. Ti presento al presidente!”
Fu trascinata dal suo capo in direzione di Octavius che, vedendola arrivare, allargò le braccia e sorrise.
“Aranel Jones, quale onore fare la sua conoscenza!”
Aranel capì che era meglio tenere nascosta la loro cena insieme a Vernazza, quindi si limitò a ricambiare la stretta di mano e il sorriso.
“Signor Wagner, il piacere è mio. Congratulazioni per la sua nomina.”
“La ringrazio. Stamani ho letto il suo articolo e devo ammettere che sprizza femminismo e denuncia da tutte le parti.”
“Chi segue il mio lavoro sa che mi batto per le donne da quando ero all’Università. Questo articolo è solo l’inizio di una lunga inchiesta sulla figura della donna. Non mi fermo qui.”
“Lei deve sapere –intervenne Bennett – che Aranel è un’accesa sostenitrice del femminismo, della problematica infantile, dell’ambiente ed inoltre continua ad occuparsi di affari di guerra.”
“Conosco bene la carriera della signora Jones e sono un suo grande estimatore. Lei ha scritto un articolo sulla guerra in Mali tra l’esercito e i gruppi ribelli che mi ha lasciato senza parole, la crudezza e la veridicità delle descrizioni erano tanto eccezionali quanto tristi. Ha mai pensato di tornare a fare la reporter in quelle zone?”
Aranel fu orgogliosa di quei complimenti che elogiavano il duro lavoro che aveva compiuto in Africa, tra gli spari, i morti e le urla.
“Sarei voluta ripartire dopo essere tornata in città, ma il Times mi congedò dal servizio perché la guerra aveva assunto ormai proporzioni pericolose e fui assegnata alla cronaca giudiziaria e non potei più tornare in Africa. Vivere quella esperienza mi ha segnata nel profondo e vorrei proseguire con quel lavoro, ma adesso ho qualcuno che mi aspetta a casa e che non posso abbandonare.”
Octavius indirizzò lo sguardo azzurro verso il suo anello di fidanzamento e la fede e annuì.
“Certo, posso capire. Dico solo che giornalisti motivati e capaci come lei sono rari e ce ne vorrebbero di più. Adesso, se potete scusarmi, devo riunirmi con la Commissione per deliberare circa le regole del concorso.”
“Certo, signor Wagner. Ci vediamo.”
Octavius strinse la mano di Bennett e baciò quella di Aranel, poi si dileguò assieme ai membri del consiglio.
“Aranel, ragazza mia, quell’uomo stravede per te. E’ fatta!” disse Bennett con le mani in tasca e la pipa in bocca, le toccò la spalla e la salutò. Da lontano Nadia le faceva cenno di prendere qualcosa dal buffet ma Aranel doveva prima fare una chiamata importante.
 
 
“My mom doesn’t like you and she likes everyone!”
Theo spense la radio mentre Roxy cantava, e lei lo guardò come se le avesse tranciato un braccio. L’espressione irritata del suo amico l’annoiava e ricadde sul sedile in modo scomposto.
“Che c’è, Raeken? Ti è venuto il ciclo? Hai ingerito un cactus e non lo hai digerito? Aranel non te l’ha da…”
“Roxy!”
La ragazza rise per quel tono di voce ammonitore e gli diede un pugno sulla spalla, che di norma avrebbe rotto le ossa ad un essere umano.
“Qual è il problema?”
“Sei tu il problema. Sai che Aranel non apprezza determinate battute e tu puntualmente le fai. E’ un periodo intenso per lei e lo stress di certo non l’aiuta, perciò vorrei che almeno a casa si sentisse tranquilla.”
“Come fai a stare con una che pensa solo a realizzare se stessa e che non si prende mai un momento di pausa? Io darei di matto, amico.”
“Lei è ambiziosa e farà di tutto per raggiungere i suoi obiettivi, ed io devo sostenerla perché la amo. Al di là della tua opinione, Aranel è davvero una persona meravigliosa, ti basterebbe andare oltre quella sua corazza dura.”
“E tu come sei andato oltre? Sfilandole le mutande?”
Theo sospirò, era stanco e non aveva voglia di discutere. Non dormire per settimane lo stava facendo impazzire e inoltre doveva tenere a bada la sua migliore amica.
“Dico davvero, Roxy, smettila.”
Roxy lo ignorò del tutto, spostò lo specchietto nella sua direzione e si legò i capelli turchesi in una coda disordinata. Un isolato dopo la palestra si mostrò ai loro occhi, quadrata e grigia come suo solito. Mentre Theo recuperava dal bagagliaio la sua borsa, la ragazza si spogliava per indossare la tenuta da inserviente. Entrarono in anticipo di due minuti e si recarono nella sala centrale, dove di solito i clienti si radunavano per chiacchierare sui divanetti. Tutto il resto dello staff e dei dipendenti era lì. Max, il ragazzo della reception, andò da loro con un sorriso vagamente divertito.
“Buongiorno, neo-assunti dalla misteriosa azienda fantasma!”
“Tranquilli, da quella porta entrerà il cugino di Trump e si impanicherà mentre si presenterà come nuovo proprietario.” Fece Roxy con un’alzata di spalle. Al centro della sala si pose il vecchio proprietario Ben Russell e chiese a tutti di fare attenzione.
“Ho costruito questo posto con i risparmi della mia famiglia e sono felice che il mio pensionamento non causi la chiusura perché credo davvero che voi possiate continuare l’attività. Siete dei ragazzi fenomenali e mi siete stati di aiuto nei momenti di mala sorte, perciò ve ne sono grato infinitamente. Il nuovo proprietario sarà anche il nuovo direttore e questo vuol dire che il posto da segretario è aperto a tutti. Ora passiamo alle presentazioni: ecco a voi il nuovo proprietario della Green Gym, Savannah Chen!”
 Theo poté sentire il suo stesso stomaco contorcerci. Savannah Chen era quella che lui aveva conosciuto come Savannah Wagner a Vernazza, durante il viaggio di nozze. Con indosso uno stretto tubino nero, la donna aveva già catturato l’interesse di tutti gli uomini, e anche quello di Roxy.
“Salve a tutti, come avrete ben capito io sono il proprietario e il direttore da oggi in poi. La mia società, la Chen Company, da anni investe in strutture pubbliche e private sul punto di chiudere per rifunzionalizzare gli spazi da un lato e garantire un lavoro sicuro ai dipendenti dall’altro. Il signor Russell mi ha convinto ad acquistare questa palestra e a dirigerla personalmente, sebbene io non abbia mai occupato la direzione degli edifici che compro, perché mi ha parlato della gente genuina che lavora qui. I colloqui per il posto da segretario inizieranno domani e mi auguro che tutti voi aspiriate a tale carica. Detto questo, non perdiamoci in chiacchiere e apriamo i battenti della nuova generazione della Green Gym!”
La stanza esplose di applausi e fischi. Russell salutò in fretta tutti e lasciò la sua palestra per sempre. Savannah, dopo svariate strette di mano e complimenti, si diresse verso Theo ondeggiando sensualmente sui tacchi.
“Theo Raeken, che sorpresa!”
“Credimi, quello sorpreso sono io.”
Roxy notò che tra i due si era instaurata sin da subito un’aria di ostilità e imbarazzo e decise di farsi conoscere dalla nuova direttrice.
“Buongiorno. Io mi chiamo Ro…”
“Roxanne Smith, ex detenuta per hackeraggio ai danni della banca centrale e per furto, impiegata come inserviente nella mia palestra da qualche mese. Buongiorno a te, fanciulla.”  Savannah fece l’occhiolino alla ragazza e poi le sorrise maliziosamente.
“Beh, il boss ha fatto ricerche a quanto pare. E’ un vero onore averla tra noi e spero che la nostra collaborazione possa essere fruttuosa.” Replicò Roxy con altrettanta malizia, facendo ghignare la donna. Theo, invece, era rimasto impassibile e distaccato. Quante erano le probabilità che proprio lei acquistasse la palestra dove proprio lui lavorava? I conti non tornavano.
“Sono sicura che sarà così, fanciulla. Adesso vado a dare un’occhiata al mio ufficio. Buona giornata.”
Savannah andò via così come era venuta, ancheggiando e sorridendo.
“Io quella me la farei su tutte le superfici di questa palestra!” commentò Roxy, e a momenti sbavava sul pavimento. Theo alzò gli occhi al cielo con incredulità.
“Andiamo a lavorare, per favore.”
Mentre andava verso gli spogliatoi, il cellulare squillò e non si meravigliò di chi lo stesse chiamando.
“Stavo per chiamarti. Dimmi tutto, stellina.”
“Perché stavi per chiamarmi? Stai bene? E’ successo qualcosa?”
La preoccupazione di Aranel era quasi tangibile anche attraverso uno schermo.
“Una cosa è successa ma nulla di grave, almeno credo. Tu perché mi chiami?”
“Sai chi è il nuovo presidente del Premio Pulitzer? Octavius Wagner!”
Theo corrugò le sopracciglia perché, se prima sembrava sospetto, adesso lo era di sicuro.
“E sai chi è il nuovo proprietario della palestra? Savannah Chen, ossia il cognome da nubile della moglie di Octavius.”
“Cosa?! Savannah è lì? Okay, tutto questo ha dell’assurdo.”
“Sì, lo credo anche io. Coincidenze? Non credo. Comunque è meglio parlarne a quatto occhi più tardi a casa.”
“D’accordo. Ci vediamo dopo.”
“A dopo, stellina.”
 
 
“Destro.”
“Non ti sembra strano ritrovarli qui a New York due settimane dopo che li abbiamo conosciuti?” domandò Aranel, colpendo il sacco con il pugno destro.
“Sinistro. Attacco e difesa.”
“Io dico che è strano, assolutamente strano. Credi che già sapessero chi siamo?”
“Ancora destro.”
Aranel si bloccò di colpo e si portò le mani sui fianchi. Da un’ora stava prendendo a pugni il sacco montato in terrazza. Dopo la faccenda di Tatiana e Cindy, aveva chiesto a Theo di insegnarle a difendersi e da allora facevano allenamento un’ora al giorno e il sabato mattina presto andavano a correre (sebbene lei fosse lenta nella corsa).
“Cosa vuoi che ti dica, Aranel? Sì, ovviamente è strano. Sì, credo che ci conoscessero prima ancora di quella cena. No, non so quale sia il loro obiettivo. Ne so quanto te di questa storia.”
Theo si sedette sulla sdraio e mandò giù abbondanti sorsate d’acqua fresca, la calura di giugno e l’attività fisica non erano una buona combinazione. Aranel, sudata e sfiancata, bevve d’un fiato e si pulì la bocca con il braccio.
“Qualcosa mi dice che le cose non andranno bene.”
“A quali cose ti riferisci? Parla chiaro.”
Captò tutto il nervosismo di Theo e si morse le labbra per evitare di parlare a sproposito. Ultimamente era irascibile, teso e sembrava non chiudesse occhio da lungo tempo. Non aveva idea di cosa potesse tormentalo a tal punto da fargli perdere la sua tipica flemma ma era sicura che non fosse nulla di buono.
“Mi riferisco a tutto. Forse le cose erano più facili a Vernazza.”
“Intendi le cose fra di noi? Adesso stai andando nel panico per qualcosa che forse è lontana da noi. Perché ti preoccupi tanto?”
Aranel si alzò di scatto perché restare seduta e immobile la stava mandando su tutte le furie. Aprì e chiuse le mani a pugno nel tentativo di scaricare la rabbia.
“Perché tu sei cambiato ultimamente. Sei nervoso e irritabile, non so mai come prenderti. Mi dispiace averti messo da parte per il mio lavoro, però…”
“Smettila. Basta.”
L’interruzione di Theo non era dettata dalla rabbia, più che altro da un sorriso amaro.
“Non è colpa tua né del tuo lavoro se sono cambiato. Quest’anno sono venti anni dalla morte di mia sorella e sembra che il suo cuore batta più forte di recente.”
Aranel fu colpita da quella confessione come da uno schiaffo e non seppe come reagire. Certo, lui si pentiva di aver ucciso sua sorella ma non dava l’impressione di pensarci più tanto.
“Perché non me lo hai detto?”
“Come fai a dire alla persona che ami di più al mondo che stai pensando alla persona che hai lasciato morire?”
Lei gli prese le mani e ne baciò dolcemente le nocche, come se si trattasse di un bambino ferito.
“Avevi solo nove anni e nessuna reale idea di cosa stesse succedendo. Sei stato manipolato dai Dottori del Terrore e agivi senza capire il senso delle tue azioni. Eri soltanto un bambino sperduto e lo sei stato fino a quando non ti sei liberato di loro. Adesso sei un uomo e sei cambiato in meglio.”
“Tu sei straordinaria.”
“Lo so, me lo ripeti di continuo.”
La risata cristallina di Aranel sembrò trapanare Theo come un coltello affilato e andarsi a conficcare nei punti deboli della sua anima. Senza pensarci troppo, l’attirò a sé per baciarla con veemenza. Aranel lo lasciò fare perché anche lei necessitava di quel contatto. Continuando a baciarsi, lui fece un passo indietro e caddero in piscina, dunque scoppiarono a ridere.
“Sei pessimo, Raeken!”
Lui rise ancora, portò la testa indietro e permise all’acqua di tappargli le orecchie. Era come essere intrappolati in una bolla, era una bella sensazione. Quando aprì gli occhi, Aranel stava nuotando nella sua direzione per poi circondargli il collo con le braccia.
“Sai una cosa, stellina?”
“Dimmi.”
“Ioe te insieme possiamo funzionare ovunque.”
 
 
Era all’incirca mezzanotte quando ebbero finalmente la possibilità di accedere al Le Bain, il locale più famoso di New York. Anziché fermarsi in discoteca, salirono sul tetto in ascensore, dove era stato allestito un grande spazio per chi non volesse ascoltare musica assordante per tutta la sera.
“Ragazzi, posso sapere che regalo avete fatto a Mason?” chiese Liam, vestito di tutto punto per il compleanno del suo migliore amico. Dietro di lui, a tenergli la mano c’era Nadia, che quella sera indossava una gonna bianca e una camicia a tre quarti lilla e i sandali con le calze.
“Gli abbiamo regalato un fine settimane alle terme con Corey. Voi?” rispose Aranel mentre seguiva Theo lungo il corridoio che portava al locale. Per l’occasione aveva indossato un semplice abito rosa antico che sulla schiena si incrociava, calzava un altrettanto semplice paio di décolletté nere, e aveva legato i capelli in una treccia laterale.
“Beh, ecco, noi … ehm … non saprei come … ehm … definire il regalo …”
“Gli abbiamo regalato una mazza da baseball.” Disse Nadia al posto suo con un sorriso genuino. Theo, in cima alle scale, sospirò.
“Regali al tuo migliore amico una mazza da baseball? Davvero innovativo, Dunbar.”
“Taci e cammina, Raeken.”
Quando furono orami sul tetto, notarono Corey fare loro un gesto della mano per invitarli. Lo spazio era scandito da divani di pelle bianchi, tavolini di vetro, era munito di un bar e della consolle del dj. Theo assottigliò lo sguardo e alzò gli occhi al cielo quando vide Roxy scolarsi uno shottino dietro l’altro come fossero bicchieri d’acqua. Il quartetto si mosse verso la zona della festa e Mason, non appena li riconobbe, esultò come un bambino.
“Siete arrivati! Che il party abbia inizio!”
Tutti batterono le mani e il dj fece partire la musica. Roxy andò da Theo con l’ennesimo alcolico che a momenti avrebbe buttato giù.
“Aranel, amica, hai rubato hai rubato questo vestito a Kate Middleton? Sei proprio di sangue blu.”
“Roxy, amica, sta attenta a non vomitarti tutto quell’alcol sulle scarpe.”
La lupa incassò il colpo senza replicare, girò i tacchi e si sedette accanto ad una ragazza appena conosciuta.
“Vuoi qualcosa da bere?” le domandò Theo all’orecchio.
“No, grazie.”
“Stai bene, stellina?”
“Non tanto. Ho bisogno di andare in bagno.”
“Vuoi che ti accompagni?”
“No, Theo, so fare pipì anche senza che tu mi tenga la manina. Tu vai a prenderti da bere, ci vediamo al bar.”
Theo annuì e si incamminò verso il bar. Sebbene angusto, il bagno era abbastanza pulito e Aranel ne fu stupita. Non la stupì, invece, che, puntuale come un orologio svizzero, le fosse arrivato il ciclo. Quando uscì, emise un gridolino di paura. Theo se ne stava appoggiato al lavandino con le braccia incrociate. Gettò nel cestino una carta appallottolata e si sciacquò le mani.
“Ma sei impazzito? Che ci fai nel bagno delle donne? Non puoi stare.”
“Credimi, alle donne non dispiace la mia presenza. Quindi hai le mestruazioni.”
Quella affermazione pesò come un macigno che rotola giù dalla montagna e piomba sulla strada.
“Theo, va tutto bene. Non voglio affrontare di nuovo questo discorso. Lo sappiamo che il problema è irrisolvibile e lo abbiamo accettato, o almeno io l’ho fatto.”
“Aranel …”
“No, non dire niente. Nessuno dovrà sapere quello che abbiamo fatto a Vernazza. Nessuno. Stiles avrebbe un motivo in più per odiarti se sapesse quello che è successo. Promettimi che sarà il nostro segreto.”
“Va bene, te lo prometto.”
Liam si nascose dietro al muro prima che Aranel e Theo tornassero da Mason. Che cosa era successo a Vernazza? Che cosa avevano combinato quei due per cui Stiles avrebbe odiato Theo ancora di più? Che avesse coinvolto Aranel in qualche crimine?
 
Erano le due del mattino e la festa procedeva bene. Aranel aveva fatto ricorso ad un medicinale e adesso stava decisamente meglio, infatti aveva ordinato un drink analcolico che  consumava seduta accanto a Nadia. Gli invitati ballavano, bevevano, ridevano e l’atmosfera festosa non intendeva scemare. Seduto al bancone insieme ad un gruppo di ragazzi, Theo le lanciava sguardi carichi di malizia e sorrisi beffarsi a cui lei rispondeva con un sorriso ugualmente languido. Roxy stava blaterando stupide battute ad una ragazza più brilla di lei e insieme si sganasciavano dalle risate. Un brusio improvviso attirò l’attenzione di Liam e acuì l’udito per cercare di identificare la fonte da cui provenisse il rumore. Inatteso e brusco, il brusio si abbatté sulla folla. Si trattava di un enorme stormo di pettirossi che svolazzava in modo spasmodico picchiando contro la gente. Aranel tirò sotto al tavolo Nadia e le coprì la testa con la borsetta.
“Che succede, Aranel?”
Gli uccelli sembravano impazziti, stavano facendo esplodere i bicchieri, sbattevano contro le pareti cadendo con un tonfo sul pavimento, perdevano piume lungo il tragitto nervoso. Molte persone gridavano per le ferite causate dai becchi dei pennuti e molte altre perché non riuscivano a difendersi. Un calice di vino si ruppe ai suoi piedi.
“Aranel! Aranel!“
Era Theo che la stava chiamando dall’altra parte del locale, però la sua voce veniva offuscata dal cinguettio agitato e acuto. Alzò di poco la testa per dare un’occhiata al locale e sembrava che l’inferno si fosse scatenato su quel tetto. Una ragazza stava strillando a causa di un trio di pettirossi che le stavano beccando le braccia con cui tentava di difendersi, poi cadde sbattendo la tempia contro la sedia e gli uccelli ne approfittarono per continuare l’attacco.
“Tu resta qui!”
Nadia provò a fermarla, ma Aranel stava già correndo verso quella ragazza con la mazza da baseball ancora incartata (quella che Liam aveva regalato a Mason). Scacciò i volatili agitando il pezzo di legno duro e riuscì ad abbatterne uno, che cadde a picco sul pavimento come una foglia che si stacca dall’albero. La ragazza a terra aveva le braccia coperte di graffi e la ferita aperta sulla tempia sanguinava copiosamente. Aranel la spinse sotto il tavolo e l’aiutò a sedersi.
“Ehi, guardami. Come ti senti?”
La poveretta aveva la vista annebbiata ma aveva ancora la forza di stritolarle la mano, segno che non aveva perso i sensi.
“B-bene.”
Il bancone esplose in una pioggia di alcol e vetri. Theo e Liam avevano trovato riparo presso la consolle e si proteggevano come meglio potevano.
“Che sta succedendo?” Liam alzò la voce per farsi sentire.
“Cosa vuoi che ne sappia, Liam? Direi che i pettirossi non mi hanno avvisato prima di dare di matto!”
In mezzo alla calca di gente che urlava, piangeva e fuggiva, scorse la chioma turchese di Roxy dietro la porta del bagno. Riusciva ad annusare il profumo di Aranel, però si mescolava con l’odore del sangue e della paura e non capiva bene dove si trovasse. Un’enorme bottiglia di champagne scoppiò ai loro piedi e i frammenti schizzarono in direzione di Corey, che si ferì ad una mano. Mason, tra le sue braccia, teneva la testa bassa. Liam scivolò sul pavimento per evitare che un uccello lo colpisse col becco.
“Dobbiamo fare qualcosa!”
“Avrei un’idea.”
Senza dare spiegazioni, Theo si mise in piedi e sfoderò gli artigli, i suoi occhi si accesero di giallo e spuntarono i denti affilati. Emise un ruggito che spaventò i pettirossi e tutti gli invitati. Liam e Roxy si unirono a lui. Gli uccelli si interruppero a quel terribile suono, smisero di cantare e volarono via con la tessa velocità con cui erano arrivati. Quando la schiera si fu diramata, Theo individuò Aranel e corse da lei.
“Aranel!”
“Ci hai messo troppo tempo, Raeken!”
Insieme soccorsero la ragazza ferita, la fecero accomodare su un divano ancora intatto e le premettero un pezzo di stoffa strappata sulla tempia. Theo guardò in basso e socchiuse gli occhi. Un rivolo di sangue colava dall’interno della coscia di Aranel e le aveva imbrattato il vestito e la scarpa.
“Aranel, siediti un attimo.”
“Oh, no. Quando usi quel tono vuol dire che sta succedendo qualcosa. Che succ… Ah! Oddio!”
Liam e Nadia si avvicinarono a loro e rimasero senza parole per le condizioni della ragazza.
“Non ti spaventare. Devi lasciarmi controllare. Liam, tu va dagli altri e accertati che stiano bene. Tu Nadia, prendimi un panno di acqua calda e trova una bottiglia di alcol integra.”
“Theo …”
“Andrà tutto bene, stellina. Vieni con me.”
La portò in bagno e la fece sedere sul marmo bianco del lavandino, l’unico luogo non intaccato dalla furia animale dei pettirossi. Le sollevò il vestito e deglutì quando capì che la causa della fuoriuscita di sangue era un pezzo di vetro conficcato nella coscia.
“Che succede? Perché hai quella faccia?”
“C’è un pezzo di vetro nella coscia e questo comporta il sangue. Devo estrarlo prima che arrivi la polizia, altrimenti dovrai fartelo togliere in ospedale.”
Aranel poggiò la testa contro lo specchio e sospirò, e qualche lacrima le bagnò il viso.
“Mi fido di te.”
“Eccomi! Ho trovato questo!”
Nadia diede a Theo un asciugamano zuppo d’acqua bollente e una bottiglia di grappa, una delle poche non distrutte.
“Dopo che avrò estratto il vetro, tamponerò la ferita con il panno e poi ci verserò sopra la grappa. Farà male, ti avverto.”
“Fallo.”
Aranel strinse la mano di Nadia e chiuse gli occhi, contò fino a cento come le suggeriva sua madre quando da piccola si sbucciava le ginocchia e doveva disinfettarle. Theo agguantò il bordo del vetro e con accortezza lo tirò lentamente fuori. Era evidente che fosse una parte di un calice, lo indicava la forma ricurva e l’odore di vino rosso. Immediatamente premette il panno sulla ferita e dopo qualche istante riversò l’alcol. Aranel spalancò gli occhi e soffocò un urlo mordendosi le labbra, eppure scoppiò in lacrime per il bruciore.
“Tieni duro, stellina. Guardami, continua a guardarmi.”
Theo le afferrò entrambe le mani e si concentrò per assorbire il dolore. Le sue vene si tinsero di nero e il suo viso impallidì mentre lasciava al suo corpo curare la ferita. Il sangue smise di colare e lo squarcio si rimarginò, così come i taglietti sulle braccia prodotti dalle beccate dei pettirossi.
“Come va?” domandò timidamente Nadia.
“Sto bene. Torna dagli altri, non preoccuparti.”
La ragazza annuì e si dileguò. Theo si appoggiò alla porta chiusa e si scolò il liquido rimasto nella bottiglia. Aveva le mani e la t-shirt sporche di sangue, i capelli sudati e il viso ancora bianchiccio per lo sforzo. Aranel scese dal lavandino e si ripulì dal sangue con il panno.
“La polizia è arrivata.” Annunciò Theo, e lanciò la bottiglia nel cestino centrandolo appieno.
 
 
Aranel si rigirò tra le lenzuola e, tastando l’altro lato del letto, costatò che suo marito non c’era. Le persiane erano calate e i raggi del sole tagliavano in linee rette la stanza buia. La sveglia segnava le nove del mattino. Erano rincasati alle quattro, dopo essere stati interrogati dalla polizia. Stavano tutti bene e si erano lasciati con l’accordo di vedersi l’indomani per discutere dell’accaduto. Con fatica si mise seduta sul letto e si diresse in cucina.
“Già sveglia?” la voce di Theo la fece sussultare. Se ne stava sdraiato sul divano con una tazza di caffè fumante tra le mani.
“Non ti ho visto a letto e mi sono preoccupata.”
“E’ che non ho dormito molto. Comunque, ti ho preparato il the verde.”
Aranel se ne versò un po’ in una tazzina e lo raggiunse sul divano. Aveva mal di testa e poche ore di sonno non erano state d’aiuto.
“Grazie.”
“Prego. Come ti senti?”
“Sto bene, nonostante tutto. Grazie per avermi salvata dal dissanguamento.”
Theo ridacchiò, almeno le vicende di poche ore prima non aveva intaccato l’umore.
“Beh, non potevo permettere ai medici di sbirciare letteralmente sotto la tua gonna. Lo sai che sono geloso.”
Lei rise e si distese accanto a lui, le bevande ormai dimenticate sul pavimento. Gli diede un bacio a stampo, un semplice tocco per dirgli grazie ancora una volta.
“Cosa credi che significhi? Uno stormo intero di pettirossi che attaccano un locale? E’ assurdo.”
“Non ne ho idea, Aranel. So solo che oggi non voglio pensare a niente. E’ sabato e godiamocelo.”
“Va bene.”
Theo comprese al volo che quella strana follia dei pettirossi doveva essere correlata alla brutta sensazione che da tempo lo tormentava. La città era ufficialmente in pericolo. Loro erano in pericolo.
 
 
Salve a tutti! :)
Ecco che i primi segnali di pericolo lampeggiano, chissà cosa sta davvero succedendo.
E chissà cosa hanno combinato Theo e Aranel a Vernazza.
Lo scoprirete solo leggendo.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima.
Un bacio.
 
Ps. Perdonate eventuali errori di battitura.
 

 

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Capitolo 3
*** Stelle sanguinanti ***


2. STELLE SANGUINANTI.
 
 
-Non c'è fuoco né gelo tale da sfidare ciò che un uomo può accumulare nel proprio cuore.-
(Scott Fitzgerald)
 
 
La domenica era il giorno che Aranel più detestava perché doveva restarsene a casa senza far nulla. Aveva da poco terminato l’articolo che sarebbe uscito l’indomani e si accingeva a prepararsi un’altra tazza di the verde. Faceva caldo, le porte della terrazza erano spalancate e il soggiorno era invaso dal sole. Le venne in mente l’ultima estate passata insieme a Scott e Stiles al campo estivo in mezzo al bosco, allora era una sedicenne piena di rabbia e delusione per quello che stava capitando alla sua famiglia. Lasciare Beacon Hills era stata la scelta più saggia che lei e sua madre potessero fare perché, nonostante agli inizi ambientarsi fosse stato difficile, alla fine si erano costruite una nuova vita come desideravano.
“Esiste un tasto per spegnerti?”
Theo si avvicinò a lei massaggiandosi il collo, aveva i capelli in disordine e gli occhi ancora assonnati.
“Sono le undici, a dire il vero. Vuol dire che finalmente sei riuscito a dormire.”
Era vero, aveva dormito senza essere scosso dai soliti incubi, sereno come un bambino. Si sedette presso l’isola della cucina e accettò volentieri la tazza di caffè che lei gli aveva dato.
“Beh, direi che salvare vite mi stanca.“
Aranel rise mentre controllava che le lasagne fossero pronte. Avevano invitato tutto il gruppo a pranzo per discutere dell’attacco dei pettirossi avvenuto il venerdì notte.
“Comunque io ho già cucinato, perciò tocca a te apparecchiare la tavola. Tra un’ora si pranza.”
“Non posso tornarmene a letto ed evitare questo pranzo? Ti prego!”
“Non fare il bambino, Raeken, e vatti a vestire.”
“Sissignora!”
Theo le baciò la guancia e andò a farsi una doccia fredda nella speranza di svegliarsi del tutto.
 
Zakhar ispezionò la posta, che in quel palazzo arrivava anche di domenica, e selezionò quella indirizzata ad Aranel e a Theo. Prima di rientrare, si volse a guardare il cielo azzurro e luminoso. Era una giornata di sole, di quel genere che sua moglie Sasha avrebbe adorato. Era una donna gentile e premurosa, lo aveva sposato malgrado lui fosse una spia russa ed erano stati felici fino a quando una maledetta notte cadde, spaccandosi la schiena al suolo. Lui aveva appeso la fede al collo e almeno una volta giorno la baciava come a salutare la sua Sasha. La particolare carta di una delle lettere che aveva recapitato lo incuriosì: era una busta color oro per Aranel. Prese l’ascensore e salì all’attico, dove avrebbe pranzato con gli altri per uno strano avvenimento a cui lui non aveva assistito. Fu Aranel ad aprirgli la porta, radiosa in un semplice vestito di cotone grigio, e gli regalò un sorriso cordiale.
“Vieni, entra pure. Theo è in terrazza per apparecchiare.“
Infatti, intravide il suo amico sistemare le posate su una tovaglia verde acqua.
“Queste sono per voi.”
La ragazza rapidamente passò in rassegna la posta e sollevò le sopracciglia quando riconobbe una lettera dorata su cui erano incise due iniziali: C&T, ossia Chantal Thompson, sua nonna. Strappò la carta e lesse subito il cartoncino al suo interno: Madame Thompson è lieta di invitarvi  questa seta nella sua dimora per il party a tema ‘Il Grande Gatsby’ . Ore 21.00. Si raccomandano un vestiario ispirato al libro e la puntualità. Saluti, Chantal Thompson.
“Oh, no. Riconosco quella lettera e già ti dico di no!” le lamentele di Theo sopraggiunsero scontate come sempre. Lui e Chantal si odiavano, litigavano ogni qualvolta si trovassero nella stessa stanza e uno sparlava dell’altro. Il loro astio era causato dal disprezzo che l’anziana donna provava per lui dopo che Aranel aveva deciso di sposare uno squattrinato. Era una donna elitaria e selettiva, voleva che la sua unica nipote sposasse un uomo del loro calibro e non uno di periferia.
“Theo, per favore, non fare così. Questa volta ha organizzato una festa ispirata al ‘Grande Gatsby’ e non possiamo rifiutare.”
“Tu sei libera di andarci ma io non ne ho la minima intenzione. Tua nonna è insopportabile, io la odio e non voglio vederla.”
“Allora esiste una persona peggiore di te!”
Roxy entrò in salotto dalla terrazza, che aveva raggiunto arrampicandosi di balcone in balcone, e salutò tutti con un cenno del capo. Aranel scosse la testa, la giornata stava andando a rotoli e non era neanche iniziata.
“Andiamo a berci un drink, Roxy.” Disse Theo, prese il portafogli e il cellulare e uscì di casa. Aranel lo rincorse nel corridoio con la rabbia che le bruciava dentro.
“Dove credi di andare? Tra poco i nostri amici saranno qui per il pranzo!”
“Quelli sono i tuoi amici, tesoro.”
Senza dire altro, Theo e Roxy lasciarono il palazzo. Zakhar le toccò la spalla per consolarla ma lei si era già rassegnata.
“Torniamo dentro, dai. Ti aiuto io.”
 
 
“Questa torta è deliziosa!” si complimentò Liam mentre faceva il bis del dolce.
“Ti ringrazio, Liam.” Disse la padrona di casa con un sorriso. Il pranzo era giunto al termine e Theo non era ancora tornato e né aveva dato sue notizie. Roxy non andava bene per lui, la loro amicizia stava diventando tossica ma Aranel non sapeva come dividerli.
“Tutto bene?” le mormorò Nadia, il tono dolce come sempre.
“Sono preoccupata per Theo. Forse ci siamo sposati troppo in fretta, forse non era ancora pronto per un impegno tale e adesso si sente intrappolato.”
“Non si tratta di questo. Theo stravede per te. Io credo che ci sia dell’altro sotto.”
“Io provo a richiamarlo.”
Si chiuse in bagno e lo chiamò per l’ennesima volta, però rispose ancora la segreteria telefonica. Decise allora di lasciargli un messaggio: sono ancora io. Sono davvero preoccupata, non so dove ti trovi e come stai. Torna a casa e discutiamone insieme, per favore. Theo, io … Torna. Torna, ti prego.
Tornò dagli altri come se nulla fosse, si sedette e bevve altro caffè.
“Quindi uno stormo di pettirossi ha assediato il Le Bain?” domandò Zakhar con incredulità mista a curiosità.
“Sì, quelle bestiacce mi hanno rovinato il compleanno.” Commentò Mason. Liam finì di ingozzarsi di torta e si rese partecipe del discorso.
“Secondo voi dovremmo preoccuparci?”
“L’habitat tipico del pettirosso sono i boschi di conifere, ma anche siepi e giardini, e inoltre non si spingono oltre le Azzorre. E’ un uccello che difende sempre il proprio territorio mettendo in mostra il petto rosso per spaventare gli intrusi. Perciò non capisco come siano arrivati in grande massa a New York e cosa avessero intenzione di fare.” Spiegò Nadia che, in qualità di emissario, era tenuta a fornire informazioni circa il regno animale e vegetale. Corey stava smanettando al cellulare e scorreva la schermata del calendario.
“Ragazzi, manca una settimana alla luna piena. Forse è per questo che i pettirossi hanno attaccato.”
“E come spieghi il loro arrivo in massa a New York? La luna piena può influenzare davvero a tal punto?” chiese Zakhar, beatamente stravaccato su una sdraio a bordo piscina.
“E se ci fosse dell’altro? Intendo qualcosa di pericoloso che si nasconde dell’ombra.” Fece Aranel con nonchalance, come se parlasse di smalto e trucco. Liam le riservò uno sguardo complice, avevano avuto la stessa spiacevole idea. Anche gli altri sembrarono pensarci su e d’improvviso quell’eventualità stava trasformandosi in concretezza.
“Calmiamoci tutti. Non ci sono altri indizi ad indicare che stia per accadere qualcosa di terribile. Non ci fasciamo la testa prima di cadere. L’arrivo dei pettirossi ha certamente a che fare con il sovrannaturale perché erano in troppi e troppo lontani dal loro habitat, però ciò non prelude qualcosa di pericoloso per forza.” Disse Mason, forse l’unico che cercava la razionalità in quell’evento. Nadia convenne con lui che era necessario non arrivare a conclusione affrettate.
“D’accordo. Prendiamoci del tempo per capire meglio.”
 
 
Theo trangugiò quello che doveva essere almeno il decimo Margarita al limone. Erano le quattro del pomeriggio e il bar stava cominciando a riempirsi per il cocktail post pranzo. Accanto a lui, Roxy si stava scolando l’ennesima bottiglia di birra.
“Quella tipa non smette di guardarmi. Devo essere proprio un bocconcino.” Esordì la ragazza, poi iniziò a mangiucchiare le noccioline.
“Va a parlarci.” Le suggerì Theo con un ghigno. Roxy la colse come una sfida e si diresse al tavolo della bionda che guardava nella loro direzione. Lui le vide chiacchierare amichevolmente mentre brindavano e l’attimo dopo entrambe tornarono al loro tavolo.
“Theo, lei è Jennifer. Vuole conoscerti, ecco perché guardava qui. Bene, io andrò a prendermi altro da bere. Fate i bravi!”
La ragazza si sedette timidamente accanto a lui e si spostò una ciocca di capelli dal viso con estremo imbarazzo. Era bella senza dubbio, lunghi capelli color grano e occhi azzurri, e un abbigliamento che metteva tutto in mostra.
“Roxy mi ha detto che ti senti solo e hai bisogno di compagnia.” Disse lei, e la sua voce era dolce anche più dei suoi grandi occhi. A Theo ricordò la sera in cui aveva conosciuto Aranel in quel bar isolato alle dieci di sera e gli salì il cuore in gola.
“Sei carina, Jennifer, e lo dico davvero. Il fatto è che Roxy ha mentito. Io sono sposato e mia moglie è l’unica donna a cui concedo di farmi compagnia.”
“Beh, tua moglie è fortunata ad avere un uomo che ha occhi solo per lei.”
“Il problema è che non glielo dimostro mai.”
“Allora dovresti farlo, adesso.”
 
 
Aranel sbuffò per colpa di quel maledetto ombretto che sembrava proprio non volersi stendere sulla palpebra. Fece cadere il pennello sul bordo del lavandino ed emise un sospiro frustrato. Mancava un’ora al party, già aveva indossato il vestito e le scarpe, e stava terminando il trucco, o almeno era quello che tentava di fare da venti minuti. Theo non si era fatto sentire e non era ancora tornato, perciò la sua delusione per quel comportamento immotivato stava rovinando il suo umore. Non capiva perché si fosse chiuso in se stesso più di prima, perché fosse costantemente nervoso e brusco, ma sapeva che l’anniversario della morte di Tara era solo una scusa. Per quanto lui si pentisse di quella morte, al tempo stesso non se ne curava più di tanto poiché si era rassegnato all’idea che la colpa non poteva essere di un bambino di nove anni. C’era qualcosa in lui che non la rassicurava, sembrava che un demone lo stesse divorando dall’interno e lui si lasciasse fagocitare senza opporsi. Negli ultimi due anni era migliorato, si confidava di più e la rendeva partecipe dei suoi pensieri, ma era cambiato tutto da quando avevano iniziato a organizzare il matrimonio. Forse non era pronto, forse era un impegno che non era disposto a prendere, oppure si era semplicemente accorto di non amarla più. Theo era un ragazzo dalla bellezza prorompente, era sfacciato e intelligente, aveva il fascino del ‘’bello e dannato’’  e questo lo rendeva un bersaglio per tutte le donne. Scrollò la testa e si decise a sbrigarsi, non poteva tardare. Finì di truccarsi, si sistemò i capelli in una treccia  alla francese e indossò gli orecchini. Il vestito richiamava in modo marcato la moda dei ‘ruggenti anni ‘20’ del ‘900: lungo sino al ginocchio, terminava in numerose frange, e i colori del nero e del bordeaux si fondevano alla perfezione. Sulla testa si pose il diadema munito di piuma, tipico di quegli anni, e si spruzzò poche gocce di profumo. Quando uscì dalla camera da letto, si morse la lingua per non urlare. Theo se ne stava seduto al bancone della cucina con un calice in mano e la bottiglia di vino rosso a pochi centimetri.
“Sei impazzito? Mi hai fatta spaventare!”
“Hai paura di me?”
Il suo tono di voce apparve atono e intriso di veleno, come se una sola parola potesse ferire come un cobra. Aranel non aveva la forza di affrontarlo in quelle condizioni e si incamminò verso la porta con i tacchi che picchiavano sul pavimento simili a proiettili. Lui, però, fu più veloce e chiuse la porta a chiave.
“Che stai facendo?”
“Hai paura, Aranel?”
Aranel di istinto indietreggiò ma continuò a guardarlo dritto negli occhi perché, se lui aveva voglia di giocare al gatto e al topo, lei non sarebbe stata la vittima.
“E tu hai paura, Theo?”
“Di te? Da morire.”
Adesso lui aveva la schiena contro la porta e lei gli stava a qualche spanna di distanza, due animali pronti ad attaccarsi.
“Perché hai paura di me?”
“Perché sei spaventosamente luminosa e si sa che il buio soffoca la luce.”
“E la luce rischiara il buio.”
Gli occhi lucidi di Theo erano il chiaro segno che fosse brillo e che di conseguenza per la mente gli passasse di tutto.
“Non è così facile.”
“Scusami, ma adesso non ho tempo da perdere con le tue idiozie da ubriaco. Devo partecipare ad una festa.”
“Lo sai che i lupi non possono davvero ubriacarsi.“
“Bene, allora non ho tempo da perdere con le tue idiozie da lupo lucido. Spostati.”
“Adesso fai la dura, perché?”
Aranel incrociò le braccia e sospirò, era davvero esausta di quella situazione.
“Perché fino ad ora sono stata troppo buona. Sono stanca di dover essere quella che capisce tutti, quella che deve perdonare e amare senza condizioni. Non ne posso più. Sono una persona anche io, con i miei problemi e le mie brutte giornate, eppure nessuno sembra capirlo. Tu più di tutti mi stai ignorando negli ultimi tempi. So che mi nascondi qualcosa, te lo leggo in faccia, e so anche che non me lo dici perché ti terrorizza la mia reazione. Ho lottato per te, Theo. Ti ho difeso dalle accuse del branco, ti ho difeso dalla giustizia e da te stesso, ti ho amato e ti amo come il primo giorno, però a tutto c’è un limite oltre il quale ho deciso di non andare. Se ami un’altra donna, io lo accetterò e ti lascerò andare perché logorarsi in questo modo non fa più per me.”
Theo in un attimo vide il suo mondo crollare sotto le macerie delle bugie che aveva detto. Nella vita aveva perso già tutto e non avrebbe perso l’unica persona che amava. La soluzione era dire la verità, per quanto atroce potesse essere.
“Io sogno la notte in cui mia sorella è morta, poi sogno lei che mi rincorre e mi strappa il cuore, e i sogni continuano in loop fino a quando non mi sveglio. Non dormo bene da mesi ormai e questo mi rende irascibile. La cosa peggiore è che ho paura di fare del male anche a te come l’ho fatto a Tara, ho paura di ucciderti senza rimorsi ed esitazioni. E’ difficile starti vicino perché temo di ferirti quando entrambi meno ce lo aspettiamo. Sono uno che mantiene sempre il controllo sulle emozioni, ma ultimamente non ci riesco, mi sento scombussolato e disorientato. Ho la sensazione che stia per accadere qualcosa di brutto e tutto questo mi sta allarmando. Ti amo troppo per perderti.”
Aranel in cuor suo sorriso perché finalmente il marciume era venuto a galla e adesso potevano risolvere la questione. Gli accarezzò la guancia delicatamente, quasi potesse frantumarsi a momenti.
“Tu non mi farai mai del male, e non perché mi ami, ma perché sei cambiato. Sai cosa è giusto e sbagliato, riesci a scegliere come agire e sono certa che prenderai le decisioni giuste. Capisco che la morte di tua sorella per te sia stato l’inizio dell’inferno, però è importante che tu capisca che ormai è tutto finito. Si tratta solo di un incubo, un po’ come quelli che fanno i bambini e che le mamme riescono a mitigare. Parlarne aiuta ad alleggerire il peso. Io non so se la tua sensazione derivi dai sogni oppure da un timore reale, ma posso assicurarti che lo capiremo insieme, se vorrai.”
Il citofono interruppe quell’atmosfera di confidenze e timori. Era l’autista che sua nonna le aveva messo a disposizione per raggiungere la festa.
“Devi andare.” Si limitò a dirle Theo, poi si sottrasse al suo tocco e si allontanò. Aranel fece un mezzo sorriso, uno di quelli causati dall’amarezza.
“Non sono disposta a starti dietro ancora per molto. Vieni alla festa e per noi ci sarà un’altra possibilità, altrimenti è finita.”
Due minuti dopo Aranel lasciò il palazzo da sola e con gli occhi umidi.
 
 
Park Avenue era uno dei più lussuosi quartieri di New York. Popolato dalle famiglie più ricche della città, si presentava come un agglomerato di ville sfarzose e auto sportive molto costose. La macchina parcheggiò nel vialetto e le venne aperto lo sportello, così Aranel si fece coraggio e scese. La stradina che portava dall’ingresso alla villa di sua nonna era decorato da piume bianche e lucine azzurre. Il meraviglioso giardino ospitava numerose fontane entro cui l’acqua zampillava fresca e a suon di musica quasi. Sulla soglia mostrò l’invito agli addetti e oltrepassò la corda rossa per entrare. L’ampio salone che accoglieva la festa era la perfetta imitazione del ‘Grande Gatsby’, lusso, musica jazz e champagne rendevano l’aria squisitamente magica. Sembrava di trovarsi davvero nel 1922. Alcune coppie già ballavano, altre bevevano e altre ancora chiacchieravano in allegria.
“Aranel!”
Chantal Thompson camminava verso di lei con indosso un abito bianco di pizzo e frange, due grandi perle ai lobi e il suo immancabile rossetto fucsia. Si abbracciarono, e Aranel poté annusare la lacca alla fragola che fissava i capelli bianchi della nonna.
“Nonna, è un vero piacere incontrarti. Questa festa è proprio nel tuo stile, appariscente ed esuberante!”
“Oh, cara, lo sai che le cose normali non fanno per me! E tu sei bellissima con questo abito, le signore qui presenti già ti invidiano!”
“Mai quanto invidiano te, la regina dei salotti!”
“Attenta a non rimpolpare troppo il mio ego già smisurato! Comunque, dov’è il tuo accompagnatore?”
Chantal diede un’occhiata alle sue spalle per verificare la presenza o meno di suo marito. Aranel deglutì, non si era preparata per quel momento.
“Theo è …”
“Sono qui. Perdona il ritardo, stellina, ma sono stato trattenuto da Liam. Madame Thompson, che piacere!”
Theo le strinse il fianco e le sorrise, sereno e contento. Indossava un semplice completo grigio, la camicia sbottonata di poco e le bretelle rosse. L’anziana donna non era affatto felice di quella visita, sorrise forzatamente e gli strinse la mano controvoglia.
“Adesso vi lascio per salutare gli altri ospiti. Ci rivediamo al tavolo rotondo.”
Non appena si fu scostata da loro, Aranel impugnò la giacca di Theo e lo trascinò nel corridoio silenzioso che conduceva al piano di sopra.
“Che diamine ci fai qui?”
“Sono qui per un’altra possibilità. Te l’ho detto, insieme possiamo funzionare ovunque.”
“Va bene, ma non sarà così facile. Abbiamo dei problemi di coppia da risolvere.”
Quando lei si avviò verso la sala, Theo la spinse dolcemente contro il muro e la baciò con estrema passione. Aranel cedette, gli circondò il collo con le braccia e approfondì il bacio.
“Tu e nessun’altra. Esisti solo tu, Aranel.”
Lei annuì e gli baciò di nuovo la bocca, questa volta consapevole che le cose sarebbero andate meglio.
 
“Che cosa sta succedendo laggiù?”
Aranel guardò il punto che Theo le stava indicando e ridacchiò, poi bevve in un colpo solo lo champagne nel flute. Si erano appartati in giardino, intorno ad un tavolino spoglio e nei pressi delle aiuole tempestate di rose bianche.
“Si tratta del tavolo rotondo, ossia il tavolo in legno di acero che appartiene alla nostra famiglia da almeno duecento anni. Ogni volta che mia nonna dà una festa a metà serata invita tutti a quel tavolo per discutere di arte, letteratura e gossip. Lei è famosa per essere la regina dei salotti, e come puoi ben notare la gente ricca e popolare di New York la ama per questo.”
“Tua zia e tua mamma non sono come lei. Perché?”
“Perché loro sono cresciute perlopiù con mio nonno, che proveniva da una famiglia di contadini semplici e devoti alla vita essenziale. Mia nonna era follemente innamorata di sé stessa e della propria carriera anche a discapito della famiglia.”
Theo intuì una nota dolente in quell’ultima frase. Sua moglie giocava con le frange del vestito ed evitava di alzare lo sguardo, come se si sentisse colpevole di qualcosa.
“Temi di diventare come lei?”
“Ossessionata dalla carriera, intendi? Sì, lo temo. Non ti nascondo che lei è un modello di indipendenza per me, però è anche un monito a non dimenticare che c’è altro oltre al lavoro.”
“Questo timore ha a che fare con quanto successo a Vernazza?”
Gli occhi di Aranel saettarono su di lui all’istante, era bello con la luce che gli illuminava il volto e quel completo raffinato, ma era anche arrabbiato e tanto ferito.
“No, Theo, quella faccenda non ha nulla a che fare con questo timore. Quello che è successo è nato a Vernazza e lì è sepolto. Basta parlarne. Non è colpa di nessuno.”
Il maggiordomo picchettò l’indice sulla sua spalla per farla girare.
“Perdonate l’interruzione ma Madame Thompson richiede la vostra presenza al tavolo.”
“Grazie, le dica che arriviamo.”
Theo le porse la mano per aiutarla ad alzarsi e la prese a braccetto.
“Andiamo a sfidare la nonnina.”
 
 
Chantal Thompson aveva appena riunito tutti i suoi invitati nell’ampio salone e solo pochi eletti avevano ricevuto l’onore di sedersi al suo tavolo rotondo. Tra questi figuravano anche Theo e Aranel.
“Amici e amiche, questa sera al tavolo abbiamo la fortuna di ospitare due persone, a mio dire, straordinarie. Due persone che negli ultimi anni hanno rivoluzionato il mercato immobiliare e l’editoria, due persone che io sono fiera di avere qui stasera e di poter condividere con voi. Saluto Octavius e Savannah Wagner!”
Aranel e Theo si scambiarono un’occhiata sbalordita e accigliata al tempo stesso. Octavius, in un fine completo nero gessato, e Savannah, ammaliante nel suo abito blu ricoperto di frange, salutarono Chantal e presero posto accanto a lei. Fu istintivo per Aranel stringere la mano di Theo sotto il tavolo per cercare conforto, al che lui avvicinò la sedia attaccandola alla sua.
“Sta tranquilla, stellina.” Le sussurrò all’orecchio, poi incastrò le dita a quelle di lei in una morsa di sostegno e coraggio.
“Che il tavolo rotondo abbia inizio!” annunciò il maggiordomo con un inchino, scampanellò una vecchia campanella argentata e lasciò la stanza. Chantal era colei che poneva le domande ai giocatori e che assegnava i punti, alla fine il vincitore si sarebbe aggiudicato una bottiglia di vino rosso del 1922 (anno di ambientazione del Grande Gatsby).
“Giocatori, la prima domanda è: quale opera di Picasso può essere associata all’immagine di un salice?”
“Potresti essere più chiara?” domandò la signora Preston, una dei partecipanti. Chantal scosse la testa e fece di no con il dito. Nessun altro chiarimento.
“Donna che piange!” disse Aranel dopo aver scovato nella sua mente le notizie relative a quel quadro. Sua nonna sorrise compiaciuta e segnò una ‘x’ accanto al suo nome. Da lì in poi fu un susseguirsi di domande e risposte, di errori, di risate, di frustrazione, di punti assegnati e persi, di competizione e smania di vincere. Alla fine del gioco a contendersi la vittoria furono Octavius e Aranel. Chantal si accinse a proporre l’ultima domanda che avrebbe aggiudicato la vittoria a uno dei due.
“Ventesima domanda: quale animale ha i cinque sensi sviluppati ed è innamorato della luna?”
“Lupo!”
“Lupo!”
Esclamarono all’unisono i due concorrenti e nella sala calò il silenzio. La padrona di casa non fu affatto imbarazzata, anzi sorrise e sollevò il calice.
“Per la prima volta nella storia del tavolo rotondo la vittoria va a entrambi. Octavius e Aranel, avete vinto.”
“Grazie, Madame Thompson.” Octavius le baciò la mano e brindò con lei. Aranel, dal canto suo, decise di rimanere fedele al gioco.
“Rifiuto l’offerta. Non condivido la vittoria, preferisco perdere. Signor Wagner, lei è il vincitore.”
“Almeno mi dia l’opportunità di offrirle un goccio di quel vino, la prego.”
“Ma certo! Unisciti a noi, tesoro!”
Sua nonna la obbligò ad accettare e tutti e tre andarono in cucina per sorseggiare quella bottiglia insieme.
Dall’altra parte della villa, in riva al ruscello, Theo se ne stava placidamente seduto sull’erba a fissare la luna riflessa sulla superficie dell’acqua.
“L’animale innamorato della luna.” Esordì qualcuno alle sue spalle, una voce che conosceva bene perché da qualche giorno l’ascoltava tutti i giorni. Era Savannah.
“Come hai detto, scusa?”
“Ripetevo il tema centrale dell’ultima domanda. Octavius sarà furioso, odia quando qualcuno gli cede la vittoria con tanta facilità. Miseria, è un uomo talmente ambizioso da causarmi i conati di vomito!”
La donna si tolse le scarpe e immerse i piedi nell’acqua fredda del ruscello, guardava verso la luna mentre girava su se stessa.
“Aranel è altrettanto ambiziosa, e questo è uno dei tanti aspetti che mi incanta di lei.”
“Sei davvero ridicolo, Theo.”
La risata gracchiante di Savannah lo irritò più di suo marito che beveva con Aranel.
“Perché?”
“Perché ti sforzi di amare Aranel. Inventi di amarla perché è l’unica persona che ti ha offerto un posto nella propria vita. Lo capisco, anche io credevo di amare Octavius per poi capire solo in seguito che amavo la sensazione che qualcuno si preoccupasse di me. Il mondo di quella ragazza non fa per te, troppo opprimente e buonista per uno come te.”
“Uno come me?”
Savannah si sedette sul basso fondo del ruscello permettendo all’acqua di bagnarle l’abito e i capelli. Puntò gli occhi a mandorla su di lui e sembrava che gli stesse trivellando l’anima.
“Tu sei selvaggio, libero, spietato, e perverso. Lei è troppo innocente per un animale affamato come te. La tua fame reclama un pasto appagante che Aranel non può concederti.”
Questa volta fu il turno di Theo di scoppiare a ridere. Si mise in piedi e camminò avanti e indietro con gli occhi rivolti alla luna.
“E tu potresti appagare la mia fame?”
Savannah lo raggiunse, grondante d’acqua, e gli tracciò il contorno delle labbra con il pollice.
“Ovviamente.”
“Io ho capito il vostro gioco, sai. Tu e Octavius andate a caccia di coppie da coinvolgere nella vostra relazione aperta. Beh, mi dispiace per voi, ma io e Aranel siamo felicemente sposati.”
Savannah assunse una smorfia di fastidio e tentò di trattenerlo, però lui stava già tornando verso la villa.
“Theo!”
“Lasciami in pace. Anzi, lasciate in pace il nostro matrimonio oppure ci saranno gravi conseguenze!”
 
Aranel ingoiò quel vino acido a fatica e subito ingurgitò un dolcetto per deliziare il palato. Sua nonna e Octavius da circa dieci minuti chiacchieravano delle sventure finanziare di un loro comune amico, mentre lei si guardava attorno passando in rassegna l’arredamento della cucina.
“Tu che ne pensi del povero Albert, cara?”
Chantal le diede un pizzico al braccio per farla tornare alla realtà.
“Ehm, io credo che i problemi di Albert sia solo un affare di Albert.”
Octavius ridacchiò per l’espressione furibonda di Chantal per la risposta della nipote. Erano simili quelle donne, eleganti, testarde e con la lingua tagliente.
“E’ davvero bello rivederti, Aranel.”
Aranel fu colta di sorpresa, non pensava che lui potesse tirare fuori quella cena avvenuta a Vernazza. Come da copione, sua nonna rincarò la dose.
“Voi vi conoscete già?”
“Oltre ad essere il presidente del premio Pulitzer, Octavius e sua moglie hanno cenato con noi a Vernazza durante il viaggio di nozze.”
“Oh, cara, non ricordarmi l’uomo che hai deciso di sposare!”
“Ma come? Non le piace Theo?” Octavius sembrò vagamente divertito da quello screzio tra nonna e nipote. Chantal alzò gli occhi al cielo e sospirò.
“Quel ragazzo non è all’altezza di mia nipote. E’ un teppista e un perdigiorno, mentre io voglio solo il meglio per la mia dolce Aranel. Mi rifiuto di pensare a loro come ad una coppia sposata!”
“Okay, nonna, adesso basta! Abbiamo già affrontato questo discorso e ti ho ribadito più volte che Theo è mio marito, che lo amo e che la tua opinione non conta. Adesso scusatemi, ma questo vino all’improvviso mi sta andando di traverso.”
Aranel in fretta prese le distanze da loro per andare a cercare Theo. Chantal si versò altro vino e lo buttò giù in un solo fiato.
“Quella ragazza è davvero irremovibile.”
“Chantal, ti ricordo che io e te abbiamo un accordo. Io finanzio la tua vita agiata e tu mi dai Aranel. Non deludermi.”
Octavius ordinò al cameriere di incartargli il vino e poi tornò a conversare con gli altri invitati.
 
 
“Una principessa non dovrebbe fumare, il galateo lo impedisce.”
Aranel aspirò ancora la sigaretta senza voltarsi, si limitò a ghignare.
“Allora non sono una principessa. Roxy ne rimarrà dispiaciuta.”
“Perché fumi? Scommetto che è successo qualcosa di spiacevole mentre festeggiavi la mancata vittoria.” Disse Theo, poggiandosi di schiena al parapetto del balcone.
“Mia nonna ha parlato male di te davanti a Octavius, io mi sono arrabbiata e sono andata via. Questo posto non fa per noi, c’è troppa cattiveria che serpeggia fra le mura.”
“Di solito è il cavaliere che difende la donzella in pericolo, ma tu sembri capovolgere sempre tutto. Comunque, devo parlarti di Octavius e Savannah.”
Aranel gettò via il mozzicone e incrociò le braccia in posizione di ascolto.
“Dimmi pure.”
“Credo che quei due a Vernazza ci abbiano adocchiato di proposito. Savannah poco fa mi ha proposto di andare a letto con lei perché tu non sei capace di offrire un pasto appagante alla mia fame selvaggia.”
“Scusa? Ti ha proposto di tradirmi? Io vado lì e le spacco la faccia!”
Theo la bloccò prima che tornasse alla villa e la tenne stretta per non farla scappare.
“Sta calma, Aranel. Il problema sono loro due come coppia. Qualcosa mi dice che ci vogliano includere nella loro relazione aperta sin da quando abbiamo conosciuto Savannah in quel bar. Non è un caso che lei sia il mio nuovo capo e che lui sia il presidente del premio per cui sei candidata.”
“Si sarebbero addirittura trasferiti da Londra a New York per farci seguire la loro perversa teoria?”
“La gente fa cose ben peggiori, ricordatelo.”
“E se l’attacco dei pettirossi fosse collegato al loro arrivo? A questo punto tutto è plausibile.”
Aranel non aveva tutti i torti, da quando quei due avevano messo piede in città le cose sembravano diverse in senso negativo. Theo si passò una mano tra i capelli, qualcosa si stava muovendo nell’ombra e attendeva con ansia di liberarsi.
“La domanda che dobbiamo porci è: chi sono Octavius e Savannah? Dobbiamo acquisire informazioni su di loro mentre gli altri continuano a indagare sull’attacco dei pettirossi.”
“L’unico strumento che abbiamo per sapere tutto di loro è Roxy.”
“Sono d’accordo con te.”
Aranel lo afferrò per le bretelle e accostò le loro in bocche in modo che si sfiorassero.
“Adesso portami via di qui, ti prego.”
“Volentieri, stellina.”
Tornarono al parcheggio mano nella mano attraversando il giardino, che era silenzioso e scarsamente illuminato. La musica jazz si diffondeva dall’interno creando un alone magico intorno alla villa. Il gorgoglio delle fontane si assimilava alle risate degli invitati. D’improvviso la confusione si placò. Aranel guardò con fare guardingo a destra e a sinistra.
“Aranel.”
Il tono lugubre di Theo la spaventò e, portando lo sguardo al cielo come lui, spalancò gli occhi. Lampi di colore rosso danzavano fra le nuvole oscure, le stelle sembrava fiammelle, e il cielo appariva come un bagno di sangue. I bagliori rossastri si alternavano, si inseguivano, si esibivano sotto gli sguardi meravigliati di tutti. Poco dopo iniziò a piovere. Aranel si sentì toccare la spalla da una sostanza viscosa che riconobbe essere sangue.
“Oddio! Theo, sta piovendo sangue!”
Anche la giacca del ragazzo si imbrattò di gocce liquide e rosse, infatti il suo olfatto sviluppato annusò il sangue dappertutto.
“Ce ne dobbiamo andare, ora!”
Mentre riprendevano a camminare in gran fretta, notarono Octavius e Savannah sul terrazzo della villa sorridere trionfanti.
“Andiamo, per favore.”
Aranel lo trascinò sino all’auto ma, prima di salire a bordo, guardò di nuovo il cielo: i lampi continuavano imperterriti nel loro spettacolo, come fuochi di artificio che esplodono tra le stelle.
“Aranel, entra subito in macchina.”
 
 
Erano le quattro di mattina, il sole aveva lasciato il posto ad un terribile acquazzone che da un paio di ore si protraeva nel cielo newyorkese. Aranel si appollaiò sul divano senza staccare gli occhi dalla finestra ricoperta da gocce d’acqua. Sussultò quando Theo le sfiorò il braccio sedendosi.
“Tranquilla, sono solo io.”
“Questo momento mi ricorda l’estate in cui ci siamo conosciuti. Pioveva quando abbiamo passato la nostra prima notte insieme.”
“Difficile dimenticare una giovane donna che indossa la sottoveste.”
Aranel lo colpì ad un braccio e si finse offesa, poi si sciolse in una breve risata.
“Che cosa è successo poche ore fa? Lampi rossi e pioggia di sangue?”
“Secondo i telegiornali si è trattato dello spettro rosso.”
Lo spettro rosso è un fenomeno atmosferico connesso all’elettricità, si manifesta negli strati alti dell’atmosfera ed emana fulmini rossi causati dall’azoto.
“E la pioggia di sangue come è stata spiegata?”
“E qui arrivano le cattive notizie. Non era sangue, era una comune pioggia di acqua. Stamattina i nostri vestiti erano umidi ma non era sporchi di sangue.”
Aranel fece silenzio per qualche istante, meditò su quanto le era appena stato detto e, quando giunse alla conclusione, si sentì terrorizzata.
“Mi stai dicendo che abbiamo creduto che fossero gocce di sangue?”
“Aranel, quello che ti sto dicendo è che questa situazione è legata al soprannaturale. Solo noi due, Nadia, Liam, Roxy, Corey e Zakhar abbiamo visto il sangue. Sta succedendo qualcosa di molto preoccupante.”
“Aspetta, perché io l’ho visto e Mason no? Siamo entrambi umani.”
“Questa è un’altra domanda a cui non abbiamo una risposta. Mi dispiace, stellina.”
Ecco che il pericolo ripiombava nella loro vita come una tempesta di orrore e paura.
 
 
Salve a tutti! ^_^
Le cose per i novelli sposi non stanno andando molto bene.
Chissà cosa sta succedendo e chissà chi sono Octavius e Savannah.
Nessuno sfugge al pericolo.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima.
Un bacio.
 
Ps. Perdonate eventuali errori di battitura.
  

 

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Capitolo 4
*** Schiaffo mor(t)ale ***


3. SCHIAFFO MOR(T)ALE.

-Non fidarti mai di nessuno e non scordarti mai da che parte stai.-
(Dal film Cella 211)
 
 
Aranel osservava i bambini giocare, ridere e strillare cose senza senso, mentre se ne stava appoggiata con i gomiti alla dura superficie della scrivania. Quel giorno l’ufficio era particolarmente frenetico, tutti avevano qualcosa da sbrigare e tutti lo facevano in gran fretta. Erano trascorsi un paio di giorni dalla festa alla villa di sua nonna, eppure il cattivo umore causato da quello stupido gioco persisteva. Chantal si era limitata ad un banale messaggio di scuse che lei aveva cancellato senza neanche leggere. La sua famiglia era sempre stata un disastro, sin da quando aveva ricordo non avevano mai vissuto un momento raccolto e felice, anzi i suoi parenti erano stati in costante guerra. Il divorzio dei suoi genitori non aveva appianato le divergenze, forse le aveva peggiorate, e questo era chiaro anche dopo dodici anni. A sedici anni desiderava avere una famiglia che le volesse bene e che fosse unita, mentre ora voleva soltanto che la smettessero di darsi il tormento a vicenda. La situazione, inoltre, sembrava riproporsi con il suo matrimonio. Da quando Theo le aveva chiesto scusa presentandosi alla festa, le cose tra di loro si era placate, però non aveva ancora avuto modo di confrontarsi. Forse sposare una chimera con problemi a gestire le emozioni non era stata la scelta migliore della sua vita, forse aveva sbagliato tutto, e forse era ancora in tempo per rimediare. Ripetuti colpi la destarono dai suoi pensieri: Nadia la salutò dall’altra parte della porta di vetro con un enorme sorriso. Come facesse quella ragazza ad essere sempre ottimista, era un vero mistero.
“Buongiorno, raggio di sole!”
“Buongiorno a te, Nadia. Sei più felice del solito o sbaglio?”
Nadia le porse una rivista e picchiettò su un titolo in particolare: Aranel Jones e la sua lotta a sostegno delle donne.
“Sono felice perché hanno scritto un bellissimo articolo di elogio per te e la tua inchiesta!”
Aranel rapidamente lesse l’articolo e lo trovò ridondante, pieno di citazione prese dalla sua stessa inchiesta e troppo eccessivo. Non disse nulla per non smorzare l’entusiasmo dell’amica.
“Bene, ti ringrazio per il ragguaglio. Com’è andata ieri sera? Liam ha fatto il bravo?”
“E’ stato davvero imbarazzante farlo conoscere ai miei genitori. Ha balbettato per tutta la serata, ha rovesciato il vino sulla giacca di mio padre e ha scambiato la borsa di mia madre per una busta della spazzatura.”
Nadia assunse un’espressione talmente affranta che Aranel scoppiò a ridere, perché immaginava che Liam desse di matto al primo incontro con i suoceri.
“Theo mi deve venti dollari, glielo dicevo io che Liam avrebbe fatto la figura dell’idiota.”
“Beh, almeno alla fine si è degnato di pagare il conto.” Fece la biondina con un’alzata di spalle.
“Scommetto che è stato Mason a suggerirglielo.”
Prima che Nadia potesse replicare, le due donne furono interrotte da forti grida che provenivano dal corridoio. Si precipitarono a vedere e scorsero una calca di colleghi intorno alle fotocopiatrici, al centro Trevor Marshall stava sbraitando contro una giovane stagista di nome Mary. I toni della polemica erano troppo esagerati e Aranel decise di intervenire, così si posizionò accanto alla ragazza accusata e puntò il dito contro l’uomo.
“Che succede, Trevor? Perché stai torturando questa poverina?”
“Eccola, Aranel Jones, la paladina delle donne!” il disprezzo nelle parole di Trevor bruciava come acido sulla pelle.
“Io sarò anche la paladina delle donne, ma tu sei un uomo debole se te la prendi con una persona alle prime armi in un ambiente di lavoro.”
Mary d’istinto si riparò alle sue spalle, tremava come una foglia. Trevor nell’ufficio era noto come un soggetto instabile, irascibile e anche violento, quindi era plausibile quel suo folle comportamento.
“Disse la donna che non sa il vero significato del lavoro. Tu che lavoravi al Times solo grazie al tuo ricco fidanzatino, tu che lavori qui perché Richard Bettencourt ti ha fatto assumere, e tu che sei candidata al Pulitzer solo perché frequenti Octavius Wagner!”
“D’accordo, è meglio chiudere qui il discorso.”
Aranel sorrise a Mary, le mise un braccio intorno alle spalle e insieme si incamminarono verso il suo ufficio, ma Trevor colpì la fotocopiatrice con il plico di fogli che teneva in mano per attirare la sua attenzione.
“Chiudi il discorso perché hai paura? Avanti, Aranel, lo sappiamo tutti che gli uomini ti apprezzano. Chissà cosa ne pensa tuo marito, la vittima delle tue astute manovre.”
Malgrado Nadia con uno sguardo le consigliasse di lasciar perdere, Aranel le affidò Mary e tornò da Trevor.
“Hai dei problemi con me, Trevor? Sei invidioso perché io sono candidata al Pulitzer mentre tu continui a scrivere stupidi articoli sul meteo?”
“Ti ho visto sorseggiare vino insieme a Octavius Wagner alla festa di Chantal Thompson, perciò scommetto che la tua candidatura, anziché basarsi sulla tua inchiesta, si basi sulle tue abilità sessuali!”
“Ovviamente per voi uomini una donna raggiunge una certa posizione solo tramite il sesso, vero? Se la pensi così, Trevor, dimostri di essere una persona insulsa e deplorevole.”
Si era voltata e avviata verso Nadia quando Trevor lanciò la bomba che fece esplodere la sua pazienza.
“Almeno tuo marito lo sa che la dai a tutti?”
Allora Aranel, mossa da una rabbia cieca, gli tirò uno schiaffo che zittì l’uomo e gli segnò la guancia.
“Non permetterti mai più, altrimenti le conseguenze saranno sgradevoli.”
 
 
Theo aveva il sentore che qualcosa stesse avvenendo nell’ufficio del direttore, qualcosa di sbagliato. Quella mattina Savannah era arrivata in palestra e lo aveva semplicemente ignorato, come se si fosse trattato di un dipendente qualunque. Era sollevato di quel cambiamento perché, stando alla loro ultima conversazione tenutasi alla festa due giorni prima, temeva che lei non si arrendesse all’idea che lui non sarebbe entrato a far parte del loro gioco di coppia. A casa, però, le cose non erano migliorate: un vallo di segreti lo tenevano lontano da sua moglie. Si comportavano come al solito, ma tra di loro mancava la solita scintilla, i piccoli gesti e gli sfioramenti che li caratterizzavano. Si girò la fede intorno all’anulare e sospirò, era una situazione tremenda. Aranel voleva una famiglia felice e lui, in un mondo o nell’altro, gliela avrebbe data.
“Vuoi fare irruzione?”
La risata di Ben non colse alla sprovvista, aveva già captato i suoi passi.
“Con chi parla la signora Chen da un’ora?”
“Roxy è entrata lì un’oretta fa, ma non so se sia ancora dentro.”
Theo avvertì la rabbia corrodergli dentro come se una fiamma divampasse nelle sue vene.
“Roxy?”
“Ha detto che voleva parlare con la Chen per il posto da segretaria.” Rispose Ben, sistemando gli asciugamani puliti su un banco. Che cosa ci faceva Roxy in quell’ufficio? Non voleva di certo diventare la segretaria perché sarebbe stato un impegno di cui non si sarebbe mai curata. Forse voleva chiedere un aumento, oppure rassegnava le dimissioni, oppure si lamentava di qualche cliente. Quando Ben si allontanò, si assicurò che nessuno lo vedesse e salì la scala a chioccia sino all’ufficio. La porta blindata non permetteva di sbirciare all’interno, allora accostò l’orecchio per ascoltare. I respiri affannati e i gemiti furono il palese segno di quello che stava accadendo, inoltre il profumo di Roxy era la prova schiacciante che fosse ancora dentro. Il cellulare vibrò e dovette tornare giù. Era un messaggio di Aranel: ti va di cenare fuori stasera? Ho bisogno di una serata tranquilla. Digitò velocemente una risposta: sempre a tua disposizione, stellina.
 
Aranel si sentiva meglio rispetto a qualche ora prima, il litigio con Trevor stava diventando un remoto ricordo. Avevano cenato in centro e ora stavano passeggiando a Central Park, dove si teneva uno spettacolo di marionette per bambini. Theo colse la sua espressione ancora assorta, allora staccò un piccolo fiore bianco e glielo sistemò sull’orecchio destro.
“Guardati, una meraviglia. La Venere di Botticelli è nulla in confronto a te!”
Aranel ridacchiò e si aggiustò il fiore perché non cadesse. Tirò fuori dalla borsa il cellulare e scattò una foto di loro due sorridenti.
“Grazie per la serata, ne sentivo la necessità.”
“Aranel, noi abbiamo ancora molto da chiarire.”
La ragazza gli prese le mani e lo guardò dritto negli occhi.
“Perdiamo troppo tempo ad essere arrabbiati. Capisco perché non mi hai raccontato degli incubi e capisco che ti rendano nervoso, ma l’importante è che tu sappia che sono qui e non ti lascio. Non c’è nient’altro da chiarire.”
Theo le passò una mano dietro il collo e l’attirò a sé per baciarla con passione, voleva cancellare la tensione che si era creata tra di loro e addolcire la rabbia. Aranel sorrise nel bacio e gli strinse la maglia per avvicinarlo.
“Ti amo, Aranel.”
Lei annuì soltanto, poi lo baciò ancora e con più trasporto di prima.
 
 
Aranel tremò quando le dita fredde di Theo le accarezzarono la schiena. Erano da poco tornati a casa, si stavano baciando senza freni e adesso lui la stava schiacciando contro il muro. Erano un mix di ansimi, risatine e baci bollenti, mani che si rincorrevano, corpi che si reclamavano. Aranel gli avvolse le gambe intorno ai fianchi senza staccarsi, gli tolse la maglia e gli baciò il collo. Theo, invece, continuava a lasciarle carezze ardenti lungo le cosce scoperte e la tempestava di baci sulle clavicole. Si bloccarono quando lui fece scattare la testa di lato dopo aver sentito dei passi concitati in corridoio. Il campanello suonò un istante dopo. Si ricomposero alla svelta e aprirono la porta. Due agenti di polizia sostavano sulla soglia, rigidi e inflessibili.
“Coniugi Raeken?”
Aranel non pensò al fatto che l’avessero chiamata col cognome di suo marito, la paura già si era impossessata di lei. Fu Theo a parlare.
“Sì, siamo noi. Che succede?”
“Dovete seguirci in centrale.”
“Per quale motivo?”
“Trevor Marshall è morto.”
 
 
Aranel non ne poteva più di quella stanza interrogatori minuscola e puzzolente. Da un’ora la tenevano rinchiusa senza averle comunicato altro oltre la morte di Trevor. Le venne in mente quando lei e Theo furono accusati della scomparsa di Richard e di quando, tornata a casa, Aaron l’avesse aggredita. Non aveva idea del perché sospettassero di loro questa volta, in fondo non c’era un movente che spiegasse l’omicidio. La porta si aprì e si chiuse con un tonfo che la fece sobbalzare. Sollevò gli occhi al cielo quando Angela Moore prese posto dall’altra parte del tavolo. La donna, robusta e scontrosa, anni fa si era più volte presentata nell’ufficio di Aranel per costringerla a smettere di seguire un’indagine sul sindaco, perciò presumeva che ci sarebbe andata giù pesante con loro.
“Aranel Jones, quale piacevole rimpatriata!”
“Perché io e mio marito siamo indagati per morte di Trevor? Non abbiamo un movente.”
Moore diede un’occhiata al suo taccuino e storse le labbra.
“Alcuni testimoni sostengono di averti vista discutere animatamente con Trevor stamani. E’ vero?”
“Sì, è vero. Trevor stava vessando una povera stagista senza nessuna reale ragione, allora sono intervenuta perché moderasse i toni ma la sua risposta è stata poco civile.”
“Che intende?”
“Mi ha accusata di aver fatto carriera andando a letto con qualunque uomo potesse aiutarmi.”
“Ed è vero?” la detective non riuscì a mascherare un sorriso, era evidente che non la sopportasse.
“Ovviamente no. Adesso mi lasci finire: le accuse di Trevor mi hanno fatta sorridere, però poi ha nominato mio marito e così gli ho tirato uno schiaffo. La discussione è terminata lì, da quel momento non l’ho più visto.”
“Averlo ucciso per diffamazione è un movente, questo lei lo sa bene.”
“Senta, detective, Trevor era uno dei peggiori, sempre pronto a fare a botte con qualcuno, perciò il numero di persone che lo volevano morto è davvero alto. Aveva rubato la ragazza ad un delinquente e questo più volte lo aveva minacciato. Un insulto di poco conto non mi avrebbe spinta ad ucciderlo e a rovinare così la mia brillante carriera, nonché il mio matrimonio.”
Angela Moore piantò i suoi aspri occhi verdi in quelli scuri di Aranel e in essi vi lesse determinazione e forza, ma non paura e follia.
“Indagheremo meglio, non si preoccupi.”
 
 
Theo non riusciva più a respirare in quella stanza angusta. Voleva vedere Aranel e tornare a casa, anche perché l’accusa di omicidio era inammissibile. Non avrebbero mai ucciso un uomo che conoscevano a malapena e soprattutto nel parcheggio dell’ufficio, dove identificarli sarebbe stato più facile. Quando fece il suo ingresso il detective a capo dell’indagine, sorrise sornione. Era Angela Moore, accanita oppositrice di Aranel e dei suoi articoli di politica.
“Eccoci qua, signor Raeken. Ho appena parlato con sua moglie, ma non si è dimostrata particolarmente collaborativa.”
“Collaborare implica essere al corrente dei fatti, però io e mia moglie non sappiamo niente perché non abbiamo ucciso nessuno.”
“Siete una coppia dalla bella parlantina, non c’è dubbio. Il problema è che un’accusa di omicidio non lascia spazio alle chiacchiere, vuole solo la verità.”
Theo si sporse con le mani intrecciate sul tavolo grigio e rilassò le spalle.
“Allora cerchi la verità.”
“Le telecamere del giornale l’hanno ripresa mentre aspettava sua moglie, è corretto?”
“Sì. Aranel mi ha proposto di cenare fuori e sono andato a prenderla al lavoro.”
“E per caso si è mai avvicinato al parcheggio dei dipendenti?”
“No, ho aspettato sulle scale dell’edificio. Questa domanda mi fa capire che Trevor è stato ucciso nel parcheggio, ma lei deve sapere che non mi sono avvicinato a quel luogo.”
“Sua moglie, però, potrebbe aver fatto un giretto da quelle parti mentre lei aspettava. Che ne pensa?” il detective stava leggendo le domande dal suo taccuino e ogni tanto sollevava gli occhi inquisitori su di lui.
“Sì, potrebbe averlo fatto.”
“Quindi è possibile che sua moglie abbia ucciso Trevor Marshall?”
“Non esattamente. Le ho detto che potrebbe aver fatto un giro nel parcheggio e non che potrebbe aver commesso un omicidio. Stia attenta a come interpreta le parole, c’è gente abile nel manipolarle.”
Theo era un bugiardo formidabile, sapeva come raggirare le persone, e sapeva come comportarsi in situazione di pressione. Anni e anni con i Dottori gli aveva insegnato qualcosa.
“Lo sa che Trevor ha accusato sua moglie di essere una poco di buono e di averla tradita?”
“Lo so, Aranel me lo ha detto durante la nostra cena, ma questo di certo non mi scagiona.”
“In che senso?”
“Suvvia, detective, usi il cervello! Aranel potrebbe avermi raccontato della discussione con Trevor, io potrei aver reagito male e potrei averlo ucciso per vendicarmi.”
“Mi sta confessando di aver ucciso Trevor Marshall?”
“No. Le sto spiegando il suo stesso ragionamento. Due sono le possibilità su cui lei basa l’indagine: o Aranel lo ha ucciso per metterlo a tacere sulle sue relazioni extraconiugali oppure io l’ho ucciso per difendere l’onore di mia moglie.”
Angela corrugò la fronte e chiuse il taccuino, allora Theo seppe di aver fatto centro. La detective si alzò e, dopo un ultimo sguardo accigliato, uscì.
 
 
Erano trascorse all’incirca due ore quando Richard Bettencourt arrivò alla centrale di polizia e si riunì alla sua cliente. Aranel fu sollevata di vedere un volto amico e lo abbracciò.
“Richard, grazie di essere qui.”
“Non preoccuparti, adesso ci penso io.”
Prima di seguire i poliziotti, Theo aveva inviato un messaggio a Zakhar chiedendogli di avvertire Richard.
“Adesso arriva la parte in cui mi chiedi se io e Theo c’entriamo qualcosa?”
“Cosa? No! E’ ovvio che non siate stati voi. E’ surreale che veniate sempre accusati di reati che non commettete!”
Aranel fece spallucce, poi si sedettero al tavolino e lui vi posizionò sopra dei documenti.
“Che dirti? La polizia deve avere proprio un debole per me e mio marito!”
Richard ridacchiò e scosse la testa, per lo meno l’umore era ancora alto.
“Credono che tu abbia ucciso Trevor perché ha ammesso davanti ai vostri colleghi che frequenti Octavius Wagner. Stando alla Moore, lo avresti fatto per evitare che tutti sapessero che la tua candidatura al Pulitzer è una raccomandazione.”
“Il fatto è che io e Theo abbiamo conosciuto a Vernazza Octavius e sua moglie per puro caso, poi due settimane dopo scopro che è stato nominato presidente del Pulitzer. So che tutta la faccenda puzza di scandalo sessuale e raccomandazione, ma non è così. Il problema adesso è che mia nonna è una cara amica di Octavius e questo avvalora le ipotesi della Moore.”
Richard era sul punto di rispondere quando Angela Moore irruppe con irruenza.
“Il colloquio con la mia assistita è privato, detective. Le chiedo di lasciarci il tempo necessario.”
“Il vostro colloquio finisce qui. Abbiamo delle novità. Lei sa a cosa stava lavorando Trevor?”
Aranel guardò il suo avvocato e accettò di parlare solo dopo che lui ebbe annuito.
“Trevor non voleva più occuparsi del meteo e da alcuni mesi stava scrivendo un articolo che lo avrebbe aiutato ad avanzare di carriera, ma era un paranoico e non lo ha mai detto a nessuno su cosa lavorasse.”
“L’articolo trattava dei ricchi caduti in disgrazie economiche nell’ultimo anno ma che continuano a fare la bella vita grazie a donatori anonimi a cui promettono favori in cambio. Trevor aveva redatto una lista di questi ricchi in ordine alfabetico e alla lettera ‘T’ compare un nome molto interessante: Chantal Thompson. E’ sua nonna, dico bene?”
“Cosa? Non è possibile! Mia nonna è stata per anni la direttrice di Vogue, è una delle donne più ricche e in voga di New York. Si sbaglia!”
Richard passò in rassegna i fogli che il detective gli aveva fatto scivolare sotto il naso e sospirò, era tutto vero.
“E questo cosa ha a che fare con la mia assistita?”
“Riteniamo che lei abbia ucciso Trevor per insabbiare l’articolo che avrebbe incriminato sua nonna.”
“Prima avrei ucciso Trevor perché mi insulta e adesso per proteggere mia nonna da una tempesta mediatica? E’ assurdo!”
Aranel si sentì afferrare la mano da Richard e dal suo sguardo capì che le cose si mettevano male.
“Non si tratta solo di una tempesta mediatica, tua nonna sarebbe stata indagata dal tribunale per ricatto e frode se l’articolo fosse stato pubblicato.”
“Io e Theo non avremmo mai ucciso un uomo per nessuna ragione al mondo. Deve credermi.”
Angela Moore sorrise e si portò le mani ai fianchi.
“In verità sono qui per dirle che è libera di andare. Il vostro alibi è stato confermato passo dopo passo dalle telecamere e dal ristorante, adesso abbiamo i nomi di quella lista da interrogare. Restate comunque a disposizione.”
 
 
Dopo che Theo ebbe recuperato i suoi effetti personali, si diresse nella hall, dove Richard gli aveva dato appuntamento. Mentre scendeva le scale, intravide Aranel fumare fuori dalla centrale. Anziché essere contenta, sembrava devastata.
“Theo, eccoti.”
I due uomini si strinsero la mano, poi Richard gli fece firmare un paio di documenti e insieme uscirono in strada. Aranel gli sorrise e gli andò incontro.
“Direi che questo è il nostro secondo soggiorno in una centrale di polizia.”
“Noi due attiriamo guai come il miele con le api, stellina.”
La ragazza consumò la sigaretta e gettò il mozzicone nel cestino dei rifiuti.
“Sappiate che non è ancora finita. Quella lista vi tocca da vicino.” Disse Richard, austero nel suo completo grigio scuro. Theo era confuso e fece oscillare lo sguardo da sua moglie all’avvocato.
“Che cosa mi sono perso?”
Aranel alzò la mano per impedire a Richard di parlare, voleva comunicargli lei stessa le novità.
“Trevor stava scrivendo un articolo sui ricchi in crisi economica che si fanno mantenere da anonimi donatori in cambio di favori, i quali spesso e volentieri sono illegali. Aveva redatto una lista di questi ricchi poveracci e c’è anche il nome di mia nonna.”
“Cosa? Tua donna? Quella donna si è arricchita grazie ai divorzi! Com’è possibile che abbia problemi economici? Voglio dire, l’altra sera ha organizzato una festa sontuosa e la ricchezza a momenti colava dai muri!”
“Non lo so. Anche io ho detto che è impossibile, ma la Moore è stata intrattabile a riguardo. Richard, tu puoi saperne di più?”
“Mi dispiace, ma non posso. Io sono il vostro avvocato e ora che non siete più indagati il mio compito termina qui. Forse posso intercettare il legale che nominerà tua nonna per ricavare qualche informazione in più. Adesso scusatemi, ma devo tornare a casa dalla mia fidanzata.”
“Grazie di tutto.”
Quando rimasero da soli, chiamarono un taxi e tornarono a casa. Durante il tragitto rimasero in silenzio, Aranel poggiò la testa sulla spalla di Theo e lui le strinse il ginocchio. Aperta la porta, furono colti di sorpresa: Roxy e Zakhar li aspettavano seduti sul divano.
“Finalmente!” esordì il russo, e senza aggiungere altro stappò due birre. Mentre Aranel scrollò la testa in segno di rifiuto, Theo le accettò entrambe.
“Allora, come avete occultato il cadavere?” domandò Roxy, spaparanzata sul divano senza scarpe e con una maglia di Theo addosso per stare più comoda.
“Non abbiamo ucciso nessuno, almeno non ancora.” Il sarcasmo di Aranel fece ridacchiare la ragazza, bisticciavano come cane e gatto. Zakhar si accese un sigaro e lo fumò con la sua tipica flemma.
“Siete stati rilasciati presto, come mai?”
“Non hanno prove contro di noi, ma ce le hanno contro dei ricconi senza soldi.” Rispose Theo mentre si attaccava alla seconda bottiglia di birra. Roxy si mise seduta all’istante con uno sguardo divertito e allibito al tempo stesso.
“Ricconi senza soldi, hai detto? Ne ho sentito parlare nei bassifondi. Si tratta di gente ricca che per continuare a vivere in condizioni agiate sguazza nell’illegalità.”
Aranel, appostata contro la porta del balcone con l’ennesima sigaretta tra le dita, ebbe un’idea che avrebbe potuto chiarire quella incresciosa questione.
“Roxy, tu in quanti server puoi entrare?”
“In tutti quelli che vuoi, principessa.”
A Theo non piacque la cieca determinazione di sua moglie, che era nota per la sua testardaggine, e si avvicinò per mormorarle all’orecchio.
“Sei sicura? Potrebbero emergere verità scomode.”
“Tutta la mia famiglia è una verità scomoda, credimi. Dobbiamo farlo.”
“Prepara il computer, Roxy. Domattina avremo delle ricerche da fare.”
 
 
Aranel sospirò. Non riusciva ad addormentasi, sebbene fosse sfinita. Lasciò il letto e andò in terrazza, la fresca brezza notturna sembrò farla stare meglio.
“Bello, vero?”
La voce di Theo le causò sussultò, ma non si voltò. Continuò a tenere gli occhi puntati sul cielo scuro.
“Cosa?”
“Guardare il cielo e sentirsi leggeri per qualche istante. E’ una sensazione meravigliosa.”
“Sì, lo è.”
“Qualunque cosa tu stia pensando, non è colpa tua.”
“Non ho voglia di parlarne, Theo.”
Theo le si parò davanti e le accarezzò le braccia, facendola rabbrividire.
“Le cose sono andate a rotoli negli ultimi tempi perché non avevamo voglia di parlarne, perciò il silenzio non è una opzione contemplata.”
Aranel lo abbracciò di scatto affondando il viso nel suo petto.
“E’ successo di nuovo. La mia famiglia mi ha di nuovo mentito e mi ha causato l’ennesimo interrogatorio della polizia.”
“La tua famiglia siamo io, tua mamma, Kabir e tua zia. Noi non ti deluderemo mai, Aranel. Conta solo questo, le persone che ti amano e che restano con te per sempre.”
“Tutto questo romanticismo è un effetto della luna?” Aranel sorrise contro la sua pelle.
“Può darsi.” Anche la voce di Theo era divertita.
“Ce la faremo, Theo?”
“Basta crederci, stellina.”
“Basta crederci.”
 
 
 
Salve a tutti! ^_^
Ecco che il pericolo comincia a delinearsi.
Chissà cosa c’entra in tutto questo la nonna di Aranel.
Chissà perché adesso tornano i Dottori.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima.
Un bacio.
 
Ps. Perdonate eventuali errori di battitura.

 

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Capitolo 5
*** Una matrioska di segreti ***


4. UNA MATRIOSKA DI SERETI.

-Tutti custodiamo un segreto chiuso a chiave nella soffitta dell’anima.-
(Carlos Ruiz Zafòn)
 
 
Theo non aveva più chiuso occhio da quando si era svegliato di sobbalzo nel cuore della notte, al contrario di Aranel che dormiva rannicchiata accanto a lui. Alla fine, anche Roxy e Zakhar erano tornati a dormire, erano tutti troppo stanchi per reggere un’altra notte insonne. Muovendosi con cautela, sgusciò via dal letto e andò nello studio di Aranel, ovvero una stanzetta arredata da una scrivania e una modesta libreria. Accese il computer e avviò una ricerca sulla morte di Trevor per scoprire quali novità fossero emerse dopo il loro rilascio. Cliccò su un articolo postato soli quaranta minuti prima e lo lesse: dopo una rapida presentazione della vittima e del luogo di ritrovamento, ad attirare la sua attenzione fu la parte inerente all’autopsia. Stando al medico legale, il corpo riportava traumi prodotti dalla tentata difesa e profondi graffi lungo l’addome che sarebbero stati la causa del decesso. Non ci volle molto per collegare gli strani eventi delle ultime settimane alle ferite: con molta probabilità un licantropo era appena arrivato in città. Subito si domandò chi potesse essere, forse qualcuno da Beacon Hills, oppure un novizio, o una sua vecchia conoscenza.
“Theo.”
La voce di Aranel giunse ovattata mentre nel suo cervello le idee si accavallavano come gocce d’acqua in un vaso. D’improvviso alzò gli occhi su di lei e sorrise d’istinto.
“Buongiorno, dormigliona.”
“Almeno io ho dormito, tu hai delle occhiaie terribili. Che stavi facendo con il mio computer? Non dirmi che hai letto la bozza del nuovo libro, lo sai che …”
“Tranquilla, non ho letto nulla. Ho fatto delle ricerche su Trevor e ho scoperto che è morto a causa di laceranti ferite all’addome.”
“Come quelle causate da un lupo?”
“Esatto.”
Aranel si sedette sulla scrivania con lo sguardo perso nel vuoto. Se la morte di Trevor era davvero legata ad un licantropo, era probabile che sua nonna c’entrasse qualcosa.
“Credi che sia tutto connesso? I pettirossi, i lampi e la morte di Trevor potrebbero avere a che fare con un lupo?”
“Mi auguro di no!” esordì alle loro spalle Zakhar con irruenza. Aranel prese volentieri la tazza di the verde che l’uomo le porse, mentre Theo rifiutò dopo cinque caffè.
“Dovremmo chiamare Deaton per saperne di più su quanto sta accadendo.” Propose la ragazza. Theo annuì, consapevole che acquisire informazioni era l’unica soluzione.
“Va bene, proveremo a contattarlo più tardi. Adesso occupiamoci della nonnina. Roxy, vieni qui!”
 
 
Dopo la colazione e una doccia veloce, si radunarono intorno a Roxy sul tavolo della cucina. Faceva caldo e loro si erano muniti di aria condizionata e bibite fresche, a questo punto la caccia poteva cominciare. La ragazza dai capelli turchesi smanettò al PC e rivolse uno sguardo divertito ad Aranel.
“Che cosa vuoi che cerchi?”
“Cerca qualsiasi informazione su Chantal Thompson, spulcia dappertutto fino a raggiungere il torbido.”
“Ogni suo desiderio è un ordine, principessa.”
Frattanto che Roxy si dedicava all’hackeraggio, Theo mostrò loro l’articolo che parlava della morte di Trevor. Zakhar arricciò il naso, tutta la faccenda non lo convinceva.
“Perché un lupo avrebbe ucciso proprio questo tizio? C’è una valida ragione?”
“Trevor potrebbe trattarsi di una vittima casuale che si è imbattuta nel lupo oppure potrebbe esserci un motivo concreto che noi non conosciamo. A meno che il colpevole non sia uno dei nomi sulla fatidica lista nera.” Spiegò Theo con noncuranza, stava tentando di ostentare una freddezza che da tempo aveva perso. Aranel fu percorsa da un brivido.
“Come la lista di morte redatta per uccidere gli essere sovrannaturali di Beacon Hills, quella predetta dalla nonna di Lydia.”
“Credi che quella lista possa c’entrare qualcosa?” fece Zakhar, a metà tra lo sconvolto e lo scettico.
“Non credo, ma forse l’idea di fondo è la stessa. Forse Trevor ha redatto quella lista di gente ricca e per questo è morto.”
“Oppure Trevor voleva fare fuori la gente ricca.” Commentò Theo in tono lugubre. Aranel gli diede un pugno sulla spalla e lui sorrise.
“Eccoci. Su, figliuoli, venite dalla mamma!”
Aranel si sporse nella speranza di cogliere subito qualche dettaglio, però non capiva la maggior parte delle cose che comparivano sullo schermo.
“Ma sei sicura di essere entrata nei server giusti?”
“Principessa, non c’è apertura che la qui presente Roxy non sappia aprire.”
“Che pessima battuta.” Commentò la padrona di casa, alzando gli occhi al cielo. Roxy inarcò un sopracciglio e la guardò da sopra a sotto.
“Tu hai delle pessima scarpe ma mica te lo faccio notare!”
“Suvvia, bambine, fate le brave.” Si intromise Theo, che afferrò sua moglie per la spalla e la fece nuovamente sedere. Zakhar, per quanto volesse bene ai suoi amici, certe volte voleva colpirli dritto in faccia uno a uno.
“Allora, che cosa è venuto fuori?”
Roxy girò il computer nella loro direzione e indicò una serie di cartelle.
“Queste sulla destra rappresentano tutti i passaggi economici di Chantal, soldi spesi e acquisiti. Secondo alcuni documenti è andata in bancarotta almeno un anno fa, ma le sue carte di credito hanno continuato a riempirsi.”
Aranel si meravigliò che sua nonna fosse finita sul lastrico, era una delle donne più ricche della città e si era ridotta a rubare.
“Ovviamente il donatore anonimo le carica i soldi sulle carte. Puoi risalire al conto che le cede il denaro?”
“Il numero del conto è ovviamente criptato e lo sono anche le generalità del donatore, però cliccando qui… ecco! E’ un conto di Londra, della Banca Centrale, ed è intestato ad un certo Octavius Wagner. Aspettate, perché questo nome mi ricorda qualcosa?”
Theo e Aranel condivisero un’occhiata colma di incredulità, eppure in fondo sapevano che c’era lo zampino di quei due.
“E’ il marito di Savannah Chen. Adesso ho capito perché Trevor mi ha accusata di essere stata con Octavius, deve aver scoperto che è lui a pagare mia nonna e ha pensato che ne avessi approfittato per vincere il Pulitzer.”
“E ci sei stata? Con Octavius, intendo.”
Theo fulminò Roxy con gli occhi e Aranel, invece, la ignorò del tutto.
“Ti ricordo che tua nonna deve fare dei favori a questo tizio per essere pagata.” Disse Zakhar.
“Lo so, ma cosa può aver fatto? Octavius e sua moglie sono già influenti, ricchi e regnano nei salotti, perciò dobbiamo pensare fuori dagli schemi.”
“Dovremmo fare una visita a casa Wagner e a casa Thompson. Sono sicuro che Octavius abbia messo per iscritto il patto con tua nonna.” Le parole di Theo erano dure ma vere, certamente quel mentecatto aveva pensato a tutto. Roxy si sfregò le mani come se stesse per assaggiare la torta più buona del mondo.
“Io e Zakhar andiamo a casa di Chantal, così rubacchio roba qua e là. Voi andate dai Wagner.”
“D’accordo.”
 
 
Erano le otto di sera quando Theo e Aranel attraversarono il vialetto che portava a casa d Octavius e Savannah. Lasciarono la macchina lontano dall’abitazione e procedettero a piedi. Il sole stava calando, il cielo si tingeva di blu scuro e le cicale iniziavano a intonare il loro canto estivo. Erano d’accordo che Roxy li avvisasse dopo aver hackerato il sistema di sicurezza della villa per concedere loro un’ora di perlustrazione. 
“Che cosa credi che troveremo?” domandò a bassa voce Aranel, anche se ormai la casa era deserta.
“Oltre ad una stanza simile a quella di Cinquanta Sfumature? Proprio non lo so.”
“Theo, non è il momento per il sarcasmo!”
Il ragazzo fece spallucce e controllò di nuovo il telefono.
“E’ sempre il momento per il sarcasmo. Comunque, mi auguro di non trovare un cane da guardia pronto a sbranarci. Sarebbe davvero un peccato rovinare le tue belle scarpe.”
“Ma cos’avete tutti contro le mie scarpe? Sono solo un paio di sandali gialli!”
“Appunto.”
Aranel si era stranamente vestita in modo semplice indossando un paio di pantaloncini di jeans e una t-shirt grigia, ma di certo i suoi sandali erano un eccessivo tono di colore per una missione segreta. Il cellulare di Theo vibrò e sullo schermo apparve un messaggio: tutto okay, potete entrare. Occhio a non combinare casini. (Roxy).
“E’ Roxy?”
“Sì, possiamo entrare. Mi ha anche spedito la planimetria della casa, quindi dovremmo accedere tramite una porta secondaria … eccola!”
Ruppe il lucchetto della porta in un battere d’occhio e si fece di lato perchè entrasse Aranel e per richiuderla. Illuminò lo stretto corridoio con la torcia del telefono e si incamminò verso la rampa di scale che saliva.
“Dove ci portano le scale?”
“Alla cucina. Lo studio e la camera da letto si trovano al secondo piano.”
Aranel tremava letteralmente di paura, non era avvezza a fare certe cose, sentiva l’ansia corroderle il fegato e Theo dovette accorgersene perché ridacchiò mentre le dava le spalle.
“Aranel Jones, il tuo cuore sta per esplodere. Respira, stellina.”
“Capisco che tu sia abituato ad intrufolarti nelle case altrui in modo furtivo, ma tutto questo è una novità per me!”
“Beh, la colpa è solo di tua nonna che a ottanta anni si dà al crimine.”
“Non ho i sensi sviluppati, ma ti sento gongolare da qui.”
Theo si arrestò all’improvviso e fece luce su un grosso pezzo di legno che sbarrava l’accesso alla cucina. Tirò fuori dalla tasca una boccettina di liquido color ambra e la stappò. Aranel sollevò le sopracciglia.
“Che roba è? Whiskey?”
“No, è una pianta tropicale che camuffa l’odore. Se c’è un lupo in città e ci sta seguendo, questo non gli permetterà di seguire il nostro odore.”
Theo gliene cosparse poche gocce sul collo e sui polsi e poi fece lo stesso su di sé.
“Saresti un erborista con i fiocchi!” disse Aranel con un sorriso, al che lui scosse la testa sorridendo a sua volta.
“Allontanati perché devo rimuovere questo pezzo di legno.”
Aranel sobbalzò quando il rumore di schegge che schizzavano dappertutto si propagò nell’angusto corridoio. Dopo che il passaggio fu sgombro, la coppia lo varcò e si ritrovò in un’ampia cucina rustica. Le finestre erano chiuse, i fiori erano ancora freschi e da poco qualcuno aveva mangiato poiché le pentole giacevano capovolte sul lavello affinché si asciugassero.
“Questa è la cucina dei miei sogni!” esclamò estasiata Aranel.
“Non farti strane idee, stellina. Non trafugheremo una cucina intera.”
“Sei proprio in vena di scherzare oggi, vero? Il remoto coinvolgimento di mia nonna in un losco affare ti mette di buon umore.”
“Non prendertela, ma a me quella donna non la racconta giusta. Scommetto che è proprio scandaloso quello che sta tramando con Octavius.” Replicò Theo, mentre dava un’occhiata al soggiorno e in terrazza. Recatisi al secondo piano, lui si diresse nello studio e lei in camera da letto. Aranel fu sorpresa da una vasta cabina armadio che sembrava invitarla a fare un giro. Malgrado il loro obiettivo fosse un altro, si intrufolò e si lasciò catturare dagli scaffali ricolmi di borse e scarpe di tutte le forme e le dimensioni, dalle grucce a cui erano appesi abiti di svariati colori e dalle teste di pezza che fungevano da portagioie. Pensò al suo di armadio, piccolo e per metà condiviso con suo marito, e storse le labbra. Theo, che l’aveva seguita, si poggiò contro lo stipite della cabina e incrociò le braccia al petto nel vederla aggirarsi tra accessori e cappotti di pelliccia.
“La fashion week è già passata, dico bene?”
Aranel gli fece la linguaccia e ripose sullo scaffale una pochette grigio perla ornata da pietre rosse e blu.
“Dici bene. Allora, hai trovato qualcosa?”
“Vieni con me nello studio di Octavius. Ho scoperto una cosa.”
Entrati nell’ampia stanza ovale dello studio, furono accolti da una strabiliante quantità di quadri e statue, da un pianoforte a coda e da una coppia di sciabole incrociate appese al muro.
“Che cosa hai scoperto?”
Theo l’avvicinò a sé e le indicò con l’indice un’asse del parquet.
“Quell’asse si muove. Quando ci sono passato sopra, ha cigolato e il rumore arriva alla parete.”
“Credi che dietro la parete ci sia una stanza?”
“Sì, ma non capisco come entrare.”
Aranel indietreggiò e assottigliò lo sguardo, inclinò la testa di lato e si toccò il mento. Qualcosa non quadrava. Poi un dettaglio la colpì.
“Theo, la targa sullo scrittoio riporta una frase errata.”
“Come, scusa?”
“La citazione è di Sartre, l’originale recita ‘la fiducia si guadagna goccia a goccia ma si perde a litri’. Quella su targhetta, invece, dice ‘la fiducia si guadagna a litri ma si perde goccia a goccia’.”
Theo inarcò le sopracciglia, gli sembrava pura follia. Proprio quando era sul punto di ridere per la sciocchezza appena pronunciata da sua moglie, si accorse di un secondo dettaglio.
“Le sciabole sono di diversa fattezza. Di solito sono coppie di armi identiche e, infatti, abbinarle in modo diverso porta sfortuna.”
Aranel guardò meglio le sciabole e si rese conto delle dimensioni e dei manici diversi. Un terzo dettaglio le saltò all’occhio.
“Il sorriso della Gioconda alle tue spalle è troppo marcato, mentre nell’originale è appena accennato.”
Theo l’affiancò, si piegò su un ginocchio e osservò con estrema accuratezza la stanza. La targa, le sciabole e il quadro formavano un triangolo. Bingo, aveva capito.
“Ma certo! E’ una triangolazione! La targa, le sciabole e il quadro sono disposti a formare un triangolo al cui centro spicca l’asse che cigola.”
“Quindi se alziamo l’asse accediamo alla stanza segreta? Secondo me c’è la fregatura!”
“Ovvio che c’è la fregatura, bisogna capire quale sia.”
Aranel prese un’asta da biliardo che giaceva accanto alla porta e la mostrò a suo marito.
“E se usassimo questa per sollevare l’asse? Almeno avremmo un’idea di quello che si cela sotto.”
“Tentare non nuoce. Fai fare a me.”
“Perché non posso farlo io? Sono capace anche da sola!”
“Aranel, l’ultima volta che hai maneggiato un’asta da biliardo hai frantumato due lampadari!”
La ragazza ci pensò su, poi gli passò l’asta con fare di sfida, al che lui ridacchiò. Theo diede un colpo secco all’asse del parquet ma non sortì alcun effetto, solo qualche istante dopo si sollevò e rivelò una levetta in acciaio al suo interno. Aranel si sporse per guardare meglio.
“Adesso che facciamo?”
“Adesso entriamo nella camera dei segreti.”
Spinse la levetta verso l’alto con l’asta e attesero qualche cambiamento. Un suono stridulo annunciò lo slittamento della parete a cui era appesa la copia della Gioconda verso destra. Una voragine oscura sembrava spalancare le fauci per inghiottirli, ma ecco che una fila di torce artificiali si infiammò per illuminare la scala a chioccia.
“Dovremmo scendere lì sotto? Nel buio pesto?” la domanda di Aranel trasudava paura.
“Sì, stellina. Ti tengo la manina se vuoi.”
“Tienitela la mano oppure te la stacco a morsi, idiota!”
Theo rise per l’aggressiva replica e per l’espressione offesa di sua moglie.
“Uh, la micetta graffia.”
Aranel gli lanciò uno sguardo truce, poi si fece coraggio e si immerse nel buio. Mano a mano che scendevano verso il basso, le torce si accendevano per fare loro luce durante il tragitto. L’aria si rarefaceva sempre di più, un terribile tanfo di chiuso avvolgeva l’ambiente e gli scalini sembravano non finire mai. Impiegarono dieci minuti per raggiungere la meta. La scalinata conduceva ad un ampio salone, la pareti erano dipinte di grigio e ad esse si poggiavano numerosi scaffali e armadietti in acciaio.
“Questo posto somiglia ad un archivio di stato.” Disse Aranel, mentre girava su se stessa per avere una visione globale di ciò che la circondava. Theo ispezionò uno scaffale e ci trovò documenti relativi alla seconda guerra mondiale, anche gli altri contenevano lo stesso tipo di carte.
“Direi che Octavius è proprio fissato con la seconda guerra mondiale.”
“Beh, lui è tedesco!” replicò Aranel con una risatina.
“Che cosa sai esattamente di lui?”
“So che è nato a Francoforte, che è cresciuto e ha studiato in America, il suo unico romanzo ha avuto un successo planetario, sua moglie è bellissima, ed è un giornalista e un uomo d’affari spietato. Questo è quanto.”
“Di che cosa parla il suo romanzo?” le chiese Theo, mentre continuava ad aprire cassetti e a sbirciare sugli scaffali. Aranel, invece, si era seduta alla poltrona della scrivania e frugava nei tiretti.
“Parla di un gruppo di medici che salvano un uomo durante la guerra e lo aiutano a sopravvivere. Il tema è davvero molto banale, ma è eccezionale il modo in cui è scritto. Quattro anni fa è stato lui a vincere il Premio Pulitzer. Per questo credo che abbiano scelto lui per questa edizione.”
“Aranel, vieni qui.”
La ragazza gli si avvicinò in fretta e guardò nella sua stessa direzione: tra due scaffali compariva un’altra porta.
“La stanza dei segreti ha una stanza dei segreti. Questa villa è un labirinto.”
“Questo significa che qui dietro è nascosto qualcosa di molto importante. Dobbiamo entrare.”
Theo pigiò un tasto alla destra della porta, il pannello di controllo si attivò e una decina di lucine si accesero. Una voce metallica di donna parlò: Benvenuto, Signor Wagner. Inserisca la password e le sarà consentito l’accesso. Un secondo dopo l’altoparlante emise dei suoni ripetuti. Theo chiuse gli occhi e si concentrò, aveva già sentito quel tipo di suono prima.
“Prendi nota di queste lettere.”
Aranel prese il cellulare e selezionò il blocco note senza perdere tempo.
“Ci sono.”
S, a, i, n, t, n, a, z, a, i, r, e. Questi suoni sono lettere dell’alfabeto morse.”
Aranel rilesse più e più volte le lettere, sottolineò quelle che si ripetevano e isolò quelle singole. Provò ad unirle fino a quando non coniò due parole: Saint Nazaire. Le digitò sul pannello e l’altoparlante interruppe il dettato, allora la porta si spalancò lentamente.
“Da quando conosci il codice morse, Raeken?”
“Vivere con i Dottori del Terrore a volte torna utile. Comunque, sei fenomenale nel ricavare le parole. Compilare la settimana enigmistica è proprio il tuo forte, dovresti inserirlo nel curriculum.”
Il sarcasmo di Theo si accompagnò ad una fragorosa risata e sua moglie sbuffò in preda alla frustrazione, odiava essere presa in giro in quel modo. La stanza in cui si trovavano adesso era piccola, attaccato al muro c’era un tavolino sui cui erano sparsi appunti e foto in bianco e nero. Una in particolare incuriosì Aranel: un ragazzo e una ragazza di scarsi venti anni sorridevano all’obiettivo e la loro felicità sembrava bucare la carta plastificata. Mentre lei dava un’occhiata alle altre foto, Theo leggeva le frasi lapidarie appuntate su un quaderno usurato.
“Che cosa c’è scritto là sopra?”
“Sono frasi in tedesco, date, numeri a caso, e disegni. Non ci capisco molto.”
“Fotografiamo tutto quello che ci serve, in questo modo non capiranno che qualcuno si è intrufolato.”
“Stellina, sono davvero colpito. Sei una spia formidabile, il lavoro sporco fa proprio per te!” disse Theo con la mano sul cuore per simulare lo stupore. Aranel scrollò la testa infastidita.
“Sei un cretino e la cosa, invece, non mi stupisce affatto.”
“Che c’è, Aranel? Sei nervosa e agitata.”
“Sono solo stanca che tutti i guai combinati dalla mia famiglia abbiano ripercussioni su di me. E’ assurdo che mia nonna non abbia un soldo e che si sia data alla macchia per mantenere uno stile di vita agiato. Del resto, anche mio padre ha speculato sugli altri per vivere.”
“Ancora non conosciamo tutti i fatti, non possiamo basarci su una stupida lista.”
Aranel sorrise a quell’insolita gentilezza di suo marito nei confronti di Chantal.
“Tu odi mia nonna e vorresti vederla dietro le sbarre, ammettilo.”
“In questo momento vorrei vedere molte cose, soprattutto noi due che ci rotoliamo nelle lenzuola. Ahimè, però, nella vita non si può avere sempre tutto.
“Sai che cosa vorrei vedere io ora? Noi due che torniamo nell’altra stanza per fotografare il resto e che ce ne andiamo a casa.”
“Vedi? Il sarcasmo è come il nero, stellina, va bene con tutto.”
“Muoviti, Raeken!”
 
 
Una volta risaliti in cucina, si avviarono verso l’ingresso secondario tramite cui avevano acceduto alla casa. Mentre Theo si infilava nella fessura, la porta principale fu attraversata da Octavius e Savannah. Aranel si acquattò dietro di lui e pregò che non si accorgessero di loro. La coppia, in evidente stato di collera, stava litigando.
“Sai qual è il problema, Savannah? E’ che tu sei davvero una donna ingenua! Eliminare il problema era tuo compito ma tu, come al solito, hai sbagliato tutto!”
“Mi dispiace, d’accordo? Quante altre volte devo scusarmi? Ho sbagliato e farò di tutto pur di rimediare al danno. Posso ancora convincere Theo! Ti prego, dammi un’altra possibilità!” strillò la donna, seguendo il marito in soggiorno. Octavius le scagliò contro una costosa bottiglia di rum, che per pochi centimetri mancò l’obiettivo.
“Un’altra possibilità? Devi essere davvero molto stupida per credere che ti concederò ancora la mia fiducia! Theo è irremovibile, non c’è verso di fargli cambiare idea. E’ troppo innamorato per tradire Aranel! Vedi, amore mio, dovresti imparare da loro la lealtà di coppia. Credi che non sappia della tua storiella d’amore con quella ragazza? Oh, sei in errore. Io ho orecchie dappertutto. Adesso sparisci o giuro che ti uccido con le mie mani!”
Savannah corse di sopra piangendo e Octavius tirò un calcio al muro.
“Andiamo.”
Theo trascinò Aranel fuori dalla villa in pochi minuti, avviò la macchina e ingranò la marcia verso casa.
 
 
Roxy stappò la terza lattina di birra e la bevve in pochi sorsi. Si lanciò sul divano accanto a Zakhar e poggiò la testa sulla sua spalla. Erano da poco rientrati dal sopraluogo a casa della nonna di Aranel con una scatola di vecchi diari e lettere d’amore. L’avevano trovata in cantina insieme ad un mucchio di vestiti usati, scarpe e borse, e avevano pensato di prenderla senza preoccuparsi che Chantal potesse rendersi conto della loro assenza.
“Sono esausta.”
“Come fai ad essere esausta se non hai alzato un dito?” fece Zakhar.
“Cosa? Ehi, disattivare i sistemi di sicurezza e assicurarsi che restino dormienti è faticoso!”
“Avresti dovuto combattere in guerra, ragazza.”
“Per favore, Zakhar, non ricominciare con i tuoi racconti di guerra. Già conosco la storiella dei soldati mutilati, della  fame, del senso opprimente di morte, bla bla bla.”
“Sei una persona senza cuore.” L’inglese di Zakhar imbrattato dal russo fece ridacchiare Roxy, che ignorò il commento e sorseggiò altra birra.
Entrambi captarono l’odore di Theo e Aranel, poiché l’erba che li camuffava aveva terminato l’effetto, e Zakhar aprì loro la porta.
“Grazie.” Gli sorrise Aranel dopo un breve abbraccio.
“Allora, com’è andata?” domandò Roxy, sdraiata in maniera scomposta e con delle gocce di birra sulla maglietta. Theo si gettò a peso morto sulla poltrona e si massaggiò gli occhi.
“Abbiamo trovato lettere e documenti che non sappiamo come interpretare.”
“Ah, io ho preso questo!” esclamò Aranel, e mostrò agli altri un hard - disk di piccole dimensioni. Roxy sobbalzò e afferrò l’aggeggio per guardarlo meglio.
“Tu hai idea di quello che hai rubato?”
“Non userei ‘rubato’, più che altro l’ho ‘preso in prestito a tempo indeterminato’.”
“Questo contiene tutte le azioni che Octavius ha fatto al computer, registra ogni mossa, ogni sito usato, ogni comunicazione avuta. Hai rubato i suoi segreti.”
Theo sorrise ad Aranel e le fece l’occhiolino.
“E brava la mia stellina. A questo punto immagino che accedere ai dati contenuti  sia un lavoro semplice per te.”
Roxy riservò uno sguardo di intensa al suo migliore amico e annuì, consapevole delle sue capacità.
“Datemi questa notte e domattina scopriremo gli sporchi segreti di Octavius.”
Mentre Roxy si tuffava a capofitto nella sua ricerca, Zakhar fece vedere loro la scatola che avevano rubato a casa di Chantal.
“Dovevate prenderla per forza?” disse Theo con le braccia spalancate. Aranel gli diede una pacca sulla spalla per farlo calmare.
“Adesso fotografiamo tutto e domani rimetterete la scatola al suo posto, mia nonna scende spesso in cantina e potrebbe notare la mancanza.”
“D’accordo.” Si limitò a dire Zakhar, voleva evitare di fare innervosire Theo più del dovuto.
 
 
L’appartamento era sprofondato nel buio e nel silenzio. Aranel e Theo dormivano nella loro camera, Roxy si era piazzata sul divano e Zakhar su una brandina in terrazza. dopo un paio di ore di sonno Theo iniziò ad agitarsi nel letto, si rigirò più volte, cambiò la posizione del cuscino, ma il suo riposo era turbato. Accanto a lui, Aranel sognò un cielo di lampi rossi sotto al quale scorreva un lago di sangue presso cui beveva uno stormo di pettirossi. In soggiorno, a causa di un sonno irrequieto, Roxy si lamentò e cercò di sistemarsi meglio. Zakhar, dal canto suo, sussultò per colpa di un incubo che lo vedeva immerso in una pozza di sangue caldo e vittima dei becchi dei pettirossi.
 
Il laboratorio dei Dottori era ristretto a causa dei numerosi strumenti collocati una stanza di piccole dimensioni. Era una nottata impegnativa, si preparavano ad operare quattro cavie che, speravano, li avrebbe condotti alla soluzione finale. Da anni elaboravano ipotesi sulla riuscita degli esperimenti, sottoponevano giovani adolescenti a trapianti di pelle e organi, ma sembrava che il loro piano fosse destinato a fallire. Uno dei tre, quello che sembrava muovere le fila, ordinò agli altri due di portare le cavie in sala e di sistemarle sui lettini, mentre lui prendeva appunti su ciascuno di loro: Theo Raeken, Aranel Jones, Roxanne Smith, Zakhar Ivanov.
 
Aranel si svegliò con una terribile sensazione di soffocamento. Si toccò il petto per avere conferma che quello fosse un incubo e che il suo cuore fosse ancora nella gabbia toracica. Theo non c’era e questo la preoccupò ancora di più. Corse in cucina con la paura che le faceva tremare ancora i polsi. Roxy, Theo e Zakhar erano fuori in terrazza a parlottare tra di loro. Quando notarono la sua presenza, si interruppero.
“Ditemi che era solo un incubo.” Disse Aranel, ancora ferma sulla soglia della porta. Roxy scosse la testa e il suo viso era stranamente contratto in una smorfia di serietà.
“Tutti e quattro abbiamo sognato il sangue, i pettirossi e i Dottori del Terrore che ci operavano.”
“E’ assurdo. Io, tu e Zakhar non li abbiamo mai conosciuti. Inoltre, Zakhar non ha assistito all’attacco dei pettirossi.”
Theo poteva sentire il cuore di sua moglie martellargli nelle orecchie e se le coprì nella speranza di mettere a tacere il rumore. Ormai non c’era modo di evitare la realtà dei fatti, stava succedendo qualcosa di molto brutto. Roxy si passò una mano tra i capelli turchesi, era ancora scombussolata dall’incubo.
“Non so che dirti, principessa. Non sono una maga! Theo, la tua opinione qual è?”
“La mia opinione è che siamo fottuti. I pettirossi, i lampi rossi e gli incubi sono dei segnali che preannunciano l’arrivo di qualcosa, a meno che non sia già arrivato.”
Aranel adesso comprese che i timori di Theo, che lo rendevano nervoso e irascibile avevano una spiegazione fondata, non stava ricadendo nelle vecchie abitudini, anzi c’erano cose che gli smuovevano l’anima. Ad un tratto ripensò alle parole che Stiles pronunciò durante una pomeriggio a casa di Scott e tutto sembrò avere più senso.
“Stiles lo dice sempre: uno è un caso, due è una coincidenza, tre è uno schema.”
“E che vuol dire?” chiese Zakhar, il cui russo sporcava di più la sua pronuncia per via della stanchezza e dell’incubo.
“Vuol dire che Theo ha ragione. Qualcosa sta arrivando.”
 
Salve a tutti! ^_^
Le acque cominciano a smuoversi, ma il mistero da risolvere è più complesso di quanto Aranel e Theo immaginino.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima.
Un bacio.
 
Ps. Perdonate eventuali errori di battitura.
 
 
 .

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Capitolo 6
*** Condanna all'oblio ***


5. CONDANNA ALL’OBLIO.
 
-Le nostre memorie sono indipendenti dalle nostre volontà. Non è così facile dimenticare.-
(Richard Sheridan)
 
 
La pioggia imprigionava la città da diverse ore ormai. Theo osservava gli imponenti grattacieli stagliarsi contro un minaccioso cielo grigio dalla vetrata del soggiorno. Aranel stava parlando con Bennett, il suo capo, per richiedere due settimane di ferie. Zakhar e Roxy erano andati a comprare qualcosa da mangiare per colazione, e certamente avrebbero impiegato più del previsto a causa del traffico. Dopo gli incubi che li avevano tormentati durante la notte, nessuno era più riuscito a dormire. Si erano chiusi in un silenzio che lasciava spazio alle paure e ai cattivi presentimenti. Era vero che si trattava di uno schema: i pettirossi, i lampi e gli incubi erano eventi connessi tra di loro e preannunciavano una catastrofe. Theo si sforzò di capire quale fosse il legame tra di loro, però tutte le idee sembravano svanire nel nulla.
“Theo?”
La calda mano di Aranel sulla spalla lo destò dai pensieri, le riservò un mezzo sorriso e le fece spazio sul divano.
“Allora, ti hanno concesso le ferie?”
“Fortunatamente sì. Comunque, dovremmo dirlo anche agli altri quello che è successo stanotte?”
“Non lo so. Vorrei parlare prima con Deaton, forse lui potrebbe saperne più di noi. Ci ho pensato bene e credo che, ora come ora, sia la strategia migliore da adottare.”
Aranel sospirò, era assonnata e timorosa di dormire al tempo stesso.
“Sì, sono d’accordo. Lo chiameremo quando Roxy e Zakhar torneranno.”
“Va bene.”
Le venne in mente un sacchetto di velluto rosso che Deaton le aveva regalato pochi mesi prima come dono di nozze e pensò che potesse tornare utile in quella situazione. Senza dire nulla, scavò nel suo armadio alla ricerca del regalo e lo trovò nella valigia che usava quando partiva per Beacon Hills.
“Theo, vieni!”
Quando suo marito la raggiunse, aveva lo sguardo confuso nel vederla maneggiare una decina di pietre scure su cui erano incisi strani disegni.
“Che cosa stai facendo?”
“Deaton mi ha regalato queste rune nel caso qualche fenomeno soprannaturale si fosse manifestato. Leggendole, si può dedurre se il fenomeno in questione sia positivo o negativo.”
“Perciò vuoi leggere le rune per capire che siamo ovviamente nei guai?”
“I segni bianchi sulla superficie indicheranno di che tipo di guai si tratta.”
“Okay, proviamo.”
Aranel rimise le rune nel sacchetto, le agitò e le rovesciò sul letto. Soltanto cinque rune ricaddero sulle lenzuola con il verso al rovescio.
“Stando alle indicazioni di Deaton, cinque rune ci parlano del passato e cosa ha causato la situazione attuale.”
“Potresti essere un po’ più chiara?”
“Sono al rovescio e questo vuol dire che la situazione è negativa. La runa Thurisaz indica la protezione dai nemici. La runa Ansuz ci rivela l’arrivo di un visitatore. La runa Raido consiglia di essere prudente. La runa Hagalaz presagisce la morte. Infine, la runa Isa è per un amore che sta finendo.”
La serietà con cui gli occhi di Aranel passavano in rassegna le rune sconfisse lo scetticismo di Theo, che ci credeva di più ad ogni avviso.
“Come dicevo stanotte, siamo fottuti.”
“Gli eventi degli ultimi giorni hanno a che fare con il passato. Quale potrebbe essere la causa?”
“Dobbiamo capire prima di tutto al passato e al presente di chi o cosa si stia riferendo.”
Aranel conservò le rune con estrema accuratezza, ancora stravolta da quelle predizioni.
“E se si trattasse di Trevor? Oppure di Octavius e Savannah?”
“Ne riparliamo dopo. Roxy e Zakhar sono tornati.”
Un attimo dopo la porta si aprì e Roxy abbandonò la colazione sul tavolo per sdraiarsi sul divano.
“Puoi togliere i piedi dal tavolino, per favore? Grazie.” Aranel picchiò con la mano la caviglia della lupa, che mise i piedi a terra.
“Calmati, principessa.”
Theo andò a sedersi tra di loro per evitare che litigassero, mentre Zakhar consegnava caffè e brioches.
“Io e Aranel abbiamo scoperto qualcosa attraverso la lettura delle rune.”
Roxy scoppiò a ridere e quasi si strozzò col caffè per quelle assurdità appena pronunciate dal suo migliore amico.
“Adesso crediamo alle rune? Bah, stronzate!”
“Disse la ragazza che si trasforma in un licantropo e ad ogni luna piena perde il controllo.” Disse Aranel con estrema nonchalance, al che Roxy sembrò ringhiare in risposta. Theo le stritolò il polso per farla calmare.
“Non è il caso di bisticciare, ragazze. Ad ogni modo, sì, le rune hanno rivelato qualcosa di importante.”
“Mia nonna leggeva le rune e i fondi del caffè, per questo era famosa in tutta Mosca.” Esordì Zakhar, il forte accento russo e i glaciali occhi azzurri puntati su di loro. Roxy fece una smorfia.
“Ti prego, Zakhar, smettila con quella chiromante di tua nonna. A momenti sapeva leggere anche i fondi del cesso!”
“Tu, ragazza, avresti dovuto vivere ai tempi della guerra!”
Quando Zakhar diceva quelle cose, sembrava avere più di mille anni e aver vissuto le battaglie peggiori, ma in realtà ne aveva trentacinque e soli quattro anni in Iraq gli pesavano sul cuore come una vita intera.
“La guerra sarebbe una punizione troppo leggera per lei!” sbottò Aranel, infastidita dal comportamento senza freni di Roxy. Theo alzò una mano per impedire che qualcun altro proferisse ancora una parola.
“Anziché perdere tempo, ascoltate. Le rune hanno presagito: la protezione dai nemici, un visitatore, di essere prudente, la morte, un amore che sta finendo. Ovviamente si tratta di presagi negativi che potrebbero essere collegati ai pettirossi, ai lampi e agli incubi. Il problema è come trovare un reale e sensato filo conduttore tra le cose. Per questo motivo abbiamo pensato di chiedere aiuto a Deaton, forse ci indicherà la giusta strada da intraprendere per capire meglio.”
“Lo chiamiamo adesso?” domandò Zakhar, che si stava portando alla bocca il primo sigaro della giornata. Aranel annuì, compose il numero del veterinario e attivò il vivavoce.
“Aranel Jones, aspettavo con ansia la tua chiamata!” la voce di Deaton era stranamente allegra.
“In che senso aspettavi una mia chiamata?”
“Liam mi ha raccontato dell’attacco dei pettirossi e dei lampi rossi, perciò ero certo che mi avresti contattato per saperne di più.”
Theo alzò gli occhi al cielo, era plausibile che Dunbar spifferasse tutto ai quattro venti al primo segnale di pericolo.
“Deaton, sono Theo. Per caso Liam ha anche avvisato Scott e Stiles?”
“No, gli ho consigliato di indagare meglio prima di dirlo a loro.”
“Ti ringrazio. Liam non ti ha detto tutto. Oltre ai pettirossi e ai lampi, io, Aranel e due nostri amici abbiamo avuto lo stesso incubo questa notte. Abbiamo sognato i Dottori del Terrore che ci operavano, il sangue, i pettirossi e i lampi. Il problema è che Zakhar, uno dei due amici, non era presenta la sera in cui gli uccelli ci hanno attaccato, quindi non capiamo perché li abbia sognati anche lui.”
Il veterinario si prese qualche secondo per riflettere e il quartetto si scambiava occhiate preoccupate.
“Aranel, dimmi, hai provato a leggere le rune?”
“Sì, e sono tutti presagi negativi.”
“Rivolgo una domanda a tutti e quattro: vi siete mai incontrati dieci anni fa?”
Aranel strabuzzò gli occhi e inclinò il capo verso Theo, che era smarrito proprio come lei.
“No, dieci anni fa io tornavo a Beacon Hills, Aranel era a New York, Roxy stava dai suoi in Florida e Zakhar era in Iraq per la guerra. perché?”
“Credo che la vostra mente attraverso gli incubi vi stia suggerendo qualcosa. I tre eventi di cui mi avete parlato sono un mezzo per annunciare l’arrivo di qualcosa di sinistro. Dovreste cercare di recuperare i ricordi relativi al periodo in cui i Dottori cominciavano ad operare a Beacon Hills dieci anni fa. La memoria spesso rimuove alcuni eventi che successivamente lottano per tornare a galla.”
“E come facciamo a ricordare?” domandò Zakhar.
“Come hanno fatto Scott, Allison e Stiles a trovare il Nemeton. “
Tutti rivolsero sguardi interrogatori ad Aranel per avere una risposta concreta.
“Dobbiamo immergerci nel ghiaccio in modo che, sfiorando l’ipotermia, i ricordi riaffiorino.”
“Esattamente. Dopo che avrete recuperato i ricordi, chiamatemi di nuovo e ne discuteremo meglio. Buona fortuna, ragazzi.”
“Grazie, Deaton. A presto.”
Quando lo schermò del cellulare si oscurò, rimasero in silenzio, come se anche una sola parola potesse essere mortale. Era davvero possibile che si fossero incontrati anni prima e che non lo sapessero? Che avessero camminato l’uno di fianco all’altro senza ricordarlo?
Theo si stava arrovellando il cervello alla ricerca anche di un misero frammento di ricordi, ma la sua mente gli restituiva immagini buie. Conoscere Aranel e dimenticarlo non era concepibile, lui se la sarebbe ricordata, soprattutto perché era la migliore amica dell’alfa che cercava di distruggere. Poi, d’improvviso, come un fulmine che colpisce il terreno e si intrufola nel sottosuolo, dedusse la probabile causa dell’amnesia.
“Deaton potrebbe avere ragione. Potremmo davvero esserci conosciuti e averlo rimosso. Abbiamo sognato i Dottori del Terrore e questo indicherebbe che tutti e quattro abbiamo avuto a che fare con loro, ecco perché avrebbero potuto manipolare le nostre menti. Sono stati loro a far dimenticare a Sebastien Valet di essere la Bestia del Gévaudan.”
“Damnatio memoriae.” Mormorò Aranel con voce cupa.
“Di che cavolo state parlando?” sbottò Roxy, più confusa di prima.
“La damnatio memoriae nel diritto romano era una pena che consisteva nel cancellare tutte tracce di una persona affinché nessuno la ricordasse mai più. Se Theo ha ragione e i Dottori ci hanno fatto dimenticare qualcosa, è necessario recuperare quei ricordi. Tutto quello che sta succedendo potrebbe essere connesso ai Dottori e all’amnesia.” Spiegò Aranel.
“E come ci immergiamo nel ghiaccio? Il freddo stimola i sensi da lupo e Aranel ,essendo umana, rischia di morire.” Intervenne Zakhar a smorzare quello slancio di teorie.
Theo si passò le mani sul viso stanco nella speranza che, riaprendo gli occhi, fosse tutto svanito. No, i problemi attendevano ancora di divorarlo. Il passato era tornato e non era intenzionato a lasciarlo andare. Il suo unico pensiero era quello di proteggere Aranel.
“Vuol dire che Aranel non si immergerà.”
“Cosa? No! Non puoi impedirmelo!”
“Non ti lascerò morire per recuperare dei ricordi che forse non sono utili!”
Adesso Aranel e Theo si sfidavano con lo sguardo, era una lotta agguerrita tra la luce e l’oscurità.
“Non puoi dirmi cosa devo e non devo fare. Lo sai.”
“Quello che so, stellina, è che devi restare viva. Tu farai esattamente quello che ti ordino io senza replicare.”
“Sei uno stronzo, Raeken.”
“Sono tutto quello che vuoi se questo serve a difenderti.”
Aranel lasciò la stanza con la rabbia che si dimenava in tutto il corpo, rispettare gli ordini non faceva per lei, tantomeno se ad impartirglieli era un uomo. Chiuse la porta della camera da letto a chiave e si sedette sul letto col il computer sulle gambe. Avrebbe trovato una soluzione.
 
 
Mezz’ora dopo quel litigio, Aranel ritornò in salotto per comunicare la sua idea. Mentre Roxy e Zakhar smanettavano al PC con lo scopo di entrare nel disco che lei aveva preso da casa di Octavius, Theo stava sfogliando le pagine di un diario di Chantal. Quando la vide, le andò incontro ma Aranel indietreggiò.
“Resta dove sei. Ho bisogno di dire una cosa a tutti.”
“Ti ascoltiamo.”
“So dove possiamo recuperare i ricordi. Mia nonna possiede una casa sul lago che non usa mai, potremmo andarci e ragionare con calma su quello che sta capitando. Inoltre, verso le otto di sera la temperatura del lago inizia a scendere e quindi l’acqua si raffredda, questo ci permetterà di immergerci senza che io rischi di morire.”
“Nessuno ci garantisce che la temperatura del lago non diventi troppo fredda per te in pochi istanti. Non abbiamo nessuna certezza.” Intervenne Zakhar, risoluto come può esserlo solo un soldato. Theo si portò le mani sui fianchi e puntò gli occhi su Aranel.
“Zakhar ha ragione. Non agiremo in maniera impulsiva.”
“Ma dobbiamo trovare un modo per riavere i ricordi!” protestò Aranel, e dava tanto l’impressione che volesse battere i piedi per terra come una bambina imbronciata.
“Questo è vero, però non possiamo rischiare di ucciderti! Aranel, ti prego, ragiona.”
“Calmatevi adesso, piccioncini. Io direi comunque di spostarci nella casa di Chantal e poi capire come agire.” Propose in breve Roxy, beatamente stravaccata sul divano con il PC sulle gambe. Aranel si meravigliò di quella idea stranamente utile, si limitò ad annuire e se tornò in camera da letto.
“Sì, va bene. Partiamo tra mezz’ora. Preparatevi.” Disse Theo, dopodiché seguì sua moglie.
“Vattene!” gli intimò Aranel mentre lanciava dei vestiti in valigia. Theo chiuse la porta e provò ad avvicinarsi, ma lei lo scansava accuratamente.
“Aranel, mi dispiace. Non era mia intenzione negarti la libertà di scegliere cosa fare.”
“Ma lo hai fatto!”
“L’ho fatto per proteggerti! Potresti morire! Come fai a non capirlo?”
Theo le strappò di mano una maglietta per scaraventarla sul letto, le afferrò le braccia e la costrinse a guardarlo.
“Lasciami, Theo.”
“Tutto quello che faccio mira a proteggerti. Io ti amo e non lascerò che qualcosa ti ferisca.”
“Sei tu che mi ferisci!”
Il suo udito sviluppato poteva sentire la rabbia vibrarle nelle ossa e la maledì mentalmente per la sua testardaggine.
“Non hai paura?”
“No. Sei tu che hai paura, Theo. Non sono una bambola di porcellana da preservare e conservare in una teca di vetro, sono una persona e come tale ho la facoltà di scegliere come vivere. Non puoi darmi ordini e pretendere che io li esegua in silenzio. Non sono quel tipo di donna, lo sai bene.”
“Non voglio limitare le tue scelte, voglio solo evitare che tu soffra. Scusami se ti ho dato l’impressione che fosse un ordine, mi dispiace.”
Aranel si allontanò da lui per sedersi sul letto, fece scorrere le dita tra i capelli e sospirò.
“Da quando ci siamo sposati litighiamo di continuo. E’ diventato il nostro hobby preferito.”
Theo si inginocchiò di fronte a lei, prese delicatamente le sue mani e ne baciò il dorso.
“Io credo che sia tutto collegato agli strani avvenimenti degli ultimi tempi. Non dipende da noi, dipende da quello che ci accade intorno.”
“Allora sbrighiamoci a risolvere le cose perché ho bisogno che tutto torni come prima tra di noi.”
“Te lo prometto, stellina.”
Aranel si chinò e gli baciò castamente le lebbra, un soffice tocco per sancire quella promessa.
“Mi fido di te.”
 
 
Il Cayuga Lake si tingeva di striature ramate mentre il sole moriva perché la luna sorgesse. La superficie dell’acqua era piatta, il fondo era visibile e la riva era coperta di erba e ciottoli. La casa distava dal lago circa dieci chilometri e il suo mormorio raggiungeva il salotto e la cucina. L’abitazione era di modeste dimensioni, composta da un ampia sala giorno, due stanze da letto e un bagno, il tutto completato dal camino in pietra e una veranda spaziosa. Aranel si affrettò a sistemare le sue cose nell’armadio e a cambiare le lenzuola, era sicura che avrebbero trascorsero il fine settimana in quel luogo.
“Tua nonna non si accorgerà che siamo qui?” la voce di Zakhar la fece sussultare e si voltò verso di lui con una mano sul cuore.
“No, lei non viene mai qui. Questa casa le ricorda mio nonno e la fine del loro matrimonio. Ho fatto una copia delle chiavi anni fa perché venino a rintanarmi per scrivere la tesi di laurea.”
“Theo è più irritato del solito, hai notato?”
“Lui non ragiona lucidamente quando si tratta dei Dottori del Terrore. Teme di ricadere nelle vecchie tentazioni e di commettere ancora azioni malvagie.”
Zakhar si rigirò un sigaro tra le mani mentre teneva gli occhi azzurri fissi sul pavimento.
“Credi che possa farlo? Ritornare quello che di una volta, intendo.”
“No. Theo è cambiato e io ho piena fiducia in lui.”
“E come pensi che reagirà ai ricordi che recupereremo?”
Aranel tralasciò la sua intenzione di mettere in ordine la stanza e si concentrò sulla strana espressione che attraversa il volto dell’amico, era di pura sfiducia.
“Sai qualcosa che non so, Zakhar? Le tue domande sono particolarmente enigmatiche sul conto di Theo.”
“Non so nulla più di te. Mi auguro solo che lui rimanga sui suoi passi.”
Così dicendo, Zakhar ritornò al piano di sotto alla svelta. Aranel adesso si allarmò più di quanto non lo fosse già. Il russo aveva ragione, Theo avrebbe potuto reagire ai ricordi anche in modo diverso dal normale. Si chiese quanto fosse davvero indispensabile ritrovare memorie perdute e, nonostante le possibili conseguenze funeste, si rispose che era di vitale importanza.
 
 
Erano le dieci di sera quando si diressero verso il lago, muniti di coperte e termos di caffè caldo per ripararsi dal gelo dell’acqua. Il sentiero era impraticabile a causa di alcuni massi caduti dopo un alluvione, perciò procedevano lenti e cauti. Aranel inciampò un paio di volte ma Theo fu sempre pronto ad aiutarla, lei allora gli sorrideva in segno di riconoscenza e riprendevano a camminare. Impiegarono una buona mezz’ora a raggiungere l’acqua. Zakhar accese il fuoco, Roxy si occupò di posizionare le lanterne, Aranel e Theo ammucchiavano le coperte e i vestiti in una angolo.
“Che c’è, Theo? Non la smetti di fissarmi da quando siamo usciti di casa.”
“Va tutto bene.”
“Bugiardo.” Replicò lei con un sorriso, al che Theo si sciolse. L’attirò a sé e la bacio con estrema passione per confessarle le emozioni che non riusciva ad esprimere in quel momento. Aranel approfondì il bacio passandogli le mani sulla nuca.
“Resta viva, stellina.”
“Andrà tutto bene.”
Theo le stampò un bacio sulla fronte e l’abbraccio, l’angoscia di perderla che gli gravava sulle spalle come l’ascia di un boia.
“Jack e Rose, avete finito di sbaciucchiarvi? Abbiamo dei ricordi bastardi da riprendere!” gridò Roxy a qualche metro da loro. Si radunarono in riva e, mentre i tre lupi si spogliarono di scarpe e maglie, Aranel indossò due maglioni e una felpa per tenere il freddo il più distante possibile. Zakhar fu il primo ad entrare in acqua, poi fu la volta di Roxy, ed infine Theo trascinò Aranel. Si fermarono quando non toccarono più il fondo.
“Adesso che facciamo?” domandò la ragazza dai capelli turchesi rivolgendosi ad Aranel, che nel frattempo era terrorizzata dall’assenza di terra sotto i piedi.
“Adesso ci immergiamo per intero, chiudiamo gli occhi e aspettiamo di perdere i sensi.”
“Buona fortuna.” Disse Zakhar, e l’attimo dopo si era calato in acqua. Roxy fece lo stesso un attimo dopo. Theo strinse la mano di Aranel e le baciò il dorso.
“Ci vediamo tra poco, stellina.”
Si addentrarono insieme nell’acqua scura che li inghiottì senza esitazioni.
 
Zakhar.
Quel sabato mattina era soleggiato e sembrava che l’allegria si diffondesse attraverso la brezza autunnale. Era settembre e, mentre lui ritornava da una missione in Iraq, gli studenti e gli insegnanti si preparavo al rientro a scuola. Sua moglie Sasha insegnava chimica al liceo statale di New York da un paio di anni, era entusiasta del lavoro e lui ne era felice. Quella sera si sarebbe tenuto un falò in spiaggia per l’inizio dell’anno scolastico e lei aveva insistito perché vi partecipassero insieme dopo aver vissuto per otto mesi distanti, al che lui aveva accettato senza ripensamenti. Sasha era una donna formidabile, bellissima e con un carattere amorevole. Benché Zakhar provenisse da una famiglia disfunzionale poco protesa all’affetto, lei lo aveva accolto nella sua vita con immenso amore. Trascorsero la giornata in giro per la città, pranzarono in un ristorante carino, comprarono qualche capo di abbigliamento estivo e verso le otto di sera si prepararono per la festa. La spiaggia era già gremita di adolescenti che bevevano e professori che chiacchieravano tra di loro. Sasha scansò un gruppetto di ragazze che ridacchiava e barcollava a causa del troppo alcol assunto.
“Non so se preferire un ordigno o questi ragazzi.” Esordì Zakhar, e sua moglie scoppiò in una risata cristallina.
“Avanti, musone, cerca di divertiti. La vita è breve.”
“Mi sei mancata tanto, amore mio.”
Sasha gli regalò un bacio candido sulle labbra e poi lo guidò verso la riva del mare.
Fu solo allo scoccare della mezzanotte che il falò venne acceso. La pira di legno bruciò in fretta mentre tutti incitavano il fuoco a divampare con grida e fischi. Una ragazza dai capelli turchesi sbadatamente gli andò addosso e Zakhar, intento a rimproverarla, si sentì un groppo in gola nel notare che stava singhiozzando. Prima che potesse dirle qualcosa, la ragazza si era già avvicinata ad una tanica di birra.
“Zakhar, andiamo? Sono esausta.”
“Andiamo.”
Una volta nel loro appartamento, filarono a letto senza perdere tempo, erano entrambi molto stanchi. Intorno alle due di notte Zakhar si svegliò quando, tastando l’altra parte del letto, non toccò il braccio di sua moglie. Il letto era vuoto e la casa era silenziosa. Ispezionò la cucina, il soggiorno e il bagno, ma di Sasha non vi era traccia. Avvertì un tonfo in giardino, come se qualcuno avesse lanciato di sotto qualcosa, e corse in mansarda. La finestra era aperta e la polvere del pavimento segnalava due impronte di piedi. Zakhar osò guardare giù. Il suo cuore smise di battere. Sasha era morta.
 
Roxy.
“Signore, ti ringraziamo per questa cena e per tutto il cibo che ci doni. Ti ringraziamo per la vita che ogni giorno ci doni, per la speranza, la misericordia e l’amore che riversi su di noi. Amen.”
Suo padre fece cenno loro di iniziare a mangiare e in pochi secondi i piatti si riempirono, eccetto quello di Roxy, la quale non aveva fame. Sua madre le accarezzò i capelli turchesi e le sorrise.
“Roxanne, non mangi?”
“Non ho fame stasera. Scusatemi.”
“Mangia qualcosa, su.” Le impose suo padre col suo solito torno scorbutico. Roxy ingoiò a fatica il cibo e bevve più acqua del normale per deglutire.
“Devo dirvi una cosa.”
“Hai intenzione di cambiare tinta?” scherzò suo fratello Jason, addentando l’ennesimo tozzo di pane. Roxy prese un respiro, il momento della verità era arrivato. Doveva liberarsi di quel peso.
“Io sono lesbica.”
Improvvisamente il rumore delle posate contro i piatti si interruppe. Sua madre iniziò a piangere in modo sommesso e guardò suo marito.
“Non sei divertente, Roxanne.” Tuonò la voce burbera di suo padre, quasi volesse schiaffeggiarla con le parole. Jason le rivolse uno sguardo di disprezzo.
“Non è uno scherzo. E’ la verità. E’ da un anno ne ho piena consapevolezza e non riesco più a nasconderlo. Mi piacciono le ragazze, ne sono più che sicura.”
Roxy scappò di casa una decina di minuti dopo con gli occhi che affogavano nelle lacrime. I suoi genitori l’avevano ripudiata e suo fratello l’aveva colpita al viso scagliandole contro un bicchiere di vetro. Sconvolta e impaurita, si recò in spiaggia per ubriacarsi fino a dimenticare. Riconobbe da lontano Robert, il suo compagno di chimica, e andò da lui perché distribuiva la birra. Sbatté contro la spalla di un uomo ma non gli diede peso, voleva soltanto che quella serata finisse nel dimenticatoio.
Quando il falò prese fuoco, Roxy era già sbronza. Canticchiava cose senza senso e a malapena si reggeva in piedi. Accanto a lei, seduta su un asciugamano, una ragazza stava leggendo.
“Ehi, principessa, sei qui per divertirti e non per leggere i tuoi stupidi libri!”
“Quella stupida sarai tu, non i miei libri!” replicò la ragazza con stizza, poi raccattò le sue cose e camminò verso il carretto della limonata. Roxy cadde sulla sabbia, non sentiva più i muscoli e la testa le girava, nel giro di pochi secondi si addormentò tramortita dall’alcol. Si risvegliò all’incirca alle due di notte, si asciugò la bava ai lati della bocca e si rimise in piedi lentamente. La festa proseguiva senza interruzioni, ma lei non aveva più voglia di festeggiare e iniziò a camminare verso la scuola in cerca di una panchina su cui dormire. Un tonfo attirò la sua attenzione e i suoi occhi si illuminarono di un giallo intenso, non era ancora capace di controllare i suoi poteri da licantropo. Il suo udito individuò l’origine del rumore involontariamente e Roxy, sebbene ancora ubriaca, vide il corpo di una donna spiaccicato al suolo. Un uomo dalla mansarda guardava verso il basso con le mani tra i capelli.
 
 
Theo.
Passò in rassegna i volti di tutte le ragazze che scorrazzavano di qua e di là per raggiungere la festa in spiaggia, ma per il momento l’oggetto della sua ricerca non si era ancora fatto vedere. I Dottori del Terrore gli avevano comunicato pochi giorni prima che sarebbero tornati a Beacon Hills per completare gli esperimenti, creare nuove chimere ed eliminare il branco di Scott McCall. Prima di spostarsi, gli avevano affidato un incarico: uccidere Aranel Jones, la migliore amica di Scott e Stiles. In questo modo il dolore per la perdita avrebbe indebolito il branco.
“Aranel, muoviti! Paul è appena arrivato e io vorrei parlargli!” borbottò una ragazza di colore alla sua amica. Theo sorrise: Aranel si stava dirigendo al falò.
“Paul è un maschilista e un sessista radicale, io ne resterei lontana.”
“Sarà anche quello che dici tu, ma è il ragazzo più carino della scuola.”
La ragazza piantò Aranel nel bel mezzo della spiaggia in uno stato di totale imbarazzo, andare alle feste non era tra le sue attività preferite. Theo, allora, colse l’occasione e si avvicinò a lei sfoderando il sorriso più magnetico che avesse a disposizione.
“Hai ragione, sai.”
Aranel lo squadrò dalla testa ai piedi e si accigliò. Un ragazzo così non avrebbe mai parlato con una come lei.
“Sì, certo.” Disse lei, incamminandosi verso la riva. Theo l’affiancò con le mani in tasca e un sorriso divertito.
“Ti serve qualcosa, sconosciuto?”
“Io sono Theo e tu sei Aranel, adesso non siamo più sconosciuti.”
“Come sai il mio nome?”
“La tua amica ti ha chiamata prima che ti mollasse per quell’idiota di Paul.”
Aranel sorrise timidamente.
“D’accordo, Theo. Io me ne torno a casa. Buona serata.”
“Aspetta! Lascia che io ti offra da bere!”
“E’ così che seduci le ragazze?!”
Theo rimase interdetto, nessuna ragazza lo aveva ignorato sino ad allora. Sapeva di essere bello e che il suo fascino traeva in inganno tutte, ma quella sera Aranel fece vacillare quella certezza.
“Sì, di solito funziona così. Con te no.”
“Con me questi giochetti non attaccano. Chi ti manda? Paul? La squadra di nuoto? Jessica?”
“Tu credi che questo sia uno scherzo dei tuoi compagni?”
Aranel incrociò le braccia come a volersi consolare da sola, abbassò gli occhi e scosse la testa.
“Non sarebbe la prima volta che qualcuno si prende gioco di me.”
La tristezza che traspariva da quelle parole fece tentennare i propositi di Theo. Quella ragazza soffriva molto e causarle altre ferite non era giusto.
“Scusa per averti dato l’impressione che fosse uno scherzo. E’ meglio che vada. Ciao, Aranel.”
Durante il tragitto verso il parcheggio si diede dello stupido perché aveva disobbedito ai Dottori e per questo lo attendeva una punizione crudele. Nonostante provasse odio per Scott, non aveva il coraggio di uccidere Aranel. Quella ragazza non meritava di accumulare dolore su dolore, meritava una vita tranquilla. La immaginò piangere a dirotto per gli insulti e per gli scherzi dei suoi compagni, e stranamente provò una rabbia incredibile. Doveva tornare da lei e assicurarsi che nessuno le facesse del male mai più.
 
 
Aranel.
Dopo che Theo se ne fu andato, si sedette su un asciugamano in riva al mare per terminare ‘’Il Grande Gatsby’’ in pace. Accanto a lei, traballante e rumorosa, una ragazza trangugiava una birra tutta ad un fiato.
 “Ehi, principessa, sei qui per divertirti e non per leggere i tuoi stupidi libri!” biascicò  la ragazza dai capelli turchesi.
“Quella stupida sarai tu, non i miei libri!” replicò Aranel con stizza, poi raccattò le sue cose e camminò verso il carretto della limonata. Leggere ad una festa non era stata una grande idea. Pagò la sua limonata, ne prese un sorso piccolo e si accomodò su una panca di legno. Quando fu sul punto di bere ancora, la bevanda le esplose in faccia e il bicchiere di carta si piegò. La squadra di nuoto l’avevo intenzionalmente colpita con il pallone.
“Ehi, sfigata, non sai neanche bere!” la canzonò Paul, facendo ridere i suoi amici.
“Guardate, la figata se l’è fatta addosso!”
Alzandosi dalla panca, Aranel costatò che la limonata le aveva imbrattato la maglia e in pantaloni nella zona della cerniera. Tutti la stavano indicando e la deridevano, era un agnello al centro di un branco di lupi. Non si trattenne e proruppe in lacrime.
“Adesso basta! Lo spettacolo è finito!”
Aranel sentì un braccio avvolgerle le spalle e rimase sorpresa quando Theo le sorrise.
“Andiamo, amico, ci stavamo solo divertendo.” Disse Paul. A Theo, però, non faceva ridere, così afferrò la borsa di Aranel e le strinse la mano. La ragazza stava tremando.
“Vieni, Aranel.”
“Dove credi di andare, sfigata? Da lunedì ti tormenteremo di nuovo!” urlò Paul  e tutti gli altri risero ancora e ancora. Theo, mosso da una rabbia cieca, agguantò Paul per il colletto della maglia e gli tirò un pugno tanto forte da rompergli il naso. Tutti smisero di ridere.
“Se le dai ancora fastidio, giuro che torno qui e ti ammazzo con le mie mani.”
Paul che sbraitava fu l’ultima cosa che Aranel vide prima di lasciare la spiaggia e andare al parcheggio. Theo teneva ancora le dita intrecciate alle sue in una presa salda e con il pollice le accarezzava il dorso della mano.
“Grazie.” Sussurrò Aranel imbarazzata.
“Quello stronzo se le meritava una lezione. Sta tranquilla, non ti darà più problemi.”
La ragazza si fermò e lui si girò per controllare che fosse tutto a posto, non la voleva più vedere piangere. Inaspettatamente Aranel gli circondò la nuca con le mani e lo baciò, le sue labbra calde e tremanti su quelle morbide e decise di lui. Durò un istante, ma fu come se una miriade di fuochi d’artifici gli fosse esplosa nel cuore. Prima che uno dei due potesse parlare, un tonfo richiamò la loro attenzione.
“Che cos’è stato?”
“Andiamo a vedere.”
Ancora mano nella mano, seguirono un vialetto ornato da rose bianche e raggiunsero una casa. Appiattito al suolo, in una posizione innaturale, giaceva il corpo di una donna. Oltre a loro, una ragazza dai capelli turchesi e un uomo alla finestra guardavano il cadavere. Theo in cuor suo sorrise vittorioso, aveva appena trovato la soluzione per evitare di uccidere Aranel. Avrebbe portato ai Dottori il corpo della donna morta spacciandola per la migliore amica di Scott e Stiles.
 
 
Roxy fu la prima a tornare a riva, si gettò sui sassi e allungò le mani verso il fuoco per riscaldarsi. Il secondo a toccare la terra ferma fu Zakhar, che si coprì con una coperta e si sistemò accanto alla sua amica. Infine, Theo uscì dall’acqua con Aranel svenuta tra le braccia. La depose su un telo e poggiò l’orecchio sul suo petto: il battito c’era ancora. Le sue labbra erano blu, era pallida e fredda. La schiaffeggiò leggermente sul viso per farla rinsavire.
“Aranel, svegliati!”
“Che succede? Perché non si sveglia?” domandò Roxy in preda all’ansia, non sopportava l’espressione spaventata del suo migliore amico. Zakhar, invece, non si mosse, era ancora sconcertato dai ricordi riaffiorati.
“Stellina, per favore, apri gli occhi! Aranel!”
Aranel boccheggiò in cerca di aria e sputò l’acqua che aveva ingoiato, poi la aiutarono a mettersi seduta e Roxy la coprì con due coperte. Theo se la strinse al petto con la paura che gli attanagliava ancora lo stomaco.
 
 
Salve a tutti! ^_^
Ho voluto riproporre alcuni elementi apparsi nella serie tv perché, a mio dire, sono stati i più interessati.
Chissà a cosa servono questi ricordi, voi lo saprete solo leggendo.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima.
Un bacio.
 
Ps. Perdonate eventuali errori di battitura.

 

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Capitolo 7
*** Nelle fauci della bestia ***


6. NELLE FAUCI DELLA BESTIA.
-La verità vi renderà liberi, ma prima vi renderà infelici.-
(Anonimo)
 
Roxy non si stupì quando, entrando in cucina, vide Theo versarsi del caffè in una tazza. La sera prima erano rincasati verso mezzanotte ed erano andati a letto senza dirsi nulla, anche perché le parole erano inutili dopo quello che avevano rivissuto.
“Buongiorno.” Disse lei con tono pacato, non voleva irritarlo più del dovuto.
“Zakhar se n’è andato. Ha scritto un biglietto in cui ci chiede espressamente di non cercarlo per il momento, si farà vivo lui quando se la sentirà.”
La ragazza se lo aspettava che il russo li abbandonasse dopo aver visto sua moglie morire di nuovo. Theo era visibilmente infuriato, più con se stesso che con gli altri, e lei capiva bene quella sensazione. Ripensare alla sua famiglia che la cacciava di casa per colpa della sua sessualità era stato un dolore che mai avrebbe voluto sperimentare ancora, eppure era successo e adesso i ricordi bruciavano come sale sulle ferite.
“Non è colpa tua. Nessuno di noi aveva idea di cosa fosse successo davvero quella notte.”
“Invece è proprio colpa mia. Se tutta questa storia ha a che fare con i Dottori, allora la responsabilità è mia.”
Roxy lasciò perdere il latte e i cereali per mettere le mani sulle spalle del ragazzo a mo’ di muto conforto.
“Smettila di incolparti per tutto quello che hanno fatto i Dottori. Eri sotto la loro influenza e agivi di conseguenza, però quella sera hai risparmiato una ragazza sconosciuta perché nel profondo sei buono. Sasha era già morta, non l’hai uccisa tu.”
Theo si scostò in modo violento da lei e si affacciò alla finestra, aveva bisogno di respirare.
“Non l’avrò uccisa ma ho comunque profanato il suo cadavere fingendo che fosse Aranel. Zakhar fa bene ad odiarmi, ad odiare il mostro che sono.”
“Siamo tutti mostri, Theo. Tu, io e Zakhar siamo licantropi e questo ci rende in parte dei mostri. Certo, adesso lui è arrabbiato ed è comprensibile, ma non devi processarti per questo. Sfruttando la morte di Sasha hai salvato Aranel.”
“Siamo mostri pieni di segreti.” Sentenziò Theo in tono lugubre, quasi stesse annunciando una profezia funesta. Roxy rimase interdetta, parlare di segreti non era all’ordine del giorno.
“Che vuoi dire?”
“Voglio dire che mi hai tenuta nascosta la tua storiella con Savannah. E no, non provare a mentire ancora.”
La ragazza fu messa all’angolo dalle sue stesse menzogne. Continuare ad evitare la verità non faceva bene a nessuno.
“Conosco Savannah da quasi un anno. Ti ricordi quel weekend che ho trascorso a Miami con le mie amiche? Ecco, l’ho incontrata in un locale e c’è subito stata sintonia tra di noi. Da allora non abbiamo smesso di sentirci e di vederci saltuariamente, quando suo marito era via per lavoro. Per un paio di mesi abbiamo interrotto i contanti ma tutto è cambiato quando si è presentata come nuovo direttore della palestra. Abbiamo iniziato a vederci di nuovo e ci sono ricascata nel suo gioco.”
“Perché non me lo hai detto?”
“Perché all’inizio era solo un passatempo, ma da quando lavoriamo insieme io … beh, credo di provare qualcosa di reale per lei.”
Theo non si scompose, inarcò un sopracciglio e scosse la testa.
“Sono sentimenti non ricambiati. Savannah mi ha proposto di andare a letto con lei alla festa di Chantal. Adesso, però, potrebbe addirittura essere coinvolta in quello che sta succedendo. Quindi ti suggerisco di porre fine a questa farsa.”
“E tu che ne sai di quello che prova lei? Savannah odia Octavius e odia quello che lui la costringe a fare! Non puoi pretendere di avere il pieno controllo di quelli che ti stanno intorno!”
Roxy cercò di allontanarsi ma Theo le arpionò il braccio e la fece voltare verso di sé.
“Il sesso non colmerà i vuoti affettivi causati dalla tua famiglia.”
La ragazza dai capelli turchesi, sebbene ferita da quelle parole, sorrise.
“E Aranel non colmerà i vuoti causati dalle azioni orribili che hai commesso.”
In un baleno Roxy uscì di casa e Theo rimase solo.
 
 
Aranel si avvolse un asciugamano intorno al corpo e, tornando in camera, si pettinò i capelli bagnati. Quella doccia calda, anziché alleviare i muscoli tesi, sembrava averne peggiorato la condizione. Seduta sul letto, osservava la polvere danzare tra i raggi del sole, e immaginò la sensazione di libertà che in quei giorni stava venendo meno. Era talmente immersa nei suoi pensieri che sussultò quando Theo le baciò la spalla scoperta. Il ragazzo alzò le mani e fece qualche passo indietro.
“Calma, stellina, sono solo io.”
“Scusami, ero sovrappensiero.”
“Come stai? Ieri notte hai rischiato grosso.” Le disse, prendendo posto accanto a lei. Aranel incrociò le braccia come a volersi difendere dallo sguardo di lui che ogni volta le scavava l’anima.
“Sto meglio, non preoccuparti. Theo, io …”
“Non dire niente. Non potrei sopportare altre critiche.”
“Vi ho sentiti discutere, tu e Roxy. E so che Zakhar è andato via.”
Theo si alzò come se le lenzuola avessero preso fuoco, oppure era lui che andava a fuoco, non seppe dirlo per certo.
“Ci sono troppe cose che non sappiamo e ora come ora non mi fido di nessuno. Dobbiamo indagare per conto nostro.”
Aranel gli accarezzò il petto e gli sorrise dolcemente.
“Tesoro, hai bisogno di prendere fiato.”
“No, ho bisogno di uccidere qualcuno!”
“Theo …”
“No, Aranel, basta parlare. Di parole ne sono state dette fin troppe. Adesso tocca ai fatti.”
“Hai ragione. Propongo di leggere le lettere da casa di Octavius e di mia nonna, almeno per aver un’idea generale di quello che stiamo affrontando.”
“D’accordo. Vestiti, ti aspetto di sotto.”
Prima di scendere, Theo le diede un bacio a stampo.
 
Aranel si massaggiò le tempie pulsanti, la stanchezza cominciava a farsi sentire. Lei e Theo avevano trascorso la giornata a leggere i diari e le lettere, mentre Roxy aveva provato più e più volte ad hackerare i file criptati nella scheda del computer di Octavius. Avevano pranzato in silenzio, ognuno perso nelle proprie riflessioni, ancora scombussolati da quanto avevano rivissuto la notte prima al lago. Theo e Roxy non si erano degnati di uno sguardo, si erano seduti distanti ed entrambi comunicavano soltanto con lei.
“Ho fame. Vado a comprare qualcosa.” esordì Theo, abbandonando una lettera sul divano. Il supermercato più vicino distava un’ora di macchina tra andata e ritorno, e Aranel capì subito che quella era una scusa per starsene un po’ da solo. Gli sorrise gentile come sempre.
“Va bene. Sta attento, Theo.”
“Non ti libererai di me tanto facilmente, stellina.”
Le baciò una guancia, prese le chiavi della macchina e si chiuse la porta alle spalle. Rimaste sole, Roxy sospirò e allungò i piedi sul tavolino di legno davanti al divano.
“Mi odia.” Disse con voce affranta. Aranel non si aspettava che la ragazza si confidasse con lei ma ne fu stranamente felice.
“Non ti odia, è solo arrabbiato.”
“Non volevo mentirgli. E’ solo che tutto era così dannatamente … difficile.”
“Io ti capisco, Roxy. So cosa vuol dire provare sentimenti per la persona sbagliata. Per mesi non ho parlato con Scott e Stiles perché volevo stare con Theo e questo mi faceva soffrire terribilmente. Vedere i miei migliori amici, che sono fratelli per me, obiettare ad ogni mia scelta era difficile, ma alla fine quello che provavo per Theo ne valeva la pena.”
La lupa mise da parte il PC, le faceva troppo male la testa per continuare a lavorarci. O forse le faceva troppo male litigare con il suo migliore amico.
“Lo so che Savannah non mi ama e che per lei valgo solo per il sesso, però io credo di essermene innamorata davvero. E’ una donna bellissima, intelligente, astuta ma anche fragile, e forse le sue debolezze mi hanno spinta verso di lei. Scoprire che potrebbe essere coinvolta mi ha devastata.”
Aranel d’istinto le mise un braccio intorno alle spalle e le accarezzò la spalla, proprio come avrebbe fatto un’amica, benché tra di loro non vi fosse mai stata amicizia.
“Non badare a quello che dice Theo, è un periodo delicato per lui e tende a reagire male quando le cose non vanno come vorrebbe. Da quando lo conosco il suo unico obiettivo è stato dimenticare il passato e la persona che era per diventarne una migliore, invece adesso sembra proprio che i demoni del passato lo abbiano raggiunto e che lui non sappia come affrontarli. Anche io mi sono lasciata trasportare dalle sue debolezze, mi sono innamorata del ragazzo fragile e impaurito che nasconde dietro quella maschera da duro. Abbiamo il cuore tenero, Roxy, e questa è una condanna.”
Roxy l’abbracciò senza vergogna e senza remore, aveva bisogno di qualcuno che le ricordasse di non essere solo un animale, ma di essere soprattutto un essere umano con un cuore. Quando Aranel la sentì singhiozzare, la strinse più forte e le permise di sfogare le lacrime che le inondavano gli occhi quando la sua famiglia l’aveva ripudiata.
Mezz’ora dopo Roxy era tornata più serena, ora si era rimessa al lavoro e nel frattempo beveva una tazza di the verde che Aranel le aveva preparato. Doveva ammetterlo, quella principessina non era affatto male. Mentre Aranel sciacquava i bicchieri che avevano usato a pranzo, le parve di scorgere un’ombra muoversi tra gli alberi. Si allontanò dal lavandino quando il fruscio si ripeté e le foglie fecero rumore.
“Roxy.” Sussurrò, anche la ragazza dai capelli turchesi le andò vicino. Notando un coltello nella mano destra, fece scattare gli artigli.
“Che succede? Hai visto qualcuno fuori? Forse è Theo.”
“No, la sua macchina non c’è. Credo che ci sia qualcun altro.”
Anche Roxy vide un’ombra sgattaiolare tra gli alberi con una velocità impressionante. Afferrò Aranel per il polso e insieme indietreggiarono.
“Dobbiamo preoccuparci, vero?”
“Sì, direi proprio di sì. Andiamo di sopra.”
Non ebbero il tempo di raggiungere le scale che la porta esplose in una miriade di schegge di legno. Un grosso animale a quattro zampe invase il soggiorno con la sua imponente figura. Aranel non riuscì a trattenere un urlo di terrore, quella bestia aveva gli occhi iniettati di sangue rivolti verso di loro. Le venne in mente quando fu aggredita a Beacon Hills da Aaron tre anni prima e il cuore sembrò saettarle in gola per la paura.
“Scappa!” le urlò Roxy, il cui sguardo si era acceso di oro e la cui bocca si era munita di zanne. Aranel, allora, corse in direzione della porta sul retro nella speranza di uscire presto, ma l’animale le sbarrò la strada ringhiandole contro. Cadde a terra, l’alito della bestia sapeva di sangue e non osò immaginare quante vittime avesse mietuto. Roxy la mise di nuovo in piedi e si parò davanti a lei per proteggerla, poi ebbe la stupida idea di saltare sulla groppa della bestia. Quest’ultima si scrollò di dosso la ragazza come fosse una minuscola e insignificante ape. Sollevò una zampa artigliata e la calò su roxy ma Aranel fu più svelta a spingere la lupa di lato e a scongiurare l’attacco. Si rese conto che le lezioni di autodifesa di Theo non servivano contro un animale gigante e inferocito.
“Via, via!” le disse Roxy, indicandole la scalinata. Corsero su per le scale in maniera frenetica, l’animale che strillava dietro di loro in preda alla rabbia. Si chiusero in bagno, pur sapendo di non essere al sicuro. Aranel selezionò dalla rubrica del cellulare il numero di Theo e lo chiamò.
“Pronto, stellina? Che c’è, già ti manco?” la voce allegra del ragazzo stonava con la situazione drammatica che stavano vivendo. Aranel non poté rispondere, la bestia spaccò la porta con una mossa della zampa e la staccò del tutto a morsi.
“Aranel? Che sta succedendo? Cos’era quel rumore? Aranel!”
L’ultima cosa che Theo udì prima che la linea cadesse furono le urla atroci di Aranel e Roxy. Malgrado il segnale stradale obbligasse alla velocità di settanta chilometri, Theo schiacciò il pedale dell’acceleratore e in dieci minuti si ritrovò di fronte alla veranda. Dalla casa provenivano grida, ringhi, imprecazioni e ululati. Entrò in casa in fretta, fece le scale e nel corridoio incontrò un enorme animale colpire con le zampe la porta della camera da letto. Le sue pupille si colorarono di giallo, sguainò gli artigli e le zanne, era il momento di combattere. Sibilò a denti digrignati per richiamare l’attenzione dell’animale su di sé e, di fatti, quello si scagliò contro di lui con forza inaudita. Lo morse al braccio con il quale Theo si riparava il volto, e il sangue zampillò dalla ferita come una fontana. Aranel, preoccupata per suo marito, si lanciò in avanti per raggiungerlo ma Roxy la bloccò.
“Scappa, Aranel, scappa!”
L’urlo agghiacciante di Theo spronò Aranel a restare, non lo avrebbe lasciato per nessuna ragione al mondo. Poi, come se la luce fosse esplosa nella sua mente, trovò una soluzione. Malgrado i rimproveri di Roxy, con ostinazione tornò di sotto e cercò la sua borsa. Il salotto era distrutto, dilaniato da quella bestia e dalla sua aggressività. Rinvenuta la borsa dall’altra parte della stanza, ne tastò le tasche interne in cerca di una ampolla. Quando la trovò, si affrettò a tornare di sopra. La bestia ora aveva messo sia Theo che Roxy all’angolo, teneva l’orripilante bocca aperta su di loro in procinto di ucciderli. Ruppe l’ampolla sul pavimento e una sottile polvere bianca si dipanò nell’aria. L’animale barcollò, disorientato e annebbiato, fino a stramazzare a terra con il fiato corto. Theo e Roxy ebbero la possibilità di muoversi senza essere aggrediti. Entrambi, però, sembravano frastornati dalla polvere che aveva tramortito in nemico.
“Che cos’è quella roba?” le chiese suo marito, sporco di sangue e sudato.
“E’ polvere di vischio. Nadia mi ha consigliato di usarlo in casi estremi e direi proprio che questo è un caso molto, ma molto, estremo.”
Non poterono neanche rilassarsi un attimo che la bestia riacquistò i sensi ma, invece di attaccarli di nuovo, balzò in veranda e scappò nel bosco.
 
 
Theo continuava a sbirciare lo specchietto mentre guidava con i fari antinebbia accessi. La strada era buia e la prudenza non era mai troppa. L’auto correva in direzione del Red Motel, dove avevano deciso di rifugiarsi dopo l’attacco dell’animale. Avevano raccattato in fretta qualsiasi oggetto potesse far intendere presenza umana in casa nel caso la polizia avesse indagato, poi si erano fiondati in macchina senza dire una parola. Roxy, semi sdraiata sui sedili posteriori, lavorava freneticamente al computer per manomettere l’hard disk di Octavius e avere tutti i suoi dati. Aranel, invece, se ne stava rannicchiata sul lato del passeggero con lo sguardo perso tra gli alberi che scorrevano rapidi oltre il finestrino. Theo non avvertiva paura da parte di sua moglie, piuttosto rabbia, e si domandò quanto ancora la sua famiglia l’avrebbe fatta soffrire. Non che lui ne avesse mai avuta una, ma di certo i parenti sono coloro che dovrebbero amarti e non tramare contro di te. L’insegna del motel sbucò dall’ombra, era un complesso di edifici fatiscenti, il cancello all’entrata era in frantumi come lo erano alcune finestre dei piani più alti. Aranel pensò a quando Stiles le raccontò del motel dei suicidi in cui Scott, a causa del Darach, aveva tentato di uccidersi.
“Vado a prenotare una camera.” Disse, scendendo dall’auto e mettendosi in spalla la borsa.
“No – obiettò Roxy – prendine due.”
“Va bene.”
Theo parcheggiò meglio, aprì il bagagliaio e provvide a prendere il borsone e la cartellina che conteneva le foto e le lettere.
“Non era necessario prendere due camere. Siamo in pericolo e dobbiamo restare uniti.”
Roxy sorrise in cuor suo quando Theo le rivolse la parola, anche se il suo tono era ancora scontroso. Era comunque un inizio.
“Lo so, ma a volte è meglio separarsi per vedere meglio le cose.”
“Questa è la tipica frase che direbbe Aranel. Deduco che abbiate scambiato quattro chiacchiere in mia assenza.”
“E’ una tipa stramba ma anche gentile.”
Il ragazzo sollevò gli angoli della bocca in modo impercettibile.
“Sì, è stramba.”
Aranel fece ritorno una decina di minuti dopo con due chiavi arrugginite tra le mani, una la consegnò a Roxy e l’altra la tenne per sé.
“Le camere sono la C4 e la C5, le ho prese vicine per qualunque esigenza.”
Quando Theo gettò il borsone sul letto, le lenzuola spruzzarono dense ondate di polvere.
“Un vero hotel di lusso.” Mormorò, le mani sui fianchi e le sopracciglia corrugate. Aranel entrò dopo aver salutato Roxy e, notando le condizioni della stanza, sospirò. Il letto era in ferro battuto e le lenzuola, bianche in un passato remoto, erano ormai ingiallite, mentre il comò bianco e il bagno erano al limite minimo della pulizia.
“Io in quel letto non ci dormo.” Esclamò, analizzando la coltre di polvere disseminata in ogni angolo.
“Infatti non dormiremo. Abbiamo delle indagini da portare avanti.”
“Abbiamo anche bisogno di riposare.”
“Allora tu riposati, io devo assolutamente capirci di più di tutta questa storia prima che quella bestiaccia provi di nuovo ad ucciderci.”
“Dai, ti aiuto.” Gli disse Aranel, rassegnata all’idea di passare la nottata sveglia. Si accomodarono sul pavimento e si spartirono le lettere e le foto da esaminare. Erano indubbiamente lettere d’amore quelle che Chantal inviava ad un soldato, ma era difficile comprenderne l’identità perché sua nonna non faceva mai il suo nome. Theo, del resto, non comprendeva appieno le lettere che qualche ragazza aveva spedito a Octavius perché il nome e la data erano ignoti. Si presero una pausa solo per riposare gli occhi dalla lettura.
“So che tu e Roxy avete parlato.” Esordì Theo, falso nella sua vaga indifferenza. Aranel bevve un sorso di acqua per bagnarsi la gola e ridacchiò.
“Sì, è vero. Abbiamo parlato di quanto sia difficile provare i giusti sentimenti per la persona sbagliata, soprattutto quando i tuoi migliori amici non lo accettano.”
Suo marito incassò il colpo, capendo al volo che si stesse riferendo a loro due.
“Quando ci siamo conosciuti non ero implicato in qualche assurdo complotto.”
“Ma avevi tentato di far fuori il branco di Scott pochi anni prima.”
Theo scrollò le spalle, Aranel sbagliava a difendere Roxy.
“Non è lo stesso.”
Lei gli andò incontro e gli strinse le dita attorno ai polsi in una presa calda e piacevole.
“E’ lo stesso. Anche noi siamo andati a letto e ci siamo visti di nascosto prima che i miei amici lo sapessero, i veri sentimenti sono venuti dopo. Io mi sono fidata di te pur non essendo certa che tu meritassi la mia fiducia, ho rischiato per te e sono andata contro il volere dei miei amici per te. Roxy ha preso le distanze da Savannah quando ha capito che potrebbe essere un pericolo perché ha più fiducia in te che in lei, ha preferito il suo migliore amico alla possibile persona di cui è innamorata. Non ti ha detto di loro perché temeva che Savannah non provasse reali sentimenti e che la frequentasse solo per pura attrazione fisica.”
Theo non resistette allo sguardo sincero e alle parole confortanti di Aranel, allora la intrappolò in un bacio carico di passione. Le arpionò i fianchi e approfondì sempre di più quel bacio, mentre lei gli concedeva il permesso. Ansimavano uno sulle labbra dell’altro, rapiti in un sensuale abbraccio e in un famelico gioco di mani. Furono sul punto di liberarsi dei vestiti quando qualcuno bussò ripetute volte e con insistenza. Theo riconobbe l’odore di Roxy e aprì la porta per accoglierla in stanza. La ragazza, i capelli turchesi legati alla rinfusa e i piedi scalzi, era turbata e si premeva il portatile al petto come se da esso dipendesse la sua vita.
“Perché quella faccia? La bestia è tornata?”
Aranel bloccò la porta con il gancio sgangherato e la fece accomodare sul letto, spostando il borsone e le foto.
“Il mio software ha decriptato l’hard disk di Octavius a metà, sono riuscita a recuperare sino ad ora solo entrate ed uscite bancarie. Oltre alle numerose somme depositate sul conto di Chantal, c’è una cartella particolare che ha attirato la mia attenzione. Un mese fa Octavius ha depositato diecimila dollari sul conto di Trevor Marshall, ma i soldi sono tornati indietro due giorni dopo.”
“Perché Octavius ha mandato soldi al giornalista morto?” domandò Theo, più a se stesso che alle altre due. Aranel aveva stampato in viso la tipica espressione di quando il suo cervello si metteva in funzione, concentrata e seria.
“Trevor ha redatto la lista dei ‘’ricchi caduti’’ e il nome di Chantal è uno dei primi, forse Octavius lo ha pagato nella speranza che il giornalista non la menzionasse nel suo articolo. Ha cercato di insabbiare i suoi affari con Chantal, ma Trevor non ha ceduto e non ha incassato i soldi.”
“E se Octavius avesse ucciso Trevor? E’ plausibile.” Disse Roxy. Theo annuì, sollevato in un certo senso che quell’uomo tutto perfetto in apparenza fosse uno schifoso corrotto.
“Trevor rifiuta i soldi e continua imperterrito nel suo intento, allora Octavius lo fa fuori prima che l’articolo venga pubblicato e che tutti sappiano della sua implicazione in affari loschi. A questo punto la vera domanda è: Octavius è il lupo che ha ucciso Trevor o ha ingaggiato un lupo per farlo?”
“E i Dottori del Terrore che c’entrano in tutto questo?” replicò la ragazza dai capelli turchesi, sdraiatasi completamente sul letto. Theo si rabbuiò e Aranel si sentì afflitta per lui, perché era certa che i ricordi lo stavano torturando. Poi, come se la luce fosse esplosa nella stanza, ebbe un’illuminazione.
“E se Octavius fosse una chimera dei Dottori? Avrebbero senso le strane ferite sul corpo di Trevor. Ecco perché gli incubi ci hanno suggerito di ricordare: quella notte ci siamo incontrati nello stesso posto quando i Dottori avevano ordinato a Theo di uccidermi, perciò siamo destinati a smascherare questo ennesimo esperimento.”
“E’ improbabile. Io sono l’unico esperimento riuscito.” Obiettò Theo, forse ferito nel suo orgoglio da chimera. Roxy fece spallucce.
“Improbabile ma non impossibile, lo hai appena detto. Credo che la teoria della principessa abbia un senso.”
“Quindi dobbiamo desumere che la bestia che ci ha attaccati fosse Octavius?” fece Theo. Aranel rimase delusa da quella rivelazione, sapere che uno dei suoi miti fosse in realtà un licantropo malvagio non era stato bello affatto.
“Tirando le somme, direi di sì. Solo non capisco che tipo di animale fosse. Potrei chiedere a Nadia di dare un’occhiata ai bestiari della sua famiglia.”
“Nadia lo direbbe a Liam, che lo direbbe a Scott e Stiles, che se la prenderebbero con me!”
“D’accordo, Raeken, hai bisogno di farti un goccetto.” Lo canzonò Roxy, al che lui le lanciò un’occhiata furente.
“Io ho bisogno di seppellire Octavius e con lui tutto il mio passato!”
Aranel sussultò quando Theo sbatté la porta facendo tremare i cardini, era furioso e andava lasciato da solo a sbollire la rabbia.
 
Erano le dieci del mattino quando Aranel aprì gli occhi di malavoglia. Era troppo stanca e poche ore di sonno non erano state d’aiuto. Si mise seduta e si rese conto di essersi addormentata per terra, al suo fianco Roxy sonnecchiava ancora. Dopo che Theo si era allontanato, loro avevano ripreso rispettivamente a leggere le lettere e a perlustrare i dati di Octavius. Si fece una doccia veloce e indossò degli abiti comodi perché sapeva che sarebbe stata una giornata difficile. Decise di andare a prendere del caffè, così uscì dalla stanza senza far rumore e raggiunse il bar del Motel. Di spalle, intento a colpire il bersaglio con le freccette, Theo stava bevendo una birra. Aranel non disse nulla, non aveva voglia di discutere e lui non sembrava ancora essersi calmato, perciò ordinò due caffè e si fiondò sulle scale che portavano alle stanze. Si sedette fuori dalla loro e si accese una sigaretta, alternando sorsi di caffè caldo.
“Che fai, scappi da me?”
“Ti lascio i tuoi spazi, è così che funziona tra persone.”
Theo le rubò di mano il bicchiere di caffè e lo svuotò in una sola sorsata, poi si appoggiò con la schiena alla ringhiera e incrociò le braccia.
“Il tuo cervello sta fumando, stellina. A cosa pensi?”
“Ho continuato ad esaminare le lettere e sono arrivata ad una conclusione, ma non so quanto possa essere corretta. La carta è stata prodotta dalla Paper White, un marchio famoso negli anni ’40 e che ha chiuso i battenti quando la seconda guerra mondiale è finita. L’inchiostro usato è liquido, questo vuol dire che hanno intinto il pennino in una boccetta di inchiostro. Alcuni eventi raccontati riportano vicende storiche avvenute tra il 40’ e il 44’. Da tutto ciò ho ipotizzato che mia nonna potrebbe aver scambiato quelle lettere con il nonno di Octavius durante la seconda guerra mondiale, questo spiegherebbe perché abbiamo trovato tutti quei documenti di guerra a casa di Octavius e perché entrambi conservassero delle lettere.”
“In fondo sulle lettere non c’è data e non c’è il destinatario, perciò il tuo collegamento potrebbe essere esatto. Ecco perché Octavius aiuta economicamente tua nonna, perché sa che lei e suo nonno stavano insieme.”
Aranel gettò il mozzicone della sigaretta nel posacenere e ne accese una seconda ma Theo gliela strappò di bocca e se la mise in tasca. Doveva smettere di fumare.
“Questo, però, non spiega come Octavius sia finito nelle mani dei Dottori.”
“Potrebbero averlo pescato prima di me, forse è lui il loro primo esperimento. Hanno creduto di aver fallito e lo hanno abbandonato.” Disse Theo, ora seduto accanto a lei. Aranel aggrottò le sopracciglia.
“Accidenti! Come ho fatto a non pensarci prima?!”
“Di che parli, Aranel?”
“Octavius nel suo libro racconta di un gruppo di medici che salvano un uomo durante la guerra e lo aiutano a sopravvivere. Sta raccontando la sua storia: i Dottori del Terrore lo hanno salvato e lo hanno aiutato a sopravvivere. L’ultima frase del libro recita: Mi chiedevo perché, in mezzo a tanta gente, avessero pescato proprio me, un pesce in un mare di squali. Credevano di aver fallito nel loro intento e allora, solo allora, mi abbandonarono a me stesso e alla mia disperazione. Hai ragione tu, credevano che fosse un esperimento malriuscito e lo hanno scartato, mentre lui se l’è cavata.”
Theo istintivamente la baciò, era esageratamente bella quando esponeva le sue ipotesi. Aranel sorrise nel bacio e si strinse di più a lui.
“Te l’ho mai detto che amo alla follia la tua intelligenza, stellina?”
“Beh, è una delle mie svariate qualità!” scherzò lei, quindi gli diede un altro bacio.
“Posso interrompere il momento di sbaciucchiamento vomitevole o ripasso più tardi?” la voce di Roxy piombò, come al suo solito, di sorpresa. Theo circondò le spalle di Aranel con un braccio e fece un cenno di saluto col capo alla sua migliore amica.
“Puoi restare, tranquilla. Dobbiamo farti un resoconto o hai origliato abbastanza?”
“La doccia è stata più avvincente con le vostre chiacchiere nelle orecchie. Quindi, tu e Octavius siete imparentati?”
“No, per carità! Comunque sono ipotesi che vanno ancora verificate.” Replicò Aranel. Theo controllò l’ora, era giunto il momento di andare via.
“Dobbiamo tornare in città e scoprire che tipo di essere sia Octavius. Domattina andremo in biblioteca per sfogliare qualche bestiario, sono certo che qualcosa salterà fuori.”
 
 
Roxy non era mai stata così felice di rientrare nel suo appartamento, che fino a quel momento aveva odiato, ma che stava rivalutando dopo due giorni di stress e cattivo riposo. Salutò Theo e Aranel, scese dall’auto e inserì la chiave nella toppa. Quando i suoi amici ebbero svoltato, captò un rumore simile a quello delle foglie calpestate. Depose la sua borsa sul pavimento e si voltò lentamente verso l’origine del rumore. Scrutò con attenzione il buio e, quando una figura si rivelò tra gli alberi, si accigliò. Savannah indossava un lungo abito color argento e la limpidezza della luna sembrava illuminarla come una stella.
“Vattene, Savannah. Non è il momento per il sesso. Sono stanca e non ho voglia di vederti.”
Prima di barricarsi in casa, Roxy si concentrò sul viso della donna: stava piangendo e una guancia era tumefatta. Senza pensarci due volte le andò incontro e le afferrò le braccia.
“Che cosa diamine è capitato? E’ stato lui, vero? Octavius ti ha picchiata?”
“Lui lo sa. Lo sa e vi sta cercando.” Tentò di dire Savannah tra le lacrime.
“Cosa sa? Chi ci cerca?”
“Octavius sa che siete stati nella sua stanza segreta e adesso vuole vendicarsi. E’ stato lui ad attaccarvi alla baita sul lago.”
Roxy si guardò intorno per assicurarsi che nessuno l’avesse seguita, poi le passò un braccio attorno alla vita e la spinse in casa. Fece scattare i lucchetti, sebbene sapesse che per un lupo erano facili da spezzare, e la fece accomodare sul divano. Le offrì un bicchiere d’acqua e un fazzoletto, quindi le si sedette vicino. Prese a tamponarle delicatamente la guancia violacea e il sopracciglio spaccato.
“Raccontami per filo e per segno quello che sai.”
“Sono tornata stamattina da un viaggio di lavoro e, non appena ho messo piede in casa, Octavius ha iniziato ad urlarmi contro. Mi ha detto che qualcuno era stato nella sua stanza segreta e che gli aveva rubato l’hard disk. Ho cercato di convincerlo che non fossi stata io, ma mi ha ugualmente picchiata. Ha tentato di scagliarmi contro un vaso, allora sono scappata e, quando è uscito, l’ho seguito. Ha subito capito che fosse stato Theo, allora vi ha pedinati fino al lago e, calata la notte, vi ha attaccati. Sono stata dietro di voi tutto il tempo, anche fuori dal motel. Roxy, Octavius è pericolo e non si fermerà davanti a nulla pur di vincere. Dovete arrendervi.”
“Senti, io nei vostri casini non voglio ficcare il naso, ma Theo e Aranel non si tireranno indietro. Octavius sarà anche pericoloso, ma loro due insieme sono peggio. Sono successe delle cose ultimamente che coinvolgono tutti, perciò nessuno è escluso da questa faida. Dobbiamo battere quel bastardo sul tempo. E possiamo farlo se tu ci aiuti.”
Savannah abbassò lo sguardo, si sentiva giudicata da Roxy, e in fondo sapeva di aver commesso anche degli errori. Attirò a sé la ragazza e la baciò con veemenza, malgrado le scariche di dolore causate dalle botte. Roxy, riluttante sulla posizione della donna, si ritrasse dal bacio e si scostò.
“No, Savannah. Non può esserci più quel tipo di rapporto tra di noi.”
“Perché?” si affrettò a domandare l’altra, gli occhi lucidi e la voce tremante.
“Perché io sono innamorata di te mentre tu ti sei presa gioco di me per tutto questo tempo!”
“Anche io ti amo, Roxanne! Non è mai stato un gioco, dalla prima volta che siamo state insieme ho capito che non mi sarei più liberata di te! Devi credermi!”
Roxy ripensò alle parole di Aranel: provare i giusti sentimenti per la persona sbagliata. Sì, era così che si sentiva: intrappolata tra il cuore che gridava all’amore e il cervello che si metteva sulla difensiva. Però ripensò anche a quello che gli aveva detto Theo la sera prima del matrimonio: non c’è ragione che tenga dinanzi ad un cuore che ama. Sopraffatta dai sentimenti giusti, si avvicinò alla persona sbagliata e le diede il bacio più giusto e sbagliato che avesse mai dato.
 
 
Salve a tutti!
Ecco che sentimenti, ricordi e idee geniali si mescolano.
Chissà che cosa lega Octavius e Aranel.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima.
Un bacio.
 
 
Ps. Perdonate eventuali errori di battitura.

 

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Capitolo 8
*** Di nemici e amici ***


7. DI NEMICI E AMICI.

-I nemici più grandi, e che dobbiamo combattere soprattutto, sono dentro noi stessi.-
(Miguel de Cervantes)
 
 
Theo sbuffò e si massaggiò le tempie, non aveva dormito neanche quella notte ed era esausto. Sentiva Aranel respirare in modo regolare ed era sollevato che almeno lei riposasse bene. Si versò altro caffè e lo bevve lentamente questa volta, come se ogni goccia della bevanda amara potesse risvegliarlo. Roxy qualche minuto prima lo aveva avvisato che non sarebbe andata con loro in biblioteca con un messaggio lapidario e senza fronzoli, il che gli faceva sospettare che stesse nascondendo qualcosa. Per quanto l’accusasse di tenere tutto per sé, anche lui era da condannare per non aver detto ad Aranel degli incubi che da mesi lo turbavano.
“Avverto il tuo malumore da qui.”
Theo fu colto alla sprovvista dall’arrivo di sua moglie e fece un mezzo sorriso, riusciva sempre a sorprenderlo.
“Non è malumore. Si tratta piuttosto di brutto presentimento.”
“Riguardo a cosa?” gli domandò la ragazza, preparandosi una tazza di the verde.
“Riguardo a tutto.”
Aranel si rattristò nel vedere Theo tanto sconfitto e oberato di ansie e paure. Gli accarezzò dolcemente la nuca con le unghie curate e gli diede un bacio sulla guancia.
“Andrà tutto bene, fidati.”
“Questa volta è diverso perché sono coinvolto in prima persona e sono invischiato ancora nel mio passato, il quale è davvero deplorevole.”
“Questa volta è diverso perché non sei solo, ci siamo io e Roxy al tuo fianco.”
“Roxy ci ha piantato in asso stamattina.”
Aranel riconobbe un non so che di incerto nella sua voce.
“Qualcosa ti frulla nel cervello, Raeken. Cos’è?”
Theo ridacchiò con il mento rivolto verso il basso perché, se c’era al mondo una persona in grado di capirlo al volo, era di certo lei.
“Credo che Roxy stia combinando qualche guaio. Non capisco quale impegno possa impedirle di venire con noi oggi.”
“Credi che sia andata da Savannah?”
“Bingo! E se abbiamo ragione, è pericolosa la loro vicinanza.”
Aranel, sebbene comprendesse lo stato d’animo Roxy, era consapevole che Savannah era troppo vicina a Octavius per considerarla in mani sicure.
“Non puoi immischiarti, Theo. Lo so che non è facile, ma si allontanerà se interveniamo. Dobbiamo fidarci di Roxy e sperare che prenda le decisioni giuste.”
“Lo so. Andiamo in biblioteca, dai. Sarà una lunga giornata.”
 
 
Roxy si batté la fronte con la mano dopo aver inviato a Theo il messaggio in cui declinava i loro impegni. Stava sbagliando tutto, lo sapeva, ma al tempo stesso stava facendo la cosa giusta, almeno per se stessa. Savannah era sotto la doccia mentre lei si scolava l’ennesima birra, fortuna che l’organismo dei licantropi smaltisse in fretta l’alcol.
“Tu sei una di loro, dico bene?”
L’odore di vaniglia di Savannah aveva preannunciato la sua entrata, avvolta in un morbido asciugamano verde, e si sedette sul divano accanto a lei. Roxy le lanciò una rapida occhiata per poi tornare a concentrarsi sulla lattina vuota. La gettò a terra con rabbia, quasi potesse gettare via anche i sentimenti negativi.
“Che intendi con ‘una di loro’?”
“Sei come Octavius?”
“No, non direi proprio. Io sono un licantropo, mentre tuo marito è una bestia non definibile.”
Si alzò per andare a recuperare un’altra lattina alcolica, voleva solo annebbiare il cervello per mettere a tacere i pensieri. Savannah provò a toccarla, ma lei si allontanò con stizza.
“Roxy, mi dispiace. Capisco che tu sia in collera con me, che non ti fidi più, e che hai delle riserve nei miei confronti dopo quello che è successo, però ti chiedo di concedermi il beneficio del dubbio.”
“Concederti il beneficio del dubbio? Stai scherzando? Io e Aranel stavamo per farci molto male per colpa di quello stronzo di tuo marito! Potevamo morire, lo capisci? Non posso dubitare di nulla, devo avere la massima certezza!”
La donna aggrottò le sopracciglia quando Roxy aumentò il volume della voce.
“Mi dispiace.
“Ti dispiace? No, Savannah, tu non sai neanche che cos’è il dispiacere. A me dispiace di essermi innamorata di una bastarda manipolatrice e traditrice come te!”
“Tu sei innamorata di me?”
La lupa distolse lo sguardo, era nel totale imbarazzo ed era più arrabbiata di prima. Poteva sentire il rimprovero di Theo nella sua mente, letale come al solito. Savannah la tirò verso di sé e la intrappolò in un bacio selvaggio, un complesso gioco di lingue e bocche. Roxy si abbandonò, dopo mesi assaporava ancora quelle labbra che l’avevano sedotta, e sentì il cuore esplodere di un’insolita gioia.
“Sì, sì, io ti amo.”
“Anche io ti amo, Roxanne.”
 
 
Aranel fischiettava mentre inseriva la freccia e svoltava a destra, in direzione del centro città. Si stavano recando in biblioteca per visualizzare i bestiari e avere un’idea più o meno precisa di cosa gli avesse assaliti due sere prima. Theo, al lato del passeggero, guardava le storpie figure di alberi e passanti attraverso il finestrino. Sentendo una mano sulla coscia, si girò verso sua moglie e le sorrise.
“Se vuoi toccarmi, basta chiedere, stellina.”
La ragazza ritrasse la mano alzando gli occhi al cielo.
“Sì, vorrei toccarti con un pugno in faccia.”
“L’ultima volta che hai aggredito qualcuno al viso, questo è morto.”
“Non sei divertente, Raeken.”
Theo le pizzicò una guancia giocosamente e rise, adorava darle fastidio. Aranel imboccò la via principale e procedette verso sud. Guardando lo specchietto per controllare le altre auto, arricciò in naso. Suo marito se ne accorse e si voltò indietro per seguire il suo sguardo.
“Credi che quell’auto ci stia seguendo?”
“Ci sta dietro da quando abbiamo svoltato quattro isolati fa.” Rispose Aranel, dopodiché accelerò nel tentativo di superare quell’auto nera che sembrava proprio pedinarli.
“Forse la bestia vuole finire il lavoro che ha cominciato. Ecco, siamo arrivati.”
La ragazza parcheggiò in fretta nei sotterranei della biblioteca e attesero che l’auto li raggiungesse. Pochi istanti dopo, quella si posizionò a pochi metri da loro.
“Che facciamo, Theo? La porta in fondo al parcheggio è l’unico ingresso ai piani superiori.”
“Scendiamo e facciamo finta di niente. Reggimi il gioco.”
Bloccati gli sportelli, Theo le afferrò la mano e la spinse dolcemente contro il fianco della macchina. Aranel aveva capito che lui stava cercando di cogliere rumori, voci e odori, così gli circondò il collo con le braccia e lo baciò. Era un tocco leggero, ma comunque una scarica di emozioni. Lui le strinse la vita e l’avvicinò per approfondire il bacio, rendendolo passionale e vibrante.
“E’così che devo reggerti il gioco?” gli mormorò Aranel sulle labbra e lui sorrise.
“Sei la complice perfetta, stellina.”
“Hai sentito qualcosa?”
“Sono gli uomini di Octavius. Forse hanno scoperto che siamo entrati in casa sua e che la bestia ha fallito. Andiamo.”
In pochi minuti varcarono la porta antipanico e presero l’ascensore per salire la primo piano della biblioteca. Non appena le porte si aprirono, Aranel lo trascinò nella sezione ‘storia antica’, l’ala più frequentata dell’edificio. Si nascosero dietro agli scaffali più alti, risalenti ai primi anni ’90, e per fortuna l’area era vuota. Theo si assicurò che non gli avessero seguiti anche lì e tornò da lei.
“La sezione dei bestiari si trova al secondo piano, come passiamo inosservati?”
“Perché lo chiedi a me? Sei tu quello che ordisce i piani!” fece Aranel allargando le braccia in modo teatrale.
“Perché tu sei il topo da biblioteca, stellina. Conosci questo posto come le tue tasche. Studiare il terreno di scontro è un’ottima mossa.”
“D’accordo. Dovrebbe esserci una scala di servizio in fondo alla stanza da cui si sale agli altri piani. Vieni.”
Camminarono con calma per non dare nell’occhio e, raggiunta la scala, richiusero la porta alle loro spalle. Percorsero di fretta i gradini, seppur continuando a guardarsi indietro per essere sicuri. Sbucarono direttamente nella sezione dei manoscritti medievali, ovvero le copie degli originali dal duecento al cinquecento. Theo scrutò i volti dei presenti alla ricerca di espressioni sospette e, convinto che non li avessero seguiti sino a lì, fece cenno ad Aranel di proseguire. La ragazza individuò facilmente la pila di libri che interessava a loro: bestiari medievali. Theo spalancò gli occhi quando Aranel depose sul tavolo un tomo spesso dalla copertina di pelle marrone sulla cui superficie campeggiava la dicitura MS 24. Le pagine erano ingiallite e usurate dal tempo, ma leggibili e dai colori vividi ancora.
“Dobbiamo leggerlo tutto?”
Lei scosse la testa a quella domanda, suo marito non era un’amante della lettura.
“Questa è una copia del bestiario di Aberdeen, il cui originale è conservato nella città omonima. Risale al XII secolo ed è uno dei bestiari più completi poiché è stato redatto per l’ultima volta nel 1542. Gli indizi sullo scrittore e sui proprietari sono incerte, ma pare che l’ultimo possessore sia stato un ricco uomo di chiesa.”
“E tu come le sai queste cose?”
“All’università ho partecipato ad un seminario sui bestiari perché ero curiosa di scoprire le origini della specie di Scott. Proprio questa opera è stata presentata come lavoro finale e l’altro giorno mi è venuta in mente come unica fonte affidabile, evitando così di coinvolgere Nadia e Liam.”
“Io sono follemente innamorato della tua intelligenza.” La spontaneità con cui aveva detto quella frase colpì Aranel al cuore come un arco che scocca un dardo. Sorrise timidamente mentre le gote si tinsero di rosso. Trovare qualcuno che ti amasse soprattutto per la tua interiorità era un privilegio di cui pochissimi eletti possono godere, e lei fu contenta di essere tra questi.
“Beh, come stavo dicendo, è una fonte affidabile soprattutto perché è suddiviso in base a delle particolarità dell’animale: c’è un capitolo dedicata agli animali con le corna, uno per quelli con il manto a chiazze, e così via. E’ di facile consultazione.”
Theo si mise comodo e accese il lumino sul tavolo per leggere meglio.
“Bene così. Adesso dobbiamo solo ricordare alcune particolarità della bestia per sapere cosa cercare.”
“Somigliava ad un lupo ma sembrava molto più esile. Le costole sporgevano e le orecchie erano più appuntite.” Disse Aranel, mentre si sforzava di rievocare i ricordi di quella terribile notte. Theo chiuse gli occhi e ritornò alla mente alla lotta contro la bestia, ne annusò di nuovo il forte odore di carcassa e ne rivide le zampe sottili.
“C’è un capitolo dedicato agli animali che puzzano di putrefazione?”
Aranel scorse l’indice e picchiettò il dito sul foglio: Cap. X, Odore Animale.
“Qui dice che gli animali odorano di quello che mangiano. Ecco: nel caso in cui avvertiate un tanfo insopportabile di cadavere e viscere putrefatte, sappiate di trovarvi dinanzi ad una Yena. Cosa? Una yena?”
“Sì, avrebbe senso. Le iene sono più esili di costituzione e hanno orecchie più sottili dei lupi.” Spiegò Theo, poi controllò ancora l’indice e sfogliò le pagine fino al capitolo XXI: Yena. Aranel si sporse e vide accanto al nome dell’animale una sua raffigurazione.
“Che cosa dice?”
“Dice che le iene formano una famiglia biologica a sé stante. Hanno un olfatto assai sviluppato, riescono a percepire il sangue e una carogna a centinaia di metri di distanza. Pare che imitino la voce umana per attirare le proprie vittime. La loro è una organizzazione matriarcale e i loro clan sono capeggiati da una grossa femmina per difendere il territorio di caccia.”
“Davvero stiamo supponendo che ci abbia attaccato una iena?” domandò Aranel con un certo timore, come se dirlo ad alta voce lo facesse diventare ancora peggio di quel che era. Theo si grattò il mento in segno di riflessione.
“Il disegno rappresenta appieno la bestia che ci ha aggrediti, pertanto è davvero una iena. E’ assurdo che i Dottori abbiano sperimentato anche con le iene!”
“Non credi sia possibile?”
“No, dico solo che è assurdo. Avevano stilato un catalogo dei loro esperimenti e tra essi comparivano parti del corpo di un branco di iene, e adesso so per cosa sono state impiegate. La cosa strana è che di rado i Dottori lasciavano in vita i fallimenti, quindi non capisco perché abbiano abbandonato questo senza ucciderlo.”
“E se lo avessero sfruttato in un altro modo?”
La domanda di Aranel fece scattare gli occhi chiari di Theo nella sua direzione.
“Che intendi?”
“Forse i Dottori non hanno ucciso la iena perché l’hanno sfruttata in un modo diverso, nonostante fosse un fallimento.”
“Perché sfruttare qualcosa di inutile?”
“Magari era inutile per riportare indietro la Bestia del Gévaudan, ma utile per fare altro. Tu ricordi qualcosa di quel periodo?”
Theo fece di no con la testa, la vita con i Dottori era un ammasso di tetri ricordi che giorno dopo giorno cercava disperatamente di dimenticare.
“Non ricordo nulla degno di nota. Adesso che sappiamo cosa stiamo combattendo, sarà meglio andarsene, prima che i nostri amichetti ci trovino qui.”
Aranel fotografò il disegno della iena e rimise il tomo al suo posto, dopodiché lei e Theo discesero la scala usata in precedenza e tornarono nel parcheggio. L’auto che gli aveva seguiti era ancora lì, appostata ad un paio di metri, e la ragazza ingranò la marcia per lasciare la biblioteca il prima possibile.
 
 
Theo era impressionato dalla concentrazione di Aranel. Da quando erano rincasati, si era catapultata sul libro di Octavius: sottolineava alcune parti e prendeva appunti su un quaderno. Lui, troppo affamato per ragionare, cucinò alla svelta della carne in padella e una ciotola di insalata, e imbandì anche la tavola.
“Aranel, vieni a mangiare.”
“Non ora!”
Senza perdere altro tempo, Theo la sollevò di peso dal divano e la trasportò in cucina per metterla a sedere sullo sgabello dell’isola.
“Adesso mangi, chiaro?”
“Va bene, ma non era necessario ricorrere ai rimedi estremi.”
“Con te è sempre un rimedio estremo, stellina.”
Pranzarono in silenzio e in serenità, come non succedeva da quando erano tornati dal viaggio di nozze. Lavarono insieme i piatti e condivisero anche un bicchiere di gelato al tartufo.
“Grazie per il pranzo, era tutto buono.” Esordì Aranel, riponendo nella credenza l’ultimo piatto.
“Non c’è di che. A stomaco pieno si ragiona meglio.”
“Ah, e da quando tu ragioni, Raeken?”
“E’ così che la metti, Jones.” Disse Theo, avvicinandosi pericolosamente a lei. Aranel incrociò le braccia al petto e sorrise sorniona.
“E’ esattamente così che la metto.”
L’attimo dopo si ritrovò con la schiena premuta sul letto e le mani di Theo a farle il solletico. Aranel rideva a crepapelle e si dimenava come una anguilla che cerca di scappare dal suo assalitore.
“Basta! Basta! Ti supplico!”
Theo l’azzittì con un bacio a stampo, poi si stese al suo fianco per farla riprendere dalla mancanza d’aria causata dalle risate. All’improvviso Aranel si fece seria e silenziosa.
“Aranel? Che succede?”
“Hai detto che i Dottori avevano un catalogo degli esperimenti che eseguivano?” domandò, mettendosi a sedere sul materasso.
“Sì, perché?”
“Forse nel catalogo compare anche il nome di Octavius e il motivo per cui lo hanno lasciato in vita.”
Theo annuì, non aveva voglia di ripensare ai Dottori e ai loro esperimenti che gli avevano rovinato la vita.
“Io conservo quel catalogo in una cassetta della mia banca. Vuoi che lo vada a prendere?”
“Te la senti?”
“Questo e altro per la mia stellina.” Disse lui, allora si infilò le scarpe e recuperò la chiave della cassetta che teneva nascosta nell’armadio. Aranel gli accarezzò le spalle da dietro e gli baciò il collo.
“Ti amo, lo sai?”
Theo sorrise attraverso lo specchio e le strinse una mano, poi ne baciò il dorso.
“Lo so.”
 
 
Aranel arrivò a casa di Roxy mezz’ora dopo aver salutato Theo. La lupa le aveva suggerito di passare da lei perché aveva delle novità. Il quartiere era popolato, i marciapiedi erano i palchi sui cui i bambini giocavano, i più giovani parlottavano tra di loro, e gli anziani sedevano immobili sulle panchine come gargouille. Riconobbe il civico di Roxy e bussò due volte, come pattuito per telefono. La cascata di capelli azzurri della ragazza l’accolsero quando la porta si aprì.
“Ehilà, principessa. Entra.”
Non appena fu dentro, Aranel sospirò e si portò le mani sui fianchi. Savannah stava impalata in mezzo al soggiorno, indossava solo una maglia grigia troppo grande per la sua taglia ed era scalza.
“Ciao, Aranel.” Soffiò la donna con imbarazzo.
“Non mi stupisce la tua presenza qui.”
“Avrei dovuto dirvelo, lo so e mi dispiace!” esordì Roxy con le mani in alto come se fosse stata accusata. Il pollice di Aranel sfiorò la fede e l’anello di fidanzamento, un gesto meccanico che compiva dal giorno del matrimonio.
“Theo non è stupido, lo aveva già intuito. Mi sembra strano che Octavius non la stia cercando.”
“Gli ho detto che sono a Shangai per acquistare un’azienda in crisi.” Rispose Savannah, mantenendo un tono di voce vellutato. Aranel, invece, era decisa a mantenere una maschera dura e severa.
“D’accordo. Allora, quali sono le novità?”
Roxy la fece accomodare sul divano e le diede un foglio ripiegato.
“Quello è il contratto stipulato tra tua nonna e Octavius. Ti avverto che non è affatto piacevole.”
Quando Aranel lesse i termini del contratto, chiuse gli occhi per trattenere le lacrime: Io, Chantal Thompson, in qualità di debitrice nei confronti del Sig. Octavius Wagner, prometto di concedere in vendita mia nipote Aranel Jones.
“Mia nonna mi ha venduta a Octavius. Come lo hai scoperto?”
Roxy rimase strabiliata dalla freddezza con cui la ragazza aveva incassato il colpo. Dapprima impacciata, riordinò le idee per darle una risposta.
“C’era una cartella che il mio software non riusciva a decriptare, ma Savannah era a conoscenza della password che si è rivelata la chiave di lettura. La cartella contiene solo questo file. Abbiamo un altro problema: l’hard disk ha iniziato ad autodistruggersi, Octavius ha innescato il processo dopo che abbiamo avuto accesso a questa cartella perché è collegata al suo cellulare.”
“E’ riuscito anche a triangolare la tua posizione?”
“No, ho usato un programma che fa rimbalzare il segnale tra un centinaio di linee.”
Arane spostò gli occhi lucidi da Roxy a Savannah, che se ne stava in disparte contro lo stipite della porta.
“Adesso mi devi dire tutto quello che sai di Octavius, dal principio.”
“Mi ha confidato di essere un essere sovrannaturale dopo il matrimonio, però io ero innamorata e non mi importava della sua doppia natura. Agli inizi era tutto bello, poi ha rincontrato tua nonna durante un viaggio di lavoro e le cose sono cambiate. Lui ha iniziato ad essere sfuggente e assente, incontrava tua nonna almeno una volta a settimana a New York, e un giorno mi ha imposto una relazione aperta che prevedeva di frequentare altre persone. Mentre lui lo ha davvero messo in pratica, io fingevo di vedere altri uomini solo per tenerlo contento. Octavius voleva conoscerti e tua nonna gli ha detto che ti avremmo trovato a Vernazza in luna di miele, così siamo partiti senza neanche pensarci su. Mi aveva detto che voleva comprarti e, sebbene la mia opposizione, ha perpetrato nel suo intento. Ha fatto di tutto per essere eletto presidente del Premio Pulitzer per starti più vicino. Quando ci siamo trasferiti qui, è venuto a sapere che Trevor Marshall aveva scoperto dei suoi affari con tua nonna. Ha provato a pagarlo per farlo stare zitto ma, quando Trevor ha rifiutato, lo ha ucciso senza pietà. Poi si è accorto che qualcuno aveva rubato il suo hard disk e vi ha seguiti fino al lago, dove ha tentato di uccidere Theo e Roxy per rapirti. Ero troppo spaventata per restare con lui, allora ho deciso di mentirgli e di rifugiarmi qui.”
“E perché hai chiesto a Theo di venire a letto con te?”
“Perché Octavius credeva che Theo avrebbe accettato e che vi saresti allontanati, solo in questo modo tu ti saresti avvicinata a lui. Non aveva calcolato che tuo marito è profondamente innamorato di te.”
“Perché Octavius mi vuole?”
“Questo non lo so, lo giuro. Nemmeno io capisco perché sia ossessionato da te.”
“Theo lo ucciderà non appena lo saprà.” Esordì Roxy, spezzando il silenzio piombato nella stanza.
“Lo so, ma devo essere sincera con lui. Nasconderglielo sarebbe sbagliato.”
Aranel stava rivivendo il dramma già vissuto a Beacon Hills: la sua famiglia che la tradiva in favore del mondo sovrannaturale. Anziché essere triste e arrabbiata, era determinata a scoprire la verità e ad affrontare sua nonna. Non c’era tempo per le lacrime, era giunto il momento di dare una svolta a quella tragica vicenda.
“Venite con me, dobbiamo parlare con Theo.”
 
 
Quando Aranel entrò in casa sua, lasciò cadere la borsa a terra per lo stupore. Scott e Stiles sedevano sul suo divano e non erano affatto contenti. Theo non era ancora tornato, ma al posto suo era stato Liam a farli salire, poiché aveva una copia delle chiavi per le emergenze. Roxy e Savannah, alle sue spalle, rimasero spiazzate dalla presenza dei tre uomini.
“E voi che diamine ci fate qui?” sbottò Aranel, andando incontro ai suoi amici. Stiles si finse offeso portandosi una mano al petto con fare teatrale.
“Oh, è così che ci dai il benvenuto? Sei maleducata, amica mia!”
“Non fare il sarcastico con me, Stilinski. Non funziona. Ora esigo una risposata alla mia domanda!”
“Semplice, il nanetto ha fatto la spia.” Disse Roxy, indicando Liam. Scott toccò la spalla del suo beta per impedirgli di ribattere.
“Io e Stiles siamo stati avvisati da Liam di alcuni eventi strani che sono legati a Theo. Poiché tu non ci hai detto nulla, siamo venuti a vedere di persona in quale guaio vi siete cacciati.”
“Non ci siamo cacciati in nessun guaio. Stiamo bene. Potete tornarvene a casa.”
“Aranel, che ti succede? Un tempo ci dicevi tutto.” disse Stiles con tono pacato, non voleva irritarla ancora di più. Aranel sospirò, era sfinita e non aveva voglia di rispondere al loro terzo grado. Aveva ben altri problemi cui pensare.
“Io e Theo siamo in grado di gestire le cose, non abbiamo bisogno del vostro aiuto.”
“Sappiamo quello che è successo a Vernazza.”
Le parole di Scott la colpirono come una doccia fredda. Aranel scrutò i volti dei presenti rivolti nella sua direzione con espressione interrogativa.
“Non è possibile, non ne abbiamo fatto parola con nessuno.”
“Vi ho sentiti parlare in bagno la sera del compleanno di Mason. Hai detto a Theo di dimenticare quello che era successo a Vernazza altrimenti Stiles avrebbe avuto un motivo in più per odiarlo.” Intervenne Liam, che si beccò un’occhiataccia da Roxy.
“Voi credete che io e Theo abbiamo ucciso qualcuno in Italia? State scherzando?”
“Dal momento che tu non ci dici più niente, dobbiamo anche desumere le cose peggiori.” Disse Stiles. Scott, però, captava un alone di tristezza profonda intorno alla sua migliore amica e si sentì in colpa per averla attaccata senza prima di darle il tempo di spiegarsi.
“Non hanno ucciso nessuno e non hanno commesso azioni cattive. E’ successo dell’altro, vero?”
Aranel dovette arrendersi, prima o poi, col trascorrere degli anni, tutti se ne sarebbero accorti. Amava Theo e, qualunque fosse stata l’opinione dei suoi amici, avrebbe continuato a farlo senza riserve.
“La verità è che Theo è sterile. A Vernazza credevamo che fossi rimasta incinta e ci siamo recati in ospedale dopo uno svenimento. Ho detto ai medici della probabile gravidanza e mi hanno fatto le analisi del sangue. Non ero incinta, ero svenuta a causa di mancanza di zuccheri. Ci hanno posto alcune domande e poi hanno chiesto a Theo di sottoporsi ad alcuni esami. Hanno scoperto che una operazione subìta all’età di nove anni lo aveva reso sterile. Abbiamo capito al volo: quando i Dottori del Terrore gli hanno trapiantato il cuore della sorella, hanno anche evitato che potesse avere figli. Lui era distrutto, voleva lasciarmi perché io trovassi un uomo con cui poter avere una famiglia, e per due giorni è anche andato via di casa. L’ho fatto ragione affinché capisse che lo avrei amato con o senza figli perché è l’unica persona al mondo a cui affiderei il mio amore. La sera del compleanno di Mason ha avuto una ricaduta, mi ha seguita in bagno e ha tirato fuori quella storia, allora l’ho convinto a tacere perché altrimenti Stiles avrebbe avuto una ragione in più per volerci lontani. Liam, ora sei deluso che non abbiamo ucciso nessuno?”
Stiles fu il primo ad abbracciarla, la strinse forte sino a sentire il suo cuore battere, e lei liberò alcune lacrime che le pungevano gli occhi.
“Mi dispiace, Aranel. Sono stato un vero stronzo con te.”
“Non dare la colpa a Theo, ti supplico. Lui è solo una vittima.”
“Lo so. Non gli do nessuna colpa.”
Quando si staccarono, Aranel vide Roxy piangere per la prima volta, e le sorrise riconoscente della comprensione. Poi fu il turno dell’abbraccio di Scott, lei gli arpionò la maglia e si lasciò cullare da quelle braccia che fin da bambina l’avevano consolata.
“Avresti dovuto dircelo, non vi avremmo mai condannati per questo. Siamo sempre stati contrari alla vostra relazione e abbiamo sbagliato, ma avevano solo paura che lui ti spezzasse il cuore. Invece, siamo stati noi, i tuoi migliori amici, a spezzartelo. Perdonaci.”
“Va tutto bene. Vi ho già perdonati. Siete i miei fratelli e vi voglio bene.”
Il trio si strinse ancora in un caloroso abbraccio e Aranel fu felice di trovarsi schiacciata tra due degli uomini più importanti della sua vita. Liam si accasciò sul divano, sopraffatto dai suoi stessi errori. Aveva preso un abbaglio che poteva costare caro a Theo. Benché non lo sopportasse, sapeva quanto amasse Aranel e che non le avrebbe mai fatto del male. Spalancò la bocca quando Aranel abbracciò anche lui, non pensava di meritarlo.
“Aranel, io …”
“Shh, non dire niente. Mi sono finalmente liberata di un peso.”
 
 
Theo, ad occhi chiusi, ascoltava lo scrosciare dell’acqua della doccia e respirava lentamente. Dopo essere rientrato e aver trovato Scott e Stiles, gli avevano detto di sapere tutto, sia della sterilità che di Octavius. Non si era arrabbiato con sua moglie per averlo raccontato ai suoi amici, piuttosto era avvilito al solo pensiero di quanto dolore avesse provato a parlarne da sola. Ora, mentre Scott e Stiles occupavano la camera degli ospiti e Savannah e Roxy si erano sistemate sul divano, lui se ne stava disteso sul letto a fissare il soffitto. Aranel uscì dal bagno qualche minuto più tardi ad interrompere quel suo momento di riflessione. Lei non osava guardarlo negli occhi, anche a cena non gli aveva rivolto parola per timore che ce l’avesse con lei. Con addosso un asciugamano bianco, si frizionava i capelli sulla soglia del bagno.
“Vieni qui, Aranel.”
Aranel gelò sul posto, aveva paura che la resa dei conti fosse arrivata. Si mosse cautamente verso di lui con il cuore che pompava il doppio del sangue.
“Hai paura di me? Non devi. Non sono arrabbiato.”
“Dici davvero?”
Theo le prese la mano e la fece sedere sul letto, la schiena di lei contro il suo petto. Le tolse il pettine di mano e cominciò a passarglielo tra i capelli lunghi e umidi. Aranel non capiva tutta quella dolcezza, era confusa dai suoi gesti accorti e amorevoli.
“Dico davvero. Lo avrebbero comunque capito. Da un matrimonio tutti si aspettano un figlio, tu adori i bambini e non averne sarebbe stato un chiaro indizio.”
“Lo sai che per me non è un problema. E poi, ci sono molti modi per essere genitore.”
“Lo so.” Disse lui, continuando con delicatezza a pettinarle i capelli. Le baciò la spalla bagnata e lei sorrise.
“Siamo sposati da un mese soltanto, non abbiamo alcuna fretta.”
“Hai ragione.”
“Devo dirti una cosa, Theo.”
Theo notò subito il repentino cambio dei battiti cardiaci, mise da parte il pettine e la fece voltare.
“Di che si tratta?”
“Roxy ha trovato il contratto stipulato tra Octavius e mia nonna. E’ un atto di vendita.”
“Chi ha venduto cosa?”
“Mia nonna mi ha venduta a Octavius.”
La reazione di Theo fu spaventosa: tirò un pugno al materasso così forte da rompere le assi di legno che contenevano le reti. Iniziò ad imprecare, mentre camminava avanti e indietro, malediva Chantal, Octavius, i Dottori e se stesso. Era stravolto.
“Quella vecchiaccia deve morire, costi quel che costi!”
“Theo, calmati e ragiona. Anche io sono furiosa con lei, ma non puoi ucciderla.”
“Giusto. Rinchiuderò lei e Octavius in una gabbia e lascerò che un lupo li sbrani. Sì, decisamente una bella idea!”
“Theo …”
“No, Aranel, non replicare. Ti stanno trattando come un oggetto, ti vendono e ti comprano come una schiava, e non sono immaginare cosa voglia farne di te quel bastardo di Octavius. Li ucciderò tutti, dal primo all’ultimo, con una ferocia mai vista prima.”
Aranel immaginava che si sarebbe infuriato a tal punto da dichiarare guerra e morte a tutti, ma doveva farlo ragionare altrimenti si sarebbe messo nei guai.
“Per favore, non dire così! Anche io li vorrei vedere soffrire per quello che mi stanno facendo, però in questo modo ci andremmo di mezzo noi e non sarebbe giusto. Dobbiamo giocare d’astuzia. Ho in mente un’idea.”
“E quale sarebbe?”
“Incastrare Octavius e mia nonna per l’omicidio di Trevor.”
 
 
 
Salve a tutti! :)
La verità su quello che è successo in luna di miele è venuta fuori. Ve lo aspettavate?
Che ne dite di Savannah?
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima.
Un bacio.
 
Ps. Perdonate eventuali errori di battitura.
 
 
 
 
 
 
 

 

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Capitolo 9
*** Guerra, amore e abbandono ***


8. GUERRA, AMORE E ABBANDONO.

-Perché il tempo e la distanza separano solo chi non si mai appartenuto.-
(Fabio Privitera)
 
Theo non aveva mai pensato alla storia secondo cui i lupi sono attratti dalla luna perché, in fondo, lui era un esperimento scientifico e il suo legame con il cielo era alquanto remoto. Eppure il suo scetticismo quella notte stava scemando quando, adirato e scorato, se ne stava placidamente disteso in piscina con gli occhi rivolti a quella ruota candida e spumosa che gettava ombre argentee sull’acqua. Tutti dormivano, eccetto lui. Dopo aver parlato con Aranel, gli sembrava tutta colpa sua. La morte di Sasha, la morte di Trevor, l’attacco di Octavius, la vendita di Aranel, la sterilità, e tutto quello che stava succedendo. Sentiva sulle spalle il peso gravoso delle sue azioni. Era lui la causa di tutti i mali, come Pandora. Aveva da poco terminato di studiare il catalogo degli esperimenti dei Dottori: si trattava di una cassetta su cui erano state registrate le informazioni con il codice morse. Aveva impiegato la nottata intera a decifrare l’alfabeto, ma non era stanco, anzi era più sveglio del solito. Il rumore di piedi che pestavano il pavimento freddo gli fecero scattare la testa verso la grande vetrata del soggiorno: Stiles, con i capelli sparati in tutte le direzioni e la faccia assonnata, stava varcando la soglia. Theo socchiuse gli occhi, l’acqua gli sfiorava i lobi delle orecchie, e il brusio caotico della città era l’unico suono che voleva ascoltare. Il suo proposito, però, si infranse quando l’umano proferì parola.
“Anneghi i dispiaceri in piscina?”
“Che cosa vuoi, Stilinski?”
Stiles alzò gli occhi al cielo e si morse la guancia per non urlare. Ricordo a se stesso che lo faceva per la sua migliore amica, allora si schiarì la voce e tornò a guardare il ragazzo a mollo nell’acqua.
“Voglio scusarmi con te. So di averti creato molti problemi con Aranel, di essermi opposto alla vostra unione in ogni modo, e mi dispiace. Questo non vuol dire che ti perdono per tutto che hai fatto al branco, ma significa che mi sono sbagliato sui sentimenti che provi per lei. Lo so che la ami più di qualunque altra cosa al mondo e che preferiresti morire piuttosto che farle del male.”
“A tutti dispiace quando sanno che sei sterile, Stiles. Non sei il primo che si dispiace per me. Lo fai solo perché sai quanto sia importante avere una famiglia per Aranel.”
Stiles abbassò gli occhi in imbarazzo, sebbene quelli di Theo fossero ancora chiusi, perché lui aveva un figlio e non poteva capire quanto fosse dolorosa per lui la sterilità. Ripensò ad Elliott, alla sua risata cristallina, alle sue manine paffute che gli accarezzavano maldestramente il viso, alle sue soffici guance, e si rese conto che senza di lui la vita sarebbe stata insopportabile.
“Immagino quanto sia difficile per voi, ma ti consiglio di non lasciarti scivolare tutto via dalle mani. Hai al tuo fianco una donna strepitosa, che ha un cuore grande e che ti ama. Non fare l’errore di perderla, nonostante tutto.”
Quando Theo aprì gli occhi per ribattere, Stiles stava tornando dentro. Guardò la fede: levigata e dorata, un piccolo cerchio che lo vincolava ad Aranel per sempre. Doveva prendere la decisione giusta.
 
Aranel, già vestita e con in mano una tazza di the verde, ammirava il sole alto nell’azzurro cielo di New York. Aveva incrociato Theo mentre si chiudeva in bagno, però non avevano avuto modo di scambiarsi neanche una parola. Certo, lui doveva essere furente per quello che gli aveva rivelato, ma era stata sincera e aveva la coscienza pulita. Sapeva che aveva trascorso tutta la notte a decifrare il catalogo e a nuotare in piscina, per questo immaginava che la rabbia e la mancanza di sonno lo avessero reso più irascibile del solito.
“Continui a bere quella schifezza?” la voce ilare di Scott la fece sorridere.
“Il the verde è ottimo, siete voi bifolchi che non ne comprendete la bontà.”
Scott le baciò la fronte e la avvolse il braccio intorno alle spalle, come a volerla proteggere da un nemico invisibile.
“Ieri sera vi ho sentiti discutere. Va tutto bene?”
“No, negli ultimi tempi con Theo va tutto male. Non so se sia colpa del matrimonio e degli impegni che da esso derivano, però so che lui non sta bene. Vorrei aiutarlo ma non me lo permette.”
“Ha sempre voglia di fare tutto da solo perché chiedere aiuto per lui vuol dire mostrarsi debole e vulnerabile.”
“Nessuno vuole mostrarsi debole, ma temo che questa cosa possa dividerci.”
Scott la strinse di più fino a toccarle la guancia con la maglia.
“Qualsiasi cosa accada, io e Stiles resteremo al tuo fianco. Siamo una famiglia.”
“Lo so.”
 
 
Roxy si vestì in fretta e si legò i lunghi capelli turchesi in uno chignon disordinato. Si trovava nell’appartamento di Zakhar, ossia la cantina del palazzo di Theo e Aranel, perché l’attico era troppo affollato dopo l’arrivo di Scott e Stiles. Il russo aveva lasciato la città e le aveva consegnato le chiavi di casa sua in caso ne avesse avuto bisogno. Tornava in Russia, così annunciava la lettera che le aveva spedito assieme al mazzo di chiavi, e lei gli aveva inviato un breve sms in cui gli augurava tutto il meglio. Sapeva che non sarebbe più tornato, che non avrebbe mai perdonato Theo per quello che aveva fatto e che non avrebbe perdonato nemmeno se stesso per aver lasciato che a sua moglie capitasse qualcosa di tragico. I suoi vestiti erano spariti, così come le foto precedentemente affisse in parete, e il letto era ancora sfatto così come la cucina era in disordine. Roxy ci rifletté: sembrava proprio che la sterilità di Theo fosse la punizione per aver spacciato il cadavere di Sasha per quello di Aranel.
“Non pensare troppo, ti verranno le rughe!” esordì allegramente Savannah alle sue spalle. Roxy si girò con un sorriso e le baciò le labbra.
“Sarei sexy anche con le rughe.”
“Non lo metto in dubbio.” Rispose la donna, dunque la baciò a sua volta.
“Abbiamo ancora mezz’ora prima di incontrare gli altri, che ne dici di occupare il tempo con un’attività stimolante?”
Savannah si stava già spogliando mentre gli occhi di Roxy seguivano ogni suo movimento.
“Ah, sì? Cosa mi proponi?”
La lupa la spinse sul letto mentre si sfilava la canottiera nera e iniziava a baciarle il collo.
“Ti propongo dell’ottimo sesso.”
“Roxanne Smith, sei una vera tentatrice.”
 
Il salotto non aveva mai ospitato tanta gente come quel venerdì mattina: Scott insieme a Stiles e a Liam sedevano sul divano a tre posti, Nadia con Roxy e Savannah occupavano l’altro divano, e Aranel e Theo stavano in piedi con la schiena verso la vetrata della terrazza. Tazze di the e caffè erano sparse sul tavolino, briciole di biscotti e tovaglioli usati infestavano la superficie di mogano del mobile.
“Allora, avete già un’idea sul da farsi?” domandò Scott. Aranel si sentì osservata da tutti e fu costretta da quegli sguardi a parlare per prima.
“Io e Theo abbiamo un piano, qualcosa che funziona anche dal punto di vista legale. Avremo bisogno di tutto l’aiuto possibile. Ci manca un solo tassello per completare il puzzle: mia nonna. Lei è legata ad Octavius più di quanto pensiamo e dobbiamo scoprire quanto forte sia questo legame. Non abbiamo molto tempo, domani sera ci sarà la premiazione del Premio Pulitzer e ci troveremo tutti nella stessa stanza. Entro le ventuno di domani dovremo aver già fatto tutto.”
“E’ così che di solito organizzi i tuoi impegni? Sei puntigliosa!” esclamò Stiles, sollevando le sopracciglia. Roxy ridacchiò.
“La principessa è una maniaca del controllo.”
“Avete finito o gradite anche dei sandwich?” disse Theo con un pungente sarcasmo.
“Restiamo tutti calmi e concentrati. Cosa avete in mente?” domandò Scott, l’unico più lucido e razione del gruppo. Aranel riprese la sua spiegazione dopo aver ammonito Stiles con lo sguardo.
“Io, Theo e Roxy andremo da mia nonna per saperne di più. Scott e Stiles, voi troverete il luogo più adatto per affrontare Octavius. Liam e Nadia, a voi spetta riordinare i documenti che Roxy ha stampato dall’hard disk.”
“E io che faccio?” disse Savannah. Theo le riservò un’occhiata glaciale.
“Tu torni da tuo marito e fingi di essere una brava e ubbidiente mogliettina. Non deve sospettare di niente, altrimenti ogni sforzo sarà vano.”
“Buona fortuna a tutti!” disse Liam, dopodiché si avviò verso l’uscita con Nadia.
 
 
Il tragitto in auto fu stranamente silenzioso, ognuno era immerso nei propri pensieri, e le parole sembravano troppo banali per essere pronunciate. Aranel guidava stando attenta alle altre auto, non osava posare gli occhi da nessuna parte se non sulla strada. Theo, al suo fianco, picchiettava nervosamente la mano sul ginocchio mentre Roxy, spaparanzata sui sedili posteriori, si scambiava messaggi provocanti con Savannah.
“Secondo voi Octavius avrà già contattato mia nonna per dirle che gli stiamo alle costole?” chiese Aranel, ingranando la terza per raggiungere la villa di Chantal il prima possibile.
“Sì, mi pare ovvio che la vecchia ne sia già al corrente. Abbiamo praticamente rubato le lettere d’amore che si scambiava con nonno Wagner!” disse Roxy, divertita dalla situazione. Theo emise una specie di mugolio, simile ad un lamento strozzato, e Aranel fece saettare gli occhi scuri su di lui.
“Raeken, tu sai qualcosa. Cos’è?”
“Non so niente.”
“Il tanfo delle bugie è forte, Theo.” lo rimbeccò Roxy, adesso seduta composta e con atteggiamento serio. Theo intercettò lo sguardo inquisitorio di sua moglie e cedette, doveva saperlo.
“Ho studiato il catalogo degli esperimenti dei Dottori, era tutto in codice morse e ci sono volute cinque ore circa per tradurlo. Ho scoperto che i Dottori negli anni ’40 hanno rapito due ufficiali nazisti: uno è in signor Douglas, il fasullo insegnante di fisica che io e il branco di Scott abbiamo sconfitto prima che si unisse ai Cavalieri Fantasma, ma dell’altro non è riportato il nome. Sono descritti in modo dettagliato gli esperimenti condotti sul secondo uomo, gli hanno impiantato tutti i caratteri di una iena. Questo e il signor Douglas erano esperimenti riusciti a metà perché non era facile manipolarli, allora i Dottori li hanno calati in un liquido di preservazione che garantiva loro la vita eterna. Credo che quell’uomo fosse lo stesso con cui tua nonna scambiava le lettere d’amore.”
“E potrebbe trattarsi del nonno di Octavius.” disse la lupa, la testa turchese che sbucava tra i due sedili anteriori. Aranel, dopo aver svoltato a sinistra, rallentò per ragionare senza la pressione delle altre macchine dietro.
“Se fosse suo nonno, come farebbe Octavius ad aver ereditato i geni della iena? Le chimere sono geneticamente modificate e la trasmissione ereditaria è impossibile.”
Il sospiro che Theo emise la fece allarmare, a momenti un’altra novità sconvolgente si sarebbe abbattuta su di lei come fiamme sulla paglia.
“E’ possibile che quell’uomo fosse Octavius stesso.”
Aranel inchiodò e tutti e tre furono leggermente sbalzati in avanti, grazie alle cinture di sicurezza. Un’auto suonò il clacson e, passandole accanto, le inveì contro. Lei, però, era troppo allibita per preoccuparsi degli insulti. Tra qualche impaccio e qualche marcia sbagliata, rimise in moto e tornò in strada.
“Che hai detto, scusa?!”
 “Douglas ha vissuto per più di settanta anni in quel liquido senza subire danni, si è liberato dalla vasca in cui era bloccato e si è ambientato tra gli umani con l’aspetto di un trentenne. Lo stesso potrebbe valere per Octavius.” Spiegò Theo, e d’improvviso la sua teoria non sembrava più tanto surreale come pochi secondi prima.
“E quando si sarebbe liberato Octavius? Insieme a questo Douglas, prima o dopo?” domandò Roxy.
“Non lo so, per queste informazioni ci serve Chantal.”
Aranel scosse la testa come a volersi scrollare di dosso un intero formicaio. Se Theo aveva ragione, si stavano scontrato con un amore che aveva superato il tempo e la distanza e aveva vinto. Imboccò una stradina secondaria e qualche metro dopo parcheggiò l’auto fuori dal grande cancello della villa.
“A breve lo sapremo.”
 
 
“Signorina, si fermi! La prego! Madame Thompson non può riceverla!”
Steve, il maggiordomo di Chantal, stava strillando da quando il trio aveva mezzo piede nella villa. Lo avevano scansato e si stavano dirigendo verso lo studio della padrona di casa. Roxy spinse l’uomo tarchiato e dalla faccia pallida quando quello urlò per l’ennesima volta.
“Va a farti un giro, Steve, oppure quella orribile cravatta che indossi te la faccio ingoiare!”
Il maggiordomo, orami stanco di opporsi, si ritirò nelle cucine e ordinò alla servitù di non intromettersi. Senza troppi preamboli, Aranel agguantò le maniglie della grande porta di legno bianco e la spalancò sullo studio di Chantal. La donna stava leggendo una delle sue vecchie riviste di Vogue e, quando li vide, sobbalzò e si rovesciò il martini sui pantaloni costosi.
“Aranel! Ti sembra il modo di entrare?”
“Ho urgente bisogno di parlarti, nonna. E ti ricordo che questa casa è tanto tua quanto mia.”
“Dovete subito andarvene o chiamo la polizia!”
Chantal tentò di lasciare la stanza ma Theo le afferrò il gomito e la obbligò a sedersi di nuovo riportandola con forza sul divano.
“Adesso, nonnina, prendi un bel respiro e ci racconti tutto.”
“O chiamo le pompe funebri e ti organizziamo il funerale!” aggiunse Roxy con un sorriso malefico dipinto sulle labbra. Chantal cercò la compassione di Aranel ma questa volta non la trovò, vedeva solo rabbia nell’espressione di sua nipote.
“Che cosa volete da me?”
Theo prese una sedia e si sedette con le braccia incrociate sullo schienale.
“Vogliamo sapere quale rapporto ti lega a Octavius Wagner e per quale motivo gli hai venduto Aranel.”
“Ma certo, la mia nipotina è troppo intelligente perché si lascasse passare questa storia sotto al naso.”
Theo, ormai allo stremo della pazienza, sguainò gli artigli e afferrò la donna anziana per il collo.
“Usa quella linguaccia per dire la verità oppure ti squarcio la gola e ti lascio agonizzante nella pozza del tuo stesso sangue.”
“Parla.” Le ordinò Aranel, non c’era più spazio per il perdono e la comprensione. Non ammetteva il comportamento cruento di suo marito, ma era necessario ricorrere alle maniere forti con una donna tenace come sua nonna. Chantal, infatti, si scostò la mano di Theo dal collo, si aggiustò i capelli bianchi come una nuvola e si schiarì la voce.
“Era il 1943 quando conobbi un soldato della marina tedesca. La guerra imperversava, le persecuzioni e le deportazioni continuavano senza sosta, e i morti aumentavano di giorno in giorno. La mia famiglia allora viveva a Francoforte perché mio padre e mio fratello erano stati assunti come operai e a me era stato concesso di studiare. Avevo sedici anni, ero in un Paese straniero, senza amici e la solitudine mi tormentava. La domenica mia madre obbligava tutta la famiglia a recarsi a messa, era l’unico momento di svago della settimana. La domenica di Pasqua il sacerdote invitò tutta la comunità a partecipare alla festa tenutasi nel giardino della Chiesa, e fu allora che incontrai Octavius Wagner. Lui all’epoca aveva venti anni, lucenti capelli biondi e due bellissimi occhi azzurri. Rimasi sin da subito colpita da lui. Octavius osò avvicinarsi a me solo dopo che mio fratello si allontanò per parlare con alcuni suoi colleghi. Parlava un inglese perfetto e fu facile capirsi. Da quel giorno nacque una forte amicizia che col tempo, incontro dopo incontro, si tramutò in amore. A fine anno ci eravamo già messi insieme. Sembrava tutto perfetto, poi i nostri timori diventarono realtà: Octavius fu inviato alla base sottomarina di Saint-Nazaire per una missione della durata di otto mesi. Quella distanza fu colmata soltanto dalle lettere che voi avete rubato e dalle pagine dei diari che ogni giorno scrivevo per sfogare la rabbia e la mancanza. Tornò a Francoforte nella primavera del 1945, mi chiese di sposarlo ed io accettai. Mio padre si oppose perché avevo solo diciassette anni, ma io e Octavius scappammo e ci rifugiammo per diversi mesi nel cottage di sua zia. Fu il periodo più bello della mia vita. Dovetti far ritorno a casa quando mia madre si ammalò. Octavius restò al mio fianco durante tutto il calvario e si prese cura di me quando mia madre morì. Decidemmo di sposarci presto per evitare che mio padre si opponesse ancora e nel gennaio dello stesso anno diventammo marito e moglie. Soltanto due giorni dopo arrivò la notizia della disfatta tedesca in Russia e del conseguente suicidio di Hitler. In un lampo gli Alleati si abbatterono sulla Germania per dare la caccia a tutti i soldati tedeschi. Allora Octavius fu arrestato, processato e incarcerato. Dopo il processo che lo condannò a trenta anni di carcere, mi fu vietato di vederlo e persi ogni traccia di lui. Distrutta e senza speranze, ritornai da sola a New York per cominciare una nuova vita. Ben presto mi lasciai quella storia alle spalle, non era tempo di pensare alle pene sentimentali di gioventù. Mi iscrissi all’Università, studiai giornalismo e Vogue mi assunse. Sposai Jacob e nacquero Amanda e Melanie, ma il matrimonio finì dopo circa quindici anni perché l’amore per Octavius sembrava rafforzarsi ogni anno di più. Mi risposai ancora e ancora divorziai per sette volte. Nessun uomo era paragonabile a Octavius e preferivo una vita senza amore che senza di lui. Un anno fa mio fratello mi invitò al suo compleanno, mi presentò un suo amico e riconobbi subito Octavius. Avrebbe dovuto avere più di ottanta anni e invece ne aveva poco più di quaranta. Mi prese da parte e mi raccontò la storia che poi ha trascritto nel suo libro: fu prelevato dalla prigione da tre uomini in qualità di dottori per esaminarlo, erano i Dottori del Terrore. Lo misero in una vasca il cui liquido contenuto all’interno permetteva loro di restare vivi. All’improvviso la vasca si ruppe, qualcuno lo aveva finalmente liberato: un certo Douglas, un altro nazista, gli propose di unirsi a lui e ai Cavalieri fantasma ma Octavius voleva soltanto liberarsi dalla prigionia e tornare a vivere. Si accorse di avere quaranta anni, prima era stato torturato e poi calato nel liquido. Con la sua astuzia e la sua parlantina, ha corrotto chiunque incontrasse sulla sua strada pur di occupare una posizione di rilievo nel mondo del giornalismo e dell’editoria per trovarmi. Però ha trovato Aranel, ha seguito la sua carriera e ne è diventato ossessionato. Da quando ci siamo rincontrati, ho accettato senza riserve le sue richieste perché sono ancora follemente innamorata di lui. Sì, è vero, ti ho venduta a lui. Ero gelosa di te perché sei bella, giovane e in gamba e lui ti avrebbe amata come aveva amato me e non poteva più fare perché sono vecchia. Ti vuole come risarcimento perché io l’ho abbandonato anni fa e perché Theo collaborava con i Dottori che lo hanno torturato. Ti vuole tutta per sé, bambina mia, ed è disposto a tutto.”
Ecco, adesso tutti i pezzi del puzzle combaciavano. Le rune si era rivelate veritiere: la protezione dei nemici significava proteggersi da chi era coinvolto in quella faccenda dagli anni 40’; l’arrivo di un visitatore stava a intendere l’arrivo di Octavius; la prudenza suggeriva di guardarsi le spalle dal passato; la morte era relativa alla notte in cui morì Sasha; l’amore che stava finendo era quello tra Chantal e Octavius, un amore scalfito dal tempo e annientato dalla distanza e dalla disperazione. Theo non sembrava affatto colpito dal racconto, come se già avesse intuito tutta la storia prima che Chantal parlasse. Roxy, dal canto suo, mal celava una smorfia allibita.
“Mi hai venduta per un amore che è giunto alla fine.” Disse Aranel, l’amarezza che trasudava dalle sue parole. Sua nonna raddrizzò la schiena, tipico atteggiamento che assumeva quando voleva dimostrarsi superiore a chiunque.
“Come sei ingenua, bambina mia. L’amore vero non finisce mai, dovresti saperlo bene.”
Theo inarcò il sopracciglio allo sguardo irriverente che l’anziana gli stava rivolgendo.
“I sentimenti non sono inesauribili. Hanno un punto di non ritorno in cui cessano di esistere. A tutto c’è un limite.” Replicò Aranel, la voce rabbiosa e gli occhi lucidi.
“Tranne la follia, quella è infinita per alcune persone, a quanto pare.” Commentò Roxy, al che Chantal le lanciò un’occhiata truce.
“La follia è il carburante della vita. Senza di essa saremmo soltanto sacchi di carne e acqua che si trascinano a fatica nel gran mare della vita.”
“Tieni la retorica per te, nonnina.” Le disse Theo con un tono che non ammetteva repliche.
“La retorica non sai neanche cos’è, ignorante. Dunque, cosa avete intenzione di fare ora che sapete la verità?”
Roxy prese il tagliacarte dalla scrivania e glielo puntò alla tempia.
“Ora ti trapaniamo il cranio con questo affare appuntito e poi facciamo un bel frullato gustoso con il tuo cervello. Che ne dici, Chantal, ti piace come idea?”
Un lampo di paura balzò negli occhi di Chantal, i battiti accelerati del suo cuore riecheggiavano nella gabbia toracica. Aranel strappò il tagliacarte dalle mani della ragazza dai capelli turchesi e lo rimise al suo posto, non potevano rispondere alla violenza con altra violenza.
“La vera domanda è: cosa avete intenzione di fare tu e Octavius ora?”
Sua nonna la guardò dritto in faccia, risoluta e decisa proprio come lei.
“Vi concederò due ore di vantaggio, dopodiché avviserò Octavius che siete a conoscenza del nostro segreto. Da quel momento in poi sarete il suo bersaglio e, fidatevi, la sua mira è eccellente. Questo è l’unico aiuto che posso darti, bambina mia.”
 
 
Aranel osservava come i fili di fumo danzavano nell’aria per poi intrecciarsi in un’unica forma indissolubile e svanire così come si erano formati. Stava fumando quella che doveva essere la quinta sigaretta nel giro di un’ora, era nervosa e aveva bisogno di una valvola di sfogo. Avevano lasciato la villa di Chantal in fretta per approfittare del vantaggio permessoli e si erano recati a casa di Nadia, un appartamento abbastanza grande per ospitare sette persone. Si era nascosta in cortile per restare da sola a riflettere sulla sua famiglia: suo padre e sua nonna l’avevano tradita senza porsi tante domande, erano stati disposti a ferirla pur di salvaguardare i loro amati.
“Oltre alle sigarette, hai voglia di qualcos’altro?”
Si voltò e Theo la salutò con un veloce gesto della mano. Gli fece spazio accanto e sé e batté il palmo della mano sul marmo della panchina per invitarlo a sedersi. Quando le fu vicino, fece incastrare le loro dita in una stretta salda. Aranel poggiò la testa sulla sua spalla e si lasciò consolare dal suo calore familiare.
“Sono tanto triste, Theo.”
“Lo so, e ucciderei tutti quelli che ti rendono triste, stellina.”
“Perché la mia famiglia mi tratta come se fossi un oggetto da sballottare di qua e di là? Perché?”
Dopo due lunghe settimane, sfinita e addolorata, scoppiò in un pianto sommesso, lacrime che scorrevano rapide e salate su un viso solcato dalla delusione. I suoi singhiozzi facevano eco nelle orecchie di Theo e sentiva la furia accumularsi nello stomaco per irradiarsi nelle vene. Doveva punire tutti coloro che avevano osato far piangere Aranel, li avrebbe eliminati uno ad un uno. L’abbracciò forte nella speranza di raccogliere i frammenti della sua anima e riunirli.
“Shh, basta piangere, Aranel. La tua famiglia non ti merita. Nessuno in questo mondo infame merita una donna eccezionale come te.”
“Non sono eccezionale. Non lo sono perché le persone che amo mi fanno del male.”
Era vero, anche lui le faceva del male. La feriva da quando aveva iniziato a sognare sua sorella Tara e non le aveva detto nulla, da quando usciva a bere con Roxy e non tornava a casa, da quando si era recluso nel suo passato ancora una volta.
“E’ proprio perché sei eccezionale che ti feriscono. La gente, quando riconosce qualcosa di valore, lo distrugge per timore che quello possa diventare sempre più speciale e loro hanno una paura smodata delle cose speciali.”
“Ti amo.” Gli disse Aranel, poi lo baciò con intensità. Theo approfondì il bacio riversando in esso i sentimenti che teneva per sé.
“Ti amo anche io.”
 
 
Nadia servì a tutti un bicchiere di acqua naturale e un piatto di stufato di verdure. Stiles svuotò il piatto in pochi minuti, era affamato dalla colazione, mentre Scott ne mangiò qualche sporadica cucchiaiata. Aranel non toccò cibo, al contrario di Roxy e Savannah che spazzolarono le verdure e anche l’acqua. Theo si limitava a fissare il piatto e Liam ingoiava la brodaglia solo per far felice la sua ragazza.
“Sei sicura che il piano funzionerà?” esordì Stiles, inzuppando del pane nello stufato. Aranel portò lo sguardo su di lui, aveva dei pezzi di carota sul mento e si era bagnato la t-shirt con alcune gocce d’acqua.
“Deve funzionare. Non c’è altro modo per incastrare Octavius e Chantal.”
“E sei sicura di voler denunciare tua nonna alle autorità?” domandò Scott.
“Lei mi ha venduta, perciò credo che denunciarla sia un regalo.”
“E tu, Savannah, cosa hai saputo da Octavius?”
Theo adesso guardava intensamente Savannah, gli occhi a mandorla appena sbigottiti e la bocca semi aperta in atto di sorpresa per essere stata interpellata.
“Lui ha distrutto tutte le cartelle contenute nell’hard disk per impedirvi di indagare oltre. Teme di essere accusato per l’omicidio di Trevor Marshall e di perdere il contratto con Chantal. Si sta creando un alibi perfetto in modo da non risultare un sospettato. Non sa che abbiamo stampato svariati documenti, quindi siamo dieci passi avanti a lui.”
“Non gli daremo il tempo di trovarsi un alibi, domani sera alla premiazione lo braccheremo prima che possa scamparla.” Concluse brevemente Aranel.
 
 
“E’ assurdo, davvero assurdo.”
Scott si premette il cuscino sulla faccia per non urlare nel cuore della notte e svegliare tutti gli altri.
“Stiles, sono tre del mattino e io ho sonno.”
“Allora dormi.” Ripose l’altro con noncuranza, dandogli le spalle perché si era offeso.
“Come faccio a dormire se ogni cinque minuti borbotti qualcosa?! Avanti, adesso cosa ti infastidisce?”
Stiles si mise seduto sul divano-letto, le spalle ingobbite e lo sguardo perso nel buio del salotto.
“Tutto mi infastidisce. Aranel che se la passa male e non ce lo dice per paura della nostra reazione. Theo che si lascia sempre risucchiare dal suo losco passato. Roxy e il suo caratteraccio. Theo, Theo e ancora Theo. Ecco, sì, lui mi infastidisce più di tutti.”
“E’ per questo che Aranel non si confida con noi. Perché tu continui a remare contro la sua decisione di stare con Theo. Se continui con questo atteggiamento, lei si allontanerà sempre di più.”
“Ma tu da che parte stai?! Theo Raeken voleva ucciderci tutti e adesso gli regaliamo una targa con su scritto ‘’al miglior maritino dell’anno’’? Oh, ma dai!”
Scott si rassegnò, non avrebbe chiuso occhio per ascoltare tutte le lamentele del suo migliore amico.
“Abbiamo perdonato tutti coloro che hanno cercato di farci del male, da Peter Hale a Deucalion, da Chris Argent a Nolan, e chiunque altro abbiamo affrontato. Theo non è peggiore o migliore degli altri, ha capito i suoi errori e ha rimediato. Anche io non sono contento che abbia sposato Aranel, ma lei è felice e a me sta bene così. Mi arrabbierò quando e se Theo si comporterà male con lei.”
“Io non capisco tutta questa tua magnanimità, Scott. Sei un illuso se pensi che Theo possa essere davvero cambiato.”
“Non ho detto che è cambiato, ho detto che è innamorato di Aranel.”
 
 
Octavius scrutava dalla finestra il giardino, assicurandosi che le ombre fossero degli alberi e non dei suoi nemici. Chantal, seduta qualche passo dietro di lui, sorseggiava un calice di vino rosso in tutta tranquillità.
“Dobbiamo occuparci di tutti di loro.” Disse lui, adocchiando ancora una volta il cancello e l’ingresso principale.
“Anche di Aranel?”
“No, lei mi serve viva. Il nostro patto resta in vigore: io ti proteggo dall’accusa di omicidio e tu mi cedi tua nipote.”
“Ti fidi davvero di Savannah?”
La domanda di Chantal innervosì Octavius, anche lui era scettico sulla posizione di sua moglie, però non lo diede a vedere.
“Sì, mi fido di lei. E’ di te che non mi fido appieno.”
Questa volta fu Chantal ad essere pizzicata dalla rabbia. Si alzò dalla sedia con uno scatto furioso e sbatté la mano sul tavolo.
“Come puoi dire una cosa del genere? Io ti amo da quella domenica di Pasqua e non ho mai smesso di farlo, nonostante sia stata sposata sette volte. Nessun uomo è paragonabile a te. Io ti amo ancora, Octavius!”
Octavius si voltò verso di lei con un sorriso divertito ad increspargli le labbra.
“Mia cara Chantal, i tuoi sentimenti non valgono più nulla per me. Adesso conta soltanto Aranel.”
“Che cosa vuoi esattamente da lei?”
“Voglio sposarla e voglio che porti in grembo un mio figlio. Solo lei è degna di un tale carico.”
“Perché lei e non Savannah? Perché, maledizione?!”
“Perché tua nipote ha imparato ad amare i mostri che si celano dietro a ognuno di noi. Il suo cuore è puro!”
 
 
 
“Theo, stai dormendo?”
“No.”
Aranel accese la luce del lume e si scoprì dalle lenzuola, era agitata e sudata.
“Non riesco a dormire.”
“Nessuno riesce a dormire, stellina.”
“Cosa accadrà quando sarà tutto finito?”
“Non posso prevedere il futuro.” Rispose Theo, laconico e quasi annoiato.
“Certo.” Si limitò a dire lei, poi spense la luce e si coricò di nuovo. Alcune lacrime scivolarono rapide sul cuscino e Theo ne captò l’odore, allora le accarezzò un fianco e le baciò la guancia.
“Qualsiasi cosa accada, ricorda che io sarò al tu fianco.”
Aranel gli strinse la mano e fece combaciare la schiena con il suo petto.
“Me lo ricorderò.”
 
 
 
 
 
 
Salve a tutti! ^_^
La verità è venuta a galla, una verità vecchia quanto la Guerra.
Ce la faranno i nostri eroi?
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima.
Un bacio.
 
 
Ps. Perdonate eventuali errori di battitura.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 

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Capitolo 10
*** Vinci o muori ***


9. VINCI O MUORI.

-Che il mio nemico abbia la forza e che viva a lungo, affinché possa assistere al mio trionfo.-
(Napoleone Bonaparte)
 
 
Roxy storse il naso a quella notizia: un messaggio di Savannah le comunicava che avrebbe trascorso l’intera giornata con Octavius. Era comprensibile dal momento che quella sera si sarebbe tenuta la premiazione per il Pulitzer e il presidente avrebbe dovuto accogliere i candidati la mattina stessa. La cerimonia avrebbe avuto luogo presso il 620 Loft & Garden all’interno del Rainbow Room, che offriva una delle viste più splendide di tutta New York. Si erano svegliati presto ed erano tornati nell’attico di Theo e Aranel, la quale si stava preparando per la giornata, mentre Scott e Stiles si erano trasferiti a casa di Mason e Corey.
“Perché quella faccia? Qualcosa non va?”domandò Theo, mentre si versava la centesima tazza di caffè.
“Savannah deve stare con Octavius tutto il giorno perché ovviamente il presidente deve sbandierare la bella mogliettina a tutti.”
“I sentimenti contano poco ora come ora, Roxy. Cerca di restare concentrata.”
Il computer emise un bip, Roxy si fiondò sul divano per controllare la natura di quel segnale.
“Abbiamo un problema! Octavius ha comprato due biglietti aerei per la Malesia.”
“Che bastardo!” mormorò Theo, leggendo sullo schermo che la coppia sarebbe partita l’indomani all’alba.
“Che sta succedendo?”
Entrambi si voltarono verso la porta del bagno: Aranel stava camminando verso di loro con indosso l’accappatoio e in testa un asciugamano come turbante. A Theo fece male il cuore darle l’ennesima pessima novità.
“Octavius e Savannah domani partiranno per la Malesia.”
“No, no, no! In Malesia nessuna giurisdizione può toccarli e lui non potrà essere arrestato!”
Aranel diede un pugno sul cuscino del divano, era nervosa e frustrata, una combinazione letale. Theo le mise una mano sulla spalla per lasciare qualche carezza.
“Il nostro piano funzionerà prima che abbiano la possibilità di partire. Abbiamo poco tempo, è vero, ma possiamo farcela.”
“Sei sicuro? Io ho qualche dubbio.” Fece Roxy, richiudendo il PC. Aranel sospirò e si massaggiò le tempie.
“Dobbiamo sbrigarci. Io e Nadia abbiamo appuntamento al Rainbow Room con il signor Bennett tra un’ora, ci sarà anche Octavius e potremo spiarlo. Voi assicuratevi che per stasera sia tutto pronto.”
Theo seguì Aranel in camera, doveva essere certo che lei fosse pronta a tutto. La ragazza si stava già infilando un abito di cotone bianco per poi calzare un paio di sandali di cuoio.
“Va tutto bene?”
“Cos’è che vuoi chiedermi davvero, Theo?”
“Voglio sapere che riuscirai a gestire la rabbia quando incontrerai Octavius più tardi.”
Aranel si stava coprendo le labbra con un tenue rossetto rosa, poi illuminò gli occhi con un filo di ombretto argentato e li cerchiò con la matita nera.
“Ce la posso fare. Non lo ucciderò davanti a tutti, se è questo che intendi.”
Theo l’agguantò per il gomito, prima che si chiudesse di nuovo in bagno, e la voltò verso di sé.
“Ti voglio incolume, ecco che intendo. Non me ne frega niente se il mondo va in fiamme, mi importa che tu stia bene. Sono stato chiaro?”
Era una sfida di sguardi la loro, quello glaciale di lui e quello determinato di lei. Aranel si scrollò la sua mano di dosso e tornò a pettinarsi i capelli.
“Sei stato cristallino.”
 
 
Nadia, bassa com’era, non era in grado di tenere il passo di Aranel che, con le sue gambe lunghe, risaliva gli scalini ad una velocità impressionante. Tutti i candidati erano arrivati nel luogo prestabilito, la hall del locale era gremita di persone che chiacchieravano, bevevano, e stringevano mai qua e là. Il signor Bennett allargò le braccia e sorrise quando vide Aranel entrare a passo deciso, il rumore dei tacchi che riecheggiava nel salone principale, e quell’espressione risoluta sul viso che la rendeva incredibilmente potente.
“Aranel Jones, la donna che tutti ammirano!”
“Bennett, la smetta di lusingarmi, la prego. E’ grazie al suo sostegno che sono qui.”
“E’ grazie al tuo cervello che sei qui, te lo meriti.” Replicò l’uomo, dandole una pacca sulla spalla con fare amichevole. Un cameriere strisciò accanto a loro e Aranel prese un calice di champagne dal vassoio laccato d’oro. Buttò giù il liquido alcolico in una sola sorsata e Nadia ne rimase stupita.
“Nadia, va a prendermi un altro calice, per favore.”
“Ma Theo ha detto …”
“Non mi importa di cosa ha detto Theo. Voglio altro champagne e tu andrai a recuperarlo per me.”
La freddezza nella voce di Aranel non piacque a Nadia, che, malgrado tutto, dovette obbedire per non perdere il posto di lavoro. Dopo che il cameriere le consegnò il calice, tornò da Bennett ma Aranel era sparita.
“Dov’è Aranel?”
“E’ andata a cercare la sua stilista per stasera, credo che voglia indossare un vestito fenomenale per la vittoria.” Disse Bennett con una risatina. Nadia gli cacciò in mano lo champagne e si mise sulle tracce della sua amica. Non aveva assunto una stilista poiché avevano acquistato l’abito per la premiazione insieme mesi prima, perciò era andata alla ricerca di Octavius, ne era sicura. Digitò velocemente un messaggio e lo inviò a Theo: S.O.S.
Giunta nella stanzetta dedicata al The Post, trovò la porta aperta e la borsa di Aranel a terra. Sul tavolino circolare campeggiava un cartonato di Trevor Marshall e su di esso, con lo spray rosso, c’era scritto: ASSASSINA. Octavius stava giocando sporco: prendeva in giro Aranel per farla crollare e cedere alle sue richieste.
“Nadia?”
La ragazza sussultò per lo spavento ma, riconoscendo Savannah, si tranquillizzò.
“Aranel è sparita. Qualcuno ha lasciato un regalino per lei.”
“Octavius.” Sussurrò Savannah osservando il cartonato e la scritta. Nadia si affrettò a nascondere quello scherzo macabro nell’armadietto della stanza, poi chiuse la porta con la chiave affidatale alla reception.
“Dobbiamo trovarla prima che lui possa farle del male.”
Savannah annuì e le fece cenno di starle dietro, aveva un’idea di dove potesse trovarsi la ragazza. Perlustrarono la hall e il primo piano da cima a fondo in circa due ore, ma non c’era alcuna traccia di Aranel.
 
 
Theo si precipitò al Rainbow Room in compagnia di Scott e Stiles pochi minuti dopo aver ricevuto la richiesta di aiuto di Nadia. Infranse buona parte del codice stradale per arrivare il prima possibile e avere una chiara idea di cosa stesse accadendo in quel maledetto hotel.
“Questo è colpa tua ovviamente.” Lo accusò Stiles dai sedili posteriori, al che Theo premette l’acceleratore per sballottarlo.
“Taci, Stilinski, oppure ti scaravento fuori dall’auto in corsa!”
“Voi due la dovete smettere!” sbottò Scott, stanco delle frecciatine continue tra quei due. Stiles, però, di smetterla non ne aveva voglia.
“Se mi scaraventi fuori dall’auto, Aranel non te lo perdonerà mai.”
“Qual è il tuo problema? Capisco il tuo odio per me, ma non mettere sempre in mezzo Aranel. Non è una contesta tra noi due per il suo possesso, entrambi teniamo a lei su due livelli diversi. Per quanto tu possa non crederci, io la amo con tutto me stesso.”
“Basta! Adesso piantatela!” urlò Scott, e i suoi occhi lampeggiarono di rosso per un momento. I due ragazzi si zittirono, era futile sprecare del tempo prezioso a bisticciare. Theo accelerava ad ogni semaforo rosso che non rispettava, superava la velocità stabilita dalla legge senza curarsi delle conseguenze, ma fu grazie al suo menefreghismo che in soli venti minuti si ritrovarono davanti all’hotel. Nadia e Savannah li attendevano sulle scale.
“Che diamine è successo? Ti avevo detto di tenerla d’occhio!” sbraitò Theo contro Nadia, che ormai singhiozzava da una decina di minuti. Scott gli mise una mano sul petto e lo allontanò dalla ragazza per non spaventarla più del dovuto.
“Sta calmo, Theo. Allora, diteci esattamente cosa è successo.”
Savannah, costatando le pessime condizioni di Nadia, decise di parlare al posto suo.
“Aranel ha ordinato a Nadia di prenderle dello champagne ma, dopo aver fatto l’ordine, si è resa conto che era sparita. Il signor Bennett le ha detto che Aranel stava parlando con la stilista, il che è impossibile perché ha acquistato il vestito parecchio tempo fa. Ho incontrato Nadia nella stanza assegnata ad Aranel e abbiamo trovato un cartonato di Trevor Marshall con scritto sopra ‘assassina’. L’abbiamo cercata invano, sembra essere scomparsa nel nulla.”
“E che ci dite di Octavius? E’ ancora qui?” domandò Stiles, scrutando la facciata riccamente decorata del Rainbow.
“Sì, è qui. Non lo ha fatto di persona perché è in riunione con il comitato, perciò deve averla fatta rapire da uno dei suoi uomini.” Spiegò Savannah. Il cellulare di Theo squillò, era la suoneria personalizzata di Roxy. Accettò la chiamata e attivò il vivavoce.
“Dimmi.”
“Il telefono di Aranel aziona il GPS quando esce dalla città e poco fa ha trasmesso la posizione al mio PC. Non dovrebbe essere al Rainbow Room?”
“No, Aranel è misteriosamente sparita. Sai dirmi in che direzione si muove?”
“Si muove verso Roosevelt Island, e si sposta velocemente.”
“Cosa c’è da quelle parti?” chiese Scott alla lupa.
“Prima di arrivare a sud dell’isola c’è una fila di vecchi edifici ormai in disuso. Da almeno trenta anni nessuno si prende cura di quel posto.”
Theo mise in moto il cervello, quell’isola gli ricordava qualcosa. Si sforzò di ricordare dove l’avesse sentita nominare e, come se il velo della memoria si fosse squarciato, tutto gli fu subito chiaro.
“Ho capito! Quando ho spacciato il cadavere di Sasha per quello di Aranel, i Dottori mi chiesero di lasciarlo in uno degli edifici abbandonati di Roosevelt Island, dove poi lo avrebbero preso in consegna.”
“Sasha è la moglie di Zakhar, l’amico che non vi rivolge la parola da giorni?” il sarcasmo di Stiles bruciò come sale sulle ferite.
“Credi che Zakhar c’entri qualcosa?” fece Roxy, scioccata da quell’ipotesi. Theo ci aveva già riflettuto e rispose per Stiles.
“Ma certo! Zakhar si sta vendicando per quello che ho fatto a sua moglie e Octavius è la via migliore per arrivare ad Aranel.”
 
 
Aranel si risvegliò a causa di una fitta perpetua alla base del collo. Sgranò gli occhi quando, dopo essersi toccata la parte dolorante, notò le dita sporche di sangue. Era buio intorno a lei, un forte odore di chiuso le invadeva le narici, ma era consapevole di essere trasportata. Non aveva idea di come fosse finita là, ricordava solo di essere stata colpita alla testa e di essere svenuta. Il veicolo si fermò di colpo e lei fu sbalzata contro la parete, avvertendo così altre scariche di dolore. Quando il portello si aprì, non poteva credere a ciò che stava vedendo. Zakhar, vestito di nero, se ne stava immobile ad osservarla.
“Mi hai rapita tu? Che stai facendo?”
Il russo l’afferrò per le caviglie e la trascinò fino a sé, le legò i polsi e le caviglie con del filo spinato e la tirò fuori. Aranel sollevò le mani per proteggersi dal sole che picchiava forte sul suo viso.
“Muoviti.” Le disse Zakhar, la spinse e le strinse una mano dietro al collo per obbligarla a camminare. Aranel intuì subito di trovarsi a Roosevelt Island, un’ampia aria costellata da ruderi di edifici un tempo sontuosi, e si chiese perché l’avesse condotta lì. Con un’altra spinta fu costretta ad entrare in uno degli edifici in rovina, il cui interno era più fatiscente dell’esterno. Salirono al quinto piano, quello messo meglio, e fu legata ad un gancio infisso nel soffitto.
“Lasciami! Ti prego! Zakhar!”
Sebbene si divincolasse, Zakhar era più forte, quindi fu facile per lui appenderla come un cappotto all’appendiabito.
“Chiudi quella bocca, principessa!” le disse, dopodiché le tolse lo sgabello dai piedi e Aranel iniziò a penzolare a destra e a sinistra.
“Non la passerai liscia. Theo mi verrà a cercare.”
“E io non vedo l’ora che lo faccia. Dopo tanti anni ho l’occasione per punire colui che ha profanato il corpo di Sasha! Ho l’occasione per farlo soffrire come ho sofferto io!”
 
Era pomeriggio inoltrato quando una secchiata d’acqua congelata colpì in pieno viso Aranel, che sbatté le palpebre più volte per tornare cosciente. Aveva perso i sensi dopo circa due ore, i polsi avevano iniziato a sanguinare e l’ossigeno scarseggiava. Zakhar abbandonò il secchio a terra, si sedette di fronte a lei su una vecchia sedia logora e poggiò i gomiti sulle ginocchia.
“Sai, hai davvero una resistenza invidiabile. Per essere una principessina, sei una tipa tosta.”
Aranel buttò indietro la testa, il sole stava calando e il silenzio abbracciava l’intero palazzo.
“E tu, per essere un alcolizzato, sei un tipo sveglio.”
“Sei un cane che abbaia ma non morde, mia cara.”
“Il cane morde quando meno te lo aspetti.”
Il russo ghignò, quella ragazza non si perdeva d’animo. L’abito bianco era zuppo d’acqua a livello del busto e si intravedeva bene la sottoveste che indossava.
“Sei deliziosa, Aranel. Anche Sasha lo era. Tu me la ricordi tanto, era bellissima, intelligente e gentile, ma è anche vero che il destino si porta via i fiori più del giardino.”
“Non è stato il destino a portartela via, è stata lei stessa a farla finita. Si è suicidata, Zakhar, e tu lo sai.”
L’uomo si alzò di scatto e le tirò uno schiaffo che le crepò il labbro. Aranel sentì il sangue in bocca e rise, quasi si stesse divertendo sul serio.
“Facevi così anche con lei? La picchiavi quando ti contraddica?”
“Non ho mai alzato un dito contro Sasha, io l’amavo. Si è buttata perché Theo l’ha obbligata!”
“E da quando Theo avrebbe il dono della persuasione? Le chimere non possono soggiogare gli umani.”
“Allora tu sei caduta nella sua trappola di tua volontà. Sei un mostro anche tu, Aranel, però lo nascondi sbandierando quel tuo finto cuore d’oro.”
Aranel socchiuse gli occhi, era troppo stanca e dolorante per continuare a parlare.
“Come vuoi, Zakhar. Se hai intenzione di uccidermi, fallo adesso e chiudiamo questa partita.”
“Ucciderti adesso non avrebbe senso. Voglio che Theo venga qui per salvarti, che fallisca e che ti veda morire davanti ai suoi occhi.”
“Lui ti ucciderà senza alcuna pietà.”
Zakhar, preso dalla furia, le tirò i capelli fino a farla piegare la testa all’indietro e le afferrò il meno con la mano. Aranel voleva urlare per il dolore e per la rabbia, ma si limitò a stare zitta.
“Lui potrà anche uccidermi, ma io gli strapperò la persona che più ama al mondo.”
 
 
Erano le sette di sera quando Theo, Stiles e Scott si dirigevano a Roosevelt Island. Avevano messo a punto un piano che avrebbe avuto un’ottima riuscita ma, perché funzionasse, era necessario recuperare Aranel. Stiles, troppo irrequieto per tacere, infranse quel terribile silenzio calato nell’abitacolo.
“Secondo voi è viva?”
“Sì. Zakhar vuole vendetta e, come lui ha visto Sasha morire, vuole che io veda Aranel.” Rispose Theo, concentrato sulla strada. Scott, al suo fianco, tamburellava le dita sulla gamba in preda all’ansia.
“Hai ucciso tu Sasha?”
Theo scosse la testa, era incredibile che nessuno, eccetto sua moglie, gli credesse.
“No. I Dottori volevano che uccidessi Aranel per indebolirti, però non ci sono riuscito dopo averla conosciuta. La stavo riaccompagnando alla macchina quando abbiamo sentito un tonfo, poi ci siamo resi conto che una donna si era schiantata al suolo. A quel punto non ho perso tempo, ho capito che potevo sfruttare quel cadavere per fingere che fosse Aranel. L’ho prelevato e l’ho portato a destinazione, da quel momento in poi sono tornato a Beacon Hills e i Dottori mi hanno cancellato i ricordi.”
“Quindi si è suicidata?” chiese ancora Stiles, la sua solita curiosità che zampillava come da una fontana. Theo proseguì verso sud, dritto in direzione dell’isola.
“Dopo aver ricordato, Aranel mi ha espresso i suoi dubbi circa il suicidio di Sasha. Era convinta che qualcuno l’avesse spinta giù.”
“Chi potrebbe essere stato? Forse Zakhar?”
“Possibile. – disse Scott – In fondo, i Dottori hanno cancellato la memoria dell’accaduto a tutti i presenti per impedire che il cadavere fosse ricondotto a loro. Zakhar potrebbe aver ricordato di averla uccisa.”
“Eccoci!” esclamò Theo, dopodiché parcheggiò in malo modo lontano dalla piazza in rovina. Il gruppo di ruderi torreggiava al centro dell’isola e, come i monoliti di Stonehenge, si disponevano in maniera circolare. L’area era isolata, nessuna traccia umana era visibile. I palazzi abbandonati si ergevano grigi e fatiscenti, simili a grosse colonne di marmo, e tutto intorno crescevano erbacce secche. Scott stava per avvicinarsi all’entrata quando la mano di Stiles lo bloccò e lo scostò bruscamente.
“Guarda, Scott, il sorbo degli uccellatori circonda il palazzo.”
In effetti, uno spesso strato di sorbo correva lungo la circonferenza del palazzo per impedire a chiunque di entrare o di uscire.
“Che cosa facciamo? Io non posso entrare, ma tu e Theo potete.”
Stiles guardò Theo, che era tutto teso a fissare il palazzo.
“Allora, che hai intenzione di fare, Theo?”
“Entro io soltanto. Voi due restare qui e accertatevi che nessun altro ci ostacoli.”
“Sei serio? Vuoi morire oggi, per caso?” gli domandò Stiles con spiccata ironia.
“Fidati per una buona volta! Io e Aranel abbiamo tutto sotto controllo!”
“Tu e Aranel?”
Prima che lo interrogassero ancora, Theo si accinse ad entrare. Risalì una cinquantina di scalini in una manciata di minuti e, ascoltando il rumore del respiro di Aranel, si incamminò al quinto piano. Spalancata la porta arrugginita, la vide appesa al soffitto con i piedi penzoloni e la testa che ciondolava a destra e a sinistra. Tenendo fede al loro piano, represse un urlo rabbioso e rallentò i battiti per apparire tranquillo.
“Sono qui! Fatti vedere, Zakhar!”
“Finalmente sei arrivato, io e Aranel cominciavamo ad annoiarci.”
Zakhar, occhi azzurri e capelli neri, comparve alle sue spalle a passo lento, quasi a volersi godere uno spettacolo. Theo rise, quella risata che fungeva da presa in giro.
“Non ti annoierai più quando ti taglierò le dita una a una e te la farò mangiare.”
“Mi minacci mentre ho tua moglie in ostaggio? Sei uno sciocco.”
“Che posso farci? Ho anche dei difetti, a quanto pare.”
Aranel pian piano riaprì gli occhi, scorse la figura di Theo e ne fu rincuorata. Il loro piano aveva funzionato.
“Theo …”
“Tranquilla, stellina, a momenti sarà tutto finito.” Le disse, facendole l’occhiolino. Zakhar balzò alle spalle della ragazza e le ghermì il ventre con gli artigli ben esposti.
“Io squarto tua moglie senza pensarci due volte, Theo.”
Theo si sedette comodamente sulla sedia in precedenza occupata dal russo, sul viso un’espressione allegra.
“Vedi, amico, hai commesso troppi errori per essere un traditore. Mai sottovalutare l’astuzia di Aranel Jones.”
“Di che stai parlando?”
“Aranel lo aveva capito sin da subito. Dopo che i ricordi sono tornati, si è accorta che la password del tuo PC è ‘Saint Nazaire’, ovvero la stessa password utilizzata da Octavius per accedere alla sua camera segreta. Me lo ha confidato e insieme abbiamo dedotto che tu c’entravi qualcosa, così abbiamo chiesto a Roxy di indagare sul tuo conto. Dalle ricerche è emerso che tu e Octavius vi siete conosciuti durante un vertice di pace tra Russia e Germania prima che la marina ti congedasse per ubriachezza. Lui ti versa cinquemila dollari all’anno da quando hai perso tua moglie e ha anche pagato il suo funerale all’epoca. Roxy ha messo un chip nel tuo cellulare che ci ha permesso di ascoltare ogni tua conversazione e di leggere ogni tuo messaggio, per questo sapevamo che avresti rapito Aranel. L’unica incognita era il luogo in cui l’avresti portata, ma il GPS di Aranel si attiva quando esce fuori città e ti abbiamo intercettato. Non è Aranel ad essere tua prigioniera, sei tu ad essere caduto nella nostra trappola!”
La smorfia adirata sul viso di Zakhar fu la prova che non se lo aspettava. Avevano architettato quel piano nei minimi dettagli e nell’ombra perché nessuno ne venisse a conoscenza.
“Potrete anche avermi fregato, ma sono io ad avere gli artigli a pochi millimetri dalla tenera pelle di tua moglie.”
Aranel emise una risata, era il momento di pareggiare i conti.
“Sei davvero un ingenuo a pensare che io sia una sprovveduta. Con che cosa credi sia stato lavato il mio vestito?”
Zakhar allontanò immediatamente la mano dal suo corpo e Aranel ebbe la possibilità di dargli un calcio allo stomaco per farlo arretrare, poi fu Theo a sbatterlo a terra e a premergli il piede sulla nuca.
“Te l’avevo detto di non sottovalutare la sua intelligenza!”
“Octavius vi ammazzerà tutti!” strillò Zakhar, sebbene avesse una guancia schiacciata contro il pavimento ruvido.
“Sono davvero stufo delle tue minacce. Buon viaggio, Zakhar!”
Aranel chiuse gli occhi e sussultò quando udì uno schiocco. Theo aveva spezzato il collo di Zakhar con la facilità con cui si spezza un rametto.
 
 
Aranel si stava truccando quando Theo fece capolino nella stanza. Dopo averla riportata a casa, aveva assorbito il suo dolore e l’aveva aiutata a pulirsi il sangue dai polsi e dalle caviglie; ora era come nuova.
“Ti disturbo?”
“No, vieni pure.” Acconsentì, ammirandolo attraverso lo specchio. Si stavano preparando per andare alla premiazione e affrontare Octavius una volte per tutte. Theo si chinò a baciarle una spalla nuda e sorrise contro la sua pelle.
“Sei incantevole.”
Aranel indossava un abito di Ralph & Russo regalatole da sua madre: era lungo, con lo scollo a cuore, di colore azzurro e tempestato di rose color oro. Si era legata i capelli in un semplice chignon, aveva indossato delle piccole perle azzurre e si era adornata il viso con un filo di trucco.
“Anche tu non stai male.”
“Ti prego, sono ridicolo vestito così!” disse Theo, ridacchiando. Aveva scelto un completo blu abbinato ad una semplice camicia bianca e ad una cravatta azzurra, per richiamare l’abbigliamento di lei. Aranel gli abbottonò la giacca e ne lisciò le pieghe.
“Non preoccuparti, tra poche ore forse saremo ricoperti di sangue e di terra.”
“Tra poche ore saremo libero da questo incubo, stellina.”
“Theo, qualunque cosa accada stanotte …”
“Lo so. Anche io.”
“Andiamo.”
 
 
Il 620 Loft & Garden era un giardino enorme con una vista mozzafiato sulla città. Fili di luci bianche correvano lungo tutto il perimetro della terrazza, le aiuole erano ricolme di margarite, sui tavoli giacevano boccioli di rose di tutti i colori, e delicate peonie pendevano dalla pedana del palco. Erano tutti presenti, sia gli invitati sia i canditati assieme alle loro famiglie. Aranel fu accolta calorosamente da sua madre, Kabir e sua zia.
“Tesoro, sei stupenda!” si complimentò Amanda, scrutando per bene sua figlia.
“Grazie, mamma. E soprattutto grazie per essere qui, è davvero importante per me!”
“E’ un piacere.” Le disse zia Melanie, poi l’abbracciò e le baciò la guancia. Kabir le stritolò le mani e le diede un bacio sulla fronte.
“Falli secchie, piccolina!”
Dopo qualche altra parola, Aranel e Theo si avvicinarono al Comitato per registrare la loro presenza. La signora Evans, il membro più anziano e quindi più importante, sorrise quando la vide.
“Oh, Aranel Jones, eccoti finalmente!”
“Buonasera, signora Evans. Perdonate il mio ritardo. Mi permetta di introdurle mio marito, Theo Raeken.”
La donna e Theo si strinsero la mano in maniera cordiale.
“Sua moglie è davvero speciale, se lo lasci dire.”
Theo riservò uno sguardo orgoglioso a sua moglie e le baciò una tempia.
“Lo so. Aranel mi lascia senza parole in ogni momento.”
“Aranel!” esclamò una voce alle spalle della signora Evans, Savannah ancheggiava verso di loro in uno stretto tubino rosso fuoco. Al suo fianco, vestita di rosa da capo a piedi, Nadia li salutava con la mano. Aranel sorrise alla Evans e si congedò garbatamente, poi con Theo si avvicinò alle due donne.
“Dov’è finita Roxy? La sto cercando da ore!” disse Savannah, guardandosi attorno perché nessuno sospettasse qualcuno.
“Roxy sta facendo una cosa, ci raggiungerà tra poco. Piuttosto, dov’è Octavius?” le chiese Theo, mentre affondava le dita nel fianco di Aranel per attirarla più vicino.
“E’ andato su tutte le furie dopo aver trovato Zakhar morto. Non ha avuto tempo per completare il lavoro, quindi lo farà questa sera. Ragazzi …”
Gli occhi di Savannah si persero nel locale: Octavius stava facendo il suo ingresso trionfale insieme a tutti i membri del comitato. Dietro di loro, eleganti e ridicoli al tempo stesso, scendevano Stiles, Scott e Liam.
“Io devo andare, a momenti proclameranno i vincitori. Voi state attenti.”
Prima che Aranel andasse via, Theo la baciò con intensa passione e con una lentezza amara.
“Va’, stellina.”
Mentre lei si appropinquava a sedersi in prima fila, quella riservata ai candidati, Chantal Thompson comparve alle spalle di Theo avvolta in un abito di piume bianche.
“Come procede? La mia nipotina sta facendo una bella figura?”
“Non sei ancora deceduta? Che spreco di ossigeno!” ribatté il ragazzo con un riso malefico. L’anziana si sistemò lo scialle sulle spalle e arricciò le labbra rosse, sembrava una leonessa pronta ad attaccare.
“Lui ti ucciderà e l’avrà tutta per sé, stanne certo. Fossi in te, starei attento ai nemici e agli alleati. Ricorda che il nemico del mio nemico è mio amico.”
Theo rimase interdetto da quelle parole enigmatiche ma non ebbe modo di saperne più perché Chantal stava andando incontro alle sue figlie. Un forte applauso lo destò dai suoi pensieri: Octavius, in piedi sul palco, stava per declamare il primo vincitore. Dopo una ventina di vittorie, fu il turno della categoria relativa al miglior articolo. Si schiarì la voce e, staccato il sigillo, aprì la lettera consegnatagli dal Comitato.
“Signori e signore, per ‘il miglior articolo’ il premio è stato aggiudicato ad una inchiesta che ha sollevato critiche positive al cento per cento. In qualità di Presidente del Premio Pulitzer di questa edizione, proclamo vincitore Aranel Jones!”
Il pubblico andò in visibilio, tutti si alzarono in piedi per applaudire, i suoi amici e la sua famiglia lanciava fischi ed esclamazioni di gioia.
“Quella è mia moglie!” urlò Theo, puntando il dito contro Aranel, che era arrossita come un pomodoro. Dopo aver ritirato il premio, si accostò al leggio per fare un lapidario discorso. Le tremava la voce e aveva gli occhi lucidi.
“Voglio ringraziare tutti coloro che mi hanno assistita in questa esperienza, dal signor Bennett alla mia famiglia, i miei amici, i miei colleghi, e specialmente mio marito. Grazie per essere qui stasera a condividere questo onore con me. Tutto questo è stato possibile solo grazie a voi! Grazie ancora!”
Quando scese dal palco, Aranel corse tra le braccia di Theo, che la fece volteggiare in aria. Si baciarono in preda ad una contentezza irrefrenabile.
“Sei straordinaria, stellina. Sono così fiero di te!”
“La nostra amica è un mito!” strillò Liam, e scoppiò un altro moto di applausi e fischi. Aranel abbracciò gli amici, la famiglia e alcuni dei suoi colleghi.
“Vieni a festeggiare con noi, tesoro?” disse sua madre, gli occhi pieni di lacrime e un sorriso raggiante. Nonostante la vittoria, c’era ancora una guerra da vincere.
“Aspettatemi al ristorante al primo piano, sarò da voi tra un’ora.”
Amanda, Kabir, Melanie e Chantal la lasciarono ad esultare con i suoi amici e si accomodarono al tavolo prenotato quella mattina.  Nadia controllò il cellulare: in azione! (Roxy).
“Ragazzi, è tutto pronto.”
 
 
Octavius da lontano scorse Aranel bisticciare con Theo e smise di prestare attenzione alle parole dei commensali ospiti al suo tavolo. Fece un cenno a Savannah e si accomiatarono con gli invitati con una scusa banale. Aranel si immise nel corridoio che conduceva ai sotterranei, piangeva e inveiva a bassa voce contro suo marito.
“Dobbiamo accerchiarla per catturarla.” Disse Octavius, mentre seguiva la ragazza insieme a Savannah. La pedinarono fino a quando non raggiunsero le stanze più datate e spoglie del Rainbow Room.
“Vai da qualche parte, bella fanciulla?” disse Savannah, camminando alla destra della malcapitata. Octavius, alla sinistra della ragazza, ridacchiò.
“Credo che la nostra Aranel si sia persa, poverina.”
“Oppure vi siete persi voi!”
La ragazza si tolse la parrucca bruna e sbucò una cascata di capelli turchesi: Roxy sorrideva maliziosa per lo shock dipinto sul volto dei due assalitori. Si era camuffata da Aranel per ingannarli.
“Ma che diavolo!” sbottò Savannah.
“Non arrabbiarti, ti verranno le rughe!”
Una serie di risate piombò sulla coppia, come fiocchi di neve sul terreno. Da ogni angolo buio emersero le figure di Aranel, Theo, Scott, Stiles, Nadia e Liam.
“Sorpresa!” disse Theo, la cravatta allentata e le mani in tasca.  Savannah si mise le mani nei capelli, era davvero sconvolta dalla bugia che l’aveva irretita.
“Non ci credo … vi siete presi gioco di me!”
“Credevi che fossimo dei poveri cretini? Io e Theo abbiamo scoperto che le iene sono capeggiate dalle femmine del clan, pertanto abbiamo ipotizzato che anche tu fossi una iena. Sai cosa ti ha tradito? Il tuo conto in banca. Già, perché sei tu che hai raccolto Octavius dalla strada e gli ha dato una vita migliore. Abbiamo capito che tu eri coinvolta grazie alle intercettazioni fatte al cellulare di Zakhar. Siete stati poco meticolosi, poveretti!” spiegò Aranel con calma, quasi parlasse del meteo. Octavius drizzò la schiena e gonfiò il petto, un ultimo tentativo disperato di cavarsela.
“Non potete uccidere due innocenti, perciò deduco che ce ne andremo incolumi. La vostra idea di incastrarci per omicidio è fallita, non avete prove e nessuno crederà mai che una iena abbia ammazzato Trevor.”
Un ticchettio costante irruppe nella stanza, era una sentenza di condanna. Chantal camminò a passo vellutato, l’ingresso regale di una nobildonna, immersa in onde di piume.
“Non esserne tanto sicuro, amore mio. Hai commesso l’errore di metterti contro le donne sbagliate, nessuno ferisce me o Aranel senza pagarne le conseguenze. Io e mia nipote abbiamo unito le forze quando è venuta da me per sapere quali rapporti intercorsero tra di noi, allora ho capito che tu non mi ami più e che non potevo venderti un essere umano come fosse una sciarpa di seta. Tu hai tradito me e io ho tradito te. Agente Stilinski, confesso l’omicidio di Trevor Marshall: gli assassini sono Savannah Chen, Octavius Wagner e io, Chantal Thompson.”
Stiles guardò Aranel nella totale confusione, lei annuì e gli diede il permesso di fare il suo dovere. Scott e Theo ammanettarono le due donne mentre lui arrestava Octavius.
“Vi dichiaro in arresto. Qualunque cosa direte verrà usata in tribunale contro di voi.”
Sul punto di uscire, Savannah e Octavius iniziarono a trasformarsi, i loro corpi assunsero le forme di un animale snello e furioso. Tutti fecero un passo indietro, un po’ per lo stupore e un po’ per il timore. Scott, Theo, Liam e Roxy risposero ai loro ringhi facendo scattare gli artigli e facendo brillare gli occhi. Stiles prontamente si parò davanti ad Aranel, Nadia e a Chantal per difenderle. Octavius fu il primo ad attaccare, saltò addosso a Theo e gli azzannò un braccio. Il ragazzo urlò di dolore, il sangue fuoriusciva a fiotti dalla ferita profonda. Le zanne sporche di Savannah, invece, morsero Scott alla gamba, ma l’alfa riuscì a destabilizzarla con un calcio nel fianco.
“Hai qualche buona idea? E’ arrivato il momento di tirarla fuori!” disse Stiles, la pistola puntata contro l’orda di esseri sovrannaturali che lottavano tra di loro. Roxy fu messa al tappeto da Octavius, sbatté la testa contro la parete e si afflosciò al suolo. Aranel corse da lei e la schiaffeggiò perché si riprendesse. La lupa sbarrò le pupille gialle in cerca di aria.
“Ti sei divertita a prendermi a schiaffi?” disse, la sua voce deformata dalla trasformazione. Aranel sorrise sollevata nel costatare che l’amica stava bene.
“Non come avrei voluto. Ho un’idea e ho bisogno del tuo aiuto.”
“D’accordo.”
Al centro della stanza, Liam e Theo tempestavano di colpi il grosso corpo di Octavius, mentre Scott si scrollava di dosso Savannah. Stiles mirò alle due iene e cominciò a sparare, però un proiettile trafisse la spalla di Theo, che lanciò un altro gemito di dolore.
“Stiles!” lo rimproverò Aranel, che aiutava Roxy a rimettersi in piedi.
“Scusa, la mia mira non è poi tanto ottima!”
Theo, al massimo della furia, conficcò gli artigli negli occhi azzurri di Octavius e lo accecò. La iena ululò in modo straziante, il sangue che colava dalle orbite vuote e la bocca che si riempiva di liquido rosso. Fu allora che Liam si assestò un calcio alle zampe anteriori, così la bestia cadde a terra come una torre che crolla. Continuò a latrare in preda alle sofferenze, era uno strazio per tutti i presenti. Savannah, avvertendo il dolore del suo compagno, tentò di soccorrerlo ma Scott la scaraventò contro la parete e perse i sensi per qualche istante. Quando si riprese, era tornata umana e strisciò fino a Octavius. L’uomo, anche lui tornato alle sembianze umane, piangeva in posizione fetale e si premeva le mani sul viso per bloccare il sangue. Theo sollevò una mano per un altro affondo decisivo, però Stiles lo sparò al polso per fermarlo.
“Sta già soffrendo, non inferire.”
Theo, notando l’espressione terrorizzata di Aranel, fece ricadere la mano lungo il fianco e estrasse il proiettile.
I guaiti di Octavius si protrassero fino all’arrivo della polizia e dell’ambulanza. Chantal confessò l’omicidio di Trevor Marshall e il detective Moore arrestò lei, Savannah e Octavius. La famiglia di Aranel seguì Chantal alla centrale, ancora allibiti dall’accaduto.
La luna era alta nel cielo, una ruota argentea che galleggiava su uno sfondo blu scuro. Tutto era ritornato alla normalità. Era finita.
 
 
Aranel si liberò dell’abito sporco e si immerse sotto la doccia per eliminare il sangue e la terra dal proprio corpo. Erano rincasati da poco, la casa era silenziosa e una strana atmosfera percorreva le stanze. Tornando in salotto, lavata e vestita, si arrestò: Theo era seduto sul divano con una valigia ai piedi.
“Che sta succedendo, Theo? vai da qualche parte?”
Il ragazzo non osò guardarla in faccia, anzi fissava attentamente il whiskey nel bicchiere.
“Mentre lottavano Octavius mi ha detto che lui non è l’unico esperimento che i Dottori si sono lasciati dietro, ce ne sono degli altri in giro per il mondo.”
“E quindi?”
“Aranel, io devo andare.”
“Dove? Di che stai parlando?”
Theo percepì tutta la rabbia di Aranel mischiarsi alla tristezza e si sentì un carnefice che vessa la propria vittima.
“Devo andare a cercare quegli esperimenti e mettere un punto a questa storia. Devo chiudere i conti con il mio passato, e posso farlo solo così.”
“No, no, no! Non puoi!”
“Aranel, non rendere tutto più difficile. Ti prego.”
Aranel si abbandonò sulla poltrona con le lacrime agli occhi e le mani tremanti, era fuori di sé.
“Sei libero di andare, ma non resterò qui ad aspettarti. Non tornare mai più, Theo. non tornare.”
“Questo viaggio non significa che ti lascio e che non ti amo. Io ti amo follemente. Senza di te la mia vita non ha senso, ma è giusto che io parta perché ho bisogno di stare meglio. Se resto qui con la rabbia che mi ribollisce nelle vene, tra di noi finirà.”
Aranel si alzò, prese un respiro e si asciugò le lacrime.
“Tra di noi è già finita.”
“Aranel …”
“Vattene e non tornare.”
 
 
Salve a tutti!
Beh, la guerra è stata vinta, ma l’amore sembra aver perso.
Manca solo l’epilogo.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima.
Un bacio.

 

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Capitolo 11
*** Epilogo ***


EPILOGO.

“L’unica cosa certa era che lui era tornato e che lei avrebbe voluto non se ne andasse più.”
(Paolo Giordano)
 
 
Un anno dopo, Kumasi (Ghana).
Faceva terribilmente caldo per essere settembre, l’afa estiva non sembrava proprio voler diminuire. Aranel si asciugò la fronte con un fazzoletto di cotone e si legò i capelli in uno chignon improvvisato. Un gruppo di bambini le scorrazzava allegramente intorno mentre l’accompagnava all’unico internet point della città. Si domandava ogni giorno come facesse quella gente, che da secoli viveva in condizioni precarie, ad essere sempre gentile e sorridente. Era stato grazie a quella cittadina che lei stessa aveva ritrovato il sorriso. Era passato un anno dall’allontanamento da Theo (perché lui odiava definirla una ‘rottura’), era stato difficile all’inizio riorganizzare la propria vita ma alla fine si era rimboccata le maniche per raccogliere i pezzi. Nei primi mesi si erano scambiati qualche sms e si erano parlati al telefono qualche volta, poi lei aveva deciso di interrompere qualsiasi tipo di comunicazione perché sentiva la necessità di lasciarsi tutto alle spalle e ricominciare. La sua idea di ‘ricominciare’ si basava su un viaggio: il signor Bennett le aveva proposto di seguire un gruppo di medici volontari in Ghana per fare un reportage mensile da pubblicare sul giornale. Certo, non era il giornalismo di guerra cui lei aspirava, ma vivere in quei posti, quasi allo stato brado, le provocava gioia. Tamy, la figlia della coppia che la ospitava, la trascinò nel piccolo negozietto e la spinse su una delle tante sedie di plastica nere. Adorava i computer e adorava parlare con i suoi amici. Aranel entrò nel suo account di skype, cliccò sul profilo di Scott e fece partire la chiamata. Qualche istante dopo lo schermo si illuminò mostrando i volti di Stiles e di Elliott.
“Ehi, straniera!” esclamò il moro con un ampio sorriso. Suo figlio, tra le sue braccia, agitò la manina paffuta e Aranel ricambiò il gesto.
“Ciao, bellissimi! Dove sono gli altri?”
Il viso tondo e scuro di Tamy sbucò sullo schermo e sorrise timidamente, poi si nascose sotto il tavolo.
“Eccoci!” esclamò Scott, e un attimo dopo comparve insieme a Malia, Lydia, Liam, Nadia e Roxy. Aranel si commosse inevitabilmente, sentiva molto la loro mancanza e vederli era un gioia per l’anima.
“Come state? Ci sono novità?”
Liam e Nadia si scambiarono un’occhiata eloquente, erano davvero una bella coppia. Si sarebbero sposati due settimane dopo a New York, al Plaza Hotel, e avevano messo in piedi una cerimonia semplice e intima.
“Io e Liam abbiamo una proposta da farti: vorresti essere la nostra damigella d’onore?”
“Sì, ovvio!” replicò Aranel, sorridendo e battendo le mani.
“Allora sei costretta a tornare presto, principessa.” Disse Roxy, i capelli turchesi avvolti in un berretto da baseball nero. Aranel aveva avvertito stranamente la sua mancanza più di quanto avesse immaginato.
“Parto tra una settimana, promesso. Adesso devo tornare al campo, ci vediamo lunedì sera in aeroporto. Vi voglio bene!”
Dopo gli ultimi saluti e le solite raccomandazioni, spense la connessione e lasciò l’internet point in compagnia di Tamy. Per avere soli sette anni, era una bambina di grande conforto. Tornarono nella base medica e lei si riservò un banchetto per scrivere l’articolo del mese.
 
 
Theo depennò l’ultimo nome della lista. Aveva finalmente completato il suo compito. Per un anno intero, giorno dopo giorno, aveva dato la caccia a tutti gli esperimenti falliti che i Dottori del Terrore avevano erroneamente lasciato in vita, credendoli morti. Alcuni avevano semplicemente accettato la propria natura e avevano ripreso la loro vita, e lui li aveva aiutati e poi salutati, altri avevano preso una brutta strada e lui li aveva fatti arrestare o li aveva sistemati da solo. Il sole bruciava sull’asfalto di San Diego, lo smog accresceva quel caldo asfissiante, e ci avrebbe impiegato un’ora per tornare in hotel. Decise di fare la strada a piedi, aveva voglia di camminare e liberare la mente. Dopo una decina di passi il suo cellulare squillò, lo estrasse e sorrise nel leggere il nome sul display.
“Già ti manco?”
“Mi manchi ogni volta che vai via!” rispose Sophie con la sua risatina stridula.
“Sto tornando da te, piccola. Passo a comprarti i tuoi fiori preferiti, a tra poco.”
“Ti aspetto.”
Sophie, una delle ragazze più vitali e allegre che avesse mai conosciuto. Si erano incontrati quattro mesi prima all’aeroporto di Vienna, da lì avevano proseguito il viaggio insieme fino ad arrivare a San Diego. Lei non aveva idea di cosa facesse, credeva che fosse un fotografo di riviste e a lui andava bene. In fondo, era un abile bugiardo. Diceva bugie da quando era bambino, le aveva dette anche da adolescente e non si era più fermato. Aveva mentito anche ad Aranel quando, guardandola dritto negli occhi, le aveva detto che se ne stava andando. Il ricordo dei suoi occhi scuri colmi di lacrime lo feriva come una lama affilata ogni volta. Avevano provato a mantenere un legame, ma lei ad un certo punto era sparita senza avviso e lui l’aveva lasciata libera di andare avanti. Sophie non l’aveva sostituita perché sostituire Aranel era impossibile, smettere di amarla era come smettere di respirare e lui voleva continuare ad amarla nell’ombra. Il cellulare squillò di nuovo, questa volta era Roxy.
“Sei ancora vivo?”
Non si parlavano da un paio di mesi e la sua voce lo fece sorridere, gli ricordava casa.
“Sì, purtroppo.”
“Come te la passi, Theo?”
Quella domanda banale bastò per farlo preoccupare, Roxy non era il tipo di persona tanto cortese.
“Perché mi chiami? E’ successo qualcosa?”
“Tranquillo, non è successo niente. Volevo solo dirti che lei sarà presente al matrimonio di Liam e Nadia.”
“Sophie? Lo so, ho chiesto io di invitarla.”
Roxy sospirò, un palese segno di allarme.
“Aranel sta tornando.”
 
 
Il momento tanto atteso era giunto. Era settembre inoltrato, la temperatura era giusta e la tabella di marcia stabilita dalla wedding planner veniva rispettato. Aranel stava finendo di aiutare Liam ad indossare la cravatta quando Roxy entrò con un bicchiere di rum in mano. Vestita da uno stretto tubino viola senza spalline, si sedette sul divanetto accanto allo specchio con fare teatrale.
“Di là è tutto pronto, me ne sono assicurata. Stiles ha chiamato per dire che a Lydia non entra più il vestito e che per questo faranno ritardo. Scott e Malia, invece, attendono nella cappella insieme agli invitati già arrivati.”
Liam annuì, ma il suo pallore indicava che non fosse per niente preparato. Aranel ghignò, conosceva bene quella sensazione di ansia che ti mordeva lo stomaco nel giorno del proprio matrimonio. Si obbligò a non pensarci più, quella era ormai una storia vecchia. Sistemata la cravatta in modo impeccabile, gli pettinò i capelli e glieli modellò con un pizzico di gel.
“Ecco fatto, sei uno sposino a tutti gli effetti!”
“Grazie, Aranel. Senza di te sarei andato nel panico per qualsiasi cosa!” le disse Liam con un dolce sorriso, al che Aranel lo abbracciò velocemente.
“Sei andato nel panico per qualsiasi cosa, Liam!” confermò Roxy, il bicchiere vuoto in mano e le gambe distese. Il ragazzo scosse il capo e la ignorò, non voleva innervosirsi ancora di più. Le due ragazze lo seguirono nella cappella del Plaza, adatta ad una celebrazione intima, e si riunirono agli altri. Scott, il testimone di Liam, indossava un sofisticato completo di raso nero e Malia era radiosa nel suo tailleur beige.
“Ecco la damigella!” esclamò Scott non appena intravide la sua migliore amica camminare verso di lui. Roxy salutò Aranel a metà strada e si andò a sedere al suo posto, quello accanto ai genitori dello sposo. In un angolo della cappella, agitata e immersa nei propri pensieri, c’era Page, sorella e testimone della sposa.
“Sei davvero molto elegante, McCall. Complimenti!”
Scott ridacchiò con Aranel e poi le passò un braccio intorno alle spalle. Malia assottigliò gli occhi, qualcosa si muoveva nell’ombra.
“Ehm, Aranel, credo che la wedding planner ti stia cercando.”
Aranel, voltandosi, sbuffò alla vista della donna che si sbracciava per richiamare la sua attenzione.
“Andate ai vostri posti, a minuti si inizia.”
Venti minuti dopo, gli invitati si erano accomodati riempiendo il piccolo spazio sacro, e Liam si era disposto sull’altare, mentre Scott stava al suo fianco. Le porte si aprirono e l’organo intonò la marcia nuziale: Aranel, con un mazzo di roselline rosa, entrò per prima per annunciare la sposa , e subito dietro di lei avanzava Nadia. Quest’ultima indossava un abito bianco con il corpetto di pizzo e dotato di una gonna composta di più veli, e sul capo portava una coroncina di piccole dimensioni. Arrivati all’altare, mentre la damigella si andava a sedere accanto ai genitori di Liam, il padre di Nadia consegnò allo sposo la mano di sua figlia. Aranel si intristì di colpo, sebbene si fosse ripromessa di restare positiva quel giorno, al pensiero che solo un anno prima stava festeggiando il proprio matrimonio. Roxy, a qualche metro da lei, notando i suoi occhi lucidi, le fece un cenno come a rasserenarla.
 
 
Theo fu costretto a prepararsi in fretta poiché l’aereo era atterrato con un’ora di ritardo. Si era già perso la funzione in cappella e ora si apprestava a raggiungere il Plaza in taxi. Sapeva che avrebbe rivisto Aranel dopo un anno, sapeva che avrebbe dovuto tenersi a distanza, ma sapeva anche che ogni proposito si sarebbe sgretolato davanti a lei. Ripensò a Sophie, tanto dolce e apprensiva, e non poteva ferirla perché era troppo preziosa per meritarselo. Quando il taxista lo avvisò che erano arrivati, si diede un contegno e scese dalla macchina. L’ascensore salì lentamente e lui si chiese se ci fosse l’intervento del destino, però la buona sorte non era in suo favore. Catapultato nella grande sala che ospitava la festa, riconobbe gli sposi e si avvicinò a loro per congratularsi. Liam non era particolarmente felice di vederlo lì, però Nadia lo accolse con estremo calore. Salutò tutto il branco con falsi sorrisi e fredde strette di mano, era chiaro che nessuno lo volesse lì. Poi, come se un meteorite lo avesse investito, avvertì il sangue brulicargli nelle vene. Era lei. Con indosso un abito grigio perla dallo scollo a cuore e una cinta di brillantini in vita, chiacchierava allegramente con Roxy. Theo dovette chiudere gli occhi per calmare i battiti del cuore oppure sarebbe esploso. Aveva raccolto i capelli scuri in una treccia laterale e le spalle esili erano in bella mostra. Roxy sgranò gli occhi e afferrò Aranel per il braccio, e Theo si girò a causa di quella spiacevole reazione. No, non doveva per forza andare così tra di loro. Si fece coraggio e andò verso di loro. Nonostante la sua amica continuasse a scrollare la testa, lui non si arrestava.
“Salve, belle signore.”
Aranel ghiacciò sul posto al suono di quella voce. Smise di respirare per pochi secondi, poi buttò fuori l’aria trattenuta. Composta come suo solito, si fece coraggio e si voltò. Eccolo, dopo un anno. Irresistibile con quella camicia bianca che metteva in risalto i muscoli e quegli occhi chiari che l’avevano conquistata.
“Ciao.” Si limitò a dire, incapace di comandare la propria lingua. Theo sorrise, affascinante come sempre.
“Ciao a te, Aranel. Sei bellissima.”
Bastarono quelle parole a farla crollare. Rise in maniera nervosa, era al limite ormai.
“Sarei ancora più bella se non ti vedessi. Ora, scusatemi, ma non ho voglia di perdere tempo con certa gente.”
Dopo che se ne fu andata, Roxy fischiò e si beccò un’occhiataccia dal ragazzo.
“Sei serio?  Prima la molli e poi le dici che è bellissima? Sei un imbecille.”
“Non infierire, Roxy.”
“Allora tu lasciala stare. Ha già un sacco di problemi per conto suo, non peggiorare le cose.”
 
 
Erano le nove di sera e la festa proseguiva senza intoppi. Aranel si era rifugiata in giardino a bere il suo champagne, lontana da tutto e da tutti. Era più esausta di quando lavorava dodici ore al giorno sotto al sole per aiutare i medici in Ghana. Si massaggiò le tempie, aveva un terribile mal di testa e aveva anche sonno. Voleva solo che quella giornata finisse. Un rumore di foglie calpestate le fece rizzare i peli sulle braccia e, quando la fonte del rumore si mostrò, sospirò di sollievo. Era Theo, reggeva in mano un piattino di torta e un flute di champagne.
“Scusami, non volevo spaventarti.”
“Figurati.”
“Stai bene?”
Le si sedette accanto, la loro vicinanza fu dolorosa per entrambi. Aranel tremava, benché facesse ancora caldo, e si strinse nelle spalle.
“Stare bene è diventato un concetto relativo ultimamente.”
“Immagino. Senti, mi dispiace per essermi presentato qui senza preavviso. Avrei dovuto farti sapere che ci sarei stato.”
“Non è colpa tua. Dispiace a me di essermi comportata in modo sgarbato, non era mia intenzione. Ero solo sorpresa.”
“E arrabbiata.” Aggiunse Theo, ridacchiando. Aranel si lasciò scappare un sorriso divertito e annuì.
“Sì, decisamente arrabbiata. E tu come stai?”
“Me la cavo. Ho concluso la mia missione una settimana fa.”
“Sono felice per te.”
Aranel mandò giù un sorso di champagne per inumidire la gola. Voleva urlare, strappare tutti i fiori del giardino e accasciarsi a terra per la rabbia che le ribolliva nel sangue. L’aveva piantata per una stupida guerra con il passato.
“So che sei stata un anno in Ghana. Sei tornata a fare la giornalista di guerra?”
“No, sono partita con dei medici volontari. Bennett mi permette di raccontare le condizioni del Paese, però non mi fa tornare al reportage di guerra.”
“Sono sicuro che ti renda felice aiutare quella gente.”
“Sì. Ascolta, Theo, devo parlarti di una cosa.”
Theo smise di mangiare la torta e poggiò il piatto a terra, qualcosa gli diceva che altrimenti il dolce gli sarebbe andato di traverso.
“Dimmi.”
Aranel si alzò come se la panchina si fosse tramutata in lava e prese a camminare avanti e indietro.
“Devi firmare le carte del divorzio.”
“Come, scusa?”
“Due mesi fa ho richiesto il divorzio e Richard ha redatto i documenti, manca solo la tua firma.”
Theo si portò le mani sul viso, era sconvolto da quella rivelazione. Certo, si erano lasciati, ma il divorzio era un effetto che non aveva calcolato. Nonostante un anno di separazione e la relazione con Sophie, non ci aveva minimamente pensato. L’anulare sinistro di Aranel era spoglio proprio come il suo, e questa mancanza gli pesava sul cuore come un enorme macigno.
“Sì, capisco. Non pensavo che saremmo arrivati al divorzio.”
“Un anno fa il nostro matrimonio è finito dopo pochissimi mesi, perciò dovevi tenere in conto che avrei fatto ricorso alle vie legali. Hai fatto una scelta e adesso ne devi pagare le conseguenze.”
“Hai ragione. Io domani pomeriggio riparto, perciò, se vuoi, posso firmare dopo la festa.”
“D’accordo. Ci vediamo più tardi all’ingresso.”
 
 
Theo non era pronto, per niente proprio. La carta del divorzio giaceva sotto i suoi occhi come una sorta di condanna a morte. Da dieci minuti non faceva altro che far scattare la punta della penna dentro e fuori, quel ticchettio gli impediva di urlare. Aranel, al suo fianco, lo fissava intensamente. La stanza era illuminata in parte da una grossa lampada e le parole sui documenti sembravano vibrare.
“Theo, continuare a rileggere il foglio non ti aiuterà. Devi firmare.”
“E se non volessi?”
Aranel inarcò le sopracciglia, quella domanda stava alimentando la sua rabbia.
“Stai scherzano? Tu mi hai lasciata, tu hai voluto mettere fine alla nostra relazione a adesso tu firmerai il divorzio!”
Theo lanciò la penna sul tavolo e sventolò il foglio in mano, quasi la stesse minacciando con un’arma. La ragazza si alzò a sua volta e cercò di riprenderselo, ma ogni tentativo era vano.
“Non ce la faccio a firmare!”
“Dammi quel foglio o giuro che ti uccido pur di farti firmare!”
“Io ti amo!” disse Theo, e quelle tre parole seguì un terribile silenzio. Aranel si era bloccata con la mano a mezz’aria, immobile come una statua di marmo. La sua espressione era indecifrabile e sembrava avesse smesso di respirare per qualche secondo.
“No, tu non puoi dirmi che mi ami! Non puoi, maledizione!”
“Sì, posso farlo perché è vero! Perché mi manchi, mi manca la persona che ero quando stavo con te, e perché non posso non amarti!”
Aranel sorrise amaramente, la delusione era bruciante come fuoco sulla pelle. Si portò le mani sui fianchi e gli diede le spalle, era scombussolata.
“Vattene, Theo. Non voglio vederti!”
“No.”
“Sparisci!”
Non appena Aranel si voltò, Theo ne approfittò e la baciò. Dopo un anno di lontananza quel bacio era come acqua nel deserto. Si strinsero per non lasciarsi più.
“Ti amo.” Ripeté Theo sulle sue labbra, facendola arrossire. Da troppo tempo non si sentiva amata e ritrovarsi attaccata a lui riaccese i sentimenti a lungo taciuti in un batter d’occhio.
“Ti amo anche io.”
Theo le strinse i fianchi e, continuando a baciarsi, arrivarono in camera, dove si stesero sul letto. Era un intrigante gioco di mani e di labbra, un susseguirsi di mani avide di toccarsi e di riscoprirsi. Aranel gli sbottonò la camicia con estrema lentezza senza mai lasciare le sue labbra, mentre Theo agguantava la cerniera dell’abito per sfilarglielo. Rivedendo quel corpo armonioso sotto al proprio, sorrise.
“Mi sei mancata, stellina.”
Aranel lo baciò ancora con irruenza, gli tolse anche i pantaloni e tornò ad accarezzargli languidamente il petto. Theo, nel frattempo, le tempestava di baci il collo e le clavicole, per poi scendere a lambire il seno e la pancia. Lei fremeva ad ogni tocco di quelle mani capaci di farle provare emozioni uniche. Quando Aranel gli sfiorò i muscoli dell’addome con le unghie curate, il ragazzo si fece sfuggire un gemito.
“Lo vedo che ti sono mancata.” Mormorò lei contro la sua spalla, ed entrambi ridacchiarono. Nonostante fosse trascorso un anno, il loro rapporto non era cambiato di una virgola. Liberi ormai da tutti i vestiti, si unirono nei corpi e nelle anime. Aranel, coinvolta nel momento di piacere, gli graffiò la schiena fino a fargli uscire qualche stilla di sangue. Vedendola impaurita, Theo scosse la testa e le sorrise.
“Tranquilla, guariranno in pochi istanti. Tu, però, continua.”
Sentire le unghie di Aranel affondargli nella carne era un godimento senza precedenti di cui non voleva privarsi, anzi voleva che lei perseverasse.
“Sei sicuro? Non voglio farti male.”
“Sì, ti prego, continua.” Esalò Theo, la voce roca ridotta ad un filo, e la ragazza capì che stava raggiungendo il limite. I loro corpi si fusero fino alle prime luci dell’alba quando, esausti e appagati, si addormentarono.
Erano circa le nove di mattina quando Aranel si svegliò consolata da un calore familiare. Girandosi, incontrò gli occhi chiari di Theo e il suo sorriso.
“Buongiorno, Raeken.”
“Buongiorno a te, stellina.”
Notando i documenti del divorzio sul pavimento, Aranel provò uno strano senso di pentimento.
“Che cosa abbiamo fatto?”
Theo, che era troppo felice per ragionare in modo razionale, le baciò la spalla la nuda.
“Abbiamo fatto l’amore per tutta la notte.”
“No, intendo che cosa abbiamo fatto alla nostra storia? Ieri sera avremmo dovuto divorziare.”
Il ragazzo allora si mise seduto, il lenzuolo a coprirgli a stento le cosce, e i gomiti puntellati sul cuscino.
“Come possiamo divorziare se ci amiamo ancora? Senti, lo so che è stata tutta colpa mia. Me ne sono andato come se volessi scappare da noi, ma la verità è che stavo scappando da me stesso. Viaggiare per l’Europa alla ricerca delle chimere è stato catartico, mi ha fatto capire che ho finalmente tagliato i ponti col mio oscuro passato e che posso andare avanti. Ho frequentato una ragazza, Sophie, negli ultimi quattro mesi, ma ci siamo limiti solo a dei semplici baci perché l’idea di condividere il letto con una donna che non fossi tu mi faceva ribrezzo. Prima di tornare a New York ieri mattina, l’ho lasciata perché sapevo che, rivedendoti, non avrei resistito. Ci ho provato a farmi da parte e a lasciarti andare, ma sono troppo egoista e troppo innamorato per farlo. So che è difficile, ma insieme possiamo funzionare ovunque e nonostante tutto.”
Theo era maledettamente abile con le dichiarazioni d’amore, Aranel doveva ammetterlo, ma doveva anche ammettere che aveva ragione sul rivedersi e non resistersi.
“E se invece si fosse trattato di una ricaduta? Di una semplice notte di sesso? Non voglio rischiare di stare di nuovo male.”
“Come può trattarsi di semplice sesso tra noi due, Aranel? Durante quest’anno i nostri sentimenti non sono mutati, forse si sono accresciuti. Ti supplico, proviamoci di nuovo. E proviamoci fino a quando non ci riusciremo.”
Aranel non aveva più parole, era stanca di parlare, così lo baciò. Theo approfondì quel bacio tirandola sopra di sé.
“Proviamoci di nuovo.” Sussurrò lei al suo orecchio, e il ragazzo poté sorridere senza alcun peso sul cuore. Ripresero a stringersi come poche ore prima, mani fameliche e baci bollenti.
“Aranel …”
Pronunciò quel nome in preda ad un brivido di puro piacere mentre Aranel iniziava a muoversi su di lui. La ragazza ridacchiò e poggiò i palmi aperti sul suo ampio petto.
“Come sei sensibile, Raeken.”
“E’ merito tuo, stellina. Tutto merito tuo.”
Quella domenica si consumò tra quelle lenzuola che li avevano visti unirsi un’infinità di volte, testimoni del loro amore.
 
 
Un mese dopo, ottobre,  New York.
Il cuore di Aranel batteva all’impazzata da quando, dieci minuti prima, era stata informata dall’ospedale che Theo era stato ricoverato a causa di un incidente. Adesso stava percorrendo la strada sino all’ambulatorio senza tener conto delle giuste precedenze e dei semafori, voleva arrivare il prima possibile. Era sabato sera, da ore aspettava che suo marito tornasse per andare a teatro, e, infatti, tutta quell’attesa l’aveva messa in agitazione. Certo, Theo era una chimera e si auto-rigenerava, ma non era sicuro che ci fosse una cura a tutti i mali. Mentre stava immaginando gli scenari peggiori, scorse l’insegna dell’ospedale e svoltò a sinistra per parcheggiare. Indossata la giacca e afferrata la borsa, si precipitò al primo piano, come le aveva indicato l’infermiera al telefono. Il reparto era affollato di malati e di personale medico, chi andava e chi tornava senza sosta. Seduto in un angolo, con il braccio destro fasciato, Theo scuoteva la mano per salutarla. Corse da lui e la prima cosa che fece fu pizzicargli le guance per assicurarsi che fosse davvero lui e che stesse bene.
“Ero così preoccupata per te!” esclamò, poi liberò un respiro profondo. Theo si slacciò la benda e le mostrò la pelle intatta, il sangue era solo un rimasuglio della ferita.
“Sto bene, tranquilla. Sono guarito.”
“Che cosa è successo?”
Si sedettero sulle sedie in sala d’attesa al riparo da orecchie indiscrete.
“Ero andato a fare benzina quando, sulla strada del ritorno, ho visto una bambina in mezzo alla strada e ho sterzato per non investirla. La macchina si è schiantata contro un albero e il finestrino è esploso, tagliandomi il braccio. Sebbene fossi frastornato dalla botta, sono sceso per soccorrere la bambina. Diamine, Aranel, ha solo quattro anni!”
Aranel lesse nei suoi occhi una tristezza tale da intenerirle il cuore. Rendersi conto che Theo provasse sentimenti anche per altre persone, esclusa lei, era sempre una vittoria.
“E sai perché si trovasse in mezzo alla strada? Ti ha detto qualcosa?”
“No, mi ha solo abbracciato fino all’arrivo della polizia senza dire nulla. Adesso la stanno visitando perché, stando alle prime dichiarazioni dei medici, non mangia a dovere da giorni.”
Aranel gli accarezzò la spalla con gentilezza, capiva che quell’ansia derivava dalla sua stessa esperienza di bambino sperduto.
“Theodor Raeken?”
Angela Moore stava in piedi dietro di loro, un fascicolo in mano e il taccuino nell’altra. Loro si avvicinarono e la seguirono nella stanza di uno dei medici del reparto.
“Si sente meglio?” domandò il detective, prendendo posto alla scrivania bianca e rovinata.
“Sì, era solo un graffio. Come sta la bambina? Ha parlato?”
“No, si è solo limitata a chiedere dove fosse il signore che l’ha salvata, cioè lei. Pochi minuti fa dalla centrale mi hanno comunicato che nel bosco, quello da dove la bambina è sbucata, è stato rinvenuto il cadavere di una donna. Si tratta di Alexis Mann, la madre della bambina. Pare sia morta di freddo nel tentativo di scaldare sua figlia. La bambina deve aver capito che qualcosa non andava e si è gettata in strada in cerca d’aiuto. Tra poco arriverà un’assistente sociale che si occuperà di lei.”
L’espressione di Theo fu una crepa nel muro che per anni aveva protetto il suo cuore dal provare affetto per altre persone oltre sua moglie.
“No! Ha appena perso sua madre e affidarla ad una casa famiglia è una pessima idea!”
“Signor Raeken …”
“Possiamo tenerla noi!” esclamò Aranel, e non si rese conto di cosa avesse detto fino a quando quel pensiero si tramutò in parole. Theo la guardò e nei suoi occhi chiari vi fu un’immensa gratitudine. La Moore, osservandoli, ci rifletté per qualche istante.
“La legge consente l’affidamento per una sola settimana, al termine dei sette giorni sarà lo Stato a provvedere.”
“Grazie mille, lei è davvero gentile!” disse Theo, stringendo la mano della detective.
“La bambina si trova nella stanza 104, andate da lei.”
La coppia si diresse nella stanza contrassegnata dal numero ed entrarono quasi a passo felpato. Non appena la bambina riconobbe Theo, gli corse incontro e gli abbracciò la vita. Il ragazzo, allora, si abbassò al suo livello e le scostò qualche ciuffo biondo dal viso. I suoi grandi occhi verdi erano tristi, sapeva che la sua mamma era volata in cielo.
“Ehi, piccolina, andrà tutto bene. Lei è mia moglie Aranel, è un po’ matta ma è una tipa apposto. Adesso ti portiamo a casa con noi, ti daremo una bella stanza e ti prepareremo una buona cena. Ci stai?”
Theo allungò la mano verso la bambina e lei, incerta, l’agguantò in una presa salda. Gli occhi di Aranel si commossero a tutta quella tenerezza e disperazione mescolate. Poi, dal nulla, la piccola prese anche la mano di Aranel.
“Andiamo.”
 
 
Un anno dopo, New York.
Theo non avrebbe mai immaginato che la vita potesse riservargli quella grande gioia e quella serenità che da un anno a questa parte stava vivendo. Insieme ad Aranel, avevano deciso di adottare Hazel, la bambina che lui aveva salvato. Dopo essere tornati dall’ospedale e aver annunciato la triste notizia, Hazel si era abituata a loro e loro erano contenti di averla in casa. Pian piano si era aperta, aveva detto il suo nome, aveva ripreso a frequentare l’ultimo anno di asilo e anche la psicologa si complimentava con loro per l’ottimo lavoro. Theo, però, aveva capito che per Aranel non si trattava di un affidamento temporaneo, si era affezionata troppo alla piccola per lasciarla andare. Era stato allora che, una domenica sera, aveva proposto alle due donne di casa l’adozione permanente. Entrambe avevano accettato con entusiasmo, in fondo tutti e tre avevano bisogno di una famiglia. Quella mattina si stavano dirigendo in tribunale per incontrare la psicologa, l’assistente sociale e il giudice che si occupavano del caso. Aranel, elegante nel suo tubino blu scuro, stringeva con foga i manici della borsa tanto da far impallidire le nocche. Al suo fianco, tranquilla e allegra, Hazel faceva dondolare i piedi nel vuoto, dato che la sedia era troppo alta per una bambina di soli cinque anni. Theo le accarezzò i capelli biondi intrecciati sulla nuca e lei gli sorrise, quegli occhi verdi gli trasmettevano sempre una dolcezza immensa. La porta dell’aula di tribunale si aprì e la psicologa fece loro cenno di entrare. Si sedettero di fronte al giudice, pronti all’interrogatorio. L’uomo, dal viso giallastro e i capelli radi, aprì una cartella e si infilò gli occhiali.
“Con la procedura numero 1276, a carico di Aranel Jones e Theodor Raeken, si richiede l’affido permanente di Hazel Watson. Adesso la psicologa e l’assistente sociale mi diranno quale sia stata la vostra condotta durante l’anno. Prego, colleghe.”
La prima a parlare fu la signora Penny, la psicologa che aveva aiutato Hazel a superare la morte della madre.
“Grazie, signor giudice. Ho seguito i signori e la bambina dall’inizio, abbiamo condotto un ciclo di sedute, sia individuali che di gruppo, e sono giunta alla conclusione che Aranel e Theodor siano la scelta migliore. Pertanto, ritengo che l’adozione sia idonea.”
Aranel sospirò, buttando fuori tutta l’aria che aveva trattenuto, ma non era ancora finita. Il giudice annuì, poi invitò l’assistente sociale, la signora James, a proseguire con la perizia.
“Anche io ho incontrato più volte la coppia e la bambina, sia insieme che singolarmente, ho visitato la loro abitazione, mi sono accertata dei loro precedenti penali e della loro condizione economica. Sebbene il signor Raeken abbia ricevuto più volte salate multe a causa di parcheggio indebito, sono sicura che sarà un ottimo genitore. In accordo con la dottoressa Penny, dichiaro l’adozione idonea.”
Il giudice, dall’alto della pedana, sorrise e marchiò la cartella con un timbro.
“Sono lieto di annunciarvi che da oggi Hazel Watson è Hazel Raken-Jones. Congratulazioni!”
Inutile dire che Aranel scoppiò in lacrime e Theo l’abbracciò stretta, entrambi sapevano che quello era il momento che aspettavano con ansia da un anno. Hazel si intrufolò tra di loro e li abbracciò entrambi, felice di avere finalmente accanto due persone che l’amavano. Finalmente potevano definirsi una famiglia.   
 
Un mese dopo, New York.
Aranel osservava il soffitto con un’insolita leggerezza nel cuore, che nell’anno precedente aveva scarseggiato a causa del mondo sovrannaturale. Theo, al suo fianco, la guardava sorridere e si sentiva felice. La casa era silenziosa, avevano da poco finito di fare l’amore, e a momenti si sarebbero dovuti alzare per partecipare ad un evento speciale. Quella sera Hazel avrebbe compiuto cinque anni e avevano organizzato una festa nel giardino di Amanda e Kabir.
“Secondo te le piacerà il regalo che le abbiamo fatto?” domandò, voltandosi appena verso suo marito. Theo aggrottò le sopracciglia, era una domanda davvero stupida.
“Come potrebbe non piacerle una casa delle bambole lavorata interamente a mano? E poi, ci è costata una fortuna e sarà costretta a dire che le piace.”
Aranel scoppiò a ridere perché, da quando la bambina era entrata nella loro vita, aveva disseminato bambole e vestiti dappertutto, e aveva sin da subito manifestato il desiderio di avere una casa delle bambole arredata nei minimi dettagli.
“Sei un idiota, Theo! Un regalo non si valuta in base al prezzo. In fondo, Hazel è una bambina eccezionale e si merita un regalo del genere.”
Era vero, Hazel era una bambina deliziosa. Era gentile, premurosa, ubbidiente ed educata, amava ascoltare gli altri, leggere e giocare, e soprattutto le piaceva andare a scuola per imparare cose nuove. Era radiosa e vitale, aveva portato in casa una luce tutta nuova. Theo le baciò la spalla, sorridendo contro la sua pelle un attimo dopo.
“Hai ragione, se lo merita. Però direi che è giunta l’ora di andare.” Disse, quindi si alzò e iniziò a vestirsi. Aranel rimase ancora un po’ a letto ad ammirarlo mentre si abbottonava la camicia, era talmente bello da farle venire i brividi come la prima volta che lo aveva visto. Dopodiché, notando di essere in ritardo, indossò velocemente un tubino bordeaux con lo scollo a barca e un paio di decolleté nere di vernice, si legò i capelli in una treccia e si sistemò il trucco. Hazel si trovava con Liam e Nadia, essendo ignara della festa, e loro avevano circa un’ora per andare a prendere la torta e portarla a destinazione.
 
 
“Esprimi un desiderio!” gridò Stiles dalla cerchia di persone intorno ad Hazel. La bambina era china sulla torta a forma di sirena e sorrideva alla folla, pronta a soffiare sulle candeline. Aranel e Theo stavano rispettivamente uno a destra e l’altro a sinistra, sorridenti e divertiti. Hazel diede un’occhiata ai volti familiari davanti a sé, non aveva mai avuto tanta gente che le volesse bene e riservò a tutti un sorriso raggiante. Strinse le mani dei suoi genitori e tornò a calarsi sulla torta, chiuse gli occhi e spense le cinque candeline. I presenti proruppero in fischi e applausi, mentre Liam e Scott lanciavano i coriandoli verso la festeggiata. Aranel strinse la piccola in un abbraccio caloroso e Theo scattò loro numerose foto. Mentre Roxy e Lydia iniziavano a distribuire le fette di torta, Malia e Mason raccoglievano i regali da mettere sul tavolo apposito. Da lontano, Scott e Stiles si lanciarono uno sguardo di intensa, alla fine anche un nemico si poteva tramutare in un amico.
“Grazie di tutto.” sussurrò Hazel all’orecchio della donna, che inevitabilmente si commosse e non trattene le lacrime.
“Su, stellina, non fare così!” la prese in giro suo marito, accarezzandole la schiena per calmare i singhiozzi. Hazel non li chiamava ‘’mamma’’  e ‘’papà’’ perché avevano stabilito che, poiché lei ricordava bene i suoi genitori biologici, era giusto che li chiamasse per nome, ma quel ringraziamento valeva più di qualsiasi etichetta. Theo abbracciò le due donne più importanti della sua vita e in cuor suo seppe di aver trovato la redenzione.
Aranel, Theo e Hazel erano legati da un vincolo indissolubile, quello della famiglia, che dava alla loro esistenza un tocco di luce.
 
 
 
Salve a tutti! ^_^
Alla fine tutto è andato bene, hanno avuto il tanto ‘happy ending’ meritato.
Vi fa piacere che abbiano adottato Hazel?
Vi aspettavate un finale diverso?
Qual è il vostro personaggio preferito?
 
NOTA BENE: per ora la storia di Aranel e Theo finisce qui. Non so se scriverò una terza parte, forse lo farò più in là, ma per ora credo di aver esaurito le loro avventure. Questo non è ovviamente un addio ai nostri beniamini, è solo un arrivederci.
 
GRAZIE DI CUORE A TUTTI COLORO CHE HANNO SEGUITO, LETTO, RECENSITO, MESSO TRA PREFERITI (… ETC) LA STORIA.
 
 
ALLA PROSSIMA,
UN GRANDE BACIO,
LA VOSTRA Lamy_
 
Ps. Perdonate eventuali errori di battitura.

 

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