Cassandra e Alexander-I figli di Roma

di Bellatrixdulac
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo I-Cassandra ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Appoggio le chiavi sul tavolino della sala e lancio lo zaino sul divano. Mi siedo con la schiena contro la poltrona e controllo i messaggi del gruppo WhatsApp della mia classe.
Domani ci sarà il primo incontro di calcio del torneo, nessuno ha capito la lezione di Inglese, ma domani portiamo storia o geografia? Perché devono darci lezione per l’ultimo giorno… le solite cavolate.
Non so perché, ma a me le solite cavolate piacciono. Mi sembra come se qualcuno me le avesse strappate via qualche tempo fa e ora me le avesse ridate indietro. Cosa assurda, visto che sono un normale studente quattordicenne che, finalmente, può frequentare il liceo.
-È pronto il pranzo, tesoro! - grida mia madre dalla cucina.
Mia madre ama cucinare, peccato che i piatti che cucina siano troppo sofisticati per me. Li mangio solo per farla contenta.
I sentimenti che provo verso mia madre sono molto contrastanti, comunque. Mi ricordo che fino ad un anno fa non facevamo altro che litigare, discutere anche sulle cose più futili, poi, a metà dell’estate scorsa, niente. So che lei era a casa con me, ma si è comportata come un’ombra per tutto questo tempo. Certo, andava ai colloqui con gli insegnanti, ma quando tornava a casa non urlava come ha fatto dalla prima elementare (io me la cavo quasi sempre con la media del sei, a volte strappo dei sette, tipo a ginnastica…), mi ripuliva la stanza, ma non dava di matto se vedeva i miei panni per terra… ma da due settimane sembra la madre perfetta. Mi vuole bene, non mi sgrida mai, mi riempie di regali e complimenti. Non capisco ancora la sua evoluzione, ma mi piace.
E poi la sento come “le solite cavolate”. Come se me l’avessero strappata via e ora, finalmente, l’avessi di nuovo.
Ho quasi guadagnato la cucina quando inciampo sul mio gatto.
–Chan!- esclamo io.
Il mio gatto si chiama Chan, tipico nome cinese, sì. Io non sono cinese. Sono il massimo dell’americano. La mia carnagione è pallida, anche se non sembra malata, solo simile a un norvegese o qualcuno del nord, ho i capelli marroni chiari, color del cioccolato al latte, costantemente pieni di nodi anche dopo averli pettinati. Gli occhi sono particolari. Neri. Profondamente neri. Mi ricordo che quando ero piccolo inquietavo i miei compagni di classe con il mio sguardo, ora non più. Forse perché ho imparato a nasconderli con un sorriso convincente.
Comunque il mio gatto lo abbiamo chiamato Chan perché, secondo mia madre, somiglia ad uno di quei gatti cinesi che ti salutano con la zampa. Dicono che portino fortuna, ma per ora il mio gatto ha solo cercato di farmi rompere l’osso del collo.
Chan si avvicina e mi lecca la mano, come per scusarsi.
–Sì, certo. Sei pentito, come no…-borbotto io alzandomi.
Lo abbiamo comprato solo la settimana scorsa, ma sembra già essersi affezionato a me e alla mamma.
Mia madre ha i miei stessi capelli ma ha la carnagione un po’ più scura e anche i suoi occhi sono diversi, marroni.
Mi metto seduto di fronte a lei poggiando l’IPhone ultimo modello, nuovo fiammante (mia madre lo ha comprato due giorni fa come premio per non essere ancora matematicamente rimandato), accanto al piatto e infilo la forchetta in quello che sembra pesce contornato da cibo strano, un qualche specie di cibo verde.
Saluto la mamma velocemente e mi volto verso la TV.
–Puoi togliere questo film?- sbotto –Lo sai che gli horror non li sopporto-
È vero. Odio i film di paura. Non sopporto la vista dei fantasmi, non so perché. Mi inorridisce pensare che delle persone morte possano tornare dal regno dei morti solo per perseguitare dei poveri sfortunati. E che non si possa fare niente per impedirlo. Per me c’è sempre un modo per impedire qualcosa, non credo nel destino. Tipo: domani c’è il compito di matematica e io non ho studiato, bene, scaldo il termometro affinché mia madre non mi mandi a scuola. Be’, poi mia madre mi mette una mano sulla fronte e sente che sono più freddo del ghiaccio e mi toglie il cellulare per una settimana, ma quella è sfiga, non destino.
-Come vuoi-sospira mia madre, mettendo sul telegiornale.
-Continuano le proteste dei lavoratori della fabbrica di auto di…- mia madre, chiaramente disinteressata agli operai di auto, interrompe la voce della reporter.
-Com’è andata oggi?-chiede.
-Bene-addento un altro po’ di pesce. Magari non gradisco il cibo complicato, ma quando hai tolto il contorno il pesce è solo pesce, e io, come al solito, ho un sacco di fame –La prof di inglese ci ha riempito di compiti anche oggi…-
-Ma domani è l’ultimo giorno, non può!- esclama indignata mia madre.
Io annuisco con foga –Già! Quello che sostenevo anche io! E poi, oggi mi dovevo incontrare con Phi…-
Mia madre annuisce comprensiva –Capisco. Tu vai da Phi e non fare i compiti che con la professoressa, se mai, ci parlo io-
E vai! Mi piace proprio questa nuova mamma.
-Ultime notizie- dice la voce della giornalista e io e mia mamma ci giriamo a guardarla –Sembra che sia stato appena ritrovato il relitto della Principessa Andromeda II. La nave, come ricorderete, è naufragata appena un anno fa per motivi ancora incerti. Si troverebbe appena al largo delle coste di Manhattan, vicino a Liberty Island-
Sento un brivido salirmi sulla schiena. L’estate scorsa New York è stata colpita da due incredibili sciagure. Quindici giorni prima era affondata una nave da crociera, portando a fondo con sé quattromila passeggeri più equipaggio. Il relitto della Principessa Andromeda II non era ancora stato trovato, fino ad oggi.
La compagnia che era proprietaria della nave ha annunciato che non battezzerà più alcuna imbarcazione con il nome della fortunata principessa greca, visto che, la prima nave a portare quel nome, era scomparsa per mesi per poi essere trovata affondata anni dopo. Proprio come la seconda.
Dopo il naufragio della nave una cellula terroristica aveva fatto esplodere il simbolo dell’America nel mondo, la Statua della Libertà. Fortunatamente non vi erano molti turisti nel monumento quel giorno e, alla fine, sono stati ritrovati solo tre corpi carbonizzati, forse quelli degli stessi attentatori.
-Poverini-scuote la testa mia madre –Deve essere terribile morire in un naufragio-
Io non trovo le parole per risponderle. A volte sogno di trovarmi su una nave che affonda, un mostro marino che attacca lo scafo e lo distrugge. Un uomo dai capelli neri e la pelle chiara come quella del mostro degli abissi (che credo essere io stesso, visto che abbiamo gli stesso occhi) mi indica ad un secondo uomo.
Il mostro mi afferra e mi trascina sotto l’acqua. Attorno a me sento la nave esplodere e i detriti spargersi per l’oceano, mentre i polmoni mi bruciano sempre di più, fino a quando non riesco più a trattenere il respiro e, involontariamente, il mio naso ispira, la mia bocca si apre, come per accogliere nei polmoni aria per riempire il mondo, ma entra solo acqua. Io la vorrei tossire, quel liquido salato che mi brucia la gola e il petto, che mi riempie la trachea e che mi soffoca, ma non ci riesco, ne entra solo altra, fino a quando non mi sento schiacciare anche dalla pressione, le mie gambe smettono di scalciare, le mie mani di cercare di graffiare il tentacolo e il buio dei fondali marini cattura anche me.
-Terribile- convengo io –Deve essere una delle morti peggiori-
Mia madre si volta e sorride debolmente –E adesso il dolce! Mi sembrava che ti piacesse la crema catalana, no?-
Io annuisco, cercando di cacciare le immagini della nave che affonda.
--
Mi sbottono il giacchetto leggero e lo infilo sotto il braccio. Oggi è veramente troppo caldo per tenerlo addosso, anche qui a Seattle.
Ci siamo dati appuntamento a Seattle Park e non è difficile individuare Phi. È un ragazzino magro e basso, avvolto in un giacchetto scuro, troppo pesante per questo clima. Si asciuga il naso con un fazzoletto e poi lo sventola in alto per farsi vedere.
-Ciao- mi saluta, io rispondo con un cenno del capo e un sorriso.
-Secondo me dovresti farti vedere da un medico, da quanto è che va avanti…-chiedo io indicando il naso rosso e gocciolante.
Lui starnutisce tanto forte che gli occhiali scuri quasi non gli cadono dal naso. Se li sistema e passa il fazzoletto sul viso per raccogliere il muco –Quattordici anni? Giorno più giorno meno?- sorride da dietro la carta bianca, che a forza di essere strofinata è diventata ruvida e credo che gli stia irritando il naso.
Comunque ha ragione, e io lo so per certo perché noi due siamo amici dai tempi delle scuole elementari, compagi di banco fin dal primo giorno. Sempre stati in classe insieme.
Si porta i capelli neri indietro con una mano, sono corti e decisamente meno ribelli dei miei, ma gli ricadono comunque dentro agli occhiali. Anche gli occhi sono scuri come i capelli, ma non neri come i mei. I suoi sembrano a volte marroni, a volte celeste scuro, a volte neri. Se mi ci fisso ci perdo la testa.
-Hai finito tutti i compiti? Ho sentito che gli altri sono ancora alle prese con Re Lear- chiedo io, anche se so già la risposta.
-Certo che sì- dice Phi con fierezza –Quel compito lo avevo già terminato tre giorni fa, ovviamente. Se lo vuoi ne ho una copia anche per te-
Un altro vantaggio di essere il suo migliore amico: non ho mai alzato penna per fare i compiti. Forse è per questo che nelle interrogazioni ho sempre peso insufficienze…credo che ci mediterò sopra.
Scuoto le spalle –Giustifica di mia madre. Credo che mi sia morto il gatto, oppure il dodicesimo nonno…-
Il sorriso di Phi si spegne e anche il mio. La cosa che ci ha legati fin da subito era l’assenza di uno dei genitori. Mio padre è morto quando ero piccolo, o ha abbandonato mia madre prima che nascessi, comunque non ricordo nulla di lui e mia madre non ne parla mai.
Nemmeno Phi ha mai conosciuto sua madre. Suo padre gestisce una libreria e forse è da lui che Phi ha preso l’amore per i libri e il sapere.
Mia madre, invece, lavora nel campo della cucina, ovviamente. Fa la cuoca in un famoso ristorante in centro. Quando doveva lavorare fino a tardi mi lasciva dormire da Phi. Io e lui ci nascondevamo sotto le coperte e leggevamo con una torcia elettrica e facevamo finta di star interpretando un testo antico che ci avrebbe portato ad un tesoro. A me piace pensare che quel tesoro fosse la nostra amicizia. Tranquilli, di solito sono meno profondo.
-Cosa ti va di fare?- chiedo io.
-Io devo andare a prendere il lucido per le selle- dice Phi.
-Philip Stevens- sbuffo io –Quanto deve andare avanti anche questa storia?-
Phi, in realtà, si chiama Philip. Fino alla seconda elementare lo chiamavo con il suo nome completo, come tutti, oppure Phil o Pip, ma quell’anno, a matematica, studiammo la sezione aurea. Lui era l’unico ragazzo di seconda elementare (e forse del mondo intero) a sapere che la lettera greca Phi si usava per indicare la sezione aurea. Da quel momento non ho ancora scoperto cosa diavolo sia la sezione aurea, ma ho rifilato questo soprannome al mio amico, ormai il suo nome o i soprannomi comuni per Philip non li usa più nessuno per lui, salvo gli insegnanti, e anche loro molto raramente.
-Al…-mormora lui implorante.
Phi ama i cavalli. Da sempre. Il suo sogno è quello di diventare un fantino. Peccato che suo padre, con il misero guadagno che ricava dalla libreria, non si può permettere delle lezioni di equitazione e tanto meno comprargli un cavallo. Ma lui non può fare a meno di andare al maneggio due o tre volte alla settimana e guardare gli altri che cavalcano, accarezzare dei cavalli.
Una nostra amica, Amanda Stefford, è la figlia del proprietario. In realtà non era nostra amica prima che iniziassimo a frequentare il maneggio e ci vediamo solo là o nei corridoi della scuola. Io la trovo un tantino snob, ma aiuta Phi. Gli ha anche fatto cavalcare un cavallo una volta.
Dovuta spiegazione. Ora vi starete chiedendo come la figlia di una campione di equitazione, il figlio di una chef di un ristornate a cinque stelle e…Phi possano frequentare la stessa scuola.
Io frequento una scuola come quella solo grazie alle amicizie che mia madre ha stretto a lavoro e, in ogni caso, la mia famiglia non se la passa male come soldi, non abbiamo una villa con campo da golf, ma abbiamo un appartamento con due stanze per gli ospiti e un enorme giardino sul retro.
Phi no. Suo padre arranca per pagare le bollette, una cosa che mi ha sempre fatto stare male. Quelli come Phi vanno alla scuola pubblica, si diplomano, al massimo, e poi vanno a lavorare. Per fortuna, o sfortuna, Phi è un genio. Ha vinto un sacco di borse di studio ed è arrivato in questa scuola di super snob solo grazie alla forza del proprio cervello e delle proprie capacità. Molti a scuola lo prendono in giro per questo, io invece lo rispetto. Credo che sia una delle persone più perseveranti che abbia mai conosciuto, anche se a vederlo così sembrerebbe insicuro e chiuso. Be’, lui è insicuro e chiuso. E a guardarlo così gli darei anche dodici anni, a essere gentili. Ma un libro non si giudica solo dalla copertina, e nel caso di Phi è un paragone particolarmente calzante.
-Andiamo- capitolo io.
Ci incamminiamo verso il negozio di animali più fornito di tutto il nord America, a parer mio. O forse sono solo io a non essere un esperto di animali e negozi dedicati, visto che prima di Chan non avevo nemmeno un pesce rosso.
Per forza, gli animali mi odiano. Soprattutto i cavalli, Amanda dice che sono una sciagura per gli affari di suo padre.
Apriamo la porta facendo suonare il campanello. Dentro fa più fresco che fuori, visto che il proprietario tiene accesa l’aria condizionata.
Phi starnutisce ancora e questa volta gli occhiali gli cadono a terra –Uffa…sono praticamente ceco senza occhiali…-mormora infastidito.
Mi chino e li raccolgo porgendoglieli, quando mi volto vedo un gatto arancione quasi d’orato sulla porta.
Mi avvicino cautamente –Chan? Che ci fai qui?- che stupido, parlo con un gatto! Comunque sembra proprio lui. Ha la stessa macchia sulla coda e, ora che mi avvicino per guardarlo meglio, vedo anche la sua targhetta.
-Quello non è il tuo gatto- dice la voce di una donna. Mi volto.
È solo la padrona del negozio, con il suo immancabile cagnolino nella borsa.
-Però sembrerebbe- interviene Phi –Ha anche la targhetta con scritto Chan-
-Forse dovrei chiamare mia madre e chiederle se vede il gatto in casa…- propongo.
La padrona del negozio ride –Non ho detto che non sia il gatto che tieni in casa- è grassa ed è vestita con una tuta tempestata di perle sgargianti in vetro colorato–Dico che quello non è un gatto-
Io rido e anche Phi –Coda, baffi, pelo…tutto direbbe il contrario- dice il mio amico.
La donna sogghigna –Io non credo, piccoli eroi-
-Eroi? Siamo solo venuti a comprare del lucido per selle- dico confuso, indietreggiando verso l’uscita.
-Ha ragione, io non sono un gatto e non mi chiamo Chan- dice la voce di un uomo alle mie spalle.
Sobbalzo. Avrà circa trent’anni, di origini asiatiche. Incocca una freccia in un arco e lo punta verso la donna.
-Che fai, Chan?- esclamo, troppo confuso per dire altro.
La donna ride e il suo corpo inizia a deformarsi.
-Non è una donna- spiega Chan.
-E ora vorrai dirmi che anche il cane non è un cane- ride Phi, anche se guarda terrorizzato la donna.
-No, il cane non è affatto un cane- conviene Chan –Spero che ne abbiate sentito parlare, il cane si chiama Chimera-




Angolo Autrice:
Ciao a tutti! Ho pubblicato la prima parte di questa serie più di un anno fa e sinceramente non credo che i lettori di quella storia siano ancora su EFP o nel fandom di Percy Jackson. Detto questo, ci tenevo comunque a concludere questa serie anche sono per mettere un punto ad una storia che mi ha tenuto compagnia per più di cinque anni. Se siete interessati a leggere questa storia, comunque, vi consiglio di passare dal mio account e dare un'occhiata alla precedente, dal momento che si tratta di una "Nuova generazione" e i protagonisti sono, ovviamente, gli OC che hanno portato avanti la parte precedente. Grazie per aver aperto questo capitolo e, se volete, lasciate una recensione!

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Capitolo 2
*** Capitolo I-Cassandra ***


-Cassandra- trilla una voce all’entrata della casa sette, destinata ai figli di Apollo, dio greco della medicina, poesia, profezia, tiro con l’arco, sole, palla a canestro… e un sacco di altre cose che sto ancora imparando.
Già, perché io sono Cassandra Williams, figlia di questo odioso dio. A dire il vero, dall’anno scorso, ho imparato ad accettare di più Apollo, dopo averlo perdonato per un paio di errori che aveva commesso. Ma lo considero ugualmente abbastanza irritante.
Poso il libro di poesie sul letto e alzo lo sguardo per guardare l’ingresso.
Una ragazza un anno più grande di me (io ho quattordici anni) entra tra le mura completamene rivestite d’oro. Ha i capelli biondi raccolti in una coda dietro la testa, anche se di solito porta una treccia, credo di non averla mai vista con i capelli sciolti.
È la mia migliore amica, nonché sorellastra da parte di padre, Jane Stone.
–Sì?- chiedo stancamente, anche se prevedo le sue prossime parole.
Io e lei ci assomigliamo, come tutti qua dentro, ma veramente poco per essere sorelle. Lei ha gli occhi marroni e i capelli biondo scuro, in alcuni punti del colore del caramello. I miei occhi sono dello stesso identico colore dei capelli: quello dell’oro. Lei è alta e magra, io magra e bassa.
-Il Capo del Campo ti vuole vedere- dice lei guardandomi come se mi stesse compatendo. Cioè, lei mi sta compatendo. E anche io la farei se si trovasse nella mia stessa situazione.
Sbuffo e ripongo il libro sullo scaffale. Tutta la nostra casa è rivestita d’oro e di giorno brilla come il sole, mentre la notte la casa otto, quella riservata ad Artemide (causa principale di scomparsa di ragazze dalla nostra casa e dal Campo in generale) risplende come la luna. All’ interno tutte le pareti sono tappezzate di archi e faretre, scaffali pieni di libri di poesie. Potrebbe sembrare pacchiano e pesante, visto che tutto è rivestito dal metallo prezioso, in realtà mette solo la gente di buon umore, grazie anche alle grandi finestre che fanno entrare una grande quantità di luce naturale nella stanza.
Tutti, qua dentro, amano leggere e scrivere poesie, sono bravi a tirare con l’arco e a medicare la gente e, ogni tanto, qualcuno viene maledetto con il dono della profezia, come me e Jane.
Io, nella mia vecchia scuola, vincevo ogni genere di concorso letterario di natura poetica, anche se sono dislessica (e iperattiva, sarebbero i riflessi e l’abilità di leggere il greco antico dei mezzosangue, in realtà), ma ora non posso più partecipare. Quest’anno ho frequentato il primo anno di liceo concentrandomi su materie scientifiche, vista la mia naturale inclinazione verso il mondo della medicina, ma, purtroppo, la poetica non è una dote che interessa molto là. Oltretutto, senza i miei genitori, non mi posso nemmeno permettere la retta di una scuola privata e sono costretta ad andare a quella statale.
I miei genitori. Mia madre e mio padre (l’uomo che mi ha cresciuta, che per me c’è sempre stato, che mi ha aiutato a fare i compiti, mi leggeva le storie per farmi addormentare, insomma, quello che a tutti gli effetti era mio padre, ma era solo il marito di mia madre) sono morti nel naufragio di una nave da crociera l’anno scorso, il giorno in cui ho scoperto di essere figlia di Apollo. In realtà non ho mai perdonato il dio per non aver fatto niente per salvarli, ma vorrei veramente averlo fatto, quindi penso che sia lo stesso.
-Ha un nome, il “Capo del Campo- replico io alzandomi.
Jane sorride un po’ incerta –Questo vuol dire che…-
-No- la interrompo io –intendo dire che non devi avere paura di pronunciare il suo nome in mia presenza. Sei amica di entrambi, non c’è bisogno che scegli con chi parlare-
Jane annuisce poco convinta e mi segue verso la Casa Grande.
-Non c’è bisogno che mi segui, non scappo mica- le faccio notare io.
Lei alza gli occhi al cielo –Ma sono tua amica, gli amici servono a questo-
-A proposito di amici- dico io per cambiare discorso –Dov’è William?-
-Credo che sia a dare lezioni di tiro con l’arco ai bambini. Facciamo un po’ a turno, ora. Da quando non c’è più Percy a dirigere il Campo non ha senso stare a baciare Emily tutto il giorno e ha dovuto trovare altro da fare-
Ridiamo entrambe.
Percy Jackson. Il grande eroe. Era diventato capo del Campo Mezzosangue, unico luogo sicuro per noi semidei greci, prima che io vi arrivassi, solo per controllare chi entrava ed usciva per scovare e uccidere un figlio di Ade che, secondo la lettura erronea di una profezia, avrebbe distrutto il mondo.
Ovviamente alla fine di tutta la storia io sono riuscita a salvare il mondo, anche se con l’aiuto di molte persone e morendo. Comunque ora sono qui.
-Allora ti lascio- dice Jane di fronte alla Casa Grande –Quando hai finito vieni alla casa…-
Sbuffo ancora –Non credo che sarà un interrogatorio che prevede la tortura, Jane!-
Lei lancia un’occhiata scettica alla porta e se ne va.
Io faccio un respiro e entro nella casa. Da quando il nuovo Capo del Campo si è insediato la Casa Grande è diventata un centro di videogame ultimo modello, anche se in realtà l’unica che ne usufruisce regolarmente è Sarah Davies della casa di Demetra. Scavalco un groviglio di cavi e cerco di raggiungere una sedia di fronte alla scrivania.
-Ciao Cassandra-dice una voce dall’altro lato. Qualcuno tira una tenda di fronte a me facendo entrare, finalmente, un po’ di luce dentro alla stanza. I miei occhi impiegano qualche secondo, ma alla fine vedo chiaramente il ragazzo che sta di fronte a me.
Alto, muscoloso quanto basta, occhi azzurri, capelli biondi e una cicatrice che gli solca il lato sinistro della faccia, ricordo di un’altra vita, letteralmente.
-Luke- dico molto asciutta io.
Lui ispira e si mette a sedere –Hai fatto qualche sogno a proposito di…-
-No- rispondo secca –Sappiamo entrambi che non mi hai chiamato per i miei sogni e, comunque, se sognassi non saresti il primo a cui lo verrei a dire. Andrei da Sarah, Nico o…-
-Perché fai così?- chiede Luke guardandomi con l’aria da cucciolo bastonato. Ripenso all’ ultima volta che mi ha fissata così, quando eravamo a Manhattan e io stavo per andare con Nico di Angelo alla Statua della Liberà…mi tolgo l’immagine dalla mente assieme alla fitta dolorosa al cuore. Quella volta pensavo che non lo avrei più rivisto, come non avrei più rivisto Jane, Will, il Campo…e invece sono ancora qui, solo grazie a Luke che ha insistito per avere dei doni da Ade.
-Lo sai perché- il mio tono si addolcisce un po’.
Luke stringe le mani per mantenere la calma –Credi che non sia abbastanza grande da capire cosa voglio, Cassandra? Se volessi fidanzarmi con Annabeth credi che non sarei in grado di capirlo?-
-No-
Luke è il mio ex-ragazzo. Ci siamo messi insieme l’estate scorsa, durante la mia prima missione, quella conclusa con lo scoppio di Liberty Island. Siamo rimasti insieme fino al mese scorso, quando io l’ho lasciato.
Io lo amo e lui mi ama. Quindi dov’è il problema? Il problema si chiama Annabeth Chase, la brillante figlia di Atena.
Ha circa trentacinque anni e, per una serie di incredibili eventi, sarebbe più piccola di Luke, la sua migliore amica di infanzia. Uno dei suoi primi amori. Ora che Percy è morto, il vecchio ragazzo di Annabeth, non ci sarebbe nessuno che possa impedire a Luke di mettersi con lei. Nessuno tranne me. E io lo conosco, non mi lascerebbe se non fossi io a lasciare lui, ma non posso costringerlo a stare con me se lui vuole Annabeth.
Non sono gelosa, io credo che possa essere definito un gesto altruista. Però Luke non ha intenzione di ringraziarmi per quello che ho fatto per lui, perché crede di soffrire senza di me.
-Cassandra- sospira lui.
Proprio in questo momento la porta si spalanca ed entra una ragazza. È alta, anche per avere diciassette anni, ha i capelli marroni come il terreno bagnato raccolti in una treccia scomposta. I bellissimi occhi verdi sono rossi per la stanchezza e cerchiati di nero.
-Ho saputo che Cassandra è stata convocata qui…sapete qualcosa…- chiede con il fiato corto.
Luke fa cenno di no con la testa –Ma come Capo del Campo ti giuro che stiamo facendo tutto il possibile per ritrovare Alexander…-
-Lo so- annuisce Sarah.
-Ti vuoi sedere?- chiedo io alzandomi.
Luke è stato nominato Capo del Campo in quanto Mezzosangue più anziano dopo la morte di Percy. Tecnicamente avrebbe quasi quaranta anni, anche se ne ha vissuti solo meno di venticinque e ne dimostra diciannove. Perciò avrebbe vinto il titolo anche se ci fossero ancora mezzosangue adulti al Campo. Il fatto è che non ci sono, a parte Nico di Angelo, che comunque attualmente è impegnato nelle ricerche del fratello e Leo Valdez, che si fa vedere molto raramente ed è troppo preso dalla sua ragazza immortale per fare attenzione al Campo.
Non che Luke non avesse offerto loro di rimanere, ma le loro esigenze erano diverse dalla offerte del Campo. La maggior parte di loro è sposata o ha dei figli, come Jason e Piper, cha hanno avuto la piccola Christina appena due mesi fa, e hanno deciso di trasferirsi a New York.
Quindi, attualmente, al capo ci sono solo ragazzi. Ma questo non vuol dire che i Mezzosangue adulti non abbiano il loro bel da fare. Due settimane fa è scomparso un ragazzo del Campo, uno degli eroi dell’ultima battaglia, colui che ha assistito alla caduta della Madre Terra, Alexander Johnson, figlio di Ade. Il ragazzo di Sarah.
-No, credo che andrò a fare un giro- dice lei con sguardo perso oltre la schiena di Luke.
-Hazel e Nico hanno trovato qualcosa?-si informa il ragazzo.
Sarah scuote la testa –No, ma almeno so che non è morto. È già qualcosa credo…-
Io cerco di fare un sorriso di partecipazione e incoraggiamento, ma mi sento troppo triste per lei.
Mi ricordo quando anche lei era morta e Alexander l’ha riportata in vita, come mia sorella ha fatto con me. Jane, che sarebbe sorella di Sarah da parte di madre, mi ha raccontato la storia di Steffi Stone, il vero nome di Sarah, e posso immaginare quanto sia stato d’aiuto che Alexander non le avesse voltato le spalle appena l’aveva scoperta. Quel ragazzo doveva essere veramente innamorato di Sarah, come lei lo era di lui, e non riesco a immaginare un solo motivo per cui lui non avrebbe cercato di contattare almeno lei, se non i fratelli: Hazel e Nico. A meno che non sia nelle condizioni di non poterlo fare…ma non mi sembra opportuno pensare in maniera negativa. Ci potrebbero essere decine di motivi, no?
Sarah fa un cenno col capo e esce dalla Casa Grande chiudendosi la porta alle spalle.
Io sono già in piedi e rivolta verso la porta, quindi non devo neppure guardare Luke mentre mi allontano.
-Cassandra, è per qualcosa che ho fatto? Perché non mi dici la verità?- la voce di Luke è quasi incrinata da lacrime di frustrazione.
Impiego tutta la mia forza di volontà per non voltarmi e sorridere e dirgli che non lo volevo lasciare –Te l’ho detta, la verità. Tu e Annabeth siete fatti per stare insieme e…-
-Annabeth ha trent’anni, io ne ho diciannove. E poi sarebbe strano per tutti e due, dopo quello che ci ha divisi nella scorsa guerra…aveva ragione lei. Siamo fratelli io e lei. Solo fratelli. È te che amo- dice quasi implorandomi.
Stringo la mascella per costringermi a non voltarmi –Ma io no- il mio cuore perde un battito. Non sono abituata a mentire, non su cose così importanti, non quando mentire fa tanto male, non a Luke –Non conta quello che voglio io?-
Non aspetto nemmeno la sua risposta e schizzo sopra al groviglio di cavi chiudendomi la porta alla spalle e appoggiandomici contro per riprendere fiato. Sento che quello che ho detto mi sta tracciando un piccolo solco nel cuore, andando ad allargarne solo uno che già sto scavando da settimane, da quando ho deciso di lasciarlo.
Mi accorgo di aver scambiato le ultime battute in apnea e aspetto che i polmoni si riempiano di nuovo, il petto smetta di alzarsi e abbassarsi tanto velocemente, il mondo smetta di cercare di fuggire dal mio campo visivo.
Quando sono abbastanza sicura di non avere più la faccia troppo sconvolta esco dalla tettoia della Casa Grande. Jane mi aveva detto che mi avrebbe aspettata alla casa 7. Credo che andrò da lei, anche se non ho troppa voglia di parlare, ora. Jane saprà tirarmi su sicuramente. Decido di fare il giro lungo e passare dal retro della Casa Grande. Svolto ad occhi chiusi, ancora cercando di scacciare il ricordo della voce di Luke con quel tono tano implorante, che nelle mie orecchie suona d’accusa.
Quando li riapro rimango ghiacciata sul posto. Di fronte a me vedo una donna alta circa sei metri, vestita con una tunica greca. Ha uno scudo appoggiato alla gamba, una lancia dal quale risale un serpente. Su una mano tesa poggia una piccola figura alata. Mi accorgo a malapena che non può essere una persona vera, visto che parte del suo corpo brilla d’ oro e l’altra somiglia ad avorio e che la sua tunica non si muove, non sbatte le palpebre e non respira. Me ne accorgo a mala pena perché tutto si fa nero in un attimo mentre riesco solo a sentire il mio cuore che batte troppo veloce e in modo troppo doloroso, e la mia bocca che si apre mentre i polmoni si svuotano, e non mi sembra di sentire alcun suono mentre tutto scompare.


Angolo Autrice:
Per prima cosa voglio puntualizzare che procederò sempre pubblicando due capitoli alla volta però, come potete vedere, solitamente sono molto corti (circa tre pagine su word) quindi mettendoli insieme si può raggiungere una lunghezza accettabile. Inoltre non ho un giorno fissato per pubblicare ma probabilmente non sarà tutti i giorni, anche se mi preoccuperò di farlo almeno un paio di volte alla settimana.
Se avete letto la prima storia della serie avrete notato che adesso sto utilizzando un altro tempo verbale. Questo perché nell'epilogo precedente ho utilizzato il tempo presente e...insomma, non mi piaceva l'idea di tornare al passato. Oltretutto questa storia presenta molte rotture rispetto alla storia precedente (nella trama, nei nemici, nei personaggi, nell'ambientazione e anche nei protagonisti stessi) e molte di queste rotture si manterranno anche nelle prossime parti di questa storia. Per questo, anche attraverso il tempo verbale, mi piaceva distinguere chiaramente le due parti di questa storia.
Oltretutto, anche per le novità introdotte, mi pare che il primo "libro" della serie sia più simile ad una specie di back story per tutti i personaggi e in particolare per Alex, in misura minore anche per Cassandra. Ad ogni modo, dal momento che mi sarebbe piaciuto cimentarmi nel'impresa di tradurre questa storia in inglese (con alcuni aiuti, ovviamente) il tempo presente è estremamente più facile da usare. Quindi, sì, la mia ignoranza in fatto di grammatica (sopratutto inglese) è uno dei motivi di questa scelta.
Dette questo, spero che la storia vi stia incuriosendo, almeno ai pochi di voi che la stanno leggendo o leggeranno ;).

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