Knight Deadliest Rider

di evelyn80
(/viewuser.php?uid=659169)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un nuovo peschereccio ***
Capitolo 2: *** Pescatrici in incognito ***
Capitolo 3: *** Una cena difficile da digerire ***
Capitolo 4: *** Che la pesca cominci ***
Capitolo 5: *** Prime indagini ***
Capitolo 6: *** Cominciano i guai ***
Capitolo 7: *** Mary si innamora ***
Capitolo 8: *** I soliti sospetti ***
Capitolo 9: *** Obiettivo sbagliato ***
Capitolo 10: *** La situazione degenera ***
Capitolo 11: *** Non solo spiegazioni ***
Capitolo 12: *** Ladra per una notte ***
Capitolo 13: *** L'ultimo inseguimento ***
Capitolo 14: *** Missione compiuta ***



Capitolo 1
*** Un nuovo peschereccio ***


Spazio autrice:
Ho iniziato a scrivere questa storia circa sei o sette anni fa, arrivando più o meno fino a metà. Poi, vuoi per mancanza di tempo, vuoi per mancanza di ispirazione, l’ho abbandonata a se stessa. Fino a poco tempo fa, quando l’ho ritrovata quasi per caso e ho deciso di portarla a termine. Quindi è molto probabile che si possa notare un cambiamento di stile da un certo punto in avanti.
Questa storia è un cross-over tra Supercar e Deadliest Catch, il docu-reality tuttora trasmesso su Discovery Channel. Per quanto riguarda Supercar, ho creato un ipotetico futuro post-Devon, mentre per Deadliest Catch mi sono ispirata alla settima stagione, quella che veniva trasmessa in tv quando ho iniziato a scrivere la storia.
Per questo motivo, il mio K.I.T.T. è molto, molto particolare, anche in funzione di ciò di cui parla il docu-reality.
Per concludere questa prefazione, vi lascio i link alle immagini dei protagonisti di Deadliest Catch che compaiono più volte nella mia storia, se ci fosse qualcuno che non ha mai visto il programma.
Northwestern: (da sinistra a destra: Jake Anderson, Matt Bradley, Edgar Hansen, Sigurd Hansen, Norman Hansen, Nick Mavar)
http://r.ddmcdn.com/w_624/s_f/o_1/cx_0/cy_17/cw_624/ch_416/DSC/uploads/2014/05/northwestern-pictures0.jpg
http://r.ddmcdn.com/w_2594/s_f/o_1/cx_0/cy_0/cw_2594/ch_1729/DSC/uploads/2014/05/01-northwestern-2600.jpg
Time Bandit: (da sinistra a destra: Neal Hillstrand, Andy Hillstrand, Johnatan Hillstrand, Scott Hillstrand)
https://www.tvovermind.com/wp-content/uploads/2017/09/deadliest-catch-48.jpg
http://giddingsboatworks.com/wp/wp-content/uploads/2014/04/timebandit_1024.jpg
Ramblin’ Rose: (Elliott Neese)
https://i.pinimg.com/originals/82/eb/6b/82eb6b6ed7cabdbbf33ed8c5485fce75.jpg
https://winnebagolife.com/wp-content/uploads/2016/11/0019.jpg
Kodiak: (Bill Wichrowski in primo piano)
http://r.ddmcdn.com/w_625/s_f/o_1/cx_0/cy_17/cw_625/ch_417/DSC/uploads/2014/05/kodiak-pictures0.jpg
http://r.ddmcdn.com/w_624/s_f/o_1/cx_0/cy_17/cw_624/ch_416/DSC/uploads/2014/05/kodiak-pictures2.jpg
Cornelia Marie: (da sinistra a destra: Jake e Josh Harris)
http://blog.coreyfishes.com/wp-content/uploads/2011/05/1104_people1.jpg
https://i.pinimg.com/originals/dc/41/39/dc41395e635c1aa78c3b38cae7a0463e.jpg


 
Dedicata a Jarmione, che mi segue sempre nelle mie pazzie


 
Un nuovo peschereccio


Era il 16 di ottobre: una delle ultime splendide giornate d’autunno nell’arcipelago delle isole Aleutine. I capitani e gli equipaggi dei molti pescherecci dediti alla pesca dei granchi ultimavano con fervore, e velato buon umore, i preparativi per l’imminente partenza. La mattina successiva si sarebbe aperta la stagione autunnale di pesca ai granchi reali.
Un solo uomo faceva eccezione nell’atmosfera di entusiasmo generale: Sig Hansen, capitano del motopeschereccio Northwestern.
L’uomo era seduto sulla sua poltrona nella timoniera a fumare la terza sigaretta degli ultimi dieci minuti, aspirando a grandi boccate ed esalando in secchi sbuffi. Le sue bionde sopracciglia erano aggrottate sopra gli occhi color blu cupo che mandavano lampi di furore. Afferrò la tazza di caffè piena fino all’orlo, ma le sue mani tremavano per la rabbia. A metà strada il contenitore gli sfuggì e la bevanda bollente gli finì sui pantaloni.
Il capitano imprecò a gran voce in Norvegese, la sua lingua natia, mentre si alzava di scatto dalla poltrona. Tentò inutilmente di scuotersi il caffè di dosso, con l’unico risultato di farsi cadere la sigaretta accesa sulla camicia che prese immediatamente a fumare. Con un’altra bestemmia, l’uomo fece rotolare via il mozzicone che finì a terra, dove fu schiacciato sotto il tacco delle sue scarpe.
Furibondo e bruciacchiato, Sig scese dalla timoniera nella cambusa, dove si scontrò con uno dei suoi fratelli minori, Edgar, che stava controllando le loro scorte di viveri ammucchiate nel grande frigorifero. Il più giovane alzò lo sguardo sul fratello e l’apostrofò: “Ehi, Sig, sei un disastro! Cosa fottuto diavolo ti è successo?!”.
L’uomo rispose con un grugnito, chiudendosi nella sua cabina per cambiarsi. Ne uscì dopo pochi minuti con in mano gli indumenti rovinati. Sbatté i pantaloni nel cesto della biancheria sporca e la camicia, irrimediabilmente bucata dalle braci della sigaretta, nel bidone della spazzatura.
“Si può sapere cosa diavolo ti è preso?! Ti ho sentito maledire Odino, prima…”, commentò Edgar, con la testa infilata nel freezer.
“Mi ha telefonato quello stronzo di Jeremy!”, esclamò Sig, riferendosi al loro grossista, lasciandosi cadere seduto sullo sgabello fissato dal lato obliquo del tavolo. “Ha detto che la Trident ha deciso di assumere un nuovo peschereccio, perché le richieste di granchi sono molto aumentate, ultimamente. E mi ha chiesto di fargli da “nave appoggio”! Che pezzi di merda!”, imprecò ancora, rivolto alla fabbrica ittica per la quale lavorava.
“E allora?!”, chiese il fratello, emergendo dal cassetto del congelatore che stava esaminando per lanciargli un’occhiata obliqua. “È una prassi normale, non è la prima volta che lo facciamo. D’altronde, tu sei il capitano della flotta della Trident con più anni di esperienza alle spalle”.
“Sì, ma il fottuto problema è che questo cazzo di nuovo peschereccio e tutto il suo equipaggio vengono dalla California! Dalla fottuta California!”, esclamò ancora il capitano. “Non hanno una cazzo di idea di cosa significhi pescare d’inverno nel Mare di Bering! Alla prima lieve mareggiata ci ritroveremo con un gruppo di fottuti mozzi balbettanti e piangenti! Io non sono pagato per fare da balia ad un cazzo di capitano, ma per pescare granchi!”. Sig concluse la frase sbattendo il pugno sul tavolo.
“Perché non hai rifiutato?”. La voce del minore dei fratelli Hansen giunse attutita dalle profondità del frigorifero.
“Perché quel pezzo di merda di Jeremy mi ha fatto capire chiaramente che, dai vertici, tengono personalmente che sia io ad occuparmi di questi nuovi arrivati, e che se mi fossi rifiutato avrebbero potuto dimezzarci la quota di pescato! E meno fottuti granchi significano meno fottuti soldi!”.
“Non fasciarti la testa prima di essertela rotta”, lo consigliò Edgar, raddrizzandosi e chiudendo lo sportello del frigo. “Non è detto che siano così privi di esperienza”.
Sig rispose con un grugnito e una smorfia. Si accese un’altra sigaretta e si alzò.
“Jeremy mi ha detto che sono già qui a Dutch Harbor, e che mi aspettano all’Elbow Room per fare conoscenza. Prima mi tolgo il fottuto dente e meglio è! Ci vediamo più tardi”.
Prese la sua giacca a vento blu dall’armadietto e uscì sul ponte, sbuffando fumo come una ciminiera. Edgar lo seguì fin sulla porta. Il capitano passò in mezzo ai suoi uomini senza dire una parola, scuro in volto, e salì agilmente sulla banchina. Poi piegò a sinistra in direzione dell’Elbow Room, l’unico bar di Dutch Harbor.
I marinai si fermarono per un attimo a guardarlo, sconcertati, poi si volsero tutti verso Edgar che stava ancora ritto sulla soglia.
“Dove va così di corsa? E perché sembrava che avesse un nuvolone al posto delle sopracciglia?”, chiese Jake Anderson, il marinaio più giovane della Northwestern. Edgar raccontò loro la storia della telefonata di Jeremy, e suo fratello Norman, il mezzano dei tre, commentò: “Prevedo tempi cupi…”.
Nick Mavar e Matt Bradley, gli altri due marinai del peschereccio, annuirono prima di riprendere il loro lavoro.

Il peschereccio che tanto aveva fatto inalberare il capitano Hansen era ormeggiato un centinaio di metri più avanti. L’uomo capì subito che si trattava proprio di quello perché, oltre a non averlo mai visto prima, era anche il peschereccio più strano e ridicolo su cui avesse mai posato gli occhi.
Era di gran lunga più corto della sua Northwestern, misurava circa una ventina di metri, a occhio e croce, e somigliava più ad un grosso motoscafo che non ad un’imbarcazione da pesca. Lo scafo era dipinto interamente di un nero lucido e brillante, anche se era quasi impossibile distinguerne il colore di fondo sulle pareti della timoniera, che erano decorate da un enorme disegno ad aerografo. Il nome del peschereccio spiccava sulle fiancate, scritto in rosso in uno strano carattere: “Knight Rider”.
Andiamo bene…”, pensò Sig, sbattendosi una mano sulla fronte. “Oltre ad essere californiani, devono anche essere appassionati di quel telefilm!”. Una seconda occhiata alla timoniera confermò i suoi sospetti. Il disegno rappresentava scene di Knight Rider, e per la precisione la “base mobile” della Fondazione sul lato di dritta, K.I.T.T. in volo sopra K.A.R.R. al centro, sotto le finestre della timoniera, e Goliat all’assalto sul lato sinistro. A completare il tutto, sulla prua dell’imbarcazione faceva bella mostra di sé uno scanner, in tutto e per tutto uguale a quello dell’automobile protagonista del telefilm.
Sig lo conosceva bene: sia lui sia i suoi fratelli minori avevano seguito quel serial. All’epoca avevano quindici, quattordici e dieci anni rispettivamente, e anche loro si erano appassionati alle avventure di Michael e K.I.T.T., ma ritrovarlo su un peschereccio era alquanto ridicolo.
Con un’altra smorfia, lanciò la sigaretta ormai consumata contro la fiancata dell’imbarcazione e si voltò per attraversare la strada e andare all’Elbow Room. Si fermò però per un istante, guardando il peschereccio da sopra la spalla sinistra: avrebbe giurato di aver sentito qualcuno schiarirsi la voce. Ma a bordo non vide movimento alcuno, così si strinse nelle spalle e riprese a camminare.
Una volta all’interno del locale l’uomo si guardò intorno, in cerca del capitano del Knight Rider. L’Elbow Room era abbastanza affollato. Ormai molti degli equipaggi avevano terminato i preparativi per la partenza e si stavano godendo un drink, in attesa della cena beneaugurante che si sarebbe tenuta quella sera.
Salutò Keith e Monte Colburn – capitano e nostromo della Wizard – che erano seduti su due sgabelli al bancone del bar, diede uno scappellotto scherzoso a Andy Hillstrand – co-capitano della Time Bandit, che era seduto ad uno dei tavoli con i fratelli Johnatan e Neal, il nipote Scott ed il resto della sua ciurma – facendogli volare via il cappello da cowboy che aveva in testa, e lanciò una voce a Josh e Jake Harris – proprietari della Cornelia Marie e figli del compianto capitano Phil Harris, migliore amico di Sig, passato a miglior vita quasi due anni prima – che stavano bevendo una birra ciascuno appoggiati contro il grande caminetto che riscaldava la sala.
Ad un tavolo d’angolo, lontano dalla marmaglia di gente, vide infine tre ragazze sedute, ciascuna con davanti un bicchiere, che chiacchieravano animatamente tra loro. Tutte e tre indossavano una felpa con cappuccio nera, con il nome “Knight Rider” ricamato in rosso all’altezza del cuore. Capì quindi immediatamente che facevano parte dell’equipaggio di quello strampalato peschereccio e ciò lo mandò, se possibile, ancora più in bestia: non solo avrebbe dovuto fare da balia a dei novellini del Mare di Bering, ma tre di quei novellini erano donne!
Le osservò attentamente mentre si avvicinava con studiata lentezza al loro tavolo. La ragazza alla sua sinistra era la più alta delle tre: aveva corti capelli biondi legati in un piccolo ciuffo sbarazzino e gesticolava molto mentre parlava e beveva il suo rum e cola. Quella alla sua destra era, viceversa, la più bassa, con lunghi capelli castano-rossicci e ricci, tenuti fermi dietro la testa da un’enorme pinza che ogni tanto risistemava tra un sorso di birra scura e l’altro. Quella in mezzo aveva lunghissimi capelli castano scuro, legati in una stretta treccia, che continuava a lisciarsi quando non assaporava la sua vodka alla frutta. La prima e l’ultima portavano gli occhiali, e tutte e tre avevano una corporatura che non si poteva proprio definire esile, anche se erano tutt’altro che grasse.
Il capitano Hansen finì la sua osservazione proprio mentre raggiungeva il tavolo. Tutte e tre le ragazze smisero di parlare ed alzarono gli occhi su di lui.
“Sì?”, chiese quella in mezzo.
L’uomo affondò le mani nelle tasche della giacca a vento e cominciò a parlare.
“Sono il capitano Sig Hansen della Northwestern. Il mio grossista mi ha detto che il vostro peschereccio è stato appena assunto dalla Trident e mi ha chiesto di farvi da nave appoggio. Sono venuto a conoscere il vostro capitano”.
Pronunciò quelle parole in tono cupo. Era furioso e non voleva fare assolutamente nulla per nasconderlo. Non riuscì nemmeno a nascondere il suo stupore e il suo sconcerto quando la ragazza di mezzo si alzò in piedi e gli tese la mano con un sorriso.
“Ce l’hai davanti! Michelle Boswald, capitano del Knight Rider, molto piacere! E loro sono Mary Cassidy e Helen Seepepper, il mio equipaggio!”, disse, indicando prima la ragazza di sinistra e poi quella di destra. Ma il capitano Hansen non rispose al saluto, lasciandola con la mano al vento prima che lei si decidesse a riabbassarla, con imbarazzo e anche una punta di stizza.
“Credo di non aver capito bene… TU saresti il capitano?!”, sbottò Sig, incredulo.
“Sì, IO sarei il capitano!”.
“E LORO sono il tuo equipaggio? TUTTO il tuo equipaggio?!”.
“Sì, è così! Perché, ci trovi qualcosa di strano?”.
La ragazza si portò le mani sui fianchi, mentre le altre due incrociarono le braccia sui petti. Tutte e tre lo guardarono socchiudendo gli occhi in strette fessure.
“Qualcosa di strano?! Ma è semplicemente ridicolo! E io dovrei fare da nave appoggio a un peschereccio con un equipaggio composto da sole donne?! Quello stronzo di Jeremy deve essere impazzito!”.
Il tono della voce dell’uomo si era alzato notevolmente, catturando l’attenzione di quasi tutti gli avventori, che si misero a seguire la scena con una punta di divertimento.
“Stammi a sentire! Non sono io che gliel’ho chiesto, è stato lui che me l’ha proposto e io ho accettato!”, replicò Michelle, incrociando anche lei le braccia sul petto.
“Se credete che farò da baby sitter a tre ragazzine vi sbagliate di grosso! Io non ho nessuna fottutissima intenzione di badare a voi tre, mi avete capito?!”.
“A noi non ci interessa quello che vuoi fare o non fare! Sei liberissimo di scegliere!”, replicò Mary.
“Ed è proprio quello che ho intenzione di fare! Non vi azzardate a chiamarmi per nessun motivo al mondo! Io per voi non esisto!”, gridò Sig, puntando il dito contro tutte e tre e sputacchiando saliva all’intorno.
“Non preoccuparti, non ti chiameremmo neanche se stessimo per affondare! Meglio i pescecani che la tua brutta faccia!”, aggiunse Helen.
La faccia in questione diventò ancora più paonazza per la rabbia e l’affronto, poi, balbettando e sputacchiando come sempre gli succedeva quando era sopraffatto dalle sue emozioni, Sig girò sui tacchi e lasciò l’Elbow Room veloce come il vento.
Tornò di corsa al suo peschereccio, salì le scale della timoniera come una furia e lì si sprofondò nella sua poltrona, accendendosi una sigaretta dopo l’altra e bestemmiando in un mix di Americano e Norvegese.
Continuò su quel tono fino a che non fu raggiunto da suo fratello Edgar.
“Allora? Com’è andata?”, chiese, sarcastico, aspettandosi una delle classiche sfuriate del fratello maggiore.
“COM’È ANDATA?! COM’È ANDATA?! L’EQUIPAGGIO DI QUEL PESCHERECCIO È COMPOSTO SOLO DA TRE DONNE!!!”, gridò l’uomo saltando in piedi e facendo trasalire il fratello minore. “SONO TRE FOTTUTISSIME RAGAZZE! ALLA PRIMA OCCASIONE SI CACCERANNO NEI GUAI ED IO NON HO NESSUNA INTENZIONE DI METTERE IN PERICOLO LA VOSTRA VITA, E LA MIA, PER TRE STUPIDE GALLINE SENZA CERVELLO!!!”.
“Calmati, Sig, o ti scoppierà una vena!”, cercò di placarlo Edgar indicando il collo del fratello, i cui vasi sanguigni erano diventati grandi come dita. “È inutile urlare. Ormai la Trident le ha assunte e ce le dobbiamo tenere…”.
A quell’affermazione il capitano rispose con un ruggito incoerente, e Edgar ritenne più prudente lasciarlo da solo a sbollire la sua proverbiale furia.
Tornò di nuovo in cambusa, dove i suoi compagni lo accolsero scuotendo il capo.
“Speriamo che da qui all’ora di cena si sia calmato, altrimenti chi ci sopravviverà?”, si chiese Jake Anderson. Nick Mavar annuì poi cadde il silenzio, rotto soltanto dalle imprecazioni gutturali del capitano.


Ri-spazio autrice:
Avete capito cosa è diventato K.I.T.T.? Esatto, un motoscafo, e nel prossimo capitolo sapremo di più su ciò che gli è successo nel corso degli anni. Per questa sua trasformazione mi sono ispirata alla parodia di Supercar che compare in una puntata de “I Simpson”: “La barca paladina”.
Spero che questo inizio vi sia piaciuto e che continuerete a seguire la storia.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Pescatrici in incognito ***


Pescatrici in incognito


Le tre ragazze, indignate come non mai per la reazione avuta dal capitano Hansen, lasciarono l’Elbow Room pochi minuti dopo l’uomo, sentendosi addosso gli sguardi di tutti i marinai presenti.
Con un sospiro si presero sotto braccio e si incamminarono verso la loro imbarcazione, che era ormeggiata poco lontano. Mentre camminavano in silenzio, tutte e tre rifletterono su quanto fosse duro, per loro, dover lavorare in incognito, specialmente in mezzo ad un gruppo di gretti pescatori dell’Artico, maschilisti e maleducati.
Dopo pochi passi giunsero in vista del Knight Rider che, non appena le vide arrivare, le salutò accelerando il ritmo dello scanner frontale. Le ragazze salirono a bordo e si diressero subito nella timoniera, dove furono accolte da una calda voce familiare.
“Bentornate ragazze!”.
“Grazie, K.I.T.T….”, esalò Mary, lasciandosi cadere sulla sua poltrona.
“Com’è andato l’incontro? Non mi sembrate molto entusiaste”. Il sintetizzatore vocale del computer, piazzato proprio al centro della consolle della timoniera, si illuminò al ritmo della domanda.
“No, infatti! È andato malissimo!”, esclamò Helen, appoggiandosi con il sedere alla plancia e fissando lo sguardo fuori dal boccaporto.
“Che cosa è successo?”.
“Abbiamo scoperto che il capitano Hansen è il peggior maschilista di tutta la flotta! Ci ha trattato come pezze da piedi! Brutto pezzo di…!”, sputò fuori Michelle, stringendo le mani a pugno. “Ha detto che non accetterà mai di farci da nave appoggio, perché siamo donne!”, continuò la ragazza, mettendosi seduta nella poltrona al centro.
“Anch’io ho avuto la mia personale offesa, se può esservi di conforto. Uno dei pescatori mi ha lanciato contro il mozzicone della sua sigaretta ancora accesa”, commentò K.I.T.T. in tono accomodante.
“E chi è stato, quel brutto figlio di…”, esclamò Helen, accomodandosi a sua volta nella sua poltrona.
“Gli ho scattato alcune fotografie: ve le mostro”.
Lo schermo televisivo alla destra del sintetizzatore vocale si accese, mostrando in rapida successione le immagini di un uomo infagottato in una giacca a vento blu che lanciava la sua sigaretta. Le tre ragazze lo riconobbero immediatamente.
“È lui, il nostro amico capitano Hansen. Brutto bastardo…”, commentò Michelle, agitando i pugni in direzione dello schermo.
“Ti ha fatto male?”, chiese Mary, preoccupata.
“Oh no, Mary. Lo sai che la mia copertura molecolare è in grado di resistere a ben altre sollecitazioni. Ti ringrazio comunque per l’interessamento”, rispose dolcemente il computer.
Helen lanciò un’occhiata all’orologio.
“Accidenti, sono già le sei e mezzo. Dobbiamo prepararci per la cena di stasera. Vado a farmi una doccia!”. E con quelle parole si alzò e scese sotto coperta.
“Scendo anch’io”, aggiunse Mary. “Intanto metto fuori i miei vestiti. Tu cosa fai, Mich?”.
“Vi raggiungo tra un attimo”.
Non appena rimase sola, Michelle appoggiò le braccia sulla consolle e vi poggiò sopra la fronte, tornando con il pensiero indietro di cinque anni, quando era cominciato tutto. Quando sua zia, Bonnie Barstow, l’aveva chiamata per chiedere il suo aiuto. Chiuse gli occhi e si lasciò andare ai ricordi.

Erano molto poche le persone a sapere che K.I.T.T., Michael, Devon e Bonnie non erano solo i protagonisti di un telefilm ma persone reali, e che la F.L.A.G., la Fondazione per la Legge ed il Governo, esisteva veramente. Una di queste era Michelle Boswald, e solo perché Bonnie era sua zia, sorella di sua madre. Michelle aveva studiato informatica all’università, perciò sua zia aveva deciso di chiamare lei per farsi aiutare a rimettere in sesto K.I.T.T.
Tutto aveva avuto inizio cinque anni prima. Quando, nel 1987, K.I.T.T. era stato smantellato, Michael e Bonnie – che nel frattempo si erano sposati – erano riusciti a portare in salvo la CPU del computer, nascondendola al nuovo consiglio di amministrazione della Fondazione che voleva riciclarne i pezzi per produrre altri macchinari. I due si erano stabiliti a Los Angeles, dove Michael aveva cominciato a lavorare come guardiaspiaggia e Bonnie si era dedicata alla ricerca scientifica nel campo della cibernetica. In attesa dell’avvento di tecnologie più avanzate, la CPU di K.I.T.T. era rimasta chiusa in una cassaforte nel laboratorio di Bonnie. Fino al 2006, quando i due avevano deciso di creare, con il primario pool di scienziati della vecchia Fondazione, una nuova carrozzeria per K.I.T.T. Non avevano scelto però un’automobile, poiché entrambi credevano che nessuna sarebbe stata all’altezza di ospitare il nuovo Knight Two Thousand. Avevano deciso quindi di costruire un motoscafo avveniristico, con cui Michael avrebbe potuto lottare contro i crimini che avvenivano in mare.
Bonnie aveva chiamato sua nipote per avere aiuto e consulenza ma, una volta terminata la costruzione del motoscafo, Michael si era reso conto di non avere più il fisico adatto per le missioni sul campo. Così, Michelle era diventata a tutti gli effetti la nuova pilota di K.I.T.T.
Poiché però le richieste di intervento erano molte, la ragazza aveva pensato di assumere altro personale da impiegare nelle missioni. Bonnie e Michael avevano acconsentito, così Michelle aveva chiamato al suo fianco Mary ed Helen, due ragazze che aveva conosciuto al corso di arti marziali che frequentava ormai da diverso tempo, e che le erano utili per la sua difesa personale durante le missioni sul campo. Aveva scelto proprio quelle due ragazze per motivi ben precisi: oltre ad essere le uniche con cui aveva legato maggiormente, entrambe avevano un curriculum di tutto rispetto.
Mary era pilota di Formula Indy: era abilissima alla guida ed era in grado di effettuare inseguimenti mozzafiato con la sua Ferrari ogniqualvolta le missioni si spostavano sulla terraferma. Helen, invece, oltre ad essere la più brava delle tre nel Kung Fu, era anche un meccanico provetto, in grado di riparare qualsiasi cosa.
Le due ragazze avevano accettato entusiaste la proposta di entrare a far parte della nuova F.L.A.G. e ben presto le tre avevano cominciato a chiamarsi, spiritosamente, le “K.I.T.T.’s Angels”, gli angeli di K.I.T.T.
Due settimane prima il gruppo Trident, una nota industria dedita al commercio dei granchi, aveva chiamato la Fondazione per chiedere il loro aiuto: avevano il sospetto che su uno dei pescherecci della loro flotta si facesse contrabbando di droga. Per non destare sospetti, i dirigenti della compagnia avevano chiesto assoluto riserbo, per cui le tre ragazze avrebbero dovuto spacciarsi per pescatrici di granchi, e K.I.T.T. era stato opportunamente modificato per fargli assumere l’aspetto di un peschereccio. Ricordava molto bene il tono di voce del computer nell’apprendere quella notizia.
“È già abbastanza seccante non essere più un’automobile e dover stare a contatto con quest’odiosa salsedine che io non ho mai potuto soffrire; figuriamoci dover diventare un puzzolente peschereccio! È proprio necessario tutto questo, Bonnie?”, aveva chiesto, mentre i tecnici installavano uno scivolo per le nasse lungo la sua murata di dritta.
“Sì, K.I.T.T., purtroppo è necessario. Lo sai anche tu che, dalla Trident, hanno chiesto il massimo riserbo sull’indagine”, gli aveva risposto la donna mentre programmava le sue nuove funzioni, ovvero il controllo automatico sullo scivolo, sulla gru e sull’impianto idraulico.
“Pensa a noi, K.I.T.T., che dovremo maneggiare dei pesci morti e degli schifosi granchi per tutto il santo giorno!”, aveva aggiunto Helen con una smorfia, pulendosi una macchia di morchia dalla guancia con una mano mentre con l’altra avvitava i bulloni che sostenevano il basamento della gru.
Ed era per questo motivo che la Trident aveva chiesto al capitano Sig Hansen, quello con maggior esperienza, di fare, con il suo peschereccio, da nave appoggio: per rendere più credibile il travestimento delle tre ragazze.
Ma quelli della compagnia non avevano fatto i conti con il caratteraccio del capitano, che si era categoricamente rifiutato di prestare la sua consulenza. Avrebbero dovuto parlarne con il direttore della Trident, quella sera, e trovare una soluzione…

La voce di Helen che la chiamava fece tornare Michelle alla realtà.
“Ehi, Mich, noi siamo pronte! Tu che fai, non vieni?”.
Con un sospiro la ragazza si alzò dalla sua poltrona e scese sotto coperta, per andare a prepararsi per la cena di beneaugurio.
 

Spazio autrice:
Capitolo un po’ corto, ma necessario per spiegare come si è evoluta la Fondazione negli anni.
Inoltre, come avrete potuto capire leggendo, mi sono fatta influenzare anche da altre due serie TV: Baywatch (e non ce lo volevi mettere Michael bagnino?) e le Charlie’s Angels. Per le mie tre OC, infatti, mi sono ispirata non soltanto a me e a mie due care amiche che avevo al tempo (tra di noi ci chiamavamo Charlie’s Angels, appunto), ma anche alle protagoniste del film, Cameron Diaz & C.

Vorrei lasciarvi inoltre con i link alle foto di come ho immaginato le mie OC:
Helen:
https://i.pinimg.com/originals/20/aa/79/20aa797ce6ace682e26e36c1dec1da49.jpg

Mary:
http://www.capellistyle.it/wp-content/uploads/2016/05/54585178d1cb8fa2105c5f50df4316b5.jpg
Michelle:
https://thumbs.dreamstime.com/z/ritratto-della-ragazza-con-la-treccia-25973973.jpg




 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Una cena difficile da digerire ***


Una cena difficile da digerire


Alle otto in punto le tre ragazze lasciarono K.I.T.T. e tornarono all’Elbow Room. Non appena fecero il loro ingresso nel locale molte teste si voltarono nella loro direzione e, mentre si dirigevano allo stesso tavolo che avevano occupato nel pomeriggio, giunsero alle loro orecchie parecchi commenti poco carini nei loro confronti.
Molti dei pescatori presenti stentarono quasi a riconoscerle. Nel giro di un paio d’ore si erano completamente trasformate. Non indossavano più jeans sbiaditi e felpe sformate, ma pantaloni e top aderenti; si erano leggermente truccate, e Michelle e Mary avevano indossato lenti a contatto al posto degli occhiali.
Non era di sicuro una cosa comune per quei rudi marinai vedere ragazze così agghindate a Dutch Harbor, perciò fu normale per loro cominciare a lanciare occhiate lascive all’indirizzo delle K.I.T.T.’s Angels.
Le ragazze se ne accorsero e ben presto cominciarono a sentir prudere le mani.
“Il primo che si avvicina e ci dice qualcosa giuro che lo appendo al soffitto!”, sibilò secca Helen, scostandosi una ciocca ribelle di capelli ricci dal viso. Le altre due annuirono brevemente. Erano già sufficientemente innervosite dalla situazione e sarebbe bastato veramente poco a far perdere loro la calma.
Mentre la cameriera prendeva le loro ordinazioni, la ciurma della Northwestern entrò nel locale.

Sig individuò subito le tre ragazze e le indicò ai suoi marinai.
“Eccole! Sono loro tre”.
Lungo il tragitto dal loro peschereccio all’Elbow Room avevano già avuto modo di osservare il Knight Rider. Il giovane Jake Anderson si era subito innamorato del disegno ad aerografo sulla timoniera e Sig aveva risposto ai suoi commenti entusiasti con un’altra delle sue smorfie. Ora, se il suo capitano non lo avesse trattenuto per una spalla, il ragazzo si sarebbe sicuramente precipitato a chiedere alle tre dove si fossero fatte fare un tale capolavoro, e per lui fu un bene perché altrimenti Helen avrebbe mantenuto la sua promessa.
I sei uomini si accomodarono al loro solito tavolo e anche loro ordinarono la cena. Quando Sig si volse di nuovo verso il tavolo delle tre ragazze anche Michelle si girò verso di lui. Non appena lo vide, i suoi occhi si ridussero a due fessure e distolse immediatamente lo sguardo.

“Speriamo che la serata si concluda alla svelta. Non mi piace il modo in cui ci stanno fissando”, commentò Mary, guardandosi attorno nell’attesa di ricevere le loro ordinazioni.
“Neanche a me… Ma ho l’impressione che questa sarà una cena molto lunga”, fu la profetica risposta di Michelle.
Ben presto persero il conto di quanti marinai avessero tentato un approccio, più o meno diretto. Quello che le sconcertò maggiormente fu che a farlo non furono solo i più giovani e gli scapoli, ma anche pescatori sposati e che avevano famiglia, secondo le informazioni che K.I.T.T. aveva fornito loro.
“Che brutti figli di…”, cominciò ad imprecare Helen, torcendo il tovagliolo, mentre uno dei marinai più anziani, Jack Soper della Wizard, passava accanto al loro tavolo leccandosi vistosamente le labbra e ammiccando al loro indirizzo. “Mi fanno schifo! Mi chiedo solo come faremo ad indagare in mezzo a questa massa di maiali!”.
“Già… È proprio una bella domanda”, commentò Michelle.
Con l’avanzare delle ore, il numero dei marinai ubriachi aumentò notevolmente e molti cori sguaiati cominciarono a levarsi nell’aria, parecchi dei quali palesemente dedicati a loro.
“Ora basta! Mi sono rotta le scatole! È ora di dare una lezione a questi luridi…”. Helen minacciò di alzarsi in piedi.
“Calmati Hel. Dobbiamo mantenere un basso profilo, non te lo dimenticare”, cercò di rabbonirla Mary.
“Non credo che qualche calcetto ben assestato farebbe troppo male”, insisté la riccia.
“Mary ha ragione, dobbiamo cercare di stare calme. Guardate, sta arrivando Jeremy. Dobbiamo riferirgli l’esito del nostro incontro con il capitano Hansen”, concluse Michelle, indicando l’uomo.
In quel momento il dirigente della ditta Trident stava facendo il suo ingresso nel locale. Individuò subito il tavolo delle ragazze e, salutando gli altri pescatori lungo il tragitto, si avvicinò loro e si mise seduto senza attendere un invito.
“Bene, ragazze, come va? La cena è stata di vostro gradimento?”.
“Lo sarebbe stata di più se non fossimo state circondate da questa banda di rozzi scalmanati!”, esclamò Helen, lanciando occhiate torve all’indirizzo dei marinai più vicini. Jeremy finse di non aver sentito il commento e continuò, rivolto a Michelle.
“Avete parlato con Sig? Com’è andato il colloquio?”.
“Male, è andato! Si è categoricamente rifiutato di prestare il suo appoggio, sostenendo che non ha nessuna intenzione di farci da baby sitter. Se dobbiamo pescare granchi per rimanere in incognito abbiamo bisogno di qualcuno che ci dia una mano! Perché non ci affidi ad un altro capitano?”.
“Sig è quello con più anni di esperienza. Forse lo vedete ancora giovane, ma ha cominciato che era un ragazzino”.
“Non ci interessa sapere quanti anni ha, ma solo che ci dia una mano a cavarcela in questo posto dimenticato da Dio!”, lo interruppe Helen, cercando di non alzare la voce ma senza riuscirci.
“Cercherò di convincerlo a collaborare, anche se temo che non sarà facile… Ci vado a parlare subito”.
“È meglio!”, concluse la riccia mentre l’uomo lasciava il loro tavolo e si dirigeva verso quello della Northwestern.
“Credo che questo incarico sarà il più difficile che ci sia mai toccato in questi cinque anni”, commentò Mary sospirando. “Non abbiamo ancora cominciato e ci troviamo già in difficoltà”.
“Già”, concordò Michelle, mentre seguiva con lo sguardo il muto dialogo che si svolgeva tra i due uomini all’altro tavolo.

Jeremy cercò di convincere il capitano Hansen a collaborare, ma senza risultato.
“Ho detto di no ed è NO, Jeremy! Non mi importa se minacciate di ridurmi la quota di pescato! Non ho nessuna intenzione di fare da balia a tre ragazzette senza cervello!”.
“Sig, per favore! Sei il capitano con più esperienza di tutti. Non hai mai avuto incidenti mortali a bordo. Tutti i marinai si fidano di te…”.
“È inutile che canti le mie lodi. Ho detto di NO!”, insisté Sig.
“Sarò costretto ad affidarle ad un altro peschereccio”, minacciò il responsabile della Trident.
“Fai quello che ti pare, non mi riguarda!”.
“D’accordo, allora. Mi rivolgerò agli Hillstrand!”. E, con quelle parole, Jeremy lasciò il tavolo della Northwestern e si diresse a quello della Time Bandit.
“Mi vuoi spiegare perché ti sei così intestardito, fratello?”, chiese Edgar non appena rimasero soli.
Il maggiore degli Hansen sbuffò e bevve un sorso di birra prima di rispondere.
“Sai benissimo il perché: le donne a bordo di un peschereccio portano sfortuna! Tremenda sfortuna! Se ci accolliamo l’incarico di sorvegliare quelle tre ci succederà qualcosa di estremamente spiacevole, lo so!”.
“Allora è questo il vero motivo… La tua stupida superstizione!”.
“La mia stupida superstizione, come la chiami tu, è quella che ci ha consentito di tirare avanti così bene in tutti questi anni!”.
“Lascia perdere, Sig, non si può discutere con te!”, concluse Edgar, voltandogli le spalle e riprendendo a parlare con Matt.

I fratelli Hillstrand – Johnatan, Andy e Neal – si mostrarono più collaborativi: accettarono subito di prendersi cura delle tre ragazze e seguirono Jeremy al loro tavolo per presentarsi.
Michelle, Mary ed Helen osservarono i tre uomini con occhio critico. Il primo sembrava un orso bruno, con barba e capelli neri lunghi e tutti scompigliati. Il secondo indossava un cappello bianco da cowboy tirato leggermente all’indietro a lasciargli scoperta la fronte. Il terzo pareva un “Uomo di Neanderthal”, visto che era più capelluto e barbuto del primo. Nonostante il loro aspetto, però, si comportarono civilmente, e Andy arrivò persino ad accennare un baciamano. Jeremy spiegò a grandi linee ai tre pescatori cosa voleva da loro, senza ovviamente accennare neanche minimamente alla vera missione delle giovani, e gli Hillstrand si dissero disposti a dare loro una mano, o un consiglio, ogni qual volta ce ne fosse stato bisogno.
Detto questo, i tre fratelli tornarono al loro tavolo, dove ripresero la loro chiassosa conversazione con il resto del loro equipaggio.
“Bene, ragazze. Impressioni a caldo?”, chiese Michelle, quando anche Jeremy ebbe lasciato il loro tavolo.
“Un po’ chiassosi e ridanciani, forse, ma almeno hanno accettato di aiutarci”, rispose Mary, stringendosi nelle spalle.
“Già… Anche se non mi meraviglierei per niente se dietro a questo presunto contrabbando di droga ci fossero proprio loro. Il loro aspetto non è dei migliori”, aggiunse Helen, lanciando un’occhiata verso il tavolo dove Johnatan era appena esploso in una risata aspirata.
“L’abito non fa il monaco. Non dobbiamo giudicare prima di aver indagato a fondo”, concluse Michelle, guardando lei stessa i tre fratelli Hillstrand.
Erano pronte per lasciare il locale quando il capitano della Time Bandit le raggiunse di nuovo, rivolgendosi a Michelle.
“Aspetta, non è ancora il momento di andare! Ora c’è il brindisi dei capitani, di buon auspicio per la pesca! Non puoi mancare! Vieni, ti accompagno io!”. Le offrì il braccio sinistro.
La ragazza trattenne a stento un sospiro e fece un cenno alle sue amiche, poi prese il braccio che Johnatan le offriva e lo seguì ad un altro tavolo, allestito appositamente, e che era già stato occupato da tutti i capitani della flotta Trident.
Michelle ne approfittò per studiare i loro volti, comparandoli con le informazioni che aveva dato loro K.I.T.T. durante il viaggio da Los Angeles a Dutch Harbor.
Alla sua sinistra stava il capitano Bill “Wild” Wichrowski, della Kodiak, uno dei pescatori più esigenti e con più esperienza alle spalle. Aveva poca pazienza ed erano proverbiali le sue sfuriate con i marinai che, per tale motivo, lo avevano soprannominato, appunto, “selvaggio”.
Accanto a lui c’era il capitano Keith Colburn, della Wizard: forse il pescatore più superstizioso del Mare di Bering. Aveva a bordo ogni genere di portafortuna e, ogni volta che la pesca non andava bene come avrebbe dovuto, si rivolgeva alla figlia tredicenne per farsi dare qualche consiglio su come scacciare la mala sorte.
A seguire veniva Elliott Neese, il giovanissimo capitano della Ramblin’ Rose. Il più giovane di tutta la flotta, per la verità. Capitano del suo peschereccio da soli due anni, era conosciuto per la sua esuberanza ed incoscienza, specialmente per quanto riguardava la scelta dei fondali di pesca.
Alla sua sinistra c’era Scott “Junior” Campbell, capitano della Seabrooke. Anche lui era molto giovane, per i canoni standard dell’Oceano Artico. Non perdeva mai l’occasione per ricordare a tutti di come avesse perso l’ultima falange del dito medio della mano destra, lavorando sul suo peschereccio.
Al suo fianco si trovava il capitano Tony Lara, della Cornelia Marie, il pescatore che aveva preso il posto del compianto capitano Phil Harris, deceduto due anni prima a seguito di un ictus. I suoi due giovani figli non erano stati in grado di assumere il comando dell’imbarcazione, perciò si erano rivolti ad un esterno.
Ed ecco il capitano Sigurd Hansen, della Northwestern. In assoluto, il capitano con più esperienza ma con meno pazienza, meno ancora del suo collega della Kodiak. Quando si infuriava, i suoi fratelli e i suoi marinai lo chiamavano “Psico-Sig”. Nonostante tutto, però, sotto il suo comando nessuno aveva mai avuto incidenti mortali.
Infine, veniva Johnatan Hillstrand, capitano – insieme a suo fratello minore Andy – della Time Bandit. I “Cattivi ragazzi del Mare di Bering”, come si facevano chiamare, erano famosi per i loro scherzi, che ogni anno mettevano in pratica non appena se ne presentava l’occasione.
Mentre la ragazza finiva il suo rapido giro di osservazione, il capitano Bill levò il bicchiere, proclamando il brindisi di salute e prosperità per la stagione incipiente. Tutti portarono i calici alla bocca e bevvero, ed una volta finito Johnatan ricordò a tutti la consueta scommessa tra capitani.
“Allora, cosa scommettiamo quest’anno? La nassa con più granchi? Che ne dite?”.
Alcuni mormorarono il loro assenso, ma Elliott li interruppe. “Abbiamo una signora, quest’anno. Forse dovremmo far decidere lei”.
Tutti gli sguardi si posarono su Michelle che arrossì suo malgrado.
“A me sta bene… La nassa con più granchi”, rispose, schiaffeggiandosi mentalmente per essersi lasciata così sorprendere da tutti quegli sguardi.
“Così è deciso, dunque!”, concluse il capitano Hillstrand levando di nuovo il bicchiere, imitato da tutti gli altri.
Alla fine gli uomini si diedero la mano, ma quella della ragazza fu considerata solo da Elliott e da Johnatan.
“Non te la prendere”, le disse l’uomo mentre la riaccompagnava al suo tavolo. “È solo che non siamo abituati ad avere una donna come capitano di un peschereccio. Ci faremo il callo”.
“Non me la prenderò. Basta che ci lasciate fare il nostro lavoro in pace”. Con quelle parole, Michelle salutò il capitano della Time Bandit e con le sue amiche tornò a bordo del Knight Rider.


Spazio autrice:
Con questo capitolo finiscono finalmente le presentazioni dei vari personaggi secondari della vicenda. Dal prossimo inizierà l’azione e l’avventura vera e propria.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Che la pesca cominci ***


Che la pesca cominci


La mattina successiva, di buon’ora, tutti i pescherecci cominciarono a lasciare il porto di Dutch Harbor. Il Knight Rider si accodò alla fila di imbarcazioni, uscendo per ultimo dalla baia protetta.
Le tre ragazze sedevano nelle loro poltrone nella timoniera, tutte e tre intente ad ascoltare K.I.T.T. e a guardare le immagini che il computer proponeva loro, come lezione di pesca ai granchi.
Michelle aveva preso molto sul serio la scommessa che aveva fatto la sera precedente.
“Se dobbiamo pescare per mantenere l’anonimato, voglio farlo come si deve! Ho tutta l’intenzione di vincere quella scommessa, per cancellare dai loro brutti musi quelle espressioni da pecore merino!”, aveva esclamato la ragazza non appena le tre amiche si erano sedute a tavola per fare colazione.
Il problema era che non avevano la minima idea di cosa dovessero fare, perciò il Knight Two Thousand le stava arringando con il tono di un professore universitario.
Ben presto i pescherecci si sparpagliarono nella vastità del Mare di Bering e il Knight Rider rimase solo. Subito, K.I.T.T. si mise a scandagliare le profondità in cerca di prede.
“I miei sensori di profondità rilevano un’alta concentrazione di granchi su questo fondale”, annunciò dopo due ore di perlustrazione.
“Bene! Allora diamoci da fare, ragazze!”.
Fresche della lezione appena impartita loro dal computer, le tre cominciarono a liberare dai legacci le cinquanta nasse che gli operai della Trident avevano sistemato sul ponte. Molto presto si accorsero, però, che non sarebbe stato così facile come poteva sembrare a prima vista.
I legacci di filo di ferro erano stati stretti vigorosamente, e in fretta Helen si rese conto che senza un paio di pinze non avrebbe potuto combinare un bel nulla.
“Accidenti, mi servono le pinze! Voi ragazze pensate alle esche mentre io mi darò da fare quassù!”, disse, scendendo sotto coperta per andare a prendere la sua personalissima cassetta degli attrezzi.
Mary e Michelle si misero a contemplare con disgusto la cassa piena di pesci morti. La prima storse il naso non appena afferrò il primo merluzzo, e dovette reprimere un conato di vomito per la puzza delle viscere delle esche. Michelle le consigliò di legarsi una sciarpa davanti al viso e così Mary fece, risolvendo in parte l’inconveniente.
Mentre le tre ragazze lavoravano sul ponte, K.I.T.T. sorvegliava accuratamente tutti i movimenti dei pescherecci, per verificare che non ci fossero mosse sospette.
Dopo un’ora e mezzo le nasse furono tutte liberate e le esche preparate. K.I.T.T. cominciò a manovrare la gru e lo scivolo per le nasse, mentre le ragazze cercavano di buttarle a mare senza andar loro dietro.
Il computer aveva dichiarato che la presenza di granchi nell’area era sufficiente per tutte e cinquanta le nasse, perciò aveva cominciato a muoversi a spirale, facendole depositare in un giro tondo di circa duecento metri di diametro. Ci vollero quasi tre ore, ma alla fine le ragazze, puzzolenti di pesce marcio e con graffi ed escoriazioni varie, si dissero soddisfatte del lavoro svolto e tornarono sotto coperta per farsi una bella doccia. Avrebbero dovuto aspettare almeno dodici ore prima di poter recuperare il tutto.

La Time Bandit non era molto lontana dal Knight Rider. Johnatan Hillstrand aveva osservato con curiosità gli strani movimenti del nuovo peschereccio sullo schermo del suo GPS. L’aveva visto stare fermo nello stesso punto per quasi due ore e poi l’aveva osservato muoversi in una strana spirale, mentre le ragazze calavano le loro nasse.
“Ma cosa cazzo stanno facendo?”, commentò il capitano, scoppiando in una delle sue risate aspirate. “Andy! Andy vieni a vedere, presto!”.
Il fratello minore salì nella timoniera, curioso di sapere cosa volesse mostrargli. Johnatan ebbe solo la forza di indicargli lo schermo con un dito, senza riuscire a smettere di ridere. Andy guardò e anche lui esclamò: “Ehi, ma cosa cazzo stanno facendo quelle tre? Così annoderanno tutte le cime delle nasse! Quando dovranno recuperarle si ritroveranno con un bel garbuglio!”.
Il fratello maggiore fece di sì con la testa, sempre sghignazzando come Gatto Silvestro. Andy non riuscì a resistere e scoppiò a ridere anche lui. Quando si furono acquietati, Johnatan prese la radio e chiamò il Knight Rider.

Le tre ragazze stavano riposando, leggendo ognuna un libro, quando la voce di K.I.T.T. le distolse dalla loro attività.
“Sta chiamando la Time Bandit!”.
Michelle chiuse il libro lasciando il dito tra le pagine per non perdere il segno, salì nella timoniera e rispose alla radio.
“Qui Knight Rider! Capitano Michelle Boswald all’apparecchio. Buongiorno, capitano Hillstrand, a cosa devo l’onore? Passo”.
Le rispose una risata, e all’inizio lei non seppe dire se si trattava di un disturbo oppure se l’uomo stesse ridendo di loro. Quando capì che la risposta esatta era la seconda, un fiotto amaro di bile le salì alla gola.
“Buongiorno dolcezza… Ti volevo solo far notare che, quando andrai a recuperare le nasse, ti ritroverai con le cime tutte annodate! Non vi ha insegnato nessuno che le nasse si calano in linea retta e non in tondo? Passo…”, sputacchiò Johnatan, il tutto condito da grasse risate.
“Ti ringrazio per l’interessamento, capitano Hillstrand, ma sappiamo quello che facciamo. Ora, se non ti dispiace, ho da fare! Passo e chiudo!”. Michelle sbatté il microfono della radio sul suo supporto, si alzò in piedi e fece per tornare di sotto, ma ci ripensò. “Sapevi quello che stavi facendo, vero K.I.T.T., quando ci hai fatto calare le nasse in quel modo?”, chiese in tono dubbioso.
“Al mille per cento!”, rispose il computer, in tono vagamente offeso.
“Scusa, K.I.T.T… È solo che non sopporto di venire presa in giro”.
“Vedrai che si ricrederanno, quando sapranno quanti granchi avremo pescato”, concluse K.I.T.T., serafico.
Johnatan non fu l’unico pescatore a notare i loro strani movimenti. Dopo di lui, furono contattate anche dal capitano Campbell della Seabrooke e dal capitano Colburn della Wizard. Alla quarta chiamata, da parte del capitano Tony Lara della Cornelia Marie, Michelle si rifiutò di rispondere, proclamando il silenzio radio.

C’era un altro capitano che aveva seguito le conversazioni alla radio con una punta di soddisfazione, senza però intromettersi. Sig Hansen si fregò le mani, commentando a voce alta.
“Visto, che avevo ragione! Quelle tre stupide hanno già combinato un gran casino! Gli Hillstrand si sono accollati una bella gatta da pelare! Beh, che si arrangino!”

Ma, dodici ore dopo, tutti i capitani nei dintorni dovettero ricredersi. Il Knight Rider si mosse agilmente nel garbuglio di nasse e le ragazze issarono a bordo centinaia di granchi. A quel punto, però, si trovarono di fronte ad un altro problema. Dalla Trident avevano detto loro che potevano trattenere solo granchi di una certa dimensione – e a quello scopo avevano ricevuto una specie di righello di legno per ognuna – e che le femmine andavano ributtate in mare, per la conservazione della specie.
Mentre osservavano i crostacei zampettare qua e là all’interno del tavolo di cernita, alle tre amiche sorse spontanea una domanda: come riconoscere i granchi femmina?
Dopo averli studiati a lungo decisero di rivolgersi al computer.
“K.I.T.T., dacci una mano, come facciamo a distinguere i maschi dalle femmine?”, chiese Mary, passando lo sguardo tra i due granchi apparentemente identici che aveva in mano.
Lo schermo appeso alla parete posteriore della timoniera si accese, mostrando la foto di un granchio reale, e il Knight Two Thousand cominciò la sua spiegazione, utilizzando l’altoparlante per diffondere la sua voce all’esterno.
“Il granchio reale, o granchio blu – nome latino Callinectes sapidus – è un crostaceo Decapode della famiglia dei Portunidi. La specie è originaria della sponda occidentale dell'Oceano Atlantico, dove vive lungo le coste dell'intero continente americano, dalla Nuova Scozia all'Argentina e spingendosi anche lungo i corsi dei fiumi, poiché è in grado di tollerare salinità inferiori al tre per mille. Tramite l'acqua incamerata per zavorrare le navi, la specie è stata accidentalmente introdotta in numerose altre parti del mondo come nel Mare del Nord, Mar Baltico, Mar Nero, Mediterraneo, Mar Giallo…”.
“K.I.T.T…. NON… ADESSO… Limitati a dirci la differenza tra maschi e femmine!”, sbottò Michelle, irritata dal tono da professore universitario del computer.
“D’accordo: le chele delle femmine sono più piccole di quelle dei maschi!”, rispose secco K.I.T.T., offeso per la prematura interruzione. Lo schermo si spense e le ragazze tornarono al tavolo di cernita, mettendosi al lavoro.
“Secondo voi questo cos’è, maschio o femmina?”, chiese ad un certo punto Helen, alzando davanti al viso un esemplare particolarmente grande.
“Non saprei…”, Mary si strinse nelle spalle.
“Non ne ho idea nemmeno io… A scanso di equivoci è meglio se lo buttiamo via”, aggiunse Michelle, scostandosi una ciocca di capelli da una guancia.
“Quello è un maschio! Si può riconoscere dalla parte inferiore del carapace. Le femmine hanno anche il ventre corazzato, per proteggere le uova, mentre i maschi no!”, disse il computer, ancora in tono risentito.
“Grazie, K.I.T.T.”. Helen buttò l’animale nella stiva mentre la voce maschile rispondeva con un secco: “Prego!”.
Michelle capì che il computer era ancora offeso per la brusca interruzione di poco prima e seppe che, se non gli avesse porto le sue scuse, il Knight Two Thousand avrebbe tenuto il broncio per un bel po’. Lui non lo ammetteva, ma da quando era stato ricostruito la sua capacità di provare sentimenti umani era notevolmente aumentata, e il senso di offesa che aleggiava nella sua voce ne era la prova.
“Torno subito, ragazze”.
Michelle rientrò sotto coperta, si tolse i guanti, gli stivali e la tuta cerata e salì nella timoniera, mettendosi a sedere nella sua poltrona, quella centrale.
“K.I.T.T., sono venuta a chiederti scusa per prima. Mi dispiace di averti interrotto così bruscamente, ma questo fatto della copertura mi sta mandando fuori dai gangheri”.
Silenzio in risposta.
“K.I.T.T…”.
Ancora silenzio.
“K.I.T.T… Ti prego, dimmi qualcosa…”.
“Scuse accettate. Sai che non posso tenerti il broncio troppo a lungo”. Il lampeggiare del suo sintetizzatore vocale fece scaldare il cuore di Michelle.
“Grazie, amico mio. Ti prometto che, quando avremo finito, ascolteremo tutto quello che hai da dirci sui granchi reali!”.
“Farò di meglio. Comincerò ad illustrarvi i primi sviluppi delle mie indagini. Ho già notato qualche movimento sospetto su un peschereccio”.
“Bene. Allora torneremo su, dopo. A più tardi”. Michelle si alzò e tornò fuori.

Il computer dichiarò che su quel fondale non c’erano più granchi perciò, dopo aver recuperato tutte le nasse, il motoscafo si mosse verso nord, scandagliando le profondità con il suo ecoscandaglio. Le tre ragazze si accomodarono in plancia, pronte ad ascoltare tutto quello che K.I.T.T. aveva da riferire.
“Oggi ho osservato molto attentamente questo peschereccio”, cominciò il computer, facendo apparire sullo schermo un’immagine della Cornelia Marie, “e ho ascoltato tutte le comunicazioni radio dirette e provenienti da esso. Non tutte le chiamate sono state fatte dal capitano. Due di esse sono state fatte dal marinaio Jake Harris. Ve le faccio sentire”.
La voce registrata del giovane pescatore riempì la timoniera. Nella prima intercettazione, il ragazzo chiedeva a qualcuno quando sarebbe avvenuta la prossima consegna di qualcosa non ben specificato. Il suo interlocutore aveva risposto che ci sarebbe stato un carico tre giorni dopo. Nella seconda, il ragazzo ordinava tre libbre di una misteriosa “miscela esplosiva” e l’interlocutore gliene garantiva la disponibilità.
“Secondo la mia banca dati”, riprese K.I.T.T., “Jake Harris ha numerosi precedenti penali per detenzione e spaccio di droga. Due anni fa ha trascorso un periodo di disintossicazione in una clinica in Florida, ma i risultati non sono stati ottimali”.
“Possiamo cominciare con lui! Potrebbe essere un buon inizio! Me ne occuperò io”, disse Helen, stiracchiandosi e facendo scricchiolare la spina dorsale. “Ma, per il momento, credo che me ne andrò a dormire. Buonanotte, ragazze!”
“’Notte, Helen!”, le risposero le altre due.
Michelle e Mary rimasero sedute per un attimo ancora, poi anch’esse scesero e si ritirano nelle loro cabine, per godere di un meritato riposo.


Spazio autrice: Ed ecco che, insieme alla pesca di copertura, K.I.T.T. inizia a tenere d’occhio i pescherecci e ha già scoperto qualcosa di interessante. Da ora in poi le indagini avranno la precedenza su tutto il resto.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Prime indagini ***


Prime indagini


Dopo una settimana infinita, il Knight Rider fece il suo ingresso al porto di Akutan per il primo scarico della stagione. K.I.T.T. aveva costantemente tenuto sotto controllo gli spostamenti della Cornelia Marie e, come previsto, il peschereccio azzurro era già ormeggiato alla banchina quando le ragazze arrivarono.
Dopo aver scaricato i granchi, le tre scesero a terra e si diressero al piccolo bar del vicino aeroporto, l’unico locale di quel paesino ai confini del mondo, con la speranza di trovare Jake Harris.
Ebbero fortuna. Il ragazzo era appoggiato al bancone del bar in compagnia del fratello Josh, ed entrambi stavano bevendo una birra.
Le K.I.T.T.’s Angels si accomodarono accanto a loro. I due fratelli le riconobbero immediatamente e si offrirono di pagare da bere. Le giovani accettarono ed attaccarono subito bottone. Ben presto Helen, con la scusa di aver dimenticato qualcosa a bordo, chiese a Jake Harris di accompagnarla, lasciando Michelle e Mary a vedersela con Josh.
I due non rimasero via a lungo. Quando rientrarono, Jake teneva la mano sulla guancia sinistra e fissava Helen con sguardo torvo. La ragazza, dal canto suo, prima gli lanciò un’occhiataccia obliqua con gli occhi ridotti a due fessure, poi fece cenno alle sue compagne di raggiungerla fuori. Michelle e Mary salutarono e lasciarono il locale.
Dovettero allungare il passo per raggiungere la loro compagna, perché Helen stava camminando a grandi falcate ed era già a metà della banchina.
“Allora?”, le chiesero all’unisono non appena l’ebbero raggiunta. “Hai scoperto qualcosa?”.
“Sì. Che è un emerito maleducato! Mi ha dato molta soddisfazione mollargli un bel ceffone!”.
Mary e Michelle si guardarono e si scambiarono un cenno d’intesa: ora avevano capito perché il marinaio si toccava la guancia.
“Gli ho chiesto se conosceva qualcuno che poteva fornirmi “roba buona”…”, riprese la rossa, indignata, “ e lui mi ha chiesto di che tipo. Gli ho fatto capire che volevo della droga e lui mi ha risposto di sì, che conosce chi fa al caso mio, ma che se lo avessi voluto sapere avrei dovuto pagare un piccolo prezzo. Ho voluto sapere che cosa aveva in mente e lui, per tutta risposta, mi ha messo una mano sul seno! Gli ho dato una sberla che lo ha fatto girare per tre minuti prima di fermarsi di nuovo! Piccolo orecchione bastardo!”, concluse Helen, riferendosi alle orecchie a sventola del marinaio.
“Allora siamo ancora ferme al punto di partenza”, commentò Mary mentre risalivano a bordo. “Non sappiamo chi è il suo pusher”.
“No. Quando ha smesso di girare ha fatto dietro front ed è tornato verso il bar”.
“Ci proverò io. Anche se ci vorrà molta diplomazia…”, sospirò Michelle. Senza aspettare ulteriormente si girò e tornò verso il bar, appena in tempo per incrociare i due fratelli che tornavano al loro peschereccio.
“Mi dispiace”, disse subito, senza lasciare il tempo ai due di aprire bocca. “Sono mortificata per quanto è successo, Jake ma, vedi… Il fatto è che noi tre… Non siamo fisicamente interessate agli uomini…”. Nel dirlo, un brivido le corse giù per la schiena per l’assurdità della sua bugia. Non era affatto vero, anzi, tutto il contrario, ma quella era l’unica scusa che le era venuta in mente per giustificare il comportamento della sua compagna.
“Bastava che me lo dicesse! Cazzo, mi ha dato un ceffone che ricorderò per un bel po’…”, commentò il minore dei due fratelli.
“Comunque, saremmo veramente interessate a quello che ti ha chiesto Helen”, insisté la ragazza.
“Di che si tratta?”, si intromise Josh, incrociando le braccia davanti al petto.
Michelle stava per rispondergli ma Jake la prevenne. “Te lo spiego dopo, fratellone”.
Il maggiore si allontanò in direzione della Cornelia Marie e il ragazzo spiegò: “Mio fratello non condivide molto le mie abitudini di vita. Comunque, ecco, questo è il mio fornitore di fiducia”. Scarabocchiò un nome su un pezzetto di carta. “Lo puoi trovare ad Unalaska, al “Golden Crab”. Digli che ti mando io”.
“Ti ringrazio. E scusa ancora per prima”, rispose la ragazza, prendendo il bigliettino.
Il giovane si strinse nelle spalle e seguì il fratello a bordo. Michelle fece altrettanto, tornando al Knight Rider stringendo nel pugno il pezzetto di carta.
Una volta nella timoniera, la ragazza chiese a K.I.T.T. di effettuare una ricerca sul conto della persona che aveva indicato il giovane Harris e, mentre aspettavano, rivelò con una punta di imbarazzo la bugia che era stata costretta ad inventarsi per lavorarsi il marinaio.
“Ho la vaga impressione che non passerà molto tempo prima che si sparga la voce”, disse Mary con un sospiro, sciogliendosi i capelli e rilegandoli subito dopo in un ciuffetto ancora più stretto di prima.
“Già… È quello che temo anch’io”, confermò Michelle.
“Almeno forse riusciremo a tenerci alla larga quei rozzi pesca-crostacei luridi e puzzolenti!”, disse secca Helen.
I loro commenti furono interrotti dalla voce del computer. “Ho le informazioni che volevate!”.
Le tre si misero a sedere nelle loro poltrone e si predisposero ad ascoltare K.I.T.T.
Vennero a sapere che l’uomo in questione era già stato indagato dalla polizia per detenzione e spaccio di droga, ma che non erano mai riusciti a coglierlo in flagrante, perché qualcuno era sempre riuscito ad avvertirlo in tempo delle retate. Non sembrava legato in alcun modo a qualche peschereccio in particolare, ma questo non significava niente. Decisero di mettersi quanto prima sulle sue tracce, perciò il Knight Rider lasciò subito il porto di Akutan per dirigere verso l’isola di Unalaska.
Isolando il suo segnale GPS per non essere captato dagli altri pescherecci nella zona, K.I.T.T. raggiunse Dutch Harbor alla velocità massima consentitagli dai suoi potenti motori turbo, che era ovviamente ben maggiore di quella di un comune peschereccio. Una volta ormeggiato, le tre ragazze presero uno dei pick up bianchi della Trident e si diressero al capoluogo dell’isola, parcheggiando davanti al locale che il minore dei fratelli Harris aveva indicato loro.
Non appena entrarono, capirono subito che quello non era il posto adatto per tre ragazze sole. I pochi avventori presenti fissavano con occhi da pesce lesso e la bava alla bocca una ballerina di lap dance che si strofinava languidamente contro il palo. Nessuna delle tre riuscì a reprimere una smorfia di repulsione nel vedere le facce di chi le circondava.
“Luridi maiali assetati di gnocca”, commentò Helen lanciando occhiate sprezzanti all’intorno.
Solo uno dei presenti si accorse del loro ingresso: il barista che, con uno straccio che da tempo non vedeva il sapone, asciugava malamente dei bicchieri.
“Posso fare qualcosa per voi?”, chiese, alzando la voce per farsi sentire nel frastuono della musica.
“Sì”, rispose Michelle, avvicinandosi al bancone e mostrando all’uomo il foglietto spiegazzato che gli aveva dato Jake Harris. “Stiamo cercando quest’uomo”.
“E chi è che lo cerca?”, rispose il barista dopo aver dato un’occhiata al nome scarabocchiato, guardando acutamente i tre visi davanti a lui.
“Tre amiche di Jake Harris”.
L’uomo si rilassò vistosamente e fece loro cenno di seguirlo. Si spostarono nel retro del locale, in una stanzetta adibita ad ufficio. Il barista si tolse un grembiule non meno sporco del panno che stava adoperando e si mise seduto dietro la scrivania.
“Allora siete amiche di Jake, eh? Quel ragazzo è uno dei miei migliori clienti… Che cosa posso fare per voi?”.
“Stiamo cercando roba buona”, disse Michelle appoggiandosi alla scrivania, subito imitata dalle altre due.
“Ho tutta la roba buona che volete”.
“Quella che cerchiamo noi è un po’ particolare”, precisò Mary, lisciandosi distrattamente una manica del giubbotto.
“Sono il miglior fornitore delle Isole Aleutine, posso procurarvi tutto quello che volete”, insisté l’uomo, con una punta malcelata di orgoglio nella voce.
“Ne sei proprio sicuro?”, chiese sarcastica Helen.
“Al cento per cento!”.
“Noi vogliamo solo “Moonlight shadow”! E della migliore!”, disse Michelle, calcando il tono sull’ultima parola.
Aveva fatto di proposito quella richiesta: la “Moonlight shadow” era l’ultima novità nell’ambito delle droghe sintetiche e, secondo i dati di K.I.T.T., la maggior parte di quelle pillole veniva prodotta in Russia. La Trident sospettava, appunto, che i corrieri della droga utilizzassero uno dei pescherecci della loro flotta per effettuare il passaggio da Russia ad America. In base alla risposta che l’uomo avrebbe fornito loro, avrebbero deciso come muoversi.
Il barista sbiancò visibilmente non appena udì la loro richiesta. Si appoggiò allo schienale della poltrona e sibilò tra i denti.
“Mi sbaglio, o ci hai appena detto di essere in grado di fornirci tutto quello che vogliamo?”, chiese Helen, ancora più sarcastica.
“Sì, sì… È solo che la “Moonlight shadow” non è così facile da reperire. Fatemi fare una telefonata. Aspettatemi fuori”.
Le tre ragazze uscirono dalla stanzetta. Non appena Helen ebbe richiuso la porta alle loro spalle, Michelle si mise in comunicazione con K.I.T.T. tramite il suo orologio, lo stesso che aveva indossato Michael anni prima.
“K.I.T.T., il nostro uomo sta per fare una chiamata! Cerca di rintracciare il numero che sta contattando e registra la conversazione!”.
“Subito, Michelle!”, rispose la solerte voce del computer.

Lo schermo nella timoniera si accese, mostrando le curve di modulazione della voce dei due uomini mentre il Knight Rider registrava la comunicazione.
“Sì!”.
“Sono Steve. Ho qui delle clienti che vogliono la Moonlight”.
“Affidabili?”.
“Sì. Mandate dal mio miglior acquirente. Ho bisogno di sapere quando arriverà il prossimo carico”.
“La consegna è prevista per domani notte. Dopo domani al massimo avrai la roba!”.
“Bene. A dopo domani, allora!”.

La comunicazione si interruppe e le ragazze furono di nuovo ammesse nel piccolo ufficio.
“Avrò la “Moonlight” dopo domani”, annunciò loro il pusher senza mezzi termini.
“Bene”, rispose Michelle, “ci rifaremo vive”.
“Credo che dovreste lasciare un… piccolo acconto sul vostro ordine, non credete?”.
Le tre ragazze si lanciarono un’occhiata di sottecchi: avevano previsto quella mossa, ma non volevano lasciare traccia del loro passaggio, perciò scossero la testa all’unisono.
“Dovrai fidarti della nostra parola! Non aver paura, torneremo”. Con fare malizioso il terzetto salutò il barista, lasciando il locale di gran carriera.
Non videro però che anche un altro degli astanti aveva notato la loro presenza.

Non appena la porta si fu richiusa alle loro spalle, il giovane capitano Elliott Neese raggiunse il barista, che era ancora chiuso nel suo ufficio. Senza degnarsi di bussare, il ragazzo entrò nella stanzetta facendo trasalire Steve.
“Ehi! Dannazione, Elliott, mi hai fatto prendere un accidente!”.
“Che cosa volevano quelle tre?”, chiese senza mezzi termini.
“Moonlight shadow… Ho chiamato il capo. Mi ha detto che la consegna sarà per domani notte”.
Elliott annuì, pensieroso. “Sì, è così. Chi te le ha presentate?”.
“Jake Harris. Perché quello sguardo dubbioso?”.
“Non mi piace, non mi piace per niente… Dovrò tenere gli occhi bene aperti, durante lo scambio. Ho una brutta sensazione”.
“Di che genere?”.
“Non lo so ancora, ma molto spiacevole. Non ho idea di chi siano quelle tre in realtà, ma di sicuro non sono pescatrici di granchi come vogliono farci credere”.

Ignare di quanto avveniva al “Golden Crab”, le K.I.T.T.’s Angels tornarono al molo e una volta a bordo ascoltarono l’intercettazione telefonica.
“Bene. Ora abbiamo una traccia concreta! Domani notte controlleremo tutti i pescherecci nell’area, e vedremo se riusciremo a scoprire chi è il nostro corriere!”, disse Michelle, picchiettandosi la punta del naso con l’indice.
“Io credo di sapere già chi è”, commentò Helen, tirandosi una ciocca di capelli ricci fino a stenderla completamente.
“E chi?”, chiese Mary, curiosa di conoscere l’opinione dell’amica.
“La Cornelia Marie”.
“Dici?”.
“Secondo me, sì. Jake Harris conosce troppo bene quell’uomo. Non avete visto com’è cambiato subito il suo atteggiamento non appena abbiamo fatto il nome di quel piccolo Dumbo a due gambe?”.
“In effetti, è vero”, concordò Mary, grattandosi il lobo dell’orecchio destro.
“Sembra quasi fin troppo facile. Comunque, mi fido del tuo istinto, Helen. Domani notte rimarremo nei pressi della Cornelia Marie. Se K.I.T.T. capterà qualche altro movimento sospetto ci muoveremo di conseguenza. Ora riposiamoci più che possiamo. Dobbiamo essere al massimo della forma!”. Con quelle parole, Michelle dichiarò conclusa la riunione.



Spazio autrice: ed ecco che piano piano la vicenda inizia ad entrare nel vivo. Le ragazze cominciano ad indagare per scoprire chi è il corriere della droga. Noi lettori capiamo subito che è Elliott Neese il colpevole, ma loro ci metteranno un bel po', e non sempre tutto filerà liscio.
Grazie a tutti!

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Cominciano i guai ***


Cominciano i guai

La mattina dopo, il Knight Rider lasciò il porto di buon’ora e si diresse verso nuovi fondali di pesca. Non appena il computer ebbe individuato una zona ricca di granchi con i suoi sensori, le tre ragazze calarono tutte le loro nasse, seguendo ancora una volta un andamento a spirale. Finirono solo nel tardo pomeriggio e, nell’attesa dell’arrivo dell’ora prevista per la consegna della droga, K.I.T.T. ricontrollò le posizioni di tutti i pescherecci, prediligendo i movimenti del loro principale indiziato. Ben presto, però, il mare cominciò ad agitarsi. Le previsioni del tempo avevano segnalato l’arrivo di una tempesta artica, e il computer continuava a tenere d’occhio i movimenti del fronte temporalesco e l’altezza delle onde, per evitare di finirci proprio in mezzo.
Altri pescherecci non furono così fortunati. Mentre le tre ragazze riposavano in attesa della sera, K.I.T.T. le chiamò in plancia: un’onda anomala si stava avvicinando a tutta velocità in direzione della Kodiak.
“Dobbiamo avvertire il capitano Wichrowski!”, annunciò il computer, ligio alla sua programmazione di difesa della vita umana. “Ma non posso farlo io. Siamo in incognito. Tocca a te, Michelle, in qualità di capitano!”.
“Già… Speriamo che mi prenda sul serio. Come fa il capitano di un peschereccio a sapere che un’onda anomala sta per colpire un altro peschereccio che si trova a miglia e miglia di distanza? Beh, mi inventerò qualcosa!”. Afferrò il microfono della radio, mettendosi seduta sulla sua poltrona. “Knight Rider a Kodiak, Knight Rider a Kodiak, rispondete! Passo”.
Dopo pochi istanti la voce del capitano Bill rispose.
“Qui Kodiak, parlate pure. Passo”.
“Capitano, la volevo informare che un’onda anomala si sta dirigendo verso di voi da sud-est ad una velocità di 45 miglia orarie! Vi colpirà tra…”, interruppe la comunicazione mentre K.I.T.T. la informava.
“Due minuti e ventitré secondi esatti!”.
“…Tra due minuti e ventitré secondi… Passo”.
“Come diavolo fai a sapere che un’onda anomala sta per colpirmi?! Sei a centoventi miglia a sud-ovest dalla mia posizione!”. Per la sorpresa e l’incredulità, il capitano Bill dimenticò persino di dire “passo”.
“Ho un ottimo strumento di rilevazione della forza e direzione delle onde! Si fidi di me! Passo e chiudo”.

Il capitano della Kodiak rimase interdetto per qualche secondo poi, per scaramanzia, decise di seguire il consiglio della ragazza e si predispose ad affrontare l’ipotetica onda. Due minuti e ventitré secondi esatti dopo la segnalazione, un muro d’acqua investì il peschereccio provenendo dalla direzione indicata. Per l’imbarcazione non ci furono conseguenze, visto che la prua era rivolta nella direzione giusta e tutti i marinai erano al sicuro sottocoperta.
Il capitano Bill rimase immobilizzato dallo shock per qualche manciata di secondi dopo il passaggio dell’onda. Come diavolo faceva quella ragazza a sapere della presenza di quel mostro d’acqua? Non appena si riprese dal turbine di sensazioni che aveva dentro, afferrò la radio e chiamò il Knight Rider per ringraziare la ragazza dell’avvertimento.
“Kodiak a Knight Rider! È il capitano Bill che parla! Passo”.
“Qui Knight Rider! Capitano Michelle all’apparecchio! Passo”.
“Volevo ringraziarti per l’avvertimento… Non ho idea di come diavolo facevi a saperlo, ma l’onda mi ha colpito proprio come mi hai detto tu. Se fossi rimasto nella posizione di prima avrei rischiato di rovesciarmi, e invece non mi è caduta nemmeno la tazza del caffè! Ti devo la vita dei miei marinai… E la mia. Passo”.
“Dovere, capitano Bill. Sono contenta di aver dato una mano. Passo e chiudo”.

La ragazza riappese il microfono, e subito dopo iniziò una gazzarra di comunicazioni. Tutti i pescherecci nel raggio di duecento miglia avevano captato lo scambio tra il Knight Rider e la Kodiak, e nessuno aveva creduto che il capitano Boswald avesse potuto dare un’indicazione così precisa sulla posizione e la velocità di un’onda anomala. Quando il capitano Wichrowski aveva ringraziato era scoppiata la bagarre, e tutti avevano cominciato a contattarlo per avere la conferma che fosse successo davvero. Le tre ragazze scoppiarono a ridere, sedute nelle loro poltrone, nel sentire le voci incredule e i commenti di tutti gli altri capitani della flotta. Non appena terminarono le comunicazioni con la Kodiak, i capitani si rivolsero al Knight Rider, e Michelle fu costretta a pungolare più volte con i gomiti Mary ed Helen, che continuavano a ridere come matte, mentre lei cercava di rispondere seriamente alle domande dei suoi colleghi.

Ancora più distante, ai confini con le acque territoriali russe, il capitano Elliott Neese approfittò della confusione che si era venuta a creare. Era riuscito ad anticipare l’ora dello scambio, perché non si fidava affatto di quelle tre ragazze, ed ora questo episodio confermava ancora di più i suoi sospetti.
Anche lui conosceva bene il telefilm Knight Rider, sebbene fosse molto più giovane dei fratelli Hansen, ed il fatto che quella specie di peschereccio ricordasse così tanto il computer protagonista del serial lo aveva indotto a sospettare che ci fosse qualcosa sotto. Mentre tornava indietro, con il carico di droga al sicuro nel doppio fondo della stiva, decise che doveva scoprire chi erano quelle tre ragazze in realtà. E c’era solo un modo per farlo: creare un diversivo per farle uscire allo scoperto.

Non appena il trambusto si fu acquietato, K.I.T.T. e le ragazze si rimisero a sorvegliare i pescherecci. Trascorsero tutta la notte in bianco e, con loro grande disappunto, non accadde niente, né all’ora prevista per lo scambio, né dopo. La Cornelia Marie se ne rimase tranquilla sui suoi fondali di pesca e così gli altri pescherecci.
La mattina dopo, con gli occhi pesti per la mancanza di sonno e il morale sotto i tacchi delle scarpe, Michelle, Mary ed Helen recuperarono le loro nasse, riempiendo la piccola stiva del Knight Rider che fece poi rotta per Akutan.
Dopo aver scaricato il secondo carico di granchi, K.I.T.T. tornò di nuovo a Dutch Harbor. Le ragazze dovevano continuare la loro recita e tornare al “Golden Crab” a ritirare la “Moonlight Shadow”. Se, effettivamente, la droga non era stata consegnata, il pusher avrebbe dovuto trovare delle scuse e rimandare l’appuntamento. Faticarono molto a nascondere la sorpresa quando il barista consegnò loro tre bustine di pillole giallastre, dietro il pagamento di un’ingente quantità di dollari prelevati dal fondo spese della Fondazione.
“Questa non ci voleva!”, commentò Michelle rigirandosi tra le mani la bustina, una volta che le tre ragazze furono tornate a bordo del Knight Rider e si furono sedute al tavolo della cambusa.
“Già… Significa che o lo scambio è stato fatto e noi non ce ne siamo accorte, oppure che non hanno utilizzato un peschereccio!”, sentenziò Mary.
“All’ora indicata non è stato effettuato alcuno scambio! Altrimenti me ne sarei accorto, io!”, le rispose risentito il Knight Two Thousand.
Mentre Mary si scusava con il computer Michelle commentò a mezza voce: “Al ritorno da questa missione dovrò chiedere a mia zia il permesso di riprogrammare il suo “equalizzatore di emozioni”! Mi pare diventato un po’ troppo permaloso, ultimamente…”.
“E se invece lo scambio fosse stato fatto prima? Come, per esempio, mentre eravamo impegnate alla radio con tutti quei bifolchi? K.I.T.T., controlla nelle tue registrazioni se tutti i pescherecci sono sempre rimasti nel tuo campo d’azione, oppure se alcuni sono spariti, in quel momento!”, esclamò Helen, folgorata da un’illuminazione.
“Subito, Helen!”.
Il computer controllò rapidamente nella sua banca dati e, dopo pochi istanti, confermò il sospetto della riccia.
“Hai ragione, Helen! Nel lasso di tempo che va dalle 18:20 alle 18:45, mentre l’onda anomala colpiva la Kodiak e nei minuti successivi, quattro pescherecci erano fuori dal mio raggio d’azione, perché troppo distanti dalla mia posizione: la Sea Star, l’Incentive, la Northwestern e la Ramblin’ Rose”, elencò K.I.T.T. “La Sea Star non è mai rientrata nel raggio del mio radar, mentre le altre tre imbarcazioni sono tornate visibili nella mezz’ora successiva. Non ho tenuto conto di questo fatto solo perché l’ora prevista per lo scambio era ancora lontana”.
“Direi quindi che potremmo escludere la Sea Star, per il momento”, riprese Michelle. “Se non riesci ancora a vederla significa che è tuttora in alto mare, e quindi non può aver effettuato la consegna. A questo punto gli indiziati sono tre: l’Incentive, la Ramblin’ Rose e…”, fece una smorfia prima di concludere, “…La Northwestern!”.
“Allora dobbiamo concentrarci su questi tre pescherecci. Consiglierei di dividerci e di occuparci ognuna di uno di essi!”, sentenziò Helen.
La bionda annuì. “Sono d’accordo, ma prima vorrei ascoltare di nuovo le informazioni che hai nella tua banca dati su di loro, K.I.T.T.!”.
“Subito, Mary!”.
Lo schermo televisivo fissato alla parete di fronte al tavolo della cambusa si illuminò, mostrando un uomo sulla cinquantina, con capelli bianchi cortissimi e un paio di baffoni da tricheco.
“Ehi, questo sembra Obelix!”, commentò Mary ridendo.
“Capitano John Hendricks, del peschereccio Incentive. Non fa parte del gruppo Trident, ma ciò non significa che non potrebbe essere colpevole”, commentò il computer, prima di dare tutte le informazioni contenute nella sua banca dati sia sul capitano sia su tutti i membri dell’equipaggio. Finito con loro, sullo schermo apparve un’altra fotografia ed il computer passò alla Ramblin’ Rose.
“Capitano Elliott Neese, del peschereccio Ramblin’ Rose. Il più giovane capitano di tutta la flotta, molto ambizioso…”, ed ancora seguirono tutte le informazioni: vita, morte e miracoli del ragazzo e dei suoi marinai. Per ultimo toccò al loro “beneamato” capitano.
“Capitano Sigurd Hansen, del peschereccio Northwestern. Lavora sulla sua imbarcazione da quando aveva quindici anni…”. Anche il computer si lasciò sfuggire una smorfia prima di proseguire con il resoconto. Le tre ragazze raddrizzarono le orecchie quando K.I.T.T. rivelò loro che sia il fratello minore del capitano, Edgar Hansen, sia il marinaio Matt Bradley, avevano in passato fatto uso di droghe pesanti.
“Ragazze, credo che ci siamo!”, disse Michelle, facendo schioccare le spalle nel raddrizzarsi sulla sedia.
“Non facciamoci prendere dalla rabbia. Direi che dobbiamo comunque indagare su tutti e tre”, disse Mary.
“Concordo!”, aggiunse Helen. “ Io mi occuperò di Obelix…”.
“E io di Elliott”, si accodò subito Mary.
“Ho capito, a me tocca “Hannibal the Cannibal”…”, sospirò Michelle, grattandosi pensosamente la testa. “K.I.T.T., controlla la posizione dei tre pescherecci e dimmi dove si trovano! Se ce n’è uno a portata di mano tanto vale cominciare subito”.
“Subito, Michelle!”.
Mentre il computer scandagliava l’area si udì una specie di strano squillo e la voce del Knight Two Thousand annunciò: “Sta chiamando Michael!”.
“Salve, Michael!”, esclamarono in coro le tre ragazze mentre sullo schermo appariva l’immagine del primo pilota di K.I.T.T.
“Salve ragazze! Tutto bene? Come procedono le indagini?”.
“Tutto bene, per il momento. Abbiamo tre imbarcazioni sospette: l’Incentive, la Ramblin’ Rose e la Northwestern. Purtroppo questa notte abbiamo mancato una consegna, ma di sicuro il trasporto è stato fatto da uno di questi tre pescherecci”. In breve, Michelle fece rapporto.
“Ecco dove sono andati a finire quei mille e cinquecento dollari che sono usciti dal fondo spese della Fondazione”, commentò l’uomo quando la ragazza gli parlò della droga. “Mi sembra di sentire Devon: anch’io ne ho utilizzati un bel po’, di quei soldi…”, aggiunse, senza riuscire a trattenere un sorriso di nostalgia. “Beh, teneteci informati! Buon lavoro ragazze!”.
“Grazie, Michael!”, risposero di nuovo all’unisono. Non appena lo schermo si spense, K.I.T.T. comunicò le posizioni dei pescherecci. L’Incentive e la Northwestern erano ancora in mare, mentre la Ramblin’ Rose stava scaricando granchi all’isola di Saint Paul. Isolando il suo segnale GPS per non essere visto, il Knight Rider sfrecciò a tutta velocità verso il suo primo obiettivo.


Spazio autrice: il trafficante di droga è sfuggito sotto al naso delle ragazze, che ora si ritrovano a dover indagare su tre pescherecci diversi. Da ora in avanti le cose si complicheranno un po', per loro.
Ringrazio jarmione e alessandroago_94 che mi seguono con costanza, e anche tutti coloro che leggono silenziosamente

 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Mary si innamora ***


Mary si innamora


In un’ora e mezzo il motoscafo nero raggiunse l’isola di Saint Paul – riducendo la potenza dei motori prima di entrare in porto – con la scusa di una riparazione da fare. Per rendere la scusa più credibile, K.I.T.T. si sbizzarrì con il suo sintetizzatore di suoni, riproducendo il rumore di un motore sfiatato e sbuffando fumo nero dagli scarichi. Mentre Helen e Michelle fingevano di affaccendarsi in sala macchine, Mary scese e si diresse al piccolo bar dell’isola, passando proprio davanti alla Ramblin’ Rose.

Elliott aveva notato l’arrivo del Knight Rider, ed era più che sicuro di non averlo visto sul suo schermo GPS. Questo non fece che aumentare i suoi sospetti. Non appena vide una delle tre ragazze, la più alta, scendere dal peschereccio e dirigersi verso il bar, decise di ingraziarsela per riuscire a scoprire qualcosa di più sulla loro vera identità.

Mary stava per aprire la porta del locale quando si sentì chiamare.
“Ehi! Ciao!”.
Si voltò e vide che si trattava proprio dell’uomo che stava cercando.
“Ciao!”, rispose, accennando un sorrisetto.
“Tutto bene? Ho visto una bella colonna di fumo nero quando siete arrivate”.
“Sì, abbiamo avuto un problema al motore e non so a cos’altro… Michelle e Helen sono rimaste a bordo a riparare il guasto, ma io non mi intendo molto di meccanica”, spiegò la ragazza, “così per non stare tra i piedi ho deciso di scendere. E voi? Tutto bene? Come sta andando la pesca?”.
“Non mi lamento. Posso farti compagnia, mentre aspetti?”.
Mary sfoderò il suo miglior sorriso. “Sì, grazie”.
Elliott le aprì la porta e la fece accomodare ad uno dei piccoli tavoli, poi andò al bancone a prendere da bere. Non appena ebbe portato le loro consumazioni al tavolo, il capitano cominciò subito ad attaccare bottone.
“Allora, come vi trovate nel mare di Bering? C’è una bella differenza con la California, non è vero?”, chiese affabilmente, assaporando la sua birra a piccoli sorsi.
Mary annuì. “Sì, parecchia! Non sono abituata a queste temperature, il freddo mi sta uccidendo! Voi come fate a proteggervi?”, chiese, sperando di trascinare la conversazione verso l’argomento “sostanze stupefacenti”.
“Ormai siamo abituati. I marinai si fanno passare il freddo sgobbando, ma ti confesso che io tengo al massimo il riscaldamento nella timoniera. Adoro stare al caldo quando lavoro!”. Il ragazzo le strizzò l’occhio.
“Tutto qui?”, insisté lei. “Non è che per caso vi aiutate anche con qualcosa di più… forte?”.

Elliott capì subito dove la bionda voleva andare a parare, e questo non fece che accrescere i suoi sospetti che, in realtà, quelle tre ragazze fossero delle investigatrici private interessate al traffico di droga. Doveva essere molto prudente.
“Ti riferisci all’alcool, o a qualcosa di più?”, le chiese con voce maliziosa.
“Qualcosa di più…”.
“No, io e miei ragazzi siamo puliti, anche se forse rappresentiamo l’eccezione che conferma la regola, sai? Molti pescatori fanno uso di droga, la usano per combattere il dolore”, spiegò Elliott in tono colloquiale. “Ma sulla Ramblin’ Rose vige una regola ferrea: chi si fa viene licenziato! Ho perso uno dei miei più cari amici per colpa della droga, e da allora le ho dichiarato guerra. Purtroppo, come ti ho già detto, credo di essere una mosca bianca; e penso di poterti dire, con una certa sicurezza, che i miei peggiori antagonisti siano quelli della Cornelia Marie e della Northwestern”.

Nel sentire quei nomi, Mary drizzò le orecchie. “Come mai?”.
“Perché sia i fratelli Harris, sia i fratelli Hansen sono grandi “sostenitori” dello spaccio di droga nelle Aleutine. Ne consumano più loro e i loro marinai che non tutta l’Alaska”.
A quelle parole la ragazza si rabbuiò e si fece più pensierosa.
Il capitano Neese continuò. “Non mi dirai che anche voi ne fate uso, vero?”, chiese con voce suadente.
Lei scosse il capo senza alzare lo sguardo dal suo bicchiere.

Allora per quale motivo siete andate al Golden Crab a chiedere la Moonlight?”, si chiese Elliott, socchiudendo per un istante gli occhi prima di riprendere il discorso.
“Mi fa piacere…”, mormorò, ed allungando lentamente le braccia prese delicatamente la mano destra della ragazza tra le sue. Mary trasalì ma non la ritrasse. “Sai, circolano strane voci su di voi…”, riprese, a voce ancora più bassa e sensuale di prima.

Mary alzò lo sguardo su di lui.
“Che genere di voci?”.
“Quell’imbecille di Jake Harris va a dire in giro che siete lesbiche… Ma io non ci credo, sai?”. Mentre le diceva quelle parole prese ad accarezzarle il dorso della mano con i pollici. Mary si irrigidì sulla sedia, turbata, ma anche in parte compiaciuta. Scrutò per un attimo il volto del capitano con occhi diversi da prima e fu attratta da quello che vide: capelli biondi, occhi nocciola, naso un po’ lungo ma in accordo con i lineamenti spigolosi del resto del viso. Anche Elliott la guardò dritta negli occhi e le sorrise, continuando a carezzarle la mano.
Il cuore della ragazza cominciò ad andare a mille, mentre sentiva le guance imporporarsi. Il capitano Neese sollevò una mano e le sfiorò una gota. “Mi pare di capire che ho ragione, vero…?”.
“No… Sì… Beh… Io…”, balbettò Mary, impacciata.
Lentamente, molto lentamente, Elliott le si avvicinò. Le sfiorò prima la punta del naso con il suo poi, socchiudendo le labbra, si protese verso quelle di lei.
Mary rimase immobile, tremando come una foglia. Cosa le stava succedendo? Che diamine, era in servizio! Ma quel ragazzo era così carino e dolce… Le labbra del capitano Neese catturarono le sue e lei si lasciò andare, sciogliendosi tra le sue braccia come neve al sole.

Sogghignando internamente, Elliott le passò la mano libera dietro al collo, attirandola ancora di più verso di sé. Lei cedette con un piccolo gemito, e lui pensò a quanto era stato facile ingannarla. Le insinuò la mano tra i capelli e Mary si strinse maggiormente a lui, socchiudendo ancor di più le labbra per permettere alla lingua di Elliott di esplorare la sua bocca. Lui colse immediatamente l’invito ed approfondì il bacio, e stava già per sfiorarle il seno con l’altra mano quando la porta del bar si spalancò e la voce del capitano del Knight Rider li interruppe.

“Mary, siamo pronte per partire… MARY!”, esclamò Michelle, non appena vide la sua amica e collega avvinghiata tra le braccia del loro sospettato numero uno.
La ragazza si sciolse di scatto dall’abbraccio del capitano Neese e si alzò in piedi, rossa in volto e ansimante. Elliott rimase seduto, con un ghigno sghembo sul viso. Si passò il pollice sulle labbra, come a voler conservare il ricordo del bacio che aveva appena ricevuto. Michelle passò lo sguardo, incredula, dall’una all’altro, incapace di proferire parola. Che diamine era successo a Mary? Cedere alle lusinghe di un sospettato?! Non era da lei! Dopo diversi secondi di imbarazzo, il capitano del Knight Rider riuscì a dire: “Helen è riuscita a riparare il guasto… Possiamo andare…”. Senza attendere oltre riprese la porta ed uscì: aveva proprio bisogno di una boccata d’aria fresca.

Mary stava per seguirla, ancora rossa in volto, quando Elliott la afferrò per un braccio e la trasse a sé.
“È stato fantastico… Spero di rivederci presto”.
La ragazza si strofinò le braccia, un po’ a disagio, ma il giovane non accennò a lasciarla andare. La baciò su una guancia e le sussurrò all’orecchio: “Voglio darvi un consiglio. State alla larga da quelli della Northwestern. Quando si fanno diventano cattivi e pericolosi. Il peggiore di tutti è Sig… Avete già assistito ad una delle sue sfuriate appena arrivate, non è vero?”.
Mary fece di sì con la testa. Elliott la lasciò andare e lei uscì, raggiungendo Michelle che si era allontanata solo di qualche passo.
Non appena le due amiche furono fianco a fianco, Michelle attaccò.
“Ma si può sapere cosa ti è preso? È carino, non lo metto in dubbio, ma è uno dei sospetti!”.
“Non lo so… Mi ha preso la mano e ha cominciato a carezzarla… Comunque, prima di cedere alle sue attenzioni avevo già scoperto delle cose interessanti”.
“Bene. Torniamo a bordo, così ce le racconti!”.
Una volta a bordo del motoscafo nero, le tre si riunirono nella timoniera e Mary cominciò il suo rapporto.
“Sono riuscita ad introdurre l’argomento “droga” e lui mi ha rivelato che le ha giurato guerra da quando uno dei suoi migliori amici è morto per un’overdose. Ha anche aggiunto che i maggiori consumatori, qui nell’arcipelago, sono i fratelli Harris, i fratelli Hansen e i loro equipaggi”.
“Questo ci riconduce alla Northwestern”, commentò Helen.
“A meno che il giovanotto non abbia voluto depistarci volutamente, dandoci informazioni false. Non possiamo fidarci di nessuno, purtroppo. E la cosa vale anche per te, Mary!”, sbottò Michelle, risentita. Era la prima volta che la sua amica e collega si lasciava andare così durante un’indagine, e sinceramente la cosa non le faceva molto piacere.
Helen guardò le due con aria interrogativa, e la nipote di Bonnie non riuscì a trattenersi oltre.
“Quando sono entrata nel bar, Mary si stava sbaciucchiando con il capitano Neese”. Helen fissò l’amica inarcando le sopracciglia, e Michelle continuò. “E la sua può benissimo essere una tecnica per depistarci. Conquistare la fiducia di una di noi, con moine e avances, per poi propinarci tutte le bugie che vuole per salvarsi la pelle!”.

Mary incrociò le braccia sul petto, infastidita dal tono che stava assumendo la conversazione. Forse aveva ceduto troppo ingenuamente alle attenzioni di Elliott, ma in fondo non aveva fatto nulla di male, non aveva mica rivelato che erano tre spie in incognito!
“Sei solo gelosa perché io ho già trovato un bel ragazzo e tu no!”, si ritrovò quindi a sbottare, con astio, la bionda.

Michelle spalancò gli occhi e la bocca. Che diamine, Mary non poteva certo pensare una cosa del genere! Si conoscevano da tempo, e la bionda sapeva benissimo che Michelle non provava interesse per altri uomini che non fossero K.I.T.T., sempre che lo si potesse definire “uomo”. Non era certo gelosa di lei.
“Calmatevi, ragazze!”, sentenziò il computer, col suo caldo tono di voce. “State perdendo il controllo, e questo non ce lo possiamo permettere. Forse, anche se Michelle avesse ragione sull’interessamento del capitano Neese, potremmo sfruttarlo comunque a nostro vantaggio. Anche tu, Mary, puoi fingere per ottenere più informazioni”.
Mary annuì seccamente col capo e Michelle non replicò. Quella situazione assurda stava cominciando a mandare tutte e tre fuori di testa.



Spazio autrice: Le cose cominciano a degenerare pian piano. L'infatuazione di Mary non porterà a niente di buono, andando avanti nella storia.
Grazie mille a jarmione e alessandroago_94, che mi seguono con entusiasmo :-)

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** I soliti sospetti ***


 
I soliti sospetti


Due giorni dopo, il Knight Rider fece il suo ingresso al porto di Dutch Harbor carico di granchi. Grazie alle indicazioni di K.I.T.T., le ragazze avevano continuato a tirare su nasse piene fino all’orlo, con somma soddisfazione di Jeremy che, nonostante fosse ben consapevole che la loro era solo una copertura, non poteva certo lamentarsi per l’aumento di guadagno. Lasciando a Mary il compito di occuparsi della conta e dello scarico del pescato, Michelle ed Helen, ancora puzzolenti di pesce e con i capelli tutti aggrovigliati, si diressero all’Elbow Room per parlare con i loro sospettati.
La riccia individuò subito il capitano dell’Incentive e i suoi baffoni da tricheco. Con un cenno alla sua compagna si diresse baldanzosa verso di lui, lasciando Michelle da sola.
La nipote di Bonnie si guardò attorno per un istante prima di avvistare il mozzo della Northwestern, Jake Anderson, seduto al bancone del bar in compagnia dei fratelli Harris. Del suo capitano e i suoi fratelli neanche l’ombra.
Meglio così”, pensò Michelle. “Meno vedo quel buzzurro e meglio sto!”.
Fingendo una stanchezza maggiore di quella che in realtà provava, la ragazza si avvicinò ai tre, facendo schioccare le vertebre mentre si metteva a sedere sullo sgabello accanto a loro.
“Salve, ragazzi!”, salutò con cortesia, facendo una smorfia mentre portava le mani alla schiena. “Accidenti, questo mal di schiena mi sta uccidendo! Si vede proprio che sono una tipa da spiaggia… Allora, come sta andando la pesca?”.
I fratelli Harris la fissarono di sottecchi, il minore ancora memore dello schiaffo ricevuto da Helen. Il giovane Anderson, invece, rispose calorosamente al saluto. Era da un po’ che voleva parlare con qualche marinaio del nuovo peschereccio, per chiedere informazioni sul bellissimo disegno ad aerografo che ornava la sua timoniera.
“Cavoli, quel disegno è stupendo! Da chi lo avete fatto fare?”, chiese con entusiasmo, offrendole da bere.
“Da un artista di Los Angeles”, rispose Michelle, senza riuscire a trattenere un sorriso. Era stata proprio lei a volere quell’opera, perché K.I.T.T. continuava a lamentarsi di non essere più una Trans Am e quelle immagini non facevano altro che celebrare la sua storia.
“Sai, anch’io ero un appassionato di Knight Rider! Adoravo quel telefilm!”, continuò Jake. La ragazza sorrise educatamente, cercando di non lasciarsi scappare una risata divertita.
Oh, se solo sapessi…”, pensò, sorbendo un sorso di birra e fingendo un’altra smorfia di dolore.
“Tutto bene?”, le chiese il ragazzo, e lei continuò la sua pantomima.
“Per niente! Sì, è vero, la pesca va alla grande, ma non riesco a convivere con questo dolore allucinante. E le medicine non fanno alcun effetto! Oh, cavoli, avessi almeno quella roba speciale che trovavo in California… La Moonlight è buona, ma troppo leggera per i miei gusti”.
Il minore dei fratelli Harris le lanciò uno sguardo eloquente, mentre il giovane Anderson parve cadere dalle nuvole.
“Moonlight?! E che roba è?”, chiese, stupito, fissando alternativamente i suoi amici e Michelle. La ragazza si strinse nelle spalle, mentre Jake Harris deviò subito il discorso su un terreno meno pericoloso per lui.
A Michelle non sfuggì nulla. Capì che veramente il maggiore degli Harris non sapeva nulla della doppia vita del fratello, e che Jake Anderson era un novellino anche nel mondo degli stupefacenti. Escluse quindi che la Northwestern fosse coinvolta nel traffico di droga. Se quel peschereccio fosse stato un corriere, il mozzo lo avrebbe certamente saputo e, invece, la sua espressione di stupore era stata sincera e genuina.
Spero che Helen abbia più fortuna di me”, pensò lanciando un’occhiata nella sua direzione. Il capitano Hendricks rideva sguaiatamente e si batteva una mano sulla coscia, mentre la sua amica fingeva di ascoltarlo interessata.

La riccia, in realtà, era tanto nervosa che doveva tenersi strette le mani per non cominciare a menare schiaffoni a destra e a manca. Solo il suo piede sinistro, che tamburellava come se stesse battendo sul pedale di una grancassa, tradiva il suo reale stato d’animo. Era seduta col capitano Hendricks e il suo equipaggio da dieci minuti buoni, e ancora non era riuscita a prendere la parola per cercare di carpire qualche informazione. Il baffone, infatti, continuava a fare il gradasso, vantandosi della sua pesca miracolosa, e facendo battuttine allusive che mandavano Helen fuori di testa.
Se non la smette, giuro che gli tiro un pugno su quel muso da tricheco che si ritrova!”, pensò per l’ennesima volta.
Finalmente il capitano si interruppe per trangugiare un lunghissimo sorso di birra, e la ragazza riuscì a portare il discorso sul binario che voleva.
“Posso farvi una domanda un po’ indiscreta, ragazzi?”, attaccò, abbassando la voce in tono cospiratorio e piegandosi in avanti, verso il bancone. “Sapete, per caso, dove posso trovare roba forte?”. Voltò lo sguardo in direzione di Michelle, fingendo di controllare che non la stesse guardando. “Le mie amiche non lo sanno, ma ho bisogno di qualcosa che mi tiri su per restare in forma”.
Uno dei marinai più giovani – dalle informazioni ricevute da K.I.T.T. le pareva di ricordare si chiamasse Jamie Stone – lanciò uno sguardo al capitano, che rispose con un cenno affermativo mentre si ripuliva i baffoni con il dorso della mano, e le si avvicinò al punto da far sfiorare le loro fronti.
“Vieni stanotte alle due al magazzino 15. Vedremo di trovare qualcosa adatto a te”.
Helen sorrise e annuì. Poi, con una scusa, lasciò il bar in tutta fretta. L’occhiata impercettibile che lanciò alla sua compagna, ancora seduta in compagnia dei tre giovani marinai, passò inosservata alla ciurma dell’Incentive, ebbri com’erano di birra.

Non appena Michelle vide Helen lasciare il locale, si alzò dallo sgabello e fece schioccare ancora le vertebre.
“Adesso devo proprio andare”, sospirò, guardando l’orologio. “Abbiamo lasciato Mary a fare lo scarico dei granchi tutta da sola, ci starà mandando tanti di quegli accidenti che non so come farò a tornare indenne a bordo. Ci vediamo!”. E, dopo aver fatto l’occhiolino a Jake Harris, percorse a grandi falcate la distanza che la separava dall’uscita, raggiungendo la sua compagna che stava attraversando la strada.
“Allora, com’è andata?”, chiese la riccia quando Michelle le si affiancò.
“Non posso esserne sicura al cento per cento, ma credo che la Northwestern sia estranea al traffico di droga”, rispose la nipote di Bonnie, grattandosi il mento. “Quando ho parlato della Moonlight, il suo mozzo è caduto dalle nuvole, guardandomi stranito. Quindi, o è un bravissimo attore, oppure non ne sa assolutamente nulla. E credo che, stando a bordo, avrebbe avuto sicuramente modo di accorgersi di qualche movimento sospetto”.
Helen annuì pensierosa. “Io ho avuto maggior fortuna. Uno dei marinai dell’Incentive mi ha dato appuntamento al magazzino 15, per stanotte. Dovrò presentarmi da sola, perché ho detto loro che voi non siete a conoscenza del mio “vizietto”.
Michelle fece un cenno col capo. “Ti seguiremo a distanza, rimanendo nell’ombra, e chiederò a K.I.T.T. di sorvegliare la zona. Se noteremo movimenti sospetti non esiteremo ad intervenire”.

Al Knight Rider, Mary aveva appena terminato lo scarico dei granchi. Le tre ragazze si radunarono nella timoniera per fare il punto della situazione.
“Quindi, secondo voi il nostro corriere dovrebbe essere l’Incentive?”, riepilogò Mary, non appena le sue amiche ebbero concluso il loro rapporto. “È probabile”, aggiunse subito dopo, “anche se non me la sento di escludere a priori la Northwestern. Il suo capitano non mi piace per niente!”.
“Neanche a me, lo ammetto”, rispose Michelle, “ma Jake Anderson mi pare pulito. Però, se devo essere sincera, non mi piace nemmeno il capitano Neese. Ha uno sguardo troppo mellifluo…”.
A quell’allusione Mary saltò su, come punta da una vespa. “Dici così solo perché sei gelosa!”.
Michelle sbuffò. “Mary, ti prego! Non sono gelosa, come devo ripetertelo? Attualmente non mi interessano i ragazzi, ho a cuore solo la salute di K.I.T.T., come mia zia prima di me!”.
“Grazie, Michelle”, disse il computer, con un tono di compiacimento nella voce. La ragazza gli diede una pacca affettuosa sulla consolle degli strumenti.
Mary incrociò le braccia sul petto e grugnì, ma non aggiunse altro. Helen decise di intervenire.
“Ragazze, è inutile insistere su questa storia. Pensiamo, piuttosto, che stanotte alle due devo incontrare Jamie Stone. E pregate per lui che non abbia cattive intenzioni, altrimenti gli cambio i connotati!”, concluse facendo schioccare le nocche.

Quella notte, le K.I.T.T.’s Angels scivolarono furtive nel buio, il Knight Rider che controllava le loro mosse sui suoi radar, coprendo loro le spalle. Michelle gli aveva chiesto di tenere d’occhio tutta la zona e di avvertirle in caso di qualsiasi movimento sospetto, e K.I.T.T., ligio al dovere, aveva espanso al massimo il suo stato d’allarme, sondando l’area con tutta la sua strumentazione al completo. Il suo scanner frontale correva frenetico da un lato all’altro della prua, illuminandola di un tetro bagliore rosso.
Giunte a poche centinaia di metri dal luogo dell’appuntamento, le tre si fermarono.
“Ok, Helen”, sussurrò Michelle, “Mary e io rimarremo qui a guardarti le spalle. Se noti qualcosa di strano non esitare a contattarci”, aggiunse, indicando l’orologio identico al suo che Helen portava al polso. Bonnie ne aveva creati altri due, da affiancare all’originale di Michael, perché le tre amiche potessero sempre tenersi in contatto anche quando erano distanti.
La riccia annuì e Mary aggiunse: “Se K.I.T.T. lancia l’allarme, noi correremo in tuo aiuto. Non spaccare tutti i grugni che trovi, lascia divertire un po’ anche noi”.
Le tre non riuscirono a trattenere un risolino alla battuta, poi Helen raddrizzò le spalle e si allontanò in direzione del magazzino 15.
Il posto pareva deserto. Non si sentiva altro rumore oltre al frusciare del vento gelido del Mare di Bering. Helen si guardò furtivamente attorno, poi fece lentamente il giro dell’edificio, scivolando nell’ombra lungo le pareti di cemento grigio. Quando raggiunse il retro, vide una porticina di ferro socchiusa.
“K.I.T.T.”, soffiò nel suo orologio, “quante persone ci sono, all’interno?”.
“Tre”, rispose il computer. “A giudicare dalla stazza, credo che uno di loro sia il capitano Hendricks”.
La ragazza annuì, anche se il computer non poteva vederla, poi si rivolse nuovamente all’orologio. “Mary, Michelle. Io entro”.
“Ok”, rispose in un sussurro quest’ultima, mentre Mary tratteneva il fiato. Non si sentiva mai tranquilla in quelle situazioni: preferiva di gran lunga inseguire i nemici con la sua auto da corsa, correndo a duecento all’ora, a tutta quella forzata immobilità dell’attesa.
Helen scivolò silenziosa verso la porta, poi bussò due lievi colpi per farsi sentire. Dei passi risuonarono all’interno del capannone semivuoto e, poco dopo, Jamie Stone socchiuse il battente di uno spiraglio. Non appena la riconobbe, le aprì quel tanto che bastava per farla scivolare dentro, per poi richiudere subito dopo la porta alle sue spalle, con un tonfo sordo che rimbombò cupamente nella vastità del magazzino.
La ragazza sentì montare dentro di sé una strana inquietudine, ma tentò di non darlo a vedere.
“Allora, avete la roba per me?”, chiese, dominando l’impulso di mollargli un pugno in faccia e correre via.
“Certo. Vieni, seguimi”.
Jamie la condusse verso un’altra porta socchiusa, da cui filtrava una lama di luce. Helen lo seguì, con i nervi tesi fino allo spasimo. Per precauzione, attivò il sistema di comunicazione del suo orologio, così Michelle, Mary e K.I.T.T. avrebbero potuto ascoltare tutto quanto.
Nella stanzetta, il capitano Hendricks e un altro marinaio – Mark Smith, se ricordava bene dalle informazioni di K.I.T.T. – sedevano ad una scrivania graffiata e sporca, macchiata dalle bruciature di molti mozziconi di sigaretta. Davanti a loro si trovava un sacchettino di nylon trasparente, pieno di piccole capsule rosa pallido. Jamie chiuse la porta dietro di sé, bloccando l’unica via di fuga della ragazza.
“Ecco quello che ci hai chiesto”, attaccò il capitano, facendo tremare i suoi baffoni da tricheco. “Immagino che vorrai provarla, prima di pagare”.
“No, grazie. Mi fido”. Helen tirò fuori dalla tasca una mazzetta di banconote da cento dollari, anch’esse provenienti dal fondo spese della Fondazione, e la gettò sulla scrivania con gesto indolente. Fece poi l’atto di prendere il sacchetto, ma Mark la bloccò, stringendole il polso. La ragazza dovette fare appello a tutto il suo autocontrollo per non rovesciare la scrivania con un calcio e metterlo al tappeto con una mossa di Kung Fu. Non doveva farsi scoprire, non finché non fosse stata certa che i tre che aveva davanti erano veramente i corrieri che lei e le sue amiche stavano cercando.
“Scusa, tesoro”, riprese il capitano. “Tu forse avrai anche fiducia in noi, ma noi non ne abbiamo in te. Dimmi: chi cazzo sei, veramente?”.
Helen inarcò un sopracciglio. “Una tua cliente?”.
Mark la afferrò per il bavero del giubbotto con la mano libera. “Senti, ragazzina, non abbiamo voglia di scherzare. Credi davvero che avremmo venduto la nostra roba alla prima arrivata? Non pensare che non abbiamo notato quanto sia strana la vostra barca. Quello non è un peschereccio! Che cazzo ci siete venute a fare, tu e le tue amiche, nelle Isole Aleutine dalla California? Siete tre poliziotte, non è vero?”.
“E se anche fosse?”, chiese la riccia, il fiato corto per la costrizione al collo e la faccia paonazza per la rabbia.
“Allora vi pentirete amaramente di essere venute a romperci le palle!”, sibilò il capitano Hendricks, alzandosi in piedi. Stava per mollarle un ceffone in piena faccia quando la porta della stanzetta si spalancò, e Mary e Michelle – che avevano sentito tutta la conversazione e si erano avvicinate di soppiatto – fecero irruzione nella stanza. Approfittando dell’effetto sorpresa, la prima diede un calcio nello stomaco a Jamie Stone, mandandolo a ruzzolare in un angolo. Helen si liberò agilmente dalla stretta di Mark Smith, facendolo poi volare all’indietro oltre la sua schiena. Michelle si avventò sul capitano, parando lo schiaffo diretto alla sua amica con l’avambraccio sinistro e colpendolo al naso con la mano destra aperta. Il setto nasale dell’uomo si ruppe con uno schiocco secco, mentre il sangue prendeva a zampillare copioso. Con un ruggito di dolore l’uomo se lo strinse, e Michelle ne approfittò per colpirlo con un calcio al basso ventre che lo mandò al tappeto.
Mary e Helen finirono i loro avversari, poi scambiarono un gesto di esultanza con la loro amica. “Ce l’abbiamo fatta, ragazze!”, esclamò Michelle. “K.I.T.T., chiama la polizia. Abbiamo un bel po’ di spazzatura da rimuovere, qui!”.


Spazio autrice: Da questo capitolo in poi, la storia è stata scritta in tempi recenti, quindi è probabile che ci sia un cambiamento di stile.
La scena finale dello scontro è stata volutamente descritta in maniera blanda e sbrigativa, innanzi tutto perché la storia vuole comunque essere una lettura piuttosto “leggera”, e in secondo luogo perché anche in “Supercar”, Michael di solito fa molto presto a sbarazzarsi dei suoi avversari.
I due marinai dell’Incentive – Mark Smith e Jamie Stone – sono personaggi di mia invenzione. Il capitano Hendricks, invece, è apparso in una o due delle prime stagioni di “Deadliest Catch”.
Ovviamente, anche se non l’ho ancora mai specificato prima, con questo mio scritto non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di queste persone, né offenderle in alcun modo.

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Obiettivo sbagliato ***


Obiettivo sbagliato


Dopo che la polizia ebbe arrestato i marinai dell’Incentive, le tre ragazze fecero ritorno al Knight Rider, esauste. Il loro compito in quel posto dimenticato da Dio era finalmente finito, e presto sarebbero potute tornare alla loro amata California ed al caldo sole del Sud.
“Non vedo l’ora di tornare a casa”, esalò Mary, lasciandosi cadere seduta al tavolo della cambusa.
“Anch’io”, le fece eco K.I.T.T. “Non vedo l’ora di sbarazzarmi di tutta questa attrezzatura da pesca! E, soprattutto, di togliermi di dosso la puzza di pesce morto!”.
“Domani mattina chiameremo Jeremy e gli diremo che abbiamo concluso il nostro compito. Non mi pare il caso di svegliarlo alle tre di notte. Lo stesso vale per Michael. Ora riposiamoci, ragazze, e domani… torniamo, California!”, esclamò Michelle, strappando una risata alle altre due.
La mattina dopo, ancor prima di fare colazione, le tre salirono nella timoniera e si sedettero ognuna nella loro poltrona, pronte a fare rapporto a Michael. L’uomo, però, fece passare loro il buon umore.
“Ragazze, credo che l’arresto di ieri sera non abbia concluso il vostro compito”, disse, fissandole dallo schermo con sguardo serio. Bonnie, alle sue spalle, appariva preoccupata quanto lui.
“Cosa?!”, esclamò Helen, sobbalzando. “Che vorresti dire, Michael?”.
“Sono stato contattato da Jeremy stamattina all’alba. La polizia ha perquisito il peschereccio, ma non ha trovato alcuna traccia di droga, neanche una minima quantità. Gli uomini che avete preso sono soltanto dei pesci piccoli, o dei granchi piccoli, se vogliamo rimanere in tema…”.
“Ah ah…”, rise sarcastica la riccia. Michael finse di non avvedersene e continuò a parlare.
“L’Incentive non è il corriere in contatto con gli spacciatori russi. È un altro peschereccio il vostro obiettivo, e voi ragazze dovrete trovarlo alla svelta, adesso. La vostra copertura è saltata. Certo, forse non sanno ancora chi siete veramente, ma molti dei marinai hanno ormai intuito che non siete pescatrici di granchi reali”.
“Non tutto il male viene per nuocere. Almeno ora non saremo più costrette a pescare”. Mary si strinse nelle spalle. A lei i panni di pescatrice erano sempre andati molto stretti.
“Non posso che essere d’accordo con te!”, rincarò la dose K.I.T.T., lieto di dover smettere con la sua recita.
“Ora, ragazze, dovrete essere molto, molto prudenti! Buona fortuna!”, concluse Michael, mentre lo schermo si spegneva.
“Allora, abbiamo fatto un mezzo buco nell’acqua. Ora dobbiamo ricominciare da capo!”, esclamò Helen, passandosi nervosamente una mano tra i ricci.
“Già…”, concordò Michelle. “E a questo punto torniamo al nostro indiziato numero uno. Il capitano Elliott Neese della Ramblin’ Rose”.
“E perché non i fratelli Hansen della Northwestern?”, esclamò Mary, incrociando le braccia al petto. “In fondo, è stato proprio il capitano Hansen il primo a rifiutarsi di farci da nave appoggio. E se lo avesse fatto perché non gli fossimo di intralcio durante gli scambi?”.
Michelle dovette ammettere che Mary poteva anche avere ragione. Entrambe si stavano lasciando guidare un po’ troppo dal loro istinto. Lei non vedeva di buon occhio il capitano Neese perché era convinta che volesse solo approfittarsi della sua amica, mentre Mary lo difendeva a spada tratta proprio perché se ne era infatuata. La nipote di Bonnie scosse la testa, sconsolata. Ora che la loro copertura era saltata, dovevano assolutamente pensare ad un piano B.

Anche Elliott Neese aveva ricevuto una telefonata all’alba. Steve, il barista del Golden Crab, gli chiedeva un incontro urgente.
“Hai sentito cosa è successo, stanotte?”, chiese subito il barman non appena il capitano della Ramblin’ Rose ebbe fatto il suo ingresso nel piccolo ufficio.
“No, cosa?”, domandò in risposta il giovane ufficiale, soffocando uno sbadiglio dietro la mano.
“La polizia ha arrestato John Hendricks, Jamie Stone e Mark Smith per detenzione e spaccio di droga. Hanno perquisito il loro peschereccio, alla ricerca di prove. Credevano che fossero corrieri affiliati alla malavita russa! E pare che quelle tre pescatrici della California siano state le artefici della loro cattura!”, esclamò Steve, la voce che gli tremava. “Ti hanno scoperto, Elliott! Sanno che un peschereccio della flotta è coinvolto nel traffico di droga! È solo questione di tempo prima che arrestino anche te… E me di conseguenza!”.
Allora avevo tutte le mie ragioni, a sospettare di loro”, pensò il capitano Neese, prima di rispondere. “Sta calmo, Steve. Non è ancora detta l’ultima parola. In fondo, non mi hanno ancora beccato, no?”. “E che sia dannato se riusciranno a farlo”, pensò ancora Elliott, stringendo i pugni.
“No, no… Lo so, è questione di giorni, forse di ore, e poi prenderanno anche te! Basta, io me ne tiro fuori!”, gridò il barista, fuori di sé.
“Eh no, amico. Tu ci sei dentro fino al collo, come me. E non te ne andrai proprio da nessuna parte!”. Elliott si protese sopra la scrivania e afferrò l’ometto per il bavero della camicia sporca, scrollandolo come uno straccio vecchio. Steve riuscì a fatica ad aprire un cassetto della sua scrivania e ad estrarre una pistola.
“Lasciami andare, Elliott!”, sibilò, puntandogli l’arma al volto. “E se non vuoi che ti denunci alla polizia io stesso, lascia che mi lavi le mani di tutta questa faccenda”.
Il giovane capitano lo lasciò andare, furioso. “Se denunci me, denunci anche te stesso! Chi è che spaccia la droga ad Unalaska? Tu, non dimenticarlo!”.
“E secondo te la polizia dovrebbe crederti? Un povero pescatore subissato dai debiti di gioco, che trasporta la roba da un capo all’altro del Mare di Bering! Oppure dovrebbe credere a Jake Harris, un mentecatto col cervello bruciato dalla “bamba”?”. Steve fece un ghigno, poi mosse la pistola indicando a Elliott la porta. “E ora vattene! Io chiamerò subito il capo e gli dirò che è tutto finito. Non contate più su di me!”.
Il capitano Neese si alzò lentamente e uscì dall’ufficio. La rabbia lo permeava al punto da farlo vibrare. Aveva una voglia matta di entrare nel salone del locale e spaccare tutto quanto, ma a che sarebbe servito?
No… forse è meglio se riesco a lavorarmi ancora un po’ la biondina del Knight Rider. Devo assolutamente capire chi sono quelle tre e chi le ha mandate qui!”, rifletté tra sé e sé.
Corse fuori dal Golden Crab, diretto al suo pick up per tornare al porto. Non appena seduto al posto di guida il suo cellulare prese a squillare. Lo trasse dalla tasca del giaccone e fissò lo schermo. Era il capo.
“Sì”, rispose.
Dall’altro lato, risuonò una terribile condanna. “Uccidi Steve”.

Le K.I.T.T.’s Angels scesero dal Knight Rider con una nuvola temporalesca al posto delle sopracciglia. La situazione si stava facendo scottante e, prima di decidere quale fosse il passo successivo da compiere, Michelle voleva parlare con Jeremy.
Il rappresentante della Trident aveva dato loro appuntamento all’Elbow Room e, quando le ragazze entrarono nel locale, lui era già seduto ad un tavolo in fondo alla sala.
“Michael ci ha informato, stamattina presto, che il capitano Hendricks non era l’uomo che stavamo cercando”, esordì Michelle senza tanti preamboli, lasciandosi cadere sulla sedia imitata dalle sue amiche.
“Già, è proprio così, infatti. Avete sollevato un bel polverone, ragazze, facendo arrestare la persona sbagliata. Ora tutti i marinai del Mare di Bering sanno che non siete delle vere pescatrici! Stamattina mi ha telefonato Johnatan Hillstrand, e me ne ha dette di tutti i colori, per avergli chiesto di farvi da nave appoggio senza averlo prima avvertito che eravate delle poliziotte in incognito!”, sbottò l’uomo, trattenendosi a stento dallo sbattere il pugno sul tavolo.
“Ehi! Vorresti forse dire che è colpa nostra?”, chiese Helen, mostrandogli minacciosamente il pugno chiuso. “Abbiamo fatto arrestare dei criminali. Punto e basta! Chi poteva immaginare che sulle Isole Aleutine circolasse più droga che in Jamaica?!”.
Jeremy scosse il capo e si passò una mano sulla fronte, asciugando il sudore provocato dalla tensione. “Scusatemi, ragazze. È solo che tutta questa situazione di merda mi sta uccidendo!”.
Michelle lo mise a tacere con un gesto secco della mano. “Porteremo a termine il nostro compito. Anche se la nostra copertura è saltata, siamo in ballo e continueremo a ballare. Seguiremo ogni peschereccio della flotta fino in capo al mondo, se necessario, pur di scoprire chi è il corriere”.
“Non avete alcun indizio? L’Incentive era il vostro unico sospettato?”.
“In realtà, no. Abbiamo altri due pescherecci nella nostra lista. E abbiamo tutta l’intenzione di scoprire quale dei due è quello che stiamo cercando”.
“Non potete dirmi chi sono?”. Lo sguardo di Jeremy, notò Michelle, era fin troppo curioso per i suoi gusti. Mary stava per rispondere alla sua domanda ma la nipote di Bonnie la bloccò, smorzandole le parole sulle labbra.
“No, è meglio di no. Meno gente ne è a conoscenza e meno rischi corriamo noi”.
L’uomo strinse le labbra in un moto di disappunto. “Va bene, fate pure quello che dovete fare! Vi ricordo solo che ora il tempo stringe. Il responsabile dello spaccio starà molto attento, ora che sa di avere qualcuno alle calcagna!”.
Di nuovo sole, Mary si rivolse a Michelle.
“Perché hai impedito che gli dicessi chi sono i nostri sospetti?”.
“Perché non mi piace per nulla la sua curiosità. Non avete visto come ci guardava? Forse sarò troppo sospettosa, ma non mi fido neanche di lui”.
“Perché dici così?”, chiese Helen, turbata.
“Pensateci bene”, riprese Michelle. “Ci sarà pure chi organizza le consegne, da terra. Chi effettua i trasporti è solo una pedina tra le mani di qualcuno più potente, e Steve, il barista del Golden Crab, ha telefonato ad un certo “capo”, quando siamo andate a chiedere la Moonlight. E se, quel capo, fosse proprio Jeremy?”.
“E, secondo te, allora per quale motivo proprio Jeremy avrebbe contattato la Fondazione per ricevere il nostro aiuto? A volte hai la mente proprio contorta, Mich…”, borbottò Mary.
“Può darsi, ma voglio chiedere a K.I.T.T. di analizzare la voce di Jeremy e paragonarla con quella della telefonata registrata. Se troverà qualche corrispondenza, sapremo di aver trovato il nostro uomo”.


 

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** La situazione degenera ***


La situazione degenera


Di comune accordo, mentre K.I.T.T. analizzava diligentemente la voce di Jeremy, comparandola con quella de “il capo”, e allo stesso tempo teneva d’occhio con i suoi sensori tutti i pescherecci, le K.I.T.T.’s Angels ripresero il loro lavoro di investigazione a tempo pieno, senza più curarsi di spacciarsi per pescatrici. Ormai le voci sul loro coinvolgimento nell’arresto del capitano Hendricks e soci si erano sparse a macchia d’olio, e non c’era nemmeno un marinaio che non sapesse come le ragazze avessero steso tre uomini molto più robusti di loro.
Passata la rabbia iniziale, il capitano Hillstrand della Time Bandit si era complimentato con loro, lasciandosi andare a battutine allusive che gli avevano fatto guadagnare molte occhiatacce da parte di Helen. Tanti altri capitani, invece, continuavano a guardarle con occhi sospettosi, parlottando a bassa voce con i propri equipaggi e indicandole con cenni del capo ogni volta che le vedevano.
Michelle avrebbe voluto che fosse Helen ad occuparsi del capitano Neese, per evitare ulteriori coinvolgimenti sentimentali da parte di Mary, ma la bionda si era rifiutata categoricamente.
“Posso sfruttare la sua attrazione nei miei confronti per cavargli fuori delle informazioni preziose!”, aveva esclamato, quando la nipote di Bonnie aveva comunicato le sue intenzioni.
Michelle era stata costretta a cedere, a malincuore.
Spero solo che la sua attrazione sia genuina perché, se come penso io, è tutta una finta, dovrai stare molto attenta a non farti mettere nel sacco!”, pensò mentre guardava l’amica allontanarsi in direzione della Ramblin’ Rose.

Elliott, seduto nella sua timoniera, vide subito la biondina del Knight Rider scendere dal peschereccio – o quello che era, ormai era certo che quell’imbarcazione fosse tutto meno che dedita alla pesca – e dirigersi nella sua direzione. Con un ghigno che gli andava da orecchio a orecchio scese sul ponte, pronto ad intercettarla. Non fu affatto sorpreso di vedere che la ragazza stava proprio cercando lui.
Sospettano di me, questo è certo… Ma io ho già un’idea su come far cambiare loro opinione”, pensò, mentre la invitava a bordo con un sorriso e un cenno del braccio.

Mary salì agilmente, saltando la bassa murata. Elliott la accolse prendendola per le mani e facendola piroettare su se stessa.
“Ciao tesoro. Ardevo proprio dalla voglia di vederti, sai?”.
Suo malgrado, Mary si sentì arrossire. Era indubbiamente attratta da quel giovane capitano intraprendente, che con le sue piccole moine la faceva sentire importante. Erano cinque anni che lavorava fianco a fianco con Michelle ed Helen a bordo del Knight Rider, senza la possibilità di farsi una vita, e cominciava ormai a sentire il bisogno di avere qualcuno al suo fianco. Riusciva a capire perfettamente cosa aveva provato Michael durante i suoi anni alla Fondazione. E, dopotutto, lui era stato fortunato. Si era innamorato di Bonnie e i due avevano potuto vivere insieme anche sul lavoro. Ma per lei era tutta un’altra storia. Non c’erano giovani nella nuova Fondazione, e i pochi ragazzi che aveva avuto modo di frequentare erano letteralmente scappati quando avevano saputo che lei era una specie di investigatrice privata, per non avere guai. Helen era troppo dedita al suo lavoro di meccanico per desiderare di trovarsi un compagno di vita, e Michelle era legata a doppio nodo a K.I.T.T., ma lei non aveva nulla a distrarla dal suo desiderio di compagnia maschile.
Per questo, quando il capitano Neese la invitò a bere qualcosa insieme, non si lasciò pregare, seguendolo docilmente fino all’Elbow Room. Lungo la strada, i due passarono vicino alla Northwestern, ormeggiata poco distante dal bar. Mary colse una fugace immagine di Helen appostata dietro ad alcune casse, intenta a controllare i due fratelli Hansen che si affaccendavano sul ponte del peschereccio, mentre Michelle seguiva, fingendo indifferenza, il capitano Sig diretto al magazzino alimentare per fare scorta di viveri.
Occupata a controllare i movimenti delle sue amiche non si accorse che Elliott, con noncuranza, aveva lasciato cadere qualcosa oltre la murata del peschereccio bianco, un oggettino metallico, piccolo e rotondo, su cui una spia rossa lampeggiava ad intermittenza.
Una volta nel bar, il capitano Neese le offrì un paio di birre che le andarono subito alla testa, e Mary, ebbra di alcool e di infatuazione, dimenticò totalmente cosa ci facesse in sua compagnia e perché.
“Allora, ho sentito dire che avete fatto arrestare degli spacciatori. Ti avevo avvertito che la flotta è tutta – o quasi – marcia fino al midollo”, attaccò Elliott, prendendole le mani tra le sue e carezzandogliele dolcemente con i pollici. “Quelli dell’Incentive ne sono la prova inconfutabile. E… avete già controllato i marinai della Northwestern?”, aggiunse subito dopo con noncuranza, estendendo le carezze alle braccia della ragazza.
Mary rabbrividì di piacere prima di rispondere. “Se ne stanno occupando adesso le mie amiche. Michelle ed Helen sono alle costole dei fratelli Hansen. Sai, loro sospettano anche di te”, aggiunse ingenuamente, “e hanno incaricato me di sorvegliarti, ma tu sei troppo carino per essere invischiato in questo traffico”.

Elliott la fissò con occhi languidi, ma dentro di sé sghignazzava. “Come sei stupida e ingenua, ragazzina. È così facile prendersi gioco di te”. Le baciò entrambe le mani prima di rispondere. “Sono onorato di avere la tua fiducia. Una ragazza dolce e sensibile come te non dovrebbe fare un lavoro così… logorante”.
“Sì, hai proprio ragione. Ma voglio troppo bene alle mie amiche per lasciarle…”, mormorò Mary, incerta.
“Mi pare che se la stiano cavando benissimo anche da sole, no? Non mi hai appena detto che stanno pedinando Sig e i suoi fratelli? Presto scopriranno che anche loro sono invischiati in tutta questa merda”. Il giovane capitano si interruppe, avvicinandosi alla ragazza e sfiorandole il collo con un bacio. “Perché non ti prendi qualche attimo di riposo? Potresti venire sulla Ramblin’ Rose… La mia cabina è troppo grande e il mio letto troppo vuoto, sai?”.

La bionda rabbrividì al pensiero di cosa le stava proponendo Elliott, mentre una strana fiamma si accendeva dentro di lei. Desiderava veramente quel ragazzo al punto di concedersi a lui senza nemmeno conoscerlo a fondo? Stava tentando di raccogliere tutta la forza necessaria per rifiutare quando il lungo naso del capitano Neese sfiorò il suo, mentre le sue labbra le cercavano la bocca. Mary trattenne il respiro e chiuse gli occhi, lasciando che le loro lingue si incontrassero a metà strada ed ingaggiassero una lenta e sinuosa danza.

Michelle aveva seguito il capitano Hansen fin dentro il supermercato. Per non dare nell’occhio, aveva preso anche lei un carrello e si era messa a buttarci dentro oggetti alla rinfusa, senza nemmeno curarsi di cosa stava acquistando.
Passando tra i corridoi, riconobbe il brutto muso di Steve, il proprietario e barista del Golden Crab. Anche lui stava facendo rifornimenti per il suo locale, e aveva il carrello pieno zeppo di alcolici. Sig lo salutò con un cenno della mano e la ragazza annotò mentalmente l’informazione: i due si conoscevano.
Il magazzino non era molto affollato, così Michelle permise al capitano di allontanarsi un po’. Non voleva assolutamente essere vista, per non farlo insospettire. Voleva che l’uomo si comportasse in modo naturale, così da poter notare qualsiasi stranezza.
Sigurd fece la sua spesa abbastanza in fretta. Alla cassa si ritrovò alle spalle di Steve, che intavolò con lui una breve conversazione riguardo al tempo e alla pesca.
Che sia una conversazione in codice?”, si chiese Michelle, cercando di mandare a mente tutto quello che stavano dicendo.
Dopo aver pagato, il barista del Golden Crab sospinse il carrello carico di bottiglie di liquore fino al suo pick up, parcheggiato dall’altro lato della strada. Mentre l’uomo caricava i suoi acquisti sul cassone, il capitano Hansen insacchettò la sua spesa, pagò e uscì.
Michelle abbandonò il carrello mezzo pieno in uno dei corridoi e si apprestò a seguirlo. Non appena si mise a spingere la grossa porta a vetri per uscire dal supermercato, il suo orologio emise due brevi “bip”. K.I.T.T. la stava chiamando.
Non fece in tempo a rispondere che la voce allarmata del computer risuonò dalla piccola cassa acustica. “Michelle, rilevo tracce di esplosivo all’interno del pick up blu parcheggiato di fronte a te!”.
La ragazza alzò lo sguardo in direzione di Steve. Era salito a bordo e stava per mettere in moto. Sigurd, una busta per ogni braccio, era pronto ad attraversare la strada proprio davanti all’automezzo. Michelle sentì il sangue gelarlesi nelle vene. Non poteva fare nulla per salvare il barista, ma poteva almeno proteggere la vita del capitano Hansen, per quanto poco le stesse simpatico.
“Sigurd, giù!”, gridò mentre si lanciava verso di lui. Si buttò contro l’uomo con tutto il suo peso, facendolo rovinare a terra. Il capitano Hansen ebbe appena il tempo di lasciar cadere le borse della spesa per attutire la caduta con le mani, che, con un boato tremendo, il pick up saltò in aria, assordandoli. Il cofano dell’automezzo sibilò veloce nell’aria a pochi centimetri dalle loro teste, andando a schiantarsi al suolo con uno stridio metallico, mentre gli altri pezzi si sparpagliavano all’intorno, cadendo l’uno dopo l’altro sull’asfalto come coriandoli incendiati. Gli allarmi di alcune automobili e del supermercato presero a suonare, mentre i pochi avventori del magazzino si riversavano all’esterno per vedere cosa fosse successo.
“Oh cazzo…”, sibilò il maggiore dei fratelli Hansen, alzando il volto verso ciò che rimaneva del pick up di Steve. Michelle era ancora sdraiata sulla sua schiena, anche lei a fissare le fiamme che si alzavano dalla carcassa. L’aria rovente colpì i loro visi come un pugno.
Per un attimo entrambi rimasero fermi immobili, respirando affannosamente per lo spavento e l’adrenalina. Sig fu il primo a riprendersi, scrollandosi la mora di dosso. “Si può sapere che cazzo ci facevi nel supermercato? Mi stavi spiando, forse? Cosa credi, che sia anch’io uno spacciatore come Hendricks?”.
“Ringrazia il cielo che ero proprio dietro di te”, replicò Michelle eludendo le sue domande, “altrimenti saresti saltato in aria proprio come Steve!”.
Il capitano Hansen stava per replicare quando, dall’orologio della ragazza, giunse nuovamente la voce di K.I.T.T.
“Tutto bene, Michelle?”.
“Sì, K.I.T.T., grazie per avermi avvisato”.
“Dovere”.
Sig fissò prima l’orologio poi la ragazza, allibito. “Ma si può sapere chi cazzo siete, voi tre?!”.
Michelle sospirò. Non avrebbe voluto rivelare la verità, soprattutto non ad un suo sospettato, ma la situazione era ormai degenerata al punto da rendere ogni segreto inammissibile.
“Vieni con me al Knight Rider. Ti spiegheremo ogni cosa”.

Quando l’esplosione scosse Dutch Harbor, Mary era languidamente sdraiata tra le braccia di Elliott Neese. Dopo aver fatto l’amore i due si erano concessi parecchi minuti di silenziosa calma, interrotti soltanto da baci e carezze.
“Che cosa è stato?”, esclamò la ragazza, mettendosi a sedere di scatto. Il lenzuolo le cadde da dosso e lei, automaticamente, si coprì il seno con un braccio.
Elliott sapeva perfettamente cos’era successo. Il controllo a distanza, che poco prima aveva abbandonato sulla Northwestern, era entrato in funzione dopo che lui aveva premuto una sequenza di tasti ben specifica sul suo cellulare. Così, se anche ci fosse stato qualcuno in grado di captare l’impulso elettrico che aveva innescato l’esplosione, gli strumenti avrebbero rilevato che il segnale era provenuto dalla Northwestern. In questo modo allontanava da sé i sospetti, oltre ad essersi fornito il migliore alibi che avesse sperato: il sesso migliore che avesse mai fatto da un po’ di tempo a quella parte.
Finse comunque sorpresa e preoccupazione. “Non lo so… Sarà meglio andare a dare un’occhiata”.

Mentre si rivestivano, l’orologio di Mary emise i consueti “bip”. “Mary, a rapporto sul Knight Rider, subito!”, esclamò la voce di Michelle.
La bionda si sentì avvampare. Per tutto quel tempo si era dimenticata chi era e perché fosse andata alla ricerca del capitano Neese, e ora la voce della sua compagna glielo aveva riportato d’improvviso alla mente.
“Scusami, Elliott, ma ora devo proprio andarmene”, balbettò prendendo in fretta il suo giaccone.
Il giovane la fermò. “Dimmi almeno che ci rivedremo”.
“Non lo so…”, borbottò di nuovo lei, correndo via.

Il capitano Neese sorrise, certo di averla ormai in pugno.


Spazio autrice: Ringrazio tutti coloro che seguono la storia, anche silenziosamente.
Un plauso ai miei fedeli lettori che mi assecondano sempre: alessandroago_94 e jarmione

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Non solo spiegazioni ***


Non solo spiegazioni


Il capitano Sig Hansen si guardò attorno con gli occhi sgranati per la meraviglia. Michelle lo aveva condotto nella timoniera del Knight Rider e lo aveva fatto accomodare nella poltrona di mezzo, in attesa che Helen e Mary li raggiungessero a bordo.
“Ma che cazzo di peschereccio è, questo?”, chiese, senza riuscire a nascondere la curiosità.
“Io non sono un comune peschereccio”, rispose K.I.T.T. in tono piccato. “Sono il Knight Industries Two Thousand. E lei, signore, mi deve ancora delle scuse per avermi gettato contro il suo mozzicone di sigaretta!”.
Sig fissò esterrefatto le barre rosse luminose del sintetizzatore vocale, posto proprio al centro della plancia. “Oh, cazzo… Ma allora è tutto vero? Esiste davvero la F.L.A.G.?”.
“Sì, capitano Hansen. È tutto vero. La Fondazione, K.I.T.T., Michael… Esistono davvero. Io sono la nipote di Bonnie”, spiegò Michelle, fronteggiandolo. “Adesso, anche tu sei uno dei pochi a conoscenza della verità. E, anche se sei un sospettato e non dovrei parlartene, voglio spiegarti per quale motivo siamo venute in questo buco ghiacciato invece di restarcene al sole della California”.
“Sospettato?! Sospettato di cosa?”, chiese Sig, cominciando ad arrabbiarsi nuovamente.
“Di essere un corriere della droga con il tuo peschereccio”.
A quelle parole il capitano perse il controllo. “Che cosa?!”, urlò, alzandosi in piedi e avanzando verso la ragazza, la faccia paonazza e le vene del collo gonfie come corde di violoncello. “Secondo voi, io sarei dedito al traffico di droga?!”.
Michelle non si lasciò intimidire dalla sua veemenza. Incrociò le braccia sul petto e gli ordinò: “Rimettiti seduto!”.
Dopo alcuni attimi in cui soppesò le sue possibilità, Sig obbedì.
In quell’istante, Mary ed Helen entrarono nella timoniera. Entrambe notarono gli sguardi di fuoco che i due contendenti si stavano lanciando, ma non dissero nulla e si sedettero ognuna nella propria poltrona.
“Bene, ora che siamo tutti posso procedere con le spiegazioni”, riprese Michelle. “Jeremy, il tuo grossista, si è messo in contatto con la Fondazione per denunciare un traffico di droga. Aveva il sospetto che uno dei pescherecci della sua flotta fosse in contatto con la mafia russa, per la quale avrebbe effettuato degli scambi al confine delle acque territoriali americane. Droga sintetica proveniente dalla Russia e destinata ad essere distribuita in tutti gli Stati Uniti. Hai mai sentito parlare della Moonlight Shadow?”.
Michelle fece una pausa per esaminare l’espressione apparsa sul viso congestionato del norvegese. Le parve genuinamente confuso: quel nome non gli diceva assolutamente niente.
“Beh”, riprese la ragazza, “il nostro compito era quello di scoprire quale peschereccio fosse il corriere. Così ci siamo spacciate per pescatrici di granchi per tenere tutti sotto controllo. Abbiamo presto scoperto in quale notte ci sarebbe stata una consegna. Per la precisione, la volta in cui la Kodiak è stata colpita dall’onda anomala”.

Sig ricordava benissimo quell’episodio. La comunicazione radio in cui il capitano Boswald annunciava a Bill Wichrowski che di lì a poco sarebbe stato colpito da un’onda anomala aveva lasciato basita l’intera flotta, soprattutto quando tutti avevano scoperto che la segnalazione era esatta.
“Come hai fatto a sapere di quell’onda?”, chiese l’uomo, incapace di trattenere la curiosità suo malgrado.
Michelle indicò la plancia. “È stato K.I.T.T. a rilevarla. Il merito è tutto suo”.
“Grazie, Michelle”, disse il computer in tono compiaciuto.
“Per via della confusione”, continuò la nipote di Bonnie, dopo aver dato una pacca affettuosa sul legno della consolle, “purtroppo non siamo riuscite a seguire il peschereccio che ha effettuato la consegna. Ma K.I.T.T. è riuscito ad individuare tre possibili sospetti, che durante la nottata sono rimasti fuori della portata dei suoi radar. Uno era l’Incentive. E uno la tua Northwestern”.
Sig strinse i pugni, cercando di dominare la rabbia. Capiva che quelle ragazze stavano solo facendo il loro lavoro, ma il fatto di essere stato sospettato di traffico di droga lo mandava letteralmente in bestia. “E chi sarebbe il terzo sospetto?”, chiese in un cupo ruggito.
“La Ramblin’ Rose”.
Mary storse il naso ed abbassò lo sguardo nell’udire il nome del peschereccio, ma non disse nulla. Il capitano Hansen scoppiò in una risata amara.
“Il giovane Elliott Neese… Non mi meraviglierei affatto se fosse proprio lui l’uomo che cercate”.
“E tu che ne sai?”, saltò all’aria Mary, agitando le braccia. “Sei solo uno stupido buzzurro ignorante, maschilista e col cervello di gallina!”.
Sigurd prese a balbettare e a sputacchiare, il volto paonazzo e gli occhi strabuzzati per la furia. “Come osi chiamarmi in questo modo, piccola ochetta che non sei altro…”.
“Basta! Smettetela voi due!”, gridò Michelle, pestando il piede a terra. Per rafforzare il concetto, Helen si alzò dalla sua poltrona e si avvicinò al capitano Hansen, mostrandogli i pugni. Mary incrociò le braccia al petto e fece ruotare la sua poltroncina, voltando loro la schiena.

Il silenzio che seguì fu spezzato dalla voce di K.I.T.T.
“Ragazze, ho appena terminato di esaminare gli istanti appena precedenti all’esplosione. I miei sensori hanno captato un impulso elettrico provenire da questo punto”.
Uno dei monitor si accese, mostrando la mappa del porto di Dutch Harbor. Un puntino rosso lampeggiava lungo uno dei moli.
Sigurd sbiancò. “Ma lì è dove è ormeggiata la Northwestern…”.
“Allora non ci resta che andare a controllare”, esclamò Michelle scattando in avanti. “Helen, fai gli onori di casa. Non lasciar uscire il capitano Hansen per nessun motivo al mondo. Mary, vieni con me. Andiamo a perlustrare il peschereccio”.
La bionda annuì e si alzò dalla poltroncina.
Sig riprese a sbraitare. “Questo è sequestro di persona, non potete trattenermi qui!”.
Fece l’atto di alzarsi a sua volta ma Helen, con una mossa repentina, lo colpì alla base del collo con il taglio della mano, mandandolo KO. L’uomo si accasciò sulla poltrona, un sibilo sfiatato che gli sfuggiva dalle labbra.
“Bel colpo, Helen”, si complimentò K.I.T.T.
“Grazie. Così, almeno per un po’, non darà alcun fastidio”, commentò la riccia, risistemandosi i capelli raccogliendoli nella pinza.

Il ponte della Northwestern era bagnato e scivoloso quando le due ragazze salirono a bordo. I marinai avevano finito di scaricare i granchi ed erano andati al bar a godersi una meritata birra. Michelle e Mary si guardarono attorno, furtive.
“Bene, sembra che non ci sia nessuno. Tu, Mary, controlla a poppa, io andrò a prua. La prima che trova qualcosa fa un fischio all’altra”.
La bionda annuì ed entrambe si misero a scandagliare il ponte tramite l’orologio, attraverso il quale K.I.T.T. avrebbe potuto rilevare gli impulsi elettrici del dispositivo. Guidata dal computer, ben presto Michelle trovò un piccolo oggetto metallico rotondo, con una spia intermittente rossa che continuava a lampeggiare ad intervalli regolari.
“È un innesco a distanza”, disse a Mary, mostrandoglielo. “Indubbiamente, l’impulso che ha provocato l’esplosione è partito proprio da qui”.
“Io te l’avevo detto che Elliott non centrava nulla con tutto questo casino!”, esclamò Mary e Michelle incassò il colpo. A quanto pareva si era sbagliata. Tutto portava a credere che i fratelli Hansen fossero i responsabili. Eppure, qualcosa continuava a sfuggirle.
“Non credo che Sigurd sia direttamente coinvolto nell’esplosione”, rifletté a mezza voce. “Se non lo avessi buttato a terra, il cofano del pick up lo avrebbe decapitato. Ma allora… chi?”. Poi le sovvenne la prima descrizione che K.I.T.T. aveva fornito loro riguardo ai marinai. “Edgar Hansen, fratello minore del capitano. Ha un’insana passione per le fiamme e gli esplosivi, tanto che i suoi amici e familiari lo chiamano “il piromane”. Mary, credo di aver capito chi è stato a far saltare in aria Steve”.
Una voce rabbiosa le fece sobbalzare. “Ehi, che cazzo ci fare voi due sul nostro peschereccio?”.
Entrambe si voltarono per fronteggiare il proprietario della voce. L’uomo che stavano cercando, Edgar Hansen, stava tornando dall’Elbow Room, seguito a ruota dal fratello maggiore Norman e dal resto dell’equipaggio. Gli uomini saltarono sul ponte con agilità, circondandole. Le due ragazze si misero schiena contro schiena, pronte a menare le mani se fosse stato necessario.
“K.I.T.T., chiama la polizia”, disse Mary nel suo orologio. “Di loro che abbiamo individuato il responsabile della morte del proprietario del Golden Crab”.
I marinai si guardarono l’un l’altro, preoccupati. Edgar mosse un passo verso le ragazze. “Che cazzo significa tutto questo?”, balbettò, ma si fermò non appena Michelle gli mise davanti alla faccia il piccolo congegno rotondo.
“Abbiamo appena trovato questo innesco a distanza sul ponte del peschereccio. È da qui che è partito l’impulso che ha causato l’esplosione del pick up di Steve. Edgar Hansen, ti dichiaro in arresto per omicidio”.
L’uomo spalancò la bocca, incredulo, boccheggiando come un pesce fuor d’acqua, poi si accasciò a terra.
“No… non è possibile…” ansimò, reggendosi con le mani sul ponte per non finire lungo disteso sulle tavole bagnate. “Ve lo giuro, io non centro niente… Mi hanno incastrato!”.
“Mi dispiace, ma i fatti parlano chiaro”, replicò Michelle, mettendosi in tasca il dispositivo elettronico e rimanendo in attesa dell’arrivo della polizia.

I poliziotti di Unalaska si sparpagliarono all’interno della Northwestern, perquisendone ogni angolo. Non passò molto tempo che uno di loro diede l’annuncio atteso: nella cuccetta di uno dei marinai – Matt Bradley – erano state rinvenute alcune pillole di Moonlight Shadow, troppe per essere destinate al solo consumo personale. Con ogni probabilità quello era il peschereccio che fungeva da corriere, decretò il commissario.
Mary accolse la notizia con un sospiro di sollievo e un sorriso, mentre Michelle continuava a nutrire dei dubbi. Aveva consegnato il dispositivo di innesco alla polizia, quale prova, anche se avrebbe desiderato farlo controllare da K.I.T.T., prima. Purtroppo non ne aveva avuto il tempo. “Forse sono solo stressata… Questa storia stava cominciando a diventare insostenibile. Le prove sono tutte a carico dei fratelli Hansen, e non vedo perché dovrei dubitare del giudizio della polizia”, pensò, tentando di mettersi l’anima in pace.
Gli agenti presero in custodia tutto l’equipaggio del peschereccio bianco, compreso il suo capitano che giaceva ancora incosciente nella timoniera del Knight Rider. Non appena il furgone bianco della polizia fu sparito dietro l’angolo, Michelle telefonò a Jeremy per dargli la notizia.
Il rappresentante della Trident le raggiunse subito, invitandole al bar per festeggiare la fine dell’incubo.
“Finalmente posso tirare un sospiro di sollievo!”, esclamò mentre faceva tintinnare il bicchiere in un brindisi con le tre ragazze. “I colpevoli sono stati tutti assicurati alla giustizia e presto tutto tornerà alla normalità”.
Helen e Mary risposero con entusiasmo al suo brindisi, liete di aver portato a termine il loro compito e di poter tornare finalmente in California. Michelle, invece, continuava ad avere la spiacevole sensazione di essersi persa qualcosa, qualcosa di molto importante.
Quella notte, incapace di dormire, si ritrovò a riflettere sull’arresto di Edgar Hansen.
Ma se è stato lui ad attivare il dispositivo, perché poi lo ha lasciato sul ponte del suo peschereccio? Non sarebbe stato meglio, per lui, buttarlo a mare, dove nessuno avrebbe potuto trovarlo?”, pensò rigirandosi nel letto. Infine si decise: doveva far analizzare quel dispositivo di innesco da K.I.T.T.
Ma, per farlo, sarebbe dovuta entrare nella centrale di polizia di Unalaska.

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Ladra per una notte ***


Ladra per una notte


Michelle scese silenziosa dal pick up che aveva “preso in prestito” e scivolò furtiva nell’ombra delle case, diretta alla centrale di polizia di Unalaska. Doveva assolutamente recuperare il dispositivo di innesco per farlo analizzare da K.I.T.T. Soltanto così si sarebbe finalmente convinta di non aver preso un’altra cantonata, facendo arrestare le persone sbagliate.
Il posto di polizia era buio e silenzioso, all’esterno. Il Knight Two Thousand l’aveva informata che, durante la notte, nella piccola stazione rimanevano di guardia due soli poliziotti, in caso di emergenza.
“K.I.T.T., controlla per favore dove sono gli agenti”, chiese sussurrando rivolta all’orologio. Il computer controllò con i suoi rilevatori.
“Rilevo la presenza di due esseri umani nella piccola stanza sul retro”.
“E i fratelli Hansen e soci?”.
“Si trovano nel seminterrato, in due celle di sicurezza”.
Michelle annuì nel buio, poi riprese. “K.I.T.T., puoi aprire questa porta?”. Puntò l’orologio in direzione della serratura elettronica.
“Subito, Michelle”.
Tramite le sue microonde, il computer fece scattare la serratura. La porta si aprì docilmente con un piccolo “click”.
La ragazza scivolò lentamente all’interno e, lasciandosi guidare dal Knight Two Thousand, raggiunse il deposito delle prove: una piccola ed antiquata cassaforte con combinazione numerica.
“Tocca a te, K.I.T.T.”, sibilò la nipote di Bonnie, utilizzando ancora l’orologio come trasmettitore. In pochi secondi il computer trovò la sequenza numerica corretta ed aprì la cassetta di sicurezza.
Oltre al piccolo dispositivo, la cassaforte conteneva le pillole di Moonlight Shadow rinvenute sulla Northwestern e poco altro. Michelle prese l’innesco a distanza e lo mise in tasca, per poi richiudere con cautela il portello blindato. Stava per uscire dalla stanza quando K.I.T.T. la chiamò.
“Uno dei poliziotti sta percorrendo il corridoio, diretto nella tua direzione”.
La ragazza si immobilizzò, certa di venire scoperta. Si nascose dietro la porta, pronta a stordire l’agente con un colpo ben assestato, ma quello proseguì verso il bagno. Tirando un sospiro di sollievo, e tendendo l’orecchio ad altri rumori che non fossero quelli delle emissioni gassose del poliziotto, Michelle tornò di nuovo alla porta della centrale e da lì all’esterno.
Percorse in pochi minuti la distanza tra Unalaska e Dutch Harbor, e tornò correndo a bordo del Knight Rider, chiudendosi nella timoniera.
“Ok, K.I.T.T... Voglio che tu esamini questo dispositivo, per favore”.
Diligente, il computer aprì uno scomparto della plancia, dove la ragazza appoggiò l’innesco. K.I.T.T. chiuse il cassetto e una fila di lucine verdi cominciò ad accendersi in sequenza.
Mentre attendeva il risultato dell’analisi, la nipote di Bonnie ricordò anche che aveva chiesto al computer un’altra verifica. “A che punto sei con la comparazione delle voci del “capo” e quella di Jeremy?”.
“A buon punto. E posso dirti che l’ottanta per cento delle modulazioni vocali è praticamente identico. Non posso ancora esserne certo al cento per cento, ma c’è una buona probabilità che le voci siano le stesse”.
Michelle si morse le labbra per il disappunto. Se veramente Jeremy era il capo, loro erano state nelle grinfie del leone per tutto quel tempo.
“Ma se è realmente lui l’artefice di tutto, perché chiamare la Fondazione e denunciare il suo stesso traffico di droga?”, rifletté a voce alta.
“La perversione della razza umana non conosce confini”, commentò flemmatico il computer.
Le luci dell’analizzatore molecolare si spensero all’improvviso e il cassetto si aprì.
“Ho analizzato attentamente il dispositivo, e ho scoperto che questo tipo di innesco a distanza ha bisogno di essere attivato tramite una sequenza di impulsi provenienti da un cellulare”, spiegò K.I.T.T., in tono accademico.
“Quindi vuol dire che qualcuno ha premuto una serie di tasti su un telefonino, per accenderlo?”, chiese Michelle, dubbiosa.
“Esattamente”.
“E riesci a risalire al numero di telefono che ha attivato l’innesco?”.
“Purtroppo no, ma esaminando i miei registri posso controllare quali cellulari hanno inviato impulsi nei minuti appena precedenti all’esplosione”.
Michelle alzò gli occhi al cielo. “Saranno decine e decine…”, commentò sconsolata.
K.I.T.T. tacque alcuni istanti mentre controllava nel suo database. “In realtà no”, disse al termine della verifica. “Ne ho rilevato soltanto uno. E non credo che sarai sorpresa nel sentire il nome del suo proprietario”.
“Spara!”.
“Elliott Neese”.
La ragazza sobbalzò sulla sedia. “Allora avevo ragione io, a non fidarmi di quel ragazzo!”.
“Come mai Mary non si è accorta dei suoi movimenti? In fondo, toccava a lei sorvegliarlo”, chiese il computer, sinceramente sorpreso.
“Non lo so, K.I.T.T., ma ho tutta l’intenzione di scoprirlo”.

Mary ed Helen si stropicciarono gli occhi, assonnate. Michelle le aveva svegliate di soprassalto, chiedendo loro di raggiungerla nella timoniera.
“Ho una brutta notizia da darvi, ragazze”, attaccò subito la nipote di Bonnie, passeggiando nervosamente avanti e indietro. Le due amiche la fissarono, stupite. “Ho chiesto a K.I.T.T. di analizzare il dispositivo di innesco a distanza”, proseguì Michelle, indicando il piccolo oggetto metallico ancora poggiato sulla plancia.
“Come hai fatto a fartelo dare dalla polizia?”, chiese Mary, grattandosi la testa ed arruffandosi ancor più il caschetto biondo.
“L’ho… preso in prestito…”.
“Vorresti dire che l’hai rubato?!”, saltò su Helen, improvvisamente sveglia.
Michelle annuì prima di riprendere a parlare. “K.I.T.T. ha scoperto che questo tipo di dispositivi viene attivato tramite una sequenza di impulsi inviati da un cellulare. E ha scoperto che il cellulare in questione è quello di Elliott Neese”.
Mary divenne rossa all’improvviso, un vago senso di colpa che cominciava a farsi largo dentro di lei. La nipote di Bonnie le lanciò una rapida occhiata prima di rivolgersi ad Helen. “Hai notato se Edgar Hansen ha mai usato il telefonino ieri, mentre lo tenevi d’occhio?”.
“No”, rispose la riccia, scuotendo la massa di capelli castano rossicci. “Non ha fatto altro che affaccendarsi sul ponte del peschereccio, e non ha mai messo mano al cellulare”.
Michelle annuì. Questo era proprio ciò che si aspettava di sentire. Si voltò verso la bionda. “Mary, mentre pedinavi Elliott lo hai visto, per caso, avvicinarsi alla Northwestern?”.
Mary deglutì prima di rispondere, in imbarazzo. “Le è passato accanto… mentre andava all’Elbow Room”.
“E lo hai visto usare il cellulare, pochi minuti prima dell’esplosione?”.
La bionda chinò lo sguardo e deglutì ancora. Doveva ammettere la sua colpa, e non era certa di come avrebbero reagito le sue amiche. “Io… per la verità, no…”.
Helen aggrottò le sopracciglia. “E come può esserti sfuggita una cosa del genere?”.
“Io… Ecco…”, balbettò Mary, “avevo chiuso gli occhi per un momento…”. Le due amiche continuarono a fissarla, accigliate, in attesa che lei continuasse. “Elliott e io… avevamo da poco fatto l’amore e…”.
“COSA?!”, esplose Helen, saltando in piedi. “Sei andata a letto con quel tipo?! Con uno dei nostri sospetti?”.
“Ero convinta che fosse innocente!”, esclamò Mary, tentando di discolparsi.
Michelle si lasciò cadere sulla sua poltrona, sospirando. “Quel ragazzo si è bellamente preso gioco di te, Mary… Dal primo all’ultimo momento! Mi sorprende che tu non te ne sia accorta”.
La bionda abbassò nuovamente lo sguardo verso terra. “Credo che l’infatuazione mi abbia fatto perdere di vista il nostro compito. Ho dato per scontato che fosse pulito solo perché si era dimostrato carino con me… Mi dispiace da morire, ragazze!”.
“Ah… L’amore!”, commentò K.I.T.T. in tono sognante. “Capirò mai cosa significa?”.
La nipote di Bonnie si allungò verso l’amica e le posò una mano sulla spalla. “È tutto a posto, Mary. Ora che sappiamo chi è veramente quel tizio, e giunto il momento di metterlo dietro le sbarre. C’è un’altra cosa, però, che dovete sapere. K.I.T.T., diglielo tu”.
“Ho terminato l’analisi della voce di Jeremy, comparandola con quella del misterioso capo dell’associazione. Sono la stessa persona”.
Helen sobbalzò ancora. “Vorresti dire che Jeremy ha chiamato la Fondazione per autodenunciarsi?!”.
“O forse per prendersi gioco di noi…”, replicò Michelle. “Comunque sia, voglio arrivare in fondo a questa storia. Domani mattina lo chiamerò per dirgli che abbiamo finalmente scoperto il vero colpevole. Vedremo come reagirà alla notizia che abbiamo intenzione di far arrestare Elliott. Se farà anche un solo passo farlo, noi saremo pronte a coglierlo sul fatto!”.

La reazione di Jeremy fu stranamente fredda. “Ragazze, siete sicure di ciò che state dicendo? Avete già fatto arrestare gli equipaggi di due pescherecci. Volete farmi rimanere senza nemmeno un pescatore?”.
“I fratelli Hansen sono innocenti. Li abbiamo fatti arrestare erroneamente. Forse Matt Bradley potrebbe essere coinvolto nello spaccio, ma scommetto quello che vuoi che il corriere tra Russia e Alaska è la Ramblin’ Rose”, spiegò Michelle. La chiamata era stata messa in viva voce, così tutte e tre le ragazze poterono sentire il tono annoiato e scocciato dell’uomo.
“Sono stufo di tutte queste stronzate! Comincio a credere che la Fondazione non sia più quella di una volta. Hanno sbagliato alla grande ad assumere tre ragazzine come voi!”.
Helen strinse i pugni, ma Michelle le impedì di commentare, bloccandola con un cenno della mano. “Non mi interessa cosa pensi di noi”, rispose la nipote di Bonnie. “Adesso chiameremo la polizia, faremo arrestare il capitano Neese e lo faremo confessare. E non appena avremo fatto liberare gli Hansen ce ne torneremo a casa”.
Jeremy riattaccò con una smorfia, senza neanche salutare. Le tre ragazze si lanciarono uno sguardo d’intesa: era chiaro che quell’uomo aveva qualcosa da nascondere.

Il cellulare di Elliott squillò mentre il giovane capitano si stava radendo. Era il capo.
“Ti hanno scoperto”, disse secca la voce. “Quelle tre stanno venendo ad arrestarti”.
Stranamente, Elliott non se ne meravigliò. Sapeva che prima o poi sarebbe successo. E, da una parte, lo sperava pure. Dopo che il capo gli aveva ordinato di uccidere Steve si sentiva stranamente inquieto: aveva raggiunto il fondo, la sua coscienza lo tormentava, e gli dispiaceva persino di essersi approfittato della biondina del Knight Rider. In fondo, quella ragazza gli piaceva davvero… almeno un po’. E poi, così avrebbe potuto finalmente liberarsi dal giogo cui l’uomo lo aveva vincolato.
“Che vengano pure”, rispose quindi, “sono pronto ad affrontare le mie responsabilità”. Dopo un attimo di silenzio aggiunse, con un ghigno ironico: “E credo che ti trascinerò nel baratro con me, Jeremy”.
Dall’altro capo del filo, la voce tacque per pochi secondi. “Farai la stessa fine di Steve”, sentenziò infine, prima di chiudere la comunicazione.
Elliott fissò il cellulare per un attimo, poi lo scagliò contro lo specchio, mandando in frantumi entrambi. “Bastardo…”, sibilò, passandosi le mani tra i corti capelli biondi. Jeremy era talmente pazzo da essere capace di qualsiasi azione efferata. Forse avrebbe potuto chiedere la protezione delle tre ragazze, ma loro gliel’avrebbero accordata, alla luce di tutto ciò che aveva fatto?


Spazio autrice: Siamo quasi alla resa dei conti. Tutti i nodi stanno venendo al pettine e, nel prossimo e ultimo capitolo, ogni tassello andrà al suo posto. Grazie per avermi seguito!

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** L'ultimo inseguimento ***


L’ultimo inseguimento


Le K.I.T.T.’s Angels, come ormai loro solito, si mossero tutte e tre insieme per andare a catturare Elliott. Consapevoli che Jeremy era il capo di tutta l’organizzazione, e che l’uomo era al corrente delle loro intenzioni, immaginavano che anche il capitano Neese fosse stato avvertito delle loro mosse; perciò si meravigliarono molto quando lo trovarono seduto al tavolo nella cambusa della Ramblin’ Rose, con una tazza di caffè tra le mani.
“Benvenute, ragazze, vi stavo aspettando”, le accolse con velata cortesia. “Ciao, Mary”, aggiunse subito dopo, rivolto alla bionda. Il suo sguardo, però, non era di derisione, ma pieno di cupa preoccupazione.
“A che gioco stai giocando, Elliott?”. Mary serrò i pugni e lo affrontò di petto, decisa a riscattarsi per le sue debolezze.
“Nessun gioco… So che mi avete scoperto. Il capo me l’ha riferito stamattina”.
“Intendi dire Jeremy?”, chiese Michelle, sarcastica.
Il giovane capitano non seppe nascondere la sorpresa. “Quindi, avete scoperto anche lui?”.
“Sì, e andremo ad arrestarlo non appena avremo finito con te”.
Elliott annuì, pensieroso. “Ha minacciato di uccidere anche me…”, esalò infine, alzando lo sguardo su Mary.
Le tre ragazze trasalirono. Michelle fu la prima a riprendersi. “Se testimonierai contro di lui, cercheremo di garantirti uno sconto di pena, per quello che possiamo. Ma tu devi parlare!”.
“E ho tutta l’intenzione di farlo. Sono stanco di vivere questa vita di merda…”.
“Allora comincia dall’inizio”, lo incalzò Michelle, e Elliott attaccò.

Rivelò loro di essere stato soffocato dai debiti di gioco, che la sua famiglia non aveva potuto aiutarlo e che Jeremy era stato l’unico a prendersi a cuore la sua situazione.
“Se solo avessi saputo cosa avrebbe comportato accettare il suo aiuto, mi sarei gettato in pasto ai miei debitori. Mi avrebbero magari ammazzato di botte, ma non mi avrebbero trasformato in un assassino”, sputò il giovane, stringendo convulsamente la tazza di caffè tra le dita. “Quell’uomo è un pazzo! Crede di essere invincibile… Mi ha stretto nella sua morsa, usandomi come un burattino. E io, per paura che facesse del male alla mia famiglia, ho accettato le sue condizioni e sono diventato il suo corriere”.
Sospirò, chiudendo gli occhi. Sentiva gli sguardi delle tre ragazze fissi sulla sua nuca, e ora che aveva iniziato la sua confessione non riusciva più a sopportarli. “Mi teneva in pugno, obbligandomi a fare ciò che voleva con la minaccia di morte che incombeva sui miei genitori e i miei fratelli. Sono sempre riuscito a mettere a tacere la mia coscienza e ad assecondarlo… Fino a quando non mi ha chiesto di uccidere Steve. Quello stupido si era spaventato quando avete arrestato i marinai dell’Incentive”, spiegò, rivolto alla tazza, “e aveva minacciato di tirarsi fuori dal giro. Jeremy teneva in pugno anche la sua vita, e ha deciso di sacrificarla per non essere scoperto”.
Si interruppe ancora, alzando lo sguardo verso la parete della cambusa e rigirandosi la tazza tra le mani. “Stamattina presto, quando mi ha chiamato, gli ho detto che lo avrei trascinato nel baratro con me. E lui mi ha risposto che avrei fatto la stessa fine di Steve”. A quel punto voltò il viso verso le tre ragazze e le fissò con sguardo spaventato. “Potete fare qualcosa per aiutarmi? Non voglio morire… Sono disposto a pagare il mio debito con la società, ma non voglio lasciarci la pelle”.

Le K.I.T.T.’s Angels si scambiarono un veloce sguardo: l’improvviso pentimento del capitano Neese sembrava sincero. “Cercheremo di fare il possibile”, rispose Michelle. “K.I.T.T., hai registrato tutto?”, riprese, parlando nell’orologio.
“Dalla prima all’ultima parola”.
“Bene. La tua confessione sarà usata in tribunale contro Jeremy, e sono sicura che il giudice apprezzerà la tua sincerità”.
Elliott aveva continuato a fissare l’orologio digitale nero. “Ma quello è… Allora è proprio vero… Immaginavo che non foste delle poliziotte private qualsiasi”, disse, sorridendo suo malgrado. Si rivolse a Mary. “Avevo capito che eri una ragazza speciale. Mi dispiace di essermi approfittato di te… In circostanze diverse sarebbe anche potuto nascere qualcosa, tra di noi, non credi?”.
Per tutta risposta, la bionda raddrizzò la schiena e disse, rivolta al proprio orologio: “K.I.T.T., chiama la polizia e di’ che abbiamo catturato il corriere della droga”.
“Subito, Mary!”.
Pochi minuti dopo, le ragazze scortarono il capitano Neese fuori dal suo peschereccio. Non appena ebbero messo piede sul molo, però, la voce di K.I.T.T. risuonò nell’orologio di tutte e tre. “Si sta avvicinando un furgone bianco a tutta velocità. È Jeremy, ed è armato!”.
“Viene per me…”, mormorò Elliott.
Non fece in tempo a concludere la frase che da dietro l’angolo di un magazzino spuntò il furgone. L’uomo si sporse fuori del finestrino e fece fuoco. Helen si buttò a terra, spingendo il capitano Neese sotto di sé, ma non fu abbastanza rapida. Un proiettile lo colpì al fianco destro, strappandogli un gemito di dolore.
“K.I.T.T., chiama un’ambulanza!”, gridò Michelle, mentre già Mary si rialzava da terra con uno scatto e saliva su uno dei pick up della Trident, correndo all’inseguimento di Jeremy.

Il colpo di pistola risuonava ancora nelle orecchie di Mary, mentre guidava come una pazza all’inseguimento di Jeremy. Questo era il suo campo specifico: seguire i malviventi via terra quando K.I.T.T. non poteva farlo per mare. Perciò non ci aveva pensato due volte quando si era buttata sul pick up azzurro che ora vibrava a tutta potenza sotto di lei. La sua era stata una reazione automatica e solo adesso, mentre la corsa procedeva tra le strade ghiacciate dell’isola di Unalaska, si rendeva conto che l’aveva fatto anche perché quel pazzo aveva ferito Elliott. Nonostante la delusione che aveva provato quando aveva scoperto chi era realmente quel ragazzo, lei ne era stata veramente innamorata, e vederlo accasciarsi al suolo in una pozza di sangue le aveva dato una scarica di rabbiosa adrenalina.
I due furgoni sfrecciavano al limite dell’aderenza. Mary non aveva idea di dove stesse andando, non conosceva quella zona dell’isola, e doveva lasciarsi guidare solo dall’istinto e dalla passione per la guida.
Riuscì ad avvicinarsi quel tanto che bastava per tamponarlo, ma Jeremy resistette al suo assalto e replicò sparandole un paio di colpi dal finestrino. La ragazza chinò la testa sotto il volante mentre uno dei proiettili infrangeva il grosso parabrezza dal lato del passeggero.
Si fece nuovamente sotto, facendo ruggire il motore del pick up, e tamponò per la seconda volta il furgone di Jeremy. L’uomo prese a zigzagare, andando da un marciapiede all’altro e minacciando di investire i pochi pedoni presenti. All’improvviso imboccò una curva a sinistra a novanta gradi. Mary non fu abbastanza veloce ad imitarlo e il suo automezzo scivolò di lato, andando a sbattere contro l’angolo di un magazzino ittico. Il motore minacciò di spegnersi, ma la ragazza diede gas un paio di volte riuscendo a far ripartire il pick up e a riprendere l’inseguimento.
Jeremy, però, oramai si era allontanato quel tanto che bastava per permettergli di raggiungere indisturbato un piccolo molo e di salire a bordo di un grosso motoscafo. Quando Mary lo raggiunse, poté solo guardarlo allontanarsi verso il mare aperto. L’uomo sparò ancora qualche colpo nella sua direzione, poi fece prendere velocità all’imbarcazione.
“Merda!”, esclamò la bionda, battendo il piede a terra. “È fuggito via mare!”, esclamò nel suo orologio.
“Arriviamo subito!”, le rispose Michelle.

Le due ragazze sapevano benissimo che non c’era tempo da perdere.
“K.I.T.T., vieni qui!”, esclamò Michelle, gridando nell’orologio.
Obbediente, il Knight Rider si scostò dal molo e raggiunse Michelle ed Helen, fermandosi di fianco alla Ramblin’ Rose. I paramedici avevano nel frattempo caricato Elliott su una barella, dopo aver tamponato l’emorragia. Prima che si allontanassero, il giovane capitano le richiamò. “State attente, ragazze…”, mormorò attraverso il respiratore. Le due gli mostrarono il pollice in alto e corsero via, saltando dal ponte della Ramblin’ Rose su quello del Knight Rider.
Guidato dal segnale del suo orologio, il computer raggiunse facilmente Mary. Non appena la ragazza fu salita a bordo il motoscafo nero acquistò velocità, sfruttando tutta la potenza dei suoi motori turbo.
Su uno dei monitor nella timoniera apparve una carta nautica, con un puntino rosso lampeggiante che si muoveva a velocità elevata.
“Jeremy si sta dirigendo verso il confine con le acque territoriali russe. Se lo attraversa, dovremo dire addio al nostro inseguimento. Ci vorranno giorni prima che Michael possa ottenere un visto di ingresso!”, esclamò Helen, fissando la piccola luce rossa.
“Dobbiamo impedirglielo!”, ringhiò Michelle. “K.I.T.T., super velocità!”.
Sulla plancia si aprì uno sportellino di metallo, rivelando due pulsanti. Senza esitare, la nipote di Bonnie premette il tasto verde. Subito, un rumore di pistoni pneumatici risuonò nell’aria mentre il Knight Rider si trasformava da motoscafo ad aliscafo e la sua carena si modificava per diventare più aerodinamica.
Con il rumore di un proiettile K.I.T.T. mise al massimo i suoi motori, volando letteralmente sull’acqua. In pochi minuti arrivarono in vista del motoscafo di Jeremy.
L’uomo, alla vista di quella specie di mostro nero che volava sfiorando le onde, tentò il tutto per tutto. Svuotò il caricatore della pistola contro la prua del Knight Rider, ma i proiettili rimbalzarono sulla carrozzeria protetta dalla copertura molecolare. Spinse allora la barra della velocità al massimo e virò a destra per tentare di allontanarsi, ma la manovra troppo azzardata fece rovesciare la sua imbarcazione.
Michelle premette il pulsante rosso attivando il turbo freno, poi disattivò la modalità “super velocità”. Il Knight Rider assunse nuovamente la sua consueta forma, mentre Jeremy risaliva faticosamente sulla chiglia dell’imbarcazione rovesciata. K.I.T.T. gli lanciò un salvagente e l’uomo vi si aggrappò, consapevole di essere arrivato al termine della sua fuga.
“Benvenuto a bordo, Jeremy”, lo accolse Michelle con un ghigno non appena il computer lo ebbe issato a bordo con la gru. L’uomo fece per replicare qualcosa ma Helen lo colpì con il taglio della mano alla base del collo, mettendolo a tacere per un bel po’.

Spazio autrice: In origine, questo capitolo e il prossimo erano accorpati insieme, e concludevano la storia. Rileggendo ho deciso di separarlo in due parti, per lasciare con l’ultima suspense prima del lieto fine.

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Missione compiuta ***


Missione compiuta

“Bene, ragazze! Anche questa missione si è conclusa positivamente, nonostante tutte le difficoltà”.
Michael strinse la mano alle sue tre dipendenti, congratulandosi con loro. Lui e Bonnie avevano raggiunto Unalaska non appena Michelle li aveva avvertiti dell’arresto del vero responsabile di tutto quanto, la stessa persona che aveva richiesto il loro intervento.
“Chissà perché poi ha voluto chiamarci…”, si chiese Helen, pensierosa.
“Ve lo spiego io, il perché”, rispose Michael. “Ha dichiarato alla polizia di essere troppo furbo, e che era sicuro che nessuno sarebbe mai riuscito a scoprirlo. Perciò ha deciso di rivolgersi alla Fondazione per provare la sua teoria. Ma ha fatto i conti senza di voi… E senza K.I.T.T.”, aggiunse, quando il computer si schiarì la voce in tono vagamente minaccioso.
“Beh… Tutto è bene quel che finisce bene”, commentò Michelle, guardando Helen e sua zia che trafficavano sul ponte del Knight Rider. Tutti avevano convenuto che era inutile portarsi di nuovo appresso tutta l’attrezzatura per la pesca dei granchi, e Michael aveva deciso di regalarla ai fratelli Hansen come risarcimento per essere stati arrestati ingiustamente.

I marinai della Northwestern erano stati rilasciati non appena Jeremy aveva confessato – tutti tranne Matt Bradley che aveva veramente avuto parte nello spaccio – e, non appena giunto al porto, il capitano Hansen era andato a stringere la mano alle tre ragazze.
“Mi dispiace molto per tutto quello che è successo”, aveva detto Michelle, accettando la mano che finalmente le veniva offerta. “Spero tu non ce ne voglia”.
“Sono io che mi devo scusare per come mi sono comportato, all’inizio di tutta questa storia”, aveva ribattuto Sigurd, sorridendo per la prima volta all’indirizzo della bruna. “E poi, la vostra attrezzatura mi ripagherà adeguatamente per i danni che abbiamo subito”. L’uomo aveva esitato per un istante, prima di aggiungere: “Non ti ringrazierò mai abbastanza per avermi salvato la vita”. Poi l’aveva attirata a sé e le aveva posato un casto bacio sulle labbra.
La ragazza era rimasta basita. “Credevo tu fossi infuriato a morte con me”.
“All’inizio lo ero”, aveva replicato il capitano, “ma prima di rendermi conto di quanto tu fossi carina”.
Quella frase aveva lasciato la nipote di Bonnie senza parole. Avrebbe potuto stenderlo con una sola mossa di Kung Fu – e forse Helen l’avrebbe anche fatto – ma non se l’era sentita. In fondo, quel capitano così rude e burbero non era poi tanto male. Gli aveva sorriso, piacevolmente sorpresa, mentre K.I.T.T. borbottava qualcosa dall’orologio.

In attesa di poter ripartire, mentre l’attrezzatura veniva smontata Mary decise di andare a far visita a Elliott in ospedale. Il giovane capitano era stato operato immediatamente per rimuovere il proiettile e aveva recuperato abbastanza in fretta. Quando la ragazza entrò nella stanza, lo trovò seduto in poltrona a fissare fuori dalla finestra.
Non appena sentì i passi, Elliott si voltò. Il suo volto si illuminò nel riconoscere la persona che gli stava di fronte, e Mary sentì che il cuore, nonostante tutto, accelerava i battiti sotto al suo sguardo.
“Sono venuta a vedere come stavi”, esordì la ragazza senza tanti preamboli.
“Molto meglio, per fortuna. Grazie per il pensiero”.
Cadde il silenzio, rotto nuovamente dal ragazzo. “Tra pochi giorni sarò dimesso e sarò pronto per affrontare il processo. Ho parlato con il mio avvocato. Mi ha detto che se collaborerò potrò ottenere uno sconto di pena”.
Mary annuì ma tacque. Non sapeva bene cosa dire. Avrebbe voluto buttarsi tra le sue braccia e baciarlo, ma le bruciava ancora il fatto che lui l’avesse usata per i suoi scopi. Elliott parve intuire il suo stato d’animo.
“Mi dispiace per tutto quello che è successo tra noi… Io… Ecco… Quando ho fatto l’amore con te, non è stato solo per puro divertimento. Ci tenevo a fartelo sapere”. La bionda annuì ancora, e il capitano Neese riprese. “Forse, se ci fossimo conosciuti in circostanze diverse, sarebbe potuta nascere anche una bella storia, tra di noi, non pensi?”.
“Chissà…”, sospirò Mary. Poi, resistendo stoicamente all’impulso di assaggiare di nuovo le sue labbra, gli voltò la schiena. “Addio, Elliott”, mormorò e, senza attendere la sua risposta, se ne andò.

“Forza, ragazze, siamo pronti per partire!”. La voce di Michael, proveniente dai loro orologi, fece sussultare le K.I.T.T.’s Angels.
Prima di lasciare Dutch Harbor, le tre amiche avevano deciso di salutare i capitani dei pescherecci che, nel bene o nel male, le avevano accolte nel loro gruppo. Quando erano arrivate a stringere la mano a Jake Harris il ragazzo si era toccato la guancia, memore della sberla di Helen. La riccia aveva riso e aveva finto di mollargliene un’altra, facendogli incassare la testa nelle spalle.
“Ci mancherete, ragazze!”, esclamò Johnatan Hillstrand, stringendole contemporaneamente in un abbraccio da orso ed interrompendo la fila dei saluti.
“È stato un piacere conoscervi. Grazie a voi, e a lui soprattutto”, aggiunse il capitano Bill Wichrowski ammiccando verso K.I.T.T., “per avermi avvertito dell’onda anomala”.
“Dovere”, rispose Mary, schernendosi.
I fratelli Hansen strinsero loro calorosamente la mano.
“Scusate ancora se vi abbiamo fatto arrestare”, disse Michelle, sentendosi arrossire suo malgrado per la cantonata che avevano preso.
“Stavate solo facendo il vostro lavoro. E poi, una gru nuova ci serviva proprio!”, esclamò ridendo Edgar.
Sig si tenne per ultimo e, ancora una volta, ringraziò Michelle con un bacio a fior di labbra. “Se mai tornerete quassù in Alaska, vieni a trovarmi”, le sussurrò, fissandola negli occhi. La ragazza arrossì ancor di più poi, mentre voltava la schiena ai pescatori per raggiungere il Knight Rider con le sue amiche, si passò le dita sulle labbra, come a voler raccogliere il ricordo di quel piccolo bacio.
“Certo che il suo atteggiamento è cambiato parecchio, da quando siamo arrivate ad ora”, commentò Helen. “All’inizio non poteva nemmeno vederti e ora addirittura ti sbaciucchia. Secondo me gli piaci”.
Michelle rise, stringendosi nelle spalle. “Non facciamolo sapere a K.I.T.T., allora, o mi terrà il broncio fino a che non saremo a casa!”
“Cos’è che non dovrei sapere?”, chiese il computer, ormai a portata delle loro voci.
“Che sei unico, K.I.T.T.”, risposero le tre ragazze all’unisono.
“Lo so mie care, lo so”, gongolò il computer.

 
Fine


Spazio autrice: E siamo infine arrivati al termine della storia! Ringrazio la carissima jarmione e il carissimo alessandroago_94 per avermi accompagnato fino a qui! Siete unici!
Ringrazio inoltre chi ha letto silenziosamente la storia, e chi la leggerà in futuro!

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3792684