B i p o l a r i s m

di DeathOver
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I. Freddy Fazbear's Pizza. ***
Capitolo 2: *** II. Misteri malcelati. ***
Capitolo 3: *** III. Un posto per disperati. ***
Capitolo 4: *** IV. Scherzo. ***
Capitolo 5: *** V. Uno sfortunato incidente ***
Capitolo 6: *** VI. Cambiamenti. ***



Capitolo 1
*** I. Freddy Fazbear's Pizza. ***


"Freddy Fazbear's Pizza."
Renèe rimase immobile ad osservare la luminosa insegna posta sul tetto del locale; nulla di particolare, una pizzeria per famiglie che come tante altre aveva attirato particolarmente l'attenzione rispetto ad altre grazie all'avvento delle nuove, ultramoderne tecnologie alle quali faceva ricorso: le mascotte simbolo del locale non erano infatti degli ormai superati pupazzi, stupidi cartoni animati per bambini o puzzolenti costumi indossati da poveracci che cercavano di guadagnare qualche soldo, ma dei veri e propri robot!
Lei la riteneva un'assurdità: "Che sciocchezza, a quale bambino potrebbero mai piacere dei sinistri robottoni rumorosi e mal settati?!" pensava la bionda quando le capitava di accompagnare la sorellina Phoebe, o Pecetta come lei la definiva per il colore rosso intenso dei suoi capelli, a quella che ai tempi era la vecchia sede della pizzeria, ma a quanto pare si sbagliava: sembrava assurdo ma i bambini adoravano quei.. cosi, e anche lei si era sorpresa a mostrare un certo interesse nei loro confronti; li studiava fissandoli da lontano nel buio, stando sempre attenta a rimanere nascosta seguiva ogni loro mossa.
Aveva una sola certezza : qualcosa in quel luogo non tornava. Nonostante i volti degli addetti sempre falsamente cortesi e sorridenti e il clima festoso che regnava in quel luogo l'atmosfera le sembrava..distorta, come se tutta quell'allegra vitalità servisse in realtà a nascondere qualcosa di orribilmente sbagliato, un segreto
Erano passati cinque anni da quei giorni, cinque lunghi, lunghissimi anni, e sua sorella aveva smesso di frequentare quel locale attirata da cose più adatte alla sua età come i trucchi o i ragazzi.
Quel luogo era totalmente sparito dalla sua mente, o almeno così credeva sino a pochi giorni prima, quando, licenziatasi dal suo ultimo impiego lavorativo in quanto da lei ritenuto troppo... "noioso" per una giovane donna in cerca di avventure qual'era aveva trovato, frugando tra le pagine di giornale, un annuncio che aveva richiamato la sua attenzione: "GRANDE RIAPERTURA! Pizzeria vintage a cui è stata data nuova vita! Vieni a far parte del nuovo volto della Freddy Fazbear's Pizza! Cosa potrebbe andare storto?" Con sotto in allegato informazioni come il pagamento eil numero per informazioni. 
Beh, tutto sommato lo stipendio era il più basso che lei avesse mai visto, ma in fondo alla bionda non importava poi granchè dei soldi: lavorava semplicemente per distrarsi dalle problematiche di tutti i giorni, poteva campare benissimo sino alla fine dei suoi giorni utilizzando i benefici che i suoi genitori le avevano lasciato in eredità. 
Alla fine aveva preso la decisione di contattare il numero allegato all'articolo.

Non avrebbe mai immaginato che quella decisione avrebbe cambiato la sua vita sino alla fine dei suoi giorni.

Calò il cappuccio della felpa violastra dal capo, mentre riponeva le cuffie del suo prezioso walkman nella tasca della borsa a tracolla, scelta più piccola apposta per l'occasione.
Aveva scelto un outfit piuttosto sobrio per un colloquio lavorativo: i Lunghissimi capelli biondi erano legati in una stretta coda alta e i boccoli dorati le ricadevano sulla schiena e sulle spalle. Non si era truccata: aveva preferito rimanere semplice, odiava il trucco e lei aveva un così bel visino, non avrebbe certo potuto vantare la sua naturale bellezza per sempre!
Indossava delle lentine a contatto che le rendevano gli occhi vagamente più scuri di quanto in realtà non fossero, di un bel verde luminoso. Si notava subito che non doveva essere di Hurricane: gli abitanti dell'Utah mostravano una pelle di un colorito più olivastro e i capelli di colori per lo più scuri, infatti era originaria della Germania, e viveva lì da soli 15 anni.
Infine, indossava una felpa viola di taglio maschile e pantaloni neri decisamente aderenti, con stivaletti neri abbinati.
Si diede un'ultima sistemata ai capelli, pettinandoli con le mani coperte da guanti neri, prima di entrare nel locale.
Subito la calma di poco prima venne sostituita dal baccano: bambini, bambini ovunque e che facevano di tutto: non potevano stare un minimo più silenziosi?!
Renèe si guardò attorno infastidita mordicchiandosi il labbro inferiore con insistenza; il baccano e i rumori forti l'avevano sempre resa un po' nervosa, dopotutto..
Stava per muoversi dal suo posto, quando alle sue spalle avvertì una voce profonda e rauca allo stesso tempo: -Salve, le serve aiuto per caso?-
Si voltò, trovandosi dinnanzi un uomo alto poco più di lei, non più di dieci centimetri, dalla carnagione scura. Indossava quella che pareva essere la divisa dello staff di sicurezza della pizzeria, o almeno era ciò che le faceva presupporre il distintivo posto sulla sua camicia, insieme ad altre cose che notò lì sul momento: doveva essere un fumatore, date le unghie ingiallite e il rigonfiamento nella tasca destra del pantalone, era leggermente trasandato, probabilmente si avvicinava la fine del suo turno, sebbene i suoi capelli erano di un insolito colore violaceo non sembravano essere tinti, oltretutto i suoi capelli erano un completo disordine e questo la disturbava alquanto, non portava la fede al dito quindi non era sposato, aveva delle leggere macchie d'olio da motore su uno degli orli della camicia, probabilmente si occupava anche di elementi meccanici, aveva uno strano taglio sulla mano, probabilmente il graffio di un gatto e le sorrideva sornione ma non faceva altro che scrutarla dall'alto verso il basso mantenendo un sopracciglio alzato con degli occhi grigi come la nebbia che lei non aveva mai visto prima, doveva sicuramente trovarla strana, o insolita, dal modo il cui continuava ad abbassarsi il nodo della cravatta sembrava anche abbastanza stressato.
-Signora?- Le ripetè, sollevando appena il tono della voce: pareva iniziasse ad innervosirsi..
-Ah, ja, salve ho chiamato ieri per il colloquio, sono- -
-Rinìi, giusto?- la interruppe, con disappunto da parte della donna: odiava venir interrotta e ancor più odiava che il suo nome venisse storpiato in quella maniera orrenda.
-Renèe. Sì, sono io.- lo corresse, tentando di non far trapelare in alcun modo il fastidio che le dava sentire il proprio nome storpiato in quella maniera orrenda.
-Va bene, biondina, vieni con me.- Altro punto a suo sfavore: chi era lui per definirla "biondina"? Non si conoscevano neanche! Annuì lei, spedendogli una fredda occhiata e seguendolo per i corridoi sino ad arrivare dinnanzi alla porta socchiusa di quello che doveva essere l'ufficio di un suo superiore. 
L'uomo bussò un paio di volte, prima di entrare nella stanza, facendo cenno alla donna di seguirlo: era un ufficio decisamente spazioso, a differenza del resto della pizzeria le pareti erano completamente bianche e al centro regnava una scrivania con alcune scartoffie sopra, da un lato vi erano due poltroncine scarlatte mentre dall'altro sedeva quello che doveva essere l'amministratore delegato.
-Oh, salve, le do il benvenuto! Prego, si accomodi pure..-
Egli non si alzò nemmeno dalla sua poltrona: piuttosto scortese da parte sua, in fondo..
La bionda tentò di non fissarlo troppo questa volta, ma non riuscì a resistere alla curiosità dandogli qualche sbirciata svelta: un uomo sulla cinquantina stempiato, con i denti ingialliti probabilmente per la nicotina contenuta nei resti dei sigari gettati nel posacenere, indossava un completo da ufficio ma non tendeva a dargli un'aria seria, anzi, con la schiena incurvata in quel modo pareva quasi stanco. Aveva la manica segnata da diverse strisciate di penna e dei calli da scrittura tra indice e medio della mano destra, sorprendentemente un anello all'anulare sinistro. Non potè notare altro, dato che la voce distaccata dell'uomo la richiamò dai suoi pensieri..
-Allora signorina Zvezda, mi parli un po' di lei: devo essere sincero, non mi aspettavo certo che una donna rispondesse all'annuncio sul giornale!-
La donna sollevò un sopracciglio infastidita: il fatto che fosse una donna non significava certo che potesse essere meno forte di un uomo, anzi! Decise di passare sopra alla questione, rispondendo alla sua domanda.
-Mi chiamo Renèe Wolfram Zvezda, ho venticinque anni e vivo a Hurricane da quindici anni, sono nata a Berlino, in Germania, e ho documenti e cittadinanza americana. Ho già lavorato come guardia di sicurezza diurna in un negozio di vestiario, prima ancora come cameriera in un locale notturno e in una catena di fast food come impiegata. Sto seguendo gli studi universitari negli indirizzi umani e sono attualmente al primo anno, uscita dalle scuole superiori con voti eccellenti...- il colloquio non andò avanti per molto, le bastò dire che era perlopiù interessata al turno notturno per far sì che esso si concludesse con una stretta di mano e diversi contratti da firmare.
Solo quando si alzò ed uscì con aria trionfante dall'ufficio la donna si rese conto che l'uomo dai capelli viola era rimasto a seguire il suo colloquio come testimone, ecco perché si sentiva osservata..
-Pare che inizieremo a chiamarci per nome, biondina..- constatò lui, seguendola sino all'ingresso, per poi aprirle la porta.
-Mi chiamo Renèe, non biondina, tienilo bene a mente, sie..!- Ed uscì così com'era entrata, lanciando un'ultima occhiata all'uomo prima di incamminarsi verso casa.

Era solo l'inizio di quella che sarebbe stata la sua vera vita.

 

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Capitolo 2
*** II. Misteri malcelati. ***


La donna si guardo attorno svariate volte come per volersi assicurare che nel corridoio non vi fosse nessuno, per poi entrare nell'ufficio: voleva capire cosa succedeva lì dentro e sapeva che in quella stanza avrebbe per lo meno trovato degli indizi. 

 Dopo esser entrata si chiuse a chiave nello studio, il quale era sempre caotico come la prima volta in cui vi aveva messo piede.

 Si guardò intorno: da dove iniziare?Beh, magari poteva dare uno sguardo ai suoi colleghi: sapeva già dove trovare le loro cartelle, perciò andò a colpo sicuro, si avvicinò ad uno dei cassetti e lo aprì, prendendo i fascicoli di suo interesse: Fitzgerald, Vincent, Fritz e il suo titolare già li conosceva, mentre gli altri nomi le erano nuovi.L'occhio le cadde su un fascicolo contrassegnato da un nome femminile: Victoria Richardson, a detta del fascicolo era anche lei una sottospecie di tecnico ma non aveva ancora avuto modo di incontrarla. 

 Ne prese un altro paio e richiuse il cassetto, collocando i documenti nella stampante al fine di fotocopiarli, dopodiché passo oltre; aprì molteplici cassetti ma in essi trovò poco nulla, finché una mappa del locale rinvenuta sul fondo di uno di questi non richiamò la sua attenzione: vi erano tutte le stanze a lei familiari ed una aggiuntiva, con il nome cancellato con un pennarello indelebile nero. 

 Si avvicinò e gratto con le unghie sulla vernice, scoprendo il nome nascosto: "Safe Room".Era localizzata poco distante dalla stanza dei robottoni fuori uso: non amava entrare là dentro visto il cattivo odore che riempiva il luogo, era il probabile motivo per cui dopo quasi due settimane di lavoro non si era mai resa conto di una stanza del genere. 

 Prese un pennarello nero dalla scrivania e ricoprì il nome della stanza: ora doveva solo trovarne la chiave... o un modo alternativo per entrarci. Tra le due possibilità optò per la seconda: avrebbe impiegato troppo tempo per trovare la chiave, poteva aprirla senza destare alcun sospetto se avesse agito con discrezione. 

 Rimise tutto nel posto in cui si trovava prima del suo arrivo e chiuse la porta, per poi alzare lo sguardo verso la vetrata di essa, fissando il proprio riflesso. 

 "Si chiama privacy Rainy, e hai appena infranto tutte le leggi che la tutelano!" ridacchiò il riflesso. 

 -Sie halt die Klappe.- rispose la donna voltandosi, innervosita. 

 Dalla voce del riflesso uscì un'altra voce, e poi un sussurro, un altro e un altro ancora, sino a diventare troppi per poterli contare. 

 "Devi andartene da qui!" Diceva una voce, "Porta fino in fondo questa storia!" rispose l'altra, "Finirai di nuovo dalla signorina strizza neuroni di questo passo." Se ne aggiunse un'altra ancora. 

 "Morirai se resterai qui."

 Renèe si portò una mano al capo massagiandosi la fronte e osservando l'ambiente che la circondava: quei momenti finivano sempre per causarle mal di testa insopportabili. 

Si inoltrò per i corridoi sino a giungere alla "Parts and Service Room"; come al solito la porta era stata lasciata socchiusa da uno disattento dipendente e al suo interno la telecamera si muoveva vigile.

 Poggiata all'uscio sbirciò nella stanza, solo per vedere un ammasso di vecchi, enormi giocattoloni arrugginiti. Alcuni di loro, come Freddy o Bonnie, li ricordava ancora vividamente a cantare e scherzare sul palco della vecchia sede: non sopportava quei modi scherzosi di rivolgersi ai marmocchi; parlavano con dei bambini, non con un sacco di imbecilli. Ciò che la lasciava più perplessa era cosa di tutta quella situazione potesse far ridere i bambini: non si sentivano presi in giro?! 

 Sospirò, per poi gettare nuovamente lo sguardo verso la telecamera: impiegava pochi secondi a fare un giro, meno di dieci, e per sei si fermava su un punto fisso. 

 La donna scivolò furtiva nell'ombra nel momento in cui la telecamera riprese il suo giro, nascondendosi dietro la macchinetta dei giochi arcade in disuso.  Si guardò intorno, prima di picchiettare il dito contro la parete: se i suoi sospetti erano giusti, questa avrebbe suonato a vuoto e non impiegò molto a trovare il punto in cui la parete suonava in maniera differente.

 Scostò la macchinetta degli arcade rivelando, coperta dalla medesima carta da parati della stanza, una porta chiusa. 

 Si chinò e buttò un occhio all'interno della serratura ma non potè scorgere altro che l'oscurità totale; doveva aprirla.Si assicurò che nessuno la vedesse mentre estraeva dalla tasca dei pantaloni un coltellino svizzero, dopodiché si svilò una forcina dai capelli. 

 Utilizzando il coltellino come perno aprì la forcina e la fece girare per qualche secondo nel buco della serratura, tastando con essa i meccanismi sino a sentire questa scricchiolare una, due e tre volte. 

 Non servì nemmeno spingerla: la porta si aprì da sola.La stanza era ancora più maleodorante della precedente, odori di muffa e di vecchio si mescolavano ad un fastidioso fetore che mai le era capitato di sentire prima. 

 Finse di non rendersene conto accendendo la torcia e illuminando ciò che la circondava: la stanza era piena di cianfrusaglie e vecchi giornali poggiati su scaffali impolverati.  Ciò che richiamò di più la sua attenzione fu però la presenza di due animatronici da lei mai visti prima, non riuscì a distunguerne il colore talmente questi erano rovinati dal tempo.

 Fece qualche passo in avanti, dirigendosi verso alcune scartoffie abbandonate su una mensola tra i rottami e gettandovi uno sguardo: erano per lo più resoconti di ispezioni igienico sanitarie, solo uno cambiava dagli altri; firmato dall'ufficio investigativo locale era un mandato di perquisizione, con relativo rapporto.

 Perché si trovava lì? Le forze dell'ordine si erano già occupate di fare indagini sul locale in passato? Cos'era successo? 

 Renée, che voleva risposte, si accorse di aver trovato solamente più domande e che se fosse rimasta in quel luogo pochi minuti di più i suoi amiconi robotici le avrebbero organizzato davvero una grande festa con i fiocchi, idea che non la rendeva poi così pazza di gioia. 

 Prese ciò che le interessava e dopodiché si voltò, stava per uscire quando, con il riflesso della luce elettrica, vide un'ombra muoversi nell'oscurità.

Si voltò di scatto ma non vide nulla fuori posto, fece qualche passo avanti nella stanza puntando la luce negli angoli e rimanendo in guardia nella speranza di avvertire qualche rumore, ma il silenzio regnava sovrano. 

 A quel punto, si rassegnò all'idea di essersi immaginata il tutto, uscì e si chiuse la porta alle spalle, rimettendo la macchinetta nella sua posizione originaria.  Come poco prima attese che la telecamera compisse il suo giro prima di abbandonare quello sporco magazzino, ritrovandosi nel corridoio principale. 

 Tornò alla sua postazione di lavoro, sedendosi sulla poltrona e accavallando le gambe sulla scrivania. Poggiò il tablet sulle cosce e, mentre indossava la maschera, una nuova notte iniziava.

 

 

 Nel buio freddi occhi grigi scrutavano la figura della guardia dai lunghi capelli biondi muoversi indaffarata; il disastro ghignò fissandola con interesse: finalmente dopo tanto un po' di vero divertimento bussava alla porta. 

 

 

 Le ore passarono rapide dentro quel parco giochi infernale: stava ancora tentando di scacciare una delle "polle" (come soleva chiamarle lei) quando il ticchettio dell'orologio rimbombò per la stanza.

 Il robot si arrestò di colpo, per poi tornare nella sua postazione originaria, immobile come una statua: e anche quella notte l'aveva scampata.Rainy raccolse le sue cose, mettendole svogliatamente nel borsone e finì la bibita che aveva sgraffignato dalle cucine gettandone il contenitore vuoto nel cestino. 

 Prese le chiavi tra le mani e uscì dall'ufficio tranquilla, mentre frugava nelle tasche della felpa alla ricerca di cuffie e walkman.

 Percose tutto il corridoio sino alla sala principale, dove incrociò Vincent poggiato contro alla parete. 

 -È tutta sua, Mister.- salutò distrattamente il collega con un cenno della mano e senza nemmeno togliere le cuffie. Le ci vollero diversi secondi per realizzare: cosa diavolo ci faceva lì un suo collega?! 

 Doveva essere la sola nella pizzeria; nessuno doveva uscire e nessuno doveva entrare.

 -Ehi! Fermati un attimo..-Si voltò tornando indietro, guardando il suo collega arrestarsi sul posto. -Che diamine ci fai qua tu?!- 

 -Lavoro, cos'altro?- rispose questi con nonchalance, facendo leggermente innervosire la donna.

 -Lo sai che intendo: come sei entrato?-

 Impiegò qualche secondo a pensare alla risposta, qualche secondo di troppo.

 -Ovviamente ho una copia delle chiavi, in quanto guardia.-Nessuno le aveva parlato di chiavi multiple, conosceva l'esistenza di due uniche copie: le sue e quelle che teneva il Boss. 

 Per tutta la conversazione Vincent non l'aveva mai guardata negli occhi: questo portò la donna a chiedersi se non stesse mentendo, anche se sembrava così calmo e rilassato. 

 Non riuscì a cogliere il minimo segno di nervosismo dai movimenti del suo corpo, nemmeno un accenno: non poteva fare nulla se non dimostrava i suoi sospetti. 

 Decise di fare marcia indietro, seguendo l'uomo.-E la tua roba?- indossava gli stessi vestiti del giorno precedente, quindi le venne automatico chiedersi se non si fosse portato anche un cambio dietro. 

 -La mia presenza non basta?- sollevò un sopracciglio lui, guardandola con la coda dell'occhio. 

-Sei vestito com'eri vestito ieri.-

 -Hai finito di fare domande o stai facendo pratica perché hai intenzione di unirti alla Gestapo?-

 Renèe sbuffò indispettita a quel commento, portando le braccia incrociate al petto.-Non sono nazista, Coso Viola.- 

 -Come dice lei, Führer.-Da quest'utile conversazione Vincent ne ricavò solo una decisa gomitata nello stomaco, mentre la donna lo superava nel passo, tornando verso l'entrata principale. 

 -Tch, stupido.-Stava per lasciare la stanza sul serio, quando il compagno richiamò la sua attenzione con una domanda: -Hei, biodina.-

 -Rainy.- ribatté lei, fermandosi per voltarsi. 

 -...Biondina. Questa notte hai visto per caso qualcosa di...strano? Insolito?- domanda curiosa da parte sua. 

Renèe pensò alla risposta, poi scosse la testa. -Nein, solamente un'altra notte all'inferno.- risposte con distacco, lasciando poi la stanza. 

Stava mentendo? Ovviamente, ma sentiva di non potersi fidare di nessuno lì dentro.Buttò ancora un'occhiata agli eroi della pizzeria, prima di aprire le porte e lasciare il locale per la giornata.

 

._ . _ . _ . _ . _ . _ 

 

 Some years before... 

 

 Una ragazzina dai disordinati capelli biondi si sedette sul divanetto riccamente decorato. Mentre si stendeva, sulla poltrona accanto al letto prese posto un'altra donna: la dottoressa Hubermann avrà avuto ai tempi poco più di trent'anni e risultava una donna con un fascino tutto suo, l'ordine nel quale pareva vivere ispirava alla bionda emozioni contrastanti tra loro, non sapeva se sentirsi a suo agio o a disagio in tutta quella perfezione.

 Era ancora giovane e inesperta, ma alla biondina non importava granché: era una sua connazionale e lei non avrebbe accettato di parlare con nessun americano, grande o piccolo che fosse.La ragazza sospirò, prima di incrociare le mani sul ventre, aspettando.

 -Cominciamo dalle domande semplici come al solito: come ti chiami? Nome completo, intendo.- si schiarì la voce la donna, mentre prendeva carta e penna. 

 -Renèe Wolfram Zvezda.- 

 -Data di nascita?- 

 -15 Agosto 1962-

 -Quanti anni hai?-

 -Quattordici.- 

 -Dove sei nata?- 

 -Berlino nord-ovest, in Germania.-

 -Da quanti anni ti trovi in America?-

 -Sei- 

 -..Va bene. Ti dirò delle parole, tu dimmi a cosa ti fanno pensare: iniziamo.Settembre? - 

 Pausa. Solo il ticchettio delle lancette dell'orologio parlava. 

 -L'orologio mi "infastidia", può spegnerlo?- Nonostante gli anni passati faceva ancora fatica a parlare bene la sua nuova lingua; le capitava spesso di sbagliare verbi o termini. 

 -Come preferisci, Renèe.-

 -Dottoressa?-

 -Sì?-

-Non mi chiamare Renèe.-

 -Perché?-

 -Nessuno mi chiama così.- 

 -Sei tu a chiederlo?- 

 -Sì.- 

 -Cos'ha il tuo nome di sbagliato?- 

 -...La Renèe con cui tutti tentate di parlare... Non c'è più.- 

 -E dov'è andata?- 

 -Via.- 

 -Quando?-

 -A Settembre.- 

 -Perché a Settembre?- 

 -Perché sì.- 

 -Se non sei Renèe, tu chi sei?-

 -...Mi chiamo Renèe.-

 -E come se ne andata Renèe?-

 -...- 

 -Qual'è l'ultimo ricordo che hai di lei?- 

 E di nuovo silenzio. 

 -Non le ho detto io di andare via- 

 -E chi?-

 -Qualcuno.-

 -Perché qualcuno l'ha mandata via?- 

 -Non voleva..- La ragazza sentì la voce tremarle in gola, deglutendo a vuoto mentre, agitata, picchiettava con le dita il ventre.

 -Cosa?-

-Non voleva.-

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Capitolo 3
*** III. Un posto per disperati. ***


"Ti prego.. Ti prego, no! NO-"

 "Non volevo.. non volevo..." 

Nel rosso delle fiamme sprigionate da quel corpo ancora strillante, una bambina fissava l'ombra di chi doveva amarla andare in cenere e scivolare leggera nel vento. 

Le mani ancora sporche di benzina erano segnate da profonde e scavate ustioni, mentre il vestitino rosa si macchiava del suo stesso sangue.Di colpo il pavimento scomparve al di sotto delle sue gambine tremanti, lasciando che la piccola precipitasse nell'oscurità. Si accorse presto che quell'infinita l'oscurità non era vuota: infatti, non appena vi cadde dentro sino alla nuca si rese conto di non riuscire a respirare, mentre l'oscurità la stringeva ancora e ancora, quasi volesse farla scoppiare. 

 Le lacrime si dissolsero in quella sorta di sostanza oscura, mentre immobilizzata tentava di urlare ciò che non smetteva di sentire nei suoi pensieri: "Lasciami, non sono stata io!" 

E l'oscurità, quasi avesse vita propria, rispose, plasmando di fronte alla giovane una figura tale e quale a lei."Ma certo che sei stata te, non negarlo~" una risata cristallina si levò dalle labbra di quest'ultima, che si portò una mano a coprire la bocca, contratta in un ghigno di puro sadismo.

 "Lo volevi, no? Lo hai chiesto tu, lo hai avuto!"

 "Io non volevo questo!"

 "Bugiarda. Non mi piacciono le persone che mentono: sta zitta!"

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Renèe si svegliò di soprassalto, spalancando gli occhi pieni di lacrime. Tremante e ancora con il fiatone, come se non avesse respirato per l'intera nottata, si guardò intorno confusa cercando a tentoni gli occhiali sul comodino. 

 Dopo averli presi si asciugò gli occhi lacrimanti e li indossò, mentre l'ambiente cominciava a prendere forma: fu sollevata di rendersi conto di essere ancora nella sua stanza, sul suo letto: a circondarla il solito ambiente bianco e ordinato, a parte per una boccetta di pillole bianche e rosse rovesciata sul comodino; doveva averla urtata mentre cercava gli occhiali. 

Ogni tanto, la donna si sentiva sola e si pentiva di aver deciso di andarsene a vivere da sola così presto e alla larga da tutti, ma allo stesso tempo non avrebbe sopportato ulteriormente gli sguardi compassionevoli che i fratelli le rivolgevano quando la mattina scendeva nel salone, con gli occhi gonfi e ancora lucidi di lacrime: nessuno doveva capirla o compatirla e lei non doveva essere un peso per loro. Adam era stato di buon cuore ad accoglierla e lei non l'avrebbe mai ringraziato quanto bastava, ma non poteva continuare in quella maniera. 

Eppure in quel momento si sentiva sola e vuota, avrebbe voluto una pacca sulla spalla, che quell'appiccicoso di Friedrich la tormentasse come al suo solito e che quella rompiscatole di Phoebe irrompesse nella stanza come al suo solito e le facesse la ramanzina per una storiella stupida, ma quella volta nessuno entrò nella camera della donna e nessuno la chiamò per fare qualche bravata. 

Sola, prese tra le braccia "Thomas", che altro non era che un pupazzo vecchio ma mantenuto ancora in ottime condizioni, stringendolo e affondando la testa nel pelo sintetico, inspirando il fresco profumo di bucato che questo emanava. Dopodiché attese che il cuore riprendesse il suo normale battito e che il respiro rallentasse, finché sentendosi calma non si alzò dal letto, posando il pupazzo e uscendo dalla stanza. _______________________________________________________________________________

Se Renèe avesse pensato alla prima cosa che le veniva in mente pensando a ciò che le dicevano i suoi colleghi sicuramente la prima frase che le sarebbe saltata in mente sarebbe stata: "Non vieni a lavorare in questo posto se non sei un disperato.".

Non ci mise molto a capire il motivo di tali parole: non solo non era certa che pagare così poco un dipendente fosse realmente legale, ma non era nemmeno poi così sicura che quel luogo potesse essere davvero così sicuro; insomma, le erano bastate le prime nottate passate lì dentro per capire che il fatto che dei robottoni giganti dalle facce non esattamente amichevoli potessero muoversi come preferivano e andare dove volevano andava al di fuori persino dalla sua di normalità. 

Infine, si era resa conto che nessuno dei suoi colleghi voleva realmente trovarsi là dentro, al contrario di lei che prendeva quasi la questione come se fosse un gioco: non aveva problemi economici, anzi, lavorava lì solo per il suo svago personale.... e un minimo anche perché nessuno avrebbe assunto una come lei nelle condizioni in cui si trovava. 

 Aveva inquadrato perfettamente tutti i suoi colleghi: il coordinatore di cui non si ricordava mai il nome sembrava una persona piuttosto precisa, ma non troppo puntigliosa, un punto a suo favore. Tuttavia si mostrava spesso con un'aria scocciata o innervosita: una tisana al mattino e alla sera al posto del caffé non gli avrebbe fatto poi così male. 

Fritz Smith doveva essere un novellino come lei. In realtà le sembrava solamente molto stupido, purtroppo non v'era ancora un rimedio per la stupidità, anche se nel suo caso avrebbe fatto davvero comodo. Il suo secondo punto a sfavore: era un codardo, quelli della peggior specie, e la bionda detestava i codardi. Il terzo? Di quel passo non avrebbe passato i trenta, possibile non riuscisse a mantenere uno stile di vita adeguatamente sano?! Oltretutto la donna aveva le sue buone ragioni per pensare che soffrisse di ipotiroidismo: aveva la pelle giallastra, evidenti problemi di memoria e i capelli visibilmente secchi, senza contare la lentezza con cui parlava e il fatto che da solo non riuscisse nemmeno a spostare un tavolo; mangiare merendine e Junk food gli avrebbe solo fatto del male. 

Vincent Bishop aveva richiamato l'attenzione di Rainy: una persona particolarmente volubile, non riusciva mai a capire cosa gli passasse per la testa. Si mostrava piuttosto dedito al suo lavoro ma vi si presentava con i vestiti e capelli disordinati, anche i suoi modi di fare non si addicevano granché al suo incarico. Era convinta che per qualche ragione odiasse i bambini e non si avvicinava mai troppo agli animatronics mentre essi erano in funzione, come se ne fosse inquietato. Aveva un'ultima certezza su di lui: provava antipatia nei suoi confronti, lo avvertiva mentre la prendeva in giro e quando le rispondeva, anche solo nel suo sguardo. Forse la giudicava strana? Beh, in realtà poco le importava, si facesse gli affari propri! 

Jeremy Fitzgerald le sembrava tanto un bambino ingenuo: aveva spesso la testa tra le nuvole e sembrava che il suo lavoro in tutto ciò fosse l'ultimo dei suoi pensieri, inoltre non si preoccupava per nulla di nascondere le proprie emozioni. Doveva essere terrorizzato dagli animatronics e ancora si chiedeva perché non si fosse licenziato, anche se la risposta era più che ovvia: per lo stesso motivo per cui nessun altro dei suoi colleghi aveva lasciato il proprio posto di lavoro in quella topaia; i soldi. Se non ricordava male era uno studente universitario e aveva quasi quattro anni in meno della donna, nonostante li dimostrasse tutti era una persona di cui si ci poteva fidare; la donna se ne sarebbe resa conto qualche anno più avanti. 

Victoria Richardson era un altro soggetto curioso per la donna: durante i suoi primi giorni di lavoro non l'aveva mai vista sorridere, nemmeno una volta, inoltre le pareva quasi che evitasse il contatto umano e non riuscisse a mantenere un vero e proprio contatto visivo, nonostante non parlasse molto aveva notato che possedeva comunque un vocabolario forbito (o per lo meno sicuramente più forbito del suo) e sembrava saper utilizzare piuttosto bene la grammatica. Matura e attenta anche lei frequentava l'università. Doveva avere un buon rapporto con Jeremy, evidentemente dovevano conoscersi da parecchio tempo. 

La bionda non sapeva bene cosa pensare su di lei: all'apparenza le sembrava una persona davvero molto creativa, ma se avesse dovuto pensare a cosa le veniva in mente osservando i suoi comportamenti la portavano a pensare che si trattasse in realtà di una ragazza molto sola, un po' le ricordava gli alberi in autunno, quando perdono le loro foglie. 

 Dulcis in fundo, Schmidt: nonostante il cognome di origini tedesche era l'apoteosi dell'individuo antipatico americano, gli mancavano solo la maglietta del fast food locale e qualche chilo di troppo -per lo meno si curava della salute-. La bionda l'aveva sempre giudicato come una persona superficiale e noiosa, una di quelle con cui non passeresti del tempo nemmeno con una pistola puntata dritta sul cranio. Purtroppo per la bionda, doveva passarci assieme sei ore consecutive. Aveva notato svariate volte da parte dell'uomo un atteggiamento sospetto: era solito guardarsi attorno con circospezione, tentando di entrare in quante più stanze possibili. Inoltre ogni qualvolta la incontrava per i corridoi la guardava di storto, a volte aveva l'impressione di avvertire i suoi occhi puntati sulla schiena ed era una cosa che detestava con tutta sè stessa; dopotutto alla bionda non era mai piaciuto sentirsi troppo osservata, nè tantomeno che le persone si curassero troppo poco di lei, temeva che Mike potesse avere dei sospetti sul suo conto e assolutamente non se lo poteva permettere: doveva stare in guardia. 

Renèe non capitava spesso nel turno nel turno diurno e sinceramente parlando non provava nemmeno così tanto interesse nel rimanere lì dentro di giorno: alla fine durante la giornata non accadeva nulla di così particolare, ma le grida e le vocine isteriche dei bambini la facevano davvero uscire di testa. 

Appoggiata alla porta dell'entrata principale, Renèe fissava l'unico animatronics rimasto sul palco ridere e scherzare con i bambini al di sotto di esso: ogni tanto le veniva da chiedersi per quale ragione quei robottoni divenivano così aggressivi solo la notte. Se avesse lasciato un bambino in balia di essi nel pieno della nottata gli avrebbero fatto del male o se la prendevano solo con gli adulti? Aveva sentito parlare di come i robot facessero a riconoscere un umano da un loro simile, ma erano in grado di riconoscere anche un adulto da un bambino? 

I documenti da lei rinvenuti non dicevano nulla in proposito e di giorno, con tutta quella gente intorno, non aveva modo di andare avanti con le sue ricerche: doveva trovare un'altra maniera più rapida. Si alzò dal muro sul quale era appoggiata per poi avviarsi verso la cucina, entrando dalle porte scorrevoli e avvicinandosi al frigo delle bevande; prese una bottiglietta di Coca cola e si voltò nuovamente decisa ad uscire, ma si fermò dopo pochi passi.

"Non dovresti stare qui.." 

Ops. Renèe si girò lentamente aspirando la bevanda con la cannuccia, scoprendo una presenza minuta al suo fianco: Victoria la osservava con sguardo vuoto e senza mai incrociare il suo. 

La ragazza era fisicamente abbastanza più piccola della bionda di carnagione parecchio pallida, aveva i capelli corvini abbelliti da un grande ciuffo bianco, che ne incorniciava i rotondi occhi azzurri anche lei portava la sua stessa medesima divisa ma, a quanto aveva capito, non era più una guardia. Non si chiese nemmeno per quale ragione potesse esser stata spostata di settore: le pareva scontato. 

Internamente si sentì sollevata nel vedere la ragazza e non il coordinatore: effettivamente nessuno poteva entrare in cucina al di fuori del personale autorizzato durante l'orario di apertura, nonostante non fosse esattamente un luogo così rispettoso delle norme igieniche.

La donna si avvicinò di qualche passo; guardava l'altra dall'alto verso il basso, scrutandola interessata come se fosse la copertina di un libro che aspettava solo di essere aperto -da lei, ovviamente-. 

La totale assenza di contatto visivo da parte della collega fu ciò che richiamò di più la sua curiosità: solitamente le persone tendono a guardare gli altri mentre parlano, invece lei non l'aveva mai guardata, nemmeno una volta; si limitava a guardare altrove. Non aveva degli aggettivi esatti per descriverla, probabilmente perché nemmeno esistevano, ma le sembrava quasi di parlare con una bambola vuota.

Da ciò che aveva letto dai suoi dati personali doveva essere poco più piccola di lei. Una piccola curiosità; frequentava la stessa università di Fitzgerald Jeremy, il che le faceva quasi strano: a quanto ricordava lei stessa l'aveva scartata dalle sue scelte ritenendola sin troppo costosa, seppur rinomata.

-Sei Renèe?- La collega richiamò nuovamente la sua attenzione, distraendola dai suoi pensieri. Rainy sbatté le palpebre, poi annuì, porgendole una delle mani sempre coperte dai guanti.

-Puoi chiamarmi Rainy!-

La ragazza gettò uno sguardo verso la mano, indietreggiando appena: a quanto pareva i contatti non erano di suo gradimento.. La bionda ritirò la mano e fece spallucce: sarebbe stato per un'altra volta. 

-Mi hanno detto di cercarti, devi fare una cosa. Vieni.- Non disse altro, la corvina si limitò a precedere la donna, che incuriosita la seguì: uscirono dalla cucina e dalle sale da pranzo, inoltrandosi per i corridoi, sino ad arrivare ad una porta chiusa, coperta da nastro adesivo giallo; sul metallo di essa spiccava un cartello bianco che riportava solamente due parole: "Staff only". Vi era passata davanti svariate volte, ma non vi era ancora mai entrata: non aveva così tanto tempo prima di iniziare il turno, e non aveva nemmeno le chiavi.

-Cosa c'è lì? Che posto è?- Chiese spinta dalla curiosità, mentre l'altra apriva la porta: all'intero la stanza era buia e i muri coperti di polvere. 

-Questo posto una volta era una delle attrazioni della pizzeria, ma poco tempo fa un addetto alle riparazioni ha riscontrato dei... problemi, diciamo, con l'animatronic che si trova al suo interno. Da allora è stato chiuso al pubblico, in attesa di riparazioni.- 

Prendendo la torcia elettrica tra le mani e puntandola all'interno della stanza la bionda si accorse della grossa quantità di disegni all'interno di essa: ne erano tappezzati i muri e i pavimenti, più di qualsiasi altra stanza della pizzeria, mentre per terra e sui tavolini giacevano fogli bianchi e colori d'ogni tipo coperti di polvere. 

Per qualche attimo le parve di tornare indietro nel tempo di qualche anno: le luci accese e un'ampia stanza dai colori frizzanti e vivaci piena di rumorosi marmocchi che correvano avanti e indietro, sventolando i loro disegni a destra e manca. "Rainy, io vado là con Betty!": la voce squillante di 'Pecetta' si sentiva a malapena in quel baccano, mentre la bambina dai capelli ramati si confondeva tra i suoi coetanei. Renèe non la perdeva di vista un attimo, con gli occhi verdi coperti dalle sottili lenti degli occhiali e il volto celato sotto al cappotto della felpa violastra e alla lunga frangia. Tra le mani, segnate da profonde bruciature, si rigirava le chiavi di casa più e più volte quasi compulsivamente.

In mezzo ai rumorosi bambini l'alta figura del leone robotico spiccava, mentre al suo fianco un altro robot, dalle sembianze di una pecorella, sorrideva allegro ai bambini ringraziandoli. La leonessa chiamava a sé i bambini, appendendo i loro disegni al muro e spesso invitando a disegnare anche i bambini un po' più schivi e che tendevano a tenersi distanti dagli altri. I pargoli in parole povere la circondavano, e anche sua sorella si trovava accanto alla leonessa: era sempre impressionante vedere quanto quei bambini potessero voler bene a dei robot..

Non appena avanzò di qualche passo tuttavia tutto svanì nelle tenebre, i bambini si tramutarono in polvere mentre i colori si scurirono, le voci si affievolirono sino a diventare silenzio. Perse l'equilibrio e sbarrò gli occhi confusa e incredula, inciampando e quasi non cadendo sul pavimento sporco. 

-Sta attenta..!- L'ammonì la collega alle sue spalle, seguendola. -Torna indietro: non dobbiamo fare rumore, e sta attenta alla luce: il robot presente in quest'area è vecchio e difettoso, ma non disattivo. Non sappiamo come potrebbe reagire se ci vedesse; pertanto dobbiamo muoverci in silenzio e con cautela.-

-Die löwin.. è lei, vero?- Renèe abbassò la voce, entrando nella stanza abbandonata. Uno striscione lasciato a penzoloni ne riportava il nome originario: "Creative Cove". La donna si guardò vigile attorno lasciando entrare la compagna che subito si allontanò, diretta verso un quadro elettrico celato nel muro. Invece Renèe non era interessata a quello, ma c'era una cosa che non capiva.. -Perché mi hai chiamata?- Domandò mentre incuriosita si inoltrava all'interno della stanza: dov'era lei? Si voltò per qualche momento verso Victoria assicurandosi che fosse dove l'aveva lasciata e tornò a camminare. 

-Devi controllare che nulla ostacoli il mio lavoro.- Fu l'unica risposta che ricevette. Bastarono pochi attimi di distrazione perché andasse a scontrarsi contro qualcosa di apparentemente morbido al tatto, ma resistente e diversamente pulito: oh, cazzo. 

Alzò lo sguardo incrociando gli occhi smeraldini con lo sguardo azzurro dell'animatrone, questa la fissò per qualche attimo e Renèe fu quasi sicura di vederla sorridere nella penombra. 

-Ehi, ragazzina, ti conviene andartene da lì..- Avvisò la compagna, allontanandosi dalla leonessa di qualche passo. Fu la prima volta che vide nel volto della collega un vago cambio di espressione. 

-Cosa ci fai lì? Dovevi stare attenta!-

-Beh, non so se l'hai notato, ma ero leggermente impegnata tentare di capire dove fosse, sai com'è, non posso difendermi da qualcosa di invisibile! Quindi ora, per favore, lasciami fare il mio lavoro ed esci.-

L'automa si avvicinò rumorosamente alle due, aprendo poi la mascella: -E-Ehi, voi, venite a-a disegnare con me!- la voce meccanica risuonò nel vuoto della stanza, distruggendone il silenzio. La leonnessa si avvicinava e Victoria non si era ancora mossa: "Benissimo, ora devo fare anche la baby sitter!" pensò innervosita la bionda. Si avvicinò al robot senza un minimo accenno di paura, fissandolo dritto negli occhi, per poi poggiarle l'indice contro il petto. 

-Senti un po', sie, noi non ci siamo mai conosciute: mi chiamo Renèe e tu tocca anche solo con un pastello colorato qualcuno qui dentro e ti assicuro che ti smonterò pezzetto per pezzetto e utilizzerò la tua testa per giocare a bowling e il tuo braccio per giocare a hockey sul ghiaccio.- Forse non era esattamente la maniera più amichevole di presentarsi e difficilmente la donna sarebbe riuscita a disassemblare il robot a mani nude, ma era l'unico modo per guadagnare tempo. Tolse il dito dal petto della leonessa, ma questa le strinse il polso, portandola con sè nell'oscurità. 

-A-a-avanti, vieni a-a disegnare, Renèe...- disse ancora l'animatrone senza mollare la presa. La bionda prese a divincolarsi dalla sua stretta sino a che non riuscì a liberarsi facendo scivolare il polso dalla zampa robotica. La presa non era stata molto forte, e anche il suo tono di voce non sembrava malevolo, o per lo meno non come quello degli altri, ma non era il momento di pensare a stupidaggini: i robot sono numeri, come può un computer, la matematica provare emozioni? E' semplicemente impossibile. 
Renèe indietreggiò e la leonessa la seguì avvicinandosi alla luce, solo allora la vide: il pelo marrone chiaro non era in ottime condizioni, probabilmente rovinato dal tempo e dalle tempere, ed era coperto in parte da un grembiule bianco pieno di chiazze di colore. Sul capo invece portava un basco viola acceso. 

Renèe afferrò Victoria da un braccio, tirandola con sè fuori dalla stanza, ma, prima di chiudere la porta, lanciò ancora un ultimo sguardo al robol alle sue spalle: -Sehen sie, Löwin!- ed effettivamente si sarebbero riviste ancora molte volte in futuro, nemmeno la fine della storia sarebbe bastata a separare le loro strade. 

La leonessa di cui ancora non ricordava il nome quel giorno aveva creato un errore nel cervello calcolatore di Renèe; il modo in cui l'aveva guardata negli occhi mentre nuovamente rimaneva sola la colpì nel profondo: in fondo forse non era solo una macchina, come poteva un computer avere uno sguardo così umano? 

La salutò con un sorriso, e la sottointesa promessa che, prima o poi, sarebbe tornata.

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Al di fuori dalla pizzeria quella sera sembrava diluviare.

Renè uscì dal locale alzando il cappuccio della felpa, mise le cuffie e dopo aver acceso il walkman e riavvolto la cassetta prese a correre sul marciapiede: ancora una volta sarebbe tornata a casa fradicia, e pensare che non abitava poi così lontana! 
Stava ancora correndo quando il suono di un clacson richiamò la sua attenzione: frenò di scatto sull'asfalto bagnato e si voltò verso la strada, laddove una macchina viola scuro le si era accostata. Al di là del finestrino, "Bishemo", nuovissimo soprannome dedicato al suo collega Vincent, la fissava, comodamente all'asciutto. 

-Ehi, Renuhrer! Hai intenzione di fartela a piedi sotto il diluvio universale o vuoi uno strappo?- 

-Smettila di chiamarmi così, sie dumm!- 

Proprio mentre la bionda afferrò la maniglia l'uomo avanzò con la macchina di qualche centimetro. -Non ho sentito la parola magica!- si sentiva forse ironico?

-Apri o ti assicuro che ti stacco gli occhi e ti dimostro quanto è semplice farsi da soli una rettoscopia.- rispose seccata, aprendo la portiera e salendo in macchina: era a dir poco fradicia dalla testa ai piedi. Si sedette comodamente sul sedile, incrociando poi le braccia al petto. 

-Dove ti porto, Biondina? E allacciati la cintura!- gli occhi grigi del collega scrutarono la figura femminile seduta al suo fianco mentre ancora si chiedeva cosa gli era saltato in mente: Renèe era una grande ficcanaso e doveva trovare un modo per sbarazzarsene in fretta prima che di cacciarsi in qualche brutto guaio, ma darle un passaggio sino a casa non era poi la scelta migliore, inoltre la donna era davvero attenta e nemmeno troppo indifesa; doveva toglierla di mezzo senza rischiare di ritrovarsi la testa piena di piombo o, peggio, davanti ad un tribunale. 

-Airport road, non è molto lontana da qui. Cosa ci facevi qua?- rispose la bionda mentre contrariata si allacciava la cintura di sicurezza.

-Abito qui vicino, aspettavo una persona, ma stavo tornando a casa.-

-Una persona? Femmina? Non è un po' presto per le prostitute? Sono solo le sette!- 

-Sarà presto per le zoccole, ma non è mai presto per farsi i cazzi propri..!- rispose a tono l'altro: non intendeva rispondere alle sue domande.

Non impiegarono molto, ma la donna in macchina non proferì parola: sembrava agitata, stringeva con forza il sedile ma guardava fuori le gocce scivolare rapide sul finestrino con aria assorta. -Ah! Qui!- sembrò riprendersi di colpo alla vista del condominio in cui abitava, anche se più che un codominio quello pareva un vecchio albergo. 

Vincent accostò l'auto e lasciò scendere la donna, ma questa non si allontanò subito come pensava: -Vuoi salire? Ti faccio un tea, non è sicuro guidare in questo momento..- 

-Un tea? Mi hai preso per un moccioso?- 

-Una birra?- ripropose la bionda, alzando il cappuccio della felpa. 

-Ora iniziamo a ragionare..!- L'uomo spense la macchina e scese, chiudendo poi a chiave le portiere e seguendo la bionda la quale, dopo aver aperto il cancelletto, aprì il portone del condominio. 
Salirono le scale sino al quarto piano, dove la donna si fermò e, dopo aver preso un paio di chiavi attaccate alla cintura, aprì la porta subito a sinistra: l'appartamento di Renèe si presentava totalmente di tre colori; bianco, rosso e nero, con dettagli grigi. I mobili erano moderni e dal design semplice e delicato, totalmente in contrasto con le tipiche case americane degli anni settanta americani. Nel salotto era anche presente un piccolo soppalco dotato di divano letto, tende separatorie, lampada e una piccola cassettiera. 
Mentre un breve corridoio conduceva alla camera, allo sgabuzzino e al bagno, un'altra porta conduceva alla cucina.
Era tutto in perfetto ordine, tutto ad esclusione di uno specchio in frantumi, i cui cocci erano abbandonati sul pavimento bianco. Tra essi vi erano un paio di affilate forbici rosse.

-Aspettami qui: mi cambio, prima di prendermi una congestione!- la bionda entrò nel corridoio, scomparendo poi in una stanza e chiudendosi la porta alle spalle: era il momento giusto.

Vincent si assicurò che la donna non uscisse per prendere a curiosare nella stanza: per prima cosa si avvicinò allo specchio; non si era rotto per una caduta, i cocci seguivano uno schema semi-circolare, e nella struttura era ancora presente il colpo delle forbici. In un angolo era abbandonato uno strumento musicale, molto probabilmente un violino, mentre al muro erano appesi dei pattini dall'aria vissuta. Sul tavolo giacevano abbandonati degli occhiali da vista, poggiati su un vecchio quotidiano. Non c'era null'altro di rilevante in quella stanza, ad una prima occhiata.

-Eccomi!- la donna tornò dopo essersi cambiata: semplicemente vestita con una maglia bianca a manice lunghe rosse e i pantaloni della tuta portava i capelli avvolti in un asciugamano immacolato. Indossò gli occhiali da vista e fu in quel momento che il collega notò qualcosa di realmente curioso: -Cos'hai fatto alle mani? Sono cicatrici?-
Rainy si bloccò di colpo visibilmente turbata e nascose le mani sotto alle maniche. -Nulla.-
-Sono ustioni, vero?- insistette ancora l'altro, avvicinandosi di qualche passo.
-"Sarà presto per le zoccole, ma non è mai presto per farsi i fatti propri..!"- gli fece eco, rivolgendogli la stessa frase che lui le aveva dato in risposta poco prima: sarebbe stata una fin troppo lunga serata, in fondo...
 

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PS.
-Il personaggio Victoria Richardson non mi appartiene, ma appartiene bensì a http://captain-echo.deviantart.com :fate un salto sui suoi profili social!
-Il personaggio di Seraphine (altresì detto "la leonessa") non mi appartiene, ma appartiene a: http://creepymarty2.deviantart.com , passate a salutare anche lei!
Ovviamente sono entrambe ragazze fantastiche e, sperando ancora di non essere andata troppo OOC, vi ringrazio per avermi permesso di usare i vostri personaggi nella mia storia!~

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Capitolo 4
*** IV. Scherzo. ***


-Rainy era una persona molto... complicata. Non si potrebbe descrivere in un solo aggettivo.-

La donna dai corti capelli blu si sistemò gli occhiali mentre parlava con lo sguardo basso. Aveva la pelle pallica e occhi stretti e allungati tipici delle donne asiatiche, ma presentava anche molti tratti caucasici.

A Wendy non piaceva sentirsi obbligata a dover parlare di Rainy, era stata la sua più grande alleata e la sua scomparsa l'aveva ferita nel profondo. Da quando se n'era andata tutti ne approfittavano per parlarne male: persone che la conoscevano bene la definivano malata, depressa, altre la definivano come una malata di testa. Per carità, da un lato erano tutte cose vere, ma lei sapeva: sapeva cosa le era successo, cosa le avevano fatto e soprattutto chi; sapeva tutto di lei, anche il più stupido dei segreti. La bionda aveva dei problemi, era malata, ma mai si sarebbe tolta la vita da sola: ne aveva passate tante e si era sempre rialzata coprendo le crepe del suo cuore con cerotti incollati con lacrime e sangue.  

Beh, forse Rainy non avrebbe detto proprio così: lei non credeva in cose sciocche come i sentimenti che partono dal cuore all'animo umano, lei si limitava ai dati scientifici. Avrebbe detto piuttosto "aveva nascosto i suoi traumi utilizzando sentimenti apparentemente felici al fine della propria sopravvivenza", o qualcosa di simile, ma alla fine ormai non importava più: non importava più a nessuno.

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-Oh, wirklich: con quale coraggio ti hanno assunto?!- Renèe scoppiò in una risata, buttandosi a peso morto sul  divano nero; nel farlo si rovesciò addosso parte della bottiglia di birra che reggeva nella mano destra, abbassò lo sguardo sulla maglia bagnata e scoppiò nuovamente a ridere.

Poco distante, seduto con eleganza sulla poltrona in pelle, Vincent fissava la donna con occhi di chi era un po' alticcio ma ancora perfettamente cosciente di pensieri e azioni. -Disse la donna che sbronza non è capace di sedersi su un divano senza rovesciarsi addosso qualcosa! Per rispondere alla tua domanda: direi quasi grazie al mio aspetto irresistibile..!- Risposte il collega, senza un minimo di modestia nelle parole: d'altronde lo pensava sul serio, non aveva bisogno di mezzi termini.

-Ovviamente, anche il mio fascino ha lasciato tutti a bocca aperta!- E chissà perché si aspettava quella risposta, pensò anche di risponderle a tono, ma lasciò perdere: non c'era gusto a provocare una persona se questa poi gli rideva in faccia.

-..Violeettaa....- Chiamò lei, quasi biascicando, mentre si avvicinava camminando a carponi sul divano: si fermò poggiando il petto sul bracciolo imbottito e portando una mano sotto al mento L'uomo la guardò seccato all'udire quello stupido soprannome: -Che vuoi?- chiese di rimando, sospirando.

-Chi c'è oggi di turno alla pizzeria?- La bionda spostò le sguardo sulle proprie unghie, lunghe e affilate come artigli ma visibilmente poco curate.

-Fritz, credo. Perché?-

Renèe ridacchiò, voltandosi verso l'orologio: erano solo le 10.20 PM. -E se gli facessimo uno scherzo?- 

Ad udire quelle parole per la prima volta in tutta la serata Vincent sorrise con sincerità, un sorriso beffardo e maligno, di chi non aspettava altro che avere una notizia simile: in un giorno solo poteva sbarazzarsi sia della donna che del ciccione senza fare il minimo sforzo, una notizia fantastica! 

-Beh, perché no?-

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Fritz Smith era il classico individuo in grado di guadagnarsi senza alcuna fatica l'odio di Rainy: un ragazzetto che doveva avere pochi anni in meno di lei ma con il quozioente intellettivo pari a quello di un criceto stupido; come quelli che sbattono il muso contro il fondo della propria gabbia sperando di poter trovare così una via d'uscita alla loro condizione senza rendersi conto di aggravarla ulteriormente. Ecco, quel genere di criceto stupido. 

Era poco attento sia alla sua salute che alla sua cura personale, e si presentava come una persona piuttosto bassa e tozza, visibilmente troppo in carne. Il bianco della camicia metteva in risalto il colorito giallastro della sua pelle, gli occhi castani erano coperti da spessissime lenti rotondeggianti e il volto pieno di lentiggini piuttosto visibili, incornciato da ribelli riccioli rossastri perennemente spettinati e secchi.

Come molti altri prima di lui era lì per una sola ragione: finire il primo mese e levarsi dai piedi per sempre. Tra tutti i membri dello staff presenti in quel momento pareva infatti che fosse lui quello più impressionabile e in un certo senso voler finire il suo mese lavorativo gli faceva onore. Nessuno sapeva per quale ragione fosse così ostinato a continuare nelle sue condizioni e il fatto che tutti lo guardassero come un codardo in realtà lo feriva profondamente: aveva ragioni ben precise per andare avanti, doveva avere quei soldi ad ogni costo e nessuno avrebbe mai assunto una persona come lui, nessuno escluso il suo attuale capo a cui servivano persone come lui, stupide e che cascassero facilmente nel suo tranello. 

Il rosso uscì dalla cucina come al solito sorseggiando una cola con una mano mentre con l'altra reggeva la torcia scrutando l'ambiente circostante: non gli piaceva affatto l'idea del dover tenere spente le luci ma, a quanto ne sapeva lui, al capo non piaceva sprecare troppi soldi in energia e dopotutto le telecamere di sicurezza erano munite di torcia per la visione notturna. Prese un profondo respiro e con riluttanza si avviò verso il corridoio che dirigeva all'ufficio degli addetti alla sicurezza canticchiando sottovoce le note di "The time of my life", canzone che aveva acquisito uno spropositato successo giusto qualche giorno prima: era quasi impossibile sintonizzarsi su una radio che non la mandasse mai in onda. 

Il sussurro stonato risuonava nel vuoto del locale, rendendolo facilmente localizzabile: Renèe e Vincent non si dovettero nemmeno sforzare di cercarlo per le stanze oscure. Per loro fortuna era ancora presto e Fritz chiudeva le porte di sicurezza sul retro dopo aver interamente completato il suo giro di controllo della pizzeria; mossa stupida, oltreché prevedibile per un tipo come lui. 

Silenziosi sgattaiolarono dentro alla pizzeria invasa dall'oscurità tramite la porta di servizio della cucina quando ormai il collega era lontano e uscirono nella sala principale poco dopo, vicini al palco dove si esibivano gli animatroni. Dopodichè imboccarono il corridoio, diretti alla saletta dei pezzi di scorta e dei costumi in disuso: il piano era semplice, avrebbero preso delle maschere di riserva e fatto un po' di chiasso in giro, per poi attirarlo nell'ufficio e spaventarlo. Nulla di così complicato insomma, ma in fondo Rainy sapeva che erano fortunati se non gli fosse venuto un attacco cardiaco lì sul posto. 

L'uomo toccò una spalla alla collega per richiamare la sua attenzione indicandole il fascio di luce della torcia di Fritz che si avvicinava alla loro posizione prima di stringerle il polso senza troppa delicatezza e trascinarla per un altro corridoio, che portava ad una delle salette. Dal canto suo Rainy strattonò il polso infastidita: non gli aveva mica dato il permesso per toccarla così tanto!

Con i suoi soliti modi delicati e cordiali l'uomo lasciò andare la bioda, per poi voltarsi indicandole il condotto dell'aria: -Passa da lì, vai alla Part Room, prendi le maschere e torna indietro: ti aspetto qui.- 

Renèe alzò un sopracciglio, guardando il condotto con aria contrariata: -Scherzi, vero? Come credi che possa entrare in un posto del genere?!- mosse qualche passo verso l'entrata, battendovi la punta dello stivale: stava forse dando di testa?

-Gli animatroni sono alti tutti più di due metri e non pesano meno di un quintale, li hai visti come scivolano nei condotti: te in confronto a loro sei uno stuzzichino. O hai forse paura di trovare qualcosa, lì dentro?!-

Rainy con quell'ultima affermazione si sentì punta nel profondo: nessuno poteva dirle che non aveva il coraggio di fare qualcosa. Allontanò Vincent con uno spintone, per poi chinarsi: il condotto era talmente scuro da non vederne la fine, ma non mostrò riluttanza e con decisione si infilò nell'insolito corridoio. Tuttavia poco dopo si pentì della sua scelta: era troppo stretto perché potesse girarsi e tornare indietro e troppo buio perché riuscisse ad avanzare in maniera rapida. Gattonò per un tratto che le parve eterno nel buio più assoluto, sudando e con gli occhi chiusi in maniera talmente stretta da farle male. Faceva così caldo.. così caldo che il mondo attorno le parve sciogliersi, scivolando; avvertì il metallo sotto ai guanti farsi instabile e melmoso, sempre più lutolento e le parve quasi di trovarsi sulle sabbie mobili. Iniziò a porre resistenza muovendosi quanto più veloce poteva decisa a sfuggire a quella morsa infernale, mentre le strette pareti attorno a lei si opprimevano e divenivano fuoco, sinché non avvertì il mondo inghittirla e dileguarsi al di sotto del suo corpo. Precipitò nel nulla e portò le mani a coprirsi il capo, stringendo i denti e cercando con tutte le sue forze di non urlare mentre sentiva l'ossigeno venirle meno, sinché non avvertì farsi tutto lento e più tranquillo. 

"Apri gli occhi."

Una voce risuonò nella sua testa e decise di fidarsi, aprendo piano gli occhi: di fronte a lei una luce accecante le indicava che quella era la sua unica via d'uscita. Rapida scappò da quell'inferno, uscendo ed alzandosi in piedi: attorno a lei una stanza totalmente in legno scricchiolante cadeva sotto fiamme violente e ormai inestinguibili, il fumo intossicava l'aria. Lontane, le sirene e le voci dei pompieri parevano ovattate. Mosse qualche passo su quel pavimento e il rumore degli stivali che scivolavano nel sangue le diede il volta stomaco: era ovunque, sul pavimento, sui mobili, sulle pareti, ed ora anche addosso a lei: sulla felpa bianca spiccavano delle intense macchie vermiglie. In piedi di fronte a lei un corpo andava in cenere mentre le veniva incontro con passi misurati. Anch'esso avvolto dalle fiamme era nero e ormai irriconoscibile, ma Renèe sapeva perfettamente a chi apparteneva. 
Indietreggiò fino a sbattere contro la parete, mentre la sua testa urlava parole incomprensibili: 

"No, no, no! Stammi lontana, non ti avvicinare!"

Scivolò per la parete, rannicchiandosi e nascondendo la testa in mezzo alle ginocchia, tremando come una bambina. La figura le poggiò una mano ardente sul capo e il tempo le parve fermarsi. 
 

-Renührer? Ehi? Renèe? Terra chiama Zvezda!-

Una voce familiare richiamò la sua attenzione: rialzò il viso arrossato, e si rese conto di essere tornata alla pizzeria. Era solo un brutto incubo, null'altro che un brutto incubo. 

Riprese il respiro: la voce di Vincent proveniva dall'altro lato del tunnel. -Sto bene, Violetta, smettila di chiamarmi: ci farai scoprire, sie dumm!- ribattè con tono infastidito, come se non fosse successo niente. Le ci volle qualche minuto perché riuscisse nuovamente ad alzarsi: andò sull'uscio della porta accertandosi che non vi fosse nessuno per poi scivolare fuori, tenendosi sempre lungo il muro, entrando di soppiatto nella sala dei ricambi. 

-Allora... mi sembra di averle viste qui da qualche parte...- 

Si avvicinò ad alcuni scatoloni riposti nello stanzino e prese a guardarli uno per uno, talvolta lamentandosi delle pessime condizioni igieniche in cui si trovavano gli attrezzi da lavoro. Gli occhi verdi guizzavano da uno scatolone all'altro; non faticava granché a vedere il contenuto delle scatole, ma non vi era nemmeno molta luce. Era ancora intenta a cercare il materiale quando avvertì alle sue porte un suono che avrebbe preferito non sentire in un momento come quello: la porta sbattè pesantemente. Si arrestò di colpo smettendo di frugare nelle scatole, voltandosi verso di essa con gli occhi sbarrati, poi verso gli animatronics abbandonati nell'angolo opposto della stanza: erano ancora immobili, non avevano sentito. 

Si alzò senza staccare lo sguardo da essi, muovendosi cautamente verso la porta e rendendosi conto di quanto si trovasse nei guai sino al collo solo quando mosse la maniglia: era bloccata. Bloccata totalmente, chiusa, non vi era modo di aprirla. Possibile che l'avesse chiusaa chiave Fritz?!

-Ehi? C'è qualcuno?- Provò a chiamare ma non ricevette risposta. L'orologio sulla parete segnava le 11.40 PM. Cazzo. 

-Violetta? Fritz?- chiamò ancora, e di nuovo il silenzio le fece torcere le budella. Avrebbe voluto vomitare tutti gli organi, ma non era il momento di perdere la calma. Indietreggiò, per poi prendere la rincorsa e buttarsi contro la porta di peso, e poi lo fece ancora, ancora e ancora, nella speranza di riuscire a scardinarla: tutto inutile. Come cazzo era potuto accadere? Nemmeno sapeva di avere la chiave per chiuderla! -Avanti, apriti, cazzarola!- provò ancora a smuovere la maniglia, ma nulla, nemmeno prendere a calci la porta ebbe alcun effetto. 

Al di fuori, nell'ombra, occhi grigi fissavano la porta ghignando malvagiamente. In una mano il Male  si rigirava una piccola chiave metallica appoggiato ad un muro: in fondo gli sarebbe mancata la biondina, ma era finito il tempo di giocare. 

-Scheiße, ARSHLOCK!*- Renèe cadde sul pavimento di schiena, si rialzò e riprese a spintonare la porta: mancavano solamente dieci minuti. Si fermò e provò a pensare, illuminandosi quando il suo sguardo incrociò Foxy riverso al pavimento: se non andava errato lui si muoveva sempre per primo e non faceva pause di alcun genere, semplicemente si attivava e correva verso il suo obiettivo; se avesse trovato la porta chiusa probabilmente l'avrebbe buttata giù, aprendola.

Erano in quattro, ma non poteva pensare a tutti loro in quel momento. Si limitò a nascondersi vecchi ai vecchi arcade, tra la macchinetta e la porticina scoperta pochi giorni prima in attesa. Puntava con gli occhi i robot poco distanti e pregava che per una buona stella non riuscissero a sentire la sua presenza.  L'orologio del prize corner rimbombò poco dopo tra le mura del locale.

00:00 AM. 

Nella stanza di colpo calò un freddo glaciale, quel genere di freddo che penetra sin nelle ossa, dei rigidi inverni del nord. Renèe potè avvertire ogni pelo rizzarsi e ogni centimetro di pelle, quella che ancora era sensibile, accaponarsi. Un brivido le percorse la schiena; stava sudando freddo. Nascondeva una pistola sotto alla larga felpa, ma da quella zona sarebbe stato inutile persino provare a raggiungerla: era troppo stretto perché potesse muoversi senza fare rumore. 

Sotto lo sguardo incerto della donna il primo a muoversi fu, come previsto, la volpe dal manto rossastro. Rizzò la testa in una serie di inquietanti cigolii, poi alzando il busto con una serie di fastidiosi scatti metallici. Si alzò sulle gambe metalliche senza particolari fatiche mentre anche i suoi compagni iniziavano a "svegliarsi" e corse verso la porta senza aspettarli, trovandola chiusa. Come se nulla fosse si fermò per qualche istante davanti all'ostacolo, per poi passare ugualmente, tirando con sè la porta, tuttavia proprio mentre Rainy stava per riprendere colore si fermò di colpo appena fuori dalla stanza: la testa rovinata iniziò a cigolare sino a girarsi del tutto al contrario. Gli occhi giallastri si illuminarono, puntando verso la bionda, e la volpe spalancò la mascella scardinata per quanto gli era possibile. Questi mosse dei passi decisi verso la sua preda, seguito poi da Bonnie e Chica, ancora intorpiditi ma già pronti alla caccia: era accerchiata dai tre. Per qualche attimo le parve di vedere la morte nei loro occhi finti, ma si dovette ricrede; erano solo degli stupidi ammassi di rottami difettosi e l'avrebbero tramutata presto in poltiglia se non avesse pensato ad una soluzione. 

Non appena Foxy prese a correrle incontro agì d'impulso ribaltandogli la macchinetta addosso: non lo prese per un soffio, ma il frastuono li bloccò per qualche istante: questo le diede un'idea su come comportarsi successivamente; i modelli obsoleti erano sensibili alle luci e ai rumori. Prese una grossa chiave inglese abbandonata in un angolo e scappò via quanto più veloce poteva. Non si fermò nemmeno per pensare: nessun posto era ormai davvero sicuro lì dentro. In quel momento doveva pensare alla propria sopravvivenza, poi avrebbe appeso le teste di quei codardi dei suoi colleghi sulla parete del proprio salotto.

2:00 AM. 

Vincent osservava indisturbato i movimenti dei due colleghi: Fritz si trovava nell'ufficio, mentre Renèe si nascondeva sotto al bancone del prize corner. Ancora non si spiegava in che modo fossero sopravvissuti entrambi sino a quel momento, pensava che Fritz si sarebbe messo nei casini da solo e che la bionda fosse ormai divenuta la nuova mascotte del locale ma il fatto che i suoi piani fossero andati a monte gli provocava una rabbia incalcolabile: avrebbe voluto tanto strangolarli con le sue mani, ma v'era ancora tempo, avrebbe logorato le loro menti e ferito i loro corpi poco a poco sino a portarli al punto di non ritorno e solo allora avrebbe saggiato il sapore del loro sangue, il calore di esso sulle mani. Gli serviva solo altro tempo ancora. Spense il tablet e si accese una sigaretta, sollevando appena la maschera da coniglio che indossava per precauzione, per poi portarla alle labbra e prendere una boccata, espirando poi il fumo. 

Si voltò, poggiando la mano su una testa a forma di gallina dalla quale fuoriuscivano delle brillanti ciocche dorate incrostate di sangue: -Alla tua salute...- Le disse quasi fosse un brindisi, per poi perdersi nuovamente nei meandri della sua oscura mente -...Dollie..-.

4:00 AM

 

Fritz aveva visto tutto: aveva visto la collega tentare disperatamente di uscire dalla stanza e l'uomo dalla testa di coniglio chiuderla a chiave dentro per poi spostarsi, l'aveva sentita gridare e chiedere aiuto, gridare il suo nome, ma non aveva fatto niente. Era rimasto lì a fissare la scena e aveva spostato la telecamera come se nulla fosse successo: non aveva pensato "meglio lei che me", non avrebbe mai potuto, ma aveva troppa paura per muoversi dal suo ufficio.

 Vedeva ancora Zvezda spostarsi tra i tavoli e le sedie e in qualche modo tentava di aiutarla a muoversi, lampeggiando le luci delle telecamere quando le stanze erano libere. Tuttavia tentava sempre di allontanarla il più possibile dalla stanza in cui si trovava lui, talvolta lei alzava lo sguardo alle telecamere rivolgendogli sguardi di puro odio, erano per lui e se li meritava. 

Se non l'avessero ucciso gli animatronics l'avrebbe ucciso lei, e lo sapeva benissimo. 

Renèe continuò a scappare fino all'ultimo, muovendosi lesta. Grazie alle luci delle telecamere e agli oggetti che scagliava lontano riuscii senza troppa fatica a muoversi senza attirare l'attenzione di quei pupazzi infernali, già concentrati sulla guardia notturna. 

Era ancora nascosta sotto ad un tavolo quando avvertì passi lenti e pesanti avvicinarsi all'interno: gli occhi non impiegarono molto a riconoscere le zampe blu di Toy Bonnie. Si guardò attorno, ma nessuna luce nei paragi lampeggiava. 

L'orologio segnava le 5.54 AM, Toy Bonnie si chinò piuttosto fluidemente e sollevò il primo tavolo: nessuno. Lo rimise al suo posto e si avvicinò al secondo, trovandolo nuovamente vuoto. Ne rimaneva uno: Rainy non attese che si rialzasse e sgusciò fuori dal tavolo con rapidità ribaltando alcune sedie e correndo verso il Kid's Cove: errore. Il Kid's Cove era una stanza assurdamente piccola e totalmente chiusa e non appena vi entrò si rese conto di essersi ritrovata in una situazione totalmente sbagliata; il coniglio entrò subito dopo di lei bloccando l'entrata e senza perdere tempo entrò. Rainy afferrò la scopa al suo fianco e, in un impeto di coraggio e stupidità, pensò di sbatterla in testa al coniglio azzurro: questi non solo parve non rendersene conto, ma non ne venne nemmeno minimamente scalfito. Prese la scopa in una zampa e la scagliò lontana, poi con l'altra afferrò il polso di Renèe: 

"Infranzione.. regole." Disse, prima di tirarla verso di sè, mentre con l'altra zampa stringeva il suo collo. Renèe tentò inutilmente di divincolarsi con il polso libero, fin quando il coniglio non si arrestò di colpo, lasciandola andare dopo interminabili secondi, per poi batterle il palmo della zampa sulla testa: "Ehi!Come stai? Che ne dici di una bella pizza?!". L'orologio rimbombò nuovamente segnando una nuova alba e gli animatronici tornarono ognuno al proprio posto, amichevoli e festosi: era finalmente finita. 

______________________________________________________________________________

 

Quando la donna arrivò all'ufficio Fritz era intento a sistemare la roba, pronto per andarsene. Mosse qualche passo all'interno, lo sguardo satiro di rabbia e cattiveria, e il rosso la sentì: -Oh, Rainy! Sei..sei viva!- la voce incerta del ragazzo tremolava, mentre lui si allontanava. 

La bionda scattò senza preavviso verso la sua presa, lo afferrò per il colletto della camicia e lo sbattè contro il muro dietrostante, sollevandolo. 

-SIE..! IO TI AMMAZZO, TU LO SAPEVI, LO SAPEVI, MI HAI VISTA! HAUPTDICK, GIURO CHE TI AMMAZZO! MI HAI LASCIATA NELLE MANI DI QUELLE DIAVOLERIE INFERNALI, SCHEISSE ARSCHLOCH!- Ad ogni corrispondeva un colpo e un altro e un altro ancora. Lo strattonò nuovamente, sbattendogli la testa constro il muro e non si fermò nemmeno quando le sue mani iniziarono a sporcarsi del sangue del collega: continuava imperterrita a colpirlo, in preda alla rabbia.

-SIE HABEN DAS GEHIRN IN DEN WECSELJAHREN!- Non si rendeva nemmeno conto di quello che stava succedendo, e quando Vincent tentò di fermarla colpì anche lui: -ANCHE TU, DOVE STRACAZZO ERI?! DOVE?!-

Non fu semplice immobilizzarla, ma dopo poco la bionda si trovò ferma a terra, tenuta ben salda da Bishop. Questi le strinse due lati opposti del collo, bloccandone l'afflusso del sangue: dopo poco più di otto secondi Renèe si trovava inerme a terra, svenuta, mentre Fritz era coperto totalmente di lividi violacei e nerastri, mentre perdeva sangue da più punti. Guardò Vincent come se fosse un fantasma, e questo gli sorrive di rimando, un sorriso odioso e maligno.

-Prova a parlare con qualcuno di ciò che è accaduto stasera e sarò io ad ammazzarti, Pel di Carota: ti staccherò le interiora e dopo averle fritte te le farò rimangiare.-

Dopodiché si caricò la bionda in spalle e la portò fuori passando dal retro, mettendola in macchina e riportandola a casa. Dopodiché la poggiò con poca galanza sul letto: aveva una curiosità e sapeva di non poterla soddisfare mentre la donna era sveglia. Le sfilò i guanti e guardò attentamente le cicatrici sulle mani e sui polsi, tre linee circolari li percorrevano e sembravano continuare. 

Le sollevò la felpa e la maglia che indossava sotto di essa e fu allora che le vide: la pelle della donna era ricoperta da grosse cicatrici rossastre, cicatrici da fiamma, mentre sul fianco destro aveva una profonda ferita da arma da taglio che era stata visibilmente ricucita. 

Sfilò la pistola dalla cinta dei pantaloni e la poggiò lontana, passando le dita sui solchi delle bruciature ma tirandole indietro vedendo che la pelle della donna si irrigidiva sotto al suo tocco: avrebbe voluto vederne di più e sperimentare quando potessero essere ancora sensibili, ma decise di lasciare perdere, prendendo invece a frugare nei cassetti della stanza: trovò medicinali di ogni tipo, sonniferi, ansiolitici, antidepressivi e antibiotici, farmaci per dimagrire ed altri per indurre l'appetito, moltissimi libri sulla psicologia applicata ed un quaderno chiuso con una catena coperto di polvere: lo prese senza chiederle nulla e lo nascose nella giacca. Sotto ad essi vi erano i fascicoli di ognuno dei suoi colleghi, e fu allora che capì per quale ragione sapeva così tanto su di loro. 

Sotto ad essi vi era quella che pareva essere una cartella clinica: si bloccò e aprì la busta, sollevandone un foglio e dandovi uno sguardo, per poi appropriarsene. Sarebbe tornato e l'avrebbe rimessa al suo posto il prima possibile, ma difficilmente lei se ne sarebbe resa conto a giudicare dalla polvere che ricopriva i documenti.

Le lanciò un'occhiata accertandosi che fosse ancora nel mondo dei sogni, per poi avvicinarsi al letto: -Ricordati: un favore per un favore, biondina.- Disse, prima di lasciare la stanza, lasciandola sola. 

 

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Capitolo 5
*** V. Uno sfortunato incidente ***


|| UN ATTIMO DI ATTENZIONE PREGO!! Il seguente capitolo presenta scene di violenza e tematiche forti, per tanto se non gradite determinati generi di lettura vi pregherei di saltare la parte e andare oltre. Grazie dell'attenzione e buona lettura! ||

A volte tutto ciò che si desidera da una persona è vederla sparire: non ci si rende conto di quanto sia crudele ed egoistico odiare una persona finché questa non svanisce sul serio dalle nostre vite. E' una cosa assurdamente semplice sparire nel nulla: un giorno ci sei e il giorno dopo sei uscito. 

Probabilmente se Renèe avesse saputo ciò che sarebbe accaduto a Fritz Smith da lì a pochi giorni non l'avrebbe mai aggredito, insultato o evitato e avrebbe soppesato le sue emozioni personali. Ma Renèe non poteva saperlo; nessuno poteva, c'erano tutti i segni, tutte le ragioni per cui tutti immaginavano cosa sarebbe potuto capitare, ma proprio come Fritz era stato egoista, quella notte, nei confronti della collega, i suoi colleghi erano stati egoisti nei suoi.

L'egoismo rientra nella condizione umana, l'uomo lo è per natura e le persone vivono per l'egoismo: noi tutti siamo egoisti. Ma se qualcuno, in quei giorni, si fosse dimostrato un po' meno umano forse tutto questo si sarebbe potuto evitare. 

Tuttavia, purtroppo, questa è la vita: un giorno ce l'hai, il giorno dopo la perdi. Peccato che se ne abbia una sola. 

Erano le dieci del mattino quando il telefono squillò, spezzando il sacro silenzio che regnava nell'appartamento della donna: un suono tremendamente fastidioso che non poteva portare altro che notizie altrettanto fastidiose. 

-Hallo?- Rainy sollevò la cornetta e rispose con tono sornione. Si tolse gli occhiali dalle sottili lenti trasparenti e poggiò la schiena al muro dietrostante, rigirandosi il filo della cornetta tra le lunghe dita affusolate della mano destra: era sabato, un giorno libero, e di certo non si sarebbe aspettata chiamate da nessuno; avvolta nell'accappatoio immacolato e con i capelli sgocciolanti attese una risposta che non tardò troppo ad arrivare: -Salve, parlo con Renèe Zvezda?- una profonda e balbettante voce maschile che non faticò a riconoscere le rispose con poca sicurezza. 

-Oh, Scott Stiller! Sarò sincera, speravo almeno per stasera di non sentire la tua voce, sinceramente.. a cosa devo il piacere?- Ridacchiò della sua stessa battuta a bassa voce: Scott Stiller era colui che ogni sera si prendeva la briga di registrare quei noiosi nastri guida per le guardie dove spiegava loro la situazione giorno per giorno, nastri che Rainy era costretta ad ascoltare prima di iniziare ogni turno.

Stiller non rise e per qualche momento Rainy pensò che se la fosse presa, ma non ci diede poi molta importanza. -Ascolta Renèe..ehm.. diciamo che non posso darti i dettagli per telefono ma abbiamo bisogno che tu venga qui subito: c'è stato un incidente e la polizia vorrebbe farti qualche domanda..- 

-..Eh?- Si bloccò di colpo: incidente? La polizia? Cosa stava succedendo?! Ma soprattutto: perché volevano parlare con lei? -Ja..ja, ascolta: dammi dieci minuti, arrivo.- Non attese risposta e si limitò ad attaccare la cornetta: era un casino, davvero un grossissimo casino; cosa voleva ancora da lei la polizia?

Non perse tempo ed una volta entrata in camera tolse l'accappatoio e si vestì alla veloce. I soliti vestiti: felpa, pantaloni aderenti e scarpe da tennis. Legò i lunghi capelli dorati in una coda alta e dopo aver preso documenti, walkman e chiavi di casa uscì di casa, avviandosi a passo svelto per la strada che conduceva alla pizzeria. 

Quando la ragazza arrivò lì si rese conto che le sue preoccupazioni erano fondate: al di fuori della pizzeria vi erano tre pattuglie e un ambulanza. Medici e poliziotti discutevano animatamente tra loro, presi dai loro  discorsi, mentre vicino all'entrata due ragazzine paffute dai corti capelli rossi piangevano. Rainy rimase per qualche minuto a fissarle, impressionata da quella scena così familiare: sembravano scombussolate mentre si stringevano a vicenda in una dolorosa stretta fraterna, gli occhi rossi e pieni di lacrime e le labbra contorte in una smorfia di dolore, un dolore che solo loro potevano comprendere. 

"Come faremo? Com'è potuto accadere?!" Piangevano loro, distrutte, mentre una poliziotta tentava invano di consolarle. 

La bionda deglutì e passò loro davanti tentando di guardarle il meno possibile, mentre con le mano tremanti aprì la porta d'ingresso del locale. All'interno il vuoto: nessun bambino strillante, nessun cliente intento a mangiare, solo persone in divisa e colleghi. 

-..Renèe..- Accanto a lei una voce femminile richiamò la sua attenzione: Victoria la fissava, bianca come se avesse appena visto un fantasma. In silenzio le si avvicinò di qualche passo fermandosi comunque a qualche metro di distanza dalla compagna. 

-Victoria, ciao. Non hai una bella cera..-  Renèe capì che anche per la ragazza qualcosa non andava quando questa abbassò lo sguardo, rigirandosi nervosamente tra le dita un orlo della camicetta. -Vic, cosa sta succedendo?- chiese poi, rivolgendosi al chiasso tutto attorno. La ragazza impiegò qualche secondo prima di risponderle: probabilmente tentava di trovare le parole adatte per spiegare una situazione cui nemmeno lei ancora credeva. 

-Stamattina hanno trovato aperta la porta del Creative Cove: dentro vi era Smith, l'hanno messo in un costume. E' morto.- 

Per un attimo la bionda si sentì crollare il mondo addosso: -Morto?- era frastornata: fino a poche ore prima aveva incrociato il collega durante il cambio turno e ora le veniva annunciata la sua morte. -Ho...capito.- Non sapeva cosa dire né tantomeno cosa fare; si limitò a chiudere la bocca e spostare lo sguardo altrove. 

"Poteva capitare anche a te!"

"Dovresti andartene da qui."

Le parole prendevano forma di urla nella sua mente e per una volta le lasciò parlare: era vero, rischiava una fine simile a quella del collega se avesse continuato a lavorare in quell'inferno, ma non poteva andarsene senza capire cosa diavolo stava succedendo. Poggiò una mano sulla spalla di Victoria, per poi farla scivolare lentamente sino a scostarla, interrompendo quel minimo di contatto fisico. Decise di dirigersi verso il creative cove senza più fermarsi: doveva vedere con i suoi occhi cosa stava succedendo. 

L'entrata della stanzetta era circondata di persone: colleghi e uomini in divisa correvano avanti indietro, chi scriveva appunti, chi faceva le foto e chi raccoglieva le prove erano troppo presi per rivolgerle attenzioni di alcun tipo. Scavalcò il nastro a righe ed entrò nel cove: il pavimento era ricoperto da strisciate di sangue vermiglio, probabilmente lo stesso che macchiava alcuni dei disegni strappati giacenti in terra. Non v'era traccia in quel momento della leonessa ma Renèe ipotizzò che si fosse nascosta da qualche parte nel cove in attesa che gli investigatori uscissero dalla sua tana. 

Tutta la stanza era in un totale stato di subbuglio, i tavolini e le sedie erano ribaltati e i colori a vernice rovesciati macchiavano il terreno di colori accesi e vivaci in totale contrasto con la scena agghiacciante che si presentava dinnanzi agli occhi degli spettatori. Sempre sulle piastrelle a scacchiera alcune impronte di sangue sin troppo grandi per appartenere ad un piede umano imbrattavano il passaggio dall'entrata al palchetto dalle tende purpuree chiuse

Gli schizzi di sangue misti a colori erano schizzati persino sui muri più lontani, quasi formando un disegno preciso nella mente della bionda che li fissava.

Il corpo di Fritz giaceva steso sul pavimento nella parte opposta della stanza rispetto all'entrata riverso sulle piastrelle ricoperte di sangue. Esso aveva il busto racchiuso in un costume a Renèe  più o meno familiare dal colore violastro, mentre le braccia erano libere e tempestate di ferite aperte, come se qualcosa avesse trapassato le membra del povero ragazzo da parte a parte. Le gambe erano nelle medesime condizioni delle braccia e sulla testa portava una maschera dalle lunghe orecchie del medesimo colore del costume.  

La scena e l'odore presente nella piccola stanza causarono alla donna un conato di vomito che con molta difficoltà si sforzò di reprimere, con passo incerto indietreggiò, per poi chiudere gli occhi, sforzandosi di non rivolgere più le pupille su quel macabro e orrendo spettacolo di cui era spettatrice. 

"Potevi essere tu la grande stella di questo lugubre teatrino al posto suo. Avresti recitato la sua parte per loro, tinta del tuo sangue sporco."

Scosse il capo non dando ascolto alle parole tanto enigmatiche quanto assurdamente chiare che vi rimbombavano voltando poi lo sguardo verso i suoi colleghi: le loro facce erano atterrite e incredule almeno quanto le sue. 

Non erano presenti tutti: Mike e Vincent per qualche motivo mancavano all'appello. Per qualche istante si domandò anche dove si trovasse Fritz, per poi realizzare cosa aveva pensato e che Fritz, da quel giorno in poi, non l'avrebbe mai più visto nessuno. 

Raggiunse gli altri silenziosamente appostandosi dietro di loro con lo sguardo basso e rimanendo silenziosa come un'ombra, forse per la prima volta da quando si trovava lì. 

- ...Renèe?- La sua attenzione venne richiamata da una voce maschile dal tono sin troppo delicato per essere tale: Jeremy le si avvicinò, poggiandole una mano sulla palla e abbassando lo sguardo verso di lei. -So che è una domanda stupida, ma è tutto a posto?- 
Gli occhi azzurrini del giovane rimasero puntati in sua direzione, mentre Renèe guardò prima i suoi e poi quelli degli altri, tutti stanchi e preoccupati, spaventati... e sorrise. Un sorriso quasi timido, piccolo e debole, un sorriso che sperava quasi potesse accendere una fioca luce in quel buio assoluto che circondava gli altri. 

-Sto bene, Jeje, non preoccuparti!- rispose con falsa sicurezza, annuendo, per poi rivolgersi anche agli altri: -E dovreste calmarvi anche voi: non vorrete di certo andare fare compagnia a Smith! Si può sapere come, o meglio, chi gli ha fatto questo? Il modo è piuttosto... chiaro, diciamo.- Portò le braccia al petto incrociandole mentre lo sguardo saettava tra gli altri. Il primo a parlare fu Stiller; che le aveva risposto al telefono poco tempo prima: -Noi pensiamo sia opera di uno dei nostri animatronics, ma, per ora, nessuno di voi addetti alla sicurezza è a conoscenza del colpevole. O almeno quasi.-

-Io invece credo che tutti dovremmo saperlo: è semplice parlare a vanvera quando si ci nasconde dietro ad un registratore, ma qui ci rischiamo le penne tutti.- La bionda ribattè aspramente portando le braccia sui fianchi: come dimostrato dai movimenti frenetici si stava innervosendo e non poco. -So dove vuoi arrivare, ho visto chi c'è qui dentro. Noi qui non possiamo metterci piede solo per lei? Un po' strano, non credi? Dopotutto l'intero ristorante è disseminato di quei.. cosi che camminano indisturbati tra la gente. Io penso che ci sia una ragione prer cui non ci possiamo interagire, non è vero?- 

La domanda sorse spontanea da uno dei presenti: davvero nessuno oltre a loro tre sapeva nulla a riguardo? -Chi è lei?- Jeremy si fece avanti, preso dalla piega sinistra del discorso e ormai stanco, come gli altri, dei continui misteri che gli si ponevano davanti. 

-Parlo della leonessa, quella che ho incontrato quando sono entrata qui con Victoria. Cos'ha di sbagliato? E' qui perché ha qualche malfunzionamento o è qui perché è pericolosa? Anche se a questo punto non definirei "sicuro" qualcuno di quelle diavolerie ambulanti!- Proprio quando la situazione iniziava a scaldarsi, passi pesanti e decisi interruppero la bionda, seguito da una più che familiare voce roca. 

-Zvezda, veda di moderare le sue parole se intende continuare a lavorare nel mio ristorante.- L'amministratore delegato raggiunse i suoi sottoposti, mantenendo un'aria distante e con le grosse braccia incrociate dietro la schiena. Con i piccoli occhi giallastri cerchiati dalle occhiaie scrutava uno per uno i suoi dipendenti, chi più e chi meno: Renèe non si sentì certo sollevata nel rendersi conto di essere una delle persone sulla quale si soffermò di più con lo sguardo. 

-..Ja.- Si limitò a rispondere a monosillabi, già troppo seccata per dire altro, per poi distogliere lo sguardo dagli altri, rivolgendolo verso le tende del palchetto dietro le quali era nascosta la leonessa. 

-Io devo lavorarci qui, ci rischio la vita ogni notte, quindi voglio sapere anche io i chi sta parlando Renèe.- Jeremy, ancora una volta, mise da parte la timidezza e si fece avanti a testa alta dinnanzi al suo capo: la questione lo toccava troppo da vicino perché potesse dimostrarsi timido. Prese a giocherellare con le maniche della sua camicia mentre ansioso aspettava una risposta. 

Il capo e Scott si scambiarono qualche sguardò, dopodiché l'uomo anziano sospirò, prendendo un sigaro dalla tasca interna della giacca e portandoselo tra le labbra. -Io vado a fumare. Stiller.. spiega ai tuoi colleghi la situazione.- Scomparì con la stessa calma con cui era arrivato, uscendo dalla porta. Scappava, come se la situazione fosse troppo pesante persino per lui: non era la prima volta che qualcosa capitava in uno dei suoi locali, ma in qualche modo si sentiva al sicuro dietro alle sue regole le quali parlavano chiaro: se lo staff entrava in luoghi vietati la colpa di tutto era loro. 

-Andiamo fuori di qui: non possiamo toccare nulla qui dentro.- Proprio come il capo in precedenza Scott lasciò la stanza, seguito dai colleghi. La porta dell'uscita di sicurezza era spalancata, così andarono a parlare nel retro, dove probabilmente nessuno li avrebbe disturbati. Il retro della pizzeria adibito allo staff era a dir poco spoglio: vi erano solamente due tavoli con rispettive panche poco lontane dai bidoni e i tubi di scarico di gas e condotti di aereazione. Si sedettero ad uno dei tavoli in modo che Scott fosse a capotavola e tutti potessero seguire il suo discorso. 

Questo prese un respiro profondo ed iniziò a parlare: -La leonessa si chiama Seraphine ed è stata una dei primi animatroni ad essere introdotti al pubblico, nella prima, piccola pizzeria. Per un lungo periodo è stata una della delle attrazioni principali del locale ma, sapete, i bambini si stufano in fretta, così abbiamo sostituito anche lei con le nuove mascotte. Quando siamo arrivati in questa nuova sede tuttavia nel tentativo di risistemarla ha aggredito uno dei tecnici. Non sappiamo bene le reali dinamiche dell'incidente, ma abbiamo pensato che non fosse una buona idea rimetterla con gli altri, così l'abbiamo messa del tutto in disuso e abbiamo promesso un compenso al dipendente se non avesse parlato in giro di quello sfortunato incidente.
La sua porta era chiusa a chiave, tuttavia stamattina abbiamo scoperto che la porta era aperta e la chiave sparita. Gli ultimi filmanti sono andati cancellati: probabilmente qualche giorno fa è finito il nastro e non è stato cambiato. Chiuderemo per tutta la durata delle indagini, che speriamo finiscano in pochi giorni.- 

Nel piccolo spiazzo calò il silenzio: nessuno dei presenti proferì altra parola, sinché una donna dai capelli castani non li raggiunse.

Tutti lì conoscevano l'agente Haley Morgan ma nessuno voleva mai averci a che fare: Haley faceva parte del corpo che si occupa degli omicidi violenti e la sua presenza non era mai di buon auspicio. -Devo parlare con tutti voi, uno per volta: seguitemi per favore.- esordì con voce priva di emozioni, poggiando una mano sul muro accanto a lei. 
Haley aveva una corporatura atletica e slanciata, dalla pelle olivastra e i capelli castani mossi raccolti in una coda. I suoi vestiti erano perfettamente stirati, puliti e ordinati e la sua postura dritta e decisa, lo sguardo alto di chi non ammetteva ragioni di alcun genere, presentava una determinazione mozzafiato: se si poneva uno scopo lo raggiungeva, e non guardava in faccia a nessuno per farlo.

Victoria andò per prima e tornò poco dopo, poi fu il turno di Jeremy e venne trattenuto molto di più della ragazza, quaranta minuti. Renèe fu la terza a venir chiamata dalla coetanea: con movimenti quasi incuranti si alzò dalla panca, spolverandosi poi i pantaloni e la felpa. Dopodiché seguì la castana dall'altro lato della pizzeria, verso la volante della polizia. Mentre attraversava i corridoi della pizzeria incrociò Bishop, poco distante dalla stanza del delitto: questi le diede un colpetto sulla spalla senza dirle nulla ma incrociando qualche secondo lo sguardo con il suo, prima di dirigersi verso l'uscita sul retro. 

"Alla buon ora.." Pensò la donna, ascoltando vigile i passi dell'uomo che man mano si allontanavano sempre di più, sino a scomparire nel nulla. Si affrettò a raggiungere l'agente, la quale l'accompagnò all'uscita della pizzeria. Allorché la invitò a sedersi sul sedile della volante e, dopo averla messa in moto, si allontanò dal locale, arrivando in uno spiazzo deserto. 

Fu la castana per prima a parlare: -Renèe Wolfram Zvezda, giusto?-

-Ja.- 

-Nata a Berlino Ovest, distretto di Spandau a Falkenhagener Feld, residente sino all'età di dodici anni a GriesingerstraBe? Dopo la scomparsa dei tuoi genitori Agnes Margot Lammers e Markus Theodor Zvezda e tuo fratello maggiore Thomas Hanselm Zvezda ti sei trasferita in America, nello stato del Minnesota a Willmar, Litchfield Av. con la zia materna Dana Lammers coniugata con Adam Johnson, i quali hanno altri due figli: Friedrich Johnson e Phoebe Johns-- 

-Conosco bene la mia storia, agente Morgan, può anche risparmiarsi di ripetermela.- La bionda mise a tacere la poliziotta prima che potesse finire di parlare con parole secche e decise, di chi non chiede ma pretende e lei in quel momento pretendeva che la donna la piantasse di ficcanasare nel suo vissuto.


-Siamo suscettibili, eh?- rispose l'altra, lanciandole uno sguardo indagatore. -Ascolta, Zvezda, ho alcune domande da farti. In che rapporti eri con la vittima?-

-Domande? Non dovrei avere un avvocato al seguito?-

-Non è un interrogatorio formale: sto solo tentando di ricostruire i fatti. Puoi avvalerti della facoltà di non rispondere e se ritieni di averne bisogno hai diritto alla presenza del tuo avvocato. Ti devo tutta via avvertire del fatto che qualsiasi cosa accade nella volante viene registrato e analizzato.-

Non le piaceva di certo l'idea di dover rispondere a domande di carattere privato e personale, ma sapeva che in qualunque caso avrebbe dovuto farlo: si prospettava un caso impegnativo e sarebbe stata certamente richiamata per un interrogatorio vero e proprio, come d'altronde i suoi colleghi.

-Non provavo molta stima per Smith. Una persona totalmente anonima e priva di buonsenso, penso la persona più codarda che abbia mai incontrato. Non eravamo in buoni rapporti, ma per lo più ci ignoravamo a vicenda.-

-E quando vi siete visti per l'ultima volta?-

-Qualche notte fa abbiamo avuto una discussione, dopodiché l'ho visto solo di sfuggita i giorni successivi fino all'altro ieri. Ieri avevamo turni diversi, non l'ho incrociato.-

-Una discussione? Il motivo?-

-Turni lavorativi, per chi avrebbe lavorato questa settimana nel notturno. Voleva un cambio e io avevo altro di meglio da fare.-

-Cosa, se posso chiedere?-

-Dovevo studiare: sono nel pieno della sessione degli esami, voglio prendere il Master degree prima della fine dell'anno.-

-Va bene. Quindi non hai mai incontrato la vittima al di fuori dell'ambiente lavorativo?-

-Nein, mai. Non ne avrei la ragione.-

-Sai se all'interno dell'ambito lavorativo ha avuto problemi con gli altri colleghi? Qualcuno a cui ha fatto un torto o cose simili..-

-Sinceramente no: nessuno era poi molto legato a Fritz, ma non penso che qualcuno tra di noi possa arrivare a questo.-

La castana tacque per qualche secondo, per poi voltarsi verso Renèe con aria seria e cupa.

-Renèe, sei a conoscenza di qualcosa che dovrei sapere?-

La bionda si bloccò per qualche istante e si rese conto di essere in conflitto con sé stessa: sarebbe stato corretto parlare di ciò che avveniva nel locale? Sarebbero stati tutti d'accordo con lei se l'avesse fatto?

-..Nein.-

In un certo senso pensò che l'omertà fosse la scelta migliore, ma si ripromise tuttavia che, a tempo debito, avrebbe svelato con le sue stesse labbra i misteri che si celavano dietro alla pizzeria degli orrori.

-Se dovesse venir fuori che sei in qualche modo coinvolta visto il tuo particolare passato ti verrebbe revocata la cittadinanza americana, ne sei a conoscenza, vero?-

-Lo so, Morgan.-

Furono le ultime parole prima che tra le due calasse il silenzio.  In un certo senso Renèe provava una sorta di ammirazione  mista a pietà nei confronti della poliziotta: era duro fare un lavoro del genere in una cittadella così piccola, dove ciò che facevi era sulla bocca di chiunque in meno di una giornata. Haley era una donna dall'eccezionale coraggio che, devota della giustizia e paladina del popolo, aveva rinunciato alla sua vita e ai suoi sentimenti per perseguire i suoi obbiettivi. 

E in fondo per quanto fastidiosa potesse essere lei non stava facendo altro che seguire la sua vocazione e fare il suo lavoro, ricomponendo i tasselli per risolvere il caso.

Il viaggio di ritorno fu più rapido di quello di andata, si trattava di poco più di una decina di minuti.

Prima di scendere dalla volante Renèe si fermò, voltandosi verso l'agente: -Chi sono le due ragazze? Parenti di Fritz?-

-Sì, sono le sorelle minori. Pare che Fritz Smith ne fosse il tutore legale e lavorasse per pagare la cauzione e la permanenza in comunità alla madre.
Una vera tragedia: penso che verranno accudite dai nonni fino al compimento della maggiore età. Non sarà facile per loro.-

Renèe smontò dalla macchina e salutò con un cenno della mano la donna ancora al suo interno.

Rimase immobile a fissare le due sorelle piangere in silenzio da lontano; la sua mente prese a viaggiare ma prima che le voci rovinassero il momento le zittì con determinazione. Si concentrò sul fruscio del vento e sul disperato singhiozzio delle due fanciulle e comparò i due suoni, mentre man mano l'ambiente circostante andava svanendo, sostituendosi all'indefinita oscurità della solitudine. 
Le sembrò quasi di sentire il cuore accelerare il suo battito e perderne uno, mentre la sua testa vagava ormai tra passate stagioni e presente, persa nei suoi pensieri e non più in grado di rispondere agli stimoli esterni, ma non appena avvertì di trovarsi sul lastrico, di ciondolare tra la realtà e l'incoscienza si aggrappò saldamente alla realtà, tornando in sé. 
Non più in grado di sostenere la situazione la donna si allontanò a passi lenti dal luogo, passò inosservata sino ad arrivare alla sua abitazione. Aprì la porta dell'appartamento e come uno zombie si trascinò sino alla camera da letto, lasciandosi cadere su di questo a peso morto.

Nel momento in cui il suo corpo venne avvolto nelle calde coperte che si sentì nascosta da occhi indiscreti; dopo tanto avvertì le lacrime scivolarle calde e rapide sulle gote. I singhiozzii la scossero mentre lei si rannicchiava sul grande letto: i pensieri la assalivano e divoravano e lei si sentiva impotente rendendosi conto di non poterli più frenare. Allungò una mano al comodino e afferrò la boccetta di pillole con presa incerta. Senza nemmeno contarle se ne rovesciò alcune sulla mano e le ingoiò subito dopo.
Prese a contare ad alta voce, ma prima di arrivare al cento le forze la abbandonarono, conducendola in un sonno profondo.

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Il vento soffiava forte, mentre il sole all'orizzonte si apprestava a tramontare. Una piccola Renèe si guardava intorno al centro di un infinito campo di grano mentre osservava attentamente le nuvole rosee cambiare colore. Poco distante, una grande villa bianca dalle tegole nere si ergeva. 

-Ehi, Rainy!-

Non appena udì la voce la piccola si voltò di scatto, facendo smuovere il caschetto dorato che le incorniciava il volto pallido; alle sue spalle la sua famiglia l'aspettava: Thomas davanti a tutti camminava verso di lei con la solita aria allegra, il papà  camminava lento intento ad osservare il grano crescergli attorno rigogliono, mentre la madre camminava dritta e decisia, fumando una sigaretta da quella che pareva una bellissima pipa da oppio.
La bambina corse incontro al trio, gettandosi tra le braccia del fratello maggiore, che come una piuma la sollevò dal terreno, prendendola in braccio.

-Furbetta, ecco dove ti eri andata a cacciare..!-

Per qualche attimo le parve di vivere in un mondo perfetto, con una famiglia felice e affiatata, ed ebbe giusto il tempo di godersi il momento prima che la situazione prendesse a degenerare: la decisa brezza di fine estate parve prendere fuoco all'improvviso tramutando in cenere le piantagioni che circondavano la famiglia.
Il givane volto del fratello maggiore prese lentamente a sciogliersi, così come per i genitori. Renèe cadde sul terreno e rimase impotente ad osservare la sua tanto agoniata felicità dissolversi al terreno, terrorizzata si alzò dal terreno e si voltò verso la casa, che era in quel momento tutto ciò che d'intatto rimaneva nella sua vita.
Disperata corse a perdi fiato, incurante delle ustioni che l'ambiente circostante le provocava sulle caviglie, ma quando arrivò davanti alla villa era ormai troppo tardi: i candidi muri dell'abitazione erano scuri e ormai distrutti, mentre la casa fiammeggiava nella notte. 
Lei era coperta di ferite e la sua vita era ormai distrutta. Alle sue spalle la sua ombra prese vita e alzandosi minacciosa la inghiottì in un sol boccone con tutto l'ambiente circostante, e fu nuovamente il nero. 
Tutto ciò che poteva vedere era una luce candida e soffusa; una figura tanto simile alla sua di avvicinò e la strinse, quasi come se volesse nasconderla dai pericoli, per poi fondersi in lei.
"Andrà tutto bene, Rainy... Rainy?"

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-Rainy? Sei tra noi?- 

Sentendosi chiamare la donna schiuse piano gli occhi smeraldini: la prima cosa che vide fu il volto di Friedrich che la fissava preoccupato. 

-Fred, sie dummkopf.. Cosa ci fai qui?-
Confusa si mise a sedere guardandosi intorno, e rendendosi conto della presenza, assieme a quella del farello adottivo, di Wendy: Wendy era una giovane ragazza di madre cinese e padre americano con cui aveva stretto un forte legame nel corso degli anni passati negli Stati Uniti.
-Oh, Wendy, ci sei anche tu!-

-Eravamo preoccupati: per quasi due giorni sei sparita nel nulla, non ti sei fatta vedere da nessuna parte e non rispondevi al telefono. Ci ha allarmati un tuo collega e ci ha spiegato dell'incidente, ha detto che avete parlato tutti con Haley.. va tutto bene?- il ragazzo dai capelli ramati si sedette al bordo del letto guardando la bionda dritta in volto, mentre alle loro spalle Wendy si muoveva per la stanza. Si avvicinò al letto e raccolse la boccetta arancione e le poche pillole rimaste sparse sul letto e al suo interno, leggendone l'etichetta-

-Sto bene, ovviamente! Ero stanca e ho dormito, tutto qui.-

-Per due giorni di fila?- La coetanea intervenne, rigirandosi tra le mani il medicinale. -Quante ne hai prese, Rainy?- Chiese, lanciandole il contenitore.

L'altra lo prese al volo e gli lanciò uno sguardo, rimanendo silensiosa per qualche attimo. -Non le ho contate.- rispose poi, rimettendole al loro posto sul comodino. -Avevo voglia di dormire e le ho prese, me le hanno prescritte per quello dopotutto!-

L'altra sospirò, cambiando stanza. -Ci rinuncio: vado a farmi un caffè.- Rispose svogliata, chiudendo la porta alle sue spalle.

Fu difficile per Renèe convincere i due ad andarsene in sicurezza: loro erano sempre stati una squadra, un trio, e addirittura entrambi erano in possesso della chiave del suo appartamento. Questo in realtà era per ragioni di sicurezza: Renèe sapeva essere improvedibile e fare le cazzate peggiori, ragion per cui i dottori avevano trovato che dare anche alle persone più fidate un duplicato della chiave fosse la scelta migliore.
Non appena uscirono Rainy si sistemò e vestì, prese poche cose, indossò le cuffie ed anche lei lasciò l'abitazione: tra le mani stringeva una mappa della cittadella su cui era evidenziato con un cerchio arancione un edificio non troppo lontano. 

Percorse la strada come se nulla fosse sino ad arrivare all'abitazione della famiglia Smith: si bloccò per qualche attimo dinnanzi al vialetto esitante sul da farsi, per poi proseguire dritta sulla sua strada. 
Si fermò dinnanzi alla porta e suonò il campanello senza nemmeno darsi il tempo di rifletterci; la risposta non tardò ad arrivare e come previsto la maggiore delle due venne ad aprire alla porta: sembrava realmente distrutta, a pezzi. Doveva essere complicato per loro andare avanti in quel momento.

-Chi è lei?- chiese sospettosa alla donna sistemandosi con una mano gli occhiali sugli occhi color nocciola, senza aprire del tutto la porta.
Entrambe le sorelle presentavano un'estrema somiglianza con Fritz: i capelli erano rossi e ricci racchiusi in una grande pinza, indomabili, mentre il loro volto era cosparso di fitte lentiggini. Non erano certamente magre nè molto alte. 
Presentavano delle profonde occhiaie violastre dietro alle spesse lenti degli occhiali da vista e la pelle pallida metteva in risalto il loro malesse

-Mi chiamo Renèe. Ero una collega di vostro fratello, se permettete vorrei parlarvi..- 

-Mi dispiace, Renèe, ma questo non è il momento adatto: sappiamo cos'ha fatto a nostro fratel- - 

-Bea. Dovremmo farla entrare..!- La ragazza venne interrotta dalla sorella che fece capolineo da dietro una parete, avvicinandosi.

-Ma Michelle..- 

-Non dobbiamo dimenticare le buone maniere, Beatrice: lasciala entrare.- Michelle si fece spazio e spalancò la porta dinnanzi alla bionda, che iniziava a sentirsi  un po' troppo a disagio. -Prego, vieni, da questa parte!- aggiunse, facendo cenno a Renèe di accomodarsi. 

  Entrambe le sorelle presentavano un'estrema somiglianza con Fritz: i capelli erano rossi e ricci racchiusi in una grande pinza, indomabili, mentre il loro volto era cosparso di fitte lentiggini. Non erano certamente magre nè molto alte. 
Presentavano delle profonde occhiaie violastre dietro alle spesse lenti degli occhiali da vista e la pelle pallida metteva in risalto il loro malesse. Indossavano abiti comodi e molto probabilmente stinti e rovinati: evidentemente non avevano in programma di uscire. 
Non poteva vedere molto altro, coperte com'erano, pertanto non riuscì ad osservarle come avrebbe voluto. Una di queste, Beatrice, aveva le dita e le unghie segnate dal giallo della nicotina e le pupille molto ristrette rispetto alla norma, tanto da far pensare alla bionda di aver utilizzato sostanze stupefacenti.  

In pochissimo tempo Renèe si ritrovò seduta ad un tavolo grigio con davanti dei biscotti e una cioccolata calda fumante. Tamburellava le dita agitata mentre le due sorelle le parlavano, raccontadole esperienze e peripezie del fratello. 
Passò parecchio tempo prima che smettessero, interpellandona. 

-Posso farti una domanda?- Fu Beatrice, la più grande delle due, a parlare, abbassando lo sguardo. -Fritz ci ha detto che tu non lo sopportavi, perché? Avevate litigato?- 
 

La donna si sentì presa in contropiede: come poteva spiegare loro la situazione? 
-Possiamo dire distanza di vedute. Si è comportato diverse volte in modo scorretto nei miei confronti. Inoltre, non ho una particolare simpatia per le persone con il suo carattere.-
Rispese senza entrare nei dettagli, per poi bere un sorso di cioccolata, voltandosi verso la finestra.

-Sai, a volte mio fratello dava quest'impressione di persona priva di carattere, tuttavia ti assicuro che lui non era così: ne abbiamo passate tante e ci ha cresciute e sostenute, non è stato semplice ma ce l'abbiamo fatta totalmente da soli.
Nostra madre si trova in carcere e la cauzione è troppo alta per noi da pagare, così ci organizzavamo con poco nel migliore dei modi: io e Fritz lavoravamo, mentre mia sorella metteva la quota che doveva utilizzare per la scuola...-

Fu così che iniziò a raccontare anche di loro e della famiglia, del fratello, dei genitori e delle loro condizioni difficoltose: Renèe non le interruppe e rendendosi conto del loro bisogno di sfogarsi le lasciò parlare, rimanendo in silenzio ad ascoltare; scoprì che la madre era stata arrestata per la terza volta due anni prima per spaccio di droghe e che si era separata dal padre quando le bambine erano ancora molto piccole a causa dei continui litigi, che Fritz aveva lasciato da giovane gli studi per lavorare e aiutare la madre ad occuparsi delle sorelle più piccole e che anche la più grande delle due l'aveva seguito, abbandonando i suoi studi, sorte che ora sarebbe toccata anche alla più piccola.
Alla fine non disse nulla di ciò che avrebbe voluto dire: era intenzionata a scusarsi per il trattamento da lei riservato a Fritz, ma si rese conto di quanto inopportune potessero essere le scuse in quel momento. 
Quando se ne andò era ormai calata la sera: si alzò dal tavolo e le due l'accompagnarono all'uscita sorridenti, come se si fossero liberate da un peso sulla coscienza. Sorrise anche lei di rimando, salutandole e sentendosi soddisfatta di sè stessa.

Lasciò il viale a testa alta e con una silenziosa promessa: avrebbe svelato il mistero e scoperto il vero colpevole dei tremendi avvenimenti in onore delle due sorelle, ci avesse anche rischiato le penne. 

 

Qualche giorno dopo le due sorelle trovarono nell'entrata una lettera bianca: questa conteneva un assegno di diecimila dollari e cinquecento dollari in contanti. Al suo interno vi era anche una lettera: 
<< Usateli per pagare la cauzione a vostra madre e iscrivervi a dei corsi di studio validi: è un momento duro ma non abbattetevi e continuate a seguire i vostri sogni a testa alta; il futuro ha bisogno di persone come voi. Non date ascolto al suono della paura e cogliete le vostre opportunità.>>

Renèe fece scivolare la lettera sotto l'uscio della porta e si allontanò a passi rapidi dall'abitazione delle due, scomparendo nel buio della notte.

Mentre si allontanava lo schermo del telefono mobile si illuminò nella tasca del pantalone e questo vibrò variate volte. Prese in mano in cellulare e rivolse lo sguardo allo schermo: un messaggio in arrivo.

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Capitolo 6
*** VI. Cambiamenti. ***


"Ciao, io mi chiamo Renèe e.."

-Troppo, troppo.-

"Salve a tutti.."

-Ma quali tutti?! Non c'è nessuno!- Renèe tirò una riga sulla frase, per poi strappare il foglio dal quaderno a quadretti sul quale stava scrivendo e accartocciarlo, gettandolo nel cestino poco distante dalla scrivania. 
Per l'ennesima volta la penna blu scivolò rapida sulla carta, in una grafia che tutto pareva fuorché pulita e ordinata: forse in fondo la cosa migliore da fare era semplicemente lasciare i pensieri fluire, liberare la mente e scrivere ciò che questa proponeva.

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La morte di Smith non è stato il primo incontro con la morte che ho avuto nella mia vita; non vi racconterò i dettagli e in realtà nemmeno un sunto vero e proprio degli avvenimenti: c'è tempo per questo. 
Ciò che stravolse la mia vita fu semplicemente che, per la prima volta da quando avevo iniziato a lavorare nel locale, ero stata messa di fronte alla verità nuda e cruda per com'era: ero in serio pericolo, tutti lo eravamo. 
Ora, una persona con una mente sana rendendosi conto di questo sporgerebbe denuncia, o si licenzierebbe... beh, non che io fossi meno sana mentalmente rispetto ad altri, ma avevo ancora un conto in sospeso con quel luogo, oltre alla mia paga settimanale.

Finito il mio periodo di malattia come di norma ripresi il mio lavoro: quel giorno in particolare si trattava di un semplice turno serale, nulla di troppo impegnativo.
Era un giorno freddo rispetto al solito e uscendo di casa una gelida folata di vento mi travolse: in quel momento mi resi conto che non avevo semplicemente voglia di tornare alla pizzeria. Mi voltai verso la palazzina moderna in cui abitavo e la fissai seriamente tentata di tornare a casa, tuttavia sospirai e socchiusi gli occhi rassegnata, allontanandomi con le mani nelle tasche.

Per le vie della cittadina nonostante fossero i primi giorni di novembre i negozi erano addobbati a festa, ricchi di lucine, finte foglie secche, ortaggi autunnali e tacchini cotti al forno, i pali tappezzati di manifesti: il Giorno del Ringraziamento, parte preziosa di tutta la popolazione americana, era alle porte. 
Tutti si fingevano felici e gioiosi, sorridenti e scherzosi e un'unica, forte emozione si fece largo in me: disgusto. 

Disgusto per quella stupida festa, che ormai ben poco aveva a che fare con quella orrenda popolazione, disgusto per gli americani superficiali e megalomani, disgusto per la loro stupidità ed ignoranza. Un gruppo di inutili animali guidati da maiali, sempre pronti a giudicare per qualsiasi cosa, a ferire e mentire spudoratamente. 
Affrettai il passo e con una mano frugai nella tasca del giubotto, dal quale tirai fuori un pacchetto di sigarette ancora pieno; ne presi una e l'accesi, portandola alle labbra: il fumo si diffuse nel cielo grigio, disperdendosi nel vento.

-Non è molto femminile fumare, Führer...- 

Oh, ottimo, proprio il momento adatto per venir bruscamente ridestata dai miei rancorosi pensieri: come se fosse uscito dal nulla, Vincent si affiancò, camminando con le mani in tasca e mantenendo una postura vagamente ingobbita, mentre tra le labbra stringeva a sua volta una sigaretta. Aprii la bocca per ribattere, ma la voce roca dell'uomo mi interruppe, precedendomi:

-Lo so, lo so, 'non è mai presto per farsi i fatti propri', vero?-

Rabbia, rabbia, rabbia, ecco cosa mi provocava, rabbia! Perché diamine doveva sempre essere un passo avanti a me?!

-Sta zitto, punk dei miei stivali.- ribattei, sbuffando infastidita e portando altrove lo sguardo, mentre prendevo un'altra boccata di fumo.

-Tch, scontata..!-

-Si può sapere per quale sacrosanta ragione per un motivo o per l'altro ti ritrovo sempre in mezzo ai piedi?- Quell'affermazione fu un tentativo di cambiare velocemente il discorso, ma il seguente silenzio, per quanto breve, da parte di Vincent mi fece raggelare il sangue nelle vene: possibile che non fosse un caso? Mi stava pedinando? Da quando? Perché? 
Tentai di scacciare quegli inquieti, stupidi pensieri dalla mia mente, rinchiudendoli in un profondo angolo di questa: se non l'avessi fatto le cose sarebbero andate diversamente? 
Non lo saprò mai, ed in fondo in fondo poco importa: le cose sono andate così e non c'è più modo di cambiarle, punto e basta.

-Sarà forse il destino?- Rispose lui, voltando il capo e portando il dorso di una mano alla fronte, melodrammatico, per poi riportarla in tasca.

-Immaginavo mi odiasse, non pensavo potesse farlo fino a questo punto..- Volsi lo sguardo verso una vetrina piuttosto lontana, fissandola senza realmente vedere ciò che essa conteneva.

-...Stavi davvero male?-

-Was?-

-Was..?-

-Scusa, cosa?-

-Eri malata o non ti sei più presentata a lavoro per la faccenda di Smith?-

-Oh, io ho avuto... la febbre. Ti stai per caso preoccupando per me?- Un'innocente bugia, mi rendo conto di non essere un'ottima bugiarda nemmeno adesso, figurarsi ai tempi.

-Ovvio che no, d'altronde non sono fatti miei, o sbaglio?- Sbuffò come se si fosse tutto d'un tratto infastidito, e forse lo era veramente, ripensandoci.

-Tu lo sapevi?- Chiesi d'un tratto, alzando lo sguardo per guardare il mio collega in volto, scrutandolo attentamente.

-Sapevo cosa?-

-Della stanza, e della leonessa, sapevi che era pericolosa?-

-Biondina, io so tutto riguardo a quella pizzeria: lavoro lì dento dagli albori del locale dopotutto.-

-Lo sapevi e non hai detto nulla a nessuno?!- Mi fermai di colpo, incrociando le braccia al petto e alzando la voce, come per farmi sentire meglio.

-Sai, le regole non esistono per essere infrante! Il contratto parlava chiaro: rimaneva al suo posto e nessuno si faceva nulla. Non doveva muoversi, ti sembra difficile?! 
Poteva portarsi una torta intera e mangiarsela sul posto stando comodamente seduto sulla sua poltrona, ma no! Doveva andare in giro a ficcare il naso!- Ed ecco che finalmente anche Vincent sembrò mostrare un'emozione umana: ira, per ragioni che avrei compreso solo in futuro era davvero adirato e prendeva la questione molto sul personale. -Sembra che facciano i colloqui in base a chi è più ficcanaso: lì dentro ci sono cose che è meglio non scoprire per nessuna ragione.
Ognuno paga il prezzo delle proprie azioni, Renèe: tienilo bene a mente se non vuoi fare la sua stessa fine.-
Da quel momento in poi non disse altro, limitandosi a gettare la sigaretta ormai finita in terra, schiacciandola con la scarpa, e andare avanti. Io invece gettai la mia e ne presi un'altra, stringendola tra le labbra, ma l'uomo ancora al mio fianco senza dire nulla me la strappò di bocca, infilandosela in tasca. Intuii che anche le altre mie sigarette avrebbero fatto la stessa fine, pertanto mi arresi: avrei fumato a fine turno.

______________________________________________________________________

Una volta arrivata alla pizzeria non ebbi nemmeno il tempo di appendere il cappotto nel guardaroba che una voce mi interruppe, richiamando la mia attenzione.

-Rainy! Ti senti meglio? Come va con l'influenza?-

Alle mie spalle, fece capolineo la bassa figura di Jeremy Fitzjerald: sorrideva insicuro come al suo solito, il volto pallido incorniciato da boccoli color mogano. 
Quel comportamento così amichevole non poté non rubarmi un sorriso. Portai una mano sul suo capo, rubandogli scherzosamente il cappello e indossandolo, specchiandomi nello sportello lucido del guardaroba: ovviamente non mi stava affatto male. 

- Jeremy.. hai già dimenticato i miei insegnamenti? Sù, schiena ritta e testa alta, avanti!-

Ridacchiai nel vedere il giovane seguire il mio ordine, prima di poggiare nuovamente il cappello della sua divisa sui capelli castani. 
Non avevo dimenticato la maniera in cui Jeremy aveva preso le mie difese, rischiando il licenziamento. Ogni volta che mi capitava di incontrarlo faticava persino a rivolgermi un saluto con voce salda. 
Immaginai che forse, sotto a quella montagna di insicurezze che lo opprimevano, poteva nascondersi un cuore impavido. Forse necessitava solamente di venir spronato ad uscire. 
Era uno dei motivi per cui avevo deciso di prendere Jeremy sotto alla mia ala protettiva: se gli serviva una spinta per tirarsi in piedi e sollevare il capo, per cambiare prospettiva e guardare il mondo dall'alto, l'avrei aiutato. Quel ragazzo aveva tanto dentro di sè, ogni talvolta che vedevo il suo volto mi riportava alla mente l'espressione gentile di mio fratello Thomas. 
Non erano la stessa persona: Thomas era sempre stato sicuro di se stesso, era scherzoso e allegro, alle volte talmente allegro da diventare quasi inquietante. Sempre quel sorriso impresso sulle labbra, in qualsiasi situazione. A volte freddo, distaccato, altre sarcastico, ma mai malevolo quando si rivolgeva a me. 
Chiudendo gli occhi, potevo ancora avvertire la sua mano scompigliarmi i capelli e una leggera risatina sfuggire dalle sue labbra. 
Lo adoravo, lo adoravo davvero.

- Sto bene, Jeremy, grazie. 
Tu invece? Sembri un cencio, non sarai dimagrito ancora?!-

Lo squadrai da capo a piedi, attenta, speranzosa di allontanare dalla mia mente quell'immagine ormai sbiadita dal tempo. 
Immaginai di esser rimasta in silenzio per diverso tempo quando mi resi conto dell'espressione quasi sorpresa di Jeremy. 
Sollevai un sopracciglio con aria di rimprovero mentre assicuravo la torcia alla cintura, per poi lasciare la stanza seguita dal mio collega, diretta verso la Game Area. 
 

Passare di fronte alla porta serrata del Creative Cove mi fece accaponare la pelle: lei era ancora lì dentro? O era stata disattivata? 
Ancora troppe domande vagavano per la mia mente: il motivo per cui il robot avesse attaccato Fritz mi pareva più che scontato, ma perché lui era entrato nel Creative Cove? Non era una porta segnalata sulle mappe, poteva essere anche solo uno stanzino. 
Cosa l'aveva spinto a lasciare la sua postazione? Un rumore, forse? 
Nah, improbabile: quelle diavolerie facevano un chiasso immane ad ogni passo, non sarebbe bastato un comune rumore per portarlo a distrarre l'attenzione dalla propria postazione ed allontanarsi. 
Magari un altro genere di rumore, come un urlo o una voce. 
Un movimento? Come avrebbe potuto notarlo? Nessuna telecamera copriva quell'area. E in ogni caso, con gli altri animatronics liberi di girare a loro piacimento per la pizzeria, non sarebbe stato nulla di anomalo. 
Mancava ancora qualcosa, sapevo che stavo ignorando qualcosa di troppo importante. Forse, qualcosa di cui non ero ancora a conoscenza.

Era impossibile trovare una motivazione valida al suo gesto: persino quella notte vedendomi in pericolo non era intervenuto. Era rimasto fermo immobile alla sua postazione, guidandomi solamente con l'ausilio delle torce insallate sulle telecamere. 
Non si sarebbe mai avvicinato ad una stanza da solo di notte, neanche prima della mezzanotte. 

Neanche prima della mezzanotte.

Stop. 

- Rainy..? Stai bene? -

Avvertì la voce di Jeremy senza nemmeno essere in grado di vedere il suo volto di fronte a me, mentre avvertivo ogni muscolo farsi rigido e pesante. 
Ero rimasta bloccata nella Parts and Service Room all'incirca alle 11.40 di sera. Avevo gridato, ma Fritz non era intervenuto spaventato dal pensiero di poter incontrare uno dei robot sul suo cammino, questo significava solamente una cosa: non era stato lui a chiudermi dentro a quella stanza. 
Come se avessi inserito un altro pezzo del puzzle, la mia mente prese inconsciamente a cercare tra i miei ricordi confusi un altro pezzo ancora, un qualsiasi indizio che mi permettesse di avvicinarmi alla realtà. 
La porta era stata chiusa, ma nessuno degli animatronics aveva mai necessitato di buttarla giù per poter passare. Foxy e i vecchi modelli mi facevano dannare perché a quella porta mancava qualcosa di basilare: mancava la chiave. 
Nessuno aveva mai potuto chiudere quella porta, né io né Fritz, perché quella chiave non era presente nel mazzo di chiavi della pizzeria affidato agli addetti alla sicurezza. 
Così come la chiave del Creative Cove: avevo avuto modo di notarla in passato tra le mani di Victoria, ma non sapevo chi altro ne fosse in possesso. 
La risposta arrivò decisa, come uno schiaffo in pieno viso: non era stato un incidente. 
Fritz aveva tutto il tempo di uscire, ma non era riuscito a scappare perché non poteva: probabilmente la porta del Creative Cove era stata chiusa a chiave. 
Non poteva essere una strana serie di coincidenze. 
Non potevano essere incidenti causati dalla disattenzione.

Qualcosa o qualcuno stava tentando di ucciderci.

 

- ..Ah... i-ich... - 

Indietreggiai di qualche passo, portandomi una mano alla gola, stringendola come se bruciasse: nessuna parola uscì dalle mie labbra, nessuna risposta. 
Dovetti ridurmi a scappare quanto più velocemente potevo nel bagno più vicino. Quasi non ebbi il tempo di chinarmi sul gabinetto in metallo che avvertii lo stomaco rivoltarsi totalmente. 
Mi ritrovai a vomitare il pranzo, la testa girava e pulsava in maniera insopportabile.

"Come hai fatto a non rendertene conto subito?"

"Te l'avevo detto: dovevi andartene subito."

"Tu lo sai, non è vero?"

- SEI STILL-- SE-SEI STILL!! SEI STILL ICH SAGTE! -

Eppure, non importava quanto strillassi: le voci non si fermavano. Si facevano sempre più rumorose, intense, decise e numerose. 
E io non potevo far nulla, nè per controllarle nè per smentirle. 
Avevano ragione. 
Era colpa mia.

- Rainy? Ehi, Rainy, va tutto bene? - 

- Nanetto, sei proprio sicuro di averla vista entrare qui? - 

- Certo che sì! Ho pensato si fosse sentita male. - 

- E non ha notato che è il bagno del personale maschile? -

Continuavo a sentire voci, ma non riuscivo a capire se fossero reali o meno. 
Portai le mani alle orecchie, premendole con forza contro al cranio, per poi tirare indietro la testa e tirare con decisione un colpo contro al gabinetto. 

Silenzio.

Finalmente, il silenzio invase la stanza. Nessuna voce, nessuna minaccia o accusa, niente di niente. 
Chiusi gli occhi, poggiando la fronte dolorante contro al bordo freddo della toilet e tentando di recuperare un respiro lento e controllato. 
Pochi minuti dopo, un botto alle mie spalle dovette portarmi a distrarmi da quell'attimo di pace, seguito da un rimbombo: sollevai di colpo il capo, per poi notare la porta riversa a terra e due persone all'esterno della stanza. Uno di essi era Jeremy, e non ebbi bisogno di voltarmi per vedere chi fosse l'altro individuo.

- Ehi, Renührer, sei ancora viva? Abbiamo forse interrotto un appuntamento galante? -

Ancora riversa sul gavinetto lanciai un'occhiata torva all'uomo più alto dei due, sollevandomi quanto bastava per far scivolare due dita contro alla gola. 
Il mio gesto tuttavia non fece altro che scatenare da parte sua una risatina, mentre entrava nella stanza seguito dal castano. Evidentemente Jeremy l'aveva chiamato per farsi aiutare, anche se in un momento simile non poteva scegliere persona peggiore.

- Uh, sembri ancora viva, anche se... che diamine hai fatto alla testa?! -

Avvertivo la testa pulsare, tuttavia mi resi conto di quanto dolore realmente provassi solamente quando Vincent, dopo essersi inginocchiato di fronte a me, passò la mano sulla fronte segnata da un segno rosso intenso.
Mi tirai indietro di colpo, coprendomi con ambo le mani la fronte.

-Ehi, fai piano, mi fai male! Sono solo scivolata. -

Sbuffai, infastidita, togliendo le mani dal water per poggiarle sul pavimento dietro alla mia schiena.

- Oh, andiamo, seriamente?! Non sei capace a vomitare senza aprirti il cranio in due?! Mi deludi, sai? 
Ehi, rametto, perché anziché stare lì impalato non ci porti del ghiaccio? -

L'uomo si voltò verso Jeremy per qualche istante, il quale sfrecciò subito a prendere il ghiaccio. Non aveva ancora spiccicato parola da quando era entrato, eseguendo l'ordine di Vincent come se fosse legge. 
Quest'ultimo invece sollevò le spalle, le labbra increspate in un sorrisetto sornione, come se in realtà godesse del terrore che esercitava sulla figura del ragazzo.

- Che bamboccio.. - 

- Non è un bamboccio. -

Affilai lo sguardo, issandolo nei gelidi occhi grigi del mio interlocutore: mi sentivo di pessimo umore e l'ora di scherzare era finita da un pezzo. 
Avvertii un lampo di rabbia farsi strada nel petto, deglutendo come per controllarlo.

- Eccome se lo è! Non l'ho nemmeno sfiorato e guarda com'è scattato, proprio come un cagnolino! -

- Piantala, Bishop. -

- Magari gli servirebbe una coda da mettere tra le gambe: potremmo chiederla a Foxy, pensandoci! -

Negli occhi dell'uomo dai capelli tinti era evidente uno sguardo di sfida, ma non riuscì a farci realmente caso, strinsi i pugni, lanciandogli ringhiando l'ennesimo avvertimento.

- Ti ho detto di chiudere quella fottuta fogna.. -

- Ubbidiente e incapace di gestirsi da solo.. proprio come una cagna. - 

Aveva sorpassato il limite, ed era già la seconda volta che avveniva quel giorno. 
Mi limitai ad aprire la mano intenta a lasciargli il visibile segno di cinque dita ben aperte sul volto, ma lui fu quasi come una scheggia: quasi non lo vidi muoversi quando bloccò la mia mano a pochi centimetri dal suo zigomo, stringendomi il polso con forza.

- Scelta sbagliata, Zvezda. -

Altrettanto velocemente scattò in avanti, ruotando il mio braccio all'indietro di modo che fossi obbligata a voltarmi. Nel giro di pochi secondi mi ritrovai a pancia in giù sul pavimento, immobilizzata dal peso di Vincent sulla mia schiena. Il mio primo impulso fu quello di gridare, ma la mano libera dell'uomo mi anticipò, posandosi sulle labbra per tapparle con decisione. 
Sentii con chiarezza il suo respiro contro il lobo, mentre l'odore del tabacco mi arrivava sino alle narici.

- Non vorrai attirare curiosi sin qui in un momento simile, no..? -

Di colpo, mi parve di non riuscire a respirare: iniziai a scalciare, nel tentativo di divincolarmi da quella stretta ferrea. Con la mano libera provai inutilmente a stringere sua, a graffiarlo, ma il guanto che indossavo mi impediva di fare abbastanza presa. 
La sensazione del suo peso sul mio corpo mi stava portando ad impazzire realmente, mi sembrava di poter sentire la sua pelle oltre ai vestiti; troppo, troppo contatto fisico, stringeva ancora il mio polso, come se volesse bloccare la circolazione del sangue nelle vene.

- Te la sei cercata tu, no? 
Io non ti ho nemmeno sfiorata, sei tu che hai tentato di colpirmi per prima.
Cos'è, tentavi di difendere il tuo fidanzatino? -

Con le sue labbra attaccate all'orecchio mi sembrava difficile persino riuscire a sentire con chiarezza ciò che diceva. Lo sentivo ghignare, avvertivo il tocco dei suoi denti sul mio lobo. 
Aprii la bocca, nel tentativo di assestargli un morso sulla mano, ma egli parve quasi non sentirlo. Invece, irrigidì ancora la stretta, portandomi ad inclinare la schiena in avanti e il capo all'indietro. Le lacrime mi solleticavano gli occhi, mentre sentivo le guance bruciare, il sudore scendere dalla fronte.

- Ricordatelo, Renèe. Questo è il prezzo ad essere un eroe. 
Non sai chi hai davanti, potresti avere davanti un codardo, magari un pagliaccio.. potresti avere davanti un assassino. 
Mentre sei bloccata in questo modo potrei farti molto più di questo: potrei far scivolare la mano e stringere il tuo collo fino a soffocarti, potrei approfittarmi di te in modi che nemmeno saresti mai in grado di immaginare. -

Non c'era più nulla di scherzoso nel suo tono di voce: era serio, freddo, distante. Sentivo il suo sguardo tracciare la linea del mio collo, come se stesse davvero pensando di soffocarmi e di farmi sparire. Proprio quando pensavo di non farcela più avvertii la sua mano scivolare via dal mio viso, permettendomi di riprendere fiato. 

- ...Fortunatamente per te, sono solo io. - 

Si limitò ad aggiungere, mollando la presa sul braccio ed alzandosi dalla mia schiena, facendosi indietro. 
Presi un lungo respiro, poggiando le mani al terreno per sollevare il busto come se fossi rimasta in apnea per chissà quanto tempo. Non sapevo cosa dire, ancora sconvolta dall'avvenuto per trovare le parole adatte o comporre una frase di senso compiuto. 
Ancora tremante mi voltai, alzandomi per tornare alla sua altezza, per poi sollevare il braccio, lasciandogli il tanto agognato schiaffo sul volto. Non mi aveva fatto cambiare idea, mi aveva solo fatto innervosire ulteriormente. 

Questa volta non fermò il colpo: lasciò che il palmo si infrangesse contro la gota scura con un pesante suono, che rimbombò all'interno della piccola stanza. 
 

- Sei un coglione. Non osare mai più toccarmi senza il mio permesso. -

Mentre egli si portava una mano a sfregarsi il viso io lasciai il bagno a testa alta, senza nemmeno voltarmi per rivolgergli uno sguardo. 
Dopo pochi minuti incrociai Jeremy tornare indietro, con una borsa di ghiaccio secco tra le mani: lo bloccai, prendendo il ghiaccio con una mano e trascinandomi dietro con l'altra il castano, stringendolo per il gomito.

- Rainy, ma Vin.. -

- Cosa ce ne frega? Abbiamo del lavoro da sbrigare, noi. Non si perderà. -

Tirai dritto, il tono menefreghista ma lo sguardo infuocato: probabilmente se non mi fossi allontanata non mi sarei limitata solamente ad un ceffone. 

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Il turno continuò in tranquillità: i bambini giocavano mentre i genitori mangiavano, chiacchierando con i loro coetanei. Nessuno si fece male e nulla andò storto. 
Di Vincent nemmeno l'ombra: probabilmente era stato assegnato ad una mansione tecnica. 
Era comunque meglio per me, ci sarebbe mancato solo ritrovarmi davanti la sua faccia per la restante parte della serata.

Dopo aver aiutato a ripulire il locale tornai nella sala di controllo, recuperando il borsone e la mia roba, caricando il tutto in spalla per poi lasciare la stanza.

- Oi. -

Mi fermai di colpo, senza nemmeno voltarmi. Strinsi le palpebre per qualche attimo, tentando di autoconvincermi a non rifilargli il resto lì e subito, per poi lanciare uno sguardo all'uomo alle mie spalle con la coda dell'occhio.

- Non ho tutto il giorno, muoviti e dimmi cosa mi devi dire. -

- Vieni con me. -

- No, grazie: vacci da solo a quel paese. - Attesi seccata che l'uomo mi raggiungesse, finalmente voltandomi per osservarlo con maggiore attenzione: indossava abiti differenti dalla divisa lavorativa. Era la prima volta che lo vedevo senza una camicia viola addosso.
Mi venne spontaneo chiedermi perché gli piacesse quel colore a tal punto, ma scacciai il pensiero: dopotutto non erano affari che mi riguardavano.

- Non fare la permalosa e seguimi, prima che ci ripensi. -

- Dove vorresti che ti seguissi? In un vicolo magari? Così puoi soffocarmi con maggiore comodità? 
O dietro l'angolo? Così puoi approfittarti di me in modi inimmaginabili? -
Non mi preoccupai di nascondere il sarcasmo, mentre corrucciavo la fronte e portavo un'indice alle labbra con gesti teatrali, falsamente confusa. 
Vincent sbuffò, portando lo sguardo su un punto non ben precisato della stanza, per poi accennare ad un mezzo sorriso.

- Se avessi voluto l'avrei fatto nel bagno, Barbie Girl. -

Lui alzò le spalle, portando una sigaretta tra le labbra e le mani in tasca. Non si preoccupò di accendere la sigaretta, limitandosi a rigirarla tra le labbra con nonchalance.

- Andiamo a bere. Non ho intenzione di andarci da solo.. -

- Perché dovrei accompagnarti? Chiedilo a qualcun altro, io ho da fare. -

No, non avevo realmente da fare. L'unica cosa che avevo da fare era fissare il soffitto della mia camera.

- ... Offro io. -

Vincent sembrò quasi sforzarsi nel dirlo, come se si stesse attaccando all'ultimo scoglio. 
Rimasi silenziosa per qualche secondo per poi sbuffare rumorosamente, portando una mano a sistemare il ciuffo di capelli che mi ricadeva disordinato sulla fronte.

- ...Dove andiamo a svagarci, Mister-Tu-non-sai-chi-sono-io? -

 

 

 

 

Note dell'autrice: 

Buonasera! E' passato parecchio tempo dall'ultimo aggiornamento di questa storia, per tanto mi scuso nei confronti di coloro che la seguono: purtroppo la maturità mi ha portato via diverso tempo e il particolare carattere di Rainy richiede parecchio lavoro ed attenzione per poterlo gestire al meglio. 
Innanzi tutto vi ringrazio per aver letto il capitolo sin qui
In secondis: come avrete certamente avuto modo di notare la storia sta iniziando a trattare di temi piuttosto delicati, per tale ragione sto prendendo in considerazione di innalzare ulteriormente il raiting, portandolo al rosso. 
Mediterò ancora sulla questione per questo capitolo e il prossimo ma mi pareva giusto avvisare. 
Non intendo far attendere un altro anno per il prossimo capitolo, ragione per cui mi sono già messa al lavoro per la stesura del prossimo capitolo. 
Grazie ancora per la vostra attenzione, buonanotte a tutti!

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