Break the rule

di Lamy_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Parte prima ***
Capitolo 2: *** Parte seconda ***



Capitolo 1
*** Parte prima ***


 
PARTE PRIMA.

La vita è una sorpresa continua. E proprio le cose inaspettate sono quelle che ci spronano a vivere. La possibilità che ogni giorno sia un’occasione per ricominciare ci invoglia a svegliarci al mattino e ad affrontare il mondo. Se c’era una cosa inaspettata che Hank Voight non aveva mai ritenuto fattibile, era quella di perdere la testa per una donna più giovane. Ebbene sì, venticinque anni lo separavano dalla donna che nell’ultimo anno aveva stravolto tutti i suoi piani. Dopo la morte di Camille si era imposto di non intraprendere nessuna relazione, un po’ per via dell’età e un po’ perché il lavoro lo teneva sempre impegnato. Quando poi aveva perso anche Justin, il suo cuore, già impenetrabile se non a pochi eletti, si era ripiegato su se stesso nella speranza di non provare più sentimenti. Aveva un’unica regola: i sentimenti non dovevano offuscarlo. Non aveva mantenuto fede al patto. Aveva infranto quella stessa regola nel momento in cui la viceprocuratrice Daphne Collins era entrata nel suo ufficio con la rabbia stampata in viso per colpa di un caso increscioso. Era difficile che una donna attirasse la sua attenzione, eppure la sfrontatezza e la sicurezza di Daphne lo avevano conquistato all’istante. Neanche la sua bellezza gli era sfuggita: alta, fianchi larghi, capelli corvini e occhi scuri come la pece, e quelle espressioni facciali che esprimevano appieno i suoi pensieri. Una volta terminata la caccia al colpevole, Hank l’aveva invitata a bere un drink al Molly, e da quella sera non si erano lasciati più. Ormai stavano insieme da un anno, non tutti lo sapevano e a loro andava bene così, soprattutto per non alimentare le chiacchiere sulla loro differenza d’età. Daphne aveva da poco compiuto trenta anni, e molte bocche li avevano giudicati per questo, ma loro non si erano mai dati per vinti. Stavano bene insieme, avevano una relazione equilibrata, e soprattutto riuscivano a conciliare le loro vite che procedevano a ritmi frenetici a causa del lavoro. Hank alle volte si domanda perché una donna così giovane e in gamba avesse scelto lui e non un coetaneo, si domandava quanto ancora avrebbero resistito, però poi la guardava e sperava che non finisse mai tra di loro. E la stava guardando anche quella mattina mentre si stiracchiava tra le lenzuola, nuda dopo una notte d’amore. Era da poco uscito dalla doccia e si stava infilando una t-shirt grigia.
“Mi stai fissando in modo inquietante. Sono accusata di qualche reato?” domandò la ragazza, spostandosi i capelli dal viso. Nel compiere il gesto, il lenzuolo si era abbassato e metteva in mostra il seno sinistro. Hank si sdraiò accanto a lei e la coprì meglio.
“C’è qualche reato che vuole confessare, signorina Collins?”
Era raro che Hank si lasciasse andare allo scherzo, era un tipo chiuso e sempre sulle sue, ma lei riusciva sempre a farlo uscire dal suo guscio.
“No. Io sono innocente, Sergente.” Disse Daphne con un fasullo sguardo innocuo. Hank poggiò la testa sul cuscino e ridacchiò.
“Innocente non direi.”
“Che vorresti insinuare, scusa?”
Daphne si sedette a cavalcioni sul suo bacino e gli mise le mani a palmi aperti sul petto.
“La scorsa notte eri tutt’altro che innocente, ragazzina.”
Ragazzina, il nomignolo che lui le aveva affibbiato da quando avevano iniziato a uscire insieme.
“La scorsa lo abbiamo commesso insieme il reato. Non ero mica sola in questo letto.”
Hank si diede un’occhiata in giro, quella era la camera degli ospiti, piccola e spoglia di mobili perlopiù. Non voleva usufruire del letto che per anni aveva condiviso con Camille, pertanto aveva optato per quella camera per i suoi momenti con Daphne. Diamine, stava davvero con una trentenne! A pensarci gli sembrava assurdo che alla sua età stesse con quella che avrebbe potuto essere sua figlia. No, Daphne era tutto tranne che una ragazzina. Era una donna indipendente, intelligente e astuta, perfezionista e con un grande cuore.
“Ed è stato un vero piacere commettere un reato simile con te.” le disse, accarezzandole le cosce. Daphne rise, una di quelle risate che illuminava l’universo intero.
“Ho fame.”
“Allora scendo a prepararti la colazione. Tu vestiti e raggiungimi.”
“Agli ordini, sergente!”
Pochi minuti dopo Daphne varcò la soglia della cucina con indosso un paio di slip viola e una camicia di lui allacciata da un solo bottone al centro. Si sedette sul ripiano di marmo scuro e addentò un biscotto. Hank le offrì una tazza di caffè fumane e si poggiò contro il lavandino con le mani in tasca. Rivolgendo uno sguardo al salotto, aggottò le sopracciglia. Le scarpe, il cappotto e la borsa della ragazza erano disseminati qua e là.
“Sei davvero disordinata, ragazzina.”
Daphne alzò gli occhi al cielo e abbandonò il caffè, non aveva più fame.
“Evita di rimproverarmi il disordine, c’è già mio padre che me lo fa notare.”
“Ti sembro tuo padre?”
“Lo sembri quando mi fai le ramanzine. Non sono una bambina!” protestò lei con il broncio. Hank non poté fare altro che sorridere.
“Dico solo che sei disordinata, non che sei una bambina. Inoltre, non ti faccio le ramanzine.”
“Okay.” Disse Daphne con voce piatta.
Hank si avvicinò e le mise le mani intorno alla vita, al che lei gli avvinghiò le gambe ai fianchi.
“Dai, ragazzina, non te la prendere più del dovuto.”
“Ti detesto quando fai lo stronzo.”
“Quindi mi detesti sempre.” Aggiunse Hank con nonchalance, consapevole del proprio carattere difficile. Prima che Daphne dicesse altro, le sbottonò la camicia e iniziò a baciarle il collo per poi arrivare al seno, vezzeggiandolo di carezze e di baci. Le mani della ragazza andarono ad aggrapparsi alle sue spalle mentre si lasciava irretire da quelle attenzioni. Daphne lo spinse ancora più vicino a sé, ansimando per i baci che Hank le stava regalando lungo la parte interna e tenera delle cosce. Ad interromperli fu la suoneria del cellulare che proveniva dalla borsa della ragazza. Si staccò di malavoglia e, leggendo il nome sul display, si insospettì.
“Pronto?”
“Daphne, sono Emily Ross. Ti chiamo perché non riesco a contattare mio marito. Tu lo hai visto o sentito?” la donna stava piangendo e questo la preoccupò ancora di più.
“L’ho accompagnato a casa ieri sera dopo il lavoro e non l’ho più sentito. In ufficio c’è una montagna di lavoro ed è probabile che si trovi lì. Ti faccio sapere tra una mezz’oretta.”
“Va bene. Grazie.”
Daphne sospirò dopo aver chiuso la chiamata, era turbata e Hank glielo lesse in faccia.
“Che succede? Chi era al telefono?”
“Era la moglie del procuratore Ross. Dice che non riesce a mettersi in contatto con lui. Devo andare in ufficio e assicurarmi che sia lì.”
“Ti accompagno io.”
Daphne corse di sopra per una doccia veloce, indossò un tubino nero, le solite decolleté nere di vernice e si passò un filo di trucco. Non viveva con Hank, ma aveva lasciato qualche vestito a casa sua in caso di emergenza. Si stava infilando il soprabito rigorosamente nero quando il sergente comparve alle sue spalle col cellulare in mano.
“Non posso accompagnarti. Abbiamo un caso.”
“Non ti preoccupare. Non è la prima volta che Ross sparisce e non sarebbe neanche la prima che lo becco con la sua amante in ufficio. Ci vediamo stasera.”
Si salutarono con un rapido bacio a stampo e poi Daphne si diresse a tutta velocità in procura.
 
 
Hank si tolse gli occhiali da sole quando sopraggiunse sul luogo del crimine. Jay e Alvin stavano compiendo già i primi rilevamenti. Kim e Adam arrivarono un minuto dopo. Al centro della strada giaceva un corpo nascosto da un telone bianco della polizia, una pozza di sangue imbrattava l’asfalto nero.
“Che sappiamo della vittima?”
“Non ha documenti e il volto è tumefatto, perciò al momento non abbiamo un’identità.” Disse Jay, indicando il cadavere. Quando Kim ebbe finito di parlare con il medico legale, riferì alla squadra i risultati.
“Il medico legale ha collocato l’ora della morte tra le ventuno e le ventitré. E’ stato picchiato a sangue e un colpo di spranga alla nuca è la causa del decesso.”
“Non è stato ucciso qui. I residenti hanno detto che un’Audi nera ha sostato qui per circa venti minuti prima che il corpo venisse ritrovato.” Disse Adam, gli occhiali da sole appesi al collo insieme al distintivo. Hank sgranò gli occhi quando vide la macchina di Daphne parcheggiare a pochi metri dalla striscia affissa dai poliziotti. La vide camminare nella sua direzione a passo spedito, un aspetto di lei che apprezzava.
“Che ci fai qui, Daphne?”
“Al civico ottantasei abita l’amante di Ross. Voi perché siete qui?”
Hank serrò la mascella dopo che il suo cervello elaborò la sintesi di informazioni sino ad allora acquisite.
“Siamo qui per un omicidio. Il corpo è stato trovato davanti al civico ottantasei.”
Daphne si portò le mani ai fianchi e scosse il capo.
“Fatemi vedere il corpo.”
“Te la senti davvero?”
“Non posso fare altrimenti.”
Hank l’accompagnò dal resto della squadra, che intanto continuava ad interrogare chiunque avesse visto qualcosa, e Alvin fu il primo a stringerle la mano.
“Viceprocuratrice Collins, è un piacere rivederla.”
Sebbene fossero tutti amici, sul posto di lavoro mantenevano le distanze.
“Il piacere sarebbe tutto mio se le circostanze fossero diverse.”
Un membro della scientifica sollevò il telo e sbucò un viso gonfio e insanguinato. Daphne si voltò per non vomitare, non era compito suo visionare i cadaveri.
“Lo riconosci?” le mormorò Voight.
“Sì. E’ Jonathan Ross.”
 
 
Erano soltanto le dieci del mattino e Daphne era già esausta. Aveva dovuto riferire alla moglie di Ross che lui era morto, poi lo aveva comunicato alla procura e infine il caso era stato affidato a lei. Ecco perché sedeva sul divanetto nell’ufficio di Hank con lo sguardo perso e le mani a reggere un bicchiere d’acqua. Non era legata per amicizia a Ross, ma era comunque orribile quello che gli era capitato ed era inconcepibile per lei ridurre un uomo in quelle condizioni. Hank si sedette accanto a lei di ritorno dalla scena del crimine.
“Hai bisogno di altro?”
“No, ti ringrazio. La procura insiste perché la faccenda venga risolta in poco tempo e con la massima riservatezza.”
“Tu ce la fai a sostenere la situazione?”
“Ce la faccio, Hank. Sta tranquillo.”
“Abbiamo un problema.” Esordì Alvin, irrompendo nella stanza con l’espressione accigliata.
“Di che si tratta?”
“Denny Woods vuole vedervi.”
Woods era il comandante supervisore indipendente che si occupava di sorvegliare la polizia di Chicago per denunciare e punire azioni contrarie alla legge.
“Quello stronzo vuole creare solo problemi.” Disse Daphne, assumendo una smorfia di disgusto. Hank si alzò e si mise le mani in tasca, dovevano prepararsi ad una lunga battaglia.
“E noi dobbiamo essere più furbi di lui.” Fece Alvin per poi tornare alla sua scrivania.
“Tu sai quello che dobbiamo fare.”
Daphne intuì al volo quell’avvertimento: Woods non sapeva della loro relazione e dovevano comportarsi da semplici colleghi.
“Lo so.”
“Questa la rimettiamo al suo posto, eh.”
Hank le sistemò la spallina del reggiseno in modo che non cadesse più.
“Fai sul serio, sergente?”
“Assolutamente sì.”
Tutti si alzarono in piedi quando Woods emerse dalle scale, il sorriso sbilenco e le mani dietro la schiena. Daphne si lisciò il vestito e si aggiustò la scollatura, non voleva essere giudicata da un uomo per il suo aspetto fisico.
“Hank Voight e Daphne Collins, che strana accoppiata.” Disse Woods con un sorriso atteggiato sulle labbra.
“Quale cattivo vento ti porta nel mio ufficio?” gli chiese Hank a bruciapelo.
“La morte di un procuratore causa scalpore e io voglio essere certo che il caso abbia la giusta e legale risoluzione che merita. Dico bene, signorina Collins?”
“Dice bene. L’Intelligence come al solito svolgerà un ottimo lavoro.”
“E come al solito lei coprirà le malefatte dell’Intelligence.” Replicò il supervisore, al che Hank dovette reagire.
“Che diavolo vai blaterando, Denny?”
“Tutte le accuse cadute rivolte alla tua squadra sono state firmate dalla signorina qui presente. E’ una coincidenza? Non credo proprio.”
“Ho firmato quei documenti perché è il mio lavoro e perché la squadra del sergente rispetta le leggi.” Si difese Daphne in tutta calma.
“Oppure la sua firma compare perché lei e il sergente andate a letto insieme.”
L’espressione di Hank era indecifrabile, la rabbia si mescolava alla voglia di prendere a pugni quello che un tempo considerava un amico e che ora voleva declassarlo.
“La calunnia è perseguibile, lo sai?”
Daphne al suo fianco si era irrigidita, temeva che la fatica per tenere privata la loro storia si sciogliesse in un attimo come neve al sole. Woods ghignò, tirò fuori dalla tasca il telefono e smanettò con lo schermo alla ricerca della galleria.
“Non è calunnia quando è la verità, Hank.”
Quando mostrò loro svariate foto nel suo archivio, Daphne si vergognò come mai nella sua vita. Le foto ritraevano lei e Hank nell’appartamento di lui, a letto, sul divano, a tavola, altre li raffiguravano mentre bevevano un caffè, e una in particolare li catturava mentre condividevano un momento carnale sulla scrivania del suo ufficio in procura. Hank dovette respirare a fondo per impedirsi di sparargli dritto in faccia senza alcuna pietà.
“Come hai avuto queste foto?”
“Le ho ricevute da una gentile fonte anonima che crede nella giustizia e nelle regole.”
“Quella è violazione della privacy!” protestò Daphne, benché avesse solo voglia di fuggire per sottrarsi a quella conversazione.
“Può anche darsi, ma la commissione ne terrà certamente conto.” Disse Woods. Hank gli puntò il dito contro in un atto intimidatorio, proprio come faceva con i criminali.
“Tu prova a mostrare quelle foto a qualcuno e sta pur sicuro che non finirà bene per te.”
“E’ una minaccia?”
“E’ una promessa.”
“Aspetterò con ansia il giorno in cui manterrai la promessa, Hank. Adesso vi lascio lavorare. Buona giornata!”
Dopo che Woods ebbe lasciato l’edificio, Daphne crollò sul divano e Hank chiuse a chiave la porta della sua stanza.
“Daphne, sta calma. Andrà tutto bene.”
“Come potrà andare bene? Nella maggior parte di quelle foto stiamo facendo sesso e si vede tutto! Hai idea dell’impatto che avrà sulle nostre carriere se quel materiale verrà divulgato?”
Daphne era sconvolta e Hank comprendeva il suo stato d’animo, non perché gli importasse che foto di lui in intimità fossero rese pubbliche, ma perché quel tipo di foto per una donna erano una condanna. Si inginocchiò davanti a lei e la prese dolcemente per i polsi.
“Risolverò la questione a modo mio. Ti fidi di me?”
Daphne lo guardò, quel suo essere protettivo e rassicurante in ogni situazione era un lato che lei adorava, specialmente quando in ballo c’era la loro relazione.
“Sì, mi fido di te.”
Hank le diede un bacio sulla fronte e poi uno sulle labbra, che lei approfondì per addolcire quella tremenda giornata.
“Adesso torniamo al lavoro. Tu indaga con la squadra, io vado a fare un passeggiata con Alvin.”
A Daphne era chiaro che ‘fare una passeggiata con Alvin’ significava ‘vado a prendere a calci in culo un paio di persone’, pertanto annuì e si unì ai colleghi davanti alle lavagne bianche. Si scambiarono un’occhiata furtiva quando lui e Alvin uscirono, una sorta di raccomandazione a non peggiorare le cose. Decise di concentrarsi su Ross, avevano un caso da terminare entro fine giornata.
“Che cosa avete scoperto?”
Ruzek aprì una cartelletta e l’appese alla lavagna perché tutti la vedessero.
“Dai tabulati di Ross risultano solo due chiamate, una a Daphne intorno alle venti e una alla sua amante Tracy Dalton intorno alle venti e trenta, mezz’ora prima della morte.”
“Mi ha chiamata perché voleva che lo accompagnassi a casa. L’ho visto superare il cancelletto e poi me ne sono andata.” Spiegò Daphne prima che potessero porle la domanda.
“Potrebbe aver atteso che tu andassi via e aver raggiunto la casa della sua amante per non destare sospetti.” Ipotizzò Kevin, picchiettandosi la penna sul dorso della mano.
“L’auto di Ross si trova dal meccanico da una settimana e non ha chiamato un taxi. Come si è spostato? Dobbiamo considerare che qualcuno sia andato a prenderlo.” Disse Hailey.
“Oppure che lo abbiano rapito dopo che Daphne si è allontanata.” Aggiunse Jay, le braccia incrociate e un bicchiere di caffè oramai freddo in una mano. Daphne si sforzò di ricordare anche il più piccolo dettaglio e, quando uno sprazzo di ricordo le balenò nella mente, spalancò gli occhi.
“Ross ha una moto d’epoca in garage. Era di suo nonno e se ne vantava di continuo. Potrebbe aver usato quella per muoversi.”
Kevin controllò il verbale stilato dagli agenti senza trovare nulla.
“Credo che Daphne possa avere ragione. Non c’è traccia di quella moto. Diramo una segnalazione per la targa, magari ci porta dall’assassino.”
Un rumore di passi spediti annunciarono l’arrivo di Kim e Antonio, entrambi affaticati per il freddo e le scale. La bruna si sedette sulla scrivania e buttò giù un sorso d’acqua.
“Abbiamo interrogato alcuni colleghi di Ross alla procura, ma nessuno di loro ha saputo dirci qualcosa. Sembra proprio che Ross fosse benvoluto da tutti.”
“Tranne dalla moglie. – disse Daphne – Voglio dire, Ross aveva un’amante e sua moglie potrebbe averlo ucciso per questo. Sono molto comuni i delitti passionali.”
“L’alibi della moglie è confermato dalla sorella, hanno trascorso la serata al parco con i loro figli.” Disse Hailey quasi con rassegnazione. Antonio, che in assenza di Hank e Alvin deteneva il potere, si mise al centro della cerchia con le braccia allargate.
“Verifichiamo tutto da capo, dalle testimoniane dei vicini ai rapporti della scientifica, e troviamo qualcosa di utile. Non abbiamo molto tempo.”
 
Alvin scassinava la porta mentre Hank faceva da palo. Sbloccata la serratura, si ritrovarono nell’ufficio di Woods. Lo avevano visto andare via una decina di minuti prima e avevano deciso di darsi una mossa per impedire che li cogliesse in flagrante.
“Cosa cerchiamo esattamente?” domandò Alvin, sistemandosi il cappello.
“Qualsiasi cosa quel bastardo abbia sulla nostra squadra e su Daphne.”
“Che ha combinato Woods per farti irritare tanto?”
Hank occupò la poltrona di pelle nera e frugò nei cassetti in cerca di qualunque appiglio.
“Ha delle foto compromettenti di me e di Daphne.”
Alvin inarcò il sopracciglio ed emise un fischio, sebbene l’amico non fosse per niente divertito.
“Quanto compromettenti? Vi ha fotografati mentre stipulate patti con qualche criminale?”
“Dice che a fotografarci è stata una fonte anonima. Comunque no, non ci riprendono mentre ostacoliamo la legge. Ci riprendono mentre … – di colpo si bloccò, chiedendosi se fosse idoneo raccontare la verità, ma si trattava di Alvin e la fiducia era garantita – mentre siamo intimi, molto intimi.”
“Accidenti, Woods non si smentisce mai. E’ sempre un topo di fogna.”
“Puoi ben dirlo. Devo tutelare Daphne a tutti i costi.”
“Hank, non lasciarti prendere troppo la mano.”
Hank si bloccò nel bel mezzo della sua ricerca alle parole di Alvin, non capiva se fosse una raccomandazione amichevole o una specie di consiglio forzato.
“In che senso?”
“Tu e Daphne state insieme da quanto, un anno più o meno? Secondo me non hai tenuto conto di molte cose.”
“Quali cose? Andiamo, Alvin, parla chiaro.”
Alvin sospirò, il malumore di Hank era peggiorato e non era un buon segno, ma proprio non riusciva a non dire la sua.
“Daphne è incredibilmente giovane, è una ragazzetta rispetto a te. Capisco che ti affascini, è intelligente, simpatica e bellissima, però è anche ingenua. Una come lei non dovrebbe avere a che fare con gente come noi.”
Hank sapeva quanto fosse vero. Lui era la notte e Daphne era il giorno, erano all’opposto, l’uno sguazzava nell’illegalità e l’altra cercava in tutti i modi di far emergere la giustizia.
“E con ciò che vorresti dire?”
“Che dovresti lasciarla andare.”
“No! – quasi gridò Hank, scuotendo il capo con vigore – non ci penso proprio a lasciarla. Io non posso stare senza di lei.”
“Ma lei starebbe meglio senza di te. Sii realista! Daphne presto vorrà sposarsi e avere dei figli, una bella casa a cui fare ritorno la sera, e vorrà trascorrere le festività in grande stile. Tu pensi di poterle offrire tutto questo?”
Se Alvin lo avesse scaraventato fuori dalla finestra, gli avrebbe fatto meno male. Non aveva mai supposto di essere un limite per Daphne, anzi aveva sempre ritenuto che la loro relazione fosse un incentivo per entrambi, eppure il ragionamento del suo amico non faceva una piega. Lui una bella casa, una moglie e un figlio ce li aveva già avuti e non ne voleva più. Camille e Justin sarebbero rimasti la sua unica famiglia per sempre. Poi ripensò a Daphne, bella e giovane, solare e piena di vita. Ricordò ogni bacio, ogni carezza, ogni gemito, ogni parola sussurrata al buio e per un nanosecondo credette possibile rifarsi una vita. Quel pensiero tramontò come era sorto.
“Qui non c’è niente. Andiamocene.”
 
 
“Tu e Voight … state insieme?” domandò Hailey con incertezza. Daphne ridacchiò e si accomodò meglio sulla sedia.
“Sì, stiamo insieme. Ti sembra strano?”
“Molto strano. Tu sei giovane e lui è … più grande.”
“Hai una mentalità abbastanza chiusa, Hailey, lasciatelo dire. L’età non sempre è un valido parametro di valutazione. Certo, ci separano venticinque anni, ma non per questo è una relazione strana.”
La bionda annuì poco convinta, le dita che picchiavano contro il bordo della scrivania, le labbra arricciate.
“Il fatto è che io non riesco ad immaginare Voight in una relazione. Com’è? Come si comporta?”
“Qui si spettegola? Allora mi unisco!” disse Kim con un sorriso, prendendo posto sulla sedia di Jay. Daphne si aspettava quel terzo grado da quando aveva messo piede in centrale e non le dispiaceva per niente rispondere alle loro domande.
“Voight resta Voight anche fuori dall’ufficio. Lui è fatto così, dà ordini, è rude, sempre sulla difensiva ed è uno stronzo colossale. Non sa nemmeno cosa sia la dolcezza o il romanticismo. Il messaggio più tenero che mi invia è ‘sei ancora viva?’. Non mi porta a cena nel mio ristorante preferito, non mi regala fiori, non mi dedica frasi d’amore, e non mi dà il buongiorno e la buonanotte quando non siamo insieme. Insomma, è Hank Voight.”
“Ma tu lo ami lo stesso.” Concluse Hailey.
“Già. Lo amo lo stesso, anzi forse lo amo proprio perché è vero, è una persona che si mostra per quella che è in realtà.”
Daphne ricordò qualche settimana prima quando, presentatasi a casa del sergente con la cena, aveva provato a dirgli le tre paroline più famose al mondo – ‘io ti amo’ – ma non ne aveva avuto il coraggio quando lui si era alzato per andare a prendere una birra e aveva dedicato uno sguardo ricco d’amore alla fotografia di Camille.
“E a te sta bene questo tipo di relazione?” le chiese Kim con la sua solita espressione da bambina, amorevole e sperduta al tempo stesso.
“Mi sta bene perché non sono una fidanzata appiccicosa, detesto il romanticismo e tendo a vivere i sentimenti nel modo più razionale possibile.”
“Cinica.” Commentò Hailey, facendo spallucce. Daphne la trucidò con gli occhi scuri e inarcò il sopracciglio.
“Preferisco definirmi realista. Hank ha amato e ama tutt’ora una sola donna, sua moglie Camille. Non posso obbligarlo a lasciarsi andare ad un nuovo amore se non se la sente.”
“Allora che cosa vi tiene uniti? La semplice attrazione fisica?”
La domanda di Kim destabilizzò Daphne perché era lecita. Se non c’era amore, che cosa li teneva insieme? La loro storia era una valvola di sfogo dalla loro vita frenetica? Finivano a letto solo per consolarsi? Che cosa erano?
 
Non appena Voight mise piede in centrale, Antonio quasi lo assalì.
“Abbiamo una novità che non ti piacerà.”
Niente di questa giornata mi sta piacendo, pensò Hank.
“Sarebbe?”
In pochi istanti tutta la squadra si riunì davanti alle lavagne bianche piene di foto e di nomi, e tra di loro spiccava il volto di Daphne, visibilmente esausta e afflitta. Hank distolse lo sguardo, non era il momento per le questioni private. Kevin affisse un’ulteriore immagine alla lavagna e scarabocchiò un nome: William Anderson.
“Abbiamo scoperto che, nella stessa strada dove è stato ucciso Ross, un mese fa è stato ritrovato ammazzato da un colpo di spranga il giudice William Anderson. Il caso è stato archiviato come rapina perché mancavano gli oggetti di valore e il portafogli della vittima.”
In sergente si mise le mani in tasca e assunse un’espressione scettica.
“E cosa c’entra con noi?”
Trasalì quando i tacchi di Daphne ticchettarono sino a lui e se la ritrovò davanti in quel tubino nero che metteva in evidenza tutte le sue curve, le stesse che lui solo poche ore prima aveva avuto il gusto di baciare. Lo afferrò per il bavero della giacca di pelle e lo trascinò verso la sala interrogatori.
“Che stai facendo?” chiese stizzito Hank, togliendosi di dosso la mano della ragazza.
“Interrogami.”
Il tono di Daphne apparve provocatorio alle orecchie del sergente, che dovette riprendere il controllo perché i sentimenti non offuscassero il giudizio.
“Di che stai parlando?”
“Sono una persona informata dei fatti e il regolamento esige che io sia interrogata. Woods ci sta alle costole e dobbiamo rispettare le regole in modo ossequioso. Non possiamo permetterci un altro errore. Ora deposita la pistola, chiama uno dei tuoi e interrogami.”
Hank doveva ammettere che non faceva una piega quel ragionamento, perciò si limitò ad annuire senza dire altro.
“Antonio, vieni!”
Daphne fu fatta sedere dall’altra parte del tavolo mentre Antonio apriva un fascicolo. Fu Hank a prendere la parola dopo essersi sistemato affianco al collega.
 “Signorina Collins, lei conosceva le due vittime, Anderson e Ross?”
“Sì. Ross e Anderson un anno fa hanno lavorato insieme per la condanna di Marcus Price, il capo di una gang del Sud. Io ero appena stata assunta e loro mi integrarono nel team. Investigammo insieme alla Omicidi e alla Narcotici. L’esito dell’indagine condusse a Marcus Price come spacciatore e mandante di numerosi omicidi in tutta Chicago. Lo abbiamo arrestato e condannato all’ergastolo. Ecco perché sia Anderson che Ross sono stati uccisi con lo stesso modus operandi, colpiti da una spranga che si è rivelata l’arma dei delitti.”
“Dunque lei ritiene che i due omicidi siano collegati a questo Price?” chiese Antonio.
Daphne guardò Hank per un fugace attimo, si accorse della smorfia di fastidio dipinta sul suo volto e abbassò gli occhi.
“Esatto. Il giorno del processo la madre di Price giurò di fronte a tutti che si sarebbe vendicata. Tutti noi sappiamo che una gang protegge la famiglia del proprio leader e che lo vendica.”
“Lei conosce qualche membro della gang che potrebbe aver ucciso Anderson e Ross?”
“No, mi dispiace. Non indagammo sull’intera organizzazione della gang. Inoltre, la madre di Price è deceduta pochi mesi dopo la sentenza e il fratello ha subito lasciato Chicago.”
Voight richiuse il fascicolo, si alzò e aprì la porta.
“Grazie della collaborazione, viceprocuratrice. Ci è stata di grande aiuto. Adesso può andare.”
“Grazie a voi.” Disse Daphne, dopodiché uscì e tornò dagli altri, che stavano continuando a fare delle ricerche. Antonio e Hank la seguirono un paio di minuti dopo.
“Non abbiamo nulla su Price. – incominciò Jay – dalla prigione ci hanno detto che è un detenuto modello, nessuna rissa e nessuno spaccio di droga. A fargli visita è solo la sua ragazza, una certa Lucy White. Ci hanno riferito, però, che Price il cinque di ogni mese riceve bizzarre lettere da quello che afferma di essere un suo fan.”
Hank osservò la foto di Price alla lavagna e assottigliò gli occhi come se potesse risaltare un dettaglio utile.
“Abbiamo accesso alle lettere?”
“La prigione le sta raccogliendo, le spediranno tra una quarantina di minuti.” Intervenne Kevin, smanettando al computer.
“Scavate a fondo nella vita di Price, famiglia, gang, qualsiasi tipo di affiliazione. Leggete quelle lettere e portate qui il mittente.”
La squadra ubbidì agli ordini e si rimise al lavoro. Daphne, invece, raccattò la sua borsa e si avviò all’uscita quando Hank chiuse la porta del suo ufficio.
“Dove stai andando?”
“Devo andare in procura per l’addio a Ross, sono la sua vice e tocca a me fare il discorso.”
“Vuoi che ti accompagni?”
“Woods ci sarà sicuramente e non voglio che ci veda insieme. Vado da sola, ma grazie per il pensiero.”
Hank ebbe la sensazione che la ragazza lo stesse evitando, forse la faccenda delle foto l’aveva scossa più di quanto sembrava. Non insistette per non farla allontanare ancora di più.
“Ci vediamo al Molly più tardi?”
“Sì, a dopo.”
Daphne gli baciò la guancia e sgusciò fuori dalla centrale in un baleno.
 
 
Erano le dieci di sera quando Hank sbuffò per l’ennesima volta. Seduto al bancone a bere una birra, aspettava che Daphne lo raggiungesse. Gli altri si stavano divertendo al tavolo, incluso Alvin, ma lui stava perdendo la pazienza. Forse la ragazza se ne era dimenticata e gli aveva dato buca. Le cose cambiarono quando Jay lo richiamò con voce allarmata.
“Sergente, mi ha appena chiamato Will dall’ospedale. Daphne ha avuto un incidente.”
La mente di Hank si annebbiò, la paura si impossessò di lui e parve avesse smesso di respirare. Sentì la stessa preoccupazione provata per Justin attanagliargli lo stomaco. Senza badare a niente e a nessuno, montò in auto e violò tutte le norme previste dal codice della strada per arrivare il prima possibile al Chicago Med. Alla reception lo accolse Will.
“Lei come sta?”
“Lei sta bene. La trovi nella stanza 17.”
Hank si fiondò nella stanza e i battiti del cuore si calmarono solo quando la videro. Era seduta sul bordo del letto, il vestito era strappato in diversi punti, soprattutto dall’inguine lungo la coscia destra, e si intravedeva una porzione degli slip. Daphne alzò gli occhi al cielo quando si accorse di lui.
“Perché sei qui? Avevo chiesto a Will di non avvisarti!”
“Come sarebbe a dire che gli hai chiesto di non avvisarmi? Dannazione, Daphne!”
Ora che la esaminava meglio, riportava numerosi tagli sulle braccia e sulle gambe che erano già stati medicati. Svariati lividi le imbrattavano la sua pelle nivea.
“E cosa ti è successo?”
“L’autista della procura mi stava accompagnando in tribunale, all’improvviso ha spalancato la portiera e mi ha gettata dall’auto in corsa. Quando ho ripreso i sensi, ho capito che mi aveva scaricato davanti al civico ottantasei. Nell’auto c’è la mia borsa e potete rintracciare il mio telefono.”
Hank chiamò Alvin per dirgli di tracciare il telefono di Daphne e di informarlo quando avessero beccato l’autista. Will entrò col suo tipico sorriso affascinante.
“Dagli esami del sangue non risultano anomalie e le ferite sono state ripulite. Dobbiamo aspettare a domattina per i risultati della TAC, ma non ci sono problemi se non un lieve trauma cranico causato dall’impatto sulla strada.”
“Mi dispiace solo che tu mi abbia visto conciata come una stracciona.” Scherzò Daphne e Will rise, il che innervosì ancora di più Hank.
“Sei sempre bellissima, Daphne. La paziente più bella che io abbia mai avuto il piacere di medicare.” Replicò Will sfoggiando tutto il suo charme.
“Adesso può tornare a casa?” li interruppe Hank, odiava quel gioco di sguardi ammiccanti tra la ragazza e il medico.
“Sì, certo, può andare. Dovrà stare a riposo per una settimana e applicare del ghiaccio sui lividi. Potete contattarmi per qualsiasi inconvenienza.”
“Grazie mille.” Gli disse Daphne, poi si mise in piedi e zoppicò sino alla porta, era scalza dopo aver perso le scarpe durante la caduta. Hank le strinse una mano al fianco e una sulla spalla.
“Ti aiuto io, forza.”
 
 
Daphne arrancò fino alla camera da letto e si buttò sul materasso. Era distrutta. Hank si disfò della giacca e si appoggiò alla parete con le braccia conserte.
“Come ti senti?”
“Come una scaraventata fuori da un’auto in corsa.”
“Non essere stupida, per favore.”
“Sto bene, sergente. Avverto solo qualche piccolo dolore.”
“Perché non volevi che sapessi dell’incidente? Credevo che noi ci dicessimo tutto.”
Daphne si girò su un fianco, si trovavano a casa sua e poteva lasciarsi confortare da un ambiente familiare.
“Perché avresti ingaggiato una caccia all’uomo che ti avrebbe fatto compiere qualche passo falso. Woods segue ogni nostra mossa.”
“Me ne frego di Woods quando ci sei tu di mezzo. Voglio sapere tutto quello che ti succede.”
“Perché?”
“Perché stiamo insieme e dobbiamo dirci le cose.”
Daphne non disse nulla, si spogliò e a fatica si fece una doccia calda nella speranza di spazzare via il dolore e la spossatezza. Quando rientrò in camera con addosso l’asciugamano, Hank era ancora seduto sul letto con l’espressione furente.
“Puoi andare a casa, sergente. Non mi serve una babysitter.”
“Che succede, Daphne? Sii sincera. Stai prendendo le distanze e non lo capisco. E’ per via di Woods?”
“Pensi che un giorno potrai amarmi?”
Hank incassò il colpo come se un proiettile gli avesse trapassato il cuore. Daphne lo guardava con occhi spenti, era così giovane nella poca luce che illuminava la stanza. Ripensò alle parole di Alvin, al fatto che lei prima o poi avrebbe desiderato una famiglia, che avrebbe voluto sposarsi. Un brivido di paura gli attraversò la spina dorsale. La sua mente lo riportò al giorno del suo matrimonio con Camille e alla nascita di Justin, le uniche persone che credeva avrebbe amato per sempre senza riserve. Eppure Daphne era lì, in piedi davanti a lui, i capelli umidi e la pelle ancora bagnata, ed era la cosa più bella che gli fosse capitata negli ultimi anni. Aveva perseguito un unico principio da quando sua moglie era morta: non innamorarsi. Poi era arrivata quella donna, con tutta la genuinità dei suoi trenta anni, col suo carattere spigliato e intraprendente, con quei grandi occhi scuri che trasmettevano una grande forza. Allora aveva disatteso quel principio, si era fiondato a capofitto in una storia improvvisata fatta di incontri segreti e nottate d’amore, e aveva capito di sentirsi vivo come non riteneva possibile. Quel suo duro cuore aveva ripreso a battere di una gioia del tutto nuova.
“E se io ti amassi già?”
Daphne sorrise d’istinto, colta alla sprovvista da quella dichiarazione. Stava per ribattere quando si insinuò tra di loro la suoneria del cellulare di Hank.
“Pronto? Sì. Domattina? Va bene. Lo riferisco io alla Collins. Buonanotte.”
“Che sta succedendo adesso?”
“Domattina la commissione vuole vederci. Pare che Woods si sia messo d’impegno.”
“Non accadrà nulla domani. Fidati.”
Voight corrugò le sopracciglia, l’atteggiamento sereno di Daphne lo fece dubitare.
“Che cosa hai combinato? Non dirmi che ti sei messa nei guai per salvarci il culo!”
“Smettila di farmi la paternale, Hank! Sono adulta e me la cavo benissimo da sola!”
“Lo so ed è per questo che mi preoccupo.”
“Fidati di me, ti prego.” Gli disse Daphne, stringendogli la mano.
Hank si limitò a darle un bacio sulla fronte e ad abbracciarla.
“Mi fido.”
 
 
Salve a tutti! ^_^
Questa è la prima volta che scrivo una cosuccia su questa serie tv.
Mi auguro di essere stata abbastanza capace.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima.
Un bacio.
 
Ps. Perdonate eventuali errori di  battitura.

 

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Capitolo 2
*** Parte seconda ***


PARTE SECONDA.
 
La prima cosa di cui Daphne si rese conto quando si svegliò fu l’inteso odore di caffè e cannella. Sbatté le palpebre un paio di volte prima di aprire gli occhi. Era dolorante e ancora assonnata. Si rigirò nel letto lentamente, sembrava che ogni muscolo andasse a fuoco, ed emise un rantolo. La seconda cosa di cui si rese conto la lasciò senza parole: Hank reggeva un vassoio su cui c’erano una tazza di caffè caldo e un piattino di biscotti alla cannella. Era una scena talmente surreale da sembrare parte di un film horror.
“Che diamine stai facendo, Voight?” gli chiese, la guancia premuta sul cuscino e una ciocca di capelli sugli occhi.
“Cosa ti sembra che stia facendo? Ti porto la colazione a letto!” disse lui con disappunto, la sua volontà di mantenere la calma era appena crollata.
Daphne si mise seduta e si passò una mano tra i capelli, era ancora esausta. Hank alla fine si era addormentato lì mentre le faceva compagnia. Si era svegliato intorno alle sei, era tornato a casa a cambiarsi e poi le aveva preparato il caffè.
“Hank Voight che mi porta la colazione a letto? Devo essere finita in una dimensione parallela!”
“Sei corrosiva. Stupido io a credere di fare un gesto carino!”
Hank lasciò la colazione sul comodino e, nervoso com’era, andò in soggiorno per recuperare la giacca e recarsi in centrale. Daphne lo inseguì e si appoggiò allo stipite della porta con la tazza tra le mani.
“Scusami. Tendo ad essere una vera stronza quando sono di malumore.”
Il sergente imperterrito continuava a raccogliere i suoi effetti personali, allora Daphne gli andò vicino e gli tolse di mano il distintivo.
“Che vuoi, Daphne? Mi sembra di aver capito che non mi vuoi fra i piedi.”
“Sono solo frastornata. La morte di Ross, Woods che ci perseguita e l’incidente. Ho i nervi a pezzi. Inoltre, sta per venirmi il ciclo!”
Daphne era una donna schietta ed era questo uno dei motivi che lo avevano attirato.
“Mi dispiace per quello che ti è successo nelle ultime trentasei ore. Se potessi, cambierei tutto. Fatto sta che ho una notizia positiva: abbiamo arrestato lo stronzo che ha ucciso Anderson e Ross e che ieri ti ha gettato dall’auto in corsa. Si chiama Gabriel Narrow, è un cugino di terzo grado di Price che lo ha sempre idolatrato e che non ha preso bene la sua incarcerazione. Ha cercato chi aveva lavorato al caso e ha vendicato Price. Sei salva per miracolo.”
“Oh, bene. Meglio così. Non voglio che quel tizio rovini un altro dei miei vestiti!”
Hank rise, quella ragazza era davvero fuori dal comune. Daphne lo abbracciò di colpo e lui le baciò la spalla seminuda.
“Non permetterò che qualcuno rovini i tuoi vestiti, puoi starne certa.”
“Ti conviene. Tra un’ora dobbiamo presentarci alla direzione generale, perciò è meglio che io mi gusti in fretta la colazione.”
“Adesso va’ a mangiare, ragazzina!” le disse Hank con un sorriso, dandole una pacca sul sedere. Daphne ridacchiò e corse in camera da letto trascinandolo con sé.
 
 
Alle nove in punto Hank e Daphne furono convocati alla presenza della commissione. Seduto a capo tavolo, sguardo compiaciuto e sorriso strafottente, c’era Denny Woods. Hank fece accomodare Daphne da vero gentiluomo e poi prese posto al suo fianco. Il Presidente, un tale Ford, si tolse il cappello e spalancò un massiccio tomo di documenti.
“Buongiorno a tutti. Oggi siamo qui perché di recente il supervisore Woods ha notato delle incongruenze nelle azioni del sergente Voight e della viceprocuratrice Collins. Prego, supervisore, a lei la parola.”
Wood si alzò, si abbottonò la giacca nera e si schiarì la gola. Hank, il gomito sinistro sul bracciolo della sedia e le mani incrociate, attendeva la lista di accuse che pendevano su di lui, mentre Daphne non smetteva di muovere la gamba per l’agitazione.
“Grazie di essere qui. Negli ultimi tempi ho notato che la squadra dell’Intelligence ha più volte disubbidito alle leggi e che la viceprocuratrice ha coperto ogni errore. Mandati che non quadrano, prove mancanti e interrogatori sopra l’ordinario hanno segnato l’operato della squadra e della procura negli ultimi mesi. Mi sono subito chiesto cosa spingesse la Collins a collaborare, poi ho scoperto che intrattiene rapporti sessuali con il sergente Voight. Questo tipo di coinvolgimento ha compromesso l’unità e i casi a cui hanno lavorato.”
“Ha le prove di quanto afferma, Woods?” lo incalzò Ford. Woods annuì e consegnò alla commissione un plico di foto.
“Le fotografie parlano chiaro sulla relazione che lega Voight e Collins.”
“Cosa dovremmo vedere esattamente? Due persone che passeggiano?!” gli chiese il sergente Chad, una donnina minutina e dai capelli grigi raccolti in una treccia. Quando Woods guardò le foto, trasalì: ritraevano tutte Hank e Daphne fuori dalla centrale intenti a bere caffè e a dialogare. Qualcuno aveva sostituito le foto originali.
“Non è possibile! Non sono queste le foto di cui parlo!”
“E di quali foto sta parlando?”
Woods rimase interdetto, non sapeva come gestire quella situazione.
“Una fonte mi ha spedito foto compromettenti del sergente e della viceprocuratrice mentre sono colti nell’atto di consumare.”
Voight tentò di parlare, ma Daphne lo precedette con una strana sicurezza a colorare il suo atteggiamento.
“Lei sta dicendo di essere in possesso di foto personali di me e del sergente? Questa è violazione della privacy ed è perseguibile.”
“Pertanto è vero che lei e il sergente Voight siete legati?” domandò Ford, che ormai era del tutto confuso.
“Sì, è vero. Quando io e il sergente abbiamo iniziato a frequentarci un anno fa, ho fatto il possibile per tenere separati il lavoro e la vita privata. Ecco perché tutti i permessi concessi all’Intelligence sono firmati da me e controfirmati dalla buon’anima del procuratore Ross. Un mese fa la relazione è diventata seria e stabile, perciò ho fatto richiesta al viceprocuratore Lowel di essere il referente del sergente Voight. I sentimenti non hanno intaccato il nostro operato né tantomeno le regole.” Spiegò Daphne, poi affidò due fascicoli a Ford, che diede una rapida lettura.
“Lei cos’ha da dire, sergente?”
Hank era rimasto sorpreso dalle parole di Daphne, non capiva come fosse possibile che Ross avesse firmato i mandati e le autorizzazioni, però dovette stare al gioco intrapreso dalla ragazza.
“La viceprocuratrice Collins ha ragione. Non appena abbiamo iniziato a sviluppare un certo tipo di rapporto, abbiamo deciso che non avrebbe avuto ripercussioni sul lavoro. Abbiamo sempre agito secondo le leggi. Ora non capisco le insinuazioni del supervisore di Woods. Perché abbia iniziato questa crociata contro di noi è un mistero.”
“Voi due siete come Bonnie e Clyde, due criminali senza scrupoli! Quei documenti riportavano solo la firma della Collins e la vostra relazione va avanti già da un anno, nonostante ciò avete lavorato insieme!” sbraitò Woods, le narici allargate e gli occhi spiritati.
“Si calmi, Woods – gli consigliò Ford – la Collins ha detto la verità. Tutti i permessi sono stati sottoscritti dal procuratore Ross. Inoltre, un mese fa il viceprocuratore Lowel è stato nominato come referente dell’Intelligence. Le foto da lei sottoposte alla nostra visione non riportano alcun tipo di attività sospetta. Voight e Collins, ci scusiamo per il malinteso. Siete scagionati da qualsiasi accusa. Avete reso un ottimo servizio come sempre.”
“No! Voi dovete essere sbattuti in prigione!” gridò Woods puntando il dito contro di loro.
“Smettila di inseguire i fantasmi, Denny.” Gli disse Hank con un sorriso, poi aprì la porta e si fece di lato per far passare Daphne.
“Anche il fantasma di Justin?”
Hank dovette respirare a fondo per non strozzarlo davanti a tutti, però si voltò a lanciargli uno sguardo truce. Stava per ribattere quando Daphne gli toccò la spalla con la mano in un tacito invito a non rispondere alla provocazione.
“Andiamo, Hank.”
 
Quando furono all’esterno, Daphne trasse un sospiro di sollievo.
“E’ andata piuttosto bene, dai.”
Hank, anziché festeggiare con lei, inarcò il sopracciglio con fare sospettoso.
“Come hai fatto a risolvere la questione?”
“Ho i miei metodi.”
“E quali sarebbero?”
“Mi stai facendo l’interrogatorio, sergente?”
“Sì, dal momento che siamo usciti indenni. Come hai fatto?”
Daphne lo abbracciò, non in un gesto tenero, bensì per parlargli all’orecchio in modo che non li sentissero.
“Ieri Adam mi ha confessato di aver fatto squadra con Wood per incriminarti e di aver paura che tu lo abbandonassi. A quel punto ho cominciato ad indagare e ho scoperto che Woods lavora su una quantità esorbitante di materiale contro la squadra: Jay che sotto copertura aggredisce un civile; Adam che elimina l’accusa di guida in stato di ebbrezza a carico della sorella; Erin che picchia un colpevole; Hailey che convince alcuni testimoni a ritirare delle denunce; e infine tu, che sei stato indagato come possibile responsabile della morte dell’assassino di tuo figlio. Ogni permesso era stato firmato da me, ero entrata nel suo mirino come voi. Dovevo agire prima che le cose degenerassero. Ha talmente tanto materiale contro di noi che avrebbe potuto farci affondare. Ho assoldato un falsario per falsificare la firma di Ross sui documenti e ho assoldato un secondo uomo per sostituire le foto che Woods ha di noi. Li avevo da poco salutati quando quel tipo mi ha scaraventata giù dall’auto.”
Staccandosi, la ragazza notò la fronte aggrottata del sergente e la bocca serrata in una linea dura.
“Ti sei macchiata di molteplici crimini.”
“Beh, prego per aver salvato il culo alla squadra!” disse Daphne indignata.
“Se Woods scopre quello che hai fatto, sta certa che te ne farà pentire.”
Hank era furioso, con Daphne, con Woods, e soprattutto con se stesso per aver lasciato che fosse una ragazzina ad occuparsi dei suoi problemi.
“E se Woods scopre quello che tu hai fatto, sta certo che ti lascerà marcire dietro le sbarre.”
“Mi accusi di qualcosa, Daphne?”
“Andiamo, Hank, entrambi sappiamo che cosa è successo davvero. Ti sei fatto giustizia da solo.”
“Ne hai le prove?”
Quella domanda bastò per far scattare in lei la rabbia. Trattarla come fosse il nemico era controproducente.
“No. E se anche ce le avessi, non le userei.”
“Senza prove non puoi avanzare ipotesi.”
Daphne rise senza una briciola di divertimento, era più che altro una smorfia di fastidio. Hank continuava a mantenere uno sguardo glaciale e impenetrabile.
“Sai cosa penso? Che mi hai usata. Per te sono solo uno sfogo per il sesso e un’ottima alleata quando fai qualcosa di illegale. Ti credevo un uomo migliore, Hank Voight.”
Daphne gli diede le spalle e si incamminò verso la sua auto, ne aveva abbastanza dell’atteggiamento avverso del sergente e di tutte le bugie e delle false promesse. Era solo un’illusa. Lui non l’amava e mai l’avrebbe amata.
 
Erano all’incirca le sette di sera quando Daphne strascinò sino alla porta per vedere chi stesse bussando. Hank Voight se ne stava a braccia conserte sulle scale. La ragazza aveva spalmata sul viso una strana sostanza nera.
“Che cos’è quella roba che hai sulla faccia?”
“E’ una maschera al carbone vegetale contro le impurità della pelle. Stai interrompendo il mio trattamento di bellezza fatto in casa. Che vuoi?”
“Voglio chiederti scusa. Non è una cosa che faccio molto spesso, quindi non essere sarcastica come sei di solito. Ti chiedo di ascoltarmi. Posso entrare?”
Daphne si scansò e gli fece cenno col capo di entrare. Hank andò dritto in cucina, conosceva ogni palmo di quella casa, e si appoggiò con la schiena all’isola.
“Ti ascolto.”
“Hai rischiato grosso ad ingaggiare due criminali per salvarci da Woods. Avremmo trovato di sicuro un altro modo, ma ormai il dado è tratto e indietro non si torna. Non voglio che tu sia un viceprocuratore corrotto, non voglio che tu sia come me e Alvin, sempre immischiati in qualche losco affare. Avevi ragione su Justin. Mi sono sbarazzato del suo assassino e non me ne pento, però non vuol dire che sia giusto. Ho disatteso le leggi, ho agito abbassandomi al livello di quelli che arrestiamo. Non posso permettere che la tua innocenza si macchi di disonestà e marciume perché sei troppo bella così per permettere che il nostro lavoro ti distrugga. Io e la squadra ti ringraziamo e ti saremo debitori a vita, ma tu non dovrai più aiutarci.”
“Lo so che è stato un rischio, ma so anche che era l’unico modo. Non c’era tempo di orchestrare un piano. Sono stata impulsiva per la prima volta in vita mia e ha funzionato per fortuna. Io sapevo di Justin da prima che ci conoscessimo perché la tua pessima reputazione era nota a tutta la procura. Quando due anni fa mi sono presentata nel tuo ufficio per lavorare con te, mi aspettavo un uomo terribile, invece ho trovato una persona fantastica. Per quanto corrotto e deviato possa essere il tuo modo di fare, ritengo che sia la misura migliore da adottare per una città criminale come Chicago. Da viceprocuratrice mi auguro di seguire il tuo esempio, di non abbassare la testa di fronte ai criminali, di affrontare con coraggio le situazioni più drammatiche. Sei un po’ come Batman per Gotham: non sei l’eroe che si merita, ma quello di cui ha bisogno questa città.”
Hank, che di solito zittiva chiunque gli parlasse, in quel momento perse tutte le parole. Daphne era lievemente arrossita per l’imbarazzo, non era il tipo che si dava alle dichiarazioni spontanee.
“Se io sono il tuo modello di riferimento, credo proprio che tu abbia sbagliato tutto nella vita.”  Disse il sergente ridacchiando. Anche lei si abbandonò ad una risata.
“Beh, so di essere pessima nelle scelte. Comunque, devi darmi cinquemila dollari con cui pagare il falsario e il suo socio.”
“E dove pensi che possa prendere quella somma?”
“Nel tuo scantinato.” Disse Daphne con un sorrisetto sornione ad ornarle la bocca.
“Che c’entra il mio scantinato?”
“Non sono una stupida, Hank. Mentre revisionavo i casi dell’Intelligence ho trovato delle incongruenze: alcuni verbali testimoniavano la presenza di denaro che poi spariva nei rapporti ufficiali. Ho visto più volte Alvin uscire dal tuo scantinato con una borsa. Se due più due fa quattro, allora in cantina nascondi un sacco di soldi.”
“Tu sei davvero troppo intelligente, ragazzina.”
Hank non era arrabbiato, anzi stava sorridendo allegro.
“Sei tu che mi sottovaluti.”
“Non ti sottovaluto, speravo solo che tu rimanessi all’oscuro di certe cose. Dato che hai tirato in ballo la questione, questa è per te. E’ una copia della chiave dello scantinato.”
Quando le diede la piccola chiave dorata, Daphne esultò battendo le mani.
“Ah, alla fine hai ceduto!”
Hank alzò gli occhi al cielo e con uno sguardo severo le impose di smetterla, al che la ragazza placò l’entusiasmo.
“Sono venuto anche per invitarti a cena a casa mia, sempre che stiamo ancora insieme.” Aggiunse il sergente, le mani in tasca e l’espressione risoluta.
“Ovvio che stiamo insieme, Hank. Io ti amo.”
Daphne si tappò subito la bocca con le mani come se potesse rimangiarsi le parole appena dette. Hank sbarrò gli occhi e si grattò la nuca.
“Ehm, vado a cambiarmi e tra cinque minuti possiamo andare.” Disse Daphne per smorzare la tensione, corse in camera e si preparò.
 
Imboccato il vialetto, Hank scorse una figura in piedi davanti alla porta di casa sua. Ai suoi piedi giacevano due borsoni e sembrava che in braccio portasse qualcosa. Quando i fari le illuminarono, si svelarono essere Olive e Daniel. Daphne entrò in modalità panico, non era preparata per essere introdotta alla famiglia Voight.
“E adesso che facciamo?”
“Scendiamo e salutiamo come fanno le persone normali. Che c’è, hai paura di una ragazza e di un bambino?” la prese in giro Hank, parcheggiando.
“Non sei per niente simpatico, sappilo.”
Daphne fu obbligata a scendere e, mentre Hank andava ad abbracciare la nuora e il nipotino, rimase in disparte.
“E lei chi è?” mormorò Olive a Hank, che invitò Daphne ad avvicinarsi.
“Piacere, sono Daphne Collins, una collega di Hank.”
“E la mia fidanzata.” Aggiunse il sergente tutto compiaciuto. Olive rimase stupita, sapeva che il suocere stesse frequentando una donna, ma non si aspettava fosse una trentenne. Neanche Daphne era convinta che la presentasse e invece Hank l’aveva meravigliata due volte nel giro di un’ora.
“Oh, il piacere è tutto mio.”
Entrarono tutti in casa, Olive sistemò le sue cose nella vecchia camera di Justin, e Daphne seguì Hank in cucina.
“Tu lo sai che adesso le cose sono diventate serie tra di noi dopo che mi hai presentato a Olive?”
Hank la guardò col suo solito sopracciglio inarcato.
“Prima non erano serie?”
“Non proprio.”
“Senti, Daphne, io non sono bravo con le parole. Non sono il tipo che confessa i propri sentimenti a cuore aperto, è una dote che non mi appartiene. Il fatto che io non ti dica certe cose non vuol dire che io non le stia provando. Ci tengo a te, questo è il massimo che posso dirti.”
Daphne lo sapeva che si sarebbe scontrata con un uomo duro di cuore quando avevano iniziato ad uscire, ma al tempo stesso sapeva che le sarebbe andato bene comunque.
“Ho capito.”
“Bene. Ora aiutami a preparare la cena.”
“Scherzi? Lo sai che non so cucinare e che odio farlo.”
Hank rise e scosse la testa.
“Tu odi anche fare la lavatrice, stirare e fare i servizi.”
“Pft, così mi fai sembrare un disastro.”
“Tu sei un disastro ambulante, Daphne.”
Olive ridacchiò quando vide Daphne fare la linguaccia a Hank.
“Interrompo qualcosa?”
“Sì, l’ennesima lamentela di Hank nei miei confronti.” Disse Daphne fingendosi offesa.
“Scusate se mi faccio gli affari vostri, ma come vi siete conosciuti?”
Hank, che stava riempiendo una pentola con l’acqua, lanciò un’occhiata furtiva a Daphne.
“Nulla di eclatante. Due anni fa una viceprocuratrice tutta sale e pepe ha fatto irruzione nel mio ufficio con un caso difficile per le mani. A lavoro terminato, l’ho invitata al Molly, ha preso acqua tonica da bere e si è messa a blaterare su quale pizza fosse la migliore della città.”
“Sì, e un sergente temuto da tutti mi ha invitato a bere un drink, si è scolato du birre, e mi ha risposto che la pizza migliore della città è quella surgelata che vendono nel market sotto casa sua.”
“Infatti, ho ragione e lo sai. La pizza che vende Mary è la migliore.” Replicò il sergente facendo spallucce. Daphne alzò gli occhi al cielo.
“Mmh, sì, è davvero buona.”
Mezz’ora dopo si riunirono a tavola per cenare tra vecchie storie, Hank che sparlava di Daphne e lei che gli rispondeva a tono, risate e nuovi progetti. Erano le nove di sera quando Olive andò a farsi una doccia e Daphne si rintanò in camera con Daniel. Hank dallo stipite la guardava giocare con il bambino, ridere e coccolarlo. Era gioia pura.
“Chi è un bambino bellissimo? Tu ovviamente!” esclamò lei con voce alterata e il piccolo rise.
“Gli piaci davvero tanto.” Esordì il sergente, quindi si sedette sul letto.
“Anche lui mi piace tanto. Sai la cosa bella di stare con qualcuno che ha un nipote? Che il bambino non mi chiamerà mai ‘nonna’!”
“Lo pagherò per chiamarti ‘nonna’ e farti sentire vecchia.” Ribatté Hank, ridendo per l’espressione arrabbiata della ragazza.
“Sei una persona orribile, Hank. Ti approfitti del mio animo ingenuo!”
“E’ una delle mie passioni insieme al giardinaggio.”
Daphne scoppiò a ridere e Daniel rise con lei senza motivo.
“Tu detesti il giardinaggio.”
“Lo so, ma adoro prenderti in giro!”
“Hai un nonno simpatico quanto un proiettile al cuore.” Disse lei al piccolo mentre le stringeva il dito tre le piccole mani.
“Vorresti diventare madre?”
Quella domanda piombò nella stanza come un fulmine a ciel sereno. Hank ci rifletteva da quando Alvin gli aveva messo la pulce nell’orecchio.
“E adesso che c’entra?”
“Rispondi.”
“Sì, vorrei diventare madre.”
“Okay.” Si limitò a dire Hank, al che Daphne non proseguì oltre.
“Okay.”
“E vorresti avere un figlio con me?”
“Hank!”
“Che c’è? E’ solo una domanda. Rispondi.”
Daphne era allibita, non capiva dove volesse andare a parare lui e si sentiva a disagio.
“Stando insieme è alta la probabilità che io resti incinta.”
“Stai divagando.”
“E tu stai esagerando, Hank. Non voglio più parlarne.”
“Dobbiamo parlarne. Sei giovane e saresti una madre fantastica, ma restando con me ti precludi la possibilità di avere un figlio.” disse Hank, poi prese in braccio Daniel e gli diede un bacio sulla guancia. Daphne si mise seduta con la schiena contro la testiera del letto e sospirò.
“Prima mi chiesi scusa, poi mi dici che ci tieni a me, e infine mi dici che dobbiamo lasciarci.”
“Non ho detto che dobbiamo lasciarci.”
“E allora che sta dicendo?!”
“Sto dicendo che, se dovessi rimanere incinta, io ne sarei contento, nonostante tutto.”
Nonostante l’età. Nonostante Camille. Nonostante Justin.
“D’accordo, ma adesso chiudiamo questo discorso. Stiamo insieme solo da un anno e possiamo andare con i piedi di piombo. E, per favore, levati dalla testa certe idee.”
 
 
Una settimana dopo.
Hank aveva chiuso il caso in tempi record. Era il compleanno di Daphne e lui l’aveva invitata a cena per festeggiare. Rincasando, trovò Olive ai fornelli intenta a preparare la cena.
“Ehi, Olive, grazie per l’aiuto.”
“Figurati, questo e altro per te.”
Hank baciò Daniel sulla fronte, si tolse la giacca e posizionò nel frigo la torta preferita di Daphne, pandispagna ricoperto di glassa all’amarena.
“Non abbiamo avuto modo di parlarne in questi giorni, ma vorrei sapere cosa ne pensi di Daphne. E’ importante la tua opinione.”
La biondina si pulì le mani sul grembiule e bevve un sorso d’acqua per inumidirsi la gola.
“Trovo che Daphne sia una donna esplosiva, iperattiva, disordinata, sofisticata ed elegante, e soprattutto ha un grande cuore. A me piace molto. E sarebbe piaciuta anche a Justin.”
Hank abbassò gli occhi, il nome di suo figlio pronunciato ad alta voce gli faceva ancora male.
“Daphne e Justin sarebbero andati d’accordo senza dubbio, due eterni ragazzini. Grazie per la sincerità.”
“Prego. Hai intenzione di fare qualcosa di speciale per stasera, vero? Sono due giorni che sei distratto. Che succede?” gli chiese Olive con un sorriso furbo, attorcigliandosi un riccio al dito indice. Il sergente ridacchiò e scosse la testa.
“Ho una sorpresa, ma non rivelerò nulla. Adesso finiamo di cucinare, forza!”
Intorno alle venti e trenta suonò il campanello e Hank andò ad accogliere Daphne, che gli cacciò in mano la borsa e la giacca per poi addentrarsi in casa.
“Non sai che giornata infernale ho avuto. Hai presente il detective Moore? Ecco, quella donna mi odia! Oggi ha avuto da ridire sulle mie scarpe perché secondo lei non sono adatte alla scena del crimine. E chi diamine vuole andarci su una scena del crimine con queste scarpe?! Dimmelo tu!”
Quando la ragazza ebbe finito di sbottare, Hank la fissò con le sopracciglia sollevate.
“Ciao anche a te, Daphne. Io sto bene, e tu?”
“Ciao, Voight. Fatto sta che quella donna mi odia!”
Daphne all’improvviso sgranò gli occhi quando si accorse delle candele sul pavimento e un mazzo di rose rosse in mano ad Hank.
“Che sta succedendo?”
“Buon compleanno, Daphne!”
Dal salotto sbucarono anche Olive e Daniel battendo le mani. Daphne si portò le mani sul cuore in segno di stupore, aveva gli occhi lucidi e un sorriso emozionato.
“Scusatemi, ero presa dalla mia dose quotidiana di lamentele. Grazie mille!”
Abbracciò Olive e il piccolo, poi avvolse le braccia intorno al collo di Hank e gli diede un bacio passionale.
“Grazie. Non me lo aspettavo da te che hai un ghiacciolo al posto del cuore e sei allergico al romanticismo.”
“Beh, ogni tanto anche io mi concedo una serata di follia.” Rispose lui, stringendole i fianchi.
“Buono a sapersi, sergente. Potrei approfittarne.”
“Fai la brava, ragazzina. Andiamo a mangiare, devi mettere un po’ di carne su queste ossa!” le disse, strizzandole le braccia.
 
 
“E questo è per te!” esclamò Hank con un pacchettino rosso sormontato da un piccolo fiocco blu. Era mezzanotte, fuori faceva freddo, Olive e Daniel erano già andati a letto, e loro due si erano messi comodi sul divano.
Daphne accettò il regalo e lo scartò in pochi secondi.
“Una chiave? Apre una cassetta in banca?”
“E’ la chiave di questa casa. Ti va di convivere?”
“Aspetta. Sei sicuro? Voglio dire, io non sono una casalinga con i fiocchi, ho un sacco di scarpe e di borse, e soprattutto lavoro tanto.”
“Ho già messo tutto in conto. Abbiamo due lavori frenetici che ci tengono tutto il giorno fuori casa, ma dopo un giornata stressante sarebbe bello tornare e trovarti qui. Per quanto riguarda i servizi, possiamo chiamare qualcuno. E cucino io, non ti preoccupare. Per le tue cose c’è lo spazio necessario.”
“Sei serio, Hank? Te la senti davvero?”
“Sono serio. Voglio davvero stare con te. Poi, hai anche accesso allo scantinato, perciò sei padrona di questa casa quanto me.”
“Va bene, ci sto!”
Hank sorrise e le baciò il dorso della mano, al che Daphne lo abbracciò.
“Daphne.”
“Mmh.”
“Anche io.”
“Cosa?”
“Ti amo anche io.”
Daphne sorrise raggiante contro la sua spalla e non disse nulla per non rovinare quel momento, consapevole che lui non glielo avrebbe detto mai più. Hank, dal canto suo, aveva compiuto uno sforo enorme a pronunciare quelle parole che per troppi anni gli erano rimaste bloccate in gola, le stesse che non pensava avrebbe mai più dedicato a qualcuno.
“Quindi adesso faccio parte del ‘team anziani e corrotti’ con te e Alvin?”
“Non siamo né anziani né corrotti, noi ci limitiamo a prendere in prestito e a non restituire.”
Daphne scoppiò a ridere per quella definizione e si dovette asciugare le lacrime.
“Mi piace come nome del team!”
Hank alzò gli occhi al cielo, sebbene sorridesse divertito, e si alzò per poi afferrarle le mani e tirarla in piedi.
“Andiamo a dormire, ragazzina. Domattina ci aspetta un trasloco sfiancante.”
La ragazza gli stampò un bacio sulle labbra e si lasciò portare in quella che sarebbe diventata la loro camera da letto dove avrebbero condivisioni passione, gioie e dolori, insieme.
 
 
Salve a tutti! ^_^
Questa è la seconda e ultima parte.
Alla fine il sergente si è dimostrato un tenerone.
Fatemi sapere cosa ne pensate e soprattutto se sono riuscita a rendere bene i personaggi.
 
Grazie per aver seguito la storia.
Un bacio.
 
Ps. Perdonate eventuali errori di battitura.
 

 

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