Quella volta che Starlord ha rubato un bacio

di AThousandSuns
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Gamora ***
Capitolo 2: *** Peter ***



Capitolo 1
*** Gamora ***


Un posto da bifolchi, ecco cos’è quello.

Un gruppo di bikers sudaticci schiamazza nei pressi del tavolo da biliardo, tanto che il pezzo country che parte dal jukebox nell’angolo a malapena arriva alle sue orecchie.

Gamora abbassa gli occhi sul suo shot ma riesce solo a notare quanto il bancone in legno scadente sia appiccicoso; si maledice di nuovo per aver lasciato decidere alla sua preda il luogo dell’appuntamento.

Dicono che Peter Quill – o Starlord, come tutti si rifiutano di chiamarlo – sia un tipo scaltro, anche se non si direbbe affatto. E se c’è una cosa che Gamora ha imparato in tutti quegli anni passati a fare la cacciatrice di taglie, è che bisogna saper ascoltare la strada.

Non voleva che Quill s’insospettisse, perciò gli aveva permesso di scegliere il posto per il loro appuntamento romantico: Peter alla fine aveva optato per quella topaia in periferia.

Quale razza di idiota ha un profilo Tinder quando si è ricercati dalla polizia? Gamora si chiede come abbia fatto a sfuggire alla cattura fino ad ora. Quello però è il capolinea, per Peter Quill. La donna già sogna come spenderà i soldi della cospicua taglia.

Getta l’ennesima occhiata alla porta d’ingresso; l’angolo in cui si è accomodata le permette di sorvegliare l’intero locale – peccato per l’illuminazione fioca. E per il ventilatore dietro di lei che è guasto e non l’aiuta a dissipare il caldo estivo di Tucson, uno di quelli umidi che si appiccicano alla pelle e ti soffocano. In ogni caso ha lavorato in condizioni peggiori.

La porta si apre di nuovo e le basta uno sguardo per riconoscere il profilo di Quill; nonostante la calura, indossa una giacca di pelle marrone. Il viso è incorniciato dalla barba incolta e Gamora alza gli occhi al cielo al pensiero che non abbia avuto la decenza di radersi per quello che lui crede un appuntamento.

Si avvicina al bancone e non le sfugge lo sguardo con cui la studia. «Ehi, scusa il ritardo. Posso offrirtene un altro?» chiede indicando il bicchierino vuoto tra le mani della donna.

La donna sfoggia il suo sorriso migliore. «Certo.»

Peter ordina con un semplice gesto della mano e torna a posare gli occhi su di lei; c’è una luce strana nei suoi occhi, una scintilla che Gamora non riesce a interpretare.

La strappa da quei pensieri attaccando bottone. «Speravo che la tua foto profilo su Tinder rispecchiasse la realtà, ma non pensavo che la realtà l’avrebbe superata.»

Gamora non riesce a trattenersi dall’alzare di nuovo gli occhi al cielo. «Frasi del genere di solito funzionano con le altre donne?»

Non pare sorpreso dal suo atteggiamento, d’altronde quando flirtavano su Tinder la donna non ammorbidiva il proprio carattere: ha immaginato che Peter l’avrebbe presa come una sfida e non si sbagliava.

«Non mi aspettavo certo che funzionasse con te.»

La barista serve da bere senza nemmeno guardarli in faccia. «Allora perché l’hai detto?»

Peter alza il braccio e Gamora lo imita; i bicchierini si scontrano con un tintinnio lieve. «Mi piace punzecchiarti.»

Incredibile come a ogni parola che l’uomo pronuncia, Gamora abbia voglia di roteare gli occhi al cielo. Insomma, nei vari giorni in cui hanno parlato e perfino ora, comprende come alcune donne potrebbero trovarlo… interessante.

Lei ne ha abbastanza di quei giochetti, ma sperava di farlo bere un po’ così da renderlo meno lucido e più lento. Perciò scuote la testa ma gli sorride, fingendo di fare la preziosa: è un ladro – un ottimo ladro - deve andare matto per certe scemenze.

«Inoltre, sono sorpreso che tu abbia accettato d’incontrarmi qui» continua Peter con le labbra piegate in un sorriso scaltro.

«È l’ultima volta che ti lascio scegliere il locale.» Gamora gli parla come se dovessero rivedersi.

L’uomo ridacchia e inclina il volto mentre tiene i gomiti poggiati al bancone. «In chat hai detto che non sei di queste parti, vero? Di Tucson, intendo.»

Gamora annuisce e non sposta gli occhi dai suoi. «Non ti ho detto da dove vengo, però.»

«Io dal Missouri.»

«Possiamo avere un altro giro?» chiede la donna voltandosi per un istante verso la barista. Quella non è una parte del suo passato che le piace rivangare ed è curioso che Peter voglia chiacchierare proprio sull’argomento che lei non desidera affrontare; ma no, si sta comportando da paranoica: in fondo si tratta di una normale conversazione, Quill non può sapere quanto il proprio passato la ferisca.

Gamora tiene gli occhi fissi sul bicchiere vuoto quando parla di nuovo: «Chicago.»

Peter fischia. «Ma dai, in pratica siamo vicini! Cosa ti ha spinto ad attraversare metà continente?»

«Potrei farti la stessa domanda» gli fa notare sulla difensiva.

Peter sposta lo sguardo su un punto indefinito davanti a sé e alza le spalle. «Mio padre è un grande stronzo e mia madre… se n’è andata molti anni fa: non c’era più nulla che mi trattenesse in quel buco di paesino.»

Gamora non riesce a capire se sia sincero o no e quella non è una buona cosa: che lo stia sottovalutando?

L’uomo si schiarisce la voce per richiamare la sua attenzione. «È il tuo turno.»

«Il mio turno per cosa?» chiede innocente.

«Il tuo turno per rivelare il tuo passato merdoso: voglio dire, dubito che qualcuno lascerebbe Chicago per Tucson senza una valida ragione.» Ridacchia, ma gli occhi non si addolciscono e Gamora per un attimo crede che non abbia inventato quella storia. Ma perché dovrebbe importarle?

Si prende un istante per rifletterci: ai pochi che lo chiedono di solito mente e dice di averlo fatto perché in Illinois l’attività di cacciatore di taglie non è permessa, ma questa volta non può cavarsela con una menzogna del genere.

Non sa bene perché, ma si ritrova a confessargli la verità, o una parte. «Anche mio padre è un grande stronzo» sussurra prima che possa ripensarci; chissà, magari vederla così vulnerabile lo spingerà ad abbassare del tutto la guardia.

Ironico come menta a tutte le persone della sua vita e poi si ritrovi a sputare il rospo con qualcuno che considera un nemico. Se non stesse lavorando berrebbe un altro drink.

Il sorriso di Peter vacilla. «Allora qualcosa in comune ce l’abbiamo.»

Gamora d’un tratto non è capace di staccare gli occhi da quelli dell’uomo: tirare in ballo il proprio padre non è stata una mossa saggia; quella è una ferita ancora aperta e dolente, una ferita che forse non guarirà mai.

Peter dev’essersi accorto della tensione perché fa per sfiorarle una spalla, ma poi rinuncia in un gesto impacciato. Sembra un tipo spavaldo, ma pare sia tutta una facciata: d’altronde chi è lei per giudicare?

«Senti, vado un attimo in bagno e quando torno ci facciamo un altro giro, uh?»

Gamora alza il bicchiere vuoto. «Andata.»

«Non è così che ti avevo immaginato, sai?»

Gamora vorrebbe chiedergli cosa diavolo intende ma Peter sparisce dietro l’angolo e la donna tira un sospiro di sollievo quando lui si allontana: finge che il proprio passato non esista e tenta di concentrarsi sul vero motivo che l’ha portata in quel bar da quattro soldi. Chiude gli occhi mentre inspira e torna a immaginare i soldi che Quill le frutterà.

Dal jukebox è partita un’altra canzone e questa volta il baccano dei bikers non riesce a sovrastarla. Un paio di note bastano a riportarla indietro nel tempo di diversi anni e rivede sé stessa seduta vicino al biliardo nel locale del padre; dal retro le giunge il tono suadente delle minacce. Gamora stringe il tavolo con le dita e chiude gli occhi fingendo di non essere lì. Ma è lì, non può andare da nessuna parte – proprio come le ricorda la canzone che aleggia nell’aria. Suo padre la chiama, un ordine al quale non può sottrarsi. Ricorda d’aver pensato che se le fosse andata bene, avrebbe dovuto limitarsi a spezzare una falange.

E invece aveva scavato una fossa.

Gamora prende un bel respiro ma somiglia più a un singhiozzo e ordina un altro drink con la speranza di affogare quei ricordi, al diavolo il lavoro. Allunga la mano sullo sgabello accanto a lei e tasta il bozzo rassicurante nella sua borsetta, un teaser. Deve concentrarsi sull’arresto o non finirà bene. Ci sono anche spray al peperoncino e manette: aggrotta la fronte e si chiede se Quill sia un buon combattente.

Da ciò che ha sentito in giro è il tipo d’uomo che si tira fuori dai guai con la sua parlantina più che con i pugni: non sarà un problema.

Però sente un formicolio alle mani e capisce che qualcosa non quadra: non è così che ti avevo immaginato, sai?

Una frase semplice, innocente; allora perché Gamora ha un brutto presentimento?

Sbatte le mani sul bancone e si maledice mentre raggiunge il bagno: non l’ha controllato quando è arrivata, un errore da novellina perché Peter potrebbe essersi insospettito e lì dentro potrebbe esserci una…

Finestra. Che ora è spalancata.

Gamora ringhia un’imprecazione tra i denti stretti e si fionda all’esterno, appena in tempo per guardare Quill salutarla e sgommare via su una moto sportiva.

Stronzo.

 

 

La porta si chiude con un tonfo rumoroso che fa tremare i vetri sottili dell’appartamento, l’ha spinta con troppa foga ma non le interessa. La sua auto l’ha quasi lasciata a piedi per strada in una degna conclusione di quella giornata. Sperava di passare dal meccanico con i soldi della taglia di Quill, ma a quanto pare quel pezzo di ferraglia ambulante dovrà attendere.

Vorrebbe cancellare il fallimento dell’ultima ora ma sa che non può farlo, perciò si limita a prepararsi un caffè che corregge con un goccio di whisky.

Afferra il telecomando per accendere la tv ma il cronista che riassume le notizie non basta per distrarla, così si sposta in bagno e con una mano apre il rubinetto della vasca mentre nell’altra tiene ancora la tazza di caffè.

Si sbarazza dei vestiti con gesti assenti e li lascia cadere sul pavimento; a piedi scalzi torna in bagno a controllare la temperatura dell’acqua: estate o no, un bagno caldo l’aiuta sempre a sciogliere i nervi. Forse un po’ troppo caldo, ma Gamora s’immerge lo stesso abbandonandosi a un sospiro frustrato.

È arrabbiata con sé stessa – no, peggio: è delusa.

Delusa perché sa quanto vale e sa che quel mestiere è la sua vocazione: non è semplice fare il cacciatore di taglie, ed è pericoloso. È un lavoro incerto e non offre molta prospettiva, ma è abbastanza impegnativo da tenere i pensieri e i ricordi a bada – e questo a Gamora basta.

I suoi pensieri tornano a Quill: il ladro sapeva esattamente chi era e perché era lì, eppure si è presentato lo stesso. Perché? La spiegazione più logica è che volesse giocare un po’ con lei: farle credere di avere il controllo, di essere vicina ad arrestarlo per poi ingannarla e umiliarla.

È solo colpa sua: l’ha sottovalutato. A quanto pare non è la sola, visto come continua a sfuggire alla legge, ma quel pensiero non la fa sentire affatto meglio. Perché lei è sempre stata quella che trionfa quando tutti falliscono: è il suo talento, ma anche la sua maledizione. Per questo era la prediletta di suo padre…

Ora capisce che la domanda che Peter le ha posto non era affatto casuale: Quill ha usato il suo passato come un’arma per confonderla e farle abbassare la guardia, e c’è riuscito alla grande. Lei gliel’ha permesso, come fosse una novellina e non un’esperta cacciatrice. Gamora oggi ha infranto la prima regola del proprio mestiere: lasciar fuori le emozioni. Di certo ha imparato la lezione.

Afferra la spugna e comincia a sfregare la pelle senza alcuna delicatezza, come potesse grattare via dal corpo il proprio passato e i propri peccati.

La verità è che Gamora è più colpevole della maggior parte degli idioti a cui dà la caccia per lavoro, non importa quanto si allontani da Chicago o quanto tempo passi dal suo addio a quella città maledetta.

È lei l’unica cosa maledetta: non c’è perdono per ciò che ha fatto; non può tornare indietro e deve ammettere a sé stessa che non è in grado di andare avanti, a dispetto di quanto ci abbia provato: dal passato non si può scappare.

Ma cosa credeva, che fuggire e trasferirsi in un altro stato avrebbe cambiato le cose?

Che suo padre gliel’avrebbe permesso?

Sa che non dovrebbe, ma non riesce a resistere a quella malsana tentazione e prende il cellulare tra le mani ancora umide. Scorre fino a trovare un unico messaggio lasciato da un numero sconosciuto un paio di giorni prima.

Torna a casa, o verremo a prenderti.

Una minaccia. Una promessa.

Vorrebbe stringere il cellulare tra le mani così forte da distruggerlo; vorrebbe tornare a Chicago solo per guardare suo padre dritto negli occhi e sputargli addosso tutto il veleno che ha serbato in quei lunghi anni; vorrebbe che nel suo cuore ci fosse solo odio per lui, ma sa che non è così e questa consapevolezza non le dà pace. Nonostante tutto il male che le ha arrecato – a lei e a sua sorella Nebula – oltre a l’odio c’è qualcos’altro, un legame che non riesce a recidere.

Gamora s’immerge completamente nell’acqua ormai tiepida; tiene gli occhi chiusi e sotto la superficie i rumori le giungono ovattati e irreali, compreso il battito tumultuoso del suo cuore che non accenna a calmarsi.

Forse fare un bagno bollente nel bel mezzo di quella giornata torrida non è stata una buona idea; riemerge dopo qualche secondo e si affretta a uscire. Si riveste in fretta con i primi indumenti che le capitano a tiro e si stende sul letto; forse dovrebbe mettere qualcosa nello stomaco ma proprio non ha fame.

L’incontro con Quill l’ha scombussolata e sapere che gliel’ha fatta sotto il naso in quel modo la fa imbestialire: odia non avere il controllo e odia ancor di più fare la figura dell’allocca.

Il cellulare che vibra per un istante la distrae; scatta seduta sul materasso quando legge il mittente.

Come te la passi, sorellina?

Gamora non sa per quanto tempo rimane a fissare lo schermo ma ad un certo punto le sue dita tremanti cominciano a digitare una risposta.

Devi essere mezza morta in un cassonetto dell’immondizia per scrivermi.

Nebula risponde subito ignorando la frecciatina: non ha voglia di scherzare.

Ha contattato anche te?

Certo che non va per il sottile: in fondo non è mai stata brava a far conversazione.

Sì. Dove sei?

Molto lontano da Chicago. Ma tornerò lì presto.

Gamora osserva il messaggio e s’irrigidisce: sua sorella deve aver battuto la testa, sta farneticando.

Cos’hai intenzione di fare?

Ciò che avrei dovuto fare anni fa.

Proprio le parole che non avrebbe voluto leggere.

Nebula… che intendi?

Siamo state due sciocche a pensare di poter andar via di casa. Non c’è altro posto per quelle come noi.

Sa che sta parlando a un muro e Nebula non cambierà idea, ma deve provarci: potranno anche aver avuto le loro divergenze – parecchie, in realtà – ma si tratta pur sempre di sua sorella.

Lo sai che non è vero. Non sei costretta a tornare indietro.

Attende, teme il messaggio di Nebula che non tarda ad arrivare.

Se nostro padre vuole che torni allora tornerò. E stavolta avrò la forza di fare ciò che devo.

Sua sorella non è mai stata il tipo da piegarsi, piuttosto preferisce spezzarsi: sa che non tornerà a Chicago per sottostare agli ordini del padre.

Sta andando ad ucciderlo.

Potrei tornare con te.

Non le risponde subito e Gamora non stacca gli occhi dallo schermo. Alla fine il cellulare vibra di nuovo.

No, sappiamo entrambe che non vuoi.

Ha ragione: è stanca di combattere. È stanca degli ordini, ma soprattutto della violenza. Sua sorella invece ne ha bisogno: ha bisogno di chiudere quel cerchio. Potrebbe, ciamarlama non ne ha il fegato; e poi nemmeno lei è brava a far conversazione: cosa potrebbe mai dirle?

Quindi le manda un unico, breve messaggio.

Buona fortuna.

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Capitolo 2
*** Peter ***


Peter nemmeno lo sa come c’è arrivato in quella parte di Tucson – va bene, forse lo sa – il fatto è che la cacciatrice l’ha incuriosito.

Gamora.

Deve ammetterlo, la donna ha coperto bene le sue tracce e non è stato semplice scoprire la sua vera identità. E poi è la prima volta che qualcuno prova a incastrarlo con un appuntamento su Tinder: è una trovata originale. E divertente.

Per questo ha deciso d’incontrarla in quel bar pulcioso, il cui bagno è dotato di una grande finestra che dà sul retro, nonostante fosse a conoscenza delle reali intenzioni della donna. Sapeva che tenerle testa sarebbe stata una sfida e aveva ragione.

Per qualche strano motivo, si è ritrovato a confessarle cose che non ha mai avuto il coraggio di condividere qualcun altro, eppure si ritiene capace di resistere al fascino di una bella donna…

No, ciò che è successo non ha nulla a che fare con il fascino: la donna l’ha colpito subito, forse proprio per il pericolo che rappresentava, il rischio che ha corso presentandosi all’appuntamento.

Gamora credeva di averlo in pugno e la domanda sulla sua famiglia l’ha spinta ad abbassare la guardia. Ok, si sente ancora un po’ stronzo ad aver usato quell’argomento contro di lei, ma si è presentata lì per arrestarlo perciò se l’è meritato, no?

E potrebbe ancora farlo: Peter dovrebbe davvero girare i tacchi e darsela a gambe prima di regalarle un’altra possibilità. E poi perché è lì? Non può essere solo il brivido del pericolo ad averlo portato nel quartiere dove vive la donna. Dio, da quando è diventato uno stalker?

Ok, è stata una pessima idea: è ora di levare le tende prima che qualcuno lo riconosca. Cosa gli salta in mente a girare in strada di giorno?

Peter si gratta il pizzetto con sguardo assente: forse dovrebbe lasciarsi crescere un po’ di più la barba, l’aiuterebbe a camuffarsi meglio.

Non fa in tempo a pensarlo che intravede Gamora camminare verso di lui, ma sul lato opposto della strada; fa del suo meglio per sparire in un vicolo e tira un sospiro di sollievo quando si rende conto d’averla scampata. La sensazione però dura solo un istante: gli basta un’occhiata al passo rigido della donna per capire che qualcosa non va.

Non dovrebbe, ma si arrischia a sporgersi e controllare il selciato dove individua subito un uomo, circa venti metri dietro di lei: la sta seguendo e non si sforza di nasconderlo. No, si sbaglia: sono tre. Gli altri due camminano sull’altro lato, quello dove si trova lui.

Si affretta a raggiungere l’angolo più buio del vicolo e dopo qualche momento li osserva passare con i muscoli tesi e lo sguardo attento, ma non accade nulla. Riemerge dal buio e si ferma in mezzo al marciapiede. Il suo cervello gli urla di voltarsi e andare via: non è mai stato un eroe, perché iniziare ora?

Però tre contro una non è affatto corretto, e non possono avere buone intenzioni… Una cosa è certa: l’afa estiva gli sta giocando brutti scherzi.

Segue i tre tipi poco raccomandabili e si rende conto che Gamora non prova nemmeno a seminarli: li sta conducendo al suo appartamento. La donna s’infila nel palazzo e i tre si affrettano a seguirla.

Peter non sa che fare e ciondola davanti al portone senza entrare: è certo che Gamora abbia un piano, ma quale?

Si guarda intorno ed è pronto a scassinare la serratura quando sente il rumore di un’auto che si rifiuta di partire sul retro dello stabile: riconosce subito il catorcio della cacciatrice. Davvero, è imbarazzante: credeva che avrebbe potuto inseguirlo con un’auto del genere se fosse fuggito? Cosa che poi è accaduta perché lui è Starlord, non un idiota qualunque…

Un’imprecazione lo riscuote e corre aggirando il palazzo per raggiungere il retro, dove trova Gamora che sta scendendo dall’auto con un coltello in mano. Un coltello enorme, ma pur sempre un coltello: i tipi poco raccomandabili invece sono armati di pistole; non le hanno impugnate, per ora, ma è difficile ignorarle.

«Non renderci le cose più difficili del dovuto.» Cicatrice in faccia – il nome in codice che Peter decide di dare a quello che sembra il capo – le parla in un tono suadente che lo fa rabbrividire.

«Lo sai quanto mi piace rendere le cose difficili.» Gamora lo prende per il culo con un ghigno sulle labbra.

Cavolo, questa donna gli piace sempre di più.

«È ora di tornare a casa, ragazzina.»

Peter capisce dallo sguardo con cui la donna guarda Camicia Floreale che se finisce in rissa lo accoltellerà per primo.

«Ammazzatemi se dovete: a Chicago non ci torno.» La voce di Gamora è glaciale, come se sapesse che quel momento sarebbe arrivato: come se l’avesse atteso.

Peter non ha scovato granché del passato della donna: sa solo che suo padre è qualche pezzo grosso della malavita di Chicago e che lei se l’è data a gambe quando ne ha avuto l’occasione – e non la biasima per questo: lui ha preso la stessa decisione anni fa. A quanto pare lui è più bravo nel nascondersi dal papà stronzo.

Cicatrice in faccia sospira mentre gli altri due si avvicinano alla donna per accerchiarla, ma si tengono a distanza: hanno forse paura?

Gamora assottiglia lo sguardo e alza il braccio che impugna la lama, pronta a dar loro filo da torcere. E Peter è certo che lo farà, ma un impulso che non riesce a controllare lo spinge a venir fuori dall’angolo dal quale sta origliando.

«Gam. Sembra proprio che tu abbia portato un coltello a uno scontro a fuoco.»

Gamora spalanca gli occhi e dai denti serrati le sfugge un sibilo che pare un ringhio: Peter non sa dire se è più infastidita dal fatto che è lì o dal nomignolo che ha usato. Ok, forse è colpa del nomignolo.

«E questo chi cazzo è?» Scarpe lucide sputa per terra saliva e tabacco e impugna la sua pistola.

Ma chi cavolo mastica ancora tabacco?

Peter non è bravo a combattere, ma ha una parlantina che lo tira sempre fuori dai guai e ha tutta l’intenzione di sfruttarla. Sa che quegli idioti non uccideranno Gamora, ma non si faranno scrupoli nel ferirla. E tale pensiero, per qualche oscuro motivo, non gli piace molto.

Con le mani alzate in segno di resa azzarda a fare qualche passo avanti.

«Sentite, credo che dovrete aspettare il vostro turno: anche io ho un conto in sospeso con lei.» La stretta di Gamora non vacilla sull’impugnatura della sua arma e a Peter basta uno sguardo per capire che ha una strategia.

Scarpe Lucide lo liquida con un’occhiata infastidita. «Sparisci, stronzetto.»

«Dovresti dargli ascolto» s’intromette la donna. «Stai camminando sulla sottilissima linea tra coraggio e stupidità.»

Gamora ha bisogno di sapere che Peter non fuggirà da quello scontro, deve poter contare su di lui.

L’uomo le sorride. «Non temere, non sono affatto coraggioso.» Ma in quanto a stupidità… Si guarda intorno e fa spallucce. «Sapete che ha provato ad arrestarmi un paio di giorni fa? Non c’è riuscita, ovviamente, perché non sono mica scemo, io: sapevo chi era, però non ho resistito ad incontrarla. Che posso dire, ho un debole per le donne con sorriso e coltello affilati.»

«No!» Camicia floreale grida e Peter si rende conto che Gamora ha fatto la sua mossa. Però invece di colpire Cicatrice in faccia che è il più vicino a lei, ha lanciato il coltello verso Scarpe lucide centrandolo in pieno petto: cade ma è ancora vivo, perciò Peter si affretta a disarmarlo.

Peccato che anche Gamora adesso sia priva della sua unica arma.

L’uomo non vuole sparare a nessuno – è un ladro, non un assassino – ma deve fare qualcosa.

Agisce d’impulso e s’avventa su Camicia floreale che però gli assesta un dritto in faccia, facendolo barcollare; si porta le mani a coppa sul viso ma l’altro non fa in tempo a voltarsi che Gamora gli passa un braccio attorno al collo in una presa salda; ci vuole qualche momento, ma alla fine l’idiota perde i sensi e si accascia sul cemento, sgraziato.

Anche Cicatrice in faccia è svenuto a pochi metri da loro.

Peter sputa sangue e prende dei bei respiri mentre sta piegato con le mani premute sulle ginocchia.

«Però, sei veloce» si complimenta: è una lottatrice molto più esperta di quanto credesse. Di certo più esperta di lui, non che ci voglia molto.

«E tu ti sbagli: sei proprio uno scemo, che ti salta in mente?»

L’uomo alza lo sguardo e trova Gamora che lo trapassa con lo sguardo: per un momento teme che accoltelli anche lui.

«Potresti anche ringraziare» ribatte confuso.

Gli risponde con una risata amara mentre si avvicina a Scarpe lucide. «Per cosa? Esserti preso un pugno in faccia?» Strappa il coltello dal petto dell’uomo e gli controlla il battito, dopodiché tira fuori il cellulare.

«Ehi! Il mio discorsetto li ha distratti!» Che ingrata.

Lo ignora mentre chiama un’ambulanza; quando il cellulare torna nella sua tasca, lo fissa con occhi animaleschi, i suoi bei lineamenti distorti dalla rabbia. «Sei fortunato che non ti abbiano fatto saltare le cervella! Come se avessi bisogno di un altro morto sulla coscienza!»

Fa un passo indietro e chiude la bocca di scatto realizzando ciò che ha detto; è allora che la sua maschera s’incrina e i suoi occhi rivelano vulnerabilità e un velo di tristezza, come quand’erano in quel bar e Peter le ha chiesto da dove venisse.

L’uomo si rimette in piedi e gli sfugge una smorfia alla vista del sangue sulla sua maglietta. Il suo sguardo si sposta sulla donna, ancora ammutolita, il coltello sporco stretto nella mano.

Peter fa un paio di passi nella sua direzione e le parla risoluto: «Non puoi farti trovare qui e di certo non ti darai alla fuga su quel catorcio: a un isolato da qui c’è la mia moto.»

S’incammina senza controllare che lo stia seguendo: sa che lo farà.

 

Quando apre la porta dell’appartamento riesce solo a pensare al fatto che non ci ha mai portato una donna e non avrebbe mai creduto che sarebbe successo in quel modo.

«Benvenuta nel mio tugurio.»

Gamora tiene il borsone in cui ha raccolto i suoi averi più importanti in mano mentre con lo sguardo soppesa l’ambiente.

E per ambiente s’intende un ingresso stretto con un misero appendiabiti, il divano sfondato in salotto dove sono poggiate delle magliette – pulite, per fortuna - e la piccola cucina con i piatti lasciati ad asciugare.

A sua discolpa, ha ammesso subito che quello è un tugurio.

«È disordinata, ma pulita.» Gamora riesce perfino a rivolgergli un sorriso tirato.

«Sputa il rospo, avevi immaginato molto peggio di così.» Peter accende le luci e si porta le mani sui fianchi, indeciso. «Umh, se mi dai un attimo riordino la camera da letto: per ora puoi dormire lì, io starò sul divano.»

Gamora alza le mani. «Grazie ma… no. Non voglio cacciarti dalla tua stanza.»

«Non sarebbe la prima volta che dormo sul divano: e poi l’hai detto tu che sarà solo per un paio di giorni, finché non si calmano le acque.»

Peter si aspetta che Gamora non ceda e si opponga di nuovo, ma non lo fa: con un sospiro sconfitto lascia cadere a terra il borsone e si affloscia sul divano.

«Va bene» sussurra esausta. «Ma lascia almeno che ti metta del ghiaccio su quello zigomo.»

C’è qualcosa d’inquietante in quell’improvvisa gentilezza, ma Peter seppur confuso annuisce e si sposta in cucina lasciando che la donna lo segua.

Si lascia cadere sulla sedia mentre Gamora rovista nel suo freezer alla ricerca del ghiaccio; non ce n’è, ma una busta di verdura congelata andrà bene ugualmente.

La poggia sul tavolo e inclina la testa. «Hai un kit di primo soccorso?» gli chiede mentre lo squadra.

Peter si tasta il viso preoccupato. «Se mi ha rovinato la faccia giuro che torno indietro a finirlo!» La donna alza gli occhi al cielo ma non commenta mentre aspetta che lui risponda alla domanda. «È sopra il frigo» biascica scontento e sa di somigliare a un bambino capriccioso, ma non riesce a trattenersi.

Peter si tiene la busta congelata contro il viso mentre la donna ispeziona il contenuto della valigetta finché non trova del cotone e il disinfettante.

«Non c’è bisogno dei punti, vero?»

«Tranquillo, un paio di giorni e la tua faccia sarà come nuova» ribatte canzonatoria.

Prende posto accanto a lui e preme il cotone imbevuto contro il suo zigomo disinfettando il taglio; Peter si morde la lingua per non lamentarsi, anche se fa male. Il dolore però non è forte abbastanza da distrarlo: è fin troppo consapevole della vicinanza di Gamora e di quelle dita sottili che lo sfiorano con premura.

Peter abbassa lo sguardo e si schiarisce la voce. «Immagino dovrei scusarmi.»

Gamora alza un sopracciglio confusa e mette da parte il cotone. «Per avermi pedinata?»

«Non ti stavo pedinando!» chiarisce offeso e poi sospira. «Per aver tirato fuori l’argomento “papà” al nostro finto appuntamento.»

«Sai chi è mio padre.» Non è una domanda, ma una secca affermazione.

«So che gestisce una fetta della malavita su a Chicago, che è una specie di signore del crimine.»

La donna annuisce e questa volta è lei ad abbassare lo sguardo. «Sai anche chi sono io? O chi ero» si corregge.

Peter aggrotta la fronte. «So che sei sua figlia e che sei scappata quando ne hai avuto l’opportunità.»

«Nient’altro?» chiede, e le pare crucciata.

In risposta alza le spalle. «C’è altro?»

Gamora si lascia scappare una risata amara, una risata che preannuncia qualcosa di brutto.

«Lavoravo per lui.» La osserva prendere un bel respiro prima di continuare, ma non è in grado di guardarlo negli occhi mentre parla: «Io gestivo… Beh, più cose. Riscuotevo i debiti e appiccavo incendi nei locali di chi non li saldava. Tenevo a bada gli spacciatori e i papponi che si montavano la testa. Se non riuscivo a metterli in riga, me ne occupavo.»

Peter deglutisce e finge una spavalderia che non inganna Gamora. «Quando dici che te ne occupavi intendi…»

«Intendo che li facevo fuori. Sono un’assassina» confessa e strizza gli occhi, forse per fingere di non averlo detto, forse per non piangere, chissà.

Nessuno dei due accenna a muoversi, rimangono immobili in quella piccola cucina a studiarsi e cercare di prevedere la prossima mossa dell’altro. Peter non sa cosa sono l’uno per l’altra, ma sa che non sono nemici: deve contare qualcosa, no? E sa anche che è il suo turno di parlare e impedire che il senso di colpa che Gamora cova dentro di sé continui a divorarla; non che le sue parole possano cancellare il passato, ma non può lasciare che quel silenzio si prolunghi ancora.

«Non hai ucciso nessuno oggi, anche se avresti potuto; anzi, non me ne intendo di combattimenti tra brutti ceffi, ma credo che sarebbe stato più facile. Insomma, non per farti agitare, ma adesso quei tizi ti staranno cercando. Beh se ce n’è qualcuno ancora in grado di camminare.» Ok, forse non è bravo a consolare le persone.

È uno sguardo strano quello che Gamora gli rivolge: riconoscente, forse? Spontaneo? Peter non può dirlo, ma quando vede le labbra della donna tendersi in un flebile sorriso, sa di aver detto la cosa giusta al momento giusto, per una volta.

«Non sono sicura che basti a redimermi» sussurra combattuta.

Peter si gratta la barba incolta e sceglie con cura le proprie parole. «Forse no, ma non puoi cambiare il passato. Chiunque tu sia ora, non sei più la donna che eri a Chicago: forse è questo l’importante.»

«Forse è troppo tardi. Non so cosa sia rimasto della mia anima, se ne è rimasto qualcosa.»

Peter sbuffa: non ne può più di tutto quel senso di colpa. «Posso chiederti perché prima hai lanciato il coltello addosso a Scarpe Lucide?»

«Scarpe Lucide?» ripete confusa.

«Dai, hai capito: lo scagnozzo accanto a me. Avrebbe avuto più senso se avessi colpito quello più vicino a te, la minaccia più importante.»

Gamora risponde come si trattasse di un’ovvietà. «In uno scontro, so perfettamente come cavarmela: tu no.»

«Uh, eri preoccupata per me» Peter sorride e osserva la donna andare nel panico.

«No! Io non… Non so perché l’ho fatto» balbetta.

«Io lo so: sono un cucciolo indifeso e tu ti sei intenerita.»

«La chiamerei pietà» chiarisce.

La durezza del suo tono non fa vacillare il sorriso di Peter. «Il punto è… non sei un’assassina, non più. Questo dovrebbe farti sentire meglio.» Gamora annuisce ma non gli pare molto convinta. Peter sa che è rischioso, ma ignorando il suo istinto di conservazione si arrischia a sfiorarle il mento con le dita. «Mi hai anche medicato: la tua anima non mi sembra da buttare.»

Una lacrima inaspettata scivola dalle sue ciglia e scorre lungo la guancia; Gamora non la nasconde, non tenta di dissimulare la propria vulnerabilità e Peter la considera una piccola vittoria.

«Non dimenticare di tenere premuto il ghiaccio sul taglio» gli ricorda porgendogli la busta abbandonata sul tavolo.

Peter annuisce e si mette in piedi. «Preparo la stanza.»

È già in salotto quando Gamora lo chiama: «Peter.»

L’uomo si volta perplesso e osserva Gamora avvicinarsi; si mette sulle punte e gli posa un bacio leggero sulla guancia – quella buona.

«Grazie. Sai, sei davvero un ottimo ladro: in pochi riescono a rubarmi un bacio.»

Per una volta Peter è senza parole mentre pensa che ne sia valsa la pena solo per quell’attimo tra di loro.

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