Twelve again

di Carme93
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII ***
Capitolo 8: *** Capitolo otto ***
Capitolo 9: *** Capitolo nove ***
Capitolo 10: *** Capitolo dieci ***
Capitolo 11: *** Capitolo undici ***
Capitolo 12: *** Capitolo dodici ***
Capitolo 13: *** Capitolo tredici ***
Capitolo 14: *** Capitolo quattordicesimo ***
Capitolo 15: *** Capitolo quindicesimo. Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


Capitolo I 
 
«Devi andare a lavoro, oggi?».
La voce flebile e assonnata di una donna dai lunghi capelli rossi, sparsi disordinatamente sul cuscino, raggiunse attutita l’uomo accanto a lei, che ancora era in dormiveglia.
Un grugnito indistinto fu in effetti l’unica risposta.
«Harry! Non sei sveglio?» insisté la donna.
L’uomo, dai neri capelli sparati in tutte le direzione, ancor peggio di quelli della moglie, gemette e si volse verso di lei. «Ora sì, Ginny. Che c’è?».
«Ti ho chiesto se oggi devi andare a lavoro per forza» ripetè la donna pazientemente.
«Sono di turno fino alle cinque» replicò Harry in un sospiro. Cogliendo l’espressione triste e preoccupata della consorte, l’attirò in un abbraccio e iniziò a darle dei piccoli baci sulla spalle, spingendosi verso il collo, fino a risalire alla bocca. Ginny ricambiò il bacio, ma non mutò la sua espressione. «Che cosa ti preoccupa?» chiese allora il marito.
«A parte Albus?» replicò ella accigliandosi.
Harry sospirò, allentò la presa su di lei e si sdraiò nuovamente, appoggiando, però, la testa sul cuscino di lei. «È solo un bambino».
«È strano» insisté Ginny.
«È solo un periodo» affermò Harry tentando di sviare il discorso e protendendosi di nuovo verso di lei, bramoso di baciarla e sentire ancora il suo profumo. Questa volta Ginny lo respinse.
«Sii serio» lo rimproverò
A quel punto Harry si rassegnò, consapevole che quando si metteva qualcosa in testa era difficile dissuaderla e per quella mattina non ci sarebbero state più coccole. «Quando torno, proverò a parlargli di nuovo. Inoltre mi prenderò dei giorni, così potremo fare qualcosa tutti insieme prima che lui e Jamie ripartano per Hogwarts. Oggi proprio non posso perché Ron ha chiesto tutta la giornata libera».
«Come mai?» domandò perplessa la moglie.
«Lui e Hermione si sono organizzati per trascorrere qualche ora in modo alternativo con i bambini».
«Bene, allora, a maggior ragione nei prossimi giorni ti farai sostituire da quello sfaticato di mio fratello, così anche tu potrai trascorrere un po’ di tempo con noi» esclamò Ginny con aria combattiva.
E credeteci, nessuno sano di mente avrebbe mai osato contraddire Ginny Weasley in Potter normalmente, figuriamoci quand’era in un simile stato d’animo!
«Consideralo fatto» le assicurò Harry. «Anch’io voglio stare un po’ con voi, che credi? Ultimamente ho lavorato un sacco».
«Merlino, Harry, nemmeno ti immagini quanto io sia preoccupata per Al. È così strano! Non riesco più a capirlo!» sbottò dopo un po’ Ginny riprendendo il precedente discorso.
La verità è che anche Harry, per quanto tentasse di glissare, era stranito dal comportamento tenuto negli ultimi mesi dal suo secondogenito. «Magari ha solo difficoltà, insomma all’inizio è normale… E non so… forse si vergogna di ammetterlo…?».
Ginny sospirò. «Va bene, consideriamo che dipenda da questo. Insomma anch’io al mio primo anno ero eccitatissima… quanto meno i primi tempi… poi sappiamo com’è andata a finire… Ad Al non potrebbe mai succedere quello che è accaduto a me, vero?».
Harry rimase sconvolto dall’ansia e dalla sofferenza che la moglie gli riversò addosso. Ginny Weasley era sempre stata una donna combattiva, guai a mettersi contro di lei, una vera Grifondoro in tutto e per tutto. Ed era una vera leonessa quando si trattava dei figli. Era, però, la prima volta che la vedeva tanto turbata per qualcosa che li riguardava.
«Ginny, no, non può accadere la stessa cosa!» disse allora con fermezza. «Stai tranquilla. Fidati di me, è solo una fase». In realtà non ne era pienamente convinto, ma, vedendo la moglie in quello stato, si ripromise di risolvere la questione in tempi brevi.
«Forse, hai ragione. Magari non sa gestire questa nuova libertà. Lontano da noi, che non possiamo controllarlo. Anche James ne ha combinate e ne combina di tutti i colori. Il problema è che Al è sempre stato responsabile!» riprese Ginny.
Questa volta Harry non replicò. Il problema principale era proprio che stavano parlando di Albus, se a comportarsi male e a non studiare fossero stati gli altri due figli, Jamie o la piccola Lily, beh non sarebbe stato tanto sorpreso.
Negli ultimi anni i Direttori delle Case avevano preso l’abitudine di consegnare agli allievi una scheda in cui avevano registrato i progressi nell’apprendimento delle varie discipline, ma anche una nota sulla condotta. E, naturalmente, i genitori dovevano firmarla.
Harry era letteralmente rimasto senza parole nel vedere quella di Albus. Nemmeno James, che era un bambino vivace e irruento, in due anni di Scuola, aveva mai portato a casa un giudizio del genere e, come già detto, ne aveva combinate parecchie.
Il Direttore di Grifondoro, Casa a cui entrambi i suoi figli maggiori appartenevano, era Neville Paciock, un carissimo amico di famiglia, nonché padrino di Albus. Harry avrebbe voluto parlarne con lui, sperando che lo aiutasse a comprendere o gli dicesse se, in quei quattro mesi, era accaduto qualcosa che avesse turbato il figlio; purtroppo non era stato possibile, il suocero di Neville aveva deciso di invitare per tutte le vacanze i figli e, naturalmente, le loro famiglie in un vecchio maniero di famiglia. Harry e Ginny non se l’erano sentita di affrontare la questione via gufo e, quindi, avevano tentato di affrontare il figlio da soli. In più Albus si era rifiutato di dare una qualunque spiegazione o di rispondere alle loro accorate domande, e non aveva neanche protestato quando la madre, decisamente seccata, l’aveva messo in castigo per tutte le vacanze di Natale.
 Harry decise di alzarsi e andare a farsi la doccia, tanto non avrebbero più dormito.
«Vado a preparare la colazione» disse Ginny, alzandosi a sua volta.
«Va bene, grazie. Devo essere al Ministero per le nove» replicò Harry prima di aprire l’acqua della doccia. Spesso e volentieri era un ottimo modo per rilassarsi, ma quel giorno aveva troppi pensieri per la testa. Si preparò con calma, dopotutto si erano svegliati fin troppo presto. Quando finalmente scese in cucina, l’odore dei pancake al cioccolato la faceva da padrone. Sorrise istintivamente, ma il viso contrariato e assonnato del suo secondogenito lo incupì subito dopo. Si avvicinò e lo baciò sulla testa.
«Buongiorno! Dormito bene?» gli chiese tentando di apparire più ottimista di quanto fosse realmente in quel momento. Nel frattempo la moglie gli porse un piatto e si sedette accanto a lui.
«Sì, tu?» rispose Albus, senza alzare gli occhi dalla colazione che stava torturando come se gli avesse fatto chissà quale grave torto. Solitamente adorava i pancake al cioccolato.
«Abbastanza bene, grazie» replicò Harry, felice di sentirlo parlare sebbene a monosillabi. Che avesse qualche problema, era evidente. E, visto che prima di partire per Hogwarts era stato sempre il solito Al, doveva essere accaduto qualcosa a Scuola. «Hai visto il fumetto che ho portato ieri a Jamie?».
«No».
Risposta secca e netta, ma Harry non si diede per vinto. «Se mi dici un romanzo che ti piacerebbe avere, te lo compro pomeriggio appena finisco il turno».
Questa proposta prese il ragazzino di sorpresa, tanto che smise di tagliuzzare ossessivamente i suoi pancake e sollevò gli occhi su di lui.
«Davvero?» domandò. «Insomma, non sono in punizione?».
A essere pienamente sinceri, a Harry importava ben poco e probabilmente anche a Ginny. Entrambi erano stufi di vederlo girare per casa imbronciato e triste. La moglie gli lanciò un’occhiata d’avvertimento: ah, sì la famosa legge della coerenza. Se dici una cosa la devi mantenere nel bene e nel male. Quella regola era un’arma a doppio taglio.
«Sì, lo sei» rispose infine. «In questi giorni, però, ti sei comportato bene. Se non sbaglio hai finito tutti i compiti delle vacanze, no?».
Albus annuì timidamente e si riempì la bocca di pancake, forse per prendere tempo e riflettere sulle parole migliori da pronunciare – il vecchio Albus pensava sempre prima di parlare – o in attesa che Harry stesso aggiungesse qualcosa.
«Allora, vuoi che ti prenda un nuovo romanzo o no? O forse preferisci un fumetto come James?». Harry non aveva nessuna intenzione di desistere proprio a quel punto.
Albus si mordicchiò il labbro nervosamente e continuò a mangiare.
«C’è qualcosa che vuoi chiederci?» intervenne Ginny.
Il ragazzino si morse nuovamente il labbro e annuì lentamente. Harry allungò una mano e gli scompigliò affettuosamente i capelli. «E fallo, no? Ti abbiamo sempre ascoltato, lo sai». Poi colto da un’illuminazione improvvisa aggiunse: «Puoi confidarti con noi come prima di Hogwarts, stai tranquillo non sarai mai troppo grande». Non aveva problemi a immaginarsi il figlio maggiore a raccontare simili scemenze al fratellino.
Albus stranamente s’incupì di più, ma nervosamente chiese: «Posso andare al Ghirigoro? Oggi Jeremy Edwards presenterà il suo nuovo romanzo e firmerà le copie acquistate».
Per poco Harry non scoppiò a ridere e non lo abbracciò: quello era il suo Albus! Niente scherzi potenzialmente pericolosi, niente atti di ribellione inspiegabili, niente di quell’Albus che Neville aveva descritto nella sua scheda! Solo il suo bambino, a cui brillavano gli occhi all’idea d’incontrare uno dei suoi scrittori preferiti tanto quanto sarebbero brillati a James alla vista del Cercatore della nazionale inglese di Quidditch!
«Ti va di spiegarci che cos’è accaduto a Scuola?» chiese a bruciapelo Ginny.
L’espressione di Al mutò rapidamente e, prima che abbassasse la testa sul piatto di nuovo e scuotesse la testa in risposta, Harry colse un luccichio nei suoi occhi verde smeraldo.
«Mi dispiace, Albus, ma se non ci dai una spiegazione accettabile, non andrai da nessuna parte oggi» sentenziò Ginny. E che l’avesse detto a malincuore, Harry glielo leggeva negli occhi. «E non ti muovere da qui finché non hai finito» sbottò subito dopo, fermando la sua fuga al piano di sopra. Il ragazzino obbediente tornò a sedersi e a torturare la sua colazione, ma a Harry non sfuggirono i primi lacrimoni che gli scivolarono sulle guance.
Odiava vedere i suoi figli piangere e ancor di più esserne la causa, ma si era anche ripromesso di non viziarli mai. L’immagine di Dudley che lanciava la sua Mega Multilation dalla finestra, era certamente indelebile nella memoria. Non avrebbe mai tollerato che i suoi figli divenissero in quel modo!
Harry avrebbe voluto parlare con Ginny e trovare la soluzione migliore a quella situazione, perché era evidente che non stessero andando da nessuna parte in quel modo. I loro occhi si incrociarono e comprese che ella la pensava allo stesso modo, ma prima che potesse chiederle di andare di sopra o di tentare ancora di parlare con Albus, la porta sul retro si aprì e due ragazzini irruppero nella piccola cucina.
«Ciao zia, ciao zio» trillò il più piccolo.
«Ciao, Hugo» rispose Harry accarezzandogli la testa.
«Ciao, tesoro. Vuoi un pancake o del succo di zucca?» chiese, invece, Ginny.
«Solo un po’ di succo di zucca, grazie. Abbiamo già fatto colazione» rispose Hugo educatamente.
«Io prendo volentieri qualche pancake» disse, invece, la ragazzina più grande, riempiendosi un piatto vuoto.
«Buongiorno a tutti!» disse una donna poco più che trentenne, seguita a ruota da un uomo dai capelli pel di carota quasi identici a quelli dei figli.
«Ciao, ragazzi» salutò Harry. «Qual buon vento vi porta qui di mattina presto?».
«Ron, non ti ho offerto nulla!» sbottò, invece, Ginny assottigliando lo sguardo e fissandolo mentre si riempiva il piatto proprio come aveva fatto la figlia.
«Ma sorellina, i tuoi pancake sono buonissimi!» ribatté Ron.
«Sei un lecchino» sibilò Ginny in risposta.
«Ron, smettila di comportarti come un bambino e di dare il cattivo esempio ai tuoi figli!» lo rimproverò la moglie.
«Su, Hermione, lascia stare» intervenne Harry, che non desiderava assistere a una loro lite di prima mattina.
«Oggi andremo a Hyde Park, poi al Ghirigoro per incontrare Edwards, poi a pattinare e infine a prendere la pizza» annunciò allegro Hugo, porgendo il bicchiere vuoto alla zia perché lo riponesse nel lavandino. «Lily, Al e Jamie possono venire con noi?».
«Ci divertiremo un po’ alla babbana» spiegò Ron dopo aver ingoiato un grosso boccone. «Devo ammettere di essere un po’ preoccupato. Sai, non usare la magia per tutto il giorno» soggiunse rivolto specialmente a Harry.
«Oh, Ron, sopravvivrai per un giorno» sbottò Hermione alzando gli occhi al cielo.
«Allora, zio, zia, possono venire?» trillò Hugo.
«Perché non vai a svegliare Lily e le chiedi se le va?» replicò Harry.
«Posso usare l’acqua del bagno?» chiese il piccolo.
«Certo, ma non buttarne sul pavimento. Potreste scivolare» replicò con noncuranza Harry, precedendo Hermione che probabilmente avrebbe rimproverato il figlio, e, mentre quest’ultimo trotterellava al piano di sopra, si rivolse a lei: «Suvvia, non sono neanche le nove del mattino, se non fa così, Lily non si sveglierà mai».
«Non vedo l’ora di uscire» commentò Rose felice e soddisfatta, dopo aver finito i pancake insieme al padre.
«Ne preparo altri per Jamie e Lily» borbottò Ginny contrariata e lanciò un’occhiataccia a Ron.
«Al, muoviti e vai a vestirti!» strillò Rose, provando a tirargli un calcio da sotto il tavolo. Fortunatamente era troppo distante.
«Rose, ne abbiamo parlato…» iniziò Hermione, ma Ginny la interruppe.
«Albus, non va da nessuna parte».
«Ma zia Ginny! Sei più esagerata di zio Percy! Non puoi non farlo venire, Edwards è il suo scrittore preferito» si lamentò Rose.
«Te l’ho detto un sacco di volte Rose, a Scuola bisogna sempre fare il proprio dovere» sentenziò Hermione.
Questo fu evidentemente troppo per Albus, che si alzò e, ignorando persino i richiami della madre, si diresse fuori dalla cucina senza una parola. Nessuno fece in tempo a dire nulla o a fermarlo, perché nello stesso momento Hugo arrivò correndo e urlando:
«Zio, ti prego, salvami!».
Hugo corse da Harry e si nascose dietro le sue spalle.
«Io ti ammazzo!» urlò una bambina dai lunghi e disordinati capelli rossi, entrando in cucina con occhi di fuoco.
Harry aprì le braccia e la bambina, esitando un attimo a cambiare obiettivo, si lanciò tra le sue braccia. «Papà, mi ha lanciato l’acqua in faccia!» si lagnò, tentando di tirare un calcio all’altro ragazzino. Hugo si allontanò prudentemente dalla sedia e cercò rifugiò vicino alla zia Ginny, che preparava la colazione.
«Lily, smettila di urlare e siediti a fare colazione, se vuoi andare a passeggio con gli zii oggi» intervenne Ginny con praticità.
«Dove andiamo?» chiese la bambina ora tutta contenta rivolta agli zii.
«Hyde Park, Ghirigoro, pista di pattinaggio e pizzeria» riassunse Hugo, beccandosi però un’occhiataccia. Evidentemente non l’aveva ancora perdonato.
In quel momento il primogenito della famiglia fece il suo ingresso nell’affollata cucina.
«Ma che è tutto questo chiasso?» domandò stropicciandosi gli occhi.
«Hugo, mi ha svegliato buttandomi l’acqua in faccia!» gli raccontò immediatamente Lily.
«Perché c’è un altro modo per svegliarti?» sbadigliò il ragazzo.
Lily gli lanciò in faccia un tovagliolo, beccandosi un’occhiataccia e un rimprovero dalla madre.
Harry sospirò e, con la scusa di dover recuperare dei documenti nel suo studio, salì al piano di sopra alla ricerca di Albus.
Come aveva immaginato, lo trovò in camera sua in lacrime e intento a prendere a pugni il suo cuscino. Albus percepì la sua presenza e gli lanciò una breve occhiata. Da dove veniva tutta quella rabbia e quella tristezza?
«Finisco alle cinque oggi. Se vuoi per cena, possiamo ordinare la pizza» tentò gentilmente.
Albus aveva smesso di torturare il cuscino e, sicuramente, l’aveva sentito. Per un attimo a Harry sembrò che gli stesse per dire qualcosa, ma poi, evidentemente, cambiò idea e si limitò ad annuire leggermente.
Si avvicinò e lo baciò sulla testa. «Ci vediamo più tardi».
Sulle scale, Harry incontrò la moglie.
«Gli hai parlato?» gli domandò per prima cosa.
«Gli ho detto che stasera ordiniamo la pizza».
«Ok, almeno non devo cucinare io» sospirò Ginny.
«Non puoi portarcelo in libreria?» le chiese Harry.
«Non possiamo cambiare idea solo perché fa i capricci» tentò allora Ginny, ma non ci credeva neanche lei.
«Si tratta di un libro, dopotutto. Non lo mandiamo mica a divertirsi con Ron e Hermione».
«Va bene, se fa il bravo, lo porterò» acconsentì allora la moglie.
Harry sorrise, contento che la pensasse come lui e la baciò.
Era padre da dodici anni, ma ancora con i figli si sentiva proprio come quando l’infermiera del San Mungo gli aveva portato James e lui non sapeva da che parte prenderlo con il sacrosanto terrore di romperlo.
 

 

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


Disclaimer (naturalmente dimenticato nel capitolo precedente): i personaggi appartengono a J.K. Rowling e questa storia non è a scopo di lucro. 

Capitolo II

 
Harry, come ogni mattina, si recò in ufficio smaterializzandosi poco fuori l’ingresso del personale. Fu costretto a salutare e stringere la mano a moltissime persone – anche questo faceva parte della sua routine quotidiana – di cui spesso non ricordava il nome. Sicuramente tutti lo conoscevano a causa della sua storia o della sua attuale posizione presso il Ministero della Magia britannico, ma sperava che, almeno qualcuno, si mostrasse tanto gentile con lui non per la sua fama ma per aver realmente avuto a che fare con lui e averlo apprezzato. Purtroppo era difficile stabilirlo.
«Harry, buongiorno» lo salutò calorosamente un uomo di colore, calvo ma con dei profondi occhi scuri che sapevano, a comando, mettere in soggezione o al proprio agio l’interlocutore di turno.
«Kingsley» ricambiò Harry con un sorriso sincero. Sulla loro reale amicizia non nutriva alcun dubbio. Lo conosceva dall’età di quindici anni ed era stato un’ottima guida per lui dal momento in cui aveva messo piede al Ministero per la prima volta.
Kingsley Schacklebolt era Ministro della Magia fin dal 1998, anno in cui Harry era finalmente riuscito a sconfiggere uno dei maghi più oscuri dell’ultimo secolo e mezzo.
Il Ministro congedò uno dei suoi collaboratori e si avviò agli ascensori insieme a Harry.
«Come va? Ti vedo preoccupato. Qualche caso particolarmente spinoso?» domandò Kingsley.
«Si vede così tanto che sono preoccupato?» replicò Harry. Decisamente non era mai stato bravo a nascondere i suoi sentimenti, ma tentava sempre di non mescolare il lavoro con la vita privata e viceversa.
«Sì, probabilmente perché ti conosco abbastanza. Immagino che chi non lo fa, si limiterebbe a girarti alla larga perché hai la faccia da ‘sono già incazzato, attenzione a non farmi infuriare’».
«Bene, oggi devo solo incontrare alcune reclute del terzo anno che dovrebbero iniziare il tirocinio» sbuffò Harry.
«Non le invidio per nulla» ribatté allora Kingsley, accennando un lieve sorriso. «Qual è il problema?».
Harry sospirò mentre entravano nell’ascensore, fortunatamente vuoto. Gli raccontò di Albus e delle preoccupazioni sue e di Ginny. «Alastor ti ha detto niente?».
Kingsley s’incupì leggermente. «Alastor mi ha solo mostrato la sua scheda» disse semplicemente.
Kingsley, dopo la guerra contro Voldermort, si era sposato e trasferito a Godric’s Hollow, lo stesso villaggio in cui Harry e Ginny avevano deciso di abitare. Alastor, figlio più piccolo del Ministro, aveva la stessa età di Albus ed erano amici fin da piccolissimi. E, per fortuna, erano stati smistati nella stessa Casa una volta giunti a Hogwarts.
Harry, comunque, si pentì di aver posto quella domanda: Kingsley più volte si era confidato con lui e rilevato la sua tristezza perché gli impegni da Ministro lo tenevano spesso lontano da casa e la consapevolezza di non riuscire a stringere un rapporto forte con i propri figli.
«Mi sembra strano quello che ha scritto Neville Paciock. Sembra quasi che non parli dello stesso ragazzino che conosco» disse Kingsley, scendendo insieme a lui al piano del Dipartimento Applicazione della Legge sulla Magia. «Albus e Alastor, poi, sono molto legati. Di solito le marachelle le hanno sempre fatte insieme… Ma nulla di quello che mi hai detto, è presente sulla scheda di Alastor».
Harry era grato a Kingsley per i suoi tentativi di aiutarlo, ma quello che aveva appena detto ossessionava anche lui e Ginny da giorni.
«Ci vediamo più tardi» sospirò infine Harry, fermandosi all’ingresso del Quartier Generale degli Auror, cacciatori di maghi oscuri, di cui era il Capitano da quasi dieci anni.
Kingsley lo salutò, ma poi lo richiamò indietro: «Per quello che vale» disse corrugando la fronte come si stesse sforzando di ricordare qualcosa, «una volta, una delle tante, in cui mia moglie ha portato Rose come esempio e modello da seguire, Alastor ha fatto un commento strano, come se non fosse d’accordo. Io non gli chiesi spiegazioni, mia moglie lo tacciò di essere invidioso o qualcosa di simile».
Harry si accigliò leggermente e lo ringraziò. In realtà non sapeva che farsene di quell’informazione: probabilmente al ragazzino aveva dato fastidio essere paragonato all’amica ed era perfettamente normale. Ron temeva che l’atteggiamento perfettino della figlia l’avrebbe portata a isolarsi un po’ come faceva la figlia di suo fratello Percy. Personalmente gli sembrava che fosse una paura infondata: Rose era sempre al centro delle attenzioni dei suoi cugini e sembrava anche aver stretto amicizia in quei primi mesi di Scuola.
«Buongiorno, Capitano Potter» lo riscosse dai pensieri la sua segretaria.
«Buongiorno, signora Matthews» replicò gentilmente. «Ha qualche messaggio per me?».
«No, Capitano, ma dovrebbe proprio sistemare quelle pratiche che ha sulla scrivania».
Harry gemette, cogliendo l’espressione severa della donna. Non l’avrebbe perdonato se avesse lasciato passare anche quel giorno. Egli odiava il lavoro da scrivania e trovava ogni modo pur di rimandarlo. La sua segreteria lo sapeva e lo controllava con attenzione.
«Ha ragione, vado a occuparmene immediatamente» sospirò vinto.
Sebbene, come già detto, egli odiasse profondamente il lavoro d’ufficio, e la svogliatezza con cui si accostò alla prima pratica in quel momento fu più che palese, era naturalmente contento che non vi fosse qualche mago oscuro che minacciasse la sicurezza della comunità magica e naturalmente della sua famiglia. E tutto sommato se il prezzo della felicità e tranquillità dei suoi cari era un po’ di noia, l’avrebbe sopportata sempre volentieri.
Pensandoci si mise a lavorare di buona lena, ma un’ora dopo la pila dei documenti sembrava aumentare anziché diminuire. Che la sua segreteria l’avesse incantata per punirlo della sua terribile abitudine di procrastinare tali mansioni?
Sbuffò enormemente annoiato e trattenne a stento uno sbadiglio. Forse anche un consiglio di Dipartimento sarebbe stato meno pesante. Ok, no, non esageriamo.
Gli occhi gli caddero sulle foto che teneva sulla scrivania e sorrise. Ne aveva parecchie, ma per anni aveva desiderato una famiglia e ora che ce l’aveva non riusciva a farne a meno. Per quanto non fosse ortodosso, specialmente Hermione non approvava, aveva piacere a portare i figli con sé al lavoro. Era ora che sia James sia Albus frequentavano Hogwarts, li mancavano terribilmente, nonché Lily non s’impegnasse a movimentare la sua giornata e quella della moglie, quella bambina era peggio del fratello più grande.
Una foto, una delle più vecchie, ritraeva lui, Ron e Hermione alla fine del loro primo anno a Hogwarts. Erano ancora dei bambini e i loro figli li assomigliavano tantissimo. Peccato che non fossero del tutto innocenti, visto che lui stesso aveva incontrato per la prima volta ciò che rimaneva di Lord Voldemort.
Un’altra ritraeva la famiglia Weasley al completo, o almeno quasi: naturalmente mancava Fred, che era stato ucciso durante la ormai nota Battaglia di Hogwarts. Con una fitta al cuore si rese conto che erano quasi trascorsi vent’anni. E George, il fratello gemello di Fred, in quella foto presentava all’obiettivo un sorriso falso. La foto era stata scattata per ordine di Molly Weasley, la matriarca della famiglia, fuori dalla Tana, quando Fleur e Bill, i suoi cognati, erano tornati a casa con la piccola Victoire, la più grande dei suoi nipoti, nata il giorno prima. Molly era certa, e pretendeva che anche i figli lo comprendessero, che quello fosse un nuovo inizio per la loro famiglia, l’inizio di una vita senza la minaccia di un mago oscuro e piena di felicità. Tutto sommato non aveva avuto torto, di lì a qualche anno, persino George avrebbe recuperato il suo sorriso alla nascita del suo primogenito Fred.
La foto che più gli riempiva il cuore, però, era quella dei suoi bambini. Lì sulla scrivania ne aveva ben due: una scattata poco dopo la nascita di Lily, la bambina era stata adagiata sul letto del genitori, e si guardava intorno con occhioni curiosi, ma mai quanto quelli di Jamie e Al, di tre e due anni, che la fissavano con sommo interesse; l’altra risaliva all’anno precedente, scattata alla stazione di King’s Cross: James indossava, eccitato, la divisa di Hogwarts ed era circondato dai fratellini.
E naturalmente non poteva mancarne una che ritraeva lui e Ginny intenti a baciarsi.
Qualcuno lo tacciava di essere un sentimentalista, visto tutte le foto che teneva, ma erano persone che non sapevano che cosa significasse vivere per undici anni senza nessuno che ti vuole bene.
Quelle foto ogni giorno gli davano la forza di dare il meglio di sé nel combattere l’oscurità.
Con l’ennesimo sospiro e uno sbadiglio soffocato si rimise al lavoro prima che la signora Matthews irrompesse nell’ufficio chiedendo le pratiche firmate. Lavorò diligentemente quasi fino all’ora di pranzo, quando all’improvviso qualcuno bussò alacremente alla porta e aprì senza aspettare il permesso. Poco persone avevano la confidenza di farlo.
«Harry, li abbiamo trovati!» quasi gridò uno dei suoi sotto ufficiali, palesemente soddisfatto.
«Avete trovato chi, Rick?» replicò Harry perplesso.
«Quei pozionisti che facevano esperimenti oscuri fuori Londra! Ti ricordi quello scoppio di magia di qualche mese fa?».
«Ottimo» assentì all’istante Harry, ricordando il caso che aveva affidato a Rick Lewis, un Auror più anziano e con maggiore esperienza di lui.
«A quanto pare sono in una villa ben protetta» comunicò Rick.
«Prepara una squadra e allerta gli spezzaincantesimi. Vengo con voi». Beh, aveva lavorato a sufficienza in ufficio per quel giorno, la sua segreteria poteva esserne soddisfatta.
Rick corse a diramare gli ordini e preparare la squadra; nel frattempo Harry, con una certa soddisfazione, fece levitare una pila di scartoffie sulla scrivania della signora Matthews e l’avvertì che per un po’ non ci sarebbe stato.
 
Harry e i suoi uomini si smaterializzarono poco dopo in una specie di radura.
«La villa si trova qui vicino» disse Rick e li guidò.
«Vadano avanti gli spezzaincantesimi» ordinò Harry. «Circondate la villa».
Attesero almeno dieci minuti prima che uno di questi ultimi tornasse indietro dando il via libera. Egli procedette con Rick e si nascose dietro alcuni cespugli. Strinse la bacchetta, fremendo in attesa dello scontro.
«Miller, allora?».
«Tutte le difese sono state disattivate, signore. C’è una cosa strana, però» rispose l’Auror.
«Che cosa?» replicò immediatamente Harry.
«La villa è abitata, ma nessuno è intervenuto. È come se non si fossero accorti che abbiamo superato le loro difese. Eppure, dovrebbero essere dei combattenti esperti…» rispose Miller.
«O non lo sono…» iniziò Harry con una smorfia.
«… o ci stanno tendendo una trappola» completò Rick.
«Beh, comunque non abbiamo scelta. Muoviamoci» ribatté Harry uscendo allo scoperto e avviandosi, seguito immediatamente dai tutti i suoi uomini. «Miller, rimanete a monitorare il perimetro» ordinò appena raggiunse la porta d’ingresso. «Alohomora» formulò puntando la bacchetta contro la serratura, che scattò. «Rick, controlla i piani superiori e porta con te quattro uomini». Lasciò che il suo vice sotto ufficiale scegliesse un gruppo di Auror e si avviasse verso le scale che conducevano al primo piano. «Voi altri con me. Controlliamo tutte le stanze. Disarmate e arrestate chiunque troviate» ordinò agli uomini rimasti con lui.
Al pian terreno incontrarono solo persone, che tentarono di difendersi molto blandamente e non fu un problema metterli fuori gioco. In un salotto, decorato in modo vetusto con trine e fronzoli vari, trovarono un passaggio segreto diretto nel seminterrato.
«Vado avanti io» disse Harry, precedendo i suoi uomini. Accese la bacchetta e illuminò i suoi passi. Giunsero in uno stretto corridoio, ancora più buio delle scale. Aprì la prima porta alla loro destra: era una dispensa. E non vi era nessuno. Possibile che le presenze che avevano individuato nella villa, fossero solamente i due uomini già arrestati?
Entrò in un’altra stanza, lasciando tre Auror di guardia, e qui rimase parecchio sorpreso: un laboratorio di pozioni. Harry diede un’occhiata in giro, costatando la polvere su mobili e alambicchi, e alcuni calderoni incrostati e non utilizzati da diverso tempo.
«Ragazzi, qui non entra nessuno da diverso temp-». Non concluse la frase che fu agguantato alle spalle, notando con la coda dell’occhio che gli uomini entrati con lui erano stati bloccati. Come avevano fatto a prenderli così di sorpresa?
La persona che l’aveva afferrato non lo colpì, ma lo costrinse a bere un liquido dallo strano gusto.
«Capitano, che succede?».
Gli Auror di guardia si erano insospettiti dalla mancanza di rumori e dal fatto che non tornassero indietro.
Era troppo tardi, però. Harry non ebbe il tempo né di parlare né di pensare alcunché mentre la vista gli si annebbiava e perdeva conoscenza.

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Capitolo 3
*** Capitolo III ***


Capitolo III
 
«Albus, smettila di piangere» sospirò Ginny. «Tuo padre ha nove vite, come i gatti».
Non che non fosse spaventata anche lei, anzi. Appena la lince argentata di Kingsley aveva fatto irruzione in casa sua, aveva avuto un tuffo al cuore quasi come se avesse già previsto le parole che avrebbe ascoltato.
Fortunatamente i suoi genitori, Arthur e Molly Weasley, erano accorsi immediatamente al San Mungo, l’ospedale dei maghi. Fortunatamente perché da sola non sarebbe mai riuscita a mantenersi calma e tentare di autoconvincersi che tutto andasse bene con Albus che piangeva.
Quando era arrivato il messaggio di Kingsley, Ginny stava litigando con lui, che aveva avuto un atteggiamento scostante e tendenzialmente ribelle per tutta la mattinata. Albus era rimasto totalmente sconvolto dalla notizia del ferimento del padre e neanche il nonno, con cui solitamente aveva un ottimo rapporto, riusciva a consolarlo in quel frangente.
«Signora Potter».
La voce del medimago di turno riscosse Ginny dai suoi pensieri e dal volto arrossato del figlio. Ella si voltò e lo fissò per un attimo, prima di avvicinarglisi. Si ripetè come una mantra che andava tutto bene: insomma Harry Potter aveva rischiato la vita fin dall’età di un anno, non poteva mica farsi fregare da un piccolo scontro mentre era in servizio!
Il guaritore con un cenno le fece comprendere di voler parlare in privato, mandando a farsi strabenedire i suoi tentativi di tranquillizzarsi. Rassegnata, Ginny lo seguì nel suo ufficio, ma a quel punto non resistette più e chiese: «Come sta mio marito? Sta bene, vero?».
L’uomo si mosse a disagio e borbottò: «In un certo senso».
Ginny sentì la rabbia montare: odiava le persone che giravano troppo intorno ai problemi. «Che vuol dire in un certo senso? O sta bene o non sta bene!» sbottò in tono minaccioso.
«Non mi era mai capitato un caso del genere… Ho chiamato anche un collega per…» borbottò ancora il medimago.
Oh, l’avrebbe schiantato, Ginny ne era sicura. Strinse i pugni e quasi gridò: «Sta bene o no?».
«Parlo io con la signora, Jacobs» intervenne una voce. Nell’ufficio era entrato un altro medimago e loro non se n’erano nemmeno accorti.
«Oh, sì, forse è meglio Anthony» rispose il guaritore Jacobs contorcendosi le mani per il nervoso e si defilò rapidamente.
Ginny lo fulminò con lo sguardo e poi si rivolse ad Anthony Goldstain, che conosceva dai tempi della Scuola. «Allora, vuoi spiegarmi?».
«Harry sta bene. I suoi parametri vitali sono perfetti» rispose Anthony pacatamente.
La donna per un attimo si sentì invadere dal sollievo, poi si rese conto che doveva esserci qualcosa che non andava. «Ma…? Qual è il problema allora? Il tuo collega mi ha fatto capire che non va tutto bene».
Anthony sospirò e si decise a spiegare chiaramente: «Per quel poco che hanno raccontato gli Auror, che erano con lui al momento dell’aggressione, Harry è stato costretto a bere una pozione e quasi immediatamente ha perso i sensi. In un primo momento erano sicuri che fosse veleno, perciò l’hanno portato subito qui, ma non risulta alcuna traccia di veleno nel suo corpo».
«Se non era veleno, allora cos’era?» lo incalzò Ginny.
«Una pozione sperimentale» ammise Anthony. «Non ne ho mai vista una simile. Abbiamo bisogno di tempo per studiarla e distillarne l’antidoto».
«Antidoto? Ma hai detto che non è veleno» ribatté Ginny perplessa.
«Sì, ma… insomma Harry è tornato bambino» dichiarò Anthony lentamente, temendo palesemente la reazione della donna.
Ginny aprì la bocca per replicare, ma la richiuse incerta. «Mi stai prendendo in giro?» gli chiese dopo aver metabolizzato le parole del medimago.
«No. Vieni, ti accompagno nella sua stanza» sospirò Anthony e la guidò nuovamente nel candido e immacolato corridoio, che continuava a pullulare di Auror come dieci minuti prima. Albus era ancora stretto al nonno, che tentava di consolarlo. Ginny non si fermò ed evitò il loro sguardo, non era pronta a rispondere alle loro domande.
Harry aveva una stanza singola, probabilmente in virtù del suo nome e della sua posizione come Capitano degli Auror. E, naturalmente, anche per una questione di sicurezza.
Ginny ebbe un tuffo al cuore vedendolo. Se non avesse appena visto Albus seduto fuori nel corridoio, avrebbe giurato che il viso infantile e delicato che sbucava dalle lenzuola fosse il suo e non quello di Harry. Non disse nulla, ma sedette delicatamente sul bordo del letto e lo accarezzò. Solo quando fu certa che se avesse aperto bocca non fosse scoppiata in lacrime, chiese al guaritore: «Quando si sveglierà?».
«Non posso dirtelo con certezza, ma, secondo me, non manca molto» rispose prontamente Anthony.
«E poi?» insisté Ginny. Aveva bisogno di razionalizzare quell’assurdo situazione.
«Faremo ulteriori esami e tenteremo di trovare un antidoto».
«Quelli che gli hanno fatto bere la pozione, non ce l’hanno?».
«Non lo so» ammise Anthony. «Gli Auror si sono rifiutati di rispondere alle nostre domande».
Ginny si voltò verso di lui e i suoi occhi luccicarono. «Ah, è così?» sbottò. «Parleranno con me, te l’assicuro!» dichiarò immediatamente alzandosi e dirigendosi fuori dalla stanza a grandi passi.
«Ginny, tesoro, allora?» le chiese sua madre.
Ginny, però, la ignorò e si diresse verso i due Auror di guardia. «Che cos’è accaduto esattamente a mio marito?» domandò a voce bassa e minacciosa.
I due si scambiarono uno sguardo nervoso. «Non siamo autorizzati a rispondere» disse infine quello che sembrava il più vecchio.
La donna sbuffò e gli fece il verso. «Non siamo autorizzati a rispondere! A me non frega niente di quello che siete autorizzati a fare o meno!» gridò facendoli sobbalzare.
«Ginny, cara, siamo in un ospedale» intervenne Molly Weasley, sperando che la figlia si calmasse e non agisse impulsivamente com’era sua abitudine.
Ginny si morse il labbro, senza smettere di fissare trucemente i due Auror. Alla fine estrasse la bacchetta, facendoli fremere poiché non avrebbero voluto certo alzare le proprie contro la moglie del capo. «Exspecto Patronum!» formulò semplicemente la donna. Una cerva argentata fuoriuscì e trottò oltre una finestra. Si voltò verso i suoi famigliari e dichiarò: «Ho chiamato Ron. Li farà parlare lui. Non potranno risponderli che non sono autorizzati».
«Un’ottima idea» sospirò Molly sollevata.
Ginny si avvicinò ad Albus e sospirò: «Stai tranquillo, papà sta bene. L’ho appena visto».
«Posso vederlo?» replicò Albus, tirando su con il naso.
«No, ancora no».
«Ti prego, farò tutto quello che vuoi» la implorò con quelli occhioni verdi, identici a quelli di Harry.
Ginny lo abbracciò stretto e ripeté. «Ora non si può. Abbi pazienza, ti prego». Poi allentò la stretta e si rivolse al guaritore. «Vero, Anthony?».
Il medimago annuì e aggiunse rivolgendosi al ragazzino: «Vedi tuo padre ha bevuto una pozione. Sta bene, ma dobbiamo fargli ulteriori esami. Fino ad allora può entrare solo tua madre».
Albus non sembrò contento di quelle parole, ma non si lamentò ulteriormente.
«Senti, perché non vai a prenderti qualcosa al bar?» gli chiese Ginny a quel punto. Non aveva senso che rimanesse ancora lì. «Mamma, papà, potete accompagnarlo?».
«Naturalmente» rispose prontamente Molly, comprendendo pienamente la sua richiesta sottintesa. «Arthur, tu rimani con Ginny».
Appena nonna e nipote si furono allontanati, Arthur chiese esplicitamente: «Che cosa succede veramente?».
«Non ho mentito ad Al. Harry sta bene» ribatté Ginny. «L’unico problema è che è tornato bambino».
«Bambino?» ripetè Arthur esterrefatto.
«Già. Sembra Albus. Vuoi vederlo?».
«Certo» rispose Arthur.
«Possiamo, vero, Anthony?» chiese Ginny all’amico.
«Sì, prego».
Rientrati nella stanza, la donna si risedette sul letto e riprese ad accarezzare il volto del marito, mentre il padre tentava di elaborare quanto scoperto.
«Pensa anche come un bambino?» domandò Arthur rompendo il silenzio.
Ginny si voltò di scatto verso i due uomini, sorpresa per quella possibilità a cui non aveva neanche pensato.
«Dobbiamo aspettare che riprenda conoscenza per scoprirlo» replicò Anthony.
Rimasero in silenzio per un bel po’. All’improvviso le voci di Hermione e James si levarono irate nel corridoio, attirando la loro attenzione.
«Perché Jamie e Hermione litigano?» borbottò Harry con voce impastata.
Ginny tornò a guardarlo, sgranando gli occhi. Intenta a comprendere il motivo dell’irritazione del suo primogenito, non si era accorta che Harry si stava risvegliando.
«Si ricorda di loro» sospirò Arthur sollevato, mentre Anthony si avvicinava per visitare Harry.
«Perché non dovrei ricordarmi di mio figlio e della mia migliore amica?» biascicò quest’ultimo.
«Per favore, papà, esci e dici a James di tacere o esco io e lo strozzo» sibilò Ginny.
«Come ti senti?» chiese nel frattempo Anthony all’Auror.
«Mmm ho un mal di testa atroce» borbottò Harry, portandosi le mani alle tempie.
«Ti ricordi che cos’è successo?» indagò il medimago.
Harry chiuse gli occhi per qualche secondo, quando li riaprì rispose: «Siamo andati ad arrestare un gruppo di malviventi. Uno di loro mi ha preso di sorpresa e mi ha costretto a bere una pozione. Ho sentito gli uomini, che avevo lasciato di guardia, entrare nel laboratorio e poi ho perso i sensi. Hanno tentato di avvelenarmi?».
«No».
«Quindi che effetti aveva?».
«Guardati».
Harry spostò il lenzuolo e dovette strizzare gli occhi più volte, pensando di avere qualche problema di vista, nonostante la moglie gli avesse messo gli occhiali.
«Mi hanno accorciato gli arti?» sbottò iniziando a innervosirsi. «Perché non li avete fatti ricrescere. E…» si bloccò all’improvviso come riflettendo su qualcosa. «Perché diamine ho questa vocetta acuta? Assomiglio ad Al e Jamie!».
«Non ti hanno accorciato gli arti» spiegò Anthony pacatamente. «In questo momento, almeno a livello fisico, hai all’incirca dodici anni».
«Ma che caspita dici?» sbottò Harry.
Il medimago non ebbe il tempo di replicare che Ron irruppe nella stanza gridando il nome del suo migliore amico e beccandosi un’occhiataccia da Ginny e Anthony.
«Oh, porco Merlino» sbottò Ron trasecolato appena lo vide. «Allora, mio padre non scherzava!».
«Non avete detto nulla ai bambini, vero?» domandò Ginny.
«No, tranquilla. Arthur li ha portati al bar» rispose Hermione scivolando dentro la stanza con molta più grazia del marito e chiudendosi la porta alle spalle.
«I ragazzi hanno arrestato gli uomini che si nascondevano nella villa e l’hanno sequestrata» annunciò Ron, che aveva già parlato con gli Auror di guardia. «In questo momento Rick li starà interrogando».
«Meno male. Vai e vedete di scoprire qualcosa» ordinò Harry, odiando la vocettina che gli usciva.
«Non sei molto credibile a dare ordini» ridacchiò Ron.
«Ronald Weasley!» sbottò Ginny estraendo la bacchetta. «Vedi quello che devi fare o io sarò molto più credibile!».
«Ok, ok, vado» borbottò Ron alzando le mani in alto e allontanandosi velocemente.
«Io vado al Ministero. Devo assolutamente parlare con Kingsley» disse Hermione. «Ci vediamo dopo».
«Vi lascio soli» intervenne Anthony.
Ginny sedette nuovamente sul bordo del letto e abbracciò il marito per qualche minuto, poi sospirò e si alzò: «Vado a dire ai miei di portare i bambini alla Tana con loro. Non ha senso che rimangano qui. Quando James e Lily si annoiano, c’è il rischio che distruggano qualcosa».
Fortunatamente ella non impiegò molto tempo, perché Harry non sopportava stare troppo solo in quelle condizioni. Altro che Jamie e Lily! Avrebbe distrutto lui qualcosa!
I due coniugi parlarono del più e del meno per un po’, entrambi intenzionati a evitare di affrontare quanto accaduto. Verso le sei un’infermiera portò la cena a Harry, ma egli aveva lo stomaco chiuso e si rifiutò di mangiare alcunché.
A quel punto, Ginny sospirò: «Ne abbiamo affrontate tante e sicuramente peggiori. Supereremo anche questa».
Harry annuì, lieto di averla al suo fianco e le appoggiò la testa in grembo, tentando di tranquillizzarsi.
A sera tardi tornò Ron. Appariva stanco e si posizionò dall’altra parte della camera rispetto alla sorella. Kingsley e Rick l’avevano accompagnato e salutarono Harry.
«Dimmi che porti una soluzione» sibilò Ginny al fratello maggiore.
«Non proprio» rispose Ron.
«Che vuol dire non proprio?» si arrabbiò Ginny.
«Tesoro, tranquilla» la trattenne Harry, consapevole che si sarebbe volentieri sfogata sul fratello. «Ditemi che cos’avete scoperto» aggiunse rivolto ai tre.
«Quelli che abbiamo arrestato non hanno la minima idea di come sia fatta la pozione» confessò Ron, lanciando occhiate nervose a Ginny.
Harry si passò una mano sul volto e strinse forte quella della moglie con l’altra.
«Però abbiamo scoperto che l’inventore della pozione si trova a Hogwarts» aggiunse Ron.
«A Hogwarts?» ripeté sorpreso Harry. Da qualche anno aveva assunto la cattedra di Pozioni, Ernie Mcmillan, che conoscevano dai tempi della Scuola. Era impossibile che fosse stato lui a inventarla!
«Quelli che abbiamo arrestato erano dei guardiamaghi. Si occupavano di proteggerlo, trovargli gli ingredienti necessari per il suo lavoro e custodire la villa» spiegò Rick.
«Allora si deve spostare l’indagine a Hogwarts» sospirò Harry.
«Le lezioni riprenderanno tra qualche giorno. Dovrai mandare subito un paio di Auror» intervenne Kingsley.
Harry annuì. «Ron, Rick, occupatevene voi». Poi, come colto da un improvviso dubbio, si rivolse a Anthony che li aveva silenziosamente raggiunti. «Ma una pozione sperimentale non dovrebbe essere instabile?».
Il medimago si accigliò. «Dovrebbe. Ma a questo punto non so fino a che punto sia sperimentale. Se lo fosse, dovresti tornare un po’ grande e poi ritornare piccolo. Finora non è mai accaduto però».
Ron si schiarì la voce in evidente disagio. «Ehm, abbiamo una cattiva notizia» annunciò, fissando spaventato Ginny.
Harry lo guardò male e non fu l’unico.
«Secondo quanto abbiamo scoperto, la pozione non è più sperimentale. Durante l’ultima prova, la cavia è tornata adulta solo dopo aver bevuto l’antidoto».
Harry imprecò. «Vai immediatamente a Hogwarts!» sbottò dopo essersi sfogato.
«Corro» replicò Ron, non volendo rimanere un minuto di più nella stessa stanza della sorella arrabbiata.
Rick e Kingsley salutarono e lo seguirono. Comunque non rimasero soli a lungo, perché Hermione li raggiunse poco dopo.
Scambiarono qualche parola di rito, non aggiungendo nulla sull’indagine in corso, visto che ella era già informata.
«È meglio che vada» sospirò Hermione dopo un po’. «I bambini staranno facendo disperare Molly e Arthur».
«Al, Jamie e Lily possono rimanere alla Tana» le disse Ginny. «Non lascerò solo Harry stanotte e tu domani dovrai alzarti presto per andare a lavoro».
«Va bene, come preferite» replicò Hermione. «Harry si risolverà tutto, vedrai».
Harry sospirò sperando che anche in quel caso la sua migliore amica avrebbe avuto ragione.

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Capitolo 4
*** Capitolo IV ***


Capitolo IV
 
«Non abbiamo trovato nulla» annunciò Ron entrando nella camera del San Mungo, che era stata riservata al suo migliore amico. Era stanco: i suoi occhi erano cerchiati di nero e il suo viso pallido. Aveva trascorso la notte a perquisire Hogwarts e persino Ginny decise di non arrabbiarsi con lui.
«Come nulla?» ripetè Harry estremamente deluso. Aveva sperato che avrebbero trovato immediatamente il colpevole e che quell’assurda situazione si sarebbe risolta rapidamente. D’altronde si chiamava Harry Potter, come avrebbe potuto pretendere una cosa del genere? Ormai, avrebbe dovuto farci l’abitudine a tutti i guai che attirava!
«Nulla» confermò Ron mestamente. Era stato accompagnato da Adrian Wilson, uno dei sotto vice ufficiali della squadra Auror. «Abbiamo perquisito ogni angolo del castello e, con particolare attenzione, gli uffici degli insegnanti».
«Quindi gli arrestati hanno mentito?» chiese Ginny contrariata ed anche ella visibilmente delusa e sconfortata.
«Ne dubito. Come da protocollo, abbiamo utilizzato il Veritaserum. Non sembrano dei maghi abbastanza abili da opporsi a una pozione tanto potente» replicò Ron. «Comunque, in questo momento, Dora Morgan li sta interrogando nuovamente».
«Andrò a darle una mano» sospirò Harry, scostando le coperte. Lui e la moglie non avevano dormito molto quella notte, ma ora che stava albeggiando sicuramente non avrebbero ripreso sonno.
Ron non trattenne un piccolo sbuffo divertito. «Non mi sembra una buona idea, Harry» disse cautamente. «I ragazzi probabilmente ti obbedirebbero pur di non mancarti di rispetto, ma quei criminali da strapazzo ti riderebbero in faccia e si prenderebbero gioco di te».
Harry lo fulminò con lo sguardo, ma Ginny sospirò: «Odio essere d’accordo con mio fratello, ma in questo momento persino Albus farebbe fatica a prenderti sul serio».
Il Capitano degli Auror non apprezzò il commento e imprecò prendendo a pugni il materasso.
«Oh, Ginny, il bambino fa i capricci» celiò Ron, ma il sorrisetto appena sorto sulle sue labbra sparì quando la sorella tentò di colpirlo con una fattura. «Ehi!».
«Oh, fratellino, i tuoi riflessi sono migliorati!» lo derise Ginny. I due iniziarono a litigare. Harry scosse la testa, perfettamente abituato ai loro battibecchi e fece cenno all’altro Auror di avvicinarsi al letto.
«Adrian, se i medimaghi saranno d’accordo, penso che in mattinata tornerò a casa. Mi sembra inutile rimanere qui. In più a stare sdraiato in questo stupido letto m’incazzo ulteriormente. Nessuno a parte te, Dora, Rick e Gabriel devono conoscere le mie reali condizioni. Quanto ai ragazzi che mi hanno soccorso, intimateli il silenzio».
«Ron e il Ministro hanno già provveduto» rispose Adrian.
«Ottimo» sospirò Harry, tentando di ricomporsi nel letto. «In mia assenza Ron prenderà le redini della squadra. Dite che sono rimasto ferito e ho bisogno di tempo per guarire pienamente. O qualcosa del genere… basta che non attiriamo troppo l’attenzione su quello che è accaduto».
«Certo, stai tranquillo» lo rassicurò Adrian.
«Vorrei che mi portaste a casa i verbali dei due interrogatori a cui avete sottoposto i guardiamaghi e quelli del blitz alla villa. E, naturalmente, tutto il materiale che abbiamo raccolto in merito. Tutto. Dev’esserci qualcosa e la troveremo!».
«Agli ordini» rispose fermamente Adrian.
Harry lo congedò, pregandolo di portarsi Ron prima che Ginny gli facesse veramente male. Rimasto solo con la consorte, le riferì le decisioni prese.
Ginny sospirò e annuì. «Avrei preferito averti tutto per me in versione adulta, però».
«Non mi hai neanche dato un bacio» si lamentò allora Harry.
«Non è vero» ribatté la donna.
«Mi hai baciato sulla guancia e sulla testa! Voglio un bacio vero!» ribatté Harry, tentando di attirarla a sé, ma era decisamente troppo alta per lui.
«Non ci riesco» ammise Ginny a malincuore. «Sei veramente identico ad Al e Jamie!».
Harry sbuffò, ma si lasciò comunque abbracciare.
«A proposito dei bambini, che cosa li diremo?».
«Non lo so. Per ora sono alla Tana, speriamo di trovare una soluzione nel frattempo» rispose Ginny sconsolata.
Per essere dimesso Harry dovette aspettare che Anthony iniziasse il suo turno, perché a quanto pareva nessuno aveva il coraggio di assumersene la responsabilità.
Così era già mattina inoltrata quando finalmente tornarono a casa, dove vennero a trovarli prima Hermione e poi Arthur. La prima scambiò solo qualche rapida parola perché doveva rientrare immediatamente in ufficio. Harry apprezzò ugualmente la sua visita. Arthur portò una torta alla melassa, sfornata quella mattina dalla moglie. L’Auror sorrise come gli capitava sempre di fronte ai dolci della suocera e se ne mangiò più di una fetta, mentre la moglie aggiornava il padre sulle ultime novità.
Arthur li assicurò che i bambini sarebbero potuti rimanere alla Tana per tutto il tempo che sarebbe stato necessario e Ginny gli consegnò alcuni libri di James e Lily perché almeno provassero a finire i compiti delle vacanze. L’uomo le promise che li avrebbe aiutati lui, e, naturalmente, che non avrebbe raccontato loro delle nuove dimensioni del padre, e si congedò.
Nuovamente soli, Ginny andò a farsi una doccia prima di cucinare qualcosa per pranzo e Harry ne approfittò per chiudersi nel suo studio a riflettere. Si gettò sul divano ed estrasse la bacchetta. Provò a compiere degli incantesimi via via più complessi e vi riuscì senza problemi. Evidentemente la pozione aveva avuto effetto solo sul suo fisico, invece le sue capacità mentali e magiche erano rimaste quelle di un adulto.
Ripose la bacchetta e tentò di riposarsi sul divano, ma invano. Si alzò e raggiunse la scrivania, sperando di poter lavorare su qualche documento o ad aggiornare qualche cartella che si era portato a casa appositamente. Non fu una grande idea. Se si appoggiava allo schienale della sedia non solo i suoi piedi non raggiungevano il pavimento, ma aveva anche difficoltà a scrivere senza doversi spostare sul bordo. Scontento per quella posizione, allungò la mano per prendere il calamaio e la piuma, ma non ci arrivò senza allungarsi sulla scrivania. E qui iniziò a irritarsi. Il portadocumenti sul margine della scrivania era ancora più distante! Per non parlare delle fotografie e del piccolo mappamondo! Per un attimo pensò a uno stupido scherzo di Lily e James, poi si rese conto che dipendeva semplicemente dal fatto che fosse più piccolo. Per la rabbia diede un pugno sulla scrivania. E questa fu decisamente una pessima idea. Vide letteralmente le stelle e strinse la mano al petto. Per un millisecondo percepì le lacrime agli occhi e il desiderio di chiamare Ginny. Fu solo un attimo. Si costrinse a ricomporsi per non fare completamente la figura del bambino. E poi, per Merlino, lui non aveva mai pianto per così poco a dodici anni!
«Harry, sono arrivati Ron e Rick» lo chiamò Ginny, facendo capolino dalla porta. «Sono in salotto, così io posso cucinare».
«Certo, grazie» replicò l’uomo, ringraziando Merlino che la sua voce non fosse lacrimosa. Prima di scendere al piano di sotto, si premurò di sciacquarsi il viso e di stamparsi in faccia un’espressione, se non sorridente, quanto meno non disperata.
 
«Ciao, ragazzi. Novità?» disse entrando in salotto, sebbene la sua vocetta infantile e il fatto che gli altri due fossero molto più alti di lui non aiutassero minimamente.
«No. Dora non ha scoperto niente di nuovo. Ti abbiamo portato i documenti che hai chiesto, però» rispose Ron. «Con il permesso di Kingsley, terremo quei guardiamaghi nelle celle del Ministero ancora qualche giorno, in caso dovessero tornarci utili».
«Ne dubito, ma mi sembra una buona idea» commentò Harry in un sospiro. Gli congedò, raccomandando a Ron di andare a riposarsi e a Rick di tenerlo informato.
Harry e Ginny pranzarono in silenzio. Nel pomeriggio l’Auror sedette al tavolo della cucina, ben intenzionato a leggere il dossier dell’indagine anche un migliaio di volte se fosse stato necessario, mentre la moglie riassettava la cucina con veloci e decisi colpi di bacchetta.
«Penso che dovremmo dirli la verità» disse la donna a un certo punto rompendo il silenzio.
«Cosa?» chiese Harry alzando gli occhi dalle pergamene sparse sul tavolo. «Di che parli?».
«Dei bambini, naturalmente. Stai bene, no? L’importante è questo. Probabilmente troveranno divertente questa situazione».
«Beati loro» sbuffò Harry. «Comunque forse hai ragione. Almeno potrò stare con Al e Jamie qualche giorno, visto che le vacanze sono volate via».
Ginny aprì la bocca per parlare, ma l’apparizione improvvisa di Ron dal loro camino la fece sobbalzare. Harry colse l’espressione arrabbiata del suo migliore amico mentre trascinava James per un braccio. Non avrebbe saputo dire perché in seguito, ma corse via proprio mentre il figlio focalizzava l’attenzione su di lui. Si fermò in cima alle scale con il cuore in gola, curioso di sapere che cosa James avesse combinato questa volta.
«Sono stato buttato giù dal letto perché tuo figlio ha fatto irruzione nel nostro Quartiere Generale!» ringhiò Ron palesemente furioso.
«Che cosa?!» sbottò Ginny. «JAMES SIRIUS POTTER! Sei impazzito? Avrai fatto prendere un colpo ai tuoi nonni!».
«E a mezza squadra Auror che l’ha rincorso per un pezzo! Ha messo tutto a soqquadro!» sbuffò Ron.
Harry si schiaffò una mano in faccia esasperato: non faceva fatica a immaginarsi i suoi uomini rincorrere un dodicenne tra i vari cubicoli e buttare documenti e mobili in aria. Alle volte erano veramente incapaci!
«Io torno a letto» sbottò Ron.
Si sentì un attimo di silenzio, durante il quale Harry immaginò l’amico raggiungere il camino, prendere la polvere volante dal cofanetto e sparire tra le fiamme smeraldine in cui era apparso poco prima.
Si azzardò a sbirciare e vide Ginny torreggiare sul figlio con gli occhi che mandavano scintille.
«Non ti muovere da qui, James. Avverto i nonni e poi facciamo i conti!» sibilò la donna.
Harry si alzò, visto che si era acquattato per ascoltare meglio e corse nel suo ufficio, sicuro che il figlio ne avrebbe approfittato per correre e nascondersi nella sua camera. Aspettò di sentirne i passi con il cuore che batteva forte nel petto, ma il corridoio rimase ostinatamente silenzioso. Si arrischiò a uscire e sbirciare al piano di sotto: James era rimasto in cucina. Allora Harry si spostò silenziosamente in bagno. Modificò il colore dei capelli e il taglio. Per quanto non fosse mai stato un genio in trasfigurazione le basi di quella umana aveva dovuto apprenderle per forza all’Accademia Auror. Infine cercò nel beauty case della moglie e questa sì che fu un’impresa, ma alla fine trovò quello che sperò fosse fard. Si mise davanti allo specchio, alzandosi leggermente sulle punte per vedersi meglio, e se ne applicò una dose generosa sulla cicatrice tentando di stenderlo al meglio e imprecando a fior di labbra. Completata l’opera, tornò al piano di sotto in tempo per cogliere alcuni sprazzi della ramanzina della moglie.
James era visibilmente teso, ma non sembrava molto colpito dalle parole materne. Harry rimase sulla soglia della cucina, alle spalle del ragazzino.
«Si può sapere che ti è saltato in mente?!» sbottò infine Ginny.
«Chi era quello qui con te?» replicò invece James. Era arrabbiato. Harry lo vide avvicinarsi al tavolo, dove aveva dimenticato il dossier. Il ragazzino lo studiò per qualche secondo, poi riprese: «E perché leggeva i documenti di papà?».
Ginny intanto aveva scorto Harry e aveva notato il cambiamento nell’aspetto. James percepì il suo silenzio incerto e si voltò. I suoi occhi, così simili a quelli della madre, saettarono. Harry fece a malapena in tempo a bloccare il suo assalto.
«James!» gridò Ginny tra il sorpreso e l’arrabbiato. «Insomma che comportamento è questo! È un nostro ospite!».
Harry si sorprese della forza del figlio, mentre veniva scaraventato sul pavimento. Non aveva alcuna intenzione di fare a botte con lui, naturalmente, ma una vocina fastidiosa nella sua testa gli disse che probabilmente, se fosse accaduto, non ne sarebbe uscito bene.
Ginny, però, non si fece problemi. Crescere con sei fratelli maggiori, tutti maschi, l’aveva temprata e certi litigi non le facevano né caldo né freddo ormai. Con uno strattone sollevò James, allontanandolo da Harry, che si rimise velocemente in piedi prendendo le distanze.
«Datti una calmata!» intimò Ginny al figlio maggiore.
«Voglio solo sapere perché toccava i documenti di papà! Nemmeno io, che sono suo figlio, posso toccarli!».
Era vero, Harry odiava che i figli e i nipoti giocassero ai piccoli Auror. L’aveva fatto lui a sufficienza quand’era piccolo.
«Mi chiamo Barney Weasley» decise istintivamente di presentarsi per ammansire il figlio e gli porse la mano, sperando che non gliela staccasse.
James lo fissò truce, ma non si mosse.
«Ehm, ho trovato i documenti sul tavolo e non ho resistito… Sai vorrei fare l’Auror da grande…» riprovò allora Harry, ma le sue parole caddero nel vuoto.
«È stato il tizio con il tatuaggio nella foto a far del male a papà?» chiese James alla madre, ignorando completamente l’altro ragazzino.
«Quale tatuaggio?» non riuscì a trattenersi Harry.
«Fatti gli affari tuoi» sibilò James in risposta.
Harry iniziò ad arrabbiarsi.
«Vattene in camera tua, James» ordinò Ginny seccata.
«No. Devi prima rispondere alle mie domande! Dov’è papà? Che cosa gli è successo?».
Un silenzio incerto si diffuse nella cucina, sicurezza e rabbia svanirono dal volto del ragazzino che impallidì. «Dov’è papà?» ripeté supplichevole.
Ginny sospirò e lo attirò in un abbraccio. «Sta bene. Tranquillo. Fidati di me, l’ho visto, ma sai come funziona nel suo lavoro. Alle volte è costretto a stare lontano da noi».
James strinse i denti e annuì. Non era contento della risposta, ma era abituato a non essere coinvolto nel lavoro del padre. «Chi è Barney?» domandò allora.
«Un lontano cugino» rispose laconicamente Ginny. «Ora, per favore, vai di sopra e ti calmi un po’?».
James fece una smorfia e annuì. Harry lo guardò mentre si dirigeva alla rampa di scale nell’ingresso e, appena scomparve dalla sua vista, corse al tavolo e osservò le foto dei guardiamaghi. Sbuffò ed evocò una lente d’ingrandimento, grazie alla quale si rese conto che sul collo non vi era una cicatrice, come aveva pensato, ma un tatuaggio. Era un piccolo serpente che si mordeva la coda. E tutti e quattro i guardiamaghi ce l’avevano.
«Ginny, per favore, chiama Rick, Ron e, se la trovi, Hermione».
Sua moglie sospirò stancamente e, senza neanche replicare, evocò il suo patronus. Quando Harry era eccitato per qualche scoperta, si dimenticava persino di essere un mago oppure pensava di essere al Quartier Generale e di poter dare ordini a suo piacimento. Non aveva voglia di discutere, però, perciò attese che il fratello e gli altri arrivassero prima di lasciarli e raggiungere il figlio al piano di sopra.
«Non essere troppo severa» le disse Harry, mentre si allontanava. Ginny si limitò ad alzare gli occhi al cielo.
«Allora, hai novità Harry?» chiese Kingsley, che era venuto con Hermione.
Ron e Gabriel Fenwick, altro vice sotto capitano, lo fissavano in attesa di ordini.
«Jamie mi ha fatto notare che queste non sono cicatrici ma tatuaggi» disse andando subito al punto e mostrando loro le foto. Li lasciò il tempo di esaminarle con calma e attese impaziente di ascoltare il loro parere.
«È un uroboro» disse Hermione. «Di solito è un simbolo usato dagli alchimisti».
«Alle volte anche dai pozionisti più ambiziosi» aggiunse Kingsley.
«L’abbiamo già visto» intervenne Ron lanciando un’occhiata eloquente a Gabriel e Harry.
«Sì, è vero» concordò Gabriel. «Non ricordi quell’omicidio di qualche mese fa? Karl Easton aveva questo stesso tatuaggio sul collo».
Harry annuì lentamente. Se n’era dimenticato. «I due fatti potrebbero essere collegati».
«Quello che ci è sfuggito dev’essere il capo o qualcosa del genere» commentò Kingsley meditabondo.
«Torniamo a Hogwarts e controlliamo chi dei professori ha un tatuaggio sul collo» propose Ron.
Harry scosse la testa e sollevò i capelli dalla fronte.
«Dov’è la cicatrice?» domandò Ron perplesso.
«Fondo tinta. E messo anche male» sospirò Hermione, che aveva compreso che cosa volesse dimostrare Harry.
«Sicuramente anche il nostro uomo avrà nascosto il tatuaggio, a meno che non sia stupido» disse Kingsley.
«Quindi come ci muoviamo?» sbuffò Ron.
«Andrò a Hogwarts» decise Harry. Era un piano assurdo naturalmente, ma non ne avevano uno migliore.
«Eh? Mai hai detto che non serve a nulla!» ribatté Ron.
«Ma io potrò confondermi tra gli studenti e non destare sospetti» replicò Harry, sempre più convinto che fosse la soluzione migliore.
«Sì, è una buona idea» commentò Hermione pensierosa.
«Dirò che sei in missione» disse allora Kingsley. «Meglio ancora che stai seguendo una pista in Francia, così il nostro uomo penserà di averti confuso e fregato e, se siamo fortunati, abbasserà la guardia».
«Ti procuro una pozione coprente. Il fondo tinta è meno affidabile di quanto tu creda» soggiunse Hermione.
«Bene. Ron, Gabriel, voi continuate a indagare per conto vostro. Ron, naturalmente, sei tu il capo in mia assenza».
«Dobbiamo avvertire immediatamente la professoressa McGranitt» intervenne Kingsley.
«Sì, ma dovranno conoscere la verità solo lei e Neville» disse Harry.
«Certamente» replicò l’uomo. «Andiamo immediatamente a Hogwarts, va bene?».
«Il tempo di avvertire Ginny» sospirò Harry.
 
 
Quel pomeriggio stesso, mentre Harry era a Hogwarts, Arthur aveva riaccompagnato Albus e Lily a casa su richiesta di Ginny. Tanto valeva che si abituassero a Barney.
Perciò Harry non ebbe modo di parlare con la moglie e raccontarle tutti i dettagli dell’incontro con la Preside. Si limitò a presentarsi ai suoi figli, cosa che gli apparve veramente assurda, e rispondere ad alcune delle loro domande sperando che quel castello di bugie non gli rovinasse addosso dolorosamente.
«Quindi sarai un Grifondoro come Jamie e Al?» chiese Lily, mentre giocavano con le costruzioni sul tappeto del salotto.
«Eh, già» replicò Harry sorridendole.
«Sei fortunato! Anch’io voglio essere smistata in quella Casa!».
James lo guardava ancora con sospetto, ma dopo cena si mise a giocare con loro e, a tratti, si dimenticò persino di avercela con lui.
Lily, invece, l’aveva accolto immediatamente con entusiasmo: un nuovo compagno di giochi. Come se gliene mancassero con due fratelli, un infinito numero di cugini e gli amichetti della scuola babbana! Non c’era che dire la sua bambina era molto socievole ed estroversa.
Albus era stato il più silenzioso. Si era presentato educatamente ed era stato gentile ogni volta che avevano parlato, ma senza particolare enfasi. Harry non se la prese: il figlio non amava la compagnia degli estranei e aveva bisogno di tempo per sentirsi a proprio agio. Il ragazzino, comunque, era molto più tranquillo dei giorni precedenti e chiacchierava a bassa voce con Ginny. Sembrava essere ritornato il solito vecchio Albus.
 
I giorni seguenti trascorsero in modo simile. Ginny gli portò un paio di volte a Hyde Park, una volta al cinema per vedere un cartone che entusiasmò molto tutti e tre i bambini e in pizzeria. Harry ne fu felice perché era tanto che non passava tempo con i proprio figli. Purtroppo, però, l’ultima sera delle vacanze giunse molto più velocemente di quanto la famiglia avesse desiderato.
Quella sera erano tutti un po’ tristi. Ginny e Lily sarebbero rimaste sole; Harry erano anni che non viveva senza la moglie; Albus era il più infelice ed era tornato il musone dell’inizio delle vacanze, ma naturalmente non era dato conoscerne le cause. James al contrario era sicuramente il più contento: quell’anno era entrato a far parte della squadra di Quidditch di Grifondoro e di lì a qualche settimana avrebbe giocato la sua seconda partita. Naturalmente era eccitatissimo e non parlò d’altro per tutta la sera con Harry-Barney e Lily che lo sostenevano, un po’ per reale entusiasmo un po’, specialmente Harry, per dimenticarsi dell’imminente separazione.
«Bene, ragazzi, ora di andare a letto!» annunciò Ginny a un certo punto. James e Lily iniziarono a protestare, ma la madre li tacitò all’istante. «Filate! James, ricordati che ti ho già sequestrato la scopa. Se la rivuoi per gli allenamenti, ti conviene comportati come si deve!».
Il ragazzino gemette e si affrettò a ubbidire, seguito dai fratelli.
«Barney, tu aspetta. Ho alcune raccomandazione da farti per Hogwarts» disse Ginny. Non che lui si fosse mosso, quella cosa di avere dodici anni non gli era ancora del tutto chiara.
«Buona fortuna» borbottarono Lily e James fiondandosi al piano di sopra all’occhiataccia della madre.
Harry si sedette sul divano accanto alla moglie, bramoso di coccole.
«Ce la faremo» le disse per rassicurarla.
«Oh, lo so. E, comunque, tutto sommato è anche divertente».
«Lo sarà per te» borbottò Harry. «Persino la McGranitt mi è sembrata divertita!».
«Perché sarai in classe con Albus? Pensavo che saresti stato con James».
«Così potrò stargli vicino e capire che cos’ha. Hai visto com’è infelice? Non ha mai fatto storie per andare alla scuola babbana. C’è qualcosa che non va».
Ginny annuì. «Tienimi informata, va bene?».
«Certo» assentì Harry. «Mi dispiace lasciare sole te e Lily».
«Ce la caveremo, tranquillo».
«Non vi ucciderete a vicenda, vero?».
Ginny sbuffò: «Preoccupato per la tua principessina?».
«Per entrambe» replicò Harry serio.
«Fidati, ce la caveremo» sospirò la donna.
Non poterono aggiungere altro, perché sentirono dei passi sulle scale.
Harry si scostò rapidamente da Ginny: James era diventato più amichevole, ma se l’avesse visto appiccicato alla madre, sarebbero stati guai.
Sulla porta, però, apparve Albus che li fissò incerto.
«Vuoi un po’ di latte caldo?» gli chiese Ginny alzandosi.
«Sì, grazie» replicò il ragazzino sollevato che avesse compreso.
Harry li osservò mentre andavano in cucina, ma non li seguì. Albus non avrebbe gradito la presenza di Barney. Sospirò e si decise ad andare a letto. Nella camera degli ospiti!
«Se vedi James e Lily in giro, dilli di filare a letto perché sennò mi sentono» gli disse Ginny rispondendo alla sua buonanotte.
Harry sospirò ancora: si stava imbarcando in un’impresa assurda e chissà quando Ginny sarebbe tornata a dargli la buonanotte come si deve e non con un bacio sulla testa!

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Capitolo 5
*** Capitolo V ***


Capitolo quinto
 
La mattina dopo, naturalmente, arrivarono alla stazione di King’s Cross appena in tempo. Ma questa non era una novità. Il fatto che Harry fosse tornato bambino aveva soltanto peggiorato la situazione, a dire di Ginny. S’intende che Harry non fosse dello stesso parere. Era colpa sua se James si era fissato di dover usare il bagno per primo e allora avevano iniziato a litigare? Secondo Ginny avrebbe dovuto lasciar perdere e soprattutto non contendersi il tubo della doccia con l’acqua aperta. Lily l’aveva trovato divertente e aveva iniziato a saltellare per il bagno e bagnandosi tutto il pigiama come se fosse piena estate e non gennaio. La contesa era finita in parità perché Ginny era intervenuta furiosa e aveva spedito Harry nel loro bagno.
A colazione Lily aveva sfogato la sua frustrazione per l’imminente partenza dei fratelli e per l’assenza a tempo indeterminato del padre bersagliando i tre ragazzi con pezzi di muffin. Albus le aveva chiesto gentilmente di smetterla una prima volta e poi gliel’aveva urlato, mentre James aveva risposto al fuoco. Harry aveva tentato di fermarli, ma nel farlo aveva rotto diversi piatti. Ginny era scesa di corsa con l’accappatoio e i capelli zuppi. Doveva darle merito che con un solo sguardo aveva riportato i figli all’ordine, ma aveva avuto l’impressione che l’occhiata peggiore l’avesse riservata a lui. Che colpa ne aveva se aveva l’aspetto e la goffaggine di un dodicenne e zero autorevolezza?
Comunque alla fine era riusciti a partire, sebbene fossero tornati indietro due volte prima di imboccare l’autostrada perché Ginny si era dimenticata di restituire la scopa a James e il ragazzino l’aveva così dimenticata e Albus avesse lasciato il cappello di lana nell’ingresso.
Alla fine ce l’avevano fatta e questo era l’essenziale, anche se Ginny non era palesemente concorde e Harry era sicuro, che se mai avessero perso il treno, la moglie avrebbe cominciato a sputare fuoco dalle narici.
Il treno scarlatto per un attimo attirò totalmente la sua attenzione. Percepiva una strana sensazione alla bocca dello stomaco. Nostalgia. Gli capitava ogni volta che accompagnava i figli e Teddy. Stavolta, però, sarebbe salito anche lui. Di nuovo. Sapeva che era sbagliato, ma non poteva fare a meno di essere emozionato.
Non era più riuscito a parlare in privato con la moglie, ma non era più certo che l’idea di tenere Albus e James all’oscuro della situazione fosse giusto. Ma avrebbero gradito avere il padre tra i piedi a Scuola? Probabilmente no, ma di certo egli era la persona meno adatta per comprenderlo: non aveva mai parlato con i suoi genitori e a dodici anni, se ne avesse avuta la possibilità, ne sarebbe stato felicissimo. Ma era diverso e non poteva fingere che non lo fosse.
«Barney!» chiamò Ginny a denti stretti. Quante volte l’aveva chiamato?
«Sì, scusa. Guardavo il treno» rispose sinceramente, ma non fu una grande idea. Ginny inspirò e lo fulminò con lo sguardo.
«Mi farete impazzire» sbottò ella. Il treno fischiò. «Vedete di comportarvi bene e scrivetemi! Non voglio che mi arrivino lettere da Neville o peggio ancora dalla professoressa McGranitt! Chiaro?».
Harry sbuffò: stava guardando anche lui? Ma stavano scherzando? Non aveva mica bisogno di simili raccomandazioni! Non era realmente uno studente!
«Avanti, salite, svelti. Ci mancherebbe solo che vi dovessi accompagnare io a Hogwarts» borbottò Ginny, abbracciandoli velocemente e spingendoli sul treno.
Harry fu l’ultimo e le lanciò un’occhiata comprensiva: Ginny Weasley in Potter era una donna forte e, se voleva, pericolosa, ma era un essere umano e il nervosismo di quella mattina lo dimostrava. Le strinse la mano in un gesto rapido ed eloquente: l’avrebbero spuntata insieme ancora una volta.
«Prenditi cura di loro, specialmente di Al» gli sussurrò al volo Ginny, poi chiuse lo sportello proprio mentre il treno iniziava a muoversi e a Harry parve quasi di esserselo immaginato.
«Beh, io vado dai miei amici» disse James. «Ci vediamo in giro».
Harry rimase a osservarlo mentre si trascinava il baule lungo il corridoio.
«Andiamo?» gli chiese timidamente Albus, riscuotendolo.
«Oh, certo».
Percorsero il treno alla ricerca di uno scompartimento, a un certo punto Harry si bloccò e ne indicò uno al figlio. «Questo è libero».
Albus si voltò sorpreso. «Ah, pensavo che volessi conoscere gli altri».
Ok, non stavano cercando la stessa cosa. Harry s’impresse un sorriso in volto e annuì. «Oh, ok, certo. Ti seguo». Nelle sue prime lettere, a settembre, Albus aveva parlato entusiasticamente dei compagni, ma poi – e ciò aveva convinto lui e Ginny che fosse accaduto qualcosa – era diventato sempre più telegrafico e spento.
Raggiunsero uno scompartimento alquanto affollato e Albus vi entrò sorprendendolo ancora.
«Ciao, ragazzi!» disse il ragazzino sorridendo sinceramente per la prima volta da quando si era alzato.
«Cominciavo a temere che avessi perso il treno!» trillò un ragazzo biondo e dalla carnagione chiarissima. Harry lo conosceva! Era il figlio di Malfoy! Com’è che si chiamava? Scorpius? Che ci faceva in quello scompartimento?
Vi erano ben sette ragazzi, che tutto sommato avrebbero potuto anche stare comodi visto che erano piccoli e magri se non fosse che due di loro occupavano da sole un sedile. E, purtroppo, conosceva anche loro: una era sua nipote Rose e l’altra era la sua migliore amica, Cassandra Cooman, nota come Cassy.
«Vi presento Barney Weasley» disse Albus. «È un mio lontano cugino».
«Ciao» salutò allora Harry. Si sarebbe mai abituato a sentirsi chiamare Barney?
«Barney, loro so Alastor Schacklebolt» riprese Albus. Harry lo conosceva naturalmente, era il figlio di Kingsley. Strinse la mano che il ragazzino gli aveva porto educatamente. «Elphias Doge». Sembrava il più alto e magro del gruppo. Strinse anche la sua mano. «Dorcas Fenwick». Harry sorrise alla ragazzina che aveva già incontrato al Quartier Generale, in quanto era la figlia di uno dei suoi sotto vice Capitani. «Edward Zabini».
Il ragazzino di colore sorrise e disse: «Eddie, per favore».
«Giusto, scusa» replicò Albus. «Lui, invece, è Scorpius Malfoy».
Harry gli strinse la sua mano stupendosi del sorriso cordiale che il ragazzino gli rivolse.
«Lei è Cassy Cooman» continuò Albus, indicando la bionda stravaccato accanto a Rose. «Rose la conosci» concluse.
«Possiamo dividere il baule» propose Scorpius. In effetti, probabilmente, per stare più comodi, egli si era seduto a terra su un baule.
«Perché Cassy e Rose non si possono sedere composte?» chiese Harry dopo aver elaborato la situazione.
«Questo già non mi piace» sbottò Cassy masticando una gomma con la bocca schifosamente aperta. Harry le rivolse un’occhiata disgustata.
Rose ridacchiò e si stiracchiò, mettendosi ancora più comoda. Harry si pizzicò, chiedendosi se per caso fosse capitato in una dimensione parallela. Sicuramente gli Indicibili nell’Ufficio Misteri facevano esperimenti di questo genere.
«Avanti, spostati» sbottò allora. «Non essere maleducata».
Gli altri lo stavano fissando stupiti e leggermente spaventati. Ma davvero avevano paura di Rose e di quell’altra stupida?
Sua nipote ricambiò il suo sguardo con arroganza e si alzò diminuendo lo spazio che li separava. Anche lei masticava con la bocca aperta. «Chiudi quella bocca» soggiunse allora Harry.
Rose, invece, l’aprì di più e fece un palloncino. Era sempre più vicina al viso di Harry, che, testardamente, non si mosse. La ragazzina lasciò scoppiare il palloncino sulla faccia del nuovo arrivato. L’odore dolciastro di fragola nauseò Harry, che indietreggiò facendo ghignare la nipote.
«Dai, Rose, Barney ha ragione. Sarebbe carino da parte vostra far sedere anche noi» intervenne Scorpius.
«Ti pare il modo di comportarti?» sbottò Harry arrabbiato. «Se lo sapesse tua madre…».
Decisamente furono le parole sbagliate. Gli occhi di Rose lampeggiarono e la ragazzina lo spinse facendolo cadere addosso ad Albus e Alastor che erano dietro di lui.
«Rose, smettila» disse Albus infastidito e nervoso.
«E perché mai? È stato lui a sfidarmi». Anche Cassy si alzò e fronteggiò Harry.
Ma stavano scherzando? Dovevano ringraziare che Harry non colpiva i ragazzini, in caso contrario le avrebbe già schiantate.
«Basta» sibilò Scorpius frapponendosi fra loro. «Due contro uno non vale. E state esagerando. Sono stato sufficientemente tollerante, perciò o ci fate spazio o ve ne andate».
Rose e Scorpius si squadrano e l’aria nello scompartimento divenne pesante.
A salvare la situazione – o a peggiorarla, dipende dai punti di vista – fu l’ingresso improvviso di un altro ragazzino. Indossava la divisa di Serpeverde, così perfetta che sembrava gliel’avessero cucita addosso.
«Jaiden!» trillò Rose, palesemente felice di vederlo. Gli altri ragazzi, invece, s’incupirono. E ora chi era quello?
«Come stai?» domandò Cassy con gli occhi che le brillavano tanto quanto quelli di Rose.
«Bene, grazie» replicò asciutto il ragazzino, prima di rivolgersi ai ragazzi. «Allora, Potter, mi hai fatto quel favore?».
Harry impiegò qualche secondo a ricordarsi che il Potter in questione fosse il figlio e non lui. Albus, però, era impallidito terribilmente.
«Certo che sì» rispose Rose al posto del cugino.
«Ottimo, sei davvero un tipo intelligente» commentò con un ghigno Jaiden. «Avanti, dammi quello che mi devi dare. A Hogwarts potremmo attirare troppo l’attenzione».
Albus non replicò, ma aprì il baule e, dopo aver rovistato per diversi secondi, tirò fuori un blocco di pergamene. In silenzio ne consegnò un fascio al Serpeverde, uno a Cassy e uno a Rose.
«Molto gentile, Potter. Ci vediamo in giro. Ragazze, volete seguirmi o stare con questi qui?».
Harry fremeva e, appena le ragazze furono uscite con Jaiden, si rivolse al figlio. «Che cavolo è questa storia? E cos’erano quelle pergamene?».
Albus lo fissò a occhi sgranati. E come dargli torto? Era normale un dodicenne, appena arrivato, che si arrabbiasse in quel modo? No. Una vocina nella testa di Harry gli ricordò che, se avesse continuato in quel modo, avrebbe rischiato di far saltare la sua copertura e l’intera indagine. Oh, al diavolo. Doveva risolvere la questione di Albus, la missione non era altrettanto importante, perciò tornò a fissarlo.
«Barney, siediti» disse Scorpius allontanandolo con un gesto fermo ma cortese da Albus.
«Che cos’è questa storia?» ripeté testardamente, prendendo posto accanto al biondo.
«Non è importante» sussurrò Albus con gli occhi lucidi.
Harry decise di non insistere e si lasciò coinvolgere da Scorpius in una discussione sul Quidditch. Quando arrivò la signora del carrello, mangiarono insieme i vari dolciumi e riuscirono comunque ad allentare la tensione e tornare a sorridere. O almeno lo fecero i ragazzini, Harry per conto suo, non riusciva a dimenticare quanto visto. Comunque non toccarono più l’argomento fino all’arrivo in Sala Grande.
James fece loro un lieve segno di saluto.
«Ti prego, non raccontargli quello che hai visto sul treno» gli sussurrò Albus.
«Perché?» chiese Harry sospettoso.
«Perché poi James va al tavolo dei Serpeverde, attacca Brooks davanti a tutti i professori, perde un sacco di punti e, appena Brooks e i suoi amici lo beccheranno lontano dagli occhi degli adulti, lo pesteranno» rispose Elphias Doge.
Harry si accigliò. «Cosa?».
«È quello che è successo a ottobre» sospirò Albus, giochicchiando con lo stufato nel piatto.
A ottobre? Harry si ricordava benissimo la lettera ricevuta da una McGranitt indignata per il comportamento di James, che si era rifiutato di fornire spiegazioni.
«Jaiden Brooks ti aveva dato fastidio e James l’ha picchiato?» riassunse Harry tentando di comprendere.
«Sì» mormorò Albus affranto. «Nemmeno Jamie è forte quanto Brooks e poi è finito in un mucchio di guai quella volta, per cui preferisco che non sappia nulla».
Harry sospirò guardando il suo piatto. Non aveva più fame. Si ricordava bene quanto lui e Ginny si fossero arrabbiati con il figlio maggiore pochi mesi prima. Se c’era qualcosa che Harry non poteva proprio tollerare quella era la prepotenza e la violenza gratuita e si era infuriato con James. Ora, aveva appena scoperto che il figlio aveva un motivo più che valido per attaccar briga con il Serpeverde. Quante cose ancora non sapeva? Quel Brooks faceva il prepotente con Albus e per questo il figlio era tanto triste? Ma che rapporto c’era tra quello e la nota di Neville? Disperato alzò lo sguardo sull’amico, ma non riuscì a incrociarne gli occhi perché il professore di Erbologia era immerso in un’animata conversazione con uomo anziano. Era Oswald McBridge, un ex Auror che adesso insegnava Difesa contro le Arti Oscure. A sentire James era peggio di Rüf, professore di Storia della Magia.
Elphias, Alastor e Albus lo guidarono lungo i corridoi di Hogwarts – come se non li conoscesse a memoria! – e lo condussero in Sala Comune e infine nella loro camera nel Dormitorio maschile di Grifondoro. Harry aveva riflettuto per tutta la cena ed era giunto a una conclusione che non gli piaceva per nulla.
«Al» chiamò gentilmente, sedendosi sul suo letto, appena tutti gli altri si furono sdraiati.
«Mmm» replicò il ragazzino, fissandolo sorpreso. «Che c’è?».
«Jaiden Brooks fa il prepotente con te?» gli domandò a bruciapelo. Va bene, non era una conclusione degna del Capitano degli Auror, dopotutto chiunque ci sarebbe giunto. Ma a quel punto Harry aveva bisogno di chiarire la situazione, per quanto potesse risultare banale.
Albus non parve per nulla felice di affrontare l’argomento. «Non solo con me. Tutti quelli del primo anno lo temono» replicò senza guardalo negli occhi.
«E quelle pergamene?» insisté Harry.
«Ti prego, non mi va di parlarne» sbuffò Albus.
«Ma insomma la McGranitt e Neville stanno a guardare?!» sbottò senza rendersene conto.
«Conosci lo zio Neville?».
«Oh, ehm…» borbottò Harry preso in contropiede. Di quel passo la sua copertura non sarebbe durate neanche per una notte! «Tua mamma lo chiama così» si difese debolmente.
«Sì, sono molto amici» ribatté Albus. «Comunque in classe è il professor Paciock, ricordatelo».
«Certo» assentì in fretta Harry. «Non è questo il punto, però. Loro non fanno nulla?».
«Brooks non fa il prepotente di fronte agli insegnanti» rispose Albus con ovvietà. «Ti dispiace se andiamo a letto, ora?» aggiunse cortesemente.
«Va bene» sbuffò Harry. Si lanciò sul proprio letto e ne chiuse le tende. Se Albus non voleva raccontargli tutto, lo avrebbe scoperto da solo!
Non era più tanto entusiasta di essere ritornato a Hogwarts.

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Capitolo 6
*** Capitolo VI ***


Capitolo sesto
 
La mattina dopo Harry saltò giù dal letto appena sentì anche gli altri ragazzi muoversi. Non aveva dormito per niente bene, e, quando intorno alle sei si era svegliato, non aveva più ripreso sonno, quindi accolse con sollievo la possibilità di alzarsi senza insospettire i compagni.
Lasciò che Albus, Alastor ed Elphias usassero il bagno per primi, così quando finalmente sarebbe stato il suo turno, avrebbe potuto rilassarsi e riflettere sotto la doccia. O almeno quella era la sua intenzione. Entrò in bagno e, speranzoso, si gettò sotto il getto dell’acqua calda. Aveva promesso a Ginny che avrebbe scoperto che cosa tormentasse Albus e che l’avrebbe aiutato naturalmente, ma non poteva neanche permettersi di dimenticare che cosa l’avesse portato primariamente a Hogwarts. E, in fondo, non si trattava di mera diligenza o attaccamento al lavoro, ma una necessità reale: non poteva rimanere nel corpo di un dodicenne per sempre! Comunque il mistero di Albus non appariva più tanto misterioso: era evidente che quel Serpeverde e, Rose, facevano i prepotenti con lui. Rose, lei sì che era un grosso problema! Aveva visto una Rose a lui completamente ignota, tanto da sembrare un’altra persona. Che qualcuno l’avesse incantata?
«Barney, sbrigati o faremo tardi». La voce di Elphias Doge, lo distolse dai suoi pensieri.
«Cominciate ad andare» replicò Harry, trattenendosi a stento dallo sbuffare.
«Ma ti perderai, non puoi ricordarti la strada per raggiungere la Sala Grande dopo una sola sera» ribatté l’altro.
Harry imprecò a bassa voce: addio doccia rilassante. Il discorso di Elphias non faceva una piega, peccato che in realtà avesse vissuto in quel castello per sei anni e lo conoscesse molto meglio di un ragazzino del primo anno qualsiasi!
«Arrivo» sbuffò rassegnato e chiuse l’acqua. Non poteva permettersi errori così banali.
In camera Albus e gli altri erano quasi pronti, così anche Harry iniziò a vestirsi svogliatamente.
Scesero a colazione insieme, mentre la mente di Harry si focalizzava nuovamente sul figlio e i suoi amici. Lui e Ginny avevano pensato che la causa del cambiamento di Albus fossero delle cattive compagnie, ma, a quanto pareva, avevano sbagliato di grosso. Non solo gli amici del figlio sembrano dei bravi ragazzi, ma Al, in quel momento, sembrava quello di una volta mentre chiacchierava spensieratamente con loro. Eppure la nota di Neville non lasciava adito a dubbi.
Al tavolo dei Grifondoro furono raggiunti da uno Scorpius raggiante.
«Buongiorno, gente!».
Albus, Alastor ed Elphias ricambiarono e gli fecero spazio sulla panca.
«Da quando i Serpeverde siedono al nostro tavolo?». La domanda gli era uscita di bocca prima che Harry riuscisse a trattenersi. I ragazzi lo fissarono perplessi.
«Ti dà fastidio?» chiese Scorpius, leggermente ferito.
«Perché non dovrebbe?» replicò invece Albus, palesemente infastidito.
«Comunque non esiste alcuna regola che glielo impedisca» dichiarò Elphias.
«Beh… ai miei tempi non…» Harry era in imbarazzo e non rifletté sulle sue parole, ma l’occhiata scettica dei suoi ‘compagni’ gli fece capire di aver detto qualcosa di sbagliato.
«I tuoi tempi?» ripeté Elphias Doge.
«Intendevo nella mia vecchia Scuola...» mentì allora Harry sperando che ci cascassero. «Ehm, lì c’erano pure le Case e ognuno doveva mangiare al proprio tavolo». Si riempì il piatto di salsicce e uova strapazzate, sperando di chiudere lì la conversazione.
«Dove andavi a Scuola?» domandò Albus.
Harry quasi si affogò con la salsiccia. Avrebbe dovuto lavorare con più attenzione sulla sua copertura, aveva decisamente sottovalutato il figlio e i suoi amici. «Ilvermorny» rispose buttando lì il nome della scuola americana, che aveva sentito nominare da alcuni Auror americani o da qualcun altro?
«Ilvermorny hai detto?».
James era arrivato in Sala Grande, spalleggiato da Danny Baston e Tylor Jordan, i suoi migliori amici.
«Sì, ho studiato lì prima di trasferirmi in Inghilterra» rispose Harry, tentando di mostrarsi sicuro.
«Il mio migliore amico si è trasferito lì a settembre. Forse lo conosci, si chiama Robert Cooper» disse James eccitato.
Oh, cavolo! Come aveva fatto a dimenticarlo? «Eh, no mi dispiace. Ma eravamo tanti e poi lui è più grande di me, no?». Harry si odiò vedendo la delusione sul volto del figlio più grande.
«Certo, hai ragione, scusa» sospirò e raggiunse Danny e Tylor, sedutisi poco distante. I suoi occhi erano privi del consueto scintillio malandrino. E non era la prima volta, si rese conto in quel momento: altre volte, durante le vacanze, l’aveva notato; anzi ogni volta che arrivava una lettera da oltreoceano. Complimenti, si disse, gran bell’Auror che sei che non ti sei accorto di quello che accadeva sotto i tuoi occhi! Rose faceva la prepotente con Albus e James soffriva per la mancanza del suo migliore amico.
«Barney!» chiamò Alastor alzando la voce.
«Oh, oh, scusa hai detto qualcosa?» replicò Harry, rendendosi conto di essersi estraniato dalla conversazione.
«Ti chiedevamo quali sono le Case di Ilvermorny» intervenne Elphias. «E se sono simili alle nostre».
Harry strabuzzò gli occhi. E che ne sapeva lui? Oh, se le bugie avevano le gambe corte, le sue proprio non ce l’avevano!
«Buongiorno a tutti, ragazzi!» trillò Neville Paciock avvicinandosi al tavolo.
«Buongiorno, signore» replicarono i ragazzi.
Harry sospirò e gli sorrise debolmente: l’aveva salvato per il rotto della scuffia.
«Spero che stiate facendo ambientare il vostro nuovo compagno» disse Neville. Harry lo fissò e colse uno scintillio divertito nei suoi occhi. E certo divertiamoci tutti, ora che Harry Potter è tornato bambino! «Ti ho portato l’orario, Barney».
Harry gli gettò un’occhiataccia e Neville si congedò rapidamente, probabilmente temendo di scoppiare a ridere da un momento all’altro. Ora si che Harry si stava arrabbiando, voleva vedere se a tornare bambini fossero stati loro! Diede un’occhiata all’orario tanto per fare qualcosa e sbuffò. Storia della Magia! Storia della Magia! Ma che aveva fatto di male? Trascorse il resto della colazione malmenando il cibo nel suo piatto.
Rose e Cassy li raggiunsero verso le nove meno dieci con volto assonnato.
«Vi conviene saltare la colazione e seguirci a lezione!» sbottò Elphias tagliente.
«Tu sei matto» ringhiò Cassy, mentre Rose divorava tutto quello che trovava a portata di mano. In quello era sempre stata la fotocopia del padre.
«Ci farete perdere un sacco di punti!» s’impuntò Elphias, mentre Alastor e Albus si alzavano e recuperavano gli zaini. Harry li imitò.
«Rüf non se ne accorgerà neanche» replicò Rose.
Harry pensava che la nipote avesse perfettamente ragione, ma non commentò e seguì i ragazzi lungo i corridoi affollati. Storia della Magia era una di quelle materie in cui la valutazione di Albus era stata più scadente: un non classificato e non aveva consegnato neanche un compito dall’inizio dell’anno scolastico. Ora, lui e Ron avevano odiato con il cuore quella materia, per cui si sentiva ipocrita a fare la predica al figlio. Si sarebbe limitato a controllare che consegnasse i compiti e non saltasse le lezioni. Perché sì, nella nota Neville lamentava anche quello.
«Ti siedi accanto a me?» gli chiese gentilmente Elphias, indicando due banchi in seconda fila. Alastor e Albus stavano prendendo posto in quelli davanti. Il primo banco!
«Ah… ehm sì, va bene grazie…» borbottò Harry, fissando il figlio sorpreso. Il professore arrivò puntualmente come sempre, chiamò l’appello senza neanche guardarli in volto, ritirò i compiti delle vacanze e si mise a spiegare con la sua famigerata monotonia letale. Albus non solo seguì la spiegazione, ma prese persino appunti. Ogni tanto scambiava qualche battutina con i suoi amici, ma per il resto alla fine dell'ora aveva preso più appunti di quanti Harry e Ron ne avessero presi in due in cinque anni.
Harry a quel punto rinunciò, rendendosi conto di non capirci più nulla.
«Rüf è terribile alla prima ora» sospirò Alastor sbadigliando.
«Già, ma pensa se ce l’avessero messo dopo pranzo» replicò Albus, rimettendo i libri in borsa e avviandosi verso la lezione successiva.
«Invece le lezioni della Macklin dovrebbero essere dichiarate illegali» sussurrò Elphias, suscitando le risatine degli altri due.
«Pensate che abbia portato le verifiche corrette?» domandò Alastor.
«Certo. Se è abbastanza cattiva da mettere una verifica l’ultimo giorno prima delle vacanze…» rispose Elphias, lasciando la frase a metà.
«Tu non sei preoccupato?» indagò Harry. Albus lo guardò perplesso per la domanda inaspettata e si strinse nelle spalle.
«Al è un genio della Trasfigurazione» rispose, invece, Alastor sorridendo.
«Non è vero» negò Albus imbarazzato.
«È vero. È l’unica materia in cui non riesco a tenerti testa» sbuffò Elphias. «Oltre Erbologia, s’intende».
Harry non ebbe l’opportunità di approfondire, perché una volta giunti in classe i ragazzi si zittirono. In effetti, dai racconti di James, aveva desunto che la Macklin fosse un po’ come la McGranitt. In classe non volava nemmeno una mosca in sua presenza e, persino, Rose e Cassy si erano degnate di presentarsi, cosa che avevano accuratamente evitato di fare durante l’ora precedente.
«Complimenti, Weasley. Continui a stupirmi sempre di più» dichiarò alquanto gelidamente la professoressa consegnando la verifica a Rose.
Questo sì che suonava normale, pensò Harry. «Se Rose è la migliore della classe, sarà sicuramente adatta a darmi una mano per mettermi in pari con il programma, professoressa» buttò lì senza pensare. Doveva assolutamente rimettere in ordine i vari tasselli o sarebbe impazzito.
L’insegnante si voltò verso di lui, mentre qualcuno ridacchiava, specialmente tra i Serpeverde che seguivano con loro la lezione.
«Signor Weasley, ha intenzione di prendermi in giro? Se è così si sbaglia di grosso» sibilò la professoressa.
Harry la fissò sorpreso. E ora che aveva detto?
«La Preside mi ha riferito che lei non solo è perfettamente al passo con il programma, ma è anche molto più avanti». Ora, non esageriamo non trasfigurava mica tutti i giorni. «Comunque» riprese la Macklin, «caso mai avesse bisogno di aiuto si rivolga al signor Potter o al massimo al signor Doge. E stia ben lontano dalla signorina Weasley o le assicuro che la sua carriera qui a Hogwarts comincerebbe molto male».
«Perché, professoressa?». Tutta la classe lo fissò scioccata.
«Perché che cosa, signor Weasley?» ribatté la donna vagamente stupita.
«Perché non…» iniziò Harry, ma Elphias gli tirò una gomitata. «Niente, scusi». Non voleva essere il responsabile di punti tolti a Grifondoro.
«Era ironica con Rose» soffiò Elphias prima di concentrarsi sulla spiegazione.

Non disse nulla per il resto dell’ora e quando suonò la campanella seguì gli altri Grifondoro in cortile per l’intervallo. Si sedette più discosto, abbastanza da poterli osservare e sentire, ma tanto da non essere coinvolto nelle loro chiacchiere. Aveva bisogno di avere delle risposte sullo strano comportamento di Albus, ma probabilmente la Macklin non era la più adatta a dare risposte in quel senso e fortunatamente Elphias l’aveva bloccato in tempo. E poi se avesse posto domande chiare di fronte a tutta la classe avrebbe messo in imbarazzo Al. Inoltre non aveva alcun motivo per non inserire la professoressa di Trasfigurazione nella lista degli indagati. Gli sembrava difficile che fosse proprio ella la colpevole in quanto aveva subito gravi perdite durante la guerra contro Voldermort, ma comunque possedeva talento e capacità più che sufficienti per realizzare una pozione sperimentale come quella che l’avevano costretto a bere.
Rüf non lo prese neanche in considerazione: non ce lo vedeva un fantasma a distillare pozioni. E poi perché avrebbe dovuto farlo? Era stato un pessimo studente, ma non il peggiore di quelli che il vecchio professore doveva aver avuto in vita e da morto. In più non sembrava che il mondo fuori da Hogwarts e fuori dai suoi appunti sulle guerre dei giganti lo interessasse minimamente.
Il sospettato numero uno avrebbe dovuto essere senz’altro il professore di Pozioni. Avrebbe dovuto perquisire l’ufficio di Mcmillan di nascosto e dare un’occhiata nella sua scorta personale.
«Quando abbiamo Pozioni?» domandò ai ragazzi.
«Venerdì» rispose Alastor.
«Per fortuna» borbottò Albus.
Beh, almeno il rifiuto per Pozioni l’aveva preso da lui. Harry ringraziò e si stiracchiò. In giro c’erano molti ragazzi di tutte l’età, dopotutto un tiepido e piacevole sole aveva fatto capolino tra le nuvole, nonostante la temperatura rigida tipica di gennaio.
«Dovremmo andare. Non vorrei fare tardi a Incantesimi» disse Albus.
«Com’è il professore di Pozioni?» domandò Harry, mentre si avviavano all’interno del castello, dove la temperatura per fortuna era molto più alta. Il suo mestiere, per quanto non gli piacesse, lo costringeva a indagare anche su persone di cui normalmente si sarebbe fidato a occhi chiusi, non poteva non vagliare ogni possibilità.
Albus e Alastor fecero una smorfia, ma fu Elphias a rispondere. «È bravo».
«È molto severo» borbottarono insieme gli altri due.
«Ma è giusto e disponibile. Meglio lui di McBridge» ribatté Elphias.
«Mio padre mi ha detto di lasciar perdere McBridge. È stata la guerra a distruggerlo» sussurrò Alastor, mentre si mettevano in fila con i Corvonero fuori dall’aula di Incantesimi. Rose e Cassy non c’erano.
Harry annuì pensieroso: Kingsley era sempre molto accorto e profondo nei consigli che dava.
«Rose, dov’è?» bisbigliò Elphias ai compagni proprio mentre Vitious apriva la porta della classe e li invitava a entrare.
«Non lo so» replicò Albus, lasciando passare avanti i Corvonero.
«Aaaal».
I quattro Grifondoro si voltarono si voltarono proprio mentre Rose li raggiungeva con uno scivolone e si buttava candidamente sul cugino, che perse l’equilibrio e cadde sui piedi del piccolo professore d’Incantesimi, che fino a quel momento non aveva posto attenzione su di loro. La risata di Cassy riempì il corridoio e Rose, rialzandosi, le fece compagnia. Alastor ed Elphias aiutarono Albus a sollevarsi.
«Siete impazziti?» sbottò il professor Vitious fissandoli.
«Mi scusi, professore, sono scivolato» borbottò Albus, probabilmente intenzionato a chiudere lì la questione, ma Harry non era sicuro che fosse la scelta migliore e che non si sarebbe ritorta contro di lui.
«Scivolato, Potter?» ribatté infatti l’insegnante.
«Sì, mi dispiace, signore» ripeté Albus.
«È stata Rose, l’ha fatto apposta» sbottò invece Elphias irritato.
«Stavo solo giocando. Doge dovreste rilassarti ogni tanto! Che colpa ne ho io se Al è una mozzarella? E, comunque, tu sei uno schifoso spione» esclamò Rose fulminandolo con lo sguardo.
«Infatti. E a noi non piacciono gli spioni» rincarò Cassy.
«Basta così» strillò Vitious con la sua vocetta acuta. «Trenta punti in meno a Grifondoro, signorine. Avreste potuto farvi molto male. Non mi piace il vostro atteggiamento, ve l’ho detto un sacco di volte. Riferirò al professor Paciock. E ora entrate in classe».
Vitious trattenne Albus e Harry si fermò sulla soglia per ascoltare. «Ti sei fatto male, Potter?».
«No, signore, grazie» mormorò il ragazzino imbarazzatissimo.
«Weasley, perché sei ancora qui?» domandò allora il professore dopo aver fatto segno ad Albus di entrare.
Harry per un attimo rimase interdetto, poi si ricordò di essere un Weasley in quel momento. Albus lo superò per prendere posto.
«Ci sono cose che non comprendo» ammise.
L’ometto si accigliò. «Prego, signor Weasley?».
«Sa benissimo che non sono Barney Weasley» soffiò Harry a voce bassissima. La McGranitt era stata irremovibile sul fatto che doveva essere avvertito anche Vitious, suo braccio destro e vicepreside della Scuola.
«Non è mia abitudine intromettermi nelle indagini degli Auror» replicò il professore a voce altrettanto bassa, mentre i ragazzini del primo anno iniziavano a fare chiasso in aula.
«Non capisco mio figlio… e mia nipote a questo punto». Non avrebbe mai inserito Filius Vitious nella lista dei sospettati.
«Potter» principiò Vitious con un sorrisetto preoccupante. «Solo perché tu e la signorina Weasley non siete mai stati studenti particolarmente diligenti, non significa che i vostri figli vi debbano assomigliare per forza. E, allo stesso modo, solo perché la signorina Granger era la migliore del suo corso non implica che i suoi figli debbano esserlo a loro volta».
Harry lo fissò stralunato.
«Posso fare lezione, ora?».
«No» sbottò Harry. «Nella nota inviataci da Neville… insomma, invece, è come ci si aspetterebbe. Rose ha dei voti fantastici, mentre Albus è un disastro! Lei stesso… il suo giudizio, professore! Ha scritto che Albus non consegna quasi mai i compiti e quando lo fa sono incompleti e disordinati! E che disturba sempre le lezioni!».
L’insegnante lo fissò seriamente e scosse la testa. «Potter, so di essere vecchio, ma ancora distinguo un allievo dall’altro, in caso contrario sarei andato in pensione».
«Ma… cosa?» borbottò Harry, sentendosi profondamente stupido.
Vitious sbuffò, mentre il volume delle chiacchiere aumentava sempre di più. «Albus è un ottimo studente. Consegna i compiti puntualmente e solitamente sono eseguiti molto bene. E non disturba nella mia classe. È impossibile che io abbia scritto quel giudizio. Lo escludo categoricamente. Ti consiglio di chiedere spiegazioni a Neville, a questo punto lo farò io stesso. Ora, scusami, ma devo fare lezione».
Harry rimase impalato sulla soglia della porta. Oh, sì che avrebbe chiesto spiegazioni a Neville!
«Weasley, entra, o sarò costretto a togliere punti a Grifondoro».
E a quanto pare, Vitious era più professionale di lui. Aveva commesso un grave errore: era troppo coinvolto in quella situazione e questo avrebbe potuto, o lo stava già facendo, minare il successo della missione.
 

 

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Capitolo 7
*** Capitolo VII ***


Capitolo sette
 
L’ufficio era di medie dimensioni, ma alquanto spartano: una scrivania di legno chiaro rivolta verso la porta, una libreria a vetri e, in un angolo, un tavolino con due poltrone giallognole. Harry stazionò per qualche minuto sul tappeto color senape, posto tra due rigide sedie di fronte alla scrivania e la libreria. Si sentiva in colpa a trovarsi lì in piena notte e, specialmente, con l’intenzione di perquisire l’ufficio. Se c’era un valore fondamentale nella sua vita, quello era l’amicizia. Harry ed Ernie erano rimasti in buoni rapporti dopo la Scuola, sebbene non fossero amici come con Neville o con Luna e, non poteva dimenticarlo, durante la guerra Ernie gli aveva coperto le spalle mentre portava a termine la sua missione, come molti altri. E la sua presenza in quell’ufficio, di nascosto, era una chiara mancanza di fiducia.
Harry sospirò e scosse la testa, ripetendosi, per la milionesima volta dal suo arrivo a Hogwarts, che non doveva escludere nessun possibile sospettato sulla base dell’amicizia. Erano i primi rudimenti che veniva insegnati all’Accademia Auror!
Non aveva idea di come, dall’ufficio, si accedesse alla camera personale di Ernie. Probabilmente vi era qualche ingresso nascosto, ma ciò lo rendeva maggiormente vulnerabile. Decise di iniziare dalla libreria. Prese un libro alla volta, leggendone rapidamente il titolo e verificando che non vi fosse nulla nascosto dentro, magari una ricetta, o nello scaffale stesso. Fu un lavoro lungo e decisamente noioso, senza contare che si fermava frequentemente tendendo l’orecchio sperando di captare rumori o movimenti. Il mantello dell’invisibilità e la Mappa del Malandrino sarebbero stati più che utili in quel frangente, ma James se n’era impadronito e non aveva potuto chiederglieli in prestito. James e la Mappa. Erano giorni che aspettava una richiesta di spiegazioni da parte dei figli, ma non era accaduto. Eppure, era sicuro che James avesse compreso. Lo evitava e lo fissava a lungo durante i pasti, quando pensava di non essere visto. Non avrebbe retto a lungo, Harry ne era certo: James non era un tipo paziente.
Nella libreria non trovò nulla, allora raggiunse la scrivania. Era perfettamente ordinata: un elegante servizio da scrittoio in pelle faceva bella mostra di sé; una serie di portafoto che mostrava Ernie con la moglie Susan Bones, una di famiglia e una solo con i figli: i gemelli, che Harry conosceva di vista, Rimen e Julie, entrambi Tassorosso al terzo anno, e i più piccoli, Amelia, che, per quello che ne sapeva, doveva avere all’incirca otto anni, ed Edgar di quattro. Erano adorabili. Harry rovistò nei cassetti, dove trovò compiti da correggere, piume e pergamene di scorta, boccette di inchiostro rosso e nero, alcuni fascicoli di studenti Tassorosso, altri libri, registri e agende personali. Sfogliò anche questi ultimi, ma non trovò alcuna informazione utile.
A quel punto, in quella stanza, non gli rimaneva che la borsa di pelle di drago poggiata sulla sedia, ma anche questa si rivelò un buco nell’acqua. L’unica cosa che scoprì fu un votaccio di James   nella verifica fatta prima delle vacanze. Magari avrebbe potuto usarlo contro di lui, quando si sarebbe deciso ad affrontarlo sul fatto che si spacciava per un sedicente Barney Weasley.
 
Lasciò silenziosamente l’ufficio e si spostò verso l’aula di Pozioni e, quindi, la dispensa privata del professore. A dispetto delle reiterate accuse di Severus Piton, Harry non vi aveva mai messo in piede in vita sua. Gli ingredienti per la Pozione Polisucco al secondo anno li aveva rubati Hermione e l’algabranchia Dobby, il suo amico elfo domestico. Tutto sommato non si era perso nulla costatò. Era poco più piccola dell’ufficio di Ernie Mcmillan, sebbene altrettanto ordinato. Probabilmente un esperto in pozioni sarebbe stato utile in quel momento, visto che, sebbene fossero tutte perfettamente ordinate ed etichettate, per lui le varie fiale erano quasi identiche. Impiegò moltissimo tempo a esaminarle una per una, tentando di non romperne nessuna.
Alla fine, stanco e nervoso, si decise a lasciar perdere. Erano le tre passate. Ritornando alla Torre di Grifondoro non fece troppa attenzione a non farsi beccare, sia perché non aveva dodici anni e non aveva veramente paura di essere beccato, sia perché neanche Gazza pattugliava i corridoi a quell’ora.
A un certo punto al secondo piano, però, sentì delle voci concitate. Avrebbe potuto benissimo sgattaiolare via, ma la curiosità ebbe la meglio, tanto per cambiare, e cercò di avvicinarsi alla fonte del rumore. Man mano che si avvicinava riconobbe la voce di Neville, alquanto alterata. Si fermò prima di svoltare nel corridoio dove vi era l’ufficio del direttore di Grifondoro e sbirciò. Neville, palesemente arrabbiato, stava rimproverando Rose e Cassy. Che cavolo ci facevano a quell’ora in giro per la scuola?
Li vide allontanarsi, probabilmente Neville le stava accompagnando al loro dormitorio. Harry, accantonata la stanchezza, decise che era arrivato il momento di affrontare il suo amico. Si sedette sul pavimento davanti alla porta dell’ufficio di Neville e attese il suo ritorno.
Rischiò di appisolarsi un paio di volte, ma finalmente dei passi veloci lo riscossero e si alzò.
«Harry?» chiese Neville titubante, dopo averlo osservato per qualche secondo.
«Già. Dobbiamo parlare» replicò Harry.
Neville assunse un’aria preoccupata e lo invitò a entrare nel suo ufficio.
«Che succede?» gli domandò prima ancora di prendere posto dietro la sua scrivania, che, a differenza di quella di Ernie, era piena di carte, libri, compiti e a malapena si scorgeva il ripiano di legno scuro.
«Come va Albus nella tua materia?» ribatté Harry a bruciapelo.
 Neville lo fissò stranito e per qualche secondo regnò un silenzio totale e carico di attesa.
«Scusa? Mi prendi in giro?» chiese Neville incredulo alla fine, dopo essersi chiesto se avesse sentito bene.
«No. Sei un insegnante, non dovrebbe sembrarti una domanda tanto strana!» sbottò Harry nervosamente.
Neville si passò una mano sul volto e stancamente disse: «Sono le tre e mezza del mattino. Non è una domanda normale! Pensavo che dovevi dirmi qualcosa sull’indagine!».
«E, invece, no! Voglio parlare di mio figlio!».
«Questa poi… Sei sicuro di stare bene?» sbottò Neville innervosendosi a sua volta.
«Sì, e ora rispondi per favore».
«Che sta succedendo? Albus e Rose non mi hanno consegnato la scheda firmata asserendo di essersela dimenticata e, a cena, il professor Vitious mi ha detto di voler parlare di Albus».
«Questo me lo devi dire tu, Neville» replicò Harry esasperato. «Albus ha portato a me e Ginny una scheda abbastanza terribile, che neanche Fred e George avrebbero mai portato!».
Neville si accigliò. «Terribile, in che senso? Ha difficoltà in pozioni, ma raggiunge ugualmente la sufficienza, ma per il resto ha voti abbastanza buoni».
 Harry sospirò e gli riferì quello che, invece, aveva letto lui nella scheda del figlio.
«È quella di Rose» sbuffò Neville. «Che cavolo hanno combinato?».
Harry allora gli raccontò dell’amicizia tra Rose e Jaiden Brooks, che lo preoccupava parecchio.
«Brooks è un ottimo studente, da quando è arrivato a fine ottobre non ha mai dato problemi di alcun tipo, anzi…».
«Ma che stai dicendo?! È un prepotente del cavolo! James ci ha anche litigato e per difendere Al» lo interruppe Harry.
«James è passato dalla parte del torto nel momento stesso in cui ha litigato con lui! E non si è preso la briga di dare una valida spiegazione» replicò Neville.
I due amici si guardarono male per qualche secondo, infine Neville sospirò. «Harry, guarda che ti credo e Brooks non piace neanche a me. Quel ragazzino guarda tutti dall’alto in basso, persino noi insegnanti, ma a quanto pare è abbastanza furbo da non farsi beccare, oltre che è un leccapiedi. Mi dà sui nervi, ma non fa mai nulla che potrebbe giustificare anche un banalissimo richiamo da parte mia. Alcuni miei colleghi lo adorano».
«Quindi?» ribatté Harry sostenuto.
«Immagino che l’unica soluzione sia beccarlo sul fatto, che ne dici?» disse Neville.
«Oh, sì e la pagherà cara appena ciò accadrà».
«Su questo puoi stare tranquillo, neanche a me piacciono i bulli» affermò deciso Neville. «Parla con Albus e vedi che hanno combinato con Rose».
«Va bene» assentì Harry. «Comunque ancora non ho trovato nulla di utile per le indagini».
«Mi dispiace. Se hai bisogno di aiuto, non hai che chiedermelo».
«Aiutami a risolvere il problema di Al».
«Questo non devi neanche chiedermelo, Harry. Al è uno dei miei Grifondoro e in più è il mio figlioccio».
Harry gli strinse la mano riconoscente e gli augurò la buona notte. Era completamente esausto, ma una volta raggiunta la Sala Comune comprese che non era destino che dormisse quella notte: James dormiva su una poltrona, vicino al fuoco, probabilmente riattizzato appositamente da qualche paziente elfo domestico, con la Mappa del Malandrino stretta al petto. Notò con piacere che con lui non c’erano i suoi amici, Danny Baston e Tylor Jordan. Consapevole che fosse arrivato il momento di parlare, lo scrollò delicatamente. Il ragazzino impiegò qualche secondo a svegliarsi e a ricordarsi dov’era e perché, ma appena lo fece puntò un dito contro Harry: «Dove sei stato?».
Harry si accigliò: «Da quando devo darti conto dei miei spostamenti?».
«Da quanto ci segui a Hogwarts sotto false spoglie, papà».
Harry sospirò e lanciò un muffliato sulle scale dei Dormitori, tanto per essere sicuri di non avere ascoltatori indesiderati. «Te la faccio breve. Durante l’ultimo blitz, mi hanno fatto bere a forza una pozione. Per questo sono finito al San Mungo. Si tratta di una pozione sperimentale, che mi ha fatto regredire fisicamente all’età di dodici anni. Gli uomini arrestati hanno confessato che il loro capo si trova qui a Hogwarts, per cui ho deciso di approfittare della mai nuova taglia e venire a indagare personalmente».
«Wow» sussurrò James fissandolo con tanto d’occhi. «Quindi la missione all’estero di cui parla la Gazzetta è una copertura?».
«Esattamente».
James allora si alzò e iniziò a girargli intorno. «Mmm, aspetta un attimo… qual è la mia paura più grande?».
Harry sorrise. «Sei ofidiofobico e hai questa paura dalla volta in cui tu e Fred siete andati da soli nei prati vicino alla Tana e un serpente ti ha morso». Lo abbracciò e James non si sottrasse, ma si staccò quasi subito e gli toccò la testa ridacchiando: «Sei basso per avere dodici anni!». Harry alzò gli occhi al cielo.
«Allora, ora che si fa?» domandò James sorridendo malandrino.
«Direi che l’ora di andare a letto sia passata da un pezzo, non credi?».
Fu il turno di James di alzare gli occhi al cielo. «Sì, va bene, ma io intendevo in generale. Ti posso aiutare?».
«No».
«Ma dai! Non essere noioso! In fondo questo è il mio territorio».
«Il tuo territorio?» ribatté ironicamente Harry.
«Esattamente. Io conosco meglio di te i miei professori, mica sono tutti quegli dei tuoi tempi! Non vuoi sapere che cosa penso di loro?».
«Perché qualcuno secondo te è sospettabile?» chiese interessato Harry.
«Quindi vuoi il mio aiuto?».
«Jamie» disse Harry in tono di avvertimento.
«Uffa, comunque sì. Secondo me Jones è strano. È l’insegnante di volo arrivato quest’anno. Indossa vesti troppo grandi, come se nascondesse qualcosa e, poi, secondo me, i suoi capelli sono finti. Sono troppo attaccati alla testa e neanche il vento li sposta!».
«Secondo me esageri» borbottò Harry, a cui quella descrizione sembrava tanto frutto della fantasia del figlio.
«Beh, vedremo, io e i ragazzi abbiamo parecchie idee su come smascherarlo! Vedrai, se ho ragione o meno».
«Che tipo di idee?».
«Vedrai».
«James Sirius Potter, attento a quello che fai!» lo ammonì Harry, anche perché la McGranitt sapeva che lui era lì e se la sarebbe presa direttamente con lui!
James lo fissò inorridito. «No, aspetta» borbottò preoccupato. «Dobbiamo chiarire questa cosa. Hai intenzione di controllarmi in ogni momento? Nel senso che finché non risolvi il caso, dovrò comportami come un secchione come Al?».
«Di Al dovremmo parlare anche, eh. Come hai potuto aiutarlo a mentirci?!» sbottò Harry innervosendosi al pensiero.
«È mio fratello!» ribatté indignato James.
«Che cosa hanno combinato lui e Rose con le schede di valutazione?».
«Hanno modificato, con non so quale incantesimo, i nomi e, così, praticamente se le sono scambiate. Rose non voleva problemi con zia Hermione e Al non sa dirle di no».
«Oh, stai pur sicuro che lo imparerà» soffiò Harry. «Andiamo a letto, per favore. Comincio a non capire più nulla, è meglio se ne riparliamo domani con calma».
«Come vuoi tu» replicò James facendo spallucce.

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Capitolo 8
*** Capitolo otto ***


Capitolo otto
 
Harry sbadigliò per quella che doveva essere la millesima volta da quando si era alzato. Cioè da meno di mezz’ora. I suoi compagni di stanza l’avevano gentilmente svegliato in tempo, ma lui li aveva tranquillizzati e mandati avanti, riaddormentandosi beatamente. Quando si era risvegliato, accorgendosi che era tardi, aveva pensato di saltare direttamente le lezioni della mattina, ma poi la sua coscienza, con una voce terribilmente identica a quella di Hermione, gli aveva ricordato che la maggior parte dei professori non conosceva la sua vera identità, perciò avrebbero tolto parecchi punti a Grifondoro. Il che non era giusto. Sbuffando per l’ironia di quella situazione, bussò alla porta dell’aula di Difesa contro le Arti Oscure ed entrò chiedendo frettolosamente scusa all’insegnante.
I Grifondoro e i Serpeverde, che seguivano la lezione, avevano gli occhi vitrei e un’aria annoiata.
«Signor Weasley, non so se alla sua vecchia scuola era tollerato arrivare in ritardo, ma qui non lo è» sibilò Oswald McBridge.
Harry, che nel frattempo si era seduto accanto a Elphias Doge in seconda fila, si voltò a fissarlo interrogativo: era necessario rivolgersi in modo tanto sgarbato a un ragazzino appena conosciuto? «Ho dormito male stanotte, professore, e ho avuto difficoltà ad alzarmi questa mattina». In realtà non aveva dormito quasi per nulla, ma, in fondo, era una mezza verità. Persino la McGranitt avrebbe ceduto a una scusa del genere, quanto meno la prima volta.
«Allora, forse, saresti dovuto andare in infermeria. Dieci punti in meno a Grifondoro».
Harry gli lanciò un’occhiataccia, pronto a rispondergli per le rime, ma Elphias, che probabilmente lo aveva intuito, gli tirò un calcio sotto il banco.
«Bastano Rose e Cassy a perdere punti in continuazione».
Harry s’imbronciò e non replicò.
«Spero che non ci siano altre interruzioni, signor Doge riprendi a leggere, per cortesia».
La classe, che si era momentaneamente rianimata fiutando un possibile battibecco tra il nuovo arrivato, Barney Weasley, e il professore, ripiombò nel precedente torpore. Decisamente McBridge era peggio di Rüf ed è tutto dire.
Elphias si schiarì la voce e prese a leggere: «L’incantesimo di disarmo è, perciò, il primo e basilare degli incantesimi di difesa…».
Naturalmente Harry non aveva bisogno di ascoltare quella roba, dopotutto l’Exsperlliamus era sempre stato, in un certo senso, il suo cavallo di battaglia. Per qualche minuto finse di seguire, limitandosi a fissare il manuale del compagno senza vederlo realmente: quella notte avrebbe dovuto perquisire un altro ufficio, ma quale? Rüf? Ma un fantasma aveva un ufficio? Quasi rise della sua stessa considerazione e s’impose di rimanere serio. Avrebbe potuto dare un’occhiata a quello del professor Jones, dopotutto James, per quanto potesse essere fantasioso, non era stupido; oppure quello di McBridge. In effetti il professore di Difesa contro le Arti Oscure era un buon sospettato. Colto da quel pensiero, alzò gli occhi per osservarlo meglio, ma nel farlo con la coda dell’occhio vide qualcosa volare davanti a sé. Allora si guardò intorno, tentando di comprendere che cosa stesse accadendo. Una pallina di carta volò davanti ai suoi occhi, ne seguì la traiettoria e vide che prendeva Albus in testa. Il ragazzino se la tolse con un gesto seccato della mano e mormorò qualcosa ad Alastor. Harry seguì il loro sguardo e nella fila accanto, in fondo, vide Jaiden Brooks sghignazzare. Lo fulminò con lo sguardo, mentre tirava una nuova pallina con una cerbottana Tiri Vispi Weasley. Arrabbiandosi strinse i pugni, incerto su come agire.
In quel momento Scorpius Malfoy si voltò seccato verso il compagno di Casa e gli sibilò qualcosa. Brooks gli consegnò la cerbottana, sorprendendolo e poi alzò la mano: «Professore, Malfoy tira pallina sporche di saliva a Potter».
Un silenzio totale accolse la sua affermazione, perfino Rose e Cassy, che non avevano smesso un secondo di chiacchierare a bassa voce inventando insulti, effettivamente originali, contro Gazza e la sua gatta, Mrs. Purr, tacquero.
«Signor Malfoy, venga qui» disse semplicemente McBridge prendendo una pergamena e iniziando a scriverci sopra.
«Non sono stato io, signore» si affrettò a dire Scorpius, senza muoversi dal suo posto.
«È stato Brooks, professore» intervenne Albus in soccorso dell’amico. Alastor annuì convintamente.
McBridge fece un gesto vago con la mano. «Sciocchezze, signor Potter, li conosco i tipi come i Malfoy. Vieni qui».
Harry si vergognò a sentire quelle parole: per anni aveva pensato allo stesso modo e qualche giorno prima, quando Albus gli aveva presentato Scorpius si era meravigliato della simpatia ed educazione del Serpeverde, sebbene avesse visto con i suoi occhi che Draco avesse abbassato la cresta in quegli anni.
Scorpius strinse i denti, ma obbedì.
«Ma signore…» tentò Albus.
«Basta così, signor Potter. Le ho già detto quanto trovo disdicevole che lei si accompagni con simili soggetti e avevo chiesto al professor Paciock di scrivere in merito a ciò ai suoi genitori, ma evidentemente non l’ha fatto» lo interruppe il professor McBridge, prima di rivolgersi a Scorpius porgendogli un pezzo di pergamena ripiegato. «Portalo al professor Lumacorno».
Scorpius non disse nulla e uscì dalla classe.
«Questa è un’ingiustizia!» sbottò Harry, sempre più arrabbiato dopo aver visto Brooks sghignazzare in fondo alla classe con i suoi stupidi amichetti.
«Doge, riprendi a leggere, per cortesia».
«Ce ne andiamo anche noi» esclamò Rose furiosa, alzandosi e recuperando il suo zaino.
«Signorine! Rimettetevi a sedere!» strillò McBridge vedendo che anche Cassy raccoglieva i suoi libri.
Le due lo ignorarono, sotto lo sguardo ammirato della classe.
«Scorpius non dovevi toccarlo» sibilò Rose a Jaiden Brooks con evidente odio nella voce.
«Signorine!» tentò di nuovo il professore, ma inutilmente.
Rose si fermò vicino al banco di Alastor e Albus, lasciando passare avanti la sua migliore amica. «Scorpius è vostro amico, avanti muovetevi».
Albus aveva tenuto gli occhi fissi sul libro fino a quel momento e gli sollevò terrorizzati sulla cugina.
Harry ritenne che Rose, in questo caso, avesse pienamente ragione e comprese finalmente l’astio di James nei confronti di quell’uomo. Raggiunse Rose e fissò anche lui Albus in attesa di capire come si sarebbe comportato.
«Signor Weasley!» gridò McBridge fuori di sé.
«Dai, Al, davanti alle ingiustizie non si deve rimanere indifferenti» disse al figlio sperando di scuoterlo.
«Cominci a starmi simpatico» commentò Rose stupita.
E io comincio a ritrovare la mia nipotina, pensò Harry ma naturalmente tacque.
«Siete pazzi» mormorò Elphias Doge. «Finirete in un guaio serio».
«Andiamo» disse allora Harry prendendo Rose per il braccio e guidandola fuori: Albus non li avrebbe seguiti.
«Dal professor Paciock» sibilò McBridge. Rose prese la pergamena e uscì dall’aula a testa alta.
«Per fortuna, abbiamo Volo dopo l’intervallo» sospirò Rose una volta da soli nel corridoio.
«Che facciamo?» domandò Cassy annoiata.
Harry si accigliò: non sarebbe stato annoiato e tanto indifferente a undici anni dopo aver messo in discussione un professore così palesemente. Poteva capire che Neville non facesse paura quanto la McGranitt, ma anche il suo amico sapeva essere severo e ora, a mente un po’ più calma, iniziava a chiedersi se fosse stata una scelta giusta. Accidenti, era ancora impulsivo come un ragazzino!
«Andiamo dal professor Paciock, naturalmente» disse, tentando di recuperare un po’ della sua maturità e senso di responsabilità.
Le due ragazzine lo fissarono sorpreso.
«Stai scherzando? Abbiamo un sacco di tempo libero!» ribatté Cassy.
«Beh, fate quello che volete. Io andrò dal professor Paciock. Ci siamo sentiti tanto coraggiosi da affrontare McBridge e ora dobbiamo affrontarne anche le conseguenze» annunciò solennemente. Non aveva alcuna autorità su di loro in quel momento, ma almeno poteva provarci. «Tanto vale farlo subito e di propria volontà, non vi illuderete mica che dopo la lezione McBridge non verificherà se ci siamo presentati o meno dal nostro Direttore?».
«Ok, hai ragione» concesse Rose a malincuore.
Harry colse una certa esitazione nelle sue parole e chiese: «Scusa, ma non è meglio raccontare immediatamente al professore quello che è successo? Magari può aiutare Scorpius».
«Non lo farà» sbuffò Cassy fissandolo come se fosse stupido.
«Se ci ascolterà, sarà già qualcosa. Non c’è da fidarsi degli adulti» replicò, invece, Rose. «Parlerò con Jaiden pomeriggio. Non aveva mai fatto una cosa del genere».
A Harry, invece, quel ragazzino sembrava proprio il tipo che si diverte a mettere nei guai i compagni, ma non disse nulla e tutti e tre si avviarono verso le serre.
Neville stava facendo lezione con gli studenti del sesto anno e non fu per nulla felice della loro interruzione. Li rimproverò senza mezzi termini e Harry si arrabbiò rispondendogli a tono. Da lì a quella sera sarebbe stato il ragazzo più ammirato della Scuola: non più per essere il Bambino Sopravvissuto, ma per essere un ribelle con i fiocchi. Tutto sommato non gli dispiaceva quel titolo.
Rose, Cassy e Harry furono costretti a rimanere nella serra a studiare, o almeno in teoria perché tutti e tre si rifiutarono di aprire i libri, fino al suono della campanella che segnava l’inizio dell’intervallo. Le ragazzine scapparono via insieme ai ragazzi più grandi prima che Neville potesse aggiungere qualcosa, ma Harry rimase fissando con ostilità l’amico.
«Harry» iniziò Neville.
«Harry, un bel niente!» lo interruppe Harry. «Mi hai messo in punizione! E hai detto che scriverai a Ginny, ma ti rendi conto? Ho trentasette anni! Trentasette!».
«Lo so, abbiamo la stessa età, ma in questo momento ne dimostri si e no dodici» replicò Neville pazientemente.
«E comunque» continuò Harry senza dar cenno di averlo ascoltato, «è McBridge in torto, non noi!».
«Avete lasciato l’aula senza permesso. Non è un comportamento ammissibile» ribatté Neville esasperato.
«Ma hai sentito o no come quell’uomo si è rivolto a Scorpius!?».
«Anche se voi non ci credete, io ho ascoltato con attenzione quanto mi avete detto. Più tardi parlerò con Albus e, poi, con il professor Lumacorno perché conosca la vostra versione. Non cambierà nulla, però. Conosci Lumacorno. Non guarda neanche in faccia Scorpius e Jaiden Brooks è molto bravo in Pozioni».
Harry sbuffò: no, non aveva dimenticato il carattere di Horace Lumacorno.
«L’unico che potrebbe aiutare Scorpius è Albus».
«Come?».
Neville ghignò: «È tuo figlio, qualunque cosa dirà a Lumacorno, lui gli crederà».
Harry si accigliò e raccontò all’amico come Albus non si era mosso quando gli aveva chiesto di unirsi a loro nella protesta contro il professore di Difesa contro le Arti Oscure.
Il ghigno di Neville scomparve e fu sostituito da un lieve sorriso: «Albus è un bravo ragazzo, sono sicuro che in questo momento si sta facendo mille complessi per quello che è accaduto. Non è impulsivo, non è te Harry e non è neanche James. Albus pensa sempre alle conseguenze delle sue azioni. Non lo giudicare severamente, ci tiene ai suoi amici, ma lo dimostra in modo diverso. Chiederà scusa un milione di volte a Scorpius finché non verrà zittito. Sono sicuro che Scorpius non ce l’ha con lui e vi darà degli scemi per esservi messi in mezzo».
«Bell’ingrato» si lasciò sfuggire Harry.
Neville scosse la testa. «McBridge e Lumacorno non sono gli unici che lo guardano di traverso a causa del suo cognome e Scorpius non è stupido. È grato ad Albus e a Rose per il semplice fatto che sono suoi amici».
Harry sospirò e osservò distrattamente il cielo nuvoloso, dopo un po’ disse: «Trova un modo per farmi scontare una punizione nell’ufficio di McBridge, ho del lavoro da fare».
L’amico scrollò le spalle e annuì pensieroso. «Non ti prometto nulla, però. Non vuole mai supervisionare le punizioni di Rose e Cassy».
Alla lezione successiva, Volo, ancora una volta Harry si rese conto di quanto James avesse ragione e non esagerasse poi tanto. Non solo il professor Jones era un tipo proprio strano, ma era anche poco professionale. Se non fosse intervenuto Harry, alcuni Tassorosso si sarebbero fatti male sul serio e altri, nonostante fossero a gennaio, non riuscivano neanche a sollevarsi da terra. Jones, s’intende, lo prese immediatamente in antipatia.
Quell’esperienza lo stava costringendo a riflettere più di quanto si sarebbe mai aspettato.
A pranzo, James trovò divertente sentire quello che era accaduto a Difesa contro le Arti Oscure e Harry dovette sopportare le sue punzecchiature e battutine per tutto il tempo.
«A me non è sembrata una grande idea» borbottò Elphias. «Abbiamo perso cinquanta punti e siete stati punti. Un successone, direi».
«Un vero Grifondoro difende i suoi amici» replicò Harry punto sul vivo.
«Questo è l’atteggiamento che dipinge noi Grifondoro come tronfi, impulsivi fino alla stupidità. Non te l’hanno mai detto che eroi del genere non servono a nulla? Sono gli eroi che di solito finiscono ammazzati e non risolvono un bel niente!» sbottò Elphias arrabbiato.
Rose e Cassy gli risposero con un gestaccio e continuarono a mangiare come se nulla fosse, ma Harry no. Quei discorsi gli avevano riportato alla mente ricordi dolorosi. Si alzò furioso e puntando un dito contro Elphias gridò: «Stupido ragazzino, tu non sai che cos’è una guerra e che cosa significa essere degli eroi. Nell’ultima guerra quelli come te sono rimasti attaccati alle gonne del Ministro della Magia, nonostante fosse un fantoccio di Voldermort!». Prese la borsa e si diresse fuori dalla Sala Grande, ignorando i figli che lo fissavano a bocca aperta e il silenzio attonito di tutti gli altri studenti, segno che aveva urlato più di quanto si fosse realmente reso conto.
Doveva trovare il pazzo che l’aveva ridotto in quel modo e tornare alle sue normali dimensioni, quella di Barney Weasley era la peggiore farsa della storia e lui era un pessimo attore.
Vagò per i corridoi per un po’ prima di decidersi a trovare informazioni in biblioteca. Hermione sarebbe stata fiera di lui.
Madama Pince gli lanciò un’occhiataccia preventiva: d’altronde quale ragazzino del primo anno trascorreva la pausa pranzo in biblioteca?  Comunque, a parte qualche studente degli ultimi anni, non c’era nessun altro e Harry si rilassò leggermente cercando nel reparto dedicato a Pozioni. Vista la quantità di libri presenti sulla disciplina, l’impresa si presentava quanto mai ardua: se avrebbe dovuto affidare a essa il successo della sua missione, avrebbe fatto prima ad attendere di compiere nuovamente trentasette anni!
James e Albus lo trovarono seduto a un tavolo ingombro di grossi tomi di cui aveva compreso a malapena il titolo. Oh, quanto odiava Pozioni!
James sventolò la Mappa del Malandrino e sorrise: «Scusa il ritardo, ma dovevo finire di pranzare».
Harry alzò gli occhi al cielo, ma si lasciò sfuggire un mezzo sorriso.
«In verità, non ho ancora capito perché siamo qui. Non sei stato per nulla gentile con Elphias. Dovresti chiedergli scusa» asserì Albus.
Harry lo fulminò con lo sguardo e fu contento di vederlo fare un passo indietro. «Non chiedo scusa a nessuno» sbottò, risultando, però, un bambino orgoglioso e scontroso.
«Andiamo a parlare da un’altra parte, prima che Madama Pince ci faccia in poltiglia e ci consegni agli elfi come piatto principale per la cena di questa sera» suggerì James.
«Di che cosa dobbiamo parlare?» insisté Albus fissando il fratello.
«Vedrai» sbuffò James, prendendolo per un braccio e trascinandolo fuori.  «E attento a quello che dici, ogni cosa potrebbe essere usata contro di te».
Harry gli lanciò un’occhiataccia e li seguì. La battuta di James, sempre se era una battuta, e quello che aveva detto Rose quella mattina lo misero in crisi: aveva sempre pensato che lui, Ginny, Ron e Hermione non fossero tanto male come genitori.
James li guidò nel parco fino al limitare della Foresta Proibita e qui si fermò.
«Non osare trascinarmi più così!» strillò Albus. «Chi ti credi di essere?».
«Sono il fratello maggiore» replicò pomposamente James.
«E chi se ne frega!» sbottò Albus, voltandosi con l’intenzione di tornarsene al castello, ma James lo fermò tirandolo per il mantello. Il più piccolo si divincolò e poi per buona misura lo spinse.
Harry si stava arrabbiando di nuovo, conosceva perfettamente i suoi figli e sapeva che si sarebbero accapigliati se non fosse intervenuto. Albus era solitamente un ragazzino calmo, ma saltuariamente accadeva che anche lui perdesse le staffe e diventasse parecchio capriccioso.
James sollevò le mani in alto in segno di resa, ma Albus cominciò a insultarlo. Harry allora intervenne: «Basta così, Albus». Lo disse con voce ferma e bassa che, nonostante la sua acuta vocetta infantile, riuscì ad attirare l’attenzione del ragazzino.
«Ti conviene ascoltarlo» ne approfittò all’istante James. «Non è chi dice di essere».
Albus passò lo sguardo dall’uno all’altro, prima di sbottare: «Mi prendete in giro per caso?».
«Non posso detrasfigurarmi, potrebbe vedermi qualcuno» sbuffò Harry. «James, mostragli la Mappa».
James annuì e solennemente pronunciò: «Giuro solennemente di non avere buone intenzioni», poi la mise sotto gli occhi del fratello e, dopo un attimo di esitazione, indicò con il dito i loro puntini.
Harry osservò il viso del figlio passare dal rosso, per la lite di prima e per il freddo, al bianco. «È uno scherzo?» mormorò, fissando di nuovo alternativamente il fratello e il padre, solo con uno sguardo totalmente diverso.
 
 



Harry non se ne faceva nulla delle scuse di Neville: trascorrere metà della nottata a lucidare i trofei della Scuola, sarebbe stata un’enorme perdita di tempo.
«Senti, Harry, se vuoi mantenere la tua copertura, non hai scelta. A meno che tu non abbia qualche idea per spiegare all’intera Scuola perché dovresti essere esentato da questa punizione. E specialmente dovresti spiegarlo a Rose e Cassy».
«Ma non potrò muovermi con Gazza che ci controlla e con le ragazze!».
«Non so che dirti» sospirò Neville.
Erano nel suo ufficio, dove Harry l’aveva raggiunto per protestare, ma doveva ammettere di non avere una soluzione migliore da proporre.
In quel momento qualcuno bussò e Neville, alzando gli occhi al cielo, fin troppo esasperato quel giorno, diede il permesso di entrare.
Sorprendendo entrambi, fu il viso di Albus a fare capolino dalla porta.
«Ciao» sussurrò guardandosi i piedi.
Dopo che Harry gli aveva raccontato la verità sia sulla sua identità sia su quello che era accaduto realmente durante le vacanze di Natale, Albus era praticamente sparito. James l’aveva rassicurato che si trovava in biblioteca a fare i compiti e Harry aveva deciso che la scelta migliore sarebbe stata quella di lasciargli il tempo di elaborare la situazione. Di certo non si aspettava che il confronto sarebbe avvenuto così presto.
«Cosa posso fare per te, Albus?» chiese Neville gentilmente.
Albus prese un bel respiro e confessò la storia delle schede di valutazione scambiate con Rose. «Non so più come rimediare» ammise infine. «La situazione mi è sfuggita di mano».
Harry lasciò che Neville gli facesse la ramanzina in qualità di Direttore. «Per un’azione del genere dovrei sospendere sia te che Rose» concluse. «Non si manomettono i documenti ufficiali. È gravissimo».
«Mi dispiace» sussurrò allora Albus. E Harry sapeva che era sincero: qualunque cosa gli fosse saltata in mente quando aveva accettato la proposta della cugina, poi si era completamente rivoltata contro di lui.
«Però» riprese Neville, «se tu, Harry, firmi una nuova copia della scheda, potremmo fare finta che non sia mai accaduto nulla. Tu sei il padre, quindi ne hai il diritto. Stasera stessa invierò una lettera a Hermione. Per te va bene?».
«Sì, naturalmente» assentì Harry all’istante. «Posso vedere i veri giudizi di Al adesso?». Non che gli importasse veramente, ma un po’ di curiosità ce l’aveva dopo tutto quel caos. Si sedettero alla scrivania di Neville e Harry si prese il suo tempo per leggere, nonostante percepisse gli occhi del figlio addosso. Per quale motivo poi, non lo capiva. Insomma, dopo avergli mostrato la scheda di Rose a Natale, non avrebbe dovuto preoccuparsi di nulla.
«James mi ha detto che questa sera avresti dovuto portare avanti le indagini, ma la punizione voluta dal professor McBridge non te lo permetterà» pigolò a un certo punto Albus, probabilmente ritenendo che il padre non avesse bisogno di altro tempo per leggere e, probabilmente, poco intenzionato a discutere ancora sull’argomento.
«Già, non ci voleva» sbuffò Harry, prendendo una piuma a Neville e firmando la pergamena.
«Ho pensato che potresti trasfigurarmi in modo da assomigliarti… cioè assomigliare a Barney… così io prendo il tuo posto e tu puoi indagare tranquillamente…» mormorò torcendosi le mani e senza guardarlo in volto.
«Prendere il mio posto?» replicò sorpreso Harry.
«Sì, per la punizione con Gazza. James mi ha detto che tu, Rose e Cassy dovete lucidare tutti i trofei della Scuola».
Harry lo fissò sorpreso: non ci aveva pensato. E la proposta era terribilmente allentante. Scosse la testa però. «No, non è giusto» disse fermamente.
«Non è un problema per me. Permettimi di aiutarti» ribatté Albus serio.
«Beh, potrebbe essere una soluzione» intervenne Neville. «E un po’ se lo merita per lo scambio delle schede».
«Sì, ma…» iniziò Harry incerto. Non era in quel modo che voleva affrontare la questione. «No, non sono d’accordo. A parte il fatto che ho bisogno di parlare con Ginny» disse, «e poi lucidare i trofei…».
«Voglio aiutarti!» lo interruppe Albus. «Devi indagare per tornare adulto».
«Non ti piace avermi tra i piedi?» chiese Harry tentando di sdrammatizzare.
Albus si strinse nelle spalle. «Non lo so» rispose sinceramente. «Ma è molto strano parlarti in questo modo. Sicuramente ti rivoglio nelle tue normali dimensioni».
Harry sorrise tristemente e annuì. «Va bene, facciamolo. Anche perché non avevo nessuna voglia di lucidare trofei». Così trasfigurò il figlio, sebbene impiegò un po’ di tempo per renderlo un perfetto Barney Weasley, e detrasfigurò se stesso.
«Perfetto» commentò Neville osservandoli. «Ora, Al devi andare, ti accompagno io visto che sei in ritardo; Harry vedi di trovare James e farti prestare il mantello, non ti puoi far beccare in giro per la scuola con le tue sembianze, potrebbero scambiarti per Al».
«Voglio dare un’occhiata all’ufficio di McBridge stasera, puoi trovare una scusa per tenerlo lontano? Ho bisogno come minimo di un’ora».
Neville ci ragionò sopra qualche secondo e poi ghignò, reazione che preoccupò Harry, non abituato a vederlo in quel modo.  «Vorrà dire che indirò una riunione per discutere di quello che è accaduto oggi. I miei colleghi ne saranno felici».
«Immagino» ridacchiò Harry. «Bene, mettiamoci a lavoro».

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Capitolo 9
*** Capitolo nove ***


Capitolo nove
 
«Barney Weasley! Ma che ti è passato per la testa?! Non ti è stato insegnato a comportarti così! Come hai osato lasciare la classe in quel modo e rispondere al tuo insegnante?! Non so com’eri abituato a comportarti prima, ma io non te lo permetterò! Vedi di comportarti bene, d’ora in avanti Barney Weasley!».
La lettera scarlatta si ridusse in cenere davanti agli occhi scioccati di Harry, mentre l’ultima eco della voce di Ginny Potter si spegnava. Cercò i figli con lo sguardo e si accorse che erano altrettanto turbati, ad eccezione di una scintilla divertita negli occhi di James. In effetti non doveva essere piacevole sentire la propria madre urlare come una forsennata davanti a tutta la Scuola, sebbene l’oggetto della sua ira fosse il padre e non uno di loro.
Harry prese lo zaino da sotto il tavolo e si avviò verso l’uscita proprio mentre gli altri studenti, superato il momento di sorpresa, iniziavano a sghignazzare e a indicarlo. Decisamente Ginny non aveva nulla da invidiare alla madre. Ma era proprio necessario inviargli una strillettera? Sua moglie si stava divertendo da morire con quella storia! La conosceva a sufficienza tanto da aver percepito il risolino trattenuto dietro le sue parole, chissà quanto aveva riso dopo aver spedito la chiassosa missiva. Poi erano loro uomini a non essere romantici! Però la verità è che aveva bisogno di parlarle: avevano dovuto rinunciare alla posta via gufo, perché avrebbe potuto essere intercettata e quindi comunicavano indirettamente attraverso le lettere che Albus, James e Neville le inviavano e viceversa; ma non era abbastanza.  Era necessario un mezzo di comunicazione che li garantisse di parlare in sicurezza.
«James!» strillò. Il figlio aveva appena varcato la soglia della Sala Grande in compagnia degli immancabili Danny Baston e Tylor Jordan, i suoi migliori amici. Il ragazzino sobbalzò e si voltò verso di lui. Danny e Tylor sghignazzarono. «Ho bisogno di parlarti in privato» gli disse, ignorando gli altri due.
James arrossì, mentre i suoi amici ridevano più forte e, a parere di Harry, molto stupidamente.
«No, dai, James, da quando ti fai comandare da un mocciosetto del primo anno?» intervenne Tylor.
«Sì, infatti, perché non gli giriamo la divisa come abbiamo fatto con Fulton Collins di Serpeverde?» propose Danny.
Le orecchie di James avvamparono tanto da ricordare suo zio Ron e il ragazzino evitò lo sguardo di Harry.
«No, ragazzi. Lui è di famiglia» biascicò James in risposta. «Ci vediamo in classe?».
«Come vuoi, ma non ti rammollire» replicò Tylor.
«Tranquillo» ribatté James con sicumera, ma attese di vederli sparire dalla loro vista, diretti nei sotterranei, prima di sollevare lo sguardo sul padre. «Ehm…».
«Ora, parlare con un ragazzino di un anno più piccolo, è diventato motivo di vergogna? E che cos’è questa storia della divisa di Fulton Collins?» chiese Harry a bruciapelo.
«Ma niente, uno scherzo innocente…» borbottò James, evitando nuovamente il suo sguardo.
«James Sirius Potter» sibilò Harry, tentando di mantenere basso il tono di voce, «quanto volte ti ho detto che non mi piacciono i prepotenti?».
«Tante» borbottò il ragazzino in risposta. «Ma era solo un gioco…».
«Per te e i tuoi amici probabilmente, ma dubito che anche questo Fulton Collins si sia divertito».
James era in difficoltà e non replicò. A Harry non piacevano molto gli amici del figlio, poiché gli ricordavano troppo suo padre e il suo padrino da ragazzini: arroganti e prepotenti. E non avrebbe permesso che suo figlio prendesse quella strada.
«Mi dispiace» sussurrò James. «Danny e Tylor lo hanno trovato divertente».
«Beh, si sono sbagliati di grosso! Comunque ne riparleremo, in questo momento ho bisogno di un favore» ribatté Harry.
«Tutto quello che vuoi» rispose rapidamente James.
«Prestami lo specchio». Harry aveva comprato una coppia di specchi gemelli quando James aveva ricevuto la lettera di Hogwarts. Naturalmente avrebbe negato di essere un padre apprensivo e Ron non era a conoscenza dell’esistenza di quelli specchi. «Vorrei comunicare con tua madre in modo sicuro».
«Certo» assentì il ragazzino e si affrettò a tirare fuori dallo zaino una custodia di pelle di drago e gliela consegnò. «Quando mi hai chiamato poco fa, pensavo che fossi arrabbiato per la punizione della Macklin».
«Come sai della mia punizione? Te lo ha raccontato Al?».
James strabuzzò gli occhi. «La tua punizione? Io intendevo la mia! Perché la Macklin ti ha punito?».
«Non ho fatto i compiti» replicò Harry con una scrollata di spalle. «E tu?».
«Anche. Potremmo farci sostituire da Albus, che ne dici?» provò a sorridere James. Sorriso che scomparve immediatamente all’occhiataccia di Harry.
«Ci mancherebbe pure! Ci assumeremo le nostre responsabilità!» ribatté Harry, tentando di mostrarsi realmente responsabile, nonostante l’idea lo allettasse parecchio. «Ma tu perché non hai fatto i compiti? Io almeno sono impegnato con le indagini, ai miei tempi li facevo».
«Trasfigurazione non è facile, la Macklin è molto esigente, gli allenamenti di Quidditch mi prendono parecchio tempo e non riesco a organizzarmi» elencò James con sincerità.
«E non ti puoi far aiutare dai tuoi amici? Zia Hermione aiutava sempre me e Ron».
«Robert mi aiutava sempre. Tylor non fa neanche i suoi».
«E Danny Baston?».
«Non avevo abbastanza galeoni» rispose James con una scrollata di spalle.
«Come scusa?». Harry non era sicuro di aver capito bene. «Galeoni?».
«Danny ritiene di doversi far pagare per il suo lavoro, perché non sarebbe giusto in caso contrario se sgobbasse al posto degli altri gratuitamente».
Harry rimase senza parole. «Chiedi a Victoire allora» suggerì alla fine. «Ma non dare più uno zellino a Baston, non è così che ci si comporta tra amici. Non dimenticarlo».
James annuì. «Papà, ma tu che avresti fatto se fossimo stati noi, intendo io o Al, a rispondere in quel modo a McBridge? Zia Hermione ha mandato una strillettera tremenda a Rose, ma mamma non era al suo massimo».
«Tua mamma ha trovato divertente mandarmi una strillettera» borbottò Harry suscitando le risatine consapevoli del figlio. «Io… io credo di non essermi comportato bene. McBridge ha sbagliato, ma io, Rose e Cassy siamo passati dalla parte del torto nel momento in cui abbiamo reagito in quel modo. Albus ha parlato con Lumacorno e la Macklin e Scorpius non è stato punito. Spesso e volentieri è meglio risolvere le questioni con diplomazia piuttosto che con atti di ribellione fine a sé stessi… Ehm probabilmente mi sarei arrabbiato…».
«Davvero?» chiese James interessato.
«Sì. Sai questa situazione, per quanto scomoda sia, mi sta facendo riflettere e ricordare com’è essere dei ragazzini. E dire che non avrei mai pensato di averlo dimenticato».
«Vorrà dire che sarai più comprensivo d’ora in avanti, no?».
«Vuol dire che mi comporterò come un dodicenne e mi divertirò a farlo, una volta tornato adulto rifletterò su quanto questa esperienza mi abbia insegnato» esclamò Harry con solennità.
«Sembri tanto zia Hermione» commentò James, beccandosi un’occhiataccia. «Comunque Lumacorno non dovrebbe avere tanto potere decisionale, è pur sempre in pensione. Secondo me Mcmillan non lo sopporta e preferirebbe non averlo tra i piedi».
«Può darsi» replicò Harry con un lieve sorriso. «Ma ti conviene avviarti o Mcmillan si sfogherà su di te».
«Oh, oh, hai ragione» disse James sgranando gli occhi. «Ah, presto ti dimostrerò che Jones nasconde qualcosa».
Harry non ebbe il tempo di chiedergli spiegazioni che corse via.
 
Durante l’intervallo Albus lo avvicinò in cortile e, lontano da orecchie indiscrete, gli chiese a che punto fossero le indagini.
«Ho perquisito tutti gli uffici dei professori e non ho trovato nulla».
«Magari è attento a non lasciare tracce» ipotizzò Albus.
«Sicuramente non è uno stupido» concordò Harry. «Ma qualcosa, anche minima, dev’esserci! Credo di dover controllare le stanze personali dei professori».
«Sul serio?».
«Già, ma ho bisogno di un diversivo o sarò beccato. Non posso certo entrarci di notte mentre dormono!».
«In questo James e Rose sono bravissimi. Dovresti chiedere a loro».
«Lo chiederò a James. Rose è già abbastanza nei guai con Hermione. A proposito non le ha detto nulla per le schede?».
«Le ha scritto zio Ron, a quanto pare zia Hermione verrà di persona molto presto» sussurrò preoccupato Albus. «Che succederà?».
Harry fece un sorriso stiracchiato, consapevole che il figlio avesse ragione a temere la furia della zia. «Lascia che se ne occupino Neville e Ron. È meglio, fidati».
«Ok» assentì Albus. «Senti posso dirti una cosa?» domandò timorosamente.
«Tutto quello che vuoi» rispose Harry incoraggiante.
«Non credi di aver esagerato con Elphias? Non è cattivo e sicuramente non gli piacciono i Mangiamorte» sussurrò Albus.
Harry rimase colpito da quelle parole inaspettate. La prima reazione fu quella di negare, ma preferì tacere: Elphias Doge era solo un bambino e non avrebbe dovuto urlargli quelle cose sulla guerra. «Forse ho esagerato» ammise infine.
«Potresti chiedergli scusa?» chiese Albus mordendosi il labbro inferiore. «È rimasto abbastanza male. Suo nonno era un membro dell’Ordine della Fenice».
«Va bene, lo farò» concesse Harry a malincuore, chiedendosi come avesse fatto a mettersi in simili questioni con dei ragazzini di undici anni.
«Grazie» sorrise il figlio.
 
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Un vento gelido spirava su Hogwarts e prometteva una nuova nevicata, ma ciò non impedì a Harry di sedersi sugli spalti dello stadio di Quidditch, felice di assistere a un allenamento di James.
Dopo pranzo aveva cercato il figlio maggiore per chiedergli di organizzare un diversivo e il ragazzino, dopo aver accettato tutto contento, l’aveva pregato di andare a vederlo giocare.
In più Harry aveva parlato con la moglie ed era molto più rilassato.
Decisamente il Quidditch era uno degli aspetti che più gli mancavano dei tempi della Scuola.
L’allenamento trascorse tranquillamente, contribuendo a rilassare e rallegrare Harry dopo tanti giorni stressanti. Dai Baston, l’attuale Capitano, fratello maggiore di Danny e figlio di Oliver Baston e Alicia Spinnett, era veramente bravo e perfettamente capace di organizzare la squadra. Come si suol dire: tale padre, tale figlio. E dopotutto si sarebbe potuto dire anche di Jamie, visto come volava superbamente.
Agli allenamenti stava assistendo anche il professor Jones, ma Harry non notò nulla di strano nel suo comportamento.
All’improvviso James compì una picchiata sorprendente sì, ma chissà perché diretta proprio verso il professore di volo. Il boccino non si vedeva da nessuna parte, per cui non doveva essere stata una coincidenza. L’uomo non si scompose, probabilmente perché abituato alla vivacità del ragazzo. Harry tentò di tranquillizzarsi con la stessa giustificazione, ma sentiva comunque puzza di bruciato. Sarà che James gli aveva messo la pulce nell’orecchio.
James, e una volta anche Danny Baston, compì la stessa manovra più volte.
Harry si accigliò e sperò che il figlio non facesse qualcosa di stupido. Quando Dai Baston fischiò dichiarando concluso l’allenamento, il Capitano degli Auror pensò di star diventando paranoico come Alastor Moody.
James e Danny, però, rimasero indietro, scendendo solo di qualche metro fino a svolazzare sulla tribuna in cui si trovava il professor Jones.
«Professore, lo sa che i Babbani hanno un sacco di sport interessanti?» domandò Danny.
Jones lanciò loro un’occhiata tra il disgustato e il seccato, si strinse il mantello al petto e si avviò lungo il corridoio tra i sedili.
«Professore!» chiamò questa volta James. Jones non si voltò. «La pesca è sicuramente lo sport più interessante, dovremmo praticarla di più anche noi maghi». Harry sgranò gli occhi vedendo che il figlio era munito di una canna da pesca. Da dove l’aveva tirata fuori, per Merlino!? «Non si sa mai cosa si potrebbe pescare». E lanciò l’amo dritto in testa a Jones.
Harry vide la scena a rallentatore e rimase basito: l’amo s’impigliò nei capelli pieni di gel, che avevano suscitato per mesi le battutine degli studenti di Hogwarts; e poi James tirò pescando quella che a tutti gli effetti era una parrucca. Altro che gel magico. Ma non fu quello a sconvolgere lui e il resto della squadra di Grifondoro ancora sul campo: la parrucca nascondeva dei fluidi capelli castani che ricaddero sulle spalle dell’insegnante.
«Ma è una donna» gridò sconvolto Danny Baston.
«È Gwenog Jones, l’ex Capitano delle Holyhead Harpies» specificò Dai Baston con gli occhi luccicanti.
«JAMES POTTER GIURO CHE TI FARO’ ESPELLERE!» urlò la donna fuori di sé.
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«Tutta la Scuola parla di te». Harry accolse il figlio maggiore con un sorriso divertito.
«Già» borbottò James spostandosi da un piede all’altro nervosamente. «Sei arrabbiato?».
«No» replicò Harry. «Com’è stato il tuo primo viaggio nell’ufficio della McGranitt?».
«Spero sia l’ultimo».
«Credo che il suo scopo fosse quello».
«È più furiosa con la Jones, comunque».
«Vorrei ben vedere, sono mesi che mente sulla sua identità».
«Buonasera, noto con piacere che siete puntuali».
James gemette all’apparizione della professoressa Macklin. Harry non disse nulla, quella donna l’aveva fregato in tutti sensi: la punizione consisteva nel fare compiti extra nell’aula di Trasfigurazione. E lui che aveva sperato di poterne approfittare per dare un’occhiata alla camera personale della professoressa.
«Questa sera non avrà scelta che completare i suoi compiti, signor Weasley, a meno che lei non voglia trascorrere la notte a studiare».
Harry la fissò a occhi sbarrati e cercò di convincersi che fosse solo un incubo.

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Capitolo 10
*** Capitolo dieci ***


Capitolo dieci
 
«Non ho capito».
Tutti dicevano sempre a Harry che era un genitore paziente, anche troppo viste tutte le monellerie di James, che peggioravano terribilmente se veniva spalleggiato da Rose e Fred e divenivano totalmente pessime se collaborava la piccola, e tutt’altro che innocente, Lily. Quella sera, però, la sua tanto decantata e, probabilmente criticata, pazienza sembrava essersi dileguata come la neve al sole.
«Papà, non ho capito» ripetè James, probabilmente ritenendo che non avesse sentito la prima volta.
«E manco io» sbuffò Harry sconfitto. Erano ore che lavoravano sui compiti di Trasfigurazione e tutti i buoni propositi iniziali erano completamente spariti. Il giorno dopo avrebbe supplicato Victoire di trovare qualche ora da dedicare a James, perché lui di certo non ce l’avrebbe fatta, nonostante le minacce fin troppo esplicite di Ginny. Lui li avrebbe pure controllati i figli e, a maggior ragione, aiutati e sostenuti, ma i compiti di Trasfigurazione… se non fosse stato per Hermione, lui e Ron sarebbero rimasti al primo anno!
«E come facciamo?» insisté James. A quanto pareva la Macklin lo spaventava parecchio e come dargli torto? «Non puoi darmi un galeone da dare a Danny? Uno solo e domani mattina mi detta qualcosa da scrivere».
«Assolutamente no» ribatté Harry con fermezza. «A Baston non darai più neanche uno zellino, ne abbiamo già parlato».
«Allora, mi farò dare del torrone sanguinolento o dalle pasticche vomitose da Fred».
«No, questa non è mica una soluzione».
«Bene, allora vuoi spiegarglielo tu alla Macklin perché non ho fatto i compiti. Di nuovo!».
«No» rispose frettolosamente Harry.
«Vedi, neanche tu pensi che si possa parlare con lei!».
«Non sono mica stupido» borbottò il più grande.
«Siete ancora svegli?».
Albus, con il pigiama verde smeraldo, scelto personalmente da Ginny perché s’intonava con i suoi occhi, e un maglione di nonna Molly, li fissava dall’ultimo gradino che portava ai Dormitori maschili. Dopo un momento d’incertezza, li raggiunse vicino al caminetto.
«Non sono tutti secchioni come te che finiscono i compiti in due secondi» borbottò James contrariato.
«Non ci metto due secondi a fare i compiti» ribatté infastidito Albus.
«Non credo sia il caso di litigare, io e Jamie abbiamo già fin troppi problemi» sospirò Harry. «Perché non dormi?».
Il ragazzino si strinse nelle spalle. «Rose è un po’ giù di corda e non so come aiutarla».
«E ci credo, zia Hermione è venuta qui e le ha fatto il macello!» commentò James.
«Si riprenderà» tentò di rincuorarlo Harry gentilmente.
«Con la faccia tosta che ha» brontolò James. Harry gli lanciò un’occhiataccia, ci mancava soltanto che i due fratelli litigassero.
«Se la mia presenza non è gradita, me ne vado» sbottò sostenuto il più piccolo.
«Non è che non sia gradita, è inutile» dichiarò James facendogli la linguaccia.
«Bene» replicò Albus, «non vedo l’ora che vi arrivi un’altra strillettera di mamma».
«Al!» lo richiamò Harry indignato. «James!». Il figlio maggiore aveva dato mostra dei suoi insulti migliori contro il fratellino. «Albus non è divertente, io e tuo fratello ci stiamo provando sul serio! La Macklin parla in modo troppo difficile, chi la capisce è bravo! Nemmeno la McGranitt era così poco chiara ai miei tempi» lo rimproverò. «E James, quel linguaggio non mi piace».
«Diteglielo, allora» disse Albus, questa volta con tono basso e cortese.
«Non capisco di che parli» replicò Harry interdetto. Dire che cosa a chi?
«Alla professoressa Macklin. Ditele che non avete capito».
L’espressione orripilata di James era uno spettacolo, ma Harry non poté godersela, sicuro di averne assunta una speculare.
«Perché mi guardate in quel modo? Io l’ho fatto, alla seconda lezione».
James saltò giù dalla poltrona e cominciò a tastare il braccio del fratello. Albus indignato se lo scrollò di dosso. «Ma che fai?».
«Sei vivo!» ribatté l’altro scioccato.
Harry si passò una mano sul volto stanco e rise.
«Papà, hai bevuto?» chiese James sorpreso. «Hai capito che ha fatto, Al? Allora il Cappello non era pazzo quando lo ha smistato a Grifondoro! Oh, Al! Sono così fiero di te».
Harry rise ancora vedendo i tentativi di James di abbracciare Albus e quest’ultimo cercare di sfuggirgli in tutti i modi.
«Sì, ho capito» rispose accondiscendente Harry.
«Ho pensato che zia Hermione avrebbe fatto così» borbottò Albus imbarazzato.
«Siamo veramente fratelli?» mormorò James al padre.
«Al cento per cento» sbuffò Harry divertito.
«Ok, allora, da buon fratello, vai tu a parlare con la Macklin per noi» ne approfittò immediatamente James.
Albus strabuzzò gli occhi.
«James, ma che dici» intervenne Harry.
«Invece sì, ognuno deve fare la sua parte! Io mi occupo del diversivo, tu perquisisci le camere degli insegnanti e Al ci salva dalla Macklin».
«Va bene, lo farò» assentì Albus.
Harry si sentì davvero meschino nel lasciare andare il figlio minore senza averla dissuaso, ma James lo mise a parte del suo piano per il giorno seguente e non gli rimase che ascoltarlo. Dov’era Ginny quando aveva bisogno del suo consiglio?
«Ti posso garantire fino a un’ora e mezza. Non di più» concluse James.
«Sì, è perfetto» assentì Harry distrattamente con il pensiero ancora ad Albus.
 
 
Il giorno dopo Harry non riuscì a parlare con Albus a colazione, ma fu il figlio a cercarlo durante l’intervallo.
«Tutto ok?» gli chiese notando le guance più rosee del normale e gli occhi luccicanti.
«Sì, sì tranquillo» ribatté il ragazzino senza guardarlo in volto.
«Come no, quel cretino di Jaiden l’ha spinto nella neve e gliene ha messa un pugno nella divisa» raccontò Rose indignata, ignorando l’occhiataccia del cugino. «Come ho potuto essere amica di uno stupido Serpeverde arrogante non lo so».
Alastor borbottò «Eri cotta di lui», ma nascose le sue parole dietro un finto colpo di tosse. Rose lo fulminò.
«Come osi?».
Albus, mentre i due battibeccavano, sussurrò all’orecchio del padre: «Ho parlato con la professoressa stamattina. Ha detto che siete più sciocchi di quanto pensasse e che vi aspetta dopo le lezioni nel suo ufficio».
Harry si sforzò di sorridere e ringraziarlo, ma non era per nulla felice di fare lezioni extra con quella donna. Era James ad averne bisogno, non lui! Insomma tutta quella teoria non gli serviva per il suo lavoro!
«Ehm, sei ancora vivo» commentò, sentendosi proprio come James. Che la pozione iniziasse a fare effetto anche sul suo cervello?
Il ragazzino fece una smorfia, ma non sembrò turbato dalla battuta, anzi sorrise leggermente in risposta. «La Macklin abbaia, ma devi fare qualcosa di veramente grave perché morda».
«Meglio così» borbottò Harry.
«Posso fare qualcos’altro per aiutarti?» gli chiese Albus, lanciando un’occhiata nervosa agli amici: Rose non aveva ancora alzato le mani su Alastor, per cui andava tutto bene. «Vuoi aiuto per la perquisizione?».
«No» rispose fermamente Harry. Da una parte egli stesso non sapeva che cosa cercare, dall’altra non avrebbe mai permesso ad Albus di mettersi in situazioni potenzialmente spiacevoli che, emotivamente, avrebbe avuto difficoltà a gestire. James era bravo a districarsi dai guai in cui si cacciava senza remore e, comunque, se mai il diversivo fosse andato storto non avrebbe permesso che si assumesse la responsabilità: aveva pure il corpo di un dodicenne, ma era ancora un adulto! «Non avresti dovuto neanche parlare con la professoressa al posto nostro. Ha ragione a dire che siamo terribilmente sciocchi. Non ci si può nascondere sempre dietro qualcuno. Più passa il tempo, più divento infantile, peggio di quanto lo sia stato anni fa».
«James non si nasconde dietro nessuno e nemmeno tu. Se ci fosse stato uno di voi fuori nel parco, ora Jaiden non sghignazzerebbe, invece io non ho avuto il coraggio di farlo. Con la Macklin è stato facile, i professori non possono farti del male, no? E se lo fanno, passano dalla parte del torto. Io davanti a Jaiden sono scappato» mormorò affranto il ragazzino.
«Perché?».
«Non lo so» ammise Albus. «Forse avevo paura delle conseguenze, sai la solita storia che se reagisci sei ugualmente colpevole e poi, Brooks conosce molti incantesimi. Nemmeno i Corvonero del primo anno riescono a eguagliarlo. L’incantesimo di Levitazione o il Lumos non avrebbero fatto molto contro di lui, no?».
«No» concesse Harry. «Magari posso insegnarti l’Exsperlliamus, dubito che McBridge ve lo insegnerà mai».
«Davvero? Così potrei almeno difendermi!» esclamò felice Albus.
Harry annuì e gli sorrise. «Facciamo domani sera, ok? Mi sa che questa giornata sarà sufficientemente lunga, che ne dici?».
«Certo. Buona fortuna per il tuo piano».
«Grazie» sussurrò Harry. 
 

Sufficientemente lunga. Aveva detto così, no? Ma avrebbe fatto meglio a dire sufficientemente stressante. James si era rifiutato di dirgli che cosa aveva architettato se non che si sarebbe servito dei Tiri Vispi Weasley. L’immagine di Fred e George che scappavano da Hogwarts dopo aver creato un diversivo per lui, lo tormentava da giorni. Scosse la testa e scacciò i ricordi. Non c’era la Umbridge, doveva stare tranquillo e, soprattutto, concentrarsi.
Comunque James gli aveva promesso circa un’ora e mezza e di certo non poteva perdere tempo. Per prime controllò le camere di Neville, Vitious e quella che la Preside metteva a disposizione di Lumacorno quando si trovava al castello. Naturalmente non credeva che potessero essere i colpevoli, ma un’indagine scrupolosa era suo dovere.
Nella camera di Rüf non trovò nulla, per essere precisi non sembrava neanche che vi vivesse qualcuno. D’altronde si trattava di un fantasma.
Perplesso lo lasciò la stanza della professoressa Campbell, una donna snob e arrogante, titolare della cattedra di Astronomia. Le camere personali solitamente rispecchiavano l’indole del proprietario e dopotutto i vestiti e i trucchi sparsi su letto, sedie e poltrone, probabilmente lo facevano, ma non c’era neanche un vago riferimento all’Astronomia. Vero era che non aveva colto la minima passione in lei per la scuola e per l’insegnamento, la maggior parte dei suoi allievi la odiava. Gli toccò spostare vesti vaporose e colorate, che Ginny, fortunatamente, non si sarebbe mai sognata di indossare, e cercò anche in un portagioie strapieno di gioielli, alcuni di oro dei folletti. Aveva sempre creduto che un insegnante non guadagnasse così tanti soldi.
Altrettanto disordinata si rivelò la stanza della Jones. Se solo qualcuno fosse entrato lì dentro prima, non sarebbe stato necessario lo scherzo di James per smascherarla: parrucche, cerone e vestiti da uomo e da donna era disseminati ovunque, quasi che l’armadio fosse esploso. Un poster della stessa Jones in veste di Capitano delle Holyhead Harpies lo fissava truce da una parete. Una donna deliziosa, non c’era che dire. Ginny aveva trovato divertente scrivere un articolo sul fatto che era entrata a Hogwarts sotto false spoglie e aveva inviato una scatola di cioccorane al figlio maggiore.
Quella della Macklin lo sorprese enormemente, al contrario del suo studio, sebbene fosse sempre semplice e frugale, rilevava una personalità diversa dalle apparenze: vi erano foto di bambini, di una famiglia che un tempo doveva essere stata felice. Harry, naturalmente, aveva fatto ricerche su ogni professore e aveva scoperto che la donna aveva perso tutta la sua famiglia a causa di Voldermort e dei Mangiamorte. Non c’era nulla che non andasse in quella camera, se non il peso delle ingiustizie della vita.
La camera di Ernie Mcmillan era proprio come se la sarebbe aspettata: perfettamente ordinata, i libri di pozioni e di incantesimi su alcune mensole e le foto di famiglia sparse un po’ dappertutto. Proprio come nel sul ufficio quindi.
La perquisizione delle camere di McBridge, di Alicia Spinnett, insegnante di Antiche Rune, Lucretia De Mattheis, di Aritmanzia, di Justin Finch-Fletchley, Babbanologia e la Cooman si rivelò altrettanto inutile.
Seccato e stanco guardò l’orologio e si rese conto che erano passate più di due ore! Si era distratto e aveva perso la cognizione del tempo! Agitato controllò la Mappa del Malandrino e con sorpresa si rese conto che la gran parte della Scuola si trovava nel parco o stazionava nella Sala d’Ingresso. Che diavolo aveva combinato James?
Si affrettò a raggiungere la Sala d’Ingresso e, man mano che si appropinquava, le voci chiassose e furibonde aumentarono. Accelerò il passo, turbato. Gli studenti all’entrata ridevano con le lacrime e correvano da una parte all’altra, qualcuno azzardava delle foto all’esterno. Harry li superò e oltrepassò il portone di quercia. Lo spettacolo che lo accolse aveva dell’assurdo. Decisamente James aveva superato i suoi zii e i Malandrini. Non sapeva se essere fiero del figlio o preoccupato per il suo futuro, ma era difficile rimanere seri vedendo la McGranitt che incespicava in una sostanza vischiosa, il volto rosso e furibondo.
«È melassa. Vieni!» gli gridò un ragazzino di Tassorosso del primo anno, beccandosi un’occhiataccia dalla Preside.
Era quasi la fine di gennaio, perciò faceva un freddo terribile e, sotto lo sguardo omicida della Preside, Harry scoppiò a ridere. James era stato capace di bloccare tutta la Scuola.
Naturalmente i professori, o quanto meno la McGranitt, Vitious, la Macklin e la De Mattheis, sembravano conoscere un controincantesimo efficace, ma a quanto pareva non riuscivano a farlo su larghi spazi, anche perché c’erano gli studenti da liberare e non erano molto collaborativi.
Le sue perquisizioni erano state un buco nell’acqua, ma James era riuscito a far ridere lui e tutta la Scuola. Il suo scherzo sarebbe stato ricordato per anni! Dopotutto c’era ancora gente che nominava i gemelli Weasley!
 

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«Un grande, James!» strillò Tylor Jordan.
«Shhh» sibilò Danny Baston. «Vuoi farci beccare?».
«Ma di che hai paura? James è il padrone della Scuola!».
James gonfiò il petto orgoglioso. Tutti i compagni sapevano che era stato lui a fare lo scherzo di quella mattina, ma i professori non avevano avuto modo di dimostrarlo, per cui l’aveva passata liscia. E Fred, Fred Weasley, il suo idolo, si era complimentato definendo la sua impresa epocale!
«Il padrone della Scuola?» commentò una voce, facendoli sobbalzare.
«Oh Merlino, ragazzi mi avete fatto venire un infarto!» sospirò James, riconoscendo gli amici di sua cugina Victoire.
«Scusa» rispose il più alto di tutti con un leggero sorriso.
James sorrise a sua volta, conosceva da anni Joey Andrews, un mezzogigante adottato da un cacciatore del Portree Pride; Jeremy Hansen, Prefetto di Grifondoro; Robin McLaughlin; Damian Miller, giocatore di Quidditch, famoso per la sua arroganza e presunzione, di solito non si accompagnava agli altri e, in effetti, li stava fissando con un ghigno pericoloso ben stampato in volto e, infine, Jacopo Hoffman, Caposcuola di Serpeverde.
«Suvvia, si stava scherzando» tentò Danny, ben sapendo che né Hansen né Hoffman erano indulgenti nell’ottemperare ai loro compiti.
«Oh, sicuro. Avanti prendiamoli» trillò Damian Miller, felice come una Pasqua.
«Ehi, ehi che cosa…?» strillò James, mentre Joey Andrews se lo caricava di peso sulle spalle. Miller prese Tylor e gli altri tre si trascinarono Danny a fatica.
«Che intenzioni avete?» chiese indignato, Danny. «Lo sapete chi è mia madre?».
«Sì, è la stessa persona che questa mattina mi ha dato una E» rispose l’unico Serpeverde del gruppo minimamente turbato dalla minaccia del più piccolo.
«E suo padre è Harry Potter» tentò Tylor indicando James, che a dirla tutta odiava che venisse ricordato a convenienza e per ‘atterrire’ gli altri. Anche questa minaccia cadde nel vuoto.
«Correremo il rischio di incorrere nella sua ira» ribatté ironico Damian Miller, volgendosi proprio verso James, che serrò i pugni pronto a difendersi.
«Che volete da noi?» ringhiò il piccolo Potter.
«Darvi una lezione» rispose Jacopo Hoffman. «Avanti, muoviamoci. Ci sono anche professori di ronda».
James tentò di divincolarsi e colpire, ma Robin e Damian lo bloccarono, mentre Jacopo gli sfilava la divisa dalla testa e si premurava di girarla al rovescio prima di rimettergliela. Danny e Tylor, fumanti di rabbia ma impotenti, subirono la stessa sorte.
«Allora, ora lo trovate divertente?».
«Ve la faremo pagare per quest’umiliazione!» sbottò Tylor.
«Lo dirò a mia madre e perderete le vostre spille» sibilò Danny, indicando Jacopo e Jeremy.
«Eppure quando l’avete fatto a Fulton Collins, l’avete trovato divertente» commentò Jacopo mellifluo.
James lo fissò per un attimo e poi distolse lo sguardo: in quel momento si vergognò parecchio del suo comportamento. E loro, a differenza degli amici di Victoire, avevano preso in giro il Serpeverde del primo anno, raccontandogli brutte storie sulla sua Casa e su come sarebbe finito male anche lui. Fissò le scarpe e ignorò le rispostacce degli amici. Quando li vide dirigersi fuori dall’aula, senza essere fermati dai più grandi, fece per seguirli, ma Joey lo fermò.
«Allora non vieni?» lo chiamò infastidito Danny.
«Vi raggiungo in Sala Comune» replicò certo che la voglia di girare per la Scuola di notte fosse passata anche a loro. Poi si rivolse a Joey in attesa.
«Vic ti vuole parlare» disse quest’ultimo, dopo che Damian Miller si congedò affermando di essersi divertito.
James sgranò gli occhi quando sua cugina apparve dal nulla. «Incantesimo di Disillusione. Comodo quasi quanto il tuo Mantello» disse ella a mo’ di spiegazione.
«Ce l’ha chiesto lei di farvi questo scherzetto» disse sempre Joey. «Nessun rancore spero».
James scosse la testa e batté il cinque agli amici di Vic, che li lasciarono soli.
«Certo, non posso dire che mi sia dispiaciuto» ghignò Jacopo Hoffman, prima di augurare loro la buonanotte.
«Ehi» disse allora il ragazzino, non sopportando il silenzio creatosi nell’aula.
«Ehi» replicò Victoire aprendosi in un leggero sorriso. «Stai bene con questo nuovo look».
James fece una smorfia e annuì, conscio di meritarselo.
«Me l’ha chiesto zia Ginny, comunque» lo informò la cugina. «E mi sono fatta aiutare dai miei amici. Ha detto che avevi bisogno di essere vittima di qualcuno dei tuoi scherzetti per sentire che cosa si prova».
«Mi dispiace».
Victoire annuì e gli diede una pacca sulle spalle. «Andiamo a letto, io non sono di ronda stasera e, se ci beccano, finiremo entrambi nei guai».
«Ma Tylor e Danny faranno la spia, sicuramente. Vorranno vendicarsi e finirai, comunque, nei guai» ribatté James, profondamente mortificato: Victoire era un’ottima studentessa e non voleva che rovinasse la sua carriera scolastica proprio gli ultimi mesi e per colpa sua.
«Oh, secondo me non lo faranno o dovranno spiegare molti dei loro comportamenti e che cosa ci facevano in giro a quest’ora. Dubito che la professoressa Spinnet sarebbe molto clemente nei confronti del figlio, se sapesse quello che combina. E non avranno il coraggio di sfidare Joey, sono spaventati da lui solo perché è un mezzogigante e alto più di due metri. Stupidi, è un pezzo di pane! E comunque, non ti preoccupare, se mai finissi nei guai per questa storia non sarebbe la fine del mondo, tua mamma mi ha promesso che in caso avrebbe parlato lei con i miei e con il professor Paciock, per cui ne uscirei molto meglio di voi».
«Meglio così» commentò James, sollevato.

In Sala Comune Harry li stava aspettando e li sorrise immediatamente.
«Fareste bene ad andare a letto voi due» consigliò immediatamente Victoire. «Buonanotte, Barney. Buonanotte, Jamie».
«Buonanotte» replicarono i due ragazzi e James le diede un bacio sulla guancia, grato per quello che aveva fatto per lui quella sera.
«Niente più atteggiamenti da prepotenti» disse soltanto Harry quando rimasero soli.
James annuì. «Promesso».

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Capitolo 11
*** Capitolo undici ***


Capitolo undici
 
«Ehi» sospirò Harry con voce leggermente roca, quando apparve il volto della moglie nello specchio.
Ginny sorrise. «Ciao».
«Come va?» s’informò Harry.
«Bene. L’articolo sulla Jones ha fatto scalpore e Seamus n’è contento, tanto che mi ha chiesto se voglio venire a Hogwarts per intervistarla».
Harry rise. «Hai detto di no, vero?».
«Certo. Quella donna è matta, mi maledirebbe ancor prima che apra bocca».
«Che assurdità, comunque. Ha fatto una pessima figura».
«Beh, un po’ la capisco».
«La capisci?» ribatté Harry sorpreso.
«Come pensi che l’avrebbero accolta i ragazzi se avessero saputo fin da subito la sua vera identità? Dovresti conoscere gli effetti collaterali della fama».
«Oh, sì» concordò Harry. «Ma non credo che l’abbia fatto solo per questo… certo, non sopporta che i ragazzi le cerchino l’autografo o le chiedano di raccontarle qualcosa degli anni in campo…».
«L’ha fatto perché si vergognava» dichiarò Ginny. «Ha avuto problemi con la direzione delle Holyhead a causa del suo brutto carattere e, visto che le voci si diffondono velocemente, ha pensato bene di staccare per un po’».
«Si vergogna di cosa?».
«Da acclamata giocatrice e allenatrice a professoressa di Volo».
«Non è così male stare con i ragazzi. Sai, sto dando lezioni di Difesa ad Al ed è molto bello».
«Tu sei sempre stato bravo a insegnare e, per quanto ti adori in divisa, non vedo l’ora che tu faccia l’istruttore in Accademia…».
«Oh, ma guarda che alcuni ragazzi sono più pericolosi di un mago oscuro» la interruppe Harry con una punta di divertimento.
Ginny alzò gli occhi al cielo. «Ho accettato da secoli che attiri i guai con una facilità preoccupante… piuttosto, perché dai lezioni ad Al?».
«C’è un Serpeverde cretino che gli dà fastidio». Gli occhi di Ginny lampeggiarono. «Me ne sto occupando» soggiunse Harry velocemente.
«Vorrei ben vedere, Harry Potter! Perché non me l’hai detto prima? Da quanto va avanti questa cosa?».
«Non volevo farti preoccupare» replicò Harry. «E comunque non lo so… forse da settembre-ottobre… da quando è arrivato questo Brooks…».
«E perché Al non ci ha detto nulla? E James? Appena prendo James, lo strozzo!» sibilò Ginny arrabbiata.
«Lascia stare Jamie. Non dimenticare com’è essere ragazzi. Tu l’avresti raccontato ai tuoi?».
Ginny fece per ribattere veementemente, ma poi sbuffò: «Io… no, non credo… non avrei voluto coinvolgerli…».
«Appunto. Jamie ha provato a proteggere suo fratello e lo fa sempre quando può. Ti ricordi quando ci ha scritto Neville perché aveva picchiato un compagno? Beh, era questo Brooks che dà fastidio ad Al… E Al non racconta tutto neanche a lui adesso, proprio per non farlo finire nei guai… James gli vuole bene, ma lo dimostra a modo suo…».
«In questo campo sono più esperta io» sospirò Ginny. «Ti ricordo che solo l’ultima di sette fratelli».
«Già, scusa».
«Stai insegnando l’orcovolante ad Al? Quella sì che è una fattura perfetta».
«No, l’incantesimo di Disarmo».
«Oh, Harry» sbottò Ginny. «Ma che insegni ai nostri figli? Nemmeno uno schiantesimo?».
Fu il turno di Harry di alzare gli occhi al cielo. «Stiamo parlando di Al, Ginny. Vuole difendersi, non attaccare».
«Lo so che parliamo di Al» lo tacciò Ginny. «James non ha bisogno di lezioni di autodifesa, meno che mai di attacco… Ah, proposito, come ha fatto a intrappolare tutta la Scuola nel parco?».
«Fuochi d’artificio Tiri Vispi Weasley» ridacchiò Harry al ricordo, trascinando nella risata anche la moglie. Quando tornarono seri, egli riprese: «È strano, ma sto imparando molto sui ragazzi stando qui con loro. Mi sembra quasi di star tornando anch’io adolescente…».
«Tu non hai mai vissuto un’infanzia vera… credo che sia giusto che tu lo faccia ora…» esclamò la donna a sorpresa.
«Stai scherzando?» replicò stupito Harry.
«No» sorrise Ginny. «E se ci pensi, capirai che ho ragione».
«Che fa Lily?».
«Rompe. Se fosse per lei userebbe lo specchio a tutte le ore, perché il suo principe rosso-oro le manca!» sbuffò Ginny, facendo ridere nuovamente Harry.
«Manca anche a me» sospirò lui.
Rimasero in silenzio per un po’, poi si diedero la buonanotte. Nessuno dei due disse 'mi manchi’, perché avrebbe reso la lontananza ancora più difficile. Entrambi, però, si addormentarono pensando all’altro.
 
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«Potter, finalmente ci incontriamo. Qualcuno stava cercando di evitarmi! Paura?».
Albus tentò di superare Jaiden Brooks e ignorarlo, ma il Serpeverde gli sbarrò la strada, mentre altri ragazzi ridevano stupidamente.
«Un pollo! Abbiamo un piccolo pollo babbano, qui!» strillò ancora Jaiden. Le risate aumenteranno d’intensità e Albus si sentì avvampare.
«Dacci un taglio» sibilò Harry.
«Sì, infatti» lo affiancò Scorpius. «O ti cambieremo i connotati».
«Ooh, che paura! Io se fossi in te non lo farei Malfoy» ribatté Brooks, «la tua famiglia è già schifosa così, senza che abbia un altro detenuto ad Azkaban. Dimmi, vai a trovare spesso i nonni?».
Scorpius si lanciò su Brooks, prima che Harry, Al o Alastor potessero intervenire.
«Dobbiamo dividerli! Siamo vicino all’ufficio di McBridge, se li vede se la prenderà con Scorpius!» esclamò Albus spaventato, facendosi avanti.
Harry e Alastor lo aiutarono ad allontanare i due litiganti e trascinare Scorpius via prima che arrivassero i professori e Gazza.
«Stai bene?» chiese Al all’amico, quando furono sufficientemente lontani.
«Sì» sbuffò Scorpius visibilmente furioso. «Deve lasciare in pace la mia famiglia» aggiunse a denti stretti.
Harry gli diede una pacca sulla spalla e gli disse: «Non hai nessuna colpa per scelte che sono state compiute molto prima che tu nascesti». E non seppe se lo disse per quella lacrima fedifraga che era sfuggita al ragazzino o perché si sentiva in colpa per aver pensato quelle stesse cose dette da Brooks un milione di volte, ma quel giorno decise che avrebbe protetto Scorpius, al di là del fatto che non poteva vedere il padre.
Albus gli rivolse uno sguardo di ringraziamento.
Dopotutto il figlio aveva eletto Scorpius nel novero dei suoi migliori amici e, al di là di quello che avrebbe detto Ron scoprendolo, non si sarebbe potuto tornare indietro: le amicizie per i Potter sono sacre.
 
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«Buona fortuna, Jamie».
«Grazie» rispose sorridendo il ragazzino. «Vedrai che vinceremo! Mamma mi ha promesso che sarebbe venuta! Non vedo l’ora di vederla! Ci vediamo dopo, Baston si arrabbia se arriviamo in ritardo!».
Aveva detto tutto senza fermarsi un secondo a riprendere fiato e Harry sorrise vedendolo correre fuori dalla Sala Grande.
«Succo di zucca, Barney?» gli chiese Elphias. Dopo che avevano fatto ‘pace’ – o quanto risultava infantile! – era diventato molto più cordiale e Harry si era reso conto che era un ragazzino tranquillo ed educato, anche se magari un po’ troppo rigido –della serie, peggio di Hermione -.
«Vediamo la partita insieme?» domandò, invece, Alastor.
Harry si lasciò riempire il calice di succo e ringraziò Elphias, per poi annuire all’altro ragazzo. «Non ho intenzione di perdermi la partita!» aggiunse ed era sincero, dopotutto James non gli avrebbe più rivolto la parola in caso contrario.
Finirono di mangiare chiacchierando del più e del meno e poi si avviarono verso il campo da Quidditch. Un timido sole aveva fatto capolino quella mattina, ma ancora la temperatura era molto bassa, come d’altronde era più che normale alla fine di gennaio.
Harry sospirò e rimase qualche passo più indietro rispetto agli altri ragazzi, in modo da controllare per la milionesima volta il mantello dell’invisibilità e la Mappa del Malandrino, ben nascosti sotto il mantello della divisa. Febbraio si appropinquava rapidamente ed egli non aveva progredito minimamente nella sua indagine. Questa situazione lo stressava parecchio e lo portava a trascorrere notti insonni, ma quella mattina aveva deciso di seguire il consiglio di Ginny e godersi la partita tra Grifondoro e Tassorosso.
Ginny. Sarebbe stata così vicina quella mattina e non avrebbe potuto sfiorarla neanche con un dito. Oh, appena avrebbe messo le mani su quel disgraziato che l’aveva ridotto in quelle condizioni, gliel’avrebbe fatta pagare cara!
Comunque, a dispetto dei suoi buoni propositi, aveva deciso di portarsi dietro la Mappa: il colpevole avrebbe potuto compiere un passo falso, approfittando della presenza di tutta la Scuola nel campo da Quidditch. E lui l’avrebbe beccato! O Beccata, s’intende, come Ginny gli aveva fatto notare. Personalmente sperava che fosse un uomo, almeno avrebbe potuto vendicarsi realmente.
«Sediamoci in alto» propose una volta raggiunto lo stadio. «Vedremo meglio». In realtà il suo interesse principale era quello di trovare un posto coperto per controllare la Mappa; infatti condusse i compagni in un angolo della tribuna. I ragazzini accettarono mitemente.
«Signori e signori, benvenuti alla partita Grifondoro-Tassorosso» strillò un ragazzo dalla tribuna dei professori. Harry non poté fare a meno di cercare la moglie con lo sguardo, ma dovette trattenersi dal correre da lei quando la trovò: era seduta vicino a Neville e alla professoressa McGranitt, indossava il mantello scarlatto e una bandiera di Grifondoro. Quanto l’amava?
«Poi andiamo a salutarla, vero?» gli sussurrò Albus all’orecchio.
«Certo» replicò Harry volgendosi verso di lui. «Ne dubitavi?».
«Avevo paura che fosse… da bambini, no…» borbottò il ragazzino imbarazzato.
«Oh, no, tranquillo» si affrettò a rassicurarlo Harry. «Jamie, non vede l’ora, me l’ha detto stamattina».
Albus sorrise tutto contento e si girò appena in tempo per vedere il fratello maggiore sfrecciare in campo insieme al resto della squadra di Quidditch di Grifondoro.
Madama Bumb fischiò e la partita iniziò tra le urla degli studenti.
Harry sbirciò immediatamente la Mappa: «Giuro solennemente di non avere buone intenzioni».
Come previsto, il castello era deserto. Deserto! E lui che aveva sperato… no, no, la sua teoria era corretta, doveva solo avere pazienza: il colpevole stava sicuramente aspettando il momento giusto per allontanarsi.
Ripose la Mappa nel mantello e pose l’attenzione alla partita in tempo per vedere Grifondoro segnare il primo goal. Si ritrovò a urlare insieme al figlio e ai suoi amici, proprio come se fosse tornato indietro di anni, con l’unica differenza che quando giocava la sua Casa era sempre in campo – tranne durante il quinto anno, ma quello tentava di dimenticarlo -, invece, ora c’era James a sorvolare il campo con concentrazione. E lui era terribilmente orgoglioso del figlio.
A intervalli regolari controllò la Mappa, tenendo sempre un occhio sul campo, scoprendo di non avere alcuna intenzione di perdere il momento in cui Jamie avrebbe preso il boccino. E l’avrebbe preso, ne era sicuro. E poi Jamie avrebbe voluto sicuramente sentire il suo parere sulla partita e non poteva farsi trovare impreparato.
Alle volte osservava direttamente la tribuna dei professori, ma non mancava mai nessuno: la McGranitt, Vitious, Neville, Ernie Mcmillan, quel pazzo di McBridge, la terribile Macklin, Hagrid, la Campbell, la Jones, Alicia Spinnet, Lucretia De Mattheis e la Cooman. Tutti presenti. A parte Rüf, naturalmente.
Harry iniziò a innervosirsi, perché aveva contato molto sulla partita, ma a quanto pareva il suo pozionista era di tutt’altro parere: o era troppo astuto o, semplicemente, non aveva alcun motivo di agire – dopotutto Harry risultava in missione all’estero e il caso archiviato.
«Jamie ha visto il boccino!» gridò Rose, attirando la sua attenzione. Focalizzò all’istante il figlio e lo seguì con lo sguardo con il cuore in gola: era terribilmente bravo! Quasi si commosse!
Appena le dita del ragazzino si strinsero intorno alla sfuggente pallina dorata, la tribuna occupata dai Grifondoro scoppiò in un enorme boato.
«Fatto il misfatto!» sussurrò Harry e la Mappa tornò a essere una pergamena intonsa.
Per quel giorno non avrebbe più pensato al caso, ma solo a festeggiare con la sua famiglia.

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Capitolo 12
*** Capitolo dodici ***


Capitolo dodici
 
«Che stai facendo?» la voce di James risuonò nella Sala Comune di Grifondoro.
Harry, intento fino a quel momento ad andare avanti e indietro davanti al caminetto, si fermò e sollevò gli occhi sul figlio. «Che fai sveglio a quest’ora? Domani hai lezione».
«Non ricordavo che vi fosse l’orario per andare a letto a Hogwarts» ribatté il ragazzino con un ghigno.
«James, è tardissimo. Dovresti essere a letto! Non fare lo spiritoso, non tira aria».
«Sono giorni che non tira aria e sei nervoso. Comunque non è buona educazione rispondere a una domanda con un’altra domanda» replicò James non perdendo il suo ghigno.
Harry gli lanciò un’occhiataccia e sospirò: «Sono in alto mare e non so più che pesci prendere».
James divenne serio di colpo e gli chiese: «Come posso aiutarti?».
«Non so come comportarmi, Jamie. Non puoi aiutarmi».
«O dai, non è possibile che tu non abbia fatto alcun passo avanti» sbuffò il ragazzino.
«Gentile da parte tua infierire» borbottò Harry. L’ultima cosa che gli serviva in quel momento era suo figlio che lo accusasse di averlo deluso.
«Rifletti! Zio Neville, Vitious e Hagrid non possono essere stati, giusto? A meno che qualcuno non abbia preso il loro aspetto!» strillò James colto da quell’illuminazione improvvisa.
«Abbassa la voce» sibilò Harry, fissandolo con tanto d’occhi.
«Ho ragione!» si esaltò il ragazzino. «Loro sanno la verità. Sanno chi sei veramente e che cosa stai facendo! Conoscono le tue mosse e quindi ti fregano!».
Era sensato! Fin troppo sensato! Come aveva potuto non pensarci prima? Harry iniziò a percorrere nervosamente la stanza avanti e indietro, riflettendo. «Forse hai ragione tu» gli disse.
«Sarei un grande Auror, vero?».
«Sì, certo. E dimmi, grande Auror, tu come ti muoveresti a questo punto?».
«Seguirei tutti e tre e li osserverei per vedere se bevono qualcosa di diverso dagli altri di nascosto; infine li coglierei in fragrante».
«Lo, semmai, fino a prova contraria è una sola la persona che stiamo cercando» lo corresse Harry.
«È uguale» ribatté James.
«E se il colpevole continuasse a non tradirsi?».
Il ragazzino ci pensò su per un bel po’, tanto che Harry decise che era meglio chiudere e ad andare a letto. «Dormici su, se trovi una soluzione ti ascolterò».
Il figlio apparve felice probabilmente perché stava dando importanza alle sue idee.
 
E così andarono a letto, sebbene Harry sapesse che fosse inutile: era dalla partita di Quidditch che dormiva poco e male. Quell’indagine lo stava stressando terribilmente, per quanto gli stesse insegnando anche parecchio e non solo sui suoi figli, no: il lavoro di squadra vale sempre molto di più di quello individuale. Quando era stato nominato Capitano, si era ripromesso di ascoltare sempre i suoi uomini, persino le reclute. E il desiderio dei figli di rendersi utili, specialmente di James che adorava giocare agli Auror –Ginny gliel’avrebbe fatta pagare – dimostrava che aveva ragione. D’ora in avanti non avrebbe più aggiornato Neville, Vitious o la McGranitt delle indagini: non sapeva con chi aveva a che fare e fino a che punto era riuscito a insinuarsi a Hogwarts.
I giorni successivi furono stressanti – non trovò nemmeno un minuscolo e insignificante indizio – e noiose –ma c’era veramente gente che amava la storia, a parte Hermione s’intende? -. Lezioni, compiti – che faceva solo per dare il buono esempio a James – e ancora lezioni. Sarebbe impazzito. Non riusciva neanche a godersi quel ‘ritorno all’infanzia’, come l’aveva chiamato sua moglie.
Ebbe, però, da rallegrarsi perché Al aveva appreso perfettamente l’incantesimo di Disarmo e si mostrava volenteroso di apprendere. Nelle prime settimane si era spaventato e un po’ arrabbiato, perché l’idea di Difesa contro le Arti Oscure di McBridge era imparare a memoria definizioni insensate e inutili –in questo purtroppo gli ricordava terribilmente Dolores Umbridge – e inculcare ai ragazzi quanto fosse sbagliato lasciarsi corrompere dalla magia oscura – e questo, naturalmente, era giustissimo –ma tendeva a raggiungere livelli parossistici: Scorpius Malfoy per lui incarnava letteralmente le arti oscure e quindi non mancava di aggredirlo verbalmente. Harry aveva chiesto al Serpeverde perché non reagisse e il ragazzino gli aveva risposto che non sarebbe cambiato nulla: se avesse raccontato ogni cosa ai genitori, i suoi compagni l’avrebbero accusato di nascondersi dietro al padre – Draco stava facendo carriera al Ministero – e non aveva alcuna voglia di farli preoccupare né aveva intenzione di rivolgersi alla Macklin – e su questo Harry non gli dava torto.
Harry si concedeva di abbassare la guardia e rilassarsi solo quando assisteva agli allenamenti di Quidditch e forse in quei momenti riusciva veramente a tornare un po’ bambino.
Una sera di fine gennaio James lo raggiunse nuovamente in Sala Comune di notte. Ormai la sua insonnia stava peggiorando, forse avrebbe dovuto chiedere qualche pozione soporifera a Madama Chips.
«Papà!».
Harry alzò gli occhi su di lui. «Stiamo prendendo il brutto vizio di fare le ore piccole?» chiese retoricamente.
«Ti devo dire due cose importanti».
«Sentiamo» sospirò Harry.
«Uno, sono sicuro che Madama Chips è Madama Chips. Tu non l’avevi mai controllata e allora io…».
«James!» sbottò Harry. «Chi ti ha detto di fare di testa tua? Potrebbe essere pericoloso!».
«Non ho fatto niente di che. Le ho solo chiesto una cosa che poteva sapere solo lei» disse arrossendo.
«Che cosa?» indagò Harry sorpreso.
James divenne rosso come un peperone. «Niente di importante».
«No, ora tu me lo dici!». Iniziarono a rincorrersi per la stanza circolare, tentando di non svegliare tutta la Torre. Harry si sentì veramente infantile quando lo atterrò su un divano scarlatto dopo averlo colpito con un incantesimo del solletico.
«Non vale, hai usato la magia» borbottò James. «Lo dico alla mamma».
Harry si accigliò. «Hai dimenticato tutto quello che vedo ogni giorno? Non sei nella posizione di minacciarmi».
«Uffa, sei prepotente!» si lamentò James.
Harry si sentì in colpa e lo liberò. «Ok, scusa, non so che cosa mi sia preso. Non me lo devi dire per forza».
«È che se te lo dico, ti arrabbi».
«Che hai combinato?».
«È successo l’anno scorso. Ed è partito tutto con una scommessa».
«Tra chi?».
«Tra me e Tylor».
Harry sbuffò. «Ok, è successo l’anno scorso, allora prometto di non arrabbiarmi».
«Tylor mi ha sfidato ad andare da Madama Chips e chiederle una pozione…». Qui James si fermò e divenne ancora più rosso s’è possibile.
«Che pozione?».
«Non penso che i nonni l’abbiano mai usata» bofonchiò James in risposta.
Harry ebbe bisogno di rifletterci qualche secondo per comprendere, poi arrossì anche lui. «James! A undici anni!». Gli diede uno scappellotto.
«Ma era per mettere in imbarazzo Madama Chips, era uno scherzo!».
«E com’è finita?» sbuffò Harry pensando che fosse il caso di fare due chiacchiere con Lee Jordan: Tylor non era un ragazzino affidabile.
«Lei ha messo in imbarazzo me» ammise James. «Si è arrabbiata proprio perché avevo undici anni, voleva sapere che cosa avessi in testa. Allora, nel panico e per la vergogna, ho confessato che era solo uno scherzo. Ha voluto tutti i dettagli. Le ho chiesto scusa e l’ho pregata di non mettermi in imbarazzo davanti a tutti. Ti immagini se Tylor lo sapesse?».
«Quindi Madama Chips ha accettato?» ribatté Harry sorpreso.
«Sì, ha lasciato che mi vantassi dello scherzo con gli altri, in cambio per due settimane sono dovuto andare a darle una mano dopo le lezioni».
«Così impari a fare scherzi stupidi» dichiarò Harry.
«Non vuoi conoscere la mia idea brillante?» decise di cambiare argomento James.
«Dopo quello che ho sentito, tremo».
«Dai! Era uno scherzo!» disse ancora rosso in volto. «Dovremmo rubare del Veritaserum dalle scorte di Mcmillan. Ce l’ha di sicuro perché lo mostra ai ragazzi del settimo anno, me l’ha detto Vic».
«È illegale. E non dovresti parlare così facilmente di un furto».
«Sei un Auror, puoi usare il Veritaserum su chi vuoi».
«No, James. Discorso chiuso» disse Harry con fermezza ignorando il disappunto nato sul viso del figlio. «Va’ a letto ora, ho bisogno di riflettere».
«Come vuoi» bofonchiò James, palesemente contrariato. «Ti devo dire la seconda cosa, però».
«Non me l’hai già detta? Madama Chips e il Veritaserum. Sono due».
«No, quella è una sola perché riguarda l’indagine». Harry alzò gli occhi al cielo. «Domani Al compie gli anni e abbiamo pensato di fargli una festa a sorpresa da Hagrid. Ah, Hagrid non può essere stato, Al e Rose mi hanno fatto notare che queste pozioni non hanno effetto sui mezzogigante».
«Il compleanno di Al!». Harry si diede una manata in fronte: se n’era proprio dimenticato!
«Eh, no, no, così non va» finse di rimproverarlo James scuotendo l’indice davanti ai suoi occhi.
«Fila a letto, James» sibilò Harry in risposta.
 
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Harry si passò una mano sulla fronte sudata: l’aula di pozioni era piena di vapori e, nonostante fosse una giornata fredda e si trovassero nei sotterranei, si era già tolto la sciarpa, messa a protezione della gola che pungeva, e il colletto della divisa improvvisamente appariva troppo accollato.
«Stai bene?» gli chiese Rose, alla quale era stato raccontato ogni cosa dalla madre. Hermione aveva pensato che la presenza di Harry le sarebbe valso da deterrente a comportarsi bene, ma, seriamente, che cosa l’era passato per la testa?
«Sì, sì. Ho solo caldo».
«I miei capelli sono diventati tutti crespi» sbuffò la ragazzina contrariata.
«Decisamente dei problemi gravi!» sibilò Albus con una punta di isterismo nella voce. Harry si voltò verso di lui e notò come mescolava nervosamente la pozione, che, fra parentesi, era di un colore molto strano. «Che ho fatto di male perché il giorno del mio compleanno ci fosse Pozioni!?» insisté.
«Ehi, Potter» lo chiamò Jaiden Brooks. Quel ragazzo non aveva spirito di conservazione. Harry si torse le mani impedendosi di compiere uno sproposito: era un ragazzino, non poteva mica alzare le mani su di lui! «Lo sai che con quella potresti compiere una strage? Altro che Pozione Risvegliante!».
Albus divenne rosso, non si girò e non replicò in alcun modo, quasi non l’avesse sentito. Ma non era sordo. E Harry non voleva che quel cretino umiliasse il figlio in generale, ma meno che mai il giorno del suo compleanno! Ora stava esagerando.
«Fate silenzio!» li rimproverò il professor Mcmillan passando tra i banchi. «Potter, stai bene?». Aveva colto il rossore del ragazzino e si era fermato accanto al loro banco. Harry, che ormai la controllava anche durante le lezioni, con disinvoltura fece scivolare la Mappa del Malandrino nello zaino di Al, che era il più vicino.
«Nulla, professore! Ha solo realizzato che la sua pozione potrebbe essere etichettata come veleno letale!» trillò Brooks. I Serpeverde, a parte Scorpius e una ragazzina, risero sguaiatamente.
«Brooks, il tuo parere non è stato richiesto. E voi tacete!» sibilò Mcmillan. «In più Brooks dovresti fare attenzione alla tua pozione».
«La mia? Mi pare semplicemente perfetta» ribatté Jaiden Brooks. «O ritiene che non lo sia?».
Gli altri ragazzini alternavano lo sguardo dal professore al compagno.
«Signore. Ti ricordo che stai parlando con un tuo insegnante, non con un compagno di classe» lo rimproverò Mcmillan. «La tua bravura non ti privilegia in alcun modo, è bene che tu lo sappia perché mi sembra che ultimamente tu stia alzando troppo la cresta». Un lieve brusio si levò, ma fu immediatamente zittito da un’occhiataccia dell’insegnante. «Meno che mai ti autorizza a dar fastidio ai tuoi compagni, al contrario dovresti aiutare chi ha più difficoltà».
«Ognuno per sé è il mio motto, signore».
«Lascia stare i tuoi compagni. Quindici punti in meno a Serpeverde».
Rose gli rivolse un ghigno, di cui Ron sarebbe stato molto fiero, ma Jaiden Brooks scelse di non insistere e si rimise a lavoro in silenzio. Naturalmente non tentò neanche di scusarsi con il professore e con Albus.
«Potter, non ho la minima idea di che cosa tu abbia combinato, ma non ha senso che continui così. Evanesco» con un colpo di bacchetta il lavoro di un’ora e mezza di Albus sparì sotto i loro occhi. «La prossima volta fai più attenzione» lo ammonì Mcmillan.
Quando suonò la campanella e il ragazzino uscì mogio dall’aula, Harry si disse che avrebbe faticato a tirargli su il morale. Nella Sala d’Ingresso, però, trovarono un sorridente James che evidentemente stava aspettando solamente loro, con le mani dietro la schiena.
«Fratellino! Che cos’è quel muso lungo?».
«Ho fatto un disastro a Pozioni» borbottò Albus.
Harry per conto proprio non avrebbe mai risposto a un James che sorrideva in quel modo: aveva in mente qualcosa.
«Oh, mi dispiace! Vedrai recupererai» trillò James, abbracciando il più piccolo. A quel punto anche Al comprese che qualcosa non andava, ma era troppo tardi.
«Aah, Jaamie!» sbottò Albus, che per qualche secondo era rimasto senza fiato.
«Ma che…?» borbottò Rose, vedendo il cugino mettersi le mani nelle spalle e chiederle aiuto.
«Ti ammazzo, James!» sbottò allora Albus, dopo aver tirato fuori qualcosa di biancastro.
«Prendimi, se ci riesci».
Albus gli tirò addosso quella che, con occhio più attento, si rivelò neve e gli corse dietro.
«Battaglia! Battaglia!» gridò Rose seguendoli, come tutti gli altri Grifondoro, Scorpius e due ragazzine di Serpeverde.
Harry non si prese neanche la briga di rimproverare James, perché effettivamente quella trovata riuscì a rallegrare Albus. Giocarono a pelle di neve, finché non andò a chiamarli Hagrid insieme a Neville.
La capanna, di cui Harry una volta era stato visitatore abituale, era stata decorata con dei palloncino rosso-oro e la scritta ‘Buon compleanno’. Albus ne fu contento e si divertirono tutti insieme, ridendo e scherzando. Per qualche ora Harry di dimenticò tutti i suoi problemi e il nervosismo per l’indagine che non stava portando a nulla.
«È ora di andare» annunciò a un certo punto Neville, suscitando un coro di proteste. «Non voglio sentire lamentele. È quasi ora di cena ed è buio. Inoltre non avete ancora fatto i compiti per domani».
Fu un attimo, mentre i ragazzi riprendevano a protestare, Harry ebbe un capogiro e percepì una pressione sul petto.
«Harry, stai bene?» chiese Hagrid preoccupato. Gli altri si voltarono verso di lui.
«Sì chiama Barney, Hagrid» intervenne prontamente Rose e Harry l’avrebbe baciata, perché Scorpius, Alastor e Cassy avevano assunto un’espressione stranita. «Non sei ancora così vecchio!».
«Barney, stai bene?» domandò Neville, toccandogli la spalla. Evidentemente doveva essere sbiancato. Harry aprì la bocca per rispondere, ma ebbe un conato di vomito. «Ti accompagno in infermeria» decise allora l’amico.
Harry si lasciò trascinare, completamente stordito. Nella Sala d’Ingresso vi fu una piccola discussione tra i ragazzi e Neville, alla fine vinsero James e Albus e li seguirono. In un corridoio, fortunatamente deserto – gli studenti erano a cena – Harry percepì un forte dolore agli arti e si accorse che si stavano allungando. Divenne leggermente più alto di James e poi il dolore scomparve, così come ogni altro malessere.
«Non era stabile la pozione?!» sbottò James sgranando gli occhi.
«Devo parlare con Anthony Goldstain» soffiò Harry, che si sentiva improvvisamente stanco e svuotato.
«Andiamo in infermeria» lo sollecitò Neville preoccupato.
In realtà, come Madama Chips decretò prima dell’arrivo del guaritore, c’era ben poco da preoccuparsi, quanto meno non per la sua salute. La donna gli ordinò di bere una pozione ricostituente, spiegandogli che crescere richiede sempre energia –da qui l’importanza di una giusta nutrizione durante l’infanzia – ed egli aveva avuto uno bello scatto improvviso.
All’arrivo di Anthony, Harry chiese di rimanere solo con lui e Neville dovette trascinarsi James di peso.
«Quel ragazzino è davvero testardo, per Merlino!» borbottò il medimago.
«È mio figlio, che ti aspettavi?».
«Allora che succede?» domandò Anthony andando subito al punto.
Harry gli raccontò quanto accaduto poco più di mezz’ora prima e attese il suo parere.
«Accidenti!» sbottò l’altro. «La pozione non è veramente stabile! Questo cambia la situazione!».
«Ma com’è possibile? I delinquenti, che i miei uomini hanno interrogato, hanno detto chiaramente che lo era».
«Evidentemente si sbagliavano. Ti ricordo che l’arte di distillare pozioni è molto complessa».
«Mmm non parlare così, ti prego: mi ricordi Piton».
Goldstain sorrise leggermente. «Adesso hai un bel problema: potrebbe capitarti davanti a un pubblico molto più vasto… magari davanti al colpevole stesso…».
«Grazie mille» commentò Harry ironico, «non ci avevo ancora pensato».
«In realtà, questo mi costringe a rivedere l’antidoto al quale sto lavorando» sbuffò Anthony.
Gli occhi di Harry brillarono. «Ci stai riuscendo? Merlino sia lodato! Quindi potrò tornare normale anche senza trovare il colpevole».
«Sono a buon punto, ma non ti prometto nulla» rispose il guaritore. «E comunque il colpevole lo devi trovare per forza! Vuoi che un tipo del genere stia a contatto con i nostri figli?».
«Certo che non voglio!» ribatté offeso Harry. «Ci sto lavorando, ma è molto più difficile di quanto avessi previsto».
«Allora non mi resta che augurarti buona fortuna».
Harry annuì. «Anche a te».
 

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Capitolo 13
*** Capitolo tredici ***


Capitolo tredici
 
«Questa dove la metto, professore?».
«Vicino al vetro, per favore» rispose Neville.
Il ragazzo, all’incirca quattordicenne, obbedì spostando la pianta da un tavolo centrale a uno vicino al vetro della serra.
«Benji, porta quel sacco di concime nella serra numero due e prendine uno di terriccio».
«Sì, signore».
Harry si scostò appena in tempo e il ragazzino non lo urtò. Si appiattì ulteriormente alla parete e si passò una mano sulla fronte sudata: quel pedinamento stava andando per le lunghe. Le serre poi erano riscaldate a seconda del tipo di pianta che vi cresceva all’interno e, sicuramente, gli sarebbe salita la febbre visti i continui sbalzi di temperatura. Merlino, fuori c’erano zero gradi ed egli stava sudando come se fossero a luglio!
Era una settimana che, a turno, Harry e James pedinavano Vitious, la McGranitt e Neville, ma nessuno di loro aveva ‘commesso il fatidico passo falso’ come aveva preso a chiamarlo il figlio. O il loro uomo era molto più furbo di loro o la pista che avevano deciso di seguire si stava rivelando un grosso buco nell’acqua.
James quel giorno doveva seguire Vitious e Rose – sì, per necessità, avevano reclutato anche lei e Harry sperava ardentemente che Hermione non lo venisse mai a sapere - la Preside. Quella sera si sarebbero riuniti in Sala Comune, ma, a quel punto, Harry non aveva più molte speranze.
Neville era sempre e solo Neville. Non c’era bisogno di analizzare quello che beveva o mangiava, bastava ascoltarlo e vederlo interagire con allievi e colleghi: era gentile, disponibile e comprensivo. Era Neville, non c’era altro da dire. La Polisucco permette di assumere l’aspetto di un’altra persona, ma nemmeno un attore avrebbe potuto recitare così bene la parte.
Non conosceva altrettanto bene la McGranitt e Vitious, ma tutto sommato anche loro, le volte in cui era toccato a lui pedinarli, non avevano compiuto alcun gesto che risultasse lontano dall’immagine che si era fatto di loro da studente.
Un rumore improvviso attirò la sua attenzione, ma ebbe la prontezza di far passare prima Neville. Fuori, nello spiazzo tra le serre c’era Benji, il ragazzino, coperto da capo a piedi di quello stesso terriccio che avrebbe dovuto usare per le piante. «Sono scivolato» bofonchiò imbarazzato.
Harry si accigliò: solo in televisione una persona scivola e si svuota un intero sacco in testa. Neville comunque si comportò proprio come l’amico che conosceva: aiutò il Tassorosso ad alzarsi e a darsi una ripulita, senza infierire minimamente. L’Auror, però, si guardò intorno e scorse quasi subito tre ragazzi nascosti dietro un albero. Sbuffò: altro che scivolare. Attese che Neville tornasse nella serra e raggiunse Benji che ripuliva il disastro.
«Ehi». Al ragazzino venne quasi un colpo vedendolo comparire dal nulla. Effettivamente avrebbe dovuto starci più attento. «Sono stati quei tre, vero? Affatturali».
I tre erano ancora nascosti, ma si erano distratti ridacchiando tra loro.
Benji lo fissava stralunato. «Ma che dici?».
Harry alzò gli occhi al cielo e puntò la bacchetta contro i tre ragazzi, che immediatamente iniziarono a galleggiare a testa in giù.
«Smettila, c’è il professore!» gli disse il Tassorosso.
Col cavolo, pensò Harry: n quella Scuola cominciavano a esserci un po’ troppi bulletti per i suoi gusti e, se non poteva attaccare Jaiden Brooks perché era piccolo, di certo non l’avrebbe fatta passare liscia a quei tre, sicuramente del quinto o del sesto anno.
«Ma che succede?» intervenne Neville attratto dalle strilla di quegli stupidi. Insomma neanche li stesse torturando! «Barney?!».
Harry gli sorrise e gli raccontò molto disinvoltamente che quello di Benji non era stato un incidente. «Mi sono stancato dei bulli della Scuola. Una volta non ce n’erano così tanti!».
Neville sembrò sul punto di dire qualcosa, ma poi scosse la testa. «Mi occuperò dei fratelli Diderot».
Harry non la trovò una risposta soddisfacente e si avviò al castello seccato, ben intenzionato a trovare James e Rose e anticipare la loro riunione.
Per un caso del destino furono Rose e Albus a trovare lui.
«Ho riflettuto a lungo» gli comunicò solennemente Albus, mentre si avviavano verso la Torre di Grifondoro. «La prossima volta che Brooks dice una sola parola contro di me, gli risponderò a tono».
Harry non sapeva come replicare: da una parte avrebbe voluto dire ‘Era ora!’; dall’altra aveva paura che si facesse male, visto che il Serpeverde era robusto e fin troppo versato nelle arti magiche per uno del primo anno.
«Non dici nulla?» insisté Albus che probabilmente si aspettava un’altra reazione da parte sua. E come dargli torto! L’aveva sempre spinto a non farsi mettere i piedi in testa.
«Devi fare solo quello che ti senti» rispose senza neanche rendersene conto. Dopotutto non essere un attaccabrighe non era la fine del mondo, anzi. Forse Albus al posto del Tassorosso avrebbe raccontato a Neville che cos’era realmente accaduto. Ognuno affronta i problemi in modo diverso e Harry non poteva costringere suo figlio a cambiare il suo carattere, che andava più che bene in quel modo. «Però stai attento, quel tipo non mi piace. Il tuo incantesimo scudo non è abbastanza forte ancora». Albus annuì pensieroso, ma Harry non insistette. «Dov’è James?».
«Con i suoi compagni, fuori dall’aula di Trasfigurazione» rispose prontamente Rose.
«Allora vai a chiamarlo, ho bisogno di parlargli immediatamente».
«Ma l’intervallo è quasi finito!» esclamò Albus sorpreso.
«È urgente» ribatté in fretta Harry.
«Hai scoperto qualcosa?» gli chiese Rose a voce bassissima.
«No, per questo dobbiamo procedere e mettere in atto il suo piano».
«Quale piano?».
«Lui, lo sa. Per favore, ditegli di venire in Sala Comune».
«Vogliamo aiutare anche noi» si lamentò Rose.
«Non puoi saltare le lezioni. Tua madre ammazzerebbe entrambi».
«E James può?» replicò Rose testardamente.
«Sono suo padre» rispose Harry con ovvietà.
«Non è giusto!» sbottò Rose. «Riferirò il messaggio, così risolvi questo caso e te ne vai. Al e James non potranno più fare quello che vogliono!».
«Rosie…» tentò di rabbonirla Harry, ma la ragazzina era già scappata via.
«Io posso fare qualcosa?» gli chiese Albus incerto.
«No, ti ringrazio. In due saremo anche troppi».
Una volta raggiunta la Sala Comune, fortunatamente vuota grazie alle lezioni del mattino, non dovette attendere molto: James arrivò di corsa.
«Ma sei pazzo?» lo aggredì a sorpresa il ragazzino. «Mamma ci ucciderà! Mi hai fatto saltare una lezione con la Macklin! Non potevi chiamarmi prima che avevo Storia della Magia?».
«Mi dispiace che tu ti sia dovuto sorbire un’ora sulle guerre dei folletti» ribatté Harry ironicamente.
«Erano giganti. Robert dice che se facessero un gioco per il computer sulle guerre dei giganti, sarebbe più efficace delle lezioni di Rüf. A Ilvermorny non ci sono insegnanti fantasmi».
«E la storia è meno noiosa?».
«Secondo me, no» dichiarò il ragazzino senza neanche pensarci. «Robi, però, dice che è molto meglio».
Harry colse una nota amara nelle parole del figlio. «A Robert piace la scuola americana?» si azzardò a domandare.
«No!» rispose con veemenza James fulminandolo con lo sguardo. «Vedrai, si farà espellere e tornerà qui!». L’Auror evitò di far notare al figlio che non era così semplice, ma sperò per lui che sarebbe accaduto come desiderava. «Quindi vuoi rubare il Veritaserum, o ho capito male?» disse il ragazzino decidendo di cambiare velocemente argomento.
«Tu hai scoperto qualcosa su Vitious? Penso che stiamo perdendo solo tempo».
«Lo penso anch’io. Vitious è apposto. Ieri a lezione, un Tassorosso ha fatto scoppiare la caraffa d’acqua, che avremmo dovuto congelare, proprio addosso al professore, ma lui non si è arrabbiato. Non credo che il pozionista che cerchiamo possa avere la stessa pazienza di Vitious».
«No, infatti» concordò Harry. «Quindi dobbiamo procedere».
«Come?» lo esortò James.
«Agiremo durante la prima lezione pomeridiana di Mcmillan: entreremo con gli altri studenti in aula, ma nascosti sotto il Mantello dell’Invisibilità; approfittiamo di un momento di distrazione generale ed entriamo nella dispensa personale del professore; prendiamo il Veritaserum e torniamo indietro; infine aspettiamo la fine della lezione e usciamo con calma. Prima di cena andremo in cucina e metteremo il Veritaserum nel succo di zucca dei professori. Che ne dici?».
«È perfetto» commentò James ammirato. «Ma non potevi aspettare l’ora di pranzo per dirmelo? Ora come faccio con la Macklin?».
Harry boccheggiò: aveva dimenticato di aver a che fare con il figlio e non con uno dei suoi Auror! Complimenti! Poi ebbe un’illuminazione e svuotò lo zaino, in cui neanche a dirlo non c’era un solo libro.
«Prendi questa!» disse mettendogli una pasticca vomitosa in bocca.
«Papà!» gridò James furioso. «Stavolta lo dico veramente a mamma! Ma lo sai che Madama Chips le riconosce?».
«Davvero? E tuo zio non ha risolto in alcun modo?».
James gli lanciò un’occhiata di fuoco, ma qualunque commento stesse per fare – probabilmente poco carino –fu fermato dal primo conato di vomito.
 
Nel pomeriggio – James ormai completamente ristabilito – nascosti sotto il Mantello, secondo il piano, si recarono nei sotterranei. Harry gli aveva chiesto scusa un milione di volte, rendendosi conto di essersi comportato da vero stupido, ma James aveva tenuto il broncio per tutto il pranzo.
Si misero in fila con i Tassorosso del terzo anno appena in tempo. Il suono della campanella risuonò nei sotterranei silenziosi.
Il professor Mcmillan aprì la porta e fece segno di entrare e loro si intrufolarono seguendo il piano.  
I ragazzi fecero un po’ di confusione prendendo posto e Mcmillan dovette riportare l’ordine.
«Ora» sussurrò Harry.
Anche questa parte del piano filò liscia come l’olio.  
«Colloportus» pronunciò Harry bloccando la porta. «Così stiamo tranquilli. Cerchiamo il Veritaserum».
E qui ebbero difficoltà: le mensole erano strapiene di ingredienti e pozioni. Pazientemente Harry e James si misero a lavoro con impegno.
«Eccolo, è quello» annunciò James con voce roca per il troppo silenzio.
«Shhh» lo richiamò Harry. «O ti sentiranno!».
«Scusa» sussurrò allora il ragazzino. «È troppo in alto, lo prendi tu?».
Harry estrasse la bacchetta e fece levitare la boccetta verso di sé. Il liquido era bianco come l’acqua, ma con delle bollicine. Erano trascorsi ormai tanti anni da quando Severus Piton aveva minacciato di farne scivolare accidentalmente un paio di gocce nel suo succo di zucca serale.
«Ehi, papà, comunque ti ho perdonato. E naturalmente non lo dirò alla mamma».
«Grazie» ribatté Harry sorpreso. «Volevo solo aiutarti, non so che cosa mi sia passato per la mente».
«Zio Neville ha fatto finta di credere che avevo problemi di stomaco».
«Benedetto uomo» sospirò Harry. «Ora andiamo, nemmeno lui potrà giustificare la nostra presenza qui».
James si lasciò coprire con il mantello e, al suono della campanella, sbloccarono la porta e uscirono. E, a questo punto, la fortuna decise di abbandonarli: James inciampò nei lacci sciolti delle scarpe e cadde in avanti tirandosi il mantello, scoprendo in tal modo entrambi.
«E voi due che fate qui?».
Harry si voltò e sorrise a un Mcmillan interdetto, per poi ricordarsi di avere la boccetta in mano e nasconderla dietro la schiena. Oh, sì era tornato veramente un bambino!
 
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«Ma che cosa avevano in mente tuo padre e James?» sussurrò Rose per la millesima volta.
«Non lo so» sbuffò Albus.
«Ma non ti dà fastidio che ti mettano sempre in disparte?».
Albus sollevò gli occhi al cielo. «No, ora scusa». Raggiunse Scorpius e Alastor che li avevano preceduti.
«Allora, pronti per vincere la Coppa del Quidditch? Tuo fratello e Dai Baston mi sembrano in perfetta forma» disse Scorpius.
«Puoi scommetterci» rispose Albus, tentando di togliersi dalla mente le parole della cugina.
«Io ci avrei scommesso dall’inizio dell’anno» intervenne Rose. «Siete dei perdenti voi Serpeverde!».
«L’anno prossimo diventerò Cercatore e, vedrai, darò del filo da torcere a James» ribatté Scorpius.
«Oh, ma fammi il favore, entrerò anch’io in squadra e il vostro portiere non vedrà neanche la pluffa!».
«E voi? L’anno prossimo farete i provini?» chiese Scorpius rivolto ad Albus e Alastor.
«No» risposero all’unisono.
«Lascia perdere» sbuffò Rose. «Al odia la competizione, eppure sa volare molto bene».
«Mi mettono ansia le competizioni» specificò il ragazzo.
«Ti mettono ansia un milione di cose» infierì Rose. «Durante lo Smistamento stavi per avere un attacco di panico».
Albus la fulminò con lo sguardo. «Oh, quanto sei divertente!».
«Tu perché non lo farai?» domandò Scorpius ad Alastor, desiderando evitare una lite tra i due cugini.
«Non volo molto bene… Non mi piace…» bofonchiò Alastor in risposta.
«Non capirò mai che cosa ci faccia un Malfoy in compagnia di un Potter, una Weasley e uno Schacklebolt». La voce limpida e sarcastica di Jaiden Brooks risuonò nel corridoio deserto. «Sembra quasi l’inizio di una barzelletta». I suoi compagni di Serpeverde sghignazzarono come al solito. «Ditemi, è per caso una trovata politica? Non era tuo padre Schacklebolt a volere che la comunità magica dimenticasse le antiche rivalità di sangue? Oh, sì, lui durante l’ultima intervista».
A sorpresa Alastor rispose: «Mio padre è il Ministro della Magia, è normale che ricordi quelli che sono i principi cardini su cui si fonda il Ministero dalla fine della guerra contro Lord Voldermort».
«Allora ce l’hai la lingua! Pensavo che fossi muto. D’altronde un Purosangue che si unisce a una babbana non potrebbe dare risultati soddisfacenti… anche se dopotutto non hai alcuna deformazione…».
«Smettila» sibilò Scorpius estraendo la bacchetta.
«Come fai a sapere che cos’ha detto mio padre durante l’ultima intervista?».
La domanda rivolse l’attenzione di tutti verso Alastor e sciolse per un attimo la tensione creatasi.
«Leggo?» ribatté Brooks con ovvietà.
«Leggi il giornale?» ribatté Rose perplessa.
«Leggi le interviste di cronaca?» insisté Scorpius.
Albus si chiese che importanza avesse, probabilmente Brooks era un genio come tutti i professori pensavano.
«Siete analfabeti per caso? Sì, leggo gli articoli di cronaca» sbuffò Brooks.
«Non sei normale» dichiarò Rose.
«Potrei capire la pagina sportiva…» bofonchiò Scorpius.
«Oh sì, la pagina sportiva scritta da Ginny Weasley. Ti piace, vero, Malfoy? Hai sentito Potter, quando tua madre si stancherà di tuo padre non avrà problemi a trovare…».
Albus lo spinse e, avendolo preso di sorpresa, lo buttò a terra. «Non osare continuare» sibilò a denti stretti.
Brooks fu velocissimo a estrarre la bacchetta e colpire.
Albus fu sbalzato a terra e l’altro si rialzò. «State lontani» ordinò agli amici, pronti a intervenire. «Devo risolvere io la questione». Albus era furioso. Si rimise ai piedi.
«Oh, oh, sul serio Potter? Ma chi ti credi di essere?».
«Exsperliamus!».
La bacchetta di Jaiden Brooks volò via dalle mani del proprietario.
«Maledizione! E questo quando l’hai imparato? Quel cretino di McBridge non insegna nulla» sbottò Brooks. «Bene, allora battiamoci alla babbana. Non vorrai mica colpire con la magia un avversario disarmato?».
Albus sbuffò: sapeva di non avere speranze senza bacchetta, ma la ripose. Nessuno avrebbe detto che lui era stato sleale.
«Attento!» urlò Alastor.
«Stringi il pugno e tira con tutte le tue forze!» suggerì Scorpius.
In realtà Albus reagì d’istinto e si gettò sul Serpeverde. Ruzzolarono a terra e Brooks ebbe la meglio, colpendo il Grifondoro sul naso.
«Al, muoviti!» gridò Rose.
Albus tentò di divincolarsi, ma l’altro era troppo forte. Brooks gli strinse le braccia in una morsa d’acciaio e l’altro non riuscì a muovere neanche un muscolo. Era spacciato: Brooks l’avrebbe fatto a pezzi! Incassò un altro pugno e il meglio che poté fare fu non urlare e tentare di morderlo.
Brooks rise in modo abbastanza folle. «Ora, non ti senti più forte, eh Potter?».
Non si era mai sentito forte, si era solo stancato delle sue provocazioni.
«Che sta succedendo qui, eh?».
Un miagolio fastidioso precedette l’arrivo di Gazza, se mai qualcuno di loro avesse mai potuto confonderlo con qualcun altro.
«Sei fortunato» sibilò Brooks liberando Albus dalla stretta, ma il ragazzino furioso gli gettò le braccia al collo per trattenerlo e ricambiare almeno un pugno.
Successe tutto in un lampo. Gli occhi di Albus caddero sulla nuca del compagno e un tatuaggio, mai notato, risaltò immediatamente alla vista. Mollò la presa. Brooks corse via insieme agli altri Serpeverde, ma Albus, troppo scioccato, ignorò le sollecitazioni degli amici a fare altrettanto. Si riscosse leggermente soltanto quando Gazza lo prese per l’orecchio.
«Oh, sei nei guai! Oh, sì. Andiamo dalla Preside, Potter!».
Rose, Alastor e Scorpius tentarono di aiutarlo, ma Gazza fu irremovibile e li disse di andarsene.
Albus si lasciò trascinare in Presidenza con la mente rivolta completamente a quello che aveva visto. Non era mai stato nell’ufficio della Preside, perciò si stupì nel vedere la scala a chioccia celata dietro i gargoyle.
«Preside, Potter stava facendo a botte!» dichiarò solennemente Gazza spingendo avanti Albus.
Il ragazzino cominciò a rendersi conto della situazione in cui si era messo: l’occhiataccia della Preside non lasciava adito a dubbi. La stranezza, però, era la presenza del padre, sotto le vesti di Barney Weasley s’intende, e del fratello.
«Grazie signor Gazza, può andare» disse la McGranitt a denti stretti. «Devo per caso convocare la signora Potter per venire a capo di questa follia stasera?!».
«Ci sono io!» ribatté Harry offeso.
«Sei stato colto in fragrante dopo aver rubato nella scorta privata del professor Mcmillan! Il Veritaserum, poi!» sbottò la Preside per nulla condiscendente.
«Era un piano per trovare il misterioso pozionista» borbottò Harry.
«Ah, sì e anche combattere alla babbana fa parte della strategia?».
«Ehm, no… ma, vede, professoressa, lei non sa chi è Jaiden Brooks…» tentò Harry ma la McGranitt lo incenerì con gli occhi e tacque.
«Albus, perché stavi facendo a pugni?» chiese la professoressa a bruciapelo.
Il ragazzino, ancora turbato dagli ultimi avvenimenti, la fissò e rispose sinceramente: «Ha insultato mia madre».
«Ha fatto che cosa?!» urlò Harry.
«Se lo prendo, lo strozzo» saltò su anche James.
«Silenzio!» tuonò la Preside. «Insomma, è così che dà l’esempio ai suoi figli, signor Potter? E poi mi dice che non è necessario convocare sua moglie?».
«Se viene la mamma, lo strozza lei Brooks… di certo non ha bisogno che lo facciamo noi…» borbottò James. La McGranitt sembrò arrabbiarsi di più e Harry diede una gomitata al figlio maggiore: era impazzito o si era dimenticato di avere la Preside di fronte? Padre e figlio si prepararono alla sfuriata della donna.
«Mi dispiace, professoressa» esclamò Albus improvvisamente attirando l’attenzione su di lui. «È tutto l’anno che Brooks dà fastidio a me e ai miei amici. Mi ero stancato di farmi mettere i piedi in testa…».
«Te li ha messi in faccia, però. Guarda che lividi…» lo interruppe James.
«Smettila» gli sibilò Harry. Se c’era qualcuno in grado di rabbonire la McGranitt quello era Albus.
«So di avere sbagliato… sia perché non si risolvono le questioni con la violenza… soprattutto per questo… e poi Brooks è molto più forte di me, non è stata neanche una decisione furba da parte mia…».
«Sono contenta che almeno tu sia consapevole della gravità delle tue azioni».
«Sì, professoressa» assentì all’istante Albus. «Posso fare una domanda adesso?».
La Preside si stupì, anche se riuscì a simularlo molto meglio di James e Harry che spalancarono la bocca.
«Sì, naturalmente».
«L’uroboro è un serpente che si mangia la coda?».
«Sì, perché, Potter?».
Il battito del cuore di Albus accelerò: superato lo spavento, la sua mente aveva compreso che cosa l’avesse turbato tanto prima che Gazza lo trascinasse via.
«L’uroboro è il tatuaggio che è ha il pozionista che stai cercando?» quasi urlò il ragazzino voltandosi verso il padre.
«Sì… stai bene, Al?» replicò Harry preoccupato.
Albus iniziò a tremare leggermente e impiegò qualche secondo a ritrovare la voce. «Jaiden Brooks ha un tatuaggio a forma di uroboro sul collo».
Un silenzio sconvolto accolse le sue parole.

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Capitolo 14
*** Capitolo quattordicesimo ***


Capitolo quattordicesimo
 
«Signori, vi ringrazio di essere venuti» esordì Minerva McGranitt scrutando i volti dei presenti nel suo ufficio: Ronald Weasley, Vice Capitano degli Auror; Gabriel Fenwick e Rick Lewis, vice sotto Capitani; una decina di Auror alle spalle dei loro superiori; i professori McBridge, Paciock, Macklin e Vitious; Hermione Weasley e, naturalmente, Harry Potter in versione Barney Weasley. «Alcuni di voi sono già al corrente di quanto accaduto nell’ultimo mese e mezzo, ma a beneficio di tutti è necessario un breve e rapido riepilogo. Hermione, prego».
La giovane donna annuì e disse: «Innanzitutto la ringrazio a nome del Ministero per la collaborazione di queste settimane». La McGranitt chinò leggermente il capo. «Immagino che tutti voi abbiate letto sulla Gazzetta del Profeta della retata degli Auror avvenuta poco prima della fine delle vacanze natalizie». Hermione fece una pausa e attese che tutti i presenti assentissero. «Bene, per ovvi motivi, molto è stato taciuto. Il Capitano Potter non si trova all’estero, come il Ministro Schacklebolt e io stessa abbiamo lasciato credere alla stampa e alla comunità magica. Gli uomini che sono stati arrestati erano dei guardiamaghi al servizio di un pozionista particolarmente dedito a esperimenti di natura per lo più oscura. Il suo ultimo esperimento ha portato alla distillazione di una pozione che fa ritornare bambino colui che la beve». Fece una pausa, lasciando a ognuno il tempo per assimilare le informazioni. «I guardiamaghi durante la retata hanno fatto ingerire di forza la suddetta pozione al Capitano Potter; inoltre, a seguito di ripetuti interrogatori, hanno dichiarato che il loro capo si trovasse qui a Hogwarts».
«Qua?» replicò sorpreso il professor McBridge. «Intende forse Mcmillan?».
«Andiamo piano con le accuse» sbottò Neville.
«Professor McBridge ha motivi di dubitare della lealtà del suo collega?» domandò la McGranitt con un’occhiata di avvertimento.
«No, ma è lui il pozionista della Scuola».
«Se è per questo c’è anche Madama Chips» lo corresse la professoressa Macklin. «E comunque avete perquisito la Scuola prima che ricominciassero le lezioni» aggiunse rivolta a Hermione.
«Esattamente» riprese la parola quest’ultima. «Per questo motivo abbiamo creduto di dover procedere in maniera diversa. Il nostro colpevole evidentemente non era uno sprovveduto e sapeva ben nascondersi. A questo punto è entrato in gioco il Capitano Potter che, avendo bevuto la pozione, si è ritrovato ad avere fisicamente dodici anni pur mantenendo la sua mente di adulto». Hermione si avvicinò a Harry-Barney e gli pose un braccio sulle spalle. «Signori, Barney Weasley altri non è che il Capitano Potter. E ieri sera ha finalmente scoperto il colpevole».
Harry, che non aveva fiatato da quando aveva messo piede nell’ufficio circolare, sorrise in modo malandrino ai docenti che lo fissavano meravigliati.
«E di chi si tratta?» chiese il professor McBridge.
«Jaiden Brooks» rispose Harry, senza più sorridere: quel maledetto pozionista era stato appiccicato ai suoi figli per mesi! E più volte aveva rischiato di far male ad Albus!
«Impossibile. È un ragazzino del primo anno» sbottò McBridge.
«Da quando ha lasciato la squadra Auror, ha perso colpi professore» commentò Harry tagliante. Non era sua abitudine rivolgersi così agli altri, ma, per quanto McBridge avesse sofferto a causa di Voldemort, non riusciva a giustificare il modo in cui trattava i suoi allievi. E non era solo Scorpius, anni prima Teddy gli aveva raccontato come avesse preso di mira un suo compagno di Tassorosso.
Il professore lo guardò malissimo, ma la Macklin parlò prima di lui: «Lo sapevo che c’era qualcosa di strano in quel ragazzino. Sembra sempre pensare ad altro durante le spiegazioni, ma puntualmente riesce a eseguire gli incantesimi al primo tentativo! Con una sicurezza e una strafottenza che non ho mai visto in un ragazzino di undici anni!».
«Strafottente di sicuro» borbottò Neville.
«A questo punto non ci resta che arrestarlo» dichiarò Harry. «E per far ciò, in modo da non coinvolgere gli altri studenti, ho bisogno della collaborazione dell’intero corpo insegnanti».
«Hai già un piano?» chiese il professor Vitious, aprendo bocca per la prima volta.
«Sì, ho intenzione di attirare Brooks in una trappola, possibilmente dopo il coprifuoco» iniziò Harry che vi aveva riflettuto per tutta la notte. «Visti i trascorsi tra lui e mio figlio» e qui quasi ringhiò, «ho pensato di prendere le sembianze di Albus con la Polisucco».
«Perché?» gli chiese Hermione. Harry non aveva avuto tempo di metterla al corrente del piano.
«Albus scriverà di suo pugno un bigliettino per Brooks, con il quale lo sfiderà a duello. Credo che sia il modo migliore per attirare un ragazzino fuori dal Dormitorio dopo il coprifuoco».
I professori si accigliarono, a parte Neville che trattenne a stento un sorrisino e la McGranitt che commentò: «D’altronde sei un esperto in questo».
Harry la ignorò e riprese: «Gli Auror saranno pronti e verrà arrestato».
«E dove dovrebbe avvenire questo duello? Sarebbe il caso che noi lo sapessimo in modo da tenere lontani gli altri studenti indisciplinati, i Prefetti e i Capiscuola» intervenne la Macklin.
A questo Harry non aveva pensato e si voltò a guardare i suoi colleghi.
«Sala Trofei?» buttò lì Ron.
La proposta riportò alla mente diversi ricordi ai due amici, ma Harry acconsentì non avendo motivo di rifiutare. «Perfetto, lo attireremo nella Sala Trofei. La zona sarà controllata dai miei uomini, mentre gli insegnanti si occuperanno degli altri studenti».
«Harry» lo chiamò Hermione meditabonda.
«Che c’è? È un ottimo piano» ribatté Harry.
«Sì, ma… credo che qualcuno debba prendere le tue sembianze, a meno che tu non voglia che le tue attuali condizioni vengano scoperte…».
«Perché mai? Io sono all’estero, ricordi Hermione? Ron guiderà l’operazione. Nessuno avrà nulla da ridire».
 
Conclusasi la riunione, Harry raggiunse i figli in Sala Grande. James lo salutò con entusiasmo e tornò a chiacchierare animatamente della prossima partita di Quidditch con Tylor Jordan e Danny Baston. Albus gli rivolse un lieve sorriso e Harry si sedette nel posto vuoto vicino a lui.
«Hai delle occhiaie enorme… cioè ha…». Alastor tacque imbarazzato e si mise a fissare le salsicce nel suo piatto. Albus gli aveva raccontato ogni cosa poiché era il suo migliore amico. Harry gli sorrise e gli disse di non preoccuparsi, invitandolo a trattarlo proprio come Barney Weasley. Aveva visto Alastor crescere e gli era affezionato, quasi fosse uno dei suoi nipoti.
«Mamma ti ha scritto?» chiese Harry indicando una lettera che il figlio aveva ripiegato vicino al piatto.
«Già» mormorò il ragazzino giochicchiando con le uova strapazzate anziché mangiarle. «Grazie per averle parlato, pensavo che mi avrebbe mandato una strillettera».
«Figurati, in fondo è anche colpa mia».
«Tua?».
«Beh, ti ho spinto a farlo e me ne sono pentito. Scusami».
Albus lo fissò a bocca aperta. «Non ho capito» ammise dopo qualche secondo.
«La McGranitt ha ragione: la violenza non risolve un bel nulla» replicò Harry iniziando a servirsi. Aveva molta fame e in più la giornata si prospettava lunga.
Il ragazzino annuì e rimase in silenzio per il resto della colazione. Harry decise di non disturbarlo, ma, poco prima del suono della campanella, fece cenno a entrambi i figli e li condusse in un’aula vuota.
«Allora, quando lo arrestiamo?» proruppe James appena furono da soli.
«Arrestiamo? No, no, toglitelo dalla testa» ribatté all’istante Harry. «D’ora in avanti se ne occuperanno i miei uomini».
«Cosa?! Ma non è giusto! Ti abbiamo aiutato, ci tocca!».
«Ma neanche per idea!» replicò Harry irritandosi. James diventava sempre più incontrollabile.
«Scusate, sta per suonare la campanella» sussurrò Albus.
«Zitto, non ora» lo tacitò il fratello. «Piuttosto dammi una mano».
«Non è necessario» sbottò Harry. «Non cambierò idea».
«E quindi perché ti sei preso la briga di informarci?» replicò James a tono.
Harry gli lanciò un’occhiataccia. «Ne riparleremo quando sarò tornato adulto».
«Oh, che paura! Ora siamo della stessa taglia, non fare il codardo» lo provocò James.
«Non era una minaccia» esclamò Harry. «In queste condizioni non hai il minimo rispetto di me, perciò Barney Weasley non ha nient’altro da dirti. Fuori da qui».
«Cosa?».
«Ho detto fuori da quest’aula. Vai a lezione. Non ti aiuterò se finisci nei guai perché sei arrivato in ritardo».
James lo fissò arrabbiato, recuperò lo zaino che aveva gettato sul pavimento e se ne andò, sbattendo con forza la porta.
«Bene, ora tutti sapranno che siamo qui» sibilò Harry furioso.
«Ehm, forse è meglio che vado anch’io» mormorò Albus. «Alla prima ora c’è Trasfigurazione».
«Ascoltami un attimo» lo fermò Harry. «Mi devi fare un ultimo favore».
Il figlio lo fissò sorpreso, ma assentì. «Che cosa?».
«Scrivi un bigliettino a Jaiden Brooks e sfidalo a duello. Stanotte alle undici e mezza».
«Stai scherzando?! Ma fino a prima mi hai detto che la violenza non serve a nulla! E mamma ha detto che se rifaccio a botte con qualcuno, mi mette in punizione fino alla fine dell’anno. E tu con me».
«Sì, lo so. Mi ha minacciato in modo simile ieri sera» bofonchiò Harry. «Comunque non ho intenzione di disobbedire a tua madre… non sia mai…».
«E allora?».
«È una trappola. Ci saranno i miei uomini ad attenderlo e io, assumendo le tue sembianze, mi presenterò all’appuntamento».
«Oh, ok. Ho capito. Gli farò avere il bigliettino in mattinata».
«Grazie» replicò Harry. «Ah, e non ti preoccupare per la mamma. Non è veramente arrabbiata con te. Da studentessa ha fatto di peggio, ma ritiene che almeno uno fra noi due deve fare il genitore serio».
Albus annuì, visibilmente sollevato. O almeno finché non suonò la campanella. «Oh, no. La Macklin mi ucciderà! Vieni anche tu, vero?».
Harry, in realtà, aveva pensato di saltare le lezioni della mattina facendo finta di star male e approfittarne per delineare gli ultimi dettagli del piano con i suoi uomini. «Va bene» rispose, però, prima di rendersi conto. Non poteva dire di no ad Albus in quel frangente: lo fissava come se solo lui avrebbe potuto salvarlo dall’ira della professoressa di Trasfigurazione. Decisamente lui e Ginny dovevano far quattro chiacchiere con il figlio circa la sua autostima: dopo quello che aveva combinato in poco più di un mese, la Macklin di certo sarebbe stata più accondiscendente con il diligente Albus, non con il sedicente Barney Weasley, noto per la sua negligenza e per i suoi atteggiamenti ribelli.
 
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«Gli uomini sono in posizione. Rick è rimasto con loro» gli comunicò Ron.
«Dovresti prendere la Pozione Polisucco» aggiunse Gabriel Fenwick porgendogli un calice pieno di un intruglio scuro, che Harry purtroppo conosceva bene.
Il Capitano tirò fuori la provetta nella quale aveva conservato un capello di Al e lo lasciò cadere nel calice. La pozione cambiò immediatamente colore. Harry arricciò il naso.
«È molto chiaro, sembra quasi acqua» commentò Ron dopo aver sbirciato.
«Beh, che ti credevi? Stiamo parlando di mio figlio, non di Tiger e Goyle».
Ron fece una smorfia al ricordo, mentre Harry bevve la pozione in unico lungo sorso.
«Tutto bene?» gli chiese Gabriel Fenwick, vedendolo rigido.
Harry annuì distrattamente: la pozione aveva un buon gusto dopotutto - chissà se qualcuno avesse condotto delle ricerche in merito a questa particolarità della Polisucco di cambiare sapore a seconda della persona -, ma percepire il mutamento repentino del proprio corpo non era certamente piacevole. Rimpicciolì di diversi centimetri, ma tutto sommato anche da questo punto di vista non gli andò tanto male, in fondo lui e Albus era quasi identici.
«Sei sicuro che Jaiden Brooks verrà? Ti ricordo che Malfoy fece la spia a Gazza?» disse Ron dando voce ai dubbi che lo arrovellavano da un po’.
«Albus è stato bravo. L’ha provocato di fronte ad altri compagni insieme a Rose. E Scorpius si premurerà di verificare che Brooks lasci realmente la Sala Comune. Brooks non è Draco Malfoy, Ron. Non è un ragazzino viziato che vuol mettere i compagni nei guai. Brooks è un adulto, che si diverte a fare il gradasso e non si preoccupa certo di essere beccato dagli insegnanti come qualsiasi altro undicenne».
«Sicuro che non vuoi che ti copriamo le spalle? Potremmo usare un incantesimo di Disillusione» intervenne Gabriel Fenwick.
«No, non è necessario. Non voglio correre rischi. Lo scontro, se ci sarà, avverrà nella Sala Trofei. Insegnanti e studenti non devono essere messi in mezzo, chiaro?».
«Sì, signore» replicò Fenwick. Ron si limitò a un cenno della testa.
«Bene, raggiungete gli altri. Sono le undici e dieci. Tra cinque minuti mi muoverò anch’io».
Ron e Gabriel si congedarono e si affrettarono a raggiungere gli altri Auror. Harry sospirò passandosi una mano tra i capelli. Non vedeva l’ora di mettere fine a quell’indagine e, possibilmente, tornare alle sue normali dimensioni. Il pensiero di James, però, continuava a turbarlo: la lite di quella mattina l’aveva lasciato amareggiato e non aveva avuto neanche il tempo di parlare con la moglie. Il figlio maggiore non gli aveva rivolto la parola per tutto il giorno, anzi aveva cercato di evitarlo in ogni modo.
Diede un’occhiata all’orologio che portava al polso e sospirò: era ora di andare. Lui, Ron e Gabriel si erano incontrati in un aula in disuso, perché temeva di attirare troppo l’attenzione degli altri Grifondoro, se fosse uscito dopo il coprifuoco. Nel pomeriggio si era premurato di vietare ad Albus di lasciare la torre di Grifondoro, non che con lui vi fosse realmente il rischio, ma il messaggio doveva arrivare chiaro e perentorio alle orecchie di James.
I corridoi erano deserti, a parte le consuete ronde serali di Prefetti, Capiscuola e professori. Il piano della Sala Trofei, però, era totalmente libero o almeno apparentemente: ben nascosti, i suoi uomini avevano la situazione sotto stretto controllo.
Giunse nella Sala Trofei alle undici e trenta in punto e attese. Il silenzio era totale e la luce della bacchetta guizzava su coppe, targhe e premi vari che qualche sventurato studente doveva aver lucidato di recente.
Jaiden Brooks non si fece aspettare, ma, appena varcò la porta, Harry comprese di aver compiuto un errore. Duello fra maghi aveva scritto Albus nel bigliettino e il Serpeverde l’aveva preso sul serio.
«Sei solo Potter?» disse Brooks con scherno. «Nessuno ha voluto farti da secondo?».
Harry s’irritò: quel delinquente aveva portato con sé un ragazzo di almeno quindici o sedici anni per fargli da secondo! Oh, l’avrebbe pagata eccome! Sapeva bene come sarebbe finita se l’appuntamento non fosse stata una trappola e Albus e un suo compagno, probabilmente Rose o Alastor, si fossero presentati: l’abilità di un mago adulto e la forza fisica di uno del quinto o sesto anno non sarebbero mai stati contrastati efficacemente da un paio di ragazzini a malapena capaci di disarmare un avversario. Harry impugnò la bacchetta e la puntò verso il Serpeverde.
«Non ho bisogno di un secondo» dichiarò. Effettivamente aveva dato ordine ai suoi uomini di non intervenire: non era mica sleale lui. Nella Sala Trofei celati nell’ombra e dalla magia vi erano soltanto Ron e Gabriel Fenwick.
«Oh, quanto siamo coraggiosi all’improvviso» ironizzò Brooks. «Pensavo che non sapessi fare nulla senza la tua guardia del corpo… Una femmina, io mi vergognerei se fossi in te!».
La ‘femmina’ in questione doveva essere Rose, in effetti sempre molto protettiva nei confronti di Albus, ma quella era una caratteristica delle donne Weasley: mai toccare i loro uomini, che siano padri, fratelli, cugini, mariti o fidanzati. Mai. E Rose non faceva eccezione: qualsiasi cotta infantile avesse avuto nei confronti del Serpeverde, era sparita nel momento in cui i suoi amici era stati toccati. Harry, però, si disse che era meglio non raccontare a Ron che l’istinto protettiva della figlia fosse scattato in aiuto di Scorpius Malfoy. No, meglio lasciare i ragazzi in pace. Con rammarico Harry si rese conto che forse non avevano tutti i torti a nascondere delle cose agli adulti, sebbene egli si sforzasse di essere per i figli quel punto di riferimento che lui non aveva mai veramente avuto.
«Come vedi, ti sei sbagliato» ringhiò in risposta.
Brooks lo fissò stranito. «Sembri un altro stanotte, Potter».
«Duelliamo» ribatté Harry, poco intenzionato a recitare ancora.
«Come vuoi, inchiniamoci. Kinnins tu stanne fuori, per ora».
L’altro ragazzo grugnì e si fece da parte.
I due avversari si inchinarono leggermente senza mai distogliersi gli occhi di dosso. Al tre Brooks iniziò per primo e mostrò immediatamente di non aver alcuna intenzione di scherzare: Harry evocò uno scudo magico appena in tempo per deviare l’incantesimo non verbale dell’altro.
Il Serpeverde sgranò gli occhi. Harry si era tradito, non avendo pronunciato a sua volta la formula ad alta voce.
«Tu non sei Albus Potter» sbottò Brooks, indietreggiando verso la porta.
Il Capitano degli Auror non si scompose: da quella stanza non sarebbe potuto scappare, visto che la porta era stata incantata dall’esterno.
«Neanche tu sei chi dici di essere» ribatté Harry a tono.
Brooks gli scagliò contro una serie di maledizioni con una sorprendente rapidità. Diverse coppe saltarono in aria, vittime della furia del ragazzo.
Harry rispose con altrettanta veemenza, tanto che l’urto di una fattura fece cadere il Serpeverde. Kinnins si avvicinò per aiutarlo. «Stanne fuori» urlò.
Persino Brooks lo scacciò e si rimise all’in piedi. «Chi sei che ti preoccupi dell’incolumità degli studenti?».
«Non sono affari tuoi» replicò Harry tentando di disarmarlo. Il duello non era alla pari, l’Auror percepiva la stanchezza e la mancanza di allenamento dell’avversario, che avrebbero avuto presto la meglio. Ciò che non aveva calcolato fu la lealtà, decisamente più stolta di quella dei Grifondoro, di Kinnins. Il Serpeverde più grande, che Harry aveva considerato solo per tenerlo al sicuro ed evitare che fosse colpito per sbaglio, gli tirò addosso una targa molto spessa e lo prese in testa.
Per un attimo il respiro gli si mozzò e Harry non ci vide bene. Brooks ne approfittò per disarmarlo.
«E adesso, vediamo chi sei» sibilò Jaiden Brooks.
Harry sapeva di non doversi preoccupare perché Ron e Gabriel erano lì con lui, ma il sangue gli si gelò quando riconobbe la voce che intervenne.
«Stupeficium!».
L’Auror faticosamente rimise a fuoco la sala già di per sé fiocamente illuminata e con un fiotto di rabbia riconobbe la figura che si stagliava su un Jaiden Brooks privo di sensi: «James Sirius Potter!» gridò con voce strozzata.
«Capitano, hai preso una bella botta in testa, forse dovresti…».
«Dovrei che cosa!?» strillò Harry scacciando la mano di Gabriel e rimettendosi in piedi con un movimento brusco. Pessima idea: le coppe iniziarono a girargli intorno.
«Harry, tranquillo» s’intromise Ron. «I ragazzi stanno ammanettando Brooks. Piuttosto cosa dobbiamo fare con l’altro Serpeverde?».
Harry gli lanciò un’occhiata di sbieco, mentre tentava di far smettere la stanza di girare. Gabriel gli porse un bicchiere d’acqua. «Grazie» mormorò riprendendo il controllo, nonostante la testa gli pulsasse terribilmente. Chiuse gli occhi per un attimo. Forse aveva solo sognato e James non era mai entrato in quella sala. Aprì gli occhi, ormai convinto che fosse stata la botta in testa.
James, però, lo fissava con un ghigno malandrino e le braccia incrociate.
Non era stata un’allucinazione! «Che cosa ti è saltato in mente?!» urlò ignorando gli altri Auror.
«Oh, bella questa» sbottò il ragazzino. «Dovresti ringraziarmi visto che ho schiantato Brooks e ho permesso il suo arresto».
Harry non credeva che potesse essere così sfrontato. «Avevo ordinato a te e Al di stare ben lontani dal pericolo! Tuo fratello non te l’ha detto?».
«Può darsi, ma Al dice tante di quelle cose».
Gli occhi di Harry lampeggiarono e quasi ringhiando chiamò Ron: «Porta via di qui tuo nipote o farò quello che non ho mai fatto in tredici anni!».
Ron capì l’antifona e trascinò via un James quanto mai indignato.
«Ehm, Capitano, l’altro ragazzo?» tentò Gabriel Fenwick.
«Se è minorenne consegnatelo alla McGranitt; se è maggiorenne dovrà rispondere delle sue azioni al processo, ma nel frattempo consegnatelo alla McGranitt».
«Sì, signore».
 
La nottata trascorse frenetica e non allenì di certo il malumore e la rabbia di Harry. Jaiden Brooks si rifiutava di confessare la sua vera identità e rimase in un ostinato silenzio per gran parte del tempo. Alla fine gli Auror lo trasferirono nelle celle del Ministero, ritenendo che un po' d’isolamento gli avrebbe sciolto la lingua. Harry ne dubitava fortemente.  L’unica soluzione era il Veritaserum e ordinò a Ron di somministraglielo già il pomeriggio seguente.
La mattina chiese e ottenne un colloquio con il Guaritore, Anthony Goldstain.
«Allora che notizie mi porti?».
«Credo che l’antidoto sia a buon punto, ma vorrei conoscere gli ingredienti della pozione per essere sicuro che funzioni. Ho sentito che c’è stata un po’ di confusione qui a Hogwarts stanotte».
«Dirò ai miei uomini di farti assistere all’interrogatorio di Brooks questo pomeriggio, così potrai avere tutte le informazioni che ti servono» si limitò a rispondere Harry.
«Ottimo» replicò Goldstain. «Ti faccio sapere appena so qualcosa di preciso».
Harry lo ringraziò e sospirò decidendo che fosse ora di riposare un po’.
 
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Alla fine il Veritaserum aveva fatto il suo lavoro, Jaiden Brooks aveva confessato ogni cosa: il suo vero nome era Alain McCarthy ottimo pozionista e buon duellante ed era stato espulso dalla Società dei Pozionisti britannica a causa dei suoi esperimenti poco etici; dopo l’espulsione si era avvicinato ad alcune organizzazioni criminali di Notturn Alley, creandosi, nel frattempo, non pochi debiti; infine Hogwarts gli era sembrata la soluzione migliore per vivere in pace e sfuggire alle richieste pressanti dei suoi creditori e dei suoi soci per nulla contenti degli esperimenti nei quali aveva buttato i loro soldi.
Il medimago Goldstain, grazie alle indicazioni avute da McCarthy si era già messo a lavoro e promesso a Harry l’antidoto entro un paio di settimane al massimo.
A questo punto Harry aveva lasciato a Ron il compito di sbrigare tutte le pratiche burocratiche e aveva deciso di godersi quegli ultimi giorni a Hogwarts con i figli. O almeno queste erano le intenzioni, ma visto che James non solo si ostinava a non rivolgergli la parola, ma gli tendeva numerose trappole e dispetti, i suoi buoni propositi stavano andando a rotoli.
«Papà» sussurrò Albus una sera, avvicinandosi.
«Che c’è?» replicò Harry. Da quando Brooks-McCarthy aveva levato le tende, Albus era molto più tranquillo e sereno.
«Zio Neville vuole vederti nel suo ufficio».
Harry saltò giù dalla poltrona ed eccitato disse: «Vuoi vedere che la pozione è già pronta?».
Albus assunse un’aria preoccupata. «Temo si tratti di James» borbottò in risposta.
L’entusiasmo di Harry sparì all’istante e sconsolato annuì. Si avviò verso il buco del ritratto interrogandosi su che cosa avesse potuto aver combinato il figlio maggiore quella volta. Scese velocemente i vari piani e raggiunse l’ufficio di Neville con il fiato grosso. Bussò ed entrò.
«Eccoti» sbuffò Neville vedendolo e alzandosi dalla sedia dietro la scrivania su cui era stato seduto fino a quel momento. «Chiaritevi o scrivi a Ginny» dichiarò uscendo dall’ufficio.
James sedeva a braccia conserte e fissava un punto indistinto sulla parete.
Per qualche secondo regnò il silenzio, alla fine Harry proruppe: «Che cosa dovrei dirti? Complimenti? E questo che vuoi sentirti dire?».
«Perché non me lo merito?» scattò James, finalmente voltandosi verso il padre.
«No. Se vuoi fare l’Auror è bene che inizi a imparare: gli ordini devono essere rispettati. Tuo zio e Gabriel Fenwick erano pronti a intervenire. Non avevano bisogno dell’aiuto di un dodicenne disubbidiente! Un gesto avventato come il tuo avrebbe potuto mandare a monte l’intera operazione. In questo caso non ci sono state conseguenze, per fortuna, ma avrebbero potuto esserci. Per questo l’obbedienza è fondamentale in una squadra! Se ognuno di noi facesse quello che vuole, gli avversari se ne approfitterebbero! Ho rischiato persino di scoprirmi con Kinnins e non era mia intenzione!».
James lo fissò turbato. «Volevo solo aiutarti» mormorò.
Harry espirò forte tentando di calmarsi. «Pensavi che fosse assolutamente necessario e  che i miei uomini mi avrebbero lasciato senza protezioni o volevi solo dimostrare di poterlo fare?» chiese tagliente.
«Volevo dimostrare di poterlo fare». Il ragazzino teneva gli occhi bassi e appariva sinceramente dispiaciuto.
«Riaffronteremo l’argomento quando sarò della taglia giusta per avere un minimo di autorevolezza su di te» sbuffò Harry avvicinandosi al figlio.
«Sei autorevole anche così» disse James. «Solo è più facile far finta che tu sia veramente uno dei miei cugini».
«Più comodo, direi» lo corresse Harry. James fece spallucce.
«Quindi qual è la mia punizione?» domandò il ragazzino a bruciapelo.
«Non lo so» rispose Harry. «Ne parlerò con la mamma quando tornerò a casa. Goldstain mi ha assicurato che la pozione sarà pronta a breve, nel frattempo che ne dici se io, te e Al trascorriamo un po’ di tempo insieme? Tranquillamente».
«Quidditch?».
«Anche» assentì Harry.
«Quindi non ci sarai per il mio compleanno?».
«No, non credo» replicò gentilmente Harry arruffandogli i capelli. «Ma potremmo organizzare comunque qualcosa. Hagrid sarebbe felice di mettere a disposizione casa sua come ha fatto per Al oppure posso chiedere alla McGranitt di farti tornare a casa per un paio di giorni insieme ad Al, così ci sarà anche Lily».
«Tornare a casa non mi sembra una buona idea» bofonchiò James. «Darei la possibilità a mamma di uccidermi».
«Risolveremo la questione prima, stai tranquillo».
«Uh, tranquillissimo» borbottò James.
«Piuttosto che hai combinato adesso tanto da far perdere la pazienza a Neville?».
James assunse un’aria colpevole. «Ehm… Hai presente la professoressa McKlin…».
«No, fermati. Non voglio sapere nulla. Godiamoci questi ultimi giorni».
James sorrise. «Mi sembra un’ottima idea».
Harry sospirò e ricambiò il sorriso: l’avrebbero fatto impazzire. Come aveva fatto sua suocera a crescere Fred e George? Doveva assolutamente chiederglielo

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Capitolo 15
*** Capitolo quindicesimo. Epilogo ***


Capitolo quindicesimo
Epilogo
 
 «Voglio la scopa per il compleanno!».
«Non se ne parla neanche, Lily» sbuffò Ginny.
«Ma perché? Papà!».
Harry sospirò per nulla sorpreso di essere stato chiamato in causa. Parcheggiò in una via secondaria vicino alla stazione e rispose alla figlia: «A James l’abbiamo presa solo l’anno scorso».
«Giusto» concordò Ginny. «Quest’anno è toccato ad Albus».
«Quando compirai dodici anni, te la regaleremo» concluse Harry.
Lily sbuffò e sbatté i piedi. «Non è giusto!» strillò.
«Dammi la mano, Lily» ribatté Harry con fermezza. «Ci sarà molta confusione».
«Voglio la scopa».
Ginny sbuffò. Harry le diede un bacio veloce sulla guancia, mentre si avviavano verso la banchina tra i binari nove e dieci. Era tornato sé stesso alla fine di febbraio ed era infinitamente grato ad Anthony Goldstain per il tempo e la dedizione dedicata al suo caso.
I coniugi Potter erano ritornati brevemente a Hogwarts per il compleanno di James. Harry sapeva che non era una prassi consueta – la McGranitt stessa non era stata molto contenta, sebbene poi gli avesse concesso il permesso, perché se i genitori di tutti gli allievi si fossero recati a Scuola per i compleanni dei figli ci sarebbe stato il caos ogni giorno, ecc. ecc. -, ma, specialmente dopo l’ultimo litigio, ci teneva particolarmente. Naturalmente era contento di aver fatto pace con il suo primogenito prima di tornare adulto, ma comunque James era stato felice di vederli anche se per poco.
«Dai, lasciami la mano adesso!» si lamentò Lily appena giunsero al binario 9 e 3/4, riscuotendo Harry dai suoi pensieri.
«No, non vedi quanta gente c’è?» ribatté quest’ultimo.
«Non mi allontano, promesso!».
«Va bene» assentì Harry. «Ma rimani vicino a noi e non ti avvicinare ai binari!».
Il treno non era ancora arrivato, l’uomo diede un’occhiata all’orologio. «Saranno qui a momenti» disse allora alla moglie.
Ginny gli si strinse al braccio e poggiò la testa sulla sua spalla – nessuno dei due perdeva di vista Lily che saltellava da una parte all’altra, in mezzo alla folla – e gli sussurrò: «Sembra ieri che eravamo qui per salutare Albus per la prima volta! A marzo l’ho visto tanto cresciuto!».
Harry sorrise. «E aveva paura di essere smistato a Serpeverde!».
«Dillo che sei contento che è un Grifondoro» lo stuzzicò la moglie.
«Certo» ridacchiò Harry dandole un bacio leggero tra i capelli. «Ma se fosse stato smistato a Serpeverde, non sarebbe cambiato nulla».
«Scommetto che saresti diventato ancora più apprensivo invece!» lo provocò Ginny. «Non ho mai sentito di un padre più protettivo nei confronti di un figlio maschio piuttosto che verso l’unica femmina!».
«Bah» borbottò Harry. «Lily!» scattò un secondo dopo. «Lascia stare il cane della signora!». Andò a recuperare la figlia. «Ti avevo detto di stare vicino a noi».
«Ero vicina!» replicò la bambina. «Quel cane mi guardava male! Oh, guarda c’è Hugo!».
Harry non riuscì a trattenerla, ma la seguì con lo sguardo finché la bimba non raggiunse gli zii e il cugino, poi tornò ad abbracciare la moglie.
«Lily non ne ha bisogno» le disse. «Albus è più ingenuo e mite, non sarebbe stato bene tra i Serpeverde. È naturale che mi sarei preoccupato se fosse stato smistato in quella Casa! Certo, c’è Scorpius…».
«Sei sicuro che sia un bravo ragazzo?» gli chiese Ginny. Gliel’aveva chiesto più volte in quei mesi.
«Sì, non assomiglia per nulla al padre» replicò Harry. Nonostante ciò, però, non si era sognato di dire nulla in merito ai suoi migliori amici: Ron non l’avrebbe presa per nulla bene e Hermione, sapendolo, non gliel’avrebbe tenuto nascosto.
«Il treno!» gridò Lily correndo da loro.
L’espresso di Hogwarts, dopo aver rallentato, stava entrando nella stazione e la folla si avvicinò alla linea gialla. Harry salutò distrattamente i suoi amici e accarezzò il piccolo Hugo, ma era davvero emozionato quando il treno si fermò. Nonostante avesse trascorso con loro diversi mesi, Jamie e Al gli erano mancati terribilmente.
«Anch’io papà!» strillò Lily tirandolo per la manica.
«Cosa?» chiese perplesso Harry. Lily indicò Ron che aveva messo Hugo sulle spalle e il bambino stava già cercando la sorella in mezzo alla folla di ragazzi che scendevano dal treno. Harry si chinò e l’aiutò a prendere la stessa posizione del cugino. «Allora li vedi?» le chiese divertito.
«Ancora no» rispose seria Lily. «Ma li vedrò prima di Hugo».
«Scordatelo» sbottò il bambino che l’aveva sentita.
Ron pestò un piede a Harry, che si voltò verso di lui. Con un dito l’uomo indicò una ragazzina dai folti capelli rossi a qualche metro da loro. Harry ridacchiò, contento che l’amico non avesse rovinato la piccola gara tra i due bambini, ma il suo cuore fece un saltello appena individuò Albus.
«Eccolo! Quello è James!» urlò Lily sporgendosi in avanti.
«Lily, ferma che cadiamo addosso alle persone!» la trattenne Harry.
«Non è giusto, ci sono troppe persone!» si lamentò Hugo.
«Vinco sempre io» gongolò Lily, mentre il padre la metteva giù.
«Non è vero!».
«Dai, ragazzi, ci sono i vostri fratelli» intervenne Hermione mettendo fine alla discussione.
Harry e Ginny attesero che Lily saltasse al collo dei fratelli, che, a loro volta, la abbracciarono.
«Bentornati» esclamò Harry stringendo a sé Albus, mentre James, che era molto legato alla madre, checché ne dicesse lui, la stava stritolando gridando qualcosa sulla Coppa del Quidditch.
Quella sera cenarono tutti insieme a casa Potter e i ragazzi raccontarono gli eventi più salienti dell’anno scolastico; James e Rose fecero a gara a ricordare gli eventi più imbarazzanti riguardanti Barney Weasley.
Quando Ron e Hermione se ne andarono, Harry con un sorriso malandrino si rivolse ai figli: «Le avventure di Barney sono senz’altro divertenti, ma perché non vediamo i risultati dei vostri esami?».
«Adesso?» ribatté James imbronciandosi. «Ma siamo tutti stanchi!».
Lily rise e si sedette sulle ginocchia del padre in attesa di conoscere gli sviluppi della situazione.
«Sei stanco? Ma come a Hogwarts ti piaceva fare le ore piccole!».
Ginny si sedette sul bracciolo della poltrona di Harry e sorrise a sua volta, divertita dalla situazione tanto quanto la figlia. Persino ad Albus sfuggì un piccolo sorriso.
Alla fine, dopo essersi lamentato per qualche minuto, James si arrese e andò a recuperare la famigerata pergamena che aveva ben nascosto sul fondo del baule.
Harry prese la sua e quella di Albus e le rimirò a lungo, coinvolgendo nella sua piccola vendetta anche Ginny e Lily. Con la coda dell’occhio vedeva James innervosirsi sempre di più, mentre Albus sembrava si stesse per appisolare sul divano. Rendendosene conto Harry decise di smetterla e sorrise ai due, restituendo loro le pergamene.
«Certo che ti sei sforzato tanto, eh Jamie» commentò Harry.
«Ho preso nove con Vitious» replicò il ragazzino ignorando l’ironia nella voce del padre.
«Sì e nelle altre materie hai preso a malapena la sufficienza» ribatté Ginny fissandolo ora seriamente.
«Non è proprio così, ho preso due sette» esclamò James a sua difesa.
La madre gli lanciò un’occhiataccia.
«Va bene, va bene» concesse Harry sorridendo. «Anche perché ormai abbiamo già chiesto le ferie e abbiamo organizzato una bellissima vacanza».
«Sul serio?» chiesero in coro i tre fratelli.
«Sì, ma James non pensare di passarla liscia» intervenne Ginny. «Quando ritorneremo, farai i compiti insieme a Teddy».
James gemette.
«Dove andiamo?» domandò invece Lily.
«È una sorpresa» replicò Ginny. «Ora andiamo a letto».
«Sei stato bravissimo, Al» soggiunse Harry dandogli un abbraccio, mentre si avviavano al piano di sopra.
Il ragazzino sorrise orgoglioso.
«Troverete un regalo sul vostro letto» annunciò Ginny. «James, l’anno prossimo però dovrai impegnarti o nel letto ti farò trovare un serpente».
«Non è divertente» sbuffò il ragazzino. «Lo sai che sono ofidiofobico».
«Appunto» replicò Ginny sorridendo malandrina.
Harry le mise le braccia intorno alla vita ai piedi delle scala, mentre i ragazzi correvano di sopra.
Ginny lo baciò e poi gli disse: «Ma siamo sicuri che Al è figlio nostro? Ha preso il massimo dei voti in quasi tutte le materie!».
Harry ridacchiò e annuì. «Oh, sì. Tu l’hai partorito ed è la mia fotocopia, per cui direi che non ci sono dubbi. Avrà preso dai nonni o da qualche zio». Ginny fece una faccia scioccata. «Che ho detto?».
«Faremo in modo che non diventi come Percy!» sbottò ella visibilmente preoccupata.
«Oh, no, no, tranquilla. Magari lo lasciamo con George dopo la vacanza, gli farà bene senz’altro» propose allora Harry.
«Mi sembra un’ottima idea. Mio fratello avrà la giusta cattiva influenza su di lui» rise Ginny.
 
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Porthcurno era stata un’idea di Hermione, che ne aveva sentito parlare dai genitori babbani. Era ugualmente un luogo magico secondo Harry che in quelle settimane, trascorse con la famiglia, si divertì e rilassò come non faceva da mesi. Lui e Ron avevano affittato delle vecchie casette dei pescatori e i ragazzi ne erano stati entusiasti.
La bellezza delle ampie spiagge racchiuse tra scogliere aveva colpito tutti loro. Albus, il cui elemento era l’acqua, adorò ogni momento di quella vacanza e tutto sommato, e per essere completamente sinceri, Harry e Ginny avevano scelto quella meta proprio per lui, che, dopo il padre, era stato il più stressato nei mesi passati. James e Lily avrebbero sicuramente preferito attività legate al Quidditch.
I primi giorni Hermione era riuscita a convincerli a visitare il museo del piccolo villaggio, ma in seguito tutti preferirono godersi il sole e la sabbia bianca e fine della spiaggia.
«Pronti?» domandò Albus palesemente eccitato.
Harry annuì, prima di fare le ultime raccomandazioni ai figli e ai nipoti. Quel giorno avevano deciso di fare una gita e raggiungere la spiaggia di Green Bay che poteva essere raggiunta soltanto con la bassa marea.
«Papà» chiamò Albus, mentre si avviavano insieme a una comitiva di babbani. «Grazie, è una vacanza fantastica».
Harry sorrise e lo abbracciò. «Tu e James siete stati fantastici ad aiutarmi nell’indagine, ve la siete meritata».

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