I Shouldn't Do It

di Victoire
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII ***
Capitolo 8: *** Capitolo VIII ***
Capitolo 9: *** Capitolo IX ***
Capitolo 10: *** Capitolo X ***
Capitolo 11: *** Capitolo XI ***
Capitolo 12: *** Capitolo XII ***
Capitolo 13: *** Capitolo XIII ***
Capitolo 14: *** Capitolo XIV ***
Capitolo 15: *** Capitolo XV ***
Capitolo 16: *** Capitolo XVI ***
Capitolo 17: *** Capitolo XVII ***
Capitolo 18: *** Capitolo XVIII ***
Capitolo 19: *** Capitolo XIX ***
Capitolo 20: *** Capitolo XX ***
Capitolo 21: *** Capitolo XXI ***
Capitolo 22: *** Capitolo XXII ***
Capitolo 23: *** Capitolo XXIII ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


Capitolo I

Impossibile.
Impossibile che fosse successo tutto per davvero, che gli avvenimenti di quel giorno fossero reali.


Se solo una settimana prima la Cooman gli avesse predetto quello che stava per succedere le avrebbe riso in faccia.
Oddio, probabilmente l’avrebbe fatto in ogni caso vista la sua consuetudine a mascherare il terrore con quel ghigno che tanto lo contraddistingueva agli occhi degli altri, di tutti coloro che non si erano mai presi la briga neppure di chiamarlo per nome guardandolo negli occhi.
Chi mai avrebbe osato chiamare per nome un Malfoy?Nessuno. Nessuno aveva interesse nel provare, nel cercare un suo contatto. Ma andava bene così.
O meglio, era filato tutto liscio fino a quando lui non aveva avuto bisogno di un contatto.
E, badate, non di un contatto qualunque ma di un contatto con Lei.
Colei che popolava i suoi sogni ma, stranamente, non i suoi pensieri.
Da questi, infatti, riusciva a tenerla fuori per la maggior parte della giornata. Aveva capito che bastava non vederla tra una lezione e l’altra incrociandola per caso nei corridoi e non udire la sua voce per relegare il suo inevitabile incontro con lei alla notte.
La notte che silenziosa e discreta custodiva il suo segreto.
Di giorno capitava sempre più spesso che si limitasse ad essere il fantasma di se stesso, lasciando che fossero gli altri a parlare ed agire.
I suoi concasati si rivolgevano a lui per chiedergli consiglio e lui si limitava a liquidarli con poche parole, essendo perfettamente conscio del fatto che quello stuolo di idioti pendeva completamente dalle sue labbra.
Ma tutto era cambiato.
E la cosa non era semplice da accettare per lui che, da sempre, era stato convinto di poter controllare il corso degli eventi o, perlomeno, di poterli pilotare quel tanto che bastava per non incorrere in avvenimenti alquanto spiacevoli.


Stava camminando per i corridoi diretto in guferia dove di certo avrebbe trovato il suo falchetto ad aspettarlo.
Doveva spedire una lettera a sua madre, l’amore della sua vita.
La donna che lo aveva fatto crescere in quel barlume grigio e freddo rendendolo dorato e accogliente.
Era arrivato all’ultima rampa di scale senza rendersi conto di quanta strada avesse percorso perso com’era nel dedalo dei suoi pensieri.
Giunto alla porta aveva teso la mano ma si era bloccato pochi istanti dopo, colto da un moto di esitazione.
Moto di esitazione provocato da un rumore sommesso, quasi di sottofondo, proveniente dall’interno della stanza.
Si era sporto accostando quasi l’orecchio alla superficie lignea per riuscire a carpire la natura di quel rumore.
Somigliava molto ad un respirare affannato, ad un pianto.
Intento com’era ad analizzare il rumore non fece caso al fatto che questo diveniva più intenso, come se la persona dalla quale proveniva si stesse avvicinando pericolosamente.
Pericolosamente perché pochi istanti dopo la porta si era aperta facendo intravedere nell’oscurità una sagoma di ragazzina che, ancora avvolta nell’ombra della stanza, gli era andata a sbattere contro.
Istintivamente aveva afferrato il braccio della ragazza per evitare di perdere l’equilibrio trascinandola con se sotto la luce.
Un lampo di stupore negli occhi e sul viso. Era Lei.

Che stesse ancora una volta sognando?

Lasciò subito la presa mantenendo l’equilibrio non senza difficoltà.
Dinnanzi a lui c’era Ginevra.
I capelli rossi ad incorniciarle il viso di bambina già un po’ donna costellato di lentiggini, a mettere in risalto quelle grandi pozze chiare che erano i suoi occhi.
Ma c’era qualcosa che non andava.
Era Triste.
La consueta luce che le aleggiava negli occhi era scomparsa lasciando il posto a dei riflessi scuri vagamente inquietanti amplificati com’erano dalle gocce salate che ancora le bagnavano il viso.
I loro occhi si erano incontrati e l’esitazione era scomparsa.
Aveva mosso un passo verso di lei lasciando che i loro corpi si sfiorassero appena.
Una mano al mento per sollevarle il viso e poterla guardare negli occhi prima di compiere un gesto inaudito, assurdo.
Abbracciarla.
Tenerla stretta forte a sè.
E durante questo susseguirsi di avvenimenti lei era rimasta immobile, come incapace di controllare se stessa.
Solo dopo qualche tempo era riuscita a sciogliere i muscoli liberandosi dalle catene che la costringevano a mantenere una distanza incolmabile da lui nonostante fossero dannatamente vicini.
E così aveva poggiato la fronte sul suo petto abbandonandosi ad un pianto sommesso mentre lui la teneva ancora stretta per le spalle senza dire nulla.
<< Shhh >> aveva mormorato il biondino sfiorandole appena i capelli con la mancina.
Ma lei aveva preso a singhiozzare più forte, accompagnando le lacrime con gemiti sommessi.
E sentirla piangere così lo stava distruggendo. Stava facendo cadere tutte le sue difese.
Era stato per questo che si era mosso, flettendo il busto per poter raggiungere con le labbra l’orecchio di Gin.
<< Vieni con me >> le aveva sussurrato con calma. Lei si era limitata ad annuire dopo aver alzato il viso solo per un istante.
Non si chiedeva dove l’avrebbe portata.
E non si chiese neppure come e perché il ragazzo l’avesse sollevata senza mai staccarsi da lei, senza lasciare che neppure uno spiraglio di vento si insinuasse tra i loro corpi.

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


L’aveva sollevata in pochi istanti, era davvero una piuma.
L’aveva tenuta stretta a se rimanendo immobile un istante più del necessario prima di recuperare la sua consueta lucidità.
Nel frattempo i singhiozzi della ragazza erano divenuti più sommessi, più intimi ma comunque ben percepibili per il ragazzo che la teneva vicina al suo petto.
Doveva portarla al caldo, lei aveva bisogno di riposare.
L’idea non tardò ad arrivare e le gambe si mossero repentinamente dirigendosi in un corridoio completamente vuoto e spoglio.
Un attimo di concentrazione bastò al biondo per far materializzare davanti ai suoi occhi una porta di Ciliegio scuro che aprì con la mano che gli serviva per reggere le gambe di Gin. Fortuna che quella ragazza era così piccina.
Non appena la porta si era aperta le membra del ragazzo avevano percepito il calore proveniente dal camino scoppiettante posto sulla parete di sinistra.
Un letto era posto non molto lontano dalla fonte di calore, una poltrona scura risiedeva invece sulla parete di destra vicino ad un basso tavolino in legno.
Si diresse istantaneamente verso il letto poggiandovi la ragazzina con estrema grazia.
Fu costretto però a rimanere li, con il busto flesso, a causa dell’ostinazione della ragazza che non pareva volerlo lasciare andare via. Lui, dal canto suo, non voleva essere sgarbato e di conseguenza finì per sedersi al bordo del letto con lei poggiata sulla coltre morbida ma che ancora gli teneva le braccia attorno al collo.
Le carezzò ancora i capelli, solo per qualche istante prima di afferrare una mano della ragazza e scostarla con forza e grazia allo stesso tempo facendola finalmente distendere.
La guardò negli occhi solo per un attimo prima di allontanarsi da lei, alla ricerca di una coperta che, dopo poco, vide materializzarsi sulla poltrona nera.
Dopo averla afferrata tornò al lettino della ragazza e vide con sollievo che si era addormentata.
Spiegò la coperta in aria e lasciò che la ricoprisse piano. Rimase li ad osservarla in piedi, con le mani poggiate sui fianchi per degli istanti interminabili.
Il candore del suo volto era impareggiabile e, nonostante le gote fossero ancora visibilmente rigate dalle lacrime e gli occhi fossero adombrati da un alone scuro, era pur sempre bellissima. Simile ad un angelo.
Alla fine si decise ad allontanarsi da lei dirigendosi verso la poltrona di pelle dove si accomodò.
Solo ora osservò meglio l’ambiente al quale prima aveva dedicato solo uno sguardo fugace.
Sorrise appena quando si rese conto che la stanza aveva rispettato i suoi canoni di bellezza. I colori erano quelli che amava di più: dal nero della poltrona sulla quale era seduto all’azzurro del letto di Gin.
Posò i gomiti sui braccioli della poltrona congiungendo le mani dinnanzi al proprio sguardo e si scoprì esausto a causa di tutto ciò che era successo quella sera.
Lasciò andare il capo all’indietro, abbassò gli avambracci, rilasso i muscoli e si addormentò in pochi istanti.
Forse, avendola li con se, non l’avrebbe sognata quella notte. O forse si.

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Capitolo 3
*** Capitolo III ***


Aveva dormito sodo quella notte, senza sognare. La soluzione quindi poteva essere quella. Tenerla abbastanza vicina per evitare quello spiacevole inconveniente.
Nonostante fosse sveglio da un po’ aveva deliberatamente deciso di non aprire gli occhi.
Era Sabato ergo nessuna lezione, nessun impegno importante da rispettare, niente di niente.
Poteva rimanere li a godersi quella pace, quel silenzio.
Improvvisamente un brivido gli percorse la schiena.

Possibile che lei stesse ancora dormendo?

Aprì gli occhi di scatto, mettendo a fuoco la stanza solo dopo qualche attimo. Tutto era a posto.
Il fuoco nel camino si era consumato, la luce tiepida del mattino filtrava dalla finestra aperta illuminando la stanza.
Fu proprio seguendo la traiettoria di un raggio di sole che posò lo sguardo sul letto dove, solo poche ore prima, aveva adagiato Ginevra.
Un’espressione mista di stupore e delusione aveva segnato le iridi.
La mascella si era contratta, le mani si erano strette in due pugni così bianchi da sembrar essere fatti di marmo.
Si alzò dalla poltrona furente, con la rabbia che gli pulsava dentro.

Dov’era andata?
Dov’era adesso?


Sbattè uno dei pugni sul tavolino che aveva dinnanzi, non rendendosi conto del dolore che ne seguì.
Camminò nervosamente per la stanza, avanti e indietro, senza sapere cos’altro fare.
Si diresse quindi nel bagno attiguo e, dopo aver posato le mani sul lavandino tenendo i muscoli delle braccia contratti, alzò il capo fissandosi allo specchio.
La pelle di alabastro, gli occhi d’argento e i capelli di seta gli conferivano una certa regalità persino in quella situazione.
Cercò di darsi un contegno e, poco dopo, ci riuscì. Si fissò ancora allo specchio stando ben eretto questa volta. Fiero.
Trattenne il respiro per qualche secondo prima di buttare fuori l’aria tutta in un soffio.
Quelli non erano affari suoi. Si diresse quindi verso la porta di ingresso della stanza e posò la mano sulla maniglia. Uno sguardo a quel luogo che solo la sera prima l’aveva visto sorridere e che ora lo vedeva privo di una qualunque espressione.
Proprio mentre varcava la soglia della porta una ciocca di capelli si era mossa intralciandogli la vista.
Lui, d’istinto, aveva sollevato il braccio per spostare quei fili di seta con l’ausilio della mancina ma, non appena aveva sfiorato la tempia, un ricordo era tornato vivido dentro di lui.

Una sagoma indistinta che si avvicina.
Un sorriso lieve, un chinarsi composto.
Un bacio a fior di labbra, una parola sussurrata a mezza voce..
<< Grazie >>


Gli si allargò un sorriso sul volto. Un sorriso che aveva ben poco del solito ghigno.

Draco era perfettamente conscio di non aver sognato.

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Capitolo 4
*** Capitolo IV ***



Non l’aveva vista per tutto il giorno.
Né nei corridoi, né in sala grande. Era persino salito in guferia sperando di trovarla li ma di lei non c’era traccia alcuna.
Impossibile leggere sul suo viso una qualunque emozione, un qualsiasi coinvolgimento seppur minimo.
Eppure, quella sera in sala comune, svariate paia di occhi lo avevano fissato increduli.
Sembrava perso nei meandri dei suoi pensieri mentre, placidamente seduto sulla poltrona in pelle nera, gustava un po’ di burro birra giunta clandestinamente fino a lì.
Ma a lui non importava, non gli era mai realmente importato della gente che aveva intorno. Era da sempre stato abituato agli sguardi che lo scrutavano avidi, invidiosi della sua bellezza e della sua posizione imparando così a non darci peso.
Accavallò elegantemente le gambe fissando le fiamme del camino che, danzando, quasi lo ipnotizzavano.
Il sotterraneo di solito freddo pareva invaso da un calore nuovo, mai sentito. Eppure non era cambiato niente.
Lui era sempre lo stesso, la stanza anche, i compagni quelli di sempre.

Eppure..


La mente, assetata di una risposta, cominciò a scavare in se stessa facendo capire a Draco cosa ci fosse di nuovo, di mai provato.
Un onda lieve gli increspò le labbra al solo pensiero mentre dinnanzi agli occhi gli passavano le immagini di un filmato in bianco e nero.

Erano due ragazzi, due ragazzi qualunque.
Nessun colore a dividerli.
Si stavano abbracciando in cima ad una ripida scalinata.
Eccoli ancora, lei tra le braccia di lui, mentre entravano in una stanza speciale.
E ora lei addormentata mentre una coperta le si posava addosso.
Alla fine solo un sorriso.
Ed un bacio.


Ingoiò a vuoto quando il ricordo sparì, lasciandolo a fissare nuovamente le fiamme del camino con aria sognante mentre le iridi parevano essere divenute argento fuso.
Lucenti, trepidanti, vive.
Scattò in piedi e si diresse verso l’uscita senza dire una parola, senza dare spiegazioni, mollando la bottiglia di burro birra tra le mani della Parkynson che lo fissava accigliata.
<< Ma cosa gli è preso? >> la sentì mormorare.
Un ghigno gli increspò il viso. Lei non avrebbe mai potuto capire.

Usci dai sotterranei dirigendosi verso la stanza speciale, quella che, come un richiamo, gli era apparsa davanti agli occhi.
Appena svoltò nel corridoio notò una figura minuta vicino alla parete vuota, come se stesse cercando di entrare.
Si avvicinò con la solita andatura lenta e regale mentre il cuore cominciava a pompare più sangue avendo riconosciuto la ragazzina prima di quanto avesse fatto il cervello.
<< Serve una mano? >> lei sobbalzò quasi nell’udire quella voce, concentrata com’era non aveva visto il biondo arrivare.
Istantaneamente le gote le si coprirono di un rossore da bambina, mentre gli occhi si preoccupavano di rimanere il più lontano possibile dalle iridi del ragazzo.
Lui continuò osservarla pazientemente senza proferire nessun’altra parola.
Poi le si avvicinò, bastarono un paio di passi per trovarsi vicino a lei. Così vicino da poter sentire il suo profumo.
Inspirò profondamente socchiudendo le palpebre per un attimo prima di allungare la mancina e porre l’indice sotto il mento della grifondoro per spingerlo in alto e incontrare i suoi occhi.
Azzurro e Grigio si fusero per un istante. Il tempo si fermò.
Quando lui si allontanò arretrando di un passo, accanto a loro era comparsa una porta di Ciliegio.
Gli occhi di lei si illuminarono per un attimo, sapeva perfettamente cosa c’era li dentro.
Il Platinato, da gentiluomo qual’era afferrò, la maniglia della porta e, dopo averla fatta scattare, la tirò verso di se aprendola.
Un sorrisino sul volto mentre compiva un mezzo inchino indicando alla ragazzina la via da percorrere col l’ausilio della mano libera.
Gli occhi azzurri di lei passarono tranquillamente dall’osservare i gesti di Draco all’osservare l’interno della stanza.
Un sorriso lieve le passò sulle labbra mentre oltrepassava la soglia ritrovandosi in quel luogo accogliente che la sera prima l’aveva vista distrutta.
Si fermò a pochi passi dall’ingresso voltandosi verso il ragazzino.
Fu lei a cercare i suoi occhi invitandolo tacitamente ad entrare.
E così lui fece, richiudendosi la porta alle spalle.

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Capitolo 5
*** Capitolo V ***



Ora erano soli.
Non che fosse la prima volta, lo erano stati anche la sera precedente ma adesso erano presenti entrambi.
Nessuno dei due si mosse per una manciata di minuti.
Lui con le mani affondate nelle tasche e lo sguardo puntato fuori dalla finestra, lei con le braccia conserte e lo sguardo puntato sui lastroni di pietra del pavimento.
Un sospiro sfuggì alle labbra del biondino che poco dopo si diresse verso quella che ormai considerava la sua poltrona.
La osservò un attimo dando le spalle a Gin che, nel frattempo, aveva alzato lo sguardo verso di lui e gli fissava le spalle.
Senza preavviso alcuno il biondino si voltò e la rossa non riuscì a scostare lo sguardo affondando le iridi in quelle ghiaccio del platinato.
Un fremito la attraversò mentre vide allargarsi sul volto di lui un sorriso sghembo. Non lo aveva mai visto sorridere.
Non in quel modo per lo meno.
<< Cosa è cambiato? >> lui rimase spiazzato da quella voce, intento com’era ad analizzare ogni centimetro del viso della ragazza.
Insomma, non poteva di certo essere bella come la ricordava.
E invece era proprio così.
Il viso con gli anni aveva perso la rotondità da bambina, gli zigomi si erano fatti più evidenti, le labbra più carnose..
O forse era l’immaginazione a fargli vedere quei cambiamenti?
Possibile che fosse così bella da sempre?
Scosse appena il capo all’altrui domanda.
<< Non lo so >> rispose semplicemente alzando le spalle con gesto fluido.
<< Perché sei tornato? >>
Già. Perché era tornato?
Difficile per lui ammettere che fosse andato li sperando di trovarla, ammettere che l’aveva cercata con lo sguardo per tutta la mattinata.
Strinse i pugni nascosti nelle tasche mentre il tessuto dei pantaloni si tendeva leggermente.
Ma lei non se ne accorse intenta com’era a fissare il volto del biondino.
Si limitò ad alzare le spalle tenendo gli occhi bassi, diversamente dai suoi standard.
<< Tu come mai sei qui? >> disse all’improvviso, come se avesse ritrovato la voce.
Lei gli diede le spalle dirigendosi verso il camino e rispose. Un lieve tremore nella voce.
<< Ti stavo cercando >> sputò fuori tutto ad un fiato, con un filo di voce.
Il Serpeverde accusò il colpo spalancando gli occhi, quasi come se gli avessero dato un pugno nello stomaco.
Indietreggiò di un paio di passi trovandosi con i polpacci contro la poltrona.
Decise di non rispondere. Che sarebbe stata lei a parlare se avesse voluto.
Un sospiro usci dalle labbra della rossa mentre fissava il fuoco.
Era strano essere lì con lui, da sola. Strano che non avessero ancora litigato. Strano che lei avesse un bisogno inimmaginabile di parlare con lui.
<< Ho bisogno di parlarti >> disse seria, voltandosi verso di lui.
La scena ai suoi occhi era cambiata. Draco si era accomodato sulla poltrona, entrambe le piante dei piedi ben posate a terra, il bisto leggermente flesso in avanti per permettere ai gomiti di poggiarsi sulle ginocchia e al mento di adagiarsi tra le mani, gli occhi puntati su di lei.
La stava ascoltando davvero.
Lui si limitò ad annuire senza pronunciare quel “Sono qui” che gli rimbombava nella testa.
La ragazzina aprì e richiuse la bocca per un paio di volte. Alla fine scosse il capo, lo sguardo cupo puntato sul pavimento.
<< Vieni qui >> le disse Draco.
Non era un ordine, semplicemente un invito pronunciato con tono poco opportuno per quella funzione. La ragazzina esitò un attimo ma alla fine non si oppose compiendo poco più di una manciata di passi per raggiungerlo. Gli si fermò davanti, indecisa sul da farsi.
Il biondino quindi poggiò la schiena alla poltrona e si sedette di sbieco, posando una mano sul bracciolo opposto per indicarlo alla ragazza che, un istante dopo, vi si era già accomodata.
<< Cosa è successo ieri sera? >> azzardò il ragazzo.
La rossa trasalì appena non aspettandosi una domanda così diretta proveniente dalle labbra del biondino.
Il rossore le invase le guance.
Draco si limitò a mantenere il silenzio incrociando le braccia sul petto e puntando lo sguardo sul profilo della ragazzina.
Lei ingoiò a vuoto per l’ennesima volta.
<< Volevo chiederti di non dire a nessuno di ieri sera >>
Draco si irrigidì compostamente mentre, pur fissando la ragazza, pareva pensare ad alto.
Forse a cosa l’avesse potuta ridurre così.
Non pronunciò risposta alla domanda della ragazzina limitandosi a porgergliene un’altra.
<< Come stai adesso? >>
<< Sto bene >> fu la risposta troppo affrettata della ragazza. Troppo affrettata per essere veritiera.
Draco strinse nuovamente i pugni.
<< Credi di potermi prendere in giro? >> il tono del ragazzo era cambiato tanto repentinamente che la ragazza ne rimase allibita. Si voltò lentamente verso di lui.
<< Non sto mentendo >> disse lei di rimando, cercando di fissare un punto dell’altrui viso che non fossero gli occhi.
<< Giuralo >> staccò la schiena dalla poltrona rimanendo con il busto ben diritto e il viso più vicino a quello di Gin.
Lei si morse il labbro e tanto bastò per far intuire al ragazzo che aveva ragione. Si alzò. Aveva bisogno di allontanarsi da lei.
Le mani nuovamente nelle tasche mentre si dirigeva verso il camino con la mascella contratta e gli occhi vitrei.
Lei abbassò lo sguardo e quando lo rialzò era sola. Era andato via.





Spazio Autrice
per elie84: me è lusingata ç_ç Cioè..il commento è lunghissimo!XD
Ho finalmente trovato dove non si legge >.>, spero di aver sistemato.
Grazie ancora per i complimenti ^^

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Capitolo 6
*** Capitolo VI ***


Era passata una settimana.
Una settimana durante la quale lei si era dedicata completamente allo studio. Aveva accantonato Harry, parlato poco con suo fratello e visto ancora meno spesso Hermione che oramai non poteva quasi più definire un’amica.
Jessica e Mary, le sue nuove compagne di stanza, ci avevano messo ben poco a stancarsi del suo umore tetro e della smodata voglia di studiare che pareva condizionare ogni sua decisione.

<< Amore usciamo?Ron ed Hermione sono già in giardino ad aspettarci >> lui sorrideva, lo faceva sempre. E la fissava con quei grandi occhi verdi sperando in una risposta positiva.
Lei finse di prendersi qualche attimo per decidere alzando lo sguardo verso il ragazzo.
<< Magari finisco qui e poi vi raggiungo >> proferì infine con tono neutro indicando il libro di trasfigurazione che teneva aperto dinnanzi a se.
Harry aveva continuato a guardarla senza aggiungere null’altro e aveva preso posto alla sedia di fronte alla ragazzina. La rossa aveva seguito gli altrui movimenti con uno sguardo tenendo il sopracciglio alzato. Continuò a fissarlo con l’aria sbigottita alla quale però non si aggiunsero parole per spiegare cosa pensasse.
<< Rimango finchè non hai finito. Non mi va di stare con i piccioncini da solo >> sollevò le spalle come se ciò che stesse facendo fosse la cosa più naturale del mondo. E lo era. Era logico che lui rimanesse lì a guardarla studiare. Era successo altre rarissime volte.
Lei si sforzò di sorridere e chinò nuovamente il capo sul tomo.
Una manciata di minuti dopo si arrese. Chiuse di scatto il libro e guardò Harry. << Andiamo >> commentò solamente.
Harry la guardò stranito. << Ma non hai ancora finito >> protestò con l’aria poco convinta, intimamente contento della vittoria che stava ottenendo.
<< Terminerò più tardi >> commentò lei seccata dirigendosi verso il ritratto della Signora Grassa.
Il ragazzo si bloccò un attimo per osservarla.
Era forse arrabbiata?
Alla fine si convinse che la sua ragazza non avesse niente di cui preoccuparsi, che fosse solo un momento dettato dallo studio della Trasfigurazione che a volte anche a lui, doveva ammetterlo, non riusciva granchè bene.

Era passata una settimana.
Una settimana durante la quale lui non aveva modificato minimamente le sue abitudini.
Si preparava con la solita cura, si recava a lezione senza nemmeno un secondo di ritardo, svolgeva i compiti ottenendo il massimo dei voti.

<< Ti vanno un paio di giri di campo? >> era stato Jared a parlare, il nuovo cacciatore della squadra di Quidditch di Serpeverde.
Il biondo aveva sollevato con una calma ostentata lo sguardo dal libro che stava leggendo.
<< Mmh? >> mugugnò appena, come se non avesse sentito.
<< Ti aspetto fuori >> aveva commentato il ragazzo senza battere ciglio.
Jared era l’unico che riuscisse a tirarlo fuori dallo stato catatonico nel quale era solito rifugiarsi da un po’ di tempo a quella parte.
Un giro sulla scopa gli avrebbe fatto bene.
Si diresse in camera e afferrò la scopa posata accanto all’armadio. Ne saggiò la consistenza con le dita prima che un sorrisino gli scappasse dalle labbra.
Voleva volare.
Raggiunse Jared qualche minuto dopo e i due, muti, si avviarono verso l’esterno.

Non appena uscirono dai sotterranei si diressero verso l’uscita.
Qualcuno era certamente uscito da poco, il portone era ancora aperto e l’aria fredda entrava dallo spiraglio senza fatica invadendo le immediate vicinanze.
Draco sorrise ancora sentendo l’aria fredda solleticare il viso e il petto coperto esclusivamente dalla camicia bianca con le maniche arrotolate fino ai gomiti.
Si voltò verso il concasato con aria di sfida e in pochi secondi fu in sella alla sua scopa.
Una spinta con le agili gambe gli consentì di staccarsi dal terreno e di sfrecciare in avanti precedendo Jared. << MALFOY! >> urlò l’altro verde argento.
Il platinato si voltò verso di lui sfoderando uno dei suoi ghigni caratteristici.
Svoltò a sinistra, diretto al campo di Quidditch. Nel farlo però notò delle presenze. Rallentò inconsapevolmente fissando quelle due figure che procedevano mano nella mano, vicine.
Il vento lambiva dei capelli neri, corti, senza un minimo di rigore e forma.
Accanto a quella macchia scura c’erano delle ciocche rosse danzanti. Parevano quasi fuoco.
Si ritrovò a fissarle incredulo mentre le iridi passavano dai capelli alle mani intrecciate.

Inaspettatamente, quasi si sentisse osservata, lei voltò il capo all’indietro trovandosi davanti la causa dei suoi problemi.
Rimase con lo sguardo immobile puntato su di lui mentre proseguiva il suo incedere solo grazie alla guida di Harry che non si era accorto di nulla.
<< HO VINTO IO! >> ringhiò Jared, giunto poco distante alle porte del campo.
Subito dopo quell’urlo il tempo riprese a scorrere e Gin si voltò di scatto.
Appena in tempo per impedire ad Harry di notare che stesse fissando Malfoy con aria triste, trattenendo a stento l’istinto di correre da lui.

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Capitolo 7
*** Capitolo VII ***


Durante tutta l’uscita serale si era ritrovata a pensare ad altro, a perdersi in miriadi di supposizioni e, diciamocelo, di fantasie.
Aveva dato poco peso alle frase di Hermione e di suo fratello che la accusavano di essere da svariato tempo con la testa tra le nuvole e Harry, dal canto suo, pareva non accorgersene o fingeva di non farlo.
<< Harry, vorrei tornare >> disse improvvisamente, pronunciando la frase con tono piuttosto perentorio interrompendo l’amabile conversazione dei ragazzi riguardante un nuovo schema di gioco.
Ron ed Hermione si scambiarono uno sguardo allibito.
<< Non gradisci la nostra compagnia? >> si affrettò a ribattere suo fratello.
Nel frattempo Gin si era alzata e scuoteva la gonnellina con la mano liberandola dalle foglie secche che vi erano rimaste attaccate. Arrestò tutti i movimenti alzando lo sguardo. << Evidentemente ho altro da fare >> rispose lei, acida.
Hermione abbassò lo sguardo e, quando Ron stava per ribattere, gli sfiorò un braccio facendogli comprendere che non ne valeva affatto la pena.
La riccia gli si avvicinò all’orecchio e sussurrò << Saremo soli.. >> la rabbia di Ron scemò all’istante, sapeva bene di cos’era preludio quel tono.
Harry non parlò, intento com’era a fissare la propria ragazza che lo attendeva con le braccia conserte. Fu in piedi in pochi secondi, al suo fianco.
<< Buon Proseguimento >> disse Harry alzando le spalle alla volta degli amici che gli sorrisero.
<< Buona Notte >> rispose Hermione mentre Ron biascicava un << A domani >>
Il moro e la rossa camminarono fianco a fianco senza scambiarsi una parola, distanti.
Raggiunsero il ritratto della Signora Grassa e Harry passò per primo.

Lui non l’avrebbe mai fatto.

Stupita del suo stesso pensiero varcò la soglia e si ritrovò le iridi di Harry puntate addosso.
<< Cos’hai? >> le chiese lui, sforzandosi di mantenere un tono pacato.
<< Nulla >> si limitò a rispondere lei fissandolo negli occhi con espressione tesa sul viso.
Il Bambino Sopravvissuto continuava a fissarla, incerto.
<< Devo studiare, lo sai benissimo >>
<< Ma pensavo..sai, domani è Sabato >>
Quel tono di accondiscendenza forzata la stava facendo arrabbiare davvero. Serrò i pugni all’estremità delle braccia che teneva ancora incatenate al petto, Harry non lo notò.
Lo superò senza aggiungere altro dirigendosi verso la scalinata che congiungeva la Sala Comune al Dormitorio Femminile e, nel farlo, notò il proprio libro di trasfigurazione poggiato ancora sul tavolino lì di fianco. Lo raccolse con gesto fluido stringendolo tra le mani e si accinse nuovamente a raggiungere la sua stanza.
Ai piedi della scalinata però venne fermata da uno strattone. Lui le aveva artigliato il braccio e l’aveva costretta a voltarsi, ora la fissava con occhi diversi mentre lei non batteva ciglio.
Rimasero così per una manciata di minuti, completamente immobili se si escludono i movimenti del petto dettati dalla necessità di respirare.
E lui la baciò come non aveva mai fatto. La spinse contro il muro posandole poco dopo la mano sul fianco, tenendole il viso fermo con l'altra mano. Le passò la lingua sulle labbra immotem costringendola a schiuderle, a farlo entrare in ciò che era suo di diritto.
Lei rimase immobile, con lo sguardo vitreo puntato in avanti, in attesa che lui placasse le sue voglie.
Era quello il compito di una fidanzata modello, no?
Quando ebbe finito le baciò una guancia con una dolcezza che Gin, in quel momento, non era affatto stata in grado di cogliere.
<< Buona notte amore >> biascicò il Grifondoro avvicinandosi all’orecchio della rossa.
Lei serrò la mascella. Amore.
Non appena giunse in camera notò con sollievo di essere sola. Mary e Jessica erano sicuramente partite per il week- end.
Tanto meglio.
Così non avrebbe dovuto spiegare niente a nessuno.
Lanciò il libro sul letto e si chiuse in bagno fiondandosi sotto la doccia calda.


Questa volta era stato piuttosto complicato liberarsi dei suoi concasati.
Nel sotterraneo dei serpeverde era difatti in corso una festa per celebrare l’ultimo compito di pozioni di Malfoy che aveva portato alla clessidra di smeraldi 50 punti in più facendo così schizzare la sua casata al primo posto nella contesa della Coppa delle Case, con un vantaggio di 25 punti rispetto ai Grifondoro classificatisi secondi.
Era riuscito a discostarsi dalla folla adorante che continuava a brindare, a ridere, a ballare. Era giunto a pochi passi dall’ingresso e l’avrebbe oltrepassato se non si fosse trovato dinnanzi Jared con la braccia conserte e un flute di champagne tra le mani.
<< Dove credi di andare? >> aveva biascicato il ragazzo
<< Affari miei >> aveva replicato Malfoy, freddo come sempre.
L’amico lo aveva fissato e, poco dopo, aveva indicato la massa di gente con un gesto del capo.
<< Sono qui per te >> disse sorseggiando la bevanda chiara e schioccando le labbra poco dopo, come a volerne sottolineare la bontà.
<< E con questo? >>
Jared scosse la testa. Possibile che quel ragazzo potesse essere così sciocco?
Si infilò una mano nella tasca e la allungò ancora stretta in un pugno verso il platinato che la guardò con sospetto.
Una mano candida si spalancò, palmo verso l’alto, e sopra vi cadde istantaneamente una chiave.
Lui la fissò, non l’aveva mai vista.
<< Va in camera mia, la porta di ingresso è aperta. >> aggiunse il nuovo Cacciatore.
Un sorriso si tese sul volto di Draco.
Avrebbe voluto ringraziarlo e a suo modo lo fece. << A buon rendere >> mormorò prima di voltarsi e attraversare la folla.
Non appena entrò in camera del concasato si guardò attorno. Era una camera normalissima se si escludeva un particolare.
Sulla parete posta a sinistra rispetto all’ingresso c’era una tenda scura, quasi vi fosse nascosto un altro ingresso. La scostò e vide una porta in Noce scuro.
Inserì la chiave nella toppa.
Tac.
Oltrepassò la soglia e camminò per un corridoio quasi completamente buio senza nemmeno utilizzare la luce della bacchetta sicuro com’era che non vi avrebbe trovato nessuno.
Ecco uno spiraglio di luce sicuramente proveniente dallo spazio tra i cardini di una porta. Tese la mano e, quasi completamente alla cieca, trovò la seconda toppa.
Et voilà.
La luce delle torce lo investi, si guardò attorno. Era il corridoio del primo piano.
Il biondino sorrise ancora infilandosi la chiave nella tasca e ringraziando mentalmente l’amico.


Si affrettò per i corridoi salendo velocemente gli scalini, percorrendo scorciatoie.
Eccolo li, il suo corridoio preferito.
Sfiorò la parete nuda con la mano e istantaneamente una porta di Ciliegio gli si palesò dinnanzi.
La aprì ed entrò nella stanza, quasi certo di trovarla vuota, e così fu.
Tutto sembrava essere quieto li, lontano dal caos nel quale era avvolto il resto del mondo. Lontano dal caos della sua mente.
Senza esitazioni si diresse verso il letto di Gin e vi si sedette. Era morbido.
Rimase li, immobile, alla ricerca di un pensiero sensato, in quella posa pensosa che tanto lo contraddistingueva. Piante a terra, gomiti sulle ginocchia, busto leggermente flesso in avanti e testa sepolta tra le mani.
Fu lo scatto della porta a farlo rianimare, costringendolo a sollevare lo sguardo che, immediatamente, si posò sulla ragazzina.
I capelli erano sciolti, non indossava la divisa ma solo un paio di jeans e un maglioncino candido.
Aveva le spalle leggermente ricurve, quasi come se si vergognasse, e gli occhi bassi, quasi come se avesse paura.
Il biondo si alzò, fissandola ancora, incapace di compiere un qualunque altro movimento. Ingoiò a vuoto, sperando che fosse lei a fare la prima mossa, così come era avvenuto la volta precedente, ma lei non fece nulla.
Con tre falcate coprì la distanza che li divideva e le pose le mani sulle braccia stringendo appena. Lei sollevò lo sguardo.
Era vuoto, vitreo.
Il ragazzo trasalì appena ma recuperò il controllo subito dopo.

<< Va a letto >> le disse con calma.

La scortò, spostando le mani alle sue spalle, verso la coltre azzurra. Scostò la coperta e le lenzuola spostandosi poco dopo per lasciarla passare.
Abbandonando le incertezze lei si stese tirando con sé la coperta. Dava le spalle a Draco.
Lui però, a differenza della volta precedente, decise di non allontanarsi.
Si sedette sul bordo del letto e, senza preoccuparsi di sfilare le scarpe, si stese accanto a Gin.
All’inizio ebbe qualche esitazione dettata da tutti i pensieri che gli fluttuavano nella mente.
Eppure, quando era in quella stanza, riusciva ad essere se stesso.
Afferrò il coraggio a due mani e si avvicinò alla ragazza, che nel frattempo si era rannicchiata in posizione quasi completamente fetale, e imitò gli angoli del suo corpo con il proprio. Si ritrovarono così uno vicino all’altra, separati solo dalla coperta nella quale Gin si era rannicchiata.
Tese il braccio destro verso la ragazza stringendola maggiormente a se e affondando il viso nei suoi capelli.
Questa volta lei non sarebbe riuscita a scappare.

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Capitolo 8
*** Capitolo VIII ***




Si erano ritrovati li, da soli.
Inutile dire che quell’incontro era ormai divenuto un abitudine per entrambi, sottolineare come fosse necessario per ciascuno dei due sentire quello che sentivano quando erano insieme. Vicini.
Infondo erano passati anni dai loro battibecchi per i corridoi della scuola, cinque anni per l’esattezza.
E in quei cinque anni non si erano visti fino al giorno del suo matrimonio, del sodalizio che avrebbe unito per la vita Ginevra Weasley ad Harry Potter, l’ormai ancor più leggendario Bambino Sopravvissuto.


Quel giorno, il 16 Giugno, un gufo non molto anziano era volato verso la finestra della sua casa di Portland atterrando leggiadro sulla spalliera della poltrona sulla quale era seduto, intento a consultare gli ultimi articoli della gazzetta del profeta con la solita noncuranza considerato che le ultime pagine erano da sempre riservate agli articoli più scadenti o alle adulazioni dei pezzi grossi della società dei maghi.

“[…] Hanno deciso che il loro sarà un matrimonio privato, lontano dalle luci della ribalta. Si circonderanno di pochi intimi e la cerimonia avverrà senza inutili fronzoli. A noi della redazione non resta che augurare ai giovani Harry e Ginevra un lieto fine. “

Al tubare sommesso del gufo Draco si ridestò facendo scomparire dalle labbra quell’espressione di disappunto, o forse di disprezzo, che aveva palesato nel momento in cui aveva finito di leggere l’articolo.

<< E tu chi sei? >> disse rivolto all’animale, tendendo la mano verso di lui per sfilare la pergamena dalla sua zampa tesa. Si rese conto, toccandola, che la fattura del materiale era pregiata.
Quasi impalpabile al tatto ma visibilmente resistente. Il colore oscillava tra il panna e il bianco.
Quando la srotolò lesse velocemente le poche righe che vi erano scritte con mano ferma e grafia perfetta, lievemente inclinata verso destra.
Si lasciò andare all’indietro, sbattendo con le spalle contro lo schienale della poltrona e facendo spaventare il gufo che vi era ancora poggiato. Una mano a coprire gli occhi mentre l’altra era ridotta ad un pugno.
Dopo svariati attimi di immobilità assoluta scostò la mano e riaprì gli occhi.
Un sorrisino sghembo nel notare che l’invito, stretto nella sua mano, era divenuto molto più simile ad una pallina da golf che ad una pergamena.
Lanciò quel residuo bianco nel camino spento, centro perfetto.
Uscì dalla stanza sbattendo la porta, incurante del fatto che il gufo fosse ancora li ad attendere una sua risposta. Pochi istanti dopo il pezzo di carta prese fuoco, Draco aveva finalmente imparato a gestire la sua magia anche a distanza.


Si vestì in fretta, mancavano solo poche ore al matrimonio.
Perché doveva andarci?Semplice, per salvare le apparenze.
Dopo la sconfitta del Signore Oscuro lui e l’altra fazione avevano stretto un patto basato sul rispetto reciproco, sull’onore, e lui non intendeva affatto non mantenere fede a tale accordo.
Aprì le ante dell’armadio e, senza esitazione alcuna, diresse il proprio braccio verso un abito grigio dalle finiture perfette e lo adagiò con cura sul proprio letto attento a non sgualcirlo. Stesso procedimento per la camicia bianca e la cravatta azzurro chiaro.
Si posò le mani sui fianchi osservando ciò che aveva estratto dall’armadio con aria critica.
Alla fine decise che si, quello era l’abbigliamento perfetto per recarsi alla festa dello Sfregiato.

Una doccia prima di infilare quello che aveva già scelto e specchiarsi per dare una controllata all’effetto finale. Perfetto, come sempre del resto.
C’era solo un particolare al quale doveva pensare, un regalo.
Era stata quella la sua preoccupazione sin dal momento in cui aveva letto l’invito. Non sapeva cosa scegliere per quei due.
Una passeggiata per i viali di Hogsmeade bastò per colmare quel terribile dubbio.
Certamente se avesse regalato qualcosa alla dama anche il cavaliere ne sarebbe stato contento.
Entrò in una gioielleria poco dopo e, dopo aver fatto letteralmente impazzire il proprietario, l’aveva convinto a preparargli un gioiello dietro suo disegno e con la promessa di un lauto compenso.
Aveva quindi preso posto nel retrobottega e, con foglio e piuma prestatigli dal gioielliere, aveva schizzato velocemente un gioiello che l’esperto definì essere “unico nel suo genere”. A quel commento Draco storse appena il labbro, in una sorta di sorriso sghembo e sparì oltre l’ingresso, sicuro che il regalo sarebbe stato recapitato al momento giusto direttamente tra le mani della sposa.


Arrivato puntuale nel giardino di quella che ormai era conosciuta da anni come “Villa Silente”, ex residenza estiva dell’omonimo preside, non rimase stupito nel notare la presenza di molta, troppa, gente conosciuta.
A sinistra erano accampati i membri della famiglia Weasley, perfettamente riconoscibili dalla capigliatura.
Tutti meno che uno, Fred, morto nello scontro con Lord Voldemort.
Si era chiesto molte volte come dovesse essere stato per George vedere sparire così suo fratello, il suo gemello. Al suo posto probabilmente si sarebbe lasciato morire.
Nonostante tutto quel rosso gli disturbasse gli occhi dovette ammettere che quella che aveva dinnanzi era una vera famiglia. Non certo come la sua che, durante il corso della sua esistenza, si era limitata ad essere una convivenza tra persone legate da un qualche vincolo familiare, perlomeno fino al momento in cui Il Signore Oscuro era scomparso. Nel poco tempo che passò da quel giorno all’incarcerazione di suo padre Lucius e alla seguente morte di sua madre Narcissa la loro parve diventare una vera famiglia. Godettero per quel breve periodo di ciò che si erano sempre negati, l’amore. Vero e incondizionato.
Si lasciò trasportare dal ricordo e venne riportato alla realtà da una bambina che gli sbatté contro, non essendosi accorta della sua presenza, lanciata com’era in una corsa forsennata per sfuggire dalle grinfie di un bambino che doveva avere all’incirca la sua età. Studio i lineamenti di entrambi e non fu difficile per lui riconoscere, nella bambinetta dalla bellezza folgorante, la degna figlia di Fleur e ,nel bambino dal colore dei capelli color mirtillo, il figlio di Remus Lupin e Ninfadora Tonks.
La bambina lo guardò dal basso con i grandi occhi chiari e biascicò un << ‘cusate Signore >> prima di scansarlo e lanciarsi nuovamente nella fuga strappando con la sua semplicità un sorriso a Draco che scosse il capo divertito.
Inspirò profondamente prima di riprendere la sua avanzata e dirigersi verso il drappello di persone che parlottavano a voce alta e con tono piuttosto ansioso.
<< E’ in piena crisi! >> disse Molly, esasperata dalla tensione
<< Calmati cara, è solo un po’ nervosa, è normale >> la rincarò il marito.
<< Ma Sci Molli, vedrai che Arthùr ha rascione.. >> tentò di rassicurarla Fleur con il suo inconfondibile accento francese, facendo scorrere la mano candida sul braccio della suocera.
<< E’ una stupida! >> sibilò Ron a dentri stretti << Non posso credere che abbia dei dubbi proprio adesso! >>
<< Ron, piantala >> lo rimbeccò Hermione, stizzita dal comportamento del ragazzo.
Una volta arrivato ad un palmo dalle spalle di Arthur, Draco si schiarì la voce per attirare l’attenzione dei presenti che si voltarono con espressione incredula sul viso.
Bill fu il primo a recuperare il controllo.
<< Salve Draco, sono felice che tu sia venuto. A mia sorella farà piacere >>
<< Grazie Bill >> Rispose lui con aria tranquilla. Avevano lavorato insieme una volta e, doveva ammetterlo, quel ragazzo sapeva il fatto suo.
<< Buon pomeriggio a tutti >> proferì quindi rivolto al resto dei presenti.
<< Non ci è pervenuta la tua risposta >> lo punzecchiò Molly
Il ragazzo aprì la bocca per ribattere ma venne interrotto dall’arrivo di Percy proveniente dall’interno della casa, ansante per la corsa. Tutti diressero su di lui l’attenzione.
<< Non..vuole..più..uscire.. >>riuscì a biascicare il ragazzo, ancora con il busto flesso in avanti e la voce spezzata dalla fatica.
<< CHE COSA? >> tuonò Molly mentre tra gli altri esplodevano le polemiche.
<< Vado a parlarle >> si affrettò ad aggiungere Hermione con aria diplomatica ma si bloccò notando lo scuotere la testa di Percy che, nel mentre, si era lievemente ricomposto.
Qualche istante dopo una grande civetta, candida come la neve, planò verso Malfoy e gli svolazzò sulla testa. Il ragazzo congiunse le mani e rivolse i palmi verso l’alto.
Un istante dopo stringeva un sacchetto di velluto blu con le lettere “G. W.” ricamate a fili d’argento. Il gioielliere aveva fatto un buon lavoro.
<< Ci andrò io >> disse fluido. << Devo consegnare personalmente il mio regalo a Ginevra >>
E, senza attendere che nessuno gli concedesse il permesso di muoversi, si diresse lestamente verso la dimora.
Una volta varcata la soglia si rivolse ad una ragazza, intenta a spargere petali di rose sul pavimento, non molto distante dall’ingresso.
<< Scusi >> le disse e, solo quando ella si voltò, preseguì.
<< Sa per caso dirmi dove posso trovare la Signorina Ginevra? >> chiese.
Lei, allibita da tanta grazia e bellezza, sorrise appena annuendo.
<< Secondo piano, ultima porta a destra >> rispose garbatamente.
<< La ringrazio >> si affrettò ad aggiungere il ragazzo prima di riprendere la sua traversata.
Giunto dinnanzi alla porta sollevò la destrorsa e la battè, chiusa in un pugno, contro la porta di legno massiccio.
<< MAMMA VATTENE VIA!>> tuonò la voce della ragazza, raggiungendo un tono sorprendentemente alto. Lui non si scompose e, anzi, sorrise appena.
<< Credi forse che tua madre avrebbe bussato alla porta? >>
Il battente si mosse pochi istanti dopo e lui potè intravedere dei grandi occhi azzurri che sbirciavano dallo spiraglio.
<< Draco..io credevo che tu non.. >> disse lei incredula.
<< E invece sono qui. Mi fai entrare o hai anche perso quel poco di buone maniere che ti avevo insegnato nell’ultimo periodo ad Hogwarts? >>
Lei sorrise sentendosi stranamente rincuorata di vederlo lì.
<< Stupido. >> disse con calma. << Entra pure >> spalancò la porta e lasciò passare il ragazzo che, in pochi attimi, passò al setaccio con lo sguardo tutta la stanza.
Era intatta. Lui, conoscendo la ragazzina si sarebbe aspettato caos, null’altro.
<< Cosa ci fai qui? >>
Si voltò verso di lei e, dopo aver sollevato la mani sinistra la aprì, lasciando così che la ragazzina vedesse il sacchetto di velluto blu.
<< Il mio regalo di nozze >> rispose lieve. A quella parola Gin si irrigidì lievemente ma, non appena vide incise le proprie iniziali, quelle da nubile, sul pacchettino lasciò che i suoi occhi brillassero per qualche attimo.
Lei gli si avvicinò, colmando la distanza che c’era tra loro con un paio di passi, gli occhi puntati sul velluto. << Posso? >> chiese, sollevando gli occhi verso il ragazzo
<< E’ tuo >> ribatté lui.
La ragazzina allungò la mano tremante verso il dono e lo tolse dalle mani di Draco dirigendosi subito dopo verso il letto, posto non lontano dal camino, in una posizione che al ragazzo aveva ricordato qualcosa.
Si sedette sulla coltre morbida rigirando con cautela quel prezioso involucro.
<< Aprilo >> le disse. Trepidazione nella voce. Lei sollevò ancora una volta lo sguardo verso di lui, annuendo impercettibilmente.
Sciolse il nastrino blu scuro che teneva chiuso il fagotto e vi infilò dentro la manina.
Quello che venne fuori di lì la lasciò a bocca aperta. Era una catenina sottile, in oro bianco, con un pendente bellissimo. Un ghirigoro complicato di fili sottili impreziositi da due gemme, una azzurra l’altra bianca..ma di un bianco stranamente tendente al grigio.
Lui sorrise, contento che il regalo le fosse piaciuto e la osservò ancora. Le si diresse incontro.
<< Posso? >> mormorò guardandola dall’alto.
<< Si >> rispose lei consegnando il gioiello nelle mani del ragazzo e voltandosi. Sollevò i capelli e lo lasciò fare. Dopo pochi attimi, quando l’oro freddo toccò la sua pelle lei si voltò verso di lui e poggiò la testa contro il suo petto cingendogli la vita con le braccia. Lui le strinse le spalle avvicinando il naso agli altrui capelli per ritrovare nuovamente quell’odore perduto, stupendosi del fatto che non fosse affatto mutato con il passare degli anni.
Le schioccò un bacio sulla fronte.
<< Ora va a prepararti >> le disse quieto << Ma io.. >> ribattè lei, senza la minima intenzione di sciogliere l’abbraccio.
Le posò un dito sul mento, sollevandoglielo per incontrare i suoi occhi.
<< Su bambina >> lei lo strinse più forte prima di lasciare che si allontanasse.
Una volta raggiunta la soglia si voltò richiamato dalla ragazza.
<< Draco? >>
<< mmh? >> mugugnò
<< Grazie >> sorrise.
Il ragazzo scosse il capo.
<< Tua madre ti ucciderà se non ti sbrighi >> E, dopo un altro sorriso, si chiuse la porta alle spalle.

Si allontanò scuotendo il capo e, una volta uscito in giardino, virò verso sinistra intenzionato a non scontrarsi con le domande della famiglia Weasley in toto.
Raggiunse quindi una grande quercia e usò l’ombra che le sue fronde gettavano sull’erba per ripararsi dai raggi del sole di mezzogiorno.
Ma la tranquillità non durò molto.
Qualche istante dopo giunsero infatti altri parenti a frotte e il vociare da sommesso divenne sempre più forte mentre i preparativi erano ormai giunti al termine.
Le sedie erano state sistemate sotto un gazebo enorme preparato per l’occasione nella parte posteriore del giardino, vicino allo stagno delle ninfee, come da esplicita richiesta di Ginevra.
Vari drappelli di gente sfilarono accanto al ragazzo per raggiungere quel luogo al riparo dal sole. Ne conosceva molti, ne salutò solo alcuni.
Alcune vecchie conoscenze di Hogwarts, qualche altro purosangue, qualcuno che gli andava semplicemente a genio.
<< Non ci posso credere! >> ringhiò una voce alle sue spalle.
L’ex Serpeverde si voltò con un sopracciglio alzato ed un aria piena di disappunto, non aveva affatto riconosciuto quella voce. Quando mise a fuoco la persona che si trovava dinnanzi una scintilla gli accese gli occhi e un sorriso sincero gli illuminò il volto.
<< Dove cazzo sei stato, eh? >> Blaise lo stava già abbracciando. Di un abbraccio impacciato, veloce ma sentito.
<< Potrei chiederti la stessa cosa >> disse Draco, ancora stupito nel trovarlo lì.
<< Come mai al matrimonio di Potter? >> chiese l’amico curioso
<< Per quanto mi riguarda oggi è il matrimonio di Ginevra >> si affrettò a precisare il ragazzo.
<< Ok, ok..ma perché sei qui? >>
<< Ancora?Blaise non sei migliorato..per Ginevra, devo ripeterlo? >>
Blaise lo guardò perplesso tentando si studiare i suoi occhi, cercando di capire se lo stesse prendendo in giro cosa che, durante gli anni, non gli era mai riuscita granchè bene. Prima che potesse rivolgergli un’altra domanda furono interrotti dall’arrivo di una più che cinguettante Pansy Parkinson.
<< Blaise?Oh Draco..ci sei anche tu! >>
<< E tu da dove sbuchi? >> le chiese Draco, incredulo.
Lei, sorridendo, si avvicinò a Blaise e gli poggiò una mano sul braccio, invitandolo con gli occhi a rivelare al compagno la novità. Lui si scompose per un attimo e voltò lo sguardo prima di biascicare << Io e Pansy…ehm.. stiamo assieme >>
Draco rimase interdetto per un attimo.
Blaise e Pansy?! Ma cosa diavolo era successo in sua assenza?
Si sforzò di apparire contento per loro e ammiccò alla volta della ragazza.
<< Vi farò da testimone >> commentò tranquillo I tre si scambiarono un occhiata complice prima di abbandonarsi ad una sonora risata.
<< Andiamo? Non vorrei essere costretta a prendere posto in ultima fila >> affermò Pansy risoluta.
I tre presero a camminare mantenendo un andatura piuttosto tranquilla.
<< Pansy, mi spieghi da quando in qua provi simpatia per Potter? >>
<< Probabilmente da quando tu la provi per la Weasley >> lo rimbeccò la ragazza.
No, si sbagliava. La simpatia per Ginevra era nata anni ed anni prima, quando ancora si trovavano tra le mura di Howarts ma a lei così come a Blaise ovviamente non era concesso saperlo.

Superarono l’ingresso del Gazebo e i ragazzi si divisero.
Draco si diresse a sinistra, in ultima fila, dal lato degli invitati della sposa. Gli altri due, invece, si diressero ben più avanti dalla parte destra riservata agli invitati di Harry.
Guardò l’orologio, la cerimonia sarebbe dovuta iniziare di lì a poco e, chissà perché, era convinto che Ginevra non sarebbe stata la classica sposa ritardataria.
Un paio di minuti dopo il luogo ombroso era affollato di gente. Lo sposo non si fece attendere.
Nel vederlo arrivare Draco storse appena il labbro, come se fino a quel momento si fosse imposto di lasciare da parte la consapevolezza che era proprio lui lo sposo di Ginevra.
Si alzò di scatto per dirigersi verso di lui, sforzandosi di apparire cordiale.
<< Congratulazioni Potter >> gli disse tendendogli la mano
<< Alla fine sei venuto >> disse Harry, un mezzo sorriso sulle labbra << Grazie Malfoy >> strinse la mano bianca del suo ex nemico giurato e, dopo un ultimo sguardo fugace, tornò ad occuparsi degli altri suoi invitati.
Mentre erano ancora tutti intenti a parlottare con il Bambino Sopravvissuto si udì un tintinnio di campanelle, il segnale che la sposa stava per arrivare, e gli invitati ripresero compostamente i propri posti con lo sguardo fisso sul punto da cui Ginevra sarebbe entrata.
Lei varcò la soglia camminando lentamente, Arthur al suo fianco, e percorse tutta la lunghezza del Gazebo con grazia strabiliante. Era una sinfonia perfetta.
Armonia era forse la parola per descriverla al meglio.
Il bianco dell’abito semplice e piuttosto stretto si confondeva quasi con la pelle innaturalmente chiara, i capelli vermigli erano coordinati ai fiori del bouquet che reggeva tra le mani, gli occhi parevano essere stati abbinati a qualcosa che portava al collo e che luccicava vistosamente.
Draco sorrise ancora incontrando lo sguardo di lei. Non aveva tolto la sua collana.
Lei lo vide e, dopo aver chinato per un secondo lo sguardo, arrossì divenendo se possibile ancora più bella.
Rimasero tutti con il fiato sospeso fino alla fine della cerimonia e, quando vennero pronunciati i si, un vero e proprio boato si alzò dalla folla che batteva le mani coprendo così il pianto disperato della signora Weasley e i tentativi di suo marito di calmarla.
Il pranzo preparato con tanta cura dagli elfi e dalle esperte mani dei cuochi del catering fu perfetto e, quando il sole decise di tramontare, si diede il via alle danze.
Il Gazebo venne smontato in un batter d’occhio e, al suo posto come a segnarne il perimetro, comparvero svariate centinaia di candele le cui fiamme, tremolando alla leggera brezza estiva, conferivano un’ atmosfera magica al loco già di per sé meraviglioso.
Draco se ne stava in disparte, poggiato con la schiena ad un salice, a scrutare le ombre della folla danzante. Un’ ombra però si stava avvicinando e si stagliava contro le fronde del salice, il ragazzo aguzzò lo sguardo.
Una mano candida afferrò delicatamente i rami flessibili dell’albero e li scostò, il viso della ragazza fece capolino. Un sorriso ad illuminarla.
<< Mi concede questo ballo? >> chiese lei, inclinando lievemente il capo.
Lui le si avvicinò e le tese la mano, lei poggiò la propria su quella altrui lasciando finalmente andare le fronde alle proprie spalle.
Draco fletté il busto in avanti e, con le labbra, sfiorò appena il dorso della mano della sposa prima di tirarla elegantemente verso di sé e cingerle la vita con un braccio.
<< Si >> le sussurrò all’orecchio, sfiorando la guancia di Ginevra con la propria.
Ballarono sulla musica del vento e dei loro cuori, incuranti di ciò che accadeva fuori da quella cortina magica, al di là di quelle fronde amiche. Lei con la testa poggiata contro il petto di lui, tranquilla.
Poi lui si fermò e lei, interdetta sollevò lo sguardo. Draco le afferrò ambo le mani e fece un passo indietro, come se volesse guardarla meglio.
<< Sei bellissima >> le disse in un soffio
Lei sorrise ancora, abbassando lo sguardo. Il ragazzo le lasciò le mani e, dopo aver infilato la mancina nella tasca interna della giacca, vi estrasse una pergamena piegata accuratamente in 4.
Le fu subito chiaro quando vide ciò che il ragazzo aveva ora tra le mani. Era un foglio di carta che, spiegandosi tra le mani di lui, aveva rivelato il disegno del suo ciondolo. Passò con lo sguardo più volte dal ciondolo all’immagine prima di capire, prima di notare che, in fondo a quel foglio, vi era una firma sontuosa, scritta in piccolo: Draco Malfoy.
<< L’hai..disegnata tu? >> balbettò, battendo più volte le palpebre.
Lui annuì, l’espressione seria impressa nei lineamenti.
<< Non noti niente di strano? >> le chiese subito dopo.
Ginevra fissò il disegno e si, notò qualcosa di strano, ma non seppe spiegare cosa fosse.
<< Non riesco a capire cosa sia..c’è qualcosa però >> commentò con una nota di stizza nella voce
Il ragazzo ghignò appena e fece ruotare il foglio di Novanta gradi.
Le iridi azzurre si spalancarono, incredule.
Dinnanzi a lei vi era una lettera, una I.
Lui non si scompose e ruotò ancora il disegno, ecco una P.
Ripetè lo stesso procedimento e ecco palesarsi un altro grafema, questa volta una U.
Lei strinse il ciondolo nella mancina prima di lanciarsi al collo di Draco.
Quel ciondolo era il ricordo di un momento che avevano trascorso insieme, tanti anni prima, stretti nella stanza delle necessità ad Hogwarst.
Lui la strinse forte cingendole i fianchi e chinando il capo verso di lei in modo che le loro fronti aderissero e che il loro occhi fossero ad un paio di centimetri di distanza.
<< I Promise You >> dissero all’unisono.
Ginevra sollevò il capo e, dopo aver raggiunto con il palmo della destra l’altrui guancia, spinse le labbra contro la guancia opposta in un gesto lieve. Draco posò le sue labbra contro l’altrui fronte, lasciando che vi sostassero per diverso tempo.
Si salutarono così quella sera, incapaci di congedarsi con una parola o una frase che avrebbe potuto tenerli lontani come era già successo una volta.



La settimana che seguì fu costellata da lettere che entrambi attendevano con impazienza e alle quali rispondevano immediatamente. Grazie a quelle pergamene Draco era a conoscenza del fatto che Gin ed Harry si trovavano, causa luna di miele, in Italia.
Essendosi ormai abituato a ricevere almeno una lettera della ragazza al giorno la preoccupazione si impadronì di lui quando per ben tre giorni non gli pervennero notizie di Gin.
Fu persino tentato di chiamare Lenticchia per chiedergli di sua sorella ma decise di evitare considerato che la corrispondenza che intratteneva con Ginevra non era vista di buon occhio da nessun membro della famiglia eccetto che da Fleur, la quale sosteneva continuamente che se ricevere lettere di Draco era fonte di gioia per sua cognata avrebbe dovuto esserlo anche per il resto della sua famiglia e, in particolare, per suo marito Harry.
Il quarto giorno, mentre Draco passeggiava nervosamente dinnanzi alla finestra lanciando occhiate furtive oltre il vetro per scrutare l’orizzonte, finalmente erano giunte sue notizie.

Caro Draco
Ci siamo dovuti spostare, hanno chiamato Harry per un lavoro.
Non ti sarai mica preoccupato, vero?
Gli altri come stanno?Hai sentito qualcuno dei miei?(Te lo chiedo comunque nonostante immagino che la cosa sia piuttosto improbabile.)
Mandami tue notizie presto.
Un Bacio, Gin


Lesse la lettera velocemente ma notò subito qualcosa di strano. La calligrafia di Gin era diversa.
Si diresse quindi verso il cofanetto in legno che teneva sulla mensola del caminetto e lo aprì estraendo l’ultima lettera della ragazza. Si avvicinò quindi al tavolo poggiando ambo le pergamene sulla superficie lignea.
In quella più recente la grafia era spigolosa, sottile e inclinata.
In quella più vecchia, invece, la grafia si presentava tondeggiante, armonica.
Il ragazzo sollevò un sopracciglio, reso sospettoso da tanta discrepanza.
Analizzò meglio le lettere. Non vi era dubbio che fossero state entrambe scritte da Ginevra ma doveva essere successo qualcosa.
E poi, per quale motivo non gli aveva scritto dove si trovava come era solita fare?
Mancavano il luogo, la data e l’ora di scrittura che lei usava appuntare in alto a destra.
Raggiunse quasi correndo la propria camera e, dopo aver estratto dal cassetto dello scrittoio in tek l’occorrente per la stesura, si sedette e scrisse fulmineo una frase.

Dimmi dove sei.


Niente fronzoli questa volta.
Salì le scale giungendo così alla torre più alta dove, dopo aver assicurato la pergamena alla zampa del suo falchetto, gli sussurrò << E’ per la Dama >>
L’animale parve quasi annuire con il capo ed emise un sibilo prima di librarsi nel cielo, alla ricerca della Dama del suo padrone.
Non aveva chiuso occhio continuando a puntare lo sguardo fuori dalla finestra in attesa di ricevere notizie.
Erano quasi le 4.00 quando Noctis fece ritorno con la risposta della ragazza.


Dove vuoi che sia?In Italia, sciocco.

Ancora quella grafia strana.
Si morse il labbro, trattenendo a stento l’istinto di imprecare.
Non le credeva. Gin non aveva mai saputo mentire, non con lui per lo meno.
L’idea gli si insinuò nell’animo quando Noctis emise un sibilo sommesso. Gli occhi di Draco si illuminarono.
<< Noctis sei un genio >> disse piano, carezzando la testa dell’animale, posato sulla spalliera della poltrona, con la mancina.
Si allontanò da lui solo per recuperare un altro pezzo di pergamena che legò alla zampa del rapace, non vi era niente scritto all’interno.
Fletté il busto fino a quando i suoi occhi e quelli del suo fidato compagno non si congiunsero.
<< Portami da lei >>
Due minuti dopo entrambi sfrecciavano nella notte.
Il falco con l’ausilio delle proprie ali e il padrone con quello della scopa.

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Capitolo 9
*** Capitolo IX ***


Che strana la vita. Stava andando in Italia.
Aveva promesso a sua madre che ce l’avrebbe portata non appena fosse guarita. Ma quella guarigione non era mai arrivata, lei si era lasciata scivolare in quel limbo di pace e tranquillità che da tempo agognava. O per lo meno a lui faceva meno male pensarla così.
Lo stomaco si contrasse al ricordo materno. Un immagine nitida, accompagnata dal tintinnio della sua risata e dal suo profumo fresco e inebriante. Le labbra si storsero in un sorriso amaro mentre gli occhi tornavano a concentrarsi su Noctis che oramai era almeno mezzo km più avanti.

Avevano volato a lungo, l’uno di fianco all’altro, senza interruzioni.
Il viso di Draco era una maschera indecifrabile. Un misto di rabbia e preoccupazione che faceva sì che i suoi lineamenti apparissero ancora più spigolosi del solito. Le mani erano serrate attorno al manico di scopa, il busto flesso in avanti quasi a toccare il legno.
Il rapace, spinto dalla fretta che leggeva negli occhi del suo padrone, aveva preso da un paio d’ore, ossia dal sorgere del sole, a volare più veloce spostandosi di tanto in tanto per sfruttare le correnti d’aria migliori.

Quando il falco virò bruscamente puntando verso il basso Draco spalancò gli occhi.
Possibile che fossero già arrivati? Quanto tempo era passato?
Staccò la mancina dal manico di scopa per poter controllare l’ora precisa e un sibilo gli uscì dalle labbra strette quando notò di aver dimenticato a Portland l’orologio regalatogli da Narcissa.
Si passò una mano fra i capelli e finalmente, ritrovata la concentrazione, seguì l’animale.
Sotto di loro si susseguivano distese verdeggianti, il panorama da lassù era davvero magnifico.
Quando si avvicinarono maggiormente alla terraferma Draco scoccò uno sguardo a Noctis che, circa due km dopo, scese in picchiata atterrando su un albero.
Il ragazzo lo seguì e, controllando che non ci fosse nessuno, atterrò accanto all’albero dov’era appollaiato il falco.
<< Continuo a piedi >> disse sbrigativo.
Noctis emise un sibilo d’assenso e riprese a volare, Draco lo seguì senza esitazioni prima con un’ andatura piuttosto lenta poi correndo quasi, maledicendosi di non aver continuato il viaggio a bordo della scopa ancora per un po’.
La fronte era imperlata di sudore quando la riconobbe.
Era una casetta semplice, Ginevra gli aveva mostrato una fotografia del luogo quando erano ancora ad Hogwarts.
Quando, complici i ricordi, trascorrevano ore a parlare del proprio passato.
Lei più, lui meno.
Rimase indietro, nascosto da una siepe, osservando Noctis recapitare la sua pergamena vuota.
Il falcò battè il becco contro il vetro producendo un rumore piuttosto acuto seguito immediatamente da dei passi frettolosi e un cigolio di finestre mal oliate.
<< Noctis sei già qui?>> chiese la ragazzina incredula carezzando la testa dell’animale prima di sfilargli la pergamena dalla zampa. La srotolò velocemente, ansiosa come sempre di ricevere notizie del ragazzo.
Disappunto e terrore le passarono velocemente sul viso deturpandone i lineamenti. Non riusciva a capire il motivo di quel silenzio reso ancora più straziante dalla distanza che li divideva.
Solo allora Draco decise di uscire. Lo fece piano, attento a non provocare rumori troppo forti e dissimili da quelli del vento.
Eccolo a un paio di metri dalla finestra. Lei non l’aveva sentito arrivare né tantomeno l’aveva visto considerato che aveva dato le spalle all’esterno poggiandosi contro il davanzale per fissare meglio la pergamena.

Infilò le mani in tasca e dondolò appena sui talloni prima di proferir parola. << A cosa pensi? >>
le chiese, incurante del fatto che la ragazza fosse ancora all’oscuro della sua presenza lì. La vide irrigidirsi all’istante ma non vi fu nessun altro movimento da parte sua. Udendo null’altro che il silenzio di lei decise di avvicinarsi. Un passo, due.
<< Non mi è mai piaciuto ripetermi >> disse con calma. La voce distorta da un mezzo sorriso, sapeva che con quella frase Gin si sarebbe voltata. Gliela aveva ripetuta tante e tante volte quando, all’inizio, lei non rispondeva con la dovuta perizia alle sue domande.
Il ragazzo attese pazientemente e, alla fine, la rossa si voltò.
Non appena lo vide si portò una mano alla bocca per nascondere lo stupore.
<< Io..che..tu >>non riusciva a trovare le parole.
Lui non poteva essere lì, lei non gli aveva rivelato dove esattamente si trovasse e certamente non l’avevano fatto i membri della sua famiglia.
D’altro canto se Draco avesse voluto trovarla avrebbe trovato il modo di farlo, ne era certa.
Era stata questa piccola sicurezza a far sì che lei si affezionasse al Serpeverde all’inizio.

Lasciò cadere la pergamena sul pavimento prima di dirigersi verso il ragazzo. Per farlo però decise di passare per la finestra, raggiungere la porta secondo i suoi calcoli le avrebbe fatto sprecare del tempo prezioso.
Draco sollevò un sopracciglio quando capì cosa aveva in mente. Si pose a braccia conserte quasi stesse attendendo l’inizio di un qualche spettacolo.
Gin riuscì a portare ambo le gambe all’esterno senza fatica, non era più la ragazzina impacciata di Hogwarts.
Quando poggiò ambo i piedi a terra sorrise raggiante della sua piccola conquista e, senza prestare la dovuta attenzione, prese a camminare verso Draco. Un passo, due, tre..il piede sinistro cozzò violentemente contro un sasso tondo, piatto, che lei non aveva affatto notato facendola cadere a carponi sulla terra nuda. Rimase in quella posizione per diversi istanti, conscia del fatto che Draco la stesse osservando e che sicuramente si stesse divertendo.
Si alzò e abbassò il capo per osservare le proprie ginocchia; Niente da fare, non era cambiata di una virgola. Nonostante fossero passati degli anni, nonostante fosse sposata, l’immagine che meglio la rappresentava continuava ad essere quella di una ragazzina con le mani e le ginocchia impiastricciate di terra. Sbuffò appena prima di sollevare lo sguardo battendo i palmi l’uno contro l’altro e incontrò gli occhi di Draco. Un attimo di silenzio e poi le labbra del ragazzo si incurvarono. Non come facevano di solito, molto di più, sempre di più..rise. Di una risata cristallina che lei non aveva mai udito prima.
Gin rimase allibita. Non l’aveva mai sentito ridere così.
<< MALFOY! >> tuonò lei, il rimprovero nella voce.
Il ragazzo riprese contegno continuando a sghignazzare sotto i baffi << Mi dica Madame >>
<< Piantala di fare l’idiota e entra il casa >> sibilò lei senza degnarlo di ulteriore attenzione.
Il ragazzo la seguì e si trovò dinnanzi una casetta accogliente con i mobili in legno piuttosto chiaro e un odore di fiori forte e al contempo piacevole. Annusò l’aria per qualche istante.
<< Gines.. >>ma non terminò la domanda. Era stato così attento ad osservare ciò che aveva intorno che non si era affatto reso conto che Gin si era allontanata, probabilmente era andata a cambiarsi.
Udì lo scrosciare continuo dell’acqua e lo seguì giungendo così dinnanzi alla porta del bagno che la ragazza aveva lasciato semiaperta. Vi intrufolò il capo e sorrise ancora vedendo Gin combattere con la terra che le aveva tinto le mani.
Spinse appena la porta e rimase con la spalla poggiato allo stipite.
<< Ginestre? >> chiese allora.
Lei annuì continuando a sfregare le mani l’una contro l’altra per rimuovere gli ultimi residui di terra e rivolgendogli un sorriso.
<< Harry le aveva scambiate per rose di campo >> commentò spicciola.
Draco sollevò un sopracciglio e storse la bocca in una smorfia voltando lo sguardo dall’altra parte per evitare di commentare il grossolano errore dello sfregiato.
Non vide Gin avvicinarsi catturato com’era da un quadro posto sulla parete li di fronte che ritraeva una donna dai capelli rossi seduta su di un dondolo.
Perché l’aveva attratto?Perchè non si muoveva.
I personaggi erano statici, diversamente da quelli che era abituato ad osservare.

Voltò il capo solo quando lei gli posò un bacio sulla guancia mentre ancora si tamponava le mani con l’asciugamano candido. Gin, interdetta dall’altrui reazione, cercò di ricostruire mentalmente la traiettoria dello sguardo del ragazzo e, con somma gioia, vide che coincideva perfettamente con il punto in cui era posto il suo quadro preferito.
<< E’ mia nonna >> disse sorridendo.
<< Ma perché..? >> chiese Draco non terminando la domanda, certo che Gin avrebbe compreso.
<< Perché è stato dipinto da un Babbano >> commentò alzando le spalle.
Già. Non aveva pensato a quell'eventualità.
Il ragazzo storse il naso e si avvicinò maggiormente alla tela. La studiò con attenzione per poi voltarsi nuovamente verso la sua interlocutrice.
<< Beh, per essere di un babbano è piuttosto bello >>
Gin sbuffò sonoramente. << Perché ti costa tanto ammettere che sia bello davvero? >> si voltò stizzita, pronta a fiondarsi in cucina. << O forse non ti piace ammettere che ci sia qualcuno più bravo di te? >> chiese, serrando i pugni e la mascella.
<< Ti consiglio di piantarla Weasley >> sibilò Draco, gli occhi ridotti a due fessure.
<< Altrimenti? >> chiese lei candidamente poggiando le mani sui fianchi e inclinando il capo.
Draco fu su di lei in lei in un attimo e Gin trasalì appena notando il cambiamento repentino dei suoi occhi. Da argento fuso, quello che ormai da anni le riservava, parevano esser divenuti di acciaio freddo e tagliante.
Si allontanò un attimo dopo lasciandola senza fiato, spaesata.
Non gli era mai piaciuto che lo sfidassero.
Il ragazzo si diresse quindi verso la porta del bagno e posò una mano sulla maniglia.
<< Posso fare una doccia? >> chiese, un lieve tremito nella voce mentre le nocche si stringevano.
Lei annui, cercando di ritrovare il controllo.
<< Ti porto degli asciugamani >> disse superandolo come una saetta, diretta in un’altra stanza.
Tornò pochi attimi dopo reggendo tra le mani una pila di asciugamani candidi sulla quale spiccava qualcosa di diverso.
Era un accappatoio bianco che a sinistra, all’altezza del cuore, aveva ricamate due lettere, D. M., unite dal simbolo della sua casata, un serpente. Draco spalancò gli occhi incredulo, Gin arrossì abbassando il capo.
Non gli aveva mai detto di averlo conservato dopo quel bagno assieme.
Si fissarono negli occhi e le braccia del ragazzo parvero muoversi automaticamente. Afferrarono Ginevra per le spalle e la fecero cozzare con la parete che aveva dietro, quella di fronte al quadro.
Tutto ciò che la ragazza portava tra le mani rovinò sul pavimento mentre lui le si avvicinava. I respiri di entrambi si fecero affannosi quando i loro corpi si sfiorarono. I loro profumi, per un attimo, parvero completarsi mescolandosi. Non staccarono gli occhi l’una dall’altro nemmeno per un istante. Le loro fronti si sfiorarono mentre la mano di Gin, che era rimasta completamente immobile fino a quel momento, si sollevo per incontrare la guancia del ragazzo.
Lui chiuse gli occhi al contatto con quella mano piccola e tiepida, inspirò profondamente e, quando li riaprì, erano nuovamente liquidi, brillanti.
Si allontanò da lei poggiandole un bacio sulla guancia, sfiorando appena l’angolo delle labbra. Le prese il viso tra le mani e si guardarono ancora per un attimo prima che il ragazzo, raccolti gli asciugamani, si chiudesse la porta del bagno alle spalle.
Lei sfiorò il legno con la destrorsa che, subito dopo, passò anche sulla maniglia. Abbassò lo sguardo e si decise ad allontanarsi.
Con l’odore di Draco ancora addosso.

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Capitolo 10
*** Capitolo X ***


Si era trattenuto in quella stanza quadrangolare più del dovuto. Recuperare il controllo stava diventando per lui sempre più difficile, più impossibile.
Era lei che aveva davanti, colei che per quasi un anno aveva popolato i suoi sogni e che sporadicamente tornava a trovarlo facendogli ogni volta lo stesso effetto. Si svegliava di soprassalto, convinto di averla li accanto. E, puntualmente, rimaneva deluso da se stesso, da ciò che sapeva di non dover e poter sognare.
Perché lei adesso era la Signora Potter e, molto probabilmente, lo era sempre stata.
Era di Harry che avevano parlato nella Stanza delle Necessità. Le lacrime di Gin erano cadute per lo Sfregiato, non certo per lui. Sapeva di essere stato e di essere per lei una sorta di parentesi, un commento a piè pagina. Eppure non riusciva a starle lontano per troppo tempo.
Il suo personalissimo record era stato infranto il giorno del matrimonio della Dama.
Già, il matrimonio.

Una sensazione di disgusto si propagò nella bocca e, conseguentemente, le labbra si storsero in una smorfia. Disapprovazione o dolore?Impossibile a dirsi.
Infondo le emozioni di un Malfoy non competono a nessuno se non a colui che le ha generate.
Aveva sbagliato ad esporsi e ne era perfettamente consapevole.

Frizionò i capelli con un asciugamano candido, sapeva leggermente di lavanda.
Sicuramente Gin aveva usato un po’ dell’essenza del fiore per profumare il telo conoscendo perfettamente la sua passione per gli odori.
Passione strana in effetti, quasi inspiegabile.


Era nata per caso, un pomeriggio di primavera di tanti anni prima, quando Narcissa lo aveva condotto in un vivaio e gli aveva chiesto di scegliere quale fiore gli piacesse di più. Il Draco bambino li aveva passati tutti in rassegna con lo sguardo grigio e, sulle prime, non era riuscito a decidersi.

<< Non so sceglierne uno madre >> aveva sussurrato avvicinandosi alla donna.
Lei, invece di rispondergli, aveva incurvato le labbra in un sorriso che, ormai Draco lo sapeva, teneva celato per i momenti speciali e si era allontanata lasciandolo solo tra quella miriade di colori.
L’aveva guardata andare via ed era persino stato tentato di seguirla.
Paura di star solo?No, affatto.
Era fin troppo abituato alla solitudine.
Ingoiò il groppo che inspiegabilmente gli si era formato in gola e si avvicinò alla prima delle tante piante che avrebbe rimirato, accarezzato ed annusato quel giorno.
Alla fine di quella solitaria escursione si era diretto da sua madre con passo deciso.
<< Dunque Draco?Qual’è il fiore che hai scelto? >>
Il bambino si stupì che sua madre non avesse usato l’aggettivo “preferito” ma lasciò correre, in trepidante attesa di comunicarle la sua decisione.
<< la Datura >> le disse, fissandola negli occhi.
Lei sorrise e parve illuminarsi. Fiore elegante, particolare..magico.
Tese la mano a suo figlio e, incurante delle norme che regolavano il loro rapporto, lasciò che lui, incoraggiato dalla dolcezza del suo sguardo, gliela stringesse forte.
E in quel momento furono solo madre e figlio.
<< Qual è il tuo madre? >>
<< Il Giglio >>
<< E allora perché papà continua a regalarti rose? >>
Lei spostò lo sguardo dalla lavanda all’iris prima di rispondergli.
Flettè le gambe trovandosi con gli occhi all’altezza di quelli di Draco.
<< Questo è il nostro segreto. >>
Inutile tentare di descrivere l’espressione del bambino che, in quel momento, vide il mondo sfavillare.
Sorrise incurante degli insegnamenti di suo padre e le si lanciò al collo facendola barcollare appena.
Lei rimase immobile per qualche istante prima di stringerlo e aspirare forte il suo odore.

Quando tornò in sé si trovò a fissare lo specchio e si rese subito conto di aver sorriso, come sempre avveniva quando ripensava a quei fugaci momenti di felicità.
Finì di vestirsi e, dopo aver fatto scattare la chiave, abbassò la maniglia ed usci dalla stanza ritrovandosi a fissare il quadro della Nonna di Gin.
Si diresse in cucina guidato dal lieve rumore del bollore dell’acqua ma quando fece capolino lei non era lì. Senza bisogno di alcun invito si sedette dando il profilo sinistro verso la porta dalla quale era entrato, braccia conserte, gambe accavallate.



Gin aveva rassettato la casa, spostato i soprammobili, lustrato più volte il pavimento, controllato la propria immagine riflessa nello specchio dopo essersi cambiata d’abito innumerevoli volte. Era nervosa.
Nervosa come era stata solo in due momenti, ad Hogwarts e al suo matrimonio.
Lasciò che i ricordi la investissero, inerme.


Un vestito blu scuro a fasciarle il corpo, lungo fino alle caviglie.
Degli orecchini lucenti regalo di natale di Harry.
I capelli sollevati lasciavano scoperto il collo e parte della schiena lungo la quale lo scollo proseguiva. << Sei bellissima >> disse Harry vedendola.
Lei sistemò i guanti bianchi che le arrivavano al gomito e scese gli ultimi scalini che congiungevano il dormitorio femminile alla sala comune. Non gli tese la mano, preoccupata del fatto che lui non potesse capire e si trovasse quindi a disagio.
Il ragazzo le indicò il proprio braccio, invitandola a posarvi la mano. E lei obbedì senza proferir parola alcuna se non un << Grazie >> pronunciato fissando il pavimento.
Quando giunsero in sala grande lei si guardò attorno attenta. Il suo compagno lo notò.
<< Stai aspettando qualcuno? >> chiese quindi.
<< Ron ed Hermione >> mentì lei, ancora intenta a scrutare i presenti, alla ricerca di un ragazzo dalla pelle d’alabastro.
Harry non rispose limitandosi a stringerla e a condurla sulle note di una canzone della quale a Gin giungeva solo un’eco lontana. Faticava ad essere presente.
Finse finché farlo non divenne insostenibile e, persa ogni speranza di incrociare quegli occhi d’argento, tornò in dormitorio dopo aver salutato il suo Compagno con un bacio frettoloso. Il primo e l’ultimo della serata.
Quella serata che aveva visto Dama e Cavaliere divisi dall’avversità del destino.


Si alzò dal letto sul quale si era accomodata nel momento in cui le immagini fin troppo nitide di quella sera lontana l’avevano investita.
Senza tornare completamente presente si avviò verso la cucina e, quando vi entrò e notò il ragazzo, sussultò impercettibilmente quasi si fosse dimenticata di non essere sola.

Lui inarcò un sopracciglio. << Come mai ti sei cambiata d’abito? >> le chiese con tono neutro.
Ricordava perfettamente la maglietta azzurra che indossava fino a circa mezz’ora prima.
Lei fece spallucce, incurvando lievemente il labbro con aria di noncuranza.
<< Mi sembrava più adatto così >> mormorò.
Lui annuì, sorridendo sotto i baffi.
<< Effettivamente lo è >> commentò. << Sai bene come la penso >>
Gin irrigidì la mascella e inspirò profondamente.
Era vero. Aveva indossato quella camicia candida perché sapeva che a lui avrebbe fatto piacere, perché sapeva perfettamente che lui era solito dare importanza ai particolari.
Si diresse verso il teiera e, qualche istante dopo, raggiunse il tavolo con la bacchetta stretta in pugno e le tazze che le fluttuavano accanto.
Le posò senza produrre rumore alcuno sulla superficie lignea e si sedette all’altro lato del tavolo, quello più vicino a Draco, dando le spalle alla porta sul retro.
Un movimento fluido di bacchetta bastò per far giungere la zuccheriera fino al tavolo.
<< Ne vuoi? >> gli chiese.
Lui scosse il capo mantenendo il solito contegno. << Lo preferisco amaro, lo zucchero deturpa i sapori >>
Rimase allibito quando vide la ragazza sollevare la tazza e abbassare lievemente il capo, invitandolo a prendere la propria.
<< Sogno o son desto? >> le chiese incredulo.
<< Sei sveglio. Fin troppo direi >> rispose, una punta di acidità nella voce.
Vedendo che Draco pareva ancora attendere una risposta sbuffò a pena e aggiunse << Lo bevo amaro da quella volta >>


<< Come diavolo fai a zuccherare il tè? >> chiese lui che pareva essere sull’orlo di una crisi di nervi.
<< Come fai tu a non zuccherarlo? >> ribattè lei, gli occhi ridotti a fessure.
Non le piaceva che giudicassero i suoi gusti, specie in quel modo.
Draco si portò ambo le mani alla testa e scosse il capo, logorato da quella vocina acuta che negli ultimi giorni lo stava facendo impazzire.
Recuperò il controllo qualche attimo dopo. Afferrò la propria tazza e la porse alla ragazza puntandole lo sguardo negli occhi. << Bevi >> le disse con tono che non ammetteva repliche.
Lei si sporse in avanti osservando il liquido scuro dal quale saliva un odore intenso di vaniglia. Ingoiò aria, tentando di reprimere la sensazione di disgusto.
Tese ambo le mani e afferrò la tazza portandola subito alla bocca, quasi come fosse una medicina cattiva.
Chiuse gli occhi privandosi così della gioia che le provocava ogni volta il vedere Draco sorridere. Sentì il freddo della porcellana e subito dopo il caldo della bevanda infiammarle la gola.
Rimase immobile per un istante. Non era cattivo, anzi.
<< Non mi piace. >> mentì restituendo la tazza al legittimo proprietario che scosse stancamente il capo socchiudendo gli occhi e lasciando che la propria schiena aderisse alla spalliera della poltrona.
Portò la tazza alle labbra e non si stupì di aver centrato perfettamente il punto in cui Gin aveva posato le sue.


La fissò per un istante come se stesse metabolizzando il tutto.
Ricordò i particolari di quel giorno, testardaggine di lei compresa, e gli venne spontaneo abbandonarsi ad una risata.
Liberatoria, tintinnante. Come quella di quando era arrivato lì.
Strabiliante come la rossa riuscisse a metterlo di buon umore o, per lo meno, di come sapesse fargli dimenticare i pensieri e, al contempo, fornigliene venire di nuovi.
<< Dov'è lo Sfregiato? >> chiese ad un tratto, rabbuiandosi.
Gin si voltò verso di lui con un gesto meccanico, teso.
Lui inclinò il capo studiandola ma lei non rispose. << Dov'è? >> chiese ancora.
Lei si alzò dal tavolo affrettandosi a portar via le tazze di tè ormai vuote, Draco la lasciò fare.
Pochi attimi dopo un rumore di porcellana infranta invase la cucina, a Gin era scivolata una tazza che ovviamente era andata a cozzare con il pavimento rompendosi.
Il ragazzo si alzò istintivamente avvicinandosi a lei. << Ti aiuto >> le sussurrò quasi mentre assieme flettevano le gambe per raccogliere i cocci.
Avrebbero potuto utilizzare la magia, certo.
Ma in quel momento la bacchetta era l'ultimo dei loro pensieri. Di lei per un motivo, di lui per un altro.

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Capitolo 11
*** Capitolo XI ***


Capitolo XI

Non tentarono neppure di riparare quelle tazze, ne gettarono semplicemente via i cocci senza soffermarsi troppo a fissare quelle schegge bianche. Lei si congedò dal ragazzo di lì a pochi istanti senza proferir parola e lui, dal canto suo, non fece nulla per fermarla.
Forzarla sarebbe servito a qualcosa?Difficile a dirsi.
Decise quindi di rimanere lì a rimuginare su quanto era accaduto dopo il matrimonio della Dama. Ricordò di come fosse stato strano ricevere quell’invito, recarsi dal gioielliere e di come, al contrario, fosse stato facile disegnare quel ciondolo per lei e posarlo sul suo collo.
Si passò una mano fra i capelli mentre una morsa prese a stringergli lo stomaco ad intermittenza. Mente e cuore in discordanza per l’ennesima volta dinnanzi ad un bivio.
Uscire da quella porta che ormai da svariati minuti stava fissando avrebbe voluto dire dirle addio.
Rimanere in quella cucina estranea, invece, avrebbe significato molte cose assieme e, tra queste, la volontà di ascoltarla.

Quando Gin fece ritorno aveva i capelli bagnati che le ricadevano sulle spalle e li stava frizionando con un asciugamano candido. Gli occhi parevano essere tornati quelli vispi di sempre nonostante, sul fondo, si potesse leggere una nota di tristezza che Draco riuscì a percepire senza troppa difficoltà.
<< Va ad asciugarli >> le disse subito con un tono che non si poteva certo considerare amichevole.
Lei parve non sentirlo e si diresse verso la porta che congiungeva la stanza al piccolo giardino sul retro.
Puntò lo sguardo fuori , soffermandosi per svariati istanti su un cespuglio di rosa canina posto non lontano dal limitare del fazzoletto d’erba.
<< Quando fiorirà? >> chiese quindi, continuando ad invadere la stanza con il sommesso rumore dei capelli sfregati contro l’asciugamano.
Il ragazzo le si affiancò e osservò la pianta. La riconobbe all’istante, era cresciuto tra quei cespugli da piccolo.
<< Non manca molto >> le rispose quindi, sussurrandole le parole all’orecchio quasi si trattasse di un segreto.
Il silenzio scese tra loro mentre i loro occhi continuavano a fissare quel cespuglio tondeggiante.
Se lui avesse allungato la mano avrebbe potuto toccarla, tenerla vicina. E invece non lo fece, convinto che quella strana sorta di equilibro distorto potesse bastare ad entrambi per evitare di crollare.
Trascorsero da soli un altro paio d’ore prima che tornasse il legittimo padrone di casa. Varcò la soglia della porta di ingresso con la solita calma apatica dipinta sul volto, con quel sorriso vuoto che aveva fatto cascare ai suoi piedi uno stuolo di ragazzine adoranti alle quali lui non si era mai concesso avendo occhi solo per la sua Ginny .
Nonostante la ragazza fosse arrivata ad odiare quel nomignolo infatti lui si ostinava a chiamarla così, utilizzando quell’appellativo come una sorta di richiamo infantile.
<< Ginny? >> lo disse anche entrando in casa.
All’udire la sua voce la ragazza sobbalzò appena e voltò lo sguardo verso il corridoio dal quale di li a pochi istanti sarebbe sbucato suo marito. Si alzò in piedi con l’ausilio dei palmi ben aperti posati sui braccioli, emise un respiro profondo.
<< Harry vieni in salotto, abbiamo ospiti >> disse quindi, completamente atona.
Si udirono dei passi lievi prima che il proprietario di una chioma corvina e arruffata facesse capolino nel salotto nel quale i due si erano intrattenuti parlando di frivolezze.
Una sorta di ombra velò il suo sorriso, opacizzandolo per un attimo. << Malfoy..che piacere vederti qui. >> disse avvicinandosi e tendendogli la mano.
Draco si alzò in piedi e ricambiò la stretta con abbondante dose di forza, chiedendosi ancora una volta dove fosse stato quel pezzo di idiota fino a quel momento.
<< A cosa dobbiamo la tua visita? >> le mani si divisero e, mentre quelle di Malfoy ricaddero inermi lungo i fianchi, quelle di Harry cinsero il fianco di Ginevra che fino a quel momento era rimasta accanto a lui in silenzio.
<< Passavo di qui e ho deciso di fermarmi per un saluto >> rispose spicciolo l’ex serpe verde, nascondendo le mani nelle tasche dei pantaloni.
Il silenzio che seguì fu carico di quella che Gin catalogò mentalmente come tensione.
Infondo loro due non avevano mai avuto un buon rapporto.
Harry ruppe quel momento di stasi annusando l’aria con fare indagatorio.
Si rivolse quindi a sua moglie, abbassando lievemente lo sguardo per incontrare i suoi occhi.
<< Rose di campo? >> le sorrise, convinto di aver indovinato per l’ennesima volta.
Lei scostò lo sguardo e incontrò quello tagliente di Draco.
<< Esatto >> rispose quindi, serrando il pugno.
<< Tolgo il disturbo, è stato un piacere rivederti >> esordì quindi Draco compiendo un passo indietro per poi esibirsi in un mezzo inchino in onore della Dama.
<< Perché non rimani per stanotte? >> chiese quindi Gin con un tono che sembrò rasentare l’implorazione.
Lui scosse il capo in risposta. << Ho un appuntamento, non posso mancare >> fu la sua unica risposta.
<< Arrivederci Potter >> e, senza attendere oltre, si diresse verso l’uscita immergendosi nella notte e confondendosi con essa.

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Capitolo 12
*** Capitolo XII ***


Capitolo XII

Noctis gli fu a fianco non appena si immerse maggiormente nel buio di quel loco isolato. Gli svolazzò sulla spalla palesando così la propria presenza e, vedendo che Draco non gli aveva prestato attenzione, emise un sibilo sommesso che fece sollevare il capo al ragazzo.
<< Non è il momento Noctis >> disse quindi con un filo di voce, scostando quasi immediatamente lo sguardo dal rapace.
Proseguì su quel sentiero di terra battuta per diverso tempo, fino a quando non intravide le luci di un centro abitato.
Decise di addentrarvisi, in fondo non avrebbe dovuto trovare molta gente per le strade vista l’ora tarda. Si aggirò per i vicoli semideserti cercando di passare il più inosservato possibile, decise addirittura di mandare via Noctis per evitare che la gente cominciasse a fargli domande o a fissarlo insistentemente.
Il buio si rivelò un importante alleato, la poca luce non metteva in risalto né la naturale bellezza né l’andatura piuttosto regale che l’aveva sempre caratterizzato.
Stanco di girare a vuoto decise di fermarsi per la notte in una locanda babbana.
Non appena varcò la soglia le labbra si storsero appena, non era mai stato abituato a dimorare in ambienti così spartani ma decise che per una notte avrebbe potuto fare un’eccezione. Giunto al bancone in noce tossì sonoramente per richiamare l’attenzione di una giovane che si era appisolata al di là del legno.
Lei si ridestò un attimo dopo e, dopo un primo momento di smarrimento, recuperò il controllo di sé.
<< Buonasera >>
<< Ben svegliata >> rispose Draco con un misto di ironia e divertimento.
La padrona del loco sbadigliò appena coprendosi la bocca con la mancina.
<< Grazie >> proferì quindi sorridendo allo sconosciuto. << Le serve una singola? >> Incalzò quindi, perfettamente calata nel ruolo di albergatrice modello con tanto di taccuino e penna coordinati stretti tra le mani.
<< Esattamente >>
La ragazza sorrise ancora e sgusciò fuori dal bancone passando per una bassa porticina laterale, simile a quella dei saloon americani. << Mi segua allora >> disse facendo strada al biondo.
Raggiunsero assieme una camera sita all’ultimo piano, dotata di finestra con vista sulla campagna.
<< Siamo piuttosto in alto >> disse quindi, scrutando l’orizzonte.
<< Già >> replicò lei, sollevando appena le spalle. << Questa è la sua chiave >> disse avvicinandosi a Draco e tendendogli un portachiavi con inciso il numero 3 e facendoglielo penzolare dinnanzi.
Il ragazzo afferrò tra pollice ed indice la chiave e la sfilò dalle mani della ragazza.
<< La ringrazio >> proferì quindi, mentre il barlume di un sorriso parve comparire sulle labbra.
La locandiera gli dette le spalle e si diresse verso l’uscita con fare svelto e preciso.
Una volta varcata la soglia si voltò nuovamente in direzione di Draco.
<< Cosa preferisce per colazione? >>
Lui si ridestò d’improvviso come se fosse appena uscito da una trance.
<< Le andrebbe di restare? >>


Gin si infilò la camicia da notte e scivolò sotto le coperte senza ingerire nulla che non fosse liquido. Harry le disse di avere cenato fuori con i colleghi e lei non fece domande, come sempre del resto.
Suo marito la raggiunse poco dopo, prendendo posto accanto a lei con noncuranza. Si distese sulle coperte, con le braccia incrociate sotto la testa.
<< Quando è arrivato? >> chiese tra uno sbadiglio e l’altro.
<< In mattinata >> fu la risposta secca di Gin.
Gin si voltò di lato, dando le spalle al proprio consorte.
Harry si mosse qualche istante dopo, e le sfiorò un fianco con la mano. Quel movimento languido inizialmente la infastidì, fu persino tentata di scostare l’altrui mano. Ma non lo fece. Si voltò verso Harry e lo fissò per diverso tempo. L’altrui mano si mosse ancora e risalì fino alla guancia candida della giovane donna carezzandola appena. Le afferrò il mento tra due dita e avvicinò le sue labbra a quelle di sua moglie.
Ed ecco nascere un bacio. Uno di quei baci che, lei lo sapeva bene, era preludio di qualcos’altro.
Decise di lasciare da parte i pensieri.
Di lasciare da parte Draco e tutto ciò che comportava.
Di chiudere in un angolo recondito del cuore quella parte di lei che avrebbe dato tutto per fuggire da quel letto, da quelle braccia, da quella casa che tanto aveva amato e che adesso riusciva solo ad odiare.


L’indomani mattina, quando Draco si svegliò, era solo.
Il posto al suo fianco era vuoto, freddo.
Osservò le lenzuola candide con sguardo vacuo.
Avevano passato la notte assieme.
La cosa era stata semplice non conoscendola, sapendo a malapena come si chiamasse avendolo letto sul cartellino che aveva appuntato sulla camicia.
Camille.
Niente male tutto sommato. Un corpo minuto e aggraziato, un viso piacevole.
Fu il bussare sommesso alla porta che lo costrinse a destarsi del tutto.
<< Si? >> disse quindi a voce alta, certo di sapere di chi si trattasse.
Quando la figura fece capolino, però, rimase allibito.
Non era Camille, era Gin.
Allungò istantaneamente una mano verso le lenzuola e le tirò verso di sé per coprire meglio il proprio corpo.
Sollevò il busto e la fissò.
<< Ciao Draco >> disse quindi lei, tutto d’un fiato, varcando la soglia e richiudendosi la porta alle spalle.
Le compì un paio di passi in avanti, avvicinandosi al letto. Vi si sedette al bordo tenendo lo sguardo basso e le mani intrecciate posante in grembo.
Il ragazzo ingoiò a vuoto, teso.
<< Come mi hai trovato? >>
<< Non ha importanza >> rispose lei spicciola, cercando di recuperare il controllo che sentiva scivolare via quando era con lui.
Draco decise quindi di fare silenzio, aspettando che fosse lei a parlare.
<< Stanotte.. >> esordì Gin con non poca difficoltà ma, proprio in quel momento, una folata di vento le mosse i capelli. Si voltò verso l’ingresso, in silenzio.
Lo stesso fece Draco, incontrando in quel momento gli occhi di Camille.
Reggeva tra le mani un vassoio sul quale erano posati una tazza di tè e una zuccheriera, evidentemente la sua colazione, e sulle labbra aveva dipinto un sorriso bellissimo.
Le due ragazze si fissarono per un attimo ed entrambe compresero.
Camille si affrettò a tornare sui propri passi << Scusatemi >> biascicò soltanto prima di sparire dietro il battente scuro.
La ragazza seduta al bordo del letto si alzò e si diresse verso la finestra. Con lo sguardo percorse la stanza: i vestiti lasciati in malo modo sulla poltroncina in velluto, le lenzuola scomposte da ambo le parti, la finestra chiusa..tutte cose che, ad una prima osservazione, non aveva associato a nulla di particolare.
<< Sei stato con lei? >> chiese scostando la tenda con la mancina, un tremito celato nella voce.
Lui puntò lo sguardo diritto dinnanzi a sé, facendo in modo che le iridi incontrassero l’armadio e evitassero gli occhi azzurri di lei.
<< E se anche fosse? >> chiese quindi, freddo nella voce. << Tu non sei forse stata con lui? >>
La colpì in pieno, come se le avesse dato un violento pugno nello stomaco. Gli occhi parvero svuotarsi.
Draco si pentì subito di quanto aveva detto, mordendosi il labbro, ma oramai il danno era fatto.
Gin senza aggiungere altro si diresse verso l’uscita.
<< Gin, aspetta >>
Ma lei non si voltò, si limitò a fermarsi e a prestargli attenzione.
Draco però non riuscì a continuare. Aprì e chiuse la bocca a mò di pesce rosso.
La ragazza non attese oltre e uscì chiudendo la porta alle spalle.








Spazio Autrice

Per Ciii: Chiedo umilmente perdono ç_ç
Comunque visto?Ho aggiunto un altro Cap..Fammi Sapere cosa ne pensi e Grazie a Te e A tutti quelli che continuano a seguirmi..

Thanks a Lot

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Capitolo 13
*** Capitolo XIII ***


Capitolo XIII


Rivide Camille in altre due occasioni.
La prima pochissimo tempo dopo la loro prima notte insieme.
Vagando per le strade della città dove aveva deciso di restare per chissà quale motivo si era ritrovato a passare dinnanzi alla locanda e, dopo averci pensato per una frazione di secondo, decise che probabilmente alla ragazza avrebbe fatto piacere rivederlo.
Varcò la soglia senza scomporsi e gettò uno sguardo dietro al bancone, non c'era traccia di lei.
Fece trillare il campanello tre volte e non dovette attendere molto prima di sentire dei passi veloci provenienti dal piano superiore.
Qualche istante dopo ecco comparire Camille, con un grembiule candido stretto attorno alla vita, evidentemente impegnata a risistemare le camere dopo la notte appena trascorsa.
- Buong..Ciao - Si corresse subito sorridendo a Draco e mostrando una fila di denti perfettamente allineati.
- Buongiorno a te - ribattè Draco stirando l'angolo sinistro delle labbra a mo' di sorriso.
- Posso fare qualcosa per te?- chiese quindi lei, tamponandosi le mani con un canovaccio recuperato dalla tasca anteriore del grembiule.
- Potresti offrirmi un tè ad esempio - rispose lui, accompagnando le parole con un gesto fluido delle spalle.
- Certamente -
Si spostarono nel salottino attiguo all'ingresso dove Draco, la volta precedente, non aveva messo piede per la troppa fretta. Era una stanza quadrangolare, molto illuminata grazie alle grandi finestre che si affacciavano sulla strada e che erano coperte solo da delle sottili tende bianche. L'arredamento era semplice, nulla oltre alle poltroncine e ai tavolini, e le pareti erano state tinteggiate piuttosto di recente di un celeste tenue.
Sul muro era affisso un unico quadro raffigurante una ragazzina su di un'altalena. Draco lo fissò a lungo e non potè fare a meno di ricordare un altro quadro visto tempo prima non molto lontano da lì. Strinse il pugno destro non preoccupandosi affatto di nasconderlo.
Fu la voce di Camille a distogliere la sua attenzione da quel soggetto immobile.
- Prego, accomodati. - Gli sorrise ancora, incapace di cogliere quella sfumatura grigio scuro celata nei suoi occhi.
Inutile dire che quella fu la seconda notte che trascorsero assieme.
Fu esattamente come la prima dal punto di vista di Draco, un mero tentativo per scacciare dalla mente colei che popolava i suoi pensieri ormai da anni.
Al suo risveglio gli parve di rivivere una scena consosciuta e, nel momento in cui qualcuno bussò alla porta, si ritrovò inconsciamente a sperare che fosse ancora lei.
Che fosse tornata a cercarlo, che avesse ancora bisogno di lui.
Quando il battente si aprì, però, le sue speranze svanirono.
Un sorriso con denti perfettamente visibili.



Il secondo incontro, invece, fu diverso.
Non fu lui a cercarla ma lei a trovarlo.
Era appena uscito per la sua solita passeggiata serale quando vide, poggiata al muro di fronte casa sua, una figura minuta, celata dall'ombra, che pareva fissare nella sua direzione.
Compì un paio di passi mostrandosi completamente grazie all'ausilio della luce di un lampione, era lei.
Dopo un primo momento di completa stasi durante il quale non potè fare a meno di chiedersi come diavolo avesse fatto Camille a trovarlo le si avvicinò.
- Come mai da queste parti? - le chiese assottigliando appena lo sguardo, curioso e malizioso allo stesso tempo.
Lei sollevò le spalle e incurvò appena gli angoli delle labbra, senza produrre alcun suono.
- Tra poco sarà ora di cena, ti andrebbe di farmi compagnia? - le domandò quindi, indicando la propria abitazione con un gesto del capo.
- Certo - rispose lei, senza esitazione alcuna.
Chiacchierarono per diverso tempo del più e del meno, trovandosi perfettamente a proprio agio.
Sia lei che lui si rilassarono come non facevano oramai da troppo tempo, lasciando dubbi e preoccupazioni sull'uscio di casa.
Quando il pendolo battè l'una Camille battè più e più volte le palpebre. - Ora devo andare - comunicò al ragazzo.
- Starai scherzando mi auguro - ribattè lui
Lei lo guardò stranita. - Affatto -
Il cambio repentino della ragazza lo stupì un tantino ma non lo diede a vedere.
- C'è un letto in più in questa casa.. - si fermò un attimo, fissandola - ammesso che tu non abbia intenzione di usufruire del mio - ghigno sul volto, ecco Malfoy tornare ad essere se stesso.
- Mi spiace ma devo andare -
La ragazza fece per alzarsi ma lui, più veloce, la bloccò sulla poltrona sulla quale era seduta mettendosi esattamente dinnanzi a lei. Flesse il busto in modo da avvicinare il viso a quello di lei.
- Non credo proprio - soffiò sicuro, perfettamente conscio del fatto che sarebbe stata sua quella notte.
Lei abbassò lo sguardo, incerta, ma quando lo rialzò una luce nuova vi risplendeva all'interno. Gli occhi parevano essere mutati completamente.
Stando così vicino a lei l'odore della ragazza si fece strada nelle sue narici, chiuse gli occhi e inspirò profondamente.
Sapeva di sicuro, conosciuto.
Rialzò il busto, le tese la mano.
Per la prima volta avrebbe passato la notte con qualcuna senza pensare a Ginevra.
O forse no.




Spazio Autrice
Candidella18: chiariamo bene uno dei tuoi dilemmi..questa non è una ff incompleta. E' solo che per scrivere aspetto l'ispirazione che magari, come in questo caso, tarda ad arrivare. Per il resto grazie dei complimenti, sono contentissima che tu sia rimasta sveglia fino alle 2 xD fammi sapere cosa ne pensi anche di questo capitolo..^^
Frency70: Fra me e te..(le si avvicina all'orecchio e le sussurra qualcosa). Capito?xD
Kikadance194, Ciiiii, Alyenda: Scusate per l'immenso ritardo..perdono, perdono, perdono
Elie84: Mi sono commossa, che bello questo commento xD Grazie mille :D Cooomunque, non è la prima volta che commenti la mia ff. Fai un salto tra le recensioni del Capitolo V ^^

Fatemi sapere cosa ne pensate, mi raccomando.

Victoire

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Capitolo 14
*** Capitolo XIV ***


Capitolo XIV


L’aveva dimenticata.
Era stata Camille, quella notte di circa due mesi prima, a compiere il miracolo. Aveva tenuto la sua attenzione lontana dall’immagine di Ginevra, dai ricordi che da sempre lo tormentavano. Lui, d’altro canto, era parso davvero rinato.
Aveva deciso di tornare a casa per sbrigare delle faccende in sospeso, di tornare al lavoro per riconquistare la sua normalità. Rientrare nel giro d’elite del quale aveva sempre fatto parte non fu difficile per lui, si trattava pur sempre di un Malfoy.
E Draco, da degno figlio di suo padre qual’era, era ormai ben deciso a non farsi scappare più alcuna occasione.
Qualunque genere di occasione gli si presentasse.


L’invito alla festa di Pansy Parkinson gli giunse una tranquilla sera di settembre mentre era intento ad apportare dei cambiamenti ad una pozione.
Gli alambicchi tremarono per un attimo quando il pennuto della ragazza li sfiorò con le ali.
Il movimento del biondo fu impercettibile, si limitò ad alzare lo sguardo.
Il gufo, quasi come se avesse compreso il messaggio silenzioso del ragazzo, rimase immobile dopo essersi abbarbicato alla spalliera di una poltrona.
Una volta posato il contagocce Draco gli dedicò la sua attenzione e il pennuto fu felice di volare via pochi istanti dopo portando alla sua padrona una risposta affermativa.

La cura nei preparativi fu la solita, l’unica che si addiceva a lui, la sola che avesse mai praticato.
Una volta terminato il rituale di vestizione si specchiò per un attimo stringendo con la destrorsa il nodo della cravatta blu che portava al collo e, incredibile a dirsi, sorrise.

Si materializzò nel giardino della famiglia Parkynson con cinque minuti d’anticipo, come era sempre stato abituato a fare. Nonostante le persone importanti avessero tutto il diritto di farsi aspettare com’era solito ripetere suo padre la Signora Malfoy non la pensava alla stessa maniera e costringeva puntualmente i suoi uomini a cominciare a prepararsi almeno un’ora prima dell’inizio dell’evento in programma.
Gettò uno sguardo attorno e decise di sfruttare i suddetti cinque minuti per compiere un breve giro del parco. Infilò le mani nelle tasche dei pantaloni e, con passo lento, cominciò la sua perlustrazione.
Non che non conoscesse il luogo, anzi.
Un cospicuo numero delle feste alle quali aveva partecipato da ragazzino si erano svolte proprio lì, tra i rami dei pini.
Gli tornò alla mente una fredda giornata di dicembre di molti anni prima, sul momento non si sprecò neppure a tentare di quantificare quanto tempo fosse passato.
Lì aveva dato il suo primo bacio, aveva 5 anni.
Scosse il capo al ricordo del viso di sua madre e della mamma di Pansy quando li trovarono lì, seduti uno accanto all’altra, con le labbra premute le une sulle altre.
Le due donne risero appena e l’allora piccolo Draco non riuscì affatto a comprendere il motivo.
Rimase crucciato per diversi giorni.
Tutto per un bacio.


Espirò sonoramente tirando fuori le mani dalle tasche.
Dette le spalle al grande pino sul quale, da qualche parte, probabilmente c’erano ancora incise una D ed una P.
Il vociare della gente gli comunicò che la festa ormai doveva essere iniziata e, di conseguenza, si affrettò a raggiungere il massiccio portone di ingresso.

La cena fu, come di solito avveniva, leggera e ricercata così come gli abiti delle invitate quella sera.
Un tripudio di colori pastello invadeva la sala, donando al luogo un calore che in realtà non possedeva affatto.

- Sono contenta che siate venuti – Ecco la padrona di casa svolgere l’arduo lavoro di ringraziare i presenti.
Draco stirò le labbra osservandola, non si sarebbe voluto trovare nella sua situazione per nulla al mondo.
-Scusi signorina – disse ad un tratto provocando una reazione di sdegno spropositata nella coppia che la Parkynson stava ringraziando.
L’ex concasata si voltò verso di lui lanciandogli uno sguardo della serie “chiudi quella boccaccia” prima di riprendere il discorso interrotto qualche istante prima.
- Devi essere impazzito – sibilò Pansy avvicinandosi.
- Io?e perché mai? – ribattè il biondo afferrando un flute di champagne da un vassoio argentato che fluttuava lì di fianco. Ne bevve un sorso lungo.
- Sai chi erano quelli?
- Gli zii di Blaise
- E lo sai cosa ci facevano qui? – chiese lei, sull’orlo di una crisi di nervi.
- Mmh.. controllavano che il loro figlioccio avesse scelto una ragazza alla sua altezza suppongo – noncuranza, tranquillità completa nella sua voce.
- Esattamente
Il biondo rise.
- Cosa ci trovi da ridere?
La padrona di casa seguì lo sguardo argenteo di Draco puntando nella direzione da questi indicata.
Spalancò la bocca non appena vide la coppia di anziani signori parlare animatamente con Blaise che, spalle al muro, cercava invano di difendersi dall’attacco di sua zia.
- Dovresti aiutarlo. E’ così che fanno le brave mogliettine
La battuta gli costò un pugno in pieno petto che, giungendo inaspettato, gli mozzò il respiro.

Nuovamente solo continuò a sorseggiare un bicchiere di Pinot bianco raccolto poco prima dal tavolo delle bevande.
Le luci erano state abbassate essendo giunto ormai il tempo delle danze.
Si rintanò dietro una pesante tenda bordeaux, vicino ad un ampia finestra che dava sul retro del giardino. Il riflesso che il vetro gli resituì fu lo stesso che aveva fissato in quegli anni, solo allora comprese.
Lui non era cambiato.
Né retrocesso né avanzato.
Tutti gli altri, invece, avevano in un modo o nell’altro cambiato la propria vita.
Gli tornò alla mente la scena di un paio d’ore prima in cui Blaise, il suo amico Blaise, si ritraeva alla vista di sua zia e Pansy, la sua ex promessa sposa, accorreva in suo soccorso.
Abbassò gli occhi puntandoli sul davanzale marmoreo e questi parvero assorbire la sua compattezza.

Quando rialzò lo sguardo era cambiato.
Un uomo alla ricerca del tempo perduto.











Spazio Autrice
Sarawinky: sono contenta che qualcun altro oltre a me trovi la mia Gin adatta..non sarà certo la Ginevra dei libri della Rowling, ma a me piace così ^^
elie84: ma ciao cara xD inutile dire che le tue recensioni mi fanno morire dal ridere ogni volta e che ormai sono molto affezionata al criceto che pare essersi stabilito nel tuo cervello (a proposito, salutamelo caramente) xD Cooomunque non ho alcuna intenzione di anticipare nulla v.v E, per rispondere alla tua domanda, ho già in mente delle cosucce ma seguo l'ispirazione :D

Come sempre rinnovo l'invito, fatemi sapere cosa ne pensate ^^

Victoire

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Capitolo 15
*** Capitolo XV ***


Capitolo XV



Quando aprì gli occhi ci mise qualche istante per comprendere dove fosse.
Si guardò attorno spaesato, alla ricerca di un appiglio, di un qualcosa che, immediatamente, gli facesse ricordare dove si trovasse.
La testa gli doleva, si sfiorò la fronte con la mano mettendosi a sedere sul grande letto sul quale doveva necessariamente aver trascorso la notte viste le condizioni pessime in cui versavano le lenzuola.
Scese dalla coltre con movimenti lenti, studiati, che gli consentissero di mantenere l’equilibrio precario che possedeva in quel momento.
Si diresse verso il bagno, sapeva perfettamente dove si trovasse questo nonostante non fosse ancora pienamente cosciente del fatto che quella stanza non era altro che la camera della Greengrass in casa Parkynson.
Spalancò la porta senza premurarsi del fatto che qualcun altro potesse trovarsi lì. Quando Astoria gli gettò le braccia al collo barcollò appena e batte le palpebre più e più volte.
- Ben svegliato – mormorò lei senza allontanarsi dal ragazzo
- Devo fare una doccia – tagliò corto lui che, al tocco della ragazza, era tornato pienamente cosciente, o quasi.
La scostò in malo modo non concedendole neppure uno sguardo e lei, dal canto suo, decise che lasciarlo in pace in quel momento fosse una saggia decisione.

L’acqua prese a scendere copiosa sulla testa e il contatto con il liquido gelido lo aiutò a distendere i nervi, a ricordare.

La sera precedente si era svolta la festa di fidanzamento di Blaise e Pansy e fin qui nulla di strano.
Vi aveva partecipato, non molto attivamente a dirla tutta, ma era certamente stata molto meglio di tante altre feste alle quali era stato obbligato a partecipare.
Aveva chiacchierato con poca gente come suo solito e fra questi pochi eletti c’era proprio lei, la Greengrass.
Ricompose i pezzi con lentezza, cercando di rimettere in ordine tutti i particolari e alla fine ci riuscì.
Aveva ballato con lei spinto dall’insistenza di Pansy e Blaise, di quest’ultimo soprattutto.
Aveva passato la notte con lei spinto dall’insistenza dei suoi sensi offuscati dall’alcool quindi, in fin dei conti, non era stata affatto colpa sua.

Quando tornò nella stanza la ragazza non era lì, ringraziò il cielo che così fosse.
Si rivestì velocemente con un completo che Blaise doveva aver fatto confezionare per lui che giaceva lì, adagiato sulla sponda del grande letto.
Varcò la soglia della porta di ingresso e si diresse al piano inferiore di gran carriera, cosa piuttosto strana per i suoi standard.
- Dove diavolo è Blaise? - sbottò, intravedendo Pansy svoltare a destra alla fine del corridoio principale.
Lei si arrestò di scatto e rimase a dir poco interdetta dal tono e, soprattutto, dall’andatura dell’amico.
- Buongiorno anche a te Draco. – lo punzecchiò seccamente – A lavoro. E sospetto che dovresti esserci anche tu – detto questo proseguì diritta scomparendo alla vista del giovane.
Uno sguardo all’orologio da polso gli bastò per dare ragione alla Parkynson, era in ritardo.
Ma a lui, fortunatamente, era concesso anche questo.
Recuperando la solita, placida calma, si diresse verso il giardino, unico luogo, a suo avviso, realmente adatto alla smaterializzazione.


Lasciare l’Italia le era costato molto.
Dover abbandonare quella casa nella quale ogni angolo celava un ricordo era stato davvero un duro colpo per lei.
Nonostante questo non ci mise molto a calarsi completamente nella routine di Londra, nelle strade affollate, nelle giornate grigie.
Aveva comprato un piccolo appartamento nei pressi di King’s Cross grazie al denaro ricavato dalla vendita della casa in Italia; se non avesse rinunciato a questa, infatti, difficilmente avrebbe potuto acquistare una nuova dimora.
Il primo appuntamento della giornata era fissato per le 9.45, guardò l’orologio.
Essendo il largo anticipo decise di approfittarne per recarsi a casa di suo fratello Ronald, la casa londinese ovviamente, per poter parlare un po’ con Hermione.
Non che fossero grandi amiche ma, nell’ultimo periodo, si erano riavvicinate abbastanza.
Quel tanto che bastava per poter fingere di non essere sola in quella città così grande.

Bussò alla porta e attese che qualcuno le aprisse ma non vi fu nessuna risposta.
Insistette ma l’insistenza fu vana.
Rifletté un attimo sul da farsi e decise che sarebbe stato meglio impiegare il tempo in maniera del tutto inconsueta nel rispetto al suo personalissimo tram tram quotidiano ossia camminando.
Superò schiere di villette tutte identiche tra loro, un grande parco e un’altra schiera di villette.
Nonostante il suo passo fosse stato tutt’altro che frettoloso si ritrovò nel luogo dell’appuntamento con circa un quarto d’ora di anticipo.
Prese posto ad uno dei tavolini posti vicino la finestra, un cameriere giunse subito dopo.
- Un Whiskey, grazie
Il ragazzo parve interdetto, la fissò con sguardo severo.
- Mi spiace ma non mi è consentito vista la sua condizione – disse il giovane, con il tono di chi sta recitando a memoria una poesia non molto carina.
Lei lo guardò stranita e assottigliò lo sguardo.
- Come dice prego?
- Mi spiace Madame
Lei scostò la sedia in malo modo e, senza aggiungere neppure una sola parola, si diresse verso l’esterno completamente dimentica del fatto che quell’incontro sarebbe potuto essere davvero proficuo.


Quando giunse a lavoro la segretaria gli rivolse null’altro che un cenno essendo impegnata in un’accesa conversazione con chissachì.
Varcò la soglia del proprio ufficio e si diresse immediatamente verso la scrivania sulla quale erano ammonticchiati dei fogli bianchi
Li scorse velocemente dopo averli presi tra le mani e ne cestinò una buona parte. Quelli rimasti, invece, parevano aver destato particolare interesse nel giovane che, un istante dopo, si accomodò sulla poltrona e, recuperate piuma e pergamena, si dedicò alla stesura di una lettera.
Quando udì il bussare alla porta si limitò a sollevare lo sguardo e a puntarlo sul legno.
- Avanti
Crystal fece capolino e, ondeggiando appena sui tacchi troppo alti, si avvicinò alla scrivania del suo diretto superiore posandovi una pila di giornali.
Erano tutte le edizioni della gazzetta del profeta che aveva richiesto, quelle che non aveva letto essendo stato troppo impegnato a rincorrere un sogno.
- Puoi andare – aggiunse, notando che la ragazza esitava ancora lì dinnanzi prima di concedere la sua completa attenzione agli articoli appena giunti.
Lei si voltò e si diresse verso l’uscita senza emettere un fiato, lui scosse la testa cercando di ricordare per quale motivo l’avesse assunta.
Il motivo gli soggiunse alla mente, era una delle tante figlie di papà alle quali era stato costretto a trovare un occupazione. Ne ricordò l’ondeggiare scomposto, il balbettio insistente e storse il naso.
Aveva appena preso tra le mani la più vecchia delle copie della Gazzetta quando udì una voce conosciuta all’esterno del suo ufficio.
Abbandonò la poltrona spinto da non si sa bene quale intenzione e, giunto al battente, lo aprì.
Dinnanzi a lui c’era un uomo dai capelli rossi e gli occhi chiari che aveva avuto la fortuna di conoscere bene anni prima.
- Accomodati – disse soltanto, prima ancora che il ragazzo si voltasse, facendo sobbalzare appena Crystal la quale stava cercando di comunicare all’uomo appena giunto quanto fosse stato categorico il suo capo riguardo il rifiuto delle visite inaspettate.
- Grazie Draco – Gli tese la mano una volta entrato nell’ufficio.
Lui la strinse e lo fissò lievemente preoccupato.
- Accomodati – disse quindi, indicando una delle due poltrone poste vicino la scrivania.
- Sto bene così – disse l’ospite, ricambiando lo sguardo. - Cosa ci fai qui Bill?
- Gran bella accoglienza Malfoy – ribattè lui caustico.
- Piantala, sai perfettamente cosa intendo – tagliò corto il biondo, senza scostare minimante gli occhi da quelli dell’altro.
- Che fine hai fatto in questi mesi? – domandò quindi Bill, celando a malapena la rabbia.
Draco si irrigidì appena e aggrottò le sopracciglia.
Il rosso infilò una mano nella tasca posteriore dei pantaloni dal taglio sportivo estraendone il portafoglio e lo aprì. Dopo pochi istanti reggeva tra le mani un brandello della Gazzetta del Profeta, a giudicare dei caratteri usati per la stesura.
Malfoy strappò dalle mani dell’interlocutore il brandello di giornale e, subito dopo, si diresse verso la scrivania alla ricerca dell’edizione pubblicata nella data riportata sulla carta.
Non ci mise molto ad individuare la copia, risaliva a mesi prima.
Cercò di ricordare dove si trovasse in quei giorni e, all’improvviso, capì.
Sollevò lo sguardo verso Bill che, muto, era rimasto a fissarlo.
- Come posso aiutarti? -


Prima di tornare a casa si era imbattuta in un negozietto di vini e vi aveva trascorso diverso tempo, accettando anche un paio di bicchieri offerti dal proprietario del locale. Alla fine aveva deciso di non comprare nulla, la tentazione sarebbe stata troppo grande se avesse avuto quella roba in casa.
Una volta infilata la chiave nella toppa fece scattare la serratura e si addentrò nel suo piccolo angolo di mondo.
Riconobbe il canovaccio con il quale aveva asciugato le stoviglie aggrovigliato sulla spalliera di una sedia e sorrise, quella era davvero casa sua nonostante tutto.
Stanca per la lunga e per nulla proficua giornata si diresse verso la camera da letto dove, una volta stesasi sul letto, si addormentò immediatamente piombando in un sonno agitato fatto di donne e uomini dannatamente perfetti, così diversi da quella che era lei.
Si svegliò a notte fonda quando le uniche luci proveniente dalla strada erano quelle dei lampioni. Inutile precisare che le stelle non erano affatto visibili, era una cosa piuttosto frequente a Londra.
Espirò profondamente e pose le mani sui fianchi, dirigendosi subito dopo verso la cucina per tentare di sedare la fame.


La visita di Blaise quella sera giunse completamente inaspettata.
Quando il ragazzo varcò la soglia del suo ufficio però Draco non lo degnò neppure di uno sguardo.
L’amico non fece caso al comportamento del biondo, era da sempre stato abituato ad avere a che fare con lui, con i suoi momenti di rabbia.
Senza essere invitato, quindi, si accomodò sulla poltrona posta di fronte a quella del biondo.
- Pansy mi ha detto che mi stavi cercando – si decise quindi a dire, palesando la ragione della sua visita.
Draco posò il giornale che teneva tra le mani e gli rivolse un primo sguardo, trattenendo a stento l’istinto di ricorrere alla bacchetta.
- Non hai niente da dirmi? – chiese quindi, posando le spalle contro la poltrona e le braccia sui braccioli.
Zabini lo fissò con un sopracciglio alzato – Non ci vediamo da ieri, cos’è che dovrei avere da dirti?
Il biondo rimase in silenzio per svariati istanti prima di rispondere alla domanda tanto ingenua dell’amico.
- Come mai ieri Daphne non era alla vostra festa?
Se qualcun altro fosse stato presente nella stanza non avrebbe di certo notato l’irrigidirsi lievissimo dei lineamenti dell’ex serpeverde. Draco, invece, conoscendo a menadito ogni gesto del ragazzo sollevò l’angolo delle labbra in quello che parve, e che era, una sorriso di scherno velato dalla sua solita grazia.
- Era impegnata – cercò di tagliare corto il moro
- Con San Potter forse?
Blaise spalanco le palpebre e rimase immobile, con lo sguardo di Draco piantato negli occhi. Solo in quel momento comprese quanto l’amico fosse arrabbiato.
Capì di essere in pericolo quando vide la mano di Draco stringere la bacchetta.
- Posso spiegarti
- Farai meglio a sbrigarti allora. La mia pazienza ha un limite


La fame andò via così come era arrivata e lei si ritrovò lì, sul divano del proprio salotto con lo sguardo puntato sulle pagine di un libro che da troppo tempo aveva iniziato a leggere.
Era un regalo di Hermione, il regalo che lei le aveva fatto per scusarsi di tutti quegli anni passati lontana da lei, per quei momenti in cui ci sarebbe dovuta essere e invece non c’era stata.
Ricordò il biglietto di scuse di Hermione, il suo sguardo addolorato quando aveva appreso della notizia.
Erano in pochi a conoscere la verità ed Hermione non era certo una di quelle.
Chiuse il libro con un schiocco secco e lo gettò via, incurante del fatto che i proprietari dell’appartamento del piano di sotto potessero dormire vista l’ora tarda.
Quando sentì bussare alla porta si maledisse in silenzio e maledisse Hermione per averle regalato quel libro.
Si avvicinò all’uscio con passo svelto e scostò il battente senza premurarsi di controllare chi fosse.
- Scus..-
Le scuse le morirono sulle labbra mentre, incredula, fissava il ragazzo che le stava dinnanzi.
- Posso entrare? – le domandò lui.
- Dovrei dirti di no
- Si, forse dovresti
La ragazza si scostò dall’uscio e indicò l’interno della casa.
Passarono il resto della notte a parlare, a raccontare di come fossero cambiate le cose in quei mesi.
- Come hai fatto a trovarmi?
Lui voltò il capo verso la finestra, era mattina ormai. Ci mise qualche attimo a rispondere
- Mi ha aiutato un amico
- Harry sa dove sono? - chiese lei, seccata
- Chi ti dice che sia stato lui?
Gin ci rifletté un attimo.
Chi altri avrebbe potuto scoprire dove fosse senza che lei se ne rendesse conto?








Spazio Autrice

Maricuccia: Sei perdonata, ma solo perchè hai recensito ambo i capitoli xD scherzi a parte continua così, mi piace vedere il numero delle recensioni aumentare xD Tornando al capitolo scorso si, hai perfettamente ragione.
"Un viaggio nella sua mente" sarebbe stato un titolo adatto se avessi dato un titolo al capitolo.


Sarawinky: non so da dove sia saltata fuori l'idea dell'albero, come mio solito ho seguito l'ispirazione.
Ho scoperto di amare l'idea di lui, ingenuo, indignato dai "sorrisi" delle rispettive mamme. Sono contenta che la mia Ginny ti piaccia e si, come puoi vedere è tornata finalmente a fare da protagonista alla storia ^^

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Capitolo 16
*** Capitolo XVI ***


Capitolo XVI




- Da quanto tempo va avanti questa storia? – il tono di Draco non ammetteva repliche che non fossero utili a comprendere quanto fosse accaduto.
Zabini esitò, voltando lo sguardo verso il pavimento. – Saranno due o tre anni?
E fu solo in quel momento che la maschera di cera cascò; per la prima volta il suo ex- concasato poté vedere reale stupore dipinto sul volto, giusto per un istante.
- Verme – unico commento, sibilato tra i denti, unico parola adatta a descrivere Harry Potter.
Draco si diresse verso la grande finestra, alle spalle della sua scrivania e puntò lo sguardo lontano, molto più lontano dell’orizzonte, mentre la mano sfiorava insistentemente il davanzale in marmo.
Il moro, notando l’assenza di Malfoy, realizzò che quello sarebbe stato l’unico momento in cui gli sarebbe stato consentito scappare. Si alzò dalla poltrona ma, sfortunatamente, la fece strisciare sul pavimento, provocando un rumore perfettamente udibile.
Il proprietario dello studio si voltò con tutta calma.
- Voglio sapere perché non me l’hai detto – decise di sorvolare su quanto appena udito, Zabini si era rimesso a sedere.
- Non credevo ti interessasse tanto – rispose lui con noncuranza, sollevando le spalle.
La mano di Draco strinse la bacchetta, la sentiva fremere tra le mani.
Il disgusto sul volto dell’erede di casa Malfoy fu palese – Sei un idiota – commentò soltanto, dandogli nuovamente le spalle e puntando gli occhi sulla Londra sottostante nella, ne era perfettamente consapevole, vana speranza di intravedere una ragazza ormai donna dai capelli vermigli
.




Non avrebbe mai scommesso neanche uno zellino sul fatto che un giorno, dopo così tanto tempo, suo fratello Bill potesse decidere di voler nuovamente vederla, andando contro la restante parte della famiglia Weasley.
Pensava che i suoi fratelli non l’avrebbero mai lasciata, che non si sarebbe mai trovata con le spalle al muro con loro, ma si era sbagliata evidentemente.
I suoi genitori? Beh, loro erano stati quasi costretti a sposare la volontà dei propri figli, avevano scelto di sacrificare lei piuttosto che tutti gli altri; non ce l’aveva con loro, non più.
Il rancore aveva lasciato il posto ad un vuoto, un angolo occupato ormai unicamente da ricordi.
Brandelli di giorni, frammenti di anni.

- Dovresti riposare adesso
 Lei incurvò le labbra in un sorriso. – Non adesso che ti ho ritrovato -.
Si strinsero l’uno nelle braccia dell’altra, per quanto era possibile ovviamente.
Mi sei mancato.

Bill puntò lo sguardo verso il basso.
- Sta diventando piuttosto ingombrante
Lei annuì, silenziosa come poche volte nella sua vita era stata.
- Cosa c’è? – lui la fissò, insistente.
Ginevra si sedette di fianco a lui, sul divano che troneggiava in salone.
- E’ difficile parlare dopo.. quando sei abituata a tacere, ecco
L’espressione che comparve sul volto del primogenito di casa Weasley fu un misto di rabbia e tristezza.
- E non so neppure da dove cominciare – terminò lei, sollevando le spalle.
- Allora proviamo in un’altra maniera. Io ti faccio una domanda e tu.. beh, tu mi rispondi.
Lei annuì mentre il cuore cominciava ad accelerare.



Lasciò Zabini libero di andare via, lui non gli interessava più.
La mente era concentrata su qualcosa di molto più importante, situata a diversi chilometri da lì.
Si smaterializzò senza neppure avvisare la sua segretaria, avrebbe dovuto sbrigarsela da sola con coloro i quali si sarebbero presentati nel suo studio.
Arrivò a casa e si guardò attorno, come se si aspettasse di trovare qualcosa di diverso ma nulla era mutato; sulla spalliera della poltroncina c’era ancora poggiata la cravatta usata la mattina prima, prima delle festa insomma.
Si passò una mano fra i capelli e cercò di ignorare con tutte le sue forze la fitta che gli stava attanagliando lo stomaco ma non ci riuscì. Gli venne la nausea.
Si diresse con passo svelto verso il piano superiore, dov’era situata la guferia, alla ricerca di Noctis.
Sul pavimento c’erano tracce del suo ultimo pasto, brandelli di topo.
Si sporse dalla finestra, guardò a destra e sinistra ma nulla.
Dette le spalle all’orizzonte, poggiando la zona lombare contro il davanzale e finalmente lo udì.
Percepì il tanto familiare stridio e si voltò sorridendo.
Preparò il braccio affinchè Noctis potesse usarlo come trespolo e, ancora una volta, il volatile non lo deluse. Si appollaiò con calma, gli sembrò quasi che non stringesse gli artigli per non fargli male.
Lo portò con sé in ufficio dove, spontaneamente, il falco andò a posarsi sulla libreria più alta.
Draco, con atteggiamento febbrile, recuperò la carta da lettere e buttò giù poche righe che si gillò con la ceralacca verde scuro sulla quale impresse il simbolo di casa Malfoy.
- Noctis?
L’uccello obbedì, si posò sullo scrittoio e gli tese la zampa.



Il solo pensiero di ripercorrere tutto quello che aveva cercato di dimenticare la sconvolgeva.
Sapeva di essere resina, incapace di cancellare ciò con cui era venuta a contatto.
- Quando è iniziato tutto?
Lei inspirò profondamente e lentamente, tenendo gli occhi chiusi. Le labbra si schiusero emettendo una flebile voce. Voltò lo sguardo verso di lui, puntandoglielo negli occhi.
- Iniziato? – Scosse il capo – c’è sempre stato Bill. Sempre. –
Il rosso attese.
- Siamo sempre stati molto legati, sin dai tempi di Hogwarts.
- Questo lo so – affermò il ragazzo.
Ginevra parve contrariata, lo guardò socchiudendo le palpebre. – Davvero?
Bill annuì. – lo sanno tutti Ginny
Gli occhi della ragazza si spalancarono di colpo.  – Tutti? Cosa intendi dire con tutti?
- Insomma Gin! Eravamo tutti presenti al vostro matrimonio!
La ragazza accusò il colpo arrossendo violentemente, il cuore martellante nel petto.
Si rese conto di essersi tradita ma oramai era troppo tardi.
- Gin?
Nessuna risposta.
- Ginevra?
Ancora nulla.
Bill la afferrò per le spalle e la scosse appena. Lei riaprì gli occhi. –Insomma, vuoi rispondermi o no?
- Bill, io.. non parlavo di Harry.
Il fratello maggiore scosse il capo, come a voler mandar via un insetto molesto – Che..che cosa? –
- Parlavo di Draco. -
Lui parve quasi bloccarsi. Fece per ribattere ma un gesto di sua sorella lo blocco.
Sollevò il palmo delle mano per dirgli di aspettare.
In quel momento, solo allora, si rese conto di quanto sua sorella fosse cresciuta.
Del fatto che non fosse più la ragazzina dai capelli arruffati e le ginocchia sbucciate.
Sentì il suo essere donna.
Il momento fu interrotto da un rumore sommesso, un battere contro i vetri.
Ginevra si voltò stranita, alla ricerca della fonte del rumore.
Nonostante non lo vedesse da tanto, troppo tempo,  riconoscerlo fu semplice.
- Noctis –  sussurrò.
Superò l’incredulità a scattò in piedi ma, quando aprì la finestra, il falco passò oltre dirigendosi verso Bill.











Angolo dell' autrice

Mi scuso per la lunga assenza con tutti coloro i quali hanno letto la mia storia e ne aspettavano il seguito.

In ogni caso, fatemi sapere cosa ne pensate dell'evoluzione.

                                                                                                   Victoire

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Capitolo 17
*** Capitolo XVII ***


Capitolo XVII





Dopo aver lasciato volar via Noctis tornò alla propria scrivania, prese posto dalla parte normalmente riservata agli ospiti; schiena aderente alla spalliera, gomiti puntellati sui braccioli e mani congiunte tra loro a nascondere le sue labbra. Gli occhi erano fissi sullo scorcio di orizzonte che si intravedeva dalla finestra, il falco oramai non era più visibile.
Tentò disperatamente di porre ordine tra i propri pensieri, si sforzò di ripercorrere quanto accaduto da quando aveva smesso di vedere Ginevra, di scavalcare quel muro che aveva eretto con fatica, l’unica difesa da ciò che provava per lei. Non era ancora riuscito ad ammettere a sé stesso che fosse un sentimento, sapendo bene ciò che quell’ammissione avrebbe comportato.
Spazientito diede un pugno all’incolpevole poltrona e si alzò con fare nervoso.
Si guardò attorno e lo assalì la voglia di distruggere la perfezione nella quale era solito collocarsi, di abbandonare quella casa all’istante o, ancor meglio, di distruggerla. Di ricostruire tutto dalle fondamenta, inventando una vita completamente diversa dalla sua.
A destarlo da quei pensieri di distruzione e rinascita fu il rumore sommesso prodotto da nocche sulla porta di ingresso. Draco spalancò gli occhi e, con espressione stupita, si diresse verso l’ingresso. Non aspettava nessuna visita, tantomeno alla servitù era concesso di disturbarlo quando era lì, nel suo studio.
Aprì la porta sforzandosi di ripristinare la solita espressione algida sul suo volto; dopo pochi istanti, però, fu addirittura costretto a schiudere leggermente le labbra e a battere più volte le palpebre, lentamente, per convincersi che chi aveva davanti non fosse frutto di un sogno ad occhi aperti.
 
 
 
Bill liberò immediatamente il gufo, lo conosceva bene esattamente come sua sorella.
Ginevra, dal canto suo, rimase immobile per qualche istante studiando gli avvenimenti da tutte le angolazioni possibili. Si ritrovò ad estraniarsi dalla stanza, a perdere l’espressione incredula che comparve subito dopo aver letto la missiva sul viso di Bill, non vide i suoi lineamenti irrigidirsi.
Il maggiore di casa Weasley, abile qual’era, non lasciò trapelare più nulla dopo quell’istante.
Quando Gin si riscosse puntò gli occhi sul destinatario della lettera, negli altrui occhi, con sguardo severo.
- Non credi di dovermi una spiegazione? – spazientita, la voce tremante per l’agitazione.
Bill esitò un attimo ma quell’attimo fu sufficiente per far aumentare quel sentimento di rancore.
- Mi devi una spiegazione! – strillò, incurante del fatto che i vicini potessero sentirla.
Il rosso di alzò e tese la mano verso di lei che, involontariamente, indietreggiò.
- Cosa ti prende adesso?
Ginevra strinse le labbra, combattendo contro la voglia di piangere; chiuse gli occhi, inspirò profondamente ed ebbe fortuna. Ingoiò le lacrime.
- Siediti, sarà una storia lunga – affermò il ragazzo prendendo posto sul divano ed invitando con la mano la sua sorellina a sedersi accanto a lui.
Dopo un attimo di esitazioni la ragazza prese posto accanto a lui, la schiena diritta e le mani strette in grembo, la mascella contratta e gli occhi, ormai lame, puntati su Bill.
 
 
 - M.. Madre?
Narcissa sorrise lievemente, intimamente felice dell’espressione stupita sul volto del suo unico figlio.
- E’ piuttosto sconveniente rimanere sulla porta, non trovi anche tu?
Draco, ancora frastornato, udì le parole della madre come fossero un’eco lontana e si scostò per lasciarla passare. Inspirò il suo odore, così caratteristico, quel profumo creato per lei da un artigiano francese durante una vacanza compiuta ormai molti anni prima ma che, da allora, lei non aveva più smesso di utilizzare.
Il padrone di casa dette un rapido sguardo alla stanza per controllare che fosse tutto in ordine, preso dal terrore che la donna potesse individuare qualcosa di sbagliato.
- Come stai? – chiede quindi la donna voltandosi verso di lui.
- Bene – mentì lui.
Narcissa si lasciò sfuggire un risolino e scosse il capo; sollevò gli occhi e li puntò in quelli del figlio. – Non smetterai mai di tentare di dirmi bugie – affermò lei, divenuta ormai immobile.
Draco scostò lo sguardo e invitò, con un gesto della mano, sua madre a prendere posto. Stava per dirigersi dall’altra parte della scrivania, per frapporre il legno tra lui e sua madre, quando la donna gli afferrò il polso con tocco leggerò che, però, basto per trattenere il ragazzo. – Siediti qui – disse al figlio, indicando la poltrona posta di fronte a quella sulla quale lui l’aveva fatta accomodare.
Lui obbedì, Narcissa si sporse in avanti e prese ambo la mani del figlio tra le proprie, morbide e minute. – Raccontami tutto – affermò dunque, con un tono tanto delicato quanto deciso.
 
 
 
- Il giorno del tuo matrimonio rimasi stupito dall’arrivo di Malfoy; eravamo tutti in giardino, la mamma stava dando di matto perché ti eri chiusa in camera e rifiutavi di uscire o di farla entrare.
Bill ammorbidì la postura poggiandosi allo schienale-
Ginevrà tornò a quel giorno nonostante le costasse molta fatica in quel momento.
- Rimasi sconcertato dal fatto che tu avessi però lasciato entrare lui; sapevo fosse un tuo amico ma ero convinto che fosse uno qualunque, uno dei tanti altri studenti di Hogwarts.
La rossa, involontariamente, portò la mano al petto. Sotto la camiciola leggera, legato ad una catenina che terminava tra i seni, c’era il regalo di Draco.
Suo fratello strinse gli occhi concentrandosi sul gesto della ragazza ma lei, con un gesto della mano, lo invitò a continuare.
- Ci disse di doverti portare il proprio regalo..
 
 
- ..di nozze. L’avevo disegnato io stesso. –
- Mi piacerebbe vederlo – asserì la donna.
- Dubito sia possibile; dovrebbe essere in suo possesso, a meno che non se ne sia liberata, ovviamente – Affermò Draco, fermamente convinto che l’ultima ipotesi formulata fosse la più veritiera.
Sua madre sollevò le sopracciglia in un gesto fluido a lui perfettamente comprensibile. Suonava molto simile a “smettila con queste sciocchezze”. – Va avanti
Il ragazzo sorvolò su come si fosse sentito durante la cerimonia,dimenticò di riferirle quanto avvenuto quella stessa sera, sotto la cortina del salice.
- Ci siamo scritti per lungo tempo, sin dal giorno dopo il matrimonio – storse le labbra nel pronunciare quella parola. – ma, un giorno, ho notato qualcosa di strano. C’era qualcosa che non andava ma lei non voleva dirmi di cosa si trattasse allora decisi di raggiungerla..
 
 
- ..in Italia. Perché decidesti di trasferirti lì? Nessuno seppe trovare una risposta; quelle date da te ed Harry erano volutamente evasive, dimmi se mi sbaglio.
- Non sbagli – Affermò lei, scuotendo appena il capo.  Chiuse gli occhi accusando il colpo portò la mano sul suo ventre.
Bill si protese istantaneamente verso di lei. – Ti senti bene? – visibilmente preoccupato.
- Si, sta tranquillo. E’ normale che un bambino si muova –  asserì, ironica.
Il rosso si passò una mano sulla fronte, sollevato. – L’importante è che tu non decida di partorire proprio adesso. Sai com’è, ho visto la mamma essere sul punto di farlo troppe volte
I fratelli Weasley si guardarono e, dopo un istante, risero.
Bastò un ricordo familiare per entrambi, il ricordare il calore del luogo in cui erano cresciuti. Bastò pensare che, nonostante tutto, Molly e Arthur non avessero mai fatto mancare loro nulla.
Ma Gin si rabbuiò subito, quella era una parte della sua vita finita diverso tempo prima.
Bill allungò una mano ponendogliela sulla spalla.
- Sistemeremo tutto sorellina – affermò convinto guardandola negli occhi.
Lei inpirò profondamente, facendo ricomparire un’espressione piuttosto serena.
- Dove eravamo rimasti? – domandò quindi, curiosa di conoscere il resto della storia.
- Hai ragione. Quando vidi per la prima volta Noctis non seppi davvero come interpretare il suo arrivo ma lo compresi non appena decisi di rompere la ceralacca – Bill si alzò, prese a camminare per il salotto con passi lenti, cadenzati. – Era preoccupato per te. Era convinto che ci fosse qualcosa che non andava, fermamente convinto di quanto aveva notato. A nulla valsero i miei tentativi di dissuaderlo, di non comunicargli il tuo indirizzo.
- Era testardo – Aggiunse lei, rassegnata, puntando gli occhi nel vuoto.
- E lo è ancora
La veemenza del tono di Bill la ridestò. – Cosa intendi?
- Intendo che.. per Silente, Gin.. possibile che tu ancora non abbia capito?
 
 
 
- Mi sono rivolto a suo fratello maggiore, è l’unico di quella famiglia che mi ispiri fiducia. Gli ho chiesto di tenerla d’occhio nonostante non avessero più rapporti. –
- E lui ha accettato? – domandò quindi Narcissa, ancora con gli occhi puntati in quelli chiari del figlio.
- Si, lo ha fatto.  Ma gli ho impedito di dirmi qualunque cosa riguardasse.. lei. Mi sono accontentato di sapere che lui potesse controllarla, potesse starle vicino, potesse fare quello che a me non era stato concesso.
La donna annuì, comprensiva. Non emise fiato, aveva paura di interrompere irrimediabilmente il racconto di suo figlio, era la prima volte che le apriva il cuore.
Draco scostò la mani di sua madre e si alzò, dirigendosi verso la finestra, le mani nascoste nelle tasche dei pantaloni.
Le raccontò dell’arrivo di Bill nel suo ufficio, di come quel brandello di giornale risalente a mesi prima sul quale erano riportate foto dello Sfregiato e della Greengrass, prove inconfutabili della di lui infedeltà, di tutte le sensazioni che Draco aveva provato con così largo anticipo rispetto alla data di uscita di quel giornale. Si perse, tornando indietro nel tempo, nella descrizione di Camille, la bella cameriera italiana. Ricongiunse i pezzi del puzzle sotto gli occhi di una Narcissa sempre controllata ma incredula.
 
 
 
- Ho usato i suoi mezzi per trovarti, non sarei mai riuscito a farlo senza; sei brava a nasconderti.
Ginevra sollevò l’angolo delle labbra, frastornata da quanto aveva appreso, schiacciata dal peso di quanto aveva ignorato fino ad allora.
- Quindi sa che sono qui? – la rossa scattò in piedi, spaventata.
Bill la osservò per qualche istante – Ma cosa diavolo ti prende? – le chiese quindi, spazientito. – E’ grazie a lui che ho potuto proteggerti fino ad ora e ti preoccupi del fatto che lui potrebbe sapere dove sei? – lo urlò quasi il primogenito, leggendo mancanza di riconoscenza nell’operata di sua sorella.
- SA CHE SONO QUI? – domandò ancora, esasperata, iniziando a sudare freddo.
 
 
 
 
- Quindi non sai dove sia – concluse Narcissa.

 
 
 

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Capitolo 18
*** Capitolo XVIII ***


Draco scosse lievemente la testa, non lo sapeva. Aveva stretto con Bill un patto di segretezza che non poteva essere violato, un patto molto più forte dei comuni patti di sangue. Dalla bocca del ragazzo non poteva uscire neanche un fiato riguardante Ginevra in sua presenza, per questo motivo era stato costretto a portargli il brandello della Gazzetta del Profeta il giorno prima.
Il biondo si immobilizzò, gli sembrava fosse passata un’eternità.
Infilò le mani nelle tasche dei pantaloni, le chiuse a pugno. La stoffa si tese sulle nocche.
Espirò schiudendo le labbra per tentare di allentare la tensione ma l’unica cosa che ottenne fu un alone sul vetro, un’opacità priva di alcun senso.
Gli sembrava di guardare attraverso un banco di nebbia. La nebbia di Londra.
Voltò il capo a sinistra, verso sua madre, ma la donna l’aveva lasciato solo. Percorse inutilmente la stanza con lo sguardo. L’aveva lasciato solo, ancora.
La frustrazione gli attanagliò lo stomaco.
- Vuoi un tè?
L’erede di casa Malfoy sobbalzò, voltandosi con gli occhi sgranati.
- Pensavo..
Narcissa scosse il capo, l’aveva lasciato solo troppe volte per decidere di farlo anche in questa occasione.
Le labbra di Draco si incurvarono leggermente e la mente, in maniera involontaria, ripercorse quelle frazioni di giorni in cui sua madre era stata mamma. Gli parvero condensarsi lì, davanti a lui.
Presero posto nell’elegante salottino posto di fianco alla scrivania, dinnanzi al camino.
Sorseggiarono il tè con calma, senza parlare. Ma si fissarono.
Intrapresero un dialogo muto l’uno con l’altra; per la prima volta compresero che capirsi non fosse poi tanto difficile.
 
 
Non aveva mai visto Bill così arrabbiato. Lo sguardo si era fatto cupo, le sopracciglia aggrottate. I lineamenti si erano irrigiditi ed erano divenuti quasi meccanici. Non le staccava neanche per un istante gli occhi di dosso, non aveva intenzione di andar via senza una risposta da sua sorella, una frase che giustificasse il suo comportamento.
Lei sedeva sul bordo del divano, con le mani in grembo e la testa bassa. Era rimasta immobile, persa in non si sa quali pensieri.
Il fratello, a gambe larghe e braccia conserte, era proprio davanti a lei.
Quando Ginevra si decise a sollevare lo sguardo gli occhi erano due luoghi scuri e profondi, intorbiditi. Quella limpidezza che li contraddistingueva era scomparsa del tutto.
- Mi devi delle spiegazioni – asserì il ragazzo con tono rigido.
Lei scosse il capo. Strisciò lateralmente sul divano e si alzò, dando le spalle a Bill e dirigendosi verso il bagno. Lui non la fermò, decise che aspettare sarebbe stata la strategia migliore.
Prese posto sulla poltrona e attese mentre al di là delle finestre poteva scorgere i bagliori dell’alba.
 
Dopo essere entrata in bagno Ginevra si chiuse la porta alle spalle, il suono della mandata la rassicurò.
 Espirò, le mani in vita e gli occhi chiusi. Si sedette sul bordo della vasca da bagno, proprio accanto agli accappatoi; Nonostante infatti vivesse da sola lì se ne contavano due. Uno semplice, color glicine, e l’altro ancor più semplice se non fosse stato per il serpente e le iniziali che vi erano riportate. Strinse tra la mani la spugna, vi affondò dentro il viso. Il petto cominciò a sussultare.
Pianse. Lacrime silenziose bagnarono le gote e vennero assorbite da ciò che si era premuta sul viso.
 
 
 
Draco ripose la tazza sul vassoio producendo un lieve tintinnio. La madre inclinò il capo in finto segno di rimprovero.
- Quante volte ti ho detto..
- Tante. – la interruppe il ragazzo. E proseguì – Quindi secondo te si trova a Londra
La donna annuì, imitò il gesto compiuto dal ragazzo poco prima e liberò le mani dall’ingombro della tazza.
- E dovrei vederla – asserì lui, piuttosto titubante.
- Certamente. Se dovesse aver bisogno di te?
Gli occhi di Draco si sgranarono. Bisogno. In tutto quel tempo aveva volutamente ignorato quella parola. Era quella che meglio riusciva a descrivere ciò che sentiva lì, al centro dello stomaco, quella stretta costante che lo accompagnava da quando aveva deciso di allontanarsi da lei.
- Non è così semplice – il biondo scosse il capo. Pose i palmi sulle proprie cosce, pronto ad alzarsi, ma bastò un tocco lieve della madre per fermarlo; gli sfiorò il ginocchio e lui obbedì, rimanendo fermo. Teso, con la schiena diritta. Le nocche divennero, per quel che possibile, ancora più bianche del solito.
 
 
Quando la lacrime smisero di fluire la donna si alzò, rischiando di perdere l’equilibrio. Si aggrappò con la mano all’accappatoio di Draco. Voltò lo sguardo e incontrò il serpente simbolo della casata.
- Tu mi salvi sempre – bisbigliò.
Recuperato completamente l’equilibrio si diresse verso la finestra e la spalancò.
La nebbia non era ancora scesa, il banco era alto, lasciava godere della vista di Londra.
Richiuse l’imposta e aprì l’acqua della doccia. Aveva bisogno di uscire, di camminare. Aveva bisogno di acqua per lavar via i pensieri che le si affastellavano nella mente.
Lasciò i vestiti cadere in malo modo sul pavimento e rise quasi al pensiero d ciò che Lui avrebbe potuto dire vedendoli.
Alzò la testa verso il getto d’acqua, chiuse gli occhi. Immobile attese che il liquido espletasse il suo effetto ristoratore.
Portò una mano al ventre ormai tutt’altro che piatto.
Il bambino scalciò. Succedeva sempre quando le capitava di pensare troppo.
 
Noctis tornò da lui senza alcuna risposta legata alla zampa.
- Ottimo – commentò sarcastico il ragazzo.
Carezzò la testa dell’animale che, istantaneamente, chiuse gli occhi.
- Vuoi tornare di sopra? – il falco gli restituì uno sguardo che Draco ben conosceva.
- Viziato – commentò. Lo lasciò volar via, fuori dalla finestra, alla ricerca di qualche preda.
Narcissa era andata via, aveva delle commissioni da sbrigare gli aveva detto.
Era nuovamente rimasto solo, incapace di decidere cosa fare.
Maledisse l’alba, il sole che lento colorava il cielo.
Il mondo continuava a scorrere e lui era ancora lì, preda di quella immobilità fastidiosa che nell’ultimo periodo lo aveva contraddistinto.
Cercò di mettere ordine tra le cose da fare ma scoprì di averne ben poche. Dette uno sguardo all’orologio, era ancora troppo presto per andare a lavoro.
Avrebbe fatto un bagno caldo, si sarebbe vestito e, come al solito, sarebbe giunto con minuti d’anticipo al suo ufficio. Avrebbe salutato quella sottospecie di segretaria che si ritrovava con un gesto e sarebbe scomparso dietro la porta di mogano.
Questa routine era riuscita a farlo andare avanti per tutto quel tempo.
C’era solo un piccolo, piccolissimo, dettaglio; Non appena anche solo una frazione di quel modus vivendi risultava essere alterata i suoi nervi cedevano. La cortina che si era volutamente creato attorno lasciava penetrare la nebbia.
Si bloccò mentre si dirigeva verso il bagno, voltò verso la scrivania e cercò con movimenti febbrili ma precisi, un brandello di carta su cui aveva appuntato un indirizzo.
Il ghigno che gli comparve sul volto fu tutt’altro che rassicurante.
Avrebbe volontariamente rotto la routine prima che la nebbia potesse immobilizzarlo.
Avrebbe trovato Potter.
 

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Capitolo 19
*** Capitolo XIX ***


Capitolo XIX 




Nonostante quanto accaduto quell’alba sopraggiunse esattamente come le precedenti e Draco non mancò di stupirsi di come il mondo non mutasse affatto nonostante quanto gli stava accadendo, nonostante il tumulto interiore che lo stava avvolgendo e travolgendo.
Il brandello di carta sul quale aveva appuntato tempo addietro l’indirizzo di Potter era rimasto imbrigliato tra le fila della sua memoria, lo rivedeva ogni momento dinnanzi ai propri occhi e ciò rendeva la sua volontà ancora più febbrile.
Scelse di smaterializzarsi a diversi isolati dalla casa in cui il Bambino Sopravvissuto risiedeva con la sua attuale compagna Daphne Greengrass e prese a camminare lentamente verso il civico 14 di Southern Street. Perfetto attore qual’era riuscì a celare per tutto il tragitto il tumulto interiore, mostrandosi fiero ad altero, mantenendo l’andatura tranquilla e silenziosa e la fluidità dei movimenti.
Quante volte Ginevra, così goffa e impacciata, gli aveva chiesto come facesse a non mutare?
Beh, a dire il vero le esatte parole erano sempre: “ ma come diavolo fai? Saresti capace anche di scagliare un Avada Kedavra senza toglierti quell’aria da spocchioso damerino dalla faccia.
La frase, negli anni, si era ripetuta innumerevoli volte pressoché immutata.
Draco si trovò a sorridere, con quel sorriso sghembo che, se solo lei avesse potuto vederlo, le avrebbe acceso lo sguardo.
Con la coda dell’occhio l’erede di casa Malfoy, ormai tornato alla realtà, notò due numeri in ceramica fissati accanto alla porta di ingresso di una villetta piuttosto anonima. Si voltò con tutto il corpo verso la dimora, affondò le mani nelle tasche dei pantaloni scuri e la percorse con lo sguardo.
Due piani, piuttosto ordinaria. Le imposte erano chiare, la facciata grigia così come le tegole, il giardino curato senza gusto alcuno. Strinse le labbra e scosse appena il capo, in un gesto misto di disprezzo e compassione. Infondo non ci si può aspettare altro da chi è solito confondere ginestre e rose di campo.
Nonostante fosse momentaneamente perso nella rievocazione di un ricordo notò il lieve fluttuare di una tenda e fu facile immaginare chi vi si celasse dietro. Afferrò la bacchetta con la destrorsa e, incurante dei possibili passanti, si diresse verso l’uscio.
 


Quando tornò da suo fratello pareva quasi rinata.
 I capelli ricadevano, sciolti e composti, sulle spalle fasciate da un abito blu molto semplice completato sotto il seno da una fascia panna.
Bill le sorrise, era tremendamente bella.
La fissò per qualche istante, incerto sul da farsi, ma lo sguardo della ragazza lo incoraggiò a non trattenersi.
- Va meglio? – domandò cauto.
 Gin sospirò e, mentalmente, si dette una risposta. Una manciata di parole che le fece guardare la situazione con sguardo nuovo. – Facciamo in modo che sia così – ribattè, risoluta.
Nella testa continuavano a rimbombarle delle parole, sentite chissà dove, “ perché la situazione muti, qualcosa deve cambiare”.
 


Non ebbe bisogno di suonare il campanello né di sfondare la porta.
Con suo grande stupore Potter si presentò sull’uscio quando lui era ancora a metà del vialetto di ingresso.
- Malfoy – lo salutò, con un gesto del capo. - Era tempo che aspettavo una tua visita – continuò Harry.
Udendo il suo nome Draco strinse maggiormente la presa sulla bacchetta e, quando il seguito della frase giunse alle sue orecchie, un ghigno gli si stampò sul volto.
Non crederai forse che la mia sia una visita di cortesia. – Si fermò un attimo e riprese – Prendi la bacchetta, vigliacco
Il padrone di casa lo osservò senza mutare espressione, perfettamente immobile.
La calma di Draco cominciava a vacillare, stava per perdere il controllo e ne era perfettamente al corrente.
- E’ veramente necessario? – ribatté il moro.
- Come osi? Stupeficium! – L’incantesimo di Draco mancò Harry per un soffio e distrusse uno dei grandi vasi posti accanto all’ingresso.
Nonostante fossero passati anni il Bambino Sopravvissuto era rimasto abile nell’unica cosa che, da sempre, gli era riuscita perfettamente ossia schivare i colpi.
Non era un uomo, e non era stato un ragazzo,  “da battaglia” contrariamente a quanto pensavano i più ed era anche per questo che Draco l’aveva sempre disprezzato così vistosamente.
- Possibile che tu voglia ancora ingaggiare duelli come se fossimo ragazzini? Diamine Malfoy!
Il biondo sgranò gli occhi, lo guardò allibito e incapace di compiere movimenti.
Si passò una mano tra i capelli e fissò Harry.

Cosa avrebbe ottenuto?
Tanta soddisfazione, certo.

Ma era davvero quello che voleva?

L’uomo di fronte a lui parve leggergli nel pensiero. 
Non sono io il centro dei tuoi pensieri, non lo sono neanche mai stato. E’ lei che vuoi.
Un brivido gli percorse le membra, tornò presente.
Dare ragione a Potter gli costava molto. Rimase in silenzio e fece per voltarsi ed andar via, imitato dal moro.
Un paio di passi gli furono sufficienti per assicurarsi incolumità.
Si voltò svelto verso l’uscio e, senza scomporsi, mimò con le labbra uno Stupeficium.
Harry batté violentemente contro il cardine della porta e si afflosciò sul pavimento; Draco gli fu vicino con uno scatto, fletté le gambe inginocchiandosi accanto a lui e sussurrò un altro incantesimo.
- Oblivion. -
 
I due fratelli si diressero, l’uno di fianco all’altra, verso una direzione tacitamente concordata e Gin fu molto sorpresa di come con Bill, nonostante fossero passati degli anni, nulla fosse mutato.
La tensione della rossa era visibile, il pugno della mancina era stretto e, nonostante le unghie le stessero lentamente lacerando la carne, la ragazza non accennava a volerlo allentare.
Quando lo sguardo del primogenito si posò sul pugno della sorella, lui scosse il capo e sorrise appena, incurvando i bordi delle labbra.
- Ti prendi gioco di me? – domandò Ginevra, senza neppure voltare lo sguardo verso di lui.
- No Madame – la canzonò lui, guadagnandosi un pugno sulla spalla.
Svoltarono in un vicolo secondario e si posero uno di fronte all’altra.
La giovane donna abbassò lo sguardo e, un istante dopo, Bill le afferrò ambo le mani.
Quando i loro sguardi si congiunsero fu lui a parlare.
- Ce la farai. La Tana. -

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Capitolo 20
*** Capitolo XX ***


La smaterializzazione le sembrò durare un'eternità. Troppi erano i pensieri che le si affastellavano nella mente, troppa la voglia di porre fine a tanti anni di incertezza, dolore e solitudine ed, al contempo, troppa la paura.
Non appena posò i piedi sul prato antistante casa sua, la sua casa da bambina, strinse forte gli occhi e le mani del fratello.
Fece uno sforzo immenso per non farsi travolgere dai ricordi, da mille scene vissute lì assieme alla sua famiglia. Qualche immagine sfuggi dallo scrigno nel quale le aveva relegate tutte regalandole un sorriso di sua madre, un abbraccio di suo padre ed una tazza di cioccolata calda bevuta davanti al camino una mattina di natale di tanti anni prima, quando tutta la famiglia aveva già indossato i terribili maglioni confezionati da sua mamma.
Trasse un profondo respiro ed aprì gli occhi. Trovò Bill dinnanzi a se, immobile a fissarla.  Agganciò gli occhi a quelli di lui e, improvvisamente, le parve di trarre forza da quel contatto. Annuì con il capo, lasciò le mani del fratello e si diresse verso l'ingresso.  Toc toc.
 
"E' lei che vuoi".
Le parole di Potter continuavano a perseguitarlo, riecheggiando nella mente ad ogni passo.
Si passò una mano tra i capelli, scosse il capo, deglutì a vuoto a causa della bocca riarsa dalla tensione.
Era andato da Potter per fargliela pagare. Perchè non l'aveva fatto? Cosa l'aveva trattenuto?
Fu come se il peso di tutti quegli anni, di quelle assenze, gli fosse calato sulle spalle nel giro di pochi secondi.
Decise di seguire l'istinto, come non faceva ormai da troppo tempo, e si smaterializzò a Malfoy Manor, alla ricerca di sua madre, completamente incurante del fatto che una visita a quell'ora del giorno sarebbe stata reputata dalla donna certamente sconveniente.
Fece cozzare più volte il battente contro il portone di legno massello ma dall'interno non provenne nessuna risposta se non l'eco dei colpi.
Com'era possibile che sua madre non fosse in casa?
Spinse l'uscio ed entrò, chiamò la madre più volte compiendo un giro di ricognizione nelle stanze ch'ella era solita frequentare ma non trovò alcuna traccia di lei.
Si lasciò cadere su una poltrona di pelle scura in salotto e prese la testa tra le mani.
 
Dopo qualche istante di silenzio la rossa udì dei passi avvicinarsi all'uscio.
Il cuore prese a martellare più forte nel petto, il sudore a farsi freddo e la gola a serrarsi.
Non appena vide il viso tondo di sua madre trattenne il fiato, incapace anche solo di pronunciare un "ciao".
La donna portò una mano alla bocca e, senza emettere alcun suono, lasciò che due lacrime le rigassero le guance, scivolando via dagli angoli degli occhi.
- Entriamo - fu Bill a parlare, frantumando quell'incanto di sguardi che si era consolidato tra le due.
Molly si scostò e fece passare entrambi i figli che si diressero verso la cucina.
Gin si guardò intorno, timorosa degli eventuali cambiamenti subiti dalla casa durante gli anni ma, per fortuna, lo scontro con la realtà non le riservò brutte sorprese.
Era tutto esattamente come lo ricordava, solo un po' meno caotico.
In fondo era solo casa dei suoi genitori adesso, non c'erano più pesti intente a correre in giro per casa.
Soprapensiero  portò una mano al proprio ventre, sfiorandolo con la punta delle dita.
- Sedetevi.. - soffiò Molly, senza staccare gli occhi dalla sua unica figlia.
I due presero posto uno accanto all'altra e attesero che la madre facesse lo stesso.
- Quanto manca? - chiese indicando con un cenno il pancione.
La domanda spiazzò la rossa per un attimo, tanto che dovette scuotere il capo per rianimarsi. Non pensava che quello sarebbe stato il primo argomento di conversazione dopo tanti anni di silenzio. 
- Meno di un mese - rispose.
La maggiore delle due donne portò ambo le mani alla bocca. Stava per diventare nonna.
Stava per diventarlo e neppure lo sapeva.
Più e più volte Bill aveva cercato di parlarle di Ginevra ma lei si era sempre rifiutata di dargli ascolto.
Se solo avesse potuto.. Se solo..
Gin intuì i pensieri della donna, guardò il pancione e sorrise. - Non preoccuparti mamma, me la sono cavata bene. E' stata buona -
- E' una femmina? - gli occhi della donna si illuminarono , sporse il busto in avanti e tese la mano per carezzare il ventre tondo della figlia.
Gin annuì e Bill, fino a quel momento all'oscuro del sesso del suo nipotino, sorrise a sua volta.
- Congratulazioni Ginny -
La ragazza gli lanciò un'occhiata in tralice e, un istante dopo, nella cucina si diffuse un coro di risate.
Le parve di aver azionato una giratempo, di essere tornata indietro di anni. Percepì sulle membra il calore della sua famiglia.
La madre le posò i palmi sulle ginocchia e la fissò diritta negli occhi. - Harry lo sa, vero? Cosa intendete fare? Crescere un figlio senza un padre..-
Il calore svanì all'istante, tornò il freddo.

In solitudine, nel silenzio della sua casa, mise ordine ai propri pensieri.  Ci provò per lo meno.
Sua madre non era ancora rientrata quando, animato da una forza nuova, si alzò dalla poltrona e si smaterializzò a chilometri da lì, nei pressi di un condominio posto non lontano dal centro di Londra.
Sbucò fuori da un vicolo cieco e, senza esitazioni, virò verso sinistra. Dopo circa duecento metri sollevò lo sguardo verso l'alto, per tentare di individuare la finestra dalla quale Noctis doveva essere entrato ore prima. Di gran carriera, dopo aver aperto l'ampio portone di ingresso, salì fino all'uscio di casa di lei.
Rimase immobile per qualche secondo, incapace di staccare lo sguardo dalla targhetta di ottone sulla porta.
"G. W."
Gli tornarono alla mente un matrimonio ed una collana ma, quando finalmente decise di palesare la sua presenza, dall'interno non giunse alcuna risposta.
 
- Cosa intendi dire? - gli occhi di Molly erano sgranati, aveva quel tono vibrante, tipico del preludio di una tempesta.
Ginevra pose le mani sulle proprie ginocchia e strinse i pugni. Chiuse gli occhi ed inspirò con studiata  lentezza.  Quando li riaprì lo sguardo era mutato, nelle iridi qualcosa pareva esser diventato brillante.
Nè Molly nè Bill, però, ci fecero molto caso.
- Quello che hai appena sentito. Quando lui è stato concepito io ed Harry non stavamo più insieme. -
Il volto di Molly era ormai paonazzo, la donna sul punto di esplodere. Lo sguardo truce di Bill, però, riusci a farla trattenere. - Puoi spiegarci? - chiese allora il giovane.
Gin poggiò la schiena allo schienale e si passò una mano sul viso. Scosse il capo e lo abbassò.
- Perdonatemi, non posso. - proferì con un fil di voce.
Si alzò e nessuno la trattenne, la scena pareva essersi congelata.
Andare via così come era arrivata le parve l'unica soluzione plausibile. Si diresse quindi verso l'uscio.
D'un tratto però, si voltò bruscamente nell'altra direzione, puntando lo sguardo verso la scalinata che conduceva ai piani superiori.  
Smise di respirare.

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Capitolo 21
*** Capitolo XXI ***


CAPITOLO XXI


La donna prese a scendere lentamente i gradini sgangherati, distogliendo gli occhi da quelli di Ginevra solo per evitare una rovinosa caduta.
Vorrei parlarti - si interruppe, gettando uno sguardo vago sui presenti, quasi a volerli cancellare dalla sua vista. Gin continuò a fissarla senza quasi batter ciglio. Negli ultimi racconti di Draco la signora Malfoy non era certo quella che lei aveva di fronte. Cos’era cambiato? La donna sembrava quella che, di sfuggita, aveva visto ad Hogwarts alle feste ufficiali, la stessa che sfilava altera accanto al marito e, fiera, non staccava gli occhi da suo figlio durante l’assegnazione dei G.U.F.O..
- Mi segua - rispose meccanicamente e si voltò, dirigendosi verso la porta di ingresso. Narcissa la raggiunse e le camminò accanto fino a quando la rossa non si sedette su una panchina in marmo, posta in un angolo piuttosto nascosto del giardino della sua famiglia. Spesso da bambina, quando i suoi fratelli non le davano tregua, si nascondeva lì dove, all’epoca, era allocato un gigantesco salice piangente, andato distrutto in un incendio appiccato dai Mangiamorte anni addietro.

La madre di Draco prese posto accanto a lei, evitando accuratamente di sederle troppo vicino. Abbasso lo sguardo sul ventre della ragazza e, immediatamente dopo, lo spostò negli occhi di lei.  - Quanto tempo è che non vi vedete? - domandò.
Gin sollevò appena le spalle - Poco meno di un anno -  rispose portando una mano sulla fronte e reclinando il capo all’indietro - Ho un cerchio alla testa -, sospirò.
La più grande tra le due strinse gli occhi, in un gesto che a Gin ricordò terribilmente il fare di Draco. - E’ quella?- chiese, puntando gli occhi sulla collana.
- Cosa? -
Gin abbassò lo sguardo sul proprio petto, tentando di seguire lo sguardo di lei. Si ritrovò così a fissare una pietra blu ed una grigia. Annuì senza emettere parola.
-  Draco pensava che te ne fossi sbarazzata - buttò lì la donna.
- Che cosa?! Sta scherzando? - il tono più alto del normale, Narcissa non avrebbe saputo dire se più alterato o allarmato.
- Affatto -. Una voce alle sue spalle.
Ginevra perse istantaneamente tutto il colore che aveva acquistato in meno di un istante. Le membra le si tesero. Non riuscì a voltarsi verso di lui. “Respira..”, continuava a ripeterselo nonostante il ronzio che sentiva crescere nelle orecchie.
Narcissa Malfoy si alzò senza produrre rumore alcuno. Si fermò a qualche passo dalla panchina contemplando la scena. Prima lei, il suo sguardo, la sua postura rigida; poi lui, in piedi, le braccia tese lungo i fianchi ed i pugni serrati. Incurvò un angolo delle labbra, le ricordavano lei e Lucius, dopo una delle loro litigate, quando lei si rintanava in giardino a contemplare i suoi gigli, e lui la raggiungeva immancabilmente con una rosa. Indugiò un istante in più con lo sguardo su suo figlio, non si poteva dire che non lo conoscesse. Pur non trovandola in casa aveva  trovato il modo di arrivare a lei, testardo di un Malfoy.  Diede le spalle alla coppia, smaterializzandosi giusto una manciata di passi più in là.

 Restarono in silenzio ed immobili per diversi minuti. Fu Draco a rompere quella strana sorta di incanto, compiendo un paio di passi in avanti. Si avvicinò quel tanto che bastava allo schienale della panchina dove era seduta la ragazza e vi poggiò i palmi. Lei, non appena lo sentì muoversi, trasalì e chiuse gli occhi portando istintivamente le mani al ventre. Al serpeverde, il movimento repentino non sfuggì e, per seguirne la direzione, si sporse in avanti, facendo capolino.
 

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Capitolo 22
*** Capitolo XXII ***


Le mani a stringere il marmo della panchina, gli occhi socchiusi, un ciuffo a velare lo sguardo. Sbatté le palpebre un paio di volte più del normale, irrigidendo il collo. Cos’era quella?
 

Hogwarts, un paio d’anni dopo il loro primo incontro.
Periodo pessimo per entrambi a dirla tutta, uno di quelli durante i quali il destino sembrava essersi accanito contro di lui per un motivo, contro di lei per un altro.
Erano riusciti a vedersi poco, un po’ per gli impegni di casate contrapposte, un po’ per i rispettivi “doveri di coppia” e un po’ perché, in realtà lo sapevano entrambi, stavano tentando di allontanarsi  l’uno dall’altra.
Avevano entrambi pensato, senza però aver mai palesato il pensiero, che modificare le loro abitudini, la loro segreta routine, avrebbe inevitabilmente portato ad una rottura.
Una sera, dopo che Draco e Blaise si erano lanciati dietro diversi incantesimi nei sotterranei del castello provocando la subitanea comparsa di Gazza, il biondo aveva deciso di rintanarsi nel tanto amato bagno dei prefetti. Non che fosse un prefetto, certo che no, aveva solo le giuste conoscenze.
 Ghignò pronunciando la parola d’ordine e venne immediatamente travolto dal calore dei vapori del luogo. Luce soffusa, profumo, calore… chiuse gli occhi ed inspirò forte.
All’improvviso, però, senti un rumore, come di acqua in movimento. Aprì gli occhi e li ridusse a fessure, passando in completa rassegna la stanza. Quando individuò una chioma rossa spuntare dall’acqua, portò una mano alla fronte e chinò il capo, in gesto di rassegnazione.
- Ora mi spiegherai come hai fatto ad entrare – disse asciutto.
La ragazza, che fino a quel momento gli dava le spalle, si irrigidì. – Non è possibile...- mormorò, prima di lasciarsi andare ad una risata cristallina, tintinnante.
Si voltò versò il biondo, sorridendo e posò le braccia incrociate sul bordo della grande vasca, poggiandoci poi il mento.
Esattamente come devi aver fatto tu, non mi risulta che abbiano rieletto i prefetti di recente.
Lui alzò gli occhi al cielo – Un giorno imparerai a fare silenzio...-
La rossa ne approfittò, provando a bagnarlo con un po’ d’acqua ma ottenne scarsi risultati. –Per Silente..!- sibilò il biondo arretrando – Me la pagherai  -e prese a svestirsi velocemente, stranamente senza troppa cura. Lanciò i vestiti in un angolo, e si diresse verso la ragazza che, nel frattempo, aveva raccolto i capelli in una crocchia, tenuta su da un elastico che, per comodità, portava sempre al polso destro. – Guarda, sto già scappando..- lo canzonò lei, nuotando lentamente sul dorso-
- Fossi in te, non ci scherzerei troppo su, sciocca di una Ginny.– calcò sul nomignolo della grifondoro che, per tutta risposta, smise di nuotare e si tirò su serrando i pugni. –Piantala! Lo odio!-
Il ghigno di Draco, che nel frattempo era entrato a sua volta nella vasca, si accentuò. Era stata così sciocca...
Provò ad annegarla, spingendole la testa sott’acqua ma la ragazza proprio non voleva saperne di arrendersi. Ingaggiarono una lotta tra le luci soffuse e la schiuma profumata. Le teste di entrambi sparirono più di una volta sotto la superficie, alcune volte perché spinte dall’avversario, altre per tentare un contrattacco. Si arresero quasi contemporaneamente, senza smettere di guardarsi in cagnesco per qualche altro attimo, dai lati opposti della vasca.
- Tregua?- domandò lei, quasi ansimando per lo sforzo fisico. Lui, con le mani sui fianchi, annuì – E sia..-
Si passò una mano tra i capelli bagnati, spostandoli all’indietro, e prese a camminare verso il punto della vasca nel quale l’acqua era più bassa e da seduti, era possibile godere del luogo. – Vieni qui  - aggiunse.
Non ordine, non obbligo. C’era tanta naturalezza nel tono, quasi come se stesse preannunciando un avvenimento che sarebbe comunque accaduto di lì a breve, una sorta di profezia.
La ragazza chinò il capo e sorrise, liberando i capelli dall’elastico che li aveva fino ad allora tenuti prigionieri.
Si sedette alla destra del ragazzo che, istantaneamente, le cinse le spalle con un braccio. Lei reclinò il capo poggiandosi a lui e chiuse gli occhi. – Come stai? – chiese il biondo.
Lei sollevò le spalle in risposta e voltò il capo verso di lui – Tu?-
Lui imitò il gesto di lei, guadagnandosi un pugno in pieno petto. 
Trascorsero la serata così, a raccontarsi di tutto quel tempo passato lontano uno dall’altra, riempiendo così tutti i vuoti che entrambi stavano tentando di creare.
Un paio d’ore dopo, al momento di uscire dall’acqua, la rossa si rese conto di aver scordato l’accappatoio in dormitorio. Si dette un colpo col palmo sulla fronte – Stupida..- mormorò.
Draco scosse il capo e si arrampicò fuori dalla vasca, allontanandosi da lei. Quando qualcosa le colpì la nuca si voltò furente – Ma che modi!
Si ritrovò a fissare un accappatoio candido, con sul petto due iniziali, D.M., unite dal simbolo della sua casata, un serpente.   
Sollevò lo sguardo sul ragazzo che, nel frattempo, aveva preso a frizionarsi i capelli con un asciugamano  e ne aveva legato un altro attorno alla cintola.
Sai, ne tengo sempre due nascosti qui, nel caso in cui dovessi adescare qualche ragazzina…-
 


Il biondo allontanò il ricordo che, come sempre, lo aveva attraversato senza preavviso.
Le iridi continuarono a fissare il ventre prominente della rossa, cinto dalle altrui mani.
Ingoiò a vuoto, la bocca improvvisamente riarsa. 

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Capitolo 23
*** Capitolo XXIII ***


 
Capitolo XXIII


Incinta.
Inequivocabilmente incinta. La mascella di Draco si serrò. Tentò di respirare più piano, chiuse gli occhi, ingoiò a vuoto. Non servì a nulla, se non ad aumentare la palese tensione che lo attanagliava.
Tentò allora di concentrarsi su quel tenue brillio al collo di lei, seguendone con lo sguardo le linee ritorte. Chiuse ancora gli occhi, per più tempo questa volta, ripercorrendo quanto successo il giorno del matrimonio della Weasley: lo schizzo del gioiello, la corsa dal gioielliere, Gin chiusa in camera, Gin sotto il salice, Gin… incinta.
Riaprì gli occhi, sperando intimamente di aver sognato, di aver travisato, ma la realtà era lì, sotto i suoi occhi, nascosta nelle spoglie di una non più ragazzina che stava per diventare mamma. 
 
Posò le mani in grembo e le strinse in due pugni, le nocche bianche per lo sforzo. Tenne il capo basso, a fissare quella rotondità con la quale ormai aveva imparato a convivere. Anzi, a ben pensarci, com’era prima? La vita, prima che arrivasse lei, era diversa, lontana. Più semplice per certi versi, quello era certo, ma così diversa, così spaventosamente vuota. Trasse un sospiro profondo e la bambina scalciò, Gin sorrise, senza pensarci, rammentando involontariamente la bellezza di quanto stava per accadere.  - Hai forse scordato le buone maniere? –
 
Tra tutto quello che aveva immaginato di poter udire, quella era certamente l’ultima delle opzioni possibili. Anzi, a dirla tutta, non era affatto un’opzione plausibile. Si ritrasse leggermente, riportando il busto diritto, allargò le braccia e scosse il capo incredulo, mettendoci più di un attimo a formulare una risposta di senso compiuto. - Per Merlino… cosa vai blaterando?- Lei stava per replicare ma lui proseguì. - Io non sapevo nulla, te ne rendi conto?-  Era furente, il tono più alto del solito, la forma scomposta. La verità era che si sentiva incolpa, tremendamente in colpa per aver obbligato Bill a non parlarle di lei, a proteggerla senza mai far menzione del suo nome.
 
Gin trasse un altro profondo respiro e si alzò in piedi, voltandosi verso di lui. - Beh, ora lo sai!-  lo rimbeccò, le mani sui fianchi ed il busto leggermente sporto in avanti, in una posa che, a guardarla dall’esterno, avrebbe fatto di certo pensare a sua madre. E difatti…
 
- Raddrizzati, sembri tua madre! –
 
Colpita e affondata. Tra tutte le cattiverie gratuite che avrebbe potuto tirar fuori in quel momento, dalla più classica relativa alla forma fisica alla meno classica relativa all’evidente goffaggine dovuta alla gestazione, quella era di certo la critica peggiore che potesse rivolgerle. Ginevra si raddrizzò, spalanco occhi e bocca - Malfoy, rimangiati subito quello che hai detto! –
 
Ingaggiarono un duello verbale,  com’erano sempre stati soliti fare, come se il tempo non fosse passato e quei mesi non li avessero visti distanti come mai lo erano stati. Le guance di entrambi si colorirono, ma nessuno dei due osò muovere un passo verso l’altro, quasi non volessero rompere l’incanto.
 
- Da quand’è che pensi di potermi dare ordini?-  domandò lui, senza però ricevere risposta.
 
Lei continuò - … non mi hai neppure chiesto come sto, cosa ho fatto in questi mesi, come ho fatto completamente da sola, dove ho vissuto! Mi sarei potuta ubriacare ogni sera Malfoy, ogni sera, lo sai questo? Se non fosse stato per quelle stupide leggi nei bar babbani un paio di volte l’avrei anche fatto ma adesso questo non conta..-
 
Come spesso le capitava quando era sottopressione, le parole fluivano ininterrotte, si faticava a starle dietro, a dare capo e coda al discorso.
 
- Ubri..?- Draco aveva gli occhi fuori dalle orbite ma lei non accennava a smettere. Le mani si muovevano freneticamente ad accompagnare la concitazione del momento, i capelli scomposti, il rossore sul viso. All’improvviso lui intravide la bambina di molti anni prima davanti a sé, e gli venne da sorridere.
 
- Lo trovi divertente?-  il tono improvvisamente piatto, che sfumava leggermente verso l’irato.
 
Il sorriso piano piano mutò e divenne una vera e propria risata, di quelle cristalline e tintinnanti che restavano legate ai momenti più belli trascorsi assieme.
 
- RISPONDIMI!-

Draco si passò una mano sul viso per tentare di ricomporsi - Te lo chiedo ancora una volta, e dovresti ricordare bene che non mi piace ripetermi: da quand’è che pensi di potermi dare ordini? -
 
E Gin, senza pensarci, con le braccia tese lungo i fianchi e le nocche strette per lo sforzo, la fronte leggermente imperlata di sudore, i capelli scarmigliati, lo sguardo furente.. - DA QUANDO PORTO IN GREMBO TUA FIGLIA, PEZZO DI IDIOTA! –
 
Il mondo si fermò.
Lei si coprì la bocca con la mano, ma ormai era troppo tardi.
Draco, dal canto suo, smise di udire qualunque suono. Nelle orecchie solo un bip continuo, una sorta di acufene. Ginevra era lì davanti a lui, lo chiamava, leggeva il suo labiale, ma tutti i muscoli volontari del suo corpo sembravano non volergli più rispondere. Per quanto riguarda gli involontari, beh, il cuore aveva preso a battere ad una velocità incalcolabile, il fiato si era fatto corto.
Si concentrò sugli occhi di lei, faticando a tornare presente.
- noi non.. non è possibile -  sussurrò, rivolgendosi più a sé stesso che alla sua interlocutrice.
- Vieni con me- e con il capo accennò al sentiero posto alla sua sinistra.
Lui la seguì, ubbidiente e silenzioso, nella loro passeggiata nel giardino di casa Granpot,  che nulla aveva in comune con quello di Malfoy Manor. Passò diverso tempo prima che lei si decidesse a riaprire bocca.
Si sedette su un grosso masso, posto quasi al limitare della proprietà, dal quale, da bambini, erano soliti lanciare gli gnomi da giardino catturati durante le loro scorribande.
Lui le rimase accanto, le mani nelle tasche e lo sguardo perso nel vuoto, puntato diritto davanti a sé.
La rossa sollevò un attimo gli occhi verso di lui e ne percorse i lineamenti, non erano affatto cambiati. Abbassò il capo e prese il coraggio a quattro mani.
- Io… devo chiederti scusa-
- Non è stato un bello scherzo.- ribattè caustico lui, rivolgendole uno sguardo in tralice.
La ragazza scosse il capo, spazientita - Ma cosa hai capito? -
Finalmente si guardarono negli occhi. 
Ed eccola lì, quella luce. Quella  che molti mesi prima lo aveva scaldato una notte, la stessa nella quale si era rifugiato credendo di poter star bene pur restando lontano da lei.

Lui trasalì.  - Tu.. -

Lei sorrise ed annuì  - Ero io. -
 
 
FINE




 
SPAZIO AUTRICE
Voglio iniziare con due parole: scusa e grazie. 

Scusatemi, davvero, per averci messo ben 10 anni a completare questa storia. Sono però certa che comprenderete che fino ad oggi, con ogni probabilità, non ero pronta a staccarmi dal mondo che "avevo creato" (se mi sentisse la Rowling..).
Grazie a tutti i commenti, i suggerimenti, le critiche. A tutti gli sproni ricevuti in pubblico ed in privato. 

Spero che questo epilogo sia quello che molti di voi avevano già immaginato anche se, a dirla tutta, mi piacerebbe che per certi versi non fosse così.
Critiche e consigli sono sempre ben accetti.
A presto, 

Victoire

PS: esiste, nei meandri del mio pc un finale alternativo a questo, del quale mi ero addirittura dimenticata. 
 

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