Rocker

di mirimellecarlottina
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Fallimento ***
Capitolo 2: *** Dichiarazione di Amicizia ***
Capitolo 3: *** Io non sono gay ***
Capitolo 4: *** Heaven's Gate ***
Capitolo 5: *** Campana di vetro ***
Capitolo 6: *** I can't help... ***
Capitolo 7: *** La mia parte di brutti pensieri ***
Capitolo 8: *** Dove andiamo ora? ***
Capitolo 9: *** Nonostante tutto ***
Capitolo 10: *** Una vita a cui abituarsi ***
Capitolo 11: *** Un disperato bisogno di qualcosa ***
Capitolo 12: *** Il nostro momento ***



Capitolo 1
*** Fallimento ***


Se si fermava un momento a pensarci si rendeva conto da solo che le cose non sarebbero potute essere diverse. Insomma, quante erano le possibilità? Poche e ancora meno se si soffermava a considerare la scarsa fortuna che aveva sempre avuto. Lui era un sognatore, un professionista nel farsi castelli per aria, un illuso, uno sciocco. A forza di delusioni accatastate una sopra l’altra si era invece costruito una bella casa fatiscente di vergogne. Era il destino. E questa volta sentiva che l'avrebbe accettato.
Chiudendo la porta di casa alle sue spalle Dominic percepì chiaramente che era la fine. Una porta chiusa per la vita. Basta esibizioni silenziose davanti allo specchio in camera, alle due di notte. Basta raccolte ossessive di volantini di band sconosciute di quartiere. Basta anche con quell'aria da weirdo orgoglioso e con tutto il narcisismo di cui si era nutrito per ventidue anni di vita. D'altronde sarebbe bastata un’occhiata a casa sua per capire che non c'erano speranze, quale grande artista musicale viveva in un bilocale con sua madre, in uno dei quartieri più disgraziati della città dove nemmeno la metro si sforzava di arrivare?
“Come è andata, coniglietto?” la voce della mamma giunse alle sue spalle, avvolta nella luce tremula della torcia del cellulare che si rifletteva nella porta d’ingresso.
“Solito, Ma’” rispose senza entusiasmo, ma nel girarsi tentò il suo sorriso migliore. Lei avrebbe meritato molto di più. E quello era uno dei motivi per cui fino ad allora non aveva mollato. Invece il quel momento gli apparve come il miglior motivo per farlo. Si sarebbe dovuto impegnare nel lavoro, magari un giorno sarebbe stato il cencioso capo del personale del cencioso supermercato.
“Non lasciarti abbattere" disse la mamma, avvolta nella coperta che si trascinava dietro per casa ora che il riscaldamento gli era stato staccato
“È tardi, vai a dormire” Dominic la baciò su una guancia, delicatamente. Solo quando chiuse la seconda porta della serata, quella della sua stanza, ebbe pienamente coscienza della situazione. Mentre stava sdraiato sul letto ancora vestito la macchia di umidità sul soffitto che somigliava ad un pipistrello grasso lo fissava e lo giudicava per quello che era. Un fallimento.
Si rese conto immediatamente che era tardi quando aprì gli occhi. Aveva scordato di mettere la sveglia, si era addormentato vestito ed ora era il momento di correre. Non pensò nemmeno di cambiarsi, tantomeno di mangiare. La mamma era già uscita da un pezzo per il suo primo lavoro, cura di un anziano ricco dei quartieri alti tanto spilorcio da volersi accontentare di una donna semplice come lei, invece di scegliere un'infermiera-modella-velina. Dominic aveva benedetto tante volte la sua avarizia.
Non aveva grande simpatia, invece, per il proprio di lavoro. Tuttofare in un orrendo supermercato a basso costo e stella della musica internazionale erano due idee di lavoro piuttosto diverse. Indossando la mostruosa divisa verde evitò accuratamente di guardarsi allo specchio; già sapeva che avrebbe odiato i capelli scuri sugli occhi nerissimi, le occhiaie, il colorito cadaverico, la cordicella intorno al collo con appeso lo stupido ciondolo a forma di chiave di violino.
Il capo lo sgridò per il ritardo, lui rispose che non sarebbe più accaduto, il suo cervello prese a vagare altrove mentre sistemava scatole di cibo per gatti e la radio trasmetteva una sciattissima canzone pop dal testo incomprensibile. Passò un'intera mattinata senza che nulla cambiasse. Scatole, confezioni, flaconi, bottiglie e scaffali, scaffali, scaffali e musica pop e parole a distanza percepite a metà, carrellini cigolanti, impronte di scarpe sporche sulle piastrelle bianco ospedale. Aveva cominciato a piovere. Avrebbe dovuto pulire.
Dominic si avviò all'ingresso con lo spazzolone tra le mani intorpidite dal freddo. Alzò gli occhi giusto in tempo per vedere una sagoma entrare, scivolare su una pozza d’acqua e cadere a terra.
“Porca…” mormorò, sicuro che la colpa sarebbe ricaduta su di lui. Si preparò a raccogliere da terra una vecchietta pregando che non si fosse rotta nulla
“Si è fatt…” si interruppe quando si accorse di aver sbagliato i calcoli. Quello seduto a bagno, con gli skinny neri già intrisi di acqua era un ragazzo. Uno particolare, di quelli che per strada facevano girare le persone a guardarli. Sotto alla frangia di capelli di un rosa slavato aveva occhi azzurri graziosi su un viso grazioso, su un fisico grazioso. Ed una risata graziosa.
“Oh my, quanto sono stupido”
Dominic gli tese la mano per aiutarlo ad alzarsi, notò i mezzi guanti con su disegnate mani ossute da scheletro, lo smalto nero rovinato sulle unghie. Ecco, quello era un weirdo ben riuscito. E la cosa lo metteva a disagio.
“Fatto male?” Chiese, cominciando ad asciugare
“No, per niente” probabilmente stava sorridendo ma Dominic non lo guardò
“Per qualunque cosa ti invito a fare reclamo al banco informazioni"
“Non serve” il ragazzo rosa se ne stette per qualche istante accanto a lui, come se si aspettasse altro, poi si allontanò, si chinò a prendere un cartellino e si addentrò tra le corsie. Dominic sollevò lo sguardo da terra il tempo necessario per notare inconsciamente come i jeans bagnati sottolineassero le sue gambe.
“Dominic in cassa" l'altoparlante gracchiò nel momento giusto per impedirgli di fare considerazioni sconvenienti.
Lo riconobbe subito in coda alla sua cassa. Non sapeva come si sarebbe dovuto comportare. Passò i prodotti sul lettore in modo meccanico, fingendo di non aver notato i biscotti a forma di animaletti e la quantità impressionante di chewing gums
“Va davvero tutto bene?” Chiese mentre entrambi attendevano in silenzio che la macchinetta del bancomat facesse il proprio lavoro
“In realtà no" Dominic alzò di scatto la testa, nella pausa che seguì osservò il modo in cui lo sconosciuto si mordeva il labbro inferiore, giocando con un piercing
“Sono nuovo in città, arrivato stamattina. Non so dove trovare un negozio di strumenti musicali" Dominic tirò un sospiro di sollievo, dopo essersi immaginato il proprio licenziamento
“All'angolo della dodici, verso il centro studi" rispose
“Angolo dodici, centro studi" ripeté il ragazzo “Sei un musicista?”
“Cantante" rispose istintivamente il cassiere, rendendosi subito conto della stupidaggine. Lui non era un cantante, non lo sarebbe mai stato “Uno a cui piace cantare" rettificò
“Bello" l'altro sorrise, sembrava sincero in un modo del tutto assurdo “Comunque io sono Alex" gli tese la mano dall'altro lato della cassa
“Dominic…”
Alex raccolse la sua roba, la infilò nella busta e se ne andò salutando con un gesto della mano piuttosto infantile.
 
Quando riaprì la porta di casa e si accorse di essere solo, Dominic fu quasi sollevato. Amava sua madre con tutto sé stesso ed era proprio quello il motivo per cui aveva perso la voglia di parlarle. Quando si spogliò davanti allo specchio evitò di guardarsi. Sedette sul letto a gambe incrociate. La serata gli sembrò d'un tratto molto vuota quando si ricordò che mettersi a cantare non avrebbe avuto alcuno scopo. Niente più esibizioni solitarie. Tutto finito. Si sdraiò, invece, a fissare il soffitto e attese.
Quando il campanello suonò pensò che l’attesa avesse davvero avuto uno scopo.
“Non c'è tua madre?”
“Signor Otis"  non si stupì quando il padrone di casa non si degnò nemmeno di salutarlo
“Non c'è tua madre?”
“Al lavoro, come sempre”
“Quando torna?”
“Può parlare con me” cominciava davvero ad irritarlo, erano i momenti in  io faticava di più a nascondere il suo temperamento in realtà piuttosto focoso.
“È lei a pagare l'affitto"
“Lo facciamo insieme”
Il signor Otis si appoggiò allo stipite della porta come per guardare all’interno
“Mi dovete due mensilità, hai i soldi?”
Dominic si piazzò dritto davanti a lui. Non c'era niente che valesse la pena di guardare in casa loro, non era il caso di dissacrare quel poco di quotidianità che avevano.
“A fine settimana”
“Tutti?”
Dominic fece due conti, se avesse chiesto un anticipo sul mese successivo ci sarebbe riuscito. Sua madre non era tipo da lasciare indietro questo genere di pagamento, doveva essere successo qualcosa e lui voleva aiutarla.
“Tutti"
“Torno venerdì”
“Sabato"
“Venerdì”
Il signor Otis si incamminò giù dalle scale e Dominic lo guardò svanire al piano di sotto prima si chiudere la porta.
La mamma tornò alle 22.00, mangiarono insieme senza che lui accennasse all'accaduto, parlarono dei vecchi parenti, dello zio che sapeva prendere i pesci con le mani, della volta in cui sua madre era caduta in un ruscello. Era bello, infondo. Erano insieme. Andare a dormire fu meno piacevole. Prima di addormentarsi Dom si sentì sul petto il peso di un futuro apparentemente senza significato. Passò una notte tormentata, tra inseguimenti, mostruose apparizioni e cadute da grattacieli. Quando si svegliò alle 2.09 decise che avrebbe lasciato perdere il sonno e si mise a fantasticare sul tingersi i capelli di rosa.

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Capitolo 2
*** Dichiarazione di Amicizia ***


Salve a tutti, sono Mirime e sono davvero, davvero svampita. Ho dimenticato di presentarmi pubblicando il primo capitolo (ero in ansia come per un esame, sono seria). Comunque eccomi qua, dopo anni e anni di letture su questo sito ho deciso di provare a scrivere qualcosa a mia volta. Non ho idea di che effetto possa fare questa storia, spero sinceramente che possa piacere a qualcuno, io mi sto divertendo a scriverla. Ora la smetto, buona lettura ^.^
 
Erano passati due giorni e Dominic non aveva ancora ottenuto l'anticipo per pagare l'affitto arretrato. Così il suo umore galleggiava in una pozza di veleno, parlava poco, malvolentieri, lavorava male e pensava peggio. In ogni persona incontrata al supermercato vedeva qualcuno più felice e sereno di quanto lui potesse essere e, ingiustamente, ne era consapevole, pensava che quel qualcuno non lo meritasse. C'era poi lo strano comportamento di sua madre, evidentemente preoccupata. Cercava di farla parlare, ma tutto era inutile e come lei si chiudeva nei suoi problemi, lui si stringeva nel suo malessere. Ad aggiungersi a tutto, poi, era arrivata la consapevolezza che il freddo vero era alle porte e che il riscaldamento andava pagato.
Dominic gettò un’occhiata all'orologio sulla parete, sollevato dal vedere che da lì a dieci minuti si sarebbe potuto spogliare dell'orrenda divisa per andare a casa. Non che a casa ci fosse molto da fare, ma almeno non sarebbe stato costretto a parlare.
“Hey" non riconobbe la voce, ma gli bastò una sbirciata per riconoscere i capelli rosa pallido
“Bentornato” rispose Dominic, che altro avrebbe dovuto dire?  Inaspettatamente l'altro rise e il cassiere si strinse nelle spalle, imbarazzato. Passò uno shampoo per capelli tinti sul lettore dei prodotti, guardando, come sempre, rigorosamente in basso.
“Sei Dominic, giusto?”
“Sì, e tu sei… Alex" alzò appena lo sguardo. Il capo si lamentava spesso del fatto che i clienti non capissero se li stava ascoltando o meno, con quella sua aria assente. Si stupì di ricordare effettivamente il suo nome e quando alzò appena lo sguardo su di lui si rese conto di ricordare molti altri particolari. Lo smalto, il piercing, gli occhi. Una cosa che non aveva notato prima era, invece, il naso appena incurvato all'insù. Dominic era sempre stato un buon osservatore, era uno dei motivi per cui aveva tentato di scrivere canzoni, per dare sfogo alla massa di piccole cose che riusciva a cogliere del mondo esterno e gli si accumulavano nella testa come falene impazzite.
“Senti…” Alex si grattò nervosamente una mano, parlando “Non vorrei essere insistente, ma non sono riuscito a trovare il negozio. In realtà non so dove si trovino la dodicesima o il centro studi. Potrei avere qualche altra indicazione?”
Dominic corrugò la fronte, lo fissò per qualche istante mettendolo evidentemente a disagio, poi la sua lingua agì per conto proprio
“Io ho quasi finito, ti ci posso accompagnare”
Si sarebbe chiesto per un'eternità che cosa lo avesse spinto a proporsi. Finito il turno si cambiò lentamente, si guardò allo specchio e si sistemò i capelli senza convinzione, prima di uscire dallo spogliatoio. Avrebbe sfigurato comunque di fianco a quel ragazzo da copertina di una rivista alternativa. Quasi sperò di averci messo troppo e che se ne fosse andato. Invece lo trovò in piedi accanto alla porta scorrevole con la busta della spesa tra le mani e quei jeans così fottutamente stretti addosso.
“Hey, grazie”
“Figurati, è  vicino"
Ci voleva quasi mezz'ora a piedi, per dire la verità, ma ormai si era infilato in quel pasticcio e non ne sarebbe uscito così facilmente. Camminavano zitti l’uno di fianco all'altro seguendo il marciapiede. Alex era più basso di Dominic di almeno dieci centimetri e con quel suo stile, taglio e colore di capelli poteva sembrare un ragazzino
“Quanti anni hai?” Chiese Dom. Non che avesse qualcosa contro i silenzi, solo temeva che la situazione diventasse ancora più strana, e poi era diventato bravo con le parole inutili, lavorando alla cassa.
“Ventuno, sono di dicembre, e tu?
“Ventidue fatti a giugno”
Dom riprese a guardare le crepe nell'asfalto. Non guardava mai avanti a sé camminando. Alex invece osservava tutto intorno, alzava lo sguardo al cielo, sbirciava le vetrine, seguiva le macchine.
“Vivi qui da tanto?”
“Ci sono nato" Dominic si stupì della domanda. Aveva sempre pensato di averla stampata sulla fronte l’appartenenza a quella città. Non aveva mai visto altro.
“È bella"
“Cosa?”
“La città”
Alzò le spalle, non si era mai posto il problema. Gli ci volle poco a comprendere che Alex non sarebbe stato zitto. Si ostinava a riempire ogni silenzio con una tale dedizione che presto Dom si trovò a rispondere con effettivo piacere. Era passata un’eternità dall'ultima vera chiacchierata fatta con qualcuno che non fosse sua madre. Parlarono della scuola, dei licei che avevano frequentato; Alex stava proseguendo gli studi in campo artistico, ma il suo sogno sarebbe stata la musica. Dominic si limitò ad annuire a quell'affermazione con l'aria di chi la sa lunga. Non aveva troppa voglia di sbottonarsi su certi argomenti, sui suoi fallimenti in particolare.
Fu una delle mezze ore più veloci degli ultimi tempi. Ma quando si trovarono davanti al negozio il ragazzo rosa esitò ad entrare e in Dominic lo strano istinto sconosciuto riprese il sopravvento
“Vuoi che ti accompagni dentro?”
“Lo faresti?”
Avrebbe potuto rispondere che tanto non aveva niente di meglio da fare, o più probabilmente inventarsi una scusa, invece sorrise appena ed annuì.
Alex era un chitarrista. Appropriato per il piccolo punk che sembrava essere. Parlò per una decina di minuti con il proprietario del negozio di questioni che Dominic non capiva, di amplificatori, di pedali, di un sacco di roba sconosciuta, poi giunse alla domanda decisiva
“Conosce qualcuno che voglia far parte di un gruppo?”
Gli occhialini del negoziante, anziano insegnante di violino, non nascosero l'aria vagamente scocciata del loro padrone mentre rispondeva “Non saprei”
Quando uscirono Alex era visibilmente deluso. Esitò di nuovo, fermo sul marciapiede, con le mani nelle tasche della felpa su cui era disegnata la testa sorridente di  Jack Skellington. Poi d'un tratto si illuminò
“Tu canti" esclamò, puntando un dito verso Dominic che si ritrasse involontariamente per protestare
“No, io ho smesso"
“È perché mai?”
“Non sono bravo" avrebbe voluto che la discussione finisse li, ma l'altro continuò
“Chi lo dice?”
“Tutti…”
“Tutti chi?” Dio, sapeva essere esasperante
“Senti, ho fatto dei provini, molti, e sono sempre stato rifiutato"
Alex scoppiò a ridere “E questo cosa dovrebbe significare? La musica è libertà”
Dominic si fermò a guardarlo “Mi hanno rifiutato tutti" ripeté
“Io non sono tutti"
No, non lo era. Se c'era una cosa che era apparsa da subito chiara era che non c'era niente di comune in lui. Era qualcosa di diverso, non solo nell’aspetto.
“Non mi conosci" Dominic pensò così di aver sfoderato la sua arma migliore, invece l'altro gli sorrise, con quel suo piercing da strafigo che luccicava al sole
“Ecco… ti andrebbe di conoscerci meglio?”
Questa volta fu lui ad esitare. Sentiva qualcosa di sbagliato in ciò che stava facendo e allo stesso tempo qualcosa di attraente. Quel ragazzo non era il tipo di persona con cui era solito legare quando ancora si preoccupava di fare amicizia, ma forse era proprio quello ad interessarlo; era come avere la possibilità di dimostrare di essere cambiato. Anche con una vena di narcisismo, magari.
“Vieni, ti porto in un posto"
 
La vecchia area fuori città era raggiungibile solo prendendo un bus. Guardando fuori dal finestrino, mentre viaggiavano, Dominic si chiedeva che cosa stesse combinando. Sarebbe dovuto andare a casa a fissare il soffitto invece di prendere uno sconosciuto apparentemente rispettabilissimo e portarlo in un luogo fuori mano, abbandonato, pericolante e pieno di coppiette. Ma nella sua mente quel posto funzionava come un test. Solo rendendosi conto di questo comprese che voleva effettivamente provare ad essere amico di Alex e che il modo in cui avrebbe reagito, una volta raggiunto il punto esatto a cui lui aveva pensato, avrebbe funzionato da spartiacque. Voleva capire quanto profondi fossero i sogni di quel ragazzo, perché sapeva che non sarebbe mai potuto essere amico di un non sognatore.
Il bus frenò improvvisamente gettandogli addosso un Alex estremamente divertito ed evidentemente non abituato ai mezzi pubblici cittadini. Dominic lo afferrò istintivamente mettendogli un braccio intorno alla vita e  impedendogli di cadere.
“Grazie" non la smetteva di ridere, parlando “Come fai ad essere così calmo e compassato qui sopra?”
“Compassato?”
Quando il bus si fermò al semaforo più vicino Dom si ritrasse immediatamente
“Sei sempre così quiet?”
“Ci provo”
Alex si sistemò la frangia, stranamente in silenzio per qualche istante. Era carino quando pensava.
“Scusami… per prima” esordì “Farò più attenzione ora”
“Non è niente. E poi tra poco scendiamo, ti conviene fare attenzione alle porte adesso… sai, non sbatterci contro" era la prima volta che si sentiva di scherzare. Per quanto la battuta fosse venuta fuori goffa Alex rise. Rideva decisamente troppo, ma a Dominic fece piacere in quel momento.
Lo scheletro dell'ex area eventi cittadina li accolse nelle sue gelide braccia fatte di edifici abbandonati. Assomigliava ad un cimitero, per dirla tutta, con quella massa di capannoni e vecchi prefabbricati; erano rimasti persino dei gazebo che un tempo erano stati bianchi e scintillanti al sole. La puzza di plastica esposta a troppi agenti atmosferici li aggredì in pieno una volta scesi dal bus, unita a quella di legno marcio, erba, terra umida e ferraglia. Dominic si diresse con passo sicuro verso il varco che conosceva nella rete di metallo, ne sollevò una parte, attento a non graffiarsi con il materiale arrugginito.
“Ti fidi?” Chiese, in risposta Alex si chinò e sgattaiolò veloce dall'altro lato. Dominic lo seguì, controllando che nessuno li avesse notati. Sarebbe stato strano farsi vedere in un posto simile in compagnia. Già era strano che ci si recasse da solo, ma l’essere notato in una zona appartata con quello che poteva sembrare ugualmente un ragazzino o una ragazzina non gli andava a genio.
“Che roba è?” il ragazzo rosa si guardava intorno con aria rapita, come se davvero riuscisse a vedere qualcosa di interessante
“Ex area eventi" rispose Dom, cominciando a marciare tra le erbacce “Attento a non inciampare”
“Abbandonata?”
“Già”
Il palco svettava ancora in mezzo alle rovine, con la sua giungla di tubi rosso ruggine e i fari fracassati ancora puntati verso il centro. Raggiunsero lo spiazzo dedicato al pubblico, invaso da erba e pozze d’acqua piovana.
“Oddio, è grandioso" osservò Alex “Ci si può salire?”
“Forse… ma non è sicur…” Dominic non fece in tempo a finire, l'altro si allontanò a grandi passi, scavalcò una transenna e salì le scale a lato del palco
“Non vieni?” gridò spalancando le braccia come un'aquila che si goda il vento
Normalmente non l'avrebbe fatto. Ma ormai era prossimo ad accettare che quel tipo potesse avere su di lui una strana influenza
“Sei un piccolo punk ribelle, eh" osservò Dominic raggiungendolo. Si pentì quasi immediatamente si aver parlato, ma la risatina che seguì lo rassicurò
“E tu sei un bravo ragazzo"
“Lo sei anche tu”
Restarono in silenzio mentre una coppia di ragazzini passava poco lontano
“Ci viene altra gente qui” osservò Alex
“Coppiette”
Il chitarrista arrossì appena
“Perché non canti qualcosa? Sei su un palco" tentò di cambiare argomento
“Assolutamente no" Dominic scosse la testa vigorosamente
“Avanti, a parte qualche fattone, qualche gatto e qualche amante impegnato in altro non può sentirti nessuno"
“Tu puoi"
“Io sono parte della band"
“Non c'è alcuna band. Cioè te la troverai, senza di me"
A quel punto Alex fece qualcosa che Dominic non si sarebbe aspettato mai, ma ancora più inaspettata fu la sua stessa reazione. Il ragazzo rosa gli si avvicinò molto più di quanto sarebbe stato conveniente e si alzò sulle punte per parlargli all'orecchio
“Daaai, fallo per me" Aveva un profumo dannatamente buono.
“Ok…”
Così Dominic nel mezzo di un palco abbandonato si mise a cantare sottovoce Bohemian Rapsody. Avrebbe continuato così, quasi impercettibilmente, fino alla fine. Ma Alex, dopo aver atteso pazientemente il momento giusto, si lanciò nella sua migliore imitazione di Brian May con tanto di assolo immaginario. Aveva energia da vendere e Dom si trovò a fare del suo meglio per non deluderlo. Si fermò solo prima che gli acuti stonati rovinassero la sua performance, ottenendo un applauso convinto.
“Hai voce, mi piaci"
Il cantante cercò di nascondere l'imbarazzo
“Dici?”
“Eccome. E secondo me sei anche molto più potente di così. Ti serve solo una scossa. Che musica ascolti?”
“Quello che capita”
Alex scosse la testa “Tu hai l'aria da Rock" sedette nel centro del palco e tirò fuori dalla tasca il cellulare avvolto in una custodia glitterata. Trafficò per qualche istante prima che una voce chiara e dal tono appena acido si mettesse a cantare su una base semplice di pianoforte.
“Vieni da me"
Dominic obbedì, si sedette di fronte a lui ed ascoltò. E ascoltando come il ritmo cambiava all'improvviso, la voce si faceva più feroce, il suono più squillante, osservò.
“Si chiama Welcome to the Black Parade” disse Alex e lui osservò quello spazio carino tra i suoi incisivi
“Ti piace?”
“Moltissimo" la curva in su del naso, gli occhi azzurrissimi
“My Chemical Romance. Sono il mio mito”
“Sono un ignorante” i capelli sulla fronte, la linea precisa del collo
Era bello. Se fosse stato un artista ne avrebbe fatto volentieri un ritratto.
Mentre la musica proseguiva, le canzoni si susseguivano nella riproduzione automatica di Youtube, ripresero a parlare. Si raccontarono a vicenda qualcosa delle proprie famiglie.
“Ci siamo trasferiti da pochi giorni, viviamo nella zona dei campi sportivi” Esordì Alex
“Con chi vivi?”
“I miei, mamma e papà. Siamo venuti qui per lavoro, papà è rappresentante di una ditta tessile e questa zona era scoperta; mamma invece è infermiera. Tu?”
Dominic alzò le spalle “Siamo io e mia madre. Mio padre non c’è” evitò di accennare alle botte, ai tradimenti, ai commerci illegali e a tutto il resto riguardante lui. Avrebbe preferito che l’altro credesse alla storia di una ragazza madre piuttosto che dovergli spiegare come stavano effettivamente le cose.
“Non hai altri parenti?” chiese Alex, giocando con i numerosi anelli che aveva alle dita
“Qualcuno, ma non li vedo. La mia parte di famiglia non viene invitata al pranzo di Natale”
“Nessuno dovrebbe essere escluso dal pranzo di Natale” Per quanto infantile potesse essere, quella considerazione colpì Dominic come un pugno. Pensava di aver superato quella fase della sua vita in cui odiava essere tagliato fuori dalla normalità.
“E tu non hai altri parenti?” chiese
 “Uno zio, una zia, dei cugini. Loro sono nella mia vecchia città, li sento, ogni tanto, come sento i miei amici”
“Immagino che tu ne abbia molti, ti mancano?”
“Mi mancano… ma in pochi” Alex sospirò “Non ero molto popolare a scuola, non praticavo sport, pensavo solo alla musica, ma qualunque cosa avessi fatto sarei stato evitato comunque”
Dominic si ritrovò improvvisamente con una smania dolorosa di capire che cosa potesse spingere qualcuno ad evitarlo. Era una persona per bene, da una buona famiglia. E poi pensava che quelli come lui, così belli e alternativi avessero vita più facile di quella che aveva avuto lui alle superiori
“Davvero?”
“C’e una cosa che non sai”
Alex si rigirò un ingombrante anello nero intorno al dito medio e Dominic ebbe modo di scorgere, sotto ad esso, il piccolo tatuaggio a forma di croce che normalmente era nascosto.
“Io sono gay”
“Sei gay”
“Eh già”
Il cantante esitò, un po' per processare l'informazione, un po' per cercare di capire che cosa avrebbe dovuto rispondere. Ci impiegò un tempo maggiore a quello che l’altro avrebbe ritenuto conveniente.
“Volevo farlo sapere anche a te, nel caso in cui diventassimo amici. Se ti disturba posso cambiare supermercato” Alex si alzò, spolverandosi i pantaloni, raccolse il telefono e staccò la musica mentre una voce maschile cantava qualcosa riguardo al danzare con i lupi. Dominic restò a guardarlo istupidito mentre scendeva a balzi la scala del palco, solo quando si rese conto che non l'avrebbe aspettato scattò in piedi a sua volta e gli andò dietro.
“Alex" provò a chiamarlo ma lui non si fermò “Alex!”
Dovette correre per raggiungerlo, nella foga di fermarlo lo afferrò per un polso e lo costrinse a girarsi verso di lui. Non era arrabbiato, sembrava deluso, però.
“Puoi lasciarmi, sono fermo"
“Mi spiace” Dominic non lo lasciò, allentò solo la presa per permettergli di sfilare il polso, ma lui non lo fece
“Non sono stato abbastanza reattivo”
“Nell’inseguirmi?”
“Nel dirti che è ok" sentì la lingua che si ingarbugliava mentre tentava di spiegarsi “Che tu sei ok… insomma… ciò che hai detto è ok… io…"
Alex alzò le spalle “Tu cosa?”
“Volevo dire che possiamo essere amici ugualmente. Se ti va… possiamo vederci ancora”
Dominic lo osservò attentamente, ma ricevette in risposta solo uno sguardo indagatore. Fissò la sua bocca vide come, pensieroso, si mordeva appena il labbro inferiore e non riuscì a non pensare che sapeva essere sexy.
“Io vorrei vederti ancora. Mi piace stare con te. Tu sei qualcosa… Possiamo andare dove vuoi, fare le cose che facevi con i tuoi amici… non mi tiro indietro…”
Alex d’un tratto scoppiò a ridere e il peso si dissolse dal petto di Dominic.
“Lo voglio anche io, stupido. Mi sono dovuto trattenere per non scoppiarti a ridere in faccia dopo “se ti va”. Quasi mi dispiace di averti interrotto, da come procedevi da qui a qualche secondo mi sarei aspettato una dichiarazione d’amore”
“Dichiarazione di amicizia va bene?” Dom sorrise, imbarazzato dopo essere arrossito come un bambino. La mano del chitarrista scivolò lentamente fino a farsi piccola dentro la sua, le loro dita si intrecciarono per una frazione di secondo. D’un tratto ebbe piena coscienza della presenza fisica di Alex vicino a sé, del modo in cui emanava calore, avvolto nella sua felpa.
“E’ tardi, devo tornare” mormorò.

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Capitolo 3
*** Io non sono gay ***


Non sapeva che cosa stesse facendo. Quando era tornato a casa la sera prima e sua madre gli aveva chiesto dove fosse stato Dominic aveva tentato di raccontarle qualcosa, ma ciò che ne era venuto fuori era stato una pallida ombra della realtà. Ovviamente aveva tralasciato i particolari del luogo della chiacchierata avuta con Alex, ma aveva tralasciato anche molto altro, seppure involontariamente. Come se sul pomeriggio precedente si fosse posata una patina di fantasia. Era consapevole di aver sognato Alex quella notte, ma temeva di non distinguere il sogno dalla realtà. Aveva nella mente parole, movimenti, colori e poi un profumo, un tocco e non sapeva riordinarli. Alzatosi alla mattina si pentì di non aver scambiato il numero di telefono con il suo nuovo amico, avrebbe avuto voglia di scrivergli. E fu così per tutta la giornata. Riordinò la casa ascoltando la musica di Alex, provò persino ad interpretarne qualche pezzo; poi pranzò davanti alla televisione spenta, perso nei suoi pensieri. Una volta uscito addirittura allungò la strada per andare al lavoro passando per la zona dei campi sportivi e si guardò intorno tra le belle case, cercando di capire quale potesse essere la sua. E poi lo cercò al supermercato. Tenne lo sguardo alto e attento, con evidente piacere del suo capo, ma solo per osservare tra la gente e le corsie nel caso in cui i capelli rosa avessero deciso di presentarsi ancora. Si agitò intimamente per tutto il proprio turno, a tratti con ansia, a tratti fingendo noncuranza. Quando giunsero le sei e tornò ad indossare i suoi jeans e il maglione viola, che normalmente non indossava mai, si sentiva deluso. Non sapeva che cosa gli stesse capitando. Era la novità forse, dopo anni di piattume, ad entusiasmarlo.

Stava rimuginando, curvo e accigliato quando qualcuno lo afferrò per un braccio.

“Finalmente, ti seguo da cinque minuti" Alex lo abbracciò stretto, senza che lui facesse in tempo a reagire

“Ho una proposta da farti, all’università mi hanno regalato due ingressi per il palazzetto del ghiaccio, si trova proprio dietro casa mia. Pensavo che magari ci saremmo potuti andare insieme.”

Dominic esitò “Si potrebbe fare una volta…”

“Ora?”

“Ora??” Di nuovo. Non che avesse di meglio da fare. Ma non era abituato a prendere questo genere di decisione improvvisa e spontanea

“E dopo potresti fermarti a cena con me, sono solo stasera, mio padre è in trasferta e mia madre fa il turno di notte in ospedale… mi farebbe piacere”

Dom avrebbe voluto dire di no. O forse avrebbe dovuto. O meglio sentiva di dovere. E poi non era un gran pattinatore e aveva paura di cadere e fare brutta figura.

“Non lo so… mia madre mi starà aspettando" mentì. Lei non sarebbe tornata prima delle dieci, come al solito, dopo al turno al fast food.

Alex smise di sorridere e alzò le spalle “Oh… hai ragione, certo, lei ti vorrà vedere, insomma lavora tutto il giorno"

“In realtà negli ultimi giorni le cose sono un po' strane. È come se mi evitasse” Dominic non sapeva esattamente perché l’avesse detto. Forse era per togliersi quel peso dallo stomaco. O per cercare di togliere dal bel viso dell'altro quell'espressione troppo seria.

“Senti…” forse si sarebbe pentito della scelta “Mi fa piacere passare del tempo con te. Io posso venire da te più tardi"

“Per cena?” il ragazzo rosa si illuminò sotto alla frangia

“Per cena va bene. Ora vado da mia madre al lavoro e glielo dico e poi ci vediamo da te…”

“Via delle palme numero 11. Ti aspetto” parlando Alex saltellava , come un bambino felice “Possiamo parlare anche della band”

Dette queste parole poggiò le mani sulle spalle di Dominic, si alzò sulle punte e lo baciò sulla guancia prima di andarsene scuotendo la mano. L'altro lo guardò allontanarsi, fingendo di non prestare attenzione a come il confine tra la giacca di pelle troppo grande e i jeans troppo stretti evidenziasse i suoi fianchi.

“Non sono gay" mormorò, arrossendo violentemente; poi si incamminò verso il fast food.

Dire che il luogo di lavoro della madre era squallido sarebbe stato un complimento. In una a delle zone più depresse della città, nonché quella in cui vivevano, quel locale sembrava essere rimasto fermo agli anni ’80, ma senza quell'aria fascinosa da buona musica e grande politica internazionale. Era semplicemente vecchio. E triste. Quando vide al bancone il capo del personale, un piccolo uomo sovrappeso sciatto e frustrato, alzò gli occhi al cielo.

“Signor Larry, sto cercando mia madre, potrei parlarle un momento?”

“Devi comprare qualcosa, qui si entra per comprare, ragazzo”

Scelse il solito milkshake alla fragola, il cui colore gli ricordò i capelli di Alex ed attese appoggiato al banco. La mamma uscì frettolosa dal retro, pulendosi le mani costantemente unte sul grembiule fucsia

“Accidenti, coniglietto. Lo sai che non posso” lanciò un'occhiata al capo “Due minuti”

Dominic la baciò sulla guancia con gentilezza “Stai bene?”

“Solito, Dom, e tu? Hai bisogno di qualcosa?”

“Posso uscire a cena?”

“Hai ventidue anni, puoi fare come ti pare… con chi?”

“Un nuovo amico. Vado da lui, è uno a posto”

Lei annuì, come per tagliare corto “Bene, bene. Evita i quartieri brutti ok?”

“Mamma noi viviamo nel quartiere brutto"

“Sì ma non dirlo al capo" risero entrambi, poi la mamma fece per andarsene, salvo fermarsi e tornare indietro in fretta “C'è poi una cosa di cui dobbiamo parlare. Ma non ora, goditi la serata. Baci, coniglietto”

Dominic la lasciò andare malvolentieri e prima di uscire con in mano il suo milkshake rosa lanciò uno sguardo all'ometto sovrappeso al bancone

“Ciao, coniglietto” lo salutò il capo

Non si seppe trattenere. Sarebbe finito nei guai, probabilmente, ma in quel momento provò una grandissima soddisfazione nel mostrargli il dito medio e sbattersi la porta alle spalle.

Mentre si preparava per uscire fu costretto a guardarsi allo specchio. Odiava doverlo fare ora che non poteva più sognare di trovarsi in uno stadio pieno di fan urlanti. Odiava i suoi capelli neri e gli occhi ancor più neri sempre segnati dal sonno e le labbra carnose che credeva lo facessero somigliare ad una donna. E poi non sapeva cosa indossare. Odiava il modo in cui la stoffa si tendeva sulle sue spalle ampie. Niente sembrava mai appropriato addosso a lui. Dominic frugò nell’armadio e quando trovò i jeans con gli strappi sulle ginocchia che aveva amato tantissimo pensò a quelli indossati da Alex. Gli sarebbero piaciuti. E lui per un qualche assurdo motivo voleva piacergli, quella sera. Allora si ricordò dell’orecchino che era solito portare quando andava a scuola e vagò per la stanza a cercarlo. Fu piuttosto doloroso rimetterlo, ma quando si osservò riflesso non si sentì ridicolo come avrebbe temuto. Era curioso come un pezzo di metallo potesse renderlo più sicuro, si chiese per quale motivo avesse smesso di portarlo. Infilando la camicia bianca, sommo segno di eleganza e cura secondo sua madre, nei pantaloni ed abbottonandola si permise persino di canticchiare. Welcome to the Black Parade. Non credeva di averla già assimilata.

La paura giunse quando si trovò davanti al numero 11 di viale delle palme. Dom se ne rimase fermo in mezzo al marciapiede per un tempo interminabile a riflettere quando mai avesse avuto l’occasione di entrare in una casa tanto bella. Concluse che non era mai capitato e la sua ansia salì alle stelle. Non era il posto per lui, il solitario, musone, disperato Dom. Quella graziosa villetta a due piani con un giardino pieno di fiori, con tende bianche alle finestre e un vialetto dii pietre arancioni come le foglie che ci cadevano sopra. Stava davvero pensando di girare sui tacchi e sparire quando la porta si aprì.

“Stai male?” la testa rosa di Alex spuntò dal patio “Vuoi fare cena sul marciapiede?”

Dominic si riscosse “No… insomma… ciao"

“Sei fermo qui da una vita” l'altro gli andò incontro sorridente

Era maledettamente bello. Completamente vestito di nero, con quella maglia lucida e stretta intorno ai fianchi. Aveva delle proporzioni perfette e sembrava esserne consapevole, nei suoi abiti attillati. Camminava scalzo tra le foglie e quando aprì il cancelletto per invitarlo ad entrare Dom si sentì inadeguato. Temette che lo giudicasse un poser,  oppure troppo sciatto o persino troppo elegante. Fortunatamente Alex sembrava non essere in grado di tacere

“Interessante, questo stile” sorrise “adatto alla nostra band"

“Non abbiamo una band"

“Non ancora”

L'interno della casa era accogliente. Pieno di troppe cose, forse, ma Dominic lo apprezzava, gli piacevano le persone che potevano permettersi di raccogliere ricordi belli, che li consideravano importanti

“Di qua c'è il salotto, laggiù il bagno e di fronte la cucina” Alex lo prese per mano, inaspettatamente e lo condusse con se ad osservare le stanze appena descritte. Parlò, indicò senza mai lasciarlo.

“Di sopra ci sono le camere, ma ora ho paura di bruciare qualcosa, ti va di seguirmi in cucina?”

La cucina era grande come l'intero appartamento di Dominic

“C'è ancora disordine" spiegò Alex “Ci sono scatoloni ancora da svuotare accantonati un po' ovunque e ci manca una sala da pranzo. Spero che non sia troppo spiacevole”

“Io non so cosa sia una sala da pranzo. Mai avuta. Nemmeno un salotto in realtà”

Alex si voltò a guardarlo prima di lasciare andare la sua mano e chinarsi a controllare il forno. Dominic ammirò ciò che tale movimento offriva ai suoi occhi mentre aspettava la sua risposta. Aveva bisogno di fargli capire quanto i loro mondi fossero diversi. Ne aveva bisogno perché sentiva come Alex stesse diventando importante per lui e temeva di perderlo per un non detto. Nonostante ci fossero ancora molte cose di cui non avrebbe parlato.

“Se vuoi il nostro salotto è il tuo salotto" Alex tirò fuori una teglia fumante e posò orgoglioso il suo arrosto sul tavolo

“Anzi, dopo cena guardiamo un film, che ne dici? Così lo provi il salotto e decidi se ti piace"

Dominic si sentì incluso. Come se fosse naturale la sua presenza nei discorsi dell'altro e il timore cominciò a svanire. Sentì il bisogno fisico di assicurarsi che le cose rimanessero così e allora tirò fuori il discorso che sapeva gli avrebbe permesso di tenerlo vicino a sé

“Allora… sei serio riguardo alla band?”

Alex si illuminò, sorrise con il coltello in mano come un adorabile psicopatico

“Serissimo. Tu canti io provo a suonare la chitarra. Giriamo qualche strada e qualche locale e vediamo quanta gente ci segue”

“Ci sto" non ci aveva nemmeno pensato, in realtà. Ma non era ancora capace di lasciare andare quel sogno definitivamente infondo. Questa poteva essere una variazione sul tema interessante.

“Ma io non ho molto tempo" aggiunse

“Nemmeno io. Al mattino ho lezione, mi serve qualche ora di studio… potremmo trovarci alla sera"

Mangiarono seduti l’uno di fronte all'altro. Dom cercava di stare composto e comportarsi con un minimo di classe, Alex, invece, stava a gambe incrociate sulla sua sedia e si appoggiava costantemente al tavolo con i gomiti. Dopo un po' anche il cantante capì che si sarebbe potuto rilassare. Arrivò persino ad aprire un bottone della camicia. In quella casa il riscaldamento doveva essere acceso. Si accorse di come Alex lo fissò mentre si sbottonava la camicia ed ebbe la bizzarra impressione di interessargli. Non che gli importasse…no?

Parlarono della band di cosa avrebbero potuto suonare, Dominic si lasciò trasportare dall'entusiasmo del padrone di casa, immaginò di nuovo un palcoscenico per sé. Tentò di sentire la propria voce come quella di un cantante rock e gli parve persino di avere qualche possibilità. Infondo era stato arrabbiato per anni e lo sarebbe ancora stato se non avesse semplicemente perso ogni interesse nella vita. Forse la rabbia gli sarebbe tornata utile un giorno.

“Saremmo solo noi due nella band?” Chiese ad un certo punto

“Per il momento..  potremmo trovarci un batterista però… anche se le band di due persone sono sick, dude. Roba tipo Twenty One Pilots… capisci?” Dom rise della sua aria sognante ed annuì, conosceva le loro canzoni, ma evitava spesso di ascoltarle. Era come se gli facesse troppo male sentire così ben espresso il suo malessere.

Continuarono a parlare anche quando i piatti furono vuoti e nel lavandino. Alex tirò fuori una bottiglia di Coca-Cola ed una di Whiskey e preparò da bere a entrambi con tanto di ghiaccio e limone. Parlarono di quale sarebbe stata l'estetica del gruppo, concordando per il nero a cui si sarebbe dovuto aggiungere un colore acceso, poi il chitarrista espresse la sua opinione sulla musica alla radio con un “Tutte merdate" che fece scoppiare Dominic a ridere. Aprirono una lattina di frutta sciroppata e la coprirono di panna da una di quelle confezioni spray. Fu in quel momento che Alex fece qualcosa di assurdo. E magnifico. Magnificamente assurdo. Con una nonchalance ostentata, infatti, si sporcò un dito di panna e con ancora più studiata preparazione la leccò via. Il calore che si sprigionò nel corpo di Dom lo spinse a cercare una via di fuga. La trovò nell'orologio.

“Che ore sono?” Chiese

“Quasi la mezza"

“Merda… è tardi" sua madre probabilmente era addormentata

“Scusami, ho parlato troppo e ti ho fatto perdere tempo"

“No, io… ho apprezzato quello che hai fatto per me…” Dominic guardò Alex dritto negli occhi per la prima volta “Sei un bravo cuoco e un buon amico" avrebbe avuto altre mille cose da dire, ma temeva che non fossero appropriate

“Sentì…” il ragazzo rosa si alzò per finire di sparecchiare la tavola “Se vuoi puoi fermarti a dormire. Sinceramente non mi va che tu ti faccia mezza città a piedi di notte"

“Sono adulto, grande e forte" Dom sorrise

“Lo vedo. Però ti vorrei tutto intero dato che ho intenzione di invitarti a provare qualche pezzo domani sera, qui nel mio garage"

“Va bene"

“Che cosa?”

“Tutto".

 

Quando Alex chiuse la porta della camera alle loro spalle e cominciò a preparare il divano letto per lui, accanto al proprio di letto, pensò di morire dall'imbarazzo. Una parte di lui avrebbe voluto fuggire e un'altra lo teneva inchiodato a vivere quel genere di esperienza che non aveva mai fatto prima. Non aveva mai dormito a casa di un amico. Non aveva mai avuto un amico simile. Quando Alex ebbe finito di sistemare lenzuola e coperte e si voltò a guardarlo doveva avere una strana espressione.

“Ora ti cerco un pigiama… non credo che niente di mio ti vada… insomma tu sei così… sei grande… cioè hai un fisico…” il chitarrista arrossì senza poterlo nascondere “Aspettami qui" disse uscendo dalla stanza

Dominic si trovò a riflettere su come potesse sentirsi Alex ad averlo intorno. Insomma Alex si sentiva attratto dai ragazzi e lui era un ragazzo. Non che si ritenesse un adone. Ma forse c'era qualcosa in lui che l'altro potesse apprezzare e si chiese se gli sarebbe mai potuto piacere.

“Questo è di mio padre, penso vada bene” rientrando il ragazzo rosa gli consegnò un pigiama blu dall'aria di qualcosa che lui non si sarebbe mai potuto permettere. Sembrava che si fosse tranquillizzato, il rossore era sparito dal suo viso per lasciare spazio al solito sorriso

“Andrà benissimo” rispose Dom, sedendosi sul bordo del suo letto

“Posso chiederti un favore?” esordì Alex avvicinandosi

“Dimmi"

L'altro si voltò di spalle, davanti a lui e gli indicò la cerniera che chiudeva la sua complicata e aderente maglia di finta pelle

Dominic annuì, si alzò, si avvicinò. I capelli di Alex avevano un buon profumo, il suo collo chiaro aveva un buon profumo. Dovette respirare profondamente perché le mani non gli cominciassero a tremare. Si diede mentalmente dell'idiota, si obbligò a non fare figure pessime mentre apriva la zip e cercava di non guardare la pelle pallida ed attraente che compariva sotto ad essa. Gli sembrò che ci volesse un’eternità e quando staccò le mani da lui le trovò sudate.

“Grazie. Da solo è una fatica”

“Di niente”

Quando Alex si sfilò la maglia si costrinse a guardare altrove, a concentrarsi sui bottoni della propria camicia. Sbottona un bottone. Con la coda dell'occhio lo vide mentre si abbassava i jeans. Due bottoni. Alzò brevemente lo sguardo per cogliere boxer bianchi e sottili su un sedere invidiabile. In una frazione di secondo divenne involontariamente cosciente di cosa significasse il sesso con un ragazzo e si morse la lingua per forzarsi a cambiare pensiero

“Io non sono gay" ripeté sottovoce Dom, finendo di sbottonarsi la camicia

“Hai detto qualcosa?” occhi azzurrissimi che lo guardavano ed un corpo delizioso

“Niente” non poté non notare lo sguardo di Alex che gli scivolava addosso. Fare finta di niente. Togliersi da quella situazione. Infilò la parte superiore del pigiama e cominciò ad abbottonarsela dal basso. Era un idiota. Eppure l’idea che l'altro lo stesse guardando gli faceva uno strano effetto. Quando tornò ad alzare gli occhi Alex indossava una maglietta troppo grande per lui con il logo dei Linkin Park, ma niente pantaloni. Lo guardò mentre si infilava tra le lenzuola. Quando scoprì che ora gli sarebbe toccato cambiare il resto del proprio abbigliamento avvampò.

“È carina la tua stanza, molto ordinata” riempire il vuoto di parole insulse fu l'idea migliore che ebbe

“Mia madre la tiene così in ordine. Fosse per me ci sarebbero pile di vestiti"

“Nella mia ci sono. Ecco perché non ti inviterei mai da me"

Risero entrambi per allentare la tensione, ma quando Dominic si girò e scoprì che gli occhi di Alex erano ancora fissi su di lui ebbe paura di reagire a sproposito. Così si infilò in fretta sotto alle coperte nascondendo ogni eventuale, strano, assurdo segno del suo imbarazzo.

“Allora la band?”

Dom alzò gli occhi al cielo scherzosamente “Un chiodo fisso eh"

“Appunto, ci manca un nome"

“Temo di non saperti aiutare. Non sono un un piccolo punk ribelle come te”

“Ti serve solo una spinta” il ragazzo rosa saltò giù dal letto per andare a sedersi sul suo. A gambe incrociate e mezzo nudo “Posso essere io la tua spinta"

Dominic dovette farsi forza per non cedere ancora alla tentazione di pensare che ci stesse provando con lui. In realtà non ci riuscì.

“E come mi aiuteresti?”

“Posso tirarti su di morale" rispondendo, Alex si morse appena il labbro inferiore e Dom sentì la necessità di nascondersi e non uscire mai più dalla sua tana. Non che non gli piacesse, ciò che stava accadendo. Solo che era strano. Era un ragazzo. Era un ragazzo gay. E gli stava facendo delle avances. E a lui non dispiaceva.

“E poi credo che tu abbia talento. Ti aiuterò a tirarlo fuori. Mi sembri un tipo grintoso, devi solo ricordartelo" il sorriso con cui aggiunse queste parole lo rese talmente candido che il cantante pensò dopo un solo istante di essersi immaginato tutto. Fu sorpreso di scoprire che gli dispiaceva. Così quando Alex fece per alzarsi lo afferrò per un braccio con più violenza di quanto avrebbe voluto, facendoselo cadere addosso. Le coperte che li dividevano non gli impedirono di sentire le forme del suo corpo mentre si muoveva, coricato su di lui e lo guardava. C'erano sorpresa ed attesa nei suoi occhi e Dominic ebbe la certezza che ogni cosa fosse stata pianificata, che Alex stesse per raggiungere ciò che voleva. Allora gli prese il viso tra le mani ed appoggiò le labbra alle sue.

Fu un solo istante ma il suo corpo andò in fiamme, non fu niente di più che un contatto tra le loro labbra, ma quando si staccarono Alex sorrise con l’aria del predatore soddisfatto

“Buonanotte” gli disse, alzandosi e Dom immaginò di poterlo stringere, toccare e baciare ancora. Non era mai stato attratto da un ragazzo, prima. Ma quando la luce si spense e cominciò a sentire il respiro regolare di Alex addormentato cominciò ad immaginare come avrebbe potuto rendere quel respiro più affannoso, come avrebbe voluto sentire il suo nome mormorato da quelle labbra in un momento di piacere. Immaginò un palco, una folla, la musica. Immaginò di baciarlo davanti a tutti e di possederlo nel backstage.
"Io non sono gay" si ripetè mentre cercava di addormentarsi. Eppure cominciava a provare davvero qualcosa per lui, uno strano miscuglio di sentimento, calore umano e desiderio che nel mezzo della notte lo costrinse ad alzarsi e rifugiarsi in bagno a risolvere il proprio problema per non fare figure imbarazzanti al mattino.

 

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Capitolo 4
*** Heaven's Gate ***


Ci mise un momento ad accorgersi che non era nella sua stanza, accanto a lui non c'era il muro freddissimo e sopra di lui il soffitto era pulito, come magicamente libero dell’umidità del piano di sopra. E poi faceva caldo e nel caldo si diffondeva un buon profumo. O meglio il profumo di qualcuno che era solito avere un buon profumo.
La prima cosa che mise a fuoco furono i suoi occhi socchiusi che lo guardavano. Aveva sul naso il segno del cuscino e Dio se era bello.
“Buongiorno, Dom”
“Buongiorno Alex"
“Posso chiamarti Dom, vero?”
Gli guardò le labbra mentre parlava, improvvisamente conscio di averle baciate. Temeva che se ne sarebbe pentito, invece si sentiva benissimo.
“Puoi chiamarmi come vuoi. Come vuoi essere chiamato, tu?”
“Alex va bene, o Ale, o Al. Il mio nome è Alexander”
“Ti presenti a tutti con il tuo soprannome?”
“Solo a chi mi piace"
Lo osservò mentre di srotolava dalle coperte e vagava in maglietta oversize e boxer alla ricerca di un paio di pantaloni. No, non riusciva a negarlo, c'era come una naturale intimità tra loro. Sempre che Alex non si comportasse così con tutti. Quel pensiero colpì Dom dolorosamente. Sarebbe stata dura da digerire.
“Hai mai avuto un ragazzo?” la domanda gli scappò dalle labbra senza che riuscisse ad opporsi
“Un paio fissi” il ragazzo rosa si voltò e gli fece l'occhiolino “Ora sono libero, ti interesso?”
Dominic arrossì dalla punta dei piedi alla radice dei capelli “Sono etero" riuscì a dire tra un borbottio e un altro
“Certo" Alex rise e lui pensò che la cosa lo dovesse offendere, ma quella risata era semplicemente troppo graziosa
“Sento odore di caffè, mamma è sveglia, scendiamo a fare colazione?”
Il cantante si sentì d'un tratto in imbarazzo. Era probabile che lei non sapesse nemmeno che era stato li. Cosa avrebbe pensato vedendo uscire dalla camera del figlio uno sconosciuto con addosso i vestiti di suo marito?
Quando Alex notò la sua esitazione e lo prese per mano si lasciò condurre fuori. La cucina illuminata dalla luce del giorno era ancora più bella, piena di vitalità, bottiglie di vino, calamite souvenir attaccate al frigorifero, la caffettiera che gorgogliava. E la mamma che vi si muoveva non era da meno. Formosa e rassicurante.
“Ciao mamma” Alex la baciò su una guancia e si fece baciare prima di lasciare la mano di Dom per presentarlo
“Lui è Dominic, un nuovo amico”
Lei allungò la mano e lui la strinse, consapevole che lo stesse valutando “Piacere, signora"
“Sono Melinda, benvenuto” tornò ad occuparsi del caffè “Ho preparato per tre, immaginavo che avessi ospiti dato che non mi hai aspettata sveglio fino alle 4”
Alex arrossì ed alzò le spalle “Fatico a dormire… almeno quando sono solo in casa"
Mangiarono insieme e Dom si godette il genere di colazione ricca e in compagnia che normalmente non aveva, assaggiò tutto ciò che Alex gli proponeva.
“Hai una gran fame, Dominic" notò Miranda sorridente, aveva lo stesso sorriso del figlio, spazio tra gli incisivi compreso. Forse cominciava a piacerle. Chiacchierano del lavoro, Dom parlò del supermercato ed arrossì in contemporanea con Alex quando lei osservò “Ora capisco tutta la smania di mio figlio di andare a fare la spesa in questi ultimi giorni. L'hai scelto carino Ally. Piacerà anche a papà”
“Oddio mamma” il ragazzo rosa nascose la testa sotto al tavolo e Dominic desiderò di poter avere quella vita. In un solo istante odiò la sua casa e la sua disastrata famiglia come mai prima di allora
Come doveva essere avere una madre tranquilla, una cucina che non fosse anche una camera da letto e poi avere pavimenti di legno, armadi pieni di vestiti e un padre?
Mentre salivano le scale per tornare in camera era pensieroso
“Ti ha messo in imbarazzo, vero?” Chiese Alex, toccandogli delicatamente una spalla
“Chi?”
“Mamma"
Sorrise “No, mi piace”
Alex chiuse la porta e restò fermo per qualche secondo prima di voltarsi verso di lui
“Devo chiederti scusa per ieri sera”
Dom sperò che non lo dicesse sul serio, ma allo stesso tempo non ebbe il coraggio di parlare
“Il fatto è che mi piaci un pochino e non sono neanche un pochino bravo a nasconderlo”
Sedette sul bordo del letto e gli fece cenno di seguirlo, Dominic obbedì, in silenzio
“Capirò se non vorrai tornare qui da me. Ma te lo chiedo comunque. Verresti stasera per suonare un po' con me? Posso ospitarti di nuovo se ti va"
Lo voleva. E voleva dirgli che avrebbe voluto baciarlo ancora e che lo stava confondendo a tal punto che presto avrebbe dimenticato persino il proprio nome. Ma non era bravo a parlare. Perciò semplicemente lo baciò. Lo baciò con convinzione questa volta, consapevole di cosa stava facendo. Così quando Alex gli mise le braccia intorno al collo e si sdraiò tirandoselo addosso, lui non si oppose. Sentiva il suo respiro sul suo viso, sulla sua bocca e il suo corpo sotto di sé, gli accarezzò il collo. Si staccarono solo quando furono entrambi senza fiato.
“Cosa vuol dire questo?” Chiese il ragazzo rosa
“Stasera ci sono"
Quando si salutarlo alla porta Alex gli prese il cellulare dalle mani e gli salvò in rubrica il proprio numero
“Per quando avrai voglia di sentirmi"
Dom annuì, il modo in cui dava per scontato che avrebbe avuto voglia di sentirlo lo imbarazzò, eppure non riuscì a mentire nemmeno a sé stesso, lo avrebbe davvero voluto.
 
Non fece che pensare a lui per tutta la giornata. Lo immaginò seguire lezioni all’università, immaginò sua espressione pensierosa da studente con cui si tormentava quel piercing tremendamente sexy. Lo aveva accompagnato fino alle porte dell'ateneo e si era stupito di non aver mai notato quanto quel posto fosse bello e pieno di gente fuori dagli schemi.  Certo, nessuno era come Alex, ma sembrava che lì ognuno potesse essere un po' più se stesso. Gli sguardi che aveva ricevuto quando il ragazzo rosa lo aveva salutato con un bacio a stampo gli avevano confermato che almeno in quel luogo non sarebbe stato giudicato. Andando al lavoro era distratto, per strada rischiò di farsi investire un paio di volte. Non aveva mai provato qualcosa di simile per una ragazza. Aveva pensato di essere incapace di innamorarsi, ora invece, gli sembrava di avere una spiegazione molto più semplice. Forse era semplicemente gay. Si guardò intorno mentre riordinava scatole di cibo per cani al supermercato, ma scoprì che nessun ragazzo o uomo lo interessava. C'era qualcosa in Alex che doveva essere unico.                                                                                   
Gli scrisse un messaggio all'ora di pranzo per sapere cosa stesse facendo e sorrise come lo stupido che si sentiva di essere quando ricevette la risposta
“Non dovrei dirtelo magari, ma ti stavo pensando. Ti stavo pensando ascoltando una lezione sull'idea greca di virilità”
Quando il capo gli sfilò il cellulare dalle mani fu sul punto di reagire molto male. Quando poi questo gettò uno sguardo allo schermo e lesse i loro messaggi, Dominic rischiò di salvargli addosso per togliergli quella smorfia dalla sua faccia da culo.
“Ridammelo"
“Chi è questo Alex?”
“Ridammi il cellulare. Ora"
 l'altro alzò le spalle “Alla fine del turno, signor Olsen"
Resistette fino alla fine del turno con la terribile consapevolezza che Alex gli avrebbe scritto e lui non sarebbe stato in grado di rispondere e, peggio ancora, qualcun altro avrebbe letto i suoi messaggi. Ne ebbe conferma quando andò a riprendersi il cellulare, nell'ufficio angusto del capo del personale
“Vado a casa" annunciò porgendola mano per farsi restituire ciò che era suo. L'uomo dall'altra parte della scrivania fece un mezzo sorriso
“Quel che è giusto è giusto… divertiti con il tuo amichetto, sembrate affiatati"
Dom uscì senza rispondere, avvampando per la rabbia. Qualche anno prima lo avrebbe sbattuto a terra e picchiato, ne era certo. Ma ora era cambiato, aveva fatto dei passi avanti e, per quanto alle volte il mondo esterno sembrasse intenzionato a fargli perdere le staffe, non intendeva caderci di nuovo. Proprio per evitare ulteriori provocazioni evitò di passare da sua madre al lavoro. Le scrisse un messaggio per avvisarla che non sarebbe tornato a casa e si diresse direttamente verso il Viale delle palme. Fece una sosta ad una bancarella per comprare un mazzo di fiori. Era solito farlo anche per sua madre, almeno fino a qualche tempo prima, quando lei sembrava ancora capace di apprezzare.  preso un po' dall'entusiasmo e un po' dall’ansia di dover cantare davanti ad Alex.
 
Quando suonò il campanello ad aprirgli la porta fu la signora Melinda.
“Bentornato, Dominic. Alex ti aspetta sotto in garage, si scende dalle scale laggiù nell'angolo"
“Grazie per la sua gentilezza” le porse i fiori con l’aria meno imbarazzata possibile. Lei lo squadrò per un momento prima di prenderli. Gli sembrò che il modo in cui lo guardava ora che suo figlio non era presente fosse diverso. Meno amichevole.
“Sembri un bravo ragazzo” osservò Melinda, annusando i fiori “Sei anche un ragazzo serio?”
Dom restò in silenzio, senza capire, finché lei non gli diede un buffetto su una guancia “Sei stato carino, ora scendi, ti aspetta”
Non sentì alcun rumore finché non ebbe aperto la porta del garage. Rimase fermo sulla soglia a guardarlo suonare. Era bello il modo in cui si muoveva. Aveva grinta, carattere, aveva tutta l'aria di un animale da palcoscenico con quella chitarra di un fucsia incandescente. Non lo interruppe, attese che avesse terminato il pezzo per applaudirlo.
“Oddio, Dom. Non ti avevo sentito” Alex gli corse incontro per abbracciarlo e il cantante detestò la presenza della chitarra tra i loro corpi. Il maglioncino viola che indossava il chitarrista metteva in risalto la curva dei suoi fianchi e Dominic fu felice di aver scelto di mettere quella maglia che gli aveva sempre dato l’impressione di essere più muscoloso della realtà.
Il garage era stato trasformato in una vera e propria sala per le prove, con pareti insonorizzate e gigantesche casse.
“E’ da finire” disse Alex “Questo posto, dico. Manca qualche sedia, almeno un tavolo… però mio padre ha fatto allestire il bagno” rise “Vedi le priorità”
Sedettero a terra, sul pavimento in linoleum grigio. Il ragazzo rosa sembrava più piccolo del normale seduto a gambe incrociate
“Dovremmo scegliere un genere" esordì Alex
“Credevo fossimo già d’accordo. Io mi fido di te. Tu sei un piccolo punk, posso imparare ad esserlo anche io"
Il ragazzo rosa rise “Sii solo te stesso”
“Che cosa vuoi che faccia la nostra musica?” chiese Dom. Si sarebbe aspettato una pausa di riflessione che non ci fu.
“Bene agli altri. E da a sfogo per noi. E il rock è ciò che può farlo, credo. Per me è sempre stato così”
“Ci sto" se gli avesse detto di gettarsi da un ponte probabilmente lo avrebbe fatto, ne era consapevole. Ma a quegli occhi non riusciva a  dire di no e nemmeno a quelle labbra e a quella voce.
“Ci serve un nome. Qualcosa che abbia significato per entrambi, qualcosa che ci leghi”
Si misero a pensare, ognuno con il proprio foglio; Alex scarabocchiava e cancellava, concentratissimo. Dominic lo guardò a lungo, chiedendosi cosa significasse quella persona per lui. Si ricordò di quando pochi giorni prima si sentiva svuotato e di come ora tutto era vivido. Stava vivendo in una campana di vetro. Stava passando quei giorni in un’atmosfera protetta all’interno della quale crescevano alberi e fiori e tra questi orbitavano parate di gente bizzarra a ritmo di rock, desideri realizzati, calore umano, palcoscenici isolati in lande di una desolazione bellissima. Era il paradiso. Ed era stato Alex a spalancargliene le porte. Scrisse un solo nome possibile sul suo foglio.
“Allora, chi legge per primo?”
“Tu”
Alex spiegò il suo foglio spiegazzato dalle cancellature e lesse ad alta voce
“Bats… perché sai… ci vestiamo di nero entrambi… non che mi convinca, ma ho altre possibilità… non che mi convinca nessuna di queste in realtà”
“Tu leggile e basta”
“Seasound… Freebirds… Ode… no sono tutti terribili, mi tiro indietro”
Dominic rise della sua improvvisa timidezza “Devo dire che Freebirds suona bene, avanti, spiegameli”
Il ragazzo rosa si passò nervosamente una mano tra i capelli “Beh, Seasound… è per via della tua voce”
“La mia voce?”
“Sì, ti ho sentito cantare una volta soltanto finora… però nella tua voce ci sono alti e bassi, sonorità forti e vuoti improvvisi”
“Dovrebbe essere una bella cosa?” non aveva mai pensato alle caratteristiche della sua voce. Sapeva solo che era diversa, generalmente intonata e che fino a quel momento non gli aveva mai permesso di essere apprezzato da un qualunque esperto del settore musicale.
“Lo è. Anzi, senti qui” prese il cellulare e scelse una canzone “Desert Song, My Chemical Romance, sì, sono il mio gruppo preferito. Senti la sua voce. A tratti si spezza, va a morire, si dissolve, sembra un grido, un pianto, uno squillo di tromba. A tratti emerge dal profondo a tratti dalla superficie.”
Dominic lo guardò mentre parlava. C’era così tanta passione in lui. Ascoltandolo gli riusciva di credere che la musica potesse essere solo questo: passione purissima. E poi quella canzone gli piaceva davvero. Non comprese esattamente che cosa Alex avesse sentito nella sua voce di simile a quella che ora stava sentendo. La sua era scarsa bravura tecnica. Quella che stava ascoltando era straordinaria forza interpretativa. Non era la stessa cosa. Ma non gliel’avrebbe mai detto.
“Cosa c’entra con il mare?” chiese
“Profondità e superficie” rispose semplicemente Alex “Invece con Freebirds intendevo che siamo entrambi spiriti liberi, diversi, indipendenti”
“Tu lo sei” Dom tentò di immaginarsi come uno spirito libero e non ci riuscì
Alex allora si accorse del suo improvviso malumore e, arrossendo, cambiò argomento
“Ode invece è… insomma una dichiarazione. La prima volta che ti ho visto mi sei sembrato poesia. E ‘ questo che intendevo dire.”
“Grazie” non riuscì a rispondere altro, considerato il blocco nel petto che gli impediva di ammettere, di dichiarare ciò che sentiva davvero. Nel suo cuore era tutto chiaro. Nella sua mente, invece, c’era confusione e lui non era ancora in grado di mettere ordine. Vide come Alex si rabbuiò ed odiò il modo in cui aveva risposto, ma non fu capace di aggiungere nulla. Così quando l’altro gli chiese se lui avesse avuto altre idee corse ai ripari.
“Una sola. Heaven’s Gate” disse a bassa voce
Non si aspettava affatto il modo in cui l’altro sembrò illuminarsi. “Suona fantastico” esclamò Alex, dimenticandosi o nascondendo bene la delusione per la sua mancata reazione “Spiegami”
“Dicevi che vuoi che la nostra musica aiuti le persone. Aiuterà ad uscire dalle cose peggiori, dai momenti bui. Sarà come spalancare le porte del paradiso sull’inferno.” Tenne per sé il fatto che per lui quelle porte si fossero spalancate nel momento in cui l’aveva incontrato. Aveva una paura folle e certamente malata che quel qualcosa che c’era tra loro potesse cambiare tirando dentro quel genere di pensiero.
Alex si alzò in piedi, pulendosi le mani impolverate sui jeans “Signore e signori… gli Heaven’s Gate” annunciò con un inchino esagerato “Non è favoloso? Dio, Dom, sono così felice”
“Anche io” Dominic non dovette mentire per rispondere. Era bello vederlo così.
Passarono la serata ad ascoltare pezzi che avrebbero potuto suonare, Alex gli consegnò i testi di quelli che lui preferiva stampati su fogli rosa come i suoi capelli. Parlarono fantasticando come bambini, lasciandosi indietro ogni traccia di delusione, di tensione emotiva e di paura. Le pareti scure insonorizzate del garage li avvolgevano come una tana sicura. Dom prese persino il coraggio necessario per tentare di imitare qualche vocale isolato di ciò che ascoltavano e scoprì che la sua voce non era davvero male per quel genere di musica. Cantò guardando Alex, la linea delicata del suo collo che spariva nel maglione, dal cui strappo sul fianco, che fino a quel momento non aveva notato, intravedeva la sua pelle chiarissima. Ammirò le sue gambe eleganti, sorrise dei suoi calzini a pois rosa e desiderò che tutto quello che stava vivendo potesse non finire mai. Non l’avrebbe mai ammesso. Ma magari ad Alex sarebbe bastato guardarlo negli occhi per comprendere.
Doveva essere quasi mezzanotte quando Alex sedette su una delle grandi casse, con la chitarra tra le mani
“Cosa vuoi che ti suoni?” chiese “Per ringraziarti di aver cantato per me”
“Una canzone tra quelle che abbiamo scelto. Sono curioso”
Il ragazzo rosa gli fece l’occhiolino in un modo a metà tra l’adorabile e il terribilmente sensuale “Demolition Lovers” mormorò, prima di cominciare.
Dominic chiuse gli occhi. Immaginò un palcoscenico all’aperto e una folla. Sentì persino l’aria sulla faccia. Alex era bravo, molto di più di quanto lui avesse avuto modo di immaginare. Non capiva nulla di tecnica, l’unica cosa che capiva erano i brividi che gli metteva il suo modo di suonare. O di parlare. O di baciare. Riaprì gli occhi per guardarlo e si perse come si sarebbe potuto perdere ammirando una grande opera d’arte. Quell’espressione attenta e seria che fino ad allora non aveva mai visto sulla sua faccia era qualcosa dietro a cui perdersi.
Quando Alex smise di suonare e alzò lo sguardo su di lui sembrava un'altra persona. Aveva ancora quell'aria concentrata e professionale e sembrava adulto, molto più del normale. E le sue mani. Non aveva mai fatto granché caso alle sue mani se non per notare lo smalto sempre nero e sempre sbreccato. Invece il modo in cui correvano sulle corde sembrava averle trasformate in qualcosa di sublime e grandiosamente sensuale. Dominic si rese conto distrattamente del fatto che quando era con lui non riusciva a pensare a niente di diverso. Si disse che forse non c'era nulla a cui valesse la pena di pensare quando l’aveva vicino.
“Ti piace il pezzo?” la voce di Alex lo riscosse
“Molto, e grazie per avermi preparato tutto questo” indicò i fogli che teneva in mano
Il ragazzo rosa sorrise “Che dici, torniamo su?”
“Va bene”
Dom lo guardò mentre posava la chitarra, riavvolgeva cavi e spegneva il suo mastodontico sistema di amplificazione. Doveva aver speso davvero una fortuna per allestire quel garage. Si chiese se fossero stati i suoi genitori a pagare o se se lo fosse guadagnato da solo e come avesse fatto. Si sistemò distrattamente i capelli, seduto sull'amplificatore. Allora si vide riflesso nello specchio dalla porta aperta del bagno e per una volta si piacque. I suoi capelli neri, i jeans strappati, le apparecchiature musicali creavano una bella estetica. Gli sembrò di aver trovato il suo posto come quando si esibiva davanti allo specchio nella sua camera e ancora credeva di valere qualcosa. Si diede dello stupido. Erano passati solo pochi giorni da allora, eppure gli sembrava di essere cambiato così tanto.
“Che fai?” Alex gli si avvicinò con le mani sui fianchi, lanciò un’occhiata indietro per vedere che cosa stesse guardando e sorrise “Sì, sei bello"
“Dici?”
“Sì… ma non fidarti di me, magari sto cercando di sedurti”
Dom alzò le spalle “Perché dovresti?” pensò che si sarebbe divertito un po' a stuzzicarlo, scoprire se anche lui fosse capace di farlo come Alex aveva fatto la sera precedente. Faceva parte del suo essere cambiato. Voleva capire che cosa avessero da offrire quella personalità e quel corpo da cui si sentiva innegabilmente attratto.
“Forse perché mi piaci un pochino, signor cantante degli Heaven’s Gate”
“Ma io sono una celebrità, mi lascerei sedurre da un fan?”
“Si da il caso che io sia un chitarrista promettente, signore, forse potrei fare un’audizione per la sua band"
Dom si inumidì le labbra, pregustando il momento in cui lo avrebbe baciato. Quella storia del “signore" cominciava a piacergli.
“Sembri un ragazzo interessante, potremmo trovare un accordo”
Alex si arrampicò sull'amplificatore e gli si sedette sulle gambe. Dominic posò le mani sui suoi fianchi per paura che cadesse e si ritrovò a pregare di non reagire con troppa evidenza a quel contatto particolarmente intimo.  Scherzare era un conto. Spiegare per quale motivo avesse un’erezione in corso dopo essersi dichiarato etero era un altro.
“Cosa posso fare per lei?” Alex gli mise le braccia intorno al collo, fissandolo negli occhi “Sai… odio che mi venga detto che cosa fare o non fare… ma ci sono occasioni in cui può diventare eccitante”
Dom sentì il calore che si sprigionava dal suo basso ventre quando si accorse che per dirlo era uscito dal personaggio. Ricordò i sogni assurdi della notte precedente. Stava perdendo il controllo della situazione
“Potresti tacere e fare un uso migliore di quelle labbra"
Seguì un bacio diverso da quelli precedenti e il cantante pensò che avrebbe voluto provare qualsiasi cosa con quella bocca. Alex si mosse su di lui ed aprì la bocca per sospirare, permettendo alla lingua di Dominic di incontrare la sua. Continuarono a baciarsi con meno delicatezza e più passione di quanto avessero fatto in precedenza e quando il chitarrista si staccò l'altro non poté trattenere un gemito di disappunto. Quando poi saltò giù dall’amplificatore pensò seriamente di afferrarlo e tirarlo ancora a sé.
Si trattenne quando vide il modo in cui si passava la lingua sulle labbra. Non capì che cosa stesse facendo quando si inginocchiò a terra e lo accarezzò in mezzo alle gambe. Provò un innegabile piacere, però, quando cominciò a massaggiarlo attraverso i pantaloni
“Alzati, per piacere” gli chiese Alex e lui obbedì, lasciò che gli sbottonasse ed abbassasse i jeans. Sentì le sue mani calde che gli toccavano le natiche, le cosce e infine gli toglievano i boxer. Quando lo vide in mezzo alle proprie gambe capì finalmente le sue intenzioni. Cercò di protestare ma Alex lo spinse gentilmente indietro a sedere e gli sorrise
“Fare un uso migliore di queste labbra" mormorò
Dom non seppe se sentirsi più imbarazzato, lusingato o eccitato. Nel momento stesso in cui la lingua dell'altro sfiorò il suo membro sentì che era sicuramente più eccitato che altro. Quando la bocca di Alex lo accolse si lasciò sfuggire un gemito, le sue unghie gli si piantarono nelle cosce costringendolo a stare fermo.
“Al..ex" mormorò, guardando la sua testa rosa mentre gli offuscava la ragione; l'altro alzò lo sguardo verso di lui e Dominic avvampò. Non credeva che qualcosa potesse essere contemporaneamente osceno e pieno di grazia. Ma Alex che lo guardava, tra le sue gambe, impegnato a dargli piacere era davvero osceno e pieno di grazia. Non riuscì a resistere. Tenendosi in equilibrio appoggiato su una mano, posò l'altra tra i capelli del chitarrista. L'altro rallentò, lasciando che fosse lui a guidarlo. Dom chiuse gli occhi, si morse l'interno della guancia per impedirsi di essere troppo rumoroso, ma la bocca di Alex su di lui era troppo da sopportare in silenzio. Si lasciò andare, gemendo e ottenne dall’altro una carezza di approvazione. Si chiese in un baleno quante volte lo avesse già fatto, mentre spingeva la sua testa verso di sé. Era dannatamente bravo.
“Miseria, Alex” gemette e il ragazzo rosa stirò per quanto possibile le labbra in un sorriso. Lo sapeva di essere bravo. Dominic sospirò quando la sua lingua lo percorse, soffermandosi dove sapeva di dare più piacere e riaprendo gli occhi si vide riflesso nello specchio, arrossato e ansimante. Poi guardò la schiena di Alex avvolta nello stretto maglioncino viola. Una così bella creatura inginocchiata tra le sue gambe. Così belle labbra impegnate su di lui e mani sottili che gli accarezzavano l’inguine.
Accorgendosi della sua soddisfazione, Alex spinse le mani più in alto, sotto alla sua maglia e lo graffiò, provocando nella mente di Dom un affollamento di pensieri su tutti i modi in cui avrebbe voluto possederlo. Non sapeva quanto tempo fosse passato dall’ultima volta che aveva avuto un rapporto con una ragazza. Non erano state molte, in realtà, le volte, e in quei giorni Alex gli stava dando del filo da torcere nel tenere il desiderio a bada. Gli accarezzò i capelli, sospirando rivolto al soffitto. L'idea che fosse un ragazzo a dargli quel piacere per qualche motivo lo eccitava ancora di più. Ed ora che ne era consapevole sentiva che non avrebbe retto lungo.
“Alex… io…” l'altro gli fece cenno di tacere, si separò da lui e gli sorrise con una dolcezza eterea mentre accarezzava la sua erezione. Dominic sentì l'urgenza di chinarsi su di lui e sollevargli il mento per baciarlo mentre raggiungeva il culmine tra le sue mani.
In quel momento esatto la voce della signora Melinda provenne dalle scale che conducevano al garage
“Merda" Alex si alzò in fretta “Rivestiti, veloce” poi corse in bagno, chiudendosi la porta alle spalle
Dom, intontito, si tirò su boxer e pantaloni armeggiando con il bottone e la cerniera, mentre le mani ancora gli tremavano dal piacere oltre che dal timore di essere scoperto. Raggiunse la zip in tempo per sentire la porta che veniva aperta
“Tutto bene ragazzi? È molto tardi"
Si voltò a guardarla, terribilmente consapevole del rossore sulle sue guance
“Sì, Melinda, grazie, stavamo giusto riordinando"
“Alex?”
Dominic indicò il bagno e la donna annuì
“Bene, chiudete quando tornate su a dormire. Io sto uscendo per andare al lavoro, di ad Ally che non torno prima di pranzo"
“Certo, buon lavoro"
Alex sbirciò dal bagno solo quando fu ovvio che era andata via; con i capelli in disordine e le guance di un rosa più intenso del normale
“Oddio" rise “Sarebbe stato imbarazzante"
Il cantante rise con lui, incerto su come comportarsi nei suoi confronti dopo ciò che era successo. Fu Alex a rompere ogni indugio
“Senti, Dom” Gli posò una mano sulla spalla “l'ho fatto perché mi piaci. Non so se ti piaccio anche io, ma credo che almeno questo ti sia piaciuto. È un piccolo favore speciale da parte mia per ringraziarti di aver scelto di far parte della band"
“Non era necessario"
Il ragazzo rosa alzò un sopracciglio dalla forma perfetta “Forse”
Restarono in silenzio per qualche istante in cui Dom si riassettò i jeans,  prima che il padrone di casa ricominciasse a parlare
“Andiamo a dormire… dormi con me?”
Dominic esitò senza capire dove altro avrebbe dovuto dormire se non nella sua stanza
“Ti vedo che pensi, stupidone. Dormi con me, nel mio letto?”
“Sì".

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Capitolo 5
*** Campana di vetro ***


lL'ultima volta che aveva dormito con qualcuno suo padre se n'era appena andato e la vita era appena diventata migliaia di volte più difficile. Aveva passato mesi a dormire con sua madre per paura del mostro sotto il letto che se lei fosse stata troppo triste se la sarebbe potuta portare via. Però di dormire con qualcuno in un letto singolo non gli era mai capitato. Dominic si sistemò per primo sotto alle coperte, mentre Alex si spogliava ed indossava la sua maglia oversize di una band tedesca. Lo spazio non era molto, davvero. Sarebbero stati costretti a stare parecchio vicini.
“Domani è sabato, lavori?” gli chiese Alex mentre buttava il maglione viola in un cesto pieno di biancheria
“No, domani niente” La strada fuori era silenziosa, come se davvero non ci fosse nient’altro. Lui era abituato al rumore della auto, ai clacson suonati anche nelle ore peggiori, a chiasso e qualche sirena.
“Potremmo andare al mercato insieme, domani pomeriggio. Mia madre mi lascia sempre la lista della spesa. E potresti farmi vedere qualche locale in centro in cui si può fare musica”
“È perfetto” rispose Dom, facendogli spazio nel letto
Alex si rannicchiò accanto a lui, dandogli la schiena. Sembrava infinitamente piccolo in quella posizione e lui avrebbe desiderato dirgli che l'avrebbe protetto, protetto da qualsiasi male se avesse potuto. Invece restò in silenzio e gli posò una mano su un fianco. Il ragazzo rosa si strinse ancora di più a lui, prese il suo braccio e lo portò a cingergli la vita
“Ti da fastidio?” Chiese, sbirciandolo da sopra la spalla
“No, e a te?”
“Io lo adoro" gli sorrise con grazia prima di spegnere la luce.
“ ‘notte Dom"
“Buonanotte Alex”
Non ci volle molto perché Dominic potesse sentire il suo respiro farsi più regolare. Lui, invece, non aveva sonno. Guardò la stanza illuminata dalla luna, fuori dalla finestra e dall’anta rimasta aperta, che faceva apparire tutto freddo. Si posava anche su Alex, gli faceva scintillare la pelle come diamante. E no, nemmeno lei riusciva a rendere fredda la sua bellezza. Il suo corpo premuto contro il proprio era una fonte di calore deliziosa, come deliziosa era la curva creata dai suoi fianchi e dalle sue spalle apparentemente così fragili nella luce notturna. Era innaturale il modo in cui quella persona era diventata così importante in così poco tempo. O magari non lo era, magari era una cosa naturale, forse era ciò che capitava a tutti prima o poi. Perdersi dietro ad un altro essere umano.
Si addormentò contemplandolo, senza mai perdere del tutto la coscienza della sua presenza fisica così vicina a sé. Fece qualche stralcio di sogno in cui Melinda entrava nella stanza e lo cacciava a pedate e come risposta posò la testa contro la schiena di Alex, per assicurarsi che fosse sempre lì.
Così quando l'altro, dopo un tempo che non avrebbe saputo quantificare, si sottrasse al suo abbraccio voltandosi, lui aprì gli occhi. Vide subito lo sguardo azzurro puntato su di lui.
“Non dormi" osservò il chitarrista sussurrando
“Neanche tu" Dom non poté resistere alla tentazione di accarezzargli il viso, il naso sottile e le labbra, così morbide, intervallate dal freddo metallo del piercing. Da dove avesse preso quel coraggio non l’avrebbe mai capito. Forse era la notte, la consapevolezza di essere davvero solo con sé stesso e con lui.
“Eri nel mio sogno” La voce di Alex era vellutata come il buio
“Ah sì? E cosa succedeva?” giocò con la frangia sulla sua fronte
“Facevamo l’amore”
Il cuore di Dominic ebbe un sobbalzo. Non che lui non ci avesse pensato, anzi. Ma sentirlo dire da lui era qualcosa che non si sarebbe aspettato. E che lo fece tremare.
“Era bello?” Chiese e lo tirò a sé mettendogli una mano dietro la schiena. L’aveva così vicino da sentire il suo respiro sul viso
“Sarebbe bello… vuoi farlo?”
“Sì"
Si baciarono, mentre le loro mani percorrevano i loro corpi come liberatesi da una grande paura. Dominic raggiunse l’orlo della maglia troppo grande e gli accarezzò le gambe al di sotto, salendo fino alle natiche, infilandosi sotto ai boxer. Alex sospirò sulle sue labbra, lo sfiorò in mezzo alle gambe, attraverso i pantaloni per poi approfondire il contatto. Poi il ragazzo rosa lo tirò su di sé, senza smettere di toccarlo ed infilò una mano nel suo pigiama
Dominic si raddrizzò per sfilarsi la maglia e si chinò su Alex per fare lo stesso con la sua, mentre le mani gli tremavano. Si gettò sul suo petto scoperto, lasciandovi baci e piccoli morsi ai quali l'altro reagiva sospirando, inarcando la schiena. Quando raggiunse l'elastico dei suoi boxer si fermò
“Io non l'ho mai fatto con un ragazzo" mormorò. Il timore di essere rifiutato lo colpì con una violenza che non si sarebbe aspettato, considerata l’insistenza con cui aveva continuato a fingere di non desiderarlo, almeno non in quel modo.
Ma il chitarrista gli accarezzò i capelli con quelle sue mani gentili e gli sorrise “Sarò il primo"
Seguì un momento di caos, di coperte aggrovigliate ai loro corpi, di baci sul collo e mani che armeggiavano intorno agli indumenti rimasti. Quando si trovarono completamente nudi, l'uno a contatto con l'altro ebbero la certezza fisica di volerlo entrambi.
Alex si allungò fuori dal letto, verso il comodino, esponendo l’addome ai baci di Dom, permettendogli per la prima volta di ammirare tutto il suo corpo allo stato più puro. Era bello, delicato. Il cantante non aveva mai pensato che un ragazzo potesse avere delle forme nei punti giusti, ma lui le aveva, nonostante quell'apparenza così fragile
“Usa questo"
Solo quando si trovò in mano un preservativo Dominic comprese davvero cosa stesse per succedere. Ed ebbe paura. Temette che se avesse sbagliato avrebbe potuto fargli molto male. Quando si accorse della sua esitazione, il chitarrista glielo prese dalle mani.
“Ti voglio, Dom" gli sussurrò, occupandosene per lui. Poi prese la sua mano e se la portò alla bocca, leccandogli le dita con una malizia che l'altro non gli avrebbe attribuito.
Alex aprì le gambe e guidò la mano di Dominic tra esse
“Immagini che cosa voglio che tu faccia?”
Il cantante raccolse la provocazione, si sentiva il cervello in fumo e i sensi in fiamme. Aveva immaginato di farlo solo una notte prima. Aveva negato di volerlo, alla luce del giorno, ma ora che la notte era calata di nuovo sentiva di non aver bisogno di fingere.
“È magnifico" pensò, baciando con gentilezza le labbra del ragazzo rosa mentre esaudiva il suo desiderio. Sentì che si irrigidiva ed ebbe paura di sbagliare, ma quando cercò di ritirare la mano Alex lo fermò e lo guidò più a fondo
“Sei bellissimo" gli sussurrò all' orecchio “L’ho pensato da subito” Dominic lo zittì baciandolo ancora e ancora fino a quando non fu lui stesso ad interromperlo
“Prendimi. Adesso”
Non se lo fece ripetere. Strinse i suoi fianchi sottili e lo tirò più vicino a sé. Si spinse piano dentro di lui. E èensò che il piacere lo avrebbe fatto impazzire, sentì l'immediato bisogno di avere di più.
“Rallenta, rallenta, rallenta” Alex lo fermò, appoggiando la fronte al suo petto “Non ti facevo così smanioso"
Dom arrossì, imbarazzato “Sei tu che mi fai questo effetto…” ammise suscitando una risata. Non era mai stato così intimo con qualcuno. Nessuna delle sue esperienze di vita precedenti poteva essere paragonata a ciò che stava vivendo.
“Continua, ora… ma vacci piano”
Lo accarezzò tra le gambe mentre ricominciava a muoversi, lentamente. Seppe di aver fatto la cosa giusta quando sentì il respiro di Alex farsi più affannoso. Allora aumentò il ritmo, baciandolo per sentire i suoi gemiti nella propria bocca
“Va bene?”  gli chiese
“Oh, sì"
Dominic perse la cognizione del tempo e dello spazio, perso in una dimensione in cui le uniche cose esistenti erano il corpo di Alex, con quella sua pelle tiepida, il profumo dei suoi capelli e quello delle lenzuola che vi si mescolava. Cercò di essere dolce, di rispettare la delicatezza di colui che gli si era concesso. Fu diverso da ciò che aveva immaginato in preda all'eccitazione, la notte precedente. Gli sembrò di comprendere che cosa significasse “fare l'amore". Si chiese se Alex lo amasse e se lui sarebbe stato capace di ricambiare e mentre lo stringeva a sé nel momento di maggior piacere pensò che avrebbe potuto farlo.
La luce del bagno gli disegnava ombre sul viso mentre si sciacquava la faccia. Era stordito. E felice. E anche confuso come mai prima di allora. Si guardò allo specchio, aveva un segno sul labbro dove Alex lo aveva morso ripetutamente ed era spettinato, in disordine, sia mentalmente che fisicamente. Si piacque per la seconda volta in meno di ventiquattro ore. Non era normale. Uscì dal bagno, spense la luce ed avanzò piano con le mani avanti. Nel chiarore della luna osservò la sagoma di Alex addormentato e si sentì strano. C'era una vena di imbarazzo per ciò che era appena a accaduto, dovuta all'educazione che aveva ricevuto. Gli era stato insegnato che reprimere ogni desiderio era la cosa giusta e a quella logica era riuscito a sfuggire solo con le sue folli ambizioni di fama. Qualsiasi aspetto legato alla sua fisicità, realtà carnale era sempre rimasto fuori dai discorsi come qualcosa che non dovesse essere nominato. Ancora non riusciva a vivere la propria giovane esistenza in piena libertà. Aveva perso la sua prima e unica ragazza per quel motivo. Ora, guardando quella bella creatura che gli aveva concesso il proprio corpo, provava una sottile vergogna. Meno sottile ancora se si soffermava a pensare a cosa avrebbe detto sua madre se avesse saputo che era stato a letto con un ragazzo.
“Per dirmi qualcosa a riguardo dovrebbe prima rivolgermi la parola senza fuggire via" pensò. Non la vedeva da due giorni, in effetti. Si accorse di averlo fatto apposta a stare lontano da casa, sperava inconsciamente che tutto si potesse essere risolto e sua madre fosse tornata la donna minuta ed indaffarata di sempre che lo chiamava “coniglietto".
Si infilò sotto alla coperta attento a non svegliare Alex, gli si sistemò accanto e lo cinse con un braccio. Aveva la paura irrazionale che potesse cadere dal letto. Si addormentò stringendolo a sé, cullato dal movimento del respiro nel suo petto.

Si svegliarono che le undici erano già passate da un po'. Nonostante il timore di Dominic, Alex non sembrava mostrare comportamenti diversi dopo gli avvenimenti della notte. Forse era un po' più dolce, ma la cosa più importante era che il sorriso non fosse scomparso dalle sue labbra. Consapevole che fossero soli, il ragazzo rosa girava per la casa ancora mezzo nudo, avvolto in una coperta di pile, con l'aria sonnacchiosa del weekend. Dom sedette sul divano ed Alex in braccio a lui, mangiarono colazione guardando cartoni animati in televisione e sgranocchiando cereali direttamente dalla confezione
“Allora mi accompagni a fare la spesa?”
“Certo, passo da casa perché mia madre non si dimentichi di avere un figlio e ti raggiungo"
“Alle tre"
“Alle tre"
Si baciarono a lungo, con delicatezza. Il respiro di Alex sapeva di yogurt alla fragola e Dominic non poté trattenersi dal sorridere sulle sue labbra
“Che c'è?” Chiese l'altro
“Fragole”
“E le fragole sono divertenti?”
“Abbastanza, sì"
Il ragazzo rosa si strinse a lui con tenerezza, chiuse gli occhi come se stesse assaporando un momento di rara bellezza e sorrise
“Sei un po' mio?” la voce di Alex tradiva un’emozione che Dom alla luce del sole non comprendeva o forse si impediva di comprendere
“Come?”
“Niente, non importa"
 
 
Nel momento esatto in cui aprì la porta di casa e fu avvolto dell’odore del fumo comprese che qualcosa non andava. Quando sua madre si permetteva di spendere soldi che non avevano in sigarette significava davvero che il mondo era sull'orlo del baratro.
“Hey Ma'" Dominic posò lo zaino sul tavolo. Nel contrasto con l’odore di vecchia carta da parati del loro appartamento sentì chiaramente il profumo di Alex nei suoi vestiti. Lei era in piedi vicino alla finestra aperta, fumava china sul davanzale e lasciava entrare l'aria fredda di novembre. Non ci fu risposta.
“Scusa per questi due giorni… ho fatto amicizia, stiamo davvero bene insieme, sai?” aprì il frigorifero per bere e si trovò davanti una quantità insolita di bottiglie di birra
“Bene, Dom"
“Dovrei poi parlarti di una cosa" aveva deciso lungo il tragitto che avrebbe provato a spiegarle ciò che sentiva. Era sua madre, meritava di sapere
“Hai detto a Otis che avremmo pagato oggi”
La linea dei suoi pensieri smise improvvisamente di gravitare intorno ad Alex. Fu come aver attraversato un portale dimensionale ed essere entrato in una realtà in cui d’un tratto tutte quelle cose belle non avevano più significato. Solo in quel momento Dominic ricordò il padrone di casa, l’affitto, l'anticipo che non aveva chiesto. Si sentì immediatamente in colpa. Era stato capace di dimenticato tutto.
“Pensavo di riuscirci… sono capitate tante cose ed io…”
“Sfratto, Dom. Esecutivo in un mese"
Il ragazzo restò zitto, un po' per lo shock, un po' per il nervosismo. Poteva prendersi la colpa del mancato pagamento di quel mese. Non di tutta una serie di mancanze a cui lui solo non poteva far fronte.
“Non capisco il tono, mamma. Mi stai accusando?”
“Dico che se ragionassi di più prima di fare andrebbe tutto meglio" la madre si girò verso di lui. Aveva un colorito eccessivamente pallido e occhiaie profonde. E la voce le tremava come la mano di un alcolizzato.
“Va bene. Lo ammetto, ho aggiunto casini ai casini. Ma non puoi darmi tutta la colpa. E comunque piacere di rivederti. Sono felice di essere a casa”
“Sei stato bene dal tuo amico ricco?”
Dominic sedette al tavolo aprendo una birra. Strinse il pugno intorno alla bottiglia cercando di incanalare il nervosismo
“Molto, in verità. Ha una bella famiglia e una bella casa ed è una bella persona”
“Questa è la tua casa. Qui hai la famiglia. Tu vieni da qui e non da dove viene lui.” Doveva aver bevuto anche lei. Dom lo intuì dallo sguardo in cui l'arrabbiatura si mescolava alla confusione. E si concentrava riusciva persino a sentire la puzza di alcool scadente mischiata a sigarette scadenti. Era l’odore di una vita scadente ed era un po’ che non lo sentiva. Non avrebbe sopportato un'altra volta quella storia. Si era abituato a pensare a sua madre sobria e lavoratrice, operosa ed affettuosa. Ma in quel momento esatto gli parve di essere tornato indietro di secoli.
“Lui se ne andrà perché per la gente così uno come te non vale niente”
Sì. Erano tornati indietro di secoli. A quando se la prendeva con lui per le proprie mancanze e odiava lui per i propri errori. Non l'avrebbe più accettato. Non a ventidue anni.
“Non credo proprio questa volta."
“Dammi una ragione perché qualcuno dovrebbe sopportarti?”
Dominic ricordò il proprio sé bambino, immaginò quanto avrebbe pianto allora per una frase simile. Con il tempo ci si era abituato. Ma poi era subentrata la pace, era arrivato il lavoro, la routine si era assestata sulla sobrietà ed aveva inconsciamente dimenticato come ci si potesse sentire male.
“Perché è innamorato di me” parlò senza riflettere. Nel momento stesso in cui l’ebbe detto si sentì sciocco. Non era vero, con molta probabilità Alex aveva trovato in lui una compagnia piacevole, forse un amico. Su una cosa lei aveva ragione, certamente non si sarebbe potuto innamorare di lui.
Sua madre restò immobile ed in silenzio e Dominic sperò che la storia potesse finire li, in un nulla. Tanto fumo, di sigaretta, e nulla di più. Magari non era ubriaca come lui temeva che fosse ed avrebbe semplicemente ragionato. Invece lei si avvicinò alla tavola solo per sbatterci i pugni
“Tu sai fare solo casini. Adesso sei pure frocio? Non bastano mai le cazzate” stava gridando ora. E Dom sentì che avrebbe perso le staffe. Si alzò, sbattendo a terra la sedia
“Sarò frocio, ma almeno non sono solo e disperato come te. E non grido addosso alle persone che mi amano"
“Se mi amassi non andresti in giro a divertirti con ragazzini ricchi. Pensa che diranno di me, ora. Ti ho allevato pure invertito. Spero che almeno ne sia valsa la pena, ti è piaciuto? Lo hai usato nel modo giusto?”
Lo stomaco di Dom si contorse. Come sempre quando litigava con lei finiva per odiarla, per le parole che riusciva a tirare fuori, per il modo in cui rovinava sempre tutto. Gli venne voglia di vomitare.
“Sì, ci sono andato a letto e sì, cazzo, ne è valsa la pena. E poi non hai davvero idea di quanto io sia stato felice con lui, in casa sua, nel suo letto. Non hai idea della casa, della gentilezza di sua madre…” mosse qualche passo verso di lei per affrontarla. Quella non era sua madre. Era una donnetta ubriaca con cui lui non aveva più voglia di convivere.
“Sua madre sarà puttana come lui"
“Oh, no mamma. Lui è magnifico e sua madre è davvero una donna per bene" sottolineò le ultime parole con l’espresso volontà di ferirla
“Una puttana ricca"
“Non puoi insultare la gente solo perché è stata più capace di te. Solo perché lei ha sposato un uomo e non una larva delinquente e violenta.”
A quelle parole la madre si lasciò andare a sedere su una sedia, come se avesse esaurito le energie, come un aquilone che avesse perso in un istante l'appoggio del vento. Cercò di spegnere la sigaretta sul tavolo ma Dominic la fermò. Sollevò la sedia da terra e sedette di fronte a lei in silenzio, bevve un sorso dalla bottiglia, poi un altro. Tentò di calmarsi, di comprendere.
“Ora mi dici che cosa sta succedendo. Perché se non ci vedo subito chiaro io mi alzo, esco a non mi vedi più per un bel po'. Ci siamo, mamma?”
In risposta lei tirò su col naso. Sembrò riprendersi quando aprì un cassetto della cucina per cercare il posacenere. Dom odiava quell'oggetto. Odiava il fumo in generale. Era stato la componente principale di un'atmosfera arricchita di botte, insulti e bottiglie vuote che sgocciolavano sulla moquette a cui aveva temuto di non scampare mai.
“Hai bevuto" non era una domanda, ma una constatazione
“Lui è uscito"
Dominic sentì il cuore che si fermava, valutava le sue possibilità di fuga e poi ricominciava a battere simile ad una lepre che scappasse dalla volpe. Perché “lui" poteva essere una sola persona. In qualsiasi modo cercasse di girarci intorno, seppure il suo cervello si affannasse a cercare altri possibili significati.
“Dovevano essere dieci anni” osservò
“Buona condotta"
Il ragazzo scoppiò a ridere. Era un riso amaro che si stava lentamente avvicinando alla disperazione.
“Ha picchiato il giudice per farsi tirare fuori? Quella è la sua unica condotta”
“Non essere così duro, Dom. È sempre tuo padre"
Non poté sopportarlo. Sì alzò con uno scatto, bevve ancora come per sopportare il peso di ciò che stava ascoltando, poi parlò con una voce che non era la sua, ma veniva da un luogo infinitamente più profondo
“Lui è solo il maschio che ha fornito materiale biologico per la mia nascita.”
“Sta tornando qui"
Nel silenzio che seguì la televisione della vecchia al piano di sopra sembrava gridare
“Tu scherzi"
La madre sospirò, si strofinò la faccia con il solo risultato di spalmarsi sugli occhi il mascara da pochi soldi che portava sempre
“È sempre casa sua, Dominic"
“Tra poco non sarà nemmeno più casa nostra”
La rabbia che provava minacciò di soffocarlo. La sentiva in gola che strisciava come un serpente. Non riusciva a credere che stesse succedendo. Non dopo la pace e la felicità che aveva trovato in quei giorni.
“Ha tentato di ammazzarmi. Ha tentato di ammazzarti. E quel povero vecchio che ha ammazzato sul serio?”
“Deve essere cambiato"
“Il serpente cambia solo la pelle, non dimentica di essere velenoso"
“Questa è la tua vita, Dom”
Non ne poteva più di sentirselo dire. E odiava quella frase tanto di più quanto più sentiva che era vera. Aveva vissuto qualche giorno in una campana di vetro. Ora la stavano prendendo a picconate per tirarlo fuori.
Scagliò la bottiglia contro il muro più lontano,  la guardò andare in frantumi come in slow motion. L'odore della birra che colava dalla parete sul tappeto sapeva di disperazione. Se lo sentiva in bocca, nel naso, nella testa.
“Se prova a toccarti io lo uccido. Se prova a toccare me lo uccido ugualmente" fissò sua madre negli occhi “È chiaro?!” stava gridando ora, mentre lei si teneva la testa tra le mani. Aveva paura di lui, faceva bene ad averne, ne avrebbe dovuta avere anche suo padre. Aveva fatto il bravo ragazzo per un po'. Era giunto il momento di tornare alle origini.
“Non sono più un bambino, mamma” le sputò in faccia l’ultima parola caricata di veleno “Non gli conviene mettersi contro di me”
Raccolse lo zaino e si avviò verso la porta. Quando sua madre parlò sentì che stava piangendo
“Ho bisogno di te, Dom"

Uscì senza rispondere. Scese le scale a due a due, dando calci alla ringhiera. Uscito in strada si tirò il cappuccio della felpa sulla testa e vuoto e solitario sbloccò lo schermo del cellulare. Aveva un messaggio di Alex
“Mi manchi già”
Avrebbe voluto poter piangere. Lo stava per perdere. Non sarebbe stato tanto egoista da costringerlo al suo fianco. Mentre si dirigeva verso il mercato ad incontrarlo si concentrò su tutte le cose che ricordava di lui. Pensò che si sarebbe sentito male, aveva ancora voglia di vomitare, scomparire, fuggire. Pensò al calore del suo corpo, al suo entusiasmo, alla musica, al futuro che aveva assaporato con lui e si costrinse a lasciarli andare.
Doveva concentrarsi sulla vita reale. Sullo sfratto, sulla paura, sul difendersi e difendere sua madre. Sopravvivere ancora e ancora come aveva già fatto. Niente più belle illusioni. Niente più belle labbra da baciare. Sua madre aveva bisogno di lui.
“Non sono nemmeno gay" si disse sottovoce. Ed era vero. Era stato tutto un grande errore, aveva illuso quella bella creatura. Lo avrebbe ferito, ma non c'era altro che potesse fare. Non poteva essere omosessuale quindi non lo sarebbe stato. Molto semplice. Suo padre lo avrebbe bruciato vivo e lui, invece, voleva sopravvivere, era parte dei giochi. Doveva cominciare a tutelarsi. Forse questo era effettivamente egoismo.
Andò a sbattere contro una passante, vide che le cadeva qualcosa e non si fermò. Gli volò addosso qualche parolaccia, infrangendosi contro il suo schermo di disperazione.
Alex aveva cercato di sedurlo e c’era riuscito. Buon per lui. Era stato bello, ma era evidente, ora, nella sua mente poco lucida, che non ci sarebbe potuto essere altro. E mentre si infilava tra decine di sconosciuti, attraversava strade senza esserne cosciente e mostrava il dito medio ad un automobilista che gli aveva suonato, l’idea di tornare alla vita di prima gli sembrò quasi un sollievo. Seppure il suo stomaco si stesse contorcendo.
In fondo che cos’era Alex per lui? O forse avrebbe dovuto pensarlo come Alexander. Una bella parentesi, una campana di vetro in cui lui non poteva vivere. Lo invidiava dannatamente tanto, forse quel sentimento che aveva maturato era stato tutto un gioco del suo inconscio per permettergli di vivere quella vita per un po’. Ma sua madre aveva ragione, le belle case, la colazione in famiglia, la realizzazione di sé stesso non erano cose fatte per lui.
Alexander era stato un errore. E lui glielo avrebbe detto.

Lo vide subito. All’angolo della piazza. Scriveva messaggi con quel suo cellulare glitterato e i capelli color zucchero filato sugli occhi. Quando si accorse di lui gli sorrise e gli andò incontro con quell’andatura saltellante.
“Ho trovato una persona che potrebbe farci suonare il prossimo sabato”
Cercò di prenderlo per mano, ma Dominic si ritirò. Non poteva lasciare che lo tirasse di nuovo nella tana del coniglio, se davvero voleva troncare qualsiasi cosa ci fosse stata tra loro.
“Io non posso” rispose. Il suo tono di voce si fece neutro. Come era diventato bravo a fregarsene di tutto. Un talento naturale.
“Non c’è problema, sarà per un’altra…”
“No, Alexander”
L’altro alzò lo sguardo su di lui. Non possedeva il suo stesso talento, nei suoi occhi c’era una scintilla di preoccupazione che sarebbe stata persino adorabile, se Dom si fosse potuto permettere di notarlo.
“E’ stato un errore”
“Che cosa?” afferrò il suo polso prima che potesse accarezzargli il viso
“Tu”
“Non capisco”
“Questa cosa che c’è stata è malsana. Non può continuare, è meglio anche per te, credimi. Finiamola qua”
Vide tutto il processo con cui lo stupore si trasformò in incredulità e infine in dolore riflesso nei suoi occhi azzurri. Non aveva mai notato quanto fossero belle le pagliuzze dorate che ci nuotavano dentro. Se ne sarebbe dovuto accorgere quando ancora era importante.
“Ma io…” Alex si strinse nella felpa oversize e Dominic lo osservò per la prima volta libero dal personaggio che aveva interpretato fino ad allora. Niente più magliette di pelle attillata, niente più gambe in mostra avvolte negli skinny.
“A me piacciono le ragazze, non posso provare qualcosa per te. E poi voglio essere sincero che se ti ferirò. Non posso permettermi di perdere tempo con te o con la band”
L’altro abbassò lo sguardo, intento a cercare un significato. Gli sembrava di poter vedere i pensieri che correvano nella sua testa
“Mi dispiace di farti del male, ma immagino che capirai”
Il ragazzo rosa alzò gli occhi da terra dopo aver contemplato i cubetti di porfido della piazza per un buon momento. Sembrava arrabbiato
“Oh, sì. Penso di capire” puntò un dito contro il suo petto “Hai ottenuto quello che volevi, non è vero?”
“Di che cosa stai parlando?”
“Di che cosa sto parlando?” gli fece il verso. Dom si stupì del suo improvviso cambiamento. Non aveva immaginato questo. Aveva pensato che si sarebbe messo a piangere, ma in quel momento, seppure i suoi occhi fossero lucidi, sembrava più furioso che addolorato. Ne ebbe la conferma quando gli gridò in faccia le parole successive, facendo in modo che chiunque passasse lì intorno si girasse a guardarli
“Volevi solo scoparmi”
Solo in quel momento Dominic si accorse di cosa aveva fatto. Aveva ragione a pensarla in quel modo, la tempistica non era certo delle migliori, ma lui non aveva altro tempo. La sua parte cattiva venne fuori senza che lui potesse impedirlo quando rispose
“Non era quello che volevi anche tu? Insomma guardati, fino a ieri sembravi un ibrido tra un modello alternativo ed un divo del cinema a luci rosse ed ora ti presenti così. E’ evidente che il tuo scopo sia stato raggiunto ormai. Io non sono nemmeno gay, sono solo caduto nelle tue trappole così ben congegnate” Afferrò il bavero della sua felpa e lo strattonò con più aggressività di quanta ne avrebbe voluta impiegare. Alex si difese sferrandogli un calcio ad una caviglia e lui si trovò ad indietreggiare imprecando, mentre alcuni passanti si avvicinavano per domare quello che poteva essere l’inizio di una rissa.
“Sei disgustoso, Dominic. Una larva. Ti ho dato tutto ciò che potevo darti e tu mi ripaghi così. Non me ne frega niente di quello che sei o non sei, ma tu non riesci a capirlo”
Il cantante si prese la testa tra le mani, conteso tra la parte che avrebbe voluto reagire e quella che gli ricordava quanto tutto ciò che stava facendo fosse crudele
“Alex non è colpa mia, credimi”
L’altro non lo stava più ascoltando, intento a liberarsi dalle mani di uno sconosciuto che lo voleva trattenere. Gli si avvicinò, gli appoggiò le mani sul petto solo per spingerlo lontano da sé e gridargli ancora addosso
“Ora capisco, lo capisco perché non rispondevi mai quando ti chiedevo una conferma dei tuoi sentimenti per me. Ogni tuo fottuto silenzio.”
“Smettila di urlare. Datti una calmata”
“Io faccio il cazzo che mi pare, Dominic. Considerati fuori dalla band. E fuori dalla mia vita.”
Dom alzò lo sguardo per vedere che stava piangendo. Tremava nella sua felpa verde militare mentre le lacrime gli rigavano il volto. Solo in quell’istante comprese che Alex non aveva più paura di farsi vedere per ciò che era. Che doveva aver davvero sviluppato dei sentimenti per lui. Sentì quanto doveva essere deluso e la sua maschera di rabbia ed indifferenza cadde definitivamente
“Alex…”
“Siete tutti uguali” lo spinse con forza, Dominic perse l’equilibrio e si ritrovò seduto a terra con i palmi delle mani doloranti e graffiati
“Alex…” il ragazzo rosa scansò con rabbia i curiosi che li avevano circondati. Si fermò, si voltò solo per alzare il dito medio e sussurrargli un “Vaffanculo” celato tra i singhiozzi.

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Capitolo 6
*** I can't help... ***


Lo odiava. Lo odiava con tutto sé stesso. E si odiava per essere stato tanto stupido. Sdraiato nel letto che solo la sera prima aveva condiviso con lui guardava il soffitto attraverso il velo tremolante delle lacrime. La rabbia stava svanendo, anche se lui cercava disperatamente di tenerla viva, perché sapeva che cosa sarebbe venuto dopo. Aveva passato dieci minuti nudo ed in piedi davanti allo specchio dopo essere uscito dalla doccia come se nella sua immagine riflessa ci potesse essere una risposta; inutile dire che la risposta non l’aveva trovata. Toccava alla delusione, al rancore, al malessere. Poi sarebbe arrivata lei, la regina dei suoi mali, la vergogna. Perché in fin dei conti la cosa che odiava di più al mondo era lui stesso.
Sua madre gli aveva chiesto come stesse quando lo aveva visto rientrare in preda ad una crisi di pianto, ma lui non aveva voluto parlare. Non era necessario che i suoi genitori rivivessero quei momenti. Non voleva tornare indietro. Così non aveva aperto bocca per tutta la cena, nonostante suo padre fosse appena tornato dalla trasferta, e si era chiuso in camera sua il prima possibile. Non aveva considerato quanto potesse essere doloroso ricordare il tempo che aveva trascorso lì dentro con lui. La sensazione di quelle mani che percorrevano il suo corpo lo tormentava simile ad un incubo da cui non riusciva a svegliarsi.
Aveva corso troppo, come sempre. Aveva voluto accelerare i tempi, non si era dato valore. Era esattamente ciò che si meritava, ora, tutta quella vergogna che gli stringeva la gola.
“Ma a me piaceva…” parlò al soffitto, o forse parlò agli spiriti del passato per farli tacere “Mi piaceva davvero”
Lo conosceva da quattro giorni soltanto, come poteva dirlo, come poteva aver bruciato così tante tappe con una persona di cui non si sarebbe nemmeno dovuto fidare?
“Mi sembrava diverso"
Invece era come tutti gli altri. Forse peggiore. Nessuno degli altri era mai stato così convincente nell'illuderlo, era stata un’interpretazione da Oscar, sì sarebbe dovuto congratulare con lui.
Dominic. Heaven's Gate. Tutto nato in un nulla e finito in un nulla.
“Perché?” riprese a piangere, non poteva evitarlo. Gli faceva male la testa a forza di singhiozzi, ma sembrava che le lacrime non finissero mai. Non si era mai sentito così prima. Ebbe paura che avrebbe finito col farsi del male come quando era un ragazzino e i suoi compagni di classe lo insultavano e ridevano di lui. E allora lui tornava a casa e si chiudeva in camera e giocava con il fuoco. Forse quello era il motivo per cui non avrebbe mai fumato, tutte quelle piccole bruciature che si procurava, sottili e dolorose, in modo che i segni potessero svanire ma la sensazione rimanesse.
Migliaia di ricordi orribili si affollarono nella sua mente a premere contro la scatola cranica, aggravando il mal di testa. Facce che ridevano di lui, botte e spintoni nei corridoi, pallonate in palestra, l'orrore di doversi cambiare in uno spogliatoio in cui metà dei ragazzi lo guardava disgustata e l'altra lo importunava. Stava scivolando in un baratro.
Sì alzò dal letto. Aveva bisogno di vederlo. Prese il cellulare ed aprì la chat, ingrandì la foto del profilo di Dominic e cercò di odiarlo ancora. Non ci riuscì. Non poteva credere che quelle labbra fossero state così gentili con lui per poi sputargli addosso tanto veleno gratuito.
“Cosa ne sai. Non sai niente di lui"
No, niente. Sapeva solo che quando aveva cercato di dichiarare ciò che provava lui aveva fatto finta di niente. Gli aveva dato l'unica cosa con cui pensava di poterlo legare a sé, ossia sé stesso, e non era bastato. Come ogni volta immaginò di essere un ragazzo come gli altri, capace di vivere la nascita di un qualcosa senza quella folle paura di perderlo che aveva sempre lui e che lo induceva a darsi via così facilmente. Non conosceva altre vie oltre alla sensualità. Nessuno lo avrebbe mai notato se non fosse stato per quella. Nel momento stesso in cui si era accorto di provare qualcosa per Dominic aveva fatto la scelta sbagliata per paura di perderlo. Era tutta colpa dell’abbandono, quella sua paura. O almeno così gli aveva detto la psicologa della scuola. Poteva consolarsi pensando che quel ragazzo non sarebbe stato certamente l'ultimo. Aveva detto anche questo quando lui era andato disperato a raccontare del modo in cui era stato usato dal suo primo amore. Ne avrai altri, dopo di lui. Aveva avuto una ragione enorme. Ce n'erano stati eccome. Ma questa volta aveva sperato che potesse essere l'ultimo, quello definitivo. Invece si trovava ancora solo,  ferito, vergognoso a dirsi che sarebbe stato l'ultimo sul serio. Mai più. Mai più. Mai più storie con uomini molto più grandi, con ragazzi sconosciuti, con depravati di vario genere, famosi e non. Mai più storie e basta.
Sentì freddo, fermo, in piedi in mezzo alla stanza. In una frazione di secondo si trovò di nuovo a letto, raggomitolato sotto alle coperte mentre singhiozzava stringendo il cellulare. Aveva provato davvero qualcosa per quel ragazzo. Aveva cercato di piacergli, ma era ovvio che non sarebbe potuto accadere. Uno come Dominic si sarebbe stancato si lui, ovviamente.
“Sei una puttana, Alexander Rose" una voce dal passato gli invase i pensieri e lui affondò la testa nel cuscino per soffocarla. Era tutta colpa dell'abbandono.
 
 
Lui era tornato a casa. Aveva fatto fottutamente in fretta. Dopo soli due giorni dalla scarcerazione si era presentato alla porta con la sua valigia, aveva persino baciato sua madre, si era seduto a capotavola come un padre di famiglia ed aveva raccontato dei suoi amici galeotti come fossero compagni di calcetto. Quando aveva tentato di avvicinarlo, in cucina, mentre preparavano la cena come la famiglia che non erano, Dominic non aveva parlato. Semplicemente aveva stretto il coltello del pane che stava usando fino a farsi sbiancare le nocche e quel gesto era bastato a fargli capire che aria tirasse.
“Jim ha una casa al mare, ha detto che possiamo andarci noi finché lui non può"
Jim era un maniaco che in un vicolo buio del loro quartiere aveva violentato la ragazza asiatica che lavorava al bar sotto casa. Era arrivata da pochissimo dalla Cina. Doveva essere stato un magnifico benvenuto. Dom si era dovuto mordere la lingua mentre ascoltava suo padre parlare. Per non dirgli che la gente come lui per quanto lo riguardava poteva morire, marcire, putrefarsi in una cella fino all’Apocalisse. Era inutile che fingesse di fare la persona per bene, era inutile anche che provasse ad esserlo, come un eroe redento. Sarebbe sempre stato quella merda di uomo che vendeva stupefacenti scadenti ai ragazzini vicino alle scuole e usava i soldi per andare ad ubriacarsi, in compagnia di donne incontrate sulla vecchia strada statale.
Aveva dormito sul divano letto con sua madre. Quando al mattino Dominic lo aveva trovato sveglio che gironzolava a spiare nei mobili aveva preferito uscire, seppure non avesse un posto in cui andare. Avevano parlato una volta sola
“Come sta il mio duro?” gli aveva chiesto ed aveva cercato di toccarlo
“Incazzato" aveva risposto lui e si era scansato
Così Dom si trovò a girare per la città più di quanto avrebbe voluto e senza uno scopo, pur di non stare in casa. Era uscito una sera dopo cena quando lo aveva visto tirare fuori dalla borsa del discount una bottiglia di vodka. Non sarebbe tornato finché non fosse stato sicuro di trovarlo addormentato, ubriaco, ma incosciente. Vagò per il centro, sotto ai lampioni dalla luce dorata ed osservò le coppie che gli sfilavano davanti. La sensazione della mano che fino a pochi giorni prima aveva potuto stringere nella sua non voleva lasciarlo in pace, aveva l'onnipresente, oppressiva voglia di qualcosa, ma si rifiutava di stare a pensarci. Cominciò a guardarsi intorno, a notare piccoli pub, locali aperti la sera, persino posti in cui fermarsi per fare musica per strada. Uscì anche la sera successiva e ripercorre le stesse strade, segnandosi nomi ed indicazioni su un taccuino. Gli sembrò di avere uno scopo. Almeno finché non riaprì la porta di casa e suo padre lo insultò dal divano per il rumore.
Dopo sei fottuti anni in carcere non era cambiato di una virgola. Aveva solo i capelli più grigi e i muscoli più grossi, ma era ancora una larva ed un piccolo, piccolo uomo. Lo odiava. Come odiava la debolezza che aveva dimostrato sua madre nel farlo tornare; non le erano bastate le botte e le minacce e le altre botte che aveva preso lui ogni volta che aveva scelto di difenderla. In più non aveva ancora avuto il coraggio di parlargli dello sfratto. Era frustrante come lei si ostinasse nel sostenere quanto fosse cambiato quando aveva ancora una paura folle di parlargli. Era tutto un gigantesco incubo da cui non riusciva a svegliarsi.
E poi c'era Alex. Quel nome lo tormentava, lo pungeva come una zanzara e gli avvelenava il cuore. Per quante palle potesse autoindursi a pensare, non avrebbe potuto negare, solo di fronte a sé, che gli mancava. Aveva involontariamente immaginato un futuro con lui ed ora non aveva più nulla che non fosse un presente più squallido che mai. Lo sognò, al ritorno dalla sua perlustrazione. Il modo in cui gli avrebbe sorriso, il peso così piacevole di quando si sarebbe seduto sulle sue gambe, l’entusiasmo, i pezzi da provare, quel suo piccolo tatuaggio a croce sul dito medio. Non poteva credere di avergli detto davvero così tante brutte parole. Non comprendeva come avesse potuto pensarle.
Problemi nella gestione della rabbia. Lo aveva detto un suo insegnante durante un colloquio privato con sua madre. Era vero. Era l'anno in cui suo padre era finito in carcere per spaccio ed omicidio stradale e lui aveva sedici anni ed era nutrito di odio e cibo scadente del peggiore dei discount. A dire il vero la maggior parte del tempo aveva fame. Sua madre era ancora in cura, allora. Andava a quelle orrende sedute per alcolisti in quella stanza che puzzava di caffè dei distributori automatici. In casa non c'era mai da mangiare. Ecco perché aveva smesso di andare a scuola. Aveva capito che se non avesse cominciato a lavorare non avrebbe mai potuto avere la pancia piena e i piedi al caldo. E da quegli anni di transizione erano nati i suoi primi testi, arrabbiati ed oscuri. Li aveva chiusi in un cassetto e dimenticati. Una volta soltanto aveva provato a far sentire qualcosa a sua madre, ma lei aveva reagito molto male, come se non si aspettasse che dalle esperienze che gli aveva fatto vivere lui avesse potuto ricavare tutto quel dolore. Allora si era nascosto nella musica commerciale, bei motivi, voci comuni, testi poco impegnativi, roba che chiunque potesse conoscere. Solo con Alex aveva ricominciato ad apprezzare l’originalità. Nelle canzoni che ascoltava lui percepiva una vita vera, non un servizio photoshoppato da copertina.
Andando al lavoro, la mattina dopo il sogno, ascoltò la sua musica. Si immerse in atmosfere dolorose e gradevoli, c'era compiaciuta accettazione del proprio male lì dentro e lui sperava di trovare l’appiglio per tirarsi fuori dal grigio spaventato in cui stava vivendo. Gli sembrava di aver visitato Narnia ed essere stato risbattuto di colpo nel mondo reale. Era frustrante.
Camminando per strada si chiese che cosa pensasse la gente di lui. Era ciò a cui lo avevano educato, temere sempre il giudizio altrui. I suoi genitori praticavano in un modo e razzolavano decisamente male. Lui sarebbe dovuto essere impeccabile con una madre ex alcolista ed un padre ex carcerato? Immaginò difare una classifica delle cose che la gente avrebbe giudicato peggio in lui. Sicuramente la famiglia era al primo posto. Poi c'era probabilmente il suo essere un completo fallimento. Il suo lavoro. Il suo aspetto. Si chiese dove si sarebbe collocato in quella scala di disgrazie il suo legame sentimentale con un ragazzo. In quanti lo avrebbero giudicato per quel motivo?
Lavorò in silenzio, immerso nei pensieri più cupi e disparati. Sempre con la distruttiva voglia di vedere Alex varcare la soglia del supermercato e scivolare su una pozza per poter ricominciare tutto da capo. Gli mancava. Vide una coppia giovane riempire il carrello di detersivi. Sembravano felici in un modo assurdo. Gli ci volle un po' per realizzare che sicuramente vivevano insieme e che quel fare la spesa insieme doveva essere uno dei momenti migliori da vivere. Immaginò stupidamente di fare acquisti con Alex e ridere di lui perché non arrivava a prendere i cereali al cioccolato all’ultimo piano dello scaffale. E quanto sarebbe stato bello tornare a casa, cucinare mentre lui suonava la chitarra con quell’espressione concentrata. Sarebbe stato fortunato quel ragazzo che si fosse meritato quella vita.
Quando uscì aveva cominciato a piovere e lui era senza ombrello. Frugò nelle tasche dei pantaloni fino a trovare in biglietto spiegazzato per il bus cittadino e saltò sul primo disponibile diretto nella direzione di casa. Sedette accanto al finestrino e guardò le goccioline che facevano a gara a tracciare percorsi sul vetro. La gente cominciò a salire mano a mano che si avvicinavano alla zona delle scuole, finché non ci fu più un solo posto a sedere disponibile. Quando si accorse dell’anziana donna rimasta in piedi non poté fare a meno di alzarsi per lasciarle il suo sedile.
“Grazie, ragazzo"
“Si figuri” Dominic riprese a contemplare la pioggia aggrappato ad una maniglia per reggersi in piedi
“Devo andare da mia nipote, sai? Abita vicino all'ospedale. Dove devo scendere?”
“Tre fermate, la avviso io"
La donna gli sorrise per ringraziare ma non smise di guardarlo. Restarono in silenzio entrambi per un po' prima che ricominciasse
“Mia nipote è bella sai? Tu ce l'hai una ragazza?”
Non rifletté molto a lungo prima di rispondere “No, non sono il tipo"
Lei fece un versetto compiaciuto, come se avesse compreso una verità profondissima e vitale
“Hai un ragazzo?”
Dom corse ai ripari “No, non intendevo…”
“Guarda che non devi mica vergognarti, ragazzino”
“Lo so, ma non… non ho un ragazzo”
La donna lo guardava ancora, smise di sorridere. Era così fottutamente sveglia per essere una vecchietta, sotto ai capelli candidi i neuroni correvano velocissimi, Dominic lo vedeva nei suoi occhi
“L’amore è la cosa più bella. E’ sciocco averne paura”
Cominciava ad irritarlo. Non sapeva nulla, eppure parlava come se avesse da dargli grandissimi consigli. Lo sapeva da solo che l’amore era bello.
“Non ne ho paura”
“Sembri così chiuso in te stesso”
“Senta, ho i miei problemi, come tutti”
“E non si affrontano meglio in due i problemi? E poi parlare con una persona che non si conosce dicono che sia più facile”
Si girò a guardarla dopo aver tentato inutilmente di ignorarla. Mancavano solo due fermate. Doveva solo mantenere la calma per qualche minuto ancora.
“E’ sicuramente vero” rispose secco
“Lui dov’è ora?”
“Lontano da me”
Si diede dello stupido per aver risposto. Un paio di persone si girarono a guardarlo e lui abbassò la testa. La sconosciuta se ne accorse e gli posò una mano magra da vecchia signora sul braccio
“Temi il giudizio delle altre persone?”
“Forse”
Somigliava moltissimo a sua nonna. Un po' invecchiata, ma sarebbe benissimo potuta essere lei se solo non fosse morta cinque anni prima. Gli dava fastidio che continuasse ad insistere, che si impicciasse a quel modo. Ma c’era qualcosa che lo spingeva a parlare. Da quanto tempo non parlava sinceramente con qualcuno? Nemmeno con Alex si era mai lasciato andare del tutto. E gli dispiaceva. Forse se lui fosse stato del tutto sincero sulle proprie condizioni di vita, allora le cose avrebbero potuto prendere una piega diversa; se gli avesse lasciato la libertà di scegliere se rimanergli accanto… invece aveva cercato prima di nascondersi per non farlo scappare e poi, in autonomia, aveva scelto di allontanarlo.
“Se lui fosse qui con te non avresti paura del giudizio delle altre persone su questo bus”
La donna si decise a lasciarlo stare quando non ebbe alcuna reazione, mettendosi a guardare fuori dal finestrino. Dominic restò in silenzio. Aveva quella brutta abitudine di rimuginare sulle cose, almeno su quelle a cui non reagiva con immediata stupidità. E lei aveva una dannata ragione. Era stato tanto idiota da temere il giudizio di persone che non gli interessavano quando l’unica importante era al suo fianco. Aveva fatto in modo di lasciare lui da parte per non urtare nessuna sensibilità, per sembrare rispettabile, per bene. Persino un bacio sulla guancia dato in strada era stato imbarazzante quanto trovarsi nudo in pubblico. Ed era proprio quella la questione. Alex lo aveva esposto. Non tanto davanti agli altri, chi se ne fotteva degli altri. Lo aveva esposto davanti all’idea che lui stesso aveva di sé, lo aveva denudato e costretto a mostrarsi per ciò che era. E lui era stato tanto felice. Solo ora lo capiva. Quella sensazione indistinta di benessere e desiderio che aveva provato, quello doveva essere il gusto che aveva l’amore per un altro essere umano unito all’amore per sé. Con Alex accanto lui si piaceva. Per quanto provasse a negarlo, la vita con lui cambiava perché a cambiare era lui stesso, finalmente libero. Alex non lo aveva isolato dalla realtà, lo aveva riconciliato con questa. Non era una campana di vetro, era il paese delle meraviglie, e si trovava nella sua testa. E si trovava sulle labbra di quel piccolo punk dai capelli rosa.
“Io lo amo”
Non si accorse di aver parlato ad alta voce almeno finché la donna non gli fece un piccolo applauso
“Lui è libertà, gioia, futuro. Io lo amo”
“Lo sa?”
“Come?” si riscosse accorgendosi che un altro sconosciuto alle sue spalle gli aveva rivolto la parola
“Lo sa che lo ami?”
“No, mi sono comportato male con lui”
Lo stavano guardando più o meno tutti. Eppure non aveva paura. Perché guardando bene scopriva che ognuna di quelle persone conosceva a suo modo l’amore e che poteva capirlo. E se qualcuno non avesse capito non avrebbe avuto alcuna importanza. Ormai lui lo aveva detto. Io lo amo.
“Sistema le cose, se puoi. Io ho perso mia moglie per orgoglio”
“La mia è stupidità” osservò Dominic, con un breve sorriso. Nemmeno si accorse dell’anziana che scendeva dal bus. La vide solo quando il mezzo ripartì, lo salutava con la mano. Ricambiò il saluto e pregò chiunque ci fosse di onnipotente e in qualunque posto fosse perché quella donna potesse essere felice.
Quando un telefonino si mise a squillare poco lontano da lui, diffondendo la calda voce di Elvis Presley, decise come e quando sarebbe andato a riprendersi Alex.
“Would it be a sin
If I can’t help falling in love with you?”



Qui Mirime ^.^
Mi dispiace per il capitolo più corto del normale, sono un po' presa dallo studio. Spero che possa essere comunque gradevole. Mi sono molto affezionata ad Alex e Dom e non vedo l'ora che tornino insieme, e voi? 

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Capitolo 7
*** La mia parte di brutti pensieri ***


Dominic non credeva che in un'aula ci potesse essere tanta gente. Non ne aveva mai vista una universitaria prima. Mentre sbirciava dentro dalle scale gli tremavano le mani all'idea di ciò che stava per fare e lo cercava con lo sguardo ansiosamente. Non fu difficile individuare i capelli color dello zucchero filato alla fragola. Stava davvero per dichiararsi davvero a quella massa di sconosciuti? La sua tendenza a considerare ostili tutte le altre persone del mondo rischiava di prendere il sopravvento. In fondo sarebbe bastato un passo indietro per togliersi dall’impiccio.
Guardò Alex che si mordeva il labbro, concentrato su qualcosa che quasi sicuramente non era un appunto, ma piuttosto un disegno, uno scarabocchio per tenersi occupato. Era bello. Era triste. E gli mancava. Vederlo fu l'ultimo tassello per comprendere che davvero provava per lui qualcosa di forte.
Aveva passato la notte ad ascoltare quella canzone, l'aveva imparata, aveva preso il bus sotto alla pioggia fredda del mattino ed aveva raggiunto l'ateneo. Si era informato sui corsi, si era ricordato di quali di questi Alex gli avesse parlato ed aveva trovato l'unico che si svolgesse in quell'orario. Era un po' troppa fatica per fare un passo indietro.
Quando la docente salutò gli studenti e spense il proiettore pensò di morire. Era troppo, ma lui lo avrebbe fatto comunque.
Così cominciò a scendere le scale verso di lui, controcorrente, infilandosi tra la gente che usciva. Nessuno sembrava curarsi di lui, ognuno aveva una sua borsa, i suoi libri, un collega a o una collega con cui parlare, un’altra aula da raggiungere. Quando fu sufficientemente vicino si mise a cantare. Le prime parole furono le più faticose, come se dovesse tirare fuori la voce dopo una brutta bronchite.

Wise men say
Only fools rush in
But I can't help falling in love with you


Il movimento intorno a lui rallentò. Aveva attirato l'attenzione. Alex stava ritirando le sue cose nello zainetto lilla quando alzò lo sguardo ed incontrò il suo. Dominic ci vide mille emozioni diverse, gioia ingenua, rabbia, dolore, sorpresa e continuò a cantare.

Shall I stay?
Would it be a sin?
If I can't help falling in love with you


Era una follia. Ma quella bella creatura imbronciata la meritava. Voleva che lo vedesse, che lui non aveva più paura. Non lo aveva usato, voleva dimostrarglielo esponendosi nel modo più eclatante che gli fosse venuto in mente. Voleva che le parole di quella canzone parlassero per lui, voleva usare la sua voce per dimostrare che credeva ancora non solo nel loro rapporto, ma anche nella loro carriera.
Si fermò a qualche passo da lui, un gradino al di sotto della fila di posti in cui lui stava riordinando. L’atmosfera appariva come congelata, nessuno lo interrompeva, nessuno rideva come lui avrebbe temuto e tutti lo guardavano scambiando parole sottovoce. Prese coraggio, lasciò andare la voce come riusciva, voleva che l’altro fosse orgoglioso di lui, fargli vedere che teneva ai suoi consigli.
Gli occhi di Alex si abbassarono per poi risollevarsi lucidi. Dom non avrebbe saputo dire se fosse un buon segno. Non lo capì finché non fu arrivato al termine della canzone ed il silenzio venne rotto da un applauso timido, seguito da altri e altri ancora. Gli piacque quella sensazione. Gli piacquero i commenti che sentì, le parole che gli vennero rivolte da perfetti sconosciuti. Ma non vi si concentrò. Si concentrò invece sul ragazzo che somigliava ad un modello alternativo che gli andava incontro. Si contemplarono a distanza per qualche istante prima che Alex aprisse bocca. Aveva un’espressione dura, le sopracciglia curate aggrottate nel dubbio, parlò ad alta voce.
“Sei un grandissimo stronzo"
In una frazione di secondo gli fu addosso, abbracciato al suo collo con il viso premuto contro il suo petto
“Sei il mio grandissimo stronzo"
Dominic lo afferrò per i fianchi e lo sollevò, lo strinse a sé tenendolo in braccio e lo costrinse a guardarlo. Arrossirono entrambi quando Dom baciò via le lacrime dalle sue labbra e le persone lì intorno li applaudirono.
“Sono tuo, sei mio, l'ho capito" il cantante gli accarezzò il viso, rimettendolo giù con delicatezza
“Mi hai fatto molto male"
“L'ho fatto anche a me stesso"
“Te lo meritavi" Alex rise, asciugandosi le lacrime sulle maniche della felpa
“Scusate” il chitarrista sobbalzò quando la docente di arte classica comparve alle spalle di Dominic “Questa è un'aula universitaria. Non una sala da concerti”
“È colpa mia, non capiterà più” cercò di spiegare lui. Lei sorrise, facendo segno ad entrambi di togliersi dai piedi e li guardò uscire tenendosi per mano come due bambini al primo amore.
 
Sedettero su una panchina nell'atrio dell'università. C'era un viavai tale che sentirsi risultava molto difficile, ma Dominic non aveva voglia di parlare. Voleva solo poterlo guardare di nuovo come una cosa della sua vita, poter pensare il suo nome senza colpa. Ci si sarebbe perso in quel viso e quel collo, quelle mani sottili così talentuose. Restò semplicemente zitto finché Alex non si schiarì la voce
“Non c'è qualcosa che dovresti dirmi?” Chiese
“Ti amo"
Il ragazzo rosa scoppiò a ridere, nascose il viso nella felpa, imbarazzato
“Mi sarebbero bastate delle semplici scuse” ridacchiò con la bocca coperta
“Scusa. Ti amo, comunque"
“Perché hai fatto ciò che hai fatto?”
Dom alzò le spalle. Aveva paura di parlargli, ma non era più il momento di tirarsi indietro
“Ci sono molte cose che non sai di me”
“Ce ne sono anche molte che tu non sai di me"
Si guardarono in silenzio. C'era ancora qualcosa di irrisolto. Molto doveva essere chiarito. Lo lessero l'uno negli occhi dell'altro e si capirono a vicenda. Se volevano che quella storia continuasse dovevano tirare fuori il marcio.
“Andiamo a casa mia" disse Alex e Dominic annuì.
Il viaggio in bus fu una delle cose più piacevoli che il cantante ricordasse di aver mai vissuto. Stringendo la mano di Alex, tenendolo per la vita, accanto a sé, sperimentò che era vero. Non aveva più paura. C'era qualcosa di nuovo. Non temeva più gli sguardi su di sé, ma odiava quelli puntati su Alex. C'era sospetto nel modo in cui la gente lo guardava, curiosità, e in qualche caso malizia. Si dovette concentrare per reprimere la voglia di cavare gli occhi ad un paio di uomini. Ma il calore di quel corpo sottile vicinissimo a lui, la mano dalle unghie smaltate di nero che si faceva piccola nella sua, la risata scampanellante del suo piccolo amore, erano tutto ciò che poteva volere di bello.
Scendere in Viale delle Palme tenendo Alex per mano fu un'esperienza nuova. Non era più un semplice ospite. No, ora era in qualche modo parte di quella realtà. O almeno lo sarebbe stato se fosse riuscito a spiegare tutto ciò che odiava di sé e che avrebbe voluto poter cancellare. C'erano parole che gli pesavano sul petto.
Casa Rose era vuota. Dom notò il sollievo con cui Alex aveva controllato la mancanza delle auto nel vialetto e comprese che doveva aver parlato di lui ai suoi genitori e che se lo avessero visto lì probabilmente non sarebbero stati felici. Il padrone di casa prese dalla cucina un pacco di biscotti e lo accompagnò in camera senza parlare. Solo quando si furono sistemati sul letto, l’uno di fronte all'altro, Alex esordì
“Dobbiamo essere sinceri, non è vero?” disse mettendosi in bocca un biscotto con gocce di cioccolato
“Credo di sì"
“Cominci tu. Io sono impegnato” sulle labbra gli si dipinse un sorrisetto malizioso, addolcito dallo spazio tra i denti. Dominic avrebbe voluto baciarglielo via. Invece fece un gran respiro e provò a cominciare
“Io ho avuto paura"
“Ma no?” Alex ridacchiò. Era strano. Gentile, affettuoso, ma si teneva a distanza.
“Era così ovvio? Non per me. Io credevo di essere etero, Ally. In qualche modo io dovevo esserlo”
“È per tua madre? Hai paura del giudizio degli altri?” il modo in cui era andato dritto al sodo gli disse che la conversazione sarebbe stata più breve del previsto, nel bene o nel male.
“Anche. Ma soprattutto è per mio padre" tirare fuori quelle parole fu faticoso esattamente come aveva immaginato. Lo sguardo del ragazzo che amava non lo rendeva più semplice, anzi, molto più doloroso. Aveva piena coscienza del fatto che le cose sarebbero potute finire davvero.
“La prima cosa da chiarire è che io non intendo avere una relazione di solo sesso, Dominic. E non voglio nemmeno una relazione vera e propria con una persona che si vergogni di me e senta il bisogno di nascondermi… ok?" si stupì della veemenza di Alex nel chiarificargli il concetto. Quello doveva essere il punto su cui si era sentito ferito. Giustamente.
“Prima di accampare scuse o spiegare la verità voglio che tu mi dica esattamente che cosa vuoi da me” continuò il ragazzo rosa
Il cantante non si fermò a riflettere prima di rispondere “Tutto”. Nel silenzio che seguì ebbe paura di aver sbagliato, di essere stato interpretato male. Invece alla fine Alex sorrise e il suo battito cardiaco tornò regolare. Odiava quella situazione, si sentiva sul filo di un rasoio, qualsiasi errore avrebbe fatto pendere a suo sfavore e sarebbe precipitato fuori dalla vita che sognava.
“Torniamo a te. Tuo padre… mi avevi detto che non c'era"
“Era così, ma è tornato”
Alex storse il naso, sempre mangiando “Non capisco, Dom"
“Lui è stato via per sei anni. In carcere"
Il ragazzo rosa finse indifferenza, ma era chiaro che nei suoi occhi c’era sorpresa e non una sorpresa da festa di compleanno.
“Cosa ha fatto…?” Chiese, con una nonchalance da pessimo attore
“Spaccio" era la verità. Magari non tutta ma era vera. Per quanto avesse cercato di farsi forza Dominic non sarebbe riuscito a raccontare dell'uomo che suo padre fatto aveva investito ed ammazzato. Non ora che voleva quelle labbra, quegli occhi, quella voce nella sua vita. Gli sudavano le mani, mentre le teneva giunte come in una sorta di preghiera
“Tu hai mai…”
“No" rispose con più veemenza del voluto, era stato aggressivo, lo capì dal modo in cui Alex si ritirò in sé stesso, con le gambe eleganti incrociate e le mani a tenersi le caviglie
“Non ho mai spacciato e non ho mai fatto uso di alcuna sostanza"
“A me interessa solo questo"
Dom non era sicuro di capire. Si chiese se quelle parole non fossero state pronunciate in una lingua straniera
“Non hai paura di me?”
Il ragazzo rosa sgranò i grandi occhi azzurri in un nuovo moto di sorpresa del tutto diverso
‘Tu non sei lui" la semplicità con cui tirò fuori quelle parole investì Dominic come una valanga. Aveva impiegato ventidue anni di vita a capire quella cosa che per l'altro era così ovvia.
“Ma mi sono comportato come se lo fossi. Ti ho detto cose molto gravi e che non pensavo davvero"
“Tu credevi di dover pensare come lui, ora sai che non è così. Non mi importa di lui, mi importi tu"
“Ma tu non hai idea… casa mia, la mia famiglia, è tutto una grandissima merda"
Alex gli toccò un braccio e gli fece cenno di calmarsi, piano si appoggiò a lui e permette dolcemente il corpo contro il suo, le labbra contro le sue. Dominic non capiva davvero. Lo aveva sperato, che ciò succedesse. Eppure gli sembrava impossibile. Probabilmente non era stato chiaro.
“Alex, io vivo in una delle vie più malfamate, in un bilocale cencioso e nemmeno più per molto, considerato che siamo stati sfrattati. Mio padre è tornato a casa e si è ripreso il suo posto da grandissimo pezzo di merda capofamiglia. Io ho un lavoro che fa schifo e non guadagno per vivere…”
“Oddio, Dom. Vuoi che ti lasci?” Il chitarrista sbuffò, cogliendolo ancor più di sorpresa. Non solo quelle spiegazioni non lo spaventavano, ma sembrava lo infastidissero pure.
“No, ti prego"
“Allora piantala" Alex si alzò solo per accomodarsi in grembo a lui, stringendo le  gambe ai suoi fianchi. Gli mise le braccia intorno al collo e lo guardò in un modo in cui Dom era convinto di non essere mai stato guardato prima
“Non mi interessa da dove vieni, di chi sei figlio, che lavoro fai. Voglio solo te. Tutto di te"
Dominic scoprì in quel momento di aver avuto una paura folle. Più forte ancora di ciò che credeva. Aveva temuto che il sentimento di Alex per lui non fosse poi così profondo, ma ora il timore scoppiava come una bolla di sapone.
“Non ho molto da offrire a uno come te" mormorò “Ma giuro che mi impegnerò”
“Io vedo…” il ragazzo rosa lo baciò delicatamente “talento" ancora “grandi prospettive" ancora “grande cuore” gli sorrise, il suo sguardo scivolò addosso a lui, lascivo “e poi sei così sexy"
“E allora tu cosa sei?” Dom afferrò Alex per i fianchi e si lasciò andare con la schiena sul letto, tirandoselo dietro. Aveva intenzione di goderselo al massimo, quel sentimento.
Parlarono abbracciati, guardandosi negli occhi a pochi centimetri di distanza, intervallando le parole a piccoli baci delicati.
“Parlami di tuo padre"
“Fa schifo. Sono cresciuto con lui che ci picchiava. Quando avevo quattordici anni mi ha minacciato con un coltello perché avevo trovato la sua roba nascosta nel materasso. Lui non mi ama, io lo odio tanto che gli darei fuoco”
“È sempre tuo padre… possibile che non ci sia un solo ricordo felice con lui?”
Il cantante si fermò a riflettere “Un anno a Natale mi ha regalato una mazza da baseball. Mi è stata utile, l'ho usata per cacciare di casa un ladro la scorsa estate”
A rimanere zitto questa volta fu Alex. Dominic vide nei suoi occhi che quella realtà per lui era astrusa, comprensibile quanto la fisica di un viaggio a piedi fino al centro della terra. Era a così che dovevano sentirsi le persone normali di fronte alla sua normalità. Almeno così lui poteva comprendere che in realtà di normale non c'era nulla.
“Per me è sempre stato così. Non conosco altro. Violenza che porta altra violenza per difendersi e altra violenza per vendetta.” Avrebbe preso coraggio e parlato dei suoi problemi passati , della rabbia, della sospensione per cui aveva deciso di abbandonare gli studi.
“Io non sono contro la violenza o la vendetta così a prescindere" la risposta di Alex fu stupefacente. Non si aspettava che un pargolo di buona famiglia bello e talentuoso potesse conoscere lo spirito della vendetta.
“Le conosci?”
“Ho la mia parte di brutti pensieri, ma continua. Raccontami di te”
Dom guardò il soffitto, riportò alla mente le sequenze di desolazione della sua infanzia e adolescenza
“In casa non c’era mai da mangiare. Andavo a scuola senza aver fatto colazione e non riuscivo a concentrarmi. Non me ne fregava niente della scuola, volevo solo tornare a casa a giocare; però quando tornavo a casa spesso non potevo entrare. Significava che mio padre era con un cliente o con un’amica.”
Le mani di Alex gli accarezzavano il petto, mentre lui manteneva un perfetto silenzio
“Ho avuto tanta paura di lui nella mia vita. Dio, come speravo di essermelo tolto dai coglioni, Alex. Niente più lividi, bruciature di sigaretta sulle mani, puzza di erba in casa e frigorifero vuoto. Ho fatto ciò che potevo perché questo finisse. E ora lui torna indietro come se niente fosse. Buona condotta, ti rendi conto?”
“Come hai fatto a sopportare…?”chiese il chitarrista sottovoce
“Non l’ho fatto. Ho cominciato a fargli la guerra quando avevo quindici anni. Ero così arrabbiato, affamato, solo. Gli ho buttato nel cesso chili di roba, ho dato fuoco ai suoi soldi sporchi prima che potesse spenderli a prostitute. Sono persino andato dai servizi sociali per parlare di mia madre che beveva troppo e li ho portati in casa. Per ringraziarmi mi ha spaccato un braccio ed in ospedale io ho detto di essere caduto arrampicandomi su un albero. E alla fine l’ho denunciato”
Alex alzò la testa a guardarlo “Denunciato? Vuol dire che in carcere,,,” era dannatamente sveglio
“Sì, ce l’ho mandato io. Ho fornito tutte le prove necessarie. E’ stato facile, ci vivevo dentro.”
“Lui sa del tuo coinvolgimento?”
“No. Infatti sono ancora vivo”
Dominic accarezzò il viso e poi il collo dell’altro, infilò una mano nella sua felpa, senza malizia. Solo per sentire la dolcezza di quella pelle così liscia e limpida nel suo pallore.
“Sei stato coraggioso. Hai fatto ciò che dovevi per sopravvivere.”
“Devo smetterla di pensarla in termini di sopravvivenza. E’ per paura che ti ho ferito, e per egoismo”
Alex sorrise “Io lo capisco, ora”
“No, non merito comprensione. Il modo in cui mi sono rivolto a te, le accuse… sono stato pessimo”
“Beh” il chitarrista fece una smorfia “Sul modo si poteva lavorare in effetti. Sei un tipo… deciso”
“Sono stato arrabbiato per così tanto tempo, poi mi sono messo nei panni del bravo ragazzo con un sogno, un lavoro ed una mamma single. Quando la rabbia è tornata indietro non sono più stato capace di gestirla. E non è una giustificazione”
Gli piaceva il modo in cui stavano andando le cose. Forse era il calore del corpo che gli premeva addosso, ma il freddo che aveva sentito nel cuore, nelle mani tremanti di paura, nel petto schiacciato dall’ansia stava andando via. Non aveva mai detto a nessuno della denuncia se non a sua madre. Non aveva mai detto a nessuno della rabbia, bastava poco, infondo, per accorgersi che era un “ragazzo difficile”. Quante volte se l’era sentito affibbiare quell’epiteto. Un professore troppo zelante, un datore di lavoro deluso, le amiche per bene di sua madre, quelle che si occupavano degli alcolisti come lei per tirarli fuori dalla merda. Il ragazzo difficile non avrebbe mai raggiunto nulla nella vita. Beh avrebbero dovuto vedere quanto era bello quel ragazzo sdraiato addosso a lui.
“Mettere la testa a posto” disse ad alta voce
“Come?”
“Con te io vorrei mettere la testa a posto. Lasciare da parte i cattivi sentimenti e le paure e provare a prendere la mia strada. La lezione di musica era l’unica cosa in cui fossi bravo a scuola, prima di mollare tutto. E’ lì che ho deciso che volevo impegnarmi in quel senso, ma poi sono riuscito a dimenticarmene. Ora con te voglio mettere la testa a posto e ricominciare a provarci.”
Alex rise, finalmente una risata sincera, forse un po' trattenuta, ma viva. “Ti direbbero che sei fuori strada. Non si mette la testa a posto inseguendo una carriera impossibile”
Dom lo guardò negli occhi con tutta la dolcezza di cui fosse capace “Tu non sei come gli altri, no?”
“No, infatti sono ancora qua”
“Vuoi essere il mio ragazzo?” le parole gli sfuggirono di bocca, come sempre quando si trovava con lui. Il silenzio che seguì minacciò di fargli crollare addosso l’universo.
Alex si rabbuiò nello stesso brevissimo tempo in cui normalmente si illuminava, si alzò, spostandogli delicatamente le braccia e si rimise a sedere a gambe incrociate mentre Dominic lo guardava smarrito.
“Sei stato sincero con me. Hai detto molte cose e molto difficili, mi hai dimostrato che ti impegnerai. E credimi, non c’è nulla che io desideri più che poter essere il tuo ragazzo, Dominic Olsen. Ma credo proprio che ora tocchi a te sapere.”
Dom avrebbe voluto dirgli che nulla al mondo gli avrebbe fatto cambiare idea, di risparmiarsi le storie tristi, il dolore di doverne parlare, che ci sarebbe stata tutta una vita per scoprirsi a vicenda ora che lo aveva perdonato. Ma Alex glielo vide negli occhi e lo zittì accostando l’indice alle sue labbra.
“Mi hai chiesto scusa, ti sei spiegato. Ora devo chiederti scusa anche io. Ho reagito malissimo, mi dispiace di averti aggredito a quel modo”
“Sei un tipetto deciso anche tu, vero” il cantante gli sorrise. In effetti non si sarebbe aspettato una reazione tanto violenta da parte sua, ma era sicuro di essersela meritata.
“Ti ho esposto davanti ad una piazza intera, ti chiedo scusa. E anche per gli spintoni. E per il vaffanculo.”
“Ally va tutto…”
“No. Aspetta” il ragazzo rosa si passò una mano tra i capelli, scompigliandoseli nel tentativo di riordinare i pensieri che Dominic gli vedeva frullare nella testa
“Avevi ragione. Io ho cercato di sedurti e ci sono riuscito. Avevi ragione, non mi servivano più magliette attillate per fare colpo, né mi serviranno mai più se tu decidi di restare. Io sarò questo che tu vedi ora. Cioè… ovviamente sono anche un po'… quell’altro… se tu vuoi, ma lascia che ti spieghi”
Dom sedette composto di fronte a lui per dimostrare che lo avrebbe ascoltato. Era curioso, in effetti, di capire dove volesse andare a parare
“Io mi sono spaventato, quando hai detto quelle cose, perché ti avevo appena concesso il mio… tutto. Non pensare con questo che io sia un’educanda in abiti maschili. Sono in buona parte il contrario, è per questo che cerco di farti capire. Io non sono abituato ad essere amato da molti”
“Nemmeno io”
Alex gli accarezzò il viso “Esatto. Sai quanto è difficile farsi apprezzare da qualcuno, conosci quel desiderio di trattenere, legare le persone che si avvicinano per non farle scappare.”
L’altro annuì in silenzio
“Io sono il frutto di un abbandono.  I miei genitori non sono i miei veri genitori. Sono stato adottato quando avevo quattro anni, non ho memoria di mia madre biologica e penso che un padre non ci fosse. Mi hanno fatto crescere bene, mi hanno viziato ed amato. Belle case, belle auto, buon cibo, regali a Natale, al compleanno, abiti firmati. Ma il vuoto non si può colmare”
Dominic non ci aveva nemmeno lontanamente pensato. C’era tanta normalità lì. Era proprio vero, allora, che era l’amore e non il sangue ad unire una famiglia.
“Ma la tua famiglia adottiva ti ama tantissimo” obiettò
“E’ vero. Ed io amo loro. Solo mi rimarrà per sempre dentro una domanda. Perché coloro che mi hanno creato non mi hanno voluto? Deve esserci qualcosa di sbagliato in me. E’ ovvio.”
“Questo è falso”
Alex sorrise, aveva gli occhi lucidi mentre tentava di proseguire senza lasciarsi prendere dalle emozioni
“Crescendo non avevo amici. Pochissimi. Me li sono sempre tenuti molto stretti, fino a soffocarli. E poi vedevo gli altri innamorarsi ed ho capito di essere gay e mi sono sentito ancora più solo. Finché non mi sono accorto che c’era qualcosa in me che poteva attirarmi intorno delle nuove persone; sono carino e sufficientemente stupido, attiro l’attenzione. E così ogni volta che un ragazzo si avvicinava a me io cercavo di legarlo nell’unico modo in cui potessi pensare di farlo. Andandoci a letto.”
“Tu non sei stupido, Alex” Dominic avrebbe voluto stringerlo forte
“Come lo chiami uno che si concede al primo appuntamento e viene lasciato prima che ce ne possa essere un secondo? Avanti… Ho passato anni a cercare attenzioni da qualsiasi uomo passasse nella mia vita e quando tornavo a casa e guardavo i miei genitori mi sentivo così in colpa.”
“Uno stupido si sentirebbe in colpa?”
“Uno intelligente farebbe sesso con un collega di suo padre adottivo, dandogli la possibilità di diffondere in azienda magnifiche informazioni sul suo conto?”
Dom restò in silenzio. L’aveva vista la malizia in lui, vi aveva anche ceduto. Ma non aveva pensato a qualcosa di simile. Se non fosse stato per le lacrime che rigavano il volto del chitarrista si sarebbe chiesto che cosa ci fosse stato di diverso nella storia vissuta con lui, se non fosse stato solo un tentativo come un altro nella sua folle ricerca di affetto. Ma quelle lacrime c’erano. Aveva sbagliato, si era concesso anche a lui troppo in fretta, nella speranza di tenerselo vicino; ciò che ora doveva fargli capire era che lui non se ne sarebbe andato comunque. Allora lo abbracciò, lo strinse al suo petto mentre piangeva
“Ci ho provato a cambiare… mi sono impegnato e poi sei arrivato tu ed io ti volevo per me così tanto che ho smesso di ragionare e l’ho fatto di nuovo. Per questo ti ho aggredito. Saresti stato la delusione definitiva per me, se mi avessi lasciato dopo avermi avuto.”
“Basta, Alex, va bene così. Sai che c’è? Ho detto che voglio tutto di te, allora voglio anche i tuoi sbagli e le tue insicurezze e la tua storia” Dominic lo baciò sulla testa, cullandolo piano tra le sue braccia. Si sarebbero risollevati insieme. Avevano tutta una vita per crescere.
“Mi vuoi ancora?” Alex alzò su di lui uno sguardo luccicante di tristezza e implorazione, sembrava un cucciolo triste nella vetrina di un negozio di animali, sotto i faretti dalla luce gelida. Il cantante lo avrebbe voluto adottare.
“Alex Rose, vuoi essere il mio ragazzo?”
“Non voglio altro”
Il rumore della ghiaia del vialetto calpestata dalle ruote di un’auto li riscosse entrambi. Alex si tirò su e si asciugò le lacrime correndo alla finestra, sbirciò da dietro alle tende
“Sono mamma e papà, sono tornati” esclamò
Dominic fu preso da un momento di panico. Non sapeva cosa l’altro avesse detto della loro storia e si chiedeva cosa avrebbero potuto pensare di lui trovandolo ancora lì nella sua stanza
“Devo parlare con loro, vieni” Il ragazzo rosa lo prese per mano e lo trascinò fuori dalla stanza. Scesero le scale al volo e quando la porta si aprì Alex saltò addosso a suo padre, abbracciandolo e baciandolo sulle guance
Il cantante non aveva ancora avuto modo di vedere quell’uomo. Fu un colpo. Forse di fulmine. Aveva immaginato e disegnato spesso un padre per bene quando era piccolo. E ora se lo trovava davanti, un uomo robusto e solido, in camicia, con lo sguardo burbero e acceso di vita allo stesso tempo. Avrebbe voluto abbracciarlo anche lui. Voleva piacergli.
Così quando Alex lo prese per mano e lo portò davanti a lui, annunciando “Papà, ti presento il mio ragazzo” temette di morire sul colpo.

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Capitolo 8
*** Dove andiamo ora? ***


“Papà, lui è il mio ragazzo”
Dominic impallidì, immobile come davanti ad una belva feroce, mentre la mano che Alex gli stava stringendo diventava gelida e rigida.
“Piacere di conoscerti” dal tono si intuiva che non era affatto un piacere. Avrebbe voluto scomparire. Non capiva come il ragazzo rosa accanto a lui potesse sorridere a quel modo. Se lui non fosse piaciuto a suo padre le cose non avrebbero mai potuto avere quell'aura di normalità che Dom sognava. Doveva riuscire a rimediare.
“Il piacere è mio, mi chiamo Dominic Olsen ed ho ventidue anni” allungò la mano e l'uomo lo guardò corrucciato per un po' prima di stringergliela
“Non ti agitare, non mordo" rispose “Se Alex ti ha scelto ci sono dei motivi, non è così?”
“Io credo di sì"
Il padre guardò il figlio, probabilmente fu convinto dal gran sorriso che aveva stampato sulle labbra e si sciolse il necessario per dire “Io sono Robert, conosci già mia moglie" indicò la signora Melinda che lo raggiungeva dal vialetto
“Sì, buonasera signora”
“Dominic, ci si rivede" anche lei era sospettosa. Quelle parole gli indicarono che come aveva effettivamente raccontato Alex non doveva essere comune rivedere lo stesso ragazzo in quella casa per così tanti giorni.
“Dom potrebbe fermarsi a cena, che dite?” Il chitarrista intervenne abbracciandolo stretto mentre parlava e il cantante si sentì d'un tratto più forte. Avrebbe affrontato il giudizio dei suoi genitori e li avrebbe convinti della sua buona fede.
“Miranda?” Robert si girò a guardare la moglie e lei annuì
“Non c'è problema, se Alex è contento"
Dominic non si preoccupò nemmeno di avvertire la madre. Era tanto presa dal suo rinnovato amore per quell’uomo con cui l'aveva concepito che non si sarebbe neanche accorta della sua mancanza. L'unica cosa che temeva era che potesse rivelare a suo padre del suo interessamento per un ragazzo, avrebbe preferito parlarne lui e a modo suo. Ma forse non se ne ricordava nemmeno. Era talmente ubriaca quando l'aveva esasperato facendolo confessare.
Così seguì Alex in garage, lo ascoltò suonare un pezzo degli Aerosmith e adorò il modo in cui si arrabbiava quando qualcosa non gli riusciva al meglio. Ora poteva concentrarsi semplicemente sull'adorarlo. E sul trovare il modo di essere legittimato. Gli cantò “I can't help falling in love" un'altra volta, guardandolo fisso in quegli occhi azzurri vivissimi.
“Questa sarà la canzone con cui apriremo ogni concerto" disse il ragazzo rosa quando ebbe finito “E tutte sapranno che non possono provarci con te perché sei impegnato”
“Vuoi dire che tutti sapranno che non possono provarci con te perché sei mio" Dom rise e lo abbraccio, lo baciò sulla fronte
“Sarà il nostro segno distintivo, questa canzone. Quando si accenderanno i riflettori tu comincerei a cantare e la folla ti adorerà”
“No, ci adorerà quando tu suonerai con quelle tue belle mani da elfo"
Alex ridacchiò con i lacci della felpa tra i denti, gli si avvicinò per parlargli sulle labbra
“E poi ci sarà da saltare e gridare al cielo e sentirsi vivi.”
“E ci baceremo sul palco"
“E scriveranno fanfiction su di noi"
Dominic sedette a terra tirandolo giù con se, sulle sue gambe. Gli accarezzò le cosce attraverso i jeans stretti e pieni di cerniere argentate
“E faremo l'amore nel backstage”
Alex si strusciò contro di lui in un modo tremendamente inappropriato dal momento che di lì a poco sarebbero stati chiamati per la cena. Ma il cantante non glielo avrebbe certo detto.
O forse sì.
Dom si riscosse all'improvviso e lo fermò prima che potesse continuare a provocarlo
“No, amore…”
l'altro lo guardò stupito e lui si affrettò a spiegare
“Voglio fare bella figura con i tuoi. Non posso mica presentarmi a cena… emh… poco lucido. E poi ci tengo a dirti che non se più obbligato a farlo. Puoi prenderti i tuoi tempi, io mi prenderò i miei…”
“Mi hai chiamato amore?”
Alex lo interruppe posandogli l'indice sulle labbra
“È la prima volta che lo fai"
Il chitarrista scoppiò a ridere di una risata follemente gioiosa, lo sguardo rivolto al soffitto come se potesse vederci un cielo stellato in evoluzione e le braccia strette al collo del suo ragazzo. Dominic si sentì così onorato di poterlo rendere felice da avere voglia di piangere e cantare nello stesso momento. Era dannatamente bello essere di nuovo in quella realtà.
“Ci scriverei una canzone su di te" disse, senza pensarci
Alex lo guardò curioso, tormentando il piercing con i denti
“Ne hai mai scritte?”
“Qualcuna, quando ero più giovane. Ma grazie a te potrei riprovarci”
“Io non sono il genere di persona su cui si scrivono le canzoni”
“Tu sei esattamente quel genere di persona"
“Non lo sono"
“Lo sei"
“No"
“Sì"
“Dimostralo”
“La cena è in tavola"
La voce di Robert provenne dalla porta del garage appena in tempo per impedire a Dominic di baciare Alex per farlo tacere.
Dom si sentì a disagio quando sedette al tavolo con tutta la famiglia. Era stato lì con Alex, ora la sensazione era del tutto diversa. Era ansioso di fare bella figura, si sentiva inadeguato a quel contesto tanto normale. Sì ritrovò a sbirciare i tratti del viso di Miranda e a ravvisare impossibili somiglianze con quelli del figlio adottivo.
“Sei uno studente?” quasi sobbalzò quando Robert gli rivolse la parola
“No, lavoro in un supermercato"
“E dove vi siete conosciuti?”
“Proprio lì…”
Alex intervenne ad interrompere quello che poteva sembrare un interrogatorio “Ci siamo conosciuti perché sono scivolato su una pozza d’acqua e sono caduto per terra"
“Una pozza che io avrei dovuto asciugare" ammise Dom, toccandosi il collo in imbarazzo
“Non prenderti colpe che non hai, Ally ha sempre avuto un terribile equilibrio” Miranda parlò posando sul tavolo un poggiapentola a forma di galletto e poi mettendoci sopra una casseruola fumante di pasta . Il cantante non si aspettava il suo appoggio e fu ancora più sorpreso quando lei gli mise una mano sulla spalla “Sai, una volta è caduto dalla bicicletta stando fermo in mezzo ad una piazza”
“Mamma! Stavo guardando il cielo, mi sono venute le vertigini" Alex nascose il viso nel tovagliolo
“Aveva quindici anni” aggiunse Robert con la prima ombra di un sorriso
Dominic decise che era venuto il momento di entrare a pieno titolo in quella realtà. Prese coraggio prima di aprire bocca
“La scorsa estate sono caduto in un canale per l’irrigazione in campagna perché mi ero convinto di avere alle spalle un trattore” raccontò “Era solo un’ape che mi ronzava vicina all'orecchio”
Il chitarrista scoppiò immediatamente a ridere, sembrava incapace di trattenersi, aveva riso persino quando si era trovato lui stesso seduto nell’acqua; in più era trascinante. Osservò i suoi genitori sorridere. Lo guardavano ridere e sorridevano. E lui li capiva. Eccome se li capiva.
“Devo ringraziarvi” esordì Dom. Calò un silenzio di circostanza “Per l'accoglienza, la gentilezza… e per il modo in cui avete cresciuto vostro figlio…” vide che Robert si irrigidiva, probabilmente chiedendosi dove volesse andare a parare
“vi ringrazio per averlo sempre lasciato sognare. Perché sapete, se non avesse sempre la testa tra le nuvole non sarebbe caduto nella mia pozza e io non l'avrei conosciuto"
La prima a scoppiare fu Miranda. Gli mise ancora le mani sulle spalle, scuotendolo affettuosamente e rise e Dominic si sentì felice come non mai. In casa sua nessuno rideva delle sue battute, lui non faceva mai battute a casa, non ce n'era motivo. Le uniche cose per cui si poteva ridere erano vecchi ricordi di tempi che facevano sembrare il presente ancora meno sopportabile.
“Se vuoi su di lui ci sono quintali di storie. Ci deve essere nato con la testa tra le nuvole” La voce di Robert stava lentamente cambiando, perdendo quel tono tutto volto a mantenere le distanze per un’aria più familiare.
Dom ci si sarebbe perso nei racconti di quel padre che amava suo figlio al punto da ricordare così tante piccole cose. Avrebbe saputo la storia di ogni cicatrice presente sul corpo di Alex e di ogni graffio sulla sua bicicletta, di ogni macchia sui suoi vestiti.  Era magnifico vivere una vera famiglia con papà, mamma, figlio amato e bello e talentuoso. Vita onesta, libera, calda della luce dei lampadari ereditati da nonni e bisnonni e con l'odore della polvere dei ricordi. Si accorse che per quanto fosse stata riverniciata da poco non fosse ancora stata pienamente vissuta, quella casa era vivida. Erano gli abitanti a fare la casa e non il contrario.
“Ricordate quando ho investito nonno con la bicicletta?”
“C'è un motivo ricorrente qui…”
“La bicicletta mi odia”
“Anche i tuoi piedi lo fanno"
Fu proprio Robert ad accorgersi del suo silenzio  “Stai bene, Dominic?”
Il ragazzo si riscosse con un sorriso “Molto, solo… stavo ascoltando. Siete una bella famiglia" non potevano immaginare che lui sapesse dell'adozione. E lui voleva dare l’impressione di non saperlo. Perché in effetti non aveva alcun significato, era evidente. Alex era il loro bambino e basta.
Parlarono del lavoro, delle ambizioni, persino della band e Dom si stupì dell'appoggio che i genitori davano al suo ragazzo. Lui era stato appoggiato da sua madre, ma sempre senza quella fiducia nei suoi mezzi che sentiva ora; non l'aveva mai ascoltato cantare se non con eccessiva disinvoltura, facendo altro, senza coscienza di quanto quella cosa fosse importante per lui. Era stato un appoggio frustrante.
Avevano finito di mangiare quando nel salotto squillò il telefono ed Alex corse a rispondere. Dominic sentì chiaramente un entusiastico “Pronto? Ciao Zia!’ prima di offrirsi di aiutare a sparecchiare. Ma in quel momento Robert lo prese per un braccio e lo tirò da parte
“Dobbiamo parlare"
Il cantante impallidì. Era convinto di aver fatto una buona figura, si era comportato bene, educatamente e con rispetto
“Va bene" rispose con finta convinzione
“Mio figlio ne ha passate tante. Da quel che ho capito gli hai anche già dato la tua dose di delusione. Ora devi deciderti…”
“Ma io…”
“Stai zitto e ascolta, ragazzo. Alex è bravo come il sole, ingenuo e anche sciocco a volte ed ha un bisogno incolmabile di affetto. Sarò schiettissimo. Se scopro che vuoi solo andare a letto con lui ti metto in lista con tutti gli altri per la castrazione e ti vengo a cercare anche in capo al mondo. Chiaro?”
Dom avrebbe voluto dirgli che era una cosa stupenda, ma anche spaventosa. Invece rimase zitto, pallido e con la bocca aperta in un’espressione non troppo sveglia. A quel punto intervenne Miranda
“Lascialo stare, Rob. Mi sembra un bravo ragazzo. Sei un bravo ragazzo?”
Il cantante annuì
“Che intenzioni hai nei confronti di mio figlio?” Il padre lo fissava con quella sua aria burbera sul volto morbido
“Io lo amo" rispose Dominic “Lui è la cosa più bella che io abbia mai avuto"
“Non gli farai del male"
“Mai. Vivrei piuttosto per farlo felice"
A quella risposta Robert si girò a guardare il figlio, attaccato alla cornetta in salotto, poi tornò con lo sguardo su di lui
“Questo ti fa onore" Dom tirò un sospiro di sollievo
“Sei un ragazzo serio. Alex sembra contento con te e tu con lui. Trattalo bene, è un piccolo re. Per il resto gestite le vostre cose come dovete, questa sarà la mia unica intromissione.”
Quando Alex gli comparve alle spalle, mettendosi sulle punte dei piedi per abbracciarlo, il cantante si sentì a casa. Si ricordò anche, purtroppo, del posto a cui doveva tornare
“Vuoi fermarti a dormire?” gli mormorò il suo ragazzo nell'orecchio
“Mi dispiace, stasera è meglio che torni" non voleva lasciare sua madre troppo da sola con lui
“Ci vediamo domani?”
Dominic si ricordò improvvisamente delle sue perlustrazioni in città
“Vieni al supermercato, alle cinque. Ti porto in un posto".
 
L’odore di fumo fu la prima cosa. Era tornato stabilmente ad abitare in casa sua, a impegnare le pareti, i vestiti e i mobili, come uno spettro che infestasse la sua vita. Si chiese che cosa avrebbe fatto un ragazzo normale in una famiglia normale, quella sera. Probabilmente avrebbe parlato ai genitori della sua storia d'amore, avrebbe ricevuto supporto. Ma non era quello il caso. Se si concentrava riusciva a sentire chiaramente la voce di suo padre che gli dava del frocio e del rammollito. Come se amare una creatura come Alex, con tutti i suoi trascorsi, fosse una cosa da rammollito.
Dominic si chiuse la porta alle spalle. I suoi erano seduti sul divano, abbracciati come una coppietta felice e probabilmente strafatta. Non si stupiva di suo padre. Era sua madre a sconvolgerlo.
“Dove sei stato?”
“A cena fuori"
“Con chi?”
“Ti interessa?” lo infastidiva che d'un tratto la sua nuova madre si preoccupasse come quella per bene che era stata in precedenza
“Monica, lascialo in pace. È andato a baccagliare, si vede" suo padre si alzò dal divano con una certa fatica, tenendo in una mano una birra aperta e nell'altra una sigaretta accesa. Gli si avvicinò e gli mise un braccio intorno al collo
“Sono stato da un amico" Dominic cercò di toglierselo di dosso, non aveva voglia di approfondire il contatto con le sue braccia nude e sudate. Come riuscisse ad essere sudato anche con il freddo pazzesco di quella casa dimostrava quanto avesse bevuto.
“Neanche un po' di figa? Dai ammettilo, Dominic. Non ti faranno santo comunque" puzzava di alcool e di prigione, di posti chiusi pieni di colpa
“Mollami"
“Gli Olsen non stanno mai lontani dalla figa, Dominic"
Gli dava sui nervi il suo modo di parlare. E gli dava sui nervi che quell'uomo pretendesse qualcosa che lui non era. Doveva riuscire a contenersi, chiudersi in camera, non fare danni. Cercò di sgusciare via
“Non fare il frocetto, fatti abbracciare da vero uomo”
Non si sarebbe potuto contenere.
Afferrò il braccio di suo padre e se lo staccò di dosso facendogli rovesciare la birra sul pavimento
“Ma che cazzo fai?” rideva. Dom gli avrebbe tirato volentieri un pugno. O forse dieci. Lui era un bravo ragazzo, lo era diventato, si sarebbe sempre impegnato ad esserlo per Alex. Ma questo era qualcosa che andava oltre alla faccenda del bravo ragazzo. Questo toccava nel vivo il vecchio Dominic. E le vecchie abitudini sono dure a morire e forse è giusto così, in fin dei conti. Se quei due avevano il diritto di ubriacarsi come ai vecchi tempi, lui poteva prendersi una tregua per spaccare la faccia a quella bestia.
“Mamma, e ascoltami pure tu" li indicò entrambi “Io ho una relazione. Seria. Con un ragazzo. Sappiate solo che chiunque osi parlare di lui, sfiorarlo anche solo col pensiero o dire una sola parola di troppo se la vedrà con me. Compresi voi due.”
Suo padre restò zitto. Non era un buon segno. Pensava che avrebbe riso di lui o avrebbe avuto paura come sua madre. Invece gli barcollò vicino e gli strinse il mento con la mano in cui teneva la sigaretta
“Ora capisco" bofonchiò dopo qualche istante “Sei un frocio vero. Non uno di quelli da ragazzina per bene. Uno vero vero, da ragazzini e bacini proibiti eh"
Dominic lo spinse indietro e lo guardò mentre franava a sedere sul pavimento
“Sei libero, figliolo. Fai quel che vuoi, ma tieni la tua perversione lontana da questa famiglia"
“Una famiglia meravigliosa” Dom si chinò su di lui
“Un vero uomo di Chiesa" gli sibilò in faccia, sentendo l'odore alcolico del suo fiato. Poi si rialzò e si diresse verso la sua stanza. Si fermò davanti alla porta.
“Chiunque lo sfiori dovrà vedersela con me" ripeté prima di andarsene.
 
La notte era passata velocemente. Il benessere del cuore era riuscito a far tacere la mente e per di più si era svegliato solo in casa. Era un sogno che si avverava. L'unica cosa che desiderava era che anche la giornata passasse in fretta, corresse fino alle cinque del pomeriggio e poi si fermasse. Si erano visti da poco. Non ci sarebbero potute essere grandi novità da raccontarsi, ma era tanto bella la semplice idea di vederlo e poterlo considerare suo. Se qualche collega gli avesse chiesto “Che cosa fai dopo il lavoro?”, domanda che avevano smesso di fargli molti mesi prima sentendo sempre le stesse risposte: “nulla" o “niente", avrebbe avuto molto da rispondere. “Vedo il mio ragazzo”, “Faccio un giro in centro", “Faccio musica”. Non aveva mai parlato della musica a nessuno se non alla sua ex ragazza, ma ora questa tornava ad intrecciarsi in modo così stretto con la sua esistenza che non poteva tenerla fuori.
Invece di pulire la cucina in cui sembrava passato un esercito in marcia, Dominic tirò fuori i testi preparatigli da Alex e cominciò a farci pratica. Aveva ascoltato quelle canzoni, quando sentiva la mancanza del ragazzo rosa, ora il gioco diventava più divertente. Doveva capire cosa significasse quella musica per lui. Quando si mise in piedi davanti allo specchio si sentì ridicolo. Era un po' che non lo faceva, gli sembrava addirittura di essere cresciuto al punto da non starci più in quello specchio. Forse era un buon segno.
“Demolition Lovers” disse alla persona riflessa “My Chemical Romance"
Cantò senza base, come in quei giorni di pioggia in cui internet non voleva funzionare e Youtube non riempiva il suo silenzio e lui odiava non essere in grado di suonare uno strumento. Cantare nel silenzio ora aveva in significato diverso. Una parte di un tutto.

Hand in mine, into your icy blues
And then I'd say to you we could take to the highway
With this trunk of ammunition too
I'd end my days with you in a hail of bullets


C'era Alex in quella canzone. E forse c'era anche lui. Si chiese perché il suo ragazzo la ascoltasse quando ancora non si erano incontrati. Forse c'era dentro qualcosa che lui si augurava di avere, in quelle giornate in cui si sentiva solo ed usato. Pensare a lui in quel modo gli fece male, non riusciva a comprendere come qualcuno potesse avvicinarglisi per ferito, sfruttarlo ed abbandonarlo.

I'm trying, I'm trying
To let you know just how much you mean to me


Stava andando bene. Non aveva bisogno di guardare il foglio per ricordare le parole e così riusciva a concentrarsi sul sentimento. Era una splendida canzone, non paragonabile ad nessun'altra che avesse mai sentito. Dopo essersi rifugiato in musica senza significato per anni, avere d'un tratto in mente qualcosa di tanto disperatamente significativo riempiva dei idee, di sensazioni. Non era nemmeno importante che la voce con cui cantava non fosse una voce canonicamente bella, a nessuno che comprendesse quella canzone sarebbe potuto importare.

But this time, we'll show them                                                                                                                  We'll show them all how much we mean

Se ci fosse stata anche una sola persona disposta ad ascoltarlo lui avrebbe cantato. Fosse solo per rendere felice Alex. Anche se ora, in realtà, sentiva di potercela fare. Quel ragazzo dai capelli neri nello specchio non era poi il fallimento che credeva di essere. Gli serviva solo una spinta.
Dominic andò al lavoro felice, lavorò con tranquillità. Si dimenticò persino di avere un padre finché non lo vide entrare dalle porte scorrevoli. Lo osservò mentre lo salutava con un gesto ed un occhiolino e pregò come non aveva mai fatto in vita sua che se ne andasse prima dell'arrivo di Alex. Mancavano quindici minuti alla fine del suo turno. Dom li trascorse guardandosi nervosamente intorno, cercando. Lo trovò in lontananza, affiancato al suo capo. Si stavano parlando. Quando suo padre fece un gesto verso di lui, il cantante sentì lo stomaco rivoltarsi mentre si domandava che cosa volesse. Fece finta di non vederlo finché non gli fu davanti alla cassa
“Sei l'unica cassa aperta. Niente trattamenti di favore al tuo genitore eh?” un altro occhiolino
“Non c'è il rischio" aveva comprato diverse confezioni di cibo surgelato. Cosa che per il ragazzo fu profondamente irritante. Significava che sua madre non aveva intenzione di cucinare da lì a qualche tempo.
“Che fai dopo il lavoro?” non era la persona da cui si aspettava quella domanda
“Affari miei” rispose strappando lo scontrino
“Stai calmo, pivellino...” Il padre alzò le mani “Volevo invitarti a bere con me ed i miei amici"
“Hai amici fuori dal carcere?” odiava che fosse così gentile ora che non era ancora ubriaco, solo per trattarlo come una merda quando lo fosse stato. Fu estremamente felice quando se ne andò senza più rivolgergli la parola ed ancora più felice quando Alex entrò nel momento stesso in cui lui usciva.
Camminarono mano nella mano per le vie della città, ci volle poco perché Dominic potesse scoprire un altro lato della personalità di Alex. Gli piaceva che gli altri lo guardassero. Non con interesse, semmai con curiosità. Si divertiva da matti a vedere il sospetto negli occhi dei passanti di fronte a due ragazzi che si tenevano per mano.
“È il piacere dello scandaloso" aveva detto ridendo. Ciò che aveva tanto spaventato Dom era per lui un gioco tra i più belli a cui giocare.
Attraversarono il centro, guardarono vetrine e il cantante si stupì di provare piacere nel parlare di vestiti, scarpe e abbinamenti. Il ragazzo rosa giudicava qualsiasi cosa come troppo poco punk per lui, ammettendo come unica sua debolezza delle sneakers nere e bianche esposte nella vetrina di Balenciaga che a Dominic ricordavano dei calzini mutanti. Quel pomeriggio indossava di nuovo i tipici skinny che gli rendevano giustizia meravigliosamente, abbinati ad un maglione più che consumato a strisce sul tono del grigio ed una giacca di pelle rosa lucidissimo che attirava l'attenzione più di una giraffa a guinzaglio. Era bello ed era suo. Si esibivano a vicenda, passeggiando, in un modo che rendeva impossibile capire chi dei due fosse più fiero della propria conquista.
Alex non chiese mai dove stessero andando e Dom si sentì onorato di tale fiducia. Sarebbe stata una bella sorpresa. Ne ebbe la conferma quando si fermarono di fronte al locale che aveva in mente.
“Siamo arrivati"
“Vuoi portarmi a bere?” Il ragazzo rosa rise
“Non proprio. Hai visto i volantini sui vetri?”
“Stasera concerto tributo a Whitney Huston…”
“Ora noi entriamo insieme e ci proponiamo per una serata”
Il cantante temette che Alex svenisse e lo sostenne mettendogli un braccio intorno alla vita, come aveva fatto sul tram, la prima volta che erano usciti
“Lo facciamo davvero?”
“Ovviamente sì"
Il locale era piuttosto buio e pieno di atmosfera. Una vecchia birreria con le pareti rivestite di legno e tavoli con alti sgabelli traballanti. Il posto perfetto per loro. L'uomo dietro al bancone con la parte inferiore del volto coperta da dei baffi molto lunghi li salutò. C'era solo una coppia seduta accanto al jukebox e nessun altro. Dominic tirò un sospiro di sollievo, aveva temuto che suo padre fosse li, ma come aveva immaginato quel posto era troppo pulito per lui.
“ ‘Sera ragazzi, una birra?”
“Per me una coca cola light" Alex sorrise sedendo al bancone “Dom?”
“Anche per me" il modo in cui il suo ragazzo sembrava essersi calmato lo lasciava spiazzato. Aveva messo su la sua migliore espressione professionale.
“Si fa musica nel suo locale”
“Dammi del tu, confettino" il proprietario posò sul bancone due bottiglie di vetro e due cannucce
“Si fa musica nel tuo locale" riformulò Al
“Noi avremmo una proposta da fare, ma magari dovrebbe farla il frontman della band"
Dominic strinse la mano che il chitarrista gli aveva posato sulla coscia
“Sono solo il cantante"
“L'idea è stata tua" Alex sorrise con una certa malizia
“Noi abbiamo una band… cioè noi due suoniamo. Vorremmo provare a farci sentire da qualcuno…”
“Che genere fate?” Il barista sembrava cortese al di là di ogni aspettativa
“Principalmente rock"
“È la prima volta eh?”
Dom si toccò il collo in imbarazzo e il ragazzo rosa ridacchiò, appoggiando la testa alla sua spalla. Era così meravigliosamente felice.
“Primissima”
“Ovviamente suonate gratis"
Annuirono entrambi, guardandosi speranzosi mentre l'altro rifletteva in silenzio sbirciando un calendario da tavolo
“Sabato sera, la band mi ha dato buca, provate a sostituirli. Occhio che sono tipi tosti, dovete tirare fuori le palle per prendere il loro posto”
Alex saltò sullo sgabello, rischiando di rovesciare la bottiglia sul bancone
“Oh my… davvero?” aveva perso l’aria professionale
“Davvero, come vi chiamate pulcini?”
“Heaven's Gate signore" rispose Dominic, con la mano del suo ragazzo ancora stretta nella sua
“Ci vediamo sabato allora. Alle sette venite e preparare. Suonate dalle otto alle nove, nove e trenta. Poi si vedrà” l'uomo baffuto sorrise e gli angoli degli occhi gli si riempirono di piccole rughe simpatiche “Io sono Jack"
“Alex e Dominic" il chitarrista gli allungò la mano e l'altro invece di stringerla la baciò. Dominic si sentì strano. Sarebbe dovuto essere stato irritato o geloso, invece gli sembrò il gesto più carino che avesse potuto fare nei confronti di quella bella creatura che era Alex.
Quando uscirono il cantante aveva la sensazione di camminare due metri sopra terra e di vedere la gente dall'alto. Cazzo, se era bello vivere così senza paura. Ora restavano pezzi da imparare e mettere insieme, organizzazione, stress e ansia da superare. Era magnifico. Si fermò in mezzo al vialetto che conduceva alla porta del locale e tirò Alex a sé. Notò la sua sorpresa e la sua gioia quando lo baciò davanti ai passanti. In risposta l'altro gli saltò in braccio, aggrappandosi a lui con le gambe come un cucciolo di koala.
“Ora dove andiamo?” gli sussurrò sulle labbra
“Non lo so…”
“Da te?”
“No!” Dom rispose senza neanche bisogno di pensarci
“Daaaaai"
“Ally, non capisci, non voglio che tu veda quella merda"
“Ci sono i tuoi in casa? Voglio conoscerli"
“Alex, no. Non c'è nessuno ma no"
Lo mise giù e lo riprese per mano come un bambino capriccioso. Quando vide gli occhi dolci che gli stava facendo sentì che non avrebbe retto. Era probabile che la sua sola presenza in casa avrebbe reso quel posto infinitamente migliore. Anche se nulla avrebbe cambiato l'imbarazzo. Però aveva fatto una scelta, quella di essere con lui nel bene e nel male. Alex meritava di conoscere il suo male. Tanto suo padre non c'era.
“Se mi dici di no niente sesso per un mese"
Dom non poté trattenersi, scoppiò a ridere abbracciandolo stretto “Oh no, non sia mai"
“Allora casa tua. Ora”

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Capitolo 9
*** Nonostante tutto ***


Come sempre la vecchia del sesto piano guardava dalla finestra e come sempre il figlio ritardato di quelli al secondo piano disegnava sui muri nell'atrio del palazzo. E come sempre c'era odore di vecchio condominio con sottofondo di muffa e rumore di televisioni accese a volumi molto alti.
“Jim, non si fa" disse automaticamente Dominic al ragazzino, una volta entrato. In cambio ottenne una linguaccia e un dito medio. Aveva soppresso da tempo l'istinto di prenderlo a calci nel culo ogni cinque minuti. Tenne la porta ad Alex, temendo che pesante com'era gli finisse addosso
“Hey stronzetto, fila a nasconderti”
Il bambino si girò verso il ragazzo rosa, ma invece di fargli un qualche gestaccio si limitò a fissarlo. Lo fece per tutto il tempo che impiegarono a salire la prima rampa di scale
“Non è un gran posto" esordì Dom, l'altro lo prese per mano e si strinse a lui
“È un condominio come molti altri, vicini maleducati, qualche vecchietta ficcanaso"
“Un paio di persone ai domiciliari, un probabile maniaco sessuale e una zitella gattara che suona il piano alle tre di notte"
Alex rise “Variegato"
Una donna con al seguito tre bambini urlanti comparve da un appartamento al primo piano. Li guardò con gli occhi sgranati di chi spera sempre di non vedere niente e nessuno e sgusciò giù per le scale seguita dai figli impegnati a picchiarsi.
“Lei è pazza. Ovvio con quelle tre bestie in casa" spiegò Dominic
Raggiunsero l'appartamento 3C del terzo piano e il cantante dovette fare un gran respiro prima di mettere la chiave nella toppa. Già si sentiva in colpa per non aver riordinato quella mattina. Aprì la porta investito dalla solita aria fredda e dell’odore fumoso
“Vuoi proprio?” Chiese, dolorosamente cosciente delle macchie di umidità, dei mozziconi di sigaretta, dei piatti da lavare e le cose di suo padre gettate qua e là
“Entra, sciocco" Alex lo spinse dentro e si chiuse la porta alle spalle. Si fermò poco oltre e Dom vide che si guardava intorno. Una vocina nella testa gli cominciò a cantilenare qualcosa sul come sarebbe fuggito via da lui da lì a qualche istante. Ma Alex non era come gli altri. Così, invece di scappare disse
“Mi avevi descritto un inferno, questa è una casa"
Dominic lo guardò imbarazzato “La tua è una casa"
“Casa è dove si vive in famiglia"
“Appunto"
“Non posso credere che tu non abbia un solo ricordo felice legato a casa tua” Alex lo fissava con le mani sui fianchi sottili in una posa che addosso a chiunque altro sarebbe stata ridicola
“Fino a qualche tempo fa si stava piuttosto bene con mia madre. C'era profumo di cibo e di detersivi agli agrumi"
Il ragazzo rosa sorrise “Bene, ricordalo allora”
Dom non poté evitare di sorridere di rimando. Lo afferrò per la vita e lo sollevò, Alex gli si aggrappò con le gambe, guardandolo negli occhi con intensità sorprendente per uno sguardo tanto chiaro. Il padrone di casa lo portò in braccio fino alla sua stanza, unica parte effettivamente pulita dell’appartamento e lo depositò sul letto con delicatezza. Lo osservò che si guardava intorno, le locandine dei film appese alle pareti azzurre, i libri Fantasy sulle mensole, il microfono nell'angolo di fianco all'armadione tappezzato di adesivi di case discografiche e riproduzioni di copertine di album la cui estetica lo soddisfaceva particolarmente.
“È bello qui" mormorò il chitarrista, sdraiandosi a guardare il soffitto
“A parte il pipistrello grasso, sì, mi impegno a tenere in ordine"
Alex rise quando si accorse della macchia di umidità che somigliava effettivamente ad un pipistrello grasso e Dom gli fece il solletico infilando le dita sotto al maglione. In risposta l'altro si accoccolò chiudendosi a riccio nella sua giacca rosa. Non c'era bisogno di parole. Era magnifico poter essere così sincero in ogni gesto senza paura.
“Facciamo un gioco" esordì il ragazzo rosa
“Cerchi di distrarmi dal solletico?”
“Esatto” rise ancora come rideva lui, in modo vibrante e spontaneo “Giochiamo a obbligo, giudizio o verità”
Dominic non avrebbe certo ammesso di non averci mai giocato e di essere spaventato a morte, dunque annuì
“Comincio io. Verità”
“Perché ti piaccio?” Non era sicuro che funzionasse così. Ma era davvero curioso di saperlo. Osservò Alex che rifletteva attentamente
“Ti darò tre motivi" si trovò davanti alla faccia una mano elegante con tre dita sollevate “Uno. Sei affascinante, sexy e bello. Due. Sei molto gentile con me. Tre. Hai una personalità unica da scoprire, quella del genere di persona che ti migliora la vita”
“Sono cinque" rispose il cantante nascondendo il rossore sulle guance sfilandosi la felpa
“Ce ne sarebbero centinaia. Ora a tocca a te" Dom baciò la mano di Alex prima di decidere
“Obbligo"
“Sei coraggioso" l'altro gli sorrise con malizia “e se ti dicessi che voglio fare l'amore qui e ora?”
“Non esiterei un istante” il padrone di casa avvicinò le labbra alle sue per baciarlo, ma lui ridacchiò e si allontanò
“E invece no. Voglio che tu ti tolga la maglietta"
“Solo se tu ti togli la giacca"
“Non è così che funziona il gioco"
“Le regole le faccio io, principessa”
Dal versetto soddisfatto che sfuggì alla bocca di Alex Dominic capì che quel suo modo di fare dal gusto autoritario gli piaceva in un modo non precisamente innocente e prese la palla al balzo.
“Avanti, via la giacca. Se esiti ancora un po' ti prendo io e ti spoglio del tutto”
Si guardarono negli occhi mentre il padrone di casa cominciava a sfilarsi la maglia e l'altro toglieva un braccio dalla giacca. Dom sapeva che avrebbe avuto freddo mezzo nudo in quella casa, cambiarsi era sempre un’esperienza traumatica che tentava di rendere il più veloce possibile, ma era anche sicuro che il suo ragazzo conoscesse dei modi per scaldarlo.
“Giudizio" scelse Alex contemplando la pelle nuda di Dominic come se la vedesse per la prima volta. La prima volta alla luce del sole, in effetti, si disse il cantante. Quel pensiero lo rese improvvisamente insicuro, se qualcosa di lui non gli fosse piaciuto? Non si era mai posto il problema del proprio corpo. E se fosse stato sgraziato, troppo grasso o troppo magro, poco attraente? Istintivamente incrociò le braccia davanti al petto per nascondersi.
“Quanto mi trovi attraente in una scala… beh da un numero ad un altro numero?”
Alex sorrise “Da uno a dieci?”
“Da uno a dieci"
Finse di riflettere per qualche secondo prima di rispondere “Undici"
“Seriamente…” Dom avrebbe voluto che prendesse davvero in considerazione quella domanda, ma gli ci volle poco per capire dell’espressione contrariata del ragazzo rosa che doveva averlo già fatto
“Se non mi piacessi non sarei qui ora… a guardare i bei muscoli che hai”
“Sollevamento scatoloni di cibo per gatti. È il mio allenamento quotidiano”
Alex scoppiò a ridere e il peso si sciolse dal cuore del cantante. Era assurdo trovare in un'altra creatura vivente e mortale un così infinito senso di pace e sicurezza, non capiva le canzoni d'amore prima di conoscere il suo sorriso, ma ora era sicuro che la risata di una persona amata potesse spalancare le porte del Paradiso.
“Stavo immaginando come ti starebbero bene dei tatuaggi. Così meravigliosamente pallido”
“Mi piacerebbe un tatuaggio qui" Dominic si toccò il centro del petto. Aveva sempre sognato di farlo, ma non ne aveva mai parlato con nessuno. A nessuno interessava e nessuno l'avrebbe giudicato bene. Ma non era più il momento di preoccuparsi del giudizio altrui.
“Un diamante"
“Come?”
Il chitarrista gattonò sul letto e si avvicinò, gli disegnò sul petto con un dito la forma di un diamante
“Sei un diamante grezzo, il mio, preziosissimo” gli sussurrò poi “Tocca a te"
Il padrone di casa prese la sua mano e se la portò alla bocca, lasciò un bacio su ciascuna delle sue dita così talentuose e se la poggiò su una guancia  “Giudizio"
“Da uno a dieci. Quanto mi trovi petulante e superficiale?”
Fu il turno di Dominic per ridere “Posso dire zero? Che domanda sciocca"
“No, me lo dicono sempre tutti. Hey, sei sexy, scopiamo e poi addio, sei troppo superficiale"
“Zitto, stupido. Hai già la risposta, non ti direi mai addio”
“Ma ci sono volte che…”
“Taci e ascolta il tuo obbligo"
Alex tacque effettivamente, con un sorrisetto
“Baciami”
Dominic afferrò il suo ragazzo per i fianchi e lo portò a sedere sulle sue gambe. Lo adorò mentre lasciava che gli tenesse il viso tra le mani e lo baciasse con gentilezza. Si guardarono negli occhi
“Ti resta una verità…” osservò il ragazzo rosa
“Spara"
“Vuoi fare l’amore… tipo subito?”
Il padrone di casa non rispose, si limitò a premere le labbra contro le sue e a cercare un varco per incontrare la sua lingua mentre spingeva le mani sotto al maglione ad accarezzargli la schiena. Alex sollevò le braccia, invitandolo a spogliarlo e invitandolo a sbrigarsi con piccoli mirati movimenti del bacino a contatto con la sua parte più sensibile. Dom pensò che si sarebbe potuto nutrire per sempre solo del suo respiro nella propria bocca, odiò doversi staccare dalle sue labbra per sfilargli il maglione. Calore, desiderio e adorazione gli pulsavano nella testa e in altri punti meno casti del corpo.
I sensi ottenebrati non gli permisero di sentire la chiave che veniva girata nella toppa, impegnato com'era a baciare la pelle chiarissima che gli veniva offerta, a spingersi oltre il limite dei jeans stretti per accarezzare le sue natiche sode. Non sentì nemmeno la borsa della spesa posata sul tavolo, il saluto e il suo nome chiamato da voce maschile. Si accorse che non erano più soli solamente quando la porta della sua camera venne aperta.
“Dominic, che cazzo fai?”
Il cantante impiegò qualche secondo a ritrovare la lucidità per reagire. Spinse da parte Alex ed il suo pensiero corse subito al nasconderlo dallo sguardo della persona che più odiava al mondo. Afferrò una coperta di pile dal bordo del letto e gliela avvolse addosso a coprire la pelle nuda
“Ti ho disturbato” suo padre rise. C'erano solo due tipi di risata nel suo repertorio, quella sguaiata e quella falsa. E ci voleva pure una buona dose di fortuna per distinguerle.
“Esci"
“Sono appena entrato"
“Esci dalla mia stanza"
“Non vuoi farmela conoscere?” l'uomo indicò Alex “È carina"
Dominic si alzò dal letto, raccolse da terra i loro vestiti e si infilò la maglia senza rispondere
“Lo sai che le zozzerie non si fanno in questa casa"
Invece di rispondere il cantante si rivolse al suo ragazzo, raggomitolato sotto alla coperta
“Vestiti, tesoro, usciamo"
“Avanti, presentamela almeno. Non la mordo mica, anche se magari le piacerebbe"
Quando l'uomo si avvicinò con una mano tesa Dom dovette trattenersi per non staccargliela a morsi. Non voleva che toccasse Alex nemmeno per stringergli la mano. Ma il ragazzo rosa sorrise con educazione, si alzò in piedi e si presentò
“Sono Alexander, piacere di…”
“Parla anche, sei una puttanella completa di accessori. Sai fare altro?”
Il chitarrista impallidì e si strinse nella coperta; fece un passo indietro giusto in tempo per permettere a Dominic di mettersi tra loro
“Insultalo ancora e ti spacco la faccia”
“Sono tuo padre” il figlio lo spinse indietro, piantando le unghie nella sua maglia che puzzava di erba. Era rientrato nel giro?
“Me ne fotto"
“No, tu ti fotti lui. Cosa dirà ora la gente di me? I miei amici del quartiere? Vi hanno visti entrare tutti quanti, scommetto. Quella ha tutto l’aspetto della puttana, difficile non notarla”
“Sono un ragazzo" rispose Alex da dietro alle spalle di Dominic. Il cantante portò una mano dietro alla schiena per stringere la sua. Stava cercando di mantenere il sangue freddo. Suo padre non sembrava ubriaco, forse potevano andarsene e la cosa sarebbe finita lì. Non aveva voglia cominciare una rissa davanti ad Alex.
“Esci, ora"
Il padre allungò una mano ad accarezzargli una guancia con un sorrisetto di scherno “Che bel figliolo. Ti è andata bene che non ci fossi io qui a crescerti. Certe passioni per i ragazzini te le avrei fatte passare a cinghiate"  
“Prova a toccarmi e sarà l’ultima cosa che farai”
L’uomo lo guardò e lui ebbe l’impressione di averlo convinto, questa volta, lo osservò uscire dalla stanza e gli chiuse la porta alle spalle.
“Mi dispiace” Dominic si accorse che il suo ragazzo stava tremando quando si girò ad abbracciarlo
“Ti ha spaventato?”
“È stato orribile nei miei confronti…”
“Lui è orribile"
“Che cosa gli ho fatto…?”
Il padrone di casa lo strinse più forte a sé, accarezzandogli i capelli “Andiamo via, ok?”
 
Dom uscì per primo dalla stanza. Lanciando un'occhiata all'uomo seduto sul divano e fece cenno ad Alex di seguirlo.
“Dove vai, coniglietto?”
“Cazzi miei"
Si allontanò a cercare le chiavi di casa che era sicuro di aver lasciato sul tavolo. Frugò in tutta la cucina senza trovarle. Stava per desistere quando vide suo padre alzarsi con la coda dell'occhio.
“Cerchi queste?” aveva in mano il suo mazzo di chiavi e lo faceva tintinnare vicino alle orecchie di Alex. Stava esagerando. Avrebbe dovuto conoscerlo, sapere che la sua pazienza era molto, molto limitata. Ma quando Dominic gli strappò le chiavi e prese per mano il suo ragazzo, l'uomo li fermò
“Divertitevi" rise e diede una pacca sul sedere ad Alex.
 
“Scusami, ho problemi a controllare la rabbia"
“Ti ringrazio, se non l'avessi fatto tu l'avrei fatto io"
“Non volevo che vedessi questo lato di me"
Se ne stavano seduti sul muretto del parco giochi a guardare i bambini che correvano. Il cielo si stava ingrigendo con l'arrivo della sera e proiettava un'ombra senza vitalità sul mondo sottostante. Alcune madri li avevano osservati, quando li avevano visti arrivare per mano con passo spedito ed arrampicarsi sul muretto. Dovevano aver stabilito che erano innocui ed erano tornate e preoccuparsi che i propri figli non si gettassero di testa giù dallo scivolo.
Alex appoggiò la testa alla spalla di Dominic
“Mi hai solo protetto"
Il cantante scosse la testa “Non avrei dovuto dargli un pugno, soprattutto non davanti a te. Cosa penserebbero i tuoi?”
l'altro lo guardò con severità “Primo, non lo sanno. Secondo, non li riguarda. Terzo, mica mi impressiono. Quarto, sarà anche tuo padre ma è particolarmente stronzo"
Dom sorrise nascondendo la tensione “Lo hai notato eh”
“Siamo stati a contatto per cinque minuti scarsi ed in quel tempo mi ha dato due volte della puttana e mi ha toccato il culo. Non dico di avere elementi sufficienti a giudicarlo, ma quasi’
“Vedi che avevo ragione?”
“Ne sei compiaciuto?”
Dominic dovette fermarsi a riflettere per rispondere “Forse”
“Cosa succederà quando tornerai a casa?” Alex si strinse a lui, abbracciandolo forte e lui si rese conto come mai prima di quel momento della loro differenza fisica. Lui era forte, non il genere di forte da palestra, ma quello da lavoro e vita di merda; il suo ragazzo invece era più piccolo, delicato, dalle curve gentili. Non riusciva ad esprimere nemmeno nel pensiero le forme del suo corpo, ma era certo che Oscar Wilde ne avrebbe saputo dare la descrizione piena di eleganza che meritavano.
“Stai tranquillo”
“Per nulla. Non voglio che ti faccia male"
“Dovrò affrontare le conseguenze di ciò che ho fatto, amore”
“Non se a casa non ci torni. Vieni con me"
Dom non poteva dire di non averci pensato. In effetti pensava a quella casa come ad un porto sicuro in qualsiasi momento della giornata. Quella casa, il letto di Alex, le sue braccia erano l'oasi ideale per il suo cuore disidratato. Ma allo stesso tempo aveva paura di esagerare, di chiedere troppo. Mica a poteva dirgli che con lui sarebbe fuggito ovunque senza tornarci mai più a casa.
“Non va bene…”
Alex si raddrizzò. Dal sopracciglio sollevato Dominic avrebbe dovuto intuire che qualcosa non gli era piaciuto
“Lo decidi tu che cosa va bene e che cosa no. Non io, non i tuoi, non i miei, non gli altri. Lo decidi tu che cosa va bene e che cosa no”
Il ragazzo rosa saltò giù dal muretto, appoggiando le mani a terra, poi se le pulì sui jeans. Se c'era una cosa che Dom aveva imparato alla loro prima uscita era che era meglio seguirlo subito. Così lo imitò e gli si affiancò prima che potesse allontanarsi
“Cosa ho fatto?” Chiese
“Niente più condizionamenti dagli altri. Voglio questo patto.”
“Va bene”
“No, prendilo con serietà”
Alex si fermò solo per fissarlo intensamente negli occhi
“Va bene” ripeté Dominic, credendoci davvero, stavolta
“Ora vieni con me e andiamo a casa"
 
Sua madre lo chiamò al cellulare poco dopo che ebbero cenato, ma Dominic non rispose. Non accennarono a nulla con Melinda e Robert, a tavola parlarono di cose piccole e simpatiche come le vere famiglie. Quando fu il momento di andare a dormire il cantante si sarebbe aspettato di essere preso da parte ed accompagnato in un'altra stanza, ma non accadde e davanti alla sua sorpresa Robert sorrise nella sua camiciona a quadri
“Siamo genitori, non siamo sciocchi. Non siete più dei bambini, se volete fare qualcosa lo fate anche con la nostra opposizione. Tanto vale darvi fiducia, non è vero?”
“Sì, signore"
“Che sono, un militare? Fila a dormire, c'è un pigiama per te sul letto"
La sorpresa aumentò ancora quando entrando nella stanza si accorse che il divano letto aperto era stato avvicinato al letto di Alex. Tornare a coricarsi con lui tra le braccia aveva tutta l'aria di un sogno fatto ad occhi aperti, quelli che si possono interrompere e riprendere da dove li si aveva lasciati. Provò a non pensare al sangue che colava dal naso di suo padre sul tappeto in cucina. Aveva picchiato suo padre. Nonostante tutto riusciva anche a starci male. Non tanto per lui, quanto idealmente. Dominic baciò Alex per augurargli la buonanotte, si aspettava che si voltasse dandogli la schiena, invece il ragazzo rosa restò rivolto verso di lui a guardarlo in silenzio. Parlò solo appena prima di chiudere gli occhi
“Grazie" mormorò
“No, grazie a te"
Dom lo strinse gentilmente e lasciò che appoggiasse la fronte al suo petto, lo osservò alla luce della luna e del lampione fuori casa che entrava dalle imposte sempre aperte. Notò la curva del suo fianco delineata dalla coperta, la ricrescita bionda tra i capelli rosa confetto, il profumo del burro cacao sulle sue labbra.
Non voleva tornare a casa. O meglio, voleva tornarci alle sue regole. Avrebbe affrontato sua madre da uomo, avrebbe messo in chiaro che doveva scegliere: lui o l'altro. Non che avesse un altro posto in cui andare nel caso in cui lei avesse scelto l'altro. Il pensiero del sabato sera che li aspettava fece capolino come un clown che si sporgesse dalla porta di una stanza d’ospedale a rallegrare un bambino malato. Erano malati davvero i suoi pensieri, di tristezza e di paura ed erano croniche ormai. Ma quel pensiero nuovo era scintillante.
“Alex, dormi?” Non poté trattenersi
“Sì" l'altro affondò il viso nel suo petto
“Stavo pensando a sabato"
“mmmh"
“Che cosa suoniamo?”
“Io suono e tu canti…” la voce di Alex impastata dal principio di sonno era dolce come miele
“E che cosa?”
“Quello che ti senti di cantare”
“I can't help falling in love. E Demolition Lovers.”
“E qualcosa dei Queen…”
Le mani del chitarrista scesero lungo il suo corpo ad accarezzarlo
“Hammer to…” Dominic dovette interrompersi quando quel tocco innocente minacciò di trasformarsi in qualcosa di compromettente “Ally, non mi sembra il momento"
“Tuo padre ha interrotto qualcosa di interessante… mi stavo eccitando"
Dom sorrise, gli afferrò le mani e lo costrinse ad alzarle sopra la testa, stringendogli i polsi. Alex emise un versetto compiaciuto
“Attento, potrebbe piacermi"
“Stavamo parlando di musica"
“No, tu stavi parlando ed io cercavo di dormire. Mi hai disturbato, Domi"
Il cantante lo zittì con un bacio “Ora fai il bravo?” Chiese quando si staccarono
“No, credo di essere proprio un cattivo ragazzo. Penso di meritare una dura punizione”
Dominic avvampò, il calore si sprigionò dal suo basso ventre fino al volto, mandandolo in fiamme. Sì disse che non era il momento, non poteva, non doveva dargli retta. Ma in risposta Alex spinse il bacino verso di lui e gli si strusciò addosso in maniera inequivocabile, mordendosi le labbra.
“Che accidenti…”
“Problemi?”
Si fissarono negli occhi per qualche istante prima che Alex provasse inutilmente a liberare i polsi dalla sua stretta e sorridesse malizioso
“Sei eccitato" osservò
“No"
“No" lo imitò “Ma sentiti. Mi salteresti addosso"
In quel momento Dom dovette ammettere che era effettivamente così. E che odiava quel suo tono di voce così presupponente, saccente. Non era nella posizione di fare il superiore. Se era ciò che desiderava glielo avrebbe dimostrato.
“Non provocarmi"
Quando l'altro si strusciò ancora in mezzo alle sue gambe decise che avrebbe perso il controllo. O forse lo avrebbe preso. In ogni caso ci sarebbe stato da divertirsi.
Dominic si alzò solo per poter bloccare Alex sedendosi a cavalcioni su di lui. Gli tenne i polsi con una mano mentre con l'altra si sbottonava il pigiama.
“Oh oh, che fai?”
“Smettila di provocarmi"
Lo lasciò andare per sfilargli la maglietta, poi tornò a bloccarlo, scendendo con l'altra mano nei suoi boxer. Il chitarrista si lasciò sfuggire un gemito di approvazione. Dom mantenne il controllo, lo spogliò con una calma estenuante, continuando a toccarlo senza mai dargli completa soddisfazione, si sfilò i pantaloni lentamente, con lo sguardo azzurro puntato addosso ad accrescere la sua eccitazione. Aveva una fottuta ragione, gli sarebbe saltato addosso subito.
“Dom" la voce implorante del suo ragazzo lo fece sorridere mentre procedeva nel suo progetto di baci, carezze e tocchi, morsi e movimenti
“Stai zitto” gli sussurrò sulle labbra prima di accarezzarlo tra le natiche, in risposta lui allargò le gambe, accomodandolo tra esse
“Da dove viene questa attitudine al comando?” Alex ridacchiò e l'altro lo zittì facendolo gemere con un dito
Dom si trovò ad apprezzare le curve di quel corpo che si contraeva per il piacere tra le sue mani, non si sarebbe mai stancato di osservare spigoli e linee delicate che si venivano a creare ad ogni suo tocco. Si spinse in lui con decisione, senza dargli troppo tempo per reagire e godette del suo verso sorpreso che lasciò la sua gola. Cominciò a muoversi con forza, mentre Alex si aggrappava alla sua schiena, con gli occhi chiusi. Quando penetrò più a fondo dentro di lui, il ragazzo rosa dovette tapparsi la bocca con una mano
“Che fai, stupido, i miei dormono nella stanza accanto” si lamentò, piantandogli le unghie nelle spalle
“Non volevo una dura punizione? Dovrai sopportare in silenzio"
“Non puoi farmi questo, non così… AH"
“Sssh" Dominic lo baciò con tenerezza, perdendosi nel gusto delle sue labbra. Non c'era altro posto al mondo in cui avrebbe preferito essere.
 
Suo padre glielo aveva detto subito, quando era rientrato in casa la mattina dopo
“Io ti ammazzo”
Lo aveva preso sul serio e si era premunito. Non era mica una novità, bastava prendere le distanze. D’altronde, ora che possedeva finalmente un suo mondo si sentiva molto più sicuro, potendocisi rifugiare. Da quel momento in poi aveva deciso che avrebbe passato meno tempo possibile in quell’appartamento; si programmò degli straordinari al lavoro, pianificò le prove con Alex, abbandonò ogni pensiero che non fosse votato a sé stesso e alla sua musica e alla sua relazione. Dimenticò serenamente sua madre come quella donna operosa che era stata in quegli anni vedendola tornata lo zerbino del mostro che aveva sposato. Non c’era nulla da fare, era troppo debole. E lui ammirava sempre di più le persone come la madre di Al, serie, forti e indipendenti. Era quello che voleva essere anche lui.
Nei giorni di preparazione alla loro prima esibizione scoprirono di lavorare molto bene insieme, si capivano, si seguivano. A parte qualche intralcio del tutto naturale per due esordienti messi insieme in un gruppo esordiente, erano convinti di potercela fare. Al venerdì sera, quando Dom lasciò casa Rose, aveva la sensazione che per una volta nella vita sarebbe andato tutto bene. Quando al sabato mattina si svegliò e trovò suo padre ubriaco sul pavimento in cucina lo scavalcò, portando in spalla la borsa con i vestiti per la serata e sotto braccio il microfono. Non potevano più fermarlo, nonostante tutto.


Qui Mirime. Ringrazio l'adorabile MusicHeart per avermi suggerito il soprannome "Domi" ^.^
Spero che la storia continui a piacere, io continuo a scrivere. Baci xxx
 

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Capitolo 10
*** Una vita a cui abituarsi ***


Sembrava impossibile che quel giorno fosse arrivato. Eppure era lì, tra le sue mani, pronto per essere manipolato e formato nel giorno più importante che avesse mai vissuto nei suoi ventidue anni di vita. Era uscito di casa talmente presto che aveva deciso di farsela a piedi fin da Alex, rischiava di trovarlo ancora addormentato. La città non era poi così male, concluse. Se si riusciva a lasciarsi alle spalle i palazzoni disagiati del suo quartiere, i muri imbrattati e l'immondizia che rotolava per le strade, ci voleva coraggio, certo, ma se ci si riusciva si arrivava al centro, quello bello. Laggiù dove l’aria non puzzava più di bidoni della spazzatura straripanti. I palazzi diventavano sempre più alti fino a divenire grattacieli e le vie più vive, di una vita alla luce del sole senza obbligo di firma o minacce di sfratto. A proposito di minacce di sfratto. Il mese stava per finire. Nei giorni precedenti, nella sua foga di uscire di casa e starne lontano Dominic aveva girato il quartiere alla ricerca di nuove sistemazioni ed aveva trovato qualche possibilità per le loro tasche. O meglio per le tasche sue e di sua madre. Quell'altro peso impediva di poter prendere una qualsiasi decisione, però.
Non era il momento di pensarci. Era il momento di pensare a sé. Attraversò la strada verso Viale delle Palme, si fermò davanti al cancelletto prima di suonare ed inviò un messaggio ad Alex
“Amore, sei già sveglio?”
In risposta ottenne il rumore metallico del cancello che veniva aperto a distanza. Alex lo guardava sbirciando dalla porta socchiusa
“Corri che fa freddo"
E faceva freddo davvero quel mattino, c'era lo spirito dell’inverno ad aleggiare per le strade
“Buongiorno" il padrone di casa si alzò sulle punte per baciarlo e lui lo strinse con le dita fredde attraverso la maglia, facendolo sobbalzare
“Sei un cadavere. Levami quei ghiaccioli di dosso”
Alex gli disse che Robert dormiva ancora, armeggiando in cucina per preparare un tè, Dom si divertiva da matti a guardarlo mentre cercava il bollitore nell’anta più alta, in piedi su una sedia. Melinda avrebbe finito il turno intorno alle due, c'erano straordinari da fare in ospedale, con l'arrivo del primo freddo. Il cantante si alzò dalla sua sedia per aiutare il suo ragazzo. Aveva imparato dove trovare tazze e cucchiaini, si permise di aprire i mobili della cucina per tirarli fuori e la normalità al fianco di Alex, come sempre, gli sembrò straordinaria. Prepararono la tavola per la colazione per Robert mentre l’acqua bolliva e Dominic canticchiava e il ragazzo rosa saltellava per la cucina. Si ritrovarono a ballare intorno al tavolo un lento immaginario e poi un immaginario latino americano in cui Alex era dannatamente bravo e finsero di avere un pubblico e stare su un palco prima di ricordarsi che non avevano più bisogno di fingere e che da lì a qualche ora l’avrebbero avuto davvero.
Provarono ancora, dopo aver preso il tè, ipassando mille volte sui punti dolenti. Alex tendeva ad andare fuori tempo ed accelerare troppo dopo il primo ritornello di “Kids in the dark"; Dom steccava inevitabilmente l'ultimo maledettissimo, magnifico acuto di “Hammer to fall" e poi c'era la questione di come muoversi. Dove il chitarrista era incredibilmente disinibito, il cantante sembrava trattenersi. Cercava di fare del suo meglio, di esprimersi col movimento, ma ogni passo gli sembrava più goffo del precedente. Dopo qualche brano più ingessato del solito il suo ragazzo posò la chitarra e lo prese per le spalle.
“Senti bene, signor cantante degli Heaven's Gate. Devi scioglierti, lasciati andare.”
“Non sono capace, temo"
“Non sei così timido quando ci ritroviamo solo io e te, nudi o quasi"
Dominic arrossì “Tu mi metti a mio agio"
“Ecco, io sono con te anche ora. Se vuoi posso spogliarmi ma non garantisco di poter ripetere stasera"
Risero entrambi, riconoscendo che c'era tensione nell’aria. Più le ore passavano più la verità si avvicinava. Non era male quella tensione, prometteva grandi cose, Dom pensò che ci si sarebbe anche potuto abituare. Era diverso da qualsiasi provino avesse mai fatto in solitudine, ora era qualcosa di più, il fallimento non avrebbe influenzato lui soltanto. Alex si impegnò ad usare il tempo che avevano ancora per cercare di insegnargli qualche semplice mossa ad effetto, qualche passo da fare e lui si impegnò davvero per stargli dietro, senza capire come potesse saltare come un grillo rosa e suonare senza perdere una sola nota. Quando l'altro si accorse che in realtà non avrebbe ricavato molto da tutte le sue spiegazioni concluse la questione con un bacio e, guardandolo intensamente negli occhi, gli disse
“Fai solo del tuo meglio"
Pranzarono nel garage seduti per terra, ridendo come gli idioti felici che si sentivano di essere quando la bottiglia di coca cola che Dominic cercava di aprire gli scoppiò addosso. Fu costretto a cambiarsi prima del previsto sotto lo sguardo attento del suo ragazzo.
“La maglia mettila dentro ai pantaloni”
“Non così”
“Non coprire la cintura”
“La giacca aperta"
“Risvolta l’orlo dei jeans così si vedono i dettagli degli anfibi”
“Niente orecchini oggi?”
“Posso disegnati addosso con un pennarello?” sogghignò alla fine
A quella domanda il cantante alzò lo sguardo dalla pizza a cui era tornato a dedicarsi
“Come scusa?”
“Gerard Way lo fa"
“Non penso di essere nelle condizioni di imitarlo"
Alex mise su la sua aria più seria “Posso farlo con l'eyeliner waterproof se vuoi, è più fine"
Dominic rise, senza davvero riuscire a capire “Che vuoi fare?”
“Ti scrivo sul collo. Anzi, disegno, sono bravino"
L'altro non aspettò la riposta prima di sparire oltre la porta che conduceva on casa, dal garage si sentivano i suoi saltelli su per le scale, poi silenzio. Dom si guardò intorno, chiedendosi quanta della roba che c'era li si sarebbero dovuti portare dietro quando Alex tornò con una trousse tra le mani. Il ragazzo rosa lo obbligò a sedere su una cassa e cominciò a frugare
“Non pensavo ti truccassi" osservò il cantante
“Non lo faccio quasi mai, però è divertente”
“Fallo stasera"
Il ragazzo rosa alzò le spalle, intento a fargli piegare la testa di lato per potergli scrivere sul collo con l’eyeliner
“Lascio che tu mi faccia ciò che vuoi se mi accontenti”
“Allora devi togliere la maglia e tenere solo la giacca. E mi fai disegnare un tatuaggio”
Dom sgranò gli occhi imbarazzato “Vuoi mandarmi sul palco mezzo nudo?”
“Tecnicamente sei nudo molto meno che a metà. È il prezzo, ci stai?”
Il cantante provò ad immaginarsi come una di quelle rockstar dalla pelle in mostra e scintillante sotto ai riflettori, sarebbe stato straordinario o totalmente ridicolo con eguale possibilità. Proprio per quel motivo accettò
“Ci sto"
Piegò la testa, solleticato dalla punta dell'eyeliner, una mano di Alex tra i suoi capelli a tenerlo fermo, l'altra che sfiorava il suo collo a intermittenza. Quando fu soddisfatto il ragazzo lo lasciò andare, salvo soffermarsi ad osservarlo con un piccolo ghigno compiaciuto
“Non hai scritto una parolaccia vero?” Chiese Dominic, presagendo disastri
“Ho scritto vitale"
“Perché?”
“Perché è quello che sei, ora ti togli la maglia”
Il solletico al collo non era niente rispetto alla sensazione della punta che scorreva sul petto. Al la faceva scorrere a piccoli tocchi come se stesse davvero dipingendo, concentrato
“Non guardare finché non ho finito" esclamò con voce minacciosa
Avere quelle belle mani addosso era sempre una a sensazione parecchio, parecchio piacevole. Quasi Dom si si augurò che ci impiegasse più tempo, reagendo con un versetto di disappunto quando l'altro si allontanò. Diede un'occhiata in basso e rimase sinceramente colpito. Aveva disegnato un diamante perfetto, ombreggiato e simmetrico esattamente al centro del suo petto. Gli piaceva dannatamente tanto.
“È magnifico”
“Ora lo devi mostrare” rispose Alex, intento a scarabocchiarsi sulla mano sinistra un serpentello che si estendeva dal polso lungo il dorso della mano fino all'unghia del dito medio dallo smalto sbreccato. Si chiusero in bagno mentre lui si truccava e Dominic si osservò attentamente allo specchio, cercando di prevedere quanto sarebbe stato in imbarazzo così vestito fuori di casa. Aveva uno stile che non era il suo naturale, ma cominciava a credere che la naturalezza non fosse affatto tutto e che potesse essere rivestita di qualcosa di molto più scenografico. Sulla sua voce andava abbastanza sicuro, sul suo aspetto pure. Si prospettava una buona serata. Così si perde a guardare Alex, le linee feline di eyeliner che si disegnava sugli occhi, l’ombretto scuro dalla patina scintillante che faceva risaltare le sue iridi come diamanti in cui si riflettesse l’oceano. Non che l'avesse mai visto l'oceano, ma riusciva ad immaginarlo.
“Sei così bello" era una constatazione quasi dolorosa da fare. Che un piccolo punk dai capelli rosa confetto, gli occhi truccati e i jeans attillatissimi potesse essere una simile meraviglia era qualcosa che fino a poco tempo prima non avrebbe mai creduto possibile. Era arrivato al punto in cui qualsiasi cosa “di prima" non aveva più significato. Alex si girò verso di lui, lo spazio tra gli incisivi scoperto in un sorriso raggiante
“Anche tu" rispose. Era consapevole della sua bellezza. Dom si sarebbe trovato in imbarazzo di fronte a una qualsiasi altra persona così sicura, ma non con lui.
Quando uscirono di casa e si accorsero che sarebbero dovuti salire sul bus scoppiarono entrambi a ridere, fermi sul marciapiede alla fermata, attirando l'attenzione di tutti. Come se un ragazzo finto tatuato e mezzo nudo ed uno truccato in giacca di ecopelle rosa non fossero abbastanza.
“Sappi che se prendo una polmonite fulminante sarà colpa tua" il cantante si caricò meglio le due casse in braccio, saltellando da un piede all'altro, cominciava a maledire la strada vuota in cui non si vedeva ancora neanche l'ombra di un mezzo pubblico. Alex gli si strinse addosso con la sua chitarra rosa sulle spalle e l'asta del microfono sotto braccio, lo guardava dal basso verso l'alto sbattendo gli occhioni
“Vengo a trovarti al cimitero"
“Umorismo macabro. Perché devo portare io le cose pesanti?”
L'altro gli fece cenno di chinarsi perché potesse parlargli nell’orecchio
“Perché io sono delicatissimo e tu sei il mio top forte e maschio"
Dominic non poté fare a meno di scoppiare a ridere, si stava ancora divertendo da matti quando salirono sul bus. Fortunatamente era mezzo vuoto. Erano consapevoli di avere tutti gli occhi puntati su di loro, ma in fin dei conti non era affatto male; Dom si immaginava tutte le storie che le persone si sarebbero inventate su quei due strani tizi del bus. Probabilmente avrebbero raccontato di loro a tavola ai pranzi dei famiglia. Quando lo sussurrò ad Alex questi sorrise maligno, gli mise una mano dietro alla testa e lo tirò verso di sé per baciarlo
“Che mondo! Che mondo!” mormorò sulle sue labbra con finta voce da vecchietto. Quando si staccarono Dominic notò il modo in cui sorrideva a qualcuno alle sue spalle e si voltò a controllare. Due ragazze si si distolsero lo sguardo con imbarazzo
“Volevo solo chiarire che sei mio. Guardare ma non toccare, signorine" disse Alex con un ghigno scintillante
“Sono carine" provocò il cantante
“Anche io sono carina. Che cos'hanno che io non ho?”
“Devo risponderti?”  
Dom si fece d'un tratto serio, ricordando un particolare
“Ally tu sei un ragazzo. Le parole che mio padre ha usato per te non hanno alcuna importanza. Tu sei un ragazzo e mi piaci per questo. Perché a quanto pare mi piacciono i maschi" pronunciò le ultime parole ad alta voce per essere sentito ed una ragazza di quelle che un momento prima lo stavano guardando stette al suo gioco ridendo
“Lo si era capito. Hai pure un ragazzo figo"
Alex sorrise, arrossendo appena “Grazie di cuore, Dom" sussurrò prima di premere il pulsante per prenotare la fermata.
All'interno del locale c'era brusio questa volta. La gente presente si divideva tra gruppi di giovani ai tavoli e cinquantenni soli al banco che parlavano fra loro o con il barista dai baffi straordinari. Quando li vide entrare così carichi mandò due dei suoi avventori ad aiutarli ed andò lui stesso incontro con un gran sorriso dai denti storti
“Pulcini, siete venuti davvero”
“Ovvio" tintinnò Alex felice come una campanella natalizia
“Siete in anticipo, venite, vi offro da bere. Alex e Dominic giusto? Gli Heaven's Gate, ho scritto il vostro nome sul cartellone della serata insieme al menù”
Dom pensò di svenire vedendo per la prima volta quel nome. Era la conferma definitiva che quella realtà esisteva, l’ultimo tassello per decidersi a crederci. Guardò Alex ed in risposta questo estrasse il cellulare dalla cover glitterata e scattò una foto al cartellone
“Te la mando" sorrise sornione
“Cosa bevete, una birra?”
“Grazie" Dominic sedette sull’altro sgabello godendosi le difficoltà del suo ragazzo nell'imitarlo; alla fine si decise ad aiutarlo prendendolo in braccio e sedendolo senza tante cerimonie. In cambio ricevette un'occhiataccia ed un verso come di un gatto che soffiasse
“Posso avere un brandy?” Chiese Alex, con la sua aria più innocente. Jim rise, rivolgendosi al cantante
“Ci va deciso il piccoletto. Spero che non si addormenti suonando"
“Non è fragile come sembra” rispose Dom e lanciò al ragazzo rosa uno sguardo malizioso
La gente nel locale li guardava, ma con un interesse diverso da quello ricevuto fuori. Non si sentiva neanche così tanto in imbarazzo, ora, realizzando che quel corpo che aveva temuto di esporre troppo era lo stesso che Alex desiderava e che aveva dimostrato di apprezzare. Tutto quell'amore di sé sarebbe stato impossibile senza di lui.
Il barista lo riscosse dai suoi pensieri con una pacca su una spalla
“Pensieroso? Non dovete preoccuparvi, c'è brava gente qui. Pubblico abituato agli emergenti.”
“Noi siamo esordienti, ricordi?” osservò il chitarrista, concentrato sul liquido ambrato nel suo bicchiere
“Voi due mi piacete, avete stile. Vi siete conciati bene per la serata. Voglio darvi un consiglio da amico"
Entrambi si sporsero verso di lui per assecondare quel tono confidenziale che la conversazione aveva assunto. Jim indicò con un uno sguardo un tavolo alle loro spalle
“Quello con la barba tutta curata. Lui è Adam Martin Ross, avete sentito parlare della A.M.R. Productions?”
Il cuore di Dominic rimbalzò scompostamente. Ovviamente ma aveva sentito parlare. Aveva il suo biglietto da visita attaccato all'armadio, ma non si era mai osato presentarsi alla sua casa di produzioni per un provino. Era troppo per lui.
Alex invece sembrava non avere idea di chi fosse
“Probabilmente il produttore discografico più rinomato della città. Forse non il più ricco, ma certamente il più discusso. Gli piace la roba fuori dagli schemi, qualcosa che possa stare sui giornali.”
Gli Heaven's Gate si guardarono
“È un cliente abituale, qui. Mettete su un bello spettacolo e nei prossimi giorni io e lui potremmo parlare di voi, tra una birra e l’altra”
“Fortuna che avevi detto pubblico abituato agli emergenti" Dominic lanciò un'occhiata all'uomo barbuto, sentendo che cominciava a sudare
“Chi lo è più di uno scopritore di talenti?” Il sorriso di Jim ed i suoi baffoni spioventi lo rendevano estremamente simpatico “Che ne dite di prepararvi per cominciare, pulcini?”
Dom Stava srotolando i cavi delle casse con la pessima sensazione di essere osservato dalla gente intorno, quando Alex gli si avvicinò. Odiava essere guardato mentre svolgeva compiti così poco artistici, stava per aprir bocca e dirlo al suo ragazzo, ma questi gli avvicinò le labbra all'orecchio con estrema sensualità
“Che ne dici… mettiamo su uno spettacolo per lui?” mormorò
“Spara"
“Niente di eccessivo. Qualche occhiata, qualche tocco. Magari un bacio”
“O anche due. O mille"
“Dopo, quando torniamo a casa"
“Andremo bene, vero?”
“Sarai grandioso" Alex gli diede un piccolo bacio sul collo prima di allontanarsi per andare ad accordare il suo strumento, seduto su una delle casse che lui aveva appena montato. Quando Dom si raddrizzò, finito di organizzare il loro palco, Jim gli fece un cenno dal bancone col pollice alzato; gli lesse il labiale
“Potete andare"
Il rumore del microfono che fischiava richiamò l'attenzione di tutta la sala con malagrazia.
“Buonasera" esordì Dominic, cosciente del modo in cui Alex camminava dietro di lui, su e giù. Sembrava un animale in gabbia che aspettasse il suo turno per uscire.
“Noi siamo gli Heaven's Gate"
La sala fece un applauso di benvenuto e Jim fece segno di continuare a parlare
“Questa è la nostra prima esibizione. Speriamo di divertirvi…”
A quel punto il chitarrista intervenne, portandosi avanti a saltelli ed afferrando l'asta del microfono
“Noi siamo qui per divertirci, motherfuckers”
Il cantante impallidì comprendendo che l'altro aveva appena insultato il loro primo pubblico, ma dovette ricredersi notando le reazioni. C'erano sopracciglia aggrottate, espressioni stupite e della vera curiosità
“Non ho nulla da aggiungere” alzò le spalle e delle persone risero
“Iniziamo"
La parte peggiore fu aprir bocca per le prime parole quando la base di “I can't help falling in love” cominciò a riempire l'aria. Quasi temette che non gli uscisse nulla dalla cassa toracica e quando sentì la propria voce fu estremamente sorpreso, come se non la conoscesse. Non riusciva a scegliere dove guardare, così si voltò verso Alex, seduto a cavalcioni su un amplificatore. Pensava che avrebbe visto in lui impazienza, invece sembrava godersi quella canzone in cui non aveva alcun ruolo se non quello di destinatario. Il più importante. Dominic si perse nei suoi occhi, ritornando alla notte in cui aveva imparato quel testo con la sola volontà di riconquistarlo. Quanti passi avanti avevano già fatto.
Take my hand, take my whole life too
For I can't help falling in love with you
Gli si avvicinò quasi inconsciamente, tenendo stretto il microfono con entrambe le mani, come un bambino emozionato, nemmeno si rese conto di aver appoggiato la fronte alla sua quando cantò l’ultima strofa.
L'applauso che seguì gli piaceva, come gli piacque il sorriso birichino del suo ragazzo un momento prima che questo gli posasse le mani sul petto e lo spingesse via.
Alex saltò giù sull’amplificatore con una nota acutissima, vibrante nell’aria che sconvolse non solo le orecchie di Dominic. Da lì fu un crescendo. Più uno tentava di farsi notare, più l'altro si impegnava, era un gioco ed era così fottutamente bello. Dom si rese conto che se anche avesse steccato nessuno avrebbe fiatato, perché che fosse la prima o la millesima volta in pubblico, loro erano le star. Fu improvvisamente cosciente del potenziale che dovevano avere. No, non era un gioco, era una sfida.
Quando il chitarrista suonò le prime note della canzone che lui preferiva in assoluto avvicinò le labbra al microfono e parlò con la voce più sensuale che sentiva di avere
“Questa canzone si chiama Demolition Lovers”
La temeva stramaledettamente tanto, eppure quando si trovò a gridare parole di purissima, rabbiosa emotività, fissò gli occhi sul produttore. A. M. Ross. Senti qui.
I'm trying, I'm trying
To let you know how much you mean
As days fade, and nights grow
And we go cold
Si lasciò andare forse per la prima volta nella sua vita, quella sera. Si lascio trascinare, permise alla sua voce di essere imperfetta, di collassare simile ad un pianto per poi rinascere come le grida di una fenice. Non sarebbe mai stato un cantante perfetto, se ne accorse quando il ritornello di “I write sins not tragedies" lo lasciò completamente senza fiato e senza possibilità di riprendersi, facendogli perdere qualche parola per strada. Andarono avanti senza intoppi, un brano dopo l'altro,, seguendo la scaletta che avevano imparato a memoria durante una notte di finto silenzio, avvinghiati e nudi nel letto di Alex.
Quando furono entrambi certi che il pubblico si stesse divertendo, ognuno col suo bicchiere di qualcosa davanti, qualcuno attento a loro, qualcuno che si viveva la serata in compagnia con il loro sottofondo rumoroso, Alex entrò in azione.
Come se il ragazzo dai capelli rosa, vestito di pelle rosa, incapace di stare fermo e che suonava saltando e scuotendo la testa non fosse già abbastanza, si inginocchiò a terra, scivolando piano piano sempre più giù con le movenze di una spogliarellista talentuosa. Doveva aver calcolato tutto. Sì alzò strusciandosi lentamente contro le gambe di Dominic nel momento preciso in cui lui era impegnato a cantare qualcosa riguardo al lasciare lividi sulle cosce a qualcuno come proprie impronte digitali.
Dal pubblico si levarono fischi maliziosi a cui il chitarrista rispose con un occhiolino. Dallo sguardo di Adam Ross, ora davvero catturato dalla loro esibizione, Dom comprese che stare al gioco sarebbe stato non solo divertente, ma anche favorevole.
Giocarono con sguardi e brevi tocchi, interagirono notando come la cosa piacesse o desse estremamente fastidio senza apparenti vie di mezzo. Persero note e sillabe nel loro inseguirsi da amanti, persero la sensazione del tempo che passava, con solo in corpo un piacere nutrito di applausi. Sembrava che la musica non fosse fatta solo di vibrazioni dell’aria, ma anche di carne e respiri e forse era davvero così.
Dominic si rese conto di essere arrivato all’ultima canzone solo dal bruciore alla gola troppo sforzata e dalle mani tanto sudate da fargli scivolare il microfono. Sì chiede per quale fottuto motivo avessero tenuto i Queen per ultimi. Né le sue corde vocali, né le dita di Alex sembravano più in grado di affrontarli. Ciò che ne venne fuori fu una versione smorzata, sporcata e rimestata di “Hammer to Fall" che Dom temeva lo avrebbe perseguitato per tutta la vita nei suoi peggiori incubi.
What the hell are we fighting for?
Ah, just surrender and it won't hurt at...
Quando la voce gli venne a mancare del tutto Dominic fu preso da un momento di panico. Stava rovinando tutto. Perse il tempo e si voltò a guardare Alex. Il ragazzo rosa lo fissò negli occhi con intensità prima di scoppiare a ridere. Il risultato fu un suo assolo impressionante e non poco per un ragazzetto alla prima esibizione che provocò espressioni di stupore tra il pubblico. A. M. Ross li stava ancora guardando, con la sua birra tra le mani, Dom non avrebbe mai pensato che sarebbero riusciti a mantenere la sua attenzione così a lungo. Mancava un tocco finale. Così non appena Alex ebbe finito di suonare, prima ancora che l'aria si svuotasse della vibrazione elettrica della sua chitarra rosa, il cantante lo strinse per le spalle e lo baciò con intensità sulle labbra.
Non avrebbe saputo dire quale fosse la reazione dominante, sentì qualche “froci" volare, qualche verso sorpreso, qualche fischio soddisfatto. Ma la cosa migliore fu l'applauso quando le loro labbra ne ebbero abbastanza e, tenendosi per mano, si inchinarono brevemente come bravi bambini alla scuola di musica. Non poteva crederci. Il ragazzo di periferia, cassiere del supermercato, figlio di uno spacciatore da due soldi si era meritato l'applauso di un centinaio di sconosciuti. Strinse la mano di Alex nella sua. Poteva sentirlo sorridere anche senza guardarlo.
Quando uscirono dal locale con tutte le loro cose erano quasi le due. Non aveva offerto ancora da bere, si era congratulato con loro per il talento e per il coraggio.
“Vedo grandi cose" aveva detto. Dominic era arrossito, senza più parlare troppo, a causa del dolore alla gola. Quando apriva bocca il suono che ne usciva era simile a quello di un pappagallino, cosa estremamente divertente per Alex. Avevano ricevuto le congratulazioni di gente dal pubblico che si era avvicinata a loro per conoscerli, stringergli la mano o per dare un'occhiata ai due strani tipi inesperti visti sul palco. La risposta del chitarrista era sempre la stessa
“Non ci perdere di vista, miglioreremo”
Camminando per le strade vuote ed fredde erano felici. Alex balzellava sotto alla luce giallo intenso dei lampioni, ripetendo che non poteva crederci, che amava quella vita e poi si voltava verso Dom a dirgli che amava anche lui. Avevano bevuto abbastanza da non essere più del tutto lucidi e la cosa contribuiva a farli sentire delle vere e proprie rockstar che avessero appena terminato un concerto. Quasi non riconobbero l’uomo che li fermò al primo semaforo.
“Ragazzi… hey, ragazzi, aspettate… vi ho appena visti suonare. Mi conoscete? Sono Adam…”
“Martin Ross" completò Dominic con la voce che gli restava
“Bravo  ragazzino. Complimenti per questa sera, era davvero la prima volta?”
“Sì" Alex annuì con eccessiva convinzione, sbattendo la testa contro la chitarra sulle sue spalle
“Avete un qualcosa di interessante. Dovete migliorare, certo” parlava senza guardarli, prestando attenzione al semaforo, sembrava un vero, grandioso uomo d'affari con la sua cravatta
“Mi piacerebbe risentirvi, Heaven's Gate. Il ragazzo tatuato dovrebbe imparare a muoversi un po' di più, magari non come te, coniglio rosa, ma un po' di più comunque. Tu forse puoi cercare di essere un minimo più sobrio. E poi attenti a non sprecare troppe energie o non arrivate alla fine”
Dom impiegò qualche minuto a capire che il “ragazzo tatuato" era lui
“Avete stile, in generale. E siete controversi, mi piace, questo. Se aveste una batteria il sound complessivo sarebbe più impressionante, ma la chitarra qua è brava e la voce è interessante. Continuate su questa strada e chissà che non possiate farne qualcosa.”
Il verde scattò mentre entrambi lo fissavano istupiditi e troppo felici per esprimersi. A. M. Ross era davvero andato a parlare con loro. E li trovava interessanti. Li salutò con la mano mentre attraversava la strada in direzione dei quartieri in cui nessuno di loro due poteva permettersi di vivere.
 
Sdraiato nel letto Alex tentava di sfilarsi i pantaloni senza togliere le scarpe. Dominic uscì dal bagno dopo essersi sciacquato la faccia per tentare di darsi un tono e lo trovò arrotolato su sé stesso, mezzo nudo.
“Sei ubriaco" gli disse ridendo
“Affatto. Un po' allegro"
Sedette vicino a lui e lo aiutò a spogliarsi, godendosi la sua pelle con qualche carezza
“Sei felice?”
Alex sorrise, si sdraiò sulle sue gambe guardandolo dal basso verso l'alto
“Ti amo"
“Anche io ti amo"
“Che ne dici di quei novecentonovantanove baci che ci mancano all’appello?”
Dom lo baciò sulla fronte prima di trascinarlo nel letto per sistemarlo con la testa sul cuscino
“Non siamo in condizione" si sdraiò accanto a lui, sotto alle coperte
“Potrei abituarmici a questa vita, Domi…” il chitarrista parlava con gli occhi chiusi, accoccolato tra e sue braccia
“Voglio abituarmici" rispose Dominic. Non ci volle molto perché si addormentassero entrambi senza nemmeno spegnere la luce.



Qui Mirime, ciao a tutti! Mi dispiace di averci messo così tanto a pubblicare il nuovo capitolo. Passati gli esami potrò impegnarmi di più. Detto questo, spero che vi piaccia. Un abbraccio forte dalla vostra disagiata di fiducia. 

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Capitolo 11
*** Un disperato bisogno di qualcosa ***


Inutile dire che a casa non ne aveva parlato. Ovviamente. Non c'era più nulla di cui Dominic parlasse in casa, figurarsi di musica, modi per perdere tempo con Alex compreso e bicchieri di troppo. Quella serata che lo aveva cambiato per sempre agli occhi degli altri inquilini di quell’appartamento squallido era stata una come tutte le altre in cui lui semplicemente non era rientrato. Ecco perché non potevano capire il fastidio doloroso che provava di fronte a qualsiasi cosa riguardante quel vecchio sé. Non sopportava più che la casa fosse sporca, non sopportava le bestemmie, le parolacce, i discorsi del cazzo di suo padre e le occhiate minacciose. Non riusciva più a nascondere che la sua mentalità fosse cambiata. Non era proprio un pensare di essere superiore, ma la realtà delle cose era che ora sapeva di avere qualcosa di più per poter uscire da quella vita.
Avevano discusso a tavola, la sera dopo il concerto, perché si era lamentato dell’odore di fumo. Ovviamente suo padre aveva tirato dentro Alex e la sua famiglia
“Ti abitui alla vita dei fighetti del cazzo" aveva detto
La cosa che Dominic non riusciva a comprendere era come loro due non si accorgessero delle possibilità oltre a quell'esistenza che stavano conducendo. Ci voleva spirito critico per decidere che non si voleva vivere nella merda per sempre e sembrava che loro non l'avessero. Avrebbe voluto fuggire lontano e lasciarli nella loro miseria.
Forse erano solo effetti collaterali dei complimenti ricevuti e sarebbero svaniti da lì a qualche giorno. Almeno fino alla prossima esibizione. La domenica mattina, infatti, erano passati da Jim insieme e si erano accordati per un'altra data da lì a due settimane. Qualcosa di grandioso era cominciato, lo avevano capito guardandosi negli occhi la mattina presto, avevano intenzione di andare a fondo.
Il lavoro era diventato un'altra cosa estremamente pesante. Per assurdo aveva assunto un significato la camminata per arrivarci durante la quale immaginava, forse anche stupidamente, che qualcuno lo potesse riconoscere, sognava fan e autografi e persone che si bisbigliavano il suo nome senza il coraggio di avvicinarlo. Dava una sicurezza fuori da qualsiasi logica normale pensare a quel mondo. Certo, entrare in quel supermercato ipereconomico ed indossare la brutta divisa e occuparsi del cibo per animali faceva scoppiare la bolla. Anche i colleghi avevano notato la sua insofferenza al lavoro e qualcuno doveva aver fatto la spia perché il capo se n'era arrivato da lui con quell'aria da grand’ uomo e gli aveva fatto una predica di cui Dom non aveva sentito nemmeno una parola. Appena avesse avuto un’opportunità avrebbe mollato quel posto.
L’opportunità arrivò più presto di quanto si aspettasse. E soprattutto non nel modo in cui se l'aspettava. In realtà non era nemmeno un’opportunità. Aveva dormito da Alex la notte precedente ed al mattino questo aveva insistito per accompagnarlo al lavoro, si erano salutati fuori dalle porte scorrevoli, Dominic aveva cercato nelle labbra del suo ragazzo rosa lo stimolo per portare avanti un'altra pallosissima giornata. Il casino successe pochi minuti dopo. Il capo se ne stava lì accanto al suo armadietto nello spogliatoio per i dipendenti con le braccia incrociate sul petto. Dom lo salutò per poi limitarsi ad ignorarlo mentre si cambiava.
“Vi ho visti" esordì ad un certo punto il capo
“Che?” Il cantante alzò lo sguardo dalla polo verde che stava abbottonando
“Il tuo ragazzino e te. Potete evitare di fare cose sporche davanti all’ingresso?”
“Non ti riguarda"
L'uomo lo fissava con sulla faccia il ghigno di chi si crede davvero molto, molto intelligente
“Riguarda la clientela"
“Ci siamo solo baciati" forse evitare la discussione sarebbe stato possibile. Il nuovo sé non doveva prendersela così facilmente
“Due uomini che si baciano non sono ancora una cosa comune"
“Senti, che problemi hai?” i buoni propositi di Dominic ci misero poco a nascondere la testa sotto la sabbia. L'altro alzò le mani
“No, ma quali problemi, lo dico per te. Lui si vede che è gay, ma tu no. Magari non vuoi darlo a vedere, ti do solo un consiglio"
“Non penso di essere tenuto a discutere del mio orientamento sessuale con te" il cantante fece per uscire, ma si fermò sentendo altre parole
“Volevo farti una proposta"
Dom si voltò con un pessimo presentimento che scorreva nel sangue
“Io ed un mio amico…” il capo gli si avvicinò con fare confidenziale, accostando la porta “stavamo cercando qualcuno che si unisse a noi per una cosa a tre… un po' trasgressiva, sai. Pensavo che magari il tuo ragazzo ci sta, che ne dici? Tuo padre mi ha detto che è del mestiere”
I dipendenti del supermercato della nona avrebbero ricordato quell’ evento come “Il volo del pollo". Nessuno avrebbe scordato quella volta in cui il capo del personale era stato scaraventato da un suo sottoposto contro ad una porta chiusa e l'aveva sfondata con la testa per atterrare tra le corsie.
Dominic era perfettamente cosciente di ciò che faceva. O meglio la sua rabbia lo era. Non aveva dovuto riflettere troppo a lungo per decidere che meritava di sbattere quella testa di cazzo su qualche superficie dura, così lo aveva semplicemente sollevato per il bavero della camicia di tessuto sintetico e lo aveva letteralmente lanciato fuori dalla stanza. Peccato che la porta fosse chiusa. Quando lo vide a terra stordito che si teneva la testa si sentì effettivamente piuttosto compiaciuto. Nello stupore generale aprì la porta fracassata, gli si avvicinò e si chinò su di lui
“Di ancora una parola su di lui e ti faccio una rinoplastica gratuita, la vuoi?”
Dom si raddrizzò, alzò le mani per segnalare che era tutto a posto “È inciampato" disse. Nessuno dei leccaculo suoi colleghi avrebbe osato dire il contrario. Lo abbandonò li sdraiato tra gli scaffali della carta assorbente, tornò nello spogliatoio, si rivestì, raccolse la sua roba. Sentiva le bestemmie del capo e i lamenti per l'uno o l'altro osso, ma niente lo toccava. Come sempre la rabbia lo portava in uno stato di torpore, una volta sfogata. La pace dopo il temporale, l’elettricità residua che si scaricava. Quando uscì l'altro era in piedi appoggiato alla spalla di un altro cassiere, gli puntò un dito contro
“Io ti denuncio, pezzo di merda”
Il ragazzo alzò le spalle “Non saresti il primo" lo superò, si fermò a metà strada “Sono licenziato, vero?”
“Vattene subito o chiamo la polizia” ora strillava. Forse aveva paura che tornasse indietro per un sequel. Ma no, se c'era una cosa che aveva imparato era che molti guai si tenevano alla larga semplicemente non infierendo. Così oltrepassò per l'ultima volta la porta dello squallido supermercato a basso costo sentendosi piuttosto fiero di sé.
Il pensiero del che cosa fare ora non lo sfiorò finché non fu nei pressi di casa. Poi però arrivò prepotentemente. Dovette fermarsi, si sedette su un muricciolo al parco giochi, attorniato da ragazzini scapestrati e piccoli spacciatori si quartiere e piano piano si rese conto che non poteva rientrare così. Avrebbe potuto fingere che niente fosse successo fino alla fine del mese, poi la mancanza dello stipendio si sarebbe fatta sentire.
“Sei una testa di cazzo Dominic Olsen" si disse. Non sapeva che fare. C'era una sola persona a cui rivolgersi quando capitava. Così tirò fuori il cellulare e scrisse un messaggio con le dita fredde e la testa pesante

“Amore, aiutami"

La suoneria lo riscosse dopo pochi istanti, guardò la foto di quel bel ragazzo sorridente sullo schermo e trascinò il dito verso il simbolismo verde della risposta
“Pronto"
“Dom, dove sei? Che cosa succede? Veniamo a prenderti" La voce di Alex rimbombava come se si trovasse in un posto chiuso e stretto
“Non ce n'è bisogno, sto bene”
“Hai scritto che hai bisogno di aiuto"
“Ho fatto una cazzata, Ally"
“Di che cosa parli? Non spaventarmi, altrimenti te la faccio pagare”
“Ho perso il lavoro"
Seguì un momento di silenzio, seguito da un sospiro
“Dove sei? Vengo da te”
“Sono al parco vicino a casa. Ma non voglio che tu venga qui, è un brutto posto.”
“Vieni da me, finisco lezione tra poco"
La fiumana di persone che uscivano dall'aula non gli impedì di individuarlo subito. Quella testolina rosa era la cosa più importante della sua vita dopotutto. Alex aveva l'aria preoccupata, gli si gettò subito addosso, abbracciandolo stretto in vita con la testa sul suo petto. Dominic non si stupì. Lo sapeva che quella bella creatura era molto più intelligente di lui, era probabile che avesse intuito problemi futuri ai quali lui non aveva nemmeno pensato. Ma lui era così, non aveva mai potuto pretendere molto dagli altri se non il rispetto ed ora addirittura aveva qualcuno che rispettava miliardi di volte più di sé stesso e pretendeva che fosse trattato come meritava. In realtà la resa dei conti era appena cominciata. Il prossimo sarebbe stato suo padre.
“Cosa hai combinato?” Alex lo guardò con gli occhi grandi rilucenti quasi che sperasse nulla fosse successo
“Sono stato licenziato, ho fatto una cazzata, ma non me ne pento"
La severità strideva con l’aspetto estremamente morbido del chitarrista immerso nella sua felpa nei Nirvana che gli arrivava alle ginocchia “Te ne pentirai più avanti"
“Mai.” Dom avrebbe preferito non spiegare nel dettaglio cosa fosse successo per timore che l'altro potesse darsi la colpa
“Mi stai prendendo in giro? Se non ne parli non posso aiutarti. E se si tratta solo di una scusa per vedermi ti saresti potuto inventare che ti mancavano i miei graffi sulla schiena o i biscotti al cioccolato, o che volevi provare. Sarei corso da te in ogni caso, non devi farmi preoccupare se…”
“Va bene, sei estenuante" era la prima volta che gli si rivolgeva con tutta quella schiettezza e senza l'intenzione di ferirlo. Quasi gli sembrò una buona cosa, un passo avanti nella loro relazione, finché Alex non sollevò un sopracciglio ed il suo ottimismo scricchiolò come dopo il secondo tuono durante una gita in montagna
“Non sono dell'umore" disse semplicemente il ragazzo rosa e la tempesta si acquietò. Ossia Dominic ritrattò con estrema gentilezza.
“Scusa, intendevo dire che mi stavi pressando un pochino" cavoli se era duro di testa
“Raccontami cosa è capitato"
Si tennero per mano passeggiando lungo l’atrio simile ad una stazione dei treni ed altrettanto freddo. Fuori il cielo si era ingrigito e la luce che passava dalle vetrate era pallida, appariva distante e bellissima, troppo preziosa per i pavimenti rivestiti di gomma nera antiscivolo.
“Ho picchiato il capo del personale”
Alex si fermò e lo fissò negli occhi, senza più l'ombra della felicità in volto
“Cosa hai fatto??”
“Ha detto delle cose che non avrebbe dovuto dire. Mio padre lo ha istigato a farlo e lui ha abboccato come il coglione che è. Gli ho solo dato una lezione"
“Non puoi dare una lezione a tutti quelli che ti danno fastidio"
“Dici?”
Si guardarono in silenzio con la tensione che sfrigolava nell'aria tra loro. Dominic non aveva voglia si farsi fare la ramanzina. Aveva solo cercato di proteggerlo, voleva davvero sentire che voci potevano essere messe in giro su di lui?
“Hai detto che stavi crescendo e che stai imparando a controllarti"
Il cantante strinse quella mano che cercava di liberarsi dalla sua “Non l'ho fatto senza motivo”
“Ammetti di aver fatto una cazzata”
“L'ho fatta, ma mica me ne pento. L'ho già detto”
“Mollami" non si aspettava che Alex potesse arrabbiarsi. Aveva creduto che sarebbe stato il ragazzo dolce, affettuoso, sensuale di sempre. Invece aveva tirato fuori quella parte del suo carattere che si era formata negli errori e negli insulti.
“Tu non sbagli mai?” Dom lo lasciò andare solo per fermarlo prendendolo per le spalle, piano, attento a non fare mosse sbagliate che gli sarebbero costate un calcio in mezzo alle gambe
“Io non rifarò sbagli che ti ho promesso di non fare più”
Doveva spiegargli. Per forza. La discussione aveva preso una piega troppo pericolosa
“Hai ragione, ti chiedo scusa per le mie parole. Ma non posso chiedere scusa per aver ricordato a quel deficiente che con me non si scherza su certe cose”
“Quali cose?”
“Mi ha parlato di te in modo volgare, molto. Mio padre gli è andato a dire cose assurde sul tuo conto"
Gli occhi di Alex si sgranarono come abbagliati da un sole calante
“Cosa ha detto di me?”
“Mio padre gli ha riferito che tu saresti disponibile per incontri. Non voglio dirti altro, Alex. Finiamola qua, basta discutere" Dominic lo strinse al petto per proteggerlo. Nessuno gli avrebbe più mancato di rispetto finché fossero stati insieme ed oltre.
“Hai perso il lavoro per colpa mia" ecco. Lo sapeva che sarebbe arrivato a quella conclusione.
“Non me ne frega niente, credimi"
Si accorse che il suo ragazzo stava tremando tra le sua braccia, gli accarezzò la schiena, lo sentì piccolo nella felpa e fragile
“È colpa mia, cazzo"
“Voglio che tu mi aiuti adesso, va bene? Non puoi farti prendere dallo sconforto perché io non sono capace di tirarmi su da solo, lo vedi. Non mi rendo conto nemmeno della gravità di ciò che ho fatto. Aiutami tu, aiutami a trovare un modo per sistemare le cose”
La città non era mai stata così ospitale e contemporaneamente altra, Dom si sentiva un turista in una città straniera che aveva da offrirgli strade e piazze e monumenti ma niente altro. Camminando con il braccio intorno alla vita di Alex, mentre lui si ordinava a guardare a terra, concentratissimo e gli sembrava di poter vedere i suoi pensieri roteare nella sua scatola cranica e sbattere contro le pareti. Era bella la luce del giorno che svaniva per lasciare il posto ai lampioni gialli che segnalavano una strada verso l’inverno, sull'asfalto bagnato di sera. Era ufficialmente disoccupato. Non riusciva a capire se gli importasse anche se sapeva alla perfezione che i soldi non cadevano dal cielo. Era ironico. Nel momento in cui aveva sentito di poter dare una svolta alla sua vita l’aveva data in senso opposto. Aveva messo la retro. Sì era permesso di pensare in grande e di nuovo aveva ricevuto una mazzata sulla testa; era come alla sala giochi quando era bambino, il gioco delle talpe da colpire col martello. Lui era la talpa. Il martello lo aveva sempre qualcun altro in fin dei conti.
Eppure il calore che sentiva con la mano infilata nel cappotto di Alex, appoggiata sul suo fianco, era un tutto che poteva bastargli.
“A cosa stai pensando?” Gli chiese, stupidamente
“Ci deve essere una soluzione”
“La soluzione è che ora andiamo all'aeroporto, ci imbarchiamo clandestinamente su un volo per un paese tropicale e non torniamo mai più. Ma non posso chiederti di fare questo.”
“Io lo farei" il chitarrista infilò una mano nella tasca del suo giaccone. Era stato adorabile sentirlo lamentarsi per la mancanza di tasche in quel suo nuovo cappotto di pelle con le spalline borchiate. Come sempre, qualcosa di simile sarebbe stato ridicolo addosso ad un altro. Ma su di lui era perfettamente in linea con il personaggio, una vera rockstar agli esordi.
“Lo faresti?”
“Sarebbe bello avere una nostra casetta sulla spiaggia. Svegliarci sempre insieme”
“Questo capita già. Quasi sempre” Dom rise. Voleva gustarsi la serenità assurda prima che il torpore lasciasse spazio alla realtà.
“Cucinare l'uno per l'altro ogni giorno. Fare la spesa.”
“Alla spesa ci avevo pensato anche io, in tempi… meno sospetti. Comprerei tutto il cioccolato di questo mondo per farti felice”
“Tempi meno sospetti?”
“Sì, non eravamo ancora così.”
“Così come?”
In risposta Dominic si fermò, gli prese il viso tra le mani e lo baciò con la luce delle vetrine che proiettava la loro ombra fusa sul marciapiede. Quando si staccarono Alex gli impedì di allontanarsi, stringendolo, guardandolo dal basso verso l'alto con occhi in cui si riflettevano i lampioni come la luna nel mare.
“Mi piacerebbe aiutarti a scegliere i vestiti ogni mattina, sistemarti i capelli, invadere il bagno quando sei sotto la doccia” mormorò
“E poi suonare mentre tu fai le faccende di casa”
Il cantante scoppiò a ridere, gli diede un bacio sulla punta del naso “Non credo proprio, piuttosto posso cantare per tenerti allegro mentre TU fai le faccende di casa”
“Pensi di poter risolvere sempre tutto con una bella canzone?”
“Non funziona?”
Il sorriso di Alex si trasformò in un istante in un espressione corrucciata. I suoi occhi guizzarono di lato a segnalare che si era perso in un pensiero. Il sobbalzò con cui si risvegliò dalle sue riflessioni fece spaventare anche Dominic
“Ho capito, porca miseria”
“Che?”
Il ragazzo rosa lo prese per mano e cominciò a camminare spedito lungo la via trascinandoselo dietro
“So cosa fare per sistemare la tua cazzata”
 
L'ufficio della A.M.R. Productions era nel quartiere più in della città. Non che non se lo aspettasse. Ciò che non si aspettava era il portinaio che li perquisì prima di farli salire. In realtà non si aspettava di andare lì quella sera. Aveva detto ad Alex che secondo lui era assurdo, che non avrebbero ricevuto aiuto da quell'uomo dopo una sola serata in cui questi aveva anche bevuto sufficientemente da non essere più troppo lucido. Avevano ricevuto qualche complimento e molte critiche costruttive, niente di più. Eppure mentre salivano all'ultimo piano nell'ascensore trasparente che guardava la città Alex era determinato da far paura. Quando raggiunsero la porta dell'ufficio Dom dovette trattenerlo per indurlo a bussare e a non entrare direttamente.
A.M. Ross era un uomo impegnato. Stava parlando con una signora, disse la segretaria quando li vide comparire. Il chitarrista rispose che avrebbero aspettato. Ma da lì a poco l'ufficio avrebbe chiuso. Loro avrebbero aspettato ugualmente. Dominic aveva una mezza idea su quale fosse l'impegno del produttore con la suddetta signora, ma preferiva tenere questi presentimenti per sé e specchiarsi nei pavimenti lucidi, seduto su una poltrona di pelle imbarazzante per la sua grandezza esagerata.
Nemmeno ce la fece ad alzarsi in tempo per fermare Alex quando la porta si aprì.
“Dovete aspettare che vi annunci e che il signore sia disposto a ricevervi” strillò la segretaria dall'alto dei suoi tacchi a spillo altissimi. O almeno Dom li credeva altissimi finché non vide quelli della signora uscita dall’ufficio. Corse dietro al suo ragazzo giusto in tempo per vedere l'espressione contrariata di Ross seduto alla scrivania di vetro con spalle alle vetrate e davanti sedie di plexiglass simile a vetro.
“Le regole non vi piacciono, piccoli punk?”
Il cantante avrebbe voluto sotterrarsi, ma il ragazzo rosa si fece avanti
“Si ricorda di noi?”
Il silenzio che seguì non prometteva bene
“Sentite ragazzini, è tardi, ho un incontro di lavoro tra poco con gente importante…”
“Non mi dica che era troppo ubriaco per ricordarsi”
Dietro agli occhiali firmati dalla montatura oro l’uomo assunse un’espressione pensierosa. Probabilmente stava meditando se buttarli fuori da sé o chiamare la sicurezza. Dom si avvicinò al suo ragazzo e lo prese per un braccio, ma questo lo scansò.
“Lo faccio per te” gli mormorò
“Siete i due del pub, vi ho visti da Jim, vero?”
“Heaven’s Gate” esclamò con orgoglio Alex, andandogli incontro alla scrivania e tendendogli la mano “Sapevo che si sarebbe ricordato”
“Tu sei quello che esagera con le mossettine sexy” Adam Martin Ross si ricordava di loro, il cantante non ci fece neanche caso quando il produttore si rivolse a lui chiamandolo “Quello rigido come un palo”
“Sentite, non ho tempo stasera. Fate in fretta o prendete appuntamento per le prossime settimane” in risposta il ragazzo rosa sedette di fronte a lui, con le mani intrecciate sul ripiano di vetro, come se avesse una grande proposta da fare. Quando parlò la cosa che ne venne fuori somigliò più ad una supplica
“Noi abbiamo un disperato bisogno di qualcosa. Siamo disoccupati. Per continuare con la musica ci serve una spinta e…”
“No, non sono un ente di carità. Andatevene”
No. Questo non andava. Dominic poteva sopportare che quel tipo ricordasse la sensualità del suo ragazzo, ma non che si rivolgesse a degli artisti che aveva apprezzato con quel tono. Così si fece avanti raccogliendo il coraggio ancora dettato dalla stramba sonnolenza post-rabbiosa.
“Lei ha detto che c’era qualcosa in noi che poteva valere”
“Vi ho visti una volta, per la miseria. Siete due bambini squinternati.”
“Siamo controversi. Ha detto così.”
“Ho detto così?” A.M. Ross si alzò dalla scrivania e fece per premere un pulsante che avrebbe probabilmente chiamato qualcuno in grado di mandarli via. Sembrava così a suo agio in quello spazio grandioso, co piante esotiche e superfici riflettenti. Doveva aver prodotto molta musica per guadagnarselo.
“Aspetti, signor Ross” Alex si alzò a sua volta e fece un passo indietro. Dom avrebbe riconosciuto quella sua espressione da cagnolino triste ovunque
“Sono stato troppo irruento. Lui ha cercato di fermarmi ma io non l’ho ascoltato. La verità è che la musica è la nostra vita e se non possiamo mantenerci, non potremo dedicarci ad essa e sarà la nostra fine. Non potremmo guardarci in faccia se tutto questo fallisse.”
L’uomo sospirò, oltrepassò la scrivania, si sistemò in mezzo a loro.
“Non posso produrvi così sulla fiducia, ragazzi. E’ un business serio, questo. Dovete ancora dimostrare tutto”
“Lo farem…”
Ross li zittì con uno “Ssssh” vigoroso
“Sono stanco. Devo incontrare una signorina e dei colleghi. Ascoltatemi bene perché non mi ripeterò.”
Gli Heaven’s Gate restarono in silenzio, come angioletti in attesa della loro chiamata, o bambini al carretto del gelato, a seconda delle interpretazioni. Dominic si trovò inconsciamente a stringere la mano di Alex, fremendo più di quanto si sarebbe aspettato per quella risposta
“Tra una settimana esatta c’è il maggior concorso per musicisti della città. Il contest dei contest per chi vuole emergere. Il Tournament, si chiama. Le iscrizioni, tecnicamente, sono chiuse da un pezzo, ma io ho dei canali preferenziali per proporre delle aggiunte last minute, ovviamente. Vi proporrò. Una settimana è poco per prepararsi, lo ammetto, ma è il meglio che posso offrirvi. Il vincitore ottiene un contratto per produrre un album e una buona cifra sul suo conto e una serie di fan scatenati. Avete le carte pe tentare, lo ammetto. Ah, è ovvio, vi servirà un singolo, ce l’avete, no?”
“Certamente” mentirono Dom e Alex all’unisono.



Qui Mirime, mi dispiace un mondo per la lunga attesa. Finalmente la mia sessione d'esami è chiusa e posso tornare a dedicarmi un po' a questi due. Spero che la storia continui a piacervi, fatemelo sapere ;) 
un abbraccio forte.

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Capitolo 12
*** Il nostro momento ***


L'aveva scritta la canzone. Teneva il foglio stretto nella mano, nella tasca della giacca, mentre con l'altra stringeva in vita Alex. L'avevano pensata insieme, in un pomeriggio di cielo grigio disteso come un lenzuolo, lassù sulla collina da cui la città sembrava in pace. Le parole gli erano venute in mente tra un pensiero impuro dovuto alla sensazione di Alex seduto in braccio a lui ed uno preoccupato per la paura irrazionale che potesse sporgersi troppo e cadere dal terrazzo panoramico. Ne era venuta fuori una ballata, un qualcosa di dolcissimo e scuro come melassa, appiccicoso, in cui erano rimasti invischiati. Erano dentro fino al collo, nella loro storia, nella loro opportunità, nella loro canzone.
“Tu sei la mia chiave per il paradiso"
“Il nostro nome è dedicato a me" non era una domanda, era una constatazione. Dom ebbe il dubbio che lui lo sapesse, che lo avesse saputo da subito, che quel tormento in cui si era crogiolato per giorni all'inizio di tutto, per Alex, fosse chiaro come il sole di giugno.
“Ti dannerai l'anima per amor mio, Domi"
“Andrò all’inferno in ogni caso, voglio meritarmelo, con te"
Era nata così la loro canzone, da accordi oscuri e parole piene di vecchio rancore e nuovo, caldo cuore. Quel foglio era un portafortuna, quelle parole sarebbero state il loro mantra.

Sei la mia città infernale in cui bruciare in estasi
Sulla tua pelle ho trovato una mappa, che nessuno conosceva
La via per il Paradiso, diceva
Una via tra scapole dorate, che hai percorso troppe volte
Bellezze naturali, amore vero cercasi

Alex alzò gli occhi, ancora più azzurri con quel disegno felino di eyeliner.
“Ho paura” disse, senza parlare e Dom lo strinse a sé, strappando nervosamente un angolo dal suo foglio, nascosto nella tasca. Il cancello davanti a loro era quasi invisibile oltre la massa di persone. Sembrava così assurdo essere arrivati lì, da lì a poco avrebbero avuto il permesso di entrare, si sarebbero sistemati e per un lungo, lunghissimo giorno avrebbero atteso il proprio turno e se fossero stati giudicati interessanti avrebbero atteso un altro lunghissimo giorno per avere un pubblico a cui presentarsi.
“Anche io" mentì. Non era paura, era voglia di passare oltre, poter arrivare di là e pensare al passato, a quella giornata di ansia.

Sei il mio angolo di pace, sicurezza
Nei tuoi occhi il mio riflesso assume un contorno diverso
L’inferno nel cervello che sfugge dai denti
Sei il mio ultimo, definitivo desiderio perverso
Il porto d’attracco, con lo sguardo che accarezza

Quando l'uomo con l’auricolare si avvicinò al cancello con la cartelletta tra le mani, la gente si affollò lì intorno. Chiamava nomi e mani si alzavano, a volte una sola, a volte in massa. Dom contò ben sei persone nello stesso gruppo. Quelli dovevano essere avvantaggiati, avevano qualsiasi strumento si potesse desiderare. Ma nessuno degli altri concorrenti aveva un Alex. Quel piccoletto scintillante con i suoi capelli color zucchero filato e la giacca lucida rosa e sul collo la parola “mio" che lui stesso gli aveva scritto con un pennarello.

Non me ne frega niente
Non me ne importa niente
Finché questa tua bocca resta sulla mia
Non me ne frega niente se tutto adesso crolla
Perché la mia realtà la scrivo solo io
Non me ne frega niente
Non me ne importa niente
Mi hai preso all'improvviso e hai denudato i nervi
Non me ne importa niente di ciò che siamo stati
Promettimi le notti quando i giorni sono eterni

“Heaven's Gate" chiamò l'uomo con l’auricolare ed Alex saltellò per farsi notare dal basso della sua statura con un “Qui!” energico che dovette aver assordato tutti i vicini.
“Comincia il gioco" mormorò Dom, stringendogli forte la mano.
Attraversare il cortile del teatro fu difficile, con il timore di perdersi il suo ragazzo tra la folla, finché non fece che caricarselo in spalle e portarlo in giro così, felice del suo peso addosso. Stavano attirando di nuovo l'attenzione, forse era un loro talento. Dominic si trovò a chiedersi se sarebbe stato sufficiente, se nella giuria ci sarebbe stato qualcuno di impressionabile come Ross a cui rivolgere il loro spirito scandaloso. Nei giorni precedenti non si erano mai soffermati a pensare al premio, solo al fatto che vincere avrebbe sistemato le cose, la realtà materiale dei soldi non li aveva toccati e il cantante si impedì di pensarci, tenendo le gambe di Alex per non farlo cadere. Li avrebbero fatti entrare in teatro un concorrente alla volta per esibirsi davanti ai quattro giudici che nessuno ancora conosceva, si trattava ogni anno di talenti molto conosciuti, ma era impossibile scoprirne i nomi prima dell'inizio dell’evento.
Non parlarono, mentre attendevano, il chitarrista con il suo strumento sulle gambe, quasi come un animale da coccolare, Dom in piedi, nervoso che passeggiava su e giù per il loro angolo di cortile. Avevano conosciuto qualche concorrente nei primi minuti di attesa, ma poi il clima si era gelato e a volare erano bisbigli maligni ed occhiatine da un capo all'altro dello spazio. Ognuno era finito per ritagliarsi qualche metro e persino la città sembrava più silenziosa. Dominic non era mai entrato in quel teatro o in qualsiasi altro, se si escludeva una gita alle scuole medie finita male quando un compagno gli aveva rovesciato sulla testa la sua bottiglietta di aranciata e lui lo aveva aggredito rompendogli un polso.
Aveva cercato di esprimerlo il suo cambiamento, nella canzone. Di tutte le cose che si era lasciato sfuggire di mano nella sua vita l'unica che voleva conservare era la sua attrazione e poi il suo amore vero e proprio per Alex. Se lo guardava, camminando, godendosi la sensazione della sua pelle sulla propria provata quella notte e rimasta come un'aura a nobilitare il suo profumo. Stava ripensando ai suoi sospiri lievi, alla paura di essere sentiti, al suo corpo fragile raggomitolato contro di lui una volta soddisfatto, quando la folla scoppiò in un boato.
“Benvenuti" qualcuno stava parlando dall'alto dei due gradini che conducevano in teatro dall’ingresso per gli artisti
“Quante facce, sicuri di volerci provare tutti?”
L'uomo sulla quarantina, con i capelli lunghi sulla faccia e il sorriso sornione era Bret Folks, niente meno che il cantante degli Apocalittica, una delle band più mitiche che Dom ricordasse di aver mai ascoltato. Gli venne un colpo al cuore ricordando per quanti quel tipo era stato il suo idolo e gli si seccò la bocca all'idea di dover cantare davanti a lui. Gli pareva di avere la cassa toracica piena di farfalle quando si voltò a guardare Alex con occhi scintillanti.
L'espressione sul viso del ragazzo rosa gli ammazzò tutte le farfalle.
Le labbra morbide serrate, le sopracciglia lievemente aggrottate, le mani che si tormentavano a vicenda in grembo, tutto dimostrava che c'era qualcosa di sbagliato. Forse era la tensione. Si fissarono per un istante, prima che Dom aprisse la bocca per chiedere che cosa non andava e Alex scuotesse la testa. “Non è niente”. O forse “Non ora".
Folks continuava a parlare, spiegando qualcosa riguardo al non bere troppo prima dell'esibizione per evitare di vomitare sul palco. Il cantante degli Heaven's Gate aveva smesso di ascoltarlo, irrequieto e correva indietro a ciò che sapeva di Alex alla ricerca disperatissima di un motivo per quel suo visino teso e triste. Dopo qualche minuto la folla si ritirò da sotto agli scalini, ognuno tornò verso la sua zona di competenza, ma il silenzio non tornò, c'era una nuova eccitazione sottile, che vibrava nell'aria intiepidita appena dagli impianti di riscaldamento dei palazzi accollati al cortile.
C'era ancora tanto tempo per aspettare e per farsi prendere dalla preoccupazione e tormentarsi nel tentativo di comprendere. Avrebbero potuto parlare se non fosse stato per lui.
“Ciao bei bambini, voi siete?”
Dominic si girò di scatto, riconosciuta la voce, incerto se poter mostrare tutta la propria venerazione o doversi trattenere per rispetto verso l'umore del suo ragazzo. Sorprendentemente fu proprio Alex a farsi incontro a Brett Folks con un sorrisetto
“Heaven's Gate, ricordati il nostro nome” quel cambio così repentino confuse Dom al punto da impedirgli di parlare
“Che spavaldo il piccoletto” Folks rise, così naturalmente sicuro di sé nei suoi tatuaggi sul collo e nei suoi abiti sciupati. Tirò fuori le mani dalle tasche per toccare la giacca di Alex, anzi, per scostarla e sbirciare sotto ad essa.
“I vostri nomi?”
“Lui è Dominic" presentò il chitarrista, con una calma innaturale, nonostante la mano dell'altro ancora posata sul petto “Io sono Alex"
“Dominic e Alex" ripeté sottovoce Folks. Li guardò, fissò le scritte fatte a pennarello sulla loro pelle, giudicò la giacca rosa di uno e quella nera dell'altro e il diamante disegnato al centro del petto di Dom, che eppure mai avrebbe ammesso di morire di freddo, così svestito e ridacchiò
“Siete carucci. Non perdiamoci di vista” fece per andarsene, salvo fermarsi dopo due passi e rivolgere tutta la sua attenzione ad Alex
“Tu non mi sei nuovo"
Nello sguardo del ragazzo rosa Dom colse una scintilla di orgoglio che male si accompagnava alla sua aria improvvisamente triste. Non gli piaceva non capire, si sentiva tagliato fuori da qualcosa di grande che sentiva lo avrebbe dovuto riguardare. Quella bella creatura era l'unica cosa a cui avesse mai dedicato la totalità delle sue energie in una volta sola, ciò lo faceva sentire come se avesse avuto una sorta di credito. Perlomeno voleva avere accesso ai suoi pensieri.
“Noi ci conosciamo” disse Alex, attirando gli sguardi di un paio di persone vicine
“Davvero?” Folks si grattò la barba pensieroso
“Sono Alexander…”
L'altro scosse la testa
“Alexander Rose”
seguì un silenzio che rischiava di diventare imbarazzante per tutti, almeno finchè
“Sei Alexander Rose!” il cantante parve illuminarsi di una sorpresa sincera, ma poi la sua espressione passò piano piano ad un’ilarità maligna. Quel nome che per Dom significava promessa di felicità e purezza anche nel cosiddetto peccato, in bocca a quell'uomo aveva un sapore amarognolo.
“Ti sei messo su un gruppo alla fine eh, bravo, bravo" Folks posò le mani sulle spalle di Alex, gli tastò le braccia, gli accarezzò appena il collo ed il cantante sentì che se avesse continuato lo avrebbe colpito. Un bel pugno in mezzo alla faccia, sul naso. Oh come avrebbe sanguinato.
“Te lo sei anche scelto caruccio l'amichetto. Niente di eccezionale, ma ha potenziale”
A Dominic era sempre piaciuta la parola “potenziale” ma in quel contesto gli sembrò qualcosa di così sconcio da farlo rabbrividire.
“Spero passiate il turno. Potremmo passare del tempo insieme”
Fino a pochi momenti prima quella frase gli sarebbe sembrata un sogno, ma d'un tratto non era più così bello avere quell'attenzione e sperava che davvero se ne andasse ad importunare qualche altro concorrente. Per segnare il territorio, Dom cinse Alex con un braccio e se lo portò vicino.
“Ci vediamo sul palco” quelle parole lasciarono le sue labbra come una minaccia, che, accompagnata allo sguardo inconsciamente feroce, fu sufficiente a far allontanare il giudice da loro. Lo guardarono allontanarsi, stretti l'uno all’altro.
“Mi dispiace” mormorò il chitarrista, aggrappandosi al collo del suo ragazzo per cercare un bacio consolatorio. L'altro lo assecondò, incapace tuttavia di nascondere il sospetto.
“Voi vi conoscete”
“Sono stato a letto con lui quando avevo diciassette anni"
 
 
Non lo so che cosa sto facendo, so solo che devo fare in modo di non farmi beccare dalla sicurezza o mi cacceranno dal concerto a calci nel culo. Voglio solo incontrare Brett Folks. Sono un bravo ragazzo anche se mi sono introdotto furtivamente nel backstage. I corridoi qua dietro sembrano tutti uguali, non ero mai venuto a ballare in questo locale e davvero non credevo potesse essere così grande, l'entrata per gli artisti era lì, così allettante, spalancata e il guardione era così impegnato con la sua fottuta sigaretta. Non credevo che mi sarei perso qua dentro. Che devo fare? Fermare qualcuno e chiedere
“Scusa, non dovrei nemmeno essere qui, ma mi sono perso. I camerini?”
Giro un altro angolo soltanto poi torno indietro e prego che nessuno mi veda uscire. Svolto in fretta, guardandomi alle spalle per controllare i passi che ho sentito e sbatto contro qualcosa. Un muro? No, una porta. E oltre la porta c'è lui, uno dei miei idoli. A torso nudo, con i capelli legati da una fascetta e la birra in mano è così fottutamente sexy, accidenti se me lo farei volentieri. Mi vede, mi squadra, alza un sopracciglio, beve un sorso
“Che fai qua, dolcezza?”
“Incontrarti è il mio sogno"
“Vuoi un autografo?”
Non mi aspetto che mi faccia entrare in camerino, ma lo fa. Siamo soli, sono imbarazzato, ma tiro fuori le mie armi migliori. Non ci vuole molto perché la gentilezza di una celebrità verso un fan diventi qualcosa di più. Lo vede che sono vulnerabile. In dieci minuti mi ritrovo seduto sulle sue ginocchia, con la paura che mi chieda quanti anni ho perché sembra che stia per capitare qualcosa. Brett è bello, ha il fascino del vip, quello che guardo su instagram, perso nel suo stile grandioso e nei suoi muscoli. Io sono il ragazzino dai capelli rosa, con questo mio corpo acerbo e i miei occhi giganteschi, ne ho già sedotti altri. Ne vado ancora fiero, imparerò tra un po' quanto possa essere alto il prezzo da pagare.
“Ti piaccio?” Mi chiede ed io annuisco come un bambino colpevole. Ha quindici anni in più di me, ma è stato a lungo il mio migliore amico con le sue canzoni. Le sue mani mi accarezzano le cosce e io lo lascio fare perché forse… forse non aspetto altro.
“Come ti chiami?”
“Alexander Rose" non so perché io gli dia il mio nome completo. Non è l'unica cosa che gli do. Il concerto inizierà tra mezz'ora e io mi ritrovo senza pantaloni, con gli slip abbassati, le sue mani addosso, il suo corpo nel mio. Mi sento importante anche io, ora che un uomo importante mi dedica queste attenzioni. Mi dice che sono bello, che ho un buon profumo, mi stringe i fianchi e spinge più forte e io sono in estasi. Comincio a farmi castelli per aria, a immaginare il nostro amore, sono un bambino e sogno ancora senza coscienza; non mi preoccupo del fatto che tiene una scatola di preservativi in camerino, come se fosse la cosa più utile da avere dietro. L'unica cosa che mi importa è che ora sta facendo l'amore con me, con me soltanto.
Povero, stupido, bambino. Ci metterò anni a capire cosa significa fare l'amore. Finché non arriverà Lui, io non conoscerò altro che sesso ed errori e crederò anche di essere nel giusto.
“Sei bravo, Alexander Rose" mi piace come pronuncia il mio nome, con lo stesso tono sgraziato e fluido con cui poco fa mi ha posseduto. Mi piacerà sentir pronunciare il mio nome da lui per una settimana, quando, fiero del mio pass per il backstage vengo a trovarlo prima o dopo ogni concerto qua al teatro e lascio che mi faccia ciò che vuole. Passo persino una notte nel suo albergo, mi ubriaca, fa entrare in camera due uomini della troupe e io mica mi oppongo. Glielo devo concedere, no? Lui è un grande. E poi lo voglio, lo voglio tantissimo. Gli parlo di me mentre lo facciamo, della mia passione per la chitarra, del mio sogno e sono sicuro che questo sia l'inizio di qualcosa di meraviglioso.
Poi l'ultima sera, preso dell’angoscia della sua partenza glielo dico.
“Sono innamorato di te”
E lui ride di me, sgraziato e fluido, come se fosse la cosa più idiota mai sentita e fosse naturale riderne. Il mio cuore si spezza, migliaia di piccoli frammenti a farmi male, ricordandomi il fastidio che ho sentito per giorni tra le gambe.
“Perché ridi?” chiedo
“Sei una puttana, Alexander Rose.”
 
Dominic aveva poche certezze nella vita. L'amore per Alex, il rispetto per i suoi genitori, l'odio per il proprio padre e la passione per la musica. Ora ne aveva acquistata una nuova. Avrebbe fatto a pezzi Brett Folks. Non un pugno, non uno spintone. Se si fosse avvicinato ancora a loro lo avrebbe scannato ed avrebbe gettato il corpo ai cani randagi del suo quartiere. Aveva ascoltato il racconto del suo ragazzo in religioso silenzio, ribollendo lentamente dall'interno, abbrustolendo per bene gli organi della rabbia, pronto a scoppiare.
“Ce l'hai con me?” Chiese Alex, sedendosi sulle sue gambe, abbracciandogli il collo
“Eri un bambino e lui si è approfittato di te” non c'era altro che gli venisse in mente. Era sufficiente a spiegarsi quel dolore e quel fuoco lento che sentiva nel petto. Che quella creatura che a lui dava così tanta pace e vita potesse essere usata a quel modo non era possibile. Non sarebbe dovuto succedere mai più.
Dominic strinse piano quel bel corpo sfruttato che ormai conosceva meglio del proprio, appoggiò l'orecchio a sentire il battito del suo cuore
“Mai più” ripeté “Mai più”
“Mai più” promise il ragazzo rosa
“Heaven's Gate" chiamò l'uomo con l'auricolare, dalla porta.
 
L'interno del teatro Dom non l'aveva mai visto, non se l'era mai potuto permettere. E se non fosse riuscito a far sbollire un po' di rabbia, prima di cantare, probabilmente non se lo sarebbe potuto permettere mai più. Era strano vedere un posto simile vuoto, si sarebbe detto che cessasse il suo scopo. Chi mai si sarebbe esibito per quattro persone sedute in fila davanti al palco?
Alex tirò la manica della sua giacca, indicandogli la donna dai capelli biondi seduta ad un capo del tavolo.
“Alesia" mormorò, una delle più belle e grandiose cantanti in circolazione. Dominic dovette fare uno sforzo notevole per evitare di fissarla troppo a lungo, almeno il suo abito aderente fu utile a scordare un po' del nervoso verso quell'altro orrido essere umano che le sedeva di fianco. Pensare che le sue canzoni erano state così importanti per lui quasi lo feriva, si chiedeva come avesse potuto non vedere ciò che nascondeva.
Quando si avvicinarono agli scalini del palco, Dom lasciò che fosse il chitarrista a salire per primo, in un gesto un po' di cavalleria ed un po' di timore. Alex, con la sua chitarra rosa, non sembrava poi così turbato dell’accaduto, se si escludeva quella lucina bieca nello sguardo con cui ogni tanto controllava il suo umore. Avrebbe voluto dirgli che era tutto a posto, spiegare ciò che prima non era stato capace di esprimere, ma era tardi e presto allo stesso tempo.
“Ciao"
“Ciao" il ragazzo rosa sfoderò il suo sorriso magnifico, in posa nei suoi jeans stretti
“Come siete carini"
Alesia era gentile, in quel tentativo di mettere a loro agio i comuni mortali proprio delle celebrità più sensibili
“Grazie”
“Siete?”
“Heaven's Gate"
Dominic guardò il pavimento del palco, il soffitto, le pareti rivestite di velluto nero, l'asta del microfono che sembrava dirgli che non ce l'avrebbe mai fatta. Guardava tutto tranne la giuria e certamente la giuria se ne sarebbe accorta.
“La vostra canzone si chiama?”
“Heaven's Gate" Alex ridacchiò quanto bastava per far capire che era un vero inizio, il loro. Un salto dal trampolino.
“Cominciate quando siete pronti"
Si osservarono a vicenda per un po', preparandosi, mentre qualcuno al tavolo diceva chiaramente “Sono quelli di Ross". Dom si chiese se ne sarebbero dovuti andare fieri o se sarebbe stato un pretesto per quei quattro per essere ipercritici nei loro confronti.
Sembrano stupiti quando sentirono i primi accordi. Forse si aspettavano un altro genere di canzone, forse non si aspettavano che qualsiasi cosa suonata da Alex avesse un timbro così preciso, limpido e riconoscibile. Chissà che cosa si sarebbero aspettati dalla sua voce, i tre rispettabili e la merda, si chiese Dominic. In quel momento gli fu chiara una cosa, però, che cambiò il suo umore con leggerezza. Lui, Dominic Olsen, era stato scelto da Alexander Rose, in fin dei conti. Non c'era da essere geloso, c'era da essere solo disgustato dal comportamento di in uomo che sarebbe dovuto essere maturo ed avrebbe dovuto proteggere l'innocenza di una creatura indifesa. Quella canzone era proprio ciò che serviva per dichiararlo. Loro due si appartenevano e il resto del mondo stava fuori.
Così si lasciò andare, con delicatezza. Lasciò scivolare le parole sensuali accompagnate nella sua mente alle immagini che le avevano costruite. La pelle d'oro bianco di Alex, i suoi capelli rosa quel pomeriggio al supermercato e poi il peccato con lui e la comprensione di ciò che gli veniva davvero offerto. Cantò della libertà di amare e sentirsi sé stesso, cantò la sua non voglia di essere definito, perché in fin dei conti si era innamorato di una persona, non semplicemente di un ragazzo, e di un'idea e di migliaia di sensazioni. Dominic chiuse gli occhi, ripensò alla prima volta che avevano dormito insieme, al viaggio in bus durante il quale aveva capito che voleva essere libero e sciolto da vincoli e che voleva proprio lui.
Poi passò a cantare di ciò che Alex diceva di lui. Diceva che lo faceva sentire sicuro e non c'era nulla che desiderasse di più in quel momento che tenerlo al sicuro da qualsiasi sguardo e qualsiasi ricordo. Poi c'era la sua rabbia, la sua brutta vita che alle volte gli sfuggiva di mano, passando per la bocca, per tutto il veleno che sputava; quella stessa bocca era, però, in grado di trovare parole per quel piccolo punk che nessuno aveva mai trovato.
Non era la canzone migliore di sempre. Ma poteva essere la più sincera. Lo scoprì nella nota sbagliata da Alex, nascosta subito in un virtuosismo non previsto, come una capriola per chiudere il numero. Doveva averlo colpito.
Nemmeno si  ricordava di dover riaprire gli occhi, quando lo fece si trovò inconsciamente già rivolto verso il suo ragazzo, fermo, delicato come un uccello pronto a spiccare il volo. Questa volta non lo fece per lo scandalo, anche se probabilmente funzionò, ma lo fece perché ne aveva bisogno. Per dimostrare che quelle labbra erano sue. Che nulla era importante finché poteva averle. Prese il viso di Alex tra le mani e lo baciò a lungo, nel silenzio.
Non importa. Gli stava dicendo. Non può più averti, ora sei mio ed io sono tuo.
“Scenetta strappalacrime"
Brett Folks ridacchiò
“Per i ragazzi che vengono qui, questa occasione è unica. Bisognerebbe pensarci prima di ridere” lo redarguì un uomo in giacca e cravatta che Dom non conosceva
Gli Heaven's Gate si rivolsero verso la giuria. Sembrava impossibile che ciò che doveva essere fatto ormai fosse effettivamente stato fatto.
“Che dire" esordì Alesia “Hai una bella voce, timbro riconoscibile, vorrei sentirti ancora in qualcosa di più brioso. Il ragazzo con i capelli rosa suona bene, ha uno stile tutto suo. Mi piace la vostra estetica e a questo proposito, vi vedo più punk di così, musicalmente, se posso permettermi"
Alex si avvicinò al microfono, stando sulle punte “Lo siamo" sorrise “Non volevamo sconvolgervi alla prima apparizione”
“Una buona canzone, magari se ne potrebbe fare un arrangiamento un filo più moderno. Testo notevole” disse l'uomo in giacca e cravatta
Dominic si costrinse a parlare per la prima volta per balbettare un “Grazie” appena udibile
“A me piacete. Potete comodamente andare avanti, c'è posto per voi nella gara" la quarta giurata era una donna di bassa statura e di mezza età con l'aria dell'intenditrice dietro ai piccoli occhiali rettangolari
“Io non sono convinto" Folks li squadrò dall'altro lato del tavolo e Dom non poté evitare di pensare che se non ci fosse stato quell'impedimento strangolarlo sarebbe stato estremamente più semplice.
“Il ragazzino con la chitarra ha l’aspetto giusto, ma tu che canti mi sembri deboluccio"
“Vuoi mettermi alla prova?” Non avrebbe dovuto dirlo. Se ne rese conto subito, dalla smorfia stizzita dell'intenditrice. In realtà dubitava che potesse aver capito che cosa intendeva davvero, ossia cercare la scintilla per potergli saltare addosso.
“L’arroganza non paga, ragazzi" disse la donna, segnandosi qualcosa su un foglio
“Calmino, pupo. Dico che ti manca un po' di mordente, dovresti imparare da lui… Dominic”
A quel punto intervenne Alex a calmare la acque “Allora mettici alla prova, domani la nostra cover toglierà ogni dubbio"
I giudici si parlarono tra loro, sottovoce. Dom non si preoccupò di sentirli, intento solo a controllare che lo sguardo di una certa persona non si potesse più sulle gambe del suo ragazzo come già aveva fatto troppe volte negli ultimi minuti. Voleva solo portarselo via da lì. Quasi non se ne accorse quando Alesia dichiarò con un sorriso che erano “presi”.
Non si rese conto di quanto davvero lo desiderasse finché non furono usciti e il suo più grande istinto fu quello di abbracciare Alex, forte come mai prima di allora. Dominic scoppiò a piangere, sentendosi sciocco, esposto agli sguardi degli altri concorrenti, cosciente solo dell'orgoglio nutrito nel petto e della mano del ragazzo rosa che gli accarezzava i capelli.
“È il nostro momento” mormorò Ally
Niente più supermercato. Niente più casa desolata. Niente più notti tra le braccia di uomini sbagliati. Niente più paura. Non avrebbe mai creduto che avrebbero potuto fare un passo avanti così grande in soli cinque minuti. Eppure erano lì. E più piangeva, più Dominic si rendeva conto che era vero.
“È il nostro momento".
 
 
 
Qui Mirime. Mi spiace davvero un sacco per la luuuunghissima attesa. Colpa di un esame da preparare e poi dei miei dispositivi elettronici che per ben due volte hanno cancellato tutti i miei progressi nella stesura. Collaborativi, eh. Spero che il capitolo piaccia, ci si risente presto. ^.^

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