La cura universale.

di AdhoMu
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il balsamo dei ricordi. ***
Capitolo 2: *** Per certe ferite, non c'è cerotto che tenga. ***
Capitolo 3: *** Ancor prima di capirlo. ***
Capitolo 4: *** La cura universale. ***



Capitolo 1
*** Il balsamo dei ricordi. ***


1. Il balsamo dei ricordi.
 
La mensola del camino di pietra grigia è sovraffollata di cornici di ogni tipo, forma, materiale, gusto, peso e trasparenza. All'interno di esse, in un moto perpetuo che i più moderni definirebbero "in loop", si agitano i visi di coloro che compongono il Pantheon Sentimentale di Amy McLaggen, al secolo Amy Macdonald, una delle più rinomate allevatrici di pecore Vello Magico di tutta la Scozia del Nord.
Tutti i lunedì mattina, nonostante gli impegni imposti dall'amministrazione della tenuta e dell'attigua filanda, la signora Amy si ritaglia un'oretta di tempo per spolverare amorevolmente le sue preziose cornici. Bacchetta alla mano fa svolazzare il piumino, carezza affettuosamente le superfici di vetro con un minuscolo scampolo di lana pregiata e guarda le fotografie, una ad una, soffermandosi spesso a conversare con loro.
Fra le sue preferite ce n'è una che, ogni santo lunedì, le riempie il cuore di tenerezza e nostalgia. 
È la Foto dei Bambini. 
In essa, quattro piccoli visi (a quei tempi, i gemellini McDougall non erano ancora nati) dalle fattezze variabili le ricordano di quando suo figlio e i suoi amici erano ancora piccoli e giocavano insieme, divertendosi a rincorrere gli agnellini svezzati da poco.
Quasi al centro della foto, col ciuffo nero che gli copre la fronte, c'è Carbry Bell, di cui Amy è madrina orgogliosa: ben presto tornerà da Chicago, finalmente, stringendo fra le mani il diploma di Medimago che lo scoppio della Seconda Guerra Magica ha ritardato di qualche anno. Alto e magro, gli occhi grigi velati da un sorriso vagamente malinconico, annega in un camice bianco da Veterimago troppo grande per lui.
Alla sua destra Katie sorride, facendo ondeggiare la frangetta corvina che le ricade sugli occhi. Bassina, esplosiva, sempre sorridente: un piccolo vulcano in costante eruzione. Da sotto l'orlo del suo kilt di lana leggera spuntano le ginocchia perennemente sbucciate; ai suoi piedi giace abbandonata una malconcia (ma vincente) scopa-giocattolo. 
Il braccio di Katie cinge a fatica le spalle di Cormac, in piedi accanto a lei e alto quasi il doppio. Amy osserva il figlio, già piuttosto massiccio e ben piantato, i riccioli color del miele smossi dal vento e l'espressione un po'contrariata di chi, suo malgrado, si è beccato una sequenza ingloriosa di goal dalla piccola scheggia-Bell. 
Alla sinistra di Carbry c'è un'altra figuretta bionda, quasi immobile e sbiadita dal tempo. 
È Morag: la più piccola di tutti. 
Amy sorride, osservandola con affetto. Per anni non se n'è accorta, ma un'analisi più approfondita della foto le ha rivelato un dettaglio che, ogni volta che le salta all'occhio, la intenerisce moltissimo. La piccola Morag tiene le braccia nascoste dietro la schiena, ma un lieve movimento involontario rivela che, fra le sue mani, c'è un pupazzo. Un peluche che la piccola ha meticolosamente bendato, probabilmente mentre stava giocando con Carbry, poco prima che qualcuno richiamasse i bambini per scattare loro la foto. In quel bendaggio, in quei nodi, Amy scorge un legame profondo e sentito, un affetto tenace e indissolubile. Chissà se quei due sciocchi, pensa amorevolmente la strega, se ne sono mai accorti.
 
Il San Mungo è la materializzazione perfetta e incontestabile del caos.
Morag si avventura nell'atrio guardandosi intorno, un po' disorientata. L'affollamento non le è mai piaciuto: ha sempre preferito la calma e la solitudine, gli spazi aperti, l'aria fresca, il profumo dell'erica e dei pini, la tiepida sicurezza degli affetti familiari e la cerchia rassicurante dei suoi amici. 
Evitando per miracolo stampelle sgambettanti, gessi impastoianti, aghi contundenti e barelle in rapido avvicinamento, la ragazza riesce finalmente ad accostarsi al bancone della Reception.
- Desidera?
Morag sbatte le palpebre, un po'perplessa.
Che cosa ci fa quel bellimbusto di Marcus Flint dietro al bancone?
- Mi chiamo Morag. Morag McDougall. Sono qui per la Residenza... dovrei cominciare oggi.
L'attendente la scruta in silenzio per una manciata di secondi, soppesando con un sorrisetto irritante la sua bionda figura fasciata dal camice bianco (e lei, scoraggiata, pensa che è sempre stato un viscido; non c'è che dire, certe cose non cambiano mai). Poi, dopo aver dato un'occhiata ad un fascicoletto sgualcito, le dice:
- Davvero un gran bel Colpo della Strega.
- Eh?! 
- Reparto Traumatologia da Schiantesimo. È appena arrivato un paziente piegato in due. Scala B, quarto piano, terza porta a destra. Ci troverà... - grugnisce Flint, sfogliando svogliatamente un librone dalle pagine spiegazzate e macchiate d'inchiostro, fitte fitte di nomi, date ed annotazioni - ...il dottor Bell. 
La ragazza rimane immobile per una frazione di secondo.
- B-Bell?
- Sì: Bell, Bell. Il gringo. Altre informazioni? Non ho tutto il giorno. La sera, però, sono libero a partire dalle 19.26
Morag è così meravigliata che non le riesce neppure di mandarlo al diavolo o, quantomento, di scoccargli un'occhiata disgustata. Prende in mano la cartelletta che Flint ha posato sul bancone e, un po'confusa e meditabonda, si avvia verso la Scala B.
 
Ci sono cose che non si dimenticano, non è vero, Mog?
Come per esempio il fatto che tu, per lui, sei sempre stata solo e soltanto Mog, la piccola Mog. Non Morag, non Mackie, non Mac. Mog. Tre lettere affettuose pronunciate fra un sorriso e l'altro (prima), e fra uno sbuffo di fumo e una vivace boccata (poi).
E di ricordi ne conservi a bizzeffe; si accumulano l'uno sull'altro in un accavallamento costante, rischiando seriamente di confondersi tutti. Alcuni, però, più vividi degli altri, fanno capolino a gomitate ed impongono la loro presenza.
Ci sono i ricordi legati all’infanzia, quando tu gli portavi le tue bambole e i tuoi pupazzi, uno alla volta, tutti in fila e lui, paziente e meticoloso, li visitava:
- Humm, signora... mi sa che questo è un raro caso di Spruzzolosi Aggravata...
- Dice davvero, dottore?
- Sì. E... le vede, queste macchie?
- Queste qui sul pancino?
- Esattamente.
- Cosa sono? La prego dottore, me lo dica...
- Vaiolo di drago. Nella sua forma più purulenta.
- Oh no!!!
Insieme, allora, vi affannavate per trovare la cura (“Purvincolo in gel!” “No! Pasta secca di radigorda!” “”Mmmmh... Forse è meglio il pelo di nargillo macerato col ketchup!”); i pomeriggi passavano in un lampo e quando, verso sera, Katie e Cormac facevano ritorno dal campo da gioco tutti pieni di graffi, croste e abrasioni, voi cercavate di intervenire con i vostri impacchi disgustosi, che zia Amy si affrettava a rimuovere per evitare pericolose infezioni e conseguenti rischi di amputazione.
Il tuo mondo era quello e ti andava più che bene, piccola Mog; tu, come tutti i bambini, non pensavi che le cose potessero andare in modo diverso. Eri felice e sapevi di esserlo; se fosse dipeso da te, non avresti cambiato una virgola.
Un giorno però, inaspettata, improvvisa, è arrivata la lettera da Ilvermorny. E Carbry è volato via.
Tu, piccola Mog, non l’avresti mai ritenuto possibile; manco te ne ricordavi, tu, che babbo Bell era americano, e forse non sapevi neanche bene che cosa volesse dire “americano”, visto che tutto il tuo mondo si componeva di quel mosaico di isole battute dai venti (Innse Gall, Orkneyjar, Shealtainn), bordate da scogliere tagliate a picco e faraglioni simili a cattedrali babbane, ammantate di cardi, erica ed erba smeraldina, abitate da pecore soffici, pony pelosi, cani bicolore col naso appuntito e fieri isolani dagli abiti quadrettati.
Hai perso il tuo compagno di giochi, piccola Mog; al primo taglietto ti sei resa conto, sgomenta e un po’smarrita, che non c’era più nessuno pronto a metterti il magi-cerotto-che-cura-tutto.
E i pomeriggi erano lenti e gli inverni non passavano mai; il Quidditch non ti appassionava, quasi quasi preferivi passare il tempo osservando i vicini babbani che riparavano i tagliaerba in attesa della primavera. E zia Amy ti portava a vedere gli agnellini appena nati, e tua madre ti chiedeva di badare ai gemelli; tu, sorridente, ti occupavi dei più piccoli e farlo ti piaceva ma, qualche volta, con una punta di nostalgia ti ricordavi di quando la piccola eri tu.
Ma poi l'estate arrivava e Carbry tornava a casa, allegro ed entusiasta come sempre, infilato nelle magliette gialle (troppo corte e troppo larghe; com'era possibile?!) del Wampus e in quelle rosse dei Chicago Bells - ma al kilt no, a quello non rinunciava, neanche quando si trovava oltreoceano e, ridendo, raccontava che le ragazze americane vanno matte per la lana a scacchi. Arrivava in un uragano di novità, coi suoi modi di dire insoliti sulla punta della lingua, l'accento da gringo ogni volta più forte e, dulcis in fundo, gli sbuffi di fumo di sigarette autoprodotte che, all'inizio, ti facevano lacrimare gli occhi, piccola Mog.
Piccola Mog, che nel frattempo crescevi a tua volta, cominciavi la scuola ("Corvonero? Cooool!") e, senza rendertene conto, aspettavi l'estate; e alle Sagre del Vello i ragazzi ti invitavano a ballare sotto la vigna, ma tu ti schernivi, non volevi, ti vergognavi, e accettavi di lasciare la seggiola solo quando Carbry ti tirava su di peso ("Eddài, timidona") con una risata fragorosa ed una tossitina al catrame. Sceglieva sempre le musiche più movimentate (qualche disco lo portava lui stesso dall'America), e finiva che vi divertivate come matti a saltare e ballare su quelle note indiavolate che vi facevano roteare i kilt.
E luglio e agosto passavano in fretta, fra le discussioni sulla supremazia del Quodpot rispetto al Quidditch (Carbry contro la formazione compatta Katie/Cormac) e le passeggiate in campagna, la stagione della tosatura e gli allineamenti del sole nei circoli megalitici durante il Solstizio. E voi eravate ormai un po' troppo grandi per giocare al dottore, per lo meno alla versione infantile del gioco, e quindi vi limitavate a godervi la reciproca compagnia durante quei pomeriggi che, nuovamente, pareva non sarebbero finiti mai ma che poi, puntualmente, si esaurivano con l'avvento dell'autunno, in unrefolo di malinconia.
E quando Carbry, una volta terminati i sette anni di scuola ad Ilvermorny, ha scelto Cambridge per studiare Magimedicina  tu hai gioito senza rendertene conto, piccola Mog. Niente postacci impronunciabili infilati in capo al mondo: no, non questa volta. I Natali e le Pasque son tornati ad essere vere e proprie Feste, e finalmente c'era di nuovo qualcuno che si occupava di te e si ingegnava per farti sorridere, piccola Mog, sempre intenta a prendersi cura degli altri.
E infine la Guerra è arrivata, e Carbry ha deciso di rimandare il diploma e di rimanere nel Vecchio Mondo per aiutare chi ne aveva bisogno; si è fatto prestare il vecchio sidecar di babbo McLaggen e ha messo su l'Ambulatorio Volante. Grande idea, se non che Carbry, nel suo allegro disordine, la moto non la sapeva guidare e così tu, invece di tornare ad Hogwarts, sei rimasta nelle Islands per fargli da autista e, già che c'eri, ad aiutarlo con aghi e suture.
Lavoravate in condizioni precarie e pericolose, sempre in bilico fra sicurezza e clandestinità, sfidando la neve, i venti settentrionali, i colpi di coda dei Neri delle Ebridi e la carenza cronica di magibenzina. A coloro che aiutavate (raggiungere Londra e il San Mungo per ricevere cure, ormai, era impossibile), in cambio, non chiedevate nulla; eppure ognuno vi ricompensava a suo modo, come poteva, chi con un salame, chi ospitandovi a dormire in un caldo fienile (avevate la tenda, ma era piena di spifferi), chi facendovi dono di un Incantesimo Rallegrante.
Nonostante gli incontri, però, eravate quasi sempre voi due soli, raramente a riposo, costantemente in viaggio. A farvi compagnia c’era sempre Miles, la vostra milza-giocattolo trasformata in radiolina e navigatore satellitare; eppure, spesso, decidevate di tenerla spenta, e la solitudine non la soffrivate mai, perché siete sempre stati entrambi amanti della quiete e della contemplazione: e quante albe meravigliose, rosa come sbuffi di zucchero filato, avete ammirato ad alta quota, il silenzio rotto soltanto dal brusio sommesso della vostra vetusta cavalcatura.
La moto era vecchia e rumorosa e la carrozzetta del sidecar minacciava sempre di staccarsi; farla decollare era un lavoraccio (quanto ti ha fatta imprecare!), ma a te piaceva la sensazione di accelerazione e adrenalina che provavi man mano che prendevate quota. Tu, piccola Mog, ti sei subito affezionata a quel vecchio catorcio che perdeva i pezzi e sul quale tu, più di una volta, hai dovuto operare trapianti d'emergenza di organi provenienti da vecchie lavatrici e tagliaerba babbani.
E vedendoti arruffata e tutta sporca di olio e di grasso Carbry rideva di gusto, ma si vedeva che la tua abilità con freni e motori lo lasciava ammirato. Tu lo ammonivi bonariamente di tenere lontano quella benedetta sigaretta dal serbatoio e lui alzava le mani tutto serio, fingendo di scusarsi.
Il venerdì sera - sabato mattina al massimo - tornavate alla base per trascorrere il weekend con amici e parenti. Portavate notizie e messaggi, facevate rifornimento, recuperavate le forze e immancabilmente il lunedì mattina alle prime luci dell'alba - vi fossero neve, pioggia, grandine, sole o aurora boreale - eravate di nuovo pronti a ripartire per il vostro giro di ricognizione, alla ricerca di maghi, streghe, ibridi, maghinò (e, spesso e volentieri, anche babbani) da curare.
Carbry prendeva posto nella carrozzetta, sistemava Miles sul cruscotto e, in modo solenne, ordinava:
- Metti in moto, Mog.
Tu ti tiravi giù gli occhialoni, sfrizionavi, sgasavi e ci davi dentro con l’acceleratore; e il ricordo di quei decolli rocamboleschi è vivo come non mai nelle morbide pieghe della tua testolina bionda.
 
Quante volte ve la siete vista brutta? 
Tante e incontabili, decisamente troppe.
E la peggiore di tutte è stata senz'altro quella volta del Posto di Blocco; una delle poche in cui hai visto Carbry seriamente preoccupato - il che, ovviamente, ti ha spaventata a morte. Dopo quella volta, avete tacitamente deciso di smettere di avventurarvi più a sud di Falkirk, perché la situazione era ormai troppo grigia (anzi, nera, nera come la pece più viscosa) per permettersi di correre rischi di quella portata.
Vi trovavate a Glasgow per fare acquisti (bende e sirighe erano finite e avevate esaurito il numero massimo di Moltiplicazioni ammesse dalla Legge di Gaump) quando, uscendo dalla farmacia del Signor Tyndrum, ve li siete trovati davanti all'improvviso.
Tutti vestiti di nero, con gli stivali lucidi di pelle di drago che schiacciavano la neve appena caduta. Vi hanno chiesto che cosa stavate facendo, e voi avete subito attaccato con la frottola trita e ritrita (e piuttosto implausibile, ripensandoci ora) dei due sposini americani in viaggio di nozze in Scozia.
A te si è accapponata la pelle, piccola Mog, perché due di loro erano stati tuoi compagni ad Hogwarts; frequentavano il settimo anno quando tu eri al primo, e già allora venivano annoverati fra coloro dai quali era meglio girare al largo. Non ti hanno riconosciuta; e tu ti sei affrettata a tirar fuori il falso certificato di matrimonio dell'Ufficio Sposalizi Magici di Baltimora, parlando il meno possibile per evitare che si accorgessero che tu, in realtà, eri nata poco più a nord e di americano non avevi un bel niente.
Ma ti sei accorta che Carbry era nervoso, molto nervoso, mentre quel tizio elegante con gli occhi di ghiaccio leggeva il documento con fare vagamente divertito, per poi chiedere:
- E Baltimora, com'è?
Carbry ha balbettato qualcosa di assurdamente banale sul clima, e la sigaretta gli tremava fra le dita; e quello ha riso (una risata afona, raggelante) e ha detto, a voce bassissima:
- Congratulazioni per il matrimonio, signori... Knightley. Spero avrete modo di godervi il soggiorno nelle nostre belle terre. Potete andare, ora.
E quella sera Carbry era strano, e tu ti sei seduta accanto a lui sul divano e gli hai chiesto che cosa avesse.
- Ci ha lasciati andare - ti ha risposto lui, sbuffando fuori il fumo.
Hai annuito senza capire.
- Lui lo sapeva, Mog - ha detto Carbry, lentamente. - Lo sapeva che non eravamo quel che dicevamo di essere...
- Perché dici così, Carbry?
- Perché io, con quel tizio, ci ho diviso la stanza allo studentato di Cambridge. Per due anni, Mog.
E mentre tu lo guardavi a bocca aperta e con gli occhi sgranati, Carbry ti ha abbracciata d'impulso e ti ha stretta forte (potevi quasi contargli le costole, da tanto era magro) e in quel momento non sei riuscita a non pensare che, nonostante vi trovaste da soli in una tenda nel bel mezzo del nulla, Carbry profumava di tabacco e disinfettante e che quell'aroma, per te, era la materializzazione olfattiva dell'affetto e della sicurezza.
Non sai bene che cosa ti abbia preso in quel momento, piccola Mog che piccola non eri; forse perché, per la prima volta, l'hai sentito incerto e insicuro e tu, una volta tanto, ti sei sentita in dovere di consolarlo. Sta di fatto che hai alzato il capo e lo hai guardato negli occhi, quei begli occhi grigi sempre velati da un'allegrezza un po' malinconica; e Carbry ha accostato la fronte alla tua e poi, senza sapere bene come, le vostre labbra si sono prima sfiorate e poi premute le une sulle altre.
E non è stato uno di quei baci simulati che già vi eravate scambiati qualche volta, a cuor leggero, per corroborare la vostra improbabile storiella; è stato un bacio vero, intenso e sentito... e troppo, troppo breve.
- Scusa, Mog, scusa - ha sussurrato Carbry, staccandosi da te e fissandoti con fare colpevole. - Ho solo avuto paura che... che...
Ti ha abbracciata di nuovo, e non ha mai finito la frase; tu, però, col mento posato sulla sua spalla, hai pensato che non c'era proprio nulla di cui scusarsi o che, forse, avresti dovuto chiedergli di scusarsi per il fatto di essersi scusato.
 
Note:
1) Ebbene sì, lo so che ho ben due storie in corso e che forse non sarebbe il caso di iniziarne una terza. Giustissimo. Mi giustificherò con la scusa dello spin-off dell’Armadio Svanitore, nel quale in breve succederà un fatto legato al qui presente capitolo.
2) Come avrete capito, se già non lo sapevate, Carbry Bell è un OC fratello maggiore di Katie. È appassionato di Magimedicina e, dopo aver studiato ad Ilvermorny (babbo Bell, nel mio canon personale, è originario di Chicago), ha deciso di proseguire gli studi alla Cambridge Magical University. È un po’incasinato, (quasi) sempre allegro e gran fumatore, tifoso sfegatato dei Chicago Bells.
3) Morag McDougall esiste nella saga di HP ma di lei si sa soltanto il nome. Recentemente questo personaggio è stato riportato alla luce da Ems (blackwhite_swan) che ne sta parlando nella sua “Angus, Thongs and Perfect Snogging”; la biondina delle Shetland compare anche nell’interattiva “Di necessità Virtù” di Brigett88. Insomma, una #moragmania, ma dato che mamma Ems mi ha detto "prosegui", io eseguo a cuor leggero. Qui ne propongo una lettura un po' slegata dal resto, tenendo però conto di alcune caratteristiche gentilmente riferitemi dalle di cui sopra.
4) La gloriosa Casa di Tassorosso si riserva di trasferire una cinquantina di topazi a coloro che sapranno dirmi chi sono i due tizi riconosciuti da Mog al posto di blocco.

 

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Capitolo 2
*** Per certe ferite, non c'è cerotto che tenga. ***


2. Per certe ferite, non c'è cerotto che tenga.

Imposizione delle mani.
Imposizione della bacchetta.
Ossofast.
Essenza di dittamo.
Purvincolo in gel.
Supposta di bobotubero.
Cioccolato riscaldante.
Spruzzolosi.
Vaiolo di drago.
Paziente piegato in due.
Paziente con coda di pavone.
Paziente con grugno invertito.
Paziente con...
Al San Mungo non c'è un solo minuto di pace. La baraonda è costante: guaritori, medimaghi e infermieri, intruppati in turni dal ritmo massacrante, trottano qua e là incessantemente, affaccendandosi sotto le luci troppo bianche dei tubi di neon.
"Neanche il tempo di fermarsi un minuto per fumare in santa pace" pensa il giovane alto e biancovestito, senza riuscire a reprimere uno sbadiglio.
- Reparto Cardiologia, dottor Bell! - un infermiere corpulento che risponde all'esotico nome di Gleidison lo richiama all'ordine. - Abbiamo una grave intossicazione da Filtro d'Amore: temo dovremo defibrillare!
Il giovane infermiere freme, sembra eccitatissimo all'idea di manovrare il magifibrillatore.
- Andiamo - risponde Carbry, avviandosi di buona lena verso il Corridoio 25, Scala D, Settore XVII.
"E al cuore dei Medimaghi, chi ci pensa?" si domanda poi, grattandosi la nuca pensieroso e riponendo la sigaretta autorollata nella tasca del camice spiegazzato.

Non avresti saputo dire se lo avevi più temuto o più atteso, nevvero Carbry?
Probabilmente, tutte e due le cose insieme. Di una cosa, però, eri certo: quell'incontro era inevitabile, in eterno ed immutabile agguato fra le pieghe del Destino.
Dopo anni trascorsi a trascinarti qua e là per il mondo, il vero motivo della tua domanda di assunzione al San Mungo era proprio ciò che ti intestardivi a voler rifuggire.
Un semplice nome.
Tre lettere.
Mog.

Non la vedevi dal giorno del Processo; da quando, a pochi mesi dalla fine della Guerra, siete stati entrambi convocati dal Wizengamot per deporre nel caso di Sebastian Macnair.
Se chiudi per un attimo gli occhi (attento a non appisolarti però, la stanchezza potrebbe prendere il sopravvento) il ricordo ti si ripresenta con forza; l'aula luminosa, Bastian nel banco degli imputati guardato a vista dai Patroni degli Auror; Graham e Greta Montague, Leanne Kaplett e Alicia Spinnet, seduti accanto a te nella tribuna dei testimoni.
E Mog, interrogata dal Magigiudice, intenta a raccontare di voi e delle vostre scorribande e di come, quella volta a Glasgow, Macnair ha finto di credervi e vi ha lasciati andare.
E il suo racconto ha fatto riaffiorare in te una nostalgia insopportabile di ciò che era stato, e ancor più di quello che 'mai avrebbe potuto essere'. E quel giorno, Carbry, hai deciso che così non potevi andare avanti; e subito dopo l'udienza sei partito, e hai fatto precipitosamente ritorno a Chicago con la scusa della Specializzazione da terminare. Sei partito e non sei più tornato.
Al conseguimento del Diploma, hai preso lo zaino e hai affrontato il mondo; questa volta con il pretesto di voler elaborare uno studio sui diversi metodi di cura della Rinite da Pelo Magico messi a punto dalla stregoneria erboristica locale.
Nordamerica, Sudamerica, Oceania, Asia, Africa, Europa.
In Australia ti sei trattenuto per parecchi mesi, ospite dei tuoi amici finalmente tranquilli (ti hanno mostrato con grande orgoglio il loro ben avviato stabilimento di birra scura, la Ausscottie, grande successo nei pub magici e babbani); Alicia ti ha messo in contato con gli stregoni aborigeni, che ti hanno fornito informazioni interessantissime sul tuo oggetto di studio.
Nel frattempo nelle sue lettere, capaci di raggiungerti nei luoghi più impensati, Katie ti raccontava di lei e di Oliver, di Cormac e Eloise impegnati nei test di nuovi filati, di mamma finalmente candidata alla presidenza dei Magpies, e ovviamente di Mog, iscritta al corso di Magimedicina dell'Università di Oxford e prossima a trasferirsi a Londra per fare la Residenza al San Mungo.
Ed è forse stata questa breve notizia, inserita quasi a caso fra tante altre righe delle missive di tua sorella che, finalmente, ti ha fatto prendere la decisione di tornare.

Ci sono cose che non si dimenticano, nevvero Carbry?
Come per esempio il fatto che tu e Katie siete uguali.
Uguali identici a vostra madre: capelli neri, occhi grigi, pelle chiara. Quale eredità genetica vi ha lasciato babbo Bell prima di fare le valigie e tornarsene in America?
Non vi siete mai interrogati troppo su questa cosa; Katie era ancora molto piccola quando lui se n'è andato e tu, per anni, hai quasi dimenticato il tuo legame con il Nuovo Mondo, e forse l'avresti scordato del tutto se, all'età di dieci anni e mezzo, non avessi ricevuto la lettera da Ilvermorny.
E così, inaspettatamente, sei partito per l'America, Carbry.
Sono venuti tutti a salutarti, quel giorno, prima che mamma e Katie si infilassero con te nel camino che vi avrebbe portati a Londra, al Terminal Passaporte Intercontinentali. E tu, fino all’ultimo, hai temuto che Mog non si sarebbe fatta viva, visto il muso che ti aveva tenuto nei giorni precedenti la partenza. Non voleva, non voleva che partissi, non risciva ad accettarlo e si intristiva molto quando tu e gli altri bambini vi perdevate a fantasticare sulle mille fantomatiche meraviglie della rinomata Magiscuola Americana.
Hai seriamente temuto che Mog non venisse a salutarti, Carbry; continuavi a guardare l’orologio, nervoso, e oramai non mancavano che pochi minuti al decollo, quand’ecco che la porta si è spalancata di scatto e Mog è entrata di corsa, rossa di fiatone, i riccioli biondi tutti spettinati.
- Trattamelo bene – ti ha intimato, seria, cacciandoti in mano Mr. Lamby, il piccolo agnello di lana infeltrita (come siate riusciti a far infeltrire un oggetto fatto di Vello Magico lo sa solo Merlino, benedetti ragazzi) che tante volte vi eravate divertiti a fasciare.
- Oh – hai ribattuto tu, piuttosto confuso. Poi, prima che tu potessi aggiungere altro, la bambina ha girato sui tacchi ed è scappata via.

A Chicago, a prenderti, c'era papà in compagnia della sua nuova famiglia e dei molti parenti che tu ancora non conoscevi; tutti loro ti hanno accolto con affetto e calore, con grande allegria ed esclamazioni entusiaste. Parlavano strano però e tu, all'inizio, facevi fatica a capire cosa volessero dirti; una volta a scuola, sei poi diventato "quello col kilt", ma tu eri orgoglioso, non te ne vergognavi.
L'America ti ha conquistato a poco a poco, Carbry, coi suoi grandi spazi, i suoi grattacieli di acciaio e di vetro, i nuggets e, naturalmente, il Quodpot. Quante belle domeniche pomeriggio hai passato allo stadio in compagnia di papà, di Millie e del piccolo-grande Joey; tutti e quattro vestiti di bianco e di rosso, a mangiare Pop-Corn Autoesplosivi e a sgolarsi facendo il tifo per i Chicago Bells.
- Il fondatore dei Bells è nostro antenato - diceva orgogliosamente papà, facendo risuonare vigorosamente il campanaccio da mucca, tradizionale appannaggio della tifoseria locale.
Tu ti divertivi come un matto; poi, la sera, facevi ritorno da Ilvermorny con la metropolvere delle 19.43, pronto per una nuova settimana di lezioni. La scuola ti piaceva, nonostante il ritmo fosse serrato, i professori esigenti e i compagni assai competitivi.
Ti consideravano un bravo alunno; a te però, al di sopra di ogni cosa, piacevano i turni di volontariato in infermeria (nonostante la passione, a Quodpot non giocavi, e neppure a Witchcurling, tantomeno a FootTroll – magro com’eri, quegli energumeni ti avrebbero senz’altro ammazzato). Miss Randall, l’infermiera della scuola, ti adorava; quante nottate avete trascorso svegli chiaccherando, bendando, bucando e disinfettando.
Da settembre a giugno il tuo mondo era quello, Carbry.
Era il tuo mondo nuovo nel Nuovo Mondo e tu, con la consueta allegria, riuscivi ad amarlo nonostante la nostalgia della tua antica dimora, degli affetti sicuri legati all’infanzia, del paesaggio superbo delle Island scozzesi, delle stradette acciottolate di Edimburgo, dei morbidi agnellini dal Vello Fatato, della carezza soffice della lana quadrettata. Poi, però, l'estate arrivava; e con essa, era tempo di tornare a casa, nella verde Scozia.
Ti portavi dietro un'infinità di oggetti magici rari, di dischi sconosciuti, di gomme da masticare con Pallone Infrangibile, di guantoni da Quodpot, di racconti mirabolanti e di modi di dire che i tuoi vecchi amici consideravano ai limite dell'astruso.
E come era bello rivedere la mamma, Katie, Cormac, la zia Amy, i gemellini Ian e Jacob e, naturalmente, la tua piccola compagna di giochi, la tua "seconda sorellina", Mog.
La quale, nel frattempo, cresceva; era stata smistata nella Casa del Corvonero (intelligente e sensibile com'era, non poteva essere altrimenti) e ti raccontava di Hogwarts con molto entusiasmo.
E poi è stata la volta di iscriversi all’Università e tu, contrariando il parere di papà che ti proponeva il rinomatissimo Ipswich College, hai optato per Cambridge; un ambiente più barbogio, forse, ma – senza dubbio - altamente qualificato e intriso di tradizione.
E ad ogni vacanza di Natale, di pasqua o d’estate Mog ti sembrava più carina, così bionda e minuta, col suo dolce sorriso; e tu, Carbry, avevi notato che, ai tornei di Acchiappapecora delle Sagre del Vello estive, lei faceva il tifo per te. I ragazzi la invitavano a ballare sotto la pergola ma lei, gentilmente, rifiutava; sembrava aspettare il tuo invito. Soltanto allora, infatti, accettava di buon grado di lasciare il panchetto.
E forse durante una di quelle serate avete ballato una sequenza un po’troppo lunga di musiche; la cosa ha inevitabilmente dato nell’occhio e così quella sera, nonostante l’ora tarda, hai trovato mamma che ti aspettava in salotto ancora sveglia, facendo levitare lentamente con la bacchetta alcune lanterne colorate.
- Ti ho visto ballare con Morag, stasera – ti ha dett, senza troppi preamboli.
- Oh, sì - hai risposto allegramente.
- E non è la prima volta...
Le hai sorriso, piuttosto compiaciuto.
- Mog balla solo con me, ma'!
Tua madre allora ha stretto le labbra.
- Lei... lei ti piace, Carbry?
Ti sei fatto una bella risata, felice com'eri; e poi, senza pensarci troppo (eri davvero in vena di confidenze, quella sera), hai confessato:
- Molto. Mi piace molto, ma’. Sai, stavo pensando...
A cosa stavi pensando, Carbry? Di andare a trovarla l'indomani presto, di prenderla per mano, di chiederle ufficialmente di uscire con te? Perché no?...
E tua madre ti ha guardato con quei grandi occhi grigi (gli stessi che, il mattino presto, ricambiano il tuo sguardo dallo specchio del bagno) e ti ha rivolto un sorriso triste.
- Ci sono alcune cose che devi sapere. Siedi qua, Carbry - ti ha detto, porgendoti una tazza di tè di cardo fumante.
E così, fra lo sconvolto e lo sgomento, hai appreso che, quando erano ragazzi e si trovavano entrambi ad Edimburgo per diversi motivi (per un corso pratico di Veterimagica lui, per allenarsi con i Magpies lei), Ambros McDougall e Innes Comgaill si erano frequentati per qualche tempo. Causa divergenza di vedute e di piani, la cosa ea poi naufragata rapidamente: Ambros voleva fare ritorno quanto prima alle Shetland per occuparsi dell'allevamento di Vello Magico, mentre tua madre non aveva la minima intenzione di interrompere la sua ben avviata carriera di quiddista. Cosicché i due, senza rancori, avevano troncato la relazione; poi, dopo qualche tempo, Innes aveva conosciuto Austin Bell, appena arrivato da Chicago sulle tracce delle origini scozzesi della sua famiglia.
Ed era stato amore a prima vista, e le nozze erano state fissate in tutta fretta; Innes e Austin si adoravano e non vedevano l'ora di mettere su casa nella città grande.
Se non che, pochi giorni prima della celebrazione del matrimonio, tua madre era tornata alle Shetland, sua terra natale, per compiere il tradizionale rito scozzese del bacio-moneta: pignatta sotto braccio e via, in giro per i pub magici a distribuire baci ai giovani maghi in cambio di galeoni dorati da usare come dote. Si sarebbe trattato soltanto dell'espletamento di una tradizione innocente, ma il destino era in agguato nei panni di Ambros McDougall, anch'egli presente, quella sera, al Pub dell'Erica Rosata. Inutile dire che quel bacio irrorato di Whisky Incendiario era inevitabilmente evoluto in ben altro; e il giorno dopo i due ragazzi, imbarazzati e contriti, avevano giurato solennemente di non ricascarci mai più.
- Io e Austin ci siamo sposati e tu, Carbry, sei nato... quasi subito - ha chiosato tua madre, sostenendo a stento il tuo sguardo accigliato. - Qualche anno dopo, Ambros McDougall ha conosciuto Kendra Buchanan e, come sai, si è a sua volta accasato.
E tu non avresti voluto ascoltare una parola di più, nevvero Carbry?
Con mano tremante, hai tirato fuori una sigaretta dalla tasca del kilt e, incurante dei divieti materni di fumare dentro casa, hai mormorato un sommesso Incendio, per poi aspirare la nicotina il più profondamente possibile. Lei non si è neppure sognata di rimproverarti, e l'hai vista trasalire leggermente quando, facendo appello a tutto il tuo coraggio, le hai chiesto:
- Ci sono... esistono possibilità che... che...?
- Sì, Carbry - ha risposto semplicemente lei.
- E... ne è al corrente qualcuno?
- No.
- La zia Amy?...
- No.
- E... e Katie, anche lei...?
- Katie è una Bell al cento per cento, Carbry. Io e Ambros McDougall siamo rimasti amici.
- E io, cosa sono? - hai domandato, provando improvvisamente un insopportabile senso di smarrimento.
Lei ti ha guardato con infinito affetto e ha mormorato:
- Un figlio molto, molto amato, Carbry.
Ma tu, in quel momento, hai desiderato soltanto di trovarti il più lontano possibile da lei; sei saltato in piedi, hai afferrato la sciarpa rossa e oro della Casa de Wampus e ti sei smaterializzato, senza proferire parola.
Sei andato a dormire a casa di zia Amy, e vi sei rimasto per tutta la mattinata seguente. Quel pomeriggio hai vagato senza meta fra eriche e cardi, lungo i sentieri che costeggiano la scogliera, pensando a Mog (che forse, nel frattempo, attendeva speranzosa il tuo arrivo) e riflettendo amareggiato sul fatto che mai, prima di allora, avresti pensato di poter detestare così tanto l'idea di considerarla la tua seconda sorellina.

Forse tu e tua madre non vi sareste più parlati se non che, ad ottobre, Katie è rimasta vittima di una maledizione terribile causata da una pericolosissima collana di opali. Tua sorella è rimasta al San Mungo per mesi, in bilico fra la vita e la morte; tu e mamma, giocoforza, avete fatto la pace e vi siete dati da fare per assisterla, aiutati da Oliver e, nel breve periodo in cui gli era stato possibile assentarsi dal lavoro, anche da papà, giunto in tutta fretta da Chicago.
Comunque, tu e mamma non siete mai più ritornati sull'argomento; tiravate avanti fra pomeriggi eterni, tazze su tazze di tè di cardo e interminabili partite a Scacchi Magici. Quanto a quell’argomento, fingevate che non fosse successo nulla.
Quando Katie è guarita, la gioia è stata grande; e durante alcuni mesi non avete pensato ad altro. Poco dopo, però, la Guerra è scoppiata.
E tu, Carbry, hai intuito che avresti potuto fare qualcosa per la Causa; sei rimasto in Scozia, hai chiesto in prestito la moto a babbo McLaggen e hai ideato l’Ambulatorio Volante. Senza Mog, però, il progetto sarebbe naufragato ancor prima di cominciare.
Ricordi ancora quel pomeriggio di agosto: ti trovavi nel fienile, sudato e sporco di grasso. La moto non voleva saperne di partire, e tu avevi come l’impressione che le mancassero alcuni pezzi. E mentre eri lì a smadonnare e bestemmiare e fumare e tirare calci esasperati a quel ridicolo trabiccolo, Mog ha messo dentro la testa e, rivolgendoti un’occhiata divertita, ti ha chiesto:
- Ma cosa stai combinando, Carbry?
E quando gliel’hai spiegato, lei è entrata nel fienile e, con un colpetto deciso, ha trasformato la punta della bacchetta in una chiave inglese e così, come se nulla fosse, si è messa a smontare il vecchio motore.
- Qui ci vuole una rotella, qui un bullone; aspetta che vado a prenderli.
E la sera stessa, come per miracolo, la moto è partita. E il giorno dopo, Mog ti ha annunciato che non sarebbe ritornata ad Hogwarts a settembre, ma che era pronta per partire con te. Tu, ovviamente, hai protestato: troppo pericoloso, le hai detto. Lei, però, non ha voluto sentire ragioni:
- Se ti si rompe sei fritto, e poi diciamocelo, Carbry: tu non sai guidare.
E così, dopo un paio di giorni passati a mettere a punto gli ultimi preparativi, siete partiti.

A tutto questo e a molto altro pensi, Carbry, mentre dal terrazzino della Stanza del Personale osservi la sua figuretta bionda che si allontana a grandi passi dalla porta principale del San Mungo, diretta verso un tizio alto vestito di turchese, che l’aspetta dall’altra parte della strada. Saggiamente, decidi di voltarti prima di doverti sorbire il loro abbraccio.
Mentre ti frughi le tasche in cerca di una sacrosanta sigaretta, la punta delle tue dita cozza contro un piccolo quadrato rigido. Non c’è alcun bisogno di tirarlo fuori per scoprire di che si tratta: sai benissimo che cos’è.
Nella tasca interna del tuo camice sempre stropicciato, Carbry, c'è l'unico oggetto che ti ha seguito, fedelmente e con tenacia, in tutti i tuoi vagabondaggi per terra e per mare, fra fiumi e montagne, foreste e deserti, brughiere e paludi. Sempre lì, vicino al tuo cuore; piccolo pezzo di pergamena sfilacciata e sbiadita, piegata in due, in quattro, in otto, in sedici. E, di disfartene, non ti passa neanche per la testa, nevvero Carbry?
Lo porti sempre con te, quel falso certificato di matrimonio dell'Ufficio Sposalizi Magici di Baltimora.
Come se, a conti fatti, valesse poi qualcosa.

Note: 1) Mi è stato chiesto che razza di nome sia mai 'Carbry'. Beh, ammetto di averlo scelto un po' a caso in una lista di nomi celtici, tempo fa, in occasione di una storia su Oliver e Katie nella quale il fratello di quest'ultima veniva soltanto citato. Cercando poi ulteriori informazioni, ho scoperto recentemente che il suo significato è "auriga".
2) Immagino che, dopo la sconfitta di Voldemort, i Dissennatori siano stati cacciati. Propongo che Azkaban sia ora sorvegliata da speciali Patroni Permanenti preposti all'uopo, prodotti dagli Auror e capaci di percepire eventuali cambiamenti nell'anima dei detenuti (per intenderci, riescono a capire se uno è diventato buono o se deve rimanere dentro ancora un po').
3) I Montrose Magpies sono una squadra di Quidditch scozzese; suoi colori ufficiali sono il bianco e il nero. Nelle mie storie Katie ne è grande tifosa e spesso Oliver (Portiere del Puddlemere United, come da canon) vi fa riferimento con la locuzione "quella squadraccia scozzese".
4) Nel (coltissimo, davvero una pellicola d’essay!) film Made of Honor con Patrick Dempsey e Michelle Monaghan c'è una scena in cui la protagonista, ormai prossima alle nozze con un abbiente scozzese, gira per i pub del villaggio e dà baci agli uomini in cambio di monete. La cosa viene spacciata come una tradizione del posto; io non so se sia vero o no, ma l'ho presa per buona e ci ho ricamato per scrivere di Innes e Ambros.
5) La composizione della famiglia di Morag proviene da Ems.

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Capitolo 3
*** Ancor prima di capirlo. ***


Ancor prima di capirlo.


La grande differenza fra il DNA magico e quello babbano è rappresentata dalla presenza del cromosoma M nel liquido ematico di maghi e streghe.
Per questioni di sicurezza che risalgono ai primordi della Magia umana (si tratta di uno dei tanti dispositivi di difesa messi a punto dalla Comunità Magica dinnanzi all'ostilità spesso manifestata dai babbani), il cromosoma M possiede una natura Indicibile e Irrilevabile; per questo, i sistemi di analisi messi a punto negli ultimi decenni dai genetisti non-magici non riescono a rilevarlo.
Quando i babbani misero a punto i primi test atti a rilevare gruppi sanguigni e ceppi genetici, i loro macchinari, ogniqualvolta venivano messi a contatto col cromosoma M, andavano in tilt. Quindi, in occasione deella ratifica di un importante aggiornamento dello Statuto Internazionale di Segretezza, i Magigenetisti intervennero nel reset dei macchinari costruiti dalla Comunità Non-Magica ed apportarono specifici incentesimi volti alla Disillusione degli effetti del cromosoma M.
Da allora, qualsiasi mago o strega che si sottopone ai test genetici babbani risulterà appartenente al gruppo sanguigno AB+, quello dei riceventi universali; la presenza del cromosoma M, infatti, fa sì che coloro che sono dotati di sangue magico possano ricevere trasfusioni e trapianti di organi da parte di chiunque, senza alcun problema di compatibilità (la magia protegge l'organismo del ricevente).
Agli effetti pratici, il fatto di possedere o meno il cromosoma M significa che, in senso lato, o si è maghi e streghe o non lo si è, indipendentemente dalle proprie origini familiari. Ciò significa che non importa di chi si è figli: l'importante è la magia che scorre nelle vene del paziente. A questo proposito, la Dichiarazione Universale dei Diritti del Mago ratificata nel 1278 dalle principali Comunità Magiche Occidentali (e alla quale hanno poi aderito quasi tutte le altre Nazioni, a livello internazionale) sancisce che "tutti coloro che sono dotati di sangue magico sono da considerarsi uguali e meritevoli degli stessi diritti, configurandosi come grave atto di discriminazione qualsiasi tentativo di stabilire le origini familiari del Cittadino Magico".
Ai tempi della Prima Guerra Magica, periodo di gravi violazioni del Magidiritto Nazionale e Internazionale, i magigenetisti oscuri seguaci di Lord Voldemort [nominativo aggiornato in seguito alla ristampa post-2°G.M. in sostituzione dell'originale "Signore Oscuro", N.d.R.] montarono laboratori clandestini nei quali furono realizzati esperimenti atti a determinare la paternità/maternità dei membri della Comunità. Tali pratiche altamente illegali, condannabili come gravi atti di discriminazione e duramente punite dalle Corti Magiche dei Paesi firmatari della Dichiarazione, portarono alla scoperta del fattore M+. Nonostante non si tratti di un parametro utile per accertare la paternità/maternità del paziente, attraverso il fattore M+ è possibile misurare l'intensità dell'eredità genetica magia contenuta nel sangue di suddetto paziente, come da tabella riportata sotto:

(M+) paziente Nato Babbano;
(M++) paziente figlio di padre o madre di sangue magico (Mezzosangue);
(M+++) paziente figlio di entrambi genitori di sangue magico (Purosangue).
Si ha notizia di numerosi casi di applicazione forzata, da parte dei magigenetisti oscuri, di test atti a quantificare il fattore M+, perpetrati ai danni di maghi e streghe Nati Babbani, con finalità discriminatorie o, peggio ancora, soppressive.

Morag richiuse sbuffando il pesante e polveroso tomo intitolato Principi Etici di Magigenetica. Edizione Aggiornata post 1998 e diede un'occhiata all'orologio da polso.
Le sei e quarantasei. Era quasi ora di riprendere servizio.
La ragazza sistemò il volume sull'apposito scaffale della restituzione; poi, una volta raggiunto l'atrio della Biblioteca del San Mungo, recuperò il soprabito ed uscì velocemente dalla porta a vetri girevole. Una raffica di vento le scompigliò i capelli, facendola rabbrividire e ricordandole all'istante la sensazione che si prova a cavallo di una motocicletta volante.
Morag affrettò il passo: doveva sbrigarsi.
Prima di rientrare in reparto avrebbe dovuto fare un salto in bagno per ritoccarsi un po' le occhiaie, mica poteva presentarsi in quello stato. Sarebbe stata una lunga notte, quella: la aspettava un turno notturno, in compagnia nientepopodimento che del dottor Bell.

- Po... pollosi?...
- Tutto induce a pensare...
- Ma... ma... ne è sicuro, dottore?
Carbry fece una smorfia. Il paziente presentava un accenno di cresta e bargigli; cos'altro diavolo avrebbe mai potuto essere?
- Vede i follicoli, signora, come sono dilatati? - s'intromise gentilmente Morag, additando l'epidermide del marito della donna, un babbano in procinto di trasformarsi in un'enorme e inquietante gallina umanoide.
La strega emise uno strillo allarmato.
Carbry tossicchiò e riprese la parola.
- Suvvia, signora - disse, conciliante - non è il caso di allarmarsi. La sindrome non ha ancora raggiunto lo stadio terminale ed è ancora perfettamente reversibile.
- Esatto. Se si trattasse di pollosi terminale - aggiunse Morag, con molta delicatezza - suo marito avrebbe già sviluppato le caratteristiche zampe tridattili e, in questo momento, sarebbe impegnato a razzolare per la stanza.
Chiarita la questione, i due medimaghi rilasciarono alla donna una ricetta con tutto l'elenco delle medicine da ritirare presso l'attiguo speziale del San Mungo.
Una volta che la coppia fu uscita dall'ambulatorio, Carbry lanciò un'occhiata all'orologio appeso sulla parete dirimpetto.
- Pausa? - propose a Morag, tastandosi le tasche del camice in cerca di una sigaretta.
- Ora o mai più - rispose lei, facendosi scrocchiare una spalla terribilmente indolenzita.

Mentre la luce del mattino illuminava i capelli chiari di Morag, una miriade di pensieri attraversava la mente di Carbry, annebbiata dal sonno e dalla fatica.
Di certo gli sarebbe piaciuto tendere la mano e toccarle, quelle ciocche lucide incendiate dal sole così leggere e vaporose; indugiare con le dita nel loro tepore e carezzarle lentamente, dalla radice alle punte.
Incapace di osare tanto per il timore di non riuscire a fermarsi, il giovane medimago si limitava invece a dare lente boccate di sigaretta e a soffiare fuori il fumo in nuvolette anelliformi; nel frattempo, la ragazza si scaldava le mani stringendole intorno ad una tazza fumante di caffè lungo con su scritto "Oxford UniMagic".
Una brezza pungente fischiava intorno a loro quel mattino e i due, appollaiati su quel terrazzino troppo stretto, se ne stavano in silenzio, ciascuno intento a ricordare - a modo suo -le tante albe che li avevano sorpresi ad alta quota.
Gli sguardi persi sui tetti di Londra, con le loro guglie, comignoli, antenne e parafulmini, Carbry e Morag ricordavano l'orizzonte infinito, sempre aperto davanti ai loro occhi. Talvolta sereno, talvolta nuvoloro, talvolta blu, arancione, bianco (o nero, minaccioso e gravido di pioggia); sempre aperto davanti a loro, però. La sensazione opprimente della Guerra restava ancorata al suolo mentre loro si spostavano volando, e quell'orizzonte sterminato era come una metafora della speranza che animava i loro cuori nonostante il clima di galoppante oppressione che li attendeva una volta atterrati. Ogni tanto, mentre si trovavano lassù, la bellezza del cielo consentiva loro di godersi la reciproca compagnia e di dimenticare, almeno per un po', gli orrori che erano costretti a vedere ogni giorno e ai quali tentavano disperatamente di porre rimedio come meglio potevano.
E proprio in cielo si trovavano, impegnati nell'ennesimo spostamento quando, un giorno di primavera, la voce di Lee Jordan ("River" si faceva chiamare) era improvvisamente fuoriuscita da Miles, la milza-radiolina costantemente sintonizzata su Radio Potter.
- Attenzione, attenzione! A tutti i maghi e streghe all'ascolto, ibridi, creature fatate e simpatizzanti della Causa. Convocazione immediata ad Hogwarts! La battaglia si prepara! Ripeto: convocazione immediata ad Hogsmeade! Accorrete tutti, aiutate la Resistenza a difendere ciò che resta della nostra beneamanta scuola!...
Carbry e Morag si erano scambiati un'occhiata.
- È giunto il momento, Mog - aveva affermato lui, in tono risoluto.
Morag aveva annuito, senza dire nulla.
- Ci devi condurre fin là, Mog - aveva aggiunto Carbry che, ad Hogwarts, non c'era mai stato. Aveva paura di quello che avrebbero dovuto affrontare, ma il Giuramento di Circe, medimaga dell'antichità, glielo imponeva: - Ci sarà bisogno di qualcuno che si occupi dei feriti.
La ragazza aveva sgasato e fatto descrivere un'ampia curva alla motocicletta volante, puntando dritta verso nordest. Per la prima volta in tutti quei mesi, aveva teso il dito affusolato per premere un bottone misterioso contrassegnato dalla sigla S.M.
- A cosa serve quel bottone?
- È la Smaterializzazione di Emergenza. L'ho messa a punto il mese scorso, spero che funzioni.
Tre secondi dopo, con uno scoppio degno della più rumorosa marmitta d'auto portoricana truccata, la moto volante era sparita dai radar.
Erano arrivati ad Hogwarts in men che non si dica, proprio mentre i professori cominciavano a montare la cupola difensiva intorno al Castello.
Evitando abilmente i vari segmenti di incantesimo che, man mano, si solidificavano nell'aria (un Protego Maxima si richiuse proprio alle loro spalle mentre loro passavano), Morag aveva condotto la moto sull'estremità della Torre di Corvonero; lei e Carbry erano saltati giù con un balzo e avevano cominciato a riempire borse e scatoloni con bende, flaconi, cerotti e quant'altro. Dopodiché erano scesi a perdifiato lungo le scale ("Ti mostrerò la Sala Comune in un altro momento, se resterà qualcosa!"), diretti in infermeria.
Madama Chips li aveva accolti con immenso sollievo e gratitudine; non le sembrava vero di poter disporre di personale competente (aveva già cominciato a dare istruzioni ad un manipoli di alunni volontari, ma erano pochi e poco preparati), e aveva subito preso a rivolgersi a Carbry chiamandolo "dottore".
Mentre sistemavano letti, brande e materiale medico, rinforzando le pareti dell'infermeria per evitare che cadessero addosso ai feriti, Morag si era avvicinata a Carbry e così, senza preamboli, lo aveva abbracciato forte. E lui l'aveva abbracciata a sua volta, la sua piccola-grande compagna di tutta una vita; l'aveva abbracciata e non aveva risposto nulla alla sua muta domanda; l'aveva stretta con tutta la forza di cui era capace, la forza dettata dal timore di chi non sa se, l'indomani, possiederà ancora braccia per abbracciare o se avrà ancora qualcuno da stringere a sé.
- Hai paura?
- Sì. E tu?
- Anch'io, Mog. Ma... non si spara sui medimaghi.
- Da quelli mi aspetto di tutto...
Poi, inevitabilmente, una detonazione fortissima li aveva fatti saltare in piedi.
- Tutti ai propri posti! - aveva urlato Carbry all'indirizzo della sparuta squadra di maginfermieri volontari.
E aveva fatto per allontararsi da Mog ma lei, prima di permetterglielo, gli aveva afferrato le guance e lo aveva tirato giù, stampandogli un bacio sulle labbra, che erano andate avanti a pizzicargli per un bel po'.
- In bocca al Gramo, Carbry. Stay alive.
- Anche tu - aveva mormorato lui, guardandola correre via.

Difficilmente avrebbero dimenticato ciò che li aspettava quella notte.
Scoppi, urla, detonazioni. Violenza. Brutalità irrazionale. Determinazione disperata. E sangue. Molto, molto sangue.
Anche per persone piuttosto scafate come Carbry e Mog, la carneficina che, in quelle ore, aveva imperversato su Hogwarts fu motivo di incubi e deliri negli anni a seguire.
Instancabili, affiancati da Madama Chips e dai ragazzi vestiti di bianco, si erano occupati dei feriti che arrivavano a ondate mentre la battaglia infuriava intorno a loro; tutti ragazzi giovanissimi, chi con una bruciatura (nei casi meno gravi) chi con qualche pezzo in meno (nei casi più disperati). Al centesimo Incantesimo Epistassi, Morag aveva pensato che in breve sarebbe crollata; uno sguardo tutt'intorno, tuttavia, glielo aveva impedito. Carbry, sigaretta in bocca, sembrava un automa: scagliava una Fattura Cauterizzante dietro l'altra, e tutt'intorno a lui volavano rotoli di garza, forbicine, pinzette e lunghi fili di sutura già innescati nei relativi aghi.
Quando il Signore Oscuro aveva decretato la prima pausa dei combattimenti, i giovani medimaghi avrebbero voluto tirare un po'il fiato. Ma non era il momento: proprio allora, infatti, il maggior numero di feriti era affluito in infermeria. Molti di essi, non trovando posto nello stanzone gremito, furono portati nella Sala Grande, dove già alcuni volontari avevano cominciato a comporre i corpi dei caduti. Carbry si era imbattuto in suo cognato Oliver Baston che, con estrema commozione, stava trasportando il corpo di un ragazzo giovanissimo.
- Si chiamava Colin - aveva sussurrato il Portiere del Puddlemere United, la voce rotta dal pianto. - Credo sia... sia...
- Purtroppo sì, Ol - aveva confermato Carbry. Gli era bastata un'occhiata alle ferite da magia oscura che squarciavano il petto del ragazzino per capire che ormai, per lui, non c'era più nulla da fare.
- Hai mica visto Katie? - aveva domandato poi, piuttosto preoccupato per le sorti della sorella, che aveva visto saettare poco prima sulla sua scopa, in formazione compatta, in compagnia di altri tre componenti della migliore squadra del Grifondoro di tutti i tempi: Alicia Spinnet, Angelina Johnson e, per l'appunto, Oliver.
- Sì, è stata con me per quasi tutto il tempo. - Oliver tirava su col naso e si asciugava le lacrime e il sudore col dorso della mano. - È là in fondo, insieme a Leanne ed Eloise - aveva detto, additando le tre ragazze che si stringevano le une alle altre in una stretta accorata. Carbry le aveva raggiunte e abbracciate tutte e tre; non solo sua sorella, ma anche le altre due streghe, che ormai conosceva bene e alle quali era molto affezionato.
L'ora di tregua era passata in un lampo; Carbry, Morag, Madama Chips e i loro aiutanti non si erano concessi un minuto di pausa. Poi, inaspettatamente, Harry Potter si era rivelato e la battaglia era ricominciata, più cruenta di prima.
Quando tutto era finito, i feriti si contavano a centinaia.
Morag aveva raggiunto Lavanda Brown e alcune altre vittime da morso di mannaro e, prontamente trasformata la punta della bacchetta in un lungo ago, aveva iniettato loro, direttamente nel cuore (perché è lì che il siero agisce per primo, trasformando per sempre il versante emotivo del paziente) una buona dose di Antidoto Diana a base di polvere lunare, un preparato di nuovissima sperimentazione negli Stati Uniti che Carbry si era fatto provvidenzialmente inviare qualche settimana prima da verti suoi amici ammanicati con gli Astromagici infiltrati nella NASA.
Carbry, nel frattempo, passava in rassegna i feriti, che aveva fatto disporre per ordine di gravità.
I Mangiamorte agonizzanti non li guardava neanche: prima i ragazzi, poi gli abitanti di Hogsmeade e i maghi e le streghe adulti, aveva decretato Madama Chips, e così era stato.
L'apprendista medimago aveva dovuto raddrizzare un numero imprecisato di nasi e di articolazioni slogate; aveva somministrato una quantità tale di Ossofast da fare ricrescere chilometri di ossa; aveva ripulito, disinfettato, ricucito e cauterizzato.
Dopodiché, aveva cominciato ad applicare i punti di sutura su Alicia Spinnet, che sanguinava abbondantemente dall'avambraccio. Mentre Sebastian si trovava impegnato in un duello all'ultimo sangue con Aidan Avery (Carbry non riusciva a seguirli, da tanto erano veloci i colpi che si scambiavano e si vedeva, dalle loro facce, che i due avevano intenzione di ammazzarsi a vicenda), Walden Macnair l'aveva aggredita dandole della sgualdrina oceanica rubanipoti e scagliandole contro una mannaia affilatissima, che le aveva arrecato una ferita profonda all'avambraccio destro. E la cosa sarebbe potuta finire in tragedia, se non fosse stato per il provvidenziale intervento di Hagrid che, avventandoglisi addosso all'urlo di "Fierobecco Vive", aveva letteralmente schiantato il malvagio boia con una ginocchiata storica e precludendogli per sempre la già piuttosto remota possibilità di diventare padre.

- Il Dottor Bell è desiderato in sala suture! L'apprendista McDougall, invece, è richiesta con urgenza nel reparto parapsichiatrico!
La voce squillante dell'instancabile infermiere Gleidison richiamò l'attenzione di Carbry e Morag, entrambi assorti nei loro rispettivi pensieri e ricordi.
- Oh, accipicchia - borbottò lei, con l'aria di chi viene svegliato di soprassalto da un lungo sogno.
- Stasera c'è la cena da Katie e Oliver - le ricordò Carbry, facendo evanescere la cicca della sigaretta. - Tu ci vai?
- Ma certo - gli rispose lei con un sorriso. - Ci vediamo là.

Il sole stava tramontando quando Carbry, dopo essersi fatto un lungo e salutare pomeriggio di sonno, si materializzò davanti alla porta del cottage in cui sua sorella Katie abitava con Oliver. Da dietro le steli mastodontiche dell'attiguo circolo megalitico di Stonehenge, gli ultimi raggi di sole gli accarezzarono la pelle del viso, in una sorta di morbido saluto dalle tinte di fuoco.
All'interno del cottage, gli invitati si accingevano a prendere posto attorno al tavolo ovale, teatro di infinite cospirazioni ai tempi della guerra, quando casa Baston era conosciuta come "Il Covo" ed ospitava il segretissimo studio di registrazione di Radio Potter.
Mog era già arrivata, constatò Carbry rivolgendole un sorriso dalla porta.
Gli altri invitati erano tutti accoppiati. Oltre a Katie e Oliver erano presenti Cormac e Eloise, Leanne e Graham Montague con la sorella Greta accompagnata dal marito Eean e dalla figlioletta Plin (la bambina era cresciuta tantissimo; accolse Carbry con un grido di gioia, quando lo vide), Lavanda col fidanzato e gli esuberanti Heidi e Ross. Qualcuno disse a Carbry che George Weasley era atteso a momenti, e che si sarebbe presentato in compagnia di una misteriosa ragazza che quella sera, a detta di Katie, avrebbe fatto molto parlare di sé.
Una volta a tavola, com'era prevedibile, tutti i discorsi parvero convergere sull'inesauribile tema delle gioie donate dalla vita coniugale.
- È davvero fantastico - commentava in continuazione Katie, occhieggiando in modo eloquente all'indirizzo del fratello maggiore e di Morag, che nel frattempo si scambiavano sorrisetti di circostanza.
Carbry sopportò stoicamente finché non ne ebbe abbastanza; quando ritenne che il vaso della sua pazienza era ormai ricolmo di frasi e consigli indelicati ed inopportuni, decise di adottare la Scusa Universale e di sgattaiolare lontano.
- Scusate, io esco un momento a fumare - disse quindi, alzandosi in piedi di scatto e smaterializzandosi in un battito di ciglia.
Morag rimase in silenzio, facendo vagare timidamente lo sguardo fra i presenti.
- Io... io credo che andrò a fargli compagnia - disse infine, spostando indietro la sedia con molto garbo. E così detto, si smaterializzò a sua volta.
Sapeva dove l'avrebbe trovato.
Quando erano piccoli, Carbry adorava camminare fra le steli dei circoli magici neolitici disseminati per le campagne di Stenness. In quel momento, senz'ombra di dubbio, il medimago si trovava al centro dei maestosi triliti di Stonehenge.

Carbry camminava facendo a zig-zag fra le pietre millennarie, fumando in silenzio.
Sapeva che, nel giro di qualche secondo, lei lo avrebbe raggiunto; non era certo un esperto in Divinazione ma, per tutti i bisturi, certi segnali li captava anche lui.
Non lo stupì affatto, quindi, vederla spuntare da dietro una stele, i capelli chiari illuminati dalla luna, diretta verso di lui.
- Ti sei stufata delle coppiette, piccola Mog? - le chiese tendendole la sigaretta, che lei afferrò e dalla quale trasse un lungo tiro, la schiena accostata alla pietra macchiata di licheni.
- Delle coppiette di cui non sono membro integrante, sì - rispose la ragazza dopo un minuto di silenzio.
- E il tizio vestito di turchese? - buttò lì Carbry, ostentando una scherzosa indifferenza.
- E tu cosa ne sai?!
- Voci di corsia...
- È solo un amico.
- Ah, beh. Cool.
Carbry non riuscì ad impedirsi di tossicchiare, piuttosto soddisfatto. Morag, allora, si voltò verso di lui, avvicinandoglisi pericolosamente ed infilando le braccia sotto alle sue per abbracciarlo. La luce della luna illuminava il suo viso e le faceva brillare gli occhi chiari; il suo capo sembrava avvolto in un'aureola dorata.
Il ragazzo rimase immobile per qualche attimo, combattuto, affondando il mento in quella nuvoletta morbida ed evanescente, profumata di erica e di cardo.
- Dovresti trovarti un fidanzato, signorina Mog. Non sto scherzando - mormorò infine, godendosi il tepore del suo abbraccio.
- Ma che cosa ci posso fare, io, se la mamma del tizio che mi piace ha avuto una tresca col mio papà? - gli chiese allora lei, scandendo le parole con una trasparenza disarmante.
Lì per lì, poco ci mancò che Carbry si strozzasse con il fumo.
- Tu... tu... coff! coff!... Tu lo sapevi?! - le domandò, strabuzzando gli occhi istantaneamento acquosi e arrossati. Non riusciva proprio a credere a quanto aveva appena udito.
- Sì, lo sapevo - confermò lei, con la voce che le tremava appena, ma fissandolo in modo spavaldo. - Una sera di qualche mese fa ho messo alle strette papà e lui ha confessato. Ma ti giuro su quanto ho di più caro, Carbry - aggiunse, tirando fuori uno sgualcito Mr.Lamby dalla tasca del soprabito - che sono fermamente intenzionata ad andare fino in fondo.
Lui fece una smorfia e le tirò indietro i capelli con una carezza un po' malinconica.
- Ma non c'è modo di andare fino in fondo. Se hai letto qualcosa di magigenetica, lo saprai anche tu che non c'è modo di sapere la verità - osservò, con un tono disilluso.
- Ti sbagli - lo corresse lei; gli occhi le brillavano, mentre parlava, e Carbry pensò che Mog era più bella di qualsiasi sogno e di qualsiasi ricordo. - Mi sono permessa di parlare con un amico.
- Che amico?
- Il tizio vestito di turchese.
- Ma mi era parso di capire che...
- Infatti. È solo un amico. Ma proviene da una famiglia la cui storia è intimamente legata alla scuola nella quale hai studiato tu da ragazzo.
- Ilvermorny?! - esclamò Carbry, sbalordito.
- Esatto - rispose lei, posando delicatamente la guancia sul suo petto. - Se anche per te va bene, settimana prossima mi porti a vedere i grattacieli di vetro di cui tanto mi hai parlato.
- Vorresti dire che...
- Che si va in America, dottor Bell - rispose lei, alzando il mento per guardarlo negli occhi.

Note:
1) Oggi mi sento ispirata, ragion per cui ho una voglia folle di romanticheggiare. Il titolo allude al fatto che i nostri due protagonisti si volevano già bene ancor prima di rendersene conto.
2) La Pollosi Terminale è una malattia magica citata da deine all'interno della sua storia "You rock my world". Forse questa storia non è più on-line, ma raccomando vivamente la lettura delle altre storie della stessa autrice, tutte molto belle.
3) Heidi e Ross presenti alla cena sono Heidi Macavoy e Ross Cadwallader, due ex-studenti del Tassorosso citati nella saga di HP e comparsi ne L'Assistente di Pozioni. Tutti gli altri invitati sono personaggi originali e/o OC presenti ne Le prodigiose sorprese di un Armadio Svanitore A chi invece fosse curioso di sapere chi è il fidanzato di Lavanda, suggerisco di leggere 50 First Davies.
4) Scommetto che Ems ha capito chi è il tizio vestito di turchese visto che, grazie a lei, ho scoperto una corrispondenza fra un poco conosciuto studente di Corvonero e la magiscuola nordamericana. Nel prossimo capitolo, che è l'ultimo, scopriremo di chi si tratta e ci faremo un bel viaggetto negli U.S.A.

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Capitolo 4
*** La cura universale. ***


4. La cura universale.
 
Nei giorni precedenti la partenza Morag sparì dalla circolazione, tutta presa com'era dai preparativi.
Fu quindi così che Carbry ebbe modo di chiarire con lei alcuni dubbi che gli ronzavano per la testa solo quando già si trovavano in fila al Terminal Passaporte Intercontinentali, in attesa di decollare alla volta degli States.
- Ma tu, come hai fatto ad intuirlo?
- Per dire il vero non lo immaginavo proprio - rispose lei, tormentandosi una ciocca di capelli dorati. - Sono stati i miei a farmi sorgere il sospetto.
E gli raccontò che una sera di qualche mese prima, poco dopo che loro due si erano riincontrati al San Mungo, si era recata alle Shetland in visita ai genitori e quelli l'avevano trovata molto abbattuta. Gliene avevano chiesto il motivo e lei aveva ribattuto tristemente che il giovane di cui era innamorata non la voleva.
- E chi è questo giovane? - le aveva domandato sua madre.
- Carbry Bell, come sempre - aveva risposto lei, mesta.
Al che Kendra Buchanan aveva rivolto al marito un'occhiata molto seria e gli aveva detto:
- Credo sia giunto il momento di fare due chiacchere con tua figlia, caro.
Lì per lì, Ambros McDougall si era rifiutato di proferire parola; poi però, a forza di insistere, Morag era riuscita a strappargli la verità.
- Non ti dico lo shock, Carbry.
- A chi lo dici.
- In un certo senso, però, ho provato anche sollievo. Perché finalmente ho capito come mai ti comportavi così.
- Fatto sta, però, che l'inghippo rimane.
- Già - convenne lei, prendendolo a braccetto mentre la fila avanzava pian piano. - Proprio per questo, ho deciso di parlare con il mio amico ed ex compagno di Casa, Terence Boot.
- Il tizio vestito di turchese.
- Proprio lui. Il suo cognome non ti dice niente?
- Ma certo - Carbry le rivolse un'occhiata intrigata. - È lo stesso dei figli adottivi della fondatrice di Ilvermorny. L'ho studiato in Storia della Magia.
Morag annuì.
- Bravo. E lui mi ha procurato un colloquio con l'attuale Direttore della Scuola il quale, guarda caso, è amico intimo di suo padre. Ho alcune domande da rivolgergli.
- Che tipo di domande?
- Preferirei non anticiparti nulla. Ma, se le teorie mie e di Terry sono giuste (e che Priscilla voglia che sia così!), credo proprio che arriveremo al nocciolo della questione - rispose lei, con aria di mistero.


Ad attenderli al Terminal di Chicago c'era Austin Bell con la moglie Millie. 
Era sempre stato così, fin dal primo viaggio di Carbry in America: suo padre insisteva per andarlo a prendere e non voleva sentire ragioni. Lo riteneva un doveroso gesto d'affetto nei confronti del figlio, cui era molto legato.
Quando Carbry fece la sua comparsa in compagnia di Morag, babbo Bell li squadrò sospettoso.
Daad. Questa è...
- La signorina McDougall, lo so chi è - disse il signor Bell, stringendo appena gli occhi. Evidentemente, qualcosa sapeva. 
Poi, però, parve ricordare che la ragazza non aveva alcuna colpa e l'accolse con tutto l'affetto che fu in grado di tirare fuori.
L'appuntamento col Direttore di Ilvermorny era stato fissato da Terence per il giorno successivo.
Carbry approfittò del pomeriggio libero per fare da cicerone a Mog e la trascinò in giro per Chicago, ridendo piano alla vista dei suoi occhi sgranati. Morag conosceva Londra e aveva già visto palazzi di grandi dimensioni; non era preparata, però, agli imponenti grattacieli di acciaio e di vetro che modellavano lo skyline della città, irti e luccicanti come una foresta di specchi.
Vagarono in lungo e in largo sulle linee ferroviarie elevate, andarono a sbirciare il quartiere dei gangsters e, sul far della sera, andarono a mangiare un hot-dog da Gramo's ("il migliore di tutti gli States, Mog"). Mentre passeggiavano sul lungolago, ammirando i riflessi dei grattacieli che si specchiavano nelle placide acque del lago Michigan, Carbry tirò fuori due biglietti biancorossi dalla tasca del kilt.
- Domani sera, succeda ciò che deve succedere, ti porto a vedere i Bells.
Morag inghiottì il culetto del suo hot-dog e strinse affettuosamente il braccio del ragazzo.
- Domani sera - gli disse, guardandolo seria - accada ciò che accada, io e te saremo insieme. 
- Come sempre.
- Sì.
 
Il signor Fawcett, Direttore di Ilvermorny, era un mago alto dall'aria austera.
Li ricevette nel suo studio, un locale sobrio interamente rivestito di legno scuro dal gusto vittoriano. Dalle pareti, ritratti di maghi e streghe con parrucche incipriate e cuffie inamidate allo stile puritano li guardavano accigliati.
- Signor Bell, signorina McDougall. Accomodatevi, prego.
Su un tavolino coperto da una lunga tovaglia che ne celava le zampe, un set da té d'argento massiccio si era già messo all'opera autonomamente, pronto a servirli. Appesa al soffitto c'era una bellissima collezione di variopinti Acchiappasogni, i cui pezzi erano stati donati nel corso dei secoli dagli sciamani delle tribù indiane ai Direttori della Scuola. Su un robusto trespolo posizionato accanto alla finestra, una superba aquila con la testa bianca sonnecchiava tranquilla.
- Ho letto nel suo fascicolo che lei ha studiato qui.
- Sì. Nel Wampus. Ai miei tempi la direttrice era Madama Chumani.
- E mi è stato anche riferito che lei è laureato in Magimedicina, disciplina grazie alla quale ha avuto modo di distinguersi durante la Seconda Guerra Magica inglese.
Carbry tossicchiò, imbarazzato.
- Sono un medimago, sì.
- Mi stupisce che lei non sia appartenuto alla Casa del Magicospino che è, per eccellenza, la Casa dei guaritori - osservò il signor Fawcett.
- Mia madre, in Inghilterra, apparteneva alla casa del Grifondoro. Anche mia sorella è stata smistata là - spiegò Carbry, che aveva pensato tante volte a quella strana circostanza. - Grifondoro e Wampus hanno caratteristiche simili, quindi credo di essere finito nel Wampus per influenza materna.
- Ottima osservazione - commentò il signor Fawcett. - Ma tornando a noi: in cosa posso esservi utile?
Morag prese la palla al balzo.
- Avremmo bisogno di sapere, signor Preside - incominciò, in un sussurro - secondo quali criteri uno studente è ammesso ad Ilvermorny.
- Perché questa domanda?
- La sorella di Carbry è stata convocata ad Hogwarts. Lui no. Eppure, teoricamente, dovrebbero essere entrambi figli delle stesse persone.
Il signor Fawcett congiunse le punte delle lunghe dita, mentre un delizioso aroma di tè nero cominciava a spandersi per la stanza.
- Non sappiamo in base a quali criteri una magiscuola convoca a sé un determinato studente. I casi di fratelli separati sono più numerosi di quanto non sembri. A volte, gemelli omozigoti vengono smistati in Case diverse e questo, credo, dipende da questioni caratteriali.
- È vero: la gemella di una delle mie più care amiche apparteneva ad un'altra Casa - disse Morag, alludendo al caso di Padma Patil.
- Quello che però sappiamo per certo - continuò il signor Fawcett, rimestando nella sua tazza di tè - è che gli studenti di una scuola di magia devono avere con essa un qualche tipo di legame per entrare a farne parte; sia esso un legame territoriale, o di sangue.
- Potrebbe... potrebbe essere più chiaro, per favore? - lo incalzò Carbry, che cominciava a capire dove Mog volesse andare a parare.
- Ma certo. Statistiche recenti realizzate dai magiricercatori dell'Ipswich College lo dimostrano ampiamente: ad Ilvermorny, così come in qualsiasi altra scuola di magia, ci si studia se e solo se si dispone di un legame con gli Stati Uniti, o sulla base dello ius soli (e cioè, se si è nati sul territorio), o su quella dello ius sanguinis, ossia per via ereditaria. Lei dove è nato, signor Bell?
Morag dovette rispondere per lui, perché Carbry non riusciva a parlare.
- Ad Edimburgo.
- Qualche parente americano?
- Mio... mio padre.
Il signor Fawcett gli rivolse un sorriso severo.
- Quindi, nel suo caso, il suo soggiorno qui è stato propiziato dal diritto di sangue.
Il ragazzo chiuse gli occhi. Aveva un disperato bisogno di fumare per metabolizzare la cosa.
- Quindi - disse infine, a voce bassissima - questo significa che...
- Che sei un Bell al cento per cento, Carbry! - urlò Morag scoppiando in un pianto dirotto, che svegliò di soprassalto l'aquila testabianca e le procurò un'occhiata di riprovazione da parte del compìto signor Direttore.
Carbry non sapeva cosa dire.
La soluzione del problema era così maledettamente banale da lasciarlo basito; lui, con tutta la sua scienza, non ci sarebbe mai arrivato. Ci voleva la sottile e sensibile intelligenza di una Corvonero per sciogliere il nodo.
 
Quella sera i Bells stravinsero, rivoltando come dei calzini vecchi e puzzolenti gli odiati Washington Wizards.
Ad ogni esplosione della Quod, Morag faceva tanto d'occhi e chiedeva a Carbry:
- Ma non si ustionano, quei pazzi?
E lui, ridendo e agitando a dovere il suo bel campanaccio da mucca, rispondeva:
- È per questo che non ci ho mai giocato.
Era strano, molto strano, trovarsi lì insieme e, finalmente, sapere che un abbraccio, una carezza, un bacio sarebbero stati tutt'altro che fuori luogo. Per anni, avevano desiderato poterlo fare; ora che avrebbero potuto, però, questa possibilità pareva loro quasi irreale.
Fu Carbry ad abbracciarla per primo, con la scusa dell'euforia data dalla schiacciante vittoria dei Bells, la cui tifoseria esultava sulle gradinate della tribuna dipinta di bianco e di rosso.
E Morag si godette il contatto, un po'commossa, facendosi piccina fra le braccia di Carbry; poi, dopo qualche minuto, gli chiese:
- Lo senti, il mio cuore?
- Eccome. Anche senza stetoscopio.
Mog rise di gusto e sollevò il mento per guardarlo negli occhi.
- Posso azzardare una diagnosi?
- Mi dica, signorina.
- Tachicardia da contatto. Credo di avere bisogno di una visita approfondita, dottore.
- Un bel check-up completo, dice? 
- Eh sì.
Carbry non disse niente. 
Con uno schiocco di dita fece sparire la sigaretta; dopodiché, accostatosi a Mog, le tirò indietro i capelli con una carezza affettuosa e, con una risata sonora (non ce la faceva proprio a rimanere serio, da tanto il suo cuore traboccava di allegria) la baciò, rompendo lo stallo.
Molti degli spettatori che si trovavano allo stadio quella sera batterono le mani quando la kiss-cam proiettò sul telone l'immagine dei due ragazzi che si baciavano sugli spalti, e attribuirono cotanto entusiasmo alla sfolgorante vittoria dei Bells.
E in un certo senso era anche vero, se non che - e questa cosa la sapevano solo Carbry e Mog - la loro felicità era dettata anche da un'altra vittoria: quella dei geni dei Bell che scorrevano, ormai senza ombra di dubbio, nelle vene del giovane medimago scarmigliato.
 
Al San Mungo e al suo caos non ci tornarono mai più.
Non erano fatti per le grandi istituzioni, quei due.
Durente i primi due mesi, Carbry e Morag percorsero gli Stati Uniti in lungo e in largo, spostandosi dalle sequoie giganti dei parchi orientali ai canyons rossastri delle montagne rocciose, dai ponti di legno dell'Iowa alle case coloniali di New Orleans, dalle praterie del Midwest (Morag, abituata all'orizzonte ristretto delle Islands scozzesi, non si capacitava di cotanto spazio sterminato) alle foreste del Nord. A Las Vegas si giocarono Miles la Milza, la persero e la rivinsero; rastrellarono il tavolo di black jack grazie ad un trucchetto di Mog che Carbry evitò sempre di approfondire; poi giocarono di nuovo e persero tutto. In California trascorsero pomeriggi indimenticabili in attesa che il sole si tuffasse nel Pacifico, seduti uno accanto all'altra, drink alla mano. Nel Tennessee si unirono per qualche giorno agli sciamani locali e fumarono il calumet della pace, che li fece tossire come dei matti e provocò loro visioni oniriche di Serpecorni Danzanti. In Arizona si appostarono per giorni fra le rocce magiche per sorprendere qualche solitario Wampus di passaggio.
Ovunque andarono, raccolsero informazioni preziose sulla medicina locale e ne fecero tesoro per gli anni a venire.
Prima di tutto, però, fecero un salto a Baltimora, all'Ufficio Sposalizi Magici, per farsi sostituire il falso certificato di matrimonio, che ancora risiedeva tutto logoro e spiegazzato nelle tasche di Carbry, con un attestato vero, autentico e incontestabile, che finalmente sanciva a tutti gli effetti il legame antico e mai sopito fra Carbry Bell e Morag McDougall.
Quando fossero venuti a conoscenza di quel matrimonio segreto, amici e parenti avrebbero sicuramente protestato; i due ragazzi, però, decisero di comune accordo che, per una volta, meritavano di pensare solo ed unicamente a se stessi.
 
*
 
Il Terminal Passaporte Intercontinentali era, come sempre, gremito di gente diretta verso le destinazioni più svariate.
Bandiere e striscioni e squadre al gran completo ricordarono loro che, l'indomani, sarebbe cominciato il Torneo di Quidditch del Commonwealth; le delegazioni avevano appena cominciato ad arrivare.
L'attenzione di Carbry e Morag venne richiamata dal passaggio di un gruppo particolarmente rumoroso e giallovestito, con le divise contrassegnate dagli inconfondibili canguri saltellanti della Nazionale Australiana.
Mentre guardavano incuriositi la piccola folla vociante, una voce bassa e graffiante risuonò alle loro spalle.
- Che Salazar mi fulmini se questi non sono i coniugi Knightley.
Carbry ridacchiò ancor prima di girarsi.
- Come butta, MacCool?
Un mago elegantissimo, in piedi dietro di loro, li osservava con una smorfia divertita. Attaccato ad una gamba dei suoi pantaloni neri perfettamente stirati c'era un bimbetto biondissimo di circa due anni, con gli occhi molto chiari, anch'esso vestito come un principino. Appuntato al cardigan del piccolo c'era una spilla gialla con letterine colorate che ruotavano componendo la scritta "5! Spinnet Furry-Cane!".
Nonostante l'espressione serissima, quando vide Morag, il bambino tese le manine verso di lei.
- Oh, per il Diadema di Priscilla! - cinguettò la ragazza, deliziata. - Ma tu guarda quanto sei cresciuto, Lenny!... - e lo prese in braccio, stringendolo con affetto.
- Ritorno in Nazionale? - volle sapere Carbry, interessatissimo.
- Ebbene sì - Bastian Macnair annuì con un cenno del capo. - La partita contro Malta segnerà il Grande Ritorno dell'Uragano-Spinnet sui campi da gioco...
- E Alicia, è in forma?
- Ah, come sempre. Non la ferma nessuno, quella; si salvi chi può.
Carbry annuì e diede una rassettata alle pieghe del kilt. Erano anni che non fumava più, eppure gli capitava ancora di cercare il materiale fumogeno in tutte le tasche che aveva a tiro.
- E Maya dov'è?
- L'abbiamo lasciata coi nonni; troppo piccola per tutta questa baraonda - rispose Bastian, vagamente schifato. Carbry rise di gusto; per un tipo puntiglioso e antisociale come lui, frequentare gli stadi doveva essere una vera e propria tortura. - Così, fra un'intervista e l'altra, io e Leonard possiamo fare un po'di acquisti in posti decenti. Vero Lenny? Le sartorie d'Oceania, mi duole dirlo, sono terribilmente rozze - chiosò, alzando al cielo le iridi chiare.
Rimasero a chiaccherare per una decina di minuti; poi, l'altoparlante annunciò l'apertura degli imbarchi per l'Africa.
- Noi andiamo, Mac - disse allora Carbry, appellando prontamente armi e bagagli.
- Viene anche Frida?
- E come no. È nella piscina delle palline.
- E dove andate, di bello?
- In Uganda - rispose Morag con l'aria più naturale del mondo, posando delicatamente a terra il piccolo Lenny. 
- Uganda?! Ma non siete appena tornati dalla Bolivia?
- Sì, - disse lei con un sorriso - ma Medimaghi Senza Frontiere ci ha proposto di trasferirci alla clinica-modello appena allestita dal dottor Garrigan.
Bastian li guardò con fare serio; sembrò lì lì per dire qualcosa sui pericoli costituiti da polvere, fango e germi, ma poi si limitò a salutarli con un invito.
- Capodanno in Australia, non dimenticatelo. Viene giù tutta la cricca.
- Ma certo - lo tranquillizzò Carbry. - Ci vediamo là. Tu prepara una fornitura speciale di Ausscottie, capo.
- Sarà fatto.
Morag, nel frattempo, si era allontanata fra la folla; mentre sistemava gli ultimi bagagli sul rullo del drop-off, Carbry la vide tornare reggendo fra le braccia una bambina dall'aria assonnata.
Incarnato chiaro come quello di Inness Comgaill, capelli paglierini ereditati da Ambros McDougall, l’espressione quieta e intelligente di Mog.
E occhi castani; profondi, liquidi e affettuosi... tali e quali a quelli di Austin Bell.
Da quel giorno ormai lontano in cui si erano recati insieme ad Ilvermorny, Carbry avvertiva un benessere che difficilmente avrebbe potuto spiegare a parole. E mentre in compagnia di Mog e di Frida si apprestava ad afferrare la Passaporta che li avrebbe catapultati in una nuova avventura, si sorprese a pensare che, nonostante gli enormi passi avanti dati dalla Comunità Magica nel campo della Magimedicina, si direbbe che ancor oggi, per i malanni del cuore, l'unica cura efficace sia una e una sola. 
Quella di sempre - e se, in vita sua, avesse avuto la fortuna di conoscere il professor Silente, questi avrebbe saputo rivelarglielo ad occhi chiusi: l'amore.
 
Note:
1) Leggendo Angus, Thongs e Perfect Snogging di Ems (blackwhite_swan) ho appreso che il cognome originale di Terry Steeval è Boot; il medesimo, per l'appunto, dei figli adottivi della fondatrice di Ilvermorny.
2) Chumani è un nome femminile Siuox che significa "goccia di rugiada".
3) Come tutti sapranno, ma non mi costa nulla dirlo, il Quodpot è la variante nordamericana del Quidditch. Ci si gioca in undici per squadra, lanciandosi una Pluffa esplosiva chiamata Quod, la cui deflagrazione comporta l'eliminazione (fisica, mi vien da dire?!) del giocatore che ne era in possesso. I Washington Wizards sono una squadra dell'NBA.
 4) Ok; mi rendo conto di essere molto Bastiandipendente. Ma avevo deciso di inserire in questa storia alcune informazioni sparse su di lui, e così è stato. Ovviamente il riferimento ad un certo dottor Garrigan che lavora in Uganda non è per nulla casuale e forse qualcuno sarà in grado di cogliere l'allusione... (altri 100 topazi in palio, ladies and gentlemen). A tutti coloro che invece si dovessero domandare chi cavolo è 'sto (Se)Bastian Macnair e fossero interessati a saperne di più, suggerisco la lettura de L'Assistente di Pozioni.
5) E anche questa breve storia è giunta al termine. Ora che quasi tutti i tasselli sono al loro posto, posso finalmente dedicarmi ai capitoli finali dell'Armadio Svanitore, che ormai reclama (a pieno diritto) la sua degna conclusione.
Come sempre ringrazio tutti coloro che si sono presi la briga di leggere queste pagine dalle poche pretese, sperando di avervi coinvolti e divertiti o, per lo meno, di avervi fatto un po' di compagnia. A presto!
Adho(Mu).

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