666 The true

di Meiko
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


666 The true

E dopo pensamenti e ripensamenti vari (oltre ad una grave forma di accidia) sono qui a pubblicare il primo capitolo della mia prima fic originale.
Oddio…speriamo che me la cavo…^^;
Bene…buona lettura!


*


La semioscurità in quella stanza induceva al sospetto che non ci fosse nessuno in quella catapecchia, o per meglio dire a quello schifo di appartamento, come del resto tutto l’edificio era davvero qualcosa di indescrivibile, basti pensare che topi, ratti e ragni si litigavano il posto tra muri e pavimento con i gechi che passavano di li ogni tanto.
Provò una nausea che picchiò violentemente in testa così come picchiava in testa il terribile odore di fogna, non osò andare a vedere lo stato del cesso per pura pietà del suo stomaco che minacciava seriamente di auto espellersi da quel corpo.
Fuori da quella…”stanza” si poteva sentire chiaro e distinto il rumore della pioggia, quel giorno c’era un terribile temporale, che formava delle grandi macchie d’umido, ormai quello che restava della carta da parati era una zappetta grigia incolore e inodore che i topi usavano come nido.
Lentamente avanzò lungo il corridoio, tastando il muro e accorgendosi dei grossi pezzi d’intonaco che erano caduti coperti da grandi scritte a vari caratteri con vernice spray, in un angolo polveroso una lattina era la trappola preferita di un ragno, che in quel momento sembrava gustarsi la carne di una mosca.
Avanzò ancora, i suoi passi venivano ovattati dalla polvere che si sollevava, mentre un lampo seguito da un violento boato illuminò parte della stanza e la soglia di una stanza, la porta scardinata era stata violentemente buttata dalla finestra che aveva solo qualche pezzo di vetro che cadeva sul pavimento, resti di vetro brillavano alla luce del lampo.
Prese un profondo respiro, stranamente il coraggio veniva a mancare in quel genere di casi.
Strinse con forza una mano, avanzando in quella semioscurità.
Ad un tratto, un boato dopo l’ennesimo lampo non riuscì a soffocare un gemito di dolore, che tradì la presenza di qualcuno.
Era sempre più decisa, e avanzò ancora, superando la soglia della stanza, come se stesse entrando in un mondo sconosciuto.
Non vide nulla, ma avvertì l’aria gelida penetrare dalla finestra e colpire le spalle nude e velocemente entrare nei vestiti congelandola per qualche secondo.
Si strinse velocemente le mani sulle spalle, rabbrividendo, per poi trattenere ancora il respiro all’ennesimo lampo che illuminava la scena.
C’era qualcuno…
Lo aveva visto di sfuggita, non era durato tanto il lampo, ma gli aveva permesso di riconoscere la massa scura e lunga di capelli, i vestiti in parte sporchi e stracciati e anche una macchia scura sotto la figura.
Stava morendo dissanguato…
Sarebbe morto dissanguato…
Sentì un altro gemito…ma non veniva da lui…ma da lei…
Sdraiata su quello che doveva essere un divano.
Anche lei era in pericolo…
Avanzò ancora di qualche passo, prendendo un profondo respiro, ma avvertendo il tanfo di escrementi, sangue e polvere che la soffocava e la induceva a vomitare.
Si trattenne, mentre lo chiamava.
-…Lucifero?-
non sentì alcun rumore, era troppo buio, e l’unica cosa che sentiva erano i deboli lamenti della ragazza che cercava di trattenerli, forse per spavento…
Si, di sicuro era spaventata…
-Lucifero-
lo chiamò ancora, cercando di avere l’attenzione del diretto interessato, che però non parlava e non accennava a muoversi.
Si guardò intorno, cercando un’interrutore, e sperò che la luce funzionasse.
Debole…e sembrava fare uno sforzo immenso quella lampadina coperta dalle ragnatele, mentre si guardava intorno.
Piccola, sporca e spartana.
Il divano che aveva riconosciuto aveva le molle scassate che con l’imbottitura sfuggivano alle cuciture dei cuscini, solo la struttura in legno sembrava resistere, forse le tarme per il troppo sporco non si erano avvicinate.
Guardò la ragazza, e subito il suo sguardo si tramutò in pena.
Si potevano notare i segni della gravidanza, mentre il viso era arrossato e i capelli spettinati.
Non si poteva definire la bellezza in persona, aveva dei brutti tagli sulla faccia, e dalle piccole cicatrici da piccola aveva avuto un forte attacco d’acne.
Però la pelle era liscia nonostante tutto, in alcuni punti il pallore contrastava con l’arrossarsi delle guance e della fronte.
Sudava tantissimo, e gemeva di dolore, mordendosi il labbro per non fiatare.
Portava un maglione molto largo e una gonna corta.
Provava tanta pena per quella poveretta…doveva pensarci lei…
Però la sua attenzione fu subito attirata a lui…
Era davvero conciato male…eppure manteneva sempre quell’aria affascinante…
Magnetica…
I lunghi capelli neri spettinati e sparpagliati sulla schiena e le spalle.
La camicia bianca era ormai a brandelli, sulle braccia e su un fianco c’erano dei tagli profondi e delle bruciature, il sangue aveva smesso di colare, formando sotto di lui una macchia larga e sporcandogli i jeans ancora integri.
L’aveva davvero conciato male…
Lei provò ancora più pena, mentre si faceva avanti, allungando una mano.
-…Lucifero…-
lui in quel momento sembrò notarla, rivolgendole lentamente lo sguardo.
Ecco…
Ora le iridi blu erano colme di vuoto e dolore, profonde e infinite come sempre…
Era triste…disperato…
Lei si avvicinò a lui, gentilmente, sorridendo com’era solita fare…
-Lucifero, non preoccuparti, io sono qui per aiutarti…-
-…ti manda lui?-
la guardò supplichevole, anche se teneva sempre stretta la mano della ragazza, che gemette un attimo, e respirava silenziosamente e profondamente.
-Si…sono qui per lei…e per il bambino…-
a quella risposta, la ragazza si mise sull’attenti, andando in panico, e si mosse, procurandosi solo maggior dolore…
-Cosa vuoi fare alla mia bambina?-
la sua voce era strozzata, come se avesse in gola qualcosa che le impediva di parlare, mentre la donna si alzava dalla posizione inginocchiata che aveva preso, seguita da Lucifero, che però imperterrito teneva la mano alla ragazza, che stava respirando adesso in modo affannoso.
La donna la osservò, e sorrise, avvicinando la mano per accarezzarle la fronte.
-Sta tranquilla…voglio solo salvare te e la bambina…-
-NON TOCCARMI!-
il grido di terrore si tramutò in un verso soffocato, mentre lei muoveva la mano libera scacciando quella della donna, stringendo quella di Lucifero, che si voltò a guardarla.
Lei lo fissò, e scosse la testa…era andata in panico, tremava e i dolori la paralizzavano al divano.
L’uomo la guardò turbato, e s’inginocchiò di nuovo, senza guardare il volto della donna.
-Gabrielle…sei venuta a dirmi che lui è qui?-
la chiamava ancora per nome…
Lei tramutò il sorriso in una smorfia addolorata.
-Si…ma sono qui proprio per questo!-
si fece più insistente, con la voce che sembrava più supplicare che imporre.
-Sono qui per proteggere la bambina per Suo ordine…-
-NON VOGLIO!!-
ancora un lamento soffocato, la ragazza adesso cercava di mettersi seduta, il suo orgoglio e la sua paura non le facevano altro che ancora più male.
-Non voglio…che tu tocchi…la mia bambina!!-
il sussurro era paragonabile ad una minaccia di morte, mentre prendeva dei profondi e rauchi respiri, la voce se ne stava lentamente andando a quel paese.
La donna scosse la testa, e questo fece mandare ancora più in bestia l’altra ragazza, che afferrò la prima che gli capitò e la tirò contro l’estranea che la evitò per un soffio.
-Vattene!! Vattene!!-
Lucifero fermò la compagna afferrandole le spalle, quando questa urlò dal dolore, lasciandosi abbracciare dall’uomo.
Gabrielle era allarmata, presto sarebbe arrivato Michael e non aveva tanto tempo.
-Ti prego Lucifero, lasciami fare! Solo io posso salvare questa ragazza e la bambina che porta in grembo-
-…-
Lucifero guardò gli occhi della ragazza, erano di un celeste grigiastro, e in quel momento erano lucidi di lacrime, mentre questa lo guardava con il volto coperto dal sudore e dalla sofferenza.
Lei scosse il capo, afferrandogli con una mano quella che le teneva la spalla.
-Ti prego…non voglio…non permetterglielo…-
-Lucifero, se l’ascolti non farai che condannarla a morte!-
-Non voglio…che prenda…questo corpo…-
-Lucifero, se lo fai rischi anche il bene della bimba-
-Ti prego…-
-Ti prego Lucifero!-
-Non…farlo…-
-LUCIFERO!-
aveva alzato la voce, atipico di lei.
Era troppo nervosa, aveva il terrore in corpo.
Quella donna che si rifiutava…l’indecisione di Lucifero…la consapevolezza che presto sarebbe arrivato Michael.
Che cosa sarebbe accaduto a lui?
Lo avrebbe ucciso?
No…non poteva…non avrebbe potuto…lui…
Gabrielle aveva inconsciamente stretto i punti, mentre l’altra ragazza sembrava svenire, appoggiando la testa dai corti capelli rosso acceso sulla spalla del ragazzo.
La sentiva sussurrare all’orecchio “Ti…prego…” mentre respirava con affanno.
La strinse a se, per poi voltarsi verso Gabrielle, che ebbe il terrore di sapere la risposta.
Lui la guardò con quello sguardo vacuo e vuoto.
Quante volte lo aveva guardato negl’occhi?
Eppure…adesso era diverso…quello sguardo…era dentro di lei…come un marchio fato con il fuoco…
Ebbe la spiacevole sensazione…di sapere che sarebbe stato l’ultima volta che lo avrebbe guardato negl’occhi…
Le sue labbra si mossero, e il tempo sembrò fermarsi per quegl’istanti.




-…non voglio perderla…-
Gabrielle trattenne il respiro, mentre Lucifero prendeva la compagna tra le braccia, la ragazza si aggrappava al suo collo, anche se ormai le forze la stavano abbandonato nel dolore di quelle doglie.
Lucifero accarezzò la fronte sudata con la guancia, e Gabrielle giurò di non aver mai visto tanto calore e umanità in quel semplice gesto.
Lui era stata la causa di tutto…solo lui doveva pagare…
…era sempre stato così…
Lui alzò lo sguardo verso di lei.
-Proteggi la bambina…-
-Non puoi chiedermi questo…-
-Almeno portala al sicuro…ma non toccare questa ragazza…-
-Non vuoi che viva?-
-Non voglio che perda se stessa-
Gabrielle avvertì come un eco di dolore nel cuore.
Lucifero l’aveva accusata…proprio lui che aveva sempre ammirato ciò che faceva…
Il giovane uomo dai lunghi capelli neri superò la ragazza, sempre tenendo tra le braccia la compagna, che respirava a fatica, reggendosi a lui e piangendo.
-Ho paura…-
la sentì sussurrare questo, e la guardò un secondo, prima di rivolgere lo sguardo verso il corridoio, verso la stanza grande, verso l’uscio dell’appartamento, mentre Gabrielle si era voltata a guardarli, lasciando scivolare una lacrima.
Si voltò, camminando lentamente verso il divano, e mettendosi seduta con fare sconsolato, abbattuto.
Aveva fallito, per la prima volta aveva fallito nella sua missione, la sua missione di vitale importanza…
Restò in silenzio, ascoltando i rumori che precedevano la fine di Lucifero.
Avvertì una voce alta affermare che avrebbe pensato tutto a lei, per poi venire soffocata dalla porta dell’ultimo piano che veniva sfondata, un gran rumore confuso e compatto veniva da sotto, mentre la voce alta urlava qualcosa a Lucifero, qualcosa che il rumore confuso soffocò, mentre Gabrielle chiudeva lentamente le iridi ambrate, ascoltando in silenzio ciò che accadeva.
C’era lotta, sentiva chiaramente qualcuno che veniva sbattuto per terra o sul muro, sentiva le urla di quelli che venivano infilzati, mentre le urla si confondevano tra loro.
-Prendetelo!-
-Attenti!!-
-ARGH!-
-Prendetegli le braccia!-
-Non lasciatelo scappare!-
c’era tanta confusione, poi…tutto si acquietò…
Gabrielle sembrò contare i secondi, mentre un lampo fuori dalla finestra illuminava il profilo.
Si sentì un rumore metallico, seguito da un rumore indefinito, e Gabrielle sussultò, per poi unire le mani in segno di preghiera, appoggiando la fronte su questa.

L’ultimo rumore…che lei sentì…prima di morire…oltre alle urla della bambina…fu un nome…
L’ultima cosa…che lui disse…era riferita a lei…alla bambina…e a coloro che amava…

-Yestind…-

*

Due scarpe della Nike nere a strisce rosse si fermarono, mentre si voltava a guardare l’edificio alle sue spalle, una lieve brezza spettinò ancora di più i suoi capelli, mentre restava li immobile, con le mani in tasca, mentre la gente passava ignorandola.
In fondo a nessuno sarebbe interessato di un diciassettenne che se ne andava in giro.
Avvertì il cicaleccio delle persone che le passavano accanto, soffocato da qualche macchine che passava a tutta velocità, a quell’ora del giorno c’era sempre molta confusione.
Alzò lo sguardo verso il cielo, mentre restava fermo in mezzo al marciapiede, il cielo copra di lui era vagamente nuvoloso, ma rivelava il cielo chiaro, il sole sembrava più pallido del sole, mentre l’accecava.
Restò ancora immobile, prima di riprendere a camminare con la brezza contraria che muoveva la leggera maglietta in cotone sotto la giacca in jeans scolorita.
Nel taschino sul petto portava un pacchetto da dieci di malboro rosse, le sue preferite, anche se ce n’erano solo cinque, l’accendino dentro il pacchetto.
Guardò distrattamente il vetro di un bar li affianco, facendosi spintonare da una coppia di ragazzi che gli lanciarono un’occhiata infastidita.
Si fermò di fronte alla scalinata di uno dei grattacieli che si stagliava verso il cielo, osservando il suo riflesso nello specchio nero di una limousine che si era appena fermata li.
Si appoggiò ad una delle colonne in marmo nero che decorava, insieme a delle scritte in metallo tinto d’oro, l’entrata del grattacielo, prendendo una sigaretta dal taschino della giacca e accendendosela.
Gli vennero in mente le parole di Yubaba.
“Ti verranno i polmoni neri e pieni di catrame! Morirai molto presto in questo modo!”
osservò la sigaretta, tutta bianca con la punta accesa che si colorava di grigio e rosso quando prendeva le boccate di fumo.
Ma davvero una sigaretta poteva fare tanto male?
Se la rimise in bocca, prendendone una boccata, per tenerla poi tra le dita, mentre il fumo scivolava via tra i denti, in una specie di smorfia-sorriso, mentre si guardava intorno.
Era da un po’ di tempo che era osservata.
…meglio se si allontanava dal centro…
Spense la sigaretta ancora intera sul pilastro di marmo nero dell’edificio, sotto lo sguardo contrariato di una guardia li accanto, mentre il ragazzo se la rimetteva in tasca, riprendendo a camminare, tranquillamente cominciò a percorrere via più strette verso la periferia della città.
Mejaselum era una grande città, forse una delle più grandi, dato che era sempre in conflitto con Efeso per quanto riguardava gli scambi commerciali via terra.
Il ragazzo accelerò il passo, per poi rallentare, di fronte ad un sotto passaggio c’erano due guardie.
Possedevano un lungo impermeabile verde militare, e si vedevano solamente le maniche della divisa sempre verde scuro, i guanti di cuoio e gli stivali militari neri.
I cappelli coprivano le teste brune delle due guardie, che si guardavano intorno tranquilli, quasi stessero aspettando qualcuno.
Una delle due guardie teneva al guinzaglio un grosso pastore tedesco che in quel momento sembrava riposare, sdraiato accanto alle gambe del padrone.
Era bello grande, il pelo color miele che sfumava in castano sempre più scuro attirò la sua attenzione, mentre si sporgeva leggermente verso l’animale, che alzò il muso verso di lei.
Gli piacevano gli animali.
Gli sorrise, per poi sorridere agl’uomini in divisa, che si limitarono a lanciargli un’occhiata. Un semplice ragazzo con una giacca in jeans scolorita e un paio di jeans anche quelli scoloriti e per di più strappati in alcuni punti.
Corti capelli neri, pelle pallida, occhi rossi…
…occhi rossi?
Una delle due guardie si sporse, mentre il ragazzo scendeva le scale tranquillamente, con le mani in tasca e facendo rumore con le scarpe, mentre si avviava nel sottosuolo.
Il cane intanto si era alzato in piedi, rivolgendo curioso lo sguardo verso le scale, le orecchie si muovevano in direzione dei passi.
Il padrone osservò il cane poi le scale.
-L’hai visto?-
-E allora?-
-Non ti sembrava sospetto?-
-E perché?! E’ solo un ragazzo!
Se sospettassi di tutti i ragazzi della città farei una carneficina!-
-Sarà…comunque il cane ha avvertito qualcosa, meglio che vada a vedere…-
-…-
il compagno non disse nulla, lasciando che la guardia scendesse le scale, il cane tirava leggermente, mentre le orecchie si muovevano verso la direzione dei passi.
Il sottopassaggio portava verso la metropoli, anche se in quel punto il treno non si fermava, la stazione era a cinque minuti a piedi.
La guardia si guardò intorno, mentre il cane tirava con più forza, li intorno non si vedeva molto, dato che le lampade del soffitto erano vecchie e rovinate, alcune durante delle manifestazione erano state prese a sassate, e c’erano ancora dei resti di plastica sotto la scala.
Nel sotto scala…
Il cane si mise ad abbaiare con forza, incuriosendo anche l’altra guardia che stava di sopra.
-Ehi, tutto bene?-
la guardia di sotto si era voltata verso il sotto scala, dove aveva trovato il ragazzo che si accendeva la sigaretta che non era riuscito a continuare.
Il ragazzo alzò stupito lo sguardo verso la guardia, mentre spegneva la fiamma dell’accendino, riponendolo nel taschino della giacca.
La guardia osservò con fare un po’ intimidito le iridi rosse che assumevano sfumature più scure andando verso il centro, dove c’era la pupilla.
Il cane continuò ad abbaiare, e con uno strattone si liberò dal padrone, avvicinandosi al ragazzo e abbaiando.
Il ragazzo lo guardò stupito, per poi sbuffare e spegnere per la seconda volta la sigaretta.
Quel giorno non sarebbe riuscito a fumare, non che ne avesse un gran bisogno…
Il cane intanto dava un bello spettacolo, il suo latrare riecheggiava nella galleria vuota, c’erano solo l’animale, il ragazzo e la guardia.
Quest’ultima osservò il ragazzo muoversi verso il centro della galleria, si sentì fastidiosamente il rumore della metropolitana che si avvicinava, e il ragazzo si sporse verso il nero della galleria, notando un faro giallo rotondo che si avvicinava.
La guardia rimase immobile, anche perché non aveva idea i cosa fare, aveva solo una specie di presentimento, mentre il ragazzo si voltava verso il cane, che si era di nuovo avvicinato al ragazzo e aveva ripreso ad abbaiare.
La seconda guardia scese di sotto, stupita di come il cane stesse facendo tutto quel casino.
-Ehi, ma che succede?-
l’altra guardia gl’indicò con un cenno del capo il ragazzo, che allungò una mano verso il cane, che l’annusò, smettendo di colpo d’abbaiare e sedendosi, in modo che il ragazzo potesse accarezzarlo sulla testa.
Aveva smesso di colpo…
-Stupido cane!!-
la guardia scesa afferrò il guinzaglio del cane, trattenendo tra le labbra qualche minaccia di morte e parole poco carine, scusandosi poi con il ragazzo.
-Scusalo, non so cosa gli è preso…-
-Paura…-
-Eh?-
il ragazzo sorrise, le iridi rosse brillavano quasi con ferocia, mentre in quel momento il treno della metropolitana gli passava accanto.
-Aveva soltanto paura di me…-
l’aria che il treno sollevava spazzava i capelli e in parte la maglietta e la giacca del ragazzo, che sorrideva tranquillo, per poi salutare con un cenno della testa e allontanarsi lentamente.
La guardia rimase stupita di quell’affermazione, mentre teneva il guinzaglio del cane…
Rimase così, come uno stoccafisso, per poi scuotere la testa optando l’idea che quel ragazzo fosse strano.
Questi intanto ridacchiò, per poi velocemente correre verso il treno, riuscendo per un soffio ad entrare nel vagone senza che le porte lo schiacciassero.
Prese un respiro soddisfatto, aveva con quella mossa allontanato il suo inseguitore.
Si guardò intorno, cercando un posto a sedere, mettendosi comodo accanto al finestrino, osservando il suo riflesso, sorridendo amaro, per poi socchiudere gli occhi, mentre intorno a lui c’era un pesante silenzio.

(Capitolo corto introduttivo verso questa mia nuova pazzia! -_-; Speriamo in bene…
Baci a tutti!
Meiko)

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


*


Raffaela era da sempre una persona molto affabile, possedeva un carisma notevole su chiunque, eppure questo carisma era bilanciato con il suo essere anche schiva.
Se non c’era bisogno della sua presenza preferiva starsene da sola in laboratorio, un piano sotto il pianoterra.
Li passava la maggior parte delle sue giornate, intenta a realizzare farmaci o esperimenti, così com’era sempre intenta a fare, a volte si aveva la sensazione che fosse davvero troppo indaffarata.
In quel momento la porta del laboratorio si aprì con un sussurro silenzioso, Raffaela odiava ogni tipo di scricchiolio che potesse distrarla dal suo lavoro, infatti sembrò non accorgersi della presenza che era entrata solo quando questa chiuse la porta con lo stesso silenzio, mentre la ragazza verificava il cambiamento di colore di un liquido in una provetta messa alla luce di un neon.
-Ma quando imparerai a bussare?-
-Scusami, però non volevo farti perdere la concentrazione-
-Sei qui per il farmaco? L’ho quasi completato-
-A dir la verità…volevo tenerti compagnia…-
Raffaela restò sorpresa da quelle parole, voltandosi verso la donna che si era messa seduta su una sedia imbottita con le rotelle, questa sorrideva con fare tranquillo, constatando che se no pavese saputo che lei era Raffaela l’avrebbe confusa con un maschio.
Portava i capelli corti per comodità, eppure aveva il vizio di legarseli in un’inutile codina che la rendeva mascolina.
Poi quei suoi tondi occhiali e il camice da scienziato, la facevano sembrare più robusta, anche se in realtà era magra come un chiodo.
Raffaela con una delicatezza incredibile mise il contenuto della provetta in un’ampolla dove c’era altro liquido, chiudendolo con un piccolo tappo di sughero e scuotendolo un po’.
Quando ebbe finito l’operazione concentrò tutta la sua attenzione sulla donna che sedeva dietro di lei, mettendo una mano come appoggio sul tavolo di lavoro e guardandola attentamente, mettendo i tondi occhiali sulla testa.
La osservò attentamente, mentre questa sorrideva tranquilla, aveva sempre quell’aria pacata. I capelli erano coperti da un velo bianco trattenuto da una fascia con dei medaglioni, ed il castano chiaro appariva sfumato in un dorato.
Vestiva con un’elegante vestito fatto di stoffe colorate per la gonna che formavano due strati, e un corpetto di color avorio.
Di solito, quando era abbellita in quel modo, significava che era uscita.
-Hai avuto da fare oggi?-
-Come sempre…-
Gabrielle mosse leggermente la testa, i medaglioni da un lato tintinnarono, mentre il pendaglio della collana che portava al collo scivolava sulla pelle.
Raffaela sbuffò, prendendo un’altra sedia e poggiando i gomiti sullo schienale.
-Avanti, spara. Che vuoi?-
-…so che Uriel è stato chiamato…insieme a Samael…-
-Si, in questo momento stanno avendo una conversazione non solo con il Coro dei Serafini…ma anche con Lui…-
Gabrielle sussultò, il sorriso era morto, il cuore di colpo era accelerato, mentre in testa aveva in mente solo un’idea di quello che stesse succedendo.
-…che abbia intenzione…di mettere in atto il progetto?-
-Beh, perché non glielo chiedi?-
-Non scherzare Raffaela! La situazione è grave!-
Gabrielle si era alzata di colpo, il viso ancora una volta aveva quella piccolissima ruga sulla fronte mentre gli occhi erano allarmati.
Stavolta tremava anche, era veramente preoccupata.
Una cosa che succedeva da parecchio tempo ormai.
Il che era strano per una come Gabrielle, che non si faceva scalfire nemmeno dalla provocazione più insistente.
Gabrielle intanto si era mossa, ed aveva afferrato delicatamente la boccetta con cui prima aveva armeggiato l’altra ragazza.
-Sono…passati…diciassette anni…-
studiò il liquido con attenzione, sembrava acqua colorata blu e non aveva sedimenti.
Gabrielle strinse nella mano curata la boccetta, un dito dell’altro passò sopra il vetro che si scaldava con il calore della donna, l’unghia rossa sembrava disegnare una linea dritta.
-Diciasette anni…eppure non una ruga…non un capello bianco…siamo rimasti in attesa che il progetto avesse inizio…
…Eppure…se non fosse successo nulla…il progetto non si sarebbe mai realizzato…saremmo ancora…insieme…-
Raffaela guardò seria e tranquilla il viso sofferente dell’amica.
Gabrielle era fatta così, i sentimenti per lei erano così importanti, eppure nel suo lavoro era sempre rigida.
Ma da diciassette anni a questa parte, mentre preparavano il progetto, aveva iniziato a “pensare”…cosa che a Michael non andava giù per niente, e spesso lui si metteva ad alzare la voce contro di lei, sgridandola e ricordandole chi era…e perché lo faceva.

“Tu hai il compito di slavare vite innocenti, madri che hanno la gioia di partorire i possibili eredi di un potere indescrivibile!
Questi figli devono avere la possibilità di imparare ad amare fin da subito.
E tu con il tuo compito li aiuti!
Sei importante, sei fondamentale!”


A volte le metteva le mani sulle spalle e le accarezzava la fronte, mentre Raffaela stava in silenzio ad osservare la scena con aria annoiata, anche se in fondo la cosa la lasciava spiazzata.
Da quando Lucifero era morto, Michael aveva dato il via ad una guerra silenziosa contro un nemico invisibile che però lo stava risucchiando delle sue energie.
Ciò che lui chiama diavolo, o demone.
Messo in testa ai mortali, era stata la causa di molte crudeltà.
E loro potevano solo stare a guardare, mentre i mortali invocavano il soccorso di Michael.
Raffaela vide nella sua mente il ricordo di falò, impiccagioni di massa…di giudici corrotti o di pazzi…di fanatici…
Di sangue…tanto sangue…
In diciassette anni…anni?
…il tempo ormai per loro era qualcosa che si poteva fermare, come facevano da tutto quel tempo.
Raffaela lanciò uno sguardo a Gabrielle, che teneva ancora in mano quella boccetta.
Sbuffò, prendendo gli occhiali e pulendoseli con il camice bianco candido.
-Gabrielle, io non ho voglia di consolarti, ma sappi che se tutto questo è accaduto, un motivo c’è-
-Ma come fai ad essere così cinica? Non senti la sua mancanza?-
-Ogni giorno-
Gabrielle guardò lo sguardo serio, dritto e tranquillo della ragazza che aveva la mano sulla maniglia della porta, l’altra nella tasca del camice.
-Ogni giorno sento la sua mancanza, ma ormai sono passati diciassette anni.
Hai ragione, forse se non fosse successo nulla saremmo ancora insieme.
Ma è successo.
E’ per questo che dobbiamo andare avanti-
Raffaela aprì la porta, lasciando entrare un barlume di sole in un angolo della sala, mentre Gabrielle teneva ancora in mano la boccetta, voltandosi verso la ragazza, che si lasciò sciogliere i capelli sistemandoseli, l’elastico stava tirando una ciocca e le faceva male.
Raffaela aveva corti capelli neri, con una ciocca viola acceso che accarezzava una guancia.
Velocemente si sistemò la codina di nuovo, mentre la donna la raggiungeva, sorridendo come al solito.
-Come sempre hai saggezza-
-Più che altro questa è la realtà-
Raffaela fece spallucce, mentre Gabrielle la seguiva salendo gli scalini, la ragazza raggiungeva l’amica fino alla spalla, era davvero piccola e magra, ma nonostante tutto era slanciata.
Raffaela si guardò intorno, la sala grande era sempre così luminosa, era tutta interamente coperta da muri di vetro, che lasciavano entrare la luce, l’elegante arredamento aveva legni chiari pregiati e laccati, moquette rossa morbida e divani morbidi di colore crema.
Le due si avvicinarono ad uno degli ascensori, quando Gabrielle si fermò, optando verso un vetro scorrevole che portava verso un grande giardino, poco lontana coperta dalle fronde di due querce un dojo.
La ragazza più giovane chiamò l’ascensore, sistemandosi gli occhiali.
-Vai a chiamarlo tu?-
-…si, tu vai-
Raffila annuì, entrando nell’ascensore, mentre Gabrielle scendeva qualche scalino, incontrando una strada di pietre lisce che la portava a quella che sembrava una minuscola casa dalle finestre piccole e interamente fata di legno, con le porti scorrevoli.
Molto spoglia, nemmeno una targa o un cartello.
La donna si avvicinò al dojo, una lieve brezza sollevò la fine del velo che le copriva i capelli corti, i medaglioni tintinnavano al movimento del corpo.
Una bellissima giornata di sole, le poche nuvole erano state spazzate via.
Gabrielle alzò per un istante gli occhi al cielo, lo sguardo castano non riuscì ad incontrare la luce del sole, mentre era sempre più vicina alla meta.
Il dojo era messo in ombra dalle fronde delle due querce, alte e imponenti.
Dietro la piccola casa invece c’era un albero di pesco in fiore, alcuni petali era trasportati dalla brezza e in qualche modo entravano dalle finestre della casa di legno.
Il rumore della porta scorrevole era liscio e forse un po’ forte, il sole non riusciva a passare per quel buco, abbastanza grande da far entrare la donna, che si soffermò, chiudendo dietro di se la porta.
Era sdraiato a terra, con i lunghi capelli sparsi sul pavimento.
Li accanto una spada da samurai, la lama luccicava a quelle macchie di luce che entravano dalle fronde e dalle finestre.
Lui aveva il viso in luce insieme ad un braccio, tutto il resto era coperto dalle ombre.
Gabrielle si avvicinò lentamente, cercando di fare poco rumore.
In questi diciassette anni si era fatto allungare i capelli, in quel momento erano sparsi formando rivoli di un biondo chiarissimo quasi bianco.
Di sicuro si era allenato, aveva addosso i pantaloni di una tuta e una maglietta senza maniche che lasciava vedere il fisico giovane, un braccio sul pavimento e l’altro appoggiato al petto, la mano sul cuore.
Il suo cuore…
Probabilmente si era fermato a pensare, e adesso si era addormentato.
Spesso sia lui che Lucifero avevano questa abitudine.
Ogni volta si davano un sacco di legnate con le spade di legno, aveva molti lividi un po’ dappertutto.
Restavano in piedi fino a stramazzare al suolo dalla fatica, a quel punto Lucifero si metteva appoggiato a Michael ,che gli accarezzava i capelli.
Quei bellissimi e lunghi capelli neri.
Restavano così, fermi, fino a quando non si addormentavano.
A volte Gabrielle li vedeva con le mani unite, e sorrideva.
Sorrideva sempre in modo gentile.
Lucifero era sempre il primo ad alzarsi…poi allungava una mano verso Michael e lo sollevava.
E per qualche istante gli piaceva restare accano a lui assaporando il profumo mischiato al sudore che gli pizzicava il naso.
E mentre Gabrielle si allontanava, lui gli accarezzava il viso pallido, al contrario di Lucifero lui aveva la pelle più ambrata.
Ed ogni volta quella guancia era tiepida e liscia…
…quella guancia…quel volto…quegl’occhi…

-Michael?-
Gabrielle si sporse, allungando una mano verso il volto ambrato del giovane uomo.
Lui si alzò di scatto, mettendosi seduto, intimando così a Gabrielle di non avvicinarsi troppo.
Lei si rialzò dalla posizione inginocchiata.
-Ti aspetto fuori?-
-…no…-
Michael avvertì il volto rigato di lacrime.
Lacrime di dolore, di rabbia, di furia.
Era furioso con lui, ogni volta anche ricordava qualcosa diventava triste…e la sua tristezza diventava furia.
Perché lo aveva tradito.
Michael non asciugò le lacrime, voltandosi verso Gabrielle, che si avvicinò, e con un lembo dell’abito gli asciugò il viso da sudore e lacrime.
-E’ meglio che ti rinfreschi e ti cambi, io intanto raggiungo Raffaela…-
-No…ho detto che tu resti-
la donna lo osservò, gli occhi di Michael erano color ambra, un arancio rossiccio che ora sembrava fuoco.
Lei poté solo annuire, mentre Michael si allontanava solo per prendere la sua sacca, recuperare la spada e seguirla verso il giardino, i capelli se li era legati in una coda morbida, ed ora apparivano ancora più chiari di quanto non lo fossero.
Insieme erano diretti verso l’appartamento dentro il grande edificio, restando in silenzio per tutto il tempo.
La stanza che dovevano raggiungere era verso gli ultimi piani, anche questa completamente coperta da delle vetrate, ma più scure, in modo che l’atmosfera fosse più pacata e invogliasse al silenzio.
Raffaela avvertì il leggero ronzio dell’ascensore che le fece girare il capo verso le porte scure d’acciaio che rivelarono la presenza di Gabrielle che le si avvicinò, e di Michael, che fece qualche passo, guardandosi attorno.
Indossava una lunga giacca, sotto portava una camicia bianca con un cravattino che teneva alzato il colletto, i pantaloni eleganti, il tutto in colori ambrati che risaltavano la pelle scura.
Si guardò intorno, avvicinandosi poi alle finestra, mentre Gabrielle di metteva comoda su una delle poltrone, Raffaela seguì con lo sguardo il giovane uomo che si affacciava a guardare la città.
…aveva saltato ancora il giorno…
-Mich, devi smetterla di saltare i giorni…da adesso in poi devo farti anche la guardia perché tu prenda la medicina?-
Raffaela era sbottata in quell’ironica domanda che fece sorridere amaramente il ventenne mentre Gabrielle sbiancava leggermente, spaventata che Michael avesse saltato ancora un giorno.
Era già la terza volta…
Non poté unirsi alle lamentele di Raffaela, che una porta scorrevole del muro della sala si aprì, rivelando due figure che entravano.
Il primo a farsi avanti fu un tredicenne, Uriel in effetti era il più giovane assieme alla Samael, che in quel momento lo seguiva dietro.
Erano identici, soprattutto nei tratti del viso come gli occhi, che erano dal taglio a mandorla, con una colorazione argentata.
Gabrielle si alzò di scatto, si era innervosita nel vederli, d’altronde erano loro che davano gli ordini ricevuti da Lui.
Soprattutto Samael, che in quel momento si mise seduta sul divano, con affianco Uriel, Michael non li guardava in faccia, ma attraverso il riflesso nel vetro della finestra vedeva le due sagome.
Samael era leggermente più piccola del fratello, con i capelli candidi legati in una pesante treccia che cadeva sulla schiena.
Uriel al contrario li portava corti, entrambi vestiti con una giacca a collo alto e stivali, come due piccoli nobili di epoca seicentesca.
Restarono in silenzio per qualche minuto, Uriel aveva anche un leggero mal di testa per la discussione che aveva avuto con alcuni Serafini del Coro.
Raffaela intanto si era messa comoda, mentre Gabrielle aveva iniziato a camminare per la stanza scaricando la tensione che aveva fin nella punta delle dita,i medaglioni sul capo procurarono un tintinnio.
Michael prese la parola, con le mani dietro la schiena.
-Allora?-
Samael lo fissò con attenzione, mentre Uriel prendeva fiato e sbuffava stancamente.
-…hanno deciso di dare il via all’apokalipsis-
-Ma prima…abbiamo ricevuto un compito ben preciso…che interessa soprattutto te, Michael- Samael era rimasta seduta, mentre il fratello le teneva gentilmente la mano.
La tredicenne continuò, ricordando a memoria ciò che aveva sentito.
-…dobbiamo trovare la bestia…-
la bestia…
Raffaela fu l’unica ad annuire, alzandosi in piedi dal divano, mentre Michael sembrava soddisfatto dell’ordine che aveva ricevuto.
Gabrielle invece era ancora tesa.
-Ma…come faremo a trovarla?-
-Non vi preoccupate…ho gia mandato io qualcuno…-
Michael si voltò verso i presenti, Samael si limitò ad annuire.
Raffaela si allontanò per prima, tornando in laboratorio, seguita poi da Michael, mentre Gabrielle si metteva seduta sul divano, le mani unite in un gesto di preghiera, mentre Samael e Uriel restavano in silenzio.
“E così…Yestind deve morire…”


Quando la campanella segnava la fine delle lezioni, lui era gia pronto per andarsene.
Volontariamente uscì dalla scaletta di servizio dietro la classe, evitando così tutta la folla che usciva dalla porta principale, mentre si passava una mano tra i capelli sfatti.
Reggeva lo zaino con una sola spalla, mentre si ficcava una mano in tasca guardandosi intorno e avviandosi verso il traffico di macchine che uscivano dal centro.
I pantaloni bassi mostravano un pezzo dei boxer neri che indossava, la cintura verde sporco serviva a poco, mentre le mani tiravano su le maniche della pesante felpa grigia sporca in alcuni punti di nero e decisamente da buttare da lavare, sotto non portava altro che una canottiera, o meglio la “maglia della salute”, come Yubaba insisteva nel chiamarla e nel fargliela mettere.
La mano coperta dai guanti senza dita di quello che sembrava tessuto non rifinito passò tra i boccoli castani e incasinati dei capelli, mentre attraversava la strada prendendo la rincorsa, superando un incrocio e raggiungendo una vecchia stazione dei pompieri abbandonata, sui gradoni ad attenderlo un ragazzo dai capelli neri con la giacca in jeans che fumava in santa pace una sigaretta un po’ rovinata.
Il ragazzo che fumava notò la sua presenza, alzandosi in piedi e afferrandogli la mano che porgeva.
-Non c’è un cazzo da fare oggi Juses?-
-A quanto pare…tu invece? Hai qualche giocattolo nuovo da farmi vedere?-
il ragazzo dalla barbetta scura sul mento sorrise, scoprendo un paio di denti ingialliti, buttando lo zaino a terra e tirandone fuori qualche cd che passò al compagno.
-Me li ha fatti uno della mia classe, un finocchio che però ha musica interessante!-
-Si…spacca…-
-Ehi, non mi sembri molto convinto-
il ragazzo dai capelli neri scosse la testa, mentre riguardava più volte i cd.
-Pensavo che li avresti fatti tu questi-
-Magari, ma ho un casino da fare!! Che cazzo, quello stronzo del professore quando spiega non ci si capisce un cazzo e mi tocca riguardare la lezione…-
-Non mi dire che vai ancora a scuola Joe?-
Juses guardò ancora il compagno, che fece spallucce.
-Se non fosse per Yubaba io me ne sarei gia andato da quella merda! Pensa che si è allagata una classe a causa di un termosifone!-
Joe aveva…una erre moscia che stava cercando di nascondere, solo che in quel momento gli era scappata, e comunque erano inutili i suoi tentativi di nasconderla.
Juses guardò ancora i cd, prima di ripassarli al compagno, che si mise lo zaino in spalla sbuffando, le maniche avevano di nuovo coperto le braccia.
-Che c’hai una sigaretta?-
-Come al solito…-
il ragazzo porse una sigaretta al compagno con l’accendino, per poi guardarsi intorno.
C’erano un sacco di ragazzi della loro età che stavano cercando un bar o un fast food dove perdere tempo, altri s’infilavano nelle sale di videogiochi.
Juses e Joe cominciarono ad avviarsi, avevano qualche soldo per un panino, ed optarono per una rosticceria ancora vuota, il profumo del pane li stordiva e faceva venire ancora più fame al ragazzo moro, mentre alcune ragazze entravano dentro, compreso un uomo con gl’occhiali da sole.
Juses si voltò a guardarlo, i capelli biondi corti, il viso ovale e il fisico imponente, lui doveva essere la metà di quell’uomo.
Lo guardò ancora, i suoi occhi rossi focalizzarono la sua immagine, mentre lo sconosciuto ordinava, infilandosi una mano nella tasca dei pantaloni, portava una lunga giacca chiusa da delle cinghie, aperta sui pantaloni e le scarpe scure.
Juses e Joe uscirono con due panini ben gonfi, anche se il ragazzo dai capelli neri sapeva che tra cinque minuti il compagno avrebbe finito il panino e avrebbe proclamato che aveva ancora fame.
Si misero comodi a mangiare su una panchina, Juses era seduto sullo schienale in modo da avere una visuale più ampia di quello che gli era intorno.
La giornata non si prospettava calda nonostante il sole brillante, mentre Juses addentava il panino, osservando l’uomo con la lunga giacca che era uscito dal locale, tra le mani teneva un sacchetto, ed ora si guardava intorno.
Lo stava cercando…
-Joe, forse è meglio tornare da Yubaba…-
-…va bene, anche perché ho finito i liquidi ed ho ancora fame-
i due si avviarono, mentre l’uomo li teneva sotto d’occhio, il ragazzo dai capelli neri si era accorto che li seguiva ed ora si stava allontanando.
Cominciò a seguirli da lontano, mischiato dalla gente che a quell’ora si stava riversando verso su quella strada a traffico limitato per tornare a casa o fermarsi da qualche parte.
Intanto il compare del ragazzo dai capelli stava chiacchierando con quella strana erre fumandosi una sigaretta, una delle ultime del pacchetto di Juses.
L’uomo li seguì per tutti il tempo, sorridendo divertito dallo sguardo di Juses che gli lanciava delle occhiate.
Era la prima volta che vedeva un ragazzo con quel colore di iride.
Si stava divertendo molto in questo pedinamento.
Lo aveva notato gironzolare per la città, per poi soffermarsi quando era entrato nel sottopassaggio.
Il ragazzo furbamente aveva preso la metropolitana distanziandolo.
Per fortuna l’aveva ritrovato che entrava in quella rosticceria.
Avvertì il peso come di un sasso sul petto, all’altezza del cuore.
Sorrise ancora, mentre si risistemava gli occhiali da sole sottili dalla montatura leggera.
In quel momento passò una leggera brezza che scompigliò i capelli sottili della sua preda, che si voltò ancora a guardarlo.
Occhi rossi, capelli neri, visino pallido.
…niente male…per essere una bestia…un animale…
Juses si guardò intorno, lo stava ancora inseguendo, ma non poteva fare nulla in mezzo a questa gente…non poteva nemmeno distanziarlo…

-Joe, mi sono appena ricordato che ho una commissione da fare per Yubaba. Tu vai intanto-
il compagno annuì, salutandolo, mentre Jesus tornava indietro sui suoi passi, incrociando l’uomo, che lo vide correre dalla sua parte…e superarlo, andando verso il fondo della strada.
Sorrise divertito…non era così scemo…
Si voltò, mentre la folla era calata di numero, trovando poi una testa nera che entrava in un vicolo in mezzo a due edifici.
Il vicolo all’inizio era una piccola strada a senso unico, poi si ramificava in stradine sempre più strette, in alcuni punti c’erano dei bivi, fino a raggiungere a due vicoli ciechi.
L’uomo si fermò, era in mezzo ad un bivio, sotto di lui un tombino, poi due vicoli ciechi, dietro la stradina da dove era arrivato.
Sopra di lui le case della gente più povera, con i panni stesi in comunità su lunghi fili, c’erano anche delle reti che separavano quel vicolo da altre stradine più piccole.
C’era uno strano odore di spazzatura, in un angolo c’era della frutta che stava marcendo.
Le scarpe eleganti scricchiolavano leggermente sull’asfalto, segno che erano nuove, mentre la giacca seguiva i movimenti del corpo, ondeggiando leggermente.
Sentì di nuovo quel peso come un sasso all’altezza del cuore, mentre si guardava intorno. -E’ inutile che ti nascondi…-
-Io non mi sto nascondendo…-
si voltò indietro velocemente, quando si sentì venir afferrato da un braccio, una figurina lo sollevò da terra e con un movimento unico di tutto il corpo lo scaraventò per terra, facendogli battere la schiena a terra, procurandogli un forte dolore.
-Porcaputtana…-
alzò lo sguardo, davanti a lui Juses lo osservava con fare incuriosito e attento, studiando ogni mossa dell’inseguitore.
-Perché mi segui?-
l’uomo sorrise, mentre osservava quel ragazzo, sotto la giacca aveva una maglietta bianca. Però gli piacevano molto quegl’occhi rossi.


“Nessuno sa cosa significa
essere l’uomo cattivo…essere l’uomo triste…
Dietro occhi blu…”


L’uomo si rialzò, sistemandosi la giacca, mentre il ragazzo restava fermo ad osservarlo, poi gli ripeté la domanda.
-Perché mi segui?-
-…perché ti cercavo…perché ti devo uccidere-
il ragazzo non sembrava essere spaventato o impressionato dalle parole dell’uomo, che raccolse gli occhiali, controllando che non si fossero rotti.
Azzurri…aveva gli occhi azzurri…
E lo stava seguendo perché voleva ucciderlo…
Non gli chiese il perché volesse ucciderlo, semplicemente lo superò, ignorando la sua presenza e tornando verso il centro, mettendosi le mani in tasca.
L’uomo lo guardò, e aprì la giacca, tirandone fuori una pistola.
La caricò, per poi prendere la mira.
E sparò un colpo contro Juses, che avvertì il colpo e pochi secondi dopo un dolore atroce che partiva dalla spalla ed espandersi verso il corpo.
Il dolore fu tale che lo fece barcollare, mentre si toccava la spalla, il sangue aveva gia iniziato a scorrere, macchiando la maglietta e la giacca in jeans.
“Ed ora…scappa…”
il ragazzo si voltò verso l’uomo, osservandolo, la mano ancora sulla spalla colpita.
Gli occhi rossi osservarono quelli azzurri dell’uomo, che sorridendo teneva ancora la pistola fumante in mano, caricando un secondo colpo, per poi sparare di nuovo, il botto riecheggiò in quel silenzioso vicolo, c’era solo un gatto che stava passando che però scappo allarmato dal rumore improvviso e secco.
Il secondo proiettile ferì il fianco del ragazzo, che sentì il bruciore della pelle e il graffio che pulsava dal dolore.
L’uomo era pronto a caricare un terzo proiettile, quando qualcuno si sporse da una delle finestra, imponendogli di nascondere l’arma, mentre il ragazzo lo fissava ancora, per poi mettersi un dito al cuore.
-Qui…la prossima volta…se mi vuoi uccidere…-
poi si allontanò di corsa, saltando sulla rete metallica, e allontanandosi tra i vicoli di quel quartiere, mentre l’uomo si metteva gli occhiali da sole, e si allontanava dalla strada.



…a dire la verità non so che dire! Questo è il secondo capitolo, e la seconda parte è cominciata a mio parere male per poi diventare qualcosa che definisco assurdo!-_-;

Kannuki: sono contenta che hai commentato e che ti piaccia!

Diandraflu: eccoti qui subito il secondo capitolo! Si, di solito io sono molto confusa, sia nello scrivere che nella mia vita privata, quindi non saprei che dirti! ^^;

Noesis: grazie per il benvenuto, devo ammettere che questo mondo mi è tutto nuovo! In effetti da quando hai parlato degl’arcangeli in una Science Fiction sono diventati di casa! Ma gia da tempo pensavo di fare una cosa del genere, anche prima che tu scrivessi la tua bellissima storia.
Riguardo a Juses…resto muta! ^^ Scherzo è per non rovinarti niente.
In effetti le malboro rosse è un dettaglio che ho aggiunto per renderlo un po’ fighetto, ma per il resto…beh, lo vedrai tu!

CIAO!
Meiko

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Capitolo 3
*** Capitolo III ***


*


Quando era tornato a casa, poco ci mancasse che i capelli di Yubaba diventassero più bianchi di quanto non lo erano, e che Joe ingoiasse quella sigaretta che si stava fumando, oppure che cadesse giù dalla larga finestra dove di solito si metteva appollaiato.
In effetti non aveva una bella cera Juses: si teneva saldamente la spalla con la mani, quasi stesse per cadere da un momento all’altro, e l’altra mano stava immobile come priva di vita. Sia la giacca sulla spalla che il fianco era imbrattati di sangue.
La maglietta formava una macchia rossa che si allargava in modo un po’ uniforme sulla stoffa bianca leggera, mentre la giacca aveva impregnato per bene il liquido, e ne stava uscendo qualcosa che sembrava violaceo.
Aveva il viso un po’ sporco, per sfuggire aveva sfruttato i vicoli per non essere notato da nessuno, e aveva strusciato con il viso su qualche parete.
Guardò tranquillo Yubaba come se fosse tutto normale, forse anche per questo la vecchia si stava arrabbiando, mentre lo afferrava per il braccio sano e lo portava in una stanza meno scoperta.
-Dannazione! Ma cosa diavolo è successo?-
-Mi hanno sparato…-
-QUESTO LO VEDO! MI DOMANDO PERCHE?!-
-Perché dice che mi vuole uccidere-
Yubaba si voltò verso la spaventosa tranquillità di Juses nel rispondere a questa domanda.
Era pazzesco quanto a volte quel ragazzo fosse…tranquillo.
Joe intanto stava tossendo come un forsennato per aver ingoiato del fumo, e Yubaba lo squadrò con un’occhiataccia che sapeva di vittorioso.
-Così impari una volta per tutte a smettere di fumare!!-
il ragazzo sembrò ignorare la vecchia, che sbuffando e scuotendo la testa portò nella camera Juses, accendendo la lampadina nuda di qualsiasi abbellimento e tirando le finestre, mentre il ragazzo si toglieva la giacca e la maglietta.
Yubaba era vecchia, e lo si vedeva da alcune rughe, soprattutto le zampe di gallina sugl’occhi e le linee ai lati della bocca e della fronte, che ora erano corrugate al massimo in un viso preoccupato, mentre il ragazzo si spogliava, rivelando anche la fascia bianca che portava, su un lato la macchia aveva raggiunto il limite della fascia, di sicuro la pelle sotto era tutta sporca, e la fascia era umida.
-Ma quanto sangue hai perso? E’ un miracolo che tu sia viva!-
-…miracolo?-
Juses si voltò verso la vecchia, i capelli bianchi erano lunghi, raggiungevano il fondoschiena, ed erano legati in una treccia scomposta, segno che era nervosa, di solito quando lo era giocava con i capelli sconvolgendoli.
Gli occhi rossi guardarono con aria stupita e forse infastidita la vecchia, che sbuffò, avvicinandosi al ragazzo con la fascia e accarezzandole la testa nera.
-Miracolo, in questo caso lo posso dire-
-I miracoli non esistono…-
Juses guardò per un lungo i stante gli occhi socchiusi di Yubaba, li aveva di un colore nocciola con pagliuzze dorate, per poi venir catturato dal movimento dell’orecchino a forma di acchiappa sogni che la vecchia indossava.
Questa sbuffò, mentre apriva un comodino li vicino, tirando fuori la cassetta del pronto soccorso pronta all’uso, mentre Juses si impicciava con i due ferretti che tenevano rigida la fascia, che arrivava e copriva il petto.
-Ferma tu! Che non ne sei capace da sola-
Juses annuì, fermandosi, mentre Yubaba con un semplice gesto le liberava tute e due, la fascia per un secondo schizzò via, per poi cadere in modo pesante sulle gambe della ragazza, che si toccò quasi con timidezza il seno, per poi massaggiarsi una tetta, le stava facendo prurito, mentre Yubaba prendeva la fascia, constatando il capolavoro di astrattismo della macchia rossa sulla garza bianca.
Era una macchia che assumeva una forma quasi rotonda, la circonferenza un po’ sformata, allargandosi sempre di più.
La vecchia fece una faccia schifata, sbattendo via la fascia, mentre prendeva anche acqua e spugna, constatando che la pelle pallida di Juses era ora tinta di rosso, la ferita alla spalla aveva da poco smesso di sanguinare, formando una rete rossa che aveva bagnato la maglietta e la fascia bianca.
Juses era incredibilmente tranquilla, anche se aveva gli occhi un po’ annebbiati, evidentemente la mancanza di sangue stava facendo effetto, mentre Yubaba prendeva una bacinella con l’acqua fredda e la spugna, iniziando a pulire le ferite e a pulire anche la pelle sporca di sangue, le tinte rosa pallido ora erano di un rosso un po’ sfumato, che toccava anche il ventre.
Juses socchiuse gli occhi, rabbrividendo al contatto dell’acqua fredda contro la sua pelle che in quel momento era bollente, il sangue l’aveva scaldata, ma anche la corsa, in fatti il viso e il corpo era sudato.
Era sudata per il dolore, la corsa, la sensazione di svuotamento.
Svuotamento.
Il sangue che usciva dalle ferite…usciva da lei quel sangue…però era incredibilmente tranquilla.
In fondo era normale che dal suo corpo uscisse sangue.
Altrimenti non sarebbe stata viva…
…però…anche da una macchina esce olio quando è rotta…eppure quello è un oggetto…non è vivo…
Ma lei si…qual’era la differenza? Perché lei era viva e la macchina no?
Nel frattempo Yubaba stava finendo di pulire le ferita e la pelle, constatando che la spalla era ridotta tutto sommato abbastanza bene…
…no…abbastanza era un termine che non l’era mai piaciuto…
Abbastanza non è ne tanto ne poco…sta in mezzo, così…
E le dava fastidio.
Comunque, la ferita al fianco non era grave, era un taglio che si poteva curare con un bendaggio.
Anche la spalla, un bendaggio e via, non c’era bisogno nemmeno di ricucire la ferita.
Però era proprio un bel buco, il proiettile andava in una traiettoria dritta.
…dritto…
-Yestind, ti sei fatta colpire apposta?-
la ragazza non rispose a quel nome, continuando a guardare un punto impreciso della stanza, la testa sommersa in chissà quali pensieri.
Yubaba sbuffò, agitandole una mano davanti gli occhi.
-Juses!-
la ragazza alzò lo sguardo tranquillo, mentre Yubaba le ripeteva la domanda.
-Ti sei fatta colpire apposta?-
-…non lo so…io stavo ferma, e lui mi ha sparato-
-E NON LO HAI EVITATO?? MA SEI IMPAZZITA??-
erano sedute su una panca nella stanza, e in quel momento Yubaba era schizzata in piedi, mentre Juses la guardava alzarsi e dimenarsi, il viso ora aveva molte più rughe di prima.
Juses era tranquilla, con le mani appoggiate alla panca di legno, in un’espressione che sembrava infantile, gli occhi erano un po’ affusolati,di quel rosso sangue che impressionava chiunque lo guardasse.
Quel sangue…lo stesso sangue che scorreva nel corpo di Yubaba, e che ora appariva nelle iridi di quella ragazza.
Sangue…fluido scuro…caldo che si raffredda…che diventa secco…che rimane sulla pelle…copre le ferite…eppure le mostra allo stesso tempo…
Sangue debole…sangue nobile…
Sangue…solo sangue…
Yubaba si morsicò il labbro inferiore, abbassando lo sguardo, rimettendosi seduta, per poi mostrare il suo viso contratto in una smorfia di preoccupazione, mentre curava le ferite della ragazza, che restò in silenzio, socchiudendo gli occhi e guardando oltre la spalla della vecchia…
Quell’uomo aveva desiderato ucciderla…
Eppure non lo conosceva…perché voleva ucciderla?

-…perché ti cercavo…perché ti devo uccidere-

Perché, perché…
Domande vuote…in quel momento avvertiva solo una profonda stanchezza e una sensazione triste…ancora una volta aveva fatto arrabbiare Yubaba…ancora una volta l’aveva fatta stare zitta.
-…scusa…-
Yubaba alzò lo sguardo, gli occhi nocciola incontrarono il viso di Juses, il suo sguardo era perso chissà dove.
-…non fa nulla Yestind-
Yubaba accarezzò con la mano la testa nera di Juses, che la guardò con quello sguardo vuoto che sembrava volerle leggere in testa.
La vecchia finì di curare la spalla, con il taglio bastava un cerotto grande, mentre la spalla aveva una fasciatura bianca che rendeva ancora più esile quel magro corpo.
-Forza, mettiti in piedi che ti rimetto la fascia-
Juses obbedì, alzando le braccia, mentre Yubaba prendeva un’altra fascia bianca da un cassettone vicino al comodino, mettendosi in bocca i gancetti.
Strinse con forza la fascia, in modo che il seno venisse nascosto dalla garza bianca, per poi con un’operazione velocissima mettere i gancetti, battendo poi sulla spalla sana di Juses.
-Fatto!-


Si risistemò meglio gli occhiali da sole, mentre si alzava da quell’angolo di strada, osservando dietro le lenti colorate la folla che pian piano andava a scorrere, una fiumana di gente che era sui marciapiedi del centro di Merjusalem.
Persone…uomini, donne…bambini…bambini…
Aggrottò le sopracciglia, per poi sorridere amaramente, immergendosi nel bagno di folla, seguendo la corrente di gente.
Non aveva un posto dove andare di preciso, semplicemente seguiva la corrente, tenendo le mani in tasca, la giacca ondeggiava al movimento del corpo.
Continuò a camminare, era uno dei pochi che si rivelava alla folla, era alto e la testa bionda capeggiava tra le altre brune, colorate e bionde come le sue.
Evitò elegantemente di scontrarsi con delle studenti che chiacchieravano divertite, una di queste si voltò a guardarlo, per poi commentare con le altre.
Sorrise divertito, continuando a camminare, mentre il suo sguardo era perso, nascosto abilmente dalle lenti degl’occhiali da sole.
Merjusalem appariva in quel momento una città caotica, anche troppo per i suoi gusti, mentre uomini e donne sconosciuti, volti sconosciuti e voci sconosciuti lo assillavano e riempivano la sua testa confondendo i suoi sensi.
Aveva l’aria molto rilassata e al tempo stesso astratta, passava inosservato tra la gente, poche persone si voltavano a guardare quell’uomo molto alto dai corti capelli biondi con le mani in tasca che si stava masticando qualcosa in bocca, di sicuro una gomma da masticare.
In un vicolo si sentì un po’ soffocato il rumore di un hip hop, che attirò qualche istante la sua attenzione, giusto in tempo per vedere un berretto giallo acceso danzare sulla testa di un’ombra estranea, per poi avere di nuovo in faccia la vista di un muro di un’edificio.
Si voltò di nuovo a guardare la folla, mentre quel ritmo gli tornava in mente, lo aveva gia sentito.
Il berretto giallo di quello sconosciuto lentamente gli stava mostrando una strana prospettiva.
In un secondo tutte le cose gialle che erano accanto a lui, nel fiume di gente balzarono agl’occhi, mentre quel ritmo picchiava incessante sulla sua testa.
Borsa gialla, calze gialle, maglione giallo, fiocchi gialli, fiori gialli, un pupazzo giallo.
…un orsacchiotto di un’assurdo color giallo limone, con un fiocco rosso attorno al collo, bottoni neri per occhi e naso, tenuto tra le mani di una bambina dai capelli scuri a caschetto, con un cerchietto blu decorato con una spilla bianca.
La bambina camminava da sola.
Non un’adulto a starle accanto, nemmeno un fratello o una sorella che la tenesse in braccio.
Ne una madre o un padre che le stringesse affettuosamente la mano accompagnandola in qualche negozio di giocattoli, magari per farle qualche regalo perché era solo una brava bambina.
Solo una brava bambina…
Si spostò, attraversando il fiume evitando di spingere o di venir spinto, era molto silenzioso ed elegante in quel momento, e la lunga giacca che portava non lo intralciava.
Il ritmo di quell’hip hop cominciò a picchiare con più violenza nella sua testa, come se si fosse alzato il volume ad una specie di stereo.
Il berretto giallo danzava ancora nella sua testa, ma i suoi occhi azzurri si erano assottigliati, però non era per la luce, che si faceva più chiara quando tra le nuvole c’era uno squarcio di cielo azzurro.
Per certi versi era anche fastidioso quel berretto giallo, sembrava adesso sulla testa di quella bimba i cui capelli apparivano più scuri mentre la testa dell’orsacchiotto era appoggiato all’esile spalla dell’infante, i bottoni neri sembravano guardare in modo distorto e curioso la figura dell’uomo, a poca distanza dalla piccola, che continuava a camminare imperterrita.

-Perché mi segui?-

Sorrise, in modo divertito.
In qualche modo quell’orsacchiotto gli aveva parlato, aveva assunto il timbro vocale di quel ragazzo.
Della sua preda.
Il ritmo si faceva fastidioso in quel momento, mentre la bimba sembrava ingigantirsi nella sua mente e prendere strane sembianze nere, che davano un senso di soffocamento.
Ombre scure, dagl’occhi sottili.
Presenze, senza consistenza, ma solo un’illusione.
Ecco…c’era una ruga accanto all’occhio…a guardarla meglio, è una piccolissima cicatrice.
Ogni volta che ha quello sguardo quella cicatrice forma un solco che ricorda una ruga.
E lo fa invecchiare.
In realtà è giovane, molto giovane, non sa cosa vuol dire avvertire la vita scivolare via dalle dita…
…no, non è esatto…
Lui lo sa, lo sa molto bene…
Strano, la bimba è scomparsa dietro un calvo signore, che si ferma un secondo.
Ecco, ora una giovane donna con un bimbo in braccio è andata contro quell’uomo, non è successo nulla, ma nel frattempo il fiume di gente ignora il loro scontro, mentre lui si scusa con lei, e il bimbo lo guarda stranito.
È veloce, solo il bimbo alza lo sguardo per notarlo.
Gli occhi azzurri vengono coperti dalla lente degl’occhiali da sole, mentre la figura scura scompare dalla fiumana.
Il bimbo aveva chiari occhi verdi.
E lo guardava in un’espressione stupita ed innocente.
…candido…
Velocemente l’uomo scomparì nel vicolo, una piccola presenza aveva iniziato a correre, la breve galleria sembrava proteggerla dallo sguardo dell’uomo, che si limitò a scoprire il petto dalla giacca, infilandosi silenzioso una mano nel punto nascosto dal tessuto, tirando fuori con calma la pistola che portava con se.
Videl
Che nome per una pistola…
Anagrammato è Devil
Fa quasi ridere chiamare segretamente una pistola come le vittime che questa distrugge.
La bimba intanto si è fermata dal suo correre, e metà del viso si rivolge verso l’uomo, che intanto sta caricando un colpo.
Il viso in parte è coperto dai capelli a baschetto.
Tra le mani ancora quell’orsacchiotto giallo accesso dal fiocco rosso.
Sa che il fiocco è rosso, perché ormai quel nero è occupato dal colore dei ricordi.
Compreso quel berretto giallo.
Fastidioso.
La bambina è ancora di profilo, il vestito ha una gonna corta, si vedono le gambe magre della piccola in controluce.
…caricò il colpo, aggrottando le sopracciglia.

“Stop!
Aspetta un secondo, che stai a fare?”
“Elimina un fastidio, una preda.
Sta facendo la cosa giusta, lascialo fare”
“Ma avrà solo 6 anni, che cosa può fare?”
“Testa di cazzo, se io dico che quella è una mocciosa pericolosa, deve sparare!!”
“Stammi a sentire, come può una bambina, da sola, con un peluche in mano, farti del male?
Al massimo ti dice una parolaccia e ti fa una linguaccia”
“Sei un cretino, se lo stai ad ascoltare.
Spara e fottittene di quella voce”
“Fermo, calmo, rilassati e dimmi se questo è sensato”
“Allora, ancora a rompere i coglioni? Ti ho detto che devi andartene a quel paese”
“Ricordati che poi verrai incolpato di un’omicidio solo perché hai seguito il tuo istinto”
“Ok, lasciamo stare, lascia vivere quell’essere e aspettiamo che faccia delle vittime perché ascolti questo idiota”
“Cosa?”
“STRONZO! Non ti accorgi che spari un sacco di cazzate?”
“Come ti permetti? Ti ammazzo figlio di puttana!”
“Aha! Mr. calma, Mr. Pacifista, Mr. Bontà d’animo, che vuoi fare? Picchiarmi?”
“Senti, sta a sentire a me e no questo pezzo d’idiota, lasciala stare!”

…sorrise, divertito, adesso aveva anche dei problemi con la sua coscienza.
Che cretino.
La bambina si voltò verso di lui, gli occhi totalmente privi di sclera.
Hm, bel trucco.

“Ok, coglione, spara!”




Osservò con aria annoiata quell’unica macchia nera, una specie di piccolo punto che si allontanava dal suo campo visivo.
Un’uccellino?...strano, era certa che a Merjusalem non ci fossero più creature del genere.
Si passò una mano tra i capelli lunghi, restando appoggiata alla rampa del ponte per pedoni, in attesa.
Era stufa di aspettare, era arrivata in anticipo, conoscendo Geremy che era un tipo puntuale.
Però…al solito quegl’altri due di sicuro lo hanno coinvolto in qualcosa di losco e adesso stavano scappando da qualche sbirro.
Sbuffò, ormai erano diventate previdenti quelle due teste calde, però sperava che Jacob avesse fatto qualcosa di utile.
Niente da fare.
Sbuffò, mentre voltava il suo sguardo verso le macchine sotto di lei, osservando con aria annoiata tutte quelle scatole metalliche sfrecciare in quella lingua di asfalto, i fari accesi.
Camion, macchine, furgoni, biciclette, motorini…
Si mise a contarli, lo faceva sempre quando si annoiava.
Stava arrivando a cento quando fu richiamata dalla presenza di tre figure, tre a lei conosciute.
-Ilda!-
-Finalmente!-
sbuffò, alzando lo sguardo verso l’alto in un gesto di sollievo, sbuffando, mentre un ragazzo moro con violenza piegava la testa di un grigio dai capelli a spazzola verso il basso.
-Avanti chiedi scusa!-
-Ma perché io?-
-Perché è colpa tua Giona-
una biondina si fece avanti, i capelli biondi corti erano decorati con fermagli rossi e blu, mentre formava una bolla con la gomma da masticare al sapore di ciliegia.
Il grigio alzò lo sguardo, lanciando un’occhiata di finta rabbia verso la biondina.
-Non cercare di nascondere l’evidenza Calibi! E’ anche colpa tua!!-
-E perché? Non eri tu ad aver lanciato la doppia sfida?-
Ilda Fec si passò angosciata una mano sulla faccia e poi tra i mossi capelli castano chiaro, lo sguardo nocciola dal cielo color rosa pastello viola si posò sulle calze gialle arancio e rosse di Calibi, che fece la linguaccia al fratello, mostrando il percing sulla lingua, per poi continuare a masticare e formare un’altra bolla rosa che aveva l’odore della ciliegia.
-Cos’avete combinato stavolta voi due?-
-Giona ha sfidato Geremy ad attraversare la strada della galleria nel punto senza luci-
-COSA?! MA SEI RINCOGLIONITO??-
Ilda lasciò che l’istinto muovesse il suo pugno, che picchiò violentemente verso la testa apparentemente vuota di Giona, che lanciò un urlo mentre si liberava dalla presa di Geremy, il ragazzo dai capelli sale e pepe si fece restituire gli occhiali dalla biondina, sussurrando acido un “Traditrice”
La ragazza più grande sbuffo, mentre Giona si sistemava i capelli pepe e sale, quell’idiota dell’amico glieli aveva rovinati.
Nel frattempo uno skater passò li accanto, attirando l’attenzione di Calibi, la cui bolla di gomma le scoppiò in faccia, colorandole le guancia e la bocca di rosa.
Ilde si guardò intorno, mentre Geremy prendeva l’iniziativa.
-Che si fa?-
-Seguiamo lo skater?-
Calibi si era rimessa a posto la gomma, anche se adesso aveva un forte odore di caramella, merito anche del profumo che indossava.
Ilde si limitò a fare spallucce, mentre Giona si avvicinava all’amica, passandosi la mano sulla spalla.
Aveva un forte bruciore in quel punto, ed alzò lo sguardo verso il cielo.
-…un spy-bird-
-E’ lassù da un po’, evidentemente mi ha seguito da casa-
Geremy sbuffò, mentre Giona si sistemava gli occhiali sul naso.
-Uffa, da un po’ di tempo ci seguono dovunque, comincio a sentirmi a disagio…-
-Sempre meglio di Zack o Eri Tare…-
-A proposito, qualcuno sa come stanno?-
-Se non mi sbaglio si occupa di loro la sorella di Eri, Carsipe-
-Poveraccia, gia ha i suoi problemi con quella storia della sifilide-
-Non gli resta tanto da vivere…-
-Nessuno di noi ha molte speranze di vivere a lungo-
Ilde aveva superato tutti, con le mani nella tasca dei jeans larghi e strappati sulle ginocchia, i lunghi capelli mossi ondeggiavano, mentre gli altri si ammutolivano, persino Calibi smise per un secondo di fare bolle con la gomma, per poi togliersela di bocca e schiacciarla contro il palo della luce che in quel momento si accendeva.
I quattro si rimisero in moto, in silenzio, Giona affettuosamente aveva messo il braccio attorno alle spalle nude di Calibi, mentre Geremy aveva affiancato Ilde, parlando come al solito con un tono di voce basso e gentile.
-Come stanno Daniel e Gioele?-
lei sorrise triste.
-Al solito, Daniel fa i capricci da bravo bambino mentre Gioele fa il grande, anche se di nascosto anche lui fa i capricci-
il ragazzo sorrise, avvicinandosi a Ilde, che si voltò a guardarlo.
I capelli semi lunghi castano scuro tenuti da una treccia e occhi verdi.
-Hai paura?-
-No francamente. Infondo tutti quanti sapevamo che cosa sarebbe accaduto…-
-E’ vero, noi siamo P&S-
Ilde annuì, sorridendo divertita a quella che sembrava l’insegna di un negozio più che un progetto segreto che faceva parte dell’ apokalipsis.
Davanti a loro si prospettava una serata calma, senza una nuvola in cielo, mentre lo spy-bird li avrebbe seguiti e tenuti sotto controllo con le telecamere negl’occhi di vetro.


Finito il terzo capitolo!
Ehe, sono rigogliosa del discorso mentale, ho preso spunto da Dr.Dre ed Eminem in “Guilty Coscience” un bel rap.
Invece l’ultimo pezzo mi è venuto di getto, però non mi dispiace aggiungere personaggi a quella che spero diventi la prima di una saga…ma non dico altro!^^
Comunque, RINGRAZIAMENTI

Melanto:grazie mille per i complimenti, sono imbarazzatissima!^=^ In effetti mi piace molto lo sfondo Dark.
Argh! Gli errori di battitura, sono il mio dilemma peggiore^^; Vabbeh.
Michael si, lo sto facendo un po’ tormentato, ma questo è segreto! Hihi!^^

Diandraflu: si, anch’io ho un sacco di casino in testa, perciò non farci caso^^;

Noesis: Juses mi è venuto anagrammando Jesus.
Come ha scritto L_Fy lo trovo decisamente adatto al ragazzo…beh, diciamo ormai ragazza!^^

L_Fy: allora, siamo in universo alternativo, però se leggi la Bibbia nella sezione Apocalisse capisci molte cose.
Si, mi piace molto anagrammare i nomi, lo trovo divertente, anche perché inventi un sacco di combinazioni diverse.
Anche i nomi dei quattro ragazzi all’ultimo paragrafo…eeeh, ma ti dico troppo!^^
Comunque grazie per il commento e per la fiducia.
Per Uriel mi dispiace, ma mi serviva da piccolo…

GRAZIE A TUTTI!! BACI!

Meiko

*

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Capitolo 4
*** Capitolo IV ***


*

Samantha fin da piccola aveva avuto un’educazione fondata sulla religione e sulla fede verso il suo Dio.
La madre l’aveva fatta battezzare, e la portava ogni Domenica in chiesa.
Spesso la puniva, affermando che Dio l’avrebbe mandata all’inferno se continuava a fare la bambina cattiva.
Samantha spesso chiedeva com’era fatto questo Inferno.
E la madre le rispondeva tutte le volte.
“L’inferno è la dimora del demonio! E’ un luogo dove ci sono fiamme! Dove c’è sangue e dove piove fuoco, dove i diavoli ti pungono con i loro tridenti e dove soffri in eterno”
Samantha ogni volta che la madre diceva così scuoteva la testa.
“Io non ci credo”
E la madre la picchiava
“Come puoi dire che è stupido ciò che vuole Dio?”
“Perché il Dio che ci ama dovrebbe mandarci all’inferno?”
“Perché siamo stati cattivi e meritiamo una punizione”
Samantha a quel punto stava zitta, non sapendo cosa rispondere, ma dentro di se aveva sempre la sensazione che questa dell’Inferno forse una grossa scemenza.
Oppure era Dio che in realtà era cattivo.
Pian piano la bambina diventò una ragazza.
E cominciò ad affermare questa sua convinzione, con conseguente furia e orrore della madre, che scioccata aveva cominciato a pensare che la sua bimba fosse indemoniata.
E chiamò un’esorcista.
Ancora adesso lo chiama.
In questo momento lo sta chiamando.
-Pronto? Padre?...si, sono la signora Morie. Si, è per Samantha. Dice ancora quelle cose orribili.
Temo che anzi sia peggiorata, la prego venga…ok, grazie infinite padre-
La donna abbassò la cornetta del telefono, facendo tintinnare i bracciali che si era messa per uscire.
Teme che perderà l’appuntamento dal parrucchiere.
Per colpa di quella blasfema.
E dire che da piccola era si stata un po’ strana come bambina, ma si era sempre comportata bene.
Aveva fatto anche la comunione e la cresima!
Eppure in quegl’ultimi anni era peggiorata in un modo così violento.
Colpa del diavolo!
Si, doveva essersi impossessato di lei!
…ma ora ci avrebbe pensato ancora Padre Gregor.
Si, avrebbe curato la sua bambina ancora una volta.
E sarebbe tornato tutto normale.
La donna camminava in modo lento e ponderato, lei che era sempre stata donna fedele e di chiesa, educata in modo esemplare a rispettare il suo Dio.
Eppure quella miserabile di sua figlia le stava completamente rovinando il futuro sereno e felice che aveva sognato per lei.
Una ragazza dolce, gentile, obbediente e religiosa.
La sua Samantha doveva essere così.
Non poteva accettare che quelle bestemmie potessero uscire dalla bocca della sua piccola. La donna in quel momento lasciava dietro di se la scia di profumo che si era messa, e produceva un ritmo lento prodotto dai tacchi sul marmo.
Dopo il parrucchiere sarebbe passata in chiesa a confessarsi.
Quel giorno avrebbe messo la parola fine a quel grave peccato che aveva commesso.
Non doveva mai più rivedere quell’uomo, era stato solo un grave errore.
Farsi travolgere dall’impeto della lussuria, quale vergogna per una donna come lei, sposata felicemente.
Quell’uomo che continuava a farle i complimenti, a d’incontrarla e a parlarci.
Assolutamente basta!
Questo peccato impuro doveva essere pulito e scacciato!
No, era stato il diavolo a portarla a quello, ma lei stessa con la sua fede lo avrebbe scacciato dalla sua vita.
Sia dalla sua che da quella di Samantha.
Padre Gregor sarebbe arrivato tra poco, nel frattempo avrebbe preparato Samantha all’arrivo del parroco.
La donna bussò alla porta che si trovava alla fine del corridoio dell’appartamento, la luce del lampadario sopra di lei faceva brillare il pesante anello d’oro che portava al dito.
-Samantha, sono la mamma. Sto entrando-
abbassò la maniglia, e per un’istante ebbe una strana sensazione, come di un brivido, mentre lasciava cigolare leggermente la porta, la stanza sembrava tutta in ordine, le finestre aperte lasciavano entrare la luce di quella giornata.
La donna si sporse, alcuni ciuffetti di capelli si spostarono dall’acconciatura che si era messa, mentre i suoi occhi guardarono immediatamente verso il letto.
Samantha alzò lo sguardo dal libro che stava leggendo, in quel momento stava mordendo una mela, seduta sul letto in mezzo alle nuvole della coperta.
La ragazza masticò il boccone di mela, ingoiandolo, mentre attendeva che la madre si sbloccasse da quella posizione.
-Che c’è mamma?-
-Volevo dirti che Padre Gregor sta arrivando, è il caso che ti cambi-
-Non ho nessuna intenzione di vedere Padre Gregor-
-Io invece credo che tu ne abbia bisogno-
-Non credo proprio che sia IO quella che abbia bisogno di essere curata-
la donna fece una smorfia arrabbiata di fronte alla maleducazione della figlia, che continuò a leggere e a mangiare la mela.
Alla donna stava aumentando il battito cardiaco e gli veniva un leggero capogiro.
-Samantha, non ti devi permettere di parlare così, Padre Gregor ti sta solo curando.
E poi, quante volte ti ho detto di non mangiare sul letto?
E tieni su la schiena, che ti viene la gobba!
Ancora quei libracci ti leggi? Dov’è la Bibbia che ti ho regalato tesoro?-
Samantha alzò lo sguardo dalla lettura, sospirando rumorosamente, mentre la donna continuava.
-E non sospirare con me.
Adesso alzati, che ti devi cambiare-
-Ho appena detto che non voglio vedere quel prete-
-E io dico invece che lo devi vedere, perciò alzati-
-No-
-Samantha! Alzati!-
-Mamma, adesso esageri-
-Cosa?! Come ti permetti?!-
ecco…sarebbe arrivato, lei lo sapeva quando stava per arrivare quel maledetto.
Afferrò tra le dita della mani il crocifisso in oro che aveva al collo, il rosario disgraziatamente lo aveva lasciato in camera da letto.
La donna cominciò a ricordarsi mentalmente le varie preghiere, mentre la ragazza sospirava passandosi una mano tra i capelli, chiudendo il libro e alzandosi.
-Mamma, devi smetterla di renderti ridicola agl’occhi degl’altri! Ormai non capisci che sei impazzita del tutto?
Io affermo solamente che Dio non c’è-
…eccolo…era qui, era arrivato…
-Maledetto, ancora tu!-
-Mamma, smettila-
le dita con le unghie laccate di rosso si stringevano con forza a quel crocifisso come fosse un’ancora di salvezza, mentre Samantha si avvicinava tranquilla alla madre.
La donna arretrò dentro quella stanza, uscendo di nuovo dalla porta.
-Non ti avvicinare maledetto! Dimmi dov’é…dov’è mia figlia??!!-
-Mamma, sono qui. Dai, adesso smettila con questa farsa-
-Sta zitto maledetto, io rivoglio la mia piccola Samantha-
-Mamma, piantala di dire scemenze, io sono qui-
La donna arretrò ancora, strusciando contro la porta laterale del piccolo corridoio, per poi toccare con la schiena il tavolino dov’era il telefono ed una statuina della madonna.
La sua bambina…quel maledetto demonio l’aveva di nuovo presa con se.
Gliela stava portando via, via da Dio!
Doveva salvare la sua bambina, farla tornare da lei!
Padre Gregor affermava che era guarita.
Mentiva.
Quell’essere era ancora li, faceva dire cose assurde alla piccola, cose impure.
Doveva liberarsene gia da tempo, ma aveva preferito un professionista.
Ormai era convinta che Padre Gregor fosse un ciarlatano.
La sua bambina ormai era perduta.
Non andava più in chiesa, ne a confessarsi.
Anche se era una brava ragazza, era perduta.
Eccola, le sembrava di vedere…
Quel demonio….quell’orrendo demonio con le sembianze di sua figlia…
E rideva di lei…
Di quanto fosse stata stupida a lasciarsi ingannare da lui e da padre Gregor.
E rideva ancora
“Stupida donna, ormai tua figlia la porto via con me!”
-Maledetto demonio, esci dal corpo di mia figlia!!-
-Mamma, ma sei impazzita?-
“Non ne ho nessuna intenzione. La sua anima ormai è mia, così come il suo corpo”
la ragazza avanzò ancora, allungando una mano verso la madre.
E quel volto demoniaco che rideva divertito.
Avrebbe presto preso anche lei!
No!
La donna allungò un braccio indietro, mostrando ancora quel crocifisso, adesso aveva anche cominciato a balbettare.
-N-No….Lontano…s-sta lontano!!-
-Mamma…-
“Idiota, pensi che quello stupido crocifisso possa fermarmi?
Ora sei impura!”

La donna spalancò gli occhi, mentre la mano che si era mossa dietro stava tastando il tavolo alla ricerca di qualcosa, mentre il “demone” e Samantha parlavano in contemporanea, confondendola.
-Mamma, adesso calmati, non è successo niente-
“Si…io lo so che ti incontri spesso con quell’uomo…
…amici…non credo che voi siate amici…io lo so cosa pensi…
…presto…la lussuria vi porterà verso le sponde del piacere…
Vedrai…sarà fantastico l’amore con lui…molto meglio che con tuo marito…
Anche perché ormai…non credo che lui ti ami più…per lui sei troppo vecchia…
E tu hai bisogno…di nuovi stimoli…”

Il cuore adesso era accelerato in modo violento, il respiro si faceva affannoso, e gli occhi erano quasi fuori dalle orbite, sembrava totalmente impazzita, mentre Samantha si avvicinava per prenderla, abbracciarla, fermarla da quel suo strano comportamento.
Aveva fatto spesso così.
La ragazza temeva che stesse per impazzire.
Non voleva chiamare lo psicologo.
Era certa che si sarebbe ripresa.
Però adesso.
-Mamma, ascoltami-
la donna la guardò angosciata, mentre Samantha sorrideva tranquilla, amichevole.
-Ora sta calma, va bene, incontrerò Padre Gregor, ma ora mettiamoci sedute-
“Si…mettiamoci comode…rilassati…
Tanto Padre Gregor non potrà ridarti tua figlia.
Lei ora è mia.
Mi appartiene.
E tu non potrai riaverla indietro.
E presto avrò anche te.
Si…vi avrò…
E verrete tutte e due con me…”

La donna spalancò gli occhi, mentre la mano afferrò qualcosa di freddo e duro, mentre il sussurro della sua mente sembrava corrispondere al labbiale della figlia.
-Mamma-
“All’inferno”
-NOOO!! MALDETTTO!!-
la donna alzò di scatto la mano, aveva afferrato la madonnina in marmo, e con tutte e due le mani colpì violentemente la figlia, continuando ad urlare.
-MALEDETTO, VATTENE, VATTENE! ESCI DA MIA FIGLIA, RIDAMMI MIA FIGLIA! ESCI, ESCI DA QUESTO CORPO! VA VIA!!-
continuò a colpire con violenza la figlia che era crollata a terra gia dopo il primo colpo, mentre la madonnina aveva la testa che si stava sporcando di sangue.
Quando la donna poi si calmò, cominciò a ridere istericamente, alzando vittoriosa la statuetta.
-DIO! Guarda! La tua figlia ha scacciato via il diavolo! Ha salvato una delle tue pecorelle!-
a terra c’era il cadavere di Samantha, gli occhi chiusi e la testa che lasciava defluire via il sangue.
La signora Morie venne arrestata per omicidio volontario, ma chiusa in manicomio per problemi mentali.
Padre Gregor lesse la notizia sul giornale quella mattina, ricordando come la donna aveva gli occhi lucidi e brillanti di follia e gioia, mentre gli apriva e lo informava che non aveva più bisogno del suo aiuto.
“Ho sconfitto il diavolo! Da sola!”
gli aveva mostrato il cadavere della figlia così com’era.
…Samantha e lui sapevano che la madre prima o poi sarebbe impazzita.
Sospirò, mentre piegava il giornale e lo poneva sulla scrivania elegante dell’ufficio, mentre Jodie, la segretaria, guardava il prete dalla barba un po’ incolta di sottecchi continuando a battere le dita sulla tastiera del computer.
L’uomo si passò una mano prima in faccia e poi sulla barba rossa accarezzandosela, mentre la donna si fermava un attimo, voltandosi verso il suo superiore.
-E’ inutile rimuginarci su padre, lei ha fatto tutto il possibile per quella donna, ma a quanto pare non è servito. Pensi invece che la figlia adesso è in un posto migliore-
Jodie era sempre stata una giovane donna con un carattere forte e una fede piuttosto resistente e non esagerata come la signora Morie che era scoppiata come un petardo.
Samantha era sempre stata una ragazza intelligente, e aveva notato di come la madre cominciasse in certe occasioni a dimostrare uno strano comportamento legato soprattutto alla sua fede inflessibile, e quando la figlia aveva iniziato a staccarsi da lei questa aveva accentuato quelli che erano i sintomi di schizofrenia.
Non grave, ma comunque che andava controllata.
Per questo Samantha aveva accettato di farsi “esorcizzare” da Padre Gregor, il quale con la ragazza aveva capito lo stato delle cose.
Peccato che non era stato sufficiente, a giudicare da quell’articolo.
Samantha…
Samantha è in un posto migliore.
-…forse ha ragione Jodi-
la ventiduenne sorrise, continuando il suo lavoro, mentre Padre Gregor si alzava dalla sedia dove si era accomodato, uscendo dall’ufficio senza dire nulla, le grandi vetrate che lo circondavano gli davano una vista sul palazzo li affianco e sulla città davvero spettacolare, ma in quel momento stava ignorando tutto, tenendo le mani dietro la schiena, affiancando nel suo andare lento e ponderato vari preti come lui, suddivisi in curatori, esorcizzanti, sacerdoti e altri.
Ormai erano tutti riuniti in quel grosso palazzo di loro proprietà, una struttura alta le cui decorazioni erano marmi, vetri, statue, dipinti antichi e altro.
In quel momento Padre Gregor forse poteva stonare un po’ in quell’ambiente tipicamente classico, con quella lunga giacca nera e il completo nero con solo il colletto bianco a distinguerlo da qualsiasi altra persona.
Quel piano, ma come tutti gli altri piani, era provvisto di una piccola cappella, dove ad accoglierlo era il soffocante silenzio della moquette blu-viola, l’atmosfera morbida per le tende chiuse dalla vista delle vetrate dietro ad un altare decorato con dei candelabri, uno di questi illuminava un quadro di una madonna con il bambino, dall’altro lato un crocifisso.
L’uomo dalla barba rossa incolta notò la presenza di un secondo uomo, e chiuse gli occhi prendendo un profondo respiro, per poi avviarsi verso le piccole panche li presenti, l’uomo sembrò ignorarlo, troppo assorto nella sua preghiera, mentre l’altro si metteva seduto sul legno liscio della panca li vicino, accolto dal religioso silenzio.
L’uomo dalla barba rossa come i capelli lanciò un’occhiata all’uomo li vicino, gli occhi chiusi, portava una lunga giacca con delle cinghie e tra le mani stringeva un pupazzo.
Un’orsacchiotto giallo di un color giallo limone con un fiocco rosso, bottoni neri per occhi e naso.
-…-
avrebbe voluto dirgli qualcosa, ma forse per il luogo religioso, e forse per la bocca che diventava secca ogni volta che ricordava quelle parole di quell’articolo, ma restò in silenzio.
“Ragazza uccisa con violenza dalla madre. –La mia piccola è indemoniata- strillava la donna”
“la ragazza si chiamava Samantha… “
Gregor strinse le mani che teneva sulle gambe, per poi piegarsi leggermente in avanti.
L’altro uomo invece aveva aperto gli occhi, lo sguardo fisso su quell’immagine sacra della madonna con il bambino che guardava di fronte a se i due ospiti di quella che doveva rappresentare la casa di suo figlio.
Aveva in braccio quel bambino, che le teneva la mano con una delle sue, mentre l’altra era alzata.
Le iridi azzurre dell’uomo biondo si fissarono sullo sguardo spento della donna, mentre le mani tenevano una la zampa l’altra la schiena di quell’orsachiotto giallo.
-…l’hai ammazzata?-
-Dovevo…era solo un’altra creatura diabolica-
-Capisco…ed ora cosa pensi di fare Johan?-
l’uomo biondo non rispose subito, alzandosi in piedi e facendo un’inchino all’altare, tenendo sempre in mano quell’orsacchiotto, per poi voltarsi rivelando il viso ben fatto e i lineamenti eleganti, mentre Gregor l’osservava dall’alto della sua anzianità e di quell’orgoglio che in quel caso appariva inutile e sinceramente ridicolo.
Johan sorrise, porgendo l’orsacchiotto giallo limone con il fiocco rosso al Padre, mettendoglielo sulle gambe.
-Io devo portare a compito la mia missione.
Ora la domanda te la ritorco contro.
Cosa pensi di fare, Gregor?-
L’uomo rosso guardò con i suoi occhi scuri il più giovane prete, che uscì dalla cappella, l’orsacchiotto a quel punto fu soggetto all’attenzione del prete.

“Una ragazza di nome Samantha…”

“Mi aiuti, padre”

“…Gregor…”

“…”

L’orsacchiotto fu colpito da una goccia d’acqua che gli cadde sulla pelliccia giallo limone, mentre le mani del prete non riuscirono a muoversi dalla loro posizione, strette in pugno accanto le gambe, mentre il viso dell’uomo era portato verso il basso, il corpo in generale tremava, trattenendo i singhiozzi di rabbia e dolore, mentre nella sua mente si formava l’orrenda immagine della persona che amava ricoperta di sangue a causa di una pazza isterica.
La sua piccola Samantha…la sua vergine…battezzata con del sangue…

Nel frattempo Johan era uscito, e si stava sistemando gli occhiali da sole anche se la giornata era costellata di nuvolosi neri, guardandosi intorno con aria svogliata, ripartendo poi verso la fiumana di gente che invadeva Merjusalem, con in testa solo due occhi rossi dalle sfumature scure che andavano verso la pupilla.

Juses non sopportava la confusione, aveva sempre l’impressione che prima o poi si sarebbe perso in quella fiumana di gente e non sarebbe più riuscita a trovare Joe.
Però a lui divertiva tanto quel posto, anche perché poteva farsi tranquillamente le canne senza essere beccati dalla polizia.
Mentre invece Juses soffocava.
La musica era alta, troppo per i suoi gusti, gli facevano male le orecchie e tutto il corpo tremava a quel ritmo incessante che sembrava scatenare le folli passioni di quella giungla di persone.
Ragazzine troppo truccate, ragazzi grandi a caccia di uno stimolo notturno, ci si ubriacava per gioia, chi per dolore.
Alcool, fumo, pasticche che circolavano con la stessa frequenza dei soldi in quel locale grande eppure troppo piccolo per Juses, che era riuscito a salire verso la terrazza che dava verso lo spiazzo sotto dove un’orda di quelli che adesso apparivano dei selvaggi ballavano con furia.
Il ragazzo si limitò a mettersi comodo sulla terrazza, con le gambe verso il vuoto sotto di lui, una caduta di due metri circa.
La luce multicolore che andava e veniva mostrava a Juses una serie di fotogrammi di tanti corpi che si muovevano a ritmo in quella che sembrava una danza primordiale fatta da giovani futuristici.
L’aria era soffocante, c’era un forte odore di fumo, sudore e alcool mischiati insieme, li vicino qualcuno stava fumando una sigaretta con una bottiglia di whisky, davvero da far vomitare.
Poi il caldo sembrava volerlo spogliare, in modo da rivelare le sue sembianze femminili nascoste da quella giaccia in jeans che scivolava di qualche centimetro dalle spalle.
Yubaba aveva pregato ai due ragazzi di non andare in quel luogo che per Juses non era sicuro, magari avrebbe potuto rincontrare il tizio che gli aveva sparato.

“A proposito, come va la ferita?”

Se faceva strani movimenti faceva male, ma in generale era a posto.
Juses batteva il ritmo di quella musica, che però non la entusiasmava affatto, mentre gli occhi e la sua figura venivano a tratti illuminati da quelle luci.
...
Si voltò verso la scalinata, niente, Joe si stava fermando molto dai suoi amici, evidentemente stavano preparando altre bombe da poi passarsi.
Lui invece continuava a guardare la folla davanti a se, con lo sguardo si soffermava su alcuni fotogrammi, incuriosito.
Il ritmo della musica iniziò ad accelerare, così i fotogrammi diventavano più veloci, Juses si guardò un attimo le mani, aprendole e chiudendole, gli veniva una strana sensazione vedere quell’effetto della luce su di se.
Aveva come l’impressione che tutto quello che gli stava accadendo non era vero...
Non era vero...
Juses si spostò dalla sua direzione, adesso l’aria stava diventando decisamente irrespirabile, doveva uscire da quel posto!
Si fece largo tra la folla, senza interessarsi di Joe che comunque doveva essere in un mondo tutto suo con i suoi amici e le sue canne.
Aumentò il passo, avvertendo i polmoni urlare di avere bisogno di ossigeno.
Quando uscì dal locale, affiancando il buttafuori che gli lanciò un’occhiata stranita, notò che i nuvolosi neri adesso stavano rilasciando la pioggia, in un temporale moderato che però sembrava tappare ancora le orecchie di Juses, che si sistemò meglio la giacca in jeans, guardandosi intorno, il buttafuori e lui erano le uniche persone presenti in quel violetto.
Buttafuori...un ragazzo di colore alto il doppio di Juses e grasso, abbastanza da non permettere a nessuno di avvicinarsi a quell’edficio le cui porta erano insonorizzate con materassi.
Juses si mise a sedere li vicino, osservando il cadere delle gocce di pioggia sulla strada, sulle pozzanghere, su tutte le superfici presenti in quel vicolo, dall’immondizia all’asfalto ad un tombino li vicino.
L’aria lo stava leggermente pungendo neo polmoni, ma al tempo stesso lo liberava da quel fumo, da quella sensazione di soffocamento che lo aveva attanagliato.
Prese ancora qualche respiro, socchiudendo gli occhi e guardando verso l’alto, mentre l’altro tizio li affianco si accendeva una sigaretta, attaccando bottone.
-Sensazione di soffocamento?-
-...si...-
-Anch’io soffoco in quel buco, c’è troppa roba che sporca il sangue li dentro-
roba sporca...
Alcool, fumo...droga...
Sporcavano il sangue, ti entravano nel cervello...ti rincoglionivano...ti distruggevano...
...
Juses annuì con la testa, mentre l’uomo di colore guardava la pioggia sopra quel misero tettuccio sotto cui i due erano riparati.
-Lasciati dare un consiglio: non tornare in questo posto-
Juses si voltò verso di lui, guardandolo tranquillo, mentre quello di colore rivelava un braccio da sotto la manica lunga della felpa che portava, rivelando una serie di buchi e lividi violacei che decoravano come tatuaggi quella pelle scura.
-Comunque e in ogni caso finiresti per entrare nel giro...e non è un luogo sicuro-
Juses guardò ancora il braccio di quell’uomo, per poi osservare la pioggia sopra di loro e l’uscita da quel vicolo, che era illuminata come una specie via della salvezza.
Lo osservò in silenzio, sopra di loro il cielo oscuro rendeva quel posto ancora più lugubre.
-Non tornare...e dove potrei andare?-
-Questi sono problemi tuoi, l’importante è che tu non torni qui-
-Perché mi stai cacciando da questo posto?-
l’uomo sorrise, mostrando che parte dei suoi denti erano ingialliti dal tabacco, altri invece erano ancora bianchi e apparivano preziosi in quella bocca rovinata.
-Diciamo che devo colmare il mio senso di colpa in qualche modo-
-Quindi mi stai cacciando solo per un tuo problema personale-
-Si-
Juses si alzò in piedi, spolverandosi i pantaloni dalla polvere e lo sporco che di solito era sopra quello scalino di metallo, e scese sulla strada, voltandosi poi verso l’uomo.
-Sei uno stronzo egoista-
questo rise, annuendo con il capo, mentre Juses si stava bagnando sotto la pioggia.
-Posso sapere il tuo nome?-
quello di colore lo guardò
-Blaze-
-Ci si vede, Blaze-
Juses si mise le mani in tasca, allontanandosi da quel violetto, per Joe non c’erano problemi, se la sarebbe cavata da solo.
Il ragazzo si guardò intorno, mentre si stava bagnando i vestiti e le ossa, la fascia che andava ad inumidirsi cominciava a stringere in modo tale da fargli male, la pelle di sicuro presto avrebbe cominciato ad arrossarsi.
La gente era drasticamente diminuita, la maggior parte andava in giro con ombrelli di vario tipo, ignorando quel ragazzo bagnato che assomigliava esternamente a tutte quelle persone che armate d’impermeabile giravano per la città affianco la massa di persone con l’ombrello.
Anche sotto la pioggia si poteva dire che Merjaselum era una città viva, forse anche troppo.
Anche troppo...
Juses si avviò per l’ennesima volta per i vicoli deserti della città, perdendosi in quei luoghi, spesso incontrando strade senza uscita e vedendo intorno a lui posti mai visti, arrivando ad incroci dove prendeva una decisione a caso.
Era zuppo, i vestiti bagnati fradici così come i capelli, la fascia che gli stringeva in corpo si era fatta come una cinghia di cuoio che gli faceva male sulla pelle.
Quando uscì dall’ennesimo vicolo si ritrovò su uno spiazzo verso i quartieri poveri, li dove di solito i bambini si riunivano per giocare a basket, i canestri rotti e arrugginiti e dove la rete di questi era stata presa e portata via, o perché era utile o perché era troppo malconcia.
A terra non c’erano i segni della campana delle bambine, la strada era stata pulita via da quella pioggia che insistente continuava a cadere.
Juses si era fermato li, sedendosi su una di quelle panchine vecchie con il verde che era diventato color ruggine, ad osservare la desolazione intorno a lui.
Era tutto così tranquillo, non c’era nessuno...nessuno...
...
-Ehi, se continui a stare così ti prenderai un malanno-
il ragazzo si voltò verso la voce dietro di lui, una figura gli si stava avvicinando, sorridendo gentile, addosso aveva un’impermeabile di cuoio marrone ed in testa un filo di metallo con un pendente sulla fronte, accanto a quella che era una donna un uomo gli reggeva un’ombrello per coprire la figura dalla pioggia.
Juses la osservò mentre questa gli si presentava davanti.
Aveva ai piedi scarpe con il tacco chiuse, con pantaloni eleganti da completo, l’impermeabile marrone e quella cascata di capelli castani chiari legati in una morbida treccia scivolavano su una spalla ad abbellire il viso di donna gentile.
Occhi color castano...
E sull’impermeabile era cucito un giglio
La donna gli si avvicinò, sorridendogli gentilmente, sporgendosi verso il viso del ragazzo, mentre l’uomo li vicino s’innervosiva a quel gesto.
-Di un po’, non pensi sia ora di mostrarti alla gente, piccolina?-
la ragazza non abbassò nemmeno per un’istante gli occhi, in modo che la donna li davanti a lei potesse ammirare quella intensa colorazione rosso sangue.
...e dire che lui impazzirebbe se vedesse che quegl’occhi in quel volto...
La donna le allungò una mano, coperta da un guanto, accarezzandole con un sorriso la guancia.
-Yestind-
-Avete deciso di uccidermi?-
la donna si fermò in quel gesto, fissando la ragazza che si alzò in piedi, non riuscendo a contrastare la figura femminile davanti a se in altezza ma nello sguardo della ragazza vi era il gelo dei ghiacci eterni, mentre questa continuava a parlare, lasciandosi bagnare dalla pioggia.
-Finalmente avete deciso di realizzare il vostro progetto...suppongo che per permettere che ciò avvenga dobbiate prima uccidere quelli che vi mettono i bastoni tra le ruote...come il mio amico Joe-
l’uomo che reggeva l’ombrello iniziava leggermente a d’innervosirsi, aveva i capelli neri tirati all’indietro e legati in una codina.
-E come Yubaba...ma soprattutto io...giusto?-
-Quindi sai chi sono?-
-Ho una vaga idea, ma sappi che anche se ucciderete me...non potrete fermare gli altri...siamo milioni...-
-Anche noi siamo milioni...anzi...siamo molti di più. Ma io non ti voglio uccidere...in fondo mi sei molto cara...-
-Falsa-
l’aggettivo fece avanzare di un passo l’uomo, fermato solo da un’occhiata della donna li vicino, che continuò a parlare.
-E’ la verità-
-Falsa. Bugiarda...-
-Allora non vuoi vivere?-
-Non voglio perdere me stessa-
la ragazza alzò lo sguardo verso la donna, che indietreggiò di un paso, avvertendo una scarica di brividi bloccarle i muscoli.
Quelle parole...le aveva gia sentite...come quello sguardo sulla pelle...
...quel volto...
La donna non cercò di parlare, ma fissò a lungo la ragazza davanti a se.
-Tu non hai ricevuto ne il battesimo, ne qualunque altro sacramento.
Eppure a me sei molto cara, per ovvie ragioni.
Sono qui per dirti che ti renderanno la vita un’inferno, e ti offro il mio aiuto per scampare a questo-

-Lasciati dare un consiglio: non tornare in questo posto-

-...e dove potrei andare?-
-Lontano da qui, al sicuro!-
Juses alzò lo sguardo verso la donna, i capelli neri appiccicati in parte al volto.
-Mi stai proteggendo solo per il tuo senso di colpa, vero?-
la donna indietreggiò di nuovo ,avvertendo il cuore tremarle con forza nel ricordo di quel rumore, e poi quel silenzio che le rimbombava le orecchie.
la ragazza fissava la donna con intensità, mentre questa iniziava ad evitare quello sguardo.
-Sei una stronza egoista. Sei uguale a tutti gli altri.
I vostri sono solo...capricci personali...-
Si udì un rumore nell’aria, come un pugno, mentre un’ombrello volava via, e la donna iniziava a venir bagnata dalla pioggia, l’altro uomo spazientito si era mosso, sferrando un sonoro cazzotto a Juses, che cadde a terra per il colpo.
Il ragazzo si rialzò subito, iniziando a schivare i colpi del suo avversario, che urlava nella pioggia.
-MALEDETTA BASTARDA! MADAMA GABRIELLE RISCHIA LA SUA VITA IN QUESTO MOMENTO E TU LA TRATTI COSI?! NON MERITI DI VIVERE!-
-Fermati Alfred!-
Gabrielle cercò di fermare il suo subordinato, ma questo non ci vedeva più dalla rabbia, mentre Juses evitava i vari colpi, subendone però qualcuno al ventre e ancora alla faccia.
Il ragazzo ripartì all’attacco, chinandosi a terra per evitare l’ennesimo pugno per poi rialzarsi e velocemente dare una ginocchiata nel ventre del suo avversario.
Approfittando della gamba ancora in aria fece una rotazione su se stesso e scaraventò il suo avversario via con un calcio.
Questo rotolò via, per poi rialzare, ansimando e constatando di avere un labbro spaccato e il ventre che gli faceva male, infuriandosi.
Gabrielle avanzò di un passo, cercando di fermare il suo insubordinato.
-Alfred, fermati, lascia che mi sbrighi da sola con Yestind-
-E’ inutile parlare con quell’essere mia signora! Potrebbe ucciderci in qualsiasi momento, anche adesso!
E’ un mostro, non possiamo permetterci di avere pietà di lei-
-ALFRED!-
-GYAAAH!-
l’uomo tornò alla carica di Juses, che evitò un altro pugno, afferrando quella mano e avvicinandosi a lui da toccarlo con il corpo, scaraventarlo a terra e tenendo ferma la testa di lui sull’alsfalto portando quasi tutto il corpo a bloccare quello del suo avversario.
Gabrielle si avvicinò a Juses, con fare supplicante.
-Non lo uccidere!-
la ragazza alzò lo sguardo verso la donna li vicino a lei, squadrandola con il suo sguardo.
...
L’uomo ne approfittò, e dalla mano libera si generarono una serie di scariche elettriche, mentre Gabrielle notava quello che stava avvenendo.
-NO ALFRED!-
l’uomo con un colpo di reni si portò verso la spalla di Juses, agganciandola, lanciandogli così una serie di scariche elettriche che cominciarono a dare effetti negativi anche sull’uomo, la cui pelle della mano iniziava come a sciogliersi.
Il ragazzo urlò dal dolore, facendo poi partire un calcio che lo separò dall’uomo, la spalla mostrava segni evidenti di bruciature, mentre Gabrielle si avvicinava ad Alfred, che strillava dal dolore.
Juses osservò la scena, Gabrielle si avvicinò al suo subordinato che guardò con sguardo terrorizzato la mano che in parte era sciolta divenendo qualcosa di appiccicoso che cadeva a terra.
La donna alzò lo sguardo verso Juses, che rimase impassibile.
Gabrielle strinse i pugni, alzandosi in piedi.
-Yestind, se vieni via con me non succederanno cose come questa! Saranno in molti a darti la caccia-
la caccia...

-…perché ti cercavo…perché ti devo uccidere-

...
-Invece se vieni con me molte vite saranno risparmiate, o sei davvero intenzionata ad ammazzare degl’innocenti?-
il lamento di Alfred sembrò caricare ancora di più la domanda che Gabrielle aveva fatto a Juses, che alzò lo sguardo verso la donna, osservò prima il giglio sull’impermeabile, poi a fissò gli occhi e il volto della donna.
-...gia una volta hai tentato d’impossessarti di qualcosa che non ti appartiene...
...la mia vita...-
Gabrielle spalancò gli occhi, scioccata da quella risposta, mentre Juses abbassava lo sguardo verso la strada come avesse visto qualcosa d’interessante.
Poi il ragazzo tornò a fissare la donna, tranquilla, come se nulla fino a quel momento fosse successo.
-Sei solo una povera illusa se credi che tutto quello che dici sia oro colato per tutti...
...io non ascolterò i tuoi sensi di colpa...
La mia vita è solo MIA...e se qualcuno farà del male a Yubaba o Joe...
...lo ucciderò con le mie stesse mani...-
Gabrielle spalancò gli occhi di fronte al ragazzo che aveva davanti, per poi voltarsi insieme all’altra udendo un’applauso fatto da una sola persona seduta su quella panchina dove prima stava seduto Juses.
...il suo cacciatore...
-Che discorso toccante, mi hai commosso...per essere una bestia...-
l’uomo caricò la pistola, puntandola contro Juses, che all’ultimo secondo evitò il colpo, mentre l’uomo si alzava in piedi, osservando come la sua preda questa volta optasse per una ritirata strategica.
Poi l’uomo dai capelli biondi osservò Gabrielle avvicinarsi al suo subordinato, ancora in lacrime per il dolore alla mano.
...dunque portava a questo la tecnologia degl’arcangeli...
...
L’uomo biondo si offrì nel sollevare l’uomo ferito.
-Signorina, non so cosa vi ha spinto a parlare con quella creatura, ma vi consiglio di rifarlo un’altra volta, quell’essere potrebbe uccidervi-
Gabrielle ascoltò l’uomo, per poi sorridere triste, afferrando l’ombrello e riparando la figura di Alfred.
-Anche se Yestind ci uccidesse, non potrei che darle ragione.
Tra noi e lei...siamo noi i mostri...-
Johan si voltò verso la donna che aveva accanto, che continuò a camminare li affianco a lui, preoccupandosi per lo stato di Alfred.
Proseguirono in silenzio, sotto la pioggia e sotto lo sguardo di Juses, che poi si voltò per tornare da Yubaba e Joe, di sicuro rientrato dal...dal suo giro...


Ringraziamenti:

Cami: ma grazie mille ^=^ sei davvero gentilissima, spero che continui a leggere la mia storia

L_Fy: si, ho il brutto vizio di confondere le idee alle persone, ^^;

Melanto: ecco qua Melanto, spero di non averci messo troppo tempo! Si, anche i nomi dei ragazzi che ho descritto nell’altro capitolo sono anagrammati, piacciono molto anche a me! ^^
Per le domande mi dispiace, se ti rispondo ti rovino il gusto di leggere ^^

Noesis: C’è Yaoi, non temere, è solo che in questo momento mi sembra un po’ presto per aggiungerlo.
Grazie dei tuoi consigli mia maestra, io molto commossa T_T

UN BACIO A TUTTI!!
Meiko

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