Namaarie.

di Pendragon_97
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Avevano combattuto, ma a quale prezzo? ***
Capitolo 2: *** Ho sporcato la tunica nuova... ***
Capitolo 3: *** Non possiamo tornare a casa senza la mamma! ***



Capitolo 1
*** Avevano combattuto, ma a quale prezzo? ***


THRANDUIL

La battaglia nel Regno di Angmar era finita da poco tempo.
Gli elfi erano riusciti a cacciare il male dalle loro lande, combattendolo direttamente alla fonte.
Tra questi c'era Thranduil, il loro Re, che aveva combattuto valorosamente.
In quel momento stava cercando il piccolo Legolas, a passi veloci perlustrava il campo di battaglia disseminato di orchi e di Númenóreani Neri, morti.
Lo sguardo del Re era deturpato da tale orrore. Un quinto dell'esercito con cui era partito stava arrancando, per riprendere le forze. Il resto si perdeva tra i cadaveri.
Il campo era irrorato di sangue: rosso e nero, raccolto in piccole pozze o sparso.
Il cielo presto avrebbe pianto con loro, perché l'acqua purificatrice era forse l'unica soluzione per lavare via tutto quel male, quel dolore.
Avevano vinto, ma a caro prezzo, ed il Re degli Elfi se ne sarebbe reso conto in seguito.
«Legolas!» gridava, cercando di farsi sentire, anche se ormai non aveva più voce.
Doveva trovarlo, aveva promesso alla sua sposa che il piccolo sarebbe tornato a casa incolume, assieme a loro. Ma non aveva di certo potuto prevedere l'indescrivibile portata degli orrori di Angmar.
Dopo ore di ricerca, si sedette su un masso, controvoglia, obbligato dalla stanchezza incombente. I suoi piedi si erano fatti sempre più pesanti e meno inclini a dargli ascolto.
Un raggio di luce filtrò tra le nuvole, facendo brillare la sua armatura argentea. Sarebbe stata la migliore rappresentazione della perfezione elfica in battaglia, se non fosse stata ammaccata ed insanguinata. Il suo mantello era imbevuto di sangue nemico, e strappato per metà della sua lunghezza, ridotto ad uno straccio rovinato che pendeva dalle spalle del condottiero.
Chiuse gli occhi, cercando di alzarsi. La ferita alla gamba gli faceva male, ma doveva trovare il suo bambino. Il loro figlio.
Si girò dall'altro lato del masso su cui era stato seduto, per trovare la forza ma le pupille si ridussero a due fessure molto piccole, e sentì il sangue gelare quando il suo sguardo si posò ad un metro dal masso.
Ciò che vide fu la sua rovina. Accartocciato come una foglia autunnale, là giaceva il corpo della sua Regina. La pelle cerea di lei era ricoperta di tagli e graffi, un orrendo squarcio si apriva nell'armatura, in corrispondenza del cuore. Lo sguardo che un tempo era stato il più dolce, l'unico in grado di sciogliergli il cuore, ora glielo raggelava: le pupille perse nel vuoto, l'ombra dell'ultimo grido sulle labbra.
Corse da lei, cadendo in ginocchio. Delle lacrime scivolavano lungo la tempia, ormai asciutte. Si erano mescolate con il sangue, lungo la folta chioma e fino a terra.
Thranduil fu travolto dalla disperazione, tanto che non riuscì a pensare a niente di logico e razionale. Vicino a lei c'era un imponente orco, ed il pugnale della regina incastrato nel suo collo. Il corpo del nemico era più martoriato di quello di lei, tagli profondi emergevano sulla pelle grigio-nera, per terra c'erano spruzzi color pece che andavano unendosi alle scie del sangue puro della donna.
Aveva combattuto bene, ma a quale prezzo?
In quel momento Thranduil realizzò che affrontare l'immortalità da solo era stata la punizione per aver portato in battaglia anche la sua famiglia. Abbracciò forte il cadavere pallido. Anche da morta la sua bellezza risplendeva nel vuoto della desolazione. Il respiro dell'elfo si stava rompendo dai singhiozzi bloccati in gola. Un dolore che non riuscì più a trattenere. Gridò il nome della sua signora, e fu un grido tagliente e devastante, tanto che dalla bocca gli uscirono molti rivoli di sangue. Perse la voce, ma a che gli serviva se non poteva più accarezzarla con dolci parole al mattino? La prese in braccio, alzandosi molto faticosamente e la portò verso un luogo più asciutto, raccolse della legna per fare una pira, perché nessuna bara avrebbe osato nascondere la sua bellezza alla luce del sole, il Re degli Elfi avrebbe preferito spargerla per il mondo sotto forma di cenere argentea perché tutti godessero della sua impercettibile perfezione.
Distese il corpo di lei sulla piccola catasta di legna, gli tremavano le braccia. Non aveva la forza di farlo, di lasciare che il suo amore bruciasse. Quando accese il fuoco chiuse gli occhi, e li tenne chiusi finché esso iniziò a bruciare. Le lacrime trattenute troppo a lungo iniziavano a scorrere lungo il suo regale viso come fiumi in piena. Una piena di dolore, che accompagnava una leggera pioggerella.
Le gocce d'acqua, che cadendo dal cielo piangevano su tutti i morti, come il figlio di Oropher piangeva sulla sua amata.
In quel dolore delirante gli venne in mente la promessa, doveva trovare Legolas. Mentre il fuoco finiva di ardere, e combatteva per non farsi spegnere dalla pioggia, Thranduil iniziò a correre. Ferite o no, doveva trovare il bambino, anche a costo di passare l'intera esistenza a cercarlo.
Non aveva più la forza di parlare. Dentro di sé qualcosa si ruppe. Dentro di sé nere nuvole si stavano addensando, ed il sole piano piano stava diventando di ghiaccio.
Là dove il fuoco aveva bruciato ogni traccia della regina di Boscoverde il Grande, rimasero solo i gioielli della luce pallida, stellare, che ella aveva indossato. Erano stati il dono di nozze.
 

LEGOLAS

Dense nuvole color della notte oscuravano quel dì la tetra fortezza di Angmar, teatro dell'imminente scontro tra Elfi ed Orchi. Mai il sole osò fare capolino tra di esse, tanto era grande la crudeltà che per sempre sarebbe stata associata al ricordo di cotale scontro.
Interamente ricoperti di metallo, impugnando lunghi bastoni di ferro fu come Legolas vide per l'ultima volta i propri genitori prima di rimanere solo, circondato da un taciturno drappello d'uomini, in una grande tenda color dell'estate. Sarebbero tornati. Insieme, così come erano partiti, mamma e papà sarebbero tornati da lui. Questa fu l'unica promessa -nonché il solo pensiero- che in quelle lunghe ore d'assedio scaldò il cuore del piccolo Legolas.
Come poteva un bambino comprendere che là fuori, ad ogni secondo che trascorreva, i propri genitori rischiavano di morire? Come poteva un infante capire per quali nobili motivi un simile spreco di vite era tollerato? La guerra era indispensabile alla sopravvivenza di un popolo, il solo strumento -forse il più immediato- per dimostrare la potenza -o la follia- di un sovrano. Con parole povere, spoglie dell'antico orgoglio di regnante, Thranduil spiegò al figlioletto per quale motivo si fossero spinti tanto lontano dalla quieta foresta e dai vivaci ruscelli che la attraversavano. Eppure, sebbene il monologo del padre potesse sembrare per certi versi incoraggiante, Legolas non comprese, né osò domandarlo, perché molti degli uomini che quel mattino vide non sarebbero più tornati.
Freddo era lo sguardo del sovrano, teso e preoccupato come raramente gli era dato vederlo. La stessa genitrice, calda e materna, aveva tentato di risollevare lo spirito del consorte poco prima di partire, insieme, per quel loro ultimo viaggio.
Fu con quell'immagine nella mente, dei due genitori stretti l'uno all'altra, che Legolas alzò i propri occhi color del cielo verso l'entrata della tenda quand'essa improvvisamente si spalancò.
Grugniti, sbuffi, ruggiti accompagnarono la marcia di quelle strane belve che al posto del suo papà erano giunte nel loro rifugio. Grosse anelle di metallo portavano lungo il perimetro di quelle che un tempo dovevano essere state delle orecchie e una fila di denti gialli, storti e sbilenchi, si aprivano in quel volto totalmente nero così come il resto del corpo. Del loro tanfo prestò s'impregnò l'intero accampamento tanto che Legolas -impressionato da una tale visione- si costrinse a fuggire. Oltre la tenda, superando le postazioni elfiche oramai prese d'assedio dal nemico, il piccolo elfo corse per miglia e miglia senza mai trovare il coraggio di arrestarsi. Doveva trovare il suo papà, soltanto lui lo avrebbe salvato da un simile orrore.

«Nana! Ada!»
[Mamma! Papà!]

Gridava a pieni polmoni, scavalcando e pestando distese di cadaveri d'Elfi ed Orchi ammassati a terra in modo convulso. Nulla. Di Thranduil alcuna traccia egli trovò nel raggio di miglia e miglia. Era solo, completamente solo dopo la sua fuga dall'accampamento in cui aveva promesso di restare. Forse era là ch'erano tornati i due regnanti per salvare il loro bambino, combattendo fianco a fianco. O forse, essi non erano che una singola massa di corpi informi, magari una di quelle che Legolas aveva pestato in preda al panico.
Esausto infine si fermò, piegandosi sulle ginocchia per riprendere fiato. In petto i polmoni ardevano, così come i muscoli lungo tutte le gambe. Per quanto aveva corso? Dove lo aveva condotto la paura? In quale luogo si era perduto? Con le lacrime agli occhi, esasperato, egli si lasciò cadere a terra, non troppo lontano da un altro Elfo del cui sangue la terra tutt'intorto era inzuppata.

«Ada! Ada!»
[Papà! Papà!]

Chiamò ancora, sempre più piano, affievolendosi ad ogni nuovo grido. Non sarebbe mai più tornato a casa, presto l'oscurità lo avrebbe avvolto e con essa, la morte avrebbe posto fine alle sue sofferenze.
Ma Legolas non poteva ancora sapere che mai, durante una battaglia, v'era il tempo per disperare. Perché, anche se sconfitto, il nemico sempre continuava a rappresentare una minaccia. Questo egli imparò quel dì quando, tra un singhiozzo e l'altro, udì un grugnito spezzare il silenzio di quell'infinita landa punteggiata di cadaveri. Pietrificato dalla paura, Legolas non trovò la forza di fuggire fino a quando una mano, tetra come gli sguardi vuoti di quei corpi senza vita, non si posò sulla sua spalla.
Fu allora che scappò, sfuggendo alla nera lama portatrice di morte.

«Ada! Ada! Ada!»
[Papà! Papà! Papà!]

Riprese a gridare, questa volta più forte a causa della minaccia che non pareva intenzionata ad arrendersi.
Un denso fumo grigio spezzò la continuità dell'orizzonte qualche miglio a Nord. Forse gli Elfi stavano tenendo un banchetto per festeggiare la vittoria! O forse era il nemico a brindare sopra i cadaveri dei suoi genitori...
Con le lacrime agli occhi che, per lo sforzo, gli impedivano di vedere nitidamente dinanzi a sé, Legolas corse per diversi minuti verso quell'unico punto che nel silenzio della radura pareva possedere vita. E fu là che notò una figura, alta e argentata, avvolta in un panno un tempo color porpora. Possibile che fosse il suo papà? Possibile che finalmente lo avesse trovato?!
Avvertendo il fiato dell'Orco avvicinarsi improvvisamente alle proprie spalle, Legolas scattò nuovamente verso la salvezza ma le sue giovani gambe, non abituate ad un simile sforzo, crollarono sfinite.
Rovinosamente egli cadde a terra, sbucciandosi entrambe le ginocchia e gran parte del volto. Fu la sua fortuna giacché l'Orco, invaghito dell'odore d'un sangue tanto giovane e fresco, subito si chinò verso le rocce di cui si erano macchiate, permettendo a Legolas di gattonare verso le gambe del genitore che pareva averlo riconosciuto.

«Ada, aiutami…»

Lo implorò, strisciando oltre la fiera figura ricoperta d'argento del Re degli Elfi.

 

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Capitolo 2
*** Ho sporcato la tunica nuova... ***


THRANDUIL

Thranduil era impegnato nella ricerca da diverse ore, aveva perlustrato gran parte della landa desolata. E così, senza voce, era svantaggiato perché non poteva chiamarlo. Ci provò varie volte ma l'unico risultato fu che il nome del figlio non usciva dalla gola, riusciva solo a pensarlo a volume alto, ma l'unico rumore che produceva era una fastidiosa tosse, e sentiva bruciare la gola, come se avesse ingoiato un tizzone ardente.
Sentiva il peso della stanchezza e del dolore gravare su di sé, mentre la ferita alla gamba pulsava, faceva male e lo rallentava.
Sentiva la testa girare, forse per il troppo sconvolgimento che aveva subito, sì, il grande Re degli Elfi era stato sconvolto. L'unica cosa che dava senso alla sua vita era Legolas, e se fosse morto anche lui? Non ci voleva pensare. Doveva trovarlo prima di eventuali nemici.
Camminava, vagando e uccidendo gli ultimi orchi che attraversavano la sua strada. Nonostante le sue forze stessero venendo meno, un'altra grande forza lo stava alimentando.
La rabbia.
"Voi, maledetta sia la vostra razza! Avete ucciso la mia gemma!" pensò, furente.
L'odio che provava per gli orchi spingeva la sua mano con una forza che non gli apparteneva.
Le pupille dell'elfo guizzavano a destra e a sinistra, alla ricerca disperata del piccolo.
Poteva essere ovunque, eppure non era da nessuna parte.
Rimpianse la sua stupida idea di averlo portato.
In quel momento era tornato alla tenda, o perlomeno a ciò che ne rimaneva: drappi verdi strappati e legnetti spezzati. Frugò tra i resti, e nulla. Per fortuna non era lì, sotto alle macerie.
Lasciò il posto, sempre più disperato, perché non sapeva più dove cercare.
Se Legolas fosse scappato, allora non lo avrebbe più ritrovato.
Gli era rimasto solo un quinto dei soldati con cui era partito, il resto erano cadaveri sparsi sul campo di battaglia, lucenti nelle loro armature, parevano riposare assopiti.
Non aveva più voce per chiamarli, per mobilitarli alla ricerca del figlio. E si sentì immensamente piccolo, impotente.

Si diresse, poi, arrancando verso un paesaggio roccioso, anche questo ricoperto di corpi di nemici e di elfi. Di amici che prima della battaglia avevano brindato con lui, per lui. Per la vittoria.
La pioggia stava lavando via il sangue sparso su quella terra, e dei fulmini iniziavano ad illuminare il cielo, l'unica luce di quella tetra giornata.
Si fermò per riposare ancora un attimo, ancora una volta obbligato dal suo corpo esausto.
Stava dando tutto per perso, quando poco dopo sentì una vocina chiamare. Dei piccoli passi, ed il rumore di un tuono coprì il suono della caduta del piccolo.
Guardò in quella direzione, e vide un mostro ergersi sopra Legolas.
Un attimo dopo, il bambino era dietro di lui.
Sguainò ancora una volta la spada, che riluceva in quell'ombra di una luce che pareva emanasse di suo.
Anche negli occhi di Thranduil si era accesa una nuova luce. L'amore che nutriva per il figlio, per il frutto dell'unione con la sua consorte, fu uno spruzzo di energia che gli permise di scattare contro l'orco.
Il combattimento non fu breve, poiché il Re degli Elfi non era nelle condizioni adatte.
Tuttavia il nemico era grosso, tozzo e goffo. I movimenti erano abbastanza lenti, tanto che Thranduil lo disarmò con due fendenti e quando esso stava per caricarlo, l'elfo riuscì a scansarsi in tempo e ad infilzarlo.
Un rauco grido spaccò il silenzio, poi non si udì altro che il rumore della caduta della pioggia.
Il Re del Bosco Atro rinfoderò la sua lama, e prese il figlio in braccio. Lo strinse a sé.
Se avesse avuto altre lacrime le avrebbe piante, per il dolore che attanagliava e serrava violentemente il suo cuore, e per la gioia di aver ritrovato il suo bambino.
«Sono qui...» riuscì a dire, in un sussurro spezzato.

«Va tutto bene...»



LEGOLAS

La paura si impadronì del cuore del piccolo elfo, costringendolo a galoppare talmente forte che nessun Mearas sarebbe mai riuscito a sostenere tale andatura. Prima del dolore, prima della rabbia che ammontava nella sua mente per ciò che l'Orco avrebbe potuto fare al suo papà, era il timore a guidare le azioni del principino.
In quel dì dalle apparenze uggiose il sole non sarebbe mai uscito, eppure Legolas era in ombra in quell'istante. Una grande chiazza scura rinchiudeva l'intero suo corpo, una macchia che pareva possedere vita giacché essa si muoveva esattamente come il genitore.
Protetto dal proprio papà, confortato persino dalla presenza della sua grande ombra, Legolas si sentiva finalmente al sicuro e malgrado il dolore cominciasse a farsi sentire, egli – traballando 
volle ugualmente alzarsi in piedi.

«Non ti arrendere ada!»

Fu la violenza di pochi istanti dopo, quando l'Orco tentò di disarmare il padre e quest'ultimo rispose con un fendente letale che Legolas si inorridì, crollando a terra.
Mai, nella sua innocenza di bambino, aveva veduto una tale crudeltà. Mai la figura del genitore - del suo papà!
era stata deturpata da una smorfia di dolore, sofferenza e odio. Mai i suoi occhi avevano brillato tanto intensamente in assenza della regina.
Smarrito, lo sguardo del piccolo, bagnato da pure lacrime di terrore, dapprima si posò sul cadavere di quella strana creatura ancora agonizzante e successivamente sui propri pantaloni, orrendamente strappati ed insanguinati. Chiazze rosso scarlatto si susseguivano a lacerazioni, residui di sporco e granelli di polvere. Gli doleva il volto, gli doleva il mento con il quale aveva picchiato a terra.
Denso liquido rossastro gli colava sulla tunica che la madre stessa gli aveva fatto indossare quel mattino. Si sarebbe arrabbiata? Probabilmente sì giacché sempre ella aveva richiesto compostezza e regalità al proprio primogenito. Tremando vistosamente, Legolas alzò appena un dito per sfiorare quanto gli adornava il suo bel volto. Una melma, accesa ed infiammata per giunta.

«Ho...  avuto tanta paura.»

La voce smorzata dal pianto che, prepotente, si fece largo nel cuore dell'elfo, impedendogli di parlare. Non un solo termine sarebbe sfuggito da quelle tenere labbra senza un singhiozzo ad accompagnarlo.
Tirando su con il naso, abbracciando forte il collo del genitore, Legolas poggiò la parte del viso sana sopra la fredda corazza metallica che ricopriva la spalla del regnante. Non un rumore proveniva dall'orizzonte, freddo e sconsolato così come il cuore del piccolo che -tuttavia - ignorava la crudele realtà.

«La mamma si arrabbierà, ada. Ho sporcato la tunica nuova…»

Disse infine in un sussurro, gemendo appena di dolore mentre il suo sguardo cristallino osservava l'infrangersi di sporadiche gocce di pioggia sulla corazza del reale.
Se la battaglia - quella fisica - poteva considerarsi conclusa, la lotta contro il dolore e quel vuoto ch'avrebbe caratterizzato l'eternità dei due elfi era appena iniziata.


 

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Capitolo 3
*** Non possiamo tornare a casa senza la mamma! ***


THRANDUIL

Dopo aver ucciso l'orco si rese conto di essersi lasciato prendere la mano, forse troppo per gli innocenti occhi del figlio.
Lo strinse a sé, quasi tentando di fargli dimenticare, di calmarlo, ma invano.
Quel ricordo probabilmente sarebbe rimasto dentro di lui, o sarebbe stato cancellato con l'avanzare dell'età: infondo era solo un bambino.
Con una mano spostò il peso del bambino da una parte, pur tenendolo in braccio, per estrarre delle foglie di Asëa aranion, conosciuta anche con il nome di Athelas o Foglia del Re. L'aroma rinfrescante della pianta inondava di pace e di calma i sensi di chiunque, tranne quelli del cupo elfo.
«Legolas... mangiane un po', ti sentirai meglio» disse, porgendogliene una. L'erba infatti curava anche le ferite, donando immediato sollievo. Gli tese le foglie, e decise che lui non ne avrebbe usufruito.
Il dolore alla gamba lo distraeva dal dolore al cuore, all'anima, anche se di poco.
Per ogni passo che compiva, sentiva come una pugnalata assieme al pulsare della ferita, era piuttosto profonda.
Quando sentì il bambino parlare della madre, gli si strinse il cuore, una grossa fitta, come se quello trafitto da un pugnale fosse stato lui.
Ricordò il viso di lei, luminoso: sembrava assopita. Ma il suo sonno era eterno, non si sarebbe più svegliata.
Fece per dire qualcosa, ma le parole gli morirono in gola, non aveva la forza di parlare, non di lei.
Così non gli rispose. Non ci riuscì.
Il dolore della perdita aveva sconvolto lui a tal punto che non avrebbe potuto immaginare che effetto avrebbe fatto al figlio, e lui comunque non sarebbe riuscito a fare nulla per tirarlo su di morale in seguito, non ci riusciva nemmeno con sé stesso.

"Nana non si arrabbierà, non questa volta" quel poco di voce che aveva non uscì dalla gola, e anche questa frase restò lì, incastrata nella sua mente, dolorante quanto una lancia conficcata nel cuore.
In silenzio marciava, passo dopo passo, con la calma di un ferito che nonostante tutto voleva tornare a casa. Già, casa.
Si guardò intorno, ciò che vide era lo stesso spettacolo di prima: cadaveri ammassati di orchi e di elfi. Inorridì ancora, l'orrore che provava era lo stesso che aveva provato quando era morto sua padre Oropher: durante la sanguinosa battaglia di Dagorlad, ucciso dagli orchi - maledetti loro - mentre Thranduil era riuscito a sopravvivere, tornando con metà dell'esercito con cui erano partiti. Da allora il Re degli Elfi aveva deciso di rinforzare le armature elfiche, cercando di non appesantirle, poiché in quella battaglia erano state troppo leggere ed inadatte per la protezione contro le armi pesanti di Mordor.
Dopo una lunga camminata, finalmente arrivò nel punto in cui - prima della battaglia - aveva deciso di riunire i soldati rimasti alla fine, erano un numero sostenuto, ma in quel momento l'elfo non si sentì così fortunato, perché nel suo egoismo avrebbe preferito che ce ne fossero molti di meno e che tra di essi ci fosse lei.
Scacciò quel pensiero dalla testa, sospirando.



LEGOLAS

Come un cucciolo spaventato dall'infuriare della tempesta, Legolas rimase fermamente stretto al collo del padre sebbene l'armatura ch'egli indossava non fosse troppo comoda. Fredda, bagnata e maleodorante ma pur sempre appartenente al suo papà, al suo salvatore.
Nulla in quella distesa desolata, attraversata unicamente dal rombo del vento, gli donava sicurezza. Non il silenzio che pareva non conoscere limiti, che pareva affogare chiunque vi si addentrasse. Non la vegetazione – assente - che conferiva alla terra dura e spoglia un aspetto sinistro e decisamente poco invitante.
In quel teatro di morte, soltanto il suo papà aveva la forza d'ergersi in piedi e di continuare a combattere per il proprio primogenito; soltanto il suo papà aveva avuto la forza di rialzarsi dal polveroso manto orribilmente imbrattato, selvaggio cacciatore d'anime erranti.

«Nana dice che sono troppo piccolo… e che l'Athelas è un rimedio per i grandi. Tu ne hai più bisogno, ada... sei stanco e ferito... e dobbiamo tornare a casa.»


Ricordava fin troppo bene gli ammonimenti della madre che raramente con lui si arrabbiava ma quando lo faceva, era sempre per una giusta causa. Alzando appena il capo, sporgendosi nella sua direzione, Legolas gli lasciò un timido bacio sulla guancia, sporca esattamente come le proprie. Non sarebbe stato facile dimostrare al genitore la gioia ch'aveva provato nel vederlo sano e salvo... e nel vederlo battersi con tanta foga e determinazione unicamente per lui.
Un bacio era quanto di più spontaneo ed innocente un bambino potesse donare e, per il momento, forse era l'unica "medicina" che avesse qualche possibilità di alleviare le ferite di un cuore infranto.

«Dov'è la mamma, ada? Perché non era con te?»

Gli domandò con una nota di preoccupazione nella voce. Che fosse rimasta ferita o... che, assieme a tanti altri soldati, ornasse il lugubre terreno di quella landa senza futuro? Di lacrime i suoi occhi si colmarono nel vedere come il padre evitasse il suo sguardo, come sfuggisse alla verità. Cosa significava? O meglio, quale atrocità spaventava a tal punto il cuore del grande sovrano?
Passando distrattamente la manica della propria tunica laddove il sangue che decorava il suo volto aveva sporcato l'armatura del genitore, Legolas scrutò gli sguardi dei sopravvissuti che - con un motto di tristezza e tacita malinconia - a sua volta lo fissavano. Perché quegli sguardi? Perché quel silenzio?! Cos'era accaduto di tanto grave che nessuno aveva il coraggio di confessare?
Deglutendo rumorosamente, poggiando una mano sulla spalla del genitore, Legolas tentò di incrociare il suo sguardo. Invano.
Thranduil mai si sarebbe mostrato per l'uomo ch'era veramente... giacché la sola ch'aveva avuto il suo cuore, che l'aveva amato ed apprezzato per colui che veramente era, aveva portato con sé - nel suo ultimo viaggio - il proprio segreto.

«Ada, noi... non possiamo tornare a casa senza la mamma!»

Gridò disperato, come se già conoscesse l'ingiusta verità che quegli occhi color del ghiaccio a lui non potevano nascondere.

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