Con gli occhi di Lisa - parte II (A love Christmas)

di Morghana
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cap.1 ***
Capitolo 2: *** Cap.2 ***



Capitolo 1
*** Cap.1 ***


*

Lisa giocherellava con alcune conchiglie raccolte sulla spiaggia, al termine di una delle tante passeggiate fatte con Sakon, in quei primi due mesi della sua nuova vita sulla Terra.

Si erano seduti sulla sabbia, sul grande telo di spugna che avevano preso l'abitudine di portare con loro, appunto per mettersi comodi a chiacchierare in riva al mare.

Lui però, fiaccato da una giornata di lavoro intensissimo, aveva finito per sdraiarsi ed assopirsi, con il sorriso sulle labbra. Lisa lo lasciò riposare, sorridendogli a sua volta e distendendosi prona al suo fianco, accarezzandogli lievemente la mano che aveva posato sul petto.

Fu però un sonno di breve durata, perché dopo poco sentì l'altra mano di Sakon scivolarle intorno al collo, per attirarsela vicino.

“Sei felice, Lisa?” le chiese sussurrando, senza aprire gli occhi.
“Perché non dovrei esserlo?” gli rispose lei, con lo stesso tono.
“Penso spesso a come tu ti possa sentire, lontano dal tuo pianeta e dalla tua gente... ho sempre il timore che tu possa soffrire di nostalgia.”

Riaprì gli occhi, ravviandole dolcemente con le dita i capelli scompigliati dalla brezza marina.

“Promettimi che non ti terrai nulla dentro... che ti sfogherai con me, che mi parlerai di quel che senti e che provi, se il rimpianto dovesse farsi sentire. Promettimelo, Lisa.”
“Ti prometto che lo farò, se dovesse capitare, ma finora non è mai successo e non credo succederà mai. Il mio pianeta è destinato ad essere inghiottito dal buco nero e, prima o poi, gli zelani dovranno abbandonarlo comunque. Io l'ho soltanto lasciato prima di loro, ma sarebbe comunque accaduto.”

“Non ti mancano i tuoi amici, o i tuoi parenti, se ne hai ancora?”
“Sakon, qui sulla Terra ho ritrovato tutto ciò che avevo perduto: la mia casa, la mia famiglia, i miei cari siete voi, oggi e per sempre. Non rinnego la mia gente, ma non avrebbe senso rimpiangere quello che non si può più avere, soprattutto quando si è trovato qualcosa che lo compensa ampiamente.”

“E... cosa sarebbe, questo qualcosa?” domandò Sakon, con voce dolce, circondandola con le braccia e traendola a sé, sprofondando con gli occhi nei suoi.
Sapeva già quale risposta gli avrebbe dato Lisa, ma non era mai stanco di sentirselo dire e non lo sarebbe mai stato.

“Non è una cosa, Sakon, è una persona e lo sai bene. Sai benissimo di essere tu... e non perché mi hai salvato la vita. Cioè, anche per questo, ma è il motivo che è venuto per ultimo. Sei tu perché... sei tu.” gli confessò Lisa con una semplicità disarmante.

“Ti amo...” sussurrò Sakon, prima di baciarla.
“Ti amo anch'io...” gli rispose lei, staccandosi dalle sue labbra giusto il tempo necessario per dirglielo, prima di riprendere da dove avevano interrotto.

Si rialzarono solo al tramonto, per rientrare nel faro ed andare a cenare, ma il meraviglioso spettacolo del sole infuocato che sembrava annegare nel mare fece su Lisa l'effetto di una calamita.
Si avvicinò di più al bagnasciuga, come per ammirarlo meglio.

Sakon sentì il suo bisogno di isolarsi momentaneamente e lo rispettò, restando a distanza. Solo quando fu lei stessa a chiamarlo, dopo alcuni minuti trascorsi a contemplare l'orizzonte screziato di rosso, si avvicinò, fermandosi dietro di lei.

“Sakon...”

“Sì?” mormorò lui, teneramente, aspettandosi una delle tante confidenze che lei, aprendosi pian piano, gli stava facendo negli ultimi tempi.
Confidenza che, puntualmente, arrivò.

“Sai... non ricordo di aver mai visto un vero tramonto, su Zela. Sigma, il nostro sole, aveva già cominciato a tramutarsi in un buco nero quando io ero piccina ed i suoi colori, quando tramontava, erano pallidi e smorti. Sembrava semplicemente offuscarsi e spegnersi...” concluse, tristemente.

Si sentì abbracciare alle spalle.

“So che è impossibile dimenticare i luoghi e le persone, Lisa... sentiti libera di parlare e di sfogarti, anche di piangere, se ne senti il bisogno, ma ora il tuo pianeta è questo. Il tuo pianeta, mi comprendi? Qui non sei un'ospite, ma sei a casa tua. Lo hai detto tu stessa, prima: adesso è questa la tua casa e noi, tutti noi, siamo la tua famiglia.”

Due lacrime scesero dagli occhi di Lisa, cadendo come gocce lucenti sulle mani di Sakon... che la strinse ancora di più a sé.

“Piangi... piangi pure. Tira fuori più dolore che puoi, ti farà bene... ma lascia che ti faccia io una confessione, ora.”

Le girò intorno, mettendosi di fronte a lei e prendendole il volto tra le mani.

“Quando ti vidi piangere per la prima volta, mentre inveivi contro di noi per aver ucciso tuo fratello, i tuoi occhi erano appannati dal dolore... e per una frazione di secondo pensai a quanto avrebbero potuto illuminarsi se, invece che di dolore, tu avessi pianto di gioia. E' da allora che ho questa speranza...”

“Vuoi dire che...”
“Sì, Lisa... è questa la mia più grande aspirazione: farti piangere... ma di gioia. E ci riuscirò, te lo prometto.” concluse, un attimo prima di immergere le labbra nelle sue.

Finirono per dover mandare giù una cena ormai fredda, quando rientrarono nel faro.
Ma a nessuno dei due interessava quel che stava nel piatto e la relativa temperatura.

Erano, semplicemente, felici.

*

“Avanti!” invitò il dottor Daimonji, sentendo bussare alla porta della sua piccola biblioteca personale, dove si era recato dopo cena per mettersi comodo in poltrona a leggere un po'.

“Salve, dottore... posso disturbarla?” chiese Lisa, facendo capolino con un sorriso.
“Disturbo? Quale disturbo? Entra, ragazza mia, entra pure... accomodati. Cosa posso fare per te?” fu l'accoglienza benevola e premurosa dello scienziato, che le indicò la poltrona di fronte a lui.

Gli risposero un sorriso ed una frase sibillina, mentre Lisa si sedeva: “Diciamo... essermi complice?”
“Complice? E, sentiamo... per cosa?” chiese lo scienziato, chiudendo il libro e togliendosi gli occhiali da lettura, incuriosito e divertito dall'espressione birichina della giovane.

In poche parole, Lisa gli spiegò quel che aveva in mente di fare e, sebbene poco persuaso, lui le diede il suo assenso e le promise il suo aiuto ed il suo silenzio.
In fondo, quella di Lisa poteva non essere una cattiva idea.

Un paterno bacio del dottore sulla fronte, al momento del commiato, spinse la ragazza a fare quanto da tempo desiderava fare: abbracciarlo e ringraziarlo per tutto quello che aveva fatto e stava facendo per lei.
Ne fu prontamente ricambiata, non soltanto con l'abbraccio ma anche con le parole che le rivolse, degne in tutto e per tutto di un padre amoroso che parlasse alla propria figlia.

“Lisa, non hai nulla per cui ringraziarmi. Semplicemente, per mio tramite, il destino ha voluto restituirti quello che ti è stato portato via: il tuo pianeta, la tua casa e la tua famiglia, in particolare tuo fratello. Tutto quel che ho fatto e che farò, per te, lo considero a pari merito un dovere ed una gioia, sappilo... ti sei rivelata una sorella, per Midori, oltre che un'amica sincera ed un'alleata preziosa e quindi, semmai, siamo tutti noi a dover ringraziare te.”

“Dottore...” alitò appena Lisa, ad un passo dal commuoversi.

“Papà, figliola... se accetti di considerarmi tale. Non pretendo certo di prendere il posto di tuo padre, ma se sei come una sorella per Midori, mi sembra giusto che mi chiami così, come mi chiama lei. Non ti sembra?” sorrise il dottor Daimonji, tenendola affettuosamente tra le braccia.

Lisa respirò profondamente per riprendere fiato, prima di rispondere.

“Dottore... in un certo senso ora lei è davvero mio padre, visto che devo anche a lei l'essere qui, ancora viva. E' vero che è stato Sakon a disinnescare materialmente la bomba, ma non avrebbe potuto farlo senza il suo permesso. Ero condannata a morte, oramai... ed è stato lei a farmi grazia della vita.”

“No, Lisa, non è del tutto esatto. Anche io, come Sakon, avrei fatto l'impossibile per salvarti, ma ti posso assicurare che lui avrebbe agito comunque, anche contro i miei ordini. E' sempre stato ligio alla disciplina ed all'obbedienza ai superiori, ma ha una volontà ferrea ed, in quel momento, la sua volontà era quella di salvarti... o di morire con te.”

“Lei può anche non credermi, dottore, ma a volte ho l'impressione di essere la protagonista di una fiaba... o di un miracolo.”
“Beh, figliola, tra poco più di un mese arriverà il Natale... ed i cristiani dicono che il Natale sia proprio la festa dei miracoli. Magari nel tuo caso Gesù Bambino si sarà sbrigato in anticipo, vista l'urgenza, però... chi può dire che non sia stato così?”

“Natale? Gesù Bambino?” chiese Lisa, perplessa.

“Non conosci la storia del Natale?”
“No... mai sentita.”
“Allora siediti... te la racconto.”

“Ma... non sono un po' grandicella per le favole?” sorrise Lisa.
“Non si è mai troppo grandi per sognare, piccola.” le rispose il dottore, ricambiandole il sorriso e facendole cenno di tornare a sedersi.

“Sì... papà!” esclamò lei, di getto, in un impulso che le scaturì dal cuore e che le guadagnò un secondo bacio sulla fronte ed un secondo abbraccio dal dottore.

Si sedettero l'uno di fronte all'altra e lo scienziato, che sentiva davvero di aver acquisito una seconda figlia, prendendole le mani tra le sue, iniziò a parlare.

Se qualcuno li avesse visti, in quel momento, avrebbe davvero creduto di avere dinanzi un papà che stesse raccontando una fiaba alla propria figlioletta dagli occhi sognanti.

*

Era trascorso un altro mese ed il 24 dicembre si stava avvicinando a grandi passi.
Nonostante pochissime persone dell'equipaggio fossero di religione cristiana, si era stabilito di festeggiare esattamente alla maniera dei cristiani, con tanto di cena della Vigilia e pranzo di Natale.

Sakon, insieme a Midori e Sanshiro, le spiegò il significato di quella festività, sia come ricorrenza appartenente al Cristianesimo sia come occasione di festa per i giapponesi, sebbene in maggioranza buddisti e scintoisti... e Lisa, comprendendo come e quanto tenessero a farla partecipe delle usanze e tradizioni terrestri, si guardò bene dall'obiettare che il dottor Daimonji le aveva già raccontato ogni cosa al riguardo.

Si divertirono entrambi nel preparare ed addobbare il tradizionale albero, insieme ai loro compagni ed, incredibilmente, anche Pete fece la sua parte, poco loquace come al solito ma con il lieve sorriso che, da un po' di tempo, gli illuminava spesso il volto.

I giorni passarono veloci e sempre più saturi di aria natalizia, nonostante la guerra e le battaglie sempre più aspre contro le forze dell'Orrore Nero... l'unica cosa che guastò quell'atmosfera, per Sakon, fu il constatare che Lisa aveva iniziato a ricevere telefonate sul cellulare di servizio che, tempo prima, le era stato offerto dal dottor Daimonji in persona.

Lei non conosceva nessuno sulla Terra, a parte lui e l'equipaggio del Drago, con il quale, oltretutto, comunicava attraverso il bracciale radio, quindi chi diavolo poteva essere a telefonarle così spesso ed a sentirsi rispondere così amichevolmente? Lei non faceva nomi mentre parlava, non lasciava capire se si trattasse di un uomo o di una donna e quando, più volte, le aveva chiesto chi fosse il suo interlocutore, lei gli aveva invariabilmente risposto con un risolino, un bacio ed un “Sorpresa di Natale!”, rifiutandosi di aggiungere altro.

Nonostante sapesse benissimo di non avere alcun motivo per dubitare di lei, una volta aveva anche ceduto al pungolo della curiosità (e, sì, ammise con sé stesso, anche ad un pizzico di gelosia) ed aveva approfittato di un suo attimo di disattenzione per impadronirsi di soppiatto dell'apparecchio... ma senza ricavarne nulla: il registro delle chiamate era disattivato, gli unici nomi contenuti nella rubrica erano quelli dei loro compagni di equipaggio e lui non voleva assolutamente rischiare di offenderla facendole domande... anche perché, così facendo, si sarebbe automaticamente autoaccusato di averle sottratto ed ispezionato il cellulare.

Alla fine decise di soprassedere: se era una sorpresa natalizia, avrebbe atteso che il Natale arrivasse e, finalmente, avrebbe saputo di cosa si trattava. Dopotutto, il fatto che Lisa rispondesse al telefono senza problemi anche in sua presenza ed il modo rilassato e divertito con cui parlava con il suo interlocutore, erano la prova lampante che non c'era nulla di cui sospettare o preoccuparsi.

*

“Ragazzi, a tavola!” fu l'informale, squillante ed allegra comunicazione di Midori dall'interfono, richiamando l'intero equipaggio alla cena natalizia.

“Finalmente, ho una fame che non ci vedo!” fu la ridanciana risposta, approvata all'unanimità dagli altri piloti, di Yamatake, mentre il dottor Daimonji – affamato anche lui e pregustando le prelibatezze preparate per l'occasione – aveva già imboccato la porta della sala controllo in direzione sala mensa.

C'erano rami di vischio dappertutto, insieme alle tradizionali decorazioni rosse e dorate, scintillanti di luci. Tutti i tavoli avevano, al centro, delle bellissime composizioni di rametti di abete, dalle quali spuntavano candele rosse pronte per essere accese e piccole pigne dipinte di color oro.

Sakon sapeva che quei deliziosi centrotavola erano il risultato del lavoro comune di Lisa e Midori e volle complimentarsi immediatamente con entrambe, ricevendone in cambio un bacio sulla guancia da Midori ed uno, nello stesso modo, da Lisa.

“Ehi... che razza di bacio è questo?” protestò scherzosamente.
“Siamo in pubblico, Sakon...” gli rispose lei, altrettanto scherzosa ma con una punta di imbarazzo.
“Non mi interessa... vieni qui.” disse lui, stringendola alla vita e facendo per baciarla sulle labbra.
“Dopo! Ora ho una cosa da fare, siediti e dammi qualche minuto... tra poco capirai!” gli sorrise Lisa, strizzandogli l'occhio e svincolandosi dalle sue braccia, per poi scappare fuori dalla sala.

Rientrò dopo poco, reclamando a gran voce l'attenzione generale.

“Ragazzi, zitti tutti! Silenzio, per favore!”

Ognuno dei presenti tacque, osservando la ragazza con occhi interrogativi.
Sakon intuì che la famosa sorpresa, alla quale aveva accennato Lisa, stava per arrivare... ma non avrebbe mai e poi mai immaginato di cosa si sarebbe trattato!

“Mi è stato spiegato che l'usanza, riguardo ai regali, è quella di scambiarseli dopo cena... – esordì Lisa – ma questo regalo, anzi questi regali, non possono aspettare. Quindi il destinatario li riceverà subito!"

Raggiunse la porta, aprendola e voltandosi in direzione di Pete, sorridendogli ed augurandogli a gran voce "Buon Natale, capitano Richardson!” 

Lui rimase interdetto, fissandola senza capire... finché dalla porta che si stava riaprendo non entrò suo fratello Tom!!!

Balzò in piedi, senza riuscire a frenarsi, con buona pace della sua abituale freddezza: lo aveva chiamato due mesi prima, per parlargli a cuore aperto e chiedergli perdono per come lo aveva trattato, quando era giunto ad Omaezaki per fargli visita, ma da allora non si erano più sentiti, salvo due o tre telefonate velocissime... tutto si sarebbe aspettato, meno che di ritrovarselo a festeggiare il Natale con lui!

Neanche due secondi dopo erano l'uno nelle braccia dell'altro, scambiandosi pacche sulle spalle e trattenendo a stento la commozione.

Un applauso riecheggiò nella sala, mentre Sakon sorrideva tra sé, rimproverandosi per avere – sia pure per pochi istanti – dubitato di Lisa.
Ecco cosa aveva in mente, quella sciagurata!

Ma non era ancora finita.

“Scusate se interrompo i vostri convenevoli, signori Richardson... ma, casomai non ci aveste fatto caso, io ho parlato al plurale: i regali sono due!”
“Eh sì, fratellone... Lisa ha ragione! C'è un'altra sorpresa per te!”
“Un'altra? Ma che...”

Puntò lo sguardo su Lisa, come a chiedere lumi, ma si sentì chiamare da una voce che ben ricordava, sebbene non l'avesse più sentita “dal vivo” da anni, a parte qualche telefonata negli ultimi due mesi.

Si girò di scatto verso la porta... e gli sembrò di essere riportato indietro di quasi un decennio, ai tempi spensierati del liceo, quando i suoi genitori erano ancora vivi e lei, la piccola peste, era la sua ragazza.

Tracy Ballantyne.
La sua prima ragazza.
La percorse con gli occhi.

Non era cambiata.
Gli stessi capelli castani dai riflessi ramati, la stessa espressione schietta e sbarazzina nei grandi occhi bruni da cerbiatta, frangiati dalle ciglia lunghissime, lo stesso abbigliamento sportivo-elegante che l'aveva sempre distinta tra le sue compagne di scuola.

No, non era cambiata.
Purtroppo era cambiato lui, dopo la tragedia che gli aveva portato via i suoi genitori... cambiato così repentinamente da indurlo a lasciarla, un po' per non imporle lo strazio del suo dolore ed un po' perché sentiva di non avere più nulla di buono da darle.
Aveva scelto di rimanere solo, sperando in cuor suo che lei potesse dimenticarlo e trovare di meglio, convinto che non le sarebbe stato affatto difficile, carina ed intelligente com'era.

Quella ressa di ricordi e di pensieri fu interrotta dalla stessa Tracy che, senza parole, gli si era avvicinata sorridendo e gli aveva posato le mani sul bavero della giacca sportiva che indossava, invitandolo tacitamente ad abbracciarla.

“Coraggio, capitano!”
“Cosa aspetta ad abbracciare la sua ospite?”
“Su, non essere timido, Pete!” fu l'ultimo incoraggiamento, proveniente da Sanshiro.

Pete esitò ancora, ma fu lei a toglierlo dall'imbarazzo: gli sorrise e lo abbracciò per prima, sussurrandogli all'orecchio un vecchio proverbio, in perfetto stile con le frasi e gli aforismi che si erano scambiati per tutti quegli anni.
“Se la montagna non va a Maometto... Maometto va alla montagna. Dico bene, Pete?”

Lui rise sommessamente, decidendosi finalmente ad abbracciarla a sua volta.
“Dici benissimo... come stai, piccola peste? Sei rimasta uguale, non sei cambiata per nulla.”
“Nemmeno tu. Non nell'aspetto, almeno.”

L'allusione fu chiarissima, ma il tono sereno ed affettuoso con il quale era stata proferita fece comprendere a Pete che, da parte di Tracy, non era rimasto nessun rancore per il modo sbrigativo con il quale lui l'aveva lasciata.

Soprattutto gli fece comprendere che lei, nella sua intelligenza, aveva perfettamente capito la vera ragione della sua... sì, della sua fuga.

Gli si strinse il cuore al pensiero della sofferenza che le aveva inflitto, pur sempre convinto di aver fatto la cosa più giusta per entrambi, ma represse a forza quel senso di colpa: era Natale, Tracy aveva preferito lasciare la sua famiglia e farsi un volo transoceanico per trascorrerlo insieme a lui, quindi era suo dovere renderglielo il più piacevole ed allegro possibile... e non solo a lei, ma anche a suo fratello Tom.

Si fece quasi violenza per abbandonare la dolce stretta delle sue braccia e fare per entrambi gli ospiti i doverosi onori di casa.

“Signori... penso che la maggior parte di voi conosca già mio fratello Thomas, ovviamente Tom, per gli amici, ma permettetemi di presentarvi la signorina Tracy Ballantyne: è stata una mia compagna di liceo ed è rimasta una carissima amica sin da allora.”

Un secondo applauso diede il benvenuto alla giovane, che rispose con uno smagliante sorriso ed un lieve inchino del capo, prima di essere scortata insieme a Tom al tavolo che Pete divideva con il dottor Daimonji, Sanshiro e Midori.

Frattanto Lisa era tornata vicino a Sakon che, prima di sedersi insieme a lei, con la scusa di abbracciarla le sussurrò all'orecchio: “Piccola discola, ecco con chi parlavi al telefono così spesso, negli ultimi tempi! Poi però mi racconterai tutto, eh! A cominciare da come hai fatto a procurarti i loro numeri di telefono...”

“Esattamente come hai cercato di fare tu, Sakon... - gli rispose Lisa, ricambiando l'abbraccio con una risatina divertita - … ho sentito Pete parlare al telefono sia con suo fratello sia, subito dopo, con una ragazza che era chiaramente di suo interesse... ed ho pensato di fargli una sorpresa. Ho aspettato il momento buono e gli ho fregato il cellulare, per cercare i loro numeri nel registro chiamate!”

“Che cosa? Ma... come hai fatto a scoprirlo?” esclamò Sakon, talmente stupito da non curarsi più di chi potesse ascoltare la loro conversazione ed arrossendo come un bambino colto sul fatto a rubare biscotti.

“Hai dimenticato che i nostri cellulari di servizio hanno diverse funzioni di sicurezza e monitoraggio dell'utilizzo... io ho seguito il tuo consiglio ed ho attivato quella che, ad ogni utilizzo, scatta automaticamente una foto del volto dell'utilizzatore. Però l'ho personalizzata: ho eliminato il suono dell'otturatore e disattivato il flash... il primo era sgradevole ed il secondo, a momenti, mi accecava.”

L'espressione di Sakon, tra l'imbarazzo del vedersi smascherato e lo stizzito per il non aver considerato il sistema di protezione che, tra l'altro, le aveva suggerito lui stesso, fu talmente comica che fece scoppiare a ridere tutti gli occupanti del tavolo.

Mentre finalmente si sedevano, il giovane fece una considerazione.

“Se è così, allora anche Pete potrebbe aver scoperto che hai trafficato sul suo cellulare...”
“No... non può averlo scoperto, qualsiasi sistema di sicurezza abbia inserito.”

“Come fai a dirlo?”
“Semplice: ho fatto aprire la home del suo cellulare chiamandolo dal mio. Tu mi hai spiegato che, in caso di chiamata in entrata, i sistemi non si attivano.”

“Oddio...” fu la sola risposta di Sakon, alzando gli occhi al cielo.
“Hai creato un mostro, amico mio... fai attenzione!” scherzò Fan Lee, ormai completamente amico ed alleato di Lisa.
“M-mh... ne terrò conto, Fan Lee.” annuì il giovane ingegnere in uno scherzoso mugugno.

Lisa sorrise... a quanto pareva la cena natalizia e la riuscitissima sorpresa che aveva fatto a Pete nascevano sotto il migliore auspicio: l'allegria.
Per la prima volta sentì di poter sperare che il loro capitano, finalmente, riaprisse il suo cuore alla vita... ed all'amore.

Sì... in quel giorno di Natale poteva davvero avvenire un miracolo.

*

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... gli sembrò di essere riportato indietro di quasi un decennio, ai tempi spensierati del liceo, quando i suoi genitori erano ancora vivi e lei, la piccola peste, era la sua ragazza.
Tracy Ballantyne.
La sua prima ragazza.

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Capitolo 2
*** Cap.2 ***


*

Il cielo notturno, sereno e punteggiato di stelle, aveva attirato Lisa sulla terrazza del salotto, dove tutti loro si erano spostati in attesa della mezzanotte per il tradizionale scambio di regali.

Respirò a pieni polmoni l'aria frizzante ma, stranamente, non gelida nonostante fosse dicembre... e sorrise tra sé, pensando al pomeriggio di alcuni giorni prima: approfittando del fatto che Sakon era di turno, aveva chiesto al dottor Daimonji di condurla in città e lo scienziato era stato felicissimo di accontentarla, tanto più che anche Midori aveva espresso lo stesso desiderio.

Manco a dirlo, da buon papà – sia pure adottivo – le aveva condotte in una magnifica boutique di abbigliamento e calzature, lasciando loro mano e spesa libera per scegliere da sé il loro regalo da parte sua. Lei aveva tentato di schermirsi, non le sarebbe davvero piaciuto approfittare del dottore, ma lui non aveva voluto sentire ragioni: o sceglieva lei, o lo avrebbero fatto lui e Midori al suo posto... e così si era rassegnata.

Sembrate davvero due bimbe in un negozio di giocattoli, sapete? È un piacere guardarvi, siete una gioia per gli occhi!” era stato il commento deliziato del dottore nel vederle così felici, gioiose e spensierate mentre si aggiravano nel negozio, proprio come due sorelline entusiaste all'idea del Natale.

Si erano scambiate l'un l'altra vari suggerimenti sui regali da scegliere per i loro compagni di equipaggio... suggerimenti da lei accettati di buon grado riguardo agli amici, ma totalmente ignorati riguardo a Sakon, visto che aveva già deciso quale sarebbe stato il suo dono.

Sorrise, pensando a Pete e Tracy: all'inizio della cena le erano sembrati un po' legnosi, sotto un'apparente disinvoltura, ma si erano gradualmente sciolti ed avevano ripreso la stessa confidenza che, sicuramente, avevano all'epoca del loro stare insieme.
La speranza che aveva coltivato nel cuore, sino a quel momento, stava diventando quasi una certezza.

Si accoccolò tra le braccia di Sakon, che l'aveva silenziosamente raggiunta.
Lui se la strinse al petto, dandole un bacio sui capelli e cullandola dolcemente.

“Mi fai sentire come una bimba, così, lo sai?”
“Ma è così... tu sei la mia bimba. Io desidero darti non soltanto l'amore, ma anche l'affetto del fratello e del padre che hai perduto.” fu la risposta semplice e sincera del giovane.

“Come il dottor Daimonji... lui mi ha praticamente adottata.”
“Lo so, ti ho sentito chiamarlo papà ed ho immaginato che te l'avesse chiesto lui. Ha un gran cuore, quell'uomo... si è votato alla scienza, rinunciando a farsi una famiglia, ma sarebbe stato un padre meraviglioso.”

Controllò l'orologio e, vedendo che mancava ancora un quarto d'ora alla mezzanotte, decise di chiedere finalmente lumi sull'arrivo dei loro due ospiti.

“Allora, streghetta... mi racconti come ti è venuta in mente l'idea di Tom e Tracy?”
“Ricordi quando Pete volle scusarsi con me e con te, per avermi rifiutata ed aver diffidato di me, all'inizio?”
“Certo...”

“Mi resi conto che, finalmente, il suo cuore stava iniziando ad ammorbidirsi... avevo intuito che a renderlo così gelido era stato qualche orribile trauma, anche se non sapevo di cosa si trattasse. Quando tu mi spiegasti la vicenda del naufragio che costò la vita ai suoi genitori, compresi che quel gelo era la conseguenza del dolore... e della sua volontà di prendere le distanze dal comportamento irresponsabile di suo padre.”

“E fin qui ci siamo. Ma come sapevi di Tom e di Tracy?”
“Di Tom me ne aveva parlato Midori, ma di Tracy non sapevo nulla, fino ad un paio di mesi fa... poi, una sera, ho sorpreso Pete in terrazza mentre parlava al cellulare e c'è stato qualcosa, nella sua voce, che mi ha indotto ad ascoltare.”

“L'ho detto io che sei una piccola discola... ma come hai fatto a non farti scoprire?”
“Veramente non ho dovuto far nulla: a parte che Pete era affacciato alla ringhiera e mi dava le spalle, ma era talmente assorbito dalla conversazione da sembrare quasi fuori dal mondo.”

“E poi?”
“Dal nome ho capito che si trattava di una ragazza, Tracy, appunto... ovviamente, quando ha iniziato a congedarsi da lei, me la sono svignata in punta di piedi!” ridacchiò lei.

“Niente da fare, sei davvero una bimba discola e ficcanaso... ascoltare le telefonate altrui! Non t'hanno insegnato che non si fa?” rise lui, in risposta.

“Le regole sono fatte per essere infrante... ed io sono un'esperta in materia!”
“Di questo me ne sono accorto subito...” sussurrò Sakon, passandole una mano sotto il mento e sollevandole il volto verso di lui.

“Me ne sono accorto quando ti ho incontrata. Anche io, come Pete, ho le mie regole, a cominciare dall'assoluta diligenza nel lavoro ed dall'obbedienza ai miei superiori... ma tu sei stata capace di frantumarle. Quando ho realizzato che il tuo destino era morire di lì a poco, ho dimenticato ogni cosa... il mio lavoro sul Drago, gli ordini di Pete, il dottor Daimonji e tutti i miei compagni. Si è tutto dissolto come nebbia...”

Le accarezzò il volto, prima di proseguire.
“Vedevo unicamente una lotta, una lotta tra me e quella bomba che ti avrebbe uccisa... e non ero disposto a perderla, né a perderti. In quei momenti pensavo soltanto “o salvi tutti e due, o morti tutti e due”. Quando ti ho afferrata e colpita, per impedirti di gettarti fuori dal Drago, non ho neppure calcolato che mancavano pochi secondi all'esplosione: dovevo combattere, fino all'ultimo minuto possibile...”

“Ed hai vinto...” sorrise Lisa, accarezzandolo a sua volta.
“Contro la bomba sì... contro di te non ce l'ho fatta. Sei stata tu a sconfiggermi... ed a farmi prigioniero.”
“Ti dispiace?”
“Dammi la chiave della prigione e la spezzerò con le mie stesse mani.” fu la risposta di Sakon, prima di chiudere il discorso con un bacio.

L'ultimo pensiero coerente, prima di fondere le sue labbra con quelle di Lisa, fu che si era dimenticato di chiederle come avesse reagito Tracy, al sentirsi contattare da una sconosciuta... ma durò meno di un battito di ciglia. La bocca di Lisa aveva su di lui l'effetto di una fornace ardente che, ogni volta, lo scioglieva con la sua dolcezza.

Vi si immerse, dimenticando ogni altra cosa, finché dalla porta-finestra il dottor Daimonji, con un discreto colpetto di tosse, non li richiamò in salotto: mancavano pochi minuti alla mezzanotte ed era tempo di prepararsi ad aprire i regali.

*

Allo scoccare della mezzanotte, un coro di “Buon Natale!” completò il countdown "in stile Capodanno" del dottore e diede l'avvio ad una catena di auguri scambievoli, oltre che al consegnare e ricevere pacchetti, scartare e ringraziare, nell'allegria generale.

“Tracy, Tom... mi dispiace di non avere un regalo per voi, ma tutto mi aspettavo fuorché questa improvvisata. Perdonatemi...” si scusò Pete.

“Ma non ti preoccupare, fratellone... a parte che era ovvio che così fosse, ma nessun regalo potrebbe uguagliare la gioia di trascorrere con te il Natale, dopo tanti anni. Per tacere del divertimento nel vedere la tua espressione, quando ci hai visti entrare in sala mensa... quella, già da sola, valeva il viaggio dagli Stati Uniti!” replicò Tom nell'abbracciarlo, ridendo.

“Però noi sapevamo che ti avremmo rivisto... - interloquì Tracy - … e, conoscendo i tuoi gusti, ci siamo regolati di conseguenza!”

Gli porse un involto stranamente morbido, contenuto in una scintillante busta dorata con un fiocco dello stesso colore e, contemporaneamente, Tom estrasse un pacchettino rosso fiammante dalla tasca della giacca.

“Ehi ma... perché?” ridacchiò Pete, imbarazzato dal non poter ricambiare.
“Perché è Natale, perché sei mio fratello e perché sì... tutto chiaro?” lo rimbeccò Tom, scherzosamente autoritario.
“Vale anche per me, cambiando il fratello in amico!” ribadì Tracy, con lo stesso tono ed un sorrisetto indisponente.

Risero tutti e tre, mentre Pete iniziava ad estrarre il contenuto della busta di Tracy, che si rivelò essere un bellissimo dolcevita in cachemire, di uno splendido colore azzurro.
Lo stesso dei suoi occhi, notò lui con una punta di... commozione?
Forse.

“Grazie, Tracy... non... non credevo di meritare tanto, dopo che...”
“SSST... taci! Quel che è stato è stato, adesso è Natale e quindi stop ai ricordi tristi. Spero solo di aver imbroccato la taglia...”
“Sicuramente sì, lo vedo dal collo e dalle spalle... è perfetto!”
“Ehi, fratellone... guarda che c'è anche il mio, di regalo!”
“Ops... lo apro subito!”

Detto fatto... e si ritrovò sotto gli occhi un bellissimo draghetto in titanio, pendente da un laccio regolabile in gomma naturale.

“Che meraviglia... - fu il commento ammirato di Pete, abbracciando il fratello - … è bellissimo! Anzi, sapete cosa faccio? Li indosso tutti e due, adesso. Tempo cinque minuti e sono di nuovo qui.”

Fosse volontario od istintivo, prima di imboccare la porta del salotto per andare in camera sua, Pete diede un bacio a Tracy sull'angolo della bocca... un bacio che non sfuggì né a Lisa né a Sakon, poco distanti.
Si guardarono, con uno sguardo complice ed un reciproco, soddisfatto annuire.

“Tu che dici, Sakon... l'avrà fatto per forza di abitudine? Magari all'epoca era così che si salutavano...”
“Non ho la sfera di cristallo ma, a parte che non si stanno salutando, certe abitudini non si conservano se non conservi anche il ricordo della persona con la quale le avevi...”
“Mh vero... beh speriamo! Hai visto mai...”

Furono interrotti dalle risate di Hakiro e Sanshiro, con destinazione Yamatake che si era ritrovato come regalo un paio di gigantesche pantofole da bagno e relativa cuffia da doccia, ambedue a fiori.

“Oddio povero Yamatake... chi sarà stato ad avere l'idea malvagia?” commentò Lisa ridendo.
“Prima o poi lo sapremo... ma, intanto, direi sia ora che TU riceva il tuo regalo. Torniamo in terrazza, voglio dartelo in privato.”
“Perfetto, ci capiamo! Stavo per dirti la stessa cosa!”

“Sbaglio o questa frase l'ho già sentita?” rispose Sakon, improvvisamente serio.

“Ehm, sì... direi di sì. Ma non l'ho detta apposta. Scusami, non volevo farti il verso... mi è uscita così, senza pensare.”
“Non potevi sceglierne una migliore. Andiamo in terrazza e ti spiegherò.”

Perplessa, temendo di aver contrariato il giovane con quella frase – indissolubilmente legata al momento in cui aveva rischiato il tutto per tutto pur di salvarla – lei lo seguì in silenzio.

“Ehi, dove andate? Non aprite i vostri regali? Ma sempre a sbaciucchiarvi state... uffa, non è giusto!”

Una risata coprì la scherzosa rampogna di Yamatake, insieme ad un: “Ma fatti gli affaracci tuoi, brutto invidioso... trovati una ragazza e vedrai che anche tu farai lo stesso!” esternato a tutta gola da Sanshiro, dall'altro capo del salotto, tra gli improperi del destinatario e le risate ormai irrefrenabili di tutti.

*

“Allora, Sakon, avevi detto che...”
“Che ti avrei spiegato perché la tua frase calzava alla perfezione... ma non con l'offrirti il mio regalo in privato, semmai con il motivo per cui ho scelto proprio questo regalo.”
“Non ti seguo.”

“Quella frase è stata l'ultima cosa che io ho detto e che, probabilmente, tu ricordi, prima che io disinnescassi la bomba. Da quel momento in avanti, la tua e la mia vita sono cambiate... ormai condividiamo tutto: il pericolo ed i momenti di pace, le ore trascorse in sala computer e le passeggiate in spiaggia, i giorni e le notti. Ma tutto questo è ancora un qualcosa di ufficioso, anche se ormai sei stata inserita a tutti gli effetti nell'equipaggio del Drago Spaziale... ed a me non basta più.”

Gli occhi sgranati di Lisa lo indussero a cogliere l'attimo... era il momento giusto.
Troncò le parole e passò ai fatti, infilando una mano nella tasca della giacca e prendendone un piccolo pacchetto quadrato, con ogni evidenza proveniente da una gioielleria.
Glielo porse, con un lieve sorriso.

“Spero di aver centrato i tuoi gusti... ma, se ti conosco, credo di sì.”

Le mani della ragazza tremarono nel liberare il regalo dalla lucida carta argentata, deponendola sul tavolino basso di fianco a lei. Aprì la scatolina... e rimase a bocca aperta, dinanzi ad un sottile e semplicissimo cerchio d'oro bianco.

Una fede di fidanzamento...

Non ebbe il fiato per dire nulla.
Sul mondo sembrava essere calato il silenzio.
Persino gli allegri schiamazzi dei loro amici, nel salotto, sembravano svaniti nell'aria.
Si sentì avvolgere dallo sguardo caldo ed intenso di Sakon, silenzioso anche lui.

Solo dopo un tempo indefinibile riuscì a rialzare gli occhi, incontrando quelli di Sakon, che le sorrideva.

“Non... non ci posso credere...” mormorò, con voce appena avvertibile, abbassando di nuovo gli occhi per guardare ciò che aveva tra le mani.

Ci riuscì solo per un attimo: Sakon le prese la scatolina, estraendone il contenuto e deponendola sul tavolino.

“Forse ti sembrerà più credibile se lo sentirai al dito...”
Sfiorò l'anello con un bacio e glielo infilò all'anulare, lasciando che se lo rimirasse, felice ed incredula allo stesso tempo.

Quando lei risollevò lo sguardo, con un sorriso che avrebbe potuto illuminare la notte, non disse “grazie” ma qualcosa che, per Sakon, valeva mille volte di più.

“Sono felice, Sakon... non credevo si potesse provare una simile gioia... mi hai resa più felice di quanto non sia mai stata fino adesso!”
“Come vedi... ho mantenuto la promessa.”
“Cos... che vuoi dire?”
“Stai piangendo... ” le sussurrò lui, prima di baciarle le guance proprio là dove due lacrime avevano appena lasciato una scia lucente.

Sì.
Aveva decisamente mantenuto la promessa che le aveva fatto tempo prima: farla piangere, ma non di dolore per la perdita di suo fratello, non di rabbia al pensiero di avere davanti quelli che considerava i suoi assassini, non di desiderio di portare loro morte e distruzione... bensì di gioia.

Di gioia per avere iniziato una nuova vita, per aver trovato una nuova casa ed una nuova famiglia... ma, soprattutto, per aver trovato l'amore.
Il suo amore.

Anche lui, in quel momento, pur essendo un razionale e per nulla credente, pensò che quelle lacrime di gioia erano un miracolo di Natale.

*

Il rumore della risacca sembrava scandire i passi di Pete e Tracy, che avevano temporaneamente abbandonato la festa per scambiare due chiacchiere senza essere assordati dallo strepito o interrotti dagli altri.

Tom, senza che ci fosse bisogno di chiederglielo, era stato loro complice proponendo di fare un po' di baraonda al karaoke ed attirando così l'attenzione di tutti... dopo di che gli era bastata una strizzata d'occhi al fratello per trasmettergli un chiaro “Filate... qui me la vedo io!”

Pete sollevò lo sguardo verso il cielo terso. Da quanto tempo non si perdeva nella contemplazione, pura e semplice, della volta stellata?
In un angolo della sua memoria trovò la risposta: da quando aveva lasciato Tracy.

Tracy, che in quel momento si era fermata a poca distanza dal bagnasciuga, dandogli le spalle. Esattamente come aveva fatto allora... in quel pomeriggio, trascorso in riva al mare, che aveva segnato la fine della loro storia.

Si chiese se anche lei stesse provando la stessa sensazione che stava provando lui... la sensazione di essere tornato indietro nel tempo, a quel preciso momento in cui si era chiesto, per l'ultima volta, se fosse giusto quel che stava per fare.
La risposta era stata sì, irremovibilmente.

Ma allora... perché il destino aveva voluto che si ritrovassero di nuovo insieme, in un luogo identico ed immersi nello stesso silenzio?

Abbiamo due vite. La seconda comincia nel momento in cui ci rendiamo conto di averne una sola.”
Per l'ennesima volta quella frase, parola per parola, gli martellò nel cervello.

Era vero.
Se ne era reso conto quando, nello stesso giorno, aveva chiesto perdono a Sakon e Lisa ed aveva telefonato a suo fratello Tom per scusarsi ed assicurargli che il suo affetto non era mai venuto meno... ed anche quando aveva chiamato Tracy, quella sera, per risentire la sua voce.

La sua seconda vita, la sua vera vita gli si era schiusa dinanzi in quel giorno, ma gli era rimasto come un senso di sospensione, di incompletezza.
Come se mancasse qualcosa perché lui potesse finalmente incamminarsi su quella strada.

Proprio in quel momento Tracy si voltò verso di lui, incurante del vento notturno che si stava alzando, scompigliandole i capelli soffici e ondulati... quei capelli dove lui aveva tanto amato immergere le mani.

I ricordi e l'istinto furono più forti di lui e della sua razionalità di capitano del Drago Spaziale: le andò incontro e le riportò i riccioli dietro la testa, affondandovi le dita e fissandola negli occhi.

“Pete...”
“Zitta... ti prego.”

Un sussurro soffocato, mentre le accarezzava la nuca, avvicinandosi sempre di più a lei.
Tutto di lui gli diceva di baciarla... ma non se ne sentiva degno.
Non dopo quel che le aveva fatto.

L'aveva lasciata brutalmente, dicendole di non essere più sicuro dei suoi sentimenti per lei, di aver bisogno di tempo per metabolizzare la perdita dei suoi genitori e di avvertire la necessità di star solo, per farlo.

Il tutto in nome di qualcosa che aveva chiamato volontà di prendere le distanze da suo padre, necessità di abolire sentimenti ed emozioni per essere un valido capitano dell'USAF e, poi, un degno pilota per il Drago... un qualcosa a cui lui aveva dato mille nomi, ma che in realtà – lo comprendeva in quel momento – ne aveva solo due ed a pari merito: orgoglio e fragilità.

Orgoglio, per aver avuto la presunzione di riuscire a superare da solo la sua tragedia, senza l'aiuto di nessuno... e fragilità per essersene, invece, fatto schiacciare.

Aveva messo il suo passato su un piedistallo, assumendolo come metro di giudizio e termine di paragone per il bene e per il male, consentendogli di incombere su di lui come un giudice delle sue azioni.
Era da quel passato che traeva forza, una forza fittizia che aveva fagocitato la sua e gli aveva impedito di vivere non soltanto il presente, ma anche il futuro... ed, ancor peggio, alla falsa forza di quel passato aveva consentito di decidere per lui e per Tracy.

Il tutto – se ne rese conto in quell'istante – coronato da un capolavoro di crudeltà mentale: quello di riprendere i contatti con lei dopo qualche tempo, rispondendo ad un suo messaggio SMS e poi continuando a tener su una parvenza di rapporto amichevole, sia pur saltuariamente e solo tramite aforismi in chat... pur avendo compreso benissimo che lei lo amava ancora.

Perché lo aveva fatto?
Avrebbe dovuto ignorare quel messaggio e lasciarla stare, per darle modo di rassegnarsi e dimenticarlo, così da potersi costruire un futuro con un uomo che potesse darle tutto quello che meritava ed aveva diritto di aspettarsi.
Invece aveva proseguito sulla falsariga della solfa, vecchia quanto il mondo, del "sì, è la mia ex, ma siamo rimasti in ottimi rapporti"... nonostante sapesse che quegli ottimi rapporti erano molto simili alla raffinatissima perfidia di un torturatore che somministrasse bevande corroboranti alla sua vittima, per darle la forza di sostenere i tormenti.

Tormenti che, ora gli era chiaro come il sole, non solamente le stava infliggendo da sette anni, ma erano anch'essi frutto di umana fragilità e paura dinanzi alla prospettiva di rimanere davvero completamente solo.
Sette anni nei quali si era lusingato di trarre la propria forza da sé stesso, senza rendersi conto che le uniche vere forze che lo sostenessero erano l'affetto di suo fratello e l'amore mai venuto meno di Tracy.

Sette anni.
Sette lunghi anni di solitudine, per lui.
E per lei?

Sì, fisicamente era lì a Omaezaki, ma chi aveva lasciato negli USA, oltre alla sua famiglia, per trascorrere il Natale con lui?

Durante la cena ed in salotto si era concesso il lusso della certezza che lei non avesse nessuno al suo fianco, in quel periodo della sua vita, vista l'apparente tranquillità con la quale si era messa in viaggio per il Giappone... e, colmo della presunzione, aveva collegato tra loro alcuni dettagli della loro conversazione e ne aveva ricavato l'ipotesi che, addirittura, non avesse più avuto nessun altro, dopo di lui.
Ma chi era, lui, per avanzare una simile pretesa?
Decisamente, in quel caso, il nessuno era lui... e non con il significato di sostantivo, ma con quello di aggettivo: lui, di fatto, non era nessuno per lei e, quel che gli rodeva di più l'anima, quell'essere nessuno se l'era voluto e cercato con le sue stesse mani.

I loro volti erano vicinissimi, ormai, talmente vicini da fargli intravedere l'azzurro delle sue iridi riflesso in quelle castano-ambrate di Tracy, nonostante il buio della notte.

No... non doveva.
Non poteva, maledizione!
Fece per staccarsi da lei, ma le sue braccia lo avevano circondato alla vita, senza che lui se ne avvedesse, perso com'era nei suoi occhi e nei pensieri che gli si inseguivano nella mente come meteore impazzite.

“Per quanto ancora permetterai al passato di vivere al tuo posto?” gli chiese lei, con voce bassa e dolce, ma decisa.

Lui trattenne il respiro, guardandola come se fosse un'aliena... un'aliena in grado di leggergli nella mente.
No, non era possibile... o forse sì?
Possibile che avesse capito tutto, di quel che gli passava per la testa?
O forse lo aveva già capito sin da allora?

Avrebbe voluto chiederglielo, ma non riuscì ad articolare suono.

“Già allora sapevo, sentivo, che la tragedia dei tuoi genitori ti avrebbe stravolto non soltanto la vita, ma anche il cuore... ma sapevo anche che sarebbe stato inutile tentare di riportarti alla ragione, perché non avremmo fatto altro che infliggerci ancor più dolore di quanto già non ne stavamo sopportando: tu per la perdita dei tuoi genitori nel naufragio e per l'onta dall'ubriachezza di tuo padre, che gli aveva reso impossibile l'evitare il disastro... ed io, nei tentativi inutili di restarti accanto, perché rifiutavi ogni conforto.”

“Tracy, io...”

“Sono passati sette anni, Pete. Non credi sia ora di riprenderti la tua vita? Come vuoi e con chi vuoi, non importa... ma che sia la tua vita, non quella che ti stai lasciando imporre da eventi trascorsi. È giusto che tu tragga lezione da ciò che è accaduto, nessuno che sia sano di mente direbbe il contrario, ma non è giusto che tu te ne faccia condizionare. È per dirti questo che sono venuta qui... non per rievocare quel che c'è stato tra me e te.”

Fu lei a lasciarlo, lentamente, voltandosi per rientrare nell'edificio e tornare nel salotto, ma volle offrirgli un ultimo consiglio... accorato e colmo di pianto represso, ma senza esitazioni.

“Pensaci, Pete... scegliti la vita che vuoi e vivila, ma che sia una vita soltanto tua, senza il peso del passato. Fa' in modo che domani, quando andrò via, possa farlo sperando che tu inizi di nuovo a vivere.”

Abbiamo due vite. La seconda comincia nel momento in cui ci rendiamo conto di averne una sola.”
Di nuovo quella frase, nella sua mente... ma stavolta pronunciata dalla voce di Tracy.

Quella stessa voce argentina che lo aveva accolto ogni mattina nella loro aula del liceo, che aveva risuonato allegramente nel tuffarsi con lui nelle onde del Pacifico, che si colmava di dolcezza ogni volta che la teneva tra le braccia e rispondeva alle sue parole d'amore... una voce cristallina e delicata ma che, in quel momento, risuonava in lui con la potenza di un uragano.

La terribile potenza di una ragazza che non si era mai nascosta dietro un paravento, per mascherare la propria fragilità, le proprie paure, il proprio bisogno di pianto e di consolazione... che aveva sopportato il supplizio di quei sette anni stillanti aforismi e lacrime, sostenuta soltanto dalla forza d'animo di continuare ad amare pur non essendo ricambiata.

In un attimo comprese... e quell'attimo bastò: l'uragano dei sentimenti di Tracy travolse ed abbatté il monumento al passato che aveva eretto nella sua coscienza, spargendone al vento la polvere e sbriciolando tutti i muri di ghiaccio dei quali si era circondato, lasciandone finalmente uscire il vecchio Pete.

Il vero Pete.

Le si gettò quasi addosso, avvinghiandola alle spalle, per impedirle di allontanarsi.
“Non... non te ne andare... ti prego...”

“Non vorrei andarmene... ma non posso restare.”
“Perché? Hai... qualcuno che ti aspetta, in California?” le chiese di getto.

Lei sospirò.
"Nessuno. Ma non è questo il motivo per cui devo andare...”
“................”
“Non avrebbe senso che io rimanessi qui. La tua vita, la tua seconda vita, devi iniziarla da solo, per poter davvero comprendere cosa vuoi farne.”

“Da solo? Tracy... IO SONO STATO SOLO PER SETTE ANNI! Sette anni... e per colpa mia! Mi sono condannato con le mie stesse mani a morire dentro, come uno stupido, per... sì, per paura!!! Per paura di ripetere lo stesso errore di mio padre e di mostrarmi debole ed incapace, per non dover ammettere di aver bisogno degli altri, di aver bisogno dell'affetto di mio fratello... e di aver bisogno di te! DI TE, Tracy... di te e del tuo amore!”

Dalla mente di Pete, l'uragano si era spostato nella sua voce... ed investì con la sua forza anche lei, che si irrigidì, sbigottita.
Non era possibile... quello che lei aveva considerato per sette anni come un sogno irrealizzabile, si stava avverando in quel momento ed in pochi istanti!
Si rigirò verso di lui a bocca aperta, con gli occhi sbarrati ed increduli.

Si fissarono per un attimo... prima che la bocca di Pete sprofondasse nella sua, prima che le loro braccia si avvolgessero intorno ai loro corpi, come se il tempo non fosse mai trascorso.

Erano di nuovo Pete e Tracy, non più il capitano del Drago Spaziale e l'archeologa all'inizio di una promettente carriera... soltanto Pete e Tracy.

Che non avevano mai smesso di amarsi.
Mai.

Avrebbero avuto tempo per raccontarsi di quei sette anni trascorsi nel rimpianto, pensando di essersi persi a vicenda, per poter chiedere lui perdono e lei concederglielo, per guardare al di là dei confini di quella maledetta guerra e promettere di attendersi l'un l'altra.

Ora contava solo una cosa: l'aver iniziato, finalmente, la loro seconda vita.
Temporaneamente costretti a separarsi, a causa della guerra contro Zela... ma di nuovo insieme.

*

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Si fissarono per un attimo... prima che la bocca di Pete sprofondasse nella sua, prima che le loro braccia si avvolgessero intorno ai loro corpi, come se il tempo non fosse mai trascorso.

*

Non si erano accorti che, affacciati alla terrazza, Lisa e Sakon avevano visto ogni cosa... ma, anche se l'avessero scoperto, non se ne sarebbero minimamente risentiti: avrebbero capito benissimo che la loro non era sterile e pettegola curiosità, ma solo affetto.
Affetto e desiderio di veder succedere quello che, alla fine, era realmente successo.

Quel desiderio scaturito dalla speranza, nella vita e nel futuro, che era sempre esistita nell'animo di Lisa e con la quale aveva contagiato tutto l'equipaggio.

Sakon le passò un braccio intorno alle spalle, stringendosela vicina.
“Non mi hai detto come ha reagito Tracy, quando le hai telefonato per la prima volta...”

“Non mi ha dato quasi il tempo di aprir bocca per spiegarle il perché della mia chiamata: mi è bastato dirle il mio nome e lei ha capito subito chi ero. Pete le aveva parlato di me... ed in termini molto lusinghieri, anche. Le ha addirittura confidato di considerarmi una delle persone in cui ha più fiducia, qui sul Drago. Per Tom... idem.”
“Mh-mh... beh, direi che sia meglio rientrare. A parte che sta iniziando a far freddo sul serio, non vorrei che quei due guardassero da questa parte...”
“Mi sa che è un rischio che non corriamo, almeno per i prossimi... non so... dieci minuti?” rise piano Lisa, alludendo a Pete e Tracy, che sembravano saldati a fuoco e non avevano, palesemente, nessuna intenzione di staccarsi.

Fece per tornare in salotto, ma Sakon la fermò.

“Una volta Midori mi disse che, in fondo, non ti aveva mai considerata una vera nemica... perché dai tuoi occhi, anche se colmi di dolore ed inveleniti dall'odio, aveva sempre visto trasparire una sorta di magia. Ora capisco di quale magia si trattava... quella di non abbandonare mai la speranza. È con quella, che ci hai stregati tutti.”

Lisa gli sorrise, sul punto di baciarlo, ma sobbalzò un attimo prima di toccare le sue labbra, battendosi la mano sulla fronte.

“Accidenti... mi stavi facendo dimenticare il TUO, di regalo!”

Estrasse il dono che aveva per Sakon dalla tasca dello spolverino lavorato a maglia che indossava... regalo offertole del dottor Daimonji in quel pomeriggio di shopping natalizio di pochi giorni prima.

“Ehi ma... Lisa!” esclamò lui, sbalordito.
“Cosa?”
“Credo tu sia andata nella stessa gioielleria dove sono andato io... guarda l'adesivo sul nastro del pacchetto! Carta e nastro sono diversi, ma l'adesivo è lo stesso.”
“O diavolo... no, non ci credo!”

Era proprio così: stessa gioielleria.
Si fissarono a labbra strette, trattenendo una risata, finché Sakon non si risolse ad aprire il suo regalo, rifiutando di illudersi ma, allo stesso tempo, sperando che il contenuto fosse proprio quello che l'istinto gli suggeriva.

Lo era... e non solo.

La fede di fidanzamento che gli scintillò davanti agli occhi faceva esattamente il paio con quella che aveva donato poco prima a Lisa.

Sakon risollevò lo sguardo verso di lei, con gli occhi lucidi.
Non gli era mai importato del valore materiale di un regalo e non aveva mai portato gioielli – eccetto il medaglione di suo padre – fino a quel momento... ma, per lui, quell'anello valeva tutti i tesori della Terra e non avrebbe mai rinunciato a portarlo, per nessuna ragione al mondo.

“Lisa... dirti grazie sarebbe poco e scontato. Preferisco chiederti di...”
“Di?”
“Di essere tu a mettermelo al dito... e di dirmi che mi ami, mentre lo fai.”

Il sorriso che ne ricevette, in risposta, gli fece capire che non gli sarebbe servito il chiederlo, perché lei aveva già in animo di farlo.
La vista gli si appannò... fece in tempo a vederla prendere tra le dita il sottile cerchietto d'oro, deporvi un bacio ed avvicinarlo al suo anulare, ma poté solo sentirlo scorrere sul dito, perché chiuse con forza gli occhi per trattenere la commozione.

“Ti amo, Sakon... e sarà così per sempre.”

La scatolina cadde in terra, mentre si stringevano in un abbraccio senza fine.

“Ti amo anch'io, piccola... per sempre.” mormorò lui con la bocca sul suo collo ed il volto perso nei suoi capelli, aspirandone il profumo.

Lisa gli nascose il viso sul petto, sorridendo.
"Credo di esserci riuscita anche io..."
"A far cosa?"
"A farti piangere di gioia... anche se ti stai sforzando di trattenerti."
"Secondo te?"
"Secondo me sì..." si vantò lei, con una risatina soddisfatta.
"Ti piace vincere facile, eh?" le fece eco lui.

Sì, decisamente ci era riuscita anche lei, ammise Sakon con sé stesso, stringendola ancor più forte e lasciandosi andare, silenziosamente, alle lacrime di gioia che Lisa si era conquistata.

Continuarono a crogiolarsi nel loro abbraccio finché non decisero, simultaneamente, di dare una rapida occhiata verso la spiaggia... constatando che la previsione di Lisa, riguardo alla durata del bacio tra Pete e Tracy, era stata approssimata per difetto: nonostante ne fosse trascorso un buon quarto d'ora, il loro capitano e la sua nuovamente ragazza sembravano non pensare neanche lontanamente a riprendere fiato.

"Ribadisco il concetto, Lisa... meglio rientrare o ci prenderemo una bronchite! Questi due mi sa che faranno Natale in spiaggia..."

Lisa assentì con un risolino divertito ma, dopo un attimo, la sua espressione di allegria si cambiò in perplessità.
“Sakon, ora che ci penso... il dottor Daimonji mi aveva già raccontato del Natale, prima che lo facessi tu, ma c'è una cosa che non sono riuscita a capire.”
“Cosa?”

“Mi ha descritto tutte le sfaccettature di questa festa, non soltanto quella religiosa ma anche quella magica e quella esoterica, quella del perdono, dell'accoglienza e della speranza, ma non comprendo come tutte queste cose possano amalgamarsi insieme. Come è possibile?”

“Davvero non lo comprendi?”
“No... ci ho provato, ma c'è sempre qualcosa che mi sfugge.”

“Allora guardati indietro, Lisa... - la invitò Sakon, sollevandole il volto verso il suo e fissandola intensamente - ... guardati indietro e pensa a tutto quello che è accaduto da quando sei entrata per la prima volta sul Drago Spaziale. Hai sperimentato il perdono, quando ti sei pentita di quel che stavi per fare... l'accoglienza, quando la tua vita è stata salva ed il dottore ti ha aperto le porte del Centro e del Drago... ed hai dispensato speranza a piene mani, con la tua presenza, semplicemente con la tua fiducia nel domani. Midori non sbagliava, quando parlava della magia del tuo sguardo... basta immergersi in esso, per comprendere.”

Immergersi in esso... come lui, in quel momento.
Si spinse ancor più in profondità... e gli sembrò di essere circondato dalla luce delle stelle, riflessa in due profondi laghi blu.

“Non occorrono spiegazioni, Lisa... il Natale è nei tuoi occhi.”

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