Caribbean Tales 5 - Shipwrecked

di Laura Sparrow
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 19: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Caribbean Tales 5

Shipwrecked

 

 

Prologo
 

 

When stars are born
are they cast out
to wander cold and lonely lost in space?
A loveless point of light
that can't return
forever fixed within one place.
When love is lost
and dreams are cast
like bruised and battered pieces left to die.
When hands that reach out are betrayed
how can my tortured soul survive?
There's only one thing left
and that's the one thing that I needed most of all,
but the freedom that I've gained
is the loss that led me aimless to the shore.
(Sail me away)

 

 

- Una donna! C'è una donna in acqua!-
- Cosa?- Nathaniel Hawk strinse forte la rete quando sentì che questa sfuggiva dalle dita del suo compagno distratto, che aveva appena allentato la presa. I pochi pesci si dimenarono, cercando una via di fuga, ma non la trovarono. L'uomo afferrò la rete a due mani e, con un grugnito, finì da solo di issarla, rovesciando sul fondo della barca il bottino di pesci guizzanti che per poco non si erano fatti scappare: si fermò a scoccare un'occhiata di biasimo al suo compare, ma il giovane era ancora affacciato al parapetto e fissava il mare a bocca aperta.
- Ben, non dirmi che ricominci a vedere le sirene. Dammi una mano, maledizione!-
- Sto dicendo sul serio, guarda!- l'indice di Benedict fremeva, indicando l'orizzonte, e il giovanotto sembrava seriamente sconvolto. Nathaniel si decise ad avvicinarsi a lui e scrutare le onde, alla ricerca di qualsiasi cosa avesse attirato la sua attenzione. Per un attimo il riverbero lo abbagliò e lui non vide nulla... poi si rese conto che, diavolo, c'era veramente qualcosa che galleggiava a poche braccia di mare dalla barca, trasportato dalla corrente.
Sembrava il pennone di una nave, spezzato in due e avvolto da quel che restava delle vele e delle sartie. E su di esso era accasciata una figura inerte, con braccia e gambe a penzoloni nell'acqua.
Nathaniel sibilò tra i denti, incredulo. - Santo Dio... fa che non sia un cadavere!- esclamò, mentre si precipitava ai remi per girare la barca.
- Che cosa fai?- gli domandò Ben, quasi con paura.
- Secondo te? Dobbiamo andare a ripescarlo, chiunque sia!-
- Lei. È una lei. Ti dico che è una donna. -
- Come ti pare, ma aiutami invece di startene lì impalato!-
In tutta fretta diressero la barchetta verso il corpo galleggiante e, appena furono abbastanza vicini, Nathaniel si sporse per cercare di recuperarlo. Il pennone cozzò leggermente contro il fondo dell'imbarcazione proprio mentre lui e Benedict afferravano la donna priva di sensi per le braccia e la tiravano a bordo con tutte le loro forze. Proprio in quel momento lei sembrò riaversi con un'improvviso impeto di energia, perché Nathaniel sentì le sue dita stringergli il braccio tanto forte da affondare le unghie nella pelle.
- Tienila!-
Con un ultimo sforzo, i due issarono a bordo il corpo fradicio d'acqua, ribaltandolo sulla schiena. Nathaniel prese fiato e per la prima volta osservò con attenzione ciò che avevano ripescato.
Era senz'altro una giovane donna, con lunghi capelli castani che le avvolgevano la testa, simili ad alghe, impregnati di acqua e di sale. La cosa strana era che era vestita come un uomo: portava una marsina dal colore ormai irriconoscibile per colpa del sale, e da essa sbucavano i resti delle maniche di una camicia, tutte strappate. Aveva i pantaloni, e non aveva perso in acqua i pesanti stivali di cuoio.
- È ferita?- chiese al suo compagno. Benedict si era inginocchiato vicino a lei e le stava girando il viso da una parte e dall'altra per vedere se respirasse. Proprio mentre intento a quell'operazione, la giovane donna tossì e sputò, liberandosi i polmoni dall'acqua in un unico fiotto violento.
- Cristo...!- Benedict sobbalzò all'indietro, portandosi le mani alla faccia, e Nathaniel dovette fare del suo meglio per non scoppiare a ridere.
La giovane, però, stava ancora rimettendo: ebbe un altro dei suoi scatti di energia e si rannicchiò di lato, sorreggendosi sulle ginocchia, quindi sporse la testa dal lato della barca per sputare all'esterno tutta l'acqua che le era rimasta in corpo. Nathaniel la lasciò finire, poi si chinò accanto a lei e le mise gentilmente le mani sulle spalle. La donna sussultò, per poi voltarsi di scatto verso di lui. Vide i suoi occhi dietro la cortina di capelli bagnati: erano castani, vigili e attenti.
- Va tutto bene, sei al sicuro. - le disse, augurandosi che capisse. - Ti abbiamo ripescata. Riesci a parlare?-
Lei cercò di rispondere, ma un altro accesso di tosse le mozzò le parole in gola. Non potendo fare altro, Nathaniel continuò a guardarla. Ora notava dettagli che prima non aveva osservato: la mano che la giovane si portò alla bocca mentre tossiva era ornata da un anello tanto vistoso da lasciarlo sbalordito. E sulle braccia scoperte c'erano sottili cicatrici ormai vecchie che sembravano in tutto e per tutto staffilate di spada. Istintivamente diede un'occhiata alla cintura della donna per controllare se avesse armi: non ne aveva, ma non si sarebbe sorpreso di vederla portare una pistola.
Sfortunatamente, anche Benedict notò tutto questo, ed espresse a voce alta ciò che era meglio tacere.
- Ehi, Nathan, hai visto? Questa donna è vestita da bellimbusto, va in giro con gioielli alle dita e, per la miseria, quelle sono cicatrici! Cosa dici, secondo te abbiamo ripescato una mezza pirata?-
Sentendolo, la giovane donna alzò il capo e strinse gli occhi, fissando ora Benedict, ora Nathaniel. Non c'era nessun dubbio che capisse perfettamente la loro lingua, e che sapesse anche da cosa era meglio guardarsi.
Nathaniel fece un cenno verso di lei, cercando di rassicurarla. - Non devi preoccuparti: i pirati sono benvenuti ad Isla Muelle. Come ti senti? Puoi dirci chi sei e cosa ti è successo?-
Lei rimase a scrutarli per qualche altro istante, raggomitolata sul fondo della barca, poi si rilassò. Un pochino.
- Terra... - gracchiò, con la voce a stento udibile.
- Come?-
- ...Torniamo a terra... per favore... sto davvero male. - si strinse lo stomaco con entrambe le mani, facendo una smorfia. - E... acqua. -
Nathaniel si chiese da quanto tempo dovesse essere in mare, ma decise che tutte le domande avrebbero aspettato. Prese la fiasca dell'acqua dalla propria cintura e fece per porgergliela: quando vide però che lei cercava di strappargliela di mano, si tirò indietro. La giovane lo fulminò con lo sguardo, con un lampo di panico.
- Dammela!- gracchiò, in un tono che era a metà tra la supplica e la minaccia.
- La reggo io. Bevi a piccoli sorsi, o ti rovescerai lo stomaco di nuovo. - replicò Nathaniel, senza lasciarsi impressionare. Solo allora avvicinò la borraccia alla bocca della giovane, che eseguì i suoi comandi alla lettera, anche se lo fissò con sguardo assassino ad ogni goccia d'acqua che lui le centellinava. Quando ebbe svuotato la borraccia fino all'ultimo sorso, si allontanò bruscamente da lui e si accasciò contro il bordo della barca, abbracciandosi le ginocchia e restando lì a rabbrividire come se non avesse la forza di fare altro: non mostrò nessuna reazione neanche quando Benedict le mise addosso una coperta.
- Ai remi, Ben. - lo richiamò Nathaniel, mettendosi al proprio posto. - Per oggi dimentichiamo i pesci. Ce ne andiamo dritti a casa, e in fretta!-

*

Nel tempo che impiegarono a tornare a terra, la giovane perse conoscenza. Di tanto in tanto, Nathaniel la scuoteva gentilmente per farla svegliare, o diceva a Benedict di darle un po' d'acqua dalla sua borraccia, quella che lei non gli aveva ancora svuotato.
Tuttavia, rimase in uno stato di semi incoscienza, e non ci fu modo di farle spiccicare altre parole se non quelle che aveva sussurrato a stento poco prima. Era accasciata contro il bordo della barca, con la testa abbandonata sul braccio, gli occhi chiusi e perfettamente immobile, mentre l'imbarcazione passava rapida accanto al porto e a tutte le altre barche ormeggiate. Nathaniel e Benedict non si fermarono, ma continuarono a remare di buona lena finché davanti a loro non si stagliò la figura imponente della Sirena.
Era un grande edificio di legno a quattro piani, ma si sporgeva dalla banchina direttamente sull'acqua, come se avesse voluto farsi spazio a gomitate tra le altre case che lo circondavano. Era una locanda, la migliore e la più rinomata di tutta Isla Muelle, e anche l'unico posto che Nathaniel e Ben chiamavano casa.
C'era un piccolo attracco privato e riparato sotto gli archi di legno che sostenevano metà della pesante struttura: fu lì che i due giovani diressero la barca, per ormeggiarsi alla banchina e cominciare a scaricare il loro insolito carico. Cercarono di farlo nel modo più gentile possibile: tuttavia, quando Nathaniel la sollevò da sotto le braccia e Ben la prese per le gambe, la donna cominciò a divincolarsi.
- Stai calma, per Dio!- esclamò Ben, sussultando quando si prese un calcio sulle costole, anche se debole.
In un modo o nell'altro, la portarono dentro. Il piano interrato passava accanto alle cucine, che a quell'ora erano piene degli sguatteri che spignattavano, cucinando, lavando stoviglie e portando avanti e indietro barili di birra e di rum: l'arrivo di Nathaniel e Ben sollevò un coro di saluti allegri, che però si spense subito quando si resero conto di ciò che stavano trasportando.
- Ci serve aiuto!- sbottò Nathaniel, brusco. - Trovateci un posto per farla stendere, e qualcuno chiami subito mia madre!-
Quelli che non erano troppo impegnati con la cena corsero a dare una mano, e in poco tempo la giovane donna mezza affogata fu sistemata in una delle camere più piccole al piano terra, dove la fecero stendere su un letto e cercarono ancora una volta di farle riprendere i sensi. Però sembrava non esserci nulla da fare: si risvegliava bruscamente per pochi attimi, magari sobbalzando, tossendo o lottando istintivamente se sentiva una mano stringerla o spostarla, poi però aveva a malapena la forza di mugolare qualcosa di incomprensibile e ripiombare giù, completamente inerte.
Non sapendo che altro fare, Nathaniel si era seduto accanto al letto e stava cercando di farle bere un altro po' d'acqua -quella la mandava giù che fosse sveglia o incosciente- quando alle sue spalle la porta si aprì, sbattendo, e anche il chiacchiericcio concitato degli sguatteri che erano venuti ad aiutarlo si zittì.
Nathaniel si voltò. Il vano della porta era completamente occupato dalla massiccia figura della padrona di casa, un donnone imponente che lo fissava con le braccia grosse come prosciutti risolutamente piantate sui fianchi. La sua faccia larga era inasprita da un cipiglio più che severo, e il giovane alzò lo sguardo per incontrare quello di quegli occhi castani che lo fissavano come quelli di un falco.
- Salve, mamma. - la salutò, senza scomporsi.
La donna emise un piccolo sbuffo di impazienza e con entrambe le mani si ravviò frettolosamente i capelli dietro le spalle, un gesto stranamente aggraziato per una donna così grossa. Li portava acconciati in due treccioline che si univano sulla sommità del capo, ma diverse ciocche biondo-grigie sfuggivano all'acconciatura, incorniciando il suo faccione rosso di una buffa aureola.
- Cristodiddio, figliolo, ma cosa diavolo mi sei andato a pescare?- sbottò, scostando Nathaniel dalla sua strada come se non pesasse niente, e concentrandosi sulla giovane che giaceva nel letto, scrutandola con occhio critico. - Questa poveretta deve essersela vista brutta. Dio santo. Adesso fuori, fuori, tutti voi! Si beccherà un malanno se non le togliamo quei vestiti inzuppati, e non è uno spettacolo da uomini. Fuori, ho detto!-
Nathaniel obbedì di buon grado, anche se finì spintonato dal fuggi fuggi generale dei giovani sguatteri che si affrettarono a lasciare subito la stanza non appena la padrona di casa ebbe finito di parlare. Tuttavia, sorrise mentre chiudeva la porta dietro sua madre e alle due ragazze delle cucine che aveva portato per assisterla: ora finalmente sapeva che sarebbe andato tutto bene. La giovane ce l'avrebbe fatta. Se c'era qualcuno sulla faccia della terra di cui lui si sarebbe fidato ciecamente, quella era sicuramente Sylvie Hawk, sua madre.



 

Note dell'autrice:

A chi già segue questa storia e conosce i suoi personaggi e le loro vicende, dedico un caloroso bentornati e un brindisi
A chi approda su questi lidi per la prima volta, benvenuti!
Come già anticipato nell'incipit, questo è il quinto episodio di una saga nata anni fa, che tutto ha a che vedere coi Pirati dei Caraibi, ovviamente, ma che è cresciuta e si è evoluta come una storia a sè. Quindi, se non avete idea di chi si stia parlando, vi consiglio di recuperare il primo episodio.
Ebbene, sono tornata! Sappiate che sto già litigando col nuovo sistema di pubblicazione dei capitoli: ho già dovuto correggere l'intero testo perché mi piazzava l'interlinea doppia senza motivo apparente...
Non di meno, Caribbean Tales 5 è iniziato.
Ho deciso che era il momento giusto per pubblicare il prologo: ho già i primi capitoli ultimati, ma se mi avete seguito nell'ultimo periodo, sapete che non vado famosa per la celerità nel pubblicare... Me ne scuso fin da subito. Intanto possiamo considerare iniziato anche questo quinto viaggio in compagnia dei nostri pirati preferiti.

E, giacché siamo interattivi, beccatevi anche la colonna sonora del prologo.
http://www.youtube.com/watch?v=lT4V1J8S4vI

Ben ritrovati a tutti, e giusto per cominciare in bellezza, stuzzico un po' la curiosità di tutti quanti con alcune bellissime fanart dedicate a Jack e Laura disegnate dalla mia fedele compare Alwilda: rispettivamente QUESTA e QUESTA.

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1



And I'm borne high on these waves,
swept by the wind and alone.
Sail me away, carry me back to my home
I'm tired, I've been torn,
a cruel wretched storm churns like a gail in my bones
Oh sail me away
Carry me back to my home.

Quando mi svegliai, c'era la tenebra.
Non la tenebra totale, ma quella delineata dalla fioca luce di una candela, accesa in un angolo lontano da me. L'angolo in cui mi trovavo io era pieno di ombre. Per un momento non riuscii a distinguere nulla se non quello: le ombre che si allungavano sopra e davanti a me. Cos'era, una parete di legno, quella su cui si arrampicavano? Non stavano ferme un attimo. Scivolavano. Danzavano. Sentii che mi tornava il mal di mare: avevo di nuovo voglia di vomitare, ma almeno stavolta non lo feci.
La luce, invece, era indistinta e mi feriva gli occhi in modo insopportabile. Sentivo le pupille bruciare, e ricordai come il sale me le avesse fatte pizzicare e lacrimare per giorni interi. Ma dov'ero? Dovevo riuscire a formulare un pensiero coerente, che non avesse a che fare solo con le luci e le ombre. Pensa. Rifletti. Torna in te. C'è una parete, quella è una candela, c'è qualcosa di solido sotto di te. Il pavimento è stabile, e il mondo ha smesso di beccheggiare. Sei in una stanza. Terra.
Mi sentivo male oltre ogni possibile immaginazione. Mi era capitato di venire ferita e perdere sangue, e credevo che quello facesse abbastanza male: adesso invece non mi sembrava di sentire ferite di nessun tipo, ma il mio stomaco e tutte le mie viscere erano contorti in una morsa atroce, strizzando le mie budella e mandando fitte di dolore tremendo in tutto il mio corpo. La testa pulsava, e sembrava addirittura essere staccata dal resto del corpo, come se galleggiasse in un limbo nebbioso. E poi c'era la nausea, fortissima. Era orribile perché avevo fame, stavo morendo di fame, e allo stesso tempo il solo pensiero del cibo mi dava il voltastomaco. E avevo sete. Riuscivo a stento a muovere le labbra da quanto erano secche. Dio, datemi dell'acqua, vi prego, non importa per quanto tempo riuscirò a tenerla nello stomaco senza vomitarla, ne ho bisogno, ho sete, ho così tanta sete.
Mi veniva da piangere. E, per assurdo, adesso era proprio la stabilità di quella stanza a farmi venire il mal di mare.
Ma non ero sola. Vidi un'altra ombra muoversi contro la luce della candela, e ingigantirsi mentre veniva verso di me: cominciai a battere le palpebre per mettere a fuoco quell'immagine indistinta, e allo stesso tempo mi accorsi anche del suono di una voce. Anche i suoni sembravano arrivare da lontano, come se il mondo fosse immerso nell'acqua. Rabbrividii. Poco a poco le cose cominciarono a riacquistare i loro contorni, e riconobbi distintamente il viso di una donna massiccia che stava seduta accanto al letto e mi guardava.
Era veramente massiccia: scommetto che se l'avessi vista in piedi l'avrei trovata tanto larga quanto alta... però lo sguardo dei suoi grandi occhi castani era amichevole, e tutto quel viso esprimeva una dolcezza quasi materna che, per qualche motivo, mi confortò immediatamente. Ero ancora troppo annebbiata per afferrare del tutto le sue parole, però ci guardammo e ci capimmo. Il suo viso mi diceva che capiva, sì, lo so, stai male, stai veramente molto male, ecco, lascia che ti aiuti.
Sentii ancora di più la voglia di piangere, ma mi controllai. Lei si chinò su di me e le sue mani robuste mi tirarono su come se fossi stata una bambina, raddrizzandomi un poco e permettendomi di appoggiare la schiena al cuscino.
- Riesci a capirmi, cara? Come ti senti?-
La sua voce aveva un suono ruvido, ma era rassicurante anche quella. Mossi le mie labbra riarse e arrotolai la lingua in cerca di saliva, cercando di parlare: mi sentivo la bocca completamente asciutta, ma alla fine riuscii a cavare qualche parola fuori dalla mia gola secca.
- Gira tutto... - mormorai, soffocando un colpo di tosse. - Ho il vomito... ho fame... ho sete... tutto insieme. -
- È tutto normale, cara, mi stupirei del contrario!- rispose lei, con l'accenno di un sorriso, e batté gentilmente la sua mano sulle mie. - Sai cosa ti è successo? Ti hanno trovata in mare aperto, diavolacci, che galleggiavi attaccata ad un pennone!-
I ricordi mi colpirono con la violenza di una mazzata, ma cercai di non darlo a vedere: la donna mi fissava, chiaramente in attesa di una risposta.
- Sì... ho fatto naufragio. - risposi. Lei restò a guardarmi ancora per qualche momento.
- Sei un pirata, non è vero?- non c'era traccia di sospetto o accusa nel suo tono, solo curiosità. Per tutta risposta, annuii.
- E la nave su cui viaggiavi non deve essersela passata bene... - continuò lei, scrollando le spalle. - Da noi è passata una gran bella tempesta soltanto ieri, se eravate in mare aperto probabilmente ve la sarete beccata due giorni fa, eh? Ti sei fatta una bella nuotata. -
Rabbrividii di nuovo. Due giorni! Sì, erano stati due giorni e due notti intere quelli che avevo passato là fuori, galleggiando sull'acqua. Mi sentivo di nuovo male.
Lei sembrò accorgersene, perché si voltò verso il tavolino su cui ardeva la candela, e prese una brocca di coccio per versare qualcosa in un bicchiere. Me lo porse: era qualcosa di caldo e aveva un buon profumo, ma avevo una gran paura di non riuscire a tenerlo giù.
- Non preoccuparti, manda giù tutto pian piano. Ti sentirai meglio. -
Obbedii: ero troppo assetata per non farlo. Bevvi a piccoli sorsi, e per qualche istante il mio stomaco sembrò volersi ribellare, poi però, lentamente, la bevanda calda sembrò sciogliere il nodo doloroso che mi torceva le budella, fino a lasciarmi libera di respirare. Quasi gemetti dal sollievo mentre svuotavo il bicchiere fino all'ultima goccia.
La donna annuì soddisfatta mentre mi guardava bere, e poi mi prese il bicchiere. - Pensa a riposarti, adesso, d'accordo? E quando starai meglio ci racconterai qualcosa su quello che ti è successo. -
Annuii, anche perché non avevo nessun'altra risposta da dare. Mi sentivo ancora stanca, stordita e confusa, non sapevo dove mi trovavo, e anche se quella donna gentile sembrava intenzionata ad aiutarmi, non ero poi così pronta a mettermi nelle sue mani. Che fine avevano fatto i due uomini che mi avevano ripescata? Ricordavo di averli sentiti parlare, ed ero abbastanza sicura che uno di loro mi avesse detto il nome di quel posto... ma non sarei certo riuscita a ricordarmelo adesso. Lei spense la luce della candela e mi lasciò, ricordandomi che se avessi avuto bisogno, dovevo soltanto chiamare. Qualcuno avrebbe vegliato fuori dalla mia porta. In silenzio mi chiesi se ero un'ospite o una prigioniera, anche se la seconda opzione mi sembrava molto improbabile.
Una volta sola, mi lasciai ricadere contro il cuscino, respirando profondamente: cominciavo a sentirmi un po' meglio, anche se cominciai a tremare e non riuscii a smettere per un bel po'.
Ero viva. Questa semplice consapevolezza mi sembrava incredibile. E ancora dovevo lottare furiosamente contro le lacrime: lacrime di sollievo, di paura, di gioia e di smarrimento.
Ero viva, ma ciò non toglieva che avessi lottato tra la vita e la morte per ben due giorni.
Dove mi aveva trascinata la corrente in tutto quel tempo? E, Dio mio, dove erano gli altri?

*

La prima cosa che avvistammo fu il fronte compatto di nuvole nere che inghiottiva l'intero orizzonte.
Non c'era alcun dubbio: la tempesta veniva dritta contro di noi e, di rimando, noi ci stavamo tuffando nella sua bocca. Virare era inutile: non capivamo dove iniziava e dove finiva, e l'unica cosa che potevamo fare era cercare di dirigerci dove il fronte di nuvole sembrava leggermente più chiaro del resto.
Ma non avevamo paura: eravamo pur sempre a bordo della Perla Nera. Ne avevamo passate di peggiori.
- Gente!- gridai dal cassero di poppa, vedendo che sul ponte era calato un pesante silenzio e che tutti i pirati stavano fissando la tempesta in arrivo. - Stiamo per attraversare una tempesta, quindi ci sarà da ballare parecchio. Dovete stare pronti a ridurre i velaggi e voglio ogni uomo al suo posto entro cinque minuti, tutto chiaro? Ai posti!-
Un grido unanime di assenso confermò le mie parole, e i pirati corsero alle loro postazioni come il branco di canaglie ben addestrate che erano: mi sentii fiera di loro quando li guardai muoversi sui pennoni e cominciare a ridurre gradualmente le vele man mano che il vento cominciava a girare e a soffiarci contro. Avremmo superato anche questa. Ne ero sicura.
La Sputafuoco era dietro di noi: non erano ancora a portata di voce, quindi segnalammo con le bandiere il pericolo e la nostra intenzione di oltrepassarla tenendoci lontani dal fronte più scuro. Dal ponte dell'altra nave ci arrivò la loro risposta affermativa. Riconobbi le figure di Elizabeth e William accanto al timone, e rivolsi loro un ampio cenno di saluto col braccio prima di tornare al mio lavoro.
La pioggia iniziò come un ticchettio sinistro sul legno, e in una manciata di secondi si trasformò in uno scroscio torrenziale che ci lasciò tutti quanti inzuppati fino alle ossa. Udii le imprecazioni dei miei uomini in cima ai pennoni, cominciai a sentire il ponte diventare scivoloso e sempre meno stabile per colpa delle onde. Strinsi gli occhi contro la pioggia che mi batteva dritta in viso e mi voltai verso il timone.
Jack era lì, pronto a condurre la sua Perla anche in quella corsa. Tra le nuvole saettò il primo fulmine, che illuminò per un momento di luce bianca e sinistra l'intera nave bagnata dalla pioggia: la figura scura di Jack, col tricorno, la giacca inzuppata e i lunghi capelli al vento, fece per un attimo un bizzarro contrasto contro il cielo illuminato. Si voltò verso di me e vidi scintillare i denti d'oro.
- Siamo pronti?- mi gridò, sopra il frastuono della pioggia.
- Sì!- gridai di rimando. - Tutti gli uomini sono ai loro posti, io vado di prua!-
Di nuovo il sorriso, e un cenno della mano. - Vai, tesoro!- mi incoraggiò, facendo girare con decisione il timone. Poi, mentre mi voltavo, lo sentii che si metteva a cantare una canzone marinaresca in francese, ricordo dei nostri recenti vagabondaggi in giro per l'Europa, storpiando la metà delle parole. Anche se sferzata dal vento e dalla pioggia, col ponte che traballava sotto i piedi, mi venne quasi da ridere.
Raggiunsi la prua della nave, dove incrociai Gibbs: servirono solo poche parole, urlate al di sopra dello scroscio dell'acquazzone e delle onde, per metterci d'accordo sul da farsi. La furia del vento cercava di ricacciarci indietro, i pirati avevano ammainato tutto quello che potevano ammainare, e ora dovevamo lottare per mantenere la nave stabile nel bel mezzo dell'uragano. Davanti a noi c'era ancora uno sprazzo di cielo appena più chiaro, un tenue faro di speranza che dovevamo tenerci ben stretto, senza permettere che la tempesta ci trascinasse dove voleva.
Non so quanto durò: sicuramente trascorsero alcune ore, ore frenetiche durante le quali la pioggia non accennò a diminuire, anzi, diventò un muro d'acqua compatto che non lasciava respirare e accecava i pirati al lavoro sul ponte e sugli alberi. Le onde ruggivano, scuotendo lo scafo della Perla come se la nave non fosse altro che un guscio di noce trasportato dalla furia dell'acqua: per quanto cercassimo di mantenere la nostra rotta, la corrente ci trascinava di qua e di là, e a tratti il ponte si inclinava così tanto che dovevamo reggerci precipitosamente alle funi o alla murata per non venire spazzati via.
Lo squarcio chiaro nel cielo era completamente sparito. Ora, sopra di noi, davanti e di lato, c'era soltanto il cielo nero come l'inchiostro, e le onde inferocite. La Sputafuoco, che fino a pochi attimi prima ci stava tallonando fedelmente, ad un tratto semplicemente sparì dietro le onde e la pioggia. Per un attimo ebbi paura per i miei amici... ma non ebbi nemmeno il tempo di cercarli con lo sguardo nella tempesta. Un'altra ondata percosse lo scafo con la forza di un colpo d'ariete, tanto che barcollai verso la murata e dovetti tenermi stretta con entrambe le mani, fissando il mare ribollente sotto di noi.
- Ammainate, ammainate!- urlai, voltandomi verso gli uomini sulle sartie, e augurandomi che mi sentissero. - Rischiamo di rovesciarci!-
Poi di colpo sentii il vuoto sotto i piedi.
Un'altra onda ci aveva colpiti, ma questa veniva dalla parte opposta: tutta la nave si stava inclinando verso tribordo, ovvero il lato su cui mi trovavo. Paralizzata, vidi l'acqua vicinissima. Mi sentii quasi priva di peso mentre la fiancata della Perla precipitava vero il basso, per poi riassestarsi di botto e tornare a risalire.
Mi mancava il fiato. Ma non era finita, perché quell'inclinazione improvvisa aveva permesso alle onde di sommergere parte del ponte: non feci in tempo a voltarmi che vidi un muro d'acqua correre per tutta la lunghezza del ponte, travolgendo gli uomini e il carico che incontrava sul suo percorso.
Sentii la corrente afferrarmi per le gambe, e l'istante dopo non c'era più un ponte su cui poggiare i piedi. Roteavo, trascinata dall'acqua: mi rendevo conto di stare cadendo ma la pioggia mi accecava e annullava ogni concezione dell'alto e del basso... Una cima, fradicia di pioggia. La agguantai con entrambe le mani, mi ci avvinghiai, e solo quando la sentii sorreggere il mio peso mi resi conto del pericolo.
Penzolavo nel vuoto. L'ondata mi aveva sbalzata fuoribordo, e ora quella fune tesa era l'unica cosa che mi tenesse attaccata alla nave.
Urlai, anche se dubito che qualcuno avrebbe potuto sentirmi: mi accorsi a malapena della presenza di un altro pirata aggrappato alla cima poco sotto di me, e anche lui si dibatteva e gridava, sferzato dalla pioggia e dalle onde che cercavano di strapparci via dal nostro unico appiglio.
Ricordo che pensai: “Dio, no, no, non può succedere!”
Era irreale: la fune tesa nel nulla, la Perla nient'altro che un'ombra confusa, e sotto di noi un inferno di acqua ruggente. Poi udii il suono chiarissimo del legno che si spezza, e sentii la fune scorrere libera tra le mie mani.
Non ebbi tempo di pensare.
Precipitai fuoribordo, affondando nell'abbraccio dell'acqua gelida. Riemersi, tossendo e sputando, ma subito un'altra onda mi riafferrò e mi trascinò verso l'alto a velocità vertiginosa, senza che potessi aggrapparmi a nulla. Folle! Mi dibattei disperatamente, cercando di nuotare, ma come era possibile nuotare quando l'acqua stessa sembrava essere diventata un centinaio di mani invisibili che mi strattonavano, mi spingevano e trascinavano sotto? Finii di nuovo sott'acqua, e stavolta sentii chiaramente che mi ribaltavo. Ero stata presa da un'altra onda.
La mia salvezza fu accorgermi di una sagoma scura nell'acqua, a poca distanza da me: mi rigirai, scalciai e riuscii a nuotare verso di essa, aggrappandomici come prima avevo fatto con la cima. Sentii il legno bagnato sotto le dita, insieme con i nodi delle corde e un residuo strappato di vela, e capii che era un pezzo di pennone che doveva essersi spezzato. Le onde mi portarono di nuovo su e giù con violenza, ma adesso galleggiavo insieme al pennone e riuscivo a distinguere l'alto e il basso.
Questo riuscì a farmi riprendere il controllo per qualche momento, ma poi vidi la Perla in mezzo alla bufera, una sagoma scura che era lontana e vicina al tempo stesso. Vedevo i pirati che correvano lungo il ponte, li vedevo affollarsi sulla murata di tribordo. E nello stesso istante mi resi conto che era già troppo lontana da raggiungere a nuoto, e che se avessi voluto tentare avrei dovuto abbandonare il sostegno del pennone.
- Aiuto!- urlai, tuttavia, con tutto il fiato che mi rimaneva. Era terrificante: la Perla, lì, a poche braccia di mare... e intanto sentivo che le onde mi allontanavano inesorabilmente, mi portavano via!
- Jack!- gridavo, senza controllo. - Jack! Gibbs! Aiuto!-
In quel momento sentii qualcun altro gridare, non troppo lontano da me: mi voltai, continuando ad avvinghiarmi al pennone spezzato, e vidi la sagoma di un uomo tra le onde, quello che era stato scagliato fuoribordo insieme a me.
Lo conoscevo, conoscevo il suo nome e la sua faccia, sebbene non fosse altro che un'ombra in mezzo alla tempesta, che fendeva l'acqua a grandi bracciate nel tentativo di venire verso di me. C'erano ancora delle cime che penzolavano dal pennone, agitandosi nell'acqua come lunghi tentacoli sottili: una di esse non era molto lontana da lui. Se l'avesse afferrata, sarebbe riuscito ad aggrapparsi al legno insieme a me.
- Wickham!- lo chiamai. - Prendi la cima!-
L'uomo nuotava con lena, con la forza della disperazione. La fune guizzava proprio davanti a lui come un serpente. Ancora un poco e ce l'avrebbe fatta. Poi lo vidi perdere forza, appena per un momento, e subito un'onda si alzò tra di noi, separandoci.
- Wickham!- presi a strillare. - Wickham prendi la cima! Prendi la cima! Wickham... Wickham!-
Lo avevo perso nella tempesta, e di colpo il pensiero di essere in balia del mare e di quel pezzo di legno, per di più da sola, mi paralizzò completamente. Almeno la Sputafuoco, dov'era la Sputafuoco? L'avevo vista dietro di noi all'inizio della nostra folle traversata, ci era rimasta alle costole per un po' prima che le onde e la pioggia ci separassero. Sperai anche in loro, sperai che per un miracolo la nave dei miei amici fosse solo di poco dietro la Perla e potesse ripescarmi.
Non avevo alcun controllo su quello che accadde dopo: la tempesta infuriava attorno a me, e mi sembrava di stare aggrappata ad un cavallo imbizzarrito. Intanto la Perla si faceva sempre più lontana e indistinta, sussultando e ondeggiando paurosamente sotto le ondate, ed io continuavo a gridare senza sosta senza nemmeno rendermene conto, invocando Jack, invocando i miei amici, la mia ciurma, supplicandoli di tornare e aiutarmi.
Dopodiché, la Perla sparì, e ci fu soltanto il mare e il buio, rischiarato solo di tanto in tanto dal bagliore dei lampi. Le onde non mi diedero tregua nemmeno per un secondo, ed io mi presi tutta la loro furia, reggendomi al pennone con braccia e gambe.
Quando tutto finì, ero distrutta. Il mare si calmò poco a poco, anche se le nuvole non se ne andarono: quando finalmente ebbi la forza di alzare la testa per guardarmi in giro, non vidi assolutamente nulla. Mare nero, cielo nero.
Ero sola in mezzo all'oceano.

*

Per l'intera notte andai alla deriva, troppo esausta e terrorizzata per fare qualsiasi cosa. E poi, che cosa avrei potuto fare? Galleggiavo attaccata ad un pezzo di legno, niente che potesse considerarsi un'imbarcazione. Non avevo remi, non avevo cibo o acqua. E non avevo la minima idea di dove fossi finita.
Quando ricominciò a piovere, una pioggia leggera che increspò appena la superficie del mare, rimasi per ore con la testa all'insù e la bocca spalancata, bevendo a grandi sorsate l'unica acqua dolce che potevo sperare di trovare.
Il momento più terrorizzante fu il mattino dopo, quando mi riscossi dal torpore semi cosciente nel quale ero caduta durante la notte, con le braccia doloranti per non avere mai lasciato la presa sul pennone. Per qualche ora fui perfettamente lucida, e considerai con orrore la mia situazione.
Attorno a me non c'era nulla.
Il mare si stendeva in ogni direzione, senza la minima ombra a turbarne il blu uniforme. Nessuna nave, niente terra in vista, da nessuna parte. Sentii montare il panico e, quando ne ebbi abbastanza di resistere, vi cedetti senza ritegno: urlando e chiamando finché ebbi voce.
Com'era prevedibile, non c'era nessuno a sentirmi. In breve tempo persi i sensi di nuovo, non prima di essermi legata al polso una delle cime penzolanti, in modo da non perdere il mio unico appiglio nemmeno per un secondo.
Il giorno passò lentamente, e arrivarono la fame e la sete. Pur di non doverli più sentire, fui felice di perdere i sensi di nuovo. Sentivo il sole picchiare sulla schiena, e confusamente mi facevo un sacco di domande. In che direzione mi aveva spinta la tempesta? E dove era finita la Perla Nera? C'erano squali in quelle acque? Sarebbero saliti dalle profondità per aggredirmi, se mi avessero trovata a galleggiare come un morto?
Una volta formulato, il pensiero degli squali non se ne andò più dalla mia testa. Nei brevi periodi di vero e proprio sonno non facevo che sognare squali che salivano dagli abissi, e mi svegliavo di colpo, dimenandomi e strillando per la paura. Quando ero sveglia scrutavo l'acqua, e mi immaginavo enormi forme scure sotto la superficie. Deliravo. Avevo paura, fame, sete e ancora paura.
Piovve ancora, e mi costrinsi a bere di nuovo, ma la notte seguente ero diventata così debole che più volte caddi dal pennone e riemersi sputacchiando, salvandomi solo grazie alla fune legata al polso. La fame mi faceva sragionare, ed erano pochi i momenti in cui ero veramente lucida... forse in un certo senso fu una benedizione.
Passò un altro giorno intero, durante il quale continuai a mettere la testa sotto l'acqua per trovare un po' di sollievo dal sole implacabile.
Un'altra notte. E già non sentivo più il mio corpo: le mie dita sembravano tutt'uno con il legno del pennone. Avevo bevuto acqua di mare e l'avevo vomitata. Gli occhi mi bruciavano così tanto che non riuscivo più a vedere nulla, ed ero sicura che sarei morta. Con la lingua impastata borbottavo, pregavo, chiamavo i nomi degli amici perduti. Chiamavo Jack, incessantemente, infuriandomi perché la Perla non era lì, perché la mia ciurma non era corsa a salvarmi, a tirarmi fuori da quel mare senza fine e riportarmi a terra.
Un'altra alba. Ormai non aprivo nemmeno più gli occhi.
Poi c'era stato il movimento. Voci umane, che non erano solo l'ennesimo scherzo della mia immaginazione. Il mondo si era improvvisamente ribaltato: mani umane, qualcuno che mi toccava e mi sollevava, una superficie solida. Mi ero sentita male oltre ogni possibile immaginazione. Per un attimo mi mancò la mia prigione fatta soltanto d'acqua, e desiderai più di ogni altra cosa affondarci dentro e mettere fine a tutto questo una volta per tutte: meglio quello che il dolore osceno alle viscere, gli occhi in fiamme, la fame terribile e la sete...
Poi, lentamente, la realtà aveva cominciato a riprendere i suoi contorni. Una barca: ero su una barca, c'erano degli uomini, e presto saremmo tornati a terra. Acqua da bere e qualcosa di asciutto in cui avvolgermi. Ancora voci umane, voci che riuscivo a capire.
Sì, mi dissi, sentendo bruciare nel petto una scintilla della mia vecchia determinazione: ero sopravvissuta e stavo tornando indietro. La ragione tornava a farsi strada nella mia mente febbricitante.
Per prima cosa, terra. Via dal mare immenso, via da quella cella d'acqua sconfinata. Terra solida sotto i piedi, così avrei capito dove mi trovavo.
Perché dovevo sapere dove ero finita. Dovevo scoprire dove erano gli altri. Dovevo tornare. Stavo tornando. Ero ancora viva, e ormai né il cielo né l'inferno mi avrebbero impedito di ritornare a casa, in un modo o nell'altro.

*

Per due giorni non feci altro che dormire, restando sveglia malvolentieri solo il tempo di mangiare o usare la latrina, cose che mi risultavano più faticose di quanto non fossero mai state prima.
Ma il terzo giorno avevo ormai riacquistato le forze. Aprii gli occhi e, per la prima volta, seppi di essere perfettamente sveglia. Dalla luce grigiastra che entrava dalle imposte chiuse immaginai che fosse tardo pomeriggio, o addirittura sera: si sentiva il rumore del mare che veniva da fuori, e anche un discreto baccano che doveva provenire da dentro... Ascoltai con più attenzione. Baccano di stoviglie, rumore di passi e di conversazioni quasi urlate, risate, scricchiolii di tavoli e sedie: il rumore inconfondibile di una locanda. Ricordavo ben poco di come fossi arrivata lì, però mi sembrava vagamente di avere visto il grosso edificio... sì, una locanda, senz'altro.
Era ora di alzarsi. Nei giorni precedenti c'era sempre stata una delle ragazze di servizio ad aiutarmi, donne giovanissime e sempre pazienti che a volte avevano dovuto sollevarmi praticamente di peso per farmi fare il tragitto dal letto alla latrina. Adesso però mi sentivo abbastanza in forze: mi alzai a sedere sul letto e posai i piedi per terra, felice di sentire rispondere le gambe. Avevo addosso una vestaglia bianca lunga fino ai piedi. Che ne era stato dei miei vestiti, a proposito? E le mie armi? Ah, già: non indossavo armi quando ero caduta dalla Perla. Una perdita in meno.
Ma... Sussultai, agguantandomi il collo con una mano.
La perla nera. Il ciondolo che portavo sempre addosso non c'era più. Non avevo neppure gli anelli alle dita.
Ah, bastardi! Un'ondata di collera mi travolse, rischiando di sopraffarmi: questo era troppo, avevo appena patito le pene dell'inferno, non dovevano permettersi anche di rubarmi le mie cose!
“Calma, calma, perdio, resta calma. Ti sembra il momento? Ti sembra questa la cosa più importante?” mi rimproverai aspramente, e poco a poco funzionò. Dovevo stare calma: prima di ogni altra cosa, dovevo ragionare.
Ora, in piedi.
Girai la maniglia della porta e uscii dalla stanza. Mi trovai in uno stretto corridoio: lungo le pareti c'erano altre porte, e immaginai che conducessero tutte a stanze simili a quella che avevo appena lasciato. Il rumore e le voci provenivano dal fondo del corridoio.
Mi incamminai: il corridoio sbucava in una piccola saletta vuota, arredata solo con alcuni divani e un tappeto steso al centro della stanza; era rustica, ma elegante alla sua maniera, e per un attimo mi ricordò la Lanterna Fioca a Tortuga. In effetti, chissà che non fossi finita in un bordello: un posto così grande avrebbe potuto benissimo esserlo.
Oltre un piccolo arco privo di porta c'era quella che era senz'altro la sala principale: infatti riuscii a vedere l'interno di una locanda grande e ben illuminata dalle lampade ad olio, un bancone, tanti tavoli pieni di gente che beveva e mangiava. Dunque era ora di cena, o almeno così sembravano pensarla gli avventori. Le cameriere andavano avanti e indietro tra i tavoli, e tra di esse mi sembrò di riconoscere qualche faccia vagamente familiare: di sicuro erano state loro ad occuparsi di me.
Avanzai a passi lenti, circospetta: non ero sicura di voler piombare nel bel mezzo della locanda -anche se dubitavo che lì in mezzo qualcuno avrebbe davvero fatto caso a me- però volevo soprattutto trovare la padrona di quel posto e parlarle. Mi ricordavo la donna che avevo visto appena avevo ripreso i sensi, ma ora non riuscivo a vederla da nessuna parte.
Quando mi avvicinai ancora un po', l'odore del cibo che saliva dai piatti e dalle cucina divenne così intenso che mi ritrassi, arricciando il naso. Odore di birra, rum, carne e olio fritto. E, per quanto l'insieme fosse piuttosto disgustoso, mi venne di nuovo fame.
Ad un tratto una delle cameriere si accorse di me, e venne precipitosamente nella mia direzione.
- Ehi, cosa ci fai alzata?- esclamò appena mi raggiunse, preoccupata. Doveva avere solo pochi anni meno di me: era pallida e sottile, con riccioli rossi che spuntavano da sotto la cuffietta. Mi fece cenno di allontanarmi dalla porta e ci dirigemmo insieme verso il centro della saletta appartata. Lei mi scrutava ancora con apprensione. - Come ti senti?-
- Sto bene. - replicai. Dio, sembravano secoli che non parlavo con qualcuno! E stavolta ero anche completamente sveglia. - Non ce la facevo più a stare a letto, tutto qui. Ascolta, io... non so dove sono e so a malapena cosa mi è successo. Dov'è la donna che mi ha curata? Ho bisogno di vederla, devo parlare con lei. -
- Stai parlando di Sylvie Hawk. - c'era una grande deferenza nel tono e nell'espressione della ragazza, quando lo disse: questa Sylvie Hawk doveva essere tenuta in grande considerazione. - È la proprietaria di questo posto. Sei alla Sirena, su Isla Muelle. Io sono Sarah. - mi tese la mano, e io gliela strinsi.
- Laura. - non mi sembrò prudente rivelare alcun cognome, per il momento. Invece il nome del posto, Isla Muelle... Ero su un'isola, dunque. Frugai nella memoria cercando qualche punto di riferimento: se non altro, ero ancora nei Caraibi e non ero stata trascinata all'altro capo del mondo.
- Dirò a Sylvie che ti sei svegliata. Ecco, vieni. Siediti. Anche lei vuole parlare con te. -
La giovane dai riccioli rossi di nome Sarah mi fece sedere su uno dei divani, quindi sparì nuovamente di corsa nella sala da pranzo. Non potendo fare altro aspettai, guardandomi attorno e torcendomi le mani. Mi sentivo incapace di rilassarmi. La vestaglia che indossavo mi faceva sentire vulnerabile, e sentivo la mancanza della sicurezza data dall'avere una spada o una pistola alla cintura. In quel luogo sconosciuto, ero indifesa.
Sylvie Hawk arrivò poco dopo.
Entrò nella saletta a grandi passi, asciugandosi le mani sul grembiule che portava legato alla vita. Era esattamente come me la ricordavo quando l'avevo vista seduta accanto al mio letto nella penombra della stanza: grossa, e alta solo un poco più di me. Il suo vestito, sotto il grembiule, era semplice, ma era sui toni accesi del rosso e del marrone, cosa che la rendeva a dir poco vistosa. I capelli biondo scuro le arrivavano fin sopra le spalle, anche se li portava raccolti in due treccioline ordinate dietro la nuca: gli occhi e la bocca avevano un tratto duro, e sarebbero potuto sembrare arcigni se tutto il suo viso non si fosse illuminato improvvisamente in un sorriso appena la donna mi vide. Si avvicinò a grandi passi e venne a sedersi sul divanetto davanti al mio, come se fossi un'amica venuta a farle una visita di cortesia.
- Allora, finalmente ci siamo decise a svegliarci, eh?- mi salutò, in tono cordiale. - Come ti senti oggi?-
- Meglio. - la presenza di quella donna era, ancora una volta, stranamente rassicurante. - Non so come ringraziarvi per avermi salvata. -
- Bambina, non devi ringraziare nessuno! Ma, se proprio vuoi, puoi sempre pagare la camera, dato che l'ho tenuta libera per te per tutto il tempo che hai passato nel mondo dei sogni. -
Era una battuta, lo disse ridendo. Ma le sue parole mi fecero ripensare a ciò che mi era stato sottratto intanto che dormivo, e di colpo non ebbi alcuna voglia di ridere.
- Beh, potrei anche farlo. - risposi, in tono più freddo. - Se mi venisse restituito tutto quello che avevo addosso quando sono stata ripescata. I miei vestiti dove sono? E c'erano dei gioielli, sono sicura che ve ne ricordate. -
La mia freddezza improvvisa sembrò sorprenderla, ma non era tanto ingenua da lasciarsi impressionare: infatti non batté ciglio e si voltò invece verso Sarah, che era rimasta ad aspettare accanto alla porta.
- Sarah, fa una corsa in lavanderia e prendi i vestiti della nostra ospite, fammi il favore!-
La ragazza fece un rapidissimo cenno d'assenso e corse via; intanto Sylvie Hawk sganciò una piccola borsa di pelle dalla cintura e la vuotò sul palmo aperto. Vi caddero il mio ciondolo con la perla nera e tre anelli. Involontariamente trattenni il respiro quando la donna me li porse.
- Ecco, non manca niente. Non siamo ladri, miss, e non ci piace neanche essere accusati di esserli. -
- Mi dispiace. Scusatemi. - allungai le mani e presi tutto: con sollievo presi il ciondolo e me lo strinsi al cuore, poi osservai gli anelli. Due non avevano importanza, erano solo belli e preziosi e avevo preso l'abitudine di mettermeli alle dita. Ma il terzo era l'anello con la pietra azzurra. Fu quello che mi rimisi per primo all'anulare della mano sinistra.
Notai che Sylvie Hawk stava osservando con attenzione ognuno dei miei gesti, e un'istintiva cautela mi ricordò che quella donna doveva essere molto più scaltra di quanto non desse a vedere. Poi mi venne in mente una cosa: l'anello azzurro aveva inciso sulla fascia interna la scritta “my Black Pearl”! La donna l'aveva vista di sicuro, se aveva esaminato i gioielli. Era solo un piccolo dettaglio, ma molto prezioso per chiunque avesse voluto saperne qualcosa di più sul mio conto senza bisogno di chiedere.
- Grazie. Mi dispiace di avervi parlato così, è solo che queste cose sono preziose per me. Ed è anche tutto quello che ho, al momento. -
Lei tornò a sorridere, senza dar segno di essersi offesa. - Non c'è bisogno di scusarti, capisco. E immagino che sarai piuttosto scombussolata, non è vero? Forse è meglio che cominciamo dal principio. Io, intanto, sono Sylvie Hawk. -
- Me l'hanno detto. - annuii. - Siete la padrona di questo posto. Io sono Laura Evans. -
In quel momento ritornò Sarah, che in silenzio attraversò la saletta e depose sul divano accanto a me un involto di stoffa: vi trovai dentro i miei vestiti, che erano stati lavati e rammendati.
- Potrai rimettere quelli, se preferisci... però credo che sia meglio se ti do una nuova camicia, eh?-
Non aveva tutti i torti: la camicia che avevo indossato aveva le maniche completamente strappate, e neanche i rammendi avevano sistemato tutti i buchi. La marsina blu aveva resistito meglio: aveva perso quasi ogni traccia di colore, ma era ancora intera. Stesso dicasi per i pantaloni e gli stivali. Raccolsi tutto quanto con sollievo: sarei stata più che felice di cambiarmi il prima possibile.
- Ebbene, adesso cosa pensi di fare?-
Quella domanda mi colse impreparata, ed esitai a rispondere. Volevo ritrovare Jack e gli altri, ma era ovvio che non potevo farlo senza aiuto e senza denaro. Mi serviva qualcosa da cui cominciare.
- Devo ritrovare la mia ciurma. -
- E non vuoi dirmi su quale nave eri imbarcata, vero?- mi guardava come se già immaginasse la risposta; infatti io mi limitai a stringermi nelle spalle in modo evasivo.
- Ne passano molte di navi pirata, qui a Isla Muelle?- le domandai, nello stesso tono provocatorio. Quando avevamo lasciato i Caraibi, non ci eravamo lasciati alle spalle un'ottima reputazione: coloro che ci stimavano per avere abbattuto la gilda di Silehard erano almeno altrettanti di quelli che ci volevano morti. Il capo della gilda ci era sfuggito e non era mai stato ritrovato, e nei quasi undici mesi che avevamo passato in Europa non avevo più sentito parlare di lui.
Eravamo tornati nei Caraibi da poco, quando era scoppiata la tempesta. Proprio un bel regalo di bentornato.
- Più di quanto pensi. - replicò Sylvie, più placida che mai. - Ma, se vuoi il mio parere, fai bene a non sbandierare troppo in giro a quale ciurma appartieni... non sono tempi allegri, neppure per i pirati. Però non credere che ti metterò alla porta: ti sei appena rimessa in piedi, e non andrai da nessuna parte finché non starai bene... bene per davvero, intendo. Dopo penseremo a te: non concluderai niente senza aiuto. Adesso pensa a vestirti e mangiare. - si alzò dal divano, sempre con la stessa espressione gioviale, e batté rapidamente le mani per chiamare a sé Sarah. - Domani chiederò a mio figlio di aiutarti: se quella che stai cercando è una nave di pirati, lui potrebbe esserti utile. Si chiama Nathaniel Hawk. Ah, e ricordati di ringraziarlo. È lui che ti ha salvato la vita. -




Note dell'autrice:

Buon inizio Novembre a tutti! La vostra capitana è in partenza per Lucca Comics (niente cosplay quest'anno, ma un bel giro per fumetti, gadget e carinerie varie) ma ci tenevo a lasciarvi almeno un regalino post-Halloween e a ravvivare un po' la mia presenza nel grande mare del web.
Tra l'altro, per chi legge queste righe, mi piacerebbe chiedervi una curiosità. Da lettori di fanfiction (perché, se siete qui, immagino che li siate) che cosa preferite: aspettare che un autore che seguite abbia pubblicato un buon numero di capitoli per gustarveli tutti in fila uno dopo l'altro; o leggerli man mano che escono, anche a distanza di tempo, come un romanzo a puntate o una serie tv? Così, è una curiosità personale.
A proposito, dai vostri commenti mi rendo conto ancora una volta di quanto spesso io dia per scontato quel che scrivo: ovviamente IO sapevo che la donna del prologo era Laura. Mi diverte pensare che molti abbiano avuto dei dubbi, aggiunge pepe all'attesa.

Per la cronaca, questa è la prova che neanche i miei personaggi gradiscono molto venire strapazzati. E questa invece è la prova che... l'attesa snerva anche loro!

Grazie a tutti per i commenti e ancora una volta bentornati su questa saga!
PS: l'immagine di Jack al timone che canticchia una canzone in francese mi è venuta guardando l'inizio di questo film. Non chiedetemi di spiegare il perché, non ne sarei in grado.

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2




These scars run deep
The future holds a hunger for an innocence that passed away
My callous shadows mock
and make it clear some things were not enough to make you stay.
The moment time stands still
is the moment that the writing's on the walls
The words are clear as ringin' bells
That pride is present right before the fall.


Il mattino seguente, come le donne di servizio si furono accertate che stavo bene e potevo reggermi in piedi senza problemi, mi fu permesso uscire dalla camera e guardarmi intorno.
Era presto, la locanda era chiusa e quindi molto più tranquilla, anche se non certo silenziosa. Quando entrai nella sala da pranzo, accompagnata da Sarah, trovammo le serrande chiuse, le sedie ordinatamente ribaltate sopra i tavoli, e sei o sette sguatteri neri, tra uomini e donne, che stavano pulendo tutto tra chiacchiere e risate. Alcuni facevano colazione seduti ai tavoli più piccoli accanto al bancone. C'erano dei bambini piccolissimi che giocavano a nascondino tra le gambe dei tavoli, correndo e strillando: di tanto in tanto una delle donne allungava uno scapaccione quando scoppiava una lite, ma sempre con una certa divertita noncuranza.
Come ci videro entrare ci diedero allegramente il buongiorno. Non mancai di notare le occhiate curiose nella mia direzione: quella mattina mi sentivo un po' più a mio agio perché avevo potuto rimettermi i miei vestiti, ma non pensavo di essere appariscente. Ero semplicemente in camicia e pantaloni, con gli anelli alle dita e la mia perla nera finalmente al collo. Tuttavia, la mia presenza era sufficiente perché tutti i lavoranti si fermassero per un momento e mi fissassero con aperta curiosità.
- Buongiorno, mia cara!- c'era Sylvie Hawk dietro al bancone, e mi salutò cordialmente. Mi invitò a sedere e mi servì una ciotola di porridge, come quello con cui stava facendo colazione tutto il resto dei suoi aiutanti. Mi misi a mangiare di gusto, e nel frattempo osservai in silenzio tutti quelli che mi circondavano. Non c'erano solo donne delle pulizie, ma dalle cucine nel retro veniva un via vai di gente intenta alle proprie mansioni. Una buona metà della servitù era gente nera o mulatta, per lo più immaginai che fossero cuochi e sguatteri. Molte erano ragazze bianche e giovani come Sarah, e loro facevano le cameriere. Per qualche momento mi chiesi se quel posto fosse veramente un bordello come avevo pensato il giorno prima, ma nessuna delle ragazze che vedevo aveva davvero l'aria della prostituta. Per quanto avessi fame, dopo un po' la consistenza collosa del porridge mi impastò completamente la bocca, e lo lasciai lì.
Mentre tutti mangiavano, pulivano e chiacchieravano, ad un tratto si sentì del trambusto in fondo alle scale che davano sull'esterno, e qualche momento dopo comparvero due giovani accompagnati ma una masnada di bambini vocianti.
- I miei ragazzi!- Sylvie si alzò all'improvviso, accogliendo a braccia aperte i due nuovi arrivati: trasportavano ciascuno una pesante cassa da cui proveniva un forte odore di pesce fresco, e subito gli uomini presenti in sala si alzarono per dare loro una mano.
- Pesca fortunata, stamattina!- esclamò uno dei due, lasciando che i suoi uomini portassero via la cassa piena di pesce. Mentre tutti accoglievano allegramente il ritorno dei due pescatori e i bambini non smettevano di saltellare da ogni parte, io squadrai i due giovani e di colpo ebbi la sensazione di averli già visti.
Ma certo, erano loro quelli che mi avevano trovata in mare! Solo che quella volta io ero messa troppo male per capire qualcosa. Però ricordavo vagamente di averli sentiti parlare, e di avere cercato di rispondere: perfino quegli ultimi istanti in mare aperto assomigliavano al vago ricordo di un brutto incubo. Dovevano essere fratelli, perché, nonostante alcune differenze, si somigliavano molto.
Uno, quello che aveva parlato poco prima, era un po' più basso: aveva un corto pizzetto ispido sul mento, i suoi capelli erano di un colore bruno-biondastro come quelli di sua madre, e li portava sciolti e lunghi fino alle spalle come un ragazzino. L'altro sembrava più grande: i suoi lineamenti erano un po' più duri, gli occhi leggermente infossati e i capelli più scuri e corti, legati in un codino sulla nuca. Anche lui portava il pizzetto, anche se il suo era già più dignitoso di quello del fratello minore. Sì, non c'erano dubbi, erano loro.
Però non avevo il coraggio di alzarmi e andare a parlargli. Dopotutto, che cosa potevo davvero dire a due che mi avevano salvato la vita?
Tuttavia, i due giovani sembravano ancora piuttosto impegnati perché, dopo aver fatto portare via le casse di pesce, si inginocchiarono in mezzo alla stanza e fecero segno ai bambini di avvicinarsi.
- Bene!- fece il fratello più grande. - La nostra pesce è stata ottima. Ora vediamo un po' che cosa avete pescato voi. -
Stese un grosso quadrato di stoffa per terra, e subito tutti i bambini cominciarono a svuotare le tasche: sgranai gli occhi quando li vidi gettare nel fazzoletto monetine, orologi, catenelle, anelli e ciondoli, qualsiasi ninnolo che un monello di strada sapeva benissimo come fare sparire all'occorrenza dalle tasche di una vittima. Ridacchiai tra me, mentre i due fratelli si prodigavano in complimenti per i loro piccoli ladruncoli. Di certo ero finita in buona compagnia, anche se questo non voleva dire che potevo fidarmi di quella gente.
I fratelli raccolsero tutto quello che i bambini buttarono nell'involto, poi infagottarono tutto con cura e lo portarono a Sylvie, dietro il bancone. Li osservai confabulare per un po', fuori dalla portata di orecchie indiscrete, poi notai che la signora faceva chiaramente cenno verso di me con la mano mentre parlava ai suoi figli. Il momento dopo, entrambi i fratelli si girarono a guardarmi. Senza sapere esattamente che fare, rivolsi loro un cenno di saluto.
- Ma guarda se non è la nostra sirenetta!- il fratello più giovane rise e venne a sedersi al mio tavolo, davanti a me. - State meglio?- aggiunse poi, in tono più cortese.
- Sono ancora intera. - replicai, con un mezzo sorriso.
Intanto, anche il fratello maggiore ci aveva raggiunti, e si era fermato in piedi al mio fianco. Dopo avermi guardata per un attimo, mi sorrise e mi porse la mano.
- Sono felice di vedere che state bene. Io sono Nathaniel Hawk. -
- Laura Evans. - strinsi la mano a lui, e poi anche all'altro fratello, che aveva deciso precipitosamente di seguire l'esempio.
- Benedict Hawk. Ma riempie troppo la bocca, potete chiamarmi semplicemente Ben. -
- Voi due siete quelli che mi hanno ripescata, vero?- dissi, senza troppi convenevoli. - Vi ringrazio. Mi avete salvato la vita. Sentite, se c'è qualsiasi cosa che posso fare per voi... -
Nathaniel mi interruppe. - Be', siete generosa, ma al momento non credo che abbiate i mezzi per fare granché, mi sbaglio? Avete un posto dove andare?-
Esitai per un momento, quindi scossi la testa. - Ora che me lo chiedete, credo di no, signor Hawk. -
- Non volevo essere scortese. - si corresse il giovane, sedendosi di fianco al fratello. - Mi stavo solo preoccupando per voi. Se non avete nessun posto dove andare, potete restare alla Sirena quanto volete: nostra madre deve avervelo detto. -
- Non è stata così esplicita, ma... sì, mi ha offerto ospitalità. E io vi sono molto grata, davvero, però per me è molto importante ritrovare la mia nave. -
- La “vostra” nave?- Ben fece una risatina incredula e mi squadrò, incrociando le braccia e sporgendosi sul tavolo come per guardarmi meglio. - Allora è vero. Abbiamo pescato una pirata. -
- Chissà se quelli li pagano bene al mercato del pesce. - scherzò Nathaniel, ed entrambi i fratelli risero. Io non lo trovavo altrettanto divertente, ma non dissi nulla. - Dai, stiamo solo scherzando. Mia madre mi ha raccontato qualcosa di voi mentre vi riprendevate: quindi siete caduta fuoribordo durante la tempesta. Avete idea di che fine abbia fatto la vostra nave?-
- No. - ammisi, con un groppo di nervosismo in gola. - Non so nemmeno se abbia seguito il vento o abbia continuato per la sua rotta. Io sono stata trasportata dalla corrente, quindi la nave potrebbe essere ovunque... -
- Quale nave? Come si chiama?- il tono di Benedict era innocente, ma ancora non mi arrischiavo a rispondere. Invece, osservai sia lui che il fratello per qualche istante e poi chiesi: - Ne passano molte di navi pirata in questo porto?-
Nathaniel sospirò. - Non molte, e alla maggior parte non piace farsi notare. Non ci volete dire con chi navigavate?-
Tentennai. Se non avessi dato neanche un nome, la mia ricerca sarebbe stata molto lunga e molto difficile. Ma quanto potevo arrischiarmi a fare il nome di Jack o della Perla Nera? Per quanto facessimo rotta praticamente dovunque, la nostra nave in alcuni porti era una specie di leggenda. Per molti altri che ci avrebbero voluti morti, invece, quel nome era molto reale.
- La Sputafuoco. - ammisi, alla fine.
Era sempre un azzardo, ma un po' più sicuro: in pochi la conoscevano davvero, e ancora meno sapevano che navigava sempre fianco a fianco con la Perla Nera. Infatti, i due fratelli si guardarono con aria interrogativa per un istante.
- Che razza di nome è per una nave?- commentò Ben, alzando le spalle.
- Non la conosco. - disse Nathaniel. - Ma cercherò di sapere se qualcuno ne ha sentito parlare, d'accordo?-
- Vi ringrazio. Moltissimo. -

*



And I'm borne high on these waves,
swept by the wind and alone.
Sail me away, carry me back to my home
I'm tired, I've been torn,
a cruel wretched storm
churns like a gail in my bones
Oh sail me away
Carry me back to my home
Sail me away
Carry me back to my home.

* due settimane dopo *



I pirati avevano abbordato il mercantile spagnolo con poche rapidissime manovre, e ora le due navi beccheggiavano affiancate, tenute strette dai rampini che mordevano le sartie e dalla passerella gettata tra un ponte e l'altro.
L'equipaggio non aveva opposto resistenza, e ora si trovava sotto il tiro dei moschetti di tutti i pirati che avevano invaso il ponte. Il capitano del mercantile era in ginocchio, sorvegliato da un grosso pirata barbuto che gli puntava una pistola alla testa.
- Molte grazie per la collaborazione. -
Il capitano Jack Sparrow alzò gli occhi dal comandante del mercantile e diede un'occhiata al resto della ciurma. - Oh, un'altra domanda. - tirò fuori un rotolo di pergamena da sotto la giacca, e il comandante lo fissò, smarrito, chiedendosi che cosa potesse volere ancora da lui. - Avete visto questa donna?-
L'uomo guardò la pergamena, senza parole. Stava fissando il ritratto a matita di una giovane donna dall'aspetto ordinario: capelli lunghi e scuri, un viso ovale, occhi grandi. Sarebbe potuta essere una qualsiasi cameriera incontrata in un porto, però il comandante era sicuro di non avere mai visto quella faccia in particolare.
- No, signore... - rispose, scuotendo il capo. Poi si fermò, perché aveva sentito il freddo della canna della pistola contro la nuca.
Jack si accigliò leggermente. - Ne siete certo?- domandò, con una sfumatura più che minacciosa nella voce. - Intendo assolutamente certo. -
Il cane della pistola fece uno scatto, proprio ad un palmo dal suo orecchio. Il comandante sussultò, terrorizzato.
- Non l'ho mai vista, signore!- gridò, sudando freddo. - Glielo giuro, glielo giuro, non l'ho mai vista in vita mia!-
Jack alzò gli occhi al cielo e, ad un suo cenno, Ettore lasciò andare il comandante. L'uomo ricadde a quattro zampe sul ponte, ansimando forte per la paura. Il capitano gettò uno sguardo attorno a sé, sulla sua ciurma che attendeva gli ordini, poi parlò a voce alta rivolgendosi a tutti e a nessuno: - Ripulite questa nave, e fate in fretta. La merce è nella stiva, e c'è un bel gruzzolo nella cassaforte del capitano, il quale ci ha gentilmente dato in concessione la chiave. Fate in fretta e poi leviamo le tende. -
Lanciò una piccola chiave ad Ettore, che la prese al volo. Poi voltò le spalle al mercantile e si arrampicò sulla passerella per tornarsene alla Perla, indifferente a tutto ciò che succedeva dietro di lui, intanto che ripiegava con cura la pergamena sotto il bavero della giacca.

*

Era quasi mezzanotte: la Perla Nera e la Sputafuoco si erano messe alla fonda al largo, fianco a fianco in modo che la ciurma potesse passare comodamente da una nave all'altra.
Le lampade erano ancora accese su entrambi i ponti, gli uomini stavano festeggiando l'ultimo successo a suon di brindisi e canzoni. In cima al cassero di poppa della Sputafuoco, però, l'atmosfera era tetra.
Attorno al timone si erano radunati i capitani della Sputafuoco, Will ed Elizabeth, insieme a Barbossa che ora faceva le veci del primo ufficiale. Il vecchio pirata se ne stava in disparte, lontano dal cono di luce della lampada, a braccia conserte con la schiena contro la murata, e osservava tutti in silenzio. Insieme a loro c'era Gibbs, primo ufficiale della Perla Nera, che sedeva mogio con una bottiglia mezza piena in mano, e Faith ed Ettore che non sembravano proprio dell'umore di unirsi ai festeggiamenti.
Jack non era con loro. Ed era proprio di lui che stava discutendo l'improvvisata combriccola, in tono sempre più allarmato.
- Non c'è niente da fare: non esce dalla cabina, e negli ultimi giorni ha anche smesso di parlare con noi. - stava dicendo Faith, sotto gli occhi preoccupati di Elizabeth e William. - Io pensavo che non si sarebbe arreso, anzi, ero contenta che avessimo cominciato questa ricerca a tappeto su tutte le navi che abbordiamo... Ma adesso è peggio! Sta mollando, lo so. Si sta arrendendo, e non riuscirà a venirne fuori se non lo aiutiamo. -
Will stava appoggiato al timone, con il pugno premuto sulle labbra e gli occhi bassi, rimuginando.
- Arrendersi non è da Jack. - mormorò. - Non credo che lo farebbe. Non finché c'è qualche speranza di ritrovarla. -
- E se non ci fosse?- la voce di Barbossa sembrò piovere dal cielo come una maledizione, dura e fredda. Tutti si voltarono all'unisono verso di lui, ma solo Faith ebbe il coraggio di fare due passi decisi verso quella figura seminascosta nell'ombra ed esclamare: - Laura non è morta!-
- Allora, se non è morta, la ritroveremo. - replicò lentamente Barbossa, alzando le spalle: non sembrava per nulla impressionato. - Ma, nel frattempo, non è bene che “il capitano” si riduca ad una specie di fantasma ubriaco. Gli uomini, si sa, cambiano umore molto facilmente quando il loro capitano non si dimostra più affidabile. -
- Sì, lo sappiamo bene. - tagliò corto il signor Gibbs, scoccandogli un'occhiata seccata. - Ma qui si tratta di Jack. Faith ha ragione, non è normale che si comporti così... e anch'io sono preoccupato per lui. È ridotto male, e adesso non vuole più parlare con me o con nessun altro. Presto comincerà a mancare disciplina a bordo, e abbiamo già abbastanza problemi. A furia di ricerche non abbiamo ancora fatto una tappa decente per occuparci come si deve delle riparazioni!- indicò l'albero centrale della Perla Nera, dove un pennone era stato divelto.
Elizabeth alzò lo sguardo, molto seria. - C'è qualcosa che possiamo fare?- domandò, facendo scorrere gli occhi su Gibbs, Faith ed Ettore.
- Non lo so. - Faith allargò le braccia, in un gesto impotente. - Prima parlava con me, ora non mi rivolge nemmeno la parola. Non lo fa per cattiveria, ma... gli parlo e non risponde. Busso alla sua cabina, e lui non emette neanche un suono. Semplicemente non vuole la compagnia di nessuno. -
Elizabeth restò in silenzio per qualche attimo, poi si voltò verso Will sempre con la stessa espressione granitica. - Dovresti andare tu a parlargli. -
- Perché io?- il giovane la fissò, stupito. - Cosa ti fa pensare che vorrà ascoltare me?-
- Sei suo amico. E non sei Gibbs o Ettore, ovvero quelli che hanno cercato di parlargli ogni giorno e che lui ha già respinto. - Elizabeth fece un piccolo sospiro rassegnato. - Provaci, almeno. Ti prego. Dobbiamo tirarlo fuori in qualche modo. -
- Ma è mezzanotte: chi vi dice che non sia fuori combattimento già da ore?-
- Non dorme quasi mai. - replicò Faith, in tono amaro. - E ha uno stomaco di ferro: per mettersi fuori combattimento con il rum gli ci vogliono molte più di due o tre bottiglie. -
Così, rassegnato, William attraversò la passerella per salire a bordo della Perla Nera.
I festeggiamenti non si avvicinavano troppo alla cabina del capitano, perciò Will era praticamente solo quando andò a bussare alla porta del cassero di poppa. Nessuno rispose, ma la porta non era chiusa a chiave, così il giovane abbassò la maniglia ed entrò.
La sala degli ufficiali era deserta e buia: a parte che per le bottiglie vuote sparse in giro, sembrava che nessuno ci avesse messo piede da giorni. Un altro segno di vita era il vassoio lasciato distrattamente sopra il tavolo: sopra c'erano una ciotola e un bicchiere sporchi, ma vuoti. Se non altro il capitano si ricordava ancora di mangiare, di tanto in tanto.
La porta della cabina di Jack era chiusa. Già sapendo che probabilmente se ne sarebbe pentito, Will si avvicinò e bussò forte. Quando ancora una volta nessuno gli rispose, si mise a chiamarlo a voce alta.
- Jack! Mi senti? Jack, sono William! Apri la porta!-
Ancora nessuna risposta, quindi continuò a bussare.
- Jack! Jack, andiamo, rispondi!-
- Cristodiddio, ti ho sentito!-
La voce del capitano gli rispose forte e chiara, e decisamente seccata... ma Will lo prese per un buon segno. Da dietro la porta sentì il rumore del letto che cigolava, poi passi strascicati sul pavimento, accompagnati dal baccano di bottiglie e dio sapeva cos'altro che cozzavano l'una contro l'altra. Poi finalmente la chiave girò nella serratura e la porta si aprì.
Jack era davanti a lui, e lo squadrava di rimando: forse per la prima volta, Will si ritrovò a guardarlo e a pensare che, no, non doveva stare affatto bene. Il capitano era in camicia e pantaloni, e i suoi vestiti erano tutti macchiati di rum. E se c'era una cosa che Jack non faceva era rovesciarsi il rum addosso mentre beveva, neanche quando era ubriaco fradicio. Aveva i capelli più arruffati del solito, ma quello che veramente faceva impressione erano le profonde occhiaie che gli erano venute. Da quanto tempo non dormiva? Will pensò che lo aveva visto ridotto in modo simile solo quando era stato perseguitato dagli incubi per colpa della strega di Silehard, ma neanche allora gli era sembrato messo talmente male.
- Sei vivo, allora. - lo apostrofò, nel tono più tranquillo che poté.
Jack si diede un'occhiata come per accertarsene anche lui. - Così pare. - borbottò, stringendosi nelle spalle.
- Posso entrare?-
Il capitano alzò gli occhi al cielo con una smorfia di disapprovazione, poi però si scostò per farlo passare senza fare storie.
- Mi casa es tu casa. - bofonchiò, dirigendosi a passi barcollanti verso il centro della stanza. - Chiudi la porta. - aggiunse, bruscamente.
Will obbedì, chiudendosi la porta alle spalle, per poi dare un'occhiata intorno a sé.
Tutta la cabina era uno sfacelo di bottiglie vuote e piene che si ammassavano negli angoli, sul pavimento, sulla pila disordinata di mappe sopra al tavolo. Il letto era sfatto, la giacca e le innumerevoli cinture di Jack erano buttate alla rinfusa tra una sedia e il pavimento. L'aria sapeva di chiuso ed era soffocante, cosa peggiorata dal fatto che ci fossero almeno una mezza dozzina di lampade accese appese in ogni angolo, più alcune candele mezze disciolte sui mobili in una pozza di cera, come se non fosse stato già abbastanza pericoloso usare fiamme libere.
Jack si sedette sul bordo del letto e raccolse dal pavimento una bottiglia, la scosse per saggiarne lo scarso contenuto, fece una smorfia e bevve.
- Che cosa vuoi?- chiese, dopo aver bevuto le ultime gocce. In quel momento, Will si accorse di una cosa sconcertante: provava pena per Jack. Da quando lo conosceva non ricordava di essersi mai sorpreso a pensare niente del genere. Spesso lo aveva ammirato, lo aveva invidiato, altre volte lo aveva addirittura odiato. O forse no: probabilmente non avrebbe mai potuto odiare Jack, come non avrebbe mai potuto davvero odiarlo nessun altro. Però di certo il capitano non gli aveva mai, mai fatto pena. Invece adesso provava pena per lui: lo sconcertava vederlo ubriaco e scuro in viso, l'ombra del Jack Sparrow che conosceva. La cosa lo spaventava. Non poteva ridursi così, non Jack.
- Vederti. Siamo tutti preoccupati per te. - Will alzò un sopracciglio, sardonico. - Ti trovo bene. -
- Che spiritoso. - Jack fece rotolare via la bottiglia vuota.
- Jack, quanto hai bevuto?-
- Sai come si dice... - il capitano si sistemò più comodamente, incrociando le gambe sul materasso. - Con un bicchiere si sogna l'amore, e con due bicchieri si sogna il diavolo. Io, per sicurezza, bevo sempre almeno tre bicchieri. -
- E cosa sogni, con tre bicchieri?-
- Di fare l'amore con il diavolo. - Jack scovò una bottiglia piena sul cassettone di fianco al letto, la agguantò e ne prese un sorso, poi la passò a Will.
- No, grazie. -
- Hai voluto venire qui, quindi o bevi con me o te ne vai. - il capitano continuò a tendergli la bottiglia finché lui non la prese, allora si alzò per andare a cercarne un'altra. Mentre sorseggiava il rum, Will lo seguì con lo sguardo.
- Perché fai così? Lo sai che la ciurma ha bisogno di te, ma non può contare su di un capitano che regolarmente sparisce e non si fa vedere per giorni. -
- Finora me la sono cavata, però, non è vero?- ribatté Jack, trovando l'ennesima bottiglia e stappandola. - Perché dovresti curartene, comunque? Non è un tuo problema. Comprendi?-
Will mise giù la bottiglia.
- Certo che è un mio problema. È un problema di tutti. Non capisci che siamo tutti in ansia? Tutti vogliamo ritrovare Laura, ma tu non sei di grande aiuto!-
Questo sembrò avere colpito nel segno, perché il capitano si immobilizzò con la bottiglia in pugno, per poi girarsi molto lentamente verso Will con aria incredula.
- Io non sono di grande aiuto?- ripeté, scandalizzato.
- Tu. Che te ne stai giorno e notte a bere e a commiserarti qui dentro. -
- IO non sono di grande aiuto?!- esclamò ancora, quasi sbraitando. - Ma certo, quindi se le ricerche non vanno a buon fine è colpa mia, vero? Come se non stessi facendo tutto il possibile per trovarla! Io!-
- Insisti!- lo rimbeccò Will, tenendogli testa: era già contento di avere provocato una reazione del genere, e non voleva rinunciarci. - Usa la tua bussola! Quella deve funzionare. -
- “Deve”, dici?- sibilò Jack, e in men che non si dica gli voltò le spalle, prese la giacca abbandonata sopra la sedia e la scrollò finché non ne rotolò fuori la piccola bussola smaltata di blu. Borbottando parole incomprensibili, la raccolse, la aprì con uno schiocco e la mise sotto il naso di William. - Ecco come funziona bene, la tua bussola!-
Il giovane guardò il quadrante per qualche lungo istante... e, con sgomento, vide l'ago della bussola vagare ora da una parte, ora dall'altra, fermandosi sempre per pochi momenti prima di cambiare direzione, come se li stesse deliberatamente deridendo.
- No!- esclamò, sconcertato, trattenendosi da strappare la bussola dalle mani di Jack. - Non di nuovo!-
- Invece sì. - mormorò il capitano, adesso in tono molto serio e quasi tremante, ferito. Abbassò gli occhi sulla bussola che non stava ferma un istante. - Io ci ho provato, Will... mi concentro, decido la rotta in base a quanto sta fermo l'ago della bussola sperando che quella sia la direzione giusta... ma come posso saperlo? Questo affare non ha mai voluto funzionare come si deve, con me. -
Fece per ritrarsi, ma Will lo prese per un braccio.
- Tu devi farla funzionare. Ci deve essere un modo. Non è mai stato tanto difficile prima, no? Chi più di te dovrebbe desiderare di ritrovare Laura?-
Jack scosse il capo e si sedette di nuovo sul bordo del letto, chiudendo la bussola.
- Non lo so. So che non funziona. Falla provare a Faith, allora, se vuoi. Proviamo in questo modo, perché io non so più in che direzione andare. -
- Però come possiamo fidarci della bussola, se non risponde nemmeno a te?-
Lui scosse ancora la testa. - Non lo so. - si tirò indietro sul letto, stappò la bottiglia e ne trangugiò una sorsata, gettando indietro il capo.
Will sospirò, prendendosi la testa tra le mani: non sarebbero arrivati da nessuna parte.
- Però di certo non possiamo aspettarci molto da te, se ti riduci così!- sbottò, lanciando al capitano uno sguardo accusatore.
- Will, tu non capisci!- sbraitò Jack, posando violentemente la bottiglia e gesticolando. Will gli vide tornare sul volto quell'aria rabbiosa e ferita. Il capitano si alzò dal letto con gesto brusco e prese a camminare avanti e indietro per la stanza, incespicando tra le bottiglie vuote.
- È sempre così, sempre! Ogni volta che... ogni volta che voglio bene a qualcuno, ogni volta che mi lego a qualcosa, ogni volta che ho creduto... che ho sperato... di amare qualcuna, questa in un modo o nell'altro, presto o tardi, mi viene portata via!- con un piede urtò una bottiglia vuota, calciandola via con tanta forza che si infranse contro la parete. Jack non badò minimamente ai cocci di vetro, non sobbalzò neppure. - Ed è una cosa che mi fa andare in bestia, questa! La Perla, gli amici, le donne... ci saranno state altre due, forse tre volte che mi sono illuso con una donna, ma stavolta io credevo che qualcosa cambiasse. Ero convinto, capisci? Dannazione, per una volta ero felice come non ero mai stato prima: mai! Io ero convinto che funzionasse, ero convinto che non sarebbe accaduto niente di brutto per una volta, porca puttana!-
William lo ascoltava senza osare reagire, perché sentiva che Jack gli stava rivelando sentimenti molto personali, ma con una violenza e una rabbia tale che le parole lo colpivano come schiaffi in piena faccia. Rimase dov'era, lasciando che il capitano riversasse su di lui tutto il suo dolore.
- Tu chiamalo destino o come diavolo ti pare... ma perché sembra avercela con me? Cosa ho fatto, diamine? Perché alla fine mi ha portato via anche lei? Perché mi sono illuso che sarebbe sempre andato tutto bene, se poi me l'ha portata via così?- il suo pugno si abbatté sullo scrittoio così forte da farlo tremare; solo allora Jack abbassò lo sguardo e rimase in silenzio, respirando affannosamente come se lo sfogo gli avesse risucchiato tutte le energie. Solo allora Will si fece avanti.
- Laura non è morta e non ti ha lasciato. - disse, lentamente. - E non te l'hanno ancora portata via, finché vive. Hai capito?-
- Se è ancora viva perché... non... la... troviamo?- sibilò Jack, scandendo le parole. Aveva ancora i pugni stretti premuti contro lo scrittoio.
- La corrente era forte, potrebbe averla portata ovunque. Non dobbiamo smettere di cercare, e di seguire qualsiasi pista. - rispose con calma Will.
Jack abbassò di nuovo gli occhi, ed entrambi rimasero in silenzio per lunghi istanti. Poi, lentamente, con voce quasi lamentosa, Jack mormorò: - Will... tu credi che sia viva?-
Il giovane esitò solo un secondo, poi annuì con sicurezza.
- Sì, io lo credo. -
Jack lo guardò, poi, in un istante, il suo volto si trasformò: da afflitto diventò furibondo, e il capitano si mosse verso Will e lo agguantò per il bavero della camicia, scrollandolo e fissandolo con una collera terribile.
- La pietà no. - sussurrò, minaccioso, dandogli uno strattone che quasi lo fece cadere per terra. - Non tentare di consolarmi perché ti faccio pena. -
Will gli afferrò il polso, mentre cercava di tirarsi indietro, ma Jack non lo mollava.
- Non parlo per pietà!- protestò. - Laura sa nuotare, ed era aggrappata ad un pezzo di pennone! Se la può cavare, anche in mezzo ad una tempesta. E poi su quella rotta passano molte navi, è probabile che si sia salvata. A me sembra che l'unico a non credere che se la sia cavata sia soltanto tu!-
Il capitano lo lasciò andare all'improvviso, e Will si tirò indietro. Jack indietreggiò molto più lentamente, senza guardarlo.
- Jack, sei ubriaco. - gli disse il giovane, più calmo.
- Magari lo fossi. - fu l'inaspettata risposta: Jack alzò gli occhi, guardandolo con espressione lucidissima e carica di pena. - Will. Magari lo fossi davvero. Dico sul serio. -
Poi, così com'era comparsa, quell'espressione di perfetta lucidità e dolore se ne andò, lasciando il posto allo sguardo vacuo di quando gli aveva aperto la porta: il capitano gli voltò le spalle e se ne tornò verso il letto disfatto. - Tornatene alla tua nave, voglio stare solo. - borbottò.
“Come se non facessi altri da giorni.” replicò Will in cuor suo, ma non ebbe il coraggio di dirlo ad alta voce. Non sapeva se aveva molto senso insistere, a quel punto.
Senza aggiungere altro, uscì dalla cabina e si chiuse dietro la porta: Jack, intanto, si sedette sul letto e rimase lì con le mani incrociate in grembo, senza più sapere che fare, stanco di piangere e stanco di affrontare i fantasmi che sarebbero arrivati con il sonno.




Note dell'autrice:
E così, il primo dicembre sarebbe il giorno della procrastinazione? Io passo tutta la mia dannatissima vita a procrastinare, quindi, per festeggiarlo al contrario, farò proprio quello che mi proponevo di fare da giorni: pubblicare il capitolo.
Ciurma! È un piacere leggere i vostri commenti e sapere che siete sempre in queste acque, pronti a fare casino o baldoria all'occorrenza. Grazie per ogni singola recensione, grazie ai nuovi arrivati come Hayleen (che spero oltretutto che sia riuscita a contattare l'altra autrice di cui mi aveva chiesto il contatto), grazie a Aishia, De33y e Fannysparrow, spero di continuare a meritare ora e sempre i vostri commenti e il vostro entusiasmo.
Grazie all'intramontabile Captain Alwilda che so che continua a leggermi, e con cui si sproloquia a volontà su DeviantArt.
A proposito di Deviant (lido in cui sono particolarmente attiva) vi segnalo qualche altra produzione a tema Caribbean Tales: QUESTA, QUESTA e QUESTA. I momenti di secca si facevano sentire anche lì.
Piccolo appunto: se il nome di Nathaniel Hawk vi suona familiare, forse potreste dare uno sguardo a questa pagina per rinfrescarvi la memoria e per avere un'idea più precisa delle fattezze di questo nuovo personaggio. (Anche se nell'avatar somiglia terribilmente a Will Turner) Altri non è che il protagonista del primo gioco dedicato a POTC!
Il testo della canzone all'inizio è sempre tratto da Sail me away da Lestat - the musical

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3


Sembrava esistere una sorta di legge non scritta che sfidava qualsiasi logica: più il tempo fuori era brutto, più il vento ululava e squassava le palme, più la pioggia infuriava battendo contro le imposte come raffiche di moschetti, più la Sirena si riempiva di gente.
I tavoli erano gremiti: tutti quelli che erano riusciti ad arrivare in tempo si erano accaparrati i posti migliori davanti al fuoco che ruggiva nel grande camino, e il rumore delle chiacchiere e delle risate copriva perfino il boato dei tuoni e lo scroscio incessante della pioggia.
- Altro gin per i signori al tavolo laggiù. - Sylvie Hawk spinse verso di me sul bancone un'enorme caraffa, facendone colare qualche goccia dal beccuccio. - Sii generosa: quelli torneranno a farselo riempire un'altra dozzina di volte, se siamo fortunate!-
Annuii e la sollevai con entrambe le mani, per poi attraversare quasi di corsa la sala gremita di gente cercando di non rovesciare tutto quanto. Tenevo la caraffa contro il petto per reggerla meglio, e l'odore pungente del gin mi invase le narici, facendomi arricciare il naso. Dio, e dire che avrei dovuto esserci abituata. In verità, a quell'ora nelle cucine si lavorava a pieno ritmo, e l'odore di cibo e di alcolici diventava talmente forte da impregnare qualsiasi cosa. Non di meno, tenere quell'immensa caraffa di gin sospesa sotto il naso mi disgustò.
Non che il mio nuovo lavoro non mi piacesse: tutt'altro.
Ero svelta a servire i boccali, brava a preparare il grog, e avevo subito preso in simpatia le ragazze che servivano alla locanda. Non c'era voluto molto per imparare come andavano fatte le cose lì alla Sirena: Sarah per prima era stata entusiasta di insegnarmi tutto quel che c'era da sapere. Dopotutto, per buona parte della mia vita ero stata donna delle pulizie in un forte militare: sapevo come si sbrigavano i lavori. E un po' di ubriachi in una locanda... ah, non erano niente in confronto alla mia ciurma dopo una nottata di baldoria.
E così, a tre settimane dal mio naufragio, ecco capitan Laura Sparrow, in gonna e corsetto rosso ruggine, un sorriso sulle labbra mentre versavo il gin nei bicchieri di cinque avventori fin quasi a farli traboccare. Risate. Qualche commento salace. Riattraversai altrettanto in fretta la stanza e c'era un altro vassoio carico di boccali da servire: per poco non tagliai la strada a Sarah, ma lei mi scansò agilmente senza neanche rallentare e senza versare una goccia dai bicchieri che stava trasportando lei. Un po' invidiavo la sua scioltezza. Diavolo, avevo creduto di essere ben allenata a qualsiasi sforzo fisico, eppure anche dopo settimane passate a servire ai tavoli della Sirena, mi trovavo sempre col fiatone a metà della serata.
Altri boccali, altre bottiglie, altri vassoi carichi ed altri tavoli: un bel po' di gente di cui ignoravo il nome, ma alla quale rivolgevo sempre un saluto o un gesto. E intanto, per pura associazione di pensieri, pensavo a Valerie.
Io e Faith avevamo conosciuto Valerie in una locanda come quella, mentre la ragazza serviva ai tavoli esattamente come stavo facendo io. L'avevamo reclutata su due piedi. Anzi, io lo avevo fatto. Quella ragazza mi aveva ricordato me stessa: avevo visto in lei la Laura Evans in cuffia e grembiule che spazzava i pavimenti delle celle di Redmond e che solo per un assurdo scherzo del destino era finita su di una nave pirata. Volevo dare anche a lei l'occasione che era stata data a me.
Chissà dov'era Valerie in quel momento. No, basta: non avrei dovuto pensare a lei. Noi due ci eravamo dette addio molto tempo prima, ancora prima che la Perla Nera e il suo equipaggio lasciasse le acque dei Caraibi per un lungo giro di tappe in Europa che ci aveva impegnati per quasi l'intero anno successivo.
Eppure un po' mi dispiaceva che Valerie non fosse stata con noi in Spagna, a Londra, a Parigi. Chissà se le sarebbero piaciuti quei posti. Io li avevo adorati. Quel lungo viaggio in giro per l'Europa era stata forse la cosa migliore che avessimo mai fatto da quando avevo messo piede per la prima volta sulla Perla...
Certo, questo prima che finissimo dentro quella tempesta ed io venissi scagliata fuoribordo e trascinata Dio sapeva solo dove.
Dov'era finita la Perla Nera? Dov'era Jack?
C'erano alcuni giovani uomini seduti attorno ad uno dei tavoli più vicini al fuoco: erano amici di Nathaniel, anche se lui in quel momento non era con loro; probabilmente era impegnato da qualche parte nelle cantine. Mi salutarono mentre passavo vicino a loro, ed io ricambiai. Un giovanotto biondo mi fece vistosamente l'occhiolino. Io gli mostrai la lingua. Veniva lì quasi tutte le sere e, come tutti gli amici di Nathaniel, ormai conosceva tutte le cameriere per nome: potevo permettermi di farlo.
Tornai dietro il bancone, dove Sarah e un'altra ragazza dai riccioli castani di nome Margareth si stavano apparentemente concedendo un raro momento di pausa: fui contenta di poter posare il vassoio e fermarmi un attimo accanto a loro. Mi accorsi che Sarah stava ridacchiando, e le chiesi il perché.
- Hai fatto gli onori di casa ai nostri beniamini?- rise, e accennò col capo al giovanotto di prima. - Non fargli la lingua. Potrebbe prenderlo per un invito. -
- Non c'è pericolo. - ribattei, con un'alzata di spalle.
- Lo credi tu. - sia Sarah che Margareth risero, ma era una risata gentile.
Il nostro momento di pausa durò ben poco, perché un istante dopo Sylvie Hawk ci richiamò con un sonoro battito di mani.
- Andiamo, andiamo ragazze, non è il momento per le chiacchiere! Sarah, altro gin per i signori, Margareth, pensa ai nostri gentiluomini al bancone. Laura, vai giù in cucina a prendermi un'altra infornata di pagnotte. -
Oh, Dio, no. Non nelle cucine.
Lo pensai ma mi guardai bene dal dirlo a voce alta, mentre mi limitavo a fare un rapido cenno di assenso e ad aggirare il bancone per scendere dabbasso. Però, in silenzio, tutta me stessa stava protestando. Il caldo e l'odore di cibo erano quasi insopportabili perfino in cima alle scale che portavano al piano di sotto.
Scesi più in fretta che potevo, tenendomi contro il muro per non intralciare i negri che portavano su e giù vassoi carichi di grossi tagli di carne, fiasche di gin e chissà cos'altro, e mi diressi verso i forni. Là sotto faceva così caldo che sentii subito i vestiti appiccicarmisi alla pelle.
Avrei potuto raggiungere facilmente i forni, ero ad un passo dal lungo tavolo dove erano state riposte in file ordinate le pagnotte appena sfornate, calde e croccanti e pronte per essere raccattate e portate di sopra. C'ero quasi. Ma poi mi arrivò alle narici una zaffata così potente da stordirmi e lasciarmi letteralmente senza fiato: mi bloccai lì dov'ero, boccheggiando, riuscendo a malapena a respirare. Che diavolo...?
Nella sala accanto stavano facendo la birra. L'odore sembrava una pellicola appiccicosa che mi aderiva al naso e alla gola.
Mi sentii scuotere da un singulto, scappai in un angolo della sala, e la mia unica consolazione fu notare che il pavimento era ricoperto da uno spesso strato di segatura, perché diedi di stomaco in un unico rapido spasmo.
Qualche attimo dopo ansimavo, con la fronte premuta contro la parete, gli occhi fissi sul macello che avevo combinato. Stupidamente incapace di credere che quella roba fosse davvero mia. Avevo davvero vomitato in un angolo della cucina, per di più senza apparente motivo.
Oh, dannazione.

*

Più tardi, molto più tardi, la sala della Sirena era quasi vuota.
Restavano solo gli ubriachi riversi sul pavimento, che tre dei nostri braccianti negri più robusti stavano già provvedendo a trascinare fino alla porta, dove li avrebbero buttati a smaltire la sbornia in qualche rigagnolo a lato della strada. La tempesta si era trasformata in una pioggia leggera.
Mancavano poche ore all'alba, eppure Sylvie Hawk era ancora sveglia, seduta davanti ad uno dei tavoli, riposando le grosse gambe su di una panca mentre le ragazze finivano di ripulire la sala.
Mi avvicinai, senza riuscire a guardarla negli occhi per l'imbarazzo.
- Miss Hawk... mi dispiace. -
Gli occhi della padrona di casa guizzarono su di me, e mi sentii obbligata a ricambiare lo sguardo: la sua espressione non sembrava arrabbiata, ma era così indecifrabile che non mi fece sentire affatto meglio.
- Pazienza. - disse, dopo un tempo che sembrò infinito: allargò le braccia e stiracchiò le gambe, mugugnando ad ogni movimento. - Ohi ohi, la mia povera vecchia schiena... Dicevo, bambina, lascia perdere. Poteva andare peggio. Potevi vomitarmi dentro la birra, invece che farla da brava in un angolino. -
Mi sentii avvampare. Un'altra caratteristica di quella donna era la sua capacità di farmi trasformare in una bambina vergognosa con la sua sola presenza. Avrei voluto mostrare un po' più di polso. Aveva idea di che cos'era un ponte veramente imbrattato di vomito? Lo aveva mai visto? Io sì e sapevo che non era un bello spettacolo. Chi si ubriacava talmente tanto da insozzare il ponte, beh, da noi avrebbe passato la mattina in ginocchio a strofinare finché non avesse ripulito tutto.
Era quello che avevo fatto io: avevo ripulito, e non avevo neanche causato danni. Però mi sentivo ugualmente un'idiota.
- In quel caso avrei alzato il prezzo. - Sylvie scoppiò in una grassa risata gioviale. - Rilassati, ragazza! Non sei la prima che mi combina qualche piccolo disastro: ci siamo abituati, qui. Stai meglio?-
- Sto bene. - risposi, annuendo. - Non mi sono più sentita male per il resto della sera. Ma non mi sentivo male neanche prima! Dico davvero. È stato un incidente. -
Sylvie inarcò un sopracciglio mentre mi scrutava da capo a piedi. - L'odore della birra, hai detto?-
- Sì. - non vedevo come la cosa potesse essere importante. - Solo quello. Non capiterà più. -
- Lo so che non capiterà. Ora rilassati, Sirenetta, è stata una giornata lunga. -
Sospirai, mentre mi mettevo a sedere su una panca, anche se mi sentivo sollevata. Tra l'altro, pareva che quel soprannome non me lo avrebbe tolto più nessuno: i figli di Sylvie Hawk si erano messi a chiamarmi “sirenetta” da quando mi avevano ripescata, e adesso tutti sembravano intenzionati a mantenere viva la tradizione. E va bene. Poteva sempre andare peggio, come aveva appena detto Sylvie.
In quel momento, neanche lo avessi evocato col pensiero, Nathaniel entrò dalla porta principale, ancora bagnato di pioggia. Non lo avevo visto per tutta la serata, ma avevo sentito di sfuggita Margareth e Sarah dire che aveva raggiunto i suoi compari al tavolo e poi si era fermato a parlare con loro fino a tarda serata, per poi accompagnarli fuori quando il temporale aveva cominciato a quietarsi. Il giovane si scrollò i capelli come un cane bagnato, poi venne a sedersi tra me e la signora Hawk sulla panca: rivolse a me un sorriso, poi si rivolse a sua madre.
- Mamma, non sei ancora a dormire? Lo sai che le ragazze qui possono finire di mettere a posto anche senza di te. -
- I rimproveri lasciali a me, ragazzino!- lo rimbeccò lei, ma rise. - Piuttosto, dove sei stato tu fino ad ora? Se tu e quegli altri lazzaroni dei tuoi amici dovevate starvene a fare bisboccia, almeno avreste potuto farlo al chiuso invece di restare per ore sotto la pioggia. -
- Non piove tanto. - Nathaniel si strinse nelle spalle e si strofinò di nuovo i capelli, come se non si fosse accorto che erano fradici. - In verità, stavamo solo facendo quattro chiacchiere quando è passato Bill e ci ha avvisati che c'è una nave che ha appena attraccato nel porto: probabilmente si è fermata qui per via della tempesta. -
Per un attimo soltanto trattenni il respiro, e fu proprio in quel momento che Nathaniel si voltò verso di me.
- Volevo venire a dirtelo. Anzi, sto per andare al porto e dare un'occhiata di persona: se non sei troppo stanca puoi venire con me. -
Sylvie emise un verso di disapprovazione. - Nathan, Laura non sta bene stasera, ed è già tardissimo; se domani... -
- Sto bene!- protestai: ero già saltata in piedi. - Non c'è nessun problema ad andare adesso: prendo la giacca e arrivo subito!- stavo per voltarmi e correre immediatamente alla mia stanza, ma, mio malgrado, mi fermai e mi costrinsi a chiedere alla signora Hawk: - Posso andare, Sylvie? Per favore. Non ci metteremo molto, e il mio turno domani non comincia prima dell'ora di pranzo. -
Dover chiedere il suo permesso prima di poter fare qualsiasi cosa, compreso lasciare la locanda, era qualcosa a cui dovevo ancora fare l'abitudine, ma avrei fatto meglio a rassegnarmici: se avevo un tetto sopra la testa e due pasti tutti i giorni lo dovevo alla Sirena e alla famiglia Hawk, ed ero ben consapevole di dovere un certo rispetto ai miei benefattori. Per fortuna Sylvie era sempre ben disposta nei miei confronti... di solito.
Anche stavolta ebbi fortuna, perché lei alzò le braccia e sospirò: - E va bene, andate dove volete ma vedete di tornare tra un'ora al massimo. Laura, riguardati, perché se dovrai saltare il turno di domani per questa bravata non sarò affatto contenta. Io me ne vado a dormire!-
Ringraziai, poi schizzai rapida come una saetta a recuperare una giacca e un paio di stivali: neanche un minuto dopo ero ben infagottata e camminavo al fianco di Nathaniel giù per la strada fangosa, sotto una pioggia così fine che ormai non ne sentivo più nemmeno il tocco sul volto.
- Che tipo di nave?- domandai, camminando in fretta. In teoria sarebbe dovuto essere lui a guidarmi, però io conoscevo la strada del porto e avevo molta più fretta, tanto che lo precedevo sempre di uno o due passi.
- Non lo so; volevo andare a dare un'occhiata proprio per farmi un'idea. - Nathaniel procedeva spedito, con le mani nelle tasche della giacca. - Bill ha detto che non aveva visto uomini scendere a terra, quindi forse sono qui solo per una sosta. Però, tempo che arriviamo, potremmo anche incontrare qualcuno dell'equipaggio... -
Era la prima nave sconosciuta che faceva porto ad Isla Muelle nelle ultime tre settimane. In quei giorni, Nathaniel mi aveva sempre tenuta informata riguardo ogni peschereccio, barca o nave che avesse toccato la costa, perché gli avevo chiesto di farlo, ma erano tutti pescatori o navi mercantili che facevano regolarmente tappa sull'isola. Accelerai il passo. Non osavo sperare troppo ma, d'altra parte, chi altri avrebbe avuto motivo di fare porto ad Isla Muelle?
Erano passate tre settimane, diamine. Tre settimane intere; era ora che mi trovassero.
- Di che parlava mia madre, prima? È vero che sei stata male?-
- Dio santo, solo per un momento, e adesso sto bene!- replicai in tono più secco di quanto avessi voluto. Ma perché gli veniva proprio adesso lo sfizio di mettersi a chiacchierare? - Vorrei che la smetteste di starmi addosso: sono tre settimane che mi sono ripresa. E comunque, non è una cosa che ti riguarda. -
Nathaniel fece per replicare, ma restò con la bocca semiaperta senza dire nulla. Per un momento rallentò. Mi accorsi di averlo offeso e, se da una parte mi irritai perché mi stava facendo perdere tempo, dall'altra mi sentii subito dispiaciuta per avergli parlato in quel modo.
- Scusa. - borbottò, sardonico. - Volevo solo sapere se andava tutto bene. -
Alzai gli occhi al cielo. - Lo so. Scusami, Nathaniel, non era per essere brusca, ma... io sto bene. Sono solo preoccupata e voglio tornare a casa. Capisci cosa intendo, no?-
- Sì... sì, certo. - ora sembrava un po' rincuorato, e si tolse finalmente l'espressione offesa dalla faccia. Sorrisi e accennai col capo alla strada coperta di fango davanti a noi.
- Su: raggiungiamo quella nave, vogliamo?-
Anche se il vento stava calando, il mare era ancora agitato: la banchina era zuppa per la pioggia e per le ondate. Ormai gli schizzi delle onde non arrivavano più nemmeno a lambirci i piedi, ma di certo poche ore prima l'acqua doveva avere inondato buona parte del porto. Non si vedeva anima viva in giro, eccetto noi due. Le barche ormeggiate sul molo dondolavano insieme come un banco di gabbiani in mal arnese, e ci mettemmo solo un istante a vedere la nave straniera che aveva attraccato nel punto più lontano del molo: era stata messa alla fonda, ma non era stata calata la passerella, né mancavano scialuppe. L'equipaggio doveva trovarsi ancora a bordo, quindi o non intendevano fare porto, o aspettavano la luce del giorno.
E non era la Perla Nera. Né la Sputafuoco.
Mi sentii come se il cuore mi fosse diventato di piombo, e di certo non riuscii a mascherare la delusione cocente sul mio viso, perché Nathaniel rimase fermo al mio fianco spostando lo sguardo dalla nave a me e viceversa, senza dire una parola.
Vele azzurro-grige, ammainate e fradice d'acqua. Due alberi. Una chiglia di legno scuro, e una polena che lì per lì non riuscii ad identificare: forse uno scheletro col cappello, o qualcosa di ugualmente macabro. Non batteva nessuna bandiera, e al momento non me ne importava molto.
Non era la Perla. Non erano loro. Ancora una volta non erano arrivati.
- Nessuna bandiera. - commentò Nathaniel, strappandomi solo per qualche istante dai miei pensieri che diventavano sempre più cupi. - Però di certo non sono tipi che vogliono passare inosservati... Credo che si fermeranno, però. Se siamo fortunati, domani ce li ritroviamo seduti ai nostri tavoli. - tornò a guardare me, facendosi serio. - Nessuno di familiare, eh?-
- No. - ammisi, desiderando che la mia voce non suonasse come una campana a morto. - Nessuno che conosca. Proprio nessuno. -
Me ne sarei volentieri andata all'istante, ma lui volle restare ancora per un po' per osservare tutti i dettagli della nave, per imprimerseli bene nella mente: in quella piccola isola, qualunque tipo di novità poteva portare soldi o guai, e nel dubbio era sempre meglio tenere gli occhi aperti e raccogliere quante più informazioni possibile. Quando fu soddisfatto, mi prese gentilmente per un braccio e mi ricondusse in direzione della Sirena. Notai che non mi lasciò andare, durante il tragitto: era ovvio che la mia delusione e il mio sconforto erano palesi, e ormai non stavo neanche facendo più nulla per dissimularle.
Ci avevo davvero sperato, questa volta: ecco qual era stato il mio errore. Le altre volte, quando Nathaniel mi parlava di un peschereccio o di una goletta in avvicinamento, sapevo già a priori di non potermi aspettare nulla, ma questa volta...
Dov'era la Perla, e perché non arrivava? Doveva esserci qualche motivo grave, se ancora non erano riusciti a trovarmi. Doveva essere successo qualcosa a Jack.
Una fitta di panico e un groppo in gola. No, no, non dovevo permetterlo. Dovevo riflettere e stare calma. Dio, erano tre settimane che cercavo di “stare calma”.
- Laura, ascoltami... - il tono di Nathaniel era confidenziale come al solito, però stavolta lo sentii esitare un poco. - Te l'ho già chiesto, ma sei davvero sicura che la tua ciurma ti verrà a cercare? Lo so come funziona, tra pirati. Non dubito che i tuoi uomini ti fossero leali, solo... una volta perso un capitano, se ne fa un altro. -
Era snervante che quel ragazzo capisse così tanto e allo stesso tempo così poco.
- È più complicato di così, Nathaniel. - replicai, con un sospiro frustrato. - Su quella nave non c'è soltanto la mia ciurma, c'è la mia famiglia. Mi verranno a cercare. -
- La tua famiglia?- era la prima volta che gli facevo una confidenza del genere: fino ad allora mi ero limitata con i dettagli, spiegando solamente che volevo ritrovare la mia nave e la mia ciurma, e che non avevo nessuna intenzione di rinunciare. Mi teneva ancora per il braccio, e mi fissò con sorpresa, inarcando le sopracciglia scure. - Raccontami. -
- No. - replicai, brusca. - Scusa, ma non godiamo della miglior fama del mondo, al momento, e sto cercando di evitare qualsiasi cosa che possa metterci nei guai. -
Improvvisamente sentii le dita di Nathaniel serrarsi sul mio braccio, ed entrambi ci fermammo bruscamente: quando lo guardai in viso vidi di nuovo l'espressione di prima, solo che stavolta sembrava anche arrabbiato.
- Credi che vi tradirei? Beh, grazie tante!- sbottò, oltraggiato. - Io non vado a raccontare i fatti degli altri, specie se questi sono sotto la protezione di casa mia. Si chiama ospitalità, non so se dalle tue parti si usa... -
- Dalle “mie” parti, che poi sono anche le tue... - lo interruppi, liberando il braccio dalla sua presa con uno strattone ben poco delicato. - ...non dare troppa confidenza è semplice buonsenso. E lo sai anche tu che i segreti non rimangono tali a lungo, non importa se a causa di un po' di soldi o di un coltello. Credi davvero di essere l'unico a proteggere qualcosa? Per quanto mi riguarda, io sto cercando di proteggere sia me e la mia ciurma che tua madre e la vostra locanda. -
- Tu staresti proteggendo noi?- per un attimo la rabbia scomparve dai suoi occhi e lui sembrò vicino ad una risata: la cosa mi fece solo irritare ancora di più. - Ci sottovaluti. -
- E tu sottovaluti me. - glielo dissi con tanta freddezza da fargli capire subito che non trovavo affatto divertente la discussione, come lui invece sembrava pensare. - E mi fai troppo domande. Possiamo tornare alla Sirena, adesso?-
Annuì, però, anche mentre camminavamo, non sembrò affatto intenzionato a lasciar cadere la questione.
- Io capisco la tua cautela, Laura. - mi chiamava raramente per nome, e ora che lo faceva non sapevo se considerarlo un buon o cattivo segno. - Ma sbagli se pensi che io, mio fratello o mia madre metteremmo nei guai uno dei nostri, un nostro ospite. Abbiamo un codice d'onore, qui. Alla Sirena tutti ci proteggiamo a vicenda, e nessuno frega nessuno: è così che sopravviviamo. -
Improvvisamente mi venne quasi da sorridere. - Io e i miei siamo pirati, però. -
- Cosa vuoi che importi? Alla Sirena serviamo da bere ai pirati da anni. - Nathaniel si strinse vistosamente nelle spalle, facendo una smorfia noncurante. - E qui nel porto i pirati ormeggiano le loro navi, vendono la loro merce e spendono ben volentieri i loro soldi. Mai avuto problemi con i pirati. Per questo dovresti capire che ti dico la verità, quando dico che da me e dagli altri non avrai altro che protezione. -
- Lo capisco, Nathaniel. Credimi, non è di te o della tua famiglia che non mi fido. - mi girai un'ultima volta per guardare il profilo della nave sconosciuta ormeggiata nel porto, e poi ancora oltre, verso l'orizzonte del mare di un malsano color grigio cupo. Un orizzonte su cui non era ancora comparsa la nave giusta, l'unica nave che aspettavo.
Mi resi conto solo in quell'istante che non avevo minimamente pensato a che cosa avrei fatto, nell'eventualità che quella nave non fosse mai arrivata.

*

- Uomo in mare!-
Il grido di Michael spezzò il silenzio del tardo pomeriggio come un colpo di cannone. Gli uomini sulle sartie si sporsero per vedere, i pirati che oziavano sul ponte saltarono in piedi neanche fosse stata appena sparata una bordata e si precipitarono confusamente al parapetto sia a tribordo che a babordo, senza la minima idea di dove guardare.
Intanto, dall'alto della coffa, Michael Westley continuava a gridare e sbracciarsi, indicando un punto preciso verso babordo. - Laggiù! Laggiù! Uomo in mare!-
William, in quel momento, si trovava a bordo della Perla Nera. La Sputafuoco era lontana un tiro di schioppo: in quelle ultime settimane le due navi avevano viaggiato sempre affiancate, ma dall'ultimo scambio di vedute con Jack, Will aveva cominciato a passare sempre più tempo sulla Perla. Sembrava che vederlo a bordo in un certo senso tranquillizzasse i pirati, che ormai si facevano sempre silenziosi e torvi le poche volte che vedevano Jack girare per il ponte. Anche Gibbs e Faith gli avevano detto, senza tanti giri di parole, che era meglio che si facesse vedere spesso sulla Perla, per non dare agli uomini l'impressione che la nave ormai fosse abbandonata a se stessa. Perfino Elizabeth, e lo stesso Barbossa, erano stati della stessa opinione.
Così, quando Michael diede l'allarme, Will si trovava sul cassero di prua, e fu uno dei primi a correre a babordo e individuare ciò che aveva attirato l'attenzione del ragazzino.
Il giovane sussultò e trattenne il respiro per un istante. Era perfettamente visibile ad occhio nudo, non c'era alcun bisogno del cannocchiale: una piccola sagoma scura che galleggiava nel blu uniforme del mare.
“Oh mio Dio, oh mio Dio...” senza permettersi di dare voce anche ad uno solo dei suoi pensieri, si voltò di scatto e scrutò l'intero ponte gremito di pirati, alla ricerca del signor Gibbs. Invece alle sue spalle trovò Jack, immobile come se fosse sempre stato lì.
- Jack...! - esitò: voleva dirgli dell'allarme, del corpo che galleggiava in acqua a solo poche miglia da loro, ma non gli uscì neanche una parola. Ma intuì che Jack lo sapeva già: era corso a prua non appena aveva sentito il giovane Westley dare l'allarme.
Gibbs arrivò di corsa dietro di loro, tutto trafelato: sembrò sorpreso almeno quanto William nel vedere il capitano fuori dalla sua cabina e affacciato al parapetto, ma ci mise solo un istante a riprendersi e a chiedere: - Ordini, capitano?-
Jack si voltò di scatto verso di lui, stringendo gli occhi. - Scialuppa!- ordinò, come se non fosse neanche da chiedere. - Gibbs, vai tu. -
Senza aggiungere altro, il nostromo annuì e corse sul ponte, gridando agli uomini di fare la manovra di avvicinamento e calare una scialuppa. Jack restò al fianco di Will e si fece avanti per sporgersi dal parapetto, anche se, da dove si trovavano, non vedevano altro che una figuretta scura, vagamente umana, che galleggiava sul pelo dell'acqua. Col cuore in gola, Will sbirciava il capitano, senza azzardarsi a dire nulla. Lui faceva altrettanto, senza neanche guardarlo, con gli occhi fissi sull'acqua, le dita strette sul legno e un'espressione indecifrabile sul viso tirato: puzzava ancora di rum, ma sembrava perfettamente lucido.
La scialuppa andò e tornò, e quando fu nuovamente issata a bordo, Gibbs scese sul ponte a fatica, tenendo tra le braccia un corpo fradicio d'acqua. I due pirati che erano scesi in mare con lui lo aiutarono, e il corpo fu deposto sul ponte con un tonfo leggero: il resto della ciurma si era affollato tutto intorno, in un silenzio di tomba.
- È Wickham. - annunciò il signor Gibbs.
Quando lo posarono a terra, il corpo si afflosciò a peso morto e la testa del pirata si reclinò bruscamente all'indietro: il cadavere era gonfio e pallido, non aveva più gli occhi e le labbra erano tutte smangiate. Dalla ciurma si levò un gemito quasi unanime di orrore, qualcuno si mise a pregare, in molti distolsero lo sguardo e fecero gli scongiuri.
Jack e William, dal cassero di prua, avevano loro malgrado una visione perfetta del corpo del povero pirata annegato. Will si sentì torcere le budella, ma anche volendo non riuscì a staccare gli occhi dalla faccia gonfia e priva di occhi dell'uomo. Non riusciva neanche a ricordarsi se lo conosceva, ma faceva parte della ciurma di Jack: sapeva di averlo incontrato o di averlo visto fare baldoria sul ponte della Perla, qualche volta, ed era abbastanza per farlo sentire male.
Jack era ancora immobile accanto a lui. Non aveva fatto una piega quando i pirati avevano riportato all'asciutto il cadavere di Wickham, ma Will si voltò a guardarlo e vide che l'unica cosa che avesse mosso erano gli occhi: erano fissi e sbarrati, quasi come se il capitano fosse perso in uno stato d'ipnosi, e stesse guardando qualcosa che diventava ogni secondo più terrificante. Poi, improvvisamente, si riscosse e camminò rapido fino alla cima delle scale del cassero.
- Signor Gibbs!- esclamò, a voce così alta che tutta la ciurma si voltò verso di lui, sorpresa. - Non è un bello spettacolo. Dategli una sepoltura migliore, e in fretta. -
- S...sì, capitano!- rispose il nostromo, ma non aveva ancora finito di parlare, che il capitano aveva già sceso le scale e si stava facendo strada sul ponte, diretto però in direzione opposta. Si fece largo senza alcun riguardo tra i pirati che erano troppo lenti a scansarsi, e raggiunse la porta della sua cabina senza rivolgere più la parola a nessuno.
William gli corse dietro come un fulmine, mentre metà della ciurma scuoteva la testa e parlottava all'indirizzo del capitano, e l'altra metà si affollava attorno a Gibbs e agli altri due che stavano ricomponendo in qualche modo il corpo del povero Wickham. Come raggiunse la porta della cabina e la spalancò -per fortuna Jack non l'aveva chiusa a chiave dietro di sé- si accorse di non essere solo: Faith era alle sue spalle, ad un passo da lui, e sembrava avere le sue stesse intenzioni.
- Bisogna parlargli. - disse in fretta Will, abbassando la voce e accennando col capo all'interno della cabina. - Presto, prima che... -
- Lo so. - la giovane donna annuì, seria in volto. William non ricordava di averla mai vista con un'espressione così caparbia. Faith tirò un gran sospiro, quasi esasperato, si gettò dietro le spalle la lunga treccia nera ed entrò nella saletta degli ufficiali insieme a Will.
Stavolta Jack non si era rintanato in cabina, era solo seduto coi piedi poggiati sul tavolo degli ufficiali, e sembrava assolutamente tranquillo.
- Tutti e due, questa volta?- commentò, vedendo entrare Faith e Will. - Ricevo un sacco di visite, ultimamente. - sorride in modo quasi sgradevole, e afferrò una bottiglia piena per stapparla con uno schiocco sonoro. Faith strinse le labbra in una smorfia di disapprovazione, ma non fece nulla per impedirgli di portarsi la bottiglia alla bocca e prenderne una lunga sorsata: invece spostò una sedia dal tavolo e si sedette proprio di fianco al capitano, senza smettere di guardarlo fisso.
- Che cosa c'è?- sbottò il capitano, dopo aver deglutito. - Mi dispiace per Wickham. Ma non c'era proprio nient'altro che potessi fare. -
- Non è solo per Wickham, Jack. - la voce di Faith era dolce e gentile, del tutto in contrasto con l'ansia che Will vedeva riflessa nei suoi occhi: la cosa sembrò sorprendere tanto lui quanto Jack, perché il capitano restò a fissarla, stupito, per qualche momento, poi abbassò addirittura la bottiglia come se fosse interessato a sentire quel che aveva da dire.
- Lui non ce l'ha fatta perché non era aggrappato al pennone, quando la tempesta lo ha portato via. Se abbiamo trovato lui, è molto probabile che siamo sulla rotta giusta per scoprire dove la corrente ha portato Laura. -
Jack fu scosso da un brivido e distolse lo sguardo da Faith, per tornare a sorseggiare il rum dalla bottiglia. Will andò a sedersi dalla parte opposta, in modo che, dovunque si girasse, Jack non potesse evitare gli occhi di uno di loro due. In un certo senso sentiva che il discorso di Faith gli stava mettendo la pulce nell'orecchio, e non voleva rischiare di perdere quell'occasione.
- Possiamo andare veloci, se vogliamo. - rincarò la giovane. - E soprattutto se finiamo di aggiustare i danni che ci ha fatto la tempesta: non ci siamo fermati in un porto decente da tre settimane intere, e tutta la nave ne risente. E poi penso che dovremmo controllare se ci sono isole, o qualunque tipo di terra, nei dintorni. Lei potrebbe essere stata trascinata su qualche isola già da un pezzo. -
- Sembri molto sicura. - borbottò il capitano, senza mascherare neanche un po' il tono sardonico. Faith strinse gli occhi.
- Tu no?- lo provocò.
- Dolcezza... - negli occhi di Jack brillò un lampo di rabbia, mentre si voltava di nuovo verso la giovane. - Io non sono sicuro proprio di niente, al momento. Comprendi?-
- Usa la bussola. - lo interruppe Will, calmo. - Usala adesso. Potremmo non avere più un'occasione del genere. -
- Che cosa intendi esattamente per “un'occasione del genere”, capitano Turner?- Jack alzò la voce e fece un gesto violento col braccio che reggeva la bottiglia, spruzzando rum su tutta la superficie del tavolo: Will si ritrasse appena, mentre il capitano sembrò non curarsene minimamente. - Mi sembrava di avertelo già detto: non funziona, non funziona e non funziona!-
I due erano sul punto di accapigliarsi ancora una volta, quando li interruppe la voce di Faith.
- Tu hai paura di trovarla. - esclamò, ad occhi sbarrati nel realizzare la cosa. - Ecco perché la bussola non funziona... Tu hai paura di trovarla morta. -
Jack sollevò la mano con l'indice puntato verso di lei in un febbrile gesto d'ammonimento. - Non dirlo. - sibilò tra i denti, secco, ma la sua espressione era trasparente. Faith aveva toccato un nervo scoperto.
- È così. - rincarò lei. - William ci ha detto che la bussola non funziona. È per questo, Jack? Hai talmente paura, che l'unico oggetto che potrebbe aiutarci a ritrovare Laura ora non funziona più in mano tua?!-
Sulle ultime parole, la giovane si alzò bruscamente da dove stava seduta e si protese verso Jack, sovrastandolo per il poco che poteva. Il capitano si piegò all'indietro, come se perfino quella piccola ragazza lo spaventasse. Poi, ad un tratto, cambiò completamente espressione: e davanti alla rabbia crescente di Faith, il suo viso si spianò nel ritratto della tranquillità.
- Avete detto bene, miss Westley. In mano mia. - ancora semisdraiato sulla seggiola, prese la bussola dalla cintura e la porse alla giovane, lasciandola a penzolare in mezzo a loro.
Faith guardò la bussola. Per un attimo allungò la mano e sembrò sul punto di prenderla, ma si fermò all'ultimo momento mentre ancora la fissava con uno sguardo carico di interrogativi. - Io... non so come funziona. -
- Devi solo prenderla. - la incoraggiò Will, che quasi non credeva ai suoi occhi: il capitano che si degnava di condividere i suoi preziosi effetti con qualcun altro della ciurma era un avvenimento raro. Dentro di sé, tuttavia, continuava ancora a sentirsi irritato con Jack per non averlo fatto prima. Grazie alla sua bussola che non funzionava avevano perso ben tre settimane per mare!
- Io non posso farlo. - disse Jack con calma, fissando Faith. - Lo hai capito anche tu, non è vero? È proprio per questo che non posso farlo. Quindi fallo tu. - abbassò la bussola, per posarla nella mano della giovane. Lei esitò e sembrò sul punto di ritrarsi di nuovo. - Ti prego. -
Faith prese la bussola. In silenzio tornò a sedersi, si appoggiò al tavolo e aprì lo strumento per consultarne il quadrante, tenendolo stretto tra le mani. Jack e Will si sporsero verso di lei per vedere. Faith osservò l'ago della bussola: per qualche momento sembrò galleggiare pigramente senza una direzione, poi, lentamente, cominciò a girare verso la sua destra.
La giovane trattenne il respiro: per un attimo soltanto la afferrò lo stesso timore che doveva tormentare Jack. Per un attimo pensò al viso di Wickham, gonfio e mangiato dai pesci; pensò a tre settimane in mezzo al mare, senza null'altro che acqua e cielo intorno; pensò a quella notte di tempesta, in cui il buio era così fitto e le onde così alte, che perfino lei non aveva saputo niente della disgrazia fino a quando non si era calmata la tempesta, e aveva cominciato a chiedersi perché Jack e Gibbs sembrassero così fuori di sé, e perché non vedesse Laura da nessuna parte...
L'ago della bussola sussultò e cominciò a roteare. Faith trattenne un singulto e ricacciò indietro i propri pensieri, richiamando l'ago con la stessa furia con cui avrebbe richiamato suo fratello se l'avesse beccato a girare con una candela accesa nella polveriera. E funzionò. L'ago della bussola si fermò, poi tornò indietro, fermandosi ad indicare senza alcun dubbio un punto preciso alla destra di Faith.
- Dio mio, funziona!- esclamò, appoggiando la bussola sul tavolo ma senza osare allontanarne le mani o lo sguardo. - Guardate! È ferma. Quella è la direzione, dobbiamo segnarla su una mappa...!-
I due pirati si erano già mossi per aiutarla: Jack non disse una parola, mantenendo gli occhi fissi sul quadrante della bussola, ma spinse sul ripiano del tavolo una mappa arrotolata e un pennino, e Will si affrettò a srotolare la mappa come se non aspettasse altro. In un attimo aveva preso nota della direzione indicata dalla bussola, il cui ago, fortunatamente, non accennava a spostarsi.
- Sud-ovest. - rimuginò il giovane tra sé, intanto che scoccava occhiato ora alla bussola, ora alla mappa. - Stiamo per inoltrarci in mezzo ad un bel po' di isole. Lo sapevo che la terra non poteva essere lontana! Dobbiamo procedere senza indugio nella direzione indicata da Faith, e appena incroceremo un porto favorevole dovremo fermarci, per le riparazioni e per qualche rifornimento. Ce la faremo: ora finalmente abbiamo una rotta. -
Jack non sembrava ascoltarlo, ma fece comunque un piccolo cenno di assenso mentre lui trafficava con le mappe. Faith tirò un gran respiro e, quasi di malavoglia, spinse la bussola sul ripiano del tavolo per porgerla di nuovo a Jack, ma il capitano alzò le mani e scosse la testa.
- No. - disse, sempre con quel tono strano che non gli apparteneva. - Tienila. Per il momento tu sei l'unica a cui risponde, e potremo avere ancora bisogno di te, prima... prima che la situazione sia risolta. -




Note dell'autrice:
Aehm. Ammetto che avevo cominciato col nobile proposito di fare un aggiornamento al mese, ma la cosa si è ben presto rivelata infattibile. Inoltre, al momento sto lavorando sodo su un progetto originale che si prende tutte le mie energie per scrivere, quindi è anche per quello che ritardo. Ma tranquilli: non abbandonerò mai Caribbean Tales. Ci sono troppo legata e ho troppe cose in ballo. Quindi spero che gradiate il nuovo capitolo! Soprattutto perché sto prendendo la mano con i nuovi personaggi e, indovinate un po', adoro la signora Hawk. La considero un misto tra Debbie di Queer As Folk e la mamma del Giudice Amy.
Grazie per le recensioni a Freud in love, grazie ad Hayleen, sono veramente colpita e felice di averti addirittura fatta commuovere (PS: Mi spiace che l'altra autrice non ti abbia ancora risposto, quando l'ho contattata mi aveva detto che prendeva il tuo contatto molto volentieri. Nel caso ritenta!), grazie a Fannysparrow. Devo dire che sono contenta che sia stato generalmente apprezzato l'esperimento che sto facendo in questo episodio delle CT: mostrare Jack in un momento di seria difficoltà. Esplorare il carattere del capitano è insidioso, ma è una sfida che accetto sempre volentieri, con il solo chiodo fisso di rimanere sempre e comunque IC. Anche per questo il vostro aiuto come lettori mi è fondamentale: per sapere se sto andando nella direzione giusta. A proposito, sono contenta che Fannysparrow non abbia mancato di menzionare Will: come si è capito è un personaggio a cui tutto sommato sono affezionata, e mi piace contrapporlo a Jack in molti modi. Non sarà dimenticato!
Per finire in bellezza, un altro po' di propaganda sul settore FanArt!
Rispettivamente: i nostri capitani preferiti (segno chiarissimo del fatto che nemmeno io sono troppo felice di tenerli separati) e un ritratto di gruppo dei nostri lupi di mare.
Ma soprattutto, non vi avevo ancora linkato QUESTA e QUESTE fanart a opera della fedelissima Captain Alwilda? Male, male. Su DeviantArt si ride, si scherza, si trinca e si sproloquia, ma soprattutto si disegna come dei dannati, e i risultati spesso sono esilaranti. Fino alla prossima, wind in your sails!

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4


- Spiegami perché ci hai messo tanto. -
Jack mi sorrise e si strinse nelle spalle, mentre si sistemava più comodamente. Stavamo sdraiati l'uno accanto all'altra sul nostro letto, in cabina, come avevamo fatto tante e tante volte ogni notte. Come al solito lui fece una lunga pausa prima di rispondermi, assumendo una studiata aria meditabonda solo per dare più risalto alla sua risposta quando finalmente si decise a declamarla.
- Stavo cercando di imparare come si respira sott'acqua. - dichiarò con aria solenne.
- Sei uscito di testa? E come faresti a respirare sott'acqua?-
- Quando sei finita in mare, mi sono tuffato anch'io per ripescarti. - mi spiegò lui con pazienza, agitando pigramente le dita della mano destra. - Sono andato sotto a cercarti. Ma è stata dura imparare a respirare sott'acqua, gioia. Sai, ci vuole una certa tempra, comprendi?-
In quel momento mi accorsi che qualcuno aveva aperto la porta della cabina, e come mi voltai vidi che sulla soglia c'erano Elizabeth e Will assieme al piccolo David, che ci salutavano con entusiasmo. Tutto quel trasporto mi fece indubbiamente piacere, ma trovavo un tantino invadente da parte loro essere entrati senza bussare. Elizabeth prese in braccio David e gli disse di salutarci.
- Siamo così contenti di riavervi qui. - disse William, sorridendo, mentre accanto a lui suo figlio agitava le braccia nella nostra direzione e rideva.
- Adesso siete come noi, ci pensate?- esclamò Elizabeth, raggiante, baciando la guancia del bambino. - Sarà bellissimo. Adesso siamo di nuovo tutti insieme. -
C'era qualcun altro nella cabina. Un'ombra era comparsa a sinistra del letto, proprio dove stavo io: la vedevo con la coda dell'occhio. Sussultai e mi girai di scatto. Stava nell'angolo della stanza, completamente in ombra, e non gli vedevo la faccia.
- Sì, adesso sei proprio come loro. - sibilò l'apparizione con voce minacciosa, e io vidi troppo tardi il pugnale che aveva tenuto nascosto sotto i vestiti fino a quel momento. Lo vidi sferrare un fendente dal basso verso l'alto contro di me, e sentii una fitta di dolore quando la lama mi ferì alla pancia, colorando la camicia di rosso.
- Ricattabile. -


Mi svegliai di soprassalto, portandomi la mano alla pancia con la certezza di essere appena stata pugnalata. Ma ovviamente non c'era nessuna ferita, e la camicia era pulita e asciutta.
Imprecai a voce bassa, mentre mi mettevo a sedere sul letto. A giudicare dalla luce, dovevano essere circa le sei di pomeriggio: mi ero appena bruscamente risvegliata, dopo essere crollata addormentata durante le ore di pausa che venivano concesse a noi cameriere nel tardo pomeriggio, se la giornata era tranquilla, quando poi dovevamo stare alzate a lavorare per tutta la notte.
Il sogno si era lasciato dietro una fastidiosa sensazione d'ansia e malessere, e temetti che mi stesse tornando anche la nausea. Stavolta la controllai, ma dopo l'incidente della sera prima avevo rimesso altre due volte nel corso della giornata, anche se non avevo detto più niente a Sylvie per non preoccuparla. Lo avevo attribuito al nervosismo che non mi mollava da quando avevo visto quella nave in porto: oltretutto, la nave sbagliata.
Tuttavia, sognare Jack era ancora la cosa più disarmante.
Mi mancava come mai mi era mancata una persona: a costo di suonare banale mi accorgevo che sentivo la mancanza del semplice suono della sua voce, della sua presenza, del sapere che era nella stanza accanto e che sarebbe comparso da un momento all'altro.
Misi i piedi giù dal letto e mi accorsi che avevo gli occhi umidi. Fantastico.
Cos'era che mi aveva inquietata così tanto nel sogno di prima? Stranamente, non era stata la coltellata. Piuttosto, provavo un senso di malessere nel ripensare alle parole di Jack. Che cos'è che aveva detto?
“Stavo cercando di imparare come si respira sott'acqua.”
Una sciocchezza, si quelle che si sentono dire nei sogni e che solo lì non suonano completamente assurde. Non poteva voler dire nulla, no?
“Mi sono tuffato anch'io per ripescarti.”
Chissà se lo aveva fatto davvero, quando ero precipitata in mare.
“Sono andato sotto a cercarti. Ma è stata dura imparare a respirare sott'acqua, gioia.”
No, non lo avrebbe fatto. Sapeva che era da pazzi e che non sarebbe servito a nulla. Non si era tuffato in acqua. Sempre che la tempesta non avesse finito per inghiottire completamente la Perla, trascinando la nave e tutta la ciurma negli abissi...
“È stata dura imparare a respirare sott'acqua.”
- No!- sibilai tra i denti, zittendo quei pensieri sul nascere. Erano le mie paure a nutrire i miei incubi, li facevano crescere forti e rigogliosi. Non erano annegati. Jack non era annegato. Questo era ciò che temevo io, ma non quello che era realmente accaduto.
Ma il tempo non si fermava, e tanto meno la Sirena. Feci del mio meglio per dimenticare le brutte sensazioni del sogno mentre mi univo alle altre ragazze per consumare la nostra cena veloce prima dell'arrivo dei clienti. Avevo notato che molte delle cameriere più giovani non approfittava delle ore di riposo pomeridiano: io invece mi ero addormentata in pieno giorno come una vecchietta. Dovevo ricordare a me stessa di avere a malapena venticinque anni, eppure non c'era niente che ti facesse sentire vecchia come vivere gomito a gomito con un intero gregge di giovinette.
Sarah e Margareth erano di ottimo umore quella sera, e sapevo anche perché: ero convinta che fossero impazienti di vedere arrivare il gruppo degli amici di Nathaniel e Ben, i nostri immancabili ospiti d'onore. C'era da dire di quei ragazzi che, pur ricevendo un trattamento di favore da parte di miss Hawk e delle sue più che disponibili cameriere, si erano sempre comportati bene, per quanto può comportarsi bene un giovanotto ubriaco di rum con una ragazza seduta in grembo. Cominciavano a starmi simpatici.
Ma prima c'era del lavoro da fare, e sembrava anche che ne avessimo un bel po': per prima cosa ci ritrovammo nelle cucine un intero carico di casse di liquori che nessuno sapeva dove mettere.
- Su su, tutte queste in cucina e al banco, queste altre da sistemare nella cantina sotto gli scaffali numerati!- ordinò Sylvie Hawk in tono marziale, fugando immediatamente ogni dubbio senza quasi guardare le casse. - In fretta, avanti!-
Joshua, uno dei nostri braccianti negri, portò giù in cantina le casse scelte da Sylvie, mentre io, Sarah e Margareth ci occupammo di scoperchiarle e stipare le bottiglie sugli scaffali che erano rimasti vuoti.
- Ehi, ma questo non è rum!- esclamò Sarah mentre aprivamo la prima cassa. Meccanicamente cominciò a passarmi le bottiglie e io feci per metterle a posto, ma mi stupii anch'io della forma sottile e allungata e del vetro nero. Poi annusai il tappo.
- Oh. - commentai. - Oh. Kaav. -
- Già, questa roba va a ruba nei bordelli, dicono. - disse Margareth, mentre ci aiutava a sistemare le bottiglie. Io stavo cercando di trattenermi dal ridere.
- Lo so. Vi prego, ditemi che non lo serviamo. -
- Ma no!- Margareth rise, scuotendo il capo. - Queste sono tutte da vendere. Miss Hawk conosce i suoi clienti e non si farà certo scappare l'occasione di qualche bell'affare, con un carico di queste. Dicono che questa sbobba sia miracolosa. -
- Lo so. -
Di colpo il mio tono estremamente placido sembrò insospettire le due, perché Sarah mi guardò aggrottando le sopracciglia e chiese: - Lo conosci?... - ad un tratto si bloccò, facendo due più due, e sgranò gli occhi mentre tratteneva solo a stento una risata. - Nooo...!-
Non potei fare a meno di ghignare e annuire con falsa modestia.
- Una delle notti migliori della mia vita. -
- Nooo, schifosa! Racconta!- esclamò Margareth, dandomi un finto pugno sul braccio mentre lei e Sarah scoppiavano in una risata sguaiata. Ormai praticamente ci stavamo lanciando le bottiglie, più che sistemarle dalle casse agli scaffali.
- E che cosa c'è da raccontare?- le presi in giro, sollevando due bottiglie sopra la testa. - Non sapete come si fa?-
- Egoista!- mi rimbeccò Sarah.
- Quante volte?- mi sfidò Margareth. Scossi la testa con decisione, mentre anche le ultime bottiglie andavano al loro posto: mi portai il pugno chiuso contro la bocca, come a dire che da lì non avrei lasciato sfuggire una parola.
- Ah! Non ci pensare! Una vera signora non dice mai il numero preciso!- dissi. Mentre sollevavo una dopo l'altra le dita di una mano.
Seguì un boato di strilli e risate, mentre prendevamo a rincorrerci per la cantina: onestamente, eravamo imbarazzanti, ma quando mi trovavo con Sarah e Margareth era difficile non farmi trascinare dall'atmosfera. E poi, di certo di sopra gli avventori erano già arrivati e stavano cominciando a divertirsi: non vedevo perché non avremmo dovuto farlo anche noi.
Quando ci fummo calmate, tornammo a rimettere tutto in ordine: Sarah e Margareth, una volta finite le risate, continuavano però a guardarmi con curiosità, e fu Sarah a spezzare il silenzio chiedendomi, cautamente: - Laura, ma tu vieni dal bordello?-
Sollevai di scatto lo sguardo. - No!- ero sbigottita, ma poi mi resi conto che le mie precedenti dichiarazioni erano state più che fraintendibili. - Oh. Ho capito. No, comunque. La storia che ho raccontato a tutti è vera: sono un pirata. - esitai. - In realtà, sono anche sposata con un pirata. -
- Sei sposata? Davvero?- il viso giovane di Sarah si illuminò di sorpresa: ora il momento dei pettegolezzi e delle battute era passato, e tra di noi aleggiava un'intimità diversa, più confidenziale.
- Sì, in un certo senso. - sorrisi tra me.
- Non lo avevi mai detto prima. - fece Margareth: anche il suo tono si era addolcito, e ora aveva un'intensità quasi sognante. - Sposata con un pirata, non di meno! Mi toccherà dire agli amici di Nathaniel di badare a dove guardano, d'ora in poi. -
- Smettila!- la rimbeccò Sarah, poi tornò a rivolgersi a me. - E dov'è tuo marito adesso?-
- Vorrei saperlo. - ammisi. - È il motivo per cui sono ancora qui. -
Lei mi guardò per un lungo momento e annuì, poi ad un tratto afferrò Margareth per un braccio e la fissò. - Non una parola di questo, chiaro? Né con Sylvie né con Nathaniel!- ordinò, in tono tanto truce da lasciarmi sbigottita. - Questi sono affari suoi. -
- Non volevo parlarne con nessuno!- si difese Margareth, e si voltò a guardarmi: sembrava stupita quanto me. - Tu lo sai che non volevo parlarne con nessuno, no?-
- Ma certo, e anzi, non mi importerebbe se lo facessi!- assicurai, sempre più sbalordita dall'improvviso cipiglio aggressivo di Sarah. Misi la mano sulla sua perché lasciasse andare Margareth. - Non ve lo racconterei se pensassi di non essere al sicuro. -
- Non si è mai del tutto al sicuro. - commentò Sarah, cupa, lanciando a Margareth uno sguardo di scuse. - Tu sei qui solo da due mesi, Laura, per molti sei ancora una forestiera e quindi sei sospetta. Non per noi, certo. Ma sai meglio di me che alla Sirena passa chiunque. Già sapere che sei un pirata, o che lo sei stata, ti mette in pericolo: non voglio che girino altre voci su di te. Sarai al sicuro fino a quando continuerai a sembrare perfettamente normale. -
Le parole della ragazza mi lasciarono addosso una strana sensazione, e un'atmosfera altrettanto strana aleggiò tra noi tre mentre uscivamo dalla cantina.
Nella sala, il lavoro ci attendeva come al solito, e il numero crescente di tavoli da servire mi fece dimenticare per un po' la nostra conversazione. Mi consolò constatare che quella sera stavo decisamente meglio, forse per merito della dormita, malgrado gli incubi. L'odore della birra era ancora stranamente intenso, ma non mi dava più fastidio. In compenso, la vista delle zuppe e degli arrosti che venivano preparati in cucina cominciò a mettermi fame anche se avevo appena mangiato. Dio, meno male che ero una cameriera, perché sarei stata un disastro come cuoca.
Nel bel mezzo della consueta baraonda di inizio serata, ad un tratto dalla porta entrò correndo uno dei monelli adottati da miss Hawk, che sgusciò tra la clientela come un gatto impazzito. Mi passò davanti come una furia, quasi tagliandomi la strada.
- Guarda dove vai, Gavin!- gli gridai dietro, ma poi vidi che aveva raggiunto il tavolo di Nathaniel e dei suoi amici e stava saltellando per attirare l'attenzione. Erano in cinque al tavolo, Nathaniel compreso: restai a guardarlo mentre si chinava su Gavin e il bambino gli diceva qualcosa in un orecchio. Dalla sua agitazione sembrava qualcosa di importante. L'attimo dopo Nathaniel si alzò e fendette agilmente la folla per arrivare fino al bancone, dove mi ero fermata io.
Mentre mi passava accanto, per un momento si fermò e, a voce abbastanza alta da farsi sentire da me ma abbastanza bassa da non farsi notare, mi disse: - Stanno arrivando quelli dalla nave dalle vele azzurre di ieri. Pirati. Il capitano è un tipo appariscente. Non so cosa ci dobbiamo aspettare, ma è meglio stare pronti. -
Appena si allontanò da me andò ad informare sua madre dietro al bancone, e vidi quei due confabulare per un po' con aria cospiratrice. Io andai al tavolo con la scusa di riempire di nuovo i bicchieri degli amici di Nathaniel, e mi trovai davanti a quattro facce che mi fissavano con aria interrogativa, più quella di Gavin che sbirciava dal bordo del tavolo.
- Arriva una ciurma di pirati nuova di zecca, a quanto dice Gavin. - li informai, prendendomi tutto il tempo per riempire i boccali. - Non sappiamo che tipi siano, ma voi cercate di stare tranquilli. - scoccai un'occhiata al bambino. - Anche tu. Mani nelle tasche, nelle tue, a meno che Nathaniel non ti dia il permesso di alleggerirli. -
- Sono quelli che hanno attraccato ieri?- mi chiese il ragazzo coi capelli biondi, che non riuscivo mai a ricordarmi come si chiamasse. Annuii, e lui si corrucciò. - Mi sa che non sono semplici pirati, quelli. Mi puzzano di corsari al servizio di sua maestà lontano un miglio!-
- Non possiamo saperlo. Per questo, tranquilli e all'erta a meno che miss Hawk o Nathaniel non dicano altrimenti. -
Pochi minuti dopo l'avvertimento di Gavin, i pirati arrivarono, facendosi annunciare da grida e risate che sovrastavano addirittura quelle della normale clientela della Sirena. Li scrutai con discrezione mentre continuavo a passare tra i tavoli cercando di non farmi notare, e non mi sembrarono nulla di particolare. Erano semplicemente pirati: un folto gruppo di uomini, anonimi e barbuti che entrarono alla carica dall'ingresso principale e presto si dispersero in giro per la locanda in cerca di posti liberi.
Guardarli mi provocò perfino un'irritazione crescente: semplici uomini senza volto e senza nome che non potevano darmi nulla. Inutili. Avevo un vassoio tra le mani, e solo grazie ad esso mi accorsi con stupore che le dita mi tremavano.
Ce ne fosse stato uno, solo uno, che potesse dirmi qualcosa della Perla! Li vedevo affollarsi ai tavoli e al bancone per chiedere da bere, e avrei voluto andare da ognuno di loro, afferrarli uno a uno per il bavero della giacca e chiedergli: - Avete visto il capitano Jack Sparrow? Avete visto la Perla Nera? Ditemi dov'è!-
Se non avessi temuto seriamente per la mia incolumità, lo avrei fatto.
Mi stavo dicendo silenziosamente che non dovevo perdermi d'animo e che avrei dovuto origliare le conversazioni dei pirati in cerca di informazioni casuali, quando mi cadde l'occhio su quello che era inequivocabilmente il capitano fermo davanti al bancone.
Mi dava la schiena, così che di lui potevo vedere solo l'elegante giacca azzurra e una criniera di capelli talmente ricciuti e neri da sembrare una parrucca da damerino. Ad un tratto ebbi una strana sensazione, ma non riuscii a capire perché. Mi mossi, avvicinandomi al bancone: l'uomo si stava certamente rivolgendo a Nathaniel e a Sylvie, vedevo le loro labbra muoversi nel baccano.
E poi mi paralizzai.
Avevo visto il profilo del pirata, un naso aquilino corredato da un paio di baffi arricciati, e per un istante fatale mi resi conto di aver già visto quella faccia, di conoscere quella faccia, e fu questioni di pochi frenetici secondi prima che un nome un cognome -Armand Lanthier- mi esplodessero nella mente come una bordata.
Armand Lanthier, capitano Armand Lanthier, mai visto o incrociato prima se non una sola volta, un anno prima, in una locanda in cui mi trovavo con William, con Elizabeth, perfino con quel voltagabbana dell'irlandese Connor Donovan. Ricordi che scorrevano come acqua. Una breve rissa nella taverna, perché Lanthier ci aveva insultato.
Lanthier sapeva chi era il capitano Jack Sparrow.
Lanthier sapeva chi ero io! Mi aveva vista! Avevamo combattuto, lo avevo umiliato, mi ero presa il suo cappello come trofeo. Un cappello con piume azzurre e marroni, che da allora avevo portato sempre. Non lo avevo in testa la notte della tempesta: doveva essere rimasto nella mia cabina sulla Perla.
Ero immobile dietro al bancone, senza più sapere se avvicinarmi o voltarmi più in fretta che potevo per paura di farmi smascherare. Ma mi avrebbe davvero riconosciuta? Lui era appariscente, ma io al momento ero solo una giovane donna vestita da cameriera, proprio come tutte le altre che giravano per la locanda. Nessuno notava mai le cose normali: quello lo avevo imparato. Nessuno guardava davvero in faccia una semplice cameriera. Mi avvicinai.
Lanthier si protendeva sul bancone , chinandosi verso Sylvie e indicando qualcosa: aveva estratto una pergamena spiegazzata dalla giacca e la lisciava sul ripiano di legno, mostrando a miss Hawk e a suo figlio quel che c'era scritto.
Continuai ad avvicinarmi. Lo sentii chiedere: - Cosa sapete dirmi riguardo a questo?-
Ero abbastanza vicina da vedere la pergamena, e per poco non sentii il mio cuore saltare un battito: era un vecchio avviso di taglia, e il volto disegnato era senza alcun dubbio quello di Jack.
Nathaniel si sporse e lesse in fretta, aggrottando le sopracciglia.
- Capitano Jack Sparrow. - disse, come se il nome per lui non significasse niente. - Non è uno di quelli... uno dei Pirati Nobili?-
- Proprio lui. -
- Ma esiste veramente?- Nathaniel fissò Lanthier con una faccia strana, come se neanche credesse a quello che gli stava dicendo. Probabilmente per lui quello era solo un nome tra tanti, al pari di Barbanera o Calico Jack Rackham... che io, tra parentesi, avevo entrambi conosciuto di persona.
- Giovane, puoi scommetterci che esiste, e la cifra che vedi scritta lì sopra dovrebbe renderlo ancora più reale. - replicò il capitano, stringendo gli occhi con aria divertita. - Stanno girando voci strane riguardo quest'uomo, e io vorrei tanto scoprire la verità. -
Vicino, ancora più vicino, tanto che ormai mi nascondevo dietro le spalle di Sylvie e Nathaniel e vedevo i loro profili.
- Questi manifesti risalgono più o meno ad un anno fa. Allora, questo capitan Sparrow era ricercato non meno di uno qualsiasi dei Pirati Nobili degni di definirsi tali. Per un anno intero è sparito, e lo voci lo davano in Europa, ben lontano dalle acque dei Caraibi. Ma ora se ne sentono di grosse, più grosse ancora. Dicono che la Marina inglese ha messo sulle sue tracce Balthazar. -
Nathaniel non ebbe nessuna reazione nel sentire quel nome, così come non la ebbi io, ma mi accorsi che Sylvie invece sussultò leggermente, mostrando un'espressione allarmata per una frazione di secondo. Poi, miss Hawk mise una mano sull'avviso di taglia e lo spinse con fermezza verso il capitano.
- Non so cos'abbia fatto questo povero diavolo per meritarsi di avere alla calcagna il cane rabbioso della Marina, e in verità non voglio neanche saperlo. - replicò, bruscamente. - E comunque, l'idea di Balthazar di nuovo a caccia non mi piace per niente, come non piacerebbe a nessuno. Voi lavorate per lui, signore? Beh, potete dirgli che non abbiamo visto questo capitano, e io non tengo avvisi di taglia qui nel mio locale!-
Lanthier fece un sorrisetto mellifluo sotto i baffi arricciati. - Non lavoro per lui, madame. Ma sarei proprio curioso di sapere dove si trova Sparrow e che cosa sta facendo, per essersi meritato un cacciatore del genere. E soprattutto, vorrei sapere dov'è Balthazar. Se conosce i suoi metodi, capirà che cosa intendo. -
Per un attimo l'espressione di miss Hawk tremò ancora: stavolta anche Nathaniel se ne era accorto, perché vidi la sua testa inclinarsi e immaginai il suo sguardo che dardeggiava da lei al capitano.
- La Marina non si azzarderà a fare un altro rastrellamento come cinque anni fa. Mettersi contro la Fratellanza dei pirati è troppo anche per loro, e lo sanno anche se non hanno più il coraggio di dirlo. - ribatté lei, con voce perfettamente calma.
- Certo. Per questo hanno chiamato lui, non capisce? Balthazar è peggio della Marina, perché a lui non servono regole, per cacciare! Andrà a cercare la sua preda, e lo farà come gli pare e piace. Il re d'Inghilterra gli perdonerà qualunque misfatto o abuso di potere, se alla fine la sua missione verrà portata a termine. -
- Allora chi ci state suggerendo di appoggiare?- domandò Nathaniel in tono tagliente. - Sparrow o Balthazar?-
- È quello che sto cercando di capire anche io. - rispose Lanthier, lentamente, prima di riprendersi il manifesto con gesti lenti e misurati.
Mi ero quasi dimenticata di respirare tanto ero tesa ad ascoltare cercando di non perdermi neppure una parola. In quel momento, però, Nathaniel si mosse e vidi gli occhi del capitano Lanthier guizzare verso di me, accorgendosi solo allora della mia presenza alle spalle dei due. Anche Sylvie e Nathaniel mi notarono in quel momento, e sembrarono sorpresi almeno al pari del capitano.
- Serve altro gin, miss Hawk. - dissi, buttando lì la prima scusa che mi venne in mente: quello che importava era mantenere un'espressione assolutamente impassibile. Con l'aria di avere capito perfettamente perché mi trovavo lì a sbirciare, Sylvie si scostò per lasciarmi passare verso l'ingresso delle cucine, ma il capitano Lanthier mi fermò.
- Un momento, signorina. - le sue parole caddero su di me come un'accetta. - Perché non date un'occhiata?-
Istintivamente lo guardai negli occhi quando mi voltai, e solo troppo tardi mi ricordai dei miei propositi di tenere basso lo sguardo.
“Non incrociare il suo sguardo, non incrociarlo. Non mi riconoscerà. Non credo. Cristo, gli ho rubato il cappello. Lo sa.”
Lanthier mi allungò il manifesto e si accertò che lo guardassi attentamente per qualche secondo.
- Questa faccia vi è familiare?-
Finsi di pensarci su, prima di scuotere il capo. - No, signore. -
- Guardatela ancora. -
- Capitano, le mie cameriere sono qui per lavorare!- sbottò Sylvie, stizzita.
- Mah, una volta ho visto uno che gli assomigliava. - dissi, vagamente. - Non aveva tutto quella barba, però. Ed era più grasso. Può servire?-
- Lasciate perdere. - sospirò il capitano, perdendo rapidamente interesse. Io lasciai andare il fiato lentamente. Non un cenno di riconoscimento, non un guizzo dello sguardo: per lui ero ordinaria e assolutamente invisibile.
Beh. Potevo anche approfittarne.
Per tutta la sera fui distratta, impegnata com'ero a non perdere di vista il capitano Lanthier. Ebbi anche la fortuna di servire spesso il suo tavolo, e cercai di origliare frammenti di conversazione, ma presto mi accorsi che lui e i suoi pirati non parlavano di niente che mi interessasse. Le sue domande su Jack erano scomparse al pari del manifesto arrotolato nella tasca della sua giacca. Col passare delle ore, mi convinsi sempre di più che dovevo trovare il modo di parlare con lui.
In verità, non sapevo con precisione che cosa volevo chiedergli. Lui non sapeva dove si trovava Jack o la Perla Nera: era venuto lui stesso a cercare informazioni senza trovarne. Ma, in quel caso, eravamo in due a caccia della stessa cosa.
Potevo convincerlo a stare dalla mia parte? Rivelargli qualcosa? No, questo no: se non mi fidavo a dirlo agli Hawk, di certo non potevo rivelarmi a Lanthier.
E poi quel nome, Balthazar. Chi diavolo era? Avevo capito che si trattava di un cacciatore di taglie e la cosa non mi piaceva, ma avevo sentito chiaramente la paura nella voce di miss Hawk. Avrei potuto chiederlo a lei più tardi.
L'orologio ticchettava e il capitano Lanthier era ancora seduto al tavolo, con il boccale vuoto. Dovevo decidermi.
Potevo ignorare l'unico anello di collegamento, per quanto fragile, tra Jack e me? Seguirlo quando se ne fosse andato, però, era troppo rischioso: avrebbe avuto tutti i suoi uomini con sé, per quanto ubriachi. Ma, dopo qualche minuti, la risposta mi si presentò da sola, perché vidi il capitano alzarsi insieme a due dei suoi e dirigersi verso il retro.
Andava alla latrina. Il piano prese rapidamente forma nella mia mente, anzi, iniziai a concepirlo nel momento stesso in cui mi mossi automaticamente per seguirli. Mi infilai nel corridoio che portava agli alloggi di noi cameriere, senza guardare in faccia nessuno e senza attirare l'attenzione, e afferrai la giacca lunga e il cappello da uomo che tenevo sempre appesi a portata di mano: solo Nathaniel sapeva che mi mettevo sempre quelli le volte che uscivo dalla locanda. Senza fermarmi arrotolai la gonna rossa perché non si vedesse l'orlo spuntare da sotto la giacca: sotto indossavo sempre i pantaloni, una stravaganza che le altre ragazze non erano mai riuscite a capire. Ma io conoscevo il valore di un travestimento, per quanto semplice.
Uscii dal corridoio raccogliendo i capelli sotto al cappello, attraversai inosservata il fondo della sala principale e mi infilai nelle latrine.
Dato che la Sirena era un posto più che decente, avevamo una vera e propria stanza dedicata alla latrine. Era a cielo aperto, ricavata da un vicolo murato accanto alla locanda, ma era stato possibile scavare lungo i quattro lati delle fosse che venivano periodicamente svuotate, e sopra c'erano delle assi di legno forate, molto simili alle seggette che avevamo sulla Perla per gli ufficiali.
Il capitano Lanthier era uno di quelli prudenti: aveva lasciato due dei suoi uomini di guardia fuori dalla tende che divideva la latrina dalla sala. Con l'aspetto di un giovane uomo in giacca e cappello, li oltrepassai. Avevano l'aria di essere già sbronzi, ma sembravano anche perfettamente in grado di menare le mani se ce ne fosse stato bisogno. Sperai di fare in fretta e di avere fortuna.
Quando entrai, Lanthier mi dava le spalle, e udii il lieve scroscio mentre pisciava nel buco. A mia volta gli diedi le spalle e mi avvicinai all'asse, fingendo di fare altrettanto. Per il momento non badava a me, e si limitava a grugnire di soddisfazione mentre si liberava: dondolava un po', e dava l'idea di essere già bello sbronzo anche lui.
- Che tipo di informazioni cercate?- domandai, a voce bassa, senza muovermi.
Lì per lì lui sembrò non avermi neanche sentita, ma quando voltai appena la testa per guardarlo lo vidi sobbalzare lievemente.
- Che avete detto?- esclamò, voltando solo la testa verso di me. Non aveva ancora finito.
- Ho detto, che tipo di informazioni cercate?- ripetei, senza guardarlo: non poteva vedermi la faccia sotto la tesa del cappello.
Lanthier si guardò attorno, sospettoso: eravamo soli, e sapeva che dietro la tenda c'erano ancora i suoi uomini. - Stai cercando di fregarmi, ragazzino?-
- No, capitano. Nessuna trappola e nessun imbroglio, ve lo giuro. Semplicemente, non siete l'unico a cercare capitan Jack Sparrow. -
Da dietro vidi Lanthier darsi una scrollata, poi intuii che si stava riabbottonando i pantaloni.
- Se lo cerchi, non mi sei di nessun aiuto. - disse in tono tranquillo.
- Perché girate con un suo avviso di taglia?-
- Perché il suddetto capitano Sparrow sembra avere molti più nemici che amici, e non vorrei farmi cogliere impreparato. - ci davamo ancora le spalle, fermi dov'eravamo, guardandoci di sbieco.
- A un pirata non conviene tradire gli altri pirati. - rincarai, sussurrando. - Se è un cacciatore di taglie quello che gli hanno messo alle calcagna, siamo tutti in pericolo. Quelli come lui arrotondano il guadagno con quelli come noi. -
- Qui non si tratta solo di un cacciatore di taglie. Si tratta di Balthazar. - Lanthier sputò la parola: lo vidi barcollare un po', ma intuii che era sul punto di voltarsi e avvicinarsi a me e non potevo permetterglielo.
- Non lo conosco. - risposi in fretta. - Ma una cosa posso dirvela: Jack Sparrow è finito nella tempesta due mesi fa e nessuno ne ha più saputo niente. E un'altra cosa. Riferite che Jack Sparrow deve venire a Isla Muelle. -
Lanthier sembrò sorpreso, ed esitò. - Ne sei sicuro?-
- No, è una richiesta che vi faccio!- sibilai, spazientita. - Portate il messaggio, vi prego. Jack Sparrow deve venire ad Isla Muelle subito. -
- E perché? Condanni questo posto, se Balthazar viene a sapere che Sparrow è da queste parti!- ribatté duramente Lanthier, voltandosi di scatto verso di me: un altro attimo e avrebbe chiamato i suoi uomini.
- Voi ditelo lo stesso. E quando Sparrow arriverà, forse scoprirete da quale la parte vale la pena stare. - a metà della frase scostai la tenda e mi precipitai fuori, cogliendo Lanthier di sorpresa, e lo sentii gridare un ordine ai suoi uomini un attimo troppo tardi.
Trapestio di piedi e grida di allarme alle mie spalle. Attraversai correndo il fondo della sala principale e poi mi fiondai su per le scale, quasi scontrandomi con gli avventori. Altre grida. Mi precipitai verso le camere del primo piano, mi buttai dentro la prima porta aperta che trovai e mi chiusi dentro.
Mi sentivo il cuore in gola, ma intanto provavo anche una sensazione di assurdo trionfo. Hah! Non avevo ottenuto niente, in realtà. Tuttavia, quelle due parole scambiate con Lanthier erano più di quanto avessi fatto in direzione di Jack in due interi mesi.
Febbrilmente mi liberai del cappello e della giacca, li appallottolai e li buttai sotto il letto. Appoggiando l'orecchio alla porta non mi sembrò di sentire niente di diverso dal solito fracasso serale. Lanthier aveva denunciato lo strano incontro alla latrina? Si era messo in cerca dello sconosciuto in fuga? Di certo la mia corsa precipitosa su per le scale non era passata inosservata, ma era improbabile che succedesse qualcosa di grave, a meno che Lanthier non decidesse di sollevare un gran polverone e indire una caccia all'uomo.
Cinque minuti dopo mi fu chiaro che non sarebbe successo niente del genere. Mi ricomposi, cercai di assumere la mia migliore espressione da cameriera ignara e aprii la porta, sbirciando nel corridoio prima di azzardarmi a mettere un piede fuori dalla stanza.
Proprio mentre uscivo vidi una figura comparire improvvisamente in cima alle scale, e dovetti controllarmi per non sobbalzare... ma era Nathaniel. Il giovane Hawk aveva visto qualcuno correre come un pazzo fuori dalle latrine inseguito da Lanthier e da un paio di uomini: probabilmente era salito a controllare cosa stesse succedendo dopo avere calmato gli animi del capitano. Lessi tutto nella sua espressione quando i suoi occhi incontrarono i miei: per un attimo rimase fermo in cima alle scale, mentre l'espressione adirata del suo viso si trasformava subito in un inequivocabile “Che diavolo ci fai tu qui?”.
Gli feci segno di fare silenzio con l'indice davanti alle labbra, poi, camminando con fare più tranquillo che potevo, lo raggiunsi sulle scale. - Che succede, Nathaniel? Quassù è tutto a posto. - gli dissi, in tono eloquente.
- Sì, lo vedo. - rispose lui nello stesso modo, poi mi fece un cenno e insieme ci allontanammo dalle scale, avvicinandoci di nuovo alle camere del primo piano, lontano dalla balaustra che dava sulla sala principale in modo da poter parlare in privato. Appena fummo fuori vista, lui mi afferrò per le spalle.
- Cosa diavolo sta succedendo?- sibilò, stranito. - Lanthier non ha voluto dirmi niente, ma eri tu la persona che è corsa come una pazza fuori dalle latrine, vero? Cosa accidenti stavi cercando di fare?-
- Pisciare non era un'opzione credibile, vero?- mi trovai a ridacchiare tra me, anche se sapevo che questo lo avrebbe solo fatto irritare. - Scusa, Nathaniel. Comunque sì, ero io e mi stavo procurando informazioni. Mi dispiace di essermi fatta notare... Lanthier ha detto qualcosa?-
- Niente. - il giovane scosse il capo, e notai l'espressione turbata dei suoi occhi castani. - Sono intervenuto quando ho visto lui e i suoi correre fuori e cercare per la sala con le pistole in pugno, ma appena sono intervenuto lui ha calmato i suoi e mi ha detto qualcosa come “Tutto a posto, amico, non vogliamo guai”. Tu eri l'ultima persona che mi aspettavo di trovare quassù... anche se diavolo, avrei dovuto immaginarlo: ho visto come sbirciavi quando ci ha fatto vedere il manifesto. - strinse gli occhi. - Allora, di cosa si tratta? In realtà Lanthier lo conosci? Conosci i Pirati Nobili?-
- Se dico di sì ad entrambe, smetterai di farmi domande?- sussurrai, irritata, mentre non smettevo di guardarmi in giro: ci eravamo fermati a confabulare in un angolo.
- No. È ora che mi spieghi qualcosa. -
- Conosco Lanthier di faccia, ma lui non conosce me. Speravo di strappargli qualche altra informazione, ecco tutto. -
- E Sparrow? Conosci anche lui?- la presa di Nathaniel sulle mie spalle si fece più stretta. Decisi di temporeggiare.
- Lo conosco, così come conosco i Pirati Nobili. Va bene?-
Improvvisamente il giovane mi fissò con aperto stupore, e per qualche momento sembrò avere perso le parole. Poi rincarò. - Sono loro che stai aspettando, allora? I Pirati Nobili? Ma sei impazzita?-
- Qualcosa del genere. Va bene?-
Nathaniel sibilò tra i denti, in un gesto esasperato, poi lo vidi sforzarsi di addolcire l'espressione.
- Ma perché non vuoi dirmi nulla?- domandò, e sembrava quasi ferito.
- Perché è quella la gente con cui tratto di solito. - indicai rabbiosamente le scale per riferirmi al capitano Lanthier e alla sua risma. - E non posso sapere chi è dalla parte di chi fino all'ultimo momento. E poi, da quanto ha detto Lanthier, non è che sia un buon momento per i pirati questo, non trovi? C'è un cacciatore di taglie in giro per queste acque. Chi è Balthazar, a proposito?-
Nathaniel si strinse nelle spalle, e finalmente smise di tenermi così stretta: si scostò un po' da me, gentilmente, e anche il suo tono sembrò tornare lentamente normale. - Io non lo conosco, ma so per certo che mia madre ne ha sentito parlare. È un cacciatore di pirati ed è famoso, ma è tutto quello che so. Hai paura di Balthazar, adesso?-
- Di certo non mi piace che ci sia in giro qualcuno pagato per uccidere i pirati, oltre alla Marina che almeno so riconoscere da lontano. -
- Vuoi metterti in contatto con i Pirati Nobili. - disse lui, scrutandomi. Non era una domanda: era convinto di aver capito che collegamento c'era tra me e Lanthier. Beh, era abbastanza vicino alla verità.
- Vorrei farlo. - ammisi. Per un lunghissimo istante restammo in silenzio, e Nathaniel rimase semplicemente a guardarmi: come al solito riuscivo a leggergli in faccia ognuna delle sue emozioni, e capii che in quel momento stava combattendo contro qualcosa, forse qualche idea che gli era appena venuta e che si ribellava all'interno della sua mente. Vedevo chiaramente che stava rimuginando e avrei voluto pregarmi di dirgli a cosa stava pensando, ma sapevo che non dovevo forzarlo. E poi mi fidavo di lui. La famiglia Hawk mi voleva bene, e se c'era una cosa su cui contavo era il loro appoggio.
Per un momento strano, gli occhi di Nathaniel si velarono improvvisamente, e lui mascherò le proprie emozioni come di solito non riusciva mai a fare. Tornò calmo e composto, e mi fissò in silenzio ancora per un istante prima di chinarsi ancora verso di me, abbassando la voce.
- Dopo ne riparliamo. - mi disse a voce bassa. Era troppo vicino, mi accostava le labbra all'orecchio e sentii contro la guancia la ruvidezza della sua guancia mal rasata. Sobbalzai come se mi avesse punto e mi scostai, cogliendo di sorpresa tanto lui quanto me.
Mi lasciò andare e sollevò le mani, come a garantirmi che non aveva avuto intenzione di spaventarmi.
- Dopo ne riparliamo. - ripeté, deciso. - Stasera, quando chiudiamo, vieni da me e dai ragazzi. Stai tranquilla, non dirò niente di te a nessuno di loro: diremo soltanto che vogliamo saperne di più sui Pirati Nobili. Forse ti possiamo aiutare. -
Ero così sbalordita che non riuscii nemmeno a dirgli grazie. Si allontanò da me e tornò verso le scale, voltandosi solo un'altra volta per farmi un cenno con la mano e ripetermi piano: - Dopo. -
E aveva il suono di una promessa solenne.



Note dell'autrice:
Bene bene. Rieccomi, stavolta anche abbastanza puntuale! Mi sono presa una piccola pausa dal mio progetto originale e sono tornata alla fanfiction... ed è stato come fare una rimpatriata con dei vecchi amici. Che dire, il materiale prodotto è tanto e ho aspettato di avere pronti almeno un paio di capitoli nuovi prima di pubblicare questo, quindi potrei dire che i prossimi aggiornamenti potrebbero essere più regolari. Ma non lo dico, perché ogni volta che l'ho detto poi sono passate ere geologiche tra un capitolo e l'altro.
Ma veniamo a noi! Aishia e Hayleen che giustamente sperano in tempi di attesa un po' meno dilatati: posso solo promettervi che farò del mio meglio! E grazie come al solito per le vostre recensioni e la vostra fiducia. Fannysparrow, sono sempre felice di ricevere conferme, e sapere di stare rendendo giustizia ad un personaggio che non mi appartiene è sempre una conquista. Per rispondere alle tue domande: i titoli ai capitoli. Non metterli, stavolta, è stata una scelta voluta. Di solito li ho sempre messi, ma per questo quinto episodio ho deciso deliberatamente di escluderli, per molti motivi. Il primo è che mi distraevano. Anche se li ho sempre trovati affascinanti per decretare un po' il "tono" o il tema di un capitolo, alla lunga dover inventare niente meno che decine di mini titoli che fossero originali e accattivanti era diventato faticoso. Inoltre, la divisione in capitoli, stavolta, si sta facendo da sè: un paragrafo che avevo programmato in questo capitolo è finito nel prossimo per pura e semplice omogeneità. Perciò, stavolta, niente titoli ai capitoli.
Ma eccoci, come sempre, arrivati all'angolo delle fanart: stavolta Captain Alwilda mi ha onorata addirittura di una Valentina piratesca. ^^
Questa invece è opera mia mentre mi sgranchivo un po' le dita lavorando sui miei capitani. Mentre Questa è diventata il mio nuovo avatar, grazie anche alle lezioni di colorazione gentilmente offerte da Daniela! Chiunque abbia voglia di venire a trovarmi anche su DeviantArt per sproloqui o curiosità, è sempre il benvenuto.
Wind in your sails!

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


Capitolo 5



- Ma assolutamente, capitano Turner, facciamo ottimi prezzi per ogni tipo di riparazione e offriamo soltanto il meglio, di questo non dubitate! Però capirete certe che nel vostro caso si tratta di un lavoro lungo e dobbiamo occuparci non di una, ma di due navi! Facciamo così: ormeggiatele tutte e due nel mio cantiere e comincerò ad occuparmene subito. Ovviamente ci vorrà qualche giorno, anche perché sto aspettando rifornimenti di materiali... -
Will strusciò un piede a terra. Erano da mezz'ora nella bottega del carpentiere, adiacente al cantiere che si affacciava sulla baia, e l'uomo sembrava avere tutte le intenzioni di tirarla per le lunghe.
Tutto quello che voleva erano le riparazioni necessarie per la Perla e la Sputafuoco, e le voleva in fretta. Era stato paziente, non aveva nemmeno tirato sul prezzo, e invece adesso era il carpentiere a tirargli fuori mille scuse. Qual era il problema, non voleva fare il lavoro? No, certo che voleva farlo. Ma continuava ad insistere che ci sarebbe voluto tempo tempo, tempo che probabilmente loro non avevano.
Elizabeth, al suo fianco, gli strinse brevemente il braccio tradendo la sua stessa impazienza.
- Capiamo perfettamente, signore, però siamo anche di fretta e saremo più che felici di ricompensarla lautamente per ogni giorno che riuscirà a farci risparmiare!- saltò su la giovane donna, cercando di troncare l'interminabile chiacchiericcio del proprietario. Nemmeno quell'offerta sembrò però bastare a zittirlo.
- Troppo generosi, troppo generosi miei signori, ma sapete, è per via dei prezzi e dei tempi di consegna... - continuava a blaterare. - Datemi qualche giorno. Solo qualche giorno, ve lo assicuro. Mettetevi nelle mie mani, e portate da me le vostre navi. -
Barbossa era accanto alla porta, e non aveva aperto bocca durante tutta la trattativa.
Will si distrasse per qualche momento dal chiacchiericcio del carpentiere per concentrarsi sul vecchio capitano che seguiva lui ed Elizabeth come un'ombra. Il modo in cui se n'era stato tranquillo nell'ultimo anno aveva dell'incredibile. Forse era complice il fatto che, durante il loro lungo viaggio in Europa, la Perla e la Sputafuoco erano venute a contatto sempre più di rado. Tuttavia, Barbossa sembrava avere dimenticato completamente Jack e si era dedicato anima e corpo al suo ruolo di secondo ufficiale.
Per il giovane Turner era strano ammettere quanto capitan Barbossa fosse diventato fondamentale per la sua nave. Lui ed Elizabeth lavoravano sodo, ma c'era anche David a cui badare, che ormai era diventato abbastanza grande e avventato da infilarsi senza paura in ogni angolo della nave. C'era il vecchio Trentacolpi, che sapeva come mantenere la disciplina a bordo e che si faceva sentire da un capo all'altro della Sputafuoco con le sue imprecazioni e col clangore infernale delle pistole che gli ballavano addosso. Ma al timone c'era quasi sempre Barbossa, ed era con lui che Elizabeth e Will si consultavano per tutte le decisioni.
E il vecchio capitano riempiva il tempo in mille modi: tutti inquietanti. Will l'aveva visto riempire la sua cabina di tomi raccolti in giro per il mondo, quasi tutti riguardanti le antiche leggende e perfino la stregoneria. Si era messo a catturare rane velenose e chiuderle in barattoli. Qualche giorno dopo, quando William per caso aveva curiosato nella cabina del suo primo ufficiale, le rane erano tutte sparite, ma c'era un cofanetto pieno di piccolissime fiale, tutte contenenti qualcosa dall'odore acre.
In realtà, le cose avevano inevitabilmente iniziato a guastarsi da quando Jack aveva cominciato ad avere costantemente bisogno di loro. Will sapeva che Barbossa non avrebbe sopportato a lungo lo stato di indolenza in cui Jack si era lasciato cadere: qualcosa presto sarebbe esploso, se la situazione non si sistemava, e subito.
Gocce di sudore sulla fronte del carpentiere. La giornata era stata torrida, ma adesso era sera e cominciava a fare fresco. Poteva essere solo un dettaglio irrilevante, ma...
Ad un tratto Barbossa si mosse, attraversando la bottega a grandi passi. Teneva le braccia incrociate e non si era tolto il cappello, entrando: la sua figura era più cupa che mai, e il carpentiere sobbalzò involontariamente quando lo vide avvicinarsi così all'improvviso.
- Ditemi, buon uomo. - disse con la consueta voce strascicata che nascondeva una velata minaccia. - Dov'è finito il giovane garzone che avete mandato a prendervi i libri contabili venti minuti fa?-
Il carpentiere balbettò qualcosa in risposta, ma Barbossa non finse neanche di ascoltare le sue scuse. Con rapidità inaspettata si fece avanti e abbrancò l'uomo serrandogli le braccia contro il corpo, e puntandogli una pistola alla testa.
- Siamo ricercati, mi ci gioco la pelle. - disse poi con tranquillità a Will ed Elizabeth, che avevano sussultato vedendo il suo scatto. - Non strillare, bastardo, se ci tieni a non vedere il colore del tuo cervello. Chi hai mandato a chiamare? Chi è così importanti da farti tradire gente rispettabile come noi, eh?-
- Non voi! Non voi!- gemette il carpentiere, con gli occhi strabuzzati e la voce ridotta ad un sibilo strozzato. Spostò lo sguardo dalla canna della pistola per puntarla disperatamente su Elizabeth e Will. - Non volevo tradire voi, signori, lo giuro!-
- Vi ha convinto?- domandò pigramente Barbossa, alzando gli occhi al cielo. - A me non sembra. A quanto pare dovrò praticare qualche foro. -
- No, no!- strillò l'uomo, senza osare dimenarsi. - Giuro! Sparrow, è Sparrow che vuole! La Perla Nera! Sparrow!-
- Chi lo cerca?- domandò Will, stringendo i denti. Elizabeth si era avvicinata alla porta, con la mano sulla spada: tutta quella storia non poteva che finire male, ed era meglio tenersi sgombre le vie di fuga.
Il carpentiere non collaborava, e Barbossa fece scattare il cane della pistola.
- Chi, razza di vermiciattolo insignificante? Dimmi il nome del bastardo a cui hai tentato di venderci!- aveva un modo di pronunciare le parole con calma terribile, come se ognuna di esse fosse una promessa di morte. Il carpentiere aveva le lacrime agli occhi, e le parole gli uscirono di bocca come un guaito.
- Balthazar! Che il cielo mi perdoni, io ho una famiglia, capite! È Balthazar che lo cerca, è lui!-
Will vide gli occhi grigio ferro del capitano oscurarsi, ed ebbe un brivido. Chiunque riuscisse a strappare a Barbossa un'espressione preoccupata era senza dubbio qualcuno da temere.
Improvvisamente, una palla di pelo a quattro zampe entrò di corsa dalla porta principale, squittendo forte: era la scimmia di Barbossa, che andò ad arrampicarsi svelta sulla spalla del capitano. Elizabeth si voltò e fece ai due un cenno frettoloso.
- La strada è libera, andiamocene ora!-
Barbossa lasciò il carpentiere e con un calcio lo buttò lungo disteso sul pavimento dietro al bancone come un sacco vuoto. La scimmia gli stava aggrappata come se gli stesse bisbigliando qualcosa in una lingua nota solo a loro due. Senza aggiungere una parola, i tre si precipitarono fuori dalla porta e corsero verso il molo.

*

Faith era seduta sul suo posto preferito sotto l'albero maestro, tenendo tra le mani la bussola di Jack.
Si era ripromessa di smettere di guardare e riguardare quel piccolo oggetto, eppure, in un modo o nell'altro, la curiosità l'aveva sempre vinta. Con un dito sollevò un poco il coperchio, sbirciando il quadrante alla luce arancione delle lampade. L'ago dondolava lievemente, ma le sembrava che la direzione non fosse cambiata. O così pareva.
Di nuovo distolse lo sguardo, girandosi per lasciare vagare gli occhi verso le sartie e le vele messe all'imbando che si muovevano piano nella brezza serale... poi, di scatto, tornò a guardare il quadrante.
Ah! Non poteva sbagliarsi! Stavolta l'ago si era mosso appena verso destra. Richiuse frettolosamente la bussola: la scoperta non aveva fatto altro che confermare i suoi timori, e quindi accrescere la sua ansia.
Possibile che il capitano non avesse torto e che quell'oggetto non fosse davvero affidabile? Eppure ne aveva sentito parlare così tante volte da Gibbs, da Elizabeth e William, dallo stesso Jack... da Jack non così spesso, ora che ci pensava. Chissà, cominciava decisamente a sospettare che da tempo il capitano non riponesse più tanta fiducia nella sua bussola, e solo adesso che la stringeva tra le mani cominciava a capire perché.
Le stava indicando veramente il posto in cui era finita Laura? E come poteva esserne sicura, se in ogni momento della giornata le sembrava di vedere l'ago spostarsi in altre direzioni?
La sua sola consolazione era il pensiero che Will avesse accuratamente preso nota della direzione indicata dalla bussola quando lei aveva pensato intensamente all'amica e si era concentrata solo sul desiderio di ritrovarla. Ora seguivano quella. Ma, se ci fosse stato bisogno di ricontrollare ancora la rotta, Faith non era affatto sicura di poter fornire uno strumento efficace.
Era talmente immersa nei suoi pensieri, che una voce alle sue spalle la fece quasi cadere da dove stava seduta.
- Allora, come si comporta?-
Dannazione alla capacità di Jack di comparire alle spalle di qualcuno quando meno se lo aspettava. Faith quasi si chiuse le dita nel coperchio della bussola e si voltò di scatto verso il capitano, trovandolo in piedi a meno di un passo da lei.
- Da quanto tempo eri lì?!- esclamò, senza riuscire a controllare la voce che le uscì in una nota fin troppo acuta. Vedendo la sua sorpresa, Jack represse una risatina.
- Scusa. Ti giuro che non avevo intenzione di spaventarti. -
- Non... - Faith si fermò, poi scosse il capo. - Niente. Non fa niente. Ero solo concentrata, tutto qui. -
- Qualche problema?- il capitano accennò col capo allo strumento che teneva tra le mani. La ragazza tentennò, chiedendosi se avesse senso nascondere i timori che la scuotevano: dopotutto Jack aveva dato a lei la bussola perché era convinto che potesse farne un uso migliore, no?
- Mi sembra che l'ago si sposti, ogni tanto. - ammise. - Certo, comunque abbiamo preso nota della rotta e non si muove in continuazione come dicevi che faceva con te... Però, ecco, un po' sono preoccupata. Non vorrei che perdessimo la traccia. - si morse il labbro. - Ora capisco come deve essere cercare di usarla. -
Jack annuì lentamente, poi però si strinse nelle spalle e tese una mano per dare un buffetto su quelle di Faith, chiuse sopra la bussola.
- È solo un oggetto capriccioso. - disse in tono strano; triste e quieto insieme. - Il problema è che, se non sei davvero bravo ad usarlo, finisce per indicarti soltanto quello che desideri... - si batté un indice sulla tempia. - ...ma non quello che vuoi. Comprendi?-
Sulle ultime parole si era chiuso il pugno sul cuore. Faith alzò lo sguardo per guardarlo negli occhi e gli fece un piccolo sorriso, annuendo.
Improvvisamente si sentì del trambusto oltre la murata della nave, giù nel molo.
Jack e Faith alzarono gli occhi all'unisono e videro Elizabeth, Will e Barbossa che correvano a rotta di collo lungo la banchina come se avessero alle calcagna tutti i demoni dell'inferno. Per un attimo Faith si chiese se non si fosse fatta ingannare dall'oscurità, ma non c'era dubbio: erano proprio loro.
- Oh. - commentò Jack, alzando le sopracciglia fino a farle sparire sotto la bandana. - Mi sa che abbiamo un problema. -
Sull'orlo della banchina il gruppo si divise, e Will si diresse di corsa verso la Perla Nera. Per un istante sembrò che Barbossa esitasse, come se fosse sul punto di girare i tacchi e dirigersi anche lui verso la Perla, ma dopo quell'istante seguì direttamente Elizabeth che stava già salendo a bordo della Sputafuoco gridando di prendere il largo.
- Molliamo gli ormeggi!- le fece eco Will, gridando l'ordine alla ciurma della Perla non appena ebbe messo piede a bordo. - Immediatamente! Prendiamo il largo e andiamocene via di qui, subito!-
Faith saltò in piedi, allarmata, mentre gli uomini della ciurma si affrettavano ad eseguire l'ordine senza bisogno della conferma di nessuno: in pochi secondi il ponte brulicava di pirati, e le vele venivano sciolte in tutta fretta. In barba all'urgenza di Will, invece, Jack si alzò in piedi più lentamente e, con aria corrucciata, gli chiese: - Qualcuno vi ha inseguiti, William?-
Lui scosse il capo, continuando a tenere d'occhio la banchina: era buio, e il molo era quasi deserto, ma non si sarebbe sentito tranquillo finché non si fossero allontanati.
- Non ho visto nessuno, ma potrebbero. Jack, siamo ricercati! Dobbiamo andarcene subito! Il carpentiere stava cercando di trattenerci e ha mandato un informatore a riferire che ci troviamo in porto... -
- Riguardo al partire, noto che lo stiamo facendo. - le vele nere si dispiegarono contro un cielo dello stesso colore, e la nave cominciò a muoversi. A poche braccia di mare di distanza, la Sputafuoco stava facendo altrettanto grazie agli ordini di Elizabeth. - Riferire a chi, a proposito?-
Solo quando ebbe appurato che entrambe le navi stavano finendo rapidamente le manovre per uscire dal porto, e che nessuno stava cercando di fermarli, il cuore del giovane tornò a battere ad un ritmo quasi normale. Senza fiato per la corsa e per il nervosismo, Will si appoggiò contro il parapetto.
- Ti dice niente il nome Balthazar? È l'unica cosa che ha detto il carpentiere. -
Faith si voltò per scrutare l'espressione di Jack, ma per una volta il viso del capitano non tradì altro che sorpresa. Jack si portò un braccio dietro la testa e si grattò pensosamente sotto la bandana.
- Beh, conoscevo uno che faceva tatuaggi che si chiamava così, ma non credo che sia la persona a cui ti riferisci... -
- Non lo so chi è!- scattò Will, spazientito. - Ma sembrava saperlo Barbossa. Potrebbe essere importante. -
- Potrebbe. - concluse il capitano con un cenno del capo, ma poi non sembrò per niente interessato ad indagare sull'argomento.
La priorità fu portare la Perla e la Sputafuoco lontano dal porto il più velocemente possibile, e rinunciare alle riparazioni: fortunatamente, le tenebre favorirono la fuga e sembrò che non ci fosse proprio nessuno ad inseguirli o troppo interessato ai loro spostamenti. Un paio di barche più piccole si scansarono quando videro i due velieri puntare verso il mare aperto e per nulla intenzionati a deviare dalla loro rotta ma, a parte quelle, in giro non si vide anima viva.
Le luci dell'isola erano alle loro spalle, e ancora una volta stavano navigando sotto le stelle.
Appoggiato alla murata, Jack alzò lo sguardo verso il cielo, poi verso l'orizzonte buio, mentre passava le mani sul legno scuro con aria pensosa.
- Anche questa notte la passeremo in mare aperto. - commentò, senza tradire nessuna emozione. Will e Faith erano ancora con lui, e lo stavano fissando con aria quasi d'accusa. Sentendo i loro sguardi indagatori su di sé, Jack si limitò a voltarsi e a puntare gli occhi su Faith.
- Abbiamo ancora una rotta, miss Westley?-
La giovane aprì la bussola, la guardò per un secondo, quindi annuì rigidamente.
- Bene. Allora continuiamo ciò che ci eravamo proposti di fare, comprendi? Teniamocela stretta e seguiamola, finché stiamo a galla. -

*

A notte fonda, le due navi avevano fatto una sosta e si erano accostate per lasciare che i capitani facessero il punto della situazione. Dal modo in cui Barbossa piombò sul ponte della Perla, però, fumando di rabbia e con gli occhi spiritati, fu chiaro che parlamentare non era nelle sue intenzioni.
- Fatemi passare, branco di smidollati!- ringhiò, scostando con una spallata Will, che era venuto avanti cercando di trattenerlo.
Il giovane barcollò all'indietro, sbigottito, ma questo non gli impedì di replicare in tono tagliente: - Barbossa! Ti ricordo che sono ancora il tuo capitano. -
- Davvero?- un lampo pericoloso brillò negli occhi del pirata, qualcosa che il giovane Turner non aveva visto per anni. - Non su questa nave, signor Turner. -
Will esitò solo per un momento, poi sguainò la spada e la puntò contro il petto di Barbossa, che stava per proseguire indisturbato verso il cassero di poppa. La scimmia, seduta sulla murata, soffiò minacciosamente. Barbossa si limitò a fulminarlo con lo sguardo, e la sua mano si spostò verso la propria spada, con calma, come se lo stesse avvertendo.
- Barbossa!-
La voce di Elizabeth e uno scatto metallico poco lontano dal proprio orecchio fecero voltare il vecchio capitano: miss Swann era di fianco a lui e gli puntava una pistola contro la testa.
- Non toccate quella spada. Vi avverto. -
Barbossa sbuffò, sprezzante, ma allontanò le mani dalla spada con un gesto esasperato.
- Non lo farete, miss Turner, per quanto vogliate dimostrarvi caparbia. Adesso basta con queste pagliacciate: lui dov'è?-
Will non rispose, ma sapeva che Jack si era di nuovo ritirato in cabina appena si erano allontanati a sufficienza dall'isola, senza dare spiegazioni e senza dare segno di voler parlare dell'accaduto. Davanti al suo silenzio, Barbossa fece un sibilo spazientito e scostò la sua spada con una mano, senza incontrare resistenza, e si diresse a grandi passi verso la porta della cabina.
Will ed Elizabeth lo seguirono da vicino. L'espressione dura di Elizabeth era imperscrutabile, e William segretamente si chiedeva se Jack avrebbe finalmente reagito all'intrusione dell'odiato rivale, e se questo potesse essere considerato un buon segno.
Barbossa spalancò la porta degli alloggi del capitano.
E rimase paralizzato sulla soglia.
- Fuori di qui, Hector. -
C'era un cannone nel mezzo della stanza, con la bocca rivolta verso la porta, quasi esattamente a due passi dal torace di Barbossa. E Jack stava pigramente seduto sopra al cannone, giocherellando con l'esca che teneva in mano. Fissò il capitano rivale con sguardo glaciale, mentre Elizabeth e Will si bloccavano sulla soglia alle sue spalle.
- Tu lurido figlio di... -
- Mi hai sentito? O devo essere un po' più... rumoroso?- senza distogliere gli occhi da Barbossa, Jack allungò il braccio che reggeva l'esca e mise questa ad accendersi sopra la fiamma di una candela appoggiata sul tavolo vicino.
- Jack... - mormorò Will, incerto.
- Rilassati, Will. Io ed Hector qui stiamo solo chiacchierando amabilmente. - la punta dell'esca si colorò di arancione mentre diventava incandescente, e Jack se la tirò di nuovo accanto, giocherellando vicino alla miccia del cannone. - E adesso, scendi dalla mia nave e porta con te le tue stramaledette intenzioni bellicose, prima che ti butti fuori io con una palla di cannone in corpo. -
- Non ne hai il fegato, pagliaccio. Non ne hai mai avuto il fegato. - sibilò Barbossa.
- Vogliamo provare?- esclamò Jack, alzando improvvisamente la voce: l'esca era ad un palmo dalla miccia, e la sua mano fremeva leggermente. - Vuoi davvero mettermi alla prova adesso, Hector? Non mi dispiace come idea: anch'io sono molto curioso di vedere fino a dove potrei arrivare, comprendi?-
- Jack!- senza esitare o chiedere il permesso di nessuno, Elizabeth superò Barbossa -che ancora non si azzardava a muoversi- ed entrò in cabina, raggiungendo il capitano che se ne stava appollaiato sul cannone.
Jack non batté ciglio quando la vide farsi avanti, ma alzò l'esca e la mosse per indicare prima lei e poi Will come se fosse l'innocente bacchetta di un direttore d'orchestra.
- Voi due potete entrare. Ma lui o resta lì dove lo posso vedere, o se ne va subito al diavolo. - fece un cenno col capo ad Elizabeth, stirando le labbra in un sorriso cupo. - Se posso permettermi, Liz, non lo lascerei da solo sulla vostra Sputafuoco. Tende a farsi strane idee riguardo il possesso delle navi. -
- Stai zitto!- ringhiò Barbossa, spazientito, e si cacciò una mano nella tasca del panciotto per estrarne qualcosa che a Will sembrò un foglietto appallottolato, che buttò sul pavimento proprio ai piedi del cannone. - Lo sai che potrei toglierti la Perla da sotto i piedi in questo momento! Mi basterebbe fare due chiacchiere con la tua ciurma; nessuno è troppo contento di te. -
- Vorrei proprio vedere come farai, con un bel boccaporto nello stomaco. -
- Riflettici, Jack. Nessuno vorrà più stare dalla tua parte dopo che hanno visto quanto facilmente ti lasci abbattere. E per cosa? Per una donna?-
- Ultimo avvertimento. - Jack accostò l'esca alla miccia.
- Adesso basta!- scattò Elizabeth. - Tutti e due. Barbossa, che cos'è questo?- indicò il foglietto che aveva gettato per terra. Il capitano inarcò le sopracciglia, stizzito.
- Perché non guardi di persona?-
Elizabeth scambiò un'occhiata con Jack, il quale non sembrava avere la minima intenzione di scendere dal cannone, quindi la giovane si chinò a raccogliere il pezzo di carta mentre Will, a sua volta, passava dietro le spalle di Barbossa ed entrava nella cabina. Il vecchio capitano rimase solo sulla soglia, sotto il tiro del cannone, ma ancora non mosse un passo per spostarsi.
- La scimmia lo ha preso al garzone del carpentiere, quello che voleva incastrarci. Non so se dovesse consegnarlo ad un intermediario, o se il destinatario fosse già nelle vicinanze. Mi auguro che non si tratti della seconda ipotesi. -
Elizabeth lisciò le pieghe del foglietto e lesse ad alta voce: - “Jack Sparrow e la sua ciurma sono ad Isla Cueva. Avvisare Balthazar. Navi trattenute al cantiere per riparazioni.” -
- Qualcuno vuole dirci chi diavolo è Balthazar?- esclamò Will, facendo saettare lo sguardo tra i due capitani, che sembravano entrambi ignorarlo. L'espressione di Jack pareva scolpita nel granito, ed era strano vederlo talmente impassibile.
- Balthazar è un cacciatore di pirati. - sbottò Barbossa, storcendo le labbra in una smorfia di disapprovazione. - Dimenticatevi di persone come lord Beckett, anche se era quasi riuscito a schiacciarci tutti quanti. Balthazar non mira così in alto, ed è per questo che sbaglia raramente. È un cane da caccia. Era uno schiavo che si è dato alla pirateria, ed è riuscito a diventare talmente ricco e spietato che alla Marina stessa è stato conveniente assoldarlo segretamente come sicario. Balthazar ha tutto quello che vuole: l'unica cosa che gli mancava era l'impunità da parte della marina britannica, in cambio della testa di qualche pirata all'occorrenza. La regia marina gli chiede aiuto quando non vuole più rischiare di esporsi in prima persona. O quando non sa più che pesci pigliare. -
Jack fece roteare l'esca, disegnando per un istante un illusorio cerchio arancione con la punta incandescente.
- Mi sento veramente onorato. -
- Bene. - ringhiò Barbossa . - Perché se continuerai così ti legherò mani e piedi e ti darò in pasto a Balthazar, pur di non lasciare che metta le mani anche sulla Perla. -
- Coraggio, dammi qualche altro motivo per cui possa farti rinchiudere immediatamente in cella. - lo sfidò Jack, sogghignando. - Non aspetto altro. -
Ci fu un altro scatto metallico, e tutti si voltarono all'unisono a guardare oltre la soglia: alle spalle di Barbossa era comparso Gibbs, e gli stava puntando un fucile contro la schiena con aria assolutamente impassibile.
Barbossa roteò gli occhi, per nulla impressionato. - Vorrei tanto che tutti la smettessero di sentirsi al sicuro solo quando mi minacciano con un'arma. - commentò.
Gibbs lo ignorò e si rivolse a Jack in tono piatto, quasi annoiato. - Ho pensato che aveste bisogno di aiuto, capitano. - Non sembrava minimamente sorpreso per il piccolo dettaglio del cannone in mezzo alla stanza.
- Va tutto bene, Gibbs. - rispose il capitano, tranquillo. - Accompagna il signor Barbossa alla Sputafuoco, e assicurati che non parli con nessuno durante il tragitto. -
Barbossa fece un altro sospiro esasperato, ma prima di lasciarsi condurre via da Gibbs si girò un'ultima volta, fulminando Jack con un'occhiata glaciale.
- Sei patetico, e lo sai. - lo minacciò, con l'indice puntato verso di lui. - Non durerai a lungo, Jack. Con o senza il mio intervento. -
Si voltò senza aggiungere altro, e Gibbs richiuse la porta mentre lo conduceva lontano dagli alloggi del capitano. William rabbrividì, Jack roteò un'altra volta l'esca e ci soffiò sopra per tentare di spegnerla, notando poi con disappunto che così alimentala le braci e basta.
- Ti dispiace mettere via quell'affare?- fece Elizabeth, senza smettere di guardare preoccupata la miccia del cannone. - Non era carico... vero?-
- Tu che ne dici?- Jack le scoccò un'occhiata significativa, poi tuffò l'esca accesa in una bacinella piena d'acqua sporca appoggiata proprio di fianco al cannone, dove finalmente si estinse fumando. Will si passò una mano sulla bocca, raccogliendo il poco autocontrollo che gli era rimasto, prima di scoppiare.
- Tu sei pazzo!- scattò, allargando furiosamente le braccia. - Pazzo furioso! Ma cosa credevi di fare?-
- Io la chiamo “tutela personale”. - replicò Jack, con una scrollata di spalla, e scivolò placidamente giù dal cannone. - Ancora vi fidate del vecchio Hector, Will? Non vi preoccupate di ciò che potrebbe fare? Fossi in voi, a proposito, io terrei d'occhio il vostro prezioso piccolo David, per esempio. -
- Perché dici queste cose? Barbossa è con te che ce l'ha. - protestò Elizabeth.
- Non sono io che ho deciso di allevarmi una serpe in seno, Liz. Siete stati voi a farlo. Ed è per questo che credo che le nostre rispettive ciurme dovrebbero tornare ad ignorarsi cordialmente, prima che Barbossa imbastisca un altro ammutinamento a mie spese. -
- Se continui così, potrei essere tentato di aggregarmici, ad un ammutinamento contro di te. - fece Will, incrociando le braccia, per provocarlo. - Se servisse a farti reagire!-
Jack lo fissò, gelido, e diede una pacca al cannone che fece un suono sordo e metallico. - Così ho “reagito” abbastanza, per te?-
- Abbiamo un cacciatore di pirati alle calcagna, tutti quanti noi. - rincarò Elizabeth, mentre si metteva a camminare nervosamente avanti e indietro per la cabina: continuava a guardare ora Jack, ora Will, come se non sapesse da chi aspettarsi risposte. - Non è il momento di ammutinarsi. -
- No, infatti. - Jack rimase appoggiato con una mano al cannone. - Dovresti tornare sulla tua nave, Will. Dovreste tornarci entrambi. E badare a vostro figlio: uno dei Barbossa lo ha già usato in passato per ricattarvi, se non ricordo male. Non lasciateglielo fare un'altra volta. E non sottovalutatelo. Io tornerò a comandare la Perla: lo vedete meglio di me che questa collaborazione forzata ci sta distruggendo tutti. Tornerò ad essere il capitano Jack Sparrow e me la caverò. Io me la cavo sempre. -
Elizabeth annuì con pazienza, ma non sembrava averlo ascoltato davvero.
- Non dubito di questo, Jack, ma non di meno tu hai bisogno di noi. Teniamo Barbossa fuori da tutto questo, ma continuiamo a lavorare insieme. -
- Ma io non ne ho bisogno, miss Turner. - replicò lui, sempre con quel tono semiserio che aveva qualcosa di inquietante. - Io so cavarmela e posso cavarmela. Sono il capitano Jack Sparrow, come ho detto, e lo sarò fino alla fine. Peccato solo che non riuscirò a tornare in Europa per un bel po' di tempo, dato che è l'ultimo posto in cui sono stato con lei. -
- Smettila. - lo zittì bruscamente Will. - Mi chiedo se ti diverti a piangerti addosso in questo modo, sai? Non voglio più sentirti dire che Laura è morta, o finirai per credere a quello che dici. Chi starebbe puntando la bussola nelle mani di Faith, altrimenti?-
- E chi lo sa? Lo sai tu?- Jack strinse le labbra. - Abbiamo una rotta e la seguiremo. Ma non dirmi che cosa devo o non devo fare, comprendi?-
Per qualche istante calò il silenzio sulla cabina, senza che nessuno si azzardasse a replicare ancora. Jack e Will si scambiavano in silenzio sguardi indispettiti, ma fu Elizabeth a rompere il silenzio con un piccolo sospiro e una scrollata di spalle, come a significare che la discussione era chiusa.
- Come sei riuscito a portare qui dentro un cannone?- domandò, sconcertata, battendo con le nocche sul metallo.
Jack si strinse nelle spalle. - Mi ha aiutato Ettore. A volte quel giovane sembra odiare Hector anche più di me. -



Note dell'autrice:
Per prima cosa: ve lo assicuro, non è un pesce d'aprile!
In secondo luogo, sono molto contenta del successo dell'ultimo capitolo: Aishia, Fannysparrow, Hayleen, De33y, come al solito grazie a tutti voi per i commenti e per l'attenzione con cui seguite questa storia! Sono anche contenta di essere riuscita a confondere le idee con il sogno di inizio capitolo: ammetto che è stato un esperimento, volevo che fosse qualcosa che facesse dubitare e perdere l'orientamento per un attimo, proprio come un vero sogno. Felice di avere centrato il punto!
Ah, ho fatto un piccolo omaggio al Barbossa del quarto film di POTC, sebbene sia l'unico film della saga che non terrò in considerazione. Hector sta diventando un personaggio molto interessante da trattare.
Infine, ne approfitto per salutare qui Sara che è la mia migliore lettrice di sempre e che mi odierà per avere postato il capitolo nuovo mentre lei è in vacanza. E un saluto e un inchino anche a Captain Alwilda di cui intanto vi segnalo QUESTO lavoretto: perché un capitan Jack merita sempre una bella occhiata. ^^
Ahoy, mateys!

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


Capitolo 6



Eravamo tutti lì, ben oltre l'orario di chiusura della Sirena, ancora seduti attorno al tavolo.
Io stavo tra Nathaniel e Ben, scrutando gli altri quattro ragazzi che mi scrutavano a loro volta. Nathaniel mi aveva ripetuto i loro nomi, e cercavo di tenerli a mente: quello dai capelli biondi legati in un codino sulla nuca si chiamava Nicholas, il ragazzo tarchiato con una barbetta ispida e capelli ricci e neri era Conrad, uno alto, castano e con la faccia da bambino era James, mentre l'ultimo, barbuto come un orso ma sottile come un giunco, era Lawrence.
Non capivo perché Nathaniel mi avesse portato da loro. Onestamente, dubitavo che uno qualunque di quei giovanotti che avevano sì e no qualche anno più di me potesse dirmi qualcosa dei Pirati Nobili. Invece Nathaniel si fece serissimo e, dopo avere chiesto il silenzio e fatto le dovute presentazioni, premette i pugni sul tavolo con gesto marziale.
- Signori, qui sta succedendo qualcosa di molto strano. Intanto, non mi è piaciuto per niente il modo in cui ci ha parlato quel buffone del capitano Lanthier. Si è permesso di minacciarci. Dice anche che Balthazar sia da queste parti. -
Un brivido di nervosismo sulle facce dei ragazzi, ma durò per un istante appena e poi scomparve.
- Chi ti dice che fosse una minaccia?- lo provocò pigramente Nicholas, facendo un sorriso noncurante. - Magari era un avvertimento. Forse ti ha fatto un favore a dirti di Balthazar: almeno sappiamo che cosa aspettarci. -
- So riconoscere quando mi si minaccia. - ribatté lui, secco. - E quel tipo non mi piace per niente. Ma non siamo qui per parlare solo di lui... - si interruppe, fissando tutti loro negli occhi per qualche momento, stuzzicando la loro curiosità. - Ho bisogno che mi diciate tutto quello che sapete sui Pirati Nobili. -
Nicholas stava per dare fondo all'ennesimo boccale di birra che aveva ancora davanti, ma alle parole di Nathaniel si fermò e lo appoggiò bruscamente sul tavolo.
- I Pirati Nobili?- ripeté, molto più serio di prima, abbassando la voce. Per qualche attimo il suo sguardo si posò su di me con sospetto. - In che cosa ti stai cacciando, Nathan?-
- Riesci a non rispondere ad ogni domanda con un'altra domanda?- lo prese in giro Ben, che al contrario degli altri non sembrava minimamente turbato dall'argomento, ma se ne stava a braccia conserte e l'aria sorniona come se stessimo parlando del tempo.
Nicholas si strinse nelle spalle, senza voglia di scherzare. - Il loro quartier generale è al Palazzo, nella Baia dei Relitti. Ma questo lo sanno tutti. -
- E ci sapresti arrivare, alla Baia dei Relitti?- domandai, con un moto di impazienza. Questo mi guadagnò un'altra occhiata ancora più strana da parte sua.
Finse di pensarci sopra. - No. - ammise, scoccando intanto uno sguardo a Ben come a dimostrare che, sì, era in grado di dare una risposta diretta, quando voleva. - Le sue coordinate non sono per tutti, temo. Ma ora dimmi una cosa tu, Sirenetta. Come mai queste domande?-
Sapevo benissimo che mettermi a fare domande a loro avrebbe significato dover dare delle risposte a mia volta, ed ero preparata: decisi che valeva la pena rischiare, dovevo convincermi che Nathaniel era seriamente intenzionato ad aiutarmi.
- Perché voglio trovare i Pirati Nobili. Per questo ho bisogno di sapere dove si incontrano. -
Nicholas fece un basso fischio, senza però commentare oltre. Invece si intromise Conrad, che adesso si era fatto serio quanto gli altri e aveva abbassato la voce con fare cospiratore.
- Anche se dovessi trovare la Baia dei Relitti, non è detto che ci troveresti i Pirati Nobili. La Fratellanza si riunisce alla Baia soltanto quando viene chiamata a consiglio, ed è successo solo quattro volte. È molto difficile trovare uno qualunque di loro al Palazzo, a meno che non ci sia un'emergenza che richieda il loro intervento, ecco tutto. -
Cominciavo a perdermi d'animo. Questo corrispondeva a ciò che Jack mi aveva raccontato, anche se non avevo mai chiesto maggiori dettagli, e me ne pentii in quel momento.
Insomma, esisteva la Baia dei Relitti. Speravo in qualche modo di potermi recare là, nel posto più sicuro per ogni pirata, e trovare la maniera di contattare Jack. Ma continuavo a tornare al punto di partenza. Le idee mi si facevano sempre più confuse ogni momento che passava. Perfino il mio azzardato approccio con Lanthier per strappargli informazioni mi appariva ora per quello che era stato: pericoloso e probabilmente inutile.
- E qual è il modo di chiamarli a consiglio? La canzone?- domandai, ripescando dalla memoria frammenti dei racconti di Jack. Conrad annuì, e vidi anche gli altri concordare con lievi cenni d'assenso: di colpo sentii che stavamo parlando di qualcosa che suscitava in loro un timore quasi reverenziale.
- La canzone della Fratellanza. Sì, quella è un segnale, un richiamo. Ma non va usato alla leggera! Solo quando c'è qualche grande pericolo che minaccia tutta la comunità della acque dei Caraibi, quella canzone viene cantata da una costa all'altra, e allora i Pirati Nobili di radunano. - il giovane si strinse nelle spalle e scosse lentamente il capo. - Non so che dirti, ma non li troverai semplicemente andando alla Baia. -
- E poi, anche se li raggiungessi... - aggiunse Nicholas. - Non fanno passare chiunque. Le acque attorno alla Baia sono sempre sorvegliate, che la Fratellanza sia riunita o no. Quella è un'intera città di pirati, niente meno. Il palazzo potrà restare vuoto per la maggior parte del tempo, ma la città è una fortezza, ed è piena di gente che la difende. -
- Chi ci abita?- domandai, sempre più affascinata.
Il biondo fece un cenno vago. - Le famiglie dei pirati, pirati che si sono ritirati dal mestiere, schiavi liberati, ex membri di ciurme che si sono sciolte... chiunque abbia avuto qualche interesse a restare lì. -
- E il custode del Codice. - aggiunse improvvisamente James, in tono misterioso. Quell'uscita però provocò sbuffi di risate da parte degli altri, e Nicholas gli diede una manata scherzosa.
- Che c'è? È vero!- protestò James. - L'antico codice di pirati è conservato nel Palazzo, e con lui anche il suo custode! Che c'è di difficile da credere?-
- E magari credi pure alla storia del custode immortale? Andiamo!- lo derise Lawrence.
- Gente, stiamo perdendo di vista l'obiettivo. - li ripresi, prima che continuassero a bisticciare. - Quindi, sappiamo che esiste la Baia dei Relitti, ma non sappiamo dov'è o come raggiungerla, e anche se la trovassimo sarebbe difficile incontrarvi i Pirati Nobili. Questo non è molto d'aiuto. Qualche altra idea?-
- Chi cerchi, esattamente?- di nuovo Nicholas mi punzecchiava con le sue domande. Anche se ne capivo perfettamente la ragione, stavolta mi spazientii e ribattei bruscamente: - Perché ti interessa tanto saperlo?-
- Perché, secondo me, stai cercando disperatamente di tornare a casa. -
L'attimo di silenzio che seguì le sue parole sottolineò quanto giusta fosse stata la sua intuizione. Percepii, più che sentire, lo scatto nervoso di Nathaniel al mio fianco, e ad un tratto il giovane si sporse sul tavolo come a mettersi tra me e Nicholas.
- Fatti gli affari tuoi, Nicholas. - gli disse infatti, in tono gelido. - Vi ho chiamati qui per aiutarla, non per interrogarla!-
- No, aspetta. - lo toccai brevemente sulla spalla perché si facesse indietro: lo fece, rivolgendomi un'occhiata quasi stupita. Adesso tutti i suoi amici mi stavano fissando con aria di attesa, forse aspettando che confermassi o negassi.
- Nicholas ha ragione. - ammisi, semplicemente. - Sì, sto cercando di tornare a casa. Questo mi sembrava evidente fin dal primo momento in cui ho messo piede su quest'isola. -
- E hai bisogno dei Pirati Nobili. Accidenti, che famiglia altolocata. - non poté trattenersi dal commentare il biondo, sorridendo.
- Non dei Pirati Nobili. - lo corressi, con un piccolo sospiro spazientito. Avevo visto giusto: nessuno di loro sapeva molto più di me, e nessuno poteva davvero condurmi alla Baia dei Relitti. - Non necessariamente di loro. In realtà, mi basterebbe soltanto arrivare a Tortuga. Ci sarà pure qualche nave che passa per di lì!-
Anche a distanza di un anno, forse Tortuga non era ancora il posto in cui avrei trovato un'accoglienza tra le più calorose, ma c'era sempre la Lanterna Fioca, dove almeno miss Bondies mi avrebbe senz'altro accolta e forse sarebbe riuscita perfino a rintracciare la Perla.
Avevo degli amici, ne ero sicura, ma erano a miglia e miglia di distanza da dove mi trovavo. C'era il solito problema che mi aveva afflitto da due mesi interi.
- Nessun capitano darà passaggi gratis. - confermò James in tono cupo.
- E non posso lasciare che tu ti imbarchi da sola. Sarebbe troppo rischioso. - saltò su Nathaniel: sembrava più suscettibile del solito, e quella sua ultima frase mi infastidì. Lo conoscevo, ormai, sapevo quanto riuscisse ad essere assurdamente protettivo, ma lì, in quel momento e a quel tavolo, non era proprio il caso.
- Decido io cosa è troppo rischioso per me. - replicai, secca come un colpo di frusta.
- E il tuo grande piano quale sarebbe, travestirti da ragazzo e imbarcarti sperando che nessuno ti scopra?-
- Come se fosse la prima volta che lo faccio!-
- Ragazzi... - si intromise Ben, tranquillo, interrompendoci prima che ricominciassimo a battibeccare sul serio. - Così non arriviamo a niente. È vero, la Baia dei Relitti è un po' fuori mano, e qui nessuno sa come arrivarci. Tortuga è già più raggiungibile, ma non coi nostri mezzi. Nathan e io abbiamo solo la nostra barca, e Tortuga è troppo lontana per tentare un viaggio con quella. -
Mi tornò in mente la volta in cui Jack mi aveva raccontato di aver girato metà del mar dei Caraibi a bordo di una misera scialuppa fracassata, tutto da solo, quando aveva perso la Perla per la terza volta. Ma quella era una cosa da lui. E lui era completamente pazzo, qualità che mancava sia a me che ai miei attuali compagni.
Dio, dovevo smettere di pensare a quanto mi mancava.
- Per Tortuga possiamo solo aspettare. - continuò Ben. - Ma, in quanto alla Fratellanza, forse dovremmo tenere d'occhio Lanthier. Mi sembra l'unico che potrebbe saperne qualcosa. -
Aveva senso. Come, probabilmente, il capitano era l'unico a cui avrei potuto scroccare un passaggio fino a Tortuga. Era l'ultima persona di cui volevo fidarmi, eppure finora era il collegamento più stretto con quello che avevo perduto.
- E teniamolo d'occhio, allora. - sospirò Nathaniel, con una smorfia carica di malcelato disprezzo. - Lo avrei fatto comunque. Insisto che quel tipo non mi piace per niente, e dovremo stare attenti fin tanto che lo vediamo gironzolare qui attorno. -
- Dovrai fartelo piacere. - lo rimbeccò suo fratello, con un sorrisetto divertito. - Da quanto abbiamo visto in porto, la nave resterà fissa qui ancora per un po' per i rifornimenti. Mi sa che lo avremo tra i piedi ancora per qualche giorno. -
Avevo ancora qualche giorno per scoprire tutto il possibile...
O per mettere piede sulla nave di Lanthier, in un modo o nell'altro, e usarla per tornare a casa.

*

- Dimmi che non stai pensando quello che penso. -
- Come?- ero distratta, e mi voltai verso Nathaniel senza avere afferrato del tutto la sua domanda.
Il nostro piccolo “raduno clandestino” era stato sciolto, e i suoi giovani amici se ne erano andati lasciando la sala della Sirena vuota e silenziosa. Ben se l'era filata di sopra, felice di poter andare finalmente a dormire, mentre Nathaniel non si era ancora deciso a togliere il disturbo anche se io mi ero diretta con le migliori intenzioni verso le camere del retro: ancora qualche minuto e sarei crollata dal sonno.
Eravamo nel corridoio, in penombra dato che Nathaniel stava spegnendo le lampade rimaste. Quando mi voltai verso di lui si schiarì la voce e ripeté la frase, scrutandomi con fare inquisitore.
- Dimmi che non ci stai pensando seriamente. Ho visto che sguardo avevi alla fine. -
- Io no. Illuminami. - era davvero troppo tardi e io avevo troppo sonno per gli indovinelli.
- La nave di Lanthier: finora è l'opzione migliore, no? Stai davvero pensando di imbarcarti con lui. -
- Oh, quello. - sorrisi apertamente, sapendo che gli avrebbe dato fastidio. - Sì, ci sto pensando. E allora? Te l'ho detto: è quella la gente con cui ho a che fare di solito. Non credere che quel genere di compagnia mi piaccia, o che mi fidi del capitano. Semplicemente è una nave di pirati, e questo vuol dire che presto o tardi passeranno per Tortuga!-
Nathaniel sembrò sul punto di ribattere duramente, ma si fermò e fece invece un lungo sospiro. Mi sorpresi a pensare che adesso sembrava preoccupato sul serio.
- Prima, quando hai detto tutte quelle cose sull'imbarcarti come clandestina, travestirti da uomo, e di aver già fatto cose del genere in passato... - disse, in tono vagamente impacciato. - Gli altri l'hanno preso come uno scherzo, ma tu mi hai fatto capire benissimo che è tutto vero. Non ti sto sottovalutando, anzi. Credo che tu sia pronta a fare qualsiasi cosa, e questo mi fa preoccupare per te. Sono sempre stato preoccupato per te, fin dall'inizio. -
Lo disse in tono così accorato che per un momento quasi mi sentii in colpa per averlo sfidato così apertamente con le mie provocazioni. Ero abituata alla sua presenza e alle sue attenzioni, ma saperlo davvero preoccupato per me, sapere che ci teneva... beh, era una lusinga inaspettata.
Era imbronciato, e i suoi occhi castani e liquidi come se fossero umidi sembravano ancora più grandi, cosa che contribuiva a dargli un che da bambino ferito. Lì per lì ebbi la tentazione di abbracciarlo, solo per ridere del suo broncio e ringraziarlo per ciò che mi aveva detto, per tutto. Però non lo feci; semplicemente gli sorrisi e dissi: - Lo so, Nathan. -
Ricambiò leggermente il sorriso, anche se lo sguardo da bambino offeso non se ne andò dal suo volto. Tutto sommato, era carino quando lo faceva.
- Quindi sai anche che non voglio lasciarti andare da sola. - insisté. - Non rischiare con Lanthier, ti prego, aspetta ancora un po'. Qui tutti ti vogliono bene. Lascia che proviamo ad aiutarti con i nostri mezzi. -
- Lo state già facendo. - assicurai. - Tu, e tua madre, e tutti quelli che lavorano qui. La vostra protezione è stata la cosa migliore che potessi augurarmi fino ad ora, e non voglio chiedervi di più. -
Fui contenta quando vidi di nuovo un piccolo sorriso farsi strada tra il broncio di Nathaniel: mi dava soddisfazione vederlo. Poi però lui allungò la mano per prendere la mia. Per qualche motivo quel contatto mi sembrò sbagliato, sgradito, come se la sua mano fosse fredda anche se non la era.
Ritrassi la mano, istintivamente, quasi senza dare peso al gesto. Nathaniel sembrò esitare per un attimo, poi fece di peggio. Avanzò di un passo e in men che non si dica fummo ad un soffio l'uno dall'altra, con la sua testa che si inclinava verso la mia in modo inequivocabile.
Fortunatamente, l'essere più bassa di lui giocò a mio favore, perché prima che potesse davvero chinarsi a baciarmi, io scattai indietro come una molla e nello stesso istante lo colpii sul petto con una spinta tale che lo feci barcollare violentemente. Ci avevo messo un istante a realizzare quello che aveva tentato di fare, un altro per spingerlo via, e al terzo esplosi.
- Nathaniel!- tuonai, mentre barcollavo all'indietro sotto la forza del mio stesso spintone intanto che lui caracollava contro la parete opposta. - Che diavolo cercavi di fare?!-
- Mi pareva ovvio!- replicò lui, riprendendo frettolosamente l'equilibrio. Mi fissava, e sembrava sinceramente sconcertato.
- Ti pareva... che?!-
- Non gridare così!- mi pregò. Continuava a guardarmi senza capire. - Cos'ho sbagliato? Che c'è che non va?-
Se possibile, credo che il suo genuino stupore mi sconvolse più del fatto che avesse appena tentato di baciarmi. Mi guardava con l'espressione di chi si accorge troppo tardi di una catastrofe. Ma, principalmente, mi guardava come se fossi pazza.
- “Che c'è che non va?”- riuscii solo a ripetere, incredula. - Nathaniel... no! No e basta! Come diavolo ti è venuto in mente?-
Ad un tratto qualcosa nella sua espressione cambiò. E non capii se il giovane fosse sul punto di scoppiare o di mettersi a ridere. - Come? Ma se non ho fatto che dirtelo, fino ad un secondo fa! Ero sicuro che avresti capito. - accennò un sorriso divertito, e fece di nuovo per avvicinarsi a me. Stavolta non ci vidi più: alzai di scatto un braccio come se avessi intenzione di colpirlo e, in tono bruciante, ringhiai: - Stai lontano da me. -
Di colpo capì che non stavo scherzando e si fermò.
Con le sue parole di prima aveva voluto essere rassicurante, ed ora era confuso dalla mia reazione. - Laura, sono sempre io. Calmati, per favore. Non pensavo che la prendessi così. Pensavo... -
- Pensavi male.
- - Non vuoi neanche lasciarmi... -
- No. -
Si bloccò in mezzo al corridoio, senza parole. Io vibravo di rabbia e tenevo ancora il braccio alzato tra me e lui, con le dita che mi tremavano leggermente. Il mio tono furioso e le mie parole sembrarono ferirlo e irritarlo nello stesso istante, e vidi quei sue sentimenti opposti mescolarsi nella sua espressione spiazzata, Si ritrasse da me, lentamente, continuando a fissarmi come se non credesse alle sue orecchie.
- Io ti ho salvato la vita!- esclamò ad un tratto, con un tono che era sia una protesta che un'accusa.
- Se avessi saputo che pretendevi questo in cambio, allora ti avrei chiesto di lasciarmi lì!- sbraitai in risposta. Prima che potesse replicare altro, gli voltai le spalle e raggiunsi di gran carriera la porta della mia stanza, sbattendomela alle spalle prima che lui potesse raggiungermi e la discussione potesse continuare.
Ancora fumante di rabbia mi addossai alla porta, temendo che avrei dovuto anche lottare per tenerlo fuori... ma fortunatamente il ragazzo rinunciò, e dal corridoio mi arrivò soltanto il rumore dei suoi passi che si allontanavano. Almeno occupavo una stanzetta da sola, ma avevo gridato abbastanza forte perché tutte le cameriere che dormivano a pian terreno avessero sentito perfettamente tutto quel che era successo. Oh, fantastico.
Non riuscivo a stare ferma, così mi rigirai nella piccola stanza come un animale rabbioso in gabbia. Volevo fare a pezzi qualcosa. Ma perché, perché, perché aveva fatto una cosa così stupida? Non riuscivo a crederci. Non potevo crederci.
Nathaniel che si faceva avanti con me... Nathaniel! Certo che, a pensarci adesso, ero stata veramente una cretina ad ignorare tutti i possibili segnali. Brava, capitano Laura Evans! Brava, la donna di mondo! E intanto avevo lasciato che il ragazzo si facesse strane idee su di me, senza sospettare nulla, come la più ingenua delle sguattere! Idiota!
Più ci pensavo e più mi sentivo stupida. Cercavo di ripetermi che non era poi così diverso da bloccare un approccio indesiderato da un qualsiasi ubriaco in una locanda, ma in realtà lo era. Non me lo aspettavo da Nathaniel. E io a considerarlo un amico, un fratello maggiore che non avevo mai avuto, mentre la sua testa era da ben altra parte! Stupida, stupida, stupida.
Presi perfino a pugni il cuscino e il materasso, bestemmiando tra i denti per quella situazione assurda e ingiusta. Era tutto sbagliato, tutto quanto, e ora non avevo idea di cosa fare per rimettere le cose a posto. E come potevo?
Quando mi fui sfogata, mi buttai a pancia in giù sul mio letto e arrivai perfino a mordere il cuscino. Ero furente. Scoppiavo di rabbia per tutti quanti, me compresa, e allo stesso tempo sentivo montare un'inspiegabile voglia di piangere, alla quale però non cedetti.
Odiavo me stessa per avere equivocato tutto, e odiavo Nathaniel per avermi messa in imbarazzo, per avere reso ancora più evidente la nostalgia bruciante che mi stava divorando dall'interno. Perché gli uomini dovevano anche cominciare a guardarmi, ricordandomi in ogni momento che chi volevo non era lì con me? Ero stanca, arrabbiata, avevo paura, nostalgia, e per tutti i diavoli, avevo voglia. E tutto questo non faceva che ricordarmi che Jack non era lì, non c'era e forse non ci sarebbe mai più stato. Morsi forte il cuscino tanto che quasi strappai la stoffa, soffocando un lamento di rabbia e di dolore che sembrava quello di un animale.
“Jack, dove sei, dove sei, per Dio, dove diavolo sei?”

*

Nei tre giorni successivi fui intrattabile.
Io e Nathaniel smettemmo di parlarci e, considerato quanto spesso il mondo ristretto della Sirena ci costringesse a vederci, prendemmo ad ignorarci a bella posta come bambini che avessero litigato. La cosa non passò di certo inosservata agli occhi di tutti gli altri.
Le altre cameriere avevano senz'altro udito la nostra discussione, ma non vennero a soddisfare la loro curiosità chiedendomi cosa fosse successo. Fecero di peggio. Non mi chiesero niente. Ma le vedevo confabulare e abbassare la voce quando mi avvicinavo, le sentivo ridere quando pensavano che fossi fuori portata. Era tornato tutto come ai miei primi giorni alla Sirena, forse anche peggio.
Ormai odiavo le mezze frasi e i sotterfugi così tipici delle donne: mi mandavano in bestia. Nemmeno Sarah e Margareth, nemmeno loro si degnarono di venire a chiedermi spiegazioni, o almeno a sapere come stavo.
Le ripagai tutte con la stessa moneta. Le ignoravo. E quando pensavano di essere sole, quando credevano che i loro pettegolezzi fossero al riparo da orecchie indiscrete, a volta alzavano gli occhi e mi vedevano, all'altro capo della sala, che le fissavo con sguardo truce. Questo spesso bastava a disperderle come un branco di galline.
Mi dissi che andava bene così. Ero più forte di loro. Ero un capitano pirata, e non potevo continuare a vivere in un pollaio.
La clientela, ovviamente, era sempre la stessa, e agli avventori a cui servivo da bere non importava che avessi avuto uno screzio col figlio della padrona per una profferta romantica rifiutata. Eccetto a quelli che conoscevano personalmente sia lui che me.
I ragazzi, però, furono cortesi con me: non mi ignoravano e continuavano a salutarmi quando portavo loro da bere, solo ed esclusivamente le volte in cui Nathaniel non era tra loro. Ben era ancora gentile con me, ma doveva avere capito benissimo che tra me e Nathaniel era successo qualcosa di brutto, e ci guardava tutto il tempo come se si aspettasse che lo risolvessimo. Nicholas di tanto in tanto continuava a voltarsi nella mia direzione e lanciarmi occhiate semplicemente amichevoli: da una parte gliene ero grata, ma dall'altra fingevo di non accorgermene. Basta coi fraintendimenti. Ma soprattutto, nessuno fece più parola dei Pirati Nobili, e questo era un grosso problema. Ma non volevo dover parlare con Nathaniel per chiederglielo.
Tolleravo talmente poco che gli uomini si avvicinassero a me, che cominciai ad avere seri problemi col mio lavoro di cameriera.
Una sera fui di nuovo convocata in privato da miss Hawk, e ci sedemmo in una delle stanze sul retro: io mi fissavo le mani, e Sylvie tirava boccate da una pipa dall'odore pestilenziale.
- Allora. - cominciò, masticando l'estremità della pipa. - Hai versato un boccale di rum in testa a quell'uomo?-
Sospirai. - No, miss Hawk. -
- Era zuppo da capo a piedi. -
- L'ho colpito in testa col boccale, miss Hawk. -
- Ah. - la donna soffiò un'altra nuvola di fumo. - Perché, esattamente? Da quel che ho sentito, perché ti aveva detto che avevi “delle belle tette”?-
- Più o meno. -
- E allora? Per questo gli hai rotto un dito e gli hai tirato un boccale in testa, figliola? Neghi di avere delle belle tette?-
- Ha anche cercato di toccarle, miss Hawk. Gli ho solo insegnato a tenere a posto le mani. -
Sylvie scoppiò in una risata gracchiante e scosse il capo.
- Sei impossibile. - fece, ma lo disse con un sorriso affettuoso e mi sentii sfacciatamente fortunata. - Laura, dove andremo a finire quando gli ubriaconi non cercheranno più di toccare le tette alle cameriere? Le toccano anche a me, e ho la mia bella età. Anzi, ormai mi fa piacere anche solo il fatto che ci provino ancora. -
Riuscì a strapparmi un piccolo sorriso. - Capisco, ma credo di non essere altrettanto amichevole. Ho un caratteraccio, come ti confermerà una qualsiasi delle altre ragazze. Forse non dovresti più tenermi qui. -
Per un lungo momento Sylvie rimase a guardarmi, continuando a mordicchiare la pipa, e sentii che mi squadrava da capo a piedi con eccessiva attenzione. Che cosa vedeva in me? Che cosa stava cercando con quel suo esame minuzioso?
- Se stai cercando di farti cacciare via, bambina, chiedimelo e non sprecarmi il rum. - rise di nuovo. - Non ho intenzione di lasciarti in mezzo alla strada, a meno che tu non sia più che sicura di dove andare. Io ti voglio aiutare. - tossicchiò. - So che hai litigato con Nathaniel. -
Dovevo sapere che ci saremmo arrivate, prima o poi...
- Gli ho solo detto un no, ed entrambi abbiamo reagito peggio del previsto. - precisai, cercando di restare calma, ma prima che potessi andare avanti Sylvie mi fermò alzando una mano.
- Non hai fatto proprio niente di male. A Nathan farà bene sentirsi rifilare un no, una volta tanto. Voglio bene a quel ragazzo, eppure, solo perché si occupa di me e della baracca e ha suo fratello che lo segue come un'ombra, è convinto che tutto il mondo debba girare come piace a lui. - la donna scosse il capo e prese un'altra boccata dalla pipa, prima di alzare ancora gli occhi su di me.
- Sai che lui e Ben in realtà sono fratellastri? Nathan viene da una storia di gioventù, quando ero ancora stupida, felice e piacente. - ridacchiò, dandosi una pacca sulle cosce grasse. - Lui era un pirata, io una ragazzina, e puoi immaginare come sono andate le cose. Più tardi, col mio Nathan in pancia, sposai Robert Hawk, che Dio l'abbia in gloria, che gli volle bene come se fosse suo. Entrambi i bambini presero il suo nome. Nathan sa tutto sulle sue origini e, anche se gli piace l'idea di essere figlio di un pirata, è un tipo realista e non ha idealizzato il suo vero padre. Gli piace prendersi cura di noi. Vuole molto bene a me, a suo fratello, e a tutti quelli che mandano avanti la Sirena. L'idea di ospitare i bambini trovatelli è sua, oltre che mia. -
Fece una pausa, appoggiando finalmente la sua pipa puzzolente sul tavolo e poi guardandomi con espressione molto seria.
- Non sto cercando di vendertelo, ma di farti capire come ragiona. Suo fratello lo venera perché è il maggiore. I suoi amici lo adorano e fanno tutto quello che dice: la Sirena è sua e di certo più vantare di più soldi di uno qualsiasi dei ragazzotti con cui va in giro. Purtroppo Nathan è abituato a controllare le cose... e le persone. È un vizio che non sono mai riuscita a togliergli. - sbuffò piano, liberando una nuvoletta di fumo dal naso. - Tu gli piaci, sicuramente. Ma è talmente pieno di sé che non sa reggere un no come risposta. -
Annuii lentamente. Ero felice che Sylvie si confidasse in quel modo con me: credevo di avere perso in un colpo solo la fiducia di tutti quelli che lavoravano alla Sirena, e invece era un sollievo scoprire che non era vero.
- Capisco. - dissi. - Sai, Sylvie... mi dispiace che lo cose siano andate così. Mi dispiace che io e Nathaniel ci siamo tolti il saluto. Ma anch'io, sai... non prendo bene alcune cose. -
Miss Hawk mi scrutò ancora un po' con occhio critico, poi mi chiese: - Ti senti ancora male?-
Alzai lo sguardo di scatto, sorpresa. Come faceva a sapere anche quello?
- Ecco... un po'. Ho ancora la nausea ogni tanto. -
- A proposito delle tue “belle tette” come le chiamava quel poveraccio... - ridacchiò ancora, dondolandosi sulla sedia. - Non è che ti fanno male anche quelle? Le senti più dure?-
- Ehm... forse?-
- E le regole? Sei qui da due mesi, ti sono venute almeno una volta?-
Ora che ci pensavo... - No. Credo di no. In effetti no. -
Sylvie annuì e si appoggiò placidamente contro lo schienale della sedia, con le mani in grembo. - Beh, allora ci sono pochi dubbi. Sei incinta. Ecco un altro ottimo motivo per cui Nathaniel dovrebbe lasciarti in pace. -
Aggiunse qualcos'altro, ma le sue parole erano bruscamente diventate rumore di fondo. La guardai ad occhi e bocca spalancati, con un'espressione talmente atterrita che la lasciai senza parole.
- Che cosa?- sibilai, incredula.
- Non lo avevi neanche sospettato?- fece lei, più stupita di me. - Sei incinta, ragazza! Certi segnali una donna deve imparare a riconoscerli a colpo d'occhio. -
- No, miss Hawk... - balbettai, senza riuscire a mettere insieme un pensiero di senso compiuto. - Sono stata con lo stesso uomo per più di un anno. Non sono mai rimasta incinta neanche una volta!-
Sylvie si strinse nelle spalle. - Beh, cara, come si cambia uomo possono capitare le cose più... -
- Non sono stata con nessun altro! È questo il punto! Non sono andata a letto con nessuno da quando sono arrivata qui!-
- Laura, o è un'immacolata concezione, o eri già incinta quando sei stata portata via da quell'uragano. - improvvisamente sembrò molto impressionata. - Però, deve essere sopravvissuto a tutto quel tempo in mare, con te sballottata dalle onde e senza cibo. Un vero figlio della tempesta!-
Figlio di Jack. Oh mio Dio, ero incinta e portavo in grembo il figlio mio e di Jack.
E l'unica cosa a cui riuscivo a pensare era che aveva scelto proprio il momento peggiore per presentarsi.




Note dell'autrice:
Dun dun duuuuunnn...
Bentornati su Caribbean Tales! In questo capitolo ho messo un bel po' di carne al fuoco, e se tutto va come previsto, già nel prossimo le strade dei nostri capitani preferiti potrebbero finalmente tornare ad intrecciarsi. Grazie a Fannysparrow e Aishia per i commenti, complimenti a chi ha fiutato i segnali e si era già accorto dello "stato interessante" della nostra Laura Evans... Devo dire che già dall'episodio precedente molti commentatori chiedevano a gran voce la prole, diciamo che non ci sono andati troppo lontano.
Ma, come sempre, wind in your sails, e chiudo segnalandovi come al solito qualche fanart!
QUI una carinissima riunione di Jack e Laura ad opera di CaptainAlwilda!
QUI e QUI le due versioni di una Laura ubriaca ad opera mia e delle sopracitata compare.

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


Capitolo 7


Non dormii bene. Del resto, non avevo più dormito bene una sola notte fin da quando ero stata scagliata fuoribordo.
Mentre mi rigiravo nel letto e tentavo inutilmente di prendere sonno, l'unica domanda che continuava ininterrottamente a rimbombarmi nella testa era: “E adesso?”
E adesso cosa, innanzitutto? Non cambiava niente. La mia prima preoccupazione era comunque andarmene da lì, ritrovare Jack, la Perla e la mia vera vita. Tuttavia, adesso avevo paura. Ma paura di cosa? Non sapevo dirlo: per qualche motivo, non mi ero mai sentita meno al sicuro. Era una sottile e strisciante paura di tutto, la brutta sensazione che se avessi corso dei rischi non ci sarei andata di mezzo solo io, ma anche...
Mi girai ancora, a pancia in su, e mi infilai le mani sotto la camicia per appoggiarle sul ventre. Non sapevo con esattezza che cosa avrei dovuto sentire. Per Dio, dovevo valere ben poco anche come donna se non mi ero accorta assolutamente di niente! La mia pancia era più gonfia del solito? Forse... ma in un modo quasi impercettibile. E se miss Hawk si fosse sbagliata?
Ma Gesù, Giuseppe, Maria e tutti i santi, proprio adesso? Mi sentii un po' in colpa per quei pensieri non proprio materni, ma non potevo farne a meno. Che cosa avrei dovuto fare? Se avessi deciso di ritirarmi tranquillamente a condurre la vita assennata di una futura madre, allora potevo dire addio alle speranze di ritrovare Jack e gli altri. Come avrebbero potuto trovarmi, se mi nascondevo?
E poi, continuavo a pensare a come avrei detto a Jack di nostro figlio. Nostro figlio, diamine! Ma ogni volta mi ricordavo che tanto Jack non era lì.
Non potevo fermarmi adesso. Neanche per riguardo alla creatura che avevo in grembo: io ero un capitano pirata, e le cose non cambiavano. Mio figlio era già sopravvissuto alla tempesta, che diavolo!
Mentre mi sforzavo di calmarmi poco a poco, mi passai le mani sulla pancia, gentilmente.
“Ehi, tu. Sarà il caso che noi due negoziamo i termini per una pacifica convivenza, d'accordo?”
Stranamente, per la prima volta dal momento in cui mi era stata data la notizia, riuscii a sorridere.

*

Primo pomeriggio.
La Sirena iniziava solo ora ad aprire i battenti ma, mentre ancora stavo spazzando il pavimento della sala principale con Sarah e le altre ragazze, vidi Nicholas entrare precipitosamente dalla porta.
- Dov'è Nathaniel?- mi domandò, affannato, dopo aver dato un'occhiata in giro senza trovare nessun altro se non noi cameriere.
- Credo che sia ancora di sotto, al molo... che succede?- chiesi, incuriosita.
- C'è la Marina in città. Devo parlare con Nathaniel!- senza dirmi altro, Nicholas mi superò e corse giù per le scale che portavano ai piani inferiori.
La fretta con cui mi aveva liquidata mi irritò: di colpo, solo perché Nathaniel e io avevamo avuto uno stupido screzio, io ero tagliata fuori da qualsiasi cosa riguardasse movimenti sospetti in città? Questo no, dannazione!
Prima che potessi precipitarmi dietro a Nicholas, però, mi fermò la faccia preoccupata di Sarah.
- La Marina?- sibilò, stringendosi alla scopa. - Quando i soldati si azzardano a mettere piede qui ad Isla Muelle, sono sempre armati fino ai denti e vengono sempre a disturbare noi! Ma di solito venivano sempre la sera, sai, per pescare qualche pezzo grosso tra la clientela... È miss Hawk di solito che sa come mandarli via senza che nessuno di noi si faccia male!-
- E allora chiama miss Hawk!- ribattei, mentre mi avvicinavo alle finestre cercando di dare un'occhiata fuori. Il vetro spesso e giallastro non lasciava vedere granché, ma dal poco che vedevo della strada, non mi sembrò di notare movimento, tantomeno soldati della Marina in giro. Sarah sparì nel corridoio, rapida quanto Nicholas.
Le altre cameriere sembravano condividere l'ansia crescente, ma nessuna pronunciò più una parola e i lavori proseguirono come al solito. Passarono i minuti, e ancora non accadde nulla. Sarah ritornò, seguita da miss Hawk che, perfettamente impassibile, si sedette dietro al bancone, si accese la pipa e ci disse di tornare al lavoro. Nessuna traccia di Nicholas e Nathaniel.
E poi ad un tratto accadde.
La porta venne spalancata dall'esterno, e un intero plotone di soldati della Marina in uniforme bianca e rossa entrò a passo di marcia e coi moschetti spianati. Io ero ad un passo dal bancone e mi immobilizzai, senza fiato: di solito, quando mi trovavo davanti ad una scena del genere, avevo almeno una spada in una mano e una pistola nell'altra. Trovarmi completamente disarmata mi fece sentire indifesa come non mi capitava da molto tempo, ed era una sensazione paralizzante.
- Psst!- sibilò qualcuno, all'altezza del pavimento. Mi voltai e vidi Nicholas, rannicchiato dietro al bancone con un fucile in mano, che mi faceva segno di stare giù. Lanciai una rapidissima occhiata ai soldati, vidi che nessuno aveva ancora guardato nella mia direzione e mi abbassai di scatto per sparire dietro al bancone.
- Che diavolo succede?- sussurrai, rannicchiandomi sul pavimento: Nicholas aveva appena finito di caricare il fucile.
- Una retata. - bisbigliò tra i denti.
- Questo lo vedo! Dammi un'arma. - aveva anche due pistola alla cintura, e non le portava quando era entrato.
- Stai scherzando?-
- Ho detto dammi un'arma!-
Forse per il modo in cui lo dissi, o per evitare una discussione proprio nel momento peggiore, Nicholas mi tese una delle due pistole e io controllai in fretta che fosse pulita e carica. I soldati avevano completamente occupato la sala principale della Sirena, spingendo via tavoli e panche e ricacciando le cameriere in fondo alla stanza, contro le pareti.
- Quanta fretta, signori!- esclamò miss Hawk, che non pareva per nulla impressionata. - Non l'abbiamo già fatta altre volte, questa recita? Oggi è un po' presto, però. Non ci sono ancora i miei clienti abituali da farvi strapazzare un po' prima di convincervi ad andare via. -
- Non scherzate, signora. - il capitano della truppa si fece avanti verso di lei con un'aria truce dipinta sul volto: era un uomo alto e magro, non giovane, con uno spiccato accento britannico; uguale a mille altri soldati della Marina inglese che avevo incontrato. - Siete accusata di favoreggiamento della pirateria, nonché di contrabbando sotto il vostro stesso tetto. Abbiamo l'ordine di prendere in custodia questo posto e arrestare tutti i presenti. -
Miss Hawk si alzò in piedi e si tolse la pipa di bocca, scrutando il soldato con uno sguardo terribile, come se lo sfidasse a ripetere quel che aveva detto.
- Qui nessuno arresta nessuno, e di certo non vi lascerò alzare un dito sulla mia baracca. -
- Questo è un ordine: siete avvertita. -
- Statemi un po' a sentire: sono più di vent'anni che dirigo questo posto, e non sarete voi a togliermelo. Sono sicura che possiamo raggiungere un accordo... -
Forse fu l'espressione gelida degli occhi del capitano, o la tensione improvvisa della mano sul moschetto, ma in qualche modo capii che avrebbe sparato ancor prima che si muovesse per puntare l'arma. Avrebbe sparato a miss Hawk, non so se per uccidere, ma sicuramente lo avrebbe fatto.
Allora mi buttai sul bancone, le braccia tese contro il ripiano di legno, e sparai per prima.
La spalla sinistra del soldato sembrò esplodere in uno schizzo rosso, e l'uomo lanciò un urlo di dolore e sgomento mentre piombava a terra, stringendosi il braccio inutilizzabile. Avevo colto di sorpresa tutti, perfino miss Hawk, tanto che per un unico e preziosissimo istante nessuno rispose al fuoco: fortunatamente, lei fu tanto sveglia da arretrare e buttarsi anche lei dietro il bancone prima che iniziasse la sparatoria.
Come se io avessi dato un segnale, prima Nicholas e poi almeno una decina di uomini armati si sporsero dai loro nascondigli per fare fuoco: sbucavano da dietro i tavoli, all'angolo del corridoio, dalle scale e dalla balconata superiore. I soldati risposero immediatamente al fuoco, ed io dovetti ritirarmi precipitosamente dietro il mio nascondiglio per non essere presa in pieno.
- Prendi!- Nicholas urlò più forte degli spari e col piede spinse verso di me un sacchetto di proiettili. Li agguantai e ricaricai in tutta fretta, mentre sopra le nostre teste i colpi di fucile facevano schizzare ovunque schegge di legno strappate alle pareti. Se avessi avuto il tempo di formulare un pensiero, forse gli avrei rimbeccato il fatto che ora non facesse più tanta fatica a credere che sapessi sparare.
Ci coprimmo le spalle a vicenda: uno ricaricava e l'altro sparava, osando a malapena sporgere la testa da dietro il bancone per tutte le pallottole che volavano da ogni parte. C'erano già cinque soldati morti sul pavimento insanguinato. Ci fu un urlo, e un corpo rotolò dalle scale mentre ancora stringeva in mano il fucile: era uno dei nostri braccianti.
I soldati si fecero scudo con un tavolo ribaltato e si mantennero in formazione per quanto potevano: ma, al contrario di noi, erano scoperti mentre ricaricavano. Per lunghissimi minuti non ci fu tregua, né da una parte né dall'altra. Poi, sporgendomi appena per guardare, vidi quelli che cominciavano a filarsela trascinando i feriti verso la porta, mentre le pallottole fischiavano tutt'attorno a loro.
- Mirate a quelli davanti, imbecilli! Quelli davanti!- urlai, sperando che i cecchini al piano di sopra mi sentissero. - Lasciate perdere quelli che scappano!-
Un'altra raffica di colpi, prima da parte della Marina e poi dai nostri. Quando fu evidente che i soldati erano in netto svantaggio, di colpo chiusero la formazione, coprendosi le spalle con quelli che ancora sparavano, camminando a ritroso, se la filarono tutti dalla porta principale.
Non ci fu neanche il tempo di tirare il fiato: la voce di miss Hawk ci rimise tutti sull'attenti.
- Barricate la porta, presto, barricatela!-
Nicholas rotolò fuori dal nascondiglio e corse a trascinare un tavolo contro la porta, subito aiutato da altri due uomini. Tutti cominciarono a uscire da dietro i tavoli e a scendere precipitosamente le scale. Finalmente individuai anche Nathaniel: scese le scale tenendo un fucile in mano, poi si chinò per tastare il collo del bracciante riverso a terra. Sapevo che era morto dal momento in cui lo avevo visto cadere, ma Nathaniel fece una smorfia di dolore nel constatarlo. Solo allora mi resi conto di quanto la sala si fosse trasformata in un mattatoio.
Alcuni uomini stavano già trascinando via i corpi dei soldati morti; vidi molti farsi ripetutamente il segno della croce, sebbene lo sgombero venisse svolto con rapidità e perizia inaspettata. Tra le nostre fila, invece, si contava il bracciante, altri due uomini morti al piano terra, e... sentii una ragazza piangere, in mezzo al marasma di panche e tavoli rovesciati.
- Cristo... Sarah! Sarah!-
Corsi tra i tavoli ribaltati dove avevano trovato rifugio le cameriere e mi trovai davanti a Sarah, che se ne stava inginocchiata sul pavimento, in lacrime e scossa dai singhiozzi, ma illesa. Non ebbi il tempo di sentirmi sollevata, perché vidi subito l'altra figura accasciata a terra su cui la giovane si stava disperando.
Era Margareth, con un foro di proiettile dritto alla base della gola. Per sua fortuna doveva essere morta sul colpo: gli occhi vitrei fissavano il soffitto, ancora spalancati, e ogni cosa, dai suoi vestiti alle mani di Sarah che la sorreggevano, era inzuppata di sangue.
- Sarah, lasciala andare. - mormorai, appena fui di nuovo capace di parlare. Le toccai la spalla. L'odore del sangue era quasi nauseante. - Sei coperta di sangue. Tu stai bene?-
- S... sì... - balbettò. Non staccava gli occhi da Margareth.
- Sarah, ascolta. Dobbiamo radunare tutte le ragazze e assicurarci che stiano bene. E serve subito dell'acqua. Coraggio. -
Mentre davanti al portone principale si formava una barricata sempre più alta di tavoli e panche, io e Sarah recuperammo tutte le ragazze nascoste in ogni angolo della sala, tremanti ma sane e salve. Margareth era stata l'unica vittima. Tutti i corpi vennero portati al centro della stanza e coperti pietosamente con dei teli, mentre cercavamo di ripulire alla meno peggio il disastro.
- Tu! Signorina!- tuonò ad un tratto la voce di Sylvie Hawk, proprio mentre convincevo Sarah a immergere le mani insanguinate in un catino d'acqua.
Alzai lo sguardo su Sylvie, che stava in piedi davanti a me, rossa in volto e scarmigliata come non l'avevo mai vista. Era tanto sconvolta che pensai che ora si sarebbe scagliata contro di me per aver provocato la sparatoria... Non ero stata io a scatenarla, ma di certo ero stata la prima a sparare.
- Mi hai salvato la vita. - disse invece, lasciandomi completamente sbigottita per una manciata di secondi. Per qualche attimo ci fissammo entrambe con la medesima espressione incredula. - Diavoli dannati, credo che tu oggi mi abbia davvero salvato la vita!-
- Lo rifarei. - assicurai, caparbia. - In qualsiasi momento. -
- Sa sparare, la ragazza!- esclamò Nicholas mentre passava dietro di me, trascinando un tavolo. La sua uscita alleggerì un poco tutta quella terribile tensione, e strappò una vaga risata ai presenti. Sylvie mi rivolse un cenno del capo, un po' più tranquilla.
- Ripuliamo questo posto, e barrichiamo porte e finestre. - disse, con semplicità. - Siamo in un mare di guai. -
Quando mi voltai, trovai Nathaniel chino sui corpi, scostando appena il telo per guardare in faccia la povera Margareth. Mi avvicinai, in silenzio. Lui si accorse di me e si affrettò a riabbassare il telo, ma io scossi stancamente la testa.
- Lascia stare. -
- Nicholas era venuto ad avvertirmi... - mormorò, con lo sguardo fisso nel vuoto. - Abbiamo appena fatto in tempo a distribuire i fucili. Credevamo di essere abbastanza per fermarli... -
- Li eravamo, infatti. Li abbiamo costretti a ritirarsi. -
Il giovane si strofinò la faccia: sembrava incredulo. Da parte mia, io ero scossa, ma che cos'altro ci potevamo aspettare? Era già una fortuna che avessimo avuto così poche perdite. In quel momento provavo la stessa strana sensazione di vuoto che provavo sul ponte della Perla dopo una battaglia, una specie di calma drogata che arrivava come una benedizione ad attutire tutti i sensi.
- Quello aveva puntato il fucile su mia madre. Non so nemmeno se sarei riuscito a sparargli in tempo, ero troppo lontano. Io... - gli mancò la voce per un momento, poi si girò verso di me. - Grazie. Laura... lasciamo perdere tutto quello che ti ho detto l'ultima volta, va bene? Lasciamo perdere tutto. Sono contento che tu stia bene, e non ho parole per ringraziarti. -
- Lo hai già fatto. - gli assicurai, con un piccolo sorriso. Ora sarebbe potuto essere quasi imbarazzante, anche se non potevo negare che mi faceva piacere tutta quella gratitudine. Ed ero contenta che lui e sua madre stessero bene.
Nathaniel mi diede una pacca amichevole sul braccio, poi tornò ad aiutare i suoi compagni. Inghiottii a fatica un groppo in gola, mentre fissavo la sagoma dei corpi sotto i teli macchiati di sangue. Avevo la pessima sensazione che quello fosse solo l'inizio.

*

Arrivata la sera, fu chiaro che la situazione sull'isola era più che tesa.
Non avevo potuto mettere neanche il naso fuori dalla porta, ma furono Nathaniel, Nicholas e gli altri ragazzi a dirci che cosa stava succedendo. C'erano stati altri scontri in città: quello alla Sirena era stato il più grosso, ma era anche quello che aveva acceso la miccia. Appena si era sparsa la voce della sparatoria alla locanda, gli animi della gente si erano immediatamente scaldati, e gruppi di uomini inferociti erano corsi a scacciare i soldati della Marina dalle strade, con l'unico risultato di provocare altre sparatorie e altri morti.
La Marina inglese, tuttavia, fiutando l'aria che tirava, si era effettivamente ritirata dalle strade della città, e i soldati avevano fatto prontamente ritorno alla nave. Se la cosa poteva fare tirare un sospiro di sollievo sulle prima, in realtà sapevo che non era affatto un buon segno. I soldati inglese avrebbero avuto tutto il tempo di organizzarsi e prendere provvedimenti per una città in preda ai disordini e bisognosa di essere rimessa in riga.
La Sirena era rimasta barricata, ma, in compenso, la gente sembrava averla eletta come centro della resistenza.
Me ne accorsi quando, a notte fonda, Nathaniel rientrò dalla porta raggiungibile via barca seguito da un gruppo di persone che non avevo mai visto prima: tutti uomini del paese, dai ragazzetti imberbi ad attempati omaccioni rissosi con numerosi denti mancanti.
- Ma che diavolo...?- esclamai, vedendo entrare tutta quella marmaglia.
Mi trovavo nella sala con Sylvie Hawk, che sembrò stupita quanto me dall'improvvisa folla che si radunò sotto i nostri occhi.
- Nathan, la nostra prima preoccupazione non era quella di far sì che la Sirena restasse un posto sicuro? - la voce di miss Hawk salì minacciosamente di tono, mentre lei si piazzava senza tanti complimenti davanti al figlio con le mani piantate sui fianchi. Lui però non si scompose e, col moschetto in mano e un'espressione determinata stampata in faccia, accennò con fierezza agli uomini che si era portato dietro.
- Sono qui per unirsi alla resistenza!-
- La “resistenza”?- ripeté miss Hawk, salendo di ben più di un'ottava. Sembrava sul punto di cantargliene quattro lì davanti a tutti, quando i nuovi arrivati si misero a parlare tutti insieme in tono concitato.
- Quelli della Marina torneranno presto, e stavolta manderanno alla forca mezza città se non li fermiamo!-
- Dobbiamo mandare in fondo al mare loro e la loro maledetta nave prima che chiamino rinforzi!-
- Se ci organizziamo possiamo fare qualcosa!-
Quelle, insieme alla parola “resistenza”, vennero pronunciate sempre più spesso e sempre più insistentemente: prima però che l'eccitazione generale potesse fare andare a tutti il sangue alla testa, miss Hawk irruppe in mezzo a loro con uno di quegli urli che di solito usava per richiamare l'attenzione di tutti i lavoranti.
- Vi ha dato di volta il cervello?- gridò, zittendo tutti quanti mentre li guardava a occhi stretti e labbra contratte: uno sguardo che avrebbe portato chiunque a fissarsi vergognosamente la punta degli stivali. - Cos'è questo parlare di resistenza e di spargere sangue? Lo sapete almeno con chi abbiamo a che fare? Nathaniel, sei stato tu a ficcare nelle loro teste tutte queste belle idee?- non gli diede il tempo di rispondere, e continuò: - Beh, senza dubbio c'è da resistere, su questo non ci piove. Ma mi venga un colpo se permetto di trasformare la mia taverna in una tana per voi attaccabrighe teste di cazzo. Mi sono spiegata? Se siamo qui per resistere, resistiamo. Che vuol dire che siamo qui per proteggerci dalla Marina, tutti quanti, e che non lasceremo che nessun soldato entri qui dentro per farci del male. Vuol dire che, cascasse il mondo, qui ci difendiamo l'un l'altro, e peste colga chiunque vorrà fare casini qua dentro. Ne abbiamo già abbastanza. -
Aveva la loro attenzione, totalmente. Rimuginando sulle sue parole, nell'improvviso silenzio generale, ad un tratto parlai.
- Non è insensata, come idea. - ammisi, ad alta voce. - Ma, oltre a resistere, dobbiamo anche avere la forza di respingerli. Se diamo problemi, cercheranno di annientarci. Se li cacciamo via, torneranno, e stavolta coi rinforzi: questo purtroppo è vero. Mi sembra di capire che finora ve la siete cavata sul filo del rasoio... non so perché ad un tratto abbiano deciso di andarci giù duro, con voi. Quello che so è che, se vogliamo cacciarli via, dobbiamo farlo per bene. Guardate Tortuga! Sono anni che né la Marina né il re in persona possono mettere becco negli affari di quella città: è il caos a tenerli lontani. Certamente, noi non possiamo fare così. Dobbiamo essere più forti di loro, più uniti e più organizzati di loro. E questo forse li terrà lontani. -
Il mio era stato un ragionamento assolutamente pacato, eppure quello insieme alle parole di miss Hawk sembrò infervorare gli uomini più di ogni altra cosa, perché risposero con un boato di approvazione. Sylvie guardò in silenzio prima me, poi la piccola folla radunata nella sala: li aveva ai suoi piedi come una ciurma carica e obbediente, o almeno così mi auguravo.
Di colpo bisognosa di allontanarmi almeno un po' da tutto questo, me ne andai con la massima discrezione in modo da sparire in mezzo ai presenti, e appena mi fu possibile sgattaiolai ai piani più alti della Sirena, fino alla soffitta e alla botola che dava direttamente sul tetto.
L'aria della notte era umida, ma non fredda. Mi arrampicai facilmente sulle tegole e rimasi a lungo seduta lassù, con davanti a me le luci del porto da una parte e l'immobilità buia del mare dall'altra.
Da lì si vedeva il galeone britannico ormeggiato al largo della costa. Rabbrividii al pensiero che avrebbero potuto semplicemente decidere di prendere a cannonate il porto... e non era improbabile che lo facessero, se ne avessero ricevuto l'ordine o se avessero ritenuto necessario farlo.
Mi accorsi che non si vedeva più da nessuna parte la nave dalle vele azzurre del capitano Lanthier, e in quel momento il vento cominciò a soffiare più forte, dandomi l'illusione, per un attimo soltanto, di trovarmi in mare aperto. Non c'erano stelle, quella sera, e l'orizzonte era come al solito vuoto e immobile.
Desiderai che la costruzione sotto di me fosse di legno, avesse uno scafo, un ponte e le vele, e due batterie di cannoni pronti a rispondere al fuoco.
Avrei saputo che cosa fare, in quel caso.





Note dell'autrice:
Sono in imperdonabile ritardo.
Ammetto senza problemi che questa storia si era letteralmente "presa una pausa" per molti motivi, ma, come ho assicurato anche a Orchidea Oscura -che ringrazio ancora per la recensione!- non ho assolutamente abbandonato questa storia! Sono in un periodo cruciale con la scrittura: voglio finire una trilogia fantasy originale entro la fine dell'anno, e al momento sono quella e il progetto di un futuro libro urban fantasy a "tirarmi la giacchetta" ora da una parte e ora dall'altra. Ma il bisogno di scrivere è come al solito più forte del resto e, strattonata tra i due progetti, è stato molto liberatorio tornare con molta semplicità alla fanfiction.
Grazie ancora ad una volta ad Aishia, Fannysparrow, Hayleen, gitana90 per continuare a seguirmi e recensirmi, spero mi potrete perdonare la lunghissima pausa!
PS: Jack e Laura avevano appena fatto il loro ritorno anche su Deviant: qualcosa doveva pur significare! ^^
Wind in your sails!

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


Capitolo 8



Il cielo era coperto e, con la luna soffocata dalle nuvole, il buio era quasi totale. La scialuppa sobbalzava senza sosta sotto le gambe di Will, facendosi beffe dei suoi tentativi di vogare ad un ritmo lento e regolare. Sperava che Jack, seduto a prua davanti a lui, sapesse dove stavano andando, perché senza l'ausilio della più piccola lampada non riusciva a vedere assolutamente niente attorno a sé, e anche il mare aveva il colore dell'inchiostro.
Jack scrutava davanti a sé con il piccolo cannocchiale, come se davvero vedesse qualcosa in quell'oscurità. Le luci della città e del porto erano l'unica cosa che potesse guidarli.
- Jack? Che cosa stai cercando?- sbottò, irritato, dopo lunghi minuti di silenzio assoluto.
La Perla Nera e la Sputafuoco erano arrivate in vista dell'isola solo poche ore prima, eppure Jack aveva deciso che le navi si sarebbero fermate al largo, fuori vista, e aveva fatto calare una scialuppa per poi chiedere a Will di accompagnarlo. Nessun altro, altrimenti sarebbe andato da solo. Will ancora non sapeva se fosse stata una buona idea accettare, ma che altro poteva fare?
- Un galeone della marina britannica. - rispose Jack, senza abbassare il cannocchiale: la sua voce era inaspettatamente tranquilla. - Come mi aspettavo. Non siamo esattamente al sicuro qui, comprendi?-
Will soffocò un'imprecazione mentre continuava a remare.
- Hai fatto bene a non farci attraccare. - ammise, quasi a fatica. - Ma ora che cosa facciamo? Se ci trovano... -
- William, lo so molto bene che cosa succede se ci trovano e non ho bisogno che ci sia tu a ricordarmelo, quindi, dato che io non ho alcuna intenzione di farci arrestare e impiccare dalla regia marina nelle prossime ore, ti dispiacerebbe limitarti a remare?-
Il giovane si morse la lingua per non cacciare la risposta che si sarebbe limitato, e si impose per l'ennesima volta di non dargli corda. Poi notò che aveva abbassato il cannocchiale e stava armeggiando con qualcosa che portava legato alla cintura: pur essendo vicini c'era troppo buio per capire cosa fosse, anche se sembrava proprio... Sì, era la sua bussola. Non aveva visto il momento in cui se la era fatta riconsegnare da Faith.
- La tua bussola funziona, adesso?- domandò, senza riuscire a mascherare la curiosità.
Jack esitò per un momento prima di rispondere.
- Non lo so, a dire il vero. -
- Che cosa faremo una volta scesi a terra?- rincarò Will, impaziente.
- Daremo un'occhiata in giro. -
Non gli si riuscì a cavare di bocca altro.
C'era movimento nella zona del porto, perciò scelsero di toccare terra in un angolo del molo deserto e apparentemente abbandonato, dove non si vedeva un'anima e nemmeno una lampada era accesa a rischiarare l'oscurità.
Oltre al lontano brusio della gente nel porto, là dove si trovavano loro si sentiva invece solo il suono dell'acqua smossa dalla barca. Quando la scialuppa arrivò a raschiare piano contro il legno del molo, Jack si alzò improvvisamente in piedi e senza una parola montò agilmente sul porticciolo, lasciando a Will il compito di ormeggiare l'imbarcazione. Il giovane sbrigò in fretta il suo compito, poi salì a sua volta sulla banchina per seguire il capitano che si era fermato nell'ombra e ora si guardava attorno, circospetto.
- Ebbene? C'è un piano?- si decise a chiedergli Will, tanto per spezzare quel lungo silenzio che non era affatto da lui.
Jack stava giocherellando quasi furiosamente con la bussola che pendeva dalla sua cintura, agitandola e facendola dondolare ma senza osare aprirla o guardarla.
- L'atmosfera non è delle migliori, comprendi?- rispose, con una vistosa scrollata di spalle. - Ritengo che dovremmo metterci a cercare qualche buona locanda dove cominciare a fare domande, e se saremo fortunati... -
Il rintocco metallico del cane di una pistola, da qualche parte nel buio vicinissimo a loro, li paralizzò entrambi.
Will era ancora faccia a faccia con Jack, e lo vide bloccarsi a metà frase, spostare lentamente gli occhi sgranati verso la direzione del suono, quindi tornare a fissare lui.
- ...Non saremo fortunati. - terminò il capitano in tono quasi gioviale.
Will aveva già la mano sulla spada, ma una voce proveniente dalla direzione opposta lo bloccò sul posto.
- Giù le armi e non muovetevi, vi teniamo sotto tiro. -
I due pirati restarono fermi mentre gli altri uscivano lentamente dal buio, circondandoli. Erano cinque uomini armati che si avvicinarono con cautela, senza smettere neanche per un istante di puntargli contro pistole e fucili. Will aveva allontanato le mani dalla spada, ma non aveva alcuna intenzione di alzarle e arrendersi: quattro di loro sembravano avere meno della sua età. Potevano essere pirati o cittadini, almeno a giudicare dal loro abbigliamento trasandato e dalle armi che si portavano addosso come se sentissero il bisogno urgente di possedere un arsenale ambulante.
Un ragazzo biondo coi lunghi capelli raccolti in una coda gli si avvicinò e lo fissò da sopra la bocca spianata di un moschetto.
- Chi siete, e perché dite di voler andare in giro a “fare domande”?- domandò un altro. Era un giovane più grande dei suoi compagni, con capelli e occhi scuri, armato di pistola. Era stato lui ad annunciarsi col rumore dello scatto del cane, volontariamente.
Jack e William si scambiarono una rapida occhiata. Identificarsi? Con un galeone della marina in porto? Era molto improbabile che quelli fossero soldati inglesi, ma chi poteva dire chi stesse dalla parte di chi?
- Possiamo sapere chi ci minaccia, prima?- domandò Will, freddo.
- Temo proprio di no. - replicò il giovane dai capelli scuri. - E, al momento, qui nessuno è benvenuto, che siano soldati della marina, vagabondi o semplici pirati. -
- Allora non corrispondiamo a nessuna delle tre. - replicò Jack al giovane, in tono volutamente canzonatorio. - Poiché non siamo della marina, attualmente non stiamo vagabondando, e di semplice non abbiamo proprio nulla!-
Il giovane abbassò la pistola, scrutando Jack dall'alto in basso, poi fece un piccolo sbuffo e un mezzo sorriso come se la risposta lo avesse divertito.
Stava ancora sorridendo quando, senza neanche bisogno che gli facesse un cenno, il suo compagno alle spalle di Jack si fece avanti e sferrò al capitano un gran colpo alla nuca col calcio del fucile.

*

- Beh, mia cara, e questo che significa?-
Miss Hawk trattenne a stento le risate quando mi vide entrare nella sala principale della locanda rivestita da capo a piedi con i miei vecchi abiti. Le ragazze che stavano trasportando casse di cibarie al sicuro in cantina si voltarono a fissarmi. Qualcuno degli uomini intenti a sorvegliare le entrare fece qualche fischio salace, ma nulla di più.
- Non capisco perché siate tanto stupita. Preferisco girare armata, al momento, e né una spada né una pistola sono comode quando si indossa la gonna. - replicai.
Avevo felicemente riadottato la mia tenuta in stivali, pantaloni, camicia e la giacca che usavo per mimetizzarmi la sera in strada, e mi sentivo finalmente a mio agio. Aveva recuperato una pistola e una spada decenti tra la gran quantità di armi che passava per la Sirena al momento.
Miss Hawk mi scrutò da capo a piedi, con le braccia grassocce incrociate sul bancone in una posa severa.
- Capisco la comodità, ma dubito che avrai bisogno di quella spada molto presto. E poi... - il tono di Sylvie si inasprì, e lei si sporse sul bancone per rivolgersi solo a me con un'occhiata paralizzante. - Non sei esattamente nelle condizioni di attaccar briga. Hm? Intesi? Perciò vedi di non correre rischi inutili, ragazza. -
Mi morsi le labbra, ma riuscii comunque a non darlo troppo a vedere e a rispondere con molta tranquillità: - Capisco, miss Hawk. Ma non sto cercando grane: mi interessa solo essere preparata. -
C'era del trambusto dabbasso, così lasciai la sala per scendere le strette scale che davano sottoterra, adesso frequentemente intasate dal viavai dei ragazzi arruolati da Nathaniel, che arrivavano dal sottopassaggio via acqua portando informazioni. Per poco non mi scontrai con Ben che stava salendo le scale: si fermò appena in tempo, e quando mi vide mi fece cenno di affrettarmi.
- Stavo venendo a chiamarti. - mi disse: ero due gradini sopra di lui, ed era l'unica ragione per cui riuscii a guardarlo direttamente in faccia, mentre di solito dovevo starmene a naso per aria. - Ci sono delle novità; volevo che venissi a sentire anche tu. -
- Dimmi tutto!- lo pregai, impaziente, ma lui si limitò ad insistere perché lo seguissi e a guidarmi di sotto.
Il piano interrato era un corridoio lungo e largo scavato nella pietra, che terminava nel buio umido del porticciolo nascosto, mentre sui lati una serie di porte conduceva a poche stanzette solitamente usate come magazzini di riserva.
Trovammo Nathaniel nel bel mezzo del corridoio, intento a confabulare animatamente con altri tre dei suoi ragazzi, e si interruppe solo quando io e Ben lo raggiungemmo.
- Ci sono novità, Nathaniel? Che succede?- gli chiesi senza tanti preamboli.
Forse ero solo prevenuta, ma ebbi la sensazione che i suoi occhi indugiassero su di me un tantino più del dovuto, e semplicemente perché per una volta indossavo un paio di pantaloni. Si riscosse però molto in fretta e si decise a rispondermi.
- Solo una piccola scaramuccia con dei piantagrane; dopo ce ne occuperemo. - sospirò, mentre si passava distrattamente una mano tra i capelli scuri: sembrava molto stanco. - Ma c'è dell'altro. Lanthier ci manda un messaggio. -
Mi sentii raggelare nel sentire il nome del capitano: mi ero quasi completamente scordata di lui.
- Un messaggio? E sarebbe?-
- Dice che è dalla nostra parte. - il viso del giovane era titubante, mentre mi mostrava una pergamena arrotolata che sembrava essere stata ripetutamente accartocciata. - Uno dei suoi pirati l'ha consegnata ad uno dei nostri durante la ronda. Ci fa sapere che, se la nostra intenzione è di respingere gli inglesi da Isla Muelle, intende darci il suo supporto. E vuole incontrarci qui alla Sirena per parlare. -
- Lanthier? Che motivo abbiamo di fidarci di lui? Ma soprattutto, quale vantaggio ha lui a mettersi dalla nostra parte?-
- Non lo so, Laura. Ma diciamo solo che al momento non abbiamo molti buoni motivi per non accettare il suo aiuto, ecco tutto. -
Stavo per ribattere, quando la porta alle spalle di Nathaniel si aprì con un forte cigolio sordo: ne uscì Nicholas, con aria annoiata, e ci rivolse un cenno mentre faceva per richiudere. Quasi per caso guardai nel vano spalancato della porta, appena sopra la sua spalla, prima che la porta si chiudesse.
E sentii il cuore schizzarmi in gola per rimbalzare violentemente fino allo stomaco.

*

Jack riprese i sensi lentamente, con un mare di lucine danzanti ad oscurargli la vista e un dolore sordo alla base della nuca.
Era disteso su qualcosa di legnoso e stava fissando insistentemente un soffitto fatto di pietra: nessuno di quei due dettagli gli suonava familiare. Diavolo, doveva averla presa davvero brutta stavolta. Non era il peggiore dei risvegli che gli erano capitati nell'ultimo periodo, ma di certo quella fitta lancinante alla testa avrebbe potuto evitarsela...
Un momento. Non si era affatto affogato nel rum. Aveva una qual certa esperienza di risvegli dopo una sbornia, e quella non vi assomigliava per niente. E poi era lucido. Quel dolore alla testa non era dovuto ad una rigenerante, lunga bevuta, ma solo e unicamente al bernoccolo che si stava gonfiando sulla sua nuca.
Quando tornarono tutti quanti i sensi, udì due voci alla sua sinistra e si voltò, scatenando un'altra ondata di lucine danzanti. Uno era Will, seduto su di un barile, e stava parlando con un giovanotto biondo con un moschetto a tracolla.
Oh. Giusto. La piccola truppa che li aveva presi come topi in trappola appena avevano messo piede a terra.
- Ehi, sei sveglio?- Will lo notò e si voltò verso di lui. - Jack? Stai bene?-
Lui per primo non sembrava molto in forma. Jack constatò che dovevano avere avuto la mano pesante anche con lui, perché non ricordava che il giovane Turner avesse lividi in faccia quando era sceso con lui sulla scialuppa.
- Sono intero. Non grazie agli amici del signor biondino qui presente. - bofonchiò Jack, prendendosi qualche secondo prima di attentarsi a mettersi seduto. Gli esplosero ancora stelle negli occhi e il pavimento guizzò da tutte le parti, ma dopo qualche secondo tutto cominciò a tornare al proprio posto.
- Scusateci, niente di personale. - il biondino sorrideva pure, mentre si stringeva nelle spalle. - Con te ci sono andati giù pesante, è vero. Il tuo amico è venuto con le sue gambe, anche se abbiamo dovuto convincerlo. -
- Grazie veramente. - rispose Will, gelido. - Ora si può sapere dove siamo?-
A quanto vedeva Jack, in una specie di magazzino sguarnito. Lui era stato messo sdraiato sopra due casse affiancate, e l'intera stanza era stipata alla meno peggio di barili e sacchi ammucchiati l'uno sull'altro. Non c'era nessun altro arredamento.
Ancora una volta, il giovanotto sembrò quasi sul punto di ridere: sarebbe sembrato amichevole, se non avesse tenuto un moschetto in mano.
- Continuo a pensare che abbiamo proprio sbagliato, con voi due. - commentò. - Siamo alla locanda della Sirena. Se ancora non lo sapete, la situazione qui ad Isla Muelle è molto surriscaldata, per questo non possiamo lasciare che un paio di sconosciuti attracchino di nascosto nel porto e ci passino accanto indisturbati. Parlerete con Nathaniel. Gli direte tutto quello che vorrà sapere, e se tutto andrà bene dopo potrete andarvene per la vostra strada. Collaborate e dimenticheremo tutto in poche ore. -
- Mi auguro davvero che tu sia così bravo da convincere anche la mia testa, ragazzo. - replicò Jack, prima di distogliere completamente l'attenzione dal biondino e sedersi dritto sulle casse, controllando che cosa si erano presi mentre lui era fuori combattimento. Spada e pistola, sparite. Il cappello c'era ancora, posato a terra, e se lo rimise in testa con un certo orgoglio anche se fece una smorfia quando una fitta gli ricordò del bernoccolo.
La bussola. La bussola c'era ancora. Con gesti frenetici se la sfilò dalla cintura e quasi d'impulso la aprì, stringendola tra le mani e fissando il quadrante come se l'avesse l'irrazionale timore che quelli potessero in qualche modo averla rotta. Sì, eccola lì, esattamente come prima. L'ago indicava verso un punto imprecisato, che in quel momento corrispondeva ad un angolo della stanza.
- Non muovetevi. - li invitò il ragazzo, mentre si dirigeva verso la porta.
Jack era voltato nella sua direzione, ma lo degnò a malapena di uno sguardo mentre seguiva le evoluzioni della bussola. Stavolta, l'ago non roteava. Ma ecco che riprendeva a muoversi, spostandosi verso destra molto lentamente, quasi seguisse la direzione presa dal giovane.
Il biondino aprì la porta, uscendo dalla piccola stanza. In quel momento Jack alzò gli occhi pigramente, per seguire la direzione dell'ago che in quel momento, come per un curioso scherzo, stava puntando esattamente dritto di fronte.
E dall'altra parte della porta c'era lei.
Jack non emise un fiato, non mosse un muscolo, se non le mani che si aggrapparono alla bussola e gli occhi che si allargarono fino a diventare due orbite sbarrate nel suo viso abbronzato.
Per un attimo troppo corto, lei, dall'altro lato della porta, lo ricambiò esattamente con la stessa espressione a metà tra la meraviglia e il terrore: lo guardava, lo vedeva, non era un'allucinazione.
Poi fece in tempo a fare un solo gesto, rapidissimo e quasi spaventato: un indice portato alle labbra, i denti serrati in quella supplica di silenzio assoluto.
E poi la porta si chiuse.

*

- Non ho detto niente. - fece Nicholas, un po' sorpreso, riferendosi al gesto precipitoso che avevo rivolto apparentemente a lui portandomi l'indice alle labbra.
Qualunque cosa stesse dicendo Nathaniel o uno qualsiasi degli altri giovani lì radunati, smisi immediatamente di udirlo.
Quello era Jack!
Lo avevo guardato negli occhi, lo avevo riconosciuto! Jack era a meno di dieci passi di distanza da me, appena dietro quella porta! E io cosa avevo fatto? Gli avevo fatto “sht!” come un'idiota. Solo quello ero stata in grado di fare.
Per un lunghissimo istante fui ad un niente dallo scostare Nicholas con una spallata, spalancare quella maledetta porta chiusa e precipitarmi dentro. E non fui del tutto contenta di essermi trattenuta dal farlo.
Mi costrinsi a forza a restare immobile, fingendo di ascoltare quel che stavano dicendo Nathaniel e Ben, anche se al momento non sentivo nulla e mi sembrava che il mio cervello stesse urlando. Nella mia testa era appena stata data l'allerta generale, e ora non aveva alcun modo di riprendere il controllo.
Conveniva davvero far sapere agli Hawk e a tutti gli uomini presenti alla Sirena chi fosse Jack e chi fossi io? Perché Nathaniel lo aveva portato qui? E lui come era arrivato, tanto per cominciare? Da dove era spuntato fuori, senza che me ne accorgessi? Dov'era la Perla e la ciurma?
Da una parte mi dissi che era una precauzione stupida: mi dicevo che potevo fidarmi degli Hawk, e che appena avessi spiegato che Jack altri non era che mio marito, Nathaniel avrebbe...
Uhm. Un momento. Ecco un ottimo motivo per non rivelargli chi fosse Jack, almeno finché non avessimo avuto un momento di tranquillità.
Dall'altra parte, ero terrorizzata. L'apparizione di Jack mi aveva lasciata in preda al panico, perché di colpo non sapevo più che cosa fare: avrei voluto soltanto poter correre da lui e filarcela via insieme, senza doverlo coinvolgere in nulla di tutto ciò che stava accadendo alla Sirena.
Dovevo entrare in quella maledetta stanza.
- Chi sono quelli nella stanza, Nicholas?- domandai, interrompendoli: mi sembrava che perfino la mia voce avesse il suono sbagliato, ma forse gli altri non se ne accorsero.
Nathaniel mi guardava con aria vagamente disorientata. Probabilmente lui aveva intuito che la mia testa era di colpo da tutt'altra parte, anche se di certo non poteva indovinarne il motivo. Nicholas si strinse nelle spalle, accennando alla porta con un gesto del capo.
- Non lo so: pirati, credo, anche se a prima vista non c'è traccia di nessun'altra nave nel porto o nelle vicinanze. Sarebbe interessante sapere da dove siano spuntati fuori. -
- Li interrogheremo. - replicò Nathaniel, in tono sprezzante. - E ce lo faremo dire in un modo o nell'altro. Se anche a loro interessa non finire in pasto agli inglesi, chissà, potremmo anche “convincerli” a dare una mano alla resistenza!-
Per quanto non stessi badando a lui, feci una smorfia: non gli si addiceva quel falso atteggiarsi da grand'uomo, come anche il ruolo di condottiero.
- Penso che dovremmo interrogarli. - ribattei. - Penso che dovremmo farlo subito. -

*

Ammetto che non mi ero accorta di William, quando la porta si era aperta per la prima volta.
Tuttavia, vederlo al fianco di Jack, vedere entrambi loro, due facce così disperatamente familiari e attese, mi provocò un'ondata di emozione che trattenni solo a stento.
Ero assolutamente muta e immobile quando entrai nel magazzino dietro a Nathaniel e Nicholas. Qualunque cosa si fossero detti Jack e Will nel breve tempo trascorso da quell'occhiata rivelatrice e dal mio precipitoso avvertimento, ressero il gioco con abilità incredibile. Nessuno dei due fiatò quando mi videro entrare. Sapevo perfettamente che entrambi stavano guardando me, anche se l'unica cosa su cui riuscivo a concentrarmi erano gli occhi di Jack fissi su di me, e non potevo in alcun modo non ricambiare.
“Non una parola, ti prego, non una parola. Dio, quanto mi sei mancato...”
Nathaniel fece un cenno verso Jack, mentre si fermava con aria marziale nel mezzo della stanza.
- Come va la testa?- domandò: il suo modo per scusarsi. Quando lo disse mi girai involontariamente a guardarlo: aveva dato ordine che colpissero Jack? Non potevo biasimarlo, ma che diavolo... Se non altro lui mi sembrava stare bene.
Jack impiegò molto tempo a distogliere lo sguardo da me e prestare una minima attenzione a quello che stava dicendo Nathaniel, e quando rispose lo fece con una noncuranza quasi offensiva.
- Andrà meglio. - disse, e non aggiunse altro. Continuava a guardarmi. Dio, poteva almeno sforzarsi di essere un po' meno evidente.
- Perché siamo qui?- domandò William, che se non altro tra i due sembrava quello ancora dotato di autocontrollo.
- Dei soldati della marina inglese sono venuti qui a cercare guai, ieri notte. - si degnò di spiegare Nathaniel, coi pugni sui fianchi. - C'è stata una sparatoria, e molto più chiasso di quanto gradiamo averne. Il galeone inglese è ancora alla fonda nel porto, e temiamo che da un momento all'altro si possano scatenare rappresaglie sulla città: questo non è più un posto sicuro. Quindi vi chiedo... - il suo tono si indurì, così come l'occhiata circospetta che puntò su entrambi. - ...siete qui per portarci altri guai? Se siete pirati avrete una nave, da qualche parte, e tutti noi vorremmo tanto sapere dove si trova e perché siete scesi nel porto come due spie. -
Personalmente avevo un paio di teorie al riguardo.
- Anche noi volevamo sapere cosa stava succedendo. - replicò Will, con prontezza di spirito invidiabile: la sua espressione era granitica esattamente come quella di Nathaniel. - Con quel galeone inglese nel porto non potevamo rischiare di avvicinarci troppo, non credete? Siamo scesi a terra in due e di nascosto per sicurezza. Non sapevamo niente dei disordini. -
Vidi che Nathaniel scoccava di tanto in tanto occhiate a Jack, come se si aspettasse di sentire parlare lui al posto di Will. Invece il mio capitano non diceva niente, e si limitava a starsene seduto dov'era, a braccia incrociate, e sentivo l'intensità del suo sguardo perforarmi da parte a parte.
- E adesso che lo sapete, invece?- si informò, improvvisamente più interessato. - La nostra situazione è difficile, ma siamo pronti a ricevere l'attacco degli inglesi se dovessero decidere di attaccare la città. Ma voi avete una nave, a quanto dite, e questo potrebbe esserci molto utile. -
- Non cerchiamo guai. - il tono di William si fece ancora più freddo.
- No, li avete già trovati. - ribatté Nathaniel. - Potevo non correre alcun rischio e farvi uccidere entrambi lì al porto: nessuno avrebbe sentito niente, e io mi sarei evitato una seccatura. Ma adesso che siete qui, il minimo che potreste fare sarebbe collaborare. - allargò le braccia, mentre si faceva infervorare dalle sue stesse parole. - Ci servono cannoni. Armi. Potenza di fuoco. Se avessimo almeno un paio di navi là fuori pronte ad andare addosso al galeone inglese... o a più galeoni inglesi, se quei dannati dovessero decidersi a chiamare rinforzi... Avremmo il coltello dalla parte del manico: li spaventeremmo abbastanza da farli girare al largo da Isla Muelle per anni. -
Ecco perché stava seriamente considerando l'offerta del capitano Lanthier. Ma -e parlavo per esperienza- potevamo davvero metterci nelle mani di una ciurma di pirati e confidare semplicemente che facessero il nostro gioco fino alla fine?
- Come il ragazzo ti ha già detto, non siamo venuti qui per prenderci a cannonate con gli inglesi. - lo interruppe ad un tratto Jack, in tono annoiato.
Nathaniel si voltò bruscamente verso di lui, punto sul vivo: sapevo che la sua ostentata indifferenza era ciò che più lo stava facendo irritare.
- E allora non dovevate venire qui affatto!- scattò. - Insomma, siete o non siete voi il capitano? Abbiate almeno il coraggio di parlarmi faccia a faccia e di non lasciare che sia il vostro secondo a parlare per voi!-
Ad un tratto Jack fece l'ultima cosa che mi sarei aspettata: sbottò in una piccola risata, poi scosse il capo e guardò Nathaniel con aria divertita.
- Perdonami, ragazzo, è vero: sono distratto. - spostò di nuovo verso di me solo gli occhi, inchiodandomi ancora con lo sguardo. - È che mi manca mia moglie, sai. Mi manca da troppo tempo. Fino a pochissimo tempo fa ero ancora convinto che fosse morta. Se fosse qui le direi che la amo e che mi manca da morire. -
Nathaniel lo stava fissando con espressione assolutamente sconcertata. Io mi sentivo un nodo in gola stretto quanto una gassa d'amante, e mi stavo dibattendo tra la voglia di correre ad abbracciare Jack e di prenderlo a pugni.
“Idiota, idiota, idiota. Ti amo anch'io.”
- Ma non credo di poter parlare di mia moglie, al momento. - Jack distolse lo sguardo dal mio, con un gesto che quasi mi strappò un singulto di protesta. - Quindi me ne starò zitto e muto, finché qualcuno che sia di una qualche rilevanza per me non mi spiegherà che cosa sta succedendo esattamente qui. -
Dio, non avrebbe potuto essere più esplicito alle mie orecchie. Per lunghissimi istanti mi tormentai domandandomi se fosse il caso di buttare all'aria la cautela e rivelare semplicemente chi ero e cosa avevano a che fare loro due con me. Ma non lo feci. La mia determinazione a tenere la segretezza sorprese me per prima: non mi fidavo di Nathaniel, o di Nicholas? Tristemente, la risposta era no. Non sapevo di chi potevo fidarmi, e se potevo affidare a loro la vita di Jack e di Will.
- Amico, mi dispiace per tua moglie. - sbottò Nathaniel, equivocando. - Ma qui stiamo parlando di cose serie. Non posso semplicemente lasciarvi andare quando qui abbiamo bisogno di uomini e di armi. Vi stiamo chiedendo il vostro aiuto: non costringeteci ad esigerlo con la forza. -
- Non è necessario. - scattai, ad un tratto. - Nathaniel, se tu sei disposto a fidarti di Lanthier, possiamo dare il beneficio del dubbio anche a questi due. Nessun pirata sta dalla parte degli inglesi, te lo assicuro. -
Il ragazzo sembrò indispettito dalla mia intrusione, però si voltò comunque verso di me con aria sorpresa. Accennò con la mano a Jack e Will, alzando le spalle.
- E allora che cosa suggerisci di fare con loro? Lasciarli andare e basta?-
- Non per il momento, ma di certo possiamo trattare civilmente. - buttai fuori il fiato: la tensione mi stava uccidendo. Per la prima volta da quando ero entrata nella stanza guardai direttamente Jack senza nascondere la mia occhiata. - Voi. Siete ferito. -
Non l'avevo posta come una domanda per non lasciare la minima possibilità di rispondermi con un no. Per un attimo Jack inarcò le sopracciglia, perplesso, poi si portò una mano alla nuca e tastò piano sotto il cuoio capelluto alla ricerca dei danni.
- Immagino di sì. - rispose. Dannazione a lui per non essere assolutamente riuscito ad evitare di dirmelo con un sorrisetto inequivocabile.
Mi voltai verso Nathaniel con un'espressione che non ammetteva repliche. - Lui va in infermeria, prima di tutto. E voi dovreste fare le cose con un po' più di criterio: non potete tramortire e prendere prigioniero ogni uomo che sbarca sul molo!-
- Che cosa avremmo dovuto fare?- protestò Nathaniel, oltraggiato, ma io lo avevo già superato e mi stavo dirigendo verso Jack. Diedi fondo a tutte le mie doti di dissimulazione più in quel momento che in ognuno degli interminabili minuti precedenti: mi accostai a Jack, posai una mano sul suo braccio e lo tirai, incitandolo ad alzarsi. Sentivo sotto le dita la ruvidezza della sua giacca, e la solidità del suo braccio al di sotto della stoffa. A costo di suonare svenevole, giuro che per poco non mi venne da piangere quando lo toccai per la prima volta dopo due mesi interi, ulteriore prova che non era un'allucinazione ma era proprio lui, ed eravamo ad un soffio l'uno dall'altra.
Fu una fortuna che stessi voltando le spalle a Nathaniel e Nicholas, e che impedissi loro di vedere il viso di Jack, perché l'occhiata che ci scambiammo in quell'unico istante fu così carica di nostalgia che ci avrebbe smascherati subito.
Mi tratteni dal fare alcunché. Jack si alzò in piedi, seguendomi docilmente, la mia mano che ancora stringeva il suo braccio. Mi sforzai di tenere ferma la voce e mi girai verso Nathaniel.
- Vado a portarlo di sopra perché gli diano un'occhiata: non voglio feriti. - mi misi a camminare così rapidamente che sulle ultime parole avevo già quasi infilato la porta. - Portate l'altro in sala, e trattatelo con un po' di rispetto. Dovremo parlare, più tardi. -
La mai grande fortuna era che Nathaniel fosse così disponibile a darmi retta, perché lasciò che uscissi dalla stanza insieme a Jack senza fare maggiore protesta di un'occhiata di biasimo. Nel corridoio c'erano altri giovani della sua risma, che mi osservarono con curiosità mentre uscivo dal magazzino conducendo con me, apparentemente, un prigioniero.
Jack camminava al mio fianco senza parlare e senza guardarmi: tenevamo lo stesso passo, e anche involontariamente stavamo tanto vicini che il mio fianco aderiva perfettamente al suo, la mia mano infilata sotto il suo braccio, che lo stringeva come se temessi di vedermelo scivolare via in qualsiasi istante. Sentivo di avere esattamente pochi minuti di pensiero coerente, poi qualsiasi tentativo di ragionamento razionale sarebbe stato felicemente gettato alle ortiche: ergo, dovevo decidermi in fretta.
Svoltammo una curva del corridoio: i giovani dietro di noi non potevano più vederci, e davanti a noi non c'era nessuno. Mi sembrava di aver dimenticato come si faceva a respirare. C'era la porta di un altro piccolo magazzino alla nostra sinistra: mi fermai bruscamente, tirando Jack con me, la aprii e mi presi più o meno mezzo secondo per accertarmi che dentro non ci fosse nessuno eccetto i sacchi di farina.
Spinsi Jack all'interno. Lui non se l'aspettava e barcollò goffamente nel mezzo della stanza, mentre io richiudevo la porta dietro di me assicurandomi perfino che fosse tirato il chiavistello. Poi andai verso di lui.
Filtrava a malapena una lama di luce polverosa in quel piccolo magazzino claustrofobico, eppure trovai quasi a colpo sicuro le mani di Jack protese verso di me nella semioscurità. Erano caldissime contro la freddezza degli anelli: li riconoscevo uno per uno sotto le dita.
Senza che ci fosse bisogno di dire nulla io mi lancia verso di lui e lui mi attirò a sé, circondandomi in un abbraccio, e di colpo ci fu solo quello. Le sue braccia che si chiusero attorno a me, la sua mano contro la mia nuca. Affondai la faccia nei suoi capelli, sentendo sotto di essi il calore quasi bruciante del suo collo, e in quel momento scoppiai a piangere senza neppure rendermene conto: non avrei voluto piangere, quello che provavo in quel momento non aveva proprio niente a che fare col dolore, eppure le lacrime cominciarono a scorrermi libere sulla faccia senza che potessi farci nulla.
Per qualche momento, nessuno dei due volle allentare l'abbraccio. Non volevo neanche aprire gli occhi, volevo solo aggrapparmi a lui con tutto il mio peso fino ad eliminare ogni centimetro di distanza tra i nostri corpi. Poi però la sua mano mi accarezzò il collo, la sentii cercare il mio viso, sollevarlo. Aprii gli occhi. Alla distanza di un respiro ci guardammo in faccia per un istante, prima di baciarci furiosamente.
La sua bocca si chiuse sulla mia, spremendo fuori tutto il fiato che mi rimaneva. Gli serrai un braccio attorno al collo e lo attirai ancora più vicino a me, come se avessi voluto morderlo, e mi avvinghiai a lui con tanta energia che ad un tratto i miei piedi stavano toccando a malapena il pavimento.
Jack mi teneva contro di sé con un braccio stretto attorno alla mia vita, e non aveva alcuna intenzione di mollare la presa: ci baciammo ancora, schiacciandoci ciecamente le facce, poi sentii la sua lingua insinuarsi con decisione tra le mie labbra e mi abbandonai, con un gemito di nostalgia simile al lamento di un animale ferito.
Di colpo non eravamo più in piedi. Mi sentii sbilanciare completamente per un attimo, poi mi accorsi che Jack si era lasciato cadere di schiena su un mucchio di sacchi di farina, trascinandomi con sé: ebbi appena il tempo di vedere lo scintillio dei suoi denti d'oro quando mi rivolse un sorriso, poi mi strinse a sé e mi baciò di nuovo.
- Sei vivo!- sussurrai, col fiato che mi restava tra un lungo bacio e l'altro. - Dio mio, sei vivo!-
- Tu sei viva!- replicò lui, con la voce rotta da un'emozione improvvisa, e ad un tratto mi afferrò la faccia con entrambe le mani e mi baciò con ancora più urgenza, tirandomi completamente sopra di lui. Il suo calore era delizioso. Averlo così vicino era delizioso.
Gli strinsi le gambe contro i fianchi e a mia volta gli agguantai il viso tra le mani, toccandolo furiosamente finché non ne riconobbi ogni millimetro, dagli zigomi duri, alle labbra dischiuse, fino al pizzetto ispido. Lo baciai, senza riuscire a fermarmi. Poi di colpo mi accorsi che stavo piangendo troppo per andare avanti, e senza alcun preavviso crollai con la fronte contro il suo petto, scossa da capo a piedi da singhiozzi nervosi.
- Ehi... ehi... - il sussurro gentile di Jack risuonò alle mie orecchie, caldo e confortante. Lo sentii che si raddrizzava e mi accarezzava piano i capelli, stringendomi a sé. - Laura, sono qui... va tutto bene... -
- Ti amo. - alzai la testa, lo baciai, poi tornai a stringermi convulsamente al suo petto. - Ti amo. -
- Ti amo anch'io. - non avrei mai creduto di poter sentire la sua voce talmente rotta dall'emozione, se non l'avessi udita con le mie orecchie. Mi abbracciò forte, premendo la fronte contro la mia, e sentii anche sul suo viso l'umido delle lacrime, anche se era impossibile dire se fossero mie o sue. - Io lo sapevo che eri viva, dannazione, lo sapevo!-
- Sono viva!- gli assicurai, con quella foga con cui si ribadiscono le cose assurde quando si è appena scampati ad una catastrofe. Le sue labbra sfiorarono le mie, e ci baciammo ancora. Stavo per ricominciare a piangere.
- Siamo in un guaio, Jack. - mormorai, quando fui in grado di mettere in fila più di due parole. - Dobbiamo... dobbiamo tornare di là. -
La mezza luce del magazzino era sufficiente per guardarlo in faccia: potevo vederlo mentre stava sdraiato sotto di me, con le braccia avvolte attorno alla mia vita, e vedere il bellissimo sorriso che mi rivolse.
- Sì, dobbiamo tornare di là... - ammise, con un sospiro, in tono vagamente trasognato. Poi mi strinse un po' più forte e portò una mano dietro la mia nuca, accarezzandomi.
- Prima o poi. - aggiunse, prima di tirarmi contro di sé per un altro bacio profondo e irresistibilmente dolce.



Soundtrack!

NOTE DELL'AUTRICE:
A-ehm.
Salve. Penso di dovervi delle spiegazioni.
Inutile negarlo: questa storia si è presa una pausa lunga ben sei mesi, e so che si tratta di un tempo tutt'altro che indifferente. Sono accadute molte cose in questi mesi, tra cui il lavoro, l'aver concluso una trilogia fantasy che spero di pubblicare, aver iniziato un nuovo libro, e avere cambiato e maturato tantissime cose nel mio modo di scrivere e di creare.
Scrivere esige i suoi tributi, e purtroppo spesso devi lasciare indietro qualcosa: in questo caso è toccato per un po' a Caribbean Tales. Non ho mai avuto intenzione di abbandonarla: sapevo come continuava, e sapevo che ci sarei tornata, ma vedevo anche i mesi passare senza avere tempo o forza di rimettermici sopra. E poi, di recente, ho capito che era passato troppo tempo ed era ora di prendere una boccata d'aria fresca, anche solo scrivendo qualcos'altro. Scrivere una fanfiction è sempre qualcosa che ti fa respirare un po' più liberamente.
Ma, soprattutto, mi sono ricordata che dovevo qualcosa a qualcuno. Ai lettori. Per la prima volta in vita mia mi sono arrivati messaggi che molto semplicemente mi chiedevano quando e se avrei aggiornato. Sappiate che per me quei messaggi significano tutto. Mi hanno ricordato che c'era gente che mi leggeva e che sarebbe stata felice di poter leggere ancora qualcosa di mio. E questa è l'unica cosa a cui aspiro come scrittrice, di fanfiction e non.
Così, ritorno e porgo le mie scuse anche perché ve lo devo: a tutti voi che mi avete letta, che mi avete lasciato un commento, che mi avete scritto o che siete rimasti delusi. Vi devo moltissimo. Perciò grazie a voi per avermi riportata sulla cresta dell'onda!

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***


Capitolo 9


Il tempo assumeva una strana dimensione quando comprendeva il fatto di trovarmi chiusa in uno sgabuzzino buio con Jack sdraiato sotto di me. Ero convinta di avere detto almeno tre volte “Dai, alziamoci...” seguito da un poco convinto “Hm-mh” di Jack, ma nessuna delle volte alla frase era mai seguita l'azione.
Era così bello starsene semplicemente lì senza la minima idea di quanto tempo fosse passato. Baciai Jack in silenzio, assaporando piano il calore delle sue labbra e la ruvidezza della barba. Dio, come diavolo avevo fatto a resistere per tutto quel tempo senza un bacio come si deve?
Jack sembrò pensarla allo stesso modo, perché sentii le sue mani sulla nuca, con le dita che si aggrappavano strette ai miei capelli per impedirmi di ritrarmi. Tuttavia, sapevo che c'era una nota stonata in quel quadretto: c'erano tante note stonate, e quello era proprio il momento meno opportuno per le effusioni, per quanto mi fossero mancate. C'erano troppe cose che dovevo sapere, che dovevamo sapere entrambi. Avrebbe dovuto dirmi dov'erano tutti gli altri. Avrei dovuto dirgli... Oddio, perfino il mio ventre premuto contro il suo mi ricordava del prezioso fardello che in quel preciso istante stava tra me e lui.
D'accordo, c'erano delle priorità: ed ero drammaticamente sicura che se gli avessi dato quella notizia adesso, avrei dovuto trascinarlo fuori da quello sgabuzzino a braccia.
- Cosa diamine è successo?- sussurrò Jack contro le mie labbra quando mi lasciò andare. Lo sentii sorridere. - Ti lascio sola due secondi e mi diventi un'autorità della malavita su Isla Muelle? In tal caso, sappi che mi candido per il ruolo dell'amante della regina dei ladri, immediatamente... -
- Jack... - mi tirai indietro e lo forzai a mettersi seduto, anche se restai a cavalcioni sopra di lui visto che la posizione era così gradita ad entrambi. - Non sono un'autorità qui. Comandano gli Hawk: queste persone mi hanno salvata e accolta, ma non so se possiamo fidarci di tutti loro. È per questo che non volevo che sapessero chi sei. -
Nella semioscurità vidi gli occhi di Jack fissarmi: tutto il suo viso si incupì sempre di più mentre sembrava meditare a fondo sulla cosa, poi le sue mani presero le mie.
- Allora andiamo via. - bisbigliò, in tono pratico. - Recuperiamo William e svigniamocela, finché siamo ancora in tempo. -
- Non li posso lasciare così. - protestai, mentre mi piegavo su di lui. - Devo loro delle spiegazioni, almeno. E poi li ho appena lasciati in un ben casino: la marina inglese potrebbe venire e cannoneggiare l'intera città entro domattina, senza neppure un avvertimento!-
- A me questo sembra solo un ottimo motivo in più per avere fretta, comprendi?-
C'era un'insolita durezza nelle sue ultime parole, e non mancai di notarlo. In realtà, fin dal primo momento avevo fiutato che qualcosa non andava: quello che mi ero trovata davanti nell'altra stanza era un Jack Sparrow decisamente sottotono rispetto a quello che mi ricordavo. Perfino il suo “ti amo” che mi aveva sussurrato suonava come il lamento di un uomo ferito profondamente. Conoscevo ogni sfumatura della sua voce, e non avrei mai potuto non accorgermene.
Ma che cosa significava? Anch'io avevo sofferto. Anch'io avevo temuto di non rivederlo mai più. Questo non cambiava niente.
- No. - replicai, brusca. Ci fu un istante di silenzio, un brivido di freddezza improvvisa tra di noi, poi di colpo lo abbracciai.
- Vieni con me. - lo pregai sottovoce. - Jack, vieni con me. Ho bisogno del tuo aiuto per salvare delle persone: insieme forse possiamo farcela e allontanare la marina inglese da loro. Non voglio andare da nessuna parte senza di te: di questo puoi stare certo. Ma ora devo pensare anche a loro. -
Jack esitò per un attimo, anche se poi lo sentii abbracciarmi di rimando. Stava per rispondere qualcosa quando, all'improvviso, udii un cigolio sonoro alle mie spalle, e la luce del corridoio inondò impietosamente lo sgabuzzino prima che uno di noi potesse fare qualsiasi cosa. Non ebbi neanche il tempo di voltarmi che udii distintamente la voce di Nathaniel, inferocita, che gridava: - Toglile le mani di dosso o io ti...! -
Si interruppe di colpo quando il suo sguardo allibito incrociò il mio. Al momento gli davo la schiena ma, appollaiata sulle gambe di un Jack mezzo disteso sopra ai sacchi di farina, senza alcun dubbio quella nella posizione più compromettente ero io.
Jack si sporse da dietro di me per fare un cenno frettoloso ad uno sconcertato Nathaniel, che sembrava avere perso la lingua.
- Lusingato che ti preoccupi del mio onore, compare, ma tranquillo, lei non mi sta violentando!-
Mi sentii un mostro per il solo fatto che mi venne seriamente da ridere. Nathaniel aveva in mano una pistola, ma la abbassò bruscamente e avanzò verso di noi, senza però avvicinarsi per più di qualche passo. Era paonazzo in faccia, e ci scrutava con l'espressione più inferocita che gli avessi mai visto fare: sembrava completamente sconvolto. Era peraltro evidente che i miei lodevoli propositi di fare meno danni possibile erano appena andati bellamente in fumo.
- Che cazzo... - ringhiò, piano, solo per alzare la voce e ripetere, allibito: - Che cazzo?! Avrei staccato la testa a Nicholas quando, tutto tranquillo, mi ha detto che ti aveva visto sparire dietro ad una porta con questo qui! Ero convinto che ti avesse aggredita! Ero spaventato a morte! Che cazzo succede, vuoi dirmelo?!-
Mi alzai precipitosamente in piedi prima che la situazione potesse degenerare oltre, e presi Jack per mano per fare alzare anche lui. Ormai, sicuramente, le grida di Nathaniel avevano allertato tutti coloro che erano a portata d'orecchio: alla faccia della segretezza.
Nathaniel sembrava perfino sul punto di girare sui tacchi e andarsene per piantarci in asso lì da soli, ma mi feci avanti verso di lui con le mani alzate.
- Nathan, aspetta!- lo pregai. - Possiamo spiegare tutto, d'accordo? Ma non qui. Vi spiegherò tutto, ma dobbiamo andare subito a parlare con Sylvie: io te, Ben e loro due. Te lo giusto, è di vitale importanza. E dobbiamo andarci ora!-

*

Fu un gruppetto estremamente preoccupato e imbarazzato quello che si radunò nelle stanze private di Sylvie Hawk. Sedemmo ai due capi opposti di un tavolo in un salottino spartano, e la signora Hawk versò brandy per tutti senza dire una parola: stava dritta di fronte a me, e Nathaniel e Ben sedevano al suo fianco; io facevo altrettanto, seduta tra Jack e William.
Sylvie prese una lenta e generosa sorsata dal proprio boccale, centellinando ogni goccia mentre non staccava gli occhi da me.
- Gli Sparrow. - disse alla fine, a bassa voce, una volta che le ebbi raccontato tutto quello che c'era da sapere. Posò il boccale sul tavolo e cominciò a tamburellarvi sopra con le dita. - Gli Sparrow, Cristo di un Dio... a saperlo, che il marito che stavi aspettando era solo il pirata più ricercato dei Caraibi... -
- A saperlo, che stavi aspettando un marito... -
Nathaniel lo sibilò con disprezzo, e stavolta alzai di scatto gli occhi per fulminarlo con lo sguardo. Ma come si permetteva? Il giovane dagli occhi scuri sostenne la mia occhiataccia e incrociò le braccia sul petto, fissandomi. Il modo in cui mi guardava mi fece male: lo avevo visto veramente preoccupato per me, poco prima, quando aveva fatto quell'imbarazzante irruzione nel magazzino, ma da quel momento la sua faccia era diventata di pietra.
Potevo capire le motivazioni. Ma non potevo, in nessun caso, sopportare il suo astio velenoso.
- Sì? Cosa avreste fatto se lo aveste saputo?- li invitai a continuare, fissandoli entrambi, ma mi soffermai su Sylvie. - Avreste agito diversamente? Quindi, davvero vi stupite che io abbia preferito tenervelo nascosto, all'inizio? Non sapevo a che cosa andavo incontro. Dovevo essere cauta per salvarmi la vita. -
La signora Hawk si strofinò la faccia con le mani grassocce, sospirando. Notai solo in quel momento quanto mi sembrasse stanca: i suoi capelli biondo scuro sfuggivano alla rigida crocchia, e non era la luce delle candele a disegnare nuove rughe sul suo viso.
- Non ti avremmo denunciata, mia cara. - mi disse infine, in tono più dolce. - Quello non lo avremmo mai fatto. Ci conosci, adesso: ti sembriamo gente che va a braccetto con la regia marina? È solo che... abbiamo sempre saputo che avevi dei segreti, e li abbiamo rispettati. Ma se un cacciatore di taglie viene da queste parti a cercare gli Sparrow... -
- Non “gli” Sparrow, signora mia. Uno soltanto. - la corresse Jack, sfoderando un sorriso cordiale e picchiettando l'indice sul tavolo. - Balthazar cerca solamente il sottoscritto. Sono sicuro che la presenza di miss Sparrow qui non vi abbia tirato addosso attenzioni indesiderate. -
- Come puoi dirlo?- Nathaniel lo fissò con aperta ostilità: i suoi occhi mandavano lampi ogni volta che lo guardava. Io fissavo colui che prima consideravo mio amico, l'unica spalla a cui appoggiarmi, e dovevo trattenermi per non urlargli addosso e dargli dell'idiota, mentre squadrava Jack da capo a piedi con aria sprezzante. - Non lo sai che cosa cerchino o sappiano gli agenti di Balthazar. Il problema è proprio questo, Laura... - per un momento solo il suo sguardo guizzò su di me, ma non incrociò il mio. - Non dicendoci chi sei potresti avere salvaguardato te stessa, ma messo in pericolo noi. -
- Vuoi a tutti i costi darmi la colpa di qualcosa?-
Inacidii il tono, mentre le mie dita si serravano attorno al manico del mio boccale ancora pieno. Le mie parole di sfida servirono almeno a qualcosa: Nathaniel si decise a guardarmi in faccia.
- Fa pure, allora. - sbottai. - Non te lo impedirò. Ma quello che sto cercando di dirvi, è che ho tutto l'interesse di non provocarvi altri guai e di aiutarvi, finché posso. -
- Lo apprezziamo. - Sylvie precedette suo figlio: adesso sembrava appena più tranquilla di qualche momento prima, e fui quasi sicura di averla vista scoccare al giovane un'occhiata di biasimo che sicuramente non era sfuggita né a lui né a suo fratello.
Se il figlio maggiore era trasparente in ciò che provava, non potevo dire assolutamente lo stesso di Ben. Dall'inizio di quella conversazione mi aveva fissata con un'espressione imperscrutabile, in equilibrio perfetto tra l'incuriosito e il ferito, e tutt'ora mi piantava gli occhi addosso in assoluto silenzio. Non capivo cosa guardasse. Me? L'eccentrico capitano pirata con fili di perline nei capelli intrecciati e la pelle cotta dal sole che mi sedeva accanto, e che fin dall'inizio di quella discussione era sembrato -in modo assai poco appropriato- di ottimo umore?
Anche questo faceva parte delle cose che mi stavano silenziosamente torturando: mi si stavano riversando addosso gli interrogativi e i dubbi di tutti loro, tutte persone a cui tenevo, e non avevo alcun modo di far fronte a tutti loro. E, perfino in quel frangente, Jack riusciva ad essere semplicemente felice di essere di nuovo con me. Lo sentivo, lo percepivo quando gli stavo accanto, e mi accorgevo di quanto fosse difficile per noi, adesso, stare così vicini e rinunciare a toccarci: poco prima gli avevo stretto la mano sotto il tavolo e di colpo avevo provato l'assurdo desiderio di piangere -cosa che sarebbe stata del tutto inappropriata in quel momento- quindi avevo smesso con la scusa del boccale di brandy, che comunque non avevo toccato.
Dio, dovevo dirgli che aspettavo un figlio. Aspettavamo un figlio. Avevo bisogno di Faith. Volevo che lei mi rassicurasse, mi dicesse che cosa fare e che cosa non fare, e che si arrabbiasse quando lo facevo ugualmente.
Dov'era Faith? E Michael? Dove erano Elizabeth e David? Come stavano tutti?
Sapevo che avrei dovuto prestare attenzione agli Hawk, e al piccolo mondo della Sirena che mi aveva accolta e protetta fino a quel momento, ma la verità era che riuscivo a pensare soltanto al mio mondo, alla Perla Nera.
Avrei voluto che Jack mi cavasse d'impiccio con qualche sua trovata, con una delle sue assurde frasi brillanti, qualcosa. Invece no. Niente. La sensazione di estraneità e familiarità insieme che già mi aveva colta quando ci eravamo trovati nello sgabuzzino tornò a tormentarmi sottilmente.
- Nathan non ha usato i modi più gentili per dirlo. - gli occhi slavati di Sylvie dardeggiarono in direzione del figlio; poi, con la massima calma, la donna tirò fuori dalla tasca la sua amata pipa e sotto il nostro sguardo cominciò a prepararsela. - Però non possiamo dargli tutti i torti. Se qualcuno, per qualsiasi motivo, dovesse sapere che sei legata al capitano Sparrow e alla sua ciurma, e ti avesse vista, molto probabilmente potremmo avere dei guai per questo. Più guai di quelli che stiamo passando al momento con la marina decisa a prendere Isla Muelle. Ci manca solo che un cacciatore come Balthazar abbia solo anche il minimo sentore che una delle sue prede potrebbe trovarsi qui, che si precipiterebbe su di noi e raderebbe al suolo tutto solo per scovarvi. -
Pressò il tabacco dentro la pipa, e aveva appena cominciato ad armeggiare col fiammifero che non collaborava, quando Jack si alzò con un leggero tintinnio di perline e si sporse attraverso il tavolo per prenderglielo di mano e accenderlo con gesto elegante. Sylvie sembrò piacevolmente impressionata e, con la consueta flemma, aspirò qualche pesante boccata dalla pipa mentre Jack le reggeva il fiammifero, poi emise uno sbuffo soddisfatto spandendo attorno a sé una nuvoletta di fumo azzurro.
- Preoccupazione più che comprensibile, madame. - convenne Jack nel suo tono più affabile, mentre spegneva il fiammifero e restava in piedi, allungato sopra il tavolo. - E, credetemi, non faccio un discorso puramente interessato quando dico che la mia presenza qui rappresenta un rischio reale per voi tutti. Nemmeno io voglio causarvi guai. Sono in debito. Potrei anche passare galantemente sopra al bernoccolo e alla scocciatura del rapimento... - rivolse un sorrisetto senza alcun calore a Nathaniel. - A parte questo, vi devo la vita di Laura e ve ne sono grato, comprendete? Ma, al momento, l'unica cosa che io e lei possiamo realmente fare per tenervi al sicuro è andarcene. -
- E ci lascerete a sbrigarcela da soli con la marina? Grazie davvero. - sbottò Nathaniel.
- No. - lo interruppi bruscamente, ancora con le mani strette attorno al boccale. Fissavo la superficie dorata del liquido al suo interno. - Io devo tornare con la mia nave e la mia ciurma, ma non voglio lasciarvi in mezzo ai guai. Effettivamente penso che ci sarebbe un modo. Possiamo attirare la marina lontano da qui: è sufficiente che si accorgano della Perla Nera ed è molto probabile che lasceranno perdere la città per inseguirci. -
Questo bastò ad attirare la loro attenzione. In un attimo mi stavano nuovamente fissando tutti quanti, compresi Jack e Will.
Jack fissò prima me, poi Sylvie Hawk come per assicurarsi di non essere stato l'unico a sentire quelle parole dalla mia bocca, quindi tornò a guardarmi.
- E in che modo esattamente eviteremmo di farci mettere il sale sulla coda dagli inglesi?- domandò, sgranando gli occhi.
- Li abbiamo già seminati altre volte, no?- lo fissai di rimando, speranzosa, augurandomi che mi appoggiasse. - L'importante è che vedano la Perla allontanarsi da Isla Muelle. -
- Non sono sicuro che funzionerebbe del tutto. - Will era rimasto silenzioso fino a quel momento: aveva appena sorseggiato il brandy, e ora proprio come me si teneva il boccale di fronte tanto per tenere qualcosa tra le mani. Era corrucciato mentre lo faceva ruotare e continuava: - Chi ci assicura che, vedendo la nave da queste parti, non decidano ugualmente di fare una retata sull'isola per avere informazioni, invece di correrci dietro? La gente di qui rischierà un attacco lo stesso. D'altra parte, partecipare insieme a voi ad uno scontro a fuoco con le navi da guerra inglesi sarebbe una carneficina. Io non ho intenzione di prendere parte ad una cosa del genere. -
- Ho capito che non avete intenzione di aiutarci. - replicò Nathaniel, il cui tono si era fatto improvvisamente tanto calmo quanto gelido: il giovanotto ci squadrò uno ad uno con un'irritante aria di sufficienza, mentre intrecciava le dita sul tavolo e decideva che, evidentemente, non eravamo che una delusione per lui. - Ma non importa. In effetti, signori, probabilmente non saremo così sfortunati da dover mendicare il vostro aiuto. Se voi avete troppa paura di sporcarvi le mani, forse c'è qualcun altro che lo farà. - ad un tratto Nathaniel si alzò, sbattendo le mani sul tavolo. - Il capitano Lanthier ci ha proposto un incontro, e io intendo accettare l'offerta. Non ho bisogno dei vostri servigi, capitano. Per me potete levarvi dai piedi subito. -
Lo fulminai con lo sguardo ancora una volta, sconcertata: i suoi modi mi stavano veramente esasperando oltre il limite.
- Non avrai intenzione di incontrarlo da solo?!-
- E chi dovrei portare con me? Te?- il modo sprezzante in cui lo disse era quasi disgustoso. - Tu avrai fretta di tornare a casa, e posso capirlo. Ti auguro ogni bene. Vai pure. Ma io, qui, devo pensare a proteggere le persone che dipendono da me!-
- Non vi lascio da soli, porca puttana!-
Senza che potessi controllarmi, senza che potessi anche solo riflettere su quel che stavo facendo, mi trovai in piedi a mia volta coi pugni premuti sul tavolo, a urlare contro Nathaniel nel suo stesso tono. Quella mia improvvisata fece saltare sulle sedie sia Ben che miss Hawk, che arretrarono di scatto, mentre Jack e Will al mio fianco mi guardavano ancora una volta come se fossi impazzita.
Dio, ma perché sembravano tutti contro di me? Se davvero eravamo divisi in due schieramenti, perché non mi sentivo sostenuta da nessuno dei due?
- Non me ne vado da nessuna parte, e non vi lascio qui finché non sono sicura che sarete al sicuro e che Isla Muelle non verrà presa d'assalto! Vi è chiaro il concetto o no? Quindi, Nathaniel, fammi il favore di smetterla di comportarti come un'idiota, perché non lo sei!-
Natahaniel mi fissava, sbigottito, e provai un moto di cruda soddisfazione nel vederlo così: credeva forse di essere l'unico ad avere il diritto di essere acido?
- Per stanotte, è meglio se Jack e Will ritornano alla Perla. - continuai, improvvisamente calma. - E se le navi devono rimanere qui, allora è meglio che ormeggino a nord dell'isola, sul lato dove cresce la foresta, in modo che non siano visibili dal porto né da nessun'altra parte. Non è il caso che qualcuno vi veda ormeggiati nei paraggi. E ora, se volete scusarmi, ne ho proprio abbastanza e ho bisogno di un po' d'aria. -
Mi scostai bruscamente dal tavolo e mi diressi a grandi passi verso l'uscita. Poi, sulla porta, mi girai e chiesi, nel tono più normale del mondo: - Vieni con me, Jack?-
Jack fece del suo meglio per nascondere un gran sorriso sornione -senza riuscirci granché- poi si alzò in piedi a sua volta e, prima di andarsene, rivolse un profondo cenno di saluto a mani giunte a Sylvie Hawk, per poi svignarsela in tutta fretta dietro a me col suo passo caracollante.
Non ci fermarono, anche se per un attimo avevo creduto che avrebbero insistito. In silenzio, con Jack alle mie spalle, attraversai il corridoio e poi il salone della Sirena: neanche un angolo dove stare in privato; le ragazze occhieggiavano dalle camere e dalle cucine, e il salone era talmente ingombro di uomini armati e bercianti che pareva ospitare un intero reggimento. Me ne infischiai delle loro occhiate interrogative e degli sguardi ancora più sospettosi che lanciavano al pirata barcollante dietro a me, e mi infilai con passo marziale nello spiraglio del portone principale per uscire nella strada buia.
Per strada non c'era nessuno. Ma proprio nessuno: mai una volta mi era capitato di uscire di notte per le strade di Isla Muelle e non incontrare neanche un'anima, ma stavolta era così, e il silenzio pesante della via quasi mi inquietava.
Jack era sempre accanto a me, alla distanza di un respiro. Senza guardarlo, quasi per non guastare un incantesimo, gli appoggiai una mano sul braccio e lo portai con me, camminando rasente il muro esterno della Sirena.
C'era una mezza luna soffocata dalle nubi, nel cielo. Nella sua luce stentata ci allontanammo un po', accompagnati solo dal rumore dei nostri passi, mentre ci mescolavamo con discrezione con le ombre ai lati della strada.
- Hai fretta di arrivare da qualche parte?- mi sussurrò ad un certo punto Jack, con voce morbida, mentre rallentava un poco il passo per convincermi a fare altrettanto.
Mi strinsi un po' più forte al suo braccio, senza decidermi ad alzare lo sguardo, e mi fermai: continuavo a sentire nelle gambe una smania di muovermi per scaricare l'adrenalina, la voglia impellente di camminare e allontanarmi da lì, ma decisi che poteva aspettare.
- No. - ammisi, con un piccolo sospiro. - Credo di avere bisogno di un po' di aiuto per convincermi che sei qui davvero. -
Avevo appena alzato gli occhi che il suo calore mi avvolse all'improvviso, nel momento in cui lui mi circondò con le braccia e mi spinse gentilmente contro il muro della locanda. Adagiai la schiena contro il legno, sentendo il respiro lento di Jack sul viso. Mi baciò, con molta meno veemenza di prima, ma con una dolcezza che per poco non mi fece venire le gambe molli.
- Questo potrei farlo... - mormorò piano contro le mie labbra. - ...comprendi?-
Gli presi il viso tra le mani e lo baciai a mia volta, con delicatezza, facendo scorrere le punte delle dita sul mento ruvido di barba, sulle sue treccine con le perline tintinnanti. Per un po' mi lasciai consolare in silenzio dai suoi baci. Era davvero Jack: il mio Jack, tutto il mio Jack. Volevo che lasciasse addosso il suo odore e il suo calore. Dopo avermi dato un altro bacio gentile sulla bocca, Jack si scostò appena da me per guardarmi.
- Potresti comunque tornare a bordo. - disse, sfoderando un sorriso, mentre continuava a tenermi stretta. - Alla Perla mancherà il suo capitano in seconda, non credi? Dobbiamo ovviare a questa disdicevole mancanza. -
Risi piano, appoggiandomi a lui, e a malincuore scossi il capo.
- Non posso. Li hai sentiti: già sono convinti che io voglia abbandonarli. Voglio restare qui, in caso di pericolo... -
- In modo che il pericolo sappia esattamente dove trovarti?- il tono di Jack si fece più brusco, mentre mi scrutava con un sopracciglio inarcato in segno di disapprovazione. - Dolcezza, non solo mi stai dicendo che me ne dovrei andare lasciandoti dove ti ho trovata, ma lasciarti seduta su di una polveriera...!-
- Non sappiamo ancora cosa deve accadere!- gli tenni saldamente le mani sulle spalle mentre lo guardavo dritto in faccia: in quel momento vidi riflessa nei suoi occhi scuri tutta la sua riluttanza a lasciarmi alla Sirena. - Per questo dobbiamo controllare. Devo restare qui ancora un po'. Jack? Capisci?-
Un'ombra attraversò il suo sguardo, rapida come un lampo.
- Sì, capisco. - rispose, più freddo, mentre per un attimo abbassava gli occhi nascondendo il viso dietro la punta del suo tricorno. - E dimmi, che cosa racconterò a Faith? È grazie a lei che ti abbiamo ritrovata, e non so quanto le farà piacere venire a sapere che, sì, la sua migliore amica che davamo per morta sta bene, ma non ha ritenuto opportuno degnarsi di salire a bordo!-
- Ora smettila!-
Ad un tratto lo agguantai per il bavero come se volessi scrollarlo, e lui per tutta risposta mi afferrò i polsi, e i suoi occhi all'improvviso brillarono di sfida come a dirmi: “provaci!”.
- Credi che io resti qui per capriccio?-
- A dirla tutta? Sì!- scattò lui. - Diavolo di una donna, hai idea di cosa sia stato per tutti perderti in mare? Hai una vaga idea di cosa abbia significato per me? Io ti credevo morta, dannazione!- strinse più forte i miei polsi mentre sillabava le ultime parole, ad occhi sbarrati, ed era impossibile dire se fosse sconvolto o arrabbiato. Ad un tratto mi lasciò andare, di scatto, come se temesse di farmi male, e si allontanò da me di un passo con le braccia che mulinavano come quelle di un ubriaco.
- Chiedilo a Will. Chiedilo a chi vuoi. Chiedi a loro di dirti come si era ridotto capitan Jack Sparrow mentre tu eri sparita chissà dove. - le parole uscivano dalla sua bocca come un fiotto che lui non riusciva in alcun modo a fermare; il viso contratto in una maschera che lottava tra il dolore e lo sconcerto. Non sembrava neanche più lui. Lo riconoscevo solo perché tenevo lo sguardo fisso nei suoi occhi, due pupille scure e spiritate in cui brillava una scintilla penosamente familiare. - Stavo male, Laura. Tu non c'eri. E io non sapevo neanche se fossi ancora viva. -
Sentii un'ondata di dolore e di furia repressa ribollire contro il mio sterno, e le parole mi uscirono in un grido di rabbia proprio come era appena successo a lui.
- Tu stavi male?- esclamai, quasi in un ringhio, stringendo i pugni fino a farmi sbiancare le nocche. - Anche io non avevo idea di che cosa fosse accaduto a te, a tutti voi! Anche io ero spaventata da morire! Solo che io non avevo due ciurme leali e pronte a tutto al mio fianco. Non potevo confidarmi con nessuno, non c'era nessuno a dirmi “tranquilla, sono sicuro che è vicino, sono certo che tornerà”! Tu ce l'avevi, Dio santo! Ce l'avevi, e ti sei permesso di crollare!-
Le mie parole lasciarono il loro eco nella strada deserta. Mi sentiva bruciare la gola, ed io e Jack ci stavamo guardando, tremanti, come due sopravvissuti ad uno scontro. Mio Dio, gli avevo veramente appena urlato in faccia tutto questo? All'improvviso mi sentii svuotata.
- Oddio. - per un istante vacillai, poi mi passai una mano sulla faccia. Le dita erano fredde contro le mie guance in fiamme. - Oddio. - Feci un gran sospiro, riprendendo fiato. Jack venne avanti in silenzio, e quasi ipnotizzati ci stringemmo le mani a vicenda.
- Mi dispiace, tesoro. - mormorai debolmente, stupendomi del suono avvilito della mia stessa voce. - Non avrei dovuto dirti una cosa simile. Ho avuto così tanta paura... Mi sei mancato così tanto. -
- Anch'io. - mormorò Jack al mio orecchio, con voce esitante. - Non volevo, io... Mi dispiace. -
Appoggiai la fronte contro la sua spalla, senza lasciare le sue mani, respirai a fondo un'altra volta e poi mi sfuggì dritta dal petto una risata nervosa che mi fece uscire le lacrime dagli occhi.
- Mi sa che sto impazzendo. - annunciai, con calma, mentre tentavo di riprendere il controllo di me stessa, e Jack si limitava a stringermi ancora una volta contro di sé. - Visto, capitano? È questo l'effetto che fate. Mi ricapitate tra capo e collo, e io finisco per dare di matto. -
Lo sentii ridacchiare piano, e mi sentii improvvisamente sollevata per essere riuscita a strappargli almeno quella piccola risata.
- Non ne dubito, ma chère. - mi apostrofò, sogghignando.
- Come ti avevo già chiesto... - mi scostai da lui, sorridendo e asciugandomi le lacrime nello stesso momento. - Piantala di parlare francese. Primo, sei inquietante quando lo fai. Secondo, non lo sai parlare. -
Avvertii un calore piacevole nei pressi dello stomaco, qualcosa di familiare. Lui non aveva fatto che prendermi in giro parlando un orribile francese stentato da quando eravamo tornati dall'Europa, e anche in questa occasione non mi deluse, perché mi rivolse un gran sorriso dal dente d'oro e ribatté ostinatamente: - E tu non lo capisci, cherie, ergo siamo pari. -
Ci abbracciammo, mentre sfuggiva ad entrambi un sospiro di sollievo. Dio, quanto desideravo mandare al diavolo tutto in quel momento e chiedergli di riportarmi con lui e Will alla Perla. O avrei potuto invitarlo io a passare la notte con me alla Sirena. Pessima idea. E poi, Nathaniel poteva essersi anche comportato da vero stronzetto sputasentenze, ma io non ero così crudele... Forse.
- Dove ci rivedremo?- domandò Jack alla fine, un po' riluttante ma rassegnato.
- La baia a nord, dove la foresta lascia posto alla spiaggia. Potete ormeggiare lì. Incontriamoci con la ciurma domani mattina. -
- Ascolta... -
Jack mi prese una mano tra le sue, fissandomi: per un attimo sembrò non trovare le parole, poi fece un gesto brusco come se si fosse ricordato improvvisamente qualcosa e prese la sua bussola, mettendomela in mano.
- Se qualcosa dovesse andare storto. - premette le mani sulle mie, chiudendo la bussola tra le nostre dita. - Qualunque cosa. Il punto di ritrovo sarà sempre la baia, ma usa questa semmai dovessimo separarci di nuovo. -
Esitai, lanciandogli un'occhiata stupefatta: insieme a lui, anche il miracoloso piccolo oggetto di legno laccato era l'ultima cosa che mi ero aspettata di rivedere tanto presto. - Sei... sicuro che funzionerà a dovere, con me?-
- Tu sai quello che vuoi. - Jack mi sorrise un'ultima volta. - E, qualsiasi cosa accada, so che desidererai sempre ritrovare la strada di casa tua. -

*

Nathaniel avanzava nel buio della strada, senza neanche l'ausilio di una lanterna. Non ne aveva bisogno: conosceva a memoria quel budello di stradine strette, la forma dei ciottoli viscidi di umidità sotto gli stivali, l'esatta distanza tra un muro e l'altro, che nei punti più stretti poteva misurare con le spalle.
C'era aria di attesa, quella notte. Normalmente non avrebbe potuto girare per quelle stradine senza incontrare almeno un paio di volte alcuni dei suoi sgherri più piccoli, che attraversavano a rotta di collo quelle intricate scorciatoie per sfuggire all'ultima preda che avevano borseggiato non abbastanza velocemente. In quei casi, Nathaniel si occupava anche di andare a sbattere accidentalmente contro l'eventuale inseguitore, in modo che i suoi piccoli farabutti potessero farla franca.
Stavolta, però, malgrado i fermenti in città meritassero sicuramente attenzione, aveva preferito ordinare che i bambini si ritirassero tutti alla Sirena, dopo la mezzanotte, e che nessuno uscisse. Era preoccupato.
- Nathan, rallenta. - lo chiamò suo fratello, alle sue spalle. Nathaniel acconsentì con un brontolio. Ben lo raggiunse in pochi passi, ma quando lui fece per ripartire lo prese per una spalla.
- Ti devi calmare. - gli disse, senza convenevoli. - Non puoi incontrare nessuno se non ti dai una calmata, e io non ho intenzione di pararti il culo se darai di matto. -
- Non ho nessuna intenzione di dare di matto, d'accordo?!- ringhiò il giovane, anche se sapeva benissimo che con quello scatto si era appena contraddetto da solo. Suo fratello fece un gran sospiro, scosse la testa, e poi rimase a fissarlo con infinita pazienza. Quanto gli dava sui nervi la sua pazienza, a volte.
- Ci sei rimasto male. Guarda che ce ne siamo accorti tutti. - disse Ben in tono ovvio: perfino nel buio lo vide che alzava un sopracciglio in quell'espressione comprensiva in cui ormai era tanto ferrato. - Ma questa non è la cosa più importante al momento, chiaro? Abbiamo un appuntamento. -
- Lo so!- sbottò Nathaniel, per poi voltarsi e ricominciare a camminare più piano, mormorando ancora: - Lo so. -
Si sentiva ancora il sangue pulsare e martellare nelle tempie, ma lo teneva a bada. Se pensava di essere sul punto di incontrare un altro pirata... Dio, al momento aveva un'idea fin troppo precisa di cosa avrebbe voluto fare di tutti quei maledetti pirati su Isla Muelle.
I loro contatti li aspettavano dietro l'angolo, in un punto in cui la stradina si allargava quel tanto che bastava a lasciare spazio per tre uomini uno accanto all'altro. E tre uomini erano proprio quelli che li attendevano.
- Nathaniel Hawk, benvenuto. - lo salutò una voce proveniente dall'uomo che stava al centro.
Nathaniel fece un cenno col capo. - Benvenuti a voi. E ora, se volete scusarmi... - si chinò davanti a loro, afferrò a due mani la grata di un tombino quadrato che stava esattamente ad un palmo dai loro piedi e lo sollevò dando uno strattone. Solo allora Ben, dietro di lui, accese una lanterna e sorrise ai tre pirati, facendo loro un cenno per indicare che dovevano scendere di sotto.
- Oh andiamo... sul serio?- sbottò l'uomo nel mezzo, con la luce della lanterna che rivelava una smorfia disgustata.
- È un posto sicuro, capitano. Seguitemi!- replicò Nathaniel, con un piccolo sogghigno di intima soddisfazione. Gli piaceva quando poteva dettare le sue regole: lo faceva tornare nel suo elemento, dove era padrone della situazione.
Si infilò nel tombino e scese agilmente i pioli metallici della scala, per poi atterrare sul pavimento umido della fogna. I tre uomini lo seguirono senza altre obiezioni, e Ben fu l'ultimo a scendere, portando con sé la luce giallastra della lampada.
In quello spazio ristretto, Nathaniel ora poteva vedere nitidamente i volti ruvidi e bruciati dal sole dei due pirati, e quello magro e altero del loro capitano, incorniciato da un paio di baffi vistosi e una cascata di ricci neri. Chissà se la stravaganza era un requisito fondamentale per diventare capitano? Ormai cominciava a crederlo.
- Capitano Lanthier. - lo salutò. - Ora possiamo parlare. -






Note dell'autrice:
Ormai non faccio più pronostici su come o quando pubblicherò, perché Caribbean Tales sembra avere imparato a farsi umilmente da parte quando devo lavorare su altre cose, per poi ripresentarsi come un'ancora di salvezza proprio quando mi sembra di non avere neanche più una goccia di ispirazione per i progetti "seri". Quindi continuo. E pubblico!
Per rispondere a Fannysparrow: sottoscrivo il fatto che, stavolta, ho descritto un Jack stranamente molto più "genuino" del solito, dandogli una reazione standard da innamorati che si ritrovano. Ma, ti dirò, l'ho fatto abbastanza apposta. Jack in quel momento è messo male. Non sta bene. Non è il Jack di sempre. E quando ritrova Laura, probabilmente il sollievo è davvero troppo grosso per ritrovare la sua solita verve: è stato molto male, e in quel momento vuole solo essere consolato. Non mi è sembrato di andare ooc, anche perché non potevo rispondere subito alla tua osservazione senza fare rivelazioni su riflessioni che venivano fatte nel capitolo successivo.
Riguardo a Jack, mi sono sempre sforzata di mantenerlo più canon possibile, e finora è sempre stato apprezzato. Trovo che l'innamoramento, in una persona -o in un personaggio- comporti sempre qualche cambiamento: quindi perché non esplorare anche quel lato?
(Inoltre: perché Orinoco Flow? Beh, perché sì, a dirla tutta. La scelta della soundtrack a volte è ponderata perché trovo canzoni che si adattano perfettamente, o addirittura vengono citate nel testo. Altre volte... semplicemente perché sono canzoni che sto ascoltando e che mi mettono dell'umore per scrivere. Come questa!)

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 ***


Capitolo 10


Il sole era sorto soltanto da poche ore, e i colori dell'alba ancora indugiavano tra l'acqua e il cielo, quasi a voler fare risaltare ancora di più il gioiello di legno nero che si avvicinava alla spiaggia.
Non avrei mai immaginato che, un giorno, la vista della Perla Nera mi avrebbe portata quasi sull'orlo delle lacrime; ma ora la mia nave era a poche insignificanti braccia di basso fondale dalla spiaggia, e io ero lì, con gli stivali affondati nella sabbia dorata, e guardavo la lontano la ciurma che approntava la scialuppa per scendere a terra intanto che mi trovavo a combattere una lotta brutale contro i singhiozzi da donnicciola che stavano per salirmi alla gola. Più lontano, stagliata contro l'orizzonte, si vedeva anche la sagoma della Sputafuoco che si era tenuta in disparte, in acque più profonde.
- Una nave formidabile. - commentò Nathaniel, cupo, al mio fianco.
Aveva insistito per venire anche lui: ormai non sapevo più se gli Hawk lo facessero per solidarietà o veramente per impedirmi di scappare con la mia ciurma e lasciarli lì. Osservai di sottecchi il giovane. Anche potendo, lo avrei fatto? Me ne sarei mai andata piantandoli in asso tutti quanti? Sbuffai piano: mi sentivo quasi insultata da quella mancanza di fiducia. Solo perché ero un pirata, non significava certo che avrei osato lasciarli nei guai solo per il mio tornaconto. Non lo avrei mai fatto.
… Non senza una buona ragione, almeno.
Il mare cominciava a riappropriarsi della spiaggia ad ondate sempre più irruenti, portando con sé la scialuppa che era stata calata dalla nave ormeggiata. Stare ad aspettarla era troppo penoso, così mandai al diavolo la pazienza e cominciai ad andare loro incontro, incamminandomi sulla distesa di sabbia umida non ancora reclamata dalla marea che saliva. Come mi mossi, udii un grido festoso salutarmi dalla scialuppa, e quando alzai lo sguardo vidi Faith sulla prua, che si sbracciava e tentava di stare in piedi allo stesso tempo.
Non riuscii a trattenermi oltre e corsi fino a sollevare spruzzi nell'acqua, sbracciandomi a mia volta e gridando: - Faith!-
La mia amica aspettò che la scialuppa toccasse il fondo, poi saltò giù e si immerse in acqua fino alla vita per caracollare verso di me, un po' saltando e un po' sguazzando, e ci precipitammo l'una tra le braccia dell'altra cacciando delle urla di gioia tali che qualunque altro spettatore avrebbe potuto credere che ci stessimo ammazzando a vicenda.
- Lo sapevo che eri viva!- urlò Faith mentre mi stringeva le braccia attorno al collo come se volesse rompermelo.
- Ovvio, sei un medico!- gridai di rimando, cercando di sollevarla da terra senza riuscirci del tutto. - Confidare che la gente resti viva è quasi un credo religioso, per voi!-
Dopo esserci abbracciate come se non ci dovesse essere un domani, riuscimmo in qualche modo a toglierci dall'acqua bassa e a lasciare che anche gli altri passeggeri della scialuppa scendessero a terra. Jack era a poppa, e scese con un plateale frullo della giacca e un gran spruzzo, per poi raggiungere me e Faith e unirsi senza tanti complimenti all'abbraccio, cingendoci entrambe.
- Cominciavo a sentirmi tagliato fuori. - commentò, mentre mi scoccava un le sopracciglia aggrottate in un'esagerata smorfia di sospetto. Sciolsi le braccia da Faith e le misi al collo di lui, per stampargli sulle labbra un bacio breve ma intenso. La sua barba pizzicò sul mio mento. Peccato per la sensibilità di Nathaniel, d'accordo, ma avevo il dannato diritto di baciare mio marito.
Ai remi c'erano Cotton e il signor Gibbs, ed ero così felice di rivederli che li abbracciai entrambi, beccandomi anche le proteste gracchianti del pappagallo sulla spalla dell'anziano pirata, che mi guardò storto berciando: - Per mille balene!-
Era così intensa, quell'atmosfera di una felice rimpatriata, che quasi rischiava di farci dimenticare il vero motivo per cui eravamo lì. Dopo i saluti, per quanto affettuosi, ci ritrovammo fermi in cerchio nel mezzo della spiaggia, con Nathaniel che scrutava con occhio critico tanto Jack quanto i tre membri della ciurma che erano appena scesi insieme a lui.
- Allora è questo che avete deciso?- esordì, in un tono che non mi piacque per niente. A giudicare dall'occhiata che gli scoccò Gibbs, squadrandolo da capo a piedi con le folte sopracciglia più aggrottate che mai, non doveva essere piaciuto affatto anche a lui, ma il nostromo rimase fermo e in silenzio al fianco del suo capitano, attendendo quel che doveva succedere.
- Discutiamo di cosa accadrà tra poco. - continuò Nathaniel: aveva un fare serioso e marziale che non gli si addiceva affatto, sembrava che ci stesse menando tutti per il naso. - Ho capito bene il vostro piano? Volete mostrarvi e sperare che la marina britannica scelga di dare la caccia a voi piuttosto che prendersela con la mia gente?-
- Che c'è da discutere, signor... Nathaniel giusto?- Jack tentennò di proposito, esagerando perfino il suo tono più ottimista mentre faceva scattare l'indice contro di lui. - Diamo alla Marina un boccone più succulento e li convinciamo a lasciarvi in pace. Leviamo le ancore e facciamo una capatina proprio di fronte al porto. Ci pavoneggiamo. Poi scappiamo a vele spiegate senza che quelli abbiano il tempo per organizzarsi come si deve, comprendi?-
- Comprendo alla perfezione: soprattutto gli ultimi due punti devono riuscirvi piuttosto naturali. - ribatté Nathaniel, in tono tagliente.
D'accordo, adesso il ragazzo stava cominciando seriamente a darmi sui nervi, ma l'unica cosa che mi tratteneva dal ripetergli per l'ennesima volta di farla finita era che, dandogli attenzione, avrei solo incoraggiato i suoi punzecchiamenti.
Inoltre, sapevo che Jack non era uno sciocco, e che se ne era accorto. Se non aveva ancora fatto alcuna allusione riguardo l'evidente e alquanto imbarazzante gelosia di Nathaniel, probabilmente era perché stava tentando quanto me di ignorare la provocazione. Cosa che smise di fare più o meno nel giro di quei dieci secondi, appena Nathaniel ebbe finito di parlare.
Vidi il suo sorriso tramutarsi rapidamente nell'espressione disgustata a denti stretti che riservava a chi lo stava annoiando, poi si avvicinò a Nathaniel di un paio di passi e rimase impalato di fronte a lui a braccia incrociate, fissandolo come se lo stesse silenziosamente esortando a scansarsi.
Tra noi presenti sulla spiaggia calò immediatamente un silenzio carico di tensione, vedendo le occhiate che si stavano scambiando in quel momento Jack e il giovane ribelle che in teoria avrebbe dovuto essere lì per appoggiare il nostro piano per salvare Isla Muelle. Se quelli erano i presupposti, non sarebbe finita bene.
- Vi serve qualcosa, capitano?- sbottò lui in tono irriverente, squadrando Jack dalla testa ai piedi anche se erano della stessa statura.
- Oh sì, in effetti!- esclamò Jack, schioccando le dita come se qualcosa gli fosse venuto in mente in quell'istante. - Sai, figliolo, vorrei davvero che tu non pronunciassi le parole “pavoneggiarsi” e “scappare” con quel tono supponente, perché non so se hai capito che il mio “pavoneggiarmi” sarà ciò che impedirà che tu e la tua allegra famigliola veniate bombardati; lo capisci questo?-
Nathaniel lo fissò a muso duro: occhi nocciola che brillavano di rabbia repressa piantati nello sguardo tagliente e sardonico di Jack. Poi, ad un tratto, la mano del ragazzo corse alla spada.
- Ehi!- gridai. Al suo gesto e al mio grido di allarme, metà dei presenti aveva messo mano a sua volta all'elsa della spada, e l'altra metà -Cotton e Gibbs- avevano estratto repentinamente le pistole e le puntavano contro Nathaniel.
- Stai minacciando il capitano che ti ha appena offerto aiuto, ragazzo?- lo riprese duramente Gibbs, mentre lo teneva sotto tiro, col tono di chi invitava a non cercare guai.
Anche Jack aveva sobbalzato nel vedere il gesto brusco e minaccioso di Nathaniel: ora però si era scostato di un passo ed era tornato a guardarlo negli occhi, quasi curioso. Lo vidi piegare ripetutamente le dita in un gesto di nervosismo, e sapevo che questo era pericoloso.
- Voi non mi piacete, capitan Sparrow. - replicò Nathaniel, tranquillo, senza mostrare il minimo turbamento davanti alle due pistole puntate contro di lui. - Non mi fido di voi, né delle vostre capacità. Perché dovrei? Non vi conosco. Avanti, non nascondetevi dietro ai vostri uomini e dimostratemi di avere un po' di valore. -
Lentamente sfoderò la propria spada, facendola uscire dal cuoio un pollice alla volta come se non volesse allarmare noi altri, e con la stessa flemma la agitò in un otto aggraziato nell'aria per saggiarla.
- Andiamo. Stiamo solo giocando. Non avrete paura di una scaramuccia innocente?-
Jack alzò le mani come a voler scacciare la punta insinuante di quella spada al pari di una mosca fastidiosa.
- Vedo ben poco di innocente nel puntarmi addosso un qualsiasi bieco pezzo di metallo, signor Hawk. - sbottò, in tono acido.
Fiutai il pericolo nella sua voce, e confermai i miei timori quando lo guardai in faccia: insolitamente immobile, con le spalle verso il mare, i piedi piantati nella sabbia, e il vento che gli soffiava indietro i capelli scuri. Anche se stava ancora sulle sue aveva una furiosa scintilla di irritazione nello sguardo: ora era arrabbiato sul serio.
La spada di Nathaniel guizzò ancora, incalzandolo. Cotton e Gibbs scoccarono occhiate a me e a Jack come a chiedere che cosa fare.
- Avanti!- insisté il ragazzo: aveva i denti stretti e la mandibola contratta; ora vedevo le goccioline di sudore che gli imperlavano la fronte. Voleva quello stupido litigio, lo voleva da morire. Smaniava per provocare in lui una qualsiasi reazione. - Stiamo solo giocando, no?-
- Eccome se stiamo giocando, pavone. -
Le ultime parole di Jack vibrarono di odio a stento represso, mentre anche lui sfoderava bruscamente la spada e si faceva avanti, dritto incontro a Nathaniel, a cui brillarono gli occhi come se non attendesse altro.
Questo fu troppo. Come li vidi andare uno incontro all'altro, mi precipitai in avanti sollevando uno spruzzo di sabbia dorata sotto gli stivali, e mi misi con decisione in mezzo a loro.
- Ma che diavolo state facendo?!- esclamai, voltandomi repentinamente da Nathaniel a Jack. - Vi sembra che abbiamo tempo per questa pagliacciata?-
- Ovviamente no, cara, ma il piccolo pavone qui presente starnazzava tanto che non ho potuto dirgli di no. - replicò Jack, alzando le spalle con aria innocente, ma non abbassò la spada di un pollice.
Nathaniel mi posò la mano sinistra sulla spalla come per farmi scostare. Lo fece con tanta gentilezza che credetti si fosse calmato e fosse tornato a ragionare, così indietreggiai di un passo: l'attimo dopo, non appena mi fui tolta di mezzo, il giovane scattò rapido come una vipera, e la spada di Jack parò all'ultimo momento con un clangore acuto il fendente diretto al suo sterno.
Imprecai, costretta mio malgrado a fare un balzo indietro. Superato l'attimo di stupore iniziale, Jack contrattaccò. Volteggiò attorno a Nathaniel, cercando di coglierlo sul fianco scoperto, ma il giovane contenne il suo assalto, seguendolo passo passo: quando lo guardai in faccia vidi chiaramente le sue labbra tirate in un ghigno soddisfatto. Era quello che voleva. Era riuscito a provocare Jack, e ora si stava chiaramente divertendo a prendersi le sue stoccate e a restituirgliele colpo su colpo.
Il pappagallo azzurro del signor Cotton si voltò all'unisono con l'anziano pirata, ed entrambi fissarono Gibbs mentre l'uccello gracchiava: - Rotta, signore?-
- Che possiamo fare?- il signor Gibbs alzò le spalle e abbassò la pistola con gesto riluttante, mentre fissava Jack con una pura espressione di biasimo. - Visto che i bambini sembrano avere un gran bisogno di calmare i bollenti spiriti... lasciamoli sfogare. -
Strinsi i denti e agguantai il metallo freddo dell'elsa della mia spada.
- Cristo, adesso basta!- sibilai, e sfoderai l'arma con uno stridio di acciaio, mentre raggiungevo di corsa i due impegnati ad azzuffarsi sulla sabbia cedevole.
- Ehi!-
Mi feci avanti e ficcai violentemente la mia lama all'incrocio delle loro spade, importuna quanto un tornado in una battuta di pesca. Entrambe le loro lame cozzarono violentemente contro la mia, le ingarbugliai e mandai a vuoto i loro colpi, rompendo completamente il ritmo. Jack arretrò di scatto e ritrasse la spada, mentre mi scoccava uno sguardo di puro stupore.
Sapevo già cosa stava pensando: perché diavolo mi ero messa in mezzo? Distolsi gli occhi da lui e incalzai verso Nathaniel.
- Allora? La volete piantare o continuiamo per tutto il giorno?- esclamai, alzando la voce ad ogni passo, e con due fendenti affettai l'aria davanti alle gambe del ragazzo. Lui indietreggiò in fretta. Sembrava confuso, ma ad un tratto cercò di aggirarmi e buttarsi di nuovo contro Jack.
- Dove diavolo vai?- gridai, seccata, e deviai brutalmente la sua lama. Ancora una volta Nathaniel arretrò senza contrattaccare. - Sfida me! Sfida me, imbecille! Oh, certo, ignoratemi...! È tutto più facile per voi due, non è vero?-
Come incrociai le lame con Nathaniel, Jack apparve alle mie spalle e incalzò per avanzare verso di lui. Io feci un girò su me stessa minacciai invece lui con la spada, intimandogli di stare indietro. Appena si ritrovò la mia arma di fronte, anche lui arretrò di scatto, cercando di evitarmi.
- Andate al diavolo!- gridai, caricando verso Jack senza che lui si decidesse a respingere decentemente un solo colpo da parte mia. Mi stavano ignorando. Mi stavano davvero ignorando! - Cosa cazzo è questa cavalleria? Cos'è, non si combatte con le donne? Razza di codardi! Smidollati!-
- Laura... Laura! Basta!- mi gridò in risposta Jack, mentre ancora indietreggiava, con la spada indietro e una mano in avanti nel tentativo di convincermi a ragionare.
Oh, adesso era lui che voleva calmarsi e parlare? Alla buon'ora, dannato ipocrita d'un capitano Jack Sparrow. Era una cosa stupida, ma mi irritava terribilmente il fatto che entrambi loro non avessero nemmeno contrattaccato al mio assalto.
- Finalmente si ragiona, allora!- sbottai, piccata, per poi fermarmi di colpo e piantare la punta della mia spada nella sabbia.
Rimasi ferma riprendere fiato in profondi respiri: ero coperta di sudore, i capelli mi si appiccicavano al collo e alle guance, e sentivo guizzare nei muscoli tutta la tensione, nonché la frustrazione per lo scontro mancato. Il mio cuore stava rullando come un tamburo.
No, un momento. Quel tamburo in particolare stava rullando un po' troppo forte, e mi sembrava di non riuscire più a riprendere fiato: per quanto profondamente respirassi, l'aria pareva non bastarmi. Mi paralizzai, con una mano stretta attorno alla spada e l'altra piantata sul ginocchio, piegandomi in due.
- ...Laura?-
Faith si era accorta che mi ero appena paralizzata lì dov'ero, piegata su me stessa. Non mi faceva male da nessuna parte, in realtà. Solo che ad un tratto non mi arrivava abbastanza aria, e i miei occhi facevano strani scherzi perché il mio campo visivo andava vagamente restringendosi.
Alzai gli occhi all'improvviso e mi ritrovai a fissare Jack, che a sua volta mi guardava con preoccupazione crescente. Tendeva ancora la mano verso di me. Vedendomi immobile si avvicinò di un passo, poi di un altro, sempre più in fretta, allargando gli occhi.
- Jack...?- gli feci, in un vago tono di avvertimento, e in qualche modo riuscii ad allungare un braccio e aggrapparmi forte alla sua spalla mentre sentivo le ginocchia cedere all'improvviso. Cristo, stavo cadendo. Stavo veramente cadendo al suolo. Sentii il suo braccio avvolgermi appena in tempo.
“Oddio oddio oddio.” pensai, con una strana, stupida calma quando mi accorsi di vedere nero e non sentire più niente.

*


- Jack, mettimi giù... -
La mia testa ciondolava, e non avevo le forze per tenerla dritta. Non avrei saputo dire se quello fosse un bene o un male per il senso di nausea che sentivo attanagliarmi la gola.
- Laura? Mi senti, tesoro? Stai bene?-
- Mettimi giù... -
- Non finché non sarai in grado di dire qualcos'altro oltre a “mettimi giù”. -
- … Non è dignitoso, per un capitano!-
- Ci hai provato, gioia. -
C'era stato realmente quello scambio di battute, o me lo ero solo immaginato? Avevo il vago ricordo di Jack che mi trasportava a braccia, la sensazione che tutto il mondo girasse, e la vista che rifiutava categoricamente di funzionare, ma poi il tempo sembrò ricominciare a scorrere nel momento esatto in cui ripresi conoscenza distesa su un'amaca di rigida stoffa bianco sporco appesa ad un basso soffitto di legno.
Legno nero. Travi che mi sovrastavano ad intervalli regolari. Un leggero dondolio dell'amaca. Ero a bordo della Perla Nera, e mi trovavo dentro l'infermeria di sottocoperta.
Avevo il capo girato verso destra, e colsi qualcuno che si muoveva al limite del mio campo visivo: la nausea era scomparsa e così anche lo stordimento, così mi raddrizzai e mi guardai intorno. Faith e Jack erano seduti su due sgabelli accanto alla mia amaca, uno di fronte all'altra, e come mi mossi alzarono il capo all'unisono per guardare verso di me, con aria decisamente sollevata.
- ...Sono svenuta?- mormorai, incredula, mentre mi portavo una mano alla testa e me la massaggiavo, affondando le dita nei capelli.
Faith si alzò in piedi e si chinò su di me, toccandomi delicatamente il viso per guardarmi negli occhi e sentire la temperatura della mia fronte: dopo un breve controllo mi sorrise e si gettò dietro le spalle la treccia nera con aria soddisfatta.
- Sì, ma stai tranquilla. Non penso sia niente di preoccupante, credo solo che tu sia un po' più provata di quanto pensi. - mi diede un buffetto sul capo. - Come ti senti?-
- Meglio. Sì... meglio. - annuii con decisione, dopo aver constatato che non sentivo più tutto girare attorno a me, ma era semplicemente il lieve rollio della nave messa alla fonda. Per un attimo guardai dietro le spalle di Faith e incrociai lo sguardo di Jack, che se ne era rimasto accucciato sul suo sgabello come se fosse un bambino messo in punizione, con le ginocchia strette e le mani avvinghiate l'una all'altra, mentre mi guardava in silenzio lasciando che Faith facesse i suoi accertamenti.
Quasi mi trovai a pensare che era valsa la pena di svenire solo per svegliarsi e trovarlo a fissarmi con quello sguardo: imbronciati per la preoccupazione, e tuttavia speranzosi, i suoi occhi scuri mi osservavano da sotto la bandana rossa e non mi mollavano un istante. Come ci guardammo, mi rivolse un piccolo sorriso esitante e un'alzata di sopracciglia... un modo preoccupato per chiedermi scusa.
Ora come ora, in verità mi sentivo molto propensa a perdonarlo seduta stante. Anzi, non mi sarebbe dispiaciuto affatto qualche significativo gesto di riappacificazione appena Faith si fosse degnata di lasciarci soli... Ovviamente era una pessima idea per molti motivi; inoltre le amache di sottocoperta erano terribilmente scomode per certi propositi, e potevo testimoniarlo per esperienza diretta.
La mia amica mi stava dicendo qualcosa. Riportai bruscamente l'attenzione su di lei, voltando la testa così in fretta che sentii Jack trattenere una risata: probabilmente aveva indovinato quale tipo di pensieri mi aveva così palesemente distratta.
- ...febbre? Hai mangiato regolarmente in questi giorni?-
- Sì, io... È tutto a posto, Faith, credo solo di essere un po' debole. -
Strinsi le dita sui bordi dell'amaca, senza farmi vedere. Diavolo, c'era eccome qualcosa di cui avrei dovuto parlare urgentemente con Faith, che era amica e medico insieme, ovvero probabilmente il meglio che potesse capitarmi in quel momento. E a Jack... Oddio, ero pronta a parlarne a Jack?
Il diretto -e inconsapevole- interessato dei miei pensieri si mosse in quel momento verso di me, stappando una fiaschetta rivestita in pelle che portava appesa alla cintura e offrendomela con un'eloquente mezzo sorrisetto che gli arricciò le labbra. Sentii il profumo dolciastro del rum come se me la avesse messa direttamente sotto il naso e, se da una parte mi fece venire l'acquolina in bocca, dall'altra avvertii lo stomaco contrarsi.
Dio sapeva se avrei avuto voglia di un goccetto, in quel momento, ma ecco che si ripresentava immancabilmente la questione di prima. Fantastico: di certo una cosa come diventare inspiegabilmente astemia su di una nave pirata non avrebbe dato affatto nell'occhio.
- Hai bisogno di una mano per rimetterti in piedi?- mi fece Jack, accennando allusivamente alla fiaschetta.
- Grazie Jack, ma no. - replicai, cercando di mantenere il tono più vago possibile.
Per fortuna mi venne involontariamente in aiuto Faith che, con il suo consueto spirito pratico da dottore, scacciò la mano di Jack che mi offriva la fiaschetta.
- Jack, non le serve il rum in questo momento! Quello di cui ha bisogno è tè zuccherato, o del caffè al massimo. E probabilmente anche di cibo, anche se non mi pare denutrita o che... - la mia amica si chinò di nuovo su di me scrutandomi con occhio critico, venendomi così vicino che per qualche attimo riuscii perfino a leggere un'ombra di sospetto nei suoi occhi scuri. - Anzi, mi sembri piuttosto sana. Oserei dire che hai messo su un po' di peso: è quasi un sollievo, direi. -
Per un istante il suo sguardo si spostò inequivocabilmente verso la mia pancia, ed ebbi un brivido. No, andiamo, era impossibile che potesse notarlo, non c'era niente da notare.
- Io sto bene!- protestai, per poi mettermi a sedere e gettare le gambe fuori dall'amaca. - Se non sbaglio avevamo faccende ben più importanti di cui occuparci. Dov'è Nathaniel e il resto della ciurma?-
- In coperta. - rispose Jack in tono piatto.
- Allora dobbiamo andare. - mi alzai, prendendo quasi senza accorgermene la mano che Jack mi stava porgendo per aiutarmi: la mia mente era già proiettata verso ciò che dovevamo fare per mettere in salvo gli abitanti di Isla Muelle, eppure gradii quel contatto; i nostri anelli tintinnarono quando cozzarono piano gli uni contro gli altri, e Jack trattenne la mia mano nella sua per qualche momento anche mentre ci dirigevamo verso l'uscita dell'infermeria seguiti da Faith.
In quel momento risuonò un boato.
Non vicino, non assordante come quando una nave nemica contrattaccava con una bordata, ma abbastanza forte da essere perfettamente riconoscibile.
Io, Jack e Faith ammutolimmo e restammo per un attimo immobili con le orecchie tese, riconoscendo il rumore inequivocabile di un colpo di cannone, il cui eco lugubre aleggiò per qualche momento nell'aria, dandoci una vaga idea della sua direzione. Dopo un botto del genere, il silenzio che lo seguiva era sempre altrettanto assordante.
Poi, come se quello non fosse stato che il preludio, risuonò un secondo boato, e poi un altro ancora, ad intervalli sempre più ravvicinati. Sentii una morsa gelida attanagliarmi la gola, le orecchie ritte e i muscoli tesi mentre il rombare lontano dei cannoni mi provocava un'istintiva reazione di allarme, la smania di correre in coperta ed individuare da dove provenisse l'attacco per mettere in salvo la nave e la ciurma prima che fosse troppo tardi...
- Da dove arrivano?- esclamai, senza fiato, con lo sguardo che correva frenetico lungo le pareti di legno dell'infermeria, frustrata perché non trovavo nemmeno un boccaporto aperto da cui poter guardare fuori. - Chi sta sparando?!-
Jack non rispose, ma incrociai lo sguardo dei suoi occhi sgranati, accesi da un'improvvisa consapevolezza. Senza dire una parola, scattò nel corridoio e poi su per le scale che conducevano in coperta, con le braccia protese davanti a sé come per togliere di mezzo chiunque si fosse messo ad ostacolarlo, involontariamente o meno. Corsi dietro di lui, infilandomi rapidamente nello stretto corridoio. Strano a dirsi, ma per un attimo la ristrettezza degli spazi mi colse di sorpresa: l'interno della nave era più buio e angusto di quanto mi ricordassi, e mi trovai a puntellarmi con le mani contro le pareti di legno scuro mentre mi arrampicavo su per la scaletta alle spalle di Jack.
Per un attimo rividi quelle stesse scale in un momento diverso, quando i gradini erano scivolosi dall'acqua di mare che vi si riversava sopra a secchiate, e l'unica luce era quella dei lampi che esplodevano ad intermittenza nel cielo nero. Avvertii una strana morsa gelida, e per poco non incespicai.
L'ultima volta che l'avevo vista, la Perla Nera si stava agitando sotto i miei piedi come un cavallo imbizzarrito deciso a scagliarmi via dalla sua sella. E ci era riuscita.
Il pavimento su cui camminavo era inclinato almeno di quarantacinque gradi l'ultima volta che avevo risalito di corsa quelle stesse scale, puntellandomi per non venire sbattuta contro le pareti dalla forza delle onde che scuotevano la nave come un giocattolo. E, quando ero stata sul ponte, il mare era arrivato ad afferrarmi e mi aveva trascinata via.
Deglutii, imponendomi di non fermarmi. Quelli erano pensieri stupidi e del tutto inutili: eravamo vicini alla costa, su di un mare piatto come l'olio, e fuori c'era il consueto sole torrido dei Caraibi. Non c'era nessun motivo, ora, per rivangare quei minuti terrificanti. Proprio nessun motivo.
Emersi dal riquadro della porta che conduceva al ponte, e mi ritrovai abbagliata dal sole. Il ponte della Perla si stendeva di fronte a me, occupato per metà dai pirati della ciurma, tutti quanti in agitazione per via del frastuono costante dei cannoni sconosciuti in lontananza.
Ogni cosa era al suo posto: gli alberi si innalzavano contro il cielo, con le vele color cenere che si agitavano sotto la brezza leggera come in attesa di prendere il volo, le funi e il reticolo delle sartie ad incorniciare il tutto.
Era tutto come lo avevo lasciato. Eppure, mai avrei pensato che, appena l'avessi rivisto, avrei dovuto sforzarmi di non immaginare quello stesso ponte immerso nell'oscurità, acceso solo dalla luce cruda dei fulmini, squassato dalle onde assassine che cercavano di risucchiare la Perla nel loro abbraccio gelido.
Strizzai forte gli occhi. Non c'era nessuna tempesta, adesso: quello di cui dovevo preoccuparmi erano quei dannati cannoni.
Nathaniel era affacciato al parapetto a pochi passi da dove mi trovavo io, al fianco di Gibbs, e lui e il nostromo si stavano gridando qualcosa in tono ugualmente concitato.
Jack li raggiunse per primo, ed io subito dietro di lui: quando Nathaniel si voltò di scatto, vedendoci arrivare, mi accorsi di quanto fosse sconvolto. Pur avendo gli occhi sgranati e il viso contratto per l'agitazione, era terreo in volto, e lessi nel suo sguardo un impeto di vera paura.
Per un attimo mi sembrò davvero molto giovane, perfino più giovane di quanto non dimostrasse. Quando i suoi occhi incontrarono i miei, per un solo momento non mi sembrò altro che un ragazzino sconvolto e spaventato, con la bocca aperta e un labbro tremante, mentre sia io che lui ci rendevamo conto che il rombo dei cannoni proveniva senza alcun dubbio dalla zona del porto...
- Che sta succedendo?- domandai, febbrilmente, sentendo il sudore freddo colarmi sulla nuca.
- Che sta succedendo?!- mi fece eco lui, inchiodandomi improvvisamente con uno sguardo accusatore come se fosse tutta colpa mia. Il suo dito scattò in direzione dell'isola, dove il profilo boscoso nascondeva la vista della città. - Hanno iniziato! Hanno iniziato adesso! Stanno prendendo la città con i cannoni!-
La sua voce si fece più acuta sulle ultime parole, quasi isterica. Mai avevo sentito la voce del giovane così tanto spezzata dalla rabbia e dal dolore, e mi sentii come se mi fosse stato scaricato addosso un macigno mentre realizzavo cosa significava.
Troppo tardi. Dio mio, avevamo temporeggiato troppo a lungo, e ora tutta la città e la Sirena sarebbero finite sotto i colpi dei cannoni...
- Grazie tante per l'aiuto!- continuò a gridare Nathaniel, mentre arretrava bruscamente e rivolgeva verso Gibbs e Jack i pugni stretti, col volto contratto dal dolore. - Grazie di niente! Siete arrivati tardi, branco di incapaci, siete arrivati troppo tardi!-
- Non è troppo tardi. - ribatté Jack, con determinazione improvvisa. Per un momento avevo visto anche lui paralizzato dallo sconcerto, con lo sguardo fisso sull'orizzonte in direzione del suono fatale dei cannoni, ma ora sul viso gli era calata un'insolita maschera imperscrutabile, che però non arrivava agli occhi, i quali continuavano a guizzare nervosamente.
- E allora cosa intendete fare?- gridò Nathaniel, quasi supplichevole. - Cristo di Dio, c'è la mia famiglia laggiù, se non potete raggiungere il porto in pochi minuti allora fatemi scendere, maledizione, qualsiasi cosa accada... -
- Possiamo raggiungerli. - dichiarai, secca, sentendomi la bocca asciutta. - Leviamo le ancore immediatamente. Armiamo i cannoni. Possiamo ancora contrattaccare la Marina e salvare la città. -
Gibbs si voltò per un attimo verso Jack, che dopo un momento strinse le labbra e annuì in fretta: gli ordini vennero subito gridati da un capo all'altro del ponte, e non ci volle più di una manciata di secondi perché tutta la ciurma prendesse vita e si mettesse in movimento come un suol uomo.
Il ponte vibrò e gemette sotto i miei stivali, e ancora una volta non potei trattenere un brivido. La mia mano scattò per aggrapparsi al parapetto e, anche se cercai di farlo passare per un gesto normale, non potei ignorare il fatto che stavo stringendo il legno talmente forte da farmi sbiancare le nocche.
La Perla Nera si mosse: rapida, maestosa, voltando la prua in direzione del profilo dell'isola e cominciando a tagliare in due la superficie dell'acqua con il suo scafo affilato. Prendevamo velocità. Le vele si spiegarono come ali, guadagnandoci il favore del vento. Uno dei nostri uomini si sporse da poppa, agitando le bandiere per segnalare alla Sputafuoco le nostre manovre. Eravamo così vicini che forse mi sarebbe bastato aguzzare lo sguardo per vedere Elizabeth e William da qualche parte sul ponte: desideravo così tanto rivedere anche loro, eppure ad un tratto era diventato il momento sbagliato per qualsiasi cosa che non fosse la fretta, e la paura di esserci mossi troppo tardi.
Faith era accanto a me, ritta e silenziosa, e mi accorsi che mi stava osservando di sottecchi: non sapevo se per il semplice fatto di riavermi di nuovo lì in carne e ossa, o se avesse notato il mio turbamento crescente. Le rivolsi un sorriso tirato, poi mi voltai dall'altra parte dove invece stava Nathaniel: anche lui era aggrappato alla murata, ma il suo sguardo atterrito era fisso in direzione dell'isola.
Con la mano libera, siccome ancora non riuscivo a convincermi a lasciare la mia presa sul legno, gli toccai la spalla e gliela strinsi forte. Il giovane si voltò di scatto verso di me come se non se l'aspettasse.
- Nathan. Andrà tutto bene. - gli assicurai. - Farò qualsiasi cosa per salvarli. Qualsiasi cosa. -
Nathaniel mi fissò senza fiatare per un lungo istante, e poi entrambi rivolgemmo uno sguardo ansioso verso l'orizzonte.

*


Il porto sembrava un formicaio che qualcuno avesse appena demolito a calci, lasciando soltanto cumuli di terriccio e un mucchio brulicante di insetti impazziti e terrorizzati.
Ogni singola imbarcazione ormeggiata al molo, fosse una nave, una barca o un guscio di noce galleggiante, era stata fatta a pezzi dalla forza dirompente delle ripetute bordate. Ognuno degli edifici più vicini all'acqua aveva risentito delle cannonate, le quali nel migliore dei casi avevano perforato pareti, e nel peggiore fatto crollare muri interi. Alcune case stavano andando a fuoco, e non solo quelle vicine al molo.
Il mio cuore perse un battito quando la Perla virò per infilarsi dentro alla baia, dove ancora risuonavano i colpi di cannone.
Non erano stati le navi da guerra della Marina. Non si vedeva neanche una nave che battesse la bandiera inglese nel raggio di miglia e miglia. Era scomparso nel nulla anche il vistoso tre alberi dalle vere azzurre del capitano Lanthier, e appena me ne accorsi mi chiesi se dovessimo proprio a lui il nostro colpo di sfortuna.
C'era un'unica nave nel bel mezzo della baia, enorme e solitaria, ed era quella, da sola, a mitragliare il porto con cannonate che non davano tregua.
Il fiato mi si mozzò in gola, e mi sentii sbiancare. Trentasei cannoni per lato. Uno scafo così grande che dava l'impressione di potersi spalancare di colpo come la bocca di uno squalo e ingoiare la Perla, la maestosa Perla Nera, in due bocconi. Cannoni rotanti a poppa e a prua, manovrati da nerboruti marinai dalla pelle scura. Le vele erano drappi enormi di un rosso scarlatto, e in cima al pennone sventolava una bandiera dello stesso colore: sbatacchiava troppo perché potessi distinguerne con certezza il simbolo, ma mi parve di riconoscere il disegno di una spada ricurva, e accanto quella che assomigliava alla testa di un felino dalle fauci spalancate.
Niente che la Marina avrebbe usato, naturalmente: questi erano senza dubbio pirati. Pirati, oppure...
- Maria madre di Dio... - udii Gibbs mormorare da qualche parte dietro di me, mentre la Perla avanzava dritta verso quella gigantesca nave sconosciuta. Mi voltai verso di lui proprio nel momento in cui sgranava gli occhi, incredulo, e con la voce ridotta ad un bisbiglio stupefatto mormorava: - Balthazar. -
Il modo in cui lo disse mi fece contorcere le budella, ma anche se non avessi mai sentito prima quel nome mi sarebbe bastato vedere le dimensioni e la potenza di fuoco di quella dannata nave per farmi prendere dal panico. Senza sapere che fare mi voltai freneticamente verso Jack, che stava al timone, e lo vidi impalato al suo posto con le mani strette sulle maniglie mentre la nave avversaria si stagliava in tutta la sua stazza davanti a noi.
Lui non si mosse, ma vidi i suoi occhi diventare sempre più grandi, due biglie bianche nel bel mezzo della sua faccia abbronzata, e capii che in quell'istante gli ci era voluto tutto il suo autocontrollo per non girare precipitosamente il timone e mettere la prua dall'altra parte. Forse stava per farlo, quando mi staccai dal parapetto e corsi da lui in cima al cassero di poppa.
- Jack! Che cosa facciamo? Che cosa... - mi bloccai appena lo raggiunsi accanto al timone, senza parole, senza sapere che cosa fare, aspettando una qualsiasi parola da parte sua. Jack si girò a guardarmi come se avesse dovuto sforzarsi per togliere gli occhi dal colosso che ci si parava dinnanzi, e mi fissò con la stessa espressione allucinata, con gli occhi sgranati e le labbra dischiuse per lo sgomento, confermandomi con un solo sguardo quello che già sapevo.
Scosse appena il capo, molto lentamente, facendo tintinnare le perline infilate nei suoi capelli.
- Non abbiamo nemmeno una possibilità, da soli. - sussurrò, in uno strano tono incredulo, quasi cantilenante, come se non riuscisse a credere neppure lui a ciò che mi stava dicendo.
Girandomi di nuovo verso la baia, notai un'altra cosa: la nave di Balthazar aveva smesso di flagellare il porto con le bordate solo per un motivo; le sue scialuppe stavano sciamando verso la terraferma, e molti dei suoi uomini avevano già guadagnato il molo. Avrei dovuto riconoscere la tecnica: era così scontata e così logica per dei pirati, sebbene noi non avessimo mai avuto bisogno di depredare insediamenti e ci dedicassimo esclusivamente alle navi. Scatenare un inferno con i cannoni, e poi sguinzagliare la ciurma per devastare tutto quello che restava.
- Ma perché?- sibilai, senza fiato.
Gibbs era poco distante da me, accanto alle scale del cassero, e mi rispose senza nemmeno voltarsi, con lo sguardo fisso verso ciò che stava succedendo al porto.
- La regia Marina gli ha dato campo libero. - sentenziò, con voce lugubre. - Lui ci sta inseguendo, e sapeva che eravamo nei paraggi. La popolazione di Isla Muelle si è rifiutata di collaborare. È una spedizione punitiva: ed essendo Balthazar, potrà fare tutto ciò che gli pare e non sarà colpa di nessuno. -
In quel momento, Jack impresse una brusca virata al timone, portando la Perla ancora più vicina ai moli devastati. L'edificio della Sirena era ad un tiro di schioppo da noi: pareva che, quasi per miracolo, i colpi di cannone l'avessero risparmiato, visto che era ancora in piedi e non vedevo grossi danni o buchi causati dalle palle di cannone nelle sue fragili pareti di legno.
Miss Hawk, Ben, le ragazze, tutti quanti dovevano trovarsi ancora là dentro, barricati per difendersi dall'arrivo della ciurma di Balthazar.
- Che possiamo fare?- continuò a mormorare Gibbs, sgomento, aggrappato alla murata. - Che cosa possiamo fare?-
Misurai con lo sguardo il tratto di mare che ci separava dalla Sirena, dal suo porticciolo segrete incassato ai piedi della sua struttura, un tratto che con la forza della disperazione avremmo potuto percorrere avanti e poi indietro con le scialuppe, se solo...
Mi voltai verso Jack. Lui ricambiò la mia occhiata in silenzio, e seppi che aveva capito che cosa gli chiedevo quando gli strinsi la mano con urgenza.
- Copriteci. -

*


Gli occhi di capitan Barbossa erano duri come lucide lastre di ferro mentre, dal cassero di poppa della Sputafuoco, osservava le manovre della Perla Nera.
La nave si era messa tra il galeone di Balthazar e il porto bombardato, senza apparente motivo. Dalla fiancata della Perla i cannoni esplosero una gragnuola di colpi in rapida successione, impedendo di vedere altro, ma quando Barbossa abbassò il cannocchiale era già riuscito a scorgere abbastanza di ciò che accadeva là davanti. Dal lato di babordo, quello rivolto verso il porto, stavano calando delle scialuppe.
- Ci segnalano di aprire il fuoco!- gridò Elizabeth, aggrappata alla murata di tribordo.
William, che stava ritto in piedi al fianco di Barbossa, esitò un solo istante prima di ordinare a pieni polmoni: - Armate i cannoni!-
- Perché diavolo stiamo andando a punzecchiare quel colosso, signor Turner?- lo rimbeccò il pirata con un chiaro tono di biasimo, anche se tenne saldamente una mano sul timone e non distolse gli occhi dalle navi.
- Perché stiamo cercando di guadagnare tempo, ecco perché. - replicò William, freddo. - E perché non abbiamo altra scelta. -
- Hanno sguinzagliato la ciurma a razziare la città... - assentì lentamente l'altro, osservando il viavai frenetico che si stava scatenando a terra. - Hm. Giusto. Non salperanno per inseguirci, almeno non ora. -
La bordata dirompente della Perla Nera aveva sortito il suo effetto, poiché molti colpi erano andati a segno sollevando una nuvola di schegge di legno e detriti dalla fiancata enorme della nave avversaria. Allora anche quel gigante poteva sanguinare! La nave gigantesca beccheggiò lentamente sotto i colpi, ma era chiaro che la ciurma rimasta a bordo si stava riorganizzando per rispondere.
L'ultimo cannone della Perla fece fuoco.
- Tocca a noi!- gridò William, facendo segno col braccio ad Elizabeth, che a sua volta stava attraversando il ponte di corsa, gridando ordini ai cannonieri. - Non dategli tregua! La Perla ha bisogno del tempo per ricaricare i cannoni! Adesso, fuoco!-
L'ordine fu ripetuto in fretta, e l'istante dopo le bocche dei cannoni esplosero una dopo l'altra i loro colpi.
Il vecchio Trentacolpi era solo alla sua postazione sul castello di prua, aggrappato così saldamente al suo cannone girevole che l'uomo e la bocca di metallo sembravano una cosa sola. Will lo seguì con gli occhi per pochi istanti, mentre quello spostava il cannone con il suo peso, lo faceva ruotare, e poi con una risata sguaiata e folle faceva fuoco, per colpire con precisione la tolda della nave nemica.
Il giovane capitano buttò fuori il fiato, sentendo le orecchie che fischiavano. L'aria era greve di fuliggine e fumo. Quella nave era gigantesca, ma loro erano pur sempre in due e potevano coprirsi le spalle a vicenda: sperava solo di riuscire a resistere il tempo sufficiente per... qualsiasi cosa dovesse fare Jack.
- Barbossa. - esclamò, in fretta. - Riuscite a mantenerci fuori dalla loro linea di tiro?-
Le dita del vecchio capitano si avvolsero attorno al legno del timone, rapaci, e questi lo fulminò con una delle sue famose occhiate gelide.
- Non azzardarti a pensare neanche per un secondo che io non sia in grado di tenere a cuccia una nave del genere, Turner!- ringhiò tra i denti.
E Will fu quasi sicuro di aver sentito l'ombra di una risata di folle esaltazione nella sua voce.

*


Il boato dei cannoni sembrò ancora più assordante mentre scendevamo sulle cinque scialuppe e remavamo a rotta di collo fino al porto, sentendoci come se tutti i diavoli dell'inferno ci stessero alle calcagna.
La barca su cui stavamo io e Faith toccò terra quasi nello stesso istante in cui lo fece quella di Nathaniel. Il porticciolo nascosto non era altro che una banchina di pietra che emergeva di poche spanne dall'acqua, incassata sotto alla struttura in legno della locanda sopraelevata. Quando arrivammo, ci aspettavano già tre uomini con i fucili spianati, chiaramente pronti a respingere eventuali uomini di Balthazar arrivati a depredare il porto, ma Nathaniel fu rapido a mostrarsi e a scendere sulla banchina a braccia alzate, gridando: - Sono io, sono Nathaniel, fermi!-
C'era Nicholas tra di loro, che abbassò precipitosamente il fucile e fissò sbigottito Nathaniel e me, come se si stesse chiedendo da dove diavolo fossimo arrivati.
- Nathaniel!- lo chiamai, mentre a mia volta balzavo sul molo e porgevo la mano a Faith per farla scendere con me. - Raduna tutti quanti sulle scialuppe, i miei uomini li porteranno in salvo. Noi andiamo a prendere le ragazze e i bambini, tu pensa agli uomini. Vai!-
Senza bisogno che glielo ripetessi, lui fece un cenno d'assenso e, presi con sé Nicholas e gli altri due, corse su per le scale per raggiungere l'interno della Sirena.
Precipitosamente, io mi voltai per guardare le scialuppe. Cinque barche in tutto, ciascuna con due uomini a manovrarne i remi: il minimo indispensabile, per lasciare il posto per tutti quelli che saremmo stati in grado di salvare. Mi augurai che ci riuscissimo.
- Uomini, caricate tutta la gente che potete, e appena una scialuppa è completa salpate immediatamente!-
Un coro di “Aye!” rispose al mio ordine, e nello stesso istante feci segno a Faith di seguirmi. Io e la mia amica risalimmo di corsa le scale: il suono dei nostri stivali sui gradini di pietra rimbombava anche con il sottofondo incessante del boato dei cannoni, terribilmente vicino.
Fui grata a Faith per il suo sangue freddo: pur non sapendo dove la stessi conducendo non esitava né si lasciava intimorire, anzi, le era bastato che le dicessi che intendevo recuperare personalmente tutta la gente della Sirena per convincerla a venire con me. Mi seguì di corsa, con un'espressione feroce in viso, la treccia nera che le svolazzava libera dietro le spalle e la spada nel fodero che le batteva contro la coscia. Eravamo venute armate, pur sperando che non avremmo avuto bisogno di sguainare le spade.
Nathaniel e gli altri avevano già fatto irruzione nella sala principale.
Salii l'ultimo gradino per trovarmi davanti ciò che già mi aspettavo: il salone principale ancora con il portone barricato dall'interno, pieno di uomini e giovani con pistole, spade e fucili. Dalla strada, il fracasso era ancora più assordante che nella baia. Solo allora cominciai a sentire le urla e il frastuono di vetri che andavano in pezzi, legno spezzato, porte scardinate, insieme al ruggito lontano e costante degli incendi in atto.
Non erano ancora arrivati a noi. E Nathaniel si era già precipitato nel mezzo del salone, gridando a tutti di scendere nel porto sotterraneo e dirigersi immediatamente alle scialuppe.
Non mi fermai ad aspettare la loro risposta: nella sala c'erano già alcune delle cameriere che imbracciavano dei fucili, ma sapevo che tutte le altre dovevano invece essersi barricate ai piani superiori, perciò presi in tutta fretta le scale per il piano di sopra.
Non ero arrivata neppure a metà scala, che davanti a me si parò la figura imponente di miss Hawk, con un fucile spianato. Appena mi riconobbe lanciammo un'imprecazione in contemporanea, io mi bloccai di colpo, ancora in bilico su di un gradino, e lei abbassò di scatto il fucile, rossa in faccia e con gli occhi spiritati.
- Miss Evans, per la miseria!- esclamò, con l'aria di essere appena stata sul punto di prendersi un colpo. - Quando ho sentito tutto quel baccano mi ero convinta che quei balordi fossero entrati! State bene? Nathaniel?-
- È di sotto!- ripresi a salire le scale, tirandomi dietro Faith. Vidi che miss Hawk la scrutava con tanto d'occhi, ma non avevamo molto tempo per le presentazioni. - Miss Hawk, dobbiamo fare uscire tutti da qui. Stanno devastando il porto, se entrano qui vi ammazzeranno tutti quanti. Le scialuppe vi aspettano al molo sotterraneo per portarvi tutti alla mia nave!-
Le diedi le informazioni in gran fretta, gridando per farmi sentire al di sopra del frastuono di fuori, e allo stesso tempo correndo verso le camere con miss Hawk e Faith che mi stavano alle calcagna. La madre di Nathaniel era diventata terrea in volto. Di colpo fu lei stessa a precedermi e a portarci fino alla camera più grande dove aveva fatto nascondere le ragazze, e ad aprire la porta per poi spingerci dentro con urgenza.
Erano tutte lì dentro: tutte le cameriere rimaste alla Sirena, tutte coloro per le quali la locanda era diventata l'unica casa, l'ultimo porto salvo. Quando ci videro entrare sobbalzarono, volò qualche imprecazione, ma poi miss Hawk si fece avanti in mezzo a loro con espressione terribile e tutte quante ammutolirono per ascoltare ciò che aveva da dire.
- Signorine. - annunciò. - Là fuori sono assetati di sangue, e ci aspetta una nave che può portarci lontano da qui. Chi vuole andarsene segua immediatamente miss Evans. -
- “Chi vuole”?- scattai, sbalordita. - Tutti dobbiamo andarcene!-
Miss Hawk mi fulminò con la stessa freddezza con cui aveva appena parlato alle ragazze, mentre si voltava verso di me con le braccia conserte.
- Là fuori ci sarà anche il finimondo, ma alcune qui in città hanno ancora genitori, familiari e amici. Non costringerò nessuno ad andarsene. Ma chi vuole farlo, vada ora! E tu, miss Evans, fai il tuo dovere e portale via!-
Feci per protestare e per chiedere se questo significasse che anche lei intendeva rimanere, ma Faith mi precedette e fece segno alle ragazze di seguirci, per poi esclamare in tono che non ammetteva repliche: - Di qua!-
Come se fosse stato un segnale concordato, più della metà delle ragazze si mosse e ci seguì nel corridoio: fui felice di riconoscere almeno Sarah tra di loro, ma non ebbi il tempo di vedere chi fosse rimasta o, cosa più triste, di preoccuparmene.
Ci precipitammo giù per le scale come un torrente in piena. Tra le grida soffocate delle ragazze, gli spari in strada e il fragore dei cannoni, udii anche le voci concitate degli uomini di sotto e capii che Nathaniel stava avendo i miei stessi problemi.
- Noi non ce ne andiamo, Nathaniel, non con le nostre famiglie ancora là fuori!- stava gridando uno degli uomini, supportato a gran voce da buona parte degli altri.
- E allora non me ne importa!- gridò di rimandi lui, esasperato, gettando le braccia al cielo in un gesto di rassegnazione. - Non mi importa! Non ordinerò nulla a nessuno, che si salvi chi vuole farlo! Ma loro verranno con me!-
Voltò bruscamente le spalle al resto della sala, dove vidi che Nicholas stava comunque facendo segno a chiunque volesse scappare di correre verso le scale. Mi fermai, mentre le ragazze mi scorrevano accanto e, al seguito di Faith, cominciavano a scendere di corsa i gradini di pietra. Nathaniel si diresse verso una delle stanze laterali, sparì dietro ad un'arcata, e per qualche momento mi chiesi dove diavolo fosse andato e di chi stesse parlando poco prima. Poi si udì un improvviso vociare infantile, e lo vidi riapparire seguito da una decina di monelli impauriti che riconobbi come i protetti della Sirena. In cuor mio ringraziai la sua prudenza nell'averli radunati là dentro invece di lasciarli come al solito liberi di scorrazzare per le strade.
Non c'era tempo per nulla. Discesi e risalii le scale per il molo più e più volte, indirizzando le ragazze, i bambini e gli uomini, riprendendoli bruscamente mentre si spintonavano, gridavano, si litigavano il posto sulle scialuppe o cercavano di trascinare gli altri con sé su di una barca già piena.
Feci salpare tre scialuppe, e montai sulla quarta in partenza solo quando Nathaniel mi assicurò che lui sarebbe salito sull'ultima. Io e Faith ci mettemmo ai remi, strette tra una massa umana di uomini e donne spaventati che a malapena ci permettevano di vedere dove andavamo.
Mi misi a vogare di buona lena, e in poco tempo ci trovammo all'aperto, nel mezzo della baia invasa dal fumo. Non ci fermammo. La Perla era lì di fronte a noi, sentivo le grida della mia ciurma e potevo riconoscere la voce di ogni singolo uomo. Fermammo la scialuppa accanto alla fiancata, il legno strusciò contro il legno.
Ci vennero lanciate le corde, le assicurammo, dopodiché dovemmo convincere una decina di persone ad arrampicarsi lungo la chiglia della nave, aggrappandosi a gradini umidi e scivolosi, sentendo ad ogni passo il rimbombo assordante dei cannoni che squassava l'intera nave. Mi sembrava di avere perso completamente la cognizione del tempo, insieme all'udito.
Finalmente, dopo una trafila che sembrò infinita, la scialuppa era vuota e potei arrampicarmi a mia volta. Lo avevo fatto tantissime volte in passato, e ormai mi consideravo in grado di arrampicarmi ovunque con la rapidità di una scimmia... o almeno così ricordavo. Stavolta non era arrivata neanche a metà della salita che sentii un'improvvisa mancanza di forze nelle braccia ed esitai, con le ginocchia tremanti. Mi stava venendo di nuovo il capogiro.
Merda, no, no, no, non ora. Strinsi i denti, strizzai forte gli occhi, mi ressi al legno che mi sosteneva e mi presi solo una manciata di secondi per recuperare l'equilibrio, poi riaprii gli occhi e schizzai verso l'alto.
Ero sul ponte, e probabilmente vi ero arrivata appena in tempo. La ciurma era asserragliata dietro la murata di tribordo, occupata a ricaricare freneticamente i cannoni mentre a poche leghe di distanza da noi era la Sputafuoco a riversare tutti i suoi colpi sulla nave di Balthazar.
Faith si era mossa prima di me, e aveva spalancato i portelli urlando a tutti i nostri sperduti passeggeri di correre sottocoperta. Davanti a quel fiume di gente che si riversava nei ponti inferiori, vidi il signor Gibbs fissarmi a bocca aperta, con espressione sconvolta.
Sapevo benissimo che cosa stava pensando. Tutta quella gente? Come avevo potuto avere una pensata del genere?
Tuttavia, non c'era esattamente tempo per discutere, e nemmeno per pensare. Alzai gli occhi per guardare Jack al timone, e scorsi sulla sua faccia un'espressione non molto diversa da quella del fido nostromo. Forse nessuno di loro sapeva esattamente cosa aspettarsi quando avevo detto “tutta la gente della Sirena”.
Mancava una sola scialuppa. Dove diavolo erano? Mi sporsi dal parapetto, cercando nel fumo attorno a me, e finalmente riuscii a vedere l'acqua sotto di noi e la nostra ultima scialuppa che si affiancava alla Perla. Sembrava che fossero stati rallentati, e mi accorsi che a bordo, sorretto dalle braccia di tutti gli occupanti, c'era qualcuno privo di sensi. Solo dopo qualche momento la riconobbi come miss Hawk.
Il carico umano dell'ultima barca si riversò uno ad uno sul ponte, per poi venire rapidamente smistato sottocoperta, e gli ultimi a salire furono Ben e Nathaniel, portando a braccia il peso non indifferente della loro madre. Mi precipitai a dar loro una mano appena furono abbastanza vicini: miss Hawk non sembrava ferita, ma era completamente inerte.
- Che cosa è successo?- esclamai.
- Si rifiutava di lasciare la locanda. - fu la laconica spiegazione di Nathaniel, mentre lui e il fratello la facevano sdraiare alla meno peggio sopra le casse legate ai piedi dell'albero maestro. Ben gli scoccò un'occhiata terribilmente fretta e fece un gesto brusco come per strappare la donna dalle sue braccia, ma lui gli si oppose. - Dovevo farlo, Ben!- lo rimbeccò, seccamente.
Non replicai: non sapevo se essere d'accordo con lui o no, dato che ero innegabilmente sollevata dall'avere miss Hawk in salvo con noi... in un modo o nell'altro. Nathaniel le rimase accanto, nonostante le occhiatacce silenziose del fratello.
- Salpiamo!- gridai. - Salpiamo ora!-
E così facemmo.
La Perla prese il vento e cominciò a virare a tutta velocità, voltando le spalle al porto e cominciando a dirigersi verso il mare aperto. La Sputafuoco fece altrettanto, non senza fornirci l'ultimo fuoco di copertura intanto che virava.
La nave di Balthazar stava contrattaccando. Due palle di cannone fischiarono pochi metri sopra le nostra teste e aprirono squarci nelle vele, mancando l'albero maestro solo per miracolo. La nostra fuga fu molto rapida, rispetto ai lunghi momenti frenetici che avevamo appena affrontato.
Uscimmo dalla baia a virammo immediatamente, cominciando a costeggiare l'isola. Da dove eravamo potevamo vedere in ogni dettaglio quanto fosse rimasta ferita la città: pennacchi di fumo si levavano alti da ogni parte, c'erano edifici completamente sfondati dalle cannonate, e lingue di fiamma che ancora indugiavano tra le macerie.
La ciurma sanguinaria di Balthazar si stava ritirando. Non aveva mostrato alcuna fretta di abbandonare la sua opera di devastazione per inseguirci, ma ore gli uomini stavano tornando rapidamente alla loro nave.
Ci sarebbero stati dietro. Avevo considerato il fatto di avere appena portato tutta la gente della Sirena sulla stessa nave a cui questo Balthazar avrebbe dato la caccia come un segugio? Certo che lo avevo considerato. Ma ero sicura che noi fossimo in grado di tenerli al sicuro meglio di quanto avrebbero fatto le mura della Sirena.
Dopo il frastuono della battaglia, ora tanto sulla Perla quando sulla Sputafuoco era calato un silenzio di tomba. Isla Muelle stava davanti a noi, devastata.
Credevo che Nathaniel fosse sceso sottocoperta insieme agli altri, perciò sussultai quando me lo ritrovai accanto, anche lui fermo a fissare la distruzione di fronte ai propri occhi. La gente della Sirena si affacciava dai portelli di sottocoperta, rumoreggiando, gemendo e mormorando. Non sapevo che cosa dire a quella gente. Non sapevo che cosa fare per nessuno di loro, a parte portarli lontano da lì.
E poi, senza alzare lo sguardo, senza muoversi, Nathaniel cominciò a cantare.
Dapprima a voce bassa, stentata, poi con tono sempre più sicuro.
- The king and his men stole the queen from her bed... and bound her with her bones... The seas be ours and by the powers where we will we'll roam!-
La sua voce si alzò sopra il silenzio tombale, chiara e profonda, senza più alcuna vergogna o esitazione, e tutti capimmo che cosa stesse cantando e soprattutto perché.
- Yo-ho, all hands hoist the colours high! Heave-ho, thieves and beggars, never shall we die!-
La cantò una volta completamente da solo, poi alla sua voce si aggiunsero quelle dei rifugiati sottocoperta: era un pianto, un grido, una richiesta d'aiuto, e tutti cantavano a pieni polmoni perché sapevano che l'unica utilità di quella canzone era essere ascoltata da quante più orecchie possibile, ed essere quindi ripetuta di bocca in bocca, di porto in porto, incessantemente, perché arrivasse alle orecchie giuste.
- Yo-ho, haul together, hoist the colours high!
Heave-ho, thieves and beggars, never shall we die!-

Fu un canto dirompente che durò per lunghi minuti, e si spense soltanto quando ci allontanammo dalla costa per guadagnare il mare aperto. Sicuramente a quella gente era servito per dare sfogo ad almeno un poco della rabbia e del dolore che avevano dentro, e forse li avrebbe rinfrancati. Ma l'intento di Nathaniel era stato molto chiaro.
Quando si allontanò dal parapetto aveva una faccia terrea, ma gli occhi erano fiammeggianti, spiritati, animati da una rabbia che non avevo mai visto.
- Nathaniel... - feci, incerta su che cosa dirgli, sapendo che cosa il suo gesto aveva appena comportato.
- Ora dovranno ascoltarci. - mormorò, con voce spezzata. - Questo cacciatore di pirati è un problema anche loro. Lo ha mandato la regia Marina, e gli lascia fare quello che vuole... Che siano loro ad intervenire. Che i Pirati Nobili sappiano che è stata cantata la canzone. -
- I Pirati Nobili lo sanno. - risposi lentamente. - Almeno uno di loro. E altri due sulla nave qui accanto. -
Nathaniel si voltò di scatto, ad occhi strabuzzati, e seguì la direzione del mio indice, quasi inorridendo nel capire ciò che intendevo. Per quanto fosse drammatica la situazione, quasi ridacchiai tristemente quando lo vidi fissare Jack, sbigottito: gli andava bene avere appena invocato così solennemente l'aiuto di lui?
Da dietro il timone, Jack lo fissava di rimando come se gli stesse silenziosamente chiedendo se fosse soddisfatto di ciò che aveva appena scatenato. Gibbs, accanto a lui, si schiarì la voce, in chiaro imbarazzo, quindi intrecciò le mani dietro la schiena, si raddrizzò e si sforzò di parlare in tono sufficientemente formale.
- La canzone è stata cantata, capitano. - disse, infine.
- Grazie per avermi dato un dettagliato resoconto dell'ovvio, mastro Gibbs. - replicò a denti stretti Jack, sardonico. Poi fece un lungo sospiro e sbottò, controvoglia. - La Fratellanza è chiamata a consiglio?-
Lo disse come se fosse sul punto di prendere una medicina amara, e Gibbs annuì più o meno con la stessa espressione in faccia, con un che di tristemente definitivo nello sguardo.
- La Fratellanza è chiamata a consiglio. -



Note dell'autrice:
Bene bene bene... Speravate di esservi liberati di me?
Sorpresa.
Sono ancora qui. Non ho mai smesso di scrivere, e non ho abbandonato nemmeno i progetti più "leggeri" come appunto la mia storica fanfiction sui Pirati. Semplicemente, ci sono in ballo cose grosse, e chi di voi vorrà venire a dare un'occhiata sul mio blog scoprirà di cosa sto parlando.
Ma veniamo a noi! Alla fine di questo capitolo, vi consiglio senz'altro QUESTA SOUNDTRACK perché, diciamocelo, Hoist The Colours è sempre bella da risentire.
E ci aggiungo anche QUESTA perché la nuova serie tv di Black Sails merita veramente ed è l'ideale per rimettermi in assetto piratesco: FannySparrow ci aveva visto giusto!
E, come sempre, wind in your sails.

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 ***





Capitolo 11



Caos.
Ogni anfratto sottocoperta era improvvisamente ingombro di persone, più di quante la Perla Nera ne avesse mai imbarcate. Mano a mano che la nave si era allontanata dalla costa, siglando definitivamente il nostro abbandono dell’isola, il canto a più voci dei fuggitivi era andato spegnendosi al pari del boato dei cannoni.
Jack non aveva dato disposizioni.
Aveva lasciato che Nathaniel cantasse la canzone e poi si ritirasse in disparte, senza dirgli che cosa avesse appena scatenato. Ma sicuramente già lo sapeva.
Quello che di certo il giovane non immaginava, prima di lanciare il richiamo della Fratellanza, era che tre dei Pirati Nobili che voleva radunare si trovavano già lì.
Almeno quaranta persone ora erano stipate sottocoperta, una buona fetta delle quali erano i bambini della Sirena. Mentre facevo il giro per aiutare a distribuire l’acqua mi fermai vicino a loro e chiesi se stessero bene. Erano in nove: il più grande doveva essere sui dodici anni al massimo, mentre il più piccolo poteva avere l’età di David Turner.
Ricordare il piccolo Turner mi fece pensare che forse avremmo dovuto trasferire un po’ dei nostri passeggeri in eccesso sulla Sputafuoco, almeno per smezzare il carico e le bocche da sfamare. E poi, quale rotta stavamo facendo? Urgeva sicuramente un raduno con William, Elizabeth e Barbossa, ma per il momento era stato deciso che fermarsi prima di aver messo una buona distanza fra noi e la nave di Balthazar sarebbe stato troppo pericoloso.
Nove visi sporchi di bambini mi scrutavano nel buio rischiarato dalle lampade gialle di sottocoperta. Se ne stavano a gruppetto, rintanati tra due casse di legno, sotto ad un boccaporto che faceva entrare un poco d’aria salmastra in quello spazio ristretto.
- Andrà tutto bene. – dissi loro, d’istinto, mentre si passavano l’un l’altro il boccale per bere. – Mi raccomando, cercate di restare vicini e di non dividervi. Abbiamo ancora qualche giorno di viaggio, ma vi porteremo in un posto sicuro. –
Le stesse raccomandazioni a tutti, le stesse parole a tutti i visi conosciuti o meno che mi chiedessero spiegazioni.
Più vedevo l’ingombro di sottocoperta, che ora l’intera ciurma stava cercando di riorganizzare in modo da dare a tutti un angolo dove dormire, più mi domandavo perché lo avessi fatto. Avevamo salvato quella gente, portandola sulla Perla, o li avevo trascinati tutti verso un destino peggiore?
- È vietato perdersi d’animo, signori!-
Mi voltai di scatto come se quelle parole fossero state dirette a me.
Anche miss Hawk si stava aggirando tra i rifugiati di sottocoperta, aiutando la ciurma a distribuire acqua, coperte e cibo, e sembrava che la sua parlantina stesse riuscendo dove mi sentivo fallire io: passava da una persona all’altra, e per ognuna aveva una parola di conforto, o riusciva a strapparle una risata. Mentre la osservavo, notai che la sua tempia destra era ancora livida e gonfia, ma lei sembrava non badarci affatto.
Incrociammo lo sguardo per un momento, e vedendomi lei mi scoccò un sorriso duro, quasi fiero. Pareva perfettamente a suo agio anche là sotto. Ricambiai, poi indicai prima la mia tempia e poi lei.
- Come state?-
Sylvie Hawk si sfiorò la testa con noncuranza e fece una smorfia, stringendo le labbra.
- Niente che non abbia già passato, per carità… Ma mio figlio farà meglio a non capitarmi a portata di mano per almeno un paio di secoli. –
Sorrisi, ma mi sentii in dovere di difenderlo.
- Non vi avrebbe mai lasciata lì da sola, lo sapete anche voi. –
- Lo so. – replicò bruscamente lei, e seppi che capiva.
Dopo il nostro breve scambio di battute mi voltai, solo per trovarmi nuovamente in mezzo alla confusione. I pirati andavano avanti e indietro; se si accorgevano di me mi lasciavano passare, altrimenti mi tagliavano la strada senza tanti complimenti, troppo occupati nelle loro mansioni.
L’aria era umida e viziata, e cominciava a girarmi la testa. Di nuovo. Ero in piedi da tutto il giorno.
Avevo teso le braccia avanti per farmi strada, quando ad un tratto una mano sembrò sbucare dal nulla e senza alcun indugio prese la mia, tirandola gentilmente e guidandomi fuori dal caos.
Jack era davanti a me, nella semioscurità del primo ponte. Mentre mi precedeva, senza che mi lasciasse mai la mano, insieme ci facemmo strada con discrezione in mezzo al viavai incessante di pirati e di rifugiati. Poco a poco ci allontanammo dalla zona più affollata per poi infilarci in un angolo ristretto verso prua, esattamente in mezzo a due cannoni: il soffitto era talmente basso da sfiorare le nostre teste, l’oscurità era diventata quasi totale perché lì non arrivava la luce delle lampade, ma solo il chiarore esterno che riusciva a filtrare dal contorno dei boccaporti socchiusi.
Solo allora Jack si fermò, si voltò verso di me e mi abbracciò in silenzio. Io gli strinsi le braccia al collo e nascosi il viso contro la sua spalla, tirandomelo più vicino. Era così bello averlo di nuovo lì…
Le sue mani mi accarezzarono la schiena, rassicuranti, poi lui si spostò per cercare il mio viso e sempre senza parlare premette le labbra sulle mie. Lo baciai di rimando, e per un lungo momento ce ne restammo così, quasi immobili contro la parete legnosa ad ascoltare i nostri respiri.
Sollevai le mani per toccargli il viso, mentre appoggiavo la fronte contro la sua. Qualunque cosa succedesse, almeno ero a casa.
- Sono così contento che tu stia bene. – mi sussurrò infine Jack, facendo un sorrisetto. Ci fu il debole luccichio di uno dei suoi denti d’oro nella penombra. Mi appoggiò le mani sui fianchi per tirarmi ancora contro di sé, con un gesto protettivo.
- Anche io. – coi pollici gli accarezzai piano gli zigomi pronunciati, la barba pungente. – Che cosa faremo adesso?-
- Baia dei Relitti. – mi annunciò lui, con un sospiro e una scrollata di spalle. – Non abbiamo molta scelta, e forse quello è l’unico posto dove potremmo lasciare questa gente offrendo loro anche un minimo di protezione, comprendi?-
Annuii, continuando a stare appoggiata a lui. Jack rimase zitto e fermo ancora per un po’, prima di riprendere ad un tratto la parola.
- Perché il signor Hawk ha… uhm… cantato la canzone, che tu sappia?-
- Per quale motivo, secondo te? Sa che cosa significa. Mi aveva parlato dei Pirati Nobili già da un po’ di tempo, sapevo che era intenzionato ad attirare la loro attenzione per chiedere aiuto, prima o poi. Vuole che la Fratellanza si riunisca. E se ora voi riuscirete a trovare una soluzione per quello che sta succedendo, tanto meglio, no?-
- Lo so. È solo che dubito che il giovane Hawk sappia esattamente che cosa comporta in genere un raduno di pirati tutti quanti rinchiusi nello stesso posto. – fece una smorfia divertita e scosse il capo, facendo tintinnare le perline attaccate ai suoi capelli. Poi mi appoggiò le mani sulle spalle per guardarmi dritta negli occhi. – Ci siamo cacciati in un bel guaio, cara. Mi spiace. E francamente avere tutta questa gente a bordo così alla sprovvista, e in evidente violazione di quello che sarebbe non solo il Codice ma anche le più elementari regole della sacrosanta logica del “ognun per sé”... Oh, ma non importa. Adesso voglio che tu stia il più possibile al sicuro, capito? Lo so che è difficile per te, ma ti prego, resta al sicuro. Non voglio che nessuno di noi due faccia niente di stupido… almeno, non senza consultare l’altro. Va bene?-
Lo fissai mentre mi parlava. E mentre lo fissavo ebbi una sensazione strana, dal sapore di qualcosa di inevitabile, come se i mesi di separazione mi avessero fatto capire quanto le cose potevano andare male senza il minimo preavviso.
- Jack, c’è una cosa che devo dirti. –
Un momento. Lo stavo facendo davvero? Di tutte le occasioni che potevo scegliere, stavo per scegliere quella e dirglielo adesso, tra una sparatoria e una fuga con tanto di profughi al seguito?
Jack inarcò le sopracciglia e inclinò il capo, pronto ad ascoltarmi.
- Tranquillo, è… una cosa buona. Almeno, io penso che sia una cosa buona, ma… -
Che stavo dicendo?
- Jack, io… -
Il viso di Jack si corrucciò, mentre lui continuava a fissarmi senza capire il perché di tutta quella mia ridicola esitazione. – Ti ascolto. – mi incoraggiò, stringendomi appena di più le spalle, ma ora c’era un’ombra vagamente preoccupata nella sua voce.
- Sì, lo so. Adesso te lo dico, è solo che… -
- C’entra Hawk?-
Quella era l’ultima domanda che mi sarei aspettata di sentire: infatti impiegai più di qualche istante per capire il senso della frase, e che cosa avesse a che fare quel nome con la nostra conversazione. Dimenticando completamente ciò che stavo cercando di dire con le parole più adatte, alzai di scatto il capo e lo fissai, stranita.
- Cosa? Hawk? Nathaniel?- ripetei, sgranando gli occhi senza capire. – No! Cosa diavolo dovrei avere da dirti su Hawk?-
- Beh… Non lo so. – Jack distolse convenientemente gli occhi dai miei, strascicando le ultime parole in modo fin troppo eloquente.
Soffiai un sibilo irritato tra i denti, e poi la mia mano scattò ad agguantarlo per le treccine della barba, strappandogli un guaito.
- Dio, se ve lo meritereste uno schiaffo, capitan Sparrow. Non ho niente da dire su Nathaniel! Ma davvero credi che mi basti così poco per finire con qualcun altro? O forse… - esitai, scrutandolo da sotto in su. – Se invece ne sei davvero convinto, allora forse dovrei chiederti se tu non ti sia preso qualche distrazione, visto che ti mancavo così tanto e che, a quanto pare, il tempo è una scusa sufficiente. –
A quelle parole Jack si inalberò, e il suo volto si contrasse in una smorfia oltraggiata.
- Signora Sparrow. – sillabò, digrignando i denti mentre i suoi occhi si allargavano tanto da mostrare il bianco. – Senza di voi mi ero ridotto talmente male che qualsiasi donna avrebbe preteso di essere pagata più che profumatamente anche solo per prendermi in considerazione. E, trattandosi del sottoscritto, mi perdonerete la vanità se mi permetto di affermare che già questa è grossa. Ma, a parte questo… - zittì la mia protesta sul nascere. – Non ho mai desiderato neanche per un momento qualcuna che non fossi tu. Ho passato la cosa più simile a due mesi di vedovanza che abbia mai provato. Non è stato bello. Chiaro?-
- … Chiaro. –
Lasciai andare il fiato in un sospiro profondo, e poi, lentamente, lo abbracciai di nuovo.
Stavolta lui esitò per un attimo come se non avesse ancora digerito l'offesa e non fosse certo di volermelo permettere, poi però si arrese e lo sentii rilassarsi contro di me. Tenni la testa sul suo petto per un po’, poi mi scostai, sapendo che avrei avuto bisogno di guardarlo in faccia mentre gli dicevo ciò che mi apprestavo a pronunciare.
- Ascolta, avrei tanto voluto dirtelo in un momento migliore per entrambi, ma non me la sento di continuare a rimandarlo senza sapere che cosa ci aspetta. Sono incinta. –
Jack non parlò. Non si mosse, non emise un fiato, aveva perfino smesso di barcollare mentre restava semplicemente impalato a guardarmi. Aprì la bocca per dire qualcosa, ma subito dopo se ne dimenticò, così per qualche lunghissimo istante se ne rimase come un pesce con la bocca aperta in una O perfetta.
Non sapevo nemmeno che cosa sperare, se di sentirlo dire qualcosa o che restasse in silenzio. Quando si riprese, fu solo per voltare il capo a destra e a sinistra come se cercasse qualcosa nel buio del ponte, e poi la voce finalmente gli uscì, incerta.
- Incinta nel senso…? -
- In che senso, secondo te?- giuro che per un attimo, per colpa del nervosismo, ebbi la tentazione di scoppiare a ridere come un’isterica… ma mi trattenni, perché sarebbe stato davvero inappropriato. – Aspetto un bambino, Jack. Ero incinta appena prima della tempesta, e lui è sopravvissuto a… a tutto. – mi inumidii le labbra, sentendomi la gola completamente asciutta. – Insomma, è così. Avremo un bambino. –
Per un momento la mandibola di Jack annaspò, e la sua bocca si aprì e si richiuse un paio di volte. Abbassò gli occhi.
Io stavo continuando a guardarlo dritto in faccia, e ad un tratto vidi dipingersi sul suo volto un’espressione che non gli avevo visto quasi mai: qualcosa di intenso, quasi doloroso, che distese i tratti del suo viso di solito espressivo fino all’eccesso. I suoi occhi scuri fissavano il vuoto, ma ora erano carichi di un’intensità strana. Distinsi un brillio e capii che erano lucidi.
Poi ad un tratto gli si incresparono le labbra e lui emise un basso sibilo divertito, simile ad una risatina nervosa trattenuta a stento. Dopodiché, finalmente, rialzò gli occhi su di me.
- Tesoro, è… -
Inciampò sulle parole, e ci rinunciò. Ma, con una cautela che era quasi commovente, spostò una mano per poggiarmela contro la pancia, molto delicatamente, come se la stesse esplorando. Tenne una mano appoggiata sul mio ventre poi con l’altra mi circondò la nuca e mi strinse a sé, premendo le labbra contro la mia fronte. Io lo strinsi forte a mia volta e di nuovo restammo semplicemente così, a lungo, nel buio di sottocoperta.

*


- Incinta e non dici nulla? Incinta e ti metti a tirare di spada, per l’amor di Dio?!-
- Buongiorno anche a te, Faith… -
Quando finalmente mi risvegliai nella mia cabina, nel mio letto, non trovai Jack. Non sapevo nemmeno se fosse venuto a dormire: io mi ero messa a letto appena dopo la nostra conversazione della sera precedente, vinta dalla spossatezza e dal bisogno assoluto di riposare, mentre lui aveva continuato a dirigere la Perla senza di me.
E, al risveglio, in cabina mi ero trovata a fronteggiare il micidiale cipiglio della mia migliore amica che era stata mandata da me nelle temibili vesti di medico.
Faith scosse bruscamente il capo e si piazzò a sedere davanti a me sul materasso, incurante del fatto che fossi o non fossi completamente sveglia, e cominciò a svolgere sopra alle coperte il suo astuccio di cuoio dove teneva tutto il suo armamentario. Strizzai le palpebre e mi guardai in giro: dalle vetrate entrava la luce del giorno, disegnando una scacchiera sul pavimento di legno della cabina e sul mio letto.
Quando ero andata a dormire non mi ero accorta dello stato in cui si trovava la mia vecchia stanza: ero abituata al fatto che Jack fosse tutto meno che ordinato, ma per la prima volta vedevo il pavimento ingombro di carta straccia, bottiglie vuote, residui di cibo e abiti buttati per terra, più di quanto lo avessi mai visto prima di allora.
- Dimmi almeno che non hai bevuto alcol, nelle ultime settimane!- continuò Faith.
- È stata una grossa rinuncia, lo ammetto, ma no, Faith, non ho cercato di affogare mio figlio nel rum. – replicai, mentre mi mettevo a sedere. – Ehi ehi ehi, che cosa credi di fare con tutta quella ferraglia? Non scherziamo. –
- Ti pare che stia scherzando?- sbottò la mia amica, lanciandomi un’occhiata truce. – Tu ora te ne stai buona e ascolti il parere di un medico, per una volta. –
Mi rassegnai e non fiatai più, lasciando che mi controllasse. In realtà, dopo un po’ mi accorsi di sentirmi molto sollevata all’idea che fosse proprio Faith ad accertarsi che andasse tutto bene: non solo mi fidavo di lei, ma era letteralmente tutto ciò che di meglio avrei potuto chiedere da un medico e da un'amica. Mi ero appena alleggerita di un grosso peso, non dovendo più tacere il motivo della mia ansia.
Nel complesso almeno all'esterno non c’era molto da vedere, anche perché la mia pancia continuava a sembrare normale eccetto per un leggerissimo arrotondamento che io e Faith riuscimmo a distinguere solo dopo minuziose osservazioni.
- Ma è normale che si veda così… poco?-
- Sei solo al secondo mese, e sei pur sempre una donna al suo primo figlio. – Faith mi sorrise per la prima volta da quando era entrata in cabina. – Sembri quasi delusa. –
Io risi e scossi il capo. – Siccome dovrò portarmi tutta questa zavorra, vorrei almeno avere la soddisfazione di vederla. –
Il sorriso della mia amica si fece più largo, e lei si avvicinò per poi prendermi le mani tra le sue.
- Sono veramente felice per te. – mi fece, e poi di colpo il suo tono tornò bruscamente quello di un medico di bordo. – E non posso assolutamente permettere che tu adesso ti esponga a troppi sforzi. È già un miracolo che tu le la sia cavata dopo il naufragio, te ne rendi conto? Non hai dormito nemmeno cinque ore: per stamattina puoi continuare a dormire, mentre Jack e il signor Gibbs penseranno alla nave e alla ciurma. –
- Sono il capitano in seconda, non potete depormi!- brontolai anche se, ad essere sincera, il pensiero di potermi fare qualche altra ora di sonno indisturbata non mi dispiacesse affatto.
- Possiamo, quando miss Sparrow porta in grembo il futuro terzo capitano in carica. – Faith rise e mi mise una mano sulla spalla, incoraggiante. – Devi riposare, Laura. Non c’è niente di disonorevole in questo. –
- Oh, d’accordo. Ma svegliatemi al cambio del turno. –
Mi misi a letto, e Faith mi lasciò dormire per otto ore filate.
L’infame.

*

Solo dopo che Faith mi ebbe convenientemente drogato con la mia cura del sonno, lasciando che mi crogiolassi in ben più ore di riposo di quante avrei mai potuto sperare di avere, cominciai a sospettare di essere appena stata incarcerata nella mia cabina per tacito accordo tra il capitano e la mia amica.
Era già notte quando mi risvegliai di soprassalto per la prima volta.
Ero ben avvolta nelle coperte, eppure mi sentivo addosso una sensazione di freddo strisciante che non riuscivo in nessun modo a scacciare. Poi di colpo mi sentii annodare lo stomaco.
“Oh no...”
Rotolai verso il bordo del letto, e ci misi tanto impeto che per poco non caddi sul serio: non avevo considerato il lieve rollio della nave, che manteneva in perenne movimento la cabina, il pavimento, e in pratica tutto ciò che mi circondava. La stretta allo stomaco si fece più intensa, e mentre annaspavo per rimettermi in piedi seppi con certezza che non sarei mai riuscita a raggiungere l'esterno.
In quel momento mi accorsi che, in mezzo al marasma di indumenti buttati a terra e bottiglie vuote, sul pavimento, proprio accanto al letto, c'era un secchio. Non ebbi nemmeno il tempo di benedire Faith per la sua lungimiranza: mi buttai carponi a terra e vomitai dentro al secchio.
Solo quando il mio respiro tornò regolare e la stretta si allentò, lasciandomi soltanto un sapore acre in bocca, i contorni della stanza mi sembrarono di nuovo familiari.
Ero ancora carponi, a rabbrividire con le gambe nude contro le assi del pavimento e con il secchio tra le ginocchia, quando mi sembrò di percepire qualcosa: uno sfarfallio, nulla più che un debole sussulto, o un sospiro represso. Niente in confronto alla morsa che mi aveva appena fatto ribaltare le viscere, tuttavia lo sentii e mi paralizzai, dimenticando all'istante il brusco risveglio e il sapore di bile.
Lo sciabordio della marea al di là delle pareti di legno continuava, il rollio leggero del pavimento non si era mai interrotto, ed io restavo lì in ginocchio con le mani sul ventre nella speranza di sentirlo di nuovo, qualunque cosa fosse stato. Non si ripeté, e non potevo nemmeno essere certa di averlo percepito sul serio o di essermi semplicemente fatta suggestionare... Tuttavia, quella fu la prima volta in cui ebbi la netta sensazione di una presenza estranea. Pensiero che sul momento mi gelò, poi, lentamente, cominciò a lasciare il posto invece ad uno strano calore.
“Ehi.” pensai, con la mano infilata sotto la camicia premuta contro la pelle calda e tesa del mio ventre. “Siamo a casa, non ti preoccupare. Siamo al sicuro. Hai conosciuto tuo padre? Dagli un po' di tempo, ho la sensazione che voi due finirete per andare molto d'accordo.”
Mi rialzai con un sorriso sulle labbra, guardandomi attorno.
Chissà se il suddetto padre aveva avuto modo di toccare il nostro letto nelle ultime ore. Se anche lo aveva fatto, ancora una volta io avevo dormito troppo profondamente per accorgermene.
Non c'era nessuno con me in camera, ma, almeno a giudicare dai flebili suoni che cominciai ad udire da oltre la porta, c'era più di una persona nella cabina degli ufficiali. Tesi l'orecchio. Voci di persone che parlottavano tra loro, e di tanto in tanto lo scricchiolio di sedie che grattavano contro le assi del ponte. A meno di non sbagliarmi di grosso mi parve di riconoscere chiaramente la voce di William, anche se non riuscii a distinguere le singole parole.
Feci per avvicinarmi alla porta, ma mi trattenni. Mi piaceva pensare di avere ancora la mia dignità di capitano: non mi sarei precipitata fuori dalla stanza come una bambina svegliata in piena notte che pretendesse di piombare nel bel mezzo di una riunione di adulti. Anche perché non era consigliabile correre fuori dalla mia cabina in deshabillé senza avere un'idea precisa di chi occupasse la sala degli ufficiali in quel momento.
Recuperai i pantaloni dalla sedia sopra cui li avevo abbandonati e li indossai, e mi stavo infilando gli stivali quando la voce del giovane Turner si alzò improvvisamente di tono, permettendomi di sentire di cosa si stava discutendo nella stanza accanto.
- Rifugiarci alla Baia dei Relitti potrebbe rappresentare la nostra migliore opzione, al momento. - stava dicendo William. - Il posto è una fortezza, la città è ben difesa. Questa gente potrà stare al sicuro il tempo necessario per riprendersi e decidere che cosa fare. -
La suola spessa dei miei stivali aveva ora reso i miei passi estremamente rumorosi, e mentre mi avvicinavo all'uscio ebbi la sensazione che nell'altra stanza mi avessero sentita e che la conversazione si fosse interrotta per un momento. Aprii la porta.
Sotto le lanterne che dondolavano appese al soffitto, era radunata attorno al tavolo degli ufficiali l'intera elite della nostra piccola flotta. Jack sedeva esattamente di fronte alla porta della nostra cabina, dandomi le spalle: era semisdraiato sulla sedia con le gambe tese per poggiare i piedi sul bordo del tavolo, e si voltò verso di me quando mi sentì entrare. Dalla parte opposta stava Elizabeth, china sulle proprie braccia incrociate, con i lunghi capelli biondo cenere che ricadevano in bande ordinate al lato del suo viso incorniciando la sua espressione corrucciata. Accanto a lei c'era William, che non si era seduto ma teneva una mano poggiata sul tavolo, con il pugno chiuso stretto contro il legno.
Discosto da loro due, e al contempo accuratamente posizionato dalla parte opposta rispetto a Jack, Hector Barbossa si era appropriato di una delle seggiole più grandi e vi stava seduto sopra con innegabile orgoglio, con le dita rugose e inanellate strette sopra ai braccioli e la sua immancabile scimmietta dalla pelliccia nera che camminava avanti e indietro in cima allo schienale. Ammetto che per un momento fui felice di rivedere anche quella scimmia.
Quasi sperai di poter trovare anche Faith ed Ettore a quel raduno notturno, ma il medico di bordo non aveva motivo di trovarsi lì, mentre sapevo che Ettore tendeva ad evitare accuratamente tutte le circostanze che lo avrebbero portato a stare nella stessa stanza con Barbossa.
C'era invece un ultimo elemento che non mi aspettavo di trovare lì, e che stava seduto tra l'anziano ufficiale e William: Nathaniel.
Neppure lui doveva avere dormito molto, di recente, a giudicare da quanto tirato apparisse il suo viso.
Nessuno di loro si era aspettato il mio arrivo, o almeno questo mi parve di intuire dalle loro espressioni. Elizabeth ebbe un piccolo sussulto e sollevò lo sguardo verso di me, scambiammo una fuggevole occhiata che avrebbe dovuto bastare per confermare che, sì, stavo bene, e che eravamo entrambe felici di rivederci tutte intere. William si era interrotto, perciò feci un cenno con la mano nella sua direzione.
- Perdonate il ritardo. - scherzai, e mi avvicinai per prendere posto sulla sedia accanto a Jack. Lui mi stava ancora fissando, e quando mi accostai a lui si sporse nella mia direzione con un che di apprensivo, anche se riuscì a farlo passare per un gesto perfettamente casuale.
- Va tutto bene?- mi domandò, mentre mi scoccava un'occhiata allusiva come se temesse che da un momento all'altro potessi, che so, sgretolarmi in mille pezzi come ceramica o prendere fuoco spontaneamente. Mi sedetti.
- Certo che va tutto bene. Vi avrei raggiunti prima se avessi saputo che era prevista una riunione. -
- Era più importante che tu riposassi. - ribatté il capitano.
- Mi sono riposata a sufficienza per almeno una settimana intera. -
- Oooh, questo lo deciderà solo la nostra miss Westley, e sai che lei sa essere ben più spietata di me... -
- Abbiamo cose più importanti di cui parlare. - tagliai corto. Non solo il nostro battibecco non era sicuramente appropriato, ma ero anche sicura che nessun altro in quella stanza a parte noi sapesse il vero motivo della premura di Jack nei miei confronti. Tornai a guardare Will ed Elizabeth. - Quanto dista la Baia dei Relitti?-
- Ormai meno di un giorno di viaggio, se continueremo ad avere il vento a favore e il mare così calmo. - rispose il giovane Turner.
- Quello su cui ci stavamo concentrando, miss Sparrow... - lo interruppe Barbossa, con la mano destra che tamburellava pigramente con le dita sul bracciolo della sua sedia. - ...è il fatto che non potremo considerare finiti i nostri problemi una volta che arriveremo laggiù. Tutto il contrario, invece. Ora che la canzone è stata cantata -devo ammettere, a ragion veduta- molto presto la Fratellanza si radunerà. Ma temo che questo non sarà sufficiente a far desistere Balthazar. Scorrerà del sangue. Ritenevo che il qui presente signor Hawk dovesse sapere dove stiamo conducendo lui e i suoi rifugiati. -
L'attenzione di tutti i presenti si spostò allora su Nathaniel, il quale teneva gli occhi fissi sul ripiano nero lucido del tavolo e alzò a malapena lo sguardo quando si sentì interpellare dall'anziano pirata.
- I rifugiati della Sirena sono civili. Donne e bambini, e uomini non abituati a combattere. - replicai, fissando Barbossa. - Ci sarà nella Città dei Relitti un luogo in cui possiamo tenerli al sicuro anche nel caso di un attacco dal mare. -
- Vi siete forse preoccupata di chiederlo prima di imbarcare tutti quei bisognosi, miss?- sul viso solcato dalle rughe dell'ufficiale si dipinse uno sgradevole sorriso storto.
- Certo che c'è. - sbottò Jack, spostando bruscamente i propri piedi dal tavolo mentre scoccava a Barbossa un'occhiata torva. - Suppongo che il quartier generale della Fratellanza dei pirati debba essere considerato il luogo più sicuro in circostanze come questa, non pensi, Hector? Altrimenti sarebbe una follia radunarvi tutti i più importanti rappresentanti della pirateria. -
- Dovrebbe esserlo, hai detto bene. - il tono di Barbossa si inasprì al pari della piega delle sue sopracciglia cespugliose. - Altrimenti non facciamo che offrire ad un cacciatore di pirati la ghiotta occasione di trovarsi tutti i pirati nobili riuniti in un unico luogo apposta per lui. -
- Lui è da solo. - sbottò Elizabeth, con una scrollata del capo. - Cutler Beckett non è riuscito a sconfiggere la Fratellanza anni fa, e lui aveva dalla sua un'intera flotta e l'Olandese Volante. Che cos'ha Balthazar?-
Per un momento mi parve di scorgere uno scambio di sguardi tra Jack e Barbossa, e non erano le solite occhiate di reciproco astio. Durò solo per un momento, poi fu il pirata più anziano a scrollare le spalle ed emettere un sospiro rauco.
- Questo è il punto, miss Turner. Non lo sappiamo ancora. -
Prima che qualcuno di noi potesse aggiungere qualcosa, Nathaniel serrò i pugni contro il ripiano del tavolo e sollevò lo sguardo.
- Isla Muelle diventerà un nido di soldati inglesi ora che è passato Balthazar a raderla al suolo. - disse in tono amaro. - Non posso tornare, e non posso riportare la mia gente là promettendo loro che saranno al sicuro. Ho accettato di imbarcare i miei con la promessa che sarebbero stati condotti in un posto sicuro. Mi state dicendo che non è così?-
- No. - rispose Will, facendo un deciso cenno di diniego col capo. - La vostra gente non verrà mai abbandonata, questo posso promettervelo. Alla città dei Relitti ci sarà sicuramente posto per tutti voi, ma non possiamo garantirvi che saranno al sicuro da qualsiasi cosa. Dovremo difenderci, se Balthazar continuerà ad inseguirci e dovesse perfino decidere di tentare di attaccare la baia. Ma sarete certamente più al sicuro lì di quanto li sareste ad Isla Muelle. -
- Allora va bene. - per un momento gli occhi scuri di Nathaniel incontrarono i miei al di là del tavolo, e per una volta non passarono oltre ma rimasero fermi, squadrandomi con un'intensità strana. - La mia gente ne ha già passate parecchie, ma questo non vuol dire che non possiamo cavarcela. È vero, abbiamo donne e bambini. Tuttavia non è vero che i nostri uomini non siano abituati a combattere, o che non lo siano le nostre donne. E anche il vostro capitano in seconda dovrebbe saperlo. - le sue labbra si incresparono per un momento in una piega indefinibile, poteva essere di scherno o di amarezza senza alcuna distinzione.
- Non ho paura, signori. Né io, né mio fratello o mia madre, nessuna delle brave persone che avete imbarcato si tirerà indietro. Che cosa vi aspettate che vi dica? Se ci sarà da combattere saremo pronti. Farò quello che vorrete. -

*

La mattina seguente, quando mi svegliai, ebbi finalmente una piacevole sorpresa. Jack era accanto a me, profondamente addormentato.
Ero schiacciata contro la sua schiena, col naso piantato tra le sue scapole e la fronte affondata nei suoi capelli. Mi riscossi completamente dal sonno e mi sollevai sul gomito per poterlo guardare. Infine i suoi doveri di capitano gli permettevano anche di dormire, ogni tanto!
A proposito…
Mi avvicinai un po’ di più, affondando il gomito nel materasso senza smettere di divorarlo con gli occhi. Stavo godendo del suo calore e della sua vicinanza in maniera quasi indecente. Era in camicia e pantaloni, segno che aveva avuto almeno la forza per non piombare a letto completamente vestito. Mi sporsi da sopra la sua spalla per sbirciare il suo viso rilassato nel sonno.
Sì, doveva essere veramente stanco quando infine era riuscito a raggiungermi. Con più di una punta di rammarico mi dissi che, forse, avrei dovuto lasciarlo dormire.
Feci un sospiro rassegnato e tornai ad appoggiarmi al cuscino. Le mani, però, non potei davvero tenerle al loro posto e le posai sui fianchi di Jack mentre aderivo contro la sua schiena sentendola gonfiarsi nel respiro, scostando le lunghe ciocche di arruffati capelli castani. Dio, dava alla testa sentirlo di nuovo tanto vicino e deliziosamente reale.
“Lo lascio dormire. Faccio la brava. Lo lascio dormire ancora un po’ e…”
Riuscii a “fare la brava” per pochi minuti, poi sentii i miei nervi cedere e mandare al diavolo tutti i buoni propositi. Gli strinse le mani sui fianchi e mi addossai ancora di più alla sua schiena calda: in quel momento lui emise ad un tratto un grugnito sonnolento come se si fosse svegliato, e quello fu sufficiente a convincermi del tutto.
Jack aprì pigramente gli occhi, e io lo circondai con le braccia. Lui si voltò a guardarmi mentre strofinavo il mento contro la sua spalla, le nostre facce alla distanza di un respiro, e mi sorrise in silenzio.
Ora davvero non aveva più speranze di fermarmi. Con una mano scesi a carezzargli il petto, cercando la via più rapida per farmi strada sotto la sua camicia, e con l’altra risalii ad accarezzargli il collo, fino alla mandibola. Lui fece un respiro frettoloso, come un gemito trattenuto, mentre con lentezza reclinava il capo all’indietro per schiacciarsi contro di me.
La mia bocca scese sul suo collo, cominciando a baciarlo delicatamente dappertutto: sotto l’orecchio, sulla gola, a un soffio dalla sua bocca. Mugolò di nuovo mentre lo sentivo rilassarsi contro di me: ora gli stavo addosso con tutto il mio peso.
Una delle sue mani finì ad accarezzarmi la coscia. Io avvolsi la gamba attorno alle sue, infilando un piede tra le sue ginocchia.
- Hm… - fece un sospiro, con più decisione. Con una mano continuai a carezzarlo sotto il mento, mentre l’altra scendeva giù sui muscoli del petto, del torace, fino al suo ventre.
Stavo per tirarlo verso di me per farlo stendere di schiena, quando lui mi precedette e invece fece tutto il contrario, rivoltandosi a pancia in giù sul materasso. Io gli stavo ancora abbarbicata, così che finii a cavalcioni sopra di lui, con una gamba ancora avvinghiata alla sua.
D’accordo, non aveva intenzione di rendermi le cose facili, anche se il basso verso di soddisfazione che soffocò sul cuscino diceva tutt’altro.
Con la mano sinistra, quella che non era impegnata a scendere come un ragno giù per il suo ventre, gli spostai la camicia per scoprire la spalla nuda. Mi chinai su di lui e presi a mordicchiare la pelle brunita della sua spalla, molto gentilmente: lui invece sussultò come se l’avessi morso per davvero, mentre facevo scorrere la bocca fino alla sua nuca. La mano destra intanto aveva trovato quello che cercava.
Forse finalmente ero riuscita a scioglierlo: lo vidi serrare i pugni sulle lenzuola e voltare bruscamente la testa, incollando la guancia al cuscino. Mentre continuavo imperterrita il mio lavoro mi allungai su di lui per chinarmi sul suo viso e gli baciai le labbra, schiacciandomi ancora di più contro la sua schiena.
Mi accorsi dell’improvviso baccano in coperta solo perché qualcuno cominciò a battere dei colpi violenti sulla porta della cabina, che risuonarono come una gragnola di colpi di cannone.
Riconobbi la voce di Gibbs, ma riuscii a cogliere solo parole insistenti come “attraccare”, “ordini” e “immediatamente”.
Jack si rizzò sulle braccia e sollevò di scatto il capo, confuso come se si fosse svegliato solo in quel momento. Ci guardammo l’un l’altra per qualche istante con un certo disappunto, poi, goffamente, lui slacciò le gambe dalle mie e si scostò da me mentre cercavamo di liberarci dal groviglio delle coperte.
Mi feci da parte, delusa a dir poco. Solo la nostra ciurma poteva avere un tempismo “talmente” perfetto!
- Scusami… - biascicò lui mentre scendeva dal letto, improvvisamente quasi incerto sulle gambe intanto che si sistemava ripetutamente e con un certo imbarazzo il cavallo dei pantaloni.
Io mi strinsi nelle spalle, alzando gli occhi al cielo.
“E va bene…”
Notai che Jack evitava di guardarmi negli occhi mentre recuperava precipitosamente stivali, cintura e cappello e usciva dalla cabina barcollando perfino più del solito. Mi chiesi perché mai. Gli avevo dato fastidio? Non mi sembrava proprio. La porta si aprì e si richiuse dietro di lui con un cigolio, lasciandomi sola nel bel mezzo del nostro letto sfatto.
Piuttosto, la faccenda oltre che snervante era sospetta.
Qualche notte sfumata per mancanza di occasioni le potevo capire, ma anche questo? Sembrava che lo facesse apposta.
Calciai via le coperte e mi misi a cercare i miei vestiti. Non avevo più voglia di restare lì, ero stufa di riposarmi, checché ne dicessero tutti gli altri. In mezzo al caos della cabina, sopra ad una delle sedie spiccava qualcosa che invece sembrava essere stato appoggiato con una certa cura: il mio cappello di pelle marrone, decorato con il pennacchio di piume azzurre. Lo riconobbi in quel momento e lo agguantai, felice di poterlo tenere di nuovo tra le mani.
Non capivo il comportamento di Jack. Non poteva neanche dire che non ne avesse voglia, perché la sua reazione di poco prima a tutta la faccenda era stata… beh, visibilissima. Allora perché era scappato così, come se la chiamata di Gibbs gli avesse dato la scusa perfetta?
Mi misi in testa il cappello. Mentre mi infilavo i pantaloni decisi di non pensarci più, ma quella faccenda doveva risolversi, e in fretta anche.
Un’altra occasione sfumata come quella e avrei letteralmente dato i numeri, me lo sentivo.



Note dell'autrice:
Ciò che ha portato alla pubblicazione di questo capitolo è stata una serie di coincidenze sempre più curiose. Non ultima il fatto di essermi accorta –rigorosamente a scrittura già completata, non ci avevo pensato prima- che domani, il 21 ottobre, avrebbe segnato esattamente un anno dall’ultimo aggiornamento della fan fiction. Era il momento.
Questa storia è ancora qui, e questo capitolo mi ha insegnato a ricordarmi un paio di cose sul metodo e anche sul piacere di scrivere. Forse con questa lunga pausa mi sarò persa dei lettori, e mi scuso perché ho mancato ad alcuni dei miei doveri nei loro riguardi: mi dispiace, ma proprio non avrei potuto fare altrimenti. Ma se ancora avete voglia di seguire le avventure dei miei capitani, sappiate che non ho ancora smesso di raccontarle. Anzi, credo di avere appena rispolverato un periodo della mia vita pieno di una positività che adesso mi manca, e non mi dispiace proprio averlo fatto.

Ritornare alle origini potrebbe essere una boccata d’aria fresca o una doccia gelata, impossibile prevederlo.
Per fortuna, stavolta è stato qualcosa di molto piacevole.
Posso dirlo ancora una volta...? Wind in your sails!


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Capitolo 13
*** Capitolo 12 ***




Capitolo 12



Sotto un tramonto che tingeva il cielo di viola e arancio, l'Isola dei Relitti appariva come una massa scura e compatta: le interminabili scogliere erano la muraglia che la proteggeva, e i picchi scoscesi le sue torri di guardia.
Non c'era un faro né alcun segno di vita, e con l'oscurità crescente cominciai a temere sempre di più per lo scafo delle nostre navi che si avvicinavano sempre più alle falesie rocciose. Tuttavia, Jack non era mai sembrato così sicuro della nostra destinazione come in quel momento. Fece avvicinare le navi fino a che fu possibile, poi diede tutto ad un tratto l'ordine di mettersi alla fonda e spedì Michael in coffa per mandare segnalazioni al profilo deserto di un'isola sempre più buia e assolutamente silenziosa.
Sostammo per quasi un'ora con le vele ammainate e l'intero equipaggio in trepida attesa. Gli sfollati di Isla Muelle erano saliti sul ponte di comando per prendere un po' d'aria finché gli era concesso, e l'insolita immobilità delle navi contribuiva solo a far crescere la loro agitazione. Lo sciabordio del mare si mescolò presto al mormorio delle loro voci sempre più intense e preoccupate, a cui si unì presto anche il pianto dei bambini più piccoli, per quanto le madri li tenessero tra le braccia e li cullassero mentre lanciavano sguardi sospettosi all'isola di fronte a noi.
Stavo per perdere la pazienza e dare l'ordine che almeno i bambini fossero riportati sottocoperta, quando un grido di Michael richiamò l'attenzione di tutti.
- Faro!-
Una luce baluginò sulla cima della scogliera, così rapida che la si sarebbe potuta prendere per un'allucinazione o un lampo lontano. Invece prese a ripetersi ad intermittenza: una fiaccola che veniva oscurata e poi rivelata per mandare un segnale.
La luce delle lampade che rischiaravano il ponte brillò a sua volta sul sorriso soddisfatto di Jack.
- Ci concedono di passare. -

*

Scheletri di navi.
Anche quando avevo sentito gli altri menzionare la Baia dei Relitti e il Palazzo dei Relitti non ero riuscita ad immaginare che cosa quei nomi significassero realmente. Ora ce lo avevo davanti agli occhi.
Mille lanterne illuminarono il buio appena la Perla ebbe oltrepassato lo stretto passaggio nella scogliera che ci condusse all'interno della baia. Nel centro della conca, una sagoma enorme emergeva dall'acqua e si innalzava fin quasi alla stessa altezza delle pareti naturali che la circondavano. Era una città: era la città, ma sarebbe stato difficile affermare a colpo sicuro se ci fosse della terraferma a sostenerne le fondamenta, o se fosse semplicemente emersa dal mare. Centinaia di piccole luci tremolavano, ma non erano finestre di case quelle che vedevo: erano boccaporti e lampade da segnalazione. Alcune navi erano già ormeggiate attorno alle banchine che si protendevano sull'acqua, ma era difficile distinguerle dalle altre navi che andavano a costituire il corpo della città. Relitti. Più di quanti ne avessi mai visti tutti insieme. Navi smantellate per metà, ponti che erano diventati la banchina del porto, scheletri di chiglie trasformati in palizzate, e poi relitti sempre più integri diventavano case ed edifici, così grandi che mi ritrovai a chiedermi come diavolo fosse stato possibile trasportarli. Le costruzioni di relitti svettavano in due... torri principali, anche se sarebbe stato più accurato definirli “cumuli”. La più alta delle due doveva essere senza dubbio il palazzo, la cui architettura era un'ulteriore sfida all'incredulità: gli scheletri delle navi si ergevano l'uno sopra l'altro in un mosaico di scafi e chiglie inchiodate e fissate insieme, le prue decorate di decine di polene che si protendevano avanti come i mille musi di un banco di pesci.
Riuscii a malapena a distogliere gli occhi da quello spettacolo mentre la Perla Nera e la Sputafuoco ormeggiavano nel porto, sotto l'ombra dei vascelli trasformati in torri che ci fissavano da lassù. Le stavo ancora osservando quando scesi sulla banchina. Erano i primi passi che muovevo sulla terraferma da giorni, e in verità non sapevo neppure se potevo considerare “terraferma” il porto che avevamo appena raggiunto.
La maggior parte della ciurma e i nostri passeggeri rimasero a bordo, ma Sylvie Hawk scese a terra con noi mentre sulla banchina ci radunavamo insieme a William, Elizabeth e capitan Barbossa per decidere il da farsi. Anche lei voleva sapere che cosa ne sarebbe stato della sua gente, ora che eravamo giunti a destinazione.
Jack e capitan Barbossa parlottarono per un po', scostandosi da noi altri, anche se dalle parole che colsi di sfuggita mi parve di capire che stessero discutendo riguardo il recarsi subito al Palazzo. Lo vidi fare cenno nella mia direzione un paio di volte con aria più che convinta. Qualcosa mi diceva che, qualunque cosa avesse intenzione di fare, eravamo previsti noi due, ma probabilmente non gli altri.
Intanto che sulla banchina si discuteva, mi accorsi di miss Hawk che se ne stava in disparte in silenzio, le braccia incrociate, le sopracciglia aggrottate sugli occhi che scrutavano quel posto dalla struttura impensabile che sorgeva proprio di fronte a noi. Dalle sue labbra arricciate non uscì una parola, eppure bastò un guizzo del suo sguardo per farmi capire che cosa si stesse chiedendo. Non le importava dove li avessimo portati, purché fossimo in grado di tenerli al sicuro come avevamo promesso.
Mi accostai a lei.
- Tutto bene, miss Hawk?-
Lei si riscosse dalla sua contemplazione e mi guardò.
- Siamo a terra. Ti dirò, mi rincuora parecchio l'idea di non dover più svuotare bacinelle piene di vomito. - sbuffò dal naso una sorta di risata, poi si fece più seria e strinse gli occhi. - Spero che i vostri Pirati Nobili possano proteggere la mia gente. -
- Lo faranno. - replicai. - E se non ci penseranno loro, lo farò io. -
Sylvie emise un'altra risatina sbuffante e abbassò la voce, curandosi anche di dare le spalle al resto della compagnia.
- Cos'è che farai? Non credo che tu sia nelle condizioni di combattere per nessuno, signorina, e forse faresti meglio a ricordartelo. -
- Lo so. - sibilai l'ultima parola, poi mi morsi le labbra. Per qualche momento fissai i miei stivali, quindi rialzai lo sguardo per incrociare quello di miss Hawk. - Sylvie, quando avremo un minuto libero, vorrei farvi qualche domanda. Credo di aver bisogno della vostra... consulenza. Per questioni di... natura fisica. -
Lei mi fissò negli occhi per un lungo momento e, anche se io feci attenzione a non spostare lo sguardo, fu lei a lanciare un'occhiata inequivocabile in direzione di Jack, che ora aveva finito il suo colloquio con Barbossa e stava avanzando verso di noi. La donna non rise, ma le si arricciarono gli angoli della bocca.
- Appena io e la mia gente saremo sistemati, vieni da me. Questa sera, direi, senza nessuno dei miei ragazzi tra i piedi a ficcanasare. Sì, credo che vi sarà utile una bella chiacchierata, miss Sparrow. -

*

Un gigantesco lampadario dominava la sala, o almeno, a prima vista lo presi per un lampadario. La cera giallastra di innumerevoli candele, fuse l'una all'altra come una massa di alghe e crostacei, aveva ricoperto interamente la struttura in ferro di una colossale ancora appesa al soffitto con delle catene.
Sembrava che nessuno si fosse dato la pena di rinfocolare le fiamme di quelle candele da molto tempo. Grosse lacrime di cera solidificata pendevano come stalattiti, senza che il calore le portasse a spezzarsi e gocciolare in una pioggia bianca sopra la lunga tavola ovale in legno massiccio sottostante.
Jack procedette a passo deciso verso il centro della sala arroccata come un nido d'aquila in cima alla struttura contorta del Palazzo dei Relitti. Si guardò attorno, poi scostò una delle sedie a capotavola e me la indicò.
Mi sedetti, mentre non smettevo di osservare ogni dettaglio di quel luogo. Perfino il sedile su cui mi accomodai era maestoso: mogano lucido decorato a spirali e intarsi. Tutte le sedie radunate attorno al tavolo erano intagliate in modo sfarzoso, ma non ce n'era una uguale all'altra, come se facessero parte di un bottino variegato che poi era stato distribuito alla rinfusa per arredare quello strano palazzo.
La sala terminava con l'arco di una chiglia: le travi che sostenevano il soffitto simili alle costole immense di una balena. Vi erano dei piccoli barili impilati ordinatamente contro la parete, molte casse e forzieri accatastati alla rinfusa, e perfino un alto sedile intagliato che si ergeva al di sopra di tutto quel vecchiume come un vero e proprio trono. Su di una piccola cassa languivano i resti di altre candele consumate, mentre, appoggiata al bracciolo del trono vuoto, faceva capolino il manico di una chitarra.
Jack mi posò una mano sulla spalla. - Aspettami qui. -
D'istinto misi la mano sulla sua per trattenerlo.
- Dove vai?-
- In avanscoperta, per essere precisi. - un sorrisetto leggero si dipinse sulle sue labbra, e notai un brillio divertito nei suoi occhi. - Voglio presentarti qualcuno. -
Mi diede una stretta affettuosa alla spalla, poi mi lasciò andare e si diresse all'altro capo della sala, dove un arco si apriva su un altro locale più ampio che non riuscivo a vedere interamente. Scomparve poco dopo, lasciando solo il rumore dei suoi passi che si allontanavano, ma confidai che almeno lui dovesse sapere come ci si muoveva lì dentro.
Rimasi in ascolto finché non persi completamente il suono dei suoi piedi sul pavimento. Allora rivolsi la mia attenzione al tavolo, sfiorandone la superficie con le dita. Il legno era sporco di cera e segnato da un intricatissimo mosaico di ammaccature, solchi, tagli e impronte di non meglio specificata natura. Stavo facendo scorrere i polpastrelli sopra alcune tacche regolari lungo il bordo del tavolo -che pareva proprio fossero state fatte con i denti- quando fui distratta da un tintinnio metallico e da un deciso suono raspante alle mie spalle.
Mi voltai.
Il raspare era quello di quattro zampe pelose sul pavimento, e il tintinnio era dovuto ad un mazzo di chiavi appeso al collare di un grosso cane irsuto dal pelo color caramello che fece il suo ingresso da uno dei corridoi, scodinzolando come un matto.
- Ehi!-
Dapprima sussultai, poi vidi che il cane cominciava ad annusare tutt'intorno e a girovagare nei pressi della mia sedia, senza smettere di agitare la coda. Alzò il muso verso di me, fissandomi con i grandi e miti occhi neri.
Mi alzai e andai a grattargli la testa, affondando le mani nel pelo ruvido.
- Bravo, bravo ragazzo. Tu da dove spunti fuori?-
Il cane rispose con una musata e poi continuò con la sua entusiastica esplorazione del pavimento, colpendomi un paio di volte con la coda scodinzolante mentre mi passava accanto. Le chiavi che portava attaccate al collare strusciarono sul legno. Sembrava che all'animale non desse fastidio avere quel costante scampanio metallico nelle orecchie.
Invece, nel frattempo, il tintinnio era bastato a coprire il rumore dei passi discreti di qualcun altro.
Avevo appena distolto l'attenzione dal cane, quando mi colpì come una mazzata la certezza di non essere sola nella stanza, e dovetti trattenermi per non voltarmi con un balzo in direzione del corridoio da cui era arrivato l'animale. Riuscii a girarmi con relativa calma e, soprattutto, a non cacciare un'imprecazione per lo stupore nel momento in cui mi trovai faccia a faccia con la figura che ora si stagliava contro il corridoio come se fosse appena spuntata fuori dal nulla.
Era un uomo. Non era alto, ma bisognava essere ciechi per non vederlo.
Era avvolto in una logora marsina rossa con alamari dorati, così lunga che l'orlo spazzava il pavimento, cosa accentuata dalla sua andatura lenta e strascicata. Aveva una pistola infilata nella fusciacca, e un cinturone che gli passava sopra la spalla, alla maniera dei pirati. Il suo volto era sovrastato da un colossale cappello a tesa larga decorato con penne di fagiano, e per qualche momento fui distratta da quello prima di riuscire a concentrarmi sulla sua faccia.
Di colpo ne ebbi un'impressione stranissima, come se quell'uomo mi fosse familiare senza che lo conoscessi affatto. Sulle spalle gli ricadeva una criniera di capelli lunghissimi acconciati in trecce ispide, proprio come quelli di Jack. Esattamente come quelli di Jack. Solo che quell'uomo non vi portava infilati ciondoli e perline di legno, ma alcune vistose croci d'argento che di tanto in tanto vedevo fare capolino tra la massa dei capelli ingrigiti.
Il suo volto...
I suoi tratti ricordavano una maschera di terracotta che si stesse sfaldando irrimediabilmente. Le rughe profonde segnavano un viso cotto dal sole e dalla salsedine, e un naso aquilino sporgeva al di sopra di un paio di labbra a malapena distinguibili in mezzo al nido della barba scura.
Mi stava fissando, sebbene la tesa del suo cappello arrivasse fin quasi a coprirgli gli occhi. Fu lui ad avere per primo l'accortezza di gettare lentamente indietro il capo per squadrarmi meglio, e allora anche io riuscii a ricambiare lo sguardo.
Le palpebre cadenti, pitturate di nero, sovrastavano un paio di occhi color nocciola che ancora una volta non avrebbero dovuto sembrarmi così familiari, eppure li erano.
- Salve. - mi disse, inarcando un sopracciglio cespuglioso. Lì sembrò finire tutta la sua sorpresa, perché ritornò sui suoi passi e, senza fretta, si incamminò fino in fondo alla sala dove prima avevo visto la sedia che assomigliava ad un trono, e i forzieri che la circondavano.
- Salve. - risposi, con più di un attimo di ritardo.
- A cuccia, tu. - riprese stancamente il cane quando questi gli si accostò per annusarlo.
A passi pesanti raggiunse il sedile, vi si accomodò e tirò un lungo sbuffo di sollievo quando sollevò i piedi per appoggiarli sopra la cassa più vicina. Indossava un paio di stivalacci neri, logori e consunti quanto il resto del suo abbigliamento.
- Per favore, sedetevi. - Fece un cenno con la mano rugosa che quasi spariva sotto l'imponenza della manica rossa e della cascata di consumato pizzo bianco. La sua voce era bassa e roca, ma riusciva ad avere comunque un che di morbido, tranquillo. Quasi ipnotica. Non potei fare altro che obbedire. - Che ci fate qui?-
Jack era sparito proprio nel momento più opportuno, e io potevo solo augurarmi di non fare qualcosa di stupido come inimicarmi il primo pirata che incontravo all'interno del Palazzo dei Relitti.
- Sono con la ciurma del capitano Sparrow, siamo sbarcati poco fa. - risposi, e le sopracciglia dell'uomo si inarcarono ancora una volta come a dirmi di continuare. Mi rilassai contro lo schienale della sedia. - Il capitano sarà qui a momenti, suppongo. Diceva di voler cercare qualcuno... ora ho il dubbio che si riferisse a voi. -
- Ma tu guarda. - un sorriso corrugò ancora di più il suo volto. - Bene, allora attenderemo il capitano Sparrow fino a quando non avrà trovato chi cerca, o fino a che non si darà per vinto e tornerà qui. Spero che non vi dispiaccia intrattenervi con me nel frattempo, non vorrei lasciare da sola una signora tra queste mura. -
Lo squadrai con più di una punta di ragionevole dubbio riguardo a che cosa intendesse per “intrattenersi”, tuttavia il vecchio rimase placidamente seduto sul suo trono senza che neanche un'occhiata storta o un sorriso lascivo sottolineassero altre intenzioni. Il cane tornò verso di lui trotterellando, e l'anziano pirata lo scacciò con una mano quando si avvicinò troppo alla chitarra di legno chiaro appoggiata contro il bracciolo del sedile.
- Ho detto a cuccia, tu! E stai lontano da quella. - si tolse il cappello, rivelando una bandana verde che gli fasciava la fronte, e lo appese su uno dei pomoli dello schienale prima di tornare a guardarmi. - Sono il capitano Teague. Voi siete?-
- Laura Sparrow. -
In un istante il sorriso divertito si cancellò dalla sua faccia, e una fiamma di autentico stupore lampeggiò in quegli occhi scuri, tanto che temetti di avere detto qualcosa di sbagliato. Aveva ancora la mano posata sul cappello che aveva appeso al pomolo, e si era bloccato a metà del movimento.
- Oh. - molto lentamente abbassò la mano, poi si puntellò sui braccioli e si alzò dalla sedia, guardandosi attorno come se cercasse qualcosa. - Come minimo dovrei offrirvi da bere, immagino. -
- Non... non è il caso, grazie ugualmente. - ora potevo sperare che accettasse un cortese rifiuto, o ritrovarmi a spiegare ad un anziano pirata incartapecorito tutti i motivi per cui il mio medico di bordo -nonché feroce migliore amica- non riteneva fosse saggio farmi bere alcolici nella mia condizione.
Per fortuna fummo interrotti dal latrare gioioso del cane, che annunciò la comparsa di Jack nel vano della porta da cui se ne era andato. Mi voltai per vedere il mio capitano affacciato sulla soglia, con le mani appoggiate contro il legno, mentre scrutava me e l'anziano pirata con un'espressione offesa dipinta in faccia.
- Ti dispiacerebbe davvero tanto farti trovare in casa, per una volta che ti cerco?- sbottò, rivolto a Teague.
Il pirata allargò le braccia.
- Sono in casa. - mormorò, e poi lasciò che un sorriso più largo corrugasse le sue guance cascanti. - Mi stai dicendo che non riesci neanche più ad orientarti? Molto male. Forse significa che dovresti passare per di qua più spesso. -
Jack aprì la bocca per replicare, e poi rinunciò. Non si spostò da dove stava, lanciando uno sguardo interrogativo nella mia direzione.
- E adesso, ragazzo, fammi la cortesia di aprire quella cassa e prendere un paio di bottiglie. Altrimenti come ti aspetti che rendiamo omaggio alla tua signora? Avete molte cose da raccontarmi, credo. -
Jack spalancò di nuovo la bocca per parlare, ma ancora una volta non ne uscì una parola. Invece una delle sue sopracciglia schizzò verso l'alto trasformando lo sguardo interrogativo in uno assolutamente sconcertato. Rinunciando del tutto a prendere la parola, si mosse automaticamente in direzione della cassa indicata dal capitano Teague, la aprì, e ne riemerse con una bottiglia per ogni mano.
Solerte, Teague gliele prese e, dopo aver agguantato uno dei grossi calici in argento appoggiati sul tavolo e avergli dato una pulita sommaria con la manica della camicia, vi versò un fiotto di vino color rubino fino a riempirlo per metà.
- Vi ringrazio ma non posso. - declinai a malincuore quando mi porse il calice.
Il capitano fece spallucce e inclinò la coppa per berne un sorso generoso, mentre alla sue spalle Jack faceva altrettanto senza distogliere gli occhi da lui.
- Ebbene. - fece, schioccando le labbra, quando sia lui che l'anziano pirata ebbero dato fondo al vino. - Mi pare di capire che abbiate fatto conoscenza, giusto?-
Mi accorsi che, per quanto Jack osservasse costantemente Teague come per non perderlo d'occhio, evitava con tutte le sue forze di incrociarne lo sguardo. Il pirata si appoggiò pesantemente con i pugni contro il tavolo, Jack invece rimase impalato al suo fianco, senza osare rilassarsi.
- Pressapoco. - precisai. Intanto cercavo invano di attirare l'attenzione di Jack e capire perché sembrasse così nervoso.
- Già. Il ragazzo ha mancato di fare le dovute presentazioni in modo che entrambi fossimo adeguatamente preparati a questo incontro, miss. - Teague ridacchiò e si tolse con uno svolazzo il grande cappello floscio, abbozzando un buffo inchino nella mia direzione. - Mi fregio di essere il custode del Codice e di questo posto, Pirata Nobile dei giorni che furono e... -
- Mio padre. - sbottò Jack, con l'impazienza che vibrava nella voce.
Teague si rimise lentamente il cappello, mentre gli scoccava un'occhiata di disapprovazione che solo in quel momento capii perché mi risultasse tanto familiare. Jack allargò le braccia. - La fai sempre tanto lunga, senza alcun motivo!-
Fu il mio turno di rimanere a bocca aperta e senza parole. Ma, appena Teague riportò l'attenzione su di me, tentai frettolosamente di rimediare e tutto quel che riuscii a balbettare fu: - È... Credetemi, è davvero un grande piacere per me conoscerla, signore... Signor Sparrow. -
- Il piacere è mio, signora Sparrow. - Teague scoccò a Jack un'occhiata eloquente. - Sebbene sospetti che le circostanze che hanno condotto mio figlio qui abbiano assai poco a che fare col piacere di farmi conoscere sua moglie. -
- Purtroppo. - Jack annuì, vuotò il calice e lo appoggiò sul tavolo. - Veniamo carichi di brutte notizie e di anime da alloggiare. -
- Noto che non mi hai contraddetto. Moglie, eh? Chi lo avrebbe mai detto. -
- Papà! Possiamo concentrarci?-
L'anziano pirata nascose una bassa risata nel fondo del suo bicchiere, e continuò a scrutare Jack con aria divertita intanto che finiva di sorseggiarlo. Improvvisamente mi dispiacque di non aver partecipato al brindisi: almeno avrei potuto nascondere a mia volta dietro ad un calice tutto il rossore che cominciavo a sentire salire al volto.
- È solo che è bello rivederti. - continuò Teague con voce morbida. - Chi mi hai portato?-
- Reduci. Un bel carico di sfollati provenienti da Isla Muelle, dopo che le forze combinate della regia marina e da Balthazar in persona hanno provveduto a fare piazza pulita. -
- Possiamo facilmente alloggiarli. La Città avrà sempre posto per della gente in fuga. - concesse Teague con un altro cenno svolazzante della mano.
- E abbiamo chiamato la Fratellanza a consiglio. -
- Uhm. - gli occhi scuri del pirata scivolarono da Jack a me, e poi di nuovo su di lui. - Per via della violenza improvvisa con cui la marina sta tornando ad accanirsi sui pirati, eh? E dimmi, qualche idea sul motivo per cui sia stato sguinzagliato il cacciatore?-
Jack allargò le braccia e corrugò le labbra in un sorriso forzato.
- Per via del sottoscritto, temo. -
- Oh. Questo la Fratellanza non sarà felice di saperlo, lo sai, vero?-
- Sono convinto che possiamo trovare il modo di unirci ancora una volta per risolvere questo comune problema... -
- Sarai fortunato se non voteranno in massa per consegnarti a Balthazar con un biglietto di felicitazioni. -
Il sorriso si congelò sul viso di Jack per trasformarsi in una smorfia, quindi il capitano annuì borbottando uno sconfortato: - Sì, sì, lo so. -
Teague emise un lieve sbuffo che poteva essere preso per un cenno d'assenso, e inclinò il proprio calice per scolarlo fino in fondo.
- Ci occuperemo di questa faccenda, Jackie. -
Senza aggiungere altro, si allontanò dal tavolo e con passo pesante si mise a vagare tra le casse abbandonate sul pavimento, mormorando a mezza bocca e chinandosi ora su una e ora sull'altra come se fosse in cerca di qualcosa. Sembrava aver perso ogni interesse per noi. Il cane lo seguì e prese a scorrazzare attorno a lui accompagnato dal rumore delle chiavi.
Jack spostò una sedia e si mise a sedere accanto a me, dando le spalle a Teague che continuava a rovistare e mormorare. Incrociammo lo sguardo per un momento, lui inarcò un sopracciglio notando che stringevo le labbra per trattenere una risata. Mi sporsi verso di lui, abbassando la voce.
- ...Nemmeno io ti chiamo Jackie. -
- Saggia donna: continua a non farlo. -
- Non mi avevi mai raccontato di tuo padre. - gli sorrisi e mi strinsi nelle spalle. - Sono contenta di averlo conosciuto, finalmente. Tu hai incontrato il mio, dopotutto. -
- Oh, non potrei mai dimenticare il caro vecchio Ephraim Evans e tutto quel che mi ha fatto passare!-
Mi allungai e gli diedi una spinta, anche se ridacchiava.
- E riguardo a tua madre?-
- Era una gran donna, ma se ne è andata ormai molti anni fa. -
- Di che cosa stai parlando, ragazzo?- sbottò improvvisamente Teague, voltandosi nella nostra direzione con un imperioso svolazzo della giacca. - Tua madre è sempre con me, e tu faresti meglio a non mancarle di rispetto dimenticando questo particolare. -
Così facendo sollevò il braccio, tenendo sospeso davanti a sé qualcosa che fino a quel momento doveva essere stato appeso alla sua cintura. Aguzzai la vista per vedere.
Strinsi gli occhi, poi li sgranai.
Teague stringeva tra le dita un cordino dal quale pendeva un oggetto tondeggiante. Lunghi ciuffi di capelli imbiancati e rinsecchiti penzolavano, legati in una coda, incorniciando quella che era senza ombra di dubbio una faccia, anche se grande quanto il palmo della mia mano.
Sopracciglia ingrigite, due palpebre chiuse e cucite, pelle incartapecorita che si faceva marrone come legno sui lineamenti ancora perfettamente nitidi del naso e delle guance. Due pezzetti di legno appuntiti chiudevano la bocca incrociandosi in una x.
Il capitano mostrò orgogliosamente la testolina rimpicciolita per qualche lunghissimo istante, senza fare una piega, e poi con la medesima flemma la riabbassò e ci voltò le spalle. Fu una fortuna che l'avesse fatto. In quel momento mi voltai di scatto verso Jack, incapace di nascondere del tutto l'espressione orripilata che nonostante i miei sforzi aveva appena ridotto i miei occhi a due biglie spalancate.
Jack alzò le mani e si sporse verso di me, abbassando la voce.
- Può fare impressione, lo ammetto. Bisogna solo farci l'abitudine, tutto qui. -
- Quella è una testa mozzata. -
- Acuto spirito di osservazione. -
- Una testa mozzata. -
- È solo che Teague ha passato molto tempo nel Madagascar, comprendi? Lì il culto dei morti è molto sentito. Disseppelliscono i defunti almeno una volta all'anno, pensa, e solo per ballare con quel che resta della nonna. -
- Non stai migliorando la cosa... -
Jack si strinse nelle spalle e intrecciò le dita sul tavolo con aria solenne.
- Alla fin fine penso che si tratti di una forma di grande rispetto per il caro estinto. -
Lo fissai in silenzio per qualche secondo, quindi inarcai un sopracciglio e ripresi in tono estremamente calmo.
- Non ti azzardare mai a farmi una cosa del genere, o tornerò dalla tomba per avere il tuo scalpo. -
- Già. Neanche tu a me, per favore. -
Teague ritornò verso di noi, e ci zittimmo prontamente mentre ci voltavamo a guardarlo. Ora sì che non sarei più riuscita a distogliere lo sguardo da quella testolina che -oh dio, ora la notavo benissimo- penzolava allegramente al suo fianco appesa alla sua cintura.
Jack mi appoggiò una mano sul braccio e sfoderò un sorriso divertito.
- Sai, c'è tantissima storia attorno alle teste rimpicciolite. I primi gentiluomini inglesi che le videro portate dagli indios sudamericani ne furono subito tanto affascinati da volerle perfino comprare come esotico souvenir. -
- Jack, ti prego... - mugugnai.
- Le teste rimpicciolite non erano però nate come usanza barbara, oh, no! Anzi, era il modo in cui gli indios tenevano con sé i propri defunti. Solo poche tribù erano così sanguinarie da riservare lo stesso trattamento alle teste dei nemici sconfitti in battaglia. E l'usanza aumentò vertiginosamente quando i coloni stessi presero a pagare bene per le testoline, comprendi? Certi si fecero furbi e iniziarono a far sparire gli esploratori stessi pur di procurare agli altri ciò che volevano. Così l'Europa, per un bel po' di tempo, comprò a caro prezzo nient'altro che gran teste inglesi, sebbene tutte accuratamente mozzate e trattate. -
- Hai finito?-
- Amore, è solo per dimostrarti che c'è ben di peggio... -

*

Come se il lungo esodo di uomini, donne e bambini che dalla Perla e dalla Sputafuoco si riversavano sul molo non avesse già causato abbastanza confusione, il clamore aumentò ulteriormente quando nella baia fece la sua comparsa una nave dalle vele azzurre.
A prua si affacciava il capitano, vistoso almeno quanto il resto dell'imbarcazione, abbigliato in una sgargiante giacca celeste. Volarono sguardi sbigottiti tra William ed Elizabeth, senza capire come anche a lui fosse stato dato il permesso di penetrare all'interno della baia.
Lanthier scese da solo sul molo, con le falde della giacca che svolazzavano ad ogni passo, e un sorrisetto compiaciuto sotto i neri baffi arricciati. William si fece strada verso di lui e si fermò a metà banchina, con una mano posata sull'elsa della spada. Elizabeth e Barbossa si fermarono al suo fianco, tutti con identiche espressioni di sospetto che il capitano francese sostenne senza battere ciglio.
- Che ci fa lui qui?- esclamò Will, mentre lo squadrava. - Non è uno dei Pirati Nobili, e non sappiamo se possiamo fidarci. -
Qualcun altro aveva tenuto d'occhio l'avanzare del capitano. Dal gruppo di profughi che si susseguivano lungo il molo, Nathaniel venne avanti e fece un cenno del capo in direzione di Lanthier.
- È dalla nostra parte. Stavamo prendendo accordi prima che Balthazar attaccasse l'isola. -
- Lo giudicheremo noi, se è dalla nostra parte. - replicò lapidaria Elizabeth, poi rivolse lo sguardo verso il capitano. - Parlate. -
Lanthier sorrise, congiungendo le mani.
- Il giovane Hawk mi fa un onore accordandomi la sua fiducia. -
- Ma. - lo interruppe Nathaniel con voce fredda, senza staccare gli occhi dal francese. - Vorrei anche sapere dove vi trovavate la notte dell'attacco a Isla Muelle. -
- Posso garantire per le mie buone intenzioni. Io e il signor Hawk volevamo mettere al sicuro Isla Muelle, ma il tempestivo intervento di Balthazar... sicuramente attirato dalla presenza di Sparrow... non ce lo ha permesso. -
Gli occhi di Elizabeth si strinsero.
- Che state suggerendo?-
- Nulla, milady. Nulla contro il vostro alleato. Non sono stato presente in tempo utile per prestare aiuto durante l'attacco, ma ciò che è successo non resterà impunito. Quando ho parlato con il signor Hawk, avevamo già concordato che la minaccia rappresentata dal cacciatore di pirati si stesse espandendo un po' troppo, ed era mia intenzione cercare rinforzi. Ho lasciato l'isola a questo scopo. Ho mandato i miei emissari perché portino il più rapidamente possibile la canzone là dove deve essere sentita. Il richiamo sta già solcando le acque e i continenti mentre noi siamo qui a parlare. La Fratellanza sarà richiamata qui a breve, e tutto ciò che chiedo... - le mani giunte di Lanthier sfiorarono le labbra. - ...è che mi sia permesso di combattere per la Fratellanza e di usufruire della protezione della Baia dei Relitti. -
- Sicuramente vi sarà concesso di rendervi utile combattendo per noi, capitano. - replicò Elizabeth. - Sarà il modo in cui vi guadagnerete l'altra concessione che vi sta così tanto a cuore. -
Lanthier non raccolse la provocazione, anzi, si esibì in un largo sorriso e sprofondò in un inchino di fronte ad Elizabeth. Poi le voltò le spalle e ritornò in direzione della sua nave, certamente felice di poter portare buone notizie al resto della sua ciurma.
I Turner, Nathaniel e Barbossa restarono a guardarlo.
- La Fratellanza sarà qui presto, se non altro. - Will si strinse nelle spalle, spostando solo allora la mano dall'elsa della spada. - Questa è una buona cosa, no?-
- Non ne sarei tanto sicuro, ma staremo a vedere. - sbottò Barbossa, anche se il suo tono era stranamente rilassato in contrasto con l'evidente tensione degli altri.
Elizabeth ravviò all'indietro i lunghi capelli biondo cenere, levandoseli dagli occhi.
- Quello che siamo venuti a fare non è complicato, in fondo. Ancora una volta abbiamo un nemico comune. Ed è un solo uomo, stavolta, non una flotta. In realtà non importa molto cosa potrebbe decidere la Fratellanza, no? Potrei sempre ordinarglielo. Il titolo di Re dei pirati vale ancora qualcosa. -
- Temo proprio di no, miss Turner. -
La giovane donna si voltò bruscamente verso Barbossa.
- Come?- domandò, con un fremito di allarme nella voce.
Per la prima volta il viso di pietra dell'anziano capitano si corrugò in una lieve smorfia di divertimento: ci fu un lampo che brillò per un secondo appena nelle iridi grigio ferro, poi si spense, anche se le sue parole conservarono una nota di scherno.
- Siete stata eletta Re della Fratellanza, titolo che vi è stato conferito solo allo scopo di poter dichiarare guerra. Questo significa che la vostra carica è, diciamo... decaduta nel momento in cui suddetta guerra si è conclusa. -
Elizabeth e William si scambiarono uno sguardo sbigottito, poi la donna si lasciò sfuggire un lungo sospiro.
- Maledetti pirati. - mormorò a mezza bocca.







Note dell'autrice:

Un altro capitolo. Con i suoi tempi, mattoncino dopo mattoncino, anche questa fanfiction prosegue e si avvia in direzione dei suoi ultimi atti... Ci saranno parole da spendere sul tema “ultimo atto”, ma non è ancora il momento.

Ringrazio sentitamente tutti i lettori, chi ha lasciato una recensione all'ultimo capitolo, chi è tornato anche dopo il mio lungo silenzio, chi è approdato fresco fresco e si è recuperato cinque episodi di fanfiction così, sull'unghia. Betrys, MC1119, Jami, Selene, FannySparrow: leggo ogni vostra recensione e mi sento onorata tutte le volte. E, ancora una volta, questo capitolo è dedicato in particolare a Sara e a Serena. Loro sanno di chi parlo.

Visto che molti mi chiedono consigli di scrittura, in particolare su cosa fare quando ci si sente bloccati, c'è un unico consiglio che ritengo universale: cercate sempre di ricordare perché avete iniziato. Frugate tra le cose che avete scritto, rileggete tutto, e vi assicuro che vi troverete molto più spesso a ridere per quanto era stato divertente che non a mettervi le mani nei capelli per quanto è scritto male. Proprio stamattina ho fatto un raid selvaggio tra vecchi scritti alla ricerca di un brano che deve essere sepolto da qualche parte, ma ancora non è saltato fuori. Nel frattempo ho riesumato così tanti ricordi da riempire un baule di ispirazione.

Cambiando argomento così, a caso: Pinterest è una perdizione. Sul serio. Perché non esisteva ancora quando avevo iniziato a pubblicare fanfiction? Aahh, le cose che ci avrei fatto ai tempi... Dico solo che la mia bacheca “Pirates” si sta riempiendo a dismisura: altra cosa che mi fa rivangare vecchie glorie e riscoprire un po' d'amore che credevo sepolto. Bei momenti.

E, per finire, parliamo un attimo della maggiore ispirazione piratesca dell'ultimo periodo.
Black Sails. Uno spettacolo. Un giro sull'ottovolante con una bordata di cannoni in sottofondo. Non importa quante volte scada nel trash. Diciamocelo: POTC risente fin troppo del marchio Disney. Per quanto qualche volta si sia concesso un po' più di sangue e di sporco del solito, l'universo piratesco di quei film rimane sempre un giro di giostra con tanto di palloncini in confronto ad un vero racconto di cappa e spada, le navi sembrano hotel a quattro stelle ed è plausibile arrivare da Londra ai Caraibi in tre giorni.
Altro motivo per cui, fin dall'inizio, spesso mi sono divertita ad indugiare nel lato più oscuro e sanguinoso attraverso i capitoli di questa fanfiction. Senza dubbio Black Sails è un ottimo fornitore delle famigerate tre S: sangue, sesso e spade.
Ancora una volta, wind in your sails.

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Capitolo 14
*** Capitolo 13 ***


Capitolo 13


Dormivamo nel ventre di una nave.
Nulla di diverso dal solito, se non per il piccolo dettaglio che la nave fosse un relitto incagliato sulla terraferma e inchiodato ad un centinaio di altri scheletri di vascelli con chiodi e bulloni. Era la cosa più simile ad una casa in cui avessi messo piede da molto tempo, esclusa la Sirena.
Avevo sempre trovato che la cabina sulla Perla Nera fosse un ottimo esempio di eccesso tutto piratesco, e il letto che io e Jack dividevamo sarebbe stato decisamente più adatto alla camera di una villa piuttosto che ad una nave.
La cabina trasformata in stanza da letto che ci avevano assegnato al Palazzo, tuttavia...
Erano riusciti a conservare quasi tutta la struttura originale, così che sembrava di trovarsi ancora a bordo di un vascello, ma senza l'esigenza di dover incatenare ogni mobile al pavimento. La testiera in legno massiccio era incassata nella parete. L'unica finestra era una vetrata per metà coperta di assi, ma in giro per la stanza c'erano abbastanza candelabri con le fiamme che danzavano sui moccoli di cera residui per rischiarare il tutto a dovere.
Udii i passi di Jack che si avvicinava dal corridoio in punta di piedi, e mi misi più comoda sul materasso intanto che lui apriva la porta con esagerata cautela.
Il profilo affilato del suo naso si affacciò dalla soglia, seguito poi dalla bandana rossa e dal resto di lui. Colsi il suo sguardo vagare per un attimo sulle candele accese, per poi accorgersi di me che stavo sdraiata sul letto.
- Ciao capitano. - gli sorrisi. - Hai intenzione di entrare o resti lì?-
Lui sorrise di rimando, anche se per un momento scrutò la porta come se la considerasse un'opzione prima di richiudersela alle spalle.
- Pensavo dormissi già. Non sei stanca?-
- Lo siamo tutti. -
Diedi un colpetto sulle coperte accanto a me. Jack si avvicinò a passi dondolanti, poi si mise a sedere sul bordo del materasso con uno sbuffo di soddisfazione, si tolse il cappello e il cinturone con la spada. Mi lanciò uno sguardo, e poi me ne diede un altro ben più approfondito quando si accorse che ero in camicia e me ne stavo beatamente a gambe nude. Lo lasciai guardare per qualche secondo, qualche altro ancora, poi i suoi occhi si rialzarono su di me.
Mi accostai a lui spostandomi sul gomito e gli presi il viso con una mano, sporgendomi a dargli un bacio sulle labbra.
- Come stai?-
Sospirò sulla mia bocca e premette la fronte contro la mia.
- Sto bene. - le sue spalle furono scosse da una risata. - Oh, al momento sto davvero bene. Perché non dovrei?-
Mi spostai e mi misi alle sue spalle, circondandogli il collo con le braccia. Per un istante lo sguardo di Jack rimase sospeso nel vuoto: sembrò concentrato al massimo, concentrato sul mio petto che aderiva alla sua schiena, sulle mie gambe attorno ai suoi fianchi. Mi appoggiò la mano sul ginocchio, lievemente, come se ce l'avesse messa per sbaglio. Gli misi le mani sulle spalle e affondai le dita, andando a massaggiare i muscoli sotto la camicia. Poi mi feci avanti e infilai una mano sotto la stoffa per accarezzargli il petto.
La sua mano prese la mia, fermandola. Jack si voltò come per dire qualcosa, ma rimase a bocca aperta senza dire una parola, faccia a faccia con me che mi sporgevo da sopra la sua spalla. Feci per muovere la mano e lui mi trattenne di nuovo.
- Jack. - feci in tono paziente. - Non c'è un modo raffinato per dirlo: che devo fare per portarti a letto?-
Le sopracciglia si inarcarono mentre i suoi occhi si allargavano. Mi scrutò un'altra volta: era concentrato, eccome. Un sorrisetto a metà tra il beffardo e lo smarrito tremolò sulle sue labbra.
- Tecnicamente ci sono, a letto. -
- Va bene. Allora vuol dire che dovrò occuparmi io di tutto il resto. -
Insinuai le mani sotto la stoffa e mi addossai a lui, mentre le nostre bocche si incontravano un'altra volta in un bacio più profondo. Mi lasciò fare per un momento, lo sentii cedere e assecondarmi. Poi si scostò.
- Aspetta. Aspetta aspetta aspetta, ferma un minuto. -
Mi prese per i polsi e mi fece spostare. Quando fummo seduti uno accanto all'altra non mi lasciò andare le mani, ma se le tenne in grembo.
- Mi stai mettendo in una posizione assai difficile, gioia, e ho bisogno che ne parliamo prima che la troppa pressione mi dia alla testa. -
- Qual è il problema, Jack?!- sbottai.
- Questo. - le dita di Jack mi sfiorarono il ventre con cautela, con inaspettata tenerezza, indugiando per qualche istante per poi ritrarsi. - È che... non so come devo comportarmi. Non sono sicuro di poterlo fare. Non voglio fare danni, ma... -
Non riuscii a trattenere un sorriso e lasciai andare il fiato, accarezzando la sua mano tra le mie.
- Jack... -
- Cristo, hai idea di quanta voglia ne ho?- sibilò il capitano con improvvisa cupidigia. I suoi occhi scuri avevano un luccichio febbrile nella mezza luce delle candele.
- Oh, ne ho più di un'idea. - sorrisi, mi portai le sue mani alle labbra e posai un bacio sulle nocche. - Jack, lo so. È strano, è normale essere preoccupati. Anche io mi sono chiesta se non... se ci fossero delle complicazioni. Ma ascolta, ho parlato con miss Hawk e lei mi ha dato qualche consiglio. -
Questo lo fece ridere sul serio, e ad un tratto mi abbracciò, tirandomi sul suo grembo.
- Ti ha dato qualche consiglio? Oh mio Dio, ora non riuscirò mai più a togliermi dalla mente la visione della signora nelle vesti di matrona dispensatrice di segreti viziosi. Grazie per quest'immagine, tesoro!-
- Oh, finiscila!-
Mi trovai a soffocare una risata a mia volta mentre lo stringevo. Poi fummo di nuovo faccia a faccia, il calore dei nostri respiri sulla pelle. Lui si mosse, spostandosi un po' più indietro, e io mi accomodai a cavalcioni sopra le sue gambe. Gli circondai il viso con le mani, le mie unghie graffiarono lievi le guance ruvide.
Fare sparire la mia camicia fu piuttosto semplice. Lo avevo considerato. Procedere a spogliare lui fu più impegnativo, ma trovai il capitano particolarmente accondiscendente una volta che fui inginocchiata sopra di lui senza addosso neanche il minimo lembo di stoffa.
Jack si sollevò appena dal materasso per avvolgermi le mani attorno ai fianchi e avvicinare il viso al mio. La sua mano scivolò sulla mia pancia, ad un tratto lo sentii picchiettare l'indice contro la pelle.
- Fila a dormire, tu. -
Scivolai tra le sue braccia sbottando in una risata, e la soffocai contro la sua bocca fino a trasformarla in un sospiro profondo.

*


Una settimana dopo, il porto della Baia dei Relitti era pieno dei colori delle navi della Fratellanza riunita.
I nove Pirati Nobili e i loro equipaggi si erano riversati all'interno della città e avevano riempito il palazzo fino a scoppiare, come insetti lasciati a colonizzare un immenso alveare di legno.
Curioso a dirsi, ma almeno la prima ondata la vidi solo da lontano.
Io, Jack e gli altri pezzi grossi della nostra ciurma eravamo stanziati da giorni nelle stanze superiori del palazzo, ed ebbi la conferma che tutti i Pirati Nobili avevano infine risposto alla chiamata solo quando quella mattina fu Teague Sparrow in persona a fare il suo ingresso annunciando: - Bisognerà spalancare le porte del salone. Abbiamo compagnia. -
La sala era sembrata grande, almeno fino a quando non si era riempita di una masnada di uomini di tutti i colori.
Nove sedie simili a troni erano sistemate attorno alla tavolata. Io sedetti su una seggiola più piccola accanto a quella di Jack, sentendomi affondare in mezzo al mare di teste che si affollavano sempre più numerose. I sedili di rappresentanza erano per i Pirati Nobili, e ognuno di loro si circondava di parte della propria ciurma.
Jack, Elizabeth e Barbossa avevano piantato in un antico mappamondo le loro spade, alle quali si erano presto unite altre armi delle fogge più disparate: un fioretto francese, una spada giapponese, una pesante scimitarra...
Devo ammetterlo, credevo di essere ormai abituata ad incontrare altri pirati.
Avevo combattuto al fianco della ciurma di Calico Jack Rackham, avevo sparato ad Edward “Barbanera” Teach ed ero sopravvissuta per raccontarlo. Ma quando mi ritrovai in quella stanza e cominciai a collegare facce sconosciute a nomi che sapevano di leggenda, per la prima volta dopo molto tempo cominciai a sentirmi veramente intimidita.
Stranamente mi chiesi se Nathaniel fosse presente per vedere con i suoi occhi la Fratellanza al completo, evocata come per magia, ma poi mi ricordai che era improbabile che facessero entrare qualcuno che non fosse né un Pirata Nobile né legato ad una delle loro ciurme.
Avevo appena formulato quel pensiero, quando mi voltai e vidi la sua faccia spiccare in mezzo alle altre, accanto ad Elizabeth e Will. Quasi sussultai: con tutta quella gente non mi ero neppure accorta che fosse entrato insieme agli altri. Essendo piuttosto alto superava entrambi i miei amici di tutta una testa, e lo vidi gettare attorno a sé uno sguardo che era allo stesso tempo corrucciato ed impressionato.
Il clamore scemò soltanto quando Barbossa prese in mano una palla di metallo incatenata e batté sul legno del tavolo reclamando l'attenzione generale.
Le conversazioni si spensero lentamente, gli sguardi si concentrarono. Io mi agitai lievemente sulla sedia e lanciai un'altra occhiata furtiva alle mie spalle. Teague Sparrow non si era unito a noi al tavolo dei Pirati Nobili, ma si era accomodato sul suo trono e se ne stava assorto ad accordare le corde della chitarra, dimentico di qualsiasi altra cosa.
- Dichiaro aperto questo quinto consiglio della Fratellanza!- annunciò Barbossa con un ghigno storto.
La folla era cupa, le facce scure. Il fumo sprigionato dagli stoppini delle candele si mescolava a quello grigio e acre che saliva dalle pipe strette tra le labbra di alcuni, e dalla punta del sigaro voluminoso che uno dei Pirati Nobili, un basso spagnolo dal volto rubizzo e la barba incolta, si gustava mostrando i denti. Nonostante gli squarci di cielo visibili fra le assi spaccate, quella marea umana sembrava riuscire a tenere alla larga la luce tenue del mattino, incupiva l'atmosfera. Anche se fuori c'era un lustro cielo mattutino, sotto il soffitto di quella sala potevamo benissimo credere di trovarci rintanati nella peggiore delle bettole nel cuore della notte.
- Consiglio che si chiuderà rapido così com'è stato aperto... - berciò una voce dallo spiccato accento francese, mentre il capitano imparruccato dal viso truccato come quello di un cicisbeo si alzava in piedi e puntava il dito. - Se le ragioni per cui siamo stati convocati sono quelle che sospetto. -
Barbossa roteò gli occhi, chiaramente seccato per l'interruzione.
- Che sarebbe, di grazia, capitano Chevalle?-
- Se siete pronto a giurarmi che non ci troviamo qui a causa di un problema di Sparrow, allora non alzerò i tacchi in questo istante. -
Lo sguardo di Barbossa e dei presenti si voltò verso Jack. Percepii occhi che lo sondavano, e che si allungavano a scrutare anche me e il resto della ciurma alle sue spalle. Jack allargò le braccia.
- Sapete bene quanto me che non indirei mai un raduno della Fratellanza se posso evitarlo. -
- Oh, allora volete negare di essere qui per implorare il nostro aiuto? Il cane da guardia è stato messo sulle vostre tracce. Non c'è alcun motivo al mondo per cui l'intera Fratellanza debba soffrirne. -
Elizabeth si alzò in piedi. Quel giorno sfoggiava quella che io definivo la sua tenuta da capitano: molto simile, in realtà, a come eravamo vestiti Jack ed io. Giacca lunga dai bottoni d'argento, stivali, fusciacca e cinturone, sebbene privo di spada, e i capelli biondi erano sciolti sulle spalle a incorniciare il suo viso severo. Era chiaro che avesse tutte le intenzioni di convincere i presenti a prenderla sul serio, anche se notai i suoi occhi guizzare in modo impercettibile come per tastare il terreno.
- Chi minaccia uno dei Pirati Nobili minaccia l'intera Fratellanza. - dichiarò in tono marziale, rivolta al capitano Chevalle. Quest'ultimo arricciò le labbra truccate in una smorfietta esasperata e alzò gli occhi al cielo.
- Idealmente, forse. Ma non certo fisicamente, almeno non per ora. -
- Questo non è parlare come una Fratellanza. - rincarò Elizabeth. - Siamo radunati per affrontare la minaccia di Balthazar proprio come un tempo ci unimmo per combattere lord Cutler Beckett. -
- Non è esatto. - tuonò una voce dal fondo della sala. - Soprattutto se si tratta di unirsi per combattere il nemico di un uomo che non è un Pirata Nobile. -
Il suono di quella voce mi provocò una sensazione di gelo allo stomaco.
Con una mano mi aggrappai al bordo del tavolo e con l'altra cercai alla mia cintura una pistola che non c'era. Ai raduni della Fratellanza erano bandite le spade, almeno così era scritto nel Codice, tuttavia non era mai stato detto nulla riguardo le pistole, di cui tutti i presenti erano ben forniti. In quel momento desiderai non essermi accomodata così tanto nella falsa familiarità di quel luogo, confidando di non aver bisogno di un'arma.
C'era qualcun altro che si stava facendo strada, con la folla dei pirati che si separava come un'onda davanti a lui.
Gli uomini che lo spalleggiavano erano tizi nerboruti dall'aria selvatica. Lui stesso appariva più irsuto e provato rispetto a quando lo avevo visto per l'ultima volta.
Robert Silehard.
Il fantasma che si era inabissato a largo delle coste di Tortuga sfuggendo alla mia vendetta ricompariva adesso nell'ultimo posto in cui mi sarei aspettata di ritrovarlo.
Udii i presenti rumoreggiare con sussurri di sdegno e meno discreti sbotti di rabbia, ma nessuna di quelle voci era pari al mio attonito silenzio.
Silehard era più basso dei pirati che lo accompagnavano, ma la sua presenza era in qualche modo molto più minacciosa. Il braccio sinistro pendeva quasi inerte al suo fianco, e la mano, o quello che ne doveva rimanere, era nascosta dalla manica della giacca. Io stessa avevo visto quella mano esplodere per un colpo di proiettile solo un anno prima.
Rispetto a come lo ricordavo, sembrava uno scheletro. I capelli lunghi sotto al cappello dalla tesa larga, la barba e i baffi erano stati castani, e ora erano striati di grigio. Non era mai stato imponente, ma ora la pelle del viso sembrava tirata sopra le ossa, le orbite degli occhi erano scure come quelle di un teschio, eppure il suo sguardo bruciava di determinazione febbrile e qualcos'altro... Soddisfazione, forse.
Lo vidi divorare con gli occhi la sala del consiglio, felice di trovarsi lì, felice delle imprecazioni e delle esclamazioni di stupore che il suo arrivo aveva provocato.
E la cosa peggiore era vederlo venire avanti e accorgermi che nessuno muoveva un dito per fermarlo, nessuno si alzava per piantare una pallottola in corpo a quel bastardo.
Robert Silehard sfoderò la spada e con un colpo secco la piantò fino a metà lama dentro al mappamondo, insieme alle altre. Sobbalzai. Notai molti sguardi scattare in direzione di Teague, che tuttavia non si era mosso dal suo trono: probabilmente non sbagliavo ad interpretare quelle espressioni come la conferma che, se lo stesso Custode del Codice non era il primo ad intervenire, fosse il caso di non intervenire affatto.
- Con quale diritto volete presenziare a questo tavolo?- sbottò il nero ingioiellato chiamato Jocard, mentre squadrava il nuovo arrivato con velata curiosità.
Silehard si avvicinò allora al tavolo, incedendo pericolosamente proprio accanto a noi, e poi batté con decisione una mano sul legno. Solo quando la ritrasse mi accorsi che aveva lasciato sul tavolo un piccolo oggetto. Un osso ricurvo lucido. Un ciondolo che fino a non molto tempo prima avevo visto appeso al pendaglio di perline sulla bandana di Jack.
- Con il diritto di Pirata Nobile del mar dei Caraibi. - ringhiò, lapidario. - Titolo che ho tolto al qui presente capitano Sparrow insieme al suo pezzo da otto. -
Il silenzio calò per un istante soltanto sopra alla tavolata, poi i pirati esplosero in un boato di voci contrastanti.
- Non si può eleggere un nuovo Pirata Nobile solo sul furto del pezzo da otto!-
- L'ultima volta che abbiamo riunito i pezzi da otto sono andati distrutti!-
Silehard cacciò un urlo perentorio che, se non zittì le grida di protesta, le fece affievolire, se non altro catturando la curiosità dei pirati.
- Mi appello al Codice: non può esserci la Fratellanza se i Nove non possiedono il proprio pezzo da otto. Non nascondetevi! Vorreste farmi credere che Sparrow sia stato l'unico a sostituire il suo pezzo dopo la distruzione del primo? Basta con le scuse. Mostratevi, e che si raccolgano i nove pezzi come si conviene ad un vero consiglio, e non ad un raduno di codardi. -
Avrei quasi potuto apprezzare la faccia tosta nelle sue parole, se solo non fossero venute proprio da quella bocca.
- Ditemi se dico il falso. - per la prima volta gli occhi brucianti di Silehard si puntarono in una direzione precisa, alle spalle di tutti gli altri pirati. - Custode! Ditemi se dico il falso!-
Scese nuovamente il silenzio mentre qualcosa di simile ad una corrente gelida attraversava l'intera assemblea, e le teste di tutti si voltavano verso il custode del Codice, il quale ancora sembrava non ritenere tutto quanto più interessante della sua chitarra. Solo quando si sentì interpellato direttamente, Teague Sparrow alzò appena lo sguardo.
Colsi lo scambio di occhiate, silenzioso, affilato come una lama, fra i due capitani. Poi Teague fece un cenno del capo, senza aprir bocca, e riportò l'attenzione sul suo strumento da accordare come a dire: “proseguite”.
Stranamente fu proprio Barbossa il primo a protendersi sul tavolo e, con gesto quasi sprezzante, gettare accanto al pezzo da otto portato da Silehard un secondo oggetto. Un anello d'oro con una pietra ovale, che ruzzolò sul legno e si fermò catturando la luce delle candele.
- Ebbene... - Barbossa fece un gesto plateale invitando gli altri pirati a fare altrettanto. - A una situazione imbarazzante del genere è già stata posta una pezza una volta in passato, possiamo farlo ancora. Che ciascuno mostri il suo pezzo da otto, o se ne trovi uno nuovo. Ora. -
Nessuno degli altri apparve particolarmente felice della richiesta, tuttavia neppure uno si fece indietro o emise un solo fiato di protesta, anzi, uno dopo l'altro si fecero avanti con solerzia sorprendente. Uno degli uomini che avevo visto al servizio di Teague, non un pirata, ma un ometto con l'aspetto di un contabile, alto a malapena quanto me con il cranio lucido e una gran barba bianca, passò in mezzo ai capitani reggendo tra le braccia un drappo rosso nel quale raccolse gli oggetti dalle mani dei pirati.
Jack mi aveva accennato qualcosa riguardo i cosiddetti pezzi da otto, così che non rimasi sorpresa davanti alla varietà di forme che potevano assumere quei talismani distintivi.
Ammand il Corsaro, un turco dal naso aquilino, i baffi impomatati e un turbante colorato drappeggiato sulla testa, lasciò cadere sul drappo di stoffa un piccolo teschio di giada. Il capitano Chevalle, il damerino che aveva parlato poco prima, sfilò con aria altezzosa dal taschino una regina bianca degli scacchi e la consegnò a sua volta. Villanueva, il capitano spagnolo, tozzo e con un gran cappello nero, consegnò un dado da gioco. La Vedova Ching era l'unica altra donna fra i Pirati Nobili insieme ad Elizabeth: era un'attempata signora cinese il cui trucco bianco gesso non smorzava affatto la sua espressione micidiale, né la fissità lattiginosa dei suoi occhi ciechi. Non ebbe bisogno di alcun aiuto da parte dei due soldati dal cranio rasato che le stavano a fianco: allungò la mano e lasciò cadere un minuscolo stiletto dall'aria letale. Jocard, un nero di statura colossale dalla barba ornata di perline, mise un chiodo. Sri Sumbhajee, il terrore dell'oceano indiano, che io conoscevo per essere tra le oltre cose anche un sacerdote indù, aveva occhi sporgenti che sembravano grandi come piattini da tè al di sopra della barba e i baffi folti che nascondevano completamente il resto della faccia: senza guardare nessuno né dire nulla posò sul drappo una penna d'oca.
Elizabeth sembrava presa alla sprovvista.
Gli sguardi si rivolsero verso di lei, lei tentennò ad occhi sgranati, poi frugò nelle tasche e infine ne estrasse un doblone d'argento, che fece tintinnare mentre lo mandava a raggiungere il mucchietto di oggetti, e l'ometto incaricato della raccolta deponeva tutto quanto sul ripiano di legno. Un pezzo da otto, l'unico in senso letterale presente sul tavolo. Scrutai le espressioni dei Pirati Nobili e avrei potuto giurare di vederli quasi delusi.
Guardai Jack. Era ancora seduto e, come al solito, l'immobilità forzata pareva proprio causargli fastidio. Ma non potevo evitare di notare come lui fosse stato appena rimosso completamente dal piatto, insieme a tutta la sua ciurma, insieme a tutto ciò che rappresentava. Il pezzo da otto che era appartenuto a lui ora se ne stava lì a rafforzare la legittimità della presenza di Silehard all'interno del consiglio.
Non si metteva bene per noi. Realizzarlo mi fece accartocciare lo stomaco. Forse mi ero permessa di adagiarmi fin troppo durante quella settimana fra le mura del Palazzo dei Relitti, perché non avrei mai pensato di poter fare una tale considerazione, non lì dentro.
Eppure Jack non faceva nulla. Teague stesso avrebbe continuato a non fare nulla?
- Adesso ragioniamo. -
Silehard fece un sorriso sgradevole mentre i suoi occhi scivolavano sui Pirati Nobili, uno ad uno.
- Il mio nome è Robert Silehard. Sono stato il signore dell'isola di Tortuga, ho generato l'ordine dal caos. Ho avuto al mio servizio una delle leggendarie sacerdotesse di Calypso, la Dea selvaggia che questo stesso consiglio ha scatenato contro i suoi nemici, e l'ho piegata al mio volere. Sono il capitano dello Squalo Tigre. È davvero un piacere trovarmi in vostra compagnia, finalmente. Fra pari. -
I pirati lo guardavano e ascoltavano. Ora un fremito di interesse stava attraversando l'assemblea, e me ne accorsi con un brivido. Se Silehard sapeva giocare bene le sue carte, e avrei scommesso di sì, avrebbe senz'altro saputo che c'era una sola cosa che i gentiluomini di ventura come quelli radunati in quella sala desideravano più della libertà e del denaro. Essere intrattenuti.
- Come stavo dicendo, pare che la posizione del capitano Sparrow all'interno di questo consiglio sia alquanto labile... per non dire inopportuna. O non necessaria. Signori, vi dico che possiamo liberarci dell'elemento che ci minaccia tutti quanti come Fratellanza in un batter d'occhi, semplicemente negando a Sparrow il diritto di asilo all'interno del Palazzo. -
L'indiano dal turbante e la lunga barba che stava accanto al Pirata Nobile che aveva pressapoco lo stesso aspetto, scambiò uno sguardo con il suo padrone e intrecciò le dita.
- Sri Sumbhajee afferma che anche come Pirata Nobile non spetta a voi decidere chi ha diritto di asilo alla Baia. -
- Sto solo pensando al bene di tutti. Se Sparrow e la sua ciurma rimangono all'interno della Baia, Balthazar lotterà per venire a prenderlo. -
Mi alzai. Sotto gli occhi di nove -o dieci- Pirati Nobili e della ciurma di ognuno di loro mi alzai e mi sporsi al di sopra del tavolo.
- Sappiamo benissimo che non è possibile che Balthazar si accontenti di un solo capitano rinunciando all'occasione di mettere le mani sulla Fratellanza. E non posso essere l'unica a pensarlo. -
Silehard alzò il capo e per la prima volta da quando era entrato nella sala mi guardò dritta in faccia. Il suo volto era coperto da una patina di sudore e i denti luccicarono in modo sinistro mentre li scopriva nel suo perenne sogghigno sghembo, gli occhi accesi da un'emozione a stento contenuta.
- È naturale che diciate questo, quando sareste la prima a voler approfittare della protezione della Fratellanza. -
- Siamo tutti pirati qui, o no?- protestai, volgendo lo sguardo sugli altri Pirati Nobili. - Godiamo tutti della stessa protezione finché ci troviamo sull'Isola dei Relitti, o no? C'è un cacciatore di pirati là fuori che ci aspetta, e non credo proprio che una volta arrivato sulla soglia della più grande roccaforte pirata del mondo si limiterà a portar via in catene un solo capitano e togliere il disturbo!-
- Questo è vero. - commentò Barbossa, incrociando le braccia. - Non siamo stati radunati per togliere le castagne dal fuoco ad una persona sola. Il nostro intervento è stato invocato dalla gente comune, da chi ancora invoca la giustizia dei mari, chi ricorda la Fratellanza come portatrice di equilibrio. Ancora una volta si chiede il nostro aiuto per rimettere le cose a posto nei Caraibi. -
L'indice di Eduardo Villanueva scattò in direzione di Jack.
- E quindi sta al Pirata Nobile del Mar dei Caraibi trovare una soluzione, direi!-
- Esatto. - Jack sorrise placidamente, e rispedì indietro il gesto allungando il dito verso Silehard all'altro capo del tavolo. - Sta a lui. -
Nelle espressioni dei Pirati Nobili cominciò a balenare un certo divertimento mentre Silehard si ritrovava chiamato in causa dall'ultima persona che si sarebbe aspettato. Tuttavia l'uomo non perse la sua compostezza e replicò in tono duro.
- Vogliamo trovare una soluzione? Balthazar non ha ancora l'appoggio della Marina. Non ha una flotta con la quale assediarci. Non ha il potere di minacciare la Fratellanza. Io dico: compriamo la sua alleanza! Diamogli ciò che vuole. Vuole Sparrow? Che la Perla Nera lasci l'isola, e che i due risolvano le loro questioni da uomo a uomo. Liberiamoci di Balthazar o compriamolo, non importa. E una volta liberati da questo fastidio, saremo liberi di lavorare per estendere il nostro potere sui mari come un tempo. -
Ci fu il suono di una pernacchia, una risata trattenuta. Tutti si voltarono verso Jack.
- Scusate. - si affrettò a giustificarsi lui, allargando le mani. - È che è sempre divertente vedere un mozzo al suo primo giorno da capitano. -
Silehard voltò bruscamente il viso verso Jack, con uno scatto da rettile.
- Avete qualcosa da dire, voi che non dovreste neanche trovarvi a questo tavolo?-
- Oh sì, eminenza, avrei qualcosa da dire in effetti. - il capitano gli rivolse un cenno a mani giunte, con una parvenza di umiltà. - Ecco, le buone intenzioni ci sono, il tono e i paroloni anche, potrebbe quasi funzionare. Il vero problema, esimio neoeletto Pirata Nobile del Mar dei Caraibi, è che voi non conoscete Balthazar. Forse avete sentito le storie che circolano sul suo conto, ma non ci avete mai parlato, non avete mai visto la sua espressione mentre illustrava i cinque modi per sottoporre un uomo al giro di chiglia... il che mi ha alquanto sorpreso perché io ne conoscevo solo due... Questa è un'altra storia ma magari la racconterò in un altro momento. Il punto è che voi ignorate un dettaglio molto semplice. Non si può comprare Balthazar. Non lo si può accontentare. Datemi in pasto a lui, cosa che mi spiacerebbe alquanto, lo ammetto, e lui ritornerà non molto tempo dopo per un altro di voi. Che farete allora? Gli concederete un pirata alla volta, per tenerlo buono, fino a che non resterà più neanche un minuscolo capitano da sacrificare?-
Silehard rimase al suo posto, senza perdere tutta l'altezzosità che sprizzava dalla sua posa. Sbuffò alle parole di Jack, scuotendo il capo.
- Voi siete solo un vigliacco patetico che usa i Pirati Nobili come scudo dietro cui ripararsi dalle conseguenze delle proprie idiozie. -
- Non è così. - protestò Elizabeth, gelida. - Questa è una lezione che tutti noi avremmo già dovuto imparare ai tempi del quarto consiglio. La Fratellanza esiste per un unico motivo. Il mondo dovrebbe sapere che, se farà del male alla nostra gente, i nove migliori di noi si riuniranno e restituiranno l'offesa cento volte. Questo significa condividere lo stesso destino. Abbiamo fatto meraviglie le poche volte che ci siamo veramente uniti per uno scopo comune! Io credo che dovremmo continuare a farlo. -
- Quindi?- abbaiò Silehard. - Scendiamo in guerra contro Balthazar? Sprechiamo tempo, energie, vite e lo affrontiamo in campo aperto?-
- Sì. -
Silehard buttò le braccia al cielo.
- Cristo, non posso credere che questo consiglio si faccia guidare da smidollati e da donne che si travestono da capitani. -
- Dite di essere stato signore di Tortuga. - lo interruppi, in tono insinuante. - Perché non raccontate anche chi vi ha abbattuto, e per quali motivi? In quanto alla vostra nave, lo Squalo Tigre... Bel nome. Un nome nuovo per una nave nuova. Volete che racconti chi è stato ad affondare il vostro precedente Squalo Bianco?-
- Voi e i vostri avete distrutto la mia organizzazione con un'efficienza quasi degna della Marina Britannica stessa... È prodigioso lo zelo che mettete nell'ostacolare qualsiasi altra attività di pirateria!-
- Voi stavate rovinando Tortuga. Voi stavate mettendo i pirati l'uno contro l'altro. Che io sia dannata prima che vi sia permesso di fare altrettanto con la Fratellanza. -
- Davvero?-
Silehard si buttò in avanti con gesto improvviso, scatenando urla di allarme.
I suoi scagnozzi fecero muro attorno a lui. Le mani del capitano si allungarono sul tavolo, sia la destra ancora sana che la sinistra distrutta: la vidi per un istante emergere dalla stoffa della manica, non più cinque ma tre dita rinsecchite, contorte e bluastre. Insieme quelle mani agguantarono il drappo rosso e con un gesto secco imprigionarono i nove pezzi da otto, richiudendoli nella stoffa come un sacco, poi Silehard si arrampicò in cima al tavolo con un balzo brandendo il suo bottino sopra le teste dei Pirati Nobili.
- State indietro e giù quelle pistole. Secondo il Codice, io sono in possesso di tutti i pezzi da otto, e posso proclamarmi seduta stante Re della Fratellanza!-
Per un attimo sembrò che l'intera sala fosse indecisa fra calare in un silenzio attonito o lasciarsi andare a grida di scherno. Fu la vedova Ching a piantare il suo volto dagli occhi ciechi in direzione di Silehard e fare una smorfia di disgusto.
- Vi pare davvero che accetteremmo di farci calpestare in modo tanto stupido? Sarete fatto a pezzi prima di uscire da quella porta, signore. -
- Sto rispettando il Codice. - ringhiò Silehard, lo sguardo puntato verso la figura ancora immobile di Teague. - Non c'è parola a cui mi stia appellando che non sia scritta su quelle pagine. Io reclamo il titolo di Re dei pirati per diritto di conquista!-
Barbossa fece un passo verso il tavolo, e appena si mosse i pirati di Silehard spianarono le pistole. Il capitano alzò le mani mostrando che non era armato, e solo allora Silehard fece un cenno col capo per dargli la parola.
- Quali sono le vostre intenzioni, Re dei Pirati?- si informò Barbossa in tono educato.
Il respiro di Silehard era accelerato, ma parve avere un sussulto nel sentire riconosciuta la sua autorità.
- Consegnare Sparrow, innanzitutto. E poi guidare la Fratellanza verso la grandezza. - brandì il sacco con i pezzi da otto davanti a Barbossa, lo agitò di fronte alle facce immobili degli altri capitani. - Mi dovete obbedienza. Non potete contrastare un mio ordine diretto. -
- Non possiamo, in effetti. -
Barbossa intrecciò le dita e chinò il capo, poi voltò le spalle a Silehard e al tavolo per girarsi in direzione dell'angolo in ombra dove la presenza silenziosa e irremovibile di Teague Sparrow aleggiava sull'assemblea senza però dare il minimo cenno di vita. Barbossa alzò il capo. Fissò l'ombra per qualche secondo, non riuscii a vederlo in faccia. Poi si girò di nuovo e sollevò il viso verso Silehard.
- Io, capitan Hector Barbossa, sfido il qui presente Pirata Re per la sua carica. Al primo o all'ultimo sangue, questo verrà deciso dal Custode del Codice. -
Silehard sbiancò.
- Questo non è possibile. - la voce gli uscì dalla gola con un suono gutturale. - Non potete!-
- Possono. - finalmente la voce profonda di Teague si levò dall'angolo in cui stava seduto: la luce delle candele colse uno squarcio del suo volto rugoso che si puntava in direzione dell'assemblea, le labbra che si corrugavano in un sorriso. - Se il resto del consiglio approva la sfida. -
Una risata, cupa, sorda, dilagante, nacque all'unisono dalle gole dei Pirati Nobili e rumoreggiò attorno alla tavolata come tuoni di tempesta. Gentleman Jocard si erse in tutta la sua altezza e riuscì a sembrare torreggiante anche se Silehard si trovava diverse spanne al di sopra di lui in piedi sopra al tavolo.
- La Fratellanza sostiene la sfida!- declamò, e gli altri pirati gli fecero eco. Scoprì i denti in un sorriso mentre lo fissava. - Hai l'occasione di dimostrare il tuo valore, capitano. Farai meglio a farci divertire. -

*


Quando i pirati cominciarono a battere a ritmo sul tavolo e sul pavimento con i pugni e con il tacco dello stivale, temetti che la sfida annunciata si sarebbe consumata lì e subito, nella sala gremita dove un solo colpo di pistola avrebbe finito per uccidere qualcuno, che fosse il suo bersaglio o meno. Ma poi vidi che la folla si apriva e sciamava in una direzione precisa: uno dei corridoi che si apriva in fondo alla sala conduceva ad una piattaforma esterna, una sorta di balconata sospesa nel vuoto in cima al Palazzo dei Relitti. I Pirati Nobili e le loro ciurme si disposero a lato dell'imboccatura del corridoio come se si trattasse di una parata ufficiale, senza più gridare, ma battendo il ritmo con i piedi con tanta energia che mi chiesi se il pavimento di assi prima o poi non sarebbe crollato sotto il nostro peso.
La folla invitava i due sfidanti: Barbossa e Silehard.
Il capitano più anziano non aveva ancora distolto gli occhi dal suo avversario. Accompagnato dal boato ritmico che si ripercuoteva nel pavimento e nelle pareti fece il giro del tavolo a passi lenti, solenni, raggiunse il mappamondo e strappò la propria spada dal foro che aveva scavato da qualche parte nei pressi dell'Asia centrale. Un grido unanime acclamò il suo gesto.
Vidi Silehard sudare freddo mentre realizzava la gravità della situazione in cui si era cacciato. Tuttavia l'uomo non aprì bocca e non abbassò lo sguardo: porse l'involto contenente i pezzi da otto ad uno dei suoi scagnozzi, quindi scese dal tavolo e si accostò a Barbossa. A sua volta estrasse la spada dal mappamondo, scatenando un secondo coro di urla.
Fianco a fianco, i capitani attraversarono il corridoio umano che si era aperto per loro, e le ciurme si richiusero alle loro spalle accompagnandoli all'aperto, sotto il cielo terso, fino alla balconata.
Jack non aveva avuto nessuna fretta nell'alzarsi e seguire gli sfidanti. Se non lo avessi agguantato per la spalla e strattonato forse non si sarebbe neppure staccato dalla sedia: invece lo trascinai con me fino alla piattaforma, dove sgomitammo tra le spalle di alcuni pirati fino a che non riuscimmo a guadagnarci una buona visione di quel che stava succedendo. Barbossa e Silehard si erano fermati in mezzo al cerchio lasciato dagli spettatori abbastanza temerari da restare a pochi passi da due sfidanti armati di spade.
Il viso scarno e i baffi ispidi di Robert Silehard luccicavano di sudore e gli occhi erano animati di un luccichio febbrile, mentre l'espressione di Barbossa era calma, per quanto la sua bocca fosse storta in una smorfia che poteva essere di disprezzo, o forse un ghigno.
- Ultimo sangue. - dichiarò Teague, riuscendo a rendere la voce tagliente come una lama di rasoio senza alzarla di una sola nota.
Silehard strinse l'impugnatura della spada come se di colpo avesse il timore che potesse sfuggirgli. Barbossa allargò le braccia e accennò una sorta di inchino, quasi a dire “Dopo di voi”.
Io mi trovavo a pochi passi da loro, e anche se Silehard mi dava le spalle potevo vedere tutta la tensione che gli faceva tremare leggermente le gambe: e, se potevo accorgermene io, per il capitano doveva essere palese. Silehard lanciò un urlo e si gettò in avanti, rischiando il tutto per tutto in un affondo fortunato.
Capitan Barbossa scartò di lato e parò. Al primo clangore delle lame i pirati tutt'attorno ruppero definitivamente il silenzio e si lanciarono in grida indiavolate.
Il capitano contrattaccò e le spade si incrociarono ancora, violentemente, quattro, cinque, sei volte. Poi la lama di Silehard bloccò la sua verso il pavimento, Barbossa lo allontanò con un calcio, e i contendenti si separarono di scatto mettendo fra loro due metri buoni di spazio.
- Sono curioso, vostra maestà. - abbaiò Barbossa mentre riprendeva fiato, riportando l'arma in guardia. - Esattamente, quali progetti avevate quando siete piombato qui pensando di potervi arrogare la corona?-
- Magari ho davvero a cuore gli stessi interessi della Fratellanza. - Silehard incominciò a girare in tondo, cercando un varco nella difesa dell'avversario che però non ne lasciava alcuno. - Magari voglio salvare tutti quanti da una minaccia peggiore, ci avete pensato? O avete deciso di battervi solo per il gusto di ostacolarmi?-
Il capitano avanzò in una nuova raffica di affondi, e Silehard dovette battere in ritirata talmente in fretta che per poco non travolse i pirati che gli stavano alle spalle. La folla rumoreggiò, poi furono gli uomini stessi a spingerlo di nuovo in avanti, incitandolo a proseguire il combattimento. Barbossa arretrò e sputò per terra.
- Magari un poco. - ghignò.
- Ah, è così?- Silehard emise una specie di ringhio e avanzò, incalzando Barbossa che per la prima volta si trovò ad arretrare. - State dalla parte sbagliata, Barbossa! State combattendo per buffoni codardi come lui!-
La sua mano sinistra, quella deturpata, si alzò puntando un rattrappito indice accusatore verso Jack. Nello stesso momento, la lama stridette su quella del capitano e si schiantò contro la guardia, portando i due avversari pericolosamente vicini.
Barbossa si lanciò in avanti, travolgendo Silehard con il suo peso e opponendogli la lama incrociata con la sua.
- Credete che me ne freghi qualcosa?- sibilò.
La sua sciabola scattò, si liberò dalla presa dell'avversario, sferzò l'aria così vicino alla gola di Silehard che per un istante credetti che l'avesse sgozzato. Invece no: la punta della lama tagliò la camicia e la pelle, colorandosi di rosso, ma il pirata evitò il colpo mortale ruotando bruscamente a destra.
Barbossa però intercettò il suo braccio sinistro e lo acchiappò, torcendoglielo dietro la schiena. Lo stivale del capitano si piantò contro quello di Silehard, bloccandolo.
- In verità volevo verificare di che fibra foste. -
Più veloce di quanto ci si sarebbe mai potuto aspettare, piegò il gomito e terminò dando un colpo secco proprio sull'osso dell'avambraccio.
- Fragile. -
Silehard cacciò un urlo e crollò in ginocchio, mentre anche le grida di incitamento dei pirati si spegnevano solo per quell'istante in cui tutti quanti rimasero con il fiato sospeso. Barbossa bloccava ancora l'uomo nella sua presa: la sciabola sguainata era nella mano destra, un solo movimento e avrebbe potuto chinarsi e piantarla in corpo allo sfidante.
Riecheggiò uno sparo.
Per una manciata di secondi, tutti quanti rimasero a guardare Barbossa come se la detonazione fosse venuta da lui. Ma non era possibile; nessuno dei due contendenti portava la pistola, e il capitano era rimasto immobile, senza sferrare il colpo finale, anche se continuò a tenere ben stretto il braccio di Silehard. Gli occhi grigio acciaio di Barbossa si alzarono per puntarsi in una direzione precisa.
Teague se ne stava col braccio teso e la pistola fumante in aria, sopra la testa.
- Ho cambiato idea. - annunciò, placido, dopo un momento di silenzio che sembrò eterno. - Primo sangue. La vittoria è di capitan Barbossa, e che Robert Silehard sia chiuso in cella. -
Il capitano liberò Silehard, il quale crollò a terra stringendosi il braccio e masticando un'imprecazione dietro l'altra, con il fiato corto. Ci fu un momento in cui i ceffi che facevano parte del suo seguito sembrarono pronti a mettere mano alle armi, con gli sguardi che saettavano sulla folla dei presenti come se stessero valutando il rischio. Le facce arcigne degli altri Pirati Nobili e le occhiatacce ammonitrici del resto delle ciurme dovettero persuaderli molto in fretta che non ne sarebbe valsa la pena. Nemmeno Silehard si ostinò a tentare di resistere, neppure quando due pirati dalla pelle nera della ciurma di Jocard lo raggiunsero e lo fecero alzare, prendendolo prigioniero.
Barbossa fece scorrere un'occhiata quasi distratta sugli spettatori, poi puntò la sciabola in direzione del pirata agli ordini di Silehard che teneva ancora tra le mani l'involto contenente i pezzi da otto. Fece un cenno sbrigativo e più che eloquente con la punta ancora insanguinata della lama, e tese la mano libera.
L'uomo non si fece pregare oltre e avanzò a testa bassa per deporre il sacco nelle mani del capitano.
Il silenzio calò di nuovo mentre Barbossa osservava il proprio bottino, e infine mi sembrò di vedere un vero luccichio di vittoria sulla sua faccia cupa. Le labbra gli si arricciarono in un largo sogghigno mentre gettava attorno a sé un'occhiata trionfante.
- Credo che sappiamo tutti quanti che cosa significa questo. - dichiarò, in tono compiaciuto.
Mi sembrò quasi di sentire un sospiro di rassegnazione collettiva da parte dei Pirati Nobili, ma non ci fu nessuno che osò avanzare qualche protesta. Elizabeth si fece avanti, entrando nel cerchio vuoto che era stato teatro della sfida, e si fermò di fronte al capitano. Quando parlò lo fece in tono molto formale.
- Quali sono le vostre decisioni, capitan Barbossa, Re della Fratellanza?-
Il capitano rinfoderò la sciabola e si portò le mani sui fianchi con aria marziale.
- Da questo momento siamo uniti per combattere Balthazar. -
Sembrava che stesse per lasciare il suo palco come un attore soddisfatto, quando all'ultimo momento si voltò, forse sentendo su di sé lo sguardo accusatore di Elizabeth.
Dopo un secondo sbuffò, frugò nel sacco di stoffa rossa ed estrasse il pendaglio d'osso. Con una smorfia lo lanciò a Jack, e lui lo afferrò al volo. - E capitan Sparrow può riavere il suo posto al consiglio, insieme al suo pezzo da otto. -

*


- Ti stai facendo coinvolgere troppo, Nathan. -
- Il fatto di avere a cuore il destino di metà Isla Muelle sarebbe farmi “coinvolgere troppo”?-
La donna aveva alzato gli occhi al cielo e rivolto al figlio maggiore un'occhiata di sufficienza.
- Non era quello che intendevo. -
- Parteciperò al loro consiglio, madre, e insisterò per venire coinvolto nelle loro decisioni. Non lascerò che si dimentichino di noi. -
- Non lascerai che lei ti ignori, è diverso. -
Nathaniel aveva piantato un pugno sul tavolo.
- Sei così sciocca?!-
Miss Hawk aveva risucchiato il fiato con un sibilo pericoloso, il volto arrossato dall'incredulità. Anche Nathaniel si era morso il labbro, gli occhi febbrili, ma non si era scusato. Lei era rimasta a fissarlo mentre il ragazzo si raddrizzava e trasformava la sua espressione in pietra.
- Io mi preoccupo per la mia gente, e tu vuoi ridicolizzarmi riducendo tutto all'infatuazione per una donna? Sono meglio di così!-
- Senz'altro. - aveva risposto miss Hawk, fredda. - Allora potresti cominciare ad agire con un po' più di criterio e tenerti buoni coloro che ti offrono aiuto, invece di approfittare di ogni scusa per attaccar briga. Noi siamo sopravvissuti, Nathaniel! E la prima regola da imparare è che, se qualcuno ti dà una mano, tu chiudi la tua maledetta bocca e gliela stringi. -
Le labbra del ragazzo si erano ridotte a una fessura.
- Io sto accettando tutto ciò che ci offrono. Sono loro che ce lo concedono come se fosse un favore. -
- Di questo sto parlando! Accetti di malavoglia, con rabbia, con disprezzo, inimicandoti chiunque. E solo perché ce l'hai col capitano Sparrow. -
- Nessuno qui lo sopporta. -
- Vero, ma tu ne fai una questione personale. E, francamente, è ridicolo. Togliti lei dalla testa. Togliti dalla testa di riuscire a metterti fra di loro, perché in questo momento è l'ultimo dei nostri problemi. -
- Non ci sto pensando!-
- Bene. Sappi anche che è una donna innamorata, e aspetta un figlio da lui. -
Solo per un istante fugace era sembrato che qualcosa nel giovane cedesse. Poi la sua faccia era tornata di marmo.
- Non mi importa, come ti ho già detto. - sbottò. - Tutto quello di cui mi importa adesso è partecipare al raduno della Fratellanza. -
E ora il suo Nathaniel era proprio là dove aveva insistito tanto per essere, mentre miss Hawk si trovava in una lavanderia piena di vapore. I vestiti per un centinaio di persone non si lavavano certo da soli.
L'acqua calda ribolliva in una serie di vasconi di rame, e la donna vi spingeva dentro la biancheria con un bastone. C'era qualcosa di ipnotico nel vedere la stoffa gonfiarsi e fluttuare sotto l'acqua come una nuvola... anche se poi tiravi tutto in superficie, e tornava ad essere nient'altro che una massa zuppa e fumante.
Miss Hawk restò a guardare le increspature sulla superficie torbida dell'acqua nel calderone. Poi strizzò gli occhi e smise di rigirare il palo nella massa pesante degli indumenti messi a lavare.
Il suo riflesso si riformò gradualmente, ricambiando il suo sguardo: tuttavia le cose non tornavano, perché le facce che le parve di vedere affiorare erano due.
Fece per voltarsi, quando qualcosa la afferrò alla gola.
Si ritrovò schiacciata contro un corpo duro come il marmo, bloccata da una stretta vigorosa. Il grido venne ricacciato nelle profondità dei suoi polmoni dal laccio di cuoio che le serrò il collo e incominciò a stringere.








... Felice anno nuovo!
Har har har


A coloro che ancora leggono questa storia, a Sara, a Fanny Sparrow, a MC119, a gitana90 che hanno sempre avuto belle parole per ogni capitolo, se saranno ancora qui dopo tanto tempo a leggere.
Tra parentesi, questo episodio finirà, ma non preoccupatevi, non intendo ricorrere a finali forzati. Ciò che deve accadere in questa storia era già nella mia testa da molti anni. La questione "ultimo capitolo" si riferisce al destino di Caribbean Tales: ed è proprio per non sacrificare la qualità della saga che sto prendendo decisioni al suo riguardo. Grazie a chi torna con me a navigare in queste acque.
Wind in your sails.

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Capitolo 15
*** Capitolo 14 ***


Capitolo 14



Sulle pareti del Palazzo dei Relitti c'erano scheletri di granchi. Granchi e molluschi, a quanto potevo vedere. Considerando che anche le celle erano state, in fin dei conti, parte di una nave per lungo tempo, non sorprendeva che le pareti di legno si portassero dietro un simile retaggio.
Anche le sbarre erano incrostate di antichi residui di molluschi. Oltre la graticola potevo vedere il profilo di Robert Silehard che non guardava nella mia direzione, ma ancora non mi decidevo a farmi avanti.
Per un attimo molto strano le immagini di due vite diverse incominciarono a sovrapporsi. Un momento prima mi trovavo nel Palazzo, quello successivo la cella divenne il corridoio in mattoni grigi di un forte militare. L'ombra proiettata dalle sbarre sul pavimento era la stessa in entrambe le visioni.
Redmond. Il forte dove ero stata mandata a lavorare insieme a Faith, quando avevo temuto che fosse quello il massimo a cui avremmo mai potuto aspirare per il nostro futuro.
La cella dove avevo incontrato Jack per la prima volta.
Sorrisi, anche se era sgradevole mescolare quel bel ricordo con la presenza di Silehard. Che ingenua ragazzina avventata che ero stata allora. Fortuna che mi fosse capitato lui invece di qualche altro uomo altrettanto brillante ma con molti meno scrupoli, o la mia storia avrebbe potuto prendere un corso ben diverso.
Ma, fortunatamente, il destino aveva deciso che mi spettasse in sorte Jack. Con tutte le conseguenze del caso.
Feci un passo in avanti e l'illusione del carcere di Redmond si dileguò. Silehard a malapena si voltò sentendomi avvicinare.
- Ebbene, hanno mandato voi a condurre l'interrogatorio?- sospirò con voce ruvida. - Pensavo che mi avrebbero chiuso qui e poi si sarebbero dimenticati della mia presenza, come nella migliore tradizione piratesca. -
C'era un secchio vuoto accanto alla parete: lo rovesciai e mi ci sedetti sopra. Silehard stava seduto a terra accanto alle sbarre, con le braccia incrociate: dalla manica sinistra spuntava la sua mano con le tre dita rimaste, posata sul ginocchio.
- Chissà. - mi chinai leggermente perché i nostri volti fossero alla stessa altezza. - Magari, se aveste considerato per un istante di condividere le vostre informazioni con la Fratellanza, invece di scatenare un vespaio, ci avremmo guadagnato tutti quanti. -
Silehard strozzò una risatina di gola simile a un colpo di tosse e mi scoccò un'occhiata sardonica.
- Come se voi e Sparrow aveste mai accettato di ascoltarmi e accogliermi in seno alla Fratellanza, figuriamoci. -
- Difficile, in effetti. Ma siete comunque riuscito a fare di peggio. Mi congratulo. -
- Sapevo che non avreste resistito alla tentazione di venire qui a gongolare. State perdendo tempo, temo. Non sono io il vostro nemico. -
- Non siete neppure mio amico. -
Finalmente l'uomo voltò il viso verso di me. Era ancora ricoperto dalla patina di sudore lucido che lo faceva apparire febbricitante. Mentre mi squadrava appoggiò la mano sinistra alle sbarre, e le tre dita rimanenti si chiusero come artigli attorno al metallo.
- Se è per questo vi sarete accorta che non ne avete tanti, di amici. Certamente non qui al Palazzo dei Relitti. I Pirati Nobili sono un mazzetto di micce dentro una polveriera, è sempre stato così. -
- Che cosa sapete di Balthazar?-
- Non collaboro con lui. E non ho simpatia per lui. -
- Ma sapete che fa paura a molti, e ne avete approfittato per venire qui e tentare di volgere la cosa a vostro vantaggio. -
- E chi può biasimarmi? Non illudetevi che la vostra Fratellanza abbia tanto potere su di lui. Si faranno ammazzare. -
- Voi invece avreste saputo come fare diversamente?-
- Io non mi sarei mai messo a combatterlo. C'è differenza. -
- Che cosa vuole Balthazar? Come agisce? Chi è?-
- Vi sento irritata, miss Sparrow. Quanto è frustrante quando nessuno vuole darvi spiegazioni, vero?-
Mi sforzai di non cedere alla sua provocazione, e tenni la bocca chiusa. Silehard non pareva essersi aspettato il mio silenzio, e lo guardai mentre mi osservava da dietro la grata con un'espressione in cui cominciai a riconoscere qualche guizzo di delusione. Sapevo che in realtà desiderava parlare. Un uomo dall'ego spropositato come il suo non poteva aver preso la decisione di presentarsi alla Baia dei Relitti senza la speranza di trovare un pubblico più che interessato a qualsiasi rivelazione potesse vantare di portare in dono.
Restai ancora in silenzio. L'umidità gocciolava dalle pareti, e si udiva il ticchettio delle gocce d'acqua che picchiettavano sul pavimento da qualche parte nelle profondità della prigione.
Il pirata fece uno sbuffo di esasperazione e mi gettò un'occhiata di sbieco, come se mi stesse chiedendo silenziosamente se intendessi scherzare. Non aprii bocca.
- Balthazar si fa vanto di non conoscere o rispettare bandiera. - sbottò infine Silehard con un sospiro, con l'aria di starmi concedendo un grande favore. - È stato un pirata sanguinario per anni, poi si è messo al servizio del Re come corsaro e ha svolto un lavoro da sicario paurosamente eccellente. Dopodiché è stato capace di sputare sulla sua preziosa lettera di marca e trucidare un'intera flotta inglese, semplicemente perché non gli andava che lo considerassero troppo affidabile. Mette tutt'ora in asta i suoi servigi come se nulla fosse successo, e la regia Marina ancora si arrischia a richiedere il suo intervento, di tanto in tanto, per quanto siano spaventati da lui. Ha ucciso ben due Pirati Nobili del Consiglio originario. -
Per quanto fossi seduta, a un tratto mi sentii come se mi stesse prendendo un capogiro. Erano state le sue ultime parole: su quelle sentii lo stomaco cominciare a serrarsi e il calore affluire al volto. Intrecciai svelta le dita, come facevo sempre quando mi sentivo aggredire dall'ansia. Non significava niente, mi dissi, di sicuro i Pirati Nobili dovevano conoscere bene il genere di minaccia che quell'uomo rappresentava, e dovevano sapere come difendersi.
- Quindi, naturalmente temete di averlo come nemico. - replicai, badando di non lasciare che il tremito che sentivo dentro trapelasse dalla mia voce.
- Non temo solo la sua spietatezza. Ci sono uomini peggiori di lui, al mondo. Quello che mi spaventa è il potere che sta riuscendo a ottenere. -
- Che cosa intendete?-
- Balthazar sta solo facendo ciò che stavo cercando di fare io. Ma lui ci è riuscito. -
Strizzai le palpebre una volta sola. La sensazione sgradevole di calore alla faccia se ne stava andando, ma il nodo di preoccupazione si era stretto alla bocca dello stomaco e sapevo che non se ne sarebbe andato presto.
- A fare cosa, a recuperare il tesoro di Cortez? Mi dispiace deludervi, ma Jack e i suoi hanno affrontato ben più di una ciurma di pirati maledetti, e non sarebbe certamente questo a preoccuparli. -
Silehard si mosse bruscamente e abbassò la voce a un sibilo.
- Non limitate la vostra immaginazione al tesoro maledetto di Cortez. Pensate a cosa c'è dietro. Ragionate sulle potenzialità, se ne siete capace. -
- Parlate chiaro o chiudete il becco, perché io non so di che stiate parlando!-
- Me ne sono accorto. E, a quanto vedo, continuerete a non sapere. -
Lo sferragliare di una grata ci interruppe. Sollevai lo sguardo e vidi William apparire in fondo al corridoio, in cima alla scala di legno che una volta era stata quella che portava a una sentina: ora conduceva a una prigione situata a diversi piedi al di sopra del livello del mare.
Il volto del giovane Turner era corrucciato quando ricambiò la mia occhiata.
- Credo che dovresti venire di sopra. -
- Non abbiamo finito qui. Il prigioniero si sta divertendo a fare lo spiritoso. - replicai, additando la sagoma di Silehard che le sbarre tagliavano a scacchi.
- Lui non andrà da nessuna parte. -
La voce di Will sembrava preoccupata, così mi alzai e lo seguii, mentre alle mie spalle Silehard si schiariva la gola con un colpo di tosse e continuava a fissare il soffitto.
- Che cosa succede?- chiesi a William, mentre mi guidava nel dedalo di corridoi di legno che costituivano le viscere del palazzo.
- Un paio d'ore fa hanno avvistato una nave. - replicò a voce bassa. - È rimasta alla fonda all'orizzonte, ma pare che una scialuppa con una bandiera bianca si stia avvicinando alla Baia. La tengono sotto tiro coi cannoni, ma penso che vorrai essere lassù se dovesse succedere qualcosa. -
- Eccome. - accelerai il passo per stare dietro alla falcata del giovane Turner. A un certo punto lui si voltò verso di me e un sorrisetto divertito aleggiò sulle sue labbra come se avesse cercato di trattenerlo fino a quel momento.
- Il consiglio della Fratellanza, alla fine, era strano quanto lo descrivevano, non è vero?- la sua voce suonava rassegnata e ammirata al tempo stesso.
- Non dirmelo. Non so ancora come abbiamo fatto a uscirne tutti interi. - ricambiai l'occhiata. - Anche per te era la prima volta che assistevi a un'adunanza?-
- Quando si riunirono l'ultima volta, io non ero qui. - Will annuì. - Elizabeth me lo raccontò, ma non pensavo che mi sarebbe mai capitato di assistere ad un altro. È strano trovarcisi ora... E stare al fianco di Elizabeth sapendo di non poter fare nulla per facilitarle il compito. -
Quasi mi fermai. Non mi ero aspettata di sentire pronunciare a William parole simili, specie quando, probabilmente senza saperlo, lui aveva appena dato voce a ciò che da un po' di tempo mi stava tormentando.
- Lo hai pensato anche tu?- azzardai. - Insomma, sapere di essere qui e fare parte della ciurma, ma... -
Le spalle di William sussultarono per una risata silenziosa.
- Essere sposati con uno dei Pirati Nobili?-
- Esattamente! Mi sentivo così impotente. La mia parola non aveva alcun valore lì in mezzo. -
- Purtroppo in questo caso siamo chiamati a fare ben poco se non i consorti. Ma credimi... loro hanno bisogno della nostra presenza. -
Risalimmo fino alla sala del consiglio, ora deserta, e poi ci recammo sulla terrazza che era stata il teatro dello scontro tra Barbossa e Robert Silehard. Il neoeletto Re dei Pirati si trovava ancora lì, insieme a Elizabeth e Jack.
Trovai molto curioso il fatto che stessero tutti e tre vicini accanto al parapetto, poi notai che cosa aveva catalizzato la loro attenzione: Elizabeth stava scrutando l'orizzonte con un cannocchiale in ottone, e gli altri due capitani stavano in attesa con espressioni impazienti. Barbossa sembrava sul punto di strappare il cannocchiale di mano alla ragazza quando arrivammo Will ed io.
Elizabeth allontanò lo strumento dal viso e si corrucciò ancor di più.
- Le scialuppe si sono fermate all'imboccatura della Baia. - ci informò in tono sbrigativo. - A quanto pare sanno che se avanzano ancora le affonderemo. -
- “Le” scialuppe?- domandai.
- Sono due. Ciascuna con un uomo a bordo. -
Barbossa prese il cannocchiale e diede una lunga occhiata. Da dove ci trovavamo dominavamo l'intera città dei Relitti e il golfo racchiuso tra le braccia di roccia. Le scialuppe dovevano trovarsi all'imboccatura del tunnel: troppo lontane per essere più che sagome scure a occhio nudo. Il pirata osservò per qualche istante. Poi passò lo strumento a Jack scoccando a tutti noi uno strano sguardo.
- Osservate la seconda scialuppa. Voglio che mi diciate se significa qualcosa per voi. -
Il cannocchiale passò di mano in mano mentre ci chiedevamo cosa intendesse dire. Quando finalmente potei mettervi sopra le mani, lo puntai all'orizzonte e per un po' presi a cercare il punto esatto in cui erano finite le imbarcazioni.
Le vidi. Gusci di noce sull'acqua agitata all'ingresso della baia. C'erano due uomini, solo che uno di loro aveva fatto accostare la sua imbarcazione all'altra per salirvi a bordo. Lasciarono la seconda scialuppa sguarnita per poi spingere con energia la fiancata e allontanarla, lasciando che galleggiasse in balia della corrente che cominciava a spingerla all'interno della baia. La barca affondava nell'acqua quasi tutta la chiglia, le onde sfioravano i bordi. Era carica. E il suo carico, a quanto potevo valutare nella visione ravvicinata offerta dalla lente, era un gigantesco forziere borchiato.
- Che diavolo stanno facendo?- mormorai.
Barbossa aggrottò le sopracciglia. - Ci mandano un regalo, a quanto pare. -
- Che dobbiamo fare?- lo sguardo di Will vagò fra di lui, Elizabeth e Jack. - Potrebbe essere pericoloso? Non possono mandarci dell'esplosivo, oppure... -
- Non ho visto micce. Nulla che vi assomigliasse, almeno. - rimuginò Elizabeth.
Jack tamburellò le dita sul cannocchiale mentre ancora osservava la baia.
- Azzarderei a dire che, se si sono presi il disturbo di recapitarci quel forziere, sono molto interessati a fare in modo che ne scopriamo il contenuto. -
- Di chi è la nave?- domandai.
- Troppo lontana. - sbottò Barbossa. - Ma credo che sappiamo tutti di chi potrebbe trattarsi. -
- Quindi che si fa?- insisté Will. - La abbattiamo coi cannoni? O lasciamo che raggiunga la riva?-
Jack chiuse il cannocchiale con uno scatto.
- Andiamo a vedere di che cosa si tratta. -

*


Il porto fu liberato in fretta, anche se nulla poteva dissuadere i curiosi che si accalcarono ugualmente da dietro gli angoli, le porte e le finestre. La Fratellanza al completo era scesa dall'alto del Palazzo per raccogliersi sul molo. La scialuppa priva di nocchiero era stata trascinata dalle onde fino alla costa più bassa dove non c'era la banchina ma affioravano le rocce, costantemente sorvegliata dalle vedette che ne osservavano preoccupati l'avanzata. Ora la chiglia strusciava contro i sassi, e il moto ondoso faceva andare su e giù l'imbarcazione dando l'impressione che presto o tardi il peso del carico l'avrebbe fatta inabissare.
Io ero laggiù insieme ai nove Pirati Nobili. E non c'era nulla che sembrasse risvegliare la loro conoscenza di aneddoti terrificanti come l'arrivo di una missiva misteriosa.
- Nitroglicerina. - sentenziò Villanueva. - Si riempie una cassa di bottiglie piene fino all'orlo. Poi basta che il primo sventurato abbia la sfortuna di provare a forzare la serratura. Se gli va bene, allora la apre e si accorge di che razza di carico gli è capitato. Mentre se gli va davvero male non se ne accorge, uno scossone di troppo, e l'intero contenuto gli salta in aria sotto le mani. -
- Potrebbe non essere così prevedibile. - ribatté la vedova Ching. - So di furfanti che sono riusciti a sterminare una città intera regalando un tappeto. Quel tappeto si portava nella trama il contagio del vaiolo. Se lo mise in casa il sindaco, e nel giro di un paio di mesi non rimase un solo sopravvissuto. -
- Non c'è bisogno di essere così raffinati. - replicò Jocard, sbuffando. - Basterebbe che dentro ci fosse un cadavere. Un bel cadavere infetto, e le mani di chiunque aprirà quel lucchetto diventeranno dispensatrici di morte. -
- Certo, ma di un cadavere ti sbarazzeresti immediatamente. - rincarò Chevalle. - Mentre non sospetteresti mai di un innocente tappeto, ne c'est pas?-
- Sospetterei di un dannato gattino, se venisse dalle mani di un mio nemico!-
- Tutto questo parlare di esplosivi, tappeti, cadaveri e gattini è affascinante, e dico sul serio. - li interruppe Jack, con gli occhi persi sul moto ondoso che avvicinava e allontanava l'oggetto della contesa. - Potrei stare per ore ad ascoltarvi fare le vostre ipotesi. Ma che cosa vogliamo fare con l'evidente elefante nella scialuppa?-
Sri Sumbhajee scoccò un'occhiata stranita al forziere, quindi a Jack. Il capitano si chinò confidenzialmente verso il pirata indiano, mentre abbassava la voce e precisava: - No no, non preoccupatevi, la vostra comprensione dell'inglese è sempre perfetta, altezza... Elefante, capite? È una forma figurata. Nel senso, qualcosa che non si può ignorare, non un elefante in senso strettamente... -
Barbossa avanzò di qualche passo e scese sulle rocce spruzzate dalla spuma. La barca continuava a cozzare contro gli spuntoni affioranti con cupa regolarità, producendo un suono costante come un rintocco.
- Suppongo che sia nel nostro interesse aprirla. - si voltò verso gli altri pirati in attesa, con le mani sui fianchi. - Sapete che potrei ordinare a chiunque di voi di farlo e, in rispetto delle leggi del Codice, mi dovreste obbedienza. -
L'intera Fratellanza lo fissò con astio malcelato.
Barbossa sfoderò i denti giallastri.
- Tuttavia, mi limiterò a chiedere molto educatamente a un volontario di farsi avanti. -
Borbottii, sussurri, e poi silenzio di gelo. La fiancata della barca strusciò ancora una volta contro le rocce. Barbossa roteò gli occhi con quel gesto che gli veniva così naturale, e aveva appena aperto la bocca forse per sputare uno dei suoi commenti caustici, quando una voce si alzò dalla piccola folla formata dai pirati radunati.
- Lo faccio io. -
Riconobbi la voce e mi voltai di scatto. Ettore era emerso dal gruppo assiepato sul molo. Sentii Elizabeth soffocare una protesta e gli uomini rumoreggiare. Jack fece un passo avanti: lui ed Ettore si fissarono.
- Sai che come tuo capitano potrei proibirti di farlo, vero?-
- Certo, capitano. Ma mi sono offerto volontario per il Re dei Pirati. -
Forse avevo solo immaginato la durezza che sentii nella sua voce quando pronunciò quelle parole. Ma ciò che corse fra lui e Barbossa quando il pirata passò al suo fianco sulle rocce, no, quello non potevo essermelo immaginato. Il capitano dagli occhi color ferro: i pugni sui fianchi e la bocca serrata in un volto privo di espressione. Ettore: iridi castane che mandarono un lampo come se lo stesse sfidando a... Cosa? Per che cosa? Che cosa si aspettava esattamente Ettore da suo padre?
Ettore superò il capitano e avanzò reggendosi in equilibrio sulle rocce affioranti. Afferrò la fiancata della scialuppa e cominciò a condurla dove il terreno era più liscio.
Feci un passo in avanti, ma Jack mi trattenne con una mano.
- Buoni, entrambi voi due. Per favore. -
C'era un tratto della scogliera dove le rocce diventavano piatte e si tuffavano nell'acqua. Sbuffando, Ettore puntò i piedi e trascinò la barca nella giusta direzione, ma era evidente che non ce l'avrebbe fatta da solo a tirarla all'asciutto: dopo qualche momento in cui continuò a strattonare l'imbarcazione, digrignando i denti, all'improvviso altri si mossero. Altri uomini della Perla, altri di ciurme che non conoscevo.
Faith. La vidi venire avanti di corsa e affiancarsi a suo marito mentre insieme tiravano in secca la barca dal contenuto misterioso.
Quando fu fatto, Ettore insisté perché tutti si allontanassero di nuovo. Salì sulla scialuppa da solo, esaminò a lungo il forziere, quindi si alzò per gettare una voce a noi altri.
- Non è chiuso a chiave. Ora lo apro. -
Sentii come se una folla intera avesse trattenuto il fiato nel medesimo istante. Ettore fece scattare il fermo metallico. Prese il coperchio a due mani, lo spalancò lentamente. Rimase in piedi, sovrastando il forziere e il suo contenuto, e siccome da dove stavo non potevo vedere l'interno guardai la sua faccia.
La sua espressione fu impossibile da decifrare. Ettore fissò l'interno del baule dapprima con sospetto, poi gli occhi si allargarono, in totale confusione. La faccia che ci rivolse era molto meno tesa, ma completamente disorientata.
- Signori... credo che dovreste venire voi a controllare, perché per me questo non ha senso. -
La curiosità ebbe definitivamente meglio sulla prudenza e ci avvicinammo, un anello che si chiuse attorno al forziere. Ettore si scostò di un passo, accennando con una mano al contenuto del baule e il viso rivolto ai Pirati Nobili come a chiedere spiegazioni.
- Sono... non lo so. Cose. Semplici oggetti. E ciascuno ha i vostri nomi sopra. -
- Che cosa?- vinto ogni indugio, Barbossa fu il primo a chinarsi sul forziere.
Ritrasse la mano molto lentamente. Ero abbastanza vicina da vedere che cosa aveva raccolto. L'oggetto era di poco più piccolo del palmo della sua mano, e quasi spariva fra le dita, ma lo riconobbi: una clessidra. Era vuota. Il vetro dell'ampolla inferiore si era rotto e doveva aver lasciato fuoriuscire tutta la sabbia. Un biglietto era legato al collo sottile della clessidra con uno spago, e una calligrafia elegante citava: Capitan Hector Barbossa.
- Che pessimo scherzo è questo?-
Uno dopo l'altro, tutti i Pirati misero le mani nel forziere per rovistare alla ricerca del “dono” scelto per loro, spesso arrivando a sgomitarsi l'uno con l'altro. Tutti quanti avevano sulla faccia la stessa espressione di Barbossa.
Eduardo Villanueva indietreggiò di scatto, caracollando come l'avessero colpito. Il volto dello spagnolo si fece paonazzo sotto la barba nera. Quel che teneva in mano era addirittura più piccolo del cartiglio che recava il suo nome, tanto che solo grazie allo scintillio del solo riconobbi una piccola fede dorata.
- No es posible! Esto... Questo era stato sepolto con lei!-
Guardai gli altri Pirati Nobili, sempre più confusa ad ogni momento che passava. Non tutti lasciarono vedere che cosa avevano estratto dal forziere e, a dirla tutta, ognuno di loro sembrava troppo concentrato sul proprio dono per badare a quelli degli altri.
Mistress Ching era accompagnata come sempre dai suoi guardiani, non potendo vedere. Uno di loro le porse con infinita cautela una spada arrugginita, mentre parlava rapidamente in cinese probabilmente per descrivergliela. La donna appoggiò le mani sulla lama e sull'elsa, la vidi tastare la forma del pomo e della guardia. Poi, per la prima e unica volta, il viso di lei tremò e si deformò, e la donna respinse l'arma con un acutissimo urlo d'orrore che squarciò come una coltellata il silenzio della baia.
Nel trambusto, vidi Jack in piedi con le spalle al forziere. Anche lui ne aveva estratto qualcosa.
Prima che potessi avvicinarmi fu lui a fare due passi verso di me, tenendo un involto di stoffa vicino al petto in modo che soltanto io lo vedessi. Dapprima non riuscii a capire che cosa fosse, poi Jack lo svolse, liberandolo dalla spilla che fissava un biglietto con scritto: Capitan Jack Sparrow.
Riconobbi la forma di un abito, piccolissimo, che avrebbe potuto essere indossata solo da una bambola.
Una vestina da neonato. Fradicia d'acqua di mare tanto che la stoffa bianca era diventata giallastra. Emanava un forte tanfo di alghe, sale e putrefazione.
Sentii il sangue defluire dalle mie guance così in fretta che fui certa di essere diventata color cadavere. Con gesto rigido, Jack abbassò la vestina tenendola con una mano sola, come se non volesse toccarla più di quanto fosse necessario, e con la mano libera prese me per un braccio per tenermi al suo fianco mentre ci allontanavamo di qualche passo dai pirati.
- Chi altri sa che sei incinta?- domandò, con una voce che quasi stentai a riconoscere. Aveva gli occhi sgranati e fissi come palle di vetro.
- Miss Hawk... e Faith, ed Elizabeth e William. -
- E Gibbs... -
- Jack, se lo sa Gibbs, a quest'ora probabilmente lo sa tutta la Baia. -
Dietro di noi, Barbossa sembrava l'unico a non essersi lasciato andare allo sgomento generale che l'apertura del forziere aveva causato. Stava ancora in piedi accanto alla cassa quando ne scrutò il fondo per un attimo, si chinò a frugare, e quindi si rialzò tenendo tra le mani un foglio di pergamena che fino a quel momento era rimasto inosservato.
- Zitti tutti! C'è dell'altro. - abbaiò al di sopra del clamore, riuscendo a zittire i presenti. I suoi occhi scorsero rapidamente quel che vi era scritto, quindi si schiarì la gola e lesse a voce alta. - “Ai membri della Fratellanza che so di trovare qui radunati, vi prego di perdonarmi se mi sono fatto aspettare così a lungo. Ho perso un poco di tempo preoccupandomi di raccogliere alcuni doni appositamente per voi: non ho dubbi che ciascuno saprà attribuire loro un significato speciale. Come vedete, la mia vista si estende ben più lontano di quanto chiunque potrebbe prevedere. Servo qualcuno che un tempo voi stessi tenevate in una gabbia, e non temo nessuno.” -
Il silenzio rotto solo dalle strida dei gabbiani aleggiò a lungo sopra la folla, poi capitan Chevalle tossicchiò con fare casuale.
- Tutto qui? Nessun accenno a trattative, o un invito ad arrendersi, oppure... -
- Non si tratta di un ultimatum, sottospecie di idiota francese!- ringhiò Barbossa, facendo uno scatto in avanti come se fosse pronto a lanciarsi sul pirata. - E, no, non c'è proprio nessuna condizione per una resa pacifica o per un felice accordo con tanto di vino e strette di mano. Non gli interessa stabilire condizioni. Lui vuole darci la caccia. Anzi, sono sicuro che starà ad aspettare con trepidazione quanti di noi volteranno gabbana col favore della notte e andranno a bussare alla sua porta chiedendogli di trovare un accordo... - i suoi occhi balenarono sui Pirati Nobili con ferocia. - Questo non accadrà. Che si preparino le navi, dobbiamo essere pronti a dare battaglia oggi stesso. -
- Oggi?- rincarò Chevalle, sgomento, facendo eco alle espressioni degli altri che lo circondavano. - Siete sicuro che non intendesse proprio metterci fretta? Potremmo non essere preparati a... -
- Ha “perso un poco di tempo”!- sbraitò il capitano, agitando la lettera come se fosse una prova inconfutabile. - È questo che ha fatto fino ad adesso, che continua a fare! Prende tempo! Spera che ci mettiamo ancora un po' a decidere che cosa sia meglio fare, perché sicuramente in questo tempo ha fatto di meglio: avrà avvertito la Marina! O peggio, altri alleati di cui potremmo non sapere niente. Ha tutto l'interesse a tirarla per le lunghe, perché quella che ho visto io là fuori sull'orizzonte era una nave sola... Ma potrebbe non rimanerla a lungo. Per questo attacchiamo. -
Barbossa chiuse gli occhi e inspirò profondamente, per poi riprendere in tono più calmo. La sua solita veemenza ribolliva ancora sotto la superficie, ma quando parlò di nuovo non c'era più rabbia nella sua voce, ma quell'intensità ispirata con la quale era in grado di catturare l'attenzione di chi lo stava ad ascoltare.
- Affrontiamo un nemico che gioca con le nostre paure, e non vi mentirò negando che ci sia qualcosa di sinistro e innaturale nei metodi che usa contro di noi. Ma non glielo lascerò fare. -
Sollevò l'oggetto che aveva preso dalla cassa, la piccola clessidra vuota. La rimirò per un istante, poi la lasciò cadere sugli scogli come fosse spazzatura. La clessidra tintinnò sulle rocce, senza rompersi, ma un attimo dopo lo stivale del capitano si abbatté su di essa e la frantumò senza pietà sotto il tacco, riducendola a un mucchietto di pezzi di vetro.
- Alzate le nostre bandiere, compagni della Fratellanza. - annunciò, rialzando gli occhi sul cielo che andava annuvolandosi. - Anche io vorrei che potessimo farlo sotto presagi meno infausti. -

*


Prima di tornare al Palazzo, ci stavamo dirigendo verso i quartieri dove si erano radunati i rifugiati di Isla Muelle per informare tutti dell'azione imminente, quando ci accorgemmo di un certo trambusto accanto agli edifici delle lavanderie.
Io e Jack camminavamo alla testa del gruppetto, che comprendeva Faith ed Ettore, e Nathaniel che ci seguiva. Notando la confusione ci avvicinammo, cercando di capire che stesse succedendo. C'erano delle donne radunate attorno alla porta di una delle lavanderie, molte con le mani strette sulla bocca o che si facevano il segno della croce. Alcuni uomini entravano e uscivano, allontanandole dalla visione di qualcosa che doveva essere accaduto oltre la soglia.
A un tratto vidi uscire da quella porta Ben Hawk, pallido come un morto, gli occhi scavati e il passo incespicante. Avanzava accompagnato da un paio dei ragazzi della Sirena, e quando alzò lo sguardo e si accorse del nostro arrivo, la faccia gli si contorse in una smorfia che sembrava sia sollievo che terrore.
- Nathan!- singhiozzò, tendendo le braccia al fratello, ma le mani erano spalancate per intimargli di non avanzare. - Non guardare!-
Naturalmente aveva detto l'unica cosa che avrebbe portato suo fratello a precipitarsi all'interno. Vidi Nathaniel affrettare il passo, lottare contro gli altri due che tentarono di fermarlo mentre lanciava uno sguardo allibito a Ben che in tono sempre più concitato insisteva: - Nathan, no... è la mamma... non possiamo fare più niente... -
“No...”
Sentendomi in preda alla stessa frenesia che aveva colto Nathaniel mi feci avanti, e Jack non perse tempo a cercare di fermarmi ma affrettò il passo al mio fianco. Nathan si fece strada a forza, superò il fratello e spostò a gomitate chiunque altro gli intralciasse il passaggio, per poi spalancare il portone della lavanderia.
L'aria era carica di vapore denso. Subito non riuscii a vedere: c'erano i vasconi di rame, c'erano file e file di abiti stesi ad asciugare simili alle vele di decine di navi, e il vapore aleggiava come nebbia. Poi notai che un gruppo di uomini e donne si era radunato ai piedi di una delle vasche, e un uomo inginocchiato stava esaminando una figura stesa sul pavimento.
- Miss Hawk!- gridai, nel momento esatto in cui capivo che era assolutamente inutile.
L'urlo di Nathaniel fece eco al mio, mentre il ragazzo si precipitava al fianco della madre che giaceva esanime a terra. Il corpo della signora era contratto, le guance che ricordavo rubizze avevano assunto un colorito bluastro, e qualcuno doveva aver caritatevolmente chiuso la sua bocca, ma gli occhi restavano strabuzzati e fissi.
Sulla pelle abbondante del collo spiccava netto il segno del laccio che l'aveva strozzata.
Jack si bloccò, con la mano sul mio braccio per fermarmi. Mi bloccai, senza più sapere se volessi avanzare e inginocchiarmi accanto a quel cadavere freddo, o se piuttosto desiderassi ritrarmi il più possibile. Udii Jack imprecare lentamente a voce bassa, e quando mi voltai vidi che il suo sguardo era fisso su Nathaniel, con un'espressione carica di pena.
- Com'è successo? Qualcuno sa cos'è successo?- stava chiedendo Ettore a tutti i presenti, senza ottenere altro che balbettii mortificati che spiegavano come avessero trovato miss Hawk solo poco prima, mentre a quanto pareva non era mai tornata dal suo turno il lavanderia la sera precedente.
Nathan stava accanto al corpo della madre. Aveva smesso di cercare su di lei segni di vita, aveva compreso quanto fosse inutile. Stava solo inginocchiato, e tremava come se fosse sul punto di scagliarsi addosso a qualcuno.
Jack si fece avanti colmando la distanza fra loro in pochi passi. Prima che potessi impedirglielo prese Nathaniel per una spalla, tirandolo per farlo voltare verso di lui.
- Hawk. Vieni via da qui. -
Aveva parlato in tono stranamente pacato per lui, ma Nathan non poteva saperlo. Per un momento temetti di vederlo scoppiare quando si voltò per incrociare lo sguardo di Jack, e invece... qualcosa sul suo volto cambiò, lo vidi che tendeva le orecchie e, inaudito, prestava ascolto alla voce del capitano che gli parlava come se stesse calmando un animale arrabbiato.
- Dammi retta. Vieni via. - lo invitò ancora.
Forse Nathaniel udì quello che avevo sentito anch'io, una gravità estrema nelle sue parole, che vi si era insinuata dal momento in cui aveva tenuto tra le mani la veste da neonato imputridita con sopra il suo nome.
Il ragazzo annuì lentamente e si alzò, accettando la mano di Jack che lo aiutava a rimettersi in piedi.





Note dell'autrice:



Gentildonne e gentiluomini di fortuna, lettori che sono capitati qui solo perché questa storia è improvvisamente balzata in cima alle notifiche, e lettori che questa saga avevano cominciato a leggerla quando erano dei mozzi imberbi mentre ora hanno la barba bianca (sì, anche le gentildonne), le rughe, un arto in meno, una qualifica a Re della Fratellanza.

Salve. Io sono Laura, quella che per anni si è firmata Laura Sparrow qui su EFP, per poi scomparire a tempo indeterminato.

Sono qui per annunciarvi che la saga di Caribbean Tales è finita.

E non nel senso che è stata abbandonata: ho scritto tutti i capitoli conclusivi, e ora sono qui per darvi il finale di cui vi ho privati per tutto questo tempo.
Forse non ci ritroveremo tutti quanti: forse molti lettori avranno giustamente cambiato rotta, ma non mi dispiace pensare che anche fra un po' di tempo potrebbero capitare da queste parti e trovare questa storia aggiornata, quando ormai non ci speravano più. I vostri commenti, il vostro supporto e il vostro entusiasmo sono stati per me il più prezioso dei tesori.
Poi c'è stato qualcosa, anzi qualcuno, che mi ha ricordato che non ero la sola per la quale Caribbean Tales aveva ancora un significato.
Proprio per questo ho preso coraggio e ho finito questa storia.
Pubblicherò quindi un capitolo al giorno a partire da oggi, martedì 18 settembre, e vi spiegherò tutto nel dettaglio quando arriveremo all'epilogo. Sappiate che c'è una motivazione dietro al modo in cui questa storia è stata terminata. Noterete che i capitoli saranno scritti in modo un po' diverso dal solito ma, ve lo prometto, non intendo lasciarvi a bocca asciutta: vi darò un finale.
Si dia inizio alla conclusione.

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Capitolo 16
*** Capitolo 15 ***


Capitolo 15


- Perché mai qualcuno avrebbe dovuto farlo? Che motivo avevano?-
Il salone del consiglio non sembrava il posto migliore dove avere quella conversazione ma, d'altronde, nessun altro posto lo era, con il viavai dei pirati che si stavano preparando per l'attacco imminente.
Nathaniel sedeva su uno scranno che era stato usato da uno dei Pirati Nobili e fissava l'enorme tavolo davanti a sé senza vederlo. Ben era seduto al suo fianco e faceva altrettanto, anche se era stato lui ad avere la lucidità di porre la domanda a cui nessuno sapeva dare una risposta.
Dall'altra parte del tavolo, Jack si dondolava lentamente sulla sedia con aria greve.
- Nemici? Ladri? Uomini di Isla Muelle che potevano non vederla di buon occhio, o considerarla responsabile di ciò che è accaduto e di averli messi in pericolo?-
Nathaniel strinse i pugni sul tavolo e alzò lo sguardo.
- Oppure uomini della Baia dei Relitti che potevano avere qualcosa contro di lei perché vedono noi di Isla Muelle come ospiti indesiderati e portatori di guai?-
Il suo tono era stato aspro, ma Jack non sembrò cogliere alcuna accusa nelle sue parole, oppure rifiutò di farlo.
- Tutto è possibile, sfortunatamente. - rispose.
- Ma perché Miss Hawk? Non ha alcun senso! Per questi motivi avrebbero dovuto piuttosto cercare di uccidere noi! - scattai, senza riuscire a trattenermi. Il viso di Sylvie Hawk mi era sembrato irriconoscibile quando vi avevo posato sopra lo sguardo una volta sola, prima che Jack e gli altri convincessero anche me ad andare via. Il volto blu e la carne del collo martoriata dal laccio. Aveva sicuramente sofferto nei suoi ultimi istanti, e io...
Io non c'ero. Nathaniel non c'era, Ben non c'era, non c'era stato nessuno per lei quando aveva avuto bisogno di aiuto. Sentii arrivare le lacrime, e non sapevo neanche se sarebbe stato più dignitoso cercare di fermarle o piuttosto piangere per la donna che mi aveva soccorso nel momento peggiore della mia vita.
Jack posò la mano sulla mia e la strinse, sentii la freddezza familiare degli anelli contro la pelle.
- Tutto questo lascia supporre che, chiunque sia stato, potesse mirare a voi. - disse il capitano, osservando uno dopo l'altro i fratelli.
- Bene, e ci è riuscito!- la voce di Nathaniel era un ringhio di dolore. - Adesso vorrei davvero che uscisse allo scoperto a spiegare che cosa diavolo sperasse di ottenere, così potrò aprirgli un buco in fronte!-
- Qualunque cosa volesse ottenere, non poteva scegliere un momento migliore, perché adesso al Re dei Pirati non interessa minimamente fare luce su questa storia. - Jack fece una smorfia e accennò un gesto vago con le mani. - Almeno non fino a quando non avremo accantonato la questione del “mandiamo fuori la flotta e bombardiamo Balthazar”, che temo sarà all'ordine del giorno per un po'. Per me significa che nel migliore dei casi abbiamo qualche assassino scontento che vaga per l'Isola... nel peggiore, un sabotatore, comprendi? Per questo, posso soltanto chiedervi di tenere gli occhi aperti e mettere in allarme tutte le persone che considerate di fiducia finché non capiamo se si sia trattato di un caso isolato o di un qualche complotto... e noi faremo altrettanto. Mi dispiace davvero di non poter fare di più, per ora. -
- A me dispiace che non abbiate potuto fare qualcosa prima!-
La tregua apparente che sembrava essere stata stipulata fra Jack e Nathaniel doveva essere finita, a quanto vedevo. Dal canto suo, il mio capitano non sembrava più in vena di raccogliere le provocazioni del ragazzo o di stuzzicarlo: avevo visto troppo bene la sua espressione quando aveva convinto Nathan a staccarsi dal cadavere della madre. E quando Jack diventava serio, la cosa poteva essere perfino inquietante. Era come se si spegnesse una luce.
Jack lo fissò per un lungo istante.
- Anche a me. - raccolse il tricorno che aveva appoggiato sul tavolo e se lo rimise in testa con gesto solenne. - Il tempo è tiranno, signori. Per quanto il momento sia drammatico, la Fratellanza sta approntando la flotta, e fra poco ci sarà battaglia là fuori. Vi consiglio di considerare attentamente che cosa preferite fare, se unirvi alla ciurma o se restare qui e proteggere la vostra gente. -
- Non c'è nemmeno da chiederlo. - mormorò Ben. - Mi sembra chiaro che la gente di Isla Muelle sia in pericolo, dobbiamo rimanere e fare in modo di tenerli al sicuro!-
- L'unico modo di tenerli al sicuro è trovare il responsabile! Non c'è niente in questo momento che vorrei di più!- i pugni di Nathaniel tremavano sul ripiano del tavolo.
Le sue parole fecero scattare qualcosa nelle mia mente. Mi voltai verso Jack, tendendo la mano verso di lui.
- Jack, la bussola! Dammela. -
- Che?- lui mi squadrò, preso alla sprovvista, con un sopracciglio alzato. Senza aspettare che si decidesse ad arrivare alle mie stesse conclusioni, agguantai la bussola che ciondolava dalla sua cintura e cercai di sciogliere il cordino che la tratteneva. - Ehi, ehi, frena gli entusiasmi! Eccola... -
Jack liberò la bussola dal nodo e me la porse. Credo che avesse capito che cosa avevo in mente, perché mi osservò con attenzione e in silenzio mentre aprivo il coperchio smaltato e racchiudevo l'oggetto tra le mani, lasciando che l'ago cominciasse a vagare sul quadrante.
- A che cosa può servirci quella?- domandò Nathaniel, scrutandomi accigliato.
- Questa bussola non punta a nord. - Scambiai un'occhiata con Jack, quindi continuai. - Ma a chi la tiene in mano indicherà sempre la cosa che desidera di più al mondo. Perciò, se ciò che noi desideriamo è trovare il responsabile della morte di Miss Hawk... -
Ora i due fratelli sembravano vacillare tra la speranza e lo scetticismo totale. Ben osservò Jack e me, poi lo vidi scoccare un'occhiata furtiva a suo fratello con l'aria di chiedersi se fossimo impazziti tutti. Ma Nathaniel non ricambiò l'occhiata: invece si alzò in piedi e si protese sul tavolo per guardare il quadrante della bussola. Abbassai gli occhi anch'io, seguendo i movimenti dell'ago, ma una frazione di secondo più tardi lo vidi indicare insistentemente alla mia destra e lasciai andare il fiato con un sospiro.
- Ah... Con me non funziona. -
Jack sembrò allarmato e si chinò in avanti per vedere cosa fosse andato storto. - Perché?-
- Perché indica te. -
- Oh. - per un attimo non si sforzò neanche di mascherare la soddisfazione.
Gli occhi di Nathaniel si allargarono fino a mostrare il bianco. - Quindi significa che lui è il responsabile di ciò che è accaduto a mia madre?!-
- No. - replicò Jack in tono ovvio, fissandolo. Quando notò la consapevolezza farsi strada nell'espressione di Nathaniel, visto il momento delicato fu abbastanza comprensivo da non mostrarsi troppo compiaciuto.
Appoggiai la bussola sul tavolo, lasciando che l'ago tornasse a ruotare a vuoto quando allontanai le mani, e la spinsi verso il ragazzo.
- Nathaniel. -
Non ebbe bisogno di incoraggiamenti. Fissò la bussola per qualche secondo, poi vi avvicinò le dita con una cautela che mescolava diffidenza e reverenza. La tenne tra le mani come aveva visto fare a me, poi si corrucciò e la avvicinò al volto mentre scrutava i movimenti incomprensibili dell'ago. Ben gli stava accanto, e si chinò spalla a spalla con lui mentre insieme la osservavano.
Rimasero a guardarla molto più a lungo di quanto avevo fatto io. Da dove io e Jack eravamo seduti non potevamo vedere che cosa stesse indicando, se stava indicando qualcosa: nel silenzio si sentivano i ticchettii dell'ago che cambiava posizione, e pareva che ancora non si fosse deciso a fermarsi.
Per un attimo infinitesimale notai gli occhi di Nathaniel scattare dal quadrante della bussola a me, per poi distogliersi di scatto.
Nello stesso momento Ben ebbe un impeto di rabbia e afferrò le mani del fratello.
- Per Dio, Nathan, concentrati!- ringhiò, con una foga che non gli avevo mai sentito prima.
Per la prima volta, nel vedere quanto in fretta il suo sguardo era corso verso di me e poi era sfuggito, mi sentii realmente, profondamente dispiaciuta per lui. E realizzare che fosse proprio la prima volta in cui gli concedevo qualcosa di simile alla comprensione mi fece ancora più male, mentre sentivo il senso di colpa affondarmi nello stomaco e piantarsi lì come un'ancora.
I fratelli ritentarono, con le mani di entrambi strette attorno alla bussola come uno sul punto di affogare avrebbe stretto un relitto galleggiante. Quattro mani aggrovigliate l'una all'altra, e nel mezzo un quadrante che ruotava e ruotava. Attendemmo ancora qualche minuto, poi mi bastò osservare le loro espressioni sempre più sconfortate per capire che non stava funzionando.
- Non si ferma. - mormorò Nathaniel, sconsolato.
- Quell'oggetto è... capriccioso. - concesse Jack con un cenno del capo. - Non è sempre affidabile, e temo che usarla in due non lo faccia funzionare meglio... Ma, francamente, non credo che al momento ne caveremmo granché di utile, a meno che non vogliate camminare su e giù per tutta l'isola aspettando che prima o poi l'ago vi indichi esattamente la persona che state cercando. Ritenteremo, oppure troveremo un modo più efficace. -
Nathan mi restituì la bussola senza guardarmi.

*


- Non hai una guerra da iniziare?-
Gli occhi infossati di Teague si strinsero ancora di più, come se facesse fatica a mettere a fuoco la figura di suo figlio nella penombra della sala del consiglio.
- Sai bene quanto me che quando si dà fuoco ai cannoni, io metto la prua dalla parte opposta. Non ho proprio fretta di mettermi in mare. -
- Se hai intenzione di dartela a gambe, Jackie, sai da che parte è l'uscita. -
- Non ho intenzione di darmela a gambe!- Jack sembrò ferito. - Credi che pianterei tutti in asso?-
- Francamente... -
- Beh, no, vecchio mio, per tua informazione non lo farei. Specialmente considerato il fatto che ti lascio con lei. -
- Volevo arrivare a questo punto. Lei resta nel Palazzo, quindi. C'è qualcosa che vuoi chiedermi?-
- Certo. Vorrei che la tenessi al sicuro. Più precisamente, ci terrei molto che tu e lei vi guardaste le spalle a vicenda, eh? Che ne dici?-
- La terrò al sicuro, eppure mi pare che il pericolo sia là fuori in mare aperto, e non qui fra le mura del Palazzo... -
- Una donna di Isla Muelle è appena stata assassinata, e non si trova il responsabile. -
Lo sguardo di Teague si adombrò, e allo stesso tempo nelle profondità delle sue orbite rugose le iridi parvero accendersi come due tizzoni. - Ah. -
- Tienila lontana dai disordini, per favore. Tieni gli occhi aperti. Lei sa badare a se stessa, ma... ecco... il fatto è che c'è una questione che... -
- Non balbettare, Jackie, ti fa sembrare stupido. -
- La questione è che ci sono delle condizioni che in una situazione di pericolo... -
- E non prendere il discorso alla lontana, fa sembrare che tu ritenga me stupido. -
Jack alzò gli occhi al cielo con aria esasperata, sbuffò forte e poi tornò a guardare suo padre.
- È incinta. -
Il vecchio capitano non disse nulla. Continuò a fissare suo figlio senza dire nulla, e senza smettere di pulire meticolosamente la canna della pistola. Solo quando ebbe estratto lo scovolino ed ebbe appoggiato l'arma sul tavolo, lentamente le sue labbra incartapecorite si allungarono in un sorriso che gli tagliò la faccia da un orecchio all'altro.
- Smetti subito di guardarmi così. - sbottò Jack.
- Jackie. -
- Che cosa ti ho appena detto?!-
- Non posso essere felice per mio figlio?-
- Io... tu... puoi, ma... - Jack si fermò, congiunse le mani e chiuse gli occhi per un attimo come a chiedere una pausa e riavvolgere la matassa dei pensieri. - Baderai a lei?-
- Certo che lo farò, Jack. Sai che lo farò. -
- E bada anche a te stesso, vecchio. - il capitano abbozzò una pacca sulla spalla di suo padre, esitante, come se a metà del gesto non gli fosse più sembrata una buona idea ma fosse stato troppo tardi per rinunciare. Teague, dal canto suo, stava ancora sorridendo. Finalmente sorrise anche Jack. - Voglio ritrovarvi entrambi sani e salvi quando torno. -

*


Jack aveva sempre ritenuto di avere un “sesto senso da felino”. Qualcosa che, a detta sua, gli faceva arricciare i baffi quando le cose stavano per mettersi male, la stessa cosa che portava ad abbandonare la nave prima che affondasse.
“Sono i ratti, quelli.” lo aveva corretto una volta Gibbs quando gliene aveva parlato.
Sciocchezze. “Senso da felino” suonava molto più affascinante. E Jack lo aveva sempre sfruttato in svariati modi, quel senso da felino: sia quando comprendeva darsela a gambe il prima possibile quando una situazione minacciava di essere già non al punto di ebollizione, ma ben oltre e pronta a scoppiare, sia quando al contrario prevedeva di buttarcisi di testa e augurarsi che le cose si decidessero a girare a suo vantaggio.
Il suo senso da felino gli aveva mandato brividi lungo la schiena dal primo istante in cui aveva messo piede sulle sua nave e aveva preso il largo con la flotta della Fratellanza.
Sul mare c'era ancora foschia, ma tutti erano certi che la nave di Balthazar si sarebbe palesata da un momento all'altro. Se lo sentiva anche Jack, ma non era tutto qui: no, lui sospettava che ci fosse qualcosa di peggio, e che si trovasse proprio là fuori pronto ad aspettarli.
Mentre scrutava l'orizzonte dove la foschia andava poco a poco diradandosi, in qualche modo sentiva che il loro nemico non li stava certo aspettando da solo.
Forse l'obiezione di Gibbs riguardo ai ratti non era del tutto fuori luogo.
Perché in effetti aveva la sensazione che il gatto fosse ciò che li attendeva oltre il velo di nebbia, mentre il pizzicore che si sentiva addosso poteva in effetti essere il panico del roditore che lo udiva sfoderare gli artigli.

*


Un altro sorso di rum.
Sua madre non gli diceva mai nulla quando lo vedeva bere forte insieme ai ragazzi della Sirena, nemmeno se beveva tanto da vomitare. Li ritrovava sul portone all'alba, con lo stomaco rovesciato e la faccia verde, e sembrava quasi gongolare quando li spingeva via a colpi di ramazza dicendo che gli stava bene, e che così avrebbero imparato a non toccare il fondo.
Diverso era quando lo trovava a bere da solo. “Via quella bottiglia, Nathaniel Hawk.” faceva, strappandogliela di mano. “No, non mi importa nulla se sei adulto. Non si beve da soli, specie non quando si ha quella faccia.”
“E allora bevi con me, almeno, megera malefica.” aveva replicato pigramente Nathan un paio di volte. Sylvie aveva finto di arrabbiarsi, ma quella risposta finiva sempre per farla ridere, così si sedeva con lui e si faceva riempire il bicchiere fino all'orlo mentre gli chiedeva che cosa non andava.
Bere con la proprio vecchia madre era davvero una cosa da derelitti, aveva scherzato lui. Però ogni volta si era sentito meglio dopo i loro burberi ma affettuosi scambi di vedute.
Un altro sorso, più generoso e amaro.
Sylvie Hawk non era più lì per dirgli di non bere da solo. Mai più gli avrebbe fatto compagnia, né lo avrebbe assillato. Mai più gli avrebbe ricordato di non trascurare suo fratello, o di non correre dietro ciò che comunque non poteva avere.
Seduto con la schiena contro il muro di una casa, accanto al molo che avrebbe dovuto sorvegliare, Nathaniel trovò il fondo della bottiglia. Si lasciò scorrere sulla lingua le ultime gocce, deluso, e la riabbassò.
- Buonasera, giovane Hawk. -
Una voce dal buio, una voce non sconosciuta. Ugualmente, Nathaniel sbottò: - Chi c'è?-
Aveva già riconosciuto l'uomo che si avvicinava prima che arrivasse nel cono di luce della lanterna. Nathaniel gli rivolse una lunga occhiata da sotto le palpebre cascanti. Lo scrutò come se volesse accertarsi della solidità di quella figura emersa dall'oscurità che ora gli stava davanti, del cappotto blu acceso che forse era stato elegante prima di diventare logoro di fango e salsedine, della mano dalle dita nodose che stringeva nervosamente l'elsa della spada e dell'assurda cascata di riccioli che incorniciavano il volto spigoloso del capitano Lanthier. Si portò la bottiglia alle labbra solo per ricordarsi che era vuota.
- Che diavolo ci fate voi qui?- borbottò. - La battaglia è già finita?-
La voce di Lanthier emerse come un sussurro dalla nebbia bassa.
- La battaglia è in stallo già da ore, e la rimarrà. Non avete seguito gli aggiornamenti? Le navi si sono scontrate a largo dell'isola, ma poi Balthazar ha tentato di indurli a inseguirlo in mare aperto, dove attende un'intera flotta della Marina inglese. La Fratellanza ha ripiegato verso il Covo, dove sono protetti dalle batterie di cannoni sulla scogliera. Nessuna delle due parti si azzarda ad avanzare, e così siamo in stallo e lo rimarremo probabilmente per tutta la notte. -
- E allora perché voi non siete là fuori, sulla vostra nave?-
- Non ho mai lasciato la Baia. Non ero sulla mia nave, quando questa è salpata. -
La calma con cui il capitano pronunciò quelle parole fece intuire a Nathaniel che qualcosa non andava. Non andava affatto. Il ragazzo posò la bottiglia a terra.
- Perché?-
- Perché è nel mio interesse rimanere qui. -
Nathaniel fece un gesto verso la pistola, ma Lanthier fu più rapido di lui. Udì lo scatto del cane prima che le sue dita riuscissero anche solo ad avvicinarsi all'arma, e maledisse la sua stupidità. Aveva tenuto lo sguardo fisso sulla mano posata sulla spada, e non aveva minimamente pensato di controllare se il capitano non tenesse una pistola nell'altra.
- Fermo. Fermo. Non sono io il vostro nemico, quindi non diamo in escandescenze. - la voce del capitano si abbassò ancora di più. - Ascoltate. La Fratellanza mi considera già un pusillanime, perché quando la flotta è partita per attaccare Balthazar, il mio equipaggio aveva l'ordine di salpare e allontanarsi dallo scontro, rifugiandosi dall'altra parte dell'isola. Ai loro occhi ho già disertato. Ma l'ho fatto soltanto perché non ho nessuna intenzione di mandare i miei uomini a morire per una causa che ritengo persa. E dite che non avevo ragione! Non c'è un solo cacciatore di pirati, là fuori, c'è una flotta intera che lo spalleggia!-
Nathaniel buttò fuori il fiato con un sibilo.
- Lo so, capitano Lanthier. Ma che scelta avevamo?-
- C'era una scelta! Ce n'erano molte! Consegnare Sparrow era una scelta! Cercare un accordo era una scelta! Io avevo fiducia in Silehard, non in Sparrow. Ma la Fratellanza ha preso la sua decisione, e Dio solo sa quanto non siamo i benvenuti qui... -
- Quindi... - mormorò Nathaniel. - Potremmo liberare Silehard? Cercare un accordo?-
- Oh, mio povero ragazzo, e che cosa ci guadagneremmo a liberarlo? Silehard è finito! Senza più una ciurma, umiliato e incarcerato dai Pirati Nobili, non ha più un minimo di credito presso Balthazar. Ma noi invece potremmo risalire la scala, saltando l'intermediario. -
- Cosa... cosa intendete dire?-
Lanthier abbassò la pistola, scambiò uno sguardo con il ragazzo, la ripose nella cintura. Nathaniel si decise ad alzarsi in piedi, con cautela, perché la testa gli girava ancora. Tenne d'occhio il francese, ma non lo vide fare gesti minacciosi, quindi non tentò nuovamente di mettere mano alle sue armi.
- Le leggende della tua infanzia ti hanno deluso. - il tono di Lanthier era triste. - Ti capisco. Anche io sono venuto qui in cerca delle grandi leggende che potessero ergersi in difesa di tutta la stirpe dei pirati, e invece mi ritrovo con dei buffoni che si uccidono a vicenda e che trascinano con sé gli innocenti. Ci sto ripensando, signor Hawk. Sto davvero pensando da che parte conviene stare. -
- Non voglio tradire nessuno. - scattò Nathaniel. - Siamo già stati vittima di rappresaglie, e ora se ci mettiamo ad accoltellare alle spalle i Pirati Nobili... -
- Io non tradisco nessuno, perché nessuno si è meritato la mia fiducia. Intendo consegnare Sparrow. A Balthazar sarà indicata una via per entrare di nascosto al Palazzo dei Relitti, e a quel punto trovare una mediazione sarà l'unica alternativa a un inutile massacro. I Pirati Nobili lo sanno, e vedrai come cambieranno idea quando Balthazar sarà davanti a loro a chiedere nient'altro che la consegna di Sparrow. -
- Non ci credo. - Nathaniel rabbrividì. - Se entra nel Palazzo... non si accontenterà mai di un solo pirata. Non è possibile. Ci stai facendo ammazzare tutti. -
- No. Balthazar non ha bisogno di uccidere i Pirati Nobili. Lui ha i suoi modi per manipolarli, ricattarli e tenerli in pugno, e questo gli conviene molto più che ucciderli. Ne vuole morto soltanto uno. E... -
- E che cosa?-
- Il custode del Codice. Vuole parlare con lui. -
- Tu... - Nathaniel tentennò, si sentì vacillare, mentre un'altra idea si faceva strada nella sua mente. - Da quanto tempo sei in contatto con Balthazar?-
Un sorriso. Nient'altro che un sorriso a sciogliere appena i tratti affilati del francese, a conferma del tremendo sospetto.
- Da un po'. - rispose, in tono assolutamente tranquillo. - Non ti è sembrato che la Fratellanza si fosse riunita veramente in fretta? Avevo fatto in modo che si cantasse la canzone molto prima dell'attacco a Isla Muelle. Volevo radunare la Fratellanza, volevo che vedessero... quello che vedo io. Ma ora siamo qui. Non ti sto chiedendo il permesso di farlo, Hawk. Ti sto dicendo che questo piano è già in atto, perché proprio in queste ore la nave di Balthazar sta aggirando l'isola col favore delle tenebre e della nebbia. Attraccheranno da un momento all'altro, e io gli sto preparando la strada. -
- Come... -
- La ciurma di Silehard. Te l'ho detto che sono scontenti del loro ex capo. Hanno sete di sangue, e gli è stato negato. Hanno abbracciato immediatamente la mia causa. - il sorriso divenne simile a un solco profondo nella sua faccia. - Ora ti sto chiedendo se vuoi essere parte di questa sommossa, in modo che Balthazar non abbia motivo di pensare che la povera gente di Isla Muelle possa essere un problema. Fai la cosa giusta, Hawk. Ti ho coinvolto perché penso che la tua gente non meriti di pagare ulteriormente per le colpe della Fratellanza. -
Nathaniel lo fissò a bocca aperta, senza trovare le parole. Fissò l'uomo che stava davanti a lui, sorridente, disarmato, con le braccia spalancate come a rimettersi nelle sue mani. Lui aveva la pistola. Ce l'aveva a portata di mano, più di quella del capitano che l'aveva così fiduciosamente riposta alla cintura, sotto le falde cascanti del suo cappotto. Forse, se avesse colto l'occasione e fosse stato rapido, più rapido del francese, sarebbe riuscito a sparare per primo.
Eppure rimase di fronte a lui, allucinato, senza sapere minimamente che cosa fare.

*



Era evidente che nessuno di noi avrebbe dormito, e neppure avevamo intenzione di farlo. Teague si limitò a dirmi, una volta sola, che avrei fatto meglio a riposare, e quando io avevo risposto di no non aveva più sollevato la questione, ritenendo sufficiente avermi avvertita.
Le ore del giorno era trascorse scandite dagli aggiornamenti portati dalle guardie che, dalla costa, osservavano lo scontro delle navi, ed eravamo piombati nello sconforto quando eravamo venuti a sapere che non c'era stata una vera battaglia, ma che le navi avevano ripiegato nelle acque della baia, impiegate in uno stressante gioco del gatto col topo che sarebbe potuto andare avanti per giorni.
Teague aveva dato disposizioni perché la città dei Relitti fosse messa al sicuro. Avevo pattugliato le vie insieme al vecchio capitano, mi ero assicurata che i rifugiati della Sirena fossero alloggiati al meglio, avevo lasciato Nathaniel di guardia.
La notte sarebbe stata lunga. Teague era stato inflessibile sul fatto di chiuderci nel palazzo appena calato il buio, ma per fortuna avevo con me Faith. Ettore era a bordo della Perla, ma lei era rimasta con me.
Sedere insieme alla tavola della sala del consiglio dei pirati era rassicurante. Rendeva familiare anche un ambiente che ancora non lo era.
- Perché la clessidra?- si domandò Faith ad alta voce, mentre con le dita tracciava linee immaginarie sul tavolo segnato. - E se si riferisse a un patto? Qualcosa per cui il tempo sta scadendo, e si avvicina l'ora di saldare il conto?-
Mi strinsi nelle spalle. - Magari gli sta solo ricordando che sta invecchiando. Di cattivo gusto, magari, ma non mi sembra una minaccia. -
- Di cattivo gusto, forse, ma non per questo meno valida come minaccia. - ci raggiunse la voce roca e sonnolenta di Teague, accovacciato sul suo trono con la chitarra tra le braccia. Lui, lo strumento, la giacca e le piume flosce sul cappello facevano quasi un tutt'uno, trasformando il capitano in un mucchio informe. Vidi i suoi occhi baluginare da qualche parte nelle profondità sotto il copricapo. - Capitan Barbossa non è indifferente al peso degli anni. E a nessuno piace ricordare che il tempo è agli sgoccioli... o scaduto. -
- Ma questo potrebbe valere per chiunque. - puntualizzò Faith.
- Vero. Ma, a quanto pare, al capitano importa. La cosa veramente preoccupante è che il nemico sappia che gli importa. -
Mentre Ettore faceva di tutto per mostrarsi indifferente nei confronti di Barbossa, Faith riusciva solo a stento a sopportare quella farsa. Ero certa che loro due ne avessero parlato spesso. Ed ero certa che Ettore continuasse a non desiderare contatti con suo padre, e tanto meno desiderava che li avesse Faith.
E Faith lo aveva accontentato, ma era impossibile restare indifferente quando sapeva benissimo che ogni azione di Barbossa non passava inosservata al figlio.
Parlavamo e parlavamo, facevamo congetture. Non avevamo più parlato del dono recapitato a Jack: la vestina da neonato. Quella era una minaccia troppo chiara.
Era calata la notte da un pezzo quando la conversazione cominciò a languire, cedendo suo malgrado posto all'ansia.
Nonostante lo stato di allerta, la città dei Relitti non riusciva a rimanere silenziosa... o sobria. Chiacchiericcio, ordini gridati, suono delle baruffe di ubriachi arrivavano in modo incessante alle finestre del palazzo portate dall'aria della sera. Forse anche per questo ci accorgemmo tardi del fracasso che proveniva dai piani inferiori.
- Ma che cosa... - mi riscossi e mi voltai verso il portone.
Un tintinnio forsennato, e il suono raschiante di quattro zampe che grattavano le assi annunciarono il custode delle chiavi. Il cane dal pelo arruffato si precipitò di corsa dentro la stanza, con le chiavi legate al collare che scampanellavano furiosamente, e uggiolando si ficcò sotto al tavolo.
Teague fu in piedi in un secondo.
- Voi due, seguitemi di sopra. -
- Perché proprio ai piani superiori? Resteremo in trappola, se siamo sotto assedio!- protestò Faith, tastando la propria pistola.
- Questi vengono dall'interno. - senza altre spiegazioni, il capitano ci precedette e noi lo seguimmo di corsa.
Una scala a chiocciola ci portò al piano superiore. Ci trovammo in una sorta di torretta ricavata da quella che un tempo doveva essere stata la tolda di una nave: la stanza era quadrata, vuota, eccetto che per un oggetto enorme posto al centro e coperto con la stoffa pesante di una vela che ricadeva fino a terra. Qualunque cosa fosse, arrivava quasi a toccare le due pareti opposte.
- Restate qui dietro. Se qualcuno dovesse entrare da quella porta... - Teague mi porse quella che era inequivocabilmente una miccia da cannone. - Tu fai fuoco, capito?-
- “Fai fuoco”?!- ripetei, anche se non c'era proprio nulla di fraintendibile in ciò che mi stava dicendo, e ora anche nella forma che cominciavo a riconoscere sotto la pesante stoffa da vela.
- Esatto. - il capitano mi passò la miccia, e con un cenno di congedo che aveva qualcosa di terribilmente definitivo ci voltò le spalle e sparì attraverso la soglia. Non correva. Continuai a udire l'eco dei suoi passi lenti e misurati anche mentre vi si aggiungeva lo scatto della pistola e il sibilo della lama che veniva estratta dal fodero.
Col cuore in gola mi voltai e con l'aiuto di Faith tolsi la copertura, rivelando ciò che c'era sotto.
- Oh, merda. -

*



Non ci eravamo fatte illusioni riguardo al fatto che i nemici sarebbero entrati, malgrado Teague. Li sentimmo arrivare, accompagnati dalle urla, il clangore delle spade e dai passi di corsa sempre più vicini.
Gli uomini fecero irruzione dalla porta come uno stormo di diavoli. Faith era in posizione, inginocchiata nell'angolo della stanza, e con un colpo di pistola preciso falciò il primo che varcò la soglia.
Perfino davanti a quella masnada inferocita, forse avrei avuto ancora troppo buonsenso e non avrei usato la mia ultima arma... se la voce di Teague non avesse gridato forte e chiaro, da qualche parte nel dedalo di corridoi: - Fuoco, adesso! FUOCO!-
Mi abbassai al fianco del gigantesco cannone piantato nel mezzo della stanza, con la bocca diretta verso la porta, e accesi la miccia.
Ebbi una fugace visione della faccia di uno dei pirati che stava in testa, con gli occhi spalancati fino a mostrare il bianco, e l'espressione feroce che si trasformava in orrore puro nel momento in cui realizzava che cosa diavolo Teague si tenesse nel suo bastione come arma d'emergenza.
Il cannone detonò con un boato che mi colpì come un pugno sui timpani, per quanto avessi fatto appena in tempo a coprirmi le orecchie mentre mi gettavo a terra. Faith si rattrappì nel suo angolo, con le braccia incrociate sopra il capo. Le corde a cui era assicurato il colosso si tesero come fruste quando il cannone schizzò all'indietro, spinto dal rinculo, e per miracolo tennero quasi tutte, eccetto una che si strappò dal gancio che la tratteneva alla parete.
La soglia della stanza esplose in un inferno di fumo e legno che andava in frantumi. Le urla orribili e il suono di corpi che impattavano a velocità spaventosa furono abbastanza per suggerirmi che avrei fatto meglio a non guardare. Ma naturalmente dovevo farlo.
Mi alzai, con le orecchie che fischiavano. Mi sembrava che il fischio avesse annullato qualsiasi altro suono, e per qualche momento fu difficile anche solo camminare dritta. Dall'altra parte della stanza Faith si rialzò in piedi tossendo: ci scambiammo uno sguardo allucinato, in preda allo stesso stordimento, ma ci bastò a confermarci a vicenda che stavamo bene.
Non c'era traccia degli uomini che avevano dato l'assalto al Palazzo... almeno non in prossimità della bocca ancora fumante del cannone. Ma c'erano spruzzi di sangue mescolati al legno polverizzato, e mi bastò dare uno sguardo poco avanti nel corridoio per distinguere le sagome dei corpo che l'esplosione aveva spazzato via. Alcuni si muovevano ancora.
Cominciai a udire gemiti e grida salire da quel che era rimasto, nel cunicolo fumante scavato dal colpo di cannone. Mi sembrò di intravedere in fondo uno squarcio di cielo nero: il foro che la palla di cannone aveva aperto nelle mura del Palazzo per precipitare nella Baia.
- Teague!- gridai, senza riuscire a sentire la mia stessa voce se non dopo un paio di tentativi. - Teague!-
Qualcosa emerse quasi arrancando da un lato del corridoio, e si avvicinò, nient'altro che una figura indistinta in mezzo al fumo che si diradava.
Strinsi la pistola prima di riconoscerlo come il vecchio capitano, illeso, con la spada ancora in pugno.
- Questo... - dovette fare una pausa per tossire, con la pelle incartapecorita del volto coperta di fuliggine. -...dovrebbe comprarci tempo sufficiente per metterci al sicuro. -
Tese la mano verso di noi, invitandoci a seguirlo. Stavo facendo un passo avanti, quando mi accorsi di un movimento nel corridoio alle sue spalle. Non era qualcuno che arrancava sul pavimento. Era una figura in piedi, e si stava avvicinando.
Avevo ancora l'arma in mano, quindi allungai rapida il braccio oltre la spalla del capitano, tenendo sotto tiro l'ingresso della stanza. L'uomo che si stava avvicinando oltrepassò la soglia proprio in quell'istante.
La luce rivelò il volto teso di Nathaniel, che ci fissava tutti e tre a occhi sgranati, preceduto dalla bocca luccicante di una pistola per ogni mano.
- Nathaniel!- esclamai, e abbassai la pistola sentendomi travolgere da un'ondata di sollievo. Alle mie spalle udii il sospiro di sollievo di Faith. Teague si rilassò e distolse lo sguardo dal ragazzo, per guardare oltre lui.
Nathaniel ne approfittò.
Non aveva mai abbassato le armi, e il suo braccio era fermo mentre prendeva la mira e sparava un colpo dritto nella gamba sinistra di Teague.
Il vecchio Sparrow andò giù senza un lamento, solo con un'imprecazione di sorpresa e l'espressione allibita mentre la gamba sanguinante si piegava sotto il suo peso. Io ero stata sul punto di dire a Nathaniel di radunare le forze per far fronte contro l'insurrezione, e le parole mi si strozzarono in gola nel momento in cui vidi il capitano crollare sul pavimento.
- Giù la pistola. - disse Nathaniel, con la seconda arma ancora puntata verso Teague. - Laura, ti avverto, mettete giù le armi tutte e due o stavolta gli sparo in testa. -
Sapevo che avrei dovuto fare come mi diceva e mollare la pistola. Le mie dita non volevano saperne di staccarsi dal cane.
- Che cosa diavolo stai facendo, Nathaniel?- sibilai, mentre sentivo il sangue defluire dalle guance lasciandomi una crescente sensazione di stordimento.
- Pistola e spada. Mettile giù. Muoviti!-
Quando gridò l'ultima parola sobbalzai, il sussulto mi fece stringere l'arma ancor più forte, e a quel gesto anche il braccio di Nathaniel cominciò a tremolare in modo quasi impercettibile.
- Laura, perdio, non farmelo ripetere!-
Lasciai cadere la pistola. Lentamente sfilai anche la spada dal fodero e la appoggiai a terra, ai piedi del ragazzo.
- Ecco. Ecco fatto, sono disarmata... Adesso vuoi dirmi perché stai facendo questo?-
Lui aveva smesso di tenere d'occhio me, e ora stava guardando insistentemente Faith. La mia amica non aveva aperto bocca, ma lo sguardo che gli stava restituendo avrebbe potuto ucciderlo seduta stante. Il suo viso era coperto di fuliggine, i capelli neri sfuggivano dalla treccia e si attorcigliavano come serpenti, e i suoi occhi sembravano bianchi ed enormi mentre lo fissavano non con paura, ma con rabbia: la rabbia fredda di chi cominciava a capire di trovarsi davanti un traditore. Esitò con la pistola in mano. Io e lei sapevamo che era scarica, ma... Lentamente, Faith posò l'arma a terra e la spinse sul pavimento in direzione del ragazzo, lontana dalla nostra portata.
I miei occhi scattavano febbrilmente da lui a Teague. Il vecchio Sparrow riuscì a tirarsi su dal pavimento e a mettersi in ginocchio, per quanto il proiettile nella gamba dovesse fargli male da morire. Vidi il buco nella stoffa dei pantaloni all'altezza della coscia, zuppa di sangue. Il capitano sembrava colto di sorpresa quanto me, ma lo sguardo che scambiò con me parve intimarmi cautela.
Nathaniel fece un cenno verso di lui.
- La spada, capitano Teague. -
- Te la stai prendendo con le persone sbagliate, ragazzo. - replicò Teague, anche se obbedì e spinse la spada lontana da sé mentre parlava. - Noi siamo quelli che stanno cercando di proteggere te e la tua gente. -
- Bel lavoro che avete fatto!- scattò Nathaniel. Potevo vedere le vene pulsare sulle sue tempie. I lineamenti del suo viso erano quasi deformati, da quanto erano contratti per la tensione.
Ero così concentrata su di lui che mi accorsi solo con qualche istante di ritardo che non eravamo più soli. Nonostante il massacro causato dal colpo di cannone, alcuni sopravvissuti si erano trascinati in piedi e stavano entrando nella sala: buona parte si reggeva ancora sulle gambe, qualcuno era illeso, a parte tagli sanguinanti lasciati dalle schegge di legno. Quelli che erano stati presi in pieno non si sarebbero più rialzati, mentre gli altri... di loro restava poco che potesse rialzarsi.
L'atmosfera cominciò subito a surriscaldarsi mentre i pirati sopravvissuti squadravano me, Faith e Teague con odio. Udii i loro ringhi e le loro bestemmie mentre realizzavano che cosa fosse accaduto.
- State indietro. - intimò seccamente Nathaniel, mentre si metteva tra noi e loro, pur continuando a tenere noi sotto tiro. - Questi ci servono. -
Gli uomini si sparpagliarono per la sala, accerchiandoci. Mi accostai a Teague, cercando di capire se Nathaniel mi avrebbe permesso di aiutarlo ad alzarsi, quando una figura familiare si fece strada attraverso l'ingresso divelto. Lanthier camminava tronfio come un gallo nel pollaio, ignorando il fatto di stare letteralmente scavalcando i resti degli uomini che gli avevano aperto la strada.
Il giovane Hawk si voltò verso di lui di scatto. Dallo sguardo che gli rivolse non avrei saputo dire se fosse adirato con lui o sollevato di vederlo. Forse entrambi.
- Perché ci avete messo tanto?-
Il francese roteò i polsi per sgranchire le mani, tese le dita in un gesto voluttuoso.
- Avevo una faccenda di cui occuparmi, ma vedo che hai gestito la situazione in modo impeccabile... Beh... diciamo “quasi” impeccabile. Molto bene, Hawk!- disse, arricciando il labbro in un risolino soddisfatto. - Voi tre, alzatevi. Abbiamo un appuntamento importante e non possiamo perdercelo. -

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Capitolo 17
*** Capitolo 16 ***


Capitolo 16




Teague non poteva camminare.
Due dei pirati più grossi si erano messi al suo fianco e lo avevano preso per le braccia, trasportandolo di peso. Era evidente che non lo stavano certo facendo per cortesia, quanto per fretta. Il vecchio capitano non diede loro la soddisfazione di sentirlo lamentarsi, ma per ripicca si aggrappò e lasciò che si sobbarcassero il compito di trascinarsi a spalla tutto il suo peso. Il sangue inzuppava la stoffa dei pantaloni sulla gamba ferita, e lo stivale cominciava a lasciare goccioline di sangue nella nostra scia.
- Perché lo state facendo?- sibilai, rivolta alla nuca di Nathaniel e di Lanthier che ci precedevano di un passo. - Come eviterete di farci ammazzare tutti quanti, adesso?-
- Siete sempre stato dalla parte di Balthazar, non è vero?- domandò Faith in tono asciutto, mentre i pirati alle nostre spalle ci tenevano le braccia incrociate dietro la schiena.
- Mi pare inutile continuare a discutere di come stanno le cose, specie considerando che io sono quello che vi sta conducendo alla migliore soluzione possibile. - Lanthier fece un sospiro plateale. - Anche se potete non credermi, vi trovate in una posizione piuttosto sicura, mes dames, e monsieur custode del Codice. Nessuno ha interesse a farvi del male. -
- Per ora. - sbottai.
Ci avevano portati ai piani sotterranei che, nel palazzo dei Relitti, corrispondevano alle cantine. Quella parte doveva essere più antica della struttura composta con gli scheletri di navi che negli anni erano stati assemblati l'uno sopra l'altro, sempre più in alto, sempre più lontano dal terreno fino a dimenticare su che cosa posasse l'intero palazzo. Le fondamenta erano di roccia viva, che molto tempo prima qualcuno aveva scavato costruendo stanze e gallerie. La roccia era coperta di goccioline d'acqua salata, e faceva freddo.
Non c'era da stupirsi che quei gelidi sotterranei fossero stati convertiti in magazzini, e sapevo che la gran quantità di barili e di casse stipate di cibo che costellavano il nostro cammino frettoloso era solo una parte delle riserve che il palazzo dei Relitti aveva a disposizione. Era un fortino preparato per sostenere un assedio. Ma pareva proprio che gli stessi sotterranei che ne custodivano il sostentamento si fossero trasformati nella falla che lo avrebbe fatto affondare.
Lanthier ci precedeva con rapidità sospetta, e lo spiraglio di luce che vidi alla fine del corridoio che stavamo attraversando confermò il mio timore. Esistevano gallerie che davano all'esterno. Lanthier doveva averne individuata una e l'aveva aperta per gli uomini di Balthazar che erano piombati su di noi.
C'erano altri pirati che ci aspettavano oltre il portone in legno massiccio, alla luce di un'unica lanterna. Quando fui spinta oltre la soglia sobbalzai. La fine del corridoio si spalancava direttamente nella scogliera: sopra le nostre teste si innalzava una parete di roccia nuda, la cima della scogliera era troppo in alto per scorgerla. Sotto di noi, gli scogli digradavano in mare, fino a immergersi negli spruzzi delle onde che si infrangevano con violenza. Anche se il livello del mare era ancora parecchio sotto di noi, sentii il salato della spuma sulla faccia. Sembrava esserci un sentiero per capre da qualche parte fra le rocce, un passaggio che forse ci avrebbe evitato di scivolare e precipitare sulle rocce aguzze che ci aspettavano là sotto.
Puntai gli occhi sulla linea dell'orizzonte: una linea di demarcazione quasi inesistente fra il blu scuro del cielo e il nero pece del mare. Non sapevo neanche su quale versante dell'isola ci trovassimo. Il colpo di cannone che aveva sfondato la torre del palazzo dei Relitti non era sicuramente passato inosservato, neppure dalle navi della Fratellanza che dovevano trovarsi sparse per la Baia. E non ci saremmo potuti muovere al buio, non su quel sentiero: la nostra unica speranza era che qualcuno dalle navi avvistasse le luci sulla scogliera, facesse due più due e si accorgesse di che cosa stava succedendo.
Gli scagnozzi al seguito di Lanthier non scesero con noi giù per il sentiero. Rimasero a presidiare l'entrata del passaggio segreto, lasciandoci con Nathaniel e il capitano in testa al gruppo, gli uomini che trattenevano me e Faith, e i due che sostenevano Teague.
Camminai con i polsi stretti nella morsa del pirata alle mie spalle. Mentre misuravo il sentiero scosceso un passo alla volta, davanti a me Nathaniel si voltò per un momento, controllando che stessimo al passo.
- Nathaniel, lo sai anche tu che è una follia. - sibilai.
Vidi le sue labbra stringersi in quell'espressione di granito.
- A te non succederà niente. Ti scambieremo con Sparrow. So che lui accetterà. -
- E Faith? Che cosa avete intenzione di farne di lei?-
Lui tentennò, quindi proseguì in tono incerto. - Scambieremo anche lei... Restituiremo tutti gli ostaggi in cambio di Sparrow. -
- Come no, e anche Teague? Sono sicura che distribuirete ostaggi come briciole di pane. -
- Silenzio!- ci intimò Lanthier, e proseguimmo la discesa degli scogli senza poterci dire altro.
C'era una bassa spiaggia in un'insenatura nascosta fra le rocce. Le scialuppe avevano attraccato non viste, e giacevano incolonnate sulla riva come gusci vuoti di molluschi giganti. Un drappello di persone ci stava aspettando nell'oscurità: ne vidi i volti solo quando ci avvicinammo abbastanza da rischiarare la spiaggia con la luce di un'unica lanterna.
Lui lo riconobbi subito.
Era l'unico che stava seduto con lo sguardo verso il mare, appoggiato contro una grossa roccia piatta, mentre il resto del suo seguito stava sull'attenti e sorvegliava l'area. Era uno di quegli uomini così alti da stare curvi. Ci vide arrivare e non si alzò, ma rimase a guardarci col capo piegato nella nostra direzione e il mento poggiato sulle mani intrecciate.
Lanthier e Nathaniel si fermarono a pochi passi da lui sulla sabbia, consapevoli di essere sotto gli occhi di almeno una decina di guardie. Vedevo solo la schiena del giovane Hawk, ma anche senza guardarlo in faccia indovinai quanto fosse nervoso: spostava continuamente il peso da una gamba all'altra, e notai la sua nuca coperta di sudore.
Il capitano Lanthier ebbe molte meno esitazioni e fece un profondo inchino.
- Balthazar. -
- Finalmente. -
La voce del cacciatore di pirati era profonda e aspra, mi sembrò di riconoscere un vago accento brasiliano. Si alzò in piedi e si degnò di venirci incontro. La pelle del viso e delle mani era scura, il cranio era completamente rasato fino al cuoio capelluto, sul quale spiccavano due vecchie cicatrici. Si erse davanti a noi, superandoci tutti di diverse spanne.
- Mi hai portato quello che ti ho chiesto?-
Lanthier sembrò illuminarsi e sfoderò un sorriso. - Certamente, monsieur. Ho il custode del Codice. -
A un suo cenno, i pirati portarono avanti Teague. Lo sguardo di Balthazar si posò su di lui per qualche istante.
- Ti avevo chiesto di consegnarmelo incolume, Lanthier. - replicò, con una sfumatura minacciosa nella voce, quindi si rivolse al vecchio Sparrow e parve perfino ingentilire appena il tono. - Mi scuso per questa sofferenza non necessaria, custode. -
- Sono certo che le scuse faranno smettere di sanguinare la mia gamba. - ribatté Teague.
Balthazar non rispose, ma richiamò alcuni dei suoi con un gesto. Il capitano fu portato avanti e messo a sedere sulla roccia dove poco prima stava seduto lui: uno degli uomini lo controllò rapidamente, poi li vidi affaccendarsi lì attorno, fino a che non ebbero passato una corsa attorno alla coscia del ferito. Tirarono per legarla stretta: udii Teague che si faceva sfuggire uno sbuffo di dolore, ma poi tornò a sedere dritto, pallido in volto.
I due si squadrarono in silenzio. Dall'espressione dell'anziano pirata era ovvio che Balthazar non avrebbe avuto da lui un ringraziamento, ma di certo il capitano non se la aspettava.
- Si dice che il custode del Codice sia immortale. - fece Balthazar.
- Già, l'ho sentito dire. -
- E che cosa ha da dire il custode del Codice al riguardo?-
Teague sembrò pensarci sopra, poi fece un cenno del capo.
- Non è la verità. -
- Buono a sapersi. - Balthazar distolse l'attenzione da lui, quindi si avvicinò al resto di noi che eravamo rimaste ad aspettare, coi piedi piantati nella sabbia e le braccia bloccate. - Non crediate che me la stia prendendo comoda. Questo è un momento importante e voglio dedicarvi l'attenzione che merita... Speravo naturalmente di avere l'occasione di vederci faccia a faccia almeno una volta, Mrs Sparrow. - si fermò di fronte a me, scrutandomi dall'alto della sua statura. - Temo che voi non abbiate altra colpa se non quello di essere la moglie del pirata sbagliato... oltre che una fuorilegge, naturalmente. - un sorriso di scherno biancheggiò fra le labbra scure.
- Ha parlato un fulgido esempio di legalità. - sbottai. Dovevo reclinare il capo all'indietro per riuscire a guardarlo negli occhi: come un ridicolo topolino che stava per finire sotto gli zoccoli da un cavallo da tiro.
- Io mi sono conquistato il lusso di scegliermi gli alleati. Potete dire altrettanto? Ma vedo che abbiamo qui un altro matrimonio sfortunato. - si spostò verso Faith. - Sposata col figlio del leggendario capitan Barbossa. Sono quei legami a cui nessuno presta attenzione, che pochi considerano, o ritengono degni di conoscere... Eppure, guarda un po', nessuno si ferma mai a pensare quanto possano rivelarsi preziosi. -
- Non ho nessun legame con Barbossa. - ringhiò Faith, ma udii la paura nascosta sotto la sua voce.
Anche a me mancò il fiato per un attimo. Come faceva a saperlo? Potevano essere dettagli insignificanti, ma proprio per questo lui non poteva conoscerli. Neppure Ettore lo aveva saputo, fino a poco tempo prima.
Le nostre espressioni dovevano essere uno specchio fin troppo chiaro dei nostri pensieri. Balthazar sembrò godersi la nostra confusione, perché il suo sorriso si allargò. Non era minaccioso. Non era di derisione. Peggio, pareva quasi comprensivo, come se la ragione del nostro turbamento fosse per lui davvero evidente.
Si chinò, piegandosi su di me, e abbassò la voce.
- So che ti stai chiedendo che cosa significa il regalo che ho mandato al tuo capitano. Come ho fatto a saperlo. -
Rabbrividii, con l'istinto di ritrarmi, ma con l'uomo alle mie spalle che mi impediva di fare anche solo un passo. Balthazar se ne accorse e annuì, quasi come se stesse ragionando fra sé.
- Si è trattato di un mero sfoggio di abilità, lo ammetto, ma ci tenevo a recapitare a ciascuno dei Pirati Nobili qualcosa di... personale. Certi segreti sono facili da carpire, è sufficiente usare i normali mezzi. Altri sono più profondi, sono affidati al vento e al mare. E allora non devo fare altro che fare un'offerta al Mare, e chiedere che in cambio mi sussurri un segreto, qualcosa che io possa usare contro la persona a cui sto dando la caccia. -
Le sue parole mi fecero sentire come se fosse cambiato il vento e avesse cominciato a soffiare una brezza fredda e infida. Sentii quel gelo prendermi lo stomaco e congelarsi lì, mentre capivo che non erano parole prive di senso. Anzi. Per la prima volta capii esattamente che cosa intendesse dire, e ciò che stava insinuando. Ciò che aveva voluto dire Silehard chiuso nella sua prigione. Ciò che tutti avremmo dovuto intuire molto prima.
- Tu... stai facendo patti con Calypso, vecchio pazzo?!-
La strega che lavorava per Silehard aveva puntato esattamente alla stessa fonte di potere. Silehard stesso era arrivato a un soffio dall'impadronirsene.
Balthazar sorrise alle mie parole, un sorriso tranquillo, quasi comprensivo. I suoi occhi si allargarono come pozzi neri.
- La Dea piange. - sussurrò, riducendo la voce a poco più di un soffio. - Si sente sola. Se solo voi... tutti voi... voleste aiutarmi, noi potremmo ridarle forza, riportarla agli antichi splendori e godere del suo favore. - si voltò verso Teague, come a interrogarlo con lo sguardo. - Lo facevano gli uomini dei tempi antichi, per quale motivo non dovremmo fare altrettanto? Che cos'è una divinità quando non le vengono offerti tributi?-
- Una divinità che fa pochi danni. - replicò il capitano in tono ruvido.
Il commento parve divertirlo. Anzi, vidi le sue spalle sussultare davvero in una piccola risata mentre guardava Teague e scuoteva il capo.
- Ma io non desidero affatto che faccia pochi danni. -
C'era qualcuno alle spalle di Balthazar.
Scossi la testa, strizzai gli occhi, perché quel che mi era sembrato di vedere era poco più che un'ombra, e fui convinta di essermela immaginata. Quando li riaprii la vidi di nuovo, tanto che mi chiesi come avessi potuto non notarla fino a quel momento.
Non udivo più lo sciabordio della risacca. Era come se i suoni fossero spariti, i movimenti delle persone che mi stavano intorno erano più lenti. Mi sentivo la testa ovattata come se fossi sott'acqua, e perfino i miei pensieri venivano a galla così lentamente che faticavo anche solo a chiedermi che stesse succedendo.
Una figura stava accanto a Balthazar, e gli cinse la vita con le braccia con gesto languido. Era molto più bassa di lui, quindi vidi solo la testa e una spalla nuda fare capolino da dietro la sua schiena mentre lo abbracciava.
Una donna. L'oscurità su di lei pareva concentrarsi e trasformarsi in una macchia di pece, tanto che riuscivo solo a indovinarne i tratti, ma non a vederli davvero. La sua pelle era ancora più scura di quella di lui. Solo i suoi occhi catturavano appena la luce, in un viso innaturalmente tenebroso, e i puntini di luce delle sue pupille sembravano fiammelle.
Lei mi guardò e mi sentii rabbrividire.
Mi accorsi di sentire veramente qualcosa di gelido contro la pelle, e solo dopo un istante mi accorsi che si trattava del mio ciondolo. La perla, sotto i vestiti, premeva sulla pelle nuda del mio sterno, e di colpo si era fatta fredda come un pezzo di ghiaccio.
Le labbra della donna si mossero. La voce sembrò arrivare con un attimo di ritardo, quasi non provenisse davvero da lei.
- Così freddo è il letto della regina. -
Il suono della sua voce mi scivolò dentro le orecchie come gocce d'acqua gelata. Dovetti trattenermi per non sussultare, e allo stesso tempo non riuscivo a staccare lo sguardo da lei. Ero paralizzata.
- L'alcova è un gelido abisso, le coperte sono alghe. Chi mai avrebbe l'ardire di accostarlesi? E così, quando un uomo è così folle o così audace da affrontare la furia degli abissi pur di raggiungermi... -
La mano risalì il petto di Balthazar in una carezza e scivolò sul mento.
- ...la sua audacia non mi è affatto sgradita. -
- Calypso. -
Un'altra voce si aggiunse, strappandomi per un istante allo stato stuporoso nel quale mi trovavo. Mi costrinsi a distogliere gli occhi dall'ombra, anche se temevo che se lo avessi fatto quella sarebbe scomparsa, e riuscii a voltarmi verso Teague.
Anche lui stava guardando la donna. Anche lui la fissava come se non vedesse altro che lei.
- Dea del mare, ascoltate quello che state dicendo. State lasciando che quest'uomo vi inganni. Lui non ha rispetto di voi, non onora voi, ma vuole soltanto ingabbiare il potere degli oceani. -
Un sibilo sorse dalla gola della donna, un suono che evocava serpenti marini, mostri senza nome emersi da un abisso nero. Il ciondolo contro il mio petto era così freddo da farmi male, sentivo i brividi scorrermi per tutto il corpo.
- Come fece la Fratellanza già una volta?- rispose lei, in tono velenoso.
Teague continuava a guardarla. - Ciò che fece la Fratellanza è imperdonabile. Ma quest'uomo cerca di fare di peggio, e il suo amore per voi è sicuramente meno sincero di quello di D... -
- Non dire quel nome!- la voce della donna divenne un grido: strida di gabbiani, strepito di immense creature morenti, l'esplosione di un fulmine che annunciava la tempesta. - Te lo proibisco!-
- … Con chi sta parlando?-
Chi era stato a bisbigliare quelle parole, accanto a me? Esisteva ancora qualcuno che non fossero Calypso, Balthazar e Teague? A fatica riuscii a realizzare che si trattava di Faith: la mia amica era al mio fianco, e colsi la sua occhiata confusa in direzione del vecchio Sparrow.
Lei non la vedeva. Lei non vedeva Calypso, e neppure l'aveva udita.
Lei, insieme a tutti gli altri.
Cercavo di parlare, ed era come se avessi la gola piena d'acqua: non riuscii a emettere un suono. Balthazar fece un cenno sprezzante per tutta risposta alle parole di Teague.
- State dicendo che non onoro la mia signora? Oh, vi dimostrerò quanto vi sbagliate... -
Battei le palpebre. Calypso era scomparsa.
Tornai bruscamente a sentire la temperatura, il sapore salato che si appiccicava alle labbra portato dalla brezza di mare, il rumore delle onde, e fu come ricominciare a respirare dopo una lunga apnea.
- Ci sarà tempo per parlare di questo. - Balthazar liquidò la questione con un gesto della mano. - Ora voglio parlare con voi, capitan Teague Sparrow. Lanthier! Voi siete responsabile dei prigionieri: prendete una scialuppa e portateli alla mia nave. -
Sembrava più che consapevole dello spettacolo che ci aveva appena offerto, anche se era stato solo per gli occhi miei e di Teague.
Mi guardai attorno, sentendo ancora il sudore freddo sulla pelle. La perla era tornata a essere una presenza discreta appesa al mio ciondolo, per niente gelida. Nessun altro, né Faith, né Nathaniel, neppure Lanthier sembrava avere visto ciò che avevo appena visto io.
Due pirati ci scortarono fino a una delle scialuppe tirare in secca, e ci spinsero ai posti di manovra. Solo noi e i remi a bordo. Nessun altro diede segno di volersi imbarcare, e Lanthier se ne accorse perché alzò gli occhi con fare incerto.
- Mi servirebbe un poco di supporto. -
- Io ho bisogno dei miei uomini, Lanthier, e voi avete già fatto massacrare la metà di quelli che avevate racimolato tra la ciurma di Silehard. Fatevi bastare le braccia che avete, e mettete ai remi loro. - fece un sorriso sgradevole verso di me. - Meglio che mettiate ai remi il giovane Hawk. Non è il caso di affaticare la signora, non è vero?-
Che Lanthier sapesse o meno di che cosa Balthazar stesse parlando, non replicò e fece come gli era stato ordinato. Io sedetti a prua mentre lui restava in piedi a poppa, Faith e Nathaniel si misero ai remi. Potei soltanto restare a guardare la spiaggia che si allontanava e poi scompariva dietro il profilo degli scogli, e con essa anche Teague, mentre la scialuppa si muoveva attraverso la baia nascosta e cominciava ad aggirare le rocce affioranti.

*



Il mare sciabordava sotto di noi.
Da dove stavo seduta potevo guardare in faccia Lanthier: ci fissammo negli occhi con disprezzo, immersi nel buio, capaci di distinguere solo chi ci era immediatamente accanto. Avevamo con noi una lanterna cieca, ma era oscurata. Il cielo sopra le nostre teste era limpido, ma sulla superficie del mare aleggiava una nebbiolina infida che trasformava il buio in una massa indistinta.
- Da quanto tempo lo stavate architettando?- scattai, quando attorno a noi non ci fu altro che la notte, le onde e la foschia.
- Questo non ha importanza. -
- Da quanto? Quando vi siete presentato alla Sirena la prima volta pensavate già a come avreste radunato i pirati della Fratellanza e poi li avreste venduti?- incrociai gli occhi di Nathaniel che stava chino sul remo. - Credevo che almeno tu rispettassi la Fratellanza, Nathaniel. Credevo che avessi fiducia. -
- La Fratellanza? Un branco di pazzi indisciplinati e disperati quanto noi, niente di più. - c'era dolore nelle parole del ragazzo e nell'occhiata sperduta che mi rivolse. - E lo sai anche tu. -
- E allora? Sono comunque tutto ciò che abbiamo. Sono pirati disposti a collaborare piuttosto che uccidersi. -
Lui scosse il capo come per allontanare le mie parole. - Non è vero. Lo capirai quando daremo loro l'opportunità di salvarsi consegnando Jack... Si dimostreranno per quelli che sono in realtà. -
- Scommetto che lo speri, vero?!- esplosi, scattando in avanti per afferrare l'asta del remo che stringeva fra le mani e costringerlo a guardarmi. - Cristo, Nathan! Perché? Perché dovevi arrivare a tanto?!-
- Indietro. - intimò Lanthier, con la mano sulla pistola. Lui e Nathaniel si erano presi anche le nostre quando le avevamo abbandonate sul pavimento al momento di arrenderci.
Indietreggiai e tornai a sedermi. A un tratto Faith affondò il remo nell'acqua e non lo rialzò. L'imbarcazione beccheggiò, mentre la spinta di un solo remo rischiava di farla girare in tondo.
Lanthier sbuffò e rimise mano all'arma.
- Riprendete a remare, subito. -
- Che cosa ti ha detto, Nathaniel Hawk?- domandò Faith, lentamente, ignorando il capitano. - Che cosa ti ha detto per corromperti? -
- Remate. -
- Sylvie è stata uccisa, e subito dopo lui è venuto a convincerti che tutti noi eravamo un branco di cani coi quali non si poteva trattare, e che ti conveniva passare dalla parte di Balthazar?-
- Io... -
- Cristo, Nathaniel, e non hai fatto nemmeno due più due? L'ha uccisa lui!-
Il ragazzo guardò Faith con aria di disgusto, come se si stesse chiedendo se davvero si aspettava che lui ci cascasse così facilmente. Poi sembrò accorgersi dell'odio nella voce di lei, dello sguardo che teneva piantato su Lanthier: uno sguardo che non bluffava, e sicuramente non stava lanciando accuse prive di fondamento.
Ci ritrovammo tutti a fissare il francese, con la consapevolezza che scese su di noi come una mazzata.
Lanthier ricambiava. Scrutò, preoccupato, Nathaniel immerso in un silenzio mortale, con le mani immobili che stringevano il remo.
- Questo non è affatto vero. - protestò il capitano, in tono accorato. - Nathaniel. Io non ho ucciso tua madre. Queste serpi direbbero qualsiasi cosa pur riportarti dalla loro parte, e lo sai. -
- Hai strangolato Sylvie Hawk. - la mia stessa voce sembrò arrivare da un posto molto lontano, come se non la sentissi davvero uscire dalla mia bocca.
- Lanthier. - Nathan aveva due pistole alla cintura. Lo vidi posare una mano sul calcio di una di esse mentre la voce gli ritornava e fissava con volto livido il pirata. - Giuratemi che non lo avete fatto. Giuratelo, e farete meglio a essere convincente... -
- Perché minacci me, ragazzo? Perché non dovresti credermi? Guardati, pronto per tornare ad essere un burattino nelle sue mani!- scattò Lanthier, puntando su di me un dito accusatore. - Ti lascerai manovrare così? Sei ridicolo. Lei sa che le basta un minimo cenno per farti tornare ai suoi piedi. Ti mente, Nathaniel, come ti mentono tutte le donne quando sanno di poterti manipolare... -
- Non lo farei mai. - ringhiai, e il mio sguardo incontrò di nuovo quello del ragazzo. - E non l'ho mai fatto. Sai che sto dicendo la verità. E, se sono mai stata degna della tua fiducia, sai anche che ho ragione quando dico che Lanthier era l'unico ad avere qualcosa da guadagnare assassinando Sylvie. -
Prima ancora che avessi finito di parlare, Faith si alzò in piedi. Era vicinissima al capitano, avrebbe potuto agguantarlo solo allungando le braccia. Il suo movimento brusco fece dondolare la scialuppa, ma Lanthier si tenne con una mano al legno e la fulminò con lo sguardo, irrigidendo il braccio armato che puntava contro di noi.
Lentamente si alzò in piedi a sua volta, fronteggiando la ragazza, e sollevò la pistola all'altezza della sua fronte.
- Non fate sciocchezze, stupida. - sibilò il francese, con l'arma spianata a un palmo dalla faccia di lei.
Faith lasciò andare il fiato molto lentamente, e nei suoi occhi scuri brillò un lampo.
- Sapete che è la mia pistola quella che mi state puntando contro?-
Si gettò avanti a testa bassa.
- FAITH!- gridai.
Fu rapida, molto rapida. Nello stesso istante vidi lei che si lanciava e il dito di Lanthier che premeva il grilletto... solo per ottenere uno scatto a vuoto.
La ragazza gli piombò addosso, lo colpì con una testata dritta sullo sterno che gli tolse il fiato. Il capitano cadde all'indietro con gli occhi strabuzzati, annaspò, le sue gambe urtarono il legno, e prima che potesse reagire stava già precipitando oltre la fiancata. Forse sarebbe riuscito a trascinare con sé anche Faith, se... se Nathaniel non avesse acchiappato la ragazza per un braccio e l'avesse tirata di slancio sul fondo della barca, strappandola alle mani di Lanthier.
Il francese scomparve con uno spruzzo. Privata così bruscamente di un peso, la barca sobbalzò e rollò pericolosamente. Mi ressi con entrambe le mani, schiena a terra, alla scialuppa che danzava come un cavallo recalcitrante, poi appena la sentii abbastanza stabile mi buttai avanti e afferrai Nathaniel per le braccia, separandolo dalla mia amica. Mi accorsi solo in quel momento che non ce n'era bisogno: il ragazzo alzò le mani in segno di resa, proprio mentre Faith si rialzava con un'esclamazione di trionfo.
- Colpitelo con un remo! Non fatelo risalire!- aggiunse, mentre carponi sul fondo della barca cercava di riprendere uno dei remi che sbatacchiavano liberi.
- Stai bene?-
La mia amica mi fece un cenno d'assenso, troppo occupata a riprendere il controllo della scialuppa, e fu allora che io mi voltai verso Nathaniel.
- Questo sarebbe un buon momento per decidere da che parte stare. -
Io e il ragazzo ci guardammo negli occhi per un lungo istante, quindi lui abbassò lentamente le mani mentre mi ricambiava con un'espressione smarrita.
- Non sapevo che avesse ucciso lui mia madre... -
- Ma potevi arrivarci, Cristo... - sibilò Faith. Scosse il capo, soffiò via dalla faccia una ciocca di capelli madidi di sale. - Reagisco male sotto pressione, d'accordo? Ora, se concordiamo tutti sul fatto di stare dalla stessa parte, faremmo meglio a trovare il modo di dare l'allarme. -
- Dobbiamo tornare alla spiaggia. - replicai. - Non lascio Teague a Balthazar. -
- Teague sa cavarsela. -
- È già tanto se non lo hanno lasciato a dissanguarsi sulla spiaggia! E non abbiamo idea di dove sia la Perla, o una qualsiasi delle altre navi! Quante armi abbiamo?-
Una rapida ricerca confermò che potevamo contare solo su Nathaniel: aveva la mia e le sue, delle quali una scarica. Ma aveva con sé delle munizioni.
- Tre pistole. D'accordo, ce la siamo cavata con meno... -
- Ferme!-
Nathaniel saltò su talmente all'improvviso che temetti avesse cambiato di nuovo bandiera. Ma lo vidi portarsi frettolosamente l'indice alle labbra e indicare l'orizzonte, mentre la sua voce si riduceva a un sibilo.
- Sono navi, quelle?-
Soltanto le stelle sopra di noi ci permettevano di vedere. La lanterna cieca era ancora chiusa, perché qualsiasi luce ci avrebbe resi un bersaglio mobile per ogni nave nascosta nell'ombra. La nebbia era ancora bassa, e forse si sarebbe infittita mano a mano che prendevamo il largo.
Ma il ragazzo stava indicando un punto non lontano, dove alcune figure scure sembravano staccarsi dall'oscurità informe. Non riconobbi polene, alberi o vele. Poteva essere solo un'impressione, ma...
- Se fosse la nave di Balthazar?- sussurrò Faith.
- Credo che siamo troppo vicini alla costa, a meno che non si sia avvicinata col favore della nebbia... Potrebbe essere la Fratellanza. - azzardai.
- Se non sanno chi siamo, potrebbero attaccarci anche se fossero i Pirati Nobili. - ci ricordò Nathaniel, nervosamente.
Io afferrai la lanterna cieca.
- Tentiamo. -
Alzai la lanterna sopra la testa, feci scivolare lo sportellino, e la luce gialla della candela baluginò tra l'oscurità e la nebbia. Lo richiusi per un breve intervallo. Lo riaprii. Un secondo di attesa e lo chiusi di nuovo. Non avendo bandiere, non potevo fare altro che segnalare il messaggio “seguitemi” con il codice luminoso.
Sudavo freddo. Mi aspettavo da un momento all'altro che da qualche parte nella nebbia partisse la deflagrazione di un cannone che ci avrebbe spazzati via insieme al nostro guscio di noce.
Poi a un tratto un'altra luce brillò nell'oscurità. Una seconda lanterna cieca rispondeva al mio segnale, alta abbastanza da provenire dalla tolda di una nave.
In quel momento sperai con tutto il cuore che fosse la Perla. Fu più di una speranza: sentii in cuor mio che si trattava della Perla, che Jack non era più distante delle poche decine di braccia di mare che ci separavano, che forse c'era proprio lui dietro la luce di segnalazione. Pensai tutto questo e gli rivolsi un appello muto: “Per favore, fai presto.”
- Ci seguono! Andiamo, svelti!-
Faith mi prese per un polso.
- Se quella è la Perla, lo sai che dovremmo andare loro incontro e tornare a bordo. Tu devi salire a bordo. -
- Lo so. Ma non posso, non ora. -
Per questo aspettavo che arrivassero le scialuppe, che ci raggiungessero, invece di voltare immediatamente la prua dall'altra parte per andare da Teague. Sapevo che la sopravvivenza del padre di Jack poteva essere appesa a un filo. Avere fretta poteva far precipitare le cose... Non averne abbastanza, anche. Ma se dovevamo irrompere sulla scena, meglio farlo con una ciurma armata invece di presentarsi con nient'altro che tre pistole e la nostra buona volontà.
In quei minuti preziosi, mentre sospesi nella nebbiolina notturna attendevamo che qualcuno, chiunque, rispondesse alla nostra richiesta d'aiuto, per l'unica volta dall'inizio di quella notte frenetica mi fermai e ascoltai. Ascoltai quello che c'era nel mio ventre, sperando e allo stesso tempo temendo di sentire qualcosa.
“Per favore. Per favore, ci sto provando a salvare tutti. Ci sto provando davvero.”
E, senza bisogno di risposte plateali, mi sentii all'istante sollevata per semplice fatto che lo sentivo. Lui era lì con me, ed era vivo.
E non avrei permesso neppure a Calypso in persona di mettersi in mezzo.
- Ehi voi, della barca!-
Giuro, per un attimo credetti di essermelo immaginato. Ero sprofondata così tanto nei miei pensieri da avere le allucinazioni?
- … Jack?- mi sporsi dalla scialuppa, strizzando le palpebre per distinguere le ombre di alcune barche in avvicinamento. - Jack!-
Le imbarcazioni di salvataggio si avvicinavano, almeno cinque, e tutte con un equipaggio di uomini armati. Non riuscivo ancora a vedere le loro facce. Su quella che le precedeva tutte vidi sollevarsi una testa, e poco a poco, fra la foschia e l'oscurità, la luce della mia lanterna illuminò una bandana rossa.
Arrestammo la nostra scialuppa, e quella su cui stava Jack ci si accostò finché le fiancate non cozzarono l'una contro l'altra. Jack decise di peggiorare la situazione alzandosi in piedi e scavalcando il parapetto, neanche si trovasse a fare un semplice gradino invece che a cavallo di due barche sussultanti in mezzo alle onde. La manovra provocò un coro di proteste da parte nostra, che ci ritrovammo su un'imbarcazione ora pericolosamente sbilanciata che rischiava di impennarsi.
- Ehi, fermo!-
- No, no, no, che fai?!-
- Aspetta, aspetta, non così!-
Com'era ovvio, Jack neanche badò a noi o al fatto che ci fossi tutti buttati precipitosamente verso prua per contrastare lo sbilanciamento della scialuppa.
- Ma che diavolo...?! State tutti bene?- fece scorrere su di noi uno sguardo allucinato, poi si accorse di Nathaniel, tornò indietro, e la sua voce si fece molto, molto meno amichevole. - Tu che cosa...?! Ragazzo, non so che cosa stia succedendo, ma sappi che stai camminando su una lastra di ghiaccio fottutamente sottile... -
Appena riuscii a rimettermi dritta, mi sporsi verso di lui e lo presi per una spalla. - Non c'è tempo, ora. Dell'ammutinamento parleremo dopo. -
- Del che?!- Jack si fece paonazzo, e per un istante la sua testa scattò da me a Nathaniel. Me lo indicò e, in tono perfettamente serio, mi chiese: - Vuoi che lo butti in mare? Negheranno tutti di avermi visto farlo, all'occorrenza. -
- Lo avrei fatto io se ce ne fosse stato bisogno... Ma no, grazie. -
Gli strinsi il polso sotto la stoffa ruvida della sua giaccia. Dopo un momento lo sentii ricambiare la stretta.
- Jack, Balthazar si trova sulla spiaggia a poca distanza da qui. Dobbiamo mobilitare tutta la ciurma e dobbiamo sbrigarci se vogliamo salvare tuo padre. -

*



Al contrario di suo figlio, il capitano Teague era un uomo silenzioso.
Stava in silenzio durante i raduni della Fratellanza ai quali aveva assistito in prima persona -erano tre su cinque, all'ultimo conteggio- perché i Pirati Nobili erano sempre così rumorosi, mentre a lui era sufficiente un'occhiata storta per ammutolire una sala intera. Qualche volta anche un colpo di proiettile a chi non aveva mai imparato cosa fosse il rispetto, né avrebbe più avuto l'occasione di impararlo. Tutte cose che, a parer suo, avevano sempre ottenuto molti più risultati delle chiacchiere.
Anche quel Balthazar era un uomo silenzioso. Lo aveva intuito appena lo aveva visto. Naturalmente non era tipo da disdegnare un buon discorso auto celebrativo: nessun pirata lo era, quando si trovava in una posizione di potere. E lui era decisamente in posizione di potere.
Era anche molto vicino a ottenere qualcosa a cui teneva particolarmente: Teague lo capiva dall'impazienza nascosta sotto la sua calma.
Era un uomo con un obiettivo. Peggio, stava pregustando qualcosa.
Lo scambio di vedute tra di loro avrebbe potuto finire per assomigliare a un dialogo tra due monoliti, con nessuno dei due ansioso di aprir bocca per primo... se, poco dopo che la barca di Lanthier si fu allontanata nell'oscurità della baia, Balthazar non si fosse fatto portare i bambini.
L'anziano custode del Codice aggrottò le sopracciglia.
Arrivarono dallo stesso sentiero da cui avevano fatto scendere loro. Camminavano in fila, scortati dai pirati, ragazzetti che non potevano avere più di dieci anni.
Il silenzio fu pesante perfino per Teague mentre i bambini venivano radunati davanti a loro sulla spiaggia, un gruppetto di visi spaventati che non si azzardavano a piangere. Sapeva che erano i bambini della Sirena. Monelli di strada arrivati da Isla Muelle, i protetti della famiglia Hawk. Poteva sembrare che Teague non prestasse molta attenzione alle persone in generale, invece aveva memorizzato con cura i volti delle persone che erano arrivate in cerca di asilo all'Isola dei Relitti: per questo sapere esattamente da dove arrivasse quel gruppo di ragazzini lo fece rabbrividire.
Aveva prestato attenzione anche alle domande che Balthazar gli rivolgeva, anche se non dava segno di volergli rispondere.
- Come fece il primo consiglio?- insisté l'uomo. - Come la imprigionarono?-
Infine Teague si voltò verso di lui, forse perché non gli era piaciuto il modo in cui l'attenzione di Balthazar era stata attirata dall'arrivo dei bambini.
- Perché? Non pensavo fosse nel vostro interesse catturarla di nuovo. -
Il brasiliano sembrò divertito nel sentire la sua risposta, e scosse il capo con aria di sufficienza.
- Non ne ho bisogno. -
- E allora ne deduco che vogliate saperlo per impedire che qualcuno possa farlo. -
- Potreste smettere di fare deduzioni, e rispondere. -
I bambini avevano iniziato a mormorare: piano, per non farsi sentire dagli uomini armati che li circondavano e impedivano loro di fare anche solo un passo.
- Potrei farlo se voi lasciate liberi questi bambini. Non vi servono. -
- Mai mi sarei aspettato di essere io a insegnare qualcosa a voi, Custode. -
Un grido lacerante proveniente dal mare li interruppe.
Balthazar e Teague si voltarono all'unisono, i pirati di guardia spianarono pistole e fucili. I mormorii dei ragazzini della Sirena si trasformarono in strilli di paura, duramente zittiti dagli uomini.
Una figura annaspante si trascinò sul bagnasciuga, strappandosi a forza dall'acqua. Coi vestiti e i capelli grondanti, quella specie di spaventapasseri zuppo caracollò sulla spiaggia, con le braccia alzate, e fu solo per la voce stridula che riuscirono a riconoscerlo in fretta come il capitano Lanthier.
- Sono Lanthier! Sono io!- strepitò, tossendo, mentre saltellava nella loro direzione. - Capitano! Tradimento! Stanno arrivando! La ciurma di Sparrow sta arrivando!-
Nonostante l'allarme, qualcuno fra i pirati che puntavano i fucili verso il mare non riuscì a trattenere una risata nel vedere le condizioni del povero francese. Poi le risate si moltiplicarono, contagiose. Infine lo stesso Balthazar gettò all'indietro il capo e si lasciò andare a una sonora sghignazzata. Senza muoversi dalle loro postazioni e senza abbassare le armi cariche, l'intero drappello si fece una grassa risata alle spese di Lanthier, che se ne stava come un gallo spennato impalato sul bagnasciuga, sputando acqua.
Balthazar smise di ridere, e neanche un secondo dopo raggiunse il capitano e lo agguantò per il bavero della giacca. Quasi lo sollevò da terra.
- Ti sei fatto sbattere a mollo come un ratto, francese?- ringhiò, per poi spingerlo via come se non pesasse più di una palla di stracci bagnati.
Tutti i suoi uomini erano schierati sulla spiaggia, le armi non si erano mosse di un centimetro e puntavano tutte verso il mare. Balthazar rimase ritto sul bagnasciuga, come se invitasse i nemici in arrivo a emergere dall'ombra e raggiungerlo.
- Nulla cambierà quello che è iniziato oggi. -
Fece due passi indietro, rapido come un felino. Teague cercò di alzarsi in piedi, ma da una parte la gamba lo tradì con una fitta di dolore atroce, dall'altra i pirati attorno a lui lo trattennero e lo schiacciarono a terra. La gamba gli faceva male da morire.
Balthazar afferrò per il braccio uno dei bambini, lo trascinò fuori dal gruppo come un pesce estratto dalla rete, e lo spinse sulla sabbia, fra sé e la striscia di mare scuro che lambiva la spiaggia.

*



Loro erano preparati. Lo eravamo anche noi.
Mi ero fatta dare una spada: qualunque cosa ci attendesse sulla spiaggia non avevo intenzione di andarci disarmata. Avendo udito il clamore man mano che ci avvicinavamo alla baia nascosta, non fui sorpresa di trovare la spiaggia piena di uomini schierati che puntavano i loro fucili verso il mare. Ma anche i nostri fucilieri avevano preso posizione sulle scialuppe, difendendo i rematori che ci conducevano a tutta velocità verso la terraferma.
Quello a cui non ero preparata era il gruppo di bambini alle spalle dei pirati.
Sentii il cuore fare una capriola nel petto. Erano i ragazzini della Sirena? Che cosa ci facevano lì? La mia confusione aumentò quando vidi che i pirati di Balthazar non li avevano schierati davanti a loro, per usarli come scudi umani come temevo: anzi, al nostro arrivo li spinsero lontano, nascondendoli dietro le rocce.
La vista non contribuì affatto a farmi sentire meglio. Sapevo riconoscere qualcuno che si stava conservando un carico prezioso per dopo.
E a Balthazar non servivano tutti quanti: gli bastava quello che teneva prigioniero tra le mani, mentre ci affrontava a viso aperto.
Io e Jack ci abbassammo quando partì la prima raffica.
Balthazar rimase sulla spiaggia, come se per lui il fischio delle pallottole non significasse niente. Teneva ancora il bambino di fronte a sé, sicuramente sapendo che anche quello lo rendeva un bersaglio molto meno facile.
Ma a colpirmi fu la sua voce, che si levò nella pausa fra una raffica di fucilate e la successiva: fu così potente che risuonò alta anche al di sopra degli spari.
- Calypso!- ruggì, rivolto al mare. - Il tuo servo non teme la morte, e viene a te senza paura!-
Non aveva senso che potesse stare nel bel mezzo della spiaggia. Non aveva senso che perfino i suoi uomini si spostassero per ripararsi dietro gli scogli per ricaricare le armi, e lui invece potesse restare lì senza che nessuno lo colpisse.
Non ci separavano che pochi metri, potevamo guardarlo in faccia. Avanzo, con l'acqua che gli lambiva gli stivali. Il bambino era immerso fino ai polpacci, e cercava di divincolarsi.
Il cacciatore di pirati aveva un coltello nell'altra mano.
- Sparategli!- gridai. - Qualcuno lo colpisca!-
L'uomo sollevò bruscamente il braccio del bambino, scoprendone la pelle nuda, e con gesto secco aprì un taglio sulla carne facendone sgorgare un fiotto di sangue. Il ragazzino si mise a gridare.
Nathaniel si buttò contro il parapetto della scialuppa e fece fuoco con una foga carica di disperazione. Nonostante lo slancio il suo braccio era saldo, lo vidi, come lo vidi prendere bene la mira, eppure ancora una volta nessuna pallottola colpì Balthazar.
- Sono qui a deporre il mio cuore davanti a te. Ti adorerò come eri adorata un tempo, non con preghiere e scongiuri, ma con la forza che solo una vita umana può dare. -
L'uomo agguantò il bambino per la nuca, e ci fu un orribile istante sospeso in cui capii che cosa avrebbe fatto. Spinse la testa del ragazzino sott'acqua e ce la tenne a forza, mentre quello si dimenava come un'anguilla presa nella rete.
- Per te verso il sangue di questo bambino. - tuonò, torreggiando sopra la piccola vittima sussultante. - Lo consegno al tuo freddo abbraccio per suggellare la nostra unione. E altri cento te ne offrirò, se tu mi concederai i tuoi doni, e nel sangue il nostro patto sarà confermato!-
Nathaniel ricaricò la pistola con gesti febbrili, come se le mani fossero separate dalla sua mente. La chiglia della scialuppa stava ormai per grattare il fondale quando, con un urlo, il ragazzo si alzò in piedi e saltò fuori bordo. Affondò in acqua fino alla vita, tenendo alta l'arma per non bagnare le polveri, la sua ultima risorsa. Dal lato opposto dell'imbarcazione io feci altrettanto, saltando nell'acqua gelida.
A neanche un metro dalla riva, dalla salvezza, le braccia e le gambe del bambino mulinavano, sollevando un turbine di schizzi che a malapena arrivavano a bagnare la faccia di Balthazar. Il volto del capitano era una maschera contratta mentre assisteva alla lotta della sua vittima sacrificale: non stava facendo alcuno sforzo per annegarlo, la sua era tutta pura esaltazione.
- Tue siano le loro vite!- gridò. - E mio sia il mare!-
Sparai, e lo mancai. Come avevo potuto mancarlo? Era un metro e novanta di uomo, un bersaglio fermo, e nonostante lo scontro che infuriava attorno a noi ce lo avevo a pochi metri.
Poi Nathan si fece avanti, correndo quanto poteva correre un uomo con l'acqua alle ginocchia, il cane della pistola scattò.
Qualcosa colpì Balthazar alla spalla abbastanza forte da fargli perdere la presa. Cadde all'indietro come se avesse preso una martellata, finì di schiena nell'acqua bassa e con un grugnito si strinse la spalla sanguinante. Il bambino galleggiava a pelo d'acqua, la faccia immersa e gli arti molli come alghe nella corrente.
Nathaniel neanche guardò Balthazar, se non per accertarsi che non si stesse rialzando. Si gettò in ginocchio, rivoltò il bambino esanime e lo sollevò tra le braccia. Il taglio sul braccio pallido ancora stillava sangue.
Corsi verso di loro. Vidi Balthazar guardare la propria mano rossa del sangue che colava dalla ferita alla spalla, vidi l'espressione estatica allargarsi sul suo viso, cancellando il dolore. Come se il tempo di fermasse lo vidi portarsi la mano aperta alle labbra.
Con autentico fervore baciò il proprio palmo insanguinato. Vidi le sue labbra imbrattate sussurrare le parole – Grazie, mia signora. - poi tuffò la mano lasciando che l'acqua salata la lavasse, non come se fosse un gesto casuale ma come se avesse compiuto qualcosa di molto più definitivo.
La ciurma della Perla aveva conquistato la spiaggia, e ora i due opposti schieramenti si stavano affrontando a pistole e sciabole.
Sperai di potergli piombare addosso, ma tre dei suoi pirati mi precedettero: fecero scudo al loro comandante e uno di loro accorse al suo fianco per farlo rialzare e allontanarlo di lì, sollevandolo di peso. La ferita alla spalla doveva essere più seria di quanto avessi pensato: colsi un'ultima visione di lui si teneva stretta la spalla, con la stoffa della giacca che si impregnava e diventava più scura a vista d'occhio.
Lo portavano via da lì. Vedendolo correre via tra gli scogli mi chiesi troppo tardi se non avessero una seconda via di fuga, probabilmente altre scialuppe ormeggiate in altri punti nascosti della baia che noi non avevamo individuato. Sembrava così, perché non furono i soli a cominciare ad abbandonare la spiaggia per correre via per sentieri segreti fra gli scogli, come se qualcuno avesse dato un ordine.
Altri si battevano attorno alle barche. Neanche gli uomini di Balthazar avevano perso tempo: ora che li avevamo scovati erano in minoranza, e alcuni tra loro avevano ribaltato e messo in acqua alcune scialuppe mentre noi arrivavamo. Era in corso una lotta senza quartiere per impedire loro di recuperarle e fuggire, e non avrei saputo dire chi stesse vincendo.
I bambini della Sirena. Non li vedevo più da nessuna parte.
Rimettere piede sulla terraferma fu un sollievo solo per un secondo, poi mi ritrovai immediatamente ostacolata dalla sabbia morbida che si sfaldava sotto gli stivali proprio quando avevo bisogno di correre.
Non vedevo più neanche Teague.
Udii due spari assordanti, e il corpo di un uomo letteralmente volò davanti al mio naso, crollando a terra con il petto sfondato. Alzai gli occhi, allibita. Dietro una roccia piatta, la stessa su cui era seduto Balthazar quando lo avevo visto arrivando, Teague reggeva due pistole fumanti, e un gruppo di ragazzini gli stava al fianco per tenerlo in piedi. Dietro di lui si erano radunati tutti i bambini della Sirena: i più piccoli si erano buttati a terra, cercando di ripararsi in un mucchio tremante, ma erano illesi.
Attorno a Teague giacevano i cadaveri di almeno cinque pirati di Balthazar. Il capitano mi fece un cenno brusco come a dirmi “tutto sotto controllo”.
Decisi che non era il luogo né il momento per farsi domande.
Lo scontro stava ancora infuriando, ma cominciavo a capire che ci eravamo fatti sfuggire Balthazar. Cerca Jack nel marasma senza trovarlo. Cercavo Faith.
Lei la trovai accanto a Nathaniel. Erano inginocchiati sulla sabbia, sopra al corpo del bambino che Balthazar aveva... Cominciai a sentirmi mancare le forze mentre mi avvicinavo, disperando di vedere un segno di vita. Il ragazzino era immobile, buttato sulla spiaggia come un relitto: il suo braccino magro era imbrattato di sangue, e gocce colavano sulla sabbia umida che subito se le beveva.
Faith gli aprì le mascelle e soffiò a forza l'aria dentro quei polmoni vuoti. Una volta, due, tre quattro. Il bambino non respirava, ma lei non si fermava.
Poi lui fu squassato da un colpo di tosse, si contorse, e infine si piegò in due sputando una gran boccata di acqua salata. Strizzò le palpebre sugli occhi sgranati, sconvolto di essere vivo.
Nathaniel lo prese tra le braccia e lo strinse furiosamente. Vidi le lacrime che gli rigavano il viso.
In quel momento qualcuno corse verso di noi come una furia, e per un istante mi illusi che fosse Jack... Fui disillusa quando quel qualcuno arrivò alle spalle di Faith che, senza fiato, stava ancora inginocchiata sulla sabbia e la strattonò all'indietro. Una lama premette sulla sua gola.
- Tutti fermi, o la sgozzo!- strepitò Lanthier.
Il capitano pareva uno straccio bagnato: i lunghi capelli incrostati di sale gli si appiccicavano alla faccia smunta, ma i suoi occhi spiritati bruciavano di un odio pericolosamente simile alla pazzia. Tenne ben stretta Faith, minacciando me e Nathaniel col filo della spada che puntava contro il suo collo.
- Ora, signora Sparrow, ordinerete immediatamente la resa. -
- Ma sta scherzando, spero!- soffiò Faith come un gatto arrabbiato, cercando di liberarsi dalla sua stretta.
- Taci! Sono molto serio!-
- Lanthier. - ringhiai mentre lo fissavo, stringendo l'elsa della mia spada. - Non avete capito. Qui nessuno scenderà a patti con nessuno. Avete perso l'occasione di andarvene via vivo. -
- Allora la vostra amica si ritroverà con la gola tagliata, è questo che volete?-
- Lasciala. - disse Nathaniel, col bambino ancora stretto tra le braccia. - Lasciala e risolviamo la cosa tra noi, se ne hai il coraggio!-
- Oh, Nathaniel!- il francese rise, strattonando Faith più vicina a sé. - Guarda come bruci di rabbia! È così commovente il modo in cui te la prendi! Ancora non hai capito che eri un bersaglio troppo facile? Così infuocato e attaccabrighe. Bastava solo una scintilla per farti esplodere. -
Il petto di Nathaniel si gonfiava ritmicamente col respiro affannoso, le sue braccia si irrigidirono mentre facevano scudo al bambino fradicio e tremante, forse per proteggerlo, forse per contenere un accesso d'ira. Vidi la sua mascella contrarsi e mostrare i denti, eppure i suoi occhi erano ancora orlati di lacrime, e dalle labbra uscì solo una domanda carica di dolore.
- Perché hai dovuto uccidere mia madre?-
Lanthier scrollò le spalle. Ci fu più crudeltà in quel gesto noncurante che nel modo in cui teneva la lama alla gola di Faith.
- Nei miei piani prevedevo di avere qualche giorno per convincerti. Visti i tempi stretti, ho dovuto improvvisare... Ma devo dire che perfino io sono rimasto sorpreso dalla facilità con cui mi hai dato fiducia. Immagino di doverlo prendere come un complimento!-
Feci un passo avanti, con la spada sguainata. Lanthier mise Faith fra di noi, con un cenno di avvertimento.
- Siete morto, Lanthier. - ripetei.
- Ehi!-
Il grido sovrastò le nostre voci, il baccano dello scontro ancora in corso, ci fece voltare tutti verso l'interno della spiaggia. Là, in piedi sopra alla roccia piatta, Jack si ergeva sopra al campo di battaglia, col braccio teso e la pistola che teneva Lanthier sotto tiro.
Per tutta risposta, il francese scoppiò a ridere di nuovo e trascinò Faith in piedi, facendosi scudo con il suo corpo.
- Oh, non ci provate, Sparrow. So che non oserete rischiare, avete troppo da perdere. - la lama raschiava la mandibola della ragazza, sarebbe bastato un movimento per tagliarle il collo. - Vi credete davvero più furbo di me?-
- Abbastanza. - gridò Jack, annuendo. - Io alla fine ho imparato che occorre sempre guardarsi le spalle. -
Non visto, celato nell'oscurità pochi passi dietro Lanthier, Ettore puntò la pistola alla sua nuca e fece fuoco.
Il corpo del francese crollò come un castello di carte, e quel che rimaneva della sua testa finì con un tonfo flaccido sulla sabbia bagnata.
Ettore lo scavalcò e corse da Faith. Nathaniel sembrò non essere più in grado di fare altro se non chinarsi sul bambino singhiozzante e tenerlo stretto, cullandolo tra le braccia.
La sabbia e la spuma del mare sotto di loro erano ancora chiazzate di sangue, e la risacca li lambiva, silenziosa, come se ne volesse ancora.

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Capitolo 18
*** Capitolo 17 ***


Capitolo 17



Fu strano ricostruire gli eventi immediatamente successivi.
Seppi che c'erano stati combattimenti al palazzo, per liberarlo dagli uomini di Balthazar e della vecchia ciurma di Silehard che lo avevano brevemente occupato mentre catturavano me, Faith e Teague, e rapivano i bambini della Sirena. In quanto a Silehard, lui fu trovato strangolato nella sua cella. Lanthier lo aveva raggiunto prima di noi.
Al contrario di quanto temevamo, la nave di Balthazar mollò gli ormeggi e se ne andò senza preavviso prima di poter venire ingaggiata in combattimento dalla flotta della Fratellanza. Si lasciò alle spalle sia i Pirati Nobili che la marina britannica sua alleata... come se non gli importasse più. Come se ora qualcosa avesse attirato la sua curiosità altrove. Sperai fosse soltanto per la fretta di portare il capitano in un posto dove potessero curarlo, e sperai che non ci riuscissero.
L'altro strano avvenimento fu la tempesta che imperversò il giorno dopo, senza essere stata preannunciata dalle nuvole o dal vento.
Durò tre giorni e tre notti. La flotta della marina finì semplicemente per allontanarsi e rinunciare all'assedio. Questa sarebbe stata una buona notizia, se non fosse stato per le navi della flotta dei Pirati Nobili, che all'interno della baia andarono pericolosamente vicine a finire sbatacchiate le une contro le altre, o a infrangersi contro gli scogli. Due navi andarono in pezzi. La Perla e la Sputafuoco furono tra quelle graziate per miracolo.
Una volta tornato il bel tempo ci limitammo a benedire la nostra fortuna e a non farci domande, ma più di una volta capitò che io e Teague ci ritrovassimo a scambiarci inavvertitamente sguardi, come se fossimo stati colti dallo stesso dubbio e cercassimo l'altro in una conferma silenziosa di quel che stavamo pensando. Non ne avevamo parlato, ma sapevamo entrambi che cosa avevamo visto, e ricordavamo le parole di Balthazar.
Era stata davvero solo una tempesta? E che cosa avremmo dovuto aspettarci in futuro?
Che ci piacesse o no, la minaccia più impellente pareva essere rientrata, e perciò non c'era più ragione che i Pirati Nobili restassero alla Baia. In molti cominciarono ben presto i preparativi per rimettersi in mare.
Quello di andarsene o restare fu un interrogativo che in breve tempo cominciò a riguardare un bel po' di persone sull'isola... la maggior parte dei quali non aveva nulla a che fare con la Fratellanza, ma aveva perso molto di più.

*



C'era un cimitero sull'isola, poco lontano dai confini della Città dei Relitti.
Mano a mano che ci si allontanava dal Palazzo costruito sulla roccia, quella lasciava il posto alla terra, all'erba e agli alberi. Il cimitero sorgeva su una collina verde, e non c'erano cancelli, muri o staccionate a definirne i confini. Immagino che lo lasciassero semplicemente allargarsi finché c'era spazio. Non avrei saputo dire quante generazioni di persone vi fossero sepolte: croci e lapidi sorgevano un po' ovunque, addossate le une alle altre, e nuove tombe erano state costruite sui resti di quelle più vecchie ormai in rovina.
Non c'erano soltanto croci. La cosa più affascinante era la varietà di oggetti che erano stati scelti a mo' di lapide o di offerta votiva.
A passi lenti camminai in mezzo a timoni piantati nel terreno, una quantità infinita di sciabole ossidate e pistole arrugginite appese a mucchi come grappoli d'uva, polene dalle sembianze di angeli o mostri marini, e altre talmente consumate da essere irriconoscibili, mappamondi sfondati, cappelli, stivali bucati, cattedrali di bottiglie vuote, un'intera scialuppa arenata, perfino l'antico cannone di una nave da guerra.
C'erano intere generazioni di pirati, là sotto. Spesso anche le loro famiglie, quelle che si erano trattenute a popolare l'Isola dei Relitti.
Forse un giorno sarei stata sepolta lì anch'io.
Avrebbe voluto essere un pensiero dolceamaro, eppure appena mi attraversò la mente mi sentii cogliere da uno sconforto così profondo che dovetti fermarmi. Ingoiai un groppo in gola e, appena ebbi ripreso fiato, mi costrinsi a proseguire per raggiungere la tomba che temevo così tanto di dover rivedere.
Poco più avanti trovai Nathaniel in piedi, con le braccia incrociate dietro la schiena e le spalle curve.
La tomba di Sylvie Hawk sorgeva in un piccolo spiazzo ancora abbastanza sgombro. Su un fazzoletto di terra sorgeva la piccola lapide sulla quale era stato inciso il suo nome, e attorno, come a compensare la semplicità del cippo, si era raccolta via via una montagna di offerte in fiori selvatici, boccali, e conchiglie, una distesa infinite di conchiglie di ogni forma e colore.
Mi fermai accanto a Nathaniel e restammo in silenzio per alcuni minuti, senza guardarci ma fissando soltanto la tomba. Sapevo che probabilmente sarebbe stata l'ultima volta in cui saremmo stati insieme al cospetto di Mrs Hawk.
- Come stai?- domandai dopo un po'.
Nathan sospirò silenziosamente e strinse le spalle.
- Non lo so. - continuava a non distogliere lo sguardo dalla lapide. - Non so nemmeno perché sono ancora qui. Avreste dovuto sbattermi in cella per quello che vi ho fatto. -
Alzai gli occhi al cielo e annuii.
- Sì, forse avremmo dovuto. Ma se non fossimo disposti a perdonare qualche voltagabbana, ogni tanto, noi pirati rimarremmo in ben pochi. - anche il mio sguardo tornò a terra. - Sei stato perdonato. Non c'è bisogno di rivangare ancora questa storia. -
- Mi dispiace. -
- Lo so. Anche a me. -
Ancora silenzio. Lasciai scivolare gli occhi sulle forme delle conchiglie che formavano una sorta di mosaico sopra la tomba di Sylvie, in gran parte portate lì dai bambini della Sirena, poi finalmente mi decisi a rialzare il capo e fronteggiare Nathaniel faccia a faccia.
- Che intendi fare adesso? È probabile che Isla Muelle sia tornata ad essere sicura. So che alcuni dei civili vorrebbero tornare, e hai la mia parola che faremo tutto il possibile per garantire un trasporto a chiunque lo desideri. -
- Sì, l'ho saputo. - rispose piano il ragazzo, annuendo. - Ancora non ho deciso neanche questo. Alcuni preferirebbero rimanere e rifarsi una vita qui, Ben forse potrebbe ritornare e riprendere in mano la Sirena e io potrei restare, o... o forse dovremmo fare il contrario. -
- Sei libero di fare quello che vuoi. Fa ciò che preferisci, e nessuno ti impedirà di partire o di restare. -
Nathan si voltò e mi scoccò un'occhiata più animata, aggrottando le sopracciglia come se si chiedesse se scherzassi.
- Ho sparato in una gamba al Custode del Codice. - disse lentamente.
Ci pensai sopra. Ci pensai sopra per un lungo istante.
- … Ripensandoci, stai lontano dal Palazzo. -
Corse una scintilla di cupo divertimento fra di noi, un'ombra di quella che era stata la nostra vecchia amicizia, e per un momento sbottammo entrambi in una risatina condivisa, amara, ma sincera.
Forse un giorno avrebbe accettato di non essere l'eroe della sua storia. Almeno, non il tipo di eroe che lui avrebbe voluto. Forse avrebbe smesso di lottare così tanto per tentare di convincere il resto del mondo a trattarlo come tale. La morte di sua madre era ciò che lo aveva fatto crollare, o era invece la scintilla che lo aveva fatto rinsavire all'ultimo istante? Oppure era stato salvare la vita al bambino, uno dei suoi bambini, quelli che si era ripromesso di proteggere, a recuperarlo prima che fosse troppo tardi?
Non avrei saputo dirlo, ma in ogni caso era triste che ci fosse voluto l'assassinio di Mrs Hawk per condurlo dove ci trovavamo ora.
- Arrivederci, Nathaniel. -
Lo lasciai sulla collina a meditare ancora un po'.
Non sapevo che avrebbe fatto, o cosa sarebbe stato giusto fare per lui. Qualunque conclusione dovesse trarre, mentre dava l'ultimo saluto a sua madre, sapevo che stavolta avrebbe dovuto arrivarci da solo.

*


Lo sconforto che mi aveva provocato la visita alla tomba di Mrs Hawk non mi lasciò neanche quando ritornai al Palazzo. Non avevo voglia di parlare con la ciurma, o di chiedere ancora notizie di Teague, che peraltro sapevo stesse guarendo senza fatica, a dimostrazione che la sua pellaccia era dannatamente dura. C'era una sola persona in tutta l'isola di cui desideravo disperatamente la compagnia.
Vagai nei meandri del Palazzo sperando di trovarlo, ma avevo rimesso piede nell'edificio solo da qualche minuto quando mi imbattei in un'altra scena. Mi trovavo al primo piano, camminavo lungo uno degli antichi parapetti di galeoni che ora fungevano da balcone. Sotto di me una liscia pedana di roccia affiorava dall'acqua della baia, lambita dalla corrente tranquilla.
Mentre passavo, udii due voci conosciute. Mi accorsi di Will ed Elizabeth che si trovavano proprio sotto il balcone, a pochi metri di distanza da me, sulla sponda rocciosa.
- Che cosa vorresti fare?- stava domandando Will. Il suo tono era calmo, quasi rassegnato.
Elizabeth invece era infervorata. La vidi, in piedi, fermarsi sul ciglio della pedana di roccia e voltarsi verso il marito: stringeva qualcosa contro al petto. Alla domanda di Will protese di scatto il braccio sopra l'acqua.
- La restituirò al mittente!- esclamò, con lo sguardo che mandava lampi. Vidi qualcosa dondolare dalla sua mano. - Che lei se la riprenda! Non può esigere più nulla da noi!-
Avrei voluto chiamarli e renderli partecipi della mia presenza, ma in quel momento non seppi dire se sarebbe stata una buona idea. Restai in silenzio. Elizabeth stringeva tra le dita un laccio di cuoio, dal quale pendeva quella che sembrava una pesante chiave di ferro arrugginita.
Avevo già visto quella chiave. E, ora che ci pensavo, Elizabeth non aveva mostrato a nessuno quale dono sgradito Balthazar le avesse fatto recapitare.
William tese una mano verso di lei, senza far cenno di volerla fermare, solo invitandola.
- Purtroppo non possiamo saperlo. -
- Questa era già in suo possesso! - Elizabeth si morse le labbra, un gesto di stizza che le avevo visto fare fin da quando eravamo ragazze. - Consegnarcela non rappresenta alcuna sfida per lei, è solo... un insulto. Uno stupido insulto. -
- Elizabeth... -
Lei si spostò bruscamente, tornando a stringere la chiave al petto, e si accostò a Will faccia a faccia alla distanza di un respiro.
- Pensa forse di poter rimettere il tuo cuore in quel forziere, finché ci sarò io a impedirglielo?!- quasi gridò.
Will colmò la distanza fra di loro, le posò le mani sulle spalle e la strinse.
- Non può. Secondo i patti che lei onora, non può. - mormorò. - Ma ora Calypso serve un nuovo padrone, e non sappiamo che cosa aspettarci. È un invito a non contrariarla. E in quel forziere... c'è ancora il cuore di mio padre. -
Di malavoglia, Elizabeth annuì a labbra strette. La sua mano cercò quella di William, lasciò a lui la chiave. Guardai i miei amici abbracciarsi in silenzio, e come una ladra mi allontanai.
Decisi quindi di ritirarmi nella nostra camera nel ventre del relitto, in attesa che il capitano cogliesse il messaggio. Pochi minuti dopo udii Jack bussare con discrezione alla porta.
- Da quando in qua hai bisogno di bussare?-
Lo abbracciai mentre stava ancora sulla soglia. Sprofondai con lui in un bacio caldo, dolce, mentre era lui a girare la chiave nella serratura e a prendermi per la vita guidandomi fino al nostro letto. Per un po' non volli altro che sentire le sue braccia attorno a me e continuare a baciarlo senza fretta, arenarmi in quel porto sicuro che era il letto morbido sotto la mia schiena e il suo peso rassicurante.
Poi gli strinsi le gambe attorno ai fianchi e fui io a spingerlo sotto di me.
Più tardi restammo a lungo sdraiati contro la testiera del letto a guardare attraverso le assi alla finestra le strisce di luce del sole che tramontava. Con la testa comodamente appoggiata sul mio seno nudo, Jack era rimasto in silenzio per così tanto tempo che lo credetti addormentato, ma a un tratto si mosse e alzò lo sguardo.
- Vi piace questo posto, signora Sparrow?- domandò in tono pigro. Lo cinsi con le braccia per impedirgli di spostarsi.
- La compagnia mi piace. - replicai. Jack rise.
- Pensi che sarebbe un buon posto dove far crescere un bambino?-
Intuii la serietà nelle sue parole.
- Non lo so... Non vedo perché no. E tu? Tu sei cresciuto qui?-
- Io sono nato a bordo di una nave sull'oceano indiano durante un tifone, c'è voluto un po' prima che toccassi la terraferma... -
- Sul serio?-
- Serissimo. Ma ho passato qui tanti begli anni. -
Mi misi a sedere più comoda, col braccio ancora attorno al collo di lui.
- Mi piace questo posto, mi piace che sia un porto franco per tutti i pirati, e mi piace la comunità di gente libera che abita nella Città. Se mi chiedi se mi piacerebbe crescere qui nostro figlio, ebbene, non dico di no. Probabilmente ci sono pochi altri posti dove potremmo essere più al sicuro che qui. -
- Anche se io non dovessi esserci?-
- Di cosa stai parlando adesso?-
- Solo perché io ho deciso di fare il mio ingresso durante una tempesta in mare aperto, non significa che consigli l'esperienza... Sto parlando del fatto che avremmo bisogno di un posto dove fare una sosta. Una sosta anche di qualche anno. Un posto dove tu possa stare al sicuro, e dove io possa andare e venire con la Perla. -
Per qualche momento non parlai. Sapevo che cosa mi stava chiedendo, e avevo sia temuto che aspettato il momento in cui il discorso avrebbe preso quella piega. Jack dovette accorgersi della mia espressione torva, e attese che raccogliessi i pensieri per rispondergli.
- Fin dal giorno in cui ti ho conosciuto... – le parole mi scivolarono fuori dalle labbra come un’ondata inarrestabile e amara. - ...mai avrei potuto credere che un giorno mi avresti chiesto di rimanere a casa a fare la moglie.
Jack alzò lo sguardo di scatto, e arricciò le labbra in una smorfia offesa.
- Dal canto mio io sarei per mare a fare il marito, e questo significherebbe ritornare da te, immancabilmente, puntualmente alla fine di ogni scorreria, e anzi essere ben felice di farlo. Forse mi sono sbagliato e la cosa non è di rilevanza?-
- La è!- scattai. – Certo che la è! Credi che potrei non fidarmi di te, Jack? Ovvio che mi mancherai, ma lo so che tornerai da me! È solo... –
- Che cosa?-
- Il mare! La Perla! Il mio ruolo, tutto! Tutto questo mi mancherà! E non vi avrei rinunciato per niente al mondo, per nessuno, se non per... – mi fermai, con la mano premuta sul ventre, mentre poco a poco riprendevo il controllo. Presi un gran respiro e abbassai la voce, chinando il capo. – Se non per lui. Lo farei, per lui. Ma mi mancherete tutti. –
Jack si avvicinò e mi prese le mani fra le sue. Mi guardava con espressione incerta, ma lo conoscevo troppo bene per non sapere che capiva.
- Solo per qualche anno. – sussurrò. – Non c’è bisogno che ti dica che il mare aperto non è posto per un neonato. Specialmente adesso che... specialmente con... –
- Balthazar. –
Il suo nome cadde fra di noi insieme al ricordo del giuramento che aveva gridato in riva al mare, quando aveva versato il sangue del bambino e quasi era riuscito ad affogarlo. Pensai alla vestina da neonato ingiallita dall'acqua salata. Annuii, stringendogli le mani.
– Lo so. Non gli permetterò mai più di arrivare a me. A noi. Non permetterò che succeda. – sospirai e feci un altro cenno d’assenso, più definitivo. – Ed è per questo che... finché servirà... resterò qui. –
- Non ho certo intenzione di lasciarti con le mani in mano. – l’ombra di un sorriso malizioso attraversò il volto del capitano. – Voi, signora Sparrow, terrete il Palazzo dei Relitti in mia vece. Come Pirata Nobile, mentre il sottoscritto sarà assente. –
- Che cosa?!-
- Sai che non ho mai amato il titolo. – Jack mi voltò la mano e mi lasciò nel palmo un oggettino colorato. Il filo di perline e la zanna lucida, il suo pezzo da otto. – Ma tu potrai contare su Teague, e su Elizabeth, e scommetto che anche a loro non dispiacerà avere almeno un altro Pirata Nobile di cui possono fidarsi invece di doversi guardare le spalle. Non sto contando solo su un porto franco, Laura. Sto contando su una casa, una casa per noi, e il Palazzo dei Relitti può essere esattamente questo. Funzionerà. -
Si era ormai fatto buio oltre le finestre chiuse dalle assi, le ore della notte scorrevano le une sulle altre, e noi eravamo ancora lì nella luce delle candele, appoggiati l'uno alla spalla dell'altra.
- Devi prenderti cura della Perla. Non voglio trovare un rottame dal legno che marcisce, quando tornerò. -
- Ti ricordo che ho sempre avuto la massima cura della mia nave. -
- E, ti prego, fai in modo che la ciurma non si ammutini nel giro di un anno. -
- È successo solo una volta!-
Mi rigirai fra le lenzuola, lo abbracciai, realizzando che presto non lo avrei avuto nel mio letto tutte le notti, e che momenti come quello sarebbero stati preziosi. Appoggiai la fronte contro la sua spalla.
- Ti aspettavi che un giorno avresti avuto una casa a cui tornare?- domandai, soffocando una risata.
- Ho imparato a non lasciarmi sorprendere da nulla. Chissà che cosa si dirà del capitano Jack Sparrow nel giro di qualche mese?-
Jack ridacchiò di rimando mentre mi teneva stretta. Lo udii sussurrare con le labbra contro il mio orecchio.
- Racconterò storie. Storie che andranno a contraddire anche quelle che ho raccontato in precedenza. Storie di maledizioni che non sono mai avvenute, e di altre che non sono mai state spezzate. Storie che confonderanno le idee a tutti. Potrei anche raccontare che in una decina d’anni il capitano Jack Sparrow si aggirerà ubriaco nei vicoli di Tortuga come un barbone, senza ricordi, senza una nave, ridotto alla barzelletta di se stesso, e tutti ci crederanno. Forse perfino Balthazar, e magari si dimenticherà di noi. –
Alzai una mano per prenderlo per la nuca, e lo baciai per zittirlo.
- Racconta quello che vuoi. - mormorai. - A me basta che ritorni sempre da me. -

*



La gamba di Teague andava migliorando, anche se il capitano un giorno dichiarava che non avrebbe camminato mai più mentre quello dopo annunciava di essere pronto a rincorrere il responsabile per tutta l'isola e rendergli pan per focaccia. Fortunatamente, non sembrava mai realmente intenzionato a mettere in atto le sue minacce.
Avevo cominciato a fargli visita ogni giorno. A volte era in vena di parlare, altre si chiudeva in un infrangibile mutismo, ma ci scoprimmo presto in grado di apprezzare la reciproca compagnia anche senza bisogno di scambiare una sola parola.
Ancora di più da quando aveva acconsentito a mostrarmi l'originale Codice dei Pirati. Avevo intenzione di imparare tutto il possibile sulla Fratellanza e su quel che significava, e quel libro sembrava essere la chiave perfetta per farlo. Avrei potuto trascorrere giornate intere a scorrere le pagine ruvide di quel tomo monumentale, scoprendo di pirati leggendari che non avevo mai sentito nominare e di regole antiche che ormai forse solo il Custode ricordava, mentre Teague se ne stava in fondo alla stanza a strimpellare la sua chitarra e ai miei piedi il cane delle chiavi se ne stava accucciato sul pavimento, scodinzolando ogni volta che udiva lo scricchiolio di una pagina che veniva voltata.
Il giorno dopo il mio dialogo con Jack, ero intenta proprio a quell'occupazione quando l'anziano Sparrow distolse l'attenzione dal suo strumento e mi chiamò.
- Ti stai preparando?- mi domandò dal nulla, come se avessimo ripreso una conversazione interrotta.
- Per che cosa?-
Non avevamo ancora accennato al fatto che mi sarei stabilita al Palazzo dei Relitti... anche se probabilmente lo aveva già intuito, o gliene aveva parlato Jack. Ripensai, tra me, che quest'ultima opzione in verità era più improbabile: Jack non sembrava mai incline a discutere con suo padre di cose troppo personali. Lo testimoniava il fatto che io stessa avessi saputo della sua esistenza non più di una manciata di giorni prima.
Teague strimpellò distrattamente una scala di note sulle corde dello strumento. - Per far parte della Fratellanza. -
Mi strinsi nelle spalle e feci un cenno vago col capo che non voleva dire né sì né no.
- Nel Codice c'è tutto quello che un pirata avrebbe bisogno di sapere, e che di solito non impara nemmeno nell'arco di una vita. Ci vorranno settimane, forse mesi, per leggerlo tutto e per ricostruire tutti gli avvenimenti a cui si riferisce, e... Beh, di certo sarebbe un peccato non approfittarne, finché sono qui. -
Il capitano annuì con aria pensosa.
- A te sta bene, come compromesso?-
Finalmente sorrisi e mi voltai a guardarlo. - Sì. - risposi, sinceramente. Poi gli dissi quel che di certo sapeva già, ma io non gli avevo ancora detto di persona. - Jack vi avrà detto che stiamo per avere un figlio. Anche io voglio che stia al sicuro, anche se questo significasse stare lontana dal mare per un po'. -
Teague non rispose e continuò a suonare con fare distratto. Fu solo dopo qualche minuto che tornò a parlare, senza smettere di pizzicare le corde, e il suo sguardo era perso nel vuoto come se rincorresse pensieri molto lontani.
- Jackie ha paura dello scorrere del tempo. - mormorò. - Ha paura di vederselo scivolare via tra le dita. Ha sempre temuto che il mondo intero dopo un po' finirà per dimenticarsi di lui e lo lascerà indietro in qualche oblio, per questo ha viaggiato così tanto, corso così a lungo, e ha fatto in modo di non essere mai dimenticato facilmente. -
Si fermò per un attimo, e sbirciandolo vidi comparire quella ragnatela di rughe profonde che si rincorrevano sulla sua faccia le volte che sorrideva.
- Ma, ti dirò... sono contento che non sia solo. Un figlio è un discreto orologio che ticchetta, non trovi? Anche se, parola mia, se c’è qualcuno qui provato dallo scorrere del tempo, al momento sono io. Dicono che il primo nipote sia l’avviso che la sabbia nella tua clessidra sta per finire. -
- Non penso proprio sia il vostro caso, Teague. -
- Chissà. - scrollò le spalle, tornò a guardarmi come se fosse ritornato all'improvviso al presente e riprese, in tono sbrigativo. Ma ormai stavo imparando a riconoscere una curiosa forma di affetto nascosta nei suoi modi ruvidi. - Non potrete essere sempre in giro per mare, specialmente non adesso. Qualche volta ti toccherà aspettarlo. Quel che importa è che voi due possiate sempre avere un porto sicuro e, avete la mia parola, quello si trova qui. –
Allora capii che mi stava dicendo esattamente ciò che Jack mi aveva detto la notte prima, nella camera ricavata nella pancia del relitto, le parole che senza saperlo aspettavo da tutta la vita di sentire.
Benvenuta a casa.





~Soundtrack~

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Capitolo 19
*** Epilogo ***


EPILOGO





- I'm a pirate, that I be
I sail my ship upon the sea
I stay up late till half past three
And that's a peg below me knee... –

Stava sorgendo il sole. Per combattere la calura avevamo lasciata spalancata la finestra che dalla nostra camera si affacciava sulla Baia, e a quell’ora la brezza portava il profumo salato del mare e il suono delle onde.
Me ne stavo rannicchiata sul letto con gli occhi socchiusi.
Jack, accanto a me, era sdraiato di schiena e mormorava una canzone. Le sue dita tracciavamo geometrie nell’aria a tempo con le parole, e il fagottino raggomitolato sul suo petto agitava di tanto in tanto le manine verso l’alto, come se avesse potuto afferrare le mani di suo padre.

- And that's all there is to this song
I hope it hasn't been too long
A pirate's life might just be wrong
So grow up nice, and big, and strong! -

Blake era nato quattro mesi prima nel cuore della notte, mentre una violenta tempesta si accaniva sul porto della Baia.
Era piccolissimo, aveva un ciuffo di capelli neri e pesava quanto un gattino, neanche lo avessi dato alla luce prematuramente, ma si era fatto sentire a pieni polmoni fin dal primo istante in cui era venuto al mondo.
I suoi occhi erano aperti, nei suoi primi minuti. Quando avevo finalmente potuto abbracciarlo e portarmelo al seno, avevo incontrato lo sguardo di quelle iridi di un castano scuro talmente familiare che quasi mi aspettai di sentire quella creaturina dal colorito paonazzo dirmi: - Spero che abbiate assistito tutti, perché non mi vedrete rifare una cosa del genere!-
Le dita di Jack si abbassarono per incontrare una manina rosea. Blake si aggrappò alla mano di Jack e la strinse, mettendosi a ciucciare la fascia d’argento di uno dei suoi anelli.
- Guardalo. Ha già una genuina passione per il bottino!-
Sorrisi, anche se non potei fare a meno di essere distratta dalla luce crescente del sole e da quello che significava.
- È già ora?- domandai, senza riuscire a nascondere la malinconia. Jack sospirò e appoggiò il capo al cuscino.
- Fra poco. –
Cullò Blake sul petto fino a che non si riaddormentò, quindi lo raccolse tra le braccia e si alzò con cautela. La culla si trovava ai piedi del nostro letto: era stata intagliata appositamente in legno scuro, e aveva una forma che ricordava in tutto e per tutto il castello di prua e la polena della Perla Nera. Jack aveva insistito, sostenendo che avrebbe aiutato Blake ad abituarsi molto più in fretta all’idea di vivere sulla nave... Io avevo accettato semplicemente perché l’idea era troppo assurda per non piacermi. Era stato il regalo da parte di un entusiasta Joshamee Gibbs, che dal giorno della nascita di mio figlio non avevo più visto con gli occhi completamente asciutti.
Quando teneva il bambino in braccio, Jack lo reggeva come se fosse stato un barilotto pieno di esplosivo. Con mille attenzioni lo depositò nella culla a forma di galeone, e anche dopo averlo lasciato andare rimase chino, piegato a metà e immobile, con un orecchio rivolto verso il faccino addormentato in ascolto del suo respiro, pronto a cogliere il segnale d’allarme di un risveglio improvviso. Non ce ne furono. Un arto alla volta, come un burattino che veniva silenziosamente sollevato filo dopo filo, Jack si raddrizzò e si allontanò in punta di piedi.
Mi mossi fra le lenzuola e alzai un braccio verso di lui.
- Venite qui, capitan Sparrow. –
Jack posò un ginocchio sul materasso, poi l’altro, e si allungò carponi su di me. Mi voltai per prendergli il volto fra le mani e osservarlo ancora una volta nella luce nascente del mattino.
Qualcosa era cambiato anche in quel viso così familiare. Qualche segno in più. Qualche ombra in più. Eppure, mentre lo scrutavo, come un lampo si sovrappose il ricordo della prima volta in cui avevo incontrato lo sguardo del mio capitan Sparrow nella semioscurità di una cella. Quel viso magnetico, senza età, che su di me avrebbe sempre avuto l’effetto che aveva avuto allora.
Strinsi Jack a me e lo baciai. Affondai le dita fra i suoi capelli intrecciati, lasciai che la sua barba pizzicasse sulle mie guance.
Jack indugiò a lungo in quel bacio fino a che, di malavoglia, non sciolse l’abbraccio. Io mi alzai a sedere sul letto e lo guardai mentre si vestiva e raccoglieva uno ad uno “i suoi effetti”, per finire con il tricorno che si mise in testa con gesto solenne.
Era tempo di andare.
Sapevamo che in quei primi mesi sarebbe stato difficile.
- A un mese da oggi?- domandai, riuscendo ad abbozzare un sorriso.
- A un mese da oggi. – confermò Jack. – La rotta è tranquilla. Oh! E quando torno ho intenzione di portare a Blake un set da cartografo, deve imparare i rudimenti... –
- Lascia perdere la cartografia, almeno finché non avrà quattro anni, e pensa a ritornare tutto d’un pezzo... Non ti dirò di stare lontano dai guai, ma almeno sforzati di non attirarli in massa come un branco di squali. –
- Lo faccio sempre!-
- Appunto. –
Jack sorrise. Fece un passo verso di me, prese l’oggetto che aveva lasciato sopra al comò accanto al nostro letto e lo posò tra le mie mani, coprendole con le sue.
La bussola. L’unica cosa che non avrebbe portato con sé, stavolta.
- Sono piuttosto sicuro che, semmai dovesse succedere qualcosa, un certo capitano di mia conoscenza sarà sempre in possesso del modo per ritrovarmi. –
Sorrisi anch’io, carezzando con le dita il legno liscio e lucido della bussola, mentre il sole era ormai sorto e il vento si faceva sentire più forte, segnando inesorabile l’ora della partenza.

*


Quel nostro rituale di partenze e ritorni si ripeté per quasi un anno e mezzo, prima che arrivasse il giorno che tutti stavamo aspettando.
Stavo sulla banchina, così vicina all’acqua che la spuma delle onde mi spruzzava la faccia. Sentii il salato del mare leccandomi le labbra. Tenevo Blake in braccio, infagottato in una giacca da bambino, mentre lui tutto contento sbirciava da sotto il cappello che continuava a scivolargli sopra agli occhi e faceva gorgheggi ai gabbiani quando li vedeva avvicinarsi volando bassi sopra le onde. I capelli del mio bambino erano scuri, morbidi, e sembravano non smettere mai di crescere per quante volte glieli tagliassi. Li adoravo.
Faith ed Ettore erano al mio fianco.
I miei amici non erano ripartiti a bordo della Perla, neanche per una tappa, ma avevano deciso di rimanere con me sull’Isola fin dal primo giorno. Sapevo che in realtà quel lungo soggiorno sulla terraferma non gli era affatto dispiaciuto: si erano adattati alla vita nella Baia anche meglio di quanto avessi fatto io, ed erano sempre stati fantastici con Blake.
Decidere di tornare sulla Perla, ora che mio figlio era abbastanza grande, avrebbe significato affrontare un’altra separazione: questa volta da loro. Erano pronti ad accompagnarmi al porto mentre mi apprestavo a riabbracciare la mia vera vita, ma non oltre. Non sarebbero salpati con me, stavolta. E per un ottimo motivo.
Mi voltai verso Faith e non potemmo fare a meno di scambiare un’occhiata d’intesa. Io stringevo Blake, lei se ne stava quasi casualmente con le mani intrecciate sopra la pancia.
Lo aveva già detto ad Ettore, naturalmente.
Chissà se qualcuno aveva già pensato di riferirlo a capitan Barbossa? Decisi che non mi sarebbe dispiaciuto far trapelare io stessa la notizia, giusto per vedere come avrebbe reagito.
Per quanto avessi continuamente nostalgia di Jack, per quanto sentissi il peso della mia famiglia divisa per metà in mare e per metà sulla terra, appena avevo saputo delle condizioni della mia amica mi ero offerta di restare. Avremmo potuto crescere i nostri bambini al Palazzo dei Relitti...
- ...e non tornare sulla Perla?- aveva replicato Faith, scoccandomi il suo tipico sguardo di chi la sa lunga. – Tutto ciò che amo è già qui, Laura, ma per te non è così. Voi siete passeri di mare. –
La nostra attenzione fu catturata in quel momento dall’ingresso nella baia della Perla, che avevamo osservato avvicinarsi da quando era comparsa come un puntino all’orizzonte.
La nave era ormai quasi in porto, e scivolava veloce sulle onde avvicinandosi sempre più.
Quella familiare cattedrale di legno nero si ergeva davanti a me. La mia casa veniva a prendermi, e le braccia tese dell’angelo scolpito sulla prua sembravano volermi rivolgere un saluto, tanto che sorrisi ancora di più quando le fattezze della Dama divennero visibili a occhio nudo.
Blake si agitò e pigolò, indicando verso l’alto. Seguii con lo sguardo la direzione del suo dito.
Lui era in cima alla coffa, con una mano stretta a una cima e l’altra sul fianco. Il vento soffiava alle sue spalle facendo sbandierare la giacca sbrindellata, soffiandogli i capelli in faccia e tentando invano di rubargli l’amato tricorno. La sola cosa che gli mancava sarebbe stata una fanfara di vittoria per completare il quadro.
Stava in posa, ovvio. Il mio capitano non aveva mai saputo resistere al fascino di un’entrata in scena.
Ma lo faceva per me, sapendo che era proprio lì che lo avrei cercato e che lo avrei visto, per darmi ancora una volta il suo bentornata a casa: e stavolta per sempre.



FINE










One last Note



La saga di Caribbean Tales è nata attorno alla fine del 2003 e l'inizio del 2004, all'incirca quindici anni fa, dopo che una me tredicenne vide al cinema un film che si chiamava La Maledizione della Prima Luna.
È diventato un progetto di scrittura che mi ha sempre appassionata molto. Mi ha aiutata a perfezionare il mio stile, mi ha permesso di concedermi libertà che da autrice “seria” forse non mi concederei, mi ha insegnato per la prima volta cosa significasse avere un pubblico. Mi ha fatto un gran bene.
Dopo molti anni le cose naturalmente cambiano, ma quel che accadde è che da qualche parte verso il 2015 smisi quasi completamente di dedicarmi alla saga, arrivata al quinto episodio e già sceneggiata. Arrivai al punto di aggiornare anche a un anno di distanza tra un capitolo e l'altro.
Nel frattempo, dal 2014 mi ero imbarcata nell'impresa di diventare autrice auto-pubblicata: impresa che ha dato i suoi frutti e che continua ancora adesso.

Sarebbe stato legittimo ammettere che avrei rinunciato, avrei lasciato la fanfiction incompleta e mi sarei dedicata ad altro, no?
Eppure non riuscivo a farlo. Mi dicevo sempre che l'avrei finita. Forse non sarei riuscita a scrivere tutti gli altri episodi che avevo immaginato, ma non potevo perdonarmi quel quinto episodio lasciato a galleggiare alla deriva. Se mi consigliavano di lasciarlo incompleto e non pensarci più, la sola risposta era che non potevo.
Non riuscivo a finirlo, ma non potevo abbandonarlo.
Sicuramente anche le mie vicende personali e l'evolversi del mio rapporto con la scrittura hanno inciso moltissimo sulla mia capacità di riprendere in mano quel progetto per così tanto tempo.
Poi c'è stata una scintilla, proprio all'inizio di questo mese. Non ringrazierò mai abbastanza Sara che, complice un semplice commento e un po' di nostalgia per la saga, non so come ha fatto la magia e mi ha convinta di punto in bianco a rimettermi a scrivere.
E ha funzionato. Ho ricominciato a scrivere regolarmente. Ho ricominciato a darmi scadenze e rispettarle. Ho ripreso a scrivere prima e a correggere dopo, invece che esitare su ogni parola. Scrivere ha ricominciato a piacermi sul serio.

Non vi nascondo che la saga avrebbe dovuto essere più lunga: erano previsti altri episodi oltre a questo, e quando avrete letto sarà chiaro che molti elementi erano preparativi per una trama successiva. A quella trama purtroppo non arriveremo. Ma preferivo dare un finale almeno a questo episodio piuttosto che non finirlo affatto.
Tuttavia, vi assicuro che quello che avete letto è il finale che questo capitolo doveva avere: non ho cambiato nulla, ci siamo solo arrivati un po' più in fretta del previsto. Ho riassunto alcune parti e ho fatto tagli che normalmente non avrei fatto, ma li ho fatti con tutta la cura e l'amore possibile.
L'unica cosa non prevista era l'epilogo: un flash-forward per dare un assaggio di ciò che sarà il futuro dei nostri capitani, visto che stavolta non lo narrerò in diretta.
Sarò stata troppo sentimentale? Forse: ma c'erano cose che per me era importante mostrare alla chiusura della serie, e se per farlo dovevo avere un finale sentimentale, allora va bene così!

Prendete questi ultimi capitoli come la mia versione del finale di Penny Dreadful quando non lo hanno rinnovato per una quarta stagione, il mio finale di Evangelion quando avevano finito i fondi e quindi l'unico modo di fare le ultime scene era disegnarle a mano su carta.
Lascio il futuro dei nostri capitani in sospeso, ma solo perché le loro avventure non finiranno mai davvero: sono solo io che poso la penna e li lascio liberi, augurandomi che la mia cronaca della loro avventura vi abbia intrattenuti e divertiti fino ad adesso.

Grazie a tutti voi che avete letto.
Grazie a tutti voi che avete commentato.
So già che non riuscirò a citare tutti, ma grazie a Sara alla quale dedico questo finale perché lo ha reso possibile, grazie a Serena che ho conosciuto sotto le spoglie di CaptainAlwilda e che ha reso gli ultimi tempi col Capitano dannatamente divertenti. Spero che tutto stia andando a gonfie vele per te, matey.
Grazie a chi mi commenta fin quasi dagli esordi come FannySparrow e Calipso19(che ai tempi era MC119), a tutti i commentatori dell'ultimo episodio, molti dei quali si sono recuperati tutta la saga di Caribbean Tales in pochi giorni: Supermicky, Rack12345, Gitana, Betrys, Selene, Hayleen Castell, Orchidea Oscura, Aishia, Cherrycola, De33y, Freud in love, e a tutti gli altri che sono approdati su questa storia.
Ho sempre letto tutti i vostri commenti e mi sono sempre stati preziosi!
Inoltre, anche se a distanza di anni, alcuni dei miei lavori sono ancora classificati fra le Storie Scelte, e questo è un onore e una soddisfazione.

Lo dico?
Oddio, non nascondo che un po' è dura sapere di stare per dirlo per l'ultima volta.
Va bene, è stato un lungo viaggio, ed è stato anche molto bello.
Per l'ultima volta su questi bellissimi lidi...
Wind in your sails.

Laura Sparrow


Soundtrack



Caribbean Tales Arts, tutti i disegni sulla saga fatti da me:
CaptainLaura's Gallery: POTC and Caribbean Tales

Fan Arts di Rivan145th:
Caribbean Tales Sketch
Caribbean Tales
Sketches
Just Ignore Us
The Pirate
Laura
Laura Evans

Fan Arts di CaptainAlwilda: (che ne ha fatte una MAREA!)
Caribbean Tales
La Dama
Dancing Captains
Bootylicious
Tra moglie e marito
You can leave your hat on
La tutela del possesso
Hello Beastie
Equal Exchange
Doodles of the Caribbean
Once upon a time in the Caribbean WIP
Once Upon A Time in the Caribbean
Belated Pirate Valentine
Shipwreck makes you hot
Mr Sparrow

Fan Art di CaptainJami:
Captain Laura Evans

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