L'ultima battaglia di Resen-Lhaw

di Old Fashioned
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Resen-Lhaw 1 Salve a tutti/e! Ecco il nuovo mappazzone per la gioia (si fa per dire) di tutti voi!
Rivolgo un ringraziamento speciale a Jadis_ perché l’idea originale per questa storia nasce da un suo contest che purtroppo non è andato a buon fine, ma mi ha comunque regalato grandi spunti.
Ringrazio ovviamente in anticipo tutti coloro che passeranno di qui, e la giudice che ha mi ha dato l'occasione di finire questa vicenda tristemente rimasta a metà.








L’ULTIMA BATTAGLIA DI RESEN-LHAW



Capitolo 1

Il principe Herich e il suo precettore, un imponente chierico del culto di Dras, stavano camminando fianco a fianco lungo il colonnato che circondava la terrazza del palazzo reale. Era pomeriggio inoltrato e il sole faceva splendere il marmo bianco dell’edificio donandogli una corposa tonalità di avorio. I vessilli rossi della casata, uno su ogni torre, sventolavano pigri nella lieve brezza.
L’orizzonte era occupato dall’imponente scenario dei monti Kelis.
La passeggiata non era uno svago fine a se stesso, ma uno dei modi che il precettore aveva escogitato per fare lezione al suo pupillo: alcuni filosofi sostenevano che impartire insegnamenti al cospetto delle bellezze della natura aiutasse l’apprendimento ed egli era un acceso sostenitore della teoria. “Ebbene, principe,” lo interrogò, “cosa sai dirmi della poesia di Esthin?”
Il ragazzo distolse a fatica lo sguardo dalla piazza d’armi che si vedeva dalla terrazza e in tono distratto rispose: “La poesia di Esthin, sviluppatasi nel palazzo omonimo nel secondo secolo dell’Era Terza, anche detta Nostra Era, tratta principalmente di amore cortese e nasce per cantare le virtù della donna amata elevandola al rango di creatura semidivina.” Detto questo, tornò a rivolgere lo sguardo nella direzione di prima.
Il chierico emise un sospiro: le parole esatte che gli aveva detto a lezione, e che lui aveva senza dubbio imparato a memoria. “Hai scritto il componimento che ti avevo chiesto?”
Sì, maestro Cresdan.”
Sentiamolo un po’.”
Il ragazzo si schiarì la voce e cominciò: “Oh mia signora, che...” ma subito si interruppe e letteralmente sobbalzò quando uno dei guerrieri che si trovavano sulla piazza d’armi ne disarmò un altro.
Ebbene?”
Mia signora… il tuo vestito...” Di nuovo si interruppe.
Il chierico emise un sospiro. “Principe, tu non mi stai prestando attenzione.”
Il ragazzo ritirò appena la testa fra le spalle, ma non smise di scrutare ansiosamente lo spiazzo disseminato di coppie intente a duellare. “È che oggi torna Dewrich,” rispose in tono di scusa.
E questo ti sembra un buon motivo per non seguire la lezione? Conoscere la poesia è importante per un principe.”
A Dewrich non serve la poesia,” fu la risposta, “lui è un guerriero.” Poi il ragazzo emise un sospiro e si appoggiò alla balaustra, guardando in giù con nostalgia.
Parlami della battaglia di Brielar, allora,” gli disse Cresdan.
Il ragazzo si girò verso di lui con gli occhi illuminati. “Il massacro del golfo di Brielar è la battaglia più famosa della Guerra Orientale, in cui l’esercito del Waerund fermò l’avanzata dei predoni di As’del e li ricacciò oltre il fiume Phorean. In quella battaglia si ricordano il celebre comandante Tjeran Sonse, anche detto Resen-Lhaw, o Leone Rosso del Waerund, e il suo eroico sacrificio, che ha permesso al re Elkiergar, alla battaglia successiva, di trionfare sull’esercito invasore. I bardi cantano le gesta del valoroso generale, che alla testa delle sue truppe fermò i nemici abbastanza a lungo da consentire al grosso dell’esercito del re di attestarsi su posizioni tatticamente più vantaggiose. Lui e i suoi soldati morirono eroicamente, con le armi in pugno.”
Il chierico annuì soddisfatto. “D’accordo, vedo che hai studiato.”
Posso andare?”
Dove vuoi andare, Herich?”
A incontrare Dewrich.” Poi, visto che il precettore non dava segno di decidersi, insisté: “Torna oggi dal tempio di Jechen, ha ricevuto l’armatura con le insegne del dio in oro. Posso?”
D’accordo, ma per domani voglio un componimento nello stile di Esthin. Di almeno cinquanta versi.”
Sì, sì!” gli rispose di getto il ragazzo correndo via. Cresdan era sicuro che non avesse nemmeno sentito quello che gli aveva chiesto.
Scommetto che domani mi porterà un esercizio di matematica,” disse fra sé e sé crollando le ampie spalle. Si incamminò con le mani dietro la schiena, pensando che Herich era davvero un ragazzo sfortunato: riusciva perfettamente in qualsiasi prova di natura intellettuale, aveva memoria, sagacia e intelligenza, ma aveva in spregio tutto ciò, mentre anelava disperatamente alla gloria delle armi. Peccato che a sedici anni fosse ancora snello come una fanciulla, e così delicato che anche solo usare la spada per mezz’ora gli faceva venire le vesciche alle mani.
A volte i disegni di Dras sono davvero imperscrutabili,” borbottò fra sé e sé.

Herich nel frattempo stava scendendo a precipizio i gradini della terrazza. Si lasciò alle spalle il palazzo di marmo bianco e corse verso i quartieri delle guardie, raggiungendo la piazza d’armi.
L’enorme spiazzo era diviso in due parti da una linea tracciata per terra: da un lato i soldati di Dyat facevano le esercitazioni e dall’altro i maestri d’armi impartivano lezioni agli alti ranghi militari e ai figli dei nobili. In quella zona c’erano diverse coppie di duellanti che si allenavano sotto l’occhio vigile degli istruttori.
Il ragazzo sogguardò per un po’ l’arena, ma prima che potesse decidere se entrarvi o meno, risuonò nell’aria un alto nitrito. Tutti smisero di combattere e si voltarono verso la provenienza del suono: dalla Via d’Onore, ovvero il viale che metteva in comunicazione la piazza d’armi con la porta orientale di Dyat, stava arrivando al galoppo un cavaliere. Aveva un’elaborata armatura, ma non portava l’elmo. Dietro la schiena, assicurata alla maniera dei guerrieri di Jechen, aveva una spada dalla lama leggermente ricurva.
Dewrich!” esclamò il giovane principe. Senza indugio corse in quella direzione, ma subito si trovò nel mezzo di una folla che stava facendo esattamente la stessa cosa: gli ufficiali e i nobili, infatti, unitamente ai maestri d’armi, stavano praticamente facendo a gara per essere i primi a porgere i loro omaggi a quello che con ogni probabilità sarebbe diventato presto l’erede al trono.
Il cavaliere arrestò il destriero al centro dello spiazzo e scese di sella con un balzo agile, poi si tirò indietro i capelli che gli erano scivolati sugli occhi. Si guardò intorno con espressione fiera.
Tutti si inchinarono.
Salute a te, Taman!” disse il principe per prima cosa, rivolgendosi al capo dei maestri d’armi. “Hai visto che finalmente ce l’ho fatta a diventare un guerriero?”
E vedo che sei consacrato a Jechen il Possente,” rispose l’uomo porgendogli la mano. “È un grande onore per me.”
Dewrich la strinse con calore. “Ora ti penti di tutte le volte che mi hai fatto mangiare la polvere dell’arena?”
L’altro sorrise. “No, principe. Se i miei insegnamenti fossero stati più morbidi, il dio della guerra non ti avrebbe mai scelto come suo adepto.”
Dopo Taman, altri si fecero avanti, ansiosi di salutare il giovane o di complimentarsi con lui.
Herich attese pazientemente. Solo quando tutti si furono allontanati si avvicinò cauto. “Fratello?” lo chiamò.
Dewrich si voltò nella sua direzione. “Herich! Vieni qui da me, fratello mio!”
Il ragazzo corse ad abbracciarlo. “Resterai molto?” gli chiese. Socchiuse gli occhi, inebriato dall’odore di cuoio e ferro dell’usbergo, che gli ricordava le battaglie di cui amava leggere.
Almeno fino al Rito.”
Dopo andrai via subito?”
L’altro alzò le spalle. “Dipende.”
Herich sorrise. “Allora resterai. Dras sceglierà sicuramente te.”
Vedremo,” si limitò a rispondere Dewrich. Si tirò indietro i capelli e spostò anche dalla fronte del fratello le ciocche ribelli che perennemente la coprivano, poi soggiunse: “Vieni, andiamo a portare Aglas in scuderia.”
Non lo affidi agli stallieri?”
Solo io posso toccare il mio destriero da guerra. E mio fratello, naturalmente.”
Herich sorrise. “Posso montarlo?”
È un destriero da guerra,” rispose Dewrich.
E allora?”
Ci vuole molta forza, Herich.”
Il più giovane si rabbuiò e si chiuse in un risentito silenzio.
Fu l’altro che dopo un po’ gli chiese: “Come vanno i tuoi studi?”
Il ragazzo fece spallucce. “Bene,” rispose senza entusiasmo, “Cresdan dice che se volessi potrei diventare chierico prima dei vent’anni.”
Prima dei vent’anni? Sul serio?”
Non mi interessa diventare chierico. Non voglio passere tutta la vita a scrivere delle pergamene e a buttare incensi sui turiboli. Voglio combattere.” Fece passare qualche secondo, poi soggiunse: “Come te.”
A quelle parole Dewrich rimase in silenzio e per un po’ gli unici suoni che si udirono furono lo scalpiccio degli zoccoli del destriero e il rumore dei loro passi. Infine, il principe disse: “Non disprezzare i doni di Dras, egli sa a chi deve elargire l’una o l’altra virtù.”
Allora Dras deve proprio odiarmi,” replicò cupo il ragazzo. Chinò la testa e si tirò indietro i capelli che gli erano di nuovo scivolati sulla fronte.
L’altro gli circondò le spalle con un braccio e lo tirò verso di sé. “Chierico prima dei vent’anni non è una cosa da poco.”
Io non voglio diventare chierico,” ripeté Herich. “Voglio combattere. Tutti i giorni mi faccio dare lezioni da Taman, sai?”
Da Taman? Allora sì che sei un coraggioso!” rispose Dewrich ridendo.
Ha detto che con lo stocco me la cavo bene,” replicò Herich, indeciso se sentirsi preso in giro o unirsi alla risata.
A quelle parole, il più grande si fermò, costringendo l’altro a fare altrettanto. Lo prese per le spalle e fissandolo negli occhi disse: “Allora domani combatteremo, d’accordo? Voglio proprio vedere se Taman ti ha detto la verità o se ti stava solo adulando perché sei il figlio del re.”
Con te non lo ha mai fatto, perché dovrebbe farlo con me?”
Domani vedremo,” gli disse Dewrich per tutta risposta.

Una volta sistemato il destriero, i due si diressero verso il palazzo reale. In previsione del Rito, tutti i templi erano aperti e ornati di fiori e drappi ricamati. Anche le grandi porte di bronzo del tempio di Dras erano aperte, una cosa che si verificava solo per quell’importante cerimonia, quindi una volta ogni generazione. All’interno si potevano vedere i sacerdoti e i novizi che si affaccendavano ad allestire l’altare.
Tu sai come si svolge il Rito?” chiese Herich. Sogguardò l’interno, che illuminato dal sole gli parve decisamente più ampio e maestoso del solito. Era vagamente intimidito da tutti quei preparativi.
Dovresti dirmelo tu.”
Perché io?”
Non sei tu che studi da chierico?”
Insomma, basta!” protestò il ragazzo, dandogli una spinta come faceva quando era più piccolo, “Io non voglio diventare un chierico. Non mi interessa.”
L’altro finse di barcollare. “Beh, domani Dras potrebbe anche dirti che diventerai re.”
Ma figurati, vuoi che Dras scelga un inutile topo di biblioteca come me? È ovvio che sceglierà te.”
Siamo nelle sue mani,” fu la sobria risposta.
Dopo quella frase nessuno dei due aggiunse altro ed erano ancora in silenzio quando arrivarono al cospetto del padre.
Re Evertas era nella sala del trono, anch’essa addobbata per l’occasione con gli stemmi della casata e le panoplie di armi degli antenati. Herich si guardò intorno, sentendosi vagamente in soggezione di fronte a tutte quelle insegne di guerra. Ancora una volta, era come se impietosamente Dras gli ricordasse che non era un guerriero e non lo sarebbe mai stato, e che la gloria delle armi gli era preclusa. Ripensò a Resen-Lhaw e alla sua eroica resistenza e si sentì invadere dallo struggimento: quello sì che sarebbe stato un bel modo di essere ricordati. Chi si ricordava invece del pur saggio e sapiente chierico che aveva scritto le liturgie del tempio di Dras? Chi, a parte qualche studioso, parlava di lui con deferenza e rispetto? Quante persone aveva salvato con l’impresa che aveva compiuto? Si voltò verso il fratello e come sempre Dewrich gli parve l’immagine stessa di Jechen, così come l’aveva sempre visto raffigurato nei templi: alto, forte, con il volto pallido incorniciato dai capelli neri lunghi fino alle spalle. Aveva un’espressione decisa, che ispirava sicurezza. Sarebbe stato un magnifico re.
Sospirò. Con suo fratello aveva in comune solo il colore dei capelli, e forse l’altezza. Paragonati a quelli verdi di Dewrich, persino i suoi occhi cerulei, che normalmente suscitavano commenti estasiati, gli sembravano brutti.
Il re li chiamò a sé. Herich non poté fare a meno di notare che l’atmosfera non aveva la connotazione informale delle riunioni precedenti, e che il padre aveva un cipiglio grave che non gli aveva mai visto se non in occasioni decisamente serie.
Come sapete, figli, domani notte Dras stabilirà chi di voi due dovrà succedermi quando giungerà il momento.”
I due si scambiarono un’occhiata ma rimasero in silenzio.
Dras sceglie secondo la sua imperscrutabile saggezza,” proseguì re Evertas, “e non è bene andare contro i suoi voleri.”
Herich annuì, poi si voltò verso Dewrich, che però si limitò ad aggrottare appena le sopracciglia senza distogliere gli occhi dal genitore. “Cosa succederà?” chiese il ragazzo.
Sarà il grande sacerdote a istruirvi,” fu la risposta. “La prima parte della cerimonia avverrà nel grande tempio qui a Dyat.”
E la seconda, padre?”
Il prescelto si recherà a est, alla gola di Os’lak, dove sorge il Primo Tempio. Lì riceverà la corona che il dio riterrà di concedergli.”
In che modo?”
Questo è uno dei Sacri Misteri,” rispose Evertas, “non posso rivelarlo neppure a voi che siete i miei figli.”
Herich abbassò lo sguardo. Si chiese se il fratello gli avrebbe almeno permesso di andare a Os’lak con lui.
Si fermarono ancora un po’ a parlare col padre, poi vennero congedati e uscirono nell’anticamera della sala del trono. Da lì si diressero ai loro quartieri.
Ho voglia di togliermi questa armatura e farmi un bagno,” disse Dewrich, “nonostante sia stata fatta dagli artigiani di Fjorn, dopo una giornata comincia a pesare.”
Herich la guardò: era tutta di ferro blu e cuoio, con decorazioni in argento. “È bella,” disse. “Ne aveva una così Adale di Lidas, secondo le cronache, e costava più di tutto il suo regno, perché il ferro blu è uno dei materiali più rari che ci siano.”
Vedo che sei ben informato. Te la farò provare, se vuoi.”
Davvero posso indossarla?”
Il maggiore stava per rispondere quando alle loro spalle echeggiò una voce: “Che mi prenda un colpo se quello non è Dewrich il guerriero!”
Un’altra rispose: “Sì, è lui. Andiamo a salutarlo, scommetto che non rifiuterà una bevuta con i vecchi amici!”
Essi si girarono all'unisono e videro due giovani esponenti della nobiltà di Dyas. In tono allegro, Dewrich esclamò: “Nelber, Lyerwen! Quanto tempo! Datemi solo un attimo per togliermi questa roba e sono da voi.” Si voltò di nuovo verso il fratello: “Perdonami, Herich, ma è tanto che non li vedo.”
Fa niente,” rispose il ragazzo con un’alzata di spalle. “Va' pure.”

La biblioteca era una sala ampia e ombrosa, che odorava di pergamena e legno incerato. I raggi di sole che entravano dalle vetrate facevano brillare il pulviscolo che danzava nell’aria.
Herich chiuse il libro che stava sfogliando e rimase con la guancia appoggiata alla mano e il gomito puntato sul piano del tavolo. Emise un sospiro, che il silenzio pieno di echi amplificò fino a farlo sembrare il sussurro di uno spirito inquieto.
Dewrich l’aveva lasciato per andare con i suoi amici e a lui non era rimasto altro da fare che rintanarsi come al solito a leggere le vicende degli eroi. Abbassò lo sguardo sul grande tomo miniato che aveva davanti: Cronache della Guerra Orientale.
Ripensò a Resen-Lhaw. Siccome non era riuscito a trovare immagini del suo volto da nessuna parte, se lo figurava sempre di spalle, con addosso l’elmo, l’armatura e la cotta d’arme rossa. Nella sua immaginazione impugnava due spade, e si ergeva fiero e indomito a scrutare il golfo di Brielar.
A volte l’aveva anche sognato: Resen-Lhaw era di spalle, esattamente nella posizione in cui lo immaginava, ma quando lui cercava di raggiungerlo, si accorgeva che non era possibile, e mentre l’eroe continuava a fissare sdegnoso il mare, le sue mani annaspavano nel vuoto senza mai toccarlo.
Sospirò. Talvolta rimpiangeva di non essere esperto nell’arte della pittura, perché altrimenti avrebbe volentieri disegnato lui un ritratto di Tjeran Sonse in armi. Sapeva dalle cronache che aveva gli occhi azzurri e i capelli biondi, ma il resto poteva solo immaginarlo.
Si chiese se nell’esercito ci fosse qualcuno che aveva preso parte alla Guerra Orientale. Magari c’era ancora qualche veterano che l’aveva visto, o che magari in qualche battaglia precedente al Massacro aveva addirittura combattuto al suo fianco.
Appoggiò la fronte sul tavolo emettendo un sospiro. Presto Dewrich sarebbe diventato l’erede al trono. Si sarebbe sposato, avrebbe avuto dei figli che avrebbero portato avanti la casata, magari avrebbe combattuto delle guerre, o sarebbe stato ricordato nelle cronache per qualche altro motivo.
Poi pensò a se stesso: cosa lo aspettava? Un avvenire da chierico, segregato in un monastero a recitare salmi.

§

Il mattino era radioso. Non c’era una nuvola in cielo e il sole faceva splendere il marmo bianco del palazzo reale così intensamente che guardarlo faceva quasi male agli occhi. La luce forte toglieva le ombre agli elementi architettonici, e archi, lesene e cupole quasi scomparivano confondendosi in un'unica massa candida.
Dalle vette dei Kelis spirava una brezza fresca, che faceva sventolare i vessilli scarlatti come lingue di fuoco.
Herich e Dewrich percorsero la scala che dal porticato del palazzo portava alla piazza d’armi. Il maggiore aveva lasciato da parte l’armatura ed entrambi avevano come protezione solo una leggera imbottita. Al fianco avevano uno stocco.
Il più giovane precedeva l’altro di parecchi passi e spesso si fermava e si voltava indietro per controllare che non rimanesse troppo indietro. “Andiamo?” gli chiese a un certo punto.
Con calma. Hai tutta questa fretta di farti umiliare da me?”
Herich sorrise. “E chi ti dice che sarai tu a umiliare me?”
Dewrich non replicò.
Giunsero alla piazza d’armi, che a quell’ora era percorsa solo dai soldati di guardia. Si misero uno di fronte all’altro e sfoderarono le armi, quindi si scambiarono il saluto.
In guardia,” disse Dewrich, poi assunse la posizione regolamentare.
Herich si morse il labbro inferiore. Ora che si trovava di fronte suo fratello con un’arma in mano, se ne sentiva piuttosto intimidito: gli occhi verdi di Dewrich lo scrutavano per cogliere i suoi punti deboli, la sua espressione risoluta lo metteva in soggezione. Il suo fisico robusto, muscoloso, dalle movenze rapide e precise gli sembrava quello di una belva pronta a colpire.
Forza, fratellino,” lo incitò il maggiore.
Il ragazzo si obbligò a non cedere all’emozione. Strinse l’arma e tentò un affondo, che l’altro parò senza difficoltà. Tornò in posizione di guardia.
Tutto qui quello che ti ha insegnato Taman?” lo provocò Dewrich.
I primi scambi furono molto tranquilli: parata e risposta, parata e risposta. Dopo ogni assalto, Dewrich gli spiegava cos’aveva sbagliato e glielo faceva ripetere come se gli stesse facendo lezione. Poi, dopo un po’, gli chiese: “Ora sei pronto a fare sul serio?”
Herich deglutì. “Sono pronto,” rispose, sforzandosi di guardare il fratello negli occhi.
Molto bene,” approvò l’altro, “preparati, perché ora vedrai cosa succede davvero in quelle battaglie che ti piacciono tanto.”
Il primo assalto fu talmente rapido che Herich non lo vide nemmeno arrivare. Si trovò il ferro così vicino al viso che riuscì a percepire l’odore dell’olio che era stato applicato sulla lama durante l’affilatura, e poi si sentì spingere all’indietro e finì nella polvere. Alzò lo sguardo e vide Dewrich che gli puntava la spada al petto. “Rialzati,” gli ordinò brusco. Il volto si era fatto duro, gli occhi fiammeggiavano.
Il più giovane si rimise in piedi. Tentò un assalto, ma l’altro lo deviò facilmente e di nuovo lo spinse via facendolo rovinare al suolo.
In piedi.”
Herich si rialzò ansante e si tirò indietro i capelli. Assunse di nuovo la posizione di guardia, ben deciso a non mostrarsi inetto di fronte a suo fratello. Si fece avanti con una punta al viso, ma l’altro parò di filo falso e poi girò fulmineo il polso per rispondere con un tondo rovescio. Herich si fece precipitosamente indietro, l’altro lo incalzò senza dargli il tempo di rimettersi in posizione, costringendolo a parare un colpo dopo l’altro. “Ecco, questa è la guerra!” disse avanzando senza riguardi, “Che ne dici, ti piace?”
Dewrich...”
Allora, ti piace? Quando ti prendi colpi da tutte le parti e non sai cosa fare, quando non riesci a vedere il tuo avversario da quanto è veloce, è quella la guerra, non i tuoi stupidi libri con gli eroi del passato, Haure il Senza Paura o il Leone Rosso del Waerund!”
Colpì di nuovo con un fendente, Herich indietreggiò con un gemito portandosi la mano al viso. Egli fece per colpirlo di nuovo, ma la sua lama si arrestò contro quella di un’altra spada.
Forse non ti sei accorto che il tuo avversario è già fuori combattimento, principe,” disse il padrone dell’arma con voce tranquilla.
Ancora ansante, col sangue che gli colava lungo la guancia, il ragazzo aprì le dita che gli coprivano il volto: chi aveva fermato il colpo era una delle guardie, un soldato con la lorica segmentata e l’elmo dalla cresta rossa. Percepì il bagliore di chiari occhi azzurri.
Come ti permetti?” ringhiò Dewrich. Fece per colpirlo con una piattonata, ma il militare parò il colpo senza apparente difficoltà. “Il giovane principe è ferito,” si limitò a fargli notare.
L’altro stava per replicare quando echeggiò un brusco richiamo. Il soldato rinfoderò la spada e si mise sull’attenti.
Arrivò un sergente. “Che cosa sta succedendo qui?” sbraitò. Poi, una volta che si fu avvicinato: “Ancora tu?”
Il soldato rimase a fissarlo immobile.
Ti sei intromesso nell’allenamento di Sua Altezza?”
Sì, sergente.”
Per tutti i volti di Dras! Fila via, con te facciamo i conti dopo!” poi, rivolto a Dewrich: “devi scusarmi, principe, quel soldato è uno stupido, un buono a nulla. Di solito non dà problemi, ma ogni tanto fa cose strane. Lo farò punire severamente, sta tranquillo. Vedrai che gli farò passare la voglia.”
No,” intervenne Herich
I due si voltarono verso di lui.
Ancora con la mano sull’occhio, il ragazzo ripeté: “No, ha agito per difendermi, ha fatto il suo dovere.”
Non eri in pericolo,” replicò brusco il fratello, “inoltre un soldato semplice non deve intromettersi in certe cose. Io ti stavo dando un insegnamento importante e quello stupido l’ha vanificato.” Si rivolse poi al sergente: “Puniscilo in modo esemplare.”
Herich gli prese il braccio. “No, per favore!”
Ora basta,” rispose brusco l’altro, “Non fare il bambino. I soldati non devono prendersi certe libertà.”
Ma Dewrich...”
Ho detto basta.”
Il ragazzo chinò la testa. Si voltò verso il soldato che si stava allontanando e cercò di imprimersi nella memoria quanto più poteva di lui: era alto e forte, ma quando nessuno lo guardava tendeva a stare un po’ ingobbito, come se si vergognasse della sua corporatura. Nei pochi secondi che l’aveva visto non era riuscito a stabilire quanti anni avesse, ma gli sembrava comunque che non fosse giovane. Di sicuro era più vecchio del sergente che l’aveva redarguito. Si chiese come mai un uomo di quell’età fosse ancora un soldato semplice.
La voce del fratello lo distrasse dai suoi pensieri: “Ti fa male?”
Herich si girò verso di lui, rapido come se fosse appena stato sorpreso a fare una cosa molto sconveniente. “No, fratello,” mentì.
Fa vedere.” Gli prese il volto fra le mani e lo osservò attentamente. “Non è nulla,” concluse poi sbrigativo. “O, per meglio dire, è il minimo che ti puoi aspettare andando in guerra.”
Tu sei stato in guerra, Dewrich?”
L’altro levò di lui uno sguardo che sembrava volerlo incenerire, tanto che Herich deglutì spaventato. “Sono un guerriero di Jechen,” fu l’asciutta risposta, e il ragazzo ritenne più saggio non insistere.
Ora andiamo,” disse poi, “voglio che ti lavi via quel sangue dalla faccia.”
Sì, fratello.”

Come sempre in biblioteca, Herich chiuse il libro e si toccò cautamente il viso.
La ferita in effetti non era grave: era appena uno sgraffio, che gli segnava il sopracciglio e lo zigomo sinistri. Un colpo più deciso gli avrebbe probabilmente tolto l’occhio, ma Herich era sicuro che il fratello avesse dosato la forza del fendente con precisione per fargli solo un po’ di male. Non per niente era un guerriero di Jechen, quella della spada era la via che aveva scelto di percorrere.
Riguardò il libro di battaglie, che nonostante la dura lezione del mattino esercitava su di lui un immutato fascino, e ripensò al soldato, e alla facilità con cui quell’uomo che per età avrebbe facilmente potuto essere suo padre aveva parato la piattonata di Dewrich. Non era stata solo fortuna.
Ripensò a quello sguardo azzurro: l’aveva incrociato forse per un secondo, ma in quel pur brevissimo tempo gli aveva comunicato lealtà, onore e forza, e anche una strana amarezza.
Rimise a posto il libro e andò ad affacciarsi alla porta: il corridoio era deserto.
Ciò che aveva in animo di fare non era nulla di sbagliato, ma chissà perché aveva l’idea che se Dewrich l’avesse scoperto non ne sarebbe stato per nulla contento.
Uscì dunque cauto e si diresse verso la piazza d’armi. Una volta giunto là, si guardò intorno smarrito: non era mai stato nei locali riservati alle guardie, suo padre non glielo aveva mai permesso, forse in previsione del suo futuro come chierico di Dras, per cui non sapeva da che parte andare per cercare il soldato. Prese ad aggirarsi un po’ perplesso: fino a quel momento, per lui le guardie erano state figure immobili ai lati delle porte o sugli spalti, quasi gli sembrava strano che fossero persone come tutte le altre, che si muovevano e respiravano, con le quali si poteva parlare.
Principe?” si sentì chiamare a un tratto.
Si girò e si trovò di fronte un graduato. “Io… stavo cercando un soldato,” disse esitante.
Che soldato, principe?”
Quello che stamattina è intervenuto sulla piazza d’armi. Ho bisogno di lui.”
È già stato punto con la massima severità, principe,” gli assicurò il graduato, “non devi preoccuparti.”
Io non volevo che venisse punito,” replicò il ragazzo.
Il sergente alzò le sopracciglia stupito, poi replicò: “È solo un buono a nulla, principe, non vale la pena che tu perda il tuo tempo con lui.”
L’altro corrugò la fronte. “Voglio vederlo.”
Di fronte a quel cipiglio, il sergente dovette cedere. “Come vuoi, principe. È nel cortile dietro la caserma.”
Ignorando gli sguardi di curiosità che gli venivano rivolti, Herich oltrepassò gli edifici dove alloggiavano i soldati e arrivò al cortile, che era essenzialmente un’arena grande come la piazza d’armi disseminata di fantocci di paglia, bersagli per le frecce e strumenti ginnici.
Un uomo stava sistemando i manichini danneggiati: lo vide sfilarne uno dal suo supporto, sollevarlo di peso e poi portarlo verso un angolo della spianata, dove ce n’erano già altri. Non aveva la lorica, e la tunica rossa gli si tendeva sulle spalle ampie. I capelli corti erano di un biondo chiarissimo.
Riconobbe l’andatura ingobbita. “Soldato!” lo chiamò.
L’uomo si fermò, e Herich ebbe quasi l’impressione che il suo richiamo non l’avesse colto di sorpresa. Posò il manichino e si voltò lentamente. “Principe,” lo salutò, portandosi al petto la destra chiusa a pugno.
Il ragazzo si avvicinò titubante, non del tutto sicuro, ora che lo vedeva senza elmo e con addosso una semplice tunica, che fosse la persona giusta.
Sei tu?” gli chiese, fissandolo ansiosamente in volto alla ricerca del suo sguardo.
L’altro abbassò gli occhi. “Io, principe?”
Tu mi hai aiutato, questa mattina.”
Il soldato annuì. “Perdonami se ti ho mancato di rispetto, principe,” disse poi.
Perché sei intervenuto?”
L’uomo non rispose.
Sicuramente ti avranno frustato a causa mia.”
Non fa niente, principe.”
Seguì un lungo silenzio. Da lontano giungevano spezzoni dei canti sacri che venivano intonati in preparazione alla cerimonia serale. Nell’aria c’era un vago odore di incenso. “Come ti chiami?” chiese infine Herich.
Res, principe.”
Res, e poi?”
E basta, principe.”
Il ragazzo prese un gran respiro. “Beh, Res… ecco, io vorrei che fossi tu a insegnarmi la scherma.”
L’altro alzò la testa e per la prima volta lo fissò dritto negli occhi. Il suo sguardo era ardente, quasi rabbioso. “Io non ho niente da insegnare a nessuno, principe,” ringhiò. La voce si era fatta improvvisamente dura come la pietra.
Ma...”
Scusami, principe, devo terminare il mio lavoro.”
Senza aggiungere altro, il soldato gli rivolse il saluto militare, poi si girò e se ne andò a grandi passi.
Aspetta! È una posizione di privilegio, saresti il mio istruttore…!”
L’altro non si voltò nemmeno.
A Herich, che era rimasto a guardarlo senza parole, non restò che fare ritorno al palazzo reale. Si sentiva molto avvilito: aveva dovuto scavare fuori un bel po’ di coraggio, per chiedere a quel Res di istruirlo, ma evidentemente neppure quello era bastato a convincere il militare che da lui si sarebbe potuto cavare fuori qualcosa di diverso da un pavido chierico.

§

La preparazione alla cerimonia era durata tutto il pomeriggio. Erano stati abbigliati, lui con una lunga tunica ricamata e Dewrich con la sua armatura di ferro blu, ornati delle insegne della casata e istruiti sul come avrebbero dovuto comportarsi all’interno del tempio.
Ora, fianco a fianco, si apprestavano a entrare nell’enorme edificio.
Herich riconobbe nella navata centrale, fra gli altri religiosi, Cresdan in paramenti solenni: dato che era il suo precettore, aveva chiesto il permesso di officiare il Rito accanto al Grande Sacerdote.
Strinse gli occhi. Già sulla soglia, il calore prodotto dalle innumerevoli candele era soffocante. L’atmosfera era opaca per gli incensi che bruciavano sui turiboli e greve di quell’odore, sempre a metà fra l’inebriante e il nauseante. Herich dovette passarsi una mano fra i capelli mentre una sorta di capogiro lo faceva vacillare.
Il fratello lo sostenne prendendolo per un braccio. “Cos’hai?” gli chiese sottovoce.
L’odore mi dà fastidio.”
Resisti.”
Il ragazzo annuì. L’interno del tempio gli sembrava sempre più fumoso, torrido, igneo. Sbatté le palpebre, di colpo infastidito dalla luce forte.
Si rese confusamente conto che stavano avanzando. I canti e la musica coprivano il rumore dei passi e anche la sensazione della pietra sotto i piedi gli giungeva incerta e vaga. Si concentrò sulla stretta di Dewrich come se essa fosse stata l’unico appiglio per non cadere in un precipizio.
Lo avevano istruito a lungo sul contegno che avrebbe dovuto tenere, ma la ferita che aveva sul viso gli stava bruciando così intensamente che dovette toccarla per forza. Ritrasse i polpastrelli con un gemito di dolore: gli sembrava di averli posati sul ferro rovente.
Dewrich...” mormorò smarrito. Forse il fratello gli rispose, ma lui non riuscì a sentirlo. Di colpo tutto intorno a lui sembrò scomparire, lo sfondo del tempio addobbato divenne un magma indistinto, il calore si fece così intenso che credette di prendere fuoco. Sentì che gli cedevano le ginocchia, ma la sua caduta sembrava non arrivare mai al pavimento. L’ultima cosa che vide fu una luce accecante. Udì una specie di tuono e poi tutto si fece buio.

Herich aprì gli occhi. Non sapeva quanto tempo fosse passato, aveva mal di testa e una sete atroce. Cercò di guardarsi intorno, benché muovere il capo gli facesse aumentare il dolore, e si accorse di essere ancora nella navata centrale del tempio, sdraiato su qualcosa di morbido. Intorno a lui c’erano sacerdoti inginocchiati che pregavano. “Devo… morire?” mormorò con voce roca.
Comparve nel suo campo visivo il volto del re. “Sei il mio erede, figlio,” gli comunicò il sovrano con una solennità che lo fece rabbrividire. “Dras ha scelto te.”
Gli pose davanti al viso uno specchio: la ferita che Dewrich gli aveva procurato si era trasformata in un segno rosso simile a un tatuaggio. Sollevò a fatica una mano e la sfiorò con le dita, percependo sotto i polpastrelli una linea appena rilevata, e più calda della pelle circostante.
Ma io...” mormorò. Avrebbe voluto dire che non era pronto, che non era in grado. Che quando era comparsa la grande luce non aveva sentito voci che gli svelavano segreti arcani né provato sensazioni di beatitudine celestiale, che non gli erano stati conferiti doni sovrumani o altro, ma era troppo esausto.
Pensò che alla fine non gliene importava molto: prima o poi se ne sarebbero accorti da soli.
Chiuse gli occhi, ma subito due mani robuste lo riscossero, sollevandolo letteralmente dal suo giaciglio. “Sono io, fratello,” disse la voce di Dewrich.
Mi dispiace,” fu l’unica cosa che il ragazzo riuscì a mormorare. “Mi dispiace, mi dispiace...”
Ora devi alzarti,” gli disse il maggiore.
Non ce la faccio.”
Alzati, il Grande Sacerdote ti sta aspettando per completare il rito.”
Aspetta, posso...” avrebbe voluto chiedere dell’acqua, ma già Dewrich lo stava sospingendo lungo la navata, tra due ali di folla osannante che gettava fiori al suo passaggio.

§

Passarono alcuni giorni. Cerimonie e festeggiamenti si erano succeduti a un ritmo incalzante, e Herich sostanzialmente non aveva ancora avuto modo di elaborare con calma ciò che era successo. Continuava a sembrargli tutto troppo assurdo, troppo impossibile per essere vero.
Dras non poteva aver scelto lui.
Eppure quando si toccava il viso trovava il segno del dio.
Suo padre gli aveva mostrato il segno che a suo tempo aveva ricevuto da Dras: era una piccola cicatrice a forma di ferro di cavallo, proprio sotto la clavicola destra. Il padre di suo padre ce l’aveva sulla schiena, e così via, andando indietro nelle generazioni.
Non era ancora riuscito a parlare a quattr’occhi con Dewrich, principalmente per tutti gli impegni ufficiali, ma anche perché il fratello sembrava in qualche modo evitare la sua presenza, e questo lo faceva soffrire moltissimo.
Avrebbe tanto voluto discutere con Dras, per chiedergli il perché di quello scherzo di cattivo gusto, ma a differenza degli uomini, il dio poteva concedersi il lusso di parlare solo quando ne aveva voglia, e di non rispondere alle domande che non gli piacevano.
Uscì dalla biblioteca, dove come al solito si era rintanato, e subito si imbatté in un valletto. “Principe, ti stavo cercando,” disse questi rivolgendogli un inchino. “Il re tuo padre chiede di te. Desidera che tu lo raggiunga nella sala del trono.”
Herich ringraziò e subito si mosse in quella direzione. Quando giunse sul posto, vi trovò riuniti il re, la regina, Dewrich, il Grande Sacerdote, Cresdan e il generale Kierev, comandante delle truppe di Dyat. Tutti si alzarono quando lui entrò, facendogli sorgere il desiderio di voltarsi e uscire di corsa per l’imbarazzo.
Se quello era un assaggio della sua futura vita da re, non sapeva proprio come avrebbe fatto a tollerarla.
Volevi vedermi, padre?” chiese comunque, inchinandosi come sempre.
L’altro annuì. “Dobbiamo organizzare il tuo viaggio.”
Che viaggio, padre?”
Intervenne il Grande Sacerdote: “Dovrai recarti al Primo Tempio per ricevere la corona.”
Herich annuì. Ormai tutto procedeva a prescindere dal suo volere, quindi non avrebbe avuto alcun senso opporsi. “Quando partirò?”
Tra un mese, al solstizio. Ma non andrai da solo: ti sarà assegnata una scorta.”
A quelle parole, si fece udire il generale: “Os’lak è ai confini con le steppe di As’del. Non è prudente andarvi senza una scorta armata.”
D’istinto, Herich si voltò verso il fratello: “Ti prego, Dewrich: vieni con me. Sono sicuro che non avrò nulla da temere, se tu sarai al mio fianco.”
Il maggiore sorrise. “Tranquillo, sarei venuto in ogni caso.”
Davvero?”
Ma certo. Trascorrerò questo mese nel monastero di Voldas a meditare, poi partiremo insieme.”
E con la scorta,” soggiunse il generale.
Herich annuì di nuovo, con lo stesso movimento che faceva istintivamente quando il precettore gli spiegava una materia che richiedeva tutta la sua attenzione. “Chiedo una cosa, però,” mormorò esitante.
Cosa, principe?” volle sapere il generale.
C’è un soldato che si chiama Res. Vorrei lui nella scorta.”
Mai sentito.”
Mi ha detto che si chiama solo Res.”
Mi informerò, principe. Considerala una cosa fatta.”
Grazie, generale.”
La riunione si sciolse, ognuno tornò alle proprie occupazioni. Herich e Dewrich si spostarono nell’anticamera della sala del trono. “Come fai a conoscere i soldati per nome?” chiese il secondo.
Non li conosco, fratello, ma quel Res è stato gentile con me.”
Gentile in che modo?”
Ecco...” Herich esitò. Non voleva dirgli che si trattava del soldato che l’aveva difeso quando si erano misurati in duello. “Mi ha aiutato.”
I soldati hanno il dovere di aiutarti, Herich. Sei l’erede al trono.” Al più giovane parve che l’altro calcasse esageratamente sulle ultime parole.
Lui è stato gentile,” tagliò corto. “Se la mia opinione conta qualcosa, voglio anche lui nella scorta.”


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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Resen-Lhaw 2 Salve gente!
Secondo capitolo del mappazzone orrendo. Ringrazio tantissimo tutti quelli che sono passati da queste parti, mi hanno messo in qualche lista o sono stati così gentili da lasciarmi un loro parere.






Capitolo 2

L’aquila si posò con uno strido, arruffò le penne sul collo, si scrollò e fece scorrere lo sguardo grifagno tutt’intorno. Res, che stava trasportando un sacco di provviste, si fermò per un istante a fissarla: non era un’aquila di quelle parti, aveva penne più chiare ed era più piccola di quelle che si vedevano nel Daishrach.
Il rapace si voltò nella sua direzione e dall’alto del ramo su cui si era posato sembrò guatarlo con sdegno.
In quel momento, un colpo di verga sulla schiena lo fece sussultare. “Ancora a guardare le nuvole, specie di fannullone?” abbaiò un graduato.
Res fu attraversato da un fremito, ma non rispose. Si limitò a bilanciarsi meglio il sacco sulla spalla e a proseguire verso i carri fermi al centro della piazza d’armi.
Vieni qua, muoviti!” lo incitò uno dei soldati che stavano allestendo i carichi. “Non abbiamo tutto il giorno.”
L’altro depose il sacco di granaglie, di almeno centoventi libbre, su uno dei pianali.
Non qui! Su quello dei cucinieri, imbecille.”
Senza parlare, il soldato sollevò di nuovo il sacco, se lo caricò in spalla e procedette verso l’altro carro. Aveva colto uno scambio di sguardi di intesa fra i due equipaggi, ma preferì far finta di niente.
Prevedibilmente, quando arrivò a destinazione, il cuoco protestò: “Chi ti ha detto di portare qui questa roba? Rimettila dove l’hai presa.”
Res non disse una parola. Raccolse nuovamente il suo fardello e si allontanò.
Lo fermò un sottufficiale: “Si può sapere dove stai andando?”
Il cuoco mi ha detto di riportare questo sacco dove l’ho preso,” fu la risposta.
E tu ti fai dare ordini da un cuoco, razza di idiota? Che accidenti vuoi che ne sappia un cuoco? Mettilo sul carro delle provviste e fila a prenderne un altro!”
Il soldato obbedì senza replicare e mentre si allontanava sentì il graduato che diceva: “Per i volti di Dras, cosa dovrei farmene di quel deficiente? Questo ormai non è più un esercito, è un ospizio per mentecatti.”
Strinse i denti e si allontanò in direzione dei magazzini. Si terse gocce gelide dalla fronte: stava sudando più del solito, e non era una buona cosa: significava che il suo problema stava tornando a farsi sentire. Si chiese se sarebbe mai riuscito a liberarsene.
Si appoggiò con le spalle contro un muro e inspirò profondamente ad occhi chiusi, cercando di ignorare i segnali di bisogno che il suo corpo gli stava mandando. Si passò fra i capelli una mano tremante e la ritrasse fradicia. “Non ci siamo,” mormorò fra sé e sé.
Una voce irata lo riscosse: “Datti una mossa, non abbiamo tutto il giorno!”
Res strinse i denti e tornò al lavoro.

All’alba del giorno dopo, la colonna era pronta a partire. Nessuno gli aveva detto dov’era diretta, ma Res aveva capito abbastanza presto che si trattava della scorta per il principe Herich che andava al Primo Tempio. Quello che lo stupiva era che anche lui era stato scelto per farne parte: con l’aria di non capacitarsi della cosa, un graduato gli aveva detto di raccogliere la sua roba, indossare la lorica e unirsi alla scorta.
Mentre prendeva posto in fondo al plotone, notò di nuovo l’aquila. Gli parve che fosse la stessa del giorno prima, o perlomeno che fosse delle stessa razza. Pensò che il rapace avesse deciso di seguire la spedizione nella speranza di recuperare qualche avanzo. Se lo facevano i gabbiani con le navi, era plausibile che lo facessero anche le aquile con le carovane.
Si disinteressò dell’uccello e lasciò vagare lo sguardo sulla colonna: il generale Kierev aveva mandato addirittura il capitano Arahad, che passava per essere il suo miglior ufficiale, a comandare la spedizione. Il plotone di soldati, a parte lui, era composto da elementi scelti, e anche sui carri c’erano solo veterani dai nervi saldi.
Il principe Dewrich, in armatura completa, stava girando su e giù in sella al suo intrattabile roano, che impaziente di partire frustava l’aria con la coda e scalpitava sul selciato. Il ragazzino, gli pareva di ricordare che si chiamasse Herich, montava una snella puledra grigia. Accanto a lui, su un mulo di proporzioni commisurate al suo fisico, c’era un imponente chierico di Dras.
Seguivano le truppe una serie di carri con i bagagli pesanti e le salmerie. In fondo c’era un carro più piccolo e completamente coperto. Il veicolo era di foggia civile e proveniva direttamente dal palazzo reale.
A un segnale del principe Dewrich, la colonna si mise in marcia. Dalla piazza d’armi percorse tutta la Via d’Onore tra due ali di folla esultante, quindi uscì dalla porta orientale e prese quella che nei tempi antichi, quando il Daishrach era ancora un territorio vasto e potente, veniva chiamata la via di Dras.
Da allora erano passati decenni e le sempre più frequenti incursioni dei predoni di As’del avevano reso pericolose le regioni di confine. A parte chi doveva recarsi agli antichi templi, erano pochi i coraggiosi che si avventuravano in quelle zone ormai selvagge.
Il cielo era terso, solcato da poche nuvole. Una lieve brezza faceva ondeggiare le messi ormai pronte per la mietitura. Res si rallegrò che il caldo non fosse ancora quello della piena estate, perché altrimenti marciare sotto il sole con l’armatura d’acciaio e lo scudo sarebbe stata una pena.

Nello stesso momento, Herich si guardava intorno, vagamente intimidito dagli enormi spazi aperti che di colpo si trovava davanti. Fino a quel momento era uscito poche volte dalla città, e sempre verso le regioni occidentali, dove i monti Kelis creavano piccoli declivi, foreste e anfratti ombrosi.
Quella pianura che si perdeva all’orizzonte gli dava una strana inquietudine.
Che meraviglia, vero?” disse Dewrich al suo fianco. Aveva la testa alta e un’espressione spavalda sul volto pallido. Il vento scherzava appena con i suoi capelli scuri e con la criniera del suo cavallo. “Vuoi fare una corsa?” gli propose.
Ma io...” istintivamente si voltò verso Cresdan.
Il fratello notò il gesto e disse: “Non essere sempre così fifone, Herich. Come farai a diventare re dopo nostro padre, se non hai nemmeno il coraggio di galoppare un po’ su questi prati?”
Questi non sono prati, sono campi,” obiettò il più giovane, “e se li roviniamo?”
L’altro alzò gli occhi al cielo come di fronte a un puntiglio assurdo. “D’accordo,” sospirò, “allora sulla strada?”
Herich si morse il labbro inferiore: a quel punto non poteva più esimersi. “Va bene.”
Ah, ottimo. Fino alla quercia là in fondo, d’accordo? Cresdan, dà tu il segnale di partenza!”
La puledra sembrava aver capito cosa si aspettavano da lei, perché aveva cominciato a scalpitare nervosa, con le orecchie dritte e le froge dilatate. Herich faticava a tenerla. Fissò con apprensione il nastro grigio della strada, il cui lastrico gli appariva quanto mai scivoloso e malsicuro, e si pentì di aver acconsentito alla corsa. Già si vedeva a terra in qualche curva, magari anche con un osso rotto.
Poi l’animale scattò in avanti. Cresdan doveva aver dato il famoso segnale, perché Dewrich era al suo fianco e stava facendo del suo meglio per superarlo. Strinse convulsamente le redini e le ginocchia, con l’impressione di trovarsi in groppa a un dragone di Iarrim. Il vento gli faceva lacrimare gli occhi e gli rendeva difficile respirare. Per quel poco che riusciva a vedere, la quercia solitaria si stava avvicinando a velocità vertiginosa.
Arrivarono all’albero. Il cavallo di Dewrich, addestrato da guerra, girò stretto intorno al tronco e ripartì nella direzione opposta, ma la puledra rischiò di scivolare e Herich dovette aggrapparsi alla criniera per non essere sbalzato a terra.
È bello, vero?” esclamò Dewrich al suo fianco, spronando il cavallo per fargli aumentare ulteriormente l’andatura.
Concentrato nel compito di rimanere in sella, il ragazzo non rispose.

Lentamente i campi coltivati si trasformarono in una steppa incolta. Le case coloniche, prima disseminate un po’ ovunque, divennero sempre più rare e poi scomparvero del tutto, lasciando il posto a qualche rudere abitato dai corvi. Dopo il crocevia di Luktavn, la strada lastricata venne sostituita da una larga pista di terra battuta.
Sorsero rilievi montuosi, dapprima appena dei corrugamenti del terreno, poi pian piano tali ondulazioni si alzarono fino a diventare una parete montuosa scabra e rossiccia, ai cui piedi si muoveva la spedizione.
Herich si voltò verso il fratello: “Che monti sono questi?”
La Cresta di Kenegan, la seguiremo fino alla gola di Os’lak.”
Dove c’è il Primo Tempio?”
Esatto. È strano pensare che una volta la Capitale fosse qui, non è vero?”
Già.”
Il ragazzo si guardò intorno. A parte il sibilo del vento, c’era un silenzio raggelante. Cosparsa di duri fili d’erba, la pianura sembrava disabitata e inospitale. La falesia che stavano costeggiando si faceva più incombente a ogni passo.
Di tanto in tanto si vedevano in lontananza pezzi di muro, a volte anche qualche arco. Il candore dei blocchi di marmo che spuntavano dalla terra faceva pensare a vecchie ossa consumate dalle intemperie. Herich non poté fare a meno di notare che la pietra era la stessa con cui era stato edificato il palazzo reale di Dyat.

Era pomeriggio inoltrato quando il capitano Arahad diede l’ordine di allestire il campo per la notte. La luce stava scemando rapidamente, il freddo cominciava a farsi sentire. In lontananza si udivano i richiami rochi dei tanroth-ath.
Res fece scorrere lo sguardo sull’orizzonte. Animali strani non se ne vedevano, ma la cosa non lo tranquillizzò per nulla. Peraltro, gli animali erano probabilmente il problema minore di quelle regioni inospitali, battute in lungo e in largo dalle bande di predoni che sconfinavano dalle steppe di As’del.
Di sicuro la voce del loro passaggio era già arrivata alle orecchie di chi di dovere, e presto avrebbero dovuto prestare molta attenzione alle incursioni notturne.
Si voltò verso il capitano Arahad, che stava parlando con il principe Dewrich e pareva piuttosto sicuro di sé. Sapeva che aveva combattuto, ma era troppo giovane per aver preso parte a qualcosa di più serio di scaramucce di confine. Si augurò che fosse almeno un uomo di buon senso.
Alzò lo sguardo e vide che nel cielo roteava un rapace. Si fece ombra con la mano per vedere meglio e notò che si trattava di un’aquila.
In quel momento si fece sentire una voce irata: “Tu, laggiù! Credi di essere in taverna a fine servizio? Datti una mossa!”
Il soldato raggiunse gli altri.
Presto sorse una palizzata tutt’intorno all’accampamento e furono organizzati posti di guardia. La tenda dei principi fu allestita al centro del campo, in mezzo a quelle dei soldati. Venne distribuito il rancio.
Seduto in un angolo in disparte a consumare la sua razione, il soldato lasciava vagare sul campo uno sguardo stanco. Come sempre verso quell’ora, il suo problema si faceva sentire e i crampi gli facevano dolere tutti i muscoli. Si portò il cucchiaio alla bocca, ma la mano gli tremava talmente forte che quasi gli cadde per terra il suo contenuto. Lo ripose nella gavetta.
In quel momento notò che il giovane principe gli si stava avvicinando. Represse un’imprecazione: non era il momento.
Del tutto inconsapevole del suo malessere, il ragazzo lo raggiunse e lo salutò. “Posso stare un po’ qui con te?” gli chiese.
Res strinse i denti. “Sei il principe, puoi stare dove vuoi.”
Il ragazzo lo fissò incerto, poi si sedette su un sasso poco distante. Per un po’ rimase in silenzio, poi gli chiese: “Sei stanco, Res?” Notò che il recipiente che aveva in mano era ancora pieno a metà. “Non ti va di mangiare?”
Il soldato emise un sospiro. “Principe...”
Il ragazzo assunse un’espressione preoccupata. “Ti disturbo, per caso?”
Res scosse la testa. “Questo non è il tuo posto, principe. Non è opportuno che tu stia in mezzo ai soldati semplici.”
Il ragazzo sgranò gli occhi. “Perché?”
Prima che l’uomo potesse rispondere, si udì un brusco richiamo: “Herich!”
Il giovane principe si girò di scatto, poi tornò a voltarsi verso l’uomo. “È Dewrich,” disse, quasi in tono di scusa.
Ti vuole dire, principe, che non è opportuno che tu stia qui. Il tuo posto è in mezzo ai nobili.”
Herich!”
Il ragazzo corse via.
Res rimase a seguirlo con lo sguardo. Lo vide raggiungere il fratello e sentì il maggiore dirgli qualcosa alzando la voce. Il più giovane ritirò la testa fra le spalle ed egli dovette distogliere lo sguardo mentre un fremito di rabbia lo invadeva. “Non è il caso,” si disse a mezza voce, “gli creeresti più problemi che altro.”
Riprese la gavetta e ricominciò a mangiare, portandosi il recipiente vicino alla bocca per evitare che il tremito della mano, nel frattempo diventato più intenso, gli facesse rovesciare il contenuto del cucchiaio.

§

Herich riaprì gli occhi indolenzito dappertutto. Non aveva mai dormito su un letto da campo e gli sembrava di essere stato tutta la notte sulla dura pietra. Il sole stava sorgendo, da una fessura della porta penetrava un raggio dorato, che faceva brillare i fregi della sua veste da cerimonia.
Si guardò intorno: da dietro una tenda proveniva il russare regolare di Cresdan, ma il letto di Dewrich era vuoto. Da fuori provenivano voci e ordini gridati.
Emise un sospiro e si passò una mano fra i capelli arruffati dal sonno. Aveva sognato di nuovo Resen-Lhaw. Questa volta il guerriero, sempre girato di spalle, gli era apparso così vicino che per un breve attimo aveva creduto di poterlo finalmente toccare. Ricordava ancora le proprie dita che quasi sfioravano la rossa cotta d’arme dell’eroe.
Si mise a sedere sul letto, e in quel momento i lembi dei teli che chiudevano la tenda si sollevarono ed entrò Dewrich. “Hai dormito bene, fratello?” gli chiese.
Sì, benissimo,” disse subito il ragazzo.
Allora vieni, il cuoco ha preparato la colazione.”
Herich si alzò un po’ perplesso. Nella sua breve vita non gli era mai capitato di alzarsi dal letto e andare a mangiare così com’era. Di solito la colazione era preceduta da lunghi preparativi, e da una scrupolosa vestizione. Uscire così lo faceva sentire nudo.
Ti muovi?” lo richiamò il fratello.
Ma io...”
Forza! Se fa tanto di alzarsi anche Cresdan, per noi non rimane più neppure una briciola.”

La giornata trascorse così uguale alla precedente da far credere a Herich che fosse esattamente la stessa: il paesaggio era talmente monotono che se non fosse stato per i rumori della colonna in marcia, avrebbe pensato di essere sempre fermo nello stesso posto. Il cielo si era fatto bigio, lattiginoso, e nemmeno il movimento del disco solare dava un’idea del passare del tempo.
Talvolta si incontravano scheletri abbandonati lungo la via, più spesso di cavalli o bovini, ma ogni tanto anche umani, a testimonio dei numerosi pericoli di quella desolata contrada.
La sera venne di nuovo allestito l’accampamento, con l’unica differenza che Herich non tentò più di avvicinare il soldato. A prescindere da ciò che l’uomo gli aveva detto su quale fosse il posto più opportuno per lui, aveva la sensazione di dargli fastidio, o forse di metterlo a disagio. Si mantenne accanto alla tenda e la abbandonò solo quando il capitano Arahad lo invitò accanto al fuoco a condividere con lui e Cresdan un po’ di vino col miele.

Il giorno successivo cadeva una pioggia battente. La visibilità era ridotta a poche centinaia di piedi, l’aria era opaca, immobile e fredda, la falesia era una vaga ombra scura che incombeva sulla spedizione. L’acqua impregnava e appesantiva ogni cosa.
I cavalli scuotevano di tanto in tanto la criniera, lanciando spruzzi tutt'intorno.
Avvolto in una mantella cerata, il cappuccio tirato fin sugli occhi, Herich procedeva in silenzio.
Stava quasi sonnecchiando in sella, ipnotizzato dallo scrosciare della pioggia e dai monotoni rumori della colonna in marcia, quando un grido lo riscosse bruscamente: “Tanroth-ath!”
Si guardò intorno: la colonna aveva immediatamente assunto una formazione di difesa e i soldati stavano scaricando dai carri le armi lunghe. Un paio di balestrieri approntarono le loro armi.
Dewrich estrasse la spada e gli disse: “Resta vicino a Cresdan e non muoverti per nessun motivo.” La voce aveva un tono di apprensione che costrinse Herich a deglutire spaventato.
Passarono angosciosi secondi, poi vide due figure avvicinarsi rapide: erano quadrupedi che procedevano a balzi, grandi come un cavallo, con una lunga coda irta di aculei e i corpi coperti di squame sul bruno-verde.
Il muso, lo vedeva sempre meglio man mano che le bestie si avvicinavano, era una specie di cranio allungato e scarnificato, appena coperto da uno strato di pelle. Avevano chiostre di zanne seghettate lunghe almeno quattro dita.
Per i volti di Dras,” mormorò Herich.
Sono della razza che non vola,” constatò Cresdan al suo fianco. Poi, in tono rassicurante: “Resta accanto a me, ragazzo. Conosco qualche incantesimo difensivo che può fare al caso nostro.” Subito dopo cominciò a salmodiare in tono monocorde in una lingua sconosciuta.
La puledra alzò la testa e appiattì le orecchie. Tentò di scartare.
Buona,” le raccomandò Herich.
Le due bestie intanto si stavano avvicinando. I balestrieri scaricarono le loro armi, ma i dardi rimbalzarono sulle squame dorsali delle creature.
Negli occhi o nella gola!” urlò una voce, e Herich fu quasi certo che fosse quella di Res.
Cresdan continuava a salmodiare e presto il ragazzo ebbe l’impressione che ciò che stava succedendo gli giungesse ovattato, come da una grande distanza. I suoni si erano fatti flebili, l’aria era immobile. “Che cos’hai fatto?” chiese.
L’altro alzò le spalle. “Solo un piccolo cerchio di protezione, così quei due mostri non si accorgeranno nemmeno di noi.”
Non potevi farlo per tutti?”
Nemmeno il Grande Sacerdote potrebbe, mi dispiace.”
Ma così tanti soldati moriranno!” E nel dire ciò, si accorse di aver rivolto il pensiero a Res.
La risposta lo gelò: “Sei tu quello che deve rimanere in vita, ragazzo mio. Ai soldati spetta di morire per proteggerti.”

I soldati nel frattempo si erano attestati in posizione difensiva, puntando i calzuoli delle picche sul terreno e rivolgendo le punte in direzione dei due tanroth-ath. Il più piccolo dei mostri, forse più giovane e inesperto, non riuscì a interrompere la carica e se ne piantò parecchie nel corpo, ma l’altro scartò all’ultimo momento e balzò sul fianco della formazione per attaccare in posizione di vantaggio.
Chiuso nella sua bolla magica, Herich seguiva lo scontro con l’impressione di assistere a qualcosa che si svolgeva a miglia e miglia di distanza.
Vide il tanroth-ath più grosso torcersi nell’aria come una specie di serpente, poi assestare una zampata a un soldato, fargli perdere l’equilibrio e intercettarlo a metà della caduta con un morso. Lo vide sollevarlo di peso, scrollarlo e lanciarlo da una parte come uno straccio.
Poi il mostro diede una seconda zampata, facendo saltare la testa di un altro soldato. Una picca gli penetrò nel fianco, la bestia urlò di dolore, scartò e menò una sferzata con la coda, ma già un’altra picca era in posizione.
Il mostro più giovane frattanto, pur sanguinando copiosamente, si era rimesso in piedi e stava di nuovo minacciando gli uomini.
Cresdan alzò le sopracciglia e disse: “Già con uno di questi è dura, ma con due...”
Poi videro arrivare Dewrich a cavallo. Imbracciava una picca e si stava dirigendo a tutta velocità verso il più piccolo dei due mostri. Spronò il destriero da guerra e caricò, piantando l’arma in una coscia del tanroth-ath. Questi si girò fulmineo menando una zampata, ma Dewrich era già passato oltre. Il principe scartò, fece una conversione e di nuovo si mise in posizione di attacco. Sfoderò la spada.
Oh, no!” gemette Herich. “Ma che cosa vuole fare?”
Poi vide un soldato che imbracciava con la sinistra il grande scudo rettangolare, e nella destra aveva una spada corta. Aveva il ginocchio destro appoggiato a terra e sembrava che si stesse sostenendo sulla spada. La cresta scarlatta dell’elmo spiccava nel grigiore della pioggia come una pennellata di sangue.
Impassibile si alzò in piedi lentamente e batté la lama sullo scudo per attirare l’attenzione dei mostri.
La bestia più grande si voltò fulminea verso di lui, emise un ruggito che a Herich giunse flebile, ma che faccia a faccia doveva essere assordante. Spalancò le fauci insanguinate e partì in carica.
Quello non ha più voglia di campare,” commentò il chierico osservando la situazione.
Il tanroth-ath travolse il soldato, che cadde all’indietro proteggendosi con lo scudo. Quando furono in corpo a corpo, l’uomo strinse la spada e gliela piantò fino all’elsa nel ventre. La bestia saltò all’indietro con un ululato di dolore. Il soldato si rimise in piedi, di nuovo la invitò all’attacco.
Il tanroth-ath si fermò. I fianchi gli battevano rapidi, segno che stava ansimando. Frustò l’aria un paio di volte con la coda, ma rimase immobile a studiare l’avversario.
Il soldato fece un passo avanti, di nuovo batté la spada sullo scudo, ora segnato da profonde intaccature.
La belva scattò. Afferrò l’uomo a mezzo corpo, ma era indebolita e il morso non fu poderoso come il primo. Le zanne scivolarono sulle fasce d’acciaio della lorica. Il soldato le piantò la spada nel collo una volta, due volte, il sangue prese a schizzare, ricoprendolo nonostante la pioggia. Il mostro si torse ululando di dolore, cercò di colpire con la coda, ma infine si accasciò e rimase immobile.
Il soldato si svincolò dalla sua presa, poi si raddrizzò e si sfilò l’elmo, rivelando capelli di un biondo chiarissimo. Piegò la testa all’indietro e lasciò che la pioggia gli cadesse sul volto e lo lavasse.
Res!” esclamò Herich.
Sai chi è?” chiese Cresdan stupito.
So solo il suo nome,” rispose avvilito il ragazzo.
Ha coraggio,” osservò il chierico, “ma combatte come se volesse morire.”
Herich lo fissò stupito. “Cosa?”
Ma Dras evidentemente non lo vuole ancora fra i piedi,” continuò pacifico il sacerdote, seguendo il filo del suo ragionamento, “si vede che quaggiù ha ancora qualcosa da fare.” Poi dissolse la bolla di protezione. Subito i suoni tornarono normali e l’aria riprese a muoversi. Herich rabbrividì stringendosi nel mantello.
Avrebbe voluto andare da Res, ma era sicuro che il soldato non gli avrebbe permesso di parlargli. Lo vide raccogliere lo scudo e allontanarsi come se non fosse successo niente, con l’andatura ingobbita che ormai aveva imparato a conoscere.
Mentre lo stava ancora seguendo con lo sguardo, si sentì mettere in mano qualcosa di freddo e viscido: abbassò gli occhi e vide che si trattava di un lacerto di carne rotondeggiante e sanguinolento. In un moto di ribrezzo lo buttò lontano da sé, poi cercò di pulirsi contro la cerata fradicia.
Perché l’hai fatto?” gli disse Dewrich al suo fianco, ridendo di gusto, “Quello era un trofeo del mio primo tanroth-ath.”
Che cos’era?”
Un testicolo. Ora vado a prendere l’altro e stasera dirò al cuoco di cucinarlo, dicono che doni forza e virilità. Vuoi assaggiarlo?”
Herich chinò la testa. “Fratello, e tutti i soldati che sono morti? E i feriti?”
L’altro lo guardò come se non capisse. “Che intendi dire?” gli chiese.
Non sei triste per loro?”
Sono soldati, fa parte del loro dovere. Dras li accoglierà e li ricompenserà per il loro sacrificio.”
Ma fratello...”
Quando sarai re dovrai prendere anche decisioni che comporteranno la morte dei soldati. Come farai allora?”
Il ragazzo chinò la testa. Ecco di nuovo la sensazione che Dras gli avesse giocato uno scherzo crudele: perché aveva scelto lui? Non aveva nessuna delle doti che si richiedono a un re, mentre suo fratello le possedeva tutte dalla prima all’ultima. “Cresdan?” mormorò.
Sì, principe?”
Gli dei non sbagliano mai?”
L’altro emise un sospiro. “Gli dei fanno cose che noi non abbiamo gli strumenti per capire.”
E allora perché facciamo quello che ci ordinano, se non ne capiamo il motivo?”
Forse perché gli dei sono come dei genitori e noi come bambini piccoli. Quante volte tuo padre ti ha fatto fare qualcosa che non capivi? Poi crescendo si comprende il motivo di ciò che da bambini ci pareva assurdo.”
Ma noi non cresceremo mai, rispetto agli dei,” rispose il ragazzo, poi spronò la cavalla e si allontanò prima che il chierico potesse replicare.
Girò per un po’ ai margini della carovana, osservando i soldati che raccoglievano i caduti e scavavano buche per seppellirli, ascoltando distrattamente le parole di Cresdan che distribuiva erbe e incantesimi curativi. La pioggia portava via il sangue, quello degli uomini e quello dei mostri, lo faceva penetrare nella terra, dove forse avrebbe fornito nutrimento per delle nuove vite.
Osservò un rivolo rosso che serpeggiava nel fango, diventando via via più sbiadito mentre la pioggia lo diluiva.
Forse era quello in significato finale di essere dei sovrani: diventare parte attiva in quel grande ciclo, decidere dove si sarebbero spente delle vite e dove ne sarebbero state generate altre. Avere la saggezza di capire quando e dove ciò dovesse accadere.
Strinse le dita sulle redini mentre i soldati finivano di ricoprire le buche che avevano scavato per i compagni. Non si sentiva pronto per questo, era un peso troppo grande.
Cercò con lo sguardo Res e notò che il soldato lo stava fissando. Aveva un’espressione cupa, consapevole. Sembrava quasi che gli stesse leggendo nel pensiero.
Gli fece un cenno con la mano, ma l’uomo gli voltò le spalle e si allontanò.

§

La spedizione proseguì giusto quanto bastava per allontanarsi adeguatamente dal luogo del combattimento, poi Arahad diede l’ordine di erigere la palizzata, piantare le tende e accendere i fuochi da campo. Fece raddoppiare le sentinelle.
Aveva smesso di piovere. La luce stava scemando e tutto si confondeva in una nebbia che andava facendosi sempre più densa.
Le tende furono piantate, il rancio cotto e distribuito. Chi era ferito fu visitato dal chierico.
Calò la notte.
Attorno a un fuoco, alcuni soldati consumavano la razione e intanto parlavano fra loro. Forse per l’euforia di essere ancora vivi nonostante l’attacco dei due tanroth-ath, erano tutti piuttosto vivaci.
Uno saltò su e propose: “Che ne dite di una canzone?”
Giusto!” approvò un altro, “Va bene quella del Leone Rosso?”
Sì, sì! Il Leone Rosso del Waerund!” esclamarono altre voci.
Venne intonato il canto. Tutti coloro che non avevano compiti particolari da svolgere si unirono al coro, alcuni battendo il tempo con il bicchiere di latta contro qualcosa di duro.
In disparte come sempre, Res prestò solo un orecchio distratto a quei vigorosi vocalizzi. Finì di mangiare, aggrottò le sopracciglia alla salva di acclamazioni che fece seguito alla conclusione dell’ultima strofa, poi lentamente si alzò e si avvicinò al fuoco.
Tre urrà per il Leone Rosso!” stava proponendo uno dei più eccitati.
Res li fissò serio per un po’, infine con durezza proferì: “A me risulta che le cose siano andate in modo diverso.”
Per quanto avesse parlato con un tono di voce neutro, la frase ebbe il potere di far calare il silenzio. Tutti si voltarono nella sua direzione. “Che intendi dire?” chiese uno dei soldati.
La storia dell’eroe è una montagna di frottole, che solo allocchi creduloni come voi posso prendere per buona.” Parlava a denti stretti, ogni parola era un sibilo rabbioso. Prima che gli altri avessero modo di replicare, proseguì: “A metà della Guerra Orientale, Resen-Lhaw, o se preferite Tjeran Sonse, venne ferito da una freccia mewen. Il guaritore gli somministrò del tau’zeel per aiutarlo a sopportare l'atroce dolore della sua punta avvelenata e lui, invece di rifiutarlo come avrebbe dovuto fare un vero guerriero, ci si attaccò come un infante al seno della madre. La sostanza si impadronì di lui, cominciò a influire sulle sue decisioni tattiche e sul suo comportamento. Il leggendario Leone Rosso divenne pavido e debole.”
Si interruppe, fece scorrere lo sguardo sui compagni seduti intorno al fuoco. Il silenzio si era fatto carico di aspettativa e tutti lo fissavano immobili.
Il massacro di Brielar sarebbe stato una grande vittoria, se Tjeran Sonse non fosse sceso in battaglia imbottito di tau’zeel: mentre i suoi uomini combattevano e morivano, il Leone Rosso del Waerund farfugliava ordini insulsi con la bocca impastata e l’unica preoccupazione che aveva, in mezzo alla carneficina che lui stesso aveva provocato, era salvare la sua miserabile pelle e andare a recuperare la fiala di droga che aveva nascosto tra gli scogli di Brielar.” Fece un’altra pausa, quindi a voce più bassa soggiunse: “Quando tutto fu concluso, re Elkingar gli inflisse giustamente la più terribile delle punizioni: non la morte, quella sarebbe stata un castigo troppo pietoso per gli atti ignobili che aveva compiuto. Lo condannò a vivere con la consapevolezza di ciò che aveva fatto. Lo spogliò delle sue insegne e lo scacciò, e per tutti coloro che avevano creduto in lui, e che non meritavano di scoprire la miseria di ciò che era veramente, fu creata la leggenda che sopravvive ancora oggi.”
Quando Res smise di parlare, per parecchi secondi l’unico rumore che si udì fu il crepitare del fuoco. Infine, un soldato chiese: “E tu come lo sai?”
Lo so.”
Ma figurarsi! Eri là, per caso?”
Sì, c’ero.”

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Resen-Lhaw 3 Gente,
eccomi qui con un nuovo capitolo del mappazzone fantasy. Ringrazio come sempre tutti coloro che mi seguono, mi leggono o gentilmente mi commentano.






Capitolo 3


Il giorno dopo il cielo era sempre grigio, ma non pioveva. La pianura però era fradicia d’acqua e negli avvallamenti del terreno si erano raccolte piccole pozzanghere torbide. Le ruote dei carri lasciavano solchi sul nastro di terra battuta che fungeva da strada.
Res si guardava intorno. Era improbabile che arrivassero altri tanroth-ath, la fine dei primi doveva aver insegnato agli altri che il gruppo di umani era da lasciare in pace, ma quelle belve non erano l’unico pericolo della regione.
Stavano marciando da un po’ quando vide un’aquila solcare il cielo. Il rapace volò dritto fino a oltrepassare la colonna, poi virò e tornò indietro. Al secondo passaggio notò che era più piccola delle aquile del Daishrach e aveva un piumaggio più chiaro.
Alla vista dell’uccello, il capitano Arahad estrasse l’arco e lo armò, quindi incoccò una freccia e lo cercò con gli occhi.
Res vide il principe Dewrich raggiungere al galoppo l’ufficiale. Dalla coda della colonna non riusciva a sentire cosa si stessero dicendo, ma si accorse che il principe aveva alzato la voce. Il capitano mise via la freccia, poi tolse la corda all’arco e lo ripose.
Nessuno sembrò fare caso all’episodio, e la marcia proseguì come se non fosse successo nulla.
Non doveva mancare molto, ormai. Pian piano la falesia era passata dal rosso scuro al grigio piombo e di pari passo si era fatta più ripida e imponente. Ormai era una parete scabra che nei rari momenti in cui il cielo era libero dalle nuvole proiettava sulla via un’ombra nera e densa come pece.
Chi ne aveva la possibilità cercava di procedere fuori dal sentiero, verso la pianura aperta. Lasciati a se stessi, i cavalli e gli animali da soma tendevano a stare lontani da quella mole sinistra.
Anche gli uomini erano inquieti: Res si accorgeva che i commilitoni erano tesi, scattavano per un nonnulla e per cose altrettanto futili si lasciavano andare a risate nervose e cariche di inquietudine.
Sembrava di essere nell’imminenza di una battaglia.
L’aria del resto si era fatta strana. Aveva un che di incombente, oppressivo. Era come se respirare costasse più fatica del normale.
Il soldato si guardò intorno: forse era la magia di cui era impregnata la zona del Primo Tempio. Tutto lì risentiva della sua presenza, non c’erano animali, o tracce di essi, l’erba si era fatta ancora più rada e dura. I rari cespugli che costellavano la pianura erano scomparsi del tutto.
Il vento intonava un canto mesto, che risuonava nelle orecchie carico di dolore e rimpianto.
Avevano ricominciato a tremargli le mani e sentiva il sudore scorrergli lungo la schiena: anche il suo problema si faceva sentire di più in quell’ambiente strano.
Un brillio in un ciuffo d’erba attirò la sua attenzione. Guardò in basso e vide che tra gli steli c’era un piccolo oggetto di metallo. Si chinò a raccoglierlo, lo osservò: era un chiodo da maniscalco, con la testa quadrata resa lucida dall’uso. Era piuttosto lungo, segno che era stato forgiato per un cavallo pesante, forse addirittura per un destriero da guerra. Non doveva trovarsi lì da molto, dato che gli agenti atmosferici non avevano ancora fatto in tempo a renderlo opaco.
Rimase perplesso: i nomadi di As’del, che spesso sconfinavano in quei territori, non avevano l‘usanza di ferrare i cavalli, quindi quel chiodo non poteva essere caduto durante una scorribanda di predoni.
D’altra parte, se dal Daishrach o dal Theythrim fosse partita una spedizione diretta in quelle zone, si sarebbe venuto sicuramente a sapere, data la concomitanza con la spedizione reale.
Ripose il piccolo oggetto, riproponendosi di parlarne alla prima occasione con il capitano Arahad.

La senti?” stava dicendo frattanto Cresdan. “La senti, principe?”
Che cosa, maestro?”
La magia! È dappertutto.”
Herich annuì, poi si passò una mano fra i capelli, tirandoseli indietro. Nonostante fosse freddo si sentiva avvampare, e il taglio che gli segnava il viso aveva ricominciato a bruciare.
Il cielo si era nuovamente coperto, in lontananza brontolavano dei tuoni, ma non spirava un filo d’aria. La pianura si perdeva in un crepuscolo livido. “Quando arriveremo?” chiese.
Se Dras ci assiste, questa sera dormiremo ai piedi del Primo Tempio.”
Il ragazzo si voltò verso il precettore: “E poi cosa succederà?”
L’altro gli sorrise. “Hai paura, per caso?”
Herich chinò la testa. “Un po’.”
Per la cerimonia che devi compiere o per quello che verrà dopo?”
Entrambe le cose, credo.” Poi, dopo una pausa: “Anzi, più per la seconda.”
Ti capisco. Ma è normale, nessuno è tranquillo quando viene qui. C’è molta magia qui intorno, e la magia rende tutti nervosi. Ci mette a nudo per come siamo veramente, costringe a pensare a noi stessi, e non sempre in termini positivi.”
Passò qualche istante di silenzio, l’aria era sempre fredda e immobile, gli unici rumori che si udivano erano lo scalpiccio degli zoccoli e lo scricchiolio del cuoio dei finimenti. Alla fine Herich chiese: “Tu sei già stato qui, maestro?”
Tanti anni fa, quando sono stato ordinato chierico. Ma non sono entrato nel Primo Tempio, lì possono entrare solo i membri della famiglia reale prescelti da Dras.”
E se ci entra qualcun altro cosa succede?”
L’altro si sporse sulla sella per fissarlo negli occhi. “Che domande fai, Herich? Nel Primo Tempio può entrare solo chi è designato da Dras. Sarebbe come se qualcuno invitasse ospiti a casa propria: è ovvio che vuole solo quegli ospiti, non chiunque passi per di lì.”
Il ragazzo chinò la testa. Non era certo di condividere quel ragionamento, per come la vedeva lui ogni fedele aveva diritto a entrare in un tempio del dio che venerava, tuttavia si limitò ad annuire in silenzio. Era stanco, la lunga giornata di viaggio cominciava a farsi sentire, l’atmosfera particolare del luogo gli stava pesando sulle spalle come un mantello fradicio, per cui preferì non replicare.

Ci volle ancora un’ora di marcia, poi Herich si accorse che la falesia era tagliata da una lunga spaccatura verticale, come se un gigante l’avesse tranciata in due con un colpo d’ascia. Dopo quella fenditura proseguiva perdendosi all’orizzonte.
L’atmosfera, nel frattempo, si era fatta ancora più densa e opprimente, e nella luce che andava scemando non c’erano altri rumori a parte quelli prodotti dalla colonna in movimento.
Dewrich passò al trotto, drizzandosi sulle staffe per vedere meglio la gola. “Sembra che ci siamo, alla fine!” esclamò. Spronò il cavallo e scomparve verso la spaccatura della falesia.
Il chierico scosse la testa e disse: “Sempre così: impulsivo e impaziente. Ci saresti dovuto entrare tu per primo nella valle di Os’lak.”
Herich lo fissò preoccupato. “E quindi cosa succederà se è entrato lui?”
Cresdan sorrise bonario. “Niente. Dras avrà la pazienza che manca a lui e, bontà sua, non lo fulminerà.”
Nel frattempo si stavano avvicinando alla fenditura. Herich cominciò a intravedere una struttura che sembrava una specie di gigantesca colonna svettante su tutta la pianura.
Quando furono in grado di vedere al di là della falesia, il ragazzo non poté trattenere un’esclamazione di meraviglia: dal terreno sorgevano tre enormi costruzioni alte e strette, una più grande centrale e due più piccole ai lati e arretrate rispetto alla prima. Esse avevano le pareti completamente lisce, a parte una lunga fenditura verticale che dalla porta di ingresso arrivava fino alla sommità, decine di piedi più in alto. Lunghe scalinate scavate nella pietra conducevano a ognuno degli edifici.
Non appena si affacciarono, il cielo immobile prese a ribollire di nubi scure, che si addensarono intorno alla sommità dei tre templi. Tra i turgidi nembi cominciarono a crepitare dei fulmini azzurrini, illuminando la zona circostante di un bagliore gelido.
La puledra scartò innervosita. “Buona,” disse subito Herich, battendole la mano sul collo, ma l’animale appiattì le orecchie e cominciò a indietreggiare, tanto che Cresdan, il cui mulo stava invece assistendo imperturbabile al fenomeno, dovette sporgersi e afferrarla per le redini.

Le nubi stavano girando in tondo sulla cima dei tre templi e lanciavano fulmini contro di essi. Le scariche non li danneggiavano e si incanalavano come acqua lungo la fenditura che tagliava la facciata degli edifici dall’alto in basso, e a seconda della loro potenza si avvicinavano di più o di meno alla porta d’ingresso.
Res osservò ciò che stava accadendo senza curiosità. La magia di cui la zona era pervasa accentuava il suo problema, per cui aveva i muscoli doloranti, la bocca secca e sudava copiosamente nonostante il freddo. Strinse i denti ben deciso a non far trapelare nulla, ringraziando che nessuno l’avesse così a cuore da voler sapere se stesse bene o male.
Il fenomeno pian piano si esaurì, le scariche smisero di illuminare la zona e le nubi interruppero il loro moto vorticoso. Sulla scena ritornò la stessa calma immobile di poco prima.
Questo era Dras che ci salutava,” sentì dire al chierico. Represse a fatica un’imprecazione.
Non appena Arahad diede l’ordine di approntare il campo, si diresse verso uno dei carri e cominciò a scaricare il necessario. Si sentiva esausto, ma almeno la fatica fisica l’avrebbe distolto dai pensieri, che tornavano particolarmente tormentosi e insistenti quando il suo problema per qualche motivo si aggravava.
Ehi, tu!” si sentì chiamare.
Si voltò e vide il sergente con i pugni puntati sui fianchi. “Sergente?”
Prendi quel carro!” ordinò il sottufficiale indicando il veicolo civile coperto dalla tela cerata, “Il principe vole che sia scaricato subito.”
Sì sergente.”
E vedi di non rompere niente, altrimenti ti romperò io la schiena con la frusta.”
Res, che era tutta la testa più del suo interlocutore, senza particolare emozione rispose: “Sì, sergente.”
Abbandonò quel che stava facendo, prese per le redini il cavallo che trainava il carro e lo condusse verso il principe Dewrich. Questi gli ordinò di scaricare ciò che c’era sul pianale in una zona dove la parete di roccia si incavava formando una larga grotta. “Così saremo al coperto anche se dovesse piovere,” disse.
Sì, principe,” rispose il soldato.
Ora prendi le anfore e allineale lungo la parete. Vedi di non romperle.”
Sì, principe.”
E vedi di non rubarne una, guarda che le ho contate.”
Io non bevo, principe.”
Questa è bella, un soldato che non beve! Beh, vedi di non rubarne una da portare ai tuoi compagni, allora.”
Res non rispose. Si limitò a prendere un paio di anfore, una sotto ogni braccio, e a portarle in un angolo della grotta. Ripeté il percorso fino a che il pianale non fu completamente vuoto. A questo punto si inchinò al giovanotto in armatura, che per tutto il corso dell’operazione non gli aveva tolto gli occhi di dosso e gli disse: “Ho finito, principe.”
Ora le ceste di provviste.”
Sì, principe.”
Anche quelle finirono accanto alle anfore.
Alla fine, Dewrich gli disse: “Sei stato meno stupido di quello che pensavo. Puoi andare.”
Il soldato si limitò a inchinarsi, quindi raggiunse il plotone.
Nel frattempo era stato distribuito il rancio e tutti stavano mangiando. “Non c’è rimasto niente per te!” lo accolse una voce. Alla frase seguirono delle risate.
Se vuoi, c’è del pane secco.” disse un altro “Va bene per i cani come te!”
Una pagnotta arrivò in volo e rimbalzò a terra davanti ai suoi piedi.
Senza un parola, Res si chinò a raccoglierla e si allontanò nel buio.
Era seduto davanti alla sua tenda quando una voce lo chiamò. Stupito, si voltò in quella direzione. “Principe?” chiese.
Herich si fece avanti. Aveva in una mano un involto e nell’altra una piccola lanterna. La fiammella tremolante gli illuminava il viso dal basso, facendo sembrare ancora più trasparenti i suoi occhi cerulei. Si morse il labbro inferiore come faceva sempre quando era imbarazzato.
Che c’è, principe?” lo incoraggiò.
Il ragazzo gli rivolse un lieve sorriso. “Tu una volta mi hai aiutato, ora io aiuto te.” Appoggiò l’involto ai suoi piedi e corse via.
Quando se ne fu andato, Res lo aprì e non poté fare a meno di sorridere fra sé e sé: c’erano dentro pasticcio di carne, confettura, frutta secca e focaccia, ovvero quello che probabilmente gli era stato servito a cena. Doveva essersi accorto in qualche modo che gli avevano impedito di mangiare, e quindi vi aveva rinunciato, del tutto o in parte, per portarlo a lui.
Mangiò tutto, più per non mortificare il ragazzo che per fame, e poi si raggomitolò coprendosi col mantello.

§

Herich si alzò all’alba. Aveva dormito poco e male, rigirandosi in preda all’agitazione e all’aspettativa per la maggior parte della notte. Ricordava però che in uno dei pochi periodi di sonno aveva sognato Resen-Lhaw: l’aveva visto come sempre di spalle, sulla scogliera a picco sul golfo di Brielar.
L’eroe non si era voltato, ma una voce gli aveva detto: Si rivelerà nel momento del bisogno.
Si aggirò un po’ stranito nella tenda, chiedendosi se si trattasse di un sogno premonitore. Fuori cominciavano a farsi sentire i primi suoni dell’accampamento che si stava svegliando, il tramestio dei soldati, qualche ordine gridato, qualche nitrito. Da una fessura, in una luce lattiginosa che toglieva ombre e contrasti, riusciva a vedere i tre templi. Alla base della scala che portava al più grande c’era una piattaforma naturale di roccia e su di essa c’era Cresdan, in grandi paramenti, che salmodiando a mezza voce accendeva delle candele. Le prendeva una ad una da un cesto, appiccava fuoco allo stoppino, inclinandole faceva colare un po’ di cera sulla pietra e poi ve le incollava sopra. Doveva aver cominciato molto prima del sorgere del sole, perché ormai la piattaforma ne era quasi completamente coperta e alcune candele erano ridotte a mozziconi consumati. Rivoli di cera bianca serpeggiavano sulla pietra e si raccoglievano al suolo in piccole colate.
Non volendo disturbarlo, Herich si ritrasse evitando di uscire dalla tenda.
Sedette sul letto con le mani in grembo e prese in considerazione l’idea di vestirsi, saltare sul primo cavallo che trovava e allontanarsi nella steppa.
Mentre era immerso in quelle angosciose meditazioni, entrò Dewrich. “Buon giorno, fratello!” lo salutò allegro. “Sei pronto?”
A quella domanda, Herich quasi trasalì. “No, non credo di esserlo,” mormorò.
L’altro si spostò fino a chinarsi con un ginocchio a terra di fronte a lui. “Ma devi,” gli disse, fissandolo negli occhi.
Il più giovane si limitò a distogliere lo sguardo.
Passò qualche secondo di silenzio, poi l’altro gli chiese: “Ricordi quando abbiamo duellato?”
Sì.”
Ebbene, ci sono situazioni nella vita in cui non ha importanza se sei preparato o no per affrontare quello che sta arrivando: lo devi affrontare e basta, con i mezzi che hai, sperando che siano sufficienti. Come in guerra. L'avversario non ti colpirà certo più piano, se si accorge che non sei alla sua altezza.”
Questo lo so, fratello.”
Bene, allora fa quello che devi e smetti di frignare. Nessuno verrà a farlo al posto tuo.”
Herich lo fissò speranzoso. “Neppure tu, fratello?”
Dras ha scelto te,” fu la lapidaria risposta. Poi Dewrich si alzò in piedi. “Ha scelto te,” ripeté duro, “quindi vedi di non deluderlo.” Fece per andarsene, poi però si fermò e si voltò a fissare Herich. “Non pensare che questo sia un gesto crudele nei tuoi confronti,” gli disse. “Per quanto ti possa sembrare strano, io adesso ti sto aiutando. Ti impedisco di aggrapparti a qualcuno più grande di te come hai sempre fatto nella tua vita, ti spingo a camminare con le tue gambe. Un giorno mi ringrazierai per questo.”
Uscì.
Herich rimase solo nella tenda, e di nuovo ponderò l’idea di saltare sul primo cavallo e scappare lontano. Per quanto si ripetesse che comunque suo padre Evertas avrebbe regnato ancora molti anni, anni che avrebbe potuto utilizzare con profitto per apprendere e accumulare esperienza, sapeva perfettamente che da quel momento in poi la sua vita non sarebbe più stata la stessa, e quel cambiamento gli faceva paura.
In quel momento, entrò nella tenda Cresdan. “Principe, sei pronto?” chiese.

Schierato con gli altri a qualche centinaio di passi dal tempio, Res era in posizione di riposo, con lo scudo rettangolare appoggiato contro la coscia e la mano sull’impugnatura della spada. La lorica e l’elmo, lucidati per almeno un’ora, brillavano come uno specchio.
Incorniciate dalla valle, le tre costruzioni si ergevano maestose. Ai due lati della porta di quella centrale erano stati accesi dei fuochi, che davano alla pietra grigio-azzurra una tonalità vagamente dorata.
Sebbene fosse giorno fatto, vi era nell’aria una luce livida. Le nubi si stavano addensando sopra le tre costruzioni e già le prime folgori avevano preso a crepitare sulla sommità. Nella scanalatura della facciata scendevano fugaci rivoli di luce.
Accompagnato dal chierico, il principe si presentò all’inizio della scala di pietra. Res lo osservò: era pallido, aveva l’espressione tesa. Immaginò che avesse paura. Indossava uno strano copricapo di piume rosse che gli ricadeva fin sulle spalle e un abito nero dal colletto rialzato, ornato di ricami. Dovevano essere vesti cerimoniali.
Il corpulento sacerdote gli mise un braccio intorno alle spalle. Il soldato vide che gli indicava il tempio e parlando annuiva con decisione, voltandosi di tanto in tanto verso il ragazzo, come per indurlo a fare altrettanto.
Alla fine gli rivolse un inchino e si allontanò.
Il principe rimase solo alla base della scala. Alla sua destra, il piano coperto di candele tremolava sotto l’effetto della brezza che si stava alzando.
Le nubi si addensarono ulteriormente, fulmini poderosi, che si abbattevano con scoppi che laceravano le orecchie, cominciarono a tempestare la cima dell’edificio. Il canale di luce andò facendosi sempre più intenso.
L’entrata del tempio, un altissimo arco a sesto acuto, all’improvviso si aprì, proiettando un bagliore dorato sugli ultimi gradini della scala.
Il ragazzo prese a salire. Camminava lento, sembrava che ogni passo gli pesasse come piombo. A un certo punto addirittura si fermò, poi si voltò indietro, come se stesse cercando qualcuno. Fece scorrere lo sguardo sui ranghi e Res ebbe l’impressione che stesse cercando lui.
A rischio di attirarsi le ire del sergente, piegò appena la testa, come per fargli capire che lo stava seguendo. Il ragazzo sorrise, poi si girò e riprese la salita.

Fermo davanti alla porta, Herich strinse gli occhi e spostò indietro le piume rosse che, come i capelli, per l’ennesima volta gli erano finite davanti al viso.
Cercò di vedere qualcosa al di là della soglia, ma aveva l’impressione di essere affacciato su una stanza completamente vuota.
Si era immaginato un altare, statue imponenti, o magari una scala che conducesse da qualche parte, invece oltre la porta non c’era niente di tutto ciò.
Si chiese cosa significasse. Cresdan non gli aveva detto quasi nulla su ciò che sarebbe successo, sostenendo che sarebbe stato Dras in persona a rivelargli ciò che doveva fare o non fare, ed egli si trovò a chiedersi cosa sarebbe accaduto se il dio dai mille volti invece di dargli istruzioni si fosse limitato a stare a guardare cosa avrebbe fatto.
Fece un passo oltre la soglia.
Di colpo si trovò in un paesaggio innevato e illuminato da una splendida luna piena. Ai suoi lati c’erano rocce aguzze, mentre proprio di fronte a lui, su una cresta impervia e ghiacciata, si ergeva una struttura circolare che sembrava un colonnato. Sopra di essa si trovava un enorme trono, sul quale era seduto un uomo imponente e barbuto, grigio come la pietra che lo sosteneva, con abiti regali e una lancia nella mano destra.
Herich rimase a contemplarlo meravigliato, chiedendosi se fosse una statua o una creatura vivente. Si accorse di non provare paura. Il freddo pungente non lo faceva rabbrividire, ma gli donava una piacevole sensazione di vitalità.
Chi sei?” chiese.
La figura si mosse. “Io sono il volto che tu vuoi vedere,” rispose.
Il ragazzo si avvicinò. Per quanto fosse illuminato da tergo, quindi con il viso in ombra, il suo misterioso interlocutore aveva senza dubbio le fattezze di re Evertas. Gli abiti erano gli stessi di quando il re dava udienza nella sala del trono e anche la posizione sullo scanno. “Padre?” disse stupefatto.
Seguì qualche secondo di silenzio, infine giunse la risposta: “Vedi il padre perché lo cerchi e lo brami. Speri in qualcuno che ti dica cosa devi fare. Ma tu sarai re e dovrai essere tu il padre dei tuoi sudditi.”
Herich chinò la testa. “Ma io non sono pronto,” mormorò.
Ci sono cose per cui nessuno è mai pronto, e tuttavia vanno portate a compimento.”
Come morire?”
Come morire.” confermò la figura.
Il ragazzo si avvicinò ancora, ormai era ai piedi della cresta di roccia. “Ma il mio morire, vedi, non influirebbe sul benessere e la sicurezza di migliaia di persone, mentre il mio cattivo governo sì. Posso anche accettare di andare al cospetto di Dras, ma non di condannare i miei sudditi alla miseria e alla sofferenza per colpa della mia incapacità.”
Sei già al cospetto di Dras.”
Herich, che stava per aggiungere altro, tacque e deglutì a vuoto. “Allora sono… morto?” osò chiedere dopo un po’.
Per rinascere.”
Che cosa significa?”
Oggi muori come principe e rinasci come re. Ti darò una corona, essa avrà occhi per vedere e orecchie per udire, e mani per soccorrere. Sarai per il tuo popolo un padre misericordioso.”
La figura sollevò la mano che non reggeva la lancia e la volse con il palmo verso l’alto. La luce della luna sembrò condensarvisi sopra, creando una sfera pulsante nella quale pian piano cominciarono a formarsi delle diafane volute che si torcevano e si intrecciavano.
Nel corso del processo lo splendore del globo divenne così forte che Herich dovette coprirsi gli occhi con una mano.

Si ritrovò sdraiato a faccia in giù nella sala del tempio, ancora con una mano sugli occhi. Si alzò lentamente, si guardò intorno: non c’era più il paesaggio innevato, la temperatura era confortevole. Dall’alto proveniva una fioca luce dorata. Al centro della stanza c’era un supporto di pietra sul quale era posata una corona di un metallo bianco che poteva essere platino o argento estremamente puro. Su di essa erano raffigurati tre fra i Wenos più potenti: Folan che tutto vede, Cavach che tutto ode e Undiah Mano di Dras.
Grazie,” mormorò.
La luce ebbe un’oscillazione.
Herich raccolse con mani tremanti la corona. Le figure erano così realistiche che davano l’impressione di guizzare sul metallo come animate di vita propria. Cresdan gli aveva spiegato, in una delle lezioni che gli aveva impartito durante il viaggio, che le corone erano oggetti magici, in cui Dras infondeva dei poteri, diversi a seconda delle figure che vi venivano rappresentate.
Il fatto che il dio avesse scelto per la sua corona i Wenos, ovvero i suoi aiutanti più fedeli, faceva capire che avrebbe guardato al suo regno con benevolenza.
Si passò una mano fra i capelli per spostarseli dal viso, e così facendo si rese conto di non avere più il cimiero di piume rosse. Forse Dras se l’era tenuto in cambio della corona. Si ripromise di chiederlo a Cresdan.
Uscì dal tempio. Il cielo era coperto, ma i fulmini avevano smesso di crepitare e c’era una luce cupa come di crepuscolo. Sulla pietra alla base della scala non c’erano più candele accese, ma solo uno strato di cera solidificata. I soldati erano ancora dove li aveva lasciati e il suo primo pensiero fu che probabilmente erano più di quattro ore che aspettavano lì in piedi impalati.
In armatura completa, i capelli sciolti sulle spalle, Dewrich gli si fece incontro. “Fammi vedere la corona, fratello,” gli disse per prima cosa. Herich gliela depose in mano senza esitare, poi lo oltrepassò e raggiunse il plotone schierato. Si guardò intorno ansiosamente. “Capitano Arahad?” chiamò.
L’ufficiale si fece avanti. “Altezza?”
Capitano, fa riposare gli uomini. Non serve a nulla che stiano qui schierati, non corro pericoli.”
Non si può mai sapere, altezza.”
In quel momento sopraggiunse alle sue spalle Dewrich, che disse: “Herich? Puoi venire un momento, per favore?”
Sì, fratello.”

Res seguì con lo sguardo i due principi che si allontanavano. Per quanto il maggiore cercasse di tenere la voce bassa, si sentiva chiaramente che stava redarguendo il più piccolo. L’altro, che ancora non aveva preso confidenza con la propria condizione di futuro sovrano, lo ascoltava a testa china incapace di ribattere.
Mentre seguiva quello scambio, il soldato udì un grido di rapace. Girò lo sguardo verso la provenienza del suono e vide un’aquila posarsi su uno spuntone di roccia poco lontano. L’animale arruffò le penne sul collo, si scrollò e poi rimase immobile. Res ebbe l’impressione che stesse scrutando i dintorni.
Poco dopo i due fratelli fecero ritorno. Il più grande stava dicendo: “Voglio dimostrarti che ho a cuore il benessere dei soldati, Herich, e che ho pensato anche a loro quando ho caricato le derrate per festeggiare.”
Davvero?”
Certamente.” Poi, a voce più alta: “Capitano Arahad, metti gli uomini in libertà. Questa sera tutti berranno alla salute del futuro re!”
Res notò che l’ufficiale sembrava decisamente poco convinto. Continuava a guardarsi intorno, e un paio di volte fissò l’aquila con astio. Il soldato immaginò che le avrebbe volentieri tirato un colpo di balestra, se non avesse ricevuto un espresso divieto in tal senso dal principe.
Attese l’ordine di rompere le righe, poi si recò da lui. “Capitano, posso parlarti?” gli chiese.
Che cosa vuoi?”
Res gli mostrò il chiodo che aveva trovato. “Qualcuno è stato qui da poco, capitano.”
L’altro si rigirò il piccolo pezzo di metallo fra le dita. “Predoni di As’del?”
Non ferrano i cavalli, capitano.”
Quindi chi può essere stato? Dei fedeli?”
Non so se qui vengano dei fedeli a pregare.”
Arahad lanciò uno sguardo ai templi, che svettavano minacciosi nell’oscurità incipiente, e disse: “Non ci sono tracce qui intorno e in questa pianura si vedrebbe un uomo a cavallo a una lega di distanza.”
Sì, di giorno. Di notte non lo so, capitano.” Poi, dopo una pausa: “E adesso abbiamo con noi l’erede al trono del Daishrach e la sua corona.”
L’ufficiale emise un sospiro e si voltò verso Herich, che sembrava assorto in una conversazione con il fratello. “Raddoppierò le sentinelle,” disse semplicemente.

Non appena calò la notte, Dewrich diede ordine di accendere dei grandi fuochi davanti al Primo Tempio. Il capitano Arahad provò a protestare, facendogli notare che mancando la palizzata il bagliore delle fiamme sarebbe stato visibile fino a grande distanza, ma il principe lo zittì e fece portare presso i falò le anfore e le ceste che aveva ordinato di stivare nella grotta. Nelle prime c’era il vino migliore di tutta la città di Dyat, quello che veniva servito solo alla tavola del re, e nelle seconde c’erano cibi di ogni genere: salsicce, pasticci, dolciumi, confetti, frutta secca e altro.
Prendetene tutti!” esclamò Dewrich, “festeggiate con me, amici miei!”
I soldati risposero con veementi acclamazioni, quindi cominciarono a servirsi con abbondanza.
Presto l’atmosfera divenne molto allegra, si improvvisarono canti in onore di Herich e della casa reale e nonostante i racconti di Res, tornarono le ballate su Resen-Lhaw e anche sugli eroi del passato.
Come al solito, il soldato sedeva in disparte. Da tempo non beveva più alcolici, perché il vino faceva diventare il suo problema più forte che mai, inoltre per vari motivi non amava stare in compagnia dei suoi commilitoni.
Rimase comunque a guardarli, se non con tristezza, comunque con un senso di estraneità malinconica.
Non poté fare a meno di notare, però, che i soldati da una parte sembravano in preda a un’euforia preoccupante e dall’altra, una volta esaurita la fase di eccitazione, piombavano in un torpore dal quale era difficile risvegliarli. Addirittura vide uno di essi cadere riverso accanto al fuoco, così vicino che se fosse stato lucido sarebbe saltato via con un urlo di dolore, e rimanere beato a ronfare fino a che non fu afferrato per la collottola e trascinato via.
Spostò lo sguardo sul principe Dewrich, e lo vide porgere una coppa traboccante al fratello. Questi dapprima si schermì, poi bevve qualche sorso, cominciando poco dopo a parlare forte e a barcollare.
Res aggrottò le sopracciglia e involontariamente si leccò le labbra: quelli erano gli effetti del tau’zeel, li conosceva molto bene.
Il principe Dewrich stava somministrando tau’zeel di nascosto a tutti.
Pensò al da farsi. Non poteva sapere cosa sarebbe successo, ma gli era ben chiaro che il drogare qualcuno a sua insaputa implicava intenzioni tutt’altro che buone.
Si allontanò adagio fino a scomparire nel buio e dalla nuova posizione rimase a osservare quello che stava succedendo intorno ai falò. Aveva diverse possibilità. La prima era quella di inforcare un cavallo, magari proprio il maledetto roano del principe, e partire al galoppo verso Dyat. O verso qualsiasi altro posto di sua scelta. Sarebbe diventato – o si sarebbe confermato – un vigliacco e un disertore, ma almeno si sarebbe salvato la pelle. Le labbra gli si stirarono in un sorriso amaro. Ma gli interessava, poi, salvare la pelle? Andare da qualche altra parte, ricominciare in qualche altro esercito, dato che non sapeva fare altro, sempre come l’ultimo dei marmittoni, disprezzato da compagni e considerato un idiota dai superiori?
Non gli interessava più, in effetti.
La seconda opzione era quella di unirsi agli altri. Non c’era più nessuno abbastanza sobrio da accorgersi di lui, avrebbe potuto ubriacarsi, avere finalmente tutto il tau’zeel che voleva e sperimentare un’ultima volta quell’inaudita, estatica e al tempo stesso terribile sensazione di assoluto piacere che conosceva così intimamente.
Poi sarebbe successo quel che doveva succedere, ma almeno avrebbe concluso in bellezza una vita di disonore.
Non si mosse, nemmeno quella possibilità gli andava bene.
La terza scelta, forse l’unica che a conti fatti poteva considerare accettabile, era quella di agire.
Ghignò di nuovo. Agire, come?
Si costrinse a ragionare lucidamente, nonostante il desiderio del tau’zeel gli ruggisse ormai nelle viscere come un incendio. Deglutì di nuovo, si sentì vacillare. Gli parve di cadere in uno stato di trance, e quando si riprese aveva la mano su una delle anfore. Saltò indietro come se avesse toccato del ferro rovente, con il cuore che gli martellava nelle orecchie. Deglutì di nuovo più volte, inghiottendo saliva che sembrava acqua. Aveva smesso da anni, ma in quel momento avrebbe ucciso anche sua madre, pur di avere un sorso di quel vino drogato.
Si fece indietro, un passo per volta, percuotendosi le cosce con i pugni più forte che poteva, per far sì che il dolore fisico lo distogliesse dalla brama per la sostanza.
Urtò con il tallone contro il primo dei gradini di pietra che portavano al tempio. Si voltò in quella direzione. “Dras...” ansimò. Non aveva mai pregato in vita sua, ma sentiva che la sua volontà stava venendo meno. “Dras, aiutami.”
Salì i gradini uno dopo l’altro, con i brividi che lo squassavano e la vista annebbiata. Sprazzi del passato lo assalivano come pugnalate, aumentando ogni volta il suo stato di agitazione.
Il tempio non era illuminato, ma la porta era aperta. Non si soffermò a considerare quella stranezza, si lasciò cadere all’interno e si rannicchiò in un angolo, mentre la sua mente sovreccitata continuava a ripetergli che doveva agire, agire, agire...


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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Resen-Lhaw 4 Salve gente,
un altro capitolo del mappazzone! Ovviamente ringrazio tantissimo tutti quelli che sono passati per di qui, che mi hanno letto o messo in qualche lista, ma soprattutto chi è stato così gentile da lasciarmi il suo parere. Grazie a tutti, vi adoro!




Capitolo 4

L’alba giunse come una linea di luce lattiginosa all’orizzonte. I fuochi erano da tempo spenti, anfore e cesti erano sparsi qua e là assieme a resti di cibo. I soldati giacevano dov’erano caduti, alcuni con recipienti mezzi rovesciati in mano. Uno o due dovevano essersi soffocati con dei bocconi che non avevano fatto in tempo a inghiottire.
Comparve il principe Dewrich, in armatura completa e con la spada in pugno. Si avvicinò ai soldati dormienti e per un po’ li osservò muto. Ne spinse uno con la punta del piede, ottenendo in risposta solo un basso grugnito.
Notò che un altro si stava rialzando pesantemente e subito si mosse in quella direzione. Gli andò alle spalle e gli piantò la spada nella schiena, facendogli uscire un fiotto di sangue dalla bocca. Estrasse poi la lama e l’uomo si accasciò nuovamente, questa volta per rimanere immobile.
Si avvicinò al fratello e lo scosse, ma il ragazzo non reagì in alcun modo. Si raddrizzò e scrutò l’orizzonte, quindi adocchiò l’aquila, che era posata su una cresta di roccia. “Va’,” le disse, “avvisa il tuo padrone che può venire.”
Il rapace volò via con uno strido.
Dewrich si recò poi nella tenda principale, rimase dentro per un po’, quindi uscì con in mano un involto di stoffa che ripose con cura in una delle bisacce della sua sella.
A quel punto l’aria cominciò a vibrare come per effetto di un terremoto. Al tremore si unì dopo poco anche un rombo cupo, che andava via via aumentando.
Facendosi schermo con la mano, il principe scrutò di nuovo l’orizzonte e rimase fermo a contemplare qualcosa. Sul volto gli comparve un sorriso di soddisfazione.

Dal suo rifugio, Res azzardò uno sguardo nella stessa direzione: stava arrivando al galoppo una torma di cavalieri. Si avvicinavano rapidamente, quindi in breve fu in grado di riconoscerli come predoni di As’del: i capelli bianchi, le elaborate armature pettorali, i calzoni larghi e i mantelli di colori sgargianti erano tipici di quel popolo fiero e vanitoso, appassionato di monili preziosi e bei cavalli.
I cavalieri, non meno di una cinquantina, dilagarono su tutto il campo, rovesciando le tende dell’accampamento, scrutando sotto i teloni dei carri e girando intorno ai soldati ancora stesi a terra. Di tanto in tanto si voltavano verso il loro capo, evidentemente aspettando che questi desse l’ordine di smontare di sella e cominciare il saccheggio.
Dal gruppo dei nuovi arrivati si staccò un cavaliere che montava un morello con una stella bianca in fronte e aveva un’aquila sulla spalla. Poteva avere una trentina d’anni. Era alto, per essere un uomo di As’del, e molto muscoloso. I capelli bianchi gli arrivavano fin sotto le spalle. Aveva due spade legate sul dorso e indossava un mantello scarlatto.
L’uomo procedette fino a fermarsi di fronte a Dewrich, quindi smontò di sella e si inchinò.
Il principe rispose al saluto e disse: “Ho fatto ciò che mi chiedevi, Jeisym Khan.”
L’altro si guardò intorno e rispose: “Lo vedo, principe. Sono tutti lì?” Con un gesto della testa indicò gli uomini dormienti.
Dal primo all’ultimo. Potete farne quello che volete.”
E il principe?”
Se non è già morto, ammazzatelo. Non voglio vedermelo tornare a Dyat, magari con un esercito, fra qualche anno.”
L’altro annuì. “Certo, dici il giusto. Farò in modo che questo non possa accadere.” A voce più alta diede un ordine nella lingua di As’del. I suoi uomini emisero un tonante grido di gioia e smontarono da cavallo, quindi si gettarono sui dormienti e cominciarono a scannarli uno dopo l’altro, cacciandosi nel frattempo in bocca pezzi di pasticcio o torta avanzati, e intascando tutto ciò che trovavano interessante.
Uno sollevò il principe esanime per le braccia e lo trascinò da una parte, dandosi poi a spogliarlo degli abiti preziosi. Quando ebbe finito, tirò fuori il pugnale per ucciderlo, ma qualcosa lo distrasse ed egli se ne andò disinteressandosi di lui.
A denti stretti, tremante, col sudore che gli ruscellava sul viso, il soldato assisteva impotente al massacro e al saccheggio dell’accampamento. Più di una volta aveva preso in seria considerazione l’idea di palesarsi, per condividere il fato dei suoi compagni, ma sempre il buon senso aveva prevalso, facendogli capire che un simile sacrificio sarebbe servito solo ad appagare la sua necessità di espiazione, senza peraltro apportare alcun elemento positivo alla situazione contingente.
Mentre l’orgia di massacro era in pieno svolgimento, Dewrich andò a prendere il cavallo da guerra, montò in sella e disse a Jeisym Khan: “Non appena giungerò a Dyat, la tua aquila ti avvertirà. Allora tu mi raggiungerai al monastero di Voldas e io ti darò la seconda metà di quello che ti ho promesso.”
L’altro si inchinò. “Che il tuo dio ti accompagni nel cammino, futuro re del Daishrach.” Detto questo, si rialzò e lo fissò negli occhi, quindi soggiunse: “E per far sì che tu raggiunga Dyat sano e salvo, i miei due uomini migliori, Nys e Den’en, verranno con te.” Diede un ordine nella sua lingua e subito due robusti cavalieri abbandonarono quel che stavano facendo, montarono in sella e lo raggiunsero.
Jeisym Khan sorrise e disse: “Questi, principe, sono i miei uomini migliori, non ci sono guerrieri come loro in tutte le steppe di As’del. I loro cavalli galoppano come il vento, la loro vista è acuta, il loro braccio è poderoso e il loro cuore è intrepido. Da ora e fino a che non ci rivedremo, essi saranno la tua ombra.”
Ti ringrazio, Khan,” rispose Dewrich a denti stretti.
Non devi ringraziarmi. L’affetto e la stima che ho per te mi spingono a vegliare sulla tua incolumità.”
Non corre rischi, Khan, comunque ti ringrazio. Perlomeno avrò qualcuno con cui parlare mentre attraverso queste steppe.”
Per chi sa ascoltare, le steppe parlano. Hai mai udito la brezza gentile che sussurra sull’erba? O le pietre ghiacciate che gemono al mattino, quando vengono scaldate dal primo sole?” Rivolse gli occhi all’immensità ondulata e con tono ispirato soggiunse: “Oppure il grido aspro del falco, e il sibilo del vento di maestrale?”
Ho sentito tutto questo, Khan,” confermò Dewrich sbrigativo.
E allora come puoi dire che la steppa non parla, principe? Essa parla al cuore dell’uomo nobile, lo commuove e lo esalta allo stesso tempo.”
Indubbiamente, ma ora devo andare. Vorrei raggiungere Dyat prima possibile.”
L’altro assentì. “Certo, ti capisco. Ma Nys e Den’en saranno sempre al tuo fianco, non dovrai preoccuparti di nulla.”

§

Jeisym Khan rimase per qualche istante a guardare il principe che si allontanava seguito dai suoi uomini. Non lo considerava particolarmente infido, non rispetto alla media degli abitanti di As’del, perlomeno, però suo padre gli aveva sempre ripetuto che la fiducia è bene, ma il controllo è meglio.
Shaar!” chiamò. Si udì uno strido acuto, poi l’aquila arrivò in volo e gli si posò sull’avambraccio. Volse verso di lui lo sguardo grifagno.
Shaar, amica mia,” disse Jeisym, “segui il principe Dewrich. Sii i miei occhi e le mie orecchie.”
L’aquila emise un secondo strido, quindi prese il volo e si allontanò con lenti battiti d’ala.
In quel momento, un guerriero si avvicinò a lui. Portava un camiciotto senza maniche fatto di pelliccia, aveva le braccia ornate di monili d’oro e un’alta cintura d’argento e pietre dure. I capelli bianchi erano legati in una treccia che gli arrivava a metà schiena. Jeisym si voltò verso di lui. “Che cosa c’è, Therved?” gli chiese.
Volevo solo dirti che tutto procede secondo i tuoi ordini, Khan.”
Molto bene. Dì agli uomini che possono prendere quello che vogliono, ma non devono entrare nei templi. Non ho intenzione di farmi nemico questo dio.”
L’uomo si inchinò. “Come tu comandi, Khan.” Fece per andarsene, ma l’altro lo fermò.
Portami il ragazzo,” ordinò.
Come tu comandi, Khan.”
L’uomo si allontanò e poco dopo fece ritorno assieme a un altro. In due sorreggevano, uno per le ascelle e uno per le caviglie, il giovane Herich ancora privo di sensi. Lo deposero a terra.
Jeisym si chinò su di lui, gli prese il mento fra le dita e gli voltò la testa da una parte e dall’altra, poi gli sollevò una palpebra e gli aprì la bocca per controllare i denti.
Peccato per quel segno rosso sull’occhio, Khan,” constatò Therved alle sue spalle.
Ti sbagli, questo ne aumenta il valore. È come l’impronta del pollice di Halmaikah, che fa raddoppiare il prezzo dei purosangue.”
L’uomo si limitò ad annuire.
Fallo caricare su un carro,” disse allora il Khan, “mettigli una coperta addosso, che non si ammali, e bada che nessuno lo rovini. Deve arrivare intatto a Perechyra.”

§

Res uscì dal tempio solo quando fu certo che i predoni fossero già scomparsi all’orizzonte e per un po’ si aggirò in silenzio nella devastazione che essi avevano lasciato. A parte i due principi, gli altri erano stati uccisi tutti. Il chierico giaceva supino, l’avevano spogliato prima di sgozzarlo, per far sì che i paramenti ricamati non si imbevessero di sangue. Le dita erano state tranciate per portare via gli anelli.
I soldati erano tutti morti, la maggior parte delle armi e delle armature, e in generale tutto ciò che poteva avere un valore, era stato saccheggiato. Il capitano Arahad era stato decapitato nel sonno, il volto conservava l’espressione atarassica conferita dall’assunzione di tau’zeel. Probabilmente l’ufficiale non aveva mai fatto uso prima della droga, quindi l’effetto era stato più potente che mai. Gli dispiacque: Arahad era un buon capitano.
Emise un sospiro: ecco che si trovava di nuovo, unico superstite, a contemplare la distesa dei compagni morti.
Per un istante lo prese l’impulso di buttarsi a grufolare fra i corpi alla ricerca di qualche anfora che contenesse ancora un fondo di vino con il tau’zeel, ma le impronte di ruote che si perdevano all’orizzonte ebbero il potere di riportarlo in modo brutale alla realtà contingente: quello non era il momento di piangersi addosso, il principe Herich era nelle mani dei predoni, suo fratello Dewrich stava correndo a Dyat per usurpare il trono e solo lui, per quanto indegno, per quanto disonorato, poteva fare qualcosa.
È ora di tornare a combattere,” disse fra sé e sé.

Raccolse in giro le poche cose utili rimaste: un otre d’acqua, un mantello pesante, qualche provvista. Tra i resti del banchetto erano disseminate anfore di vino drogato, per cui evitò di avvicinarsi a quelle vivande, preferendo raccogliere gallette e carne secca da dove i predoni le avevano con spregio buttate.
Si congratulò con se stesso per aver tenuto con sé le poche monete che possedeva, avrebbero potuto tornargli utili.
Le loriche e gli elmi erano stati rubati, ma recuperò da sotto un mucchio di cadaveri una buona spada con anche il fodero e se l’affibbiò in cintura. Non aveva cavallo, ma i predoni si erano impadroniti dei carri ed erano carichi di bottino, quindi per forza di cose avrebbero tenuto un’andatura lenta. Doveva solo evitare di avvicinarsi troppo, altrimenti in quella pianura senza rilievi si sarebbero accorti di lui, poi avrebbe potuto comodamente seguirli tenendo come riferimento le tracce che si lasciavano dietro.
Si mise in marcia. Dopo essere rimasto nel tempio per tutta la notte si era quasi abituato alla potente carica magica del luogo, tuttavia man mano che se ne allontanava si sentiva meno affaticato e il suo umore si faceva meno plumbeo. Quando il vento riprese a soffiare sulla pianura lo accolse quasi con sollievo, anche se era ghiacciato e lo faceva rabbrividire, perché gli dava una sensazione di vitalità che da tempo non provava più.
Nel tempio aveva fatto un sogno: aveva visto Dras, un uomo imponente, seduto su un trono nel mezzo di un paesaggio innevato e roccioso, con addosso un’armatura da generale. Aveva stretto un patto con lui. “Sarà l’ultima cosa che faccio,” disse a mezza voce, “Ma è giusto che sia così.”

§

La prima cosa di cui Herich si accorse nel riprendere i sensi fu che nell’aria c’era un penetrante odore di spezie esotiche. Era un aroma greve, sensuale, con pesanti note di resine e fiori, che inebriava e stordiva.
Si rigirò su un fianco e realizzò di trovarsi su pellicce talmente folte che quasi ci affondava dentro.
Bentornato tra noi,” disse qualcuno fuori dal suo campo visivo.
Herich sussultò. La voce era quella di un giovane uomo ed era appesantita da un accento straniero che non riuscì a definire. Non apparteneva a nessuno di sua conoscenza.
Fu attraversato da un’ondata di paura. “Dove sono?” mormorò con voce incerta.
Non ha importanza.”
Il ragazzo deglutì, cercò senza successo di alzarsi. “Chi sei?”
Il padrone della voce si spostò nel suo campo visivo, rivelandosi un predone di As’del che indossava ricchi abiti di seta e aveva monili su entrambe le braccia. La sua muscolatura poderosa contrastava stranamente con i lineamenti, che invece erano talmente delicati da risultare quasi femminei.
Chi sei?” ripeté Herich, “Dove sono gli altri?”
Intendi quelli che erano con te?”
Sul volto del ragazzo si accese una luce di speranza. “Sì, loro! Mio fratello Dewrich, il chierico Cresdan e gli altri. Dove sono?”
A parte tuo fratello, morti.”
Herich sbiancò. “Cosa?” Si puntellò su un gomito per sollevarsi.
L’altro avvicinò il viso al suo, e lo fissò con aria di compatimento. “Povero stupido,” gli disse, “tuo fratello ti ha tradito.”
Il ragazzo aggrottò le sopracciglia. “Non è vero!”
Il predone annuì con aria grave. “Oh, sì che è vero. E pensa che se non fosse stato per me e per uno dei miei guerrieri, ora anche tu saresti morto.”
Herich deglutì. “Che… che significa?” Balbettò incerto, facendo guizzare tutt’intorno lo sguardo spaventato.
L’espressione dell’altro divenne quasi di degnazione. Con un sospiro, rispose: “Significa che tuo fratello ha aspettato che tu ricevessi la corona, poi ha drogato te e tutti gli altri, e mentre noi saccheggiavamo il tuo accampamento e toglievamo di mezzo scomodi testimoni, lui è tornato a Dyat, dove dirà al re vostro padre che la spedizione è stata assaltata e lui è l’unico superstite.”
A quelle parole, il labbro inferiore del ragazzo cominciò a tremare, e grosse lacrime gli rotolarono lungo le guance. “Non è vero...” singhiozzò, “non è possibile. Avrete ucciso o catturato anche lui e non me lo volete dire.”
Tuo fratello vale molto meno di te, per noi. Tu almeno puoi essere venduto come schiavo al grande mercato di Perechyra.” Gli prese una ciocca di capelli e delicatamente se la fece scorrere tra le dita. “Sei vergine?” gli chiese, come un altro gli avrebbe chiesto se sapeva leggere e fare di conto.
Ma cosa ti viene in mente?” sbottò il ragazzo.
Quelli vergini li pagano di più,” fu la disinvolta risposta, poi il predone soggiunse: “Cos’è quel segno che hai sul viso?”
Herich sospiro. “Dicono che sia il segno della benevolenza di Dras.”
Il vostro dio?”
Il capo degli dei. Mi è comparso quando sono entrato nel Grande Tempio a Dyat. La mattina mio fratello mi aveva ferito con la spada, e poi la ferita è diventata così.”
Forse il tuo dio stava cercando di dirti qualcosa, allora.”
Il ragazzo si limitò ad alzare le spalle. Si guardò intorno: si trovava in una tenda circolare, arredata con cassapanche di legno intarsiato e vasellame prezioso. Dovunque erano abbandonate ricche stoffe dai colori sgargianti, pellicce e cuscini.
Mio padre ti coprirà d’oro, se mi riporti da lui.”
Il predone scosse la testa. “Troppo pericoloso. Inoltre, tuo fratello mi ha già coperto d’oro, e lo farà ancora, perché io non ti riporti indietro, e Jeisym Khan dell’Aquila Bianca ha una sola parola.”
Un predone di As’del che attribuisce valore alla parola data?”
Il suo interlocutore gli sorrise sprezzante. “Meriteresti che ti frustassi, per quello che hai detto,” replicò duro, e sogghignò quando vide un’espressione spaurita comparire sul volto del prigioniero. “A voi del Waerund fa comodo pensare che gli As’vaan siano tutti ladri, traditori e predoni.”
Herich distolse lo sguardo senza rispondere.
Con lo stesso tono sprezzante, l’altro proseguì: “Presso il nostro popolo, la parola data è più sacra di qualsiasi cosa. Anche più della vita.”
Passò qualche tempo, l’unico suono che si udiva era il sibilo del vento all’esterno. Alla fine il ragazzo chiese: “Cosa vuoi fare di me?”
Te l’ho detto, sarai venduto al mercato di Perechyra. Sei bello, inoltre suppongo che tu sia istruito e abbia buone maniere, essendo un principe.”
Verranno a riprendermi.”
Non credo proprio, visto che non abbiamo lasciato in vita nessuno.”
A quelle parole, le lacrime ricominciarono a scorrere sul viso del ragazzo: se avevano ucciso tutti, significava che anche Res era morto. Si sentì invadere dalla disperazione: per qualche irrazionale motivo, aveva sperato che proprio Res sarebbe arrivato a salvarlo.
È inutile piangere.” La voce dell’As’vaan lo riportò bruscamente alla realtà. “Non ti servirà certo a riavere la tua vita di prima. Puoi solo adattarti a questa, e prima lo farai, meglio sarà per te.”
Si alzò dal giaciglio, sul quale si era seduto per parlargli, e aggiunse: “Il mio nome è Jeisym Khan, comando il clan dell’Aquila Bianca. Nell’accampamento sei libero, puoi andare dove vuoi, ma non ti consiglio di provare a scappare, perché da solo nella steppa non sopravviveresti nemmeno un giorno.”
Si inchinò brevemente e uscì. Mentre scostava il telo che chiudeva la porta, Herich fece in tempo a intravedere una pianura ondulata che si perdeva all’orizzonte assumendo in lontananza i toni del grigio e del viola.

§

L’acqua gorgogliava piano scorrendo tra sassi lisci e ricoperti di muschio. Res, che da più di un giorno aveva prosciugato l’otre, si buttò faccia a terra lungo la riva del fiume e per un po’ non fece altro che bere con avidità, incurante del fatto che l’acqua fosse ghiacciata. Solo dopo essersi parzialmente dissetato, si sollevò ansante sugli avambracci e rotolò di lato a occhi chiusi.
Le gambe gli facevano talmente male che gli sembrava di avere due tanroth-ath, uno per parte, che gliele azzannavano. La schiena era dura come un pezzo di legno, la testa gli doleva e le orecchie gli fischiavano.
Nonostante l’urgenza di non perdere le tracce della carovana, doveva riposarsi. Erano più di tre giorni che camminava ininterrottamente, facendo pause solo per concedersi qualche ora di sonno, mai più di due alla volta, e ormai aveva un disperato bisogno di ritemprare l’esausto fisico.
Si rialzò con una smorfia di dolore e camminò un po’ lungo la riva alla ricerca di un punto in cui l’acqua fosse più profonda.
Una volta che lo ebbe trovato, si disfò degli abiti e incurante del freddo si immerse. Si adagiò sulle pietre lisce del fondo e per un po’ rimase semplicemente immobile, lasciando che la corrente lo accarezzasse, poi si accovacciò e cominciò a strofinarsi con forza con un sasso piatto, assaporando la sensazione di vigore che l’acqua gelida conferiva alle sue stremate membra.
Si asciugò con un lembo del mantello pesante. Si guardò, mentre lo faceva: il suo corpo era ancora il fascio di muscoli che ricordava. Un po’ appesantito dagli anni, magari, ma pur sempre in grado di servirlo fedelmente. Percorse con lo sguardo le cicatrici bianche che lo segnavano: ognuna di esse aveva una storia e si portava dietro un carico di dolore, paura, esaltazione e orgoglio.
Chinò la testa. Orgoglio.
Non aveva più molti motivi per essere orgoglioso, ormai.
Ancora avvolto nel mantello si lasciò cadere sulla rena e chiuse gli occhi, cercando di scacciare le immagini che stavano affiorando dalla sua memoria.

Si riprese qualche ora dopo. Stava calando il sole e sulla pianura aveva preso a soffiare il vento. Incassato nel letto del fiume, però, Res era relativamente riparato e non sentiva troppo freddo. Tirò fuori quello che gli era rimasto da mangiare, ovvero desolatamente poco: aveva ancora qualche pezzo di carne secca e alcune gallette, una quantità di cibo che anche razionata nel modo più rigoroso non sarebbe durata più di due giorni.
Prese una galletta, e visto che era vicino al fiume si concesse il lusso di ammorbidirla in acqua, poi tagliò una striscia di carne e cominciò a masticarla. Nella luce che andava scemando, seguì con lo sguardo il corso d’acqua: doveva trattarsi del Phorean, ovvero il confine naturale che separava il Waerund dalle steppe di As’del. Le tracce della carovana lo oltrepassavano e si perdevano verso nord est. Posto che in quella distesa desolata non avrebbe avuto senso non seguire una linea retta per raggiungere la propria destinazione, l’unico luogo di una certa importanza che si trovava in quella direzione era Perechyra, ovvero la città da cui passavano tutte le vie carovaniere più importanti. Pensò che probabilmente i predoni stavano andando là per vendere tutto ciò che avevano razziato, compreso il principe Herich, che con la sua acerba bellezza e i suoi modi raffinati, in mano a un buon banditore avrebbe fruttato non meno di ventimila pezzi d’oro.
A quel pensiero fu tentato di rimettersi in marcia immediatamente e solo forza di volontà e buon senso lo costrinsero a rimanere sdraiato per una notte di sonno. Con un sospiro di frustrazione, si rannicchiò avvolgendosi nel mantello e chiuse gli occhi.

§

Jeisym affiancò il proprio morello alla puledra grigia di Herich e disse: “Copriti bene, se provassi a venderti con la tosse e il moccio al naso, avrebbero la pretesa di pagarti di meno.”
Il ragazzo gli rivolse uno sguardo freddo. “Cosa pensi che me ne importi se ricaverete meno dalla mia vendita?”
Il Khan gli rivolse un sorriso di degnazione. “Povero stupido. Chi paga di più è più ricco, quindi vive meglio e come ovvia conseguenza, anche i suoi schiavi vivono meglio. Hai tutta questa voglia di finire in un bordello di lusso invece che nella casa di qualche nobile?”
Herich non rispose, si limitò a far vagare lo sguardo sulla pianura. Il sole stava calando, ombre viola avanzavano silenti. Piegata dal vento, l’erba dura della steppa prendeva un colore verde argentato che ricordava le foglie dei gattici.
Non l’avrebbe mai pensato, ma anche quella pianura desolata gli stava diventando cara, soprattutto perché rappresentava l’ultimo sorso di libertà che gli veniva concesso. Emise un sospiro.
Al suo fianco, Jeisym Khan gli chiese: “Che c’è?”
Il ragazzo lo fissò. “E me lo domandi?”
L’altro annuì. “Sì, te lo domando. In fin dei conti non ti è stato fatto alcun male, sei sempre stato trattato con gentilezza.”
Solo perché mi volete vendere come schiavo.”
E allora ringrazia il tuo dio che ti ha donato tanta avvenenza, altrimenti ti avremmo ucciso come tutti gli altri.”
Herich si avvolse la pelliccia intorno al collo e spronò la puledra, distaccando Jeisym di alcuni passi.
Passò qualche minuto, poi l’As’vaan lo raggiunse e disse: “Quella cavalla mi sembra veloce. Che ne dici di fare una corsa?”
Il ragazzo scosse la testa. “Ci ho già provato con mio fratello. Non voglio finire schiavo, ma non voglio finire nemmeno con le ossa rotte.”
Jeisym lo fissò critico. “Allora non sai galoppare.”
Lo so fare perfettamente.”
In un maneggio, forse. Galoppare nella steppa è una cosa che si impara da piccoli.”
Herich si voltò verso di lui e non poté fare a meno di notare la sua espressione orgogliosa. Nonostante fossero alla fine di un lungo giorno di marcia, egli si ergeva dritto sulla sella e i suoi occhi dorati scintillavano. “Ti insegno,” disse.
No, io...”
Devi imparare. Un uomo non è un uomo, se non sa galoppare nella steppa.”
Herich avrebbe voluto fargli notare che di lì a poco non sarebbe interessato a nessuno, se era uomo o no, e che anzi avrebbe potuto ritenersi fortunato se trovava un padrone che non lo faceva evirare, ma nonostante la sua cortesia, quel Jeisym continuava a dargli poco affidamento e aveva paura di contraddirlo. Si limitò a fissarlo in silenzio.
Devi imparare,” ripeté convinto il Khan. “La prima cosa è essere tutt’uno con il cavallo, solo così potrai guidarlo come faresti con le tue gambe, e più sarete insieme, più lui si fiderà di te e ti servirà bene.”
Così parlando si era avvicinato, e gli stava sistemando l’assetto e le redini. “Devi far sì che i suoi movimenti diventino i tuoi.”
Alla fine della spiegazione chiese: “Sei pronto?”
Il ragazzo deglutì. Ormai era il crepuscolo, la pianura si estendeva apparentemente inoffensiva a perdita d’occhio, ma chi gli garantiva che non ci fossero un sasso, una tana di coniglio o qualsiasi altra cosa in grado di far cadere il suo cavallo?
Come se gli avesse letto nel pensiero, l’altro gli disse: “Non temere: Halmaikah vede attraverso gli occhi dei cavalli. Non succederà niente.” Tirò le redini del morello, che aveva capito cosa stava per succedere, e nonostante la stanchezza anelava a lanciarsi al galoppo, quindi chiamò: “Therved!”
Subito si avvicinò il guerriero. “Khan?”
Fa approntare l’accampamento, mentre io e il principe facciamo una galoppata in questa magnifica sera.”
Come tu comandi, Khan,” rispose l’uomo inchinandosi.
Jeisym si rivolse al ragazzo: “Al mio via!”
Herich si limitò a stringere le ginocchia. Fece scendere una mano sul garrese, ad afferrare un ciuffo di criniera, e chiuse gli occhi.
Non così,” lo rimproverò il Khan. “Devi godere della cavalcata, non subirla.” Poi, dopo una pausa: “Vieni con me.”
Partirono affiancati al trotto. “Lo senti?” gli chiese Jeisym dopo un po’, “Lo senti che vuole correre?”
In effetti, la puledra fremeva in preda all’aspettativa, tanto che Herich faceva fatica a mantenerla tranquilla.
Lo senti?”
Sì, Khan.”
Sono il Khan per i miei uomini, non per un mio pari. Per te sono Jeisym.”
Il ragazzo si limitò ad annuire.
Ora allenta le redini, falle capire che vuoi che corra come il vento sulla pianura.”
Herich non avrebbe saputo dire com’era successo, ma un attimo dopo si trovò lanciato al galoppo, con l’aria gelida che gli frustava il viso e gli occhi che gli lacrimavano per la velocità. Accanto a lui c’era l’As’vaan, e il suo morello doveva faticare per tenere l’andatura della puledra, che invece scivolava sull’erba argentea rapida come il pensiero.
Herich pensò dapprima che quella corsa sfrenata sulla pianura immersa nel crepuscolo gli faceva paura, poi subito dopo pensò che era la cosa più bella che avesse mai fatto, che era come volare. Si sorprese a incitare la puledra perché andasse ancora più veloce.

Tornarono al campo che era già buio, guidati dalle voci e dai fuochi. La tenda circolare era stata innalzata al centro dell’accampamento e già si sentiva l’odore dei cibi messi a cuocere.
I due abbandonarono i cavalli schiumanti e per un po’ rimasero a contemplare la sottile striscia di luce aranciata che scorreva lungo l’orizzonte a occidente. Il Khan mise la mano sulla spalla a Herich e gli chiese: “Ora che mi dici delle cavalcate nella steppa?”
Il ragazzo si limitò a socchiudere gli occhi inspirando l’aria pura e gelida. “Sei crudele,” disse dopo un po’.
Perché?”
Perché mi fai assaporare tutto quello che sto per perdere. Se la mia prigionia fosse orribile, allora potrei forse anelare a un padrone buono che mi accogliesse nel suo harem e mi desse bei vestiti e buon cibo… ma così?”
Lo faccio per cortesia nei tuoi confronti.”
Una cortesia crudele, come quella di nutrire un maiale solo con le ghiande migliori.”
Detto questo, il ragazzo gli girò le spalle ed entrò nella tenda.
Passò qualche minuto, poi il Khan lo raggiunse. Dopo di lui entrarono due uomini con dei bacili d’acqua, li deposero sul pavimento e uscirono.
Jeisym si spogliò completamente, quindi si avvicinò a uno dei bacili e cominciò a lavarsi come se niente fosse. Era già successo altre volte, ma Herich non riusciva ancora ad abituarsi a quella disinvoltura nell’esibire la nudità. Generalmente non lo guardava mentre si lavava e aspettava che il Khan fosse uscito per lavarsi lui stesso. Se proprio Jeisym non se ne voleva andare, allestiva con una tenda un angolo nascosto alla vista e si lavava lì.
Quella volta invece rimase a guardarlo. Notò che aveva una cicatrice biancastra e leggermente incavata sotto la scapola destra. “Cos’è quel segno che hai sulla schiena?” gli chiese.
Jeisym gli rivolse un sorriso. “Io lo chiamo Benevolenza di Halmaikah,” rispose. “È il segno di un colpo di spada che avrebbe dovuto uccidermi, ma non l’ha fatto. Sul petto ho il suo gemello.” Si raddrizzò e si voltò verso il ragazzo: sotto il pettorale destro aveva una cicatrice uguale a quella della schiena.
Ti ha trapassato,” constatò Herich.
È così.”
Quando è successo?”
Nella Guerra Orientale.”
Herich alzò stupefatto lo sguardo fino a incontrare il suo. “Tu hai combattuto nella Guerra Orientale?”
L’altro assentì. “Avevo appena l’età per portare le armi, ma la sconfitta era imminente, e anche i ragazzi venivano reclutati per l’estrema difesa.”
Capisco.”
Devo la mia vita al Leone Rosso, lo sai?”
All’udire quel nome, il ragazzo letteralmente sussultò. “Davvero?”
Mi trovò sul campo di battaglia con una spada che mi passava da parte a parte. Disse che ero troppo giovane per morire e mi affidò ai suoi guaritori.”
Tu… l’hai visto?”
Il Khan emise un sospiro. “Sì, e posso dirti che era un grande eroe. Persino i nostri poeti cantano ballate su di lui. Mi donò una bandiera su cui era ricamata la sua insegna, il Leone Rosso, e io la porto sempre con me.”

§

Dewrich fermò il destriero, i due guerrieri che lo accompagnavano fecero altrettanto. Dall’altura su cui si trovavano si vedevano bene le Cascate Grandi, ovvero un semicerchio naturale dei monti Kelis dal quale si riversava, in maestosi salti d’acqua, tutta la portata dell’enorme Edayr.
La strada per entrare a Dyat passava attraverso quelle immense cateratte, su un antico ponte di pietra sempre lucido di umidità.
Il rombo delle cascate era così forte che anche a pochi passi di distanza ci si poteva parlare solo urlando.
Più oltre svettava, incastonata nella vegetazione, la massa candida del palazzo reale. Fin da quella distanza si vedevano bene l’alta costruzione ottagonale che ospitava la sala del trono e più in basso il lungo colonnato che cingeva il resto dell’edificio, con archi, cupole, lesene e modanature.
I vessilli rossi garrivano al vento.
Da qui in poi è meglio che vada da solo,” disse senza distogliere gli occhi dall’edificio, “voi vi presenterete al tempio di Voldas come pellegrini e mi attenderete là.”
Si fece avanti Den’en, il più vecchio dei due As’vaan e probabilmente anche il più esperto. “Il Khan ha detto di accompagnarti,” rispose categorico.
Il principe lo fissò con degnazione. “Ragiona: come potrà mio padre credere che sono stato assalito e sconfitto dagli uomini di As’del, se proprio due di loro mi accompagnano come se fossero i miei servitori?” Notò con soddisfazione che l’ultima parola aveva fatto passare un’ombra nello sguardo dei due.
L’As’vaan però replicò: “E noi come possiamo fidarci quando dici che parlerai con tuo padre e poi tornerai da noi? Cosa ti impedirebbe di chiuderti nella tua città e farci scacciare come comuni ladri di polli?”
Dewrich assunse un’espressione costernata: “La parola che ho dato al vostro Khan.”
Il Khan è lontano, principe.”
L’altro annuì grave, poi replicò: “Tuttavia non vi è altra scelta. Pensateci: non correreste gli stessi rischi, forse addirittura maggiori, se entraste in città con me? Cosa mi impedirebbe in quel caso di farvi catturare e gettare nelle segrete? Sarete anche i guerrieri più valorosi di tutto l’As’del, ma cosa credete di fare contro un intero esercito?”
Den’en annuì, poi si rivolse all’altro parlando in lingua As'vaan. I due si scambiarono qualche rapida considerazione. Il principe capiva abbastanza di quell'idioma da riuscire a seguire il dialogo, che verteva sul rischio di essere traditi assassinati, ma rimase impassibile
Infine l’As’vaan gli disse: “Saremo al monastero di Voldas tra sette giorni. Se non avremo tue notizie, torneremo dal Khan.”
Dove starete nel frattempo?”
Nella steppa, principe. Siamo abituati agli spazi aperti, il monastero sarebbe troppo angusto per noi.”
Dewrich annuì. “Può andare bene,” si limitò a dire. Evitò di chiedere cosa sarebbe successo nel caso non si fosse presentato: gli As’vaan erano un popolo orgoglioso, fiero ma anche ferocemente vendicativo. Jeisym avrebbe aspettato decenni, forse, ma alla fine gliel’avrebbe fatta pagare.
Se fosse stato in vita, chiaramente.
Salutò e spronò il cavallo verso il sentiero che dall’altura conduceva al ponte di pietra.

Entrò in città a briglia sciolta, abbandonò il destriero ai piedi della scalinata che conduceva al palazzo reale, estrasse dalla bisaccia l’involto che vi aveva tenuto nascosto per tutto il viaggio e salì di corsa.
Padre!” gridò, non appena fu sulla terrazza colonnata. “Padre mio, dove sei?”
Attirati dai clamori, sopraggiunsero cortigiani e soldati.
Mio padre!” ripeté il principe, “Devo parlare assolutamente con lui, devo riferirgli cose della massima importanza.”
Fu mandata una guardia a chiamare il sovrano.
Quando re Evertas sopraggiunse, Dewrich gli corse incontro e subito esclamò: “Padre, è successa una cosa terribile!”
Il re lo fissò allarmato. “Che cosa, figlio? È forse accaduto qualcosa a Herich?”
Andiamo nella sala del consiglio, padre. Devo riferirti cose della massima importanza.”
Il re fece portare una coppa di vino per il figlio, poi serrarono le porte e si sedettero al grande tavolo di quercia. “Parla,” lo esortò a questo punto Evertas.
Dewrich chinò la testa. “Siamo stati assaliti,” disse dopo un lungo silenzio. “Predoni di As’del. Hanno aspettato che la cerimonia fosse compiuta, poi col buio sono piombati sull’accampamento e hanno ucciso chiunque.”
Il re letteralmente sbiancò in volto. “Herich?” chiese, prendendolo per le spalle e costringendolo a fissarlo negli occhi.
Il principe distolse lo sguardo come se il peso di ciò che stava per dire gli risultasse troppo gravoso. “L’hanno ucciso. Ho salvato solo la sua corona e ora la consegno a te.” Spinse verso di lui l’involto di stoffa.
Il re lo fissò costernato, poi riluttante lo prese e lo soppesò fra le mani. “È la sua corona, padre,” ripeté Dewrich.
Non mi interessa la corona,” rispose amaro il sovrano, “non se chi avrebbe dovuto portarla è stato ucciso.” Fissò gli occhi in quelli del figlio. “Com’è successo? Come hanno fatto i predoni ad avvicinarsi così tanto senza essere notati? Perché i nostri soldati non li hanno respinti? Erano tutti veterani esperti, com’è possibile che si siano fatti sorprendere così?”
Il principe chinò la testa. “Comprendo il tuo dolore, che è anche il mio, padre, ma sei ingiusto. I soldati sono morti dal primo all’ultimo per difendere Herich.”
E tu, figlio, dov’eri?”
A combattere con loro. Herich è stato ucciso sotto i miei occhi.” Si alzò bruscamente in piedi, si diresse verso una delle finestre. “Pensi che io non abbia sofferto, padre?” ringhiò. “Pensi che non mi sia chiesto ogni attimo del viaggio che ho compiuto per tornare qui se avrei potuto fare qualcosa di diverso, se avrei potuto magari sacrificare me stesso per far vivere lui? Pensi che non me ne importi nulla di quello che è successo?”
Calò un silenzio greve.
Alla fine giunse la voce di re Evertas: “No, non penso questo. Scusami.”
È stato terribile, padre.”
Il re si alzò a sua volta e lo raggiunse. Gli mise una mano sulla spalla e disse: “Saranno proclamati dodici giorni di lutto per la morte dell’erede al trono, ma subito dopo muoveremo guerra a quell’ignobile accolta di ladri e razziatori e faremo pagare loro amaramente l’odioso delitto che hanno commesso. Voglio che sia tu a comandare l’esercito.”
Dewrich si voltò fino a fissarlo negli occhi, quindi si inchinò. “Come comandi, padre.”
Avvisa il generale Kierev e manda dispacci al generale Odras e al generale Xarey. Voglio che venga approntato un esercito in grado di spazzare via quella feccia una volta per tutte.”
Come comandi, padre. Se me lo concedi, trascorrerò il periodo di lutto presso il monastero di Voldas ad allenarmi nell’uso della spada.”
Preferirei averti qui, Dewrich, e sono sicuro che anche la regina tua madre sarà del mio parere, ma tutto ciò che servirà a distruggere quei maledetti è ben accetto, quindi va pure ad allenarti nell’uso delle armi.”


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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Resen-Lhaw 5 Ciao a tutti/e!
Grazie per essere sempre con me in questa avventura. Ringrazio chi mi ha letto, chi mi ha messo in qualche lista, ma soprattutto chi mi ha lasciato il suo parere.





Capitolo 5

Acute strida di gabbiani lacerarono il silenzio della steppa. Herich alzò gli occhi e vide gli uccelli marini solcare il cielo rapidi come candide frecce.
Si voltò verso Jeisym con espressione interrogativa.
Siamo vicino a Perechyra,” spiegò il predone.
Il ragazzo fece scorrere lo sguardo sull’orizzonte, quasi aspettandosi di veder spuntare le guglie della città dalla pianura ondulata. Quelle parole ferali significavano una cosa sola: che presto l’avrebbero venduto come schiavo.
Fino a quel momento, era stato in viaggio, e il viaggio era una specie di tempo sospeso, in cui le cose essenzialmente non accadevano, o in cui si poteva fare finta che non sarebbero accadute.
Ma il viaggio stava per finire, e con esso l’illusione di essere uno stimato amico di Jeisym Khan che lo accompagnava per diletto a Perechyra.
Spronò la puledra e le fece fare qualche passo avanti, in modo da lasciarsi alle spalle la carovana, poi per un po’ rimase a contemplare la steppa immerso nei suoi pensieri. Probabilmente aveva ragione Jeisym, non sarebbe sopravvissuto un giorno, da solo in quell’ostile immensità, eppure si chiedeva se non fosse meglio morire nel tentativo di riconquistare la libertà, piuttosto che salvarsi la vita con la sola prospettiva di finire schiavo da qualche parte.
Il buon senso gli diceva che sarebbe stato meglio vivere, che non poteva sapere cosa gli avrebbe riservato il futuro, ma l’orgoglio era di altro parere.
Udì un rumore di zoccoli avvicinarsi e subito dopo Jeisym lo affiancò e gli chiese: “Che c’è?”
Herich si limitò a fissarlo torvo.
L’altro si strinse nelle spalle. “Lo sai che presso il mio popolo il secondogenito del re viene sempre ucciso dal primogenito? Il terzogenito, poi, posto che esista, deve guardarsi anche dai cugini.”
E con questo cosa vorresti dire, che sono fortunato?”
Se tu fossi stato mio fratello, non avrei di certo aspettato sedici anni per farti la pelle.”
Herich si morse il labbro inferiore, poi disse: “Ma Dras ha designato me come erede al trono.”
Il Khan fece una breve risata e replicò: “Non mi sembra che Dras si sia dato molto da fare per proteggerti, dopo averti designato.” Poi, dopo una pausa soggiunse: “E comunque, ricordati di una cosa: i diritti non valgono niente, senza i mezzi per farli valere.”
Herich non rispose. Di nuovo guardò l’orizzonte, cercando di scorgervi le guglie dalla città. Lasciò che il vento gli scompigliasse i capelli e si passò una mano sugli occhi. Si chiese cosa stessero facendo i suoi, se Dewrich fosse già arrivato da loro. Sospirò. Ancora non riusciva a credere che suo fratello avesse davvero fatto quello che gli aveva raccontato Jeisym.
Gli sarebbe sembrato più plausibile che il predone l’avesse ucciso e avesse tenuto lui per venderlo come schiavo.
Quanto manca?” chiese a bassa voce, come parlando a se stesso.
A Perechyra?”
Herich annuì.
Questa sera ci accamperemo in vista della città.”
Il ragazzo si morse il labbro inferiore. Un conto era immaginare, per quanto fosche potessero essere le sue congetture, un conto era sapere con certezza. “Jeisym?” mormorò.
Il Khan si voltò verso di lui: “Dimmi.”
Jeisym, perché non posso restare con te?”
L’As’vaan aggrottò le sopracciglia. “Perché questo non è posto per te. Conosci la poesia e la musica, sai parlare in modo forbito, ma non sai né cavalcare né combattere. Saresti solo un peso per il mio clan.”
Ma potrei imparare.”
Il Khan scosse la testa. “Certe cose le devi imparare da piccolo. Ora sei un ospite, non ti è richiesto altro che di intrattenermi e fare qualche piccola passeggiata a cavallo. Come pensi che te la caveresti, invece, se dovessi procurarti il cibo ogni giorno, combattere e razziare?”
Herich abbassò la testa e rispose: “Non voglio essere schiavo. Potrei fare qualcosa qui, magari le cose più semplici.”
Ah, no. No.” Jeisym scosse la testa con decisione. “Da noi, o sei guerriero o sei schiavo. Tu guerriero non puoi essere e ti garantisco che è meglio essere schiavo di un ricco patrizio con una bella villa, che di un guerriero As’vaan che vive nelle steppe.”
Di nuovo, il ragazzo si morse un labbro mentre una lacrima gli scendeva lentamente lungo la guancia. Contemplò ancora una volta la pianura, che a quell’ora del giorno era una distesa argentea i cui confini si perdevano nella foschia.
Passarono alcuni gabbiani, gridando nell’aria immobile, e scomparvero a oriente.
Vanno alle foci del Porochta,” disse Jeisym.
Vanno dove vogliono,” replicò Herich fissandolo torvo, “cosa che invece io non posso fare.” Spronò la puledra e si allontanò al galoppo.

Come aveva detto Jeisym, la sera le luci della città erano in vista come un palpitare lontano, che ricordava il brillio della luna sull’acqua.
Herich sedeva in silenzio sul pianale di un carro, lasciando che l’aria fredda della notte lo accarezzasse. Ci aveva provato, ad allontanarsi. Aveva galoppato per un tempo che gli era parso infinito, salvo poi trovarsi da solo nel nulla, senza acqua né provviste, né abiti pesanti per la notte. E nemmeno armi, ovviamente. La consapevolezza era giunta quando gli era parso di vedere una figura all’orizzonte, che si ergeva nella bruma. Un uomo, un solitario viaggiatore, forse, o altro.
Era tornato indietro, perché tra una situazione ignota e un male conosciuto, l’uomo preferisce sempre il secondo.
O forse quel discorso si attagliava solo ai vili come lui. Una persona più coraggiosa o più determinata probabilmente sarebbe andata avanti a dispetto di qualsiasi cosa.
Per l’ennesima volta si chiese se fosse vero quello che gli aveva detto Jeisym a proposito di suo fratello. Chissà, magari Dras si era reso conto che uno come lui non sarebbe mai potuto diventare re e aveva rimediato all’errore in quel modo.
Una voce lo distrasse: l’As’vaan lo stava chiamando dall’entrata della tenda. Non provò nemmeno a rifiutarsi di obbedire, non era certo con degli stupidi puntigli da bambino capriccioso che avrebbe dimostrato la sua volontà di ribellione e il suo coraggio.
Scese dal carro e si diresse verso la tenda.
All’interno ardevano molte luci. Sul tappeto centrale era stato posto un ampio vassoio rotondo, probabilmente frutto di qualche razzia, con sopra i cibi migliori che la cucina aveva ancora da offrire. Accanto a esso c’erano due calici d’oro incrostati di gemme e un’anfora sigillata.
Jeisym sedeva a gambe incrociate sul tappeto, la schiena appoggiata a cuscini ricamati. Indossava un lungo abito di seta bianca dagli elaborati ricami, ma come sempre aveva con sé le armi.
Vieni avanti,” lo accolse. “Vieni a condividere con me questo ultimo pasto.”
Fermo sulla soglia, Herich rispose: “Non perdi occasione di ricordarmelo, vero?”
Io posso anche dire che un asino è un cavallo, ma non per questo esso muta la sua forma,” rispose pacato il predone. Fece un gesto di invito nei suoi confronti e aggiunse: “Siediti, mangia con me. Vorrei che tu avessi un bel ricordo del tempo che abbiamo passato insieme.”
Herich ghignò. “Ma certo, ricorderò con il più tenero affetto chi mi ha preso prigioniero e venduto come schiavo. Come potrebbe accadere il contrario?”
Avresti avuto un ricordo migliore di me, se ti avessi ucciso come tutti gli altri?”
Forse avrei sofferto di meno.”
Jeisym alzò le spalle. “Chi lo sa. Allora forse anche Resen-Lhaw mi ha fatto un torto, salvandomi sul campo di battaglia, perché ti posso garantire che la mia vita dopo quell’episodio è stata tutt’altro che facile e piacevole.”
A quelle parole seguì un lungo silenzio, poi Herich disse: “Parlami di lui.”
Jeisym si tirò indietro i capelli candidi e chiese: “Cosa vuoi sapere?”
Ti ha parlato?”
L’As’vaan annuì.
E che cosa ti ha detto?”
Le stesse cose che io ho detto a te questa sera, l’ha fatto quando protestavo che avrei preferito la morte a ciò che lui mi stava offrendo.”
Di nuovo calò il silenzio, rotto appena dal sibilo del vento all’esterno. Infine, Jeisym spinse uno dei calici verso di lui e disse: “Permettimi almeno di farti assaggiare questo vino pregiato.” Senza attendere risposta fece saltare il sigillo dell’anfora e ne versò il contenuto nelle coppe.

§

Stretto nel mantello, rannicchiato in un avvallamento del terreno, Res cercava di ignorare la fame. Aveva finito le provviste e anche l’acqua era ormai agli sgoccioli. Si massaggiò le gambe irrigidite, cercando per quanto possibile di rilassare la muscolatura.
A ovest una linea rosso cupo brillava ancora all’orizzonte, mentre le prime stelle cominciavano ad apparire sulla volta nera del cielo.
Se guardava verso nord est, poteva vedere le luci di Perechyra palpitare debolmente.
Prima che il crepuscolo cedesse il passo alla notte aveva visto un uomo a cavallo comparire in lontananza. Si era avvicinato al galoppo, poi si era fermato, era rimasto immobile per qualche istante ed era ripartito nella direzione da cui era arrivato. Montava un cavallo dal manto chiaro, forse grigio, e di sicuro non aveva i capelli bianchi degli As’vaan.
Si chiese se si trattasse di un viaggiatore. La città non era lontano e nel nulla della steppa si cominciavano a incontrare segni di bivacchi o passaggi di carovane.
Forse era scappato perché l’aveva visto, magari scambiandolo per un bandito o qualcosa del genere.
In un certo senso, fu quasi compiaciuto di riuscire ancora a far paura a qualcuno.
Emise un sospiro. “Beh, Dras,” disse a mezza voce, “Io ho fatto la mia parte, ora tocca a te fare la tua.” La frase si perse nel sibilo del vento.
Ma certo,” soggiunse il soldato, “tanto lo sapevo già che avrei dovuto cavarmela da solo. Ma in fondo non posso darti torto, neanche io aiuterei uno come me.” Si voltò di nuovo in direzione della città. Non era mai stato a Perechyra, ma sapeva che vi convergevano tutte le principali vie carovaniere dell’oriente. Era costruita su canali e da un palazzo all’altro ci si spostava con le barche.
Sapeva che il mercato più grande era galleggiante: si formava prima dell’alba, raccogliendo venditori da tutti i dintorni, e poi si dissolveva verso metà pomeriggio, quando le mercanzie erano esaurite.
Il secondo mercato in ordine di importanza era nel cortile del palazzo che ospitava anche il governo della città. Si diceva che l’edificio fosse così grande che nessuno l’aveva mai girato tutto. Era stato costruito e rimaneggiato innumerevoli volte nel corso dei secoli ed era divenuto nel tempo un inestricabile labirinto.
Si narrava che ci fossero anche stanze murate ricolme di tesori, ma nessuno ormai sapeva più se si trattava di una leggenda o della realtà.
Sospirò di nuovo e si raggomitolò meglio che poteva sotto il mantello.

§

L’orizzonte si stava tingendo d’oro quando Jeisym uscì dalla tenda. Era a torso nudo e la brezza della steppa gli agitava i lunghi capelli.
Il campo era in movimento. Le tende più piccole erano già state smontate, gli uomini stavano preparando i carri per la partenza. Si sentivano le grida acute dei primi gabbiani.
Il predone si guardò intorno inspirando l’aria gelida del mattino, quindi si diresse a un bacile che era stato sistemato accanto al fuoco e cominciò a lavarsi. Mentre era impegnato in quell’operazione, si udì un acuto grido di rapace, e con un possente sbattere di ali un’aquila si posò a poca distanza da lui.
Jeisym si voltò verso l’uccello. “Ben tornata, Shaar,” salutò.
L’aquila arruffò le penne sul collo ed emise un lieve suono chiocciante.
Se sei qui, significa che il principe è giunto a destinazione, non è così?”
Di nuovo, il rapace arruffò le penne.
L’uomo annuì. “Molto bene. Farò preparare della carne per te, amica mia, in modo che tu possa nutrirti.” Tacque per qualche istante, poi a voce più alta chiamò: “Therved!”
L’altro si avvicinò immediatamente. Era già vestito di tutto punto e pronto a partire. Si inchinò brevemente e chiese: “Mio signore?”
Therved, ieri sera ho addormentato il ragazzo con il tau’zeel. Fallo caricare sul carro, e fa in modo che non sia visibile dall’esterno.”
Come tu comandi, Khan.”
E fa portare della carne per Shaar, ha volato a lungo ed è affamata.”
Sarà fatto, Khan.”
Detto questo, Jeisym rientrò nella tenda asciugandosi con un telo. Il giovane principe giaceva addormentato sui cuscini nella posizione in cui l’aveva lasciato la sera prima. L’As’vaan si chinò accanto a lui, gli prese delicatamente il mento fra le dita e gli girò il viso in modo che la luce che entrava dal foro centrale del tetto lo illuminasse in pieno. “Bello,” disse poi a bassa voce, “carnagione perfetta, capelli neri.” Fece una breve pausa, poi soggiunse: “E quelle labbra piene sembrano fatte apposta per essere mangiate di baci.” Si piegò fino a sfiorarlo, ma subito dopo lo lasciò andare e si rialzò in piedi. “Non è bene assaggiare il rosolio destinato ad altri,” soggiunse tirandosi indietro i capelli, “nemmeno per essere certi che sia buono come sembra.”
Finì di vestirsi, poi due uomini entrarono, sollevarono il ragazzo e lo portarono fuori.

Perechyra era ormai una sagoma scura e irta di guglie distintamente visibile all’orizzonte. La strada su cui procedevano era lastricata e percorsa nei due sensi da carovane di cammelli e di muli carichi delle più varie mercanzie. Il cielo di smalto era un tripudio di forme bianche e affusolate che si inseguivano stridendo. Il vento portava l’odore delle spezie e del mare.
La steppa immensa e il suo silenzio sembravano non essere mai esistiti.
Jeisym si voltò indietro a controllare il proprio seguito, quindi spostò lo sguardo su Therved e disse: “La puledra grigia voglio tenerla io.”
Frutterebbe molti pezzi d’oro se la vendessimo, Khan.”
Sì, ma è veloce. Sono riuscito a starle dietro con Dalin solo perché il suo cavaliere era inesperto, ma se avesse avuto in groppa un As’vaan non ce l’avrei fatta.”
È una bella bestia,” concesse il guerriero, “ma è troppo delicata. Non reggerebbe a un inverno nella steppa.”
Non la porterò nella steppa,” replicò il Khan, “la terrò al palazzo di Jessartiaz assieme ai purosangue di mio padre.”
Ma così la vedrai solo una volta all’anno, Khan.”
Jeisym sorrise. “Vorresti dire che sarebbe meglio venderla, e avere i diecimila pezzi d’oro che ne ricaverei?”
Halmaikah mi è testimone, Khan, io ho giurato a tuo padre di consigliarti sempre per il giusto.”
Lo stai facendo, Therved, ma spesso le cose giuste sono anche le meno interessanti.” Fece una pausa, quindi soggiunse: “E poi per il ragazzo ti ho dato retta, no?”
Frutterà come minimo ventimila pezzi d’oro, Khan. Tuo padre sarà molto soddisfatto.”
Io un po’ meno. Credo che iniziarlo alle delizie dell’amore sarebbe stato un vero piacere.”
Un piacere per cui altri saranno disposti a pagare molto bene, Khan.”
Jeisym emise un teatrale sospiro. “Lo so, lo so. E mio padre sarà soddisfatto.”
Proprio così, Khan.”
L’altro spronò il morello e si avvicinò al carro nel quale si trovava Herich. Scostò la tenda che lo nascondeva e lo osservò.
Dorme ancora, Khan,” si premurò di fargli sapere uno dei suoi uomini.
Lo vedo,” rispose Jeisym, osservando i lineamenti distesi del ragazzo. Lasciò ricadere la cortina di stoffa, tornò a fianco di Therved e gli disse: “Manda un paio di uomini ad avvisare Eksiz che stiamo arrivando.”
L’altro annuì e rispose: “Come tu comandi, Khan.” Poi a voce più alta chiamò due nomi. Subito i guerrieri si avvicinarono ed egli ordinò: “Andate al quartiere sud e avvisate che venga preparato il palazzo del Khan.”
I due annuirono e spronarono i cavalli, scomparendo in breve alla vista fra le carovane che occupavano la strada.

Ci vollero un altro paio d’ore, prima che Jeisym riuscisse a farsi strada con i carri nel caos delle vie di Perechyra. Ovunque vi erano mercanti, che vendevano di tutto enumerando a gran voce le virtù della loro merce. Chierici decaduti o di divinità troppo povere per permettersi un tempio vendevano incantesimi, prostitute di entrambi i sessi proponevano i loro favori, saltimbanchi e suonatori si esibivano all’angolo delle strade, ognuno circondato da un capannello di gente nel quale si aggiravano ladri e borsaioli. Nelle rientranze dei palazzi o sotto i portici si annidavano le bancarelle dei venditori di cibarie, che offrivano alimenti di ogni genere. Dappertutto aleggiava l’odore del cibo, delle spezie e del limo dei canali.
Al passaggio del gruppo di predoni di As’del, che normalmente incutevano terrore con la loro sola presenza, la gente si scostava indolente brontolando proteste e più di una volta gli uomini del Khan dovettero intervenire per scacciare a staffilate qualche ladruncolo particolarmente temerario che saliva sui carri e cercava di intrufolarsi sotto i teloni.
Finalmente arrivarono in una strada quasi deserta, lontana dal caos del centro, che da un lato aveva un muro con una fila di portoni e dall’altro un canale in cui l’acqua scorreva gorgogliando lieve. Dopo il chiasso delle vie principali, nella zona c’era una piacevole quiete. L’aquila, appollaiata sulla spalla di Jeisym, emise un chioccio infastidito.
Lo so, amica mia,” le disse il predone, “anch’io preferisco la steppa immensa. Tu però puoi volare dove vuoi, e tornare qui quando lo riterrai opportuno.”
Shaar arruffò le penne sul collo ma non si mosse.
D’accordo, allora resta con me. Ti farò portare della carne fresca e dell’acqua, in modo che tu possa ristorarti.”
Il rapace volse verso di lui lo sguardo grifagno e rinsaldò la presa degli artigli sullo spallaccio della sua armatura di cuoio.
Con il tuo permesso, Khan,” disse a questo punto Therved, quindi spronò il cavallo e precedendo la colonna raggiunse uno dei portoni. Scese di sella, sguainò la spada e con il suo pomolo batté tre volte contro la porta. Dopo qualche istante si udì un rumore di chiavistelli, poi l’anta si socchiuse e dalla fessura che si era creata si affacciò un uomo anziano, con barba e capelli candidi e un caffettano blu che gli arrivava fino ai piedi. Alla vista di Therved si inchinò profondamente.
I due si scambiarono qualche frase, quindi il vecchio arretrò, l’anta si richiuse, si udì un nuovo rumore di chiavistelli e poi l’intero portone venne spalancato.
Carri e cavalli entrarono ordinatamente in un cortile lastricato. L’enorme spiazzo aveva da un lato una fila di edifici bassi destinati al ricovero degli animali e dall’altro degli alloggi. In mezzo si trovava un grande abbeveratoio di marmo nel quale si riversava continuamente un getto d’acqua.
Nella parete di fondo c’era un altro portone di legno, più piccolo e abbellito da intagli e battenti di ottone lucidato.
Jeisym smontò da cavallo, affidò le redini del destriero a uno stalliere e si avvicinò all’uomo col caffettano blu. Questi si inchinò di nuovo e disse: “Benvenuto, Khan, lascia che ti accompagni alle tue stanze. L’acqua del bagno è calda e i cuochi stanno approntando un banchetto per festeggiare il tuo arrivo.”
Il più giovane sorrise e gli fece cenno di alzarsi. “Sei sempre molto efficiente, Eksiz,” gli rispose, “Mio padre ha scelto bene quando ha deciso di affidarti la gestione del nostro palazzo di Perechyra.”
Tu mi lusinghi, Khan. Ma ora vieni, vorrai ristorarti, dopo il lungo viaggio che hai affrontato.” Così dicendo, sospinse il suo interlocutore verso la porta intagliata.
Al di là c’era un magnifico giardino. Lungo le mura che lo cingevano correva un porticato con lampade d’oro che pendevano dalle volte. Le colonne che lo sostenevano erano tutte di marmo intarsiato. Tra le aiuole scorrevano dei canali d’acqua cristallina, che gorgogliavano lievemente turbando appena la quiete sospesa del luogo. Ovunque vi erano alberi di agrumi e roseti fioriti, che spandevano il loro delicato profumo, e cascate di glicini e caprifogli.
Oltre il giardino, salendo alcuni gradini, vi era una porta di ebano e avorio. Una delle ante era semiaperta e al di là si intravedeva uno scorcio di pareti coperte di maioliche multicolori, pavimento di marmo e tende di broccato intessuto d’oro.
È tutto come lo ricordavo,” disse Jeisym chinandosi ad annusare una rosa. L’aquila arruffò le penne, spiccò il volo e andò a posarsi su un ramo di cedro che portava già profondi segni di artigli. Il predone sorrise. “Anche tu ti senti a casa, Shaar?”
Il rapace socchiuse gli occhi gialli.

§

Ehi, uomo! Ehi, dico a te!”
Res, che si era seduto sul ciglio della strada per riposare gli esausti piedi, alzò la testa e incrociò lo sguardo di un carrettiere che stava guidando un tiro a sei di muli.
Uomo, lo vuoi un passaggio?”
Quanto chiedi?”
Niente. Mi aiuti a scaricare quando siamo a Perechyra e se lavori bene ti do anche cinque pezzi di rame, così ti paghi da mangiare.”
D’accordo,” disse Res alzandosi. Fece per salire sul carro, ma l’altro lo fermò: “Non hai bagaglio?”
No.”
Il carrettiere lo squadrò. “Hai un mantello militare. Sei un disertore?”
No.”
Non sei uno che parla molto, vero?”
No.”
Beh, comunque salta su. Io sono Manse.”
Res.”
Il soldato salì a cassetta e si sedette, il carro ripartì. Dalla posizione sopraelevata che aveva raggiunto, Res riusciva a seguire bene il flusso di viaggiatori e mercanti che andava facendosi più intenso via via che si avvicinavano alla città.
Le guglie dei palazzi cominciavano a emergere dalla foschia, l’aria era fresca e salmastra.
Lo senti?” gli chiese Manse, facendo schioccare in aria la frusta, “Questo è l’odore del mare. L’hai mai visto il mare?”
Res chinò la testa e per un attimo gli comparve davanti agli occhi l’immagine del golfo di Brielar, con le acque arrossate dal sangue dei soldati. “Sì, l’ho visto.”
Proseguirono un altro po’ in silenzio, poi il carrettiere chiese: “Di dove sei?”
Sono nato nel Fjorn.”
Ah, su al nord.”
Già.”
Manse raccolse un piccolo otre e glielo tese. “Tieni. Vino delle mie parti.”
Res bevve un sorso per cortesia, ma tra il digiuno e la sua bassa tolleranza all’alcol, non volle esagerare. “Grazie,” disse restituendoglielo.
Non bevi? Sei un santo di Zephan, per caso?”
Il soldato sorrise. “No, è che non mangio da un po’. Ho paura di ubriacarmi.”
Il carrettiere lo squadrò perplesso. “Non si va tanto in là a pancia vuota,” considerò, poi raccolse una borsa di cuoio che teneva fra i piedi e gliela porse. “Tieni, mangia.”
Ma io...”
Mangia, mi ripagherai con il lavoro.”
Nella sacca c’erano del pane e delle fette di carne salata. “Mangia,” ripeté Manse.
Grazie.”
Sono sacchi da cento libbre, quelli che dobbiamo scaricare, e ce n’è un carro pieno, quindi non fare complimenti.”
Grazie, Manse.”
La carne l’ha preparata mia moglie Bridh. Tu hai moglie, Res?”
No.”
L’altro fece una breve risata. “Dimenticavo che non ti piace parlare. Comunque io sono di Corvean, nel Theythrim. Se ti interessa, e questo è un carico di frumento di prima qualità. A quelli di Perechyra piace il nostro frumento e ce lo pagano abbastanza da rendere conveniente il viaggio fin qui.” Batté una pacca sui sacchi che aveva dietro le spalle e soggiunse: “Il pane che si fa con la sua farina va solo sulle tavole dei nobili.”
Dev’essere buono, allora.”
Buono? È il migliore.” Tacque per qualche istante, poi proseguì: “Ma per fortuna non piace ai predoni. Troppo pesante per loro.” Fece una breve risata.
Res annuì e continuò a mangiare. Sulle prime aveva cercato di trattenersi, ma erano due giorni che non toccava cibo e anche prima era andato avanti con razioni che non avrebbero sfamato neanche un bambino. In breve divorò tutto.
E adesso lo vuoi un po’ di vino?” gli chiese Manse quando si vide restituire la borsa vuota.
Va bene.”
Bevve qualche sorso.
Com’è?” volle sapere il carrettiere. “Buono, vero? È vino delle mie parti, non ne trovi di migliore. Io ho anche una vigna, sai? Ma il mio vino non lo porto qui a Perechyra, me lo bevo io!”
Molto buono.”
Di’ pure che un vino così non l’hai mai bevuto. Solo Uva Mielata, non un chicco di uva normale.”
Certo, si sente.”
Manse stava per aggiungere altro, ma ormai erano prossimi alla città. Fece deviare il carro dalla strada principale e disse: “Ora andiamo ai magazzini, dove tu mi aiuterai a scaricare.”
Va bene.”
Arrivarono a un piazzale circondato da depositi e già occupato da numerosi carri. I conducenti vociavano e si insultavano, gli animali innervositi ragliavano, nitrivano o bramivano a seconda della specie. Gruppi di cammelli indolenti ruminavano qua e là insensibili alla confusione. Nell’aria polverosa stagnava l’odore di sterco animale e granaglie.
Da una parte del piazzale c’era un abbeveratoio intorno al quale la gente si assiepava spintonando e imprecando.
Manse riuscì a fermare il carro in un punto abbastanza tranquillo, poi scese e andò da un uomo che sedeva un po’ appartato su una sedia e aveva davanti a sé un tavolino con sopra un registro, un calamaio e una penna. I due parlamentarono un po’, poi il carrettiere fece ritorno con un pezzo di coccio su cui era incisa una cifra e disse: “Scarichiamo al magazzino numero tre.” Rimontò a cassetta e condusse i muli a destinazione.

Quando finirono il lavoro era ormai pomeriggio inoltrato. Manse si asciugò il sudore dalla fronte, quindi prese l’otre di vino, lo stappò e prima di bere lui stesso lo tese a Res. “Sei forte,” gli disse, “portavi quei sacchi come se fossero stati pieni di piume.”
L’altro si limitò ad alzare le spalle.
Sei un soldato.” Questa volta non era una domanda.
Res gli rivolse un’occhiata. “Cosa te lo fa pensare?”
Hai delle cicatrici che possono venire solo da ferite di guerra, hai i capelli corti e indossi panni militari.”
L’altro sospirò. “I tuoi occhi non ti ingannano.”
Sei sicuro di non essere un disertore?”
Non lo sono.”
Se non sei un disertore, dove sono i tuoi compagni?”
Tutti morti.”
Manse si grattò la testa brizzolata. “Com’è possibile?”
Predoni di As’del. Hanno assaltato il nostro campo e hanno ucciso tutti.”
Tutti tranne te.”
Res aggrottò le sopracciglia. “E con questo cosa vorresti dire?” ringhiò torvo.
L’altro alzò le mani in segno di scherzosa resa. “Niente, non preoccuparti. Volevo solo dire che Dras deve aver mandato un Wenos a vegliare su di te. Non si spiega altrimenti che tu ti sia salvato dai predoni di As’del.”
Il soldato emise un sospiro e rispose: “Sì, forse è stato Dras a proteggermi. Ho ancora qualcosa da fare per lui.”
E che cosa dovresti fare?”
L’altro lo fissò negli occhi. Manse l’aveva aiutato, ma poteva considerarlo affidabile? Visto quanto parlava, chi gli garantiva che magari, con la lingua sciolta da un po’ di vino, non avrebbe raccontato tutto a qualcuno? Non era certo un uomo di indole riservata e gente curiosa ce n’era fin troppa in qualsiasi città carovaniera. “Devo trovare una persona,” disse semplicemente.
Il carrettiere assunse un’espressione astuta e gli chiese: “Qualcuno che è stato preso dai predoni, forse?”
Forse.”
Manse annuì con l’aria di essere fiero del proprio intuito. “Allora va a cercare Balrich,” gli consigliò. “Lo troverai stasera alla locanda del Gatto Bianco.”
Chi è Balrich?”
Un soldato che presta servizio alla porta Ovest. Se i tuoi predoni sono arrivati in città, sono passati per forza di lì e lui ci avrà parlato. Digli che ti mando io.”
Ti conosce?”
Se mi conosce? Dì pure che Manse di Corvean è suo fratello.” Si batté la mano aperta sul petto, producendo un rumore sordo. “Una volta gli ho regalato un otre di vino,” disse poi, e annuì compiaciuto.
Capisco.”
Quindi tu chiedi a lui e se c’è qualche problema digli di venire qui da me, che gli regalo dell’altro vino. Vedrai che quando gli dici così ti racconta tutto.”
Ma il tuo vino è prezioso,” non poté fare a meno di rispondere Res.
Anche gli uomini d’onore sono preziosi,” rispose l’altro fissandolo negli occhi.
Il soldato chinò la testa. “Non sono un uomo d’onore, Manse.”
Con tono che non ammetteva repliche, il carrettiere rispose: Chiunque abbia attraversato a piedi le steppe di As’del per liberare qualcuno dai predoni lo è.”
Gli strinse la mano e aggiunse: “Ricorda: Manse di Corvean è tuo amico, adesso o quando ne avrai bisogno. E prendi questi due pezzi d’argento, così portai pagarti da mangiare e una camera.”
Ma io...”
Era nei patti.”
Veramente l’accordo era per cinque pezzi di rame.”
Beh, hai lavorato bene. Ti meriti di più di cinque miseri pezzi di rame.” Gli porse le monete.
Res prese il denaro e lo strinse nel pugno. “Io non so cosa dire, Manse.”
Di’ solo che mi chiamerai se avrai bisogno d’aiuto. Rimarrò alla locanda che c'è vicino ai magazzini finché non ho venduto tutto il mio grano, il che significa più o meno fino all'inizio del mese prossimo. Durante la notte mi trovi lì e durante il giorno ai mercati generali, che sono a est, a mezzo miglio da Perechyra, lungo la strada per Jessartiaz.”
Va bene.”
L'altro lo fissò diffidente. “Ti ricordi tutto?”
Locanda vicino ai magazzini, mercato lungo la strada per Jessartiaz,” ripeté Res.
Va bene. Guarda che ci conto.”

§

Res se ne andò pensando al misterioso carrettiere di Corvean. Chissà, forse era Dras in persona, o uno dei suoi Wenos. O forse era solo un uomo gentile, che lo aveva visto in difficoltà – e gli dei sapevano quanto lo era in quel momento – e aveva deciso di aiutarlo.
Trovò la locanda del Gatto Bianco senza nemmeno bisogno di chiedere in giro: era proprio dietro la porta Ovest e aveva una grande insegna in ferro battuto che rappresentava per l’appunto un gatto bianco in un complicato intreccio di pampini e grappoli d’uva.
Anche da fuori si vedeva che la sala centrale era piena di armigeri che stavano bevendo o scambiandosi battute.
Il soldato emise un sospiro. Fra tanti, era paradossalmente proprio quello l’aspetto che gli mancava di più della sua vita precedente: quel senso di cameratismo gioioso, di appartenenza. Uno degli uomini sollevò il boccale e disse: “All’usbergo di Alven! Che Dras glielo conservi!”
Gli altri risero, evidentemente il primo si stava riferendo a qualcosa che i suoi commilitoni conoscevano molto bene.
Res distolse lo sguardo. Dopo quello che era successo, aveva perso il diritto al cameratismo.
Attraversò la sala senza guardare né a destra né a sinistra, circondato dal chiasso allegro dei soldati in libera uscita. Si appoggiò al bancone.
L’oste, che stava mescendo una birra, mise da parte il boccale traboccante di schiuma e gli disse: “Benvenuto al Gatto Bianco. Cosa posso servirti?”
Egli pose le due monete d’argento sulla superficie di legno. “Un buon pasto e una camera. Puoi dirmi dove sono le terme più vicine? Vorrei farmi un bagno e lavarmi i vestiti.”
Puoi lavarti qui, se vuoi. Jadzi ti preparerà tutto l’occorrente, e per due pezzi di rame farà anche il bucato.”
D’accordo.” Spinse verso di lui le due monete.
L’oste le raccolse, quindi chiamò: “Jadzi!”
Comparve una ragazza di stirpe As’vaan, con i lunghi capelli bianchi raccolti in una crocchia e svariati ornamenti di perline colorate al collo e ai polsi.
Quella roba non va bene per lavorare,” la riprese l’oste, “ti impigli dappertutto.” Il tono faceva capire che doveva aver ripetuto la stessa frase almeno altre cento volte.
Per tutta risposta, la ragazza si aggiustò meglio la collana.
L’uomo emise un sospiro e alzò gli occhi sul soldato come in cerca di comprensione. “As’vaan,” brontolò, “non vanno neanche a zappare la terra, senza i loro gioielli.”
I gioielli esaltano la bellezza,” rispose Jadzi. Anche lei si voltò verso Res. “Non ho ragione?”
Smettila,” intervenne l’oste, prima che lui potesse rispondere. “Ora tu e i tuoi gioielli andate a preparare il bagno.”
Per lui?” chiese la ragazza.
Sì.”
Jadzi sorrise e si rivolse a Res: “Hai bisogno d’aiuto?”
Che cosa intendi?”
Per lavarti la schiena, ad esempio.” Fece una risatina.
L’altro scosse la testa. “No, grazie.”
La ragazza fece spallucce e se ne andò.
Non farci caso,” gli disse l’oste, “è il modo di scherzare della sua gente.”
Lo so, li conosco.”
Conosci gli As’vaan?”
Res annuì.
L’altro lo squadrò perplesso. “Eppure non sei di qui.”
No.”
Per caso hai fatto la Guerra Orientale?”
Sì.”
L’oste sorrise. “Ah, un veterano! Allora forse vuoi unirti ai soldati?”
No.” Poi, dopo una pausa: “Voglio solo lavarmi, mangiare qualcosa e andare a dormire. Viene a bere qui un certo Balrich?”
Sì, cosa vuoi da lui?”
Puoi indicarmelo, per favore?” chiese Res, ignorando la domanda.
Adesso è ancora in servizio. Manderò Jadzi a chiamarti quando arriva.”
Grazie.”

Erano passate circa due ore quando Jadzi si affacciò nella sua camera.
Svegliato di soprassalto, Res la guardò storto e ringhiò: “Non ti hanno insegnato a bussare?”
Speravo di sorprenderti nudo,” fu la risposta, proferita con la solita allegra sfrontatezza. Poi, dopo qualche secondo: “Volevo solo dirti che quel gran fusto di Balrich è arrivato, se vuoi te lo presento.”
Basta che me lo indichi da lontano,” brontolò Res, mentre si alzava coprendosi alla meglio con il lenzuolo.
Posso restare con voi mentre parlate?”
No.”
Vuoi che ti aiuti a vestirti?”
No.”
Jadzi se ne andò ridacchiando, dopo aver lasciato la porta socchiusa. Masticando un’imprecazione, Res andò a chiuderla vestito del solo lenzuolo.
Quando arrivò nella sala comune, capì il motivo degli apprezzamenti di Jadzi: Balrich, che gli fu indicato dall’oste, era un uomo di circa trent’anni. Portava i capelli biondi legati in un codino e l’uniforme tesa sulle spalle lasciava indovinare un fisico imponente. A occhio, doveva essere alto almeno quanto lui, il che significava circa quattro dita più di chiunque altro in quella stanza.
Si fece dare dall’oste due birre e si avvicinò al tavolo della guardia. “Salute a te,” gli disse. “Il mio nome è Res, posso offrirti da bere?” Pose i boccali sul tavolo.
Balrich lo fissò attento per qualche secondo, poi gli chiese: “Sei un militare, vero?”
Il soldato annuì.
Non sei un disertore, però, altrimenti non avresti ammesso così facilmente di essere un militare.”
Esatto anche questo.”
Allora cosa fai qui?”
Posso sedermi, Balrich? Così magari ti spiego la questione.” Senza attendere risposta, prese una sedia e si accomodò di fronte alla guardia.

Quindi sei un soldato di Dyat,” disse alla fine Balrich, dopo aver ascoltato attentamente il racconto di Res.
È così. Del predone che ha rapito il principe posso dirti...”
Non così forte,” lo interruppe la guardia, “Qui ci sono parecchi As’vaan e la parola predone non è gradita.”
Ah, non è gradita?” ringhiò Res rivolgendogli uno sguardo truce, “E che cosa dovrei dire, allora? Simpatici compagni di viaggio?”
Non dire niente che facciamo prima. Qui la vendita di schiavi è legale, c’è anche un mercato apposta, e nessuno si sogna di arrestare un gruppo di As’vaan che arriva dalle steppe per vendere armi o prigionieri.”
Puoi dirmi se almeno gli As’vaan che sto inseguendo sono passati per la porta ovest?”
Quanti erano? Avevano qualcosa di particolare?”
Il loro capo tiene un’aquila sulla spalla. È alto per essere un As’vaan, e molto muscoloso. Se li ho contati bene, direi che erano una cinquantina. Hanno con loro quattro carri, uno con sopra la loro roba, e gli altri tre presi dal nostro campo e carichi della roba che hanno...” esitò cercando la parola. “Che hanno gentilmente raccolto dopo aver aiutato i nostri soldati a raggiungere Dras?”
Fa’ pure lo spiritoso,” brontolò Balrich. Vuotò il boccale con un ultimo lungo sorso, quindi proseguì: “Comunque ho visto il tizio di cui parli, alto, ben piantato e con l’aquila sulla spalla. È passato stamattina.”
C’era un ragazzo con lui?”
Capelli neri? Un segno rosso sull’occhio sinistro?”
Res sentì il cuore accelerare i battiti. “Sì, è lui. Stava bene?”
Dormiva. Probabilmente gli avevano dato qualcosa. Del tau’zeel, forse.”
Dove sono andati?”
La guardia scosse la testa. “Non fare lo stupido. Cosa pensi di fare da solo contro cinquanta uomini armati?”
Res non rispose.
Vuoi farti ammazzare?” insisté l’altro al protrarsi del silenzio.
Il soldato alzò gli occhi su di lui. Voleva farsi ammazzare? Per anni aveva sognato una morte che forse era troppo vile per darsi da solo. “Ora no,” rispose alla fine in un sospiro.
L’altro aggrottò appena le sopracciglia, poi disse: “Tutti i gruppi di As’vaan che percorrono la steppa sono guidati da un Khan, ovvero un giovanotto che di solito si fa chiamare così anche se il vero Khan è il padre. Vengono mandati a farsi le ossa con bersagli non troppo difficili, come carovane o simili, e intanto imparano a comandare gli uomini, a trattare con i mercanti e cose del genere.”
Res annuì.
I Khan, quelli veri, vivono al di là della steppa, verso Jessartiaz, ma tutti hanno un palazzo qui in città.”
E dove lo trovo quello del tizio con l’aquila?” chiese il soldato.
L’altro emise un sospiro. “Allora non mi sei stato a sentire.”
Res represse un moto di impazienza. “Forse non ti è chiara una cosa,” brontolò, “quello che hanno catturato è l’erede al trono del Daishrach, e io devo liberarlo prima che lo vendano come schiavo.”
Balrich fece un cenno a Jadzi per farsi portare altre due birre, poi rispose: “Primo, da morto non liberi proprio nessuno. Secondo, al mercato degli schiavi non si va certo con cinquanta uomini al seguito.”
Comparve la serva con i due boccali, entrambi si zittirono.
Che silenzio!” commentò allegra Jadzi. “Vi fanno questo effetto le belle ragazze?”
Non hai niente da fare?” la rimbeccò Balrich.
L’altra si mise le mani sui fianchi. “Sì, stare qui a guardarti.”
In quel momento echeggiò la voce dell’oste: “Jadzi! Vieni qui!”
La ragazza emise un teatrale sospiro. “Arrivo, arrivo! Non si possono nemmeno guardare i begli uomini in pace...”
Balrich scosse la testa con un vago sorriso. “Me la ricordo quando era grande così,” disse, mettendo la mano poco più in alto del tavolo. “Già allora faceva la civetta.” Bevve un sorso poi continuò: “Ti dicevo che al mercato degli schiavi nessuno va con cinquanta guardie al seguito, data la ressa che c'è. E nemmeno chi compra gli schiavi si porta dietro molti uomini.”
Vuoi dire che dovrei agire in quel momento?”
Se te lo dicessi, ti starei proponendo di commettere un crimine, il che non è esattamente ciò che ci si aspetterebbe da una buona guardia.”
Res annuì grave. “Capisco.”
Ma se, tanto per fare un’ipotesi, dovessi suggerirti il modo migliore per recuperare un prigioniero, ti direi di aspettare che la compravendita sia conclusa, e poi occuparti dell’acquirente e dei suoi uomini.”
Tutto chiaro.”
E ti suggerirei anche di uscire dalla città a mezzogiorno, perché a quell’ora le guardie staranno consumando il rancio, ed è facile che nessuno ti veda passare.”
Res lo fissò attento, l’altro soggiunse: “Il mercato degli schiavi di lusso, come credo sia il tuo ragazzo, è il primo del mese. Per quel giorno succederà ciò che ti ho detto. Di più non posso fare.”

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Salve a tutti/e!
Ecco un nuovo capitolo, nel frattempo tantissimi ringraziamenti a chi mi sta ancora seguendo, a chi è passato di qui per leggere, a chi mi a messo in qualche lista, ma soprattutto a chi è stato così gentile da commentarmi!^^







Capitolo 6

Herich si svegliò turbato: aveva sognato di nuovo Resen-Lhaw. L’aveva visto di spalle come al solito, intento a fissare sdegnoso il mare, ma questa volta l’eroe aveva cominciato un movimento come per girarsi verso di lui.
Purtroppo il sogno si era interrotto prima che i suoi lineamenti diventassero finalmente visibili.
Si mise a sedere e sospirò passandosi le mani fra i capelli. Il cuore gli batteva forte e aveva il respiro un po’ accelerato.
Non se ne stupì, quello era il giorno in cui Jeisym lo avrebbe portato al mercato degli schiavi. Era rimasto per giorni in quello strano palazzo, aveva trascorso il tempo sonnecchiando, perlopiù chiuso in casa perché il predone non voleva che il sole guastasse la sua carnagione chiara, e non aveva fatto nulla per cercare di fuggire.
Una parte di sé, quella assennata e razionale, continuava a ripetergli che fuggire sarebbe stato un atto suicida: non aveva sé soldi né armi, e a parte l’escursione al Primo Tempio non era mai stato fuori dai confini di Dyat in vita sua. Cercare di evadere in quelle condizioni avrebbe ottenuto come unico risultato quello di finire in mani probabilmente meno premurose di quelle di Jeisym.
Un’altra parte di sé, quella che si esaltava nel leggere le gesta del Leone Rosso, gli diceva invece che era un debole e un codardo, e che se non aveva il coraggio di lottare per la sua libertà, allora non meritava altro che di finire schiavo da qualche parte.
Per l’ennesima volta si chiese dove fosse suo fratello, se fosse già diventato re al posto suo.
Si alzò e fece qualche passo per la stanza. C’erano tappeti di seta sul pavimento, le cortine del letto erano di broccato intessuto d’oro. Il mobilio, simile a quello che aveva visto nella tenda di Jeisym, era costituito da cassapanche di legno pregiato intarsiate di avorio e madreperla. Vasellame prezioso ne abbelliva le superfici.
Si avvicinò alla finestra dai vetri istoriati e per un po’ rimase a guardare, cercando di distinguere qualcosa dell’esterno tra gli spicchi colorati.
Era lì da un po’ quando Jeisym lo raggiunse. “Sei pronto?” gli chiese l’As’vaan.
Herich si voltò verso di lui. “Cambierebbe qualcosa se ti dicessi di no?”
Le parole se le porta via il vento della steppa, principe. Sono i fatti che cambiano le cose.”
Vorresti dire che dovrei cercare di fuggire?”
Se tu ci riuscissi, avresti guadagnato la libertà.” Il predone fece una pausa, poi soggiunse: “Certo, una volta che l’hai guadagnata, dovresti anche sapere cosa farne, e non mi sembra sia il tuo caso.”
Il ragazzo preferì ignorare l’osservazione. “Cosa succederà ora?” si limitò a chiedere.
Le mie ancelle ti prepareranno, poi ti porterò al mercato degli schiavi. Ci sono già degli acquirenti che ti attendono.”
E così ci saluteremo.”
Jeisym accennò un inchino. “Con affetto, spero.”
Herich si limitò a stringere le labbra e ad aggrottare le sopracciglia. Gli girò le spalle e si allontanò di qualche passo. Con affetto. Probabilmente avrebbe provato più affetto per un tanroth-ath affamato. Quello almeno era un animale che assaliva per nutrirsi, bruto, senza intelletto e senza malizia a parte quella che l'istinto gli conferiva. Jeisym invece era un gatto annoiato e sardonico, che si divertiva a giocare con un terrorizzato topolino.
Manderò Mira e Rehana, se non hai altro da aggiungere, principe.”
Herich si girò con un movimento brusco. “Fa' quello che vuoi,” ringhiò, fissandolo con occhi di fuoco, “tanto lo farai ugualmente, non ha alcun senso che io ti conceda graziosamente il permesso di mandarmi le tue ancelle, sarebbe come se un cavallo ti desse il permesso di cavalcarlo.”
Jeisym annuì. “Inconsapevolmente, hai scelto un paragone molto appropriato, principe. Al mio migliore stallone, io chiedo il permesso di montare in sella.”
Il più giovane gli rivolse un ghigno sprezzante. “E se te lo nega?”
Monto un altro cavallo,” rispose l'As'vaan, come se stesse dicendo la cosa più ovvia del mondo.
Questa è un'idiozia!” sbottò allora il ragazzo, “Un teatrino stupido, che tu allestisci perché ti diverti a prenderti gioco di chi ti circonda. Il cavallo è tuo, è una cosa tua, ci puoi fare quello che vuoi. Che senso ha chiedergli il permesso di montarlo? Allora dagli la libertà nella steppa, fallo vivere con i suoi simili, se sei così rispettoso nei suoi confronti, e se vorrà servirti, allora sarà lui stesso a tornare da te.”
Un guizzo sornione passò negli occhi dorati di Jeisym. “E se io adesso ti lasciassi andare, principe, tu cosa faresti?”
Tornerei da mio padre, ovviamente.”
Ah, sì? E come?”
Come farebbe chiunque altro. Comprerei un cavallo, delle provviste e una mappa, e mi metterei in viaggio.”
L'altro assunse un'espressione addirittura divertita. “Principe, tu non ti rendi nemmeno contro della sciocchezza che hai appena proferito. Ora ti manderò le ancelle, perché su una cosa hai ragione, io posso fare di te quello che voglio. Ma lascia che ti dica una cosa: se sei ancora vivo, intatto e integro, lo devi solo al fatto che spero di ottenere un buon prezzo da te nonostante la tua infantile ottusità.”

§

Il mercato galleggiante era in pieno svolgimento. Molti venditori avevano steso dei teli lungo le sponde dei canali e vi avevano allestito la loro esposizione, ma la maggior parte delle compravendite si svolgeva direttamente sull'acqua, tra snelle imbarcazioni che incrociavano rapide nel Bacino Grande e nei canali limitrofi. Nei piccoli natanti c’erano piramidi di frutti colorati, spezie, fiori e ogni altro genere di merce. In un recesso un po’ discosto dalla confusione della zona centrale, un farmacista vendeva pozioni e accanto a lui un profumiere dispensava essenze racchiuse in fiale di vetro colorato. Più oltre c'era una vecchia che leggeva le carte e alla sua barca era legata quella di una signora in abiti eleganti che si stava facendo predire il futuro.
Merci di tutti i tipi passavano da un'imbarcazione all'altra dopo essere state pesate su stadere d'ottone rese lucide dall'uso; la chiatta di un sarto, con abiti colorati appesi un po' ovunque, si faceva lentamente largo, suscitando le accese proteste di chi veniva spinto via. Da un angolo lungo la sponda saliva il martellare acuto del fabbro.
Una giovane donna su una snella canoa si avvicinò a una barca carica di fiori pagaiando con sicurezza. Ci fu un rapido scambio con il venditore e mazzi di peonie dai petali bianchi e rosati passarono dall'uno all'altra. Poco distante, un uomo stava contrattando animatamente una capra, che tra mazzi di ortaggi e stie di polli chioccianti belava con le quattro zampe legate.
Tra le grida dei venditori, il vociare della folla e la musica di qualche saltimbanco che aveva allestito il suo spettacolo, il chiasso era assordante.
Res si tirò sugli occhi il cappuccio nero e si chiuse sul petto l'ampio mantello sdrucito. Al suo apparire, un uomo si inchinò rispettosamente e si scostò per fargli strada. Poco più avanti, una donna che accompagnava per mano due bambine si fece indietro, gli rivolse una riverenza e spinse le piccole a fare altrettanto.
Il soldato passò oltre distribuendo qualche sobrio cenno del capo.
Un'altra cosa per cui doveva ringraziare Manse era l'avergli ricordato l'esistenza dei santi di Zephan: vestito come un appartenente a quell'ordine di asceti, poteva praticamente girare ovunque senza che gli venisse rivolto altro che qualche segno di rispetto da parte di persone particolarmente devote. Nessuno cercava di convincerlo a comprare cose e nessuno cercava di derubarlo, perché notoriamente i santi di Zephan non possedevano niente che avesse valore.
Percorse il marciapiede che costeggiava il canale, passò un ponte a schiena d'asino e si trovò sul fianco del Palazzo Vecchio. Aggirò l'immenso edificio, così antico che si era persa la persino la memoria della sua fondazione, ed entrò da una delle porte posteriori. All’interno, nell’enorme atrio centrale e nella maggior parte delle sale limitrofe, vi era un secondo mercato, anch’esso in pieno svolgimento. Lì vendevano più che altro gli stranieri, o i locali per qualche motivo non sapevano o non volevano portare una barca.
Coperti di teli sui quali erano disposte le mercanzie, i preziosi marmi del pavimento erano quasi invisibili.
Un vociare continuo, di venditori che magnificavano la loro merce e di acquirenti che contrattavano, si riverberava sulle alte volte del soffitto.
Con un frullo d’ali, un uccello variopinto che era riuscito a entrare, o forse che si era liberato da una delle gabbie, si posò sulla balaustra del secondo piano e prese a lisciarsi le penne. Dal basso qualcuno cercò di manovrare un retino con un lunghissimo manico per recuperarlo, ma il volatile si limitò a spostarsi su uno dei lampadari.
Res si destreggiò attraverso la sala. Chi si accorgeva di lui gli cedeva il passo, gli altri venivano avvertiti da chi lo vedeva passare e a loro volta si spostavano con deferenza.
Una donna gli porse un frutto e disse: “Prega per mio figlio, santo.”
Il soldato si fermò e le rivolse un sobrio cenno del capo, poi accettò l’obolo e proseguì.
Percorse un corridoio, entrò in una seconda sala. Il locale aveva soffitti a volta decorati, dai quali pendevano elaborati lampadari di vetro colorato. Nonostante tutte le finestre fossero aperte, nell’aria stagnava odore di sudore e olio da massaggi, appesantito di quando in quando dal tanfo acre dell’urina.
Tutta la sala era costellata di uomini e donne in ceppi. Vi erano robusti montanari del Nomodu, nudi quanto la decenza lo consentiva per mettere in mostra la muscolatura possente; fanciulle di Eskele, bionde ed eteree, perlopiù strette fra di loro e piangenti; due sdegnose lottatrici di Serhsy, con i capelli color fiamma e corpi lucidi e abbronzati, scolpiti da una vita di addestramento. In un angolo, una sottile catena assicurata alla caviglia, sedeva un dottore di Loldet, sicuramente destinato a diventare il precettore di qualche ricco rampollo. Accanto a lui si trovava una dignitosa matrona che aveva i lineamenti spigolosi delle genti del Garash e indossava quel che rimaneva di ricchi paramenti sacerdotali.
Res vide schiavi di ogni genere e di ogni razza, destinati alle più varie funzioni. L’aria risuonava di lamenti e pianti, e delle grida dei banditori.
A denti stretti, lo sguardo incollato a terra, lasciò a un ragazzino in catene il frutto che la donna gli aveva donato e oltrepassò anche quella sala.

Nel mercato degli schiavi di lusso non c’erano odori, a parte una delicata fragranza di incensi di Imril, e gli unici suoni che si udivano erano una musica soffusa e un lieve brusio. I pochi presenti sedevano intorno a tavolini di marmo intarsiato, conversando a bassa voce mentre graziosi fanciulli servivano dolci e bevande rinfrescanti, oppure sostavano lungo le pareti parlando fra loro e indicandosi l’un l’altro quelli che sedavano ai tavolini.
Il soldato trovò un angolo in ombra, nel quale il suo mantello nero lo faceva quasi scomparire, e da lì rimase a osservare ciò che stava succedendo.
Un uomo si staccò dal muro e si accomodò presso uno dei tavoli. Intorno a esso sedevano già altri due uomini, uno più vecchio, dall’aria autorevole, e uno più giovane e robusto. Con loro c’era una fanciulla silenziosa, di straordinaria bellezza, snella come un giunco, con i capelli neri e gli occhi dal taglio allungato.
Gli uomini cominciarono a parlare tra loro, sembrava stessero conversando del più e del meno. L’ultimo arrivato rivolse qualche domanda anche alla ragazza, che rispose con lo sguardo abbassato.
Alla fine, sacchi di monete passarono da una parte all’altra del tavolo, i tre si alzarono e si scambiarono strette di mano, poi la giovane dai capelli neri si alzò a sua volta e andò via con l’uomo che si era seduto per ultimo.
Il tavolino rimase vuoto per qualche minuto, poi venne occupato da altri due uomini: uno era un predone di stirpe As’vaan, l’altro era un Waishir dai capelli grigi, in abiti di grande sapiente. I due conversavano tranquillamente fra loro.
Da due punti diversi della sala un uomo e una donna, entrambi riccamente vestiti, si avvicinarono al tavolo e scambiarono qualche frase, ma l’As’vaan fece cenno solo alla donna di accomodarsi. L’altro se ne andò senza obiettare.
La transazione si svolse come la precedente, sacchi di monete – molti di più rispetto a quelli pagati per la ragazza – vennero consegnati al predone e la donna si allontanò in compagnia del sapiente.
Res rimase a osservare per un po’. Vide altre compravendite, perlopiù tranquille, a parte sporadici e appena accennati moti di ribellione da parte di qualche giovane schiavo. Frattanto cercava di farsi un’idea dell’ambiente, di quali fossero le vie d’accesso e dove sostasse il seguito di coloro che entravano per comprare.
Si spostò verso la porta che dava sull’esterno: fuori c’era uno spiazzo che ospitava delle portantine e qualche guardia privata. Lungo uno dei lati scorreva un canale in cui erano ormeggiate un paio di barche lussuose.
Perdonami, santo,” disse una voce femminile alle sue spalle. Si voltò e si trovò faccia a faccia con la donna che aveva comprato il Waishir. I due erano fermi a rispettosa distanza e probabilmente stavano aspettando da un po’ che lui decidesse di spostarsi. Arretrò di un passo, i due uscirono e presero posto su una delle imbarcazioni, che subito si allontanò.
Res stava per rientrare nella sala quando vide sopraggiungere un gruppetto di As’vaan a cavallo. Quello più avanzato era di corporatura eccezionalmente forte per la sua razza e montava un morello con la stella bianca in fronte. Lo seguivano quelli che evidentemente erano i suoi uomini. Uno di essi teneva per le redini un cavallo sul quale sedeva una persona di corporatura slanciata, con con il volto nascosto da un ampio cappuccio da cui spuntavano ciocche di capelli neri. Guardando con più attenzione, il soldato si accorse che essa aveva i polsi legati fra loro e assicurati al pomo della sella.
Scivolò nuovamente nella sala e tornò al suo punto di osservazione.
Quando gli As’vaan furono più vicini, senza ombra di dubbio riconobbe tra essi il capo della banda che aveva visto in azione presso i templi di Os’lak e il suo secondo. Il giovane Khan gli comunicò una strana sensazione di familiarità, come se si trattasse di un volto conosciuto ma dimenticato da tempo. Cercò di scacciare quel pensiero: dopo il tau'zeel la sua memoria non era più molto precisa e aveva imparato a non farvi troppo affidamento. Inoltre, l'unica cosa su cui doveva concentrarsi era la situazione contingente.
In quel momento la figura incappucciata si mosse bruscamente sulla sella. Il cappuccio scivolò all’indietro rivelando il volto pallido e contratto da un misto di paura e rabbia del principe Herich.
Res si fece indietro, cercando di scomparire nell’ombra: il ragazzo era spaventato e frastornato e di certo non sarebbe stato in grado di mantenersi impassibile riconoscendo nella folla un volto amico. Molto meglio evitare che con qualche gesto inconsulto rivelasse la sua presenza.
Rimase ad attendere lo svolgersi degli eventi.

Alto in sella, Herich aveva l'impressione di essere su una barca persa in un mare di teste. La gente sciamava intorno ai destrieri, li tirava per le redini, buttava sull’arcione stoffe o monili per convincere gli As’vaan a comprarli, o perlomeno a esaminarli. Nel frattempo gridava a gran voce il prezzo delle merci sperando di avviare una contrattazione.
Jeisym si limitava a scuotere la testa con indifferenza, mentre Therved distribuiva staffilate quando i venditori diventavano particolarmente insistenti. Qualcuno aveva provato a rivolgersi anche a lui, ma immancabilmente uno degli uomini del Khan era accorso per scacciarlo.
Abituato al silenzio del palazzo di Jeisym, Herich si sentiva assediato da quella calca vociante, da chi gli tirava i vestiti, chi si premeva contro il suo cavallo per passare, chi gli rivolgeva la parola cercando di attrarre la sua attenzione, chi gli proponeva ogni genere di affare.
Volse lo sguardo verso il Khan come per chiedergli aiuto, ma questi stava parlando con Therved e non si accorse nemmeno di lui.
Il ragazzo emise un sospiro. Le ampollose cortesie con le quali fino a quel momento Jeisym si era dilettato erano finite: ora l’As’vaan era tornato a essere un predone che cercava di ricavare il maggior guadagno possibile da ciò che aveva razziato. E lui naturalmente aveva smesso di essere il principe suo pari per scadere al livello di cosa da vendere, né più né meno di un cavallo o di un pezzo di stoffa.
Strinse i denti, di nuovo si guardò intorno. Forse al posto suo Resen-Lhaw avrebbe studiato l’ambiente, avrebbe elaborato un piano che gli consentisse di fuggire e far perdere le proprie tracce in mezzo alla calca.
Ma lui non era il Leone Rosso: anche se fosse riuscito a smontare di sella non avrebbe avuto idea di dove andare o come comportarsi, e non riusciva a fare altro che girarsi in continuazione da una parte o dall’altra, sopraffatto dal caos che lo circondava, spaventato come una volpe presa al laccio.
Jeisym smontò da cavallo e gli si avvicinò, quindi sciolse la corda che lo assicurava al pomo della sella e gli disse: “Scendi.”
Herich strinse gli occhi. “E se io non volessi? Se io spronassi questo animale e scomparissi tra la folla?”
L’altro ebbe una smorfia sprezzante. “Non fare lo stupido,” gli disse semplicemente.
Il ragazzo abbandonò di malavoglia la cavalcatura, Jeisym e Therved gli si misero ai fianchi, poi lo spinsero verso una porta. Al di là vi era una sala che paragonata al caos esterno sembrava la navata principale di un tempio. Vi era solo qualche tavolino, al quale sedevano persone intente a conversare. Altre persone si muovevano lente lungo le pareti, alcune parlavano fra loro, altre semplicemente si limitavano girellare con aria svagata. Notò in un angolo un uomo alto, completamente coperto da un manto nero, il volto nascosto da un profondo cappuccio. L’indumento era sdrucito e rammendato in più punti e creava uno strano contrasto con la generale opulenza dei presenti. Nonostante il suo aspetto dimesso, nessuno sembrava intenzionato a scacciarlo, ma tutti gli manifestavano anzi rispetto.
Vieni,” lo richiamò alla realtà Jeisym. Lo spinse verso uno dei tavolini poi gli tolse il mantello, lasciandolo solo con una leggera tunica e calzoni aderenti, e gli fece segno di prendere posto.
Non appena si furono accomodati, un uomo si staccò dalla parete e si diresse verso di loro.
Salute a te,” lo accolse l’As’vaan. “Vuoi sederti con noi?”
Questi si accomodò. Era un dignitario di mezz’età, con i capelli brizzolati sulle tempie e un principio di pinguedine. Portava gioielli al collo e alle dita e aveva abiti di broccato intessuto d’oro. Scambiò qualche convenevole con il giovane Khan, quindi domandò: “Quanto chiedi per questo giovane?”
Jeisym sollevò le sopracciglia. “Hai buon gusto,” rispose. “Questo fanciullo è come il giovane puledro segnato dal pollice di Halmaikah: unico. Non ne troverai nessun altro in grado di rivaleggiare con la sua bellezza e la sua grazia.”
L’altro assentì. “Capisco. Ma ha buone maniere? Sa intrattenere gli ospiti?”
Come un vero principe,” rispose l’As’vaan.
Herich, che aveva seguito lo scambio in silenzio, a quel punto intervenne: “Io sono un principe: sono l’erede al trono del Daishrach e costui mi ha rapito.” Fissò negli occhi l’acquirente e aggiunse: “Riportami a mio padre e ti coprirà d’oro.”
L’uomo rimase interdetto. Mantenne il silenzio per qualche secondo, quindi si rivolse a Jeisym: “Dice il vero?”
L’As’vaan scosse la testa. “È solo un suo modo di rendersi importante.”
Non è vero,” replicò categorico il ragazzo. “Io sono l’erede al trono del Diashrach e costui mi ha rapito. Mio padre, re Evertas, mi sta facendo cercare per ogni dove e ti coprirà d’oro se mi riporterai da lui.”
Sempre più interdetto, l’altro fece saettare lo sguardo da lui ai due As’vaan. “Non voglio complicazioni,” borbottò. Fece per alzarsi.
Aspetta,” gli disse Jeisym, “il ragazzo vuole solo farsi bello ai tuoi occhi.” Si fece scorrere fra le dita una ciocca dei suoi capelli e soggiunse: “Come se ce ne fosse bisogno...”
L’acquirente si alzò comunque in piedi. “Non voglio noie,” ripeté, “voglio uno schiavo che mi dia picere, non una fonte di problemi.” Si allontanò senza girarsi indietro.
Jeisym lo seguì con lo sguardo per qualche secondo, quindi si girò verso Herich e disse: “Immagino che sarai soddisfatto di te.”
Non voglio essere venduto come un cavallo,” replicò per tutta risposta il ragazzo.
L’As’vaan inspirò lentamente come per calmarsi, quindi con voce minacciosamente bassa rispose: “Posto che comunque sarai venduto, perché ne ho abbastanza di sopportare i piagnistei di un moccioso inetto e viziato quale tu sei, hai due scelte: o accetti un acquirente del mercato degli schiavi di lusso, o Therved ti porterà nel mercato degli schiavi normali e ti venderà al migliore offerente, che potrebbe essere il tenutario di un bordello come il gestore di una cava di pietre o il padrone di una conceria di pelli. Scegli con oculatezza, perché non ti darò un’altra possibilità.”
A quelle parole ferali, Herich si limitò a stringere le labbra e ad abbassare lo sguardo.
Ricordati, non voglio più problemi,” lo ammonì severo Jeisym.
Il giovane non rispose.
Mi hai capito?” insisté il Khan.
Sì,” rispose Herich con voce incolore.
Jeisym stava per aggiungere altro quando entrò nella sala un uomo alto e solido, dallo sguardo penetrante. Vestiva una lucente cotta di maglia, portava sulle spalle un manto scarlatto e aveva le insegne di generale. Si guardò intorno con l’aria di chi è abituato a valutare le situazioni con un’unica rapida occhiata, quindi volse lo sguardo verso il tavolo dove sedeva il Khan. Questi chinò la testa in segno di rispetto e gli disse: “Salute a te, comandante Risskel.”
Come sta tuo padre, giovane Jeisym?” chiese il nuovo arrivato.
Molto bene, comandante, come spero di te. Vuoi sederti con noi?”
L’altro si fece avanti. “Volentieri. Sono giusto alla ricerca di un ragazzo per alleviare le notti di solitudine, e quello che hai qui con te mi pare davvero grazioso.”
Come sempre hai buon occhio, comandante,” apprezzò il giovane predone. “Non vi è fanciullo più avvenente in tutta Perechyra.” Si girò verso Herich fulminandolo con lo sguardo, quindi proseguì: “Inoltre ha le maniere di un vero principe, conosce anche la musica e la poesia.”
È molto bello,” considerò il comandante. Gli mise una mano sotto il mento e lo costrinse ad alzare il viso. “Cos’è quel segno che ha in faccia?”
Mio signore, quello è un segno della benevolenza del suo dio. È come l’impronta del pollice di Halmaikah che rende unici i purosangue.” Si rivolse a Herich: “Alzati, fa’ vedere al comandante quanto sei snello e grazioso.”
Il ragazzo obbedì fissando ostinatamente davanti a sé con espressione vacua.
Quanto chiedi?” domandò Risskel dopo avergli rivolto uno sguardo di apprezzamento.
Solo perché sei tu, trentamila pezzi d’oro. A chiunque altro ne chiederei il doppio.”
Il comandante ghignò. “E perché a me solo trentamila?”
Ma perché sei amico di mio padre, ovviamente, e perché nutro la più grande stima nei tuoi confronti.”
Tra i due calò il silenzio. Il militare fissò ancora una volta Herich, gli fece cenno di sedersi, quindi ghignò e disse: “Te ne darò diecimila, e come sempre dirò alle guardie di chiudere un occhio sui carichi che porti in città.”
Jeisym si finse costernato. “Mio signore, tu vuoi scherzare! Guarda che pelle bianca, guarda i capelli: puro ebano!” Fece una pausa, quindi in tono astuto soggiunse: “Ed è intatto, mio signore. Pronto per il tuo piacere...”
Conosco almeno dieci modi diversi per simulare una verginità perduta da tempo.”
Tu mi offendi, mio signore. Offendi il buon nome di mio padre e del clan dell’Aquila Bianca. Ho vegliato io stesso sulla purezza di questo giovane.”
Ma certo, lo immagino. Comunque mi piace, intatto o no. Dodicimila pezzi d’oro.”
Ah, comandante, un ragazzo così non si trova in tutta la regione. Ventottomila, e lo stai già pagando molto meno del suo valore.”
Tredicimila.”
Ventisettemila, non uno di meno.”
Herich cercò di estraniarsi dall’umiliante contrattazione. Fece scorrere lo sguardo sulla sala: nel tavolino accanto al loro si stava svolgendo la compravendita di una donna alta e segaligna, con una crocchia di capelli grigi e delle lenti sul naso. La signora manteneva un contegno sussiegoso e annuiva impercettibilmente ogni volta che il venditore elencava uno dei suoi pregi.
Al tavolo successivo erano seduti solo venditore e acquirente. Lo schiavo che veniva contrattato, un ragazzo del Fjorn straordinariamente bello, biondo e muscoloso come un giovane dio, aveva le mani legate dietro la schiena e strattonava irato la catena con cui tre uomini robusti lo stavano trattenendo, incurante del fatto che le maglie di metallo gli avevano già ferito la pelle sottile del collo. Il compratore sembrava compiaciuto da quella furia e ogni tanto gli lanciava occhiate soddisfatte, pungolandolo addirittura con la punta di un bastone quando lo vedeva troppo calmo.
Herich si chiese perché quel giovane si comportasse così. Forse voleva mantenere intatta la dignità, far vedere che non si piegava. O forse aveva semplicemente capito che al suo acquirente piacevano i ragazzi focosi e si dava da fare per suscitare il suo interesse. Da quello che aveva visto, infatti, lì nessuno schiavo sembrava in realtà scontento di esserlo. Seguivano anzi i padroni come vecchi amici, senza alcun bisogno di costrizioni.
Spostò lo sguardo verso l’angolo della sala in cui aveva visto l’uomo incappucciato, ma esso non c’era più.
In quel momento, una mano pesante gli piombò sulla spalla e una voce disse: “Andiamo?”
Si girò e si trovò faccia a faccia con il generale Risskel. “Andiamo?” ripeté il militare.
Herich tentennò, dardeggiò intorno lo sguardo come alla ricerca di aiuto, poi balbettò: “Io non...”
Forza,” lo interruppe l’uomo, “non ho tutto il giorno.”
Il ragazzo fece un passo indietro frastornato, incapace di distogliere la mente dall’angoscioso pensiero di essere stato comprato, di appartenere a qualcuno esattamente come un animale o un oggetto.
Si sentì cingere il collo da qualcosa di duro e freddo, percepì come in sogno il tintinnio di una catena e l’uomo che diceva: “È meglio che ti metta questo, così non ti farai venire strane idee.”
La vista di Jeisym che si allontanava in compagnia del suo secondo gli suscitò nonostante tutto un’atroce fitta di nostalgia.
Io non voglio,” mormorò con voce incerta. Si accorse che gli occhi gli si inumidivano.

Fermo in un angolo del cortile, Res seguiva attento ciò che stava succedendo all'interno della sala. Certo, Dras, che hai uno strano modo di onorare gli accordi, pensò. Si passò la mano sulla fronte: non stava sudando e nel movimento anche i muscoli sembravano abbastanza sciolti.
Del resto, era stato attento: da quando era arrivato a Perechyra non aveva bevuto una sola goccia di vino, si era trovato un lavoro che lo teneva impegnato tutto il giorno e di sera andava in giro col mantello dei santi di Zephan per conoscere la città, tenendosi scrupolosamente lontano dai quartieri nei quali avrebbe potuto trovare in vendita il tau'zeel. Non aveva preso nemmeno l'erba di Kaladorn o il miech, per essere il più pulito possibile, cosa che peraltro gli aveva fatto trascorrere un bel po' di notti insonni.
La sua parte l'aveva fatta, insomma.
E l'acquirente di Herich era nientemeno che un alto ufficiale della guarnigione di Perechyra, forse addirittura il suo comandante.
Emise un sospiro. Forse Dras non c'entrava nemmeno. C'erano altri dei, nel cielo, che esattamente come il suo potevano avere dei progetti da portare a termine.
Sollevò le spalle. A prescindere da Dras e dai suoi disegni, notoriamente imperscrutabili, aveva giurato di liberare il ragazzo e di riportarlo a suo padre, ed era quello che aveva intenzione di fare.
Arretrò tirandosi maggiormente il cappuccio sugli occhi. Il discorso che gli aveva fatto Balrich, ovvero che nessuno andava al mercato degli schiavi con scorte consistenti, doveva più che mai valere per un ufficiale di quel rango, al quale di sicuro nessuno avrebbe osato nuocere.
Si guardò intorno: in un angolo della piccola piazza c’erano alcuni soldati che come lui tenevano d’occhio la porta del mercato degli schiavi. Quando il comandante comparve sulla soglia, essi abbandonarono la posizione rilassata che avevano fino a quel momento tenuto e si misero sull’attenti. A un suo ordine gli si disposero tutti intorno e il gruppo compatto cominciò a procedere. La strada era ingombra di gente, ma tutti si scostavano non appena si faceva udire il rumore cadenzato degli stivali militari.
Res si mise dietro di loro. Come santo di Zephan, anche a lui veniva frequentemente ceduto il passo, quindi non gli era difficile non distaccarsi troppo dal drappello.
Continuò a camminare in silenzio, stando attento a non cambiare andatura e a non attirare in alcun modo l’attenzione su di sé.
Mentre procedeva con l'aria di non curarsi per nulla di ciò che lo circondava, osservava in realtà i soldati con l'occhio di chi ha passato una vita a valutarli. Perechyra non subiva attacchi da tempo, l'unico pericolo di una qualche rilevanza erano le bande di predoni dell'As'del, che però normalmente abbandonavano la contesa se l'avversario si rivelava troppo ostico. In città c'erano di sicuro criminali di ogni genere, ma anch'essi del tipo che preferiva lasciar perdere, piuttosto che rischiare di finire nelle prigioni. Nessuno che combattesse fino alla morte, nessuno che aggredisse una guardia col deliberato scopo di ucciderla.
Mezzi soldati, concluse fra sé e sé, con l'occhio svelto a cogliere un ladruncolo sul fatto, ma poco abituati a un avversario deciso e addestrato al combattimento.
Sperò di essere ancora così: deciso e addestrato al combattimento. Certo, di guerra ne aveva fatta parecchia, ma era successo anni prima.
Prima del tau'zeel, anche.
Si portò una mano al fianco, soppesando attraverso il pesante manto nero la spada che si era procurato: un buon ferro, robusto e bilanciato. Non certo l'acciaio del Fjorn, ma pur sempre un'arma in grado di fare danni.
Strinse gli occhi, spostò lo sguardo sull'ufficiale. Svettava sugli altri, aveva movimenti misurati ma pieni di forza. Si guardava intorno sicuro e attento come un rapace. Pur parlando con Herich, non smetteva un attimo di tenere d'occhio l'ambiente.
Lasciò che il drappello lo distanziasse di qualche passo: era certo che l'ufficiale l'avesse notato e voleva scomparire dal suo campo visivo per non metterlo in allarme.
Continuò a camminare tenendosi rasente al muro. Ormai conosceva abbastanza bene le strade di Perechyra da capire che il gruppo non si stava dirigendo agli alloggi delle guardie. Stava anzi procedendo verso un quartiere più silenzioso, addirittura signorile. Le strade si facevano man mano più larghe e ariose, nei canali che le costeggiavano scorreva acqua limpida.
Doveva agire subito: nel caos del centro poteva passare inosservato, ma in quella zona poco frequentata la sua sinistra presenza avrebbe attirato l'attenzione come quella di un demone di Vurar.

Herich si portò una mano al collo e infilò due dita sotto il cerchio che lo cingeva: non era stretto e non era nemmeno pesante. Se non fosse stato per la temperatura della sua superficie, non l'avrebbe nemmeno detto di metallo.
Fece scorrere le dita e nel movimento la catena che era assicurata al collare tintinnò.
Smettila di fare la commedia,” gli disse l'ufficiale, in tono seccato. “Quel collare non può essere così stretto, se ci puoi infilare dentro mezza mano.”
Herich sollevò gli occhi su di lui e fissandolo con durezza rispose: “Potrebbe essere largo come la valle dell'Edayr, ma mi soffocherebbe lo stesso, perché è il simbolo della mia prigionia.”
Lungi dal raccogliere la provocazione, l'uomo chiese: “La valle dell'Edayr? Vieni dal Daishrach, per caso?”
Sono il principe ereditario del Diashrach, per la precisione.”
L'altro sollevò le sopracciglia come di fronte alle spacconate di un bambino. “Ma davvero?”
Mio padre ti coprirà d'oro, se mi riporti da lui,” proseguì Herich imperterrito. “Ti darà molto di più delle miserabili ventimila monete che hai sborsato per avermi.”
L'ufficiale annuì con aria divertita. “Ma certo, e poi magari mi accompagnerà a visitare il regno, non è vero? E scommetto che sarò l'ospite d'onore di un banchetto che durerà non meno di una settimana, giorno e notte.”
Non prendermi in giro!” sbottò il ragazzo, fermandosi sui due piedi. “Io sono Herich Averin figlio di Evertas il Saggio. L'As'vaan con cui hai parlato mi ha preso prigioniero presso i templi di Os'lak e mi ha portato qui!” Tacque per qualche istante, ansimando appena nella foga del discorso. L'uomo continuava a fissarlo con un vago sorriso, con l'aria di non credere a una sola parola. “Non vedi questo?” disse allora, toccandosi la cicatrice che gli segnava il viso. “Questo è il segno della benevolenza di Dras, significa che sono l'erede al trono!”
A quel punto, l'ufficiale non poté trattenere le risa. “Se non altro sei divertente,” gli disse. “Quella sarà una frustata, che qualcuno meno paziente di me ti ha assestato infastidito da queste sciocchezze. Però devo dire che alla fine non ti sta male, ti dà un'aria vissuta.” Tirò leggermente la catena come per convincerlo a muoversi.
Herich tese i muscoli strappando all'indietro. “Basta!” gridò. “Basta, ne ho abbastanza! Io non sono uno schiavo, non sarò mai il tuo schiavo!” Tese ferocemente la catena, si divincolò per cercare di sfilarla dalle mani dell'ufficiale. Un soldato si mosse per afferrarlo, ma lui riuscì a sgusciargli fra le mani. Gli sfilò dal fodero il pugnale che portava in cintura e con quello prese a menare fendenti davanti a sé mentre arretrava ansante. Non sapeva che cosa stava colpendo, le lunghe lezioni di scherma del maestro Taman sembravano scomparse dalla sua memoria senza lasciare tracce, ma continuava ad agitare la lama forsennatamente, arretrando passo dopo passo.
Smettila,” lo ammonì l'uomo, “non costringermi a farti male.”
Sta' lontano!” gridò Herich per tutta riposta. La catena si tese, strattonandolo in modo brutale. Egli gemette a denti stretti, d'istinto sfruttò la forza che lo strappava in avanti e riuscì ad assestare un colpo al braccio dell'ufficiale. Questi ringhiò di dolore e sorpresa, quindi fece per colpirlo a sua volta, ma a quel punto qualcosa di nero gli piombò addosso mandandolo a rotolare sul selciato.
Subito dopo, Herich si sentì spingere indietro da una forza che gli parve immane, ma mitigata da una strana connotazione di cautela, come un'attenzione a non volergli fare alcun male.
L'estremità della catena cadde a terra tintinnando, il ragazzo si allontanò di qualche passo, poi udì un grido d'agonia: si voltò e vide uno dei soldati crollare a terra in una sventagliata di gocce purpuree. Nello spazio di un respiro, altri due fecero la stessa fine.
Sbatté gli occhi stupefatto: l'uomo dal manto nero, quello che aveva visto al mercato degli schiavi, stava attaccando le guardie.
Trattenne il respiro, il pugnale ancora stretto in mano, gli ultimi anelli della catena che tintinnavano sul selciato. Se avesse avuto il coraggio di tentare la fuga, quello sarebbe stato il momento ideale. Gli tornarono in mente le parole beffarde di Jeisym: Se tu ci riuscissi, avresti guadagnato la libertà. Certo, una volta che l’hai guadagnata, dovresti anche sapere cosa farne.
Fece un altro passo indietro, pesante come piombo. L'atroce verità era che non ce l'aveva, quel coraggio: non avrebbe saputo dove andare, cosa fare, a chi rivolgersi...
Un altro corpo che cadeva a terra lo fece sussultare. Di nuovo alzò lo sguardo verso la lotta in pieno svolgimento e vide che erano rimasti in piedi solo un soldato, il comandante delle guardie e l’uomo dal manto nero.
Si chiese chi potesse essere: qualcuno che voleva rapirlo e rivenderlo, o qualcuno che voleva liberarlo? E liberarlo per quale motivo, poi?
Fece un altro passo indietro. Si guardò alle spalle, verso la strada vuota. Sarebbe stato facile imboccarla di corsa e far perdere le proprie tracce. Per fare cosa, poi? Dove sarebbe andato, una volta calata la sera? Cosa avrebbe mangiato? In che modo avrebbe racimolato i soldi per tornare a casa?
In quel momento, un urlo d’agonia interruppe il filo dei suoi angosciosi pensieri: l’ultimo dei soldati era caduto, ora rimanevano solo l’ufficiale e l’uomo dal manto nero a fronteggiarsi.
Trattenne il respiro mentre i due si giravano intorno con minacciosa lentezza e letteralmente sussultò quando l’ufficiale balzò in avanti con una punta al corpo del suo avversario. Questi scattò di lato sottraendo bersaglio, prese ferro e colpì fulmineo con un tondo rovescio, ma l’altro non si fece cogliere alla sprovvista, e a sua volta si fece indietro. Di nuovo presero a girarsi intorno e prima che Herich, ansante e con la bocca secca per l'emozione, potesse decidere cosa fare, di nuovo l’ufficiale scattò in avanti con un fendente alto, l’uomo dal mantello nero parò, ma dovette arretrare per non perdere l’equilibrio sotto l’impatto e scompose la sua posizione di guardia. L’altro gli afferrò un polso e in breve si trovarono avvinghiati in un feroce corpo a corpo.
Poi l’ufficiale abbandonò la spada ed estrasse un pugnale, Herich vide la lama baluginare tra le pieghe del manto nero e udì l’uomo incappucciato emettere un gemito. Questi tentò poi di farsi indietro, ma l'altro non abbandonò la presa al polso.
D’istinto il ragazzo si fece avanti e mentre i due ringhiando e ansimando cercavano di sopraffarsi a vicenda, urlò “Tieni!” e tese il pugnale all’uomo col manto nero.
Questi lo ghermì con insospettata rapidità, se lo girò fra le dita in modo da impugnarlo di sottomano e tirò un fendente al suo avversario dal basso verso l'alto, così in fretta che Herich quasi non riuscì a seguirlo con lo sguardo.
Da quel punto in poi, la lotta divenne un rabbioso avvinghiarsi di animali selvatici. I due si giravano furiosamente intorno e solo il fugace baluginio delle lame o lo sgorgare del sangue facevano capire che intanto si scambiavano colpi letali.
Herich fece un passo indietro, arrivando ad addossarsi al muro. Di nuovo lanciò una fugace occhiata alla strada libera, ma in quel momento udì un gemito più profondo e subito dopo il tonfo di un corpo che si accasciava a terra. Si girò e vide che l'ufficiale giaceva esanime. L'uomo dal manto nero era in piedi e ansava pesantemente. Gocce di sangue cadevano dall'orlo dell'indumento come la pioggia da un tetto. “Andiamo,” si limitò a ordinare, premendosi una mano sul fianco. Tese il braccio libero verso di lui.
Herich cercò d'istinto di indietreggiare, ma l'altro fu svelto ad afferrarlo. Subito dopo ripeté: “Andiamo, non c'è tempo.”
Aspetta, chi...” cominciò il ragazzo disorientato.
L'uomo si mise a correre ed egli non ebbe altra scelta che raccogliere l'estremità tintinnante della catena e seguirlo.

Corsero per un tempo che a Herich parve infinito, svoltando di continuo per strade sempre nuove, evitando quelle più frequentate, passando per case diroccate e zone incolte.
Quando gli edifici cominciarono a diradarsi, trasformandosi in una periferia disseminata di capanne e intersecata da canali limacciosi, l'uomo dal manto nero rallentò. Ansava pesantemente e dovette appoggiarsi al tronco di un albero secco per mantenere l'equilibrio.
Ho bisogno di riposare,” mormorò con voce roca. “Devo fasciarmi le ferite, così siamo troppo rintracciabili.”
Herich abbassò gli occhi sul selciato sconnesso e vide una serie di gocce purpuree che si perdeva in lontananza. Rialzò lo sguardo sull'uomo. “Chi sei?” osò chiedergli.
Per tutta risposta, l’uomo si fece scivolare indietro il cappuccio.
Il ragazzo spalancò gli occhi e d’istinto si mise una mano sulla bocca come per frenare un grido. “Res,” mormorò dopo qualche istante di incredulo silenzio. “Sei davvero tu, Res?”
L’altro annuì grave. “Sono qui per riportarti a casa, principe.”
Con un gemito, il ragazzo gli piombò fra le braccia e gli nascose il volto sul petto. “Ti credevo morto,” disse in un soffio. Sulle guance gli rotolarono due grosse lacrime.
Sentì la mano del soldato posarglisi sui capelli in una lenta carezza. “Res,” ripeté.
Sono qui, principe.”
A quelle parole, Herich si sentì attraversare da un brivido. “Sei ferito,” gli disse, costringendosi a staccarsi da lui e a fissarlo in viso. “Dobbiamo trovare subito un guaritore, delle cure adeguate...”
Il soldato scosse la testa. “No, principe. Niente guaritori, non abbiamo tempo e non possiamo farci vedere in giro.”
Il ragazzo deglutì. Si voltò lentamente indietro, come per accertarsi che nessuno li stesse seguendo. “Quelli là...” mormorò poi, “sono… morti?”
Penso di sì, principe.”
Res si diresse poi verso il rudere di una casa abbandonata, vi entrò e lasciò cadere il mantello nero per terra. Subito dopo si sfilò con qualche sforzo la tunica, mettendo a nudo un profondo taglio al fianco. Herich avrebbe voluto aiutarlo, ma alla vista della ferita aperta si sentì invadere dalla nausea e dovette arretrare mentre un capogiro minacciava di farlo cadere a terra.
Non guardare se ti fa impressione, principe,” disse Res, senza nemmeno alzare gli occhi.
Il ragazzo si appoggiò al muro e si passò una mano sulla fronte, ritraendola coperta di sudore gelido. Si diede dello stupido: Res aveva bisogno di aiuto, e tutto quello che riusciva a fare era svenire perché il sangue gli faceva impressione. Di nuovo pensò a Jeisym e alle sue parole beffarde.
Siediti, principe,” gli consigliò il soldato.
Senza abbandonare il muro, egli levò lo sguardo su di lui: era a torso nudo e strappava strisce dal mantello per farne bende di fortuna. Il taglio continuava a sanguinare e rivoli rutilanti gli scorrevano lungo la gamba.
Strinse i denti cercando di scacciare la sensazione di avere la testa piena di bambagia. Fin da quella distanza l’odore ferroso del sangue gli faceva rivoltare lo stomaco ed era certo che se avesse osato alzare di nuovo lo sguardo sul taglio si sarebbe afflosciato a terra in preda al deliquio. “Hai bisogno d’aiuto?” si costrinse a chiedere nonostante tutto.
Res interruppe quello che stava facendo e sollevò lo sguardo su di lui. “Te la senti?” si informò dubbioso.
Herich deglutì. “Ci provo.”
Il soldato gli rivolse un pallido sorriso. “Se tu riuscissi a prepararmi delle strisce di stoffa, principe, sarebbe già un grande aiuto.”
Il giovane strinse i denti e si fece avanti con passo malfermo. Aveva la sensazione di fluttuare nella nebbia e macchie nere gli danzavano davanti agli occhi, tuttavia si sedette su una cassa e prese un lembo del mantello.
Usa il pugnale,” gli suggerì Res.
Herich lo raccolse con mano tremante, sempre cercando di ricacciare la sensazione di debolezza che lo invadeva, e per distrarsi dall’idea del sangue fissò gli occhi sulla stoffa e cominciò a tagliarla.

Dopo un po’, Res fermò la mano del ragazzo e disse: “Credo che così possa bastare.”
Herich quasi sussultò per la sorpresa. Alzò il viso su di lui sbattendo gli occhi come svegliato di soprassalto e sembrò rendersi conto solo in quel momento che aveva già finito di medicarsi. Abbandonò la benda che stava tagliando con un’espressione quasi di imbarazzo.
Il soldato gli diede un buffetto sulla spalla e disse: “Hai fatto un ottimo lavoro, principe.”
Il ragazzo si terse il sudore da un viso bianco come neve appena caduta. “Grazie,” balbettò, poi levò lo sguardo fino a incontrare il suo e gli chiese: “Stai meglio ora?”
Res colse nei suoi occhi un’apprensione febbrile, tuttavia dovette scuotere la testa. “Ho giusto diminuito la perdita di sangue,” rispose con sincerità. “Speravo che saremmo potuti partire oggi stesso, ma devo assolutamente riposare e farmi curare questa ferita, altrimenti...” Non riuscì a finire la frase: una fitta di dolore la troncò a metà.
Il ragazzo scattò in piedi come punto da una vespa. “Troveremo un guaritore, vedrai,” disse con foga, più per rassicurare se stesso, forse, che per incoraggiare lui. “Lo troveremo e io lavorerò per pagarlo.” Fece un pausa, poi aggiunse: “So fare delle cose anch’io, sai?”
Res si terse dal volto le gocce di sudore freddo che lo imperlavano. “Davvero, principe?”
Sì, io conosco tante scritture sacre, la poesia, la musica e cose del genere. Potrei metterle a frutto per fare qualcosa di utile, finalmente.”
Magri più avanti, principe. Per ora devi solo aiutarmi a indossare la tunica e il mantello. E lasciati ricadere i capelli davanti al viso, il segno di Dras è troppo riconoscibile.”
Herich emise un sospiro e non aggiunse altro. Si limitò a raccogliere gli indumenti e a porgerglieli, quindi si pettinò come gli era stato suggerito. Res mantenne a sua volta il silenzio. Si rendeva conto che il ragazzo era rimasto deluso, ma in quel momento non aveva energie da sprecare per consolarlo, e poi aveva provato di persona quanto fossero pericolosi i lenitivi al dolore, fisico o morale che fosse, e non voleva che anche il giovane principe ne rimanesse vittima.
Ora andiamo,” si limitò a dire. “Ci manterremo nelle zone poco frequentate e tramite quelle cercheremo di raggiungere i magazzini del grano. Là dovrebbe esserci una persona che spero ci aiuterà.”
Dovrebbe?” fece eco il ragazzo dubbioso.
Res assentì. “Le cose non sono andate come avevo previsto. Non mi aspettavo che il tuo acquirente fosse il capitano delle guardie, né che avesse con sé una squadra di soldati.” Si toccò il fianco ferito e strinse le labbra per il dolore. “E non pensavo che sarebbe riuscito a ferirmi così gravemente,” concluse in tono duro. Si mise in marcia senza aggiungere altro. Ricordava battaglie in cui aveva fatto il vuoto intorno a sé, in cui i nemici al suo confronto erano solo goffi burattini, che lui poteva colpire come e quando voleva.
Aveva sconfitto campioni, aveva spezzato spade leggendarie.
Tutto questo prima che il tau’zeel lo rendesse una miserabile larva tremante e farneticante, pronta a
ogni bassezza pur di avere un sorso di droga.






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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Salve gente,
ecco un altro capitolo del mappazzone fantasy. Un grande ringraziamento a tutti quelli che mi seguono, un ringraziamento speciale a chi mi ha commentato.





Capitolo 7

Adagiato su cuscini di seta, Jeisym Khan traeva svogliati accordi da un liuto intarsiato di avorio e madreperla. Accanto a lui si trovava un basso tavolino su cui era posata una coppa vino di Gald. Di tanto in tanto, egli smetteva di suonare e beveva un sorso, oppure accarezzava con lo sguardo i sacchi di monete che aveva ricavato dall’ultima scorribanda, posati in ordinate piramidi di quattro sulla superficie di una cassapanca.
Suo padre sarebbe stato molto contento di quel bottino.
Ripensò al giovane Herich e un motivo languido, non scevro di una certa vaga nostalgia, si levò dallo strumento. Così come aveva cavalcato la bella puledra grigia, avrebbe forse potuto cogliere quel fiore di cui certamente al comandante Risskel importava meno di nulla.
Come poteva, del resto, un soldato avvezzo ai duri campi di battaglia lasciarsi commuovere dal fascino di un giovane ancora intatto, inesperto di ogni cosa, tutto fremiti e ritrosie? Come poteva cogliere la bellezza insita nell’avvicinarlo adagio, erodendo le sue resistenze una dopo l’altra, con il lavorio paziente della goccia che scava la pietra, per poi portarlo ad anelare a ciò che fino a poco prima aveva rifuggito con tutto se stesso? Cosa ne sapeva della commovente espressione di smarrimento che un piacere mai provato avrebbe dipinto sui suoi lineamenti delicati?
La melodia si fece più struggente, divenne carica di una brama appassionata.
Dei passi precipitosi si fecero udire in corridoio.
Jeisym aggrottò le sopracciglia e posò lo strumento, quindi volse lo sguardo verso la porta. Da essa entrò Therved, che gli rivolse un inchino ed esordì: “Perdona se ti disturbo, Khan.”
Che cosa succede?”
Il comandante Risskel ha subito un’aggressione e ora giace gravemente ferito, mio signore.”
Cosa? Quando è successo?”
Ieri, mio signore,” rispose Therved.
Jeisym si alzò lentamente in piedi, quindi si avvicinò all’uomo. “In quali circostanze?” gli chiese.
Mentre portava a casa il ragazzo che tu gli hai venduto, mio signore.”
Quanti erano gli aggressori?”
Solo uno, mio signore. Incappucciato e con un mantello nero.”
Il giovane Khan assentì gravemente col capo. Ricordava una figura del genere, ferma e silenziosa in un angolo della sala. “Un uomo solo? Contro sei soldati e il comandante Risskel?” chiese, come parlando fra sé e sé.
Ammesso che fosse un uomo,” si fece udire la voce di Therved.
Jeisym si girò di scatto verso di lui. “Perché, cos’altro poteva essere?”
Non lo so, mio signore. Forse un demone di Vurar.”
Tra i due calò il silenzio. Il Khan andò alla finestra e per un po’ rimase fermo a scrutare attraverso gli spicchi di vetro colorato. “Il ragazzo?” chiese poi.
L’ha portato via.”
Risskel l’ha visto? Ne è sicuro?”
Dice che l’ha preso per un braccio e lo ha trascinato con sé.”
Jeisym emise uno sbuffo infastidito, quindi sibilò: “Questa è una dannata complicazione.”
Perché, mio signore? Il ragazzo è stato venduto, i soldi li hai ricevuti. Quello che è accaduto dopo non ci riguarda.”
Ragiona, Therved,” replicò Jeisym in tono esasperato. “Qualcuno ci ha seguiti quando abbiamo condotto quel moccioso al mercato degli schiavi, ha aspettato la fine della compravendita e poi ha assalito colui che l’ha acquistato e gliel’ha sottratto.”
Ne sei certo, mio signore?”
Tu non l’hai visto l’uomo col mantello nero nella sala?”
Il santo di Zephan, mio signore?”
Non era un santo,” disse il Khan lapidario. “Era uno che per qualche motivo stava aspettando che noi ci liberassimo del ragazzo per poi rapirlo.”
Ma perché, mio signore? Per rivenderlo, forse? Allora perché non attaccare direttamente noi quando siamo andati via con i soldi dal comandante Risskel?”
Jeisym rimase in silenzio per un po’, come meditando fra sé e sé. Avrebbe potuto replicare che nessuno a Perechyra osava attaccare degli As’vaan, specialmente se stavano trasportando i proventi di qualche vendita di bottino, ma in cuor suo sapeva che quella non era la risposta giusta. L’uomo di cui stavano parlando aveva abbattuto da solo sei soldati e il comandante della guarnigione, quindi era uno che sapeva tenere in mano una spada e non si faceva spaventare dalle nomee sinistre.
Sono stati uccisi tutti presso i templi di Os’lak?” chiese.
Sì, tutti, mio signore,” fu la pronta risposta.
Jeisym, che era tornato alla finestra, si girò a fissare il suo secondo da sopra la spalla. “Ne sei sicuro?”
Nessuno è rimasto in vita, mio signore.” Therved tacque per qualche istante, poi in tono incerto soggiunse: “A meno che...”
Con gli occhi che mandavano lampi, l’altro si girò a fronteggiarlo. “A meno che?”
Khan, tu ci comandasti di non entrare nei templi, ricordi?”
Jeisym non rispose. Incupì lo sguardo, intrecciò le mani dietro la schiena e prese a camminare rapidamente su e giù per la stanza. Attutiti dai tappeti, i suoi passi nervosi producevano solo un soffice fruscio. Qualcuno doveva essere rimasto vivo, rifletté, era l’unica soluzione possibile. Qualcuno che non aveva subito gli effetti del tau’zeel e che al loro arrivo si era nascosto nel tempio. Successivamente li aveva seguiti a piedi attraverso tutta la steppa e una volta giunto a Perechyra aveva aspettato il momento giusto per liberare il principe.
Si chiese chi potesse essere in grado di compiere un’impresa del genere e per un attimo fu quasi tentato di dare ragione al suo secondo: era difficile pensare che si trattasse solo di un uomo.
Dobbiamo ritrovare il ragazzo,” disse infine, “o perlomeno dobbiamo impedire che torni alla sua città.”
Mio signore?” chiese Therved stupefatto.
Chi l’ha preso può essere solo uno del suo seguito. Sicuramente vorrà riportarlo a Dyat, in modo che il fratello non possa ottenere il trono al posto suo.” Strinse il pugno così forte che le giunture scricchiolarono, quindi in tono duro proseguì: “Se ci riuscisse, per noi sarebbe la rovina. Il principe Dewrich non ci darebbe più i soldi che ancora ci deve, inoltre il nome di Jesym Khan e di tutto il clan dell’Aquila Bianca sarebbe disonorato, dal momento che uccidere il ragazzo era parte dell’accordo che ho stipulato con il principe.”

§

Manse posò una mano sulla spalla di Herich. “Vieni fuori, ora,” gli disse in tono sommesso. Il ragazzo si girò a fissare con sguardo carico d’apprensione il letto sul quale Res giaceva in uno stato di dolorosa semicoscienza, ma l'uomo lo sospinse attraverso la porta. “Usciamo,” ripeté.
Ma lui potrebbe avere bisogno d'aiuto,” balbettò Herich. Si passò una mano sulla fronte, ritirandola coperta di sudore freddo. Aveva di nuovo la sensazione di camminare nella bambagia e un rombo come di cascata nelle orecchie. Varcata la soglia, la luce del corridoio e l'odore di cucina che proveniva dalla tromba delle scale gli fecero emettere un involontario sospiro di sollievo.
Di nuovo gli giunse la voce tranquilla di Manse: “C'è la guaritrice con lui, vedrai che presto starà meglio.”
Herich alzò lo sguardo sul suo viso pacioso. Sbatté le palpebre cercando di allontanare le lacrime che gli velavano gli occhi e balbettò: “Lo credi davvero?”
È forte,” fu la risposta. “Ce la farà. Ora andiamo a prendere una boccata d’aria, ragazzo. Non ti fa bene stare chiuso qui dentro.”
Tu credi che ci stiano cercando?”
Manse assentì. “Certamente. Balrich della Porta Ovest mi ha detto che il comandante Risskel non avrà pace finché non riuscirà a trovare chi l’ha aggredito. E finché non riuscirà a recuperare te, ovviamente.”
Non so ancora come abbiamo fatto ad arrivare fin qui ieri,” sospirò il ragazzo. “Alla fine Res stava proprio male, sai, credevo che sarebbe caduto lungo la strada.” Fece una pausa, poi soggiunse: “Meno male che c’eri tu.”
Sapevo che sareste arrivati.”
Come lo sapevi?”
Ieri era il primo del mese, ovvero il giorno in cui si tiene il mercato degli schiavi di lusso. Sapevo che Res avrebbe provato a liberarti. Anzi, che lo avrebbe fatto.” Scosse la testa, quindi proseguì: “Quello che non immaginavo è che si sarebbe conciato in quel modo. Ho dovuto scomodare la famosa Hjalmianna, e non è stato affatto facile, vista la quantità di gente che chiede le sue cure.”
La guaritrice?”
È la più celebre di Perechyra.”
Chissà quanto ti è costata,” osservò Herich con apprensione.
Manse scosse la testa. “No, si fa pagare in proporzione alle ricchezze di chi la ingaggia. A un povero chiede una moneta, a un ricco ne chiede cento. E poi a me non ha chiesto niente, perché le porto sempre le erbe del Theythrim. Quelle buone, che si raccolgono solo sugli altipiani di Coimhir.”
Herich non replicò. Si guardò le mani, ancora sporche di sangue, e scosse la testa per cercare di allontanarsi i capelli dal viso.
Non farlo,” gli raccomandò l’uomo, “quel segno che hai in faccia è troppo riconoscibile.”
Maledetto anche questo segno,” imprecò il ragazzo. “Da quando Dras ha ritenuto di elargirmelo, non ha fatto altro che crearmi problemi.”
L’uomo rimase in silenzio per qualche istante, poi disse: “Il potere su tanti è un peso, prima di essere un privilegio. Ci hai mai pensato?”
Herich si voltò a fissarlo stupito. “Come fai a sapere cosa significa questo segno?”
Manse si strinse nelle spalle. “Lo so.”
Sì, ma come lo sai? Sei un chierico di Dras, per caso?”
Sono uno che ha viaggiato molto, uno che sa molte cose.”
Il più giovane continuò a camminare in silenzio per un po’, poi si voltò di nuovo verso il suo accompagnatore e gli chiese: “Quindi, secondo te, tutto questo sta succedendo perché Dras vuole farmi capire che la mia futura esistenza di regnante sarà solo pericoli, dolore, paura e sensazione di impotenza?”
Sarà anche quello, certo, e giustamente Dras vuole che tu te ne renda conto. Essere re non significa sfilare sulla Via d’Onore in grandi paramenti, o presenziare ai banchetti del raccolto. Significa prendere su di sé il dolore dei propri sudditi, significa accettare la consapevolezza di non poterlo eliminare, ma solo sopportare.”
Di nuovo calò il silenzio. Herich si tirò i capelli sulla metà sinistra del viso e nel movimento l’odore del sangue che aveva sulle mani gli diede quasi un capogiro.
Che c’è?” gli chiese Manse premuroso.
Niente. Dras mi fa capire che il mio posto è un monastero, nel quale stare rintanato fino alla fine dei miei giorni.” Alzò lo sguardo fino a incontrare quello dell’uomo, quindi in tono duro gli disse: “Io non credo che sia come dici tu. Secondo me Dras si è accorto che ha fatto un errore scegliendo me, e tutto questo sta capitando perché ha deciso di mettere sul trono mio fratello.”

La stanza era in penombra, i pochi raggi di luce che penetravano dalle imposte chiuse prendevano corpo nell’atmosfera densa di fumi. L’aria odorava di sangue, incenso ed erbe medicinali.
La Waishir, una donna alta e snella, con una crocchia di capelli neri appena venata di grigio, si rimboccò per l’ennesima volta le maniche della tunica da guaritrice. Immerse le mani in una bacinella d’acqua che uno dei suoi assistenti le aveva preparato e le ritrasse solo quando furono perfettamente pulite, poi se le asciugò con cura su un telo di lino e prese dalla sua cassetta dei medicamenti un’ampolla che conteneva un liquido color rubino, trasparente e denso come miele. Ne fece cadere qualche goccia in un bicchiere e lo diluì con un po’ di infuso di valeriana.
Fatto questo si avvicinò a Res, gli mise una mano dietro la nuca per sollevargli la testa e gli accostò il recipiente alle labbra.
Bruciante di sete, il soldato cercò subito di bere, ma non appena l’odore del liquido gli colpì le nari, con le poche forze rimase distolse il viso e tentò di farsi indietro. “Non quello,” balbettò con voce debole.
Devo applicarti sulla ferita il muschio di Saytheri, ti farà molto male.”
Sopporterò.”
La donna scosse la testa e in tono calmo rispose: “Non sei in grado di sopportare questo dolore, indebolito come sei. Ti muoveresti, e il muschio ti brucerebbe anche i tessuti sani, invece di distruggere solo quelli morti.”
Res levò su di lei occhi febbrili, lucidi e cerchiati di scuro. “Non darmi tau’zeel, guaritrice,” ansò con voce roca, “di’ ai tuoi assistenti di legarmi, piuttosto, in modo che io non possa muovermi, ma niente tau’zeel.”
La donna sollevò le sopracciglia. “Soffrirai molto,” lo informò in tono grave.
Ti ho detto che sopporterò.”
La Waishir immerse un panno in una bacinella, lo strizzò e poi glielo passò sul viso. “Avevi perso il limite?” gli chiese a bassa voce.
Sì.”
In che occasione?”
Quando fui ferito da una freccia mewen. Il guaritore mi diede del tau’zeel per sopportare il dolore…”
“…e tu non sei più riuscito a farne a meno,” finì per lui la donna.
È così.”
Ella gli passò nuovamente il panno umido sul viso, quindi disse: “Ti darò un pezzo di cuoio da stringere fra i denti. Non posso prometterti che non soffrirai, posso solo prometterti che lo farò durare il meno possibile. Se sarai fortunato, perderai i sensi per il dolore.”
Sarà il volere di Dras,” mormorò il soldato.
Uno degli assistenti estrasse da una sacca dei rotoli di tela robusta e cominciò ad allinearli sul tavolo che era stato portato accanto al letto. Prese poi uno di essi, lo svolse e si chinò per assicurarglielo al polso.
Res si lasciò legare. Man mano che le fasce gli immobilizzavano mani e piedi, e poi gli passavano di traverso sul torace e sull’addome, egli cercava di mantenere costante il ritmo del respiro per controllare l’agitazione. Il cuore gli pulsava nelle orecchie, i muscoli erano tesi come corde. La guaritrice gli avvicinò di nuovo un bicchiere alle labbra. “È solo acqua,” gli assicurò.
Egli bevve qualche sorso mentre un assistente gli tamponava per l’ennesima volta il viso sudato.
Infine giunse la domanda: “Sei pronto?”
Il soldato assentì. Tentò dapprima di muoversi, come per saggiare l’effettiva resistenza delle fasce, poi si abbandonò con un sospiro e schiuse le labbra per accettare il pezzo di cuoio che uno degli assistenti gli stava porgendo.
Si voltò verso la Waishir e vide che si era messa uno spesso grembiule di tela grezza e stava indossando un paio di guanti. Successivamente, con una spatola di metallo ella prese da un piccolo orcio un impasto denso e traslucido, di un colore che nella penombra gli parve verde scuro. “Ora ricorda,” gli disse con voce sommessa, “più intenso sarà il dolore, più rapida e completa sarà la tua guarigione. Stringi i denti e cerca di resistere.”

Seduto sul bordo della fontana, Herich contemplava assorto la propria immagine. Gli sembrava decisamente assurdo che qualcuno avesse sborsato ventimila pezzi d’oro per averlo: riflesso sulla superficie dell’acqua vedeva solo un ragazzino smunto, con membra ossute e sgraziate e un segno in faccia che sembrava il lascito di una malattia. Emise un sospiro. Manse, che sedeva al suo fianco sbocconcellando una focaccia ripiena, gli diede un colpetto col gomito e gli chiese: “Ne vuoi un po’?”
Non ho molta fame, grazie.”
Eppure dovresti mangiare. Vuoi o non vuoi diventare come Resen-Lhaw?”
Herich alzò le spalle e rispose: “Il Leone Rosso si metterebbe a ridere se mi vedesse. Svengo se vedo un po’ di sangue, ho paura di qualsiasi cosa, non sono capace di fare nulla…”
Buttò un sasso dentro la vasca della fontana e rimase a guardarlo mentre cadeva e poi si posava sul fondo sollevando una nuvoletta di limo. Un pesce argentato vi guizzò intorno per un attimo, poi scomparve.
Un istante dopo, un lamento straziante lo fece sussultare. “Che cos’è?” gridò saltando in piedi.
Sta tranquillo,” gli raccomandò Manse. “Va tutto bene.”
Ma veniva dalla locanda,” replicò il ragazzo agitato, “È Res!”
La guaritrice sa il fatto suo, torna a sederti.”
No, devo andare a vedere.”
Corse via senza aspettare la risposta del carrettiere. Attraversò il cortile, salì a tre a tre i gradini che conducevano al piano di sopra, si precipitò in corridoio e spalancò la porta della camera. “Res!” gridò angosciato.
Non svegliarlo,” gli raccomandò la guaritrice.
In piedi sulla soglia, ansante, il ragazzo lasciò vagare lo sguardo all’interno: il soldato giaceva immobile, col capo reclinato da una parte. Aveva il volto di un pallore spettrale e un’ampia medicazione sul fianco. Su polsi e caviglie, ma in generale su tutto il corpo, aveva segni rossi. Accanto a lui, un giovane con la tunica da guaritore stava arrotolando delle fasce di tela.
Alzò lo sguardo smarrito verso la Waishir.
Abbiamo dovuto legarlo,” disse lei in risposta alla sua muta domanda.
Herich osò fare un passo avanti, cauto come un coniglio che esce dalla tana.
Puoi avvicinarti, se vuoi. Basta che non lo svegli.”
Il ragazzo avanzò ancora. Res era immobile, solo il petto che si muoveva appena faceva capire che era vivo. Rimase a osservarlo: un corpo poderoso, segnato da cicatrici, che raccontava una storia di lotta e disciplina. Disteso nell’incoscienza, il volto aveva lineamenti gravi, addirittura nobili. “Guarirà?” chiese con voce sommessa.
Alle sue spalle, la donna rispose: “Ora deve solo riposare.”
Posso stare un po’ qui con lui?”
Puoi sederti lì,” disse la guaritrice indicandogli uno sgabello accanto al letto. “Se si sveglia e ti chiede da bere, dagli dell’acqua.”
Va bene.”
Per qualsiasi altra cosa chiamami, o chiama uno dei miei aiutanti. Saremo nella sala grande.”
Lo farò, grazie.”
Herich prese lo sgabello e si sedette, poi si appoggiò i gomiti sulle ginocchia e il volto tra le mani. Rimase così per un po’, l’orecchio teso a cogliere il respiro flebile di Res, lasciando libero corso ai pensieri.
Dopo un tempo imprecisato si alzò, andò a prendere una coperta e gliela stese addosso.
Il soldato socchiuse gli occhi. “Principe,” mormorò.
Il ragazzo ebbe un tuffo al cuore. “Res!”
Stai bene, principe?”
Io… sì, certo. Tu, piuttosto, come stai?”
Res strinse i denti e rispose: “Presto sarò di nuovo in grado di cavalcare.”
Io voglio solo che tu stia bene, Res.” Herich spinse una mano a toccare la sua, abbandonata sul letto, poi gli chiese: “Hai sete? Vuoi dell’acqua?” Senza attendere risposta riempì un bicchiere, poi gli passò la mano dietro la nuca come aveva visto fare alla guaritrice e glielo avvicinò alle labbra.
Il soldato bevve a piccoli sorsi, infine emise un sospiro e disse: “Grazie, principe.”
Herich chinò la testa. “Sono io che devo ringraziare te,” rispose.
Ho fatto solo il mio dovere.”
Il ragazzo si guardò intorno e localizzò la bacinella con dentro il panno. La andò a prendere e con gesti un po’ maldestri rinfrescò il viso a Res. “Vuoi altra acqua?” gli chiese poi.
No, principe. Penso che ora dormirò un po’, con il tuo permesso.”
Herich si sentì avvampare. “Ma certo, scusami,” si affrettò a rispondergli. “Scusa, è che io…” Si interruppe: Res era già scivolato nel sonno.
Gli aggiustò la coperta stando attento a non svegliarlo, poi sedette di nuovo sullo sgabello.
Fece girare lo sguardo sulla stanza: il tavolo era ancora ingombro di bende arrossate e gli incensi medicamentosi non riuscivano a coprire del tutto l’odore ferroso del sangue. Si tirò finalmente indietro i capelli e si passò le dita sulla cicatrice, trovandola come al solito leggermente rilevata e più calda della pelle circostante. Si chiese se la guaritrice fosse in grado di toglierla. Aveva sentito parlare molte volte dei sapienti Waishir e la leggenda li voleva padroni di ogni arte medica.
Cosa sarebbe successo se l'avesse fatta cancellare? Dras gliel'avrebbe fatta rispuntare da un'altra parte o si sarebbe rassegnato al fatto che lui non voleva essere re?
Abbassò lo sguardo su Res: il suo sonno si era fatto agitato, si vedevano gli occhi guizzare sotto le palpebre abbassate. “No...” mormorò a un certo punto, “Non loro, no... loro non c'entrano...”
Una lacrima gli scese luccicando lungo la tempia.
Herich lo fissò immobile, indeciso sul da farsi.
Le onde sono tutte rosse,” gemette il soldato, e altre lacrime seguirono la prima.
A quel punto, il ragazzo allungò titubante una mano e la posò sulla sua. “Sono qui con te, Res,” sussurrò piegandosi su di lui. “Sta' tranquillo, sono qui. Va tutto bene.”

§

Therved si affacciò sulla soglia, si inchinò e disse: “Sono arrivati, Khan.”
Jeisym si alzò dai cuscini, appoggiò da una parte il liuto e chiese: “Lo scrigno è stato preparato?”
Secondo i tuoi ordini, Khan.”
E le armi? I cavalli?”
Tutto come hai ordinato, mio signore.”
Molto bene,” rispose Jeisym, indossando i paramenti del clan dell'Aquila Bianca, “Allora falli entrare nel cortile piccolo, verrò tra poco a riceverli.”
L'As'vaan sorrise fra sé e sé, quindi scostò uno dei cortinaggi che ornavano la sua stanza, scoprendo l'imbocco di uno stretto corridoio. Lo percorse a passi felpati fino a raggiungere una stanza ottagonale che su ogni lato aveva un pannello di metallo finemente traforato. Si avvicinò a uno di essi e vi guardò attraverso.
Al di là vi era il cortile piccolo. Un gruppetto di As’vaan, uomini e donne, vi stava entrando scortato da Therved. Tutti si guardavano intorno meravigliati, qualche ragazza emise gridolini di stupore.
Quando furono dentro, Jeisym rimase a studiarli per un po’: i maschi passeggiavano su e giù cercando di scrutare verso le scuderie, le femmine perlopiù ammiravano i fiori o i giochi d’acqua della fontana. Tutti erano vestiti con la massima eleganza che le loro finanze consentivano, avevano capelli lunghi e gioielli. Chi se li poteva permettere sfoggiava oro e pietre preziose o semipreziose, ma la maggior parte aveva monili di vetro o smalto. Argento sbalzato, al massimo.
Sorrise fra sé e sé: ecco che l’orgoglio e l’amore per la bellezza tipici della sua gente gli risultavano utili.
Tornò sui suoi passi, quindi si diresse verso il giardino. Al suo apparire, i presenti, che si erano riuniti in capannelli a parlare fra di loro, ammutolirono e fissarono lo sguardo su di lui.
Buon giorno, miei cari,” li salutò. Fece qualche passo, quindi proseguì: “Immagino vi starete chiedendo perché vi ho convocati.”
Un brusio attraversò la folla. Una ragazza con i lunghi capelli raccolti in una crocchia e ornamenti di perline colorate al collo e ai polsi si fece avanti, si pose le mani sui fianchi e disse: “Parla in fretta, ti prego. Anche se sei davvero molto bello, tra un po’ dovrò lasciarti: sta per cambiare il turno delle guardie di palazzo e tra mezz'ora almeno cento armigeri verranno a bere al Gatto Bianco.”
Jeisym sorrise in risposta a quello sfrontato complimento e le chiese: “Come ti chiami, piccola impertinente?”
Jadzi.”
In quel momento si aprì una porta e due servi portarono nel giardino un forziere irrobustito da bande di ferro e borchie. Lo posero sul selciato, si inchinarono e uscirono, aprendo mentre passavano anche la porta che dava sul cortile grande. Al di là erano state disposte panoplie di armi cesellate che scintillavano al sole. Splendidi cavalli passeggiavano liberi: lucidi morelli, sontuosi grigi e sauri con riflessi di fuoco vivo sul manto.
Vi chiederete perché vi ho convocati,” ripeté Jeisym, notando con soddisfazione che i presenti stavano allungando il collo con cupidigia verso tutte quelle meraviglie. “Ebbene, ci sono occasioni in cui ci si deve aiutare tra appartenenti alla stessa razza. Voi siete As’vaan come me, condividiamo gli stessi valori, i nostri padri ci hanno insegnato a credere negli stessi dei.”
Un giovanotto robusto, con bracciali di rame sbalzato a entrambi i polsi, chiese: “In pratica, che cosa ti servirebbe, Khan?”
Informazioni,” rispose Jeisym in tono di mistero. “Informazioni su due persone che hanno tentato di disonorare il clan dell’Aquila Bianca, e che per questo devono pagare.” Andò al forziere e lo spalancò, rivelando gioielli di ogni genere, pietre preziose e stoffe pregiate, intessute d’oro e d’argento. Dal gruppo dei presenti salì un ooh di meraviglia.
Egli affondò la mano nella cassa e la sollevò carica di gemme. “Ad ogni informazione, io vi darò una di queste,” proclamò. “O vi darò armi, o puledri di Jessartiaz segnati dalla mano di Halmaikah, veloci come il pensiero.”
Un altro mormorio di meraviglia attraversò la folla.
Si fece avanti la ragazza di nome Jadzi. “Chi sono le due persone che cerchi, Khan?” domandò, lo sguardo calamitato dai monili contenuti nello scrigno.
Jeisym lasciò ricadere le gemme, prese una collana adorna di rubini talmente splendidi da sembrare piccoli fuochi e in tono sensuale le disse: “Vorresti questa, non è vero?” Gliela fece ondeggiare davanti agli occhi e le pietre, attraversate dai raggi del sole, divennero lava incandescente e fiamma viva. “Cerco un ragazzo di circa sedici anni, di altezza media, snello. Ha i capelli lisci, lunghi e neri e gli occhi cerulei. Ciò che lo rende inconfondibile è un segno rosso sull’occhio sinistro.” Col dito ne riprodusse il percorso sul proprio volto.
Jadzi cercò di toccare il gioiello, Jeisym lo allontanò impercettibilmente. I due si fissarono negli occhi.
Cosa puoi dirmi dell’altro?” chiese la ragazza. Di nuovo allungò la mano verso la collana, ma il Khan gliela sottrasse senza staccare gli occhi dai suoi.
È molto alto, di corporatura estremamente robusta, sicuramente è o è stato un soldato. Non lo abbandona mai.”
Jadzi finse un broncio. “Tutto qui?”
Devi fartelo bastare. Io voglio il ragazzo, comunque.”
Perché? Vuoi farne il tuo amante?”
Forse.”
E le belle ragazze non ti piacciono?”
Jeisym sorrise. “Forse.” La collana tornò nel forziere, che si chiuse con un tonfo. “La cosa vale anche per tutti gli altri,” disse poi il Khan a voce più alta. “Chi mi porta informazioni su di lui avrà ricchi doni: avrà gioielli, armi, cavalli o stoffe preziose. E ora andate.”
Jadzi lo fissò maliziosa. “Vado anch’io?”
Portami informazioni e riparleremo anche di questo.”

§

Res fissò lo sguardo sul principe Herich, che si accaniva sul tronco di un albero secco con una spada, e disse: “Devo andare, Manse.”
Il carrettiere fissò a sua volta il ragazzo e rispose: “La guaritrice ha detto che devi riposare almeno altri sette giorni.”
Il soldato scosse la testa. “Non ce li ho, sette giorni. Il comandante è ancora vivo e di sicuro starà facendo di tutto per trovarci.”
I due rimasero in silenzio per un po'. “Si muove bene,” disse alla fine Manse, indicando con un cenno della testa il ragazzo.
Ha delle potenzialità,” convenne Res, “è veloce e agile. Deve solo convincersene.”
Difficile, dopo che per tutta la vita ti hanno fatto credere di essere capace solo di recitare salmi,” considerò il carrettiere. “Abbiamo parlato un po' io e lui, quando eri incosciente. Credo che sarà un buon re.”
Res si strinse nelle spalle. “Prima devo riportarlo a Dyat.”
Ci riuscirai.”
I due si fissarono negli occhi, poi il soldato lentamente disse: “Devo riuscirci, l'ho promesso.”
A lui?”
A Dras.”
Manse si limitò ad assentire, Res ebbe l'idea che avesse colto perfettamente il significato della sua risposta, tanto che preferì cambiare discorso. “Dovremo trovare dei cavalli,” disse.
Il carrettiere scosse la testa. “Non qui,” rispose categorico. “Per prima cosa, le guardie controlleranno ogni mercato, e poi, se non mi sbaglio di grosso, anche gli As'vaan lo staranno facendo.”
Tu credi?”
Se non ricordo male, hai detto che uno di loro aveva stretto un accordo con il fratello di Herich.”
È così.”
E allora quell'As'vaan rischia di essere disonorato e di perdere ogni credibilità. Farà qualsiasi cosa, per recuperare il ragazzo.”
Di nuovo tacquero e rimasero a seguire con lo sguardo Herich che si allenava. A un certo punto, egli gettò la testa all'indietro e il segno che aveva sull'occhio, investito dal sole, spiccò sulla sua carnagione chiara come se fosse illuminato dall'interno. “Prima ce ne andiamo e meglio è,” disse Res categorico. “Oggi stesso, se fosse possibile.”
Manse gli batté una mano sulla spalla e rispose: “Per me è ora di rientrare a Corvean, partirò domani. Posso accompagnarvi fino a Werthyra col carro, là troverete quello che vi occorre, poi potrete costeggiare le steppe di As'del fino al corso dell'Edayr e da lì raggiungere Dyat.”
Il soldato emise un sospiro. “Ancora una volta, Manse, non so come ringraziarti.”
Mi ringrazierai portando il ragazzo a destinazione sano e salvo,” fu la risposta. Poi, dopo una pausa: “A proposito, per questa sera ho pagato una saletta privata qui alla locanda, perché avremo un ospite importante.”
Res aggrottò le sopracciglia. “Chi sarebbe?” gli chiese, di colpo sospettoso.
Vedrai.”

Seduto al tavolo nella saletta privata, Res cercava di comportarsi come se niente fosse, ma si sentiva teso come nell'imminenza di una battaglia importante. Per quanto continuasse a ripetersi che Manse si era dimostrato un buon amico e una persona fidata, la sua allusione a un ospite importante l'aveva messo sulla difensiva.
Mi sembri un tanroth-ath che cova,” gli disse dopo un po' il carrettiere, dandogli una scherzosa gomitata. “È tutta la sera che te ne stai rintanato nel tuo angolo.”
Res lo fissò torvo, quindi chiese: “Chi è la persona che deve arrivare?”
Manse gli rispose con una risata. “Ah, è per quello che sei nervoso?” replicò in tono faceto. “Pensi che abbia invitato a cena un Grande Khan degli As'vaan direttamente da Jessartiaz? Magari con tutti i suoi uomini?”
Il soldato brontolò qualcosa fra i denti, al che Manse si rivolse scherzosamente a Herich: “È più sospettoso di un cavallo guercio, ma del resto lo capisco: questo è un brutto mondo.”
Stava per aggiungere altro quando la porta si spalancò e nel riquadro comparve un'imponente guardia. Incurante della ferita che ancora lo faceva soffrire, il soldato in un attimo balzò in piedi, si parò davanti a Herich e pose la mano sul pomo della spada.
Ehi, calma,” si limitò a dire il nuovo arrivato, peraltro senza muoversi dalla soglia.
A quel punto, Res distolse lo sguardo dall'uniforme e si concentrò sui suoi lineamenti. “Balrich?” chiese stupefatto.
Manse mi ha offerto un otre del suo vino, come potevo rifiutare?”
Il soldato finalmente si rilassò, emise un sospiro e aggirando il tavolo per porgergli la mano disse: “Scusa se sono saltato su in quel modo.”
Ti capisco,” rispose l'altro, “nella tua situazione c'è da essere sempre tesi.” Rivolse lo sguardo a Herich e aggiunse: “E lui è il ragazzo di cui mi parlavi, vero?”
Sì, Sua Altezza il principe Herich Averin di Dyat.”
Balrich sollevò stupito le sopracciglia. “Nientemeno,” commentò.
Il più giovane abbassò gli occhi imbarazzato.
L'altro si piegò a fissarlo, aggrottò le sopracciglia e disse: “Aspetta... tu sei quello che tutti stanno cercando, il ragazzo del comandante Risskel.”
Herich si fece indietro, Res pose di nuovo la mano sulla spada, ma Balrich fece un gesto come per invitarlo alla calma e proseguì: “Ora mi spiego la generosità del nostro Manse: voi avete bisogno d'aiuto per uscire dalla città.”
È così,” ammise Res.
Balrich sorrise. “È presto fatto. Domattina sono di servizio e dimenticherò di ispezionare il contenuto del carro di Manse.”
Nessuno commentò. Nel silenzio generale che aveva fato seguito a quelle parole, Herich chiese: “È davvero così semplice? Tu dimenticherai di controllare e noi usciremo? Nessun altro vorrà dare un’occhiata, se tu ti dimentichi?”
Sono il comandante della sezione,” rispose la guardia, “non ci saranno problemi.”
D'istinto, il ragazzo volse lo sguardo verso Res.
Il soldato si limitò ad aggrottare le sopracciglia. Aveva già avuto modo di parlare con Balrich e il sesto senso acquisito in anni passati a valutare gli uomini gli diceva che si trattava di una persona leale, che non li avrebbe traditi. Il suo unico dubbio era se egli avesse capito la reale portata del problema o lo stesse sottovalutando. “Non avrai problemi con i tuoi superiori?” gli chiese dubbioso.
Sì, certo. Se lo venissero a sapere,” fu la disinvolta risposta. “Ma non lo verranno a sapere. Chi vuoi che faccia caso al carro di un mercante di granaglie?”
Chiunque stia cercando due persone nascoste, immagino.”
Io controllerò con cura e dirò che le persone non ci sono.”
Ci fu un momento di silenzio assoluto, rotto solo dal lieve crepitare delle candele e dalla vaga eco di una canzone cantata nella sala grande, poi Manse annunciò: “E ora direi che possiamo far portare l’arrosto e della buona birra per mandarlo giù, che ne dite?” Si rivolse a Res e al ragazzo e soggiunse: “E voi due mangiate più che potete: sarà l’ultimo pasto decente che avrete per un bel po’ di tempo.”
Aprì la porta per raggiungere le cucine, ma subito si irrigidì e fece un passo indietro.
Il soldato lo fissò attento. “Che c’è?” gli chiese.
Manse scosse la testa. “Niente di buono.”
Res lo raggiunse e vide che subito dietro la porta, appiccicato a una ragnatela, c’era un lungo capello bianco che ondeggiava pigro.
Questo vuol dire che un As’vaan è stato qui,” ringhiò dopo aver esaminato il capello. “Una donna, direi. Gli uomini non hanno chiome così lunghe.”
Balrich, che si era a sua volta avvicinato, aggiunse: “E in questo momento starà correndo da chi l’ha ingaggiata per riferire tutto quello che ha sentito.”
Res fece qualche passo nervoso per la stanza, con le spalle ingobbite e le mani intrecciate dietro la schiena, infine rialzò la testa con un gesto deciso e proclamò: “Dobbiamo partire subito.”
Subito?” fece eco Manse. “Ma non avete preparato niente, bisogna ancora caricare il carro...”
Di notte le porte sono chiuse, non esce nessuno,” intervenne Balrich categorico.
Di nuovo calò il silenzio. Dopo un po’, Res chiese: “Non c’è modo di uscire dalla città se le porte sono chiuse?”
Non certo con un carro.”
E due persone a piedi?”
La guardia annuì. “Per due persone non sarebbe un problema, conosco un passaggio non lontano da qui.”
Molto bene, allora io e il principe partiremo subito. Chi ci ha spiato sta andando a riferire che noi partiremo domattina su un carro, e invece noi usciremo adesso e a piedi, attraverso un varco nelle mura. Direi che alla fine la cosa si risolverà in un vantaggio per noi.”
Non adesso,” intervenne la guardia, “Prima devo andare a prendere la chiave.”
Quanto ti ci vorrà?”
Una mezz'ora e sono qui.”
Sbrigati, ogni attimo che trascorriamo in questa città può essere l'ultimo.”
Vado.”
Vi prendo delle provviste,” intervenne Manse.
No, niente provviste,” fu la risposta. “Ce le procureremo a Werthyra quando ci arriveremo, non voglio che in cucina scoprano cosa abbiamo intenzione di fare.”
Allora del denaro. Dovrai comprare i cavalli e tutto quanto.”
Res scosse la testa. “Non posso accettarlo, Manse. E poi ho quello che ho guadagnato lavorando.”
Sciocchezze. Vuoi comprare dei ronzini e del pane secco? Se vuoi che il principe torni sano e salvo alla sua città, avrai bisogno di cavalli veloci e resistenti, di abiti adeguati e di provviste.”
Ma...”
Me lo renderai quando tutto questo sarà finito. Verrai a Corvean e chiederai di Manse il carrettiere, tutti mi conoscono.”
Lo farò sicuramente,” rispose Res, faticando per nascondere la commozione.
Certo, e Bridh ci preparerà un pranzo come sa lei.” Si rivolse al ragazzo: “Aspetto anche te, Herich. Conosco mia moglie: sarà felicissima di ospitare un vero principe in casa sua.”

§

Jeisym si stava accingendo a consumare la cena quando un servo lo raggiunse, si inchinò e disse: “Mio signore, una donna chiede di te,”
Il Khan allontanò il piatto d’oro che aveva davanti e chiese: “Una donna? Che cosa vuole?”
Dice che ha informazioni per te, mio signore.”
Porta un altro coperto e falla passare.”
Sì, mio signore.”
Poco dopo provenne dal corridoio l’eco di una risatina, poi una voce femminile in tono civettuolo chiese: “Davvero mi invita a cena? E dopo? Non vuole altro?”
Comparve sulla soglia, scortata dal servo, la ragazza di nome Jadzi, che si aggiustò i capelli, quella sera sciolti sulle spalle, e si fece avanti con arie da gran dama.
Mia cara, sei sempre bellissima,” la accolse Jeisym. “Vieni, siedi con me.”
Ho sentito tutto,” disse la ragazza prendendo posto e cominciando a riempirsi risolutamente il piatto. “Quelli là hanno intenzione di scappare domattina con un carro e Balrich della porta ovest li farà passare.”
Ne sei sicura?”
Come di essere bellissima.”
Jeysim levò il bicchiere nella sua direzione in un muto brindisi, quindi le chiese: “Come hai fatto a sentire quella conversazione?”
Stavo seguendo Balrich per vedere se è vero che ha trovato la fidanzata.”
Chi è questo Balrich?”
Un bel ragazzo. Comunque, come ti stavo dicendo, ero alla locanda vicino al deposito del grano e l’ho sentito parlare con della gente: dicevano che dovevano portare via un principe, nientemeno!” Fece una pausa che utilizzò per scrutare la reazione di Jeisym, ma questi continuava a mangiare imperturbabile. Levò anzi di nuovo il bicchiere verso di lei, come per invitarla a bere a sua volta.
Jadzi si agitò sui cuscini, si guardò intorno perlustrando con gli occhi ogni angolo della sontuosa sala.
Qualcosa non va?” si informò il Khan in tono cortese.
La mia collana?”
Jeisym sorrise. “A tempo debito, mia colomba. Non appena sarò sicuro che quanto mi hai riferito questa sera corrisponde a verità. Ma ora, ti prego: consuma queste vivande e allieta questo luogo con la tua bellezza, mentre io vado alla locanda.”
Jadzi fece il broncio. “Perché ci vai? Tanto passeranno domattina dalla porta ovest.”
Perché aspettare domattina? Potrebbe succedere qualsiasi cosa, in questa lunga notte. Molto meglio andare subito, e sorprenderli nel sonno.”
E io?”
Tu mi aspetterai qui, mio piccolo tesoro, in modo che io possa darti la ricompensa che meriti.”



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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Gente mia,
come sempre grazie a tutti quelli che mi seguono e che mi commentano, è sempre un piacere leggervi!^^




Capitolo 8


Jeisym si fermò appena al di fuori del cerchio di luce creato dalle lanterne della locanda e per un po’ rimase a osservarla in silenzio. Le finestre ormai erano per la maggior parte buie e dall’interno non proveniva alcun rumore. Nell’aria calma c’erano solo un vago frinire di grilli e il latrare lontano di un cane.
L’As’vaan fece un gesto e subito un altro uomo gli si affiancò. “Mio signore?” sussurrò una voce.
Therved, manda gli uomini a circondare questo posto, ma che stiano attenti a non farsi sentire. Voglio prenderli di sorpresa.”
Come tu comandi, Khan.”
Subito dopo torna da me per il piano che abbiamo deciso.”
Ai tuoi ordini, Khan.”
Therved si allontanò e Jeisym riprese a osservare l’edificio: una costruzione vecchia ma ancora solida, con i muri spessi e il tetto spiovente nel quale si aprivano a intervalli regolari degli abbaini. Dal camino usciva appena un filo di fumo. Mentre guardava, le ultime luci si spensero e la locanda precipitò nel buio.
Dopo un po’ ricomparve Therved, che attraversò lo spiazzo illuminato e raggiunse la porta. Bussò due volte.
All’interno si udì un tramestio, ma nessuno rispose.
Therved bussò di nuovo, con più forza.
A quel punto nella porta si aprì uno spioncino che proiettò all’esterno un raggio di luce. Una voce maschile chiese: “Chi è?”
Chiedo ospitalità per la notte,” rispose l’As’vaan con voce sommessa.
La locanda è chiusa.”
Vi prego, non so dove andare, mia moglie sta male.”
Al di là della porta si udì qualcuno confabulare, la luce che proveniva dallo spioncino ebbe un’oscillazione.
Approfittando della distrazione offerta da Therved, accompagnato da quattro dei suoi, Jeisym aggirò silenziosamente l’edificio, raggiunse le scuderie e si arrampicò sul tetto. Da lì gli fu facile raggiungere uno degli abbaini più bassi, attraverso il quale riuscì a poi infilarsi all’interno.
Rimase immobile cercando di farsi un'idea dell'ambiente: doveva essere capitato in una camera, perché da più punti si levava un russare regolare. Si voltò verso i suoi uomini, che apparivano solo come vaghe sagome appena delineate dal chiarore delle stelle, ed emise un breve sibilo. Essi si mossero rapidi, si vide qua e là il baluginare di una lama e i dormienti smisero di russare uno dopo l'altro.
Si spostarono nel corridoio, appena rischiarato da un lumino a olio, da lì scesero le scale e raggiunsero il piano inferiore. Jeisym tese l'orecchio e localizzò il punto in cui si stava svolgendo lo scambio fra Therved e i gestori della locanda. Si mosse rapido in quella direzione e presto incontrò il chiarore dorato di una lanterna. Si sporse a guardare da dietro uno spigolo: tre persone, due uomini e una donna, in abiti da notte, stavano parlamentando addossati a una porta. Al di là, Therved recitava egregiamente la parte del viaggiatore stanco che cerca una sistemazione per la notte.
Fece un cenno e immediatamente i suoi uomini scattarono in avanti. Si udirono il tonfo della lanterna che cadeva, un lieve tramestio e qualche gemito soffocato, poi silenzio.
A quel punto, Jeisym avanzò lento. “Chi è il padrone, qui?” chiese.
I tre prigionieri mugolarono qualcosa, si agitarono cercando invano di liberarsi. Con glaciale calma, il Khan ripeté la domanda.
La donna emise un gemito soffocato.
Jeisym estrasse il pugnale e ne fece scintillare la lama alla debole luce, mettendo in mostra il filo senza un'intaccatura. “Urla e sei morta,” la avvisò.
La donna sbatté le palpebre come per dire che aveva capito.
Molto bene,” proseguì Jeisym. Fece cenno all'uomo che la teneva stretta di liberarle la bocca. “E ora dimmi: c'è qualche carrettiere in procinto di partire, qui da te?”
Manse,” ansimò subito la locandiera, “Manse di Corvean. Ha preparato tutto, andrà via domattina presto. È alla camera due.”
L'As'vaan annuì lento. “Molto bene. C'è qualcun altro con lui?”
Un uomo e un ragazzo. Stanno dormendo.”

Ehi, che cos'è questo scompiglio?” brontolò Manse, svegliato di soprassalto dall'irruzione di quattro predoni As'vaan. Si strofinò gli occhi e fissò gli intrusi a uno a uno con riprovazione. “Domattina devo partire presto,” disse in tono risentito.
Jeisym si fece avanti e chiese: “Dov'è il ragazzo?”
Manse si voltò a guardare un letto sfatto, quindi rispose: “E che ne so? Sarà uscito a fare i suoi bisogni. Io dormivo.”
E l'uomo?”
Manse fece spallucce. “Ah, quello di notte è sempre fuori. Gli piacciono le donnacce.”
Sono amici tuoi?”
Padre e figlio, non so altro di loro. Siccome sono di Corvean, mi hanno chiesto un passaggio. A mia moglie non piace che io dia passaggi a sconosciuti, ma pagano bene e io mi rifaccio delle spese.” Fece una pausa poi chiese: “Hanno fatto qualcosa di male, per caso?”
Jeisym gli rivolse un sorriso ferino. “Tu hai fatto qualcosa di male, Manse di Corvean: non si dicono le bugie.” Gli puntò alla gola il pugnale.
Ma questa è la pura verità, mio signore,” protestò il carrettiere, apparentemente incurante dell'arma che lo stava minacciando, “come vedi, l'uomo e il ragazzo non sono qui.”
Li hai aiutati a scappare? Bada che so chi sono l'uomo e il ragazzo, e non sono certo padre e figlio.”
Manse a quel punto cambiò espressione. Annuì come chi vede le cose andare esattamente secondo le previsioni e gli rivolse un sorriso placido. Tranquillamente gli disse: “In ogni caso, giovane As'vaan, ormai ti sono sfuggiti. Puoi accanirti su di me, ma non ti servirà a nulla, perché Dras mi è testimone che io non so dove siano in questo momento.”
E non sai nemmeno dove stanno andando?” La lama premette contro il collo dell'uomo, facendone stillare qualche goccia di sangue.
Egli però rimase imperturbabile. “Lo sa Dras.”
Jeisym si fece indietro con il movimento di un puledro nervoso. “Non è detta l'ultima parola,” ringhiò fissandolo con occhi di fuoco. “Come ho trovato te troverò loro, fosse l'ultima cosa che faccio.”

§

Herich si strinse nel mantello ed emise un sospiro. “Manca molto?” chiese.
Sei stanco, principe?” s'informò Res.
Un po'.”
Il soldato annuì. Per un ragazzo abituato a stare in biblioteca o a recitare preghiere insieme ai chierici, anche quelle poche miglia, percorse nel fresco della notte e su una strada lastricata, erano state uno sforzo intenso. “Presto arriveremo a destinazione,” lo rassicurò.
Werthyra era già apparsa all'orizzonte, nitida nel chiarore dell'alba, adagiata come un gioiello sull'ultima foschia che ancora ammantava i campi.
Tutt'intorno non si vedeva anima viva, ovunque regnava un silenzio estatico, assoluto, nel quale a ogni passo si udiva addirittura il fruscio delle vesti che si muovevano sui corpi.
Res inspirò l’aria tersa, godendo della calma bellezza del mattino, e si voltò verso il ragazzo come per suggerirgli di fare altrettanto.
Raggiunsero Werthyra che il cielo aveva già perso i colori dell'alba. I primi negozianti stavano cominciando ad aprire le botteghe e nella piazza centrale il mercato era in allestimento. Le donne chiacchieravano animatamente stendendo a terra i loro teli, sui quali disponevano poi frutti di vari tipi e mazzi di verdure. Si approssimò un uomo dalla barba grigia su un carretto trainato da un asino, si fermò in un angolo della piazza e tirò fuori cassette piene di nastri, fermagli per i capelli e cosmetici. Accanto a lui prese posto il maniscalco, che dispose i suoi strumenti su una cassetta rovesciata e rimase ad attendere clienti.
Res adocchiò una bancarella che vendeva cibi caldi. Si rivolse al ragazzo e a bassa voce gli disse: “Perdonami se non mi rivolgerò a te con il titolo che ti spetta, ma in questi posti non è bene che la gente sappia chi sei.” Poi, in tono più alto: “Ti vanno un po' di frittelle, Herich?”
Il più giovane tentennò. “Io, veramente...”
Non ti piacciono?”
Non le ho mai mangiate,” fu l'imbarazzata ammissione.
Res gli sorrise con fare incoraggiante. “Sono un cibo povero, da soldati. Per quello non le hai mai mangiate. Però ti assicuro che ancora calde, servite con il miele e un po' di cannella, sono una delizia.”
Senza attendere risposta si avvicinò al banchetto e ne comprò un po'. Ne porse una a Herich. “Attento che è calda,” gli raccomandò.
Il ragazzo la prese con due dita. Dapprima ne staccò cauto un piccolo pezzo, indeciso su come consumarla senza posate, poi l’assaggiò e sul volto gli comparve un sorriso. Finì il resto in due bocconi.
Piano, se no ti bruci,” gli raccomandò Res.
È buona.”
Quando si entra in qualche città, le bancarelle che fanno le frittelle sono la prima cosa che si va a cercare. Ancora prima della birra, qualche volta.”
Il ragazzo lo guardò con l'aria di non aver capito ed egli specificò: “Ai soldati piacciono molto. Assieme alla birra, poi, sono squisite.”
Herich emise un sospiro e disse: “Mi piacerebbe essere un soldato.”
Res scosse la testa. “Non credo. Tu hai visto i generali, finora. Hai visto tuo fratello. La vita del soldato non è quella. È dormire per terra, sopportare fame e intemperie, trovarsi sul campo di battaglia in mezzo alla mischia con gente che ti colpisce da tutte le parti senza nemmeno sapere cosa sta succedendo.”
Herich alzò gli occhi su di lui e lentamente rispose: “Se dovessi scegliere se essere come mio fratello o essere come te non avrei dubbi, Res.”
Non ti rendi conto della stupidaggine che hai appena detto,” ringhiò l'uomo, con voce improvvisamente dura.
Il ragazzo lo fissò stupefatto. “Ma Res...” balbettò.
Non dirlo mai più.” Allungò il passo in modo da lasciarselo dietro le spalle e in un silenzio cupo raggiunse una bottega che vendeva equipaggiamenti da viaggio.
Controllando che il principe non si allontanasse troppo, si immerse nella scelta e successiva contrattazione del materiale adeguato. Le parole del ragazzo lo facevano soffrire, forse proprio perché pronunciate con tanta limpida spontaneità. Si chiese come avrebbe reagito Herich, il cui sguardo ammirato gli bruciava costantemente addosso come il sole su una piaga, se avesse saputo chi era veramente: probabilmente lo avrebbe odiato o disprezzato. Come lui meritava, peraltro.

Lasciarono la città nel primo pomeriggio, in sella a due cavalli di Yereia, robusti e veloci. Res era soddisfatto di averli trovati: erano costati molto, ma si trattava di soldi ben spesi, perché in generale erano più resistenti dei cavalli degli As'vaan e sulla lunga distanza erano in grado di lasciarli indietro. Ai lati della sella, entrambi avevano delle bisacce con dentro il necessario. Niente cibi da cuocere, per non essere obbligati a fare il fuoco ogni sera, e niente di superfluo per non appesantire troppo le bestie.
Con il resto dei soldi che gli aveva dato Manse aveva comprato una buona spada per sé e una più leggera per il ragazzo, un arco con una faretra di frecce e qualche rotolo di bende e dell'unguento per la sua ferita, che nonostante le attente cure di Hjalmianna era ben lungi dall'essere chiusa.
Imboccarono la strada che li avrebbe condotti verso il Waerund in un silenzio greve. All'orizzonte, davanti a loro, nubi cupe si andavano addensando.

§

Jeisym tese il braccio protetto dalla manica di cuoio imbottito e l'aquila prese il volo con uno strido acuto.
L'As'vaan fece poi scorrere lo sguardo su un recinto nel quale si muovevano eleganti dei robusti destrieri di razza Yereian, e in tono distratto osservò: “E così, ieri è venuto uno straniero e te ne ha comprati due?”
Sì, mio signore,” confermò volenteroso un uomo alto e robusto, che però al suo cospetto teneva le spalle ingobbite e il cappello stretto fra le mani. “Uno del Fjorn, se non mi sbaglio di grosso. Ha preso i più grandi.”
Era solo?”
No, mio signore. C'era un ragazzo con lui.”
Jeisym sollevò interessato le sopracciglia. “Un ragazzo, dici?”
Sì, per tutto il tempo è rimasto in un angolo, con un cappuccio tirato sugli occhi.”
Hanno per caso detto dove andavano?”
L’uomo annuì con decisione. “Hanno detto che andavano a caccia nella steppa, mio signore.”
Molto interessante,” rispose assorto Jeisym. “Ti ringrazio per queste informazioni, mi sono molto utili.” Tirò fuori dalla scarsella alcune monete d'oro e gliele consegnò, quindi si allontanò a passi lenti al recinto, raggiunse il suo destriero e rimontò in sella.


Si allontanò meditabondo dal mercante di cavalli. L'aquila tornò planando in maestosi cerchi e si posò sul suo braccio. “Hai visto niente, amica mia?” le chiese.
L'uccello rimase muto.
Jeisym alzò gli occhi su Therved, che gli si era affiancato, e disse: “Questo significa che hanno almeno mezza giornata di vantaggio.”
Se non una,” fu la cupa risposta.
Il Khan aggrottò le sopracciglia. “Possiamo riprenderli.”
Prego Halmaikah che accada presto, mio signore.”
Jeisym non rispose e mantenne un'espressione impenetrabile. Aveva imparato a conoscere il principe: era un ragazzino sensibile e intelligente ma sprovveduto, che non sapeva nulla del mondo. In tutto il tempo che aveva trascorso nella sua casa di Perechyra non era riuscito nemmeno a racimolare il coraggio per tentare di uscire dal portone e di certo le sue azioni non avrebbero mai potuto rappresentare un pericolo per lui.
Era l'altro che lo impensieriva: era un'ombra senza volto, scaltra e decisa quanto il ragazzo era ingenuo e irresoluto. Sapeva muoversi, sapeva combattere e di certo non gli mancava il coraggio.
Si chiese chi fosse, perché stesse effondendo tanto impegno per un'impresa che sembrava persa in partenza.
Se era qualcuno che si era salvato ai templi di Os'lak, infatti, non poteva ignorare che il mandante di tutto era il fratello maggiore del ragazzo. Quindi che cosa voleva fare? Lo voleva riportare alla sua città d'origine, ovvero nella tana della belva che già una volta aveva tentato di sbranarlo, oppure la sua idea era di andare da qualche altra parte?
Strinse i denti con rabbia: il problema di quell'uomo misterioso non sarebbe esistito, se lui non avesse creato i presupposti per farlo esistere. Tornò con la memoria al momento in cui gli avevano deposto ai piedi il ragazzo addormentato e lui aveva deciso di risparmiarlo per trarne un ulteriore guadagno.
Anche presso la sua gente, che pure viveva di preda e di rapina, erano molteplici le leggende che ammonivano a guardarsi dalla troppa avidità. Nell'illusione di riuscire ad accaparrarsi un pezzo di carne più grosso, il cane di una vecchia favola lasciava cadere quello che già stringeva tra le fauci e alla fine rimaneva senza niente.
Si chiese se anche a lui sarebbe capitata la stessa cosa e si chiese cosa avrebbe detto in quel caso suo padre, che dal palazzo di Jessartiaz vigilava sulle sue azioni per decidere se fosse degno di succedergli o no.
La voce di Therved lo distrasse dalle sue meditazioni: “Ti vedo pensieroso, Khan.”
Jeisym gli rivolse uno sguardo in tralice e rispose: “Stavo pensando che questa è la mattina ideale per cavalcare.” Spronò il suo morello, che subito scattò in avanti distaccando il resto del gruppo.


§


Rannicchiato nel suo mantello, infreddolito e stanco, Herich osservava il paesaggio farsi sempre più indistinto mentre la luce si affievoliva in un crepuscolo senza colore. L'unico rumore che si udiva era il monotono scrosciare della pioggia.
Si trovavano in quello che rimaneva di un antico tempio. Gli arredi e gli ornamenti erano scomparsi, rubati forse, o semplicemente consumati dal tempo, ma rimaneva la possente struttura architettonica, che faceva pensare a un culto solenne, magnifico, dedicato a una divinità dal tremendo potere.
Si chiese se nei recessi oscuri della struttura aleggiasse ancora qualche vestigia della presenza di quel dio.
Ripensò al tempio di Dras, provò a immaginarlo senza alcun ornamento, ridotto ai soli muri. Chissà se sarebbe apparso splendido e sinistro come quello che stava contemplando?
La voce di Res lo distrasse: “Sei stanco, principe?”
Herich annuì. “Sì,” rispose semplicemente. Si passò una mano fra i capelli umidi, cercò di sciogliere le membra irrigidite dalla lunga cavalcata. Ormai erano giorni che trascorrevano le ore di luce in sella, si accampavano al crepuscolo, consumavano un pasto frugale, dormivano per terra e ripartivano all'alba. In quell'occasione per fortuna avevano trovato un riparo, ma era accaduto anche che dormissero sotto la pioggia, con l'esigua protezione di un telo cerato.
Anche Res era stanco. Ogni tanto lo vedeva tremare, e sapeva che non era non per il freddo. Sapeva che la ferita gli faceva male, gli capitava di sorprenderlo con un'espressione tesa sul viso, o notava che si muoveva rigido sulla sella, come se determinate posizioni gli provocassero dolore. Il taglio non si era ancora chiuso completamente del resto. Lo aiutava a medicarsi, ormai aveva imparato a dominare la repulsione che la piaga gli suscitava, e ogni sera le bende che gli toglieva erano macchiate di sangue.
Guardò fuori: la luce era ormai scemata del tutto. Si vedeva qualcosa del paesaggio solo all'orizzonte, dove il punto in cui il sole era calato manteneva un debole lucore grigiastro, che si rifletteva sulle ondulazioni della pianura.
Quando arriveremo, Res?” chiese. La sua voce si riverberò sulle volte del soffitto, dando l'idea che a porre quella domanda fossero decine di creature appostate dove la luce del fuoco non riusciva a giungere.
Il soldato prese un bastoncino dalla punta carbonizzata e si sedette accanto a lui. Cominciò a tracciare dei segni sul pavimento. “Questa è Perechyra,” spiegò, disegnando una X. Da lì tracciò una lunga linea e disse: “Questa è la strada che stiamo percorrendo. A sinistra abbiamo le steppe di As'del e a destra la regione di Rodr.”
Dove c'è Lidas?”
Esatto, è al confine con il Waerund.”
Herich emise un sospiro. “È lì che è nato Adale.”
Chi?”
Adale di Lidas, un grande eroe del passato.” Il ragazzo rimase in silenzio per qualche istante, quindi soggiunse: “Anche se non sarà mai grande come Resen-Lhaw.”
A quelle parole fece seguito un tale silenzio da far pensare che la pioggia avesse smesso di cadere e il fuoco di crepitare. Herich si girò sentendo distintamente il fruscio dell'abito e il rumore dei capelli che gli si spostavano sulle spalle: immobile, lo sguardo rivolto verso il buio delle bifore vuote, Res sembrava un blocco di pietra.
Ho... detto qualcosa che non va?” mormorò il ragazzo.
Si udì lo schiocco del bastoncino che si spezzava. “Sì.”
Di nuovo calò un silenzio greve come una pietra tombale. Dopo un po', Herich osò chiedere: “Che cosa c'è, cos'ho detto di sbagliato?”
Con voce appena udibile, senza girarsi il soldato sibilò: “Tu ti aggrappi alle stupidaggini che leggi sui tuoi libri e non hai idea di come siano le cose veramente. Non te lo chiedi nemmeno: per te la realtà è quella delle tue pagine di storie epiche, non hai mai visto un campo di battaglia, non ti sei mai trovato in uno scontro, in preda a dolore, fatica e terrore di morire, mentre vedi cadere i tuoi compagni davanti ai tuoi occhi e senti le loro urla di agonia...” Si interruppe, il ragazzo lo vide ingobbirsi ulteriormente, stringere i pugni come se avesse voluto frantumarseli. “Resen-Lhaw, il tuo Resen-Lhaw di cui hai letto tante imprese eroiche, esiste solo nelle pagine dei tuoi stupidi libri. Nella realtà era un mentecatto miserabile, che ha mandato al macello le sue truppe perché non era in grado di comandarle.”
Non è vero!” sbottò Herich.
Il soldato si voltò di scatto verso di lui. I suoi occhi azzurri si erano fatti taglienti come lame. “Non è vero, dici? E tu come fai a saperlo? L'hai conosciuto, per caso?”
Lui è stato un eroe. Lo sanno tutti che la Guerra Orientale si è conclusa con una vittoria solo grazie al suo eroico sacrificio.”
Quello che tutti sanno è solo una montagna di balle. Sono stupidaggini, buone solo per gli stolti e i creduloni.”
E tu come fai a dirlo? L'hai conosciuto, per caso? Oppure anche ai tempi della Guerra Orientale eri solo un soldato buono a nulla e disprezzato da tutti come ti ho conosciuto a Dyat? Tu sei invidioso di lui, ecco che cosa sei!”
A quelle parole, Res si alzò in piedi con minacciosa lentezza, arrivando a torreggiare su di lui. Herich deglutì a vuoto e indietreggiò di un passo, ma l'altro, immobile, si limitò a rivolgergli un lungo sguardo che aveva il sapore amaro della delusione. Alla fine, sempre in un silenzio glaciale gli girò le spalle e si allontanò, stese il proprio giaciglio in un angolo della stanza e si coricò voltandogli la schiena.


Raggomitolato nel suo mantello, Res sentiva Herich singhiozzare piano. Non era pentito di avergli rivolto quelle parole dure: il ragazzo era stato tenuto per troppo tempo lontano dalla realtà ed era bene che cominciasse a capire che tra le pagine dei suoi libri e la vita reale c’era spesso una profonda differenza.
Era bene che abbandonasse certi puntigli infantili, se in un futuro doveva diventare re, e cominciasse a rapportarsi con i fatti concreti e non con la rappresentazione ideale che aveva degli stessi.
Aveva conosciuto soldati del genere, e di solito tendevano a morire alla prima battaglia. Alla seconda, se erano particolarmente fortunati.
Se al contrario erano molto sfortunati, sopravvivevano mutilati o invalidi, e avevano tutto il resto della vita per capire la differenza tra la loro immagine ideale di battaglia e la guerra vera.
Generalmente, il miglior servizio che si poteva fare a costoro era proprio aiutarli ad aprire gli occhi, possibilmente prima che lo facesse la guerra.
Si mosse adagio, cercando di raggiungere una posizione in cui il fianco smettesse finalmente di pulsargli. Sfiorò con le dita il bendaggio e anche quella pur debole pressione fu in grado di spedirgli attraverso il corpo una fitta di dolore che gli fece venire la pelle d’oca. Emise un sospiro e si costrinse a ignorare le proprie condizioni. In ogni caso, non avrebbe dovuto preoccuparsene ancora per molto.


§


L’alba giunse fredda e lugubre. Aveva smesso di piovere, ma il terreno era disseminato di pozzanghere grigie e cupe come specchi di piombo.
L’aria era immobile, il silenzio assoluto.
Nemmeno il verso di un uccello turbava quella quiete sinistra.
I due cavalli procedevano a passo lento, arrancando nel terreno fangoso. Res si voltò indietro preoccupato: sebbene avessero guadagnato del vantaggio sugli As’vaan, quel terreno rischiava di dissolverlo, perché cavalli più leggeri vi si sarebbero mossi molto meglio dei loro. Non poteva però aumentare l'andatura, perché se una delle bestie di fosse azzoppata sarebbe stata la fine del loro viaggio.
Herich procedeva a qualche passo di distanza, silenzioso e con la testa china. Probabilmente si era pentito di ciò che aveva detto la sera prima, ma non sapeva come fare per scusarsi.
Non disse nulla. Non era più il momento di facilitare le cose al ragazzo, ma soprattutto non era più il momento di approfondire una conoscenza che a breve sarebbe dovuta comunque finire. Alzò gli occhi sul cielo grigio e poi li volse all'orizzonte, dove le brume del terreno si confondevano con le nubi basse. Qua e là sorgeva qualche albero spoglio, o qualche rovina in lento disfacimento.
Trasse da una bisaccia della sella una pergamena e la srotolò sull'arcione, rivelando una mappa. Seguì col dito uno dei percorsi che vi era tracciato, alzando di tanto in tanto la testa a scrutare i dintorni. Prese poi la bussola che aveva al collo, ne aprì il coperchio e rimase a fissare l'ago fino a che le sue oscillazioni non cessarono quasi del tutto.
A quel punto si fece udire la voce di Herich: “Manca molto a Dyat?”
Res si voltò nella sua direzione: il ragazzo lo stava fissando dubbioso, forse si aspettava una risposta brusca. “Entro questa sera raggiungeremo l'Edayr,” si limitò a informarlo, “seguendo il suo corso arriveremo a Dyat in un'altra mezza giornata di marcia.”
Il più giovane si rizzò sulle staffe come per abbracciare una porzione maggiore dell'orizzonte, poi chiese: “Quindi siamo quasi arrivati?”
Non è finita finché non è finita, principe.”
Il ragazzo non replicò, Res tornò a concentrarsi sulla mappa. Procedettero in un silenzio rotto solo dal rumore degli zoccoli e dallo sporadico tinnire dei finimenti.


§


Jeisym spinse il cavallo su una piccola altura e da lì rimase a lungo a osservare l'orizzonte. L'aquila volteggiava sopra di lui in lenti cerchi, ma rimaneva in silenzio.
Significa che non vede niente,” considerò Therved, rivolgendo un'occhiata al maestoso rapace.
Andiamo avanti,” fu la secca risposta, poi il Khan spronò il destriero e discese verso una pianura appena ondulata, spoglia, disseminata qua e là dei resti di antichi templi.
Due file di orme si perdevano all'orizzonte, parallele come i solchi lasciati da un carro.
Spronò il destriero e raggiunse le impronte, smontò di sella e si chinò a osservarle. I bordi erano più secchi rispetto al fondo, nel cavo di alcune di esse si era già depositato qualche granello di sporcizia. “Sono vecchie di un giorno,” ringhiò fra i denti. Di nuovo alzò gli occhi sull'aquila, ormai così alta da essere solo un puntino nel cielo grigio. Conosceva Shaar e tutti i modi in cui essa volava: quello indicava chiaramente che stava scrutando ogni anfratto, ma non riusciva a trovare ciò che stava cercando.
Maledetto,” sibilò. Riandò con la mente alla figura nera e silenziosa che aveva visto al mercato degli schiavi. Ormai cominciava a convincersi che Therved avesse ragione e che stessero in realtà inseguendo un demone di Vurar. Si chiese se esso li avrebbe infine condotti alla rovina come voleva la leggenda.
Rimontò a cavallo e prese a seguire le tracce, gettando di tanto in tanto uno sguardo all'aquila, che continuava a volteggiare in un silenzio attento.
Raggiunse dopo un paio d'ore quello che rimaneva di una costruzione che un tempo doveva essere stata magnifica: una navata immensa, sostenuta da possenti pilastri, con finestre alte venti braccia, in cui si coglievano ancora le vestigia di splendidi rosoni. Dal tetto sorgeva una cupola maestosa, altissima, che un tempo doveva essere stata il punto di riferimento per i viaggiatori di tutta la regione. Jeisym la immaginò con la copertura di lucido rame che doveva aver avuto all'epoca e involontariamente strinse gli occhi come per proteggersi da un sontuoso sfolgorare di luce.
Le impronte che stava seguendo entravano e uscivano dall'edificio, segno che i fuggitivi vi avevano trovato riparo per la notte.
Lo raggiunse con il suo seguito, smontò da cavallo e vi entrò accompagnato da Therved.
La polvere dei secoli aveva coperto qualsiasi cosa, per cui seguire le tracce era molto facile. Jeisym si chinò a osservare il pavimento e disse: “Sono entrati conducendo i cavalli a mano e stava di sicuro piovendo, perché hanno lasciato gocce dappertutto. I cavalli erano stanchi, guarda come trascinavano gli zoccoli.” Si alzò, fece girare lo sguardo tutt'intorno, poi lo fissò verso un punto alla base di un pilastro. “Là hanno messo i cavalli. Solo uno li ha rigovernati, direi l'uomo, visto che le impronte dei piedi sono grandi.” Fece un sorrisetto e soggiunse: “Il principe ovviamente non si abbassa a lavori così triviali.” Si chinò a osservare un escremento equino e confermò: “Come pensavo: vecchio di un giorno.”
Si rialzò, fece qualche passo nell'ampia sala. Una volta imparato l'alfabeto, per così dire, le impronte diventavano un libro che raccontava una storia. I due erano stati uno accanto all'altro e probabilmente avevano parlato del percorso, perché con un carboncino era stata tracciata una rozza mappa sul pavimento. Il disegno però non era completo e il bastoncino giaceva spezzato in due, segno che a un certo punto per qualche motivo l'atmosfera doveva essersi raffreddata. Uomo e ragazzo avevano poi dormito lontani, uno accanto al fuoco – verosimilmente il ragazzo – e l'altro a ridosso di una parete, il che era strano, perché nei bivacchi precedenti erano sempre stati uno accanto all'altro.
Il problema però, al di là dell'interessante lettura, rimaneva invariato: mantenevano un giorno di vantaggio. Certo con quel terreno il vantaggio si sarebbe ridotto, gli yereian erano troppo pesanti e sicuramente stavano affondando nel fango fino ai nodelli, ma la distanza da colmare rimaneva comunque enorme e la meta si stava inesorabilmente avvicinando.
Therved si avvicinò e disse: “Non meno di un giorno, Khan.”
Jeisym si girò a fissarlo con durezza. “Che cosa?”
Il loro vantaggio.”
Lo so, per tutti gli Abissi di Ghadar. Lo so benissimo. Ma possiamo ancora farcela.”
Sai che non è così, Khan. Dovrebbe intervenire Halmaikah in persona, e sbarrare loro il passo.”
Jeisym emise un sospiro e rispose: “Halmaikah si comporta come tutte le belle donne: chiede, chiede e chiede, ma quando è il momento di dare fa finta di essere distratta. Si limita a segnare col pollice i purosangue più pregiati e a vegliare sulla bellezza della steppa, ma faccende triviali come il valore di un figlio agli occhi di suo padre non le interessano.”
Non dire queste cose, Khan,” lo ammonì Therved. Spostò fugacemente lo sguardo verso l'alto, come per accertarsi che effettivamente la neghittosa divinità non stesse prestando attenzione alle loro parole.
Halmaikah sa che è vero,” rispose Jeisym con un'alzata di spalle, “e siccome è una divinità, fa comunque quello che le pare.”
Uscì dall'edificio in rovina e per un po' scrutò assorto il cielo. Shaar non era più in vista, ma il fatto che non si vedesse in giro nessun altro uccello suggeriva che fosse posata non lontano.
Fece qualche passo, un refolo di vento gli scompigliò i capelli candidi e arruffò le criniere dei destrieri. Si voltò verso i suoi uomini, che pur con l'aria di essere assorti nei loro pensieri lo stavano fissando con aspettativa.
Therved!” chiamò.
Subito il suo secondo lo raggiunse. “Mio signore?” chiese.
Therved, il cinghiale che non è capace di deviare la sua carica finisce dritto nella rete del cacciatore. Quello scaltro, invece, che sa frenare il proprio impeto e trovare altre strade, ottiene ciò che vuole.”
L'uomo lo fissò stupito. “Mio signore?”
È inutile che sfianchiamo i nostri cavalli per colmare una distanza che nemmeno Halmaikah, con i suoi destrieri celesti, riuscirebbe a coprire. Nys e Den'en sono ancora presso il principe Dewrich, saranno loro ad andare incontro ai fuggitivi e a uccidere il ragazzo.”
Sempre ammesso che siano ancora vivi,” rispose Therved.
Sanno badare a loro stessi, inoltre Dewrich sa che se li uccidesse dovrebbe poi guardarsi dalla mia vendetta.”
Ti faccio notare, Khan, che il principe Dewrich conta di essere re a breve. Avrà un intero esercito a proteggerlo dalla tua vendetta.”
Jeisym scosse la testa. “Non così in fretta: succederà al padre solo alla sua morte, come in tutte le case regnanti che si rispettino. Per ora è solo l'erede al trono.” Raggiunse il suo cavallo e rimontò in sella, quindi proseguì: “E comunque, nemmeno un esercito di centomila soldati può proteggere qualcuno dal veleno o dalla freccia di un sicario.”
Therved montò in sella a sua volta, affiancò il Khan e gli chiese: “Cos'avresti in mente, mio signore?”
Manderò Shaar a raggiungerli al monastero di Voldas. L'aquila porterà loro un messaggio. Non dovranno fare altro che appostarsi da qualche parte lungo la strada per Dyat e ucciderli quando li vedranno arrivare.”
Therved rimase in silenzio.
Jeisym lo fissò aggrottando le sopracciglia e gli chiese: “Non sei convinto?”
L'altro continuò a tacere.
Parla,” gli ingiunse a quel punto il Khan. “Voglio sapere quali sono i tuoi dubbi.”
Un piano del genere ha bisogno davvero della mano benevola di Halmaikah per funzionare, Khan. Presuppone che Nys e Den'en siano ancora vivi e liberi, che possano spostarsi senza attirare l'attenzione del principe Dewrich e che riescano a individuare il ragazzo e a ucciderlo. Non dimenticare poi che è accompagnato da un demone di Vurar, che ha abbattuto da solo sei guardie e il comandante Risskel.”
Nemmeno i demoni sono immuni alle frecce avvelenate, che io sappia,” rispose Jeisym, quindi soggiunse: “Inoltre, è l'unico modo che abbiamo per tentare di fermarlo prima che arrivi a destinazione. Noi da qui non riusciremmo mai a raggiungerlo in tempo.”


§


Nys finì di pettinarsi i lunghi capelli bianchi e se li acconciò in una treccia che poi fermò con un laccio di cuoio. Raggiunse gli spalti del monastero fortificato di Voldas e per un po' rimase a guardare l'orizzonte. La pianura si estendeva verde e ondulata fino alle pendici dei monti Kelis ormai coperti delle prime nevi, nel cielo terso vi era solo qualche rara nube. Il vento che sussurrava nell'erba alta gli comunicò un'atroce fitta di nostalgia.
Udì dei passi alle spalle e subito si girò con un movimento istintivo, mentre la mano gli correva al pomo della spada.
Sono io,” lo rassicurò Den’en.
Dov’eri?”
Ho fatto qualche scambio con la spada. Visto che dobbiamo stare qui, tanto vale approfittarne.” A torso nudo, incurante del vento gelido che spirava dalle vette dei Kelis, si passò le mani fra i capelli, che a differenza degli altri As’vaan portava corti. “Che c’è di nuovo?” chiese.
Nys alzò le spalle. “Niente. Avremmo fatto meglio a rimanere accampati fuori, secondo me.”
Avremmo dovuto procurarci provviste ed equipaggiamenti per stare fuori così a lungo. E poi il principe avrebbe capito che diffidiamo di lui al punto da non voler stare chiusi da qualche parte con lui.”
Io credo che lo sappia già,” obiettò Nys.
L’altro gli si affiancò e a sua volta lasciò scorrere lo sguardo sulla pianura deserta. Rimase in silenzio per un po', poi disse: “Quest’attesa è snervante. Mi sento come se fossimo due lupi in mezzo a un branco di mille cani. Certo, per ora non ci fanno niente, ma come potremmo difenderci, in due, se il principe decidesse di eliminarci?”
Il principe non può eliminarci. Sa bene che la vendetta sarebbe terribile.”
Den’en emise uno sbuffo infastidito. “È come stare sotto una lama sospesa a un crine di cavallo.”
A proposito di cavalli,” sospirò Nys, “Quanto vorrei fare una bella cavalcata. Il mio baio è così veloce che quando galoppa ti fa lacrimare gli occhi, ti sembra di volare.” Assunse un’espressione sognante.
L’altro gli diede una gomitata e replicò: “Non sarà mai veloce come il mio sauro.”
Il primo stava per protestare quando dal cielo provenne un lungo strido. Simultaneamente alzarono lo sguardo e videro che un’aquila si stava approssimando a gran velocità.
Subito Den’en si fece ombra con la mano e scrutò il rapace in avvicinamento. “È Shaar!” esclamò alla fine, “È il messaggero del nostro signore.” Si fece indietro per lasciare spazio all’aquila.
Nys sorrise e disse: “Finalmente Halmaikah ha ascoltato le nostre preghiere e il Khan ci manda a chiamare.”
Il rapace si posò solenne ed essi si accorsero che aveva un piccolo rotolo legato a una zampa.
Den’en lo staccò delicatamente e lo svolse, rivelando un testo scritto in caratteri fini e regolari. Alzò lo sguardo sul compagno e disse: “Meglio andare in un posto più tranquillo.”
L'altro annuì. “Scendiamo,” propose.
Mentre l'aquila riprendeva il volo e si allontanava con lenti battiti d'ala, i due abbandonarono gli spalti e raggiunsero un anfratto appartato del giardino in cui sorgeva l'altare di Jechen. Si guardarono rapidamente intorno per accertarsi di essere soli, quindi Den'en riprese il biglietto che nel frattempo aveva nascosto.
Man mano che procedeva con la lettura, la sua espressione virava verso una via di mezzo tra stupore e preoccupazione. Quando ebbe finito, rialzò la testa e disse: “Questa, poi...”
Nys si avvicinò incuriosito. “Brutte notizie?” chiese, scrutando a sua volta la piccola pergamena.
Strane, più che altro. Il nostro signore ci chiede di andare verso la città di Dyat e di fermare il fratello del principe Dewrich prima che vi giunga. Specifica di non dire niente al principe.”
Il fratello del principe? Ma non era stato ucciso?”
Den’en si strinse nelle spalle. “A quanto pare, no.”
Non ci capisco niente.”
Nemmeno io, ma il nostro signore ci ordina di abbandonare il monastero senza farci vedere e recarci alla strada che conduce a Dyat. Il ragazzo viaggia con un uomo di corporatura possente, entrambi montano cavalli Yereian.”
Beh, allora andiamo a prendere le nostre armi e i cavalli,” disse Nys.
Non così in fretta, amici miei,” ammonì una voce alle loro spalle.
I due dapprima si immobilizzarono, poi si girarono e si trovarono davanti il principe Dewrich, in armatura e seguito da una torma di guerrieri.
Questi si fece avanti lentamente. La sua espressione era in apparenza tranquilla, ma suoi occhi verdi fiammeggiavano. Stese la mano e Den’en dopo qualche esitazione vi depose la pergamena. Il principe la strinse in pugno e disse: “E così, il mio caro fratello è sfuggito alla morte e ora sta tornando a reclamare il trono? Decisamente efficienti i predoni di As'del, non c’è che dire. Una sola cosa vi avevo chiesto: uccidere quel piccolo bastardo.” Fece un sospiro come di esasperazione, poi proseguì: “Ho sborsato migliaia di monete d’oro per questo lavoro, e chi sta arrivando in città adesso? Proprio lui. Mi sa che dovrò provvedere personalmente.”



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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Resen-Lhaw 9 Carissimi lettori, adoratissime lettrici,
siamo giunti alla fine dell’ennesimo mappazzone.
Devo a tutti voi un grandissimo ringraziamento, per avermi seguito, incoraggiato, consigliato e commentato, per avermi comunicato le vostre idee e le vostre impressioni e per avermi dato i vostri suggerimenti.
Come dico sempre, una storia non esiste in sé, prende vita se qualcuno la legge.
Quindi grazie a tutti voi per aver dato vita alla mia storia.







Capitolo 9

Il principe Dewrich spronò il suo roano con un colpo di tacco che spinse l'animale a sgroppare infastidito. “Buono,” gli ingiunse, stringendo le ginocchia e raddrizzando la schiena. Rinsaldò la presa sulle redini e il destriero arcuò il collo portando le orecchie all'indietro. “Buono!” ripeté il principe a voce più alta.
Investita in pieno dal sole della tarda mattinata, Dyat era come una bella donna che si mostrava ma poi era restia a concedersi. Il palazzo reale letteralmente scintillava, candido e splendente nella luce tersa; spinti dal vento, i suoi rossi vessilli si torcevano in volute sensuali.
Strinse i denti: aveva passato la vita a prepararsi per essere un giorno il signore di quel palazzo e di tutto il Daishrach. Aveva percorso la Via della Spada, consacrandosi a Jechen, e aveva sparso sudore, lacrime e sangue, perché la Via non era mai stata facile. Non appena aveva avuto l'età giusta, aveva cominciato a seguire il padre in ogni missione, in ogni incontro diplomatico e in ogni celebrazione. Su sua concessione, aveva esercitato la giustizia su feudi lontani o ricondotto all'obbedienza nobili recalcitranti. Era stato inflessibile in quelle circostanze, perché così ci si aspettava che dovesse essere un re, e suo padre l'aveva ogni volta avvallato, anche quando i cortigiani mormoravano sulla sua mano pesante o sulla sua mancanza di pietà.
Non era stato facile resistere a quelle ondate di biasimo, sostenere quegli sguardi di muta accusa, ma ogni volta si era imposto di riuscirci.
Non si era mai mostrato debole, tentennante o pavido, nemmeno quando in realtà era spaventato a morte o non sapeva che fare.
Aveva sopportato qualsiasi cosa, in vista del futuro ruolo di sovrano.
E poi era arrivata una stupida cerimonia, una faccenda da comari che fanno e tolgono il malocchio, e in un istante tutto era svanito: il prescelto era suo fratello, a lui non sarebbe rimasto altro che qualche miserabile ruolo secondario a corte, o magari, se suo fratello si fosse dimostrato buono, il comando di una parte dell'esercito. Non di tutto, naturalmente, per scongiurare il rischio di rivolte.
Lui, il maggiore, il più forte, il guerriero consacrato, avrebbe dovuto ritirarsi in buon ordine di fronte a un moccioso che aveva paura della propria ombra, debole, inetto e irresoluto. L'acciaio avrebbe dovuto cedere il passo alle piume, il leone al coniglio.
Si chiese se Dras fosse compiaciuto di quel raffinato scherzo, se dall'alto del suo trono celeste se ne stesse godendo gli effetti. Rivolse al cielo uno sguardo di sfida.
Tornò poi a fissare la città: c'era una sola strada per arrivare a Dyat, ovvero quella che attraversava le Cascate Grandi. C'erano anche altre entrate, naturalmente, che lui conosceva perché fin da giovanissimo si era posto l'obbligo di sapere tutto della città in cui avrebbe dovuto regnare, ma che senza dubbio il suo stupido fratellino, perso nei libri di epica e nelle giaculatorie, ignorava completamente.
Quella considerazione gli fece per l’ennesima volta rivolgere il pensiero all’identità dell'uomo che lo stava accompagnando. Per quanto ci si fosse arrovellato, non era riuscito a giungere a una conclusione. Non gli risultava che qualcuno, tra gli uomini che aveva scelto per scortarlo, gli fosse particolarmente affezionato. Herich aveva chiesto che alla spedizione fosse aggregato quel soldato di mezz'età che si chiamava Res, o qualcosa del genere, ma si trattava di un inetto, un mezzo scemo che forse gli era piaciuto proprio per la sua aria da grosso orso stupido.
Un As'vaan, forse? Magari Jeisym in persona? Possibile che Herich fosse stato in grado di contrattare la propria salvezza promettendogli una ricompensa se fosse riuscito a riappropriarsi del trono?
Abbandonò quelle considerazioni con una smorfia di fastidio. Qualsiasi cosa fosse successa, la certezza era una: chi avrebbe dovuto uccidere Herich non l'aveva fatto, e ora suo fratello, assistito da un misterioso accompagnatore, stava arrivando a rompergli le uova nel paniere, a togliergli quello che gli spettava per diritto di nascita, a fare di lui un miserabile subalterno in quello che a tutti gli effetti sarebbe dovuto essere il suo regno, il regno di Dewrich il Terribile, signore del Daishrach.
Fermò il cavallo su un'altura e da lì rimase a contemplare le Cascate Grandi, di cui anche a quella distanza percepiva il rombo cupo. Fissò di nuovo la strada che conduceva alla città, e questa volta non lo fece con l'occhio colmo di nostalgia e risentimento dell'amante defraudato, ma con quello distaccato e preciso del condottiero che deve elaborare una strategia.

§

Herich gettò uno sguardo all'Edayr, di cui la strada seguiva il corso, e la vista del grande fiume gli comunicò una sorda sensazione di disagio.
Con un gesto quasi inconsapevole si trovò a voltarsi indietro, verso la strada che avevano percorso, e percepì nei confronti di essa un'acuta fitta di nostalgia. Come già gli era successo in vista di Perechyra, rimpiangeva il rassicurante limbo del viaggio, nel quale si aspetta qualcosa che comunque accadrà dopo, e quasi si può fare finta che quel qualcosa non esista.
Teoricamente avrebbe dovuto essere contento: stava per tornare a casa, dove il re suo padre sarebbe impazzito di gioia nel rivederlo e tutti gli avrebbero fatto festa. Era certo che sarebbero stati proclamati dodici giorni di festeggiamenti, così come erano stati senza dubbio proclamati dodici giorni di lutto alla notizia della sua morte, e poi sarebbe cominciata la sua istruzione in vista dei nuovi compiti a cui sarebbe stato destinato: niente più studi da chierico, ma arte della guerra e del buon governo.
Ma invariabilmente, quando pensava al futuro, ricomparivano i dubbi e le preoccupazioni: sarebbe stato in grado di governare? Sarebbe riuscito ad avere la giusta inflessibilità, il giusto distacco? Sarebbe riuscito a essere imparziale o in ogni occasione avrebbe seguito le emozioni momentanee a scapito della ragione e del calcolo?
Si voltò verso Res, di cui percepiva con la coda dell'occhio la massiccia presenza. Dalla notte nel tempio non avevano scambiato che poche parole, perlopiù inerenti il viaggio o altre faccende pratiche. Sentiva che qualcosa si era incrinato fra loro e forse, nell'imminenza dell'arrivo e di tutto quello che sarebbe seguito, era giunto il momento di chiarirsi. “Res,” disse.
Il soldato si voltò e alzò gli occhi su di lui. “Principe?”
Herich si morse irresoluto il labbro inferiore, poi mormorò: “Res... io volevo dirti che mi dispiace per quello che ti ho detto. Erano cose che non pensavo, le ho dette in un momento di rabbia, perdonami.”
Non hai bisogno di scusarti con me, principe,” fu la distaccata risposta.
Invece sì,” insisté il ragazzo, alzando leggermente la voce. “Ti ho offeso senza motivo, quindi ti chiedo scusa.”
Il soldato non replicò, lui dopo un po' riprese: “Forse ero nervoso. Cioè, lo sono. E sono spaventato, anche. Finché eravamo lontani, era come se certe cose non esistessero, ma adesso non posso più ignorarle, non credi?”
No, non puoi, principe.”
Herich emise un sospiro, poi disse: “Già, è quello che temevo. Tu cosa pensi che succederà quando arriveremo?”
Nella migliore delle ipotesi, principe, entreremo in città e tu andrai a presentarti a Sire Evertas.”
Il ragazzo deglutì mentre un'oscura sensazione di minaccia lo pervadeva. “E nella peggiore?”
Ci sarà da combattere.”
Herich non replicò. Quella notte aveva fatto un sogno che l'aveva lasciato turbato e inquieto, forse anche più del pensiero di quello che sarebbe successo una volta giunto a Dyat. Era cominciato come sempre: aveva visto il Leone Rosso di spalle, mentre fissava sdegnoso il golfo di Brielar dalle acque arrossate di sangue. Come sempre gli si era avvicinato e l'aveva chiamato, e lì era accaduto il fatto che l'aveva turbato: a differenza delle altre volte, egli si era voltato verso di lui mostrandogli finalmente il volto.
Ricordava molto bene il sogno che aveva fatto presso i templi di Os'lak, alla viglia della cerimonia. Allora l'eroe era rimasto di spalle, ma una voce aveva detto: Si rivelerà nel momento del bisogno.
Alzò di nuovo lo sguardo su Res, aprì la bocca con l'idea di parlargliene, ma poi la richiuse senza aver proferito verbo. Dopo quello che era successo nel tempio, era certo che ciò che aveva da dire l'avrebbe fatto infuriare e preferì rimanere in silenzio.

§

Torniamo indietro, mio signore,” propose per l'ennesima volta Therved.
Jeisym aggrottò caparbio le sopracciglia e rispose: “Ti ho detto di no. Sul pantano abbiamo guadagnato parecchio terreno, l'ho visto dalle tracce. Possiamo ancora riprenderli, o almeno possiamo dare man forte a Den'en e Nys, e poi tornare indietro tutti insieme.”
Tornare indietro dopo aver ucciso il principe ereditario del Daishrach alle porte di Dyat, mio signore? Come pensi che fuggiremo?”
I nostri cavalli sono più veloci.”
Ma sono anche stanchi per tutti questi giorni di viaggio, mio signore, inoltre noi saremo venti contro mille.” Fece una pausa, quindi in tono conciliante soggiunse: “Dammi retta, torniamo indietro finché abbiamo la possibilità di farlo.”
No,” ringhiò il giovane Khan, quindi spronò il cavallo distaccandolo di alcune lunghezze.
Therved scosse la testa. Rivide Jeisym da piccolo: un bimbo pallido, riottoso, con un orgoglio smisurato. Ricordò che una volta era caduto da cavallo e si era rotto un braccio, ma non aveva detto niente per paura che il padre lo considerasse un debole. Se l'era steccato alla meglio, con le competenze che poteva avere un bambino di dieci anni, e sarebbe rimasto così per chissà quanto se lui non si fosse accorto della maldestra medicazione. Aveva dovuto lottare per portarlo dal guaritore, rimediando morsi e calci.
Poteva entro certi limiti capirlo: suo padre, Ezrym Khan, era un potente sovrano, rispettato e temuto da tutti gli altri Khan. Per tutta la vita, il ragazzo aveva dovuto lottare per essere all'altezza delle sue immense aspettative, per non deluderlo e per non deludere chiunque altro: il figlio di Ezrym Khan non poteva rivelarsi di levatura minore rispetto al genitore.
Spronò il cavallo e di nuovo gli si affiancò. “Dimmi cos'hai in mente, mio signore,” gli chiese.
Voglio raggiungerli, mi sembra ovvio.”
E poi?”
Jeisym si voltò di scatto verso di lui, i suoi occhi d'ambra fiammeggiavano come illuminati dall'interno. “E poi uccido quel tuo demone di Vurar e mi riprendo il ragazzo.”
Therved dapprima lo fissò attonito, quindi in tono duro gli disse: “Te lo riprendi, mio signore? Non ti è bastata la prima volta? Vuoi esporti di nuovo al rischio di fallire?”
Questo non è il modo di rivolgersi a me!” lo rampognò Jeisym in tono aspro, “Io sono il tuo signore, non dimenticarlo.”
Halmaikah mi è testimone, mio signore, io parlo così solo per il tuo bene. Già una volta hai sbagliato lasciandolo in vita, non farlo la seconda.” Stava anche per chiedergli come mai improvvisamente avesse deciso di riprendersi quel ragazzino pallido e magro, ma di nuovo Jeisym spronò il cavallo e se lo lasciò alle spalle.
Therved sospirò rassegnato. Diede un'occhiata ai dintorni: nonostante l'ora ormai avanzata, la strada era quasi deserta. Solo qualche carro o qualche viaggiatore a piedi la percorreva lento. Probabilmente la notizia della morte dell'erede al trono si era diffusa e secondo le credenze del Daishrach entrare a Dyat prima di un certo tempo avrebbe portato sfortuna. Tese l'orecchio: il rombo delle Cascate Grandi cominciava a farsi sentire come un mormorio cupo, il corso dell'Edayr si era fatto più veloce e impetuoso. La città di pietra bianca, nitida sullo sfondo dei monti Kelis, gli diede l'idea di essere un sepolcro in attesa.

§

Herich strinse le dita sulle redini e si guardò intorno vagamente intimidito. Ormai erano entrati nell'enorme semicerchio delle Cascate Grandi ed egli aveva l'impressione di essere precipitato di colpo in un altro mondo. Il rombo dell'acqua copriva ogni altro rumore e tutti quei piccoli suoni come il tinnire dei finimenti, il battere degli zoccoli e tutto il resto, che di solito davano all'ambiente un sottofondo noto e rassicurante, erano scomparsi. L'aria era fredda, pervasa di un'umidità densa e opaca, nella quale i raggi del sole diventavano corporei come creature e sembravano seguirlo dritti e rigidi come le zampe di un immenso ragno. Tutto era imperlato d'acqua, il selciato acquisiva strane traslucenze come di pietre dure, che spuntavano qua e là tra le chiazze di muschio color smeraldo.
Tutt'intorno, immense cateratte di ogni colore dal blu cupo al bianco, passando per tutti i toni del verde, si precipitavano verso il basso, andando a infrangersi in un ribollire di spuma candida.
Di quando in quando, un tronco raggiungeva il salto e precipitava nell'abisso: lo si vedeva allora immobile per un lunghissimo istante, stagliato contro un cielo azzurro pallido, poi subito dopo scompariva, inghiottito dai gorghi impetuosi, conteso dalle onde come una preda in un branco di lupi.
Alzando la voce per farsi sentire, chiamò: “Res!”
Principe?” chiese il soldato.
Res, andiamo più in fretta, per favore. Non mi piace questo posto.”
L'altro scosse la testa. “Non possiamo, principe. Questi ponti sono scivolosi, e...” non riuscì a finire la frase: un dardo gli si piantò nella spalla, sbalzandolo di sella. Il cavallo, spaventato, fuggì sgroppando.
Res!” urlò Herich, faticando per mantenere il controllo della propria cavalcatura. Il soldato si rialzò e afferrò l'asta che gli spuntava dal corpo, quindi la strappò via con un gesto deciso. Lasciò cadere il dardo, che scomparve nelle cascate, quindi gli ordinò: “Vattene!”
Ma io...”
Va' via!”
Un secondo dardo passò sibilando, Res sguainò la spada. “Va' via!” ripeté, “Qui mi crei solo impiccio!”
Senza replicare, Herich fece girare il cavallo. Mentre l'animale si voltava, colse con la coda dell'occhio una figura alta e robusta, con lunghi capelli scuri, vestita di un'armatura di ferro blu.
Dewrich,” mormorò. Lo scroscio delle cateratte era talmente forte che non sentì la sua stessa voce.
Forse avrebbe dovuto allontanarsi al galoppo, ma non riuscì a fare altro che pochi passi. Raggiunse uno slargo della strada, una specie di terrazza panoramica che permetteva di ammirare la terribile magnificenza delle cascate, e smontò di sella. Si passò una mano tra i capelli umidi, deglutì faticosamente cercando di dominare il tremito che l'aveva pervaso e cercò di concentrarsi su una preghiera da rivolgere a Dras, ma nonostante Cresdan gliene avesse fatte imparare a memoria delle decine, in quel momento non gliene veniva in mente nessuna.
Strinse gli occhi: Cresdan ormai era lontanissimo e annebbiato come i dintorni che stava osservando in quel momento. Era una figura indistinta, della quale a malapena ricordava la bonomia e l'imponenza fisica.
Fissò l'attenzione a quello che si stava svolgendo più avanti e vide Res e Dewrich che si fronteggiavano.
Si appoggiò al fianco del cavallo e rimase immobile, incapace di distogliere lo sguardo.

Res cercò di fare il vuoto nella mente. Sentiva il sangue scorrergli lungo il torace, in rivoli caldi che gli inzuppavano gli abiti e glieli appesantivano. La ferita al fianco pulsava, ma ormai ci aveva fatto l'abitudine.
Respirò adagio, concentrandosi sul peso della spada che stringeva in pugno e sulla grana leggermente ruvida del cuoio che ne rivestiva l'impugnatura. L'acciaio lucente della lama era appannato da una corposa nebbia d'acqua.
Sei stanco, uomo?” lo provocò Dewrich, “Hai paura?” Lasciò cadere la balestra con cui l’aveva colpito.
Il soldato alzò lo sguardo su di lui: egli camminava con la grazia letale di un predatore, spavaldo ma attento a ogni sua mossa. Portava l'armatura senza apparente fatica e quando sguainò la spada lo fece con la scioltezza languida di chi è in grado di maneggiare una lama come un'estensione del proprio corpo.
Dewrich inarcò le sopracciglia quando lo vide in faccia. “Sei proprio tu?” gli chiese incredulo. “Sei quello che ha difeso il povero bambino maltrattato sulla piazza d’armi, non è vero? Che cos’hai fatto ai templi, ti sei nascosto da qualche parte per salvarti la pelle?” Fece una breve risata, poi soggiunse: “Lascia stare, non mi interessa, tanto tra un po’ ti manderò dai tuoi dei, se ne hai, e poi mi occuperò del moccioso.”
Sempre se non sarò io a mandare te dai tuoi dei,” replicò con calma Res.
Ma davvero?” ghignò Dewrich. “Il peggior marmittone di tutto l’esercito di Dyat che minaccia un guerriero di Jechen? Sei forse pazzo, uomo?”
Res non rispose.
Fatti sotto, allora,” disse il principe. Usò un tono quasi di scusa, come se fosse dispiaciuto di doverlo abbattere.
Il soldato rimase immobile. Per un attimo gli passarono davanti agli occhi immagini di una mischia feroce, risentì le urla, rivide l'acqua tinta di rosso, nel naso gli parve di avere ancora una volta l'odore ferrigno e acre di corpi aperti. Il suo solito tremore minacciò di invaderlo, ma egli strinse i denti imponendosi di nuovo e con maggiore decisione il distacco.
Non vuoi farti sotto?” lo irrise Dewrich. “Vuoi il vantaggio di vedermi colpire per primo?” Fece una breve risata. “Ma sì, te lo lascio, vecchio marmittone. Così almeno il divario fra noi sarà un po' meno ampio e ti ammazzerò senza che Jechen mi disprezzi troppo.”
Balzò in avanti, fintò una punta al petto di Res, ma all'ultimo istante con un mezzo giro del polso gli tirò un tondo dritto. Evitò di proposito di toccarlo, poi con un movimento agile scattò di nuovo all'indietro. Dalla nuova posizione rimase a fissarlo con un sorrisetto di scherno. “Ebbene?” gli chiese.
Certo, molto bravo,” concesse Res, “Rapido e preciso.” Poi, in tono grave: “Ma io passerò, principe, con il tuo consenso o no. Tu hai tradito tuo fratello e la tua stirpe, giustizia vuole che ora il principe Herich riprenda il suo legittimo posto di erede al trono.”
Dewrich ebbe una risata sprezzante. “Giustizia, dici? Di che giustizia stai parlando? Io sono stato defraudato del ruolo che mi spettava di diritto in quanto figlio maggiore.”
È un ruolo che evidentemente non meritavi, se Dras ha scelto il principe Herich.”
Non mi venire a raccontare delle favole, Dras non c'entra niente in questa faccenda. L'erede al trono sono io, e intendo riconquistare con le armi il mio diritto a regnare!” Di nuovo abolì la distanza, questa volta sferrando un fendente alto. Non fu un colpo finto come il precedente: fu portato a pieno e con tutta la forza. Res dovette faticare per riuscire a pararlo e la sollecitazione della spalla ferita gli strappò un grugnito di dolore. Si fece indietro ansante e rimase a studiare torvo quel giovane guerriero che non sembrava avere punti deboli.
Dewrich gettò indietro i capelli con uno scatto del capo e prese a girargli intorno lentamente. “Da che parte ti colpirò?” lo canzonava frattanto, “Da dove arriverà il colpo di grazia?”
Res si limitò a fare perno sui piedi in modo da mantenersi sempre faccia a faccia con lui. Agganciò il suo sguardo mentre con la visione periferica continuava a tenere sotto controllo la scena, poi d'improvviso scattò in avanti con uno stretto tondo rovescio. Dewrich aggrottò le sopracciglia e si fece indietro, la spada superò comunque la sua guardia e si udì il clangore del ferro sull'armatura. Un paio di scintille baluginarono per un istante e poi si dissolsero nella nebbia.
Molto bravo,” commentò Dewrich sarcastico. “O, più probabilmente, molto fortunato, non è vero? Ora tocca a me, però.”
Fece un affondo talmente rapido che Res quasi non lo vide arrivare e non poté fare altro che arretrare in modo precipitoso, scomponendo la sua guardia. Il principe allora lo colpì dal basso verso l’alto procurandogli un profondo taglio sul torace. Il soldato gemette e si fece indietro barcollando. Per un istante dovette appoggiare un ginocchio a terra, ma riuscì a balzare indietro prima che Dewrich potesse incalzarlo con un altro assalto.

Res!” urlò Herich sentendosi venire meno. Il soldato barcollava grondando sangue e sembrava che anche solo tenere la spada puntata contro Dewrich gli costasse un’enorme fatica.
Si fece avanti adagio, il cavallo sempre tenuto per le redini, incapace di distogliere gli occhi dai due contendenti.
Dewrich lo vide arrivare, gli rivolse un sorriso cattivo e disse qualcosa. Egli non l’afferrò, nel fragore delle cascate che li circondavano da ogni parte, ma immagino che fosse una promessa di morte.
Deglutì ma si impose di non indietreggiare.
Dewrich attaccò di nuovo, Res sottrasse bersaglio e con un fendente rovescio riuscì a colpirlo in faccia, costringendolo a indietreggiare con una mano premuta sulla fronte e rivoli di sangue che filtravano fra le dita. Subito dopo il soldato lo incalzò, ma l’altro riuscì a riprendere il controllo.
Sotto gli occhi inorriditi di Herich, la spada di Dewrich si immerse nel petto di Res come un coltello rovente nel burro, poi gli uscì dalla schiena, sotto la scapola. Il soldato si irrigidì, la bocca gli si spalancò in un grido muto, ma egli non cadde. Afferrò invece saldamente il principe per una spalla, quindi lasciò cadere la spada, che produsse sulle pietre un sinistro clangore, ed estrasse dalla cintura il pugnale. La lama baluginò per un istante, come investita da un fugace raggio di luce, quindi si immerse completamente nel collo di Dewrich.
Il principe spalancò gli occhi e barcollò all’indietro mentre dalla bocca un fiotto di sangue scendeva ad arrossargli l’armatura. Crollò al suolo con un lamento gorgogliante, si contrasse in un assurdo tentativo di strapparsi di dosso la lama letale, poi si afflosciò e giacque immobile. La mano che stringeva l’elsa della spada si aprì e il soldato, la lama ancora infissa nel corpo, rotolò da una parte.
Herich corse a inginocchiarsi accanto a lui. “Res!” gridò, sollevandogli la testa. “Res, parlami, ti prego!”
L’uomo aprì lentamente gli occhi, che a Herich parvero più azzurri e limpidi che mai. Abbozzò un pallido sorriso che però subito subito si trasformò in una smorfia di dolore. “Principe...” mormorò a fatica.
Angosciato, il ragazzo gridò: “Res! Res, che cosa devo fare? Come posso aiutarti?”
Mi hai già aiutato, principe. Grazie a te ho… pagato il mio debito.”
Tu non hai nessun debito!” Herich si buttò ad abbracciarlo. “Non voglio che tu muoia, Res! Voglio che tu stia sempre con me!” Si accorse di ansimare come in preda al terrore, mentre il cuore gli batteva come se avesse voluto scoppiargli nel petto. “Res, ti prego! Lo sai cos’ho visto in sogno? Il Leone Rosso si è girato a guardarmi, ed eri tu! Eri tu, capisci? Questo è un segno di Dras, non puoi lasciarmi!”
Res inspirò stentatamente e quando fece uscire il fiato un rivolo rosso lo accompagnò. “Io… devo andare,” mormorò, con voce così debole che quasi si perse nel rombo folle delle cateratte. “Devo andare, la mia missione è finita.”
La tua missione è appena cominciata, soldato!” gridò Herich, con le lacrime che gli offuscavano la vista e un artiglio di ghiaccio che gli serrava il petto. “Mi devi insegnare tutto, voglio diventare come te!”
Ancora una volta, l’uomo sollevò lo sguardo su di lui e Herich vide spegnersi il suo fulgore nel momento in cui la vita lo abbandonava.
Rimase immobile a fissarlo per lunghi minuti, forse nella speranza che anche quello fosse un sogno, infine adagiò con delicatezza il corpo ormai inerte sul selciato umido e col viso tra le mani prese a singhiozzare disperatamente.

Passò un tempo imprecisato. A un tratto, pur coperti quasi del tutto dal fragore delle cascate, a Herich parve di sentire dei rumori in avvicinamento. Abbassò le mani con cui si era coperto il volto e alzò esitante lo sguardo.
Gli si gelò il sangue: la strada era occupata da una torma di predoni di As’del.
Rimase immobile. Non avrebbe avuto senso cercare di scappare, ovviamente, né in giro c’era qualcuno che avrebbe potuto intervenire in sua difesa.
Dal gruppo si staccò Jeisym Khan, che smontò da cavallo, affidò le redini dell’animale a uno dei suoi uomini e a passo lento gli si fece incontro. “Eccoti qui,” gli disse ironico. “Ci ritroviamo, finalmente.”
Non ti avvicinare,” mormorò Herich, arretrando precipitosamente.
L’altro si limitò a una breve risata. “E perché non dovrei avvicinarmi? Non mi sembra che il tuo amico sia in grado di impedirmelo, ormai.”
Fece girare lo sguardo sprezzante sui due corpi riversi, ma appena i suoi occhi si posarono sul volto di Res, egli sbiancò in viso e si immobilizzò. “Generale,” mormorò poi stranito. “Com’è possibile?”
Cosa?” chiese Herich, ma lui non gli badò nemmeno. Apparentemente dimentico di tutto si chinò accanto al corpo e rimase a fissarlo in silenzio per un tempo che al ragazzo parve interminabile. Alla fine si alzò bruscamente in piedi, si pose la destra chiusa a pugno sul petto e solennemente disse: “Sono dolente di rivederti in una circostanza così triste, generale. Non posso restituirti la vita che un tempo mi hai donato, ma posso almeno portare a termine la tua missione.” Si voltò verso Herich, che lo stava fissando ammutolito dallo stupore, e in tono severo gli disse: “Bada, non mentire: era lui che ti accompagnava?”
Il ragazzo chinò la testa. “Sì.” Le lacrime ripresero a scorrergli sulle guance.
Alzati in piedi,” gli ordinò allora l’As’vaan, “rimonta in sella, e mantieni un contegno dignitoso davanti al generale.” Si voltò verso i suoi uomini e chiamò: “Therved!”
L’uomo si fece avanti. “Cosa comandi, Khan?”
Therved, scortate Sua Altezza come si conviene a un principe. Accompagnatelo fino alle porte di Dyat e badate che non gli accada nulla. Quando sarà al sicuro dentro le mura, tornate qui da me. Io non verrò con voi: ho qualcosa da fare qui.”
Come tu comandi, Khan,” disse l’altro inchinandosi, poi diede un paio di ordini nella lingua di As’del e gli uomini si disposero in una guardia d’onore. Tutti presentarono le armi a Res, passando, e poi si fermarono in due file parallele. Herich capì che stavano aspettando lui e si portò alla testa della colonna.
Jeisym lo fissò negli occhi e gli fece un muto cenno di assenso con la testa, poi si disinteressò di lui e tornò a voltarsi verso il corpo di Res. Rimase a contemplarlo in silenzioso raccoglimento.
Ancora frastornato da tutto quello che era successo, incapace di parlare, Herich mise il cavallo al passo lungo la strada che portava a Dyat. Alle sue spalle, muti e solenni, cavalcavano venti predoni di As’del.

§

Quando un corteo reale guidato da re Evertas in persona raggiunse il ponte, tutti ammutolirono dallo stupore.
Con lo sfondo maestoso delle Cascate Grandi, Res giaceva a lato della strada su un manto scarlatto, composto come un antico eroe. Uno stendardo con un leone rosso rampante copriva le sue ferite e ai suoi piedi, come un trofeo, c’era la spada del principe Dewrich. Le sue mani, posate sul petto, stringevano due splendide spade di fattura As’vaan dall’elsa incrostata di gemme.
Egli aveva un’espressione nobile e severa, che rendeva il suo volto singolarmente bello.
Herich abbandonò la propria cavalcatura e corse a inginocchiarglisi accanto. Sollevò poi la testa verso il genitore e disse: “Padre, voglio esequie solenni per lui. Dovrà essere sepolto nel Mausoleo degli Eroi, in un sarcofago tutto d’oro...” Mentre parlava, in tono sempre più urgente, con le parole che si accavallavano l’una sull’altra, le lacrime ricominciarono a scendergli lungo le guance. Di nuovo scoppiò in singhiozzi.
A quel punto, accompagnato dal generale Xarey, smontò da cavallo anche il re, gli si avvicinò e a sua volta fissò le spoglie di Res. “È stato un uomo coraggioso,” disse in tono conciliante, “ti ha riportato qui incolume.”
Herich non replicò. Tra i singhiozzi si limitò a ripetere che voleva esequie solenni. Il generale si sporse a guardare, sollevò stupito le sopracciglia e si scoprì il capo in segno di rispetto, quindi disse: “Principe, con il tuo permesso, io non credo che vorrebbe riposare qui a Dyat.”

§

In sella a uno stallone di razza Yereian, seguito dalla Guardia d’Onore, re Herich percorreva la strada per il golfo di Brielar. Al suo fianco, in sella a un pony di dimensioni proporzionare alle sue, cavalcava suo figlio.
Eccitato da tutte le novità del viaggio, il bambino si rizzò sulle staffe e con voce argentina chiese: “Quando arriviamo, padre?”
Manca meno di un’ora, Tjeran.”
Un’ora? Ma è tantissimo!” protestò il principino, continuando a mantenersi in equilibrio sulle staffe. “Io sono stanco.”
Il re sorrise. “Vuoi dirmi che non riesci a stare in sella per così poco tempo? Ma lo sai che il Leone Rosso poteva cavalcare per un giorno intero?”
Il bambino si sedette di nuovo. Come tutte le volte che lui parlava di Resen-Lhaw, lo fissò con gli occhi sgranati, poi chiese: “Io mi chiamo come lui, vero?”
Certo, Tjeran, come Tjeran Sonse. Porti il suo nome perché era un grande eroe.”
Anch’io diventerò così?”
Quando diventerai grande.”
Ma quando diventerò grande?”
Quando mangerai tutto quello che hai nel piatto senza fare storie.”
Continuarono a scambiarsi domande e risposte fino a che la strada non sbucò in uno spiazzo che dall’alto dominava l’azzurra immensità del mare, in quel momento accarezzata dalla luce calda del tardo pomeriggio.
Ci siamo,” disse il sovrano. Il bambino avrebbe voluto domandare qualcos’altro, ma intimidito dall’aria di solennità che d’improvviso il genitore aveva assunto, non osò proferire verbo.
Il re smontò da cavallo e aiutò il figlio a fare altrettanto, quindi lo prese per mano e si incamminò con lui lungo un viottolo che saliva serpeggiando.
Raggiunsero un secondo spiazzo più piccolo, dal quale si poteva abbracciare con la vista l’intero golfo di Brielar. Esso era contornato da duri arbusti costantemente agitati dal vento e ospitava una semplice tomba di pietra grigia sulla cui lapide era inciso un leone rosso rampante.
Re Herich si inginocchiò davanti al sepolcro, giunse le mani e chinò la testa in segno di rispettoso raccoglimento. “Vieni anche tu,” disse al bambino. “Se sarai buono, ti racconterò la storia dell’ultima battaglia di Resen-Lhaw.”
Quando lui ti ha salvato?”
Il re emise un sospiro. “Sì.”

Quando si alzarono, il sole stava calando e la luce calda del tramonto accendeva ogni cosa di un sontuoso rosso aranciato.
Re Herich si avvicinò al bordo dello spiazzo e da lì rimase a contemplare le onde. Esse erano vermiglie, ma non più di sangue.
Si voltò verso la tomba, anch’essa accarezzata dai caldi raggi, e ne sfiorò la superficie con la mano. “Grazie, Res,” sussurrò.
Che cosa dici, padre?” volle sapere il bambino.
Niente, Tjeran. Dico che è ora di tornare indietro, perché giù ci stanno aspettando.”
Prese il figlio per mano e si incamminò lungo il sentiero. Alle sue spalle, Resen-Lhaw rimase a vegliare in eterno sulle acque del golfo di Brielar.


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