La donna dell'Est

di Sinden
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cenere ***
Capitolo 2: *** Il Maresciallo del Mark ***
Capitolo 3: *** Edoras ***
Capitolo 4: *** Malefici ***
Capitolo 5: *** La legione ***
Capitolo 6: *** Fangorn ***
Capitolo 7: *** Lo stregone bianco ***
Capitolo 8: *** I tre viandanti ***
Capitolo 9: *** Il risveglio del Re ***
Capitolo 10: *** Oro ***
Capitolo 11: *** Segreti ***
Capitolo 12: *** Tradimenti ***
Capitolo 13: *** Idis ***
Capitolo 14: *** L'Elfo solitario ***
Capitolo 15: *** I Mannari di Gundabad ***
Capitolo 16: *** Al Fosso di Helm ***
Capitolo 17: *** Alleanze ***
Capitolo 18: *** L'assedio ***
Capitolo 19: *** Pioggia ***
Capitolo 20: *** Fuoco e piombo ***
Capitolo 21: *** L'alba ***
Capitolo 22: *** Sangue blu ***
Capitolo 23: *** Anelli ***
Capitolo 24: *** A Rohan ***
Capitolo 25: *** Storie ***
Capitolo 26: *** la Compagnia ***
Capitolo 27: *** Verso Esgaroth ***
Capitolo 28: *** Bosco Atro ***
Capitolo 29: *** Il giovane principe ***
Capitolo 30: *** Scelte ***
Capitolo 31: *** Il Signore del Nord ***
Capitolo 32: *** L'evasione ***
Capitolo 33: *** La via nascosta ***
Capitolo 34: *** Nel regno degli Uomini ***
Capitolo 35: *** La città fantasma ***
Capitolo 36: *** La casa sulla collina ***
Capitolo 37: *** Le sorelle di Esgaroth ***
Capitolo 38: *** La Signora degli Elfi ***
Capitolo 39: *** Vendette ***
Capitolo 40: *** Re e Regine ***
Capitolo 41: *** Le maree del tempo ***
Capitolo 42: *** Passaggio a Nord ***
Capitolo 43: *** L'ombra dell'Est ***
Capitolo 44: *** Promesse e onore ***
Capitolo 45: *** Guerra ***
Capitolo 46: *** I neri eserciti ***
Capitolo 47: *** Aria ***
Capitolo 48: *** La fine della corsa ***
Capitolo 49: *** Battaglia nella foresta ***
Capitolo 50: *** Un'altra vita ***
Capitolo 51: *** Un nuovo sole ***
Capitolo 52: *** Il signore del Lothlòrien ***
Capitolo 53: *** Addio al Generale ***
Capitolo 54: *** Ipotesi e verità ***
Capitolo 55: *** Un nuovo Re ***
Capitolo 56: *** Passioni ***
Capitolo 57: *** Luce ***
Capitolo 58: *** Epilogo - Un anno dopo ***



Capitolo 1
*** Cenere ***


Gli Uruk-Hai avevano fatto scempio di quei poveri paesani. Erano certamente stati loro.
Degarre aveva trovato una spada forgiata a Isengard dagli Orchi, e uno scudo con l'impronta di una mano bianca. Il simbolo degli eserciti di Saruman. Si erano dunque spinti fin lì, quegli esseri orribili, sulla strada verso Rohan. Nella loro inarrestabile marcia nera, avevano trovato sul percorso il minuscolo villaggio di Bannock, popolato da famiglie di contadini e pescatori. Poche decine di unità, che avevano scelto di vivere fuori dai confini protetti di Edoras, pur rimanendo sudditi di re Thèoden. Scelta pessima.
"Ah...perfino i neonati..." commentò Hammon, disgustato. Stava osservando un corpicino immerso nell'acqua a faccia in giù. Lí vicino, il cadavere della madre, che aveva provato a difenderlo inutilmente. "Che cosa terribile."
"Degarre, Hammon! Venite qui, presto!" gridò Lassalle, un soldato semplice ancora molto giovane. "Guardate questo!" I due capitani si avvicinarono camminando nell'acqua mista a sangue. C'era un corpo maschile riverso. Un uomo in armatura; i tre avevano notato anche qualche soldato morto, una piccola guarnigione inviata da re Theoden e anch'essa caduta nell'imboscata degli Uruk. "Questo deve essere uno importante!" esclamò Lassalle. "Sulla sua armatura ci sono simboli di Rohan."
Degarre scrutó meglio il volto bianco del cadavere. "Certo che è importante. Questo è il figlio del re."
"Cosa?! Il principe di Rohan? Ne sei certo?" chiese Hammon.
"Non dimentico mai un volto. Incontrai questo giovane dieci anni fa. Aveva appena quattordici anni. Venimmo qui a offrire a Theoden i nostri... servizi. Lui rifiutó. Suo figlio rimase tutto il tempo ad ascoltarci in piedi vicino al trono. E' lui." spiegò il quarantenne capitano. "Thèodred era il suo nome. Povero ragazzo. Che misera fine hai fatto." Hammon e Lassalle ascoltavano in silenzio. Sarebbe stato terribile per re Theoden venire a sapere che il suo unico rampollo era stato ucciso.

C'era anche un odore tremendo in quell'aria, odore di carne bruciata mista a fumo, odore di sangue rappreso. Degarre si premette un pezzo di stoffa sul volto. Gli Uruk avevano dato fuoco alle misere abitazioni in legno, perfino alle carcasse degli animali da fattoria, e avevano probabilmente ricevuto l'ordine di sterminare tutti gli umani che avessero incontrato. Degarre si chiese se qualcuno fosse riuscito a scappare, magari a cavallo. C'erano pochissimi cavalli in giro, segno che una parte della popolazione era verosimilmente fuggita. Me lo auguro per loro, pensó.

"Cosa dovremmo fare con tutti questi corpi, dovremmo impilarli e dar loro fuoco, o seppellirli? E che facciamo con il cadavere del principe? Lo dovremmo riportare al padre?" chiese Lassalle, ancora sconvolto dallo spettacolo.
"No. Non è cosa che ci riguardi. Theoden, non vedendo tornare suo figlio, manderá una seconda guarnigione alla sua ricerca. Che ci pensino loro." replicó Degarre. "Io vorrei solo andarmene da qui. Questa puzza è insopportabile."
"Dobbiamo mettere al corrente il nostro Generale. Le decisioni, comunque, non spettano a noi." obiettó Hammon.
"Credo che Goneril si arrabbierà solo per il fatto che ci siamo attardati qui. La tragedia di questa gente non è affar nostro. Noi dovremmo proseguire con la perlustrazione." replicó Degarre. "Torniamo indietro."
"Aspettate...", disse il giovane Lassalle. Gli venne un'improvvisa idea. "...perché non ispezioniamo quelle case che sono rimaste in piedi? Chissà, forse questi contadini avevano monete d'oro, che tenevano nascoste in qualche loro cassetto. Magari dei gioielli." propose. Degarre sputó a terra.
"Razza di sciacalletto da quattro soldi. Oseresti rubare a gente trucidata in questo modo? E poi, dici bene. Questi erano contadini, pezzenti, e probabilmente non avevano che stracci in casa. Ho detto che ce ne andiamo adesso." gli ordinó Degarre. "Mi riempi di sdegno ragazzo." Aggiunse con una risata. Risero tutti e tre.
"Degarre... tu hai fatto di peggio, se ricordo bene. Ti sei scordato di quel vecchio pastore, nelle radure ad ovest del Mark... dopo avergli strappato i pochi spiccioli che aveva, riuscisti anche a cavargli il dente d'oro. Non parlerei se fossi in te." rise il ragazzo.
"Abbi rispetto per il mio grado, sono il tuo capitano. Ora chiudi quella boccaccia e andiamo." gli disse Degarre, bonariamente. Era vero: la sua coscienza era tutt'altro che pulita. Da quando si era unito a quella mercenaria legione di Uomini dell'Est, si era scordato del tutto il significato delle parole rettitudine, etica, e onestà. Aveva calcolato di rimanere con loro ancora cinque anni, giusto il tempo che gli serviva per accumulare ricchezza a sufficienza e poi ritirarsi in un villaggio tranquillo, o magari anche un grande regno come Gondor. Solo allora si sarebbe ricordato di essere un individuo civile, e avrebbe vissuto in pace, mettendosi alle spalle quindici anni di brigantaggio, omicidi, violenze, e ladronerie.

Soprattutto, voleva scordarsi del loro Generale, di Goneril. Una donna che aveva venduto se stessa alla morte. Era piuttosto sicuro che in tutta la Terra di Mezzo non esistesse una femmina così crudele, fredda e priva di scrupoli. Non aveva niente di quelle che avrebbero dovuto essere le virtù delle donne. Né compassione, né tolleranza, né dolcezza. Perfino il suo bel viso, impreziosito da due occhi verdazzurri e felini, non riusciva a suscitare negli uomini interesse o passione: un'ombra malevola era sempre presente come una maschera a coprirle il volto.
Non si sapeva di chi fosse figlia. Era comparsa fra loro una mattina, dieci anni prima, chiedendo di potersi unire alla legione. Tutti le avevano riso in faccia. Una ragazza ventenne, armata di spada, sembrava la cosa più comica al mondo. Decisero di tenerla comunque con loro, in previsione di usarla in altro modo. Come donna di piacere magari. Ma dopo il primo scontro con uno sparuto gruppetto di Orchi esploratori, nessuno aveva più osato dubitare di lei. Li aveva praticamente uccisi da sola, decapitati tutti in pochi secondi.
Qualcuno l'aveva istruita bene, qualcuno l'aveva addestrata a combattere.
Aveva preso una delle loro teste in mano, e l'aveva gettata ai piedi di Degarre, come prova delle sue capacità. Sembrava avere la stessa micidiale e incontenibile agilità degli Elfi, ma non era un'Elfa. E aveva dei piani molto chiari riguardo al suo futuro nella legione.
Dopo qualche anno, il loro vecchio Generale, Mainard, fu trovato morto nella sua tenda da campo. La gola aperta da un lungo taglio, era stato sgozzato come un maiale prima di un gran banchetto. Un po' tutti ebbero il sospetto che l'assassina era stata Goneril. Nessuno però ebbe il fegato di affrontarla nè di accusarla. La donna faceva paura. Era diventata nel frattempo l'arma più micidiale della truppa: non si contavano le sue vittime.
Si era autoelevata a rango di Generale...o Generalessa. Non un cane aveva protestato, anche perchè la ragazza dai capelli corvini aveva mostrato negli anni un'altra preziosa abilità: riusciva ad individuare tutti quei popoli che potevano aver bisogno del loro servizio.

Da est a ovest, da nord a sud, a capo dell'imponente legione Goneril si era spinta verso grandi città e piccoli agglomerati, dove un cospicuo numero di soldati mercenari potevano fare buoni affari. In dieci anni avevano raccolto casse e casse di monete d'oro, che venivano nascoste in un luogo segreto. Servivano a far prendere forma al suo sogno. Il sogno della donna era il potere assoluto, Degarre lo sapeva, gliel'aveva confessato : voleva creare un piccolo regno autonomo, lontano da tutti gli altri regni, in cui lei avrebbe assunto la piena autorità.
Ma al capitano questo importava poco. Lui voleva solo mettere insieme il suo gruzzoletto, ritirarsi in luogo pacifico e luminoso, e trascorrere lì il resto della sua esistenza mortale. "Torniamo da lei. E tu non fartela sotto quando il Generale ti rivolge la parola. Detesta i vigliacchi, ricordatelo." consiglió Hammon a Lassalle.
"No capitano. Lei detesta tutti." rispose il giovane.

⚜️⚜️⚜️

"Perché ci avete messo così tanto?" chiese Goneril. "Avevate ordine di perlustrare solo la zona fino al fiume." Sedeva sul suo trono personale, se così si poteva definire, un seggio in nero mogano, che faceva trasportare sempre con sé. "Parlate." ordinó a Degarre.
Lassalle teneva il capo chino e tremava un po'. Non riusciva mai a guardare il Generale negli occhi, aveva sempre il terrore di sentire la lama del coltello sulla sua gola nel giro di un secondo.
"Abbiamo fatto quanto hai ordinato. Ma ci siamo imbattuti in un villaggio di uomini di Rohan. È stato aggredito e saccheggiato probabilmente da Uruk-Hai, c'erano un paio di loro carcasse in zona. Ci siamo fermati per ispezionare il posto, raccogliere segni rivelatori sulle intenzioni di quei mostri. Capire dove sono diretti." spiegó Degarre, che al contrario del giovane soldato reggeva molto bene lo sguardo della donna.
"E l'hai capito?" chiese lei.
"Si stanno dirigendo a Edoras. Vogliono attaccare il cuore del reame di Theoden." rispose Degarre, con un sorriso compiaciuto. "Ottime notizie per noi, vero?"
"Splendide, capitano." sorrise anche Goneril. In verità, la donna non era in grado di sorridere...se con sorridere si intendeva dare sfogo a ilarità o gioia, due emozioni mai comparse in lei. La sua era più che altro una smorfia crudele. "Direi che abbiamo capito quale sarà la nostra prossima destinazione."
"Purtroppo, re Theoden non sembra molto bendisposto nei nostri confronti. Ricorderai che dieci anni fa rifiutó sdegnosamente il nostro supporto." le disse Hammon.
"Un esercito di Uruk-Hai alle porte è un'ottima motivazione per rivedere le sue idee. Spinto dalla paura, chiederà il nostro aiuto. Pagherà la cifra che vogliamo." ragionó la donna, alzandosi. Si avvicinó ai tre. Guardó Lassalle. "Tu. Sei d'accordo?" gli chiese.
Il ragazzo deglutì spaventato. Tenendo sempre gli occhi bassi, rispose. "Certo... certo, è un'ottima occasione per noi."
"Sai, quando tua madre ti portó al nostro accampamento, e ti spinse fra i miei soldati senza complimenti, venne da me dopo. Mi disse che non ti voleva più fra i piedi, perché non sei altro che un ladruncolo, e non ti voleva in casa sua. Perciò mi chiedo: ti è venuta forse voglia di entrare in quella case abbandonate e fare razzia?" gli domandó.
Lassalle impallidì.
"Sii sincero." lo esortó Goneril.
"S-s-sì. Ci ho pensato un secondo, ma poi non l'ho fatto." rispose in un balbettìo.
"Bene, soldato. Perché noi non siamo volgari ladri, mi capisci? Noi ci facciamo pagare per il nostro lavoro. Se per caso mi giungesse voce che uno dei miei uomini ha compiuto un'azione così bassa e degradante, la sua testa rotolerà lontano, ti è chiaro?" sibiló Goneril, le labbra a pochi centimetri dall'orecchio di Lassalle. Sembrò che il ragazzo fosse lì lì per bagnare i pantaloni.
Goneril sospiró. "Sparisci. Va'." gli intimó, e il giovane non se lo fece ripetere.
La donna si rivolse a Degarre. "Gli dai il cattivo esempio, capitano." commentó. "Dovresti educare quel piccolo topo, non lasciarti andare a nefandezze davanti a lui."
"Perdonami, Goneril. Staró più attento." rispose lui un po' a disagio.
"Non sono troppo dura con te perchè comandi questi uomini da prima che io arrivassi. Ma non mi piace che attraverso Arda ci considerino dei briganti. Tienilo a mente." gli disse, i grandi occhi azzurri fissi in quelli dell'uomo. "Specie ora che il mio progetto è in dirittura d'arrivo. Ancora poche casse d'oro, e partiremo verso la nostra futura terra." Goneril si giró con aria sognante verso Ovest. Poi si voltó verso i due capitani, l'espressione di nuovo severa. "Non voglio che nessun esercito di alcun regno ci dia la caccia perché qualcuno di voi ha pensato bene di depredare i loro sudditi. Tenete d'occhio quel Lassalle. Alla prima intemperanza, ditegli di andarsene al diavolo. O uccidetelo." Hammon e Degarre annuirono.
"E adesso, raccogliete i soldati. Svegliate quelli addormentati e partiamo. Verso Rohan." ordinó la donna. "Da Theoden." ghignó.
"A proposito... suo figlio è morto. Il cadavere di Theodrèd è fra gli altri nel villaggio. Forse si è spinto lì con i suoi uomini poco dopo l'arrivo degli Uruk." aggiunse Hammon.
Goneril sembrò esserne contenta. "Ancora meglio. Un re dal cuore spezzato diventa un re furioso. Ci darà quello che vogliamo, per assistere al massacro degli assassini di suo figlio." Hammon e Degarre si guardarono.
"Gli Uruk-Hai sono bestie pericolose, peró. Noi siamo parecchi, ma non dovremmo sottovalutarli." osó commentare Degarre.
Goneril lo squadró. "Nessuno puó resisterci, capitano. Lo sai bene. Nemmeno quella specie di Orchi giganti. Sono bestie stupide come i Troll. Io non ho paura." replicó.
"Lo sappiamo bene questo, Goneril." annuì Degarre, chinando il capo. "Metto in marcia gli uomini." e lui e l'altro luogotenente si allontanarono.
La donna guardó in direzione di Edoras, e lasció che il vento scompigliasse i lunghi capelli neri. Sembrava persa in un sogno. Ora sei solo, Theoden. Non hai molta scelta: devi venire a patti con me, o quello di tuo figlio non sarà l'unico cadavere che vedrai nella tua famiglia. Chi difenderà la fragile Eowyn contro i mostri di Saruman? Ti conviene non fare il presuntuoso, stavolta.

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Capitolo 2
*** Il Maresciallo del Mark ***


"Non capisco. Doveva essere già tornato." disse Éomer, osservando il panoramo sotto al cielo plumbeo.

Suo cugino era partito da due giorni, con un manipolo di soldati. Théodred era preoccupato per i loro sudditi che vivevano fuori da Edoras, in quei borghetti isolati e del tutto vulnerabili agli attacchi. I soldati di Rohan gli avevano riferito di aver sorpreso un gruppo di Uruk-Hai proprio ai confini del regno. Spie mandate in avanscoperta, probabilmente.

Aveva avvisato suo padre Théoden, che peró, da un mese a quella parte, sembrava sprofondato in uno stato di catatonia: il giovane principe e i due nipoti del re, Éomer ed Éowyn, non riuscivano a capire cosa gli stesse succedendo. Allarmati, avevano osservato come il passare dei giorni avesse steso sul loro sovrano un invisibile velo di morte. 
Il suo volto pareva una maschera funeraria, avvizzito e bianco. La barba gli era cresciuta al punto da raggomitolarsi fino al suo grembo, e i capelli erano diventati candidi e arruffati; i suoi occhi azzurri erano sempre socchiusi e persi in qualche strana visione.

La cosa peggiore, l'aspetto più doloroso della faccenda, era che aveva smesso di parlare con loro. Théoden sembrava non riconoscere più i suoi parenti, comunicava a monosillabi solo con Grima, un cicisbeo servitore che da qualche tempo aveva iniziato ad assisterlo come consigliere. 

Théodred soffriva per la situazione del
padre. Non poteva certo sapere che la forza negativa che stava consumando il genitore era esercitata a distanza da Saruman il Bianco, il capo dell'Ordine degli Istari. Grima, che in passato era stato  uno dei tanti, semplici abitanti di Rohan, era a sua volta asservito allo Stregone. Tramite la bocca di quest'ultimo, Saruman esercitava un'influenza fortissima su Théoden, sostituendosi in pratica a lui nel governo di Rohan.

Il principe sapeva solo che tentare un dialogo con suo padre era inutile, e che chiedergli l'autorizzazione a partire con i soldati sarebbe stato come chiedere a un muro. Doveva prendere l'iniziativa e, in quanto delfino di un regno il cui re sembrava vittima di un incantesimo, ne aveva ormai piena libertà.

Così un mattino, con sei uomini al seguito, aveva preso la direzione verso il confine sud. 
Ma non era tornato. Non era tornato ed Éomer era preoccupato. 
Théodred era un buon soldato, valoroso, peró era giovane. Più giovane e meno esperto del cugino.

"Avrei dovuto seguirlo." mormoró Éomer. "È andato fino ai Guadi dell'Isen, ne sono certo."

"Non avere paura, il ragazzo è un buon combattente. Qualche Orco non sarà un grande pericolo per lui." lo rassicuró Gamling, il vice-capitano di Rohan.

"Non sono gli Orchi a preoccuparmi. Saruman sta creando con le sue arti un esercito di creature più pericolose, ne ha già mandate diverse in esplorazione attraverso il Mark. Se Théodred dovesse imbattersi in quegli esseri, sarebbe in grande difficoltà." rispose il Maresciallo. "Vado a cercarlo. Allerta i Rohirrim."

"Tuttavia..." s'inserì una voce all'improvviso. Entrambi si voltarono.
Grima fece la sua comparsa dietro a una delle colonne dell'ingresso. 
"...il nostro Gambling ha ragione. Tu non puoi avventurarti fuori da Edoras, con i nostri soldati, senza l'autorizzazione del Re."

Éomer quasi non credette alle sue orecchie. "...oseresti dirmi quello che posso o non posso fare?" gli chiese minaccioso, avanzando lentamente verso di lui. "Potrei scaraventarti giù per questa scalinata, verme."

"Fallo. T'incoraggio." lo provocó Grima, deformando il volto slavato in un ghigno beffardo. "Vedremo quanto ci metterai ad impazzire in quella cella, quando tuo zio ti ci farà gettare."

A quel punto, Éomer afferró il nero ometto per un braccio, con molta più forza di quella che sarebbe stata necessaria. Il gobbo spalancó la bocca squittendo di sorpresa e dolore.

"No. Fermati. Ha ragione. Il re ti punirà se gli fai del male." intervenne Gambling, mettendo una mano sulla spalla di Éomer. "Purtroppo questo...ratto di fogna ha molta influenza su di lui. Manipola la sua mente."

Grima si liberó con uno strattone dalla morsa di Éomer. "Parole forti, vice-capitano." sibiló. "A proposito, trovo strano che tu non sia stato ancora promosso, visto che il buon Hama è ormai anziano e prossimo al ritiro. Forse chi c'è qui davanti a noi non ti ritiene all'altezza?" chiese, voltandosi verso Éomer.

Il nipote del Re si trattenne dall'aggredirlo ancora, ma gli costó un enorme sforzo. "Non voglio versare il tuo sangue sul suolo del nostro Palazzo. Ma la tua fine è prossima, Grima. Sarà mio zio a dartela, e sarà un piacere assistere." gli disse Éomer, prima di avviarsi verso le stalle. "Allerta i Rohirrim, Gambling."

"Lo diró al Re!" urló Grima a Éomer, che non si voltó neppure. "Gli diró che suo nipote ha condotto i nostri soldati fuori da Edoras, anziché lasciarli qui a difenderla! Sciocco! Traditore!"

Gambling lo guardó stupito. Grima sembrava furioso per l'iniziativa di Éomer...ma per quale motivo?
"Non puoi contestare le sue azioni. Il suo sangue è il sangue di Re Théoden. Sei pazzo a metterti contro un parente del nostro sovrano." gli disse.

Grima rimase in silenzio, gli occhi celesti fissi in direzione di Éomer, nel frattempo allontanatosi. Poi si giró verso Gambling. "A te non rispondo neanche, vice...capitano."

Si avvió verso l'interno del Palazzo, nella polverosa sala del trono dove Théoden, come sempre, sedeva solo e inebetito.

"Il Re sarà scontento." mormoró Grima, "...voi, chiudete la porta." ordinó poi ai soldati di guardia all'entrata.

⚜️⚜️⚜️

Cinquecento Uomini dell'Est avanzavano lungo la grande valle che conduceva a Edoras. 
La cittadella in cui il Re viveva non era ancora in vista, c'erano solo monti, colline e prati infiniti.

Goneril avanzava a cavallo davanti alla compagine. Come sempre, teneva qualche metro di distanza fra sé e tutti gli altri. Non era un segno di superbia o superiorità, era più il desiderio di non essere disturbata mentre era concentrata sui suoi ragionamenti.

Il problema di Rohan era la miseria, pensava. Théoden stava male, così dicevano le voci in giro. Le era stato riferito che aveva perso la facoltà della parola e che a fatica ci vedeva. Goneril immaginava che fosse per via della sua età: Théoden era sulla settantina e il cervello gli stava probabilmente andando in pappa. 
Comunque, da quando i problemi del Re erano emersi, tutta una serie di altri guai erano seguiti: mancando una figura autorevole, i commerci con altri territori si erano interrotti; i sudditi avevano di conseguenza smesso di ricevere le settimanali derrate alimentari e dimagrivano e si ammalavano.

Il figlio Théodred, il cui cadavere in quel momento era riverso in una pozza d'acqua, era troppo giovane per sostituire il padre. Il Re aveva due nipoti, una ragazza e un ragazzo. Quest'ultimo, Éomer, sembrava più interessato all'arte della guerra che non al comando di una nazione.

In pratica, nessuno reggeva il potere a Rohan in quei giorni. Poteva essere un guaio, rifletteva Goneril. Con chi avrebbe parlato? E soprattutto, avrebbero trovato abbastanza denaro per pagarla?

"Generale, Goneril, guarda!" le si avvicinó Degarre. "Soldati in arrivo da Edoras."

Il capitano poi alzó una mano e interruppe la marcia della legione. Videro infatti un gruppo di Rohirrim a cavallo, condotti da un soldato in una ricca armatura.

Notando la legione dinanzi a loro, i Rohirrim accelerarono la corsa. Presto si radunarono di fronte a Goneril e ai suoi Uomini. Una cinquantina di lance puntarono in direzione della donna, che osservava la situazione per nulla spaventata.

"Cosa fate qui? Chi siete?" domandó bruscamente il comandante dei soldati di Rohan, che ancora non si era tolto l'elmo. "State invadendo il nostro territorio, e vi conviene avere una spiegazione."

Si era rivolto a Degarre, ignorando Goneril, che non si scompose. La Terra di Mezzo era un luogo dove ancora le parole donna comando non andavano a braccetto.

"Non stiamo invadendo il tuo reame. Siamo qui per parlare di affari." disse lei. "E a occhio e croce non sei tu la persona con cui devo contrattare."

Éomer la guardó sorpreso e vagamente infastidito. "Una donna vi comanda?" chiese a Degarre, che annuì.

"Proprio così. E questa donna ti sta dicendo che ci sono migliaia di Uruk-Hai pronti ad assaltare la tua terra, e che non avete forze a sufficienza per difenderla. Io ne ho peró, come puoi vedere. Credo che al tuo Re interesserebbe." continuó Goneril. "Devo parlare con lui."

"Mercenari..." comprese Éomer allora. Sputó a terra. "Non abbiamo bisogno di voi."

Goneril sorrise. "Tu dici? Allora ti consiglio di muovere i tuoi soldati verso quel piccolo villaggio di pescatori, oltre la collina vicino al fiume. Osserva bene i corpi a terra. Uno in particolare dovrebbe esserti conosciuto, anzi...familiare."

Éomer la osservó stupito per qualche secondo, poi un lampo di comprensione gli passó sul viso. "Di chi parli?" ribatté guardandola torvo.

"Lo hai capito molto bene. I tuoi occhi me lo dicono." rispose Goneril. "Affrettati. Tuo cugino ti sta aspettando."

A quelle parole, il Maresciallo di Rohan ammutolì. Era successo quello che temeva. La feroce soddisfazione con cui quella donna lo fissava confermava la verità delle sue parole.

Théodred...il suo amato cugino, che lo venerava come un fratello maggiore...caduto in un'imboscata. Ma doveva vederlo con i suoi occhi, prima di lasciarsi andare al dolore.

"Muoviamoci!" comandó ai suoi soldati. "E tu...chiunque tu sia...non farti trovare nei nostri confini al mio ritorno." disse a Goneril. Poi spronó il cavallo e con i suoi cavalieri si allontanó al galoppo. 

"Splendida accoglienza, non c'é che dire." commentó Hammon. "Quella testa calda deve essere il nipote di Théoden."

"E nuovo erede diretto al trono." aggiunse Goneril. "Sarà più difficile di quel che credevo."

"Perché?" chiese Degarre.

"Ho sentito che Théoden ha perso la sua lucidità, che é una specie di vegetale ormai. Non potró confrontarmi con lui, temo. Dovró rivolgermi proprio a quel ragazzo, e non sarà una passeggiata. È uno di quei puri di cuori che concepisce la guerra cone momento di gloria, non ha rispetto per i mercenari. Conosco quelli come lui." spiegó Goneril, mentre una fitta le attraversava lo stomaco. La frustrazione si manifestava così in lei. 
Le monete d'oro di Rohan potevano essere un fondamentale passo in avanti verso la realizzazione del suo progetto. Per creare un reame servivano fondi, e non era ancora arrivata alla quantità sufficiente.  Si auguró che la vista del cadavere di suo cugino convincesse quel giovane arrogante.

⚜️⚜️⚜️

"Éomer! È qui!" urló uno dei soldati. "Ma non è morto!"

Subito Éomer corse a vedere di persona. Sì, quel cencio bianco immerso per metà nella pozzanghera era Théodred. Gli sollevó il capo con una mano e colse il battito delle palpebre. Siano ringraziati gli dèi, pensó.

"Lo porteró con me. Aiutatemi." ordinó agli altri. Tre soldati lo aiutarono a issare Théodred sul cavallo. "Andiamo, e date fuoco a quelle carcasse laggiù. Non voglio più nemmeno vedere l'ombra di quegli esseri su questo suolo."

"Credi sia stata la donna con i suoi mercenari a uccidere questi Uruk?" gli chiese il soldato.

"No. Non l'avrebbero fatto senza un compenso. È stato mio cugino." rispose Éomer. "Svelti, uomini. Torniamo a Edoras."

"Dici che avrà provato a parlare con tuo zio?" continuó il soldato.

"Le faró i miei complimenti se c'é riuscita." rispose Éomer. Stava cominciando a piovere. 
"E dopo la cacceró io stesso."

"Una donna al comando di una legione...ora sì che le ho viste tutte."
commentó il soldato, sorridendo. "Come si è ridotta questa Terra..."

Éomer non aveva molta voglia di ridere. Reggeva fra le braccia suo cugino moribondo, e qualcosa gli diceva che, se non si fosse sbrigato a tornare, avrebbe dovuto informare suo zio di aver perduto un figlio. "Théodred ha bisogno di cure. Muoviamoci."

Sotto la pioggia ormai scrosciante, e dopo aver fatto correre uno sguardo addolorato sui suoi compaesani trucidati, Éomer e i suoi Rohirrim partirono di nuovo.

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Capitolo 3
*** Edoras ***


"Portatelo dentro...svelti...oh no Théodred!" esclamó Éowyn, alla vista del cugino.
Éomer e due soldati trasportarono il corpo nella camera da letto del principe. Arrivó subito lo speziale di Rohan, Jeremiah, l'unico nel reame ad avere conoscenze in medicina, ma alla vista di Théodred scosse subito la testa. Non si disturbó nemmeno ad esaminare le ferite sul costato.
"La sua vita é sull'orlo del baratro." disse a Éomer. La sorella, lí vicino, scoppiò in singhiozzi.
"Ma respira!" protestò il giovane. "Respira ancora! Puoi salvarlo."
"No Éomer, mi dispiace. Il suo viso ha perso ogni scintilla di vita. È troppo tardi. Deve aver versato quasi tutto il sangue del suo corpo." spiegò Jeremiah, che non era un chirurgo e che, più di tanto, comunque non avrebbe potuto fare. "Vi consiglio di stargli vicino. Non lasciate che se ne vada da solo."
"No... non è giusto. É poco più che un ragazzo!" disse Éowyn, disperata. "Chi lo dirà a nostro zio?" chiese al fratello.
"Sono certo che ce la farà, é forte." continuò Éomer, che non pareva aver sentito le frasi dello speziale. "La morte non lo prenderà oggi, vedrai." Poi si girò e lasciò la stanza a passo deciso: la sola vista del cugino ridotto in quello stato era troppo per lui da sopportare.

Éowyn immaginava come si sentisse suo fratello. Un affetto profondissimo lo legava a Théodred: anni e anni trascorsi insieme, loro orfani di entrambi i genitori, e il principe privato della madre. Si era creato un legame totale fra i cugini, e Théodred aveva sempre considerato Éomer un prezioso punto di riferimento. Da lui aveva imparato a combattere, da lui aveva imparato a mostrare coraggio di fronte ad ogni avversità. Éowyn immaginava che il fratello probabilmente si sentisse anche in colpa per aver permesso al ragazzo di uscire da solo in perlustrazione. Da parecchio giravano voci sulla presenza di Uruk-Hai nell'area del Mark. E si sapeva che erano pericolosi, si sapeva che contro quelle creature a poco valevano le armi degli Uomini.

Prese la mano gelida del cugino. "Ti prego, combatti. Come hai sempre fatto. Rimani con noi, Théodred." gli sussurrò, mentre una lacrima scendeva lenta sulla sua guancia. Sembrò bruciarle la pelle. Anche il suo viso era freddo. Faceva sempre freddo nel Palazzo, gli spifferi portati da quel gelido Febbraio entravano dalle mille fessure delle mura antiche.
"Davvero una sventura, povero giovane." disse Grima, dietro di lei. La osservava sulla soglia della porta. Éowyn detestava il modo in cui la guardava continuamente quel corvo nero. Detestava anche il fatto che stesse sempre appresso a suo zio, avvelenando la sua mente con consigli spesso nocivi e spingendolo a isolarsi da tutto e da tutti.
"Sto pregando perché sopravviva." rispose lei comunque. Sembrava che Grima fosse tutt'altro che dispiaciuto per la sorte di Théodred. Éowyn non voleva dargli la soddisfazione di mostrarsi disperata, e impaurita.
"E fai bene. Sono certo che gli dèi ti ascolteranno..." disse lui, avvicinandosi. La ragazza sentí un nuovo brivido. "...come potrebbero ignorare un cosí grazioso fiore." mormorò, squadrandola da capo a piedi. "Ti prego di lasciarmi sola con mio cugino." ribatté lei, facendo uno sforzo per guardarlo. Evitava sempre il contatto con i suoi occhi, temeva che Grima fraintendesse. Éowyn era certa che non vedesse l'ora di fraintendere, cosí da avere una giustificazione per importunarla ancora di più.
"Ma sicuro, come desideri." ribatté l'ometto, evidentemente seccato da quell'ennesimo rifiuto. "Stagli vicino...se ne vada almeno con un conforto amorevole." Poi si voltò, dopo aver lasciato cadere l'ultima occhiata lasciva sul corpo della giovane.

Éowyn crollò in ginocchio. Si sentiva debole, indifesa e vulnerabile. Le sensazioni peggiori per una come lei, cresciuta nella convinzione che le donne dovessero mostrarsi forti come gli uomini, anzi più degli uomini. Aveva preteso di imparare a usare la spada da bambina, e diventare un'esperta nel suo uso come tutte le donne di Rohan, reame di dimensioni ridotte e aperto ad ogni invasione. Edoras non era protetta da un lungo strapiombo come Minas Tirith, la capitale di Gondor. Non esistevano altissime mura bianche a delimitarne i confini. Tutti i cittadini del loro regno, di ogni sesso, erano tenuti a imparare l'uso delle armi, fin dai quattordici anni. Ma, contrariamente a molte ragazze del regno, a Éowyn piaceva combattere. Era nel suo sangue, il sangue di Éomund, primo Maresciallo di Rohan. Aveva perfino pregato Théoden di lasciarla andare con i soldati a sorvegliare i confini del loro territorio qualche volta. Naturalmente suo zio si era opposto.

Éowyn aveva ventiquattro anni a quel tempo e suo cugino venticinque. Due giovani in un mondo che stava iniziando a fare paura. Non é giusto.Non é giusta quest'agonia, pensó. Prese di nuovo la mano del cugino.
"Se questo ha voluto Eru...addio Théodred. Non soffrire inutilmente." sussurrò in un singhiozzo strozzato. "La casata di Thengel muore con te."

⚜️⚜️⚜️

"Ah, che miseria." mormorò Hammon, mentre con Goneril e Degarre oltrepassava il portone di Edoras. Il resto della loro gigantesca legione attendeva nella valle. Avevano già montato tende e acceso qualche falò. Era tempo di contrattare e i soldati sapevano che ci sarebbe voluto molto. Forse un giorno intero. Era difficile convincere i governatori e i regnanti ad assumere un esercito mercenario: in parte, perché il prezzo da pagare era alto. In parte, per la scarsa fiducia di cui quel tipo di compagine si circondava.

Mercenario era un esercito che vendeva la vita dei propri soldati al miglior offerente. Non esistevano contratti firmati, però, solo la parola e una stretta di mano, dietro pagamento anticipato. Chi poteva dire se quei guerrieri già lautamente retribuiti avrebbero mantenuto la parola data, e non sarebbero invece fuggiti, o peggio, rivoltati contro i loro stessi "clienti", in presenza di un'offerta migliore? Non c'erano mai garanzie e i potenti di tutta Arda lo sapevano. A volte, messi alle strette da incombenti invasioni di nemici, re e sovrintendenti accettavano. Altre volte li cacciavano in malo modo, com'era successo a Esgaroth.
La regina Sigrid, figlia del defunto e rimpianto re Bard, non aveva nemmeno permesso a Goneril di entrare nei loro confini. Stupida donna, aveva inveito il loro Generale, offesa. Superficiale come solo le regine sanno essere. Con suo padre sarebbe stato diverso.

Erano in mille, vent'anni prima, sotto il Generale Mainard, un disertore dell'esercito di Gondor. Aveva rubato al grande regno una cinquantina dei suoi soldati più preparati e si era diretto verso i più remoti angoli di Arda, raccattando predoni, ex combattenti, ladri e ogni genere di gentaglia, purché di sesso maschile, razza umana, e provate abilità belliche. Li aveva educati alla disciplina, al rispetto dei compagni e non senza difficoltà era riuscito a trasformare una massa di selvaggi guerrieri in una legione ordinata e compatta.

Poi, dal nulla era sbucata Goneril.
L'elemento ingovernabile, la scheggia impazzita. Mainard apprezzava la sua efficienza in battaglia, ma la trattava con strano distacco. Aveva consigliato tante volte a Degarre di limitare le sue scorrerie, di accertarsi che non perdesse il controllo durante gli scontri, perché troppe volte l'aveva vista esagerare. Goneril, diceva, gli ricordava una vespa assassina in uno sciame di api operaie.

"Come ha fatto Théoden a ridurre il suo territorio in questo modo...Eru mi è testimone, dieci anni fa l'atmosfera era ben diversa." commentò Degarre. "Qualcosa di funesto è arrivato qui." rispose Hammon, osservando i visi tristi e consunti dei paesani. Molti erano vestiti di stracci. Le case sembravano ancora decorose, ma erano lasciate in stato di decadimento; non un vaso di fiori alle finestre, nessun bambino che giocava nel cortile, non si udiva il vociare tipico delle città vive. Edoras stava perdendo la sua anima, la sua vitalità. "Dale in confronto sembra il paese dei divertimenti." osservò ancora Hammon.
"Dale è un reame ricco, un regno di mercanti. Non vedi qui... povertà ovunque. Ma che sarà capitato?" ribatté Degarre.
"Ve l'ho detto cos'è successo. Théoden è fuori di senno." rispose Goneril, scendendo dal suo cavallo nero. "Tu!" chiamò un ragazzo che li osservava imbambolato. "Conduci i nostri animali nelle vostre stalle. E tieni queste." gli allungò sei monete d'oro.
"Non abbiamo stalle a pagamento qui. Ci sono quelle dei soldati." rispose il giovanotto. Degarre temette di vederlo cadere sotto una sferzata di frusta. Goneril detestava le obiezioni agli ordini, anche se legittime.
La donna invece si mostrò inaspettatamente paziente e ripeté al ragazzo: "Allora vorrà dire che li porterai nelle stalle dei vostri cavalieri. Siete il regno dei cavalli, giusto?" Il ragazzetto capí infine di dover tenere chiusa la bocca e fece quanto detto. "Seguitemi. E lasciate parlare me." disse poi ai suoi due capitani. Come sempre, pensò Degarre.

I tre si avviarono su per la scalinata in pietra che conduceva all'entrata del Palazzo del Re. Gli stendardi con i simboli del regno si elevavano maestosi, ma Goneril notò che una delle bandiere era sporca, sgualcita. Come se il decadimento mentale e fisico di Théoden si fosse magicamente trasferito anche ai simboli della sua terra. Arrivato all'ingresso, le porte vennero aperte da due soldati di guardia. Ma non era un benvenuto.
"Chi siete?" chiese un soldato dalla barba e capelli rossi come il fuoco, uscendo dal portone.
"Chi sei tu." rispose Goneril. "Presentati soldato, e sappi che stai parlando a un Generale."
"Come no, una donna...capo di una marmaglia di mercenari. Non permetterti inutili esibizioni di orgoglio da noi." ribatté il soldato. "Il tuo nome."
Goneril non si scompose. "Lo dirò al Re il mio nome." Degarre ammirava il suo sangue freddo in quelle occasioni. La loro Generalessa ci teneva a far capire subito ai suoi interlocutori che tentare di sminuire la sua importanza era fuori discussione.
"Senti," disse il soldato. "Il nostro Re non è in condizione di ricevere nessuno...tantomeno una pazza come te." Goneril inarcò un sopracciglio e sorrise. "Mi giudichi in questo modo? Allora...sono nel regno giusto. A quanto pare anche il tuo sovrano ha qualche rotella fuori uso. Ormai è una voce che gira per tutta Arda." si avvicinò a sua volta al soldato, inchiodando gli occhi celesti e circondati da un tratto nero in quelli dell'altro. "Sono qui per parlare di affari. O meglio, sono qui per evitare che quei disgraziati lá fuori che sarebbero i vostri sudditi, vengano fatti a pezzi e poi divorati da esseri cosí orrendi come non ne hai mai visti."
"Ma che vai cianciando, ragazza?" chiese il soldato in malo modo.
"Degarre." chiamò Goneril. Il capitano si avvicinò con un sacco in mano. Infilò la mano ed estrasse la testa marcia di un Uruk-Hai. Il soldato di Rohan fece una smorfia di ribrezzo.
"Sto parlando di una nuova razza di Orchi." disse Goneril. "Osserva bene le dimensioni di questa testa. Ti assicuro che appartiene a un essere gigantesco e feroce. Uno solo di questi mostri farebbe strage della tua gente, se entrasse qui. E vuoi sapere una cosa? Ce ne sono centinaia in marcia verso Rohan. Anzi, per essere più precisi, sono già all'interno dei vostri confini. Uno di questi ha ucciso il figlio di Théoden. E voi avete bisogno di un esercito che integri le vostre forze."
Il soldato distolse gli occhi dalla testa decapitata e rispose: "Théodred è vivo. Ferito, ma vivo." Hammon e Degarre si guardarono stupiti. Goneril, invece, manteneva il suo contegno.
"Sarà morto prima di sera. Conosco bene le ferite di battaglia, soldato-che-non-vuole-presentarsi. Quel giovane è spacciato." Poi arretró di qualche passo, indicando la sacca nera e macchiata di sangue rappreso. "Questo l'abbiamo ucciso noi, nel villaggio di Bannock. E lo abbiamo fatto gratis. Lasciami parlare col tuo Re."
"Gambling." si presentò infine il soldato. "Mi chiamo Gambling."
La donna sorrise. "Goneril, Generale della Prima Legione dell'Est...al tuo servizio." Gambling osservó prima lei, poi i due capitani alle sue spalle. "Consegnateci le armi."
"Non abbiamo armi." rispose Goneril. "Le nostre sono là fuori, nell'accampamento. Siamo qui per dialogare, non minacciare."
"Dovremo perquisirvi." disse allora Gambling.
"Provaci." fu la risposta della donna. "Oseresti toccarmi?"
Gambling sospiró. "Allora solo tu potrai entrare. Loro staranno qui, sorvegliati dalle nostre guardie." decise infine.
"Mi pare accettabile." disse lei. Gambling le fece strada all'interno del Palazzo. La porta massiccia si chiuse dietro di loro.
"Dovrai parlare con... Grima Vermilinguo. E' lui che prende le decisioni ora." la informó Gambling, sottovoce, avviandosi con la donna verso il trono.
"Non ho intenzione di parlare con chi porti un nome simile. Siete caduti in basso, Gambling di Rohan." rispose lei con un ghigno.
Il soldato s'intristì. "Hai ragione su questo."

"Chi si presenta qui con un esercito al seguito?" urló Grima da lontano. "Chi osa?"
"Voglio parlare con il Re. Zitto, tu." intimó Goneril. Avvicinandosi, vide subito che qualcosa non andava in Théoden. Quello seduto mollemente sul trono davanti a lei non era un anziano oppresso dalla vecchiaia.
Era un uomo posseduto da qualcosa.

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Capitolo 4
*** Malefici ***


"Perché l'avete lasciata entrare?" sbraitó Grima. "Chi vi ha detto di..."

"Ospiti...inattesi..." mormoró Théoden. Alzó lentamente lo sguardo verso la donna. Goneril notó subito che i suoi occhi erano appannati: come ci fosse stata una patina a coprirne le iridi celesti. "...e importuni." finì. Stava biascicando.
"Giusto, mio signore. Credo che Gambling non abbia compreso i vostri ordini." Grima alzó la voce, irritato con il soldato. "Avevamo detto, porte chiuse e niente forestieri! Quale parte di questo ordine ti è poco chiara, vice-capitano?"
Gambling non si scompose. Replicó secco: "Da sempre il nostro regno accoglie chi propone accordi. Qua fuori c'é un esercito mercenario. Re Théoden non ha mai respinto i visitatori prima del tuo arrivo, Grima."

"Mercenari..." disse ancora Théoden, in un rantolo. "Niente...accordi." Grima si lasció scappare un sorrisetto di trionfo.
"Hai sentito il Re, Gambling? Credi di potere eseguire le volontà del nostro signore, e sbattere questa donnetta e la sua gente fuori dal nostro territorio, o ti sarebbe troppo difficile?" lo provocó.
"L'unico che dovrebbe essere sbattuto fuori da qui sei tu." intervenne Goneril. "La tua sola presenza offende questo luogo."

Grima e Gambling rimasero zitti per qualche attimo, sorpresi da quell'improvvisa impertinenza. La donna squadrava il consigliere del Re: se i suoi occhi fossero state lame, Vermilinguo sarebbe caduto a piccole fettine sul pavimento in pietra.
Poi l'ometto si riprese. "Tu insulti il più devoto suddito del Re proprio in presenza del Re? Vuoi quindi che la tua vita finisca quest'oggi?" disse Grima, provando a mettersi dritto. Ma non gli riuscì. Goneril ebbe l'impressione che fosse gobbo: la sua schiena era incurvata come il ramo di un salice. I capelli unti e neri come la pece gli incorniciavano un viso grottesco, pallido, malato. Profonde occhiaie brunastre circondavano i suoi occhi: sembrava non dormisse da anni. Nel complesso, la donna lo trovó ributtante.

"Non ho offeso." rispose comunque lei. "Ho detto che sei inopportuno in questo luogo. Allora, lascia che ti chiarisca meglio ció che intendo: io trovo che saresti più adatto nel ruolo di giullare... il tuo corpo deforme sarebbe perfetto per la maschera di buffone. Ogni re che si rispetti ne ha uno, da che mondo e mondo."
Gambling sentì un guizzo di perfida gioia nel cuore. Non aveva affatto simpatia per i soldati mercenari, ma quella ragazza era stata l'unica ad aver trattato Grima esattamente come meritava. Le avrebbe quasi stretto la mano per congratularsi. Prima di lei, solo Éomer e Théodred lo avevano affrontato a muso duro. Tutti odiavano Grima, ma la fiducia incondizionata che Théoden aveva riposto in lui lo rendeva praticamente intoccabile.

"Guardie!" urló lui, incredulo. "Guardieeee!" Stava per dare ordine di arrestarla, Gambling ci avrebbe scommesso. Anche la donna lo aveva intuito: il suo occhio esperto notó subito che Goneril aveva piegato un braccio dietro la schiena, e stava per estrarre qualcosa da sotto la cintura. Gambling immaginó fosse un'arma. Con uno scatto si portó dietro di lei e le bloccó il polso. "No." le sussurró. "Non così. Lascia fare a me." Il viso di Grima, nel frattempo, aveva perso il suo pallore, ed era arrossito furiosamente, di rabbia e imbarazzo. "Nelle galeeeere!" continuava a sbraitare.

"Ci penso io a lei." gli disse Gambling. Goneril provó a strattonare il polso per liberarsi, mentre due soldati accorrevano agli schiamazzi di Grima. "La condurró personalmente fuori dal reame." promise il soldato, facendo cenno agli altri di non intervenire.
"Fuori...dal reame." si udì Théoden mormorare. "Lontano...per sempre..." La donna osservó il sovrano. Sentì qualcosa allo stomaco, un'improvvisa e violenta sensazione di disagio. Lontano...per sempre.
"E se oseranno avvicinarsi di nuovo anche solo di un miglio, che vengano trucidati!" continuó a inveire Grima. Gambling la trascinó fuori, e lei, dopo un'iniziale resistenza, finì per seguirlo docile. Aveva ragione il soldato: da sola non poteva fare niente. E comunque, non con quel piccolo coltello che nascondeva sotto alla fusciacca. Certo, avrebbe potuto sgozzare il bieco gobbetto , come minimo, ma sarebbe stata fatica inutile...e senza alcun guadagno. Anzi, attraverso Arda la sua fama di strega crudele avrebbe acquisito nuova linfa, e addio futuri affari.

Gambling la portó fuori da Palazzo. Hammon e Degarre, che attendevano in basso alla fine della scalinata, si avvicinarono. Dall'espressione di Goneril compresero che la gita fino a Edoras si era rivelata un'inutile perdita di tempo. "Maledizione. Tutta questa strada...per un accidente di niente!" imprecó Hammon.

La donna si liberó dalla stretta del soldato. "Come avete potuto permettere che quell'essere miserabile prendesse il controllo di questo reame? Ma che razza di gente siete...vigliacchi, senza carattere." protestó.
"Così vuole il Re. Allontanare Grima Vermilinguo con la forza vorrebbe dire ribellarsi a Théoden. Sarebbe un reato punibile duramente." spiegó Gambling.
"Il vostro Re è un burattino nelle mani di una forza più grande, siete ciechi? Dovete destituirlo." ribatté lei. "Quel suo nipote...Éomer, deve prendere il comando. Dov'é adesso?"
"È con suo cugino. I due nipoti del sovrano vegliano Théodred nei suoi ultimi istanti. Non lo disturberei se fossi in te." spiegó Gamling. "C'era già abbastanza afflizione qui. Anche questo...la morte del principe, non ci voleva." Sospiró, guardando le case attorno al palazzo regale, le persiane chiuse, i popolani mestamente affaccendati nel silenzio di quella grande vallata.
"Questi sono problemi vostri. E ve li siete cercati, lasciando che quel Grima s'insediasse di fatto sul trono. Non so quale sia la forza sconosciuta che tiene legato il tuo signore, ma ha a che fare con Sauron, questo è certo. Se Sauron ha allungato il suo braccio invisibile fino a Rohan e tramite quel tizio là dentro manipola Théoden, progetta qualcosa di grosso. Un esercito terribile è stato creato dallo stregone Saruman..." Goneril si bloccó. "Saruman..." ripeté. "E se fosse proprio lui ad aver preso il controllo della mente del Re?... forse è entrato in lui. Con un maleficio."
Gambling confermó il sospetto. "Sì. Lo crede anche Éomer, ormai. E io sono d'accordo. Quell'uomo canuto e raggrinzito non è il nostro re. Lo conosco abbastanza, il mio signore. E quello là dentro non é più il mio signore."
"Allora Éomer, o come si chiama, dovrebbe andare a Isengard. Andare lì e affrontarlo." continuó Goneril.

"E con quale scopo?" chiese una voce maschile e perentoria. Il nipote del Re era uscito dalla porta senza essere notato. "Solo per il gusto di venire annientato con i miei Uomini?" Si era tolto l'armatura e il suo viso, senza elmo, era evidentemente provato da notti insonni e grandi tormenti interiori. Il regno di Rohan, una volta prospero e felice, era come risucchiato da un vortice malvagio, e lui non poteva farci niente. La cosa lo faceva ammattire. "Saruman è il capo degli Stregoni della Terra di Mezzo...il più potente. Ci farebbe travolgere da una valanga o da chissà quale altra calamità se provassimo a varcare i confini di Isengard." disse fissando la donna. "Ci hai pensato, prima di accusarci di codardia?"

"Allora preferisci sottometterti? Sarebbe questa la tua politica?" chiese lei, non nascondendo un lieve sarcasmo. "Non fai onore alla memoria di tuo padre, cosí."
"Solo perché sei una donna non ti darò quello che meriteresti dopo queste parole." ribatté Éomer. "Ma...ti avverto: abbiamo già i nostri problemi, e non tollererò altre grane. Mi hanno riferito che ci sono cinquecento soldati al tuo servizio, nella vallata qui di fronte. Dopo che la notte sarà passata ti ordino di destarli e lasciare con loro il nostro territorio. É la seconda volta che te lo dico. Non ce ne sarà una terza." Goneril non parve impressionata. Ci voleva ben altro. Una che era sopravvissuta a cento sferzate sulla schiena a tredici anni poteva senz'altro reggere lo sguardo duro di un uomo a trenta. "Vedi, sono confusa." gli disse, le labbra rossastre che si allargavano in un più ampio ghigno. "Tu parli di ordini. Ma da quel che ho visto, non è più Éomer a dare ordini. Né Théoden, né tantomeno suo figlio, povero principe sull'orlo della fine. La vostra nobile famiglia è stata degradata a servitù." Gambling notò con preoccupazione che Éomer stava perdendo la calma. Lo capiva, perché in quei momenti i suoi occhi scuri brillavano, e il suo viso si faceva sempre più rosso sulle guance. La donna invece, era perfettamente padrona di se stessa. Una gatta nera che agitava la coda di fronte a un mastino, gli sembrava quella scena.

"Taci." le disse Éomer. "O i tuoi soldati non ti vedranno mai più."
"Spiacente, figlio di Éomund. Non mi impressioni. Non hai credibilità se lasci quel plebeo untuoso guidare il vostro reame. Ora sei tu il principe, non è cosí? Bene, guarda i tuoi sudditi." gli disse Goneril, indicando con un dito inanellato le abitazioni tutt'intorno. "È tua precisa responsabilità proteggerli, ora. Per prima cosa, dovresti andare là dentro e mandare all'altro mondo quel Grima, o farlo imprigionare. Poi, dovresti galoppare con i tuoi Rohirrim verso Isengard, e spedire anche quel vecchio incartapecorito di Saruman dritto da Eru, e che se la veda lui. Allora tuo zio sarà libero, e anche tutti voi. Ma non farai né una, né l'altra cosa." Goneril fece una smorfia di disprezzo. "Invece, prendertela con una donna é più facile. Meno pericoloso."

Gambling si sentí di intervenire, prima che il suo superiore perdesse ogni autocontrollo. C'era molto vicino, lo sapeva. "Però aspetta, Éomer ha ragione. Contro un Istari di quella potenza non si può fare niente. E Isengard é protetta dalla Foresta di Fangorn, quel bosco maledetto. Prima di arrivare alla Torre oscura in cui vive Saruman bisogna superare una boscaglia sterminata, é una barriera fittissima."

"E dovrei trascinarci i miei soldati, perdendo loro e anche i cavalli. Beh, non so chi ti ha eletta Generale, donna, ma la tua strategia é alquanto discutibile." aggiunse Éomer. "Dovresti tornare a fare la serva, o la cuoca, o qualsiasi mestiere tu avessi prima di iniziare a giocare con le spade."
"Credo che tu mi stia confondendo con tua madre." rispose Goneril e a quel punto Gambling si aspettò un bagno di sangue. Se c'era una cosa che mandava fuori di testa Éomer era riferirsi, in qualsiasi modo, ai suoi genitori. Già pochi minuti prima la Generalessa aveva rischiato grosso nominando suo padre Éomund, ma adesso, ragazzi, aveva tirato in ballo Théodwin e ci sarebbero stati tuoni e fulmini sotto a quel portico.

"Te la sei cercata." le ringhiò infatti  Éomer, poi si girò verso Gambling. "Dammi la tua spada. Voglio vedere se quello sguardo le rimarrà incollato sul viso, dopo che la sua testa sarà rotolata laggiù."
"No, no, Éomer, avanti, lasciala stare. É una ragazza disarmata. Se la uccidi, commetti un crimine nel tuo stesso regno. Lascia perdere. E tu..." disse a Goneril. "Falla finita e vattene."
"Una ragazza disarmata...questa é un'assassina. Quanti uomini hai ucciso per soldi? Cento, duecento, mille? Non c'é umanità in te, lo sento. Non sei diversa da Sauron." continuò Éomer.
"Ti sbagli." ribatté lei. "A Sauron non interessano le percentuali sui guadagni, a me sí. Lui vuole distruggere il mondo conosciuto? Si accomodi, ci provi. Io offro solo un gruppo di soldati ben addestrati e ancor meglio armati a chi ne ha bisogno, in cambio di due casse d'oro. E non siamo assassini...non meno di te, Éomer di Rohan."
"Non abbiamo bisogno di voi, te lo vuoi mettere in testa? Ma con chi credi di parlare, insolente? L'esercito di Rohan é uno dei più grandi fra quelli degli Uomini. Abbiamo combattenti sparsi per tutto il territorio, procurati una mappa e osservane l'estensione. Cinquemila soldati servono Théoden. I tuoi cinquecento non sono che una goccia nel nostro mare." spiegò orgoglioso Gambling.
"E allora come mai il vostro Re é seduto là dentro istupidito e debole? Chi lo sta difendendo, esattamente? Scusa, soldato, ma insisto: quaggiù siete sprofondati in un gran bel guaio. Non venirmi a dire che non vi serve aiuto, perché é un insulto alla mia intelligenza." proseguí Goneril. "Andrò io a Isengard, con i miei guerrieri. Farò il lavoro sporco che voi non volete fare. E guarda, non chiedo nemmeno il pagamento anticipato. Quando Théoden tornerà in sé mi darete quanto mi spetta. Cosa ne dici, Maresciallo dei miei stivali?" chiese a Éomer.

Quest'ultimo e Gambling si scambiarono un'occhiata veloce. "Se farai quello che dici, se mio zio tornerà a ragionare, parlare e vivere come essere umano e non come larva...sarai la benvenuta qui. Mi inchinerò davanti a te." disse Éomer, "...sfortunatamente, credo che non succederà."
"Due casse d'oro, e avrai la testa di Saruman su uno scudo." ripeté Goneril. "Non inchinarti, non mi interessa. Gli uomini non si inchinano davanti a me, non l'ho mai preteso. Ma pretendo il pagamento per il mio lavoro. E se porterò a termine la mia missione, e non mi darete quanto mi spetta, dopo il sangue di Saruman ci sarà il tuo sulla mia lama. Affare fatto?"
"Come no. Buona fortuna, allora." fu la risposta secca del giovane.
"Non ho ancora finito. A proposito di quel Grima..." riprese Goneril.
"Lui lascialo stare...per ora." la interruppe Gamling.
"Voglio dire...quale credete sia il motivo per cui si é schierato con Saruman, e lo serve con cosí puntigliosa devozione?" chiese la donna. "Non si sa. Per avere qualcosa im cambio, è presumibile." ribattè il soldato.
"Hm... qualcosa o ...qualcuno. Tu hai una sorella, mi è stato detto." disse Goneril, girandosi verso Éomer.
"Sí. E allora?" chiese lui.
"Allora...riflettici un po' su. Da quel che ho visto, quell'omuncolo è talmente sgradevole e viscido...che credo non abbia mai sfiorato una donna. Sarebbe legittimo desiderare ciò dietro a cui si é a lungo sospirato ...e arrivare al punto da tradire se stessi e la propria dignità per averlo. Siamo tutti mercenari, mio signore dei cavalli. Ognuno a proprio modo." terminò Goneril, mentre Éomer iniziava a impallidire.
Éowyn. Non ci aveva mai pensato.

"Ora ti conviene augurarmi di nuovo buona fortuna. Non ci vedremo per un po'...e tu," disse guardando di nuovo Gambling. "...meglio se richiami ciascuno dei cinquemila cavalieri di cui vai fiero. Avrete bisogno del vostro esercito al completo. E cercate contatti con Gondor, già che ci siete."
"Non ci servono consigli. Va' in pace, prima che cambiamo idea." rispose il vice-capitano. La donna non rispose, fece girare uno sguardo orgoglioso prima su Éomer e poi su Gambling e discese in fretta le scale, verso Degarre e Hammon che la aspettavano. Avevano già ritirato i cavalli dalle stalle. Poi, i tre trottarono verso la grande entrata di Edoras e uscirono, lasciando i suoi confini.
"Ma da dove é sbucata quella? Che sta succedendo, in nome di Eru?" mormorò Gambling.
"Non so, amico mio. Ma quello che ha detto su mia sorella mi fa riflettere." rispose Éomer.
"Credi che Grima stia mirando a Éowyn? Come crede di avere la sua mano, tua sorella lo disprezza." disse Gambling.
"Non hai sentito?" rispose Éomer. "Forse come premio. Che mia sorella lo corrisponda o no avrebbe poca importanza. Grima segue Éowyn con lo sguardo, questo é vero. Lo faceva anche prima, da quando era una ragazzina. Ma adesso é nella posizione di...provare ad averla. Quella donna non dice assurdità." Gambling lo guardò dispiaciuto.
Éomer era già abbastanza in pena per suo zio, e addolorato per la recente tragedia di suo cugino...ora quei terribili sospetti sulla sorte della sorella minore.
"Senti....non pensarci ora. Va' da Théodred. È ancora vivo, ma potrebbe non farcela fino a domattina. Raggiungi Éowyn e insieme accompagnatelo verso la sua dipartita. A Grima penseremo più avanti, te lo prometto." tentò di rincuorarlo il soldato.
"Come lo dirò a mio zio...se Théodred muore, come..." sussurrò Éomer, il coraggioso e forte Éomer che non tremava mai fu sul punto di commuoversi.
"Va' da lui. Coraggio." lo esortò Gambling. "Siete ancora una famiglia."

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Capitolo 5
*** La legione ***


"Hai fatto cosa?!" trasecoló Degarre, mentre Goneril gli spiegava l'accordo preso con Éomer.

"Dovremmo andare a Isengard?! Attraversare la Foresta di Fangorn?!" La donna si giró a guardarlo, mentre il suo cavallo nero, Aldair, procedeva alla testa degli altri due.
"Sì." rispose. "La faccenda ti preoccupa?"
"Beh, Goneril, non sarà facile. È una missione oltre le nostre capacità, direi." intervenne Hammon.

Lui e Degarre si erano scambiati occhiate incredule al ritorno da Edoras. Ma come poteva pensare, il loro Generale, di trascinare cinquecento uomini attraverso Fangorn? Quella foresta era un luogo pericoloso: si mormorava che gli alberi prendessero vita di notte, che allungassero i rami trasformandoli in grottesche mani di legno, per afferrare coloro che si avventuravano lì nei pressi. Poi li stritolavano, oppure li facevano sparire sotto le loro radici. Si diceva anche che fra i suoi abitanti ci fosse una particolare famiglia di folletti, chiamati Ent, che si trasformavano a loro volta in piante per mimetizzarsi, e odiavano e aggredivano  gli intrusi. Un gran brutto posto da visitare.

Goneril arrestó la marcia di Aldair. "Cosa hai detto, Hammon?" Il capitano si irrigidì, come sempre, quando gli occhi della donna brillavano a quel modo. Di solito, era l'ultimo segnale prima dell'attacco...un po' come i serpenti a sonagli che facevano vibrare la coda prima di mordere.
"Volevo dire che fino a questo momento abbiamo sempre avuto la meglio su tutti gli eserciti, ed i gruppi guerrieri, che abbiamo incontrato. Ma perché ci battevamo contro uomini, o contro gli orchi. Sono nemici affrontabili. Ma le forze oscure di una foresta maledetta, temo siano troppo per noi. Per non parlare di Saruman."
Degarre confermó. "Ha ragione, Goneril. Nessuno discute la tua capacità come Generale, da quando sei alla nostra testa ci hai sempre portato alla vittoria, e ad ottimi guadagni. Tutti noi ti rispettiamo. Ma questa volta stai chiedendo a noi, e ai nostri soldati, uno sforzo eccessivo. Condurre tutta la nostra legione attraverso Fangorn sarà un suicidio collettivo. I cavalli non riusciranno mai a farsi largo fra quelle fitte sterpaglie, e metà dei nostri uomini rischiano di venire uccisi dalle energie demoniache che hanno preso possesso degli alberi. Rifletti su questo, ti prego."

"Davvero desolante." disse Goneril, guardando prima Hammon e poi Degarre. "Voi due dovreste essere i miei fidati aiutanti, i miei capitani, coloro in cui dovrei riporre la massima fiducia. Siete solo due vigliacchi."
Degarre s'innervosì. "Aspetta un attimo..."
"Aspettare cosa?" lo interruppe lei, portando la mano sinistra sull'impugnatura della sua spada completamente ricoperta d'oro. "Vuoi obiettare ancora?"
"No. Ti seguirei ovunque, lo sai bene questo. Ma i nostri uomini rischiano moltissimo in questa missione." rispose Degarre, cercando di non tradire il nervosismo.
"Non ho mai detto che voglio portare tutti i nostri uomini con me. Solamente tre di loro." Sorrise brevemente. "Vale a dire il giovane Lassalle, Hammon, e... te."
Degarre non capì. "Cioé, secondo te dovremmo andare solamente noi quattro a sfidare Saruman?" La situazione stava assumendo una piega ancora più indecifrabile. "Perdonami, ma non riesco a comprendere le tue intenzioni."
"Lo vedo." mormoró la donna. "So molto bene che cinquecento uomini non possono attraversare un dannato groviglio come Fangorn. Non sono un'idiota, anche se tu e quest'altro lo state insinuando..."
"Non è vero..." balbettó Hammon. Stava cominciando a sudare freddo.
"Taci." gli intimó lei. "...questa non sarà un'azione di forza. Sarà un lavoro raffinato, pulito, senza sbavature. Sarà più facile se saremo in pochi. Ho intenzione di attraversare la boscaglia, arrivare a Isengard, e salire personalmente in cima a quella torre. Farò tutto da sola, voi tre servirete a coprirmi le spalle e nient'altro."
"Ma Goneril... quel territorio ora brulica di orchi, e orchetti. Sono tutti servi di Saruman, per non parlare degli Uruk-Hai. Dicono abbia messo insieme un'armata spaventosa. Ti vedranno, ti cattureranno e dopo... cadrai sotto le loro torture." sbottó Hammon.
"Tu credi? Sono abbastanza veloce e silenziosa da passare inosservata. Inoltre, mi è stato riferito che gli orchi stanno in parte disboscando la foresta su ordine proprio dello Stregone...sono distratti, capisci? Lui sta costruendo carri da guerra, nuovi macchinari da impiegare contro gli Uomini e gli Elfi. Non noterà la mia presenza." ragionó lei.
"Una volta davanti a Saruman, comunque, dovrai provare ad annientarlo..." continuó Hammon. "Complicato, a dir poco."
"È un uomo: puó essere ferito e ucciso. Voi e le vostre paure...siete patetici." disse Goneril, volgendo lo sguardo a Nord. Il tempo stava cambiando, lo sentiva nell'aria gelida.
Degarre scuoteva la testa. "Posso capire che tu voglia me e Hammon con te... ma perché il ragazzo? Lassalle per ora é solo un aiutante di campo, non è addestrato. E ha solo diciassette anni." obiettò.
"Appunto." rispose la donna. "È l'elemento più sacrificabile di tutta la legione. Se dovesse morire, non sarà un grande problema." I due uomini si guardarono ancora. Goneril stava confermando per l'ennesima volta di essere senza cuore. Mandare a morte certa un ragazzino. "Ma in che modo pensi di impiegarlo?" continuó Degarre.
"Come cavia." ribatté lei. Nel frattempo, i tre cavalli avevano ripreso a trottare verso l'accampamento. "Voglio mettere alla prova lui e tutte le dicerie sulla foresta. Questa storia degli alberi che prendono vita... sembra tanto una leggenda di paese. Manderó avanti la recluta... la sua vita non vale la nostra, comunque."
"E se fosse tutto vero... noi che faremo?" osó chiedere Hammon.
Goneril ghignó. "Faremo semplicemente più attenzione."

⚜️⚜️⚜️

"Allora, hai preparato l'acqua?" chiese uno dei soldati a Lassalle, che stava trafficando attorno a una tinozza di legno.
"Non ancora. Devo prima togliere la muffa con questa spatola. Accidenti! Il legno ormai è marcio. Dovremmo fabbricarne un'altra." si lamentó.
"Ti consiglio di fare del tuo meglio, ranocchio. Lo sai che il nostro Generale vuole lavarsi ogni volta che ci fermiamo." continuò il soldato. "Non sarà contenta di vedere della muffa incrostata nella sua vasca da bagno, credo."
I soldati lì attorno risero. Lassalle sbuffó. "Potresti anche aiutarmi..."
"No, giovane. Sei tu il servetto della compagnia, ricordalo." lo canzonó un altro, lì vicino.
"Io sono un soldato!" sbottó Lassalle. "Come voi!" Stavolta la risata dei guerrieri si levò alta e fragorosa.
"...tu saresti... un soldato?! A dire il vero, non ricordo di averti mai visto con la spada in mano." disse uno degli uomini.
"Ma sì, non rammenti? Quella volta che il nostro Generale gli ordinó di affilarle la sua!" rispose uno da lontano. Risero di nuovo tutti quanti. Lassalle diventó paonazzo. Era vero: fino a quel momento non aveva avuto modo di dimostrare le sue capacità in battaglia. Goneril lo aveva sempre e solo impiegato come tuttofare, assegnandogli dei compiti umili, ma necessari: strigliare i cavalli, pulire le stalle improvvisate, andare a raccogliere legna per il falò, lavare i piatti sporchi, e gli indumenti dei legionari. Era ancora troppo giovane, gli aveva detto, e avrebbe dovuto cominciare dal basso.
Lassalle aveva trovato ragionevole quel discorso, ma era ormai entrato da un anno nella compagine , e stava cominciando a temere che il loro Generale avesse deciso di tenerlo per sempre in quel misero ruolo. Non gli permetteva di addestrarsi con gli altri soldati, così ogni tanto il giovane si esercitava da solo, e si offriva sempre di accompagnare Degarre e Hammon in perlustrazione. Era convinto di essere un ottimo combattente con la spada, il problema era che Goneril non la pensava allo stesso modo.
La faccenda della sua età era irrilevante, Lassalle lo sapeva. Da quello che gli avevano raccontato gli altri, la ragazza non era molto più vecchia di lui quando si era unita al gruppo, e aveva iniziato a combattere praticamente il giorno dopo. Ma si era ripromesso di guadagnarsi la sua fiducia, ad ogni costo.
Tanto per cominciare, togliendo quella maledetta crosta dalla sua tinozza da bagno personale. Lavoró ancora un po' di gomito, e alla fine fu piuttosto soddisfatto del risultato. "Hey guardate qua: le vostre madri sarebbero onorate di farsi il bagno qui dentro!" rise lui, un po' stanco.
"Non dimenticarti di montare la tenda intorno. Lo sai che...il nostro capo ci tiene alla discrezione." gli ricordó uno degli uomini, e si udirono altre risate collettive.
"Non dirmi che non ti piacerebbe vederla nuda..." scherzó Lassalle. "Scommetto che molti di voi pensano a lei, quando siete coricati di notte, prima di addormentarvi..."
"Ma sentitelo!" rispose uno. "E tu, piccolo che ha smesso l' altro ieri di bere latte, ci pensi al nostro Generale ogni tanto?" Lassalle gonfió il petto nel tentativo fallito di darsi un'aria adulta e mascolina. "Si, a volte... è bella...non potete negarlo." rispose, mentre sistemava un largo lenzuolo che sarebbe servito da copertura.
"Ah..." sputó uno degli uomini. "Non andrei a letto con lei nemmeno se fosse l'ultima femmina rimasta su questa terra."
"Già... perché temi di svegliarti il giorno dopo senza più i gioielli di famiglia!" insinuó un legionario. Stavolta anche Lassalle rise.
"Ragazzo, impara una cosa: in una donna la bellezza è importante, ma non è tutto. Specialmente, se non si accompagna ad un cervello raziocinante." rifletté un soldato a voce alta. "...e Goneril lo ha perduto il raziocinio, così come la pietà, sappilo."
Stavolta nessuno si lasciò andare al riso. Anche Lassalle si fece serio. "Ma...cosa può esserle capitato, secondo voi?" chiese, girando lo sguardo sugli uomini. Era calato il silenzio.
"Non si sa. Non si è mai aperta con noi, come puoi immaginare. Credo, qualcosa nella sua infanzia, qualche violenza..." mormoró un soldato. "Però, qualsiasi cosa le sia capitato, l'ha trasformata in un'assassina straordinaria, e in un valido comandante per tutti noi. Bisogna darle atto di questo."
"Beh, se ti devo dire la verità, sento un po' la mancanza di Mainard." osservó un soldato attempato abbastanza da ricordarsi del vecchio Generale. "Era severo, ma non aveva perso del tutto la sua umanità." Gli altri furono d'accordo.
A rompere la calma, si udirono d'improvviso tre cavalli in arrivo, lo scalpiccìo degli zoccoli sul terreno duro era il segnale che gli scherzi erano bell'e finiti.

"Eccola." esclamó un legionario. "Tornate tutti alle vostre faccende. E tu..." disse, rivolto a Lassalle. "...muoviti con quelle lenzuola." Il giovane si affrettó a preparare tutto perché Goneril non avesse avuto nulla da ridire al suo arrivo. Quella nerbata che si era preso una volta, per essersi dimenticato il sapone, era stata più che sufficiente a fargli imparare la lezione. I tre giunsero infatti a cavallo, e si arrestarono nel mezzo dell'accampamento. Subito i tre destrieri vennero portato via, a rifocillarsi prima della strigliatura. Goneril si avvicinó a un faló, e chiese da bere. Di fretta arrivó un soldato con una bisaccia appena riempita con fresca acqua di ruscello. Molti legionari si radunarono attorno al Generale e ai due capitani, ansiosi di avere notizie.
"Ascoltate, uomini. Abbiamo un nuovo lavoro." annunció lei, a voce alta. "E se lo porteremo a compimento, ricca sarà la ricompensa."
I soldati esultarono. Soldi, molti soldi in arrivo.
Si stava avvicinando il momento in cui avrebbero deposto le armi, e si sarebbero rifugiati tutti nel grande regno ad Ovest che la loro Generalessa progettava di creare. Avrebbero vissuto in pace, aveva promesso loro, quella pace che nessuno di quei ex briganti aveva mai conosciuto in vita.
"Dove andremo stavolta, Goneril?" chiese uno.
"Tu, da nessuna parte." rispose lei, mentre Hammon le slacciava la parte superiore dell'armatura. "Rimarrete tutti qui. Vi prometto, comunque, che divideremo come al solito i guadagni." I soldati rimasero basiti.
"Andrai...da sola, Generale?" osó domandare uno.
"Non completamente. Degarre e Hammon verranno con me. E il piccolo Lassalle. Dov'é, a proposito?"
Gli uomini si guardarono sorpresi. Lassalle? Quell'impiastro che ancora non riusciva a reggere in mano uno scudo, quel borsaiolo, quel ladruncolo? Affiancare Goneril?
"Allora, dove si nasconde il ragazzino? Chiamatelo." ordinó lei. Uno degli uomini andó dal giovane che stava disperatamente cercando di sistemare in modo decente i tendaggi attorno alla tinozza. Lo condusse davanti a Goneril. "Hai sentito? Sei il prescelto per la nostra nuova missione. Consideralo un onore." lo informó Goneril. Lassalle aprì la bocca in un'espressione di stupida sorpresa. Sembrava un vero beota, pensó Degarre.
"G-g-g-grazie Generale. N-n-non ti deluderó, vedrai!" balbettó il ragazzo.
"Non ne dubito." sorrise Goneril. "Che stavi facendo?"
"Ti stavo preparando il bagno come sempre." rispose Lassalle, ancora emozionato. "Anzi, corro a mettere i sali nell'acqua!"
"La tua efficienza mi lascia senza parole." commentó lei, non tentando nemmeno di nascondere il sarcasmo. "Ed è stata ricompensata infine, vedi?"
"Magari io posso insaponarti la schiena. Così mi eleverai al rango di capitano." disse Aran, un soldato che negli anni si era distinto per il valore e che non era mai stato promosso. Lo faceva innervosire che Lassalle avrebbe assistito Goneril e i due luogotenenti mentre lui sarebbe rimasto all'accampamento ad annoiarsi. Goneril gli si avvicinó lentamente. "Sì. È una buona idea."
Alzó una mano candida e affusolata e la poggió sulla guancia di Aran, che rimase immobile e sorpreso, come tutti gli altri che lì attorno osservavano ammutoliti. La donna fece scivolare le dita fra i capelli ricci del legionario, fino alla nuca. Aran avvertì un brivido di paura e di strana eccitazione. Sembrava quasi che Goneril stesse flirtando con lui.
Ma in un attimo le cose cambiarono. Le sue dita fredde strinsero i capelli di Aran, facendogli male. Lo obbligó a piegare il collo all'indietro. "Ma...purtroppo per te...io non voglio essere toccata dagli animali." In un lampo estrasse il coltello che teneva nascosto sotto alla cintura e con un taglio netto aprì la guancia sinistra dell'uomo. I lembi di carne si ritirarono lasciando scoperta la dentatura. Il soldato urló per il dolore improvviso e violentissimo, mentre un fiotto di sangue gli colava giù per il collo inzuppando la casacca.
Degarre scosse la testa. Perché succedevano sempre cose del genere? Perché i suoi uomini non riuscivano a capire che davanti a Goneril dovevano tenere le bocche chiuse? Ancora non avevano compreso con chi avevano a che fare, dopo dieci anni?
"Portatelo via." ordinó la donna, mentre Aran era caduto in ginocchio tenendosi le mani premute sulla ferita. Non urlava più, perché ad ogni movimento del viso scorreva altro sangue. "Ricucitegli quella specie di faccia con ago e filo. E che sia cosciente mentre lo fate." Nessuno osó fiatare. Arrivarono due soldati e aiutarono Aran ad alzarsi, per poi condurlo via. Goneril estrasse la sua lunga spada dorata dalla guaina. "Qualcun altro non gradisce le mie scelte? Parlate, coraggio." Fece roteare l'arma alla sua consueta maniera elegante e minacciosa. Ci fu il silenzio più totale. Solo una cornacchia si udì gracchiare in lontananza. "Nessuno, a parte quell'uccello? Splendido. Allora, riprendete i vostri compiti."
Lassalle era pietrificato. Aveva smesso quasi di respirare. Sentiva solo l'istinto fortissimo di scappare via di lì. Scappare da quel démone sanguinario che era il loro Generale e che aveva appena mutilato un uomo proprio davanti a lui. Goneril lo guardó. Il terrore negli occhi del ragazzo le fece capire che aveva imparato anche la seconda lezione: mai fare gli spiritosi con lei.
Decise di mostrare benevolenza al piccolo, che comunque era quasi condannato a morte e che con tutta probabilità non sarebbe arrivato ai diciotto anni. Tremava come una foglia, la sua cavia sacrificabile. Gli sorrise, provando a fingere dolcezza.
"Aiutami a spogliarmi, avanti. Voglio far presto... un temporale é in arrivo."

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Capitolo 6
*** Fangorn ***


Erano partiti qualche ora prima dell'alba, nel momento in cui la luna si preparava a dire addio alle scene per lasciar posto al sole.

Giunti al confine con Fangorn, Goneril rimase in silenzio per un breve istante, quando davanti a lei, dopo che la foschia si fu diradata, comparve la famigerata Foresta.

Nel fitto di quell'immensa trappola di rami, tronchi e fogliame avvizzito per il freddo, non riuscí a scorgere alcun barlume di vita. Né uccelli, né insetti, o un movimento che suggerisse la presenza di esseri animati.

E perfin lei, che ormai aveva sviluppato una corazza invisibile contro la paura, avvertí un brivido alla base del collo.

Lassalle era spaventato a morte, ma si sforzava di mostrarsi impavido in quella sua prima missione ufficiale. Si stava giocando la faccia con il suo Generale, e doveva fare attenzione.

Goneril gli aveva dato ordine di portare con sé diversi oggetti: il suo arco e la faretra colma di frecce, alcune pezze di stoffa tagliate a strisce sottili e una bottiglia di acquavite. Quest'ultima richiesta era parsa bizzarra al ragazzo, che aveva commentato con Hammon: "Dici che vuole ubriacarsi?"

"Ah non so. Non so proprio, Lassalle. Non farmi mai domande sulle sue decisioni." aveva risposto stancamente il capitano.

Erano tutti e tre davanti alla Foresta, immobili sui loro cavalli. Gli animali stessi erano nervosi, non facevano che agitarsi e tentare di impennarsi, tranne Aldair: lo stallone nero mostrava la stessa calma assoluta della padrona.

"A terra, svelti. I cavalli restano qui." ordinò Goneril.

I quattro smontarono e lasciarono i destrieri liberi dalle briglie e dal morso, e questi subito si misero a brucare la poca erba che era spuntata a piccoli mazzetti sul terreno gelido.

"Non scapperanno?" chiese ingenuamente Lassalle.

"Cavalli addestrati da anni dovrebbero scappare? È meglio che riconnetti il cervello alla bocca, rospetto. Che Goneril non ti senta dire queste stupidaggini." gli consigliò sempre Hammon.

Lassalle preferiva rivolgersi al biondo capitano, piuttosto che a Degarre. Era più giovane di quest'ultimo, e nonostante spesso lo prendesse in giro, era anche più disponibile ad aiutarlo.

"Lassalle!" chiamò la donna. "Qui."

Il ragazzetto corse subito da lei. 
"Hai portato quello che ti ho chiesto?" volle sapere Goneril.

"S-s-sí, Generale. É tutto qua nella mia sacca. E questo é il tuo arco, con le frecce. L'ho fatto sistemare dal nostro esperto...il flettente non era abbastanza teso, ha detto." rispose Lassalle, girandosi di schiena per mostrarle l'arma che portava a spalla. "Ho fatto bene, vero?"

Goneril sembrò compiaciuta. "Magnifico. Ora, da' tutto ad Hammon."

Lassalle eseguí l'ordine. Poi si girò di nuovo verso la donna, che gli indicò l'ingresso di quella boscaglia oscura.

"Facci strada, avanti. Noi ti seguiamo a breve distanza." disse lei. I suoi occhi glaciali fissavano il volto slavato del ragazzino, che cominciò a preoccuparsi: conosceva molto bene le voci riguardo alla Foresta e l'idea di inoltrarsi là dentro disarmato non lo faceva proprio impazzire di gioia.

Goneril intuí le sue paure. "Coraggio, ragazzo. So che ci condurrai fuori da quell'intrico. Sei sveglio e hai grande intuito. Per questo ti ho portato con noi." gli disse. 
Un fugace sguardo corse fra Degarre e Hammon. Che bugiarda, pensarono entrambi.

Lassalle si diresse con passo incerto verso il confine del bosco e, dopo aver ricacciato giù a forza un singulto di paura, oltrepassò il limite. Avvertí presto nelle narici odore di muffa, di legno marcito e di funghi andati a male. Il terreno era ricoperto di fogliame bruno e molliccio, non si udiva che il rumore dei suoi passi su quel letto di vegetazione putrefatta e rami secchi.

Si girò: Goneril e i due uomini lo seguivano a qualche metro di distanza. Il Generale gli fece un cenno con la testa: "Procedi." ordinò.

Lassalle trasse un lungo respiro per darsi coraggio, ma qualcosa, forse un moscerino o del pulviscolo, gli entrarono in gola, provocandogli una tosse spasmodica. Arrossí pensando alla figura da idiota che stava facendo e non osò immaginare i pensieri di Goneril in quel momento. Sono un soldato, maledizione! si disse nella mente. Non sono più un bambino con il naso che gli cola! Devo farcela!

Sentí la voce del Generale dietro di lui. "Avanti cosí. Non temere. So che ci porterai fuori di qui, e se lo farai...ti eleverò al rango di capitano in seconda, dopo Hammon."

Quest'ultimo fece per ribattere qualcosa a quella promessa incredibile, ma Goneril alzò la mano, come a dirgli: lasciami giocare un po' con lui. Il ragazzino ha bisogno di una spintarella, tutto qui.

La donna non aveva concesso una piccolissima promozione nemmeno al valoroso Aran, che una volta aveva fatto fuori cinque Haradrim da solo, figurarsi se avrebbe gratificato quel lombrico di Lassalle.

La recluta abboccò. Si girò verso di loro con gli occhi carichi di esaltazione e Goneril aggiunse, a conferma delle sue parole: "Fa' in fretta, peró. Entro mezzodí voglio rivedere il sole, dalla parte di Isengard."

Il ragazzo drizzò le spalle e si rimise in marcia a passo un po' più spedito: le parole della donna gli erano servite da tonico. Capitano... pensò, sarò capitano... gli uomini non avranno più tanta voglia di ridermi in faccia quando darò loro ordini!

Perso in quei sogni di gloria, il giovane non si accorse di una radice che lentamente si stava sollevando dal terreno. Inciampò e cadde in avanti con un tonfo sordo. I tre dietro di lui si fermarono al suono del suo corpo leggero che cadeva sul fogliame putrescente. "Oh che schifo!" si lamentò Lassalle. "Bleah!"

"Tutto bene?" chiese Degarre.

"Sí...sono inciampato in una radice, state attenti anche voi! Spuntano dal terreno e non si vedono per via delle..." non riuscí a finire, perché con la coda dell'occhio colse un movimento sopra di lui.

Un ramo si stava...piegando. Non era scosso da nessuna brezza e non era il peso di qualche scoiattolo o altro animale che lo faceva muovere. Si stava piegando verso di lui.

Goneril lo vide e fermò gli altri. "Non vi avvicinate." comandò.

Il ragazzino, nel frattempo, osservava rapito quella scena surreale. Non gli venne l'istinto di scappare, come avrebbe fatto una persona più assennata di fronte a un maledetto albero che si muoveva da solo. Lo guardava invece con infantile stupore, come un bimbo che vede la neve per la prima volta.

"Lassalle!" urlò Hammon. "Vattene da lí! Che diavolo faaaaai?!!!"

Avvertimento tardivo e inutile: presto i rametti che costituivano l'estremità di quel grosso braccio legnoso si chiusero attorno al corpo gracile dell'adolescente, facendolo urlare di dolore.

Degarre estrasse la spada e si apprestò a correre in aiuto del ragazzo, ma Goneril lo fermò. "Ho detto...non vi muovete." ripeté. "Fatemi vedere che succede."

"Ma... lo ucciderà. Dobbiamo aiutarlo, Goneril, ti prego!" sbottò Hammon. Non ce la faceva a sentire le urla di Lassalle, le urla di un ragazzino. Quel mostro in forma di pianta sembrava deciso a stritolarlo.

"Voi dovete fare quello che dico io. Ti ho spiegato perché ho portato Lassalle, o non avevi sentito?" rispose lei, in quel tono che non ammetteva repliche. "Non é detto che lo uccida. Devo vedere questo."

Ma Hammon aveva ragione. Le intenzioni dell'albero, o del démone che ne aveva preso forma, furono chiare in un baleno. Le radici alla base del tronco d'improvviso si aprirono, mostrando un'oscura voragine. Allo stesso tempo, le tenaglie che stringevano Lassalle si spalancarono e il ragazzo fu lasciato precipitare in quel buco nero. Lo sentirono urlare: "Aiuto Degarre, Hammon! Per pietà, aiutatem..." ma le radici si richiusero sopra di lui e sprofondarono veloci nel terreno. E poi fu silenzio.

L'albero, un castagno, si immobilizzò, quasi che aver appena divorato un umano lo avesse del tutto appagato. Tornó ad essere una normale pianta come se ne vedevano a centinaia in giro , un po' avvizzita data la temperatura invernale. Ogni parvenza di vita in essa sparí.

"Oh Eru...oh bontà divina..." esclamò Hammon, sconvolto. "Avete visto?"

"Sí." rispose Goneril. "Direi che ora abbiamo la conferma di quello che si mormora in giro. Hammon, passami arco e frecce."

Il capitano eseguí, mentre il ricordo delle grida disperate di Lassalle riecheggiava nella sua coscienza. Dovevamo aiutarlo, pensò. Goneril, tu e la tua cinica...

"Che ti prende, Hammon?" chiese la donna, cogliendo lo sguardo accusatorio del suo luogotenente. "Non ti è piaciuto lo spettacolo?"

"No!" osò rispondere lui. "No, per niente."

"Oh, mi dispiace. Magari il prossimo sarà di tuo maggior gradimento, visto che andrai avanti tu stavolta." gli disse..

Con un sospiro, Hammon si portò davanti ai due compagni di avventura. "Ma quegli esseri non avranno gioco facile con me." disse, estraendo la sua spada.

⚜️⚜️⚜️

Goneril si girò verso Degarre.

"Prima di procedere, accendi una torcia." gli ordinò.

Il capitano cercò due pezzetti di legno abbastanza asciutti e li sfregò uno contro l'altro. Dopo qualche minuto, un filo di fumo comparve, seguito quasi subito da una fiammella arancione. Degarre appiccò il fuoco a una torcia improvvisata, e i tre si rimisero in cammino.

Hammon avanzava senza tentennamenti; ormai aveva visto con i suoi occhi cosa si nascondeva in quel bosco e non gli restava che farsi coraggio. In quei dieci anni appena trascorsi aveva affrontato ogni genere di nemici, in mezzo alla neve, al caldo soffocante delle radure deserte, ai ruderi delle vecchie città abbandonate. Ma non era mai stato in guerra contro degli alberi.

Non passarono molti minuti prima che un nuovo movimento arrestasse l'avanzata dei tre mercenari. Stavolta era un faggio. Non ancora perfettamente sviluppato, ma già abbastanza imponente. Quando i tre gli furono vicini, rapidamente abbassò un ramo nel tentativo di catturare Hammon. Da combattente esperto, quest'ultimo si girò con uno scatto fulmineo e colpí il ramo nodoso tranciandolo quasi a metà. Si udí un suono prolungato provenire dalla profondità del tronco. Un urlo.

"Presto, lancia quella sacca a Degarre." gli disse Goneril, del tutto tranquilla. Come non avesse visto cos'era appena successo. Hammon obbedí.

"Tu, prendi la bottiglia di acquavite e le pezze di stoffa tagliate dal ragazzo, svelto." continuò la donna. "E bagnale."

Degarre fece quanto detto. Aveva capito il piano di Goneril. Fuoco. Contro démoni fatti di legno, era l'unica arma

"Avvolgine una attorno alla punta di questa freccia." proseguí Goneril, mentre osservava Hammon provare a colpire ancora il faggio, che nel frattempo aveva allungato altre appendici verso di lui nel tentativo di prenderlo. Sembrava avesse divelto le sue radici dal terreno e stesse addirittura provando a camminare, in qualche modo. Hammon per un attimo pensò di essere preda di allucinazioni. La voce della donna che inveiva contro Degarre lo riportò alla realtà. "Sbrigati con quella pezza o te la faccio ingoiare!"

Affrettandosi, Degarre con la torcia diede fuoco alla punta di stoffa della freccia. L'alcool s'incendiò all'istante.

Goneril incoccò il dardo infuocato e lo puntò dritto verso il faggio. "Hammon, indietro." comandò. "Portati alle mie spalle."

Il capitano ignorava quanto fosse elevata l'intelligenza delle piante, non sapeva nemmeno se avessero un cervello, ma l'albero davanti a lui ne aveva evidentemente a sufficienza. Di fronte alla minaccia di venire colpito e dato alle fiamme, arretrò e si riposizionò lentamente dov'era prima, e lí rimase immobile.

"Almeno non sono stupidi." mormorò la donna, abbassando l'arma. La pezzuola incendiata cadde a terra e si spense.

"No, non sono stupidi, né cattivi. Sono tutti vittime di un incantesimo." si udí una voce commentare poco distante.

La voce di un vecchio.

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Capitolo 7
*** Lo stregone bianco ***


I tre si voltarono.

Davanti a loro, circondata da quel che sembrava un'aura luminescente, apparve una figura umana. Un anziano, dai lunghissimi capelli bianchi come la sua veste. Reggeva un bastone anch'esso candido, e li osservava con curiosità.

Goneril pensò : eccolo. Non credevo sarebbe stato cosí facile.

Doveva essere lui il famoso Saruman, immaginò. Subito estrasse la sua spada aurea dalla fodera, e ordinò agli altri: "Voi, all'erta. Ma non intervenite se non ve lo dico io."

Puntò l'arma verso il vecchio. "Bene, Saruman il Bianco. Mi hai facilitato il lavoro venendo qui." gli camminò lentamente intorno. "Dicono che tu sia il più potente fra gli Stregoni...ma, a quanto pare, non il più avveduto."

Il vecchio non sembrò spaventato né sorpreso. Si limitava a guardare Goneril con i suoi occhi celesti.

"Tu credi di conoscere la mia identità?" chiese l'uomo canuto.

"Sí, ne sono convinta." rispose lei, con il suo solito ghigno malevolo. "A Rohan hanno un piccolo problema, Stregone. E sono tutti abbastanza sicuri che sia tu la causa. Perciò, mi hanno chiesto il favore di trovare una soluzione." gli disse.

"Dietro lauto compenso, vero?" domandò il mago. Sembrava quasi di sentire un nonno che conversava amabilmente con la nipotina. Degarre non avvertiva alcuna negatività in quel tale vestito di bianco e cominciò ad avere il sospetto che Goneril, forse per la prima volta in vita sua, si fosse sbagliata.

"Esattamente. Ora," continuò lei "...io non amo uccidere. Sai, mi sono attirata negli anni la fama di virago crudele, ma non credo di meritarla fino in fondo. Non amo togliere la vita altrui più di quanto ami risparmiarla. E se tu non mi obbligherai a farlo, non ho intenzione di prendertela. Devi peró guadagnarti questo immenso privilegio che ti sto offrendo, lasciando re Théoden libero dalla tua presa, e Rohan salva dalla minaccia degli Uruk-Hai. Fallo, e potrai continuare le tue piacevoli passeggiate nel bosco." spiegò Goneril.

Hammon l'aveva sentita tante volte offrire un'ultima possibilità ai nemici e sempre con quel tono sferzante. Scegliete, o ve ne andate da queste terre sulle vostre gambe, o ve ne andate da questo mondo sulla mia spada. Molti erano stati quelli che avevano sottovalutato le sue minacce e l'avevano schernita lí per lí. Era raro vedere qualcuno prendere sul serio una ragazza in armatura, salvo poi cambiare idea una volta che Goneril tranciava loro un braccio, o una gamba. Ma in quel momento davanti a loro c'era un Istari, e un Istari poteva scaraventarli tutti a cinque miglia di distanza solo con un movimento del suo bastone magico. Il capitano iniziò a preoccuparsi. "Goneril..." mormoró.

"E se tu risparmiassi la vita di colui che credi essere Saruman, qui davanti a te,  non temi che potrebbe portare morte e distruzione in altri territori, a parte Rohan?" continuò a chiedere il vecchio.

"Questo non mi riguarda. Lavoro per il popolo di Edoras. Quello che succede altrove, non mi interessa. Qual'é la tua risposta?" ribatté seccamente Goneril.

Lo Stregone bianco guardò i due capitani, che aspettavano con le spade in pugno. "Théoden vi ha dato questo incarico...davvero?"

Degarre rispose: "Non lui. Suo nipote. Rispondi al nostro Generale...ti arrendi...?"

Il vegliardo sorrise e in quel momento Degarre fu certo che non si trattava di Saruman. Sul suo volto non lesse altro che bontà e compassione: quello davanti a loro non poteva essere un servo di Sauron.

"Éomer non prenderebbe mai accordi con un gruppo di mercenari. Siete venuti qui di vostra spontanea volontà. Anzi, di tua volontà." disse, girandosi verso la ragazza. "Sei rimasta turbata dalla situazione in cui vive Théoden e il tuo cuore non ha retto."

I due uomini guardarono verso il loro Generale. Goneril sembrò colpita da quelle parole: per un brevissimo istante sul suo viso passò un'ombra di sofferenza.

Hammon intervenne: "Non rischiamo la vita per nulla...due casse d'oro ci sono state promesse. Per questo siamo..."

"Zitto!" comandò lei, di nuovo impassibile. Alzò la spada puntandola dritta verso il volto ancora sorridente del vecchio. "Sto esaurendo la pazienza. Non sfidarla, e non pensare neanche per un secondo che io abbia paura di te. Decidi, vivi o muori."

Lo Stregone poggiò una mano su un fianco. "Apprezzo il coraggio, in ogni sua forma. E tu ne hai da vendere, sebbene...altri lo definirebbero arroganza." le disse. "Solo, non comprendo come una ragazza tanto audace sia allo stesso tempo carente in saggezza."

Goneril a quel punto afferrò l'elsa della spada con due mani e si preparò a colpire.

Ma lo Stregone continuó, per niente intimorito: "Come puoi credere di metterti contro uno della mia razza e uscirne vittoriosa?"

La donna vibrò il colpo con la stessa velocità delle vipere quando attaccano, mirando dritto al collo del vecchio. Degarre già vide nella mente la bianca testa con la sua massa di capelli rotolare sul fogliame, e il cadavere decapitato accasciarsi come un pupazzo.

Invece, accadde l'impensabile: lo Stregone non solo parò il colpo, ma rispose con un altro ben più efficace. Il suo bastone s'incrociò con la lama dorata di Goneril e riuscí a strappargliela dalle mani. L'arma fece un volo in aria roteando due volte e cadendo si conficcò nel terreno morbido.

In pochi secondi, la micidiale Generalessa della prima legione dell'Est fu disarmata, e umiliata. Da...un anziano. 
Hammon era incredulo, e anche Goneril. Stava lí, in piedi con le mani a mezz'aria e i begli occhi spalancati. Ma si riprese subito.

"Lanciami la tua spada!" ringhiò a Degarre. Il capitano non si mosse. 
"Degarre, muoviti!" urlò lei, livida di rabbia e vergogna. Mai nella sua vita di guerriera, era stata sconfitta. 

"No, Goneril. É inutile." rispose il capitano, scuotendo il capo. "E comunque, io credo che costui non sia Saruman."

Per Goneril fu un secondo colpo. Non solo le sue arti belliche erano state allegramente irrise da un vecchio, ma adesso il suo capitano più esperto, il veterano della legione, si rifiutava di obbedirle.

"Cosa hai detto?" gli gridò. "Ti ordino di darmi la tua spada, soldato!"

"Quest'uomo non è chi dici tu." ripeté Degarre.

"Non mi importa chi é! Voglio fargli saltare quella testa, ho detto!" rispose Goneril. Degarre intuí che in quel momento, come spesso succedeva, la donna aveva lasciato da parte la logica per seguire quell'istinto sanguinario che covava sempre nel suo animo. Era cosí furiosa per essere stata disarmata da non badare affatto all'identità del loro avversario. Quel vecchio doveva morire, solo perché si era permesso di batterla a duello.

"No, Generale. Ferma." le disse Degarre arretrando, perché lei si stava avvicinando decisa con il chiaro intento di strappargli di mano la spada. "Non voglio scontrarmi con te. Adesso calmati."

"Sei cosí piena di risentimento..." mormorò lo sconosciuto. "...ed é comprensibile. Io so cos'hai passato. Lo vedo attraverso te."

Goneril si giró verso di lui, i lunghi capelli scarmigliati che incorniciavano un viso ancora sconvolto dalla rabbia. "Anch'io vedrò attraverso te, fra poco, quando ti trapasserò con questa spada!"  Afferrò il polso di Degarre. "E tu sei un traditore. La pagherai, una volta che avrò sistemato lo stregone." 

Quest'ultimo sollevò il suo bianco bastone e lo puntò su di lei. Goneril venne scaraventata contro un tronco d'albero da una forza misteriosa. Sembrò quasi che una violenta folata di vento l'avesse travolta.

"Ho provato a usare il tono più conciliante con te. Ma non mi lasci scelta." disse il vecchio. "Non costringermi a trasformarvi tutti in statue di pietra. Potrei farlo, sai?" Detto questo, si girò a guardare i due uomini. "Voi, gettate a terra le spade."

Subito Degarre e Hammon eseguirono l'ordine. No, quello non era Saruman ma un altro dannato Istari, e non meno potente, ragionò Degarre. Meglio andarci cauti. Aveva ancora una buona parte di vita davanti e non l'avrebbe certo trascorsa in forma di statua nel centro di un bosco. "Lasciaci andare, ti imploro. Non so chi sei, ma non siamo qui per te." gli disse.

"Vigliacco...Degarre, sei un..." disse Goneril, alzandosi e massaggiandosi il collo dolorante. Un po' di sangue le macchiava le dita. Lo scontro con l'albero l'aveva ferita.

"Questo l'ho capito, ormai. Siete venuti qui per Saruman. Come se vi stesse aspettando a braccia aperte..."
celiò il vecchio.

"Qual'é il tuo nome?" osò chiedere Hammon, che aveva osservato tutta la scena atterrito.

"Gandalf. Una volta detto il Grigio." si presentò il vecchio. "E sto attendendo tre amici."

⚜️⚜️⚜️

"Noi non siamo amici tuoi." rispose Hammon. "Ma nemmeno nemici. Abbiamo un lavoro da sbrigare. Dobbiamo andare a Isengard. Ti chiedo anch'io di lasciarci andare."

"Hm? Oh, ma io non mi riferivo a voi." rispose Gandalf. Andò verso Goneril e le porse una mano, per aiutarla a rialzarsi. La ragazza rifiutò e si mise in piedi da sola. "Non ho mai fatto del male a una donna, prima d'ora. Non ne sono orgoglioso." le disse, quasi per scusarsi. 
Lei non rispose, si limitò a lanciargli un'occhiata di traverso. "Non voglio la tua benevolenza, vecchio. Come hanno detto i miei soldati, abbiamo una missione. Non perderò ulteriore tempo qui." Andò a raccogliere la sua preziosa spada e la rinfoderò. "Se sei uno Stregone, Saruman é il capo del tuo Ordine, sei quindi sottomesso a lui. Immagino che proverai a fermarci, allora."

"Saruman ha perduto quella carica. Perciò ti sbagli. Ha scelto di schierarsi con Sauron, ha tradito. Sono in effetti io il nuovo Stregone capo. Anche se devo abituarmi al ruolo." sorrise Gandalf. "Sto aspettando un uomo discendente dai Dunedàin, un Elfo e un Nano. Stanno venendo qui alla ricerca di due piccoli Hobbit. Dovrò invece condurli a Rohan. Quel regno, come avete visto, ha bisogno di tutto l'aiuto possibile."

"Allora noi possiamo proseguire." disse Degarre. "I tuoi affari non hanno a che vedere coi nostri."

"Temo di non poter lasciarvi andare, capitano. Forse voi due, ma non lei." guardò Goneril.

"Che vuoi da me?" chiese la donna.

"Solo aiutarti." rispose Gandalf. "Ma prima..." disse, dirigendosi verso la zona del bosco da dove i tre erano arrivati, "...devo aiutare il vostro compagno perduto sotto la terra. Seguitemi."

I tre si guardarono. "Lassalle?" chiese Hammon. "Il ragazzo é morto."

"Tu dici?" rispose Gandalf, senza voltarsi. "Non dare mai nulla per certo."

I tre seguirono Gandalf in silenzio e incuriositi: perfino Goneril sembrava aver messo temporaneamente da parte la sua superbia. Lassalle non poteva essere vivo, l'aveva visto coi suoi occhi precipitare in quella voragine che si era aperta ai piedi del castagno, quel misterioso buco nero che l'aveva inghiottito come un serpente inghiotte un topino di campagna. La loro giovane recluta era morta soffocata lí sotto, con tutta probabilità.

Lo Stregone si portò proprio sotto all'albero assassino e pronunciò un incantesimo in una lingua sconosciuta. La sua voce all'improvviso si fece tonante e cavernosa, e sembrò scuotere il castagno. I tre con sgomento videro riaffiorare le radici dal terreno, e...aprirsi. Una mano bianca e sottile spuntò dalla terra bruna. Poi un braccio, che incredibilmente si mosse.

"Il ragazzo é vivo!!" urlò Hammon. "Aiutatemi!! Tiriamolo fuori!"

Degarre corse ad afferrare quella manina gracile e lui e Hammon scavarono la terra con tutta l'energia che avevano. Spuntò la testa del ragazzino, interamente coperta di terriccio, poi il torace e fu allora che Degarre riuscí ad afferrarlo sotto alle ascelle e ad issarlo fuori.

"Lassalle! Sputa fuori quella terra, forza!" gli gridò Hammon, dandogli due pacche dietro la schiena. Il ragazzino venne preso da convulsioni, per la difficoltà ad inspirare aria, poi finalmente vomitò un fiotto di fango e iniziò a tossire. "Respira, respira!"
gli disse anche Degarre. Lo girarono a pancia all'aria e Hammon gli pulí naso e bocca dai residui di fango. "É incredibile...è ancora vivo!" disse a Degarre.

Lassalle sembró riprendersi  fra le braccia di Hammon. "Come ti senti, ranocchio?" gli chiese il capitano.

"Hammon..." rantolò Lassalle, gli occhi ancora incrostati di terriccio. Il capitano glieli pulì. 
"Cosa...cosa mi é successo... era buio..."

"Sei vivo per miracolo, Lassalle. Riesci a metterti in piedi?" disse Degarre, chinato su di lui. "Provaci."

I due uomini aiutarono il giovane a mettersi su due gambe, ma le ginocchia cedettero. "É troppo debole." commentò Hammon. "Povero ragazzo..."

"É vivo. Dovrebbe esserne contento." disse Goneril. Aveva osservato la scena senza intervenire. Non pareva né impressionata né felice della resurrezione della sua cavia.

Lassalle sollevó la testa e la guardó. Un lampo d'odio attraversó i suoi occhi arrossati dalla polvere. "Tu...assassina maledetta! Mi hai lasciato catturare da quel...quel..." non riuscí a terminare, perché un nuovo conato gli fece torcere le budella. 
"...all'inferno tu e la tua legione! Mai più ho intenzione di servirti! Tu non hai onore...mi hai usato!" le urló.

La donna si giró verso l'intrico della foresta. "Sei più intelligente di quel che credevo. Torna pure da tua madre, Lassalle. Sono certa che non vede l'ora di riaverti con sé." lo derise.

Il ragazzino tentó di mettersi in piedi: voleva arrivare a quella strega e strangolarla con le sue mani. Ma era troppo debole e ricadde mollemente a terra. "Ti odio!" le gridò.

"Il vostro amico ha bisogno di cure. Lo affido a voi due, riportatelo all' accampamento. E rimanete lì. Presto arriveranno nuovi ordini." comandó Gandalf ai due capitani.

Goneril era basita. "Governo io questo gruppo di uomini, non tu!" gli disse. "Come osi?"

Gandalf la guardó torvo. "Tu hai lasciato per troppi anni la crudeltà avere la meglio sulla saggezza. Non puoi comandare proprio nessuno fino a quando non avrai ritrovato te stessa. In questo voglio aiutarti." le riveló. "I tre uomini torneranno alla legione, come ho detto. Tu rimani qui, invece." 
Poi si giró a guardare Hammon, Degarre e Lassalle, che ancora tossiva, con il volto rigato dalle lacrime. Era sconvolto soprattutto per aver realizzato che Goneril lo aveva preso in giro e destinato al sacrificio, non tanto per la disavventura con l'albero. "Andate." intimò Gandalf.

I tre si misero in cammino, con la recluta rediviva al centro, sorretto a braccia. Degarre si voltò verso il loro Generale, che in un colpo solo aveva perso carisma e autorità.

Si chiese che piani avesse per lei quello Stregone.

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Capitolo 8
*** I tre viandanti ***


"Insomma, che vuoi da me?" sbottò Goneril, dopo che i suoi soldati si furono allontanati.

Gandalf l'aveva obbligata a rimanere lì con lui, nel mezzo di un bosco oscuro. La donna camminava avanti e indietro, come una tigre in gabbia. Sapeva di non potersi allontanare, o lo stregone l'avrebbe inchiodata di nuovo al tronco di un albero con la sua magia.

"Aspetteremo insieme i tre di cui ti ho parlato. E intanto..." rispose Gandalf, osservandola. "... voglio chiacchierare un po' con te."

"Chiacchiere?! Ti ho già detto che non ho tempo da perdere. Lasciami andare a Isengard, a risolvere la questione con Saruman." disse lei. "Non sto scherzando."

"Eh già, e questo è proprio un gran peccato." disse bonariamente lo stregone. "Dovresti scherzare ogni tanto, ridere, vivere la vita con più leggerezza. Invece, temo che sul tuo volto non sia passata nemmeno l'ombra di un sorriso da molto, molto tempo."

Goneril aggrottó le sopracciglia. "Non staró qui ad ascoltare queste sciocchezze." gli disse. "Hai interrotto la mia stramaledetta missione, e mi stai facendo perdere una montagna di quattrini."

"Éomer non ti avrebbe mai pagata, lo sai, nemmeno se tu gli avessi portato Saruman fatto a pezzi. E poi, tu non vuoi soldi dal regno di Rohan." rispose Gandalf, accendendosi la sua lunga pipa, che portava appesa alla cintura della veste.

"Ma che stai dicendo?" ribatté la donna.

Gandalf si sedette su un grosso masso e inaló una boccata di fumo, e poi la guardó pensieroso. Goneril sentì la sua coscienza aprirsi di fronte allo sguardo del vecchio, come se egli stesse cercando di entrare dentro di lei attraverso le porte della mente. Tentó di resistere, ma lo stregone riuscì a far breccia nei suoi pensieri. Lo sentì spiare nei suoi ricordi come un bambino che spia da dietro una porta socchiusa.

"Da dove vieni?" le chiese all'improvviso.

"Da Nord." rispose lei, girandosi e dandogli le spalle. Non era molto educato, ma Goneril non era mai stata particolarmente attenta alle buone maniere.

"Da un paesino ai piedi dei Monti Azzurri, vero?" incalzó Gandalf.

"Spii nella mia mente, stregone? Allora non farmi domande, se conosci le risposte." disse la donna.

"Conosco quasi tutte le risposte, in effetti. Ma c'é un piccolo angolo della tua anima che ti ostini a tenere chiuso, sbarrato, perfino a te stessa." confermó Gandalf. "Tu hai bisogno di aiuto, e posso dartelo. Devi peró aprirti a me."

"Davvero generoso da parte tua." sorrise lei, girandosi verso il vecchio. "E in cambio cosa desideri? Cosa posso offrirti, perché tu possa salvare la mia anima perduta?"

"Nulla." rispose semplicemente Gandalf. "Hai mai pensato che, a volte, il nostro aiuto puó essere dato agli altri senza pretendere niente indietro?" le chiese. Poi sospiró. "No, non concepisci nemmeno una cosa simile, giusto? Il tuo spirito mercenario non puó elevarsi così in alto da comprendere. Tu sei pronta a sacrificare la vita dei tuoi uomini, perfino dei giovanissimi come quel Lassalle, in cambio di forzieri pieni d'oro. Come potresti capire..."

Goneril si scostó una ciocca di capelli neri dal viso. "Precisamente. Non puoi biasimarmi perché ho scelto questa via. In questo mondo, vivere con cinismo è l'unica strada per andare avanti."

"Ti sbagli. Oh, come ti sbagli."commentó Gandalf. "È l'arma dei mediocri, invece. Come il sarcasmo." Poi si mise a braccia conserte, reggendo la pipa nella mano destra. Un lungo filo di fumo salì attraverso l'aria rarefatta. "Voglio farti altre domande. Puoi anche non rispondermi." le disse.

Goneril si appoggió al tronco di un albero, poi si ricordó di ció che era successo al ragazzo e si spostó subito. "Non temere, ho formulato un contro-incantesimo per annullare quello di Saruman. Gli alberi non si muoveranno più." le disse Gandalf.

"Grande notizia." rispose lei. "Ma non ti diró nulla, vecchio. La storia della mia vita non è cosa che ti riguardi."

"Forse hai ragione...ma io sono anziano, hai detto bene. E noi vecchi di tanto in tanto ci sentiamo soli e annoiati. Mi diverte curiosare un po' negli affari altrui. Allora," inizió a chiedere il mago bianco. "...dici di venire dai Monti Azzurri, a Nord. Sei dunque nata lì?"

Goneril non rispose e si giró verso il punto dove il bosco diventava più scuro.

"No, secondo me no. I mortali del Nord non hanno i tuoi lineamenti. Tu assomigli alla gente dell'Est. Come si chiamava tuo padre?" continuó Gandalf. "...se chi ti ha allevata era davvero tuo padre."

La ragazza si giró di scatto a guardarlo.

"Ho indovinato, eh?" proseguì lui.

"Fui adottata, è vero. I due paesani che mi hanno cresciuta furono sorpresi e circondati da quattro uomini in armatura mentre stavano raccogliendo funghi in un bosco vicino al villaggio. Uno dei soldati mise un fagotto nelle braccia della mia futura madre e le disse: è tua, ora. In quel fagotto di stracci c'ero io." raccontó Goneril. "Soddisfatto?" I suoi occhi brillavano di rabbia. "Ti piacciono le storie strappalacrime? Eccomi. Ti assicuro che non esiste storia più penosa di questa."

"È davvero triste. I tuoi veri genitori ti hanno ripudiata. Deve essere stato terribile quando l'hai saputo." si rammaricó Gandalf.

"L'ho saputo a quattro anni. La mia cara mamma non faceva che ripetermelo, sei una rinnegata, una randagia, non sei mia, non ti volevo neppure... non ho fatto altro che sentirmi dire frasi del genere da che ho memoria. Perció no, non è stato doloroso. È stata la vita che ho fatto, l'unica che io abbia conosciuto." sbottó Goneril.

"Peró ti hanno tenuta. Avrebbero potuto abbandonarti anche loro." ragionó Gandalf.

"Quell'uomo, che doveva essere mio padre, decise di allevarmi, così da potermi sfruttare come serva di casa una volta cresciuta. Il giorno del mio settimo compleanno fui obbligata a lavare panni sporchi da mattina a sera." raccontó.

Gandalf rimase impressionato dal tono assolutamente calmo della donna. Quei brutti ricordi non producevano alcun effetto in lei, come se vi fosse ormai abituata. "Mi dispiace davvero" le disse.

"Certo. Ti dispiace." ribatté Goneril con ironia.

"Tuo padre...come si comportava con te? Come tua madre, cioè ti...mortificava?" continuó lo stregone.

"Lui non era mio padre . Quei due non sono mai stati niente per me. Te l'ho già detto." rispose Goneril. "Ora falla finita."

Gandalf capì che doveva fermarsi. Sarebbe andato più a fondo in un altro momento, e in un altro luogo.

Ora c'era altro da fare. C'era qualcuno in arrivo. Sentì difatti una voce roca e burbera in lontananza. Il Nano, di sicuro. "Eccoli." disse.

Goneril si giró ed estrasse la spada.

"Non allarmarti, non ce n'è motivo. Sono i miei tre amici." mormoró Gandalf, con un sorriso.

⚜️⚜️⚜️

Goneril vide per primo l'Elfo. 
Era biondo, pallido, esile ma scattante. Il colore dei suoi capelli le suggerì che doveva trattarsi di uno dei Teleri, magari un Sindar, o un Nandor.

Poi vide il Nano: riconobbe la sua casata dall'elmo che indossava. Un discendente di Durin, un probabile abitante di Erebor. Di certo non proveniva da Mória, che era stata saccheggiata da Orchi, Goblin e Troll. Inoltre, le sue miniere erano infestate dalla presenza di un Balrog. Era probabile che quel luogo fosse diventato un cimitero sotterraneo, e il suo signore, Balin, stesse marcendo in qualche tomba.

Le risultò più difficile mettere a fuoco l'uomo che li accompagnava. Sembrava avere la stessa età di Degarre, ma era più alto. Aveva l'aspetto di un ramingo, uno di quei guerrieri solitari che a volte prestavano servizio volontario in vari eserciti.

Goneril osservava da dietro il tronco d'albero i tre avanzare lentamente, sembrava stessero cercando qualcosa o qualcuno.

"Tu resta dove sei." le ordinò Gandalf. "Ora devo mostrarmi a loro e...potrebbero rimanere stupiti. Non mi vedono da molto."

"Sarò già a Isengard non appena ti sarai voltato." ghignò lei.

"Se fai un solo passo lontano da quell'albero, diventerai tu stessa una pianta, puoi credermi. Non dimenticarti che so fare incantesimi piuttosto potenti, ragazza mia." la minacciò, e Goneril non seppe dire fino a che punto fosse serio o stesse semplicemente scherzando. Decise comunque di non metterlo alla prova. 

Gandalf salí su una roccia da cui poteva vedere meglio i tre, ed essere visto. Goneril si accorse che i misteriosi viandanti erano girati di schiena, ma si erano fermati, avvertendo la presenza di qualcuno dietro di loro.

All'improvviso, l'aura che circondava Gandalf s'intensificò e illuminò con una luce azzurrognola quella parte di bosco. Goneril si coprí gli occhi con una mano.

Nello stesso istante, l'Elfo si voltò e provò a scoccare una freccia verso Gandalf. Il Nano imitò l'Eldar e con tutta la forza che aveva in quelle tozze braccia scaglió la sua ascia verso lo stregone. L'uomo tentò di sollevare la lunga spada, ma la sua lama venne incenerita da un'energia misteriosa. Letteralmente, si disintegrò fra le sue mani. Gandalf parò tutti i colpi senza difficoltà, con la stessa sicurezza con cui aveva disarmato Goneril.

I tre rimasero basiti. Anch'essi accecati da quella luce violenta, ci misero diversi istanti per comprendere chi c'era lí davanti a loro. Il primo a riconoscerlo fu l'uomo.

"Non é possibile..." esclamò. "Eri caduto nell'ombra..."

L'Elfo s'inginocchiò come in presenza di una divinità, o di un fantasma. "Perdonami." gli disse "Credevo fossi Saruman."

Lo stregone rispose: "Ma io sono Saruman. Sono come Saruman avrebbe dovuto essere."

Lo stregone proseguí raccontando agli amici ritrovati le sue peripezie. Spiegò che si era scontrato e aveva battuto un Balrog, e che dopo questa battaglia il suo potere era aumentato. Goneril rimase stupita: quel vecchio aveva sconfitto...un balrog. Un démone antico e potente, una creatura fatta di fuoco e malvagità. Questa notizia calmò un poco la sua frustrazione: farsi disarmare da un tizio che aveva ricacciato un mostro simile all'inferno non era poi cosí disonorevole.

Mentre lo stregone parlava, avanzò anch'essa verso il gruppetto. L'uomo la vide subito. Squadrò la sua armatura, la spada dorata, scrutò il suo viso. Osservandolo a sua volta, Goneril notò che l'uomo portava un segno della sua appartenza al reame di Gondor: sulla tunica aveva uno stemma, raffigurante un albero circondato di stelle. Si chiese dove l'avesso preso, perché quello era il simbolo del più importante regno degli uomini, non un indumento da bancarella di mercato.

"Chi è la donna?" chiese lui, rivolgendosi a Gandalf.

"Lei...oh!" rispose lo stregone, girandosi a guardarla. "Vi presento una grande guerriera, é un Generale, sapete...della...ehm...prima legione dell'Est? Giusto?"

"Goneril?" chiese l'uomo. "Ho sentito parlare di te."

"Non in termini lusinghieri, scommetto." ribatté lei.

"No." confermò quella specie di ramingo. "In termini molto poco lusinghieri."

Il Nano intervenne. "Cosa fa una ragazza in armatura in giro per un bosco?"

"Cosa fa un Nano in compagnia di un Elfo?" domandò lei, di rimando.

"Hmmm." grugní il Nano, risentito. "Siamo alla ricerca di due Hobbit. Li hai visti?"

"No, Gimli. Lei non li ha visti. Io peró so dove sono. E li ho lasciati sotto la protezione di chi avrà cura di loro. State tranquilli, Merry e Pipino sono in buone mani." lo informò lo stregone, che si immaginava i due piccoletti a spasso con Barbalbero. "Noi, invece, dobbiamo tornare a Rohan. Lí c'é un intero popolo che soffre sotto al giogo di Saruman."

"Io non verró da nessuna parte! Devo andare a Isengard. Non farmelo ripetere una volta di più." sbottó Goneril.

"A Isengard?" chiese l'Elfo. "Per far cosa laggiù?"

"Per uccidere Saruman." rispose lei.

I tre sgranarono gli occhi. Il Nano ridacchió. "Questa è buona!"

Lo stregone disse: "Oh no, no, no. Tu non andrai a Isengard, Goneril. Tu verrai a Edoras con noi. Quello é il posto dove devi stare ora."

"Vengo da lì. Non torneró indietro  a mani vuote. Ho promesso a Éomer la testa di quell'Istari." ribatté lei. "Non ho mai fallito una missione."

"Se vuoi questo, ti aiuteremo. Un nemico di Saruman e Sauron é un nostro amico. Ma non puoi farcela da sola." disse l'uomo. "Il mio nome é Aragorn, comunque."

"E io dovrei dirti il mio nome é Goneril, piacere di conoscerti, giusto?" rispose lei. "Ma non é un piacere e io non sono amica tua. Devo uccidere lo stregone perché due casse di oro sonante mi sono state promesse. Se lo vuoi sapere, non mi importa niente di Sauron e dei suoi piani di conquista. Io voglio i dannati soldi. E non vedo l'ora di ritirarmi da questa benedetta Terra di Mezzo e dimenticarmi di tutto, soldato di Gondor." disse in un sussurro.

"Una guerriera mercenaria..." borbottó Gimli. "...bah. Gente senza onore."

"Già. Sul concetto di onore voi Nani potete dare lezioni, vero?" rispose Goneril. Poi si giró verso l'Elfo. "E tu che dici, a tal proposito? A giudicare dal tuo aspetto vieni dal Lórien o da Bosco Atro...laggiù i Nani non godono di molta simpatia da quel che so."

"Io e Gimli facciamo parte di una Compagnia, siamo entrambi incaricati di portare a termine una missione. Non c'é astio fra noi due...e tu, con il veleno delle tue parole, non riuscirai a farlo nascere." rispose l'Elfo, guardandola con rimprovero. "C'é malvagitá in te, l'avverto."

Goneril sorrise. "Se avessi una moneta d'oro per ogni volta che mi é stato detto...potrei smettete di lavorare."

"Ah! Lavorare..." esclamó Gimli. "Uccidere è un lavoro, adesso?"

"Calmati, mastro Nano. Non c'è ragione d'inquietarsi. Tu verrai con noi, Goneril. Fine della discussione." comandó Gandalf. "Andiamo."

I quattro si misero in cammino, ma la donna rimase ferma dov'era. Senza girarsi, lo stregone alzó in aria il suo bastone. "Ricorda cosa ti ho detto. Se ti interessa continuare a vivere in forma umana...farai meglio a seguirci."

Controvoglia, e maledicendo mentalmente lo stregone e tutta Arda, Goneril s'incamminó.

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Capitolo 9
*** Il risveglio del Re ***


I cinque galopparono, con in testa Gandalf, dai confini di Fangorn fino a Edoras.

Goneril li seguiva in groppa a un recalcitrante Aldair, che avvertiva il nervosismo della padrona. "Sta' buono. Alla prima occasione ce ne andremo." gli sussurrò lei, carezzando la criniera.

Passarono non lontano dalla legione, che ancora era accampata in attesa di segnali dal Generale. "Non andare dai tuoi uomini!" si era girato a urlarle Gandalf. "Non ancora."

"Ho forse scelta?" aveva risposto lei, mentre i cavalli trottavano verso la cittadella.

L'Elfo, che portava in sella anche il Nano, aveva affiancato il cavallo al suo. "Un magnifico animale..." aveva commentato, riferendosi ad Aldair. Il manto nero dello stallone aveva riflessi dorati sotto al sole. "Da dove viene?"

"Vorresti rubarmelo?" aveva risposto Goneril. "Conosco voi Elfi, uccidereste per un buon cavallo."

"Quella è la tua specialità." aveva ribattuto l'Elfo biondo. "E Aragorn dice che sei famosa fra i briganti della Terra di Mezzo."

"Oh, Aragorn dice cosí? Immagino quanto ne sappia un ramingo su di me." aggiunse lei. Poi sorrise. "Scommetto che siete tutti e tre fuggiti dai vostri rispettivi regni. Non avete nessuna missione da compiere..."

"Fuggiti dai nostri regni...ah! Vuoi sapere perché siamo qui?" domandò il Nano.

"No, Gimli." lo interruppe l'Elfo. "Non dirle nulla." poi si allontanò col suo destriero bianco. Deve venire da Boscoverde, ragionò lei. É vestito come un Elfo Silvano. Quella razza di Elfi, però, generalmente non aveva la caratteristica dei capelli biondo/argentei. A meno che non fosse imparentato con re Thranduil, il Sindar che governava quel popolo. No, si disse lei. Thranduil non manderebbe mai il principe a vagar da solo per Arda. E tanto meno in compagnia di un Nano.

Varcarono il portone di pesante legno che chiudeva l'accesso a Edoras. Di nuovo, Goneril notò la generale miseria di quel luogo.

"Trovi più allegria in un cimitero." commentò Gimli.

"Non ho intenzione di entrare a Palazzo." disse la donna. "Sono già stata qui, e tornerò solo con la testa di Saruman, come promesso a questa gente. Non mi faró rivedere a mani vuote."

"Tu verrai da Théoden con noi, invece. C'è bisogno anche di te, adesso." rispose Gandalf. "Non fartelo ripetere, o tu e il tuo cavallo diventerete due statue ornamentali."

Goneril stavolta rispose: "Mi incuriosiscono le tue minacce. Sono frasi da stregone malvagio, ma tu non sei malvagio. Non sei come Saruman, vero?...quindi credo proprio che non mi faresti del male sul serio. Vuoi solo spaventarmi."

"Io non sono perfido, dici bene...ma tu lo sei. Le azioni crudeli della tua vita andrebbero punite, in effetti, e non mi dispiacerebbe farlo!" ribatté Gandalf. "Solo, c'é qualcosa che me lo impedisce, per ora. Un piccolo scrupolo. Ma non sfidarmi, la mia tolleranza verso di te é legata a un filo sottile."

Aragorn e gli altri avevano ascoltato quei rimproveri in silenzio, ma era evidente che fossero d'accordo. "Ora andiamo, e lasciate parlare me." comandò Gandalf. I cinque smontarono da cavallo. Il Nano ebbe bisogno dell'aiuto dell'Elfo, e lo ringrazió con un grugnito.

Con la coda dell'occhio, Goneril improvvisamente colse un movimento all'entrata del Palazzo. Guardò meglio e notò una figura vestita di bianco. Una ragazza.

Éowyn, pensò. La piccola preda di Grima.

Cosí com'era comparsa, la sorella di Éomer sparí, era probabilmente andata a chiudersi nelle sue stanze, spaventata dai visitatori.

Questa gente é terrorizzata, pensò Goneril. Sono tutti schiavi della paura. Per Saruman, per colpa di quel rinnegato. Avvertí un fiotto di rabbia salirle dallo stomaco.

Ancora una volta, fu Gambling ad accogliere i visitatori. Subito vide la donna nel gruppetto. "... tu?!" era incredulo. "La tua missione a Isengard é andata male, visto che sei già di ritorno?" le chiese ironico.

"No. Sarebbe andata in modo perfetto se questo stregone non avesse pensato di interromperla." ribatté lei.

Gandalf spiegò al soldato che era lí per parlare con il re, e dopo una breve discussione, Gambling si convinse a farli entrare. Ovviamente, dopo essersi fatto consegnare le armi. Osservò meravigliato la spada aurea della guerriera, che lo ammoní. "Se questa spada sparisce da qui, qualcuno farà una bruttissima fine. Intesi?"

Gambling non nascose il fastidio. "Speravo di non vederti più. Porti negatività con te...non meno di Grima."

Goneril si guardò intorno. Vide che mancava qualcuno. "Dov'é Éomer?"

"Lontano da qui." la informò Gambling. "É stato bandito dal reame."

"Bandito?" Goneril si girò di scatto a guardare il soldato. "Il nipote del re...cacciato da quel gobbo?!"

"Doveva succedere, prima o poi. Era l'obiettivo di Vermilinguo: la morte di Théodred e poi l'allontanamento di Éomer. Ora il suo controllo qui é totale." disse mestamente Gambling. "Nessuno ha potuto opporsi."

Aragorn, Gimli e l'Elfo, intanto, avevano seguito Gandalf fino al trono, dove Théoden sedeva perso nel suo oblío personale. Il vecchio mago gli stava parlando.

Goneril aveva preferito restare indietro, con l'idea di fuggire in un momento di disattenzione di Gandalf.

Si sentí subito Grima sbraitare. "Il bastone!!! Vi avevo detto di togliergli il bastooone!" 

Da lontano Goneril vide Gandalf puntare il suo candido bastone verso il re. Voleva liberarlo dalla presa di Saruman. Vide anche che Éowyn era riapparsa, e osservava preoccupata la situazione.

Mentre tutto ciò avveniva, la guerriera aveva approfittato della confusione per strisciare non vista verso una delle pareti laterali del Palazzo. Lentamente, iniziò a procedere verso il portone, decisa a riprendersi la sua spada, il suo cavallo e tornare dai suoi uomini. 

Se ne sarebbero andati da lí.

Il regno di Rohan era luogo infruttuoso per loro, specie ora che Gandalf stava liberando Théoden dalla maledizione, e quindi la sua missione a Isengard andava a farsi benedire. Pazienza, pensò, la Terra di Mezzo era piena di territori da visitare, avrebbero trovato nuovi clienti e casse d'oro da altre parti.

"Tu!" si udí Gandalf comandare. "Sta' ferma lí, mi hai capito bene?"

L'aveva sorpresa mentre stava sgattaiolando via. Tutti si girarono a guardarla. Tutti tranne Éowyn, che stava sorregendo lo zio, finalmente libero. Théoden riprese subito colorito in volto, i suoi capelli e la sua barba persero il candore della morte e tornarono biondi, mentre i suoi occhi brillavano di vita ritrovata.

Il grande Re di Rohan era tornato.

⚜️⚜️⚜️

Non ci volle molto perché Grima venisse scaraventato giù per la grande scalinata in pietra. Una volta recuperata la luciditá, Théoden aveva compreso che razza di serpe si era messo in seno, e gli stava dando quello che meritava. L'avrebbe anche ucciso, se Aragorn non lo avesse fermato.

Le sue scuse a poco erano valse. "Ma io...vi ho sempre e solo servito, mio signore..." tentò di dire. Ma Théoden era sordo alle sue giustificazioni. Lo cacciò dal regno e Grima si precipitò col suo cavallo in direzione di Isengard, dal suo padrone Saruman, l'unico luogo dove avrebbe trovato protezione.

Una volta liberata Edoras dalla presenza di quell'essere malevolo, il re si ripresentò ai suoi sudditi, che esultarono. La vita poteva riprendere a Rohan.

Goneril aveva osservato tutta la scena, impaziente di andarsene. Cercò Gandalf con lo sguardo, ma i suoi occhi incrociarono invece quelli di Éowyn. La giovane, bionda, esile e slavata, era in piedi vicino a uno degli stendardi del regno e la osservava con attenzione. Scrutava la sua armatura nera, e Goneril immaginò che non avesse mai visto una donna soldato in vita sua.

Ma c'era anche qualcos'altro: Éowyn sembrava imbarazzata, perplessa. La stessa sensazione che provava lei. Uno strano disagio che aveva avvertito anche in presenza di Théoden.

Una specie di...dispiacere. Goneril raramente provava empatia verso il prossimo, e di solito le capitava nei confronti dei bambini. Ma gli adulti, che con lei erano sempre stato ostili fin dai primi anni di vita, raramente si erano attratti la sua solidarietà.

Vivi e lascia vivere...o morire, era il suo motto. Per quello che mi importa, tutto il mondo può bruciare.

Eppure, lí a Rohan provava pena per quella famiglia reale che era stata umiliata dalle forze di Sauron, l'antico spirito che si era rintanato a Mordor. É cosí ingiusto , aveva pensato, quando le era stato detto di Éomer, scacciato come un cane dalla sua stessa patria.

Il re risalí la scalinata in pietra, seguito da Gandalf, Aragorn e dagli altri. Era tempo di tornare sul suo trono, tempo di rimettere a posto ogni cosa. Giunto all'ingresso del Palazzo, notó Goneril. La vide per la prima volta.

I suoi occhi celesti si sbarrarono. La bocca si schiuse in una smorfia di dolorosa sorpresa, come se di fronte a lui ci fosse stata una persona che si credeva morta e sepolta, e che invece era viva. Inaspettatamente viva.

Goneril s'innervosì. Cosa voleva dire quello sguardo? Perché il sovrano di quel luogo la guardava come se avesse incrociato uno spettro?

Gandalf si avvicinò al re e notó il suo turbamento. "Hai già visto questa ragazza, Théoden?" gli chiese.

"...sí..." mormorò il re. "Non lei. Conoscevo qualcuno che le somigliava molto."

"Qualcuno che una volta abitava a Palazzo, qualcuno che faceva parte della tua corte?" continuó Gandalf.

Goneril a quel punto si guardó intorno spaesata, mentre la sensazione di disagio aumentava sempre di piú. "Ma che dite, io non sono mai stata qui prima d'ora." sbottó.

"Margery." sussurró il re. Sembrava stesse parlando a se stesso. Sembrava quasi che un nuovo incantesimo lo avesse investito. "É Margery..."

Gandalf intervenne, mentre Aragorn, l'Elfo e il Nano ascoltavano confusi. "Si chiamava Margery, quella donna? Quella donna che viveva qui molti anni fa?"

Théoden annuì. "Curioso." disse infine, rivolto a Goneril. "Tu somigli davvero molto a una nostra suddita. Due gocce d'acqua."

"Vedi il caso, a volte." ribatté lei, "Il mio nome é Goneril, invece, e se questo stregone me lo consente, vorre tornare dai miei soldati. Ne ho abbastanza del vostro lugubre regno, Maestà."

"Temo invece che dovrai rimanere qui, cara soldatessa." disse Gandalf. "La questione va approfondita."

"Cosa va approfondito? Il fatto che io somigli a una vecchia cortigiana di Rohan? Magari era mia madre. Puó essere, fui abbandonata, te l'ho detto. Non mi importa, comunque. Io devo riunirmi alla mia legione. Ce ne andremo, vostra altezza, non temete." disse, rivolta a Théoden. "Andiamo verso...territori più verdi."

"Soldatessa?" chiese Théoden. "Tu combatti?"

Dietro di loro, Gandalf sorrise. "É una grandissima guerriera, amico mio. Comanda un piccolo esercito di cinquecento soldati."

Théoden si meraviglió. "Stupefacente a dir poco." poi la squadró di nuovo, soffermando lo sguardo sul suo viso. "Ti chiedo di rimanere. Vorrei parlarti qualche istante."

Goneril scosse il capo. "Voi non siete padroni della mia vita. Ho già perso un'infinità di tempo, non osate trattarmi come fossi una prigioniera, io sono un comandante militare. I miei uomini attaccherano Edoras se non mi vedranno tornare."

"I tuoi soldati non sanno nemmeno che sei con noi." ribatté Gandalf. "Ti credono a Isengard. Ascolta, qui ci sono forse le risposte sul tuo passato. Non t'importa?"

"No!" sbottó lei. "Io voglio dimenticarmi del mio passato, se non ti dispiace. Io penso al mio futuro, che sarà lontano, te lo garantisco. Io voglio solo un luogo dove trovare silenzio e pace. Voglio costruirmelo."

"Pace..." disse l'Elfo biondo. "Come puoi pensare di trovare pace, se dentro di te sei piena di tormenti?"

"E tu che vuoi?" gli rispose lei in malo modo. "Che volete tutti da me?"

"Ti chiedo solo di rimanere, come mia ospite, non prigioniera, ancora qualche istante." ripeté il re. "Desidero davvero parlare con te. Dopo, sarai libera di proseguire con la tua vita, e fare di essa ció che credi."

Goneril sospiró e rimase zitta per alcuni istanti. Poi cedette. Era anche stanca e affamata, in fondo poteva approfittarsi dell'ospitalità del re per rifocillarsi. "D'accordo. Solo altri pochi minuti del mio tempo. E dopo me ne andró, e nessuno provi a trattenermi."

"Su questo, puoi stare tranquilla." borbottó il Nano.

Entrarono tutti, in silenzio, nel grande Palazzo di Théoden.

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Capitolo 10
*** Oro ***


Théoden si tolse il lungo mantello di pelliccia e lo poggió sulle braccia di uno dei servitori.

"Portate loro del cibo. I nostri ospiti saranno affamati." comandó. "Éowyn, pensaci tu." disse alla giovane, dandole una piccola carezza sul viso. La ragazza non aveva avuto il coraggio di informarlo della morte di Théodred, avvenuta tre giorni prima. Speró con tutta se stessa che qualcun altro si prendesse la responsabilità di dare la funesta notizia al sovrano. Lei, nonostante fosse la sua sola congiunta, semplicemente non ci riusciva. Il cadavere del ragazzo attendeva la sepoltura, perció al più presto il padre doveva essere messo al corrente.

Era entrata nel Palazzo a fare gli onori di casa insieme allo zio. "Non abbiamo molto. Solo del brodo caldo e poco vino." disse la giovane, girandosi verso i cinque.

Il Nano protestó: "...brodo?! Ha! Portami piuttosto la gallina con cui l'avete fatto!" chiese.

"Mi dispiace. Non abbiamo carne...ma posso darti del pane!" offrì lei.

"Se altro non avete...ma porta tutto il vino!" esclamó Gimli. "Almeno c'é da bere."

"Gimli..." gli sussurró Aragorn. "...ti prego."

"Hey tu!" chiamó Goneril. Éowyn si voltó. "Prima di pensare al Nano...vieni qui. Aiutami a togliere l'armatura, svelta!" le ordinó. Éowyn la guardó male.

Aragorn intervenne: "Ci penso io." Poi si portó dietro Goneril e inizió a slacciarle il bustino di ferro e la cotta di maglia. Le diede uno strattone alla schiena. La donna si giró. "Ma che fai!" gli chiese in un sibilo.

"Non sarei troppo arrogante, se fossi in te. Sei in presenza della famiglia reale di Rohan. La ragazza non è la tua schiava. Usa un altro tono qui dentro." mormoró. "Spero di essere stato chiaro."

La Generalessa rise. "Hai una bella baldanza, ramingo. Non è frequente sentire un guerriero randagio rivolgersi in questo modo a un soldato di rango superiore, come me."

"Un ramingo?" intervenne l'Elfo. Si era avvicinato ai due. "Sai chi c'é alle tue spalle? Lui è l'erede di Isildur!" le disse. "No, Legolas. Lascia stare." disse Aragorn, aggiungendo una frase in elfico.

"L'erede di Isildur?! Cioè, il pretendente al trono di Gondor? Questo tizio qui?" chiese Goneril, con un'occhiata incredula. "Come no. E tu chi saresti, il figlio di Thranduil?"

"Sì. Esatto." rispose secco l'Elfo. "Come l'hai capito?"

Goneril si liberó del resto dell'armatura e si stiracchió le braccia. Aragorn notó i suoi lunghi capelli, che le arrivavano alla vita. Sembravano un mantello di velluto nero: non erano scarmigliati, come ci si sarebbe aspettato da una guerriera. Anzi, l'aspetto di Goneril era nel complesso piuttosto ordinato. Era evidente che la donna si prendesse gran cura di sé.

"Due sono le cose: o siete pazzi, o siete dei fenomenali bugiardi. Tu osi presentarti come il principe del Reame Boscoso e questo qua dietro sarebbe il prossimo sovrano di Gondor? Bella barzelletta, Elfo. Ma dov'é quella ragazzina con il cibo?" si guardó intorno cercando Éowyn, che arrivó proprio in quel momento. Con lei, due serve di corte. Le tre donne portarono tre piatti di brodo fumante, due brocche di vino e una di acqua. Arrivó una quarta ragazza con un cesto di pane.

"Ecco. Non abbiamo altro." disse Éowyn.

"E questa sarebbe una reggia? Ho consumato pasti più abbondanti in un villaggio di contadini." mormoró Goneril, tirando a sé una scodella di brodo. "E come dovrei berlo, con le mani?" osservó. Arrivó in fretta una servetta con i cucchiai.

"Sai che stai cominciando a irritarmi, ragazza?" esclamó Gimli. "Te le hanno insegnate le buone maniere, nel posto da cui vieni?"

"Uuuh, un Nano che parla di buone maniere, interessante. Di', è vero che le vostre donne hanno la barba?" lo provocó Goneril, inzuppando quel pane raffermo nel brodo, per farlo ammorbidire. "E che i vostri figli nascono già con i calli sulle mani?" Gimli borbottó qualcosa nella sua lingua e lei intuì fossero frasi non proprio carine al suo indirizzo. "Vallo a dire a tua sorella." gli rispose.

"Adesso basta." le disse Aragorn. "Ti ho concesso fin troppo. Ma ora stai innervosendo anche me." Goneril strizzó gli occhi. "Che paura che mi fai, Re senza corona." gli disse.

Nel frattempo, Gandalf e Théoden si erano allontanati. Osservavano la guerriera che stava consumando quella specie di pasto. Il sovrano non le toglieva gli occhi di dosso. "É incredibile...sembra davvero lei..." continuava a dire.

"Cosa puoi dirmi di quella donna, di quella Margery che tanto somiglia a Goneril? Chi era?" chiese lo Stregone.

"É una lunga storia. Vecchia di trent'anni. E piuttosto dolorosa." rispose Théoden. Sembrava imbarazzato. "Margery era...beh era una ...dama di compagnia. Una donna molto bella ed elegante. Cantava, aveva una voce celestiale, mia moglie l'aveva eletta sua personale attendente. Una specie di migliore amica. Le era affezionata."

"E cos'é capitato? Perché se ne è andata?" continuó Gandalf. Théoden si voltó verso una delle finestre, attraversata da un raggio di sole invernale. "Perché fece una cosa che non avrebbe dovuto fare."

"Puoi dirmelo, amico?" insisté Gandalf. Ebbe l'impressione che una grossa pentola, sepolta da decenni sotto un nero terreno, fosse stata dissotterrata e si stesse aprendo.

"Mancó di rispetto a mia moglie, alla regina. A Elfhild." rispose Théoden. "Sei anni prima che morisse."

"In che modo, Théoden?" continuó Gandalf. Sapeva la risposta, o meglio, la sospettava. Voleva peró che il re rivelasse quella scomoda verità. Come Goneril, anche lui aveva una ferita nel profondo dell'anima, che necessitava di cure.

"Margery era...meravigliosa. Una donna dai lunghi capelli neri come la notte e dagli occhi azzurri come zaffiri. La sua pelle era bianca come una perla di fiume, il suo viso...era il volto stesso della bellezza. E tutti gli uomini del mio regno in segreto bruciavano di passione per lei." raccontó il re. Evitava di guardare lo Stregone negli occhi. "Ma non sapevano che lei aveva già eletto qualcuno padrone del suo cuore. L'uomo più sbagliato che potesse scegliere." sospiró Théoden.

"Vale a dire...te. Giusto?" indagó Gandalf. Il re chiuse gli occhi. "Già."

"E poi cosa capitó? Quello che immagino?" chiese Gandalf. Ma si interruppe perché vide Théoden sgranare gli occhi. Gli era improvvisamente venuto in mente un pensiero. Impallidì.

"Théodred...mio figlio..." guardó verso Aragorn e gli altri. "Dov'é mio figlio?" chiese a voce alta. Aveva d'un tratto realizzato che il principe non era lì.

Gandalf sentì una fitta al suo vecchio cuore.
Ecco, il momento é arrivato. E dovró essere io a dirglielo.

⚜️⚜️⚜️

Il funerale di Théodred fu l'evento più penoso a cui Aragorn avesse mai assistito.Eppure, nella sua lunga vita di Dunedain ne aveva vista, di gente seppellita.

Tutta la popolazione di Edoras si era raccolta attorno a Théoden e Éowyn, i due reali rappresentanti di quella famiglia martoriata dalle sfortune. La giovane era avvolta da un abito funebre di velluto color notte. I suoi capelli biondi lunghissimi erano raccolti in un crocchio. La sua fronte era ornata da un diadema dorato. Sembrava ancora più pallida del solito. Aragorn provava grande dispiacere per quella ragazza. Suo fratello era stato allontanato con la forza dal reame, suo cugino era morto in circostanze orribili, e suo zio era devastato dal dolore. Almeno per qualche tempo, Éowyn avrebbe dovuto raccogliere tutte le forze possibili e prendere su di sé la responsabilità di aiutare lo zio.

Il ramingo osservava la differenza fra la giovane nipote del re e il Generale della Legione dell'Est. Goneril era rimasta lontana dalla moltitudine di paesani che si era assiepata attorno alla tomba di Théodred, per dargli l'ultimo saluto. Li osservava dall'alto, appoggiata la piccola cinta muraria che circondava l' entrata del palazzo. Impassibile, immobile.

 Tanto Éowyn sembrava fragile e sconvolta dagli eventi, così la donna dai capelli neri sembrava del tutto indifferente all'intera faccenda, e assolutamente infastidita per il fatto di essere ancora lì. Aragorn ignorava il motivo per cui Gandalf sembrava risoluto nel tenerla a Edoras. Aveva comunque avuto la sensazione che re Théoden avesse qualcosa a che farci.

D'un tratto, i suoi pensieri vennero ridestati dal canto di Éowyn. La principessa stava intonando un lamento funebre nella lingua del posto. Con fatica riuscì a portare a termine la canzone, i singhiozzi di dolore rischiarono di strozzare la sua voce limpida.

Quando tutto fu concluso, quando il cadavere del principe venne finalmente tumulato, il sovrano rimase a lungo in piedi davanti alla tomba del figlio. Gandalf, Legolas, Gimli e Aragorn osservarono addolorati l'addio di un padre al suo unico erede di sangue. Un dolore inimmaginabile, per un uomo già provato dalla prematura scomparsa della moglie. Il ramingo vide Gandalf avvicinarsi al re, e dirgli qualcosa. Stava probabilmente cercando di consolarlo, e Aragorn fu sicuro che ci sarebbe riuscito. Lo Stregone riusciva sempre a trovare le parole giuste.

Giró lo sguardo di nuovo verso l'alto, e si accorse che Goneril non c'era più. Per un attimo, ebbe paura che fosse scappata in un momento di disattenzione di tutti. Corse subito all'entrata del palazzo e aprì il portone con un gesto deciso. Vide che era lì. Stava rimirando la sua spada aurea, che le era stata riconsegnata. Sospiró.

"Temi che possa fuggire?" chiese Goneril, senza guardarlo in viso. Un sorriso beffardo le si disegnó lentamente sul volto. "Dunque, Gandalf ti ha eletto mio sorvegliante?"

"Lui vuole che tu rimanga. Devo accertarmi di questo." Osservò l'arma di Goneril. "Dove hai preso quella spada?"

"L'ho rubata. A un re che fu così stupido da tentare di trattenermi nel suo regno." rispose. Poi lo guardó. "L'ho fatta forgiare dai miei uomini. L'oro che vedi viene da un reame nanico. Avrai sentito parlare di Erebor, vero?"

"Certo." rispose Aragorn. "Sei stata là?"

"Io sono stata in molti posti." disse lei, laconicamente. "Cinque anni fa ci spingemmo fino alla Montagna dei Nani, su a Nord. Non era mia intenzione passare da loro, so bene che non prenderebbero mai accordi con un esercito mercenario di uomini. Ero diretta a Esgaroth, ero diretta al reame di Dale, governato dalla regina Sigrid. Ma mentre ci stavamo dirigendo lì, uno dei miei uomini, quel traditore di Degarre, mi raccontó una storia. Che sicuramente avrai sentito anche tu: la storia del drago Smaug."

Aragorn annuì. "Sì, il Grande Serpente dorato che aggredì Erebor e fu ucciso da Bard l'Arciere, il re di Dale."

"E padre di quella sciocca Sigrid. Comunque," continuó Goneril. "...sai perché lo chiamavano il dorato? É un soprannome che gli affibbió la gente di Pontelagolungo, quel povero villaggio sul lago che venne incenerito dalle sue fiamme. Tutto nacque da un'idea di Thorin Scudodiquercia." spiegó Goneril, roteando la sua bella spada. "Voleva uccidere Smaug, ed ebbe una pensata assurda, che naturalmente fallì. All'interno di Erebor, con altri dodici Nani, costruì una gigantesca statua completamente d'oro, che aveva le sembianze di un re. Speró che Smaug, da sempre attratto dall'oro, si avvicinasse a quella statua, ingolosito da una tale ricchezza. Una volta che il suo possente muso fu a pochi metri, l'oro liquido cominció a sciogliersi e lo sommerse. Thorin immaginó che quella sostanza rovente e densa lo soffocasse, ma non accadde questo. La gigantesca cascata lo travolse e il prezioso oro si appiccicò alla pelle e alle scaglie del drago: divenne perció Smaug il Dorato. Furiosa, la bestia riuscì a uscire da Erebor e se libró in volo, l'oro si staccó subito dalla sua pelle e cadde a terra, formando delle piccole pozze sul terreno. Quello che accadde dopo, è storia."

Aragorn guardó a terra. "La distruzione di Pontelagolungo."

"Degarre ebbe un'intuizione. Ci condusse tutti all'entrata di Erebor, e ci disse di scrutare il terreno. Inizialmente, io non vidi nulla, ma lui con un bastone ruppe una lastra di fango solidificata e sotto trovammo l'oro. L'oro che si era staccato dalla pelle di Smaug, era stato sommerso dai detriti e dalla polvere della terra, ma era ancora lì, dopo decenni. Pronto per essere preso da noi." spiegò la guerriera.

"L'avete rubato, quindi. Quell'oro appartiene ai Nani di Erebor legittimamente." obiettó Aragorn.

"Non furono così astuti da cercarlo. Una cosa persa è una cosa persa, e qualcun altro è libero di trovarla e tenersela." rispose lei.

"Non sono d'accordo." ribatté freddamente Aragorn. "Comunque, non dirlo a Gimli."

"Viene da lì? Cos'é, un altro Principe di sangue?" chiese ironica.

"É il figlio di Gloin, uno dei Nani che accompagnarono Thorin nell'impresa, sessant'anni fa. Perció sì, Gimli ha sangue nobile. E farai meglio a rispettarlo, come devi rispettare tutti noi." aggiunse duramente Aragorn.

"Gran bei compagni di avventura ti sei scelto, erede di Isildur. Solo, mi sfugge che fine abbia la tua avventura." aggiunse lei. "Perché siete qui voialtri?"

Aragorn preferì non accennare a Frodo, all'Anello, alla loro missione. Non si fidava per niente di quella donna avida, crudele e furba. "Siamo qui per aiutare il re di questo reame. É sotto la minaccia di Sauron. Lo sai." disse semplicemente.

Goneril non parve convinta. "E tre Principi, tre aspiranti a tre importanti corone, si sono radunati qui per difendere Rohan? Per questo regno di cavalli e gente miserabile? Hmm, vedo che non hai molta considerazione del mio cervello."

"Questo è tutto ció che devi sapere." taglió corto Aragorn.

"No." rispose lei, puntandogli all'improvviso la spada alla gola. Aragorn alzó le mani. "Calmati." provó a dirle, ma gli occhi della donna era diventati d'improvviso duri e crudeli. "...devo anche sapere perché quel vecchio vuole che io rimanga qui." sibiló lei.

"Perché questa é casa tua. Questo é il posto dove devi stare." rispose la voce di Gandalf. Era dietro di loro.
"Il sangue di Théoden non è morto con Théodred. Non ancora."

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Capitolo 11
*** Segreti ***


"Successe dopo una battaglia. Io e i miei soldati eravamo rimasti lontani da Edoras per dieci interminabili giorni. Fu uno scontro durissimo, contro un piccolo esercito di Orchi venuti da Mordor." inizió a raccontare Théoden.

Gandalf e i suoi tre compagni ascoltavano in silenzio. Gambling aveva lasciato la sala: quella storia era un pettegolezzo che aveva già sentito molte volte, e ascoltarlo dalla voce del Re lo metteva a disagio.

Éowyn invece era rimasta, perché aveva l'impressione che quello che stava per venire a galla avrebbe stravolto anche la sua, di vita. Se la faccenda fosse stata provata, aveva una cugina. Una cugina che fino a quel momento non aveva mai conosciuto.

La diretta interessata, Goneril, era appoggiata a un muro vicino alla finestra. Osservava a braccia conserte l'esterno del Palazzo, chiedendosi, di nuovo senza risposta, perché non si fosse ancora decisa a prendere il suo cavallo dalle stalle e andarsene.

Quelle del Re erano favole.

Théoden era devastato dalla morte del principe e tentava forse di trovare consolazione immaginando di essersi riunito a una figlia perduta.

Balle.

Lei sapeva di non avere sangue reale nelle vene così come sapeva che quell'Elfo biondo se la stava facendo addosso all'idea di suo fratello nelle mani degli Orchi. Il figlio mezzosangue di Thranduil, anche detto il Re di Ghiaccio, che si era tenuto una donna umana a Bosco Atro come amante per trent'anni.

La Terra di Mezzo era piena di storie assurde, di segreti inconfessati, di bugie nascoste per anni. Ma tutto tornava in superficie, prima o poi, come l'erba d'inverno, una volta che la neve sui prati si scioglieva.

"...fu una battaglia interminabile, molti furono i miei soldati trucidati. Tornammo qui con la metà degli uomini. Ma...avevamo vinto." continuó il sovrano. "Al ritorno, nonostante le molte perdite, eravamo euforici. Fu decisa una celebrazione. Ordinai di far preparare un gran banchetto, con carne e vino e birra. I miei uomini dovevano divertirsi, se l'erano meritato."

Goneril sbuffó. Le stava anche venendo mal di testa.

"... nell'ebbrezza della festa, mi lasciai andare anch'io. Non avrei dovuto, il Re non deve mai perdere la sua composta dignità, lo so, ma quella sera non mi sentivo un Re. Quella notte era per i vincitori."

Gimli intervenne: "Sì sì, bisogna gozzovigliare ogni tanto, non c'é niente di male...per esempio, quella volta che mio padre Gloin..." 
Aragorn gli diede una pacca su un braccio, per zittirlo.

Théoden riprese. "Margery era innamorata di me, lo sapevo. Non poteva tenerlo nascosto, ed io, per rispetto verso mia moglie e verso il mio ruolo, l'avevo sempre respinta. Ma quella sera no. Quella sera non riuscii."

"Troppo ubriaco per controllare i vostri bassi istinti?"
chiese Goneril. Senza guardarlo.

"Sì. E lei...troppo bella per non provocarli." aggiunse il Re.

"Dite sempre così...per giustificare i vostri squallidi tradimenti...l'adulterio è più facile da vivere se la colpa è delle donne." disse Goneril.

Quanto odiava gli uomini e la loro ipocrisia.

"...insomma, avete preso quella signora che voi sostenete essere mia madre dopo una bella sbronza, magari in un fienile, eh Maestà?" disse ancora lei.

"No. Ti sbagli. Quello che capitó fu meraviglioso. E inevitabile, perché anch'io in segreto la desideravo da tempo. Ma successe solo una volta, solo quella sera. In camera sua. E dopo...dopo mi sentii terribilmente in colpa." mormoró Théoden, portandosi una mano al volto.

"E dov'era vostra moglie, se posso chiedere?" proseguì la donna.

Éowyn nel frattempo era raggelata. Non avrebbe mai pensato che suo zio fosse un uomo di quel genere. Nemmeno da giovane. Per lei, era il Re, il fratello di sua madre, lo zio buono e forte a cui si era affidata crescendo. In quel momento, stava dipingendo se stesso come un laido libertino. 
Aveva tradito la zia Elfhild. Non riusciva a crederci.

"Elfhild era con la nostra gente. La Regina festeggiava con la sua corte, qui, proprio in questa sala."
rispose Théoden.

"...mentre voi eravate con la più bella cortigiana a divertirvi in camera sua." finì Goneril, ridendo.

Théoden si giró di scatto a guardarla. "Ho detto che me ne vergogno. E...mi riempie di imbarazzo che tu debba ascoltare queste cose, Éowyn." disse tristemente, rivolto alla nipote.

La ragazza giró il viso dall'altra parte.

"La donna rimase incinta?" chiese Gandalf, che per tutto il tempo aveva ascoltato in silenzio.

Il Re annuì. "Non volle dirmelo. Ma dopo un po' le sue forme iniziarono a rivelare la verità. Me lo confessó piangendo, una sera di Novembre."

"E quale fu la vostra decisione?" chiese Aragorn.

"Le dissi che poteva rimanere. Ma il segreto andava custodito. Naturalmente...avrebbe dovuto dire a tutti che il padre era lontano dal reame, che era stata una fugace avventura. Dovevo evitare uno scandalo a corte. Mia moglie ne sarebbe morta." spiegó il Re.

"In pratica, le ordinaste di presentarsi a tutti come una volgare prostituta?" intervenne Goneril. "...per salvare il vostro prezioso onore."

"Le dissi che poteva rimanere con il suo bambino all'interno del regno. Sarebbero stati bene. Ma non avrebbe dovuto parlarne ad anima viva. Lei ebbe paura, peró." rispose Théoden. "Temeva che il bambino, una volta cresciuto..."

"... potesse somigliare a voi, rivelando di conseguenza il vostro peccato." finì Goneril.

Théoden annuì. "Sì." sussurró.

Goneril sorrise. "Beh, allora, sareste stato fortunato perché...se come dite io sono vostra figlia...non vi somiglio per niente. Nessuno sarebbe risalito a voi, se fossi vissuta e cresciuta qui." 

"Sei una guerriera. Combatti molto bene, mi hanno detto. In questo, sei simile a me." disse Théoden.

"Questo è irrilevante. Non ci sono prove che io sia progenie vostra e di quella donna. È l'amara verità. Accettatela." disse la soldatessa. "In ogni caso, sarei una figlia illegittima...come ce ne sono molti nel nostro strano mondo." disse, girandosi a guardare Legolas.

"Ad ogni modo, Margery aveva paura.  Sapeva di doversene andare da qui. Ma...era terrorizzata. Era una donna sola, non aveva parenti in altri territori. Rohan era l'unico luogo poteva stare. Cosí... fece una scelta.
spiegò Théoden. "Quando la bambina nacque, la tenne con sé solo un mese. Poi, d'accordo con me, la consegnò a un gruppo di nostri soldati e diedi ordine che la portassero via, lontano da qui. Lontano...per sempre."

A quelle parole, un silenzio imbarazzato piombó nella sala. Théoden chiuse gli occhi e si portó le mani sul viso. "Sono desolato. Io...non avrei dovuto."

"Voi...siete desolato?" lo interruppe la donna. "Ho ascoltato la vostra storiella...volete sentire la mia, ora?"

"Di che parli?" chiese Théoden.

"Parlo della vita che ho fatto nel posto in cui sono cresciuta. Magari vi interessa sentirla." spiegó Goneril. "Sempre che abbiate abbastanza stomaco per farlo."

"Hai sofferto, immagino..." mormoró Théoden.

"Dire che ho sofferto è un altro modo per definire l'inferno che ho passato. Tu..." disse lei, rivolta a Éowyn. "...meglio se ti allontani. Questi non sono discorsi per te."

La ragazza non fu d'accordo. "Voglio ascoltare, invece." 

Goneril alzó le spalle. "Come vuoi...allora ascolta bene, magari in questo modo ti renderai conto di cosa succede fuori da queste stanze regali. Nel mondo vero."

⚜️⚜️⚜️

"I miei due genitori adottivi non mi amavano. Per dirla tutta, non mi consideravano nemmeno un essere umano. Servirli, e farlo in silenzio, era il mio unico compito. Ribellarsi, dire la mia? Era fuori discussione. Erano due balordi, due paesani senza cultura. Vivevano in una specie di piccola fattoria. L'atmosfera era un po' diversa da quella che si respira in questo bel Palazzo." raccontò Goneril.

Théoden chinó la testa. "Mi dispiace."

"...dicono che ognuno di noi abbia un destino, e che è la diretta conseguenza delle nostre azioni in una vita passata. Io non so che vita ho vissuto in un'altra era, ma devo averla combinata davvero grossa per essermi meritata tutto quello schifo." rifletté Goneril.

"Ti hanno fatto del male?" chiese Aragorn.

"Potrei intrattenerti un intero giorno con i racconti di quello che mi hanno fatto. Ma non ne ho voglia. Ti basti sapere che quando avevo undici anni venni tenuta per un'ora intera con i piedi nudi immersi nella neve...per aver rovesciato un paniere di uova." rispose Goneril. "Ma il fatto che mi spinse a fuggire avvenne due anni dopo. Al compimento del mio tredicesimo anno..."

"Aspetta un attimo. Come conosci la data della tua nascita, se i tuoi veri genitori ti abbandonarono?" chiese l'Elfo.

"Il giorno in cui quei soldati mi misero in braccio alla donna di quel remoto paese sui Monti Azzurri, divenne la data del mio compleanno. Vale a dire, il settimo giorno di Maggio." spiegó lei.

Théoden di nuovo chinó la testa, come colpito da un ricordo improvviso. "La bambina nacque in Aprile..."

"Comunque," continuó Goneril, senza badare alla reazione del Re. "'Quel giorno il mio fratellastro, un povero idiota che quei due paesani veneravano come fosse il principe di casa, decise che era venuto il momento di approfondire il rapporto con me. Se capite cosa intendo."

Éowyn rabbrividì. "Oh no..." si lasció scappare.

"O meglio...ci provó. Quel bifolco non sapeva che in segreto avevo già imparato a usare un po' la spada.
Lo scoprì quando gli lasciai un bel taglio proprio sul petto. Naturalmente, le sue grida attirarono mio padre e...venni punita." continuó Goneril.

"Perché tu? Fu lui a..." obiettó Aragorn.

"Perché la vita è tutta una grande ingiustizia, te l'ho detto. Il mio patrigno mi legò le mani a una colonna del patio, e mi frustò cento volte. Mi colpí al punto da farmi svenire. Mi avrebbe anche uccisa, credo, se non avesse avuto paura delle conseguenze. Era ignorante, ma non cosí stupido da non farsela sotto di fronte a una cella di prigione."

Théoden nel frattempo era impallidito. "Mi dispiace... davvero..."

Goneril improvvisamente sbottò. "Se dite che vi dispiace un'altra volta...una sola volta in più..."

Aragorn e Legolas si avvicinarono a lei, per fermarla nel caso avesse tentato qualche aggressione al Re.

Ma la donna sembrò ritrovare la calma. Trasse un lungo respiro, poi riprese con i racconti: "Scappai quel giorno. Avevo la schiena ridotta a brandelli e avevo solo tredici anni. Ma scappai. Ne avevo avuto abbastanza."

"E dove andasti?" volle sapere Aragorn.

"Presi poche cose e mi inoltrai in un bosco. C'erano diverse casupole abbandonate, lí in quelle foreste, vecchie costruzioni ormai inutilizzate. Mi stabilii per qualche mese in una di esse. Vivevo di espedienti, lavoravo nelle case dei contadini in cambio di un po' di monete di bronzo. E poi un bel giorno, decisi di andare a Sud. Verso questo territorio." continuò lei.

"Il tuo istinto ti portò qui." intervenne Gandalf.

"Non esattamente. Volevo trasferirmi in un luogo più caldo. E lungo il tragitto, sai chi mi capitò di incontrare?" si girò verso Legolas. "Qualcuno che mi salvó la vita. Che mi insegnó a combattere davvero e a dimenticare. Qualcuno che questo biondo Elfo di Boscoverde conosce bene."

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Capitolo 12
*** Tradimenti ***


Goneril continuava a tenere la spada puntata alla gola di Aragorn.

Si girò verso Gandalf, che era entrato nella grande sala del trono, dove lei e il ramingo si fronteggiavano. Approfittando della momentanea disattenzione della donna, Aragorn afferrò la lama della spada con una mano e la scostò dal suo volto. Si ferì, e un rivoletto di sangue gli scese lungo il polso.

"Ecco, ora sulla mia spada c'è il sangue di un Re." ghignó la guerriera, tornando a guardarlo.

"Hai sentito quello che ti ho detto?" Incalzó lo stregone.

"Ho sentito solo una grande stupidaggine." rispose lei. "... Tu stai dicendo che io sarei figlia di Théoden?"

"Precisamente. Ne sono più che sicuro." ribattè il mago.

"E perché ne sei così sicuro?" sorrise lei, evidentemente scettica. "...perché somiglio a una donna che abitava qui molto tempo fa? Basi su questo la tua potente deduzione?"

"Questa domanda la farai a Théoden. Tu e lui avete molto di cui parlare." disse Gandalf. Nel frattempo, arrivarono anche Legolas e Gimli. "Cosa succede qui?" borbottó il Nano. "... vi riunite senza di noi?" sbottó seccato.
"No, amico mio. Sta' tranquillo." sorrise Gandalf, dandogli una pacca sulla spalla. "...dov'è il re? È rimasto alla tomba di Théodred?"
"Sì." rispose l'Elfo. "Il dolore per lui ancora troppo forte." Legolas non aveva mai assistito a un funerale umano. Gli era sembrata una cerimonia tristissima e, per certi versi, grottesca. Non riusciva a immaginare un corpo seppellito sotto sei piedi di terra e lasciato alla mercé dei vermi.

Si accorse che la donna lo stava osservando. Lo squadrava da capo a piedi, con quell'espressione arida e malvagia che Legolas stava imparando a detestare. "Prima che Théoden mi annoi con le sue domande , vorrei scambiare qualche parola con te, Elfo." gli disse infine. "In privato." Aragorn, Gandalf e il Nano si guardarono sorpresi.
Legolas annuì. "D'accordo."

"Dopo di me. Là dentro." disse lei, e si diresse verso una piccola sala, impreziosita da un ricco tappeto rosso e oro. Richiuse la porta cigolante, non appena l'Elfo fu entrato a sua volta.

"Cosa vuoi." chiese lui. Era diffidente.

"Dimmi... come sta tuo fratello?" domandó Goneril, mentre i suoi occhi da gatta si fissavano in quelli egualmente felini dell'elfo. Legolas trasalì. Rimase in silenzio per qualche istante, poi rispose. "Ma di che parli?"

"Non fare la commedia con me. So tutto della tua famiglia. Sto parlando del tuo fratello mezzosangue, che vive a Boscoverde, nascosto agli occhi di tutti...forse persino a quelli dei vostri sudditi." disse lei, con il suo solito sorriso perfido. "Il secondogenito di tuo padre, che il grande re elfo ha avuto con una donna umana, sessant'anni fa." Legolas distolse gli occhi da lei. "Sì, guarda pure da un'altra parte. Ma io conosco la verità, in ogni dettaglio. E ti sto chiedendo, come sta il tuo fratellastro." disse lei.

Legolas mormoró. "Come l'hai saputo?"

Goneril si voltò verso la finestra. "Beh, è una lunga storia. Diciamo solo, che ho incontrato qualcuno che veniva dal tuo reame, molto, molto tempo fa. Un vostro... vecchio suddito. Un Guaritore. Fu cacciato via da tuo padre proprio a causa di quella donna. E mi raccontó la storia."

Il viso di Legolas venne attraversato da un lampo di comprensione. "Amon..." sussurró. "Quel falso, vile traditore..."

"Eh già." commentó lei. "Straordinario l'impeto che delle volte la vendetta fa nascere nei cuori...perfino nei cuori puri di voi Elfi. Il vostro Guaritore era talmente adirato con tuo padre...che mi spifferó ogni cosa. Ogni sordido segreto del vostro oscuro regno nei boschi."

Legolas la guardó. I suoi occhi blu brillavano di rabbia. "Che ti importa di mio fratello?"

"Non un granché, a dire il vero. Per quel che mi interessa, tuo padre potrebbe avere una mezza dozzina di figli bastardi sparsi per la Terra di Mezzo. Non è un mio problema. Certo, è curioso che abbia tradito in questo modo la memoria di tua madre. Credevo che gli Elfi fossero assolutamente monogami. Incredibile che abbia riscoperto la gioia dell'amore con una donna...mortale." sorrise.

"Questi non sono affari che ti riguardino. Mio padre amò moltissimo quella ragazza. Lo ha salvato dalla solitudine e dalla disperazione." ribattè Legolas.

"E dov'è lei? A Dale?" continuó Goneril, impietosa.

"Forse non è nemmeno più in vita. Tu parli di eventi passati, e non capisco perché insisti nel chiedere." rispose Legolas. Stava cominciando ad averne abbastanza di quella conversazione. Per tutti gli ultimi decenni, aveva conservato nel suo cuore il segreto del padre. Era riuscito a non parlarne nemmeno con Aragorn, nonostante la profonda amicizia che li univa. E adesso quella guerriera mercenaria, sbucata da chissà quale inferno, portava a galla una storia che avrebbe dovuto rimanere confinata all'interno di Boscoverde.

"Perché vedi, anche se a me non importa di quello che fa tuo padre fra le lenzuola, e non mi importano nemmeno le conseguenze della sua lussuria, a qualcun altro può invece interessare... e tanto, da quello che ha detto Amon." spiegó lei. "...mi ha detto che il figlio generato da quell'unione è molto importante. È una creatura che in futuro diventerà uno strumento nelle mani di Morgoth, probabilmente, un essere mezzosangue tramite il quale l'antico spirito malvagio sottometterà la Terra, o tenterà di farlo. É così?"

Legolas finse sorpresa. "Amon ti avrebbe raccontato una fandonia simile? Gli hai creduto?"

"Sì." rispose semplicemente lei. E non aggiunse altro. Voleva vedere come il principe avrebbe reagito, come ne sarebbe venuto fuori. Lo aveva messo con le spalle al muro, lo sapeva bene. "Vedi, caro elfo, io ho un problema adesso. Ero giunta in questo reame sperando di guadagnarmi un altro paio di pesanti casse d'oro, ma il mio progetto è andato in fumo, grazie a Gandalf. Questi maledetti stregoni che si impicciano sempre in affari che non li riguardano..." si lamentó. Legolas ebbe l'impressione che lo stesse prendendo in giro. "Il fatto però, è che quell'oro mi serve. Ne ho bisogno, un disperato bisogno. E lo otterrò in qualche modo. Certo non qui, ormai." continuó la donna. "Ma forse...a Mordor, sì." Si giró a guardare Legolas, che nel frattempo si era allarmato.
Inizió a intuire l'orrendo ricatto di Goneril. "Cosa ne diresti se io andassi dagli Orchi e li informassi che a Bosco Atro esiste un Elfo discendente da una donna umana, una creatura unica al mondo, che al loro supremo padrone Morgoth potrebbe interessare? Pensi che pagherebbero bene un'informazione simile?" domandó.
"Maledetta. Gli déi ti puniscano..." sibiló Legolas.
Ma lei continuó. "Oppure... potrei spingermi fino ai confini del vostro reame, e proporre a tuo padre un accordo. Terró per sempre questo segreto con me, ma...il silenzio si paga caro. Thranduil é il sovrano più ricco e potente di tutto il Nord. Nessuno può competere con lui in quanto a tesori, non è così?"

Legolas la interruppe: "Non ci pensare neanche. Mio padre ti ucciderà se solo osi nominare lei e loro figlio."

"... immagino che per lui non sarebbe un grande sacrificio spalancare i sui scrigni, e darmi un po' d'oro o argento o diamanti. Tuo padre ama molto i diamanti vero? Come li amava tua madre in vita." finì Goneril.

Legolas non riuscì a trattenere un gesto di rabbia. Stava quasi per afferrare la donna per un braccio a strattonarla, ma poi la sua saggezza elfica lo fermó. "...la tua vita finirà nel momento stesso in cui oserai andare da mio padre con una proposta simile."

"Oh. Ma io non ho intenzione di andare da lui. Ci andrai tu." disse lei. "E parlerai a nome mio. Gli riferirai la mia proposta."

Legolas inizió a camminare avanti indietro, spazientito. "E chi mi dice che gli Orchi già non sappiano? Chi puó dire che Amon non sia già andato da loro..."
Goneril rise. Non rideva quasi mai, ma per la miseria, quell'Elfo era uno spasso. "Non ci è andato per due motivi: primo, se uno della vostra razza si presentasse a Mordor verrebbe fatto a pezzi immediatamente. Secondo, perché la sua intenzione era di partire per Valinor. Voleva andare a ovest, verso le vostre Terre Immortali. Ma se avesse tradito Thranduil, se avesse tradito un altro elfo, non gli sarebbe stato consentito imbarcarsi. Gli déi lo avrebbero maledetto." spiegó pazientemente.

"A te lo ha detto, ha tradito comunque." ribatté Legolas.

"Ma io non sono un Orco. Non faccio parte delle schiere del Male." sorrise Goneril.

"Su questo, permettimi di non essere d'accordo." rinfacció Legolas.

"Allora, affare fatto, Principe?" continuó lei.

Legolas la fissó. "Scordatelo."

"Dunque non mi lasci scelta. Mi dispiace. Il giovane Haldir non potrà nascondersi a lungo, in mezzo alla foresta." replicó la donna.

"Sai perfino come si chiama?" ringhió Legolas. Amon, che tu possa venire punito lì dove sei...

Goneril fece per uscire dalla stanza, ma si giró brevemente a squadrare l'Elfo con i suoi occhi azzurri carichi di derisione. "Io so tutto. So tutto di ogni cosa. E non mi fermo davanti a niente."

⚜️⚜️⚜️

I due uscirono dalla piccola e sala e trovarono Gandalf, Aragorn e Gimli ad attenderli.

Dall'espressione di Legolas, il Dunedain capì subito che la donna gli aveva detto qualche cosa di grave. Si avvicinò. "Tutto bene?" chiese all' Elfo, ancora scosso.

"Sì." sussurró lui.

Aragorn pensó che il suo amico non fosse mai stato così lontano dallo stare bene, ma non indagó oltre. Si limitó a lanciare a Goneril uno sguardo di rimprovero. Lei ricambió con una mezza smorfia ironica.

Improvvisamente, la grande porta si aprì, e Théoden entrò a Palazzo, sorretto a braccetto da Gambling. Era pallido, gli occhi rossi ancora umidi dal pianto.

Éowyn lo seguiva. "Zio, lascia che ti accompagni alle tue stanze. Riposa ora." gli disse dolcemente la nipote.

"No." rispose Théoden. "Devo tornare sul mio trono. Riprendere...i miei doveri. Questo regno non puó rimanere senza guida." Sollevó lo sguardo verso Goneril. "Sei ancora qui." mormoró.

"Questo Stregone sostiene che mi dovete ancora  parlare, Maestà. Spero sia una cosa veloce." ribatté la soldatessa.

Théoden guardó Gandalf. "Che pensi?" gli chiese. "Che abbia a che fare con Margery?"'

"E con te." ammise Gandalf. "Il tuo racconto si è interrotto proprio nel punto che mi interessava, Théoden. Ora che Théodred ha raggiunto i vostri antenati nell'aldilà, è tempo di concentrarsi sui vivi. Su questa donna."

"Ritiene che io sia vostra figlia. Lo Stregone ha fantasia." sorrise Goneril. "Spiegategli che questo non è possibile e piantiamola con questa pantomima fastidiosa."

Théoden avanzó verso di lei. "È possibile, invece."
Tutti, Aragorn, Gimli, Legolas, Gambling e la stessa Goneril ammutolirono. La notizia era clamorosa. Un'atmosfera di generale incredulità pervase la sala polverosa e fredda.

"Ti prego, seguimi." disse il re a Goneril.

"Ho già avuto una conversazione privata quest'oggi." La donna guardó verso Legolas. "Se dovete dire qualcosa, ditelo davanti a tutti."

"Non è qualcosa di cui vado fiero. È opportuno che ci ritiriamo a parlare, solo noi due." ribattè il Re.

"No." si oppose Goneril. "O qui, e adesso, o tacete per sempre."

Théoden deglutì. La faccenda era incresciosa, assolutamente incresciosa. "Molto bene, allora. Come vuoi." si arrese il sovrano.

Traendo un grande respiro, si apprestó a raccontare quella storia privata e dolorosa che da trent'anni a quella parte pesava come un macigno sulla sua coscienza.
La storia di un tradimento, e di una bambina dispersa nel mondo.




 
---- Per chi non ha letto le mie storie precedenti: "Haldir" non è l'Haldir che pensate 🙂 E' un altro personaggio (onde evitare confusioni)

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Capitolo 13
*** Idis ***


Goneril stava iniziando a parlare del suo misterioso salvatore, quando un soldato piombò nella grande sala del trono e annunciò: "Maestà, due bambini si sono spinti fino ad Edoras a cavallo. Un maschio e una femmina. Il piccolo è svenuto."

Subito Éowyn corse fuori a vedere di che si trattava. "Credo che il villaggio da cui provengono sia stato attaccato. Hanno montato un cavallo troppo grande per loro. Probabile che i loro genitori li abbiano fatti fuggire." continuò il soldato.

"Morte..." sussurrò Théoden. "...attorno a questi confini c'é solo morte."
Goneril si avvicinò a lui. "Ve l'avevo detto: dovevate far uso del mio esercito. Avremmo protetto i confini e i villaggi."

Théoden la guardò. "Se sei chi credo, questi sono anche sudditi tuoi. Ma non provi pietà? Solo il denaro ti interessa?"
Goneril afferrò Théoden per il bavero. Aragorn si precipitò a fermarla. "Smettila. Questo é il re. Ed é forse tuo padre." le disse.
"No. Ti sbagli." ringhiò lei. "Io non ho un padre. L'uomo che mi ha cresciuta era un violento e un bifolco...e questo davanti a me é un povero anziano con le traveggole. Io non ho nessuno al mondo. E sí..." continuò. "...a me interessano i soldi."

Aragorn continuava a tenerla ferma, bloccandole le mani dietro la schiena. "Controllati. O ti terró ferma così a costo di romperti un braccio." la minacció.
Théoden si liberò dalla presa della ragazza. "Solo perché ho terribili sensi di colpa verso di te non ti faccio imprigionare. Ma non riprovarci."
Goneril lo guardò negli occhi e dallo sguardo che corse fra loro, Aragorn ebbe la certezza che si trattassero di padre e figlia. Entrambi fieri e orgogliosi.
La donna poi si girò verso di lui. "Così tratti le donne, a Gondor? O forse questa é la cortesia che riservi a quelle umane...mi sa che preferisci quelle elfiche, tu." e sorrise beffarda. Aragorn lasció la presa. Goneril fece cadere lo sguardo sul ciondolo in cristallo che pendeva al collo del ramingo. "La Stella del Vespro. Simbolo dell'immortalità per gli Elfi di Imladris. Te l'ha dato la tua amata, scommetto." chiese.

Legolas intervenne. "Aragorn é unito alla figlia di Lord Elrond, Arwen." Goneril volse lo sguardo su di lui. "A quanto pare le unioni interrazziali sono frequenti nella Terra di Mezzo. Thranduil con un'umana, e il nostro Aragorn con un'Elfa."
Gimli si sorprese. "Tuo padre sta con una donna mortale?!" chiese a Legolas.
L'Elfo giró un'occhiataccia alla guerriera. "Dovresti pensare agli affari tuoi." le disse.
Gimli continuó. "Volete davvero dirmi che re Thranduil sta con..."
Legolas lo zittì. "È storia passata. Mio padre ha amato due volte in vita sua. Ma ha amato. Tu invece, conosci solo l'odio." rinfacció a Goneril.
"Qui ti sbagli, folletto arciere. Anch'io ho conosciuto l'amore. Ed é stato proprio il tuo amico Amon a..." rispose lei. Ma mentre diceva questo, le porte si aprirono.
Éowyn entró e dietro di lei due soldati che sorreggevano due bambini. Erano fratelli, si somigliavano. La piccolina poteva avere sei anni ed era sveglia e piagnucolante. Il fratello era privo di sensi.
Théoden si preoccupó. "Metteli vicino al camino, che il fuoco li riscaldi. E portate cibo anche per loro."
Éowyn corse a prendere altro brodo.

Legolas si avvicinó per vederli. Alla vista dell'Elfo, la bambina si calmó subito. Sembrava meravigliata. Legolas si era aspettato quella reazione: i bambini mortali impazzivano per gli Elfi. Forse perché erano i protagonisti delle fiabe con cui crescevano.
"Come ti chiami?" le chiese.
"Freya." mormoró lei, la bocca ancora aperta dalla sorpresa. "Mio fratello sta male..."
"No, tra poco starà meglio." rispose Legolas, accovacciandosi accanto al fuoco. "Dove sono i tuoi?"
"Mia mamma è rimasta al villaggio. Ci ha mandati qui. Sul cavallo..." farfuglió la bambina.
Arrivó Éowyn con il brodo. "Tieni. Prova a mangiare, cara." Aveva messo nella zuppa anche qualche pezzo di verdura. Il bambino era stato adagiato su un piccolo sofa, spinto accanto al fuoco: era pallido e con profonde occhiaie attorno agli occhi. Non sembrava riprendersi.
"É solo il freddo." disse Legolas. "Deve riscaldarsi." Si giró verso Aragorn e Goneril. "Gli Orchi. Ancora loro."

Gandalf e Théoden si scambiarono un'occhiata. "Devi fare qualcosa, amico mio. La tua gente é in pericolo." disse lo Stregone.
"Affrontateli sul campo, Maestà. Che Saruman veda che non siete spaventato dai suoi mostri. Avete un esercito abbastanza imponente da ricacciare quelle creature da dove sono venute." consiglió Aragorn. "Chiedete aiuto a Gondor."
"A Gondor?!" sbottò Goneril. "Come no. Denethor non vede l'ora di mandare qui i suoi uomini, scommetto."

"Esatto." convenne Théoden. "Non c'é mai stata solidarietà, se ben ricordo, da Gondor."
"Ora sarà diverso."'ribattè Aragorn.
"Io dico che andremo al Fosso di Helm, invece. Tutti quanti." decise il Re. Aragorn si passò una mano fra i capelli, esasperato.
"Il Fosso di Helm...è una gola rocciosa, senza uscita. Se voi..." provò ad obiettare.
"É Théoden il Re di Rohan se ben ricordo. Non Aragorn." rispose seccato il sovrano.
Il ramingo annuí e chinò il capo, rispettoso.

"Beh, direi che qui avete un gran lavoro da svolgere. Dovrete spostare tutta la gente di Edoras dalle loro case. Io non intendo darvi alcun disturbo. Me ne vado con i miei uomini a Nord. E se avete bisogno di noi, sapete qual'é il prezzo da pagare." disse Goneril, e fece per uscire. Finalmente era finita, poteva tornare da Degarre e dagli altri.

"Quali uomini?" chiese il soldato che aveva accompagnato dentro i bambini.
Lei si giró. "Non hai visto una legione accampata nella radura qui di fronte? Sei cieco?"
"Non ci sono legioni là fuori. Se ne sono andati. Hanno lasciato solo qualche fuoco acceso." ribatté lui. Goneril ammutolí. Non é possibile, pensò subito. Poi corse fuori e si precipitò su una delle Torri di Edoras, da dove si poteva vedere la spianata che circondava la cittadella.
Era vero.
Erano spariti.
Tutti.

Rimaneva solo qualche brace accesa e i segni degli zoccoli dei cavalli sul terreno bruno. "Degarre..." sussurrò lei. Se ne é andato con i tuoi soldati. Le disse la coscienza. "Degarre..." ripeté. E quel che é peggio, se ne é andato con i tuoi soldi. Lui sa dove sono nascosti. Andrà a prendersele, quelle casse d'oro, andrà a prendersele e le spartirà con gli altri. Eh sí, mia cara, ti ha fregato. Ti ha fregato davvero per benino il tuo fidato braccio destro. "Vai all'inferno!" urlò a squarciagola. "Ti troverò! Ti troverò puoi credermi ladro! Farabutto! Figlio di una..." urlò furiosa al vento.

"Ha solo fatto quello che gli hai insegnato." disse Aragorn dal basso. Era uscito a vedere dov'era andata. "L'allievo ha superato la maestra, a quanto pare. Forza, rientra."
"Andrò a cercarlo subito..." esclamò lei, scendendo le ripide scale del torrione.
Aragorn la fermò. "No. Sta' qui. Sta' con noi. Sei sola adesso. E Théoden ha bisogno di te."
"Vi ho già detto, che non sono sua figlia. Mettetevelo in testa. Io ora vado a cercare quel disgraziato traditore e lo mando dritto all'altro mondo!" minacciò, dirigendosi verso le stalle.
"Sei sangue del suo sangue, invece. E in quanto tale, sei erede a questo trono. Éomer sarebbe il principe designato, ma la tua esistenza gli ha tolto quel privilegio. Se sei la principessa di Rohan, devi stare qui. Hai delle responsabilità nuove." le disse il ramingo. "Sta' con tua cugina e insieme aiutate Théoden."
"Perché questo grande Re non é venuto a cercarmi durante gli anni passati, allora? Cosa glielo ha impedito? Troppo comodo ostentare pretese da genitore, trent'anni dopo. Possa Éomer essere all'altezza del ruolo. Io ho chiuso con questo posto." ribatté seccamente lei.

"Idis." disse Aragorn.
Goneril si girò di nuovo. "Come?"
"Idis. Il tuo nome doveva essere Idis. Cosí aveva deciso tua madre." spiegò il guerriero. "Me lo ha detto Théoden." chinò il capo, rassegnato. "Allora va'. Se non riesci a perdonare, nessuno può costringerti a farlo. Per quello che puoi, cerca di essere felice nel resto della tua vita." disse, girandosi per rientrare a Palazzo.

La donna venne investita da una folata di vento invernale. E' vero sono sola. Non ho un posto dove andare. Ma non posso schierarmi con Théoden e la sua gente...senza alcun guadagno. Lui dice di essere mio padre, ma io non ci credo.

Poi pensò a Éowyn e di nuovo avvertí quel fastidioso disagio. Era risoluta, quella ragazza bionda. Con un cugino morto e un fratello disperso chissà dove, mostrava una gran forza interiore.

E se fosse vero? Si chiese. Se costoro fossero...i miei parenti?
"No, non ho a che fare con questa gente. Devo andare a cercare i miei soldati, e quando li avrò trovati..." disse a se stessa.

"Sono lontani. Lo sai. Lasciali perdere." Aragorn aveva sentito le sue parole. "Qui è casa tua. Pensaci."

"Sentimi bene, tu." rispose Goneril, "Adesso non venirmi a raccontare di troni vacanti e doveri verso i sudditi. Il re di questo reame sta invecchiando, e non vuole invecchiare da solo. Ha appena seppellito un figlio, e non accetta che la sua linea di sangue si interrompa. Ma io non sono la sua salvatrice, nè sua figlia. E se tu sei l'erede di Isildur puoi capirmi ancora meglio. Certe casate sono destinate a scomparire. È la storia del mondo."

"Dici di voler costruire un tuo regno...in cui trovare pace e silenzio. Ce l'hai già un regno, qui attorno a te. Non ti serve l'oro dei mercenari, lascialo a quei disgraziati. Tu hai altro da fare, faccende ben più nobili da sbrigare." provò a dirle Aragorn. "Éomer é lontano...e il Re ha bisogno di te."

"Ma in nome di Eru...chi vi dice che c'é davvero un legame di sangue fra me e lui? Questa ostinazione non ha senso...non ci sono prove." sbottò lei.

"Ci sono tutte invece. La più importante, viene dalle tue sensazioni. E adesso decidi. Continua a girovagare per la Terra di Mezzo o affronta il tuo futuro qui. Nel ruolo che ti spetta." le disse Aragorn. "Ma scegli in fretta. Sta arrivando un gran temporale..." aggiunse, guardando il cielo plumbeo. Poi rientrò in silenzio a Palazzo, lasciando la donna sola con i suoi dubbi.

⚜️⚜️⚜️

"Come si chiama tuo fratello?" chiese Éowyn a Freya, che non aveva tolto gli occhi da Legolas per tutto il tempo.

"Timmy." rispose la bambina. Il ragazzino nel frattempo si era ripreso, ma si era chiuso in uno strano mutismo, forse per via dello shock. "Hai altri fratellini?" continuó la ragazza. Freya fece di no col capo. "Mamma e papá? Dove sono?" proseguì Éowyn.
"Sono morti." mormoró la bambina.
Éowyn sentì una fitta al cuore. "Ne sei sicura? Magari si sono solo nascosti...o sono scappati come te e Timmy." provó a rincuorarla. Di nuovo, Freya scosse il capo. "C'erano mostri...tanti. Grandi." mormoró.

Gandalf e gli altri si guardarono. "Saruman ha deciso di sterminare questa gente. Possa Eru maledirlo." si lasció scappare lo Stregone.
"È un errore trascinare questa gente al Fosso di Helm. Verranno intrappolati lì." osservó Gimli. Théoden nel frattempo si era allontanato, era andato a dare istruzioni a Gambling e ai soldati. Edoras andava evacuata il giorno dopo e non c'era un minuto da perdere.
"Il suo piano é portare la popolazione in un luogo dove possa essere protetta. In quel luogo i numeri non contano: un'armata di diecimila Uruk-Hai potrebbe essere respinta, su questo Théoden ha ragione. Le alte mura del Fosso sono invalicabili." ragionò Aragorn.

"A meno che non trovino un espediente per far saltare il muro. State parlando di uno Stregone, non di un soldato qualsiasi. Non c'é limite a quello che può fare." si sentí una voce femminile. Si voltarono tutti.

Goneril.

"Sei rimasta allora." commentò Aragorn. Sembrava soddisfatto.
"Non esultare troppo. Non lo faccio per i motivi che credi tu. Però sí, ho deciso di rimanere a darvi man forte...dieci anni di guerre mi hanno insegnato qualcosa. E vi dico: non esiste al mondo una fortezza che non abbia un punto debole. Saruman lo troverà." ribatté la donna.

"Far saltare il muro? E come potrebbe?" chiese Gimli.
"Probabilmente il Nano non ha mai sentito parlare di polvere esplosiva." rispose Goneril. Tutti sembravano confusi. "...e neanche voialtri. Ma io sí. É un composto chimico, uno dei miei soldati sa formularlo...lo usammo anche noi una volta. Se Saruman é astuto come si dice, e se adesso ha quel Grima vicino a sé come consigliere, saprà come far saltare in aria quelle mura. Il gobbo gli avrà certamente detto qual'é la parte più vulnerabile della fortezza." poi guardò verso Aragorn. "Avreste dovuto ucciderlo, non lasciarlo andare."

"Quell'uomo é stato causa di altre disgrazie. Ucciderlo voleva dire aggiungere violenza a violenza." obiettò Aragorn.
"A quanto pare io e te la pensiamo in modo diverso sul concetto di giustizia. Tant'é, ora dovrete sperare che il Fosso di Helm salvi la vita al popolo. Ho visto che ci sono molti bambini." disse Goneril. "Immaginate se Saruman desse ordine di attaccare la gente durante lo spostamento da qui alla fortezza. Con i suoi mannari, magari."
Di nuovo, tutti si guardarono perplessi. Si stupí anche Goneril. "Io credo che voi non siate mai stati in guerra. Sembrate non avere esperienza in fatto di agguati e battaglie. Non me lo sarei aspettato...men che meno da te." guardò Aragorn.

"Allora siamo fortunati che tu sia qui." replicò Legolas, sarcastico. "Un'assassina professionista saprà certamente prevedere le mosse degli Orchi. Fra malvagi ci si intende."
"Basta, Legolas." lo interruppe Gandalf. "La guerra si avvicina, non portiamola anche qua dentro."
Goneril e l'Elfo, però, continuavano a guardarsi con astio.

Éowyn si avvicinò a lei. "Non so chi sei. Ma se sei mia cugina come dice il nostro Re, ti prego di aiutarci. Anch'io posso combattere, forse non come te, ma farò la mia parte. Io ti chiedo di aiutare la nostra gente." le disse.
"Risparmiami le suppliche, ti ho già detto che resterò qui. E tu, devi fare esattamente quello che ti dico." rispose Goneril.
Éowyn sembrò illuminarsi. "Te lo prometto! Posso combattere al tuo fianco..."
"Tuo zio non te lo permetterebbe. Domani ti darà ordine di condurre le donne e i bambini, e di pensare a loro. Io però avrò bisogno di te una volta arrivati al Fosso. Perciò sta allerta." disse Goneril. Poi guardò verso Freya e Timmy. "Tutti i bambini dovranno essere condotti a mano da un adulto. I neonati e quelli molto piccoli in braccio agli uomini. Non porterete carri, solo cavalli." disse.

"La strada é lunga, si stancheranno." obiettò Gimli.
"Faremo delle soste. Ma in caso di attacco tutti devono potersi disperdere e fuggire. Caricare gente sui carri é pericoloso, e rallenterebbe la marcia." spiegò. Aragorn e Gandalf furono d'accordo.
Il ramingo sembrava compiaciuto e sorrise.
"Levati quel ghigno dalla faccia, ti ho detto che non sono qui per il mio buon cuore. Quando tutto sarà finito, presenterò il conto." promise lei. "In quanto a te, quella faccenda non é conclusa. Solo rimandata." disse rivolta a Legolas. "Partiremo domani all'alba, perciò...stanotte dormite bene, signori." concluse.

"Théoden non ha dato quest'ordine." protestò Gimli. "Non ha detto che partiremo domattina."
"E fin quando vorresti aspettare? L'inizio della primavera, magari?" chiese lei. "Fate diffondere la voce dai soldati. Che vadano casa per casa e dicano a questa gente di preparare la loro roba. Non più di una sacca a famiglia. E cibo per almeno tre giorni."
"Sei ottimista." disse Gandalf. "Credi che tutto sarà finito in tre giorni?"
"Gli eserciti di Saruman sono in marcia. Una volta che il Fosso di Helm sarà circondato, non ci metteranno molto a decidere quando attaccare. E allora, in breve tempo tutto sarà concluso. Personalmente, ritengo che resisterete al massimo un paio d'ore. Ma chissà, forse qualche potente magia vi verrà incontro." sorrise lei.

"Già." disse Gandalf. Era pensieroso. "Ci servono rinforzi. Devo cercarli."

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Capitolo 14
*** L'Elfo solitario ***


"'Attendi il mio arrivo, alla prima luce del quinto giorno: all'alba, guarda ad Est."

Così aveva detto Gandalf ad Aragorn, prima di prendere il cavallo e andarsene. Il ramingo sospettava che lo stregone fosse andato a cercare Éomer, che stava vagando attraverso le pianure del Nord insieme ai suoi soldati, dopo essere stato scacciato da Grima.

"Quell' Istari dovrebbe rimanere qui." Aveva commentato Goneril. "Ci troveremo a scontrarci contro legioni di Uruk-Hai, la magia potrebbe fare la differenza."
"Gandalf sa quello che sta facendo, non tocca a noi giudicare le sue scelte." le aveva risposto seccamente Legolas. L'Elfo non aveva più incrociato lo sguardo con il suo, era evidentemente infastidito dal ricatto che la donna aveva minacciato nei confronti suoi e di suo padre. Ma Goneril era sicura che ci sarebbe stato presto un altro confronto fra loro due. Restava da chiarire che ruolo avesse giocato Amon, il guaritore messo alla porta da re Thranduil sessant'anni prima, nella storia della sua vita. Era certa che il principe di Boscoverde fosse divorato dalla curiosità al riguardo.

La moltitudine di abitanti di Edoras si era placidamente messa in marcia. Una massa silenziosa, lenta e terrorizzata. Théoden aveva deciso delle pause durante l'avanzata. Goneril sapeva di doversi aspettare un attacco, presto o tardi. Gli Orchi non avrebbero mai perso la ghiotta occasione: bambini, donne e malati tutti in fila, pronti per essere trucidati. C'erano i cavalieri di Rohan, comunque, un numero sufficiente per tenere almeno impegnati eventuali aggressori e permettere ai piú indifesi di fuggire.

Lei aveva un suo piano. Conosceva bene il Fosso di Helm. Aveva studiato la struttura di ogni fortezza difensiva della Terra di Mezzo, nei momenti di riposo, quando i suoi legionari si accampavano e lei rimaneva da sola nella sua tenda personale a riflettere. Quella struttura era stata scavata nella roccia, ma aveva una via di fuga nascosta. Un tunnel, che dai sotterranei si snodava fra le montagne posteriori, e arrivava dall'altra parte. Una galleria che sarebbe stata attraversata con difficoltà da una massa di uomini, donne, e bambini spaventati, ma molto più agevolmente da una donna sola e da un cavallo.

La sua idea era di aspettare l'arrivo dell'armata di Saruman, lasciare che attaccasse il Fosso, e durante la confusione generale, prendere Aldair e andarsene da quel posto. Comunque, non c'era alcuna speranza. Aragorn e Théoden vivevano di pie illusioni, ma la soldatessa sapeva benissimo che lo stregone bianco avrebbe trovato il modo di fare breccia nelle mura della fortezza. Era Saruman, dopo tutto. E si era schierato con Sauron, il che aumentava a dismisura la sua cattiveria.

Una volta scappata attraverso le montagne, avrebbe galoppato fino ad Edoras, che in quel momento sarebbe stata deserta. Il palazzo del re nascondeva verosimilmente degli scrigni pieni d'oro. Avrebbe preso tutto quello che c'era da prendere, l'avrebbe caricato sulla sella di Aldair, e se ne sarebbe andata. Forse quell'infame di Degarre aveva già messo le mani sulle casse di monete accumulate negli anni. Ma i tesori di Edoras erano ancora lì, alla portata di chiunque.

Aveva anche pensato di allontanarsi subito da Edoras, aspettare pazientemente che l'esodo fosse compiuto e addentrarsi indisturbata nella residenza del Re. Ma Théoden, che non era l'ultimo degli stupidi, avrebbe mangiato la foglia e dato ordine di portare con sé le sue ricchezze. Magari sospettava che lei fosse sua figlia, ma per il momento era ancora una guerriera mercenaria, gente ben poco meritevole di fiducia.

"Ho preparato dello stufato, ne vuoi?" chiese Éowyn all'improvviso. La marcia si era fermata, per la seconda volta. Goneril detestava quelle interruzioni continue nel cammino, non c'era tempo da perdere. Il sole non sarebbe rimasto alto a lungo.
"Tieni quella roba lontano da me. Dall'odore, farebbe vomitare perfino un goblin." ribatté lei.
"Potresti anche essere più cortese." protestó Éowyn. Dopo essersi presa un no secco anche da Gimli, la giovane tornó sui suoi passi. Mise il recipiente con lo stufato a terra e si sedette vicino a lei. "Dove hai imparato a combattere a quel modo?" le chiese.
Goneril sospiró e si rassegnó a raccontare: "Sono scappata di casa a tredici anni, come ti ho detto. Portai una spada con me. Non era un granché: la lama era storta e un po' arrugginita. Ma poteva tagliare...e uccidere. Mi esercitai da sola, all'inizio, contro i tronchi degli alberi..." raccontó, sdraiata per metà sull'erba avvizzita . "...un bel giorno, incontrai il mio futuro maestro."
"Quell'Elfo di cui parlavi?" chiese la ragazza.
"Sì. Amon. Era passato davanti a me con il suo cavallo, mentre io camminavo lungo un sentiero nei boschi che mi avrebbe condotta a Sud, vicino alla Contea degli Hobbit. Capì subito che stavo male." spiegó Goneril. "Quelle abrasioni lasciate dalle frustate del mio patrigno non erano guarite, nonostante fossero passati alcuni mesi. Credevo fossero rimarginate, ma c'era un'infezione in corso. Ovviamente non potevo saperlo...fino a quando mi venne un gran febbrone."

Éowyn l'ascoltava assorta. Cento scudisciate sulla schiena. Lei sarebbe svenuta dopo una sola. "Ti ha curata?"

"Ha fatto più che curarmi." sorrise Goneril. "Mi tolse con la sua magia ogni cicatrice. E si offrì di insegnarmi anche a usare la spada."
"Lo fece senza volere nulla in cambio? Generoso da parte sua." osservó Éowyn.
"Non proprio, cara. Voleva da me una cosa: che io diffondessi la voce." riveló Goneril.
"Cosa...quale voce?" chiese la giovane principessa, incuriosita. La guerriera guardó verso Legolas. La voce che a Boscoverde vive un piccolo Elfo mezzosangue. "Nulla che debba interessarti. Va', distribuisci quella brodaglia...magari qualche pazzo affamato si azzarderà a mangiarla." Éowyn si alzó stizzita e si diresse verso Aragorn. "Ha! Se manda giù quello stufato il sangue di Isildur morirà quest'oggi, su questa pianura." disse fra sé, poi rise. Era anche probabile che la nipote di Théoden si fosse presa una sbandata peggio di un carretto su una lastra di ghiaccio per Aragorn. Mi spiace per te, se pensi di competere con una principessa elfica, pensò divertita. Sì, il soldato di Gondor era innamorato della figlia di Elrond e questo allontanava da Éowyn ogni barlume di speranza.

Riguardo a Amon, non le aveva detto proprio tutto. Non le aveva raccontato di come l'Elfo guaritore le avesse offerto una sistemazione in casa sua, una grotta nascosta da una fitta boscaglia. Amon aveva inizialmente cercato protezione da Lord Elrond, che lo aveva respinto dopo aver saputo della sua cacciata da Boscoverde e poi anche da Lord Celeborn, nel Lórien, che lo aveva liquidato a sua volta.
Era ormai un Elfo rinnegato dal suo stesso popolo.
Amon si era dunque rassegnato a vivere da solo, e aveva individuato una grotta sufficientemente spaziosa. Con pazienza, l'aveva nel tempo ripulita e sistemata, e resa un'abitazione degna di un Eldar. Aveva avuto quarantatré anni per farlo, tanti ne erano passati dal giorno in cui Thranduil l'aveva ignominiosamente messo alla porta. Lo stesso giorno in cui era nato il piccolo bastardo, come lo chiamava Amon. Il fratello mezzosangue di Legolas. L'unico Elfo esistente con le orecchie tonde, come quelle degli umani.

Amon era intenzionato ad andare a Valinor, verso le Terre Immortali, ma qualcosa lo tratteneva. Un risentimento verso la famiglia reale di Eryn Galen, o Boscoverde, che aveva bisogno di sfogare. Non aveva digerito il trattamento subìto dal Re. Non dopo secoli passati a prendersi cura di Re Oropher, della Regina Hellebeth, poi di Thranduil e di sua moglie Calenduin. E di Legolas. Era stato il più devoto suddito di quella famiglia di ingrati Sindar. Cacciato via per colpa di una squallida ignobile pezzente mortale. Così diceva sempre, riferendosi all'amante di Thranduil. Goneril gli aveva chiesto come si chiamasse, ma Amon non voleva nemmeno pronunciare il suo nome.

Ad ogni modo, nei confronti dell'altra mortale con cui aveva vissuto per sette anni nella grotta, cioé Goneril, Amon non era stato altrettanto sprezzante. Forse perché in lei aveva notato una punta di malevolenza che poteva fargli comodo. Anche la ragazzina umana voleva vendicarsi contro la vita, che era stata orribilmente ingiusta verso di lei.
Una sera, avevano entrambi fatto un giuramento: Amon aveva giurato di rovinare il Re di Boscoverde e quel suo figlio illegittimo, lei aveva giurato di costruirsi un suo regno, dove rifugiarsi per trovare finalmente una dimensione in cui vivere in pace. Ma per fare questo, Goneril aveva bisogno di denaro. E Amon, per la sua vendetta, aveva bisogno di uno strumento.

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"Non troverai denaro facilmente, nei regni degli uomini. Dovresti lavorare cento vite per accumulare la quantità che ti serve. Devi trovare un altro modo." le aveva suggerito Amon, una notte in cui fuori pioveva e avevano acceso un piccolo faló all'interno della grotta. Goneril aveva già sedici anni all'epoca. Tre anni erano passati dal suo incontro con l'Elfo. "Cosa dovrei fare? Derubare la gente?" aveva ingenuamente proposto lei.
"No. Questo no. Puoi guadagnarti quei soldi, grazie alla più antica arte di cui si abbia conoscenza. La guerra." aveva spiegato Amon. "Devi imparare a combattere in modo eccezionale, come noi Elfi. E poi, unisciti a un gruppo mercenario, diventa la loro migliore combattente, e i soldi arriveranno. Quelle formazioni guerriere sono molto ben retribuite, da quel che so."
"So già combattere. Mi hai insegnato tutto quello che c'é da sapere." aveva ribattuto Goneril.
"No. Ti devi esercitare per altri cinque anni almeno. Non hai ancora sviluppato l'agilità degli Elfi." aveva obiettato Amon. "Dopo, quando sarà arrivato il momento, ci separeremo. Andrai per la tua strada, e io andró a Valinor. Sarà quello il momento in cui ti riveleró in cosa consiste la mia vendetta."

Passarono invece solo altri quattro anni, prima che Amon decidesse che la sua allieva era stata plasmata a dovere. Il giorno del loro addio, l'Elfo le aveva parlato: "Allora, hai capito? Cerca un gruppo guerriero. Entra nelle loro fila. Impegnati, negli anni, per assumere il comando. E quando sarete abbastanza numerosi e forti, va' a Est, verso il Reame Boscoso. Chiedi di incontrare re Thranduil, o il principe Legolas. E di' loro queste parole..."

Poi Amon le aveva raccontato tutto.

Di Thranduil e della sua amata mortale, della scoperta della gravidanza, del bambino mezzosangue nato da quell'unione, del mago Radagast, di come era stato interpellato proprio da Thranduil, perché il Re temeva che qualche forza misteriosa e malvagia stesse minacciando il suo secondogenito. Di come avessero scoperto che il piccolo era destinato, molti secoli dopo, a diventare uno strumento di Morgoth. Così diceva una profezia, portata a conoscenza di tutti proprio da Radagast. Di come l'esistenza del mezzosangue dovessere perció rimanere nascosta. Ma Amon lo sapeva.

E Thranduil, stupidamente, lo aveva cacciato dal suo territorio dimenticandosi che in quel modo il segreto sarebbe stato svelato. "Peggio per lui," aveva detto il Guaritore a Goneril. "...e meglio per te. Ricattalo. Va' da lui e digli che sai tutto, perfino il nome di suo figlio. Chiedigli parte delle sue ricchezze in cambio del tuo silenzio. Thranduil è oscenamente ricco, te lo posso assicurare. Fagli prendere una bella strizza, e vedrai che ti darà ció che vuoi."
"È un'idea brillante. Ma in cosa consiste la tua vendetta? Se io tenessi la bocca chiusa, se Thranduil mi concedesse ció che voglio, tutto resterebbe com'é." aveva obiettato lei.
"Dopo aver ottenuto scrigni pieni di diamanti e argento dal Re Elfo, andrai a Mordor. E dirai agli Orchi di suo figlio." aveva concluso Amon.
"Quindi andrei contro la parola data. Sarebbe un'infamità." aveva risposto Goneril, che, nonostante tutto, aveva mantenuto un barlume di etica.
"Oh, e a chi importa? Di certo non a me. Io saró nelle Terre Immortali già da un pezzo. E nemmeno a te dovrebbe interessare: anzi, è probabile che gli Orchi ti diano un compenso in cambio di un segreto simile. Ci guadagneresti." aveva risposto l'Elfo. "...in questa vita devi pensare sempre e solo a te stessa, cara. E' stato il mio primo insegnamento, ricordi?"
"Sì...Amon...peró..." aveva timidamente provato lei a protestare. C'era qualcosa di sbagliato in quello che le aveva detto l'Elfo. Era in debito, con lui, l'aveva salvata. Peró la ragazza non era del tutto convinta che il suo amico fosse un gran modello di comportamento. Quello che le aveva suggerito era una carognata, sissignori, una carognata bella e buona.

"Ascolta: cosa ha mai fatto questo mondo per te? Tu vuoi continuare a comportarti bene in cambio di cosa? Di fame, violenza, solitudine? Prenditi tutto ció che la vita ti puó dare e non farti scrupoli. Sono inutili, come i rimpianti." terminó Amon. A quelle ciniche parole, Goneril cominció a intuire perché Thranduil lo avesse cacciato. L'Elfo lì con lei si era scordato di essere un Elfo. Aveva smarrito la sua Natura saggia, benevola, illuminata. Sembrava quasi di sentire parlare un Orco.

Fu dopo aver salutato per sempre Amon che Goneril si era messa in viaggio di nuovo. Doveva trovare il suo futuro esercito. Che guarda caso, non stava passando molto distante da lei.

Mentre era persa nei suoi ricordi, Théoden diede ordine di ripartire. Stancamente, la donna si alzó da terra e salì in groppa ad Aldair che sembrava stranamente nervoso. "Cosa c'é, sta' buono..." gli disse. Inizió a preoccuparsi: il suo cavallo aveva un istinto formidabile e quell'improvvisa tensione non era per niente un bel segnale.
Entrambi avvertirono un suono.
Un suono alto, prolungato.
Il verso di un animale.
Aldair si impennó rischiando di farla cadere. "Fermo!" gli ordinó.
"Che ha il tuo cavallo?" chiese Gimli, che sedeva sempre in sella con Legolas.
"Ha sentito qualcosa, e anch'io..." rispose lei. L'Elfo e il Nano si misero in ascolto, ma il vento non portó alcun suono.
"Bah, non c'é niente..." disse Gimli.
"Ti ho detto che c'é qualcosa oltre quelle colline!" insisté Goneril. "Qualche...predatore."
"Sarà stato un lupo. È possibile, queste sono radure selvagge." intervenne Legolas.
"Un lupo...o un mannaro." mormoró Goneril. Ci siamo, pensó. "Elfo, scendi da cavallo e seguimi." ordinó a Legolas.
"E perché dovrei?" chiese seccamente lui.
Goneril si giró spazientita. "Perché mi servono i tuoi occhi e le tue orecchie!" A sua volta smontó da Aldair. "Tu resta pure a condurre i cavalli per le briglie, Nano." disse, rivolta a Gimli a cui non sfuggì l'ironia. Fece per rispondere qualcosa, ma si bloccó.
Un altro ululato. Stavolta lo udirono anche Théoden e Aragorn e tutta la gente di Edoras. "Ve l'avevo detto di non sottovalutare Saruman." disse Goneril. "Ha mandato qui i suoi mannari e... hanno fame."

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Capitolo 15
*** I Mannari di Gundabad ***


"Si avvicina."

Legolas osservava un punto lontano all'orizzonte. "Avevi ragione."

"É solo?" chiese Goneril.

"Sí. É un esploratore. Altri arriveranno." confermò l'Elfo.

"Pensaci tu. E fallo velocemente, prima che si spinga troppo verso la gente di Rohan. Se lo vedono si scatenerà il panico." gli ordinò lei. Goneril e Legolas avevano raggiunto a piedi la collina più alta di quella valle arida e gelata. La donna sapeva riconoscere gli ululati dei Mannari, che erano molto diversi da quelli dei lupi comuni. Uno solo poteva essere eliminato con relativa facilità, ma una decina no. Erano animali potenti, feroci e sempre affamati. Se avessero aggredito la gente di Théoden avrebbero fatto una strage.

"Non darmi ordini." rispose Legolas, senza nemmeno guardarla. Dall'inflessione gelida della sua voce, era evidente il suo disprezzo.

"Superbo come tuo padre." ribatté Goneril. Non aveva mai incontrato Thranduil, ma le voci sul suo caratteraccio erano ricorrenti. A parte aver cacciato via il suo Guaritore più esperto senza troppi complimenti, negli anni aveva più volte dato ordine di chiudere i confini di Boscoverde, in una sorta di solenne distacco dal resto del mondo. La nomea di Re di Ghiaccio era assolutamente appropriata.

"Cosa sai di mio padre? Niente. Non parlare di lui, perciò." ribatté l'Elfo. "E sarà meglio per te starmi lontano."

Goneril si avvicinò a lui. "Minacci di uccidermi? Fallo adesso, allora: é l'occasione perfetta, gli altri sono lontani, non ti vedranno. Poi, potresti dire a tutti che é stato un Orco." Sembrava che lei si divertisse un mondo a provocarlo.

Legolas continuava a scrutare il panorama. La spianata davanti a loro sembrava un deserto di erba giallognola e secca. Il cielo tuttavia era terso e azzurro, quasi che Eru avesse voluto benedire quell'esodo con una luminosa giornata. L'udito finissimo dell'Elfo gli suggeriva che il lupo di Gundabad stava arrivando. I Mannari, infatti, venivano allevati a Gundabad, quella Roccaforte che delimitava il confine con Angmar, il regno del Nord in cui era morta sua madre due millenni prima.

"Non sfidare la mia pazienza." mormorò il Principe di Eryn Galen.

"Lo so. Non mi ucciderai. Non potresti. Voi Elfi non siete assassini. Io invece, saprei esattamente come trattare una come me." sorrise la donna.

"Allora datti la morte da sola, e libera questo mondo dalla tua presenza." aggiunse Legolas.

"Non credo di poterti regalare questa soddisfazione. Il mio tempo non é ancora arrivato, caro Principe." rispose lei, poi vide la sagoma del Mannaro, con un Orchetto in groppa. "Sta arrivando...ma che fa quell'idiota?!" esclamò. Aveva notato Gambling avvicinarsi a cavallo, stava passando sotto l'altura su cui si trovavano Legolas e lei. Un altro soldato lo accompagnava. "Tornate indietro, voialtri!" provò a urlare, ma fu troppo tardi: il lupo in un balzo fu addosso ai due uomini. Gambling fu sbalzato di sella e cadde rovinosamente sulla schiena, e al suo compagno andó peggio, la bestia gli strappò via mezza faccia con un morso.
Legolas incoccò la freccia e la scagliò dritta fra le fauci dell'animale, che stramazzó a terra. In un lampo saltó giù dalla rupe e uccise anche l'Orco esploratore, con un taglio preciso sotto al collo. "Grazie dell'aiuto!" gridó a Goneril, che era rimasta a osservare la scena dall'alto.

"Te la sei cavata splendidamente da solo, mi pare. Avvisiamo gli altri." rispose lei.

"Stanno già arrivando con i cavalli. E anche quelli." disse l'Elfo, indicando una decina di Orchi e Mannari in avvicinamento.
Aragorn, Théoden e un altro gruppo di soldati di Rohan sopraggiunsero di gran carriera. Uno di loro conduceva Aldair per le briglie e questi, non appena vide la padrona, le galoppó incontro. Goneril saltó in sella.

"Che non si avvicinino alla mia gente! Gambling!" urló Théoden al suo vice capitano, che nel frattempo era riuscito a rimettersi in piedi, seppur con gran fatica e vari dolori. Era probabile che la caduta da cavallo gli avesse causato qualche frattura, ma in quel momento non poteva pensarci.

Goneril vide da lontano Éowyn mettersi alla testa della sterminata massa di cittadini del regno. Immaginó che dentro di sé stesse imprecando contro lo zio per non averla lasciata combattere. Avrai un'occasione molto presto pensó Goneril, ma non adesso: questi non sono avversari alla tua portata.
A dire il vero, la soldatessa sospettava che nemmeno gli esperti guerrieri di Théoden avrebbero avuto gioco facile con quelle creature. I Mannari erano incredibilmente veloci e forti.

Spronó Aldair in direzione di un lupo che stava per avventarsi su Gimli. Il Nano, come al solito, sembrava godersi la tensione della battaglia, quasi fosse il suo ambiente naturale. I Nani ci tenevano sempre a mostrarsi più coraggiosi degli altri, forse nel tentativo di compensare la statura ridotta di cui Eru li aveva dotati.
Il lupo sentì Aldair correre verso di lui, e provó inutilmente a girarsi per attaccarlo: un colpo della spada aurea di Goneril proprio sul muso bastó a fargli passare ogni velleità, e un secondo affondo sulla schiena lo spedì dritto nell'inferno dei cani. Crolló su Gimli.
L'Orco che lo montava ebbe appena il tempo di squittire come un ratto, poi la sua testa venne tranciata dal collo e i suoi giorni da servitore di Sauron finirono lì.

"Aiutami! Solleva questa bestia avanti!" urló il Nano a Goneril.

"No. Molto meglio se te ne stai buono lì sotto. Almeno il corpo di questo mostro ti protegge." rispose lei, allontanandosi. "Quando tutto sarà finito qualcuno ti tirerà fuori."

"Cooosa?! Liberami da qui ho detto!!!" urló Gimli incredulo.
Parole al vento. Lei era già concentrata su un'altra orrenda bestia che sembrava decisa a saltare sulla groppa di Aldair. Ma se Goneril era un fenomeno con la spada, il suo cavallo non era da meno: con un poderoso colpo di entrambi gli zoccoli posteriori spedì il lupo a tre metri di distanza. Il Mannaro guaì di dolore e poi crolló a terra, con la schiena spezzata. "Bravo, amico mio." si complimentó lei, dandogli una pacca alla base del lungo collo. "Adesso peró ti lascio. Non mi piace guardare e basta."
Smontó da Aldair e si preparó stancamente a fare la sua parte in quella piccola battaglia. Il problema erano i lupi, non gli Orchi.
Gli Orchi, in verità, non erano quasi mai un problema. I loro corpi erano talmente pervasi dal veleno di Morgoth da sembrare molli e putrescenti: avevano una loro agilità, ma erano anche facili da uccidere. Bisognava solo fare attenzione a non venire morsi da quegli esseri: il loro sangue nero e tutti gli altri liquidi, inclusa la saliva, erano veicoli di malattie e altre schifezze.

In pochi attimi ne uccise due; gli altri, vedendola in azione, preferirono stare alla larga. Con la coda dell'occhio, la donna notó un Mannaro correre deciso verso il dirupo: se avesse osservato meglio, avrebbe notato che stava trascinando con sé Aragorn. Il guerriero era rimasto impigliato nei finimenti della bestia che lo stava conducendo senza pietà verso il burrone. Ma non poteva distrarsi: tre Orchi l'avevano circondata.

"Allora é vero quello che dicono di voi, siete stupidi." disse ai tre.

"Vediamo se é vero quello che si dice di te, invece." biascicó un Orco, con la sua voce roca. "Sei la Strega dell'Est."

"Così dicono? Pensavo di peggio." sorrise Goneril, che di soprannomi sul suo conto ne aveva sentiti di ogni sorta. Strega, Generale folle, Virago crudele. Se si fosse sparsa la voce che con tutta probabilità sua madre era stata amante di un Re, si sarebbe guadagnata di certo un nuovo appellativo, facilmente immaginabile. Già circolavano insinuazioni sul suo conto in quel senso: la voce che con i suoi soldati lei facesse cose strane negli accampamenti, di notte, girava da tempo. Del resto era una donna, e cos'era a quei tempi una donna, se non una concubina o una moglie, una madre, una serva, una cuoca, o, al peggio, una levatrice ? É così cara, noi non siamo altro che la struttura deambulante di un buco. Le diceva sempre la sua matrigna. Meglio per te se trovi un uomo. Lo dico sul serio. E fa' che sia ricco. Forse la sua ossessione per il denaro era nata proprio in quegli anni di giovinezza, ascoltando quei discorsi ignoranti. I soldi, i soldi sono tutto. Diamanti e belle case. Punta a questo. Era probabile che quelle incessanti raccomandazioni di trovarsi un uomo avessero fatto nascere in lei anche l'ossessione di dover dimostrare qualcosa. Di mettersi al livello degli uomini e surclassarli. In quel senso, capiva molto bene le frustrazioni di Éowyn. Chi poteva sapere se quella ragazza bionda e pallida era davvero sua cugina...ma una cosa in comune di certo l'avevano. La totale resistenza verso l'idea di dipendere da un maschio.

Dal canto suo, Goneril non aveva trovato un solo uomo, ma cinquecento, che non erano ricchi, ma avevano fatto diventate ricca lei, combattendo per lei, rischiando la vita per lei. Almeno fino a un giorno prima. Poi erano spariti, ma in fondo anche di questo sua madre l'aveva avvisata. Spariscono, prima o poi, se ne vanno. Tutti. Non fidarti mai di un uomo. Non innamorarti. Pensa solo ai SOLDI che puó lasciarti.

Ma non era tempo di perdersi in quei ricordi. C'erano tre mostri lì davanti a lei, e sembravano piuttosto intenzionati a farla a pezzi. "Non sono una Strega, ma solo una donna molto stanca di tutto questo. Non vi decidete mai a piantarla voi Orchi, vero? Non riuscite a capire che ci sono nemici che semplicemente non potete affrontare. E dire che una volta eravate Elfi. Ma non avete ereditato la loro sagacia." Detto ció, con una semplice giravolta trapassó prima lo sterno di un mostriciattolo e poi taglió in due il torace di un altro. Il terzo rimase inebetito per qualche attimo, prima di realizzare che il suo braccio sinistro si era staccato dalla spalla. "Muori." disse lei, e un attimo dopo la creatura cadde sul terreno. Si guardó intorno. Restavano due Mannari da abbattere, ma gli altri Orchi erano stati tutti fatti a pezzi da Legolas e dagli Uomini di Théoden.

Proprio il Re le gridó: "Corri al Fosso, aiuta mia nipote. Accertatevi che i miei sudditi siano arrivati sani e salvi alla Fortezza." Vedendo che Goneril non si muoveva, la esortó: "Va', svelta!"

"So bene quello che devo fare. Non potete comandarmi, Maestà. Usate quel tono con altri." e con un balzo salì in groppa ad Aldair, subito avvicinatosi alla padrona. "Io non sono suddita vostra." Poi, con un colpo dei talloni spronó il suo destriero, e si allontanó da Théoden prima di sentirgli dire qualcosa come: ma sei mia figlia, sei la mia sola erede, sei....
Quella storia la faceva solo innervosire. Lei non era la Principessa di un bel niente. Era un comandante militare al quale i suoi soldati avevano dato il benservito e tanti saluti. Ma si sarebbe rifatta presto.

Passó vicino a Legolas, che si guardava attorno confuso. "Se cerchi il tuo amichetto Nano è sotto alla carcassa di un Mannaro, laggiù. Aiutalo, prima che soffochi. Io vado verso la Fortezza. Ci vediamo lì."

"No," rispose Legolas. "Aragorn...non vedo Aragorn..." e ancora giró lo sguardo attorno a quella vallata.

Era vero. L'Uomo di Gondor non si vedeva in giro. Goneril immaginó che si fosse spinto all'inseguimento di qualche lupo sopravvissuto. Non le passó neanche per la mente che potesse essere caduto. Figurarsi se l'erede di Isildur poteva lasciare quel mondo in un modo così poco onorevole. Vittima di un paio di cagnolini. "Continuate a cercarlo, se volete, ma io credo che tornerà da solo. Parla con il Re, chiedigli cosa vuole fare con i feriti. Fate in fretta a tornare. Altri Orchi arriveranno." disse e subito dopo lanció Aldair al galoppo.

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Capitolo 16
*** Al Fosso di Helm ***


Il Fosso di Helm era in sostanza un agglomerato di montagne pietrose, sotto alle quali il reame di Rohan aveva costruito il Trombatorrione, una fortezza difensiva vecchio stile. Ciò che dava il nome alla costruzione era una Torre di vedetta, altissima, sulla sommità della quale era stato inserita una serie di antiche e potenti trombe, usate per dare l'allarme o per dare il segnale dell'inizio di una battaglia. Il loro suono era inconfondibile.

Goneril non aveva mai visto Gundabad, ma immaginó che fosse simile a quel luogo. Notó che non esistevano vie di fuga visibili...a parte naturalmente quel tunnel sotterraneo. Théoden aveva avuto un'idea che poteva rivelarsi geniale o tragica: se le possenti mura della fortezza avessero retto l'urto frontale delle legioni di Saruman, i cittadini del regno sarebbero sopravvissuti. Una volta resisi conto dell'impossibilità di penetrare all'interno, gli Uruk-Hai si sarebbero rassegnati a fare dietro-front, oppure avrebbero atteso che gli umani di Rohan uscissero di loro iniziativa dalla costruzione, magari spinti dalla fame. Ma ci sarebbero voluti giorni, e il tempo poteva rivelarsi un prezioso alleato: Gandalf, lo Stregone, intanto avrebbe avuto modo di rintracciare Éomer e i suoi Rohirrim. Senza contare che altri regni, ad esempio Gondor o Boscoverde, una volta venuti a sapere del guaio in cui si trovava Théoden, avrebbero potuto inviare i loro soldati a dare man forte al Re di Rohan.

In realtà nell'aiuto di Gondor non c'era molto da sperare, vista l'indole del sovrintendente Denethor: un uomo egoista e morbosamente attaccato al potere. Forse i suoi due figli, Boromir e Faramir (che si diceva fossero più nobili d'animo rispetto al padre), si sarebbero mossi per aiutare l'altro grande popolo di umani che viveva nella Terra di Mezzo, ma lo scotto da pagare sarebbe stato andare contro la volontà paterna. Denethor non prendeva mai iniziative senza un tornaconto e di certo non avrebbe mandato i suoi due rampolli al macello.

Era invece molto probabile che Re Thranduil del Reame Boscoso inviasse un'armata: sapendo che il suo primogenito era con gli Uomini e stava rischiando la vita, non sarebbe rimasto con le mani in mano. La soldatessa ci sperava, poichè se il Re Elfo fosse addirittura giunto in persona fin lì, avrebbe potuto parlargli. Vedete, Lord Thranduil, non è che io voglia ricattarvi, ma mi servono soldi e voi ne avete a bizzeffe e avete anche un figlio segreto che in questo momento è a Boscoverde nascosto in qualche regale stanza a studiare e a leggere e a prepararsi per il suo glorioso futuro e, a parte me e voi, nessuno sa della sua esistenza. Perció mi sa tanto che vi toccherà aprire cinque o sei dei vostri forzieri se volete che quel vostro figliolo ce l'abbia, un futuro.

Ma nel malaugurato caso in cui, come temeva la donna, Saruman avesse ideato uno stratagemma per abbattere le mura, le speranze di Théoden, e anche le sue, sarebbero miseramente svanite. In quella trappola per topi non ci sarebbe stato altro da fare che pregare i propri déi prima di rendere l'anima a Eru.

Comunque, il problema in quel momento era un altro. Il problema era far entrare quella moltitudine di persone nella fortezza evitando che i più ruzzolassero giù dal ponticello in pietra che conduceva all'entrata. Seppur a grande distanza, Goneril riuscì a vedere che le persone, evidentemente impaurite, stavano spintonandosi per trovar rifugio il più velocemente possibile. Erano preoccupati che i Mannari li avrebbero raggiunti e attaccati.

Lanció Aldair al galoppo. "Ma che sta facendo la ragazza? Dovrebbe condurli lei all'interno." protestò fra sé, mentre l'aria gelida le rendeva le guance insensibili. "Forza Aldair, prima che qualcuno di quegli stupidi ci lasci la pelle." Il cavallo corse fino all'entrata della fortezza e una volta lì Goneril fece uno sforzo per mantenere l'autocontrollo. Ci volle tutta la sua pazienza, perché se c'era una cosa al mondo che le faceva salire il sangue fino su agli occhi era la mancanza di ordine e disciplina.

Davanti a lei, c'era una popolazione del tutto travolta dalla confusione: uomini e donne nel panico, qualcuno che cadeva a terra e a fatica riusciva a rialzarsi, pianti di bimbi spaventati e lamenti di anziani e feriti. In tutto ció, Éowyn sembrava sparita. Grande Eru, aiutami, pensó Goneril, o qui finisce che impazzisco.

"Fermi!" provó a gridare. "Fermatevi!"
Nessuno si voltó neppure a guardarla, troppa era la confusione, il vociare, il rumore. "E va bene, amico mio, pensaci tu." disse allora, strattonando due volte le briglie. Aldair, a quel segnale, si lasció andare ad un altissimo nitrito che riecheggió nell'aria. Tutti si girarono finalmente verso di lei.
"Popolo di Edoras, ascolta! Ascoltate tutti! Nessuno vi sta inseguendo. Tutti i Mannari sono stati uccisi dal vostro Re." gridó lei, una volta ottenuta l'attenzione generale. Si levó una voce dalla massa. "E chi ce l'assicura?" chiese un ragazzo nella folla. Aveva i capelli rossi e un occhio guercio. "E tu chi sei?"
"Sono una persona che ti sta consigliando di tenere a bada i nervi e la lingua. Tu e tutti gli altri. Ora siete al Fosso di Helm, questa fortezza ha salvato il vostro popolo in passato. Dovete entrare con ordine. Perció, disponetevi su due file." comandó la ragazza. Nessuno si mosse. Girarono sguardi confusi e scettici. Chi era quella tizia dai capelli neri in groppa a un cavallo nero e con indosso un'armatura nera? E perché stava dando loro ordini neanche fosse stata la loro regina?

Goneril non si fece intimidire da quell'evidente ostilità. "Ho detto, su due file. Procedano le donne. Poi gli uomini con i bambini. E state...calmi." Stavolta il suo tono fu più perentorio e allora la moltitudine diede qualche segno di vita. Qualcuno inizió ad avanzare. "Un passo dietro l'altro. In fila così, con ordine. E attenti al bordo del ponte." continuó lei. Aspettó fino a che l'ultimo popolano ebbe varcato il grande portone e poi entró lei, a chiudere la marcia. "Il vostro Re e gli altri soldati arriveranno fra poco. Avranno dei feriti con loro." disse alle guardie messe a piantonare la porta.

La prima cosa che pensó, appena il suo sguardo scrutó l'interno della fortezza, fu che non c'erano fuochi accesi. "Voi!" chiamó un gruppetto di soldati. "Là ci sono delle vecchie torce. Accendetele e posizionatele agli angoli dei muri. Fra poco verrà sera, c'é bisogno di luce e calore."
"Ma si puó sapere chi sei? Perché ti arroghi il diritto di comandare?" chiese un soldato con il viso coperto per metà dall'elmo. "Noi non..."

"Perché puó farlo." intervenne la voce di una ragazza. Éowyn. Era ricomparsa, aveva sulle spalle un grosso cesto pieno di quel poco pane che era riuscita a recuperare dalle cucine di Edoras. "Dovete ascoltarla. Questa donna è un comandante di esercito. Usate con lei la stessa deferenza che usereste con Hama o Gambling. Fate quel che dite. Così vuole il Re." I soldati, alle parole della principessa, chinarono il capo.

"Beh, grazie tante." le disse Goneril. "Ma tu dov'eri finita? La tua gente era allo sbando come un gregge di pecore senza pastore."

"Sono entrata prima degli altri per vedere le condizioni della fortezza e...purtroppo sono precarie. Da molto tempo qui non viene più nessuno. Non abbiamo ripari per la notte, né pozzi d'acqua a cui attingere. È stato tutto congelato dal tempo. Non potremo rimanere qui per molto." disse, con gli occhi pieni di paura. "Dov'é mio zio? E gli altri?"

Goneril preferì non dirle della scomparsa di Aragorn.

"Il Re é vivo e anche gran parte dei soldati. Ci sono stati dei caduti. Fra poco tuo zio e i sopravvissuti torneranno." Si guardó intorno, mentre un soldato conduceva Aldair nelle stalle assieme agli altri cavalli. "Questo animale, trattalo con rispetto, intesi?" gli disse Goneril. "Ho pagato duecento monete d'oro per acquistarlo, quando era appena un puledro."

"Di certo l'oro non ti manca..." commentó Éowyn, sistemando il cesto col pane a terra. Subito attorno a lei si radunarono alcune donne a chiederne un po'. Goneril osservó la compostezza con cui la bionda giovane distribuiva le vivande, sforzandosi di mostrarsi serena per non agitare ancora di più i suoi sudditi.

"Un tempo ne avevo in gran quantità, dici bene. Ora...temo che qualcun altro se lo stia godendo." mormoró lei in risposta, valutando la situazione. Donne e bambini non potevano rimanere lì all'addiaccio. E poi, erano di intralcio ai soldati. "I sotterranei, dove sono?" chiese ad Éowyn.
La principessa si giró, mentre un bimbo la tirava per la gonna, chiedendo altro pane. "Ti ho dato quello che avevo, sta' buono..." gli disse, dandogli una carezza sul faccino sporco. "...come?" chiese a Goneril.
"I sotterranei, ho detto. Mostrameli." ripeté Goneril. "Voglio vedere in che stato sono."

Éowyn intuì le sue intenzioni. "Sì, certo. Seguimi."

⚜️⚜️⚜️

"Hm. Per lo meno é un ambiente asciutto. Niente infiltrazioni d'acqua. Dobbiamo accendere dei piccoli faló." ordinó la soldatessa a Éowyn, che subito raccolse dei vecchi stracci trovati qua e là in quell'ambiente vetusto e gelido.

"Vuoi portare qui i bambini con le donne?" chiese a Goneril, mentre entrambe trafficavano con il fuoco.

"E anche i feriti. Circonda queste braci con delle pietre." spiegó la guerriera. "Devono essere almeno sei faló. Scalderanno l'ambiente e spaventeranno gli Uruk."

Éowyn lasció cadere la grossa pietra che reggeva fra le mani. Precipitó ai suoi piedi con un tonfo sordo. "Gli Uruk-Hai?!" chiese. "Credi che quei mostri entreranno qui? Ma non é possibile!"

Goneril si avvicinó lentamente a lei. "Sì, purtroppo temo che ci riusciranno. Tuo zio ripone troppe speranze in questa struttura. È vero, in passato ha salvato la tua gente...ma le tecniche di guerra sono cambiate. Il tuo Re è stato uno straordinario condottiero...ma in altri tempi. Ora la scienza si è evoluta, mia cara. Ora, le fortezze a ben poco servono." commentó Goneril, mentre dava fuoco al terzo faló. Subito i sotterranei iniziarono a scaldarsi e una vivace luce arancione illuminó tutto. Sì, lá sotto era abbastanza spazioso per farci stare buona parte della popolazione.

"Cosa...cosa vuoi dire?" continuó Éowyn, spaventata.

"Voglio dire che a capo di quelle nere legioni c'é uno Stregone, un vecchio mago dall'immenso potere, e un mago puó trovare il modo di distruggere anche una muraglia imponente come quella che protegge questo posto." rispose Goneril. "E tu, dovrai essere pronta quando, e se, quelle creature arriveranno qua sotto. Sai combattere, hai detto."

"Sì. Non ho paura di niente. Su questo ci puoi giurare." ribatté la ragazza.

"Me lo auguro, perché gli Uruk sono bestie alte due metri. Dovrai tirar fuori tutto il tuo coraggio davanti a loro, se per caso dovessi affrontarli." disse Goneril. "Comunque, qui sotto dovrebbe esserci anche un tunnel. Dov'é?"

"Per di qua." fece Éowyn, dirigendosi verso una grotta scavata nella roccia. Con una fiaccola, Goneril illuminò l'interno.

"Esatto. Proprio questo." la donna non riusciva a vedere fino in fondo, ma era chiaramente quella la famosa via sotto alle montagne di cui aveva letto. Era in effetti un passaggio stretto e basso, e temette che Aldair non ce l'avrebbe fatta ad attraversarlo.

"Stai pensando di andartene?" chiese Éowyn. Goneril si girò e la torcia quasi le scivolò di mano. La nipote di Théoden era intelligente, niente da dire.

"No. Volevo vedere questo corridoio. In caso si mettesse male, il tuo popolo dovrà fuggire attraverso di esso." mentí lei. Ma l'occhiata scettica di Éowyn le fece capire che non se l'era bevuta. Neanche un po'.

"Lo so che stai pensando di abbandonarci. É vero, non abbiamo molta speranza. E...so che sei in collera con i tuoi soldati. Magari stai progettando di fuggire e raggiungerli...dopo aver depredato qualche città abbandonata." continuó Éowyn. Quella ragazza aveva abbastanza cervello da essere davvero sua cugina.

"Ti sbagli. Io non scappo mai, per tua informazione." provó a ribattere la guerriera.

"Ho parlato con sire Aragorn, durante il tragitto fino alla spianata dove i lupi ci hanno aggrediti. Mi ha detto di te, della tua reputazione. Mi ha detto che non hai mai compiuto una buona azione in vita tua. Che hai sempre e solo agito per guadagnare qualcosa . Ma io credo che nessuno al mondo sia veramente malvagio o avido fino all'osso. Nessun...umano, cioé." disse Éowyn, avvicinandosi a lei. "Ti propongo dunque un accordo. Eri venuta a Edoras per questo, no? Per fare un accordo con mio zio. Lo farai invece con me. Ti prometto che se avremo la meglio sugli eserciti del Male, se sopravviveremo all'attacco di quelle bestie, ti daró una parte cospicua delle nostre ricchezze. Che mio zio accetti o meno avrà poca importanza. Decideró io sulla questione, lo giuro. Non dovrai rubare nulla."

"Ma certo che vi avrei chiesto un compenso, era ovvio. Era nei patti con Aragorn." rispose lei.

"Non ho finito. Avrai quello che desideri, oro, gemme. In fondo, se sei davvero figlia di mio zio sarebbero anche tue di diritto. Ma io ti chiedo di promettermi questo: se al termine della prossima lunga notte saremo tutti ancora vivi, dovrai compiere una buona azione. Per una volta nella tua vita, dovrai fare del bene a qualcuno." concluse Éowyn.

Goneril non sapeva se ridere o mandarla a quel paese. "Mi hai preso per una fatina dei boschi? Sei un po' grande per credere alla favola delle buone azioni. Tutti noi agiamo per degli obiettivi, che siano materiali o altro." ribatté la donna.

"Se non prometti questo, non avrai niente da Rohan. Inoltre daró ordine che due soldati scendano qui sotto a piantonare l'entrata del tunnel, così non potrai fuggire." rispose senza esitazioni la ragazza. Goneril era incredula.

"Ma che vuoi da me, si può sapere?" le chiese.

"Voglio che tu riscopra la parte migliore di te. So che c'é del buono sotto quella corazza di spine che ti sei costruita attorno. Non so ancora se fra me e te ci sia un legame di sangue, ma dopo che mi hai raccontato la tua vita, ho iniziato a comprenderti meglio. E so che non é colpa tua. Tutto quello che di brutto hai vissuto, tutto quello che hai dovuto sopportare...non è stata colpa tua. Tu sei stata una vittima in questo mondo." disse Éowyn. "E mi dispiace."

"Ti sbagli." la gelò Goneril. I suoi occhi brillavano alla luce dei falò. "Credi che non mi sia piaciuto togliere la vita agli altri per denaro? Mi è piaciuto eccome. Sai, forse io sono cattiva. Se quello che sostiene Théoden é vero, mia madre era una cortigiana, una che si é concessa a un Re e chissà a quanti altri uomini di questo reame. E io ho fatto lo stesso, si può dire. Mi sono venduta, a mio modo, per accumulare una ricchezza. É stata una scelta, mia cara."

Éowyn non si scompose. "Forse é cosí. Resta il fatto che stavi per andare a Isengard ad affrontare Saruman. E lo stavi facendo da sola. E resta il fatto che sei rimasta con noi, fin qui. Io dico che non é stata l'avidità a farti prendere questa decisione. Io dico che volevi aiutare mio zio. Questo significa che c'é ancora qualcosa di simile all'amore in te."

Goneril sospirò. I giovani e la loro poesia.
"Pensa quello che vuoi. Cullati pure nelle tue romanticherie. I fuochi ora sono accesi, forza andiamo a prendere la tua gente. Facciamoli scendere qui sotto." e fece per avviarsi. Ne aveva abbastanza di chiacchiere. E poi, Éowyn la stava facendo sentire a disagio.

"Aspetta un attimo." la fermò la ragazza. "Abbiamo un accordo in sospeso. Accetti?"

Goneril si fermò.

"Il nostro oro in caso di vittoria... e una buona azione da parte tua. Senza nulla in cambio." ripeté la principessa.

"E va bene, figlia di Éomund. Se proprio vuoi..." rispose con un ghigno.

"Affare fatto." ribatté Éowyn. Goneril si avvicinò e le porse la mano. La ragazza la guardò confusa.

"Non sai molto sugli accordi, vero? Ci si stringe la mano, per suggellare un patto. Segno di buona fede." Éowyn a quel punto le porse la sua e le due mani bianche e affusolate, in cui forse scorreva lo stesso sangue, si strinsero. Si sentí il suono di un corno dai piani superiori. "É arrivato qualcuno!" esclamò Éowyn.
"Sí. Tuo zio, con gli altri soldati." commentò Goneril. Vedendo gli occhi della ragazza illuminarsi, immaginò che stesse pensando ad Aragorn. "Va', su. Il Re sarà felice di rivederti." la esortó.

Dopo che la ragazza si fu allontanata, Goneril osservó di nuovo l'entrata del tunnel.

Niente accordi con i mercenari

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Capitolo 17
*** Alleanze ***


La notizia investì Éowyn come un getto d'acqua gelida sulla schiena. Per un attimo, fu incapace di respirare, e di pensare.

Il Nano aveva esitato prima di rivelarle la cruda verità, consapevole del dolore che avrebbe dato a quella giovane che pareva delicata come un giglio.
Ma era successo.
Aragorn se n'era andato, e stavolta non per perdersi in qualche radura desolata, ma se ne era andato proprio dalla faccia della Terra. Un Dunèdain, una razza di Uomini baciata dalla grazia della lunga vita, ucciso da un branco di squallidi orchetti.

Goneril era risalita dai sotterrannei e con fatica si era fatta largo in quella massa di gente. Andavano condotti tutti giù, sotto le fondamenta della fortezza, che nel frattempo si erano riscaldate. Cercò Èowyn con lo sguardo, mentre rifletteva su come avrebbe potuto trascinare Aldair attraverso quel cunicolo. Il suo prezioso cavallo avrebbe dovuto tenere il collo piegato per tutto il tempo verso il basso, e Goneril non era sicura che ce l'avrebbe fatta. Aldair era massiccio, e il garrese era più alto rispetto a quello dei cavalli comuni. Inoltre, le sporgenze delle pareti rocciose avrebbero potuto ferirlo.

"Ma dov'é quella ragazza, dove si caccia sempre quando c'é bisogno di lei... voi laggiù!" urlò a un gruppo di soldati. "...iniziate a scortare queste persone nei sotterranei." Con malcelato fastidio, i soldati obbedirono. Uno osò protestare: "Noi obbediamo al nostro Re." Goneril si girò a guardarlo: le ricordava Aran, il fiero guerriero della sua legione, al quale lei un giorno aveva sfigurato il viso per punizione. Sai, quella cicatrice ti dà un'aria più mascolina...dovresti ringraziarmi. gli aveva detto per prenderlo in giro. Aran aveva avuto abbastanza sale in zucca da non replicare, quella volta Si trovò anche a pensare che in quella situazione i suoi uomini sarebbero stati molto utili.

"Il tuo Re non é qui adesso. La tua principessa, invece, vi ha detto qualche minuto fa che dovete ascoltarmi e fare ciò che dico... perciò... fa quello che dico." Un tempo, se qualcuno dei suoi legionari avesse mostrato un simile atteggiamento sarebbe finito ai ceppi per almeno un giorno intero. Le proteste nella sua compagine erano tollerate quanto le zanzare d'estate.

"Il Re é appena tornato. Ha varcato la porta qualche istante fa." disse seccamente un altro soldato. Goneril volse lo sguardo verso le grandi mura all'ingresso del Fosso. Vide infatti Théoden, che stava smontando da cavallo. Si affrettò in direzione del manipolo di soldati appena rientrati. "Cosa é successo, dove sono tutti gli altri?" chiese a un rabbuiato Legolas.
"Aragorn è caduto in battaglia." mormorò l'Elfo. Goneril notò in lui la tipica espressione confusa degli Elfi quando si trovavano ad elaborare il concetto di morte. Non lo comprendevano fino in fondo. Non faceva parte della loro natura. O meglio, non nel senso che intendevano gli Uomini. Era più che certa che il principe di Boscoverde in quel momento stesse con fatica realizzando che non avrebbe mai più rivisto il suo amico. Quello, era il suo modo di intendere la morte. Mai più si sarebbero parlati, nemmeno in un'altra vita, perché per i mortali, un'altra vita semplicemente non esisteva.

Quando il suo sguardo incrociò quello della principessa di Rohan, capí che invece per lei l'idea del trapasso era ben chiara. Éowyn sembrava essersi trasformata in una statua di pietra. Avrebbe dovuto essere felice che suo zio era sopravvissuto e tornato quasi incolume, invece pareva una donna appena informata di essere diventata vedova. Goneril lo trovava ridicolo, e patetico. Ma cosa si era messa in testa, quella ragazza, di avere un futuro come consorte di Aragorn? Insomma, aveva sentito anche lei della sua relazione con Arwen figlia di Elrond, casomai era quest'ultima a doversi disperare. E lo avrebbe fatto di sicuro, una volta che la notizia sarebbe arrivata a Rivendell. Era anzi probabile che l'Elfa si sarebbe lentamente spenta per il dolore, secondo la natura degli Eldar.

Decise di scuoterla. "Forza, ci sono circa seicento persone da condurre nei sotterranei. Dobbiamo sbrigarci." le disse bruscamente. Éowyn si girò a osservarla. Non pareva comprendere. "Ascolta: é un fatto che devi accettare. Era un guerriero, questo é il rischio con cui si convive ogni giorno, quando si sceglie questa strada." La giovane non rispose. Le girò le spalle e si diresse verso il suo popolo, pronta a riprendere il suo ruolo. Sembrava quasi che si fosse rinchiusa in una corazza, quella stessa nella quale aveva trovato rifugio da bambina, quando lo zio aveva informato lei e Éomer della morte dei genitori, quando sempre lo zio le aveva detto fra le lacrime che sua moglie Elfhild aveva raggiunto i suoi genitori in cielo, quando Grima aveva spedito suo fratello fuori dal reame, quando suo cugino se ne era andato per sempre. Era una ragazza ormai allenata al dolore, e a suo modo aveva imparato a gestirlo.
Un po' come Goneril: la differenza era che i dispiaceri della vita avevano trasformato quest'ultima in una macchina di morte; Éowyn, invece, aveva preservato una buona dose di umanità e compassione.

La guerriera guardò il cielo grigio e sentí nell'aria odore di pioggia.
Senza Aragorn sarebbe stata dura resistere anche solo un'ora. Théoden e la sua gente erano spacciati, lo sapeva, bene...ma se l'Uomo di Gondor avesse preso in mano la situazione forse potevano rimanere vivi. Almeno per un po'.
Théoden era un buon Re, ma aveva una vaga predisposizione al pessimismo. Non aveva più il fegato e la tempra dei suoi anni d'oro, e in quella circostanza, invece, erano doti che servivano più che mai.
Legolas e Gimli erano due principi delle rispettive razze, ma nessuno dei due aveva sufficiente esperienza per guidare la resistenza a un assedio. Gandalf era disperso chissà dove a cercare Éomer.

No, qualcun altro doveva aiutarli.

⚜️⚜️⚜️

Dopo alcune ore, l'umore generale era precipitato ancora di più verso il basso. Fra i popolani, era diffusa la sensazione di dover presto dare l'ultimo saluto alla Terra. Molti pregavano i loro antenati.

"La situazione é molto grave." commentò Legolas, osservando la massa di gente che si dirigeva verso i sotterranei. "Come può pensare, Théoden, di..."

"Perché non allerti tuo padre con il pensiero?" propose Goneril, sorridendo, mentre con un pugnale tagliuzzava una mela. "Voi Elfi avete potere psichico, no?" Legolas le rivolse uno sguardo infastidito. "Non tutti abbiamo questo dono. Non te l'ha detto Amon?"

"Mi ha detto che gli Elfi sono uniti da un legame indistruttibile, se c'é parentela fra loro. E quando uno é in pericolo, i suoi congiunti accorrono." spiegò lei, tenendo lo sguardo fisso sul Principe. "L'armata di Boscoverde é imponente, lo so. Arcieri, spadaccini...ci farebbero comodo."

"Mio padre non sa che sono qui." tagliò corto Legolas.

"Già. Per lui é più importante l' altro figlio, ormai. Il futuro Re di Eryn Galen." aggiunse Goneril. "Hai perso il diritto di successione al trono. Questo, mi ha detto Amon." La donna si godette l'espressione ferita di Legolas. "Davvero un Re crudele...mettere nell'angolo il suo primogenito."

A quel punto, l'Elfo non riuscí a trattenersi.

"Non parlare mai più della mia famiglia. La prossima volta che lo fai, sarà l'ultimo tuo giorno, puoi credermi."

"Come desideri, Altezza. Piuttosto dimmi... come si chiamava lei? L'amante di tuo padre?" Goneril insisteva. Quella storia la incuriosiva da matti. "La straordinaria umana che ha risvegliato il cuore del Re del Ghiaccio? So che veniva dal reame di Dale."

"Non ti direi il suo nome nemmeno sotto tortura. Andresti a cercarla, ricatteresti anche lei." rispose Legolas.

"Ma mi hai detto che é morta." obiettò Goneril.

"Forse. Forse no. Forse dovresti chiudere la bocca. Dico davvero." concluse Legolas.

"Comunque..." continuò Goneril, ma un'inaspettata visione la interruppe. Sgranò gli occhi in direzione di qualcosa dietro di loro. Notando la sua espressione, anche Legolas si giró.

Aragorn era tornato.

⚜️⚜️⚜️

Aveva un aspetto orribile, come di un uomo travolto da una valanga di pietre e rimasto miracolosamente vivo. Le varie abrasioni sul suo corpo rivelavano che la caduta nel burrone era stata violenta, ma il fiume sottostante lo aveva salvato. Per qualche divino intervento, era riuscito a ritrovare il suo cavallo, il cui istinto animalesco aveva condotto entrambi al Fosso.
Gimli era entusiasta, e anche un po' commosso. Legolas aveva accolto il suo ritorno con l'usuale compostezza degli Elfi, ma dagli occhi celesti erompeva la sua gioia. In quanto a Éowyn, pareva un fiore sbocciato sotto la neve. Aveva improvvisamente ritrovato il sorriso.

Anche Goneril, in fondo, era contenta. Non perché il ramingo era sopravvissuto, ma perché sotto la sua guida l'esercito di Rohan avrebbe resistito per un po'. E lei avrebbe, di conseguenza, guadagnato tempo. Tempo per prendere Aldair dalle stalle, tempo per scendere nei sotterranei, tempo per andarsene indisturbata.

Aragorn non portava buone notizie.
A sentir lui, un'armata impressionante di Uruk-Hai e orchi stava marciando decisa verso il Fosso. "Quanti saranno?" chiese Théoden. "Diecimila, a occhio e croce." rispose Aragorn, lapidario, mentre teneva una pezza premuta sul braccio. "Li ho visti mentre venivo qui." Aveva una brutta ferita, ancora sanguinante.

Erano tutti sulla sommità della fortezza, intenti a scrutare l'orizzonte. La sera stava calando, e con essa le poche speranze rimaste.
"Vuoi scherzare?" chiese Gimli, incredulo.
"Ha! Questa é bella..." commentò Goneril. "...questa é bella davvero..."
"Non avete altra scelta. Dovete chiedere aiuto a Gondor." propose Aragorn. Ma Théoden non ne voleva sentir parlare.
"Morirete qui, in questa gola rocciosa." disse la ragazza. "Almeno, morirete in gloria."
"Parli come se la cosa non ti riguardasse." rispose Théoden. Anche Aragorn si voltò a osservarla. Quella donna aveva dei piani, glielo leggeva in faccia.
"Non é nel mio destino crepare su questo sasso, dite bene. Ma...avete la mia solidarietà." sorrise.
"Io dico invece che c'é una speranza." intervenne Aragorn. "Eru non può permettere un simile abominio."
"I destini della Terra non sono solo in mano a Eru. C'é un'altra forza, a questo mondo. Morgoth, e i suoi seguaci. E non é meno potente." obiettò Goneril. "Almeno...fino a quando arriverà il gran giorno. La resa dei conti finale." disse, avvicinandosi a Legolas. "La Dagor Dagorath."

Théoden e i suoi soldati si guardarono confusi. Aragorn invece sapeva bene di cosa stava parlando. La Fine.
"Non stanotte. Presto arriveranno quelle coorti di mostri e il nostro unico compito sarà evitare che entrino qui dentro. Possiamo farcela. Se resisteremo fino all'alba, la luce del Sole ci aiuterà." disse, perentorio. "É essenziale che chi può farlo combatta. Anche ragazzini, o vegliardi. Chiunque riesca a reggere in mano una qualsiasi arma."

"A questo siamo ridotti..." bofonchiò Gambling. "Gli dèi ci aiutino..."
"Sí. A questo. Ma l'uomo qui di fronte a noi ha ragione. Non è nel sangue di Rohan arrendersi. Ora datevi da fare." ordinò anche Théoden.

⚜️⚜️⚜️

L'oscurità arrivó presto.

Aragorn e Goneril scrutavano l'orizzonte. Presto un fiume luminoso apparve in lontananza.
"Eccoli." commentò Goneril.
"No." ribatté Aragorn. "Quelli non sono Orchi."
"E allora chi si sta avvicinando?" chiese lei. Senza risponderle, Aragorn corse giù dalla scalinata in pietra.
"Aprite il cancello!" urlò ai soldati di guardia. Anche Théoden uscí dalla stanza dei consigli per osservare.

Quando la misteriosa compagine fu più vicina, Goneril riconobbe i simboli sugli stendardi. "Non é possibile." mormorò. "Elrond."
Erano in effetti soldati elfici. Tutti perfettamente allineati in formazione, tutti disciplinati come solo gli Elfi potevano essere. La donna non riusciva a crederci. Rivendell aveva mandato aiuto, un aiuto che definire prezioso era poco.

Legolas, Gimli e Aragorn si precipitarono con Théoden ad accogliere l'armata silenziosa. Non era Elrond ad avere il comando, però. Alla testa della schiera di soldati, c'era un Elfo biondo, in ricca armatura e avvolto da un mantello color cremisi. Somigliava vagamente a Legolas, ma era più robusto fisicamente.

Théoden era basito. "Com'é possibile?" gli sentí dire Goneril. L'Elfo biondo spiegò che lord Elrond aveva mandato un piccolo esercito in aiuto agli Uomini, data l'antica alleanza che univa le due razze. Aragorn gli corse incontro, e, facendo una cosa che normalmente non si sarebbe mai dovuta fare con un Elfo, lo abbracciò di slancio. Quelle creature sopportavano con fatica il contatto fisico. Non era nella loro cultura.

Anche Legolas lo salutò, e non appena i soldati elfici videro il Principe, si misero sull'attenti, in segno di rispetto.
"Ma chi é quel tizio? Un capitano di Rivendell?" volle sapere Goneril, rivolgendosi ad Aragorn.
"No." rispose lui. "Viene dal Lórien. Si chiama Haldir. É il Guardiano delle Frontiere di quel territorio."
A quella risposta, Goneril sentí il cuore saltarle nel petto.

Haldir. Haldir di Lórien.
Lo aveva già sentito nominare, Amon gliene aveva parlato. Da lui veniva il nome del secondogenito di Thranduil. L'avevano scelto, il Re e la sua amata mortale, in onore proprio di quell'Elfo. E c'era anche un'altra cosa che Amon le aveva rivelato: quell'Haldir, quel nobile soldato lí davanti a lei, era stato perdutamente innamorato dell'umana misteriosa. Aveva rinunciato a lei, quando la donna aveva scelto Thranduil sessant'anni prima. Ma non sapeva che avevano avuto un figlio, che portava il suo stesso nome.
Non sapeva neanche che l'umana, il suo amore perduto, forse era ancora viva. Ormai lontana da Thranduil, ormai anziana.

Ma era viva.

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Capitolo 18
*** L'assedio ***


"Una sera andai da quell'umana. Re Thranduil mi aveva ordinato di prendermi cura di lei, il che voleva dire, dedicarle tutte le ore del giorno e della notte. Non mi piaceva quella faccenda. Lei non mi piaceva. Era arrogante, sciocca, e inconsapevole dell'enorme onore di cui era stata investita. Mai, prima di quell'anno maledetto, un mortale era riuscito ad inserirsi nella nostra comunità. Mai, nella millenaria storia del nostro popolo, una donna mortale era riuscita a rubare il cuore di un Re elfico. Ed ad avere un erede da lui, persino. Per sventura, toccó a me essere testimone di quel fatto abominevole."

Amon le aveva raccontato tutto, pochi giorni prima di lasciarla per sempre. Erano entrambi seduti su un grande masso nel centro del bosco che il Guaritore rinnegato aveva scelto come dimora, e Goneril ascoltava avidamente ogni parola. In silenzio, con attenzione.

"Comunque, una sera andai nella grande stanza che il Re aveva scelto come alloggio privilegiato per la sua amante. Una bellissima camera vicina alla grande cascata, un rifugio dorato in cui la sua defunta Regina, Calenduin, era solita andare quando voleva riflettere in silenzio." continuó Amon. "Sentii, da dietro la porta, che il Re era nella stanza. Era andato a trovare l'umana, e stavano discutendo. Parlavano di loro figlio. Parlavano del nome che avrebbe dovuto avere. La donna insisteva per chiamarlo Haldir, il nome di un Elfo a cui lei era molto affezionata. Non sapevo chi fosse costui, lo scoprii tempo dopo. Comunque, Re Thranduil non era affatto d'accordo. Per dirla tutta, la cosa lo faceva infuriare. Gli sentii dire che mai un suo erede avrebbe portato il nome di un Elfo di Lórien, che suo padre Re Oropher aveva deciso secoli prima di lasciare quel territorio per non dover sottostare a Celeborn e Galadriel,  e che l'umana stava sfidando la sua pazienza. Esultai, dentro di me. Sentendo quelle parole attraverso la porta, pensai: ci siamo, il Re finalmente caccerà questa mortale dal nostro amato Regno, stanno litigando, è finita."

"E invece?" chiese Goneril.

"...invece qualche minuto dopo lei riuscì a calmarlo. Giuró di amarlo più di ogni altra cosa al mondo, e gli promise che avrebbe lasciato Eryn Galen una volta che il figlio sarebbe stato grande abbastanza da separarsi dalla madre. Gli disse che avrebbe affidato loro figlio al padre e che sarebbe stato libero di educarlo come meglio credeva. Ma sul nome, voleva decidere lei. Re Thranduil in quel momento non rispose, ma so per certo che quella storia lo infastidiva da matti. Un Re di Boscoverde...chiamare un suo discendente come il più celebre Capitano del Lórien...era inconcepibile."

"Perché la donna insisteva a quel modo?" volle sapere Goneril.

"Non lo capivo nemmeno io. Ma prova un po' a riflettere: se tu rimanessi incinta, supponiamo, e dovessi decidere come chiamare il tuo bambino...su cosa baseresti la tua scelta?" aveva chiesto Amon.

Goneril era rimasta pensierosa per qualche istante. "Hmm...non so...forse...penserei a un nome che per me significhi qualcosa di speciale. Cioé, vorrei dargli un nome importante."

"Importante...già. Importante per te. Sai cosa credo? Credo che quell'Haldir di Lòrien abbia avuto un ruolo molto più profondo di quello che pensava il nostro...cioé, Lord Thranduil." rivelò Amon.

"Insomma, tu credi...che si siano amati?" aveva intuito Goneril.

"No, non lo credo." aveva risposto il Guaritore. "Ne sono certo." 
Poi si alzò in piedi. "E ti dico anche un'altra cosa, già che ci sono: ho il sospetto che quel mezzosangue non sia nemmeno figlio di Thranduil."

"Cosa?! Potrebbe essere figlio di quell'altro?" aveva chiesto Goneril. La faccenda era scabrosa a dir poco. La ragazza credeva che simili cose capitassero solo fra gli Uomini.

"Non lo so. Quando l'elfetto nacque, il Re era al settimo cielo. Tentai di fargli notare la poca somiglianza fra lui e il piccolo...e per questo mi cacciò. Il neonato aveva le orecchie tonde, come le tue, come quelle di voi umani. Ma c'era altro: il suo viso non ricordava affatto quello del Re." disse Amon.

"Dicono che nemmeno il suo primogenito gli somigli..." obiettò Goneril.

"No. Legolas ha lo stesso piglio di suo padre. La stessa nobiltà. Se li vedessi insieme capiresti." aveva risposto Amon. "Io dico...che quell'umana ha conservato nel cuore il ricordo dell'Elfo di Lórien, lo ha custodito cosí gelosamente da voler chiamare il suo unico figlio come lui. Non é stato un omaggio, il suo. É stato un modo indiretto per ammettere il suo amore per lui." rifletté Amon.

"Insomma, sostieni che quella donna fosse in realtà innamorata del tizio di cui parli e non del Re? E allora perché scelse Thranduil?" chiese la ragazza.

A quella domanda, Amon aveva sorriso. "Tu non hai mai incontrato il Re di Boscoverde. Ti basterebbe uno sguardo per darti una risposta. Thranduil é uno degli Elfi più affascinanti che abbiano mai calpestato il suolo di Arda. La sua bellezza é impressionante perfino per noi Elfi, che pure siamo in gran parte graziati da questo dono. Credo che la donna sia rimasta abbagliata da quest'aspetto."

"Beh, ma...é triste. Cioé ha trascorso la sua vita con uno che non amava davvero..." aveva commentato Goneril.

"Triste?" aveva risposto Amon con una smorfia. "Quella mortale ha passato trent'anni nel Reame Boscoso, servita e riverita come una dannata regina! Il Re avrebbe ucciso chiunque avesse osato mancarle di rispetto. E durante la gravidanza...oh, ti assicuro che un'imperatrice non sarebbe stata altrettanto vezzeggiata. Quella donnetta ha fatto l'affare della sua vita quando ha stregato il nostro Re. Cioé, Thranduil." aveva detto Amon. Non gli piaceva usare l'espressione il nostro Re, poiché era stato estromesso in malo modo da quel reame. Tuttavia, ogni tanto gli sfuggiva, e Goneril immaginava fosse perché, nonostante tutto, Boscoverde gli mancava. Gli Elfi erano sempre spiritualmente legati ai loro territori.

"Comunque, il Re le ha voluto bene davvero, da quel che dici." aveva chiesto lei.

"Oh, sì. Aveva letteralmente donato il suo cuore a quella civetta mortale. Una cosa che non ho mai compreso: Calenduin e Lord Thranduil si erano amati moltissimo quando lei era in vita. Come sai, per noi Elfi non esistono due amori. Cioé, quando scegliamo un compagno, o compagna, é per sempre. E questo legame perdura anche dopo la separazione finale, dopo la nostra morte. I nostri spiriti si riuniscono dopo la reincarnazione, oppure andiamo a Valinor dove troviamo chi abbiamo lasciato. La morte della Regina fece piombare il Re in un dolore da cui pareva non esserci salvezza..." aveva spiegato Amon.

Goneril aveva provato a dire la sua. "Beh, ma...forse, proprio per questo Thranduil aveva investito l'umana di una tale importanza. Perché lo ha per certi versi salvato."

A quel punto, Amon si era girato a guardarla con fastidio. "Non direi che lo ha salvato. La sua è stata una commedia per insediarsi a Palazzo. Nient'altro. Comunque, tieni a mente questa storia, potrebbe tornarti utile per svolgere il tuo compito."

Il compito di Goneril era quello di diffamare proprio Thranduil, di rivelare al mondo dell'esistenza di quel misterioso secondogenito su cui le forze malvagie della Terra di Mezzo volevano mettere le mani. Amon aveva aggiunto qualche dettaglio inquietante ai suoi racconti: la donna umana, l'amante del Re, aveva vissuto malissimo la gravidanza. Diceva di vedere spettri nell'ombra, giurava che Morgoth in persona l'avesse vessata durante la notte, per portarla alla pazzia. Amon le aveva raccontato di come Thranduil, esasperato, avesse richiesto l'intervento di Radagast il Bruno, un bizzarro Stregone che viveva non lontano da Boscoverde: l'intervento del mago aveva di fatto riportato la pace nel reame. Radagast aveva imposto due divieti: la donna non doveva lasciare Boscoverde prima del parto, e la coppia non avrebbe dovuto avere altri figli. Soprattutto, quel piccolo Elfo in arrivo doveva rimanere confinato il più possibile nel reame. Nessuno, al di fuori di Eryn Galen, doveva sapere della sua esistenza.

Amon aveva sentito qualche volta l'umana parlare nel sonno, quando andava a farle visita di notte: a volte urlava, come fosse stata preda di un incubo terribile. L'aveva sentita pronunciare il nome di Morgoth, implorarlo di lasciare in pace lei e il suo bambino, e che suo figlio non sarebbe mai stato suo schiavo.

"Diffondi la voce, mi hai capito? Io ti ho salvato la vita, Goneril. Ti chiedo questo ora: vendicami." le aveva detto, il giorno del loro addio. "Sono pronto a partire per le Terre Immortali. Ho esaurito il mio compito, ho creato una perfetta guerriera, che so non mi deluderà." le aveva dato un bacio sulla fronte.

Goneril piangeva: era la terza volta in vita sua. La prima, quando la sua matrigna le aveva urlato in faccia di non essere davvero sua madre. La seconda, dopo le cento frustate di quello schifoso del suo patrigno. E la terza, per la partenza di Amon. Quell'Elfo era stato quanto di più simile a una famiglia, per lei.

"Non ti dimenticheró, Amon. Mai." gli aveva promesso.

"Io credo di sì, invece. Quando costruirai il tuo regno, avrai altre cose a cui pensare. Assai più importanti." le aveva risposto l'Elfo, prima di salire in groppa al suo destriero. "E procurati un cavallo, appena puoi. Forte, fiero come te. Addio, Goneril."

⚜️⚜️⚜️

Erano tutti riuniti nella piccola sala dei consigli della Fortezza. Una stanza spartana, gelida, arredata solo con un grande tavolo rotondo e dieci sedie attorno. Théoden, Gambling, Aragorn, Legolas e Gimli sedevano a quel tavolo. Haldir era invece in piedi, un po' in disparte, come Goneril.

Éowyn era nei sotterranei con tutti gli altri. Portati la spada, le aveva detto Goneril. E ricorda quello che ho detto, se quelle bestie scendono qua sotto, tenta di ucciderne quanti puoi.

La guerriera non toglieva gli occhi di dosso dall'Elfo di Lórien e quest'ultimo se n'era accorto. Ricambiava il suo sguardo insistente con uno altrettanto inquisitorio. Probabilmente si stava chiedendo cosa ci facesse una ragazza in armatura lì con loro. Goneril notó che Haldir aveva le stesse caratteristiche di Legolas: era biondo, aveva occhi blu e incarnato marmoreo.

La ragazza moriva dalla voglia di parlargli dell'umana di Dale. Di quell'elfetto che viveva in segreto nel Reame Boscoso e che portava il suo nome e magari, chissà, anche il suo sangue.

Gli altri stavano discutendo sul da farsi. 
"Ci disporremo su tre linee. Aragorn, tu avrai il comando della seconda linea di arcieri. Li farai intervenire al mio segnale, tienili pronti. Gambling, tu starai giù con il terzo gruppo di soldati, tutti uomini di spada. Sorveglierai la Grande Porta che dà accesso al Trombatorrione. Nessuno, non una di quelle creature, deve passare da lí." disse Théoden. Gambling annuí.

"E noi che faremo?" chiese Gimli.

"Tu e Legolas starete davanti, con la prima linea dei miei soldati, e ci aiuterete secondo le vostre arti." rispose Théoden, che poi si girò verso Haldir. "Tu sei libero di guidare i tuoi Elfi come meglio credi. Non devo dare a voi istruzioni."  Haldir chinò il capo, in segno di assenso.

"E chi avrà il comando della prima linea?" chiese Aragorn.

Théoden guardò verso Goneril. "Chi ha già combattuto molte battaglie, e saprà certamente guidare i miei uomini."

La donna chiuse gli occhi e sorrise. "Io comando guerrieri professionisti, Maestà. I vostri soldati sono soprattutto cavalieri e arcieri. Non sono assassini spietati. Inoltre, avete chiesto a uomini anziani e ragazzini di unirsi alle fila...e quelli sono utili quanto dei sacchi di patate. Non mi renderò ridicola."

"Ridicola?!" sbottò Théoden. "La mia gente, qui, sta rischiando molto più che la faccia."

"Non capisco questa ottusa ostinazione. Non ci sono uomini sufficienti per affrontare questo assedio, e voi lo sapete. Siete spacciati. Pregate perché quello Stregone, Gandalf, torni adesso e perlomeno vi aiuti con la sua magia." rispose lei.

"Invece siamo soli. Dobbiamo ringraziare Rivendell per aver inviato rinforzi. Ma siamo soli. E dobbiamo resistere, per quanto è possibile. Io conto su di te." disse Théoden.

"E fate male." rispose Goneril, poi uscì dalla sala. Andó verso il bordo del grande e maestoso muro che proteggeva la fortezza.

Se ne sarebbe andata da lì, quella era l'unica certezza. No, Goneril, Generale della Prima Legione dell'Est, non avrebbe fatto la fine del topo. Sarebbe sopravvissuta e dopo essere passata da Edoras sarebbe ripartita alla ricerca di Degarre e di quel manipolo di traditori ai quali avrebbe riservato un bella punizione, una volta raggiunti. Una punizione che si sarebbero ricordati tutti per un bel pezzo.

"Perché fissavi Haldir?" chiese Legolas. L'aveva raggiunta là fuori. "Cosa hai in mente?"

"Che ti importa? Sei ossessionato da me, Elfo, che continui a osservare le mie azioni?" rispose lei.

Il Principe la raggiunse e l'afferró per un braccio. Con forza, la trascinó verso un angolo nascosto. Un soldato si giró a guardarli, ma poi tornó a farsi i fatti suoi.

"Ascoltami bene, adesso. Se intendi parlare ad Haldir di mio fratello o di Ros...cioé, della donna umana che mio padre ha amato, ti toglierò la vita. Non ho mai ucciso un umano prima d'ora, ma puoi credermi. Azzardati a dire qualcosa, azzardati a farlo, e morirai molto prima che arrivino quei mostri." la minacciò. Sembrava assolutamente sincero. "Non gli dirò niente, e nemmeno tu."

"Tu minacci...minacci...ma sono parole al vento, lo sappiamo entrambi. E poi, perché non posso parlargliene?" chiese, fingendo ingenuità.

"Lui non deve sapere. Haldir ha detto addio alla donna, e la faccenda per lui é morta e sepolta. E poi, l'esistenza di mio fratello é un segreto." sbottò Legolas. "Non dargli questo dolore. Per una volta, mostra un po' di cuore."

"E va bene, Principe." disse lei, alzando le mani come in segno di resa. "Terrò la bocca chiusa. In ogni caso, amche se il segreto fosse svelato, nessuno di voi sopravviverà per diffonderlo."

"Nemmeno tu, se é per questo." rispose Legolas. "Stai pensando di svignartela attraverso il tunnel fra le montagne. Allora non sai che una frana sotterranea ha occluso la galleria. Me l'ha detto un soldato. Quel passaggio é chiuso."

La notizia gelò Goneril dalla testa ai piedi. Non voleva credere alle sue orecchie.

"Non dire fesserie. L'avrei saputo da Éowyn." tentò di dire. Perfino la mandibola sembrava paralizzata.

"Lei non ne é al corrente. Ma se non mi credi, entra in quella sala e chiedi a Gambling. Sei costretta a rimanere qui, e se vuoi vivere, devi combattere con noi." ribatté Legolas. Aveva sul volto un'aria di perfida soddisfazione.

Goneril sentí un brivido lungo la schiena. No. Non é vero. Io non devo morire qui. "No...io...io non rimarrò qui! Io non voglio morire!" urlò.

Legolas non si scompose. "Allora ti conviene fare del tuo meglio questa notte." poi rientrò nella sala di pietra, con gli altri.

Goneril rimase come inebetita sulla sommità delle mura. Cosa poteva fare, a quel punto? Come poteva andarsene da quel posto maledetto? Cosa c'entrava lei, in tutto quel casino della malora?

Guardò in basso. Avrebbe potuto lanciare una fune dal parapetto e calarsi giù. Già, e Aldair? Beh avrebbe potuto comprare un altro cavallo più avanti. Sí ma come sarebbe arrivata a Edoras, a piedi? Rischiando di incontrare diecimila Uruk-Hai sul cammino?

Allora guardò dietro di sé. I monti circostanti erano di pura roccia frastagliata, impossibile attraversarli.

Sentí improvvisamente una sensazione che da dieci anni non aveva più provato: panico. Panico puro e semplice.

Mentre il terrore s'insinuava nel suo corpo, da lontano vide una marea di torce avvicinarsi. Un oceano di soldati, con lance e scudi. Seppur a gran distanza, Goneril intuí le dimensioni di quell'armata.

Un esercito creato per distruggere, com'era stato il suo, quando ne aveva uno. Pensò a quel ladro di Degarre che con ogni probabilitá si stava rotolando nel suo denaro mentre lei era intrappolata in un posto ameno a rischiare la vita. Diciamo pure che la vita te la sei allegramente giocata ormai , le disse la coscienza. Ma adesso sei qui e se quel Principe destituito ha ragione, non te ne andrai da nessuna parte cara. Perciò, tanto vale affrontare la questione a testa alta. Come hai sempre fatto. Fino alla fine.

"Re Théoden!" gridò allora. "Aragorn!"

Subito i soldati di vedetta suonarono i loro corni.

"Prepararsi!"

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Capitolo 19
*** Pioggia ***


"Sta succedendo qualcosa a Legolas, padre." disse Haldir, avvicinandosi lentamente a Thranduil. Il Re stava osservando la foreste di sempreverdi dalla grande terrazza ad Est. Un forte vento scuoteva le cime di quegli alberi imponenti.

"Lo so. Me lo dice il vento." rispose sommessamente il Re Elfo. "La voce di sua madre risuona nell'aria e nella mia mente."

"É in pericolo?" chiese il giovane Principe.

"Temo di sì." disse Thranduil.

"Non andrai da lui?" chiese di nuovo Haldir. I suoi lunghi capelli biondi vennero scompigliati da un'improvvisa folata. Non erano lisci come quelli del Re e di Legolas. Erano ondulati, un'altra caratteristica ereditata da Roswehn.

"No. Legolas deve superare da solo tutte le prove che il destino gli riserva." ribatté freddamente Thranduil.

"Allora andró io." rispose Haldir.

Il Re si giró di scatto a guardarlo. "Cosa?!"'

"Andró io. Non lasceró mio fratello da solo." fu la risposta del principe.

"Non ci pensare neanche. Il tuo posto é qui, al sicuro. Lo sai." ribatté Thranduil. Poi tornò a guardare il panorama. "Ieri sono entrato nelle tue stanze. Ho visto che i volumi che dovresti leggere sono ancora chiusi. Stai trascurando i tuoi doveri. In quelle pagine c'é tutto quello che devi sapere per prepararti al tuo futuro."

Haldir incrociò le braccia sul petto. "No. Mi sto impegnando come mi hai chiesto. Ma la mia mente non é libera. Sono preoccupato per mio fratello." rispose Haldir. "Avresti dovuto lasciare andare me al concilio di Elrond. Perché non l'hai fatto?"

"Perché tu sei troppo importante. Non puoi lasciare questi confini protetti. É una cosa che ti ho ripetuto infinite volte." spiegò Thranduil, con tutta la pazienza di cui fu capace. Suo figlio aveva ereditato dalla madre umana anche l'insopportabile testardaggine, e la totale incuranza verso i suoi ordini.

Haldir somigliava cosí tanto a Roswehn. Tanto da fargli male, ogni volta che lo guardava. Il viso di Haldir era quello della donna: gli stessi occhi, le stesse labbra piene, la stessa deliziosa smorfia perennemente imbronciata. Era più bello di Legolas, e probabilmente anche di Thranduil stesso.

"Sei andato a Dale due notti fa." continuò Thranduil. "Non capisco perché insisti nel disobbedirmi."

Haldir guardò il padre. "Come lo sai?" 
Era sorpreso.

"Me l'ha detto Morath. Lei e sua figlia dicono che ogni mese vai dai mortali, e parecchie volte. Perché? Ti ho detto di non farlo." disse Thranduil.

"Perché lí vive mia madre. Non puoi chiedermi di dimenticarmi di lei..." il principe girò lo sguardo altrove. "...come hai fatto tu." aggiunse in un sussurro.

Thranduil gli lanciò una delle sue occhiate taglienti come lame. "Non dire mai più una cosa simile."

Haldir sostenne lo sguardo. Era arrabbiato. "Perché non vai mai a trovarla, padre? É anziana, é vero, ma é ancora viva. Non le restano molti anni. Io...non capisco perché non vai mai a sincerarti sulle sue condizioni."

"Perché abbiamo giurato entrambi che le cose sarebbero andate cosí. Ho promesso di non andare mai a cercarla, dopo la sua scelta di tornare fra la sua gente. Lo ha voluto lei, Haldir. E io, mi attengo a quel giuramento." spiegò Thranduil.

"Ma non ti manca? Vi siete amati tanto..." chiese il figlio.

"La Roswehn che ho amato non c'é più. Lo hai detto tu stesso, é cambiata." rispose Thranduil.

"Sí. É provata dalla vecchiaia, a volte non mi riconosce nemmeno. Ma é viva, il suo cuore batte ancora e tu sei qui. Lontano. Lo trovo...sbagliato." si girò a osservare la scultura in legno che troneggiava al centro della terrazza. "Vieni sempre qui a osservare questo pezzo di legno. L'ho notato. Ma perché non vai a Dale..."

"Ho detto no. Adesso basta." tagliò corto il Re. "Torna nei tuoi alloggi e riprendi i tuoi studi. Il nostro precettore verrà più tardi, a verificare la tua preparazione."

Haldir chinò il capo e fece per andarsene.

"Ti concedo di andare da lei una volta ogni mese. Non di più. Spero di essere stato chiaro, Haldir." gli disse il Re.

Senza girarsi, il figlio annuí di nuovo. "Agli ordini...padre." poi, si ritirò di nelle sue stanze.

Non era piaciuto a Thranduil quel tono. Un tono forzato, come a dirgli: col cavolo che mi impedirai di andare
Sí, suo figlio era davvero la copia di Roswehn, nell'aspetto, nei comportamenti, nel carattere. Perfino nelle espressioni che usava.

Aveva da poco compiuto cinquantasei anni, Roswehn, quando aveva deciso di dare il bacio d'addio al Re e a Boscoverde, per tornarsene a Esgaroth. Era ancora una bella donna, piena di vita. Ma non si sentiva più a suo agio fra gli Elfi. Quel mondo improvvisamente le era parso ostile. Stava invecchiando, e quelle creature immortali avevano iniziato a osservarla in un modo che la mortificava.

Dopo il loro addio, il Re aveva dato ordine ai suoi artigiani di fabbricare un'opera in legno che la raffigurasse, da collocare al centro di quel luogo che era stato il preferito dell'umana. La grande terrazza orientale. Aveva imposto che venisse rappresentata come l'aveva vista la prima volta, con indosso un semplice abito, i capelli raccolti dietro la nuca. Com'era quando timidamente aveva fatto il suo ingresso nella sua tenda da campo, a Dale, durante quell'inverno gelido.

La statua della Regina, di Calenduin, era stata posta all'ingresso di Bosco Atro, perché anche lei aveva regnato su tutto quello sterminato territorio, era giusto che la sua immagine accogliesse chi varcava la soglia. Ma quella della sua amante, doveva stare vicino al Re. Dove lui poteva osservarla ogni volta che ne aveva bisogno.

Riguardo a ció che stava capitando in quelle ore, anche Thranduil non poteva negare di essere preoccupato per Legolas. Non sapeva esattamente dove fosse, sentiva solo che era nel mezzo di un grande pericolo.

Speró che il figlio di Arathorn fosse con lui.

⚜️⚜️⚜️

"Ancora poche casse d'oro...e mi sarei ritirata...stavo per costruirmi il mio regno...solo poche casse...invece adesso creperó in questa gola..." ringhió Goneril fra sé, mentre si posizionava davanti alla schiera di arcieri e soldati di Théoden. Legolas e Gimli erano poco distanti.

Haldir osservava l'armata di Uruk-Hai, concentrato. Dietro di lui, gli Elfi di Elrond. Non si sentiva un rumore, a parte le imprecazioni sommesse di Goneril e la marcia degli Orchi in avvicinamento. Si udiva anche uno stridere metallico, il suono delle lance e degli scudi che si urtavano nell'avanzata.

Aragorn era dietro le prime linee. Goneril avrebbe preferito che il Re desse a lui il comando di tutto l'esercito, lei non ne aveva nessuna voglia. Si guardó attorno: la vista di alcuni anziani e di qualche ragazzo la gettó nello sconforto. Ma cosa credevano di fare con quella gente? Molti vecchi non riuscivano nemmeno a tenere un arco teso.

"Ascoltate." disse infine, rivolta ai soldati. "Non appena daró il segnale, scagliate le frecce verso l'alto. Non tiratele direttamente sul bersaglio. Voglio che quelle bestie vengano travolte da una pioggia di colpi. Dritta su di loro. Non devono neanche vederle arrivare."

"Si copriranno con gli scudi." obiettó uno degli uomini.

"Non sono agili a sufficienza. Con difficoltà sollevano quelle loro zampe. Una volta fatta partire la prima tornata di frecce, vi armerete di nuovo. E procederete in questo modo." ordinó lei. "Levate di mezzo quei ragazzini."

"E che ne facciamo di loro?" chiese un altro soldato.

"Mandateli sulla sommità della Torre di guardia. Possono sempre tirare pietre e massi sugli Orchi, se dovessero arrivare al ponte." spiegó lei. "C'é qualcuno qui che ha mai visto una battaglia? O siete tutti inesperti?"

Quella generale impreparazione la faceva innvervosire. I suoi cinquecento soldati avrebbero fatto vergognare quei dilettanti.

La sterminata legione di Uruk-Hai era quasi giunta al muro. Si fermarono all'improvviso. Goneril si giró a guardare Théoden, impassibile di fronte a un'armata spaventosa.

Inizió a piovere. Dapprima qualche timida goccia, presto seguita da uno scroscio più deciso. In breve tempo, vennero tutti sommersi da un vero acquazzone.

"Affogheremo stanotte. Se quei mostri non ci faranno a pezzi prima." mormoró Goneril.

All'improvviso, sentì un sussurro alla sua destra. Una frase in elfico.

"Ni meleth le."

Si giró. Haldir aveva appena detto qualcosa. Stava ancora osservando il grande esercito messo insieme da Saruman, ma evidentemente pensava ad altro.

Goneril conosceva il significato di quella frase.

Ti amo.

L'Elfo di Lórien aveva appena dichiarato il suo amore a qualcuno. Non ci volle un genio per capire chi fosse.

Goneril scosse la testa. Aveva progettato per anni di vivere la sua vita comodamente seduta su un trono, in qualche piccolo regno lontano, finalmente libera dagli incubi del suo passato, dall'ansia delle battaglie, dal freddo di quei posti dimenticati da Eru. E invece le sarebbe toccato morire vicino a una mammola di Elfo che dopo sessanta e rotti anni ancora si struggeva dietro al ricordo di un amore mai realizzato.

Ci sarebbe da ridere, se non fosse tutto così tremendamente patetico. Pensó con un sospiro.

Guardó Legolas, in piedi vicino a un impaziente Gimli. Era a distanza di sicurezza da lei.

Il silenzio prevalse ancora per dieci minuti e i soldati erano rimasti diligentemente in formazione. Un odore di umido salì dalle pozzanghere appena formatesi sul suolo.

Poi il bisbiglio di Goneril aveva attraversato di nuovo l'aria, sottile, quasi impercettibile, raggelante nella sua placida sicurezza.

"Hey Elfo..."

Haldir mosse appena il capo.

"Elfo di Lórien..."

Lui si giró a guardarla con la coda dell'occhio.

"Stiamo per morire." continuó Goneril. "Prima di raggiungere le aule di Mandos...la vuoi sentire una bella storia?"

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Capitolo 20
*** Fuoco e piombo ***


Goneril era solita tracciarsi una linea nera attorno agli occhi. Utilizzava il Kohl, una polvere minerale derivata dal piombo, per dare risalto alle bellissime iridi verdi. Un trucco imparato dagli Haradrim.

Quell'espediente dava al suo volto un'aria ancora più feroce e intimidatoria.

Sotto la pioggia che scrosciava impietosa e ghiacciata, il trucco inizió a sciogliersi. Il viso della donna venne allora solcato da diverse linee nerastre, che attraversavano le sue guance come piccoli ruscelletti.

Fu questa la maschera grottesca che Haldir si trovó ad osservare, quando si giró.

"Ti piacciono le donne umane?" chiese quella accanto a lui.

L'Elfo non ribatté subito. Lasció che la strana domanda risuonasse per qualche secondo nella sua mente, prima di formulare un risposta coerente.

"Ti manca la tua amichetta mortale?" chiese ancora la guerriera alla sua sinistra. "La donna di Dale?"

A quel punto, Haldir si giró completamente verso di lei. Di fronte a loro c'erano quasi due legioni di Uruk-Hai, di cinquemila unità ciascuna. Pronti all'attacco. Improvvisamente, peró, l'Elfo aveva perso tutto l'interesse verso gli eserciti di Sauron.

"Cosa sai di Roswehn?" chiese Haldir. "Chi sei tu?"

"Roswehn...così si chiama, dunque." ripeté Goneril, sorniona. "Sapevo quasi tutto...tranne il suo nome."

Haldir continuava a fissarla incredulo. Non aveva più parlato con nessuno di lei da almeno dieci anni. Da quando era andato di persona a Dale a cercarla, e nel regno degli uomini aveva trovato tanta di quella ignoranza e ostilità da spingerlo ad andarsene alla svelta.

"Ho saputo che l'hai amata molto...e insisti, vedo." proseguì Goneril. "Struggente, non c'é che dire. Qualcuno dovrebbe informarla della tua devozione per lei."

"Non é più in vita. Cosí mi fu detto." rispose Haldir.

"E invece sí. Il principe Legolas se l'é lasciato sfuggire. É viva, mio caro." gli disse la ragazza. "E tu invece morirai qui. Triste destino."

Haldir reagí alla notizia diversamente da come si era aspettata. Non vide nessuna emozione sul suo viso slavato, nessuna luce di gioia negli occhi azzurri, nessun moto di felicità. Sembrava quasi rassegnato.

"Bene. Mi auguro che i suoi ultimi anni siano felici. Ho sempre desiderato il meglio per lei." commentò l'Elfo.

"Sono sicura che la sua vita sia trascorsa nella serenità. In fondo, è stata accolta per trent'anni in un grande reame elfico, trattata con tutti gli onori. Certo, Thranduil le avrà dato tutto ció di cui poteva aver bisogno per esser felice. Incluso un figlio." continuó Goneril.

Si giró di nuovo per studiare la reazione dell'Elfo di Lórien, che stavolta non nascose un fremito. "Un...figlio?!" chiese Haldir.

"Eh già. Un principino, che diventerà il prossimo Re degli Elfi Silvani dell'Est. Peró che ingiustizia, non trovi? Elevare un mezzosangue al rango di erede diretto al trono." continuó Goneril, mentre la soddisfazione di spifferare tutto le provocó dei piccoli brividi alla base del collo. La stessa sensazione che provava quando infieriva sui nemici con la spada. "Povero Legolas."

Niente ferisce più di certe verità, le aveva detto Amon. Bastava guardare Haldir in faccia per capire che il suo amico guaritore aveva ragione. Il Guardiano di Lórien pareva frastornato.

Meglio se ti riprendi velocemente, amico...perché adesso arriva la vera cannonata, pensó lei.

"E sai come l'hanno chiamato?" chiese ancora.

Haldir scosse la testa. No, non lo sapeva.

"L'hanno chiamato Haldir. Come te." disse Goneril. "Una cosa curiosa, no?"

"Tu menti." Haldir ribatté. "Stai dicendo assurdità. Thranduil non avrebbe mai...non possono aver avuto figli."

"Farai meglio a credermi. Scommetto che detesti il padre di Legolas. E ne hai ben diritto. Ti ha portato via tutto: l'amore, e con esso la tua vita. Ti ha lasciato solo sessant'anni di rimorsi, di ricordi, di sogni rimasti tali." continuò Goneril, imperterrita.

"Questo non é vero. Lui non mi ha portato via nulla. Si erano innamorati da prima che Roswehn mi incontrasse. Apparteneva già a lui." rispose Haldir.

"Peró l'umana ha chiamato il suo bambino come te. Forse desiderava in segreto che fossi tu il padre? Forse lo sei?" chiese la guerriera. I suoi occhi, circondati da quell'impiastro nero, brillavano.

"No. Io e lei non ci siamo amati in quel modo." ribatté Haldir. "Ma tu... cosa fai qua sopra? Non dovresti schierarti con noi. Dovresti combattere tra le fila di quei mostri." la guardò con disprezzo. "Tu sei malvagia, lo sento."

"Esatto, Elfo. Che più malvagia non si può." sorrise Goneril.

"Le tue parole sono piene di veleno. É l'invidia che ti consuma. Non so chi sei, ma mi basta guardarti negli occhi per capire che non sei mai stata amata da nessuno. Perciò detesti chi vive questo sentimento. Perché ti é sconosciuto." disse Haldir. 
"E provo pena per te."

Goneril si morse un labbro, per tenere a bada quel piccolo guizzo di rabbia che le salí dallo stomaco. "Mettila come ti pare, Elfo. Fatto sta che stanotte diremo addio a questa Terra e a tutte le gioie e i dolori che ci ha riservato. Ritenevo giusto che tu sapessi come stanno le cose, prima di trasformarti in una nuovola di polvere."

"Il mio spirito é pronto. E il tuo?" chiese Haldir.

Goneril non fece tempo a rispondere.

Uno degli uomini della sua linea, un anziano che poteva avere settant'anni, lasciò partire una freccia verso gli Uruk. Non era stato un gesto intenzionale: le sue vecchie mani artritiche non avevano una presa sufficientemente salda, non poteva reggere a lungo il flettente teso di un arco.

Il dardo colpí con inaspettata precisione uno dei mostri, proprio al centro del petto. Si accasciò come un sacco di farina. Alla vista del loro compagno colpito e ucciso, gli Uruk-Hai si lasciarono andare a ruggiti di rabbia. Era un rumore assordante, e sicuramente lo stavano sentendo anche nei sotterranei. Goneril si auguró che Éowyn avesse abbastanza sangue freddo da tenere calmi i suoi sudditi, specialmente i bambini che non avevano fatto altro che piagnucolare tutto il tempo.

"Fermi!" urlò Aragorn dalle retrovie.

L'attacco delle armate di Saruman fu improvviso e violento. Goneril osservó quella marea nera precipitarsi verso le alte mura che circondavano la Fortezza. Mai aveva visto un esercito di tali dimensioni.

"Armarsi!" comandó. 
Le prima schiera di arcieri incoccó le frecce, seguita dalle altre. "In bocca al lupo per il tuo viaggio ultraterreno, Elfo. É andata male a te, ed é andata male anche a me in questa vita." disse ad Haldir.

"Chi perde le speranze muore da vivo. Roswehn non si arrese mai all'idea di non poter avere l'amore di Thranduil. Di un Re. Andó a cercarlo da sola, attraversando un bosco oscuro. Riuscì a fargli dimenticare la sua Regina. Io dico che se un'umile ragazza umana é stata in grado di fare questo, tutto é possibile." rispose Haldir, scagliando la prima freccia. I soldati di Elrond lo imitarono.

"Già. E nel farlo ha travolto e calpestato il tuo povero cuore. Rilasciare!" urlò ai suoi arcieri. Le frecce degli Uomini volarono alte, per poi cadere in una parabola precisa e letale. Moltissimi furono gli Uruk uccisi. "Almeno non hanno catapulte." commentò Goneril.

Vide che gli Orchi stavano trasportando delle scale lunghissime verso la muraglia. "Aragorn!" si girò verso l'uomo di Gondor, che comprese immediatamente.

"Estrarre le spade!" gridò lui.

A quel punto tutti, inclusa la donna dell'Est, si prepararono a una delle più tremende battaglie che avrebbero mai avuto luogo nella Terra di Mezzo.

⚜️⚜️⚜️

Come predetto da Goneril, Saruman aveva un asso nella manica. Aveva fatto saltare le mura con la stessa polvere esplosiva che Degarre aveva utilizzato una volta per far crollare un ponte. Théoden era rimasto ai tempi delle picche e della cavalleria, ignorava che nuove tecniche di guerra nel frattempo erano nate. Quella di Saruman non era magia: era la scienza che si evolveva.

Comunque, il crollo della cinta muraria aveva permesso alle schiere di Uruk-Hai di penetrare nella Fortezza, e adesso si trattava di combattere sul serio.

La pioggia non dava tregua, complicando ancora di più la faccenda. Nonostante l'agilità, Goneril stessa si era trovata a sdrucciolare sul terreno diverse volte.

Non vedeva Aragorn, né Gimli, né Legolas, né Haldir. Perfino il Re sembrava essersi ritirato. Ebbe la sensazione di essere rimasta da sola.

L'esplosione aveva fatto crollare il muro proprio nel punto in cui si trovava. Per un miracolo, le pietre non l'avevano travolta. Dopo un lungo volo era caduta a terra, in una pozzanghera piena di fango che aveva attutito il colpo. Aveva avuto appena tempo di pulirsi gli occhi che subito venne circondata da una decina di mostri.

Non fu facile nemmeno per lei. Gli Uruk erano alti e imponenti, non erano Orchetti da quattro soldi. Erano però anche creature goffe, che in uno scontro usavano la forza, ma non l'agilità. Goneril riuscí ad eliminarne almeno cinque, prima che sopraggiungessero alcuni Elfi a darle man forte.

Lo scontro sul campo durò diverse, terribili ore. Nel frattempo la pioggia era cessata, i nuovoloni neri avevano iniziato ad aprirsi. Osservando la posizione della luna in cielo, Goneril calcolò che dovevano essere le tre di notte. Ma ancora molto mancava all'alba.

"Ritirarsi!" qualcuno urlò d'improvviso. Le parve di riconoscere la voce di Aragorn. "Haldir! Ritirarsi!"
urlò ancora la voce in elfico.

Goneril riconobbe che non si poteva fare altro. Detestava la parola ritirata, ma in quella situazione gli atti di eroismo erano del tutto inutili. Era esausta. Nonostante fosse abituata a combattere anche diverse ore consecutive, quelle bestie la stavano sfiancando. Riuscí a sgattaiolare in una delle porticine che conducevano giù ai sotterranei. Era aperta, e non era un buon segno.

Corse giù per la stretta scalinata e difatti udí subito diverse donne urlare. Si aspettò di trovarsi di fronte alla scena di un massacro. Uno solo di quegli Orchi giganti poteva eliminare donne e bambini nel giro di pochi minuti.

Invece, lo scenario fu del tutto inaspettato. Tre Uruk si erano in effetti introdotti nei sotterranei, ma qualcuno li stava affrontando. 
Uno era già riverso a terra, immobile.

"Éowyn!" gridò Goneril.

"Aiutami!" rispose la ragazza bionda. "Colpisci quell'altro!"

Goneril girò lo sguardo fra quella moltitudine urlante. Donne e ragazzini si erano disposti a quadrato, nel tentativo disperato di difendersi. Un Uruk avanzava deciso verso di loro. "Fermo lí." gli disse Goneril, portandosi alle sue spalle.

Il mostro si girò a guardarla. La donna pensò che in Saruman doveva esserci un lato decisamente sadico, per aver creato creature simili. Il suo muso mutilato pareva la maschera della sofferenza. "Ti faccio un favore a ucciderti. Sappilo." gli disse.

La bestia provò ad alzare un braccio munito di mannaia per colpirla, ma fu fatica inutile. La spada dorata lo trafisse in un baleno. "Bleah. Sangue nero, sangue marcio." commentò Goneril, osservando le striature scure che macchiavano la sua lama.

Diverse donne urlarono di paura.

"State calmi. Li abbiamo uccisi. Tu!..." disse, rivolta a Éowyn. "... fatti aiutare a sbarrare tutte le possibile entrate a questo sotterraneo. Io ho sprangato la porta da cui sono entrata."

"Abbiamo già fatto il possibile." rispose le principessa.

"Sí, però quei tre sono entrati." ribatté Goneril. "Io vado a cercare tuo zio. Gli altri si saranno ritirati nelle sale della Fortezza."

"No! No, aspetta!" le urlò Éowyn, afferrandole il polso incrostato di fango. "Rimani qui, ti prego."

"No. Non entrerà più nessuno se state attenti." rispose lei e fece per dirigersi alla rampa di scale che conduceva di sopra. Poi venne presa da un piccolo scrupolo. Si fermò e tornò sui suoi passi. "Sei stata brava." disse a Éowyn. "Davvero." 
Un breve sguardo di intesa corse fra le due donne. "Dopo che me ne saró andata, chiudete anche questa uscita. E pregate."

Detto ciò, si precipitò al livello superiore, dove avrebbe cercato il Re di quel popolo e gli avrebbe chiesto: quali sarebbero adessi i vostri piani, Maestà?

Lei aveva avuto una pensata. Un'idea assurda, ma che in quel momento le pareva l'unica strada praticabile. Si augurò che Aldair fosse abbastanza forte da aiutare a realizzarla.

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Capitolo 21
*** L'alba ***


"Voglio quello."

Goneril aveva trovato un allevamento di cavalli nella grande città di Pelargir, capitale del Pelennin, uno dei distretti di Gondor.

Dieci anni prima della battaglia al Fosso di Helm, il vecchio generale Mainard aveva condotto i suoi Cinquecento verso i territori popolati dagli Uomini, in cerca di nuovi incarichi. Stavano stanziando ormai da settimane in quel luogo, senza aver concluso nulla, dato il periodo di relativa pace. Un piccolo esercito di mercenari non trovava facilmente lavoro, senza guerre incombenti.
Avendo tempo a sufficienza, la giovane guerriera ne aveva approfittato per guardarsi intorno e pensare ai suoi affari. Ricordava il consiglio di Amon (procurati un buon cavallo) ed era venuto il tempo di dargli ascolto.

C'era, in città, un famoso allevatore di nome Ossian, che aveva fondato una scuderia prestigiosa. I suoi animali costavano una fortuna, si diceva. Goneril si era incuriosita e un pomeriggio di Settembre aveva deciso di fargli visita.

"Stai seriamente dicendo di voler acquistare uno dei miei cavalli? Hai idea di quanto costano?" le aveva chiesto l'ometto, che non era molto più alto di lei e poteva avere sessant'anni. Aveva dedicato tutta la sua vita a quelle bestie. Chiedimi di mostrarti poesia in movimento, e ti mostrerò un cavallo, diceva sempre.
"Ho passato una buona fetta di vita a selezionare i migliori stalloni e le migliori giumente. Io credo, anzi, sono sicuro, che una ragazza come te non possa...ecco...permettersi uno dei miei animali. Non so se mi spiego." aveva detto.

"I soldi non sono un problema. Voglio quello." era stata la risposta di Goneril, che aveva indicato un puledrino nero: il piccolo saltellava e scalciava in un piccolo recinto. Era appena stato svezzato.

"Quello é troppo giovane. Ed é davvero al di fuori della tua portata. Discende dal cavallo di un re elfico. Sto aspettando che cresca per iniziare ad addestrarlo, e poi lo offrirò a qualche sovrano, o governatore. Se proprio insisti, laggiù ci sono puledri già addestrati un po', costano meno e posso privarmene senza problemi. Sono anch'essi esemplari eccellenti, comunque." aveva spiegato Ossian.

"Cento monete d'oro." aveva risposto Goneril, seccamente. "Tutte subito."
Ossian aveva strabuzzato gli occhi per un breve istante, ma poi si era ricomposto.
"Credo che tu non mi abbia capito. Quello non é per te. Non farmi ripetere ciò che dico."
"Centocinquanta." aveva continuato lei. "Non mi importa che non sia addestrato. Ci penserò io."
"Come mai una ragazza dispone di cosí tanto denaro?" aveva chiesto Ossian, incredulo.
"Non sono affari che vi riguardino. Allora, cosa rispondete?" aveva insistito lei, di rimando. "Non credo ricevereste un'offerta simile da altri."
"Sí, invece. Ho venduto cavalli per trecento monete d'oro, mia giovane signora. Non sono cifre che mi impressionino. E con quel puledro, potrei superarle." aveva ribattuto l'allevatore, ineffabile.
"Duecento. Saranno tutte in mano vostra oggi stesso." aveva rilanciato lei. Di fronte a una cifra simile, l'uomo avrebbe ceduto, Goneril lo sapeva. Cosí come sapeva che non aveva mai venduto un cavallo per trecento monete d'oro. A quei tempi, con una somma simile si poteva edificare un palazzo. Nessun Re degno di questo nome avrebbe sprecato così tanto denaro per un cavallo. I mercanti erano astuti e bugiardi, ma altrettanto era Goneril.

Ossian aveva tentennato, poi la sua fronte si era riempita di goccioline di sudore. Certo, era una cifra impressionante per un puledrino. "Siete indeciso?! Non riesco quasi a crederci. Dovreste accettare senza fiatare." aveva detto Goneril.
"E va bene." si era arreso l'uomo. "Ma non avrai questo animale prima di avermi portato il sacchetto con le monete. Mi sono spiegato? Ed entro stasera, o non se ne fa niente." aveva brontolato, un po' seccato di dover accettare. Ma duecento monete erano duecento monete e quell'inverno c'erano spese in arrivo: doveva rifare tutte le stalle e i recinti. Erano soldoni che servivano, eccome.
"Su questo, non dubitate." aveva sorriso Goneril, girandosi a guardare quel tenero cavallino.
"Come lo chiamerai? Porta sfortuna non dare subito un nome a un cavallo, quando lo si acquista." aveva detto Ossian.
"Aldair." aveva risposto lei. "É il nome di una stella. Gli Elfi impazziscono per la luce delle stelle, sapete? Suo padre apparteneva agli Elfi, mi sembra adeguato."

Goneril aveva scelto Aldair perché aveva notato al primo sguardo l'imponenza del suo corpo. La piccola groppa aveva una curvatura decisa, la punta delle spalle e il petto erano ben sviluppati, ginocchia e stinchi erano forti, e i quarti posteriori erano già muscolosi. Era destinato a diventare un cavallo robusto. Perfetto per una guerriera.

Ripensava a tutto ciò, mentre entrava nelle stalle del Trombatorrione. I soldati di Rohan avevano portato lí Aldair, che nitriva e tentava disperatamente di liberarsi dalle briglie, legate a una barra di legno. Avvertiva il pericolo: il baccano della battaglia lo innervosiva. "Buono. Ora mi devi aiutare, amico mio. Ho davvero bisogno di te."
Goneril slegò il suo cavallo e velocemente lo condusse su per la rampa che collegava le stalle all'interno della struttura, dove nel frattempo si erano rifugiati Théoden, Aragorn e gli altri.

La donna vide che Legolas e l'uomo di Gondor stavano sbarrando il portone con tavoli e altri pezzi di arredamento. Segno che la sconfitta era vicina. "Allora Re Théoden, la nottata sta andando maluccio, mi pare." disse Goneril. Tutti si girarono.
"Risparmiati le ironie, e aiutaci." le disse Aragorn. "Non facciamoli entrare."
"A cosa serve combattere, ormai." mormorò Théoden. Stava cedendo. Quei mostri avevano invaso la Fortezza, massacrato i suoi soldati, e ormai solo una pesante porta di legno li separava da dove erano loro. Il Re era stato sconfitto.
"Non so quali siano i vostri progetti, ma io non me ne starò qui." disse Goneril, stringendo le briglie. "...e vi conviene togliere quella roba dalla porta, perché io voglio uscire."
"...cosa vorresti fare?!" chiese Gimli.
"Me ne andrò con Aldair. Il mio cavallo lanciato al galoppo travolgerà quei mostri." carezzò il collo dell'animale. "...é abbastanza forte da abbatterli come birilli."
"Quelli fanno a fette te e il cavallo!" rispose Gimli.
La donna lo guardò irritata. "Se hai una proposta migliore, falla!" gli gridò. Poi sorrise. Perché in fondo prendersela con un Nano? Era già abbastanza svantaggiato per il fatto di essere un Nano. L'abituale ghigno malevolo ricomparve allora sul suo viso.

Osservando quegli occhi freddi, Aragorn si trovò a pensare che Sauron doveva averci messo lo zampino quando la ragazza era stata concepita. Avrebbe potuto tranquillamente essere una sua creatura. Però, l'idea della donna non era affatto sbagliata. Una carica a cavallo avrebbe potuto disorientare l'armata di Orchi. Certo, era un'azione potenzialmente suicida, ma sempre meglio che nascondersi lí dentro come topi.

"Quanta morte. Cosa possono gli uomini contro un odio così scellerato..." disse ancora Théoden.
Goneril gli si avvicinò. "Beh, sono parole da vigliacco. Non si rinuncia mai a combattere... e tu dovresti essere mio padre?"
Il re la guardò negli occhi. In quegli occhi identici a quelli di Margery. "Mi dispiace, Idis. Perdonami, se puoi. Per tutto."
La donna scosse la testa. "Io non sono tua figlia. Non voglio esserlo, non di un debole. Non so che fine ha fatto quella bambina dopo che la mandasti via dal reame, ma ti dico cosa ha fatto tua nipote questa sera: ha affrontato e ucciso due Uruk-Hai. Da sola." mormorò Goneril. "...Éowyn?!" chiese Théoden.
"Sí, lei. Questo può forse voler dire, che una giovane di ventiquattro anni ha più fegato di un Re? Perché é questo ciò che penso." rispose la guerriera. "E io non me ne starò qui a fare la fine che farai tu."

"Ha ragione." intervenne Aragorn. "Affrontateli a cavallo, Maestà."
Théoden non rispose.
"Venite fuori con noi." continuó l'uomo di Gondor.
Goneril sospiró: parole inutili, Théoden aveva alzato bandiera bianca e fine dei giochi. Poi si guardò attorno. Notò la mancanza di Haldir. "Dov'é l'Elfo di Lórien?" chiese.
A quella domanda, Aragorn si girò di nuovo verso di lei. Le rispose con un cenno del capo. Non ce l'ha fatta, dicevano i suoi occhi azzurri.

⚜️⚜️⚜️

Cosí te ne sei andato, pensò Goneril, dopo aver ricevuto la notizia. Aragorn le aveva detto che il Capitano di Lórien era caduto sotto i colpi degli Uruk. Si chiese quale fosse stato il suo ultimo pensiero, forse quella Roswehn, forse i suoi fratelli, forse Galadriel. Si figurò il suo spirito diretto verso le misteriose aule di Mandos che erano l'aldilà degli Elfi, dove avrebbe atteso la reincarnazione.
Comunque, quell'Elfo sfortunato aveva lasciato lí i suoi rimpianti e i suoi tormenti e adesso si stava godendo la pace. Goneril quasi lo invidiava.

Una flebile luce penetró nella sala, da una delle fessure delle pareti. "Il sole sta sorgendo." disse Gimli.
"Lo Stregone vi aveva promesso che sarebbe giunto qui all'alba. Vi conviene sperarlo." commentó Goneril, montando su Aldair. "Io me ne vado, Maestà."

"!" gridó improvvisamente Théoden. Forse erano state le parole della sua presunta figlia, forse le esortazioni di Aragorn. Comunque, sembrava essersi ripreso. Con orgoglio, indossó l'elmo e montó anch'egli sul suo cavallo bardato. I suoi soldati, e Aragorn e Legolas, lo imitarono. "Forza allora! Forza Eorlingas!"
Il re lanció la carica e travolse senza pietà gli Uruk che nel frattempo avevano divelto il portone. Come aveva detto la donna, quei mostri non riuscivano ad opporsi alla corsa dei cavalli: vennero falciati come il grano d'estate.

Goneril aveva osservato tutta la scena colpita dall'improvvisa forza e regale dignità che erano ricomparse in Théoden. In quel Re che solo alcuni minuti prima sembrava deciso a deporre le armi. Con un alto nitrito, Aldair la esortó a fare la sua parte.
"Hai ragione. Non indugiamo oltre in questo gelido posto. Forza, facciamo vedere a tutti cosa significa carica." Detto questo, con un colpo delle redini lanció il suo costoso cavallo al galoppo.

⚜️⚜️⚜️

L'alba arrivó.

I raggi del sole si diffusero su quell'ampia vallata antistante il Fosso di Helm. La calda e meravigliosa luce confuse gli Uruk-Hai, che, accecati, si portarono le zampe agli occhi.

Ma non fu questo spettacolo a far impietrire Goneril.

E non fu nemmeno l'arrivo annunciato di Gandalf, che come promesso era comparso su una collina ad Est, seguito dai Rohirrim di Éomer.

Fu invece la vista di un altro gruppo di guerrieri, anch'essi al seguito dello stregone, a farle fare un balzo sulla sella.
Lassù con Gandalf, c'erano quegli uomini che lei stessa aveva maledetto ogni giorno dal suo arrivo ad Edoras. Non potevano essere loro.

Eppure, il simbolo sui neri scudi erano quello che lei ben conosceva. Quello che lei aveva disegnato. Un cerchio perfetto, metà luna e metà sole uniti, a significare che quei soldati potevano combattere sia di giorno che di notte. E riconobbe subito il volto di chi li comandava. Colui a cui aveva giurato di farla pagare cara.

"Possibile...è mai possibile?" si trovò a mormorare, mentre un gruppo di Uruk circondava il suo cavallo. Ma lei non riusciva a togliere gli occhi da quel punto lontano, da dove stava spuntando il sole.

Degarre.

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Capitolo 22
*** Sangue blu ***


"Muoviamoci, soldati!" gridò Degarre. "Il nostro Generale é laggiù!"
Hammon, dietro di lui, lanció la carica.

Non fu facile.

Per raggiungere la spianata dove si stava consumando la battaglia, i cavalli dovettero galoppare in discesa lungo un'altura, ricoperta di ghiaia. Degarre si mise alla testa della legione.

Dopo aver lasciato Goneril nella Foresta di Fangorn, giorni prima, era sicuro che non l'avrebbe mai più rivista. Il progetto assurdo della donna era di andare a Isengard ad affrontare nientemeno che Saruman il Bianco, il che voleva dire condannarsi a morte certa. Quando l'altro misterioso Stregone aveva comandato a lui, Hammon e Lassalle di tornare all'accampamento, Degarre aveva elaborato un suo piano. Sapeva dove Goneril aveva nascosto tutto il loro oro: decine e decine di casse, stipate ordinatamente in una grotta nei pressi di Gran Burrone, il territorio che ospitava il piccolo regno di Lord Elrond. Nessuno sarebbe mai andato lì a cercarle: gli Elfi si facevano gli affari loro, i Nani non si avvicinavano alla valle di Imladris per disprezzo verso gli Elfi e gli Orchi non osavano addentrarsi nel territorio di Elrond. Gran Burrone era un territorio sufficientemente isolato e protetto da nasconderci un tesoro.

Aveva avuto l'idea di andare fin lì con tutti i suoi soldati, spartirsi quell'oro e poi disperdere la legione. Tutti avrebbero proseguito in pace con la loro vita, del resto c'era abbastanza denaro perché ognuno di quei Cinquecento vivesse nel benessere fino alla morte.
Fu un secondo incontro con Gandalf, in una valle del Mark, a fargli cambiare prospettiva. L'Istari non stava cercando loro. Era intenzionato a trovare Éomer, nipote di Théoden, e i suoi Rohirrim. Si era invece imbattuto nei soldati mercenari dell'Est, che, dopo aver invano atteso il ritorno di Goneril, si erano rimessi in marcia.

Degarre aveva immaginato che la loro Generalessa fosse stata uccisa dagli Orchi di Saruman. Non poteva essere altrimenti. E, in cuor suo, la cosa in fondo non gli dispiaceva. Quella donna era stata una fanatica assassina e il mondo con la sua morte non aveva perso niente. Anzi, con la sua scomparsa, loro erano liberi.

Le parole di Gandalf erano state una specie di doccia gelata per lui: lo aveva informato che non solo Goneril era viva e vegeta, ma che era in quel momento alla corte di Théoden. Aveva incomprensibilmente scelto di aiutare il popolo di Rohan. E non era per niente contenta di aver visto la sua legione sparire d'improvviso, lasciandosi dietro solo delle braci spente e qualche avanzo di cibo. Per dirla tutta, era furiosa, aveva aggiunto lo Stregone.

Questo era bastato a spingere Degarre a un'attenta riflessione: Goneril aveva un animo vendicativo come pochi. Se lui avesse sul serio depredato il suo tesoro, gliel'avrebbe fatta pagare. Non si sarebbe fermata finché non l'avrebbe trovato, un giorno, magari molti anni dopo, quando lui sarebbe stato un anziano placidamente seduto nel giardino della bella casa che sognava di costruirsi con quei soldi; sarebbe sbucata da dietro all'improvviso e gli avrebbe tagliato la gola come aveva fatto con Mainard. Potevano passare vent'anni, trenta...ma l'avrebbe trovato prima o poi.

Degarre non voleva rischiare. Quando Gandalf gli aveva detto che Goneril, Théoden e il popolo di Rohan si erano rifugiati al Fosso di Helm, e che avevano un disperato bisogno di aiuto, aveva deciso di intervenire. Se Goneril era ancora al mondo, doveva continuare a rimanerle fedele.

"Non lasciatene vivo neanche uno!" si udì Hammon urlare.
Quella massa gigantesca di mostri davanti a loro sembrava un fiume nero, ma il giovane capitano notó che erano scoordinati, rozzi. Non erano stati preparati a combattere: Saruman aveva creato una razza di Orchi feroci e armati di tutto punto...ma non erano guerrieri. Avevano l'istinto di uccidere, ma non sapevano esattamente come. Grandi, grossi e stupidi, avrebbe detto sua madre.

Ben presto, anche gli Uruk-Hai compresero di essere bell'e spacciati. Erano diecimila, ma avevano di fronte un buon numero di arcieri e fanti di Rohan, i Rohirrim, Cinquecento professionisti mercenari, e soprattutto uno Stregone. Fu effettivamente Gandalf l'arma in più. Con la sua Luce riuscì a spedire la maggior parte di quelle bestie nell'abisso.

Quando il sole fu sorto del tutto, la battaglia stava volgendo al termine.

Goneril e Aldair erano coperti di striature nerastre, gli schizzi del sangue degli Orchi. Dopo che anche l'ultimo Uruk davanti a lei fu abbattuto, la donna si piegó in avanti sulla sella e appoggió il capo sul collo di Aldair. "É finita. Anche questa volta."
In una sorta di tragica risposta, il cavallo emise un breve nitrito e poi crolló a terra, rischiando di schiacciarla. Subito Goneril si alzó in piedi. "Aldair!" gridó. Era stato colpito. Un fiotto di sangue sgorgava dal solco giugulare. "No! No! Aldair..." esclamó Goneril, disperata. Ma lo stallone morì proprio in quel momento. Lei rimase immobile, incapace di reagire, in muta contemplazione della carcassa. La guerriera non aveva mai tenuto il conto delle battaglie in cui aveva combattuto, ma erano state moltissime, nel corso degli ultimi dieci, sanguinosi anni. Lei e Aldair erano sopravvissuti a tutto e a tutti. E adesso se ne era andato anche lui. Per l'ennesima volta nella sua vita, provó l'inquietante sensazione di essere rimasta sola al mondo. Aldair era un cavallo, un animale, ma era anche stato l'unico essere ad esserle rimasto vicino contro ogni avversità.

"Goneril." disse una voce maschile dietro di lei. La donna si giró e vide il suo capitano. Degarre si avvicinó con un sorriso. "É fatta, Goneril. Théoden dice che la battaglia é vinta." La ragazza non parve reagire. Fissava Degarre con lo stesso sguardo perso di un ubriaco appena uscito da una taverna. "Goneril...Generale...mi hai sentito?" ripeté Degarre. "É finito tutto. É..."

In un lampo, la donna gli corse incontro e inizio a colpirlo con una serie di schiaffi ben assestati. "Brutto traditore, maledetto, ladro parassita!...si puó sapere dov'eri finito?!!" urló. "Come hai osato allontanarti di tua iniziativa..." si giró verso gli altri soldati, che con Hammon osservavano sbigottiti la situazione, mentre Degarre tentava di parare i colpi. "....come avete osato tutti?! Comeeee!!!" urló di nuovo.
Degarre le afferró i polsi. "Calmati, adesso, calmati! Stavamo venendo a Isengard." mentì. "...stavano venendo a cercarti lì!"
"Bugiardo!" rispose lei, liberandosi con uno strattone dalla presa del soldato. "Volevi derubarmi, vero? Ammettilo!"
"No, Goneril!" intervenne Hammon. "Siamo corsi qui quando lo Stregone ci ha detto che eri in pericolo. Non ti tradiremmo mai, lo sai bene. Uomini!" si voltó verso i Cinquecento, che con tutta probabilità non erano più in cinquecento. Diversi erano caduti durante la battaglia. "...saluto al Generale!"
I mercenari si schierarono su due file ed esclamarono il saluto militare. Goneril non si curò di loro. Continuava a fissare Degarre. Non me la dai a bere. So cosa volevi fare, ladro. Te lo leggo negli occhi.
" Siamo qui per te. Dice bene Hammon. Non ti tradirei mai..." aggiunse Degarre, nel tono più sincero che riuscì a trovare.
"Zitto." sibiló lei, chiudendogli la bocca con una mano. Gli strinse le labbra fino a fargli male. "Devi solo stare zitto."

I soldati di Rohan sopravvissuti osservavano la scena confusi. Anche Re Théoden, felice per l'inaspettato trionfo, li guardava. "Abbiamo vinto una battaglia fra le più terribili che io abbia mai visto. Non é tempo per il risentimento, ora. Tenetevi le vostre schermaglie per dopo."
Goneril si giró. "Sì esatto, abbiamo vinto. E vi ricordo, Maestà, che ci spetta una ricompensa."
Théoden non parve capire. "Idis...vuoi ...del denaro da me?"
La ragazza avanzó di qualche passo. "Mi chiamo Goneril e comando un esercito di mercenari, se ancora non l'avete capito. Le nostre schermaglie non vi riguardano. Quello che importa é che abbiamo difeso la vostra gente e mi basta girare lo sguardo sui miei uomini per capire che alcuni di loro ci hanno rimesso la vita. Esigo un pagamento. E che sia sostanzioso, come vostra nipote mi ha promesso."
"Mia sorella non ti ha promesso un bel niente, né l'ho fatto io, né mio zio." sbottó Éomer, che nel frattempo si era avvicinato al Re. "Perció falla finita con quest'arroganza. Tu e i tuoi soldati avete combattuto con noi, é vero. Ma la mia famiglia non ti deve un accidente."
"Hai la memoria corta, Éomer. Se ben ricordo, tu avevi promesso che ti saresti inginocchiato davanti a me se fossi riuscita ad aiutarvi in qualche modo. O sbaglio?" chiese lei. "Avanti allora, fallo."
Éomer fece per afferarla e fiondarla all'altro lato della valle. Ne aveva abbastanza di quella strega e dei suoi ghigni da gatta selvatica.

"Fermo!" ordinó il Re. "Lasciala perdere per ora, Éomer. Ti chiedo di avere pazienza con questa ragazza." guardó verso Goneril. "Ti prometto che discuteremo domani sera del tuo compenso, se é davvero ció che vuoi. Oggi dobbiamo contare i nostri morti e dar loro degna sepoltura. Ed entro stasera la nostra gente deve essere ricondotta a Edoras. Spero ci aiuterete anche in questo."

"Come no. Ma il prezzo sale, Maestà." ribattè lei, ineffabile. Théoden non rispose e si allontanó.
Éomer a fissarla. "Ignoro il motivo per cui il nostro Re ti mostri una tale generosità. Ma sta' lontana da me, mi hai capito bene?" le ringhió.

⚜️⚜️⚜️

"Ho parlato con mio zio. Dice che tu e i tuoi soldati siete i benvenuti all'interno del nostro Palazzo. Non vi faremo dormire in un accampamento al freddo." le disse Éowyn.

Tutta la gente di Théoden, insieme ai soldati di Goneril, era finalmente tornata a Edoras.

Gandalf, Aragorn, Gimli e Legolas erano nel frattempo andati verso Isengard, dove si diceva fosse stata combattuta un'altra tremenda battaglia, fra gli Ent, cioè i Folletti protettori dei boschi e gli Orchi. I tre erano preoccupati per due Hobbit, Pipino e Merry, che probabilmente erano rimasti coinvolti nella faccenda.

"I tuoi soldati dovranno dormire in tre grandi sale adattate a camerate. Tu dormirai nella mia stanza." spiegò Éowyn. "Ho fatto aggiungere un letto."
"Starò con i miei soldati, invece." ribatté Goneril.
"Sul pavimento di legno? Non abbiamo giacigli a sufficienza, dovranno dormire a terra." rispose Éowyn. "Ma tu potrai stare più comoda."

Le due donne stavano attraversando i corridoi del Palazzo. Faceva un freddo terribile anche all'interno, nonostante i molti candelabri accesi. "Ti chiedo solo una cosa: ho bisogno di lavarmi. Sono coperta di fango e altre schifezze. Ho nausea di me stessa." disse Goneril, entrando nella stanza della principessa. Era semplice, arredata con gusto ma senza sfarzo. Graziosa, ma fredda...proprio come Éowyn.
"Sí, vale anche per me. Siamo tutti a pezzi. Mio zio ha deciso che domani sera celebreremo la vittoria qui a Palazzo, ma se ti devo dire la verità non sono in vena. Ho visto troppa morte in queste ore." Sospirò la ragazza. "Troppi nostri sudditi non sono tornati."
"Sudditi." ripeté Goneril, togliendosi i calzari e la cotta in maglia. Il suo corpo era dolorante, tutti i muscoli ancora irrigiditi dalla tensione della battaglia. "A te piace usare questa parola...sudditi. Cioé, persone sottomesse alla famiglia reale."
"Non la metterei in termini cosí crudi. Sono il nostro popolo. E amano mio zio. Non parlerei di sottomissione." ribatté la principessa. "Tu avversi il concetto di aristocrazia, suppongo."
"Già. Lo detesto. Io credo che Eru ci abbia creati tutti uguali, e credo che questa storia del sangue blu sia tutta una panzana. Il tuo sangue é rosso come il mio, Éowyn." rispose Goneril.
"Beh, neanche io credo alla storia del sangue blu. Ma in ogni caso, tu dovresti averlo, se sei chi mio zio crede." disse la giovane, tirando fuori dall'armadio alcuni teli. "Io penso anche che il compito dei re e delle regine sia quello di difendere i loro popoli. Per questo vengono investiti di tale potere. Non per ostentare scettri e diademi."
"Tuttavia, molti lo fanno. Tuo zio dorme in una stanza come questa, in un letto grande e comodo come il tuo, e anche tuo fratello. La vostra gente, da quel che ho visto, si deve invece accontentare di vivere in case di legno con due stanze se va bene e casse piene di paglia come letti. Ti pare giusto?" obiettò Goneril. Poi si avvicinó a Éowyn. "Sono questi maledetti privilegi dei ricchi che non sopporto. Io sogno una società in cui tutti siano uguali, e non ci siano ingiustizie sociali. Dove il benessere é di tutti e tutti devono poterne godere. Non più potere in mano a pochi...ma al popolo."
Éowyn era perplessa. "Non esistono società simili. Re, Governatori, Sovrintendenti...sono sempre esistiti. E sono necessari. E mi pareva di aver capito che il tuo sogno era costruirti un tuo regno..."
"Necessari un corno!" sbottò Goneril. "E dici bene: una società come quella che immagino non esiste...stavo appunto per costruirmela. Forse la parola regno non é la più adatta per descrivere cioé che ho in mente. Sai, credo proprio che ce la farò, adesso che ho ritrovato i miei soldati. Adesso che so che i miei fondi sono ancora tutti lí."

La principessa di Rohan non sapeva come replicare. La visione di Goneril era qualcosa al di fuori della sua comprensione. Si limitò quindi a passarle i teli. "Tieni. Se vuoi lavarti, c'é una tinozza in quella stanza. Bisogna comunque far scaldare l'acqua sul fuoco e poi riempirla, ci vuole tempo. Ho qualche pezzo di sapone e un estratto di bacche per i capelli."

"Hai anche una servetta dedicata che ti lava la schiena?" chiese Goneril ironica. Pensó a Lassalle. Chissà dov'é finito quel topo...

Éowyn non si lasciò innervosire. "No. Quella no." rispose.
"Ma che strana principessa che sei..." commentò Goneril, con un sorriso. Sbirciò nell'armadio e intravide dei vestiti. "...guarda che bel corredo..."
"Ti presteró un abito se desideri. Per la festa di domani, cioé." disse Éowyn. "Tu non ti vesti spesso da signora, immagino."

Goneril rise. "E ti sbagli, invece. Ho abiti molto più belli di questi, se lo vuoi sapere."
"Ah sí, e dove li tieni?" chiese provocatoriamente Éowyn.
"Nel mio bagaglio personale, che quell'idiota di Degarre ha gettato via, credendomi morta. Non me l'ha detto, ma so che é così. Sperava di essersi liberato di me, quel povero illuso. Gli é andata male." sospiró.
"Quindi sei senza indumenti. Ragion per cui devi accettare che io te ne dia uno. Te lo regalo." disse Éowyn. "Guardali, se vuoi. Io intanto cerco del cibo." e uscì dalla stanza.

Perché continua ad essere gentile anche se la tratto male? Si chiese Goneril. Se non la smette, dovrò iniziare a volerle bene.

Poi buttó la testa all'indietro e rise di nuovo.

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Capitolo 23
*** Anelli ***


Goneril era immersa nell'acqua calda della vasca di legno. Alcune candele accese illuminavano la piccola stanza da bagno, e un piacevole profumo di lavanda aveva impregnato l'aria.

In quel silenzio rotto solo da gocciolìo dell'acqua, la donna stava ripensando agli accadimenti delle ultime ore.

Quella tremenda battaglia.

Ma com'era possibile che Saruman avesse messo insieme in così poco tempo un esercito di tale ampiezza? Ma come accidente c'era riuscito? Doveva aver stretto un tremendo patto con Sauron, come sospettava Éomer. Certo, era incredibile: Saruman era il capo degli Istari, l'Ordine degli Stregoni che, così come gli Elfi, avevano il compito di proteggere la Terra di Mezzo. Il suo tradimento era qualcosa di inspiegabile e clamoroso.

Lui e il suo padrone erano stati miseramente umiliati al Fosso di Helm. Questo riequilibrava la situazione, che rimaneva tuttavia grave: era chiaro che quella sconfitta avrebbe spinto Sauron e i suoi seguaci a riprovarci, e solo Eru sapeva la forza di cui quei neri eserciti disponevano. Saruman aveva inviato diecimila Orchi contro il piccolo regno di Rohan, figurarsi cosa avrebbe fatto se gli fosse venuto il ghiribizzo di attaccare Gondor.

Pensó ad Aragorn. 
Era stato coraggioso al Fosso di Helm: in sostanza, aveva condotto lui la difesa all'assedio, nonostante Théoden avesse dato inizialmente il compito a Goneril. 
Quel ramingo era nato per essere Re. Così dicevano le voci. Si era dato alla macchia per anni, aveva scelto l'esilio, ma non poteva tradire il suo sangue.

La donna, tuttavia, aveva l'impressione che fosse turbato da qualcosa: sembrava combattuto, come se una parte di lui rifiutasse ancora quel ruolo.

Lei lo capiva bene. Era a sua volta sommersa da dubbi.
Fino a quel momento, aveva sempre avuto le idee chiare sulla sua vita, aveva passato anni in una legione mercenaria con il progetto ben delineato di accumulare una ricchezza sufficiente a costruirsi un suo piccolo mondo da qualche parte in quel vasto continente. Un mondo che avrebbe avuto le sue regole.

Gli ultimi fatti avevano stravolto e, in parte, ridimensionato quella visione. Intanto, aveva capito di non potersi fidare dei suoi soldati, in primo luogo di quell'avido brigante di Degarre. E questo era già di per sé una bella scocciatura, visto e considerato che la legione era il suo braccio armato, lo strumento con cui costruire quel sogno lontano. Aveva imparato che quei mercenari, invece, le avrebbero velocemente girato le spalle in un momento di disattenzione. 
Volevano quelle casse d'oro. A loro poco importava del suo progetto di una nuova società. Desideravano le monete e come poteva essere diversamente? Prima che Mainard li trasformasse in un esercito disciplinato, non erano stati altro che dei predoni, assassini, ladri, borsaioli. Quell'istinto disonesto era ancora forte in ognuno di loro.

Ma allora perché non mi uccidono? Si chiese. Perché non mi fanno fuori e vanno a prendersi quell'oro?

Goneril immaginó che fosse Hammon il motivo. Di tutti quei furfanti in uniforme, lui era l'unico onesto. Suo nonno era stato vice-capitano di Gondor, e leale servitore di Ecthelion. Era stato un soldato d'onore, e aveva trasmesso quella rettitudine al nipote. La sua influenza positiva sui soldati aveva evitato le rivolte contro di lei, aveva evitato che venisse uccisa. Hammon ripeteva sempre agli uomini che bisognava rispettare il Generale e questi lo ascoltavano.

Pensó anche a Théoden.
Quel Re anziano e provato dal recente lutto per la scomparsa del figlio, quel sovrano stanco e sfiduciato che stava per arrendersi e che aveva recuperato d'improvviso il suo orgoglio pochi attimi prima della capitolazione.

Era davvero suo padre? Forse. Comunque, l'eventuale conferma di questa parentela non avrebbe fatto differenza nella sua vita. Lei era cresciuta nella violenza ed era stata educata a combattere per vivere. Scoprire a trent'anni suonati di essere figlia di un Re non avrebbe cambiato un'acca nella sua esistenza. Gli anni erano passati ed erano stati duri: non sarebbero tornati indietro.

Si guardó le mani. Erano screpolate, le nocche erano dure, e sembravano invecchiate anzitempo. Tutte conseguenze di un decennio passato a marciare nel freddo, a impugnare l'elsa della sua spada, a reggere scudi, stringere funi, pulire la sua armatura con la lisciva, che bruciava sulla pelle e la piagava.

Erano le mani di un soldato. 
Se avesse fatto una vita da principessa, le sue mani sarebbero state bianche e delicate come quelle di Éowyn.

Goneril non sapeva perché in Théoden era così radicata la certezza che lei fosse sua figlia, ma una cosa era certa: in tutti quegli anni aveva vissuto in un modo che di regale aveva ben poco.

"Ti basta il sapone? Ce n'é un altro pezzo, se vuoi." chiese Éowyn, entrando nella stanza. Aveva in mano una lunga veste di lana. "Puoi indossare questa per la notte. È calda. Era di mia madre."

"Ti ringrazio. Stai esagerando con le cortesie." sorrise Goneril, sollevandosi in piedi.

Èowyn si girò dall'altra parte, imbarazzata dalla sua nudità. "Ti mette a disagio osservare un'altra donna?" chiese Goneril.

"No." rispose la principessa, porgendole un telo sempre senza guardarla. "Asciugati con questo." 

"Guardami." le ordinò lei.

Éowyn sussultò impercettibilmente, ma poi girò piano il capo. Goneril si era avvolta nel pezzo di stoffa, ma aveva lasciato scoperto un fianco. Lo sguardo di Éowyn venne attratto da un segno rosso che si allungava dalle costole fino all'anca della guerriera. 
Una brutta cicatrice.

"Oh...ma...come te lo sei fatto?" chiese la ragazza, impressionata.

"Non lontano da qui, tre anni or sono." spiegò Goneril, strofinandosi con il telo. Éowyn notò anche che aveva un fisico tonico, se non proprio muscoloso, specie le gambe. Anni spesi a cavalcare quel maestoso cavallo nero avevano fatto la loro parte, evidentemente.

"Sai gli Uomini delle Colline?" continuò Goneril, divertita dalle occhiate di Éowyn. La principessa di Rohan era esile e minuta, paragonata a lei. E piatta come una tavola: le forme della donna dell'Est erano decisamente più femminili.

"Sí. Quei rozzi barbari. Vivono ai confini del nostro regno, hanno rifiutato la protezione di mio zio." rispose Éowyn.

"Non esattamente. Tuo zio, e suo padre prima di lui, hanno rubato parte del loro territorio. Hanno tentato di sottometterli, ma si sono opposti. Hanno fieramente protetto la loro libertà." ribatté Goneril.

"No." obiettò Éowyn. "Opponendosi alla nostra protezione hanno scelto di continuare a vivere come animali. Dormono in grotte, si coprono con pelli di lupi, si cibano di frattaglie. E obbligano i loro bambini a crescere nella miseria. È terribile."

"Punti di vista. Io li considero un popolo orgoglioso, e in parte li rispetto. Il loro unico problema...è che sono un po' selvaggi, in questo hai ragione." disse Goneril, mettendosi quella specie di camicia da notte. La lana era grezza e pizzicava la pelle. "...come faceva tua madre a indossare questa veste? Sembra fatta con la juta."

Éowyn non replicò alla critica. "Quella cicatrice...te l'hanno lasciata loro?" chiese invece.

"Esatto, cara. Tempo fa commisero l'errore di attaccare un villaggio non lontano dalle colline. Un villaggio libero, non subordinato ad alcun regno. Noi c'eravamo accampati nei pressi, vedi il caso. Il capovillaggio ci raggiunse disperato: ci implorò di aiutare la sua comunità, perché quei barbari delle colline stavano razziando la sua gente. C'erano stati anche degli stupri. Cosí andammo sul posto e riuscimmo a disperdere quei pezzenti. Ne mandammo anche molti all'altro mondo." raccontò Goneril.

"Che orrore..." commentò Éowyn.

"Fu un pessimo affare, soprattutto. Quel villaggetto era povero, contadini... sai... ci pagarono in selvaggina e verdure." rise la donna. "Abbiamo mangiato carne di fagiano e lepre per non so quanti giorni."

"Ti colpirono al fianco?" chiese la ragazza bionda.

"Sí. Un tizio che credevo di aver ucciso stava solo fingendo di essere morto. Quando mi avvicinai al suo corpo steso a terra, mi pugnalò a tradimento." spiegò Goneril. "E cosí si spiega questo bel segno."

"Peccato. Rovina il tuo corpo." commentò Éowyn.

"Per quello che mi importa..." disse Goneril. "Hai un pettine, cugina?"

Éowyn rovistò fra le sue cose, tenute in un cassetto di un antico mobile. Estrasse un oggetto che sembrava una spazzola. "Tieni."

Goneril si sedette sul letto e iniziò a districarsi i capelli bagnati. Sembrava che una famiglia di topi ci avesse costruito un nido, tanto erano ingarbugliati.

"Ti aiuto. Aspetta." disse Éowyn, sedendosi dietro di lei.

"Se mi fai male, tra qualche anno anche tu ammirerai una bella cicatrice sul tuo corpo delicato, ti avverto." minacciò Goneril.

"Sei davvero cosí crudele? Io non lo credo." disse Éowyn, "... e sai una cosa? Ti invidio."

Goneril credette di non aver capito bene. "Invidi cosa?"

"La vita libera e avventurosa che hai fatto. Hai potuto combattere, farti valere, sei a capo di un esercito. Tutte cose che io posso solo sognare." rispose Éowyn amaramente.

"Hai ascoltato il mio discorso di prima?" rispose Goneril. "...vita libera e avventurosa..." ripeté. "Tu non sai neanche di che parli."

"Vorrei essere al tuo posto, invece." disse Éowyn, passando la spazzola fra quelle ciocche nere il piú delicatamente possibile.

"Curioso. Pensa, alcuni minuti fa ho pensato la stessa cosa riguardo a te." disse Goneril. "Mi sono chiesta come sarebbe fare una vita da privilegiata nipote di un Re. Servita, riverita, al sicuro in un Palazzo come questo. Ho idea che se fosse possibile scambiare le nostre esistenze, non saresti tu quella che ci guadagnerebbe."

Éowyn le diede uno strattone ai capelli. Goneril imprecó dal dolore e si giró per mollargliene uno dritto in faccia. Con inaspettata velocità, Éowyn le afferró la mano e le torse il braccio dietro la schiena. Il dolore alla spalla fu lancinante. Goneril urló di sorpresa e rabbia.

"Attenta, cugina...non sono debole come credi." disse la principessa di Rohan. Poi si alzó dal letto e lanció la spazzola sulle coltri. "Arrangiati da sola."

Senza ulteriori parole, uscì dalla stanza.

Goneril rimase seduta, massaggiandosi il braccio dolorante. 
La vecchia Goneril, la donna che era stata fino a qualche giorno prima, avrebbe seguito quella giovane impudente e le avrebbe dato un biglietto di sola andata per l'aldilà.

Stranamente, in quella circostanza stava invece mantenendo la calma. Anzi, vedere tanto carattere in quella ragazzetta le dava un certo senso di soddisfazione. Come una madre che pensa della figlia sono tanto orgogliosa di te.

Sorrise.

Questa te la lascio passare, bionda. Ma vedremo se avrai abbastanza fegato da tornare in questa stanza, pensó la guerriera, mentre il profumo di lavanda che usciva dalla sala da bagno iniziava a darle sonnolenza. Si adagió su quel letto improvvisato, e non ci volle molto perché gli occhi le si chiudessero. 
L'abbraccio del sonno l'avvolse.

⚜️⚜️⚜️

Si sveglió quando era giorno inoltrato. Lo capiva, perché dalle finestre entrava una luce forte e quasi accecante. Il sole era alto.

Calcolò che doveva aver dormito tredici ore come minimo. Per lei, che era abituata a svegliarsi ogni notte almeno cinque volte, era un fatto inusuale. Doveva essere stato l'assoluto silenzio del luogo, il fatto di essere adagiata su un vero materasso di lana e non un giaciglio di sacchi impilati uno sull'altro o forse il senso di tranquillità che quella stanza profumata le trasmetteva.

Si giró verso il letto di Éowyn. Lei non era lì, ma aveva dormito lì, perché le coperte erano sfatte.

Le aveva lasciato qualcosa. Su una delle sedie, era stato poggiato un abito per lei. Semplice, di tela grezza mista a velluto.

Goneril si decise ad alzarsi, con una smorfia: tutto il suo corpo era indolenzito. Non aveva ferite, per fortuna, ma sembrava che i suoi muscoli si fossero presi una vacanza. Le gambe protestarono alla sua decisione di alzarsi, e vennero percorse da delle improvvise contratture. "Sto invecchiando, mi sa." sorrise lei.

"Ti sei svegliata, finalmente." la salutó Éowyn, entrando nella stanza con una ciotola piena di qualcosa. "Questa la colazione gentilmente offerta dalle nostre cucine."

"Non mi avvicinerei troppo se fossi in te. Non è stata una bella pensata tentare di rompermi un braccio." rispose lei, osservando quel composto grigiastro nella ciotola. "Ma cos'é questa roba?"

"Zuppa d'avena. Riempirà il tuo stomaco per tutto il giorno." rispose la ragazza. "E...scusa per ieri."

"L'hai preparata tu? Se ti é venuta come quello stufato, puoi gettarla ai maiali." rispose Goneril, infilandosi quell'abito. Era stretto su di lei.

"Sempre gentile, vedo. L'hanno preparata le nostre cuoche. E non disturbarti a ringraziare." ribatté Éowyn. "Ho una notizia."

La donna si giró. "Cioé?"

"Aragorn e gli altri sono tornati da Isengard." spiegó la principessa. "Saruman é morto."

Goneril rimase spiazzata. "Saruman, dici sul serio...? L'ha ucciso Gandalf?"

"Non lo so. So che i suoi giorni da servo del Male sono finiti. É un grande sollievo per tutti." sospiró Éowyn. "Se Eru vuole, l'incubo é finito."

"Ma nemmeno per scherzo." ribatté Goneril. "Lo Stregone era un burattino. Il Nemico è Sauron. Sconfiggere lui sarà tutta un'altra storia."

Éowyn annuì. "Comunque, ora ha un'arma in meno. E c'é un'altra cosa che devi sapere." continuó. "Gandalf ha ritrovato quei due mezz'uomini...come li chiamano..."

"Hobbit." suggerì la soldatessa.

"Sì. Li ha portati qui. Forse dovresti incontrarli." disse Éowyn.

Goneril corrugó la fronte. "E perché? Che vuoi che mi importi di due nanetti della Contea?"

Éowyn si avvicinó a lei e l'aiuto a legarsi il corpetto dietro la schiena. "Ho origliato da dietro una porta mentre lo Stregone e Aragorn si parlavano. Ho sentito che uno di quei due porta su di sé un oggetto di enorme valore." disse. "Un...Anello."

"Hai la stoffa della spia, i miei complimenti." ghignó Goneril. "...che tipo di Anello?"

"Un Anello magico, dicevano. Ha a che fare con...Sauron." rispose Éowyn. 
"E credo che tu debba approfondire la faccenda."

Goneril si giró a guardarla. "Non so cosa possa essere." rispose, pensierosa. "Senti...avete una biblioteca qui?" chiese alla giovane.

"Ma certo." rispose Éowyn. "Come in tutti i reami."

"Suppongo abbiate dei volumi sulla Storia della Terra di Mezzo. Va' a cercarli e portami tutti quelli relativi alla genesi di Arda, agli Elfi, e agli strumenti magici." disse Goneril. "Da quando ho incontrato Aragorn e gli altri ho avuto il sospetto che fossero in missione. Forse quell'Anello di cui parli é legato alla faccenda in cui sono coinvolti, ma se é un segreto...di certo non me lo verranno a dire."

"Va bene. Ti porterò quello che hai chiesto. Ma ti chiedo un favore in cambio." propose Éowyn.

"Un altro, oltre a quello di fare una buona azione?" ribatté Goneril ironica. "E a proposito, credo di aver mantenuto la promessa, visto che non ti ho uccisa dopo lo sgarbo di ieri sera."

"No. Voglio che tu mi coinvolga in tutto ciò che farai. Voglio starti vicino e aiutarti. Voglio...vivere la vita che fai tu." disse Éowyn.

Goneril sorrise. "Beh, mia cara, non lo definirei un favore. É piuttosto una condanna."

Éowyn non rispose. Si limitava a osservarla con quegli occhi celesti pieni di improvvisa luce.

"...ma se desideri, ti accontenterò. Ora va'. E non farti sorprendere da tuo zio, o dagli altri." la esortò Goneril. "Se le informazioni che raccoglieremo porteranno alla scoperta di qualcosa di importante...potrei anche farti entrare nella mia legione."  disse con un sorriso. "...di certo mi saresti più leale di quei briganti là fuori."

"Aspetta qui." disse Éowyn, e lasciò la stanza.

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Capitolo 24
*** A Rohan ***


"Hammon, vieni qui." ordinò Goneril.

Aveva momentaneamente lasciato la stanza di Éowyn per far visita ai suoi soldati, che dopo il risveglio si erano radunati fuori dal Palazzo reale e si stavano chiedendo cosa sarebbe stato di loro.  Non aveva nessuna voglia di parlare con Degarre.

L'altro giovane capitano la raggiunse. "Dimmi, Goneril."

"Re Théoden vorrebbe che partecipassimo ai festeggiamenti di questa sera." esordí la donna. "Te l'hanno detto, immagino."

"Sí. E conosco già la tua risposta: gli dirai di no. Dopo aver ricevuto il compenso ce ne andremo." ribatté Hammon.

"No. Ti sembrerà incredibile, ma ho deciso di restare. Accetterò l'invito del Re. E partiremo fra qualche giorno." lo informò Goneril.

Hammon inarcò le sopracciglia. "Mi stupisce. Di solito non ami queste cose...feste e altro..."

"No. Di solito, no. Ma c'é qualcosa che mi trattiene. Rimarremo. Informa gli uomini." comandò lei. "A proposito, quanti sono i caduti fra le nostre fila?"

"Trentadue, purtroppo." le disse Hammon. "Non abbiamo mai avuto un simile numero di perdite."

"Non abbiamo mai neanche combattuto in una battaglia di simili proporzioni, mi sembra." disse lei. "Vorrà dire che recluteremo gente nuova nei prossimi mesi. Di ex combattenti o giovani temerari in giro ce n'é abbastanza." Poi un pensiero la colse: "Dov'é Lassalle?"

"È tornato da sua madre. O forse ha fatto domanda per entrare in qualche esercito." la informó Hammon. "Non ne ha voluto sapere di rimanere con noi."

Goneril non rispose.

"Parlo subito con Degarre della tua decisione." aggiunse lui. "Ho notato che...  lo hai evitato per tutto il tragitto di ritorno dal Fosso di Helm..."

"Lo so. Hammon, é tempo che ti prepari a nuove responsabilità." disse improvvisamente la Generalessa. "Ho deciso che sarai tu il mio punto di riferimento, d'ora in avanti."

Il soldato era incredulo. "Cioé...vuoi declassare proprio Degarre? Ma...è un veterano, e gli uomini lo rispettano."

"Io non lo rispetto più. Ti é chiaro?" chiese lei. "Ma non lo voglio declassare. Rimarrà capitano, ma sarai tu la persona con cui mi confiderò, l'esecutore diretto dei miei ordini. Diciamo...che ti sei guadagnato un posto nel mio cuore." gli disse, con uno sguardo che di benevolo aveva ben poco. 
Hammon non sapeva se prendere la cosa come una promozione o come l'inizio di una serie di grane. Diventare il nuovo braccio destro di Goneril poteva avere risvolti non proprio piacevoli.

"Se desideri questo, sarà fatto." rispose il capitano. Poi si guardó intorno. "Gli uomini ti sono rimasti fedeli. Vorrei che tu lo sapessi, in caso avessi dubbi."

"Già, che bravi...Sono tutti qui. Ma questo non significa niente..." mormorò lei. "Quante cose si capiscono con il passare del tempo..."

Hammon non sapeva come replicare. Il suo comandante era cambiato. Oltre l'usuale aura di ferocia, c'era una nuova amarezza in Goneril. Non si fidava più di nessuno.

"Di' loro che presto riceveranno disposizioni. Per il momento staremo qui." ripeté Goneril. "E che nessuno si azzardi a importunare la popolazione di Rohan."

"Non temere." assicurò Hammon.

⚜️⚜️⚜️

"Ti ho portato ciò che hai chiesto. Ma dov'eri?" disse Éowyn. La stava aspettando in camera.

"Con i miei soldati. Cos'hai trovato?" chiese Goneril.

Éowyn aveva recuperato alcuni volumi dalla libreria privata del Re. A giudicare dallo strato di polvere che ricopriva le copertine, nessuno li aveva aperti da molto tempo.

"Questo dovrebbe interessarti. É un saggio sui popoli di Arda. Ho trovato riferimenti a degli anelli fra le sue pagine." spiegò Éowyn.

"Da' qua." la esortò la gierriera. Prese il libro dalla copertina rossa e sfogliò stancamente le pagine. Ci sarebbero voluti giorni per finirlo, le parole erano scritte a caratteri piccolissimi e le pagine erano sottili e fragili. Goneril si limitò a osservare le illustrazioni, fino a che trovò un disegno particolare: la scena tratteggiata rappresentava nove Re, intenti a rimirare qualcosa alle loro dita. Lesse la pagina successiva: veniva fatto accenno a nove anelli che erano stati donati a nove sovrani mortali secoli addietro. La donna lesse tutto con attenzione: forse l'oggetto misterioso che uno degli Hobbit custodiva era uno di quei monili.

"Allora?" incalzò Éowyn.

"Non so. Non capisco. Qui viene raccontato di nove Re traditori, nove Re mortali che scelsero Sauron come padrone, ma é una storia che di per sé non rivela nulla. Dovrei leggere tutto questo libro..." disse Goneril, con un sonoro sbuffo.

La principessa di Rohan nel frattempo sfogliava un altro saggio. Il suo sguardo cadde su una frase. "Hey..." disse. "Hey...senti qua: qui è narrato di Isildur. La battaglia alle pendici del Monte Fato. L'ultima alleanza fra Uomini ed Elfi, quando Sauron fu sconfitto..."

"Sí conosco la storia. Fu sconfitto perché Isildur ebbe la prontezza di tagliargli un dito, a cui portava un..." 
Goneril si fermò. "... un anello che aveva il potere di governarne altri...sí, ora ricordo qualcosa..." La donna si maledí per non aver approfondito i suoi studi in gioventù.

Éowyn alzó gli occhi celesti verso di lei. "Dici che potrebbe essere questo l'oggetto che uno degli Hobbit custodisce?" chiese.

"E credi che quei due contadinelli alti quanto un bambino possano avere qualcosa di tale valore? Come lo avrebbero trovato?" rispose Goneril. "No. No, non può essere."

"Io non so più cosa pensare, ormai." sospirò Éowyn. Si portò le mani alla testa, come colpita da un'improvvisa e violenta emicrania. "In pochi giorni, ho visto cose a cui stento ancora a credere." si alzò dalla scrivania della sua camera. "Ho scoperto che mio zio ha una figlia illegittima..."

"...questo é da vedersi..." mormoró Goneril.

"...soprattutto, ho visto una moltitudine di mostri assalire la mia gente. Volevano sterminarci, capisci? Io non credevo che a questo mondo esistesse un Male simile." proseguí la ragazza.

"Ah, poverina. E dove credevi di vivere, Éowyn? In qualche fiaba? Benvenuta nella realtà, allora. Questo é il bel mondo con cui mi sono confrontata io, per tutta la mia vita." la prese in giro Goneril. Poi buttò il libro sul letto. "Voglio incontrare i due Hobbit. Se uno di loro avesse con sé qualcosa di importante, lo intuirò subito."

"Sono con lo Stregone, ora." le disse Éowyn. "Sono entrambi in ottima forma, e questo ha stupito un po' tutti. Sire Aragorn credeva di ritrovarli affamati e malconci..."

"Chi? Gli Hobbit? Non conosci la loro razza, gioia mia... forza, fammi strada. Portami dai piccoletti." la esortó Goneril.

⚜️⚜️⚜️

"No, no, no...io dico che é stato il mio cervello a risolvere la faccenda, Merry." disse l'Hobbit coi capelli rossastri. Erano entrambi nella grande cucina di Rohan, intenti a spartirsi un piatto di funghi e patate. Quei funghi non avevano proprio un aspetto fresco e recente, ma Goneril immaginò che per due abitanti della Contea fossero comunque una delizia senza paragoni. "Ricordati che ho suggerito io a Barbalbero di cambiare direzione e portarci a Isengard. Se non lo avessimo convinto, non avrebbe visto lo scempio che gli Orchi avevano fatto della foresta, e non si sarebbe infuriato, e non avrebbe chiamato a raccolta gli altri Ent e di conseguenza..."

"Va bene, basta Pipino. Mi stai facendo venire mal di testa!" sbottò l'Hobbit biondo dalla faccia buffa. "Vuoi sentirti dire che sei un genio? Non te lo dirò mai. Puoi scordartelo, capito?"

Goneril si avvicinò al tavolo dei due. Picchiò una mano sul legno. "Signori!" esordí. "Scusate l'interruzione..."

I due Hobbit sobbalzarono come punti da un calabrone. "Chi sei tu?" chiese l'Hobbit biondo.

"Sono chi dovreste augurarvi di non incontrare mai." sorrise la donna. Prese un fungo e lo annusó. "Non capisco come possa piacervi tanto una schifezza simile."

L'Hobbit biondo ripeté la domanda, guardandola torvo. "Ti dispiace dirci chi sei?"

Goneril afferró una sedia e la trascinó al tavolo. Si sedette con i due mezz'uomini. "Mi chiamo Goneril. Sono un comandante militare. I miei soldati mi chiamano generale, ma non é la definizione più giusta, considerando che il mio non é un vero esercito. Li avete senz'altro visti, là fuori: una masnada di assassini molto ben addestrati. Sapete, per la seconda volta in vita mia, sono ospite in questo reame. Un'ospite forzata, in verità... Re Théoden, che avete conosciuto, non vuole lasciarmi andare, povero lui." disse con noncuranza. I due Hobbit si guardarono confusi.

"E perché?" chiese quello fulvo. Goneril si chiese quanti anni avessero quei due. Gli Hobbit sembravano per certi versi dei bambini, e venivano trattati come bambini, ma quei due davanti a lei erano adulti. Potevano avere fra i trenta e i quarant'anni.

"Pipino! Non dare confidenza!" bisbiglió l'altro.

"Perché crede che io sia sua figlia." rispose lei.

"... la figlia di Théoden?" chiese Pipino. "Una...una principessa?"

"Questo lo crede il re, Eru solo sa per quale motivo. Comunque, io vi ho detto il mio nome. Educazione vuole che vi presentiate anche voi. Tu, ti chiami sul serio Pipino?" chiese lei.

L'Hobbit gonfió il petto. "È solo un soprannome. Mi chiamo Peregrino Tuc, della famiglia dei Tuc. Siamo conosciuti presso la nostra gente!"

"Ma non mi dire. E tu?" chiese lei, puntando un dito verso Merry.

"Mi chiamo Meriadoc Brandibuck. Io e Pipino siamo cugini." rispose il piccolo Hobbit.

"Due cugini Hobbit lontano dalla Contea..." mormorò Goneril. "...cosa vi ha portato a Isengard, se é lecito saperlo? Come mai Aragorn e gli altri si sono precipitati a cercarvi là, ieri?"

"É un segreto." tagliò corto Merry. Fra i due, sembrava quello con maggior personalità.

"Un segreto che il tuo amico di Gondor ha spifferato senza problemi." disse Goneril. Decise di provare a tendergli un tranello dialettico. "So tutto, Meriadoc. So dell'Anello."

Entrambi gli Hobbit sgranarono gli occhi. "Sai di Frodo? E della Compagnia?" chiese Pipino.

Lei proseguì con la commedia. "Certo, so di Frodo." mentì. "E so cosa ha fatto. Allora, vi va di fare una chiacchierata sull'argomento?"

"Aspetta..." la interruppe Merry. "Grampasso non può averti parlato di Frodo e Sam. Stai provando a fregarci!"

"Giusto! A fregarci!" aggiunse l'altro Hobbit.

"A... fregarvi? Fregarvi cosa, esattamente?..." incalzó lei, sperando di cavar loro fuori una confessione. "Qualche fungo o ghianda che magari portate in tasca? E cos'é questa Compagnia?"

"La Compagnia dell'A..." disse Pipino.

"Zitto!" lo interruppe l'altro. Poi si giró di nuovo verso di lei. "Niente. Non abbiamo niente. Ora, lasciaci finire la nostra prima colazione, per favore." disse Brandibuck.

"E va bene. Goditi il pasto, Meriadoc o come ti chiami. Ma ricorda: voi non avete segreti. Lo sanno tutti, cosa nascondete..." disse alzandosi e fingendosi annoiata. Era, in verità, incuriosita più che mai, ma qualcosa era emerso. Avevano fatto due nomi: Frodo e Sam.

Rifletté sulla quantità di fatti che stavano accadendo uno dopo l'altro: il suo presunto legame con Théoden, il fratellastro di Legolas, Roswehn di Dale che in quelle ore forse era tranquillamente seduta davanti a un camino, ignara della morte di Haldir e del fatto che Sauron avesse deciso di mandare alla malora tutta la Terra. Il tentato voltafaccia dei suoi soldati. E adesso la storia di un misterioso Anello, e di una Compagnia che aveva chissà quale missione da portare avanti.

In tutto ció, una sola cosa era chiara: non se ne sarebbe andata tanto alla svelta da Edoras.

⚜️⚜️⚜️

"Vuoi scherzare?"

Éomer non poteva crederci. Rispettava suo zio come aveva rispettato suo padre, quando era in vita, ma quello che gli stava dicendo era semplicemente una follia.

"Sí, Éomer. Io ne sono convinto." rispose il Re, mentre si faceva aiutare da un attendente a indossare la sua veste più elegante. Si stava preparando alla celebrazione per la vittoria.

"Quella donna, quella...criminale assassina...sarebbe tua figlia?" chiese ancora il giovane.

"Gli indizi ci sono tutti. Fu adottata da una coppia del Nord poco tempo dopo che ordinai di portare la bambina fuori dal reame. La sua età, il mese della sua  nascita, la somiglianza con Margery...tutto corrisponde." disse Théoden, a disagio.

Aveva dovuto confessare anche a Éomer il suo tradimento coniugale, e negli occhi del nipote aveva letto lo stesso silenzioso rimprovero che aveva scorto in quelli di Éowyn.

"Come ho detto a tua sorella, non sono fiero di me. Vorrei tornare indietro e agire diversamente, specie nei confronti di mia moglie. Ma così sono andate le cose, e devo fare ammenda. Questo mi impone il mio onore." confessó il Re. "Tanto per cominciare, voglio accogliere quella sfortunata ragazza nel nostro reame. Farmi perdonare per averla abbandonata, capisci. Le daró il titolo di principessa, e la mia eredità."

"E credi che accetti? Hai visto con chi hai a che fare? Quella sta aspettando solo che tu la paghi per poi andarsene! Non gliene importa niente di questo regno!" sbottó Éomer. "E io non la voglio qui. Ho dovuto sopportare la presenza di Grima e i suoi abusi su di noi...non mi piegheró anche davanti a quella strega."

"Non è la stessa cosa. Lei ha il mio sangue." disse il Re. "Lo so. É ostile verso di me, non potrebbe essere altrimenti. E capisco anche te, Éomer. É chiaro che se la ragazza dovesse rimanere e accettare il nuovo ruolo a Rohan, tu perderesti il diritto alla successione."

"Non mi interessa questo. Io non voglio che una persona del genere si insedi qui, e che in futuro abbia la responsabilità di guidare la nostra gente. Non abbiamo bisogno di una Regina avida e sanguinaria. Trascinerebbe Rohan in guerra contro altri regni. Io so di che pasta é fatta." disse ancora il giovane.

"Come puoi esserne certo? Vi siete parlati solo poche volte...tu non la conosci affatto, Éomer. Ma io credo, che ci sia ancora del buono in lei. Ed é una straordinaria combattente, mi hanno detto. Sa farsi valere, questo é positivo." obiettó il Re. "Glielo devo. Cerca di capirmi."

Éomer non replicó. Immaginava, in parte, i sentimenti di suo zio. Théodred era stato ucciso e il Re si trovava senza eredi di sangue. La comparsa improvvisa di quella donna gli aveva dato la speranza che la sua linea potesse continuare.

Ma lui aveva letto nello sguardo di Goneril tale e tanta cattiveria da fargli tremare le gambe, alla sola prospettiva che venisse investita, in futuro, del potere assoluto. Suo zio si colpevolizzava per averla abbandonata, dentro di sé forse pensava che dovevano essere stati i dispiaceri e le sofferenze patite a indurire il suo cuore...ma Éomer non era d'accordo.

Quanti bambini sfortunati esistevano, a quel mondo? Quanti orfani, poveri, vittime di ogni genere di soprusi vivevano nella Terra di Mezzo? Ma non tutti diventavano feroci omicidi in età adulta.

Quella stessa mattina, Éomer aveva parlato con Degarre , il capitano più anziano della legione. Gli aveva raccontato le nefandezze di Goneril, gli aveva detto che sperava di lasciare quel gruppo guerriero entro pochi anni, perché ne aveva abbastanza di lei. No, la donna aveva un animo negativo, e ció non era la conseguenza di un'infanzia dura. Era nata così.

Anche l'Elfo biondo, quel Legolas, teneva le distanze da lei. Questo era un segnale in più. La grande sensibilità degli Elfi permetteva loro di riconoscere gli animi votati al Male.

Éomer inizió a preoccuparsi. Suo zio non sentiva ragioni, la donna doveva restare. E lei, se era davvero astuta come il giovane credeva, avrebbe anche potuto fingere di fare la volontà di Théoden, per avere un tornaconto in futuro: magari svuotare la tesoreria di Rohan e fuggire, magari aspettare la morte del Re per poi poggiarsi la corona sul capo e fare danni inimmaginabili.

E poi, non gli piaceva per niente la vicinanza con Éowyn. Le due stavano stringendo un legame, lo aveva capito. Sua sorella era una sognatrice, voleva combattere, voleva essere una guerriera. Quella donna sbucata dal nulla era l'incarnazione esatta dei suoi sogni. Se avesse anche plagiato Éowyn sarebbe stata un'ulteriore tegola sulla loro famiglia.

"Éomer, aiuta tua sorella con i preparativi. Ti prego." la voce del Re lo richiamó alla realtà. "E non crucciarti: vedrai, le cose andranno come devono andare. Io ho una buona sensazione per il futuro."

Éomer annuì e finse calma, per farlo contento.

Io invece no. Proprio per niente caro zio, pensó.

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Capitolo 25
*** Storie ***


"C'era una volta un Re." esordì Goneril, mentre Éowyn l'aiutava nella vestizione.

La giovane aveva insistito perché la sua nuova amica, e presunta cugina, indossasse un suo abito da cerimonia per i festeggiamenti a Edoras.

Éowyn era curiosa. In quelle ore spese in camera sua, non aveva fatto che sommergerla di domande sulla sua vita e sulle sue avventure, bevendosi i suoi racconti come un assetato nel deserto. A un certo punto, le aveva chiesto quale fosse l'origine del nome Goneril.

"É insolito. Non sembra un nome di donna." aveva detto.

La guerriera aveva dovuto tornare con la memoria ai ricordi della sua infanzia, e ripescare nei meandri della mente quel momento in cui aveva rivolto la medesima domanda alla sua matrigna, che le aveva raccontato una storia. La donna che l'aveva allevata aveva una vera passione per le leggende del passato su reami e principesse.

Goneril raccontava. "...questo Re di un regno lontano, oltre i confini di Arda, aveva tre figlie: Regan, Goneril e Cordelia. Un bel giorno, scelse di abdicare e di ripartire il reame in tre territori distinti, sui quali ognuna delle sue figlie avrebbe avuto il pieno controllo. Decise di indire una stupida gara: la figlia che gli avrebbe dimostrato più amore, avrebbe ricevuto il territorio più esteso. Goneril e Regan accettarono, mentre Cordelia, la più giovane e l'unica non ancora sposata, si rifiutò. Arrabbiato, il Re la cacciò dal reame." spiegó.

Con fatica respirava in quell'abito cosí stretto per lei. Era di velluto color bosco, e si intonava magnificamente con la sua pelle chiara e i capelli neri. "...mi manca il respiro, allenta il corpetto." disse a Éowyn.

"No. Deve stare cosí. Ti scivolerà sulle spalle se sciolgo i lacci." rispose la bionda principessa.
Goneril distese le labbra in un sorriso. "Non é che speri di uccidermi in questo modo? Magari bloccandomi la circolazione e il respiro?"

"Questa é una cosa che faresti tu." rispose la giovane. "Per caso vuoi presentarti davanti a tutti in armatura?"

"Non sarebbe un problema. La vanità non mi appartiene." disse lei. "Ascolta, adesso: devi stare appresso ad Aragorn, questa sera. Devi farlo parlare."

Dall'improvviso rossore sul volto di Éowyn, la donna capí che la prospettiva non le dispiaceva per niente. "Fallo bere, fallo ubriacare. E poi, chiedigli di quell'Anello. Fatti raccontare che genere di missione stanno portando avanti lui e gli altri. Cerca di arrivare alla verità."

"Non ho intenzione di prendermi gioco di lui. Non voglio tendergli tranelli." rispose Éowyn. "Arriveremo alle risposte in un altro modo."

"Quale altro modo? Ho già tentato di parlare ai due Hobbit: sono determinati a difendere il segreto. Gandalf non direbbe una parola sull'argomento, credo ci sia lui a capo della faccenda. Non mi fido neanche di quel Gimli: perfino da ubriachi i Nani sono furbi, mi racconterebbe qualche sciocchezza per confondermi... e in quanto a Legolas...preferirebbe farsi tagliare un braccio, piuttosto che confidarsi con me. È Aragorn la via verso la verità. Ed é con Aragorn che dobbiamo parlare."

"Non posso." mormorò Éowyn. Poi la guardò negli occhi. "Non voglio."

Goneril le prese il viso fra le mani. "Sei innamorata di quel tizio, vero?"
Éowyn fece un passo indietro e si allontanò bruscamente. "No." mentì.

"Sí, invece. E lo ha capito anche lui." sorrise la donna.

La giovane spalancò gli occhi. "Cosa...cosa ha capito?!" chiese.

Goneril sospirò. "Mia cara, non esiste niente al mondo di piú irresistibile per un uomo di una donna innamorata di lui. Sono vanesi, molto più di noi."

"Io non ho mai fatto....non ho mai fatto niente per fargli pensare questo!" provò a replicare Éowyn, livida d'imbarazzo.

"Ma non é necessario. I tuoi occhi parlano per te. Di cosa ti vergogni, si puó sapere?" la provocò Goneril, a cui in realtà non importava niente delle fregole amorose della ragazza. Ma la sua infatuazione per Aragorn poteva farle gran comodo. "Vedi, lui é in una fase di cambiamento. Sta decidendo se preparasi a un futuro da Re o tornare a fare il ramingo. Ha bisogno di qualcuno che lo capisca e che lo conforti. Magari potresti essere tu, quel qualcuno, che dici?"

"Lui ama un'altra donna. Lo sai bene." sussurrò Éowyn, guardandosi al grande specchio della sua stanza. "I tuoi sono discorsi privi di senso."

"Chi, la figlia di Elrond? Sí, avranno anche avuto una storia d'amore...ma non c'é futuro per loro. Lei é un Elfo femmina, non é una donna. É immortale, lui no. E credo...che si siano detti già addio. Gli Elfi stanno lentamente lasciando la Terra di Mezzo, e non mi stupirei se Elrond avesse convinto sua figlia ad imbarcarsi su quei velieri. Le navi che li conducono a Valinor. Con lei fuori dai giochi, il campo é libero per te." disse Goneril. "Sarebbe un'unione perfetta. Immagina se Aragorn diventasse sul serio Re di Gondor. Se ti unissi a lui in matrimonio, i due Regni degli Uomini diventerebbero un unico grande reame. Pensa al potere che avresti, una volta Regina di questo sterminato territorio."

Éowyn si perse in queste fantasie. Il suo sguardo era lontano e sognante e per un attimo, per un brevissimo istante, Goneril intravide sul suo viso un'esaltazione cosí forte da trasfigurarla, quasi. Poi tornò in sé. "Ma non eri tu quella che odiava i Re e l'aristocrazia?" chiese a Goneril.
"Proprio cosí, e non cambio idea. Quello che ti ho descritto potrebbe essere il tuo futuro, non il mio. Io sarò lontanissima da Rohan e Gondor fra qualche anno. Ma tu, dovresti rifletterci." ribatté Goneril. Poi si appoggiò la chioma corvina sulla spalla destra, lasciando scoperta l'altra spalla. "Allora, vogliamo andare a questa festa? Tuo zio ti starà aspettando per fare gli onori di casa."

"Come finisce quella storia?" chiese Éowyn. "Il Re con le sue tre figlie...che cosa succede a Cordelia, la giovane ribelle?"

"Beh, per farla breve: lascia il reame, sposa il Re di un altro Regno, e pensa, a capo dell'esercito di quel Regno muove guerra contro le sue due sorelle, che nel frattempo si sono rivoltate contro il padre. Lo fa mossa dall'amore per lui, capisci, nonostante questi l'abbia diseredata. Alla fine Cordelia e il vecchio Re si riappacificano...ma per sventura muoiono entrambi."

"È bellissima." commentò Éowyn. "La tua matrigna avrebbe dovuto chiamarti Cordelia. Mi sembra più adatto alla tua personalità. E vedo attinenza con la tua vicenda."

"Ti sbagli. Goneril, la principessa da cui ho preso il nome, a un certo punto avvelena sua sorella Regan, per vendetta e invidia. E sai una cosa? É esattamente quello che avrei fatto io." sorrise la donna. "La mia matrigna ha fatto l'unica cosa giusta della sua vita, dandomi quel nome."

Éowyn rabbrividí. Nonostante stesse provando a stringere un legame con quella donna misteriosa, la sua strisciante perfidia, che di tanto in tanto ricompariva, ancora la spaventava. Udì il suono dei liuti.
"Andiamo. I festeggiamenti sono iniziati." disse la giovane principessa.

⚜️⚜️⚜️

C'era una tal confusione neanche il Palazzo di Théoden fosse stato una taverna di quart'ordine. Il Re aveva pronunciato un discorso solenne prima dell'inizio delle gozzoviglie, con Éomer al suo fianco che per tutto il tempo non aveva fatto altro che guardarla di traverso. Il giovane nipote aveva trattenuto un'imprecazione, quando il Re aveva alzato il calice in onore della vittoria e degli "affetti ritrovati", girandosi verso la guerriera.

Goneril era in prima fila, in rappresentanza della sua legione. I suoi quattrocentosessantotto uomini, con i soldati di Rohan, riempivano il grande salone principale. Subito nell'aria si era diffuso odore di vino, birra, cibo cotto alla brace misto al profumo dei fiori che Éowyn aveva dato ordine di portare dentro.

La donna dell'Est aveva fatto il suo ingresso godendosi le occhiate dei cavalieri di Rohan, colpiti dalla sua bellezza svelata d'improvviso e da quel trionfo di curve tenute faticosamente contenute dall'abito.
I suoi mercenari, invece, erano rimasti al solito impassibili. Sapevano fin troppo bene cosa si nascondeva, sotto a quel corpo attraente.

"Sei davvero uguale a Margery. Questa sera più che mai." aveva mormorato il Re, una volta dato inizio al banchetto. Si era avvicinato a lei e le aveva preso la mano. "Ti ringrazio per aver scelto di restare."

"Non dimenticate l'affare che abbiamo in sospeso, Maestà." aveva replicato la soldatessa. "Qui ci sono ancora in ballo due casse d'oro."

"Sí, dopo...dopo, parleremo di tutto." aveva detto Théoden. "Ora, ti prego, goditi la serata. Cerca di sorridere. Fa' come fossi..."

"...a casa mia?" terminò lei. "Insistete con le vostre fantasie."

Un piccolo spasmo attraversò il viso del Re. "Ti auguro di divertirti, cara. Éowyn, ti chiedo di presentarla alla nostra gente. E... cerca di rilassarti anche tu questa sera. Te lo meriti. Ho saputo che sei stata coraggiosa al Fosso di Helm."

Éowyn annuí, rispettosa. "Sí, zio."

Il Re si allontanò per salutare gli altri ospiti e stare un po' con i suoi soldati.

Éomer si avvicinò alle due donne. L'espressione che aveva sul viso sembrava l'annuncio di un temporale.

"Conosci già mio fratello." disse Éowyn.

Goneril sorrise. "Se non sbaglio, questo giovane minacciò di decapitarmi, al nostro primo incontro."

"Sta' attenta." disse Éomer. "Sono ancora in tempo a farlo."

"Éomer!" sbottò sua sorella.

"Calma, Éowyn. Il nostro Maresciallo, qui, é un tantino nervosetto. C'é da capirlo." sospiró Goneril. Si avvicinó a lui di un passo. "La corona ti é scivolata dalla testa, vero?"

"Attenta, ho detto." ringhió di nuovo Éomer.

Éowyn intervenne. "Molte cose stanno cambiando, fratello. Credo che dovreste parlarvi, conoscervi. Nostro zio vuole questo. Vi lascio soli, perciò." detto questo, prese un recipiente pieno di vino e fece per allontanarsi.

"Hey!" disse Goneril. La ragazza si voltò. La guerriera indicò con lo sguardo Aragorn. Ricorda cosa ho detto. Fallo parlare, dicevano i suoi occhi. Senza replicare, Éowyn sparí in quella moltitudine di uomini festanti.

Quando si girò di nuovo verso Éomer, notò che lui la stava osservando dalla testa ai piedi, e aveva soffermato lo sguardo qualche secondo di troppo sul suo décolleté. "Questo abito é di Éowyn. Su di te, non lascia spazio all'immaginazione." disse lui.

"Tu non devi immaginare proprio niente, Éomer. Ti ricordo che secondo tuo zio, io e te saremmo cugini." replicò lei.

"Eru mi fulmini, se fosse vero." sbottò il giovane.

"Si può sapere cos'hai contro di me? Per quale ragione ho attirato il tuo disprezzo? Cosa ho mai fatto contro te o la tua famiglia?" chiese lei fingendo ingenuità.

"Non é quello che hai fatto. É quello che farai, a preoccuparmi. É quella luce furba che hai nello sguardo a non piacermi. E ti conviene stare alla larga da mia sorella." disse lui. "Non scherzo."

"Tua sorella ha grande carattere. É un peccato che tu e tuo zio non immaginiate altro per lei che una vita monotona come moglie e madre di qualche marmocchio urlante. Merita di meglio, credimi." replicò Goneril. "Magari avete già scelto un marito per lei, eh?"

"Tu pensa per te. Ho sentito che tua madre non era esattamente un esempio di virtù." la provocò Éomer.

"Come non lo é tuo zio. Dico bene?" rispose lei, per nulla mortificata. Poi alzó il suo calice di vino. "Facciamolo contento, avanti. Fingiamo di andare d'accordo e non temere...non intendo rubarti la corona, né tua sorella. Presto io non saró che un pallido ricordo per tutti quanti voi."

Éomer non rispose. Sentì un improvviso berciare alle sue spalle. I due Hobbit erano saliti su un tavolo e stavano intonando canzoni della loro gente, per il divertimento di tutti. Erano probabilmente già ubriachi.

"Vedi? Questa sera é per i giovani, come dice tuo zio. Sta' un po' con i tuoi uomini, hanno l'aria di annoiarsi." disse lei.

"E tu? Perché non stai con i tuoi soldati? Forse perché...non ti sono più tanto leali? Ho parlato con quel tuo capitano, a quanto pare cova un risentimento nei tuoi confronti. Mi guarderei le spalle, fossi in te." le disse Éomer. Poi si allontanó a sua volta, verso un gruppo di uomini decisi a ubriacarsi di birra. Si unì a loro, che lo acclamarono.

Legolas e Gimli erano in quel gruppetto, e Goneril sorrise vedendo il delicato Elfo di Boscoverde del tutto disorientato in quel baccano e in quella confusione. Pensa se ti vedesse tuo padre. Le sfuggì una risata.

"Hai parlato con Merry e Pipino." disse una voce dietro di lei. La voce di un anziano. Si voltó. Era Gandalf. Appoggiato a una colonna di legno, osservava i festeggiamenti con strano distacco. Sembrava triste.

"No. Ho tentato di far loro domande, ma sono più chiusi di una porta chiusa." replicó lei.

"Sì. Non vogliono tradire il loro amico Frodo." commentó Gandalf. "Ti hanno parlato di lui, credo."

Goneril si avvicinó. "So solo che qui é in corso una missione segreta, e che un misterioso Anello c'entra qualcosa. Avete tutti quanti allestito un bel teatrino e ho idea che tu sia il burattinaio."

"Cosa vuoi fare con Théoden?" chiese Gandalf. "Vuoi fermarti qui? Accettare il posto che vuole darti nel suo cuore e nel suo regno?"

"No. Non voglio, e il Re lo sa. Ne ho abbastanza. Sono dieci anni che conto i giorni, le ore, i minuti che mi separano dal mio progetto. Da quel posto lontano che diventerà casa...casa mia. Io non ho mai avuto una casa. Théoden dovrà rassegnarsi: il suo potere verrà preso da Éomer. Io non ne voglio sapere più niente di questa maledetta Terra." disse.

Gandalf scrutó il suo viso per qualche secondo. "É davvero ció che vuoi?" le chiese di nuovo.

"Certo." rispose lei, secca.

"Allora seguimi. Devo...raccontarti una storia." disse lo Stregone.



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In questo capitolo ci sono riferimenti all'opera "King Lear" di W. Shakespeare

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Capitolo 26
*** la Compagnia ***


Goneril seguì Gandalf fuori dal Palazzo.

Osservó il cielo: lo splendore delle stelle con la luna piena al centro non riusciva mai ad emozionarla. Provava sincera invidia per coloro che riuscivano a farsi rapire dallo spettacolo della notte. A lei, quella vista ricordava solo le molte sere trascorse a dormire sul patio di quella piccola fattoria nei pressi dei Monti Azzurri. Preferiva dormire all'aperto, delle volte, per paura che il suo fratellastro sgattaiolasse in camera sua con qualche intenzione non proprio fraterna.

Gandalf si appoggió alla merlatura in pietra che delimitava il percorso di ronda. 
"Non tenteró di mentirti. Sei troppo furba." esordì lo Stregone. "É in corso una missione segreta, é vero. Ed é purtroppo sull'orlo del baratro."

"Continua." lo esortó Goneril.

L'Istari a quel punto le raccontó tutto quello che era successo nei mesi precedenti, a cominciare dal clamoroso ritrovamento dell'Unico Anello, fino alla sua lotta contro il Balrog, e alla recente riunione di sei componenti della Compagnia. Gli altri due Hobbit, Frodo e Sam, erano dispersi chissá dove.

Goneril non riusciva a crederci. Adesso le aveva davvero sentite tutte. Lo smarrimento dell'Unico era la leggenda più antica di Arda, una sorta di mito. Lo Stregone le aveva spiegato che negli ultimi decenni era rimasto occultato in un piccolo cassetto di una piccola credenza nella casa di un altro Hobbit. Lo zio di quel Frodo.

"Sei certo che quello sia davvero l'Anello di Sauron? Non é che hai preso una cantonata?" chiese Goneril.

"Sí, lo é. Ha superato la prova del fuoco. Non sono un rimbambito, anche se lo credi." replicò Gandalf, vagamente risentito.

"E l'hai...lasciato nelle mani di un Hobbit ancora ragazzo e del suo giardiniere?" chiese. "Sarebbe questa la saggezza illimitata degli Stregoni?"

Gandalf la guardó male. "Non giudicare le azioni degli altri. Non ne hai il diritto." rispose. "In realtà non c'erano molte alternative. Non potevamo muovere un esercito per portarlo verso il Monte Fato. Sauron e il suo occhio ci avrebbero individuato subito. Come ho detto, la missione doveva essere segreta, come un segreto é stato il suo ritrovamento. In questo senso, due piccoli, anonimi Hobbit hanno più possibilità di successo che una legione come la tua. Non credi?"

Goneril non parve convinta. "Hai per caso idea di cosa sia Mordor? Ci sei stato di recente? Non riusciranno a farsi strada in mezzo a quelle paludi e a quel fango velenifero. E quel posto brulica di Orchi. Per non parlare dei Nazgûl e dei loro draghi. Sorvolano Mordor alla ricerca di intrusi e ci vedono, sai? Ci vedono molto bene." disse. "Sei un illuso, quei due ometti sono già caduti nelle loro mani. Di sicuro si sono persi."

"No. Hanno una...guida." aggiunse il vecchio.

"Chi?" chiese Goneril.

"Oh...un essere maledetto e consumato dall'odio, ma che conosce molto bene il territorio di Mordor. Li avrà condotti su percorsi sconosciuti agli Orchi." spiegó Gandalf. "Prego i Valar perché non si sia rivoltato contro di loro."

Goneril scosse la testa. "Questa...questa é follia. Quei due sono morti."

"Se fosse cosí, Sauron avrebbe recuperato l'Anello e in questo momento io e te non saremmo qui a parlare. Tutta questa Terra sarebbe già un cumulo di cenere, e noi saremmo schiavi in catene. No, Frodo e Sam sono ancora vivi. Solo, non so fino a quanto resisteranno." mormorò Gandalf, con un sospiro. "Ora, veniamo a te."

"Cosa vuoi ancora da me?" sbottó la donna. "Ti ho seguito fin qui. Ora basta, peró."

"Come ti ho detto prima, Boromir di Gondor era unito alla Compagnia, ma se ne é andato. É stato ucciso. I nostri amici hanno perso un uomo di spada, un guerriero valido quasi quanto Aragorn. Sarebbe perfetto se tu potessi..." iniziò Gandalf.

"Un momento... Denethor ha un altro figlio. Chiamate lui, se vi serve un rimpiazzo. Faramir...il filosofo, l'intellettuale ..." propose Goneril. "Certo, pare non sia un granché con le armi in mano." 

"Egli avrà un suo ruolo in questa storia." replicò lui. "...come tutti quanti noi. Ma non sarà quello di combattere." 
Poi la guardò di nuovo. Era chiaro dove volesse andare a parare.

"No." lo anticipó lei. "Non ci pensare nemmeno, Stregone."

"Questo mondo che conosciamo é in un pericolo terribile. Chi può contribuire a difenderlo dovrebbe farlo. Sono abbastanza sicuro che non ci siano molti combattenti come te in giro." continuó Gandalf.

"Allora, permettimi di riassumere la situazione: giorni fa io sono arrivata qui con tutta la mia schiera di soldati con uno scopo, offrire il nostro aiuto a Théoden in cambio di denaro, d'accordo? Abbiamo mantenuto la parola, abbiamo fatto la nostra dannata parte in una battaglia che credo verrà raccontata nei secoli a venire. Ora, io sto semplicemente aspettando di ricevere due scrigni di legno pieni del denaro che io e quei soldati lá dentro ci siamo ben meritati. E lasciami aggiungere, che delle smanie paterne di Théoden nei miei confronti o di quello che ha intenzione di fare Sauron, non m'importa nulla. La mia storia finisce qui." lo interruppe Goneril. "Ora che so cosa sta capitando, ho ancora più voglia di andarmene."

"Perché sei rimasta, allora? Avresti potuto allontanarti da Edoras tempo fa. Dopo il tradimento dei tuoi soldati. Perché sei qui?" rimbeccó Gandalf.

Goneril non rispose, guardó verso la luna che venne parzialmente oscurata da una nuvola.

"Tu non vuoi ammettere di sentirti legata a Rohan. Non è solo Théoden ad essere convinto di essere tuo padre, lo sai anche tu." disse Gandalf.

"Sono rimasta perché Éowyn mi ha incuriosita con la faccenda dell'Anello. Volevo indagare. Ora che so, vi lascio volentieri a risolvere questa grana. E tanti auguri." sorrise beffarda. "La vostra vita é in mano a due mezz'uomini. Non vi resta che pregare."

"Anche la tua lo é." ribatté lo Stregone. "Dici di volerti ritirare in qualche luogo lontano. Ma dove credi di poterti nascondere? La vittoria di Sauron porterà il suo potere nero a estendersi a macchia d'olio attraverso tutta la Terra. Ti troveranno, i suoi servi. Ti troveranno e diventerai loro schiava, come gli altri. Come tutti noi." continuó. "Non ci sarà alcuna salvezza per te."

"Oppure potrei schierarmi con lui." disse lei.

Gandalf venne percorso da un brivido. Nell'oscurità riusciva appena a distinguere i suoi lineamenti, ma scorse molto chiaramente il suo ghigno.

"...come ha fatto Saruman. Salire sul carro del vincitore. In fondo, Minas Morgul sarebbe la mia naturale destinazione. Il posto dove una come me dovrebbe stare." continuó. "Me l'aveva detto Amon...va' dagli Orchi." Sorrise alla luna, nel frattempo ricomparsa.

"Non lo faresti mai." disse Gandalf. "Tu sei convinta di essere crudele e senza scrupoli, ma una parte del tuo cuore ha retto a tutti i dispiaceri, e vuole conoscere l'amore e tutto ció che di buono la Terra ha da offrire. Tu desideri disperatamente una vita normale, e sei ancora in tempo a costruirtela. Ma devi scegliere da che parte stare."
la esortò lo Stregone. "Ti ho portata qui per aiutarti. So di aver fatto bene. Ma sei tu che devi scegliere."

"Ti sembra che io qui sia benvoluta? Hai visto con che occhi mi guarda il nipote del Re? Quello sta aspettando solo che io me ne vada, non accetterá mai la mia presenza a Palazzo. E comunque vada, Théoden non vivrà a lungo." obiettò lei.

"Éomer ha bisogno di potersi fidare di te. Ha bisogno di tempo." replicò lo Stregone. "In veritá, quello che sceglierai di fare a Rohan non mi riguarda. Per conto mio, ti chiedo ora di unirti ad Aragorn e alla Compagnia. Anche perché temo... che un altro guaio sia in vista..." mormoró Gandalf, osservando le finestre da cui arrivavano le luci e i canti della festa.

Goneril aggrottó le sopracciglia. "A cosa ti riferisci?" chiese.

"Non so. Una brutta sensazione." Il suo sguardo si volse di nuovo alla luna, che splendeva chiara come non mai. "Come dici tu, alcuni membri della Compagnia sono deboli. Temo che possano cedere, come stava per cedere Boromir. Tu sei forte, e..." poi Gandalf non poté continuare. "Ma adesso, lascia che mi ritiri. Noi...vecchi... abbiamo bisogno di riposare." detto ció, con un mezzo sorriso si avvió verso le camerate.

Goneril osservó il mago dirigersi verso una delle stanze regali, che erano state trasformate provvisoriamente in dormitori.

"Quello Stregone ha ragione. Ma perché sono venuta qui?" si maledisse di nuovo. "Quale follia mi ha portata a Rohan? Avrei potuto proseguire fino a Esgaroth, avrei potuto andare dalla gente del lago, su a Nord Est, e poi giungere al Reame Boscoso. Thranduil...avrei avuto da lui quello che mi serviva. Perché ho lasciato che Degarre mi convincesse a venire in questo posto... che Eru lo maledica..."

Poi vide una figura stagliarsi contro la luce lunare. Un individuo che indossava un mantello, a pochi passi da lei. Il cappuccio rialzato a coprire il volto ne nascondeva l'identità.

"Te l'ho detto. Non é una buona idea parlare con mio padre." disse il Principe di Boscoverde.

⚜️⚜️⚜️

"Ho sentito quello che ti ha detto Gandalf." proseguí Legolas. "E non sono d'accordo. Tu non devi far parte della nostra Compagnia. Siamo uniti da un vincolo di lealtà e rispetto, due cose a te sconosciute."

"Beh, Elfo...hai ragione su questo. Purtroppo, il nostro Mithrandir, come lo chiamate voi folletti, ha le sue idee." ribatté la donna. "Ti assicuro che mi leverò di torno in men che non si dica. E non preoccuparti neanche per tuo padre: se Théoden onorerà il suo debito con me, Boscoverde non mi vedrà tanto presto. Il tuo fratellino passerà ancora qualche anno in pace." sorrise lei. "Naturalmente, se Sauron non dovesse vincere la sua personale guerra contro di voi. In tal caso, saremo tutti fregati." Poi rise di nuovo.

"Ridi come se fosse tutto un grande scherzo? Non é un gioco." la rimproverò il Principe.

Goneril tornò seria. "Tuo fratello é condannato, Legolas. Che quello spirito malvagio che si rintana a Mordor stavolta vinca o no, tuo fratello é destinato a essere risucchiato dal potere di Morgoth. Sauron non é che un servo dell'antico démone. Magari fra due, tre, ottomila anni. Ma succederà, lo hai saputo da Radagast. Perché ti preoccupi, allora? Non c'é niente che tu o la tua famiglia possiate fare, é tutto già scritto." commentó.
"Dovresti tornare a casa tua. Stare con tuo padre e con tuo fratello. Godervi la vostra vita da Elfi dei boschi in pace, fino a che vi verrà concesso di stare insieme."

"I tuoi discorsi sono pieni di cinismo. Allora per te é tutta una gran perdita di tempo? Allora ogni giorno della vita passa inutilmente?" disse Legolas. "Frodo sta rischiando la sua, di vita. Da solo, si é avventurato in un territorio che nemmeno da un esercito sarebbe attraversato senza fatica. Deve addentrarsi nel Monte Fato e lassù gettare l'Anello nella lava. É questo il suo compito. E ci sta provando."

"Guardami." disse Goneril. "Guardami negli occhi e dimmi che credi che ce la farà."

Legolas si giró dall'altra parte.

"Ah, ecco dove finisce la fiducia che hai in lui." commentó la donna. "Voi Elfi considerate la vostra razza la migliore e guardate dall'alto in basso le altre. Io credo, che in cuor tuo tu abbia sempre dubitato di quell'Hobbit. E parli a me di cinismo."

L'Elfo si giró di scatto.
"Dovresti andartene. Stanotte. Vattene in silenzio, che nessuno ti veda, nemmeno i tuoi uomini." le disse. "Tu ormai sei morta. Il tuo cuore é gelido, Gandalf si sbaglia anche su questo. Hai rinunciato alla vita. Sparisci, allora. Non saresti di utilità a noi come non saresti una buona figlia per Théoden. Segui il mio consiglio. Fa' come Amon, vattene. Che Arda si dimentichi che sei esistita."

Goneril sentì come una dozzina di lame penetrarle nella schiena a quelle durissime parole.

Legolas non aggiunse altro, e tornó a osservare il cielo.

Improvvisamente, la donna si sentì stanca. Una terribile stanchezza, che non era fisica, era mentale, spirituale, morale. Legolas le aveva dato il suggerimento di cui aveva bisogno, che in fondo rimbombava nella sua coscienza da molto tempo, e il chiarore di quella notte poteva aiutarla.

Lentamente, e silenziosamente, tornó alla stanza di Éowyn. Lì raccattó la sua armatura, si cambió d'abito, si raccolse i lunghi capelli e rubó uno dei mantelli della Principessa dagli armadi.

Prima di andarsene, si tolse uno dei suoi bracciali, il suo preferito, in argento, sul quale aveva fatto incidere la frase volere é potere da un orafo. Lo lasció sul piccolo treppiede accanto al letto di Éowyn.

"Addio, cugina." mormoró nel silenzio della stanza. "Che Eru ti abbia in gloria."

Poi, aprì la porta cigolante, e l'ex Generale della Prima e ultima Legione dell'Est se ne andó.

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Capitolo 27
*** Verso Esgaroth ***


Mentre procedeva a cavallo attraverso le Terre Brune, a Nord di Rohan, Goneril ragionava su quella era l'unica certezza della sua vita a quel punto: urgeva un cambiamento.

Aveva deciso di prendersi una pausa da se stessa.
Tutti gli ultimi avvenimenti l'avevano portata a un serio esame dell'esistenza che aveva vissuto. Un'esistenza che fino a quel giorno era stata lontana dall'essere felice.

Nella lunga settimana precedente la sua fuga da Edoras, qualcosa in lei si era svegliato all'improvviso: la sommessa vocina della sua coscienza era diventata un urlo che perfino un sordo avrebbe udito. Un grido che continuava a riecheggiare nella sua mente: ti sei persa.

Quell'Elfo biondo le aveva sbattuto in faccia la verità senza troppi giri di parole e Goneril continuava a rifletterci su.

Hai rinunciato alla vita.

Come negarlo, del resto. Qual'era stato il vero valore di anni spesi a combattere e uccidere, di giorni trascorsi nell'odio e nell'ostinato isolamento da tutto e da tutti?
Aveva amici? No.
Aveva affetti? Men che meno.
Aveva sogni? Neppure, se con sogno si intendeva qualcosa di molto diverso dal rifugiarsi in un luogo indefinito e desolato, dove tentare di costruire una nuova nazione. Si era aggrappata a quella fantasia cosí da avere un motivo per alzarsi dal giaciglio tutte le mattine, ma dire di crederci davvero sarebbe stata una balla colossale.

Aveva conosciuto Éowyn.
Che la bionda ragazza fosse sul serio sua parente o meno, aveva poca importanza. Ciò che era stato importante, di quell' incontro, era che per la prima volta Goneril si era confrontata con una giovane il cui procedere in quel mondo somigliava molto all'idea che si era fatta lei, di vita.
La nipote di Théoden aveva subíto situazioni difficili, a sua volta, ma non ne era uscita con troppe cicatrici. Non le era passata la voglia di sorridere, di provare buoni sentimenti per gli altri, di innamorarsi e tentare di migliorarsi e di...sognare.

 Goneril desiderava parte della vita di Éowyn, come Éowyn desiderava parte della sua. Nonostante tutta la spavalderia mostrata negli anni e l'orgoglio per essere riuscita lì dove nessuna donna di quella Terra era mai riuscita, cioé comandare un esercito, un pensiero le ronzava nella testa da qualche giorno, esattamente da quando le due ragazze avevano scoperto una l'esistenza dell'altra. Così avrei potuto vivere anch'io. Begli abiti, una comoda stanza in una grande casa, lezioni di canto, arpa e ballo, banchetti, un giovanotto con cui fidanzarmi, un matrimonio, un paio di figli e una serena vecchiaia.

Il cavallo che aveva rubato dalle stalle di Rohan scrollò la grossa testa,mentre procedeva sulla strada battuta, quasi avesse intuito i suoi pensieri.

Tornando al presente, la donna era preoccupata. Avrebbe dovuto attraversare il territorio a Sud del Reame Boscoso, prima di arrivare a Esgaroth. Aveva calcolato di metterci tre giorni almeno, sperando che quei folletti silvani non la notassero. Ci sarebbe mancato solo di farsi imprigionare dai soldati di Thranduil. Le prigioni di Boscoverde non erano esattamente il luogo più accogliente dell'Est, e si rischiava di morirci. Addentrarsi a Eryn Galen senza permesso era un crimine agli occhi dei suoi abitanti, e a poco sarebbe valso dire di aver conosciuto il principe Legolas e di aver combattuto al suo fianco.
Avrebbe abbandonato il cavallo all'entrata della foresta, e avrebbe attraversato a piedi quell'inferno di rovi e arbusti. Silenziosamente, tentando di rendersi invisibile.

Pensò che Hammon doveva essere rimasto di sasso alla notizia della sua scomparsa. Di Degarre non le importava niente, e in fondo nemmeno di tutti gli altri, ma Hammon in cuor suo le era sempre stato leale, e alla fine avrebbe trovato il modo di ricompensarlo.

Le dispiaceva anche aver lasciato Éowyn: c'era ancora molto che doveva insegnarle, e quella ragazza sarebbe stata un'ottima allieva. Aveva un tale desiderio di farsi valere, che avrebbe assorbito come una spugna marina ogni suo consiglio. Si augurò che trovasse la forza di imporsi in quel mondo patriarcale e gretto.

Su Re Théoden, aveva opinioni contrastanti. Come diceva Gandalf, c'erano buone possibilità che fosse sul serio suo padre, le coincidenze erano troppe e troppo significative per ignorarle.

Ma l'aveva abbandonata. Per quanto si sforzasse di guardare a lui come a un genitore ritrovato, la verità amara e dolorosa era che l'aveva respinta, un mese dopo la sua nascita, quando ancora aveva bisogno di essere allattata da sua madre. Per lui era stata una vergogna da cancellare, un peccato scabroso, un maledetto errore di una notte. E se il suo rampollo Théodred non fosse morto, era probabile che l'avrebbe cacciata via dal regno senza troppi complimenti, dopo la vittoria al Fosso di Helm.

No. Per quel Re anziano non riusciva proprio a provare affetto. Lei non era Cordelia, l'eroina di quella vecchia romanza che aveva continuato ad amare il padre nonostante questi le avesse dato il benservito. Lei era davvero simile alla Goneril letteraria, la principessa cattiva e vendicativa, che se ne era infischiata dei legami famigliari e aveva mandato la sorella Regan all'altro mondo con una dose ben calcolata di làudano in un calice di vino.

Una rosa non si trasforma mai in una viola, le aveva detto Amon. La tua natura é quella che é, non puoi cambiare la tua personalità. Puoi solo cercare di arginarla

Eppure, qualcosa in lei era mutato. E aveva nuovi piani:  sarebbe andata a Gran Burrone da sola, dopo essere passata da Esgaroth. Sarebbe andata a prendersi almeno tre sacchi d'oro, del suo oro accumulato negli anni e li avrebbe caricati sul cavallo. E poi...chissà. Il resto, l'avrebbe dato a Elrond. Avrebbe concesso al Signore di Rivendell di avere quel denaro, e disporne come meglio avrebbe creduto.

Se c'era qualcuno di cui Goneril aveva stima in quel mondo, era proprio Elrond. Il nobile Elfo avrebbe di certo trovato il modo di investire quel tesoro in modo costruttivo, lei lo sapeva. I suoi mercenari, quei luridi porci voltagabbana traditori, con Degarre in testa, potevano tranquillamente andarsene in malora. Ma prima... prima c'era un affaruccio che doveva sbrigare in un altro piccolo regno dell'Est, che aveva un nome semplice e breve: Dale.

Un regno di Uomini in cui era già stata, e nel quale le era stato proibito entrare dalla regina Sigrid, anni prima. Ma non sarebbe stata lei la persona che doveva incontrare, questa volta. C'era un'altra donna, in quel reame di mercanti, a cui aveva molto, molto da raccontare. Un'anziana donna dalla vita straordinaria.

⚜️⚜️⚜️

"È stata colpa tua!" rinfacciò Éowyn al fratello.
Con un' alzata di spalle, Éomer decise di ignorare l'accusa della ragazza.

"Dobbiamo riunire i seimila Rohirrim. Il nostro Re ha dato l'ordine. Smettila di pensare a quella donna. É una fortuna per tutti noi che se ne sia andata." disse il giovane, sistemando la sella sulla groppa del suo cavallo. "Dobbiamo correre in aiuto a Gondor, adesso. I fuochi sono stati accesi, l'allarme è stato dato. Abbiamo altro a cui pensare, Éowyn."

"É nostra cugina. Hai sentito nostro zio, é sua figlia. Ormai lo credo anch'io. Ed é di nuovo dispersa nel mondo." rispose Éowyn. "Se tu non le avessi mostrato una tale ostilità sarebbe rimasta!"

"Quella é andata a recuperare il suo maledetto oro. E con esso si rifugerà da qualche parte. L'ha detto chiaramente negli scorsi giorni: nulla le é mai importato oltre a quello." disse Éomer. "Denethor sta affrontando un nuovo attacco di quei mostri e ha chiesto aiuto. Uomini!" urlò ai suoi soldati. "Avete prestato giuramento! Ora, onoratelo!" Poi, si mise alla testa del primo gruppo di Rohirrim e velocemente si mise in marcia verso ovest.

"Éomer! Aspetta!" tentó inutilmente di gridargli la giovane. Si giró e vide anche il Re, in armatura, montare sul suo cavallo e prepararsi a seguire il nipote con il resto dell'esercito. Corse verso di lui.

"Zio! Zio...permettimi di andare a cercarla..." lo imploró. Théoden le rivolse uno sguardo triste.

Quando, due notti prima, aveva ricevuto la notizia della scomparsa di Goneril, il suo cuore per poco non si era spezzato. Era ormai convinto di essersi riunito a sua figlia e immaginava un futuro per lei come Regina, o quantomeno principessa di sangue, lí ad Edoras. La casata di Théngel, da cui il Re discendeva, non era scomparsa: la donna era ancora giovane, avrebbe potuto avere figli, avrebbe potuto dargli un nipote maschio sulla cui testa posare la corona in futuro.

Ma se n'era andata.

Di notte, lontana da sguardi indiscreti, dopo aver rubato un mantello a Éowyn e un cavallo dalle scuderie. Se n'era andata a portare il suo prezioso sangue chissà dove.

"É finita. Non pensare più a lei, cara." disse il Re. "Sta' qui con la nostra gente, assumi i pieni poteri in assenza mia e di Éomer e...prega per noi."

"Se non mi permetti di andare a cercarla, verrò a Gondor, allora." ribatté lei. Si scostò una ciocca di lunghi capelli dorati dal viso, e il Re notò un bracciale che non le aveva mai visto. "Sai che non starò nelle retrovie. Non questa volta."
Théoden osservò in silenzio la nipote, mentre il suo cavallo scalpitava.
Sospirò.
"Ascolta, Éowyn. Tu e Éomer siete tutto ció che rimane della famiglia reale di Rohan. Siete il futuro del nostro regno. Ho sperato, ho creduto che quella ragazza potesse tenere in vita la nostra casata, ma evidentemente non era destino." guardò verso il giovane, che era ormai lontano con la sua squadra di cavalieri. "Non so cosa capiterà a Gondor, ma ho la sensazione che una guerra senza precedenti ci attenda. Forse io e tuo fratello non torneremo. In tal sventurato caso, sarai tu a reggere la corona, hai la mia investitura. É importante che la tua vita venga protetta, e perciò devi rimanere qui."

"No." rispose lei. "É esploso qualcosa in me, e non posso tenerlo a bada. Io non sono più la ragazzina che conoscevi, zio. Verró con voi."

Detto questo, fece per dirigersi verso Mira, la cavalla baia che cavalcava da anni. Aveva già nascosto la sua spada personale sotto la sella.

"Éowyn! É un ordine!" sbottó allora il Re. "Ti sto parlando come tuo sovrano, adesso."

La giovane si giró a guardarlo. "Perché mi fai questo? Io non chiedo altro che rendermi utile, aiutarti a difendere la nostra gente! Perché non mi é mai concesso accompagnare i nostri soldati, unirmi a loro? So combattere, e lo sai!"

"Vuoi dare il tuo aiuto a Rohan? Conforta le donne, accudisci i bambini, cura le ferite dei soldati che torneranno a Edoras. Sono compiti nobili. Ma per quanto riguarda il combattimento, non posso far uso di te. Non aggiungeró altro." ordinó Théoden, e con un colpo dei talloni esortó il cavallo a procedere.

Éowyn non nascose uno scatto di rabbia e frustrazione. Si portó le mani al viso, per contenere un'imprecazione. Il bracciale tintinnava al suo polso. Lo guardó. Volere é potere, diceva l'iscrizione incisa sull'argento.

Volere é potere, cara cugina, ma adesso si tratta di capire cosa davvero vuoi. Cosa sei disposta a fare, sentì la voce di Goneril nella mente.

In un lampo, Éowyn seppe esattamente cosa fare. Andó da Mira, sciolse le redini che la tenevano legata allo steccato e montó in groppa. Tanto per cominciare, avrebbe scortato i soldati sulla strada per Gondor, si sarebbe fermata con loro al primo accampamento. Suo zio non poteva vietarle questo. E si sarebbe portata dietro quel Merry, l'altro Hobbit che come lei voleva dire la sua in quella eterna lotta fra il Bene e il Male. Uno scontro infinito che in quei giorni viveva un importante, e forse definitivo, capitolo.
Il piccoletto voleva riunirsi a suo cugino Pipino, che incautamente aveva usato uno strumento magico chiamato Palantìr, e per quel motivo lo Stregone si era adirato con lui. L'aveva di gran carriera portato al regno che aveva la sua capitale Minas Tirith sotto attacco.
Éowyn non aveva capito bene cosa diavolo fosse successo, sapeva solo che in qualche modo il Nemico, Sauron, aveva avuto un importante indizio sul suo Anello, e che quell'ingenuo Hobbit con quell'aggeggio magico a forma di sfera c'entrava qualcosa. Per questo Gandalf lo stava portando lontano da Rohan.

E ci sarebbe arrivata anche lei, alla capitale di Gondor, giuró a se stessa. Non sapeva ancora in che modo, ma ci sarebbe arrivata, in barba al Re, a suo fratello e a quella insopportabile tradizione che voleva le donne docili e sottomesse e lontane dalla guerra. Aveva avuto una buona maestra, in quei pochi giorni, e, come la sua maestra, sui Campi del Pelennor o in qualsiasi altro posto il destino avesse scelto, avrebbe fatto anche lei la sua dannata parte.

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Capitolo 28
*** Bosco Atro ***


Goneril arrivò al confine meridionale di Bosco Atro quattro giorni dopo aver lasciato Edoras.

Percorrere la parte sud del Rhovanion non era stato troppo difficoltoso, soprattutto perché si trattava di una sterminata pianura, ma attraversare la foresta non sarebbe stata affatto una passeggiata.

Quell'area del regno é avvelenata dall'energia di Sauron, che ha occupato la vecchia fortezza di Dòl Guldur millenni or sono. Non addentrarti mai nella parte meridionale di Eryn Galen, Goneril. Ci sono mostri. Ci sono mostri dappertutto. Cosí le aveva detto Amon, mentre le raccontava storie sul suo popolo. E sappi quest'altra cosa: se un giorno ti capiterá di attraversare il nostro territorio, mantieniti ai lati della foresta, risali il fiume Celduin. Ricorda che le leggi di Thranduil si estendono da nord a sud: se dovessi valicare il confine senza permesso, la pena sarebbe di duecento anni di reclusione...il che vuol dire, che moriresti in una cella. Non sottovalutare il Re, mia cara. Suo padre Oropher era severo e inflessibile, ma Thranduil é mille volte peggio. Puoi credermi.

Giunta al limitare del bosco, Goneril rifletté sul da farsi.
In effetti, l'idea più giusta sarebbe stata percorrere a cavallo il perimetro del grande agglomerato di vegetazione per poi risalire il fiume Celduin, che scaturiva direttamente da Lago Lungo. In quel modo, ci avrebbe però messo di più, e lei non aveva tempo.

Era più che probabile che Degarre e gli altri - dopo aver appreso della sua fuga da Rohan - avessero intuito le sue intenzioni e si fossero messi in marcia verso Gran Burrone per mettere le mani sul tesoro prima di lei, e stavolta non ci sarebbe stato nessuno Stregone a fermarli lungo il cammino. Avevano già tentato quello scherzetto. Perciò, doveva fare in fretta.

Si decise ad attraversare un piccola porzione di foresta, con l'idea di sbucare dall'altra parte e ritrovarsi sulle rive del fiume. In questo modo, avrebbe guadagnato un prezioso giorno.

Smontò da cavallo, gli tolse di dosso la sella, il morso e le redini e gli diede una gran pacca su una coscia. "Va'. Goditi la libertà." gli disse. La bestia rimase confusa a guardarla. "Va'!" urlò allora lei, aprendo all'improvviso le braccia. Il cavallo, spaventato, si girò e galoppò in direzione di Rohan. L'istinto gli aveva detto di tornare dai suoi padroni. "Stupido..." mormorò la donna.

Si voltò a guardare il confine del regno degli Elfi. Com'era successo davanti a Fangorn, anche la prospettiva di entrare a Bosco Atro la innervosiva.
Si diceva ci fossero ragni giganti là dentro. Gli Elfi tentavano inutilmente di ripulire il bosco da quelle creature orribili, ma si riproducevano con preoccupante velocità.

Goneril ricacciò giù l'ansia che stava per assalirla, e dopo aver estratto la sua spada dalla guaina, entrò il quell'ambiente oscuro e umido. La differenza con Fangorn era evidente: quest'ultimo era un luogo essenzialmente morto, asettico, e pervaso da un incantesimo che, prima dell'arrivo di Gandalf, aveva trasformato gli alberi in mostri omicidi. Bosco Atro, al contrario, sembrava una foresta qualunque. C'erano uccelli, insetti, qualche scoiattolo, molto muschio, una varietà di cespugli, radici che spuntavano dal terreno, rocce, piccole paludi. Non le parve, mentre avanzava, di scorgere niente di mostruoso.

L'aspetto davvero fastidioso era la penombra. La donna intravvedeva con difficoltà il percorso davanti a lei e non poteva osservare il cielo: i rami degli alberi erano cosí fitti da aver formato una sorta di gigantesco tetto di foglie rosse, e questo era un problema. A lei serviva vedere la posizione del sole per orientarsi. Si rassegnò ad affidarsi alle sue orecchie: il Celduin era lontano, ma il venticello che si faceva largo fra gli alberi ogni tanto le portava il suono della corrente d'acqua. Uno suono flebile, ma che le sue orecchie - affinate dopo molte notti di guardia agli accampamenti, quando Mainard le ordinava di rimanere sveglia e stare all'erta a ogni minimo rumore - riuscivano a cogliere.

Dopo un'ora abbondante di cammino, le sembrò di vedere la luce. Ebbe l'impressione che i tronchi degli alberi fossero un po' meno fitti e che il suono dell'acqua fosse più forte. Goneril camminava il più silenziosamente possibile, ma non era facile. L'inverno aveva coperto il suolo di foglie avvizzite e rametti secchi, e il crepitío dei suoi passi turbava la quiete generale.

Stai attenta, Goneril. Udí Amon nella mente. Ricordi cosa ti dicevo? Ci sono sempre Elfi guardiani nel bosco. Due coorti in particolare: la Quarta e la Quinta. Hanno il compito di sorvegliare la parte sud del reame. E si muovono a gruppi di quattro o di sei. Il loro udito é sviluppato, ricorda, come la loro vista e il loro olfatto. I loro sensi sono più acuti di quelli dei mortali. Non credere di passare facilmente inosservata qui. Possono essere ovunque, nascosti dietro ai tronchi degli alberi e ti spiano, ti spiano con quei loro occhietti...

D'un tratto, le sue narici si riempirono di un odore nauseabondo. Un odore che un'assassina professionista conosceva bene: odore di cadavere, di morte. Diede un'occhiata in giro e vide da dove proveniva. Dietro a un masso, coperta da foglie e ricci di castagna, giaceva la carcassa di una cerva. I vermi stavano facendo scempio delle viscere e probabilmente anche qualche animaletto ci aveva banchettato sopra. Si avvicinò premendo una mano sulla bocca, perché il fetore era insopportabile. L'animale aveva gli occhi sbarrati e la bocca aperta. Goneril notò la lingua nera e gonfia.

"É morta per avvelenamento." concluse fra sé. Forse era stata uccisa dal morso di una vipera, sbucata da sotto quel masso mentre la cerva era in cerca di erbetta verde. Ma i serpenti in inverno vanno in letargo, pensò all'improvviso. E allora cosa...

Notò che sul fianco sinistro della carcassa c'era un grosso buco, come se l'animale fosse stato pugnalato, o colpito da qualcosa di acuminato. Non erano stati gli Elfi, di sicuro. Gli Elfi rispettavano gli animali. Forse allora un Orco, forse...

Non riuscí a proseguire con i suoi ragionamenti, perché udí voci in avvicinamento. Voci che discutevano in una lingua che Goneril conosceva bene.

⚜️⚜️⚜️

Quattro Elfi procedevano lungo il sentiero.
La donna riuscí a intravvedere le loro sagome, e subito ripensó alle parole di Amon: i nostri sensi sono più sviluppati dei vostri...vista, udito e olfatto, Goneril.

Si acquattò vicino alla carcassa della cerva, resistendo all'impulso di dar di stomaco. Sperò che il tanfo della decomposizione tenesse lontani i soldati.

Aveva indovinato.

Le quattro creature del bosco si portarono le mani al volto, disgustati. Nonostante fossero lontani, sentivano distintamente l'odore. Uno di loro disse qualcosa in elfico: "Ah che schifo! Andiamocene..." le sembrò di capire. Un altro aggiunse: "Si sono spinti fino a questo punto... avranno ucciso un animale qui vicino...quelle maledette creature stanno diventando più aggressive."

Goneril tratteneva il respiro con grande sforzo, aspettando che gli Elfi soldato si allontanassero. Uno, quello in coda al gruppetto, si fermò. Girò lo sguardo intorno, come se avesse avvertito qualcosa.

Forza, voltati... sparisci, orecchie a punta...pensò lei.
Era ormai livida, quando l'Elfo si decise a seguire i suoi compagni nella boscaglia. Finalmente la donna poté buttare fuori il fiato e inalare una lunga boccata d'aria. Era stata a pochi secondi dal perdere conoscenza.

Diede un calcio alla carcassa, e una miriade di mosche si alzarono in volo attorno a lei.

Stava per riprendere il cammino, quando una voce la fermò. "Lo sapevo." disse qualcuno dietro di lei. "Sapevo che c'era...un visitatore."

Si voltò, maledicendo se stessa per non aver atteso nascosta qualche attimo in più. L'Elfo soldato, quello che sembrava il più sospettoso, era tornato silenziosamente sui suoi passi e l'aveva sorpresa. Gli altri erano lontani.

Goneril alzò la spada. "Ascolta. So che ora il tuo senso del dovere ti imporrà di arrestarmi, legarmi le mani dietro la schiena e trascinarmi verso il cuore del vostro reame, dove penserai di chiudermi in una cella."

L'Elfo sorrise. "Esatto, mortale. Getta a terra la spada."

Ma Goneril continuò. "Ti imploro di lasciarmi andare. Per quanto sembri incredibile anche a me, ti chiedo di non sfidarmi. Non sono in vena di combattere."

Il soldato stavolta rise di gusto. "Combattere?! Cioé, combattere contro un Elfo? Hai un bell'ardire, femmina mortale. A terra la spada, ho detto."

Goneril scosse la testa. "No."

A quel punto l'Elfo estrasse la sua, con un gesto elegante. "Vedi, secondo le nostre leggi, é proibito uccidere un prigioniero prima di un giusto processo. Ma tu hai oltrepassato i confini, la tua violazione non merita clemenza. Solo gli Elfi Noldor e i Sindar hanno libero accesso al nostro regno. Agli Haradrim é categoricamente proibito entrare."

"Non sono una Haradrim. Sei cieco?" ribatté Goneril.

"Il tuo aspetto dice che sei una di loro... perciò... meriti la morte. Istantanea." sorrise lui. "Ma mi diverte la tua spavalderia. Vediamo, dunque: ti concedo di provare a difenderti, in fondo perché non permetterti di morire in gloria? Sappi solo che se chiederai la grazia..."

"Non verrà chiesta." disse Goneril.

"...né concessa." terminò l'Elfo.

La donna alzò lentamente la spada dorata e la puntò verso la creatura. "Come vuoi, Elfo. Te la sei cercata."

Il soldato si lanciò verso Goneril, lama in resta. La guerriera si abbassò con la velocità di un gatto e con un preciso movimento del braccio riuscí a colpire l'Elfo sul petto. Una striscia rossa subito apparve sulla sua tunica verde. Un taglio lungo, anche se superficiale. L'Elfo si guardò il torso insaguinato. La spada gli cadde di mano.

"Ma che vergogna..." mormorò Goneril, ironica. "...un Elfo messo al tappeto da una femmina mortale."

Lui alzò lo sguardo, i suoi occhi scuri erano pieni di confusione e incredulità. "Ma...come...come..." riuscí a biascicare.

"Avrai sentito parlare di Goneril." disse lei. Gli occhi del soldato si sbarrarono ancora di più.

"La...la Strega dell'Est? La donna che...che combatte come una di noi?!" chiese.
Certo che l'aveva sentita nominare: era una diceria che si trascinava da anni, la misteriosa donna che comandava un piccolo schieramento di mercenari. Una guerriera umana che sembrava non avere avversari in battaglia. Il soldato elfico non aveva creduto che esistesse davvero fino a quel giorno. Ma invece sí che esisteva, ed era lí a puntargli una lunga spada dorata dritta in faccia.

"Ce l'hai davanti, amico." confermò lei. "Ma per tua fortuna, la Strega oggi si é travestita da fata buona e ti lascia in vita. Come ho detto prima, sono stanca di sangue e omicidi."

L'Elfo sospirò di sollievo, ma una nuova smorfia di dolore gli attraversò il viso. Goneril portò la punta dorata della sua spada sotto al mento del soldato, e lo obbligò ad alzare gli occhi su di lei. "Ora, per come la vedo io, tu hai due alternative: caracollare verso i tuoi tre amichetti, informarli della mia presenza qui e spingerli a cercarmi, condannandoli di fatto a versare anche il loro sangue. Oppure, ed é quello che farei io se fossi in te, andrei da loro a farmi curare la ferita, poi spiegherei di avere incontrato un Orco intruso, di aver combattuto contro di lui e di averlo ucciso. Direi anche di aver buttato la sua carcassa in una delle fosse del bosco. Fine della storia, e tu e i tuoi amici potrete tornare a Palazzo a ubriacarvi di vino insieme al vostro Re." disse lei. "Che te ne pare?"

L'Elfo deglutí. Quella sconfitta era un rospo gigante da ingoiare. "Va bene. Farò cosí." promise comunque.

"Ottimo. Quella ferita guarirà, come quella del tuo orgoglio. Devi solo fare una cosa: dimentica di avermi incontrata. E adesso, fammi il piacere di indicarmi la direzione per Esgaroth." comandò lei.

Il soldato di Boscoverde indicò un sentiero parzialmente coperto da vecchi ciotoli. "Segui quella strada. Ti...ti condurrà alla riva Ovest del...del..."

"...fiume." concluse lei. "...ti ringrazio. Oggi la proverbiale saggezza del tuo popolo ti ha salvato."

Detto ciò, in un lampo si allontanò verso il sentiero.

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Capitolo 29
*** Il giovane principe ***


L'Elfo non mantenne la parola.

Non appena Goneril si fu allontanata di una decina di metri, la creatura lanciò l'allarme, suonando il piccolo corno che portava appeso in vita.

"Vigliacco." mormorò lei fra sè.
Poi iniziò a correre, cercando di non ferirsi mentre passava vicino ai rami secchi degli arbusti gelati dall'inverno. Doveva assolutamente raggiungere il fiume Celduin, doveva uscire da quella foresta, doveva rivedere il sole, la cui luce filtrava impertinente fra le foglie.

Ma il suono che provenne dalla boscaglia non era affatto rassicurante. Qualcuno si era lanciato al suo inseguimento, e non era un Elfo solitario e ferito...erano molti. Molti di più, tutt'intorno a lei. Quel soldato aveva richiamato a sè tutta la coorte e aveva suonato tre volte il suo strumento: un segnale che significava l'intrusione di uno straniero nel loro territorio. E ora potevano esserci sei, dieci, venti Elfi sulle sue tracce.

Goneril corse a perdifiato tra i massi, sul muschio scivoloso, evitando i tronchi d'albero con la stessa agilità di uno scoiattolo. E va bene, pensò. Volete catturare l'umana? Provateci. Correte, correte...vi scoppierà il cuore prima o poi.

L'oscurità del bosco non le permetteva di distinguere il sentiero sotto i suoi piedi, e per un attimo temette di aver imboccato la via sbagliata, mentre dietro di lei le grida dei soldati di Boscoverde in avvicinamento si facevano più decise. "Raggiungetela! Non permettetele di scappare!" gridò una voce, in elfico. Erano vicini ora, troppo vicini.

Goneril vide da lontano il tronco di un albero divelto dal terreno. Era vuoto: i tarli e la muffa avevano consumato la polpa. Ebbe l'improvvisa pensata di nascondersi dentro di esso e aspettare che quel gruppo di Elfi soldato passasse oltre, senza vederla. Fece per dirigersi verso quel gigantesco cadavere di legno, quando tre frecce sibilarono accanto alle sue orecchie e si conficcarono nel terreno. "Ferma dove sei. O la prossima ti finisce nella schiena". Comandò una voce.

La guerriera si immobilizzò.
L'avevano raggiunta, come del resto si era aspettata. Seminare gli Elfi nella corsa era probabile quanto vedere la neve in Agosto. Sospirò, mentre il cuore le martellava nel petto per lo sforzo di correre.

"A terra quella spada. Non scherzare con me." ripetè la voce. Goneril girò lentamente il viso.
Vide davanti a lei un arciere dall'espressione severa e autoritaria. Era alto e ben piazzato, lunghi capelli neri, come i suoi occhi, gli incorniciavano un volto dai lineamenti duri. Non fosse stato per le orecchie a punta, l'avrebbe quasi preso per un Uomo. Impugnava un arco dorato e aveva già la prossima freccia nell'altra mano. Quella destinata a lei. Doveva essere il capitano di quella compagnia. Attorno a lui, si radunarono gli altri soldati, tutti armati di arco e dardi già puntati sull'intrusa.

"Tu sei il grande comandante Feren, immagino." disse Goneril, scuotendo il capo. Per un brevissimo istante, si era concessa il lusso di sperare di farcela. Ma adesso sarebbero stati acidissimi cavoli per lei.

L'Elfo sorrise. "Conosci il nostro popolo, vedo. Ma ti sbagli: il nostro Comandante non viene mai a pattugliare il bosco. Il mio nome è Varian."

Goneril si asciugò il naso, che stava cominciando a colare dal freddo. "Vorrei poter dire che è un onore conoscerti, ma non lo è per niente." disse. "E se pensi che io abbia intenzione di farmi legare e trascinare in una cella da voi, sei anche più stupido di quello che sembri."

Senza dire una parola, Varian si avvicinò a lei e le assestò un pugno nello stomaco. Goneril si piegò in due per l'atroce dolore, e cadde sulle ginocchia.
L'Elfo l'afferrò per i capelli. "Non credere che la tua condizione di femmina ti proteggerà in qualche modo. So bene chi sei. So cosa hai fatto per buona parte della tua esistenza. Quante vite hai preso, di quanta violenza sei stata responsabile. Tu marcirai nelle nostre galere...a meno che...il nostro Re non voglia togliersi lo sfizio di ucciderti di persona. Sai è nervoso, ultimamente. Noi tutti crediamo che abbia bisogno di un qualche ...svago."

"Il tuo Re..." riuscì a dire lei. "... morirà. Morirete tutti. Sauron...ha ritrovato...la sua arma..." La donna iniziò a tossire.

"Di che parli?" chiese il capitano elfico, strattonandole i capelli. "Rispondi."

Goneril sollevò gli occhi verdi fino a incontrare quelli scuri dell'Elfo. "Voglio dire..." e gli sputò in faccia.
Disgustato, Varian si pulì la guancia con il dorso della mano. Poi la colpì di nuovo, sulla fronte.

Goneril svenne.

"Prendete quest'essere infernale, legatela, e uno di voi la porti a spalla. Torniamo a Palazzo." comandò il capitano.

⚜️⚜️⚜️

"Padre." disse il principe Haldir, avvicinandosi al Re, che osservava un pezzo di pergamena. Sembrava molto preoccupato.

Su quella carta c'era un messaggio di Lord Celeborn del Lòrien.

"Padre...i soldati riferiscono della cattura di un'umana nel nostro territorio. Una giovane guerriera, il suo nome è Goneril. Ho sentito parlare di lei. "

Thranduil alzò la mano, interrompendolo. "Altro mi preoccupa, ora. Un grande pericolo si avvicina, Haldir. Qualcosa di talmente mostruoso da non poter essere descritto." disse il Re. "Dal Lothlòrien ci avvisano di stare pronti."

Il biondo principe sgranò gli occhi. "Cosa...quale pericolo?"

"Galadriel e Celeborn hanno accolto qualche mese fa nel loro territorio una Compagnia...tuo fratello Legolas ne fa parte." spiegò il Re. "Hanno un'impossibile missione da compiere."

"Legolas?" disse Haldir. "Si è unito a un gruppo guerriero, vuoi dire?"

"Non esattamente. Pare che Gandalf il Grigio ed Elrond di Rivendell abbiano ritrovato l'Unico Anello di Sauron, e abbiano affidato la sua custodia a un .... Hobbit." disse Thranduil. "...Roswehn aveva ragione. Gli Hobbit lo nascondevano. Per tutti questi anni. Quel Bilbo..."
Come spesso capitava, il Re Elfo si perse nei suoi ricordi. "Stavi per trovarlo, amore mio...eri così vicina..." mormorò.

"Mia madre...parli sempre di lei." disse Haldir. "Anche ora. Fingi di non sentire la sua mancanza, eppure..."

Thranduil a quelle parole ridestò la sua attenzione. Guardò dritto verso il figlio. "Ascolta. Celeborn sostiene che Sauron tenterà un'aggressione diretta al nostro Regno. Invierà legioni di suoi Orchi, mentre gli altri suoi servi sono impegnati a dare la caccia a quel mezz'uomo. La guerra sta arrivando qui, figlio mio."

"Sono pronto, padre. Sono pronto a combattere al tuo fianco." disse subito il giovane Elfo.

"Tu dovrai rimanere nascosto, invece. Sei troppo importante, te l'ho detto molte volte. Rimarrai nel Palazzo, protetto dalla mia guardia personale. Qualunque cosa succeda, tu rimarrai qui." ordinò Thranduil.

"No..." ribatté Haldir. "...non sperarci."

Ci risiamo, pensò il Re. Ne aveva abbastanza di confrontarsi con Haldir sulla questione. Suo figlio aveva lo stesso temperamento polemico e ribelle di Roswehn.

"A cosa sono valsi tutti questi anni di addestramento con Feren? Tu hai deciso che sarei dovuto diventare bravo quanto te e Legolas nel combattimento. Tu hai deciso che mi sarei dovuto esercitare ogni giorno con tutte le armi di cui disponiamo. Per cosa? Per poi dovermi nascondere come un vigliacco quando si tratta di andare in guerra sul serio?" replicò seccato il Principe. "E questa volta non mi zittirai, padre. Mai più mi rintanerò nelle mie stanze."

"Non voglio perdermi con te in inutili chiacchiere. I miei ordini non si discutono, lo sai bene. Inoltre, da oggi in poi ti proibisco di andare a Dale. Attraversare il bosco è oltremodo pericoloso di questi tempi." aggiunse il Re.

"Avevi detto che almeno una volta al mese potevo visitare mia madre." protestò il principe.

"E ora ti dico che non puoi più farlo. Fine della conversazione." terminò Thranduil.

"Ma...ada..." mormorò Haldir, gli occhi pieni di disperata frustrazione.

"La donna, quella...prigioniera...Voglio vederla il prima possibile." disse il Re, cambiando discorso. "Potrebbe essere una spia mandata in avanscoperta dagli Orchi. Dov'è?"

"Varian la sta portando qui. L'ha un po'...maltrattata." rispose il principe, tenendo a bada la rabbia per il cinico atteggiamento del padre.

"Bene." si limitò a dire Thranduil.

Haldir lo guardò un po' sorpreso. "Non lo punirai, per questo? Tu avversi la violenza."

"Violenza...quella donna è nota al nostro popolo. Da dieci anni vaga con una marmaglia di mercenari combinando guai qua e là. E quando dico guai, intendo carneficine, ladronerie, scorrerie di ogni genere. E' un bene che sia stata ripagata con la stessa moneta."

"Pare combatta come un Elfo." disse Haldir. "Chi glielo avrà insegnato?"

"Un Elfo, evidentemente. Deve averle fatto da maestro...sebbene mi sfugga il motivo per cui uno della nostra specie abbia venduto la nostra arte a un umano. Voglio incontrarla. Deve dirmi quello che sa." ragionò Thranduil.

"Dicono sia fiera e orgogliosa. Non ti rivelerà nulla, vedrai." obiettò il principe.

"In tal caso, le offriremo una lunga sistemazione nei nostri sotterranei. Finché parlerà. Davvero impressionante il potere persuasivo di una cella buia, sai?" sorrise Thranduil, poi tornò serio. "Portatela davanti a me non appena Varian e gli altri giungeranno a Palazzo." ordinò.

⚜️⚜️⚜️

"Codardi...maledetti vigliacchi..." si lamentò Goneril, mentre un soldato la sorreggeva.

Aveva ripreso conoscenza proprio prima di varcare la soglia del Grande Palazzo reale del bosco. Un piccolo rivoletto di sangue vermiglio le solcava la fronte, nel punto dove Varian l'aveva colpita.

"Fa' silenzio!" comandò l'Elfo che la sorreggeva.

Le avevano requisito la spada d'oro, e Goneril fu piuttosto certa che fossero intenzionati a tenersela. Un altro soldato si avvicinò al gruppo appena rientrato dall perlustrazione e disse qualcosa nella loro lingua a Varian. Nel suo stordimento, la donna riuscì solo a comprendere che Thranduil aveva saputo del suo arresto e voleva incontrarla.

"Sì, voglio vederlo, il vostro sovrano...ubriacone..." ridacchiò Goneril, mentre si premeva la mano sulla fronte. "Il grande Re dei miei stivali..."

"Lord Thranduil desidera parlare con te, il che significa che dovrai andare da lui in condizioni accettabili. Considerala una fortuna, perché se così non fosse stato ti avrei ridotta molto peggio." le disse il capitano.

"Varian!" esclamò una voce.

Dalla Grande Porta uscì un altro Elfo, e osservando la sua uniforme Goneril intuì che doveva trattarsi di un Alto Comandante. Varian chinò il capo, segno che era un suo sottoposto. Eccolo, il famoso Feren di Boscoverde...quello che accompagnò Amon ai confini del Regno e lo cacciò via...pensò Goneril.

"Non avresti dovuto usare questi metodi. E' contro le nostre leggi far del male ai prigionieri. Cos'è quel sangue?" chiese Feren, perentorio.

"L'umana si è ribellata alla cattura, capitano." si giustificò Varian.

"Non è vero, razza di bugiardo..." sibilò Goneril.

"Portatela dentro. Un guaritore le suturi la ferita. E poi, accompagnatela dal Re." ordinò Feren. Si girò verso Varian. "Io non tollero gli abusi di potere, vice capitano."

Il suo subordinato non si fece intimidire. "Conoscete bene l'indole di questa mortale, signore. Sapete chi è. Non potevamo rischiare che sfuggisse."

"Non chiedo altro ai miei soldati e ai miei ...luogotenenti, di rispettare le leggi. Questo vale anche per te. Ricordatelo molto bene." rispose secco Feren. "Cos'altro hai visto nella Foresta?"

"Carcasse di animali, ovunque. Sono i ragni, colpiscono le creature del bosco con il loro pungiglione, solo per vederle agonizzanti. Un tempo si cibavano di loro, ora uccidono per il gusto di farlo." riferì Varian.

"Questo è strano. Riporterò al Re." mormorò Feren, pensieroso.

"Capitano, vi suggerisco di non sottovalutare la guerriera mortale. Ha ferito e quasi ucciso Meneàr. E sapete quanto lui sia abile con la spada." disse Varian. "Va sorvegliata attentamente."

Feren si girò a guardarlo. "So molto bene cosa va fatto. Tu, torna a pattugliare il bosco. Andate nella parte orientale." comandò.

"Ma...siamo appena tornati." protestò Varian.

"O... perdonami...avevi per caso da fare?" chiese Feren, ironico.

"No." grugnì il suo vice.

"Allora va'. E stasera riferiscimi ciò che vedi." disse il Comandante di Boscoverde.

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Capitolo 30
*** Scelte ***


Hammon osservava il simbolo sul suo scudo. Un cerchio perfetto, mezza luna e mezzo sole uniti.

Asad, uno dei veterani, che prima di darsi alla guerra era stato pittore e intagliatore, aveva passato tre settimane a ornare tutti i loro scudi con quella raffigurazione. Goneril l'aveva ideato: quell'immagine stava a significare che la loro compagine poteva combattere alla luce del sole, ma anche nelle tenebre.

Il giovane capitano non si era capacitato della sua improvvisa fuga.

Li aveva lasciati a Rohan senza preavviso, di notte, ed era sparita.

Li aveva gabbati come Degarre aveva provato a fare con lei.

Hammon si era sentito terribilmente in colpa per quella faccenda...per quel tentato tradimento. Quando il suo pari grado gli aveva proposto di mettersi in marcia per Gran Burrone, dopo il loro ritorno dalla foresta di Fangorn con Lassalle moribondo, inizialmente si era opposto. Aveva convinto Degarre ad aspettare un giorno in più, gli aveva detto che era loro dovere rimanere in attesa del Generale. Gli aveva detto che gli ordini dello Stregone erano stati quelli di aspettare all'accampamento, e che Goneril sarebbe arrivata presto.

Degarre aveva riso. Lo aveva preso in giro. "Hammon, tu sei uno sciocco. L'hai sentita: vuole andare a Isengard da sola, vuole uccidere Saruman...come fosse facile. Te lo dico io, la donna infine è impazzita del tutto. Sapevo sarebbe successo, era questione di tempo." gli aveva detto. "Quel vecchio deve averla uccisa."

"No. Non credo. L'hai detto anche tu, lo Stregone bianco non sembrava malvagio. E ha salvato la vita a Lassalle, non dimenticarlo." aveva ribattuto Hammon.

"Questa era solo una mia sensazione. Potrebbe averci convinti della sua buona fede per far sì che ci togliessimo dai piedi. Voleva rimanere solo con Goneril, forse per eliminarla dopo aver sentito del suo progetto di andare a Isengard a cercare Saruman. Gli Stregoni fanno tutti parte di un Ordine, e proprio Saruman è il loro capo. Quel vecchio che abbiamo incontrato nel bosco è soggetto a lui, e avrà tentato di difenderlo, uccidendo chi lo stava minacciando. Cioè...la nostra cara Generalessa." aveva spiegato Degarre.

"E allora perché non ha fatto fuori anche noi, o non ci ha trasformati in sassi o piante o in qualche maledetto animale del bosco?" aveva chiesto Hammon, perplesso. "Quello Stregone ha detto che Saruman é stato destituito. Non é più il capo di quell'Ordine, non avrebbe avuto motivo di proteggerlo. No Degarre, c'è qualcosa che non torna in tutta questa storia."

"Hammon, dammi retta. Goneril è andata, è bella che morta ormai. Per mano di quel Gandalf o di qualche Orco...è sotto terra adesso. E l'oro è a Gran Burrone. Andiamo a prendercelo, è nostro. Dopo, quando le tue tasche si riempiranno di piccole monete tintinnanti, non penserai più a Goneril te lo garantisco." aveva ghignato Degarre.

Ma Hammon aveva scosso la testa. "Non sappiamo se è morta!" aveva sbottato. "Potrebbe tornare. Potrebbe tornare e se vedrà che siamo spariti...il cielo ci aiuti, allora."

"Te la fai sotto come un lattante." aveva riso l'altro. "Sei ancora giovane, amico mio, capisco le tue preoccupazioni...ma io non ho passato gli ultimi dieci anni della mia infame vita a lavorare per la gloria. Ricordi cosa prometteva Goneril? Che con quei soldi avrebbe costruito un regno...tutte baggianate, follie di una donna consumata dal desiderio di vendetta. Quella aveva venduto la sua anima alla morte, Hammon, per motivi che non ci ha mai spiegato. Ma cento casse d'oro non sono baggianate. Esistono e sono là, nella valle di Imladris. E sono lì per noi, adesso."

"Sono anche sue. Se è viva, e se noi ci impossessiamo di quelle monete senza il suo consenso, verrà a cercarci. Rifletti ti prego..." erano state le parole di Hammon.

Preghiere inutili, perchè dopo alcune ore, Degarre aveva dato ordine alla legione di smontare tende, raccogliere gli indumenti, slegare i cavalli e rimettersi in marcia. In direzione di Imladris.

Due giorni dopo avevano incontrato di nuovo lo Stregone in una radura del Mark. Era all'affannosa ricerca di Eomer, nipote di Theoden, e aveva invece trovato loro. Hammon si era goduto l'espressione atterrita di Degarre, quando Gandalf lo aveva informato che Goneril si era volontariamente messa al servizio del regno di Rohan. E che era viva.

In tutta fretta, avevano informato i legionari del cambio di programma, cioé che la scampagnata verso Rivendell per mettere le mani sul loro tesoro si sarebbe trasformata invece in una corsa all'impazzata al Fosso di Helm ad affrontare un oceano di Orchi e Uruk-Hai piuttosto inferociti. Perché il loro Generale era lì, e dovevano andare da lei.

Adesso la faccenda si era ribaltata.

Adesso era Goneril ad essere sparita e, con tutta probabilità, si stava dirigendo con il cavallo di Rohan verso Gran Burrone. Certo, da sola non avrebbe potuto portare via cento casse pesanti come macigni. Senza dubbio avrebbe chiesto aiuto agli Elfi di Rivendell, dietro promessa di spartirsi quella grande ricchezza proprio con loro.

"Ma perché?" mormorò Hammon, osservando il suo scudo. "E perché hai abbandonato anche me? Cosa ho fatto per meritare questo...."

"Perché quella è pazza, te l'ho detto." sentì una voce. Degarre era dietro di lui.

Due giorni prima, avevano deciso di stanziare a Rohan con i loro soldati, dopo che Thèoden, suo nipote e i loro cavalieri si erano allontanati in direzione di Gondor. Con loro c'erano anche il Nano e l'Elfo, oltre a quel guerriero chiamato Aragorn. Hammon aveva il sospetto che quell'Uomo misterioso fosse il discendente di qualche importante linea di sangue. Trasudava carisma.

Prima della partenza, il Re aveva chiesto a Degarre di unire la legione al suo esercito, ma il capitano aveva rifiutato. "...non è la nostra guerra, Maestà. Noi abbiamo svolto un lavoro per voi, ma il nostro impegno finisce qui. E vi ricordo, che dovete ancora pagarci, Re Thèoden."

"Il vostro comandante è sparito. Io avevo preso accordi con lei, non con voi. A voi non devo niente." era stata la gelida risposta del Re di Rohan. "Dovreste vergognarvi. Il nostro mondo è sotto attacco, è ignobile che chiediate denaro per difenderlo."

Degarre quasi non aveva creduto alle sue orecchie. "Sire, l'unica cosa ignobile è che voi non onoriate i vostri debiti. Noi siamo professionisti, abbiamo perso trentadue dei nostri uomini per aiutare il vostro esercito. Abbiamo diritto a una ricompensa." aveva protestato.

"Volete una ricompensa?" era intervenuto Eomer. "Eccola: vi permettiamo di rimanere nei nostri confini, se non volete seguirci a Gondor. In considerazione di quello che avete fatto al Fosso di Helm, e solo in considerazione di quello, non vi scacceremo come cani dal nostro territorio. Ma oltre a ció, non avrete niente da noi."

Degarre non aveva ribattuto. Se la diatriba fosse proseguita, Theoden avrebbe anche potuto dare ordini di imprigionarli. Non era saggio mettersi contro un Re nel suo stesso reame. Aveva accettato l'umiliazione, ed erano rimasti, a rimuginare sul da farsi.

I soldati erano furiosi. Non solo il sogno di rotolarsi nella montagna d'oro era andato in pezzi, ma Goneril era fuggita, per la prima volta non erano stati pagati per un lavoro portato a termine, e i loro due capitani sembravano più frastornati di un topo centrato in pieno da un olifante.
"Sapete cosa dovremmo fare?" aveva proposto Aran, la cui cicatrice sulla guancia sinistra gli deformava il viso in un ghigno inquietante. "Dovremmo prendercela noi, la ricompensa. Qui a Rohan..."

"In che modo?" aveva chiesto un altro soldato.

"Guardatevi in giro..." aveva detto, indicando una ragazza che portava un cesto di verdura verso casa. "Guardate... è pieno di ricompense, qui...quella me la prenderei volentieri. Da quanto tempo non mi faccio una donna..."

"Bah...smettila." aveva detto l'altro soldato.

"Gli Uomini di Rohan sono lontani. Sono andati tutti a Gondor a combattere. Hanno lasciato qui bambini, vecchi, malati e ...ragazze." aveva ridacchiato Aran. "Io dico che dovremmo approfittarne."

"Vorresti aggredire la popolazione di questo posto? Hammon e Degarre te la faranno pagare se ci provi." aveva risposto il soldato. "Figurati... quei due sono più confusi di me e di te adesso. E Theoden se lo meriterebbe. Quel bugiardo...aveva promesso che ci avrebbe dato quello che ci spettava." era stata la risposta di Aran. "Sono stufo e arcistufo di vane promesse. Prima Goneril con le sue fantasie su una nuova nazione...ricordi? Dove avremmo vissuto in pace, spartendoci la ricchezza. E ora, siamo rimasti con un pugno di mosche in mano. No, a me non va giù amico. Non mi va giù per niente."

Hammon aveva intuito il malcontento dei soldati. Una frustrazione che poteva diventare molto pericolosa, perchè quella marmaglia di ex briganti in mancanza di altro avrebbe potuto pretendere comunque un pagamento. Di qualsiasi natura.

Degarre si avvicinó a Hammon, che sembrava ancora perso nei suoi dolorosi ragionamenti. "Non pensarci troppo. Goneril ha sempre avuto la mente avvelenata. Non avremmo dovuto lasciarle prendere il comando, dopo la morte di Mainard. Siamo stati degli ingenui a non opporci a lei quando potevamo farlo." si lamentò Degarre. Entrambi osservavano la legione, in attesa di ordini. "Ma ora so cosa fare."

Hammon lo guardò incuriosito. "Cioè?"

Degarre si avvicinò a lui. Gli occhi gli brillavano. "Mi è giunta notizia che tutti gli Uomini dell'Est, gli Orientali, stanno marciando verso Gondor. Perfino i Varyag del Khand." disse.

"Cosa? Stanno accorrendo tutti in difesa di Minas Tirith? Non credevo che Denethor avesse tanti alleati..." chiese Hammon.

Ma Degarre scosse la testa. "No...stanno marciando contro Gondor, capisci? Si sono alleati a Mordor." disse, emozionato.

Hammon non riuscì a crederci. "Cioè...vuoi dire...che gli Uomini si sono alleati agli Orchi?" chiese.

"Sì. E lo sai perché? Perché sanno che alla fine la vittoria sarà di Sauron. Il suo potere è troppo forte. Vogliono allearsi con il futuro padrone del mondo. In questo modo, non saranno suoi schiavi, ma sudditi, e godranno insieme del suo trionfo. Ho sentito che anche i Corsari di Umbar stanno inviando le loro flotte, anche loro hanno giurato fedeltà al Signore oscuro." disse Degarre. "Hammon, qui la faccenda è seria."

Il giovane capitano lo guardò, confuso. "Ma che vuoi dire, Degarre?"

"Che anche noi siamo chiamati a decidere da che parte stare. Anche noi siamo Orientali, e se i nostri fratelli di altre contrade hanno scelto Sauron, lo faremo anche noi. Questo voglio dire." spiegò Degarre. "Ho riflettuto. E ho capito che è l'unica alternativa. Diventare alleati di Sauron ci porterà innumerevoli privilegi, al cui confronto quelle casse d'oro sono briciole."

Hammon non poteva replicare. La lingua si era come immobilizzata nella sua bocca. Era esterrefatto. "Non puoi essere serio... vuoi schierarti con quel dèmone e con quegli esseri orribili che comanda? Con Uruk-hai e Orchi e Nazgul? Sei tu ad essere impazzito, non Goneril."

Degarre lo guardò male. "Meglio se apri le orecchie, Hammon. E già che ci sei, apri anche gli occhi. Il mondo sta per cambiare. Esiste un forza talmente potente da distruggerlo, e opporsi a quella forza è peggio che stupido, è futile...perché avrebbe un'unica conseguenza: l'annientamento. Dobbiamo giurare fedeltà a Mordor, come hanno già fatto i nostri fratelli dell'Est."

"No." rispose Hammon. "Io non sarò complice di questo. Mio nonno è stato leale servitore di Gondor, io non mi schiererò contro quel regno. Dovresti provare vergogna per ciò che hai appena detto."

Degarre a quel punto si avvicinò ancora di più al suo compagno d'armi. "Scegli Hammon: o stai con le forze di Mordor, o sei contro di loro. Io ho già deciso."

"Se questa è la scelta, sono contro di te, allora." replicò il capitano. I due uomini si fissavano senza parlarsi, come due gatti qualche attimo prima di azzuffarsi.

"In tal caso, ti consiglio di prendere il tuo cavallo e andartene alla svelta." ringhiò Degarre. "E non voltarti. I legionari seguiranno me a Minas Tirith. Tu...va' pure a cercare Goneril. E attendete insieme la fine." aggiunse Degarre, con un sorriso viscido.

"Questo è il peggiore dei tuoi tradimenti." disse Hammon, ancora incredulo. "Sei un lurido infame."

"Eru ci ha creati liberi di scegliere...fosti tu a dirlo. Pare proprio che ci sia della verità in quella filosofia. Ti saluto, Hammon." concluse il capitano. "A mai più rivederci."

Non ci furono altre parole fra i due. Due guerrieri che avevano condiviso dieci anni di avventure, che si erano salvati la pelle a vicenda innumerevoli volte e altrettante avevano affrontato la follia di Goneril, due uomini che con lealtà reciproca avevano condotto una legione di cinquecento soldati, si erano scoperti nemici.

Hammon era partito di gran carriera da Edoras, in direzione dell'unico luogo dove in quel momento sentiva di poter trovare rifugio. Avrebbe chiesto consiglio a chi da più di seimila anni calpestava il suolo di Arda ed era stato diretto testimone del primo grande tradimento degli Uomini, da cui era iniziato tutto quell'inferno che si stava scatenando.

Avrebbe chiesto aiuto a chi era lì, quando Isildur aveva fatto la sua scelta.

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Capitolo 31
*** Il Signore del Nord ***


"In ginocchio!" ordinò Feren, dando un colpo sulle gambe di Goneril con l'impugnatura della sua frusta. "In ginocchio davanti al nostro Re!"

"Feren, auta hí. Nanwe apa." disse Thranduil. Quella frase significava: va' via di qui. Torna più tardi.

Voleva interrogarla di persona, e questo era già di per sé allarmante, considerato anche che in quel momento il Re Elfo aveva con sé la lunga spada regale: Thranduil la teneva appesa a un fianco, parzialmente nascosta dalla veste color mosto.

La donna era stata trasportata nei quartieri di guarigione, dove un esperto in ferite le aveva chiuso lo sbrego sulla fronte e le aveva offerto una misteriosa, e assai poco gustosa, bevanda per farle recuperare parte delle energie. "Sei il secondo guaritore che incontro nella mia vita..." aveva mormorato, una volta recuperato la lucidità.

L'Elfo non le aveva risposto.

"Che c'é, sei muto? Gli scoiattoli ti hanno rubato la lingua?" lo aveva provocato.

"Non si parla con i prigionieri." aveva infine risposto l'altro. "Specie...con le carogne come te."

"La mia fama mi precede perfin qui." aveva ghignato Goneril. "Sono una celebrità, a quanto pare."

Feren era stato presente per tutto il tempo necessario a curare la donna, e una volta che il guaritore ebbe dato il consenso, l'aveva accompagnata verso il grande antro al centro del regno, ove era posto il trono del Re.

Thranduil l'aveva aspettata in piedi, le mani unite dietro la schiena, con un'espressione solenne e guardinga. Era incuriosito. Ne aveva sentite di ogni sorta sulla guerriera umana. Ne aveva sentite tante, da aver a un certo punto avuto il sospetto che si trattasse di una creatura di Sauron, un orrendo esperimento tanto quanto lo erano gli Uruk-Hai. Una nuova, micidiale arma.

Quando l'aveva vista, era rimasto un po' sorpreso e, forse, deluso. 
Quella era una donna umana, nient'altro.

Mentre con Feren si avvicinava al suo trono, nulla aveva scorto in lei di straordinario, e nemmeno di un po' interessante.

Una donna umana, come ce n'erano molte a quel mondo. Più attraente di altre, forse, ma niente di eccezionale.

"Eccolo qui, il flagello dell'Est." disse il Re, con un sorriso. "La grande guerriera."

Goneril era stata costretta a inginocchiarsi. Le mani legate dietro la schiena. Una barra di legno posta dietro i gomiti non le permetteva di muovere le braccia. Le rotule le facevano già male.

Alzò lentamente il viso.

"Eccolo qui, il folletto del Bosco." rispose lei. "Il grande Re senza Regina."

Doveva stare attenta, Goneril. 
Doveva stare molto, molto attenta.

Thranduil aveva potere psichico, poteva spiare nei suoi pensieri esattamente come Gandalf. Poteva leggere la sua mente come un libro aperto. Se l'avesse lasciato fare, avrebbe aperto uno a uno i cassetti della sua memoria per trovare le informazioni che gli servivano. Per scoprire il motivo che l'aveva spinta lì, nel suo bosco. Nel suo territorio.

E c'era un cassetto che doveva rimanere chiuso, sigillato. Il Re non doveva scoprire perché la donna si stava dirigendo verso Esgaroth. Non doveva sapere che il suo piano era incontrare Roswehn Monrose. Non doveva sapere che Goneril sapeva. 
Dell'esistenza di Roswehn, dell'amore che lo univa ancora a lei, di loro figlio Haldir.

Perché se avesse scoperto che il segreto era in mano a quella guerriera, nel timore che quest'ultima avrebbe potuto svelarlo l'avrebbe eliminata. L'esistenza di quel principino mezzosangue era la notizia più riservata di Arda, dopo la scoperta dell'Unico Anello. E se c'era una cosa che Goneril aveva sentito infinite volte su Thranduil, era che non aveva scrupoli, né pietà. Un po' come lei. Non si sarebbe fatto problemi a cancellarla dalla faccia della Terra.

La sua vita, in quei minuti, era dunque in bilico su un filo sottilissimo. Tutto dipendeva da quanto la sua mente avrebbe resistito.

Perciò, doveva concentrarsi su altro. Non doveva pensare a Roswehn, davanti al Re. Non doveva pensare ad Amon. E soprattutto, non doveva pensare a quell'Haldir, nascosto in chissà quale stanza a chiedersi che diavolo stesse succedendo.

Nel sentire l'accenno alla sua Regina, Thranduil portò subito una mano all'elsa della spada. "Non proseguire oltre. Mi servono informazioni, e perció ti sto tenendo in vita. Ma esiste un confine che non devi superare." le disse, gelido. "Di' un'altra parola su mia moglie, e questo pavimento in pietra sarà l'ultima cosa che vedrai."

"Deve essera stato difficile vivere solo per tutti questi millenni, Maestà. Avete il mio rispetto per esserci riuscito, questo intendevo." proseguí lei, mentre tentava di farsi venire in mente qualcosa. Pensò alla notte di guerra al Fosso di Helm.

Thranduil indovinò i suoi pensieri.

"Vieni da Rohan. Cosa é successo laggiù? Parla." Ordinò.

"Una battaglia, grande Re. Una battaglia come credevo non ne avrei mai viste. Una battaglia che é stata solo una scaramuccia rispetto a quello che sta per capitare." raccontò lei.

Thranduil si portò un passo più vicino alla donna, ancora inginocchiata. "Alzati." disse.

Con fatica e non nascondendo una smorfia di dolore, Goneril si mise in piedi.

"Che altro sai?" proseguí il sovrano.

"Théoden e i suoi uomini sono in marcia verso Gondor. Denethor ha dato ordine di accendere i fuochi di segnalazione. Le Torri-faro ardono, Maestà. Minas Tirith é sotto attacco." spiegò Goneril.

"Chi cavalca con Théoden?" volle sapere Thranduil.

"Un uomo, un ramingo di nome Aragorn. Credo l'abbiate già sentito nominare." rispose lei.

"Conoscevo suo padre, infatti." confermó il Re.

"Un Nano, Gimli figlio di Glòin. E...vostro figlio." rispose lei.

"Hai parlato con Legolas?" chiese Thranduil, guardandola. "Che gli é successo laggiù?"

"Vostro figlio é un grande combattente, lord Thranduil. Potete esser fiero di lui. Ha ereditato le vostre abilità, e quelle del grande Oropher. Il Doriath è stata davvero la patria dei più indomiti guerrieri." disse Goneril, tentando la strada dell'adulazione, per distrarre il Re. "Legolas ha fatto la sua parte, é stato valoroso."

Thranduil arricció le labbra in un sorrisetto sarcastico. "Furba. Sei furba come una piccola volpe, vero?"

Goneril non abbassó lo sguardo. "Vi sto solo riferendo i fatti, come avete chiesto."

"Prosegui." la esortó l'Elfo. "Perché sostieni che stia per arrivare la guerra?"

Goneril si sorprese. "Avete ascoltato ció che ho appena detto? Gondor é minacciata, perfino Théoden sta accorrendo in suo aiuto. Théoden...che fino ad ora ha sdegnosamente rifiutato i contatti con Denethor. Capite questo cosa vuol dire?"

"No. Cosa vuol dire? Spiegamelo tu." continuó Thranduil.

"Che le prossime ore saranno decisive per questa Terra. Forse voi non siete al corrente dei recenti avvenimenti, ma un esercito mostruoso è stato creato. Potete credermi, io ne ho visto una parte. Diecimila Orchi hanno marciato contro il Trombatorrione. Diecimila. E sono abbastanza sicura che le forze in campo contro Gondor siano anche più numerose." disse Goneril. "Perdonate la schiettezza, lord Thranduil...ma qui mi pare evidente che Sauron si stia preparando a prendervi tutti a calci nel sedere."

Thranduil reagì con una smorfia infastidita nel sentire quel linguaggio. Ma poi rimase in silenzio, valutando le sue risposte.

"Sì. So molto bene cosa ci attende, in verità. Celeborn mi ha informato. Sauron tenterà di aggredire i nostri due regni." disse il Re. "I soldati di Mordor sono purtroppo anche più numerosi di quanto tu creda."

"Ma i suoi eserciti sono diretti a Minas Tirith. Come possono contemporaneamente attaccare i reami elfici?" obiettò lei.

"É un errore che Sauron ha già commesso durante lo scontro alle pendici del Monte Fato, quando Isildur lo sconfisse. In quella circostanza, la falla strategica dell'oscuro signore fu proprio aver permesso a Elfi e Uomini di allearsi. Stavolta sarà più furbo. Vuole inviare parte delle sue legioni verso il Lothlórien e qui, a Ery Galen, per tenere me e Celeborn bloccati con gli eserciti a difendere i nostri territori. In questo modo, non potremo accorrere in aiuto agli Uomini." spiegò il Re.

Goneril ascoltò la notizia incredula. Allora Sauron avrebbe avuto gioco ancora più facile del previsto.

"E non é tutto: probabilmente non sai che buona parte delle sue schiere di combattenti é formato da Uomini." disse il Re. "...mortali. La tua razza."

"Cosa?!" chiese la guerriera. "Chi sarebbero?"

"Uomini dell'Est. Haradrim. Orientali. Corsari." rispose il Re, gelido. "La cosa ti sorprende?"

Goneril era sconvolta a dir poco. Uomini dell'Est... o grande Eru...e se....

Pensò a Degarre.

"Il gruppo mercenario che hai abbandonato potrebbe in effetti unirsi alle fila. Le tue preoccupazioni sono legittime." osservò il nobile Elfo.

Goneril si riprese. "Non sono preoccupata. Quegli uomini e i loro destini sono il passato, per me. Dite bene, li ho lasciati. Io ho altri progetti." rivelò, stando bene attenta a non dire troppo.

"Come quello di andare a Esgaroth?" chiese Thranduil. "Uno dei miei soldati dice che gli hai chiesto di indicarti la direzione per il territorio di Dale."

La donna sentí un colpo al cuore. "Sí. Precisamente." rispose, asciutta.

"Vai a far cosa, laggiù?" insisté Thranduil.

"Intendo parlare con la regina Sigrid. Deve essere informata. Quello che ho appena sentito da voi conferma i miei timori. Anche Dale rischia di essere annientata, se quelle bestie si spingeranno fin lí." tentò di mentire Goneril.

"I tuoi...timori." ripeté Thranduil. "Sei preoccupata per la gente di Esgaroth? Per quei poveri pescatori? Cosa mai può importare, a una come te, della vita di quei paesani?"

Goneril colse la sfumatura ironica di quella domanda. Si sforzò di sembrare sincera. "Sono cambiata, lord Thranduil. Sto passando un momento difficile, ora...tutte le mie certezze sono in discussione. Ho deciso di chiudere con la violenza. Ecco...ho deciso di iniziare una nuova vita."

Il Re sorrise di nuovo. "I miei complimenti per la tempestività. Hai deciso di iniziare una nuova vita ora che le vite di tutti sono sull'orlo del baratro."

Goneril non si scompose. "Ognuno ha il suo destino. Le nostre scelte possono influenzare l'andamento delle cose, e mi piace pensare che questa mia decisione, nel lungo periodo, si riveli giusta."

"Non ho mai apprezzato il fatalismo. É segno di debolezza caratteriale. Noi ci costruiamo il futuro, giorno dopo giorno. Sperare nelle coincidenze e in fortuite combinazioni del caso, é invero sciocco." disse Thranduil. "Ad ogni modo, non posso lasciarti andare. Vedi, nonostante le tue belle parole ho la strana sensazione che tu mi stia nascondendo qualcosa. Stai provando a prenderti gioco di me."

"Cosa?! Io vi ho detto tutto quello che so. Sono stata sincera, lord Thranduil!" protestó lei. Inizió a sudare freddo. "Dovete liberarmi!"

"Devo?!" rispose il Re. Poi si avvicinó a lei di un altro passo e le afferró il viso con una mano. "Ti conviene dare un taglio a quell'impudenza nei miei confronti. Non so quale progetto ti stia portando a Dale, ma ascoltami bene: io sono Thranduil Oropherion, sovrano degli Elfi Silvani, Signore del Nord. E non mi lasceró prendere in giro da te."

Detto ció, con un breve gesto della mano, chiamó i soldati. Due Elfi in pesante armatura si avvicinarono e afferarono Goneril per le braccia.

"No! Non avete diritto di rinchiudermi! Io non ho fatto niente, vi ho detto ció che sapevo!" urló la donna.

"Non hai fatto niente, dici... se fossi in te non azzarderei simili considerazioni. Ma sta pur certa che ti renderò inoffensiva per il futuro. Voi, portatela nei sotterranei. Sorvegliatela." comandò Thranduil ai soldati nella lingua comune, perché anche Goneril capisse.

Gli Elfi trascinarono via la donna. "Siete spregevole! Siete un tiranno!" urlò ancora lei.

"C'é un altro motivo per cui ti punisco, donna dell'Est. Tu non hai abbandonato solo i tuoi mercenari. Tu hai abbandonato anche tuo padre. Théoden. E questo é un crimine per il quale non esiste ammenda, ma solo la vergogna eterna." concluse Thranduil, che aveva scavato negli angoli della sua mente e aveva scorto il volto del Re di Rohan. Poi aggiunse, rivolto ai suoi Elfi: "E che nessuno si avvicini a lei mentre é rinchiusa. A questa donna sia proibito ogni contatto con altri."

Dopo aver osservato la mortale sparire verso le segrete, in un florilegio di imprecazioni e maledizioni al suo indirizzo, Thranduil sospirò.

Non aveva fortuna con le femmine umane.

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Capitolo 32
*** L'evasione ***


Goneril venne gettata senza troppi complimenti in una delle celle del sotterraneo.

L'Elfo carceriere chiuse con un gesto deciso la porta a sbarre, e con due giri di chiave fece scattare la serratura.

La donna sentì un'ondata di rabbia percorrerle la schiena. Afferró le sbarre con entrambe le mani. "Thranduil!! Non puoi far questo! Disgraziato! Infame!!!" urló con tutta la voce che aveva in gola.

"Silenzio!" comandó la guardia. "Meglio per te se stai tranquilla. Impazzirai in questo angusto spazio, se non risparmi le energie."

"Dammi quelle chiavi!" gridó lei, facendo passare un braccio attraverso le sbarre di ferro. L'Elfo si ritrasse di scatto, anche perché la donna sembrava fuori di sé, come una leonessa in gabbia. "Dammi quelle chiavi...e forse ti lasceró vivo!" disse.

L'Elfo rise. "Dovresti preoccuparti di rimanere tu viva. Poiché Lord Thranduil non ti ha condannata a morte, siamo incaricati di sorvegliarti e portarti del cibo. Credo abbia ancora bisogno di parlare con te, per questo vuole che tu sopravviva."

"Il tuo Re...ha le ore contate, te lo garantisco. Come tutti voi." rispose lei. "Il vostro mondo brucerà. Ogni singolo albero di questa foresta andrà in fiamme. Stupidi!"

"Beh... in attesa di andare arrosto...io vado a bermi un bicchiere. Tu...mettiti pure comoda." ridacchió la guardia. Poi, dopo aver agganciato il mazzo di chiavi alla sua cinta, si allontanó verso le cantine.

"Torna qui, muoviti!" gridó ancora lei.

"Ti auguro buona notte, mortale." sentì l'Elfo rispondere, mentre si allontanava. E poi un'altra risata.

Goneril sbatté una mano contro il ferro di quella porta. Rinchiusa. Era prigioniera. E ora avrebbe allegramente detto addio al suo oro.

Certo, con lei bloccata lì, i suoi uomini sarebbero andati al galoppo a Gran Burrone a prendersi le cento casse indisturbati. A meno che, naturalmente, Degarre non avesse scelto davvero di unirsi al resto dei popoli dell'Est e andare a Gondor. Per mettersi al servizio di Sauron.

Più ci pensava, più le sembrava incredibile. E d'improvviso, le fu anche chiaro il motivo per cui gli Elfi covavano sempre quell'indistruttibile complesso di superiorità verso gli Uomini. 
Un Elfo non si sarebbe mai unito agli Orchi. Piuttosto si sarebbe fatto tagliare a fettine, ma non avrebbe mai e poi mai scelto di servire Morgoth o il suo amichetto a forma di occhio gigante.

Gli Uomini sì, invece. Gli Uomini erano deboli, ambiziosi, meschini. Gli Uomini dell'Est erano pronti a scendere in campo contro i loro fratelli del Sud, cioé gli abitanti di Gondor, e a quelli dell'Ovest, cioé Théoden e la sua gente, per arrivare al Potere.

Pensó che, alla luce di quello, perfino la razza degli Orchi poteva sembrare migliore di quella umana: gli Orchi non si fregavano l'un l'altro in quel modo. Non si facevano guerre fra di loro. Insomma, erano tutti schierati con il Male, ma almeno erano schierati tutti da una parte. Erano coerenti, per la miseria.

Degli Haradrim non c'era da sorprendersi: erano discendenti dei Numenoreani Neri, la gente che millenni prima aveva già scelto Melkor, o Morgoth, come padrone.

I Corsari di Umbar erano stati una spina nel fianco per Gondor fin dalla Seconda Era, e di sicuro non avrebbero perso la ghiotta occasione di tentare l'assalto finale al grande regno.

Ma dagli Orientali, in special modo dai Varyag del Khand, non se lo sarebbe aspettata. Il Khand era un piccolo territorio annesso a Mordor, ma nonostante la posizione geografica, i suoi abitanti avevano mantenuto sempre una certa indipendenza dai mostri che abitavano Barad-dûr. 
Anzi, odiavano gli Orchi.
Perché improvvisamente si erano sottomessi a Sauron? Dietro quale promessa avevano rinunciato alla loro autonomia?

Goneril si trovó a ripensare alle parole di Degarre: un potere troppo grande. Eh sì, se le cose si fossero messe bene per l'Oscuro signore, il potere che avrebbe acquisito sarebbe stato davvero immenso. Irresistibile. 
La chiave era l'Anello, di cui le aveva parlato Gandalf. Quello sconosciuto Hobbit che lo custodiva era stato gravato di un peso troppo grande per le sue piccole spalle.

Non ce l'avrebbe fatta, non poteva farcela. Portarlo al Monte Fato, scalare quella specie di vulcano e gettarlo nella lava, indisturbato? Robe da matti, solo a pensarci. Gandalf e Elrond dovevano essere stati ubriachi quando aveva pianificato la cosa.

Gli Hobbit erano creaturine che sapevano fare bene solo tre cose: coltivare i campi, mangiare e fumare erba pipa. Che cosa poteva saperne uno di quei piccoletti su Anelli magici e Maiar e incantesimi? 
Probabile che lo spirito di Sauron, benchè ancora ignaro di chi fosse il portatore, avesse sentito che l'Anello era nei paraggi e che tentava di tornare da lui. E lo aveva capito anche Saruman, che non aveva perso tempo a decidere da che parte stare. Gli era andata male, ma prima di dire addio al mondo era riuscito a mettere insieme un'armata senza precedenti.

Comunque, per il momento quelli erano i problemi del mondo al di fuori di Boscoverde, e non riguardavano Goneril. Il suo problema, nelle prossime ore, sarebbe stato capire come cavolo uscire da una prigione elfica.

Tastó la serratura della porta con le mani. Non trovó un punto debole, una parte arrugginita da forzare. Osservó le pareti interne della celletta: erano mura senza spiragli, ed erano di solida roccia, non erano fatte di tufo. Non si poteva scavare.

Cosa rimaneva da fare?

Impetosire gli Elfi fingendo un malore era fuori discussione. Erano esseri troppo intelligenti per cadere in un tranello.

Urlare, minacciare, non l'avrebbe portata a nulla, tranne forse a beccarsi una secchiata d'acqua gelida o, al peggio, una frustata.

Peró, doveva uscire di lì.

Calma, Goneril. Rifletti. Ricorda cosa diceva il tuo amico Amon, che conosceva bene questo posto: per ogni problema, c'é la soluzione. Devi solo riflettere.

L'umana non poteva sapere che di lì a qualche ora, la soluzione si sarebbe presentata da sola.

⚜️⚜️⚜️

Era seduta sul pavimento in pietra fredda del loculo, quando con la coda dell'occhio catturó un movimento. 
Guardó fuori dalla celletta.

C'era qualcuno lì.  Qualcuno che si nascondeva sotto a un lungo matello blu come la notte. Un meraviglioso mantello di velluto.

Il cappuccio rialzato nascondeva i lineamenti. Le sembró di rivivere la scena con Legolas a Edoras, quella notte in cui l'Elfo biondo le aveva suggerito senza mezzi termini di andarsene al diavolo e piantarla di rovinare la vita a tutti, grazie tante.

Anche quel misterioso visitatore era biondo, qualche ciocca dorata spuntava dal cappuccio ed era morbidamente abbandonata sul petto. Erano capelli ondulati. Del viso, vedeva solo il mento e le labbra. Labbra rosse, piene, da donna. Ma quello era un maschio, lo capiva dall'altezza e dal torso ampio.

"Chi sei?" disse lei, alzandosi in piedi. "Che vuoi?"

"Tu sei la donna chiamata Goneril." disse la creatura. La voce era profonda, il timbro era quello di Thranduil, forse un po' più mellifluo.

"Ho chiesto chi sei." ripeté la guerriera.

Dal mantello spuntó allora una mano candida come porcellana, e con un movimento lento ed elegante abbassó la cappa che copriva il volto.

Appena vide i lineamenti, Goneril seppe di chi si trattava.

Haldir, il secondogenito del grande Re Elfo. 
Il fratellastro di Legolas. 
Il mezzosangue più importante di Arda.

Doveva essere lui, perché una bellezza simile non poteva che appartenere a un essere speciale, a un essere che pareva venire da un altro mondo.

La somiglianza con Thranduil, in realtà, era vaga, e stava tutta nel biondo dei capelli e negli occhi color ghiaccio. Il resto, doveva averlo ereditato dalla madre umana. Aveva in effetti un viso femmineo, sensuale, dolce. Zigomi morbidi e occhi impreziositi da lunghe ciglia.

E perfino Goneril, che normalmente era parca di complimenti verso il prossimo, non riuscì a trattenersi. 
"Ma sei uno splendore..." mormoró, rapita.

L'Elfo abbassó lo sguardo, intimidito e lusingato, e accennó un sorriso. 
Poi tornó a guardarla. "Mio pa...il Re ha dato ordine di rinchiuderti. Volevo parlarti." disse Haldir.

"Non sforzarti di nascondere la tua identità...principe." rispose Goneril.

Haldir si allarmó e fece un passo indietro. "Sai...chi sono?" chiese, i grandi occhi azzurri spalancati.

"Tuo padre si é così impegnato per proteggere il segreto della tua esistenza...che é perfino divertente vedere quanto i suoi sforzi siano stati vani. Sì, so chi sei." riveló la donna. Sorrise. "...ho sentito molto parlare di te, giovane Haldir."

L'Elfo guardó in direzione delle cantine, preoccupato che una guardia sopraggiungesse. Le fece cenno di abbassare la voce. Poi si avvicinò alla cella. "Oggi il Re ti ha interrogato, me l'ha detto. Non é soddisfatto dalle tue risposte. Per lui, tu ancora nascondi qualcosa. Intendevi andare a Esgaroth." disse. "É la verità?"

Goneril fece di sí col capo. "Esatto. Ahimé, il tuo papà non é d'accordo."

Haldir mise una mano sulle sbarre. Si fece ancora più vicino e Goneril ammirò di nuovo la perfezione del
suo viso. "Se sai chi sono...forse...allora...conosci anche mia madre." disse lui.

L'umana si trovò interdetta. Davanti a Thranduil aveva faticosamente evitato di pensare alla donna di Dale...ma con suo figlio, cosa avrebbe dovuto fare?

Scrutò i suoi occhi.
Haldir aveva uno strano sguardo, e un atteggiamento che sembrava cospiratorio. Questo la incoraggiò a correre il rischio.

"Sí. So che vive lí. Si chiama Roswehn." ammise.

Il principe afferrò le sbarre anche con l'altra mano. "Dimmi, ti prego... stai andando da lei?" chiese, ansioso.

A quel punto, la guerriera tornò cauta. Il suo istinto le ordinò di non sbottonarsi troppo. Prudenza, ci voleva con gli Elfi. Prudenza.

"Io devo parlare con la regina Sigrid, come ho spiegato a tuo padre. É quello il mio piano." rispose freddamente.

Haldir la fissò e la donna incontrò lo stesso sguardo penetrante del Re. Ma se non aveva ceduto davanti al millenario Thranduil non avrebbe ceduto nemmeno davanti a quell'Elfo,  che sembrava poco più di un adolescente.

"Senti," disse infine Haldir. "Voglio chiederti un favore."

"Parla." lo esortò Goneril. 
Haldir era venuto lí a contrattare qualcosa... e nessuno meglio di una mercenaria sapeva fiutare una grande occasione. Un buon affare.

"Ti voglio aiutare. Ti farò fuggire. Ho qui con me l'altra chiave di questa cella. Vengono sempre realizzate copie di queste chiavi, in caso venissero perse. L'ho trovata." spiegò il principe.

"Eccezionale." si complimentò Goneril. "E che favore vuoi in cambio della mia libertà?" chiese, intuendo comunque la risposta. Non ci voleva un genio. 

"Andrai a Dale, hai detto. Mia madre vive lí. Ti chiedo...di portarle un mio messaggio." disse a bassa voce Haldir. "Lo farai, se ti lascio libera?"

"Puoi scommetterci." promise la donna.

Haldir studiò il suo viso per qualche attimo. Non gli piaceva molto la luce maliziosa negli occhi verdi dell'umana, ma doveva rischiare. Doveva provare a fidarsi di lei. "Mio padre mi ha proibito di andare a Esgaroth. Ho sempre fatto visita a mia madre, ma ora me l'ha vietato. Se sparisco d'improvviso, lei si preoccuperà. Tu sai chi é Roswehn Monrose, immagino tu sappia anche quanti anni ha. Non le resta molto da vivere, purtroppo. E io ho paura di non riuscire a dirle addio, prima che i suoi giorni da mortale  finiscano. Puoi comprendermi? Io devo rivederla. E lei deve sapere che in qualche modo andrò a Dale. Deve...aspettarmi." disse. Goneril notò che aveva gli occhi lucidi.

"Perché non parli a tuo padre e non gli dici quello che hai detto a me?" chiese.

Haldir fece un sorriso amaro. "Mio padre...lo hai conosciuto, mio padre." mormorò. "Mi ostacola su molte cose. É fatto cosí."

"Mi sembra crudele, peró. Inoltre, so che lui e tua madre si sono amati moltissimo. Come può essere cosí duro anche verso di lei? Proibirle di vedere il suo unico figlio?" obiettò Goneril.

Haldir si girò dall'altra parte. Forse per nascondere una lacrima. 
"Non lo so. Non lo so, ma io...non posso. Cioé, non voglio chiudere in questo modo. Dimenticarmi di lei." si voltò di nuovo verso Goneril. "Allora, mi aiuterai?"

La guerriera allungò una mano attraverso le sbarre. "Questa mano ne ha strette molte altre, principe. Ho preso decine di accordi, in vita mia. A volte li mantenevo, a volte no. Ma questa volta, hai anche la mia parola d'onore."

Haldir allungò timoroso una mano verso la sua e gliela strinse. Goneril avvertí una strana energia saettarle nel braccio.

Poi, l'Elfo estrasse la preziosa chiave e, il più silenziosamente possibile, la inserí nella serratura. In un lampo, la porta si aprí e lei fu libera.

"Ora seguimi. In silenzio." sussurrò Haldir. "Stiamo entrambi rischiando grosso, sappilo."

"A me capita spesso, altezza." rispose lei. "Ho rischiato grosso per tutta la mia vita."

"Ti accompagnerò al confine orientale. Ti mostrerò il sentiero nascosto attraverso i boschi, quello che percorro io quando vado a Dale. Mio padre non sa della sua esistenza" bisbigliò l'Elfo, mentre entrambi sgattaiolavano lontani dai sotterranei. "É notte fonda. Dovrai fare attenzione."

"Non preoccuparti. Ma rivoglio il mio mantello. E la mia spada." pretese lei.

"Ho già recuperato tutto." rispose il principe.

I due attraversarono cunicoli oscuri, corridoi sotterranei e inosservati lasciarono il Palazzo.

Una volta all'aperto, vennero avvolti dalla nebbia notturna, che in quelle prime notti di Marzo era ancora fitta. Faceva freddo.

"Per di qua. Seguimi." disse il Principe. "E prega che nessuno ci veda."



Dal numero di visite vedo che questo capitoletto è piaciuto molto. 
Mi fa piacere.
Recensioni gradite.

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Capitolo 33
*** La via nascosta ***


Camminando nell'oscurità e nel silenzio della notte, Haldir e Goneril arrivarono all'inizio di quello che sembrava un tunnel di rami e fronde, un piccolo sentiero che deviava dalla strada battuta.

La soldatessa aveva acceso una torcia, che illuminava quel percorso boschivo di una tenue luce arancione. Il mantello e la spada dorata - che Haldir aveva recuperato dalla tesoreria proprio prima che venisse gettata in una fornace - le erano stati resi.

"Eccoci." annunció l'Elfo, indicando la via attraverso i tronchi d'albero. "Ora, devi seguire questo sentiero. Arriverai a una pianura brulla, che scende in declivio. Dovrai percorrerla fino in fondo, stando attenta a non scivolare. É ancora inverno, il terreno é duro e potrebbe perfino esserci del ghiaccio."

"Potrei perdermi." disse Goneril.

Haldir sorrise. "Non temere. Per segnalare la strada giusta, ho lasciato tracce al mio passaggio. Seguile."

"Quali sono?" chiese Goneril. "E come mai tuo padre non sa di questa strada? Ti aveva concesso di andare a Dale una volta al mese, perché hai dovuto trovare una via segreta?"

"La strada ufficiale verso Esgaroth, quella che conosce il Re, é in effetti un'altra. Ma come avrai intuito, ho disobbedito spesso ai suoi ordini. Mi sono recato da mia madre anche dieci volte in un mese solo, e ovviamente ho dovuto...trovare un'alternativa." riveló il Principe. "Nessuno mi ha mai sorpreso."

"Beh, altezza, hai un temperamento notevole. E un grande coraggio." disse la guerriera. "Mi chiedo, però, perché mi lasci andare in questo modo." aggiunse.

Haldir la guardò, confuso. "Che vuoi dire?"

"Tuo padre ti avrà detto chi sono, immagino. Cioé, qual'é stato il mio mestiere fino a poco tempo fa." rispose lei.

"Sí. Ha detto che sei una tagliagole spietata. Ti ha definita un'assassina, una brigante. Feccia." ribatté Haldir. "Mio padre non nutre alcuna stima per te, se volevi sapere questo."

Goneril annuí, sorniona. "So molto bene quali siano le sue opinioni. E non credere che nel resto della Terra di Mezzo io goda di maggior considerazionePer questo sono sorpresa: tu lasci libera una delinquente come la sottoscritta?" gli chiese. "Non hai alcuno scrupolo?"

Haldir si portò vicino a lei, i suoi lineamenti illuminati dal fuoco erano ancora più belli. "Mio padre ha detto anche un'altra cosa: che sei figlia di un Re. Il Re di Rohan, Théoden."

"Una storiella che é arrivata fin qui, vedo. Il fatto deve essere ancora provato." rispose lei.

"Ha letto nella tua mente, non c'é bisogno di alcuna prova. É vero. Ed é il motivo per cui voglio fidarmi di te." spiegò il giovane Elfo. "Voglio credere che quella parte nobile della tua anima, quella che discende da Théoden, prenda il sopravvento su quell'altra... quella oscura, malvagia. Il Re di Rohan é un brav'uomo, ho saputo, e persona d'onore. Devi aver pure ereditato qualcosa da lui."

Goneril ricacciò giù una risata. Un brav'uomo, pensò, che ha abbandonato una figlia ancora in fasce. Che ha tradito la sua Regina.

Poi si passò una mano sulla fronte, perché un'improvvisa fitta l'aveva colpita dove c'era la cicatrice. "L'unica cosa che potrei aver ereditato da quel tizio é la totale incapacità a rispettare i doveri. Tu non conosci Théoden. Ma puoi credermi se ti dico che ha tanti e tali pesi sulla coscienza da essere perfino incomprensibile come riesca a dormire la notte."

Haldir rimase in silenzio, perplesso. Eppure, Thranduil gli aveva tessuto le lodi di quel sovrano umano. Era stato un grande condottiero, in gioventù, aveva detto.

"Quali sono i segni che hai lasciato?" chiese Goneril, riportandolo alla realtà. "Cioé, in che modo posso orientarmi?"

"Ho posizionato delle pietre sul cammino fino a Dale...piccoli massi particolari, che non hanno nulla a che fare con gli altri sassi di questo bosco." spiegó Haldir. "Seguili, arriverai dopo qualche ora a una serie di colline. Osserva il cielo: gli Uomini accendono i camini d'inverno, il fumo in lontananza ti indicherà il punto in cui dirigerti."

"Ottimo. E poi, in che modo entreró a Dale, ci sono scorciatoie attraverso le mura?" chiese.

Non ci fu risposta. La donna si giró a guardare il principe: pareva interdetto. "Già, non ci avevo pensato. Io sono sempre passato sopra le mura...ma tu non puoi." mormoró.

"Perché no?" si soprese lei.

"Beh, esiste un salto di almeno cinque metri dall'altura sopra la quale passo io fino all'altro lato della muraglia di cinta. Io sono in grado di scavalcarla...sono un Elfo, é semplice per noi. Ma...tu non puoi farcela. Sarai costretta a entrare dai grandi cancelli del Regno." ragionó Haldir.

"Ma vuoi scherzare? L'entrata principale è sorvegliata dai soldati, sia di giorno che di notte..." sbottó lei.

"Già. E ti riconosceranno. Come sei famosa fra noi Elfi, lo sei anche fra gli abitanti di Dale e Esgaroth..." disse Haldir.

"Di' pure famigerata..." sospiró lei. Sarebbe stato molto più complicato del previsto.

"Ti respingeranno, se scopriranno la tua identità. Peró...potresti travestirti." propose il principe.

"Travestirmi? Da cosa?" chiese Goneril.

Haldir riflettè qualche attimo. "Beh, magari...da serva. Da domestica. Potresti fingere di aver raggiunto Dale in cerca di lavoro!" disse l'Elfo.

"Cosa?! Dovrei presentarmi come un'umile lavorante di casa?" si indignó la guerriera. Io, che fino a qualche giorno fa comandavo cinquecento soldati...

Peró, l'idea dell'Elfo aveva una sua logica. Vestita di stracci e senza armatura, non l'avrebbero riconosciuta di certo. Sarebbe passata inosservata in un regno di gente umile, pescatori, contadini, artigiani, fabbri. Avrebbe potuto inventare qualsiasi balla, ad esempio di essere fuggita da Rohan dopo l'aggressione degli Orchi e di aver raggiunto il Nord Est in cerca di casa e impiego. Certo, non era molto credibile che una ragazza sola e disarmata percorresse tutta quella strada, ma forse le guardie all'entrata del regno se la sarebbero bevuta. Perché non sperare in un po' di fortuna?

"Sì. La tua idea non é male." ammise infine.

Haldir peró non aveva finito. "In tal caso, dovrai lasciare la spada."

Goneril credette di non aver capito bene. "Quest'arma é realizzata in oro massiccio, per tua informazione. Non ha prezzo."

"Appunto. Quale domestica va in giro con un oggetto di tale valore? Se te la porti appresso, attirerai sospetti su di te." le spiegò Haldir. "In effetti, é molto meglio se la lasci qui. La custodirò io."

Goneril ghignò. "Ti piacerebbe, eh? No, altezza, questa viene con me."

Haldir giró lo sguardo verso l'intrico del bosco, spazientito. "Fa' come credi, peggio per te. Te la strapperanno via." concluse. "Ad ogni modo, devi abbandonare l'armatura e procurarti abiti semplici, da paesana."

"Questo é il minore dei problemi." rispose Goneril.

A quel punto, Haldir estrasse da una tasca del suo mantello una busta, chiusa con ceralacca. "Questo é il messaggio che devi portare a mia madre. Lei vive in una grande casa, proprio sopra una collinetta. É un po' isolata dalle altre. La porta é grande, dipinta di azzurro. Arriverai a Dale all'alba, probabilmente. Aspetta che il sole sia alto prima di andare da lei." spiegò l'Elfo. "Mia madre non vive sola: ha una ragazza in casa che l'aiuta, si chiama Bettie. É ingenua, crederà subito alla farsa della domestica in cerca di lavoro. Fa' in modo che ti inviti in casa e quando é distratta, allunga la lettera a mia madre."

"Tua madre...come reagirà alla mia visita? É...lucida?" s'informò Goneril.

"A volte sí, altre no. Ha ottantasei anni. Se la troverai in buona giornata, potrebbe perfino mettersi a chiacchierare con te. Qualcosa sul suo passato delle volte le torna in mente..." disse Haldir, sorridendo. Poi tornò serio. "...ma non fare insospettire Bettie."

"E di tuo padre...devo dirle qualcosa?" chiese Goneril. 

Haldir le rivolse uno sguardo improvvisamente triste. "Se vuoi, dille solo che sta bene e che...continua ad amarla. Ma lo sa già."

Goneril prese la busta e se la mise in tasca.

"Un'altra cosa...anche quel mantello é troppo ricco per una servetta. Lasciatelo dietro, quando ti cambierai d'abito." consigliò Haldir.

"Lo so, principe, lo so. Ricorda chi c'é qui davanti a te. Non mi manca la furbizia, sai?" ribatté la donna.

I due rimasero a guardarsi per qualche attimo, poi Goneril venne presa da un'improvvisa preoccupazione. "Come spiegherai la mia scomparsa dalle segrete? Tuo padre non é uno sciocco, capirà che qualcuno mi ha aiutata."

"Dirò che hai forzato la serratura e ti sei liberata da sola. É abbastanza verosimile." rispose Haldir.

"No. Le vostre celle sono resistenti. Però..." mormorò la guerriera, osservando l'ambiente attorno a sé.

C'era una piccola staccionata, lí. Era molto vecchia, il legno era marcito e qualche chiodo arrugginito spuntava fuori. Goneril ne afferrò uno e, non senza fatica, riuscí a estrarlo dalle assi. "Tieni...portalo nella mia cella, gettalo sul pavimento. Penseranno che ho forzato la porta con questo."

"Molto astuta, davvero." si complimentò l'Elfo. "Immagino tu sia scappata molte volte...da molte prigioni."

Goneril sorrise. "No, in verità. Non ero mai stata rinchiusa prima d'ora. Tuo padre é riuscito nell'impresa."

Haldir la osservò in silenzio. I suoi begli occhi celesti scrutavano il volto dell'umana, sperando di trovarci una parvenza di bontà, o perlomeno di onestà. Ma non gli riuscí. 
"Spero di non aver commesso un errore, questa notte. Spero di non dovermi pentire." disse.

"Hai fatto la cosa giusta, non temere. Tenermi rinchiusa sarebbe stato inutile, comunque. Tuo padre si sarebbe accanito su di me senza motivo." rispose lei.

"Io credo che sia soprattutto uno sbaglio: é vero, la guerra sta arrivando. E i migliori combattenti devono essere liberi, non lasciati a marcire in un buco sotto terra. Saremo tutti chiamati a difendere il nostro mondo, presto o tardi." rifletté Haldir.

"Parli già come un Re." osservò Goneril. Si sentí in obbligo di aggiungere una cosa, prima di sparire sul sentiero. "Sai, tuo padre ha ragione quando dice che la tua vita é preziosa, e che va protetta. Tu hai un futuro straodinario, principe. Ed é giusto che la tua esistenza sia segreta e... custodita."

"Già...ma io voglio combattere! Non voglio chiudermi in una stanza e osservare gli altri da una finestra! É questo che non capisce!" protestó Haldir.

Goneril rise. "Dovrei presentarti Éowyn, la nipote di Re Théoden. Avete molto in comune."
Poi vide un pugnale alla cinta del principino. Con un gesto veloce, lo sfilò dalla fodera. "Permetti? Mi tornerà utile." chiese.

"Hai giá la spada..." obiettò Haldir.

"Questo é più maneggevole. Ti saluto, Haldir Thranduilion. Un nuovo viaggio mi aspetta. La notte é lunga." disse la donna, coprendosi col mantello.

"Ti rivedrò?" chiese l'Elfo.

"Non credo. Non augurartelo. Ma ricorda cosa ti ho detto: un grandioso futuro ti attende. Affrontalo con coraggio." detto ciò, corse via.

"Di' a mia madre che le voglio bene!" lo sentí raccomandarle a voce alta.

Ma certo che glielo dirò. Sará l'ultima cosa che sentirá, prima di chiudere gli occhi per sempre, pensò lei, mentre il gelo della notte le ghiacciava le guance.

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Capitolo 34
*** Nel regno degli Uomini ***


I massi di cui parlava Haldir erano pietre laviche.

Tonde, nere e porose. Il principe le aveva disseminate lungo tutto il percorso dal confine del Reame Boscoso all'entrata nel territorio di Esgaroth. Goneril si complimentò mentalmente con l'Elfo per la pensata: il reame di Thranduil era stato costruito su un vulcano inattivo, e la lava solidificata aveva lasciato residui in giro. Quei sassi scuri come la pece non potevano essere confusi in alcun modo con la roccia calcarea tipica delle vallate e dei boschi. Era stato semplice per Goneril individuarli e seguirli.

Una volta giunta all'inizio di quella che decenni prima era nota come Pontelagolungo, o Esgaroth, Goneril si fermò.

Scrutò il cielo notturno, e vide un'ombra grigiastra elevarsi in lontananza. Fumo, il fumo denso di un camino.

Corse fino al punto da dove sembrava uscire, e trovò una cascina. Era stata costruita sulle sponde del lago, proprio a qualche metro dal lunga passerella in legno che collegava Esgaroth alla terraferma. Goneril immaginò che, anni addietro, doveva essere stata la dimora del guardiano di quel villaggio lacustre, ormai quasi completamente disabitato.

In quel cascinale viveva della gente. I suoi proprietari dormivano di certo, poiché nessuna luce proveniva dall'interno. Avevano lasciato acceso solo il camino.

La donna vide subito quello che le interessava: su alcune corde attaccate alla bell'e meglio a due colonne della veranda, erano stesi dei panni ad asciugare. Vide che c'erano, fra di essi, anche indumenti femminili: una blusa di pesante lana e un'ampia gonna di telaccia bianca. 

Goneril afferrò in fretta i due pezzi, umidi, e rubò anche un fazzoletto. Corse dietro alle stalle annesse alla costruzione, e col favore dell'oscurità si cambiò. Tolse l'armatura, ma tenne i calzari, che potevano essere coperti  dalla gonna. Nascose il pugnale dietro la schiena. Si raccolse i capelli e li coprí col fazzoletto, proprio come avrebbe fatto una serva, a mo' di cuffietta.

La spada era in effetti un problema. Poteva far affondare l'armatura nelle acque del lago, ma la sua costosissima spada no. 

Provò a sistemarsela sotto alla gonna, consapevole che camminare con quell'aggeggio infagottato lí sotto sarebbe stato difficile. Si rassegnó.

Il mantello di Éowyn venne messo sulle corde, al posto degli indumenti rubati. "Oggi hai fatto un grande affare, cara abitante di questa casa. Hai perso quattro stracci, e hai guadagnato il mantello di una principessa." mormorò Goneril, prima di avviarsi verso Dale. La padrona di casa, donna o ragazza,  una volta uscita di casa dopo il risveglio, avrebbe strabuzzato gli occhi e magari avrebbe pensato che il regalo inatteso doveva essere stato lasciato lí da qualche spirito dei boschi.

Ragionava sulle frottole che avrebbe dovuto raccontare alle guardie, una volta giunta alla soglia del reame. Intanto, una timida luce oltre le colline annunciava l'alba imminente.

Ecco, io vengo da Rohan. Sono fuggita dopo che il nostro regno é stato attaccato dagli Orchi. É stato terribile, spaventoso. Ho preso un cavallo e sono scappata attraverso le Terre Brune e poi ho visto il fiume e  ho risalito il suo corso. Si sforzò di immaginare come una giovane domestica si sarebbe comportata. Devo sembrare disperata , pensò, disperata e disposta a fare qualsiasi lavoro. Dirò che non mangio da giorni. Chiederò alle guardie di indicarmi le case degli abitanti più facoltosi di Dale, dove poter prestare servizio. Magari mi porteranno loro a casa Monrose.

Mentre procedeva lungo il percorso che conduceva a Dale, in lontanaza vide la grande muraglia, di cui le aveva parlato Haldir. Vide anche la Montagna dei Nani, e la maestà di Erebor.  Il sole adesso aveva mostrato il suo primo spicchio, e le alte mura, con le torri di osservazione ai quattro angoli, erano pienamente visibili.

Dopo un'altra mezz'ora di strada, giunse finalmente alla grande entrata del regno. Un portone pesante e decorato con i simboli di Dale l'attendeva. Era aperto.

Quattro soldati piantonavano l'entrata. Avevano fatto la ronda notturna, ed erano assonnati. Attendevano il cambio.

Si avvicinò spavalda, secondo sua abitudine, poi si ricordò: devo entrare nella parte, io non sono un comandante adesso. Sono una ragazza spaurita e fuggita da un territorio lontano. Devo comportarmi di conseguenza.

Rallentò allora il passo, e timidamente abbassò lo sguardo, mentre si avvicinava ai quattro uomini.

Uno subito la canzonò. "Guarda, guarda...dove va una cosí bella signora a quest'ora del mattino?"

Gli altri ridacchiarono. "Vuoi dire, da dove sta tornando..." disse uno. "...questa ha passato la notte nei boschi con qualche contadino."

Goneril alzò lo sguardo e iniziò la commedia. "Miei signori...io vengo da Rohan. Ho raggiunto Esgaroth a cavallo, ma ho dovuto venderlo per avere del cibo...non ho mangiato per giorni. Ecco...umilmente chiedo asilo alla vostra Regina. Vi...vi imploro di lasciarmi entrare." disse a mani giunte, come in preghiera. Si sentiva una vera idiota a recitare quella parte, ma, con stupore, si accorse di saper recitare bene.

I soldati si incuriosirono. "Da Rohan? Perché sei scappata?" chiese uno. "Ah, sì...é vero, ho sentito che Théoden ha subito degli assalti dagli Orchi..."

"Una tragedia, mio signore. La nostra casa é stata data alle fiamme, la mia famiglia sterminata. Solo io sono rimasta viva. Posso lavorare...ero una domestica a Rohan. Ho perfino servito la principessa Éowyn qualche volta." continuò a mentire.

"Una servetta..." la prese in giro uno dei quattro. "...beh ho giusto una cosa qui da farti lustrare..." e si indicò in mezzo alle gambe. Gli altri risero.

Goneril tenne a bada l'impulso di sfilare il pugnale e aprire in due la faccia di quel mammalucco. Finse imbarazzo. "Per favore, posso entrare?" chiese, con vocetta tenue e tremolante. Grande Eru, fa' che si convincano. Fa' che non mi ostacolino, pensò.

"Non troverai lavoro qui. Le cose non vanno granché bene nel nostro reame. I commerci sono calati, entrano pochi soldi...non ci sono signore in cerca di servitù. Non possono pagare." disse uno, avvicinandosi a lei. Le sollevò il viso con le dita. "Se vuoi...però...puoi venire a servizio da me. Naturalmente, quando mia moglie non é in casa."

Si sentirono altre risate. Se quegli uomini avessero anche solo immaginato il rischio che stavano correndo, quei sorrisi beoti sarebbero spariti dai loro volti in un baleno. Ma la recita doveva continuare e la donna fece ricorso a tutta la sua autodisciplina. "Io cerco solo un tetto, e un po' di pane. Vi prego." implorò.

Finalmente uno dei quattro, mosso a compassione, intervenne in suo favore. "E basta ragazzi, avanti... fatela passare."

Gli altri tre allora si scostarono. "Prego, entra pure, bella signorina." la derise uno, facendo un gesto teatrale con un braccio. Risero tutti mentre Goneril si affrettava a varcare il portone, sperando che la punta della sua spada aurea non sbucasse da sotto la gonna. Corse via proprio come una ragazzetta spaventata.

"E se non trovi lavoro entro stasera, fatti vedere a casa mia...io abito in fondo a quella strada!" Rise il più anziano dei soldati.

⚜️⚜️⚜️

"Fate chiamare mio figlio." ordinò Thranduil a uno dei suoi attendenti.

Era sbalordito, confuso. 
Furioso.

La donna era scappata. Aveva trovato il modo di aprire la porta della sua cella, ed era scappata. Aveva persino recuperato la sua spada e il suo mantello dalla tesoreria.

Letteralmente sparita sotto il naso di tutti.

Era la seconda volta che il potente Re Elfo viveva un'esperienza simile. La prima, sessant'anni prima, era stata la fuga di Thorin Scudodiquercia e dei suoi Nani dalle prigioni. In quella circostanza, l'artefice di quell'incredibile evasione era stato l'Hobbit, quel Bilbo Baggins che grazie all'Anello di Sauron si era reso invisibile e aveva liberato il principe di Erebor e gli altri.

Questa volta, peró non c'erano Anelli magici in gioco, almeno non lí a Boscoverde, e quindi la trama era un po' più complicata.  Thranduil voleva delle risposte, anche se un tragico sospetto si era già fatto largo nella sua mente.

Haldir arrivó concitato nei quartieri regali, dove il padre lo attendeva. Bastó l'espressione sul volto del Re a far tremare le gambe a suo figlio. Haldir conosceva benissimo quello sguardo: lo sguardo di chi non era disposto ad ascoltare balle.

"Padre..." esordì il principe. "...mi hai fatto chiamare. Eccomi."

"Hai avuto la notizia?" chiese Thranduil, le mani che si trastullavano nervosamente con i suoi anelli.

"...la scomparsa dell'umana? Sì, Feren mi ha riferito. É incredibile." rispose Haldir.

"Sì, figlio mio...proprio incredibile. A quanto pare, per fuggire la mortale ha usato quello." disse il Re, indicando un chiodo arrugginito, posato su uno dei tavoli delle sue stanze. "Avrebbe forzato la serratura, secondo il nostro carceriere."

Il carceriere era lì, accanto a Feren. Sembrava a sua volta terrorizzato.

"É molto furba, padre. Non mi stupisce che sia riuscita ad aprire da sé la porta." osservó il figlio.

Thranduil non rispose. Giró un occhiata gelida prima su Haldir, poi sul guardiano delle carceri. Lentamente, prese il chiodo in mano e lo sollevó a mezz'aria. "Vedi, dimentichi un piccolo particolare. La donna era stata perquisita, prima di essere rinchiusa. Perquisita attentamente." disse.

Sia Haldir che il carceriere deglutirono, mentre il cuore di entrambi accelerava i battiti.

"...tu riesci a spiegarmi come un chiodo di questa lunghezza sia passato inosservato, durante la perquisizione?" chiese al figlio.

Haldir balbettó una risposta. "P-p-padre, l'hai detto tu stesso: la donna è una brigante, una specie di fuorilegge. Chi puó sapere quanti trucchi conosca. Io credo che abbia trovato il modo di..."

"BASTA!" ordinó Thranduil.

I tre sobbalzarono: raramente il Re alzava la voce. E non l'aveva mai fatto con il suo secondogenito. Haldir sentì il cuore saltargli in gola.

Thranduil si giró verso la guardia, che sembrava volersi sotterrare. "Eri stato incaricato di sorvegliarla. Non accetto incapacità, né alcun tipo di negligenza da chi lavora per me. Neppure da un umile carceriere. Tu sei rimosso dal tuo incarico. Sparisci dalla mia vista." 
Senza farselo ripetere, e dopo un breve inchino, l'Elfo lasció le stanze.

Poi Thranduil guardó il suo comandante. "Se mi giungesse ancora voce che i miei Elfi passano le ore a ubriacarsi nelle mie cantine anziché svolgere i compiti a loro assegnati, ne risponderai tu, Feren. Puoi giurarci."

Feren chinó il capo. "Vi chiedo perdono, Maestà. Io e Varian in futuro staremo più attenti nel disciplinare le guardie."

"In futuro...e fino a ieri cosa avete fatto? Fuori di qui." ordinó Thranduil. Anche Feren si dileguó in silenzio.

Poi, il Re tornó ad osservare il figlio, che stava immobile, e incapace di parlare, lì davanti a lui.

"Hai liberato tu quella donna?" chiese Thranduil.

"No, padre." rispose il principe.

"La sua spada e il suo mantello sono stati prelevati dalla tesoreria. Quella zona si trova dall'altra parte dei sotterranei. Mi vorresti far credere che quella ha gironzolato indisturbata qua sotto? Che ha sottratto due oggetti da una sala sbarrata e sorvegliata?" continuò Thranduil. I suoi occhi glaciali erano fissi in quelli del figlio. "Nessuno ha visto un' umana aggirarsi per i sotterranei...ma hanno visto te, invece."

Si avvicinò ad Haldir, che stava evidentemente tremando. "Te lo chiedo di nuovo: perché hai liberato quell'assassina?"

Il principe non era mai stato messo alle strette in quel modo dal padre. Se fosse stato Legolas, avrebbe retto meglio le occhiate inquisitorie del Re, ma lui era ancora un giovane Elfo, e come tutti i giovani inesperti, si lasciò sopraffare dal nervosismo. Cedette quasi subito.

"Hai detto che non posso più vedere mia madre!" disse, disperato. "Mi hai proibito di andare da lei! Potrebbe morire, padre! Potrebbe andarsene e io sono qui, lontano! Non lo trovo giusto! Le ho detto, le ho detto di portarle un mio messaggio...ha giurato che..."

"Morire..." ripeté Thranduil. "Morire! Adesso morirà di certo, stupido!"

Haldir sgranò gli occhi. "Ma...ma che dici..."

"Ho letto nella mente di quel demonio in forma di donna. Ha tentato di impedirmelo, ma sono riuscito a vedere i suoi ricordi, i suoi pensieri, le sue intenzioni!" rivelò Thranduil. Era infuriato col figlio. "É andata a Dale per ucciderla."

Haldir arretrò bruscamente, come se una mano invisibile lo avesse schiaffeggiato. "Cosa...cosa?!!" urlò.

"Vuole vendicarsi. Vuole vendicare Amon...mantenere una promessa fatta a quel rinnegato che cacciai dal mio reame. Il guaritore che aiutò Roswehn a darti alla luce!" disse Thranduil. "Amon aveva giurato di farmela pagare. Ha accolto con sé l'umana quando era una ragazzina. L'ha allevata nell'odio, le ha insegnato a combattere. L'ha plagiata, ha manipolato la sua mente per portarla a detestare me...e soprattutto a odiare Roswehn."

Haldir ascoltava quelle rivelazioni terribili senza poter quasi respirare. "Ma mia madre...perché...?"

"Perché fu a causa di Roswehn che Amon venne cacciato. Almeno, questo é ciò che lui ha creduto per sessanta lunghi anni. La verità era un'altra: lo bandii dal reame perché il suo cuore era stato divorato dal serpente nero dell'invidia e della superbia. Aveva perso la sua purezza, la sua saggezza. Non era più un Elfo. E io non lo volevo qui."

Il principe portò le mani al viso. "Oh Valar, oh déi...cosa ho fatto..." poi si giró verso il padre. "Ma perché non l'hai uccisa tu, allora? Se hai spiato nella sua mente e hai visto cosa si stava preparando a fare, perché non l'hai eliminata?"

Thranduil si portò vicino al principe e riuscí a resistere all'impulso di afferarlo per il bavero. "Perché quella é figlia di un Re." gli disse. "Il discendente di un sovrano, anche se illegittimo, non può venire giustiziato arbitrariamente fuori dal suo territorio. Ci porterebbe in guerra contro Rohan."

Haldir lasció scappare un gemito di esasperazione. Tutta quella situazione gli sembrava un incubo.

"Intendevo tenerla qui, avrei informato Théoden, una guarnigione da Rohan sarebbe venuta a prenderla. Se la sarebbe vista lui con sua figlia." continuó Thranduil.

Il principe scosse la testa. "...io...io davvero non sapevo...perdonami." mormoró affranto.

"Tu... hai disobbedito troppe volte agli ordini di tuo padre, Haldir. Ma questa volta l'hai combinata grossa." disse il Re. "Ti ordino di ritirarti nelle tue stanze, e lì rimanere confinato fino a mia nuova decisione. Non ti muoverai di lí, in mia assenza."

Haldir scrolló il capo, avvilito.

"...e se oserai andare contro quest'ordine, il prossimo a finire in cella sarai tu. E custodiró io la chiave." concluse Thranduil, gelido.

Dopo un attimo di stordimento, Haldir replicó: "In...tua assenza? Dove vuoi andare?"

Thranduil prese il chiodo arrugginito e lo rimiró a lungo, prima di rispondere.

"Dove giurai di non andare mai più in vita mia. Dagli Uomini. A Dale."


 


 
 

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Capitolo 35
*** La città fantasma ***


Hammon osservava quello che un tempo era stato un piccolo paradiso in terra, e che d'un tratto sembrava essersi tramutato in una città fantasma.

Era giunto a cavallo fino alla valle di Imladris, dove il suo istinto lo aveva portato dopo il litigio con Degarre.

Aveva avvertito il bisogno di confrontarsi con l'unico individuo che poteva confortarlo e dargli delle risposte. L'unico abitante di Arda a cui perfino Goneril aveva sempre rivolto pensieri di stima.

Elrond, forse, sapeva meglio di tutti cosa stava capitando in quel mondo improvvisamente impazzito. In quel mondo in cui gli Uomini si stavano mettendo gli uni contro gli altri.

La visione di quelle dimore elfiche vuote, senza vita all'interno, e oscurate dai nuvoloni grigi in cielo, lo gettarono nel totale sconforto.

La valle di Imladris.

"Il deserto di Imladris, piuttosto..." mormoró fra sé, mentre spronava il cavallo ad attraverare il ponticello in pietra che conduceva all'ingresso del regno di Lord Elrond.

Quel regno era spento, morto. 
Non si vedeva un Elfo in giro. L'unico movimento che Hammon colse fu quello delle foglie secche e accartocciate, che giravano trascinate dai piccoli mulinelli formati dalla brezza invernale.

Una volta passato sotto un arco in muratura pieno di edera rampicante gelata dal freddo, il soldato arrestó il cavallo. Smontó, e con passo incerto si diresse verso il centro di quella piazzuola che un tempo doveva essere stata il patio di Elrond. Era proprio di fronte a una grande residenza, anch'essa disabitata.

"Ma cos'é successo, anche qui..." si chiese, mentre un senso di angoscia già si faceva largo in lui.

Gli Elfi stavano lasciando la Terra di Mezzo, questo lo sapeva. Erano ormai consapevoli che quel continente non aveva più niente di puro, di spirituale, di affine alla loro natura. Si imbarcavano dai Porti Grigi, ad Ovest, e non li si vedeva più. Erano diretti a Valinor, la verde terra oltre i confini del mare, la grande casa dei Valar, dove avrebbero vissuto in pace la loro vita immortale. Non era un aldilà, era un continente vero e proprio, come la Terra di Mezzo, solo, privo di entità malvagie e di tutte le negatività tipiche dei territori popolati dai mortali, Uomini, Nani, Hobbit che fossero. Un luogo pacifico dove a spiriti maledetti come Morgoth e Sauron non era concesso nemmeno avvicinarsi.

"Elrond!" gridó allora. "Elrond! Dove siete!"

Il giovane capitano si portó le mani alle tempie. Cosa avrebbe fatto, a quel punto? Poteva solo andare al nascondiglio dell'oro, posto in una caverna lì vicino, e prendersi la massima quantità trasportabile dal suo cavallo. Sì, ma con che scopo? A cosa sarebbe servita la ricchezza, in un mondo dominato da Sauron? In che futuro poteva sperare, ormai?

"Hai ragione. Sarebbe inutile." disse una voce.

Hammon sobbalzó. 
Si guardó attorno, e notó una figura in piedi sulla sommità della scalinata. Un signore elfico lo stava osservando. Aveva sul viso un'espressione seria, triste, e totalmente rassegnata.

"Lord Elrond...siete voi?" chiese il soldato.

"In passato saresti stato accolto dalle nostre guardie. Ora qui non c'é più nessuno. Solo dolore." rispose mestamente l'Elfo, scendendo lentamente verso di lui. "E porti anche tu cattive notizie."

Hammon chinó il capo, in un gesto di rispetto verso uno degli Elfi più gloriosi della storia di Arda. E sovrano di quel luogo. "Purtroppo sì, mio signore."

"Lo so. So quello che sta per succedere a Gondor. E se cerchi parole di conforto da me, sarai grandemente deluso. Io ho già il mio inferno da affrontare, qui." rispose Elrond. Poi guardó in alto, verso la sua grande casa.

"Io...volevo solo sapere da voi perché il mondo sembra sprofondato nella pazzia. Voi avete le risposte lo so. Ho bisogno di risposte, lord Elrond. Io non sono un saggio illuminato come voi. La mia storia é semplice: sono un soldato. Qualche giorno fa ho lasciato la mia gente, l'esercito di cui ho fatto parte negli ultimi dieci anni. Avevo un amico fra quegli uomini, un buon amico. Un uomo che un tempo era valoroso, e forte. Insieme abbiamo affrontato battaglie terribili, e insieme ne siamo venuti fuori. Io lo rispettavo. Ma... si é rivoltato contro di me. Dal niente. Mi ha affrontato come fossi stato un avversario, non il suo fidato compagno d'armi. E io non lo accetto. Io non posso...credere a quello che sta capitando!" sbottó Hammon, indicando il territorio al di fuori dei confini di Imladris. "Sono stato a Rohan con quegli uomini. E ho visto un'armata di bestie inviate da Mordor. Legioni, in confronto alle quali la nostra impallidisce. Si stanno preparando a..."

"...dominare il mondo." finì Elrond. "E' vero. Ma come ti ho detto, sei venuto nel posto sbagliato. Non c'é bisogno che io ti spieghi cosa sta capitando, soldato-senza-nome. Lo hai visto tu stesso. Siamo alla fine. Sauron sta per vincere la sua millenaria guerra contro i popoli liberi di questa benedetta Terra. Per questo c'é solo silenzio, qui a Gran Burrone. Perché la mia gente lo ha avvertito. Noi Elfi possiamo sentire in noi tutte le energie, positive e negative, che attraversano il mondo. E questo, non é più il nostro mondo. I mei sudditi se ne sono andati tutti. Solo io sono rimasto. Io...e mia figlia."

"Perché siete rimasto?" chiese Hammon. La sua testa pulsava. "Perché non scappate anche voi, allora?"

"Per lei. Mia figlia rimane perché non vuole rinunciare alla speranza. Crede ostinatamente che alla fine la vittoria sarà degli Uomini, povera, povera lei!" si disperó Elrond. Una smorfia di sofferenza gli attraversó il viso. "Se lei resta, io non l'abbandoneró."

"Ci sono Uomini che stanno cavalcando verso Gondor. Théoden e suo nipote, i loro eserciti..." lo informó Hammon.

"Sono pochi. Non ce la faranno. É tutto scritto." commentó il signore di Imladris.

"...un Nano, uno della vostra razza, e un Uomo misterioso. Anche di lui vorrei chiedervi." continuó il soldato.

"Aragorn. E lui il motivo per cui mia figlia si sta lentamente spegnendo." disse Elrond.

"Chi é, potete dirmelo?" Proseguì Hammon. "L'ho visto combattere al Fosso di Helm. Quell'uomo ha qualitá straordinarie."

Elrond rimase in silenzio per qualche attimo, osservando quello che un tempo era un rigoglioso giardino e che in quel momento altro non era che un groviglio di sterpi congelati dal freddo. "Lindir aveva cura dei fiori, delle piante che ornavano il mio regno. Se ne é andato... Se ne sono andati tutti." disse fra sé.

Poi riportó l'attenzione su Hammon. "Aragorn é l'ultimo erede di Elendil. Hai avuto un'ottima intuizione, il suo sangue discende da una stirpe di re. Ma ha rinunciato ai suoi diritti verso il trono di Gondor moltissimo tempo fa."

Hammon ci avrebbe giurato. Lo aveva capito osservando quell'uomo prendere il comando dell'esercito di Théoden. Era un nobile, era un condottiero. E aveva portato Rohan alla vittoria.

"Lord Elrond, anche quel guerriero sta marciando verso Minas Tirith. E se quello che ho visto al Fosso di Helm si ripeterá anche lì, forse una timida speranza rimane. Con la guida giusta, gli Uomini...cioé...gli Uomini schierati dalla parte giusta, potrebbero anche farcela." osó dire Hammon.

Elrond si giró a guardarlo dritto negli occhi. "Tu vaneggi. Come vaneggia mia figlia, accecata dal sentimento verso Aragorn. Non c'é più nulla da fare."

"Sapete, anche il mio comandante disse questo, al Fosso di Helm. Non c'é speranza. Rise in faccia a quell'Aragorn, quando egli parlava di speranza. Me l'ha raccontato uno dei soldati di Rohan. Ma poi abbiamo vinto. Tutti insieme. E avevamo diecimila mostri davanti a noi. Beh, un esercito che sconfigge diecimila nemici in poche ore, puó anche affrontarne undicimila. O cinquantamila."

"Sì. Ho saputo di Rohan. Immagino la sorpresa del tuo Generale." commentó Elrond. "Quando ha capito di essersi sbagliato."

"Il mio Generale...dubito che abbia provato più che fastidio, per essere stata costretta a sotterrare i corpi dei caduti, il giorno seguente. Ma noi tutti eravamo increduli, e sì, entusiasti. É stata la prima volta in vita mia che ho sperimentato la sensazione di vero trionfo." raccontava Hammon. "Perché non puó succedere ancora?"

"Te l'ho detto perché. Perché chi dovrebbe reclamare il titolo e la corona di Re di Gondor, chi avrebbe il compito di trascinare gli Uomini ha scelto un'altra strada. Solo in lui potevamo confidare. Ma ha smesso di credere in se stesso. Un'occasionale dimostrazione di valore non significa nulla, se non é disposto a mettere da parte per sempre i suoi dubbi." ribatté Elrond. "Fa' freddo, qui. Ritiriamoci nei miei alloggi. Non é rimasto molto cibo, ma ho ancora del pane, se sei affamato."

I due si avviarono nella grande casa del signore di Imladris. Lo spazio interno del palazzo era tetro, freddo, silenzioso. Hammon notó le belle sale arredate in stile elfico, il mobilio elegante e ricoperto di polvere, i canapé, i tavoli, i tendaggi di seta una volta morbidi e profumati, e in quel momento ridotti a grigi stracci pendenti dalle molte finestre.

"Rimarrete qui... fino a quando, lord Elrond?" chiese Hammon.

L'Elfo lo condusse su una terrazza panoramica, al centro della quale si ergeva un albero spoglio, con un tavolo rotondo lì vicino e qualche sedia sparsa qua e lá. Nessuno si prendeva più cura di quel luogo. Gran Burrone, con i suoi mille anfratti, cascate e crepacci, era visibile in tutta la sua estensione. Una visione da mozzare il fiato, se non fosse stato per quell'atmosfera malinconica.

"Fino a quando mia figlia si sarà trasformata in spirito." gli rispose Elrond. Il soldato umano notó che i suoi occhi erano pieni di lacrime. "Arwen sta...scomparendo."

⚜️⚜️⚜️

Hammon osservava la donna elfo distesa sul grande canapé di una stanza spoglia.

Elrond non sapeva chi fosse quel soldato, né perché si era introdotto nel suo regno o che razza di progetti avesse in mente. Non sapeva nulla di quel giovane in armatura che era andato da lui in cerca di conforto. Aveva letto nella sua mente, e aveva visto solo ricordi di una legione, di una misteriosa donna dalla quale il soldato prendeva ordini, aveva visto un tradimento, la fine di un'amicizia e oro. Molte casse di monete d'oro stipate in una grotta umida lì a Gran Burrone.

Nonostante ció, aveva voluto mostrargli sua figlia. Aveva voluto che quel mortale vedesse con i suoi occhi quali erano le conseguenze di tutto il Male che si stava spargendo attraverso la Terra.

Arwen assorbiva come una spugna quell'energia negativa, e ne era consumata. Non era più in grado di reggersi in piedi e nemmeno di tenere libri in mano. Era debolissima.

Per questo aveva insistito che andasse a Valinor anche lei. Per questo erano entrati in contrasto, avevano discusso. Ma alla fine, Elrond aveva ceduto.

Arwen confidava in Aragorn, la sua speranza era che la vittoria su Sauron avrebbe dato il via a una nuova era, nella quale il suo amato sarebbe stato incoronato Re, e avrebbero vissuto felici.

Ma se anche fosse successo, prima o poi la natura elfica di sua figlia l'avrebbe separata dal suo amore terreno. Era un fatto immodificabile.

Hammon osservava quella meravigliosa ragazza distesa e immobile. "Ma...cosa le sta succedendo?" chiese a Elrond.

"Si sta dissolvendo, te l'ho detto. Se accettasse di andarsene oggi, forse potrebbe essere salvata. Continuerebbe a vivere, a Valinor. Ma ha deciso così. Meglio la morte, di un'eternità senza Aragorn." spiegó Elrond. "Così é per noi Elfi. Una volta perso l'oggetto del nostro amore, la nostra vita non é più vita."

"É terribile." commentò Hammon.

"Sí." ammise Elrond. "La faccenda più triste é che lui é lontano. Non si sono nemmeno visti per l'ultima volta."

"Non si può fermare questo processo? Cioé, evitare che muoia?" chiese il soldato.

"Solo se Sauron venisse cancellato dalla Terra, e con esso tutto il Male che l'accompagna, Arwen tornerebbe a vivere. E per quel che mi riguarda, questo equivale a un no." disse Elrond. 
"A parte Théoden e i suoi soldati, non disponiamo di altri eserciti."

"Gli Elfi! Ci sono ancora gli Elfi del Lothlórien, e del Reame Boscoso!" disse improvvisamente Hammon. "Se Celeborn..."

"Sauron ha già fatto la sua mossa, in questo senso. Intende aprire tre fronti: Gondor, il Lothlórien e l'Est, vale a dire il Reame Boscoso e il Regno degli uomini. Thranduil e Celeborn saranno chiamati a proteggere i loro territori. Non ci sará aiuto per l'Ovest." lo interruppe Elrond.

Hammon rifletté. Si ricordò di qualcosa detto da Goneril a proposito di un esercito dei morti che dimorava nei Monti Bianchi, esattamente al confine tra Gondor e Rohan. Ci aveva scherzato su, il loro Generale, dicendo a lui e a Degarre che se la legione fosse stata spazzata via in battaglia, avrebbero potuto anche loro trasformarsi in spettri senza pace, e combattere anche nell'aldilá.

"Lord Elrond..." disse all'improvviso. "...cosa sapete dell'esercito delle ombre?" 

Il signore di Gran Burrone distolse lo sguardo da sua figlia e guardò Hammon. "Intendi quegli spiriti che dimorano fra i Monti Bianchi? Coloro che furono maledetti da Isildur?"

"Non conosco la storia in dettaglio. Ma ne ho sentito parlare." continuò Hammon. "Credevo fosse solo una leggenda."

Elrond improvvisamente corrugò la fronte. Poi un pensiero lo colse. Nitido, violento, meraviglioso.

"No. No, non lo é."

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Capitolo 36
*** La casa sulla collina ***


L'abitazione di Roswehn era come gliel'aveva descritta Haldir.

Una grande villa dai muri bianchi e dal tetto coperto da tante tegole rosse ordinatamente disposte. La porta era stata ridipinta di azzurro di recente, si capiva perché era ancora lucida.

Quello che catturò l'attenzione di Goneril fu però il giardino: era gigantesco, quasi mezzo ettaro. Vide i rovi avvizziti nelle grandi vasche di granito, rovi che al sopraggiungere della primavera si sarebbero trasformati in rose. Un immenso roseto.

Risalí lentamente il sentiero che conduceva alla porta azzurra, e la poca erba che cresceva a ciuffetti le accarezzò le caviglie. Osservò con attenzione le finestre del pianterreno, ma le tende erano tirate a nascondere l'interno. Controllò la rudimentale cassetta della posta: MONROSE, era il nome intagliato su un lato.

Ora devo bussare alla porta. Devo farmi aprire. Devo entrare in casa e vendicare Amon. Dopo di che, fine della storia di Goneril. Andrò a Gran Burrone. Prenderò l'oro. Mi ritirerò chissá dove. Morirò felice.

Una decisione definitiva, finalmente. Una decisione che avrebbe dato il via a una serie di decisioni risolute. Aveva nascosto la sua spada dorata in un fienile lì vicino, all'alba, quando neanche un'anima girava per Dale. L'avrebbe presa una volta finito il lavoretto.

Bussò alla porta azzurra. 
Silenzio.

Bussò ancora, e finalmente udí il suono che voleva sentire: passetti frettolosi, probabilmente era la ragazza, Bettie.

Giá, e come la mettiamo con Bettie? Le chiese il raziocinio. 
La metteremo al solito modo: un taglio netto, veloce, indolore proprio dall'orecchio alla clavicola. Buttare cadavere in un canale di scolo, aspettare che affondi. Fine.

La porta si aprí con un cigolío. 
"Sí, signorina?" chiese la giovane donna che Goneril si trovò davanti.

Poteva avere vent'anni. Aveva un viso rotondo, infantile, con grandi occhi blu e un naso piccolissimo, da bambola. Era bassa, minuta, i capelli castani raccolti in un crocchio dietro la nuca.

"Scusami...é questa casa Monrose?" chiese Goneril, tenendo le mani unite in grembo, da perfetta mendicante in cerca di lavoro.

"Questa é l'abitazione di Roswehn Monrose, sì." confermó la giovane, squadrandola dalla testa ai piedi. Alzó la mano e si toccó il pendaglio di una collanina d'oro che portava al collo. "Posso fare qualcosa per voi?" chiese ancora la ragazza. Sorrise. Aveva un sorriso così buono, e triste.

"Cerco...ecco, sono imbarazzata a dirlo...cerco lavoro." ammise infine Goneril. Le venne da ridere, e si trattenne con enorme sforzo.

La ragazzetta assunse un'aria terribilmente mortificata. "Oh...mi dispiace...non abbiamo bisogno. Io sono a servizio in questa casa, e oltre a me la signora non vuole nessuno." poi sorrise ancora. Goneril vide nei suoi occhi la genuinità tipica delle brave ragazze. "Sapete...persino io ho avuto il mio bel daffare a farmi accettare da lei!"

"Bettie!" si udì una voce dall'interno. Una voce soffocata e roca, ma decisa. "Bettie! Con chi parli?"

La giovane si giró a rispondere. "Solo un secondo, Roswehn! É una ragazza in cerca di lavoro! Dammi un attimo, cara." poi si giró a osservare Goneril. "Vorrei potervi aiutare, sono desolata. Forse peró...potreste andare a Palazzo Reale e proporvi come lavorante a corte. La regina Sigrid e la principessa Tilda sono anziane, le dame di compagnia e le aiutanti non sono mai abbastanza. Se avete esperienza vi prenderanno di certo..."
Poi si fermó. Scrutó il viso di Goneril. "Signora, siete così pallida..."

Goneril, in effetti, si sentiva debole. Dalla sua carcerazione a Boscoverde non aveva messo più nulla nello stomaco. Doveva sembrare un cencio. "Sto bene. Non ti preoccupare. É che non mangio da molto...io sono fuggita dal mio regno." tentó di impietosire la ragazza.

Bettie spalancó gli occhi. "Fuggita? Perché, cosa vi é successo?"

"...sono cittadina di Rohan. Servivo i reali a corte, un giorno orribile abbiamo subìto una razzìa dagli Orchi. Sono riuscita a scappare attraverso il Rhovanion e ora..." finse di scoppiare in singhiozzi. "... ora non so più che fare."

La servetta portó entrambi le mani al viso. "Orchi...oh bontà divina..." era impressionata. "Entrate, vi prego. Lasciate almeno che vi offra del té."

"Sei molto gentile. Che Eru ti benedica, ragazza." disse Goneril, asciugandosi gli occhi. "Ho bisogno di sedermi, questo é vero."

"Certo, certo!" disse la giovane, aprendole la porta. "Mi chiamo Bettie, comunque."

"Io mi chiamo Idis." si presentó. Era improbabile che quella piccola cameriera avesse mai sentito nominare Goneril, o sapesse qualcosa di eserciti mercenari, ma la donna dell'Est decise di non rischiare.

E poi, quello é il tuo vero nome, giusto? Il nome che Théoden e quella sgualdrina rovinafamiglie di tua madre avevano scelto per te. Tempo di usarlo. Magari ti porterà fortuna, rifletté.

Dopo aver fatto il suo ingresso nella vecchia abitazione, Goneril si ritrovó in una scura anticamera. Prima che potesse mettere a fuoco l'ambiente circostante, Bettie l'aveva invitata a seguirla in un salotto dove un camino in pietra ardeva già da parecchio. Un tavolinetto rotondo faceva mostra di sé proprio davanti al camino, e sopra era stato posto un vaso di ceramica con fiori secchi. Alle finestre erano appese vivaci tende lilla, dietro le quali si scorgevano le fioriere. Un sofa piuttosto vecchio, ma ancora decoroso, era stato posto parallelamente alla parete del camino. C'era una poltrona all'angolo del grande sofa.

Su quella poltrona, era seduta una donna. Una donna che doveva aver superato abbondantemente gli ottant'anni. Aveva una chioma rada di capelli bianchi, sui quali aveva vezzosamente messo un fermaglio a forma di farfalla. Il fermaglio era un po' storto, come se stesse per scivolare a terra. Indossava un vestito rosa di velluto broccato, tessuto favorito dagli Elfi.

Era voltata a osservare il fuoco, e dal profilo Goneril riuscì a intravvedere un volto grinzoso.

"Roswehn, cara..." disse Bettie, facendo cenno a Goneril di avvicinarsi. "...c'é un'ospite."

Poi si voltó a guardarla. "Accomodatevi, prego." disse indicando il sofa. "Preparo té per tutti. Datemi qualche minuto. Desiderate anche dell'acqua?"

"Sei gentile a disturbarti. Sì, per favore. Ho camminato molto." disse Goneril, nel suo tono più affettato.

La guerriera si sedette all'angolo del divano, proprio vicino alla famosa Roswehn Monrose.

La donna che era stata amante di un Re Elfo.

La donna che aveva cavalcato un Drago.

La donna che aveva sfidato Morgoth per ben due volte.

La donna che aveva dato alla luce un principe mezzosangue destinato a cambiare la storia della Terra di Mezzo.

La bastarda che era stata causa dell'infelicità di Amon, l'unico essere a cui Goneril si fosse mai sentita legata.

Di quella leggendaria umana, tuttavia, non restava altro che un involucro consumato dal tempo. Gli anni erano passati, ed erano stati moltissimi.

"Signora Monrose." mormoró Goneril. Ma non ci fu movimento alcuno nella donna. Era intenta a osservare le fiamme che scoppiettavano nel camino. Sembrava persa in uno stato di catatonia.

Bettie sparì in cucina, e inizió a trafficare con bollitori e tazzine. "Voi siete nata a Rohan?" chiese d'improvviso.

Goneril rispose, senza togliere gli occhi dall'anziana. "No, in verità. Vengo dal Nord. Dai Monti Azzurri." poi abbassó la voce, fino quasi a tramutarla in un bisbiglio. "Signora Monrose..."

"Oh! Fa' freddo lassù, vero? Dicono sia bellissimo, peró!" cinguettó Bettie, felice di avere un'ospite con cui chiacchierare. Passare le giornate con un'ottantenne non era esattamente un divertimento, anche se il compenso era elevato. La regina Sigrid, che adorava Roswehn, l'aveva coperta di grana per prendersi cura di lei. E per una ragazza figlia di contadini, quei soldi erano una manna dal cielo.

"Dipende dalla stagione. In inverno ti si gela il naso appena esci di casa." rispose Goneril.

Sentì Bettie ridere.

"Signora Monrose, sono venuta a dirvi tre cose." bisbiglió ancora. Un bisbiglio che si stava trasformando in un ringhio. La mano di Goneril lentamente si portó dietro la schiena, in cerca del coltello. Le sue dita sottili toccarono l'impugnatura. "La prima...é che il vostro amico Haldir, il prode capitano del Lothlórien, é morto. L'hanno ucciso gli Orchi, sapete."

Scrutó il volto di Roswehn, che rimase impassibile alla notizia. Questa ha il cervello bacato, mi sa, pensó lei. Poco male, non se ne accorgerà neanche.

"E cosa vi ha portato a Rohan?" chiese ancora Bettie dalla cucina. "Manca poco per il té!"

"Oh...voglia di viaggiare, soprattutto. Volevo vedere l'Ovest. Ed Edoras é luogo incantevole, sai." spiegó Goneril, mentre estraeva il pugnale.

Poi riprese con i suoi bisbigli. "La seconda, é che l' altro Haldir, il frutto della vostra passione con il grande Re dei boschi, sente la vostra mancanza. Vi manda a dire che vi vuole bene. Un mondo di bene..." ghignó.

"Avete conosciuto Re Théoden? É sempre stato molto generoso con noi. Qualche anno fa ci ha mandato una decina dei suoi cavalli migliori in regalo!" continuava a chiacchierare Bettie. "Zucchero e latte nel té?"

"Solo zucchero, grazie." replicó ad alta voce la guerriera camuffata da paesana. Poi i suoi occhi duri tornarono a fissare il volto appassito della padrona di casa. "La terza...é che Amon vi saluta."

"Bettie!" esclamó all'improvviso Roswehn. "Vieni qui, subito!"

Goneril sobbalzó. Quella specie di salma aveva magicamente preso vita. Si era svegliata dal suo torpore, dal suo letargo.

La ragazza corse in salotto. "Sì, Roswehn, che c'é?" disse, allarmata.

"Dov'é la torta al limone?" chiese l'anziana, girando gli occhi pieni di capillari verso di lei. Era uno sguardo severo, che non ammetteva proteste. Le ricordó lo sguardo di Thranduil.

"La tor...non ce n'é, ma abbiamo i biscotti, Roswehn. Li ho comprati ieri al mercato, quelli alla cannella." disse Bettie. "Ricordi? Credo vadano benissimo..."

"Quante volte ti ho spiegato che con il té del mattino esigo la maledetta torta al limone?! Quando ti entrerá in quella zucca vuota?" la rimproveró Roswehn.

Goneril nel frattempo si era appoggiata allo schienale del sofa, per nascondere la mano che ancora impugnava l'arma. Era confusa. Quella donna aveva sentito il suo discorso? Aveva forse finto di essere rimbambita?

"Oh cara, ti prego...dovró andare di nuovo dal fornaio..." provó a farla ragionare Bettie. Sul viso aveva un' espressione da: quanto vorrei mandarti al diavolo, se non fosse per i soldi, se non fosse...

Goneril colse l'occasione al volo. "Vai pure. Staró io con la signora Monrose. Come ti ho detto, lavoravo cone domestica. Ho familiarità con gli anziani."

"Ha!" sbottó Roswehn.

Sia Bettie che Goneril la guardarono. La maschera raggrinzita di quel volto per un attimo sembró deformarsi in un sorriso. Ma poi tornó a guardare il fuoco.

"Ve la sentite? Sarà solo per una manciata di minuti..." disse Bettie. "...Roswehn ha le sue abitudini."

Stavolta il sorriso di Goneril fu più convincente. "Va' Bettie, non temere. E non é necessario che corri a rotta di collo. Se il té si raffredda ne prepareremo un altro."

Con un sospiro, la ragazza prese un soprabito pesante, sciarpa e cappello e uscì dalla porta.

Una volta rimaste sole, Goneril si giró lentamente verso la donnetta anziana, che era sprofondata di nuovo nel suo oblìo.

"Grazie di avermi facilitato le cose, signora Monrose." disse allora la guerriera. "Da molto desideravo incontrarvi."

Goneril reggeva il pugnale, pronta a vibrare il colpo fatale che avrebbe sancito la fine dei suoi giorni da criminale assassina. Solo questa volta, un'ultima volta per mantenere una promessa fatta a un amico. E poi basta. Basta per sempre. Un nuovo inizio. Una nuova vita e perché no? Un nuovo nome. Idis. Mi piace, in fondo.

"Ho parlato con il capitano Haldir, pochi attimi prima che venisse fatto a pezzi. Abbiamo parlato di voi, signora Monrose. Vi ha amata, sapete? Vi ha amata per tutta la sua vita. Non ha mai smesso di amarvi. Fino alla morte." riveló Goneril. "É giusto che voi lo sappiate, a questo punto. Ora che state per raggiungerlo."

"Sei solo una piccola ignorante." mormoró la vecchietta.

Di nuovo, Goneril si bloccó, sorpresa. 
Allora quella donna era cosciente. Era perfettamente lucida. Stava solo fingendo di essere incintrullita.

Roswehn giró di nuovo il viso, e la pelle flaccida del suo collo si piegó in tanti solchi profondi.

"Non te l'hanno detto...che gli Elfi non muoiono mai?"

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Capitolo 37
*** Le sorelle di Esgaroth ***


"Flora...?"

Ester osservava sbigottita il mantello lasciato a penzolare sulle corde stendipanni. Era favoloso, di un intenso blu cobalto con preziosi dettagli in filo d'oro, che ornavano il bordo. La donna allungó una mano, timorosa, per toccarlo. Era morbido velluto, un tessuto che Ester non aveva mai visto da vicino.

"Flora..." ripetè, a voce un po' più alta. Questo mantello é un regalo delle fate del bosco, pensó. Le fatine buone di cui parlava ogni tanto la loro madre.

Ester era una donna di quarantotto anni, con la mente di una bimba di cinque. Era una povera sventurata, di quelle che nei paesi venivano definite le matte del posto. Sua sorella Flora, di tre anni più vecchia, era stata obbligata a prendersi cura di lei, dopo la morte dell'anziana madre. Insieme erano cresciute, insieme condividevano quella grande abitazione rurale, costruita dal loro nonno, insieme stavano invecchiando.

"Flooora!" urló stavolta.

Dalle piccole stalle dietro la casa si sentì una voce borbottare. "Ma mondo boia!" imprecó la sorella, un donnone dall'aspetto mascolino, uscendo all'aperto con una gallina nella mano destra. Si stava apprestando a tirarle il collo. Il povero animale sgambettava disperato. "Ma cos'hai da urlare!"

"Flora, guardaaa!" si agitó Ester, indicando il mantello. "Ce l'hanno portato le fate!" esclamó entusiasta.
Flora si avvicinó a osservare quel gigantesco pezzo di stoffa blu che penzolava sul loro portico, elegantemente mosso dal vento. "Cosa cribbio é questa roba..." mormoró. Il viso si deformó in una smorfia di confuso stupore. Non si rese conto che mancavano tre pezzi di loro vestiario là fuori.

"É un regalo! É per noi! L'hanno portato le fate!" continuó a cianciare Ester, elettrizzata dalla novità.

"Zitta!" le intimó Flora. Sua sorella aveva il cervello pieno di baggianate, credeva ancora alle fate, agli gnomi, agli spiritelli dei boschi. Flora osservó i disegni sul bordo del mantello. C'era un simbolo, un ornamento che ricordava la testa di un cavallo.

"É nostro, Flora! È tutto nostro!" disse ancora Ester.

"Un cavolo é nostro. L'ha lasciato qualcuno...magari un ladro." grugnì Flora. "Questa è la refurtiva di un ladro. Ce l'ha schiaffato qui!"

Ester non smetteva di accarezzare l'indumento prezioso. "Me lo metto stasera, lo faró vedere a tutti!"

"Piantala con le scempiaggini. A chi vorresti mostrarlo, a qualche gentiluomo? Per caso ti hanno invitata a una festa?" chiese sarcastica.

Ester ammutolí.

"...o forse vorresti indossarlo per raccogliere le rape dall'orto? Lo dobbiamo restituire. L'avranno rubato da Palazzo Reale, magari é della regina, o di sua sorella." concluse Flora.

"NO!" urló Ester. "É nostro, é mio! Me l'hanno lasciato le fate, gli spiriti buoni dei boschi. Quelli che entrano di notte in casa e mi fanno fare bei sogni."

Flora avvertí un brivido di fastidio lungo la schiena, come sempre quando sua sorella demente iniziava con le sue cavolate. La gallina si dimenava ancora nella mano, e la donna la scaraventó lontano. L'animale zompettó via in un chiocciare spaventato. Si avvicinó a sua sorella, che d'istinto si ritrasse. Adesso arrivano le botte, dicevano i suoi occhi miopi.

"Ester... piantala. Ho detto che quest'affare va restituito...io non voglio che le guardie vengano qui a prenderci! Non possiamo indossarlo, grulla! Tutti ci vedranno e andranno a dire che siamo state noi!" gridó a pochi centimetri dal naso dell'altra. Delle volte aveva l'impressione che nemmeno se avesse aperto la testa di quella scema con un martello sarebbe riuscita a infilarci un po' di buon senso.

Ester inizió a piagnucolare proprio come una bimbetta a cui avevano sottratto il giocattolo preferito. "Io non voglio, é mio!" Con uno strattone, tolse il mantello dalle corde e se lo avvolse attorno al corpo. Poi dal pianto isterico scaturì un riso violento, irrefrenabile. "Io sono la principessa, adesso. La principessa Ester del regno di..."

SCIAF!

Il suono della sberla rieccheggió sulla acque del lago. Una gavia, in lontananza, fece un verso in risposta.

Ester rimase ferma, mentre l'impronta della manona di Flora cominciava a comparire sulla guancia sinistra. Non si mise a urlare, né a piangere, perché ormai c'era abituata. Quello era il sistema preferito di Flora, per riassettare le valvole cerebrali della sorella, quando andavano in tilt. E funzionava. Funzionava a meraviglia.

Flora la fissava con gli occhi nocciola colmi di stanchezza ed esasperazione. Quarantotto maledetti anni, era durata quella tortura. Mezzo secolo di vita speso con una sorella incapace e lagnosa, che aveva piccoli tarli nella testa che le divoravano inesorabilmente il tessuto connettivo. Devi volerle bene, Flora. Lo sai é una bambina SPECIALE, diceva sempre la loro povera mamma. Non avrà che te al mondo.

Flora non sapeva cosa volesse dire con speciale, sapeva solo che durante le varie fasi della crescita Ester si era lasciata andare a tutta una serie di stranezze, cominciando dall'alzarsi la gonna davanti a tutti, a quindici anni, per fare vedere le mutandine, al raccogliere girini nelle pozzanghere che poi portava in casa e buttava nel lavello - e lei era costretta a toglierli -  fino a correre dietro a galline e anatre, e starnazzare come loro. E questo, solo per elencarne alcune.

Probabilmente aveva ragione la loro madre a dirle che doveva amare sua sorella, perché i parenti vanno sempre amati, ma Flora cominciava ad averne abbastanza. Il suo sistema nervoso era talmente logorato a furia di stare dietro a quella disgraziata, che delle volte, la notte, si svegliava di soprassalto e urlava.

Adesso si era incaponita con quel mantello del cavolo, e la cosa andava chiusa al più presto. Quell'affare era stato rubato quanto era vero Iddio, e Flora aveva già abbastanza magagne da affrontare per doversi preoccupare anche di una possibile accusa di furto.

"Dammi quel mantello del cavolo." ordinó alla sorella. Ma Ester fece cenno di no. I suoi occhi verdi e stupidi erano fissi in quelli della sorella maggiore. "Ester...ricordi cosa è successo tre giorni fa?" chiese allora Flora.

La donna rabbrividí.

"...vuoi che succeda ancora? Vuoi costringermi a usare il bastone?" continuò Flora. Allungò una mano callosa verso di lei. "Dammi quel cavolo di mantello." Ma Ester fece un passo indietro. Era suo.

Stupita dalla disobbedienza, Flora afferrò con rabbia il pezzo di velluto, e tirò con forza. Il mantello si aprí per tutta la sua lunghezza, un lembo era nelle mani di Ester, l'altro in quello della sorella. Iniziarono un grottesco tira e molla. "Lascia, lascia o stavolta ti rompo la schiena, giuro sulla tomba di nostra madre!" gridò Flora.

"Noooo, é miooo!!!" urlò disperata Ester, ma poi dovette cedere. Sua sorella era più alta ed energica di lei. Il mantello finí tutto in faccia a Flora.

"Catttiii -vaaaa!!!" gridò di nuovo.

SCIAF!

Un secondo ceffone la colpí esattamente nel punto di prima. Stavolta il viso di Ester assunse un colorito violaceo. "Smetti di fare la pazza!" urlò Flora, "...o questa volta ti ammazzo sul serio!!"

"Hey!" urlò una voce maschile poco distante. "Hey piantala, lascia stare quella poveraccia!"
Era Herbert Thiboeu, un vecchio mercante in pensione, che la mattina si rilassava andando a pescare sul lago. Era lí con canna da pesca e tutto il suo bell'armamentario di esche e ami. "Che Eru ti punisca, Flora Hockstetter, quella é tua sorella!" la rimproverò.

"Ah sí? Beh passa pure una giornata insieme a lei! Poi vediamo..." rispose lei, infagottando il mantello. "Poi sarò io a ridere..."

"Lo sanno tutti che le fai del male! Sta' attenta, o prima o poi qualcuno manderà qui le guardie!" la rimproverò il vecchietto.

"Tu fatti gli affari tuoi, rompiscatole!" gridò Flora di rimando. "Va' a pescare sul molo, va'..."

Herbert si allontanó, dopo averle rivolto un gestaccio.

"Domani porto questa roba a Dale, la daró alle guardie. E non voglie sentire altre lagne, hai capito?!" grugnì Flora alla sorella, che guardava il terreno imbronciata e con una guancia livida.

C'era qualcosa a terra. Un pezzo di carta, sembró a Ester. No, una busta. Una lettera. La donna aprì la bocca meravigliata, e fece per avvisare la sorella. Ma poi si fermó. No, Flora era stata cattiva. Non doveva dirle un bel niente. Aveva ancora disobbedito alla mamma, che sul letto di morte le aveva fatto giurare di prendersi cura di lei. E di volerle bene.

Lasció che Flora rientrasse in casa prima di muovere un passo. Poi, lentamente si avvicinó alla misteriosa busta e si chinó a raccoglierla, stringendo i denti per il dolore che avvertiva alla schiena, dove l'altra l'aveva colpita col manico della scopa tre notti prima. La giró fra le mani.

C'era un nome scritto in una stranissima calligrafia.

"R - ..." inizió a leggere. Nonostante il suo cervello non si fosse sviluppato normalmente, aveva imparato a leggere. Era andata a una specie di scuola, quando era piccola, che aveva lasciato a dodici anni, perché le maestre, esasperate, avevano detto a sua madre che ci dispiace signora. Ester é una bambina taaaaaanto cara, ma non crediamo possa continuare con l'istruzione. Non ce la fa, capisce, e non riteniamo giusto che rallenti l'apprendimento degli altri.

Ma aveva imparato a leggere.

"...OS..." disse, facendo scorrere il dito su quel nome.

"...WEH...N"

Roswehn.

Ester corrugò la fronte. C'era un'unica persona che si chiamava Roswehn, nei dintorni. La signora degli Elfi.

Beh, sua sorella non la definiva proprio signora, aveva sempre usato un'altra brutta parola. Una delle brutte parole che la loro madre detestava.

Ester non aveva mai incontrato la signora degli Elfi. Aveva solo visto la sua casa, la meravigliosa casa bianca con la porta azzurra che prima di lei era appartenuta a una fioraia. Lei adorava quella casa. Quando sua madre era in vita la pregava sempre di portarcela, perché amava perdersi nel profumo delle rose bianche, delle migliaia di rose candide che in primavera e in estate crescevano nel giardino. Rimanevano entrambe fuori dal cancelletto d'entrata ad ammirare quel roseto favoloso. Aveva anche provato a chiedere a Flora di accompagnarla, una volta che l'anziana signora Hockstetter aveva dato l'addio al mondo, beccandosi come risposta un gran calcio nel didietro.

(Non vado a trovare le sgualdrine, capito? E non mi importa un fico di cosa facevi quando mamma era in vita. Scordatelo.)

La mente sconnessa di Ester riuscí a comunicarle che quella era una lettera per Roswehn Monrose. E che doveva riceverla. Magari poteva andarci lei, alla casa grande con la porta azzurra. Conosceva il percorso, poteva andarci anche da sola, sissignore. Voleva vedere il roseto, nonostante d'inverno non ci fosse neanche l'ombra di una rosa. Ma questo, il povero cervellino di Ester Hockstetter non fu in grado di ricordarlo.

"Vado dalla signora degli Elfi!" urlò alla porta chiusa di casa. Parole al vento, Flora non aveva sentito. "Io vado..." mormorò di nuovo.

Proprio in quel momento, nella grande casa sulla collina, la signora degli Elfi stava affrontando l'ultima prova della sua vita.

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Capitolo 38
*** La Signora degli Elfi ***


"Vieni qui, credendo di minacciarmi, ma non sai che io sono già morta. Morta, da trent'anni." mormoró Roswehn.

"Lo dicono anche di me, signora Monrose. Perció non crediate di impietosirmi." rispose Goneril, sollevando il pugnale di Haldir, perché l'anziana lo vedesse. "Questo appartiene a vostro figlio. E su questa lama finirà la vostra vita. É paradossale, vero? Ma bellissimo. Davvero perfetto." 
Sul suo viso passó un'espressione di esaltata soddisfazione. "Io vi sto regalando una grande morte. Una morte leggendaria, come é stata la vostra vita."

"Allora fallo in fretta, prima che arrivi Bettie. Lo sapevo, l'ho mandata via di proposito. E lasciala stare, quella ragazza. É innocente, lasciala vivere." le disse Roswehn, per niente intimorita dal coltello che era lì a trenta centimetri dalla sua faccia. Sembrava placidamente rassegnata. "Io ho vissuto la mia vita. Sono pronta. Fallo in fretta, e usa almeno la cortesia di pulire il sangue, quando avrai finito."

Goneril non si era aspettata una simile arrendevolezza. Si era immaginata che la vecchia avrebbe provato a difendersi, magari tentando di pararsi con le braccia, o urlando. Ma non fece nulla. Continuava a osservare quel fuoco che danzava nel camino.

"Le fiamme..." mormoró, all'improvviso. "...quelle fiamme rosse mi ricordano sempre Smaug. Oh io c'ero...c'ero quando il Drago attaccó Pontelagolungo. Corsi con tutta la forza dei mei vent'anni per fuggire a quel disastro. Quelle urla..." si portó le mani alla testa. Un anello d'argento brillava all'anulare sinistro. "...mi tormentano ancora nei miei incubi. Quei poveri disgraziati che...bruciavano vivi..."

Goneril tentava di mantenere la freddezza necessaria a fare quello che doveva fare, ma il braccio che reggeva il pugnale sembrava bloccato. Era rapita da quei racconti. La storia di Smaug e della carneficina che aveva compiuto a Esgaroth era negli annali. L'aveva sentita raccontare infinite volte, ma mai da una diretta testimone.

"C'era un cane, era ancora un cucciolo. Era rimasto bloccato nel ferro liquefatto di una porta...oh, guaiva così terribilmente! Io volevo aiutarlo, ma non potevo..." continuava Roswehn, come persa in una visione. "...e quella donna incinta, schiacciata da una trave...ma io dovevo correre. Correre...sotto al pontile."

La guerriera d'un tratto si riprese. Si ricordò perché era lí. "Signora Monrose, vi concedo un minuto per raccogliere i vostri ricordi, e dire le vostre preghiere. Son venuta per uccidervi, l'avete capito. E Bettie sta tornando. Esaudiró il vostro ultimo desiderio: la lasceró in vita. Ma devo fare in fretta." disse, alzando il coltello.

Roswehn si giró e le sorrise. Aveva ancora tutti i denti. Com'é possibile che abbia tutti i denti? Ha ottantasei anni. Si chiese Goneril.

"Uccidere...tu sai tutto sulla morte, vero? Non sei una domestica come io non sono una ballerina. Tu sei una guerriera, e anche esperta..." disse Roswehn. "Forgiata a dovere."

Goneril si stupì. Come cavolo l'aveva capito?  Il suo sguardo interrogativo spinse Roswehn a continuare. "Thranduil...aveva ordinato a Legolas di insegnarmi a combattere, e con tutte le armi. Povero principe, ci provó...ma poi si arrese. Non era per me...uccidere, non é cosa che io abbia mai voluto imparare a fare...ma so come si impugna un coltello...e tu lo tieni nel modo giusto per vibrare il colpo letale. Proprio qui alla gola"  La vecchietta faticosamente si spinse in avanti. I suoi occhi appannati per un attimo brillarono di sfida. "...e allora, avanti! Muoviti, fammi fuori!."

La generalessa sapeva come avrebbe dovuto fare. Piegare la testa della donna all'indietro, in modo da individuare la giugulare. Colpire velocemente, ritrarsi per evitare il sangue sprizzato fuori come un geyser a causa della pressione del cuore. Lasciarla morire dissanguata. E poi, Roswehn Monrose si sarebbe finalmente lasciata dietro quei lunghi anni della sua straordinaria vita. E lei, avrebbe vendicato il suo amico e salvatore, Amon.

Eppure, non ce la fece. Una misteriosa forza la stava fermando. Il braccio era bloccato, come trattenuto da una presa invisibile.

"Ma non ci riesci. Non puoi." sorrise di nuovo Roswehn. Aveva uno sguardo furbo. Si sistemó meglio il fermaglio a forma di farfalla, che stava per cadere. Poi riprese: "Hai conosciuto mio figlio, il mio dolcissimo ragazzo."

Goneril annuì. Si sentiva una vera idiota in quella posa, con il pugnale alzato a mezz'aria e l'altra mano che ghermiva il bracciolo del sofa. Ma che mi succede, in nome di Eru...

"Ti ha parlato di me?" volle sapere Roswehn. "Ti ha detto come io e suo padre ci siamo lasciati?"

Goneril a quel punto abbassó l'arma. C'era qualcosa che non andava in tutta quella dannata faccenda. Mai nella sua vita, si era bloccata durante una missione omicida. Era come se quella casa fosse protetta da un' aura misteriosa, come se all'interno di quelle mura esistesse un' energia benevola che in qualche modo contrastava i suoi piani.

"Mi ha solo detto che Thranduil gli ha improvvisamente impedito di venirvi a trovare, signora Monrose. E mi ha dato una lettera..." 
Goneril in un lampo della memoria ricordó la lettera del principe, che aveva infilato nel... mantello. Quel mantello di Éowyn che aveva lasciato appeso allo stendipanni di una misteriosa cittadina di Esgaroth. La lettera doveva essere ancora in tasca. C'era scritto "Roswehn" sulla busta, se lo ricordava benissimo: era in elegante calligrafia elfica, ma il nome si capiva.

Oh no...sentì un brivido lungo tutta la schiena, e la testa inizió a pulsare. ...oh no...se uccido questa donna, e se trovano il cadavere, e se qualcuno trova quella lettera in elfico e la porta alle guardie di Dale... risaliranno a Thranduil, o magari alla stessa Éowyn. C'era lo stemma reale di Rohan impresso sul velluto...parleranno con lei, dirà che io ero ospite di Théoden e che sono fuggita una notte con quel mantello...

"Thranduil accettò la mia partenza, ne avevamo parlato. Stavo invecchiando, e gli Elfi non comprendono la vecchiaia. Non volevo che lui, Legolas e tutti i loro sudditi mi vedessero avvizzire. Lo concessi solo a mio figlio. I figli amano sempre le madri. Ma il mio Re, no... non doveva essere testimone del mio decadimento." continuava a raccontare Roswehn. "Ci salutammo una mattina di primavera. Io avevo cinquantasei anni, compiuti da poco. Nessuno dei due pianse, e lo trovai strano. Era l'ultima volta che ci vedevamo ed entrambi lo sapevamo, ma nessuno dei due si commosse. Mi fece promettere di essere sempre felice, e che lui avrebbe provato a fare lo stesso. Poi mi diede una cosa..."   Con una mano un po' tremante, si sciolse il fiocchetto che chiudeva i lembi dell'abito, sotto al mento. Infilò due dita nodose nello scollo ed estrasse un ciondolo in cristallo. Era un fiore stilizzato.

"...questo fu un dono di Lord Elrond di Gran Burrone. Si chiama...stella del vespro. Era un regalo che il signore di Rivendell aveva fatto a Thranduil. Ma il mio amore lo lasciò a me. Disse che questo ciondolo era carico di magia, di una specie di grazia, e che mi avrebbe fatto da scudo contro ogni malvagità. E qui veniamo a te, misteriosa guerriera." disse Roswehn, guardando di nuovo Goneril, nel frattempo impallidita. Notò il suo sgomento. Sorrise.

"Già...non puoi farmi niente...sorpresa, eh?" ridacchiò, e subito un attacco di tosse la colse. "Eh sí, non te l'aspettavi proprio." continuò a ridacchiare. "Tu hai avuto un buon maestro. Un Elfo guaritore e guerriero... ti ha istruita lui, ho indovinato? Quell'idiota di Amon mi odiava. Mi ha odiata fin dal primo momento, dopo che arrivai a Boscoverde. Perché ero umana. Ma perché abbia plagiato la tua mente e ti abbia portato a tentare questa cosa orribile, accidenti a me se lo so." continuò. "Come lo hai conosciuto?"

Goneril decise di raccontarle tutto. Un breve sunto della sua vita. D'altra parte, non c'era più molto da fare: non poteva ucciderla, la donna era protetta dalla magia degli Elfi. 
Di Elrond, nientemeno.

E comunque, sarebbe stato rischioso. C'erano tracce in giro, prima di tutte quella cavolo di lettera, sigillata col simbolo di Boscoverde. Era stata incarcerata lí, Feren e Varian avrebbero confermato. E il mantello di Éowyn.  In un modo o nell'altro sarebbero risaliti a lei. L'avrebbero cercata, fino alla fine dei suoi giorni, per omicidio. Lei, che ne aveva ammazzati impunemente a decine per soldi, avrebbe rischiato il linciaggio per una vecchietta.

Ma Amon andava vendicato in qualche modo. Intanto, facendo presente alla madre di Haldir che l'esistenza del principino non era un segreto. Era in mano sua, e lei era ancora in tempo a svelarlo a tutti. "...dicono che Sauron si sia svegliato, signora Monrose. Sta' facendo un po' di capriole a Mordor, giusto per sgranchirsi le gambe. Cerca il suo Anello, e nuovi alleati nella lotta contro la Terra di Mezzo. Io so chi custodisce il suo Anello, e so dell'esistenza di un prezioso mezzosangue che potrebbe tornargli utile. Quale delle due informazioni gradirebbe di più secondo voi?" la provocò Goneril, alla fine dei racconti.

Roswehn scosse la testa. Un gesto triste, carico di sconforto. "Grande Eru...quanta malvagitá. Il mio povero figliolo...Radagast si era raccomandato di tenere la sua esistenza segreta...e per colpa di quel verme di guaritore..."

"Amon non era un verme. Passò sessanta anni a vivere come un animale in una grotta...rinnegato dalla sua gente...per colpa vostra..." sibilò Goneril. I suoi occhi erano pieni di odio. "...per colpa vostra..."

"Sciocca. Amon fu allontanato dal Reame Boscoso perché non era più un vero Elfo! Succede ad alcune di quelle creature; é come se loro luce d'un tratto si spegnesse, come si spegne una candela. Thranduil l'aveva capito, e lo cacció dal reame perché non infettasse gli altri con il suo veleno. Una mela marcia, che rischiava di far marcire le altre." sbottó Roswehn, con tono di rimprovero. "Dicono che gli Elfi siano incapaci d'odio e di violenza, ma vivendo a Boscoverde per trent'anni ho scoperto che è una bugia. Anche loro possono essere corrotti." 
Poi tornó a sorridere. "Comunque, cara, se fosse vero ció che sei stata indottrinata a credere, mi dovresti quasi ringraziare." proseguì, lasciando cadere sulla soldatessa uno sguardo carico di indulgenza. "...se Amon non fosse stato cacciato da Eryn Galen, non vi sareste incontrati, giusto? Quindi non ti avrebbe guarito. Saresti morta per le conseguenze di quelle frustate del tuo patrigno. Sola, in un bosco, e lì i vermi ti avrebbero divorata...perció direi che, in fondo, la sottoscritta é il motivo per cui tu hai conservato la tua vita."

"Signora Monrose, la mia vita, per come l'ho vissuta negli ultimi dieci anni, non ha avuto un gran valore. Perció...io vi devo nessun ringraziamento." disse amaramente Goneril.

"Allora non sei nemmeno in debito con Amon." rispose Roswehn. "Dici che ti ha salvata, ma questo é vero solo in parte. Ha guarito il tuo corpo, ma ha rovinato la tua anima. Ti ha insegnato ad essere egoista, priva di empatia verso il prossimo, e questo, credimi, puó essere una maledizione."

Goneril non replicó. Si accorse che era passata una buona mezz'ora da che Bettie si era allontanata. Si preoccupò. "Dov'é quella ragazza?"

"Bettie? Oh si sarà fermata dal fornaio. Suo nipote é un gran bel giovane." sorrise Roswehn. "Si sarà attardata a chiacchierare. Anche per questo é corsa fuori, lasciandomi con una sconosciuta. Se lo sapesse Sigrid..."

Goneril rifletté su quello che poteva fare. Niente. Te ne vai. Raccatti la spada dal fienile e vai a Gran Burrone. Fossi in te, lo farei prima che quella servetta torni a casa, le disse la coscienza.

Si alzó dal divano.
"Avete vinto, signora. Levo le tende. Dovevo uccidervi, me ne vado sconfitta. Godetevi il tempo che vi resta, e sappiate che vostro figlio desidera incontrarvi. Thranduil gliel'ha impedito, ma troverà il modo di venire qui. È scaltro."

"Lo so. Tu dove andrai?" chiese Roswehn.

"A Gran Burrone," riveló lei. "La mia ultima meta."

"Saluta Elrond per me. E prima di andartene..." disse Roswehn. "Fammi un favore. Va' lì vicino al camino, ti prego."

Goneril non capì. "Cosa?"

"Lì c'é un piccolo scrigno. Aprilo." continuó Roswehn.

La guerriera lentamente si avvicinó al focolare. Sul ripiano superiore, c'era in effetti una scatola ricoperta d'argento, con decorazioni elfiche. La aprì.

I suoi occhi si sbarrarono per quello che vide.

"Sei una mercenaria, giusto? Consideralo il pagamento anticipato per il tuo prossimo impegno." disse Roswehn.

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Capitolo 39
*** Vendette ***


"Spettacolare, vero?" chiese Roswehn.

Goneril era intenta a rimirare l'enorme rubino, dai mille riflessi scarlatti, contenuto nello scrigno. Era grande come una prugna.

Quel gioiello non aveva prezzo. Anche provando a immaginarme il valore, non riusciva a quantificarlo. Duecento, trecento, cinquecento bauli d'oro. Per una pietra di quelle dimensioni, un Re, umano, elfico o nanico, avrebbe fatto follie.

"Me lo diede un drago dei ghiacciai," proseguí Roswehn. "Quando attraversai le Montagne Nebbiose da sola. Un piccolo drago candido come la neve. Temevo volesse divorarmi, ma mi lasciò viva. Fu generoso."

"E voi lo chiamaste Oropher. Sí, conosco la storia." ribatté Goneril. "Thranduil s'infurió quando le seppe."

Roswehn si alzó faticosamente dalla poltrona. Prese uno scialle di lana e se lo poggió sulle spalle. Lentamente, si avvicinó alla guerriera. Goneril notó che la sua schiena era incurvata, come capitava spesso agli anziani, ma nel complesso aveva mantenuto una buona forma. Non aveva nemmeno bisogno di bastoni o altri sostegni per camminare. La guerriera immaginó fosse l'influsso benefico della stella del vespro, che in qualche modo stava ritardando la vecchiaia.

"Thranduil...sì, mi fece una scenata. Dare a un drago il nome di suo padre..." sorrise Roswehn. "Ma poi mi perdonó. Mi ha perdonato molte cose, sai?"

"Come la vostra infatuazione per il Capitano del Lothlórien?" chiese Goneril. "Come aver dato al principe il suo nome? Questo, ai miei occhi, é un tantino più grave, signora Monrose."

Roswehn la guardó negli occhi, e la soldatessa colse un lampo di sfida. Da giovane, quell'anziana davanti a lei doveva aver avuto un gran bel caratterino. "Non parlare di amore, ragazza mia. Dell'amore, tu non sai niente." le disse. "Sei arida, e piena di spine. Ti sei costruita la tua piccola corazza contro i dispiaceri. Sai, un tempo ero come te. Anch'io ho avuto un'infanzia dolorosa, che credi, e una prima giovinezza anche più triste. Ma non ho mai perso l'entusiasmo verso la vita. E ringrazio gli déi per avermi salvata dalla rovina morale, quella a cui sei andata incontro tu. Ringrazio Thranduil, e ringrazio anche Haldir, sí. Fu lui, in effetti, a farmi battere il cuore per primo. Ma non era amore. Era qualcosa di più spirituale, più tenero. Era qualcosa che tu non puoi capire."

Goneril si lasciò andare a una smorfia piena di sarcasmo. "Dite quello che volete. Io ho sentito un'altra versione. E ho anche sentito che Haldir di Lórien non fu il solo pretendente al vostro cuore. Ho sentito nominare un certo Lindir di Rivendell. Ho sentito che avete tradito Thranduil con lui, e che per questo il Re voleva rinchiudervi in una cella per tre giorni." raccontò Goneril. "Thranduil si diverte un mondo a incarcerare le donne umane, pare. C'é una punta di sadismo, in lui."

"Quello che hai sentito sono cattiverie dette da un Elfo rinnegato. Dimentica Amon, e la sua nefasta influenza." ribatté Roswehn.

"Non sono frottole. É la veritá. Non avevate una buona reputazione a Boscoverde. Per questo siete tornata qui. I sudditi di Thranduil non vi hanno mai vista di buon'occhio, non solo Amon. Non avevano accettato la concubina umana, l'amante mortale del loro Re. Quello della vecchiaia era un pretesto. Voi non siete fuggita da quel reame nel bosco perché stavate invecchiando...siete scappata perché vi davano della..."

"Oh, smettila!" sbottò Roswehn. "Tu non eri lì, non parlare. E non pretendere di conoscere la mia storia. Avevo molti amici a Boscoverde, lasciai con dolore quella gente..."

"...amici. Una ragazza elfo di nome Nim e sua madre. Quelle due erano i vostri amici. Con loro passavate le vostre giornate, signora Monrose. Per trent'anni, solo con loro. E le notti...con il Re." ghignó Goneril. Le dava soddisfazione affondare un coltello ideale nella piaga, visto che quello reale - che ancora impugnava - era del tutto inutile.

"Amon forse ha fallito come Guaritore e come Elfo, ma devo dargli atto di una cosa: é stato davvero un eccezionale maestro. Ti ha plagiato la mente, il cuore, l'anima. Ma forse, un giorno troverai anche tu qualcuno che abbia l'antidoto a tutto questo veleno." mormoró Roswehn. Poi tolse il rubino dallo scrigno. "Questo doveva finire nell'elsa della spada di mio figlio, ma poi lo portai qui. Era come se l'istinto mi avesse detto di conservarlo, perché un giorno come questo sarebbe arrivato. Guardalo bene." disse, alzando la pietra all'altezza degli occhi della guerriera. "Ho detto che é tuo, ora. Conosci le gemme preziose, hai certamente idea del suo valore. Nessun tesoro in monete d'oro puó competere. Lo accetti?" chiese Roswehn.

"A quale condizione?" ribatté Goneril.

"Rispondi solo alla domanda: lo accetti? Ti diró dopo cosa devi fare." insisté Roswehn.

Certo che l'avrebbe accettato. Goneril era abbagliata da quella pietra. Venderla avrebbe voluto dire ritrovarsi letteralmente immersa da una montagna d'oro, un po' come Smaug ad Erebor. Altro che, con una ricchezza simile avrebbe potuto comprarsi Rohan, Gondor e Mordor, con annesso Sauron in funzione di maggiordomo.

Rise all'idea.

"E sia. Cosa devo fare?" disse infine. Roswehn le diede il rubino.

"Devi mantenere il segreto. Solo questo. Non parlare a nessuno del principe Haldir." rispose. "Con questa pietra, io sto comprando la vita di mio figlio."

La mercenaria sospiró. Se l'era immaginato. Scacco matto, addio vendetta. Mi dispiace Amon.

"Hai accettato, e quindi hai giurato." disse solennemente Roswehn. "Sei una criminale, é vero. Ma non andresti contro un tuo giuramento. É buffo, voialtri reietti avete uno strano senso dell'onore. Mantenete le promesse."

"Sì signora Monrose. Di solito mi attengo a questa regola non scritta. Fino ad oggi. Avevo fatto una promessa ad Amon, ma non trovo il modo per..." disse Goneril.

"Ti ho detto di dimenticarti di lui. Non merita dimostrazioni di lealtà. Volevi uccidermi, questo avevi giurato. Rovinare Thranduil, e mio figlio in nome suo. Non puoi fare niente di tutto ció. Vorrà dire che morirai senza sensi di colpa." commentó Roswehn. ".... Idis." sorrise. "...scommetto che non é nemmeno il tuo vero nome."

"Il nome che mi diedero i miei genitori adottivi è Goneril. Dato che non ci sono più segreti, ahimé, concludiamo questa bella chiaccherata facendo le presentazioni." ammise lei, stringendo la pietra.

"Goneril... come la principessa della fiaba. Le tre sorelle, Cordelia, Goneril e Regan." ridacchió Roswehn. "Che incredibile coincidenza: un tempo, da ragazza, mi facevo chiamare Regan. Ma non per quella favola. Era il nome di una regina dei tempi antichi...una regina maledetta." Negli occhi di Roswehn passó un'ombra di terrore. "...serva di Morgoth...un incubo..."

"Vi lascio, signora Monrose." disse Goneril, che non aveva voglia di ascoltare i deliri di un'anziana. Nipote del fornaio o no, Bettie era probabilmente di ritorno, e quel mantello, con la lettera, era stato di certo ritrovato. Tempo di levare le tende, con una missione in meno e un rubino inestimabile in più.

"Addio, feroce guerriera dell'Est." la salutó Roswehn, mentre Goneril si avviava verso la porta sul retro. "E ricorda il tuo impegno. Non una parola. Fa' come Babiyar, la levatrice che scoprí la mia gravidanza prima di tutti: comprai il suo silenzio con venti monete d'oro. E lo mantenne sai? Era una strega maledetta, ma mantenne la parola."

Goneril non ascoltava nemmeno. Aprí la porta, che dava sul roseto avvizzito. "Trova l'amore! Guarirà tutto!" gridava Roswehn. "L'amore...é la forza più potente al mondo!"

La guerriera non sentí queste parole, si raccolse la gonna troppo grande per lei e si diresse verso il fienile a recuperare la spada.

Poi le venne in mente una frase: rovinare Thranduil.
Rifletté.

Non poteva uccidere Roswehn. Non poteva, e in fondo non voleva, far del male al giovane Haldir. Anche lui era un figlio illegittimo, come lei, era un Elfo innocente che non aveva colpa se non quella di essere venuto al mondo. La sua esistenza era giá di per sé una condanna: vivere nell'ombra, nascosto agli occhi di tutti, fino alla fine dei tempi. Quando Morgoth si sarebbe servito di lui. E poi aveva preso un impegno pagato carissimo: il principino andava lasciato stare.

Rovinare Thranduil.

Questo, era ancora in tempo a farlo. C'era un modo per vendicare Amon, a pensarci bene. E nel mentre, avrebbe dato una lezioncina anche alla signora Monrose. Una lezioncina che sarebbe stata ben peggio di una pugnalata.

La vecchiaia. Gli Elfi non la capiscono, non la accettano.

E se il Re e la sua ex amante ora ottuagenaria si fossero improvvisamente incontrati, se lui l'avesse ...vista? Curva, piena di rughe, un fantasma della donna avvenente che aveva occupato il suo cuore e il suo letto per trent'anni. Quale insopportabile dolore avrebbero provato entrambi? Quale tormento? Entrambi vivevano di ricordi.

E se si fossero incontrati, non avrebbero avuto più nemmeno quelli.

Geniale.

⚜️⚜️⚜️

"Devi rimanere qui con mia figlia." disse Elrond. Mentre fissava Andúril - la spada riforgiata dai frammenti di Narsil - alla sella del suo cavallo, il Signore di Rivendell lanciò ad Hammon uno sguardo carico di preoccupazione. "Posso fidarmi di te, spero."

"Fidarvi di un soldato mercenario? Avete grande sicurezza, lord Elrond" rispose l'umano.

"Credo tu sia una brava persona. Me lo dicono i tuoi occhi e le tue azioni. Hai abbandonato i tuoi compagni quando questi hanno scelto la strada sbagliata. É sufficiente, per me." replicó Elrond. "Devo raggiungere Théoden e Aragorn, forse ce la faró, correndo come il vento."

"In veritá volevo chiedervi di poter rimanere nei vostri confini. Sto aspettando il mio Generale. Non so dove sia, credevo di trovarla qui. Arriverà a recuperare l'oro, ne sono certo." disse Hammon.

"Questo reame non ha più confini, mio giovane amico. Il tuo Generale ha lasciato il vostro esercito?" chiese l'Elfo.

"Sì, ma non per motivi ideologici. Non credo, cioé. So che verrà qui, comunque." confermó l'uomo. "Sono confuso. Devo confrontarmi con lei."

Elrond annuí. "Mia figlia é sull'orlo della nostra morte. Ma resta del tempo. Se quello che entrambi ci auguriamo si avvererà, c'é una speranza. Prega i tuoi déi per questo."

"Non credo in alcun dio. Credo solo in me stesso." Hammon replicò. "Vi auguro comunque fortuna, Lord Elrond."

"Ti ringrazio per avermi dato l'idea. L'esercito dei morti...me n'ero scordato." sorrise il signore elfico. "Quell'oro...tenetevelo. Vada come vada, io e mia figlia ce ne andremo. Anzi, sai che ti dico? Ti concedo di abitare in questo territorio, se non hai una patria. Se Sauron fosse sconfitto, tutta la Terra sará libera. Rivendell sarà deserta, e andrá rifondata. Magari dagli Uomini stavolta." disse.

Hammon giró lo sguardo intorno a sé. "É un luogo straordinario. Sarebbe bellissimo viverci." poi fece per aggiungere una frase, ma Elrond spronó il cavallo e si allontanó di gran carriera. Hammon restó da solo sul portico, pensando al da farsi. Lá fuori si stava combattendo una guerra enorme e lui era lì. Lì in attesa della donna che fino a qualche giorno prima gli aveva dato ordini e che adesso solo Eru sapeva dove si trovasse.

"Io avevo una patria...Gondor..." mormoró fra sé.

Un tuono lo fece sobbalzare. Non era vicino, era in lontananza. Ma era stato fortissimo.

Benjamin Hammon si chiese se fosse il segnale dell'inizio di qualcosa.

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Capitolo 40
*** Re e Regine ***


Le speranze di Goneril si realizzarono più velocemente di quanto la donna si sarebbe aspettata.

Thranduil aveva deciso infatti di andare a Dale di persona, e al galoppo. Con lui, due soldati della sua guardia personale.

Mentre la guerriera cercava in mezzo alla paglia del fienile la sua lunga spada d'oro, il Re e i suoi Elfi apparvero dinanzi alla grande entrata del reame. I soldati di ronda rimasero allibiti vedendolo avvicinarsi a cavallo. "Non é possibile...Thranduil?! Qui?!" chiese uno. "Che cavolo facciamo?"
"Dobbiamo lasciarlo entrare, no? Che vorresti fare, obbligarlo ad attendere sulla soglia?" sbottó un altro, girandosi verso gli altri soldati. "Qualcuno porti la notizia alla Regina!" Subito un ragazzo corse verso Palazzo Reale.

Thranduil non guardó nemmeno gli uomini, varcó l'entrata a cavallo con la sua abituale superbia. Giró lo sguardo sulla città. Non sopportava i territori popolati dai mortali: erano così sporchi, poveri. Non c'erano l'eleganza e la bellezza del mondo degli Elfi. Dale era stata rimessa a nuovo dall'ultima volta che vi aveva messo piede, ma rimaneva comunque, per lui, un posto in cui recarsi malvolentieri.
A parte per il fatto che... lei viveva lí.

Si giró verso i due che lo seguivano. "Fatevi dire dov'é la casa di Roswehn." ordinó.
Uno dei due smontó da cavallo e si diresse verso una donna che guardava i visitatori. Era talmente stupita da aver lasciato cadere a terra il cesto di pane che portava.

"Tu!" disse l'Elfo. "Cerchiamo una vostra concittadina. Monrose. Si chiama Roswehn Monrose."
La donna si riprese dalla meraviglia e lo guardó.
"La signora di Dale? La sua casa é laggiù." indicó una stradina. "Cioé, alla fine di quella via. Allora é vero..." mormoró. Osservava Thranduil. "Il grande Re Elfo...é venuto qui per lei..."

"Il nostro Re intende farle visita. Accompagnaci. Questo, per il tuo disturbo." disse il soldato elfico, e le allungó una moneta d'oro. La donna soppesó l'oggetto, mentre un gran sorriso le si disegnava sul viso. "Ma sicuroooo!" esclamó. "Seguitemi."

"Fermi!" Si udì una voce comandare.

Elias, figlio di Bain, fratello minore della regina Sigrid, fece la sua comparsa sulla scena: come un tempo suo padre, era comandante delle guardie di Dale. Un uomo ancora giovane, che somigliava straordinariamente a nonno Bard.

Elias si avvicinó a Thranduil, rimasto in sella. "Lord Thranduil, é un piacere e un onore avervi qui. Sono Elias, figlio del comandante Bain, fratello della regina. Sono lieto di accogliervi a nome di mia zia. Ma devo ricordarvi che secondo usanza dovreste omaggiare la corona, prima di muovervi nel territorio. Stanno avvisando la nostra sovrana. Vogliate essere così gentile da seguirmi a Palazzo."

Nel frattempo, un gruppetto di paesani avevano interrotto le loro faccende e si erano radunati lì attorno a osservare il Re. Uno spettacolo straordinario per loro, che non avevano mai visto un Elfo se non in disegno.

"Thranduil! Per gli déi, é incredibile, é davvero lui..." sussurró un uomo.

"Già, guarda che abiti ricchi...e quel diadema..." commentó un altro.

"Non ci ha mai fatto visita, perché è venuto qui, secondo te?" disse a bassa voce una donna.

"Non te l'immagini? É venuto a trovare la sua amica..." rispose un'altra, con aria maligna.

Fra i cittadini di Dale serpeggió presto la curiosità. Fra di essi, c'era anche Bettie Starrock.
Aveva lasciato la bottega del fornaio e il suo bel nipote da poco, dopo aver realizzato di essersi attardata troppo. Lei era una giovane senza fidanzato e Anton era uno schianto: era riuscita a strappargli un invito ad andare insieme alla sagra di paese che si sarebbe tenuta fra qualche giorno. Era probabile che il giovanotto avesse dato lo stesso appuntamento a una mezza dozzina di fanciulle, ma a Bettie non importava: meglio dividersi quell'aitante giovane con altre, che passare l'ennesimo giorno di festa da sola. O con Roswehn.
Affrettandosi verso casa Monrose, aveva notato il gruppo di persone ferme ad osservare un misterioso visitatore a cavallo. Appena si avvicinò e capì chi era, la torta incartata rischiò di caderle di mano.

"Già... il figlio di Bain. Conoscevo tuo nonno e vidi tuo padre. Hai i suoi stessi occhi fieri." disse Thranduil.

"Sì, so che avete combattuto a suo fianco. Noi tutti vi rispettiamo, Lord Thranduil. Gli Elfi e gli Uomini di Dale da sessant'anni vivono in amicizia. Ma ciò non vi consente di entrare nel nostro regno senza annunciarvi. Qualcuno la chiamerebbe invasione. " ribatté Elias.

Thranduil sorrise. "...e hai la stessa baldanza di Bard. Non sono qui a invadervi, giovane comandante. Come molti anni fa, sono giunto ad aiutarvi. Una vostra concittadina è in pericolo. E lo siete tutti, se ciò che temevo è accaduto. C'è un essere malvagio che si aggira qui, una criminale che è fuggita dalle mie prigioni. Una guerriera, un tempo a capo di una marmaglia di assassini."

Subito un mormorìo di paura e costernazione si levò dal gruppo di gente. "Chi sarebbe? E come sarebbe entrata qui?" chiese Elias.

"Goneril è il suo nome. Avrete senz'altro sentito parlare di lei." rispose Thranduil.

Elias corrugò la fronte. "La mercenaria dell'Est? Dicono sia una specie di brigante. Mia zia la respinse dieci anni fa, tentò di proporle degli accordi. Come sapete che è qui?"

"Perché mi rivelò di essere diretta a Esgaroth, sotto interrogatorio. Ma il villaggio sul lago non era la sua meta finale. Voleva parlare con la vostra Regina, mi disse. So che è una menzogna. Lei voleva incontrare Roswehn." spiegò il Re. "Probabilmente è già stata da lei, o è nelle vicinanze. Non c'è un minuto da perdere."

Si sentì un strillo.

Tutti si girarono, incluso Thranduil.
Bettie non era riuscita a trattenersi, sentendo il nome di Roswehn.

Elias sbottò: "Bettie! Che fai qui?! Perché non sei a casa Monrose?"

Bettie era impallidita e tremava. "Io...io...ero andata dal fornaio...la signora mi ha chiesto..."

"Hai lasciato Roswehn da sola?" chiese Elias, mentre Thranduil la fulminava con lo sguardo.

"No, non da sola...c'è una donna con lei..." balbettò Bettie.

"Una donna, quale donna?" chiese Thranduil. Non può essere successo...pensò. Non deve essere successo.

"Una domestica, mi ha detto di aver servito i reali di Rohan, veniva da lì...io credevo...oh Elias, perdonatemi!" iniziò a piagnucolare Bettie.

Senza attendere un secondo in più, Thranduil lanciò il suo cavallo al galoppo attraverso le stradine di Dale. I due Elfi di scorta lo imitarono.

"Lord Tranduil!" urlò Elias. Poi si girò verso gli altri soldati. "Seguiamoli!"

⚜️⚜️⚜️

Goneril aveva con fatica trovato la sua arma.
L'aveva nascosta bene, fin troppo bene, e la paglia l'aveva inghiottita come una specie di sabbia mobile. In silenzio per non farsi scoprire dal proprietario del fienile, si era intrufolata nel vecchio cascinale, e adesso stava per uscirne. Un trambusto improvviso la fermó.

"Vieni, forza! Vieni a vedere!" udì una donna gridare a un'amica. "...oh grande Eru...il Re degli Elfi é qui! Andiamo a vederlo!" "Aspettami!" rispose l'altra. Erano eccitate come due bambine a una festa. "Aspetta...voglio sistemarmi i capelli!"

"Oh, ma che ti importa! Non é mica qui per cercare una moglie!" rise l'altra, tirando l'amica per un braccio.

"E che ne sai tu? Ha giá avuto un'amante fra la nostra gente...magari gli piacciono le umane!" ribatté la seconda, civettuola. "Dicono sia bellissimo!"

"Scusate!" le interruppe Goneril. "Avete detto che Thranduil é qui?"

"Sì. É entrato nel reame con due soldati. Chissà che sta succedendo!" rispose quella che sembrava la più emozionata.

 Lo so bene cosa succede. Quello sta cercando ME, sorrise lei.

"...i soldati hanno anche fatto girar la voce che c'é una delinquente fra di noi, una specie di...pazza omicida! Le guardie la stanno già cercando!" aggiunse una delle due. "Si é introdotta qui dopo essere fuggita dalle carceri degli Elfi!"

La soldatessa per un attimo sobbalzó, poi si ricompose per non tradirsi. Finse paura. "Oh, é spaventoso! Vado a chiudermi in casa, non voglio fare brutti incontri!"

L'altra ragazza la squadrò. "Scusa, ma...tu chi sei? Non credo di averti mai notata fra la nostra gente."

Goneril si fece venire in mente una balla. "Beh io...infatti, non abito a Dale. Sono venuta a trovare una mia parente."

"Chi?" continuó a chiedere la giovane donna. "E che fai nel fienile degli Stutton?"
Era perplessa: conosceva praticamente tutte le comari di Dale. Ma quella proprio no, non l'aveva mai vista, e i due vecchi coniugi Stutton non avevano parenti.

"Muoviti, daiiiii!" intervenne l'altra, tirando l'amica per la mano. "Andiamo a vedere il Re!"

Dopo aver lanciato a Goneril un'altra occhiata carica di sospetto, le due si diressero verso l'entrata del Reame, ma riuscirono a fare solo qualche metro, perché un improvviso rumore di zoccoli sul terreno le fermó. Qualcuno stava galoppando nella loro direzione, e sembrava avere molta fretta.

Approfittando della disattenzione delle ragazze, Goneril salì in fretta una scala a pioli che conduceva alla parte superiore della cascina. Decise di nascondersi lì, e attendere che la situazione si calmasse. La stavano cercando. Meglio andarci cauti, travestimento o no.

Si fece largo con le braccia in quel mare di paglia umida, resistendo alla nausea che l'odore acre del foraggio le provocava. Avvicinandosi a una delle aperture fra le mura dell'edificio, si accorse che la posizione sopraelevata le permetteva di vedere casa Monrose. Seppure a distanza, distingueva la porta azzurra.

Eccellente. Adesso voglio godermi lo spettacolo. Forza Thranduil, bussa a quella porta. Parla con la tua donna. La troverai un pochino cambiata, pensó.

Vide chiaramente il Re con i suoi soldati cavalcare verso la collinetta ad Est.
Lo vide smontare da cavallo.
Lo vide dirigersi senza indugio verso la porta della casa.
Vide altri soldati, umani, seguirlo. Uno lo raggiunse e gli disse qualcosa.

Thranduil per un breve attimo si giró a rispondergli, poi peró risalì il sentiero che lo portava alla soglia dell'abitazione circondata da un roseto.

Vide un gruppo di paesani affettarsi verso casa di Roswehn, fra di essi anche quella sciocca Bettie.
Poi vide Thranduil esitare. Si era fermato ancora.

 No! No, muoviti, va' da lei! pensó Goneril. Bussa a quella porta...é lí tutta sola adesso...

Ma Roswehn non era da sola.

⚜️⚜️⚜️

"Lord Thranduil, perché siete qui?" chiese Sigrid, dopo aver socchiuso l'uscio.

Una volta saputo dell'arrivo del Re, aveva chiesto ai suoi soldati di essere accompagnata all'istante a casa di Roswehn. Non c'era voluto molto, perché il Palazzo Reale era nelle vicinanze.

Il Re di Boscoverde non era mai andato in visita a Dale da che lei era stata eletta Regina dopo la morte di Bard, e poteva esserci un solo motivo dietro quell'improvvisata. Era lí per rivederla.

Sigrid sapeva tutto della loro storia d'amore. Dopo il ritorno di Roswehn, si era fatta raccontare ogni cosa su quei lunghi anni trascorsi dalla sua amica con gli Elfi. Non sapeva della nascita di Haldir, ma sapeva del giuramento del Re.

(Giura che mai verrai a cercarmi.)

(Sí, hai la mia parola. Mai e poi mai.)

Thranduil chinó il capo in segno di rispetto verso un altro reale.
"I miei omaggi, Maestà. Siete in visita dalla vostra amica, vedo. Vi prego, ditemi solo se sta bene." chiese.

"Sta bene. E starà anche meglio, se ve ne andrete. Vi rammento la vostra promessa, lord Thranduil." rispose Sigrid. Era una donna di settantasei anni, ma come Roswehn era ancora piuttosto in forma. Lunghi boccoli bianchi le scendevano sulle spalle; portava un semplice vestito nero, ornato di trine e merletti. Sul cuore, un cameo fatto a spilla. Il diadema regale brillava sulla sua fronte. "Conosco ogni cosa. E so che questo é l'ultimo posto che avreste dovuto visitare."

"É venuto qualcuno qui, prima di voi. Mi é stato detto che ha parlato con...Roswehn. Quella persona era mia prigioniera. Temo sia ancora nel vostro territorio." continuó il Re. "Devo catturarla. Per questo sono qui."

"Mio nipote e i miei soldati risolveranno la faccenda." rispose Sigrid. "Lasciate fare a noi. Se un furfante é nel mio regno, lo troveremo. Vi verrà riconsegnato in catene. Non abbiate dubbi."

Thranduil lanciò un'occhiata verso l'interno della casa.
Sigrid uscí del tutto e chiuse l'uscio dietro di sé. "Non sa che siete qui. Non gliel'ho detto. Ma riconoscerà la vostra voce. Vi chiedo di allontanarvi. Sarete il benvenuto nel mio Palazzo, ma qui non dovete stare."

"Non ho intenzione di parlare con lei." disse Thranduil.

"...ma morite dalla voglia di farlo. So che vi manca, come voi mancate a lei. Posso capire lo sforzo che state facendo, e lo rispetto. Trenta lunghi anni di separazione. Siete stati entrambi così forti. Ora, non rovinate tutto." disse Sigrid.

La regina non si accorse che la porta si stava lentamente aprendo. "Sigrid, vuoi dirmi cosa c'é? Cosa..." disse Roswehn, guardando stancamente fuori.

Fu allora che i loro occhi si incontrarono, dopo quasi mezzo secolo.
Solo per qualche secondo, perché quando la donna umana capí chi c'era lá fuori, chiuse l'uscio con forza.

"Lord Thranduil! Andatevene!" Gridò allora Sigrid, mentre oltre la porta azzurra un'altra signora scoppiava in singhiozzi disperati.

"Avevi giurato! Avevi promesso!" si sentí Roswehn urlare. "Non dovevi venire qui, non dovevi! Accidenti a te!"

Thranduil non aveva visto altro che un viso grinzoso e quegli occhi verdi sempre meravigliosi, ma ora circondati da brune occhiaie. Sentì di nuovo la sua voce. La voce che mai aveva potuto dimenticare, e il cuore gli si strinse. Avanzò e afferrò la maniglia con una mano.

"Fermo Lord Thranduil! Riflettete, riflettete!" lo imploró Sigrid, mettendo una mano sulla porta. "Morirà di pena se vi vede! Non ha che il conforto dei ricordi, ormai, non toglietele anche questo!"

"Roswehn!" chiamò il Re.
Era vero, aveva giurato, e tutti quegli anni erano passati senza che l'impulso di andare da lei prendesse il sopravvento. Era rimasta l'immagine della giovane mortale nella sua mente, e a quella fantasia si era aggrappato per superare l'oceano del tempo.

Questo, prima di trovarsi di fronte a lei. Lei che era viva, in carne ed ossa. Era lí, separata da lui da una porta spessa pochi centimetri.

"Vattene! Va' via, Thranduil, ti prego!" urlò la voce dall'interno. Nel sentirla pronunciare il suo nome, il Re non resistette più. Con una spinta non violenta, aprí l'uscio. Roswehn si coprí subito capelli e viso con lo scialle e si giró di schiena. "Perché? Perché...mi fai...questo?" disse, affranta. "Thranduil...tu non sai..."

Nel frattempo, Elias si era avvicinato all'uscio. "Lord Thranduil, siete andato contro un ordine di mia zia. È un'intollerabile mancanza di rispetto!" disse, stentoreo. "Potremmo arrestarvi! Siete nel nostro regno!"

"Lascia stare, Elias. Lascia perdere." sospirò Sigrid, prendendo la mano del nipote. "Ormai é tardi. Non ci resta che lasciarli soli. Forza, hai un compito: va' a cercare quella fuggiasca."

"Ma, perdonami...Thranduil non può fare questo..." protestò il ragazzo.

"L'ha giá fatto. Ora devono vedersela loro due. Va', ti ho detto." ordinò la regina. Con un sorriso amaro, richiuse la porta. Poi si girò verso la gente, che si era radunata fuori dal giardino di casa Monrose. Molti chinarono la testa, in presenza della sovrana. Erano tutti divorati dalla curiosità. "Dite a queste persone di andarsene." comandò Sigrid ai soldati.

"Avete sentito la nostra Regina. Disperdetevi!" gridò Elias. "Tornate alle vostre faccende."
Dopo qualche attimo di confusione, molti iniziarono a muoversi. Mormoravano chissà che a proposito dell'incredibile situazione.

"Perché il Re degli Elfi é qui?" urlò un giovane. "Abbiamo diritto di sapere!"

"Non sono affari che vi riguardino, avanti, sgomberare!" ordinò un soldato.

I due Elfi che accompagnavano Thranduil rimasero invece a piantonare l'entrata della residenza, in attesa del loro Re. Sembravano anch'essi sperduti in una faccenda di cui non capivano niente.

"Allontanatevi, forza!" fece Elias, con un ampio gesto delle braccia. Poi vide una donna che si avvicinava timorosamente. "Anche tu, hey! Non fare la furba, dove credi di andare!"

"Dalla signora degli Elfi." biascicò la donna. Poi sollevò un braccio e agitò quel che sembrava un pezzo di carta. "La lettera. C'é una lettera per lei."

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Capitolo 41
*** Le maree del tempo ***


"Te lo dissi un giorno. Posso andare contro i miei stessi giuramenti, se voglio." furono le parole del Re, una volta entrato di prepotenza in casa Monrose.

Thranduil quasi non riusciva a credere di essere lì con lei. Dopo trent'anni, trenta, dolorosi anni di distanza.

"É la cosa più sbagliata che potessi fare! Non dovevi infrangere la promessa." rispose Roswehn. Era ancora girata di spalle. Guardare Thranduil, e farsi guardare da lui, era decisamente uno sforzo che le sue coronarie non potevano reggere.

"Hai ragione. Ma troppe cose sono successe negli ultimi giorni. Fatti, che mi hanno spinto qui." replicò l'Elfo.

"La Roswehn che hai conosciuto non c'é più...ora, non resta che un'ombra di me." disse l'anziana, coprendosi la bocca con lo scialle.

"Temevo troppo per la tua vita. Ti ha cercata una donna chiamata Goneril. Vi siete parlate?" volle sapere Thranduil.

"Sì. Una reietta, una povera anima perduta. É stata qui. Sa di nostro figlio." rispose Roswehn.

"Purtroppo il segreto é stato svelato." fece il Re.

"Amon...Te l'avevo detto di non fidarti di lui, ti avevo detto che era falso..." si lamentò la donna. "...prego che non l'abbia raccontato ad altri."

L'Elfo si guardó attorno. Paragonato al suo palazzo, casa Monrose sembrava una stamberga. Ma come poteva Roswehn vivere lí?

"Ormai l'esistenza di tutti noi é in pericolo, non solo quella di Haldir. Sauron si é risvegliato, l'Anello é in mano a una piccola creatura che non può custodirlo a lungo."

"Un Hobbit?" chiese Roswehn. "Bilbo!!"

"Non lui. Un altro della sua specie. Avevi ragione ad aver sospetti su quel piccolo popolo, lo nascondevano loro. Tutta la Terra é sotto attacco. Non ci resta che sperare negli Uomini. Théoden e la sua armata sono partiti verso Gondor. La grande battaglia si combatterà laggiù. Altri eserciti di orchi sono in marcia verso il mio regno, e verso il Lothlórien." rispose Thranduil.

"Quella Goneril mi ha informata, prima di fuggire. Voleva farmi fuori, é vero. Ma poi si é fermata, la magia di voi Elfi mi ha protetta." disse Roswehn, stringendo la stella del vespro fra le dita. "Fosti lungimirante a lasciarmi questo gioiello."

"La ragazza é figlia di Théoden." disse Thranduil. "Una figlia sbucata fuori dopo decenni, che si é smarrita sul sentiero del male. Una principessa senza corona che vive come un soldato. É davvero incredibile questo mondo: cosí tante storie, vite, destini che si incrociano."

"E destini che non avrebbero dovuto incrociarsi più. Ti chiedo ancora perché sei qui. Per ammirare il volto sfiorito di una vecchietta?" chiese Roswehn.

"Ti ho vista nella mia mente, ti ho immaginata fatta a pezzi da quell'assassina randagia. Non ho potuto restare a Boscoverde dopo aver saputo della sua fuga dalle mie prigioni. Haldir l'ha liberata. Lei gli ha promesso di consegnarti un suo messaggio." rivelò Thranduil.

"So che gli hai vietato di venirmi a trovare. Lo capisco, e capisco la sua disperazione." rispose Roswehn. "Tu l'hai spinto a odiarti..."

"Attraversare il bosco é troppo rischioso, ormai. Specie per lui. Ho dovuto impedirglielo. Ma sapevo avrebbe trovato il modo di disubbidirmi. É testardo come te." disse il Re.

Roswehn sorrise sotto lo scialle. "Lo so. Il mio caro, ribelle figliolo. Thranduil, le tue paure non hanno senso. Temi per la mia incolumità...ma io morirò, lo sai. Se non uccisa da qualcuno, me ne andrò a causa della vecchiaia o per qualche malattia che potrebbe colpirmi anche domani. Elrond disse che la stella del vespro avrebbe contrastato un po' la marea del tempo, ma non può arginarla. Tra non molto salperó per la Valinor dei mortali...quel grande mistero che c'é oltre il buio. Che ti importa di me, allora?"

"Ho riflettuto. Vedendo il dolore sul viso di nostro figlio, quando gli ho detto che non poteva più incontrarti, ho riconsiderato la situazione. Non posso separarti da lui. Sei viva. Anziana, ma viva. E lui ha diritto di stare con te." disse l'Elfo.

Roswehn non capí. 
"Cosa intendi dire?" chiese.

"Voglio che torni a Boscoverde con me. Dove posso proteggerti, fino alla fine. Abbiamo perso trent'anni di felicità insieme. Inoltre, qui sei circondata da malelingue e cattiveria. La tua gente mormora dietro alla nostra storia, lo so. Da noi, fra noi Elfi, tutto questo finirà. Te ne andrai serenamente, circondata dall'amore mio e di Haldir. Oppure, se Sauron avrá la meglio, lasceremo insieme questo mondo. Legolas é lontano, sta combattendo per la pace, con molti altri. Ma noi tre, dobbiamo stare uniti. Siamo una famiglia, non ti lascerò qui sola." spiegò il Re, avvicinandosi a lei.

Roswehn si girò a guardarlo e infine aprí lo scialle. Le costó uno sforzo enorme, ma era necessario che l'Elfo realizzasse. "Vuoi questo nella tua vita? Di questo vuoi che siano fatti i tuoi ricordi in futuro? Guardami, allora. Ecco, qual'é il destino dei mortali." riuscí a mormorare.

Ma Thranduil non ebbe la reazione che lei aveva temuto. Era sereno, perso nei suoi occhi come al solito, del tutto rapito da lei. Come non vedesse neanche quelle rughe, quella pelle sottile e flaccida, e il bianco dei capelli.

Era sempre la sua rosa.

"Nulla vedo di cosí terribile da obbligarci a stare separati. Trent'anni. Ci siamo persi per trent'anni. E per un motivo stupido, Roswehn." disse il Re. "Come abbiamo potuto, dimmi?"

L'umana sentí un groppo in gola. Deglutí per ricacciare giù i singhiozzi. "Questa piccola villa é mia. Era di Edith, me l'ha lasciata. Sono tornata a vivere qui quando i miei genitori erano già morti, ricordi? Ti chiesi di lasciarmi venire a Dale per  i loro funerali. Questa é la mia terra. E qui devo morire. Boscoverde e la vita con te sono state meravigliose parentesi. Io sono umana, Thranduil. C'é un abisso fra le nostre stirpi, lo sai meglio di me. Se tornassi da te, non sarà come prima."

"Haldir non é una parentesi, però. Non lo lascerò venire a Dale ora che la mia foresta sta per essere accerchiata dagli Orchi. Tu devi tornare da noi. Da lui." continuò il Re.

"No, amore mio. Non puoi chiedermi più niente. Ti ho già dato tutto." disse Roswehn. "E Haldir ha un padre che può insegnargli molto. Ma devi stargli vicino: non fare come con Legolas, non ignorare anche il tuo figlio più giovane."

Thranduil le posò le mani sulle spalle. Sembrava non accettare quelle risposte: "Sono pronto ad accoglierti di nuovo nel mio palazzo. Non mi importa quanto tu sia cambiata. Morath e Nim ti aspettano. Caleth é cresciuto, é un arciere del mio esercito, adesso. Si ricorda bene di te. Sarà una gioia per tutti." le disse. "Hai fatto una scelta moltissimi anni fa. Scegliesti di unirti a me, a noi Elfi. Quello é il tuo mondo. Questo...sporco, misero paese non é mai stata la tua patria."

"La mia patria, dici? Conosco un motto: la nostra casa é dove il cuore vive. La mia casa é Boscoverde, perché lì ho lasciato i miei affetti. Ma la mia razza, è qui. Io non sono un Elfo. Per quanto abbia tentato di integrarmi nel vostro mondo, non ci sono riuscita. Tu, nostro figlio, Morath, Nim, Caleth...certo, mi volete bene. Ma gli altri? Hai idea di cosa significhi vivere in un mondo di immortali, che ti osservano perdere la bellezza, e incurvarti e sfiorire? No, non puoi saperlo. Ma io sì. I tuoi sudditi già cominciavano a guardarmi con occhi pieni di pietà... Io non lo sopporterei più." ribatté lei, allontanandosi dal Re.

"Chi ti ha mancato di rispetto fra i miei Elfi? Dimmelo, e lo puniró." sbottò il Re.

"Non é questo il punto. E poi, i pettegolezzi non ci sono solo a Dale. Cosa credi che dicessero gli Elfi su di me e su di te? Mentre Haldir cresceva, mi ero accorta dei loro mormorii alle mie spalle. L'amante del Re...l'intrusa umana...Non sono mai stata veramente accettata dalla tua gente. Questa é la verità. Qui almeno ho una tana, un rifugio. Il mio piccolo mondo. Credimi, sto molto meglio in questa situazione." ribatté Roswehn. "Non rivedró più il nostro Haldir, lo so. Ma così doveva andare."

"Mi ami ancora?" chiese improvvisamente Thranduil.

"Certo, sempre." rispose lei. "Come puoi chiedermelo?"

"Vieni con me, allora." disse Thranduil. "Fallo per nostro figlio. Ti aspetta."

"No." ripeté Roswehn.

I due rimasero in silenzio a guardarsi. 
L'anziana osservava il suo vecchio amante, che aveva ancora l'aspetto di un uomo di quarant'anni...mentre lei, lei sembrava sua nonna.

"É tutto cosí assurdo." commentò lei. "Cosí sbagliato."

Qualcuno bussò alla porta.

Thranduil si girò. "Chi osa disturbare?"

"Perdonate. C'é una donna qui. Ha una lettera per la signora Roswehn. C'é il sigillo del vostro regno, Lord Thranduil." disse la voce di Elias.

Il Re aprí la porta. Il nipote di Sigrid era lí, con accanto una donna allampanata dall'espressione stupida. Appena vide Thranduil la sua bocca si spalancò in una grande O di stupore. "Il re dei folletti....é il re dei folletti della foresta!!" esclamò.

"Sta' buona, Ester." le intimò Elias.

Thranduil rimase interdetto per qualche attimo, prima di realizzare che in quella signora dovevano esserci un bel po' di rotelle fuori posto. Fece cadere su di lei uno sguardo carico di compassione.

"Ester..." disse Roswehn, che aveva raggiunto il Re sulla soglia di casa. "...Ester Hockstetter..." 
L'aveva sentita già nominare da Bettie. Le aveva raccontato delle due sorelle che vivevano sul lago, una delle quali soffriva di una strana malattia della mente. Aveva anche saputo che l'altra sorella, Flora, la picchiava quasi ogni giorno e che il comitato cittadino stava pensando di chiedere a Sigrid di firmare un ordine di arresto.

"Lettera per Roswehn!!" gridò Ester. "Per la signora degli elfi!!!"

Thranduil sorrise. "Soprannome appropriato."

Roswehn prese la busta dalle mani di Ester, che applaudì e poi si allontanò. "Le rose...dove sono le rose??" chiese.

"Non ci sono ancora, é presto. Dovrai aspettare la primavera, cara." disse Roswehn. "Elias, sii gentile. Sta' con lei. Dov'é Bettie?"

"Ho detto alla gente di andarsene. Forse si é allontanata anche la ragazza." disse Elias. "Sembrava spaventata a morte."

"Che stupida." commentò Roswehn. Poi guardò la lettera. "Quella dovrebbe essere messa a curare un pollaio, non me."

"É di Haldir." disse il Re. "Quell'assassina deve averla perduta mentre veniva qui."

"La mia vista non é più quella di una volta. Leggila tu, ti prego." disse Roswehn, allungando il pezzo di carta al suo amato.

Thranduil aprì la busta ed estrasse il foglio. Inizió a leggere.

"Qui dice: Madre mia adorata, devo darti una notizia dolorosa. Mio padre mi impedisce di venirti a trovare. Non vuole che io attraversi il bosco, teme la presenza di Orchi. Sono disperato.
Thranduil si fermó. Parlava di lui.

"Continua, coraggio." lo esortó Roswehn.

"...vorrei fargli capire che non puó separarmi da te. É come se nella mia vita mancasse una parte importante, una parte di me che é legata a te, e non posso dimenticarla. Comprendo le sue paure, ma é una decisione crudele. Inoltre non mi é ancora chiaro perché non voglia che io combatta con lui. Ha chiesto ai nostri soldati di istruirmi all'uso delle armi, ma non vuole che io mi muova da palazzo. Sto iniziando a odiare questa stanza in cui trascorro quasi tutte le mie giornate. Detesto questi libri, che mi costringe a studiare. Ieri ho passato la notte a piangere.
Thranduil si fermó ancora. Quelle parole scritte dal figlio lo ferivano. Fino a quel momento aveva agito per il suo bene, era convinto che la severità delle sue decisioni fosse giusta, e opportuna.

"Cosa dice ancora?... prosegui, Thranduil." lo incoraggió Roswehn.

"...ma ieri ho preso una decisione. Fuggiró."

Thranduil impallidì. Roswehn si portó le mani al viso e soffocó un grido.

"...andró a cercare mio fratello. Legolas é in un grande pericolo, lo sento dentro di me. Io non lo lasceró da solo. Scapperó di notte, col favore del buio. Mio padre deve capire che sono adulto, e sono pronto ad affrontare la vita. Verró anche da te, te lo prometto. Perció rimani viva, e pensami. Ti amo immensamente."

Il Re Elfo abbassó la mano che reggeva il foglio di carta. Lui e Roswehn si guardarono.

"Devi impedirglielo! Devi fermarlo, ti prego!" gridó lei.

"Ti prego!! Ti prego!!" ripeté Ester, come un pappagallo. Stava buttando all'aria tutte le foglie secche del giardino.

"Come te...proprio come te." mormoró Thranduil. "Usa le tue stesse frasi. Sono pronto ad affrontare la vita. Lo dicesti anche tu, quando ti interrogai quel giorno...sotto al mio trono. Ti chiesi perché avevi lasciato la casa dei tuoi...anche tu eri fuggita."

"Mi hai sentito? Devi tornare a Boscoverde, fermarlo! Lui non può girovagare per la Terra di Mezzo!" urlò Roswehn. "Se lo trovano, oh Thranduil, se lo trovano sarà la sua fine."

Il Re si giró verso le finestre, che davano sul giardino. "Ho incaricato Feren di sorvegliarlo, non se ne andrá da nessuna parte. Io tornerò nel nostro territorio....ma tu verrai con me. Ho detto che non morirai in questo luogo dimenticato da Eru. Starai bene con noi, vedrai."

Roswehn conosceva quell'espressione risoluta negli occhi del Re. Non avrebbe sentito ragioni. "...e questa casa, il roseto, le mie altre proprietà...cosa dovrei farne?"

"Lasciale a qualcuno. Dimenticati di tutto. Non avrai più bisogno di nulla a Boscoverde." rispose il Re. "Prendi le tue cose, quelle a cui sei più affezionata. E andiamocene."

"É uno sbaglio, Thranduil." disse lei, sospirando. "Ce ne pentiremo."

"Non sarebbe il primo, né l'ultimo della mia vita." sorrise il Re. "Attenderemo la notte prima di muoverci, saremo protetti dagli sguardi della gente. Non voglio che questi paesani ci osservino come fossimo fenomeni da baraccone. Tu intanto raccogli le tue cose."

Roswehn osservò la sua casa. Certo, non era un granché, ma era grande e tenuta con cura, perlomeno. Le dispiaceva abbandonarla, con quel favoloso giardino che in primavera sarebbe stato un trionfo di profumi.

"Qualcuno dovrebbe continuare ad abitare qui." mormorò Roswehn. "Qualcuno a cui serve un'abitazione."

Si sentí una risata fragorosa provenire da fuori. Nello stesso istante, Elias imprecò ad alta voce. Ester doveva aver combinato qualcosa.

Thranduil disse: "È davvero una povera sventurata, quella donna là fuori. Qual'é il suo male?"

"Non si sa. Sono persone che nascono cosí. É come se il loro cervello fosse consumato da qualcosa. É un mistero che Eru metta al mondo simili disgraziati." rispose Roswehn. "Poveretta...non ha nemmeno più un affetto. Sua sorella la tratta come un animale." disse. "Dovrebbero toglierle la custodia."

Poi si avvicinò anche lei alla finestra per sbirciare fuori.

Ester Hockstetter stava guardando i rovi che si sarebbero riempiti di rose bianche di lí a qualche mese. Roswehn notò la delicatezza con cui toccava quei rampicanti, neanche fossero stati di cristallo.

"Ama molto il tuo giardino." commentò Thranduil.

"Sí. Per lei deve essere una specie di paradiso, immagino." rispose l'anziana donna.

"E questo...non ti fa venire un'idea?" chiese il Re.

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Capitolo 42
*** Passaggio a Nord ***


Sigrid,

quando riceverai la lettera, ti sarà giunta ormai notizia della mia scomparsa. 
So che non capirai. 
Lascio Dale per la seconda volta in vita mia, lascio la nostra gente, per sempre.

Vedi cara, io e lui non possiamo stare separati. É una follia, lo so, ma io ho sempre seguito l'istinto, e ora mi spinge a tornare dagli Elfi. 
Ti chiedo un ultimo, grande favore: devi amministrare le mie proprietà. Ti affido l'esecuzione del mio testamento. La mia casa andrà a Ester Hockstetter. É una donna sfortunata, lo sai bene. Voglio lasciarle il roseto, ma devi vietare a sua sorella Flora di avvicinarsi. Deve starle lontano. E chiedi a Bettie di prendersi cura di lei, come faceva con me. Raddoppiale il compenso. Ho dei fondi depositati a mio nome nella tesoreria. Puoi attingere da quelli per garantire un vitalizio a Ester. La vecchia casa dei miei genitori...mi piacerebbe diventasse un luogo dedicato ai bambini. A Dale c'é già una scuola, ma forse quella residenza può essere trasformata in un asilo. É disabitata da anni, dovrai rimetterla in sesto.

Addio amica mia, negli anni sei stata come una sorella. Saluta Tilda per me, e tuo nipote Elias.

Mi dispiace per la morte di Bain, anni fa, so quanto eravate uniti. Mi dispiace anche che tu non abbia avuto figli, Sigrid. Il destino ti ha privata della gioia più grande. Ma tutti i bambini di questo regno, in fondo, sono figli tuoi. Abbine cura.

Roswehn.

Leggendo quelle parole, la Regina di Dale ed Esgaroth sospiró.

"Qualcuno li ha visti andarsene?" chiese al nipote.

"No. Sono partiti di notte, nascosti dalle tenebre. Le guardie all'entrata li hanno lasciati uscire senza fermarli. Erano in soggezione di fronte al Re degli Elfi." spiegò Elias. "Ha ordinato di aprire il portone e l'hanno fatto."

"E quella guerriera...quella mercenaria? Si sa qualcosa di lei?" chiese Sigrid. Era seduta nella sua grande stanza da letto, all'interno del Palazzo Reale.

Non aveva chiuso occhio sapendo Thranduil all'interno dei confini di Dale. La prima volta che era stato ospite da loro, aveva rubato il cuore di Roswehn. Adesso se l'era proprio portata via.

Ma per quale ragione? Per fare cosa, con una donna di quell'etá? Era chiaro che non avrebbero più vissuto l'amore fisico. E allora come avrebbero passato le giornate? E perché la sua vecchia amica, che temeva il giudizio degli Elfi, stava tornando da loro?

"Purtroppo...non l'abbiamo trovata. Susannah Deveraux e una sua amica mi hanno raccontato di aver incontrato una sconosciuta in città. Era nascosta nel fienile dei due Stutton, al povero Hugh é venuto un colpo quando lo abbiamo interrogato al proposito. Dice di non aver mai avuto ospiti, né parenti in visita, e che non sapeva un accidente su nessuna ragazza misteriosa. Ho ispezionato con due soldati il deposito di paglia, e non abbiamo trovato niente. Niente di niente. Ma Susannah sostiene che quella ragazza avesse un'aria strana, malevola...forse era Goneril, travestita." ragionò Elias. "I soldati stanno continuando le perlustrazioni in città. Se é qui, la troveremo. Qualcuno la noterà."

"Perché credi che abbia voluto incontrare Roswehn, e farle del male? Thranduil non é stato chiaro, al riguardo." chiese Sigrid.

"Non so, zia. Non so. Roswehn se ne é andata prima che potessimo chiederglielo. I due soldati che accompagnavano Thranduil ci hanno impedito di entrare a casa Monrose. Quando la notte é calata, ci siamo allontanati." disse Elias. "...ma non avresti dovuto permetterglielo! Roswehn é una nostra suddita! É entrato di prepotenza nel nostro territorio e si é comportato come fosse casa sua! Ha rapito una nostra cittadina..."

"Smettila. Non l'ha affatto rapita. Quei due sono innamorati. Nonostante il passare dei decenni, si vogliono bene. Solo, non capisco come possano vivere insieme...viste le condizioni di Roswehn." rispose Sigrid.

"Già. Sono una coppia impossibile. Tu credi che Thranduil voglia...cioé..."
Elias sembrava imbarazzato. "...insomma, con una donna di ottant'anni..."

Sigrid fece un gesto stizzito con la mano, come per zittirlo. "Va' a cercare quella fuggitiva, Elias. É il tuo compito." gli comandò.

"Agli ordini." rispose il nipote. Poi si diresse verso la porta. Si girò, colto da un improvviso dubbio. "Se dovessimo trovarla, cosa ne facciamo di lei? Formalmente non ha commesso alcun crimine, non potremmo arrestarla."

"É entrata fingendosi un'altra persona. Ha mentito sulla sua identità. Questo non ti pare un delitto, comandante?" gli rispose Sigrid. "Ed é fuggita dalle carceri degli Elfi. Ho promesso a Thranduil di riconsegnargliela."

Elias chinò il capo, e uscí dalla stanza.

Sigrid si portó alla bocca una tazzina dell'ottimo tè che si faceva sempre preparare al mattino. Quante volte aveva passato le giornate con Roswehn, in quella stanza o in giardino, a chiacchierare e a perdersi nei racconti della donna. 

Sigrid sapeva che un misterioso giovane di tanto in tanto faceva visita alla sua amica. Un meraviglioso ragazzo, che faceva la sua comparsa di sera, dopo il tramonto, e se ne andava a notte inoltrata. Bettie gliene aveva parlato, una volta che l'aveva sorpreso mentre sgattaiolava nel giardino. Credendolo un ladro, si era messa a urlare come una forsennata, e allora il visitatore l'aveva avvicinata e si era messo un dito sulle labbra: ssssst.

Bettie era rimasta impressionata dalla bellezza del giovane. Non ho mai visto un ragazzo cosí affascinante, Maestà, lo giuro. Credevo fosse un Elfo, ma aveva le orecchie tonde, cioé come quelle degli Uomini. E il suo viso, era il volto stesso della grazia. Io... io avrei voluto fermarlo, chiedergli il suo nome, ma non potevo...era...troppo...bello.

Sigrid si era chiesta chi fosse quell'intruso. Avrebbe voluto parlarne a Roswehn, ma uno strano istinto dentro di lei le aveva suggerito di farsi i fatti propri. Alla luce dei recenti avvenimenti, ebbe il sospetto che quella favolosa creatura senza nome fosse in qualche modo legata alla decisione della sua amica di andarsene.

E quella frase della lettera: il destino ti ha privata della gioia più grande.

Ma cosa poteva saperne, Roswehn, della gioia della maternità? Anche lei non aveva figli.

In verità, a Dale era girato un pettegolezzo su una sua presunta gravidanza, moltissimi anni prima. Una voce messa in giro da Violette, l'indiscreta moglie dell'orafo.

Si ricordava quel periodo: Roswehn era stata dagli Elfi un mese, ed tornata a casa per pochi giorni prima di ripartire per Rivendell.  Osservando le sue forme rotonde, Violette aveva concluso che la giovane figlia di Yohlande e Hannes Monrose fosse incinta. In pochi le avevano dato ascolto, perché Violette era un'impicciona e una perditempo che adorava malignare alle spalle della gente.

Però...

Sigrid prese una delle paste alla fragola che accompagnavano il té e ne addentò un pezzetto.

Forse, Roswehn aveva un figlio segreto. Questo pensiero la riempí di un'emozione fortissima. Un figlio di Thranduil. Sí ma, perché non gliene aveva mai parlato? Un fatto cosí clamoroso...come se l'era tenuto per sé?

Le era venuto il sospetto che l'unione con il Re degli Elfi avesse generato un principino, del resto erano stati insieme trent'anni. Ma la sua amica non aveva mai fatto cenno a nulla che potesse confermare quell'idea.

"Pare proprio che questo Marzo sia pieno di sorprese." mormorò una voce dietro di lei.

"Sí, Tilda. Questa parte dell'anno si sta rivelando straordinaria. Prima il risveglio degli Orchi, l'attacco ai regni umani, la battaglia al Fosso di Helm di cui c'é giunta voce...ora Thranduil che si presenta all'improvviso qui. E Roswehn che se ne va con lui." rispose la Regina alla sorella minore. "Qualcosa di grosso é in arrivo. Una cosa é certa, la Quarta Era sarà molto diversa da questa."

"Mi dicono che c'é una donna pericolosa nel nostro reame. Una soldatessa. Voleva aggredire Roswehn. Di chi si tratta?" chiese la Principessa.

"Ricordi quel gruppo mercenario che venne qui anni fa? Ci offrirono di lavorare per noi. Li respinsi senza nemmeno incontrare il loro Generale. Non voglio assassini nel nostro regno, nemmeno schierati con noi. Beh, proprio quella fuggiasca é il loro Generale." rispose Sigrid.

"E perché ce l'ha con la vecchia Roswehn?" chiese Tilda, sedendosi elegantemente su una sedia ricoperta di velluto scarlatto.

"Non lo so. Credo una vendetta, qualcosa di personale. Come sai, la vita di Roswehn é stata incredibile. Ha visitato molti posti. Non mi stupirei se avesse combinato un guaio, e le conseguenze di quel guaio l'avessero raggiunta fin qui. Eru solo sa cosa puó aver vissuto, in tutti quei viaggi." rifletté la Regina. "Ora é salva, comunque. Con Thranduil non rischia più nulla."

"Tu dici? Sai cosa ho sentito, prima? Uno dei nostri capitani ha riferito di aver visto del fumo in direzione di Bosco Atro. La foresta sta andando a fuoco." rivelò Tilda. "Qualcosa sta attaccando gli Elfi."

⚜️⚜️⚜️

Goneril stava cavalcando in direzione del Nord.

Per arrivare in fretta a Gran Burrone senza passare da Boscoverde non restava da fare che aggirare il regno di Thranduil passando dalla parte settentrionale, ai confini con le montagne dell'estremo Nord.

Si era procurata un cavallo rubandolo per l'ennesima volta dalla stalla di una casa, e si era coperta con tutto ciò che era riuscita a raccattare. Faceva un freddo terribile da quelle parti.

La situazione si era decisamente messa per il meglio: non era più in debito con nessuno. Aveva visto Thranduil e la sua vecchia fiamma incontrarsi e sparire in quella casa sulla collinetta. Non le importava cosa fosse successo tra i due, sapeva solo che i ricordi di entrambi a quel punto erano andati in fratumi e che la realizzazione di quanto crudele fosse il tempo doveva aver scavato un solco incolmabile nelle loro menti.

Entrambi dovevano aver sperimentato un dolore fortissimo rivedendosi, e per quel che la riguardava, tanto bastava per quietare la sua coscienza nei confronti di Amon.

E poi aveva un rubino gigantesco e cento casse d'oro ancora nascoste nella valle di Imladris. Pensandoci non riusciva a smettere di sorridere. Sono in pace con tutto e con tutti. Spero solo che Sauron non sia cosí sgarbato da rovinarmi il divertimento. Spero che quell'Hobbit faccia il suo dovere di salvatore del mondo e ricacci quel birbante che aleggia su Mordor nella sua dimensione maledetta. Basta con le rotture di scatole, almeno per questa vita.

Aveva atteso la notte prima di scappare dal fienile, e per un pelo era riuscita a scampare alla perquisizione di Elias. Quegli ebeti messi a piantonare la Grande Porta di Dale non si erano neanche accorti di lei, era sgusciata fuori come uno scoiattolo.

Diverse ora erano passate dalla sua fuga, e l'alba già si annunciava. Mentre il cavallo galoppava attraverso la gelida foschia, Goneril vide un'ombra sopra di sé. Gigantesca. Pensò fosse una nuvola passeggera, ma il cavallo d'un tratto s'impennò e per poco non la fece ruzzolare a terra.

Nitriva terrorizzato.

Goneril tiró le briglie. "Fermo, sta' buono!" gli ordinò.

Di nuovo un'ombra. Questa volta non poteva essere una nuvola, perché troppo veloce. Goneril guardò in aria.

C'era qualche strana bestia che roteava ad ali spiegate in cielo. La nebbia non le permetteva di comprendere cosa fosse. 
Ma il cavallo sembrava impazzito, continuava a scalciare e tentare di togliersi di dosso Goneril. La donna lo riportò alla calma con un colpo di redini sul muso. "Fermo, ho detto!"

Decise di provare un trucco che con Aldair aveva sempre funzionato alla grande. Smontó, prese il fazzoletto che ancora portava in testa e con esso coprí gli occhi dell'animale. L'avrebbe guidato lei, ma doveva impedirgli di vedere quella cosa che stava svolazzando sopra di loro e lo faceva innervosire.

Il cavallo, infatti, una volta privato della vista tornò docile. Goneril tornó in sella, mentre cercava di udire qualsiasi suono che potesse rivelare la natura dell'essere. C'era silenzio.

Era la donna, peró, ad essere nervosa adesso.

Cosa può essere, un'Aquila? Pensò procedendo lentamente. Un pipistrello gigante, forse. So che gli Orchi hanno allevato una nuova razza di mostri volanti. Un Drago di sicuro non é. Sono spariti tutti.

"Ti sbagli, umana." si udí allora una voce dall'alto. Istintivamente, Goneril sollevò la spada. Guardò in aria, ma ancora non vide niente.

"Cosa sei? Cosa vuoi?" gridò allora al vento.

"Porti con te qualcosa che una volta mi apparteneva." sentì la voce di nuovo. Quell'essere era dietro di lei. Era atterrato senza farsi notare.

La donna fece girare il cavallo e fu contenta di avergli coperto gli occhi, perché se avesse visto cosa c'era lí a pochi metri, sarebbe scappato di gran carriera, dopo averla disarcionata.

"Se tu hai quella pietra, Roswehn e suo figlio devono essere morti."

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Capitolo 43
*** L'ombra dell'Est ***


"Qual'é la situazione?" chiese subito Thranduil, appena la guarnigione di Elfi gli venne incontro a cavallo.

Un'intera notte di viaggio da Dale ai confini di Eryn Galen, con Roswehn seduta in sella davanti a lui. La teneva per la vita, perché temeva perdesse l'equilibrio. Non era stata una buona cavallerizza a vent'anni, figurarsi a ottanta.

Era in corso un attacco a sud della Foresta. Avevano dato fuoco alla zona attorno a Dol Guldur. Thranduil sentiva ogni foglia bruciare, ogni radice incenerirsi, ogni animale soffocare dal fumo o ardere vivo. Sentiva il suo bosco morire.

"Legioni di Orchi, mio signore. L'attacco é iniziato a notte inoltrata. Abbiamo dapprima visto gli animali della foresta risalire a nord. Scappavano terrorizzati. Gli uccelli....stormi interi si sono levati in volo e si..." il soldato si fermò. Osservava il volto della misteriosa figura seduta in sella con il Re.

"...Roswehn?!" chiese il soldato.

"Salve, Hazel." lo salutò lei. Si meravigliò della sua memoria. A Dale dimenticava cosa aveva fatto da un'ora all'altra, ma lí era perfettamente in grado di riconoscere un volto visto l'ultima volta trent'anni prima. Era come se l'aria di Boscoverde avesse dato una potente sveglia alle sue facoltà mentali. E quello era un capitano elfico, che aveva lasciato quand'era ancora un soldato di fanteria. Ricordava i suoi begli occhi celesti e quei capelli color nocciola da cui aveva preso il nome.

Thranduil si rivolse al soldato. "Ascoltami. Esigo un rapporto su ciò che sta succedendo a Sud. Quanta parte di foresta se ne é già andata. Quanti dei miei Elfi sono stati mobilitati per la difesa. Feren e Varian devono raggiungermi nella sala dei consigli al più presto." poi strinse Roswehn a sé. "Da' ordine a Nim di preparare una stanza nei sotterranei, un alloggio vicino al mio. Per lei."

"Sarà fatto, Sire." rispose Hazel.

"Thranduil... il bosco brucia?" chiese la vecchietta.

"Sí, amore mio. Ma tu devi stare tranquilla. Ti faremo sistemare nel luogo più protetto del reame. Dirò ad Haldir di starti vicino. Non aver paura." mormorò il Re. Poi gli venne un dubbio angoscioso. Guardò di nuovo il suo soldato. "Mio figlio, dov'é?"

"Il principe é nelle sue stanze, Maestà. Come avete ordinato, lo abbiamo sorvegliato ogni minuto." rispose Hazel.

Thranduil spronò il cavallo a proseguire. "Svelti, allora. Torniamo a Palazzo. C'é molto da fare."

"I aran erein!" urlò Hazel. In elfico, la frase significava: fate passare il re. 
Subito la compagine di Elfi in uniforme si aprí in due colonne distinte, per lasciare il sovrano e la sua scorta proseguire.

Thranduil rifletteva sul da farsi. Organizzare in poco tempo una difesa sarebbe stato un problema. La Foresta era sempre stata una barriera impenetrabile a Nord. Le Montagne al centro del gigantesco bosco delimitavano il confine fra la zona sotto l'influenza di Sauron e il territorio abitato dagli Elfi Silvani.

La chiave era la fortezza di Dol Guldur. Da lí arrivava l'energia dell' Oscuro, lí viveva quel Nazgûl, Khamûl, detto l'Ombra dell'Est. Era uno dei signori umani a cui Sauron aveva corrotto l'anima donandogli un Anello. Un Uomo dell'Est, diventato ormai uno spettro al servizio di Mordor. Era potente quasi quanto il Re Stregone di Angmar.

Era probabile che fosse quell'essere nero a condurre l'attacco a Boscoverde

Era probabile che fosse quell'essere nero a condurre l'attacco a Boscoverde. Ma come distruggerlo? Non poteva recarsi a Dol Guldur con il suo esercito. Troppo rischioso. Ma quella fortezza maledetta, che un tempo era stata la residenza di suo padre Oropher, andava rasa al suolo.

Sentí Roswehn tremare. 
"Manca poco. Il palazzo é vicino." la rassicurò.

I suoi soldati erano molte migliaia, ma non poteva spingerli tutti verso le legioni di Orchi. Con un incendio in corso, moltissimi rischiavano di morire prima ancora di raggiungere quei mostri.

Finalmente il portone, sotto gli archi di pietra, fu visibile. Roswehn sentí il cuore stringersi scorgendo quel palazzo a cui aveva dato l'addio decenni prima. Era sicura che non l'avrebbe visto mai più, se non nei suoi sogni. Si chiese come avrebbero reagito gli Elfi nel rivederla. Vedendola cosí cambiata.

Thranduil e Roswehn varcarono, per la prima volta insieme, la soglia delle aule elfiche. Il reame più solido e duraturo, fra tutti quelli fondati dai figli di Manwë. 
Subito arrivarono due guardie a ritirare il cavallo e ad aiutare il sovrano e la donna a smontare. "Andate a chiamare Morath e Nim. Non perdete tempo. E qualcuno avverta mio figlio." ordinò il Re.

Feren si avvicinò e si mise sull'attenti. "Aspettavamo il vostro ritorno, Maestà. Molti fatti necessitano di attenzione."

"Voglio sapere qual'é la situazione, in ogni dettaglio. Fino a dove si sono spinti quegli esseri?" chiese il Re, mentre Roswehn si guardava attorno commossa e meravigliata. Sí, era tutto esattamente come se lo ricordava.

"Non hanno raggiunto le Montagne. Hanno però dato fuoco tre ettari di vegetazione. Le fiamme non lasciano scampo, avanzano." Spiegò Feren.

Nel frattempo, due donne elfiche avevano raggiunto il Re. Nim quasi cacciò un grido, quando riconobbe la sua vecchia amica. Morath portò le mani al viso, meravigliata come la figlia.

"Roswehn...Roswehn!" esclamò la ragazza elfo. Non era cambiata di una virgola. "Sei tornata da noi!"

"Morath, Nim: il Re ordina di dare una sistemazione a Roswehn vicina ai suoi alloggi. Siete incaricate di avere cura della sua persona. Sapete cosa fare." spiegò Hazel. Lui e Nim si scambiarono uno sguardo d'intesa e la donna umana intuí al volo che fra i due c'era del tenero. Si rallegrò per la sua amica, evidentemente era riuscita a dimenticare Legolas.

"Seguici, cara. Oh, non sai quanto io sia felice di riaverti qui..." le sussurrò Morath, reggendola per un braccio.

"Mi trovi un po' cambiata." rispose l'umana.

"Solo nell'aspetto. Ma i tuoi occhi mi dicono che dentro sei sempre la stessa. Ho molto da raccontarti. Starai bene con noi, ti porterò subito abiti nuovi e ti prepararemo un pasto abbondante. Nim!" chiamò, ma Roswehn le prese la mano.

"No, lascia perdere il cibo. Non mangio più molto, sai? Vorrei solo vedere mio figlio e sedermi. Scoprirete che sono più debole adesso. Mi stanco facilmente, le mie gambe tremano dopo pochi passi ormai." si lamentó la donna.

Morath la guardò un po' imbarazzata. "Certo...capisco...ma devi pur riempire lo stomaco, o non avrai la forza di abbracciare il principe. Nim, ti prego, va' nelle cucine e fa' preparare qualcosa per lei." poi diede una carezza alla vecchietta. "Ora farò siatemare una grotta nei sotterranei, vicina a quella del Re. Abbi pazienza, ci vuole del tempo, nessuno l'ha mai occupata. Devo far portare un letto e il mobilio..."

"Non posso più dormire con lui." mormorò Roswehn. "Vicini, ma separati. Grande Eru, sai torturare i tuoi figli..."

Morath sentí dispiacere per lei. Certo che la mortalità degli Uomini era davvero una condanna. Quella davanti a lei era una versione prosciugata e arida della Roswehn che aveva conosciuto. Era cosí bella, da ragazza, cosí piena di energia. E lei e il loro Re si erano amati in modo cosí appassionato, fin dalla prima notte insieme. Come avrebbero potuto affrontare quei ricordi, non farsi travolgere dalla nostalgia verso qualcosa che non sarebbe mai più capitato?

"Roswehn, sii forte. Come sei sempre stata. Se il Re ti ha riportata da noi, é perché ha bisogno di te. Ci sono molte forme di amore, che vanno oltre la passione. Ma sono egualmente intense." provó a consolarla Morath.

Roswehn le lanciò uno sguardo colmo di malinconia. "Io spero...io prego solo di non morire davanti a lui, cara amica."

"Mamma!" si udí una voce. "...Naneth!"
Haldir, avvertito da Hazel, aveva lasciato le sue stanze protette e corse verso Roswehn. Le prese il viso fra le mani, e la fissava incredulo. "Sei proprio tu! Qui...qui a Eryn Galen!"

"Haldir, credevo di non vederti più!" singhiozzò la donna, nascondendo il viso sul petto del figlio.

Il principe guardò verso il padre, fermo con Feren ad osservare la scena.

"Hantanyel." gli disse Haldir.

Grazie.

⚜️⚜️⚜️

"Mio signore, dobbiamo organizzare il contrattacco." disse Varian. "Non possiamo attendere oltre, o gli Orchi si faranno più audaci."

Lui, Feren e il Re erano nella grande grotta dei consigli.

Preoccupato, Thranduil leggeva il rapporto sui danni alla sua foresta.

Senza un aiuto, non ce l'avrebbero fatta. Non erano gli Orchi a intimorirlo, quelle miserabili bestie potevano essere trucidate senza problemi dalla metà dei suoi soldati. Il problema era il fuoco. Il fuoco la cui potenza distruttiva il grande Re Elfo conosceva fin troppo bene.

Thranduil aveva paura del fuoco. Si vergognava ad ammetterlo, poichè passava per uno degli Elfi guerrieri più impavidi della stirpe dei Sindar, ma il terrore di rivivere quell'inferno aveva marchiato troppo a fondo la sua anima. Il fuoco non era un essere senziente, che poteva essere ingannato, ferito, ucciso. Era un'energia che faceva due cose: divorava e inceneriva.

Il fuoco aveva cancellato sua moglie Calenduin dalla faccia della Terra. 
E lui aveva affrontato un Drago, e il suo mare di fiamme aveva lasciato un ricordo indelebile nella sua mente e sul suo corpo.

Come poteva pensare di sconfiggere legioni di Orchi, se questi erano accompagnati e protetti da quella forza incontenibile? 

"Dobbiamo spegnere l'incendio." disse, lapidario.

"E come, mio Re? Dovremmo deviare il corso del fiume, ma allagherebbe la foresta, causando danni forse ancora peggiori." obiettò Feren.

"Non disponiamo di forze sufficienti a organizzarne lo spegnimento. Sarebbero necessari migliaia di Elfi a trasportare secchi e barili colmi d'acqua." disse Varian. "Non ci resta che aspettare che si estingua da solo."

Thranduil non riuscí a credere alle sue orecchie. "Che si estingua da solo, dici?" si avvicinò al vice-capitano. "Eryn Galen é formata da alberi secolari. Querce, pini, abeti. Tutti questi alberi che ci circondano possono bruciare in breve tempo, e sono coperti di resina, che li rende piú facilmente infiammabili. Vuoi dirmi che un Elfo Silvano come te ignora questo piccolo dettaglio?"

Varian chinò il capo. "No, Maestà, ne sono consapevole. Ma davvero non vi é soluzione. L'incendio é troppo esteso, noi non possiamo in alcun modo opporci. Dobbiamo lasciar fare alla natura."

Thranduil si girò verso il suo fidato Feren. "Tu. Cosa dici al riguardo?"

"Che sono d'accordo con Varian. É ancora inverno, la temperatura é bassa. Potrebbe scendere la bruma a raffreddare il bosco. Questo aiuterebbe." rispose il comandante.

"Allora io dovrei lasciare quegli esseri orrendi fare scempio del mio territorio?" ribatté sdegnato.

"No. Possiamo reagire. I nostri arcieri sono abbastanza abili da colpire gli Orchi anche a grande distanza. Non sarà necessario avvicinarsi." disse Varian, facendo un passo in avanti. "Date a me il comando."

"E cosa puoi offrirmi, in cambio di una promozione a capitano?" chiese Thranduil.

"Il trionfo. E la mia vita." si offrí Varian.

Feren lo guardò male. Quel vanaglorioso stava come sempre cercando di mettersi in buona luce davanti al Re. Non gli era mai riuscito di far carriera nell'esercito, poiché la sua natura aggressiva e violenta non piaceva a Thranduil. Ma forse in quell'occasione quell'indole distruttiva poteva tornare utile.

Anche il Re lo intuí. "Ottimo. Parti all'istante. Porta con te una legione dei migliori arcieri. Attendo notizie."

Varian chinò il capo, e si allontanò.

"É rischioso, Lord Thranduil. Varian é audace, ma in questa circostanza serve qualcuno che giochi d'astuzia." osó dire Feren.

"No." ribatté Thranduil. "...serve qualcuno...o qualcosa...che spenga quel maledetto fuoco."

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Capitolo 44
*** Promesse e onore ***


"... se proverai a farmi del male, ti ridurrò in tanti piccoli pezzi che gli avvoltoi non potranno trovarti." ringhiò Goneril.

Il bianco Drago davanti a lei non sembrò intimorito dalle sue minacce. Stava lí, accucciato a terra, le ali ripiegate dietro la schiena, il muso puntato verso il cavallo. I suoi occhi dalle iridi rosate scrutavano la donna umana, ma nessuna emozione visibile traspariva da essi. Erano gli occhi freddi di un rettile.

Goneril smontò lentamente dall'animale, impugnando ben salda la spada nella mano destra. Doveva fare attenzione: quel mostro davanti a lei ci avrebbe messo un attimo ad allungare il collo flessuoso e strapparle via la faccia con un morso. E la sua coda era piena di spine ossee, con un colpo avrebbe potuto frantumare le costole della donna umana in un batter d'occhio.

Il Drago seguí in silenzio i movimenti di Goneril. Sembrava studiare la situazione.

Il cavallo, nonostante avesse gli occhi bendati, intuí che lí c'era qualche predatore. Forse era il respiro pesante del Drago, forse erano gli odori che la sua pelle ricoperta di scaglie emanava, o forse era semplicemente il suo istinto animalesco. Ricominciò ad agitarsi. Goneril tiró le briglie.

"Sei la seconda donna mortale che incontro." disse la Bestia. Il suono della sua voce era limpido, non era il timbro cavernoso che uno avrebbe potuto aspettarsi da un essere di quelle dimensioni. "Tutte incapaci di governare i vostri cavalli."

Al suono di quella voce, il destriero si spaventó ancora di più e s'impennó, con un alto nitrito.

"Lascia che ti aiuti, ladra." disse il Drago. Spalancó le fauci, e allo stesso tempo la base del suo collo inizió a gonfiarsi, come se una bolla d'aria si stesse formando nella gola. Goneril intuì cosa sarebbe capitato e si lanció a terra.

Dalla bocca del mostro partì un fiotto di aria ghiacciata che avvolse con una nuvola grigia il cavallo. Goneril venne sfiorata da quel getto e sentì subito metà del suo corpo irrigidirsi dal freddo. Si alzó in piedi alla svelta, prima che il ghiaccio si formasse anche su di lei.

Quando la nebbiolina gelida si dissolse, una statua di ghiaccio in forma di cavallo apparve. L'aveva letteralmente congelato. 
La guerriera era ammutolita, sconvolta. Non aveva mai visto niente di simile. Si giró a guardare il Drago, che sembrava compiaciuto del suo lavoro.

"Ecco. Una vera opera d'arte." disse, digrignando i denti. Le sue zanne erano lunghe, forti, ricoperte da una patina giallognola. "Dov'é la pietra?" chiese.

Goneril non rispose subito. Era ancora agitata per quello che aveva visto. Non c'era modo di uscire vittoriosa da un eventuale scontro con quella creatura. E anche se fosse riuscita a venire fuori da quella situazione, ormai aveva perso il cavallo. Sarebbe rimasta senza mezzo di trasporto su un sentiero a Nord, lontano dai villaggi umani e dal Reame di Thranduil, del tutto sperduta. Cosa avrebbe fatto?

"Il rubino. Dov'é?" insisté il Drago.

"Oropher." rispose finalmente la donna.

Il Drago mostró di nuovo la dentatura in quello che voleva essere un sorriso. "Conosci il mio nome. Hai parlato con Roswehn, allora. Magari prima di ucciderla per rubarle quella pietra. O forse questo miserabile destino é toccato a suo figlio?"

"Non sono morti. Nessuno dei due. Ma come sai che ho io la gemma?" ribatté Goneril.

"Conosci il mio nome, ma non conosci la mia razza. Non sai che i Draghi hanno lo stesso istinto degli Elfi, la stessa capacità di leggere nella mente." spiegò la Bestia. "E quella pietra che tieni in tasca era mia. Era nascosta fra le mie scaglie, e lí era rimasta per quattrocento anni, prima che decidessi di donarla alla donna del lago. Ho sentito il suo richiamo, mentre ero in volo. Voglio sapere adesso, perché ce l'hai tu."

"Se puoi spiare fra i miei pensieri, conosci la risposta. Me l'ha data in cambio di una promessa." rispose Goneril.

Il Drago si alzò sulle quattro zampe munite di artigli. Goneril sentí un brivido di paura correrle lungo la schiena. La Bestia era poco più grande di un bue, non era enorme come Smaug, tuttavia la sua stazza era massiccia. Un gigantesco serpente candido munito d'ali di pipistrello.

"Una promessa. Anch'io avevo fatto una promessa a quella donna, molti anni fa. Le avevo giurato che sarei stato amico di suo figlio, e che quel rubino rappresentava metà del mio cuore. Lealtà e amicizia, le avevo regalato. E qui si apre un dilemma, ora." disse il Drago. "Suo figlio é in grave pericolo."

Goneril non capí. "Perché? Il principe Haldir é protetto a Boscoverde. Non esiste al mondo creatura più sorvegliata di lui."

"Haldir...cosí lo ha chiamato." disse il Drago. "Davvero perfetto!" poi si lasciò andare a una serie di versi gutturali. Stava ridendo.

Dopo quell'attacco di ilarità, riportó l'attenzione sulla guerriera. "Ho sorvolato Boscoverde. La parte Sud sta bruciando. Orchi...orchi guidati da uno spettro nero stanno dando fuoco a tutto. Il fumo é visibile perfino dalle Montagne Nebbiose, dov'é la mia dimora. Quell'incendio non ci metterà molto ad arrivare fino al cuore di Eryn Galen. Gli Elfi non possono spegnerlo."

"Sí. Ho saputo che Sauron avrebbe tentato un attacco ai reami elfici. Era prevedibile che usasse il fuoco. Gli Elfi amano rintanarsi nei boschi, dovevano immaginare che la prima azione sarebbe stato un incendio." ribatté lei.

"Thranduil e il suo orgoglio smisurato hanno attirato la catastrofe sulla sua gente. Gli Elfi Silvani si sono isolati nei secoli, rifiutano i contatti con altri, con Elrond, e con Lord Celeborn del Lothlórien. Lui e Thranduil sono cugini, ma il risentimento del Re verso Galadriel ha portato all'isolamento del suo regno. Se fossero uniti, Caras Galadhon avrebbe mandato rinforzi." rivelò il Drago. "Ora quell'altezzoso Re é solo. Entrambi i suoi figli sono in grave pericolo."

"Beh, allora accorri in suo aiuto. Sorvola il bosco e presentati a Thranduil come alleato. Sono sicura che accoglierà a braccia aperte un Drago che porta il nome di suo padre Oropher. Voglio vedere quanto ci metterà a dare ordini ai suoi di trafiggerti con i loro dardi." gli disse Goneril. "Che vuoi da me, comunque? Io mi sto dirigendo a Rivendell, non ho niente a che vedere con questa storia."

Il Drago si mosse verso di lei. La donna indietreggiò.

"Mi sa proprio che ti sbagli." ringhió il Drago. "Non andrai da nessuna parte senza cavallo. Non c'é modo che tu ti muova da qui. Rivendell é dall'altra parte di Boscoverde e oltre le Montagne Nebbiose. A piedi ci metteresti mesi...e forse fra qualche ora tutta questa terra sará sotto il dominio dell'Oscuro."

Goneril rabbrividí. "Voglio solo che mi lasci in pace. Quello che farò non ti deve riguardare. Va' da Haldir, forza. Va' dal tuo amico." gli disse.

"Nemmeno di fronte all'evidenza dei fatti rinuci alla superbia. Anche Roswehn era diretta a Rivendell quando la incontrai. E senza il mio aiuto, non ci sarebbe mai arrivata. Ti offro la stessa possibilità. Ti porterò io nella valle di Imladris. Sul mio dorso. Cavalcherai un Drago anche tu, giovane guerriera."

Goneril non credette a quello che aveva sentito. "Cosa? E perché lo faresti?"

"Te l'ho detto: ho fatto una promessa. E l'hai fatta anche tu. A Roswehn Monrose, abbiamo entrambi giurato di vegliare su suo figlio." rispose il Drago.

"Io le ho solo promesso che non avrei svelato il segreto sulla sua esistenza! Non le ho mai detto che gli sarei stata amica!" urlò lei. "Lasciami andar via, ho detto! Io non devo niente a nessuno!"

Vide il collo del Drago gonfiarsi di nuovo. Stava preparando un nuovo getto di acqua gelida, stavolta indirizzato a lei. "Questione di punti di vista. Lei ha comprato la vita di suo figlio donandoti la mia vecchia pietra. Questo significa, che devi aiutarlo. Io la vedo cosí, e mi sa tanto che dovrai vederla cosí anche tu, se non vuoi passare l'eternità in un blocco di ghiaccio, come quel cavallo. Sai, a proposito, da queste parti non batte mai il sole. Il ghiaccio, qui, non si sciogli mai."

Goneril preferí mordersi la lingua di fronte a quella minaccia. Era furiosa per essere costretta a capitolare, ma la Bestia lí davanti a lei era un avversario oltre le sue capacità. "Ma cosa vuoi che faccia, si puó sapere?" gli chiese.

"Andremo entrambi a Boscoverde. Tu combatterai a fianco degli Elfi. Sei una combattente straordinaria, lo so. Lo vedo dentro di te. Hai combattuto centinaia di battaglie. Aiuterai gli Elfi, come hai aiutato la gente di Rohan." le disse il Drago, leggendo la sua mente. "Dopo, quando tutto sarà finito, se si arriverà alla vittoria, ti porteró dove sei diretta. E lí farai ció che ti pare." promise il Drago.

Un'altra volta. Mi sono fatta fregare un'altra volta. Dopo il Fosso di Helm...di nuovo. Goneril pensó, affranta. Ma quando finirà tutto questo, quando?!

"Voi Draghi siete stati creati da Morgoth, come i Ragni. La tua razza deve obbedienza a lui e a Sauron. Perchè ti rivolti contro i tuoi padri?" chiese allora, esasperata.

"Dici giusto. All'alba dei tempi, Morgoth diede vita ad Ancalagon il Nero, un colossale sputafuoco, che venne ucciso da Ërendil. Ma poi la nostra specie scelse l'indipendenza, scegliemmo di allontanarci dalle forze del Male. Ma non per schierarci con il Bene. Scegliemmo di allontanarci da tutto. Io sono l'ultimo della mia razza. L'ultimo dei Draghi, e me ne andrò mantenendo un giuramento." 

"Le mie congratulazioni per questa dimostrazione di onore." ribatté Goneril, ironica. "C'é comunque un incendio in corso. L'hai detto tu, gli Elfi sono spacciati. Cosa credi che possa fare io?" sbottó lei.

"Tu, niente. Ma io sì." disse il Drago. "Io posso spegnerlo."

⚜️⚜️⚜️

"Chi sei tu?"'chiese Arwen.

Hammon si girò di scatto. Era seduto su una panca in pietra, fuori dalla residenza di lord Elrond.

Era lí da due giorni, ormai. Elrond era  partito alla volta di Gondor e l'aveva lasciato nel suo regno, ad aspettare Goneril e a sorvegliare sua figlia. In realtà, non c'era molto da sorvegliare: Arwen quasi non poteva muoversi, e tutti gli avvenimenti importanti stavano capitano lontano da Rivendell. Nessuno si sarebbe addentrato nel territorio di Imladris, quello ormai era un luogo deserto e dimenticato.

Quando vide la Dama di Gran Burrone in piedi, il soldato restò basito. "Mia signora, vi sentite meglio?" chiese lui.

"Mio padre...dov'é?" sussurrò lei, appoggiata a una colonna. Faticava a stare su due gambe e la sua voce era appena percettibile.

"Vostro padre é partito." rispose lui, avvicinandosi per sorreggerla. "Vi ha lasciata con me. Non abbiate paura." le disse.

Hammon si accorse, porgendole un braccio, che l'Elfo femmina era diafana. Il suo viso era più bianco di un canovaccio e gli occhi azzurri erano diventati cosí chiari da sembrare quasi bianchi. Sembrava un cadavere. "Non dovreste stare in piedi. Permettetemi di riaccompagnarvi alle vostre stanze."

Arwen lo guardò. "Un soldato...come Aragorn." disse. 
La bellezza di quella ragazza era da mozzare il fiato, se non fosse stato per l'aura di morte che l'avvolgeva. 
"Lascia che io mi sieda qui. Voglio guardare il nostro giardino..." aggiunse.

Hammon, allora, la sorresse fino alla panca, e delicatamente l'aiutò a sedersi. Arwen si appoggiò al muro dietro di lei. Le sue mani abbandonate in grembo, i meravigliosi capelli color mogano lasciati liberi sulle spalle, ammirò quella che una volta era un elegante e profumato cortile.

"Il tuo nome, non me l'hai detto..." disse.

"Benjamin Hammon. Al vostro servizio." si presentò lui, sedendosi con lei.

"Benjamin." ripeté Arwen. "Dov'é il tuo esercito, soldato?"

"Non ho più un esercito, mia signora." confessò lui.

"Un disertore..." sussurrò lei.

"No. Ho dovuto abbandonare quegli uomini. Non condividevo più i loro ideali." ripose Hammon. "Volevano che tradissi il mio onore."

"Mi dispiace. Questi sono tempi di pazzia e confusione. Tutto sta finendo." disse la ragazza Elfo. "Anche l'amore finisce."

Hammon la guardò. Arwen aveva chiuso gli occhi, come fosse addormentata. Ma li riaprí poco dopo . "Dov'é casa tua, soldato?"

"Casa mia...sarebbe Gondor, ma lasciai da giovane quel reame. Mi unii a un gruppo guerriero a diciotto anni, scelsi una vita nomade. La nostra idea, o meglio, l'idea del nostro comandante era ritirarci in un luogo lontano, fondare un piccolo regno umano, e lí prosperare. Ma non capiterà." raccontò lui.

"Gondor...la tua patria é lí? É minacciata..." disse Arwen.

"Lo so. E se state per dire che dovrei correre in sua difesa, e aiutare il vostro amato Aragorn, vi rispondo che no, non lo farò. Attendo il mio comandante. Lei arriverà presto, qui a Gran Burrone, dove abbiamo nascosto i nostri fondi. Le devo rimanere fedele. Ha solo me, ormai." disse Hammon.

"Lei?" chiese Arwen. "É una donna?"

"Sí." rispose il giovane capitano.

"Com'é? Descrivimela." mormorò Arwen, che aveva ancora chiuso gli occhi.

"Oh...lei é...una donna molto tenace, forte. Ha un carattere straordinario. Una vera leonessa in battaglia." rispose il soldato. "Abbiamo la stessa età."

"Com'é...il suo aspetto..." sussurrò Arwen. "Se me la descrivi, posso vederla attraverso le tue parole."

Hammon deglutí e cominciò a spiegare. "Beh...lei ha...lunghi capelli neri come la pece, tanto lunghi che le scendono sotto alla vita. Ma li tiene quasi sempre legati. I suoi occhi sono verdi, ma in certi momenti sembrano screziati d'azzurro. Hanno un colore che non ho mai potuto definire." sorrise il capitano. "E sono penetranti, enigmatici come quelli di un gatto. La sua pelle é candida come la vostra. Ha un piccolo neo sotto l'occhio sinistro, ma lo si nota solo se si é vicini a lei. Il suo corpo é snello, e tuttavia le sue forme sono morbide, da vera donna. É alta come voi." continuò il soldato. "La sua voce é calda e profonda. Le sue labbra hanno il colore della melagrana..."

Si girò verso la principessa di Rivendell, notò che sorrideva. "Quella guerriera...ha figli, una famiglia?" chiese l'Elfa.

"Oh, no davvero. Goneril sarebbe una pessima madre." rispose il soldato.

"E tu ne hai?" chiese Arwen.

"La mia vita da soldato non mi ha lasciato il tempo per costruirmi una famiglia." rispose lui. "Non ho mai avuto tempo per l'amore."

"Sí, invece." rispose Arwen in un sussurro. "Non lo hai mai riconosciuto, ma é sempre stato dentro di te. Tu sei stato innamorato...per tutti questi anni."

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Capitolo 45
*** Guerra ***


Seduto su una sedia vicina al letto di Roswehn, Haldir rifletteva.

Sua madre aveva chiesto di coricarsi subito dopo il suo arrivo a Palazzo, una volta che Morath ebbe preparato il suo nuovo alloggio. Non aveva nemmeno voluto consumare un pasto. Una notte intera a cavallo l'aveva spossata.

Il principe si trovò a domandarsi se la decisione di suo padre di riportarla a Eryn Galen fosse stata giusta.

L'aveva fatto per lui, ne era consapevole. Il Re aveva visto il dolore sul volto del figlio, all'idea di non rivedere più la madre umana, e il suo cuore paterno non aveva retto. L'aveva strappata da quella casupola sulla collina, a Dale, per fare in modo che i due si riunissero.

Anche Thranduil immaginava che a Roswehn restasse poco da vivere. Poco, secondo la prospettiva di un Elfo. Il giovane Haldir aveva sentito dire che gli umani potevano superare i novant'anni di età, in certi rarissimi casi arrivare al secolo di vita. Ma, in generale, si spegnevano nel decennio fra gli ottanta e i novanta.

Sua madre ne aveva già ottantasei, e ogni risveglio poteva essere l'ultimo, ogni volta che si addormentava avrebbe potuto non aprire più gli occhi, ogni giorno era prezioso. Per questo il Re aveva deciso di riaverla con sé, di nuovo nel suo Regno. Insieme, fino alla fine.

Haldir osservava il petto di sua madre alzarsi e abbassarsi durante il sonno. In quella grotta adattata a camera da letto non entrava il sole. Erano spazi sotterranei. Roswehn, però, era abituata alla luminosità del suo giardino, in cui adorava sedersi in primavera.  Avrebbe dovuto adeguarsi ancora, come aveva fatto sessant'anni prima, all'oscurità, all'umido, al silenzio.

Certo, il principe era contento di averla lí. Si chiese però se fosse giusto obbligare la donna a passare gli ultimi anni, o mesi, o giorni di vita, in un ambiente del genere. C'era già stata, ma quando era giovane e piena di curiosità ed entusiasmo. Ora, non c'era più nulla di nuovo da scoprire, e le cose con Thranduil erano cambiate. Non potevano piú essere amanti. Erano solo due genitori, riuniti per amore del figlio.

"Cosa farai, adesso, mamma?" mormoró lui, rompendo il silenzio. Roswehn non poteva più nemmeno andare a passeggiare nel bosco, il Re non l'avrebbe consentito con tutti i pericoli che c'erano.

"E io, che faró?" si chiese. 
C'era un terribile attacco in corso, a Sud. Aveva sentito Feren e Varian discuterne. Gli Orchi stavano dando fuoco a decine e decine di alberi e arbusti. Volevano cancellare l'intera Foresta di suo padre, portarlo alla disperazione e obbligarlo ad arrendersi. O forse, il loro piano era semplicemente eliminare la razza degli Elfi Silvani dalla Terra, cominciando dagli abitanti di Boscoverde. Fare terra bruciata di tutto.

Anche il Lothlórien era stato attaccato, ma il potere immenso di dama Galadriel aveva respinto i nemici.

Thranduil non aveva quella magia. Non poteva fare nient'altro che resistere con il suo esercito. Legolas era lontano, impegnato in un'altra battaglia.

Toccherebbe a me difendere il reame...a fianco del Re pensò il principe. Era il secondogenito, era una sua responsabilità ben precisa. A parte per il piccolo particolare...che suo padre non ne voleva sentir parlare. Gli aveva categoricamente proibito di avvicinarsi all'armeria, e aveva minacciato di punire durante chi avesse osato dare una spada, o un arco, a suo figlio.

Peró Legolas è andato in guerra rifletté di nuovo, alzandosi dalla sedia. Sta rischiando la sua vita. Dovrei farlo anch'io, se in me ci fosse un po' d'onore.

Inizió a camminare avanti e indietro per la grotta, preso da un attacco d'ansia e frustrazione. Sapeva combattere, era stato addestrato bene da Feren.

Una volta, durante un duello di prova, aveva perfino disarmato suo padre. Thranduil era rimasto immobile, osservando incredulo la spada che il figlio gli aveva strappato di mano con un preciso movimento del braccio.

"Hai perso, padre." gli aveva detto sorridendo.

"Va' nelle tue stanze." aveva risposto il Re, irritato per la sconfitta.

Ma poi, quella sera stessa a cena, si era complimentato con lui. "Tuo nonno Oropher si batteva come te. Se hai ereditato la sua abilità, niente e nessuno ti fermerà mai." gli aveva detto.

"...allora non dovrei stare qui nascosto. Come ho detto a quella Goneril, chi sa combattere deve farlo!" disse di nuovo a se stesso, i pugni chiusi in un gesto di rabbia.

Chi poteva sapere dov'era finita quella brigante.

Aveva raggiunto sua madre a Dale, l'aveva trovata, ma non l'aveva uccisa. Suo padre non si era dilungato in spiegazioni, gli aveva solo detto che Roswehn era protetta da una magia, dono di lord Elrond, e che quella delinquente nulla aveva potuto contro di essa.

Haldir aveva sospettato che Goneril non avrebbe comunque tolto la vita a sua madre.

L'Elfo aveva scambiato poche parole con quella donna, ma tanto era bastato per fargli capire che una parte di lei era ancora recuperabile. Goneril in cuor suo credeva di essere malvagia, e probabilmente chi l'aveva conosciuta condivideva questa opinione, incluso Legolas.

Ma la grande sensibilità di Haldir gli suggeriva un'altra cosa. La donna non era nata perfida. Era diventata così dopo anni di sistematiche violenze. Non poteva ancora leggere nella mente altrui come Thranduil, ma guardandola brevemente negli occhi aveva visto qualcosa: una fredda fattoria, una famiglia adottiva in cui regnavano ignoranza e maltrattamenti, solitudine, disperazione, rabbia.

Goneril sembrava uno di quei gatti randagi che, feriti dalla brutalità degli uomini, diventavano aggressivi, mordaci, schivi.

Eppure aveva aiutato Théoden e la gente di Rohan...nonostante avesse il sospetto di essere una sua figlia ripudiata e abbandonata. Eppure aveva stretto un legame affettuoso con la nipote del Re, la sua presunta cugina. 
Eppure gli aveva detto parole incoraggianti, prima di sparire lungo la via nascosta del bosco. Eppure...

"Eccolo, il mio bellissimo figlio..." disse Roswehn, svegliata dallo scalpiccìo dei passi sul pavimento.

"Scusa, ti ho disturbata." disse Haldir. "Perdonami, non volevo interrompere il tuo riposo."

"Non preoccuparti. Mi sento già meglio. E mi é venuto anche appetito." rispose Roswehn, puntellandosi faticosamente sui gomiti.

"Ti faró portare subito qualcosa." Haldir le mise due cuscini dietro la schiena, poi chiamó."...Nim!"

"...a che pensavi, Haldir? Ti vedo nervoso." chiese Roswehn.

"A nulla. Non ti preoccupare. Faccende di cui si sta occupando il Re." rispose Haldir.

"Lo so. Tempo di guerra. Io ho già vissuto una guerra. Vidi Troll e Orchi attaccare Dale. E combattei, anch'io, sai?" rispose Roswehn.

"Sì. Me l'hai raccontato molte volte, mamma" sorrise il principe. "So tutto di quel giorno di battaglia a Dale. Decidesti di circondare con la pece l'edificio in cui ti eri rifugiata con i miei nonni e con gli abitanti di Pontelagolungo. E poi tu e alcuni ragazzi appicaste il fuoco..."

"...e bruciarono vivi. Tutti gli Orchi che osavano avvicinarsi morirono fra le fiamme. Trovo tristemente ironico che usino il fuoco per attaccarci, adesso. Le parti si sono invertite." ragionó Roswehn. "Quanti morti. Quante anime sacrificate."

"Non ne ho mai vista una, di battaglia." ribatté Haldir.

Roswehn lo guardó. "Tuo padre ti ha sempre protetto, ed ha fatto bene. Nel tempo capirai. Non avercela con lui." gli disse. "Ti ama più di quanto tu creda."

"Non lascia che io mi metta alla prova..." rispose il principe, guardando da un'altra parte.

"Non lascia che tu corra pericoli. É diverso." gli disse Roswehn.

"Ma così non scopriró mai chi sono, naneth! Non sapró mai se sono coraggioso...o vigliacco." ribatté Haldir.

"Certo che sei coraggioso. Come tuo padre e come me. Sei figlio nostro, e nipote del grande Oropher. C'é tanta forza in te, che ti spaventerebbe." lo rincuoró Roswehn. "Ma la tua esistenza é preziosa. Credi a tua madre. É giusto che le cose vadano così."

Haldir la osservó di nuovo, in silenzio. "Nim!" chiamó ancora. Arrivó la ragazza Elfo, trafelata.

"Perdonate, altezza. Ero intenta a preparare il nuovo corredo di Roswehn." si giustificó.

"Mia madre desidera del cibo. Pensaci tu, ti prego. E sta' un po' con lei." ordinó Haldir, e poi lasció la stanza.

Nim chinó la testa: "Sarà fatto, principe." rispose.

Poi si avvicinó al letto, sprimacciando i cuscini dietro la schiena dell'umana. "Haldir é bellissimo, Roswehn. Mai vista un'eleganza simile in un Elfo maschio. Mette in ombra perfino il Re."

"Uh! Non dirlo a Thranduil!" scherzó la donna. "...non é che dopo esserti invaghita di Legolas, ora hai messo gli occhi anche su mio figlio?" la prese in giro.

Nim rise.

"No. Anzi, c'é una cosa che ancora non ti ho raccontato..." disse l'Elfa, sedendosi vicino alla vecchia amica. "Ora sono sposata."

Roswehn non dovette chiedere: con chi? Era del tutto intuibile.

"Hazel. Ottima scelta. É forte, onesto e valoroso." disse la mortale. "Le mie congratulazioni, Nim. Sono felice per te."

Nim abbassó lo sguardo, imbarazzata e felice. "Sì. Grazie. E sai un'altra cosa?" aggiunse. "Aspetto un figlio."

"Cosa?! Ma é meraviglioso!" esclamó Roswehn, incredula.

"Sì. Ma...mia madre non sa. Voglio che sia un segreto, cioé...solo io e Hazel lo sappiamo. E anche tu, adesso. Confido nella tua discrezione, amica mia." riveló la ragazza. "L'ho scoperto da poco."

"Perché lo tieni segreto?" chiese la vecchietta.

"Faccio come te. Voglio che sia una notizia riservata per un po'. Voglio godermi in pace questa gioia. Se mia madre sapesse, mi soffocherebbe di premure e attenzioni. La conosci." disse l'Elfa.

Roswehn appoggió la schiena ai cuscini. "Sarai madre. Siamo due madri, Nim. Gli dèi ci hanno benedette."

L'Elfa s'intristì di colpo. "...ma in che mondo crescerà mio figlio? C'é una guerra là fuori. E se Sauron dovesse vincere?" disse.

Roswehn le prese la mano. "Non lasciarti andare al pessimismo. Tutto è da vedere. C'é chi sta difendendo questi confini. Ho fiducia in Thranduil e nei suoi Elfi. Conosco la forza del vostro popolo."

"Non é solo Boscoverde a essere sull'orlo della fine. Gondor, Rohan... come potranno gli uomini..." riflettè Nim.

"Se c'é una cosa che ho imparato negli anni, é che può arrivare un aiuto inatteso, quando ne abbiamo bisogno. Delle volte, scopriamo di avere amici inaspettati." concluse Roswehn.

⚜️⚜️⚜️

"Tu pretendi che io salga sul tuo dorso?" chiese Goneril al Drago dei ghiacciai.

Oropher aprí le ali in tutta la loro ampiezza, quasi volesse sgranchirle. Si sentirono infatti crepitii sordi provenire dalle membrane grigie.

"Io dico di sí. Ed é meglio che ti sbrighi, ad ogni minuto perso qui a parlare un altro alberello si riduce in cenere." rispose l'essere bianco. "Ascolta il mio consiglio: non farei troppo la sdegnosa se fossi in te."

"E quale sarebbe il tuo piano, spiega, avanti." ringhió Goneril, esasperata per non avere scelta.

"Ti porteró al cuore del regno di Thranduil. Ti lasceró con i suoi Elfi. Poi riprenderó il volo e mi occuperó dell'incendio. Una volta che il fuoco sarà domato, tu e i suoi capitani condurrete l'esercito alla vittoria definitiva. Che ne dici?" spiegó il Drago. "E dopo ti trasporteró da Elrond. Volete tutte andare a Gran Burrone...che ci troverete mai in quel tizio..."

"E tu che farai? Che ci guadagni in quest'impresa?" chiese Goneril, scettica. "Non vorrai darmi a bere che lo fai sul serio per questioni di amicizia?"

"Perché il mio tempo é arrivato. Noi Draghi siamo finiti. Ma...io rimarró nei ricordi di tutti come il grande salvatore di Boscoverde. E quando Eru chiuderà i miei occhi per sempre, scriveranno canzoni e leggende su di me." raccontó il Drago. "Diventeró più famoso anche di Smaug, quel razziatore assassino."

Goneril scosse la testa. "Ti vedranno tutti sempre come un mostro. Non credere che un'azione del genere possa trasformarti in un eroe. Sei un Drago, nonostante porti il nome di un Re. E gli arcieri di Thranduil ti colpiranno non appena ti vedranno."

"...uccidendo di conseguenza anche te. Pazienza, vorrà dire che correremo il rischio. Avanti, sali sulla mia schiena. Te lo diró solo una volta." rispose Oropher. "Quella spada....fa' attenzione che non mi ferisca."

"Non se ne parla." rispose Goneril. "Disprezzo la tua razza, mostro."

Vide la Bestia gonfiare il collo e aprire le narici, per inspirare aria che si sarebbe trasformata in gelo.

"Va bene...d'accordo. D'accordo, sta' buono." disse subito lei, alzando le mani in segno di resa. C'era poco da fare, o arrendersi o morire assiderata.

Lentamente, Goneril si sistemó sul dorso di quell'enorme serpente alato. Fissó la spada al fianco, attenta che la la lama non tagliasse le scaglie del Drago.

Con un colpo d'ali che alzó una nuvola di polvere, la Bestia si staccó dal suolo. "Megli che ti reggi, umana. Ci sono correnti d'aria da queste parti."

La guerriera provó una strana sensazione nell'elevarsi dal terreno, ma non osó guardare in basso, mentre la Bestia s'involó al punto da raggiungere e lasciare sotto di sé le cime degli alberi.

Da quella posizione, la donna vide il fumo in lontananza. Una colonna densa e nera.

"Sono già così vicini..." disse.

"Andremo nella direzione opposta al fuoco. Il palazzo del Re é a Nord. Se gli Elfi proveranno a colpirci con le loro frecce, dovró virare velocemente. Se cadrai, peggio per te." le disse il Drago.

"Attento. Sono ancora in tempo a tagliarti il collo con la mia spada." lo minacció Goneril. "Io credo che tu non abbia capito chi c'é sulla tua schiena."

"Una figlia di Re che preferisce trascinarsi nella miseria, ecco chi c'é." la derise il Drago. "Ma sono scelte. Come quella che sta facendo Haldir, proprio in questo momento."

"E tu che ne sai di quello che sta facendo?" chiese Goneril.

"Sento i pensieri dell'Elfo, l'amicizia che mi unisce a sua madre me lo permette." riveló il Drago. "...é scappato. É fuggito da Palazzo."

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Capitolo 46
*** I neri eserciti ***


Non era stato complicato per Haldir trovare un'arma.

Gli era bastato entrare nelle stanze del padre e sottrarre la vecchia spada di suo nonno Oropher da una teca che il Re teneva nei sotterranei. La considerava talmente preziosa da aver preteso che fosse posizionata nei suoi alloggi, protetta da quattro lastre di cristallo.

Non c'era alcuna serratura da forzare perché Thranduil dava per scontato che nessuno dei suoi Elfi avrebbe mai osato rubarla, e nemmeno si sarebbe avvicinato ad essa.

Il principe aveva con cautela aperto la teca d'argento e cristallo e afferrato la preziosa arma. Si adattava perfettamente alle sue mani, era solo un po' pesante per lui.

"Nessuno porterà l'inferno nel tuo territorio, nonno. Vedrai di cosa sono capace." disse Haldir, sgattaiolando fuori dagli appartamenti regali.

"Principe!" si udì una voce.

Haldir sobbalzó. Girandosi, vide Hazel a pochi metri da lui. Lo sguardo del soldato cadde sulla spada. "Non avreste dovuto farlo, altezza."

Haldir si avvicinó all'altro Elfo, e gli afferró un polso. "Non cominciare anche tu, capitano. Lì fuori c'é la guerra. Io non ne rimarró escluso! É mio dovere, lo sai."

"Potrei arrestarvi per questo. Avete rubato al Re." obiettó Hazel. "Quest'arma ha un valore inestimabile per vostro padre, lo sapete."

"Ah sì? Fallo, allora." lo provocó il principe. "Rinchiudimi in una cella."

Il capitano elfico abbassó gli occhi. Il suo senso del dovere trovava forte resistenza di fronte alla risolutezza del figlio del Re. Erano quasi coetanei ed entrambi avevano uno spirito pugnace. Hazel capiva lo stato d'animo del principe, che fra l'altro sapeva battersi molto bene. Così diceva Feren, che era stato suo maestro per anni.

"Non vuoi? Dunque lasciami andare per la mia strada, Hazel." disse Haldir. "Mio padre non scoprirà che mi hai visto con questa spada, non temere."

"Sottovalutate il Re, altezza. Potrei venire esiliato se vi lasciassi uscire da Palazzo. Voi dovete essere sorvegliato, e lord Thranduil ha dato a me l'incarico, in questi giorni." ribatté Hazel.

"Dovresti stare con tua moglie invece, capitano. Non dovresti fare il sorvegliante. Va' da lei e insieme pensate a mia madre, te ne prego." disse Haldir.

"Non sono una dama di compagnia, altezza. Vostro padre mi ha ordinato..." provó a replicare il soldato.

"...mio padre ti ha ordinato di privarmi della libertá! A te e a Feren e agli altri! Hai visto cosa é stata la mia vita in questi anni? Tu, questa, la chiameresti vita?!" si disperó il giovane Elfo. "Ma non provi un po' di rabbia, in te? Non senti il peso di questa ingiustizia sulle tue spalle?!"

"Io sono un soldato. Obbedisco agli ordini del Re, che é la massima autorità in questo popolo. Io credo che voi lo capiate, altezza." rispose Hazel, senza scomporsi.

Haldir lo fissó, con le guance che sembravano ardere. Dalla madre umana, l'Elfo aveva preso anche la tendenza ad arrossire, d'imbarazzo o di agitazione. 
"É vero, obbedisci agli ordini." disse infine. "Perció ti ordino di accompagnarmi."

Hazel spalancó gli occhi cerulei. "Questo non è possibile. Verrei punito, sarebbe una sfacciata disobbedienza a lord Thranduil." protestó. "Vi prego, altezza. Non costringetemi a diventare un traditore."

"Tradimento?" ripeté il principe. "Tu tradiresti questo reame se non eseguissi le richieste dell'erede al trono."

"Con il dovuto rispetto, il principe Legolas è l'erede al trono di Eryn Galen. Non voi." rispose Hazel, un po' confuso.

"C'é qualcosa che non sai, amico mio. Nessuno al di fuori di me, mio fratello e mio padre sa: Legolas non avrà la corona, me l'ha detto mia madre il giorno in cui lasció Boscoverde. Una decisione che neppure io ho compreso, ma è stata presa ormai. E mio padre non rimarrà per sempre sul trono. Chi credi che reggerà il regno dopo la sua abdicazione?" disse Haldir, abbastanza lentamente perché Hazel comprendesse appieno la situazione.

Il capitano elfico sembró ancora più basito alla notizia. "Il...primogenito? L'erede di lord Thranduil e dama Calenduin? Non é possibile...sarebbe del tutto contrario alle nostre leggi. "

"Sì. Molte cose ancora non mi sono chiare sul mio futuro, ma questa é una certezza. Il Re intende passare a me i pieni poteri." ripeté Haldir. "Stammi vicino, Hazel. Ho bisogno di un amico. Sii per me quello che Feren é stato per mio padre."

"Io ho una famiglia...cioé, sto per costruirmela. Nim aspetta un figlio. Se vi permettessi di allontanarvi da qui, e se voi veniste ferito, o ucciso, la mia testa finirebbe su un piatto d'argento. Assecondarvi vorrebbe dire rischiare molto di più che il mio posto nell'armata." riveló finalmente il capitano. "Posso fingere di non avervi visto, principe. Ma non chiedetemi di venire con voi."

"Non sapevo che Nim fosse incinta. Le mie felicitazioni." gli disse Haldir, con uno dei suoi meravigliosi sorrisi. "Comprendo le tue paure. E va bene, allora. Resta pure qui...o segui mio padre, quando darà ordine di iniziare il contrattacco. E fa' finta che questa conversazione non abbia mai avuto luogo."

Detto ció, Haldir Thranduilion corse via, diretto verso una delle innumerevoli uscite segrete di quel reame.

Hazel ebbe appena il tempo di sospirare, quando venne raggiunto da un Elfo in uniforme. "Capitano...sono arrivate notizie da Sud: Varian e i suoi arcieri sono stati colpiti. Lui é caduto. Centocinquanta nostri soldati sono stati uccisi dalle frecce degli Orchi. Anche loro sono armati, e hanno il fuoco a fare da barriera. Servono rinforzi, tocca a noi." raccontó concitato il soldato.

"Sì. Lo so. Da' ordine alla nostra compagnia di prepararsi." comandó Hazel.  Pensó a Nim.

"...capitano...perdonate...cosa stavate dicendo al principe Haldir?" volle sapere l'Elfo soldato.

"Nulla che ti riguardi. Il principe é tornato nei suoi alloggi, tu allerta la compagnia Caranthir, svelto!" lo esortó di nuovo Hazel.

"...ma...le sue stanze sono da tutt'altra parte..." osó far presente il soldato.

"Meneldor! Ti ho dato un ordine." lo interruppe Hazel. "Va'!"

Poi i suoi pensieri tornarono alla moglie.

Nim, ricordi quella sera di aprile, tanti anni fa, quando ti vidi passeggiare sul Grande Ponte e ti raggiunsi e ci mettemmo a parlare sotto la volta stellata? Come vorrei tornare lì con te, come allora. Come vorrei che questa guerra non ci fosse.

Di lì a dieci mesi sarebbe diventato padre. Più ci rifletteva, più sentiva l'angoscia salire in lui.

L'incontenibile gioia che lui e Nim avevano provato alla scoperta della gravidanza aveva in quelle ore lasciato posto a più cupi pensieri.

Sauron si era bruscamente risvegliato e la pace della Terra di Mezzo era stata interrotta. Proprio il momento peggiore per metter su famiglia. Il loro territorio era sotto attacco, e nonostante la baldanza di re Thranduil c'erano grosse possibilità che gli Orchi avessero la meglio.

Il principe Haldir sarebbe diventato nuovo Re di Boscoverde, forse di lì a dieci, cento, mille anni. Sarebbe stato più intelligente seguirlo, affiancarlo in guerra e guadagnarsi un posto di tutto rispetto nell'esercito, una volta che il nuovo sovrano sarebbe salito al trono. Ma ci sarebbe stato ancora un reame in cui vivere? Per come potevano andare le cose, nel giro di un giorno l'intero continente avrebbe anche potuto cadere sotto il dominio dei due antichi démoni, Morgoth e il suo sottoposto Sauron.

Pensó di nuovo alla sua famiglia. La sua dolce Nim era la cosa più bella che avesse mai avuto e non vedeva l'ora di stringere a sé il frutto del loro amore.

Valar vi scongiuro, fate che mio figlio nasca e cresca libero. E con un padre.

⚜️⚜️⚜️

L'aria era gelida.

Aggrappata al collo del Drago, Goneril osservava le decine e decine di alberi che punteggiavano l'immenso territorio di Thranduil.

"É divertente volare, vero?" chiese Oropher. "Da questa altezza, puoi ammirare l'orizzonte. Guardalo bene, guerriera figlia di Théoden, perché potrebbe svanire presto."

"Quando inizierai a scendere? Sto congelando." protestó la donna.

"Manca poco. Mi avvicineró al terreno nel punto in cui gli alberi diventeranno più radi." rispose il Drago. "Qualcosa mi dice che gli Elfi sono già in grave difficoltà."

"Ma certo che lo sono. Thranduil non sa come affrontare un incendio. Non hanno modo di spegnerlo. Divorerà la foresta in breve tempo." rispose lei, con fatica. La mandibola si era quasi bloccata per via del freddo, e piccoli cristalli di ghiaccio si erano formati fra i capelli.

"A quello penseró io. Tu pensa a condurre gli Elfi alla vittoria, e proteggi quel principe ribelle." le disse la Bestia alata. "A Roswehn verrà un colpo quando scoprirà la sua fuga da Palazzo."

"Non credo. Quella vecchia conosce bene chi ha messo al mondo. Ma Thranduil...lui sì che sarà furioso." ribatté Goneril.

"Lo ha nascosto come un ratto per sessant'anni. Sarebbe un atroce scherzo del destino se ora cadesse nelle mani degli Orchi." disse il Drago.

Proprio in quel momento, entrambi scorsero una piccola catena montuosa sotto di loro.

"Ecco i Monti del Reame Boscoso. Un tempo, alcuni draghetti vivevano nei loro anfratti." raccontó il Drago. "Vennero cacciati via dagli Elfi, nonostante fossero innocui."

"Esattamente quello che capiterà a te. Ti attaccheranno con le loro frecce. E sai quanto precisi siano gli Elfi con i loro archi." disse Goneril.

"Tu dimentichi che la pelle dei Draghi è dura come pietra. Le nostre scaglie sono resistenti quasi quanto le armature dei soldati. Non temo per me." rispose il Drago.

"Già...in tutta questa storia assurda sono io quella che rischia. Come sempre." ringhiò Goneril. "Sono sopravvissuta a dieci anni di battaglie e all'inferno del Fosso di Helm...morirò sulla groppa di un lucertolone con manie di grandezza."

Oropher si lasciò andare ai soliti versi gutturali, che per lui erano una risata. 
"Che vuoi farci...noi Draghi siamo superiori. Tranne quei mostriciattoli che volano su Mordor, quelli proprio non li capisco. Non sono nemmeno Draghi. Bestie stupide e cieche, si lasciano cavalcare dai Nazgûl..."

Poi rimase in silenzio per qualche istante.

"...a proposito: dovrai riuscire a uccidere lo Spettro Nero che sta guidando l'attacco a Boscoverde. É essenziale che venga eliminato." disse il Drago.

"Uccidere un Nazgûl? Non c'é modo." rispose Goneril. "Quegli esseri sono già morti."

"Sì che c'é. I Nazgûl erano in vita grandi Re, ingannati e corrotti da Sauron. Ora sono spettri, e per ucciderli esiste un unico modo: farli tornare mortali." spiegó il Drago.

"E in che modo?" chiese Goneril.

"Bisogna colpirli con una lama particolare, forgiata dai Dunédain secoli fa. Se quel metallo riesce a toccarli, tornano a vivere...in carne e ossa. A quel punto possono essere uccisi." raccontó il Drago. "Esistono solo tre spade al mondo fatte con quel metallo: una fu donata a Tom Bombadil, una specie di Hobbit di cui si sono perse le tracce. L'altra fu Narsil, la spada di Isildur che colpì Sauron. E la terza...finì nelle mani del grande Re Elfo da cui ho preso il nome."

"Cioè, Oropher...sarà stata persa." commentó Goneril.

"No. Thranduil fu abbastanza intelligente da estrarla dal fango di Dagorlad." rispose il Drago. "Conosceva molto bene il potere di quell'arma. É in mano a suo figlio, adesso. Quel furbastro l'ha rubata dalle sue stanze." raccontó Oropher, che avvertiva tutti i movimenti del principe grazie al suo potere psichico.

"Allora sarà lui a occuparsi dello spettro. Non io." rispose Goneril.

"Dovrete affrontarlo insieme. Haldir é troppo inesperto ancora. Quel Nazgûl potrebbe disarmarlo e poi incatenarlo e portarlo a Minas Morgul, per la disgrazia di tutti noi." disse Oropher.

"E come pensi che troveró quell'Elfo? É scappato, lo hai detto tu. Potrebbe essere nascosto ovunque nel bosco." ribatté la donna. "...e non sopporto più questo gelo! Inizia a scendere, avanti!"

"Scenderó quando lo decideró io. Non darmi ordini, umana." rispose il Drago, dandole un colpo sulla schiena con la coda. "Manca poco. Sta' buona ora e reggiti."

Dopo dieci minuti di volo, finalmente Oropher inizió la discesa. Goneril si tenne ben salda alle enorme scapole del Drago, che si muovevano a ogni battito d'ali.

"Ci siamo, guerriera. L'ho trovato." annunció Oropher.

"Trovato chi?" chiese lei, mentre abbassava il viso per non farsi graffiare le guance dagli aghi di pino. Erano quasi arrivati a terra, i rami degli alberi accarezzarono lei e il Drago.

"Il tuo nuovo amico." disse il Drago, poggiando le zampe a terra. Goneril saltó immediatamente giù.

"Ma di chi parli?" chiese di nuovo lei.

"Mi ero augurato di non rivederti, principessa di Rohan." si udì una voce.

Da dietro un tronco d'albero, apparve il mantello blu cobalto di cui la guerriera si ricordava bene. Avvolto dal mantello, il bellissimo Elfo di cui Goneril si ricordava ancora meglio.

"A cavallo di un Drago, nientemeno." continuó Haldir.

"Sì. Beh che ti devo dire, principe: credevo che la mia vita fosse stata già abbastanza assurda, ma a quanto pare non c'é limite alla fantasia del grande Eru. Si diverte un mondo con i suoi figli." commentó  la donna. Poi si giró verso il Drago. 
"É necessario che faccia le presentazioni?"

Haldir si avvicinó a Oropher. Non sembrava per nulla spaventato. 
"So chi sei. Mia madre mi ha parlato di te. L'hai aiutata, e hai giurato di essermi amico. Porti il nome di mio nonno. So che non sei qui per farmi del male." disse l'Elfo.

"..e tu porti la spada di tuo nonno, sotto a quel mantello. Mossa geniale sottrarla a tuo padre. Molto più azzeccata di quanto tu pensi." rispose il Drago.

"Il Drago si é offerto di spegnere l'incendio col suo getto di acqua gelida. E ha ordinato a me di darvi man forte contro gli Orchi. Ma non credere che m'importi qualcosa del vostro bosco e del vostro popolo, caro principe." sbottò Goneril. "Per quanto riguarda te, se vuoi combattere davvero seguimi. Ma non essermi d'intralcio o giuro che ti pianterò in asso nel mezzo della foresta. Quando tutto sarà finito, mi aspetto che tu mantenga la promessa." disse, guardando verso il Drago. "Mi porterai a Gran Burrone."

"D'accordo." promise il Drago.

"Ascolta: il nostro esercito si é già organizzato per la resistenza frontale. Stanno respingendo gli Orchi oltre le Montagne." spiegò Haldir.

"Non stanno respingendo un bel niente, il fuoco avanza e con esso le legioni di Sauron. L'ho visto mentre ero in volo. Si stanno portando a ridosso dei Monti: se dovessero superarli, ci metterebbero poco ad assaltare il palazzo di tuo padre." rispose Goneril.

"Scusate. Dimenticavo di avere da fare..." disse improvvisamente il Drago. Poi si alzò in volo di nuovo. "...non avvicinatevi all'incendio. Fra poco tutto sarà un ghiacciaio laggiù." gridò dall'alto, e si allontanò.

"Che facciamo io e te?" chiese Haldir.

"Aggiriamo il bosco, li sorprendiamo da dietro." disse lei. "E quel Drago ha ragione: bisogna colpire chi comanda questi eserciti."

"Chi? O cosa?" volle sapere Haldir, mentre entrambi si avviavano verso il limite del foresta.

"Una creatura senza nome. Senza corpo. Senza anima." rispose lei. "Stammi vicino, principe. Se sopravviveremo, avrai molto da raccontare a tua madre."

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Capitolo 47
*** Aria ***


Innamorato di Goneril?
Ma nemmeno per scherzo.

La figlia di Elrond poteva anche essere un Elfo, e come tutti quelli della sua razza forse aveva un intuito formidabile, ma su quella faccenda si stava sbagliando. Si stava sbagliando di grosso.

Hammon non era per niente innamorato del suo Generale.

Aveva paura di lei, che era un tantino diverso.

Un brivido freddo gli attraversava la schiena ogni volta che ricordava le azioni commesse dalla guerriera, proprio davanti ai suoi occhi.

Quella volta che aveva aperto lo stomaco di una spia Haradrim con un colpo netto della sua spada e lo aveva lasciato morire dissanguato, e si era seduta sul suo trono in mogano, a mangiare una mela, placida, indifferente, del tutto sorda alle urla di quell'uomo.

Quella volta che aveva sorpreso una ladruncola all'interno del loro accampamento, una ragazza delle Colline che si era introdotta nella sua tenda con l'idea di rubarle la spada d'oro, e per punizione l'aveva legata a un albero e le aveva dato fuoco ai capelli. Era stato proprio Hammon a evitare che bruciasse viva, gettandole una secchiata d'acqua addosso.

Ma era stato l'episodio nel villaggio di Rivalunga a fargli comprendere che razza di squilibrata avesse come capo.

Erano in marcia ormai da settimane, cinque anni prima, alla ricerca di un posto dove accamparsi per riposare qualche giorno. La legione era reduce da una durissima battaglia contro un gruppo di Orchi e Troll di montagna che avevano assaltato un piccolo borgo nei pressi dei Monti dei Corni Bianchi.

Goneril aveva deciso di fermare il suo gruppo guerriero vicino a un paesello anonimo e abitato da poche decine di famiglie, accanto al quale scorreva un fiume dalle acque cristalline e fresche. Ottimo luogo per dissetarsi e far riposare Uomini e cavalli.

Ma gli abitanti del paesino non avevano esattamente accolto il loro arrivo a braccia aperte. Subito si era radunata la gente fuori dalle case, e avevano acceso torce e agitato bastoni in aria. "Non vi vogliamo qui!" urlavano. "Assassini, briganti!"

Il capo di quel minuscolo villaggio si era messo in prima linea e aveva gridato: "Siete luridi cani! Predoni, razziatori! Non osate avvicinarvi al nostro fiume e alle nostre case!"

Goneril non si era scomposta. "Non siamo predoni né razziatori. Siamo soldati, e cerchiamo un posto dove accamparci per qualche notte. Se non ci disturberete, noi non vi disturberemo."

A quel punto la situazione era degenerata. Il capovillaggio aveva tirato una pietra verso la sua direzione, che per qualche centimetro non l'aveva centrata in pieno. "So chi sei! Sei la vipera dell'Est! Vattene da qui, prima che tu e i tuoi porci ci infettiate con le vostre malattie!"

"Ho detto che non siamo qui a minacciarvi... ce ne andremo quando avremo recuperato..." un'altra pietra l'aveva colpita stavolta in fronte. Subito un rivoletto di sangue era sceso sulla guancia, per morire poi sulle sue labbra. Goneril non aveva neanche alzato una mano per ripulirsi. I suoi occhi si erano riempiti di quell'odio freddo che Hammon conosceva bene.

"Degarre." aveva detto. "Raduna ogni uomo di questo buco miserabile qui davanti a me."

Il capitano aveva rastrellato casa per casa e aveva con gli altri soldati trascinato tutti gli uomini del posto al centro del villaggio.

"Ora, lasciate che vi dica che quello che sto per fare vi sembrerà ingiusto, ma ve la siete cercata. Io non punisco in questo modo solo la vostra arroganza, ma anche la vostra ignoranza. Voi ignorate le buone maniere, il rispetto, la cortesia verso il prossimo. Insomma, anche il mio patrigno mi puniva quando sbagliavo...ma poi imparavo. Dopo le sue punizioni, eccome se imparavo." raccontó lei.

"Ma cosa volete farci?!" urló un uomo.

"Degarre, amputa il braccio sinistro ad ognuno di loro." aveva ordinato Goneril.

Gli uomini prigionieri, sentendo quelle parole,  avevano iniziato ad agitarsi e gridare.

Hammon, come al solito, aveva cercato di farla ragionare. "Andiamo, Goneril, smettila. Non puoi fare una cosa del genere!"

"Non posso?" aveva ribattuto lei. "E perché? Loro mi hanno aggredita per primi, l'hai visto anche tu. Io ho sempre detto: occhio per occhio, Hammon. Questa piccola ferita sulla mia fronte verrà ripagata col loro sangue."

"Ti prego, Generale, non puoi mutilare degli innocenti per capriccio. Tagliare loro un braccio...è follia, Goneril, ascoltami!" aveva insistito Hammon.

"Non ti preoccupare, capitano. Avranno sempre l'altro braccio." aveva risposto Goneril.

E così era andata.

Cinquantasei braccia ammucchiate una sull'altra. Una massa sanguinolenta e informe di membra tagliate dai loro corpi. Neanche a dirlo, più di metà di quegli sventurati erano morti il giorno stesso, lasciando dietro di sé vedove e orfani.

Ad Hammon si giró lo stomaco ripensandoci. Una cosa orrenda.

Innamorato di Goneril?

Nessun uomo con un po' di cervello si sarebbe innamorato di lei. Anche se era bella. Un' aquila con le piume del pavone, era quella donna.

Poi, certo, c'erano anche quei momenti.

Quei momenti rarissimi e quasi surreali, in cui il loro Generale si toglieva la maschera da assassina e si immergeva nei suoi pensieri. Spesso capitava al tramonto. Si sedeva su un masso o su un'altura e rimaneva per interminabili minuti ad osservare il sole discendere verso la Terra e sparire. Era come se Goneril si chiudesse in se stessa, e nessuno la disturbava mai mentre era persa nella sua meditazione.

Hammon si chiedeva sempre a cosa pensava quand'era cosí assorta. Forse al fatto che era sola al mondo. Forse alle atrocità di cui si macchiava. Forse al fatto che la sua vita stava trascorrendo inutile, e non avrebbe lasciato tracce dietro di sé. Nessun amore che l'avrebbe ricordata, nessun figlio che avrebbe tramandato il suo nome.

O forse pensava che, tutto sommato, la Terra era un bel posto e magari valeva pena fermarsi ad ammirarla un po', ogni tanto.

"C'é del buono anche in lei." disse ancora Arwen.

Erano entrambi nella stanza della principessa. Era piena di libri, e di candelabri. Una stanza in passato elegante, in quelle ore lasciata in stato di abbandono. Come Rivendell, come la stessa Arwen, meravigliosa discendente di dama Lùthien... ora più simile a uno spettro che a una donna elfo di irraggiungibile grazia.

Ormai la figlia di Elrond stava diventando un spirito, Hammon notò che poteva vedere attraverso il suo corpo. Non poteva più stare in piedi, né seduta. Era sdraiata inerme sul suo grande canapé.

"C'é un'anima nascosta, in quella guerriera. Una bambina impaurita. Trovala, aiutala a uscire da quel pozzo in cui l'hanno buttata. Insegnale a sorridere." disse l'Elfa. "...e sarete felici."

"Non so perché diciate queste cose, mia signora. Se vi riferite al mio Generale, ha scelto la via della vendetta. Non vuole essere salvata, perché non crede di essere perduta." rispose Hanmon.

"Tu pensi?" rispose Arwen. "Delle volte giriamo le spalle alla vita solo per non affrontare quello che vorremmo essere. Anche Aragorn scelse l'esilio, anni fa. Ma ora ha capito. Ora ha capito, per quale futuro deve combattere. Ma ha avuto bisogno dell'aiuto di mio padre per aprire gli occhi. E la donna che ami ha bisogno del tuo. Riportala alla luce." continuó Arwen.

"Io non amo Goneril, né altre. Perché siete convinta di questo?" chiese Hammon.

"Da come l'hai descritta. Hai usato solo parole dolci. Tu sei in grado di vedere la parte migliore di lei, al contrario di tutti gli altri. Succede questo, quando amiamo: riusciamo a notare solo le cose belle." rispose l'Elfa.

"Sbagliate. Io so chi é Goneril. Conosco tutti gli oscuri angoli della sua anima. Non sono sciocco, dama Arwen." obiettó Hammon.

"Perché la stai aspettando, allora, Benjamin? Perché non vuoi lasciarla sola?" chiese la principessa di Imladris.

"Perché..." il soldato non seppe trovare subito la risposta. Riflettè un attimo. "...perché é piombato tutto il mondo nel caos,  e io ho bisogno di rimanere aggrappato a qualcosa. A un ideale, fosse anche l'assurda lealtà verso una donna crudele. Non so se potete capire."

"Lealtà. Così rara da trovare ai nostri tempi." commentó Arwen. "È un'immensa fortuna ricevere dimostrazioni di fedeltà."

Hammon rimase in silenzio. Si sentiva confuso. Amare Goneril, amare una persona che era tutto fuorché amabile?

"Io ho visto degli orrori nella mia vita. Buona parte di quegli orrori sono stati commessi dal mio comandante. Se credete davvero che io possa provare teneri sentimenti per lei, siete totalmente..."

⚜️⚜️⚜️

"...folle." disse Thranduil, non appena gli giunse la notizia della scomparsa di suo figlio da palazzo.

"Hazel é un folle. Ha allentato la sorveglianza sul principe, ha lasciato che mio figlio si allontanasse dalle sue stanze, contravvenendo a tutto ció che gli avevo ordinato?!" disse il Re.

Feren era accanto a lui, imbarazzato dalla situazione. Hazel era uno dei suoi capitani migliori, il più serio, il più scrupoloso. Aveva ottime probabilità di tentare una carriera importante nell'esercito, ma con quella gravissima leggerezza se l'era giocate tutte.

"Portatelo qui!" ordinó Thranduil.

"Hazel ha radunato la compagnia Caranthir e si stanno dirigendo verso l'incendio. Varian e i suoi Elfi sono stati trucidati, era necessario mandare rinforzi." spiegó Feren. "Ho ordinato ad altre due compagnie di prepararsi."

"Era incaricato di sorvegliare mio figlio!" tuonó il Re. "Questo doveva fare! Il principe é scappato, ed é tutta colpa dei tuoi capitani incapaci."

"Se il principe Haldir ha disobbedito a voi, Maestà, é perché non rispetta abbastanza suo padre. Vi prego di considerare anche questo." rispose freddamente l'alto comandante di Boscoverde.

Thranduil rimase di sasso a quella frase. "Cosa hai detto?"

Feren non si fece intimidire. "Il principe Haldir in questi anni è stato ribelle, irrispettoso, platealmente ostile a me e a tutti i suoi sorveglianti. Ci ha reso la vita impossibile. É tempo che qualcuno ve lo dica, lord Thranduil. Detesto essere io quel qualcuno, ma la devozione verso la vostra persona m'impone di essere schietto."

Thranduil gli si avvicinó lentamente. I suoi occhi azzurri acquisirono la ferocia antica che Feren conosceva bene. Anche Re Oropher aveva quello sguardo micidiale.

"Tu osi suggerire a me come educare i miei figli?" chiese il Re. "Ripetilo."

Feren sostenne lo sguardo. "Non esiste Elfo di questo reame che sia più leale di me alla nobile famiglia che governa il nostro amato popolo. Ma ció non mi impedisce di dirvi la verità: sì, io credo che con il principe Haldir abbiate sbagliato."

A quel punto Thranduil, che portava sempre la sua lunga spada appesa in vita, la estrasse con un movimento fulmineo e si apprestó a colpire. Nella nuova fisionomia di Feren sarebbe apparsa una bella cicatrice rossa, dove adesso facevano mostra di sé due guance candide e incavate.

Ma poi il Re si fermó. 
Una smorfia di acuta sofferenza passó sul suo volto, e lentamente abbassó il braccio.

"Ho fallito. Come con Legolas." lo si udì mormorare. "Ho fallito un'altra volta."

Si portó l'altra mano al viso. Sembró che tutto il dolore del mondo pesasse sulle sue spalle in quel momento.

"Vi chiedo perdono, Maestà. Io..." disse Feren.

"Zitto." lo fermó Thranduil. "Non sei tu la persona con cui devo parlare." 
Si diresse verso le sue stanze. "Devo confrontarmi con sua madre."

Thranduil camminó verso la grotta occupata da Roswehn. Mentre procedeva col suo solito passo deciso si chiese come avrebbe reagito la sua ex amante ora anziana alla notizia. Era probabile, anzi era certo, che se la sarebbe presa con lui. Poteva già immaginarsela.

Dovevi nasconderlo, Thranduil! Dovevi proteggerlo, come abbiamo entrambi promesso a Radagast! Mi vuoi dire perché non ci sei riuscito? Mi riesci a spiegare perché il grande Re non è in grado di aver cura di suo figlio?

Ah, se li ricordava bene i litigi con Roswehn, così come si ricordava i bellissimi momenti in cui facevano la pace. Rabbia e passione. I due ingredienti principali del loro rapporto.

Entró bruscamente nella grotta sorvegliata da un soldato.  Trovó la donna in piedi, con le mani strette nervosamente una nell'altra. Sembrava agitata.

"Thranduil!" esclamó quando lo vide. "Nim è appena stata qui. É disperata! Hazel è partito senza salutarla, è andato alla guerra!"

"Lo so." rispose il Re.

"Devi farlo richiamare, ti scongiuro! Nim aspetta un figlio, è terrorizzata che possa succedere qualcosa a suo marito! Fallo tornare!" lo pregó Roswehn.

"Hazel é un soldato. Sta facendo il suo dovere." ribattè freddamente il Re.

Roswehn gli si avvicinó. "Ma per una volta...non potresti essere meno rigido? Ti prego, fa' che torni! Nim é mia amica, e non l'ho mai vista così impaurita!" imploró.

"Nim non é l'unica donna elfo di questo regno ad essere preoccupata. Molte altre temono per i loro figli o mariti." disse il Re. "E purtroppo tocca anche a te, adesso. Io e te non siamo risparmiati da questa angoscia."

"Cosa dici?" chiese Roswehn, confusa.

"Haldir é fuggito." ammise infine Thranduil.

"Cosa...?" ripeté Roswehn, travolta dalle sensazioni che la notizia le provocó. Impallidí.

"Ha rubato la spada di mio padre e ha lasciato il palazzo. É andato anch'egli in guerra, Roswehn." continuó il Re.

"Thranduil!" urló allora l'umana, mettendosi le mani nei capelli. "Come...hai...potuto!!!"

"Tuo figlio ha ereditato la tua testardaggine, la tua incuranza verso la mia autorità, la tua veemenza! Ha preso il peggio da te!" si difese il Re.

"Avevi detto che i tuoi soldati lo sorvegliavano notte e giorno...notte e giorno!" gridò ancora Roswehn, era talmente sconvolta da non essersi accorta che la sua voce era tornata limpida e squillante come negli anni belli.

"Avevo dato ordine ad Hazel di sorvegliarlo. Lui ha mancato. E ha permesso a nostro figlio di mettersi in un pericolo tremendo. Puoi dire questo a Nim, quando la vedi piangere." ribatté il Re.

"Oh, non essere disgustoso! Cosa c'entra questo?! Tu avevi giurato, avevi garantito per la sua incolumità!" continuò Roswehn. "Sai cosa succede se lo trovano?!"

"Non lo troveranno. Haldir é furbo, ha preso anche questo da te. Si nasconderà. E quando capirà che il pericolo é troppo grande tornerà indietro." disse il Re.

"É anche figlio tuo. Non tornerà affatto. Tu sei mai indietreggiato per la paura?" chiese lei.

"No. No, mai." disse Thranduil.

"Allora nemmeno Haldir lo farà." disse Roswehn, sedendosi sul letto. "Thranduil... dimmi che non é vero quello che succede. Dimmi che non sta succedendo sul serio."

Il Re si sedette accanto a lei. Chinó la testa, in un gesto che sembró di sconfitta, di rassegnazione. 

"Avevo giurato a mia moglie di amare e proteggere Legolas, quando nacque. Giurai a te di aver cura di nostro figlio, quando lasciasti il mio regno. E adesso, entrambi i miei figli sono lontani da me. Entrambi stanno rischiando la vita." disse. "Ma che razza...che razza di padre sono, dimmi."

Roswehn non si ricordava di aver mai visto Thranduil, il suo grande amore, cosí affranto, debole, impotente di fronte a un problema. Non sembrava nemmeno lui.

Si pentí delle sue parole. "Perdonami se ti ho attaccato. Delle volte dimentico che sei una creatura fragile come lo siamo tutti, nonostante tu sia un Re. Ma ho paura per Haldir. Ricordi cosa disse Radagast? Quell'ammonimento: non fatelo uscire dal vostro territorio. Lo Stregone aveva benedetto questo bosco, ha impedito a Morgoth di entrare...ma non ha benedetto nostro figlio. É vulnerabile, é come nudo senza di noi." disse la donna.

"É tutto compiuto." Thranduil non alzò il viso. "Cosí doveva andare, forse. Non ho potuto trattenerlo qui. Ci ho provato, ma l'ho fatto solo soffrire. Forse é tempo che mettiamo nostro figlio in mano a Eru, e che ne abbia custodia."

Roswehn si alzò faticosamente dal letto. "E che faremo noi? Se Sauron dovesse vincere..."

"Io non lascerò questa terra." rispose il Re. "Non me ne andrò mai da qui. Preferisco morire combattendo, o vivere per salvare mio figlio se dovessero rapirlo. Comunque andranno le cose, io non me ne andrò ad Ovest. Questo é il mio territorio, e qui aspetterò la fine di tutto."

"E se invece le cose andassero come speriamo? Se Haldir venisse salvato e diventasse Re...tu che farai?" chiese Roswehn.

"Quello che ti ho detto. Rimarrò qui, con lui. Avrà senz'altro bisogno dei miei consigli. E se un giorno riterró di separarmi da lui, andrò sotto un albero e farò quello che ogni Elfo dovrebbe fare alla fine della sua lunga vita." rispose lui.

"Cioé? Diventerai uno spirito?" disse Roswehn.

"Sí. Vivrò in ogni foglia, in ogni albero, in ogni animale di questa Foresta. É la mia Foresta, te l'ho detto." rispose lui.

"Lord Thranduil!! Lord Thranduil!!" si sentí una voce chiamare. Sia lui che Roswehn uscirono dalla piccola grotta.

Arrivò Feren di corsa. "Notizie da Ovest!" annunciò. "Lord Celeborn... ha attraversato il fiume Anduin con il suo esercito! Stanno venendo qui! Accorrono in aiuto al nostro regno!"

Thranduil non riuscí a crederci. "Il Lothlórien che manda rinforzi...a noi?"

"Perché no? Siete cugini!" disse Roswehn. Poi pensò all'altro Haldir, a quel coraggioso capitano ucciso al Fosso di Helm che tanta importanza aveva avuto nella sua vita. Se fosse stato vivo, avrebbe condotto lui l'armata di Galadriel.

"Sí...inoltre, sta succedendo qualcosa a Sud. L'incendio si é fermato. Le nostre vedette riferiscono di una creatura sputaghiaccio che sta riversando aria gelida sul bosco. Una specie di...di...piccolo drago." aggiunse Feren. "É come se...stesse cercando di aiutarci."

"Oropher!" esclamó Roswehn. "Non é possibile, é ancora vivo!"

Thranduil la guardò. "Pare che io e te abbiamo qualche amico, dopo tutto." si girò verso il suo comandante. "Feren, é importante che mio figlio venga ritrovato. Andrò io, in persona. Tu... conduci i nostri eserciti. Non lasciare in alcun modo che quei mostri superino i Monti. Non devono arrivare qui. Manda dispacci attraverso la Foresta, coordina le nostre forze con quelle di Celeborn. Ho piena fiducia in te."

Poi si giró verso Roswehn. "Tu rimani qui. Ti riporterò nostro figlio, lo giuro."

Detto ciò, il Re e Feren si allontanarono per dirigersi all'armeria.

La donna rimase sola, con le sue angosce. Haldir. Dove sei. Riprese a torcersi le mani una nell'altra.

Sentí all'improvviso una fitta al petto, violenta. Quasi cadde in ginocchio, fu la provvidenziale presenza di una sedia lí vicino ad evitarlo. Si sedette.

Si portò la mano al cuore, mentre il respiro cresceva. Avvertiva come una pressione proprio al centro dello sterno, come se quel muscolo rosso stesse perdendo pian piano i battiti.

No. Non deve succedere adesso. Pensò lei, mentre già un rivoletto di sudore le discese dalle tempie. Non cosí. Thranduil e Haldir...non sono vicino a me.

Provò a rilassarsi e pian piano iniziò a sentirsi meglio.

Arrivò Nim, con una brocca d'acqua e un piatto di verdure. "Ti ho portato un po' di..."

Vedendo la sua amica in quello stato, si allarmó subito.

"...che hai? Roswehn, che c'é??" le chiese.

"Nulla. Sta' calma. Sto bene, solo un giramento di testa." rispose lei.

"Sei sicura? Sei pallida. Torna a stenderti sul letto, forza. Ti aiuto." si offrí Nim.

"No. No. Anzi, voglio uscire. Portami alla terrazza, quello che amavo tanto quando vivevo qui. Dove il Re ha messo la statua che mi raffigura. Per favore." chiese Roswehn. "Aria. Ho bisogno d'aria, Nim."

 

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Capitolo 48
*** La fine della corsa ***


Roswehn Monrose osservava la scultura in legno che avevano eretto in suo onore, sulla grande terrazza ad Est del palazzo nei boschi.

Thranduil aveva dato ordine ai suoi artigiani di realizzare una raffigurazione precisa in ogni dettaglio: la Roswehn di legno era lei, sessant'anni prima.

Avevano rappresentato una ragazza di vent'anni, con i capelli sciolti dietro la nuca, con indosso un abito semplice, e sul viso un'espressione fiera e impaurita allo stesso tempo. Esattamente come si era sentita lei, quella gelida notte a Dale, quando era entrata nella tenda da campo di Thranduil e aveva umilmente chiesto di poter ascoltare la conversazione fra il Re Elfo, Bard e Gandalf. Quella notte in cui Bilbo Baggins aveva fatto la sua comparsa con l'Archengemma in mano e l'Anello di Sauron probabilmente in tasca.

Era incredibile, assurdo: quella notte, se qualcuno dei quattro avesse avuto l'intuizione, quel piccolo Hobbit sarebbe stato perquisito, gli avrebbero trovato l'Anello addosso e una tremenda catastrofe sarebbe stata evitata.

Forse.

Roswehn si chiese cosa avrebbe fatto Thranduil se avesse scoperto che l'Anello era lì, proprio davanti a lui. Forse se lo sarebbe tenuto. Magari l'avrebbe portato a Boscoverde e l'avrebbe custodito in un forziere, come le gemme di Lasgalen. 
Magari Lord Elrond e Lord Celeborn, una volta messi al corrente della cosa, si sarebbero mossi entrambi contro Boscoverde per convincere Thranduil a distruggerlo. Forse si sarebbe scatenata un'altra guerra, fra genti elfiche.

Tutto sommato, era stato un bene che quell'oggetto maledetto fosse finito per tutti quei decenni nella Contea degli Hobbit. La donna pensó a Bilbo: era certa che il veleno di Sauron gli avesse rovinato l'esistenza, il male insito nell'Anello ormai era in lui e ora stava risucchiando la forza vitale del nuovo portatore. Un altro Hobbit.

Pensare a Bilbo spalancó gli armadi delle sue memorie. Tornó con il pensiero al momento preciso in cui i suoi occhi si erano incrociati per la prima volta con quelli di Thranduil. Era uno sguardo freddo, quello del Re. Era sempre stato gelido, come se in lui non ci fosse un cuore.

Negli anni seguenti, le aveva dimostrato moltissime volte di averlo, un cuore, ma i suoi occhi erano sempre rimasti due zaffiri di ghiaccio. Come se ci fosse una barriera invisibile fra loro, che, nonostante l'impeto del loro rapporto, non si sgretolava mai.

Tante volte Roswehn si era domandata se con sua moglie Calenduin, la Regina, Thranduil avesse abbassato qualche volta la guardia e si fosse rivelato per quello che era nel profondo, con le sue debolezze, con le sue incertezze.

Ma certo, si era sempre risposta. Era sua moglie. E per quanto tu abbia passato trenta meravigliosi anni con lui, non potrai mai e poi mai dire di averlo conosciuto come lo ha conosciuto la Regina. E alla fine della sua lunga vita, sia che vada nelle Terre Immortali o che si tramuti davvero in spirito, lui e sua moglie si incontreranno di nuovo, e per l'eternità staranno insieme. Tu sei sempre stata, e sempre sarai nei suoi ricordi, la seconda. L'amante umana. Il grazioso gingillo, come diceva Edith.

"Roswehn, non dovresti stare qui. Forza, ti accompagno in camera." disse Nim, che l'aveva sorretta sotto braccio fino alla scultura. "Non è bene attardarsi fuori. Hai sentito il Re, c'é un attacco in corso. Torniamo dentro."

"Ah, smettila. Gli Orchi sono lontani, oltre i Monti." rispose Roswehn. "...mio figlio sta andando verso di loro. Haldir era un piccolo ribelle già da elfetto. Ricordi quante ne combinava? E suo padre lo puniva in continuazione, ma non è mai servito a niente. Ha ragione lui, in questo nostro figlio ha davvero preso da me. Anche mio padre ha avuto i suoi bei grattacapi, quand'ero bambina." disse l'anziana. "Preparati, Nim: essere genitori é dura. É di per sé una battaglia."

Nim sorrise. "Lo so. Lo so. Ma ora seguimi. Io non mi sento sicura qui. E i nemici non sono lontani: guarda quel fumo laggiù..." disse l'Elfa, indicando un'estesa nube nera che come un manto copriva buona parte della Foresta a sud.

"Oropher...il draghetto delle Montagne Nebbiose...è volato qui in nostro aiuto. Me lo aveva promesso." disse Roswehn, incurante delle preoccupazioni dell'amica. "Thranduil mi prese in giro quando gli dissi di aver cavalcato un Drago. Non voleva crederci. E come si arrabbió quando gli raccontai di averlo battezzato con il nome di suo padre!" sorrise la donna. "Non hai rispetto, quelle orrende creature sono un flagello per questa Terra, mi sgridó. Radagast, lo Stregone, era con noi. Fu il momento in cui ci riveló la profezia su nostro figlio. Ci ordinó di tenerlo nascosto qui. Anche in quel momento il Re non rinunció al suo scetticismo. Non si fidava di quel mago. Lo chiamava miserabile vecchio pazzo. Litigammo anche in quell'occasione, io...non sopportavo il suo cinismo." continuava a raccontare Roswehn, del tutto persa suoi ricordi.

"Sì, va bene...possiamo chiacchierare anche nella tua camera. Roswehn, ti prego: poco fa ti sei sentita male. Stenditi un po', ascoltami!" la imploró Nim, che aveva notato il pallore dell'umana.

"Ma ci siamo amati anche molto, sai? Io non capivo come Thranduil, con la sua classe, la sua eleganza, la sua bellezza, potesse provare attrazione e affetto per una come me. Insomma, una mortale: noi non siamo come voi donne Elfo. Non abbiamo la vostra perfezione. E una volta glielo chiesi, pure. Mi rispose: sei talmente imperfetta da essere irresistibile. E io mi sentii così fortunata! Non è questo ció che vogliono le donne? Trovare uno che le ami con tutti i loro difetti?" continuava a dire Roswehn.

Nim non sapeva se sentirsi agitata oppure intristita. La salute dell'umana stava precipitando, lo sentiva. Ma le dispiaceva interrompere la sua amica mentre raccontava quegli aneddoti sulla sua stramba esistenza: tramite i ricordi, tornava a sentirsi giovane e viva.

"Sono d'accordo. Peró adesso, cara...seguimi. Davvero, ho paura per te." la interruppe Nim, tirandola per un gomito.

"...è sempre stato meraviglioso...pur con i nostri battibecchi, pur con le nostre lune storte..." continuava la donna, del tutto sprofondata nelle sue visioni, quelle che Bettie Starrock conosceva a menadito e la facevano sbadigliare ogni volta. "...Eru, perchè mi hai maledetta con la mortalità?! Perché non sono nata Elfo?!!"

"Roswehn!" sbottó Nim. La strattonó per un braccio. "Torna in te! Ti prepareró un infuso alla passiflora, ti calmerà i nervi e faciliterà il sonno, questa sera. Ora peró vieni con me." le disse l'Elfa.

"Piantala di trattarmi come una povera deficiente!" urló Roswehn, allora, allontanandosi bruscamente da lei. "Io non sono una rimambita, Nim! Mettetevelo in testa, somari! Faccio quello che voglio e voglio stare qui!"

Nim indietreggió, offesa. Ecco il caratterino di fuoco che il principe aveva ereditato in toto. 
"E va bene!" rispose stizzita. "Va bene, fa' come vuoi! Resta qui ad ammirare l'incendio, se credi." 

"Non ho mai avuto bisogno di Bettie, né di te. Ho bisogno solo del mio amore e di nostro figlio." disse Roswehn, guardando l'orizzonte. "E prego che tornino presto da me."

Poi alzó di nuovo lo sguardo verso il cielo, sperando di scorgere Oropher. Ma era troppo lontano.

Ricordi cosa ti disse il Drago? Ricordi quel discorsetto sul 'vero amore' e su Haldir di Lórien? Ricordi che secondo quella Bestia alata il tuo amore per il Re non era altro che una passione superficiale? E se fosse vero?

Aveva pensato molto spesso ad Haldir, il capitano di Celeborn, dopo il suo ritorno a casa. E proprio nel periodo in cui pensava a lui con maggiore intensità, era capitata una cosa strana: le era giunta voce che un misterioso forestiero si era introdotto nel reame di Dale e aveva offerto una somma di denaro al vecchio Dom, il pittore di strada che vendeva quadri di paesaggi e ritratti, per acquistare un suo vecchio dipinto che Roswehn aveva commissionato per il suo ventunesimo compleanno. Un quadro che lei poi aveva donato a Sigrid, e che la Regina aveva ordinato fosse esposto nel grande mercato.

Un uomo suo trentacinque anni, biondo, il capo coperto dal cappuccio di un mantello, aveva chiesto a Dom di comprare il ritratto, ma il pittore si era rifiutato.

Dom, osservando con attenzione i suoi lineamenti, aveva avuto la forte sensazione che fosse un Elfo. Solo gli Elfi avevano zigomi così marcati, e occhi di un azzurro così brillante.

Le era stato riferito del misterioso individuo, e dalla descrizione approssimativa, Roswehn aveva subito pensato ad Haldir. Forse era andato a cercarla. Forse aveva sentito la sua mancanza al punto da recarsi nel reame degli Uomini per parlare con lei, per rivederla. Ma non si era presentato a casa sua. Né l'avrebbe fatto più, ormai.

E se avessi scelto LUI, tanti anni fa? Se avessi scelto di vivere nel Lórien e diventare sua moglie?

Haldir l'avrebbe sposata, ne era certa. Thranduil non l'aveva elevata mai al rango di consorte, ma il Guardiano del
Lothlórien l'avrebbe fatto, e con la benedizione di Galadriel. Che tipo di vita avrebbe avuto con lui, non sapeva immaginarlo.

Nim, nel frattempo, si era allontanata. Anche lei aveva le sue belle preoccupazioni, con Hazel lontano e una creaturina nel ventre.

Roswehn rifletté sul fatto che la vita era in fondo un grande, elaborato mosaico, e che ogni essere vivente rappresentava un tassello. L'interazione fra tutti portava a un'immagine finale...ma sarebbe stata bella o spaventosa? La tessera decisiva era quell'Hobbit senza nome. Quel mezz'uomo che si stava forse inerpicando sul Monte Fato e che avrebbe presto dovuto scegliere.

Gettare l'Anello o tenerselo. Condannare il mondo o salvarlo.

Una nuova, tremenda fitta le attraversó di nuovo il petto. Cadde in ginocchio, sostenendosi alla scultura. 
Avvertì un'improvvisa insensibilità al braccio sinistro. Non riusciva a muoverlo. "Nim...!" provó a chiamare. "....Nim!!"

Poi fu il buio. Per un momento interminabile, Roswehn rimase con gli occhi spalancati...ma non vide altro che il buio. Si accasció a terra, lentamente, e ben conscia di cosa stesse capitando.

"È la fine della corsa...la fine." mormoró.

In un lampo abbagliante, arrivó la Luce. In quell'aura che l'avvolse come un abbraccio, vide finalmente qualcosa.

Una figura che si muoveva verso di lei. I contorni erano indefiniti, ma era umana. Era un essere che le pareva sconosciuto, ma, mentre si avvicinava, Roswehn notó i dettagli del suo aspetto.

La figura parló.

Ti stavo aspettando, Elvellyn. Le disse una voce che veniva da chissà dove.

"Haldir?" disse lei.

Fu l'ultimo suono che le uscì dalla bocca.

Lo spirito del Guardiano del Lórien le sorrise.

Continua...la corsa...non è finita. Continua. 
Con me.

⚜️⚜️⚜️

"Muoviti, o ti lascio qui e me ne vado a Rivendell per i fatti miei!" urló Goneril al principe Haldir, che si era improvvisamente fermato nel mezzo del bosco. Goneril imprecó e tornó indietro. "Ma si puó sapere cosa ti prende?"

L'Elfo aveva lo sguardo perso nella foresta. La sua pelle chiara come avorio sembró acquisire una sfumatura grigiastra. Era come travolto da un improvviso, dolorosissimo pensiero.

"Allora? Muoviti, altezza, o quei mostri ci troveranno." gli ringhió. Ma poi, di fronte agli occhi spalancati del giovane, si zittì.

"Mia madre é morta." sussurró Haldir.

Goneril seppe che era vero. Il legame psichico del principe con Roswehn era fortissimo. Bastava guardarlo in faccia per capire che in lui si era spento qualcosa, e non sarebbe più ricomparso.

"É morta...da sola. Io e mio padre non eravamo con lei." disse Haldir, cadendo in ginocchio. Si portó le mano al viso. "Grande Eru!..." urló al cielo. "Perché?!"

Inizió a piangere.

Se Goneril avesse avuto un cuore e non un pezzo di roccia nel petto si sarebbe a sua volta sciolta in lacrime di fronte a quel bellissimo mezz'elfo disperato e inerme di fronte al più grande dolore che ogni creatura al mondo puó provare. La scomparsa della madre.

Ma la guerriera ne aveva viste troppe, di scene del genere. Solo che, era lei di solito la causa di quella disperazione: era lei l'assassina di uomini e a volte donne, che dietro di loro lasciavano parenti distrutti.

Non sarebbe riuscita a consolarlo neanche se ci avesse provato.

E infatti, non ci provó.

Gli concesse qualche minuto per sfogarsi, poi peró decise di intervenire. "Senti," disse. "...hai scelto di venire con me in missione. Volevi combattere. Ora...non si torna indietro."

"...naneth..." continuava a singhiozzare Haldir. Ora era messo a carponi, i pugni affondati nel terreno. "Come ho potuto..."

Goneril andó verso di lui e lo afferró per le spalle. "Tu sei un futuro Re! In piedi, allora! In piedi, Principe!"

"Non c'é più..." rispose Haldir, le guance bagnate dalle lacrime.

"Non so se esiste un'altra vita per noi umani. Ma se esiste, sono sicura che ti stia già guardando. Alzati, allora!" insisté Goneril, aiutandolo a mettersi in piedi.

"Mio padre...devo tornare...devo stargli vicino." disse Haldir.

"Un po' tardi, adesso. Forza, seguimi. Tempo di crescere, altezza. Questa è la tua prima battaglia...contro un Nazgûl, nientemeno. Vediamo se sei degno figlio di tua madre e di tuo padre." gli disse Goneril. "Piangerai per lei al tuo ritorno. Quando sarà tutto finito."

"Combattere? Io non posso, non ce la faccio. Concedimi del tempo, ti scongiuro..." imploró Haldir.

"Quanto tempo credi di avere? Presto le orde di Sauron valicheranno i monti e si presenteranno qui. Quel Drago forse sta domando le fiamme, ma non puó sterminarli tutti. Dobbiamo colpire il loro condottiero, quello Spettro. Muoviti!" lo spronó ancora lei. Poi puntó un dito verso di lui, minacciosa. "Muoviti, o giuro che ti taglio la testa!"

Haldir sembró scuotersi, a quelle parole. "Lo faresti davvero. Non sei nient'altro che un'assassina." le disse, asciugandosi le guance con una mano.

"Puoi scommetterci. Se vuoi ti riunisco subito a tua madre. Ma credo...che a te interessi vivere." gli rispose.

"Sì." cedette infine l'Elfo. "Ci vuole un demonio crudele come te per affrontarne un altro. Se la vittoria sarà nostra..."

"Sarà nostra." promise Goneril. "Ma adesso concentrati. Sarà difficile anche solo avvicinarsi a quel Nazgûl. Una volta davanti a lui, farai esattamente quello che ti dico. D'accordo?"

"Va bene. Ti seguiró." rispose Haldir. "Per mia madre. Ció che é iniziato a Dale tanti anni fa finirà oggi. Questa é l'ultima volta che quei mostri attaccano il nostro amato Est."

"Grandioso. Amo le buone intenzioni, e ancora di più chi le rispetta. Andiamo, principe, andiamo a fargliela pagare. E dopo, nessuno si azzardi più a venirmi a cercare. Fine della mia storia." disse Goneril.

"Da parte mia, te lo giuro." promise Haldir. "Voglio dimenticarmi di averti incontrata."

"Vale anche per me. In marcia, adesso. E non fare rumore." gli disse lei. "Tra non molto li vedremo. E vedremo anche l'Ombra dell'Est, quel rinnegato."

"Cosa faró una volta davanti allo Spettro?" chiese Haldir.

"Lascialo a me." rispose Goneril. "Tu servirai da esca."

 

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Capitolo 49
*** Battaglia nella foresta ***


L'urlo di Nim si elevó oltre le cime degli alberi secolari. Riecheggió nel palazzo, e arrivó alle orecchie di Morath. Subito corse dalla figlia.

"Roswehn!" gridava la ragazza Elfo, accovacciata a terra, col capo dell'amica poggiato sulle sue ginocchia. "Roswehn! Parlami! Parlami!"

L'anziana donna umana, peró, non dava alcun segno di vita. Anzi, le gote raggrinzite stavano già assumendo il tipico colorito cinereo dei cadaveri.

"Madre! Aiutami!" gridó Nim a Morath, quando la raggiunse. Anche altri Elfi erano accorsi: tutti assiepati attorno a Nim, che disperatamente scuoteva il corpo di Roswehn, nel tentativo inutile di riportarla indietro. "Non risponde! Non respira!"

"Smetti! Smettila, Nim!" le disse Morath, che non ci aveva messo più di un secondo a capire. "...se ne é andata."

La figlia, peró, non pareva arrendersi a quell'evidenza. Continuava a sfregare le mani di Roswehn con le sue, come se tentare di scaldarle potesse in qualche modo riportare una scintilla di vita nella donna. "No! Si è sentita male anche prima...ma adesso si riprenderà! Ci vuole solo del tempo! Portatemi un cuscino...glielo metteró sotto la testa finché...."

"La sua anima ha lasciato il corpo! É in pace, ora." disse Morath, cingendo con le braccia quelle della figlia, che si dimenava, ancora incredula. Poi si giró verso gli altri Elfi. "Qualcuno ci aiuti a portare Roswehn nelle stanze del Re. E un soldato vada a dare la notizia a Lord Thranduil. É partito alla ricerca del figlio...dovete raggiungerlo!"

"Noooo!" urló Nim, che finalmente realizzó. "...l'ultima volta che ci siamo parlate abbiamo litigato! Se ne è andata prima...prima che potessimo riconciliarci! Non é giusto!" gridó, mentre quattro guardie issarono il cadavere dell'umana e si diressero verso gli appartamenti reali.

"Nim...ascolta: io credo che Roswehn non abbia mai avuto una vera amica in vita sua. A parte te. Un minuto non puó cancellare quello che sei stata per lei, né quello che hai fatto per lei, nei suoi anni qui a Boscoverde. Non avrei rimorsi, se fossi in te." cercò di consolarla sua madre. "Doveva succedere, lo sapeva anche lei...le restava poco da vivere. Se ne é andata in serenità. Ha rivisto suo figlio, e il Re. Ti prego, Nim. Smetti di piangere."

La ragazza elfo si appoggió a una colonna. Si portó un lembo della veste agli occhi, per asciugarli. "Il principe...il Re... sono lontani. Dovevano starle vicino. É così ingiusto!" singhiozzó ancora. "Perché devono morire...perché gli umani devono morire?!"

Morath poggió la mano sulla spalla della ragazza Elfo. "Perché é la loro natura. Cosí dev'essere, secondo la volontà di Eru. Questa sera dovremo iniziare la veglia funebre. Accendiamo candele e facciamo bruciare l'incenso, come nostra usanza. Dovremo anche preparare Roswehn, cambiarle l'abito. Il Re deve vederla al meglio, fin sul letto di morte. Aiutami, Nim."

L'Elfa scoppiò di nuovo in lacrime. Anche Morath era rattristata dalla situazione, ma a differenza di sua figlia, aveva compreso da tempo che Roswehn sarebbe rimasta poco con loro. Si era mentalmente preparata a un'eventualità come quella, e sapeva di dover essere forte anche per Nim: la giovane Elfa non aveva esperienza in fatto di morte così come non aveva avuto esperienze in fatto di amore, prima di incontrare Hazel.

"Il Re...sarà distrutto alla notizia...e Haldir..." continuava Nim, "...oh mamma...il principe..."

"Entrambi sapevano che il destino della mortale era questo. Sarà penoso per loro, ma sopravviveranno. Ti lascio sfogare il tuo dispiacere, so che le volevi bene. Ma dopo avró davvero bisogno di te. Fatti forza, e appena puoi raggiugimi nella grotta del Re." Le disse sua madre, per poi dirigersi verso gli appartamenti sotterranei.

Nim uscì di nuovo sulla terrazza. La vista della statua di legno la fece ripiombare nello sconforto. "Tutto finito. I tuoi ricordi, quello che hai visto nei tuoi viaggi, le sensazioni che hai provato. É sparito tutto, é stato cancellato per sempre." disse Nim fra sé, e improvvisamente realizzó il vero significato della mortalità. La fine, un vortice nero che inghiottiva quello che un tempo era stata vita.

Il nulla, per sempre. Ció che agli Elfi era stato risparmiato.

Era molto preoccupata per la reazione del Re. Thranduil, anni prima, era tornato alla felicità con Roswehn, dopo aver pianto la sua Regina per secoli. Come avrebbe affrontato un nuovo lutto, un nuovo colpo al suo cuore? Avrebbe avuto la forza di continuare a difendere Boscoverde, dopo aver ricevuto la notizia?

Pensó a suo marito. Aveva bisogno di averlo vicino, in quel momento più che mai.

"Hazel." disse ancora. "Torna presto, ti scongiuro."

⚜️⚜️⚜️

"Hanno valicato i Monti. Quei maledetti hanno valicato i Monti!" eclamó Goneril, appena udì in lontanza i versacci degli Orchi in avvicinamento. "Devono aver scavato cuniculi sotterranei."

Haldir si avvicinó a lei. "Sono pronto a combattere. Che si facciano avanti!" disse, gli occhi ancora rossi dal pianto. Goneril ammiró la forza d'animo del principino elfico. Sembrava essersi ripreso dallo shock per la morte della madre. O forse, stava tentando di non pensarci affatto.

"No. Sono troppi per noi due. Dobbiamo cercare un nascondiglio e lasciarli passare. Non sono loro il nostro bersaglio, comunque. Vieni!" disse ad Haldir, dirigendosi verso un punto nella foresta pieno di fitti cespugli.

I due si nascosero dietro quella barriera di arbusti e sbirciarono fra le sterpi. "Passeranno senza notare la nostra presenza. Siamo controvento, non sentiranno nemmeno il nostro odore."

"Ma io sento il loro!" disse Haldir, con una smorfia. "Odore acre di morte."

"Silenzio." gli intimó la guerriera.

Presto le creature di Sauron fecero la loro comparsa: prima sei esploratori, mandati avanti con i Mannari, e dopo tutti gli altri. Gli Orchi avanzavano prudenti attraverso il bosco, girando lo sguardo a destra e sinistra in cerca di Elfi. Uno di loro sorprese un tasso che girava per i cespugli e lo uccise con un colpo di mannaia. Gli staccó la testa e se la portó alla bocca.

"Fermo!" comandó un altro Orco, evidentemente in posizione di comando. "Non é tempo per mangiare!" lo rimproveró, con la sua voce biascicata.

"Ma ho fame. Siamo in marcia da due stramaledetti giorni..." protestó l'altro, gettando via la testa dell'animale.

"Mangeremo dopo!" ringhió il capo del gruppo. "Banchetterai sul cadavere del Re!"

Tutti risero.

Haldir afferró l'elsa della spada e fece per scattare in avanti. Senza dire una parola, Goneril gli bloccó la mano. No, gli dissero i suoi occhi.

"Carne di Elfo! Mai provata! Deve essere tenera!" disse uno dei mostriciattoli.

Improvvisamente, si udì un nitrito di cavallo. Un verso acuto e sgradevole. Haldir e Goneril si portarono le mani alle orecchie.

Anche gli Orchi sobbalzarono. Tutti si girarono all'indietro e la donna ebbe l'impressione che le loro orecchie si appiattissero, come quelle dei gatti quando si prendevano un grosso spavento. C'era qualcosa di minaccioso dietro di loro. Qualcosa a cui quegli esseri erano sottomessi.

"Muoviamoci!" gridó uno. "Non facciamolo arrabbiare! Avanti con la marcia!"

La soldatessa intuì che doveva trattarsi del Nazgûl. Era dietro la compagnia di Orchi, li seguiva.

"Eccolo." disse sottovoce al principe. "Arriva. Sta' pronto."

"Lo Spettro?" sussurró Haldir. Goneril sentì il suo respiro farsi più affannoso. "Sì. Khamûl, l'Ombra dell'Est. Sta' calmo. Lo vedremo a momenti. Scambiamoci le spade." ordinó Goneril.

"E perché?" volle sapere Haldir.

"Niente domande, Elfo. Capirai a breve, prestami la spada di tuo nonno. Tieni la mia." gli rispose, dandogli la spada aurea e prendendo quella di Oropher. Era pesante.

Quando la masnada di Orchi fu passata, i due videro un imponente cavallo nero farsi largo fra gli alberi e i cespugli. Entrambi notarono come il suo incedere portasse con sé una scia di veleno: ogni foglia, filo d'erba, fungo che veniva calpestato o sfiorato da quella bestia nera, appassiva, marciva.

L'aspetto stesso del cavallo non era affatto gradevole. Quello non era un magnifico stallone come Aldair. Era un destriero malato, la criniera era come impregnata di uno strano liquido nero, che colava sulle zampe e sugli zoccoli.

Ma era chi lo cavalcava, a far saltare il cuore nel petto della donna.

Sulla groppa di quella bestia maledetta c'era una figura in forma umana, del tutto coperta da un mantello che sembrava fatto di stracci neri. Il cappuccio del mantello era tirato su a coprire il viso...sempre che l'avesse avuto, un viso. Le mani erano quelle di uno scheletro, o così sembró a Goneril. Sulla schiena, contenuta da una fodera, portava una lunga spada. Quella creatura era un fantasma, un essere spirituale...ma in quel momento le sembró terribilmente reale.

Haldir ricacció giù  un singulto di paura.

Videro lo Spettro girare la testa nella loro direzione.

"Ecco. Ti ha individuato." sussurró Goneril.

Haldir si spaventó. "Cosa? Come puó averlo fatto? Siamo nascosti!" bisbiglió in risposta.

"Sente la tua presenza, come puó sentire l'Anello. I Nazgûl sono attratti dall'Unico, sentono il suo richiamo. E anche da te...prezioso strumento di Morgoth." spiegó lei. "Scommetto che i tuoi genitori non ti hanno raccontato la profezia che ti riguarda, eh?"

Haldir spalancó gli occhi. "No. Di che parli?" sussurró agitato.

"Direi che questo non é il momento opportuno per i chiarimenti...sappi solo, che quel gentile spirito là fuori farà di tutto per mettere le sue ossute mani su di te, nei prossimi minuti." gli disse lei. "E tu...devi farlo venire nella tua direzione."

"E tu che farai?" le chiese Haldir, confuso.

"Io? Beh, io ti lascio per il momento, principe. Ora mostrati a lui, fa' che si avvicini. E dopo, aspetta il mio segnale." gli disse lei, allontanandosi.

"Bugiarda, lo sapevo! Stai scappando! Mi lasci solo!" protestó il principe.

"Non ti resta che fidarti di me, a quanto pare. Fa' quello che ho detto. Attiralo verso di te. E non permettere che ti colpisca con la sua lama. É avvelenata, t'infetterebbe con la morte." detto ció, Goneril sparì fra le fronde.

Haldir tornó a guardare davanti a sé e vide che lo Spettro era smontato da cavallo. Impugnava con entrambe le mani la sua spada e di avvicinava lentamente.

Decise di mostrarsi. Emerse dalle sterpaglie, brandendo a sua volta l'arma dorata di Goneril.

"Io sono Haldir, figlio di Re Thranduil. Principe di Boscoverde. Ti comando...di lasciare il nostro territorio." gridó, in uno sforzo di sembrare autoritario.

Ma il Nazgûl non sembró impressionato. "Fa' silenzio...mezzo sangue...sarai lo schiavo prescelto di Morgoth...il mio padrone ti sta cercando da molto tempo." sibiló una voce cavernosa. Quell'essere aveva parlato. "Consegnati a me."

"Non sono schiavo di quel demonio! Vattene dal nostro Regno! Vattene, o muori!" urló Haldir.

"Morire?..." disse Khamûl. "Sarai tu a morire. E la tua morte, significherà nuova vita e trionfo per l'Antico Re. Vieni con noi." disse lo Spettro, allungando la mano verso Haldir. "...di tua volontàScegli di arrenderti. Oppure...scegli la via del dolore."

Haldir, a quelle parole, decise che era venuto il momento di cambiare i connotati del Nazgûl. Nessuno poteva dire al figlio di Thranduil e di Roswehn Monrose di arrendersi.

Si lanció contro lo spettro con tutta la velocitá di cui fu capace, ma Khamûl riuscì a parare il colpo e rispose con un altro che per poco non fece perdere l'equilibrio al principe. Subito Haldir ripetè l'affondo, stavolta mirando a un fianco, come gli aveva insegnato Feren. Riuscì a colpire il Nazgûl...ma la sua lama non fece spillare alcun sangue. Era uno spirito, e perció praticamente inattaccabile. Vide solo lo Spettro rimbalzare all'indietro, e rimettersi subito in piedi. Come nulla fosse successo.

Haldir tentó un altro attacco, al centro del petto del Nazgûl, ma la sua lama attraversó quel corpo immateriale senza colpo ferire.

Urló di frustrazione.

Khamûl sembró godere dell'impotenza dell'Elfo e passó al contrattacco. Si accanì sul principe con una serie di colpi ripetuti della sua lama morgul, attacchi che Haldir riuscì a respingere, ma che lo portarono a indietreggiare.

D'un tratto, il suo tallone destro incontró un ostacolo: una radice che sbucava dal terreno lo fece cadere all'indietro. La spada d'oro scivoló dalla mano e finì a un metro da lui.

Vide lo Spettro impugnare la sua spada nera con entrambe le mani e preparasi a trafiggerlo.

"Non provarci, razza di mostro." si udì una voce. Una voce di donna.

Khamûl fece appena in tempo a girarsi che una lama gli trapassó la schiena, e spuntó dallo sterno, proprio davanti a un incredulo Haldir.

Il Nazgûl gridó di nuovo. Fu un urlo così acuto che al principe quasi scoppiarono i timpani. Si coprì le orecchie con le mani.

Dopo quel colpo a tradimento, successe qualcosa allo Spettro. Sembró contorcersi, come preso da spasmi incontrollabili. E il suo corpo divenne...materiale. Tornó a essere di carne e sangue. Crollò su se stesso, la cappa nera si abbassò rivelando il volto.

Goneril rabbrividí di fronte alla mostruosità che si sveló a quel punto: quella era la testa di un cadavere, di una mummia. Un viso privo di naso, occhi e labbra. Una sorta di teschio animato.

"Colpiscilo, Haldir! Colpiscilo adesso!" urló Goneril.

L'Elfo saltó in piedi e la donna gli lanció la spada di Oropher. Traendo un profondo respiro, Haldir alzó le braccia e taglió di netto la testa di Khamûl.

L'essere cadde riverso a terra, e rimase immobile.

Haldir stette a contemplarlo per qualche istante, poi alzó gli occhi sulla soldatessa. "É morto? ...cioè, é morto davvero?" chiese.

"Sicuro." rispose lei, osservando il cadavere. "Che più morto non si puó."

Appena ebbe detto ció, il corpo del Nazgûl iniziò a sgretolarsi. Si trasformó in un cumulo di polvere nera, subito trasportata via da un mulinello d'aria. 
I due osservarono quei pulviscoli roteare in cielo e infine sparire.

Haldir crolló in ginocchio, stremato.

Goneril andó a raccattare la sua spada dorata. Poi si giró verso il principe. "Oggi hai vinto la tua prima battaglia. Congratulazioni." gli disse. "La tua prima vittima é stato un Nazgûl: non é da tutti."

Haldir si passò una mano sul viso. "L'hai sconfitto tu, lo sai."

"Io ho già molti trofei, principe. Lascio a te la gloria di questo giorno." rispose lei.

Dal bosco arrivò un improvviso frastuono: echi di grida, ruggiti, clamore di battaglia.

"Gli Orchi...stanno tornando indietro. Hanno sentito l'urlo del Nazgûl. Sta' pronto." gli disse Goneril. "Non é finita."

Poi un nuovo richiamo.

"É un corno elfico! Hazel! Stanno combattendo, devo andare!" esclamò Haldir, e fece per lanciarsi nel fitto della foresta.

"Addio, principe." disse lei.

Haldir si girò. "Vieni anche tu. Ho ancora bisogno di te. Il mio reame ha bisogno di te. Uniti!" le porse la mano. "Uniti alla vittoria!"

"No. Ti lascio. Io credo che tu e i vostri soldati siate più che sufficienti a sterminare quattro orchetti, qui a Boscoverde. Non hai più bisogno di me. Mantieni la promessa e lasciami andare a Rivendell." disse Goneril. "...io non sono più in debito con nessuno. Lascia che io continui con la mia vita."

"...la vita che io ho deciso di regalarti. Non dimenticare che se non ti avessi lasciata scappare dalle nostre prigioni saresti ancora chiusa in quel loculo. E ti dissi: chi può combattere deve farlo. Stai con noi, fino alla fine. Dopo, nessuno ti ostacolerà più." rispose Haldir.

Nel discutere, non si erano accorti che una figura in armatura si stava avvicinando lentamente, nascosta dai tronchi d'albero.

"Io e te non la vediamo allo stesso modo, altezza. Mi dispiace, ma per me il discorso si chiude qui." ribatté Goneril.

"Non muoverti da quel punto. O il discorso lo chiudo io." disse la voce del Re. "E stavolta per sempre."

 

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Capitolo 50
*** Un'altra vita ***


"Padre!" gridó Haldir, non appena Thranduil fece la sua comparsa. Aveva ancora gli occhi fissi su Goneril, e da essi traboccava un odio feroce, ostinato, del tutto inconsapevole di quel che era successo: solo pochi attimi prima la donna aveva salvato la vita a suo figlio.

Il Principe corse verso il Re. "Padre..." disse ancora. "Lo abbiamo ucciso! Lo Spettro..."

Un manrovescio di Thranduil lo fece cadere a terra lungo disteso. Il suono della sberla fu attutito dai guanti neri che indossava il Re, ma la sua forza fu tale da far fare un mezza giravolta al giovane Elfo.

Goneril sobbalzó alla scena.

Thranduil lasciò cadere lo sguardo freddo sul figlio, che, dopo un momento di incredulitá, si portó una mano al viso e inizió a singhiozzare. Mai, prima di quel giorno, suo padre lo aveva colpito.

"Questa é la tua ultima disobbedienza, Haldir." disse il Re. "Ho sopportato abbastanza le tue continue impudenze, la tua condotta palesemente ostile verso di me, i tuoi sfacciati atti di ribellione. Sei scappato, lasciando me e tua madre nell'angoscia. E ...hai osato perfino rubare le mie proprietà." si chinó a raccogliere la spada di suo padre Oropher, finita a terra. "L'amore di un padre per il figlio ti ha protetto dalla mia ira, fino a questo momento. Ma poiché non posso più tollerare questi comportamenti, d'ora in avanti non sarò un padre per te. Sarò solo il tuo Re, e come tuo sovrano ho intenzione di punirti. Hazel!" chiamò.

Subito si udirono passi affrettati dal bosco. Il marito di Nim, con al seguito i suoi Elfi arcieri, raggiunse il Re. "Lord Thranduil! Gli Orchi sono stati quasi tutti sterminati. Ma qualcuno é riuscito a scappare. Dobbiamo seguirli!" lo informò.

"Haldir é in stato di arresto." rispose invece Thranduil. "Legategli le mani dietro la schiena. E anche quella donna maledetta...é una fuggitiva. Catturatela!" comandò il Re.

Subito cinque soldati corsero verso Goneril e la circondarono, puntandole addosso le loro frecce.

"Ci risiamo..." sospirò lei. "State solo perdendo tempo, Maestà." gli disse.

Haldir e Hazel, nel frattempo, erano ammutoliti. Si guardavano del tutto confusi. Arrestare il principe?

Thranduil notó lo sconcerto generale. "Allora Hazel? Ti ho dato un ordine." comandò di nuovo, agitando in aria la spada del padre, per ripulirla dal fango. Poi andò verso Haldir e lo afferrò per un braccio, obbligandolo ad alzarsi. "Legatelo."

"Padre...perché fai questo?" pianse Haldir. "...ma non capisci?"

"Capisco solo che due giorni fa sono andato a prendere tua madre, l'ho riportata da noi... per te. Perché poteste ricongiungervi. E tu sei scappato e l'hai lasciata sola, infischiandotene del dolore che le avresti dato. E' perfino indegno quel che hai fatto. Meriti di essere punito, lo sai." gli disse il Re.

"É morta, padre." rivelò Haldir.

Cadde il silenzio.

Thranduil sembrò colpito da un fulmine. I suoi occhi glaciali si spalancarono, e in quel momento Goneril vide chiaramente sul suo viso la smorfia straziante di chi sente il suo cuore andare in mille pezzi.

Il Re poggiò le mani sulle spalle del figlio. "Cosa hai detto?"

"Ho sentito il suo spirito estinguersi. Il suo cuore fermarsi. Il suo addio al mondo. Eravamo entrambi lontani da lei. Perciò se mi devi arrestare, fallo per questo motivo: ho lasciato mia madre morire da sola. Ma se questo é un crimine...sei colpevole anche tu." singhiozzò Haldir.

Thranduil si girò verso Hazel. "Non ne so niente, Maestà. Ho affidato Roswehn a Nim, e mi ha detto che la sua salute era abbastanza buona..." gli disse il capitano, confuso. "Cosí, d'improvviso?"

"Se mio figlio dice che é sua madre morta...é vero." mormoró il Re. Infine era successo.

Roswehn. Il suo amore umano, il secondo grande amore della sua vita.

Si portò le mani al viso. "Valar...anche questo..."

"Non sarebbe capitato, se aveste lasciato vostro figlio libero." intervenne Goneril, per nulla commossa dalla situazione. "Lo avete portato voi a ribellarsi, lord Thranduil. Avete pungolato voi il suo spirito con i vostri assurdi divieti. Ha lasciato il Palazzo mosso dallo strazio di essere rinchiuso. La vostra amante é morta di crepacuore, dopo la sua fuga, ci scommetto. Che pena."

Il Re alzò gli occhi su di lei. La donna vide che erano rossi, già sull'orlo del pianto. Ma in un attimo si riempirono di quell'astio che aveva imparato a conoscere.

Thranduil si mosse deciso verso la guerriera, alzando la spada del padre. "No, non finirai nelle mie prigioni. Verrai giustiziata qui, da me." le ringhiò. "Oggi Roswehn non sarà l'unica umana a morire a Boscoverde."

Prima Feren che lo accusava di aver sbagliato con suo figlio e adesso anche quella strega criminale assassina? No, decisamente quello era troppo per la capacità di sopportazione di Thranduil.

Haldir corse verso il padre e gli afferrò il braccio. "No! Fermo!"

"Lasciami, te lo ordino!" gli rispose il Re, divincolandosi. "Non osare!"

"Padre...mi ha salvato! Mi ha salvato la vita!" lo implorò il principe. "Risparmiala!"

"Ti ha salvato...la vita?" ribatté Thranduil. "Non lo crederò mai."

"Sí...un Nazgûl...c'era un Nazgûl! Lo abbiamo affrontato insieme. Goneril lo ha colpito con la spada del nonno poco prima che mi ferisse. E poi...io l'ho ucciso." disse Haldir, tutto d'un fiato.

Thranduil si liberò con uno strattone dalla stretta del figlio. "Non dire assurdità."

"L'Ombra dell'Est. Era qui pochi minuti fa. Lo abbiamo sconfitto, padre...insieme." continuò il principe. Poi guardò verso Goneril. "...vero?"

"Fareste meglio a crederci, Maestà." confermò lei.

"E dov'é il suo corpo, Haldir?" gli chiese.

"Si é...tramutato in polvere. Si é come incenerito." spiegò, e si girò ancora verso la soldatessa. "...vero?" ripeté.

"É inutile, principe. Tuo padre vede solo quello che vuole vedere. E qui, ahimé, non c'é nulla, nessuna prova." rispose amaramente la donna. Perfino il cavallo nero del Nazgùl era scomparso. "Pensa...un'impresa cosí clamorosa, eliminare un Nazgûl...e non riceverai alcun onore per questo."

"Un momento...c'é qualcosa lí!" disse Hazel, osservando in punto fra l'erba alta. "Guardate."

Il Re e Haldir si avvicinarono al punto indicato dal capitano. Goneril era sempre immobile, circondata dai soldati.

"...cos'é questa?" chiese Hazel, raccogliendo una spada dal terreno.

Thranduil capí al volo. "Getta a terra quell'affare." ordinò. "Subito."

"É una lama morgul." disse Goneril da lontano. Poi sorrise beffarda. "L'arma dello Spettro."

Hazel si girò a guardarla. "Potrebbe anche averla persa un Orco."

"No." intervenne Haldir. "Era sua. Può essere solo di un Nazgûl."

"E perché?" chiese Hazel. "Come ne siete certo?"

"Avanti, spiega, principe. Vediamo se questi anni passati a studiare sono valsi a qualcosa." urlò ancora Goneril. Era salva, lo sapeva. Il ritrovamento di quella spada era la prova della loro versione.

"Primo, perché me l'ha puntata addosso. Poi, i Nazgûl sono Spettri che possono essere colpiti, ma non uccisi...almeno...prima di oggi. Ma le loro spade sono reali, e sono impregnate di un veleno...chiamato l'Alito Nero. Quando un Nazgûl trafigge una vittima con la spada, l'arma si spezza, la punta resta conficcata nelle carni del malcapitato e il veleno scorre nel suo sangue. Presto, si tramuta anch'egli in Spettro. Il resto della spada, si incenerisce. Questa é integra, segno evidente che non ha colpito." spiegò l'Elfo. Thranduil chinò il capo. Sí, in fondo era plausibile.

"Quell'arma era destinata a ferire vostro figlio." disse Goneril a Thranduil. "Ma ha mancato il bersaglio...grazie a chi c'é qui di fronte a voi."

"É vero." confermò Haldir. "Ha protetto la mia vita. Merita il tuo perdono e la libertà."

Thranduil girò lo sguardo prima sul figlio, poi sulla guerriera."...ha protetto la tua vita, dici? Qualche tempo fa questa donna è andata a Dale per togliere la vita a tua madre."

"Ma non l'ho fatto." ribatté lei.

"...non l'hai potuto fare perché la magia di Elrond l'ha protetta. Non certo perché degli scrupoli ti hanno fermata." continuò Thranduil. Poi sembrò perdersi in un pensiero improvviso. "....la stella del vespro...quel ciondolo..." si girò verso il figlio. "Haldir, tua madre portava quel pendente di cristallo al collo, quando l'hai lasciata?"

Haldir non capí il senso di quella domanda. "Quel fiore, intendi? Sì, non se l'é mai voluto togliere dal suo arrivo."

Il viso del padre s'illuminó e venne attraversato da un lampo di quel che sembrava speranza. "Allora, forse..." mormoró. "Avanti, torniamo a Palazzo. Tutti."

Hazel gli chiese: "Maestà perdonate...devo arrestare davvero il principe?"

Il Re si giró a guardarlo. "Sorveglialo. Ma non legarlo." guardó poi il figlio. "Ti concedo un'ultima possibilità, come premio per quel che hai fatto. Quello Spettro era il flagello del nostro territorio. Ma non osare mai piú..."

"...disobbedirti. Lo so. E te lo giuro." rispose il Principe. "Voglio andare da mia madre adesso."

"Hey!" gridó Goneril. "Che ve ne fate di me?"

Thranduil fece un cenno ai suoi soldati, che si allontanarono da lei. "Vattene. Sei libera, per quel che mi riguarda. Ma ti avverto: esci da Boscoverde e non rientrare mai più. Se ti avvicinerai ancora ai nostri confini, farai la fine del Nazgûl, ti elimineró di mia mano."

Goneril sorrise di trionfo. Un ghigno che infastidì il Re. "...e sappi questo: oggi mio figlio ha perso sua madre, ma tu ieri hai perso tuo padre. Notizie sono giunte da Gondor, sui campi del Pelennor é stata combattuta un'immane battaglia. Théoden é rimasto ucciso. E anche...quella sua nipote." le disse Thranduil.

Goneril per un attimo sentì il terreno mancarle sotto i piedi.

(Éowyn?)

"...dunque sei ufficialmente un'orfana, adesso. La tua vera famiglia é in gran parte cancellata. Sei erede di sangue, hai una corona da reclamare. Non ti resta che cercare quell'Éomer...e presentarti a lui, scommetto che sarà felice di rivederti, altezza...o dovrei dire...Vostra Maestà." aggiunse ironicamente Thranduil. Poi si voltó e fece per andarsene, seguito dai soldati. Haldir rimase fermo a guardare Goneril.

(Éowyn!)

"Padre...non possiamo lasciarla qui. Gli Orchi sono ancora in giro... se la trovano..." obiettó il giovane principe.

"Non ti preoccupare, figlio mio. La donna é una guerriera imbattibile. Il nostro caro Amon l'ha addestrata. Non corre pericoli." aggiunse con perfidia il Re .

"Mia cugina..." mormoró Goneril. 
Sembrava che un carro l'avesse investita.

Haldir si giró ad osservarla ancora. "Muoviti Haldir. Non voltarti. Tua madre ci sta aspettando." disse il Re. "Le daremo insieme il nostro ultimo saluto."

"Éowyn è morta...mio padre...morto..." continuava a dire Goneril. "...prima che ci fosse concesso di volerci bene."

A quel punto, sopraffatta da un nuovo e sconosciuto dolore, la donna dell'Est buttó la testa indietro e urló al cielo.

⚜️⚜️⚜️

Nim tamponó le braccia di Roswehn con un telo pregno di polvere profumata. Le venne in mente la notte del Solstizio d'estate di molto decenni prima, la prima notte in cui il loro Re e l'umana avevano dormito insieme. Anche in quell'occasione, lei e sua madre avevano preparato Roswehn per lui.

"La storia si ripete..." sussurró l'Elfa. "Ma questa é una circostanza ben più triste."

"Sembra serena, vero?" disse Morath, mentre le pettinava i capelli bianchi. Avevano deciso di mettere dei piccoli ornamenti d'argento nella chioma, per mascherare le chiazze di cute che si intravvedevano. "Sembra in pace."

"Peró...guarda la sua pelle, bianca e  cadente...é brutto che debbano invecchiare in così breve tempo." sospiró Nim, aprendo i bottoni dell'abito, per cambiarla. Avevano deciso di metterle un abito in velluto bianco, colore preferito da Thranduil.

"Dobbiamo toglierle la stella del vespro, mamma?" chiese ancora Nim, osservando la collanina.

Morath si avvicinó. "Portava questa al collo quando é morta, vuoi dire?"

"Sì, certo. Non gliel'ho messa io." rispose Nim.

Morath si coprì la bocca con una mano, in una smorfia di incredulità. "Ma allora...allora..." disse.

"Cosa? Che significa?" chiese Nim.

"...questo é un oggetto di immenso valore. Chi lo porti su di sé é benedetto...è una specie di...ecco..." sembrava che Morath non riuscisse a spiegarsi. "...di salvacondotto...di chiave ...che dà accesso alle aule di Mandos."

"Sì ma lei é...era umana. Non puó varcare il regno di Mandos." disse Nim.

"Forse sí." Morath sembrò persa in una visione. "...forse la sua vita continua...nel nostro aldilà. Forse il suo spirito non si é perso nel nulla."

Nim guardò la sua vecchia amica. In effetti, il suo volto sembrava quasi radioso. Come se in punto di morte avesse visto qualcosa di meraviglioso. "Quando il Re tornerà, saprà darci risposte più complete. Ma spero tanto che sia come dici tu, mamma."

"Se la sua anima permane... da qualche parte... lei e il Re, e il principe, potrebbero ritrovarsi un giorno." continuò Morath.

"Sarebbe giusto." aggiunse Nim. "Tutti dovrebbero aver diritto a una vita immortale. Roswehn lo diceva sempre."

"In verità, non esistono vite immortali. Nemmeno la nostra lo é, se ci pensi. Sai cosa dá davvero la vita eterna?" chiese Morath. "I figli. La perpetuazione del nostro sangue. Sapere che i tuoi insegnamenti, i tuoi sacrifici, non sono stati vani. Sii una buona madre, Nim. Ricordatelo."

"Sí." rispose Nim, portandosi la mano al ventre. "Io ci..." poi si fermó. "Mamma! Non ti avevo ancora detto di essere incinta! Come lo hai capito?"

"Credevi di tenermelo segreto? E conosco giá il suo sesso. É una femmina." rivelò Morath. "Tutti i primogeniti della nostra famiglia sono femmine."

Nim era incredula. "Una piccola elfa..." sorrise. Poi guardò Roswehn. "...sai...mi é appena venuta un'idea per il suo nome."

 

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Capitolo 51
*** Un nuovo sole ***


"Roswehn odiava il suo nome. Lo ha sempre odiato. Sentiva che non le apparteneva del tutto. In Dalish, la lingua degli umani di Dale, significa rosa bianca. Lei mi diceva sempre: le rose bianche rappresentano la purezza, l'innocenza, e la fragilità. E io mi sento tutto fuorché pura, innocente e fragile." spiegava Nim, mentre sua madre Morath aggiustava l'abito sul cadavere della donna.

"Allora non avremmo dovuto scegliere questa veste bianca per lei." disse Morath. "Forse non l'avrebbe gradita."

"Le sarebbe piaciuta... perché sapeva che a lui piacerá. Amava lord Thranduil a tal punto da mettere da parte molto del suo orgoglio per amor suo." rispose Nim. "Quante volte l'ho sentita scusarsi con il Re, dopo un litigio...e non sempre aveva torto lei." L'Elfa si alzò per infilare i calzari a Roswehn. Erano scarpette in raso, legate alle caviglie con due leggerissimi nastri.

"Parlavamo anche del suo rammarico di non aver avuto una figlia. Una bambina, da amare e viziare. Un giorno, rimanemmo più di un'ora a discutere del nome che avrebbe voluto darle." continuò Nim. Si fermò a fissare il volto dell'anziana stesa sul letto. "Disse: se avessi avuto una bambina, l'avrei cresciuta insegnandole ad affrontare la vita con coraggio, con rabbia. E le avrei dato un nome che trasmettesse energia, vigore. Poi, chiese la mia opinione. Io risposi la prima cosa che mi venne in mente: Nar. É un nome breve, come Nim, e significa fuoco. Non le piacque." diceva l'Elfa, persa nei ricordi. "...immaginava qualcosa di più elaborato, allora le dissi che si poteva aggiungere -wehn alla fine, significa "fanciulla" in elfico. Sarebbe diventato "fanciulla di fuoco" e sarebbe stato simile al suo nome. Per me, era perfetto: Narwehn. Ma continuava a non piacerle."

Morath accarezzò la stella del vespro, il ciondolo che ancora splendeva al collo di Roswehn. Era sicura che l'aura sprigionata da quel pendente fatto a Rivendell avesse permesso allo spirito della donna di raggiungere l'altra vita. Quella in cui si rifugiavano le essenze, o anime, degli Elfi dopo la fine fisica.

"...disse: sarebbe stato bello dare a mia figlia un appellativo che evocasse anche una nuova vita, un nuovo inizio, qualcosa di unico, che il mondo non ha mai visto. Puoi capirmi, Nim? A quel punto mi venne l'idea." continuò la giovane.

"Cioé?" volle sapere Morath.

"...le risposi: "nuovo" in elfico si dice "wain". Allora...che te ne pare di Narwain? Vorrebbe dire "nuovo fuoco", o anche "nuovo sole."  Lei si entusiasmò! Disse che le piaceva moltissimo, e che sarebbe stato perfetto per sua figlia. E invece, destino ha voluto che sia io ad avere una femmina. Sai...mamma...penso che la chiamerò cosí...Narwain."

"É molto bello. Ed é ammirevole che tu voglia omaggiare la tua amica in questo modo. Ne sarebbe orgogliosa." commentó Morath. "Vorrei che Hazel tornasse presto. So quanto sei preoccupata."

"Non ha avuto la forza di salutarmi. Non sarebbe riuscito a reggere il mio sguardo. Andare in guerra contro gli Orchi...in tutti questi anni non abbiamo mai subìto invasioni di nemici." si lamentó Nim. "Ho fiducia in lui, conosco il suo valore. Ma non riesco a non pensare a cosa può succedere se..."

"...non perderti in simili paure. Prendi esempio da Roswehn: era incinta quando lasciò Boscoverde per tornare a Dale,  attraversò le Montagne Nebbiose, andò alla Contea degli Hobbit, e poi si spinse fino a Rivendell. Da sola." le disse Morath. "Quest'umana ha davvero vissuto appieno i suoi giorni."

"Lei ha sempre trovato la forza di superare gli ostacoli. Ma...temo per il Re. Credi che riuscirà a soffocare questo nuovo dispiacere?" chiese Nim. "Il suo cuore é già stato messo alla prova...la morte di Re Oropher, della Regina Calenduin...la partenza di Legolas... e ora, anche Roswehn."

"In realtá, la morte dell'umana sarà il meno opprimente di tutti i suoi lutti. Perché era già preparato alla sua fine, te l'ho detto. Io ero qui quando il Re tornó da Angmar, dopo quella guerra che costó la vita a Calenduin. E il suo sguardo, quando lo vidi, era atterrito, perso. Non fu più lui, dopo. Sua moglie gli venne strappata via, come un fiore strappato dal terreno. Non era pronto a dirle addio. Ma Roswehn... é un'altra storia." spiegó Morath.

"Com'era lord Thranduil? Cioé, prima che la Regina morisse? Roswehn se lo chiedeva spesso. Diceva che avrebbe voluto conoscerlo quando era un giovane Elfo, prima che la crudeltà del mondo lo segnasse per sempre." chiese la figlia.

"Era un principe bellissimo e algido...é sempre stato freddo nei suoi modi...ma, sorrideva di più. Sì, sorrideva di più." raccontó Morath. "Gli piaceva la natura, andava a passeggiare nei boschi, quando non era incaricato di sorvegliare i confini con i soldati. Re Oropher si lamentava perché suo figlio spariva, di tanto in tanto. Non lo trovavano per ore e una volta...una volta si allontanó da Palazzo un giorno intero. Oropher era furioso."

"Beh, allora il principe Haldir ha ereditato la sua indole fuggiasca da lui...non da Roswehn." riflettè Nim.

"Sai? Credo tu abbia ragione. Ed é forse questo il motivo per cui il Re era così arrabbiato per la sua scomparsa. Perché rivede se stesso da giovane." rispose Morath.

Nim era pensierosa. "No...c'é qualcos'altro, mamma. Io non ho mai capito l'ostinazione del Re di tenere il principe segregato in quella stanza. Perfino Feren e Hazel se lo sono chiesto molte volte. C'é qualche mistero che non c'é stato svelato...qualche segreto, che riguarda Haldir."

"Ho sentito una discussione fra Roswehn ed il Re, una volta, prima che lei tornasse a Dale. Gli diceva che per nessun motivo loro figlio doveva essere lasciato senza custode. Lord Thranduil insisteva per addestrarlo al combattimento all'aperto, voleva addirittura catturare degli Orchi e organizzare un' esercitazione per Haldir. Lasciare che li uccidesse lui...sai, un po' come le gatte che catturano topi e li lasciano vivi per insegnare ai loro micini a uccidere. Roswehn urló che era pazzo, e di non pensarci nemmeno. Ripeteva: non devono avvicinarsi, non devono sapere che esiste!" ricordó l'Elfa. "...io non capii quella reazione."

"In tutti questi anni, il principe non ha fatto che passare le giornate immerso nei suoi studi, nel silenzio dei suoi appartamenti. Sai cosa mi é stato riferito, mamma? Che una parte del nostro popolo non sa nemmeno della sua esistenza. Capisci, molti Elfi di Boscoverde non sanno che il Re ha un altro figlio!" disse Nim.

"L'hanno nascosto di proposito...io non so il motivo, ma è stata una scelta ben precisa." concluse Morath. "Come se la sua vita fosse un tesoro prezioso da proteggere. Oppure, come se la sua esistenza rappresentasse un...un..."

"...pericolo. Per tutti." continuò Nim. Poi rabbrividí. "Voglio finire in fretta, mamma. L'odore di incenso mi sta dando il capogiro. Sbrighiamoci."

⚜️⚜️⚜️

"Tua madre...non mi hai chiesto di lei." le aveva detto Re Théoden, prima  dell'esodo verso il Fosso di Helm.

Era rimasto solo con Goneril, qualche ora dopo la rivelazione dell'adulterio. Insieme, nella sala del trono, a Edoras. Il Palazzo d'Oro di Meduseld non era mai sembrato così grigio e gelido, come in quei minuti. Gandalf e gli altri si erano rispettosamente ritirati per permettere ai due di confrontarsi da soli.

"Chi? Quella donna che avete sedotto, Maestá? É incomprensibile come siate così ostinato nelle vostre convinzioni. Per voi, io sarei figlia vostra e della più bella cortigiana di Rohan. Beh, davvero una storia strappalacrime, se fosse vera." aveva ribattuto lei.

"Non parlare così di Margery. Non era una banale cortigiana. Era una donna d'intelletto, amava la letteratura, la musica... non denigrarla. E sì, io davvero credo che fosse tua madre." aveva risposto il Re. "Siete due gocce d'acqua... quel neo che hai sotto l'occhio...lei ne aveva uno vicino alle labbra. Hai preso la sua pelle." aveva sorriso il Re.

Ma Goneril non aveva voglia di sorridere. "É notte fonda. Gli altri dormono. Vorrei riposare anch'io, dato che domani dovró scortare la vostra popolazione al Fosso di Helm." aveva detto. "Finiamola con questa noiosa conversazione."

"Un secondo ancora. Anche se non ti interessa saperlo, te lo dico lo stesso: tua madre...cioé, Margery... é morta due anni dopo il tuo allontanamento da Edoras." le disse. "Finì i suoi giorni fra atroci dolori."

Goneril non reagì. "Ma non mi dite...forse aveva preso una brutta malattia...? Quella che dicono venga alle donnacce?" aveva chiesto, ironica.

"No. Il fatto di averti abbandonata fu un peso insostenibile per la sua coscienza. Aveva fatto una scelta, ma quella scelta le costó tutto. Perse il lume della ragione dal dolore...e un giorno...andó dal nostro speziale e rubó dal suo laboratorio una bottiglietta di arsenico." aveva raccontato il Re. "...ma ne bevve un quantitativo troppo scarso per provocarle la morte istantanea...soffrì come un cane prima di rendere l'anima a Eru."

Il Re a quel punto si era portato una mano al viso. "Fu terribile, si udivano le sue urla attraverso le sale. Io ero distrutto, era come se la sua agonia fosse anche mia."

"...e vostra moglie, la Regina? Cosa fece in quell'occasione?" chiese Goneril, che ormai era sul punto di crollare dalla stanchezza. Le parole del Re entravano ed uscivano dalla sua testa senza produrre effetto alcuno. Erano deliri di un uomo anziano, per lei.

"Elfhild...beh...rimase indifferente. Non andó mai da lei. Io credo che avesse scoperto quello che era successo fra noi due. L'aveva da tempo allontanata dalla sua cerchia di dame di compagnia. Qualche spia di corte l'aveva informata, credo." aveva rivelato Théoden. "Quando Margery morì, non venne al funerale. Io e lei non parlammo mai più di quella donna."

"E adesso ritenete giusto parlarne a me. Sapete cosa credo? Credo che anche la vostra coscienza sia oppressa da un peso, e che ora vogliate disfarvene. Ma io non sono qui a curare le ferite della vostra anima peccaminosa. Io sono rimasta a compiere un lavoro per questo reame, e dopo...mi aspetto una ricompensa. Questo é tutto ció che conta, adesso." aveva risposto Goneril.

"Ti ha voluto bene." continuó Théoden.

Goneril sbuffó.

"Ti ha amata per tutti e trenta quei giorni in cui sei stata fra le sue braccia. Te lo giuro. La mia stella d'oro. Così ti chiamava. Se solo avesse potuto tenerti..." continuó Théoden.

"...basta. Adesso ne ho veramente abbastanza." lo fermó Goneril, mentre sentiva uno strano groppo in gola. "Io mi chiamo Goneril, sono cresciuta in una fattoria vicino ai Monti Azzurri da cui sono scappata diciassette anni fa. Ora sono un soldato e mi sono costruita una mia vita, bella o brutta che sia. Questa é la realtà. Il resto sono parole."

"Questa sarà casa tua, sempre! Se vorrai rimanere...o tornare in futuro, questo è il posto in cui sarai sempre ben accolta. Parleró ad Éowyn e Éomer...spiegheró cosa sei per me. Ti vorranno bene! Ti prego, almeno pensaci. E se puoi, perdonami." le aveva detto Théoden.

"Soldi. Oro. Gioielli. A questo penso. Buona notte, Maestà." aveva concluso lei, prima di allontanarsi lasciando Théoden solo in quella sala fredda.

Ricordava questo Goneril, mentre sedeva sotto a un albero. Le parole di Thranduil ancora nella mente: Théoden é morto. Tua cugina é morta.

Non sapeva definire le sue sensazioni: era come se uno schiaffo improvviso l'avesse riportata alla realtà dopo un lunghissimo sogno a occhi aperti.

Sei ufficialmente orfana, aveva aggiunto Thranduil. Era vero. A quel punto, si poteva proprio dire.

A parte Éomer, il suo presunto e ben poco affettuoso cugino, non le rimaneva nessuno.

Théoden aveva più di settant'anni, era quasi arrivato alla fine della corsa, come quella Roswehn. E comunque, per la sua dipartita non riusciva a sentire troppo dispiacere. L'aveva cacciata via dal Reame quand'era quasi neonata, poche storie. Forse aveva dato libertà di scelta alla sua amante

(Tua madre)

ma Goneril era piuttosto convinta che avesse fatto pressione su di lei per disfarsi del problemino. Del piccolo problema urlante che aveva il suo sangue, ma ahilei, non quello della Regina. La sfornatrice ufficiale di eredi.

Éowyn...quello era un brutto colpo. La ragazza era giovane, innocente, pura di cuore, altruista. Non avrebbe dovuto morire. E cosa diavolo c'era andata a fare sui campi del Pelennor, tanto per cominciare? Come cribbio c'era arrivata, se suo zio non sopportava neanche di vederla coi soldati?

Deve essersi travestita, le disse il raziocinio, camuffata da cavaliere come tu ti sei camuffata da domestica per entrare a Dale.

Si portó le mani al viso. "L'ho incoraggiata io. Le ho messo in testa di diventare come me!"

E poi, successe una cosa rarissima per lei. Per la quarta volta in vita sua, si mise a piangere. Ma non erano singhiozzi, si mise proprio a caragnare disperata. Pianse al punto da sentire male alle tempie e alla mandibola. Pianse tanto da far spaventare gli uccelli, che presero il volo dagli alberi circostanti. 
Pianse, incurante che quei lamenti potessero attirare qualche Orco sopravvissuto. Prese un pugno di terra in mano e lo scaraventó lontano. "Maledetta questa terra! E tutti quelli che ci abitano! Assassini, ladri, adulteri, infami, possiate bruciare tutti!"

"Con la fatica che ho fatto a spegnere l'incendio, tu invochi il fuoco?" chiese la voce del drago chiamato Oropher. Goneril guardó in aria.

La Bestia atterró sollevando una nube di terriccio. "Ho visto che le armate del Nazgûl si sono fermate. E quell'essere é sparito."

"Credevo ti avessero ucciso." disse Goneril, passandosi una mano sul viso.

"Ci hanno provato, ma la mia velocità unita all'inconsistenza delle loro frecce mi hanno salvato. Temo peró che nessuno potrà più avvicinarsi alla zona meridionale di Boscoverde prima dell'estate. C'é un po' di ghiaccio, laggiù adesso..." disse la creatura alata. Poi guardó attentamente la donna. "...i tuoi occhi sono più rossi dei miei..."

"Ascolta." disse lei. "Ora mi devi portare a Rivendell. Avevi promesso."

"E mi attengo alla promessa." confermò il Drago. Poi si guardò attorno. "Dov'é il piccolo principe?"

"Con suo padre." rispose lei.

"Sí. Vanno a dare l'addio a Roswehn." rispose Oropher. "Ho sentito la sua morte...voglio dire la sua non-morte."

Goneril non capí. "Che stai dicendo?" chiese, accomodandosi sulla schiena del draghetto.

"Ci vogliono tre giorni di volo da qui a Gran Burrone. Spero tu lo sappia." le disse il drago, cambiando argomento. "Sperando di non trovare correnti ostili. C'é qualcosa che avanza da Mordor. Ho sentito una strana elettricità nell'aria."

"Tu preoccupati di portarmi lí tutta intera. E se ci arriveró e troverò quello che mi interessa, con quei soldi pagherò un cantore che scriva un poema su di te." rispose Goneril. "Non volevi questo? Diventare un mito?"

Oropher aprí le ali, preparandosi a un nuovo, lunghissimo volo. "Ssssì. Io saró ricordato nei secoli a venire. Un mito, fra i Draghi. Resta da capire cosa vuoi essere tu."

"L'ho appena deciso. Portami a Rivendell." comandó la donna dell'Est.

 

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Capitolo 52
*** Il signore del Lothlòrien ***


Celeborn entró a Palazzo scortato da cinque Galadhrim.

Subito avvertì nell'aria odore di incenso, e un generale silenzio. 
"Cosa sta succedendo?" chiese a Feren, che lo accompagnava.

"Qualcuno ha attraversato il grande buio." rispose il comandante di Boscoverde. Era l'espressione degli Elfi per definire la morte.

Feren chiamó a sé uno degli Elfi messi a piantonare la Grande Porta. Gli chiese qualcosa in elfico, e il soldato rispose: "Roswehn."

Celeborn sentì. "La donna umana é morta?" chiese a Feren.

Il comandante fece cenno di sì col capo. "La conoscevate, Lord Celeborn?"

"Sí. Moltissimi anni fa fu ospite a Caras Galadhon. Rimase tre giorni nel nostro territorio. Sapevo che si era unita a Thranduil, ma credevo fosse tornata a Dale negli ultimi anni." rispose il Signore del Lórien.

"Il nostro Re l'ha riportata qui, qualche giorno fa. Era molto anziana. Un crudele scherzo del destino l'ha strappata subito ai suoi affetti." rispose Feren. "Ma tutti ce l'aspettavamo, la sua salute era già precaria."

"E dov'é loro figlio?" volle sapere Celeborn.

Feren spalancò gli occhi. "Voi...sapete...del giovane principe?"

"Galadriel ed io sappiamo ogni cosa. É un Elfo mezzo sangue la cui esistenza ha grande valore. Immagino sia qui, nascosto da qualche parte." disse il nobile Elfo.

"È fuggito, in verità. Lord Thranduil é andato alla sua ricerca." spiegava Feren, mentre con Celeborn si dirigeva verso la grotta dei consigli. "Ha investito me della piena autorità, in sua assenza. Perciò, dovremo discutere noi due delle prossime azioni."

"Fuggito... questa é una notizia tragica. Immagino le paure di Thranduil... e il dolore di Roswehn. Il suo vecchio cuore non ha retto." commentò Celeborn. "Povera donna. Nel Lórien conserviamo un ottimo ricordo di lei. Era cosí bella, e tenace." 
Pensò ad Haldir, il suo capitano ucciso al Fosso di Helm. Quanto l'aveva amata. Il viso della ragazza di Dale non se n'era mai andato dalla sua mente.

"Vogliate seguirmi, Lord Celeborn. É tempo di decidere cosa fare. Il vostro aiuto é stato essenziale, riferirò tutto al nostro Re quando rientrerá. Ma la guerra non é vinta. Quegli Orchi potrebbero tornare. Sauron ha a disposizione molte legioni, non é escluso che tentino un nuovo attacco. Inoltre, buona parte della nostra Foresta é stata distrutta. Pare che un Drago dei ghiacciai abbia spento l'incendio. Non sappiamo perché l'abbia fatto, e non sappiamo neanche se quella creatura potrebbe diventare ostile. Con un Drago che si aggira sul nostro territorio e nuovi nemici che potrebbero arrivare, l'allarme é ancora elevato." spiegò Feren. Entrambi entrarono nella spartana grotta dove venivano prese tutte le decisioni amministrative e militari a Boscoverde.

"Un Drago..." ripeté Celeborn. "...Feren, io non posso prendere decisioni entro i vostri confini. Spetta a Thranduil l'ultima parola. Ora che gli Orchi sono stati respinti qui, sarebbe opportuno portare il nostro aiuto a Gondor. Questo solo mi sento di dire. Non possiamo lasciare gli Uomini da soli." rispose Celeborn. "Stavo per decidere di condurre i miei Galadhrim laggiù."

"Sarebbe inutile." commentò una voce. Thranduil apparve dietro a loro. Ancora in armatura, il viso pallido e tirato, osservò prima Celeborn e poi Feren.

"Siete tornato!" esclamò il comandante.

"Non hai sentito il suono del corno che annunciava il mio ritorno?" chiese Thranduil.

"No. No, mio signore." rispose Feren, un po' in imbarazzo.

"Ora ci deve essere silenzio, qui. Siamo in lutto." disse il Re. Si girò verso Celeborn e si portó una mano al cuore, e suo cugino fece altrettanto. "Ti ringrazio per aver trascinato il tuo esercito in nostra difesa." gli disse.

"Non ti avrei lasciato solo, lo sai. É tempo che Boscoverde e il Lothlórien ricostruiscano la loro alleanza. Questa freddezza fra le nostre genti mi é sempre sembrata inconcepibile." commentò Celeborn. "Dov'é tuo figlio?"

"Nelle mie stanze. Veglia sua madre." Rispose il Re.

"Mi dispiace, Thranduil. So che quella donna era importante per te." disse il Signore del Lórien.

Il Re chiuse gli occhi. "Celeborn, le alleanze servono a poco ormai. Hai certamente saputo cosa é successo sui campi del Pelennor. Gli Uomini di Rohan sono stati sconfitti. Théoden é morto."

"Sí. Ma l'aggressione a Minas Tirith é stata respinta!" annunciò Celeborn.

Thranduil si stupí."Cosa?!"

"Il Re di Rohan é caduto, é vero. Molte sono state le vittime, da entrambe le parti... ma la capitale di Gondor é stata protetta. Ha subito alcuni danni, perché gli Orchi hanno aperto una breccia fra le mura e hanno invaso la città...ma gli Uomini hanno vinto, Thranduil!" continuò Celeborn. "É stato Aragorn a trascinarli. Lui... é riuscito a portare con sé l'esercito delle ombre..."

"I...fantasmi che dimoravano nei Monti Bianchi?" chiese Thranduil, incredulo. "Ma quegli spiriti dannati rispondono solo al Re di Gondor!"

"Esatto. Questo vuole dire che il figlio di Arathorn ha deciso." disse Celeborn.

"...vuole finalmente reclamare la corona dei due Regni." Mormoró Thranduil. "E che ne é stato di Denethor?"

"É morto. Dicono si sia tolto la vita, dando il suo corpo alle fiamme e lanciandosi nello strapiombo." lo informó Celeborn. "Una fine orribile."

"Come orribile é stato il suo governo." commentó il Re. Poi guardó il cugino. "Se Aragorn ha messo da parte i suoi dubbi, allora abbiamo una speranza."

"Ma non é finita. Lo spirito di Sauron é ancora a Mordor. Ha subito una sconfitta durissima, ma é ancora in questo mondo. Ora, é davvero tutto nelle mani di quell'Hobbit. Dovrebbe già essere a Mordor, ormai. Starà tentando di raggiungere il Monte Fato." gli disse Celeborn.

"Come puó farcela, una creatura tanto piccola." disse Thranduil. "Non puó attraversare il Nero Cancello."

"Galadriel sostiene che ci sia qualcuno con lui. Un altro Hobbit e un essere chiamato Gollum. Quest'ultimo era un Hobbit Sturoi, un tempo. L'Anello era in mano sua, prima che finisse nella Contea. Fu imprigionato e torturato dagli Orchi, perché rivelasse dov'era finito. É stato a Mordor, conosce quel territorio. É lecito suppore che stia portando quel Frodo attraverso sentieri nascosti." spiegó Celeborn.

"E perché lo farebbe?" chiese Thranduil.

"Perché vuole tornare a impossessarsi dell'Unico, temo. É noto che quell' anello attragga morbosamente a sé i portatori e i vecchi portatori." sospiró Celeborn.

"Dunque il pericolo maggiore per Frodo Baggins non sono gli Orchi. É quell'essere, la sua guida. Tenterà di fargli del male, forse proverà a ucciderlo." disse Thranduil.

"Sì, purtroppo sì. Non ci resta che sperare che il giovane Hobbit riesca nella missione." commentó Celeborn. "Altro non possiamo fare."

Thranduil pensó a Legolas. Chi poteva sapere se era vivo. "Mio figlio, il mio primogenito...era lì. In quella battaglia."

"É vivo, Thranduil. Non temere." lo rincuoró Celeborn.

Il Re sorrise. "Invece Haldir, il mio secondogenito, ha ucciso un Nazgûl. L'Ombra dell'Est...lo ha affrontato e ricacciato all'inferno. É stato il suo primo, vero scontro con un nemico."

"Puoi essere orgoglioso dei tuoi figli. Portano il tuo sangue con onore." gli disse Celeborn. Poi corrugó la fronte. "Lo avete chiamato Haldir?"

"Sì, una decisione di Roswehn. Non credo di doverti spiegare perché scelse quel nome." rispose freddamente il Re.

Celeborn rimase interdetto per qualche attimo. "Una grande amicizia li ha uniti. Sai, anche il nostro Haldir ha lasciato questo mondo. É stato colpito al Fosso di Helm." gli disse Celeborn. "Un peccato non possano rivedersi nelle aule di Mandos. Se Roswehn fosse stata un Elfo, i loro spiriti si sarebbero ritrovati e..." Celeborn si interruppe. "...cosa succede?"

Il volto di Thranduil si era improvvisamente accigliato. Sembrava aver realizzato qualcosa di spiacevole. "...ritrovati nell'altra vita, dici?"

"Ma non puó succedere." disse Celeborn. "Lo sai." Poi vide sul volto del Re un'espressione che poteva sembrare di gelosia. Una folle gelosia.

Thranduil si giró verso il cugino: "Celeborn, ascolta: questa sera io e mio figlio saluteremo Roswehn. Vorrei che tu rimanessi, e poi, attendiamo gli eventi insieme. Elrond e la sua gente se ne sono andati da Gran Burrone, ho sentito. Siamo io e te, adesso, a reggere i due grandi reami elfici. Aspetteremo notizie da Mordor. Se quell'Hobbit riuscirà nell'impresa, questa Foresta verrà benedetta da me, te e Galadriel. Il mio regno si estenderà fino a Sud, dove ora c'é la fortezza di Dol Guldúr. Voglio lasciare in eredità a mio figlio un reame vasto e meraviglioso."

Celeborn fece un cenno di assenso."Elrond è rimasto. Lui e sua figlia." poi chiese: "Intendi seppellire la mortale...Roswehn?"

"No. Non la lasceró marcire nella terra." si giró verso Feren. "Da' ordine di preparare un pira funeraria. Roswehn merita un addio degno di una Regina."

⚜️⚜️⚜️

"...e poi volai fino a Gondor...speravo di ottenere qualcosa anche da Ecthelion, ma non appena mi avvicinai a Minas Tirith i soldati del reame puntarono le loro frecce tutte su di me. Mi avevano scambiato per un drago di Minas Morgul." raccontava Oropher, mentre Goneril sedeva sulla sua groppa, reggendosi al possente collo della creatura. Le faceva male la schiena in quella posizione.

Il Drago parlava ormai da ore della sua vita. Avevano sorvolato tutto il regno di Boscoverde, il fiume Anduin e ora si stavano dirigendo verso le Montagne Nebbiose.

"...trovai più saggio tornare indietro. Dopo, decisi di..." continuava il Drago.

"...adesso falla finita. Non mi interessa la storia della tua vita. Mi sta scoppiando la testa!" si lamentó la guerriera.

"Hai detto che pagherai uno scrittore perché prepari una saga su di me. Devi sapere com'é stata la mia avventura in questo mondo. Lasciami finire." rispose Oropher.

"Fin'ora hai parlato solo di razzie e rapine. Non mi sembra una vita onorevole." lo provocó la donna. "Hai ricattato re e governatori per farti consegnare le loro gemme preziose. Non sono tanto sicura che si possa scrivere una saga sulle tue gesta."

"Invece sì. Ho visto moltissimo nella mia esistenza. Posti meravigliosi, che tu non ti sogneresti mai. Valli incantate a Ovest, abitate da creature strane e magiche. C'é molto di più in questo mondo di quanto tu creda. E sai...una volta ho provato a spingermi a Sud, oltre i confini del mare...e ho visto una Terra lontana. Sono tornato indietro, ma mi sono sempre chiesto cosa ci fosse laggiù. Da chi sia abitata." disse il draghetto.

"Sì, ho sentito anch'io parlare del continente oscuro. Personalmente, credo sia una Terra morta e infruttuosa. Non ci andrà mai nessuno." ribatté Goneril.

"Cos'hai deciso di fare? Non me l'hai detto." chiese il Drago.

"Intanto, portami nella valle di Imladris." rispose la donna. "Voglio mettere subito le mani in quell'oro. Poi, si vedrà. Tutto dipende da Sauron, a quanto pare se riuscirà a vincere arriveranno tempi duri. Ma con dell'oro a disposizione potrei contrattare la mia vita con gli Orchi."

Oropher sputó un piccolo fiotto d'acqua, che subito si trasformó in ghiaccio. "Ti metteresti al servizio di quelle bestie? Dopo aver combattuto contro di loro?!"

"Non ho detto questo. Ho detto che potrei dar loro parte del tesoro perché mi lascino in pace. Questa, nella peggiore delle eventualitá." ribatté lei.

"Quelli ti porteranno via tutto il tuo denaro e infine ti sottometteranno. Non sono esseri con cui ragionare. Conoscono solo odio e morte." le disse Oropher.

"Come me. Come te. Noi due non siamo esattamente esempi di nobiltà d'animo, caro serpentello alato. Perció non darti arie da eroe." ribatté lei.

Oropher fece un'improvvisa virata, e Goneril rischió di perdere l'equilibrio. Urló.

"Modera le parole, principessa rinnegata. Qui non sei tu ad avere il controllo." la minacció il Drago.

Entrambi udirono un tuono, veniva da Sud. "Cos'é stato?" chiese lei.

"Sauron. Ha sguinzagliato tutte le sue legioni da Barad-dûr. Ha iniziato l'attacco finale." disse il Drago.

"Contro chi? Ancora Gondor?" chiese lei.

"No. Contro tutti." rispose Oropher.

 

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Capitolo 53
*** Addio al Generale ***


"Se ne sono andati."  disse Oropher, mentre sorvolava Gran Burrone. "Gli Elfi sono andati ad Ovest."

Sotto di loro, la valle di Imladris si estendeva buia e silenziosa. Le grandi nuvole che ormai da giorni attraversavano il cielo avevano come steso un enorme manto d'ombra su quella vallata un tempo luminosa e mistica. Il grande burrone che dava nome a quel territorio non era nemmeno più visibile, talmente fitta era la nebbia che saliva dalle sue profondità.

"Va' verso quella cascata...quella grande a sinistra." ordinò Goneril. "La grotta é nascosta lí."

Il Drago virò verso un costone frastagliato, da cui sgorgava un getto d'acqua particolarmente intenso. 
"Come avete fatto a nascondere cento bauli d'oro lí dentro? Il sentiero che conduce alla grotta non é nemmeno visibile." commentò Oropher.

"Li abbiamo calati con una fune. Dieci soldati avevano l'incarico di trasportare le casse raccolte fin qui, trenta bauli ogni tre mesi." spiegò la guerriera, mentre il Drago iniziava la discesa. "I dieci legionari di cui mi fidavo di più...quando ancora potevo fidarmi di loro."

"Potrebbero aver trafugato l'oro prima di te, allora." disse Oropher. "Se sanno dov'é nascosto."

"No... purtroppo hanno fatto qualcosa di ben più grave." rispose Goneril, che si immaginava il suo esercito schierato con Sauron. "Avanti, atterra e fammi scendere. Si...proprio qui."

Oropher riuscí a trovare un punto sotto la cascata abbastanza stabile su cui poggiare le zampe, e la donna saltò giù. "Fammi dare una controllata." disse, ed entrò nella grotta.

Eccole. Finalmente, pensò, non appena i suoi occhi si furono adattati all'oscurità.

Come immaginato, le casse erano tutte lí. Disposte con ordine, tutte chiuse con spesse corde ormai piene di muffa, e coperte da varie ragnatele. Goneril estrasse il pugnale di Haldir dalla cinta e taglió una delle corde, per aprire un baule. Sollevò il coperchio e un grande sorriso si disegnò sul suo volto quando davanti a lei apparvero le tanto sognate monete d'oro. Ne prese una, e la osservò: l'effige impressa era quella di Elendil, l'antico Re di Gondor e Arnor.

"Sí..." sussurrò. "Sí..."

Era suo. Quell'immenso tesoro era tutto suo, a quel punto. "Sííí!!" gridò.

"Trovato quello che cercavi?" chiese Oropher, che aveva allungato il collo per sbirciare nella grotta. "Hmm. Non un granché."

"Ma che stai dicendo? Non é nemmeno possibile contare quante sono. Questo é un capitale sufficiente per..." disse lei, mentre affondava le mani nel cumulo di monete. "...per costruirmi davvero un regno."

"Dovresti vedere la mia grotta. Una sola delle pietre che custodisco vale cinque dei tuoi bauli." disse il Drago. "E sono curioso di vedere come intendi spostarli da qui."

"Chiederò aiuto agli Elfi." rispose Goneril, ancora abbagliata da quell'immensa ricchezza.

"Quali Elfi?" ribatté Oropher. "Hai per caso notato che questo territorio é deserto?"

Goneril si girò. "Forse qualcuno é rimasto nel regno di Elrond." rispose. "Forse qualcuno ha scelto di non andare a Valinor."

"Non sperarci. Vedi, cara umana, a occhio e croce ti sei messa in una situazione un po' complicata." la prese in giro Oropher. "Io me ne andrò tra qualche minuto. Tornerò nella mia tana fra le Montagne Nebbiose, e lí chiuderò gli occhi per sempre. Giacerò sul mio letto di diamanti, rubini e zaffiri. Verranno congelati dal tempo, con me. Tu invece rimarrai qui, sola, con dell'oro del tutto inutile, e senza alcuna possibilità di portartelo via. Era questo il tuo grande sogno, l'idea ossessiva che ti ha consumata nelle ultime settimane?"

"Tu non preoccuparti dei miei sogni. Ho detto di avere un piano. So cosa fare." si alzò in piedi e camminò lentamente verso Oropher. "Considero mantenuta la promessa. Puoi spiccare il volo anche adesso. E addio."

"Hai ancora tu il mio vecchio rubino?" chiese il Drago bianco.

Goneril frugò in una delle tasche e lo estrasse. "Eccolo."

"Doveva finire incastonato nella spada del giovane Haldir, cosí avevo detto a Roswehn Monrose. Quella pietra rappresenta metà del mio cuore. Il fatto che l'abbia tu mi riempie di amarezza." disse Oropher.

"Che ci vuoi fare...é la vita." rispose ironicamente Goneril. "Magari lo incastonerò nella mia."

"Nella spada di un'omicida....e pensare che io non ho mai ucciso nessuno." rispose il Drago. "Umana, raccontalo a tutti...chi ero. Di' a tutti che é esistito un Drago che ha scelto di non scegliere il male."

"Un Drago che ha minacciato di riversare un intero ghiacciaio su popoli indifesi, in cambio di zaffiri e smeraldi. Porta la tua ipocrisia con te sulle Montagne Nebbiose e seppellisciti con essa." rispose la donna. "C'é già abbastanza pazzia in questo mondo."

Oropher avanzò di un passo nella grotta e arricciò le labbra per mostrare le zanne. Goneril temette che volesse andare contro i suoi tanto declamati princípi e per la prima volta uccidere qualcuno. Nella fattispecie, lei.

Ma il Drago si fermó. "No." disse. "No...la mia ultima azione in vita non sará strapparti le budella come ho avuto l'impulso di fare. É tempo di andarmene, è tempo di salutare questo mondo."

Detto ciò si girò e uscí dalla caverna. Goneril lo seguí di fuori. Oropher aprí le ali in tutta la loro ampiezza, e guardò la donna. "Sei straordinariamente fortunata. Guardami, guardami bene: hai il privilegio di ammirare l'ultimo Drago vivente. Vada come vada, il mondo cambierà nelle prossime ore. Che cada sotto il dominio degli Orchi o finisca sotto il governo degli Uomini, noi non ci saremo più. E nemmeno gli Elfi. Poi toccherà ai Nani, agli Stregoni, alle Aquile, ai muta-pelle, agli Hobbit e ai molti popoli che tu non conosci, ma che io ho visto, e che vivono nella Terra di Mezzo. Il futuro é un incognita, ma una cosa é certa: é finito il tempo delle favole, dei miti, delle leggende. E vi mancheranno. Vi mancheranno terribilmente, quando il cinismo dell'industria e l'avanzata della scienza faranno il loro corso." poi si alzò in volo, dopo aver sputato un fiotto lunghissimo di acqua ghiacciata. "Addio." e se ne andò.

Goneril osservò la bianca creatura sparire fra le nuvole. Era assolutamente vero quello che le aveva detto. Il mondo stava cambiando; in meglio o in peggio, non era dato ancora saperlo.

Si concentrò sul presente. 
Lí c'era un tesoro che aveva reso lei la donna più ricca del mondo, ne era abbastanza sicura. Il problema era capire cosa farne.

"Ci siamo." mormorò fra sé. "Inizia il secondo capitolo della mia vita." 
Poi guardò verso il reame di Elrond, verso quelle case elfiche ora abbandonate, all'interno delle quali non si scorgeva alcuna luce.

Era quella la sua destinazione.

Goneril aveva da tempo raccolto informazioni sul popolo di Gran Burrone. Il loro esodo era iniziato da un anno esatto. Il destino di tutti gli Elfi della Terra di Mezzo era di imbarcarsi per Valinor, o dissolversi e divenire spiriti. La loro razza era giunta al capolinea, in quel continente. Forse solo Thranduil e la sua gente, nel loro orgoglioso attaccamento a Boscoverde, sarebbero rimasti ancora per qualche secolo, prima della Dagor Dagorath.

Ma Gran Burrone era stato il primo territorio a svuotarsi, seguito a breve dal Lothlórien. Gli Elfi avevano lasciato dietro di sé abitazioni meravigliose, ponti, costruzioni, terreni coltivati, vigneti. Avevano edificato una città favolosa, e sarebbe stato un gran peccato che nessuno l'avesse occupata più. Aveva pensato a questo, Goneril, una volta ricevuta da Thranduil la notizia della morte di Théoden.

Non poteva tornare a Rohan. 
Non poteva presentarsi a Éomer e dirgli: "Cugino, dammi la mia corona, sono la tua Regina d'ora innanzi." 
Non conosceva il popolo di Rohan, e avere il sangue del defunto Re non significava niente. 
Non era cresciuta lí. Non la sentiva la sua patria.

Poi, non voleva assumere i pieni poteri in quel regno. Rohan era un vasto territorio, ma era piuttosto misero nell'insieme. Circondato da grandi pianure desolate e aride, aveva solo nella città di Edoras il suo gioiello. Senza contare che se Aragorn fosse salito al trono di Gondor, Rohan sarebbe diventato un regno vassallo. E lei, un Regina suddita di un altro Re.

Sarebbe stato il colmo: da Regina, avrebbe perso quella libertà che si era sempre goduta da mercenaria.

No, non era il reame dei cavalli il posto dove doveva stare. Che ci pensasse Éomer a comandare quel popolo di umani straccioni.

Lei voleva rifondare Rivendell, questo era il suo nuovo, concreto sogno. E a meno di sorpresacce da parte di Sauron e dei suoi compari, c'erano tutte le condizioni.

Aveva soldi, fondi praticamente illimitati. Aveva un regno già bell'e costruito. Aveva, soprattutto, la garanzia che non sarebbe venuto nessun disturbatore da quelle parti.

Gran Burrone era circondato da strapiombi e crepacci, non era territorio facile da invadere. Inoltre, presto si sarebbe diffusa la voce che gli Elfi se n'erano andati, portando con loro i tesori e l'oro di cui disponevano. Oltre i confini di Rivendell, tutti avrebbero pensato che lí non c'erano che silenzio e rovine.

Lei sarebbe stata signora incontrastata e ricchissima di un reame favoloso. Certo, sarebbe stata sola... ma quello era un dettaglio. Nel tempo, una volta ritrovata la voglia di vivere dopo dieci anni circondata solo da morte, poteva accogliere qualcuno con lei. Si concesse perfino il lusso di sperare di trovare un uomo, un compagno.

Si guardò intorno e trovò il piccolo sentiero antico che l'avrebbe portata nel cuore del regno. Doveva procedere con cautela, perché quella stradina era pericolosamente vicina al bordo del burrone. Lei e i suoi uomini avevano scelto apposta quel nascondiglio sotto alla cascata, poiché difficile da raggiungere anche per gli agili Elfi.

Dopo circa mezz'ora di cammino e qualche scivolone che le costò quasi un infarto, finalmente giunse al vecchio ponte in pietra che portava al regno di Elrond.

O meglio, a quello che ne rimaneva.

"Beh...dovrò lavorare per far tornare questo posto decente." si disse. Era tutto lasciato in stato di abbandono. Ma in fondo, lei avrebbe avuto tutto il tempo che voleva.

Non ci sarebbero state più battaglie da combattere, né sangue, né notti insonni. La vita da guerriera era finita.

Fece cadere la spada a terra, in un gesto simbolico per lasciarsi il passato alle spalle. L'arma cadde sul pavimento in pietra del piazzale con un rumore metallico, che echeggiò nella valle.

"Elrond!" gridó. In effetti, il Signore di Rivendell poteva ancora essere lí. Forse era rimasto ad attendere la fine.

"Elrond! Siete qui?!" gridò ancora.

Non ci fu risposta.

"No..." mormorò. "Non c'é nessuno qui...é tutto mio!" Guardò verso i nuvoloni neri e si chiese cosa stesse facendo l'Hobbit. Quel Frodo. Poi si rese conto che non le interessava. Ma sí che si getti nella lava anche lui...che lasci vincere Sauron, o consegni questo mondo ad Aragorn...non sono più affari miei! Pensò.

"...non mi importa...non mi importa...sono libera! Sono ricca! Sono viva!!!!" gridò alle nuvole.

"Generale!" esclamò Hammon.

Goneril urlò. Persa nella sua esaltazione, non si era resa conto che un soldato era apparso sulla sommità della scalinata che conduceva all'interno di un elegante palazzo. Forse la vecchia residenza di Elrond.

"Goneril! Sei qui, sei arrivata finalmente!" disse il capitano, scendendo velocemente le scale.

La guerriera lo guardava a occhi sbarrati. Era assolutamente sorpresa. Poi riuscí a riconnettere il cervello alla bocca. "...Hammon?! Ma...che fai qui?"

Hammon sorrise. Aveva l'aria stanca, come avesse passato molte notti senza riposo.

"Sapevo che saresti venuta a prendere l'oro." le rispose. "Grande mossa, Generale. Abbandonarci in quel modo. Volevi fregarci."

Goneril scosse la testa. "Non venirmi a parlare di disonestà, capitano. Ci avete provato voi per primi, a fregarmi." poi sospirò. "Immagino tu sia solo."

"Sí. Degarre e gli altri sono andati a Minas Tirith. Ecco... é successa una cosa in tua assenza. Loro hanno..." disse Hammon.

"...scelto Sauron. Non continuare, lo so. Gli Uomini dell'Est hanno tradito in massa. Quell'infame  ha fatto la scelta che c'era da aspettarsi da uno come lui." rispose lei, raccattando la spada da terra. "Tu sei qui, però. Perché non l'hai seguito?"

"Non ho potuto. Si sono diretti verso Gondor, per aiutare quei mostri a distruggerla. Io...non ho potuto fare una cosa simile." spiegò il biondo soldato.

"Tuo nonno sarà fiero di te." ribattè Goneril. "Come l'ha presa quell'idiota?"

"Degarre? Beh...non l'ha presa bene." Rispose Hammon. "Non lo riconoscevo più, Generale. Lui... ha minacciato di uccidermi."

"E ti stupisci? Cosa credi che facesse prima che Mainard lo prendesse nella legione? Non era che un ladro, un brigante...figlio di briganti." spiegò lei. "...ma tu...valoroso nipote di un soldato...non sei come lui."

"No. Io ho deciso di seguirti. Come ho sempre fatto. E sono qui, ad attendere ordini. Cosa facciamo, Generale?" chiese Hammon.

"Te lo dico subito cosa devi fare. Sparisci." rispose lei. "Ti concederò una parte dell'oro. Ma poi te ne dovrai andare da qui."

Hammon schiuse le labbra in una smorfia di sorpresa. "...come? Perché?!"

"Perché io non sono più il tuo Generale. Io non sono più niente della donna che ero. E tu non devi più obbedienza alla sottoscritta. Sei libero." annunciò Goneril. "E io voglio essere lasciata in pace finalmente. In pace. Ricordi che ne parlavo sempre? Pace. Questa parola meravigliosa."

Hammon rispose: "Cioé vuoi vivere qui da sola?"

"Sí." disse semplicemente lei.

"Ma...che farai, voglio dire...come credi di andare avanti?" le chiese. "A che ti serviranno quei soldi?"

"Andrò nel territorio di Brèa. Non é lontano da qui. Comprerò sementi dagli uomini, bestiame. Porterò tutto qui. Alleverò animali da fattoria, lavorerò i campi. Sono cresciuta in una fattoria, so come si fa. Avrò di che vivere e mangiare. Non preoccuparti." gli disse.

Hammon era basito. "Generale...ma che stai dicendo?" si avvicinò a lei. "...allevare animali...lavorare nei campi? Ma sei ammattita...? Goneril...ma sei completamente pazza?!"

La donna non si scompose. Un tempo, avrebbe condannato Hammon a trenta frustate per essersi permesso di parlarle cosí. Ma, in quel momento, non si sentiva in vena di punizioni. Era come sprofondata in uno stato di assoluta quiete e soddisfazione.

"É la mia scelta, soldato. Degarre ha fatto la sua scelta, io la mia." gli disse solo. "E ti dico che per te qui non c'ê posto."

Hammon la guardò per qualche secondo. "Beh...io non me ne vado." rispose.

"E perché? Ti ho detto che sei libero, e che avrai molti soldi. Puoi costruirti la vita che vuoi." disse lei.

"Non me ne vado." ripeté Hammon.

"Dimmi il motivo. Non vorrai restare qui a ucciderti di noia. Io ho bisogno di stare da sola. Ma tu sei giovane, sei un ragazzo. Trovati una donna, fatti una famiglia. Se il regno di Gondor verrà ricostituito sotto Aragorn inizierà una nuova era. Torna nella tua patria."

"Preferirei morire vicino a te, che vivere lontano da te." furono le parole del capitano, che poi si girò dall'altra parte. "Non me ne vado da qui."

Goneril si sentí spiazzata da quella risposta. Ma poi ritrovò il suo ghigno beffardo. "Ma senti, senti...Hammon... qualcuno direbbe che sei innamorato."

Il capitano tornò a guardarla. "Qualcuno l'ha già detto." poi si diresse di nuovo verso la scalinata. "Vieni...devi vedere una cosa. Non siamo soli, qui."

 

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Capitolo 54
*** Ipotesi e verità ***


"È la figlia di Elrond." disse subito Goneril, appena vide la donna elfo distesa sull'elegante sofa ricoperto di velluto viola.

"Sì. Dama Arwen". confermó Hammon. "Sta morendo."

"Credevo fosse andata a Valinor con il resto della sua gente." disse lei. "Deve essere rimasta per quell'Aragorn."

"Proprio così. Elrond é andato alla ricerca del ramingo, ha portato con sé una spada, riforgiata dai frammenti di Narsil, la lama di Isildur. Diceva che avrebbe convinto Aragorn a prendere il comando degli eserciti. Lui e sua figlia sembrano sicuri della vittoria.  Poveri illusi." spiegó Hammon.

"Non é un'ipotesi così improbabile. Vengo dal reame di Thranduil. Gli Elfi hanno subìto un attacco parallelo, e hanno resistito. Con l'aiuto mio e di un Drago..." raccontó Goneril.

"Un...un... Drago?!" chiese il capitano.

"Eh già,  Hammon: nelle ultime ore ho visto cose a cui stento ancora a credere. Tutto è possibile, anche... che alla fine Sauron venga sconfitto." sospiró la guerriera. "Certo, Aragorn dovrà affrettarsi a ricacciare l'Oscuro nel suo inferno... o alla sua bella dovrà dare il bacio d'addio."  Si avvicinó ad Arwen, che giaceva con gli occhi chiusi e le labbra serrate. Goneril ebbe l'inquietante sensazione che la donna elfo fosse evanescente. Non sembrava fatta di carne. Pareva uno spettro, come il Nazgûl.

"Comunque..." continuó Hammon. "...la figlia di Elrond mi ha detto una cosa, prima di chiudere gli occhi. Mi ha chiesto notizie su di te. Mi ha chiesto di descriverle il tuo aspetto."

Goneril si giró a guardarlo.

"...mi ha detto che, secondo lei, io sarei...ecco..." balbettó il capitano.

"Innamorato della sottoscritta?" chiese la donna. Un sorriso sarcastico apparve sul suo bel viso. "Hammon...cosa ti prende? Che razza di discorsi sono? Davanti a te c'é qualcuno che fino a pochi mesi fa poteva decidere della tua vita e della tua morte. Avrei sacrificato senza esitazione la tua esistenza e quella di Degarre, per ottenere ció che volevo. Non eravate che topi, per me."

Hammon annuì. "Oh, lo so bene. Ed é quello che ho detto anche a lei. No, non potrei mai amarti, Goneril. Non posso amare chi gode nel vedere la sofferenza altrui, chi considera il prossimo meno di niente." Lentamente, si avvicinó. "...chi disonora se stessa ogni giorno."

Goneril inarcó un sopracciglio. "Allora mi vuoi dire perché le parole di quest' elfa ti hanno scosso?"

"Perché ammetto che una parte di me soffre all'idea di non rivederti più. Dopo la tua partenza, mi sono sentito in colpa. Ho pensato al giorno in cui ti presentasti a Mainard dieci anni fa: eri giovanissima, sola, e non avevi che una pesante spada mezz' arrugginita. Ti prendemmo in giro tutti, ti isolammo. Avrei dovuto parlarti, allora, capire perché una ragazza stava votando se stessa alla guerra, a una vita infame da soldato. Non ti chiesi niente, nessuno di noi lo fece. Ma io penso...che forse tu avevi bisogno di parlare con qualcuno, avevi bisogno di un confidente, un amico. E poi...tu ti chiudesti a riccio in quella corazza, diventasti il nostro Generale, e nessuno osó più avvicinarsi a te. Ma io avevo compreso che non eri felice. L'avevo capito, e non ti ho mai aiutata." Hammon chinó il capo. "No, io non ti amo...ma non posso fare a meno di chiedermi come saresti stata, se qualcuno ti avesse teso la mano, un giorno, e ti avesse aiutata. Sei una donna molto bella, e intelligente. È penoso vedere quello che sei ora... e pensare a cosa potevi essere."

Goneril ascoltava la tirata di Hammon senza batter ciglio. Poi rispose: "Sto iniziando a credere che Elrond ti abbia offerto del vino prima di andarsene. Di' la verità...ti sei fatto una bevuta eh? Parli come un ubriaco."

Rise.

Hammon replicó: "Ridi, Goneril, ridi di me, se vuoi... ma io non me ne vado da qui. Non ti lascio sola. Sei sempre stata sola. Non mi hai mai raccontato cosa ti è successo prima di entrare nella legione...la tua infanzia, la giovinezza...così ho cercato di immaginarmelo e ho pensato al peggio. Ed è un pensiero straziante. Io credo...ecco...credo che tu non abbia mai avuto davvero scelta. Ti hanno fatto del male quando eri piccola, ti..."

"Smettila!" gridó all'improvviso lei. Poi gli puntó un dito contro. "...non sai niente di me. Niente di niente. Non voglio la tua compassione! Voglio solo che tu te ne vada. Prendi due o tre sacchi d'oro, caricali sul cavallo, e vattene!"

"No." ripetè Hammon.

"Razza di ipocrita... tu sei lo stesso soldato senza scrupoli che una volta uccise un uomo e una donna davanti ai loro figli. Allora i pianti disperati di quei bambini non ti fermarono, vero?" ringhió Goneril. "Te lo dico io quello che ti sta succedendo: stai avendo quella si chiama piccola crisi di coscienza. I rimorsi per i tuoi crimini si stanno presentando tutti insieme. Ci sono passata anch'io. Ed è per questo motivo che ho deciso di deporre le armi e dimenticare chi sono stata fino a ieri. Fa' lo stesso: dimentica. Va' a Gondor e dimentica."

Hammon a quel punto allungó una mano e le afferró il polso. La donna cercó di liberarsi, ma il soldato intensificó la stretta. "Lasciami, mi fai male, lasciami!" gridó Goneril, provando a colpirlo con l'altra mano.

Hammon la trascinó fuori dalla stanza di Arwen, in un'oscura anticamera. "Che ti piaccia o no, io rimango con te." le disse e subito dopo premette le labbra su quelle della donna.

Dopo un iniziale momento di stupore, in cui non fu capace nè di pensare né di agire, Goneril si riprese e spinse via il soldato.

"...e con questo la tua condanna a morte è firmata, Hammon." ringhió, fuori di sé dalla sorpresa e dalla rabbia. Come aveva osato baciarla?
Portó una mano al pugnale che ancora aveva in vita e lo estrasse con un gesto secco. Ma per la seconda volta, il capitano riuscì a bloccarla. Le torse il polso obbligandola a lasciar cadere il coltello. Goneril urló di nuovo.

Così come l'aveva afferrata, Hammon improvvisamente la lasció andare. La guerriera si preparó a rendergli pan per focaccia con tutti gli interessi, ma l'espressione del soldato la fermó.

Sembrava tristissimo, e confuso.

"Scusami." gli sentì solo dire. Poi le giró le spalle e sparì nell'ombra di quelle sale.

Goneril si passó il dorso della mano sulle labbra, quasi a ripulirsi delle tracce lasciate dal ragazzo. Non era la prima volta che veniva baciata. E neanche la seconda. 
E nemmeno era intatta.

Amon, l'Elfo, era stato il primo. Le aveva insegnato l'estasi della spada e l'estasi della carne. Poi c'era stato quel soldato disertore che per un po' aveva prestato servizio nella sua legione, e aveva diviso la grande tenda con lei nell'accampamento, prima di sparire una mattina con un sacco d'oro, del suo oro, mentre lei dormiva.

E poi, una breve serie di amanti, tutti forestieri, conosciuti nei periodi di sosta nei villaggi e nelle città. Ma mai aveva permesso a un suo legionario di metterle le mani addosso. Nessuno, del resto, ci avrebbe mai provato. Avevano paura di lei, e la paura poteva essere uno straordinario inibitore dell'eccitazione.

E adesso Benjamin Hammon, il suo fidato capitano in seconda di recente promosso a primo luogotenente, che si lasciava andare a quel modo. Neanche fosse stato un adolescente alla prima cotta. Le sembrava quasi più incredibile di aver cavalcato un Drago.

Si appoggió a una colonna di granito.

Il mondo é impazzito, riuscì solo a pensare.

⚜️⚜️⚜️

Thranduil osservava il cadavere della donna umana che aveva amato per sessant'anni e che avrebbe continuato a venerare nei suoi ricordi.

L'abito bianco che Morath e Nim le avevano messo era meraviglioso, e si dispiacque pensando che sarebbe bruciato con lei.

Distesa sul grande letto regale che avevano condiviso per moltissime notti, Roswehn pareva serena. Un impercettibile sorriso su quel volto bianco catturó l'attenzione del Re. Non riuscì a fare a meno di chiedersi se lei e Haldir di Lórien, i loro spiriti cioé,  si fossero effettivamente ritrovati nel grande vortice che attendeva tutti dopo la fine fisica.

Di nuovo avvertì quella sensazione fastidiosa.

I singhiozzi del principe lo riportarono alla realtà. Il giovane Haldir era seduto sulla sponda del letto paterno, teneva fra le mani quelle della madre.

"Quell'anello..." disse Thranduil, notando un cerchietto d'argento all'anulare sinistro di Roswehn. "...lo porta ancora."

"Cos'é?" chiese Haldir, asciugandosi le guance.

"Glielo regalai per gioco. Le dissi che sarebbe stato una specie di anello nuziale. Non potevamo sposarci. Così le dissi di portarlo sempre con sé, sarebbe stato il simbolo della nostra unione." spiegó Thranduil.

"Tu porti ancora l'anello di matrimonio...cioè del tuo vero matrimonio con la madre di Legolas." gli disse Haldir.

"Sì. L'amore fra me e Calenduin fu benedetto dagli déi. É un legame che non posso sciogliere. Roswehn lo sapeva." disse il Re. "...e lo accettó."

"Tu credi? Forse no, padre. Forse la cosa la feriva." disse Haldir. "Non é stata che un'amante per te." Gli disse con tono di rimprovero.

"Non dire così. Non puoi capire cosa é stata tua madre per me." rispose il Re Elfo. Osservó di nuovo quelle guance spente e solcate da molte rughe. Si ricordó i suoi sorrisi. "La vita...Roswehn rappresentó una nuova vita, per me."

"Hai detto a Feren di preparare legna e olio. Vuoi dare il suo corpo alle fiamme?" chiese il principe.

"É la scelta più nobile. Un tempo, i funerali dei Re e delle Regine umane erano celebrati così, con dei faló. Il fuoco puó distruggere, ma anche purificare. Molto meglio che seppellirla, e lasciarla con i vermi." disse il Re. "Le sue ceneri saranno sparse nel nostro territorio."

Padre e figlio rimasero in silenzio per interminabili minuti, entrambi persi nei ricordi.

"Qual'é la profezia che mi riguarda?" chiese d'improvviso il principe.

Thranduil sussultò. 
Aveva temuto il giorno in cui suo figlio gli avrebbe rivolto quella domanda. Lui e Roswehn avevano preso il tacito accordo di mantenere il principino all'oscuro di tutto. Perché la rivelazione di quello che sarebbe stato il suo futuro, come strumento nelle mani di Morgoth, avrebbe potuto sconvolgerlo. E Radagast, lo Stregone, era stato chiaro con entrambi: non ditegli niente. Fatelo crescere sereno. Quello che sarà, sarà.

Già, ma Haldir l'aveva scoperto in qualche modo e adesso era lì a chiedergli spiegazioni.

"Perché mi fai questa domanda?" chiese il Re.

"Goneril...la guerriera... ha detto che c'é una profezia che mi riguarda. Qual'é?" continuó il giovane Elfo.

Thranduil maledì mentalmente la soldatessa mercenaria. Demonio crudele, pensó.

"Non é che una teoria, Haldir. Non c'é niente di sicuro." rispose il Re.

"...allora é vero! Esiste una storia su di me! E mia madre la conosceva?" sbottó il principe, alzandosi dal letto.

"Sì. Fu uno Stregone a portarla alla luce. Ma credimi, non sono che supposizioni di un vecchio mago. Io e tua madre non abbiamo voluto altro che la gioia per te. E così deve continuare ad essere. Non ti crucciare."  provó a mentire Thranduil.

"No, ora voglio sapere, padre! É forse questo il motivo per cui mi avete nascosto qui per tutta la mia vita? É questa la ragione per cui solo a pochi eletti é concesso parlarmi? Per cui non mi sono mai potuto recare oltre i nostri confini?" chiese Haldir.

"Mantieni il contegno. Sei al capezzale di Roswehn. Siamo insieme per darle l'addio." lo rimproveró il Re. 

A quelle parole, Haldir sembró placarsi. Le sue guance rosse tornarono candide come porcellana. "Sì...ma dopo la cerimonia funebre, mi parlerai, padre. Mi racconterai tutto. Chi sono, chi saró, e perché la mia esistenza sembra maledetta. Promettilo." pretese Haldir.

"Chi sei? Tu sei mio figlio, un principe elfico discendente da una nobile famiglia Sindar. Fratello di un altro Elfo valoroso, che spero torni presto. Lord Celeborn del Lothlórien starà qui per i prossimi giorni. Hai anche un po' del suo sangue. Voglio che vi conosciate. Il resto per ora non ha importanza." disse Thranduil.

"Ne ha per me." ribatté Haldir. Aveva uno sguardo deciso. "E voglio sapere."

Thranduil sostenne l'occhiata del figlio. "Haldir...in certi casi l'ignoranza é una benedizione. Può essere deleterio scrutare nel futuro."

"Mi parlerai, padre. E da te non voglio sentire altro che la verità." insisté Haldir.

Thranduil si arrese. "D'accordo. Ma tutto quello che ti diró non dovrà cambiare il corso della tua vita. Affronterai la rivelazione, per quanto amara, con dignità e carattere. Come ci si aspetta da un figlio di Thranduil."

"Lo giuro." fu la risposta del principe, che poi tornó a guardare sua madre per l'ultima volta.

 

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Capitolo 55
*** Un nuovo Re ***


La vecchia Roswehn aveva preso fuoco alla svelta.

Una fiamma alta e arancione aveva avvolto i fasci di legno secco sui quali gli Elfi avevano disteso il suo cadavere. La scena ricordó al principe qualcosa: quei covoni di fieno che Haldir aveva visto molte volte nelle coltivazioni del reame. Spesso d'estate, sotto il cocente sole, s'incendiavano d'improvviso. Uno strano fenomeno di autocombustione che aveva sempre affascinato il principe.

Ma il lento crepitìo delle fiamme che consumavano il corpo di sua madre non aveva nulla di affascinante, era uno strazio per gli occhi, per il cuore e per le orecchie. Quelle orecchie tonde, piccole, che aveva ereditato da lei.

Perché non ho le orecchie a punta come te, padre, come gli altri Elfi? Non lo capisco, aveva chiesto al Re quando aveva appena sei anni. Da poco aveva iniziato ad osservare incuriosito la sua immagine nei riflessi delle pozzanghere, e aveva subito colto quella importante differenza fra lui e gli altri abitanti di Boscoverde.

Thranduil era sembrato un po' a disagio a quella domanda. Perché sei un Elfo SPECIALE, figlio. L'Elfo più speciale del mondo... e lì si era fermato. Aveva chiuso la questione senza aggiungere altro.

Un po' come aveva provato a fare qualche ora prima della cerimonia funebre, quando Haldir gli aveva chiesto della profezia. Era sempre stato così suo padre: le sue risposte erano asciutte, sintetiche.
I Re non agiscono senza uno scopo e non sprecano parole, gli aveva sentito dire una volta.

Lo osservó. 
Era in piedi, immobile, di fronte alla grande pira funeraria su cui il corpo della donna umana ardeva. Composto, un'espressione di dignitoso dolore sul viso, e nemmeno una lacrima. Legolas gli aveva detto che, in vita sua, aveva visto loro padre piangere una sola volta: quando, dopo la vittoriosa battaglia delle cinque armate sessant'anni prima, il primogenito gli aveva annunciato che sarebbe partito, e che avrebbe lasciato il loro territorio per un tempo indefinito. Suo fratello gli aveva spiegato che il Re non amava mostrare i suoi sentimenti, e che per questo si era guadagnato la nomea di Re di ghiaccio, ma ció non significava che lo fosse sul serio. 
Nostro padre ama, e soffre, in un modo del tutto privato. Ma la sua sensibilità è grande. Non lo giudicare in modo sbagliato, Haldir. Le sue asperità caratteriali sono solo una facciata.

Il principe giró lo sguardo intorno. Vide Morath e Nim, che piangevano abbracciate. Vide la grande moltitudine di Elfi, quelli che avevano conosciuto e amato Roswehn, col capo chino e le mani giunte. Udì il lamento funebre che alcuni stavano intonando.

Vide Lord Celeborn, accanto a suo padre. Un nobile Elfo, marito della grande Galadriel: era unito a Thranduil da una lontanissima parentela. E quindi, era anche suo congiunto. Una specie di zio di infinitesimo grado.

Il Re aveva deciso di celebrare il funerale in una zona della Foresta sufficientemente nascosta, soprattutto per la presenza di Haldir. C'erano ancora Orchi nel bosco, i suoi soldati stavano cercando di stanarli tutti, ma non voleva rischiare che uno di loro sbucasse fuori d'improvviso e aggredisse il principe.

Il fumo si elevava, alto e nero. Per coprire l'odore acre, Thranduil aveva disposto di far versare sul corpo dell'amata un olio profumato, olio alla rosa. Ma non era servito a molto.

Quando l'aria divenne irrespirabile, il Re diede ordine a tutti di allontanarsi, e lasciare che il fuoco terminasse la sua opera. Due soldati rimasero ad attendere la fine, per raccogliere in un'urna le ceneri di Roswehn. 

Haldir vide Celeborn poggiare una mano sulla spalla del Re, e dirgli qualcosa. Poi, entrambi si girarono ad osservare lui. Imbarazzato, il principe abbassó lo sguardo.

"Haldir, ti prego, avvicinati." lo chiamó suo padre.

Il giovane, un po' timoroso, raggiunse i due signori elfici.

Celeborn gli rivolse un sorriso caldo e sincero. "Eccoti, dunque."

"Lord Celeborn, è un onore conoscervi. Mio padre mi ha parlato spesso di voi." disse il principe.

"Anch'io ho sentito grandi cose su di te. Sei già una piccola leggenda." gli rispose il Signore del Lothlórien.

"Davvero?" si stupí Haldir, guardando Celeborn. Poi si girò verso il padre. "Oltre alle profezie, ora spuntano anche le leggende."

A Celeborn non sfuggí il sarcasmo di quel commento. "Non sai ancora nulla, vero?" gli chiese.

"No. No, infatti. Stavo appunto per chiedere a mio padre di dirmi ogni cosa." rispose Haldir. "Molte faccende necessitano di spiegazioni, e il momento é arrivato."

"Rimani, Celeborn. Vorrei che mio figlio ascoltasse anche la tua testimonianza. Tu e Galadriel avete ospitato Roswehn nel Lothlórien, vedeste con i vostri occhi quello che le capitò. Sai a cosa mi riferisco." lo esortò Thranduil. "É importante che Haldir creda a tutto quello che gli dirò, la conferma da parte tua sarà fondamentale."

Il principe, intanto, li osservava confuso. "Mia madre...cosa successe a mia madre nel Lòrien?! Non ne so nulla! ...e che ha a che fare con me?!"

Celeborn annuí. "Roswehn fu vittima di Morgoth, Haldir. L'Elfo da cui hai preso il nome e Gandalf il Grigio le salvarono la vita. Fu una storia terribile. Tua madre scelse di chiamarti Haldir in onore del defunto capitano dei nostri Galadhrim." spiegò.

Haldir rispose: "Non conoscevo questo fatto. Cioé, sapevo che un Elfo del vostro regno fu un suo grande amico...ma ignoravo il resto." poi impallidí, come avesse realizzato qualcosa a scoppio ritardato. "...M-Morgoth?!"

"Sí." commentò Celeborn. "Credo sia giusto che sia tuo padre a raccontarti il resto. Il vostro futuro, il tuo in particolare, sarà molto importante. Io, Galadriel ed Elrond ce ne andremo a Valinor, che Sauron vinca o venga sconfitto. Ma voi, popolo di Boscoverde, rimarrete. Sarete gli ultimi rappresentanti della razza elfica nella Terra di Mezzo."

"Un momento, Celeborn. Ti chiedo ancora di essere presente quando spiegherò a mio figlio ogni cosa. Fammelo come favore personale." gli propose Thranduil.

"No. Il mio compito è finito. Ho aiutato il tuo esercito, ho onorato la parentela fra me e te. Ma tu hai la responsabilità di guidare tuo figlio, adesso. Devi farlo da solo." gli disse Celeborn. "Non esiste persona più adatta di suo padre, per spiegargli cosa sarà di lui."

Haldir, nel frattempo, venne scosso da un brivido. "Ma...cosa vuol dire che mia madre fu vittima di Morgoth? In che modo l'antico démone è venuto a contatto con lei? Cosa le ha fatto?!" quasi gridò.

"Ricordi cosa ti dissi? Dovrai essere forte, ora. Seguimi, dunque, se credi di essere pronto ad ascoltare la verità." gli rispose Thranduil.

"Ma certo che lo sono!" replicò il principe.

"Vale anche per te, Thranduil." gli disse Celeborn. "Anche tu dovrai essere forte." guardò verso il principe. "Niente è facile, in questa nostra lunga vita. È una prova dura, quella che affronterai adesso. Non tremare, come non hai tremato davanti a un Nazgûl."

Poi, osservò padre e figlio dirigersi verso il palazzo fra i boschi. Si augurò che il Re riuscisse a trovare le parole giuste.

⚜️⚜️⚜️

"Siediti lassù, figlio mio." lo incoraggiò Thranduil.

Erano entrambi nel grande antro principale, al centro del quale si ergeva il favoloso trono intagliato in legno di quercia del Re.

"Al...al tuo posto? Sei sicuro, padre?" chiese un perplesso Haldir.

Il Re annuí. "Sarà tuo, un giorno. E da lassù dovrai prendere decisioni importanti. Un tuo sí o un no potrebbero significare la vita o la morte per qualcun altro. Meglio che ti abitui al potere." esordí Thranduil. "Il potere, figlio, può essere pericoloso. Di questo ora ti devo parlare."

Haldir salí timorosamente i pochi scalini che conducevano al trono. Si sedette, mentre il cuore gli martellava nel petto. Aveva sempre osservato il seggio di suo padre da lontano, con timore misto a riverenza. Il posto occupato da Oropher, prima di tutti. Il posto che per diritto di successione avrebbe dovuto essere riservato a Legolas. Si sentí in terribile imbarazzo là sopra.

"Prima mi hai chiesto cosa successe a tua madre tanti anni fa." proseguí il Re. "Celeborn ti ha già accennato qualcosa. In effetti, Roswehn visse un'esperienza tragica, incredibile, che la segnò...ma che, in fondo, portò alla nascita dell'amore fra me e lei. O meglio, all'accettazione di quel sentimento da parte mia."

Haldir ascoltava, concentrato al massimo.

"...Morgoth. Questo nome orribile diverrà presto il tuo incubo, Haldir. Purtroppo non c'è nulla che io possa fare per salvarti. Ho solo potuto preservarti dall'angoscia, ritardando il più possibile questa rivelazione. Ma tu ostinatamente hai preteso la verità, e non mi lasci scelta."

Il principe ricominciò a tremare. Thranduil sentí il cuore andare in pezzi alla vista del figlio scosso a quel modo. "...allora, vuoi che continui?" gli chiese.

"Sí. Ti prego. Io ho bisogno di sapere." disse Haldir.

"Hai studiato molto in questi anni. Sai cos'è la Dagor Dagorath, perciò." continuò il Re.

"La Battaglia finale. Cioé, è una profezia sulla fine del mondo per come lo conosciamo e l'inizio di una nuova Era, fatta di Armonia." disse Haldir.

"Esatto. Secondo questa profezia, Morgoth scatenerà una guerra. E per farlo, userà uno strumento. Riuscirà ad acquisire forma fisica, si metterà alla testa della moltitudine di esseri malvagi creati da lui e governati nei secoli da Sauron." spiegò il Re. "Avrà bisogno perciò di un corpo. Radagast il Bruno, un vecchio Stregone, ebbe un'intuizione. Lo interpellai, preoccupato dai malesseri e dai disturbi che tua madre aveva durante la gravidanza. Sostenne che proprio Morgoth dava il tormento a Roswehn, e che voleva qualcosa da lei. Voleva te."

Haldir cominciò a capire. Il tremito che lo scuoteva si trasformò in uno spasmo allo stomaco.

Riusci a balbettare: "...s-s-sarò io lo strumento di Morgoth?! Questo mi stai dicendo?"

"Secondo Radagast, sí. La sua interpretazione della profezia andò dritta in questa direzione. Roswehn gli credette subito. Io mantenni il mio scetticismo, forse perchè la prospettiva è troppo tragica." confermò il Re. "Haldir, tu mi hai chiesto di parlarti del futuro, e nel tuo futuro potrebbe esserci questo."

Haldir saltò in piedi. Tremava tutto, come un salice scosso dal vento. "Allora....allora....io non devo star qui! Io devo andarmene, sparire!" urlò.

"Perché?" chiese pacatamente il Re. Si era aspettato quella reazione.

"Perché?!... perché l'hai detto tu stesso...io sono un predestinato...Morgoth mi userà! Diventerò lui!" si agitò il principe. "Andrò con Celeborn e gli altri a Valinor. Sí...io...non lascerò che si serva di me per scatenare una guerra...sparirò!"

"Non lo farai. Il tuo destino é di continuare a vivere qui. E permettimi di finire il discorso..." proseguí Thranduil, tentando di mantenere l'autocontrollo. Avrebbe voluto correre dal figlio, abbracciarlo, rassicurarlo. "... Morgoth, secondo la profezia, verrà sconfitto. Un Uomo lo eliminerà per sempre...e dopo, dopo inizierà un nuovo meraviglioso tempo."

"Io verrò ucciso, perciò!" sbottò il principe.

"No. Morgoth perirà, non tu. Ti lascerà libero. E allora sarai l'ultimo grande Re degli Elfi. Il più potente, perché signore di un vastissimo reame. Nessuna guerra, mai più nemici. Sarai anche più grande di me, di tuo nonno e dello stesso Gil-Galad. Tu non comprendi questa visione." spiegò Thranduil. "Perciò devi rimanere, e attendere con fiducia il trionfo. Sí, ci sarà anche il dolore, la guerra. Una grande guerra. Ma dopo..."

"...come sai che mi lascerà libero, padre? Come puoi dire che uscirà semplicemente da me? E se morissi anch'io?" disse Haldir tremando. Gli sembrava un brutto sogno.

"Perché l'ho già visto succedere." rispose il padre. "Tentó la stessa cosa con Roswehn. Tentó di usare lei prima di te."

"Come?" chiese il figlio, tornando a sedersi perché sentiva le ginocchia cedere. Si appoggiò allo schienale del trono e inspirò, chiudendo gli occhi. Doveva sforzarsi di ritrovare la calma.

"Questa è un'altra storia. Tua madre mi fece giurare di non dirti nulla di lei. Non voleva turbarti. E anche lei, voleva dimenticare." rispose il Re.

"Turbarmi...beh, lo sono già abbastanza, padre. Voglio sentire tutto, fino in fondo. Non tenermi nascosto più nulla, te ne prego." chiese Haldir.

Thranduil tolse qualcosa dalla tasca del lungo caftano funebre. Guardò l'oggetto che teneva nel palmo della mano, in silenzio, per qualche secondo.

"D'accordo." rispose "...e questa é tua, ora."

 

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Capitolo 56
*** Passioni ***


Goneril aveva trovato una veste della sua misura nell'armadio di Arwen.

Non si era fatta troppi scrupoli a prenderla, visto e considerato che alla figlia di Elrond difficilmente sarebbe ancora servito un corredo. Arwen stava lì, lunga distesa sul canapè nella sua camera, sempre più eterea, il suo corpo sempre più impalpabile. In attesa di esalare il suo ultimo respiro.

"Grazie, cara." aveva mormorato Goneril con un sorriso cattivo, dopo aver preso il bell'abito celeste dal guardaroba della donna elfica. Frugare negli armadi delle principesse stava diventando un'abitudine, per lei.

Si era poi recata a una delle grandi fontane di Rivendell, che ancora gorgogliavano. Tolti i vecchi indumenti rubati a Dale, ormai pregni di sudore e fango, si era immersa in quella vasca di granito, resistendo al gelo dell'acqua.

Guardó il cielo. C'erano nuvole grigie e dense, che ormai da giorni si estendevano a vista d'occhio. Erano momenti cruciali per la storia della Terra di Mezzo. Goneril sapeva che da un momento all'altro tutto poteva cambiare: se l'Hobbit ce l'avesse fatta a gettare l'Anello nel fuoco, il mondo sarebbe stato libero. Se malauguratamente avesse fallito, in un attimo quei nuvoloni sarebbero diventati neri, il Sole sarebbe sparito e poi anche la Luna, per lasciare spazio solo al buio. E a Sauron.

Ma che poteva farci lei, che era lontana mille miglia da Mordor? Niente, a parte tentare di lavarsi, impresa non facile visto che non aveva nemmeno del sapone.

Doveva organizzare il suo futuro.

Intanto, trovare il modo di sbarazzarsi di Hammon. Tempo addietro, il modo più semplice sarebbe stato farlo fuori. Ma la guerriera se n'era andata per sempre, così come i suoi metodi. Doveva convincerlo a levare le tende. Per almeno un anno, voleva stare da sola. Ne aveva un disperato bisogno, poiché un nuovo inizio non ci sarebbe mai stato se non si fosse disintossicata da ció che era stata prima. Anche per quello non poteva uccidere Hammon. Certo, sarebbe stato facile trapassarlo con la spada e buttarlo in uno dei burroni di quella valle sterminata. Ma ogni volta che avrebbe guardato verso quel crepaccio, si sarebbe ricordata il suo ultimo omicidio, la sua ultima vittima. No, non voleva essere perseguitata da fantasmi anche lì a Rivendell.

Ma come mandarlo via? E cosa voleva da lei?

Credeva di essere innamorato. Quell'imbecille credeva sul serio di essere innamorato. Aveva negato, ma Goneril gli aveva visto quello sguardo, lo sguardo di un uomo consumato da un'ossessione. Lo conosceva, quello sguardo, poiché l'aveva visto in altri uomini.

La fama della sua crudeltà era pari solo a quella della sua bellezza, perció a volte qualche perdigiorno con ambizioni da seduttore osava avvicinarsi alla legione per incontrarla. Sapeva che alcuni uomini scommettevano con altri sul fatto di portarsela a letto. Degarre gliel'aveva detto, e lei ci aveva riso sopra. Le scommesse venivano sempre perse, anzi spesso quei folli se ne tornavano a casa senza più il loro cavallo, o le monete che si portavano appresso, o i loro indumenti.

Ma riconosceva il desiderio dei maschi, lo coglieva dagli occhi. Hammon ne era consumato, al punto da sfidare il rischio di beccarsi una pugnalata per strapparle un bacio con la forza.

Avevano la stessa età, trent'anni esatti. Si conoscevano da dieci, e mai Hammon aveva mostrato interessi di quel tipo verso di lei. Com'era possibile che improvvisamente avesse scoperto in lui quella passione? Perché proprio in quei giorni, nel pieno di una guerra che stava travolgendo tutti?

Si guardó in giro, chiedendosi dove fosse. Forse se n'era andato di sua iniziativa.

Goneril se l'auguró.

⚜️⚜️⚜️

Ma Hammon non se n'era andato per niente, né aveva intenzione di farlo.

Era entrato nella vecchia residenza di Elrond, nella sala dove il Lord di Rivendell prendeva le sue decisioni. Un grande salone le cui pareti erano interamente percorse da scaffali e scaffali di libri. Una scala a chiocciola conduceva a un piano superiore, dove dovevano esserci le stanze private.

C'era una favolosa scrivania in mogano che faceva mostra di sé al centro della sala. Su di essa, vecchie e gialle pergamene impilate alla bell'e meglio, e una consunta penna d'oca immersa in un contenitore d'inchiostro lasciato a seccarsi.

Davanti alla scrivania, una sedia con un alto schienale, simile a un antico trono.

Su quella sedia, seduto mollemente a gambe divaricate e con la testa reclinata sul petto, Benjamin Hammon rifletteva.

Voglio stare qui. Voglio stare con lei. 
Questo pensiero gli ronzava in testa senza sosta.

L'offerta di Goneril non era male: tre sacchi pieni di monete d'oro, e la libertà. Ricominciare a Gondor, sempre che Gondor non fosse stata incenerita dai servi dell'Oscuro. Trovarsi un'altra ragazza? Non sarebbe stato difficile: era un bell'uomo, dopo tutto. Ancora relativamente giovane, in piena forma a parte per qualche escoriazione, biondo e con due occhi chiari e grandi. 

Sarebbe tornato a Minas Tirith dopo dodici sanguinosi anni, e magari avrebbe cercato la vecchia abitazione dei suoi genitori. Forse erano ancora vivi. In quest'ultimo caso, il problema sarebbe stato riconciliarsi con loro. Specialmente con sua madre, che era andata su tutte le furie al suo annuncio di volersi unire a un esercito mercenario. 
Diventerò ricco, mamma. Talmente ricco da potervi comprare una residenza più bella di questa casa. Aveva promesso alla donna.

E quanti uomini dovrai uccidere per diventare ricco, Ben? Io non voglio il tuo denaro. Sarebbe sporco, guadagnato disonestamente. Aveva replicato sua madre. Azzardati a uscire da questa casa, e non rientrerai più, hai capito? Non ti voglio qui, se diventi un assassino!

Suo padre non aveva detto nulla durante quella discussione. Messo all'angolo da sua moglie, come sempre. In tutti gli anni passati con i suoi, se c'era una cosa che Benjamin aveva capito era che in quella casa non era il vecchio signor Hammon a portare i pantaloni.

E cosí se n'era semplicemente andato, sbattendo la porta.

Adesso poteva tornare. E di soldi ne avrebbe avuti a bizzeffe. Sí, erano soldi sporchi come aveva detto sua madre, ma erano un capitale di tutto rispetto.

C'era solo un piccolo particolare: lui non voleva andare a Gondor. Più ci pensava, più veniva assalito da una strana angoscia, all'idea di non vederla più. Già quei giorni di separazione erano stati una tortura per lui.

Dieci anni con lei. Ogni giorno. Sotto il sole, di notte, sotto alla pioggia, nella nebbia, in mezzo alle battaglie, in mezzo al fango, davanti ai tramonti, nel freddo del mattino. Tutti momenti che aveva vissuto con lei, al suo fianco. Qualche volta soli nella sua tenda da campo, a scambiarsi confidenze e opinioni sulle battaglie.

Con nessun'altra donna aveva avuto un rapporto cosí stretto, quasi morboso. Non conosceva nessuna bene come conosceva lei. Gli bastava guardare Goneril in faccia per capire cosa stesse pensando. Sapeva interpretare ogni smorfia, ogni sguardo, ogni inflessione della sua voce.

E Hammon era piuttosto sicuro che nessuna donna conosceva, o avrebbe mai conosciuto lui, come lo conosceva Goneril.

Non ci sarebbe mai stata un'intesa del genere con nessuna bella ragazza di Gondor.

"Non te ne sei andato." disse una voce femminile. Hammon sobbalzò sulla sedia e sollevò il capo.

Vestita d'azzurro, Goneril entrò lentamente nella sala. Aveva i capelli bagnati, e sembrava infreddolita.

"Quella veste, l'hai rubata." mormorò Hammon. "Ti sta molto bene."

La ex guerriera afferrò una sedia e la trascinò vicino alla scrivania di Elrond. Si sedette proprio davanti al capitano.

Rimase in silenzio per qualche secondo, scuotendo tristemente il capo. "Cosa devo fare con te, Benjamin?"

Hammon si sorprese. Non l'aveva mai chiamato per nome. "Sai che non me ne andrò." le disse.

"Sei preda di qualche delirio, soldato. Io non so che diavolo ti abbia preso, ma te lo dico ancora: te ne devi andare. Questo posto é mio adesso. E qui io voglio stare per conto mio." disse lei pazientemente.

"Questo regno non é tuo affatto. Dama Arwen é ancora viva. Finché vive, é lei che governa Gran Burrone, in assenza di suo padre." replicò Hammon.

"Chi, quella specie di fantasma? Sarà scomparsa entro domattina. E tutto questo, sarà mio. E in quanto mio, decido io chi può stare qui con me. Ho deciso che per te non c'é posto." continuò Goneril. "Ti prego di essere ragionevole."

"Dimmi perché non mi vuoi qui. Almeno dimmelo." rispose Hammon.

"Perché tu mi ricordi il mio passato. E io voglio dimenticarmi di tutto. Benjamin, quando ci siamo parlati prima hai detto una grande verità: io ho sofferto da bambina. Non voglio raccontarti le penose storie della mia vita, ma é meglio che tu sappia questo: non esiste un solo minuto del mio passato che io ricordi con gioia. E questo vale anche per i miei anni nella legione. Qui ho l'opportunità di cancellare tutto, ricominciare. É il giorno zero, per me. Ma tu, con la tua presenza, rovini tutto." spiegó, sforzandosi di non innervosirsi. "Tu sei legato a quella vita miserabile di cui voglio sbarazzarmi."

"Posso capire questo. Ma mi sembra che tu non stia considerando una cosa: sono arrivato prima di te, qui. E lord Elrond mi ha dato il suo consenso affinché abiti nel suo territorio. Al contrario di te, che sei sbucata d'improvviso e reclami diritti mai avuti su queste terre." replicó freddamente Hammon.

Lo sguardo di Goneril divenne arcigno: "...non vorrai farmi arrabbiare, soldato. Sai che non é una buona idea."

"Sto solo dicendo la verità. E a dirla tutta, sarei io quello autorizzato a cacciarti via, se mi andasse di farlo." proseguí il capitano. "Se Arwen muore, io posso reclamare questo regno tanto quanto te...piú di te."

Goneril lanció ad Hammon uno sguardo carico di esasperazione. Ma poi sembró rilassarsi. Un sorriso sardonico accompagnó le parole successive. "...allora dovró modificare la proposta."

Con un gesto languido, abbassó le spalline dell'abito, lasciando scoperti entrambi i seni. Bianchi, sodi a furia di cavalcare, lisci come il marmo di quel palazzo. Una visione che avrebbe mandato fuori di testa qualsiasi maschio con gli ormoni funzionanti.

Hammon stesso, dopo l'iniziale stupore, avvertì qualcosa risvegliarsi ai piani bassi del suo corpo. "Che fai?"  chiese.

"L'hai capito benissimo. Tu mi desideri. É questo ció che vuoi, alla fin fine. Te lo concedo. Ti concedo me stessa. Qui, subito. Solo una volta, e dopo...dopo giurami che te ne andrai." gli propose, con quello stesso tono freddo e calcolatore con cui, da Generale, proponeva accordi a regnanti e governatori. Una contrattazione bella e buona.

"Smettila. E rivestiti." le rispose.

"Tu sei preda di un'ossessione, nient'altro. É l'unico modo per fartela passare e poi salirai di tua volontà su quel cavallo e te ne andrai a casa tua. A Minas Tirith. Approfittane. Usami. E poi dimentica." continuó lei. "Sei un uomo, e voi uomini siete tutti uguali. Scambiate per amore ció che è solo smania di sesso."

Se Hammon fosse stato Degarre, o Aran, avrebbe accettato l'offerta senza attendere un secondo. Avrebbe afferrato Goneril per un braccio, l'avrebbe spinta sul tavolo con la veste sopra la testa, e avrebbe fatto i suoi comodi.

Ma lui non era Degarre, né Aran. 
"Copriti, forza. É imbarazzante. Sembri una prostituta." le disse.

"E non lo sono? Non lo sei, anche tu? Mercenari...era questo il nostro mestiere. Ci siamo venduti per soldi." replicó Goneril. Poi si spinse sul tavolo e fu quello il momento in cui Hammon rischió di cedere. Quando vide il suo seno strisciare sul legno. "Non dare inutili dimostrazioni di classe a buon mercato, adesso. Prendi quello che vuoi, e va' via. A me basterà tornare in quella fontana e lavarmi, e ogni traccia di te se ne andrà. E non credere che mi mancherai, Hammon. Non mi ricorderó neanche il tuo nome, l'anno prossimo."

Hammon a quel punto balzó in piedi. Giró attorno alla scrivania, afferró Goneril e poi la sollevó in braccio.

"Lasciami giù!! Lasciami!" protestó lei.

Ma il capitano la portó verso la scalinata a chiocciola che conduceva alle camere di Lord Elrond, e inizió a salire i gradini. "....oh sì, ti ricorderai di me. Da domattina saró nei tuoi pensieri più che mai. Come tu continui a essere nei miei, benché nemmeno io capisca il motivo. Ma forse hai ragione: una come te va trattata così. Mai più subiró il tuo sarcasmo. E ascoltami bene, perché non te lo ripeteró: non mi lascerai fuori dalla tua vita, Goneril."

 

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Capitolo 57
*** Luce ***


Quando Thranduil ebbe finito con tutte le spiegazioni, Haldir era sconvolto. Teneva tra le mani la stella del vespro, il ciondolo appartenuto a Roswehn, che il Re aveva tolto dal collo della donna prima della cremazione. Tienila tu, ora. Ha protetto tua madre, proteggerà anche te.

Avrebbe voluto rifiutare quelle verità, respingerle come si respinge una mosca importuna, ma non poteva farlo.

La vicenda di sua madre, l'orribile possessione di cui era stata vittima, la sua disavventura nell'antico reame di Arnor, il rapimento degli Haradrim, le vessazioni notturne dello spettro che si faceva chiamare Morgoth, e infine la rivelazione dello stregone Radagast sulla maledetta profezia. Tutto ciò che suo padre gli aveva raccontato riempiva la testa del giovane Elfo facendola  pulsare dolorosamente.

Il colpo finale era stata la descrizione del suo destino come strumento di distruzione. Sarebbe diventato lui stesso il male, e sarebbe stato affrontato da quel misterioso uomo del futuro, di cui non si sapeva il nome. Quest'ultimo avrebbe finalmente distrutto il Re Antico, il primo, il più splendente di tutti i Valar, che aveva scelto di allontanarsi da Eru e diventare il grande corruttore del mondo. Morgoth. Ma lo avrebbe distrutto colpendo lui.

"Non è possibile..." continuava a dire il Principe, afflitto. "...forse quel mago si è sbagliato. Perché io? Cos'ho di cosí speciale?? Nulla! Guardami... nulla!!" urló al padre. Erano ancora nell'antro del trono, ma il Principe era sceso dal seggio.

Thranduil non fu d'accordo. "Sei un Elfo unico al mondo, Haldir.  Avrai certamente notato di avere una grazia che altri Elfi non hanno. La tua straordinaria bellezza non è un dono casuale.  Anche Morgoth, quando ancora usava il nome Melkor, quando ancora viveva nella Luce, era bellissimo. Il più luminoso fra tutti i Valar. È perfettamente intuibile perché progetti di incarnarsi in una creatura come te."

"Ma c'è una cosa che non capisco, padre: se nelle prossime ore Sauron dovesse vincere, questo continente sarebbe comunque condannato. Questa profezia... non ha senso." obiettó il principe. "...la battaglia finale... non ci sarebbe alcuna battaglia fra molti millenni, perché questo mondo sarebbe occupato già dalle creature di Sauron, Orchi, Troll, Goblin. Come si può ipotizzare il futuro, quando noi creature libere potremmo anche non averlo affatto, un futuro?"

Thranduil comprese i dubbi del figlio. Aveva ragione. "La Dagor Dagorath fu una profezia di Mandos. Il signore del nostro aldilà. Ma come per ogni profezia, bisogna scegliere se crederci, oppure ignorarla. È una predizione, è un messaggio divino su quello che potrebbe capitare fra molti millenni. Io ho sempre rifiutato di lasciarmi andare a supposizioni sul nostro destino, per me é importante vivere nel presente. Questa è la realtà per ora. Io, te, il nostro popolo...noi siamo reali. Tuo fratello è reale, lui... che si sta mettendo in prima linea contro Sauron. È questa la battaglia vera che stiamo combattendo ai nostri giorni. E hai ragione, ancora non si sa come andrà finire. E proprio per questo motivo, ti avevo suggerito di non chiedere troppo. Ora sei sconvolto, e lo capisco. Ho instillato in te il terribile sospetto di poter diventare in futuro l'incarnazione di quel demonio . E mi maledico, perché so che questo pensiero non ti lascerà mai più, e non ti permetterà di vivere sereno."

Haldir guardó il padre. "No, non odiare te stesso. Sarebbe stato peggio per me vivere nel dubbio, chiedendomi giorno dopo giorno qual è il mistero che mi avvolge. Ora so. E anche se adesso la mia vita non sarà mai più la stessa, mi sento in parte sollevato."

Thranduil si avvicinò, e fece una cosa che da moltissimo tempo non aveva più fatto nemmeno con Legolas: prese il figlio fra le braccia, e lo strinse a sé. Rimasero in silenzio, uniti in un lungo abbraccio.

"Haldir, se tu solo immaginassi quanto io e tua madre ti abbiamo amato... Sei stato la nostra gioia per tutti questi anni. La nostra unica grande consolazione, al fatto di essere separati. Il peggiore dei dispiaceri per due genitori é sapere che i loro figli sono infelici. Perció, non essere afflitto. "

"Ora capisco tante cose, padre. Ammetto di averti detestato, perché mi tenevi sempre nascosto nel palazzo, perché credevo che tu mi avessi privato della libertà. Lo dissi anche a mia madre. Ma adesso, adesso mi è tutto chiaro. Tu hai sempre solo agito per proteggermi, e mi dispiace aver causato problemi a te e agli altri." disse il principe. "Ma ora so quello che devo fare. Se da questa guerra scaturirà una nuova, luminosa Quarta Era farò di tutto per impegnarmi a diventare un buon Re. Imparerò da te. E ti prometto, che cercherò di non aver paura." continuó il Principe. "...mi dispiace che mia madre abbia sofferto a causa mia. Se quello che mi hai detto è vero, Morgoth le ha dato il tormento per avere me. Ha sacrificato la sua vita, si può dire."

Thranduil carezzó la chioma bionda e ondulata di suo figlio. "Roswehn ha vissuto una vita straordinaria. È stata amata da un re, ha avuto un figlio bellissimo come te. E nei trent'anni che ha passato qui, ti assicuro che è stata felice in ogni secondo. Poi,ha scelto di tornare a Dale. Lì, purtroppo, non sono sicuro che la sua vita sia stata altrettanto serena. Circondata da ironie e malizie a causa della nostra storia d'amore, sola, ha sopportato la lontananza per decenni. Forse pensava in questo modo di preservarmi dalla sofferenza. Non voleva che io la vedessi invecchiare, sfiorire, trasformarsi in qualcosa che, lei credeva, io non avrei più amato. Quanto si era sbagliata... Impara una cosa, figlio: quando l'amore nasce, ed è autentico, non può mai morire. Per quanto l'oggetto del nostro amore possa cambiare, quel sentimento rimane sempre dentro di noi."

Haldir sospiró, guardando a terra. "Chissà se io amerò mai, padre. Chissà se vivró un amore importante come quello fra te e mia madre."

"Roswehn se lo chiedeva, ogni tanto. Diceva: forse quando Haldir sarà cresciuto, una ragazza di Dale attraverserà questo bosco per incontrarlo. È talmente bello che sicuramente nasceranno storie su di lui. Il favoloso, bellissimo Re degli Elfi. Le stesse cose che si dicevano su di te, Thranduil. Forse allora, una giovane sognatrice, spinta dal desiderio di incontrare questo Elfo bellissimo, farà quello che ho fatto io: un giorno lascerà i suoi genitori, e attraverserà da sola il bosco. Magari si incontreranno, e s' innamoreranno."

Il principe sorrise. "Una ragazza umana..."

"Sarei felice se tu ti innamorassi come lo sono stato io. Ma devo avvertirti: se sceglierai di amare una mortale, andrai incontro alla sofferenza. Lo hai visto, gli umani muoiono. La loro esistenza è molto breve." gli disse il Re.

"Faró tesoro anche di questo suggerimento. D'ora in poi io ho intenzione di..." il Principe non potè continuare, perché ci fu un boato fortissimo. Il terreno sotto i loro piedi cominció a tremare, perfino il pesante trono oscilló pericolosamente. Il giovane Elfo si sorresse al padre. Anche Thranduil si spaventò, sembrava esserci appena stata una scossa di terremoto.

"Padre!! Cos'è stato??" gridó Haldir.

"Non lo so. Usciamo di qui!" rispose Thranduil. "Andiamo fuori a vedere. Voi, aprite la porta!" comandò ai due soldati di guardia.

Gli Elfi spalancarono l'alto e maestoso portone che chiudeva l'accesso al palazzo del Re.

E per prima cosa, una volta usciti, Haldir vide il sole. Raggi di sole si facevano largo tra i rami degli alberi. Questo stupí anche Thranduil: da giorni il loro territorio era oscurato da nuvoloni grigi, prima quelli scaturiti dall'incendio appiccato dagli Orchi, e poi da...altri, che sembravano arrivare da Sud.

"La luce...tutta questa luce improvvisa..." disse Thranduil.

Haldir e i soldati guardavano il cielo, quella porzione che si poteva intravvedere fra i rami. "Ma cosa succede, padre? Non ho mai visto il cielo cosí limpido!"

Thranduil tentò di concentrarsi per avvertire in sé che tipo di energia stesse pervadendo il mondo. Il suo istinto non era profondo come quello di Galadriel, ma ugualmente sentí qualcosa.

"Libertà..." fu la prima parola che gli venne in mente. "Siamo liberi."

⚜️⚜️⚜️

Thranduil e suo figlio non potevano sapere che diversi minuti prima la creatura chiamata Gollum era capitombolata giù dal crepaccio interno al Monte Fato portandosi dietro l'Anello, che in quegli istanti si stava dissolvendo nella lava. Non potevano neanche sapere che la scossa che avevano sentito era l'onda d'urto generata dal crollo della Torre su cui aleggiava l'occhio di Sauron. E che tutta quell'energia negativa era stata risucchiata nuovamente nel Vuoto, portandosi dietro i Troll, gli Orchi, i Goblin, i Nazgûl, gli Haradrim, i Corsari e... gli Uomini dell'Est, fra cui Degarre e gli ex Cinquecento di Goneril.

Nessuno a Boscoverde, poteva sapere che Frodo Baggins ce l'aveva fatta.

Ma lo sapeva Arwen, la figlia di Elrond.

La vibrazione del terreno era arrivata fino a Rivendell, e Hammon e Goneril erano scesi nel cortile temendo che crollasse tutto. Proprio qualche attimo prima che Benjamin desse alla guerriera la prova che il suo amore non era uno scherzo e neanche un fuoco fatuo. Avrebbero consumato sul talamo di Elrond la loro prima volta insieme e ad Hammon poco importava che per Goneril non fosse altro che una concessione in cambio della sua partenza. Vano sacrificio, perché lui non se sarebbe andato da lí, quanto era vero che si chiamava Benjamin Hammon.

All'improvviso, il loro incontro era stato interrotto da quella specie di terremoto ed erano corsi giù, dimenticandosi della figlia di Elrond.

Arwen aveva riaperto gli occhi. Sentiva una nuova energia scorrere in lei, o meglio, era come se tutto il veleno che aveva in sé e che la consumava, stesse pian piano sparendo. Alzò una mano per guardarla, e vide che era tornata materiale. Il suo corpo stava acquisendo di nuovo volume, stava tornando fisico.

Provò a mettersi seduta, e ci riuscí. La sua chioma castana, di nuovo fluente, le ricadde in grembo.

"Benjamin..." chiamò, ma la sua voce era ancora flebile. "...c'é qualcuno? Aiutatemi..."

Si concesse qualche attimo e poi provò ad alzarsi. Sentí le gambe intorpidite, come avessero perso la sensibilità per molto tempo, ma in qualche modo riuscí a fare un passo.

Anche Arwen notó la luce che entrava dalle finestre. Doveva essere successo qualcosa di meraviglioso. Vittoria, pensó. Dovevano aver vinto, l'Hobbit e gli altri, perché il Sole non poteva splendere in un mondo in cui Sauron dominava.

"Frodo..." mormorò. "Aragorn..."

Un sorriso lentamente apparve sul suo bellissimo volto.

⚜️⚜️⚜️

"Ma che cavolo é stato!" sbottò Hammon, una volta uscito sul patio con Goneril. La scossa aveva fatto cadere alcuni calcinacci dalle case elfiche. "Non ci sono mai stati terremoti, da che io sono al mondo!"

La donna si guardò attorno, e poi guardò verso il cielo. "Le nuvole...se ne sono andate." notó. "L'aria é così...pulita..."

Anche Benjamin osservó il panorama. Sopra di lui, splendeva luminoso il sole, perfino troppo luminoso, considerando che erano ancora nel mese invernale di Marzo.

Poi Hammon si ricordó. "Arwen! É ancora lì dentro!!" e corse a grandi falcate nella residenza di Elrond.

La donna dell'Est chiuse gli occhi e provó a fiutare l'odore nell'aria. Era un metodo che usava quando era Generale, e individuava in quel modo la presenza dei nemici nelle vicinanze. L'odore cattivo era sempre un segnale rivelatore, specie nel caso degli Orchi.

Ma non avvertì nulla. A parte il profumo piacevole della resina che scendeva dalle piante di Rivendell, e l'umidità dell'acqua che scorreva nelle fontane del regno.

"Goneril!!" gridó Hammon dall'interno della residenza. "Vieni a vedere!"

La guerriera salì le scalinate e lo raggiunse nella stanza di Arwen. Che era in piedi, sorretta dal soldato. Ancora pallida, ma viva e vegeta. I suoi occhi erano tornati di un intenso blu.

"Si è ripresa!" disse Hammon.

"Lo vedo." rispose Goneril, avvicinandosi.

Arwen la guardava e guardava il suo abito. Le sorrise. Un sorriso così buono, e triste, che le ricordó quello di Bettie, la domestica di Roswehn Monrose.

"Sei tu, allora...il grande amore di Benjamin..." disse l'Elfa.

"Oh bontà divina, non cominciate anche voi... cosa vi sta succendendo?" chiese la guerriera.

"Sauron é sconfitto." disse Arwen. "Frodo...ce l'ha fatta."

"Frodo...e chi diavolo é?" chiese Hammon, confuso.

Goneril non rispose subito. La sua memoria tornó ai due piccoletti, Pipino e Merry. Quindi, quel loro cugino c'era riuscito. Uno della loro specie, un mezz'uomo come loro, aveva compiuto un'impresa assurda, che sembrava senza speranza. Scosse il capo. "É incredibile."

"Allora?... mi vuoi spiegare?" insisté Hammon.

"Diciamo solo, Hammon, che ci siamo tolti un problema." rispose Goneril. "Credo che non dovremo preoccuparci più di alcuna guerra. Almeno per un po'".

"Sei davvero come ti aveva descritta. Fiera e gelida." continuó Arwen. "Vi prego, portatemi fuori. Voglio immergermi in questa Luce. Ne ho bisogno."

Benjamin la accompagnó all'esterno, reggendola delicatamente. Goneril si stupì delle premure del suo capitano verso quell'Elfo femmina. Lo stesso ragazzo che poco tempo prima l'aveva scaraventata senza tanti complimenti su un grande letto a baldacchino pieno di polvere. E sarebbe andato fino in fondo, se non fosse stato per quel piccolo terremoto.

Li seguì in cortile.

"È finita. Finita...la battaglia del Morannon, è vinta. Mio padre...tornerà." annunció Arwen.

Goneril e Hammon si guardarono. E noi che faremo? Fu il pensiero che corse in quello sguardo.

"Restate." disse Arwen. "Non è più la nostra casa, questa. Anche il tempo degli Elfi è finito. E io ho fatto la mia scelta."

 

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Capitolo 58
*** Epilogo - Un anno dopo ***


Aragorn e Arwen le avevano spiegato molto chiaramente come raggiungere la valle di Imladris.

Suo marito Faramir aveva tentato, senza successo, di dissuaderla dal partire, preoccupato dei pericoli che avrebbe potuto incontrare sulla via. Temeva soprattutto che lei potesse perdersi: le strade e i sentieri che avrebbe dovuto attraversare erano pieni di crocevia, bivi e solo Eru poteva sapere se nel frattempo qualche acquazzone o smottamento non avesse deviato i percorsi.

Ma Éowyn non aveva sentito ragioni e non aveva paura.  Sua cugina era viva, era a Gran Burrone, e voleva andare da lei.

La regina Arwen gliel'aveva detto.

Dopo l'incoronazione di Aragorn, dopo il matrimonio con la figlia di lord Elrond, dopo il suo matrimonio con il capitano Faramir di Gondor e dopo l'elezione di suo fratello Éomer a nuovo Re di Rohan, Éowyn aveva deciso di andare a cercare la sua perduta cugina, con la quale aveva stretto un legame che non riusciva a dimenticare. E con la quale aveva tanto in comune, perfino l'impresa di aver affrontato e sconfitto un Nazgûl.

Dieci lunghi giorni a cavallo c'erano voluti, prima di scorgere in lontananza le altissime cascate di Gran Burrone.

Goneril e uno dei suoi soldati vivevano lì da soli, dopo la decisione di Arwen e di Elrond di abbandonare il loro regno. Lei, per vivere una vita mortale accanto a re Elessar, lui per imbarcarsi verso Valinor, con Galadriel, Celeborn, Gandalf e quel Frodo Baggins. Avevano avuto la benedizione di lord Elrond, e il permesso di fondare una nuova comunità umana in quel territorio una volta occupato solo dagli Elfi.

Arwen le aveva raccontato che sua cugina era intenzionata a iniziare una nuova vita, fatta di pace e serenità, e dimenticarsi quello che era stata nei dieci anni precedenti.

Éowyn si chiese se una cosa del genere fosse davvero possibile. Dimenticarsi tutte quelle battaglie, quei morti, quelle efferatezze di cui era stata responsabile? Mettere a tacere le voci dei fantasmi, delle sue vittime, che la tormentavano nei suoi incubi?

La nuova dama di Gondor non ci credeva molto. Ma lo sperava. Era stata lei la prima ad esortare Goneril e scoprire il lato migliore di sé. Il lato che aveva ereditato da suo zio Théoden.

Il cadavere del Re di Rohan era stato seppellito vicino a quello del figlio Théodred, ed Éowyn aveva messo fra le sue mani il bracciale che Goneril le aveva regalato, quello con incisa la frase volere è potere, di modo che almeno nella sepoltura suo zio si fosse portato con sé qualcosa appartenuto a sua figlia. Quella figlia che lui stesso aveva ripudiato alla nascita per poi pentirsene amaramente.

Si chiese, mentre smontava da cavallo per attraversare il ponticello che conduceva all'entrata di Rivendell, se Goneril fosse stata informata della morte di suo padre. In caso contrario, sarebbe toccato a lei rivelare la triste verità.

Una volta giunta all'ingresso del regno, Éowyn notó subito che la maggior parte delle abitazioni sembravano abbandonate. Erano vuote, spente, ricoperte da edera e altre piante rampicanti che in quel mese di Giugno erano fiorite.

Una sola residenza era tenuta con decoro: quella che svettava sopra tutte le altre, e che doveva essere appartenuta a Elrond.

Il suo cavallo, stanco e assetato, nitrì spazientito. "Buono...sta' buono...ora ti trovo qualcosa da mangiare..." gli sussurró Éowyn, guardandosi intorno.

Lo condusse a una delle fontane del reame, per farlo bere. Lei raccolse un po' d'acqua nel palmo della mano e se la portó alla bocca.

"Cosa mi tocca vedere...una signora costretta a bere come un animale." esclamó una voce maschile. Non era distante. Éowyn si giró subito.

Dietro di lei, c'era un giovane, biondo, con due grandi occhi chiari. Sorrise amichevolmente. "Permettetemi di offrirvi un calice, com'é costume fra persone civili." continuó l'uomo. "Siete benvenuta qui, viandante senza nome."

"Salute a te." rispose Éowyn.

"Una giovane donna sola che si addentra in questo territorio é una visiona davvero inaspettata." disse l'uomo, poi le porse un braccio per accompagnarla cavallerescamente all'interno della casa. Éowyn si lasciò condurre, cone se conoscesse perfettamente quel ragazzo.

Lui notò le decorazioni sull'abito di Éowyn. "Quei simboli mi sono familiari, venite da Gondor." disse l'uomo.

"Sì. É stato un lungo viaggio." ammise Éowyn. "Ho bisogno di riposarmi, in effetti. E berrei volentieri un po' d'acqua. Ti ringrazio per la gentilezza."

Il ragazzo vide qualcosa al mignolo della donna bionda. "...conosco anche quell'anello, é segno distintivo della casata di Denethor. Siete parente del vecchio Sovrintendente?"

"Non esattamente. Ecco...il capitano Faramir, figlio di Denethor, é mio marito." riveló lei, mentre salivano le scale della grande abitazione.

"Davvero? Oh, i miei rispetti, mia signora." disse l'uomo, chinando il capo. "Faramir...sì mi ricordo di lui. Quando lo vidi l'ultima volta era un ragazzo di vent'anni. Taciturno, riflessivo, sempre immerso nei suoi studi. Tutto il contrario di suo fratello Boromir. Non sembrava interessato alle armi, né a diventare soldato. E ora...é addirittura capitano." sorrise il ragazzo. "Cosa ci fa qui, sua moglie?"

"Una breve visita. Vieni anche tu da Gondor, lo so. So tutto di te. Ti chiami Benjamin Hammon." disse Éowyn. "Soldato della Prima Legione dell'Est."

Hammon la guardó stupito: "Mi conoscete?"

"Sì. E sono qui per parlare col tuo Generale. So che é viva." continuó Éowyn. "So che condivide questo regno con te."

Benjamin rimase in silenzio per qualche attimo. Éowyn notó che si era irrigidito, preso da un'improvvisa preoccupazione: "Cosa volete da lei?" chiese.

"Parlarle. Vederla di nuovo." rispose Éowyn. "É mia cugina."

Hammon indietreggió. "Siete...siete la principessa Éowyn di Rohan, nipote di Re Théoden?!"'chiese incredulo. Ecco perché quel viso non gli era del tutto sconosciuto. L'aveva vista di sfuggita ad Edoras.

"Come ti ho detto, sono moglie del capitano Faramir. Perció, semmai, sono Éowyn di Gondor. E sono qui per parlare con mia cugina." rispose lei.

Hammon le porse un bicchiere pieno d'acqua cristallina. Éowyn notó che l'interno della residenza era pulito, tenuto con amore. Un po' spoglio, forse. Una grande scala a chiocciola portava a un piano superiore.

"Vivi qui, con Goneril?" chiese.

"Sì. Sì, infatti." ammise Hammon, imbarazzato.

"Ne sei innamorato, ho saputo." aggiunse la ragazza.

"Lei è la mia vita. Ora più che mai." rispose lui. "Io spero...che voi non vogliate riportarla a Rohan, mia signora."

"No. Non temere. Mio fratello é il nuovo sovrano. So che Goneril non intende reclamare la corona." ribatté Éowyn.

"...né lo farà mai. La sua esistenza é qui. La nostra esistenza é qui." continuó Hammon. "Ed é felice, credetemi."

"Non ne dubito. Mi basta guardarti negli occhi per capire che mia cugina é molto importante per te. Sono felice che abbia qualcuno vicino." rispose Éowyn. "Ho temuto per la sua vita."

"...mia signora, ecco...c'é una cosa che dovete sapere, prima di incontrarla. Lei crede che voi siate morta." disse Benjamin. "Ha saputo che siete andata in battaglia sui campi del Pelennor. Erano giunte notizie su di voi, qualcuno vi ha vista riversa priva di sensi e si é diffusa la voce della vostra fine per mano di un Nazgûl."

Éowyn scosse la testa. "Stavo per andarmene, é vero. É stato Aragorn a riportarmi in vita. Cioé...Re Elessar."

"Goneril ha pianto la vostra presunta fine. Io non l'ho mai vista piangere per nessuno." le disse il ragazzo.

Éowyn provó una forte tenerezza. Si girò verso di lui. "Davvero? Dimmi dove posso trovarla, ti prego."

"É seduta ad ammirare il panorama, sulla grande veranda orientale. Sta sempre lí a quest'ora del giorno. Le piace godersi il sole. Laggiù." Hammon si affacciò a una finestra e indicò un punto.

"Vado subito!" disse Éowyn. Poggiò il bicchiere su un mobile e fece per uscire dalla casa.

"Aspettate!" la fermò Hammon.

Éowyn lo guardò. "Cosa c'é?"

Benjamin rispose: "Sarebbe bene che Goneril non provasse emozioni troppo forti." si schiarí la voce, e arrossí un poco. "Incontrare una persona cara ritenuta morta temo sarebbe un'emozione fin troppo forte. Non deve agitarsi."

"E perché?" chiese Éowyn.

Hammon deglutí. "Lo vedrete."

La giovane non capí. "Pensavo di farle una sorpresa..."

"Sí, certo, certo...ma con cautela. Vi prego." le disse Hammon. Éowyn vide nei suoi occhi una sorta di disagio, che tradiva peró una gioia prorompente.

"....in quella direzione?" chiese ancora, confusa.

"Sí. Dritta su quel sentiero." le rispose Hammon, con un sorriso.

⚜️⚜️⚜️

Riconobbe subito la lunga chioma nera che lei stessa aveva pettinato una sera, in camera sua.

Goneril sedeva su una panca in pietra, intenta ad ammirare lo spettacolare panorama della valle di Imladris. Il sole splendeva alto, ma un piacevole venticello rinfrescava l'aria.

Éowyn sentí il desiderio fortissimo di correrle incontro e urlare a perdifiato il suo nome, ma l'ammonimento di Benjamin la fece procedere con cautela. Raggiunse il più silenziosamente possibile la panca, stando attenta che Goneril, girata di schiena, non sentisse i suoi passi. Ma l'aveva sottovalutata.

"Un tempo, se qualcuno fosse sgattaiolato dietro di me gli avrei fatto saltare quella sua testa presuntuosa con un colpo della mia spada. Ma sei fortunato, chiunque tu sia. La guerriera spietata non c'é più." disse Goneril, senza nemmeno girarsi. "So che non sei Benjamin. Allora rivelati, e dimmi come sei riuscito a raggiungere questo territorio, con tutti i burroni che lo circondano. Devi essere un viaggiatore molto astuto o molto fortunato, per essere giunto fin qui."

"Volere é potere, cugina. Fosti tu ad insegnarmelo." disse semplicemente Éowyn.

Vide Goneril girare la testa di scatto e tentare faticosamente di muoversi. Sembrava impacciata.

"Éowyn!!!" gridò la cugina, assolutamente sbalordita. Si mise in piedi con fatica.

Il ventre rigonfio rivelò il suo stato.

Éowyn fece un passo nella sua direzione, intimidita, incredula di fronte alla gravidanza di Goneril, emozionata per averla ritrovata. Per un attimo non fu in grado di muoversi. Poi, come se una mano invisibile le avesse dato una spinta sulla schiena, si ritrovò fra le braccia della cugina.

"Avevano detto...avevano detto che eri morta!" esclamò Goneril, prendendo fra le mani il viso di Éowyn, come se non riuscisse a capacitarsi della situazione.

"E invece sono qui!" riuscí a rispondere Éowyn, fra i singhiozzi. "...e tu...oh grande Eru...e questo!" disse, accarezzando il ventre delle cugina. "É meraviglioso!"

"Sí. L'ultima cosa che credevo potesse capitarmi. Ma ancora più incredibile é che tu sia viva. Ho sentito di Théoden..." replicò Goneril, ancora frastornata. Éowyn l'aiutò a risedersi. A giudicare dal volume della pancia, doveva essere all'ottavo mese.

"Purtroppo mio zio non ce l'ha fatta. Temevo di doverti dare io la notizia." disse tristemente la ragazza. "É stato un grande dolore per me ed Éomer, e per tutti i nostri sudditi."

Goneril rimase in silenzio. Éowyn si sedette vicino a lei e le prese la mano. "Sono felice, davvero felice di averti ritrovata. Sono venuta qui anche per ricordarti che hai ancora una famiglia. Io sono viva, come vedi, e ora la mia casa è Gondor. Ho sposato il figlio minore di Denethor."

Goneril la guardò. "Sono felice per te. Sei riuscita a dimenticare Aragorn, allora."

"Sí. Ora egli é re Elessar, lui e sua moglie Arwen sono i regnanti di Minas Tirith. É stata la regina a dirmi che eri qui." rivelò Éowyn. "Éomer é il nuovo Re di Rohan."

"Ma certo. Cosí doveva andare." ribatté Goneril.

"...giá, ti manda i suoi saluti. I rapporti fra te e lui non sono stati buoni, ma é consapevole del nostro legame di sangue. Noi tre, siamo una famiglia. E anche se hai deciso di vivere qui, sappi che a Rohan ci sarà sempre un posto per te. Éomer ti accoglierà. Inoltre, sei erede di sangue, e mio fratello sa molto bene che potresti reclamare la corona. Sarebbe tuo diritto, se volessi tornare. Tuo, e di tuo figlio." disse Éowyn, guardando il ventre della cugina.

"...figlia." disse Goneril. "É una bambina."

"Come lo sai?" chiese la ragazza.

"Beh, la mia madre adottiva diceva che quando una donna è gravida, la forma della pancia rivela il sesso: se é larga sui fianchi, é una femmina. Credo proprio sia una bambina." spiegò Goneril.

Il viso di Éowyn s'illuminò. "É una cosa bellissima. Sarai madre."

"Mi sei mancata, Éowyn. Sai una cosa? Di tutte le persone che ho incontrato, tu sei l'unica veramente buona. L'unica, vera signora che io abbia mai conosciuto. Credo sia stato l'incontro con te a farmi cambiare prospettiva sulle cose. A farmi cambiare. Dovrei ringraziarti, immagino." rivelò Goneril.

"Per me é stata la stessa cosa. Hai ispirato le mie azioni, il tuo esempio mi ha dato coraggio. Non sarei mai andata in battaglia, se non avessi avuto anche te come riferimento." replicò la cugina.

Poi le due iniziarono a raccontarsi tutte le loro avventure, a partire dalla notte in cui Goneril era fuggita dal Palazzo di Meduseld.

Èowyn le raccontò dell'incoronazione di Aragorn, e della celebrazione del matrimonio fra Arwen e il Re.

"Sai, c'erano tutti a Minas Tirith quel giorno. I quattro Hobbit, il nano Gimli con parte della sua gente, e quell'Elfo, Legolas. Il principe di Boscoverde si presentò con un gruppo di sudditi del suo reame. Ma Re Thranduil non c'era. In quel gruppo, notai uno in particolare: indossava un mantello, col cappuccio rialzato a nascondere il viso. Rimase in disparte per tutta la giornata e di tanto in tanto lo osservavo. Ebbi l'impressione che fosse bellissimo. Tentai di avvicinarmi, ma alcuni soldati elfici gli fecero da scudo. M'incuriosí molto quello sconosciuto." raccontò Éowyn. "Chi poteva essere?"

Goneril sorrise. "Ne sentiranno parlare in futuro. Forse non io o te, ma i nostri pronipoti di certo. Quello che hai visto é una futura leggenda, cugina."

Éowyn non capí. "Cioé...che vuoi dire?"

"Lascia perdere. É un mondo bellissimo ora, vero?" rispose Goneril, guardando il cielo. "O forse lo é sempre stato e non me ne sono mai accorta."

"Sí, lo é. Posso farti una domanda?"
chiese Éowyn. "Quel Benjamin...tu lo ami? Lo ami davvero?"

Goneril si era dimenticata della perspicacia di sua cugina. "Imparerò a farlo. Si prende cura di me. É su di giri all'idea di diventare padre. So che amerà la nostra bambina."

"Allora... non gli vuoi bene?" insisté Éowyn.

"Beh, diciamo che provo un grande affetto per lui, e forse, gratitudine. Ma l'amore, per ora lo riservo a lei." ribatté Goneril, accarezzandosi il ventre. "Un'anziana donna di Dale mi disse: trova l'amore, guarirà tutto. Credevo si riferisse all'amore di un uomo, ma ho imparato che ne esiste uno ancora più profondo. Che non può essere paragonato a nient'altro."

"E come la chiamerai? Lo hai già deciso?" chiese Éowyn.

"Davvero non lo immagini?" ribatté a sua volta Goneril.

Èowyn ci pensò un po'. "Hmmm....Idis?"

"No." rispose Goneril. "Un po' scontato, ti pare?"

"Allora...Margery. Il nome della tua vera madre?" azzardó la bionda giovane.

"No. Quello proprio no." fu la secca risposta di Goneril. "Andiamo Éowyn, non dirmi che non ricordi..."

Dopo un attimo di riflessione, Éowyn intuì. "Cordelia. La principessa della favola. La giovane ribelle."

"Indovinato." confermó Goneril. "Le porterà fortuna. Ed é un nome da regina."

Éowyn annuí. "Mi piace. E ricorda, a Rohan tu e tua figlia avreste dei diritti da vantare. Potreste avere il potere assoluto."

"Il potere...una volta credevo fosse ció che volevo di più al mondo. Adesso non saprei che farmene. Ho già tutto ció di cui ho bisogno."  e guardó di nuovo il cielo terso dell'estate. "...non ti pare davvero una bellissima giornata?"

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FINE
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Grazie a chi ha letto questa storia.
Di tutte quelle da me pubblicate su questa piattaforma, è stata quella più seguita. Ho notato con piacere che sono aumentate anche le letture delle due precedenti. Mi è stato chiesto di scriverne un'altra esclusivamente sul personaggio del principino Haldir, ma onestamente penso di non avere altro da aggiungere. Per me la mini saga di Roswehn finisce qui.
Grazie in special modo a chi ha aggiunto le storie ai seguiti/ricordati/preferiti.

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