Il veleno della falena

di carachiel
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** La verità è nell'abisso parte 1 ***
Capitolo 3: *** La verità è nell'abisso parte II ***
Capitolo 4: *** I was never all that kind ***
Capitolo 5: *** E quindi uscimmo... ***
Capitolo 6: *** ...A riveder le stelle ***
Capitolo 7: *** Rage against the clock ***
Capitolo 8: *** Venni, Vidi, Fuggii ***
Capitolo 9: *** L'inizio di ogni cosa ***
Capitolo 10: *** Tutto, fuorché una famiglia ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


1 -  Il veleno della falena
 
Brevissima premessa: Per la piena comprensione della storia è consigliato leggere prima la one shot Falling in grace e poi  la long Impulso, per comprendere appieno lo sviluppo dei personaggi.
E’ comunque un’AU, ma si svolge nello stesso ‘universo’ delle summenzionate storie.
Detto questo, buona lettura!
 
21 Febbraio, ore 19:40
 
Heartland City era un posto ormai pressochè in rovina. Vista dall’alto essa appariva come spenta, priva delle illuminazioni che un tempo l’avevano resa una vera e propria luminaria, tanto che di notte sembrava esserci ancora la luce del sole.
Ora, beh, ora c’erano solo macerie.
La Heartland Tower, che un tempo era il vero simbolo della città, ora era anch’essa sfregiata, così come il grande cuore che la ornava, spaccato al centro “…esattamente come un cuore spezzato” considerò Hart Tenjo scendendo con un salto sulla strada dal pianale di cemento che si affacciava dal punto più alto della città.
“Andiamo, padrone?” replicò il robottino che lo seguiva.
“Sì, Orbital, andiamo.”
Il silenzio era fitto, rotto soltanto dal rumore sporadico di qualche auto e dal rombo dei tuoni sopra di lui. Avrebbe iniziato a piovere tra non molto, ma a lui non importava affatto. Non aveva alcuna fretta di tornare a casa o in qualunque altro posto.
Si fermò sul ciglio di una strada deserta per fare il conto di quante carte avesse raccolto.
“Tre… Non male in una serata di caccia!” considerò tra sé e sé per poi avviarsi verso la strada principale seguito dal fedele robottino. Anch’essa deserta, la guerra cominciata anni per contrastare i Numeri prima aveva scoraggiato molti cittadini a restare, infatti molti se n’erano andati o vivevano nascosti oppure si univano alle numerose gang che si aggiravano nella periferia.
Un brivido lo costrinse a rallentare mentre si stringeva nella felpa di qualche taglia più grande di lui e una goccia gli si infilava nel colletto. “Dannazione.” mormorò mentre si ravviava i lisci capelli azzurrini raccolti in un codino, coprendoli sotto il cappuccio, controllando di avere ancora ben vicine le carte raccolte e il suo deck.
 
Dopo non molto e dopo che la pioggia aveva iniziato a cadere con una certa insistenza si ritrovò in un quartiere familiare. Guardandosi intorno tra i palazzoni notò che non era molto lontano dalla casa di Yuma.
“Chissà se anche lui con la sua famiglia se n’è andato…” considerò con una punta di amarezza.
“…?” Orbital 8 fece un verso interrogativo e Hart gli fece un carezza sulla testa metallica
“Niente, Orbital. Andiamo”

Lui non era riuscito a riportare indietro nessuno. Ed erano passati quattro anni e sette mesi da quando Kite era scomparso.
No, non morto o rapito.
Semplicemente scomparso. Esattamente come un sassolino lanciato in mare.

Alla vigilia del terzo anno Hart aveva maturato la decisione di diventare un Cacciatore di Numeri come lo era stato il maggiore. E nello stesso giorno aveva abbandonato Faker, dopo avergli lasciato un biglietto dove, molto succintamente, lo informava che se non lo aiutava a cercare Kite ci avrebbe pensato da solo.
 
Una folata di vento molto poco naturale lo costrinse a strapparsi via dai suoi ricordi mentre scrutava la via circostante.
“Padrone… Non dovremmo essere qua, vero?” domandò Orbital, senza ricevere risposta.
Valutò di correre via, ma la villa era ancora troppo lontana per non essere raggiunto.
Semplicemente avrebbe dovuto seguire gli avvertimenti di… praticamente tutti e non avrebbe dovuto allontanarsi. Beh, avrebbe dovuto. Ma ormai la frittata era fatta e Hart iniziava a considerarsi un duellante troppo bravo per non riuscire a gestire le piccole gang che si aggiravano per la periferia.
All’improvviso dai balconi sovrastanti la strada scesero giù quattro figure avvolte da cappe.
Non sembravano membri di qualche gang, lo capiva dal loro abbigliamento malmesso, dovevano essere dei criminali di quartiere.
“Bene bene, un altro di quei ragazzini spauriti? Ma come, poco fa ne abbiamo fatti scappare un altro paio dei tuoi compari!” esordì la tizia alla sua sinistra. Aveva una cascata di capelli rossicci e una bandana che le copriva il viso, rendendo difficile capire cosa dicesse.
Hart strinse i denti. Si preannunciava un duello imprevisto e, a voler aggiungere la beffa al danno, probabilmente quei quattro sgangherati non avevano neanche mezza carta Numero.
 

Il forte vento risospinse indietro il mostro di Hart facendolo svanire e facendo calare i suoi Life Points da 4000 a 3000.
“Padron Hart!!!” esclamò il robot
“Non ha importanza.” si disse Hart. Aveva comunque due mostri sul terreno per effettuare l’Evocazione Xyz e due carte trappola per proteggersi.
Infatti dopo poco il portale per l’evocazione si aprì eruttando luce per rivelare il Numero di Hart, Numero 24, Falena Atlante*. La farfalla si levò subito in volo spalancando le sue enormi ali marroni e rossicce dalla punta piegata all’ingiù.
Non appena il Numero si manifestò Hart lo sentì agitarsi nella sua mente, dibattersi contro i muri che il duro allenamento, il tempo e la pazienza, vi avevano eretto per impedire alla carta di prendere il possesso della sua psiche. Ma essi era alti e la falena lo sapeva bene, perciò dopo qualche tentativo, tornò a concentrarsi sul duello.
.
All’improvviso una specie di meteora luminescente si abbattè sul mostro avversario, mentre i LP del suo sfidante si azzeravano e la terra tremava.
“Ma cosa?” tossì Hart non appena la polvere sollevata dall’inaspettato attacco si fu diradata “Occhi Tachionici? Questo vuol dire… Mizael!” esclamò riconoscendo il drago
“Certo Hart!” esclamò una voce seccata mentre dalle nuvole di polvere emergeva un ragazzo dai lunghi capelli biondi e una bizzarra ala con un ciondolo al lato sinistro della testa.
“Cosa ci fai qui? Sai bene che posso gestire quei tizi senza bisogno di aiuto!” domandò Hart infastidito
Detestava già a sufficienza dover girare con Orbital 8 attorno, adesso doveva pure essere trattato come un’incapace.
“Beh, se non fosse stato per me ti vedevo pericolosamente vicino a perdere!” replicò il Bariano
“Certo… Ma sappiamo tutti che non sei all’altezza del mio padrone.” ruggì Occhi Tachionici rivolto ad Hart.
Il ragazzino socchiuse pericolosamente gli occhi dorati, detestava essere provocato dal drago
“Buono, Occhi Tachionici!” lo richiamò Mizael “Hart, vai a casa. Io sistemo qua- attento!!” esclamò saltando addosso al ragazzino e spingendolo di lato per evitare una zampa che, se fosse stato una trentina di centimetri più indietro, l’avrebbe preso in pieno.

“…!” Hart emise un suono strozzato alzando lo sguardo verso un gigantesco golem torreggiare tra i palazzi, la cui stazza faceva sembrare Occhi Tachionici un peluche
Il Numero, con un rilucente 30 che gli riluceva su una delle zampe emise un ruggito dissonante che fece tremare il terreno
“Hart, scappa!” urlò Mizael mentre prendeva dall’Extra Deck la carta di Dragluon “Me ne occupo io!”
Il ragazzino non se lo fece ripetere due volte e montò in sella a Orbital 8, che si era prontamente trasformato in moto e scappò via, sentendo dopo poco il familiare ruggito di Numero 46.
“Padron Hart…” fece il robottino mentre sfrecciavano tra le poche auto che circolavano sull’autostrada che girava attorno ad Heartland.
“Non iniziare a farmi anche tu la predica.” rispose il quindicenne in tono seccato.
“…Scusa.” continuò dopo un poco carezzando il robot-scooter
“Non fa niente, padrone.”
 
Era ironico volere bene ad un pezzo di ferro, ma per Hart era come avere ancora un legame con Kite, dato che il predecessore, Orbital 7, era scomparso assieme a suo fratello.
“Forse per questo Faker me l’ha voluto donare…” pensò, non senza una punta di rabbia per quell’uomo che da anni non riusciva a chiamare padre.
Non da quando aveva scoperto che, della scomparsa di Kite, gliene importava veramente poco.
Aveva sempre rimproverato al fratello di credere il padre un uomo troppo cinico e calcolatore ma poi si era dovuto ricredere. Faker era davvero un mostro.
 
Hart si era trasferito da una manciata di giorni a villa Arclight che Five si era affacciato alla porta della sua camera
“Hart? C’è tuo padre al telefono.”
“Digli che si fotta!” replicò veementemente.
L’albino non disse nulla ma annuì e richiuse la porta.
Quando se ne fu andato Hart affondò il viso nei morbidi cuscini e lottò contro le lacrime che gli pizzicavano gli occhi
Perché quel mostro doveva rendere tutto così difficile?
Se non gli importava di Kite perché non poteva disinteressarsi anche a lui?
Sapeva quel che avrebbe ottenuto!
 
Nei giorni successivi aveva continuato a telefonare insistentemente senza ottenere risposta, con Five a riferirgli che ogni volta il tono sembrava più triste della precedente chiamata. Poi pian piano le telefonate si erano diradate fino ad interrompersi del tutto.
Ma questo non lo faceva stare in alcun modo meglio.
 
 
 
 
* carta inventata
 
Angolo Autrice:
Ma salve miei adorati lettori! Questa storiella giace nel mio PC dall’inizio di Luglio, ma solo ora sono riuscita a pubblicarla - avendo accumulato un po’ di capitoli - ma non per questo prometto tempi di aggiornamento meno biblici purtroppo -. Per i primi capitoli la trama sarà un poco confusionaria, ma poi tutto verrà chiarito. Detto questo, vi do appuntamento al prossimo capitolo!

 

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Capitolo 2
*** La verità è nell'abisso parte 1 ***


 
La verità è nell’abisso parte I

 
21 Febbraio, 20:33
 
Quando arrivò ai margini della città, più vicino alla campagna che non alla periferia, dove si trovava villa Arclight, l’acquazzone aveva raggiunto la sua piena potenza, il vento che tagliava come un coltello mentre il fango schizzava sotto le ruote.
Hart rabbrividì quando una folata di vento particolarmente tagliente lo investì mentre saliva la collina su cui era costruita la villa, trovandosi a desiderare per la decima volta un bel bagno caldo, strofinandosi le maniche della felpa inzuppata nella speranza di generare un po’ di calore.
Anche se prima di raggiungere la vasca da bagno avrebbe dovuto oltrepassare il salotto, sperando che Christopher non fosse nei paraggi.
Quell’uomo sapeva essere veramente duro se lo scopriva a vagabondare nelle zone limitrofe di Heartland e Hart sapeva che non aveva mai definitivamente approvato neanche il suo diventare Cacciatore di Numeri.
Non che non lo sorprendesse, sapeva bene l’affetto che lo legava ancora a Kite ed era a conoscenza della promessa che gli aveva fatto anni prima – anni in cui il nome di suo fratello era ancora reale, in cui anche il solo nominarlo non facesse spuntare le lacrime, subito asciugate ma presenti, negli occhi dell’albino -.
 
Ma era una promessa sciocca e inconsistente, si ripeteva Hart. Come poteva Chris aver giurato di proteggere qualcuno su cui non aveva il pieno controllo? Nemmeno se lo avesse chiuso in una gabbia e guardato a vista sarebbe mai riuscito a controllarlo.
 
Saltò giù da Orbital 8 che si ritrasformò in robot e gli fece segno di far silenzio. Il robot roteò le orecchie antenne in segno di protesta, ma stette zitto.
Hart armeggiò gentilmente con la serratura, pregando che il portone di legno massiccio non cigolasse. Il suddetto scivolò docilmente sui cardini senza fare il minimo rumore e il ragazzino vi si insinuò.
Dall’atrio poteva sentire Byron e Christopher discutere animatamente in cucina, che si affacciava proprio sulla strada verso il bagno.
Spinto dalla curiosità fece segno a Orbital di rimanere fermo e si avvicinò.
Chris era seduto al tavolo, fortunatamente dandogli le spalle, impegnato com’era in un discorso.
Mentre Byron era in piedi davanti al tavolo e non appena lo vide il cuore di Hart si gelò mentre gli occhi dell’uomo lo scrutavano. Sarebbero bastati pochi istanti che Chris si sarebbe girato e gli avrebbe fatto la predica per tutta la sera, incurante del fatto che fosse bagnato fradicio e che avesse bisogno solo che di un bagno caldo.
Ma invece, tutto quello che l’uomo fece fu di alzare un sopracciglio per poi tornare a prestare attenzione a quello che il figlio stava dicendo.
Hart si allontanò dalla cucina e una volta che i due non erano più a portata d’orecchio si azzardò a lasciarsi andare a un sospiro di sollievo. Era strano poter contare su un simile colpo di fortuna. Ma del resto Byron era decisamente strano. Hart non sapeva mai bene cosa aspettarsi da lui, nonostante il fatto che un poco si conoscessero.
 
Ma si disse che ci avrebbe pensato dopo, mentre si sfilava i vestiti fradici e li buttava nella lavatrice.
Dopo poco era circondato dai vapori caldi e profumati dell’acqua saponata
“Niente di meglio… Una serata di caccia proficua e un bel bagno.” si disse Hart, godendosi la carezza dell’acqua sulla pelle
Volendo essere un poco autocritico, non avrebbe mai raggiunto i livelli di Kite, che in un giorno riusciva ad arrivare anche a cinque Numeri, ma dato che non possedeva la Mano Fotonica – e suo padre si era rifiutato di replicare una tecnologia simile, considerando gli effetti collaterali - non aveva la certezza matematica che l’altro ne possedesse uno.
E i Numeri sprigionavano il loro potenziale distruttivo solo durante il duello, usando il corpo dell’inerme duellante come mezzo per materializzarsi, portando la caccia a un ulteriore livello di difficoltà.
O almeno, così aveva capito frugando tra le ricerche di Faker.
 
Quando scese la notte, Hart era sdraiato sulle tegole del tetto sovrastanti la sua stanza, le mani affondate sotto un maglione di molte taglie più grande di lui che aveva trovato negli armadi della villa e che Byron gli aveva permesso di tenere. “Considerando di quanti abiti fossero colmi gli armadi, probabilmente ce n’erano abbastanza per anni.” aveva considerato Hart.
Si era affezionato al maglione, nonostante il color pistacchio smorto – oggettivamente discutibile - era incredibilmente caldo e perfetto per il rigore delle notti di Febbraio.
Ma nonostante la bellezza della sera, che gli si presentava serena, Hart non riusciva a scrollarsi dalla mente che si sentiva controllato da Mizael e da Christopher. Nonostante capisse la loro preoccupazione nel lasciarlo vagare per Heartland – gli avvenimenti delle ore precedenti erano più che esplicativi - detestava sentirsi controllato.
Ma una parte di lui odiava a morte sentirsi considerato come un bambino. Sentirsi guardato a vista.
Ma nonostante ciò doveva ammettere che Mizael e Chris erano stati per lui la cosa più simile a una famiglia – a dei genitori - che potesse sperare. Una famiglia alquanto strana, considerando che in tutto quello Byron sarebbe stato suo… nonno? No, decisamente no, considerato che l’uomo doveva anche essere più giovane del dottor Faker di una decina d’anni abbondante…
Per lui era più simile a uno zio strambo che viveva nell’attico e che aveva sempre qualcosa da raccontare, meglio ancora se bizzarro e inusuale, in modo da non ricordargli che viveva praticamente da mantenuto.
Uno zio strambo con cui, almeno tecnicamente aveva dei brutti trascorsi, ma considerato che ricordarlo non faceva bene a nessuno dei due, di comune accordo avevano accettato di provare a ricominciare da quando Hart era divenuto ospite fisso alla villa.
 
Un rumore di passi sotto di lui, più precisamente nella sua stanza lo interruppe dal pensare e velocemente si aggrappò alla cornice della finestra e saltò di sotto, dritto nella camera.
“Byron!” esclamò quando vide alla fievole luce della lampada da tavolo il suo interlocutore.
“Sembri sorpreso.” mormorò l’uomo con un sorriso cortese.
“Beh, parli del diavolo…” pensò Hart, per poi proseguire a voce alta “Cosa ci fai qui?”
“Non riesco a dormire, e a quanto pare nemmeno tu se giri sul tetto come i gatti” rispose in tono fintamente distratto, lasciando vagare gli occhi lungo la stanza.
“Sì. Ti sorprende?”
“Affatto. Non so se ti ricordi del mio amico Kazuma – il padre di Yuma -… Ecco, lui, era abituato a dormire nei posti più strani. Ad esempio sul ramo di un albero.” raccontò, col tono di chi non si sorprende più di nulla.
“Arriva al punto.” lo incalzò.
“Non c’è nessun punto, Hart. E’ tanto sbagliato voler parlare?”
“Sì, con me soprattutto.” pensò.
L’uomo intese il suo silenzio come un’affermazione e sospirò, alchè Hart gli domandò “Hai chiamato Four o Three?”
“Sì, mi hanno raccontato che il torneo sta procedendo bene.”
Hart sapeva che i due fratelli minori di Chris erano impegnati in un torneo internazionale di duelli, ma che secondo lui era solo una scusa con cui Byron li aveva voluti tenere lontano dalla guerra.
Non si sarebbe stupito se la sua supposizione fosse stata corretta, del resto quell’uomo aveva un modo di dimostrare affetto tutto particolare.
 
La conversazione giacque per alcuni istanti, del resto se lo aspettava. Due persone come loro si conoscevano troppo bene, ed era strano. Abbastanza da portarli a evitarsi reciprocamente.
Inaspettatamente, fu Byron a parlare, il tono cauto “Ascolta, Hart… so che è il peggiore dei momenti per rivelare un simile dettaglio, ma posso farlo solo con te, tu hai visto i miei ricordi.”
Hart annuì. Quando, durante quell’infernale Carnevale dei duelli di quasi cique anni prima, Tron aveva stabilito il legame empatico tra loro, aveva scoperto più di quanto volesse.
“Ecco, io so che tu hai visto anche la mia anima.”
“Dove vuoi arrivare?” sbuffò il quindicenne, spazientito.
“Un momento, ci sto arrivando… Ecco, io ti chiedo di guardarla di nuovo.”
“Ma non è possibile!” esplose “Tu non hai più i poteri Bariani!”
Byron non replicò ma chiuse gli occhi e allungò una mano davanti a sé. Dopo una manciata di secondi essa venne ricoperta da una specie di nebbiolina che, intensificandosi, si rivelò una vera e propria nebulosa che giunta al pieno sviluppo, aveva fatto scomparire l’arto.
Quando l’uomo riaprì gli occhi essa si era ritirata e Hart era sinceramente sconcertato.
“Ora, dammi la mano.”
“Ma…”
“Fallo, poi capirai perché di ciò.”
Hart lo guardò per qualche istante negli occhi verdi prima di decidersi e porgergli la mano.
 
Qualche istante dopo stava sprofondando sempre più a fondo nell’anima dell’altro, circondato da un mondo che sembrava fatto di vetro, tuttavia sorprendentemente malleabile mentre veniva trascinato sempre più giù.
“La scorsa volta non ero arrivato così a fondo” si disse Hart mentre guardava davanti a sé l’anima – un nucleo sorprendentemente luminoso, quasi un secondo sole – farsi sempre più vicina
Una volta arrivato davanti ad essa, sforzandosi di aprire gli occhi, notò subito che essa era, rispetto alla scorsa volta in cui l’aveva vista, seppur molto più da lontano, molto più unitaria. E ciò lo sorprese, l’anima di Tron era effettivamente molto più rappezzata.
 
Nel momento in cui uscì era più confuso che persuaso da quel che aveva visto.
“Suppongo che questo sia il momento in cui mi devi delle spiegazioni.”
 
 
 
 
Angolo Autrice:
*evil laugh* Lo so, fermare il capitolo è stato crudele, ma se lo avessi messo tutto sarebbe stato troppo lungo.
Vi ricordo che questa storia parte da dove è finito Impulso u.u quindi noterete richiami qua e là alla suddetta o a Falling in grace.  

 

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Capitolo 3
*** La verità è nell'abisso parte II ***


 3 -  La verità è nell’abisso  parte II
 
“Più che legittimo” replicò l’uomo con l’ennesimo sorriso che Hart stava iniziando a trovare irritante, come se trovasse nella situazione un’ironia che non c’era “Vedi, come sai, quando Five si è sacrificato per farmi tornare normale, la mia anima – come del resto, avrai notato al tempo – era frammentata, incompleta. Questo perché Tron era una parte di me-“
“Questo già lo sapevo.” lo interruppe bruscamente Hart, che iniziava ad essere stanco di quel teatrino.
“Certo, certo… Quanto sei impaziente ragazzo, sei degno fratello di Kite!”
“Arriva. Al. Punto.”
“Era una parte di me, più specificatamente era il mio gemello. Mai nato tra parentesi, ecco perché del suo aspetto bambinesco. Era abbastanza conciso?” concluse con aria innocente.
E Hart era troppo sconcertato per proferire parola.
 
Quando vide che l’uomo si era voltato con l’intenzione di andarsene tuttavia si riscosse “A-Aspetta!”
“Sì?”
“Perché…” fece un cenno ad indicare tutta la conversazione “…questo? Perché ora?”
Byron gli si avvicinò e gli fece una carezza sulla testa “Poi lo capirai. Buonanotte.”
E quando se ne fu andato, Hart aveva la certezza pressoché totale che Byron Arclight fosse un uomo molto, molto strano.
 
________________________
 
22 Febbraio, ore 9:50
 
L’indomani Hart fu svegliato da un soffio di vento che si era insinuato tra le imposte semiaperte. Maledicendo il freddo invernale si rigirò nelle coperte, deciso a riaddormentarsi, ma dopo qualche minuto scese, reprimendo un sussulto quando toccò il marmo gelato e chiudendo la finestra.
La notte non era stata gentile con lui, facendolo rigirare mentre i pensieri si accalcavano su quel che era successo la sera prima, che rimaneva comunque inspiegabile.
I suoi capelli, lasciati legati, durante la notte si erano elettrificati e ora erano sparati in ogni possibile direzione.

Raccattò dei vestiti puliti o che sembrassero almeno tali, considerando una maglietta di un qualche gruppo rock che non aveva mai ascoltato e dei pantaloni per poi infilarsi gli stivali sporchi di fango dalla sera prima e scese a far colazione.
Sfortunatamente in cucina c’era già Christopher, seduto a bere la prima di una lunga serie di tazze di tè della giornata.

A quanto pareva quel giorno la predica non se la sarebbe evitata, non importava da parte di chi, se lui o Mizael.

“…’Giorno” biascicò entrando
“Buongiorno.” replicò asciutto l’albino “Hai un’aria orribile, dovresti farti una doccia.”
“Sai, non tutti abbiamo la benedizione di alzarci belli come dèi.” rispose Hart mordace mentre si versava del tè dal bollitore tenuto in caldo, guardando l’altro.
Provocazione che naturalmente cadde. 
Nonostante avesse imparato che Five, in qualunque situazione, si svegliava fresco come una rosa, come se dormisse in una camera insonorizzata con i tappi e una mascherina nera sugli occhi (cosa che probabilmente era molto vicina al vero), non riusciva a non provare un briciolo di invidia.
Soprattutto per come riusciva a sistemare la propria chioma.
“Dev’essere qualcosa di genetico.” Pensò Hart “Kite riusciva a domare la propria solo con quintali di gel…”
 
Five non raccolse la provocazione ma fece un cenno distratto verso l’esterno.
“Mizael ti aspetta in giardino.”
A-ah. Ora aveva capito il gioco… Non gli avrebbero fatto la ramanzina, ma lo avrebbero fatto sgobbare fino a sera, in modo da tenerlo sott’occhio e non concedergli ‘scampagnate’ fuori programma.
Annuì e si diresse verso il suddetto giardino.

Esso era un appezzamento non troppo grande che circondava la villa su tre lati, di cui una buona parte era ricoperta da piante e fiori.
E per Hart, che per anni non aveva conosciuto altro che l’interno della torre di Heartland, era comunque enorme.
 
Individuò facilmente il biondo Bariano vicino a una piccola aiuola di erbe aromatiche.
L’aria odorava fortemente di spezie e il tiepido sole facevano sentire Hart leggermente intontito ma si riscosse non appena Mizael gli fece segno di avvicinarsi.
“Qui” gli disse indicando un cesto con all’interno guanti, bustine e… un piccolo mortaio con pestello?
“Prendi, pestale.” continuò porgendogli un sacchetto di erbe.
Davanti al suo sguardo confuso spiegò “Danno il meglio quando sono appena colte. Avanti.”
Hart annuì e iniziò a pestare, dapprima con incertezza, poi con sempre maggior convinzione.
Sapeva che Mizael era molto… antico, ma francamente da lui tutto si aspettava tranne che simili conoscenze erboristiche, chiosò mentre il Bariano gli spiegava le proprietà di questa o quell’altra pianta.

Quando il sole raggiunse lo zenit Mizael ritenne di averlo torturato abbastanza “Hart, andiamo.”
Il suddetto si alzò ma vacillò pericolosamente, considerato che nello stomaco aveva solo una tazza di tè.
“Hey, ce la fai?” domandò
“Ce la devo fare!” replicò rabbiosamente Hart digrignando i denti.
Voleva dimostrare a tutti i costi che lui non era più il ragazzino malaticcio e fragile di una volta, non era diventato Cacciatore di Numeri per niente.
Ma all’improvviso le gambe gli cedettero e tutto si fece nero.
 
Si risvegliò qualche ora dopo, sdraiato su quella che sembrava essere una superficie morbida e liscia. Il divano, probabilmente.
Le voci intorno gli giungevano come attutite, ma ancora comprensibili.
“…-Zael, ti avevo detto di farlo lavorare, non di farlo svenire!”
“E io che ne sapevo che aveva la pressione bassa? Ti pare che sono medico..?”
“Ti prego…. Sai meglio di me quanto è importante che lui che stia bene…  per la…  ….-zia!
Le voci si spensero, dovevano essere andati in un altro ambiente.
Tuttavia sulla parte finale della frase le sue orecchie si erano aguzzate. Una… zia? Che zia? Lui non aveva zie! A malapena aveva un padre definibile tale, poi…
Aprì un occhio, per ritrovarsi davanti Byron seduto su una sedia che sorrideva divertito al suo sguardo
Lui? Oh no, per favore, Kami misericordiosi, no… Non era in condizione per sopportare le stranezze dell’uomo.
“A quanto pare Mizael ha sottovalutato la tua resistenza, vero?”
“Non ha sottovalutato proprio un fico secco!” esclamò rabbiosamente Hart alzandosi sul gomito
“Perché anche se non ti facesse lavorare, tu anzi lo faresti, e doppiamente.”
Il ragazzino spalancò gli occhi “Tu come lo sai?
L’uomo non replicò ma fece un cenno come a dire che era prevedibile.

Hart sbuffò. Decisamente, non gli piaceva quella piega della conversazione.E ancor meno gli piaceva come Byron riuscisse a leggergli dentro.
“Quasi ti preferivo quando eri Tron” mormorò a mezza voce, rigirandosi sull’altro fianco, non prima che l’altro gli lanciasse uno sguardo addolorato.
 
 
Hart era arrivato da pochi giorni alla villa e stava ancora sistemando i propri bagagli assieme ad Orbital 8.
Tron  non si era ancora fatto vivo, nonostante Five lo avesse avvertito che lo avrebbe trovato… “diverso”.
Non che ad Hart importasse molto, anzi. La ferita con quell’uomo era ancora fresca e meno lo vedeva, meglio si sentiva.
Non lo conosceva e non lo voleva conoscere.
Il ricordo del bambino mascherato era ancora troppo vivo nella sua mente per poterlo discernere da… beh, qualunque altre cosa fosse stato prima.
Quando la maniglia della porta si abbassò Hart era girato di spalle
“Cosa cerchi, Tron?”
Si premurò di infondere in quelle quattro lettere tutto il disprezzo possibile, aspettando la risposta.
L’altro non rispose nulla, ma sospirò.
“Suppongo che non hai dimenticato,”
Hart gelò a sentire quella voce. Non era Tron. No, decisamente no.
Si voltò, cercando di sembrare naturale, prima di replicare.
L’altro sorrise leggermente al suo sguardo attonito, come se si aspettasse di essere esaminato palmo a palmo.
“A proposito… mi chiamo Byron. Byron Arclight.”
A quelle parole, pronunciate con tutta l’affabilità possibile, Hart si infiammò. Se quell’uomo pensava di passare sopra a tutto quello che gli aveva fatto – come aveva già cercato di fare Faker, e non senza coscienza – si sbagliava di grosso.
Già abbastanza gente si era approfittata dell’incoscienza che aveva sovrastato lunghi periodi della sua malattia.
Come se non fosse mai successo…
“Non mi interessa. Per me tu puoi tornare da dove sei venuto. Tipo dall’inferno.” replicò, il fiele stillante dalle sue parole
“So che non basta e che non mi crederai, ma…. Ti chiedo perdono.”
A quelle parole le difese di Hart si sgretolarono.
Non si aspettava una simile arrendevolezza. Non si aspettava nulla di tutto ciò, in realtà.
“Allora… I ricordi che ho visto… quando hai stabilito il legame empatico… sono veri?”
L’altro annuì
“Assolutamente.”
“E quindi anche… anche lei ha visto i miei ricordi…?” il passaggio al lei gli scivolò fuori dalle labbra senza che se ne accorgesse.
Annuì ancora “Ti piacciono molto le farfalle, vero?”
 
 
 
Angolo Autrice:
Saaaalve, piccoli cori ripieni di cioccolato! Questo è solo uno degli assaggi di Angst che assaporerete in tutta la storia che, almeno per ora, sarà costituita soprattutto di bla bla bla – mea culpa ma ci sono premesse particolari -. Spero comunque che vi piaccia u.u

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Capitolo 4
*** I was never all that kind ***


4 – I was never all that kind
 

23 Febbraio, ore 11:07

L’indomani scendendo per far colazione trovò Byron, Christopher e Mizael seduti al tavolo del soggiorno assieme a un ragazzo occhialuto dai capelli grigi che gli pareva si chiamasse Durbe o Dumon, qualcosa di simile. E se la memoria non lo ingannava era uno degli Imperatori Bariani.
“’Giorno… Problemi? domandò sperando di suonare rilassato.
Ma l’idea di vedere due Imperatori nel salotto, Mizael compreso, non era presagio di buon auspicio. O almeno, così sosteneva Kite.
“Nessun problema Hart. Solite riunioni ‘condominiali’.” rispose Mizael facendo il segno delle virgolette.
Hart annuì. Dovevano essere quei giorni in cui i vari imperatori facevano scalo da Barian per fare rapporto che tutto andasse bene tra i vari mondi. O almeno, così gli aveva spiegato Christopher.
E il tutto era reso più strano dal fatto che nonostante i Bariani fossero molto antichi, avevano l’aspetto di sedicenni.
“D’accordo, Mizael. Tornerò tra qualche giorno per farti sapere eventuali sviluppi.” concluse Dumon per poi salutare e svanire in un portale interdimensionale.
 
Hart sospirò con un sorrisetto ironico. Vivendo in quella casa aveva dato un’altra definizione di “strano”.
 
“Stai bene?” domandò Five mettendo via delle carte che erano sparpagliate sul tavolo
“Già. Ieri ci hai fatto prendere uno spavento.” continuò Mizael in tono svagato
“Sto benissimo. Starei anche meglio se i tuoi draghi non mi svegliassero ogni mattina entrando dalla finestra…”
“Hey, non dare la colpa a Jinlong! Gli devo far prendere aria…” replicò il biondo Bariano con aria di superiorità
“La prossima volta vedrò di popolare la tua stanza di falene se non la smetti!”
“Ah-ah, non lo farai…” mormorò Orbital 8 spuntando da dietro il tavolo
“Dici così solo perché ti piace farti spupazzare da Mizael… Venduto di un robot.” mormorò Hart sbuffando per poi dirigersi verso la cucina e prendere il necessario per far colazione
 
“Che dice il giornale?” domandò Five poco dopo, occhieggiando il padre.
“Solite cose… Numeri che a stento vengono tenuti sotto controllo, crolli e simili.” replicò in tono sereno Byron.

Come riuscisse ad essere così tranquillo, per Hart era un mistero. Era vero che la villa, trovandosi in una zona isolata, era immersa nella pace, ma la Heart Tower, trovandosi al centro della città, era stata più volte minacciata dagli attacchi dei Numeri.
Come se avesse sentito i suoi pensieri Byron considerò ad alta voce “Sai Hart, a volte penso che tu abbia fatto bene a lasciare la Heart Tower… L’ultima volta che ci sono stato non sembrava molto stabile. A volte penso che Faker abbia sbagliato a ricostruirl-“
“Non ha sbagliato proprio un bel niente!” esclamò Hart alzandosi di scatto dalla sedia, il piatto vuoto davanti a lui.
“…Prego?”
“Mi hai sentito! Quella torre non crollerà, non deve crollare!” alzò ancora di più la voce
“Perché ti ricorda tuo fratello, non è vero?” replicò l’altro, il tono placido. Sembrava non far caso alla rabbia di Hart.
“Non ti azzardare a nominare mio fratello! Tu non lo conosci!”
“Hart!” esclamò Five per cercare di fermarlo. Era un campo pericoloso, quello dei sentimenti.
Hart sembrò sul punto di insultare, ma si bloccò e corse via.
 
“Complimenti Byron, hai la delicatezza di un martello pneumatico” mormorò Mizael in tono quasi divertito
L’altro non sembrò dare peso alla fuga di Hart “Quel ragazzino è troppo teso…”

Five sbuffò irritato. Odiava quelle liti, e ancor più, odiava che Byron non se ne curasse affatto. Ma era difficile trovare qualcosa di cui suo padre si curasse abbastanza. Considerò se erano meglio i tempi in cui si curava troppo delle cose sbagliate, tanto da manipolarle.
Ma Hart aveva bisogno di qualcuno che si prendesse cura di lui, e non poteva lasciare che cadesse a pezzi.
Si alzò dal tavolo e dopo qualche istante trovò Hart che piangeva silenziosamente sul letto, aggrappato a un orso di peluche con un cuscino a forma di cuore.
Vedere quel pupazzo fece sprofondare il cuore di Five. Conosceva la storia di quel peluche, Kite gliela aveva raccontata tempo fa – una vita fa -; era l’ultimo regalo della madre.
 
Gli si sedette accanto. Non voleva parlare, sapeva che in quelle situazioni poteva dire di tutto. Aspettò finché Hart non si fosse calmato e non si stupì quando il ragazzino si strinse a lui.

“Lo odio.”
Quelle parole gli ricordarono Michael. Anche suo fratello, in una circostanza simile, aveva ammesso di odiare Byron. Ma erano circostanze diverse. Lui era diverso.
“Lo so. Non mi colpisce che tu lo dica.”
“Anche ‘questo’ lo definiresti come il suo strano modo di volere bene?” domandò Hart tirando su col naso.
“No. Mio padre non è un santo, per quanto lo stimi devo ammetterlo…” mormorò V chiudendo gli occhi.
“A quanto pare anche tu ne sai qualcosa di parenti ingombranti.”
“Più di quanto pensi.” Fece una pausa, per poi continuare “Ascolta Hart, so che è complicato, ma non guardare le persone per quello che ti hanno fatto. Guardale per quello che gli è stato fatto.”
“Suppongo che tuo padre non sia un’eccezione.”
“Affatto. Quattro anni fa, mio padre ci portò da… quello che doveva essere nostro nonno. Lì ho capito che mio padre subiva solo che le ripercussioni del modo in cui era vissuto. In particolare sul temere di dire una parola gentile, persino sull’affezionarsi a qualcuno.”

Hart alzò gli occhi verso quelli di Five, leggendovi più tristezza di quanto il suo tono avesse lasciato trapelare. Si era abituato a capire il suo umore semplicemente guardandolo.
Kite gli aveva spiegato che le lacrime finivano quando ne vengono versate troppe, e la mente considerava inutile continuare a piangere. Il pianto finiva soffocato e quelle lacrime scendevano e salivano dentro ognuno, finendo per far cristallizzare le emozioni e la mente, e anche il cuore. Diventando così uno scudo di ghiaccio ma terribilmente vulnerabile dall’interno.
Five ne era la perfetta esemplificazione.

“…D’accordo, cercherò di sopportarlo.” concluse in tono secco.
Five non replicò, ma gli fece una carezza e tornò in salone.
 
Nel frattempo suo padre si era eclissato. Sospirò, se lo aspettava. Era l’ultimo punto della sterminata lista dei motivi per cui avrebbe dovuto scusarsi con Hart un giorno. Se mai l’avrebbe fatto.
 
 
 
Angolo Autrice:
Capitolo abbastanza tranquillo e di passaggio, per approfondire un po’ di più questo Hart – che intanto sto cacciando in ogni disegno immaginabile -.

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Capitolo 5
*** E quindi uscimmo... ***


6 – E quindi uscimmo…
 
24 Febbraio, 00:27
 
La tempesta aveva colpito Heartland intorno a mezzanotte. Prima era solo una pioggia leggera, poi da nordest erano iniziati a riversarsi fulmini, il cielo plumbeo e uniforme come un'unica pennellata. Quando colpì con tutta la sua furia, la città si ritrovò al buio, avvolta da una tempesta di saette che si scaricavano ovunque potevano.
Le luci erano abbaglianti, al punto che quei pochi cittadini che non erano fuggiti si ritrovarono sui balconi o per strada per ammirare quello spettacolo terrificante.
Il vento spazzava violentemente il suolo mentre una figura avvolta in un mantello avanzava contrastando a malapena la forza della pioggia, il cappuccio alzato per ripararsi un poco, incurante dei tuoni che, fragorosi, riecheggiavano attorno.
Percorse rapidamente le strade, scegliendo sempre quelle secondarie, finché non venne interrotto da un gruppo di criminali a cerca di carte Numero.
La figura incappucciata non dovette fare molto sforzo, infatti dopo poco i criminali erano stati sgominati da un’enorme carta Numero.
I suddetti fuggirono alla massima velocità possibile, per poi rifugiarsi sulle scale di un portoncino, al riparo dalla pioggia grazie a una tettoia.
 
“Cristo!” esalò il più alto, non appena ebbe recuperato fiato “Non ho mai visto un Numero come quello!”
“Sono d’accordo capo… Anf… era a quattro zampe vero…?? Io ho visto solo il muso, era… una maschera… orribile” ansimò un tipaccio.
“Sì, e aveva quelle criniere...”
“Ma che scherzi, Hisayama?? Ma dico, hai visto il tizio? Non ha detto una parola, ha alzato il braccio e quella bestia è partita!”
“Groan… Mi sembra che mi sia caduto addosso un Tir!” si lamentò un altro "Mi fa quasi venir voglia di diventare onesto!"
“Sta di fatto che io quel tipo non voglio rincontrarlo più nemmeno nei miei incubi!”
 
Intanto la figura incappucciata era giunta al viale che portava alla Heart Tower, con accanto il Numero che non accennava a svanire. Il mostro quando giunse in prossimità della torre iniziò ad agitarsi, scuotendo la testa e facendo ondeggiare le quattro criniere raccolte da nastri.
A quel punto l’uomo tirò fuori una mano e iniziò a carezzare il bizzarro quadrupede “Buono, numero 8. Lo so, non ti piace neanche a te. Ma è necessario.”
Il Numero capì e smise di agitarsi, per poi svanire e tornare nella carta, lasciando solo una manciata di scintille dorate ai piedi della figura incappucciata, presto spente dalla pioggia battente.
 
Superò l’ingresso senza essere fermato, muovendosi all’interno dell’edificio con la sicurezza propria di chi sa dove sta andando, superando corridoi deserti e rampe di scale, per poi prendere un ascensore e arrivare all’ultimo piano.
Qui fu fermato da una segretaria affannata, ma bastarono poche parole per farle cambiare espressione da sospettosa a rilassata. Essa gli indicò la porta e si diresse frettolosamente nella direzione opposta.
Qui la figura incappucciata si appoggiò a un muro coperto da crepe – l’intonaco aveva bisogno di una rinfrescata – e si dispose ad aspettare.
Dalla porta giungevano le voci concitate di due uomini che parevano star discutendo animatamente.
 
“Dottore, lei non sta prendendo la faccenda seriamente!” scattò un uomo alto dai corti capelli castani spettinati che sembrava appena annegato, a giudicare dagli occhi vacui.
“Ah no? Beh, si da il caso che io non l’abbia assunta a sindaco in questo stato d’emergenza per la sua bella faccia, Attard, quindi veda un po’ che vuole fare!” replicò il suo interlocutore, un uomo dai capelli biondicci a punta e piccoli occhi viola a palla
“Dottor Faker, forse non ha capito la gravità-“
“La capisco perfettamente, e le ripeto che si arrangi! Le ho messo a sua disposizione tutti i mezzi necessari per arginare la situazione Numeri, quindi ora mi aspetto risultati!”
“Mi avevano detto che lei era testardo, ma non immaginavo fino a questo punto. A me serve un consiglio!” replicò il sindaco in modo lento e pacato, per quanto possibile.
“Beh, a me avevano detto che voi inglesi siete terribilmente snob e pronti a giudicare qualunque persona che non rientri nei vostri standard!” sputò fuori Faker con rabbia, la vena sulla sua tempia che pulsava pericolosamente.
“Tecnicamente io sarei maltese…” pigolò timidamente il sindaco.
“E tecnicamente io le dico di andare a fare il suo lavoro!”
Quando l’uomo fu uscito Faker ricadde pesantemente sulla poltrona ipertecnologica dietro di lui e chiuse gli occhi. Si sentiva completamente esausto, svuotato. Nonostante fossero passati solo quattro anni dal Carnevale di Duelli si chiese con che forza fosse riuscito ad organizzarlo, ponderò passandosi la mano tra i capelli.
 
Il suono di passi nella stanza lo costrinse a riaprirli, per vedere una figura scura introdursi.
“Chi va là?” esclamò alzandosi di scatto per poi stringere i pugni, come a raccogliere tutta l’energia che gli restava. – Dannazione… poteva solo che sperare di non rovinare a terra. –
La figura ammantata non sembrò preoccuparsene e con tutta calma si portò a una decina di passi dall’altro, prima di calarsi il cappuccio.
“Non sapevo avessi così bassa opinione degli inglesi…”
“Byron…” mormorò.
Lo guardò avvicinarsi, un sorriso ironico dipinto sul viso.
“E’ un piacere vederti.” rispose, l’accento britannico quanto mai esagerato.
Ignorò la provocazione, per poi drizzare la schiena, per sopperire alla differenza d’altezza.
“Piove?”
Per tutta risposta l’altro rise, sistemandosi un ciuffo fradicio “Diamine, suppongo di sì.”
“Quindi che ci fai qui con questo tempo, Byron?”
“Vengo a trovare un ex compagno di lavoro” rispose stringendosi nelle spalle.
“Ex… Appunto.”
“Sarei un approfittatore se venissi ogni volta da te per qualcosa.”
“Forse perché lo sei?” iniziava a seccarsi di quel giochetto idiota.
L’altro non rispose ma gettò un’occhiata attorno con aria svagata.
“Non ho tempo da perdere, mi dici perché sei qui?”
“Uh, come sei maleducato, pensavo che voi nipponici aveste senso dell’ospitalità!”
“…Vieni.” ordinò seccamente mentre si portava a un lato della stanza e metteva una mano sulla pulsantiera.
Quella che sembrava essere una decorazione in rilievo sul muro scattò all’indietro, per rivelarsi essere una porta scorrevole che si aprì con un rumore metallico, rivelando delle rampe di scale.
Byron emise un basso fischio di ammirazione, seguendo il collega.
– Non gli sfuggì che l’altro camminasse appoggiandosi col palmo della mano al muro né, a salita ultimata, che ansimasse leggermente. –
 
Arrivati davanti a una porta, Faker armeggiò per qualche istante con la serratura, per poi aprirla.
L’interno si rivelò essere una stanza dai colori freddi. Il bianco la faceva da padrone, rendendo ancora più grande un appartamento già di per sé vasto, con una serie di vetrate a tutta parete che si affacciavano sul cielo tempestoso.
Tuttavia, nonostante a una prima occhiata l’appartamento sembrasse piuttosto curato, Byron, avanzando nell’appartamento, si accorse immediatamente del leggero odore di chiuso che aleggiava nella stanza, reso visibile sotto forma di pulviscolo quando il collega accese le luci.
Si aspettava che si scusasse per il disordine o ammettesse di essere stato molto impegnato, tuttavia l’altro non disse nulla, lasciandolo là a gocciolare.
Solo dopo una manciata di secondi gli fece togliere il mantello zuppo per poggiarlo su un appendiabiti.
- E di ciò gli fu grato, detestava la pesantezza della stoffa intrisa di pioggia sulle spalle, ma d’altra parte un ombrello sarebbe stato troppo facilmente avvistato, per non menzionare che con quei fulmini non era affatto sicuro –
“Senti… ti dispiace se vado a farmi una doccia?” borbottò quasi in tono casuale per poi scomparire senza attendere risposta.
Byron fece un mezzo sorrisetto tra sé. Il collega non era cambiato molto da quando lavoravano assieme.
Se non altro, caratterialmente.
Lasciò trascorrere qualche istante per poi avviarsi verso il corridoio per dare un’occhiata alle varie stanze. Il fatto che i letti fossero tutti impolverati confermò la sua impressione che Faker non trascorresse molto tempo in quella casa, dato l’ordine quasi compulsivo con cui teneva i propri beni.
– Del resto, sapeva che era quel tipo di persona che quando gli mandavi una mail era capace di rispondere dopo mesi, in barba a quanto potesse essere urgente. –
 
Guardandosi davanti al grande specchio squadrato del bagno, Faker dovette ammettere a sé stesso che aveva veramente una brutta cera: la carnagione livida, gli occhi infossati e i capelli opachi e ispidi da cui facevano capolino ciocche ingrigite.
Stava cadendo a pezzi.
Reprimendo la voglia di piangere, si mise sotto il getto della doccia, imponendosi di mantenerla fredda fintantoché non si fosse sentito meglio. E una volta che il gelo dell’acqua gli ebbe restituito una parvenza di energia, si asciugò grossolanamente e uscì dal bagno.
 
Quando Byron lo vide tornare, avvolto in un pesante accappatoio, i capelli malamente frizionati che apparivano più stravolti di quanto non fossero già, si azzardò a chiedere “Dimmi… Da quanto tempo non ti facevi una doccia?”
L’altro lo fulminò, avviandosi verso la cucina “Sono stato molto impegnato… I Numeri stanno facendo troppi danni.”
“A giudicare dalle parole del sindaco non sembravi molto partecipe.” replicò seguendolo. La cucina era quasi minimale, anch’essa bianca, con solo un tavolo di legno laccato e alcune sedie a spezzare l’apparente monocromia.
“Quell’Attard, se non avesse bisogno di me per ogni cosa..!”
“Sarebbe meglio?”
“Dio, no! Considera che voleva pianificare uno stanziamento di fondi extra per fronteggiare lo stato d’emergenza…”
“Essere previdenti non è un difetto.” obbiettò.
“Ma esserlo troppo porterebbe all’allarmismo, che è l’ultima cosa di cui abbiamo bisogno.” sbottò stringendo  convulsamente le dita sullo schienale di una sedia lì vicina, per poi sospirare e sparire di nuovo.
Quando riapparve completamente vestito, Byron lo squadrò con aria lievemente sorpresa.
“Che c’è signor stile impeccabile…?” sospirò rassegnato, dopo tutte le volte che il collega aveva squadrato di mal occhio il suo vestiario.
“Nulla. Ah, ho fatto il caffè. Era l’unica cosa che nella tua dispensa non mancasse.” mormorò indicandogli due tazze fumanti poggiate sul tavolo .
“Grazie.”
Rimasero per una manciata di secondi in silenzio gustando la bevanda scura, pur non smettendo di occhieggiarsi aspettando che l’altro parlasse.
“Seriamente Byron… Perché sei venuto? A piedi, poi, considerando che casa tua è dall’altra parte della città. E in una nottata così…” domandò Faker poggiando la tazza sul tavolo e sedendosi, mentre l’altro prendeva posto davanti a lui.
“Ero… preoccupato.”

L’altro non ebbe bisogno di alzare gli occhi per sapere che stava dicendo la verità, lo percepiva dal tono più morbido.
Non voleva ammetterlo a sé stesso, non ancora, ma quelle parole l’avevano fatto vergognare, di essersi fatto trovare in uno stato così miserabile, e che solo la presenza dell’altro l’avesse convinto a rimettersi un minimo in sesto.
D’altra parte comprendeva anche l’esitazione che era aleggiata nel tono dell’ex collega prima di ammettere di essere preoccupato, Byron detestava palesare certe sensazioni.
“Sto bene… Non c’era bisogno.”
“Seriamente, Ayato?” domandò, lasciando cadere la domanda con studiata noncuranza.
Faker fece una smorfia “Sembra passata una vita dall’ultima volta che ho sentito quel nome associato a me… Ormai anche per i giornali sono ‘Dr. Faker’ e basta.”
L’altro non disse nulla, ma allungò una mano sul polso del collega.
“Non va bene… Non se ti ostini a far finta che non sia successo nulla. È un vizio di famiglia?”
“Non ho bisogno di un confessore.” replicò, il tono più duro per non fargli capire di aver centrato il punto, ma senza ritrarre la mano dalla presa.
“Ed io non ho intenzione di elevarmi a ciò che non mi compete. Tanto, anche se lo fossi, non mi crederesti. Non mi credi neanche ora.”
Non replicò, trovando improvvisamente molto interessante la superficie del tavolo.

Detestava l’apparente facilità con cui l’altro gli parlava, detestava la coscienza del debito che aveva nei suoi confronti da quando aveva ottenuto il perdono. E una piccola parte di lui continuava a credere di aver racimolato la sua pietà, non il perdono.
Era andato troppo oltre.
Almeno Kazuma se n’era andato, scegliendo di non parlargli più. E ciò, da un certo punto di vista, gli procurava un bizzarro senso di conforto.
 
La presa sul suo polso si fece più stretta, costringendolo a guardare dritto negli occhi il collega.
“Non dirmi che va tutto bene. Non ti chiedo la verità, ma non mentire in modo così spudorato. Non a me.”
“Vero… Del resto il tuo peggior nemico ti conoscerà sempre meglio…” ribattè, il tono poco più di un soffio.
L’altro abbassò gli occhi sebbene un riflesso ferito li avesse attraversati.
“Tu non sei la stessa persona che tuo figlio ti accusa di essere.” replicò dopo qualche istante, lasciando il suo polso.
“Come puoi dirlo? Lui non ti odia.”
Gli bastò uno sguardo per capire, prima che l’altro gettasse la testa indietro, scoppiando in una risata colma d’infelicità.
Passarono alcuni secondi prima che Byron continuasse “Perché vuoi reprimere a tutti i costi l’unico sentimento buono che nutri per quel ragazzino? Non commettere la mia stessa leggerezza, potrebbe fartela pagare assai salata.”
“Byron…”
- Qualcosa nelle parole del collega gli era risuonato stranamente familiare, come se le avesse già sentite. –
“Smettila di tormentarti.”
“Non posso… non posso…” mormorò, le spalle che tremavano
Byron serrò le labbra, odiava non sapeva cosa fare. Ed era la prima volta che il collega – no, l’amico – si lasciava cadere a pezzi davanti a lui. Si ritrovò a stringergli semplicemente la spalla, non osando varcare lo spazio tra loro.
 
“Perdonami… Sono squallido.” mormorò, la voce appena incrinata appena  i singhiozzi si furono placati.
L’altro non disse nulla, ma si limitò a stringerlo un poco più forte.
- Ed era più di quanto Faker si fosse mai aspettato, considerando l’ipotesi e considerando Byron. Più di quanto meritasse, in fondo.
 
“Sappi che non ho mai fatto nessuna pressione perché Hart venisse da me.” replicò, e Faker sapeva che stava dicendo la verità.
“Lo so. E non voglio che lo preghi… Mi manca, ma posso aspettare.”
“Questo lo so… Ma per quanto?” replicò alzandosi e prendendo la tazza di caffè in mano.
A quelle parole Faker sudò freddo ma si impose di non dare peso all’insinuazione del collega “Per tutto il tempo necessario.”
Byron sorrise appena, come se quella risposta avesse risolto un dubbio che lo affliggeva e finì di bere il caffè ormai freddo “Ti andrebbe di raccontarmi come siete arrivati a… questo? Hart quando è venuto alla villa non è stato molto esplicativo.”
L’altro si alzò, spostandosi con il bacino appoggiato al bracciolo del divano per poi sbuffare “Sono affari privati.”
“Parlarne ti farà stare meglio” assicurò riappoggiando la tazza sul lavello
. Faker si prese il ponte del naso tra due dita, sospirando esasperato “Tu e la tua dannata psicologia…”
 
 
 
 
 
Angolo Autrice: Credevate fosse finita così? Nah, continua… *si frega le mani all’idea di quanto Angst sta spremendo dai poveri personaggi*
Prima di tutto un grazie a Fayer_Siren che mi ha ricordato di aggiornare – e di aver suggerito l'idea su cui si erge sbilenca 'sta storiella –. Detto ciò... Per procedere con ordine: lasciamo i nostri derelitti per altri due ancor più derelitti, e un mio OC che ho piazzato al posto di Heartland e non so nemmeno perché (e non so se farà altre apparizioni). Quanto li vorreste prendere a manate per quanti complessi si fanno? Tranquilli, miei cari lettori, nel prossimo capitolo sarà comunque così :) il prossimo aggiornamento sarà per il Nuovo Anno, dunque Nuon Batale in stra anticipo!
  

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Capitolo 6
*** ...A riveder le stelle ***


7 – …A riveder le stelle
 
 
Tre anni prima…
 
Hart stava frugando senza sosta nei cassetti della stanza del fratello maggiore, cercando disperatamente qualcosa che lo aiutasse a capire perché Kite fosse scomparso. Che l’operazione andasse avanti da ore, lo si capiva dai molti faldoni che ricoprivano il pavimento attorno al ragazzino.
“Niente, niente, niente…” mormorò mordendosi un labbro e scostandosi dalla fronte la lunga frangia.
Emise un basso sospiro di frustrazione chiudendo il cassetto e mettendosi a sedere con la schiena appoggiata al muro. Aveva rivoltato la camera da cima a fondo e più cercava più gli sembrava di non essere venuto a capo di nulla: molti di essi erano incartamenti riguardanti gli anni in cui il fratello aveva iniziato il percorso di Cacciatore di Numeri o rapporti pieni di dati tecnici.
Nulla che riuscisse a spiegargli dove potesse essere finito Kite o perché l’avesse fatto, ma solo faldoni che, al pensiero che potesse aver passato tutto ciò, gli facevano contorcere lo stomaco per i sensi di colpa.
Serrò i pugni, ricordando la promessa che aveva fatto quando aveva scoperto tutto: l’avrebbe trovato. Non importa in quanti universi noti o sconosciuti avrebbe dovuto cercarlo.
 
Qualche ora dopo, la pila di carte attorno a lui era cresciuta esponenzialmente, al punto che minacciava di crollargli addosso, e un mal di testa assurdo gli martellava le tempie ma se non altro aveva le idee più chiare e teneva tra le mani un fascicoletto che pareva promettente. Richiuse il cassetto e si rimise accanto al muro sfogliandolo attentamente: parlava di una carta Numero recentemente scoperta che, secondo il rapporto – secondo Hart stilato direttamente da suo padre, considerando la grafia -  era assai bizzarra e pareva avere collegamenti con una profezia che citava …dei draghi?
A leggere quelle parole il cuore di Hart ebbe un fremito, continuando a leggere con maggior avidità, ma il rapporto ad un certo punto si interrompeva, come se mancassero delle parti.
Convinto di aver trascurato qualche altro fascicolo che poteva essergli sfuggito, ricontrollò il cassetto trovandolo perfettamente vuoto e con il fondo polveroso per tutti i faldoni che vi erano precedentemente appoggiati.
Represse un ringhio, era l’ultimo che egli restava da controllare.
“Cazzo… Finalmente sono ad un passo dalla risposta e giustamente non c’è.” pensò gettando indietro la testa e cercando di reprimere le lacrime di frustrazione.
Si rimise in piedi e di malavoglia iniziò a risistemare tutto finché non giunse all’ultimo, incerto su che farne.
Il rumore di passi nell’ampio silenzio della torre lo gettò nel panico, nascondendo il dossier sotto il mobile e contando di recuperarlo in un secondo momento per poi uscire precipitosamente dalla stanza e sperare che sembrasse là per puro caso.

“Hart.”
Digrignò i denti sentendo il proprio nome pronunciato da suo padre. Soprattutto in quel frangente.
Aveva solo che da sperare che non sapesse nulla di tutto ciò.
Quando gli arrivò vicino, Faker capì immediatamente l’aria che tirava. Sapeva quello che stava cercando, e il fatto che fosse appena uscito dalla stanza con quell’espressione non faceva che alimentare i suoi timori. I suoi peggiori timori.
“Lo hai letto, non è vero?”
La domanda irritò ancor di più Hart, sicuro che quell’uomo sapesse più di quanto non dicesse.
“Sì.”
Il tono, tanto gelido da sembrare siberiano, gli procurò un fremito. Aveva dimenticato quanto odio potessero esprimere gli occhi del figlio minore e ciò gli fece stringere il cuore. Era troppo giovane per tutto quell’odio.
Abbassò lo sguardo, aspettando la domanda successiva come si aspetta una coltellata.
“Dimmi che non lo sapevi. Dimmi che eri ignaro di tutto. Dimmi che non hai scritto tu quel rapporto…”
Faker sbarrò gli occhi guardando con sgomento le lacrime uscire dagli occhi dorati del figlio, non aspettandosi una reazione del genere.
“Ti prego… Ho bisogno di saperlo.”
“Non posso. Insulterei la tua intelligenza.”
Lo guardò non senza rammarico piegarsi sotto il peso della verità appena proferita. Gli aveva già detto troppe falsità per permettersi il lusso di raccontargliene un’altra.

“…Perché?”
“Hart, io…”
“No, non dirlo. Non dire che hai cercato di fermarlo prima che si lanciasse in una cazzo di missione suicida. Non dirmi che hai sofferto vedendolo andarsene, perché non ci crederesti nemmeno tu!” la voce di Hart riecheggiò per i corridoi vuoti della torre per poi incrinarsi “Io… Io… ti odio! TI ODIO!”
“Hart… Non dirlo. Potrei chiamarti ingrato.”
Il figlio lo fissò senza pietà alcuna, le lacrime improvvisamente asciutte “Ti sei rimangiato l’unico sentimento buono che avessi mai potuto provare nei miei confronti già molto tempo fa, troppo per chiamarmi ingrato.”
 

“Non avrei mai immaginato che non l’avrei più rivisto.”
“Non potevi fermarlo.”
Faker scosse il capo “No, neanche a volerlo.”
“Probabilmente pensa che hai fatto troppi danni per riuscire a redimerti… Almeno ai suoi occhi.” considerò ad alta voce, quasi più a sé stesso
“Mi credi se ti dico che vorrei almeno provarci?”
“Io non credo nulla.” rispose Byron con un’aria di noncuranza che gli aleggiava attorno
Il tono del collega lo indispettì. Per una volta che voleva solo essere compatito.
“Dimmi che dovevo accorgermene, che potevo… Dannazione!” si morse la lingua per cercare di placare i nervi che vibravano come corde tese allo stremo.
“Non potevi.” replicò “Ascoltami, non voglio mettermi tra te ed Hart, neppure per dirti quello che potevi fare.”
“So che cosa ti lega a lui, ma….” si alzò in piedi per cercare di spiegarsi
“Appunto!” Byron si voltò, il viso esangue “Se sai che ho portato quel ragazzino a un passo dalla morte puoi capire perché!”
 “Byron…”
“No.” sibilò contro quello sguardo perso “Smettila di chiedermelo.”
“D’accordo…” alzò le mani quasi a volersi proteggere dal tono duro dell’altro, per poi lasciarle ricadere in grembo.

“Perché non hai mai detto ad Hart delle tue ricerche?” mormorò gettandogli uno sguardo.
“Non voglio dargli false speranze… La possibilità è così flebile.”
“Damn’it, Dio solo sa quanto quel ragazzino possa averne bisogno!”
Faker scoppiò in una risatina forzata “Quanto tempo che non ti sentivo dire qualcosa in inglese… Quando sei arrivato in Giappone ci capivamo a malapena.”
“Già, e io mi ricordo che il tuo inglese era terribile.” replicò, fintamente seccato, per poi continuare “Seriamente, dovresti dirgli la verità.”
“Non posso. Non riuscirei a guardarlo mentre mi fissa, sperando che io abbia una risposta, senza sapere che sono quanto più lontano da essa di quanto non lo sia mai stato…” proseguì, la voce spezzata.
Byron sospirò, e allungando le braccia lo strinse a sé, parlando con voce calma “Dimmi: una risposta serve più a lui o a te?”
“N-Non lo so…” replicò lasciandosi andare contro la spalla dell’amico
 
Passò qualche istante prima che continuasse la frase lasciata a metà, la voce leggermente meno incerta “Sarebbe peggio un padre che abusa della fiducia dei propri figli per un fine più grande o un padre che abbandona il proprio figlio, garantendogli una morte orribile?”
Sentendo che Byron si irrigidiva, a disagio, continuò “Non dirlo. Non negare.”
“Non… volevo.” Fece un sospiro per poi scostarsi dall’altro “La fine non sarebbe pietosa per nessuno dei due.”
“Non lo sarà neanche per me.”
“Pregherò che ti sbagli.”
 
 

Angolo Autrice: Tralasciando il trionfo di una delle ship meno probabili e più strane… Niente, non rimane niente ^^” mi scuso per il ritardo pazzesco e per il capitolo indecentemente corto.

 

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Capitolo 7
*** Rage against the clock ***


5 – Rage against the clock

24 Febbraio, ora imprecisata
 
 
Quando Mizael arrivò su Barian, avvolto nel consueto vortice di scintille rossastre, notò che erano presenti quasi tutti tranne Vector.
Gli altri Imperatori erano raccolti attorno a una grande lastra di pietra, compresi Nash e Marin, intenti a studiare qualcosa attraverso un varco.
“’Giorno. Problemi?” domandò guardando l’espressione corrucciata di Nash.
“Tralasciando che Vector è di nuovo in ritardo…” gli rispose Dumon.
“Non è solo quello…” lo interruppe la voce di Marin.
“…L’oscurità pulsa in modo anomalo.” completò Nash senza staccare gli occhi dal varco che in quel momento mostrava un luogo buio, probabilmente sottoterra, in cui s’intravedevano dei bagliori che roteavano come se…
“Avvolgessero qualcosa.” realizzò Mizael avvicinandosi.
“Scusate, ma solo io non ho capito bene cosa stiamo guardando?” domandò Alito con una mano poggiata sul mento
“Giààà, e visto che ci siete fareste un riassunto anche al sottoscritto?” replicò Vector spuntando alle spalle di tutti.
“Sempre in ritardo…” grugnì Girag “Io ho persino spostato gli allenamenti per venire!”
“Peccato che qui il tempo serva, ma non corrisponda a quello terrestre.” replicò Dumon, impassibile.
“E me lo dici così??”

Nash tossicchiò seccamente per richiamare l’attenzione generale. “Per rispondere alla domanda di Alito, stiamo guardando un… qualcosa, all’interno del sottosuolo di Barian.”
“Cioè sotto i nostri piedi, Nash, falla semplice!” esclamò Vector alzando le mani come a dire che lui non poteva farci niente se il capo non era chiaro.
Il suddetto lo fulminò, per poi continuare “Avrete certamente notato che negli ultimi giorni si stanno verificando eventi inconsueti… E grazie ai rapporti di Mizael, possiamo stabilire un collegamento tra questi fattori e comportamenti inconsueti dei Numeri sulla Terra.”
La spiegazione concisa di Nash, tuttavia, non aveva risolto i dubbi degli imperatori, espressi per bocca della sorella.
“Nash, cosa sta succedendo?” domandò Marin tamburellando con le dita sulla lastra di pietra.
“Non lo so, ma non mi piace affatto.”
E lo sguardo inquieto dell’imperatore mentre fissava tutt’attorno, quasi si aspettasse di vedere qualcosa spuntare da sotto il terreno, era quello dei giorni peggiori.
 
______________________________
 
24 Febbraio, ore 15.30
 
Dall’ultimo piano di un hotel parigino, Thomas Arclight stava facendo un annoiato zapping, comodamente sdraiato su un divano, pregustandosi la coppa che avrebbe ricevuto l’indomani.
Aveva tecnicamente già vinto il torneo, così diceva la classifica, stracciando l’avversario con un divario che secondo il cronista era allucinante.
Sbadigliò, tentato dal pensiero di un pacco di patatine che, sapeva, campeggiavano nel ripiano sopra il minifrigo.
Fece in tempo a tornare con un’enorme ciotola tracimante patatine che si inchiodò davanti alla Tv e dalla gola gli uscì un rantolo strozzato mentre guardava le immagine scorrere, inebetito.
“Michael! Vieni!”
Nessuna risposta. – Dannazione, aveva solo che da sperare che non si fosse addormentato. –
“Michael!!”
Alla seconda invocazione arrivò “Nii-sama, cosa…?”
L’altro non replicò, ma Three seguendo il suo sguardo stravolto capì al volo.
Rimasero a guardare il servizio in piedi, guardando le immagini di distruzione che si susseguivano sullo schermo, senza riuscire ad esprimere alcunché.
 
Quando il viso della giornalista scomparve, Four lasciò cadere la ciotola, mentre improvvisamente tutto sembrava tornare a quadrare.
“Ci ha lasciato scappare… Ci ha lasciato scappare…” si ritrovò a ripetere mentre le gambe parevano non riuscire più a reggerlo e crollava in ginocchio sulla moquette.
Si lasciò sfuggire un singhiozzo, subito soffocato da un urlo di disperazione “Quello stronzo!”
Three lo osservò per qualche istante, troppo stordito per riuscire a dire qualcosa.
Dopo una manciata di secondi Four si alzò, passandosi la manica della giacca sugli occhi, il tono prossimo a spezzarsi.
“Michael.”
“Thomas, non….”
“Vai dall’organizzatore del torneo, subito. Digli… non lo so, che io sono costretto a ripartire per cause di forza maggiore, e che tu ritirerai il trofeo al posto mio.” esclamò mentre camminava ad ampie falcate irrequiete per la stanza.
“Non sono sicuro che sia una buona idea…” pigolò il minore in tono poco convinto.
“Fallo!” esplose Thomas indicandogli la porta.
 
Solo una volta che il fratello fu uscito permise ai singhiozzi soffocati di uscire “Cazzo... Perché, perché di nuovo??”
Si odiò per non essere stato abbastanza intelligente da leggere le sue intenzioni… per averglielo permesso.
Serrò il pugno, cercando di calmarsi, per poi recuperare il cellulare da una tasca e cercare un numero.
Mentre squillava si passò una mano sul viso, cercando di recuperare il tono usuale.
“Ciao tesoro… sì, sono proprio io, che coincidenza, vero eh? Senti, ti ricordi di quel favore che mi dovevi…?” puntò lo sguardo verso il cielo terso e assolato, mentre un sorrisetto gli si allargava sulle labbra.
 
Il mattino seguente, appena albeggiato, un veloce Boeing si alzava in volo nel cielo parigino.
 
 
 
Angolo Autrice: Vi consiglio di prestare particolare attenzione alle date e agli orari in calce al capitolo, onde evitare di ritrovarvi spaesati dall’ordine dei fatti
 

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Capitolo 8
*** Venni, Vidi, Fuggii ***


8 - Venni, Vidi, Fuggii
 

25 Febbraio, ore 10.32
 
“Quindi vi siete alleati… con un Bariano?” Four scosse la testa una volta finito di ascoltare il riassunto dei fatti. “Dio, Chris, da te mi aspettavo un’idea migliore! Anche un serial killer sarebbe stato migliore!”
“Abbassa la voce. Hart dorme.” replicò in tono gelido, per poi tornare a fissare il fratello minore.
“Già, lui…”
“Non una parola di più, Thomas, lo sai benissimo.”
“Come lo consideri, sì, un fratello… Anche più di me.” continuò l’altro roteando gli occhi.
               
Five rimase un istante considerando se rispondere a quell’ultima provocazione, per poi dirsi che era meglio non farlo. Era una ferita troppo vecchia e troppo profonda per sperare di risanarla del tutto.
 
“Sta di fatto che sono proprio Christopher e Hart ad avere maggiori motivi per avercela con me. Se non mi odiano domandati perché.” concluse una voce alle loro spalle
“Mizael” mormorò in tono più dolce V “Non ti aspettavo.”
“Sono appena tornato. E tu sei Four, vero?” mormorò il biondo Bariano rivolgendosi al suddetto mentre si toglieva la giacca.
“Come conosci il mio soprannome?”
“La fidanzata di Hart l’ultima volta che è venuta ha lasciato una pila di riviste di duelli. E casualmente in copertina c’eri tu.”
L’altro fece un sorrisetto arrogante per poi realizzare la prima parte della frase “Come sarebbe a dire una fidanzata? Quella micro pulce ha una…”
“Sì.” confermò Five, come se gli avesse chiesto che tempo faceva “E se non riesci a dire nulla di più intelligente o che non riguardi te stesso…”
Four accusò la stoccata e se ne andò al piano superiore, troppo scioccato per replicare.
 
Five rimase per qualche istante solo con l’altro, e nonostante sul momento avesse disapprovato la replica di Mizael si ritrovò ad ammettere che aveva ragione.
Lui stesso per lungo tempo non si era fidato del bariano prima che la convivenza nella stessa casa lo costringesse a dover instaurare un minimo di rapporto con l’altro.
Per lo stesso motivo intuì quello che stava per dire Mizael.
“Non dirlo.”
“Cosa?” domandò il bariano con aria confusa “Mi stavo domandando dove fosse Hart. Quando sono rientrato non c’era in giardino.”
L’espressione di Five si rilassò visibilmente, mentre gettava un’occhiata verso il piano superiore “Dorme. Anche se pensavo di andarlo a svegliare, se non ricordo male ha un appuntamento.”
“Ne parli come fosse tuo fratello.”
“Perché lo è. Io insegnai a duellare a Kite e per anni vissi a stretto contatto con lui e Hart.” replicò con un’alzata di spalle come fosse un fatto senza importanza.
“Si nota.”
L’altro sembrò non cogliere e mise su un sorrisetto di circostanza – che Mizael avrebbe saputo riconoscere ad occhi chiusi, Five era troppo compassato per lasciarsi andare a un gesto così spontaneo  –.
 
Tuttavia un rumore improvviso di passi precipitosi li interruppe, e fecero appena in tempo a scansarsi che un Hart mezzo vestito e dall’espressione confusa travolgesse i due.
“Hart! Sarei venuto a svegliarti fra poco, ma vedo che sei già sveglio…” mormorò Five staccandosi dal muro contro cui si era scontrato per evitare la foga del suddetto.
“All’incirca…” completò Mizael con gli occhi sgranati mentre guardava il quindicenne che cercava contemporaneamente di addentare una fetta di pane tostato, di sistemarsi la cintura che reggeva i pantaloni cascanti e di ravviarsi i capelli, il tutto senza smettere di sbadigliare.
 
“Mphff…” mugugnò in tutta risposta Hart con la bocca piena, senza smettere di agitarsi convulsamente.
Mizael sospirò e con un cenno gli indicò il salone “Dai, vai a sederti, alla colazione ci pensiamo io e Five. Finirà che ti farai male ad agitarti così.”
“Gulp! Vorrei sapere perché vi siete messi a cianciare proprio sulla porta della cucina!” replicò, inghiottendo bruscamente il boccone.
“Te l’ho detto, non pensavamo…” rispose pazientemente Mizael sparendo nella cucina.
“Sì, ma finirà che farò tardi!” esclamò Hart guardando ansiosamente la pendola.
“Dove avete l’appuntamento?”
“Proprio fuori dalla villa, ma se tardo…”
 
“…Tenjo, quanto ancora pensi di farmi aspettare??”
Per gli occupanti della villa fu come se fosse entrato un tornado. Hart in particolare, si gelò sul posto quando il suddetto tornado si rivelò essere un’adolescente dai capelli lilla legati in due lunghe trecce e un paio di freddi occhi grigi che attraversò il salone a passo di marcia.
 
“Ancora a fare colazione?”domandò squadrandolo mentre sezionava una fetta di torta.
“Buongiorno Ami.” salutò Mizael, per nulla impressionato dalla brusca irruzione della ragazza.
“Mizael… piuttosto, dì a quello squinternato del tuo ragazzo che dovrebbe sistemare le serrature, è bastata una forcina e una pinzetta per aprire il cancello! Sa che detesto aspettare!”
Alla replica della ragazza Five, che stava rialzandosi da sotto uno scaffale diede una zuccata e Mizael scoppiò in una risata forzatissima.
“Arrivo Ami… Vado a prendere le scarpe!” fece Hart correndo verso le scale e quasi travolgendo Byron che procedeva in direzione opposta.
La ragazza annuì e si appoggiò al muro, disponendosi ad aspettare.
L’uomo, adocchiata la ragazza in fondo al salone, sbandò finendo a dare una spallata alla parete.
“Ti conviene…” cominciò Hart
“Sì, mi è passato l’appetito.” concluse l’altro ritornando al piano superiore.
 
“Ami. Tutto bene?” domandò V riemergendo dalla cucina con un sacchetto di ghiaccio premuto sulla nuca.
“Mh, suppongo di sì.”
“Dove volevi portarlo?”
“Guarda che non lo requisisco mica. Comunque, in centro.” replicò la ragazza sulla difensiva.
Five stava per replicare, che Hart scese e salutato sbrigativamente uscì con dietro la ragazza.
 
 
“La tua famiglia non sta bene.” proruppe Ami non appena si furono allontanati abbastanza.
“Lo so.” ammise “Però…”
“Sì, li ami comunque, l’hai già detto, tanto che dovresti dubitarne la veridicità!” replicò mordace.
A quelle parole il quindicenne sbuffò e accelerò il passo.
Stettero per qualche istante in silenzio, procedendo lungo le strade.

“Sai dove stiamo andando?” domandò ad un certo punto la ragazza affiancandolo.
“Conoscendoti, probabilmente verso il centro.”
“E qui casca l’asino. No, volevo portarti al cinema.”
“Quale dei sei di Heartland?” sollevò un sopracciglio Hart.
“Quello vicino al muro di centro città.”
“Ah. A vedere cosa?”
“…Fai troppe domande!”
A quella brusca risposta Hart sbuffò e si rassegnò a seguirla.
 
Camminarono per un lungo tratto con Hart arrancava cercando di tenere il passo della fidanzata finchè, mentre attraversavano una zona piena di grattacieli, qualcosa gli fece drizzare le orecchie e rallentare il passo.
Un boato, lontanissimo, ma perfettamente riconoscibile per il suo udito allenato.
 
“Beh, che ti prende?” domandò Ami girandosi e squadrandolo mentre si guardava attorno.
“Niente, credo di aver sentito…”
“…Il ritardo che faremo se non ti sbrighi!” ringhiò la ragazza prendendolo per un polso e costringendolo a riprendere a camminare.
Hart, di fronte a tale ferrea determinazione abbassò la testa, rialzandola solo quando dopo un poco udì un secondo boato a confermare i propri sospetti.
 
Stringendo i denti spinse Ami in una strada secondaria, intimandole di tacere.
“Ma che-?” protestò
“Shhh…”
La violetta lo guardò con gli occhi sgranati, non prima che un altro boato, questa volta spaventosamente vicino, riecheggiasse tra i palazzi.
“Un Numero.” le mimò senza parlare
“Ma com’è possibile?”
“Non lo s-“ si interruppe non appena vide un’enorme coda scagliosa trascinarsi sull’asfalto proprio in una traversa della strada nella quale stavano transitando e alla cui vista Ami soffocò un urlo mentre Hart si voltava verso di lei.
“SCAPPA!!” urlò iniziando a correre, poco prima che qualcosa facesse crollare come un castello di carte il palazzo lì vicino.
 
“GRRRROAAAASSSSSHH!”
Il ruggito che seguì l’inferno dei calcinacci fu abbastanza per mettere ai due le ali ai piedi, mentre percorrevano di volata le strade accalcate da chi era in fuga come loro.
“Perché non ti fermi e lo combatti!? Sei un Cacciatore di Numeri, per la miseria!!” urlò Ami continuando a correre con le trecce al vento.
“Perché quel coso mi può annientare in un biz, ecco perché!” ansimò Hart schivando con un salto un carretto dello zucchero filato abbandonato.
Corsero alla disperata, con l’adrenalina che gli bruciava nelle vene e la paura di risentire il verso del Numero dietro le loro spalle.
 
 
Non appena furono abbastanza lontani da potersi ritenere al sicuro, si rifugiarono in un vicolo per riprendere fiato.
“Da quel che ho capito nelle mie ricerche i Numeri per rendersi corporei utilizzano il corpo del duellante che li sta utilizzando, se quest’ultimo non ha delle barriere mentali abbastanza forti per evitarlo.” spiegò Hart mentre si toglieva la polvere dai jeans.”In quello stadio è impossibile separare il Numero, e fidati che ci ho provato. L’unica possibilità è fermare il Numero e sperare che il duellante riesca a riprendere coscienza…”
Ami annuì senza comprendere realmente, del resto lei non era una duellante e si era creata un mazzo solo dopo che il fidanzato le aveva fatto notare che andare in giro da sola era pericoloso. E che lei se ne era fregata.
Del resto non aveva un Numero, quindi correva meno rischi.
 
“Aspetta.” gli mormorò mentre lo guardava avviarsi.
“Andiamo, no?” domandò il quindicenne, voltandosi verso di lei.
Ami lo prese per un polso e lo costrinse a girarsi del tutto, schioccandogli un bacio in bocca che fece diventare anche i capelli azzurri di Hart rosso pomodoro.
“Consideralo un ringraziamento per prima. E ricordati che mi devi ancora un cinema!”
Hart incespicò per poi mormorare “Allora… Andiamo a casa?”
“Mi sembra il meno, o vuoi ancora giocare col Numero di prima?”
 
Il ragazzo sbuffò, per poi avviarsi tenendola per mano verso la villa.
 
 
 
 
 
Angolo Autrice: Un capitolo abbastanza di passaggio, perdonatemi per il ritardo, ma credo che ormai vi siete abituati ai miei ritardi cosmici ^^””” *corre a prepararsi una barriera anti lettori infuriati*
 
 

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Capitolo 9
*** L'inizio di ogni cosa ***


 9: Prima di ogni cosa
 

 
Due anni prima…
 
 
Quella mattina faceva freddo, ad Heartland, quando l’alba era ancora una striscia biancastra sospesa all’orizzonte, con la luce che pigramente si frantumava in lunghe linee chiare sull’asfalto ed il silenzio era rotto solo da qualche auto che sfruttava l’ora per non incontrare ingorghi.
La strada era percorsa solo da qualche studente che, rabbrividendo, si affrettava ad uscire di casa e da qualche lavoratore particolarmente mattiniero.
In quel momento nessuno notò i due ragazzini che giocavano in silenzio a Duel Monsters su una gradinata, forse ingannando il tempo prima di andare a scuola.
 
Il più alto, che calzava un cappello da baseball di traverso sugli scomposti ricci biondi, esultò mentre il suo mostro infliggeva il colpo della vittoria al suo compagno.
Ma il Numero avversario, invece di dissolversi come avrebbe dovuto fare, si trasformò in nebbiolina grigiastra che penetrò dentro il possessore, un ragazzino moro, che si afflosciò su sé stesso.
“Ma cosa… Ehi Hajime! Tutto a posto? Sono sempre io, amico, Katsuo!” esclamò il biondino togliendosi il Duel Gazer e correndo verso l’amico.
Il suddetto non rispose, restando immobile, finché una nebbiolina rossastra non iniziò a manifestarsi attorno a lui, fino a diventare una vera e propria aura.
“Oh caspiterina…” mormorò l’altro indietreggiando.
Quando il ragazzino riaprì gli occhi, quello chiamato Katsuo ci mise poco a capire che qualcosa non andava: le iridi erano diventate infatti completamente rosse.
 
Quando l’aura iniziò a pulsare Hajime, che ormai pareva non più padrone delle proprie azioni, alzò il viso ed emise un ululato tale da far gelare il sangue per poi afflosciarsi a terra, mentre dalla sua aura rossastra fuoriusciva un cane a tre teste in tutto e per tutto simile al Numero creduto sconfitto.
Il biondo rimase paralizzato mentre il mostro atterrava pesantemente sul selciato, ripetendosi istericamente “E’ solo un’allucinazione, non pu-può farmi male, non può!” tenendo il Duel Disk alzato nel patetico tentativo di difendersi.
Fu sufficiente un solo ruggito del mostro a fargli percepire l’alito nauseabondo del mostro per capire che quello che aveva di fronte era ben lontano da essere finzione.
 
 
Un acre odore di zolfo e disperazione avvolse tutto ciò che Katsuo fu in grado di ricordare da quel momento in poi, per poi calare l'oscurità.
 
 
_______________________
 
 
Si risvegliò dopo un tempo che gli parve indefinito, sentendo un dolore acuto percorrergli tutti i nervi fino a concentrarsi nel suo braccio destro.
Aprì con cautela gli occhi, mettendo faticosamente a fuoco una donna corpulenta che lo metteva a sedere.
“Sei sveglio allora. Tranquillo, te la caverai in poco tempo.”
"Dove sono?"
"In ospedale, dei passanti ti hanno notato per terra e ti hanno portato qui. Te la sei cavata con solo un ferita, sei fortunato."
“Co-cosa è successo?” domandò, sgranando gli occhi e osservandosi il braccio fasciato strettamente.
Lei alzò le braccia “Chi può dirlo. Io so solo che quel mostro, qualunque cosa fosse, ha fatto il panico in città. Sembrava un’immagine delle carte, se non fosse stato che era fin troppo reale… Ah e abbiamo rintracciato i tuoi-“
Katsuo la ignorò, rizzandosi in piedi e correndo verso la finestra. Lo spettacolo che vide gli mozzò il fiato.
 
La strada era invasa da gente che correva in ogni direzione, con l’edificio di fronte l’ospedale che pareva reggersi in piedi per puro miracolo, una facciata completamente sventrata. In lontananza si udiva un coro di sirene, appena udibile sopra il frastuono.
“Come- come può essere possibile…?” domandò il ragazzino a mezza voce “Hajime…”
“Non lo so. Nessuno lo sa. Quel mostro ha causato centinaia di feriti, e fino ad ora sono riusciti soltanto ad arginarne l’avanzata. Sembrava di avere davanti Godzilla.” replicò l’infermiera, andando ad accendere la radio.
 
“Ci serve aiuto! Sono arrivati altri feriti!” esclamò un medico spalancando la porta.
La donna annuì, per poi voltarsi “Devo andare. I tuoi saranno qui tra poco, ho dato disposizione di lasciarli passare.”
“Va bene.” mormorò, sedendosi sul bordo del letto.
La radio, dal segnale un po’ disturbato berciava a proposito dell’incidente.
“Al momento non si hanno notizie sul numero dei morti, che tuttavia da fonti vicine al sindaco si attesterebbe sotto i dieci. Le forze di polizia sono riuscite per ora ad allontanare il mostro dai principali agglomerati urbani…” recitava velocemente lo speaker, mentre Katsuo si domandava che cosa ne fosse stato di Hajime, se era ancora vivo e soprattutto dove fosse.
“Un attimo! Mi informano che abbiamo una comunicazione da parte del neo sindaco Attard, quindi interrompiamo momentaneamente il notiziario…”
Si intromise un’altra voce, molto diversa da quella querula dello speaker, calma e ragionevole:
“Invito la popolazione, per quanto possibile, alla calma, e a non lasciarsi andare a comprensibili ma inutili allarmismi. La polizia è impegnata a cercare di contrastare la minaccia con ogni mezzo disponibile, quindi il mio invito è di evitare di uscire di casa solo se strettamente necessario. Ricordo che come misura cautelare è stato  interdetto il gioco di Duel Monsters negli spazi aperti e, se possibile, anche negli spazi interni. Inoltre…”
A quel punto Katsuo spense la radio, aveva sentito abbastanza.
 
Cosa diavolo sta succedendo?” fu la domanda che formulò fissando il cielo fuori dalla finestra, grigio e fumoso.
L’unica risposta che gli giunse fu una sirena che suonava lontana.
 
 
 
Angolo Autrice: Ringrazio la cara Naoko-chan per i preziosi consigli e tutti i membri del gruppo Saving Zexal per il supporto costante (vi voglio bene).
Andando a parlare del capitolo, vi ricordate che in un capitolo passato avevo già accennato al sindaco di Heartland? Vi consiglio di non dimenticarlo, perchè farà altre apparizioni :) piccola chicca: i nomi dei due ragazzini significano "inizio" (Hajime) ed "eroe" (Katsuo).
Detto questo,ringrazio anche chi recensirà e ci vediamo con il prossimo capitolo "Tutto, fuorché una famiglia"

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Capitolo 10
*** Tutto, fuorché una famiglia ***


10: Tutto, fuorchè una famiglia

 

27 Febbraio, ore 11.40

 

“Hart. Hart! Riprenditi. Non sei concentrato.” 

La voce, leggermente metallica alle sue orecchie, di V lo fece riscuotere dal torpore che gli era calato addosso più velocemente di un macigno dopo l’ultimo colpo inflittogli da Sfera Dyson.
Colpo che l’aveva mandato gambe all’aria contro il terreno, con il naso invaso dall’odore intenso dell’erba bagnata dall’umidità della sera. 
Puntò i gomiti contro il terreno e lentamente si rialzò, guardando il contatore dei suoi LP fermo a 1800.
- Strano, per la violenza dell’impatto avrebbe detto fossero molto meno… - 

Il mostro di Five era ancora in campo, con i pannelli che rilucevano argentei alla stentata luce pomeridiana. Ed era persino equipaggiato con la carta Magia Colpo Big Bang.

Detestava quella Magia. E ciò che odiava di più era che non fossero poi gli attacchi del mostro a far male – aveva distrutto Falena Atlante, che contava 2500 punti di difesa contro i 2800 punti di attacco di Sfera Dyson -, ma i contraccolpi dei suddetti.

“Sono concentrato.” replicò, ma la sua voce risultò malauguratamente molto meno convinta di quanto sembrasse nella sua testa.
“A me non sembra. Siamo al nono turno e tu sei già sul punto di perdere. O di mollare.
“Sai che non ci penso proprio.” 
“Lo spero bene. Se contro di me hai difficoltà, con Mizael che farai? Ti arrenderai?”
“Non….” ringhiò.
“Lo so.” lo mise a tacere con un gesto imperioso “Non ho mai allenato un perdente. Ora continuiamo.”


E quando l’ultimo attacco lo fece crollare a terra, Hart avrebbe giurato di vedere un sorrisetto d’orgoglio increspare le labbra del suo mentore prima di vederlo sparire tra la polvere alzata dall’attacco.
Non appena il Duel Tattoo – una forma sinuosa verde brillante che faceva diventare l’iride sinistra color grigio ferro – fu svanito, si precipitò verso Five.
“Christopher!” esclamò correndogli incontro e trovandolo, con suo disappunto, non solo in piedi, ma dall’espressione persino serena, considerata la sconfitta “Tutto okay?”
L’altro si limitò a guardarlo con uno dei suoi rari sorrisi, per poi carezzargli distrattamente i capelli
“Allora?”
"Sei stato bravo."
Hart incassò il complimento non senza meraviglia, finché non vide il più grande corrugare le sopracciglia, guardando qualcosa sulla sua testa.
"Mh?"
“Stavo pensando che quando ti ho conosciuto avevi quegli aggeggi rossi tra i capelli… Che cos’erano?”
“Dispositivi impiantati chirurgicamente per aiutarmi a tenere sotto controllo i poteri Bariani. Faker me li fece togliere qualche anno fa.” mormorò con noncuranza scostando i capelli per mostrare tre sottili cicatrici sulla cute.
A quelle parole Five strinse le labbra in una linea sottile, per poi domandare “Ma perché..?” 
“Perché li ho ancora tra i capelli?” armeggiò per un istante con una ciocca per staccarne uno “E’ una molletta. Me le regalò mio pad- Faker. Suppongo per non dimenticare.”
“Ma perché farti un regalo così… pesante?” 
“Non è mai stato tipo da ricordare cose piacevoli.” fece una smorfia, per poi stringersi nelle spalle “Fa freddo. Torniamo a casa?”
“Andiamo.” 

Sulla soglia, Mizael li bloccò “Five, due cose: è tornato Three, l’ho lasciato al piano di sopra a sistemare i bagagli e… Hart, posso rubartelo un secondo?”
Il ragazzino annuì, senza percepire realmente la causa del tono concitato del Bariano e ritornò in casa.
Quando fu sicuro che non potesse sentirli Five domandò “Ci sono problemi col nostro piano?” 
“Esatto. E uno ci è appena passato davanti.”
“…Andiamo Mizael, non possiamo continuare a tenerlo all’oscuro, del resto conosci bene quanto me la profezia!”
“Lo so. E sai anche che lui è l’unico che potrebbe mettere fine a questo problema!”
“Ipotizzando che la tua ipotesi sia corretta…”
“Deve esserlo! Dannazione, i rapporti dagli altri Imperatori non sarebbero certo così scoraggianti se non fosse vero!” esclamò Mizael torcendosi nervosamente una ciocca bionda
“Lo sai che finché il ponte non è pronto possiamo fare poco! E inoltre non abbiamo il catalizzatore, senza quello non andiamo da nessuna parte.”
“Lo so, fidati. Ma quello che so è che il mio antenato non si sbagliava.”
“Ma chi dice che magari non sia arrivato alla generazione giusta?” domandò ansiosamente Five mentre guardava con un barlume di speranza verso la finestra della camera di Hart.
Il Bariano gli mise una mano sulla spalla per poi continuare “So quanto vorresti che non fosse lui. Ma è improbabile che non sia lui il soggetto, ci sono troppi indizi a suo carico.”
“A suo carico, appunto! Mizael, non so se te ne rendi conto, ma stiamo parlando di un ragazzino di nemmeno sedici anni che in questa storia ci ha già rimesso un fratello!” replicò l’albino
“Lo so, ma…”
“Lascia stare… Questa situazione non è facile per nessuno.” concluse per poi rientrare in casa.

Intanto Hart era salito e, salutato con un cenno distratto Three – non l’aveva mai conosciuto abbastanza da instaurarci un rapporto che andasse oltre la semplice cordialità – si era chiuso in camera a pensare.
Erano mesi che non riusciva a pensare lucidamente allo scorrere degli eventi e la notte, al prezzo di incubi, non gli offriva alcun sollievo dalla percezione che gli stesse sfuggendo tutto di mano.
“E’ un quadro complesso.” era stata la risposta più esauriente che era riuscito a strappare da Mizael, che d’altro canto pareva più disposto di Five a rispondere ai suoi dubbi.
Avrebbe voluto replicare che lui era vissuto per i quadri complessi.
Erano idee più definite che definitive.
E provvisoria era stata tutta la sua vita, per almeno dieci anni.

A conti fatti, non sapeva quale fosse il ruolo di Kite in tutto ciò. Gli sembrava, ogni giorno, che suo fratello, in quella gigantesca partita a scacchi che era la sua vita, fosse solo un pedone ribelle, uscito dalla scacchiera.
Forse, mangiato.

“Padrone?” la voce robotica di Orbital si introdusse nella stanza, strappandolo ai suoi pensieri.
“Orbital…”
“Cosa succede, padrone?” 
Hart a quella domanda ridacchiò leggermente, sistemandosi sul letto. Il robottino sapeva che era una domanda proibita.
“Orbital, secondo te cosa c’entra Kite con tutto questo?”
“Non credo di poter rispondere… Non vorrei…” balbettò
“Provaci comunque. Quello che ti viene.”

Il robottino sembrò rifletterci a lungo, mentre le sue antenne roteavano, analizzando i dati. Dopo un po’ i led dei suoi occhi lampeggiarono, segno che doveva aver trovato una risposta.
“Se vuole saperlo, padrone, credo che dovrebbe partire dall’ultima persona che padron Kite ha visto.”
Hart fece un salto. Ma certo, come aveva fatto a non pensarci!
Ringraziò Orbital con una pacca sulla piccola testa triangolare e corse alla scrivania dove teneva tutti i documenti trovati sulla scomparsa del fratello, sperando di trovarvi ciò che sperava.
Tuttavia, prima che si tuffasse di nuovo nei faldoni, Orbital lo fermò “Padrone, non serve.”
“Perché, sai chi è?” 
“No, ecco… Ma so che nei documenti che avete non c’è qualcosa che vi aiuti a determinare gli ultimi movimenti di padron Kite.”
“Ecco, questo non volevo saperlo!” esclamò tirando un pugno alla testa del robot che, sfortunatamente, schivò. 
“Non avete pensato a chiedere a… vostro padre?” trillò timidamente
“Sì.”
No, Hart non ci aveva pensato per il semplice motivo che più quell’uomo restava fuori dai suoi pensieri, meglio si sentiva.
“E allora?”
“Allora niente, Orbital! Quell’uomo non sa niente!” scattò, snervato.
“Perdonatemi padrone, ma… ne siete proprio sicuro?”

Stava per ridurre quel robot fastidioso a marmellata di bulloni, ma si fermò.
Quelle parole, per quanto sgradite, gli avevano messo la pulce nell’orecchio.
Suo padre forse sapeva davvero qualcosa.
Sospirò, seccato. Alla fine, una visita a Faker non sembrava poi una così terribile idea.
Nonostante gli pesasse il concetto – rivedere qualcuno che hai odiato e che ha abusato della tua fiducia con l’unica scusante di un fine più grande non suona promettente, non è vero? – doveva ammettere che non voleva compromessi. E suo padre era la persona giusta da cui evitarli.

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