Epic Violin - Il Violino di Dio

di Shade Owl
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Cap. 1: La ragazza in carriera ***
Capitolo 3: *** Cap. 2: McGrath ***
Capitolo 4: *** Cap. 3: L'avvertimento ***
Capitolo 5: *** Cap. 4: Depressione ***
Capitolo 6: *** Cap. 5: L'ufficio di Vaněk ***
Capitolo 7: *** Cap. 6: Terrore nella metro ***
Capitolo 8: *** Cap. 7: Rivelazioni ***
Capitolo 9: *** Cap. 8: Allwood ***
Capitolo 10: *** Cap. 9: Momento di quiete ***
Capitolo 11: *** Cap. 10: Violinista di strada ***
Capitolo 12: *** Cap. 11: Una decisione da prendere ***
Capitolo 13: *** Cap. 12: Sul palco ***
Capitolo 14: *** Cap. 13: L'inizio del concerto ***
Capitolo 15: *** Cap. 14: Il potere dello stregone ***
Capitolo 16: *** Cap. 15: Verso il Lincoln Tunnel ***
Capitolo 17: *** Cap. 16: Allwood e Vaněk ***
Capitolo 18: *** Cap. 17: Lezioni di magia ***
Capitolo 19: *** Cap. 18: Nuove informazioni ***
Capitolo 20: *** Cap. 19: Il primo Suggello ***
Capitolo 21: *** Cap. 20: La trappola ***
Capitolo 22: *** Cap. 21: Il segreto della musica ***
Capitolo 23: *** Cap. 22: L'ultima speranza ***
Capitolo 24: *** Cap. 23: Un'uscita a San Pietroburgo ***
Capitolo 25: *** Cap. 24: A teatro ***
Capitolo 26: *** Cap. 25: La ballerina ***
Capitolo 27: *** Cap. 26: Una triste rivelazione ***
Capitolo 28: *** Cap. 27: Il ritorno in America ***
Capitolo 29: *** Cap. 28: Cambio di piani ***
Capitolo 30: *** Cap. 29: Ultimatum ***
Capitolo 31: *** Cap. 30: Di nuovo a casa ***
Capitolo 32: *** Cap. 31: La verità ***
Capitolo 33: *** Cap. 32: Sola contro tutti ***
Capitolo 34: *** Cap. 33: I due Suggelli ***
Capitolo 35: *** Cap. 34: Fiamme e vento ***
Capitolo 36: *** Cap. 35: Padre e figlio ***
Capitolo 37: *** Cap. 36: La fase finale ***
Capitolo 38: *** Cap. 37: La cima della chiesa ***
Capitolo 39: *** Cap. 38: Il suono della paura ***
Capitolo 40: *** Cap. 39: L'ultimo Homunculus ***
Capitolo 41: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Breve intro, ma breve breve.
Prima di tutto, questo è un re-post: avevo già pubblicato la storia, ma poi per motivi con cui non vi annoierò l'avevo cancellata. Ora la riposto, perché sì. E anche perché non voglio che i miei lettori si scordino di me.
Secondo: questa storia, che mi ha sbloccato a suo tempo dopo un lungo periodo di inattività, presenterà molte colonne sonore di una determinata artista a cui essa è effettivamente dedicata. Inserirò via via i link ai suoi video su youtube, quindi non preoccupatevi, non vi perderete niente.
Detto questo, vi lascio al prologo.

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La sala era poco illuminata, quel che bastava perché i clienti potessero vedere dove andavano o chi avevano di fronte, o perché il barista potesse portare le ordinazioni al tavolo. Nell'aria c'era il profumo di nachos al forno, formaggio fuso e chili, un aroma stuzzicante e tentatore che invitava a prendere qualcosa da mangiare, incalzando la fame e pungolando gli stomaci vuoti.
Il mormorio del pubblico andava già scemando, segno evidente che i clienti, generalmente ragazzi tra i venti e i trent'anni, si stavano preparando all'intrattenimento. Il locale, per quanto piccolo e fuori mano, aveva registrato il tutto esaurito: cena più spettacolo a poco più di venti dollari era una tentazione a cui pochi potevano resistere.
Ma chi me l'ha fatto fare...
Sbirciando per l'ennesima volta da dietro il telo che copriva l'entrata degli artisti, la diciannovenne Orlaith cercò di non rimettere all'idea di salire sul palco sotto l'unica luce forte presente in quella stanza. Anche per questo non aveva ancora toccato cibo: il suo stomaco si era ristretto a furia di borbottare, ed era così affamata che ormai non sentiva più nulla. Era in quel tipo di situazione in cui, a furia di ignorare la pancia vuota, la fame e il bisogno di cibo, ormai le era come passato l'appetito.
Non era la prima volta che si esibiva, a dire il vero, ma ad ogni spettacolo l'ansia da prestazione la assaliva. Per non peggiorare le cose doveva saltare sempre la cena, rimandandola fino al termine della performance, bere molto e cospargersi di deodorante per evitare di sudare in modo eccessivo. Sì, perché gli aloni di sudore sotto le ascelle si notavano eccome, e sua madre era stata tanto carina da ricordarglielo non meno di mezz'ora prima. Tutto perché, la primissima volta che si era esibita, aveva commesso l'errore di indossare una camicetta chiara che aveva messo bene in mostra ciò che accadeva sotto le sue braccia mentre suonava.
Si impose di calmarsi, traendo cinque profondi respiri e pensando a un campo di trifogli al mattino, all'odore dell'erba bagnata e al vento che ne accarezzava la superficie. Il suo Giardino Privato, il solo posto in cui nessuno poteva disturbarla e niente poteva darle fastidio.
La crisi passò rapidamente, lasciando il posto a un più gestibile nervosismo prespettacolo. Se lo avesse ignorato e non si fosse fissata su quella sgradevole sensazione tutto sarebbe andato a meraviglia.
Si ritirò quindi nella stanzetta adibita a camerino, usando il piccolo specchio per controllare di essere in ordine. Il suo stesso sguardo color acqua le restituì un'espressione tesa sul suo viso, ovale e dagli zigomi alti; vide chiaramente alcuni ciuffi fuori posto, scampati all'impietosa cattura di sua madre mentre la pettinava.
Fece del proprio meglio per far rientrare nei ranghi le chiarissime ciocche rosse e quando fu soddisfatta si voltò verso la piccola custodia nera poggiata contro la parete opposta.
La aprì, rivelando il suo violino. Uno strumento non particolarmente pregiato, leggero e bilanciato ma anche economico, che misurava solo sette ottavi, più piccolo rispetto ai quattro quarti che generalmente venivano usati da un adulto normale. Tuttavia, una persona minuta come lei era più che a suo agio con simili dimensioni.
Non era uno strumento eccezionale, e anzi lo aveva acquistato di seconda mano: la cordiera era in semplice plastica, e le fasce, il manico e il fondo (e persino il ponticello) erano in pioppo. C'era qualche segno di usura del precedente proprietario, e dopo l'acquisto aveva dovuto far sistemare la tastiera, ma non l'aveva mai delusa.
L'archetto, quantomeno, aveva la bacchetta in fibra di carbonio, un buon materiale, resistente e poco costoso. A quel che sapeva lei, persino i professionisti avevano cominciato a usarlo.
Nonostante il fatto che non fosse particolarmente costoso o in perfetto stato, amava quel violino. Era il primo con cui si fosse mai esibita, lo usava quasi ogni giorno quando faceva pratica, e lo riponeva nella sua custodia sotto il letto ogni notte. Era il suo violino.
All'improvviso sentì la voce del proprietario del locale che la presentava: "Orlais Alexander, virtuosa del violino".
Mai una volta che qualcuno lo azzecchi...
Decise di sorvolare sulla pronuncia errata del suo nome. In fondo, era già parecchio aver trovato un lavoro pagato.

- B... buonasera...-
Il microfono fece riecheggiare il suo timido saluto nella sala. Alcuni visi li conosceva: in fondo alla stanza c'erano i suoi genitori che, incrociando il suo sguardo, le fecero un gran sorriso (suo padre sollevò anche il bicchiere verso di lei), seduti accanto a un paio di amici di famiglia, incluso il dottor Carden e sua moglie; poco distanti da loro, radunati tutti allo stesso tavolo, c'erano alcuni dei suoi vecchi compagni di liceo, tra i quali spiccava Annie che, alzando le braccia, le mostrò entrambi i pollici; un po' sparse vedeva persone che avevano assistito ad alcune delle (poche) esibizioni passate. La maggior parte della gente, tuttavia, era nuova per lei.
Concentrati. Stai calma. Pensa al Giardino.
- Buonasera.- ripeté con più convinzione - Questo è uno dei miei primi pezzi. Vi auguro buona serata.-

Qui il primo brano

Mise l'archetto sulle corde e nell'istante in cui suonò la prima nota la sua mente si svuotò, lasciando solo l'euforia e la vitalità che ogni volta la assalivano quando usava il violino.
La melodia invase la stanza, avvolgendo nel suo abbraccio caldo il pubblico. Iniziò tranquilla, lenta, quasi malinconica, ma andando avanti ebbe un crescendo, aumentò la sua energia, prese vigore. L'archetto si mosse più rapidamente sulle corde. Era diventato un animale, un furetto che correva avanti e indietro, si spostava da una parte all'altra, che giocava con le note e le spingeva verso gli altri, eccitando gli animi fino al culmine, quando lasciò sfumare l'ultima nota con la quale concluse il brano di apertura della serata.
Appena la musica fu cessata, Orlaith ricevette il primo applauso.

Qualsiasi demone avesse preso possesso del pubblico, Orlaith non poté esserne più felice: quando venne il momento di scendere dal palco sentì i lamenti di delusione inseguirla. Molti chiesero il bis, qualcuno scoppiò in un nuovo applauso, e il proprietario del locale fu costretto ad alzare un po' la voce per annunciare la chiusura e invitare tutti ad andarsene.
Orlaith incassò con gran piacere il compenso per la serata, circa duecento dollari. Spiccioli, tutto sommato, ma quanto bastava per comprare corde e crini di ricambio per violino ed archetto. Il resto lo avrebbe tenuto da parte, come faceva sempre, per il proprio futuro.
Ripose il violino e si avviò verso la macchina, dove i suoi genitori la stavano aspettando. Lungo la strada venne però intercettata da qualcuno.
- Signorina Alexander?-
Sentendosi chiamare si fermò, voltandosi verso lo sconosciuto che le si faceva incontro: era alto, decisamente più di lei, e alla luce dei lampioni le sembrava chiaramente di origine ispanica. Aveva i capelli neri, ben curati e piuttosto corti, non del tutto coperti da una coppola grigia, e due occhi nerissimi gli brillavano vivacemente nelle orbite, sovrastando un'espressione quasi felina. Per combattere la pungente aria invernale si era avvolto in un parka marrone dall'aria costosa. Era evidentemente più anziano di lei, ma ancora giovane, forse sui trent'anni o poco più.
Le si avvicinò sorridendo, le mani infilate nelle tasche, con un incedere lento ma sicuro, di chi sa quello che vuole e come ottenerlo.
- Una splendida, splendida esibizione, me lo lasci dire.- esordì - Mi chiamo Valdéz. David Valdéz. E, le assicuro, non ho mai sentito nessuno usare un violino in quel modo. Una elettronica ben eseguita la riconosco anche con le orecchie tappate. E anche le parti cantate indicano un vero talento.-
- Grazie.- disse Orlaith - Ha assistito a molti concerti?-
- Più di quanti ne possa contare, ma lei la vedo oggi per la prima volta.- ridacchiò l'uomo - Da quanto tempo si esibisce, se posso chiederglielo?-
- Ho iniziato a prendere lezioni di violino quando avevo quattro anni, e a sette ho iniziato con il canto.- ammise - Ma le mie prime esibizioni sono di quest'anno.-
Il sorriso di Valdéz si fece più ampio, permettendole di ammirare i suoi denti bianchissimi. Trasse dalla tasca un pezzo di carta e glielo tese.
- Il mio lavoro riguarda la musica, come può vedere.- spiegò - Sono un produttore discografico. Fissi un appuntamento con la mia segretaria... stasera ha avuto un ottimo successo, ma sono certo che potremmo fare di meglio.
E, con un'ultima strizzata d'occhio, si diresse verso la propria auto.
Orlaith rimase imbambolata a fissare alternativamente la sua schiena e il biglietto da visita che aveva in mano, mentre l'eccitazione cresceva:
David Valdéz, "Lightning Tune Records", Produttore.
Sentiva il cuore in gola: l'indirizzo riportato era di New York.
Un produttore di New York l'aveva notata.
L'aveva notata!

E via col prologo. Non so che frequenza adotterò, penso quella settimanale, anche se potrei inserire un capitolo al giorno senza problemi, visto che ho già la storia scritta. Mi adatterò ai lettori, se vedo che c'è necessità aumento le pubblicazioni. A presto!

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Capitolo 2
*** Cap. 1: La ragazza in carriera ***


Quando il pesante drappo rosso si alzò, una scrosciante pioggia fatta di applausi accolse l'inizio del concerto. Orlaith, seduta a suo posto, lanciò un vago sguardo alla platea alla ricerca di David senza tuttavia trovarlo.
Il Gramercy poteva contenere poco meno di cinquecento persone, alla massima capienza, e per quella serata i biglietti erano andati esauriti. L'onorario sarebbe stato più che generoso, il suo nome era sui cartelloni all'esterno del teatro, e come se tutto questo non fosse stato abbastanza si sarebbe esibita al fianco dei Simple Water i quali di norma, con la loro dubstep, riuscivano ad attirare migliaia di persone in una sola notte senza bisogno di chissà quali artifici. Quando la stampa aveva annunciato che avrebbero fatto una serata insieme a lei durante il tour c'era stata una gara per accaparrarsi i biglietti. Un bel salto di qualità dai tempi in cui si esibiva una volta ogni tanto nei locali di provincia.
Eppure, tutto questo non riusciva a darle alcun piacere.
Si voltò verso i componenti del gruppo, incrociando lo sguardo del bassista, che le strizzò l'occhio con un'espressione di incoraggiamento. Orlaith rispose con quello che sperava sembrasse un sorriso di gratitudine, anche se fu piuttosto certa di aver prodotto al massimo una smorfia tirata.
L'applauso infine scemò, e venne il momento di suonare. Si voltò verso lo spartito con un groppo alla gola che nulla aveva a che fare con la tensione e impugnò saldamente il violino per iniziare l'esecuzione.

***

- Un successo come sempre, piccolina.- disse David, in tono soddisfatto.
Erano in auto, diretti verso l'imponente Empire State Building, luogo della festa organizzata dallo studio dopo il concerto. Per raggiungerlo David aveva noleggiato una limousine e aveva chiesto di far riempire il frigo di champagne e red bull. Gli piaceva fare le cose per bene.
- Non potremmo tornare a casa?- chiese Orlaith, abbandonandosi contro il sedile - Ho voglia di stendermi.-
- Oh, suvvia, piccolina...- sorrise lui, strizzandole l'occhio mentre apriva una lattina - La notte è giovane, siamo nella città più grande del mondo e tu sei uno splendore. Alla tua età devi pensare a divertirti, quindi non storcere tanto il tuo bel nasino all'insù! Sarebbe un vero peccato mandarti a letto mentre indossi quel vestito. O almeno, mandartici da sola...-
Orlaith decise di ignorare l'allusione, tuttavia doveva ammettere che il vestito era quanto di meglio potesse sperare di avere: David le aveva procurato un abito da sera color verde menta che le scopriva quasi tutta la schiena, dalla profonda scollatura e con uno spacco anteriore che le arrivava ad inizio coscia. Sulle prime, quando lo aveva visto, si era sentita un po' in imbarazzo ma, dopo averlo provato, aveva dovuto ammettere che le stava bene.
Anche David si era messo in tiro, indossando abiti in stile solo apparentemente casual, ma che se si andavano ad esaminare attentamente potevano essere fatti risalire a grandi nomi della moda, soprattutto grazie alla firma cucita con fili dorati in punti strategici di ogni pezzo del suo abbigliamento, coppola inclusa.
- David, sul serio, sono stanca.- insisté - Non si può evitare?-
- Okay, parlo seriamente, adesso.- disse lui, buttando giù un sorso della bevanda energetica e assumendo un'espressione più professionale - Piccola, sei forte. Dico davvero, hai un sound che trascina le persone. Gli S.W. sono un gruppo di quelli seri, e l'essere riuscita a ottenere una collaborazione con loro non è cosa da niente... ti vogliono pure per incidere la traccia bonus del loro prossimo album! Conosco gente che venderebbe l'anima per essere al tuo posto.-
- Ma?-
- Ma non puoi adagiarti sugli allori.- riprese lui, sorseggiando ancora la red bull - Tesoro, la tua fama è recente. Sei nel giro da quattro anni e hai alle spalle un album che ancora frutta bei soldi, ma non puoi fermarti adesso. Devi sfruttare il momento, perché se aspetti lo perderai, e a quel punto tanti saluti al successo. Il massimo a cui potrai ambire saranno i cabaret e i locali di terz'ordine dove ti ho trovata. Vuoi questo?-
Orlaith sospirò, chiudendo gli occhi.
- Okay, Dave. Come vuoi tu.- disse in tono piatto - Cosa devo fare?-
- Sorridi, stringi qualche mano, fatti invitare a ballare... il solito. Sei una ragazza, comportati come tale. Al resto penso io. È il mio lavoro, no?-
Orlaith non rispose.
- Domani poi dobbiamo parlare di alcune cose.- proseguì lui - Sono passati mesi, ma non hai ancora scritto nulla di nuovo. Inizio a preoccuparmi, la scadenza si avvicina.-
- Ho scritto eccome!- protestò lei, indignata - Ti ho portato tre brani nuovi! Sei tu che li hai bocciati tutti!-
- Erano lagne.- decretò lapidario David, sottolineando la cosa con un gesto secco e un'espressione grave - Tu sei Sparkling Star, piccola. Sei allegra, sei fresca, sei dinamica... se ti permettessi di suonare roba del genere cadrei in depressione persino io!-
A quelle parole sentì una replica acida lottare per essere espressa, ma con un grande sforzo riuscì a soffocarla: per quanto duro e diretto potesse essere, doveva molto a David, e stava solo facendo il suo lavoro, forse anche di più.
D'altra parte, non poteva far finta che tutto andasse bene.

***

Erano passati quattro anni da quella sera al Miracle, il piccolo locale a Tresckow dove aveva incontrato per la prima volta David Valdéz. Dopo quel momento, la sua vita era cambiata completamente.
Non aveva mai saputo perché, di tutti i posti possibili, si trovasse proprio lì e in quella specifica serata, né aveva mai voluto chiederglielo, preferendo credere che fosse stato il destino a farli conoscere. Dopo averlo ricontattato era volata a New York per incontrarlo, e da quello era iniziata la sua scalata verso il successo.
Sulle prime era stato tutto fantastico e "super divertente", come aveva detto lei stessa. Al telefono con suo padre aveva addirittura confessato che "le feste dei folletti mi attirano di meno". E lui, da buon irlandese quale era, le aveva risposto di non insultarli ancora.
Si era trasferita definitivamente a New York, in un appartamento quasi troppo grande per lei da sola, in uno dei palazzi migliori di Manhattan, circondata da praticamente qualsiasi cosa. David le aveva promesso di renderla famosa in poco tempo, e c'era riuscito. Non era una riccona che poteva permettersi di acquistare la Luna, questo no, ma aveva la sua buona fetta di bella vita, e anche questo le era piaciuto, perlomeno all'inizio.
Ma poi, col tempo, le cose avevano iniziato a cambiare...
- Qualcosa non va? Signorina?-
Una voce estranea la riportò alla realtà e alla festa, al salone illuminato a giorno in cui si trovava. Davanti aveva una coppia di novelli sposi stretti l'una all'altro, luminosi e splendenti come il pavimento di quella magnifica sala, quasi cercassero di fondersi con essa. Nel tentativo di rendersi sgargianti avevano finito con lo sbiadire sullo sfondo.
- Oh, io... no, certo che no!- rispose.
Si sforzò di sorridere, di mostrarsi allegra e piena di vita. La stampa l'aveva soprannominata Sparkling Star, la Stella Frizzante. Era il suo ruolo. Doveva interpretarlo.
- Stavamo dicendo quanto ci è piaciuta la sua esecuzione!- trillò la donna, gesticolando con tanta enfasi che il marito, al cui braccio era ancora aggrappata, barcollò leggermente tra una risata e l'altra - Il suo assolo di violino... semplicemente strepitoso! E quando ha cominciato a cantare... oh, cielo! Vorrei averla avuta per il nostro matrimonio! Ma come fa a suonare in quel modo?-
Se solo avesse avuto un penny per ogni volta che le avevano fatto quella domanda...
- Beh... in effetti ho un segreto, sapete?- disse abbassando leggermente la voce, come se stesse rivelando un segreto.
- Oh, davvero?- chiese la donna.
Anche lei adesso parlava in toni più contenuti, e sia lei che il marito si avvicinarono di qualche centimetro, facendosi più seri.
- Davvero, sì.- annuì con convinzione Orlaith - Ecco, io... metto l'archetto sulle corde...- spiegò, fingendo di reggere il violino con la sinistra mentre la destra, lentamente, disegnava una parabola in aria fino a toccare l'immaginario strumento con un altrettanto immaginario archetto - ... e lo muovo avanti e indietro!- sorrise, suscitando l'ilarità della coppia.
Con un ultimo complimento e qualche altra risata i due si allontanarono. Vicino al tavolo dei drink vide David che, con un bicchiere di champagne in mano, ammiccava con aria di approvazione al suo indirizzo subito prima di raggiungerla.
- Allora, ti diverti?- le chiese, prendendola sotto braccio.
- Come se mi stessero facendo un clistere...- rispose, continuando a lanciare sorrisi finti a chiunque incrociassero.
- Oh, ma dai, non è così male... e queste persone sono qui per te. I Simple Water se ne sono andati già da più di un'ora, la festa è tutta tua.-
- Bene, ma che bello...-
Lo ritrascinò fino al tavolo dei drink, dove un uomo vestito da pinguino albino li accolse con un sorriso talmente gigantesco che sembrava capace di ingoiarli entrambi in un solo colpo.
- Buonasera, miss.- la accolse - Posso tentarla con...-
- Whiskey. Connemara. Liscio.- disse subito lei - E fammelo doppio.-
Se la richiesta lo sorprese, di certo il cameriere non lo diede minimamente a vedere, eseguendo gli ordini con sollecitudine.
- Piccola, non preferiresti qualcosa di più adatto a te? Vodka, per esempio? O, ancora meglio... gazzosa?- chiese David, aggrottando la fronte.
- Dave, sono irlandese.- rispose lei, prendendo il bicchiere.
- E quindi puoi sbronzarti di whiskey irlandese?-
- No. Vuol dire che non devi rompere.- disse, buttando giù una bella sorsata.
David sospirò, cingendola col braccio per condurla ancora una volta in mezzo agli invitati.
- Almeno, tieni duro per un paio di minuti. Devo presentarti una persona.-
- Ancora?-
- Sì, ancora. Sai chi è Stanislav Vaněk?-
Orlaith scollò le spalle: il nome le era familiare.
- Un tizio europeo?-
- Un tizio europeo (o meglio, ceco) che possiede tre raffinerie, non so quante miniere, un trilione di acri tra coltivazioni e allevamenti, te, me e la Lightning Tune. Chiaro ora?-
- Ah... aspetta, è il padrone della Lightning Tune? Ed è qui stasera?-
- Già. Non lo sapevo nemmeno io, ha pensato bene di farci una sorpresina... mi ha chiesto di presentarvi, vuole conoscerti di persona. Congratulazioni, perché ho clienti più vecchi di te che ancora non sanno nemmeno che faccia abbia.-
All'improvviso, Orlaith si pentì di aver preso il whiskey: essere di cattivo umore era un conto, ma presentarsi all'uomo che probabilmente le pagava persino la birra che teneva in frigo a casa con un bicchiere strapieno di un costoso superalcolico liscio andava un po' oltre l'accettabile.
Eccolo lì, a pochi metri da loro: era di profilo, e stava parlando un cameriere. Aveva i capelli cortissimi, rasati con estrema cura e completamente grigi, la bocca piccola, le labbra sottili. La pelle, solcata da alcune rughe d'età, era scurita dall'abbronzatura, e indossava un elegante completo nero.
- Prendi il bicchiere!-
- Cosa?- chiese David.
- Prendilo! Prendilo tu!-
Gli ficcò in mano il whiskey giusto in tempo: appena due secondi dopo, Stanislav Vaněk congedò il cameriere e si voltò verso di loro, puntando i suoi occhi grigi e incavati dritti in quelli di Orlaith. La sua espressione rimase immutata mentre si avvicinavano, e continuò a fissarla anche quando David si rivolse direttamente a lui.
- Signor Vaněk!- esclamò gioioso, sollevando il bicchiere - Lasci che le presenti il suo migliore investimento in campo musicale! Orlaith, il signor Stanislav Vaněk.-
- Molto, molto piacere di conoscerla, signor Vaněk!- disse nervosamente Orlaith, tendendogli la mano e irrigidendosi involontariamente.
L'uomo gliela guardò con aria indifferente, senza accennare a togliere le mani dalle tasche. Dopo un istante la abbassò, a disagio.
- Colgo del whiskey nel suo alito.- osservò l'uomo, aggrottando appena la fronte. Aveva uno spiccato accento del suo paese d'origine - Hai permesso a una donna con una voce come la sua di bere whiskey?-
- L'ha appena assaggiato, non si preoccupi.- disse immediatamente David, senza alcun imbarazzo.
- Me lo auguro per entrambi voi.- rispose stizzito Vaněk - Ho avuto modo di ascoltare uno dei suoi singoli. Non voglio che le si rovinino le corde vocali, mi hai capito?-
Si rivolgeva direttamente a David, senza nemmeno guardarla. Per lui non era nemmeno lì.
- Via, via, signor Vaněk...- disse il produttore in tono conciliante - La nostra Sparkling Star è di estrazione irlandese, sa? Una goccia ogni tanto può reggerla...-
- Non sta a te deciderlo.- tagliò corto Vaněk, voltandosi finalmente verso di lei - A parte questo, comunque, le cose che mi dice David sono più che lusinghiere, sul suo talento.-
Orlaith ebbe un attimo di esitazione per l'improvviso cambiamento: fino a pochi secondi prima aveva parlato come se lei si trovasse da tutt'altra parte, facendola sentire praticamente una bambina. Si era persino rassegnata a confondersi con la tappezzeria, a diventare poco più che una macchia verde e rossa sullo sfondo.
Sentirsi tirare in causa in quel modo era spiazzante.
- Oh...- borbottò, senza sapere veramente cosa dire - Sì... ecco, Dave... cioè, David è troppo...-
- Ho assistito alla sua performance, stasera.- la interruppe Vaněk, ignorandola - Devo dire che aveva ragione: lei sa come incantare le masse. La sua musica ha un che di magico, oserei dire. E sentirla cantare è un'autentica emozione per molti.-
Orlaith scosse la testa.
- Troppo buono, davvero.-
- O lei troppo modesta.- rispose Vaněk - Ho visto in prima persona l'effetto che ha avuto su queste persone. Durante l'applauso si sarebbero gettate nel fuoco, se glielo avesse chiesto.-
Orlaith non riuscì a ringraziarlo: il suo era certamente un complimento, eppure non sorrideva né con la bocca né con gli occhi, e il suo tono era duro. Troppo duro.
- Tenga giù il gomito e sono certo che potrà sortire di nuovo quest'effetto.- continuò Vaněk.
Quell'ultimo commento la offese davvero, ma prima che potesse replicare sentì una gomitata di David arrivarle dietro la schiena, dove Vaněk non poteva vedere, che le suggerì velatamente di non rispondere.
In quel momento tornò il cameriere di poco prima, reggendo un soprabito.
- Signor Vaněk, la sua auto la aspetta.- annunciò.
Vaněk annuì e indossò il soprabito, senza guardare nessuno.
- Ora temo di dovermi congedare.- disse - David, ti prego, tienimi aggiornato sui progressi della nostra stella nascente. Signorina Alexander, le auguro buona serata. Si aspetti una telefonata dalla mia segretaria in settimana. Abbiamo molto di cui parlare.-
Detto questo fece un rigido cenno col capo a entrambi e si avviò verso l'uscita, senza più voltarsi indietro.
- Beh, piccola... ora l'hai conosciuto. Possiamo tornare alla festa.- disse David, bevendo il whiskey - Dio, che roba!- tossicchò poi.
- Già, l'ho conosciuto... proprio una persona affabile!- sbottò scocciata - Sai di cosa vuole parlarmi?-
- So a malapena quanti soldi spende per mantenere in attività la Lightning Tune Records. Ti conviene non pensarci... e smetterla con questa merda.- aggiunse storcendo il naso, mentre sbolognava il bicchiere a un cameriere di passaggio - Ti distruggerà il palato, molto prima della voce.-
Orlaith gli lanciò uno sguardo di disapprovazione.

Scusate tutti, ieri sera mi sono addormentato prima di postare. Ad ogni modo ho rimediato, e ringrazio al volo John Spangler, che come al solito è corso a seguire (e recensire) questa storia, pur avendola già letta alla prima pubblicazione. A presto!

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Capitolo 3
*** Cap. 2: McGrath ***


All'una e mezza del mattino Orlaith lasciò cadere il finto (anche se convincente) sorriso e si avviò verso la terrazza semivuota, alla ricerca di un minimo di solitudine con cui interrompere la sfilza di chiacchiere, complimenti e aneddoti che avevano iniziato a darle il mal di testa.
Stava diventando davvero brava a fingere. Chissà, magari poteva provare a buttarsi anche nella recitazione...
Così magari smetto anche di dormire... Pensò subito dopo.
Arrivò fino al parapetto, in un punto particolarmente isolato, e si sporse a guardare lo skyline di NewYork, probabilmente l'ottava meraviglia del mondo.
Che fosse giorno o che fosse notte, osservare un simile panorama significava perdersi nell'immenso profilo della città più viva che esistesse, la Città Che Non Dorme Mai, un'alternanza di edifici uno più alto dell'altro le cui luci ammiccavano come stelle spaventosamente ravvicinate, rischiarando la notte e creando un gioco di colori che nulla aveva da invidiare alle scenografie cinematografiche più elaborate. In lontananza riusciva a vedere persino la Freedom Tower, e un elicottero si aggirava da qualche parte verso l'Hudson, simile a una lucciola lontana. In strada il traffico scorreva lento, le auto simili a piccoli giocattoli che andavano perdendosi nei meandri più lontani di Manhattan.
Tutto era così luminoso e vivace, pieno di energia. A qualsiasi ora era possibile ammirare uno spettacolo di luci e di colori impressionante, e di giorno come di notte nessuno poteva rimanere indifferente. E lei, che veniva dalla minuscola, invisibile Tresckow, se ne era definitivamente innamorata.
A quell'altezza faceva freddo, specie in autunno, e lei aveva lasciato il coprispalle al guardaroba, ma scelse di ignorare l'aria pungente: teneva alla larga la maggior parte delle persone dalla terrazza, e non aveva tutta questa gran voglia di tuffarsi di nuovo là in mezzo. A furia di finti sorrisi le facevano male le guance.
Sapeva già che fino alle due David non le avrebbe permesso di rientrare, era sempre così. Sapeva anche che la giornata successiva era stata pianificata nel dettaglio, così come il resto della settimana, del mese e forse dell'anno intero. Inutile negarlo, aveva perso totalmente il controllo della sua vita. Le servivano almeno tre minuti da sola, o almeno senza che ci fossero fan adulanti che ripetevano fino al vomito quanto apprezzassero le sue performance.
Performance che, in tutta sincerità, non rispecchiavano quello che sentiva davvero.
- Champagne?-
Orlaith ebbe un sussulto, colta completamente di sorpresa: era talmente tanto assorta da non notare l'uomo che, in silenzio, l'aveva avvicinata.
Era alto, e parecchio, anche. Lei sapeva di essere bassa, ma i tacchi le facevano guadagnare una decina buona di centimetri e, nonostante ciò, non riusciva neanche a solleticargli il mento coi capelli. Probabilmente quell'uomo arrivava al metro e novanta.
Aveva un volto dai tratti squadrati e netti, bocca sottile, naso a punta e i capelli neri, perfettamente ordinati, che iniziavano a ritirarsi lasciando scoperta una discreta porzione della fronte. Indossava dei piccoli occhiali tondi. Doveva aver superato i quaranta, probabilmente.
Era magro, slanciato, dalla buona postura e la schiena ben dritta, le spalle decise. A differenza degli altri camerieri della festa, tutti in giacca bianca, lui indossava un frac completo: giacca nera a doppio petto con le caratteristiche code e pantaloni ugualmente neri, panciotto e camicia candidi e un farfallino nero.
Un pinguino vero e proprio. Gli mancava solo il becco.
In una delle mani guantate di bianco reggeva un vassoio quasi vuoto, su cui attendevano solo due bicchieri.
- Champagne?- ripeté con voce quieta.
- Eh? Ah... no, grazie.- rispose Orlaith.
- Peccato.- disse lo sconosciuto, posando il vassoio sul parapetto e prendendo uno dei bicchieri per sé - Speravo che mi avrebbe fatto compagnia.-
- No, meglio di no.- sbuffò lei, tornando ad accasciarsi a braccia incrociate sul davanzale - Probabilmente finirei col rovinarmi per sempre la voce...-
- Un tono insolitamente amaro per una signorina così giovane.- osservò l'uomo, sorseggiando quietamente - Posso avere l'ardire di chiederle cosa la affligge? O suonerei troppo invadente?-
- No... sono solo stronzate...- rispose in tono scocciato Orlaith.
- Linguaggio piuttosto colorito.- sorrise l'altro - Il che indica un brutto momento. Ma personalmente ritengo che il panorama abbia un che di distensivo.-
Su questo non poteva controbattere. In fondo, lo stava giustappunto pensando anche lei.
Si voltò appena verso l'uomo, concedendogli un sorriso, il primo tra tutti quelli fatti nelle ultime ventiquattr'ore ad essere sincero.
- Oh, adesso sì che ci siamo.- disse lui, sorridendole di rimando - Le dona molto, il sorriso. Dovrebbe ricorrervi più spesso, come i suoi alti zigomi suggeriscono.-
Accennò a un inchino, anche se piuttosto rigido, così come il resto di lui.
- Mi chiamo McGrath.-
- Orlaith Alexander.- si presentò, più per educazione che per sentita necessità.
- Lo so.- disse infatti lui, prendendo la mano che lei gli stava tendendo e facendole un vago baciamano - Onorato di conoscerla di persona, finalmente.-
- Lei non è uno dei camerieri del catering, vero?- chiese, accennando al bicchiere - Non indossa nemmeno la loro uniforme.-
- Invero, non lo sono.- ammise lui - E probabilmente non dovrei essere qui, ma entrare privi di invito a una festa in questa città è ridicolmente semplice. Io sono un maggiordomo.-
- E come mai è qui?- chiese Orlaith, allungando inconsapevolmente la mano verso il secondo bicchiere di champagne.
- Mi è stato chiesto di presenziare.- rispose lui - E di consegnarle una cosa.- aggiunse, infilando una mano sotto la giacca.
Ne estrasse una busta sigillata con la ceralacca. Lo stemma impresso sopra ricordava molto una stella a quattro punte, o una scintilla.
- Si tratta di un invito.- spiegò - Il mio padrone si dice desolato per non essere venuto personalmente, ma desidera incontrarla il prima possibile.-
- Capisco. E il motivo?-
- Non mi è stato detto.- rispose McGrath - Ma ha insistito molto sulla vostra sollecitudine. Ritiene molto importante che vi conosciate. Nella busta troverà tutte le indicazioni del caso.-
Orlaith guardò la lettera, perplessa, rigirandosela tra le mani: non c'era mittente, né alcun segno che non fosse quello impresso nella ceralacca.
- Ecco... non so.- disse, a disagio - Il mio produttore mi ha praticamente organizzato gli impegni fino al prossimo secolo, se manco una volta è capace di buttarmi giù da questo palazzo...-
- Lui è senz'altro una persona importante.- disse McGrath, senza smettere di sorridere in quel modo tanto cortese - Ma è lei l'artista. Il successo di un produttore dipende da quello della persona che rappresenta. Dovrebbe puntare un po' i piedi, ogni tanto.-
Okay, un punto per te.
- Beh... farò il possibile. Dica al suo capo che troverò un buco nell'agenda.-
- Nessuno pretende di più.- disse McGrath - Ora temo di dovermi congedare. Le auguro una piacevole notte, miss Alexander.-
Con un ultimo inchino, il maggiordomo riprese il vassoio vuoto e si ritirò, tornando a sparire nel salone della festa. Orlaith rimase a guardare la porta della terrazza per qualche secondo per poi tornare a osservare la lettera, perplessa e incuriosita: chi mai poteva contattarla in un modo tanto bizzarro? Non sarebbe stato più semplice passare attraverso David come facevano tutti quanti?

Ed ecco arrivare anche il buon vecchio McGrath tra i personaggi. Ringrazio John Spangler, che come sempre continua a seguirmi, e vi saluto tutti. A presto!

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Capitolo 4
*** Cap. 3: L'avvertimento ***


Orlaith abbassò il finestrino del taxi per vedere meglio la sua destinazione, dall'altro lato della strada rispetto a dove si era fermato l'autista, sentendo un vago senso di apprensione correrle dentro.
Si trovava a Staten Island, a Fort Hill, e davanti a lei sorgeva una delle innumerevoli ville monofamiliari in stile Tudor, in legno e pietra. Era di tre piani, e l'avevano costruita in cima a una minuscola collina erbosa. L'ampio giardino era delimitato da una recinzione di pietra e ferro battuto che si interrompeva al grande cancello appuntito. Nel vialetto lastricato c'era un'auto blu notte, probabilmente d'epoca, lunga e slanciata. Non riuscì a identificarne il modello, non s'intendeva molto di macchine.
La casa in sé, comunque, le incuteva un po' di timore: era imponente, più grande delle sue sorelle che si ergevano tranquille in tutto il resto del quartiere, ed era anche piuttosto isolata rispetto a loro. Le tegole erano in un materiale scuro e grezzo, forse ardesia, e le pareti esterne erano di una tonalità di grigio così uniforme da confondersi con il cielo nuvoloso che faceva da sfondo all'abitazione. Dalle finestre non si intravedevano né luci né movimenti, e le tende bianche erano immobili. L'unico segnale di vita era il comignolo, da cui usciva un alito di fumo quasi invisibile in tutto quel grigiore.
Il giorno dopo la festa aveva discusso con David per quasi un'ora quando gli aveva detto che le serviva una giornata libera: lui aveva ribattuto che era impossibile, che era piena di impegni e che fino a novembre avrebbe dovuto tenere duro. Passato Halloween (- Samhain!- aveva contestato lei, stizzita) si sarebbe potuta concedere un paio di giorni di riposo.
Tuttavia non aveva ceduto e, dopo una lunga trattativa, era riuscita a fargli disdire un paio di interviste e a rimandare un'apparizione pubblica fissata per quella sera. Aveva tutto il giorno per sé, per la prima volta in più tempo di quanto riuscisse a ricordarne.
La lettera consegnatale da McGrath le chiedeva di chiamare un numero di telefono e confermare la data e l'ora al maggiordomo stesso, che aveva preso la chiamata. Fatto ciò, doveva presentarsi all'indirizzo riportato e di farlo possibilmente da sola.
Chiunque fosse, il mittente aveva asserito che doveva parlarle di una questione molto importante che la riguardava da vicino. Non c'era scritto molto altro, non era nemmeno firmata (di nuovo, in fondo al foglio c'era lo stesso simbolo che avevano usato per la ceralacca, stavolta impresso con l'inchiostro) ma il tono della lettera era vagamente inquietante e, per un momento, era stata tentata di non andare.
Tuttavia McGrath era venuto di persona a consegnarle la busta, come se il suo padrone si fosse voluto assicurare che la ricevesse e ne capisse l'importanza. Qualsiasi cosa volesse, la misteriosa persona che l'aveva convocata ci teneva a incontrarla.
- Allora, che fa? Scende?- chiese il tassista, riportandola alla realtà.
- Cosa? Ah, certo! Mi scusi, ero...-
Frugò nella borsa fino a trovare la carta di credito e, dopo aver pagato, si diresse fino al cancello, cercando di vincere il desiderio di voltarsi e andare via. Quando raggiunse il campanello inspirò a fondo per cinque volte, ripensando al suo campo di trifogli e, quando si sentì pronta, suonò, sperando di non apparire troppo spaventata davanti alla videocamera del citofono.
- Benvenuta, miss Alexander.- sorrise McGrath, quando fu arrivata alla porta - Il mio padrone è molto felice nel sapere che ha accettato tanto rapidamente di incontrarlo.-
- Beh... mi era sembrata una cosa importante.- rispose Orlaith, entrando.
L'interno della villa era ampio e pulito, ma poco luminoso. Un parquet scuro regnava sovrano sul pavimento, perdendosi nelle viscere della casa, e una carta da parati classica e monocromatica, di una intensa tonalità di bianco, ricopriva le pareti a cui erano appesi alcuni quadri macchiaioli. Delle scale in legno portavano verso i piani superiori, proprio davanti a lei, e ai due lati si aprivano delle ampie doppie porte con vetrate colorate che davano sul salone e sulla sala da pranzo, nella quale si vedeva chiaramente un pesante tavolo di mogano.
- Se vuole darmi il suo soprabito, il signor Allwood la attende al piano superiore.- disse il maggiordomo.
- Il signor... Allwood?- ripeté lei, togliendosi la giacca.
- Il mio padrone. È lui ad averla invitata qui.- spiegò McGrath, aprendo un'anta nel sottoscala e traendone una stampella.
- Capisco. Ma perché tanti misteri? Non potevate prendere un appuntamento? Ho dovuto combattere per prendermi un giorno libero.-
- Capisco molto bene il suo punto di vista.- concesse in tono di scuse McGrath - Tuttavia io sono solo un semplice maggiordomo. Il signor Allwood è molto più indicato di me per rispondere alle sue domande.-
Le fece cenno di seguirlo su per le scale e conducendola lungo un corridoio pieno di porte. Quasi tutte erano chiuse, e l'unica aperta dava su una stanza piena di scaffali ricolmi di libri. Passarono anche accanto alla scala per l'ultimo piano, in cima alla quale c'era l'ennesima porta chiusa, e poco più avanti c'era la loro destinazione.
McGrath bussò e, quando una voce disse loro di entrare, la precedette all'interno.
- Miss Alexander per lei, signor Allwood.-
- Grazie, McGrath.- disse una voce maschile - Portaci qualcosa da bere, poi lasciaci soli.-
Mentre il maggiordomo si avvicinava a un mobile pieno di bottiglie in un angolo, Orlaith entrò nella stanza, che si rivelò essere uno studio, anch'esso pieno di libri e documenti vari. L'uomo all'interno era seduto a una scrivania decorata sopra la quale torreggiava un computer a schermo piatto. Poco altro la occupava, a parte un taccuino, qualche foglio scarabocchiato, un barattolo di penne e un vecchio librone di qualche tipo, lasciato in un angolo.
L'occupante in quel momento stava digitando qualcosa alla tastiera, ma si interruppe quando la vide avvicinarsi.
- Prego, si accomodi.- disse - Sono Jayden Allwood. Grazie per essere venuta.-
Doveva avere da poco superato la trentina, e aveva degli incolti e lisci capelli neri, solcati da qualche filo grigio. Una cornice di barba appuntita gli circondava la mascella, partendo dalle basette per unirsi sul mento, rendendolo molto più affusolato. Non sorrideva, e aveva gli occhi stanchi, leggermente infossati, di colore grigio, nei quali si leggeva una forte intensità d'animo, di chi è sicuro di sé e al tempo stesso ha vissuto molto.
Indossava dei jeans e una felpa col cappuccio un po' stinta, e dall'aspetto spiegazzato sembrava che non li togliesse da un po', come se avesse lavorato a lungo senza fermarsi, neanche per prepararsi ad accogliere un'ospite.
- Ho pensato che fosse importante, visto il modo in cui lo ha chiesto.- disse Orlaith, sedendosi davanti a lui - Non capisco perché non telefonare, comunque.-
- Preferivo non passare dai canali ufficiali.- spiegò Allwood, giungendo le punte delle dita - A tal proposito, vorrei chiederle se ha parlato con qualcuno di ciò che avrebbe fatto oggi.-
- Ho detto al mio produttore che sarei venuta a questo indirizzo, ma non gli ho detto perché, né chi avrei incontrato.- rispose lei - Dopotutto, non lo sapevo neanche io.-
- Giusto. Mi sembra logico.- rispose con una smorfia Allwood.
McGrath tornò in quel momento con due bicchieri, uno di burbon e un altro di whiskey. Il primo lo diede al suo padrone, l'altro lo mise davanti a lei.
- Grazie, McGrath. Vai pure ora.- disse l'uomo prendendo un sorso.
McGrath accenno a un inchino e uscì in silenzio, richiudendo la porta.
- Buon vecchio McGrath.- disse Allwood con un sorrisetto - Lavora per me da più di quanto ami ammettere. È stato lui a suggerirmi di offrirle quel particolare whiskey, sa?-
Orlaith annusò e poi assaggiò la bevanda: era Connemara.
- Grazie.- disse lei - Non era necessario.-
- Ci tengo a metterla a suo agio. Dobbiamo parlare di questioni importanti.- replicò lui, bevendo un altro sorso - E questo ci porta al motivo della mia convocazione qui. Immagino che sarà quantomeno curiosa.-
- Abbastanza.- ammise Orlaith - Immagino che non si tratti di lavoro, vero?-
- No, in effetti non proprio, anche se ci andiamo vicini.- rispose lui - Conosce Stanislav Vaněk?-
- L'ho conosciuto la sera in cui ha inviato McGrath da me.- rispose lei - È il proprietario della casa discografica che segue il mio lavoro.-
- Lui è questo e molto di più.- disse Allwood - È uno degli uomini più ricchi del paese, con un patrimonio di oltre cinquanta miliardi di dollari tra proprietà, fondi d'investimento, azioni e denaro liquido, almeno secondo le ultime stime. La Lightning Tune Records è solo una delle sue proprietà. Ha differenziato così tanto da avere strutture di ogni genere nei soli Stati Uniti, senza contare le attività estere. È inoltre in corsa per la carica di senatore dello Stato di New York. Quindi capisce, non è un ricco "normale". Io ho abbastanza denaro da potermi permettere questa casa e molto di più, ma scompaio di fronte a un gigante come lui.-
Orlaith annuì lentamente per fargli capire che stava ascoltando, vagamente impressionata dall'effettiva estensione del patrimonio di quell'uomo. Tuttavia, doveva esserci dell'altro.
- Come mai mi sta parlando di Vaněk? Lo conosce?-
- Una volta.- ammise Allwood, senza sorridere - Per questo l'ho contattata in maniera indiretta. Non volevo che potesse essere informato del nostro incontro. Tra noi non c'è un buon rapporto.-
- Ah. Posso chiederle perché?-
- Ogni cosa a suo tempo.- rispose l'uomo, liquidando le sue parole con un gesto vago della mano - Ciò che conta è che vorrei metterla in guardia su di lui. Ha detto che l'ha conosciuto l'altra sera. Che impressione le ha dato?-
Tra le molte parole che le si susseguirono in testa, molte erano decisamente poco educate, e le meno offensive erano "stronzo" e "arrogante".
- Mi è sembrato un uomo diretto.- disse con diplomazia - Forse un po' supponente. Immagino che si sia indurito a furia di vivere nel mondo degli affari.-
- Oh, le cose sono un po' più complicate di così...- ridacchiò Allwood - Ad ogni modo, non serve essere così contenuti. Io non ho problemi a chiamarlo "bastardo figlio di puttana".-
Terminò in un ultimo sorso il suo burbon e posò il bicchiere, appoggiandosi allo schienale della poltrona.
- Presto le chiederà di incontrarlo, se non l'ha già fatto.- la avvertì - Vuole qualcosa da lei. Nulla di sessuale, ovviamente.- si affrettò a specificare, vedendo che arrossiva - No, è per la sua abilità con la musica e con il canto che la vuole. È sempre stato così, fin dall'inizio.-
- Beh, mi sembra logico.- disse Orlaith - Voglio dire... non per suonare arrogante, ma sono brava, e molto. Secondo People sono il più giovane talento musicale degli ultimi vent'anni.-
- Oserei dire che il giudizio è anche troppo riduttivo. I violinisti, o i musicisti in generale, dotati della sua abilità sono veramente, veramente pochi. E in genere sono morti giovani.- replicò lui - E non mi riferisco alla semplice esecuzione di brani o alle canzoni... il talento che ha è ancora più grande di quello che immagina, e Vaněk lo sa molto bene. È per questo motivo che le ha fatto incontrare David Valdéz, facendolo passare per un caso.-
- Come?-
- Non si è chiesta come mai un produttore newyorkese fosse così lontano da casa in un locale di provincia dove al massimo si esibiscono cabarettisti di terz'ordine e ragazzini?- domandò Allwood - Né come mai abbia investito tanto su di lei dopo? Le lezioni di canto e di violino, tutte tenute da insegnanti privati così costosi da avere una lista clienti più breve di quella del Giardino dell'Eden, non le regala a chiunque, per esempio.-
Orlaith rimase in silenzio, in attesa che proseguisse: fino a quel momento non le aveva detto praticamente nulla.
- Ciò che voglio farle capire è che si tratta di un uomo pericoloso, che cerca sempre il proprio tornaconto.- spiegò - E nel suo caso temo lo stia facendo nel modo peggiore.-
- Non la seguo.-
- Come sta ultimamente?- chiese lui, a bruciapelo - Si diverte alle feste come quella in cui ha incontrato McGrath? Quanti amici ha? E quanti ne ha conservati di quelli che si è lasciata alle spalle dopo il suo arrivo qui nella Grande Mela? E da quanto i brani che scrive di suo pugno hanno perso il tono allegro e pieno di vita che aveva all'inizio? In parole povere, da quanto tempo è depressa?-
Orlaith esitò, e sentì all'improvviso di tremare, tanto che il ghiaccio nel drink tintinnò leggermente. Si affrettò a lasciarlo sul tavolo.
- Senta, non so di cosa stia parlando.- disse, alzandosi in fretta - L'altra sera ero particolarmente stanca. Qualsiasi cosa creda di sapere su di me si sta sbagliando... e la smetta di spiarmi!-
- Credevo di essere in errore.- osservò lui, aggrottando la fronte - Non lo sarei, se la stessi spiando. Quindi uno di noi due mente.-
- Stia zitto!- sbottò furiosa Orlaith - Sa una cosa? Ho sbagliato a venire qui... ora torno a casa.-
- Come preferisce. McGrath può...-
- Chiamo un taxi!- lo interruppe lei - E non mi cerchi di nuovo, o chiamo la polizia!-
Si avviò di corsa verso la porta, ma mentre usciva la raggiunse la voce di Allwood:
- Sappia che sarò disposto ad aiutarla, se cambierà idea in futuro.-
Lei gli scoccò uno sguardo furioso da sopra la spalla, poi uscì rapidamente dalla casa e chiamò un taxi, facendosi venire a prendere tre isolati più in là. Solo quando era a metà strada verso casa si ricordò di aver lasciato la giacca da Allwood.

Ecco entrare in scena anche Allwood. Tra poco la storia entrerà nella sua parte più seria.
A presto!

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Capitolo 5
*** Cap. 4: Depressione ***


Orlaith non dormì molto bene quella notte: si rigirò nel letto più e più volte, finendo col disfare completamente le lenzuola. Alle sei del mattino, quando ancora il sole non era sorto, finalmente si arrese e andò in cucina a farsi un po' di caffè.
Mentre aspettava che l'acqua bollisse osservò il proprio appartamento, stropicciandosi un occhio e ripensando ai suoi primi giorni a New York.
Quando Dave le aveva detto che, per facilitare i loro rapporti e avere più opportunità, avrebbe fatto meglio a trasferirsi nella Grande Mela, era stata presa da un attimo di spaesamento: non era mai uscita da Tresckow se non per qualche vacanza fuori città per vedere il Gran Canyon o qualche altro luogo turistico. Era una ragazzina di provincia, non aveva nemmeno compiuto i vent'anni e non era mai andata al college. Cosa ne sapeva lei della grande città?
Ma i suoi genitori l'avevano incoraggiata, e lo stesso i suoi amici, in particolare Annie: un'opportunità come quella non le sarebbe mai più ricapitata, e se ci avesse rinunciato senza fare neanche un tentativo se ne sarebbe pentita amaramente per il resto della vita.
Così era andata, più per evitare un rimpianto che per l'autentica speranza di combinare qualcosa o di sopravvivere in mezzo a tutto quel marasma, e adesso eccola lì a ripensare a quei momenti con tanta nostalgia.
Dave si era occupato di tutti i dettagli per la sua sistemazione, trovandole quel posto al sessantesimo piano della Beekman Tower, che all'epoca non conosceva minimamente. Quando lei e Dave erano arrivati fino lì ricordava di aver fissato l'enorme costruzione di acciaio da ben settantasei piani dal sotto in su a bocca aperta per un minuto intero.
La Beekman Tower non solo era alta, ma aveva anche un aspetto incredibilmente moderno, dalle linee ondulate e morbide che salivano verso l'alto come volute di fumo o i drappi di una tenda leggera. L'intera facciata sembrava increspata, scossa da un refolo di vento che la deformava appena, dandole un'aria estremamente elegante.
Inutile dire cosa aveva provato una volta entrata...
La torre comprendeva il New York Downtown Hospital, situato al livello del suolo; salendo invece c'erano delle scuole, ma la parte migliore erano le due piazze pubbliche, situate sui lati est e ovest della torre, anch'esse al pian terreno. Il resto era occupato da quasi novecento appartamenti.
Mentre salivano Dave le aveva spiegato che ogni unità abitativa, a causa del particolare design della torre, era unica nella forma, e che quindi non ce n'erano due uguali in tutto l'edificio.
Quando era entrata nel suo si era trovata davanti delle ampie finestre che gettavano luce su un pavimento di legno chiaro, mostrando la skyline di New York in tutto il suo splendore. A destra c'era il cucinino, e a sinistra la porta per la camera da letto. L'arredamento era in stile moderno, totalmente bianco o in legno chiaro laccato: un divano a penisola era stato sistemato davanti a un mobile su cui si imponeva un televisore piatto a quaranta pollici, e poco distante c'era un tavolo completo di sei sedie, subito prima della credenza per le stoviglie.
Nel cucinino, oltre ai normali scaffali e al ripiano di preparazione, c'erano gli elettrodomestici più importanti (frigorifero con freezer e macchina per il ghiaccio, forno, fornelli a piastra e lavatrice) a cui lei aveva aggiunto in seguito, con i primi guadagni, un microonde e un frullatore ultimo modello.
Col tempo aveva personalizzato l'ambiente, appendendo alle pareti una sciarpa della nazionale irlandese mentre in camera, sopra il letto, aveva messo la bandiera. C'erano anche quadri e disegni che rappresentavano il Piccolo Popolo, e i libri sugli scaffali erano tenuti fermi da statuine a forma di Leprecauni.
Aveva inoltre ricavato uno spazio nella (gigantesca!) cabina armadio che ospitava il suo (immenso!) guardaroba per conservare una piccola vetrina nella quale riponeva tutti i suoi violini.
Non ne aveva molti, in realtà. Uno era il primissimo violino che avesse mai avuto, così vecchio che ormai le corde e i crini dell'archetto avevano totalmente ceduto e la tastiera era tutta consumata. Era minuscolo, dato che lo usava quando era bambina (era di appena un sedicesimo), quindi non lo teneva perché pensava di poterlo usare ancora. Nel corso degli anni ne aveva acquistati altri sei, metà dei quali era stata già rivenduta durante la sua istruzione. Il motivo era che i violini, anche di quelli economici o di seconda mano, potevano costare parecchio, e la loro manutenzione richiedeva pazienza e attenzione.
Quelli che conservava là dentro erano anche quelli a cui si era più affezionata o che comunque usava ancora: uno era il violino che aveva suonato la prima volta che si era esibita in pubblico, a scuola, all'età di dodici anni; un altro era lo stesso che aveva con sé il giorno in cui aveva incontrato Dave fuori dal Miracle; l'ultimo, infine, era il violino che usava in quegli anni, un modello piuttosto costoso e moderno, il migliore che avesse mai avuto, con il ponticello, le fasce, il fondo e il manico in acero dei balcani e le parti della montatura in ebano, a parte la reggicordiera che era realizzata in osso. Era costato non poco, ma ne era valsa la pena.
Anche l'affitto dell'appartamento non era cosa da poco, ma lo pagava la casa di produzione: secondo Dave erano solo spiccioli, in realtà, soprattutto paragonati ai soldi che facevano con le sue esibizioni e i diritti sui brani, e che lei doveva considerarlo come un modo per sentirsi coccolata e per "convincersi a non lasciare mai la Lightning Tune Records". Quando avrebbe avuto la possibilità sarebbe stata liberissima di pagare tutto di tasca sua, se lo avesse preferito.
All'inizio le era sembrato grandioso. Ora, tuttavia, era solo un'altra fonte di preoccupazione: non scriveva nulla da mesi (o almeno, niente che David fosse disposto ad accettare), e se la cosa fosse proseguita troppo a lungo avrebbe perso non solo il contratto, ma anche la casa.
Mentre sorseggiava il caffè bollente appollaiata su uno sgabello, lo sguardo di Orlaith venne attirato dal telefono: era ancora presto, non erano neanche le sette del mattino, ma dopo le esperienze di quegli ultimi giorni aveva bisogno di sentire una voce che le fosse amica.
Resistette solo per qualche secondo, poi andò fino al divano e, acciambellandosi sui cuscini, prese la cornetta e compose il numero di suo padre

L'uomo rispose dopo alcuni squilli, in tono stanco e assonnato.
Aaah... pronto?- borbottò Connor Alexander, ancora mezzo addormentato.
- Ciao, papà.- disse Orlaith.
Sentendo la sua voce lui parve esitare per qualche momento, sorpreso dalla telefonata.
Orlaith? Tesoro, sei tu?-
- Perché, quante figlie hai?- ridacchiò lei, stringendo a sé la tazza mentre il sole, finalmente, iniziava a fare capolino oltre l'orizzonte e la barriera di grattacieli. Ecco un altro spettacolo, l'alba a New York.
No, è solo che... non ci sentiamo da mesi. Ultimamente ti limiti ai messaggi su Facebook e qualche sms ogni tanto...-
- Sì, è che... sai, sono molto occupata. David mi ha caricata di lavoro, non riesco a trovare molto tempo.-
Dovresti dirgli di andarci più piano, principessa.- disse in tono di rimprovero suo padre - Non sei una macchina. Anche tu devi riposare. Svegliarti a quest'ora...-
- No, stavolta è colpa mia... non ho dormito molto bene.-
Perché? Qualcosa non va?-
- Ecco...- come poteva spiegarglielo? - Non è facile.- ammise alla fine - A parte il lavoro, da un po' ho difficoltà a scrivere i brani. Sono in blocco, il migliore che mi è venuto è... troppo triste. Non è da me.-
Suo padre, grugnì, invitandola a continuare, e a quel punto il lago frantumò la diga.
- Ho perso i contatti con tutti... noi non riusciamo più a parlare, e non sento Annie da più di un anno... non mi diverto neanche più a suonare, ripeto i vecchi brani o suono quelli di qualcun altro da almeno sei mesi, e devo sorridere anche quando non ne ho voglia... in quattro anni non ho avuto tempo di fare niente, non ho uno straccio di vita sociale, e poi...- non sapeva come dirlo senza sembrare una bambina, ma non poté trattenersi - ... e poi ho conosciuto delle persone che non mi piacciono affatto, e uno è pure il proprietario della casa di produzione, e lo devo incontrare oggi pomeriggio, ma non ho voglia di andarci... però devo, perché è da lui che dipendo, e so che non gli piaccio...-
Si interruppe per strofinarsi gli occhi con la manica del pigiama, tergendosi le lacrime che in un momento non meglio precisato dello sproloquio avevano iniziato a colarle dagli occhi. Suo padre colse al volo l'opportunità di intervenire:
Allora torna qui.- disse serio - Monta sul primo aereo e vieni a farmi compagnia per un po'. Mi manchi da morire, e poi voglio che tu venga con me sulla tomba della mamma.-
Orlaith si lasciò scappare un ulteriore singhiozzo disperato a quel pensiero: la morte di sua madre.
Si era ammalata quasi un anno dopo che lei si era trasferita a New York. Nonostante le numerose analisi e gli accertamenti, i dottori non avevano mai capito cosa la affliggesse. All'inizio non sembrava essere una cosa grave, e anzi le avevano detto di non stare a tornare quando si era offerta. All'epoca lo poteva ancora fare.
Poi le cose si erano fatte più serie, e per ben tre volte l'avevano ricoverata. La prima era tornata a casa per due giorni, il massimo che era riuscita a concedersi. La seconda aveva convinto suo padre a portare il computer in ospedale e aveva parlato con la mamma via Skype, trovandola pallida e un po' smagrita, ma comunque sorridente.
L'ultima volta non era riuscita a telefonare prima di una settimana, ed era rimasta al cellulare per poco più di mezz'ora prima di essere costretta a riattaccare, promettendo di tornare a casa presto.
Una settimana dopo suo padre l'aveva chiamata per dirle che il suo cuore si era fermato. A rispondere era stata la segreteria.

Il resto della telefonata fu relativamente breve e si concluse con la promessa, da parte di entrambi, di risentirsi il prima possibile. Connor le fece anche giurare di prendersi alcuni giorni dagli impegni di star della musica per tornare a casa, pena il tormento eterno dei goblin.
Dopo aver riattaccato, Orlaith si fece una doccia bollente, scacciando così gli ultimi residui di sonno e i brividi e lavandosi via le lacrime dal viso. Si sentiva un po' meglio, adesso.
Dopo quanto successo alla mamma, il rapporto con suo padre era stato teso e freddo per molti mesi. Lei stessa si sentiva in colpa ancora adesso per non esserci stata in quel momentocosì difficile, e solo dopo un lungo periodo erano riusciti a parlarsi di nuovo come prima. Era bello sapere di poterlo chiamare in caso di bisogno... sentirlo di nuovo vicino, anche se solo per telefono.
Alle nove Dave venne a prenderla per la registrazione di una traccia in collaborazione con i Doctors che sarebbe poi finita nel suo prossimo album (se mai fosse riuscita a inciderlo), cosa che si protrasse fino alle quattro del pomeriggio. Un'ora più tardi aveva l'appuntamento con Vaněk, nell'East Side.
La segretaria dell'affarista aveva contattato David la sera prima per prendere un appuntamento, che lui aveva confermato prontamente prima ancora di pensare di avvertirla. Il tutto si era svolto nella più completa esclusione, e quando lo aveva saputo si era sentita di nuovo spettatrice della sua vita.
Papà ha ragione... Pensò, mentre si avviavano in taxi fino al luogo dell'appuntamento. Mi serve una maledetta vacanza.
La società di Vaněk aveva sedi distaccate un po' in tutto il mondo, e lui non risiedeva a New York, pur avendo una casa lì (stando a quanto le spiegò Dave), di conseguenza la sede legale della compagnia era altrove, ma possedeva un ufficio nel Chrysler Building, dove si sarebbero incontrati.
- Ah, un'altra cosa...- aggiunse, mentre arrivavano in vista del grattacielo - Ha chiesto di vederti da sola. Io torno in studio.-
- Cosa? Come, da sola?- esclamò Oraith.
Quella era una completa novità per lei: perché non glielo aveva detto prima?
- Sì, qualsiasi cosa voglia dirti io non sono invitato.- rispose con leggerezza David, più interessato all'agenda elettronica che a lei - Tranquilla, non ti mangia.-
- Già, perché l'altra sera siamo diventati amiconi!- sbottò Orlaith - Grazie tante, Dave... proprio una bella giornata mi hai organizzato.-
- Oh, andiamo, piccola, domani sarà meglio... e per la prossima settimana ti ho procurato un ingaggio per il compleanno di un bambino.-
- Adesso suono alle feste per bambini?-
- Sì, se i genitori hanno un reddito annuo a sei zeri.- disse il produttore, strizzandole l'occhio - Tranquilla, starai sul palco, farai un paio di pezzi, augurerai buon compleanno, firmerai qualcosina e poi di nuovo a casa. E per il resto della serata ti libero da ogni impegno, contenta?-
- In estasi...- rispose senza passione lei.

Rimasta sola col suo violino, Orlaith alzò lo sguardo verso la cima del Chrysler, stagliato contro il cielo grigio e, soprattutto, i grattacieli che lo fiancheggiavano. Cercò di scorgerne la cima, ma rinunciò quando sentì una fitta di torcicollo. Una goccia d'acqua le cadde in mezzo agli occhi, facendole sbattere le palpebre per riflesso. Rapidamente, le gocce aumentarono, e nel giro di pochi secondi divennero una pioggia battente.
Individuò il riparo più vicino che non fosse il Chrysler Building (non aveva tanta fretta di entrare, a essere onesta), il piccolo antingresso del Grand Hyatt, e fece per correre da quella parte. Appena mosse un passo venne spintonata da un pony express che le fece perdere l'equilibrio. Cadde sul fianco, riuscendo a salvare il violino ma finendo in una pozzanghera accanto al marciapiede.
- Merda!- esclamò furiosa, ritrovandosi fradicia come un pulcino.
Il parka era zuppo, e la pioggia stava diventando più forte, neanche ce l'avesse con lei. Nel giro di pochi secondi fu più bagnata di quando era sotto la doccia a casa.
Si rialzò, furiosa e rassegnata al tempo stesso, e attraversò la strada strascicando i piedi non appena il semaforo glielo permise. Quando entrò nel Chrysler Building, stanca, gocciolante e avvilita, oltre che infreddolita, sentì di essere di nuovo a terra.

Povera, povera Orlaith... un periodo non proprio felice, per lei.
Ringrazio come sempre John Spangler, che mi segue. Vi anticipo che sto lavorando a qualcosa di nuovo e inedito, che spero di postare presto.
Alla prossima settimana!

 

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Capitolo 6
*** Cap. 5: L'ufficio di Vaněk ***


La segretaria la squadrò con occhio critico per quasi un minuto quando si presentò da lei. Durante la salita in ascensore aveva smesso di ruscellare come un rubinetto (ai suoi piedi si era formata una pozzanghera, mentre se ne stava ferma ad aspettare la giusta fermata) ma aveva ancora i capelli e i vestiti umidi, e il parka era in uno stato pietoso. Le ciocche rosse, poi, le si erano appiattite sulla fronte e sulle orecchie, le quali stavano già covando un principio di otite.
Aveva fatto del proprio meglio per asciugarsi mentre era ancora nell'ingresso, ma stava già tardando troppo, e non aveva potuto fare molto di più. C'era solo da incrociare le dita e sperare che andasse tutto per il meglio. Speranza già indebolita dalla segretaria e dai suoi occhi inquisitori.
- Ha un appuntamento?- chiese la donna, stringendo appena gli occhi da dietro gli occhiali dalla montatura sottile e affusolata.
- Sì, io... sono Orlaith Alexander. Vi siete accordati col mio produttore...-
- Ah, certamente.- la segretaria guardò l'orologio, stiracchiando le labbra in una linea di disapprovazione - Ha quasi dieci minuti di ritardo.-
- Un pony express mi ha buttata a terra!- protestò lei.
- Capisco.- rispose in tono inespressivo l'altra - Signor Vaněk, il suo appuntamento delle diciassette.- disse nel microfono alla sua destra.
Ascoltò per un momento la risposta con l'auricolare e le fece cenno di accomodarsi nell'ufficio.
La stanza si rivelò ampia, ma le luci erano basse e l'arredamento classico e serioso rendeva l'ambiente un po' oppressivo. Un tappeto dall'aria costosa era steso tra la scrivania di legno scuro e la porta, e subito Orlaith si guardò gli stivaletti per accertarsi che avessero smesso di lasciare orme bagnate in giro.
Sulle pareti rivestite di legno il signor Vaněk aveva appeso numerosi quadri, e il loro tema ricorrente sembrava essere l'angoscia, il disagio, la paura. Alcuni li riconobbe anche se non aveva studiato Storia dell'Arte: c'era La morte di Marat, in bella vista sulla sua destra, e Studi anatomici non molto lontano. Un'altra opera, veramente inquietante, si trovava sulla parete opposta, e raffigurava un uomo seduto su una specie di trono, o di sedia, intento a sogghignare in modo sinistro. Quella non la riconobbe. Subito accanto a questa c'era un'altra opera che le era nota, Giuditta che decapita Oloferne.
Infine, proprio di fronte a lei, dietro la scrivania, c'era il Saturno di Goya. Quello era da sempre il quadro che più di tutti le metteva addosso una strizza da paura.
Distolse a forza lo sguardo dalla figura che dilaniava un bambino ritratta sulla tela, portando gli occhi sull'uomo in piedi davanti alla finestra rigata di pioggia, intento a parlare fitto fitto in una lingua che non riconobbe (forse ceco). Le dava le spalle, e proseguì a lungo nella conversazione prima di riattaccare e voltarsi verso di lei. Orlaith attese davanti alla porta per tutto il tempo, indecisa, fino a quando l'uomo non mise giù il telefono e la guardò, vagamente accigliato.
- Le chiederei scusa, ma era una telefonata importante e lei era in ritardo.- esordì l'uomo.
Ottimo inizio... Pensò Orlaith.
- Mi spiace. Un pony express...-
- Sì, capisco. Si sieda.- disse lui, sistemandosi alla scrivania.
Orlaith inghiottì la replica e si appollaiò sull'orlo di una delle sedie dallo schienale rigido lì davanti. Mentre camminava fu pronta a giurare che lo sciaguattio dei suoi calzini si sentisse anche in corridoio.
- Vedo che ha preso l'acqua.- disse Vaněk - Niente ombrello?-
- Mi ha colta di sorpresa.- si giustificò Orlaith - E sono stata buttata in una pozzanghera.-
- Dovrebbe prendersi le sue responsabilità, signorina Alexander.- disse impietoso Vaněk - Ad ogni modo, siamo qui per un altro motivo. Quindi, se non le dispiace, passiamo alle cose serie. Ho molto da fare, e poco tempo da dedicare alle trivialità.-
Sei tu che hai divagato, te ne rendi conto, vero?
- Come mai voleva vedermi?- chiese, soffocando quel pensiero - Non pensavo che un uomo come lei si interessasse a me.-
- Lei è un investimento, signorina Alexander. E un "uomo come me" deve interessarsi a tutti i suoi investimenti.- si appoggiò allo schienale, accavallando le gambe e giungendo le mani, i gomiti posti sui braccioli della poltrona - Mia cara ragazza, come lei ben sa, possiede uno straordinario talento nel suonare il violino. Ha anche una bella voce, infatti i dati presentatemi dalla Lightning Tune Record e i resoconti di Valdéz sono molto promettenti. Ora, mi rinfreschi la memoria... da quanto tempo è sotto contratto?-
- Quattro anni il mese scorso.- rispose lei - Abbiamo appena rinnovato.-
- Giust'appunto.- annuì lui - E ha pubblicato quante... due raccolte?-
- Due album.-
All'improvviso Orlaith comprese dove volesse andare a parare. Tuttavia non capiva come mai le stesse facendo quel tipo di discorso: ne aveva parlato con David a suo tempo, e lui le aveva assicurato che, a conti fatti, potevano passarci sopra, essendo lei solo agli inizi.
- Due album.- ripeté con un cenno del capo Vaněk, serio e impietoso come sempre - Due, ma da contratto avrebbero dovuto essere tre. Uno per ogni anno.-
- David...-
- David Valdéz rappresenta la Lightning Tune Records. Io rappresento me stesso.- la interruppe Vaněk, in tono duro - Ed è totalmente estraneo a questa conversazione. Quell'uomo lavora per me da quasi dieci anni, ed è senz'altro molto capace nel campo della musica. L'ho assunto e gli ho affidato la gestione della casa discografica proprio per il suo talento nel trattare con gli artisti, un talento che io, mio malgrado, devo ammettere di non possedere. Tuttavia non è un uomo d'affari, non nel vero senso della parola. Io sono un uomo d'affari e, quando faccio un investimento, pretendo che renda quanto mi ha promesso.-
Aprì un cassetto e ne trasse una scatola di sigari.
- Lei è rimasta indietro sulla sua tabella di marcia, signorina Alexander.- continuò, prendendo un sigaro e tagliandone la punta - Di norma chi non rispetta le scadenze, per me, può prendere le sue cose e sgombrare la propria scrivania. Tuttavia so essere comprensivo.- aggiunse, accendendo il sigaro con un fiammifero - Lei è giovane, ha molto da imparare, e non sa come va il mondo. Quindi chiuderò un occhio.- continuò, mentre volute grigiastre uscivano dalle sue labbra - Ma si consideri avvertita: voglio che Valdéz mi informi dell'uscita del nuovo album entro tre mesi, o potrà considerare cessato ogni suo rapporto con la Lightning Tune Records. Mi ha capito?-
La fissò in attesa, aspettandosi una risposta. Orlaith, per tutto il tempo in cui lui parlava era rimasta immobile sulla sedia, le dita serrate attorno ai bordi di legno, talmente forte che le erano sbiancate le nocche. Sentiva un tremendo nodo in fondo alla gola, e probabilmente se avesse aperto bocca avrebbe vomitato.
Così si limitò ad annuire lentamente, pallida come un cencio. A Vaněk parve bastare, perché subito dopo si voltò verso il computer, togliendole ogni attenzione.
- Può andare, signorina Alexander. E veda di asciugarsi: non pubblicherà molti singoli se si ammala.-
Quando fu di nuovo in corridoio si infilò rapidamente nella toilette più vicina e bloccò la porta, rannicchiandosi a gambe incrociate sulla tazza, le braccia strette attorno alla custodia nella quale riposava il violino.
Tremava come una foglia, scossa dai brividi. Si sentiva di nuovo bambina, una bambina che era stata sgridata da un adulto perché aveva fatto qualcosa di sbagliato.
Tuttavia, lei sentiva di non aver fatto niente di male: aveva parlato con David, gli aveva spiegato che il ritmo era troppo serrato per lei, e che anche se non le avesse rifiutato così tanti brani non sarebbe riuscita a completare le dieci tracce richieste dal contratto. Lui per tutta risposta aveva ammiccato e aveva deciso di lasciar correre: le vendite, sia in negozio che online, stavano andando alla grande, i fan ancora non si erano minimamente stancati di lei e dei lavori che aveva pubblicato fino a quel momento, e con le numerose collaborazioni musicali che stava intrattenendo in quel periodo se la potevano cavare benissimo senza il terzo album.
Quel rimprovero, così duro e diretto, era per lei totalmente immotivato. Lo aveva ammesso anche Vaněk: lui non era un artista, non sapeva nulla di musica. Con che faccia poteva venirle a dire quello che doveva fare?
Rimase in quella posizione fino a che il tremito non passò del tutto, poi allentò a poco a poco la presa attorno al violino e sciolse lentamente le gambe, inghiottendo più volte, finché non sentì il nodo che le serrava la gola allentarsi. A quel punto uscì dal cubicolo e si sciacquò la faccia, bevendo anche qualche sorso per riprendersi.
Quando si fu completamente calmata si appoggiò al lavandino e guardò il cellulare, ricordando solo in quel momento di averlo spento prima di uscire dall'ascensore. Quando lo riaccese scoprì che era già molto tardi, il pomeriggio era filato. Trovò anche tre chiamate perse di David e un messaggio vocale.
Bimba, dove sei finita? Dovresti essere qui con me, dobbiamo scegliere le cover! Se non compari entro cinque minuti dovrò fare da solo! Richiamami!-
- Fanculo le cover...- ringhiò Orlaith, spegnendo ancora il cellulare - Nemmeno sappiamo quando uscirà il prossimo album e tu pensi alle cover...-
Si trattenne dallo sbattere il telefono sul ripiano in marmo e, cercando di darsi un contegno, si diresse verso l'uscita dall'edificio. Decise di saltare a piè pari il resto della giornata, con David avrebbe litigato l'indomani.
Quando fu di nuovo in strada scoprì con una punta di sollievo che aveva smesso di diluviare, anche se l'aria era sempre umida e satura dell'odore di pioggia, e ormai la luce in strada era data dai lampioni. Rinunciò a prendere un taxi quando vide le condizioni del traffico, preferendo optare per la metropolitana, e si diresse svogliatamente alla fermata più vicina.
Si mischiò alla folla e scese le scale con lo sguardo fisso a terra, urtando di tanto in tanto qualcuno, fino a raggiungere la fermata.
C'erano solo due banchine raggiungibili in quel particolare punto della stazione, e solo quella che interessava a lei era aperta, mentre l'altra era stata chiusa per dei lavori nei tunnel (altre erano ovviamente raggiungibili tornando al piano superiore del sottopasso).
Si piazzò contro una colonna, stringendosi addosso il violino, e attese l'arrivo del suo treno. Una buona parte delle persone presenti presero quello prima, che avrebbe fatto un percorso differente, lasciando sul binario lei e alcuni altri, liberando una discreta porzione dello spazio disponibile.
Fu proprio per questo che lo vide.
Era un po' lontano, ma ora che la foresta di corpi si era diradata non c'era nulla a nasconderlo: era un uomo, di altezza media, con indosso una vecchia giacca verde militare e dei pantaloni macchiati di immondizia varia. Il cappuccio della giacca era alzato e non lo vedeva in viso. Aveva le braccia lunghe, il corpo tozzo e ingobbito; stava in piedi in mezzo al niente, indifferente alle persone che, scorgendolo, lo guardavano stralunate o preoccupate.
Si muoveva a scatti, tremolando, quasi come se rischiasse di cadere ad ogni movimento, che fosse delle gambe o delle braccia. Probabilmente era ubriaco fradicio.
Sulle prime non gli diede molta importanza, anche se, con un po' di vergogna, Orlaith provò un certo sollievo rendendosi conto che c'era qualcuno più patetico e triste di lei.
Poi però si voltò proprio nella sua direzione e si raddrizzò un poco, quel tanto che bastava da permetterle di vedere sotto il cappuccio. A quel punto fu sicura di stare dormendo, e che quello era solo un incubo.

Eeee... si inizia con i problemi seri, per la povera Orlaith. Dai, almeno la storia entra nel vivo.
Per quanto riguarda quella in preparazione, i lavori procedono, ma il tempo a mia disposizione è poco, il lavoro mi sta massacrando. Comunque ce la farò.
Ringrazio John Spangler e vi do appuntamento alla settimana prossima. A presto!

 

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Capitolo 7
*** Cap. 6: Terrore nella metro ***


Il volto non c'era.
Non aveva praticamente lineamenti, a parte la bocca: gli occhi e il naso erano totalmente assenti, e la testa era solo una specie di... di sporgenza grumosa, come latte cagliato e poi saldato insieme perché non si disfacesse. E la bocca, l'unica apertura in quella massa di carne informe, era un foro a forma di mezzaluna dalle punte rivolte verso il basso, grande e priva di labbra.
Orlaith lo fissò ad occhi sgranati per il terrore per un tempo indefinito, serrando la presa sulla custodia del violino. Riprese a tremare, stavolta spaventata come mai nella vita.
Nessuno sembrava prestargli molta attenzione, tutti quanti avevano visto solo un barbone ubriaco. Non avevano scorto cosa c'era sotto il cappuccio, né avevano fatto caso alla sua reazione.
La cosa mosse alcuni passi incerti che scossero il suo corpo da cima a fondo, neanche fosse fatto di budino o gelatina, strascicando i piedi sul pavimento. Sembrava avesse qualche problema a sollevare le gambe, e così si accontentava di trascinarsi, di arrancare verso la propria destinazione.
Se corro lo semino!
Si voltò velocemente verso la scala e mosse alcuni rapidi passi per uscire di lì.
Si allontanò il più in fretta possibile, diretta verso i gradini, ben decisa ad andarsene e a non tornare mai più. Sarebbe tornata in strada, e per il resto della sua vita avrebbe viaggiato in superficie, e al diavolo il traffico. Niente metropolitana per lei, né ora né mai nella vita.
Quando arrivò in fondo alla rampa, tuttavia, si bloccò terrorizzata mentre, con lentezza, vedeva avanzare un'altra creatura identica alla prima fino a portarsi al centro della scala semideserta. Stava china per non farsi vedere in faccia, così da sembrare un barbone, ma per lei che sapeva era impossibile non capire cosa fosse davvero.
Nessuno doveva riconoscere quelle due cose, ma a lei si erano mostrate, non gli importava di nascondersi ai suoi occhi. Questo pensiero le fece capire una tremenda verità.
Ce l'hanno con me...
Indietreggiò di un passo prima di ricordarsi che ne aveva un'altra alle spalle, e a quel punto si girò di scatto per non perdere d'occhio nessuna delle due.
Ma aveva esitato un istante di troppo, e infatti non aveva nemmeno finito di voltarsi che le arrivò un pugno alla gola, talmente forte che temette le si fosse rotto l'osso ioide, mentre sentiva il sapore del sangue.
Crollò a terra tossendo, perdendo la presa sul violino e portandosi le mani al collo, inspirando disperatamente. Aveva il fiato mozzo, e le stavano salendo le lacrime agli occhi per il dolore. Poi una mano estranea la agguantò con forza per la faccia, sollevandola con una facilità incredibile, e si sentì trascinare indietro. Nonostante l'andatura tremolante, quella cosa riuscì a muoversi e a sostenere il suo peso senza la benché minima difficoltà.
- A...iu...to...- rantolò, la voce soffocata dopo il colpo ricevuto.
Purtroppo il rumore dei treni era troppo forte, e le persone in attesa sul binario erano tutte di spalle, distratte dalle loro faccende. Allontanandosi aveva fatto il gioco di quelle creature, che adesso la stavano portando oltre le transenne dei lavori in corso.
Cercò di allentare la stretta sulla sua faccia e di scalciare, ma quell'essere era troppo forte per lei, e a nulla valsero i suoi tentativi di liberarsi. La trasportò a lungo, e anche se aveva gli occhi quasi totalmente coperti comprese che si stavano spingendo sempre più in profondità nel tunnel: i rumori della stazione si fecero più distanti a ogni passo, e la luce cambiò rapidamente, finché non rimasero solo le lampadine di servizio.
Quando furono talmente distanti da essere circondati solo da un opprimente silenzio, finalmente, il mostro la lasciò andare, gettandola come una lattina vuota nella galleria semibuia.
Accasciata nella polvere, Orlaith tossì e singhiozzò disperata, raggomitolandosi in preda a un tremito irrefrenabile. Non riuscì a voltarsi, non voleva vedere quello che le avrebbero fatto.
Ti prego, fa che sia rapido...
- Va bene... scommetto che adesso lo vuoi il mio aiuto, vero?-

Una voce, una umana, maschile, addirittura vagamente familiare riecheggiò nel tunnel, proveniente dalla stessa direzione da cui erano arrivati lei e i due mostri. Si arrischiò a sbirciare da sotto il gomito, e vide che le creature si erano voltate verso i due intrusi appena arrivati.
Riconobbe immediatamente l'imponente figura di McGrath, al fianco del quale c'era Jayden Allwood. Il primo aveva in mano la custodia del suo violino, mentre l'altro tirava il fumo da una sigaretta e osservava i mostri strizzando gli occhi.
- Mmmh... due Homuncui.- disse - E pure di pessima fattura. Non si è impegnato granché, stavolta.-
- Suppongo che siano qui come intimidazione.- osservò McGrath, sistemandosi gli occhiali - Per una cosa del genere sono sufficienti, a mio modesto parere.-
Le due creature (gli Homunculi, come li aveva chiamati Allwood) lanciarono versi graffianti e cominciarono ad avanzare verso di loro, senza mai perdere quel grottesco incedere tremolante.
- Beh, sarà una cosa veloce, almeno.- disse Allwood, prendendo quello che sembrava un drappo di stoffa da una tasca della felpa.
Lo dispiegò con un gesto e lo stese a terra. Sopra c'era disegnato un qualche tipo di simbolo, ma da dov'era Orlaith riuscì a malapena a distinguere un cerchio pieno di segni. Quando lo ebbe posato al suolo mise una mano al centro della figura, e subito successe qualcosa.
Una luce intensa e fredda si accese, illuminando Allwood dal sotto in su, come se fosse il disegno stesso a risplendere. Poi la luce si raccolse intorno alla sua mano e rimase lì, anche quando l'uomo si alzò, serrando il pugno. Diede un'ultima aspirata alla sigaretta, che poi gettò con la mano libera, e puntò la mano avvolta dalla luce verso le creature.
Quando separò le dita, la luce eruppe con violenza contro di loro, circondandoli. Una sorta di anello si avvolse intorno ai corpi degli Homunculi, serrandosi come se cercasse di stritolarli, e all'istante i due si bloccarono sul posto, cercando inutilmente di divincolarsi, lanciando ancora le loro strida furibonde.
- Ben fatto, signore.- disse McGrath.
Allwood si strinse nelle spalle.
- Capirai... li ho solo paralizzati, non so dov'è il loro Cerchio... ma a tutto c'è rimedio.-
Trasse fuori dalle tasche altri drappi, poi fece un cenno con la mano; gli anelli che trattenevano gli Homunculi si sollevarono, portando i mostri con loro e tenendoli sospesi ad alcuni centimetri da terra.
- Prendi la ragazza.- ordinò Allwood, avvicinandosi alle creature.
Mentre lui sistemava i drappi di stoffa sotto i piedi di quei mostri, McGrath li superò tutti e tre per raggiungere Orlaith, inginocchiandosi al suo capezzale.
- Sta bene, miss Alexander?- chiese in tono gentile, tendendole una mano - Ha bisogno di aiuto? È ferita?-
Orlaith deglutì, poi scosse lentamente la testa e si mise a sedere, ma non afferrò la sua mano. Tremava come una foglia, e non se la sentiva ancora di alzarsi in piedi.
McGrath fece un sorriso comprensivo e ritirò la mano.
- Suppongo che questo sia suo.- disse.
La ragazza guardò la custodia nera per un attimo, poi la afferrò rapidamente e indietreggiò, spostando lo sguardo da lui al suo padrone, che ora aveva finito di stendere i due lembi di stoffa sotto gli Homunculi.
Adesso che era seduta e lui più vicino, Orlaith riusciva a vedere chiaramente il disegno impresso sopra, identico su entrambe le pezze: si trattava in effetti di un cerchio perfetto, all'interno del quale era stata tracciata una stella a cinque punte. Dentro ognuna di esse c'era un ulteriore disegno, diverso a seconda della punta, e alcune scritte che non capiva riempivano gli spazi tra l'una e l'altra.
Mentre lei era ancora intenta a guardare, Allwood si rialzò e batté con forza le mani, chiudendo gli occhi: all'istante i cerchi di entrambi gli stracci si illuminarono come aveva fatto il primo, ma dopo pochi attimi la luce divenne più intensa, e alcune piccole scintille elettriche comparvero sulle linee dei disegni.
Andarono ad aumentare sempre di più, fino a quando non ebbero ricoperto tutto il cerchio e la stella al suo interno, facendo quasi sembrare che si fossero aperti due fori crepitanti sotto gli Homunculis immobilizzati.
A un cenno di Allwood gli anelli che li trattenevano svanirono, lasciandoli ricadere e, quando i loro piedi toccarono le scintille, quelle esplosero in due identiche eruzioni di energia.
Orlaith cacciò un urlo (o almeno, quello che in condizioni normali sarebbe stato tale) e sussultò talmente tanto che per poco non le cadde di mano il violino.
Quando i fasci di scintille crepitanti si furono esauriti e la luce emanata dai disegni si fu spenta i due Homunculi erano spariti.
- Bene...- disse Allwood, prendendo un pacchetto di sigarette e accendendone una nuova - Credo che ora sia meglio andare, che ne dite?-
Orlaith si strinse al petto il violino, fissando il punto in cui erano scomparsi i due Homunculi senza accennare a muoversi. McGrath si rimise in piedi, sospirando e pulendosi gli occhiali.
- Temo sia sotto shock.- decretò - Non la biasimo, dopotutto. Un'esperienza spaventosa.-
- Non abbiamo tempo.- disse Allwood, sbuffando fumo. Si avvicinò a lei e si piazzò a meno di un metro di distanza, senza chinarsi - Senta, Orlaith, so che è spaventata da quello che ha visto, ma non possiamo rimanere qui. Se verrà con noi potremmo proteggerla e spiegarle cosa sta succedendo, ma deve rimettersi in piedi.-
Orlaith deglutì, senza smettere di tremare, ma annuì lentamente e, un po' alla volta, appoggiandosi alla parete del tunnel, si rimise in piedi. Subito McGrath la prese gentilmente per un gomito, sostenendola e al tempo stesso sospingendola di nuovo verso la stazione.

Se non altro Allwood è arrivato a salvarla. Già... almeno quello.
Ringrazio come sempre John Spangler, che mi segue sempre, e aggiungo anche Kira16, mia lettrice storica, e Old Fashioned, nuova conoscenza. A presto!

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Capitolo 8
*** Cap. 7: Rivelazioni ***


Il viaggio a ritroso nella metro fu per lei come una sorta di sogno, e non si accorse quasi di quello che stava facendo. All'improvviso si ritrovò semplicemente sul sedile posteriore di una macchina d'epoca, mentre McGrath guidava lungo le vie di Manhattan con l'aria di chi è appena uscito per pagare una bolletta o comprare il pane, con quel suo solito sorriso quieto e l'aria impeccabile.
Jayden Allwood invece era seduto accanto a lei, ma non le prestava troppa attenzione: continuava a guardare fuori dal finestrino e, ogni tanto, dal lunotto posteriore; nel mentre consultava a ripetizione una app sul traffico che aveva nel telefono. Era evidentemente più agitato del suo maggiordomo, come un animale braccato da un predatore feroce.
- Prendi la prossima, lì scorre meglio.- disse dopo l'ennesima occhiata allo schermo - E non farti scrupolo se vedi un semaforo giallo.-
- Certamente, signore.-
- Dove stiamo andando?- chiese Orlaith, il tono ancora roco a causa del colpo ricevuto poco prima.
Allwood aggrottò la fronte.
- Ehi, che voce...- commentò - Acqua?-
Orlaith annuì e lui tirò fuori una bottiglietta da sotto il sedile. Lei la aprì e ne fece fuori quasi metà, sentendo un intenso sollievo, mentre il sapore di sangue che sentiva da quando era stata colpita scivolava via a poco a poco.
- Grazie.- disse, tossicchiando leggermente. Non era passato tutto, ma stava migliorando. Forse non aveva subito danni seri - Dove andiamo?-
- La stiamo portando a casa mia.- rispose Allwood - Dovremmo essere al sicuro. Non credo che ce ne fossero altri.-
- Cos'erano?-
- Homunculi. Esseri umani artificiali.-
- U... umani?- ripeté incredula Orlaith.
- Beh, di solito non si distinguono da una persona comune.- spiegò lui, stringendosi nelle spalle - Ma se fatti a tirar via possono venire in quel modo. Immagino che fosse una cosa voluta, per renderli spaventosi.-
- Io non... non capisco...-
- Lo so, ma le spiegheremo tutto quando arriveremo.- disse Allwood - Per ora pensi a riprendere fiato e cerchi di rilassarsi. Non capirà niente di quello che le dirò se prima non si ricompone un momento.-
Dopo quelle poche parole tornò a rivolgere la propria attenzione al percorso, parlando solo con McGrath. Quando raggiunsero l'area di Fort Hill era ormai tardi, e in quella zona non c'era praticamente nessuno in giro. Incrociarono solo rare macchine mentre si avvicinavano alla casa di Allwood, e la maggior parte dei segni di vita del quartiere proveniva dalle finestre illuminate delle varie abitazioni.
McGrath parcheggiò nel vialetto e aprì loro la portiera mentre scendevano, aiutando Orlaith a camminare, anche se ormai sentiva di non averne davvero bisogno: ora si sentiva più ferma sulle gambe, anche se era sempre scossa da qualche brivido. Il problema più grande, tuttavia erano le innumerevoli domande che si rincorrevano furiosamente nella sua testa, oltre agli strascichi del terrore che aveva provato. Ancora non aveva mollato il violino: lo teneva stretto al petto da quando lo aveva riavuto, e per tutto il viaggio era rimasto tra le sue braccia, come se fosse un talismano protettivo con cui difendersi da nuove aggressioni.
Si lasciò condurre nel salotto, dove McGrath le tolse il parka ormai macchiato e ancora vagamente umido e la fece accomodare su una morbida poltrona dallo schienale alto nei pressi del camino spento.
- Posso portarle qualcosa?- chiese McGrath, ripiegando la sua giacca - Del the? Caffè, magari? O preferisce qualcosa di più forte?-
Orlaith ci mise qualche secondo a registrare le sue parole e, quando lo ebbe fatto, si passò una mano sulla faccia, confusa.
- Io... forte... qualcosa... qualcosa di forte. Parecchio forte. Lasci la bottiglia.-
L'uomo fece uno dei suoi soliti inchini accennati e si allontanò, incrociando Allwood che invece stava entrando. Si era tolto la felpa, senza la quale mostrava un fisico meno imponente di quanto avesse lasciato intendere quando l'aveva ancora addosso. Non era particolarmente muscoloso, anche se abbastanza proporzionato, e sull'avambraccio sinistro spiccava una vecchia cicatrice da ustione.
- Forse non è una buona idea bere superalcolici adesso.- osservò, sedendosi di fronte a lei - Deve restare lucida se vuole capire.-
Orlaith serrò i pugni, scoccandogli un'occhiata furiosa.
- Ieri mi hai terrorizzata a tal punto che non ho dormito.- disse, lasciando cadere ogni formalità - Sono in piedi da prima dell'alba. Poi sono rimasta in sala incisione per quasi cinque ore con un produttore pazzo e drogato di energy drink. Dopo sono stata buttata a terra, inzuppata, sgridata ingiustamente, aggredita nella metro... chi diavolo sei tu per dirmi che non dovrei bere superalcolici adesso?- ringhiò.
Allwood alzò le mani in segno di resa.
- Le mie scuse.- sospirò, mentre McGrath rientrava con la bottiglia di Connemara e due bicchieri già pieni - Vorrei solo essere certo di venire ascoltato.-
Il maggiordomo sistemò tutto sul tavolino lì accanto e si congedò senza una parola, sparendo chissà dove. Prima ancora che la sua schiena fosse sparita dal campo visivo di Orlaith, la ragazza aveva già afferrato uno dei bicchieri e ne aveva fatta fuori una buona metà in un solo sorso, sentendosi scaldare dentro dal torbato sapore del whiskey irlandese.
- Allora... immagino che tu abbia alcune domande da farmi, vero?- chiese l'uomo, prendendo l'altro e dando un sorso un po' più misurato.
- Alcune?- ripeté incredula lei - A... ALCUNE?-
- Non serve alzare la voce.- disse accigliato Allwood - Quindi, bevi il tuo whiskey e ascolta, perché le cose che ho da dirti sono parecchie, e di certo ti sorprenderanno non poco.-
Orlaith strinse i denti e serrò le dita attorno al bicchiere, senza rispondere.
- Intanto, è importante dire che non sei mai stata veramente in pericolo.- iniziò Allwood - Come accennato, quei due Homunculi non erano lì per ucciderti, sarebbe stato controproducente. In realtà dovevano solo spaventarti. Tutta la tua vita, tutto quello che ti è accaduto in questi ultimi anni, è stato pilotato. È questo che cercavo di dirti ieri, quando sei scappata via: ti senti depressa perché qualcuno vuole che tu sia depressa. Devi sentirti a terra, sconfitta, senza nessuno a cui rivolgerti e priva di qualsiasi potere decisionale su qualunque aspetto riguardi la tua intera esistenza.-
- Cosa?- esclamò Orlaith - Io... qualcuno sta cercando di... indurmi al... al suicidio?-
- No, solo alla disperazione. Nessuno ti vuole morta. Sei troppo importante per lui.- rispose Allwood, continuando a sorseggiare il Connemara.
- Lui?-
- Vaněk.- chiarì il suo ospite - Se ricordi, ho tentato di metterti in guardia da quell'uomo.-
Orlaith lo guardò con tanto d'occhi, sempre più confusa.
- Vaněk sta cercando di... di deprimermi... o quello che è?-
- Già.- confermò secco Allwood - Non molto gradevole.-
- Ma... ma oggi mi ha ripresa proprio perché non rendo quanto vorrebbe!- esclamò lei - Che senso ha? Perché dovrebbe farlo se...?-
- Calma. Se mi lasci parlare ci arrivo.- disse l'uomo - Vedi, il motivo è estremamente semplice, e lo stai stritolando fin da quando ti abbiamo raccolta nella metro.-
Orlaith abbassò lo sguardo, come se si aspettasse di vedere qualcos'altro che non fosse il suo violino.
- Cosa? Il violino? Perché?-
- Non è proprio il violino...- corresse Allwood, passandosi una mano sul mento, pensieroso - Semmai, è per quello che puoi farci.-
- Cosa, suonare?-
Allwood ridacchiò, scuotendo la testa.
- No, mia cara. Suonare è solo il modo in cui esprimi ciò che sai effettivamente fare... ed è qualcosa di così incredibile che, quando l'ho saputo, anche io ho faticato a crederci. Io stesso non riesco a spiegarmi davvero come sia possibile o perché.- rispose, posando il bicchiere e prendendo dalla tasca dei pantaloni una penna e un pezzo di carta - Vedi, devi sapere che al mondo c'è ben più di quanto tu possa immaginare. Ti risparmio il discorso su "forze potenti e misteriose" che "governano le leggi della natura".- ridacchiò, mentre disegnava qualcosa - D'altra parte, posso affermare in tutta sicurezza che ci sono persone come me che, a differenza di tantissimi altri, come il nostro buon McGrath, non sono in grado di fare... per esempio... questo.-
Mise via la penna e toccò il disegno, che Orlaith notò essere identico a quello che aveva visto in metropolitana. Subito, l'inchiostro prese fuoco e, in un piccolo turbine, le lingue incandescenti si diressero verso i ciocchi nel camino, i quali presero ad ardere come se fossero accesi da ore, riscaldando l'aria intorno a loro.
Orlaith osservò il prodigio appena compiuto in silenzio, riflettendo su ciò che provava. Scoprì che il suo stupore era estremamente contenuto.
- Credo sarebbe più d'effetto se non avessi visto... quello che ho visto.- sentenziò.
Allwood scoppiò a ridere, dando un altro sorso al bicchiere, e non rispose.
- Quindi sei cosa... un bravo prestigiatore? Un mago?- chiese Orlaith.
Lui scosse la testa con una smorfia.
- "Stregone" è un termine più arcaico, ma anche più corretto.- rispose - E quello che mi hai visto disegnare era un Cerchio Magico.-
- E cosa ha a che fare con me?-
- Una cosa alla volta, per piacere.- disse Allwood, finendo il whiskey rimasto in un solo sorso - Come stavo dicendo, e ovviamente come hai già avuto modo di scoprire a tue spese, alcune persone come me sono in grado di usare quella che tu potresti definire "magia". Che poi altro non è se non la capacità di riordinare gli elementi naturali e la materia tramite la propria volontà per ottenere qualcos'altro, come appunto il fuoco che vedi nel camino.-
Si interruppe un momento, sfregandosi la cicatrice sull'avambraccio in un gesto apparentemente inconsapevole, come se stesse pensando al modo migliore di spiegarsi.
- Come forse avrai intuito, anche Vaněk è uno stregone come lo sono io... più o meno.-
- Più o meno?-
- Al suo confronto, io svanisco.- ammise amaramente Allwood - Ha poteri molto superiori ai miei. È molto più vecchio di quanto tu possa immaginare. Dopo se vuoi ti darò qualche altro dettaglio in merito. Per ora ti basti sapere che lui è il cattivo e che può permettersi di esserlo anche senza la sua fortuna... accumulata in buona parte grazie ai suoi poteri, aggiungerei.-
Per un attimo Orlaith ripensò a Vaněk, a quanto le fosse sembrato odioso e supponente, ostile...
Sì. Ce lo vedeva come cattivo.
- Il suo scopo, da sempre, è conquistare potere. Ora ne ha parecchio, sia magico che non, ed è quasi inarrestabile. Se lasciato fare nessuno sarà più in grado di fermarlo.-
- E tu ci stai provando da solo?-
- A ognuno la sua croce.- rispose con un sorrisetto stanco Allwood - Ha fatto molte cose... disdicevoli... nel corso del tempo. Tormentare te è solo una, forse nemmeno la peggiore.-
- Ancora non capisco perché avrebbe dovuto farlo. Cosa c'entro io con tutto questo? Sono solo una violinista di elettronica e di dubstep.-
- No, non sei "solo" una violinista.- replicò lui, scuotendo la testa - Vedi, ci sono dei casi... casi rarissimi... in cui persone normali sviluppano capacità inspiegabili. E in casi ancora più rari, queste capacità superano di gran lunga quelle dello stesso Vaněk. Tu rientri in quest'ultima tipologia di persone.-
- E in che modo?-
- Ovviamente c'entra il tuo innato talento.- rispose Allwood, stringendosi nelle spalle - Pensa a quando suoni... non alle tue ultime esibizioni, le ho ascoltate e, perdonami, per quanto possano essere apprezzabili non sono del tutto paragonabili ai tuoi esordi. Pensa a quando ti divertivi sul serio a suonare, a quando ti bastavano pochi accordi per sollevare il pubblico di interi locali e indurlo in uno stato di tale euforia da far venire voglia al più depresso dei depressi di festeggiare.-
Orlaith abbassò un poco lo sguardo, cercando di ripensare a quei momenti in cui, nei piccoli locali di Tresckow, suonava più per il gusto di farlo che per un obbligo o per il compenso, sempre molto contenuto. Ricordava chiaramente come, ogni volta, sentiva l'euforia crescere dentro di sé e, in qualche modo, nelle persone che assistevano alle sue performance da solista. All'epoca non aveva bisogno di collaborazioni con altri musicisti o di artifici scenici, bei vestiti o teatri eleganti. Le bastava avere un po' di spazio e un gruppetto di persone disposte ad ascoltarla.
- Era bello.- disse semplicemente, con nostalgia.
- Lo so. Ed è quella la chiave.- disse Allwood - Quello di cui sto parlando è proprio la tua passione. Sei nata con la strana, incredibile, affascinante e, per certi versi, pericolosa dote di trasmettere ciò che senti, ciò che pensi, qualsiasi cosa tu voglia, attraverso le note musicali di un violino, sia alle persone che all'intero mondo intorno a te.-
Lei lo guardò senza capire.
- In che senso?- chiese - Cosa vorrebbe dire... tutto questo?-
Allwood sospirò, grattandosi stancamente la testa.
- Oh, Orlaith... come posso essere più chiaro?- chiese, più a se stesso che a lei - Vedi... in pratica, hai il potere di manipolare la mente delle persone e, potenzialmente, tutto il mondo che ti circonda trasmettendo le tue emozioni, e puoi farlo con la tua musica.- spiegò, guardandola negli occhi - Quando suoni il violino è come se avessi in mano il potere stesso di Dio.-

Ehm... ops. Ieri mi sono scordato. Scusate tanto.
Ringrazio John Spangler, Kira16 e Old Fashioned, che mi stanno seguendo. A presto!

 

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Capitolo 9
*** Cap. 8: Allwood ***


Orlaith rimase in silenzio a lungo dopo quelle parole, mentre Allwood si limitava a guardarla, aspettando una sua reazione. L'unica che le venne fu di finire il resto del whiskey in due sorsi.
- Okay.- disse - Sono onnipotente. Chiaro.-
- Beh... non sei proprio onnipotente. Hai i tuoi bei limiti anche tu, ovviamente.- chiarì Allwood, facendo un cenno con la mano come per dirle di non correre troppo - Tuttavia, hai un potere che molti vorrebbero possedere, ed è proprio ciò che interessa Vaněk.-
- E cosa spera di ottenere da me, trattandomi come immondizia e rovinandomi l'esistenza?-
- Come ho detto, la tua musica è in grado di influenzare quello che ti circonda. Fin dall'inizio spingevi la gente all'euforia solo perché tu stessa ti sentivi tale mentre suonavi...-
- ... che poi è quello che fa qualsiasi altro musicista degno di questo nome...- osservò lei, in tono scettico.
- Non come te.- replicò Allwood - Tu non ti limiti a suscitare le emozioni nelle persone... le crei dal nulla, a seconda di ciò che suoni e di quello che provi quando lo fai, e più intense esse sono più forte è l'influenza che hai su chi ti ascolta. Con il giusto accordo puoi acquietare gli animi o infiammarli, indurre alla rabbia o alla calma... o anche spingere alla disperazione e all'odio. Potresti usare questo potere, se volessi, per sottomettere il mondo.-
Orlaith scosse lentamente la testa, incredula e stordita (probabilmente anche a causa dell'alcool). Sì, forse aveva notato che le persone dopo averla sentita suonare, in special modo i primi tempi, fossero di umore migliore di quando erano arrivate, ma aveva sempre associato la cosa alla carica e alla vivacità dei suoi pezzi. Anche a lei capitava di ascoltare della musica particolarmente intensa e di sentirsi piena di energia, o più rilassata quando ascoltava melodie meno vivaci.
- Puoi non crederci, ma ti garantisco che è così.- continuò Allwood - Vaněk lo sa. Ha cercato per decenni qualcuno come te, e ti sta spezzando per poterti usare a suo favore. Immagina cosa succederebbe se, una volta crollata definitivamente, tu pubblicassi un intero album in cui sono state incise tracce con cui esprimi tutta la tua disperazione e tristezza. Immaginati di trasmettere quelle emozioni a tutti i tuoi fan, a chiunque le sentisse passare alla radio, a ogni persona che ti ascolta mentre stai suonando.-
Orlaith esitò.
- Andiamo.- la incitò il suo ospite - Fingi di credermi per un momento.-
La ragazza si lasciò scappare un sospiro stanco e, con uno sforzo, si immaginò mentre suonava tutta la frustrazione, l'impotenza e la disperazione che covava dentro da tempo.
Se, come diceva Allwood, era davvero in grado di fare cose come influenzare la mente delle persone, avrebbe indotto tantissima gente in un profondo stato di prostrazione. Ma a che scopo?
- D'accordo, fingiamo che io creda a tutto questo...- concesse - ... e non sto dicendo che è così... ancora non capisco cosa otterrebbe Stanislav Vaněk. Quale vantaggio può trarre da...?-
- Da un popolo che non ha più voglia di combattere? Sfiduciato? Avvilito?- chiese Allwood - Chi lo sa. Hitler cosa ha ottenuto da una Germania umiliata dalle condizioni del Trattato di Versailles? George W. Bush è riuscito a ottenere qualcosa quando venne copito il World Trade Center? Napoleone ebbe dei vantaggi quando tornò in una Francia prostrata dalla Rivoluzione?-
Orlaith soppesò quelle parole, incerta: quello che stava dicendo era effettivamente sensato. Nelle giuste condizioni un uomo ben preparato dal punto di vista economico o politico (se non entrambi) avrebbe potuto facilmente approfittare dell'ondata di sfiducia e usarla per favorire la propria ascesa.
Questo, beninteso, si reggeva sul fatto che tutta la storia sulle sue "capacità" fosse vera.
- Senti... quello che mi hai detto è senz'altro plausibile, sotto alcuni punti di vista.- concesse Orlaith - Ma si basa tutto su questa... abilità che mi attribuisci. E che io non credo minimamente di avere.-
- Eppure hai visto anche tu gli Homunculi in quella metropolitana.- osservò Allwood - Mi sbaglio anche su quelli?-
Orlaith ebbe una nuova esitazione. Sfinita, si passò le mani sul viso, sospirando.
- Non ci capisco più niente.- ammise - E poi, non ha senso... perché mi avrebbe fatta aggredire? Perché solo adesso? E come sapeva tutte queste cose su di me, se nemmeno io me ne sono resa conto? E come fai tu a saperle? Cosa ti rende così sicuro?-
- Ehi, quante domande...- ridacchiò Allwood - E tutte legittime. Ma alle prime due non so rispondere con certezza... qualcosa lo avrà spinto a premere un po' l'acceleratore. O magari vuole che tu creda di essere pazza, chissà. Per capirlo avremmo dovuto lasciar fare quei due, o chiedere a lui, e nessuna delle due opzioni mi sembra l'ideale.-
Orlaith non poté che concordare.
- Per quanto riguarda il resto...- continuò - ... lui è, come ti ho detto, molto anziano. Ha almeno ottocento anni, forse di più. Solo lui conosce la sua età effettiva. Ha sviluppato molti metodi per ottenere informazioni, e non tutti sono piacevoli. Penso che stesse cercando qualcuno dotato del tuo potere. Forse ti ha identificata monitorando le analisi del sangue, certe capacità si notano anche così... o forse un suo Homunculus ha casualmente sentito mentre suonavi, quattro anni fa, e gli ha riferito la sua scoperta. Oppure ha usato i suoi poteri per trovare qualcuno come te. Anche questa è una domanda a cui solo lui può rispondere.-
- Bene. Quindi in sostanza non sai niente.- decretò Orlaith.
- Beh, so come ho fatto a scoprirlo io.- ridacchiò Allwood - Lo sto spiando, è logico. Devo usare moltissima discrezione, ovviamente, o verrei scoperto, ma qualcosa la vengo a sapere ogni tanto. È molto tempo che lo osservo, e lo conosco abbastanza da poter intuire il suo comportamento, a volte.-
- Già, lo avevi accennato ieri. Al fatto che lo conosci, intendo.- ricordò Orlaith - Come vi siete incontrati? Qual è la vostra storia?-
Allwood smise di sorridere e, all'improvviso, le fiamme del caminetto gli gettarono addosso ombre inquietanti, mentre un riflesso del fuoco dava alla sua cicatrice un'aria più sinistra. Si era letteralmente rabbuiato.
- Questa è una lunga storia... per un altro momento.- rispose - Ti basti sapere, per adesso, che lui ed io non siamo amici. Come ho detto ha molto di cui rispondere. Il compito che mi sono dato è presentargli il conto.-
La frase fu chiaramente la fine della loro conversazione. Anche se non sembrava proprio arrabbiato, Allwood aveva usato un tono definitivo che non lasciava spazio a ulteriori domande o repliche. Si voltò verso la porta, e Orlaith lo imitò: con sua somma sorpresa, vide McGrath che attendeva in silenzio sulla soglia, le mani dietro la schiena. Quando era arrivato?
- Se i signori vogliono seguirmi, la cena è servita.- disse.
Allwood gli fece un sorriso grato.
- Ti ringrazio, McGrath, ma credo che mi ritirerò. Non ho molto appetito. Fai compagnia alla nostra ospite, poi mostrale la sua stanza.-
Orlaith si voltò a guardarlo.
- Cosa?-
- Dormirai qui, oggi.- disse Allwood - Non credo che dovresti tornare a casa tua, stanotte. È molto tardi, e comunque Vaněk avrà già capito che i suoi Homunculi sono morti, o che comunque hanno fallito. Forse non lo assocerà a me, ma di certo sarà insospettito. Starà facendo controllare il tuo appartamento.-
A quelle parole, Orlaith ebbe un brivido più che evidente. Allwood tornò a sorridere.
- Appunto.- disse - Bene, ti auguro buon appetito e buona notte. Ci vediamo domani mattina.-

McGrath condusse Orlaith in sala da pranzo e le servì la cena, che si rivelò essere piccione al forno appena cotto. Non se n'era resa conto, ma lei e Allwood avevano parlato per quasi due ore, e adesso era notte inoltrata. Si ricordò poi di aver lasciato spento il telefono fin da prima di entrare nella metro, e non essendo più rincasata non aveva potuto rispondere neanche lì. Sicuramente David l'aveva cercata tutta la sera, non avendo ricevuto sue notizie.
Dovrei dirgli dove sono.
Tuttavia, ricordò che parlava abitualmente con Vaněk e, se disgraziatamente gli avesse detto di Allwood, di certo avrebbe messo nei guai lui e McGrath. Un pessimo modo per ringraziarli dopo che l'avevano salvata.
- Grazie, McGrath.- disse, guardando prima il piccione e poi il maggiordomo - Sia per la cena che per... insomma... per prima. Nella metro.-
L'uomo sorrise, scuotendo la testa, ancora in piedi accanto a lei.
- Il signor Allwood ha deciso di tenerla d'occhio fin da quando è andata via.- spiegò - Appena ha saputo di lei e delle sue capacità mi ha chiesto di invitarla qui. Temeva che potesse essere in pericolo e quando è fuggita, ieri, si è prodigato per proteggerla a distanza. Sapeva che ne avrebbe avuto bisogno. Quindi vede, miss Alexander, è lui che merita la sua gratitudine. Io mi limito a seguire le sue direttive.-
- In ogni caso, ti ringrazio.- disse, prendendo coltello e forchetta - Anche per questo. Non sono abituata al piccione... di solito mangio schifezze, a casa. Devo... insomma, c'è un modo particolare per mangiarlo? Qualche regola che non conosco?-
McGrath si lasciò scappare una risata molto contenuta.
- Deve solo tagliarlo, prenderlo con la forchetta e portarlo alla bocca. Non è molto diverso da un comunissimo pollo arrosto.-
Orlaith gli sorrise, un po' imbarazzata, e cominciò a mangiare, scoprendo che il piccione le piaceva: era saporito, tenero e magro. Di sicuro, McGrath era un cuoco eccellente.
- È ottimo!- esclamò.
Il maggiordomo le sorrise ancora una volta.
- Lieto che sia di suo gusto. Il signor Allwood lo apprezza particolarmente se accompagnato da un buon Taburno. Tuttavia ritengo che, dopo le emozioni e il suo drink di poco fa, possa essere una cattiva idea permetterle di bere ancora. Ma il mio è un semplice consiglio, e se lo desidera...-
- No, no!- esclamò Orlaith - Davvero, non c'è bisogno! Va bene così!-
Non era abituata ad essere servita, e a dire il vero si sentiva un po' a disagio. Soprattutto con McGrath che si ostinava a restare in piedi accanto a lei, in attesa che finisse di cenare.
- McGrath, non serve che tu mi aspetti.- disse - Puoi indicarmi dove dormire e andartene a letto anche tu.-
- La ringrazio, ma le mie mansioni termineranno solo quando avrò finito di rigovernare.- disse senza alcuna esitazione o amarezza - È mio dovere curare la casa, i suoi occupanti e i suoi ospiti. Sarei un ben misero maggiordomo, altrimenti.-
- Almeno siediti! Non stare lì in piedi!-
Lui le concesse un ennesimo sorriso.
- Temo che questo contravverrebbe al regolamento che la mia professione impone.- disse - Lei si sente evidentemente a disagio, ma questo è il mio ruolo. Non è necessario provare imbarazzo perché mi comporto da maggiordomo, dato che è esattamente ciò che sono.-
Non sapendo come replicare, Orlaith si limitò a mettere in bocca un altro pezzo di carne, e il silenzio regnò per alcuni minuti. Quando non poté più sopportarlo (se proprio non riusciva a farlo sedere o a mandarlo a letto, almeno poteva dargli un po' di attenzione) decise di fargli qualche domanda.
- Da quanto lavori per Allwood?- chiese - E da quanto sai che è uno... ehm... stregone?-
- Lavoro per lui da circa quindici anni.- rispose McGrath - E ho sempre saputo ciò che è. Non ne ha mai fatto mistero.-
- Davvero?- chiese sorpresa lei - Beh... è un sacco di tempo. Lui doveva essere solo un ragazzo.-
McGrath scosse la testa, ora serio.
- No, era già adulto. Come ha giustamente osservato, il signor Allwood è uno stregone, e anche piuttosto versato nelle arti magiche. Gli uomini come lui non invecchiano allo stesso modo di una persona qualsiasi.-
Orlaith lo guardò sorpresa, ma sentendosi anche una sciocca: in effetti, durante la loro conversazione, Allwood aveva detto che Vaněk aveva almeno ottocento anni, quando in realtà non ne dimostrava più di un'ottantina.
D'altra parte, trovava più difficile credere che anche Allwood fosse un ultracentenario o roba del genere.
- E... ehm... quanti anni ha?-
- Temo che questo stia a lui rivelarlo. Io, personalmente, non me ne sono mai interessato.-
- Capisco.- annuì Orlaith - E cosa fa per vivere? Fa comparire magicamente tutti i soldi che servono per mantenere questo posto o ha un lavoro vero?-
- Possiede una società che si occupa di impianti per la sicurezza e la sorveglianza.- rispose McGrath - Naturalmente usufruisce sovente delle sue abilità per facilitare il proprio lavoro. Se lo desidera posso mostrarle i cataloghi.-
- Ehm... un'altra volta, magari.-
Quando ebbe finito di mangiare, McGrath la accompagnò fino a una porta al piano superiore, oltre la quale c'era un grande letto dall'aria comoda e, steso proprio sopra, un pigiama da donna che a occhio e croce sembrava esattamente della sua misura.
- Mi sono preso la libertà.- disse McGrath, mentre lei sollevava la maglia per osservarla meglio - Le auguro la buona notte, miss Alexander. A domani.-

Sì, è vero, non ho postato, ma ho un'ottima scusa: non potevo. Comunque rimedio ora.
Ringrazio come sempre John Spangler, Old Fashioned e Kira16, che mi seguono. A presto!

 

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Capitolo 10
*** Cap. 9: Momento di quiete ***


Neanche quella notte fu molto piacevole per Orlaith, che continuò a sognare Homunculi, stregoni e bui tunnel sotterranei. Si svegliò almeno due volte, e in entrambe le occasioni ci mise molto tempo prima di riaddormentarsi. Alla fine, comunque, riuscì a trovare il giusto feeling con il materasso e, verso le quattro, smise di fare brutti sogni, dormendo come un ghiro per il resto della notte.
Quando riaprì gli occhi il mattino dopo scoprì dall'orologio appeso alla parete che erano già le nove passate, e nonostante gli incubi si sentiva meglio: per la prima volta non doveva correre da nessuna parte, seguendo chissà quale tabella di marcia forzatamente imposta da un produttore pazzo e da un (potenziale) stregone miliardario in corsa per il senato.
Al piano di sotto sentiva delle voci, ma esitò a uscire dalla stanza: piuttosto, si sedette sul letto e prese la custodia dal pavimento dove l'aveva lasciata, per poi aprirla e controllare il violino.
Il giorno prima le era caduto di mano quando l'Homunculus l'aveva colpita alla gola. L'impatto non era stato tremendo, certo (dopotutto non era molto in alto quando aveva mollato la presa), ma voleva assicurarsi che non ci fossero danni di sorta.
Si rigirò attentamente tra le mani lo strumento, controllandone ogni centimetro; pizzicò le corde, saggiò con delicatezza la solidità della cordiera, del ponticello e del fondo; il bottone, il manico e le cuspidi parevano intatte, e non c'erano crepe o graffi da nessun'altra parte. Prese l'archetto, assicurandosi che anche quello fosse integro, e provò a suonare una piccola parte di un movimento che ricordava da uno degli spartiti di Mozart, precisamente dal Concerto per Violino e Orchestra Numero Tre.

Qui il brano

Eseguì l'Allegro iniziale, riscoprendo dopo tanto tempo il piacere di suonare solo perché le andava: negli ultimi quattro anni aveva preso in mano il violino per incisioni, prove, concerti ed esibizioni di vario tipo, ma mai, mai una volta per divertirsi e basta. Aveva smesso di considerarlo il suo migliore amico, vedendolo solo come un oggetto costoso da conservare con cura nella sua custodia e sfoggiare di tanto in tanto.
Aveva perso molte cose in quegli anni, e da tanto non suonava della musica classica. Non si era resa neanche conto di quanto ne avesse realmente bisogno, tutta concentrata com'era sulla musica elettronica e dubstep che sì, le piacevano, e molto anche, ma non aveva mai disprezzato i pezzi di Mozart, Beethoven, Vivaldi, Bach... grazie a loro si era innamorata del violino, e sempre con i loro spartiti aveva fatto i primi esercizi.
- Mi sembrava che fossi sveglia.-
La voce di Allwood la colse talmente di sorpresa che l'archetto le sgusciò via dalle corde, producendo un suono stridente e sgradevole sulle corde. Lui sorrise, appoggiato allo stipite della porta, e sollevò una tazza di coccio verde.
- Caffè?-

- Oggi McGrath ti riporterà a casa tua.- disse Allwood, mentre si infilava un frusto cappotto color antracite - Io ho alcune cose da fare. Ci rivedremo presto.-
Seduta su uno dei gradini più bassi della scala, Orlaith annuì.
- Va bene.- disse - Quindi non c'è pericolo?-
- Non credo, no.- rispose lui - Secondo le mie informazioni non ha collegato la scomparsa degli Homunculi a me. Forse li aveva addirittura "programmati" per autodistruggersi una volta finito con te. Ti crederà rannicchiata in un angolo a piangere.-
Beh... non è una cosa così lontana dal vero...
- E a Dave che gli dico?- chiese, soppesando il telefono ancora spento - Non ho più riacceso il cellulare... avrà chiamato la polizia, a quest'ora.-
- Inventati qualcosa. Sono certo che ti verrà un'idea.- rispose Allwood - Appena potrò ricontattarti lo farò. Fino a quel momento comportati in modo normale.-
- Va bene.- disse lei, chiedendosi cosa potesse ancora essere "normale" dopo quanto successo - Non ti ho ancora detto grazie.-
- No, non l'hai fatto.- concordò lui - Bene, buona giornata.-
Quando la porta si fu chiusa alle sue spalle McGrath scese dal piano superiore, reggendo tra le braccia il suo parka e la giacca che aveva dimenticato lì l'ultima volta.
- La signorina è pronta ad andare?- chiese - O preferisce prima fare colazione? Il signor Allwood ha già mangiato, ma ho tenuto da parte...-
Orlaith si alzò, scuotendo la testa.
- No, ti ringrazio, McGrath.- rispose. In quel momento si rese conto di non sapere il suo nome - Non mi hai mai detto come ti chiami.- osservò.
- Certo che l'ho fatto.- replicò lui, educatamente perplesso - Mi chiamo McGrath.-
- No... il tuo nome. Anche Allwood ti chiama solo "McGrath", nonostante lavori per lui da tanto tempo.-
Il maggiordomo scosse la testa.
- McGrath è sufficiente.- rispose - Ora, desidera che la riaccompagni personalmente o preferisce chiamare un taxi?-
Orlaith esitò, incerta su come rispondere: non voleva arrecargli ulteriore disturbo, e meno tempo avessero passato insieme meno possibilità c'erano che Vaněk lo venisse a sapere. D'altra parte la presenza di McGrath aveva un che di rassicurante, coi suoi modi e la sua statura non proprio minuta.
- Ecco... preferirei che mi accompagnassi.- disse alla fine - Se non... se non ti dispiace, ovvio.-
Lui sorrise di nuovo.
- Naturalmente no.- rispose, tendendole il parka - Ecco, tenga. Il signor Allwood lo ha sistemato personalmente questa mattina, mentre lei dormiva. Troverà che il suo Cerchio Magico ha rimosso ogni traccia di sporcizia e gli strappi.-
Orlaith prese la giacca e la guardò con tanto d'occhi: doveva imparare assolutamente a usare il Cerchio Magico anche lei: era meglio di una lavatrice.

Durante il tragitto riaccese il telefono e chiamò Dave, quantomeno per fargli sapere che non era scomparsa dalla faccia del pianeta. Il produttore rispose dopo appena due squilli, e dire che lo trovò agitato sarebbe stato riduttivo.
Orlaith!- gridò - Dònde has estada? Porque no llamaste? Estàs loca? O eres solo perra?-
- David... David... DAVID!- esclamò Orlaith, cercando disperatamente di zittirlo - Vuoi chiudere il becco per un secondo e starmi a sentire? E poi, vuoi capirlo o no che non so una parola di spagnolo?-
Già... meno male, perché non ho detto cose molto carine...- rispose lui, tornando all'inglese - Porca miseria, Orlaith, lo sai quanto mi hai fatto preoccupare? Ti ho cercata tutta la notte! Pensavo che Vaněk ti avesse mangiata!-
- Beh, c'è andato vicino...- sbuffò lei - Ha avuto da ridire sul numero di album che ho pubblicato... per lui era insufficiente.-
Cosa? Tutto qui?-
- Sì, se per "tutto qui" intendi che si è comportato da bastardo arrogante e che mi ha trattata peggio di come avrebbe fatto un Pooka.-
- Sì, ehm... fai finta che sappia cos'è un... puca.- disse David - Ma dov'eri finita, si può sapere?-
- Sono andata in albergo per una notte. Mi serviva un po' di tempo da sola.-
Hai saltato le cover, e stamani dovevi essere a lezione di canto!-
- Beh, non perderò la voce se salto una volta.- rispose - E poi anche io ho il diritto di prendermi un po' di tempo per me, no? Non esiste solo il lavoro.-
Certo che no... ma lo sai che ci tengo a lanciarti sempre più su. Non possiamo rallentare adesso, la tua carriera...-
- Sì, ne sono consapevole. Ora richiama i mastini, va bene? Sto tornando a casa mia, ci sentiamo stasera.-
Stasera? Ma l'incontro con le ballerine...-
- Mandagli dei fiori e salutamele!- disse, un attimo prima di riattaccare.
- Ben fatto, miss Alexander.- commentò McGrath, guardandola dallo specchietto retrovisore.
Lei sorrise, strizzandogli l'occhio.

- Il signor Allwood mi ha chiesto di darle questo.- disse McGrath, mentre le teneva aperta la portiera.
Nella mano teneva un cellulare vecchio stile, con la tastiera e lo schermo piccolo. Somigliava a quelli che si trovavano dai rivenditori per strada, che potevi portare via a pochi dollari il pezzo. Anche meno se sapevi trattare.
- Grazie, ma ho il mio.- disse con un sorrisetto, agitandolo in aria - E credo sia un po' più recente.-
- Non giudichi i libri dalla copertina, miss Alexander.- replicò McGrath - Questo ha un aspetto antiquato per evitare di attirare troppo l'attenzione. Non può essere rintracciato, a differenza del suo. Potrà usarlo per contattare me o il signor Allwood in caso di necessità. Anche noi ci faremo sentire attraverso questa linea.-
Orlaith prese il piccolo cellulare, rigirandolo tra le dita: aveva un'aria triste, grigia e poco interessante. Nemmeno un borseggiatore avrebbe guardato due volte un gingillo simile. Probabilmente era per questo che aveva quell'aspetto.
- Grazie.- disse, intascandolo - Anche per tutto quello che avete fatto per me fino ad ora.-
- Dovere, miss.- rispose con uno dei suoi inchini McGrath, chiudendo la portiera - Ora, se non le dispiace, prendo congedo. Le auguro una buona giornata.-
Lo guardò allontanarsi, sparendo nel traffico di New York, e quando lo ebbe perso di vista entrò nella Beekman Tower dopo più di ventiquattr'ore di assenza.

Una volta tanto la povera Orlaith può rilassarsi qualche minuto. La settimana prossima vedremo qualcosa in più sulle sue abilità, ve lo dico...
A presto!

 

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Capitolo 11
*** Cap. 10: Violinista di strada ***


L'improvvisa giornata di libertà diede modo a Orlaith di passare tutto il suo tempo in pigiama per non fare niente. Fuori c'era un gran sole, una delle ultime belle giornate prima dell'autunno vero e proprio, e lei non aveva alcuna voglia di uscire.
Non riusciva più a ricordare quando era stata l'ultima volta sul divano a mangiare patatine e a guardare un vecchio film in televisione, o per più di due ore in una vasca piena di schiuma a leggere. Rimase in acqua talmente a lungo che, quando ne uscì, le bolle erano tutte sparite. Le erano venute le grinze persino alle ginocchia.
Il telefono squillò un paio di volte, gli ultimi disperati tentativi di David di convincerla a raggiungerlo, ma quando capì che a rispondere sarebbe stata sempre e solo la segreteria parve lasciar perdere, perché non si fece più sentire.
Dopo il bagno e il film Orlaith si sdraiò sul letto, lo sguardo fisso sul soffitto, inspirando l'odore residuo dello shampoo e delle lenzuola pulite sotto la sua schiena. La sua mente vagò fino a Jayden Allwood e alle parole della sera prima, alle rivelazioni che aveva fatto su Vaněk e, soprattutto, su di lei e i suoi... poteri.
Le suonava ancora strana quella parola: poteri. Anzi, non strana... era assurda, fuori luogo, priva di senso. Ma se da un lato non riusciva a crederci, dall'altro aveva capito che qualcosa non andava alla Lightning Tune Records. Di sicuro, la sua vita era proseguita su binari folli in quegli ultimi quattro anni, e più ci pensava più Vaněk le sembrava essere plausibilmente colpevole di qualcosa. O forse era solo l'antipatia nei suoi confronti a guidarla, non poteva essere sicura di una cosa del genere.
Secondo Allwood posso manipolare le emozioni e le menti delle persone...
Si mise a sedere, cercando con lo sguardo il violino, ancora nella sua custodia, appoggiato in un angolo della camera: a dar credito a quell'uomo, suonando poteva fare qualsiasi cosa volesse. Non aveva prove a parte la sua parola.
Doveva sapere.
Si cambiò al volo, prese il violino e uscì di casa.

Il City Hall Park era pieno di gente a quell'ora, in particolare vicino alla grande fontana nei pressi dell'incrocio tra Beekman Street e la Brodway: alcuni uomini in giacca e cravatta attraversavano frettolosamente la pavimentazione di pietra parlando al cellulare o, più raramente, tra di loro, sorseggiando caffè o mangiando un hot dog comprato al chiosco lì vicino; un gruppetto di casalinghe stava chiacchierando attorno alla vasca, probabilmente dei figli che avevano lasciato in una delle scuole all'interno della Beekman Tower. Le parve di riconoscere un paio di persone che aveva incrociato in corridoio o in ascensore qualche volta, e vide anche alcuni ragazzi in età da liceo che, probabilmente, avevano saltato le lezioni per un'uscita fuori programma.
Infine, vide alcuni musicisti di strada in un angolo della piazza che suonavano un brano melodico e vagamente sentimentale; qualsiasi cosa fosse doveva essere un pezzo originale o di una band a lei sconosciuta, ma sembrava orecchiabile, e stando a quanto sentiva non erano così male con gli strumenti. Uno in particolare suonava la pianola.
Non erano molto interessanti, solo un terzetto di moderni hipster che cercavano di raggranellare spiccioli con cui arrotondare, come ne vedeva tanti in giro per strada.
Presa da un'improvvisa ispirazione, attese che avessero finito e si avvicinò al gruppo a passi rapidi, serrando la presa sulla maniglia della custodia del violino.
- Ho una proposta per voi.- disse, piazzandoglisi proprio di fronte - E potrebbe essere un'occasione d'oro per tutti e tre.-
Il gruppo, che in quel momento si stava preparando a smontare, forse per andare a pranzo, si bloccò a guardarla. Il chitarrista, un ragazzo di colore con un cappello di feltro sulla testa pelata, aggrottò la fronte.
- Io ti conosco.- disse - Sei quella violinista, giusto? Sparkling Star.-
- Già, sono io.- confermò - Vorrei in prestito il vostro amico, se non vi dispiace.- e fece un cenno verso il ragazzo alla pianola.
Quello, sorpreso, sgranò gli occhi e si guardò alle spalle, passandosi a disaggio una mano tra i ricci capelli castani, come se credesse di poter trovare qualcun altro lì dietro.
- I... io?- chiese, tornando a guardarla.
Orlaith annuì, consapevole di quanto sconvolgente dovesse essere la proposta per lui: un musicista di strada avvicinato da una violinista di elettronica e dubstep che passava le sue serate a esibirsi nei teatri e nei locali alla moda. Doveva avere poco più di diciotto anni, e probabilmente non aveva mai suonato nulla di più importante di quelle canzonette da due soldi.
- Perché vuoi Gary?- chiese il bassista, grattandosi il pizzetto con aria perplessa.
- Mi serve qualcuno che sappia suonare un pezzo da pianoforte.- rispose Orlaith, tirando fuori dalla borsa uno spartito - Guarda... è questo qui. Credi di farcela a venirmi dietro?-
Il ragazzo, esitante, prese in mano i fogli e li osservò con gli amici che sbirciavano da sopra le sue spalle. Dopo qualche istante annuì.
- Beh... sì, certo. Non è così difficile.- rispose.
- Perché una come te vuole suonare qui?- chiese il chitarrista - Tu puoi permetterti di suonare ovunque e con chiunque.-
- Potrei perdere del tempo a inventare una storia che forse non capireste, confondendo sia voi che me...- disse Orlaith, sbuffando - ... o potrei cominciare a suonare col vostro amico e passarvi trecento dollari per il disturbo.-
Tutti e tre rimasero a bocca aperta.

Orlaith si accertò che le corde del violino e i crini dell'archetto fossero ben tesi, poi si voltò a guardare il suo improvvisato compagno, che annuì per dirle che era pronto. Sembrava teso, ma chiunque al suo posto lo sarebbe stato.
- E uno... due... uno, due, tre, quattro!-

Qui il brano

Cominciarono a suonare, lei a memoria e lui seguendo lo spartito che gli aveva dato. Era uno dei suoi brani originali, lo aveva scritto circa tre mesi prima, e David glielo aveva bocciato perché troppo malinconico. Da lei voleva solo cose allegre perché si confacevano di più alla sua immagine.
Non aveva capito cosa aveva cercato di mettere in quelle note.
La melodia si espanse nella piazza, tra i passanti indifferenti e affaccendati che badavano solo ai loro affari e alle loro urgenze senza degnare di uno sguardo qualcosa di diverso dalle problematiche di ogni giorno.
E poi, tutto cambiò. Qualcosa nell'aria assunse una connotazione differente, impossibile da notare a prima vista. Bisognava sapere cosa cercare per capirlo, e anche così era impossibile spiegare a un estraneo in che modo l'atmosfera si era trasformata.
Gli accordi del violino catturarono l'attenzione di ogni singolo uomo, donna o bambino a portata d'orecchio: il gruppo di casalinghe smise di chiacchierare, i ragazzini che avevano marinato la scuola si voltò verso di lei, gli uomini d'affari e gli impiegati lì intorno interruppero le telefonate e smisero di correre verso i propri impegni per fermarsi a sentire.
Orlaith chiuse gli occhi e si lasciò guidare dalla sua stessa musica, calandosi nelle emozioni che la permeavano e le avevano consentito di vedere la luce. Il senso di oppressione, il bisogno di libertà, il dolore che ci aveva messo dentro esplosero insieme, liberi di esprimersi in pubblico per la prima volta da tanto, tantissimo tempo.
Un rombo lontano scosse l'aria, e poco dopo delle leggere gocce d'acqua iniziarono a picchettare sulla pietra e le colpirono la testa. Qualcuno imprecò, e sentì dei rumori di ombrelli aperti. I ragazzi dietro di lei fecero un po' di trambusto, probabilmente per affrettarsi a riporre la chitarra e il basso e per mettere al sicuro la cassa.
Lei tuttavia non smise di suonare. Sentiva l'acqua, le gocce che le colavano lungo i capelli, i freddo pungente che le mordeva le dita e il naso, ma ignorò tutto; si era calata così a fondo nella musica, così intensamente, da escludere tutto il resto. La pioggia non esisteva, il freddo era un'illusione, i rumori dei lontani echi di un altro mondo.
La storia della sua tristezza vibrò attorno a lei, fermando il tempo. Verso la fine riaprì gli occhi, e scoprì che erano pieni di lacrime silenziose che si mescolavano alla pioggia.
Terminò l'esecuzione con una nota acuta e prolungata, che sfumò nell'aria. Solo quando abbassò l'archetto scoprì che la pioggia aveva un sapore salato.

Stavolta sono riuscito a postare in tempo.
Ringrazio John Spangler, Old Fashioned e Kira16, che mi seguono, e anche Fiore di Girasole e Shaara_2, che si sono aggiunti da poco. A presto!

 

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Capitolo 12
*** Cap. 11: Una decisione da prendere ***


Si leccò le labbra un'altra volta, poi fece lo stesso col suo dito: non era acqua. Non era proprio pioggia... erano lacrime. Il cielo piangeva.
E non era solo il cielo a farlo: in mezzo alla piccola folla che si era fermata ad ascoltare vedeva alcune persone, anche uomini adulti, che piangevano in silenzio, e non smisero nemmeno per applaudire. Lei si asciugò gli occhi e fece un inchino rapido, rimettendo poi il violino nella custodia prima che si bagnasse troppo (già così aveva rischiato parecchio), lasciò i trecento dollari pattuiti ai tre musicisti di strada e si diresse di nuovo verso casa.
Passando accanto a un uomo sentì uno stralcio della sua conversazione al cellulare: stava dicendo che non ne poteva più di quel lavoro asfissiante, e che se ne andava.
Dio mio... e se avesse ragione?
I lampioni, che ora iniziavano a spegnersi lentamente, potevano essersi accesi per un malfunzionamento, e la gente poteva essersi fermata e messa a piangere semplicemente perché lei era brava. Anche la pioggia improvvisa e fuori programma poteva essere spiegata.
Ma il sapore di quell'acqua...
E poi, quelle erano davvero troppe, troppe coincidenze. Ma perché non se n'era mai accorta prima?
Tornata in casa asciugò con attenzione il violino, accertandosi che fosse ancora incolume, poi rovesciò la borsa fino a trovare il telefono che le aveva dato McGrath quella mattina. Lo aveva a malapena preso in mano quando sentì il trillo del telefono in salotto.
- Pronto?-
E così mi pianti in asso per le esibizioni fuori programma? E con degli artisti di strada, tra l'altro?-
Era David. Si era scordata di non voler rispondere.
- Sì, ehm... una decisione d'impulso. Ma tu che ne sai?-
Stai scherzando? Piccola, sei su YouTube! Ti hanno ripresa coi cellulari e ti hanno caricata nel giro di tre secondi!-
- E lo sai già?-
Ho pagato un tizio per creare un'app che mi avvisa quando uno dei miei artisti finisce in rete.- spiegò in tono gongolante David - E poi anche Twitter e Facebook sono in fiamme. Non saresti riuscita a nascondermelo nemmeno se mi fossi trovato in una caverna in Tibet.-
- Beh, ho suonato uno dei pezzi che avevi bocciato, comunque.- disse Orlaith - E, come puoi vedere, è piaciuto. Quindi perché non...-
Mentre parlava le tornarono in mente i discorsi di Allwood e sull'influenza che la sua musica poteva avere sulle persone, oltre che gli obbiettivi (reali o presunti) di Stanislav Vaněk.
Perché non è il tuo stile. Hai un'immagine, non è il momento di fare inversione in questo modo.-
- Già... me l'hai detto.- sospirò Orlaith, passandosi una mano sulla faccia: in fondo, i rifiuti di David potevano essere un bene.
Ma che senso avevano? Se Vaněk voleva che la sua musica fosse triste o deprimente, perché non ordinava a David di lasciargliela pubblicare? Forse lui non ne sapeva niente? Era l'amico che affermava di essere? Poteva arrischiarsi a parlargli di quello che stava succedendo?
- Dave... ti posso chiedere una cosa?-
Una cosa? Stellina, tu puoi chiedermi tutto. Il mio lavoro è farti felice, ricordi?-
- Sì... senti, tu... in tutta onestà, cosa ne pensi di Vaněk?-
Il produttore esitò qualche secondo, come se stesse soppesando le parole.
Ascolta, lo so che non ti piace.- disse - Quello è un ricco bastardo che firma un sacco di assegni, non sa nulla di com'è fare l'artista. Fregatene di quello che ha detto ieri, va bene?-
- Lo sai?-
Ci ho parlato dopo che mi hai richiamato stamattina.- rispose - Gli ho detto che ci penso io a te, che per poco non ti ha fatta scappare eccetera.-
- Gli hai raccontato che ero sparita?- chiese - E lui che ha detto?-
Non molto in realtà. È rimasto in silenzio quasi tutto il tempo.-
- E non ti ha chiesto niente? Non vuole che pubblichi comunque quei brani che tu hai rifiutato?-
Ha detto solo di sbrigarsi col nuovo album, e che non gli interessa della tua immagine, perché "è quello il motivo per cui io ho un lavoro". Ma si può sapere cos'è tutto questo interesse?-
- Ah, lascia stare... te lo spiego un'altra volta.- rispose - Grazie, Dave... ci sentiamo domani, magari. Cosa c'è in agenda?-
Prove. Hai un concerto di beneficenza allo Yankee Stadium tra meno di un mese. Cos'è, te n'eri scordata?-
- Se ti dicessi di sì?-
Ti direi che tanto sono qui apposta. Dimmi se ti serve un vestito per l'occasione. Ti voglio tutta carina e in ghingheri, è per gli orfani di guerra.-
Ringraziato David e riattaccato, Orlaith recuperò il telefono di Allwood e aprì la rubrica, trovando solo due numeri: "J" e "M".
Chiamò il primo, sicura di sapere chi avrebbe risposto.
Pronto, Orlaith?-
Allwood?-
Sì, che c'è? Qualche problema?-
- No, solo... non hai visto i social network?-
Non ho molto tempo da perdere su Facebook. C'è qualcosa che dovrei sapere?-
- Nulla di speciale, ma ho suonato con un gruppo di artisti di strada. Volevo provare... sì, insomma, a capire se mi avevi detto la verità.-
Ancora non ti fidi?- chiese Allwood - Capisco che è difficile, ma se Vaněk lo scoprisse...-
- Lascia perdere Vaněk. Ho acceso dei lampioni, fatto piangere mezzo mondo... e dal cielo pioveva acqua salata. Sembravano lacrime. È possibile far piangere il cielo?-
I tuoi poteri non sono come i miei, che dipendono dai Cerchi Magici. I tuoi dipendono dalle tue emozioni. Se quel brano era particolarmente triste, e soprattutto se sentivi così intensamente quell'emozione particolare, allora sì. Più forte è l'emozione, più forte è l'effetto. Una volta che avrai imparato a controllare i tuoi poteri potrai fare questo e molto, molto di più. Dimenticati le leggi della fisica... non hanno nulla a che fare con quello che ti sta capitando.-
Orlaith si strofinò la collottola, piena di dubbi. Controllare i poteri le avrebbe fatto fare altro? E cosa, di preciso?
- Allwood... tu hai accennato al fatto che ci sono altri come me o sono io che ho capito male?-
Ci sono stati. In passato.-
- E cosa sapevano fare?-
Dipende. Magari te ne parlerò la prossima volta che ci vedremo.- rispose - Vuoi che ti insegni?-
- Lo puoi fare?-
Ma certo che posso. Però, in questo caso, devi renderti conto che non potrai fare finta di nulla. Vaněk ed io prima o poi arriveremo allo scontro, e se tu impari a usare i tuoi poteri ci sarai dentro fino al collo. Se quello che hai fatto oggi è finito in rete, prima o poi lo saprà. Capirà che stai cominciando a renderti conto. Sarà dura.-
- Certo, finora è stata una passeggiata...- brontolò amaramente lei.
Dormici su.- disse Allwood - E richiamami quando hai deciso. Averti come alleata mi farebbe piacere, e parecchio, ma devi esserne sicura.-
- Va bene. Allora... grazie di nuovo. E salutami McGrath.-
Non mancherò. Buona serata, Orlaith.-

Orlaith passò il resto del pomeriggio a pensare alla proposta di Allwood, ma non rimase esattamente con le mani in mano: usando il computer fece una ricerca in rete, nella speranza di saperne di più su tutta quella situazione.
Per prima cosa provò a cercare altre persone che, in passato, avessero avuto esperienze o situazioni simili alla sua. Tentò tutto quello che le veniva in mente, da "poteri" a "musica magica", e anche "violino magico". Qualsiasi parola chiave provasse, tuttavia, la rimandava a pagine sulla musica, sulla teoria del violino, su forum di discussione del mondo dello spettacolo e roba del genere. Dopo un po' si arrese, accettando l'idea che, se anche qualcuno avesse attraversato qualcosa di simile, di certo non si era scomodato a scriverlo in rete o a condividerlo con chicchessia.
Cosa che, in effetti, dubitava avrebbe mai fatto anche lei.
Passò allora a fare ricerche sulla magia in genere, sugli Homunculi e sul Cerchio Magico. Lì le notizie abbondavano, ma erano perlopiù discordanti e dispersive, e ogni campana dava la sua versione, in particolare sul secondo argomento, e poco di quello che trovò aggiunse qualcosa alle parole di Allwood.
A quel punto decise di provare a cercare notizie su Vaněk, nella speranza di saperne di più. Lui da solo diede migliaia di risultati; secondo la sua biografia ufficiosa era il tipico pezzo grosso che si è fatto da sé: nato a metà degli anni trenta, aveva trascorso i primi anni di vita nell'Europa del dopoguerra; dopo un'infanzia di povertà era scappato di casa e si era imbarcato, ancora quindicenne, su un mercantile in partenza dalle coste italiane verso l'America, in cerca di fortuna.
Arrivato lì aveva messo da parte il denaro guadagnato lavorando come ragazzo di fatica un po' ovunque, risparmiando ogni centesimo, arrivando a fare più lavori contemporaneamente, fino a che non aveva avuto abbastanza da comprare un piccolo apprezzamento di terra nel Nebraska, quand'era poco più che ventenne.
Da lì in poi era iniziata la sua fortuna: per quanto minuscolo fosse, il suo terreno aveva dato buoni frutti nella produzione del grano, grano che era riuscito a rivendere a prezzi esorbitanti quando molti suoi concorrenti avevano dovuto rinunciare alle proprie colture in seguito a tempeste di grandine o al cattivo tempo in generale.
Nel corso degli anni era riuscito a imporsi sempre più, espandendosi soprattutto grazie alla sfortuna degli altri coltivatori che, non riuscendo a pagare i debiti, gli avevano venduto la propria terra a prezzi irrisori, trasformando velocemente Vaněk nel primo produttore di grano della fascia centrale degli Stati Uniti.
In seguito aveva iniziato a differenziare, acquistando allevamenti, fabbriche, piattaforme petrolifere, compagnie di investimenti, immobili... da semplice mozzo si era trasformato in un gigante grazie al duro lavoro e alla fortuna.
C'erano anche riferimenti alla sua vita politica, ai rapporti che aveva con figure di spicco nei vari ambienti della classe dirigente e la sua adesione al Partito Conservatore.
Trovò anche alcune fotografie che lo ritraevano quando era più giovane, coi capelli folti e il viso meno segnato. Le scorse rapidamente, già decisa a passare ad altro, quando una catturò la sua attenzione, costringendola a fermarsi.
Era un po' piccola, e non si distinguevano bene i volti, anche se riconobbe facilmente Vaněk. La didascalia diceva che era stata scattata nella sua residenza estiva, mentre riceveva alcuni importanti uomini politici dell'epoca. Erano intenti a parlare e a bere del the portato loro da un maggiordomo.
Un maggiordomo che somigliava tremendamente a McGrath.

Abbiamo fatto qualche timido passo avanti nel conoscere gli altri personaggi. Vedremo cosa frutterà quello che sappiamo adesso.
Ringrazio come sempre i miei lettori John Spangler, Old Fashioned, Kira16, Fiore di Girasole e Sahara_2, e anche Queen FalseHeart e _Alexei_, che hanno iniziatoa seguirmi. A presto!

 

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Capitolo 13
*** Cap. 12: Sul palco ***


- No! No, non ci siamo! Regola quei bassi, mi stanno sfondando i timpani!- sbottò David, rivolgendosi a un tecnico sul palco - E qualcuno vuole fare qualcosa per queste dannate luci? Cazzo, gente, tra due ore questo posto sarà strapieno di persone, volete darvi una mossa?-
Orlaith, sconfitta dalla nuova interruzione, abbassò il violino e sbuffò: erano quasi tre ore che provavano le luci, l'impianto audio, gli effetti speciali... ogni volta, David trovava qualcosa su cui mettere bocca, col risultato che non era riuscita a finire nemmeno mezzo assolo.
Tra l'altro, iniziava ad avere un po' di freddo: il sole stava già tramontando ed era quasi totalmente nascosto dagli edifici, causando un drastico calo delle temperature, che sommate ai suoi vestiti la stavano trasformando in un ghiacciolo vivente.
Ma perché un concerto all'aperto, accidenti?
Era previsto bel tempo per tutto il resto della settimana, ma faceva comunque freddo, e lei non indossava abbastanza stoffa: David le aveva fatto preparare dalla costumista una gonna scozzese a mezza coscia, che portava sopra dei semplici collant, e una maglia dalle maniche e il collo a rete. Se non si fosse messa addosso una giacca sarebbe morta di freddo.
- Ma è sempre così?- le chiese il tastierista, abbastanza piano perché David non sentisse.
Si chiamava Ed Carlise, e lo conosceva ormai da due anni. Era un uomo sulla quarantina, dai capelli biondi e lunghi, dall'attaccatura un po' alta, legati in una coda di cavallo, e indossava pressoché sempre un paio di piccoli occhialini neri.
Si erano incontrati per la prima volta durante un evento di musica dal vivo al Plaza, quando lei aveva presentato uno dei suoi ultimi singoli dell'epoca. Per mesi Dave le aveva ripetuto in tutte le lingue che conosceva (anche in spagnolo) quanto avesse dovuto penare per ottenere un ingaggio lì, e di come fosse soddisfatto del proprio lavoro. Ed e il suo gruppo, i Bitter Cake, erano lì come ospiti, e avevano stretto amicizia dopo che l'avevano sentita suonare. Dopo quella volta erano rimasti d'accordo, una volta o l'altra, di suonare insieme in qualche occasione.
L'evento era stato organizzato dal manager dei Bitter, un concerto all'aperto su uno dei tetti di Midtown, e visto che era la prima volta che tornavano in città dopo due anni avevano pensato di ricontattarla per quella famosa collaborazione a cui avevano accennato.
- David? No, certo che no.- rispose - Di norma è più aggressivo coi tecnici. Immagino che sia di buon umore.-
Ed fece una risata sincera, scuotendo la testa.
- Aaah, ragazza mia, i produttori e i manager sono davvero assillanti quando ci si mettono.- decretò - Ma fanno il loro lavoro per lasciarci fare il nostro. Quando avrai l'esperienza che ho io ti renderai conto di quanto sei fortunata ad avere uno come quel Valdéz a seguirti.-
Orlaith sorrise, mettendo il violino sul suo supporto.
- David, io faccio una pausa!- annunciò.
- Eh? Sì, sì, come ti pare...- borbottò lui, chino sul computer dello sfortunato tecnico del suono - No, il problema è qui, vedi? Hai regolato male il gain...-
Mentre il produttore torturava il malcapitato e i Bitter si raccoglievano intorno al proprio manager per discutere di affari, Orlaith si diresse alla postazione bar, dove un uomo e due ragazze pulivano bancone e stoviglie o sistemavano le scorte di alcool.
- 'Sera, tesoro.- la accolse il pelatissimo barman, mentre il suo orecchino ammiccava sotto la luce dei led - Cosa posso offrirti? Un bel whiskey?-
- Cosa ne sai tu del whiskey?- chiese Orlaith, sedendosi allo sgabello più vicino.
- Beh, è il mio lavoro. E seguo il tuo. Secondo wikipedia adori quello irlandese.-
- Mi sa che dovrò fare qualcosa per la privacy...- sorrise lei - No, per ora niente whiskey, prima dei concerti non bevo. Dammi solo una soda.-
L'uomo le strizzò l'occhio e afferrò un bicchiere asciutto, versandoci dentro un'intera bottiglia di soda con ghiaccio e guarnendo il tutto col limone.
- Se ti serve altro chiama. Io sono Clive.- disse il barman, allontanandosi per finire l'inventario.
Orlaith gli vece un cenno di gratitudine e portò il bicchiere alle labbra. La bevanda fredda le ghiacciò lo stomaco, facendole venire un po' di pelle d'oca: era ormai quasi la fine di ottobre, e già pensava al concerto di Halloween (- Samhain, Dave! Si dice Samhain, dannazione!-) che David le aveva organizzato, così da presentare un altro, nuovo singolo su cui stava lavorando e che, finalmente, lui aveva acconsentito a pubblicare.
- Ti diverti?-
La soda le andò di traverso, colta alla sprovvista dalla voce e, soprattutto, dalla mano che le calò improvvisamente sulla spalla. Tossicchiando, si voltò col cuore in gola, e si trovò di fronte la faccia scura e magra di Jayden Allwood, imbacuccato nel suo cappotto grigio. Alle sue spalle, nei pressi della porta, vide McGrath, rigido come al solito, il cappello da autista sotto braccio.
- Tu!- esclamò quando ebbe ripreso fiato - Cosa sei venuto a fare qui?- gli chiese abbassando la voce e cercando David con lo sguardo.
- Cerco di capire che fine hai fatto.- rispose lui, incrociando le braccia - Non mi hai più richiamato.-
- Hai detto di pensarci e di prendere una decisione!-
- Sì, ma credevo che mi avresti dato notizie dopo al massimo una settimana, non dopo un mese. Non ci sentiamo da un pezzo, iniziavo a preoccuparmi.-
- Ah, certo, ti preoccupavi... e la tua rete di superspie?- grugnì Orlaith.
- Non ho una rete di superspie. Ogni tanto mi introduco nel sistema di sorveglianza di casa tua o del tuo studio, tutto qui.-
- Cosa fai?- esclamò scandalizzata lei.
- Devo tenerti d'occhio per proteggerti.- si giustificò lui, senza imbarazzo - Com'è che non ti vedo mai rincasare in compagnia? Eppure fai tardi quasi tutte le sere.-
- Tu... piantala!- sbottò Orlaith, sentendo un certo calore sotto il colletto - Smetti di ficcare il naso, non sono affari tuoi!-
Lui sorrise.
- Scherzavo.- disse - Ad ogni modo, ero davvero preoccupato.- continuò, tornando serio - Come va? Ti ho vista un po' giù di recente.-
- Sono quasi sempre giù.- rispose lei, finendo la soda - Ma ultimamente va un po' meglio. Sto puntando i piedi con David, e forse ha capito che deve allentare un po' la presa.-
- E Vaněk? Si è più fatto vivo?-
- Non direttamente. Sto cercando di evitarlo. Credevo che sorvegliassi sia lui che me.-
- Con Vaněk è più difficile.- rispose, scrollando le spalle - Ha un sistema all'avanguardia, non posso intrufolarmi troppo spesso o troppo a lungo, mi scoprirebbe. Anche usando il Cerchio finirei con...-
- Ehi, ehi, ehi!- esclamò Orlaith, guardandosi attorno preoccupata - Attento, siamo in pubblico!-
Allwood aggrottò la fronte.
- Ho solo detto "Cerchio".- disse - Chi altri oltre noi saprebbe di cosa parliamo?-
In effetti...
- D'accordo, ma comunque non hai paura che scopra la tua presenza qui?-
- Certo. Ma mi ci hai costretto tu.- rispose Allwood - Come mai non ti sei più fatta viva?- ripeté.
Orlaith sospirò.
- Senti... non puoi pretendere che mi comporti come se fosse una situazione normale.- rispose - Ho dovuto digerire parecchio... ancora non so nemmeno cosa sia vero e cosa no.-
- Ma hai sperimentato. Ti ho vista.-
Orlaith non rispose: era vero, aveva fatto altre prove, stavolta meno plateali, rimanendo chiusa in casa. Non era riuscita a fare nulla di eclatante, né era sempre successo qualcosa di particolare.
Tuttavia, nel corso dell'ultimo mese, era riuscita per ben tre volte a ripetere esperienze che di normale avevano ben poco, e in ogni occasione si erano fatte più evidenti e incredibili.
Era cominciato tutto scrivendo un brano che avrebbe suonato per la prima volta quella sera: seguendo l'idea che le aveva dato Allwood, quella di riversare il più possibile le sue emozioni nella musica e di concentrarsi su quello che sentiva mentre suonava, aveva ripensato alla città di New York e a quello che aveva significato per lei, a quello che aveva sentito vivendoci dentro e di quanto si era sentita piccola e sola.
Aveva reso il testo e la musica come se fossero dei talismani con cui farsi forza e risollevarsi. Poi aveva fatto delle prove in casa. E meno male, perché se fosse successo in studio, probabilmente avrebbe scatenato il panico. Quasi certamente il suo.
All'inizio tutto era rimasto normale come sempre, ma mentre suonava erano esplose tre lampadine, cosa che le aveva provocato un piccolo infarto. Successivamente aveva riprovato (dopo aver fatto cambiare le lampadine, ovviamente) e, stavolta, era toccato al lavandino della cucina.
A quel punto aveva rinunciato alle prove in casa, iniziando a dubitare che si trattasse di semplici guasti, e si era spostata a Central Park, trovandosi un punto particolarmente appartato dove nessuno l'avrebbe disturbata, in mezzo agli alberi e al verde, dove poteva fare tutti i danni che voleva.
Sulle prime non era accaduto nulla, e mentre se ne stava seduta a suonare e correggere le note sullo spartito sotto un albero era rimasto tutto uguale. Alla fine, comunque, era successo qualcosa di veramente assurdo.
Passato il timore, si era lasciata andare e si era immersa completamente nell'esecuzione del pezzo, alzandosi in piedi e impegnandosi sul serio. Mentre suonava aveva sentito di nuovo la stessa sensazione di quando era al City Hall Park, la stessa emozione, la stessa sensazione che qualcosa fosse cambiato.
L'aria si era fatta più vitale, il vento si era alzato facendo frusciare le fronde degli alberi.
Poi aveva sentito dei rumori, ma lei, continuando a suonare e a tenere gli occhi chiusi, aveva ignorato tutto finché non era arrivata in fondo al brano. L'unica cosa che riuscì a notare sul serio fu l'improvviso calo della luminosità di quel posto. Quando si era fermata e aveva riaperto gli occhi era rimasta sbalordita.
Gli alberi più vicini erano fioriti. Avevano fatto sbocciare talmente tanti fiori da oscurare parzialmente il sole.
I fiori fuori stagione non potevano dipendere da qualcosa di logico. Era troppo freddo, quegli alberi avevano già cominciato a perdere le foglie.
- Sì, ho fatto dei tentativi.- ammise, tornando al presente - Volevo vedere se avevi ragione.-
- E...?-
- E devo ammettere che... potrei iniziare a credere a quello che hai detto sulla mia musica.- concesse.
- Quindi cosa vuoi fare? Mi aiuterai?-
Orlaith abbassò lo sguardo: c'era un altro motivo per cui non aveva più richiamato Allwood, ovvero la foto di McGrath che lavorava per Vaněk. Era di sessant'anni prima, all'incirca, quando McGrath non era ancora nato. Quindi come poteva comparire in quella foto, pressoché identico a com'era oggi? Forse anche lui, come Allwood, era uno stregone? No, aveva ammesso di essere un umano, un "semplice maggiordomo". Non avrebbe avuto motivo di mentirle, non dopo quanto successo. Quindi cosa c'era sotto?
Non saperlo le dava fastidio, oltre che farle paura.
- Non lo so.- ammise - Tutto è così strano... prometto che ti darò una risposta chiara, ma dammi ancora un paio di giorni.-
Allwood sospirò, sconsolato e stanco.
- Bene. Ma, qualunque cosa tu faccia, non devi più provare a usare le tue abilità da sola.- la avvertì - A parte il fatto che potrebbe vederti qualcuno, può essere pericoloso. Finora ci sono stati effetti innocui, ma...-
- Ehi, stellina!-
La voce di David interruppe la conversazione, richiamando Orlaith al dovere. La ragazza lo guardò, vedendo che spalancava le braccia scocciato: il messaggio era chiaro, "muoviti e torna sul palco".
- Devo andare.- disse, scendendo dallo sgabello - Ho un concerto tra meno di due ore.-
- Resterò nei paraggi.- le disse Allwood mentre passava - Parleremo più tardi.-
Orlaith non disse niente, tornando al proprio posto. Dentro di sé covava il presentimento di essersi ficcata in una situazione impossibile da controllare e, soprattutto, da evitare.
Qualunque cosa avesse deciso, qualsiasi risposta avesse dato a Allwood, dubitava di avere una vera via di uscita.

Stanislav Vaněk seguì con lo sguardo Orlaith Alexander mentre si arrampicava di nuovo sul palcoscenico, pronta a ricominciare con le prove. Sembrava turbata, ma non spaventata o arrabbiata. Di qualsiasi cosa avessero parlato lei e Allwood, i rapporti tra loro dovevano essere relativamente buoni.
Ma quando si erano conosciuti?
- Ehi, barman... un martini.- disse Allwood, richiamandolo con un cenno, sedendosi al posto lasciato libero dalla ragazza.
Vaněk gli rivolse il suo migliore sorriso, abbandonando le bottiglie che stava mettendo via per assecondare la sua richiesta.
- Bella serata, eh?- gli disse in tono amichevole, mentre prendeva un bicchiere adatto - Lei è un amico della signorina?-
- Una specie.- rispose Allwood, senza riconoscerlo.
- Beh, a me piace. Ha talento, sa? L'ha già sentita suonare?-
Allwood annuì senza rispondere, tenendo d'occhio Orlaith che, ripreso in mano il violino, ripeteva il sound-check.
Cosa sai di lei, Allwood? Pensò Vaněk.
Si trattenne dall'aggiungere qualcosa di letale al drink, consapevole che l'avversario se ne sarebbe accorto e lo avrebbe smascherato.
- Se vuole altro chieda pure alle ragazze... io vado un attimo in magazzino!- gridò alla più vicina.
- Okay, Clive!- disse lei.
Vaněk entrò nella parte retrostante del baracchino del bar, dove lo attendeva il vero barman, seduto in un angolo con gli occhi fissi sul muro. Era rimasto catatonico per tutto il tempo, ma alle due ragazze che lo assistevano era sembrato solo una pila di casse.
La mente umana si manipolava con troppa facilità.
Cambiò il proprio aspetto, assumendo le sembianze di un semplice tecnico, e schioccò le dita davanti al naso dell'uomo. Quello si rianimò con un sussulto.
- Cosa... cos'è successo?- borbottò confusamente, alzandosi in piedi.
- Ti sei addormentato.- disse Vaněk - Meglio se torni al lavoro.-
- Eh... sì, certo.- rispose lui, ancora stordito.
Uscì dal magazzino con passo un po' incerto, senza guardarlo due volte.
E ora andiamo a occuparci di quei due... Pensò, andando verso il palcoscenico.
Era rimasto in disparte troppo a lungo. Allwood doveva imparare a stare al proprio posto.
 

Scusate, non ho potuto postare. A casa non ho adsl al momento, e non so quando mi tornerà. In ogni caso, il capitolo è questo.
Ringrazio John Spangler, Old Fashioned, _Alexei_, Kira16, Fiore di Girasole, Sahara_2 e Queen FalseHeart, che mi stanno seguendo. A presto!

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Capitolo 14
*** Cap. 13: L'inizio del concerto ***


- Ottimo, ottimo...- disse con aria soddisfatta David, fregandosi le mani. Aveva un'espressione degna di Gatto Silvestro (prima di essere bastonato dal canarino, ovviamente) - C'è un sacco di gente. La notizia del nuovo singolo e la presenza dei Bitter Cake ha attirato un'orda di fan! Sarà un successone!-
Dietro le quinte, tutti si stavano preparando: Ed e i suoi stavano ripetendo la scaletta, in particolare quella dei brani che avrebbero suonato da soli, senza di lei, mentre alcuni addetti finivano di orientare i faretti o di collegare le macchine del fumo; Orlaith, invece, era stata sequestrata da David, che da quando avevano aperto le porte non l'aveva più mollata un secondo. Con gran sollievo di tutti i tecnici, naturalmente.
- Piccola, oggi sono molto fiero di te.- stava dicendo - Il nuovo brano è quasi perfetto. Ti senti pronta a eseguirlo per la prima volta, vero?-
- Sì, certo... aspetta!- esclamò, accigliandosi - Perché dici "quasi"? Cos'ha che non va?-
- Beh, si coglie una nota vagamente amara, leggendo tra le righe del testo.- rispose lui, non cogliendo la sua espressione - Però la musica è forte, e le parole sono di incoraggiamento, quindi è passabile. E poi, lo ammetto, è da un po' che quel vecchio catorcio di Vaněk mi rompe i coglioni... comunque siamo tutti soddisfatti, giusto?-
Finalmente si voltò e, notando quanto poco soddisfatta fosse effettivamente la sua faccia, smise di sorridere.
- Cioè... non fa schifo, non l'ho mai detto!- si affrettò a spiegare - Solo che non voglio farti cantare roba deprime... no, no, mi sono espresso male...-
- David...- grugnì Orlaith - ... fatti un favore: sta' zitto.-
Il produttore tacque indietreggiando, mentre i Bitter Cake salivano sul palco, tra gli applausi adoranti della folla. Orlaith si sporse leggermente per guardare: a occhio c'erano almeno un centinaio di persone su quel tetto, e quasi tutti erano ricchi rampolli di famiglie in vista di Manhattan. David aveva voluto fare in modo che l'evento fosse il più esclusivo possibile: secondo lui, meno gente avesse assistito più assatanato sarebbe stato il pubblico, al momento di comprare il biglietto. Gli introiti avrebbero coperto abbondantemente tutte le spese.
Con suo sommo stupore, riuscì a individuare Allwood e McGrath (anche se solo grazie a quest'ultimo, così alto da sovrastare quasi chiunque altro): erano vicini al bar, e Allwood era seduto su uno sgabello, mentre il maggiordomo se ne stava in piedi al suo fianco. Erano lontani, ma le sembrava che stessero parlando di qualcosa.
- Chi è il tipo?-
Orlaith si voltò verso il produttore, e vide che si era sporto insieme a lei, incuriosito.
- Cosa?-
- Quello che stai guardando adesso. Quello col pinguino gigante. Hai un fidanzato adesso? È per questo che mi eviti? Piccina, credevo di essere io l'uomo della tua vita...-
- Non è il mio fidanzato!- sbottò - Quello è un... cliente. Forse.-
David aggrottò la fronte, guardandola stupito.
- Cosa?-
- Sì, vuole... lezioni di violino.- buttò lì - Ho incontrato lui a Staten Island un mese fa. Voleva chiedermi se potevo insegnare a suonare a suo nipote.-
David sgranò gli occhi, esterrefatto.
- Lezioni di violino a un marmocchio?- esclamò - Madre de diòs, che ti dice il cervello? Credi che Gene Simmons vada a dare lezioni di basso alla gente?-
- Beh, io non sono Gene Simmons. La mia lingua è normale.- replicò stizzita Orlaith, cominciando a urlare per sovrastare la musica dei Bitter.
Peccato, faresti felice un sacco di gente...-
- Piantala di essere volgare, Dave! Decido io se mi va di dare qualche lezione ogni tanto!-
- E da quanto va avanti? Vai da lui ogni volta che mi chiedi dei giorni liberi?-
- Non ho ancora accettato! Nei giorni che mi prendo sto a casa a scrivere o a dormire!-

McGrath stava guardando il palco, dove una band a lui sconosciuta suonava della musica alquanto rumorosa e ritmata; la moltitudine di adolescenti lì attorno, scatenata dalle note, faceva quasi più baccano dei musicisti, gridando e ballando. Alcuni avevano in mano bicchieri di plastica pieni di sostane alcoliche, e gli addetti al servizio bar facevano del proprio meglio per soddisfare le richieste dei numerosi clienti che si accalcavano al bancone, intorno a lui e al signor Allwood.
- Con tutto il rispetto, signore, ritiene davvero necessario attendere la fine del concerto?- gridò - Personalmente ritengo che miss Alexander stia abbastanza bene adesso, e non vorrei che la situazione...-
- McGrath, lascia che sia io a preoccuparmi di lei!- urlò in risposta Allwood, sorseggiando un martini - Atteniamoci a quanto stabilito!-
- Ma se decidesse di non venire con noi...?-
- Lo farà!- gridò Allwood - In fondo, quale altra scelta le resta?- guardò il maggiordomo dritto negli occhi, aggrottando la fronte come se lo stesse valutando - Da quando ti fai tutte queste domande?-
- Non contesto il suo operato, signore.- rispose McGrath - Come ben sa, sono con lei, e lo sarò fino alla fine. Il signor Vaněk deve essere fermato prima che sia tardi. Solo, non vorrei che si spingesse troppo oltre.-
Allwood sorrise senza rispondere e, con un solo sorso, finì il resto del suo martini, per poi alzarsi facendo per dirigersi verso la toilette. Mentre si voltava scorse qualcosa che lo fece accigliare e, seguendo il suo sguardo, McGrath vide un uomo in piedi a poca distanza dalla porta.
Nonostante la pessima illuminazione data dalle coloratissime luci pulsanti, non gli fu difficile riconoscere Vaněk.

Quando i Bitter Cake ebbero terminato con le canzoni d'apertura, fu il momento per Orlaith di salire sul palco insieme a loro. David le diede una vigorosa pacca sulla spalla, forse un po' troppo forte ma comunque sentita, e le fece cenno col braccio, mentre il pubblico la acclamava.
- Vai!- gridò - Senti questi applausi? Sono per te, bimba!-
Orlaith inspirò a fondo, scacciando la solita ansia da prestazione con lo stratagemma del suo Giardino Privato, e salì sul palcoscenico. Gli applausi esplosero in un'ovazione, alla quale rispose con un sorriso e un saluto col braccio. Il senso di oppressione che aveva sentito durante le sue ultime esibizioni, anche se non era svanito del tutto, si era un po' attenuato durante quell'ultimo periodo, e dovette sforzarsi di meno per sembrare la Sparkling Star che tutti (David per primo) si aspettavano di vedere.
Scorse il tecnico del suono farle un cenno per dirle che il suo microfono era acceso, e che tutti potevano sentirla.
Bene... siamo in ballo.
- Salve, New York!- gridò dopo aver raggiunto il violino, suscitando un nuovo scroscio di applausi - È magnifico essere qui stasera! Un grazie soprattutto ai Bitter Cake, che hanno aperto la serata e che mi accompagneranno fino a fine concerto!-
L'ennesima ovazione, l'ennesimo applauso. Sentì anche dei fischi diretti al suo indirizzo, provenienti da qualcuno in mezzo alla folla.
Mentre era rivolta verso i fans, non poté non indugiare di nuovo con lo sguardo verso Allwood e McGrath. Scoprì che si erano spostati un po' più in là, vicino ai tavoli posti nella parte più lontana della terrazza. Con loro c'erano almeno altre tre persone. Le ci volle un po' per riconoscere Vaněk.
Oh... maledizione!
Si costrinse a distogliere lo sguardo e a concentrarsi: quei due erano più che in grado di badare a se stessi, e qualsiasi cosa stesse succedendo con Vaněk potevano farcela anche senza di lei. Ora aveva un concerto di cui preoccuparsi.
- Oggi sentirete un nuovo brano!- annunciò, prendendo il proprio strumento dal supporto - L'ho scritto personalmente, e farà parte del prossimo album, in uscita tra pochi mesi! Spero che lo apprezzerete!-
Mentre il pubblico esprimeva il suo entusiasmo, gettò un'altra occhiata a McGrath, Allwood e Vaněk: i toni della conversazione sembravano essersi fatti più concitati, e Allwood le parve più agitato.
Cosa state dicendo?

Qui il brano

Portò l'archetto sulle corde del violino e cominciò a suonare un vecchio brano, in cui lei aveva una parte esclusivamente strumentale (quello nuovo, che prevedeva delle parti cantate, lo avrebbe eseguito solo a metà serata). Anche durante l'esecuzione fece del proprio meglio per capire cosa stesse succedendo in fondo al tetto.
Per quanto Allwood sembrasse furioso, Vaněk manteneva per contrasto un'apparenza impassibile, al contrario dei due che erano con lui: probabilmente si trattava di guardie del corpo, a giudicare dalla corporatura e dall'atteggiamento, perché accennarono a intervenire quando Allwood mosse un passo avanti, e si fermarono solo a un gesto dell'affarista.
Purtroppo non poteva prestare troppa attenzione a loro, non mentre suonava. Tornò a concentrarsi esclusivamente sulla musica, stando attenta a non calarsi eccessivamente nell'esecuzione del brano: se si fosse lasciata andare fino in fondo Dio solo sa cosa sarebbe successo. Non voleva far scoppiare i faretti come le lampadine di casa sua... o peggio.

L'esecuzione terminò con un nuovo applauso, nel quale si percepiva l'impazienza del pubblico: volevano il nuovo singolo, e lo volevano subito.Vide Dave dalle quinte farle cenno di procedere. Era il momento.
- Grazie! Grazie a tutti voi!- disse. Allwood, McGrath, Vaněk e i due gorilla non si vedevano più - Wow, siete proprio energici, stasera!- esclamò, quando un coro di incitamento si levò dalla platea - Tu che ne dici, Ed? Andiamo con il nuovo singolo?-
Il tastierista fece un gesto con le spalle, come per dire "mah, fai tu".
- Beh, sembra che la decisione spetti a me! Il nostro Ed declina ogni responsabilità!- ridacchiò - E allora, gente... uno... due... e un, due, tre, qua...-
Prima di poter dire "quattro", Orlaith sentì un potentissimo spostamento d'aria che le fece quasi perdere l'equilibrio arrivare da dietro. Il pubblico lanciò esclamazioni di sorpresa mista ad ammirazione, indicando qualcosa dietro di lei. La violinista si voltò a guardare cosa avesse attirato la loro attenzione.
A differenza di quello che credevano tutti, non era un effetto speciale: sul telo dietro il palco, quello che copriva le quinte, si era acceso un enorme Cerchio Magico.
Oh no...

Scusate se non ho postato prima, ma anche se mi è tornata la connessione ho avuto alcuni inconvenienti tecnici, così ho fatto tardi.
Ringrazio John Spangler, Old Fashioned, _Alexei_, Kira16, Fiore di Girasole, Sahara_2 e Queen FalseHeart, i lettori che mi seguono. A presto!

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Capitolo 15
*** Cap. 14: Il potere dello stregone ***


Il Cerchio Magico si fece sempre più luminoso, il vento più forte. Fumo azzurrino che sapeva vagamente di incenso cominciò a uscire dalla luce. Qualunque cosa stesse per succedere, Orlaith dubitava che fosse un buon segno.
Nessuno, a parte lei, sembrava avere capito davvero cosa fosse quello strano simbolo luminoso, che tutti avevano scambiato per un effetto speciale. Anche i Bitter Cake esplosero in un breve applauso, convinti che fosse una sorpresa orchestrata ad arte per la presentazione del nuovo singolo.
Sentì che stava cedendo al panico.
Oddio, e ora che faccio? Come la risolvo? È stato Jayden? Vaněk? È un bene? È un male? Devo fermarlo? E come si fa?
- Ehi! Ragazzina!-
Sentì la voce di Allwood, a malapena udibile sotto gli applausi, richiamarla dalle quinte. Lo guardò, notando che era scarmigliato e che il suo giubbotto presentava strappi e segni di lievi bruciature.
Cos'è successo?
- Suona!- gridò, mimando con le braccia - Annulla quell'affare! Puoi riuscirci!-
Lei scosse lentamente la testa, terrorizzata: non ce l'avrebbe mai fatta.
- Sì che puoi! Concentrati! Pensa a quello che vuoi ottenere e suona!-
All'improvviso guardò alla propria destra, accigliandosi, e scappò via. Subito dopo passò uno dei due grossi gorilla di Vaněk, e Orlaith vide che aveva i vestiti a brandelli e, soprattutto, gli mancava un braccio, ma ciononostante non sanguinava. Anzi, era completamente indifferente alla cosa, e dalla manica lacera non spuntava un moncherino di carne, ma qualcosa di più simile all'argilla secco, che sbriciolandosi lasciava una piccola scia di polvere alle sue spalle. Era un Homunculus.
Il Cerchio Magico acquistò ancora più vigore, poi cominciò a pulsare. Un debole tremito prese a scuotere il palco. Qualsiasi cosa dovesse succedere mancava poco. Davvero poco.
Orlaith lo guardò per un attimo, spaventata, poi si voltò di nuovo verso la folla, che continuava a non capire cosa stesse davvero accadendo, ma anzi la incitava a iniziare. Vide i Bitter Cake lanciarle sguardi perplessi, in attesa.
Guardò verso la postazione del tecnico sonoro, e vide che era sparito. Al suo posto c'era McGrath.
Non sorrideva, ma sembrava risoluto. Le mostrò il pollice, annuendo con decisione: la stava incitando a suonare.
Non aveva altra scelta: almeno, doveva tentare.
Scacciò la paura, zittì mentalmente la folla, ignorò come meglio poteva il Cerchio Magico alle sue spalle e infine sollevò l'archetto. Escluse tutto, fece l'impossibile per concentrarsi solo sulla musica.
Qualunque cosa sarebbe successa, almeno avrebbe provato a fermarla.

Qui il brano

Immergiti nella musica! Immergiti nella musica!
Bitter Cake iniziarono a suonare, mentre il pubblico si zittiva all'istante e la sua voce, mandata da McGrath attraverso il playback (non riusciva a cantare e suonare contemporaneamente), accompagnò subito le loro note. Dopo pochissimo fece scorrere l'archetto sulle corde del violino, aggiungendo anche il suo contributo.
Immergiti!
Il ritmo si fece rapidamente più serrato e vivace. Le note serpeggiarono tra la platea. Il gigantesco Cerchio Magico alle sue spalle continuò a pulsare, mentre del fumo biancastro iniziava a uscire dai segni luminosi che lo componevano.
Divertiti!
Seguendo il ritmo, continuò a suonare con il violino, assecondando le note anche con il corpo. Perse la cognizione dello spazio e del tempo che scorreva. Esistevano solo lei, il suo strumento e la sua musica. Tutto il resto era solo rumore di fondo.
Davanti ai suoi occhi chiusi passarono immagini che vedeva unicamente lei: la luce alle sue spalle era un sole splendente, che illuminava New York a giorno, e pulsava perché lei si trovava in una stanza cilindrica di pannelli opachi e trasparenti, che le ruotavano intorno ad una velocità costante, alternando momenti in cui la luce passava e momenti in cui era tagliata fuori.
Il tremito sotto i suoi piedi danzanti era il motore che faceva muovere le pareti.
Il debole odore di incenso era dato dalle bacchette che bruciavano lentamente sul pavimento
La città era all'esterno, ma diversa dal solito. Non più un connubio di vita, di rumori e di persone, ma un luogo fermo, silenzioso, eppure non morto: era in ascolto. Ascoltava ciò che avveniva in quella stanza.
La stanza era il suo mondo. La comandava lei, e nessun altro. Il controllo su tutto ciò che vedeva era suo.
I fumi dell'incenso si raccolsero in due grandi volute e le vorticarono intorno, circondandola e seguendo i suoi movimenti, accompagnando le rapide stoccate dell'archetto e i suoi passi, danzando con lei, come un'ombra, o un fantasma. La seguiva e l'abbracciava, compagno e amante in quel mondo di musica.
La stanza cominciò a vorticare più in fretta, la luce a pulsare con più rapidità, mentre il crescendo della musica saliva e il tremito del pavimento si intensificava. Quando la luce riusciva a entrare diventava ogni volta più forte, più vivida, e gli edifici fuori dalla stanza sfocavano.
Ma non era questo che lei voleva: la luce doveva spegnersi, il tremito arrestarsi, la stanza fermarsi.
Impose il suo desiderio sul mondo che la circondava. Il tremito, a mano a mano, diminuiva, mentre il motore rallentava i giri. La luce calò d'intensità, la stanza vorticò sempre meno velocemente.
Poi il brano giunse alla fine.
Con lentezza, le pareti si fermarono, oscurando il sole all'esterno, e l'incenso si esaurì e si dissolse, mentre il pavimento si acquietava del tutto.
E quando riaprì gli occhi, un boato di applausi esplose davanti a lei.

Mentre Orlaith Alexander si perdeva tra le note della sua stessa musica e le parole della canzone, Vaněk osservava da lontano la scena con muto interesse, seduto su una poltrona da giardino sul tetto del palazzo più vicino. Davanti agli occhi teneva un binocolo.
Il Cerchio Magico era appena entrato in fase critica quando lei aveva iniziato a suonare, eppure non accadeva nulla: la magia pulsava, a tratti sembrava pronta a esplodere e a spazzare via tutto ciò che c'era sulla terrazza, facendo scomparire i suoi nemici in un attimo.
Ma, per quanto sembrasse instabile e pronto a fare il proprio dovere, il Cerchio Magico non scattava: i fumi che uscivano da esso si raccoglievano vicino a Orlaith, vorticandole intorno come se fossero animati da una volontà propria, muovendosi insieme a lei. Scintille lucenti ogni tanto scoppiettavano nell'aria attorno alla violinista, sorprendendo il pubblico e strappandogli grida di ammirazione. Nessuno riusciva a capire cosa stesse accadendo in realtà.
Stava trattenendo la magia del Cerchio tutta da sola, anche se non era addestrata. Ovviamente non avrebbe resistito a lungo. Non era ancora in grado di farlo, e se fosse durato di più probabilmente lui l'avrebbe avuta vinta, e lei sarebbe morta.
Molto, molto interessante.
Indugiò per un attimo sulla faccia concentrata della giovane violinista, poi abbassò il binocolo e mosse appena una mano, fermando gli effetti della magia prima che potesse arrivare al punto di non ritorno, spazzando via lei, i suoi fan e probabilmente metà del palazzo.
Non era ancora pronto a sacrificarla.
Si stava alzando per andarsene quando un nuovo Cerchio Magico, stavolta più piccolo, comparve poco distante da lui. Al suo interno si materializzò un uomo privo di un braccio e di parte della testa, coi vestiti a brandelli. Dalle ferite non perdeva sangue, ma frammenti e polvere di argilla.
- Mh.- commentò, squadrandolo da capo a piedi - Vedo che è stata una dura battaglia. L'altro?-
- Distrutto completamente, padrone.- rispose l'Homunculus, come se nemmeno si fosse reso conto di essere ridotto in frammenti - Allwood è molto versato nella Quinta Arte. Ma lo abbiamo ferito.-
- Almeno è qualcosa.- concesse Vaněk.
Senza un'altra parola schioccò le dita, e l'Homunculus si disfece come sabbia sotto una ventola, lasciando solo un mucchietto di polvere al suo posto.
Ora però devo occuparmi della cosa. Pensò, allontanandosi. Allwood non doveva intromettersi.
Lavorava a quel progetto da troppo tempo, e non vi aveva investito così tante risorse per essere fermato proprio adesso. La musica di quella ragazza era potente, abbastanza da garantirgli molto più di quanto avrebbe mai ottenuto coi suoi soli poteri... non poteva permettere al suo nemico di appropriarsene.
Ripensò alla loro conversazione, a come gli era sembrato sicuro di sé e delle sue possibilità. Soprattutto ora che aveva rivelato a Orlaith Alexander le sue intenzioni, omettendo tuttavia una grossa fetta di verità, così da assicurarsi che lei lo aiutasse.
Ma non aveva importanza.
Non riuscirai a fermarmi, ragazzo.

Ora che la musica era terminata, Orlaith si sentiva debole e svuotata. Il panico l'aveva lasciata senza forze, e le tremavano le gambe. Forse era addirittura un effetto collaterale di quanto aveva fatto, e dubitava di poterci riuscire di nuovo tanto in fretta.
Tuttavia, non era accaduto nulla. Nulla di brutto, almeno.
Era riuscita a fermare il Cerchio Magico e i suoi effetti, qualsiasi essi fossero. Nessuno si era fatto male.
Ce l'ho fatta...
Sentì le ginocchia cedere; il pubblico trattenere il respiro, ma prima di poter toccare terra venne agguantata da un paio di mani robuste. Alzando lo sguardo vide Ed, preoccupato, che la sosteneva.
- Tutto bene?-
Lei annuì, sforzandosi di stare dritta e togliendosi il microfono.
- Sono stanca...- mormorò - Non.. non credo di poter continuare. Scusa.-
Ed annuì.
- Ti accompagno di là... Cole, vieni, dammi una mano. Facciamola sedere.-
Il bassista dei Bitter Cake corse ad aiutarlo, e dopo averle preso il violino la portarono dietro le quinte mentre il chitarrista si scusava con il pubblico e assicurava tutti che lei aveva solo avuto un calo di zuccheri. Una scusa plausibile.
- Ehi, bella trovata quel cerchio luminoso e tutto il resto.- disse Cole, mentre scendevano cautamente le scalette - Perché non ce ne avete parlato?-
- Eh... era una... sorpresa, sai...- rispose confusamente Orlaith.
Sul momento non aveva la forza di inventarsi di meglio. Anzi, temeva il momento in cui David le avrebbe fatto delle domande.
I due musicisti, comunque, non parvero interessati particolarmente alla cosa, e smisero subito di farle domande, limitandosi ad aiutarla a raggiungere la sedia più vicina e a sedersi.
- Per ora dovrai accontentarti di questo.- disse Ed - Ora ti prendo l'acqua... ma dove sono tutti?- chiese, guardandosi improvvisamente intorno.
- Per la miseria!- esclamò Cole - Cosa diavolo è successo qui dietro?-
Anche Orlaith diede un'occhiata in giro, e vide che il piccolo backstage era in uno stato pietoso: c'erano segni di bruciature sparse, Cerchi Magici sbiaditi tracciati un po' qua e là, casse rovesciate, cavi buttati in disordine o aggrovigliati intorno ad alcuni pali... gli specchi delle postazioni trucco erano tutti rotti, e non c'era più una lampadina che funzionasse in tutto il retropalco.
Allwood doveva aver dato battaglia a quei due Homunculus nel modo più duro possibile.
- Santo cielo... qui è passato un terremoto!- esclamò il chitarrista della band, appena arrivato - Ragazzi, cos'è successo? E tu stai bene?- chiese a Orlaith.
Prima che qualcuno potesse rispondere si udì un rumore di passi, e girandosi in quella direzione videro McGrath che si avvicinava sostenendo Allwood, il quale sembrava provato quanto e più di Orlaith: si teneva una mano premuta sul fianco, e tra le dita filtrava un po' di sangue.
- Devo chiedervi di dimenticare tutto.- disse Allwood, prendendo dalla tasca del giubbotto uno dei suoi stracci su cui era disegnato un Cerchio Magico - Questa storia non vi riguarda.-
Tese il panno a McGrath, che lo dispiegò e lo prese con entrambe le mani per tenerlo bene aperto. Appena Allwood lo ebbe toccato ci fu un rapido flash luminoso, di appena un secondo, e quando fu esaurito Ed, Cole e il loro chitarrista erano imbambolati in piedi dove si trovavano.
- Cosa gli hai fatto?- chiese Orlaith.
- Li ho solo storditi.- rispose Allwood, prendendo un pennarello dalla tasca e sollevando la felpa per scoprire la ferita - Tranquilla, si riavranno presto. Non ricorderanno nulla di noi due.-
Col pennarello disegnò un nuovo Cerchio Magico direttamente sulla pelle, mentre McGrath le si avvicinava, ignorando i tre musicisti.
- Se la sente di camminare?- le chiese - Vuole che la porti in braccio?-
- Sto bene, McGrath!- esclamò lei, alzandosi e raccogliendo il violino - Puoi smetterla di... di servirmi per cinque minuti? Mi metti in imbarazzo!-
Allwood ridacchiò, toccando il Cerchio disegnato sulla sua pelle. Quello si illuminò brevemente e, dopo pochi istanti, la ferita si richiuse quasi del tutto.
- Mmmh...- grugnì - Servirà una benda.-
- Sarò lieto di medicarla appena saremo al sicuro.- rispose McGrath - Miss Alexander, se vuole seguirci...-

Altro piccolo ritardo, scusate. Ringrazio come sempre John Spangler, Old Fashioned, _Alexei_, Kira16, Fiore di Girasole, Sahara_2 e Queen FalseHeart, che mi stanno seguendo, e anche Fan of The Doors, che ha appena cominciato a leggere questa storia. A presto!

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Capitolo 16
*** Cap. 15: Verso il Lincoln Tunnel ***


- Cos'è successo? Perché è comparso un Cerchio Magico sul palco? E cosa ci faceva Vaněk lì con noi? Cosa diavolo hai combinato, accidenti?-
Passato lo shock iniziale, Orlaith aveva cominciato a sentire la rabbia mescolarsi alla paura. Aveva probabilmente rischiato di essere vaporizzata, o... o risucchiata... o qualsiasi cosa sarebbe successa se avesse lasciato agire il Cerchio Magico.
Una volta arrivati in auto si era sentita abbastanza al sicuro da cominciare a esternare tutta la propria frustrazione.
- Calmati, Orlaith. Per favore.- disse Allwood, aprendo una bottiglia d'acqua - McGrath, mi passi...?-
Il maggiordomo allungò una mano e prese un flacone di aspirine dal portaoggetti, allungandolo al suo padrone. Allwood ne buttò giù due come se fossero mentine insieme a un sorso d'acqua, e sospirò con aria sfinita.
Orlaith tacque, senza smettere di fissarlo accigliata. Quando riaprì gli occhi e vide la sua faccia le fece una smorfia di scuse.
- Suonare un violino può essere faticoso, ma nemmeno la magia è uno scherzo.- disse - Un uso prolungato porta... conseguenze.-
- Con tutto il rispetto, è strano sentirglielo dire, signore.-
- Sì, grazie tante, McGrath.- sbuffò Allwood - Il Cerchio Magico era di Vaněk.- disse, tornando a rivolgersi a lei - Non avevo previsto il suo arrivo, deve aver voluto fare una specie di prova sui tuoi poteri. Mi ha mandato contro due Homunculi, per questo non ho potuto aiutarti.-
- Voleva vedere se riuscivo a fermarlo? Perché?-
- Forse curiosità.- rispose lui - Ma sappilo, non hai annullato tu il Cerchio Magico, non sei ancora in grado... è evidente che lo ha fatto da solo. Tu lo hai solo trattenuto... il che è già una cosa non da poco.- concesse.
- Già, bella consolazione.- commentò amaramente lei - Dov'erano i tecnici? E dov'è finito Dave? Era dietro le quinte prima che iniziasse il concerto.-
- Sì, e se l'è quasi fatta addosso quando ha visto che staccavo il braccio a un Homunculus.- ridacchiò Allwood - Tranquilla, stanno tutti bene... gli ho fatto la stessa cosa che ho fatto a quei tuoi amici... David di sicuro si starà svegliando adesso in bagno, confuso e convinto di aver alzato un po' il gomito.-
- Ma sta bene?-
Sta bene!- sottò con veemenza lui - Scusa.- disse poi - Stanchezza.-
- Ma non mi dire...- replicò Orlaith - E ora che si fa?-
- Ti portiamo da noi, ovvio.- rispose Allwood - Ormai Vaněk sa che sei dalla nostra parte...-
- Scusa, quando te l'avrei detto questo?-
- Non lo hai fatto, è lui ad averlo presunto. In ogni caso, ormai non puoi tirartene fuori.- chiarì lui - Quindi devo insegnarti quello che posso. La prossima volta che Vaněk userà il Cerchio Magico, dubito che sarà un test.-
Si guardò alle spalle, tirando fuori il cellulare, e riattivò l'app per il traffico che aveva usato anche l'ultima volta.
- McGrath, c'è una macchina dietro di noi. Seminala.-
Il maggiordomo annuì e cambiò marcia. Con un sussulto, l'auto accelerò; appena arrivarono a un incrocio sull'undicesima fece una brusca sterzata che li centrifugò come se fossero su un ottovolante troppo veloce, in uno stridio di gomme sull'asfalto. Qualcuno suonò un clacson, e si vide un lampo di luce.
- Una fotocamera del traffico.- disse McGrath.
- Sì, pagherò la multa... ora corri!- replicò Allwood - Al Lincoln Tunnel, sbrigati!-
McGrath deviò verso la nona, schiacciando l'acceleratore. Orlaith guardò fuori dal lunotto, e vide una macchina scura che sterzava bruscamente, inseguendoli.
- Un inseguimento in auto?- esclamò, incredula - Gli stregoni si inseguono in macchina?-
- Le scope sono obsolete... McGrath, vai sulla trentasettesima, ci sono dei lavori più avanti!-
- C'è Vaněk là dentro?- chiese Orlaith - Possiamo buttarlo fuori strada?-
- Siamo su una Hispano-Suiza del trentacinque, quella dietro di noi è una Aston Martin Vanquish Volante del duemilatredici!- rispose con una risata amara Allwood - Ci schiaccerà come una lattina! McGrath, prendi la nona, poi torna sull'undicesima!-
- Ma c'è Vaněk in quell'auto?-
- No, non c'è Vaněk, alla guida!- sbottò spazientito Allwood - Avrà mandato un qualche altro Homunculus, ne ha a tonnellate...-
- Signore, quell'auto può andare a quasi trecento chilometri orari.- osservò McGrath - So che ha fatto modificare il motore, ma...-
- A tavoletta.- disse in tono perentorio - Resisti più che puoi, se arriviamo all'incrocio col Lincoln Tunnel siamo a posto... Orlaith, tu devi suonare di nuovo, se li rallenti sarà più facile dopo.-
Orlaith lo guardò con tanto d'occhi.
- Cosa?- esclamò - Adesso?-
- Sì, adesso... so che è difficile, ma ho finito i Cerchi Magici che avevo preparato, e non posso disegnare abbastanza bene in queste... condizioni!- sbuffò, mentre McGrath faceva un'altra brusca sterzata, finendole quasi addosso.
- E io potrei suonare, secondo te?- chiese, allibita.
- Orlaith, non parlo della macchina, sono esausto! Sei l'unica che...-
- Non posso suonare... con la macchina... che sbanda!- protestò, mentre McGrath zigzagava tra le altre auto. Alcune lanciarono dei richiami indignati col clacson.
- Le mie scuse!- disse McGrath, sterzando di nuovo.
All'altezza con la quarantaduesima tornarono di nuovo sulla nona. Avevano aggirato un cantiere che rallentava il traffico più a nord, e ora la strada era decisamente più sgombra. Erano vicinissimi all'incrocio con la quarantanovesima, che li avrebbe condotti nei pressi dell'ingresso del Lincoln Tunnel.
Ciò, tuttavia, giocò a loro sfavore.
- Signore, l'auto sta accelerando.- annunciò McGrath, sbirciando dallo specchietto - Non posso più distanziarla. Dobbiamo farlo ora.-
- Tieni l'auto più stabile possibile!- ordinò Allwood - Orlaith...-
- SUONARE IN AUTO È IMPOSSIBILE!- sbottò lei, furiosa.
- Non ti sto chiedendo di suonare, devi allacciare la cintura!- esclamò lui, afferrando il gancio dietro la sua spalla e tirando.
La legò al sedile e fece lo stesso per sé. Un attimo dopo McGrath inchiodò.
Ci fu un terribile stridio di freni, e per un secondo Orlaith fu certa che la Aston Martin li avrebbe speronati. Tuttavia, non era esattamente dietro di loro, e gli sfrecciò affianco a gran velocità.
Il guidatore sterzò bruscamente, facendo un testacoda e mandando fuori strada un taxi che passava in quel momento lì accanto, finendo contro un idrante.
Un attimo dopo l'asfalto sotto la Aston rivelò un nuovo Cerchio Magico, e una foschia scintillante avvolse l'auto. Appena la ebbe ricoperta del tutto si dissolse, portando la Aston Martin con sé.
- Bene...- ansimò Allwood, ora sudaticcio - Andiamo... andiamo via, forza.-
Orlaith fissò il punto in cui era scomparsa l'auto che li inseguiva, poi si voltò verso Allwood, che le apparve più provato che mai. La ferita al fianco si era riaperta, infatti ci premeva di nuovo contro la mano. Lo vide anche stringere gli occhi e i denti per un secondo, e si afferrò l'avambraccio sinistro con la mano libera, come se gli facesse un male tremendo.
- Stai bene?-
- No...- grugnì tra i denti - Sì...- esalò poi, quando il dolore parve essere passato - Te l'ho detto... la magia ha delle... conseguenze...- ansimò.
Si accasciò contro il sedile, sfinito.
- Signore, vuole che la porti in ospedale?-
- E cosa gli diciamo? Che mi sono ferito in un duello di magia ed ho esaurito le forze attivando una trappola magica che avevo piazzato in una strada pubblica questo pomeriggio?- scosse la testa - Orlaith, sotto il sedile davanti a te c'è un piccolo kit di pronto soccorso... potresti...?-
Lei esitò un attimo, poi si allungò per prendere quanto richiesto, sempre più sconvolta.

Oggi sono riuscito a postare in tempo. Un ringraziamento va a John Spangler, Old Fashioned, Fan of The Doora, _Alexei_, Kira16, Fiore di Girasole, Sahara_2 e Queen FalseHeart, che mi stanno seguendo. A presto!

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Capitolo 17
*** Cap. 16: Allwood e Vaněk ***


Non aveva idea di come medicare una ferita, ma Allwood sembrava più che in grado di cavarsela da solo, perché prese in mano bende, cerotti e forbici e non le chiese più nulla.
Mentre si metteva garza e nastro sulla pelle per fermare la fortunatamente contenuta emorragia, Orlaith si abbandonò contro lo schienale, sfinita da tutte le emozioni di quella serata.
- Non ce la faccio più...- gemette.
- Cosa?-
- Non ce la faccio più!- ripeté in tono più convinto - Basta! Questo è... è troppo!-
Allwood tagliò un pezzo di nastro per fermare la parte superiore della garza.
- So che sei esausta...- esordì, ma lei non lo lasciò finire.
- Esausta?- ripeté, furiosa - Esausta? Sono disrutta, Jayden! Da quando ti ho conosciuto me ne sono successe di tutti i colori! Non so nemmeno chi sei, non so se posso fidarmi di te...-
- Ti ho salvato due volte la vita.- replicò lui, accigliato.
- Già, ma ancora non ho visto Vaněk cercare di uccidermi!-
Allwood aggrottò la fronte.
- Pensi che questo sia un gioco?- chiese - Che mi stia divertendo? Vaněk è un mostro che usa le persone, Orlaith, e devo fermarlo prima che faccia del male ad altri!-
Sollevò la manica della felpa, mostrandole la cicatrice da ustione. Orlaith vide che era peggiorata, risalendo fino al gomito e aggiungendo nuove piaghe, anche se evidentemente vecchie di anni. Cosa impossibile, visto che l'ultima volta era molto più piccola e meno grave.
- Mi succede ogni volta che eccedo con la magia.- disse - Me l'ha fatto lui, per tenermi a freno. Più magia uso più la cicatrice si estende, e non riesco a liberarmene. Non l'hai visto minacciarti direttamente perché non ne ha bisogno, mai! È così che agisce.-
Orlaith non disse niente, fissando la bruciatura con un nodo in gola.
- So che non ce la fai più, ma non hai scelta.- disse, rimettendo a posto i vestiti - Se non può averti ti ucciderà. Per lui sei tanto preziosa quanto pericolosa, e non ti lascerà in pace. Io però posso aiutarti.-
Orlaith annuì in silenzio, mentre McGrath svoltava e imboccava l'ingresso del Lincoln Tunnel. Seguendo il flusso del traffico notturno, attraversarono con calma la galleria, adesso che non c'era più nessuno ad inseguirli.
- Non hai paura che qualcuno risalga a te?- chiese quando erano ormai a metà strada dall'uscita - Un inseguimento per mezza Midtown, un taxi che si schianta contro un idrante e un'auto sparita... c'era pure la fotocamera del traffico che ci ha ripresi.-
- La ditta che ha installato quella fotocamera aveva un appalto col municipio, ed è stata assorbita dalla mia due anni fa.- rispose Allwood, ora più calmo e (apparentemente) meno provato - Ho accesso alle foto, posso alterarle. Nessuno risalirà a noi.-
- E la macchina sparita? E il taxi?-
- Non è comunque un nostro problema, se non ci scoprono. Ora rilassati.-
Orlaith tacque ancora, rimanendo in silenzio fino a quando non ebbero raggiunto l'altro lato del Lincoln Tunnel, dove McGrath seguì la rampa e si immise sulla quattrocentonovantacinque.
- Mi spieghi cos'è successo tra voi?- chiese a quel punto lei - Tra te e Vaněk. Come mai vi conoscete? Come siete entrati in... conflitto? Cosa ti ha fatto?-
Allwood sospirò, stringendosi convulsamente, in un gesto inconscio, l'avambraccio ustionato.
- Tanto tempo fa ero suo apprendista.- ammise - Mi ha insegnato molto di quello che so. All'epoca era diverso.- fece un sorrisetto un po' nostalgico - Ricordo che parlava di pace, all'inizio, e che quelli come noi potevano fare la differenza.-
- E poi cos'è successo?-
- Ha iniziato a voler fare davvero la differenza, ma passando per altre strade.- rispose Allwood, scrollando le spalle - La cosa è stata graduale... piccolezze, all'inizio. Incoraggiò la diserzione di massa nell'Ungheria nel diciannovesimo secolo, per esempio. Cercava di essere più attivo, di darsi da fare, rimanendo sempre dietro le quinte, di non farsi coinvolgere troppo.-
- Ma alla fine ha esagerato, vero?-
Allwood annuì.
- Durante il novecento si è reso conto di non poter fare nulla, standosene in disparte.- spiegò - La Prima Guerra Mondiale lo convinse a tentare nuove strade, così lasciò Praga, dove ci eravamo stabiliti, e andò in Germania. Voleva cominciare da lì.-
- Non sei andato con lui?-
- No, mi chiese di starne fuori. Iniziavo a preoccuparmi, ma ancora non dubitavo. Ho creduto che volesse migliorare le cose partendo da dove avevano iniziato a peggiorare.-
- E invece...-
Lui fece una smorfia.
- Segretario Occulto di Hitler.- disse - L'ho scoperto solo a guerra finita. Per un bel po' ho anche pensato che fosse morto.- scosse la testa, serio e amareggiato - Disse di aver capito che la sola via per la pace era attraverso la sottomissione. "Per litigare bisogna essere in due", diceva. Ergo, il modo migliore per evitare i conflitti, secondo lui, è spazzare via le resistenze e soggiogare tutti quanti. "La remissività è la chiave", mi ha detto.- sollevò il braccio ustionato e fece un sorrisetto - E quando ho risposto che l'avrei fermato non mi ha ucciso solo per poco, però mi ha fatto questo. Carino, vero?-
Orlaith scosse la testa.
- Non direi, no.- rispose - Ma allora da dove viene? Tu hai detto che ha... quanto, ottocento anni?-
- Sì, ma l'ho conosciuto poco più di duecento anni fa. Non so cosa abbia fatto prima o chi fosse, ha cambiato identità così spesso che forse nemmeno lui ricorda il proprio nome.-
- Hai detto che lo hai conosciuto più di duecento anni fa?- chiese Orlaith - Cioè... so che sei... vecchio... ma quanti anni...?-
- Poco meno di trecento anni.- sorrise lui, strizzandole l'occhio - Non male, vero?-
- No comment, Allwood.- sbuffò - E tu da dove vieni? Come lo hai conosciuto?-
- Questo non è molto importante ora, mi sembra. Ci sarà tempo dopo.-
- Ma perché non mi hai detto prima tutto questo?- chiese - Di te e Vaněk?-
- E quando?- replicò Allwood - Ti avrei sovraccaricata di notizie. Troppe cose tutte insieme... ti avrei solo confuso le idee.-
- Ah, certo, perché adesso le ho ben chiare, invece!- sbottò Orlaith, scocciata.
Si prese la testa tra le mani, cercando di riordinare i pensieri: più cose scopriva di quella storia e più sentiva di volersene tornare a Tresckow e seppellirsi nella cantina di casa fino alla fine dei tempi.
- Quindi cosa dovremmo fare, ora?- chiese - A parte insegnare a me come controllare gli effetti della musica, intendo.-
- Questo lo lasciamo a domani.- rispose Allwood - C'è tempo, e comunque hai bisogno di digerire un sacco di altre cose, prima. Non avere fretta.-
Orlaith sospirò e annuì.
- Signore, tra poco saremo arrivati.- annunciò McGrath.
- Ottimo.- rispose Allwood, sfinito - Ho proprio bisogno di dormire.-
Orlaith alzo lo sguardo verso la nuca del maggiordomo, ricordando solo in quel momento della foto che aveva scovato in rete e della biografia di Vaněk che aveva trovato su Wikipedia.
Ovviamente non poteva sperare di trovare una voce tipo "Abilità Magiche di Stanislav Vaněk", e probabilmente aveva alterato la propria storia per non far scoprire la verità tanto facilmente... quelle incongruenze erano giustificabili.
Tuttavia, perché McGrath compariva in una foto degli anni cinquanta?
- E lui?- chiese, indicandolo - Che ruolo ha in tutto questo?-
Allwood guardò McGrath, sorpreso.
- McGrath? È il mio fedele aiutante, ovvio.- rispose sorridendo - Giusto, McGrath?-
- Ora e sempre, signore.- gli fece eco lui, entrando nel cancello della villa.
Orlaith non insisté, ma si ripromise di non lasciar cadere l'argomento: uno dei due (o entrambi) stava mentendo, ma l'unica prova che aveva era una pessima fotografia in bianco e nero.
Nessuno le stava dicendo la verità: Jayden Allwood stava nascondendo qualcosa fin dal primo momento e McGrath con lui; David era un'incognita, poteva essere coinvolto in tutta quella storia oppure no, e fidarsi di lui era un rischio; Vaněk non le aveva mai ispirato simpatia, e dopo tutto quello che era successo lo vedeva sempre di più come il lupo nero delle favole, a prescindere dalle parole di Allwood.
Se voleva saperne di più e capire chi era davvero suo amico le servivano delle riposte. E cera un solo posto dove cercarle, al momento.
Nella casa di Allwood.

Le risposte purtroppo non hanno rispostoa tutte le domande di Orlaith... e ci vorrà ancora un po'.
Ringrazio come sempre J
ohn Spangler, Old Fashioned, Fan of The Doora, _Alexei_, Kira16, Fiore di Girasole, Sahara_2 e Queen FalseHeart. Aggiungo anche Marz97, che ha appena iniziato a seguirmi. A presto!
 

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Capitolo 18
*** Cap. 17: Lezioni di magia ***


La prima cosa importante da tenere a mente era che non sarebbe più tornata a casa, almeno fino a quando non fossero stati sicuri di non farle correre rischi.
In secondo luogo non sarebbe dovuta andare in giro da sola, quindi sarebbe dovuta uscire con almeno uno dei due come accompagnatore o, in alternativa, sarebbe rimasta all'interno della proprietà fino a quando la situazione non si fosse calmata un po'. Quest'ultima opzione parve essere la preferita di Allwood, anche se non lo disse apertamente.
Infine, niente contatti con l'esterno, per nessun motivo, a meno che non utilizzasse il telefono speciale che le avevano dato il mese prima, e anche in quel caso solo per chiamate né troppo lunghe né troppo frequenti. Sfortunatamente quel telefono era nel suo appartamento, abbandonato sul comodino: non lo usava da parecchio, e non aveva pensato a portarselo dietro il giorno prima, visto che contava di tornare a casa. Inoltre le servivano anche vestiti e biancheria pulita, dato che quando era scappata aveva ciò che aveva addosso (oltre al violino) e questo, pur sommato al pigiama che era rimasto a casa di Allwood, non era decisamente sufficiente. Doveva farsi una doccia, e presto.
- Anche tutto il mio materiale artistico è rimasto a casa.- disse Orlaith, mentre McGrath si apprestava a uscire - Sai, gli strumenti per pulire il violino, la custodia di riserva, le corde, gli spartiti, il blocco con i fogli a pentagramma...-
- Ti serve davvero quella roba?- chiese Allwood, aggrottando la fronte - Abbiamo molto da fare, non ci sarà molto tempo per scrivere canzoni.-
- Se vuoi che impari a usare la mia musica dovrò scrivere nuovi brani ogni tanto.- obbiettò Orlaith, accigliandosi - O pretendi che usi sempre gli stessi pezzi?-
Allwood guardò McGrath, che fece un cenno non compromettente con la mano.
- Perché, non si può?-
Lei gli scoccò un'occhiata truce.
- Sarò pure in crisi, ma resto comunque un'artista. Gli artisti si rinnovano. Quindi, visto che non posso uscire di qui, portatemi... quei... blocchi!-
Allwood alzò le mani, sconfitto, e si diresse in sala. McGrath sorrise, facendo un cenno col capo.
- Non tema, miss Alexander. Provvederò.-
- Ti ringrazio.- sorrise Orlaith - Almeno uno di voi mi capisce!- aggiunse, alzando un po' la voce.
- Ho sentito!- sbottò Allwood, seccato.
Il maggiordomo fece un ultimo accenno di sorriso e uscì, diretto al suo appartamento per recuperare quanto richiesto.
Uscito McGrath, Orlaith raggiunse Allwood in soggiorno facendo ondeggiare le braccia, guardandosi un po' intorno: l'ultima volta che era stata lì non aveva la testa per osservare la stanza, ma adesso si rendeva conto che era piena di scaffali come lo studio e la biblioteca; la maggior parte dei libri sembrava in lingua straniera, qualcuno anche scritto con caratteri arabi, orientali e cirillici, ma altri erano in tedesco e altre lingue che Orlaith non seppe identificare. Forse slave.
Oltre a questo, comunque, non c'era molto di più: sembrava che Allwood non avesse una televisione e sotto la grande finestra panoramica, che si apriva nell'unica parete priva di libri, c'erano due divani sistemati uno di fronte all'altro sopra un tappeto persiano, poco lontano da un grande mappamondo di legno. Per il resto, la stanza era vuota.
Allwood era in un angolo, intento a estrarre libri dagli scaffali, sfogliarli rapidamente e poi metterli via, scuotendo il capo; le lanciò appena un'occhiata quando entrò, senza distrarsi dal proprio lavoro.
- Rimarrai in pigiama tutto il giorno?- chiese, afferrando un altro libro.
- Se McGrath non mi porta dei vestiti veri sì.- disse lei - Cosa stai facendo?-
- Cerco un vecchio libro che potrebbe esserci utile. Oggi cominciamo con il tuo allenamento, ma ho bisogno dei miei appunti. Li ho nascosti lì dentro.-
Orlaith si appoggiò allo scaffale vicino, guardandolo di sbieco.
- Hai avuto a che fare con altri come me?-
- Mai.- rispose - Forse nemmeno Vaněk.-
- E allora come sai cosa fare?-
- Non importa se sei diversa da me, il metodo è uguale per tutti... non cerco documentazione sui tuoi poteri.- spiegò, lanciandole un'occhiata eloquente - È su Vaněk. Dentro ci sono gli indizi per ucciderlo.-
Orlaith esitò.
- Scusa... forse non ho capito bene.- disse, scuotendo la testa - Hai detto... "ucciderlo"?-
- Sì, ho detto "ucciderlo".- confermò lui - Ah, eccolo...- disse, prendendo un libro - Era questo.-
Lo aprì, rivelando uno spazio ricavato tra le pagine. Dentro c'era un piccolo quaderno nero.
- La magia è un'ottima cosa, ma nulla batte i vecchi sistemi.- sorrise, prendendo il quaderno e riponendo il libro - La casa è protetta dai Cerchi Magici, ma se anche Vaněk dovesse scoprirci e riuscisse a entrare qui dentro per cercare questo...- disse, brandendo il quaderno - ... non penserà mai a cercarlo in un libro. È troppo scontato per lui. Perderà tempo a disfare le protezioni magiche prima, dando modo al Cerchio che ho tracciato nelle fondamenta di distruggere tutto.-
Sembrava non gli importasse molto di avere appena ammesso di stare progettando un omicidio, di aver previsto un'aggressione in casa propria e di avere un piano di autodistruzione. Anzi, ne parlava come se niente fosse. Senza badare all'espressione turbata di Orlaith si diresse verso le scale con lo stesso sorriso stampato in faccia. La violinista gli andò dietro, sentendo nuove fitte di preoccupazione.
- Ma... è proprio necessario? Ucciderlo?-
- Se conosci un altro sistema, dimmi pure.- rise amaramente lui, conducendola ai piani superiori.
- Non so... togliergli i poteri?-
- Togliere i poteri a qualcuno non è possibile. Puoi inibirli per qualche ora, al massimo giorni, ma poi l'effetto svanisce. Puoi anche rubarglieli, ma è comunque necessario uccidere la tua vittima, prima. Oppure puoi indebolirli, limitarli, ma è una pratica sconsibliabile, perché non garantisce una vittoria.-
- E non esiste un... carcere magico o qualcosa del genere?-
Allwood si voltò con la fronte aggrottata, incrociando le braccia.
- Credi che siamo in un libro di Harry Potter?- chiese - Beh, lascia che ti spieghi come funziona: non c'è un Ministero della Magia, non ci sono cacciatori di maghi oscuri, non c'è un bambino occhialuto che salva sempre la situazione. Non abbiamo leggi, né regole... siamo gente che tende all'isolamento, e ognuno pensa a sé. Perlopiù ignoriamo tutti l'identità e l'esistenza degli altri, e i pochi che si conoscono non interagiscono spesso tra di loro. E nessuno di quelli che conosco io (peraltro pochissimi) sfiderebbe mai uno come Vaněk.-
- Gliel'hai almeno chiesto? Perché un po' di aiuto ci farebbe comodo.- osservò Orlaith.
- Ma certo che l'ho chiesto.- replicò Allwood - Ma Vaněk è arrivato prima e si è assicurato di non incontrare oppositori. Quelli che non hanno cercato di uccidermi hanno deciso di non avere a che fare con me, di non essere coinvolti. Anche a pieni poteri sarei nulla al suo confronto, e lui è molto più spaventoso di me. Siamo soli, Orlaith.-
Le fece cenno verso la soffitta.
- Prendi il violino e vieni di spora. E non preoccuparti, non ti sporcherai le mani, a uccidere Vaněk penserò io... tu dovrai solo ammorbidirmelo un po'.-
La soffitta, luogo per lei ancora sconosciuto, occupava tutto l'ultimo piano della villa di Allwood. Nonostante fosse il luogo in cui lui si esercitava con la magia e faceva le sue "cose da stregone", non offriva uno spettacolo così impressionante: la maggior parte della stanza era sgombera, e solo verso la parete di fondo, sotto una delle uniche due finestre, c'era un lungo tavolo coperto da un grande telo bianco, sotto al quale si intravedevano alambicchi e altro materiale degno di un laboratorio chimico.
L'unica cosa veramente interessante era il pavimento: la metà sud era in normalissimo parquet, ma il resto era interamente in lastre metalliche, coperto a intervalli regolari da numerosi Cerchi Magici dal diametro di un metro ognuno. Erano tutti neri e immobili, privi della curiosa scintilla che li animava quando Allwood usava la magia.
- Non rischio di attivarli per sbaglio, vero?-
Allwood, appollaiato su uno sgabello vicino al tavolo, alzò il naso dai suoi appunti e la guardò confuso. Orlaith accennò ai Cerchi Magici, e lui scosse la testa.
- No, non preoccuparti. Sono inerti finché non li attivo. Perché la tua musica li renda funzionanti occorreranno forse anni di pratica. Allora.- disse subito dopo, chiudendo il quaderno con un colpo secco - Prima di tutto: Vaněk.-
- Vaněk.- ripeté Orlaith, annuendo.
- Come sai, è molto potente. Quello che non ti ho ancora detto è che è immortale.-
- Immortale? Stai scherzando?-
- No, purtroppo no.- sospirò lui - Il rito magico dell'immortalità è uno dei più complessi, e lui è uno dei pochi stregoni a conoscerne l'esatto procedimento. Io ho studiato la Quinta Arte per quasi tutta la vita, ma...-
- La... che?- chiese Orlaith, senza capire.
- Già, scusa..- disse Allwood, agitando la mano come se ci stesse pensando solo in quel momento - Dimenticavo che tu non sai niente... dovrò essere schematico e partire dall'inizio.-
Infilò una mano sotto il telo e aprì un cassetto, da cui trasse carta e penna. Disegnò un Cerchio Magico e glielo mostrò.
- Allora...- disse - Ogni incantesimo necessita di un Cerchio Magico per essere eseguito. La dimensione non influenza la forza dell'incantesimo, ma solo la sua portata. Come puoi vedere, ogni punta del Pentacolo ha un suo simbolo. Il tipo di magia che scaturirà dal Cerchio dipende dal primo simbolo attivato.-
Indicò con la penna la punta in basso a sinistra.
- Questo significa "Terra". Se attivato per primo, l'incantesimo sarà di tipo terra. Questo qui accanto...- e indicò il simbolo subito a destra - ... vuol dire "Fuoco". Sopra il fuoco abbiamo l'acqua, e dal lato opposto l'aria. Queste sono le prime Quattro Arti. La Quinta, invece, è questa quassù.- e indicò l'ultima punta del pentacolo, quella in alto - Non ha un proprio nome, oltre a "Quinta Arte", ma molti lo chiamano "spirito", "etere", "quintessenza" e via discorrendo. Peculiarità della Quinta Arte non è la manipolazione di un elemento del mondo fisico come acqua o terra, o degli agenti atmosferici. La Quinta Arte si sviluppa attorno al concetto di energia, di vita e morte.-
- E quindi permette di diventare immortali?- chiese Orlaith.
- Sì e no.- rispose lui, facendo un sorriso paziente e abbassando il foglio - L'immortalità non rende inattaccabili, poiché può essere annullata, come ti spiegherò tra poco. Un'altra cosa che si può fare con la Quinta Arte, tuttavia, è la manipolazione suprema.-
- E cioè?-
- Vincere la morte.- disse Allwood - Riportando in vita le persone che sono scomparse.-
Orlaith sgranò gli occhi.
- Cosa?- chiese - Si possono... resuscitare i morti?-
- Ma certo. Non è difficile.-
- Quindi lo sai fare?-
- Perché, vuoi che ti crei uno zombie?-
La ragazza esitò, incerta sulla risposta da dare: stava scherzando o era serio?
La fatica di dover trovare qualcosa da dire le venne risparmiata dallo stesso Allwood.
- La pratica più comune è la Negromanzia, ovvero la rianimazione di uno o più cadaveri da mettere al proprio servizio, ma io non vi ricorro mai, lo trovo inquietante, anche se è comunque una cosa piuttosto facile da ottenere. D'altra parte una vera resurrezione, una resurrezione completa, è una cosa estremamente complessa. Solamente tre stregoni l'hanno ottenuta, e Vaněk non è tra questi. In realtà l'unico suo interesse, riguardo alla Quinta Arte, è l'immortalità. Per il resto è totalmente ignorante in materia, e non gli importa approfondire.-
- Quindi quali sono i suoi poteri?-
- Controllo degli elementi.- rispose lui - E del clima, anche. Si è arricchito così, scatenando tempeste sui campi o sulle navi dei rivali e mantenendo le sue coltivazioni al sicuro. Il che è veramente difficile... conosco stregoni che non riescono a usare più di due o tre elementi contemporaneamente, figuriamoci a conciliare gli opposti tra loro. Lui invece può trasformare una fiammata in un cono di ghiaccio, o vetrificare il fumo.-
Orlaith annuì, sedendosi a gambe incrociate sul parquet e prendendosi i piedi tra le mani: iniziava ad avere freddo alle dita, Allwood non le aveva preso pantofole.
- Quindi può far piovere a comando.- disse, tanto per chiarire.
- O provocare siccità.- aggiunse Allwood - O anche scatenare bufere, o maremoti... una volta gli vidi scagliare un blizzard così intenso da bloccare un'intera città del Canada per giorni interi. Fu un disastro. Inoltre, mentre io (come la maggior parte della comunità magica) ho bisogno di disegnare il Cerchio Magico prima di poter usare gli incantesimi, lui riesce a crearlo dal nulla, il che gli da la possibilità di scagliare incantesimi molto più rapidamente di quanto potrei fare io, e non ha mai bisogno di toccarli per attivarli, neanche per le cose più complesse.-
- Va bene, è pericoloso... ma cosa dicevi dell'immortalità?-
- Giusto.- annuì lui - Dunque, è immortale... questo vuol dire che, se anche riuscissimo a tagliargli la testa, lui potrebbe tranquillamente raccoglierla, rimettersela sul collo e poi sbarazzarsi di noi.-
- Confortante.-
- Smetti di interrompere. Dicevo, non possiamo affrontarlo di petto, ma c'è un modo per annullare quello che ha fatto.-
Riaprì il quaderno degli appunti, mostrandole un disegno che ricordava molto il Cerchio Magico, ma al posto dei glifi delle Cinque Arti c'erano immagini stilizzate di persone e alcune scritte e numeri aggiunti frettolosamente. Una sesta persona era raffigurata al centro del cerchio.
- Per questo particolare incantesimo è necessaria parecchia energia, ma soprattutto moltissima preparazione.- spiegò - Lo stregone disegna una variante del Cerchio Magico e si sistema sulla posizione della Quinta Arte. Questi quattro...- e indicò le figure sulle altre quattro punte - ... sono invece i suoi "Suggelli", ovvero coloro che tengono ancorato lo stregone alla vita una volta terminato l'incantesimo. Fino a quando rimarranno in vita, essi terranno lo stregone in forze e in buona salute.-
- Capisco. Quindi uccidiamo loro e uccidiamo lui, giusto?-
- Più o meno. Tolti di mezzo i Suggelli (tutti, non ne basta uno) sarà di nuovo mortale, ma poi gli dovremo dare il colpo di grazia. E, nel caso ti stesse venendo qualche scrupolo, ti tranquillizzo: i suoi Suggelli sono solo Homunculi.-
Lei aggrottò la fronte.
- Davvero?- chiese - Non sono umani?-
- Gli umani sono fragili.- rispose lui, scuotendo la testa - E un Suggello non diventa immortale. Una volta morto deve essere sostituito. Gli Homunculus, invece, non sentono dolore o fatica e non provano emozioni... e, soprattutto, possono restare in vita fino a quando il loro padrone mantiene attivo il Cerchio Magico nascosto nel loro corpo o fino a che questo non viene danneggiato o distrutto. Ha trovato il modo di usarli come Suggello proprio per questo.-
- Quindi è una mossa intelligente usarli come... Suggelli... giusto?-
- Geniale, vorrai dire.- corresse amaramente Allwood - Ognuno dei suoi Suggelli, inoltre, è più di un semplice Homunculus... so per certo che li ha potenziati, così da renderli più difficili da uccidere.-
Orlaith annuì.
- Chiaro. Ma la sesta figura, quella al centro?- chiese - Non è un Homunculus?-
Il volto di Allwood s'incupì.
- No, è umano.- rispose, richiudendo il quaderno - A prescindere da cosa sono i Suggelli, serve comunque l'elemento umano per completare l'incantesimo. Questo è un altro dei motivi per cui pochissimi decidono di ricorrervi... perché richiede un sacrificio.-

Bene, abbiamo qualche nozione in più sulla magia e conosciamo meglio il vecchio Vaněk. Ringrazio come sempre John Spangler, Old Fashioned, Fan of The Doora, _Alexei_, Kira16, Fiore di Girasole, Sahara_2, Queen FalseHeart e Marz97. Aggiungo anche Aelfgifu, che ha iniziato a seguire ora la storia. A presto!

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Capitolo 19
*** Cap. 18: Nuove informazioni ***


Per il resto della giornata Allwood la incoraggiò a suonare qualsiasi pezzo la attirasse di più, suggerendole di iniziare, per fare pratica, da quelli più sentiti, quelli che erano più vicini al suo attuale stato emotivo, in quanto più semplici da "usare". Quando poi fosse stata padrona dei propri poteri e delle proprie emozioni avrebbe potuto suonare qualsiasi cosa senza preoccuparsi di ciò che provava in quel momento.
Per quanto riguardava il modo di controllare gli effetti della musica, le suggerì di fissare bene in mente un obbiettivo da ottenere e di essere creativa nel raggiungerlo: come primo esercizio le mise davanti lo sgabello chiedendole di sollevarlo, farlo ruotare a mezz'aria e di rimetterlo delicatamente a terra a testa in giù.
Ripensando a quello che era successo durante il concerto la sera prima, Orlaith decise di usare lo stesso metodo, ovvero suonare immaginandosi di essere altrove, reintepretando a modo suo i segnali che il mondo circostante le mandava.
Aveva finto, sul palco, che la luce pulsante fosse di un sole oscurato da pannelli opachi di una stanza girevole che rispondeva ai suoi ordini. Poteva fare qualcosa di simile con lo sgabello.
- E se dovessi fare dei danni?- chiese, ripensando al suo lavandino e di come era esploso durante i suoi primissimi tentativi.
Allwood, appoggiato alla parete, si strinse nelle spalle.
- Sono miliardario.- rispose - Dove non può la magia, possono i soldi. E poi devi solo spostare uno sgabello.-
Orlaith annuì e fece un profondo respiro, cominciando a suonare. Scelse un brano particolarmente lento, tranquillo, senza eccessive impennate di energia: se doveva essere precisa doveva andare con calma.
L'adagio riempì la stanza, e con la coda dell'occhio notò che Allwood non era rimasto del tutto indifferente alle sue note. Qualunque reazione gli stesse suscitando, comunque (lei, personalmente, si sentiva un po' nervosa), non le doveva interessare: l'unica cosa importante era il maledetto sgabello, che tuttavia non accennava a muoversi..
Ieri ho anche ballato.
Si ricordò di aver lasciato andare ogni freno e di essersi fatta guidare dalla musica, muovendosi a istinto. Forse era stato questo a fare la differenza, visto che tutti i suoi tentativi precedenti avevano dato risultati incoraggianti ma involontari.
Cominciò quindi a muoversi lentamente, spostando il peso da una gamba all'altra e girando intorno allo sgabello a ritmo di musica, sperando che funzionasse, ripensando alle innumerevoli lezioni di danza prese nel corso degli anni, seguendo la musica con il corpo.
Si aspettava che Allwood dicesse qualcosa, ma probabilmente preferì tacere per non disturbarla, perché non lo sentì fare neanche un movimento. Esattamente come quello stupidissimo sgabello.
Si spostò troppo in là, finendo col mettere un piede nudo sulla parte metallica del pavimento, completamente gelata. Sussultando, lanciò un gridolino sorpreso, mentre l'archetto strusciava in modo stridulo sulle corde del violino, interrompendo bruscamente l'esecuzione.
Guardò Allwood, strofinando la pianta ghiacciata del piede sulla gamba, in leggero imbarazzo. Lui le restituì uno sguardo annebbiato, come se la sua mente avesse viaggiato per tutto il tempo.
- Bellissima...- mormorò - Cioè... un tentativo un po' povero.- farfugliò, riscuotendosi - Ricomincia. E stavolta ignora me e tutto il resto, pensa solo allo sgabello. Concentrati solo su di lui.-
- E tu riesci a concentrarti?-
- Farò del mio meglio.- rispose con un mezzo sorriso - Ma devo ammettere che non rimango indifferente.-
Sorridendo appena, Orlaith annuì e, dopo essersi rimessa in posizione, ricominciò a suonare.

McGrath tornò poco dopo pranzo con un borsone pieno delle sue cose e con la seconda custodia del violino. Orlaith ebbe quindi da Allwood il permesso di fermarsi qualche minuto per cambiarsi, poi dovette ricominciare subito.
Per tutto il giorno suonò tutto quello che le veniva in mente, anche motivi più veloci o aggressivi, ma non servì a nulla. Una volta sferrò anche un calcio frustrato a quel dannato sgabello, riuscendo finalmente a muoverlo ma facendosi male al piede.
Il maggiordomo, dal canto suo, riferì di non avere incontrato particolari problemi, anche se aveva notato la presenza di Homunculi nei dintorni della Beekman Tower. Lo avevano seguito quando era uscito, ma li aveva seminati molto prima di raggiungere la macchina, mescolandosi alla folla nei pressi della Pace University, fuori dalla quale si stava svolgendo una manifestazione di qualche tipo.
Aggiunse anche che la sua segreteria telefonica aveva ben sei messaggi registrati in memoria. Orlaith immaginò che fosse David: si ripromise di chiamarlo appena avesse avuto tempo e, soprattutto, il permesso.
Interruppe i suoi innumerevoli quanto infruttuosi tentativi solo per mangiare qualcosa o riprendere fiato ogni tanto, ma quando arrivò la sera non era ancora riuscita a smuovere di un solo millimetro lo sgabello. Andò a farsi la doccia di pessimo umore, col desiderio di bruciare quel coso. Altro che spostarlo, voleva distruggerlo.
Non capisco perché non funziona... Pensò, mentre l'acqua calda lavava via lo sporco, il sudore e la polvere degli ultimi due giorni. Ho ripetuto tutto quello che ho fatto ieri... cosa c'è di diverso, adesso?
Sentì qualcuno bussare alla porta; chiusa l'acqua, mise la testa fuori dalla tendina, tenendone l'orlo con la mano.
- Sì?-
- Miss Alexander, il signor Allwood è uscito.- le annunciò McGrath, la voce appena soffocata dalla porta chiusa - Le chiede di non aspettarlo per la cena.-
- Capito, grazie!- rispose lei.
Finì di lavarsi, chiedendosi dove mai potesse andare a quell'ora. Anche se, tutto sommato, poteva sfruttare la cosa a suo vantaggio.

Chiese a McGrath di poter cenare in camera sua, dicendogli che avrebbe cercato di scrivere qualcosa di nuovo per lo sgabello. Il maggiordomo non obbiettò e, un quarto d'ora più tardi, si ritrovò da sola.
Attese che i rumori di McGrath che rigovernava si spegnessero, buttando distrattamente giù qualche nota mentre ingoiava intere cucchiaiate di risotto alle erbe (doveva ammetterlo, la cucina di quell'uomo era fantastica). Per amor di coerenza, dopo alcuni minuti cancellò i progressi fatti e ricominciò daccapo, stavolta ragionando bene sul messaggio da trasmettere: se proprio doveva prendere tempo, tanto valeva scrivere davvero un brano. Magari anche una canzone.
Vediamo... come mi sento, ultimamente?
Beh, era preoccupata, e aveva paura. Non sapeva cosa l'aspettava. Molte cose erano cambiate e, verosimilmente, anche altre lo avrebbero fatto. Temeva per il futuro.
Iniziò a mormorare le note tra sé, a bassa voce, segnandole sul pentagramma via via che la convincevano, saggiandole con il violino, senza tuttavia dimenticare lo scopo che si era prefissata per la serata: il nuovo brano era importante, ma avrebbe potuto aspettare.
Quando fu abbastanza sicura, uscì in punta di piedi dalla camera e si diresse verso lo studio di Allwood, in fondo al corridoio.
Saggiò la maniglia, sorpresa di trovare la porta aperta. D'altra parte, dubitava che fossero abituati ad avere ospiti che curiosavano in giro per la casa durante la notte. Probabilmente Allwood non credeva che avrebbe messo le mani dove non doveva.
Sgusciò all'interno e richiuse silenziosamente la porta, ritrovandosi nella stanza buia; avanzando a tentoni trovò la lampada sulla scrivania, più debole del lampadario principale, e dopo averla accesa poté finalmente vedere.
Lo studio era pressoché identico a come lo aveva visto l'ultima volta che c'era stata, con la sola differenza che ora si trovava da sola al suo interno. La scrivania era appena un po' più ordinata, e un posacenere quasi vuoto era apparso in un angolo.
Bene... e adesso cosa devo cercare?
Dubitava che Allwood tenesse in giro un diagramma su cui aveva disegnato uno schema dei suoi piani malvagi come i cattivi dei fumetti (ammesso e non concesso che ci fossero dei piani malvagi), ma forse da qualche parte c'erano i suoi appunti.
Quella mattina aveva tirato fuori il quaderno con le informazioni su Vaněk da un libro. Forse era lo stesso anche per tutti gli altri?
Beh, speriamo di no... Si disse, dando un'occhiata alla spaventosa mole di libri che la circondava, senza contare quelli in biblioteca e gli altri in salotto.
Cercò prima nei cassetti, trovando solo penne e fogli bianchi, poi sollevò il tappeto alla ricerca di eventuali scomparti nel parquet. Fece anche un tentativo con il computer, ma appena arrivò alla schermata della password lo spense, sconfitta: l'unica cosa che sapeva sugli hacker era che avevano un nome che faceva tanta scena.
Rinunciò alla propria speranza di una ricerca facile e si voltò verso i libri: doveva frugarli tutti quanti, e per farcela le ci sarebbe voluta ben più di una notte.
Sospirando, prese carta e penna e si avvicinò allo scaffale più vicino.

- Ti vedo stanca.- disse Allwood, quella mattina a colazione, mentre lei entrava sbadigliando - Nottataccia?-
Orlaith si sedette di fronte a lui, grattandosi pigramente la testa. Da sopra la tazza del caffè, Allwood attese la sua risposta con pazienza.
- Ho fatto le ore piccole per cercare di scrivere un nuovo brano.- si giustificò, afferrando la caraffa davanti a lei - Forse il problema è nella musica.-
- Io credo che dipenda piuttosto dalla tua concentrazione.- disse lui, bevendo un sorso - Forse non riesci a visualizzare la musica che solleva lo sgabello.-
- Non so se è questo...- replicò lei, dubbiosa.
- Beh, in ogni caso abbiamo tutto il giorno per scoprirlo.-
Orlaith grugnì, per nulla entusiasta.
- Dove sei andato ieri notte?-
- Avevo delle cose da controllare.- rispose - Non possiamo sperare di imbatterci nei Suggelli per strada. Forse dovrò uscire anche oggi pomeriggio, stavolta per lavoro.-
- E non vuoi dirmi la verità?-
Lui aggrottò la fronte.
- Te l'ho detta. Al massimo sto omettendo qualcosa, ma per la tua sicurezza. Lo sai che puoi fidarti di me, giusto?-
Orlaith pensò a tutto quello che era successo e alle volte in cui era intervenuto per salvarla, ma anche a quanto poco sapesse su di lui e a quei dettagli che non quadravano nelle sue spiegazioni.
D'altra parte, finora era stato abbastanza disponibile con lei.
- Certo, ovvio.- rispose, bevendo il caffè.

La routine fu la stessa per tutta la settimana successiva: durante il giorno si esercitava, e quando non si esercitava scriveva musica; durante la notte, invece, si aggirava furtivamente per la casa alla ricerca di indizi sulle intenzioni di Allwood, soprattutto quando sapeva che non c'era.
Vivendo con lui e McGrath, scoprì che il maggiordomo era un tipo piuttosto abitudinario: si svegliava molto presto per preparare la colazione, poi passava la giornata a pulire e ad assicurarsi che la casa fosse in ordine; verso le undici cominciava a cucinare il pranzo, e alle cinque del pomeriggio si concedeva una tazza di tè, pur non essendo inglese.
- Di dove sei, McGrath?- gli chiese un giorno, mentre si esercitava con lui (Allwood era uscito di nuovo) - Voglio dire, da dove vieni?-
- Sono nato qui in America, come lei.- rispose McGrath, seduto su una sedia che aveva portato su personalmente, sorseggiando il proprio tè - Ma ho studiato a Londra.-
- Quindi sei un maggiordomo alla maniera inglese?-
- A dire il vero, ero un soldato.- replicò lui, sorridendo - Vinsi una borsa di studio a Eaton, e dopo la laurea in medicina sono entrato brevemente nell'esercito. Dopo il congedo mi sono iscritto alla scuola per maggiordomi, poi sono venuto qui e ho iniziato a lavorare per il signor Allwood.-
Orlaith lo guardò direttamente negli occhi, chiedendosi come potesse mentirle così: ricordava fin troppo bene la foto e, anche se non era proprio la più definita delle immagini, l'uomo che compariva insieme a un Vaněk poco più che ventenne era senz'altro lui.
Eppure, quel suo sorriso disarmante e la sua espressione limpida...
- McGrath, ho trovato una foto, il mese scorso.- disse - Di Vaněk che prendeva un tè con dei politici. Era degli anni cinquanta.-
- Il signor Vaněk è un uomo molto anziano, e per le persone comuni ha ottant'anni.- rispose McGrath, in tono neutro.
- Ma compari anche tu, in quella fotografia.-
Lui continuò a bere il proprio tè, senza scomporsi, e le sorrise nuovamente.
- Immagino che la cosa l'abbia turbata.-
Orlaith rimase spiazzata dalla sua reazione: si era aspettata che negasse.
- Ecco... sì.- ammise.
Sospirando, il maggiordomo si appoggiò allo schienale della sedia, scuotendo la testa.
- In verità, Cornelius McGrath è morto molti anni or sono. Io replico solo le fattezze di quell'uomo perché il signor Allwood si era molto affezionato a lui, e la sua morte lo sconvolse profondamente. Questo è un altro motivo per cui vuole vendetta contro il signor Vaněk: egli scoprì in quel periodo come usare gli Homunculi come Suggelli, così usò il proprio maggiordomo come sacrificio umano.-
La rivelazione colse Orlaith totalmente impreparata, e per qualche istante regnò un profondo silenzio mentre lei lo fissava a bocca aperta.
- Tu...- disse alla fine - Tu sei... un Homunculus?-
- Temo di sì.- sorrise McGrath - Spero che la cosa non la infastidisca.- prese un altro sorso di tè e sorrise con aria pacifica - Ad essere onesto, non avrei nemmeno bisogno di bere del tè. Né di mangiare. O di dormire. Sono tutte cose che ho imparato a inserire nella mia routine per passare meglio da essere umano. Le abitudini fanno la differenza.-
Alzò lo sguardo su di lei, e vide che ancora lo fissava.
- La prego di non avere timore, miss Alexander: un Homunculus è pericoloso quanto l'uomo che lo ha generato. E come ben sa, il signor Allwood non è interessato a farle del male. Devo però chiederle di non riferirgli di questa nostra conversazione.- aggiunse, portando di nuovo la tazza alle labbra - Non ama parlare di questo argomento. Lo rattrista molto.-
Detto ciò, riprese a badare esclusivamente al proprio tè.

Ed ecco svelato il mistero di McGrath: tanto buono, tanto caro ma non è umano.
Ringrazio, al solito, J
ohn Spangler, Old Fashioned, Fan of The Doora, _Alexei_, Kira16, Fiore di Girasole, Sahara_2, Queen FalseHeart, Marz97, Aelfgifu e, in ultimo arrivo, Roiben, che mi stanno seguendo. A presto!
 

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Capitolo 20
*** Cap. 19: Il primo Suggello ***


Orlaith sbadigliò, strofinandosi un occhio gonfio di sonno per cercare di non addormentarsi sul pavimento dello studio con la schiena contro gli scaffali.
Erano quasi le due del mattino e la casa era totalmente silenziosa, a eccezione dei piccoli rumori che faceva lei stessa mentre spostava i libri, o di alcune assi che scricchiolavano sotto il vento forte o assorbendo l'umidità dell'aria. Ormai erano più di due settimane che cercava, ma ancora non era riuscita a cavare un ragno dal buco.
In compenso, durante quel periodo aveva passato molto tempo con Allwood, quando non usciva per lavorare o per fare le sue ricerche, e aveva imparato a conoscerlo un po' meglio, anche se non particolarmente bene.
Non parlava quasi mai di sé o del suo passato, o quantomeno non condivideva mai nulla di particolarmente significativo. Il pensiero di Vaněk dominava costantemente le loro conversazioni e la vita dello stregone, che sembrava restio a pensare ad altro, cambiando subito discorso ogni volta che sembrava sul punto di lasciarsi andare. Tutto quello che Orlaith riuscì a racimolare furono poche, scarse informazioni, perlopiù ottenute a intuito: doveva essere originario dell'Inghilterra, ma per qualche motivo si era spostato quasi subito in Canada, rimanendoci per un lungo periodo. Dopo quello più niente fino al suo incontro con Vaněk, e quando le raccontava della loro vita insieme citava sporadici episodi di sperimentazioni magiche e della loro filosofia sul cambiare il mondo, anche se si mantenne sempre molto vago.
Nonostante la sua reticenza e la sua ostinata visione di foschi futuri fatti di morte e di cacce all'uomo, comunque, c'erano stati anche episodi meno pesanti in cui erano riusciti a parlare di argomenti più piacevoli che, pur non portando alla luce dettagli personali di gran rilevanza, avevano finito con l'avvicinarli un po'.
Ad esempio, due giorni prima, mentre facevano una pausa per pranzare, avevano passato quasi due ore a ridere dei Puffi.
- Il mio preferito era Quattrocchi.- aveva ammesso Orlaith - Mi faceva morire quando diceva "che è meglio"!-
- Quattrocchi?- aveva ripetuto Allwood, alzando un sopracciglio.
- Sì, che c'è di strano?-
- No, è che... non ti ci vedo.- aveva risposto, scrollando le spalle - Ti facevo più tipo da... che so... Puffo Poeta, o Puffo Stonato.-
- Cosa? Per te sono stonata?-
- No, no! È solo che sono i due Puffi più... artistici, ecco.-
- Beh, io canto bene, se vuoi saperlo! E non mi serve il playback!- si era incaponita Orlaith, minacciandolo con la forchetta - Faccio danzare gli uccellini, se voglio! Come Biancaneve!-
- Ceeeerto...- aveva detto lentamente lui - Beh, in effetti è possibile... se imparassi a controllare i tuoi poteri potresti far ballare anche i lampioni... ma non è il canto il tuo forte, devi ammetterlo.-
Per tutta risposta lei gli aveva tirato una cucchiaiata di purè.

Orlaith si ritrovò a ridacchiare sotto i baffi, la mente invasa di prepotenza dalla faccia di Allwood coperta da macchie patatose che sbatteva le palpebre con aria sorpresa e confusa insieme.
Sfortunatamente il suo personalissimo momento ilare durò poco: era molto tardi, e prima di andare a letto voleva cercare ancora un altro po'. Imponendosi di concentrarsi rovesciò la testa all'indietro per cercare di vedere meglio gli scaffali a cui era appoggiata, riflettendo.
Dopo un paio di giorni aveva imparato a distinguere i libri che Jayden usava come nascondiglio da quelli che, invece, erano veri e propri testi che consultava abitualmente: i libri in lingua straniera erano tutti integri, mentre quelli inglesi venivano spesso destinati a celare varie cose, tra cui i quaderni. Nello specifico, i romanzi e i manuali di installazione degli impianti di sorveglianza sembravano essere i suoi preferiti.
Finora aveva trovato due quaderni neri, alcuni piccoli flaconi sigillati ed etichettati pieni di sostanze liquide di natura sconosciuta e un piccolo pezzo di metallo di forma rettangolare, piatto e sottile come una patatina, con sopra inciso un Cerchio Magico.
Non aveva perso tempo a chiedersi cosa fosse tutta quella roba, preferendo occuparsi dei quaderni, che invece erano più facili da decifrare.
La buona notizia era che sopra c'erano mille informazioni sulla magia, sulle effettive capacità di Jayden e sui suoi incantesimi. Gli effetti di alcuni di essi erano piuttosto inquietanti (la Quinta Arte manipolava la vita e la morte, e sapere che esistevano magie in grado di far deperire un essere umano o di rianimare i cadaveri per usarli come schiavi non era proprio piacevole), ma altri, come la guarigione o le barriere protettive, avevano un che di confortante. La notizia brutta era che non c'erano indicazioni su cosa le nascondesse o sul suo passato.
Aveva sperato di trovare un diario, nascosto in giro da qualche parte, ma ora che era arrivata quasi alla fine della stanza iniziava a temere di aver sprecato tempo: o non esisteva o lo teneva da qualche altra parte, in un luogo meno ovvio.
Forse camera sua?
Non era certa di dove dormisse Jayden, a dire il vero: quando non passava la notte fuori la passava nel proprio studio, e andava sempre a letto molto tardi. Anzi, iniziava a sospettare che non dormisse, per questo era sempre di cattivo umore.
Ad ogni modo, era ancora in alto mare, ma non riusciva a scoraggiarsi: meno trovava e più s'incaponiva, e da quando McGrath le aveva confessato la propria vera natura si era definitivamente convinta di dover insistere. Insomma, se le avevano mentito su quello, chissà cos'altro le stavano nascondendo. Non poteva mollare.
Non che temesse il peggio, a dire il vero: stava imparando ad apprezzare la loro compagnia, a divertirsi (in alcuni momenti) con Jayden e anche a sentirsi a suo agio con McGrath, nonostante non fosse realmente umano, ma doveva affidare la sua vita a entrambi, in particolare a Jayden. Come poteva farlo a cuor leggero se non sapeva con chi aveva a che fare? La fiducia era una strada a doppio senso, e sentiva di doverlo conoscere per potersi sentire al sicuro con lui.
Sbadigliando di nuovo, Orlaith si alzò in piedi e, consultando il foglio che aveva preso la prima sera, ricontrollò quale era stato l'ultimo libro che aveva aperto.
Teneva traccia dei suoi progressi per non dimenticarsi dov'era arrivata, segnando il titolo e la posizione sullo scaffale. Non si preoccupava della sorveglianza: le prime volte non ci aveva pensato minimamente, ma dopo un po' si era ricordata di essere nello studio di un esperto in materia. Tuttavia, Allwood sembrava sentirsi perfettamente al sicuro là dentro, perché non aveva mai trovato alcuna telecamera e, visto che non l'aveva ancora scoperta, non c'erano nemmeno incantesimi di sorveglianza o cose simili. Di certo le protezioni magiche attorno alla casa dovevano essere più che efficaci, abbastanza da fargli ritenere superflue ulteriori contromisure, senza pensare di avere un'ospite estremamente curiosa.
All'improvviso sentì un tonfo lontano e s'immobilizzò, tendendo l'orecchio: qualcuno aveva chiuso una porta. McGrath che andava in bagno? Gli Homunculi ne avevano bisogno?
Si avvicinò lentamente alla soglia, posando l'orecchio sul legno scuro, in attesa: dei tocchi regolari e attutiti si stavano avvicinando lentamente, senza fretta. Qualcuno saliva le scale.
Un fiotto di panico la invase: Allwood era rientrato.

Non poteva uscire, la porta dava direttamente sul corridoio, da cui l'avrebbe vista di sicuro. Inoltre, spiando dal buco della serratura, lo vide superare tutte le porte, puntando direttamente allo studio.
Senza esitare spense la lampada sul tavolo e si tuffò dall'altro lato della scrivania, dietro i cassetti, proprio mentre la maniglia si abbassava. Schiarendosi la voce, Jayden entrò con nonchalance e accese la luce.
Orlaith si rannicchiò il più possibile, trattenendo a stento un gemito di paura: il cuore le batteva fortissimo, e sentiva le ginocchia di burro. Se l'avesse scoperta lì dentro con lui a quell'ora avrebbe senz'altro voluto una spiegazione, ma come poteva giustificarsi? Attacco di sonnambulismo? Fingere di essersi scordata qualcosa lì dentro? Aveva sentito un rumore?
Tutte le scuse che si susseguivano nella sua mente erano oltraggiosamente deboli e sciocche. Non avrebbe potuto spiegarsi in alcun modo.
Tuttavia Jayden, grazie a Dio, ignorò la scrivania e si diresse verso uno degli scaffali, cominciando a scorrere un dito sui libri. Orlaith sgusciò oltre l'angolo con cautela, portandosi sul fianco del tavolo per nascondersi meglio, e molto attentamente si sporse di lato per sbirciare: in quella zona, durante le sue ispezioni, aveva trovato solo il misterioso rettangolino metallico su cui era inciso il Cerchio Magico.
E proprio quello era l'obbiettivo di Jayden: prese il libro in cui era nascosto e lo tirò fuori senza esitare, appoggiandolo su un vecchio manuale di manutenzione per le telecamere in cui non era nascosto niente.
Il Cerchio inciso sulla placca si illuminò brevemente, causando la comparsa di un Cerchio più grande, disegnato direttamente sui dorsi dei libri. Dopo un momento gli scaffali svanirono insieme al Cerchio, rivelando una porta nascosta.
Ecco cos'è quell'affare! Pensò eccitata. È una chiave!
Per questo motivo non c'era sorveglianza, e sempre per questo motivo le aveva rivelato di nascondere gli appunti nei libri: ciò che voleva veramente tenere segreto era là dentro, e non gli importava che qualcuno leggesse il resto. E se anche un eventuale intruso avesse trovato il rettangolo metallico, non avrebbe saputo cosa farci. Magari aveva scoperto anche il motivo per cui non lo aveva mai visto andare a letto: lui dormiva lì.
Ora so dove cercare. Pensò, mentre Allwood spariva oltre la porta.

Il mattino dopo Jayden la accolse in sala da pranzo con una tazza di caffè fumante solo per lei, mentre reggeva la propria nell'altra mano, e il suo volto si apriva in uno di quei suoi rari sorrisi veramente soddisfatti.
- Ci ho messo la noce moscata.- le annunciò - Se non ti piace ho il cioccolato.-
- Oh, wow... ti sei svegliato di buon umore?- domandò Orlaith, prendendo la tazza.
- Meglio. Ho identificato i Suggelli.- rispose, facendole cenno di seguirlo al tavolo.
- Non lo avevi già fatto?- chiese lei, avvicinandosi.
Notò solo allora che buona parte dello spazio era occupato da trafiletti di giornale e fotografie di un uomo abbastanza maturo, quasi totalmente calvo e con un grosso paio di baffi.
- No, non ancora.- rispose Jayden, scuotendo distrattamente la testa - Ho cominciato solo alcuni mesi fa. Si nascondono bene, è difficile distinguerli... certi Homunculi sono facili da riconoscere, non hanno emozioni, ma altri sanno fingere, e alcuni sono dei maestri, specie se sono stati creati da tempo sufficiente.-
- Ma non hai assistito al rituale? Non li hai visti in faccia?-
- No, mai. Ho saputo dell'incantesimo solo dopo.- le passò una delle foto, la più grande - Questo è il primo Suggello.-
Orlaith lo osservò con più attenzione, certa di non averlo mai visto prima: aveva un aspetto mediorientale, ma indossava abiti occidentali, da uomo d'affari o, in ogni caso, eleganti. Dimostrava una quarantina d'anni o poco più.
- Chi è?-
- Rashid Awwād Fakhri. Imprenditore e filantropo, ha una compagnia di spedizioni tra le più importanti di Francia.-
- Collabora spesso con Vaněk?-
- Non hanno mai neanche parlato al telefono.- rispose Jayden - Ho faticato per scoprire che si trattava di lui... dopo averlo reso un Suggello ha tagliato i ponti con Fakhri e, probabilmente, con qualsiasi altro Homunculus come lui. Sicuramente per rendermi più difficile la vita.-
- Ah. E come fai a sapere che è un Suggello?- chiese Orlaith, abbassando la foto.
- La magia lascia sempre tracce. Le puoi nascondere, ma non cancellare. E io sono bravo a trovarle. E poi conosco Vaněk, mi è bastato qualche tentativo per capire come ha nascosto i Suggelli.-
Orlaith annuì, bevendo il caffè e riflettendo.
- Non ho ancora mosso di un solo millimetro il tuo dannato sgabello.- disse, staccandosi un momento dalla tazza.
Allwood ridacchiò, annuendo.
- Sì, è vero... ma scommetto che non vuoi essere lasciata qui.-
- No.-
- Infatti... quindi dovrò portarti con me. In fondo chissà... sotto pressione hai dimostrato di rendere bene, l'ultima volta. Potresti essere utile.-
Lei si accigliò e abbassò il caffè, offesa.
- Potrei?- ripeté.
Jayden alzò le braccia in un gesto di resa.
- Partiamo tra due ore.- annunciò.
Allwood uscì, lasciandola da sola, in uno stato a metà tra l'ansioso e il deluso: l'idea di poter già affrontare uno dei Suggelli e indebolire così Vaněk le piaceva, rendeva meno minaccioso un uomo che per tutto il tempo le aveva suscitato solo timore e disagio, se non peggio.
D'altra parte, aveva sperato di esplorare la camera segreta di Jayden quella notte.
Pazienza. Si disse. Lo farò al ritorno.

Allwood le aveva detto di prendere solo l'indispensabile, quanto bastava per riempire una piccola borsa da viaggio. Scelse quindi dei vestiti di ricambio comodi e per nulla vistosi, il materiale per la manutenzione del violino e i suoi appunti musicali.
Per quanto riguardava l'abbigliamento con cui andare in giro, invece, scelse dei semplici leggings neri, una maglia rossa dalle maniche nere e un paio di stivaletti.
Aggiunse anche un foulard e un paio di grossi occhiali scuri con cui coprirsi: in quei giorni McGrath le aveva portato il giornale, così che rimanesse aggiornata sul mondo esterno e ciò che accadeva. Da lì aveva scoperto di essere stata dichiarata in "ritiro sabbatico dalle scene" per "concentrarsi sulla propria arte".
David doveva avere inventato quella scusa per non denunciare la sua sparizione e scatenare il panico tra i fan. O almeno non subito: conosceva bene il produttore, e presto avrebbe contattato le autorità.
Sapeva che nella sua segreteria c'erano messaggi su messaggi, l'aveva controllata telefonicamente giorni prima, ed erano quasi tutti di David. I primi erano stati lasciati in un tono abbastanza normale, ma andando avanti diventavano progressivamente più ansiosi, preoccupati e, a volte, furiosi: non sapere cosa le fosse successo lo stava mandando al manicomio e, alla fine, era stata costretta a scrivergli una lettera per tenerlo buono (McGrath gliel'aveva infilata nella buca delle lettere di persona). Aveva suggerito lei la storia del ritiro sabbatico, puntando sulla cosa che più di tutte poteva fargli gola: l'aumento della popolarità.
A giudicare dai titoli dei giornali, il produttore aveva apprezzato l'idea, ma non dubitava che prima o poi avrebbe ripreso a cercarla. Nel frattempo avrebbe potuto gonfiare un po' le cose, ingolosendo i fan con la promessa di un ritorno in grande stile.
Già lo sentiva: "diventerai più grande di Michael Jackson ed Elvis Presley messi insieme!". E lui, logicamente, sarebbe stato il produttore più famoso e richiesto della galassia. Tipico.
Almeno, nessuno aveva ancora detto a suo padre che mancava da settimane: non si sarebbe mai potuta perdonare per una cosa del genere. Già il dovergli tacere tutto le faceva male.
Sentì un tocco di nocche alla porta e, voltandosi, vide McGrath.
- Miss Alexander, l'auto è pronta.- disse - Quando vuole, il signor Allwood la attende.-
Orlaith lo guardò per un momento, incerta su come comportarsi: fino a poco tempo prima, per lei, quell'uomo era un normalissimo essere umano, un po' sibillino ma piacevole, decisamente più rassicurante di molte persone che conosceva.
Adesso che aveva scoperto che era un Homunculus, una creatura che fingeva soltanto di avere delle emozioni, le sembrava che ci fosse una specie di barriera tra di loro. Forse era ingiusto, addirittura cattivo, ma non si era ancora abituata all'idea.
In ogni caso, doveva ammettere che non riusciva a trovarsi del tutto a disagio con lui: aveva un modo di fare disarmante.
- Va bene. Ti ringrazio, McGrath.- disse, avvolgendosi il foulard intorno alla testa, nascondendo la chioma rossa - Arrivo subito. Sai come andremo?- aggiunse, prima che sparisse.
Il maggiordomo annuì.
- Ma certo.- rispose - In aereo.-
- Io sono scomparsa. E sono famosa.- osservò - Credevo di non potermi fare vedere.-
- Il signor Allwood ritiene che nessuno la noterà. Il suo produttore ha detto che si è allontanata dalle scene per lavorare in solitudine qualche tempo. La stampa non lo saprà, soprattutto se adotteremo le dovute cautele.- garantì McGrath - Ora la prego di sbrigarsi, miss Alexander. Dobbiamo proprio andare.-
- Sì, sono pronta. Sai quanto durerà il volo?- chiese, seguendolo in corridoio.
- Oh, temo diverse ore. Prenderemo un aereo di linea.- Circa sette, se non vado errato.-
- Grandioso...-

Come preannunciato dal maggiordomo, i controlli doganali furono semplici da superare, anche perché le "dovute cautele" a cui aveva accennato comprendevano i Cerchi Magici: mentre entravano nell'aeroporto Jayden la costrinse a indossare un pendente a forma di Cerchio, e ogni volta che qualcuno la riconosceva emetteva un breve e fioco bagliore. All'istante la persona in questione pareva dimenticarsi di averla vista, o di sapere che fosse una star musicale.
Un po', doveva ammetterlo, la cosa le piaceva: aveva quasi voglia di chiedere a Allwood il permesso di portare con sé il pendente anche dopo la fine di tutta quella storia. Le sarebbe tornato utile durante lo shopping o anche solo al supermercato.
Il volo fu noioso e privo di eventi degni di nota, a parte quando un bambino vomitò, due posti dietro di lei, a causa di un vuoto d'aria. In compenso si godette il film e recuperò il sonno perso durante le nottate passate a frugare lo studio di Allwood.
- Dovremmo esserci quasi.- disse Allwood parecchio più tardi, guardando l'orologio.
Durante il viaggio era rimasto in silenzio con le cuffie sulle orecchie. Era la prima volta che apriva bocca, e aveva la voce un po' roca, forse a causa della gola secca.
- Hai dormito anche tu?- chiese Orlaith, appoggiando la guancia sulle nocche.
Lui si grattò la testa, evidentemente mezzo addormentato. Fu una risposta sufficiente.
- Ne avevi bisogno.- commentò Orlaith - Dovresti farlo più spesso a casa.-
Jayden fece un sorriso tirato.
- Riposo abbastanza.- le garantì - Tu invece? Vai a letto presto. Come mai hai sempre sonno?-
- Scrivo parecchio. Forse non lo sai, ma sono un'artista.-
McGrath, seduto nel posto a lato corridoio, ridacchiò quietamente.
- Smetti di prendermi in giro, McGrath.- lo redarguì Allwood - All'arrivo non dobbiamo dare nell'occhio.- disse poi, tornando a rivolgersi a Orlaith - Non so quanto tu sia conosciuta a Parigi, comunque non dovresti avere bisogno di altri... aiuti... per passare inosservata. Ho preso delle camere in un piccolo albergo di periferia, alloggeremo lì per i prossimi giorni.-
- E come dovremmo avvicinare questo Fa...chiro?-
- Fakhri.- la corresse Allwood - E lascia che me ne preoccupi io. Tu pensa solo a come combattere la terra.-
- La... terra?-
- Il suo elemento.-
- Ah.- annuì Orlaith - Capito. Suggerimenti?-
- Sì, come sicuramente saprai gli elementi sono contrapposti tra loro, ne hanno tutti uno che li annulla. Terra con acqua, acqua con fuoco, fuoco con aria...-
- ... e aria con terra.- concluse lei - Va bene... penserò a qualcosa.-
Jayden annuì, fiducioso. Orlaith, dal canto suo, non aveva ancora idea di come fare quello che chiedeva.
Odio la magia... Pensò scocciata.

Tra poco Orlaith dovrà vedersela col primo Homunculus potenziato. Ringrazio, come sempre, John Spangler, Old Fashioned, Fan of The Doora, _Alexei_, Kira16, Fiore di Girasole, Sahara_2, Queen FalseHeart, Marz97, Aelfgifu e Roiben, i lettori che mi seguono. A presto!

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Capitolo 21
*** Cap. 20: La trappola ***


Orlaith cancellò scocciata l'ennesima nota sbagliata dal pentagramma, iniziando a sentire i sintomi della stanchezza che la assalivano.
Stava ancora combattendo contro il jet lag, imbottendosi di aspirine e di caffeina nel tentativo di non addormentarsi e di far sparire l'emicrania che le era venuta. Guardò fuori dalla finestra per quella che doveva essere la centesima volta, lanciando uno sguardo furioso al sole di mezzogiorno che ostinava a rimanere in cielo.
Erano tre giorni che lottava per adattarsi all'orario parigino, per dormire di notte e rimanere sveglia di giorno. All'arrivo aveva pensato che sarebbero andati subito a cercare il loro obbiettivo, che sarebbero rimasti poco a Parigi, giusto toccata e fuga per non dare nell'occhio. Non che avrebbero perso giorni chiusi in camera: a detta di Allwood,alla lunga avrebbe fatto loro comodo.
Intendiamoci, erano anni che voleva fare un viaggio in Europa e una volta, tempo prima, aveva anche chiesto a David se fosse possibile organizzare una tournée oltreoceano (idea che lui aveva ovviamente trovato fantastica), e Parigi era sulla sua lista di città da visitare, subito dopo Dublino. Tuttavia, l'unica cosa che aveva visto fino a quel momento era l'albergo in cui si erano rintanati. Inutile dire che, per mantenere l'anonimato, Allwood ne aveva scelto uno piccolo e squallido in periferia, ben lontano dalla Torre o dai Champs Elysee.
Sconfitta, Orlaith si lasciò andare sul letto, facendo cigolare le molle del materasso. Fissò il soffitto a lungo, seguendo con gli occhi il contorno delle macchie di umido, cercando di non chiudere le palpebre e allo stesso tempo di pensare a come continuare la melodia.
Sapeva di essere troppo stordita per pensare in modo lucido, ma non aveva nient'altro da fare per ingannare il tempo a parte starsene seduta sul letto in pigiama a bere caffè e Coca Cola.
Sentì bussare alla sua porta, ma non ebbe bisogno di aprire per sapere chi fosse e cosa volesse.
- Sono sveglia, McGrath!- sbuffò.
Il maggiordomo si ritirò in silenzio, diretto verso la camera di Allwood: in quanto Homunculus non aveva bisogno di dormire, per cui non risentiva del cambio di fuso orario, e il suo padrone gli aveva ordinato di bussare ogni ora alle loro porte per accertarsi che, durante il giorno, non si addormentassero.
Dai, resisti... Si incitò, passandosi le mani sulla faccia. Jayden ha detto che bastano quattro giorni... domani andrà meglio.
Il problema era arrivarci, all'indomani. Vero, restare sveglia stava diventando sempre più facile, ma ancora le veniva sonno nei momenti meno adatti, e personalmente non sapeva se ridere o arrossire al pensiero del primo giorno, quando McGrath era venuto a bussare e lei si era svegliata sbavando sulla propria valigia.
A prescindere dalla risposta, sapeva già che avrebbe portato il segreto nella tomba.

Fakhri abitava in un attico di lusso nel sedicesimo arrondissement di Parigi. Orlaith era piuttosto orgogliosa del suo appartamento nella Beekman Tower, e la villa di Allwood, per quanto fosse tetra e monocromatica, era piuttosto spaziosa, specie per uno scapolo e il suo maggiordomo, tuttavia quel posto faceva impallidire tutti e due senza minimamente sforzarsi: situato in un edificio degli anni trenta, aveva soffitti alti almeno quattro metri e le finestre, riccamente decorate da complessi disegni metallici, erano a dir poco enormi. Di giorno sicuramente entrava molta luce, là dentro.
Gli arredi, poi, dovevano essere costati quanto l'attico stesso, se non di più, e comprendevano due televisori a schermo ultrapiatto (uno dei quali contava talmente tanti pollici che Orlaith si rifiutò di conoscerne la misura esatta), divani di seta, quadri d'autore e tende candide. L'ampio salone era separato dalla sala da pranzo da un accesso delimitato da colonne lisce, e tutto il pavimento era in lucidissimo parquet.
Ma la parte migliore era l'enorme terrazza panoramica privata di oltre duecentocinquanta metri quadri sul tetto.
Orlaith era lì sopra e, nonostante il vento freddo, non poté non restare incantata dalla vista che le si parava davanti: l'intera Parigi si stagliava intorno a lei, mostrandosi in tutto il suo splendore notturno.
Le luci lì non erano forti come quelle di New York: erano più morbide, più contenute. A differenza di quelle che brillavano dai grattacieli della Grande Mela, lì erano disposte per seguire attentamente i contorni della città e la cosa migliore era che, da dove si trovava lei, riusciva a vedere (nei limiti del possibile) quanto di più bello Parigi aveva da offrire.
Prima tra tutte le meraviglie, ovviamente, c'era la Torre Eiffel, con la sua struttura di luce e di acciaio che si protendeva fino al cielo, più bassa ma più slanciata ed elegante dei grattacieli, imponenti e maestosi ma, spesso, privi di quello stile così sofisticato che contraddistingueva Parigi.
Se divento ricca, questo posto me lo compro!
Poi si ricordò di essere già (moderatamente) ricca, almeno fino a un certo punto. Quello che le serviva era esserlo un po' di più. Un po' tanto.
Guardò con desiderio il violino, sistemato nella propria custodia ai suoi piedi: quel posto le faceva venire una gran voglia di suonare qualcosa. Era ispirante, e si sentiva piena di energia. Purtroppo doveva rimanere in silenzio, ad aspettare istruzioni da Jayden.
Secondo lui, Fakhri quella sera sarebbe rincasato solo per mezzanotte, dovendo presenziare al compleanno della figlia di un vecchio cliente, così il piano era stato preparato di conseguenza: mentre McGrath li avrebbe aspettati in auto, pronto a portarli al sicuro, Allwood si sarebbe appostato in casa, tracciando un Cerchio Magico nell'ingresso e celandolo alla vista. Appena Fakhri fosse tornato non avrebbe potuto evitarlo, e a quel punto lui lo avrebbe fatto "collassare", come aveva detto. Il destino di Fakhri, così, sarebbe stato identico a quello dei due Homunculi che l'avevano aggredita in metropolitana. Il tutto in barba alle telecamere, che Jayden aveva manomesso.
Finito con lui, avrebbero causato un incendio che avrebbe distrutto ogni traccia. Tutti avrebbero creduto a un tragico incidente, e Vaněk non avrebbe mai saputo del loro coinvolgimento.
A lei non spettava alcuna parte attiva in quel piano, salvo complicazioni: in realtà, credeva che Allwood volesse semplicemente tenerla d'occhio. Il che, tutto sommato, era più che comprensibile.
Certo che almeno potrebbe affidarmi un compito anche minimo...
Non si era esercitata tanto per poi restare in panchina. Ora che la paura era passata e che si era allontanata dai suoi innumerevoli e opprimenti impegni, stava recuperando poco a poco il vecchio carattere: non era mai stata tipo da rimanere ferma troppo a lungo, era una persona abituata ad agire, a impegnarsi, a fare cose.
Il violino, tra tutti gli strumenti possibili, era indubbiamente il più complicato, e imparare a suonarlo richiedeva dedizione, costanza e un sacco di lavoro. Lei aveva iniziato da piccolissima, e non aveva mai smesso di esercitarsi, motivo per il quale era diventata così brava. Aveva manifestato una dedizione enorme, soprattutto per una bambina.
Lo stesso valeva per la sua vita da adulta: aveva ancora delle riserve su alcune cose, su certi comportamenti e segreti di Jayden, ma ormai c'erano dentro insieme, era coinvolta, e dopo quello che aveva passato voleva arrivare fino in fondo, non come semplice spettatrice.
Guardò l'orologio, scoprendo che era mezzanotte passata. Ormai era questione di minuti.
Si portò fino al bordo della terrazza e sbirciò in strada; individuò la macchina in cui aspettava McGrath, parcheggiata ad alcuni isolati di distanza; poche altre auto stavano scorrendo lungo la via in quel momento. Una in particolare accostò al marciapiede, infilandosi nel parcheggio privato del palazzo. Era lontana, ma sembrava un'auto di lusso.
Doveva essere lui.
Il cuore accelerò i battiti: stava arrivando, e presto Jayden lo avrebbe ucciso. Sempre che "ucciso" fosse una parola applicabile a una persona artificiale.
Devo farmelo spiegare, accidenti... Pensò, raccogliendo il violino e infilandosi nella porta socchiusa.
Scese silenziosamente le scale e si accostò allo stipite della porta, stando attenta a non far frusciare la grande pianta in vaso che era stata sistemata lì accanto, e sbirciò nel salone: era buio pesto, e non riusciva a capire dove fosse Jayden.
Presto sentì dei passi avvicinarsi alla porta d'ingresso e una chiave grattò nella serratura; si aprì, si richiuse, la luce si accese con un "click". Ora non poteva arrischiarsi a guardare.
Andiamo... fai un passo avanti...
Incredibile... stava davvero sperando di veder morire un uomo, anche se finto? Doveva proprio essere stravolta.
Comunque, Fakhri si mosse nell'ingresso per un po', forse per togliersi il soprabito, e quando finalmente avanzò nell'appartamento un intenso bagliore sovrastò la luce del lampadario.
Era sopra il Cerchio Magico.
Con un crepitio, il bagliore si intensificò sempre di più; Orlaith si sporse di nuovo, scorgendo una figura umana all'interno di un vortice di magia e scintille elettriche. La vide solo per un secondo, confusa e sorpresa, ma subito dopo sembrò come disfarsi in un mucchio di sabbia vorticante.
Poi tutto si spense.
Allwood avanzò rapidamente nell'ingresso, entrando all'improvviso nel suo campo visivo, dirigendosi nel punto dove era svanito Fakhri. Si inginocchiò accanto al Cerchio Magico ormai inerte e lo toccò brevemente, come se stesse saggiando la consistenza del pavimento.
Dopo pochi secondi iniziò a guardarsi intorno con aria preoccupata, come se ci fosse qualcosa che non andava. Si rialzò in piedi rapidamente, estraendo il quaderno e aprendolo su una pagina sulla quale aveva disegnato l'ennesimo Cerchio.
Cos'ha? Si chiese Orlaith.
- A quanto pare il tuo amico non è così bravo come credeva di essere.-
Con un fruscio, la pianta accanto a lei protese il fusto, allungandosi verso la sua caviglia e sollevandola all'improvviso, facendola finire a testa in giù. Orlaith gridò per la sorpresa e la paura, ma riuscì a non far cadere né il violino né l'archetto.
Contorcendosi, seguì la linea legnosa dello stelo che l'aveva ghermita e vide che s'ingrossava sempre di più, passando dalla striminzita misura di una semplice pianta da appartamento alla circonferenza di un braccio umano.
E infatti, a un certo punto, il legno si fondeva con la carne, unendosi al polso di un uomo quasi calvo, dalla carnagione un po' scura e con un bel paio di grossi baffi.
Gli occhi scuri di Fakhri si strinsero nell'incrociare i suoi.

Il primo tentativo non è andato proprio a buon fine...
Ringrazio, come sempre, 
John Spangler, Old Fashioned, Fan of The Doora, _Alexei_, Kira16, Fiore di Girasole, Sahara_2, Queen FalseHeart, Marz97, Aelfgifu e Roiben. A presto!
 

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Capitolo 22
*** Cap. 21: Il segreto della musica ***


Allwood lasciò cadere le braccia con aria rassegnata mentre Fakhri avanzava nel salone, tenendola per la caviglia a quasi un metro da terra. Orlaith cercò di divincolarsi, ma la sua presa legnosa era così stretta e solida che, per vincerla, avrebbe avuto bisogno di un paio di cesoie. La teneva tanto saldamente da farle male.
- Credevo di averti detto di aspettare di sopra.- sospirò Jayden.
- Lo so, ma adesso aiutami!-
- Silenzio!- esclamò Fakhri. Aveva un lieve accento francese, ma c'era anche qualche sporcatura mediorientale - Chi siete? Cosa fate in casa mia?-
Guardò Jayden, e i suoi occhi si soffermarono sul quaderno che teneva in mano.
- Uno stregone e la sua apprendista?- chiese - Avete qualcosa a che spartire con il mio padrone? Siete suoi nemici?-
Orlaith cercò di liberarsi con ancora più energia, arrivando a prendere a calci il suo stesso piede nel tentativo di rompere il legno. Fakhri le prestò la stessa attenzione che avrebbe riservato a un acaro.
- Capisco.- disse - Quindi è questa la motivazione del vostro maldestro tentativo.-
Lentamente, anche l'altra mano si affusolò, la pelle si ingrigì. Divenne una lunga lama metallica, che premette sulla gola di Orlaith; la violinista si irrigidì subito a quel contatto gelido, smettendo di scalciare. Una goccia di sudore le colò tra i capelli.
- Lascia andare il quaderno e qualsiasi cosa tu possa usare per scrivere.- ordinò l'Homunculus - Poi mettiti al centro della stanza e tieni le mani sopra la testa, lontane tra loro. Conosco la magia, stregone, so come agiscono quelli come te.-
Allwood aggrottò la fronte, guardando per un momento Orlaith negli occhi. Lei si lasciò scappare un'occhiata di supplica, senza osare nemmeno muovere la mandibola per parlare.
Ti prego, tirami fuori di qui...
Tuttavia, l'altro rimase impassibile e incrociò le braccia, senza fare nulla di quanto richiesto.
- No.- rispose - Ammazzala. È comunque destinata a morire. Quando avrò finito con voi Suggelli mi occuperò di lei.-
Orlaith trasalì: il suo tono era gelido, privo di emozioni, così come i suoi occhi. Stava dicendo sul serio?
Anche Fakhri parve crederci, perché alzò un sopracciglio.
- Come, prego?-
- Non è la mia apprendista. È un'arma di Vaněk. Gliel'ho sottratta per usarla contro di lui, poi dovrò liberarmene, è troppo pericolosa per me.-
- Stai mentendo.-
- Ah beh, se ne sei convinto tu...- sospirò lui, alzando il blocco degli appunti.
Istintivamente Fakhri alzò il braccio che aveva tramutato in lama, alterandone la forma fino a renderla uno scudo. Una folgore scaturì dal piccolo Cerchio Magico di Jayden, folgore che baluginò verso di loro, colpendo la protezione.
L'elettricità attraversò il corpo di Fakhri, sbalzandolo indietro, verso le scale, spezzando al tempo stesso la pianta che le legava la caviglia.
Orlaith ricadde a terra, battendo la testa. Non svenne, ma si fece un male d'inferno.
- Alzati! Suona qualcosa!- gridò Allwood, scagliando un'altra folgore contro Fakhri.
La ragazza rotolò di lato, portandosi al centro del salone, vicino al divano, ancora sconvolta e spaventata. Guardò l'Homunculus, e vide che stavolta si era protetto con uno scudo di pietra, su cui l'elettricità era inefficace.
Mise il violino in posizione, l'archetto sulle corde, le dita sulla tastiera. Qualsiasi cosa sarebbe successa, doveva provare.
Scelse un brano a caso, il più energico che le venisse in mente; la musica, rapida e acuta, si diffuse per la casa, mescolandosi ai suoni delle saette e di Fakhri che si rialzava con movimenti pesanti.
Quando riuscì a vederlo bene si interruppe, a bocca aperta.
Non aveva eretto uno scudo di pietra... tutto il suo corpo era coperto di pietra.
Aveva rivestito se stesso per essere immune alle magie elettriche di Allwood, guadagnandone in stazza. I suoi tratti somatici erano scomparsi, sostituiti da scaglie granitiche che lo rivestivano come un'armatura. Avanzò nel salone sfondando la cornice della porta come se fosse fatta di carta, scheggiando le mattonelle e ignorando i colpi dello stregone, che si infrangevano inefficaci sulla sua corazza.
- Cosa fai? Rimettiti a suonare!- gridò Jayden.
Orlaith si riscosse, ricominciando a far scorrere l'arco sul violino, concentrandosi su Fakhri, cercando di immaginare la pietra che si sgretolava e si tramutava in sabbia...
La musica non ebbe alcun effetto, e l'Homunculus fu si di lei in fretta, sollevando un braccio grosso come il tronco di un albero. Orlaith fece appena in tempo a scansarsi mentre quello si abbatteva sul pavimento, spaccandolo ancora di più.
Perché non funziona? Eppure mi sto concentrando!
Forse era la paura? La stava bloccando in qualche modo? No, anche quando aveva contrastato il Cerchio Magico di Vaněk aveva paura, stava per farsela addosso. Magari dipendeva dal brano, forse solo alcuni funzionavano.
Si rimise in posizione, scegliendo lo stesso pezzo di quella volta, ma ebbe a malapena il tempo di suonare le prime note: Fakhri era troppo vicino, e gli bastò spazzare l'aria con il braccio per colpirla alla spalla e scaraventarla a ridosso del divano.
Non fu una botta particolarmente forte, per fortuna, complice il fatto che Jayden, intervenuto tempestivamente, aveva usato la propria magia per proteggerla, avvolgendola completamente in una sorta di alone luminoso che certamente smorzò il colpo, permettendole di cavarsela con poco e di non rompere il violino.
Colpì i cuscini e rotolò dall'altro lato, stringendosi lo strumento al petto nel tentativo di proteggerlo, poi rimase a terra, cercando di rimettere in ordine i propri pensieri che, furiosi, si agitavano nella sua testa come animali feroci.
Doveva essere una cosa semplice, toccata e fuga, ma Jayden aveva sottovalutato il nemico, che era riuscito a tramutarsi in sabbia per sfuggire all'agguato e a prenderla in ostaggio. E ora si era trasformato in un golem.
Jayden era in evidente difficoltà, e lei non riusciva a fare niente di più che strimpellare.
Mentre i due si davano battaglia dall'altro lato del divano, Orlaith ripensò a tutte le altre volte in cui la sua musica aveva effettivamente funzionato, a quello che aveva fatto, al modo in cui si era concentrata sulle note, a come aveva ignorato...
Un attimo... cos'è che ho fatto?
Quando aveva suonato nel parco, facendo piovere lacrime dal cielo, si era estraniata da tutto. Lo stesso si poteva dire di qualche tempo dopo, quando aveva fatto fiorire un albero, e di quando aveva fermato il Cerchio Magico al concerto.
Non si era mai concentrata su quello che voleva o su ciò che aveva intorno, ma aveva suonato le proprie emozioni e pensato solo a quello. Forse per uno stregone la concentrazione era tutto, ma questo non voleva dire che fosse lo stesso per lei. Doveva fare l'esatto contrario di ciò che le aveva insegnato Jayden.
Sentì Allwood lanciare un grido di dolore, poi ci fu uno scoppio, e Fakhri ruggì di rabbia. Qualunque cosa stesse succedendo dall'altra parte del divano stava andando male, e il suo amico non avrebbe resistito a lungo.
Ma Orlaith non se ne curava più.
Nella sua mente c'era solo musica.

Qui il brano

Divenne un tutt'uno con il violino, e la stanza sparì dalla sua vista. Lei non era più Orlaith Alexander la violinista, non era neanche più umana. Non c'era confine tra lei e la musica, dire dove iniziava l'una e finiva l'altra era ormai impossibile.
Il brano che aveva scelto era di nuovo uno dei tanti respinti da Dave, uno che più di tutti sentiva come importante e inviolabile, perché lo aveva scritto pensando al diritto che avevano le persone di far sentire la propria voce, per quanto fioca essa fosse.
Le note scaturirono a cadenza regolare e costante, cominciando con relativa lentezza, scivolando nell'aria e nelle sue orecchie. Le sue palpebre chiuse divennero lo schermo su cui venivano proiettati gli eventi di un'altra realtà, fatta di suoni e di magia.
Si trovava in una stanza semibuia, in mezzo a enormi giocattoli senza vita: orsetti di peluche, bambole di pezza, carillon, soldatini e automobiline a molla. Giacevano tutti sugli scaffali, disposti in bell'ordine, gli occhi di vernice che scintillavano nella penombra.
Alle note del suo violino un orsetto cominciò a muoversi, sbattendo le palpebre, e cautamente si mise in piedi, sulle zampe tozze. Sorpreso e confuso si guardò le braccia, il busto, le gambe, e la sua bocca cucita si piegò in un sorriso.
Poco lontano la ballerina di un carillon cominciò a danzare al ritmo della musica di Orlaith, volteggiando con grazia sulle punte dei piedi.
Anche lei ballava, si muoveva seguendo le proprie note e il proprio istinto, mentre piccoli rumori intorno a lei le dicevano che tanti altri giocattoli stavano prendendo vita.
Uno dopo l'altro si animarono tutti e abbandonarono i rispettivi posti, scendendo sul pavimento vicino a lei e formando un grande cerchio, prendendosi per mano. La violinista, al centro di quel girotondo, aumentò lievemente la velocità dell'archetto sulle corde, spostandosi da una parte all'altra, accarezzando con il suono orsetti, soldatini, bambole...
Ogni volta che le note toccavano qualcuno, questo era come percorso da una nuova ventata di energia e, dopo essersi separato dagli altri, iniziava a ballare insieme a lei, seguendo i suoi passi. Molto presto tutti i giocattoli erano intorno a Orlaith, e i loro corpi erano prolungamenti del suo, i loro movimenti aggraziati come quelli di un'ombra.
E quando la musica sfumò, lasciando un vago eco acuto nell'aria, i giocattoli tornarono a dormire, soddisfatti, in attesa di essere svegliati ancora.

Ehm... sì, scusate, ieri mi sono scordato.
Ringrazio J
ohn Spangler, Old Fashioned, Fan of The Doora, _Alexei_, Kira16, Fiore di Girasole, Sahara_2, Queen FalseHeart, Marz97, Aelfgifu e Roiben, che mi seguono. A presto!
 

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Capitolo 23
*** Cap. 22: L'ultima speranza ***


Quando Orlaith riaprì gli occhi vide che l'armatura rocciosa di Fakhri era andata in frantumi, lasciandogli attaccati addosso pochi ciottoli dall'aria fragile. Una lunga lama fatta di fili di fumo lo attraversava da parte a parte, e Jayden era proprio alle sue spalle, intento a premere con forza un foglio strappato dal quaderno sulla schiena dell'Homunculus.
Ansimava e aveva i vestiti strappati, quanto bastava perché si intravedesse la cicatrice da ustione sul suo braccio. La sua pelle era coperta da una patina di sudore misto a polvere, e perdeva un po' di sangue dal naso e da un taglio sopra l'occhio. Era sfinito.
Nonostante questo sollevò l'avversario come se fosse senza peso, senza staccare le mani dal foglio su cui era disegnato il piccolo Cerchio Magico, e con un grugnito lo scaraventò verso l'alto, dandogli una tale spinta da farlo sbattere contro il soffitto e scheggiando l'intonaco con cui era coperto.
Fakhri non emise un suono, nemmeno quando atterrò. In quanto Homunculus era come se non si fosse fatto nulla, e ignorava beatamente il grosso foro al centro del suo petto. Si stava già rialzando, perdendo un po' di argilla dalla ferita, insensibile al dolore e alla fatica, al contrario di loro.
Tuttavia, i suoi movimenti erano lenti, come se fosse danneggiato.
Allwood indietreggiò, e mentre Fakhri si voltava numerose crepe cominciarono a crescere partendo dal foro nel suo petto, solcandogli la pelle. Ogni parte di lui divenne argilla e si sgretolò con una velocità sorprendente davanti ai loro occhi, finché di lui non rimase che un mucchietto di polvere.
Esausto, Allwood crollò a sedere sul pavimento, ansimando come se avesse corso la maratona.
- Ben... ben fatto...- disse a fatica - Dio... questi Suggelli sono peggiori di quel che pensavo!-
Si pulì il sangue da sotto la narice e si rialzò con cautela, tenendosi il fianco. Forse aveva qualcosa di rotto.
- Stai bene?- chiese Orlaith.
Lui annuì.
- Nulla di permanente. McGrath mi rimetterà in sesto... tu vai in cucina e apri il gas, l'ho già manomesso.-
- Certo, perché tutti crederanno alla favola della fuga di gas, adesso...- osservò Orlaith, indicando con le braccia tutto il macello che li circondava.
Allwood scosse faticosamente la testa, facendo un sorriso stanco. A un suo gesto, numerosi Cerchi Magici comparvero sulle pareti.
- Avevo insonorizzato l'attico.- spiegò - Non volevo correre rischi. Per questo siamo venuti un'ora prima.-
Con un gesto del capo la incitò a eseguire l'ordine, mentre zoppicava verso la porta.

Il mattino dopo Allwood sembrava di nuovo in forma perfetta, come se non fosse mai stato ferito durante lo scontro. Il taglio sopra lo zigomo era poco più di un graffio, adesso, e si muoveva con molta più agilità della notte precedente. Qualsiasi incantesimo avesse usato, di certo funzionava.
Purtroppo, la prima cosa che le disse fu che dopo colazione sarebbero ripartiti subito.
- Come, di già?- chiese, delusa.
Allwood annuì, appoggiandosi allo stipite della porta. L'aveva raggiunta in camera sua, ed era già vestito di tutto punto. Lei invece era ancora seduta a gambe incrociate sul letto, in pigiama, e si stava divertendo a programmare la giornata, o almeno lo aveva fatto fino a pochi istanti prima, quando era arrivata la brutta notizia.
- Sì, di già.- rispose Allwood - Non possiamo restare. Per ora i giornali riportano tutto come un banale incidente, ma Vaněk potrebbe intuire qualcosa. Quell'Homunculus era duro a morire, non so se un'esplosione da sola potesse effettivamente distruggerlo. Appena lo verrà a sapere farà comunque delle verifiche, e non voglio trovarmi qui quando succederà. A dire il vero, voglio che sappia della morte del prossimo Suggello mentre è ancora impegnato a grattarsi la testa per quello che è successo qui, se non più tardi ancora.-
Orlaith annuì, anche se non nascose l'espressione dispiaciuta: aveva sperato che, dopo aver eliminato Fakhri, si sarebbero potuti concedere almeno un paio di giorni di svago a Parigi. Non lavorava più da settimane, e questo le aveva permesso di recuperare le forze, ma sentiva il bisogno di distrarsi un po'. Non era stata proprio il suo ideale di vacanza, quella.
- Capisco che per te sia una delusione, ma ti prometto che presto potremo fare un po' i turisti. Ci divertiremo.- promise, staccandosi dallo stipite.
- Credevo volessi uccidermi subito dopo Vaněk.- borbottò scocciata lei.
Jayden sospirò, scuotendo la testa.
- Dai, ho dovuto dirlo.- si giustificò - Perché dovrei volerti fare del male, dopotutto?-
Le sorrise, ma Orlaith non ricambiò se non con una smorfia: al di là delle sue intenzioni e della situazione, il suo tono era stato spaventoso. Spaventosamente duro e diretto, a dirla tutta. Per un attimo gli aveva davvero creduto.
Sperava davvero di non sentirlo mai più parlare in quel modo.

Non sarebbero tornati a casa, come le spiegò Allwood durante il viaggio in auto, ma avrebbero comunque preso un aereo, stavolta per San Pietroburgo, dove avrebbero cercato il successivo Suggello.
Se le sue informazioni erano esatte (e lo erano, come le garantì) l'identità assunta da questo particolare Homunculus era quella di Yelena Volkova.
Orlaith l'aveva già sentita nominare, anche se non ricordava chiaramente in quale occasione. Di certo era anche lei un'artista di qualche tipo, ed era piuttosto sicura che fosse stato David a parlargliene, ma mesi e mesi prima. Secondo Jayden risiedeva stabilmente in città, e anche lei era una persona abbastanza famosa. A quanto pareva, Vaněk si era assicurato di rendere noti alle masse i suoi Suggelli, così da poter sapere di una loro eventuale morte improvvisa senza doverli tenere sotto controllo per forza.
- Posso fare una telefonata?- chiese Orlaith, mentre aspettavano la chiamata per il gate, seduti sulle scomode poltroncine dell'aeroporto.
Allwood, il naso di nuovo immerso in uno dei suoi quaderni, annuì distrattamente.
- Hai ancora il mio cellulare?- chiese.
- Sì.-
- Bene. Non dire dove sei. Oppure dillo, ma menti. E suona convincente. L'importante è che non si sappia che sei a Parigi. Se controllano il telefono ricevente...-
Lo so, Allwood.- sbuffò esasperata lei.
McGrath, a guardia delle valigie, fece un sorrisetto paziente, a cui lei rispose con un'occhiata stanca, passando oltre.
Appena fu in un punto abbastanza appartato chiamò David, pensando solo dopo il primo squillo al fuso orario.
Che ore saranno a New York?
A prescindere dalla risposta, il produttore rispose al terzo squillo, e il suo tono era vigile.
Pronto? Qui David Valdéz, produttore di sogni!-
Fin troppo vigile. Era strafatto di red bull.
- Ciao, Dave.-
Dopo quell'unico, laconico saluto, l'umore di David cambiò rapidamente.
Hija de puta! Maldida perra! Mier...-
- Okay, primo: non parlo spagnolo e lo sai, ma una o due cosine le capisco anch'io!- sbottò Orlaith, offesa - Secondo: datti una calmata o riaggancio e tanti saluti!-
Sentì in lontananza David scaricare una marea di imprecazioni, insulti e compagnia bella, ma lontani dalla cornetta: doveva avere messo a distanza di sicurezza il telefono per sfogarsi liberamente.
Cazzo, Orlaith! Di nuovo? L'hai fatto di nuovo!-
Lei attese che facesse qualche respiro profondo e, quando parve che avesse finito, riprese la parola:
- Va meglio?-
Eh... un po'.- borbottò - Ma porca miseria, chica... ti rendi conto che domani avrei chiamato la polizia?-
- Già, molto gentile da parte tua. Potevo essere morta, sai?-
Cazzo, credi che non lo sappia? Che tu ci creda o no, ti voglio bene, mocciosetta! Se mi fosse importato solo delle vendite avrei sollevato un vespaio e avrei puntato sulla pietà! Invece ho accettato quella tua idea del finto ritiro, ho pensato che ti fosse venuto un esaurimento e volessi stare per conto tuo... in fondo non sono stato leggero col carico di lavoro, e per questo ti chiedo scusa... ma non sono rimasto inerte, ho spedito un tizio a cercarti appena sei sparita!-
- Che tizio?-
- Un investigatore privato, uno dei migliori. È una vecchia conoscenza, sai, un tipo discreto, mi ha aiutato a rintracciare altri che se la davano a gambe per paura o roba simile...- spiegò - Volevo che scoprisse se stavi bene e che ti portasse da qualche parte... a Tresckow, se non c'eri andata di tuo. Per farti rilassare, capito?-
- Non lo sapevo. Comunque richiama il mastino, sto bene, sono solo... nascosta. Voglio stare da sola.-
Già, mi piacerebbe richiamarlo... se solo sapessi dov'è.- rispose David - Non lo sento da diversi giorni, il che è strano, visto che doveva richiamarmi ieri. Se entro domani non avessi avuto notizie neanche da lui avrei davvero chiamato gli sbirri. Pensavo che ti fosse successo qualcosa.-
Orlaith esitò: anche quell'uomo era sparito? Perché?
- Sai dov'era l'ultima volta?-
Avrebbe provato subito a Tresckow, ma gli ho parlato anche di quel tuo viaggio a Staten Island. Forse era lì. Perché?-
La ragazza non disse niente, voltandosi verso Jayden e McGrath. Il primo era ancora immerso nella lettura, l'altro invece non l'aveva mai persa d'occhio. Continuava a sorriderle con aria gentile, pur non potendo provare vere emozioni.
- Io... nulla, ero curiosa.- disse, spostandosi un po' per essere fuori vista - Dave... devo farti una domanda adesso. Sei il solo di cui mi possa fidare... forse.-
Forse? Che vuol dire "forse"?- chiese lui, offeso - Dopo tutto quello che ho fatto per te? Ti sto coprendo pure con quella mummia di Vaněk, sai? Non fa che chiedermi dove sei finita! La sua segretaria mi chiama almeno una volta la giorno, e tutte le volte che sono obbligato a rispondere invento una balla diversa! Se mi becca rischio il posto!-
- David, chiudi il becco!- sbottò Orlaith - Questa è una cosa seria, va bene? Forse sono nei guai, e mi serve aiuto. Tu sei il solo che probabilmente non ha nulla a che fare con tutto questo, ma devi essere concentrato!-
Il produttore non rispose, e Orlaith capì di averlo spiazzato. Onestamente avrebbe evitato molto volentieri di coinvolgerlo: poteva essere d'accordo con Vaněk o, peggio ancora, essere solo una pedina inconsapevole come lei. In un caso si sarebbe esposta a un rischio, nell'altro si sarebbe esposto lui. E visto che aveva bisogno di aiuto ed era comunque nei guai...
- David, devo sapere cosa sai davvero di Vaněk o di un uomo di nome Allwood.-
Di nuovo, David non rispose. Lo sentì sospirare dall'altro lato della linea.
Orlaith, cosa sta succedendo? Chi è questo Allwood?-
- Lo conosci o no?-
No, cazzo, no! Come potrei? Non mi dici mai niente! Sono solo un coglione strapagato, ormai!-
- Forse sei l'unico che possa tirarmi fuori dai guai, quindi piantala di lamentarti e ringraziami per non averti coinvolto prima!- sbottò lei - Ascolta, al momento mi sto occupando di una faccenda importante che devo sbrigare da sola, ma presto avrò bisogno di un aiuto. E non contattare il tizio che hai mandato a cercare me, dubito che ti risponderà mai più... temo che sia morto.-
Cosa?-
- David, devi promettermi che mi aiuterai.-
Ma... Orlaith...-
- Non voglio prenderti in giro, non sarà una cosa da poco... potrebbe essere pericoloso.- continuò - E non potrai dire a nessuno di questa conversazione. Ma ho davvero, davvero bisogno che tu faccia questo per me.-
Io...-
- David.- lo interruppe Orlaith - Per favore... sei l'unica speranza che mi rimane.-
Il produttore esitò un momento prima di rispondere.
Va bene, piccola.- disse alla fine - Se è così importante lo farò. Aspetterò la tua chiamata e ti farò avere quello che ti serve. Prenderò le ferie stasera, mi organizzerò. Ma in che guaio ti sei cacciata?-
- Lascia perdere... non capiresti.- rispose lei - Grazie, Dave. Sei forse l'unico amico che ho, al momento. Ti richiamerò appena possibile.-
Riagganciò senza dargli il tempo di ribattere, sperando di non avere appena fatto un errore colossale.

Orlaith si trova con le spalle al muro, a questo punto.
Ringrazio 
John Spangler, Old Fashioned, Fan of The Doora, _Alexei_, Kira16, Fiore di Girasole, Sahara_2, Queen FalseHeart, Marz97, Aelfgifu e Roiben, i miei lettori fidati. A presto!

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Capitolo 24
*** Cap. 23: Un'uscita a San Pietroburgo ***


- Chi chiamavi?- chiese Allwood, mentre lei sistemava il violino nella cappelliera - Prima, in sala d'attesa.-
Orlaith mosse appena una spalla, lottando per convincere la custodia a entrare insieme al bagaglio a mano di Allwood.
- David.- ammise.
- Lo sai che è alle dipendenze di Vaněk. Non è saggio parlare con lui.- disse l'uomo, accigliandosi - Capisco che è difficile, che lo conosci da tanto eccetera, ma non è tuo amico.-
- Dovevo almeno dirgli che fine ho fatto.- rispose lei in tono neutro, lottando per non mostrare segni di paura o insicurezza - Sono due settimane che non mi faccio viva, a parte la lettera. Stava per chiamare la polizia, iniziava a credere che mi fosse capitato qualcosa di peggiore di una crisi di panico o di un esaurimento nervoso.-
Allwood sospirò.
- Beh, questo è vero. Non è il caso di allarmare le forze dell'ordine.-
La violinista si sedette accanto al finestrino, e Jayden prese il posto subito a fianco. McGrath, come al solito, si era sistemato nel corridoio e leggeva un giornale francese: a quanto aveva detto, tra quelle pagine c'era la notizia di una fuga di gas che aveva distrutto l'appartamento di Fakhri, e che non erano in corso ulteriori indagini aeccezione di quelle normali per un simile incidente. Il che era perfetto, in fondo.
- Jayden, posso chiederti una cosa?-
- Sul tuo amico?-
- Più o meno. Mi ha detto che aveva mandato qualcuno a cercarmi.-
Allwood si accigliò.
- Qualcuno?-
- Sì... un tizio, tipo investigatore privato.-
Le sue sopracciglia si avvicinarono ancora di più.
- C'è un investigatore privato che ti cerca?-
- Gli ho detto di richiamarlo, che sto bene.- lo tranquillizzò - Mi chiedevo solo se l'hai visto in giro. Mi ha detto che gli aveva parlato di quando sono venuta a Staten Island... non so se ci è stato, so solo che non lo sente da giorni. E io temo il peggio.-
Allwood non cambiò espressione in modo significativo, anche se i muscoli della sua fronte parvero rilassarsi in modo impercettibile.
- Non ne so niente.- rispose - Se è stato dalle parti di casa mia, l'ha fatto dopo che siamo partiti.- la guardò per un altro istante, dubbioso - Mi stai chiedendo se sono stato io a farlo scomparire?-
Orlaith scosse la testa, anche se ci mise un istante di troppo.
- Scusa.- disse subito dopo - È che... è difficile.- borbottò - Vorrei essere a Tresckow, in questo momento. A casa mia.-
L'uomo annuì lentamente, ora pensieroso, poi scosse la testa.
- Se fossi in te, proverei a chiamare. Tuo padre, intendo.- rispose - Magari ti tira un po' su. Ma stai attenta... al posto di Vaněk lo farei sorvegliare, e da vicino... se capisci cosa intendo.-
Orlaith sentì un brivido lungo la schiena: non ci aveva minimamente pensato.
Homunculus...
Suo padre poteva essere tenuto d'occhio: lei era scomparsa, nessuno sapeva dove fosse finita e, a prescindere da ciò che voleva realmente Allwood, Vaněk avrebbe potuto farla cercare ovunque avesse dei legami. Se David aveva iniziato da Tresckow...
- Devo telefonare!- esclamò, cominciando a frugarsi nelle tasche.
- Calmati, ragazzina!- disse Allwood, tentando di tenere bassa la voce e al tempo stesso di farla smettere di agitarsi - Siamo su un aereo, la gente che si sbraccia... non è ben vista, come si dice. Tra l'altro siamo in fase di decollo, non puoi usare il cellulare. Rilassati, aspetta il segnale, vai in bagno e chiama, ma non gridare.-
Orlaith fece un profondo respiro e recuperò dalla tasca del parka il telefono, aspettando con impazienza di potersi alzare.
Fu l'attesa più difficile e più snervante della sua vita: le assistenti di volo, sorridendo in modo per lei insopportabile, spiegarono con lentezza esasperante le varie procedure di emergenza, seguendo le indicazioni della voce diffusa dall'altoparlante in tre lingue diverse; quando finalmente ebbero terminato si diressero verso i loro posti, allacciando le cinture, e l'aereo intero fu scosso lievemente dai motori che si avviavano.
Senza fretta, come se volesse torturarla, il velivolo si mise in moto e si avviò lungo la pista, prendendo velocità con la dovuta calma. Più aspettava, più Orlaith si faceva impaziente, strizzando convulsamente il bracciolo.
Sentì una mano prendere la sua e, voltandosi, vide Allwood che la guardava, stringendole forte le dita.
- Va tutto bene.- disse - Sono sicuro che non c'è da preoccuparsi. Mi dispiace.-
Lei non rispose, tornando a fissare i segnali luminosi sopra la sua testa mentre l'aereo si sollevava. Finalmente, il segnale sonoro uscì dagli altoparlanti e, immediatamente, Orlaith si sganciò la cintura, passando poi nel corridoio. Nonostante l'impazienza si allontanò con calma verso il bagno, per non dare nell'occhio: le serviva privacy.
Dopo aver chiuso a chiave la porta si rannicchiò sull'asse metallica e compose rapidamente il numero, le dita che le tremavano tanto da rischiare di premere i tasti sbagliati.
Il telefono squillò a lungo, e per un attimo Orlaith temette che non avrebbe mai risposto. Quando tuttavia sentì la sua voce, il suo cuore ebbe un tuffo.
Mmmh... pronto?-
- Papà!-
Connor esitò.
Orlaith? Tesoro... sei tu?-
- Sì...- rispose lei, asciugandosi una lacrima di felicità - Dio... stai... stai bene, vero?-
Io... sì...- disse - Ma... tesoro, lo sai che ore sono? Cos'hai che ultimamente non riesci a chiamare a orari decenti? Cioè, non fraintendermi, mi fa sempre piacere parlare con te...-
Solo a quel punto Orlaith si rese conto che a Tresckow doveva essere tremendamente tardi e che, con tutta probabilità, lo aveva svegliato nel cuore della notte.
- Io... scusa, scusami davvero tanto...- balbettò - Papà, mi dispiace, non ci pensavo... è che... Dio, avevo paura...-
Paura?- ripeté lui, ogni traccia di sonno scomparsa dalla sua voce - Di cosa? Tesoro, sei nei guai?-
- Eh? Ah...-
E adesso cosa poteva dirgli? Che uno stregone pazzo le dava la caccia e un altro stregone, forse altrettanto pazzo nonché nemesi del primo, la stava portando in giro per il mondo con il suo maggiordomo di argilla per uccidere altri esseri umani di argilla?
- Ehm... è che... ho fatto un... brutto sogno.- buttò lì - Mi... ho sognato... che ti ammalavi come la mamma e... insomma...-
La scusa parve funzionare, perché lo sentì sospirare e poi fare una breve risata.
Tesoro, sto benissimo.- disse - Godo di ottima salute. Vado dal dottor Carden una volta al mese, tengo sotto controllo il colesterolo e faccio un chilometro a piedi ogni giorno per non diventare troppo sedentario. Sto bene.-
Orlaith sorrise.
- Sì... scusa. Mi ero spaventata. Ora ti lascio dormire, va bene? Prometto che il prossimo incubo lo ignoro.-
Lui scoppiò a ridere e, dopo avergli garantito che si stava prendendo un periodo di pausa dagli impegni musicali per scrivere in pace e che presto sarebbe tornata a casa, riagganciò, traendo un profondo, vibrante e liberatorio sospiro di sollievo. Poi l'ansia tornò tutta insieme.
Per ora era tutto a posto, ma cosa sarebbe successo se Vaněk, in futuro, avesse deciso di volersela prendere con lui? Non voleva che si preoccupasse per lei, che si spaventasse e tutto il resto... né poteva dirgli la verità... ma farlo rischiare così? Era fattibile?
Beh, però sono passate settimane, Vaněk lo sa che mi nascondo con Allwood... perché prendersela con lui solo ora?
Come al solito, non aveva alcuna certezza, e sapere questo la faceva sentire completamente svuotata.
Merda!
Atterrarono a San Pietroburgo nel pomeriggio, e si diressero in albergo in taxi, attraversando una città fredda e già immersa nella penombra di un tramonto piuttosto nuvoloso. Una coltre candida avvolgeva le strade e copriva i tetti degli edifici, soffocando le piante e i giardini sotto alcune dita di neve.
Stavolta Allwood aveva avuto la decenza di non scegliere un alberghetto di quart'ordine, ma un hotel a tre stelle nella zona centrale della città, non enorme o particolarmente sfarzoso ma con un bagno in ogni stanza e l'acqua calda nella doccia.
Immediatamente Orlaith ne approfittò per farsene una lunga, bollente e rilassante, eliminando il sudore e la sporcizia che aveva addosso da dopo il volo. Anche parte della fatica scivolò via, e il doloretto che avvertiva alla tempia da qualche ora scomparve quasi del tutto. La differenza di fuso non era allucinante come l'ultima volta, e non ebbe bisogno di lunghi periodi di adattamento: le bastò tirare il fiato un attimo e sdraiarsi per una mezz'ora per sentirsi rigenerata e quasi normale. Riuscì anche a proseguire la nuova canzone che stava scrivendo: aveva già quasi terminato la linea del violino, ma doveva ancora lavorare sulle note per il pianoforte, che sarebbe stato incluso per l'accompagnamento musicale. Chissà, magari avrebbe potuto registrarlo con i Bitter Cake, una volta finito tutto. Ed Carlise avrebbe sicuramente accettato.
Canticchiò tra sé le parole, ripensando al loro significato e sperando che il risultato finale potesse essere bello come sperava: il suo sentimento dominante, in quell'ultimo periodo, non era più la depressione o il senso di isolamento. Da ormai alcune settimane, per non dire un mese, era spaventata. Aveva paura, e anche se non credeva fosse il migliore dei sentimenti Allwood diceva che i suoi poteri funzionavano al massimo quando musica ed emozioni erano in sintonia. E poi, rimaneva pur sempre una musicista, e lei scriveva ciò che sentiva: aveva paura, si sentiva persa, quindi quello era ciò che avrebbe messo nella canzone e nelle note.
Succeda quel che succeda, io la scrivo così.
Qualcuno bussò alla porta, distraendola dal suo lavoro. Quando aprì trovò McGrath davanti a lei, con una grande busta di carta in mano.
- Il signor Allwood mi ha chiesto di comprarle questo.- disse - E le chiede di indossarlo per stasera.-
- Cosa? È un... vestito?- chiese lei, sbirciando nella busta: vide solo la confezione, e la marca era in cirillico.
- Invero, lo è.- confermò l'uomo, sorridendo - Sono certo che sarà di suo gusto.-
- Non... capisco.- borbottò lei, cercando di contenere l'imbarazzo - Perché mi ha regalato un vestito? Insomma, stasera... che intenzioni ha?-
- Non è entrato nei dettagli, né io glieli ho chiesti. Mi ha solamente detto di riferirle che stasera andrete insieme al Mariinskij per vedere Lo schiaccianoci.- disse McGrath - Ma, in confidenza...- disse, chinandosi verso di lei e abbassando un po' la voce, dopo essersi guardato intorno - ... ritengo che sia a causa della tensione che ha provato in questi ultimi giorni. Il mio modesto parere è che voglia permetterle di distrarsi un po'.-
- Parliamo dello stesso uomo?- chiese dubbiosamente Orlaith - Perché sai...- e abbassò la voce anche lei - ... quello che conosco io è fissato con Vaněk.-
Il sorriso di McGrath si fece ancora più ampio.
- Se posso azzardare un consiglio, miss, io metterei quell'abito e mi godrei la serata. D'altra parte so per certo che non mi entrerebbe. Non è della mia taglia.-
Orlaith scoppiò a ridere mentre il maggiordomo, con un piccolo inchino, si congedava e andava via. Chiudendo la porta, la ragazza scoprì per l'ennesima volta di essersi dimenticata che quell'uomo era un Homunculus.

Povera. Forse ora riuscirà a rilassarsi un pochino.
Ringrazio 
John Spangler, Old Fashioned, Fan of The Doora, _Alexei_, Kira16, Fiore di Girasole, Sahara_2, Queen FalseHeart, Marz97, Aelfgifu e Roiben, che mi stanno seguendo. A presto!
 

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Capitolo 25
*** Cap. 24: A teatro ***


L'abito da sera che Allwood le aveva procurato era un lungo vestito rosa decorato da piccoli strass luccicanti e con la gonna a strascico, il tutto sommato a una pochette coordinata. Le aveva comprato pure le scarpe e un soprabito, eleganti ma adatti al clima rigido di San Pietroburgo. Più, ovviamente, un cappotto e un coprispalle.
Onestamente le parole di McGrath l'avevano lasciata di stucco: non si era aspettata che un uomo come Jayden Allwood potesse decidere all'improvviso di portarla fuori a teatro a vedere un semplice balletto. Era una cosa così... normale... che non gli si addiceva per niente. I suoi unici argomenti di conversazione erano Vaněk, i suoi Homunculin e i suoi poteri, e niente pareva smuoverlo. Non aveva pensato che, prima o poi, potesse anche invitarla a uscire.
Sapeva che c'erano delle cose che teneva nascoste, e a volte la spaventava un po', ma c'erano momenti in cui si comportava in modo protettivo e, per certi versi, premuroso nei suoi confronti, e per questo non era in grado di inquadrarlo. Ormai si era rassegnata ad accantonare la sfiducia per i momenti in cui era in grado di indagare e di godersi le attenzioni che Allwood aveva deciso di riservarle. E poi, una serata fuori sentiva di meritarla.
Di conseguenza, eccola dirigersi verso l'ingresso dell'albergo, dove la attendeva un'auto presa a noleggio, molto più moderna di quella che Allwood teneva nel vialetto, pur avendo ancora una volta optato per il color blu scuro. McGrath era in piedi accanto allo sportello, e le sorrise non appena la vide varcare la soglia.
- Mi consenta di dirle che sta molto bene, miss Alexander.- disse, aprendole la portiera.
Lei non rispose, incapace di decidere se credere o no alla parola di un uomo che non poteva provare emozioni, ed entrò in macchina limitandosi a sorridergli. Jayden, infilato in un elegante completo scuro e in un pesante soprabito nero, la aspettava seduto dall'altro lato della vettura, e una volta tanto non aveva uno dei suoi taccuini sotto il naso.
- Concordo con McGrath.- commentò mentre lei si sedeva - Sei un incanto.-
- Grazie a te per il vestito... e per tutto il resto. Mi servirà una valigia più grande al ritorno.- rispose Orlaith.
- Te ne comprerò una.-
- Ho i miei soldi, Jayden.-
- No, hai le carte di credito. E quelle si possono rintracciare. Non voglio che Vaněk...-
- Ah–ah!- esclamò lei, puntandogli contro un dito - Visto? Lo sapevo! Parli di nuovo di Vaněk! Questo elimina la mia prima ipotesi.-
Allwood guardò McGrath con aria interrogativa in cerca di un aiuto ma il maggiordomo, che intanto aveva acceso il motore e si era immesso nel traffico verso il teatro, non lo considerò.
- Ehm... quale ipotesi?- chiese.
- Che un alieno avesse preso le tue sembianze e ti avesse sostituito.- rispose Orlaith - C'erano alcune varianti, come quella dell'Homunculus o del gemello cattivo, ma in sostanza era sempre quella...-
Jayden scoppiò a ridere, scuotendo la testa.
- E le altre?-
- Beh, la mia preferita è la botta in testa. Sennò ho pensato al cambio di temperatura, qui fa così freddo che il tuo cervello si è come congelato... no, è entrato in letargo, ecco, e quindi ti comporti in modi diversi da...-
Senza voltarsi McGrath cominciò a ridacchiare sommessamente, guadagnandosi un'occhiata da parte di Allwood.
Il resto del tragitto fu insolitamente piacevole, e Allwood si dimostrò un conversatore molto più aperto del solito. Dopo essersi lasciato prendere un po' in giro le parlò della storia dello Schiaccianoci, spiegandole che era stato scritto da Pëtr Il'ič Čajkovskij all'inizi degli anni novanta dell'ottocento e che era derivato dal racconto Lo schiaccianoci e il re dei topi di Ernst Theodor Amadeus Hoffmann. Ammise anche di essere stato presente alla prima insieme a Vaněk, sempre al Mariinskiij, e che fin da allora era uno dei suoi spettacoli di balletto preferiti. Ogni volta che gli capitava l'occasione faceva un salto a San Pietroburgo per qualche giorno, così da potersi sedere in quello stesso teatro e rivedere Lo Schiaccianoci.
Il suo tono si fece piuttosto nostalgico a quel punto, ma non durò a lungo e, forse rendendosi conto di aver parlato di se stesso per più di un minuto, tornò a raccontarle curiosità riguardanti lo spettacolo, come per esempio il fatto che Čajkovskij avesse inserito una celesta per l'organico strumentale di certi passaggi del secondo atto quando scrisse la composizione. Quella fu la prima volta che una celesta venne usata come strumento in un'orchestra sinfonica.
Era piacevole stare lì con lui a parlare di simili sciocchezze dopo i mesi in cui non avevano fatto altro che discutere di argomenti seri come la morte e la magia. Orlaith riuscì anche a dimenticarsi, per un po', di aver chiesto a David di correre in suo aiuto, o di essere preoccupata per suo padre, e quando arrivarono al Mariinskiij sentiva di essere di ottimo umore per la prima volta da giorni, se non settimane.
I posti presi da Allwood non erano in platea, bensì in galleria, dove avrebbero avuto maggiore privacy. McGrath li raggiunse con un lieve ritardo, essendo andato a parcheggiare, e quando si fu finalmente seduto le luci si erano già abbassate. A tracolla portava un borsone di modeste dimensioni, forse preso dal portabagagli.
Mentre l'orchestra cominciava a suonare (Orlaith si sorprese ad ascoltare dal vivo dopo anni la musica di un violino non suo) e le danze sul palco partivano, Allwood fece un cenno al maggiordomo e questi, chinandosi appena, trasse dalla borsa un thermos che si rivelò pieno di cioccolata calda.
- Tieni.- sussurrò Jayden, passandogliene una tazza.
- Quanti anni credi che abbia?- chiese Orlaith, alzando un sopracciglio.
Lui sorrise.
- C'è dentro il Connemara.-
La violinista represse un grido di sorpresa e accettò la tazza fumante: era da quando viveva a Tresckow che nessuno le offriva della cioccolata calda corretta col whiskey.
- Come lo sapevi?- sussurrò dopo aver dato un paio di sorsi - Della cioccolata.-
Lui le rivolse uno sguardo da "sono l'uomo più scaltro al mondo".
- Ho i miei sistemi.- rispose.
- Detto volgarmente, hai avuto culo. Ammettilo.-
- Se posso permettermi...- intervenne a bassa voce McGrath - ... credo che questo non sia il luogo per dire parole come quella, miss.-
Lei trattenne a stento una risata, affogandosi nella cioccolata per non fare troppo rumore.

Mezz'ora prima della fine del balletto Allwood prese un piccolo binocolo da una tasca interna della giacca e lo regolò per alcuni minuti. Quando fu soddisfatto glielo passò.
- Guarda la ballerina che interpreta Clara.- disse.
Orlaith, incuriosita, portò il binocolo davanti agli occhi: la donna in questione interpretava la protagonista, e l'aveva avuta sott'occhio per l'intera serata, ma a causa della distanza non era stata in grado di definirne con esattezza l'aspetto.
Ora che la vedeva bene si accorse che era giovane, molto giovane. Forse avevano la stessa età, con uno scarto di un paio d'anni. Era probabilmente più alta di lei, e sicuramente molto più magra, con un fisico longilineo che avrebbe suscitato l'invidia di metà delle donne di New York e l'ira di tutte le altre. Persino lei, che con tutti i suoi allenamenti nella danza non era di certo grassa, si scoprì a invidiare un po' il suo punto vita e le sue cosce.
Aveva i capelli nerissimi, lunghi ma raccolti in una crocchia, e la pelle pallida, ma non seppe dire se era per il trucco o perché fosse anemica. Si muoveva con un'agilità e una grazia davvero invidiabili, e le sue labbra erano una linea sottile su quel volto di porcellana. Sembrava una bambola.
- Carina... credo.- disse - Vuoi invitare lei la prossima volta?-
- Non direi. Stanotte morirà.-
Orlaith abbassò di scatto il binocolo, sentendo il sangue defluire, e guardò Allwood che ora fissava la ballerina con espressione torva.
- Lei...- balbettò - Vuoi dire che... lei è...-
Jayden annuì.
- Yelena Volkova. Prima ballerina, grande star russa e Homunculus, secondo Suggello di Vaněk, probabilmente dotata del potere dell'acqua.-
Orlaith sentì di voler vomitare.

- Sei un bastardo, Jayden!- sbottò furiosa.
Erano nel corridoio della galleria, dove non avrebbero dato eccessivo fastidio ai vicini nemmeno se avessero litigato. Cosa che, in effetti, stava succedendo.
O meglio, Orlaith litigava, mentre Allwood aspettava pazientemente che si placasse il flusso di parole e McGrath se ne stava immobile in un angolo come al suo solito, simile a un enorme pinguino impagliato.
- Pensavo che per una volta tu volessi passare un po' di tempo con me a fare... qualcosa di... normale! Ma no, tu dovevi per forza cercare quella Volkova! Non pensi a nient'altro, uccidere Vaněk è l'unico scopo della tua vita, quindi tutti quanti devono avere in testa lo stesso obbiettivo vero? Non importa se sono stanchi e se hanno rischiato la vita fin troppo spesso, giusto? Tu... ARGH! Go n-ithe an cat thu, is go n-ithe an diabhal an cat!-
A quell'ultima uscita Allwood sgranò gli occhi e guardò il maggiordomo, che si strinse appena nelle spalle, confuso tanto quanto lui.
- Ehm... non ho capito.- ammise, confuso.
- Ah, ma guarda, non parli gaelico?- brontolò Orlaith. A dire il vero non lo parlava nemmeno lei. Sapeva solo una manciata di parole e quella frase - Beh, comunque era un modo per dirti che ti odio.-
Lui annuì.
- Ne prendo atto...-
- Ne prendi atto?- ripeté la violinista - Forse non hai capito, stupido... qualsiasi cosa tu sia!- sbottò Orlaith - Non so niente di te, non riesco nemmeno a capire se mi posso fidare... poi tu te ne esci con questo vestito, e questa serata... e mi fai credere che vuoi passare un po' di tempo con me, e a me sta bene, perché sei carino, non sei male come fisico e hai anche quell'aria misteriosa che farebbe sbavare una ragazzina... ma ti comporti da maledetto, egocentrico stronzo!-
Terminato lo sfogo, tutto quello che le rimase fu un gran fiatone, una fronte bollente e un vago senso di vuoto dovuto all'improvvisa sfuriata. Allwood, invece, non aveva fatto una piega per tutto il tempo, tranne quando lei aveva sbottato in gaelico, ed era ancora adesso a braccia incrociate, accigliato e scuro come sempre.
- Ti ho già spiegato più volte la mia situazione.- replicò - Ma ho cercato di venirti incontro. Ti ho fatto passare una bella serata, no?-
- Già, perché aspettare domani ti avrebbe ucciso.- sbuffò lei, scuotendo la testa - E di preciso dimmi: come intendi procedere stavolta? Buttiamo giù tutto il teatro? O ci limitiamo a far cadere un faro dritto sulla sua testa? In ogni caso sei da solo, non ho il mio violino.-
Allwood guardò McGrath, che a sua volta gettò un'occhiata veloce alle sue spalle, verso la tenda che celava i loro posti e la borsa che aveva portato con sé.
- No...- disse lei, indietreggiando e puntando gli indici contro di loro - Ooooh, no no no no no, voi due... voi due volete prendermi in giro...-
- Non posso usare il Cerchio Magico qui dentro, ma il suono del tuo violino passerà inosservato...-
- Io suono dubstep!- sbottò Orlaith - Dubstep ed elettronica! Quella è musica classica! Non posso fare niente con la musica classica! Mi piace, ci ho imparato a suonare, ma non è il mio genere, non la sento così tanto! Non ci riesco! E poi, se anche funzionasse, come lo giustifico? Siamo in un fottuto teatro! Un teatro! E non sono sul palco o nel golfo! Lì non mi noterebbe nessuno, se lo faccio da qui...-
- Ovviamente ho un piano.- sospirò Allwood - McGrath, prendile il violino... e tu, per favore, calmati e seguimi. Ti spiegherò ogni cosa mentre andiamo. Abbiamo pochissimo tempo.-
Senza lasciarle tempo di reagire, la afferrò per il gomito e la trascinò con sé lungo il corridoio, sordo alle sue proteste.

Ovviamente non poteva che finire così. Allwood è sempre Allwood.
Ringrazio Ringrazio 
John Spangler, Old Fashioned, Fan of The Doora, _Alexei_, Kira16, Fiore di Girasole, Sahara_2, Queen FalseHeart, Marz97, Aelfgifu e Roiben, che mi stanno seguendo. A presto!

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Capitolo 26
*** Cap. 25: La ballerina ***


Allwood la trascinò fin dietro il palco, aggirando completamente la platea e inoltrandosi nelle viscere del teatro fino a raggiungere l'area dei camerini. McGrath, dietro di loro, portava il violino di Orlaith, la quale ormai si era rassegnata a tacere, in attesa di conoscere il nuovo "piano" dello stregone.
Là dietro la musica era incredibilmente ovattata, filtrata dalle spesse pareti del teatro, e si sentiva solo un suono vago e lontano, come se l'orchestra suonasse dall'altro lato di un grandissimo campo. Difficilmente qualcuno all'esterno avrebbe sentito qualcosa.
- Allora, è molto semplice.- disse, fermandosi davanti a una porta su cui qualcuno aveva appeso un cartello con su scritto "Yelena Volkova" - Devi entrare qui dentro, è il suo camerino privato. Appena entra comincia a suonare e distruggila.-
- Certo... e magari lei rimarrà ferma dov'è senza reagire in alcun modo, vero?- chiese Orlaith, scocciata.
- Immagino che tu non sappia com'è andata l'ultima volta.-
- Certo che lo so: le abbiamo prese e ce la siamo cavata per miracolo!-
Allwood fece una smorfia amara, scuotendo la testa.
- No, temo di averle prese solo io.- rispose - Appena hai cominciato a suonare, a suonare sul serio, Fakhri si è disinteressato del tutto a me, specie quando si è reso conto che la tua musica stava trasformando in sabbia la sua armatura di roccia. Ha avuto paura e ha cominciato a concentrarsi su di te, dandomi il tempo di colpirlo alle spalle, proprio dove avevo visto il Cerchio Magico.-
- E allora?-
- E allora, anche se avevi gli occhi chiusi, non riusciva a colpirti.- spiegò Allwood - Qualsiasi cosa tu stessi facendo, non ti limitavi a ballare... hai schivato qualunque cosa lui tentasse di usare: i suoi pugni sono andati a vuoto, i proiettili di pietra si sono dissolti o sono andati a centrare una parete, ti ha persino tirato contro una poltrona... quella è tornata indietro, e per poco non mi schiacciava...-
- Va bene, ho capito!- sbottò lei - Quindi, in pratica mi stai dicendo che sono invincibile mentre suono?-
- No, solo estremamente difficile da colpire. Immagino che qualcuno come Vaněk riuscirebbe a colpirti, se s'impegnasse abbastanza, ma non è questo il nostro caso. Sei più potente di lui e, quindi, dei suoi Homunculus. Suona e non avrai alcun problema.-
- E voi due? Vi godete lo spettacolo?- chiese Orlaith.
- Ovviamente no.- rispose lui - McGrath e io ci assicureremo che non entri nessuno. Appena avrai finito rimetterò in ordine, poi andremo via di corsa.-
- Insomma, a me tutto il lavoro.- grugnì Orlaith, prendendo il violino da McGrath - Sai, quella storia dell'arma del nemico usata contro di lui... sicuro di essertela inventata?-
Lo disse per pura cattiveria, arrabbiata com'era, ma le parve di vedere uno sguardo dispiaciuto nel volto di McGrath, quando alzò gli occhi. D'altra parte, era un Homunculus: non provava emozioni, fingeva e basta.
- Non esagerare, McGrath.- brontolò, provando l'accordatura dello strumento - O penserò che provi davvero qualcosa.-
Il maggiordomo sospirò in tono sconsolato. Solo allora Orlaith si ricordò di non aver mai ammesso con Jayden di conoscere la vera natura del suo servitore.
Si voltò a guardarlo, e vide che era di nuovo accigliato, ma stavolta non pareva arrabbiato. Semmai, era triste.
- Lo sai?- chiese.
Lei annuì.
- Ho visto una foto di lui che lavorava per Vaněk, di almeno sessant'anni fa.- spiegò - L'ho trovata per sbaglio mentre facevo qualche ricerca.-
- E hai capito che c'era qualcosa di strano.- concluse Allwood - Gliel'hai detto tu?- chiese, rivolgendosi al maggiordomo.
Lui annuì.
- Lei non mi ha mai vietato di confermare a miss Alexander ciò che già sospettava. Mi ha ordinato di non parlarle di certi argomenti finché non lo avesse fatto lei, ma...-
- Sì, ho capito...- sbuffò Allwood - Va bene... non importa.- sospirò, massaggiandosi le palpebre - Orlaith, entra in questo maledetto camerino e fai quello che ti ho detto. Tra pochi minuti qui dietro ci sarà una gran folla. Io userò un Cerchio Magico per bloccare i rumori.-
La violinista non replicò, ora dispiaciuta: McGrath le aveva detto di non parlare dell'argomento in presenza di Jayden, ma era così arrabbiata che...
No, un attimo... davvero me ne frega qualcosa? Si chiese, chiudendosi dietro la porta.
In fondo, una cosa del genere poteva finalmente portarlo ad aprirsi un po'. Magari avrebbe potuto fidarsi completamente di lui, se lo avesse costretto a parlare un po' più di se stesso.
Terminò di saggiare l'accordatura del violino e, quando fu soddisfatta, guardò il proprio vestito: Jayden aveva detto che ballando aveva evitato quello che la musica non aveva respinto o neutralizzato, e ballare l'aiutava anche a calarsi più a fondo nei brani, a scordarsi di tutto il resto e a concentrarsi sulle note. Le dava brio, l'aiutava a esprimere quello che provava, quindi era indispensabile, ma le scarpe avevano un tacco troppo alto, cosa a cui comunque poteva rimediare in fretta. Per lo strascico era tutta un'altra storia.
Di certo non avrebbe suonato nuda: doveva accorciare quel vestito.
Tanto lo ha pagato Jayden...
Sul tavolino della trousse c'erano delle forbici per capelli, non particolarmente grandi ma affilate: avrebbe potuto usarle per...
E se la... pugnalassi?
Si rese conto di non poterlo fare non appena ebbe formulato il pensiero: la sola idea le dava la nausea e le faceva tremare le ginocchia. Poteva accettare di uccidere un Homunculus con la musica, ma pugnalarne uno con un paio di forbici per capelli era tutta un'altra cosa.
E poi, ricordò con sollievo, gli Homunculus potevano essere uccisi solo neutralizzando il loro Cerchio Magico, nascosto da qualche parte nel corpo. Non avrebbe comunque potuto uccidere la Volkova con un'aggressione tanto blanda: era una ragazzina di una cinquantina di chili, più o meno (non si pesava da un po'). Un Homunculus, a prescindere dalla stazza, era in grado di strappare le braccia a uno scaricatore di porto, secondo Allwood. Che speranze avrebbe mai potuto avere in un corpo a corpo?
Sentì un lontano scroscio di mani che battevano, e comprese che lo spettacolo era finito. Aveva giusto il tempo per gli applausi.
Cercando di sbrigarsi, tagliò il vestito all'altezza della coscia, così da essere più libera, e si tolse le scarpe; gettò poi tutto in un angolo dietro il grande appendiabiti, dove si nascose anche lei stringendo a sé il violino. Sentiva il cuore battere a mille mentre rimaneva appostata lì come... come chi?
Hitman? No, quello è un cecchino.
Non conosceva abbastanza i fumetti per fare un paragone decente.
Il rumore degli applausi morì di botto, come se qualcuno avesse tolto il volume: l'incantesimo di Allwood doveva essere entrato in azione.
Quando sentì la maniglia della porta scattare, Orlaith sentì un fiotto di adrenalina che la pervadeva da capo a piedi; la figura snella di Yelena Volkova, infilata in quel suo tutù argentato, entrò rapidamente nel camerino e si chiuse la porta alle spalle, dirigendosi verso lo specchio. Non parve notarla minimamente, limitandosi a prendere le salviette struccanti dal tavolino per cominciare a rimuovere i vari strati che le coprivano il viso.
Va bene... lo devo fare, quindi lo faccio. Ma vai a quel paese, Jayden!
Lasciò in silenzio il proprio nascondiglio, portando l'archetto sulle corde, e cominciò a suonare.
Aveva riflettuto per tutto il tempo sul brano da scegliere per l'occasione: quello che stava scrivendo non era ancora pronto, ma ne ricordava chiaramente un altro, totalmente dubstep, che faceva al caso suo.

Qui il brano

Nella parte iniziale la musica era lenta, calma, poco ritmata, e diventava poco più veloce andando avanti. L'idea di scrivere quel pezzo le era venuta leggendo di una ricerca sulla cosiddetta "memoria dell'acqua" e sulla sua capacità di cristallizzare in modi differenti a seconda delle atmosfere che la circondavano: in presenza di vibrazioni positive assumeva un aspetto ordinato e armonico, mentre in presenza di vibrazioni negative ne prendeva uno totalmente caotico e indefinibile. Il che, secondo lei, rispecchiava gli stati d'animo degli esseri umani (peraltro fatti in gran parte d'acqua): in presenza di un ambiente positivo stavano bene, erano più sereni e in pace, mentre in un ambiente negativo... insomma, era chiaro.
Il brano parlava di questo, e lo aveva scritto esattamente pensando a quel genere di cose. La sua ricerca di un ambiente piacevole e positivo l'aveva portata a quelle note particolari, a quella musica.
Appena ebbe sentito le prime note Yelena Volkova si voltò verso di lei, colta alla sprovvista dalla sua improvvisa comparsa. Prima di chiudere gli occhi, Orlaith la vide muovere le labbra per dire qualcosa.
Ma ormai le sue parole erano già diventate un lontano mormorio indistinto.
Intorno a lei non c'era più il camerino del teatro, che era diventato solo una caverna coperta di ghiaccio scintillante e neve, completamente vuota e silenziosa, a eccezione di lei e del suo violino.
Ad ogni suo movimento le stallatiti vibravano ed emettevano fiochi echi tintinnanti, riempiendo l'aria con il loro suono, cantando per lei. Alcune di quelle più grosse si ruppero silenziosamente, frantumandosi in sottilissima sabbia gelata, e andarono a volteggiare con lei al centro della grotta, mentre la neve sotto i suoi piedi nudi, la cui temperatura era misteriosamente facile da tollerare, seguiva i suoi passi.
Le schegge delle stalattiti si sciolsero e divennero acqua, e quella andò ad assumere mille e mille forme, alternando ogni volta la forma ghiacciata a quella liquida. A volte era una lepre che le saltellava intorno, altre volte una volpe, oppure uno stormo di passeri che si libravano verso l'alto e poi si rituffavano giù, cambiando di nuovo e diventando qualcos'altro.
Accanto a Orlaith c'era all'improvviso una figura umana, fatta di acqua e di ghiaccio, dagli occhi liquidi e le labbra distese in un sorriso di cristallo, che ballava con lei suonando un altro violino.
I capelli erano frammenti di pioggia che si muovevano nella sua scia, lasciando per qualche secondo delle esili goccioline nell'aria, mentre entrambe piroettavano nella neve, in mezzo alla grotta di ghiaccio, accompagnate dalla musica di un violino di legno e da quella di un violino di ghiaccio.
Giunsero insieme al termine dell'esecuzione, e quando Orlaith alzò l'archetto la figura davanti lei fece lo stesso, concedendole un ultimo sorriso prima di svanire con la caverna in cui si trovavano entrambe.

Quando riaprì gli occhi Orlaith ebbe un sussulto per la sorpresa, rimanendo senza fiato.
Il camerino in cui si era introdotta, in pratica, aveva cessato di esistere. Adesso era più simile a un piccolo campo di battaglia, devastato da un qualche disastro di cui non si era resa minimamente conto.
C'erano schegge di ghiaccio lunghe un dito, se non di più, conficcate nelle pareti intorno a lei, e alcune avevano scheggiato la porta, trasformandola in una sorta di enorme puntaspilli piatto. I vestiti nell'appendiabiti erano stati ridotti a brandelli, e solo in quel momento si rese conto che c'era un velo d'acqua che le bagnava i piedi e si stendeva su tutto il pavimento. I mobili erano difatti completamente fradici e trucchi, salviette, piume, pezzi di stoffa e frammenti di vetro (provenienti dallo specchio, ridotto in pezzi da una scheggia di ghiaccio particolarmente grande) galleggiavano o comunque affioravano intorno a lei.
Vide anche una gran quantità di polvere d'argilla mischiata all'acqua. Guardandosi attorno riuscì a trovarne il punto di origine, e un gran senso di pena le crebbe dentro.
Yelena Volkova, o quello che rimaneva di lei, giaceva a faccia in giù nell'acqua.
Di tutto il suo corpo si era salvata solo la parte superiore del busto, a cui era rimasto attaccato solo un braccio, coperto da ciò che rimaneva di una sottile e liscissima protezione di ghiaccio. Le sue gambe e il braccio destro erano totalmente scomparsi, e la crocchia in cui aveva stretto i capelli si era quasi totalmente disfatta.
Orlaith, invece, si accorse di essere incolume, a parte un paio di piccoli strappi superficiali nel vestito. Aveva combattuto, senza nemmeno accorgersene, contro un Homunculus estremamente agguerrito e dotato di poteri di acqua e ghiaccio che era stato capace di devastare una stanza in quel modo. E ci era riuscita senza farsi nemmeno un graffio.
Doveva ammetterlo: aveva fatto parecchi passi avanti dal suo primo incontro con quelle creature.
Vide la Volkova muovere le dita, e comprese che non era ancora morta. Rimase ferma per un istante, incerta su come comportarsi: era sua nemica, avevano cercato di uccidersi a vicenda, non poteva provare dolore o emozioni che potessero condurla all'agonia durante i suoi ultimi momenti e, oltretutto, il suo obbiettivo era eliminarla. Tuttavia non riusciva a non provare pietà nel vederla così.
Mise il violino al sicuro dall'acqua su ciò che rimaneva del piccolo tavolo e con molta cautela rigirò i miseri resti di Yelena Volkova, mettendola a faccia in su.
- Oddio...- mormorò.
Una grossa porzione della sua fronte era diventata polvere, lasciando scoperto l'argilla secco al disotto e costringendola a tenere completamente chiuso l'occhio destro. Il suo viso, prima perfetto, era ora una maschera di crepe sottili e profonde, che si sfaldavano lentamente e si mischiavano all'acqua sotto di lei.
Il suo unico occhio buono incrociò i suoi.
- Provi pietà per me, violinista?-
- Riesci ancora a parlare?- chiese Orlaith.
- Non provo dolore.- rispose la Volkova. Aveva un forte accento russo - Non sento le ferite.- portò la mano davanti alla faccia e la guardò: anche le dita iniziavano a disfarsi - Però sento quando la fine si avvicina.- ammise - Come puoi provare pietà? Sei stata tu a ridurmi così.-
- Non pretendere di capire gli esseri umani.- rispose la violinista - Le emozioni sono complicate.-
La ballerina tentò di sorridere, ma le uscì più che altro una smorfia.
- E tu non pretendere ci conoscere gli Homunculus. È evidente che non sai nulla di magia.-
- So che non provate niente. Siete capaci di fingere e basta. Siete solo qualcosa che Vaněk usa per rimanere immortale.-
L'Homunculus scosse quel che rimaneva della testa.
- Ciò dimostra solo la tua ignoranza.- mormorò - E non solo sui Suggelli. Forse all'inizio non proviamo nulla, ma anche noi siamo esseri umani, e possiamo imparare. Anche a sentire qualcosa.-
- Di cosa stai parlando?-
Lei sorrise di nuovo, scuotendo la testa. Il poco che rimaneva del suo corpo stava già diventando polvere a velocità sempre maggiore.
- Ci sono cose che non ti sono state dette.- disse - E mi dispiace per te.-
Si trasformò in argilla sotto lo sguardo impotente di Orlaith, lasciandola da sola nell'acqua.
 

Ammetto che un po' mi dispiace per Yelena, ma la storia è la storia. Deve continuare.
Ringrazio 
John Spangler, Old Fashioned, Fan of The Doora, _Alexei_, Kira16, Fiore di Girasole, Sahara_2, Queen FalseHeart, Marz97, Aelfgifu e Roiben, i lettori che mi seguono. A presto!
 

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Capitolo 27
*** Cap. 26: Una triste rivelazione ***


Orlaith rimase ferma con le ginocchia sul pavimento bagnato per quasi un minuto, fissando il mucchietto di polvere zuppa che fino a poco prima era stato Yelena Volkova, mentre le sue parole le riecheggiavano nelle orecchie.
Poteva fidarsi di ciò che le aveva detto? Provava realmente emozioni? O era solo un modo per farla dubitare, una specie di meccanismo di difesa estrema dei Suggelli per evitare che andasse a caccia degli altri facendosi degli scrupoli? E, soprattutto, Jayden aveva davvero nascosto delle informazioni? Beh, su questa aveva ben pochi dubbi...
- Buona sera, signorina.-
Il cuore le schizzò in gola tanto velocemente che per un istante temette di vederselo uscire dalla bocca.

Si voltò con
il fiato mozzo, scivolando sul pavimento fradicio e cadendo a sedere nei polverosi resti di Yelena Volkova. Alle sue spalle, all'improvviso, si era materializzato nientemeno che Stanislav Vaněk.
Era lì, con uno dei suoi completi migliori, e non pareva minimamente turbato di trovarla in mezzo a tutto quel macello, né di aver messo le sue belle scarpe nell'acqua.
Anche se, a ben guardare, Orlaith si accorse che non aveva le scarpe... anzi, non era nemmeno umano: come le radici di un albero spuntavano dal terreno, le sue gambe sbucavano semplicemente dall'acqua, diventando via via più trasparenti a mano a mano che si avvicinavano alla superficie. Non era davvero lì... stava usando i suoi poteri e le appariva in qualche modo a distanza.
- Lei non è reale.- constatò, mentre il cuore rallentava i battiti.
Vaněk annuì senza sorridere.
- Naturalmente no.- rispose - In piena onestà, mi trovo ancora nel mio ufficio nell'Empire State Building, e sto parlando attraverso un Cerchio Magico. E, lo ammetto a malincuore, non potrei nuocerti neanche se volessi.-
Giunse le mani dietro la schiena, guardando la stanza intorno a sé con blando interesse.
- Notevole.- commentò - Veramente notevole. È opera tua?-
Orlaith non rispose, incerta su quello che avrebbe dovuto dirgli: non sembrava minimamente preoccupato per la perdita di un Suggello.
- Lo prenderò per un sì.- continuò Vaněk - E noto che non rechi alcun danno sulla tua persona. Devo ammettere di essere piuttosto impressionato... non credevo saresti stata in grado di affrontare qualcuno potente come Yelena così presto. Probabilmente avrei dovuto parlare chiaramente con te fin dall'inizio, e offrirti di essere la mia apprendista. Un dettaglio che avrei dovuto considerare.-
- Ha appena perso un Suggello.- disse Orlaith - Questo è tutto ciò che ha da dire?-
L'uomo fece una semplice smorfia, senza smettere di guardarla.
- Non uno. Due. Sono a conoscenza della triste fine di Rashid Awwād Fakhri, della sfortunata fuga di gas nel suo attico a Parigi. È apparso sui giornali francesi e, per tua sfortuna, leggo anche quelli.-
Orlaith non replicò.
- So bene che tu e l'uomo che chiami Allwood siete in combutta e meditate di uccidermi.- proseguì lo stregone, senza mostrare emozioni particolari - Il vostro piano mi è ben chiaro. Mi chiedo, tuttavia, se tu sia effettivamente a conoscenza della situazione.-
- So che mi ha manipolata.- disse Orlaith, rialzandosi - Ha mandato David a Tresckow appositamente per scritturarmi e farmi entrare nella Lightning Tune Records... e poi ha reso la mia vita un inferno per potermi usare come arma!-
- Sì, tutto vero.- ammise annuendo Vaněk - Non nego nulla di tutto ciò. Perché dovrei, in fondo? Sto solo cercando di imporre la pace, di mostrare agli umani un nuovo modo per vivere. Anche se comprendo che, dal tuo punto di vista, io meriti la morte, motivo per il quale temo che sarò costretto a ucciderti io stesso, cosa che mi obbligherà a ricominciare daccapo. Un vero peccato.-
- Che gran bel discorso...- brontolò sarcasticamente Orlaith - Mi fa quasi venir voglia di cambiare idea...-
- Ad ogni modo...- proseguì lui, scoccandole un'occhiata torva - ... spero ancora di indurti alla ragione. Sei solo una ragazzina, e non sai nulla. Sei oltremodo ignorante per quel che riguarda la verità. Tu credi che sia io il cattivo in questa bella favola, ma ritengo di doverti informare che l'uomo che chiami Jayden Allwood...-
La frase fu interrotta da un crepitante fascio di luce verde acqua, che attraversò e disfece completamente la figura di Vaněk, provocando una piccola pioggia sul pavimento già fradicio e facendo fare a Orlaith un piccolo salto per lo spavento.
Jayden era apparso sulla soglia, la mano puntata con il taccuino aperto sul palmo, e un Cerchio Magico si stava spegnendo in quel momento sulla pagina.

- Ti avevo detto di uscire una volta finito.- disse in tono cupo, chiudendo il taccuino - Dovevi proprio trattenerti?-
- Volevo accertarmi che la Volkova fosse morta. A proposito, lo è.- rispose Orlaith, accigliandosi - E non sentirti obbligato a farmi i complimenti per l'ottimo lavoro, che ho svolto da sola. Ma poi lui è sbucato dal nulla, non l'ho voluto io.-
- Ma ora sa cosa stiamo facendo.- continuò Jayden - Farà in modo di renderci la vita difficile. Ora è inutile andare in Cina... starà già avvertendo gli altri due.-
Orlaith sostenne il suo sguardo torvo, senza vacillare.
- Beh, suppongo che non serva a niente recriminare. Il danno è fatto.- sospirò lui alla fine, facendole cenno di precederlo - Forza, andiamo... devi asciugarti e cambiarti, o ti prenderai un malanno.-
Lei non si mosse.
- Cosa intendeva dire?- chiese invece - Quando lo hai interrotto stava dicendo che non mi hai detto tante cose... e lo ha fatto anche la Volkova, prima di morire.-
- E non hai pensato che magari stessero cercando di confonderti?- chiese Allwood, tornando ad accigliarsi - Sei davvero così ingenua?-
- Non sono ingenua!- protestò Orlaith - Sono... arrabbiata!- sbottò - E stufa marcia!-
- Beh, mi dispiace.- replicò Allwood, altrettanto furioso - Perché è vero, c'è qualcosa che ti nascondo, non volevo dirtelo... volevo evitare di farti diventare come me!- disse dopo una breve pausa - Ma visto che ti ostini a comportarti da bambina viziata, forse è il caso che ti informi che anche la morte di tua madre è colpa di Vaněk!-

Appena Allwood ebbe pronunciato quelle parole la sua espressione e il suo atteggiamento mutarono drasticamente: abbassò lo sguardo, pinzandosi il naso con le mani, e sbuffò lentamente l'aria fuori dalle guance, facendo mezzo passo indietro.
Orlaith, invece, non si mosse da dove si trovava. Il freddo che aveva provato fino a quel momento, bagnata e stanca, era nulla in confronto a quello che la stava assalendo adesso, partendo dallo stomaco e diffondendosi in tutto il resto del suo corpo.
- Cosa?- chiese.
All'improvviso sentiva la bocca tremendamente asciutta. La sua voce si era fatta simile al verso di un corvo.
- Senti...- sospirò Allwood, abbassando le mani - Ormai è passato molto tempo, e pensarci...-
È passato molto tempo? È passato... era MIA MADRE!- gridò furiosa Orlaith - Tu lo sapevi... e non mi hai detto niente?-
Lui non rispose, mettendo le mani sui fianchi con aria sconfitta.
- Da quanto tempo lo sapevi?- gli chiese.
- Orlaith...-
- Quanto, Jayden?-
- Io...-
- QUANTO?-
- DA SEMPRE!- sbottò, allargando le braccia - Lo so da sempre, va bene?-
- E perché... diavolo non me l'hai mai detto?- ringhiò furiosa lei.
- Perché non volevo che diventassi come me!- sbottò Allwood - Tutto quello che voglio è vedere Vaněk morto. La mia intera esistenza è dedicata a questo scopo, infatti non ho idea di cosa fare quando avrò finito... non so nemmeno se posso ancora considerarmi una persona come le altre. Sono pieno di rancore, non ho altro. Volevo evitare che succedesse anche a te!-
Orlaith serrò i pugni così forte che cominciò a tremare, poi uscì rapidamente dalla stanza, quasi urtando McGrath che, appena fuori dal camerino, aspettava il loro ritorno.
Attraversò il retropalco sotto gli sguardi stupiti di chi ancora si attardava nell'area riservata agli artisti: doveva essere uno spettacolo insolito vedere una donna scalza, scarmigliata, fradicia e con il vestito a brandelli dirigersi verso l'uscita senza curarsi minimamente delle proprie condizioni. Qualcuno cominciò a borbottare in russo, e un tecnico si avvicinò al camerino della Volkova, lanciando sguardi preoccupati sia a lei che a McGrath e Allwood.
Chi se ne frega... che vedano quello che ho fatto là dentro! Che scoppi il panico! Che la risolva da solo!
Uscì in strada spintonando bruscamente la porta, che colpì un ballerino proprio la fuori, intento a fumare una sigaretta mentre chiacchierava con alcuni colleghi. L'uomo imprecò in modo incomprensibile, ma lei non si fermò, anche se i piedi iniziarono subito a dolerle a contatto con la coltre bianca e l'asfalto gelido. Quasi non si accorse che stava nevicando.
Continuò a camminare a lungo nelle strade buie di San Pietroburgo, fino a intirizzirsi completamente le gambe praticamente nude. Non era certa di dove si trovasse quando incespicò e cadde di faccia nella neve, mordendosi la lingua.
Rimase distesa per un tempo interminabile, piangendo in silenzio con la faccia affondata nella morbida distesa ghiacciata sotto di lei.
Non riusciva nemmeno a pensare a come si sentiva. Aveva la mente vuota, e voleva solo piangere e basta, fino a congelare.
Questo tuttavia le fu impedito dalla persona che, producendo solo un vago suono di passi che affondavano nel manto bianco che copriva la strada, le si avvicinò e si inginocchiò al suo fianco, mettendole una mano sulla spalla.
Alzando gli occhi pieni di lacrime vide Jayden guardarla con aria compassionevole e dispiaciuta, mentre McGrath incombeva sopra di loro con un ombrello aperto per ripararli dalla neve che cadeva.
- Mi dispiace.- disse Allwood.
La aiutò a mettersi a sedere e la strinse forte in un abbraccio consolatorio, cercando di trasmetterle un minimo di conforto.
- Dovevi dirmelo...- singhiozzò lei, a denti stretti - Dovevi... dovevi dirmelo, Jayden...-
Lui non rispose, tenendola stretta per qualche altro minuto. Poi la aiutò a rialzarsi e, coprendola col suo soprabito, la riaccompagnò in macchina.

Scusate il ritardo, non ho rimesso l'orologio. Ringrazio John Spangler, Old Fashioned, Fan of The Doora, _Alexei_, Kira16, Fiore di Girasole, Sahara_2, Queen FalseHeart, Marz97, Aelfgifu e Roiben, che mi stanno seguendo, e aggiungo anche Beauty Queen, appena arrivata. A presto!

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Capitolo 28
*** Cap. 27: Il ritorno in America ***


Orlaith si rigirò sul divano, allungando il braccio sul tavolino di vetro per recuperare il flacone di aspirine. Il jet lag era un nemico terribile, e se avesse potuto prevenirlo, almeno in parte, lo avrebbe fatto più che volentieri. Purtroppo la partenza era stata quasi immediata, e appena ne erano stati in grado erano saliti sul primo aereo diretto a New York.
Ora si trovava di nuovo nel suo appartamento, e dopo quasi una settimana di riposo si era rimessa del tutto, anche se il mal di testa faticava a scomparire.
La prossima vacanza in Europa la faccio da sola... Si ripromise.
Ma, in fondo, lei passava tutto il suo tempo da sola. Grazie a Vaněk, tra parentesi.
Ripensò a Jayden, che in quel momento era con ogni probabilità in casa sua, a riprendersi come lei dagli effetti del cambio di fuso: durante il viaggio di ritorno (durato circa undici ore) non si erano mai rivolti la parola e, appena aveva recuperato i bagagli, era saltata su un taxi e si era fatta riportare a casa propria. Non aveva minimamente pensato a Vaněk e alle conseguenze del suo ritorno nell'appartamento nella Beekman Tower. Voleva solo stare da sola e telefonare a suo padre.
La prima cosa era riuscita a ottenerla, e infatti aveva staccato il telefono appena entrata e spento quello regalatole da Allwood. Subito dopo aveva cercato di chiamare suo padre dal cellulare, ma in quel momento suonava occupato e, pur essendosi ripromessa di provare ancora più tardi, la stanchezza l'aveva sopraffatta ed era crollata sul letto prima ancora di riuscire a svestirsi.
Dopo una settimana di riposo si era quasi totalmente ristabilita, ma ancora non aveva potuto contattare suo padre: riusciva a chiamarlo solo in orario di lavoro, quando era più sveglia ma lui fuori casa, e nel pomeriggio finiva quasi sempre col crollare sul divano, combattendo per non dormire. In compenso, la nuova canzone era quasi pronta, anche se non era più del tutto certa del motivo per cui la stesse scrivendo.
In fondo non doveva più niente alla Lightning Tune Records, non dopo tutto quello che le aveva fatto Vaněk, e se non fosse tornata da Allwood (e in quel preciso momento non ne aveva molta voglia) non le sarebbe servito avere un nuovo brano con cui combattere.
L'unica per cui potesse mai scrivere, quindi, era se stessa. Stava componendo della musica e dei versi che nessuno avrebbe mai ascoltato all'infuori della loro stessa autrice, per occupare un po' la mente e al tempo stesso sfogare sentimenti che altrimenti avrebbero ristagnato dentro di lei fino a esplodere.
Meglio sprecare tempo che diventare una repressa.
Buttando giù l'ennesima dose di aspirina, Orlaith guardò i fogli sparsi sul divano e sul suo grembo: nonostante fosse privo di un suo fine pratico, Orlaith si sentiva piuttosto soddisfatta del proprio lavoro.
Sentì suonare alla porta. Pregò che non fosse McGrath o, peggio ancora, Allwood.
Già tre volte il maggiordomo si era fatto vivo: quando avevano capito che non avrebbe mai risposto al telefono, McGrath si era presentato alla sua porta, e in seguito era stato Jayden a venire. Lei non aveva aperto a nessuno dei due, e aveva lasciato detto al portiere di non farli più salire. D'altro canto dubitava che un banale portiere potesse tenere alla larga uno stregone di trecento anni e il suo servitore Homunculus.
Il fatto era che non si sentiva ancora pronta a vedere nessuno dei due. Scoprire che Vaněk era stato direttamente responsabile della morte di sua madre l'aveva ridotta in pezzi, e sapere che Jayden aveva deliberatamente deciso di tenerle nascosta l'informazione era ancora peggio. Stava arrivando a fidarsi di lui, a farselo piacere... a stare bene in sua compagnia. Non voleva essere tenuta all'oscuro di cose del genere.
Fortunatamente, oltre la soglia trovò David.
- Yoh, ragazzina!- esclamò il produttore, allargando le braccia e facendo un evidente sorriso tirato, in una chiara parodia di un atteggiamento festoso - Allora, ci siamo degnate di farci vive? Sei di nuovo in zona, eh?-
- Oh... ciao, Dave.- disse lei, colta alla sprovvista: si era totalmente dimenticata addirittura che esistesse, con tutto quello che le era successo a San Pietroburgo - Come stai?-
Lui aggrottò la fronte, portando le mani sui fianchi.
- Beh, tutto qui? Sparisci per settimane, mi chiami a malapena una volta e poi sparisci di nuovo? Cavolo, chica, se il tuo portiere non mi avesse chiamato...-
- Ti ha chiamato lui? Perché solo ora? Sono qui da giorni!-
- Sì, gliel'ho chiesto anch'io.- sbuffò David, spingendola di lato per entrare - E mi ha detto che un tizio accompagnato da un grosso pinguino inamidato lo aveva pagato per non farlo. È lui Allwood, vero? Hai un nuovo fidanzato?-
Orlaith scosse la testa, chiudendo la porta.
- Non è il mio fidanzato.-
- Beh, comunque il portiere ha cambiato idea quando gli hai chiesto di tenere fuori quei due. Era preoccupato, e visto che sono il tuo contatto di emergenza ha chiamato me.- la guardò per un istante, sempre accigliato - Ma che cazzo succede?-
- Scusa se non mi sono fatta viva.- disse Orlaith - Ho avuto una settimana pesante... mi sto ancora riprendendo dal jet lag, ero a San Pietroburgo...
- Dov'eri?- esclamò David.
- Te l'ho detto, mi dispiace!- disse Orlaith, in tono stanco - Se ti dicessi cosa sta succedendo non mi crederesti mai... io...-
- Senti, mettiamo bene in chiaro una cosa, d'accordo?- disse David, muovendo un passo avanti, accigliato - Tu la devi smettere! Basta fare la matta in giro per il mondo... sparire senza dire nulla, andartene con gli sconosciuti, fare i tuoi dannati comodi... io ho fatto l'impossibile per venirti incontro e aiutarti! Ti ho tirata fuori da quegli squallidi locali in cui ti esibivi, ti ho dato un appartamento da sogno nella città più bella del mondo, ti ho dato un fottuto futuro... quel vecchio trombone di Vaněk non è il solo ad avere investito su di te! In quattro anni sei diventata l'artista di punta della Lightning Tune Records: se sali tu salgo io, ma se cadi mi trascini a fondo con te! E non intendo permettertelo!-
Orlaith lo fissò ammutolita, sconvolta da quell'improvvisa sfuriata: David sapeva essere una persona dura e decisa, soprattutto con i tecnici e, una volta, lo aveva visto trattare davvero malissimo un aspirante artista che stava provinando il quale, in effetti, non aveva mostrato tutto quel gran talento che professava.
Ma con lei era sempre stato gentile, e di norma non alzava mai la voce. Anche al telefono le era sembrato preoccupato e irritato, ma comunque comprensivo. Era la prima volta che la trattava così.
- Dave, io...-
- No, niente "Dave, io". Basta con gli "io"!- la interruppe, afferrandola con forza per un braccio.
- Ahi!- esclamò Orlaith: aveva una stretta tremenda.
- Ora noi due andiamo in studio. Sei mancata abbastanza, signorina.- disse - Muoviti e... cambiati!-
- Dave, mi fai male!- gridò Orlaith, mentre lui la spingeva in camera da letto.
- Chiudi il becco e fai come ti ho detto!- sbottò, spintonandola verso la cassettiera.
La violinista urtò contro il mobile di petto, mozzandosi il fiato e vedendo tante piccole lucine apparire davanti alle sue pupille. Un gemito di dolore uscì dalla sua gola.
- Ti ho detto di sbrigarti!- sbraitò David.
Cosa stava succedendo? Aveva davvero sbagliato così tanto su di lui? Perché si comportava in quel modo?
- David...- disse con voce rotta, facendo per voltarsi.
Prima ancora di potersi girare del tutto le arrivò un manrovescio sulla guancia. Finì di nuovo a ridosso della cassettiera, ma stavolta perse l'equilibrio e scivolò sul pavimento, trascinandosi dietro alcuni libri, un paio di collane, il cellulare e il telefono che le aveva dato Allwood.
Sgomenta e incapace di ragionare, si toccò la guancia indolenzita, fissando un punto vuoto.
- Devo insistere ancora?- chiese il produttore, furioso.
Lei scosse lentamente la testa, incapace di dire nulla.
- Bene. Allora vestiti, e di corsa.-
Orlaith annuì, continuando a guardare il pavimento. Allungò una mano per sorreggersi alla cassettiera e si rialzò lentamente, inspirando con calma. Quella situazione era surreale... assurda.
Non capiva quel voltafaccia improvviso. Ad ogni modo, aveva un solo modo di uscirne: doveva raggiungere il violino.
- Posso... fari sentire... il nuovo pezzo?- chiese.
- Quale nuovo pezzo?-
- Io... l'ho scritto in viaggio.- rispose - Volevo proportelo appena fossi tornata...-
- Beh, lo sentirò in studio. Ora sbrigati.-
- Ma... volevo suonarlo qui, io... l'ho scritto per te.- mentì, arrischiando a lanciargli un'occhiata di sbieco.
Vide che aggrottava la fronte, dubbioso.
- È quello sul divano?-
Maledizione...
- Vado a dargli un'occhiata.- annunciò - Tu datti una mossa, o te ne mollo un altro.-
David uscì dalla stanza, diretto verso il divano. Aveva un'occasione per impugnare il violino, chiuso nella teca nella cabina armadio. Ma il tempo per prenderlo e suonarlo era davvero poco e, se disgraziatamente una sola corda avesse perso l'accordatura, i suoi poteri avrebbero potuto non funzionare.
Ma era l'unico sistema che aveva per sopraffare David.
Cercò di non fare movimenti bruschi, facendo sembrare il tutto il più naturale possibile. In fondo le serviva il violino per andare in studio, cosa c'era di strano?
Sentì il cuore aumentare i battiti a ogni passo, mentre si avvicinava con finta calma alla teca in fondo all'armadio. Gettò uno sguardo alle proprie spalle, e vide David ancora concentrato sui fogli, tentando di riordinarli per capire cosa avesse effettivamente scritto.
- Non è completa o sbaglio?-
- Mancano... un paio di linee.- rispose.
Aveva un nodo in gola. Si stava sforzando di non piangere.
- Beh, non hai tempo di finirla, adesso.- fece una pausa, lo sentì muoversi. Probabilmente si era voltato a guardarla - Ma allora, quanto ti ci vuole?-
Non venire, non venire, non venire...
- Sto... sto prendendo il... il violino. Arrivo subito.-
Aprì la teca con mani tremanti, prendendo il violino e l'archetto. Non aveva tempo di saggiare la resistenza delle corde, poteva solo suonare. Almeno, aveva una vasta scelta di brani con cui fare a pezzi Dave.
- No, tu arrivi adesso!-
Lo sentì coprire a grandi passi la distanza che li separava, e prima che potesse mettere in fila più di un paio di note si sentì afferrare per i capelli e strattonare indietro. Perse l'equilibrio e lasciò cadere lo strumento, mentre il produttore la trascinava verso il salotto.
- No!- gridò - David... ti prego, lasciami! Mi fai male!-
Madre de diòs, stai zitta!-
La scaraventò sul divano, afferrandole poi il braccio con forza. Orlaith cercò di ripararsi, e il primo pugno la colpì sul gomito. Il successivo, tuttavia, arrivò direttamente allo stomaco, strappandole un singulto strozzato.
All'improvviso la porta d'ingresso si spalancò, e qualcuno irruppe nell'appartamento. David si distrasse, alzando lo sguardo.
Un secondo dopo la sua testa venne colpita da un fascio di luce che la disintegrò.

Stavolta il mio ritardo è mostruoso, ma mi sono veramente dimenticato di postare. Sono appena iniziate le mie ferie, e ho un po' perso il senso del tempo, scusate.
Ringrazio J
ohn Spangler, Old Fashioned, Fan of The Doora, _Alexei_, Kira16, Fiore di Girasole, Sahara_2, Queen FalseHeart, Marz97, Aelfgifu, Roiben e Beauty Queen, che mi seguono. A presto!

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Capitolo 29
*** Cap. 28: Cambio di piani ***


Tremante e oltremodo sconvolta, Orlaith fissò il corpo di David, ormai privo di testa, che barcollava per un momento nello spazio tra il divano e il tavolino, le braccia tese alla cieca davanti a sé, che cercavano un qualche appiglio a cui aggrapparsi. Stranamente, non usciva sangue dal suo collo reciso.
Homunculus...
Non era reale. Non era una persona vera e propria... David era un Homunculus. Forse non era mai nemmeno esistito... l'amico, il produttore che aveva creduto in lei e che l'aveva lanciata era solo un'altra delle pedine di Vaněk nella sua spietata guerra contro Allwood, un altro strumento da usare per controllare la sua vita e sfruttarla come meglio credeva.
No, non era possibile. Ricordava di aver visto David sanguinare: da un dito quando si era tagliato con la carta, dal naso quando erano saliti a dicembre sull'Empire State Building per un evento di Natale, una volta un tecnico distratto gli aveva pure fatto cadere in testa una sbarra di ferro, procurandogli un piccolo taglio sulla fronte (e facendolo arrabbiare di brutto).
David non era mai stato un Homunculus. Quello era un fantoccio d'argilla con il suo aspetto, qualcosa che lei avrebbe accolto in casa propria con la guardia abbassata.
- Patetico.-
Allowood avanzò nel salotto, richiudendo il taccuino dei Cerchi Magici e prendendo uno dei suoi innumerevoli stracci disegnati da una tasca.
- Stai bene?- le chiese.
Orlaith annuì, stringendo le braccia attorno allo stomaco indolenzito, senza smettere di fissare l'Homunculus decapitato accanto a lei.
- Sei fortunata.- disse Jayden, aggirando il divano - Ho visto un Homunculus perforare un umano a mani nude come se fosse fatto di burro.-
Spintonò il corpo senza testa, mandandolo lungo disteso sul pavimento, e dispiegò lo straccio sul suo petto, mettendovi poi la mano sopra. Il Cerchio Magico disegnato dall'altro lato collassò, disintegrando completamente l'Homunculus, del quale non rimase nemmeno la polvere.
- Beh, anche questa è fatta.- disse lo stregone, recuperando il panno. Le scoccò uno sguardo compassionevole, sospirando - Allora, come va?-
Lei inghiottì il nodo che aveva in gola.
- Acqua...- gracchiò.
Jayden annuì e si diresse verso la cucina, portandole un'intera bottiglia. Orlaith ne buttò giù intere sorsate, attaccandosi direttamente, arrivando a far cadere qualche goccia. Lui si sedette sul tavolino, senza perderla d'occhio.
- Non sei ferita, vero?-
Orlaith scosse la testa, abbassando la bottiglia per riprendere fiato.
- Come lo sapevi?-
- Te l'ho detto: ti tengo d'occhio.-
Mosse una mano, e un Cerchio Magico comparve sulla finestra, brillando pigramente.
- Ce ne sono altri tre come questo. Ogni tanto li uso per vedere quello che stai facendo. Te ne avevo accennato, se ben ricordi.-
Orlaith annuì: mai come allora era stata così contenta di essere spiata da qualcuno.
- Chiudersi qua dentro non è stata una bella mossa.- osservò Allwood - Non ne ho le prove concrete, ma se ti sorveglio io è estremamente probabile che lo faccia anche Vaněk, ci hai pensato?-
- Non mi è mai importato granché.- ammise lei - Non ultimamente, almeno.-
L'uomo sospirò.
- Ascolta, so che sei arrabbiata, e so che avrei dovuto informarti su tua madre.- ammise - Ma avevo i miei motivi. Forse non sono così diverso da Vaněk... combatti qualcuno tanto a lungo e finisci per diventare come lui. Però tieni presente che non ho mai... mai... cercato di farti una cosa del genere.-
La violinista non rispose, tremando lievemente. Allwood sospirò, alzandosi in piedi.
- Dai, vestiti e vieni con me. Io raduno le tue cose. Abbiamo molto da dirci.-

A casa di Allwood Orlaith ascoltò lo stregone mentre, chiusi nel suo studio, le raccontava cosa fosse successo durante quella settimana in cui lei era rimasta chiusa nel suo appartamento.
Tanto per cominciare, fin dalla loro piccola disavventura a San Pietroburgo Vaněk era come scomparso: aveva ben due apparizioni pubbliche programmate, a un evento di beneficenza e ad una conferenza stampa, entrambe fissate mesi e mesi prima per la sua campagna elettorale come senatore dello Stato, ma aveva disdetto tutto praticamente all'ultimo minuto ed era partito per destinazione ignota.
I rimanenti Suggelli, dal canto loro, erano una storia solo leggermente diversa: uno era quello che avrebbero dovuto raggiungere in Cina, mentre l'altro veniva addirittura dall'Australia. Appena Vaněk si era dato alla macchia erano entrambi montati sul primo aereo diretto per gli Stati Uniti, ma dopo che erano atterrati avevano fatto perdere anch'essi le loro tracce.
- Quindi non sappiamo niente?- chiese Orlaith.
Si sentiva ancora molto scossa, ma un barile di cioccolata calda corretta con del Connemara (preparata personalmente da McGrath) l'aveva tirata un po' su. Personalmente cercava di respingere nell'angolo più remoto della sua mente il ricordo di David (anche se era un Homunculus aveva comunque il suo aspetto e la sua voce) che la maltrattava e la picchiava.
Ora era seduta al tavolo della sala da pranzo di Allwood, e davanti a loro c'era un'enorme numero di fotografie, alcune prese dai giornali e altre ricavate dagli impianti di sorveglianza del JFK, e ritraevano tutte una donna di origine orientale e un uomo di colore.
- Non ho detto questo.- corresse Allwood - Ho fatto delle ricerche in questi giorni, per capire le intenzioni di Vaněk. Se troviamo lui troveremo anche i Suggelli.-
- Tu dici?-
- Sicuramente. Ora che sa che ho scoperto le loro identità segrete vorrà tenerseli vicini. Tuttavia lui è ancora immortale, e appena si sentirà abbastanza sicuro ci farà sapere dove trovarlo.-
- Non sarebbe meglio nascondersi e basta?-
Allwood scosse la testa.
- Non è tipo da ignorare una minaccia diretta. Vorrà occuparsi di noi personalmente, adesso. Ci tenderà una trappola usando i Suggelli come esca, e appena abboccheremo tenterà di distruggerci. E se lo dovessimo incontrare da immortale ce la farà quasi sicuramente.-
- Immagino che lei abbia un piano, tuttavia.- disse McGrath, entrando in quel momento con un vassoio - Altra cioccolata?- chiese, prendendo la tazza vuota davanti a Orlaith.
- No, grazie.- rispose lei - Ha ragione? Hai un piano?-
Jayden annuì, mentre McGrath usciva ancora.
- Ovviamente la tua musica non sarà una sorpresa, non più almeno. Le altre volte ce la siamo cavata bene proprio per questo, ma ora Vaněk avrà spiegato ai suoi Homunculus chi sei e cosa sai fare. Lui stesso ti ha già vista in azione, e non sarebbe comunque una preda facile. Dovrai usare forse più potere di quanto tu ne abbia utilizzato finora per avere una vera possibilità. Manipolare la materia soltanto potrebbe non bastare... dovrai servirti di altro, come tempo e spazio, per avere un vantaggio.-
- E come dovrei fare?-
- Questo non lo so.- rispose Allwood, serio - Sta a te capirlo. E dovrai fare in fretta, temo.-
Detto ciò, frugò per un momento nella massa di carte davanti a loro fino a scovare un grande foglio ripiegato più volte. Lo aprì, mostrandolo nella sua interezza (era abbastanza largo da coprire quasi mezzo tavolo) e rivelando una serie di complicati scarabocchi, inframezzati da numerosi Cerchi Magici e alcune scritte in lingue che Orlaith non comprese.
- Cos'è? Un piano in stile Banda Bassotti?-
- Ah–ah.- ridacchiò amaramente Jayden - No, ragazzina... è un incantesimo speciale, per rintracciare le cose perse. L'ho modificato per noi, lo useremo per trovare gli Homunculus.-
- Lo stesso che hai usato per trovare gli altri due?-
- No, non avrebbe funzionato. Ha un raggio di azione limitato a circa cinquanta chilometri, non di più. Quello che faremo è aspettare che sia Vaněk a cercarci e, appena sapremo dove trovarlo, userò questo incantesimo per localizzare gli ultimi Suggelli. A quel punto ci libereremo prima di loro e poi di lui. Il difficile, tuttavia...- continuò, sollevando un angolo dell'enorme foglio per recuperare due foto - ... è che dovremo uccidere questi due insieme.- e le mise sopra l'incantesimo - Se li affrontiamo separatamente, l'altro potrebbe scappare e non farsi rivedere mai più.-
- Sarà un combattimento difficile, presumo.- disse McGrath, affacciandosi di nuovo nella stanza in quel momento - Dovrete essere ben preparati. Per adesso suggerirei a entrambi di riposarvi un po', mentre io preparo la cena.-
Entrambi annuirono e, mentre il maggiordomo spariva per l'ennesima volta in cucina, Jayden cominciò a raccogliere tutti i suoi appunti e le fotografie. Orlaith esitò ad andarsene, guardandolo mentre raccoglieva intere bracciate di fogli.
- Credi che David stia bene?- gli chiese.
Lui le lanciò uno sguardo distratto.
- Non ne ho idea. Come faccio a saperlo?-
- È che... non so, insomma... non pensi che Vaněk gli abbia fatto qualcosa per assicurarsi che non spuntasse fuori nel momento sbagliato, vero?-
Allwood si strinse nelle spalle.
- Come ho detto, non lo so. Dipende dal tuo amico. Se gli sta simpatico forse Vaněk non gli ha fatto niente.-
Per nulla rassicurata, Orlaith annuì e si diresse verso la propria stanza.
Il piano di Jayden non le piaceva. Lasciava troppo spazio al caso, secondo lei. Il che, unito all'enorme numero di domande senza risposta, la rendeva veramente inquieta.
Era ora di prendere in mano la situazione.

Beh, meno male che non era davvero David. E Orlaith inizia a ribellarsi un po' alla situazione in cui si trova, a modo suo. Come, ovviamente, lo vedremo più avanti.
Ringrazio come sempre 
John Spangler, Old Fashioned, Fan of The Doora, _Alexei_, Kira16, Fiore di Girasole, Sahara_2, Queen FalseHeart, Marz97, Aelfgifu, Roiben e Beauty Queen, i miei fidati lettori. A presto!
 

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Capitolo 30
*** Cap. 29: Ultimatum ***


Vaněk non si fece attendere a lungo.
Il mattino dopo si svegliarono tutti di buon'ora, e fin da subito Orlaith e Jayden si accamparono in soggiorno per studiare il modo migliore di affrontare contemporaneamente un Homunculus di fuoco e uno d'aria senza farsi troppo male. Pranzarono lì, seduti sul pavimento in mezzo a un oceano di carte e di appunti vari, parlando di come avrebbero potuto combattere contro di loro.
Secondo Jayden, la donna si chiamava Chien Nio, attrice e produttrice cinese specializzata in film d'azione, ed era lei ad avere poteri d'aria.
L'altro, l'australiano, Alex Daley, era un avvocato socio di uno studio molto importante con sede a Sydney, dotato di poteri di fuoco.
- Il problema principale sta nel fatto che Nio può manipolare l'aria.- disse Allwood, sbocconcellando distrattamente uno dei sandwich preparati da McGrath - L'interazione tra più elementi, nella magia elementare, causa sempre effetti devastanti. Nel nostro caso abbiamo fuoco e aria, quindi puoi immaginare quanto Daley sia pericoloso se agisce in combinazione con Nio.-
- Non rischierebbe di bruciarla viva?- chiese Orlaith.
- Certo che sì, se non sapesse quello che fa.- annuì lui - La magia elementare è molto potente, pericolosa e faticosa da controllare. Vaněk è un maestro proprio perché riesce a manipolarla in relativa sicurezza senza sforzarsi troppo, mentre qualcuno come me, che la conosce solo in modo superficiale, fa più fatica. Basta un'inezia per mandare all'aria tutto e scatenare un pandemonio.-
- E come classificheresti questo Daley?-
- A metà strada tra lui e me.- rispose Jayden, osservando una foto dell'uomo - Purtroppo non ho testimonianze dirette della sua magia di fuoco, ma dal poco che so dovrebbe essere un piromante abbastanza esperto da non preoccuparsi di fastidi minori. Il modo migliore per battere sia lui che Nio insieme è destabilizzarlo mentre cercano di colpire contemporaneamente.-
- Perché sento che c'è un "ma"?- disse stancamente Orlaith, prendendo un altro panino.
- Perché hai ragione.- ammise lui - Uno c'è: se sbagliamo potremmo essere colpiti da un incantesimo di fuoco instabile. Prevedere i suoi effetti o anche solo bloccarli è quasi impossibile. Tuttavia, se facciamo tutto nel modo giusto, finirà con il colpire ed eventualmente distruggere la sua stessa compagna. Di conseguenza, mentre suoni durante il combattimento con loro, tieni a mente che il tuo scopo non è più danneggiarli direttamente, ma fare in modo che si feriscano a vicenda o, al limite, annullare le loro magie più potenti.-
- Capito.- rispose lei.
Continuarono a discutere per ore, ipotizzando anche i tipi di ambienti e di situazioni in cui avrebbero dovuto affrontare i loro avversari, e di come rivolgere a proprio vantaggio tutto ciò che potevano: per Orlaith, che non aveva un effettivo limite nell'uso della sua musica, c'era veramente poco da dire. Le sarebbe bastato suonare, perdersi nei suoi brani come sempre e lasciare che la materia intorno a lei rispondesse come meglio credeva.
Per Allwood valeva invece un discorso un po' diverso: lui era uno stregone della Quinta Arte, non un Elementalista come Vaněk, quindi non avrebbe potuto usare, per esempio, la pietra intorno a loro per combattere, e inoltre aveva sempre bisogno di un Cerchio Magico a disposizione. Il suo ruolo quindi sarebbe stato più che altro di affiancamento e, di nuovo, il grosso del lavoro sarebbe toccato a lei in caso di scontro aperto.
C'era inoltre da considerare lo stesso Vaněk: una volta sistemati i due Suggelli avrebbero dovuto occuparsi immediatamente di lui, o avrebbe capito di essere rimasto privo di immortalità, col rischio che fuggisse via davvero.
- Quindi, ricapitolando...- disse Jayden, arruffandosi i capelli in un gesto sfinito - Dobbiamo accertarci che Vaněk rimanga nel luogo in cui ci tenderà la sua trappola il più a lungo possibile; poi dobbiamo uccidere rapidamente entrambi i Suggelli senza sprecare troppe energie; infine, tornare da lui e finirlo prima che si accorga di essere rimasto senza protezione.-
- Non staremo chiedendo un po' troppo? Le altre volte abbiamo faticato un bel po' per un solo Homunculus... tu soprattutto.- osservò Orlaith, ripensando al combattimento con Fakhri.
- Se la trappola avesse funzionato, a Parigi, sarebbe andato tutto in modo diverso.- le ricordò Allwood, accigliato - E Vaněk non sa della mia abilità di far collassare i Cerchi Magici, è un tipo di magia che non conosce ancora. L'ho creata io, è mia, e ci da un vantaggio.-
Mentre parlava, McGrath entrò silenziosamente nella stanza, reggendo due tazze di caffè in una mano e un telefono nell'altra.
- Signore, una telefonata per lei.- disse, posando il vassoio sul tavolo vicino.
- Grazie, McGrath, ma non ci sono per nessuno.- rispose Jayden, mentre scorreva uno dei suoi quaderni - Potremmo tracciare i Cerchi fuori dal loro nascondiglio e attirarli fuori con la tua musica... una trappola ben costruita potrebbe...-
- Signore...-
- McGrath, non adesso.-
- Temo di dover insistere.- disse in tono fermo il maggiordomo - Si tratta del signor Vaněk.-
Allwood alzò subito lo sguardo, sbigottito, mentre il silenzio calava nella stanza.
- Ha detto che vuole assolutamente parlarle, e che non richiamerà.- proseguì McGrath, impassibile.
- Dammi il telefono!- sbottò Jayden, alzandosi - Pronto? Maledetto bastardo... come diavolo hai avuto questo numero?-
Rimase in ascolto per qualche minuto, accigliandosi sempre di più via via che passava il tempo.
- Tu sei pazzo.- gli disse alla fine - Hai davvero intenzione... no, stammi a sentire tu, per Dio!- urlò, iniziando a gesticolare - Non stiamo giocando, quindi smettila di...-
Orlaith, che si era alzata in piedi a sua volta, guardò McGrath, immobile accanto a lei. Il maggiordomo scosse la testa, senza parlare.
- Cos'hai fatto?- chiese Jayden - Tu... oh, come se fosse necessario...- rise amaramente - Saremmo venuti lo stesso, per ucciderti. Quindi, se vuoi noi, lascia andare... non sta a te decidere di chi mi devo preoccupare!- sbottò - Ehi! Ehi, non... MERDA!- gridò, furiso - Quel... ha riattaccato, CAZZO!- urlò, lanciando il telefono a terra.
Il cordless si ruppe in mille pezzi appena colpì il pavimento. Inspirando a fondo per calmarsi Jayden si rivolse a Orlaith, scuro in viso.
- Mi ha detto dov'è andato.- preannunciò - Il problema è che voleva assicurarsi che lo raggiungessimo... quindi, possiamo dire che questo non era previsto dal mio piano.-
- Perché?- chiese lei - Cos'ha fatto?-
- Ha preso un ostaggio.- ammise contrito lui - Orlaith... mi dispiace, ma è andato a Tresckow. Ha preso tuo padre.-

Le parole di Jayden riecheggiarono nella mente di Orlaith, mentre lei si imbambolava dov'era, ripetendo più e più volte quell'ultima, fatidica frase:
Ha preso tuo padre.
- Non capisco come abbia scpoerto dove abito.- brontolò Jayden, più rivolto a se stesso che a qualcun altro - McGrath, ora sappiamo dov'è, quindi dobbiamo partire il prima possibile. In auto ci vogliono due ore, due ore e mezza. Di meno se non c'è traffico.-
- Devo preparare qualcosa di particolare?-
- No, assicurati solo di prendere qualsiasi Cerchio Magico io abbia già disegnato, e portami nuovi stracci, fogli, penne e vernice. Voglio disegnarne altri, più ne ho meglio è. E ricordati i gessetti, serviranno una volta arrivati.-
Orlaith ripensò all'ultima conversazione che avevano avuto, mentre lei era su quell'aereo: ripensò a quanto si era preoccupata che gli fosse successo qualcosa, all'idea di dirgli che avrebbe fatto meglio ad andarsene per un po' fuori città... e a come l'aveva accantonata credendo che, se Vaněk avesse voluto colpirla attraverso di lui, lo avrebbe fatto prima.
E ora suo padre era in pericolo. Insieme, potenzialmente, a tutti quelli che conosceva in città. Non c'era solo lui a Tresckow, dopotutto.
Però era lui ad essere stato rapito.
- Dobbiamo... dobbiamo andare!- esclamò affannosamente - Io... il mio violino... dov'è il mio violino?- gridò, facendo per correre verso le scale.
- Ferma!- esclamò Allwood, cercando di agguantarla.
Lei lo spintonò via senza nemmeno accorgersi del suo tentativo, e proseguì rapidamente verso la porta.
- McGrath!-
Il maggiordomo si fece velocemente avanti e la cinse con le braccia magre, bloccandola con energia sorprendente. Orlaith cercò di divincolarsi, scoprendo che aveva una stretta di ferro.
- Orlaith, calmati!- esclamò Allwood, mettendosi davanti a lei - Ho capito, davvero... sei spaventata, ma non puoi precipitarti a testa bassa. Così non fai un favore a nessuno, tranne Vaněk.-
- LASCIATEMI!- gridò, scalciando a vuoto - LASCIAMI!-
- Orlaith, controllati!-
- Controllarmi? Controllarmi? HA UCCISO MIA MADRE, E ORA HA MIO PADRE! CE L'HA CON ME! VUOLE LA MIA FAMIGLIA!-
Continuò a dimenarsi come una biscia, facendo del proprio meglio per liberarsi. Arrivò anche a mordere a sangue il polso di McGrath, ma il brandello di carne che aveva addentato si trasformò in polvere nella sua bocca non appena ebbe chiuso i denti. Il maggiordomo non diede segno di essersene minimamente accorto, e non la lasciò.
Alla fine, quando si fu resa conto di non poter vincere in alcun modo la presa dell'Homunculus, si afflosciò tra le sue braccia, piangendo in silenzio.
- Ora calmati.- disse Allwood, che era indietreggiato per non essere a portata di calcio - Vaněk ha detto che è vivo, guardato a vista dai Suggelli. Non gli torceranno un capello finché non ordinerà altrimenti. Ci ha dato appuntamento per domani mattina nel centro città. Possiamo partire in qualsiasi momento, ma dobbiamo prepararci. Io disegnerò tutti i Cerchi Magici che posso, tu puoi fare qualcosa?-
Lei annuì lentamente, lo sguardo ancora fisso nel vuoto. Sentiva le ginocchia tremare come foglie al vento.
- Posso... finire la canzone...- mormorò esitante - E poi... e poi ho... da leggere...- scosse la testa e lo guardò negli occhi, implorante - Dobbiamo salvarlo.- disse - Ti prego...-
- Andremo a Tresckow e fermeremo Vaněk.- promise Jayden - Ora vai di sopra e fai quello che devi. McGrath, lasciala.-
Il maggiordomo la liberò dall'abbraccio, ponendole le mani sulle spalle, dandole una piccola stretta di incoraggiamento, poi uscì per dedicarsi alle sue mansioni. Orlaith lo seguì come uno zombie, poi piegò a sinistra per salire al piano superiore.
Era il momento perfetto per scrivere una canzone che parlava delle sue paure, considerando quanta ne provava in quel preciso momento.

Mi dispiace, ma ho dimenticato di postare, ieri, e come se non bastasse ho anche avuto dei problemi con il computer, che si è guastato. Comunque ho rimediato, e sono di nuovo operatio.
Ringrazio 
John Spangler, Old Fashioned, Fan of The Doora, _Alexei_, Kira16, Fiore di Girasole, Sahara_2, Queen FalseHeart, Marz97, Aelfgifu, Roiben e Beauty Queen, che mi stanno seguendo. A presto!

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Capitolo 31
*** Cap. 30: Di nuovo a casa ***


Il viaggio in macchina fu interminabile: partirono la mattina presto, prima ancora dell'alba, quando Fort Hill a malapena stava cominciando a svegliarsi, e viaggiarono lungo l'autostrada a velocità sostenuta, mentre il cielo cambiava lentamente colore e, dal nero bluastro, passava faticosamente a un colore più chiaro.
Sopra di loro rimbombarono tuoni per tutto il tempo e, ogni tanto, ci fu uno schizzetto d'acqua che cadde dalle nuvole. Il cielo non era totalmente coperto, ma minacciava tempesta, tempesta che si dirigeva nell'entroterra, verso Tresckow. Nel vederla, Allwood si accigliò come suo solito, scuotendo il capo.
- Cazzo... non è una pioggia naturale, questa!- commentò a un certo punto - Deve essere lui... sta chiamando a sé le nuvole. Magia climatica allo stato puro. Maledetto bastardo...-
- Teme una tromba d'aria, signore?- chiese McGrath.
- Cosa ne posso sapere io?- sbottò - L'ultima volta ne ha usata una, ma è pericolosa anche per lui... dipende da quanto saremo fortunati.-
- E se la evocasse?- chiese preoccupata Orlaith.
- Faremo in modo di evitarlo!- disse bruscamente Jayden - Ora accelera McGrath, per la miseria! Fregatene degli autovelox e di qualsiasi altra cosa, voglio che spingi quest'auto al massimo!-
- Come desidera, signore.- rispose il maggiordomo, pigiando il più possibile sull'acceleratore.
Il motore ruggì più forte, mentre la velocità aumentava considerevolmente. La vecchia auto volò sull'asfalto, superando alcune macchine più lente, che avevano meno fretta di giungere a destinazione. Altre, più rare, li sorpassarono, e ogni volta che succedeva Allwood masticava una piccola imprecazione
Come lei, pareva teso e particolarmente impaziente di arrivare a Tresckow: fin da quella mattina, quando si erano svegliati, le aveva dato l'impressione di non aver dormito quasi per niente, e non si era nemmeno cambiato. Indossava, anzi, la stessa felpa stinta e sgualcita del giorno precedente, e i pantaloni di jeans erano macchiati di inchiostro nero, così come le sue dita. Più che a un miliardario somigliava a un senzatetto, o a un writer. Sembrava arrabbiato, e a tratti stranamente eccitato, oltre che impaziente, ed era ridotto quasi a uno straccio.
D'altra parte Orlaith sapeva di non avere un aspetto migliore del suo: dopo la telefonata di Vaněk aveva a malapena toccato il cibo che McGrath le aveva portato per cena, e tutte le sue energie erano dedicate alla nuova canzone, adesso terminata. Aveva scritto, provato, cancellato, riscritto e riprovato, sia col violino che con la voce (anche se quest'ultima le era uscita tremante e un po' stentata), facendo l'impossibile per finire prima dell'alba.
Aveva passato l'intera nottata quasi senza chiudere occhio, ed era ben consapevole di avere i capelli in tremendo disordine, gli occhi rossi e di sembrare un autentico fantasma per quanto era pallida.
Lei e Jayden non si erano quasi parlati per tutto il tempo, salvo darsi un fugace buongiorno e chiedersi l'un l'altro se erano pronti a partire. Lui aveva anche saltato la colazione, che comunque era stata davvero frugale: si era limitato a prendere una tazza di caffè e poi era sparito di nuovo su per le scale per riempire il proprio borsone con stracci e quaderni pieni di Cerchi Magici.
Orlaith credeva di sapere cosa gli stesse passando per la testa, e non c'entrava la sorte di suo padre o l'imminente scontro con Vaněk, o almeno non nel vero senso della parola. Era animato da un nuovo fuoco, così vivo che gli riluceva nello sguardo, lo tendeva più delle corde del suo violino, trasformandolo in un unico fascio di nervi pronto a scattare alla minima sollecitazione.
Quando giunsero in vista di Tresckow ormai stava già albeggiando, e le nuvole grigie che li inseguivano erano parzialmente rischiarate dall'incerta luce del sole. La piccola città aveva un aspetto perfettamente normale, e nulla dava a intendere che ci fosse qualcosa di diverso per le strade o negli edifici. Tutti dormivano ancora, o comunque non c'era l'attività frenetica della metropoli.
Vaněk, ovunque si fosse nascosto, in qualsiasi luogo avesse portato suo padre, non avrebbe tenuto a lungo il segreto: Tresckow si estendeva in un'area inferiore ai cinque chilometri quadrati, e contava meno di novecento abitanti, su una piccola collina tra la Spring Mountain e Pismire Ridge. Scompariva anche se paragonata a città ben più piccole di New York.
Questo era stato un non trascurabile trauma per lei, quando si era trasferita: il cambiamento era stato incredibile, e per settimane aveva faticato a capire come facessero tante persone a vivere in uno stesso posto. Le era anche sembrato assurdo dover prendere per forza un taxi, un autobus, la metro o comunque una qualsiasi cosa avesse un motore per muoversi da un punto all'altro della città: lei era sempre stata abituata a raggiungere qualsiasi cosa a piedi o in bicicletta, e semplicemente non concepiva una realtà tanto diversa. I primi tempi David l'aveva quasi dovuta tenere per mano mentre camminavano per strada. Per un po' l'aveva chiamata "la mia piccola paesana".
- Okay, il centro città... dov'è il centro città? Dove dobbiamo andare, Orlaith?-
- Continua lungo la East Market.- rispose lei, in tono tremulo - Non c'è molto, qui... non possiamo sbagliare.-
Allwood annuì e si sporse verso i sedili anteriori mentre la macchina faceva il suo ingresso in città. Vecchie abitazioni in legno in stile coloniale li fiancheggiarono lungo il tragitto, seriose ma familiari a Orlaith, che a quella vista si sentì improvvisamente più calma. Tornare finalmente a Tresckow, nonostante il brutto momento, alleviò di poco l'oppressione che sentiva nel petto fin da quando Vaněk aveva telefonato, facendo sparire almeno una parte del panico che provava.
Conosceva bene quelle strade, quegli edifici, persino molte delle auto parcheggiate nei vialetti. Sapeva che non lontano c'era la casa di Annie, la sua amica da tempo perduta, e pensò anche di andare da lei una volta risolto tutto, per farle visita e riallacciare il rapporto. Sfortunatamente, ricordò con delusione, anche lei aveva una vita e, a differenza sua, aveva proseguito gli studi: già da anni frequentava il college, e probabilmente in quel momento non era in città. Andare a cercarla sarebbe stato del tutto inutile. Così come sarebbe stato inutile cercare uno qualsiasi dei suoi vecchi amici.
Non aveva nessuno da cercare, nemmeno il classico ex fidanzato del liceo, quello che non era andato al college e si era fermato nella piccola città natale per lavorare nella ditta di famiglia, che si vedeva in qualsiasi serie televisiva sulle città piccole come Tresckow. Aveva dedicato tutta la vita alla musica, non aveva coltivato altre relazioni all'infuori delle sue amicizie, che a loro volta erano state sacrificate per inseguire il suo sogno.
Adesso si rendeva conto della verità: per molto tempo aveva creduto che trasferirsi a New York l'avesse allontanata da tutti, ma non era così: era iniziata molto tempo prima, senza che se ne rendesse conto. Vaněk non era stato la causa... aveva solo sfruttato quello che lei stessa aveva cominciato.
Se ne esco viva, giuro che domani telefono a tutti quanti e li invito nel mio appartamento per fare casino. E pago tutto io. Si ripromise.
Doveva rimettere le cose a posto, a partire da suo padre e dai suoi amici.
Guardò Jayden, e lo vide ancora teso e attento come un falco, intento a spostare lo sguardo da un marciapiede all'altro, come se si aspettasse di veder sbucare Vaněk. Non aveva notato minimamente il suo turbamento interiore.
- Non mi piace, è troppo silenzioso... dove sono tutti?- chiese, mentre superavano l'incrocio con Poplar Street.
- A letto. Te l'ho detto, non siamo a New York... a quest'ora Tresckow è sempre nel mondo dei sogni o quasi.-
Le sembrava assurdo, stare lì a convincere Jayden a darsi una calmata quando lei stessa si sentiva come se stesse per esplodere. D'altra parte la sua situazione richiedeva sangue freddo, e doveva mantenerlo: non c'era in gioco solo la sua vita, ma anche quella di suo padre, e non doveva affrontare un solo avversario, stavolta.
Aveva voglia di vomitare per la tensione, questo sì... ma resisteva. Doveva farlo, per forza.
Non aveva scelta.
- Potrei suggerire di parcheggiare l'auto prima di arrivare?- chiese McGrath, rallentando un altro po'.
- E dove?-
- Ovunque, Jayden!- sbottò Orlaith, spazientita - Qui non ci sono parchimetri!-
- Va bene... quanto è distante il centro?-
- Pochissimo, ci si arriva a pie...-
Il resto della frase fu divorato da un botto tremendo, mentre l'auto veniva speronata violentemente.

Quella dannata macchina d'epoca, per quanto rimessa a nuovo, non era particolarmente adatta agli incidenti, e né lei né Jayden avevano indossato cinture di sicurezza. Un pick-up blu sfrecciò fuori da Pine Street proprio mentre loro attraversavano l'incrocio, colpendo con forza la Suiza, non tanto da demolirla ma abbastanza da fermarla. Le portiere del lato guidatore si ammaccarono come carta stagnola, e sia Orlaith che Jayden vennero sballottati qua e là. L'auto slittò di lato, sospinta dal pick-up, per quasi due metri. Poi l'altra vettura si fermò, e rimase solo il sibilo del motore spento e danneggiato a riempire l'aria.
Orlaith era finita a ridosso dello sportello, con Allwood mezzo spalmato su di lei. Stordita, si strinse la spalla con un gemito: nell'impatto l'aveva battuta forte da qualche parte, ma non sembrava rotta o slogata, per fortuna.
Jayden grugnì, mettendosi carponi sopra di lei, e scosse confusamente la testa.
- Accidenti... dovevo corazzare la macchina...- borbottò - Orlaith... tutto a posto?-
Lei annuì, mettendosi cautamente a sedere. McGrath, insensibile al dolore, stava strattonando la cintura. Il suo finestrino era esploso, e alcune schegge di vetro gli si erano conficcate nella pelle del viso, ma lui non sembrava essersene minimamente accorto.
- Temo che la chiusura si sia incastrata.- disse - Dovrò romperla.-
- E rompila, allora...- grugnì Jayden, voltandosi faticosamente verso il pick-up.
Il guidatore stava scendendo in quel momento, lentamente, e quando ebbe chiuso lo sportello fu chiaro a tutti che quello scontro non era stato incidentale, che l'uomo alla guida non aveva avuto un colpo di sonno.
Il conducente non era un umano, bensì un Homunculus. Nudo, pallido e glabro, una massa di carne informe e piena di bozzi e imperfezioni, del tutto simile alle mostruosità che avevano aggredito Orlaith in metropolitana, con l'unica differenza che quella non era un espediente per farla impazzire e, quindi, non doveva rimanere celata alla maggior parte delle persone.
- Oooh... MERDA!- sbottò Allwood - Dovevo immaginarlo, accidenti! McGrath...-
- Posso farcela da solo.- rispose il maggiordomo, calmo - Io sono un semplice Homunculus, signore. Un servo. Non è me che il signor Vaněk vuole. Voi andate, vi raggiungerò dopo.-
- Va bene. Orlaith, corri!-
Lei afferrò il cellulare, scivolato fuori dalla sua tasca nell'impatto, la custodia del violino e si fiondò fuori dalla portiera ancora integra, seguita a ruota da Jayden. L'Homunculus lanciò un grido graffiante, cominciando a muoversi più rapidamente per inseguirli.
- Va bene, ascolta...- disse Allwood, frugando nel suo borsone -... gli Homunculi o sono fatti bene o vengono fuori molto, molto stupidi, oltre che brutti. Distrailo un momento e io lo faccio fuori!-
Appena svoltato l'angolo si fermarono, ansimando leggermente. Subito, lo stregone estrasse uno straccio dalla borsa e lo stese in terra, mentre Orlaith si allontanava di qualche passo. Appena il Cerchio Magico fu piazzato, Jayden si nascose dietro la siepe più vicina.
Rimasta momentaneamente da sola, Orlaith tirò fuori dalla tasca il cellulare e compose un messaggio il più in fretta possibile, alzando di quando in quando lo sguardo. Forse non era il momento migliore, ma non aveva molta scelta: doveva spedirlo subito. Forse era una cosa scontata da dire, ma si trattava di vita o di morte.
L'Homunculus non si fece attendere a lungo, e comparve davanti a lei dopo pochi secondi, caracollando in strada con un grugnito rabbioso. Subito volse la sua testa senza occhi nella direzione in cui si trovava lei, avanzando con fare minaccioso. Orlaith mise via il cellulare, il messaggio in partenza, e si preparò a correre se qualcosa fosse andato storto.
Okay, Jayden... fallo fuori, per favore...
Appena il piede della creatura fu sul Cerchio Magico, la trappola scattò: la magia inghiottì l'Homunculus il quale, inerme, venne investito dal fascio di luce crepitante, scomparendo sotto ai suoi occhi.
- Bene, uno di meno.- disse Allwood, uscendo dal suo nascondiglio con un sorrisetto soddisfatto - A chi scrivevi?-
- A nessuno. Erano le mie memorie, sai...- rispose.
- Non fa ridere.-
- E non devi farlo.- replicò cupa lei - Come mai non c'è nessuno?- chiese Orlaith - Abbiamo fatto un baccano tremendo.-
Lui fece un cenno verso la casa più vicina. Alzando lo sguardo, Orlaith vide un semplice muro di assi tinte di bianco.
- Cos'ha?-
- Aspetta.- rispose Allwood.
La violinista continuò a guardare e, dopo qualche secondo, cominciò a distinguere i contorni di un grande Cerchio Magico disegnato sull'intera parete. Si vedeva a malapena, e comunque solo se lo si fissava attentamente.
- Cos'è?-
- Un incantesimo di congelamento.- spiegò lo stregone - Lo deve avere impresso su ogni edificio della città.-
- Ha... paralizzato le persone?-
- Non è il termine più corretto ma sì, più o meno è quello che ha fatto.- annuì - Dubito che voglia far sapere in giro cosa sta succedendo. Ricordati che è pur sempre un aspirante senatore.-
Fece un gesto con la mano per invitarla a muoversi, avviandosi lungo la strada.
- Dai, andiamo... dobbiamo trovare Vaněk.-
- Credo che prima dovremmo fermarci da qualche parte per riflettere, invece.- disse Orlaith - Insomma, se ce n'era uno ce ne possono anche essere... migliaia, per quello che sappiamo. Non avevamo previsto un esercito di Homunculi!-
- Sì, ma... oh, cazzo...- gemette - Dovevi proprio parlare, vero?-
Orlaith si voltò, solo per vedere numerosi altri Homunculi, i gemelli di quello che avevano appena sconfitto, comparire intorno a loro.

Uscivano da dietro gli angoli o dalle cantine delle case, o scalavano i tetti procedendo a quattro zampe come grossi ragni furiosi. Dovevano essere almeno una ventina o giù di lì. Orlaith si lasciò sfuggire un gridolino acuto.
- Bel gorgheggio...- commentò Allwood - Corri, forza!-
L'afferrò per un gomito e se la trascinò dietro, cercando di allontanarsi dalla folla di Homunculi in arrivo, mentre alcuni altri comparivano dalle strade limitrofe.
- Perfetto... ti piace proprio sfoggiare, eh, Vaněk?- esclamò amaramente Jayden - Ci tieni davvero a ricordarmi di poterne creare più di me!-
Orlaith cercò di riflettere, pensando a dove nascondersi: casa sua era fuori questione, sarebbe stato il primo posto in cui li avrebbero cercati. Stessa cosa per la casa di Annie, sicuramente Vaněk sapeva anche di lei. Le serviva qualcuno che avesse il minor numero di legami possibili con la sua famiglia.
Le venne in mente che, forse, c'era la casa del signor Fitts, che di sicuro avrebbero trovato vuota: lui e la moglie erano panettieri, uscivano molto presto e non avevano alcun legame con lei o con la sua famiglia, a parte il fatto che abitavano nella stessa città e, come chiunque altro, gli Alexander compravano il pane da loro.
Lei e Jayden in quel momento si trovavano sulla Hemlock, e la casa del signor Fitts era all'incrocio tra la Maple e G Street. Non troppo lontano, ma dovevano sbrigarsi.
- Gira a destra tra due isolati!-
- Cosa?-
- Fidati!-
Si diede più slancio, superando Allwood, e prese di nuovo il cellulare, inviando un nuovo, breve messaggio. Si voltò appena, vedendo che gli Homunculi, più lenti di loro, erano rimasti un po' indietro. Nonostante questo non sembravano voler demordere, e se non avessero tenuto un buon passo sarebbero stati raggiunti e fatti a pezzi.
Tagliarono un isolato praticamente in diagonale, scavalcando tre steccati e oltrepassando una piscina, sbucando in G Street a poca distanza dal traguardo. Orlaith si arrischiò a guardarsi di nuovo alle spalle, scoprendo che per il momento erano fuori vista.
- Di qua!-
Senza badare granché a Allwood si diresse verso un'abitazione nei pressi dall'incrocio; nel vialetto non c'era alcuna autovettura, segno evidente che i signori Fitts erano già usciti, proprio come aveva previsto. Forse, proprio per questo, non ci sarebbe stato nemmeno l'incantesimo di congelamento a infastidirli. Ora dovevano solo aprire.
- Puoi aprire la porta senza le chiavi?-
- Come credi che abbia messo i Cerchi Magici a casa tua?-
Jayden scattò avanti, raggiungendo subito la porta, un taccuino già in mano. Schiaffò il Cerchio Magico sulla serratura e quella, con un breve quanto tenue bagliore, scattò senza fare resistenza.
Rapidi come fulmini, s'infilarono entrambi nella casa, chiudendosi la porta alle spalle.

Scusate il ritardo, ma la verità è che sono in Polonia e proprio in questo momento sono in aeroporto ad aspettare il volo di ritorno, quindi ho fatto le cose un po' di corsa e ho potuto postare solo adesso.
Ringrazio 
John Spangler, Old Fashioned, Fan of The Doora, _Alexei_, Kira16, Fiore di Girasole, Sahara_2, Queen FalseHeart, Marz97, Aelfgifu, Roiben e Beauty Queen, i miei lettori. A presto!
 

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Capitolo 32
*** Cap. 31: La verità ***


Rimasero con le orecchie premute contro la porta per alcuni minuti, in ascolto: sentirono gli Homunculi irrompere nella strada per cercarli, ma non si fermarono a lungo. Dopo qualche momento di confusione, avendo perso le loro prede, parvero decidere di sparpagliarsi e, in un uno scalpitio di arti, si diffusero nelle varie strade di Tresckow per cercarli, ignorando completamente la casa, credendola vuota.
- Andati.- disse Jayden, sospirando di sollievo - Probabilmente il loro intento non era davvero ucciderci... semmai di stanarci. Era una caccia alle volpi. Ad ogni modo, buona idea. Di chi è questa casa?-
- Di panettieri. Per questo non c'è nessuno.- rispose Orlaith, asciugandosi il sudore con la manica.
- Ottimo lavoro. I vantaggi dei nativi, eh?-
Le fece un sorriso incoraggiante, che lei non ricambiò. Orlaith lo oltrepassò, entrando nel soggiorno. Si lasciò ricadere su una poltrona color crema, depositando il violino sul tappeto, e tirò il fiato nel tentativo di riprendersi.
- Non possiamo fermarci a lungo, lo sai.- disse Allwood - Dobbiamo raggiungere Vaněk e i Suggelli.-
- Con una trentina di Homunculi che ci inseguono? La fai facile.-
- Se costretto a impegnare tutte le sue forze, Vaněk perderà la capacità di mantenere attivi gli altri suoi incantesimi. Gli Homunculi spariranno... e forse anche l'incantesimo di congelamento, ma di quello ci preoccuperemo dopo.-
Aprì di nuovo il borsone, estraendo il grande foglio ripiegato su cui aveva disegnato l'incantesimo con cui trovare i Suggelli.
- Ora li localizzo, poi vedremo come fare per passare inosservati.- annunciò, dispiegandolo sul tavolino del salotto.
Orlaith lo osservò mentre trafficava con la carta, sistemando poi una mano al centro di quel mare di segni e scritte. Il suo palmo venne circondato da un lieve chiarore color acqua, che poi si diffuse a macchia d'olio lungo le linee di inchiostro.
Lui si raddrizzò e, sotto i loro occhi, il disegno cominciò a cambiare forma, riorganizzandosi in modo radicale. Le linee si dispiegarono, alcune si allungarono, e anche i Cerchi divennero semplici rette.
Sotto i loro occhi era comparsa la mappa di Tresckow e, in un angolo, era rimasto un singolo segno luminoso.
- Trovati.- ridacchiò Allwood - Sai dov'è?-
Orlaith si sporse per guardare, alzandosi in piedi: era un posto vicino alla Chestnut, poco distante da dove si trovavano loro, nei pressi dei campi sportivi. Lo conosceva bene.
- Non siamo lontani.- rispose - Non hai capito dove ci troviamo?-
- Fingi che io non sia mai stato qui... e che l'incidente mi abbia fatto perdere il senso dell'orientamento, magari.-
Orlaith sospirò.
- Allora è il momento perfetto per parlare.-
Lui aggrottò la fronte.
- Come?- chiese - No che non lo è! Siamo di fretta, ricordi?-
- Vaněk può aspettare qualche minuto.- replicò lei - Ora parliamo.-
Prese qualcosa da una tasca interna del parka e lo lasciò cadere sul tavolo tra di loro.
Era un libro rilegato in cuoio dalle pagine ingiallite, pieno di graffi e con il segnalibro di stoffa ormai parecchio sfilacciato. Sulla copertina non c'era scritto niente, ma entrambi sapevano che non aveva bisogno di qualcosa che lo identificasse per sapere che era molto più importante di tutti i suoi amati quaderni degli appunti messi insieme.
Jayden fissò per un lungo momento il libro, mentre Orlaith osservava la sua reazione. Vide il sangue defluire dal suo volto, marcando ancora di più gli occhi infossati e le occhiaie. Si accorse che lo stregone aveva serrato i pugni, forse senza neanche rendersene conto, fino a far sbiancare le nocche.
- Dove lo hai preso?- chiese, tornando a guardarla negli occhi.
Il suo tono era totalmente cambiato, adesso: prima, per quanto trasparissero la fretta e l'urgenza, era comunque amichevole, e anzi si percepiva una nota di allegria, dovuta senz'altro all'idea di essere vicino al termine della propria crociata personale.
Ora, invece, era più basso, quasi di diaframma. Suonava più minaccioso.
Orlaith non cedette terreno.
- Lo sai dove l'ho preso.- rispose - Ho scoperto la stanza segreta nello studio. La tua stanza. Ci sono entrata l'altra notte.-
- Tu...-
- Come hai potuto, Jayden?- chiese - Volevo davvero fidarmi di te.-
Quando era entrata nella stanza segreta, approfittando dell'ennesima assenza di Jayden, aveva capito subito di aver visto giusto: lì dentro ci dormiva, infatti aveva visto un letto in un angolo. Tuttavia, quello era soprattutto il suo laboratorio personale, dove studiava la magia e creava gli incantesimi e gli Homunculi.
Dentro ci aveva trovato molti strumenti strani, sulla cui natura era rimasta totalmente ignorante, ma anche scorte di argilla e abiti di varia foggia, senz'altro da usare per vestire i prodotti finiti.
Poco lontano c'era una pianta della metropolitana nei pressi del Chrysler Building, la stessa dove era stata aggredita lei, piena di segni e di frecce, come se qualcuno vi avesse studiato un piano di attacco. Quella era stata la prima cosa a scuoterla.
Ad attirarla maggiormente, tuttavia, era stato quel libro rilegato in cuoio, dentro il cassetto di una scrivania ingombra di carte e schizzi di incantesimi. Appena lo aveva aperto si era resa conto della sua importanza.
Quello non era un libro magico o un ennesimo quaderno di appunti, era un diario. Il diario personale di Allwood.
E ciò che era riportato tra quelle pagine l'aveva distrutta.

Le annotazioni iniziali erano molto vecchie, e risalivano a molti anni addietro. La prima addirittura riportava una data dell'inizio del novecento.
Leggere tutto il diario sarebbe stata dura, ma aveva fatto del proprio meglio quando era riuscita a trovare le note più recenti, soprattutto quelle che parlavano di lei. Da quelle aveva scoperto ciò che le premeva e anche di più.
- Non sei l'allievo di Vaněk, Jayden.- disse - Lui è tuo padre, vero?-
Allwood non rispose, continuando a fissarla in silenzio, torvo.
- Non hai mai chiesto aiuto per cercare di ucciderlo, prima di trovare me.- continuò - Perché non è rimasto nessuno. Tu e lui avete ucciso tutti gli stregoni in cui vi siete imbattuti e avete rubato i loro poteri.-
Lui continuò a rimanere in silenzio, anche se vide un angolo della sua bocca arricciarsi appena.
- Hai cercato di uccidere anche tuo padre, sessant'anni fa, quando ti sei accorto che tutti gli altri erano già morti o scappati. Volevi anche i suoi poteri.- guardò il suo avambraccio, quello dove sapeva che risaltava la cicatrice da ustione - Ti ha inferto quella per impedirti di ucciderlo. L'incantesimo di cui mi hai parlato non era per rendere immortale Vaněk... era per limitare i tuoi poteri. McGrath... il vero McGrath... non è stato sacrificato per rendere più potente lui, ma per rendere più debole te. Servono a questo i Suggelli, vero?-
Finalmente Allwood diede un segno di vita e, sospirando amaramente, alzò le mani come a farle cenno di rallentare.
- Senti, non è come sembra.- rispose - Voglio dire, è vero, ho fatto quelle cose... ammetto tutto, non lo posso più negare, ma se tu non ti fossi incaponita...-
- Ho dovuto farlo.- rispose lei - Da quando mi conosci mi stai usando, Jayden! Proprio come avrebbe fatto Vaněk... sempre che tu non abbia mentito anche su quello!-
- Oh no, non ho mentito... Vaněk ti stava usando seriamente. Per questo è stato così facile raccontarti quella storia, era davvero il suo piano.-
Orlaith strinse i pugni.
- Gli Homunculi che mi hanno aggredita... hai mandato anche quelli.- continuò - In metropolitana... l'inseguimento in macchina... e poi l'altro giorno, quello che aveva le sembianze di David. E le storie che mi hai raccontato... Praga, i nazisti... le belle idee di pace e uguaglianza... invenzioni, e tutto per metterti in buona luce ai miei occhi.-
- Volevo convincerti a seguirmi... la verità non era il mezzo ideale. Però...-
- Già... dovevo capire che era tutto troppo comodo...- ridacchiò lei, in tono amaro, senza ascoltarlo - Hai anche fatto casino quando mi hai raccontato dei nazisti... non tornava con la storia tua e di McGrath, quello vero, della sua morte...-
Lui esitò, aggrottando la fronte e distogliendo lo sguardo, tentando evidentemente di ricordare.
- Sul serio?- chiese - Mi è sfuggito... per forza che faticavi a fidarti...- sospirò.
Orlaith scosse la testa, stringendo gli occhi: aveva letto il diario negli ultimi giorni, facendo del proprio meglio perché lui non capisse che qualcosa non andava perché, malgrado tutto, aveva bisogno di lui per affrontare Vaněk. L'aggressione prima e il rapimento di suo padre poi avevano reso più semplice dissimulare, e sotto un certo punto di vista erano state una fortuna.
- Non hai mentito a Fakhri, vero?- gli chiese - Sono l'arma del nemico usata contro di lui. E quando avrai finito ucciderai anche me.-
- No... senti, le cose non stanno così! Non più, va bene?- esclamò, accigliato - Sì, è vero, avevo bisogno del tuo aiuto per recuperare i miei poteri.- rispose Allwood, alzando le braccia - Ma non ho progetti per il dopo, non più. Io... immagino che dipenda da te. Lo ammetto, all'inizio non è stato sempre facile averti intorno.- disse, cominciando a muovere le braccia a vuoto, forse per scaricare la tensione - Le tue crisi mi hanno infastidito parecchio... ho dovuto dare fondo a tutta la mia pazienza per mostrarmi sempre comprensivo. Ma dopo un po' ho capito non era colpa tua.- concesse, guardandola - Ti abbiamo messa in mezzo, era normale che tu fossi sconvolta... e dopo un po' ho iniziato ad affezionarmi. Io ho... ho pensato di liberarmi di te, è vero, ma adesso...-
- Adesso?-
- Oh, senti... dipende tutto da te.- rispose Allwood, esasperato, incrociando le braccia - Finito con Vaněk avrò di nuovo tutti i miei poteri e, forse, anche i suoi, se tutto va bene.-
- Dici che dipende da me?- chiese Orlaith - Quello che farò io dipende da te, maledizione!- esclamò - Io... ti voglio bene, Jayden!- ammise - Stavo iniziando a provare... qualcosa, credo! Ma le cose che hai fatto... agli altri, e poi a me...-
Le si ruppe la voce, e per un momento faticò a continuare. Inghiottì il rospo, costringendosi a farsi forza: doveva andare avanti.
- Come posso fidarmi, adesso?- chiese - A cosa ti servirò dopo oggi? E come saprò che non mi vuoi solo per la mia musica?-
Allwood scosse la testa.
- Non puoi saperlo. Per questo si chiama fiducia.- rispose - Io ti voglio, Orlaith. Voglio che tu resti con me. All'inizio non era così, è cambiato tutto col tempo. Se proprio vuoi, ti dirò quali sono i miei piani per il futuro, non ho problemi. Prima di tutto, McGrath.-
- Cosa c'entra adesso McGrath?-
- Lo sai che quello vero è morto, ucciso da Vaněk. Il mio scopo è riportarlo in vita.- fece un cenno verso l'esterno - Quello che hai visto serve a ricordarmi l'amico che ho perso e che sto cercando di riavere. È stato più mio padre lui di quanto possa mai dire di esserlo lo stesso Vaněk. Per questo è così importante per me... non posso lasciarlo andare, sapendo che è morto per fare del male a me.-
- Mi sembra che tu non riesca a lasciar andare nessuno, a quanto dici.- osservò Orlaith - Né lui, né me... devono tutti essere tuoi amici o tuoi nemici.-
Allwood si accigliò.
- Attenta, Orlaith.- la ammonì - Non dire qualcosa di cui potresti pentirti.-
- E perché?- sbottò lei, con voce tremante - Finora mi sono pentita di tutto, Jayden... ormai è tardi per rimediare! Non si può risolvere tutto, lo capisci?-
Il cellulare di Orlaith vibrò nella sua tasca. La violinista lo prese, e vide che era arrivato un messaggio.
- Chi è?- chiese Jayden - Me lo dici?-
- David.- rispose - Deve fare una cosa per me.- spiegò, rispondendogli.
- E cosa?-
- Non cambiare argomento.- replicò Orlaith - Piuttosto dimmi: cosa vuoi fare dopo aver riportato in vita il vero McGrath?-
- Quello che facevo prima, Orlaith.- rispose Allwood - La ricerca è la base della vita di uno stregone. Quello che cerchiamo è la magia, e ognuno di noi vuole raggiungere il traguardo che si è prefissato. Il mio è il più ambizioso: voglio sconfiggere il nemico finale, ovvero la morte. Vaněk ci è in parte riuscito, ma ha tenuto il segreto per sé, così bene che non l'ho mai scoperto, fino ad ora. Sa come ingannarla ed evitarla, il che è quanto di più vicino ci sia alla resurrezione dei morti. Questo è esattamente quello di cui ho bisogno adesso, sarà una manna per le mie ricerche.-
- Ho letto quello che hai fatto per le tue... "ricerche".- disse lei, disgustata, accennando al diario - Le hai sperimentate. Sulle persone.-
- Anche uno scienziato conduce esperimenti!- esclamò lui, sulla difensiva - Su conigli, scimmie, topi... serve per capire se una teoria è corretta o no! Il principio è lo stesso!-
- Hai torturato delle persone!- esclamò Orlaith - Le hai uccise in modi orribili... e tutto per la... ricerca?-
Alzò le braccia, esasperato.
- Senti, questo è ciò che sono, Orlaith!- rispose - Indago i misteri della vita, della morte e dell'esistenza, usando la magia per avere risposte! Tu, al mio posto, faresti lo stesso!-
- Ho dei poteri anch'io, ma non ho mai provato a usarli sulle persone... nemmeno quando mi esercitavo!-
- Ah no? E quel giorno al parco?- chiese Allwood - Sei uscita, hai cercato dei musicisti di strada e li hai pagati per fornirti l'accompagnamento. Hai suonato per vedere se riuscivi a sortire un effetto sulle persone!-
- Io... le ho solo... le ho fatte piangere! Gli ho fatto provare la mia tristezza! È diverso!-
- Ma non sapevi cosa sarebbe successo.- osservò - Tu puoi fare di tutto con i tuoi poteri, anche le cose più assurde! Ti basta desiderare che tutto intorno a te diventi di zucchero filato, e le note della tua musica trasformeranno tutto in zucchero filato! Se tu pensassi di suicidarti mentre suoni, sta' sicura che qualcuno morirà! Potresti abbattere un palazzo... o costringere un uomo a bollire lentamente dall'interno... o alterare il tempo, e la stessa realtà! Saresti più potente di Dio e nessuno, forse nemmeno Vaněk, potrebbe impedirtelo. La cosa non ti incuriosisce nemmeno un po'?-
Orlaith scosse la testa.
- No, Jayden. Non lo farei mai. Uccidere un Homunculus è un conto, ma...-
- Già, perché non provano niente.- ridacchiò Jayden - Ma sai la verità? Quella che non è scritta lì? Quella che ignoravo anche io?- chiese, indicando il diario - Non è del tutto vero. All'inizio lo credevo, ma ho visto McGrath cambiare, in questi mesi. Alla fine sono giunto alla conclusione che Yelena Volkova non abbia mentito... credo davvero che, alla lunga, anche loro sviluppino emozioni.- disse - Chissà, forse gli Homunculi tendono a diventare più umani, quando superano una certa età... si evolvono, forse. Potresti avere ucciso qualcuno che teneva alla propria vita, alla fine. Il che ne farebbe una persona.-
Lei esitò, sentendo lo stomaco rovesciarsi. Riuscì a trattenerne il contenuto all'interno con grande sforzo.
- Anche se fosse vero...- disse - ... io provo rimorso. Non sono un mostro.-
- E io sì?-
Lei annuì, sentendo una lacrima scivolarle lungo la guancia.
- Speravo che non lo fossi.- ammise - Volevo che non lo fossi. Ti volevo bene. Per me eri importante... e credevo che potesse esserci un futuro.-
Si asciugò il viso, schiarendosi la voce.
- Adesso.-
Jayden aggrottò la fronte.
- Cos...?-
Subito dopo venne colpito da un tubo metallico alla testa e rovinò sul tavolino, lasciandosi scappare appena un gemito.

Ed ecco svelato l'ultimo grande mistero su Allwood. Orlaith ha dovuto dar fondo a tutto il suo sangue freddo per affrontarlo così...
Ringrazio 
John Spangler, Old Fashioned, Fan of The Doora, _Alexei_, Kira16, Fiore di Girasole, Sahara_2, Queen FalseHeart, Marz97, Aelfgifu, Roiben e Beauty Queen, che mi seguono. A presto!
 

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Capitolo 33
*** Cap. 32: Sola contro tutti ***


Orlaith guardò Jayden scivolare sul pavimento, trascinandosi dietro l'incantesimo di ricerca. Un rivolo di sangue filtrava tra i suoi capelli, dove il tubo si era abbattuto: si era aperta una piccola ferita.
Il colpo alla testa doveva avergli fatto male, ma non era niente in confronto a quello che sentiva lei, al dolore che provava dentro.
Aveva sempre saputo che Jayden le nascondeva qualcosa, e per tutto il tempo in cui erano rimasti insieme e avevano condiviso disavventure e momenti non era riuscita a credere a molto di quello che le diceva.
Eppure, nonostante tutto, non aveva pensato a nulla di così tremendo. Quando aveva saputo di sua madre si era convinta che non ci fosse nient'altro, che il muro fosse crollato. Aveva creduto, o voluto credere, che fosse una persona indurita dalla lunga lotta che combatteva, ma capace di essere buona... e di essere amata.
- Sapessi quanto mi è piaciuto farlo...- disse David, scuro in volto - Ehi, piccolina... stai bene?-
Orlaith annuì senza alzare lo sguardo sul produttore, che intanto le si avvicinò, aggirando Allwood e il tavolino, lasciando cadere il tubo sul divano.
Era con lui che aveva scambiato messaggi per tutto il tempo. Quando era riuscita a mettere le mani sul diario lo aveva richiamato subito, rivendicando la promessa che le aveva fatto e, nel contempo, sperando che fosse leale quanto le sue parole.
Onestamente non era sicura che avrebbe accettato quando il giorno precedente lo aveva richiamato per chiedergli di raggiungerla a Tresckow e di aiutarla, neanche dopo la loro conversazione telefonica in aeroporto, ma quando gli aveva detto che suo padre era in pericolo e che l'uomo che l'accompagnava era pericoloso, il tono del produttore era cambiato drasticamente.
- Tu dici che stai bene, ma io non ci credo.- obbiettò David, aggrottando la fronte. Era sudato, pallido, evidentemente agitato, e sembrava prossimo allo svenimento - Cosa sta succedendo, piccola? Di cosa parlava questo pazzo? E cosa diamine sono quelle cose in strada?-
- Ti hanno dato problemi?-
David scosse la testa, esitante.
- No, perlopiù mi hanno ignorato. Una me l'ha quasi fatta fare sotto, non lo nego, ma l'ho tirata sotto e tanti saluti... anche se ora devo rifare il paraurti.- aggiunse amaro - Allora, cosa sta succedendo, me lo dici?- insisté il produttore, accigliato - Cosa mi stai nascondendo, Orlaith? E perché siamo qui a rischiare la vita? Cos'è, un'invasione aliena?-
Lei fece un sorriso amaro.
- Non mi crederesti mai, Dave...- rispose - Ma te lo dirò mentre andiamo. A te la scelta su come prenderla e se rimanere. Ti sono già grata per essere venuto fin qui.-
- Bimba, te l'ho detto, no? Ti voglio bene.- rispose lui, scocciato - Anche se avrei gradito non essere mandato allo sbaraglio. Non sembra, ma tra poco mi serviranno dei pantaloni nuovi. E questi sono pure firmati!-
Cercò di sostenere il suo sguardo triste, rispondendo con uno accigliato, ma dopo un momento roteò gli occhi, scuotendo la testa.
- No, non ce la faccio... non con quegli occhioni da cucciola smarrita.- grugnì. Guardò Allwood, steso sul pavimento, e incrociò le braccia - Con te litigherò dopo. Piuttosto, di questo stronzo che ne facciamo?-
- Lasciamolo qui.- rispose - Ci penseremo dopo. Per ora non è una minaccia.-
- Per ora?-
- Vieni, ti dirò lungo la strada.- ripeté lei, raccogliendo il violino e la borsa di Jayden, nella quale infilò il rotolo con l'incantesimo di ricerca.
- Va bene, come ti pare...- sospirò lui - Dimmi solo questo, comunque.- aggiunse, mentre si avviavano verso la porta - Quello che gli stavi dicendo prima... su cosa significava per te.- chiarì - Non sono affari miei, ma... era vero? O volevi solo tirarla per le lunghe?-
Lei gettò un ultimo sguardo al salotto.
Non gli rispose.

David rimase in perfetto silenzio molto a lungo, senza dire niente mentre Orlaith gli spiegava tutto: la vera identità di Vaněk e di Jayden, la loro guerra privata, il ruolo che lui aveva inconsapevolmente rivestito, le sue reali capacità musicali, il motivo per cui era rimasta invischiata...
Parlando, Orlaith lo guidò attraverso i campi sportivi, allontanandosi dal centro di Tresckow, mentre gli edifici cedevano bruscamente il proprio posto al verde dell'eba e del bosco. Sapeva dove stava andando: l'incantesimo di Jayden aveva localizzato gli Homunculi in un punto poco oltre la Chestnut, tra gli alberi, dove era situato un vecchio capanno che suo padre e alcuni amici avevano costruito quando lei era ancora piccola. Lo usavano spesso per le escursioni, e quando era bambina ci aveva passato molto tempo, soprattutto durante l'estate. Ci aveva suonato i suoi primi brani originali, quando aveva imparato a scrivere da sé la propria musica, anche se solo per intrattenere famiglia e amici, e solo dopo aveva portato qualcosa nei locali. A prescindere dal modo in cui Vaněk ne era venuto a conoscenza, quel luogo era perfetto per combattere due Homunculi così forti: nessuno si sarebbe fatto male, e poteva scatenarsi.
- Dio...- brontolò David, quando la spiegazione di Orlaith fu arrivata alla fine - Ed è... tutto vero? Voglio dire, non ti stai... inventando tutto? O magari... allucinazioni? Da stress, forse? Ti ho sovraccaricata, dopotutto, potresti...-
- Dave, se hai un po' di pazienza vedrai da solo che è la pura verità.- rispose lei, in tono rassegnato - Ora concentrati, per favore... quello che sto per fare è molto difficile.-
- Stai per affrontare due... omuncoli?-
- Homunculi.- corresse lei - E sì, sono due, e anche molto potenti. Se perdessi la concentrazione per un solo secondo potrebbero uccidermi.- scosse la borsa di Allwood, che portava a tracolla - Il piano di Jayden prevedeva di tendere loro qualche trappola e rendere il tutto il più rapido e facile possibile...-
- ... ma noi lo abbiamo tramortito senza nemmeno spiegargli dove sono quei due.- concluse David - Sì, però... non hai detto che quegli... quei tizi... sono l'unica cosa che lo tenga a freno?-
- Non li ucciderò entrambi, infatti.- rispose lei - Jayden non ha mai sfoggiato troppo i suoi poteri davanti a me, immagino per evitare che mi accorgessi che stava diventando più forte... ma se non distruggiamo tutti i Suggelli, resterà bloccato. Ucciderò uno solo di loro, e lascerò in vita l'altro, ma lo renderò incapace di nuocere.-
- E poi?-
- E poi mi farò dire dov'è mio padre, nel caso fosse altrove.- rispose lei - E qualcos'altro, anche. Ne ho di domande per loro.-
Avevano superato i campi da baseball, e ora davanti a loro c'era solo boscaglia, mentre un sentiero sterrato si inoltrava nella macchia. Pochi minuti di cammino e avrebbero raggiunto il capanno.
Suo padre doveva per forza essere lì, la scelta del luogo era fin troppo chiara, solo lui poteva esserne a conoscenza. E se anche non ci fosse stato, avrebbe comunque scoperto dove trovarlo.
- Sei sicura di volerlo fare?- chiese David - Mi sembra... una cosa pericolosa.-
- Lo è, infatti.-
- E non ti posso aiutare in alcun modo?-
- Puoi stare fuori dai guai.- rispose lei.
Sentiva dentro di sé una collera glaciale, che a ondate lavava via la paura e la disperazione, cancellando il tradimento di Jayden o il senso di pericolo che le trasmetteva il piccolo esercito di Homunculi nascosto per le strade di Tresckow.
- Non riuscirete a fermarmi.- mormorò, rivolta a qualcosa che vedeva solo lei.
Riprese a camminare, inoltrandosi nel bosco.

Allwood grugnì stordito, mentre veniva voltato cautamente sulla schiena e aiutato a mettersi seduto. Lentamente, riuscì a mettere a fuoco il volto magro di McGrath sopra di lui.
- Ah... sei arrivato, alla fine...- brontolò, raddrizzandosi. Si toccò la nuca, sentendo un gran bozzo e un po' di sangue - Maledizione...-
- Miss Alexander l'ha tramortita?-
- No, noi stavamo parlando.- rispose - Scommetto che è stato quel suo amico... il produttore, Valdéz. Gli ha mandato messaggi per tutto il tempo.-
Come aveva potuto essere così stupido? Avrebbe dovuto liberarsene quando aveva creato quell'Homunculus identico a lui. In questo modo si sarebbe risparmiato un sacco di problemi.
- Hai visto dove sono andati?- chiese.
McGrath scosse la testa.
- No, signore. L'ho trovata seguendo il nostro legame, ma quando sono arrivato miss Alexander era già sparita.-
Lui annuì.
- Il mio borsone?-
- Credo l'abbia preso la signorina.-
- Ovviamente...-
Si rialzò con cautela, frugandosi nelle tasche. Sapeva di non avere con sé nemmeno un pezzo di carta, aveva infilato ogni singolo Cerchio Magico in suo possesso dentro quella borsa. Tuttavia era stato almeno un po' previdente e si era accertato, prima di partire, di avere addosso almeno un pennarello e una scatola di gessetti.
- Dammi la mano.- disse, estraendo il pennarello.
McGrath gli tese il palmo, su cui lui disegnò un Cerchio Magico.
- Orlaith ha un Cerchio Magico nel parka, ce l'ho messo quando gliel'ho riparato mesi fa.- spiegò - Non posso farlo collassare a distanza, ma ti permetterà di seguirla, grazie a questo.- e indicò il disegno sulla sua mano - Trovala. Io andrò a cercare Vaněk, cercherò di tenerlo impegnato.-
McGrath guardò per un attimo il Cerchio Magico, apparentemente indeciso.
- Qualcosa non va?-
- Cosa devo fare con miss Alexander, quando l'avrò trovata?-
- Non posso più fidarmi di lei.- rispose Jayden - Assicurati che distrugga i Suggelli, poi uccidila e raggiungimi.-
Il maggiordomo esitò.
- Cosa?- sbuffò Allwood, scocciato.
- Io... non posso farlo, signore.-
Lo stregone aggrottò la fronte, sorpreso: era la prima volta che si rifiutava di eseguire un ordine.
- Come?-
- Non posso farlo.- ripeté McGrath, più risoluto - Non mi chieda questo, signore.-
- McGrath, tu sei un Homunculus, e devi obbedire. Lei mi ha tradito, e con i suoi poteri è troppo pericolosa per noi. Devi fare quello che ti dico.-
- Farò qualsiasi cosa lei mi chieda, ma non questo.- rispose McGrath - Non posso nuocere a miss Alexander. Mi dispiace.-
Allwood lo guardò stupito, mentre incrociava le braccia e gli rispondeva con uno sguardo fermo: non stava scherzando (non poteva neanche avere un senso dell'umorismo, almeno in teoria), era serissimo. Non voleva eseguire l'ordine.
- Però... allora è proprio vero.- disse - Stai somigliando sempre di più al vero McGrath. Il che, adesso, è una sfortuna.- sospirò, scuotendo la testa - Non importa... allora trovala, ma non ucciderla... assicurati però che uccida entrambi i Suggelli. Ora che sa la verità potrebbe risparmiarli. Se dovesse esitare, finisci tu il lavoro.-
McGrath annuì.
- Questo lo posso fare.- disse.
- Bene. Appena hai fatto raggiungimi, allora. Ma tieni presente...- lo ammonì - ... che non potrò non difendermi, se cercasse di attaccarmi.-
- Vuole davvero farle del male, signore?-
Allwood esitò.
- Non vorrei.- rispose - No. No, non lo farò. Lei è mia, McGrath... e non la lascerò passare al nemico. Non posso. È come te... siete entrambi parte di me. Questa guerra l'ha plagiata, ma rimedierò.- promise - Farò tutto quello che serve.-
Prese un blocchetto di postit dal tavolino del telefono nell'ingresso e uscì di casa, guardando il cielo: la tempesta aveva raggiunto Tresckow, oscurando il sole e gettando un'ombra grigiastra sull'intera cittadina. Un rombo risuonò sopra di lui: presto avrebbe piovuto, probabilmente.
- Le auguro buona fortuna, signore.- disse McGrath, sopraggiunto al suo fianco.
Allwood non rispose: non aveva bisogno di fortuna.
Aveva bisogno di potere.

Ebbene, stiamo raggiungendo i capitoli finali, anche se ancora ne mancano diversi prima dell'epilogo. In ogni caso vi posso annunciare fin da ora che esiste un sequel di questa storia, attualmente in fase di stesura e già a buon punto. Non posso dire quanti capitoli conterà, ad oggi sono quasi una ventina, però sta procedendo. Se tutto va bene, chiuderemo questa storia per iniziare l'altra.
Ringrazio ancora una volta J
ohn Spangler, Old Fashioned, Fan of The Doors, _Alexei_, Kira16, Fiore di Girasole, Sahara_2, Queen FalseHeart, Marz97, Aelfgifu, Roiben e Beauty Queen, che mi seguono. A presto!

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Capitolo 34
*** Cap. 33: I due Suggelli ***


Il capanno era una struttura in legno non particolarmente grande, con un piccolo porticato sulla parte anteriore, interamente fatto di assi di legno. Dentro Orlaith sapeva bene che c'era una vecchia griglia per il barbecue, insieme a un tavolo pieghevole e alcune sedie, ma non molto altro. Sicuramente un pallone da calcio vecchio e stinto, forse un mazzo di carte da gioco, probabilmente un libro o due, e qualche attrezzo. Lo stretto indispensabile per passare il tempo con gli amici in mezzo alla natura.
Non era tanto lontano dal sentiero principale, ed era stato edificato in uno spiazzo sterrato tra gli alberi. In un angolo c'era un mucchio di cenere frutto di mille e mille grigliate, raffreddata e poi scaricata lì, in mezzo all'erba alta. A ripensarci, Orlaith sentiva ancora l'odore della carne alla brace, lo sfrigolio del grasso che colava, e riusciva a vedere suo padre in piedi davanti alla griglia, intento a rigirare gli hamburger e gli hot dog mentre qualcuno gli passava una bella birra gelata.
Sapeva che suo padre voleva un maschio. Quando era piccola ricordava che più volte l'aveva coinvolta in partite di calcio o di freccette con i suoi amici, o si erano seduti a parlare di sport. A lei non interessava niente di tutto questo, ma lo aveva sempre assecondato perché voleva passare del tempo con lui.
Nonostante ciò, comunque, i loro rapporti non erano mai stati tesi o freddi. Molti dei suoi momenti migliori li aveva condivisi con Connor Alexander, l'uomo che l'aveva cresciuta e che le aveva voluto bene nonostante tutto, incluso il momento in cui si era dimostrata così assente quando era morta sua madre.
Per questo non avrebbe permesso a nessuno di fargli del male.
Con la tastiera del violino stretta in una mano e l'archetto nell'altra, Orlaith fissava con tutta la rabbia che riusciva a ostentare la coppia di Homunculus davanti a lei, piantata sulle gambe, la schiena dritta, il capo lievemente chino.
Li aveva colti impreparati, e si vedeva. Non si aspettavano di vederla comparire, anche se non manifestavano emozioni particolarmente intense: erano seduti su due sedie pieghevoli estratte dal capanno, e stavano semplicemente passando il tempo.
Nio leggeva un libro pescato da un borsone accanto a lei, mentre Daley stava trafficando con un iPad, parlando al tempo stesso al cellulare. A giudicare dalla conversazione, si trattava di lavoro.
Entrambi interruppero le proprie attività vedendola, e per un momento non si mossero, limitandosi a restituirle sguardi solo vagamente sorpresi.
- Ti richiamo.- disse Daley, riagganciando.
Si alzarono entrambi in piedi, senza dire una parola. Nio era alta, meno di Daley ma più di lei, e molto magra. Aveva un fisico invidiabilissimo, sodo e asciutto, di chi fa fitness ogni giorno, frutto di costanti sacrifici e, forse, di qualche liposuzione (o magari di un'ottima lavorazione dell'argilla con cui Vaněk l'aveva creata). Orlaith sapeva che in Cina era un'attrice di film d'azione, e adesso che ce l'aveva davanti le sembrava di averla vista, una volta o due. Il suo viso appuntito, quegli occhi a mandorla scuri appena cerchiati dall'eyeliner, quei capelli neri legati in una treccia le rievocavano immagini di serate su un divano con i compagni di scuola, a bere qualche bibita e a fare battute sui momenti morti di una pellicola.
Daley era invece più massiccio di lei, pur non avendo un fisico esageratamente imponente. Anche lui sembrava godere di un'ottima forma fisica, sottolineata dal taglio della giacca gessata e dai pantaloni, che seguivano alla perfezione la linea dei fianchi e delle gambe. I corti capelli neri ostentavano un taglio molto preciso, di chi ricerca la cura in ogni cosa che fa.
- Orlaith Alexander.- disse Daley, giungendo le mani davanti all'addome - Il signor Vaněk ci ha parlato di te. Ha detto che saresti potuta venire a cercarci.-
- E non vi siete preparati?- chiese lei - Molto stupido.-
- Siamo due, e tu sei da sola.- osservò Nio - A meno che il tuo amico, il traditore Allwood, non sia qui nei dintorni.-
- E chi lo sa.- disse Orlaith - Potrebbe essere qui in giro, oppure potrei aver scoperto tutto quello che ha fatto e averlo lasciato a se stesso in città. Non importa, comunque. Sono disposta a lasciarvi andare, se voi mi direte dov'è mio padre.-
- Oh, il signor Alexander è qui con noi. È la dentro, sai?- disse tranquillamente Daley, accennando al capanno alle sue spalle - E ti posso assicurare che gode di ottima salute. Non gli abbiamo fatto nulla di male. È ammanettato e non può muoversi, ma sta bene. Ci è stato ordinato di trattarlo con ogni riguardo fino a nuove disposizioni.-
- Purtroppo, non potremo fare lo stesso con te.- disse Nio, scuotendo la testa - Il signor Vaněk vuole impedirti di continuare a danneggiarlo. Hai ucciso due di noi, fino ad ora, e per ogni Suggello che perde la vita il suo figlio traditore recupera un po' del suo antico potere. Non possiamo lasciare che avvenga.-
- Nemmeno io.- replicò Orlaith - Per questo sono disposta a lasciarvi andare. Non voglio voi. Voglio solo mio padre.-
- Mi dispiace. Siamo Homunculi.- disse Daley - E gli ordini sono ordini.-
I suoi vestiti presero rapidamente fuoco, ardendo a una velocità impressionante. La sua pelle venne attraversata da innumerevoli crepe arancioni, dando l'impressione che sotto ci fosse magma fuso, e le parti ancora integre divennero di un cupo rosso brunito.
Nio, a debita distanza, parve invece sbiadire: divenne improvvisamente eterea e impalpabile, come se fosse fatta di fili di fumo. Il suo corpo era quasi totalmente trasparente, e solo un alone vago ne indicava la presenza e la forma. Due grandi ali quasi altrettanto diafane, simili a quelle di una colomba, comparvero alle sue spalle, e i suoi piedi si separarono da terra.
Orlaith non cambiò espressione e, posato il mento sulla mentoniera, si preparò a suonare.
- Vi avevo dato una possibilità.- disse piano - Ora vi farò a pezzi.-

David aggirò con cautela i due Homunculus, mentre Orlaith entrava nella radura dal sentiero principale, attirando la loro attenzione e costringendoli a concentrarsi su di lei. Con cautela, sgusciò alle spalle di entrambi, facendo un cenno incoraggiante alla violinista mentre si avvicinava al capanno, facendo del proprio meglio per non fare rumore.
Lei non lo guardò neanche, continuando a fissare i propri avversari come se lui non esistesse. Doveva dargliene atto, sapeva come non rivelare le proprie carte.
Sì, ma io cosa ci faccio qui? Si chiese per la decima volta in tutta la mattinata. Sono un produttore discografico, non Indiana Jones... o chi per lui!
Si era lasciato trascinare fino a Tresckow, aveva accettato di aiutarla e adesso rischiava di essere... incenerito, o qualsiasi cosa potessero fare quei due... per salvare il padre della sua artista migliore.
Va bene essere amici, ma c'è un limite a tutto...
D'altra parte, quando l'aveva sentita al telefono due giorni prima non era riuscito a dirle di no: aveva un tono talmente abbattuto che avrebbe acconsentito anche a tagliarsi una gamba.
E poi, quello che gli aveva raccontato prima... sapeva che era nei guai, lo aveva capito da un pezzo. Ma non aveva immaginato nulla di simile.
Assurdo... è tutto assurdo!
Aprì cautamente la porta del capanno e s'infilò rapidamente dentro, chiudendola subito dopo. L'interno era piccolo, occupato da innumerevoli cianfrusaglie di poco conto, come giochi da tavolo, tavolini pieghevoli, sedie da giardino e una vecchia griglia da barbecue.
In un angolo in fondo vide un uomo, seduto sotto l'unica finestra e ammanettato a un grosso occhiello di ferro piantato nel pavimento. Probabilmente era stato messo lì da poco, a giudicare da quanto era lucido.
Era robusto, largo di spalle e dall'addome solo leggermente rotondo. Aveva i capelli grigi, ma David sapeva che in passato erano stati rossi come quelli della figlia, e aveva i suoi stessi zigomi alti. Indossava un vecchio berretto scolorito, che un tempo era stato blu scuro.
Lo conosceva, si erano già visti altre volte, anche se solo per poco tempo ed erano trascorsi anni dall'ultima volta: quell'uomo era Connor Alexander.
- Ehi...- lo salutò - Come va?-
Connor sgranò gli occhi.
- David?- esclamò - David Valdéz? Sei tu? Allora... la voce che sentivo è...?-
- Ehm... sì, è qui fuori. Tranquillo, eh? Ora ti porto via.-
Si guardò intorno, dubbioso: come poteva liberarlo?
- Ci sono delle vecchie tenaglie là dietro.- disse subito Connor, indicando con la mano libera - Lì, vicino ai tavoli... contro la parete! Sbrigati!-
Mentre David si faceva largo a fatica verso il fondo del capanno, alcuni rumori provenienti dall'esterno colpirono le sue orecchie: quei tre avevano cominciato.
- Cosa sta succedendo?- chiese allarmato Connor - David, c'è Orlaith là fuori? E quei due...?-
- Senti, ti spiegherò tutto dopo, ora dobbiamo fare in fretta!- esclamò lui, raddoppiando gli sforzi. Note musicali appena attutite dalle pareti di legno iniziarono a farsi sentire - Maledizione... e spostati!- imprecò contro un tavolino, spostandolo malamente.
Riuscì finalmente a trovare le tenaglie di cui aveva parlato Connor, abbandonate insieme ad alcuni attrezzi in una cassetta aperta. Le raccolse subito e corse da lui, spezzando la catena delle manette (non senza un minimo sforzo).
- Finalmente...- disse Connor, massaggiandosi il polso - David, mi spieghi che cosa succede? Chi era quella gente? Cosa volevano da me? E questi rumori...-
- Ecco... sai, è una bella domanda, questa.- ammise il produttore.
E ora che gli dico?
- Vieni con me.- disse dopo un istante di incertezza - Intanto usciamo da qui, poi...-
Quando aprì la porta e vide cosa stava succedendo fuori si ritrovò a bocca aperta.

Orlaith sta cominciando a combattere, stavolta con ben due avversari contemporaneamente...
Ringrazio 
John Spangler, Old Fashioned, Fan of The Doors, _Alexei_, Kira16, Fiore di Girasole, Sahara_2, Queen FalseHeart, Marz97, Aelfgifu, Roiben e Beauty Queen, che mi seguono. A presto!

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Capitolo 35
*** Cap. 34: Fiamme e vento ***


I giorno in cui aveva perso sua madre, Orlaith aveva perso anche una parte di se stessa. Qualcosa si era spezzato in lei, e da quel momento era cominciata la spirale di depressione che Vaněk aveva poi alimentato negli anni successivi, nel tentativo di usarla per piegare le persone.
Quello stesso giorno aveva scritto un brano, prettamente strumentale, che non aveva mai nemmeno proposto a David. Non era qualcosa da far sentire alle persone, non era un prodotto da commercializzare.
Era un tributo, un messaggio di infanzia perduta, di felicità distrutta da una realtà vuota e priva di senso in cui si finiva con l'arrancare. Ma anche un incoraggiamento a sognare.
E questo trasmettevano le note, mentre il violino riempiva di musica la radura.

Qui il brano

Davanti ai suoi occhi chiusi comparve una metropoli, grigia e infinita, sotto un cielo cupo, privo di vita, fatta di persone vuote e silenziose. Lei era sulla cima di un grattacielo, unica macchia di colore in quel piattume uniforme e senza speranza.
C'era nebbia, una nebbia umida e appiccicosa, fredda. In quel luogo contava solo l'immediatezza, la quotidianità, e non c'erano speranze, né sogni... né felicità.
Era il luogo da cui lei era sempre voluta fuggire, quello che abbandonava quando suonava e si immergeva completamente nella sua musica.
Ad ogni sua nota, ad ogni passo, ad ogni salto, l'aria vibrava. La nebbia intorno a lei cominciò ad allontanarsi lentamente, facendosi meno opprimente.
Continuò a danzare, spostandosi verso il bordo del tetto. Quando lo ebbe raggiunto spiccò un salto, e senza farsi nulla atterrò sul successivo grattacielo, più basso di quattro piani.
L'impatto generò un'esplosione di colori, un guazzabuglio liquido di tonalità vivide: giallo, viola, azzurro, un'intera tavolozza di vivacità schizzò intorno a lei, imbrattando qualsiasi cosa trovasse, colando per la forza di gravità e lasciando solchi multicolori ovunque passasse.
Mentre ballava, la musica continuava a creare colori, e ad ogni suo movimento c'erano nuovi schizzi, ovunque posasse i piedi apparivano nuove macchie, nuovi colori.
Saltò sul grattacielo successivo, continuando a suonare. Dall'archetto sprizzò un guizzo che si perse nel cielo, una stilettata che arrivò a infettare anche le nuvole con quella malattia che era la speranza in un mondo più felice e vivo.
Non era solo una violinista, era anche una pittrice, e la musica il suo pennello, il mondo la sua tela, il violino la tavolozza. Ogni salto, ogni passo, ogni movimento una pennellata.
Le persone in strada si fermarono, distolte dalle loro trivialità e dall'oppressione delle vite vuote che conducevano, attratte dall'improvviso manifestarsi dei colori che irrompevano di prepotenza nel grigio che li attorniava.
I colori si diffusero come una malattia, ricoprendo tutto quello che toccavano, e quando finalmente lei compì l'ultimo salto, raggiungendo l'ennesimo tetto, un'ultima esplosione di colori, più grande e prepotente delle altre, sostituì il grigio rimanente, facendolo sparire del tutto dalla sua vista.

David indietreggiò di un passo, inciampando in qualcosa e finendo a sedere sul pavimento di legno. Connnor lo evitò di un soffio, agguantò una vanga abbandonata poco distante e corse oltre la porta, spaventato dalla sua reazione.
- Oh... mio Dio!- esclamò, paralizzandosi sul posto, mentre l'attrezzo gli sfuggiva di mano.
Davanti a lui c'erano due creature innaturali, impossibili, e non l'uomo e la donna che lo avevano prelevato da casa sua due giorni prima per portarlo nel capanno.
Una era fatta di fuoco, e lingue ardenti filtravano di tanto in tanto dalla sua pelle piena di crepe incandescenti, mentre l'altra era alata e come se fosse costituita da fumo leggero.
L'essere di fuoco era a terra, e lanciava vampate incandescenti dalle dita, scatenando esplosioni voraci nello spiazzo, che ad ogni nuova fiammata si anneriva un po' di più.
L'altra spazzava il terreno con poderose ventate, volteggiando sopra il compagno e battendo con forza le ali, scatenando soffi poderosi di vento. Quando entrambi colpivano nello stesso momento l'aria si incendiava, rinvigorendo le fiammate, che diventavano se possibile ancora più grandi, più minacciose e più pericolose.
Il loro bersaglio era l'unica altra persona nella radura, che ad occhi chiusi suonava il suo violino, danzando tra di loro come se nemmeno esistessero.
Orlaith stava ballando tra i due mostri, disarmata e inerme.
- Orlaith!-
Fece per correre da lei, ma venne quasi subito afferrato da dietro da David, che lo trattenne faticosamente dov'era.
- No!- gridò il produttore - No, fermo! Fermati, Connor! Lei sa quello che sta facendo! Cioè... credo, ma...-
- Cosa stai dicendo? La mia bambina... l'ammazzeranno!- gridò Connor, furioso, cercando di divincolarsi.
- No! Lei... lei lo ha già fatto... credo! Guarda!-
Anche se non smise di agitarsi, Connor vide Orlaith evitare una nuova fiammata che incenerì un albero alle sue spalle semplicemente piroettando di lato, senza mai aprire gli occhi o smettere di suonare. Una ventata della creatura volante le passò sopra mentre lei piegava le ginocchia, lasciandola illesa ma tagliando interi ciuffi d'erba poco più in là.
Ogni colpo che quei mostri cercavano di mandare a segno finiva col mancare completamente Orlaith, la quale pareva del tutto indifferente a ciò che le accadeva intorno, e si limitava a danzare e a suonare. Lo spazio stesso sembrava come deformarsi quando era in pericolo, impedendo a quei mostri di colpirla. Qualunque cosa stesse facendo, non era nemmeno ferita, non sanguinava. Era totalmente illesa.
Anzi, continuava imperterrita a suonare, e le note presto penetrarono nella coltre di paura e orrore che gli aveva annebbiato la mente. Dentro di sé, Connor percepì una grande tristezza, ma anche la fiamma viva della speranza. Una parte di lui temeva di non poter più essere felice, ma un'altra, più forte e più viva, non voleva rassegnarsi. Sentiva di poter trovare di nuovo un motivo per ridere, era sicura che non si sarebbe lasciato mai abbattere e che, presto, tutto sarebbe andato a posto.
Eppure, non riusciva a capire da dove venissero quelle emozioni.
Mentre pensava a questo, l'essere di fuoco riuscì ad avvicinarsi a Orlaith, lanciando una scia fiammeggiante a una distanza così breve che non avrebbe mai potuto mancarla; tuttavia, le fiamme si separarono in due lingue distinte ben prima di poter toccare il corpo di sua figlia, volteggiandole attorno come in un turbine. Si diressero verso l'alto, contorcendosi e riunendosi, per poi piegarsi verso il mostro volante.
- No!- gridò questo, mentre le lingue di fuoco la investivano.
- NIO!- urlò il suo compagno infuocato.
La distrazione gli costò molto cara, perché subito dopo Orlaith emise un suono acuto e rapido con il violino; una forza invisibile spazzò l'aria intorno a lei, come un'onda incolore che lo sollevò e lo fece ricadere pesantemente a terra. Nuove crepe comparvero nel suo corpo ardente, e alcuni frammenti si staccarono, rotolando nella polvere e raffreddandosi rapidamente.
La musica di Orlaith continuò, e lei non smise di danzare, apparentemente del tutto ignara di quanto appena accaduto.
Un tuono risuonò sopra di loro, e presto gocce di pioggia crepitarono nel bosco. L'acqua si raccolse intorno a Orlaith prima di cadere a terra, serpeggiandole al fianco e componendo figure agili quanto lei che poi andarono ad abbattersi sul mostro infuocato, il quale ancora tentava faticosamente di rialzarsi.
L'acqua lo investì e lo schiacciò di nuovo a terra, spegnendo le sue fiamme mentre volute di vapore sfrigolavano intorno a loro. Orlaith non smise di suonare, e nuovi getti tormentarono la creatura, schiacciandola a terra, raffreddandola, trasformandola in un enorme pezzo di carbone fradicio che, rapidamente, cominciò a frantumarsi in mille pezzi.
E poi la musica cessò, la pioggia si fece meno pressante, l'acqua che aveva colpito lo strano essere ricadde a terra.
Un mucchio di braci fredde e zuppe era rimasto là dove prima c'era una figura umana di fiamme, ormai totalmente inerte.

Orlaith riaprì gli occhi, senza sorprendersi nel trovare segni di bruciature e piante carbonizzate su tutto il terreno di scontro. Non molto distante da lei, a metà strada verso il capanno, c'erano i miseri resti di Daley, ridotto a poco più di un ammasso di carbone fradicio. Nio era poco lontana, di nuovo in forma umana. Il fuoco l'aveva investita in pieno, e ora i suoi abiti erano per metà bruciati.
Anche sulla sua pelle spiccavano segni del combattimento, ma le ustioni erano quasi invisibili: vaste porzioni della sua cute erano coperte di crepe, e il colorito naturale era diventato più chiaro, più polveroso, anche se alcuni punti mostravano vesciche e segni di scottature. Perlopiù, la carne era ridiventata argilla: quasi tutto il suo lato sinistro, parte dell'addome e della schiena erano totalmente esposti, dando modo di vedere sia le crepe che le bruciature.
Era ancora viva, ma totalmente inerme, adesso.
- Orlaith!-
La violinista alzò lo sguardo, e con suo grande sollievo vide suo padre fissarla, pallido e allibito ma incolume. David, accanto a lui, la guardava allo stesso modo. Lei sorrise a entrambi, sollevata.
- Papà...- ansimò - Hai visto? Te l'avevo detto... sono tornata.-

Dopo un altro istante di esitazione e incertezza, Connor coprì la distanza che li separava e la circondò con le braccia, stringendola forte a sé. Orlaith ricambiò con vigore l'abbraccio, singhiozzando all'improvviso per il sollievo di vederlo di nuovo, di poter sentire il viso premere contro il suo petto un'altra volta.
Adesso era come se tutto non fosse mai successo. Era di nuovo a Tresckow, era di nuovo con suo padre, e tutta la sua vita a New York non era mai nemmeno esistita. Niente musica, niente contratti discografici, niente grande metropoli. Ma soprattutto niente Homunculus, niente Vaněk e Allwood...
- Ehi, dove credi di andare?-
La voce di David la riportò bruscamente alla realtà. Si separò subito da suo padre, guardando il produttore che inchiodava a terra Nio, premendo il piede sulla sua schiena.
- Non farle del male, Dave.- si raccomandò.
Lui scosse la testa.
- No, tranquilla, chica... ma stava cercando di strisciare via.-
Liberò l'attrice, lasciandola libera di girarsi sul fianco, usando le braccia per sostenersi. Orlaith si inginocchiò davanti a lei, guardandola nell'unico occhio ancora sano rimastole: l'altro era dientato una pallina di argilla, perfettamente inutilizzabile.
- Ho intaccato il tuo Cerchio?- le chiese.
Nio le restituì uno sguardo neutro. Non si leggeva dolore nella sua espressione, anche se aveva ferite che avrebbero annientato un essere umano solo per lo shock.
- No.- rispose.
Orlaith annuì.
- Dov'è?-
- Perché dovrei dirtelo?-
- Perché non voglio ucciderti.- rispose - E sapere dov'è mi permetterà di non toccarlo.-
Nio esitò per qualche istante, ma alla fine alzò la mano destra, quella quasi del tutto illesa, protendendo il mignolo. Sull'unghia lucida baluginò per un momento un minuscolo Cerchio Magico.
- Capisco.- disse Orlaith - Meno male che è intatto, o Jayden sarebbe libero, adesso.-
- Cosa hai intenzione di fare?- chiese Nio, tornando ad appoggiare la mano al suolo - Ormai io sono inerme, alla tua completa mercé. Non ho più la forza di combattere.-
- Lo so.- rispose lei - Devo sapere cosa farebbe Vaněk adesso, se me ne andassi... se abbandonassi Tresckow prima che lui abbia trovato Jayden.-
Nio la guardò per un lungo momento, e Orlaith credette che non avrebbe risposto. Tuttavia, parve non aver ricevuto ordini in proposito, perché alla fine cominciò a parlare.
- Non ha potuto uccidere il figlio traditore tempo fa.- rispose - Ma lo farà adesso. Gli ha concesso pietà per il loro legame, ma oggi non ne avrà. Non più. Non gli permetterà di tornare.-
- Beh, non mi sembra male.- commentò David.
- E per quanto riguarda me?- chiese Orlaith, ignorandolo.
Nio fece una smorfia.
- Sei una minaccia.- disse - Sai cose. Se potente. Più di noi. Forse anche di lui. Non ti lascerà in pace. Forse ti concederà di andartene, ma un giorno, quando lo riterrà necessario, verrà a cercarti. Avrà di nuovo bisogno di te... o del tuo silenzio.-
- Non lo avrei mai nemmeno cercato se mi avesse lasciata stare subito.- sospirò Orlaith, rialzandosi.
- Cosa intendi fare?- chiese David, mentre lei si dirigeva verso la custodia del violino.
- L'unica cosa razionale.- rispose, riponendo lo strumento - Non voglio combattere ancora se non devo. Vaněk ucciderà Jayden. Voglio impedire a quei due di fare altri danni... cercherò di convincerli a fermarsi, a lasciar perdere.-
- Vuoi salvare Allwood? Quel pezzo di merda ti avrebbe uccisa, piccola!-
- Ehi, un momento... chi le avrebbe fatto cosa?- esclamò Connor.
- È una lunga storia, papà.- sospirò Orlaith, rialzandosi - E non è del tutto esatto... ne aveva l'intenzione all'inizio, ma poi ha cominciato a cambiare idea, lo hai sentito. Quindi forse... una speranza c'è.-
David scosse la testa.
- Bimba, questo è autolesionismo.- disse - Sei troppo buona con lui. Non lo merita.-
- Forse, ma voglio provarci lo stesso.- rispose lei, scuotendo la testa - Forse mi ha messa in pericolo più lui di Vaněk, ma in un certo senso mi ha anche salvata. Devo almeno provarci. Non sto dicendo che lo perdono o altro... ma voglio sperare che sia recuperabile.-
Fece un cenno verso Nio, ancora seduta a terra.
- Voi rimanete qui e tenetela d'occhio. Sarete al sicuro.-
- Vuoi andare da sola?-
- Orlaith, scordatelo.- disse Connor, scuotendo con fermezza la testa - Qualsiasi cosa stia succedendo, mi pare di capire che è tutto troppo pericoloso. Tu non ti muovi da qui.-
- Devo tirare fuori il violino di nuovo?- chiese.
Entrambi tacquero.
- Voi non preoccupatevi e aspettatemi qui. Accertatevi che Nio non muoia. È importante.- continuò - Io intanto...-
Un sibilo attraversò l'aria, e la vanga che Connor aveva lasciato cadere poco prima si abbatté sulla mano di Nio, staccandole di netto le dita.
Quelle divennero subito polvere, incluso il mignolo su cui era impresso il Cerchio Magico.
All'istante, il suo corpo si polverizzò, trasformandosi in un mucchietto di argilla, sul quale incombeva McGrath.

Ho dimenticato di postare un'altra volta.
Ringrazio 
John Spangler, Old Fashioned, Fan of The Doors, _Alexei_, Kira16, Fiore di Girasole, Sahara_2, Queen FalseHeart, Marz97, Aelfgifu, Roiben e Beauty Queen, i miei lettori. A presto!
 

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Capitolo 36
*** Cap. 35: Padre e figlio ***


Jayden camminava da solo per le strade di Tresckow con l'unica compagnia del suono dei suoi stessi passi e, in lontananza, dei rumori che emettevano gli Homunculi che cercavano lui e Orlaith.
Sapeva che presto lo avrebbero trovato: stava camminando all'aperto, bene eretto, senza cercare di nascondersi, nel centro esatto della strada. Sopra di lui le nuvole continuavano ad addensarsi, e ogni tanto emettevano un borbottio lontano.
Si stava dirigendo verso il luogo dell'incidente, sulla Market, dove avrebbe potuto riprendere la propria avanzata verso il centro della città, incontrando così Vaněk. Certo, vista l'accoglienza poteva aver mentito, poteva essere andato altrove.
D'altra parte, era abbastanza sicuro di trovarlo: non aveva mandato gli Homunculi a ucciderli, non sarebbero mai riusciti in tale intento, sia lui che Orlaith avevano già dimostrato abbondantemente di poter gestire un simile attacco e sopravvivere. L'idea era quella di indebolirli o, meglio ancora, separarli, cosa che era effettivamente successa, anche se per altri motivi.
Lo conosceva troppo bene, sapeva come stavano le cose.
Incontrò presto il primo Homunculus. Era a quattro zampe, le ginocchia piegate in modo innaturale, le braccia mostruosamente lunghe. Non sembrava nemmeno vagamente umano, aveva più l'aspetto (approssimativo) di un grosso ragno con poche zampe e privo di occhi.
Quando lo sentì si voltò nella sua direzione, emettendo un breve grugnito gorgogliante, e cominciò a zampettare lentamente verso di lui. Jayden lo guardò a malapena, disegnandosi un Cerchio Magico sulla mano col pennarello. Appena ebbe finito puntò il palmo al suo indirizzo.
Un potente fascio di luce crepitante eruttò verso la creatura, spazzandola via come se neanche esistesse, disintegrandole una grossa parte del corpo e riducendo in polvere argillosa tutto il resto.
Fino a poche settimane prima una simile manifestazione di forza e potere lo avrebbe affaticato e il Cerchio, ancora netto sulla sua pelle, sarebbe scomparso al primo utilizzo. Adesso, però, erano già morti due Suggelli, e la sua forza era aumentata enormemente. Aveva recuperato molti dei suoi poteri, anche se una cospicua fetta rimaneva bloccata a causa dell'incantesimo di Vaněk. Aveva dovuto tenerlo nascosto a Orlaith, o si sarebbe insospettita, fingendo di essere ancora debole, limitato, al di sotto del livello dei loro avversari.
In realtà, già da tempo sentiva il potere crescere in lui ogni minuto di più. Non era ancora in grado di affrontare testa a testa il suo avversario, ma se McGrath avesse eseguito gli ordini a dovere...
Spera solo di uccidermi prima, Vaněk... Gli augurò.

Quando ebbe raggiunto l'auto incidentata e il pick-up che l'aveva speronata era già stato individuato da altri tre Homunculi, che tuttavia non avevano cercato di avvicinarlo, limitandosi a seguirlo in relativo silenzio, tenendolo d'occhio dai tetti e dai giardini, o dalla strada dietro di lui. Ad ogni passo, mentre si voltava verso la propria destra e ricominciava a camminare lungo la Market, nuovi Homunculi si aggiungevano al gruppo che lo seguiva, attorniandolo, forse nel tentativo di comunicargli un qualche senso di inquietudine.
Non ci mise molto a percorrere la distanza che lo separava dalla sua meta: presto fu all'incrocio tra la Market e la Walnut, davanti all'ufficio postale cittadino. Non conosceva nulla di Tresckow, non aveva mai chiesto a Orlaith della sua città natale, non nello specifico, quindi andava avanti per supposizioni.
D'altra parte, la sua pazienza era giunta al limite.
- Dove sei?- gridò alle strade vuote, occupate solo dagli Homunculi - Fatti vedere! Lo so che ci sei! Hai così paura di me da preferire mandare avanti delle pedine?-
In risposta ebbe solo il rombo di un tuono, ma non si mosse da dov'era, rimanendo in attesa. Sentiva gli Homunculi muoversi intorno a lui, ma continuò a ignorarli. Se avesse voluto avrebbe potuto benissimo toglierli di torno facilmente. Non temeva un loro attacco.
Alla fine, la sua pazienza fu premiata: con molta calma, come se l'intera faccenda non lo riguardasse, Vaněk uscì dalla piccola pizzeria accanto all'ufficio postale, sistemando i polsini della propria camicia, su cui spiccavano gemelli di diamanti. Indossava uno dei suoi migliori completi grigi, e aveva scelto gli occhiali con la montatura d'oro per incontrarlo. Aveva voluto apparire elegante, altero, minaccioso.
Poteva non darlo a vedere, ma nonostante tutto, nonostante tutti i suoi poteri e i suoi Homunculi, Vaněk temeva lo scontro.
- Finalmente.- disse Jayden, mentre lui avanzava fino al centro della strada, senza avvicinarsi - Iniziavo a credere che non ti saresti presentato.-
Vaněk fece una smorfia affettata, giungendo le mani dietro la schiena.
- Onestamente, ho pensato lo stesso di te, Wilhelm. Oh, ma adesso...- sorrise - ... ti fai chiamare Allwood, giusto? Jayden Allwood.-
- E tu ti fai chiamare Stanislav Vaněk.- gli ricordò Allwood.
Lui non rispose.
- Ci ho messo molto tempo per capire cosa stava succedendo all'inizio, sai?- gli disse invece - Sei stato molto bravo. Hai coperto bene le tue tracce... e il giorno in cui hai avvicinato Orlaith Alexander non mi preoccupavo affatto di te. Non credevo che saresti arrivato tanto lontano.-
- Ho potuto farlo perché me l'hai permesso tu.- rispose - Dovevi uccidermi quando potevi.-
Vaněk scosse la testa.
- Credevo che maledirti fosse sufficiente. Sono stato uno sciocco.- ammise - Ad ogni modo, è giunto il momento di rimediare, immagino. Mostrami cosa sei capace di fare, ragazzo.-
- Con piacere.-
Alzò subito la mano sinistra, dove aveva disegnato il Cerchio Magico, e un nuovo fascio lucente partì, diretto contro Vaněk.
L'affarista non si mosse, mentre attorno ai suoi piedi compariva spontaneamente un grande Cerchio luminoso. Una roccia eruppe dall'asfalto, proprio davanti a lui, intercettando la magia, che frantumò il masso lasciando incolume lo stregone.
Allwood ripartì subito all'attacco, scagliando un nuovo colpo e nel frattempo estraendo i gessetti dalla tasca. Continuò a bersagliare Vaněk senza sosta, costringendolo a erigere nuove protezioni e al tempo stesso limitando la sua visuale con i lampi di luce e le esplosioni, mentre disegnava a terra un grande Cerchio Magico. Lui non fece nulla per impedirglielo, limitandosi a rimanere sulla difensiva. Non si sentiva minimamente minacciato.
Intanto, aveva cominciato a piovere.
Quando ebbe terminato il Cerchio Magico, Allwood toccò una delle punte del Pentacolo al suo interno. Le linee si illuminarono come di consueto, e una pioggia di saette cadde dalla coltre di nubi, raccogliendosi nel Cerchio Magico, attirate dal disegno. L'energia andò a formare una sfera sempre più grande, crepitante di elettricità, luminosa e instabile.
Per tutto il tempo Jayden aveva continuato a lanciare colpi verso Vaněk, senza mai smettere, spostandosi di lato per evitare di coinvolgere per errore la sfera. Appena quella fu pronta cessò la raffica e le si avvicinò, percuotendola forte con il Cerchio disegnato sulla sua mano.
Subito, essa rotolò con violenza verso il suo avversario, scavando un profondo solco nell'asfalto, lasciando una scia incandescente al suo passaggio. Investì Vaněk con la forza di un treno in corsa, e all'impatto scatenò una tremenda esplosione elettrica che mandò in frantumi le vetrate degli edifici più vicini e fece esplodere alcune macchine parcheggiate nei paraggi. I cavi elettrici lì intorno si spezzarono, emettendo scintille, e le inferriate nelle immediate vicinanze si elettrificarono con un ronzio minaccioso.
Mentre l'incantesimo sortiva il proprio effetto, Jayden sentì qualcosa cambiare in lui: nonostante la gran quantità di magia che stava usando si sentiva più forte, più energico. Sollevò la manica, scoprendo la cicatrice da ustione, e la vide ritirarsi leggermente: un Suggello era morto.
Ne manca solo uno! Pensò, mentre l'eccitazione lo invadeva.
L'incantesimo, risentendo del suo cambiamento, acquisì nuovo vigore, e l'esplosione brillò di nuova luce, scatenando una colonna di saette che da terra andò fin in cielo, forando le nuvole e facendo crepare il terreno.
Quando tutto finì, dove si trovava prima Vaněk c'era adesso un cratere grande abbastanza da coinvolgere anche il marciapiede. Le pareti degli edifici lì accanto erano annerite e l'asfalto, completamente fuso, fumava emettendo un odore insopportabile.
Al centro della buca c'era uno scheletro carbonizzato, un rimasuglio privo di vita.
Se fosse stato più ottimista, Jayden avrebbe creduto di avere già vinto, ma sapeva bene di aver fatto davvero poco: Vaněk era forte abbastanza da sopravvivere a una cosa del genere e, soprattutto, gli Homunculi erano ancora vivi e vegeti. Se lui fosse morto sarebbero tornati polvere. I resti lì dentro non significavano nulla.
- Notevole.- commentò infatti Vaněk, alle sue spalle.
Jayden si voltò, mentre uno dei tanti Homunculi avanzava su due gambe. Aveva una posizione insolitamente eretta per uno come lui, e ad ogni passo il suo aspetto migliorava, avvicinandosi a quello di un umano.
La pelle pallida e glabra si scuriva, si lisciava; comparvero dei capelli, dei vestiti, due occhi, la bocca divenne più piccola, le braccia più corte, le gambe dritte.
Un nuovo Vaněk era davanti a lui.
- Un incantesimo di trasferimento... ma diverso.- commentò Allwood - Quindi è questo il tuo segreto di immortalità. Non vedo l'ora di impararlo.-
Vaněk fece una smorfia, scuotendo la testa.
- Sei troppo ottimista.- lo rimproverò - Non riuscirai a uccidermi.-
Allwood fece un sorrisetto di scherno.
- Davvero? Scopriamolo.-
Estese entrambe le braccia. Due cerchi magici comparvero sul terreno al suo fianco, senza bisogno di essere disegnati.

Dai Cerchi sull'asfalto si eressero due identici serpenti di saette color acqua, che si contorsero e corsero verso Vaněk, il quale finalmente diede un segno di preoccupazione, sgranando appena gli occhi e muovendosi in fretta, spiccando un piccolo salto all'indietro.
Un Cerchio magico comparve alle sue spalle, e lui vi sparì dentro, mentre i serpenti elettrici distruggevano una dozzina di Homunculi in una sola volta e scavavano altri solchi nel terreno.
Con la coda dell'occhio Jayden vide Vaněk sul tetto dell'ufficio postale, a braccia larghe. Un Cerchio Magico grande ancora più di lui comparve nell'aria alle sue spalle, senza bisogno di superfici solide per essere tracciato.
Finalmente passi all'attacco!
Diresse verso di lui i serpenti, protendendo al tempo stesso la mano sinistra. Una scia luminosa trasparente ed eterea scaturì dal suo palmo, serpeggiando silenziosamente al loro fianco, portando una minaccia più velata e sottile.
Il Cerchio Magico di Vaněk si attivò, intercettando i serpenti di saette con una grande fiammata che li divorò, consumando persino l'energia di cui erano composti.
Suo malgrado, Jayden dovette ammettere di stare affrontando uno stregone di potere e abilità enormi: nessun altro Elementalista avrebbe potuto bruciare i fulmini.
Tuttavia, la scia luminosa non venne investita dal fuoco, e raggiunse Vaněk senza che lui potesse fermarla, colpendolo sul petto.
Lo passò da parte a parte senza riportare danni apparenti, aprendosi alle sue spalle come la corolla di un gigantesco fiore, di cui presto assunse l'aspetto. Petali diafani comparvero sulla schiena del suo avversario, mentre dallo stelo assorbivano impulsi lucenti a velocità sempre maggiore. Ogni volta che raggiungevano la cima e si diffondevano nel resto del fiore, questo diventava più definito, più netto, perdendo in parte l'aspetto etereo, mentre Vaněk, invece, diventava sempre più pallido e magro.
La sua stessa linfa vitale andò a depositarsi nel fiore, mentre lui deperiva a vista d'occhio. Presto la pelle si tese sulle ossa, gli occhi si rovesciarono nelle orbite, e lui si afflosciò come un calzino bagnato, scivolando giù dal tetto e cadendo in strada senza potersi fermare.
Ancora una volta lo aveva ucciso, ma in questo caso Vaněk non lo aveva lasciato fare.
- Ora... basta!- gridò questi, ricomparendo al posto di uno dei pochi Homunculi rimasti, mentre tre Cerchi Magici si materializzavano intorno a loro.
Jayden si guardò intorno, allarmato: erano disposti in modo tale da colpire in più direzioni contemporaneamente, e con tutto il macello che avevano fatto non c'era un posto dove potesse scappare.
Da un Cerchio Magico proruppe una fiammata, mentre gli altri due emisero vortici d'aria che si unirono al fuoco del primo, donandogli ulteriore forza e vigore.
Jayden esitò per un istante di troppo, e prima di potersi proteggere sentì il calore sulla pelle, mentre le fiamme lo avvolgevano in un sudario incandescente.
Eppure, non percepiva dolore. Anzi... si sentiva bene.

Vaněk guardò la combinazione degli incantesimi avvolgere Allwood senza battere ciglio, indifferente al fatto che, in quel momento, il suo stesso figlio stesse bruciando come una formica in un incendio.
Lui lo aveva ucciso due volte, ma mentre nel primo caso lo aveva lasciato fare, nel secondo era riuscito a coglierlo alla sprovvista. Non poteva più rischiare, stava recuperando rapidamente i suoi poteri. Se si fosse risvegliato del tutto, sarebbe stato un avversario ostico.
- Accertatevi che non ne rimanga nulla.- ordinò agli Homunculi rimasti.
Quelli iniziarono ad avanzare verso il punto in cui le fiamme, che ora erano diventate un turbine che si alzava verso il cielo, stavano incenerendo Allwood. Quando furono a pochi passi, tuttavia, il vortice esplose in ogni direzione, investendo le creature con una vampata calda che distrusse i loro Cerchi Magici, riducendoli in polvere inerte.
Allwood era in piedi in mezzo a una pozza di asfalto fuso, completamente illeso, ma mutato nell'aspetto.
Se prima era indistinguibile da un uomo normale, adesso la sua pelle era solcata da quelle che sembravano ferite di luce, solchi luminosi che si aprivano a intervalli regolari e si avvolgevano attorno alle sue braccia, alle sue gambe, al suo petto, e risalivano su per le spalle e il collo, seguendo i contorni del viso fino agli occhi, nei quali brillava quello stesso, innaturale bagliore verdazzurro.
Un sorriso di scherno gli storceva la bocca, mentre la luce della Quinta Arte aumentava di intensità.
- Anche l'ultimo Suggello è morto, padre.- disse - Così come tutti i tuoi Homunculi. Siamo solo tu ed io, adesso.-
Vaněk non rispose, accigliandosi ancora di più.
Era il momento di fare sul serio.

Anche Allwood adesso è pronto a scatenarsi. La situazione può solo peggiorare.
Ringrazio 
John Spangler, Old Fashioned, Fan of The Doors, _Alexei_, Kira16, Fiore di Girasole, Sahara_2, Queen FalseHeart, Marz97, Aelfgifu, Roiben e Beauty Queen, i lettori che mi seguono. A presto!
 

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Capitolo 37
*** Cap. 36: La fase finale ***


Orlaith fissò inorridita il mucchio di argilla polverizzata che, fino a pochi istanti prima, era stata Chien Nio, mentre McGrath lasciava cadere la vanga senza mostrare emozioni.
David, attonito, guardò il maggiordomo con la confusione stampata in faccia. Confusione che, dopo pochi attimi, divenne rabbia.
- Idiota!- esclamò - Cosa ti è saltato in mente? Tu, brutto...-
- David, fermo!- disse Orlaith, mettendosi tra lui e McGrath - Non urlargli contro!-
- Cosa?- sbottò - Ti rendi conto di cosa ha fatto?-
- Lo so, ma non è colpa sua!- ribatté Orlaith - Te l'ha ordinato Jayden, vero?- chiese, rivolgendosi a McGrath.
Il maggiordomo annuì lentamente.
- E non poteva proprio evitarlo, immagino!- disse seccamente David, facendo un gesto scocciato con le braccia.
- No, temo di no.- rispose McGrath - Mi spiace.-
- Non capisco.- disse Connor, passandosi una mano sulla collottola - Qualcuno vorrebbe dirmi cosa succede? Perché quella donna è... si è... polverizzata?-
- Non era una donna, era un Homunculus, un essere umano artificiale, creato con la magia.- spiegò Orlaith - E lo è anche lui, per questo non poteva disobbedire.-
Connor sgranò gli occhi.
- Cosa?-
- Papà, mi hai appena vista uccidere un mostro di fuoco suonando un violino.- osservò Orlaith - Davvero ti stupisce che esistano gli Homunculi?-
Lui esitò, indeciso, e guardò David; lui si strinse nelle spalle.
- Guarda, io ne so poco più di te.- ammise.
- Vorrei poterti spiegare, ma non posso.- disse Orlaith - Però David può ripetere quello che ho detto a lui... io ora devo andare da Jayden.-
- Glielo sconsiglio vivamente, miss Alexander.- intervenne McGrath, incrociando le braccia - Ritengo che per lei sarebbe molto più sicuro rimanere qui, almeno per il momento.-
- McGrath, devo andare per forza.- rispose lei - Devo fermarli prima che si uccidano a vicenda... o peggio.-
- Temo che lei non capisca.- insisté il maggiordomo - In origine il signor Allwood mi aveva chiesto di ucciderla. Se la vedesse potrebbe farle del male.-
Orlaith sentì un brivido correrle lungo la schiena, ma fece del proprio meglio per mascherarlo.
- Cos'ha detto?- chiese Connor, furioso - Cos'aveva ordinato questo... Allwood?-
- E perché hai ucciso solo la cinesina, allora?- chiese David.
- Perché mi sono rifiutato.- rispose McGrath - Non potevo eseguire quell'ordine.-
Orlaith non disse niente, ma dentro di sé provò un intenso moto di gratitudine verso McGrath. A quanto pare Jayden aveva visto giusto, il suo maggiordomo stava davvero cambiando: gli Homunculi potevano imparare a provare emozioni, dopotutto.
- Devo comunque andare, McGrath.-
- E io devo insistere.- ribatté lui - Miss Alexander, cerchi di capire... il signor Allwood è ossessionato. Non credo che voglia realmente nuocerle, non intenzionalmente o coscientemente, almeno... ma non è mai stato capace di accettare una perdita, io ne sono la prova, e farà di tutto per evitare che lei gli volti le spalle. Inoltre lui e il signor Vaněk sono ad armi pari, adesso. Entrambi sono maestri nei propri campi. Sono certo che lei sappia badare a se stessa, ma se restasse coinvolta mentre usano i loro poteri...-
- E cosa credi che succederà a Tresckow se nessuno li ferma?- chiese Orlaith - Finiranno per coinvolgere altre persone mentre combattono tra loro, non è così?-
Il maggiordomo esitò.
- McGrath?-
Lentamente, annuì.
- Potrebbe succedere.- concesse.
Si guardarono per un lungo istante. Un sorriso stanco le sfuggì dalle labbra.
- Ecco perché devo andare.-
Guardò per un attimo David e suo padre e, quando fu certa che non avrebbero provato a fermarla, rinsaldò la presa sul violino e s'incamminò verso il centro della città, da cui iniziava già a intravedere le prime avvisaglie del combattimento, a stento mascherate dalle fronde.

- Mi chiamo Annie Carden, ho ventitré anni, studio agraria a Yale, faccio parte della squadra di nuoto, mi piacciono i peperoni e odio gli asparagi.-
Perfetto. La memoria è intatta.
Annie Carden si rialzò aggrappandosi al bordo del lavabo, tenendosi la testa vagamente dolorante. Scongiurato il pericolo di possibili danni cerebrali, poteva escludere un problema neurologico o un trauma dovuto alla caduta.
Si stava semplicemente lavando i denti, quella mattina, quando... beh, non ricordava affatto cosa fosse successo, in tutta onestà. All'improvviso si era ritrovata sul pavimento, e il sole era sparito dietro nuvoloni di pioggia che, fino a un attimo prima, erano totalmente assenti.
Quindi, di preciso... che cosa era successo?
Rimessasi in piedi (e lavato via il dentifricio che le era rimasto sul labbro), Annie uscì dal bagno tastandosi cautamente la testa, giusto nel caso le fosse sfuggito un qualche bozzo. Aveva già fatto il controllo di rito come sempre, ma voleva essere sicura.
Quest'ansia non era una pura nevrosi nata per caso: suo padre era il dottor Carden, l'unico medico di tutta Tresckow, e da sempre l'aveva abituata a fare controlli regolari sulla propria salute. Le aveva anche inculcato una irrazionale e illogica paura dei traumi cerebrali.
- Papà?- gridò - Mamma? Bobbyscemo?-
Percorse il corridoio cercando i suoi genitori e suo fratello minore (Robert, detto Bobby, detto Bobbyscemo), anche se avrebbe già dovuto sapere che i primi due erano al lavoro, mentre lui era andato a scuola tempo prima che lei si svegliasse, visto che aveva appena quindici anni.
Scema... sono a Hazleton da ore...
Doveva capire cos'era successo da sola.
Prese il telefono, ma ancora prima di comporre il primo numero si bloccò: a chi poteva chiedere aiuto se non sapeva cosa le fosse capitato? Beh, magari a suo padre, era un dottore, se gli avesse descritto i sintomi forse avrebbe saputo darle qualche dritta.
Aveva appena preso la sua decisione quando sentì la prima di molte, moltissime esplosioni.

Nonostante avesse tentato di liberarsi di loro, Orlaith dovette cedere e lasciarsi accompagnare anche da David e da suo padre, oltre che dal solo McGrath. Appena avevano visto le prime luci baluginare in cielo e sentito il rombare di tuoni che, invece di cadere a terra, si alzavano verso le nuvole, avevano entrambi insistito per andare con lei, e si erano mostrati irremovibili.
Così era stata costretta a portare tutti con sé, troppo preoccupata per le sorti della città per potersi inventare un buon motivo per tenerli lontani. Mentre camminava lungo la Chestnut vide delle figure muoversi in fondo alla strada, e a giudicare dall'aspetto non erano Homunculi: l'incantesimo di congelamento di Vaněk si era infranto, e le persone adesso vedevano cosa stava succedendo, scappando terrorizzate di conseguenza.
Orlaith scacciò a forza il pensiero di quello che sarebbe potuto succedere se qualcuno si fosse trovato troppo vicino al combattimento, costringendosi a pensare a cosa fare nello specifico: suonare andava bene, ma voleva davvero ucciderli? Vero, erano due mostri, ma pur sempre persone... e in tutta sincerità, per quanto male le avesse fatto, non riusciva a pensare a Jayden come un nemico. Una parte di lei voleva ancora salvarlo, perlomeno da se stesso.
Tuttavia, nel profondo iniziava a temere che non fosse possibile.
- Mio Dio...- brontolò Connor, guardando davanti a loro con aria cupa - Cosa sta succedendo laggiù?-
Davanti a loro, sopra i tetti di Trescow, si stava scatenando il finimondo: c'erano folgori che scoppiavano a intervalli sempre più brevi, sparate in direzioni apparentemente casuali, e scie luminose si dipanavano ogni tanto nell'aria, guizzando veloci verso obbiettivi noti solamente a loro. Spesso comparivano lingue di fuoco che bruciavano interi tratti di cielo, e una gran massa d'acqua si levò all'improvviso da una delle piscine nei cortili vicini, inseguendo qualcosa. Un serpente di sabbia crebbe da qualche parte per le strade, unendosi alla massa fluida nell'inseguimento.
Un gigantesco Cerchio Magico comparve dal nulla, formato da linee lucenti tracciate nell'aria, ed entrambi si infransero sulla sua superficie, svanendo insieme a lui.
- Credevo che i Cerchi Magici necessitassero di superfici solide.- osservò, guardando McGrath.
Il maggiordomo scosse la testa.
- Temo di no, miss Alexander. È così solo per gli stregoni di basso e medio livello, ma uomini come il signor Allwood e il signor Vaněk non ne hanno bisogno. Così come non necessitano di inchiostro.-
- Ovviamente...- mormorò lei.
Strinse con le dita la stoffa del borsone di Jayden, che portava a tracolla: là dentro c'erano gli innumerevoli taccuini e stracci su cui aveva tracciato i suoi Cerchi Magici in preparazione allo scontro. Aveva sperato che portarglieli via lo avrebbe messo in una condizione sfavorevole, spingendolo ad aspettare. Ovviamente non era andata così.
- Ehi! Guardate!- esclamò David, indicando qualcosa.
Adesso erano sufficientemente vicini da poter vedere meglio cosa stava succedendo di preciso, ed ebbero quindi modo di distinguere, seguendo il dito teso del produttore, due figure che si inseguivano in aria.
All'inizio erano sembrati solo due incantesimi come tutti quelli che avevano scorto lungo la strada, ma adesso capivano che si trattava di figure umane... più o meno.
Una era massiccia e imponente, sicuramente più robusta della seconda, ed era fatta interamente di quella che sembrava pietra: aveva la pelle grigia, ruvida e spessa, gli arti lunghi e muscolosi, il petto enorme, e due gigantesche ali gli uscivano dalla schiena. Non riuscivano a distinguerne bene la faccia, anche se sembrava avere delle corna sulla fronte.
Era un gargoyle, un mostro di roccia granitica alto non meno di un paio di metri, che volava lanciando versi feroci nell'aria, inseguendo un'altra creatura impossibile.
Era senz'altro Jayden, anche se Orlaith lo riconobbe solo per istinto.
Il suo corpo era cambiato, ma non come quello di Vaněk: la sua pelle si era come spaccata in più punti, da cui fuoriusciva vapore luminoso che lo seguiva ad ogni movimento, spandendo in aria una sorta di lieve foschia color verde acqua.
Le parti integre, invece, si erano come schiarite, al punto tale da essere quasi trasparenti, lasciando intravedere abbastanza chiaramente le ossa al disotto: costole, vertebre, falangi, tibie... ogni singola parte era esposta alla vista, dando l'impressione che uno scheletro stesse volando sopra le loro teste.
La parte peggiore era però il viso, che riuscirono a scorgere quando scese di quota: una maschera di denti, di mascelle e di ossa piatte, con un buco che s'intravedeva proprio là dove c'era il naso. Gli occhi roteavano furiosi nelle orbite chiare, le palpebre quasi invisibili, dando così l'impressione che fossero sgranati dalla sorpresa, e non animati dalla furia.
- Porca puttana!- sbottò David - Quello sarebbe... Vaněk?-
- No. Vaněk è il gargoyle.- rispose Orlaith
Una folgore particolarmente potente di Jayden mandò in frantumi un pezzo del braccio di pietra dello stregone, il quale tuttavia non sembrò farci caso e, anzi, mutò aspetto sotto i loro occhi, rimpicciolendo lievemente. Le braccia si fusero con le ali, le gambe si accorciarono, i piedi si affusolarono e una coda gli crebbe in fondo alla schiena. Infine, prese fuoco come un drappo imbevuto d'alcool.
Un rapace infuocato era comparso davanti a Jayden, molto più rapido del mostro di pietra che era stato fino a un momento fa e quasi altrettanto grande. Sfrecciò accanto all'avversario, che si scansò appena in tempo e si voltò, facendo comparire tre Cerchi Magici dai quali scaturirono innumerevoli fasci luminosi.
Tutti i colpi mancarono il bersaglio, abbattendo tuttavia l'ufficio postale lì sotto. Le rare persone che si erano attardate per la strada gridarono e si diedero a una fuga ancor più disordinata.
Ormai erano nel mezzo della folla terrorizzata, ma pochi facevano caso a loro, troppo spaventati per badare a qualcuno che, invece di andarsene, si avvicinava al motivo di tanta paura.
Orlaith riconobbe molti visi, qualcuno incrociò anche il suo sguardo per un secondo, ma nessuno si fermò. Vedere quelle persone che conosceva in preda al panico le diede una fitta tremenda al petto.
- Va bene, fermiamoci un momento!- esclamò Connor quando, a meno di dieci metri da loro, una fiammata incenerì un palo telefonico e squagliò parte del marciapiede - Orlaith, cosa stiamo facendo? Non puoi veramente pensare di poter fare... qualsiasi cosa tu voglia fare! Guarda cosa sta succedendo! Questo posto è un campo di battaglia!-
- Lo so, papà.- rispose lei, scuotendo la testa senza guardarlo - Ma lo devo fare.-
- Ma è una pazzia!-
- Ha ragione lui, stellina.- osservò David, fissando pallido e preoccupato gli stregoni che continuavano a inseguirsi sopra di loro, mentre le persone continuavano a correre via - Insomma... guarda quei due! Cioè, ho sempre pensato che Vaněk fosse un tipo inquietante, ma... cioè, quelli sono... sono mostri!-
- Dobbiamo andarcene adesso! Tutti quanti!- insisté Connor, prendendola per un braccio e cercando di trascinarla nel flusso degli abitanti in fuga - Per Dio, sii ragionevole! Potrebbero ucciderti! Potresti...-
- Basta!- esplose Orlaith, divincolandosi e allontanandosi furiosa da loro - Credete che la finiranno presto? E che, se anche uno dei due l'avrà vinta, tutto tornerà a posto? Stanno facendo a pezzi Tresckow! E poi verranno a cercare me, e non potrò nascondermi da nessuna parte! Avete sentito McGrath, vero? Nessuno di loro mi lascerà in pace! Non finirà mai!-
Le tremavano le mani al pensiero, e sentiva un enorme groppo alla base della gola. Si stava sforzando terribilmente per non piangere.
- Credete che non lo sappia?- continuò - Lo so benissimo cosa potrebbe succedermi se resto qui... ma non ho altra scelta, devo farla finita adesso!-
Sia Connor che David si limitarono a guardarla senza dire niente, pallidi e rigidi come manici di scopa. McGrath, in disparte, si limitava ad assistere in silenzio alla scena, ostentando la più neutra delle espressioni.
Suo padre fu il primo ad abbassare lo sguardo, gli occhi spalancati e rossi come i fari dello spettacolo primaverile a cui Orlaith ricordava di aver partecipato a Maggio.
- Tesoro...- mormorò con la gola secca - ... io... ti prego... sei... sei tutto quello che ho...-
- E tu sei tutto quello che ho io.- ammise con voce tremante Orlaith - E al mio posto... se fossimo scambiati, so che... che faresti la stessa cosa.-
Connor non rispose, chiudendo gli occhi e deglutendo. Era distrutto.
David, al suo fianco, serrò i pugni, lo sguardo fisso sulla strada.
- So che non ho il diritto di parlare...- disse piano - ... e che ho inconsapevolmente contribuito a questa situazione, nel mio piccolo... però...-
- Dave, non è colpa tua.- rispose Orlaith, allungando una mano per sfiorargli la guancia - Tu sei stato... AH!-
Una ragazza in fuga la urtò, facendole perdere l'equilibrio. Cadde addosso a David, che l'afferrò al volo insieme a suo padre, mentre l'altra venne agguantata con uno scatto da McGrath.
Nell'impatto le era scivolato il borsone pieno di Cerchi Magici, ma per fortuna il violino era ancora ben stretto nel suo pugno, insieme all'archetto. Guardò la ragazza tra le braccia di McGrath e, con sua enorme sorpresa, riconobbe una riccia chioma castana che incorniciava la faccia lentigginosa di Annie Carden.

Continuo a scordarmi, non c'è niente da fare.
Ringrazio 
John Spangler, Old Fashioned, Fan of The Doors, _Alexei_, Kira16, Fiore di Girasole, Sahara_2, Queen FalseHeart, Marz97, Aelfgifu, Roiben e Beauty Queen, che mi stanno seguendo. Ormai manca poco alla fine. A presto!
 

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Capitolo 38
*** Cap. 37: La cima della chiesa ***


- Orlaith? Oddio! Ma che ci fai qui?-
All'improvviso le era saltata al collo, strizzandola con la forza di un serpente, apparentemente dimentica della battaglia aerea tra i due stregoni. Se ne ricordò non appena una folgore di Jayden, deviata dalle protezioni di Vaněk, piovve lì vicino, facendola sussultare con tanta forza da sbilanciarla di nuovo.
- Cazzo!- gridò - Me lo dici dopo!-
Fece per trascinarla via, ma Orlaith la costrinse a lasciarla.
- Non posso. Andate voi.- disse - Io ho una cosa da fare.-
- Cosa?- esclamò Annie, fissandola come se avesse perso la testa - Orlaith, non scherziamo! C'è il finimondo e tu decidi adesso di tornare a casa?-
- Annie, non ora!- esclamò Orlaith, la sua voce quasi completamente coperta da una nuova esplosione.
La situazione stava precipitando sempre più in fretta: il vento aveva preso a soffiare con forza crescente, e i danni collaterali del combattimento si stavano facendo via via più numerosi e gravi. Il tempo stava scadendo.
- Senti, non ho il tempo di convincerti.- disse stancamente Orlaith - Vattene e basta... se tutto va bene potremo stare un po' insieme più tardi.-
Era una situazione surreale: aveva desiderato per mesi rivedere la sua migliore amica d'infanzia e, adesso che ce l'aveva davanti, doveva lasciarla per andare a combattere due stregoni pazzi. Perfetto.
- Ma...-
- Non ci sono ma!- disse con fermezza - McGrath, mi serve il tuo aiuto... devo salire in alto.-
Il maggiordomo annuì.
- Quanto in alto?-
Lei puntò un dito verso il fondo della strada.
- Così.- rispose.
Stava indicando il campanile.

Annie assistette impotente mentre l'uomo di nome McGrath si caricava Orlaith sulla schiena (insieme al misterioso borsone) e cominciava a correre verso la chiesa, ignorando il disastro che si stava consumando sopra e attorno a loro.
Spaventata e confusa, si voltò a guardare il signor Alexander, che a sua volta stava fissando sua figlia, rannicchiata sulla schiena dello sconosciuto.
- Signor Alexander... cosa sta succedendo?- chiese.
L'uomo scosse lentamente la testa. Aveva un aspetto terribile, l'aveva visto così solo il giorno del funerale della moglie.
- Non lo so...- ammise - Io... non lo so.-
- Succede che quei due stanno scatenando un finimondo...- brontolò cupamente David Valdéz - ... e che la tua amica si è messa in testa di fermarli da sola.-
- Ma... perché? Dobbiamo... dobbiamo fermarla!-
- Ci abbiamo provato.- rispose l'uomo, scrollando le braccia - In tutti i modi, a parte darle una botta in testa... non vuole ascoltarci.-
- Ma cosa ha intenzione di fare? Lei ha solo... il suo violino, e...-
- Basterà.- disse in tono duro il signor Alexander, senza smettere di fissare la figlia - Deve bastare.-
Annie tornò a guardare Orlaith, ormai arrivata all'ombra dell'edificio. Qualsiasi cosa stesse succedendo, ora non aveva più paura che quei due mostri la uccidessero.
Ora aveva paura che uccidessero lei.

McGrath si fermò sotto gli scalini della chiesa, un vecchio e grande edificio di mattoni dal tetto nero e spiovente. L'ingresso era preceduto da un'intelaiatura di metallo su cui correva una tenda parasole rossa completamente lacerata dalla violenza dello scontro; subito sopra era situato un finestrone rotondo. Ignorando l'ennesima saetta a vuoto di Jayden (che distrusse parte del tetto della casa dall'altro lato della strada), il maggiordomo alzò lo sguardo verso la cima del campanile.
- Ci siamo. È sicura di volerlo fare?-
- Sicura...mente no.- rispose Orlaith - Ma non ho scelta.- aggiunse, ignorando il nodo che le attorcigliava lo stomaco.
- Allora si regga forte.-
Piegò le ginocchia e, senza alcuno sforzo apparente, spiccò un balzo che li portò sul cornicione e, con un altro piccolo salto, si aggrappò al bordo del tetto, issando entrambi con estrema facilità. Forse provava emozioni, alla fine, ma la fatica gli era ancora decisamente estranea.
- Fino in cima?- chiese.
- Fino in cima.-
Lui annuì e si voltò verso il campanile: non era molto più alto, da terra misurava circa una decina di metri, pochi di più rispetto all'edificio principale. Era comunque il punto più alto che ci fosse negli immediati paraggi del combattimento, e lei voleva essere il più vicina possibile.
McGrath saltò ancora, aggrappandosi ai bordi del tetto piramidale della torre; issatosi là sopra, cominciò a scalarlo rapidamente, portandola fino alla cima vera e propria. Orlaith si aggrappò alla piccola croce metallica sopra di loro, scendendo dalla schiena del maggiordomo, stando bene attenta a non perdere la presa sul violino.
- E adesso?- chiese McGrath.
- E adesso... senti, riesci a... a rompere un po' il tetto? Per farmi stare in piedi... mi basta una nicchia, al resto penserò io suonando.-
Senza una parola, lui tirò indietro il pugno e colpì con forza le tegole vicine alla cima. Con uno schianto fracassante, quelle andarono in frantumi, lasciando un foro poco più grande della sua mano al loro posto.
- Grazie. Adesso torna a terra e apri la borsa. Rovescia tutti i Cerchi Magici, i quaderni e qualsiasi altra cosa abbia portato Jayden per combattere. Poi torna dagli altri e tienili al sicuro.-
Si sentiva strana a dargli ordini, specie considerando che lui, in quanto Homunculus personale di Allwood, non era minimamente tenuto ad assecondarla. D'altra parte non obbiettò in alcun modo e, anzi, annuì un'altra volta.
- Molto bene.- disse - La prego, miss Alexander: faccia molta attenzione. Non voglio che le accada qualcosa.-
- Grazie, McGrath.- rispose lei - Posso chiederti perché è così importante per te?-
Lui sorrise.
- Non lo so.- rispose - Forse provo emozioni, ma non vuol dire che ne capisca il significato o la motivazione. Sono solo un Homunculus, dopotutto.-
Orlaith scosse la testa.
- No, McGrath. Io credo che... che tu sia la parte migliore di Jayden.-
Il maggiordomo abbassò lo sguardo, senza cambiare espressione.
- Forse c'è del vero in questo.- disse - Forse in me sopravvive ciò che lei sperava di salvare. Ma mi addolora ammettere che è troppo tardi, ormai. Faccia ciò che deve.-
Detto questo, McGrath si lasciò scivolare verso il basso per eseguire i suoi ordini.
Covando un sempre più profondo moto di gratitudine nei confronti del maggiordomo, Orlaith si arrampicò come meglio poteva sulla croce, infilando il piede nella nicchia creata da McGrath e mettendo l'altro sopra uno dei bracci metallici della piccola effige.
Sentiva di avere un equilibrio molto precario, e se qualcosa l'avesse sbilanciata sarebbe precipitata verso terra, un pensiero che andò a sommarsi alla sua già enorme paura.
Il che, onestamente, in quel momento non era proprio un male.
Era spaventata, per non dire terrorizzata. Aveva fatto l'impossibile per non darlo a vedere, per mostrarsi sicura di sé con tutti quanti, McGrath compreso, ma la realtà dei fatti era che, pur sapendo quello che stava facendo (o almeno così sperava) sentiva di avere più paura di quanta ne avesse mai provata in vita sua. Paura per se stessa, per Tresckow, per David, per Annie, per suo padre...
In un altro momento sarebbe stato un problema, ma non con una nuova canzone e un nuovo motivo che esprimevano paura, anche se di un genere differente. Si trattava di paura del cambiamento e dell'ignoto, ma era pur sempre paura. Sfruttando quell'emozione, in quel momento tanto potente in lei, sarebbe stata in grado di affrontarli. Forse aveva una possibilità.
Forse.
Chiuse gli occhi e inspirò a fondo per cinque volte, visualizzando un enorme campo di trifogli a cui poteva accedere solo lei, dove nessuno poteva disturbarla o raggiungerla. Dove era al sicuro.
Dove era invincibile.
Mentre un lampo crepitante si scontrava con una fiammata poco lontano da lei, Orlaith riaprì gli occhi e mise l'archetto sul violino.

Orlaith comincia a combattere, e stavolta è giunta allo scontro finale. Mancano solo due capitoli, e poi avremo finalmente l'epilogo di questa storia.
Ringrazio, come sempre, J
ohn Spangler, Old Fashioned, Fan of The Doors, _Alexei_, Kira16, Fiore di Girasole, Sahara_2, Queen FalseHeart, Marz97, Aelfgifu, Roiben e Beauty Queen, che mi stanno seguendo. A presto!
 

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Capitolo 39
*** Cap. 38: Il suono della paura ***


Jayden Allwood stava affrontando Vaněk già da parecchio, in uno scontro che definire violento sarebbe stato minimizzare, eppure non sentiva minimamente la fatica: non molto tempo prima avrebbe ceduto nel giro di pochissimi minuti di fronte a una potenza come la sua ma, adesso, era di nuovo nel pieno dei suoi poteri, un titano contro un altro titano. Il loro livello era pari e, anzi, lui era forse un pelo al di sopra rispetto all'attempato avversario, essendo più giovane e avendo dovuto ingegnarsi e inventare nuovi modi per sopravvivere con le forze al minimo.
- Finalmente questa storia finirà, qui e oggi!- urlò, mentre un grande Cerchio Magico compariva davanti a lui.
Il rapace in cui si era tramutato Vaněk aprì il becco, soffiando un torrente di fuoco che intercettò il suo fulmine. Al contatto generarono una nuova esplosione che spazzò l'aria per molti metri intorno a loro, lasciando entrambi indenni, al contrario di Tresckow che, durante il combattimento, aveva subito numerosi danni collaterali.
Inevitabile. Pensò Jayden.
Dopotutto, era il prezzo da pagare per assistere a un combattimento tra stregoni di livello così alto. Le persone dovevano accettarlo.
Frugò nella propria memoria alla ricerca dell'incantesimo più adatto a uccidere Vaněk, mentre anche il suo avversario si apprestava a rispondergli con una nuova magia elementare; entrambi furono distratti quando udirono le note di una musica ignota giungere alle loro orecchie, un suono acuto e melodioso che Jayden riconobbe come quello di un violino; voltandosi, vide con grande orrore una figura minuta in piedi in cima al campanile.
Oh no...

Qui il brano

Orlaith non poteva cantare e suonare contemporaneamente, né aveva l'accompagnamento del pianoforte che necessitava per l'esecuzione perfetta, ma non le serviva: nella sua testa risuonava ogni minima nota, ogni parola, ogni passaggio, e l'unica cosa di cui aveva bisogno era stretta nelle sue mani, tra la spalla e il mento.
Nelle sue palpebre chiuse Vaněk e Jayden scomparvero, e una cortina nera calò su Tresckow, ricoprendo l'intera città in un manto ombroso che cancellò ogni colore, immergendo Tresckow in una notte senza luna né stelle.
La melodia e le parole si espansero lentamente, in un incipit malinconico e quasi timoroso.
La grinta giunse poi, prendendosi il suo tempo e acquisendo gradualmente forza fino a esplodere in ogni direzione, come un'ondata di furore che lasciò profonde crepe nel manto di tenebre che aveva intorno, da cui filtrarono piccole lingue smeraldine.
Danzando nel buio, sopra i tetti immersi nell'ombra, Orlaith scivolò da un lato all'altro della città silenziosa, prendendo velocità con il ritmo del violino e con le parole che riecheggiavano nello spazio vuoto. Quando si avvicinava il ritornello aumentava anche il ritmo dei suoi passi, cambiavano i suoi movimenti.
A un certo punto saltò indietro, inarcando la schiena come a voler compiere un salto mortale, ricadendo con lentezza verso il basso, roteando pigramente su se stessa in quell'oscurità infinita ma solcata dalle crepe piene di fiammelle verdi, senza mai smettere di suonare, avvolta in un sudario di note.
Si rigirò in aria e tornò in piedi, atterrando su un appoggio invisibile, ripiegando le ginocchia per assorbire l'impatto, che fu sorprendentemente morbido. Proseguì con l'esecuzione, mosse l'archetto sempre più veloce e giunse a una nuova, più potente esplosione, che frantumò completamente l'oscurità e la immerse nel fuoco verde che spazzò via ogni tenebra residua, restituendo i colori al mondo che la circondava.
Roteò ancora volta su se stessa, spostandosi di qualche passo, e separò archetto e violino in un ultimo accordo penetrante, che si perse nel silenzio.
Mentre tutto taceva, Orlaith sentì di perdere le forze e cadde nel fuoco senza un lamento, la mente che naufragava.

Vaněk fu il primo a riprendersi, ma anche il primo a reagire tra loro due, comprendendo cosa sarebbe successo di lì a poco.
Senza alcuna esitazione smise di considerarlo per concentrarsi sulla giovane violinista e si tuffò in picchiata verso il campanile, sfrecciando nell'aria fino a sfumare. Le ali si confusero con la coda e lui divenne un'unica, indistinta massa di fuoco, una meteora fiammeggiante diretta verso Orlaith.
La sua Orlaith.
Jayden si riscosse con un grido, gettandosi all'inseguimento.
La musica si stava facendo strada in lui, lo possedeva e gli trasmetteva angoscia. Non sapeva di che tipo, non aveva idea di quali fossero le intenzioni di Orlaith quando aveva scritto la nuova canzone. Non gliel'aveva mai chiesto, non si era preoccupato del fatto che, un giorno, potesse usarla contro di lui.
D'altra parte, in quel momento non gli interessava nemmeno.
Non fece in tempo ad arrivare, era partito troppo tardi, e Vaněk colpì il campanile con la forza di un proiettile, scatenando una potente fiammata che inghiottì Orlaith e la cima della torre, facendo schizzare schegge e frammenti in ogni direzione possibile.

- NO!- gridò Annie, cercando di correre indietro.
McGrath la afferrò al volo con un solo braccio, agguantò Connor Alexander con l'altro e sospinse indietro entrambi, scuotendo la testa.
- Non potete fare niente.- disse.
- Guardate! Guardate, sta bene!- esclamò David, passandosi le mani nei capelli pieni di gel.

Jayden era stato respinto dall'esplosione, ritrovandosi a scivolare indietro di diversi metri. Si protesse dalle schegge con una barriera, fissando inorridito il fuoco davanti a lui, che si levava verso l'alto e si trasformava in una colonna di fiamme.
Eppure, continuava a sentire una melodia sotto il crepitare delle fiamme; presto quelle si aprirono, rivelando Orlaith che, in piedi su pezzi di muro galleggianti, continuava imperterrita a suonare e a danzare, mentre le macerie si sollevavano e seguivano i suoi passi per non farla cadere.
Non era del tutto indenne: sui suoi vestiti si erano aperti degli strappi, e un minuscolo taglietto superficiale era apparso sul suo zigomo, facendo scivolare lungo la guancia una minuscola goccia di sangue. Orlaith era forte, ma non totalmente immune agli assalti di Vaněk.
La scia di fiamme in cui lo stregone si era trasformato, intanto, stava abbandonando la torre e, disegnando un ampio arco, stava tornando indietro, pronto per un nuovo assalto.
- NO!-
Si lanciò davanti a lei, erigendo un gigantesco Cerchio Magico contro cui cozzarono le fiamme, spandendosi a macchia d'olio sulla superficie della protezione senza riuscire a superarla. Il volto di Vaněk affiorò nel fuoco, fissandolo con occhi furenti.
- NO!- gridò di nuovo Jayden - NON LA PRENDERAI! LEI È MIA! È MIA! MI...-
Si interruppe con un verso strozzato, sentendo un forte dolore al costato: abbassando lo sguardo vide un lungo frammento di metallo infilato nella sua carne.
Incredulo, alzò appena gli occhi, trovandosi di fronte a uno straccio sfilacciato su cui era stato disegnato un Cerchio Magico. Riconobbe chiaramente il pezzo di stoffa come uno di quelli che aveva infilato la sera prima nel borsone che Orlaith gli aveva rubato.
Dal Cerchio stavano uscendo raffiche di schegge appuntite, di pietra e metallo, e molte si conficcarono nel suo corpo in profondità, causandogli dolore e facendolo sanguinare.
Anche Vaněk venne colpito nonostante fosse fatto di fuoco, e per proteggersi fu costretto a cambiare forma, assumendo di nuovo le sembianze di un gargoyle. A quell'atto il fuoco che avvolgeva Orlaith iniziò a vorticare e a cambiare, tramutandosi in un turbine di sabbia.
La musica tuttavia lo catturò, manipolandolo in un'unica, enorme scia polverosa che venne costretta a seguire Orlaith. Senza smettere di danzare, la violinista ci salì sopra, gli occhi ancora chiusi, persa completamente nella propria esecuzione, muovendo le gambe per puro istinto. Forse nemmeno sapeva di essere sospesa a venticinque metri da terra.
Quando i suoi piedi la toccavano, intere porzioni della scia di sabbia diventavano frammenti di vetro irregolare e scheggiato che la sostenevano e si muovevano con lei. Quando li abbandonava quelli si animavano all'improvviso e, ruotando in aria, schizzavano contro entrambi loro, infrangendosi senza causare danni sulla pelle rocciosa di Vaněk.
Allwood, non essendo così protetto, si scansò rapidamente dalla traiettoria, ignorando il sangue che scorreva e fissando il suo avversario che, invece, ruggì e si scagliò contro Orlaith, adesso privo di qualsiasi ostacolo.
Le fu sopra quasi subito, vibrando un colpo con un braccio che si allungò e si affusolò, tramutandosi in una lunga spada d'acciaio. Jayden reagì con un istante di ritardo, come trattenuto da qualcosa. Forse dalla musica.
Neanche quella volta Vaněk riuscì a ferire Orlaith, la quale si lasciò cadere all'indietro e precipitò a testa in giù senza mutare espressione, rapita dal suono del suo stesso violino.
Lo stregone si lanciò al suo inseguimento mentre la ragazza si raddrizzava a mezz'aria, atterrando in ginocchio su nuovi appoggi di vetro. Accanto a lei volteggiarono due quaderni e tre drappi di stoffa, dispiegandosi davanti a Vaněk come se fossero dotati di una volontà tutta loro e, in una sola volta volta, si attivarono tutti.
Lo stregone si bloccò con un ruggito furente, mutando ancora e diventando una creatura di fumo e di vapore che fuggì davanti a un'offensiva contro la quale avrebbe probabilmente ceduto, guizzando tra fiammate, lame d'aria, radici e frammenti di ghiaccio, perdendosi tra le nuvole sopra di loro. Quelle lanciarono nuovi lampi, iniziarono a vorticare e il vento si alzò all'improvviso, soffiando con forza sempre maggiore.
Un ruggito immenso scosse l'aria, mentre un gigantesco mostro scheletrico, una creatura dalle ossa di ghiaccio e cristalli di neve, emergeva dalla coltre grigio piombo, scagliando dalla gola folate gelide.
Un feroce blizzard cominciò a infuriare intorno a loro, avvolgendo Tresckow e coprendo le strade e le case con un manto bianco al suo passaggio, sollevando violentemente le macerie più leggere.
Il freddo era così intenso che Jayden cominciò a tremare quasi subito, mentre raffiche di quasi cinquanta chilometri orari minacciavano di spazzarlo via.
Eppure, Orlaith continuava imperterrita con il suo brano, ignorando il brutale vento che la circondava, catturando anch'esso nella sua musica e tramutandolo in un flusso univoco che mutò per poi tornare verso il suo padrone sotto forma di una grande vampata.
Vaněk lo evitò trasformandosi ancora, tornando ad assumere le sembianze di un torrente di fuoco e scagliandosi per l'ennesima volta su di lei, aprendo tre Cerchi Magici alle sue spalle.
Ma era tempo di finirla.
- BASTA!- urlò furiso Jayden.
Si tramutò in un flusso di saette e gli corse davanti, intercettandolo, e generò un Cerchio su entrambe le mani. Aste luminose si allungarono dai suoi palmi non appena allungò le braccia, conficcandosi nel fuoco davanti a lui, passandolo da una parte all'altra.
Vaněk si bloccò a mezz'aria, urtando contro le sue dita, e un corpo emerse dal rogo volante mentre due occhi sgranati per la sorpresa e il dolore si fissavano nei suoi.
Jayden gli rispose con un'espressione di odio intenso.
- LEI... È... MIA!- ripeté.
Non si accorse che tutti i Cerchi Magici che aveva disegnato a casa erano adesso intorno a loro e che si stavano attivando contemporaneamente, circondandoli con intensi aloni luminosi.
Strali lucenti, saette, fiamme, frammenti di metallo e di pietra, schegge di ghiaccio, dardi di vetro e praticamente ogni cosa fosse possibile generare con gli incantesimi delle Cinque Arti cominciarono a martoriarli, tramutandosi in un'unica tempesta di magie, di musica e di caos, in una reazione magica che generò un'esplosione di fuoco color smeraldo e frammenti lucenti...
Fu a quel punto che svanirono alla vista.

Esordisco questa volta con una notizia: il sequel è già pronto, e si intitola "Epic Violin-Trascendant". L'ho terminato giorni fa, e sto riprendendo in mano (finalmente) la storia "Caos-Il Verbo Oscuro", che ho dovuto sospendere subito per tutta una serie di motivi. Quindi non resterete a secco a lungo, mi sa.
Ringrazio ohn Spangler, Old Fashioned, Fan of The Doors, _Alexei_, Kira16, Fiore di Girasole, Sahara_2, Queen FalseHeart, Marz97, Aelfgifu, Roiben e Beauty Queen, i lettori che finora hanno seguito questa storia. Ormai rimane un solo capitolo, che pubblicherò assieme all'epilogo. A presto!

 

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Capitolo 40
*** Cap. 39: L'ultimo Homunculus ***


La battaglia era terminata.
Una coltre candida, di neve fuori stagione e frammenti di ghiaccio, copriva quasi metà di Tresckow. Dal manto freddo e altrimenti ininterrotto affioravano le macerie degli edifici danneggiati o distrutti durante gli scontri; pali della luce e lampioni spezzati giacevano contro le pareti dei palazzi ancora in piedi, e le carcasse scheletriche delle auto finivano di bruciare in silenzio sotto alcuni centimetri di neve, squagliandola e tramutandola in acqua.
Orlaith riaprì gli occhi lentamente, rendendosi conto solo in quel momento di essere svenuta. Era stesa su un fianco, a terra, in mezzo alla strada, senza alcuna idea di come ci fosse arrivata o di come avesse fatto a sopravvivere alla caduta. Il suo violino era lì accanto, le corde rotte, il manico e l'archetto spezzati, la cassa armonica un insieme di fragile legno scheggiato e rifiniture rovinate. Aveva le mani escoriate, e perdeva sangue da un taglio superficiale all'addome e da uno più piccolo sullo zigomo. Sentiva anche qualcosa colarle tra i capelli e scivolare di fianco all'orecchio. Tutto intorno a lei c'erano innumerevoli Cerchi Magici, apparsi sulle macerie della chiesa e delle case distrutte nel combattimento, o sul manto stradale martoriato da cui interi lastroni di asfalto si erano conficcati in verticale, e tutti erano attivi, brillanti come luci al neon, anche se nessun incantesimo entrava in azione; le nuvole, che fino a un momento prima avevano oscurato il cielo con una coperta quasi uniforme sopra di lei, si stavano lentamente diradando per rivelare l'azzurro appena oltre, perfetto e intatto.
Sentiva di essere stremata e stordita.
Il combattimento l'aveva prosciugata, e se anche avesse avuto ancora il violino non credeva di riuscire a suonare di nuovo. A malapena riusciva a muoversi.
Si mise lentamente a sedere, mentre nelle orecchie le risuonava il suo stesso nome, ma lontano e attutito. Solo dopo alcuni secondi divenne un suono più definito, più chiaro.
- ORLAITH!-
Alzò gli occhi, guardando confusamente le persone che le correvano incontro.
Annie le si gettò addosso, strizzandola nuovamente tra le braccia e facendola quasi cadere, sollevando uno sbuffo di neve non appena le sue ginocchia slittarono sul suolo candido.
- Orlaith!- esclamò, dondolandosi con lei - Oddio! Oddio, tu stai bene! Sei viva! Ma come hai fatto? Cos'è successo? Cos'era tutta quella roba?-
Orlaith rispose all'abbraccio, esalando un tremante respiro di sollievo misto a dolore.
- Annie...- gemette.
Non riuscì a dire altro. Non pianse, questo no. Non ne aveva più la forza, e nemmeno le lacrime. Si sentiva totalmente svuotata, esausta... in una parola, distrutta.
Troppe emozioni, troppi cambiamenti, troppi eventi sconvolgenti in una sola giornata. E troppa, troppa magia.
- Tesoro...-
Suo padre si unì all'abbraccio, la voce tremante quasi quanto la sua. Le sue braccia forti le cinsero entrambe, e un piacevole senso di calore e affetto si espanse nel petto di Orlaith.
Finalmente, dopo tanto tempo, si sentiva a casa.
- Cazzo, bimba!- esclamò David, da qualche parte sopra di lei - Tesoro, sei stata... sei stata fantastica! È stato... WOW! Mai visto niente del genere! Altro che effetti speciali! Tu sei una bomba! Dovevo riprenderti, accidenti! Sai che pubblicità?-
Orlaith sorrise nella spalla di Annie, senza dire nulla. Sollevò il viso, incrociando lo sguardo del produttore, che le sorrideva stolidamente come se avesse appena preso una botta in testa.
Alla sua destra, appena un po' in disparte rispetto a tutti loro c'era McGrath, silenzioso e austero come sempre, una presenza marginale che nemmeno un maremoto avrebbe mai smosso.
- Miss Alexander.- disse in tono fermo.
- McGrath...- replicò lei - Grazie. Di tutto.-
Ma il maggiordomo scosse la testa, senza cambiare espressione.
- No, miss Alexander. Io sono un Homunculus. Gli Homunculus, come i Cerchi Magici che vede, esistono in funzione della magia che li crea. Ergo, se il mio padrone muore, io muoio. Ma se io vivo...-
Orlaith smise di sorridere, sentendo un cerchio formarsi intorno alla testa. Suo padre, Annie e David si voltarono a guardarlo.
- ... allora il tuo padrone vive.- terminò Orlaith.
Un grido disperato risuonò fuori dal loro campo visivo, mentre un alone di luce rischiarava l'aria immobile della strada.

David si voltò di scatto, ma prima che potesse fare qualcosa venne spinto indietro da un bagliore che lo avvolse e lo scagliò in un cumulo di neve, strappandogli un gemito di dolore. Suo padre si alzò di scatto, e anche lui fu atterrato da una magia identica. Rotolò per qualche metro sull'asfalto candido e giacque svenuto poco lontano.
Annie gridò, mentre una figura martoriata avanzava trascinando il proprio corpo.
Jayden era ferito, coperto dal suo stesso sangue, da bruciature e trafitto da schegge di pietra e metallo. La gamba destra era rigida come un bastone, e per muoversi la strascicava a terra, escoriando ulteriormente la già sanguinante pianta del piede. Aveva perso un occhio, e l'orbita adesso era solo un buco su cui si tendeva una palpebra afflosciata. Tutti i suoi muscoli erano in completa tensione, un fascio unico di nervi e tendini contratti, e questo gli faceva assumere una posa innaturale, legnosa, storta e terribile.
La sua pelle, ora opaca, era ancora aperta in tante spaccature luminose, ma la luce si era attenuata: adesso era più fioca, debole e incerta, come se qualcuno ne avesse regolato l'intensità sul minimo.
Aveva evidentemente perso il controllo dei suoi poteri, perché i Cerchi Magici lì attorno non gli rispondevano e, al suo passaggio, cominciavano a scoppiettare, a crepitare, collassando e trasformandosi in vortici senza fondo di morte e di magia.
L'unico occhio che gli rimaneva era fisso su di lei, su Orlaith, e ogni tanto era attraversato da una scintilla elettrica. Inspirava a scatti, dalla bocca, e ogni respiro era un gemito gutturale e strozzato.
- Or...laith!- esalò - Or... Orlaith!- ripeté con più forza - Tu... sei... MIA!-
Paralizzata, lo guardò avanzare senza riuscire a formulare un solo pensiero di senso compiuto, fissandolo con la bocca spalancata mentre si avvicinava lentamente, gli occhi colmi di orrore.
- VATTENE!- gridò Annie, raccogliendo una pietra e lanciandogliela contro - LASCIALA IN PACE! VAI VIA!-
Il sasso lo mancò di parecchio, ma Jayden si voltò ugualmente verso di lei, muovendo un braccio in un gesto violento, tracciando una debole scia con il Cerchio Magico che aveva sulla mano. Una nuova onda lucente investì Annie, scagliandola contro ciò che rimaneva di un lampione e stordendola.
- NO!- gridò Orlaith, ritrovando finalmente la voce - Jayden... ti prego, basta! Fermati!-
Lo stregone continuò ad avanzare, inspirando con quel suono rauco e asmatico. Se anche l'aveva sentita, non l'ascoltò.
- Orlaith...- gemette - Non ti porteranno... via da me!-
- Lasciami in pace!-
Cercò di allontanarsi, strisciando all'indietro con gesti tremanti e deboli, così stremata da non riuscire nemmeno a muoversi come avrebbe voluto. Jayden le era quasi sopra, levando una mano in aria, le dita contratte come un artiglio.
E poi McGrath fu accanto a lei, rianimandosi dopo essere rimasto a guardare per tutto il tempo, portandosi vicinissimo all'orribile mostro che un tempo era Jayden Allwood.
Afferrò la gola e una spalla del suo padrone, fissandolo nell'unico occhio che gli era rimasto, il volto privo di emozioni, sollevandolo da terra senza alcuno sforzo, mentre lui si agitava per quanto glielo permettessero le innumerevoli ferite.
- McGrath!- esclamò lui, la voce simile a pietre che sfregavano le une contro le altre - Cosa... stai... facendo?-
Lui non rispose, muovendo un passo avanti, verso la sinistra di Orlaith.
- Lasciami! Ti... TE LO ORDINO!- gridò Jayden, come ritrovando la voce e le forze.
Ma il maggiordomo non lo ascoltò, continuando ad avanzare, ora Orlaith capiva, verso uno degli innumerevoli Cerchi Magici lì attorno. Allwood contorse il collo come poteva, e allora comprese ciò che stava accadendo.
- NO!- gridò - LASCIAMI! MCGRATH! NON FARLO!-
Lui non rispose, voltandosi verso Orlaith e ignorando le urla del suo padrone.
- È stato un privilegio.-
E mentre l'ultimo grido di Jayden Allwood riecheggiava nell'aria, si tuffò con lui nel Cerchio Magico collassato, scatenandone l'immediata reazione.

Come sempre in questi casi, mi risparmio per l'epilogo.

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Capitolo 41
*** Epilogo ***


Questo è l'epilogo, gente... forse avete saltato un capitolo, occhio!
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Orlaith strinse le viti del violino per regolarne l'accordatura prima dello spettacolo, seduta su un minuscolo sgabello incastrato alla meglio nel retro del Miracle. Dall'altro lato della tenda si sentiva un brusio simile al ronzare di api infuriate, ma sapeva bene che era solamente il suono delle voci delle cinquantadue persone presenti nell'angusto spazio del locale.
Cinquantadue. Quasi dieci in più di quante ne potesse accogliere legalmente. E almeno altre centoquaranta erano radunate nel parcheggio subito fuori. Il gestore aveva dovuto, alla fine, organizzarle un palco improvvisato all'esterno, nel parcheggio, sistemando le casse e tutto l'impianto su una pedana di legno, così che potesse esibirsi davanti a tutti. Quel posto non aveva mai visto una folla simile, nemmeno nei suoi momenti di massima affluenza.
Nessuno sapeva cosa fosse successo di preciso tra lei, Vaněk e Jayden, in città. Anzi, il suo coinvolgimento non era mai stato reso noto. Miracolosamente, solo David, Annie e suo padre avevano assistito al combattimento e conoscevano l'intera storia. Tutti gli altri, anche le autorità, si grattavano ancora la testa per cercare di capire cosa fosse accaduto, e nulla lasciava presagire che ne sarebbero mai venuti a capo. Intanto la ricostruzione dei palazzi danneggiati e delle strade distrutte continuava: in seguito al disastro si erano contati numerosi feriti, qualcuno anche grave, ma grazie a Dio nessuna vittima, e per questo tutti volevano festeggiare.
Un concerto di beneficenza riservato agli abitanti di Tresckow che erano ancora in ospedale a Hazleton e il cui ricavato sarebbe stato usato interamente per coprire le loro spese mediche era l'occasione che tutti aspettavano.
E il fatto che lo tenesse la grande Sparkling Star, la loro celebrità locale, rendeva il tutto imperdibile.
La tenda si scostò, lasciando entrare David che, agitando un braccio, salutò qualcuno nella sala principale, ridacchiando.
- No, voi siete grandi!- esclamò - Aaah... amabili cafoni... beh, sei pronta, piccolina?-
Orlaith annuì.
- Non serviva che venissi.- gli disse, forse per la decima volta - Ho già suonato qui, lo sai bene... conosco questo posto, e poi so come organizzarmi.-
- Sì, sì, chissenefrega...- rispose lui, agitando una mano - Se una cosa va fatta, va fatta per bene... è per questo che mi girano al pensiero che non avremo nemmeno un dannato impianto luci come si deve.-
- David...-
- No, dai, Orlaith!- protestò lui - Un faretto industriale su un palo! Davvero vuoi suonare con quello?-
- Ricordo tutti i miei brani a memoria. Non ho bisogno di leggere lo spartito. Basta che la gente mi veda.-
- Fino a sei mesi fa ti esibivi in posti come il Gramecy!- esplose David, implorante - E avevi almeno seicento persone che si massacravano di botte pur di avere un biglietto! Ti organizzavo eventi più esclusivi di un party riservato ai santi del paradiso e ora ti accontenti di... questo?-
- Ne abbiamo già parlato, Dave.- replicò quietamente lei, alzandosi in piedi - Ti sono molto grata, ma sul serio... questo mi va bene. Tresckow mi va bene. Qui sono felice.-
Lui sospirò, scuotendo la testa.
- Tesoro mio, io davvero non ti capisco.- disse - Avevi qualcosa per cui molti ucciderebbero... ho capito che è stato tremendo, ma senza quei due...-
Lei gli mise un dito sulle labbra, sorridendo.
- Dave.- ripeté - Va bene così. Accontentati delle incisioni che abbiamo fatto in passato. A proposito, quando mi farai avere le mie quote?-
- Tra un mese.- rispose lui - Però...-
- David, basta esibizioni dal vivo, basta incisioni. Ti ho già concesso parecchio promettendoti di continuare a vendere i vecchi brani. Io resto a Tresckow, e nulla di quello che dirai mi farà cambiare idea.-
Il produttore sospirò, scuotendo la testa.
- Sei impossibile.- disse - Va bene... fai come ti pare, ne riparleremo. Non mi arrenderò con te.- la avvertì, agitandole un dito davanti al naso - Ora esci di qui e sdraiali, bimba.-
La abbracciò brevemente, poi uscì dalla minuscola stanza, lasciandola sola. Orlaith lo sentì incitare il pubblico a migrare verso l'esterno, dove avrebbe potuto assistere all'esibizione.
Orlaith sorrise tra sé, inspirando cinque volte.

Orlaith ce l'ha fatta. Finalmente ha vinto, e tutto questo è giunto alla fine. Può avere una vita normale, dopo tutto quello che ha passato... oppure no?
Lo sapremo tra una settimana, quando comincerò a inserire i capitoli di "Epic Violin - Tracendance". Intanto ringrazio John Spangler, Old Fashioned, Fan of The Doors, _Alexei_, Kira16, Fiore di Girasole, Sahara_2, Queen FalseHeart, Marz97, Aelfgifu, Roiben e Beauty Queen, i lettori che hanno seguito l'intera storia finora e che spero di rivedere con il seguito. Vi garantisco che ne succederanno di tutti i colori, e che Orlaith avrà molto da fare, forse più di quanto ne abbia avuto adesso. Soprattutto per alcune domande a cui non ho risposto in queste righe...
A presto!

 

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