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di Asteroide307
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Giostre ***
Capitolo 2: *** Caramello ***
Capitolo 3: *** Petali d'acqua ***
Capitolo 4: *** Farfalle blu ***
Capitolo 5: *** Fiocco ***
Capitolo 6: *** Lava cake ***
Capitolo 7: *** Popcorn ***



Capitolo 1
*** Giostre ***


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L’aspettava una giornata intensa.
Stringeva forte la cinghia della borsa a cui aveva attaccato un grazioso ponpon peloso bianco, respirava profondamente quasi volesse tranquillizzarsi prima di lasciare il suo unico rifugio sicuro, la sua casa. Eri Yoshida aveva compiuto da qualche giorno sedici anni e iniziavano per lei le superiori. Ormai era la terza volta che cambiava scuola, arrivata a quel punto sapeva che non avrebbe avuto una quarta possibilità.
Era stata sua madre ad insistere perché lo facesse ma sapeva che per lei era un sacrificio enorme lasciare il calore di quella modesta casa, a causa delle sue condizioni di salute, tutto per potersi occupare dei documenti della nuova scuola. Anche per quel motivo, stringeva forte le dita, l’ultima cosa che avrebbe voluto fare era proprio causarle inutili problemi.
Quella era la sua ultima possibilità, e anche se tutto fosse andato a rotoli, avrebbe dovuto stringere i denti.
Chiuse la porta alle sue spalle. Sua madre dormiva ancora, le aveva preparato la colazione ed era andata via, cercando di fare più piano che poteva.
La strada fino alla stazione era tanta, e dopo il primo treno ne avrebbe preso un secondo. La scuola superiore che aveva scelto era la più distante della zona, eppure, anche così, quando ripensava alla vecchia scuola quasi non riusciva a trattenere le lacrime.
Probabilmente stava solo ingigantendo il problema ma non faceva che ricordare quel periodo come un incubo. Tutti quei momenti si materializzavano nella sua mente fin troppo velocemente e il solo rivederli la faceva tremare.
Avrebbe voluto dirlo apertamente a sua madre.
"Scusa, non ce la faccio."
Ma non era forte abbastanza neppure per quello.
Strinse le labbra rosee, prima di fare il primo passo.
"Sono pronta, mamma" pensò, anche se neppure lei ci credeva ormai.
In qualche modo, avrebbe fallito ancora.


 
私は親切でなければならない
(Devo essere gentile)
私は利用可能でなければならない
(devo essere disponibile)
私は素敵でなければならない。
(devo essere simpatica.)
私は気にする必要はありません
(Non devo dare fastidio)
私は注意を引く必要はない
(non devo attirare l’attenzione)
私は泣く必要はありません。
(non devo piangere.)
 
 
Scrisse sul suo quaderno, mentre il treno la portava alla seconda stazione. A quell’ora del mattino, i vagoni erano ancora vuoti e poteva starsene per conto suo, tranquilla, cullata dal silenzio mattutino che presto sarebbe stato investito dalla foga delle persone.
 
Continuò per un po’, disegnando fiorellini e attaccando qualche sticker sulle pagine di quel giorno. Voleva davvero ricominciare bene, voleva davvero non recare disturbo a nessuno, desiderava con tutto il cuore riuscire a passare quell’anno scolastico serenamente.
Quando anche il secondo treno si fermò, Eri capì di non poter più fuggire, né rimandare quel momento. Avrebbe raggiunto quella scuola così lontana e si sarebbe trovata un banco, non avrebbe fiatato e forse sarebbe andato tutto bene. Non era un problema non aprire bocca con i compagni, purché potesse riuscire a studiare tranquillamente, senza dare nell’occhio.
Eppure Eri era troppo alta rispetto alle ragazze della sua età. I suoi polsi erano più spessi di quelli delle ragazze della sua età. Non aveva chiesto lei di nascere così, eppure era successo e per quanto continuasse a correre ogni giorno, per quanto non mangiasse regolarmente, le sue ossa restavano spesse e sgraziate, a detta di tutti i compagni delle sue classi precedenti.
Davanti il grande portone della sua nuova scuola, Eri non riusciva a muoversi. Continuava a guardare i suoi polsi. Aveva messo un bracciale di perline rosa, in qualche modo, forse avrebbero nascosto quella crudele realtà.
“È una sciocchezza.” Sospirò rattristata.
Dietro di lei, iniziavano ad arrivare alcuni ragazzi con in dosso la sua stessa uniforme, la gonna color senape dalla fantasia scozzese e le camicie bianche a maniche corte, strette da un cravattino nero. Inizialmente riuscì a camminare, indisturbata, nessuno sembrava prestarle attenzione. Era felice.
Poco dopo esserci concessa un quasi trasparente sorriso si accorse di alcuni ragazzi. La guardavano, appoggiati al muretto.
Forse era stata troppo precipitosa, forse aveva sorriso troppo presto, forse non si meritava di sorridere.
Ridevano.
Eri si guardò in giro, spaesata.
“Cosa devo fare, mamma?” Morse il labbro inferiore, prima di chinare il volto, proseguendo a testa bassa e velocemente. Non voleva vederli, né sentirli, ma anche non guardando, alcune risate arrivarono comunque alle sue orecchie.
Forse, sarebbe andata meglio nella sua classe.
 
 
Aveva controllato nella tabella. Si trovava nella sezione tre, la classe era al primo piano.
Quando la trovò, si accorse piacevolmente di essere una delle prime. Riuscì a scegliere il banco più in fondo. Avrebbe voluto prendere quello vicino la finestra, tuttavia, in genere erano proprio quelli i posti più ambiti, per cui sicuramente qualcuno le avrebbe detto di spostarsi, dando così nell’occhio. Eppure non le sarebbe dispiaciuto stare al primo banco, al contrario degli altri studenti, tuttavia l’altezza avrebbe potuto infastidire chi le stava dietro.
Quando posò la cartella sul banco, contemporaneamente, entrò in classe un gruppo di studentesse.
Eri sollevò lo sguardo.
C’era un volto familiare tra di loro, ma non riusciva a ricordare.
La ragazza che faceva strada era molto bella. Piuttosto piccola di statura, aveva i capelli di un biondo cenere, chiaramente non naturale, appena sotto le spalle e legati in due eleganti trecce larghe. I suoi occhi erano truccati sapientemente e le sue labbra brillavano rosate. Era così bella che quasi, la sua presenza, la mise a disagio.
«Manami-chan!» La chiamò un’amica, alle sue spalle.
Quella si girò, sorridente. «Itsuoka, sei in questa sezione?»
«Sì!»
 
Eri le guardava un po’ invidiosa. Durante le medie non era riuscita ad avere neanche un’amica. C’era stata una ragazza della classe accanto alla sua che ogni tanto andava a parlarle, d’altra parte, alla fine, i ragazzi della sua sezione avevano preso di mira anche lei ed Eri aveva trovato più giusto interrompere quei discorsi occasionali. Non voleva crearle problemi, non se lo meritava.
 
Poco dopo quelle ragazze anche un gruppo di studenti le seguì, prendendo posto il più presto possibile. Uno di loro, il più alto, non era riuscito a trovare un banco nell’ultima fila, quelli liberi erano stati tutti presi dai suoi amici, l’ultimo, invece, era occupato proprio da lei.
Il ragazzo era altissimo, sicuramente molto più di lei e aveva una folta frangetta nera, il suo sguardo annoiato le metteva i brividi. Si era messo a fissarla, con fare infastidito.
Eri deglutì impaurita.
Si sarebbe tolta, certo, ma era certa che stare davanti a lui gli avrebbe impedito di vedere bene la lavagna.
Afferrò la borsa, chinando lo sguardo.
«P-Posso t-togliermi.» Balbettò, terrorizzata ed insicura.
Lui inizialmente sospirò soltanto. «Non importa, avendoti davanti non riuscirei comunque a vedere – spostò la sedia nel banco avanti a quello del compagno con cui era entrato in classe – sei una ragazza, dovresti essere più sottile.»
 
Eri perse un battito. Tutti ridevano.
Non aveva il coraggio di sollevare lo sguardo.
La frangetta sistemata pazientemente quella mattina, liscia e scura, si abbassò sul suo viso, nascondendo gli occhi umidi. Strinse le dita attorno alla borsa, le strinse il più possibile, come se cercasse in qualche modo di controllare le lacrime.
Lo aveva scritto sul quaderno, non avrebbe pianto. Doveva essere forte.
«Non ci avevo fatto caso – disse quella ragazza dal castano biondo, sedendosi sul banco del ragazzo che l’aveva presa così orribilmente in giro, lei era piccola e leggiadra, si muoveva come una farfalla – è strano che non ti abbia notata, grande come sei.»
Eri non sollevava lo sguardo. Tremava e si mordeva le labbra per trattenere le lacrime.
«Insomma, è come ha detto lui – continuò la ragazza – perché sei così spessa? La tua stazza non sembra quella di una ragazza.»
Risero, ancora.
Continuando in quel modo, non sarebbe riuscita a trattenersi. Voleva piangere così tanto da sentire il petto bruciare.
“Mamma” si disse, mentre intorno a lei, i compagni di classe non intendevano smettere di fare battute o di ridere “scusami per non essere abbastanza forte.”
«Hey, perché non dici niente?» Non la smetteva, quella Manami.
Quando succedevano quelle cose, al contrario di come avrebbe tanto voluto, non riusciva a trovare la forza per reagire. In fondo, rispondendo o meno alle loro provocazioni, le cose sarebbero andate ugualmente male.
Ogni secondo, si sentiva più piccola ed impotente che mai.
Non era giusto.
Non lo era.
Quello era soltanto il primo giorno.
 
«Lasciala perdere – sospirò il ragazzo che aveva dato il via a tutto quello – non perdere tempo con lei.»
«Perché? Non so neppure come si chiama – Manami si avvicinò al suo banco, poggiando i gomiti su di esso per guardarla in faccia – non hai un nome? Posso dartene uno io, Kyojin (gigante), ti piace? Sembra perfetto per te!»
Una ragazza era entrata rumorosamente nella classe, richiamando l’attenzione su di sé, così che Eri passasse in secondo piano, almeno per qualche secondo. Ne approfittò per conoscere il volto della nuova compagna e venne investita dal sorriso più solare che avesse mai visto.
«Yah, Fujihara-kun, hai finito di creare problemi?» Urlò alla ragazza che l’aveva importunata fino a quel momento.
Eri la guardava come un’eroina scesa direttamente dal cielo.
Manami storse le labbra. «Non pensi mai a farti gli affari tuoi, vero?»
«Sono scesa direttamente dalle stelle per salvare i più deboli – la indicò con fare teatrale – tu e i tuoi servitori dell’oscurità non potrete mai sconfiggermi!»
Dopo che la ragazza dall'aspetto curato si era arresa all’idea di rispondere alle frasi senza senso della nuova arrivata, quest’ultima si avvicinò ad Eri, sbalordita dalla sua interpretazione e un po’ confusa. Fece un breve inchino.
«Io sono Atsuko Nomura, tu non hai fatto le medie qui, vero? Non mi sembra di averti vista in giro!»
Il suo tono era solare ed allegro. Eri si sentì decisamente meglio dopo la sua apparizione.
«M-Mi chiamo E-Eri Yos-shida.»  
«Scusala, Yoshida-kun, purtroppo nessuno ha mai insegnato le buone maniere a quella mocciosa.»
Sorrideva.
Le stava sorridendo.
Le aveva persino parlato e l’aveva difesa.
Quella ragazza era forse una benedizione?
Senza rendersene conto, stava arrossendo davanti al sorriso smagliante di Nomura, la quale non si lasciava intimidire dalle sue reazioni così estremamente docili e probabilmente strane agli occhi di chiunque.
«Ah, Yoshida-kun, sei davvero carina quando arrossisci.»
Eri si coprì il viso con i palmi, moriva d’imbarazzo.
«Ti dispiace se mi siedo nel banco davanti al tuo?» Continuò a parlarle, meravigliosamente ostinata.
«N-N-No!»


 
ママ、今日誰かが私に話しかけた。
(Mamma, oggi qualcuno mi ha parlato.)
今日私は泣きたい
(Oggi avrei voluto piangere)
敦子は私を救った。
(ma Atsuko mi ha salvata.)
 
 
La prima cosa che fece sul treno di ritorno fu proprio quella di scrivere sul suo quaderno. Il viaggio era ancora molto lungo, tuttavia, la sua più grande preoccupazione era quella di non tardare troppo così da poter preparare un pranzo salutare alla madre, rispettando anche l’orario del suo lavoro part-time.
Dopo sarebbe andata a correre, e infine, la sera, avrebbe studiato.
Durante le vacanze era stato facile lavorare e rispettare gli altri impegni, ma con l’inizio della scuola e la lontananza da casa, si sarebbe dovuta impegnare il triplo di quanto già non facesse.
 
Dopo aver riposato il quaderno all’interno della cartella si accorse che c’era qualcuno della sua scuola sullo stesso treno. La cosa le mise agitazione, visto che in quel momento il vagone era piuttosto pieno.
Il ragazzo era della sua classe, lo stesso che l’aveva presa in giro per primo. Insieme a lui vi era una ragazza che non conosceva ma indossava la stessa divisa dalla gonna scozzese color senape, per cui forse era di qualche altra sezione.
Lei parlava sottovoce e lui non rispondeva.
La ragazza iniziò a scuoterlo bruscamente, mentre le lacrime lentamente cadevano giù dai suoi occhi graziosi e leggermente truccati. Il ragazzo teneva lo sguardo basso, fino a quando lei non lo strattonò troppo forte. Lui, il cui nome scoprì a scuola fosse Issei Hasegawa, la spinse leggermente.
Dall’espressione della compagna, probabilmente non se lo aspettava, così gli tirò uno schiaffo.
Per qualche secondo non parlarono. Lei piangeva ma lui non reagiva.
Dopo, scese alla fermata di quel momento. Issei non faceva nulla.
 
Eri si accorse dopo che il compagno di classe l’aveva vista. I suoi occhi, quasi del tutto inespressivi, sembrarono cambiare leggermente, diventando cattivi nel fissarla.
Si avvicinava.
Eri si morse le labbra, aveva paura. Aveva assistito a qualcosa che non le riguardava e probabilmente lui era infastidito da ciò.
Inizialmente non parlò e si sedette accanto a lei.
Issei aveva chinato il viso, coprendo gli occhi con la frangetta, il che dava al suo volto un qualcosa di macabro e oscuro. Eri tremava nell’averlo così vicino, quel ragazzo che poche ore prima non si era fatto problemi a metterla a disagio davanti a tutti, cosa le avrebbe fatto allora? Addirittura in un treno?
Al contrario di quello che si aspettava, Issei non parlò per tutto il tempo, finché non si fermarono alla seconda stazione.
Quando si sollevò, nel prendere la sua cartella, guardò nuovamente Eri.
«Se qualcuno saprà cosa è successo oggi – sussurrò con un tono estremamente calmo – ti ucciderò. Non puoi neanche chiedere aiuto, o pensi che Nomura ti salverà anche questa volta?»

«Bene, oggi assegneremo i posti – sorrise divertito il docente sulla sessantina, guardando l’ultima fila della classe, lo sapeva bene che i nullafacenti si erano messi lì per allontanarsi dalla cattedra – siete contenti?»
La classe si concesse un’esultazione molto sarcastica.
Issei si era accorto che Yoshida non era andata a scuola il giorno successivo, non che gli importasse particolarmente, semplicemente era certo che l’avrebbe uccisa se qualcosa fosse trapelato dalla sua bocca. Comunque Nomura l’aveva notato subito e pensava che ci fosse qualcosa sotto, ma Issei aveva preferito farsi gli affari suoi, visto che comunque ciò che le era successo non le riguardava.
Fujihara si girò verso di lui, sorridendo. «Spero che ci mettano vicini.»
Issei rispose con un grugnito. Non è che gli importasse più di tanto di quella ragazza, non sopportava le ragazze che facevano le carine con lui soltanto per compiacerlo. Era in classe con Manami dalla seconda media e sapeva come si comportava con le altre persone, ma più che strappargli qualche risatina disinteressata, non aveva mai suscitato in lui.
Forse il suo fare silenzioso e scorbutico piaceva alle ragazze, ma anche quella era una cosa del tutto stupida ai suoi occhi.
«Professore – lo chiamò uno dei ragazzi con cui passava il tempo, probabilmente anche il più imbecille, ma per lo meno faceva ridere – Yoshida-kun è assente ma dovrebbe comunque assegnarle un posto dietro, o chi è avanti finirà per non riuscire a vedere.»
Quella affermazione fece ridere tutti, ma Issei non trovava particolarmente divertente quelle cose. Gli dispiaceva soltanto aver dato inizio a quel gioco che sicuramente sarebbe proseguito fino alla fine dell’anno. La mattina precedente era molto nervoso e il fatto che lei fosse in quel posto lo aveva fatto imbestialire, ma non gli interessava rendere la sua vita un inferno: piuttosto se avesse parlato, allora probabilmente sì.
Alla fine, per qualche ragione, venne messo proprio accanto a Yoshida, e Fujihara stava avanti al banco della nuova studentessa, il vero problema era però che, nonostante si trovasse nell’ultima fila, alla sua destra c’era Nomura. Quella ragazza, oltre ad essere del tutto pazza, era petulante come poche cose.
 
«Tu e Yoshida-kun abitate nella stessa zona, vero?» Chiese Atsuko.
Issei sbuffò, che fastidio. «Io scendo la fermata prima, non so dove abiti.»
«Credevo di sì, allora forse non ho capito bene dove abita. Ieri me lo ha spiegato ma devo essermi confusa.»
Non capiva cosa rispondere, e francamente, non gli importava neanche.
«Beh, quindi prendete lo stesso treno?»
«A quanto pare.»
«Non hai visto se stava male? Magari non sta bene, ed è per questo che non è venuta!»
Tutta quella vitalità, quel suo modo così allegro di approcciarsi, tutto lo infastidiva di Nomura, ed era già il secondo anno che capitava nella sua stessa sezione. Avevano fatto l’ultimo anno delle medie insieme, ma probabilmente quella era la prima volta che parlavano direttamente.
«Non mi interessava guardarla.»
La campana suonò dopo quella sua affermazione, fu lì che si avvicinò la viscida Fujihara, doveva aver sentito tutto.
«Che razza di domande fai, Nomura? Pensi che Hasegawa perda il suo tempo a guardare Kyojin?» Rise fragorosamente.
Persino la sua voce era irritante.
«Non capisci che potrebbe essere successo qualcosa? È solo il secondo giorno di scuola questo, e se le è capitato qualcosa?»
«E quindi?»
Atsuko sembrò arrabbiarsi sul serio. «Ma cos’hai dentro, tu?!»
Issei intanto aveva sistemato la sua cartella, mentre le due continuavano a litigare, si era allontanato silenziosamente. Neanche se ne erano accorte, e lui era già fuori. Sarebbe andato con i suoi amici fino alla fermata.
In genere durante la strada si parlava di ragazze, di fumetti, di scherzi e altre sciocchezze. Ad Issei non infastidiva la loro compagnia.
«In effetti, è strano che si sia assentata solo il secondo giorno – disse uno di loro, sulla strada per la stazione, tutti si girarono per guardarlo sbalorditi, neanche avesse detto qualcosa di strano – v-voglio dire, magari ieri abbiamo esagerato e adesso si ritirerà.»
«Anche se fosse, che ti importa?» Rispose, irritato, Hitomaru, un ragazzone poco più basso di Issei, sempre circondato da ragazze di ogni classe. Tra di loro era probabilmente il più popolare.
«Davvero pensate quelle cose?» Rispose a tono, colui che si era preoccupato per primo, Kata Noguchi.
«Ne stai facendo inutilmente una questione.»
Issei assisteva in silenzio.
Kata sembrò arrossire. «Voglio dire, è vero, è molto alta, ma non pensate che sia comunque carina? L’avete guardata bene in faccia?»
«Non scherzare così – lo rimproverò Hitomaru – non ti ho insegnato niente sulle ragazze?»
Kata rinunciò a discutere con lui, tutti sapevano quanto Hitomaru fosse idiota.
 
Quando arrivò il treno di Issei, li salutò brevemente.
Seduto nel posto in cui aveva minacciato il giorno prima Yoshida, si guardava intorno per vedere se Naoko avesse preso nuovamente il suo treno. Forse dopo averla lasciata, non voleva più vederlo.
Per quanto non fosse stata la scelta più felice, sapeva che era quella giusta, anche se sentiva già la sua mancanza.
“Meglio così, immagino.” Pensò.
 
 
Arrivato a casa si tolse le scarpe.
Sua madre dormiva in salone, era di nuovo sbronza. Le sue guance erano rosse e vicino a lei c’erano diverse bottiglie di vino, vuote. Non tolse neanche la divisa prima di mettersi a cucinare.
Poco dopo di lui entrò anche Naoya, era appena arrivato da scuola.
«Papà non è ancora tornato vero?» Domandò Issei, dandogli le spalle.
Naoya, il suo fratellino più giovane di un anno, sbuffò. «Meglio che non rientri per adesso, o vedrebbe Akiko in questo stato, nessuno di noi vuole questo, immagino.»
Naoya non era più un bambino, eppure aveva scelto di rivolgersi a sua madre per nome. Erano ormai anni che non la chiamava mamma ed Issei non trovava ragione per non accettare la sua scelta.
«Non ha neanche detto quando rientrerà?»
«Ha detto che dipende dalla confusione, suppongo verso stasera.»
«Capisco.»


Issei notò subito la presenza di Yoshida sul treno quella mattina. Era già passata una settimana, iniziavano a farsi imponenti i sensi di colpa, ma per fortuna quella ragazza era tornata e lui si sentì finalmente tranquillo.
Manteneva le distanze, non aveva voglia di parlarle, né di sapere cosa pensasse di quella situazione. Gli bastava che tenesse la bocca chiusa.
Yoshida, da parte sua, neanche lo guardava, forse soltanto per paura.
Ad Issei stava bene.
 
Prima di arrivare alla fermata, però, Yoshida si alzò, barcollando leggermente a causa di un movimento brusco del treno. La frangetta scura le copriva gli occhi, per cui non riusciva neanche ad immaginare con quale intenzione si stava avvicinando a lui.
Quando furono a pochi centimetri di distanza, la sentì sussurrare.
«P-Potresti i-incontrarmi…dietro la s-scuola, p-p-prima di entrare?»
La sua voce era dolce e aggraziata. Stava tremando davanti a lui.
Issei annuì con fare disinteressato. Dopo il suo gesto Yoshida si allontanò nuovamente.
 
Quando arrivò a scuola, perse completamente le tracce di quella ragazza che era scomparsa una volta scesa dal treno. Aveva incontrato i suoi amici, non tutti della sua sezione. Dopo un breve scambio di battute, pensò di raggiungere quella Yoshida dove gli era stato detto. Dietro la scuola c’era un posto piuttosto tranquillo, non particolarmente frequentato, lui lo sapeva dato che quel posto lo conosceva come le sue tasche.
In effetti si chiedeva che cosa mai volesse dirgli, per incontrarlo da solo. Il fatto che una situazione del genere si fosse creata, lo infastidiva particolarmente.
 
Yoshida lo stava aspettando con lo sguardo basso. Stringeva qualcosa tra le mani, e Issei ebbe l’impressione di aver capito le sue intenzioni, ma si avvicinò comunque.
Non sembrava molto spigliata nella conversazione, tanto che anche dopo che le fu davanti, non aprì bocca.
Timidamente allungò le braccia porgendogli una lettera, dentro una busta rosa.


Dopo qualche secondo un’irrefrenabile adrenalina si scatenò dentro al corpo di Issei che strappò quella busta dalle sue mani, così brutalmente da farle anche male.
Quella Yoshida lo stava prendendo in giro?
«Razza di idiota – alzò la voce, lei non reagiva – pensi di essere nella posizione di ricattarmi?» Accartocciò la lettera con la mano, gettandola violentemente ai piedi della ragazza.
Eri non parlava, accettava che quello detto da Issei fosse la verità.
«Sai cosa ti dico? Raccontalo a chi vuoi, non sarò mai il tuo ragazzo, non sembri neanche una ragazza! E sappi che questi giochetti da scuola elementare, con me non puoi farli!»
Yoshida sollevò gli occhi, erano gonfi di lacrime.
Issei non si lasciava scalfire da quel genere di scenate idiote.
L’aveva fatta piangere, eppure si ostinava a non parlare.
Lo aveva guardato profondamente, ma Issei era del tutto furioso.
Con la coda fra le gambe, se ne andò velocemente, lasciandolo da solo dietro la scuola.
Pensava davvero di poterlo ricattare?
In cambio del suo silenzio, voleva forse diventare la sua ragazza? Poteva una persona progettare un piano talmente stupido? Erano palesi le sue intenzioni, anche non dicendolo direttamente, quella lettera di dichiarazione era un modo subdolo per usarlo a suo piacimento.
Issei non era quel tipo di persona.
Il motivo per cui non voleva si sapesse in giro, era per tutelare Naoko, o tutte le ragazze che gli andavano dietro l’avrebbero presa di mira. Ma non si sarebbe abbassato a tanto, era una persona troppo orgogliosa.
Dopo essere rimasto solo, prese la lettera appallottolata. Era comunque una prova da usare nel caso la situazione si fosse messa male per lui, così, senza pensarci, la piegò, mettendola nella tasca dei pantaloni.

 


Dopo che Hasegawa l’aveva trattata in quel modo, Eri non era riuscita a tranquillizzarsi. Era sicura che si sarebbe vendicato nel modo peggiore e doveva pagare le conseguenze della sua timidezza.
Non era riuscita a dirglielo a voce, allora aveva voluto scriverlo, ma tutto era andato nel peggiore dei modi, ancora una volta aveva sbagliato.
 
«Yoshida-kun!» La chiamò Nomura, una volta entrata in classe.
Eri fece un piccolo inchino.
«Ah sì, guarda che ti hanno spostato. Hanno cambiato tutti i posti in classe, adesso sei seduta vicino la finestra, sempre all’ultima fila. Quello è il posto migliore, non credi?»
Guardò il suo nuovo posto con timore. Perché nulla andava bene? Un altro motivo per prenderla di mira.
«Accanto a te c’è quell’idiota di Hasegawa, e poi ci sono io! Avrei tanto voluto sedere vicino a te, ma il professore ha scelto a sorteggio i posti, che sfiga vero?»
Per quanto la freschezza di Atsuko l’avrebbe messa subito di buon umore, quel giorno non riusciva a pensare ad altro se non alla vendetta di Hasegawa, sarebbe stata sicuramente terribile.
«Oh sì, è vero, sei stata assente per una settimana, va tutto bene?»
«Ho a-avuto l’influenza.»
Mentiva. In fondo aveva solo paura che Issei le facesse qualcosa, ma dirlo sarebbe stato umiliante, inoltre forse Atsuko avrebbe fatto qualcosa di avventato, peggiorando la sua già precaria situazione.
«Oh, per lo meno adesso stai bene, vero?»
Mentre Eri usciva il libro di testo, Nomura si accorse del suo portapenne. Era rosa decorato con alcuni fiorellini. I suoi occhi brillavano nel guardare quell’oggetto.
«Yoshida-kun, usi cose così graziose!»
In effetti, Eri non aveva mai nascosto la sua passione per le cose carine. I suoi fermagli, i suoi quaderni e le sue penne erano spesso particolarmente aggraziati, le piaceva spendere in quelle cose i pochi soldi che riusciva a mettere da parte dal suo lavoro, anche se non poteva permetterseli spesso. Vi erano spese più importanti, per la casa.
«G-Grazie.»
«Io invece sono proprio un maschiaccio – sorrise allegramente – anche se mi piacciono tantissimo, non riuscirei ad indossarle con tranquillità, finirei per romperli o perderli.»
Atsuko aveva un’aria, oltre che solare, piuttosto alla mano. I suoi capelli castano chiaro erano un po’ in disordine e gonfi, ma ciò dava al suo viso piccolo un’aria molto amichevole. Non era molto alta, ma tra tutte le ragazze della classe, dopo Eri, era la più alta. Sotto la gonna indossava dei pantaloncini anche piuttosto evidenti, forse perché faceva spesso movimenti bruschi, energica per com’era.
I suoi occhi, privi di trucco, erano grandi e splendenti.
Atsuko era davvero graziosa.
«Ah, Yoshida, posso chiamarti per nome? Ti piace Eri-chan?»
«S-Sì!» Eri arrossì.
Tutta quella gentilezza le riscaldava il cuore.
A sua volta, anche Atsuko assunse un’espressione timida. «Quando arrossisci sei davvero troppo carina!»
«Dirglielo sempre – arrivò dalla sua postazione più lontana, Fujihara, con le braccia incrociate sul petto – non farà in modo che sia vero. Come puoi dirle carina?»
Nomura assottigliò gli occhi minacciosamente. Eri era stata presa di mira un’altra volta, anche senza aver fatto niente.
«Dopo una settimana che non viene, la tua preoccupazione più grande è prenderla in giro?»
«Ti ho già detto che non importava a nessuno.»
«A me importava!»
«E chi se ne frega?»
In quel momento entrò in classe anche Issei, seguito dai due suoi amici, nella stessa loro sezione. Non le rivolse nemmeno mezzo sguardo e si sedette nel suo banco. Si faceva i fatti suoi.
Eri si voltò verso la finestra. Non voleva infastidirlo.
«Nomura nessuno ti ha mai insegnato a farti gli affari tuoi?»
«Dovrei farmi gli affari miei quando sei tu ad intrometterti nei discorsi di qualcun altro, facendo la maleducata? Nel privato devi essere anche peggio di come ti mostri a scuola, a giudicare dal fatto che non ti importa se una compagna di classe è stata male o meno. I tuoi genitori non ti hanno insegnato l’educazione oppure sei così di tuo?»
Manami sembrò rimanere senza parole davanti al discorso stranamente sensato di Nomura. Presa dalla rabbia si avvicinò per tirarle uno schiaffo, ma fortunatamente Issei le bloccò il polso.
«Avete finito? Fate quello che volete ma quando ci sono io, fatemi il favore di non fiatare – storse le labbra – siete fastidiose.»
Fujihara si allontanò, offesa.
 
Poco dopo Atsuko la raggiunse nuovamente. «Ti va di pranzare insieme, Eri-chan?»
Mentre il professore entrava in classe, Eri annuì titubante, poi non ebbero più la possibilità di parlarsi, bloccate da quel muro altissimo il quale era Issei. Eri non aveva il coraggio di voltarsi nella sua direzione, sentiva un bruciore dentro lo stomaco, un orribile senso di colpa, di inadeguatezza.
Avrebbe voluto disdire, ma Atsuko era così carina nel chiederglielo che l’unica soluzione fu quella di fuggire non appena iniziata la pausa pranzo.
 
Senza accorgersene, infatti, Atsuko la perse di vista.
«Hasegawa, hai visto uscire Eri-chan?»
Il ragazzo sbuffò, scuotendo la testa e andandosene subito dopo.
Non capiva come mai l’avesse lasciata da sola in classe. Forse non gradiva la sua compagnia? Forse era stata troppo invadente?
E se invece era successo qualcosa?
Anche Manami era uscita in fretta.
A parte lei, nessuno si sarebbe preoccupato di dove potesse essere Yoshida, visto che non sembrava avere amiche, soprattutto perché in quella scuola aveva passato soltanto due giorni.
Non ci pensò un secondo e corse fuori, insieme al suo inseparabile bento, un contenitore dove teneva il pranzo preparato da sua madre.
Passò dalla palestra, in ogni corridoio e persino dal campo ma non trovò Yoshida da nessuna parte. La cosa puzzava.
Alla fine, l’ultimo posto era il tetto. Quando salì la vide seduta con le spalle contro il muro mentre scriveva qualcosa su uno dei suoi adorabili quaderni. Aveva un’espressione triste e non sembrava mangiare. Si chiese se fosse una buona idea raggiungerla, d’altra parte, ci doveva essere qualcosa sotto.
 
«Eri-chan, ti dà fastidio la mia compagnia?» Domandò onestamente.
Yoshida arrossì. «N-No!»
«Allora perché sei scappata?» Calmò i suoi bollenti spiriti, sedendosi accanto a lei.
«B-Beh…»
«Aspetta, ma tu non hai il pranzo!»
«N-Non preoccuparti, non lo porto, tranquilla!»
Atsuko corrugò la fronte, preoccupata. Perché faceva qualcosa del genere? Le faceva soltanto male quel suo comportamento, inoltre la giornata scolastica era molto pesante, avrebbe avuto qualche ricaduta di quel passo.
«E’ per quegli stupidi che ti prendono in giro?»
Eri non rispose.
Nomura fece un gran respiro.
«Eri-chan, sai da quanto tempo sono in questa scuola?»
«No.»
«Ho fatto qui tutte le medie e probabilmente finirò qui le superiori – con un elastico si legò i capelli gonfi, mostrandole le sue orecchie, erano piccole ma piuttosto evidenti, staccate dalla testa, le così dette “orecchie a sventola” – lo sai come mi chiamavano a scuola il primo e il secondo anno?»
Yoshida aveva un’aria preoccupata e curiosa.
«Dumbo!»
 
 
«Ah, guardate chi c’è, Dumbo!» Aveva urlato un compagno di classe, mentre Atsuko entrava nella sua nuova classe. Ormai era passato un anno, e la situazione proprio non cambiava. Continuavano a prenderla in giro per le sue orecchie.
Era stanca, stufa di tutto quello.
«Piantala!» Strillò, infastidita.
 
 
«D-Deve essere stato difficile.»
«Oh, puoi crederci.»
 
 
Nel suo armadietto erano scomparsi tutti i libri. Non capiva il motivo, ricordava di averli posati lì, ma forse erano nella sua cartella e non ci aveva fatto caso.
Sospirò, prima di tornare in classe.
«Stai cercando i tuoi quaderni?» Le chiese una compagna di classe.
Fu in quel momento che Atsuko capì che la serratura del suo armadietto non si era semplicemente allentata, ma era stata proprio forzata.
Perché mai arrivare a quel punto? Per quale soddisfazione?
«Controlla in bagno, dovresti provare!» Rideva come un’oca.
Alla fine li aveva trovati, erano stati tutti arrotolati e gettati dentro il water. Inizialmente non riuscì neppure a reagire. Si sedette accanto, portando le ginocchia al viso. Voleva soltanto piangere.

 
«Però insomma, sono ancora qui, oggi so rispondere alle galline come Manami, dovresti provare anche tu, ma forse – si mise una mano sul mento – questo dipende dal carattere di una persona, in ogni caso, non hai motivo di preoccuparti, ci sono io a proteggerti Eri-chan!»
«P-Perché mi vuoi aiutare?»
«Perché non sopporto le ingiustizie. Perché se nessuno reagisce, loro potranno sempre fare quello che vogliono. A me non sta affatto bene! Inoltre, non è solo questo, mi piace la tua compagnia. Sei così pura che fai tremare il mio cuore!»
Atsuko aveva indubbiamente uno dei sorrisi più belli e contagiosi che Eri avesse mai visto, così fresco e sincero che era impossibile non volerle bene.


 


Una volta arrivato a casa si stese, stanco.
Quella non era stata una bella giornata.
Non aveva notizie di Naoko, sicuramente lo odiava. In ogni caso, anche se gli avesse chiesto di incontrarlo, lui si sarebbe rifiutato. L’aveva lasciata proprio per tenerla lontana da lui e dalla sua famiglia.
Finché non avrebbe avuto una casa tutta sua, un lavoro e una sua vita, lontano da quel posto, si era giurato di non affezionarsi più a nessuno.
Eppure Naoko gli mancava.
Il suo sorriso furbo, la sua voce sicura e dolce.
Nel muoversi sul letto si ricordò di avere la lettera di quella Yoshida in tasca. Da quando l’aveva raccolta non gli era passata neanche da lontano l’idea di aprirla per leggere cosa effettivamente avesse scritto.
Non gli costava nulla a quel punto, in ogni caso, lei non lo avrebbe mai saputo.
 
La aprì lentamente.

 
私は気にしなかったことを謝ったかった。
あなたを邪魔させたのは私の意図ではありませんでした。
私の恥ずかしさのため、私は話がうまくないので、私はそれを書き留めた。
私は誰にも言わないでください、お願いします。

私はまだ手紙の乱れをお詫びします、私は本当にそれを言う方法を知りませんでした。
(Volevo scusarmi per aver assistito a qualcosa che non mi riguarda. Non era mia intenzione crearti disturbo.
A causa della mia timidezza, non sono brava a parlare, per questo ho preferito scriverlo. Non lo diro’ a nessuno, per favore, ti chiedo di scusarmi.
Scusa ancora per il disturbo della lettera, non sapevo davvero come dirlo.)

 
 
La prima cosa che fece fu coprirsi il viso con una mano. Sicuramente era arrossito, che cosa fastidiosa.
L’aveva aggredita, ma lei voleva soltanto scusarsi per qualcosa di cui non aveva neppure una vera colpa.
Non era colpa sua se aveva assistito a quella scena, ma si era scusata, e aveva persino aspettato la fermata successiva del treno che condividevano, quel giorno, per salirvi, perché in quel momento stava entrando lui.
Non le aveva detto nulla.
Era stato così orribile nei suoi confronti che per qualche ragione il suo cuore prese a battere. Gli venne subito in mente il momento in cui l’aveva fatta piangere, lanciando la lettera dopo averla stropicciata.
Vedeva i suoi grandi occhi in lacrime.
Che cosa aveva fatto?
 
«Issei!» Lo chiamò dal piano di sotto sua madre. Immediatamente scattò giù dal letto, per raggiungerla. Scese in fretta le scale, trovandola seduta al solito posto, leggermente chinata sul tavolo basso del soggiorno.
«Che c’è?»
«Naoya non sta bene, credo abbia l’influenza, puoi andare in farmacia?»
Il fratello maggiore non ci pensò un secondo a prendere la lista sul tavolino che la madre aveva scritto per lui, così da ricordare i farmaci da acquistare. Si infilò in fretta le scarpe e corse fino alla farmacia più vicina.
Quando vide la saracinesca abbassata sospirò. Era chiusa e la più vicina, dopo quella, era a 10 minuti di strada a piedi. Si impegnò, nel correre il più veloce possibile.
Anche se sembrava un ragazzo disinteressato, sicuramente la cosa più importante restava la sua famiglia. Era qualcosa che voleva proteggere, nonostante gli stesse rovinando i rapporti sociali. Non c’era soluzione all’alcolismo di sua madre, e anche se ci fosse stata, lei non aveva intenzione di risolvere, per cui, a Naoya tra lei e un padre troppo spesso fuori casa per lavoro, restava soltanto Issei.
 
Finalmente la trovò. Prima di poter entrare cercò nelle tasche posteriori della divisa il portafogli. Rimase ghiacciato davanti l’ingresso della farmacia.
 
Era un idiota.
 
Poco dopo, si allontanò, raggiungendo una panchina. Sarebbe dovuto tornare a casa e rifare tutta quella strada il più velocemente, ma i suoi polmoni in quel momento stavano esplodendo e se non riprendeva un secondo il fiato sarebbe sicuramente svenuto. Si sedette, imprecando mentalmente.
Come aveva fatto a scordare la cosa più importante?
Nel frattempo, dalla farmacia, era uscita una sua conoscenza. Yoshida. Era sola e teneva con difficoltà una busta piena di medicine, la busta era troppo grossa e strapiena. Anche lei lo aveva notato, ma inizialmente si era girata, timidamente, ormai Issei doveva spaventarla anche soltanto a vista.
D’altra parte, anche lui distolse lo sguardo.
Si sentiva ancora in colpa per quello che era successo.
Alla fine Yoshida, per qualche ragione, si avvicinò a lui, ma nel tragitto dalla farmacia alla panchina le scivolarono alcuni pacchetti e nell’intento di raccoglierli, caddero tutti. Issei ebbe l’istinto di alzarsi, per aiutarla, forse, in qualche modo, quelle sarebbero state le sue scuse, ma qualcosa di più forte lo tenne seduto e fermo su quella panchina; la colpa.
Silenziosamente, li raccolse da terra, posandoli ordinatamente nella busta, anche se continuava a straripare. Si chiese perché non aveva preso due buste, ma non poteva certo chiederglielo.
La cosa che probabilmente lo fece arrabbiare di più era il fatto che lei non aveva provato neppure a spiegargli come stavano le cose.
Era davvero così timida?
Sarebbe bastato spiegargli cosa c’era dentro, ma se ci fosse riuscita, probabilmente non avrebbe mai scritto quella lettera. Perché doveva essere così impulsivo e stupido? Le aveva anche detto delle cose terribili.
 
«Ha-Hasegawa-kun… - lo chiamò con un filo di voce, era terribilmente imbarazzata e Issei lo sapeva – è s-successo qualcosa? Ti ho v-visto davanti…ecco, davanti la farmacia.»
Si era preoccupata.
Issei si coprì la bocca e le gote con una mano, evitando di mostrarle quanto il suo gesto lo aveva colpito, sentiva le guance bruciare. «Non importa, ho dimenticato solo il portafogli, adesso torno a casa a prenderlo.»
«D-Deve essere grave, ecco… non pr-preoccuparti di questo – goffamente, cercò di prendere il portafogli dallo zaino, senza neanche avvicinarsi alla panchina, visto che sopra c’era seduto lui, quella ragazza era davvero stupida e irrazionalmente dolce – p-per favore, non arrabbiarti.»
Issei arrossì nuovamente. Non aveva mai conosciuto una persona del genere.
«Perché mi aiuti? Non me lo merito.» Parlava dietro il palmo che gli copriva parte del viso.
«P-Perché se eri in una farmacia, ti servivano…delle medicine, q-quindi qualcuno sta male, allora è importante.»
Un tonfo.
Un solo tonfo dentro al petto.
Le sue mani tremavano quando cercò di afferrarne una di Issei. C’era molta gente in giro, per cui aveva scelto di rendere tutto quello il meno imbarazzante per Issei. Aveva poggiato i soldi sul palmo freddo di Issei, le mani di Yoshida erano estremamente calde. Successivamente si preoccupò anche di chiudere le dita di Hasegawa intorno al denaro, allontanandosi immediatamente.
«N-Non è molto… ma è tutto quello che avevo, non so cosa tu d-debba comprare, ma spero che bastino. N-Non ho ancora ricevuto lo stipendio, per cui…»
Hasegawa non riuscì neppure a ringraziarla, la guardava soltanto e Yoshida pensò che fosse meglio andarsene. Forse credeva che si sarebbe arrabbiato.
Alla fine, era scomparsa.
Issei usò entrambi i palmi per coprire il viso, i sensi di colpa premevano forte contro il suo addome. Era stato davvero, davvero pessimo con Yoshida, e lei, in fondo, si era preoccupata del suo aguzzino, capendo che quella poteva essere una situazione difficile.
Inoltre, quelli erano i soldi che si era guadagnata da sola.
Fino a quel momento, Issei, non sapeva che potessero esistere quel genere di persone. La reazione anomala che aveva provocato al suo corpo era qualcosa del tutto nuova per lui.

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Capitolo 2
*** Caramello ***


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Atsuko bussò poche volte. Sapeva che il tirocinante Mori le avrebbe aperto il prima possibile, inoltre, non voleva disturbarlo.
Ryota spostò la porta a soffietto, accogliendola con quel suo sorriso giovane e splendente. Probabilmente fu impossibile per Atsuko non arrossire. Quel suo modo gentile di darle il benvenuto, ogni volta, le faceva battere forte il cuore. Sapeva che non poteva, e sapeva anche che Mori-kun era sposato da diversi anni, sebbene la sua giovane età, per cui non poteva farci nulla, quel palpitare forte dentro al petto sarebbe rimasto un segreto soltanto suo.
«Mori-san!»
«Atsuko, è successo qualcosa?» Si spostò per lasciarla entrare. L’aula professori, per fortuna, era vuota a quell’ora.
La studentessa si sedette su una scrivania libera, ondeggiando le gambe visto che non toccavano il pavimento. «In realtà, non mi capita spesso di chiedere questi favori, però, credo che in questo caso, sia importante.»
L’espressione del giovane professore si incurvò, era preoccupato. Quelle sue reazioni erano così belle agli occhi di Atsuko.
«Beh, insomma, c’è questa ragazza, è nuova. A quanto pare ha fatto le medie in un altro posto, e non si trova molto bene. Alcuni ragazzi della mia classe la prendono in giro, per questo motivo, credo, l’altro giorno ho notato che saltava il pranzo. Ho provato tante volte a farla mangiare, però, si rifiuta – Atsuko corrugò la fronte, non sentiva di riuscire a dire per bene quello che avrebbe voluto – io credo che Eri-chan sia molto bella. È, vero le sue ossa sono più spesse del normale, ma non è qualcosa che può risolvere. Non è che sia sovrappeso o altro, quindi non vedo il motivo di saltare il pranzo, ormai si è convinta di questo e credo lo faccia da tanto tempo. Tutto ciò mi fa stare male. Vorrei aiutarla, ma anche se le dico che è bella, non vuole credermi, pensa che lo dica perché sono sua amica!»
«I ragazzi della classe hanno preso di mira anche te?»
Inizialmente Atsuko rimase senza parole. Non si aspettava lontanamente quella domanda.
Si era preoccupato.
Le sue guance si colorarono in fretta e Atsuko arricciò le labbra imbarazzata. «Non lo fanno perché sanno che non m’importa. Anche se mi dessero fastidio, io saprei reagire, ma Eri-chan no!»
Mori si mise le mani in tasca. Pensava.
«Le parlerò, qual è il suo nome?»
Ryota non era un uomo altissimo, anzi, superava appena Atsuko ma doveva essere sicuramente più basso di Yoshida. Era certamente un bell’uomo, popolare tra le studentesse, ma la corte si interrompeva nel momento in cui scoprivano che quel giovane dai capelli color corteccia, grandi occhi a mandorla, espressivi e sempre allegri, era sposato da diversi anni.
Mori era un uomo, e loro soltanto studentesse.
Comunque era felice del rapporto che si era creato tra di loro, Mori-san era la persona con cui andava a parlare nei momenti difficili. Era lì soltanto da due anni ma parlavano frequentemente ed Atsuko si era aperta molto con lui, sempre disponibile, sempre pronto a consolarla nei momenti più difficili.
Era indubbiamente un uomo perfetto, troppo lontano per qualcuno come lei.
«Eri Yoshida.»
«E’ una promessa, le parlerò il prima possibile.»
«Grazie mille Mori-san.»

 


Una volta entrata in classe, Eri trovò una lettera sul suo banco. Inizialmente rimase sorpresa, non ci pensò a fondo e gli sembrò una qualche minaccia da parte dei compagni della classe. Issei dormiva sul suo banco ma il suo volto era rivolto verso la sua postazione.
Capì che era il modo migliore per restituirgli i soldi.
Era stato…gentile da parte di Hasegawa.
Quando ripose la busta bianca nella cartella si lasciò sfuggire un sorriso, non si aspettava che Hasegawa potesse essere gentile con lei. Forse l’averlo aiutato in una situazione del genere gli aveva permesso riflettere e avrebbe smesso di infastidirla.
Lo sperava davvero.
Issei dopo quel sorriso si girò dall’altra parte, forse era stato fastidioso per lui?
«La posi soltanto?» Domandò Fujihara, apparsa come sempre dal nulla, avvicinandosi al suo banco.
Eri non sapeva cosa dire.
«Hasegawa mi ha detto di non toccarla, per cui adesso sono più curiosa di prima, può essere davvero una dichiarazione?»
“Hasegawa… le ha detto di non toccarla.” Eri sentì le guance infuocarsi, sapeva che lo aveva fatto per non far sapere che gli stava tornando quel denaro, tuttavia, trovò quel gesto estremamente carino. Sicuramente poteva farsi gli affari suoi, nessuno avrebbe saputo che quei soldi erano suoi, e scoprendo il contenuto magari avrebbero messo in giro delle voci cattive. In qualche modo, aveva cercato il buono nel suo gesto, e ci era riuscita.
«E’ d-davvero una dichiarazione?» Chiese un ragazzo, seduto un banco avanti a quello di Issei, si chiamava Kata Noguchi, non lo conosceva ma era un compagno di classe, anche se frequentava i bulletti della classe, non era particolarmente malvagio, in confronto ai suoi amici.
Eri strinse le labbra impaurita. In quel momento Atsuko non avrebbe potuto salvarla, visto che non era ancora arrivata.
“Comunque non posso dipendere sempre da lei, in questo modo non farò che causarle problemi.”
«Avanti – Fujihara cercò di strapparle la borsa ma Eri la tenne salda al petto, non sapeva cosa inventarsi ma non poteva neanche permetterle di prenderla o l’avrebbero sicuramente aperta – fammi vedere, Kyojin!»
Si alzò un ragazzo biondo, sedeva nei primi banchi. Era un amico di Issei, e anche di quel Kata, si chiamava qualcosa come Hitomaru. Aveva un sorriso sadico dipinto in volto.
“Mamma, perché non mi possono solo lasciare in pace?” Coprì la borsa con tutto il suo corpo, cercando di stringerla il più forte possibile. Avrebbe voluto tanto scomparire in quel momento.
«Lascia fare ad un vero uomo, Manami.» Disse Hitomaru, spostando la compagna più piccola e decisamente bassa. Allungò la mano, cercando di strappare la borsa ad Eri.
Usava una forza bruta pur di potergliela tirare via.
Eri se ne accorse solo dopo pochi secondi che la mano di quel compagno si era intrufolata tra lei e la borsa. Sentiva le sue dita muoversi tra i suoi seni.
Sgranò orribilmente gli occhi. Era una sensazione inspiegabilmente brutta.
Le bruciava tutto il corpo.
Quel contatto la destabilizzò talmente tanto da farle perdere qualsiasi forza nelle braccia, cedendo.
Sentiva il corpo tremare. Era consapevole delle lacrime che rigavano il suo volto, tuttavia, non pensava neanche a nasconderlo. Restava immobile, alzata, mentre il suo dolore passava semplicemente in secondo piano, a nessuno importava cosa era appena successo? Si sentiva violata, maltrattata, quello che era successo era probabilmente la cosa più grave che avessero mai fatto nei suoi confronti.
Si accorse delle sue silenziose lacrime, Manami, indicandola, dopo una sonora risata. «Guarda, Hitomaru, sta piangendo perché le hai messo una mano sul seno! Kyojin dovresti essere contenta che un ragazzo così bello ti ha toccata!»
«In effetti – si mise a ridere anche quello, mentre frugava nella borsa come un ladro – anche se non sembra una ragazza, ha proprio un gran bel davanzale.»
Eri voleva soltanto scappare.
Si vergognava, si sentiva sporca.
Quella sensazione di disgusto sulla pelle era terribile.
Non riusciva a fermare le lacrime.
Non le importava più di nulla, che avessero scoperto il contenuto della busta o meno, in quella classe non avrebbe voluto più metterci piede.
“Mamma” pensò, mordendosi le labbra “perché sta succedendo questo? Perché non possono soltanto vivere la loro vita, senza distruggere la mia? Perché qualsiasi cosa io faccia, non è abbastanza?”
I suoi occhi erano gonfi e rossi. “Perché non c’è niente che io possa fare per salvarmi da sola? Perché non può dipendere dalle mie capacità?”
Sentì cadere una sedia che fece un gran casino. Issei si era alzato, bloccandole il passaggio per andarsene. Non riusciva a vedere il suo sguardo sotto la folta frangetta mossa e scura. Perché si comportava in quel modo? Poco prima l’aveva aiutata e adesso gli sbarrava il passaggio. Perse qualche battito, una malinconica delusione le aveva riempito il cuore.
Si allontanò soltanto dopo dalla sua postazione, Manami ed Hitomaru urlavano ad Issei di aggiungersi per vedere insieme cosa ci fosse dentro la busta, ma, sorprendentemente, Hasegawa afferrò la borsa di Eri.
«Che cazzo stai facendo?!» Urlò ad Hitomaru.
Il compagno probabilmente non se lo aspettava e rimase in silenzio.
Eri sentiva le lacrime più calde dopo quello che aveva fatto Issei, come se le stessero scaldando le guance.
«Avanti, adesso sei diventato un bacchettone, Hasegawa?»
Issei non rispose più, trattandolo come se fosse una causa persa, così ritornò al banco di Eri, poggiando la cartella. Aveva un’espressione fredda ma, attraverso le lacrime, Yoshida non riusciva a vedere bene. Cercava di asciugarle, inutilmente, perché poco dopo riprendevano a scorrere.
Non smetteva di tremare, ma non era il solito tremore, non era soltanto paura, non era la solita paura. Un ragazzo aveva toccato il suo corpo, senza il suo permesso, tutto quello era umiliante.
Sentiva il bisogno di lavarsi, di lasciare che l’acqua portasse via quel pulsare contro il suo petto. Anche se il contatto era durato giusto qualche secondo, era come se sentisse ancora la mano di Hitomaru su di sé.
«Non ti riconosco più, Hasegawa.» Sputò fuori, acidamente, Manami, guardando Issei che tuttavia non la degnava dello stesso onore.
«Non credo che tu mi conosca così bene da poterlo dire.» La freddò.
Il suo sguardo era rimasto fisso su Issei, non se lo aspettava davvero, non pensava potesse davvero aiutarla. In passato, nonostante i suoi tentativi di essere gentile con i propri carnefici, niente era cambiato. Anzi, avevano sempre trovato un modo per rendere quei gesti delle armi contro di lei. Issei l’aveva salvata.
Si mise una mano sul volto, mordeva forte le labbra. Perché quelle persone la aiutavano? Perché doveva sempre averne bisogno? Perché non riusciva a tirarsi fuori da quelle situazioni da sola?
Prima o poi si sarebbero stancati, prima o poi avrebbero pensato che se ne approfittava.
Non voleva questo.
Lei desiderava soltanto essere lasciata in pace.
Eri vide Atsuko davanti la porta. Aveva uno sguardo strano, i suoi grandi occhi sgranati erano fissi su Hitomaru.
Entrò con passo pesante dentro la classe. Hitomaru si era appena seduto, infastidito dalla reazione di quell’amico che non sembrava essere dalla sua parte.
Atsuko gli picchettò sulla spalla, perché si girasse, ma Hitomaru continuò a guardare verso la finestra.
«Vai a rompere da qualche altra parte, Nomura.»
«Vedi di girarti, prima che ti afferri dai capelli.»
Quella non era la solita Atsuko, non era la ragazza super solare e allegra di sempre, era una persona agitata e nervosa che aveva qualcosa in mente. Hitomaru probabilmente non aveva paura della sua minaccia, tuttavia preferì girarsi comunque.
Atsuko stampò il suo palmo sulla sguancia del compagno, provocando un sonoro rumore.
«Ah sì, lo dico adesso così che sia chiaro per tutti, non ho paura di prendervi a calci fino a farvi sputare sangue – guardava tutti, dentro la classe – se darete ancora fastidio a Yoshida.»
Lasciando tutti in silenzio, Atsuko andò verso Eri. La prese per mano, trascinandola via. Issei rimase a guardare e si accorse che Nomura gli aveva lanciato una strana occhiata. La cosa lo confuse.
 
Portò Eri fino all’infermeria, dicendo all’infermiera che non si sentiva molto bene.
«Eri-chan, puoi guardarmi?» Le accarezzava i capelli, mentre con la mano libera provava a farle sollevare il viso. Eri non voleva farsi vedere perché stava piangendo disperatamente.
Atsuko si morse le labbra. Involontariamente, anche a lei iniziarono a scivolare giù piccoli corsi d’acqua.
Aveva assistito a tutta la situazione ma inizialmente non era sicura di come comportarsi, eppure quell’Hasegawa l’aveva aiutata per qualche ragione sconosciuta, ed era una cosa positiva, perché così Yoshida avrebbe sentito più appoggio dentro la classe.
«E-Eri-chan!» Singhiozzò.
Non voleva vederla in quello stato, le faceva male. Quello che le avevano fatto era schifoso e non c’era motivo perché succedesse.
Yoshida era del tutto sconvolta, sapeva che non la ignorava per cattiveria o perché fosse infastidita da lei, ma Atsuko poteva capire benissimo che anche provandoci, forse la sua preziosa amica non avrebbe aperto bocca.
 
Qualcuno bussò.
Atsuko si voltò verso la porta, forse era arrivato Mori-kun, come un principe, a sistemare tutta quella situazione. Tuttavia, non era sicura che Eri volesse vedere qualcuno entrare in quella stanza, e preferì tacere.
Per fortuna, la porta si aprì comunque.
«Sto entrando.»
Era la voce di Hasegawa.
Atsuko si sentì quasi tranquilla nel vederlo arrivare.
«Ecco… - parlava sottovoce, come al solito – ho portato la borsa di Yoshida. Il professore ha chiesto dove foste e ho spiegato che non stava molto bene.»
Fu in quel momento che Atsuko si arrabbiò. «Perché non hai detto tutto quello che era successo?!» Aveva involontariamente alzato il tono di voce.
Issei storse le labbra. «Parla piano, forse vuole dormire.»
Eri era coperta fino alla testa dal lenzuolo ma essendo questo molto sottile si riusciva a vedere chiaramente in che posizione fosse. Si era raggomitolata su se stessa, tremava ancora.
«Tieni alla tua amica? Beh, mettere quel genere di persone contro i professori per una cosa tanto grave, non farà che renderle la vita un inferno.»
Davanti alla sua spiegazione, Nomura non poté che restare in silenzio. La cosa che più la turbava era quella preoccupazione nei confronti di Eri da parte di Hasegawa, quell’idiota di Hasegawa.
Aveva persino portato la borsa di Yoshida fino all’infermeria.
Eri non parlava, forse voleva restare sola. Issei fece cenno alla compagna di banco di andare fuori, a parlare, e lei lo ascoltò.
 
«Cosa c’è in quella busta? Tu lo sai, altrimenti non ti saresti messo in mezzo.»
Issei nascose lo sguardo sotto la frangetta. «Yoshida mi ha aiutato, dovevo prendere dei farmaci per mio fratello ma avevo dimenticato il portafogli, così volevo tornarle i soldi.»
«Che senso aveva metterli dentro una busta da lettera? Sicuramente qualcuno avrebbe pensato che fosse una dichiarazione e le avrebbero dato fastidio! Sei scemo?»
«Io… - Atsuko assistette in prima persona alla visione delle gote del compagno tingersi di un delicato rosa – pensavo… che così l’avrebbero scambiata davvero per una lettera di dichiarazione – Issei odiava mostrarsi così vulnerabile davanti alle persone, per il tempo trascorso nella stessa classe, Nomura l’aveva capito, per cui continuava a spostare il viso – volevo che… pensassero che Yoshida piaceva a qualcuno, così magari si sarebbero fermati.»
“Cosa… non…” Atsuko rimase senza parole davanti a quel gesto così meditatamente organizzato, a quanto pare, voleva soltanto essere gentile con lei visto che lo aveva aiutato. “Hasegawa non è un mostro! “
«E-Ecco… - Atsuko non era sicura di cosa dire, probabilmente Issei si sentiva un mostro in quel momento – non è stata colpa tua!»
«Invece sì.»
«No! Oggi sei stato grandioso!»
Issei continuava ad arrossire.
«Dovresti parlare di più con Eri-chan, lei è una persona davvero splendida. Se le fossi amico anche tu, magari sarebbe più tranquilla.»
«Non voglio esserle amico.»
Nuovamente, Atsuko si trovò di fronte ad un muro. Perché quel ragazzo doveva essere così lunatico? Perché la aiutava, si preoccupava, e poi diceva cose talmente insensate? Probabilmente non era cattivo ma continuava ad essere un idiota.
«Perché?!»
«Lei… è una brava persona – Atsuko si chiedeva che tipo di espressione potesse avere Issei in quel momento, avrebbe tanto voluto tagliare quella fastidiosa frangetta che gli copriva gran parte della faccia – non voglio che mi stia vicino, o finirebbe per affezionarsi a me. Non sono il genere di persona che può esserle amica, finirei solo per farla stare male.»
In effetti, Issei era un tipo abbastanza popolare. Sia in classe, che fuori, aveva alcune ragazze che gli andavano dietro, anche se a causa del suo carattere disinteressato, persino le ragazze a cui piaceva preferivano tenerlo lontano. Non si capiva perché mai Hasegawa fosse così scontroso, alcuni credevano che avesse un qualche passato criminale e che attualmente fosse un delinquente, ma Atsuko era certa che fossero solo stupide voci. Hasegawa era un tipo scontroso e solitario, certo, ma non creava mai grandi problemi e se quelle voci erano basate soltanto sul fatto che lui preferiva starsene da solo o in silenzio la maggior parte del tempo, sicuramente non erano troppo attendibili.
Comunque Eri era certamente un soggetto facile da disturbare e quello Hasegawa doveva saperlo. Lui, nonostante avesse capito che bella persona fosse Yoshida, preferiva comunque tenerla lontana, per non crearle problemi, eppure, per quanto fosse una scelta intelligente, non era del tutto convinta che fosse quella giusta.
Eri aveva bisogno di amici, non di protettori nell’oscurità.
«A te importa davvero di Yoshida, vero?»
Issei si colorò ancora. «Perché?»
«Non faresti lavorare mai così tanto il tuo cervello per una persona di cui non ti importa niente, o con cui ti senti solo in colpa, giusto?»
Hasegawa sbuffò, era infastidito, ma non arrabbiato. Si mise le mani in tasca e senza dire altro era tornato in classe. Atsuko rimase a guardarlo per qualche secondo, anche dopo essere entrato il suo sguardo rimase fisso.
“Hasegawa… cosa provi davvero?”

 


Da quello spiacente avvenimento erano passati appena due giorni. L’equilibrio in classe non si era certo stabilito in fretta, sarebbero passati altri giorni e forse anche settimane. Eri, comunque, non proferiva parola se non ai professori. Con Atsuko preferiva parlare soltanto fuori dalla classe.
«Bene, la scuola ha organizzato un concorso per tutti i primini – aveva annunciato sorridente la loro coordinatrice di classe, una professoressa di lettere vecchietta e minuta – ad ogni gruppo, che si formerà secondo i posti assegnati, così da poter vedere il lavoro di squadra anche lontano dai propri amici, sarà chiesto di fare una ricerca su un tema comune. Il miglior gruppo, visiterà Tokyo per tre giorni.»
Nessuno sembrava troppo emozionato per l’avvenimento, ma probabilmente era solo a causa dell’umore della classe che dopo tutto quello che era successo non riusciva ad entusiasmarsi.
I gruppi vennero formati, Eri ed Atsuko non finirono insieme.
Yoshida, Hasegawa e Fujihara e Noguchi, invece sì, visto la sistemazione dei banchi. Atsuko era in gruppo con un certo Miura, seduto poco lontano da lei, e altri due compagni.
Suonò, poco dopo l’assegnazione dei gruppi, la campana che metteva fine all’orario scolastico.
Hasegawa guardò verso il banco di Yoshida, lei non sollevava mai lo sguardo da quella volta. Non parlava, non sorrideva, un po’ sentiva la mancanza di quei piccoli gesti.
Si materializzò in fretta il ricordo di quel sorriso dolce, nel momento di riporre la lettera nella borsa, sul volto ormai ingrigito di Eri.
Perché il suo cuore batteva?
Perché quello strano bruciore sulle guance?
Perché, nonostante tutto, sentiva quella strana malinconia pensando che forse, Yoshida, non sarebbe più tornata la stessa? Certo, capiva bene che quello che era successo non poteva essere scordato da un giorno all’altro, d’altra parte, il non poter più vedere la serenità nel suo viso, in qualche modo lo disturbava.
Fujihara si alzò per raggiungere il banco di Yoshida. Issei assisteva.
«Senti, io ho degli impegni il fine settimana, quindi non potrò esserci – batté la mano sul suo banco – vedi di non farmi fare brutta figura, ok? Datti da fare, sicuramente non avrai niente da fare durante le vacanze, almeno renditi utile, visto che hai causato tutto questo malessere in classe.»
Issei ricordò di aver sentito del lavoro di Yoshida, glielo aveva accennato quella volta in farmacia. Quello che aveva detto Fujihara, oltre ad essere immensamente maleducato, era anche inesatto. Hasegawa aspettava una qualche reazione da parte di Yoshida.
Ma Eri incassava soltanto, tanto che Manami se n’era andata com’era venuta. Dopo di lei, Kata, si era avvicinato.
«Yoshida-kun, ti aiuterò io!»
Kata era un ragazzo alto poco più di Atsuko, aveva grandi occhi scuri e i suoi capelli corti erano del medesimo color corteccia. Da quando lo frequentava, l’unica cosa che Issei poteva criticargli era il poco fegato, ma restava uno dei compagni più disponibili e gentili, persino con la vicinanza di Hitomaru non si era trasformato in uno stupido.
«Non è necessario. Grazie comunque.»
Issei notò negli occhi di Kata un qualche senso di sconforto. Voleva essere gentile, ma probabilmente era troppo tardi per una cosa del genere. La cosa più giusta fu andare via, senza dire altro.
Eri prese in fretta la sua cartella, uscendo il prima possibile dall’aula. Salutò velocemente Atsuko, impegnata col suo gruppo a decidere i giorni per incontrarsi per andare insieme a lei, e si incamminò. Direzione, stazione.
Issei prese a camminare dietro di lei, leggermente più lontano. Non la stava seguendo, tuttavia, dovevano fare la stessa strada. In qualche modo, gli sembrò di starla osservando fin troppo, eppure non lo faceva di proposito. Non si avvicinava per il semplice motivo che aveva spiegato ad Atsuko.
Anche lui era nel gruppo di Yoshida, e conoscendo un po’ il tipo, sapeva che avrebbe fatto quella ricerca da sola. Non gli aveva neanche chiesto aiuto, così come aveva rifiutato quello di Kata.
La cosa che forse lo infastidiva era il fatto che nonostante lui l’avesse difesa e protetta da Hitomaru, lei aveva rivolto la parola a Noguchi e non a lui, ma fondamentalmente non ne aveva avuto modo visto che Issei non le aveva rivolto la parola neppure una volta.
“Ma che stai pensando, Issei?” Si disse, coprendo il viso con una mano, mentre continuava a camminare a pochi metri da lei. Era arrossito e il suo cuore aveva preso a palpitare in modo strano, come quella volta. “Stai davvero pensando ad una cosa così stupida? “
Spostò la mano leggermente più in basso, per poter vedere Yoshida, la quale si era fermata vicino ad una panchina per accarezzare un gatto disteso a pancia in su lì vicino. Nonostante ciò, Yoshida non sorrideva, anzi, sembrava essere continuamente sul punto di piangere, soprattutto mentre accarezzava la bestiolina.
Issei distolse lo sguardo. “Perché?” Non spiegava quelle reazioni del suo corpo.
Ogni tanto gli ricapitava di pensare a quando le lacrime negli occhi di Yoshida erano state causate proprio da lui. Quella volta, il suo viso arrossato e bagnato, era estremamente carino, ma non poteva pensare una cosa del genere visto che il senso di colpa continuava a picchiare da allora nello stomaco.
Non sapeva perché la aiutava quando gli era possibile, ma forse inconsciamente cercava di scusarsi. Forse non proprio inconsciamente.
 
Si sedettero nello stesso vagone. Yoshida guardava soltanto verso il basso, Issei si era seduto di fronte ma forse lei non se ne era neanche accorta. Quando il treno si fermò per la prima volta, ne approfittò per sedere accanto alla compagna di classe e anche di banco.
Eri non si era neanche accorta di lui.
«Yoshida, oggi sei impegnata?»
La compagna sollevò finalmente lo sguardo, Issei non se lo sarebbe mai aspettato, forse perché non aveva potuto neppure scorgere la sua espressione tra i folti e scuri capelli che le coprivano costantemente il viso. Stava piangendo.
Perché? Erano passati dei giorni!
Le sue gote rosse, i suoi grandi occhi castani e chiari, brillanti tra le gocce, i capelli adorabilmente arruffati e incontrollabili, quelle labbra morse fino a diventare gonfie.
Yoshida non aveva neppure lontanamente accettato quello che era successo.
Lui era un ragazzo, non poteva capirlo probabilmente.
I giorni precedenti aveva preso il treno successivo a causa di alcune faccende da sbrigare, per cui non gli era capitato di incontrarla. Che piangesse ogni volta?
«Perché?» Domandò, asciugando in fretta le lacrime.
«Vorrei venire a casa tua – sussurrò imbarazzato Issei – ti voglio aiutare con la ricerca.»
I suoi grandi occhi sembrarono sorpresi dell’affermazione. In qualche modo, Hasegawa sperò che potesse sorridere soltanto un pochino, tuttavia, ciò non accadde.
«Non serve, grazie comunque.»
Issei perse la pazienza. «Perché diavolo fai così? Sto solo cercando di aiutarti!»
Era stato un po’ troppo aggressivo, in effetti. Si pentì immediatamente di averle parlato in quel modo.
Eri restava in silenzio davanti alla sua affermazione.
«Yoshida…»
«E’ ok, posso farcela. Grazie davvero dell’interesse.» Aveva sorriso, finalmente, ma non era l’espressione che avrebbe voluto vedere sul suo viso.
Issei non si sarebbe aspettato che non appena lo avesse fatto le sarebbero scese ancor più lacrime, era prevedibile, ma non così possibile. Si coprì il viso con una mano, non sapeva come reagire. Forse l’aveva fatta piangere di nuovo?
«Va bene – disse il compagno, prendendo la sua borsa – allora sbrigatela da sola, non mi interessa. Devo scendere qui.»
Il treno si era fermato, tutti coloro che sarebbero dovuti scendere si erano ammassati verso l’uscita, lui scomparve fra quella folla.
 
Eri rimase a fissare l’uscita per un po’.
Era stata scortese con Hasegawa?
Non ne era certa, ma credeva di averlo fatto infuriare.
Le dispiaceva, ma non riusciva a fare nulla, non aveva la forza neppure di essere gentile con chi la circondava. Desiderava solo scomparire, tuttavia non poteva permettersi altre assenze inutili, né poteva far preoccupare sua madre, e inevitabilmente i problemi si accumulavano.
 
Quando le porte si richiusero, Yoshida rimase piuttosto sorpresa nel vedere che Issei non era affatto sceso. Era rimasto accanto alle porte scorrevoli, poggiato sulla parete, mentre con una mano copriva il volto.
Sentiva le lacrime aumentare, senza alcuna ragione.
Tornò a sedersi accanto a lei, ma non la guardava.
«P-Perché?»
«Non… - parlava sempre sottovoce – sono riuscito a scendere in tempo. Se non mi porterai con te, dovrò rifare questa strada per il ritorno.»
Non le era mai successo, non aveva mai provato qualcosa del genere, tuttavia, sentiva qualcosa dentro lo stomaco, come un mucchio di farfalle che battevano tra le pareti del suo corpo pur di uscire. Anche il suo cuore si comportava in modo strano, andava veloce, troppo veloce, così veloce che forse presto sarebbe scappato dal suo petto.
Tutte quelle emozioni non l’aiutarono a smettere di piangere, anzi, solo che tra le lacrime di quel momento e quelle già asciutte di prima, c’era una piccola quanto sostanzialmente differenza.
Non erano lacrime di dolore.
Cos’era?
“Voglio… voglio vedere la sua espressione.” Pensò, immobile. Issei non voleva mostrarsi a lei, forse a causa della timidezza. “Voglio vedere i suoi occhi. Voglio spostare i suoi capelli.”
Yoshida tornò a guardare di fronte a sé.
Aveva paura soltanto a pensarlo, però, quel gesto, l’aveva resa estremamente felice.
«Puoi… puoi smettere di piangere? È fastidioso.»
Eri seguì il consiglio e asciugò in fretta le lacrime. Forse non avrebbero smesso di scendere giù dagli occhi, però ci aveva provato. Sarebbe stata buona, se Hasegawa si era comportato in quel modo con lei, allora a sua volta Eri avrebbe dovuto non dargli disturbo.
Rimasero seduti l’uno di fianco all’altro per tutto il tempo, senza parlare. Ogni tanto il treno permetteva alle loro braccia di sfiorarsi e dentro di Eri strani quanto dolci sentimenti si formavano inspiegabilmente.
La presenza di Issei sembrava calmare il dolore dentro al petto che aveva provato per tutto quel tempo.
Sentiva di volerlo guardare, di voler trovare i suoi occhi, di volerlo ringraziare. Non era semplice gratitudine ma sentiva forte dentro di sé quel bisogno di mostrargli quanto avesse apprezzato la sua ostinazione.
Odiava essere così debole, e per quanto, sul momento, l’essersi proposto per aiutarla l’avesse fatta sentire felice, forse, non era riuscita ad accettare per paura che glielo avesse chiesto solo per circostanza. Hasegawa voleva soltanto scusarsi con lei, ne era certa, sapeva che era soltanto quello, tuttavia, non poteva controllare l’incredibile reazione del suo corpo.
Ogni qualvolta il suo gomito toccava quello di Hasegawa, fremeva.
Era una paura dolce.
 
Durante il secondo viaggio sul secondo treno, Issei rimase comunque in silenzio. Eri si chiedeva se avesse cambiato idea.
«Perché fai tutta questa strada?» La sorprese, mentre, seduto scomposto nel vagone, guardava sul cellulare.
Eri distolse lo sguardo, anche se lui non la stava neppure guardando. «Mia madre ha scelto una scuola più lontana per tenermi distante dai ragazzi della mia zona.»
Issei non disse altro.
Forse in quel momento pensava che Eri fosse patetica.
“Anche se alla fine” pensò “è proprio così.”
 
Arrivarono all’ultima stazione e non ci volle molto per raggiungere una piccola stradina ai cui lati vi erano diverse abitazioni.
«Mi dispiace… è un po’ lunga la strada.»
«Non ti accompagna nessuno alla stazione? Stiamo camminando da quasi dieci minuti, tu lo fai ogni giorno.»
Eri corrugò la fronte rattristata. «M-Mi dispiace davvero, per questo avrei preferito… n-non disturbarti.»
«Smettila di pensare che mi disturbi – sbuffò Issei, mettendo le mani in tasca – se non mi andava non sarei rimasto e basta. So che sei convinta che l’abbia fatto per pietà o altro, ma io non sono una persona così buona.»
La sua affermazione fece arrossire nuovamente Eri.
«E non mi dispiace camminare, pensavo solo che è una seccatura farlo ogni mattina e ogni volta che torni a casa, prendi addirittura due treni.»
«Per me non è…un problema, ecco – Yoshida raccolse qualche ciocca dei suoi lunghi boccoli corvini dietro l’orecchio, scoprendo un grazioso orecchino a forma di stella, Issei lo notò di sfuggita, era davvero carino – prendo spesso il treno, non ho l’età per un’auto e siccome faccio molte cose, non posso semplicemente adagiarmi.»
In effetti, nonostante a scuola sembrasse così indifesa, Yoshida doveva essere una persona molto matura. Lavorava alla sua età e per Issei era qualcosa di straordinario, in effetti. Nonostante la sua situazione familiare problematica, per lui i soldi non erano mai stati un problema, non riusciva ad immaginare una ragazza della sua età che spendeva il suo tempo a lavorare.
«Scusa, ma oggi non devi lavorare?»
«La biblioteca ha un problema con le cimici per cui sono libera per qualche tempo.»
Parlarono molto timidamente, fino a raggiungere una casa con sopra un cognome diverso da quello di Eri. Issei lo notò immediatamente ma non poteva certo fare una domanda del genere. Durante la strada si era però chiesto più volte che persone potessero essere i genitori di Yoshida per mandarla a lavorare.
Chissà perché non riusciva ad accettare quella cosa.
 
«Mamma, sono a casa – disse non appena entrata in casa, mentre toglieva le scarpe, stranamente l’aveva detto a bassa voce, quasi non fosse sicura che qualcuno avrebbe risposto – c’è con me un compagno di classe.»
Issei vide delle dita scheletriche appendersi al bordo di una porta, sul momento ne fu quasi spaventato. Subito dopo capì che la persona a cui apparteneva quella mano si stava semplicemente poggiando per raggiungerli all’ingresso. Era una donna piuttosto bassa e sicuramente non doveva essere molto in salute a giudicare dalle sue guance asciutte e dalle occhiaie.
“Forse la madre di Yoshida è malata?” Si chiese, e i tasselli iniziarono a mettersi in ordine da soli.
«Piacere – Issei fece un lungo e rispettoso inchino verso la donna – io sono Hasegawa Issei. Scusi il disturbo.»
«Oh cielo, un compagno di classe? Hai visto Eri-chan?»
Perché la chiamava in quel modo?
Eri si grattava la nuca imbarazzata. «C-Cosa?»
«La mamma ha sempre ragione! In quella scuola ti sei fatta un amico così bello, oh cielo, oh cielo!»
Issei rimase abbastanza perplesso a causa di quelle parole ma non poteva che trovare adorabile quella piccola donnina leggermente ricurva su se stessa. «A-Ah, g-grazie mille!»
«Oh è vero, perdonami, non mi sono presentata – parlava senza neppure avvicinarsi, per qualche motivo – puoi chiamarmi Irene!»
Issei s’inchinò brevemente una seconda volta.
«Hasegawa-kun, potresti aspettarmi in camera qualche minuto? Preparo delle cose qui e ti raggiungo – Issei annuì – sali le scale, è l’ultima porta a sinistra.»
Il compagno fece come gli era stato detto, dopo aver salutato gentilmente “Irene”, arrivò fino alla stanza di Yoshida. Si chiedeva che tipo di posto potesse essere. In genere le camere erano lo specchio di chi le abitava, ad esempio la sua era spoglia e disordinata, gli bastava un letto, una tv e la console per starsene tranquillo.
Quando aprì quella misteriosa porta fu investito da un panorama del tutto color pastello. Non aveva mai visto così tanti peluche, i muri erano costellati da adesivi di stelle e gattini, la sedia della scrivania era completamente ricoperta da un tessuto morbido e peloso color cipria, sulla scrivania un’indescrivibile quantità di penne graziose e portapenne dalle fantasie simili.
Yoshida era quel tipo di persona?
Avrebbe dovuto capirlo dalla cancelleria che usava in classe, o dagli orecchini a forma di stella.
“Erano davvero carini…” Pensò, distrattamente, mentre il gesto di raccogliere i capelli dietro l’orecchio della compagna si materializzava nella sua mente.
Tutta quella roba graziosa e carina lo metteva a disagio, si sentiva come una sorta di nuvola nera in paradiso. Sospirò, in effetti poteva essere che usava i soldi del lavoro per comprare quelle scemenze, e lui che si era persino preoccupato.
Si sedette sul letto ad una piazza e mezza al centro della stanza. Era morbido.
Guardandosi in torno notò il calendario appeso accanto alla scrivania, c’erano delle scritte colorate su tutti i giorni fino a quello presente. Si alzò curioso, voleva leggere cosa ci fosse scritto.
La cosa che vi trovò, per qualche motivo lo sconvolse. Eri faceva un conto alla rovescia, mancavano ancora 113 giorni alla fine di quella scadenza. Non spiegava cosa stesse aspettando e la cosa lo incuriosì maggiormente. Quando sentì i passi vicino alla porta, corse a sedersi. Non voleva sembrare un impiccione.
«Scusa se ti ho fatto aspettare – disse, poggiando un vassoio sul tavolino basso accanto alla porta – ho preparato il pranzo a mia madre.»
«Lo faccio anche io – parlò senza pensarci – è un po’ stancante.»
«A me fa piacere, finché posso aiutare mia madre.»
Issei ebbe l’impressione di aver parlato a sproposito, forse i motivi per cui facevano la stessa cosa erano profondamente diversi.
«Scusa… se ho detto qualcosa di sbagliato.»
Eri lo guardò sorpresa, poi sorrise dolcemente. «Ah no, perdonami, è solo che ero un po’ sovrappensiero e f-forse ho dato l’impressione di essermela presa.»
Hasegawa sospirò sollevato. Perché era sollevato?
«Ho portato delle cose… serviti pure.» Indicò il vassoio, c’era un solo piatto e due bicchieri di succo d’arancia, a giudicare dal colore arancio acceso. Issei in effetti aveva fame, come sempre, così senza fare troppi complimenti, spostò il tavolo più centrale, in modo che potessero iniziare a studiare.
«Perché hai preso solo un piatto?» Domandò, sedendosi e guardando la pietanza. C’erano due tramezzini ben presentati, probabilmente anche molto buoni, però in effetti potevano non esserci piatti puliti o qualcosa del genere, quindi magari aveva fatto una domanda scomoda.
«Perché due piatti?» Chiese, come se fosse una cosa strana.
Issei si fermò a pensare come rispondere per non essere invadente o fastidioso ma non gli venne in mente niente. «N-No, niente.» Scosse la testa, arrendendosi. Eri si era già messa a cercare i libri in uno scaffale, mentre lui non sapeva se iniziare a mangiare senza di lei oppure no.
“No, è scortese.” Pensò, ma a dargli una risposta fu il suo stomaco che brontolava. “Mio dio, Issei, puoi avere davvero sempre fame? “
Eri si inginocchiò, intenta a cercare qualcosa. «Hasegawa-kun, puoi mangiare, non serve che mi aspetti.»
Issei non lo fece comunque, anche così, sarebbe stato troppo maleducato, soprattutto in casa straniera. Non voleva fare una brutta impressione, per qualche ragione. E poi, alla madre di Yoshida stava così simpatico che si sarebbe sentito sicuramente in colpa.
«Perché non hai accettato l’aiuto di Kata?»
Eri poggiò i libri sul tavolino, non rispose subito, prima si sedette per bene davanti a lui. «Perché non voglio avere a che fare con quelle persone.»
“Ben ti sta, Kata.” Pensò, divertito Issei.
«Prego, Hasegawa, serviti, non fartelo più dire o sembrerà che voglio avvelenarti.»
Issei rise e si accorse che davanti alla sua risata, Eri era arrossita adorabilmente, così si ricompose immediatamente, imbarazzato.
«Prendi tu il primo.»
«No, g-grazie – chinò lo sguardo – non mi va per adesso.»
Il compagno ricordò che proprio quel giorno l’aveva vista durante il pranzo, seduta insieme ad Atsuko, ma non gli era sembrato che avesse pranzato, sul momento pensava che avesse dimenticato il bento. Che razza di persona non poteva aver fame dopo tutto quel tempo a scuola?
«Che stai facendo, Yoshida?»
«E-Eh?»
«Neanche a pranzo hai mangiato, oggi, vero?»
«C-Come lo sai?» La sua espressione sorpresa era davvero carina.
In realtà Issei non lo sapeva, tuttavia, forse poteva aver diviso il bento con Atsuko, solo che dalla sua risposta quella verità non traspariva affatto, quindi non doveva essere successo. Conoscendo quella testona di Atsuko, glielo avrebbe offerto sicuramente.
«Sono passato di lì e ti ho vista, tutto qua.»
«Comunque non preoccuparti – Issei non si stava preoccupando, fu quello che si disse dopo aver sentito quelle parole, ma sapeva che non era vero – in genere ceno soltanto, sono abituata così.»
Che stesse facendo una qualche dieta a causa di quegli idioti che la prendevano in giro? Sicuramente non glielo avrebbe detto, ma doveva essere così, e la cosa che più lo preoccupava, probabilmente, era il fatto che anche lui faceva parte di quegli idioti che le dicevano quanto non fosse femminile.
Era anche lui partecipe della creazione di quei complessi inutili che si stava facendo. Yoshida andava bene così, non doveva fare una cosa del genere per quei ragazzi.
“E poi…” si disse, osservandola leggermente curva su se stessa mentre cercava di capire quale quaderno usare, osservando le sue lunghe ciglia scure e le sue labbra carnose e rosee “è davvero carina, no? Lo pensa anche Kata…”
Prese uno dei tramezzini, porgendoglielo. «Mangia.»
«N-Non mi va, d-davvero!»
«Ho detto di mangiarlo. Tua madre sa che non pranzi a scuola?»
Eri divenne tutta rossa, stringendo le labbra come una bambina appena rimproverata. Con la mano libera, Issei coprì il viso. “Maledizione, ha delle espressioni così carine…”
«P-Per favore…Hasegawa-kun…» Supplicò, con un filo di voce.
«Se non lo mangi, racconterò a tua madre questa cosa.»
La sua mano tremava mentre prendeva il piccolo trancio di pane. Lo stava facendo perché sua madre non sapesse quello che succedeva a scuola. Issei era all’oscuro del fatto che quella cosa si ripetesse ogni giorno, ma a giudicare dal suo cedere così velocemente perché non lo sapesse, doveva avere ragione.
«G-Grazie.»
«Non è che dopo vai in bagno a vomitare, vero?» Corrugò la fronte, serio.
Eri sorrise, coprendosi la bocca per nascondere la sua risatina. «Non faccio queste cose.»
«Ecco, brava, non farle.»
In qualche modo, iniziarono a studiare, parlando in modo del tutto naturale, in effetti Issei non l’avrebbe mai creduto, ma la compagnia di Eri era molto piacevole. Il fatto che in fondo, anche se costretta, aveva accettato la sua presenza, in qualche modo lo rincuorava. Forse non pensava a lui più come un nemico.
Mentre scrivevano ognuno sul proprio quaderno alcuni appunti, Issei si fermò a guardarla, nuovamente. Stava leggermente ricurva a scrivere, con espressione assolta. Avrebbe fatto la stessa cosa anche da sola, per tutti gli altri, pur di non avere a che fare direttamente con loro.
Eri teneva dentro più cose di quanto potesse, non doveva essere stato facile vivere per lei.
A lui andava bene tutto, a scuola, grazie al suo aspetto fisico. Nessuno lo aveva mai importunato per cui non poteva capire cosa provava davvero Yoshida.
Alla fine, quella sarebbe stata l’ultima volta che avrebbe passato del tempo con lei, come aveva già detto a Nomura, non voleva avere niente a che fare con Yoshida. Aveva lasciato Naoko per proteggerla dalla sua famiglia, non poteva permettersi degli amici se non quei pochi compagni a scuola con cui passare il tempo libero.
Standole lontano le avrebbe causato meno problemi.
Aveva già i suoi, di problemi, quella ragazza per potersi addossare anche quelli che gli avrebbe causato la sua compagnia.
 
«Tu…non sei come loro, vero?» Chiese Yoshida all’improvviso.
Issei rimase senza parole. Proprio non se lo aspettava.
«Anche se…all’inizio ci siamo fraintesi… t-tu non sei come loro? T-Tu sei gentile.»
 
“Smettila, Yoshida.”
 
“Non devi affezionarti a me.”
 
«Perché lo pensi? Sto solo facendo la mia parte.»
«La tua parte?»
«Sono anche io nel gruppo della ricerca, sto facendo la mia parte, è solo essere giusti, non sono gentile.»
Eri non rispose. Anche se lui il tramezzino lo aveva già finito, lei lo mordeva lentamente e ne aveva ancora metà, lo mandava giù difficilmente, dopo quello che Issei aveva detto lo aveva persino posato. Non avrebbe parlato, probabilmente, ed anche Hasegawa avrebbe fatto lo stesso.
L’equilibrio che si era creato, si spezzò brutalmente.
Non voleva ferirla.
Yoshida sollevò lo sguardo soltanto quando sentì la porta d’ingresso aprirsi, si alzò prontamente per uscire dalla stanza e corse fino alle scale.
«Mamma, che stai facendo?!» La sentì urlare dal corridoio.
Issei si alzò per guardare cosa stesse succedendo.
«Eri-chan, stai tranquilla! Ha solo chiamato la posta, devo prendere una cosa. Non serve che vai tu, c’è il tuo amico Issei, resta con lui.» Aveva risposto allegramente la donna, si era messa degli abiti per uscire ma la cosa che notò Issei furono quelle grosse sciarpe e il cappotto fin troppo pesante per quel periodo.
In effetti non doveva stare molto bene.
Dov’era il padre di Yoshida?
Forse a lavoro?
«Non importa, togli quei vestiti, vado io un secondo. Resta a casa a fare compagnia ad Hasegawa-kun.» Non diede alla madre il tempo di controbattere che corse fino alla sua stanza. La situazione doveva essere molto grave visto come aveva reagito Yoshida.
Non pensò neppure a chiudere la porta della stanza mentre toglieva la camicia della divisa. Issei inizialmente rimase imbambolato, poi si rese conto di starla fissando in reggiseno (cosa che lo fece arrossire parecchio), anche se lei non se n’era accorta perché troppo di fretta. Aveva infilato un maglione lungo quasi fino alle ginocchia ed era corsa nuovamente fuori, aveva tolto la gonna mentre scendeva le scale.
Perché quella preoccupazione così maniacale nei confronti della madre? Il lasciarla uscire da sola era così grave?
«Per favore, Hasegawa-kun, potresti aspettarmi? Ci metto poco.» Anche se parlava con lui, non lo guardava direttamente.
Issei si infilò le mani in tasca, colpevole. «Vai pure, resto qui con tua madre.»
«G-Grazie…» Uscì subito dopo.
Hasegawa in cima alle scale, constatava come la madre fosse rimasta a fissare la porta d’ingresso con fare malinconico.


 


Il primo incontro non era andato affatto male, anzi. Nonostante non fosse proprio felice del proprio destino, essendo separata da Eri, non poteva lamentarsi, per lo meno i ragazzi con cui era in gruppo si rendevano utili.
Mentre studiavano tutti insieme in biblioteca, Atsuko non poteva che notare come lo stesso Miura che gli aveva reso i primi due anni delle medie un inferno, era diventato un tipo tranquillo. In effetti loro due non si erano più parlati dalla seconda media, anche se per qualche motivo finivano sempre nella stessa classe.
Miura era stato il più terribile dei suoi incubi in quegli anni passati, ma ormai non ne aveva più paura. Aveva imparato a combattere contro chi le faceva del male, in quel modo prima o poi avrebbe smesso.
Ryuu Miura era stato il più orribile dei diavoli, ma dopo quella volta, dopo quell’avvenimento così doloroso per Atsuko, così doloroso da farle paura il solo ricordo, aveva smesso di dare fastidio a tutti. Era sempre stato un dongiovanni, forse aveva capito di potersi divertire anche senza rendere la vita delle persone più indifese un inferno ed era diventato famoso tra tutti per essere il ragazzo che cambiava fidanzata ogni settimana.
Atsuko aveva imparato a passare sulle cose, non aveva più paura, non voleva più nascondersi, né fingere che i suoi difetti non esistessero, ma ancora non riusciva ad accettare quello che era successo quel giorno.
 
«Nomura, ci sei?» Lo chiamò un compagno, visto che la ragazza si era bloccata a fissare Miura, distratto dal libro per accorgersene.
«C-Cosa? Sì, sì, ci sono!»
«Io e Nakamori stiamo andando via, ok?»
Atsuko annuì confusa. Come aveva potuto perdere contatto con ciò che la ricordava per guardare quello stupido?
In effetti Miura era quello che parlava meno, nonostante tutto. Non poteva saperlo, ma sapeva che da quel giorno anche dentro Ryuu qualcosa si era spezzato. Forse si era reso conto di quanto grave fosse quello che era successo e aveva solo deciso di espiare le sue colpe col silenzio.
«Fai attenzione quando torni a casa.» La salutarono così i ragazzi, che invece, non parlavano molto con Ryuu. Non era ben visto dai ragazzi visto che piaceva così tanto alle ragazze.
Nomura li salutò scuotendo la mano.
Quando uscirono pensò bene di sistemare le sue penne e i quaderni dentro la borsa, visto che a momenti la biblioteca avrebbe chiuso. Il venerdì restava aperta solo mezza giornata, era un po’ scomodo.
 
«Hai l’ombrello?» Chiese con fare disinteressato Miura, senza neppure guardarla, in modo talmente vago che inizialmente pensò potesse parlare al cellulare.
«I-Io?»
«Vedi qualcun altro?»
Atsuko gonfiò le guance. «Non avevo capito, non serve rispondere così.»
«Lo hai o no?»
«Ma perché? – si girò verso la finestra, notando con grande inquietudine che fuori pioveva terribilmente – Ah… no, non lo ho, ma aspetterò che smetta.»
«Puoi farmi compagnia, aspetto qualcuno qui.»
Atsuko non aveva voglia di fare una cosa del genere, tuttavia, non è che avesse una qualche possibilità. Fin da bambina era terrorizzata dai tuoni, così tanto da non riuscire a muovere un solo muscolo al suono di esso. Sarebbe tornata a casa quando sarebbe finito il temporale, probabilmente, anche se il fatto che avrebbe dovuto aspettare fuori le metteva agitazione.
Entrambi si diressero fuori, visto che ormai la proprietaria aveva annunciato a tutti di lasciare il posto.
Senza parlare ancora, rimasero seduti uno di fianco all’altro sugli scalini dell’ingresso, Miura aveva con sé un ombrello ma da quello che aveva detto doveva star aspettando qualcuno. Chissà perché le aveva chiesto dell’ombrello.
La gente correva per le strade pur di rifugiarsi al riparo.
Miura teneva gli auricolari alle orecchie, non avrebbero parlato probabilmente e ad Atsuko la cosa non dispiaceva affatto.
Si mise a pensare alle cose che avrebbe potuto fare nei giorni successivi, tra i suoi obiettivi sarebbe stato quello di andare insieme ad Eri da qualche parte dopo la scuola, se lei avesse voluto. In effetti, pensandoci a fondo, non aveva mai avuto un’amica vicina come lei.
Era felice, di avere finalmente qualcuno con cui parlare, qualcuno che non la considerasse una pazzoide, qualcuno con cui chiacchierare nel momento libero, anche se ormai parlarle in classe era diventato impossibile dopo quello che le avevano fatto.
 
«Nomura.» La chiamò improvvisamente Miura.
Atsuko si voltò verso di lui, cercando di capire se era successo davvero. La pioggia picchettava così forte che persino sentire le auto passare diventava difficile.
«Sì?»
«Tu ci pensi ancora a quel giorno?»
Quella domanda, nonostante tutto, arrivò limpidamente alle sue orecchie, lasciandola senza parole. Ryuu non la guardava, seduto come una scimmia sullo scalino più in basso rispetto al suo. Atsuko non sapeva davvero cosa rispondere, anche se inizialmente, l’unica cosa che avrebbe voluto farle sarebbe stata tirargli uno schiaffo.
Come poteva chiederle una cosa del genere, quando proprio lui sapeva quanto ciò l’avesse ferita? Quanto fosse stato doloroso e difficile da superare per lei?
Nomura distolse lo sguardo rancoroso, stringendo le labbra. Non meritava una risposta.
«Sai, io ci penso ogni giorno.»
“Cosa?”
«Da quella volta, non sono riuscito a dimenticarlo, anche se probabilmente dirti queste cose ti farà solo infuriare – sospirò, Atsuko non sapeva che espressione avesse in quel momento – eppure non lo faccio per questo motivo – si mise una mano sulla frangetta, accarezzandola – vorrei che tu sapessi solo che non l’ho dimenticato… che non ho scordato il tuo volto, di quel giorno.»
Il cielo tuonò violentemente dopo quella affermazione ed Atsuko non riuscì neppure a formulare una risposta che tutto il suo corpo si paralizzò.
«Spero che un giorno tu possa perdonarmi, ma non sono così stupido da chiederlo o addirittura pretenderlo.» Si alzò non appena finì di parlare, una ragazza con un ombrello rosa era arrivata ma non si era avvicinata a loro. Forse era la sua ragazza.
Miura si tolse gli auricolari, poggiandoli sulle gambe diligentemente coperte di Atsuko insieme all’mp3.
«Mettile, alza il volume il più possibile, e torna a casa. Non sentirai i tuoni.»
Aveva persino lasciato il suo ombrello laddove lo aveva posato quando si era seduto. Lo stava lasciando a lei. Poi raggiunse la ragazza che aveva un’espressione del tutto contrariata per quello che aveva fatto, ma Miura l’aveva invitata ad andarsene, insieme a lui.
Atsuko non ne conosceva il motivo, tuttavia, la rabbia, la pesantezza che la presenza di quel ragazzo le procurava, era svanita nel momento in cui i loro palmi si erano toccati.
“Miura-kun… chi sei tu?”
Era scomparso.

 
 
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Capitolo 3
*** Petali d'acqua ***


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«Vuoi qualcosa?»
Dopo che Yoshida era corsa via per la faccenda della madre, Issei era rimasto da solo con Irene, la quale sembrava anche estremamente disponibile, tuttavia, sentiva come se qualcosa si fosse spento nello sguardo della donna nel momento in cui sua figlia era uscita.
C’era qualcosa di strano in quella casa.
«No, non si preoccupi.»
«Sai, è solo che abbiamo tanti dolci in casa – sospirò rattristata – dico ad Eri-chan di comprarli con la scusa che mi piacciono tanto, ma in fondo vorrei che li mangiasse lei, invece non succede, restano nello sportello fino a quando non scadono. Te li offro, perché in fondo si rovineranno qui.» Aveva preso un pacco di biscotti da una mensola poco più alta di lei, poggiandoli sul tavolo.
La sua voce aveva un qualcosa di estremamente malinconico, era diversa dalla donna che aveva conosciuto qualche ora prima. Davanti sua figlia era una madre solare, mentre in sua assenza si era lasciata andare ad una qualche forma di sconforto.
Probabilmente anche sua madre sapeva delle cattive abitudini alimentari di Eri, ma come farglielo capire se Yoshida non voleva in nessun modo convincersi che quella era una scelta dannosa?
«Quando era piccola – disse, sedendosi nella sedia accanto a quella del ragazzo che dopo un breve inchino del capo aveva preso un biscotto – amava questi biscotti a forma di stelle colorate, ormai credo abbia dimenticato persino il sapore.»
Issei sentì lo stomaco chiudersi.
Yoshida viveva in quel modo da prima di entrare nella sua scuola, evidentemente.
«Beh, alla fine, sono contenta che si sia trovata un amico, perché voglio dire… tu sei suo amico, giusto?» Irene lo guardò speranzosa ed Issei non poté che annuire imbarazzato.
«C-Certo.»
«Non saresti venuto qui se non lo fossi stato – annuì anche lei, mordendo il biscotto – e poi, non capisco perché la mia Eri debba vivere in questo modo, che colpa ne ha? Perché le persone non possono capirlo? Vorrei che tutti potessero sapere che splendida persona sia la mia bambina – annaspò, quasi commossa – non è colpa sua, se io sono malata, se la pensione non basta per affrontare le spese, se non posso neppure trovarmi un lavoro, persino adesso è corsa a prendere quel pacco – la voce della donna tremava, i suoi occhi piccoli e stanchi brillavano a causa delle lacrime – oh cielo, che stai facendo Irene?»
«Non deve preoccuparsi – cercò di fare il ragazzo educato, Issei, vedendo come si era imbarazzata davanti a lui – non dirò niente ad E-Eri, né a nessun altro… io posso capire che è difficile.»
Era stato attento a chiamare per nome Yoshida così da far pensare alla donna di avere un vero rapporto d’amicizia con la figlia. In effetti, non poteva che sentirsi in colpa, dopo quello che le aveva detto poco prima, ferendola, inutilmente, un’altra volta.
Forse, non sarebbe dovuto andare con lei fin da subito.
Yoshida aveva bisogno di un amico e lui era stato scorretto, si era mostrato gentile e disponibile per poi dirle indirettamente che non voleva avere niente a che fare con lei.
In quel momento più che mai, sentiva di volerle essere vicino.
Yoshida aveva bisogno di amici, proprio come aveva detto Nomura.
«Sei un bravo ragazzo, vero Hasegawa?»
«La prego… mi chiami Issei.»
«Sei… un bravo ragazzo, eh, Issei?»
Il ragazzo chinò lo sguardo, timidamente. «Vorrei tanto poterlo essere.»
«Posso chiederti un favore?»
«M-Mi dica.»
 

«Potresti… evitare di farla stare male? – Lo guardava intensamente negli occhi, così profondamente da sentire quello sguardo dentro il petto – So bene che non ti ho mai visto, ma non sono stupida, anche cambiando scuola sono certa che ci sia qualcuno pronto a darle fastidio… la verità è che non so niente di lei, mi tiene all’oscuro e certe cose le scopro con i miei metodi, questa è la prima volta che porta un compagno a casa…allora devi aver fatto qualcosa per meritarti la sua fiducia, conosco la mia Eri, quindi voglio fidarmi di te, ma se non te la senti di promettermelo, lo accetterò.»
Perché quella donna si spingeva così al limite con lui? Perché dargli quella fiducia? E perché Yoshida non avrebbe dovuto portarlo a casa sua?
Tutto sembrò schiarirsi nella sua mente.
Forse aveva paura che potessero prendere in giro la madre, fare battute di cattivo gusto su di lei, o sul loro modo di vivere.
L’averla aiutata con Hitomaru, sebbene non glielo avesse detto direttamente, doveva essere stato davvero importante per Yoshida.
Il cuore di Issei prese a battere.
Tutte quelle emozioni erano ingiuste, dal suo punto di vista. Dopo le parole di Irene, sentiva di volersi scusare davvero, però, quella volta, guardandola in faccia, e magari dicendole che sarebbero potuti essere amici.
«Eri… Irene – la chiamò informalmente, facendo arrossire la tenera donna – hai cresciuto davvero bene Eri, t-t-ti prometto, che… non le farò del male.»
 
La verità era che, arrivato a quel punto, non c’era più nulla di cui nascondersi, la famiglia di Yoshida era formata solo da quella dolcissima donna il cui nome era Irene. Non conosceva la madre di Eri bene, ma qualcosa gli diceva che non avrebbe mai allontanato Eri da lui, scoprendo della sua famiglia, come invece avevano fatto i genitori di Naoko, accanendosi contro di lei.
Voleva soltanto poterle essere amico, così magari avrebbe smesso di essere infelice.
Si sentiva come premiato dalla fiducia di cui aveva parlato Irene, la fiducia che Yoshida gli aveva dato. Per quella donna, la felicità di sua figlia era più importante di qualsiasi altra cosa, probabilmente.
 


Da dentro si sentì tuonare. C’era forse un temporale fuori?
Issei si alzò prontamente. Yoshida non era ancora tornata.
«E-Eri!» Fu la prima cosa che disse Irene dopo aver sentito quel rumore.
«Vado a prenderla – disse, preoccupato, Hasegawa – potrebbe spiegarmi dove si trova la posta?»
 
Correndo sotto la pioggia nella direzione data da Irene, Issei dovette fare conto nuovamente con quel dolore allo stomaco. Non era abituato a quel genere di ripensamenti, tuttavia, non era mai stato più sicuro di quello che voleva dirle.
Scusa, scusa Yoshida, per quello che ti ho detto, per quello che ti ho fatto.
Con quale coraggio avrebbe potuto guardarla negli occhi, dicendole tutto ciò? Non era neanche sicuro di riuscirci, ma per il momento, la precedenza era quella di trovarla, sana e salva possibilmente.
L’acqua cadeva talmente forte da rendergli difficile proseguire il percorso, e nonostante avesse i polmoni stremati, non si fermò. Doveva trovarla.
Arrivò davanti la posta ma non poteva sapere se l’avrebbe trovata. L’edificio era già chiuso, ormai era arrivato anche il buio.
Come si era fatto così tardi?
Corse intorno per vedere se Eri si fosse imboscata da qualche parte, e infatti, la trovò rannicchiata su se stessa, teneva le mani sulle orecchie e gli occhi chiusi, sotto un cornicione.
Sospirò, vedendola, sollevato.
Era spaventata. Le sue gote rosee e le labbra adorabilmente mordicchiate la rendevano davvero graziosa ai suoi occhi.
 
«Stupida, non ti sei portata neanche una giacca.»
Tremava infreddolita. Quando lo vide davanti a sé sollevò immediatamente lo sguardo inquieto, raggiungendo il suo volto. Era felice di rivederlo, ma non aveva dimenticato quello che le aveva detto prima di uscire, Issei lo aveva capito immediatamente.
«Vieni, metti questa – si tolse la giacca, era bagnata, ma l’avrebbe ugualmente coperta essendo rivestita internamente da un tessuto caldo – dai, torniamo a casa, tua madre è preoccupata.»
«Sei v-venuto ma non hai p-pensato ad un ombrello?» Sorrise, ma non era spensierata come avrebbe doluto. Aveva rifiutato la giacca con un gentile gesto della mano.
«Ta-Tan!» Le mostrò un piccolissimo ombrello che aveva tenuto fino a quel momento nella tasca del cappotto, lo aprì dopo la battuta di Eri, non era esageratamente spazioso ma era facile da portare.
«Ah, menomale.»
«Adesso metti la giacca per favore.»
Eri lo rifiutò ancora, distogliendo lo sguardo nel farlo. C’era nuovamente qualcosa che non quadrava ad Issei e quando l’illuminazione arrivò, sentì come un tonfo dentro al petto, un misto di sentimenti dolci e amari, compresa un po’ di rabbia.
Yoshida aveva forse paura che non le entrasse? Stava pensando davvero a qualcosa di così sciocco? O forse l’aveva rifiutata perché Issei le aveva detto quelle parole?
Non capiva.
«Tu… sei stupida?»
Eri non rispose, non si aspettava quel genere di… domanda.
«Ti ho detto di metterla.»
«N-Non devi farlo!» Alzò la voce, chiudendo però gli occhi.
Issei rimase in silenzio.
«Non… non mi entrerebbe comunque, e p-poi, se c-c-continuerai ad essere… così g-gentile… io…»
Hasegawa lasciò cadere l’ombrello che in balia del vento camminò lontano da loro, avvicinandosi alla compagna e mettendole la giacca sulle spalle. «Se non vuoi metterla, lo farò io!»
«Perché fai così?!» Urlò.
“Yoshida…” La sua reazione forte sorprese Issei.
«Mi metterai soltanto…in imbarazzo…»
«Tu devi essere davvero stupida, è ovvio che ti entra! Cosa pensi di essere, un bolide? Ma ti guardi mai al fottuto specchio? – Le urlò forte, faccia a faccia, anche se lei era nettamente più bassa, ad Eri erano già uscite le lacrime – Tu non hai nessun problema! Non c’è niente che non vada in te, lo vuoi capire o no?!»
Si erano messi ad urlare come due stupidi, sotto la pioggia battente di quella sera.
Yoshida gli diede un pugno delicato sul petto, non aveva neanche fatto male, era solo scoppiata a piangere, mentre si mordeva crudelmente le labbra. «Ma p-perché… mi d-dici questo? – Singhiozzava come una bambina mentre le sue gote si coloravano del più candido dei rosa – Prima dici che sono b-brutta, che n-non sembro neanche una r-ragazza, e poi… e poi…»
Hasegawa strinse i pugni nel sentirla parlare, inizialmente impotente.
“Sta zitta, Yoshida!”
“No… no… Hai ragione.”
Non le permise di finire il monologo che la avvolse tra le sue lunghe braccia. Non voleva sentire quello che aveva da dire, non voleva che finisse di parlare, non voleva ricordare quello che aveva fatto. La abbracciò, nascondendo quella verità che gli ricordava quanto fosse stato orribile con lei.
Yoshida non si meritava niente del genere. Yoshida era stata buona, fin dall’inizio, con lui. Yoshida, tramite i suoi metodi, aveva dimostrato di provare uno strano quanto acerbo affetto nei suoi confronti, mentre lui sembrava essersi divertito con i suoi sentimenti.
Come poteva esserle amico, dopo quello che le aveva fatto?
Eppure, chiaramente, lo desiderava, altrimenti le sue gambe non lo avrebbero portato lì.
 
«S-S-Scusa… - disse schiudendo appena le labbra, sussurrava così piano che se non avesse avuto la bocca tanto vicina all’orecchio di Yoshida, lei non l’avrebbe potuto sentire – tutto…tutto quello che ho fatto, io… è che…»
“Dio santo” pensò, mentre anche le sue guance, appena scoperte dalla frangetta china sui suoi occhi, si coloravano delicatamente “parlo come un ritardato.”
Le mani di Eri si erano aggrappate alla sua schiena. Ricambiava, sorprendentemente, l’abbraccio. Aveva stretto le dita nella sua camicia ormai zuppa e lo teneva stretto al suo corpo.
«Ti prego… - sussurrò Eri, stranamente sicura – puoi… non cambiare idea, fra due minuti?»
Issei sentì Yoshida concedersi una docile risata, anche se bagnata ancora da orribili lacrime. Anche lui sorrise, divertito, stringendola.
«Ti va bene?»
«Cosa?» Domandò a sua volta con un filo di voce, la ragazza.
«Essermi amica?»
Yoshida non rispose subito ma Issei sentiva quelle dita stringersi più forte sulla sua schiena. «A te v-va bene?»
«Sì.» 

 
 
 
Mentre sedeva sul muretto davanti la scuola, Atsuko notò di essere riuscita a scaricare il lettore mp3 in prestito di Miura. Da quando glielo aveva così gentilmente prestato, si era accorta di non aver mai ascoltato così tanta musica in tutta la sua vita.
Il rock giapponese era piuttosto aggressivo ma per qualche ragione le piaceva, durante il fine settimana lo aveva usato quasi ininterrottamente, inoltre la aiutava a studiare meglio.
Quando vide il simboletto della batteria lampeggiare, prese un colpo
“Oddio, si è scaricato.”
Guardò verso l’entrata, ancora nessuna traccia di Miura. Era arrivata presto proprio per ridarglielo non appena l’avesse visto, invece di farlo in classe, così da non destare strani sospetti tra quegli impiccioni dei compagni.
Ripose immediatamente l’mp3 nella borsa.
Cosa avrebbe dovuto dire a Ryuu?
Magari poteva inventarsi che si era scaricato da solo, in fondo erano passati quasi due giorni da quando glielo aveva dato. Probabilmente, non avrebbe detto niente e se lo sarebbe ripreso, non pensava che potesse importunarla per una cosa del genere.
“Ah, sei una scema Atsuko! Mannaggia!” Salto giù dal muretto. Doveva essere arrivato persino prima di lei, probabilmente.
Vide a chiacchierare con un compagno di classe uno dei pochi amici di Miura. Si avvicinò ambiguamente, picchiettando sulla sua spalla.
«A-Ah? Nomura! – Disse quello, che era saltato in aria dopo il suo tocco – Perché appari a caso?»
Atsuko si grattò la nuca, non pensava di aver fatto qualcosa di strano. «Scusa se ti disturbo, potresti dirmi se hai visto Miura da qualche parte?»
Quel ragazzo non era nella sua attuale classe ma era stata insieme a lei durante gli anni peggiori, tanto che la guardò sorpreso. In qualche modo, avrebbe sicuramente voluto chiederle perché mai cercava proprio Miura, ma non era un tipo particolarmente invadente o maleducato, così sospirò soltanto. «L’ho visto al campo da calcio, prova lì.»
La ex compagna lo ringraziò con un veloce inchino e corse verso il campetto, in genere scappava spesso da sua madre, nei momenti in cui non svolgeva bene i compiti da lei assegnati, per cui era anche piuttosto veloce.
Quando arrivò a destinazione, attraverso l’alta rete metallica che separava il campo dalla zona comune, Atsuko intravide Miura da solo. Manteneva bene la palla col palleggio non lasciandole mai toccare il pavimento. Era bravo, così tanto che lei preferì non disturbarlo, godendosi l’esibizione in silenzio.
Fu Miura ad accorgersi di lei, però, lasciando rotolare la palla via.
 
«Nomura.» La chiamò, avvicinandosi alla rete.
Atsuko arrossì, forse pensava che lo stesse spiando?
«Mi hai riportato l’mp3?»
«S-Sì, ho dimenticato l’ombrello però, te lo restituisco la prossima volta che ci vediamo col gruppo per studiare.»
Ryuu era un ragazzo spesso inespressivo, persino quando le faceva quei così orribili dispetti, non sorrideva mai, chissà perché. In quel momento la guardava senza accennare nessuna emozione.
«Comunque…grazie, per quella volta.»
«Non c’è problema, è il minimo.»
Attraverso i larghi buchi del reticolato, Atsuko passò l’mp3 al legittimo proprietario.
«Ah sì… c-c-credo si sia scaricato.»
Miura abbozzò un mezzo sorriso, forse per la prima volta in tutta la sua vita? «Stai mentendo.»
Rimase abbastanza perplessa.
Perché sorrideva? E come lo sapeva?
«Quando dici le bugie, arricci le labbra in modo strano e distogli lo sguardo – rimise l’aggeggio elettronico nella tasca della divisa, seguendo l’azione con le pupille, per poi rivolgersi nuovamente ad Atsuko – almeno ti sono piaciute le canzoni?»
Atsuko sentì le guance infuocarsi. L’aveva scoperta. In effetti non le capitava mai di raccontare bugie, tranne con sua madre, ma anche in quel caso, quando veniva scoperta (volta per volta), c’era sempre il piano B, correre il più veloce possibile, scappando dalla finestra della cucina.
«Sì… mi sono piaciute.» Strinse ancor di più le labbra, non sopportava di essere stata scoperta da lui.
«Menomale.»
«B-Beh, allora ci vediamo in classe.» Lo salutò con un freddo gesto della mano, tornandosene in fretta da dove era venuta.
“Scema, scema, scema. Non avrei dovuto usare quel coso tutto il tempo.” La cosa che la infastidiva maggiormente era proprio quel cedere davanti a Ryuu, lui non era un compagno qualsiasi. Quello che aveva detto la volta in biblioteca, non poteva certo cancellare il male che le aveva fatto.
Sul momento però, doveva ammettere che aveva sentito una strana dolcezza riscaldarla, e non poteva negarlo. Atsuko non riusciva ad essere una persona cattiva o fredda e quando qualcuno si dimostrava gentile, non poteva che apprezzarlo.
Doveva essere proprio scema.
 
«Nomura.» La chiamò ancora una volta, Miura, impedendole di proseguire.
Atsuko si voltò per metà, incontrando i suoi occhi.
«Se vuoi, posso scriverti qualche titolo di quelle canzoni – davanti al silenzio preoccupato della compagna, Miura prese ad accarezzarsi la frangia bionda e liscia – non lo farò davanti agli altri, non preoccuparti.»
Perché quella gentilezza faceva male dentro al petto?
Atsuko non si era mai sentita in quel modo. Era come se non riuscisse ad arrabbiarsi, restando comunque sulla difensiva.
«Soltanto…di una o due.»
Miura sorrise, nuovamente, provocando l’arrossamento sulle sue guance. Senza dire altro, camminò il più velocemente lontano da lui, non capiva quei sentimenti contrastanti, voleva soltanto dimenticarli.

 

«Hasegawa-kun, hai per caso visto la mia gomma?»
Issei sbuffò distratto, mezzo addormentato sul tavolo, mancava poco al suono della campana per il pranzo. Atsuko rimase allibita, vedendo quei due parlare così tranquillamente.
 
«Eri-chan, andiamo a pranzare sul tetto?» Le domandò, e stranamente, Eri sorrise, sinceramente!
Era felice di vederla di buon umore ma non capiva cosa potesse essere successo. Anche Atsuko aveva notato che non riusciva neppure a guardare nella direzione di Hitomaru, eppure, poteva parlare liberamente con lei e persino con Hasegawa.
Yoshida si alzò per uscire insieme ad Atsuko ma venne fermata da Issei che la bloccò per il polso.
«Lo hai portato, oggi?» Mugugnò, sottovoce.
Eri arrossì, guardando altrove.
Fujihara assisteva alla scena come se stesse succedendo un qualcosa di assolutamente straordinario. Non poteva crederci, a giudicare dalla sua faccia, e per quanto Atsuko non potesse sapere più di lei, ridacchiò compiaciuta. Le stava proprio bene a quella maleducata.
«Un giorno guarirai dalla stupidità, vero?» Issei si sollevò, stiracchiandosi e sbadigliando.
Yoshida non diceva niente ma Atsuko vedeva chiaramente quel curioso sorrisetto sotto ai baffi. Cosa stava succedendo?
Alla fine uscirono senza dire altro, raggiungendo il tetto.
 
Hasegawa rimase nel suo banco, mentre cercava qualcosa nella borsa scolastica, Fujihara non era uscita con le sue amiche, di fatto, in classe erano rimasti soltanto loro due. Lei lo guardava come qualcosa da ispezionare attentamente, Issei era solo infastidito da ciò.
Finalmente lo trovò, il portafogli.
«Che vuoi, Fujihara?» Non ne poteva più di essere osservato.
«Stai davvero frequentando Kyojin?»
La presenza di quella ragazza lo irritava profondamente, ancor di più le sue domande stupide e prepotenti. «Devo forse darti qualche spiegazione? Quello che faccio della mia vita, è un problema mio, giusto?»
«Stiamo scherzando? È una sfigata, avevi degli amici fantastici, come hai potuto scegliere qualcuno come Yoshida o…che ne so, Nomura?» Scoppiò a ridere.
Hasegawa non era così stupido da cedere alle sue provocazioni, cercava di infastidirlo ma per sua sfortuna non ci riusciva. Mise il portafogli in tasca, sarebbe andato al negozio della scuola per comprarsi qualcosa.
«Guarda che sei in tempo per chiarirti con Hitomaru, che stai facendo, Issei?»
«Se vuole chiarire, perché non me lo dice lui?» Si fermò sull’uscio della porta.
Manami incurvò le sopracciglia. «Cosa? Hai anche il coraggio di dire che deve essere lui a venire da te?»
«Sai tu, oppure Hitomaru, non so fate voi, dirmi concretamente e logicamente per cosa dovrei scusarmi con lui? Visto che hai tanto fegato – sbadigliò nel bel mezzo della frase – per importunarmi, senza pensare ovviamente alle conseguenze, riesci anche a connettere quei due neuroni che hai? Magari se unisci gli altri due di Hitomaru, potete arrivare addirittura a una soluzione.»
Così dicendo, uscì.
Non voleva essere scortese, ma visto che ci teneva così tanto ad infastidirlo, non poteva che rispondere a tono.
Si avviò verso il negozio della scuola, ci andava quando scordava a portarsi il pranzo, anche se doveva prepararlo ogni giorno per suo fratello. A volte le porzioni non erano esattamente giuste e bastavano giusto per Naoya, quindi finiva per comprare qualcosa dal negozio, era anche più comodo del portarsi il bento, anche se era pure una scocciatura farsi la fila.
 
Per il corridoio, camminando con le mani in tasca, vide Naoko.
Gli prese un colpo.
Da quella volta sul treno non l’aveva più vista per la scuola.
 
Parlava con delle sue amiche, poggiata ad un termosifone. Anche lei lo aveva visto, fermo in mezzo al corridoio.
Gli occhi di Naoko erano tristi, tuttavia la maschera che copriva interamente il suo volto aveva un’espressione sorridente. Sapeva che quei sentimenti che nutrivano l’una per l’altro non erano ancora svaniti, tuttavia, l’unico modo per lasciarla crescere in pace, era proprio allontanarsi da lei.
Lo aveva fatto per il suo bene e anche se Naoko doveva averlo capito, non riusciva ad accettarlo.
 
Dopo qualche secondo di intensi sguardi, Issei riprese a camminare. Naoko aveva semplicemente distolto lo sguardo, continuando a parlare con le sue amiche. Andava bene così, non parlandosi più avrebbe fatto meno male ad entrambi.
 
Doveva togliersela dalla testa, era qualcosa che andava fatto.
Con quel pensiero in mente, per qualche strana ragione, apparve Eri, quella sera sotto la pioggia. Il suo odore, il suo calore, la sua docile voce che si rompeva a causa del pianto.
“Ma che sta succedendo?” Sbuffò, massaggiandosi la nuca.
 
Arrivato alla mensa, un’altra conoscenza poco gradita, si soffermò su Issei che si era messo in fila, aspettando pazientemente il suo turno. Hitomaru aveva un’espressione di sfida, gli lanciava strane occhiate offese, Issei rispondeva ignorandolo, non gli interessava litigare con quel ragazzo.
Per del tempo, erano stati molto vicini, fondamentalmente, neppure lui si aspettava che potesse essere così meschino, ma visto che lo conosceva abbastanza bene sapeva che aveva capito di aver sbagliato, tuttavia era troppo orgoglioso per ammetterlo.
 
«Due… anzi, quattro nikuman per favore.» Sospirò, pensando che li avrebbe presi anche per Yoshida. Visto che li aveva pagati per lei, non poteva rifiutarsi di mangiarli.
La signora li mise in una busta, erano dei panini cotti al vapore, ripieni di carne e verdure. In genere prendeva quelli perché avevano un buon sapore ed erano sempre caldi, così riscaldavano le mani soprattutto durante l’inverno inoltrato; essendo che ne mangiava due, anche tre se aveva davvero fame, non risultò neanche troppo strano il suo atteggiamento. In fondo non costavano molto.
Pronto a lasciare la mensa, guardò in fine Hitomaru, rispondendo, più che altro per orgoglio maschile, alle sue occhiatacce. Gli stava dicendo di lasciarlo perdere e di non infastidirlo, Hitomaru avrebbe capito.
 
Raggiunse il tetto, arrivando così silenziosamente che Yoshida e Nomura non se ne accorsero neanche.
 
«Eri-chan, per piacere, mangia solo questo! Guarda quanto è carino, è a forma di polipetto!»
Yoshida rifiutava.
Erano entrambe sedute con la schiena rivolta al muro, per terra.
«Va beh, comunque non ho ancora capito che è successo, adesso tu ed Hasegawa parlate molto tranquillamente, vero? – Issei notò una strana pausa, che si concluse con l’esplosione della squillante voce di Atsuko – Ah, non posso smettere di dirti quanto sei carina quando arrossisci! Eri-chan, non è che ti piace Issei?»
Si stava inoltrando in discorsi che non gli riguardavano.
La cosa “giusta” fu nascondersi più silenziosamente, per scoprire cosa avrebbe detto Eri.
“Ma che sto facendo?”
In realtà non avrebbe dovuto impicciarsi in quelle cose, ma una morbosa curiosità voleva essere colmata dalla risposta di Yoshida.
«N-Non so… cosa si prova in queste situazioni, non mi è mai piaciuto qualcuno, forse… sì, alle elementari c’era una persona, m-ma non ricordo cosa si provi. Hasegawa-kun…lui mi piace, mi piace la sua compagnia, ecco.»
Issei scivolò, sedendosi con le spalle al muro, intento a coprirsi il viso, visto che doveva essere arrossito terribilmente.
“È…maledettamente adorabile.”
«E’ un sentimento che…provi solo quando vedi la persona che ti piace, ti batte forte il cuore e vorresti stargli accanto. Non lo hai mai sentito?»
Yoshida si era coperta il viso con entrambe le mani. Non sapeva come rispondere, Issei sbirciava timidamente anche se correva un gran bel rischio. Se Atsuko lo avesse visto, probabilmente sarebbe tornato a casa con qualche osso rotto.
Eppure, troppo concentrato a guardare Eri, non si era accorto che effettivamente Nomura lo aveva scoperto.
Guardava verso di lui con un’espressione stranamente triste.
Che significava?
«Beh, comunque, se non ti è mai successo… è meglio così.»
«P-Perché meglio?»
Nomura lo aveva visto ma non aveva fatto nulla. Sapeva che non aveva qualcosa contro di lui, tuttavia quella sua affermazione successiva gli fece capire come fosse sollevata del fatto che a Yoshida non piacesse in quel modo, Issei.
«Te lo dico perché… - fino a quel momento non aveva spostato gli occhi da Issei, poi tornò a guardare Eri – è meglio non avere quel genere di sentimenti per le persone popolari. Finiranno per complicarsi soltanto le cose.»
«T-Ti è mai successo?»
«Ah… sì, durante i primi anni delle medie. Per fortuna, adesso è tutto passato.»
Atsuko non voleva che Hasegawa piacesse a Yoshida, era ovvio.
Come darle torto.
Voleva soltanto proteggere la sua amica.
In fondo, non piacendo a Yoshida, le cose sarebbero andate soltanto bene. Lui avrebbe continuato a nutrire quei sentimenti per Naoko a lungo e non pensava certo ad un'altra ragazza, in quel modo Eri non avrebbe sofferto.
Però, un po’, gli dispiaceva.
 
«S-Secondo te…Hasegawa-kun è una persona…cattiva?» Domandò Yoshida, guardando Atsuko.
L’amica posò il bento accanto alle gambe, sospirando, per poi sorridere. «Issei è una bella persona probabilmente, credo sia un buon amico, è solo che ha un carattere difficile, ma credo che…il tuo modo di essere lo abbia sbloccato un po’, è solo un tipo per conto suo.»
A Nomura bastava soltanto che a Yoshida non piacesse Issei, per il resto, doveva essere contenta del fatto che aveva un altro amico, a parte se stessa.
Hasegawa aveva appena rivalutato Atsuko. Non era solo una persona stramba e rumorosa, ma qualcuno che poteva indicare a Yoshida la strada meno dolorosa e pericolosa.
Non poteva che condividere il consiglio, anche se un po’ la cosa lo rattristò.
Non provò neanche a chiedersi il motivo di quella malinconia che decise di entrare in scena, scuotendo la busta per farsi notare.
«Guarda che ho portato per una ragazza stupida che non vuole mangiare – sospirò, piegandosi sulle ginocchia davanti alla compagna di banco e aprendo la busta perché potesse prenderne uno – dai, non farti pregare o sembrerà che voglio avvelenarti.»
Eri aveva afferrato la battuta e distogliendo teneramente lo sguardo, sopra alle guance rosate, ne prese uno. Era caldo, lo notò soltanto dopo, visto che iniziò a scivolarle dalle mani, goffamente. Issei lo prese prima che potesse cadere per terra.
«Prendi un fazzoletto, ragazza stupida.»
«S-Scusa…»
«Per cosa ti stai scusando?»
 
Si sedette insieme a loro, mangiando mentre guardava il cielo. Atsuko non aveva detto niente di strano, né si era dimostrata troppo sorpresa della sua presenza, probabilmente le andava bene. Eri aveva degli amici e andava bene così.
«Ragazza stupida, non mangiare così lentamente, ce n’è un altro da finire.»
«Non puoi far mangiare due nikuman interi ad una persona che in genere neppure pranza.» Lo rimproverò Atsuko.
Issei sbuffò. «Non mi interessa, deve mangiarli entrambi.»
«Yah, hai qualche problema col mio bento? Perché accetti il cibo da lui e non da me?!»
Eri arrossì. «N-Non è vero!»
Atsuko le accarezzò la testa come se fosse un cane, ridendo. «Scherzo, scherzo, ma… Hasegawa, tu non porti il bento?»
«Lo dimentico quasi ogni giorno – parlava con la bocca piena, era disgustoso – è più comodo comprare al negozio.»
 
Alla fine, ad Eri ne bastò uno soltanto, ma in qualche modo era una piccola vittoria quella.

 

Si erano rivisti tutti insieme alla biblioteca. Per qualche ragione, non c’era la stessa tensione di sempre tra Nomura e Ryuu, tanto che spesso scambiavano qualche parola durante lo studio, i compagni lo avevano notato ma avevano preferito non impicciarsi, per fortuna.
Atsuko gli aveva restituito l’ombrello poco prima di entrare, senza dirsi niente tuttavia.
«Nomura, puoi dirmi se questo è giusto?» Miura allungò il quaderno verso la compagna di classe, gli altri due erano occupati a leggere e non avevano dato gran peso a quel gesto.
Tra le due pagine vi era un foglietto: i titoli di almeno una ventina di quelle canzoni erano scritti su di esso.
 
Forse lei non se ne era accorta, ma Miura la fissava spesso.
Lo faceva dal primo anno delle medie, ma lei non lo aveva mai notato, lei non ci aveva mai fatto caso. Come criticarla, dopo tutto quello che le aveva fatto.
Ryuu era soltanto un ragazzino egocentrico, non abbastanza maturo per accettare quel così palese rifiuto. Per quel motivo erano cominciate le cattiverie, le burle, i dispetti in classe, gli insulti nei confronti di Nomura, fino a quel giorno, quel giorno che Miura aveva cercato di dimenticare in ogni modo.
Eppure la coincidenza di ritrovarsela anno dopo anno nella stessa classe non aiutava affatto. Nomura non era mai stata così energica e forte, era diversa, e lui aveva assistito passivamente a quella maturazione, fortunatamente positiva, causata da esso stesso.
Ormai era cresciuto e sebbene rimpiangesse la ragazza di cui si era perdutamente innamorato, Atsuko non poteva che essere migliorata. Non importava come ma era felice del fatto che fosse diventata una persona forte e capace, una persona difficile da spingere per terra.
Forse la cosa che faceva più male era il non riuscire a dimenticare quei sentimenti, quel non riuscire a cancellarli per nessun motivo.
C’era qualcosa più forte del senso di colpa che lo legava ad Atsuko.
 
Dopo soli due mesi, dal primo anno delle medie, Miura aveva tinto i capelli di biondo. Aveva deciso di vestire in modo “figo”, teneva la camicia fuori dai pantaloni e quest’ultimi li aveva comprati persino di una taglia più larga così che cadessero meglio sulle sue gambe non risaltando la sua secchezza.
Atsuko, tuttavia, guardava soltanto un ragazzo della terza. Lui aveva i capelli biondi, era alto, vestiva bene ed era sempre circondato da ragazze. Ryuu si convinse stupidamente che quello fosse il tipo di Nomura, così, lentamente, era diventato persino più popolare di lui. Durante il suo sviluppo, tuttavia, non aveva accettato l’essere snobbato da Nomura e l’aveva presa di mira.
Ogni qualvolta che avesse fatto qualcosa di cattivo nei suoi confronti, riusciva a pensarci per giorni interni, anche se ciò, non gli impediva di smettere.
Era probabilmente il ragionamento più stupido che potesse fare.
Avrebbe dovuto parlarle, esserle amico, e forse il sempai sarebbe scomparso.
Doveva proteggerla.
 
Atsuko lo aveva velocemente ringraziato con un’occhiata imbarazzata, prendendo il foglietto con sé. L’aveva posato dentro la borsa, sperava potesse conservarlo. Non si era mai nascosto il fatto che essere nello stesso gruppo di Nomura l’aveva entusiasmato, d’altro canto, era troppo tardi per esserle amico e lo sapeva bene.
Lei era talmente buona da parlargli, nonostante tutto.
Pensando ciò, Miura si accorse di sentire le guance bruciare. Stava arrossendo…comunque, Atsuko, non lo guardava. Atsuko non se ne accorgeva, Atsuko non si era mai accorta di lui.
Se lo meritava.
Prese a toccare la frangetta bionda. Lo faceva ogni volta che si sentiva in imbarazzo, non per forza davanti ad un’altra persona, succedeva in modo del tutto automatico e naturale.
 
Osservando i lineamenti di Atsuko, mentre lei, troppo impegnata a studiare, si concentrava sui libri, Miura sorrideva appena, cercando di non palesarlo troppo. Takeda non era mai stata una ragazza attraente, non era neppure brutta, ma sicuramente non sapeva valorizzare la propria bellezza. Non si truccava, non indossava orecchini o fermargli, non portava neppure collane e non sistemava mai i capelli, sempre gonfi o legati a malapena da piccoli e anonimi elastici.
Eppure, forse per i sentimenti nei suoi confronti, Ryuu la preferiva a qualsiasi ragazza con cui fosse mai uscito. La sua frangetta liscia e corta, sui quei grandi occhi marroni, il suo modo goffo di camminare, il sorriso sempre presente sul suo viso, quel genere di cose facevano battere irregolarmente il cuore di Miura.
Per troppo tempo era stato lui la causa della distanza tra il sorriso e il volto di Atsuko, quando entrambi si appartenevano meravigliosamente fin dall’inizio.
Quella ragazza che inevitabilmente diventava una donna, era bella così per come era, ai suoi occhi. Non c’era niente che non andasse in lei.
Difficile crederci.
 
Quando finirono di studiare, gli ultimi a restare furono proprio loro due.
Atsuko sistemava ancora le sue cose.
«Comunque – disse senza girarsi verso Ryuu – grazie…per le canzoni.»
Miura, colto alla sprovvista, s’irrigidì soltanto mentre toccava nervosamente i capelli. «Te ne scrivo delle altre…se vuoi, non so quale ti siano piaciute, così…in basso ho messo anche i gruppi.»
«Miura-kun – finalmente gli occhi di Atsuko lo incontrarono direttamente – perché fai queste cose? Ci siamo ignorati per un interno anno, allora perché lo fai? Vuoi essere perdonato?»
Ryuu rimase in silenzio. Forse, involontariamente, l’aveva fatta arrabbiare, forse quel genere di attenzioni le davano fastidio.
«Se ti perdono, smetterai di farlo?»
Il suo sguardo era decisamente serio, diverso dal solito. Gli stava chiedendo di lasciarla in pace, tuttavia, Miura era stato attento, aveva cercato in tutti i modi di fare le cose per bene.
Non poteva certo chiedersi perché mai non avesse funzionato, visto che la risposta era ovvia.
«Se vuoi che smetta…posso farlo. Non devi perdonarmi, devi solo chiedermelo.»
Atsuko strinse le labbra, era arrabbiata. «Perché lo fai?»
“Sto solo facendo quello che avrei voluto fare fin dal primo anno” pensò, ma non poteva dirglielo o le cose sarebbero soltanto peggiorate “invece di comportarmi in quel modo.”
«Lo faccio…perché mi va. Hai visto anche tu che non faccio quelle cose… ormai, se è questa la tua paura.»
«Anche se fosse, io non ho più paura – sospirò – volevo soltanto capire se volevi diventare mio amico. Quello che fai, lo fa credere.»
Era stata davvero chiara, non aveva cercato giri di parole o prolungamenti inutili, dicendogli quello che pensava. Anche quel suo modo di fare onesto, lo trovava bellissimo.
Continuava a toccare la frangetta. Non era certo di poter parlare liberamente come aveva fatto lei, al contrario della vittima, il carnefice portava sulle spalle un peso che moderava severamente qualunque cosa uscisse dalla sua bocca, persino una frase detta con sbadataggine avrebbe potuto causare orribili conseguenze, era proprio quello che cercava di evitare.
Anche ammettendole che avrebbe voluto esserle amico, anche ammettendo che voleva sinceramente provare a sistemare le cose con lei, con quale assurda presunzione avrebbe potuto dirlo?
«Se non parli, non posso capire cosa pensi.»
«Potrei diventare tuo amico?»
Dopo una piccola pausa nel più calmo dei silenzi, Atsuko accennò un debole quanto malinconico sorriso. «Se non riuscissimo a perdonare, potremmo considerarci persone?»
Il cuore di Ryuu prese a battere all’impazzata. Perché Nomura doveva essere così gentile? Il suo splendere così tanto lo faceva sentire impotente.
«Perdonare però, purtroppo, significherebbe dimenticare tutto quello che è successo…ma Miura, credo che tu sia abbastanza adulto per capire che i sentimenti cattivi che ci portiamo non possiamo cancellarli in qualche giorno o in qualche settimana…per cui, posso perdonarti, ma non posso dimenticare. Forse, col tempo, diventerà soltanto una brutta cicatrice ormai guarita – sollevò la manica del maglione, mostrando il braccio – e sarà sicuramente così, visto che ho la pelle dura come quella dei coccodrilli – concesse ad entrambi quella piccola parentesi, in qualche modo, allegra, per poi tornare più seria – ma spero che per adesso possa essere sufficiente questo mezzo perdono.»
«Io…»
Non sapeva cosa dire. Voleva restare davanti a lei, voleva che il suo sguardo si concentrasse ancora su di lui, e non per quei motivi futili che l’avevano spinto a diventare l’idiota che era stato, ma perché dentro al suo cuore Nomura aveva trovato una straordinaria maturità per concedergli quella preziosa opportunità e voleva mostrarsi grato.
Era vero, non poteva cancellare quello che era successo, forse non sarebbe stato possibile, d’altra parte, Atsuko, la quale non aveva nessun motivo per farlo, voleva provarci.
«Non m’importa cosa diranno le persone – chiuse la cerniera della borsa – se vuoi parlarmi…a scuola, fallo pure. Sarei una bugiarda se dicessi che non mi interessava, comunque, possiamo cancellare quello abbiamo pensato in questi giorni, dando un nuovo inizio, giusto?»
«Può andare davvero bene per te?»
«Sai, prima le persone prendevano in giro il mio aspetto fisico – ridacchiò, sarcasticamente – adesso, anche se non direttamente, lo fanno a causa del mio carattere. Dicono in giro che sono pazza e che bisogna starmi alla larga, aggiungere una voce o toglierla non credo cambi niente.»
Ryuu strinse i pugni. Sentiva di non star dicendo tutto ciò che avrebbe voluto, ma quelle cose non potevano, né riuscivano ad uscire dalla sua gola.
«Mia mamma crede nello spirito delle persone, lo sai? – Mise la borsa in spalla, pronta ad andare via – Voglio crederci anche io, anche se più che una scelta sento sia un bisogno – si fermò per l’ultima volta, guardandolo – Miura, potrebbe non essere importante per te, potresti anche star giocando, potresti anche aver progettato tutto ciò per ferirmi, però, se la parte buona che c’è in te mi sta ascoltando, vorrei fargli sapere che questa scelta presa oggi è terribilmente dolorosa per me – parlava a labbra strette – ti prego di… non deludere la mia fiducia, è importante per la persona che sarò, un giorno. Guardami, mi sto mostrando assolutamente vulnerabile a te senza ragione, questa è… buona fede.»
Il monologo di Atsuko era stato per Ryuu davvero toccante, tanto che non riuscì più a parlare. Lei era andata via. Atsuko era cresciuta tantissimo da quel giorno. Aldilà del sorriso acceso, aldilà del movimenti strambi e dei discorsi senza senso, Nomura era una persona estremamente profonda e capace di dire quel genere di cose.
Il dolore che doveva aver provato in quegli anni risultava lontano anni luce dalle aspettative di Ryuu. Forse, senza volerlo, aveva sottovalutato quello che aveva passato Nomura, ma davanti al risultato della persona che era diventata, non poteva che ricredersi e colpevolizzarsi.
 
In qualche modo, le lacrime scesero sulle guance pallide di Ryuu. Erano calde.
Non le asciugò, rimase immobile a fissare l’uscita della biblioteca. Non aveva sentito il bisogno di piangere, tuttavia, nel momento in cui ciò era accaduto, per ogni lacrima infranta sulla sua pelle, un peso dei tanti sul suo stomaco, scompariva.

“Per…favore, Nomura, perdonami.


 
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NOTE
So che questo capitolo è sottotono ma credo sia necessario
per continuare la storia, un po' di alto e basso, anche se credo sia anche
quello scritto peggio (kyuh).

Sono felice che la storia stia avendo un discreto successo,
ringrazio tutti quelli che hanno recensito ma per motivi di tempi stretti
per il momento non potrò rispondere.
Il motivo per cui sto cercando di pubblicare più in fretta è perché vorrei regolarizzare 
le pubblicazioni e riprendere a scrivere le altre (abbandonate momentaneamente)
ad esempio pensavo di pubblicare ogni sabato "Quello che non vedevo",
anche perché fortunatamente mi trovo avanti con i capitoli.

Comunque vi ringrazio ancora, immensamente, 
spero vi possa piacere anche questo capitoletto!
Alla prossima!

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Capitolo 4
*** Farfalle blu ***


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«Ah, l’ho dimenticato anche oggi. Sono quasi sicuro di averlo preparato.»
Atsuko, ascoltando i brontolii di Issei, sbuffò sorridente. «Sapevo, sarebbe successo, e ne abbiamo parlato soltanto ieri.»
«Sta zitta, Nomura.» Le fece una linguaccia, rimettendosi accovacciato sul banco, dava l’idea di star dormendo. Aveva appena cercato nella sua borsa il bento, certo di esserselo portato. Dopo averne parlato il giorno prima, era stato più attento con le porzioni e le aveva sistemate nel modo migliore, se non fosse stato per un piccolo dettaglio sarebbe andato tutto bene; lo aveva dimenticato.
 
«Eri-chan, ci vediamo direttamente al tetto? – Aveva chiesto, di buon umore come al solito – Io vado un secondo in aula insegnanti, ok?»
«Certo N-Nomura-kun!»
«Ti ho già detto di chiamarmi Atsuko!»
Issei si voltò verso Yoshida, anche lei compagna di banco, la guardava da uno spiraglio formato dai suoi capelli neri e lisci. Dopo l’affermazione di Nomura, Eri arrossì adorabilmente.
«S-Sì, A-Atsuko.»
“È così carina…imbarazzata.” Pensò, anche se un po’ infastidito dalla cosa, Issei.
La compagna abbandonò in fretta la classe, lasciando soli Eri ed Issei. Nonostante le cose gravi successe in quegli ultimi giorni, proprio quel giorno, Issei non vedeva l’ora che arrivasse la pausa pranzo, non solo per non vedere per qualche tempo la brutta faccia dei professori, quanto perché aveva voglia di stare con quelle sue due nuove amiche.
“Che razza di voglia” sospirò, divertito, Issei “sembro una ragazzina, eh?”
«Ha-Hasegawa-kun… - lo chiamò timidamente Eri, lui non perse tempo a sollevarsi, mostrandole interesse, ma per orgoglio non la guardò subito in volto, stiracchiandosi un po’ – io…oggi, ho…p-preparato il bento…»
Non ne capì il motivo, ma la cosa lo rese di buon umore. Aveva fatto capire a Yoshida di dover mangiare a scuola e di non saltare così nocivamente i pasti, il suo aiuto era servito a qualcosa.
«E-Ecco… avevo soltanto questi – goffamente prese dalla borsa un bento con sopra dei bei fiori di ciliegio, molto stilizzati e graziosi, su una base uniforme di texture che imitavano il legno di ciliegio – questo…è meno femminile d-di quello che ho portato io.»
Issei non capì, inizialmente.
Aveva preparato due bento? E cosa doveva interessare a lui se uno era meno femminile dell’altro?
«Eh?» Fu l’unica cosa sensata che riuscì ad uscire dalla sua bocca.
«V-Volevo…ringraziarti.» Chiudendo gli occhi, avvicinò il bento a lui, il tutto seguito da un cortese inchino. Glielo stava porgendo.
Il ragazzo coprì, come di consueto, il volto con una mano. Sapeva di essere diventato rosso per l’imbarazzo, inoltre c’era una curiosità morbosa che lo stava spingendo ad accettare, giusto per sapere come cucinava Yoshida. Quel pensiero per lui, quella accortezza, quel bento era stato preparato da lei in persona, sua madre non poteva soccorrerla.
Issei allungò una mano, per prenderlo, attento a non scoprire il volto arrossato, sussurrava molto timidamente. «Grazie…»
Eri sorrise, sentendosi ringraziata. Aveva un sorriso dolce e solare, quelle poche volte che decideva di mostrarlo. Eppure non era una persona fredda o chiusa, solo insicura, a parer suo inutilmente, visto che la trovava anche particolarmente graziosa nell’ultimo periodo.
Issei sentì subito una strana presenza avvicinarsi a loro, anche se non aveva distolto lo sguardo neppure per un momento. Yoshida era troppo timida per guardarlo direttamente in faccia.
«Yoshida-kun!»
Era Kata.
Issei si voltò lentamente, come per non dare peso al gesto, ma facendo attenzione a mettere bene in mostra il bento sul proprio banco, l’omaggio gentilmente offerto da Yoshida.
«Potresti…venire con me? Vorrei parlarti un secondo.»
Issei assistette alla situazione piuttosto perplesso. Da quando quel tipo senza fegato aveva il coraggio di chiedere ad una ragazza di seguirlo fuori? Ma soprattutto, perché la cosa gli dava così tanto fastidio?
Kata era di per sé un ragazzo tranquillo, non creava mai problemi ed era una compagnia piacevole, ma per qualche motivo ultimamente la sua presenza irritava terribilmente Issei. In quel momento si era porto verso Yoshida con una gentilezza ammirabile.
Eri annuì, sulla difensiva. Lo seguì fuori.
Hasegawa storse le labbra, non gli era andata proprio a genio quella cosa. Prese il bento, raggiungendo la porta della classe e mettendosi appena dietro per poter guardare ma non farsi vedere. Kata si era messo davanti ad Eri, che al momento dava le spalle ad Issei, inconsapevole del fatto che li stava spiando.
 
«Yoshida…mi sento terribilmente in colpa a sapere che non ti ho aiutato a fare la ricerca – il ragazzo chinò lo sguardo, colpevole – so che hai già finito di farla, vorrei scusarmi in qualche modo.»
«Non è necessario.»
Yoshida era piuttosto fredda con le persone che considerava nemiche, ma dai suoi atteggiamenti i capiva perfettamente che non era una reazione spinta dall’odio, quanto dal volersi proteggere.
«Quel giorno…non ho insistito, sapendo cosa era successo. F-Francamente sono felice, perché adesso, ti vedo parlare più spesso e sorridi, ogni tanto. Significa…che la nostra classe non è per forza un posto da cui scappare, giusto?»
Eri stringeva le gambe, timidamente. Issei si sentiva sempre più nervoso e inquieto, perché mostrava a Kata quelle reazioni così carine? Inoltre lui si era persino preoccupato di osservarla, era certamente felice del fatto che Yoshida si fosse ambientata, finalmente nel suo piccolo angolo di classe.
Conoscendo il soggetto, sicuramente Kata si era preoccupato, tuttavia era troppo spaventato dalla reazione di Hitomaru per reagire e fare qualcosa.
«G-Grazie…per l’interesse.»
Le gote di Kata, unico viso che poteva vedere Issei, si colorarono.
«Grazie… per tutto, ma… non m’importa delle scuse, non più.»
«Mi dispiace…ma, Hitomaru… è fatto così.»
«Beh, allora dispiace a me – parlò con più sicurezza, Eri – per i suoi amici, che hanno a che fare con una persona del genere.»
Senza dire altro era andata via, lasciando in Kata una sensazione, palese dalla sua espressione, di angoscia e pentimento. Era chiaro che Yoshida non volesse niente da lui o da chiunque altro fosse stato, anche passivamente, dalla parte di quelli che l’avevano ferita.
Tornò dentro la classe in fretta, chiedendosi come mai lui andasse bene a Yoshida. Come mai, nonostante non volesse neppure parlarci con quel genere di persone, Issei andasse bene. Era vero, l’aveva trattata male inizialmente, ma poi aveva fatto delle cose gentili nei suoi confronti.
Era…un po’ felice del fatto che avesse scelto lui.
Del fatto che gli avesse dato una possibilità.
Era fortunato.
Quando Eri tornò, Issei finse di non aver sentito nulla, offrendole uno sguardo disattento. «Andiamo?»
Eri annuì soltanto. Non volle parlare. Non capiva come mai, d’altra parte, forse quell’incontro l’aveva messa di cattivo umore. Non era impossibile che quello che le aveva detto Kata l’avesse turbata.
Mentre camminavano l’una di fianco all’altro, per i corridoi, Yoshida non alzò lo sguardo neppure una volta. Si vergognava di andare in giro con il bento? Era lui quello che doveva sentirsi in imbarazzo, visto che sfoggiava quel coso dalle decorazioni rosa con estrema disinvoltura e quasi orgoglio. Inizialmente lo aveva fatto per farlo vedere a Kata, poi aveva preferito non nasconderlo visto che non c’era motivo di farlo.
 
Camminando vide Naoko, nello stesso termosifone del giorno prima. Parlava ancora con le sue amiche ma aveva notato subito la sua presenza, e quindi, anche quella di Yoshida. Lo sguardo era decisamente confuso, non doveva riuscire a spiegarsi perché andasse in giro con un’altra ragazza.
Forse si era messa in quel posto proprio per rivedere Issei, nella speranza che avesse fatto la strada del giorno prima. In effetti il ragazzo non aveva pensato alle conseguenze di quel genere di atteggiamento. Non aveva pensato a fare un’altra strada perché in compagnia di Yoshida.
Naoko non si nascose sotto nessuna maschera, non era semplice delusione quanto disprezzo. Inspiegabile disprezzo. In fondo cosa stava facendo di male, oltre che camminare con una compagna di classe?
Ci pensò soltanto dopo, ricordandosi del bento.
Naoko, che non era particolarmente coinvolta nel discorso delle sue amiche, strinse il volto, chiaro e incorniciato da lunghissime ciocche lisce e brune, in un’espressione sprezzante. Smise di guardarlo subito dopo.
Hasegawa sospirò, infastidito. Come se nulla fosse mai accaduto continuò a camminarle di fronte, ignorandola quasi.
Non voleva fare qualcosa di strano per dimostrarle chissà che cosa. Naoko doveva dimenticarsi di lui e quello era il modo più veloce e indolore. Per quanto non fosse nulla di grave per lui, probabilmente Harada c’era rimasta male davvero.
Dimenticandosi per qualche secondo di chi avesse accanto, Issei si lasciò trascinare in una tempesta di pensieri. Non lo avrebbe dimostrato, probabilmente neanche accettato, ma qualunque cosa stesse pensando Naoko di lui, lo spaventava.
 
«Hasegawa-kun, quella era la tua ragazza?» Fu la prima cosa che gli chiese una volta raggiunto il tetto, Yoshida.
Issei storse le labbra. Come lo aveva capito? Eppure non credeva di essersi comportato in modo particolare. Annuì soltanto dopo. «Ci siamo frequentati per del tempo.»
Voleva darle una risposta leggera e facile da assorbire. Conoscendo Eri, si sarebbe fatta mille complessi come del non camminare insieme o del non parlare ad altre ragazze se aveva una fidanzata.
«Dovresti… nascondere il bento che ti ha o-offerto una r-ragazza, d-davanti a lei.» La sua voce, diventata stranamente docile, quasi tremava, per qualche ragione.
Yoshida non sapeva davvero cosa c’era stato tra lui e Naoko.
«Però… - riprese poco dopo, stringendo le mani, poggiate sul bento sulle sue cosce leggermente scoperte dal modo in cui era seduta, ma ben coperte da una calzamaglia nera e vagamente lucida – non…non voglio che tu smetta d-di parlarmi. A-Anche se sarebbe giusto così, io…»
Le guance di Issei si imporporarono in fretta. «Stai zitta e non pensare a queste cose stupide. Non smetterò di parlarti per non far star male una persona con cui non sto.»
Così dicendo, aveva lasciando una brutta verità salire a galla. Aveva detto che non lo avrebbe fatto per una persona con cui non era più fidanzato, ma nel caso lo fosse stato, allora non si sarebbe fatto problemi a non rivolgerle più la parola, o così pensò di aver fatto capire Issei, data l’espressione triste sul visino tondo di Yoshida.
«Non lo farò comunque, puoi stare tranquilla per favore?»
Per smorzare quella tensione pungente, aprì il bento che aveva messo sulle gambe intrecciate disordinatamente. Aveva fatto del riso, della carne e un uovo decorato con occhi e bocca, fritto e sul riso. Quello di Eri non era uguale, aveva messo delle verdure e del pesce. Aveva tutto una bellissima presenza, anche l’odore era gradevole.
«Sai cucinare, Yoshida?»
«Cucino da tanto tempo per mia madre – disse l’amica mentre usciva le bacchette dalla bustina di plastica morbida – ho imparato per forza maggiore, e poi, per un periodo non mangiavo quasi nulla, mi piaceva cucinare anche per questo.»
Issei prese le bacchette, prendendo un pezzetto di carne. «Sei stata davvero stupida per un periodo. Questo momento appartiene al passato vero?»
«S-Sì!»
Vedendo che non toccava nulla, nonostante l’avesse aperto, Issei si incuriosì. «Perché non lo assaggi?»
«Aspetto che arrivi A-A-Atsuko.»
“Che carina. Diamine.” Issei ripose il pezzo di carne, sbuffando. «Va bene, aspettiamola.»
«T-Tu… tu puoi mangiare!»
«Non sono un maleducato io, ragazza stupida.»


 


«Che fai questo sabato?»
Aveva domandato distrattamente un compagno di scuola ad Issei, era di un’altra classe, mentre guardava sul cellulare, poco prima di andarsene. Conosceva quel tipo si chiamava Jin Koizumi di cognome ed era qualcuno che frequentava fuori dalla scuola, nelle serate in cui decidevano di arrivare fino a Kyoto per farsi un giro. Insieme a lui c’erano altri ragazzi del centro città che conosceva e in effetti era da tanto che non si organizzava qualcosa.
Probabilmente, ciò che lo stranì, fu il fatto che invece di Hitomaru, avevano chiesto proprio a lui di esserci. Forse la sua compagnia era gradita, rispetto a quella di quello sbandato biondo, ottuso come una capra.
«Abbiamo chiesto anche a Miura di venire.»
Ovviamente la notizia lo destabilizzò. Sebbene Miura fosse suo compagno di classe, seduto neanche tanto distante da lui, ormai era addirittura un anno che non si rivolgevano la parola ma ad Issei non piaceva mettere in giro strane voci, inoltre i suoi problemi personali, dovevano restare tali.
«Cos’è, una rimpatriata?» Rise, Issei, sistemando i libri nella cartella.
Koizumi era quel tipo di persona totalmente disinteressata al mondo che lo circondava, non gli importava di importunare le persone perché non ne ricavava bene fisico e mentale. Quel genere di persona che non dà fastidio semplicemente perché non gliene importa nulla.
«Più o meno – distolse lo sguardo dal cellulare, sorridendogli – se vuoi, puoi portare la tua nuova ragazza, come si chiama, Yoshida, vero?»
Come conosceva il suo nome? E soprattutto perché una voce del genere era arrivata alle sue orecchie? Non è che si spaventasse del fatto che avrebbe potuto dirlo in giro, ma la cosa che lo turbava era proprio che lo avesse saputo, non solo perché non era vero, ma perché una cosa del genere avrebbe potuto raggiungere Naoko, vaporizzando quel poco rispetto che provava verso di lui.
«Ok, può essere che io glielo dica, ma lei… non è la mia ragazza. Chi te lo ha detto?»
Koizumi stava poggiato sul bordo della finestra che porgeva sul corridoio, il foro permetteva alla classe di comunicare con quell’ambiente. «Non ci sto pensando, forse…forse Fujihara, è possibile?»
“Lei, sempre lei. “
«Comunque dovresti portarla – si allontanò, divertito – anche l’altra ragazza con cui ti vedo sempre, non so, forse Nomuri? Nomura?»
«Ti faccio sapere.» Lo salutò velocemente con un gesto della mano, uscendo. Voleva raggiungere Eri, così da fare la strada per la stazione insieme, ormai lo facevano ogni giorno, era un tragitto piacevole.
 
Camminando in fretta notò Fujihara a parlare con Hitomaru. Non gli servì avvicinarsi o altro, tanto lei lo avrebbe comunque visto, dato che si era subito girata verso di lui. Non gli servirono neppure parole per fulminarla, il messaggio era chiaro, doveva starsene zitta e farsi un bel po’ di affari suoi.
 
Quando uscì, vide Eri. Si era fermata davanti il cancello, probabilmente lo stava aspettando.
La raggiunse con fare disinvolto.
«Mi stavi aspettando?» Domandò, sorridente.
Yoshida arrossì. «E-Ecco…»
«Andiamo ragazza stupida.»
 
Gli piaceva il fatto che Eri camminasse al suo fianco. Anche senza parlare, era come se gli stesse bene. In quei momenti, insieme a Yoshida, dimenticava la minaccia che incombeva passando il tempo con lei, visto che in quella scuola i pettegolezzi erano parte integrante della giornata scolastica.
«Yoshida, che fai sabato?» Sospirò, Issei, mettendo le mani dentro le tasche durante la camminata.
«Lavoro nel pomeriggio.»
«Tua madre ti lascia arrivare fino a Kyoto? Vengo a prenderti io, così sta più tranquilla… si parla della sera. Dei miei amici mi hanno invitato in centro, puoi dirlo anche a Nomura se ti fa piacere e ti senti più sicura.»
Eri rimase inizialmente senza parole. Doveva essere la prima volta che usciva con degli amici, Issei non poteva saperlo ma dall’espressione carina e sorpresa che aveva fatto lo aveva intuito.
Era sicuramente felice di quella proposta.
«V-Volentieri!»
«Fammi un favore – storse le labbra il ragazzo – dì ad Atsuko che ci sarà anche Miura, così evito seccature.»
«Miura? Il ragazzo biondo in classe?»
«L’altro biondo, quello più alto – rise – comunque sì, lui. In passato hanno avuto dei problemi, comunque non penso che si siano risolti, visto che non si rivolgono la parola da allora.»
Yoshida si morse teneramente le labbra. Doveva essere curiosa ma non voleva chiedere per non sembrare invadente. «C-Comunque… v-verrai davvero tu? Non è necessario! So quale treno prendere per andare a K-Kyoto!»
«Ma non sapresti dove andare, e poi non faccio uscire una ragazza minorenne da sola il sabato sera. Il mondo è pieno di malviventi.»

 


Invaghita da una strana eccitazione che non voleva dimostrare apertamente, Eri aveva fatto tutto ciò che doveva. Ne aveva parlato con Atsuko e insieme si erano messe d’accordo. Lei avrebbe raggiunto la residenza Nomura, facendosi vedere dalla madre di Atsuko, così che potessero scambiarsi il numero di cellulare, in quel caso avrebbe potuto contattare la figlia, visto che non aveva un telefono suo, dopo sarebbero passate al centro commerciale, Atsuko voleva prendere uno shampoo, tornando infine a casa Yoshida per sistemarsi.
Per lei quello era tutto un mondo nuovo e inesplorato. Non sapeva come comportarsi e neanche come vestirsi. Sperava di non far fare brutta figura ad Issei, visto che l’aveva così gentilmente invitata, soprattutto, era stata informata del fatto che quelli erano ragazzi più grandi di loro per cui ragionavano in modo diverso, rispetto agli studenti delle superiori.
Hasegawa li conosceva e sembrava piuttosto tranquillo, probabilmente non le avrebbe chiesto di venire se avesse saputo che si sarebbe potuta trovare male insieme a loro.
Era felice di fare finalmente delle cose normali e adatte alla sua età.
 
«So cosa stai pensando, non smetti di sorridere, comunque uscire con gente che passa i sabati a bere e fumare non è normale – sospirò Atsuko, dopo essersi chiusa la porta d’ingresso alle spalle – però, almeno è divertente.»
«T-Tu sei mai uscita con queste persone?»
«Una volta uscivo con dei ragazzi del doposcuola, gente un po’ fuori di testa, non credo di considerarli miei amici.»
“Probabilmente, le persone devono sapersi arrangiare nonostante le cose brutte che accadano” pensò, Eri, di fianco ad Atsuko che continuava a parlare delle cose che avrebbero dovuto preparare “però, io non ne sono mai stata capace; se non mi avessero salvato Nomura e Hasegawa io sarei sola, proprio come tutti gli altri anni.”
Atsuko era vestita davvero bene, aveva messo dei jeans chiari e sopra una camicia a mezza manica, per sicurezza si era portata una giacca casual cobalto, sembrava una ragazza adulta. Aveva lisciato meglio i capelli e messo un filo di matita sugli occhi. Non perdeva il suo stile ma riusciva a combinarsi piuttosto bene.
Yoshida, più inesperta, era rimasta sorpresa della trasformazione di Atsuko, la quale sembrava muoversi piuttosto bene in quel campo.
Appunto Eri non era sicura di riuscire a vestirsi come una ragazza matura, non sapeva truccarsi e non era mai capitata una situazione simile. Per fortuna Atsuko aveva portato con sé dei trucchi per aiutarla, eppure non era certa che sarebbe riuscita a trovare la soluzione.
«Hai già pensato a cosa mettere?»
Eri strinse le spalle. «Veramente…no.»
«Ho capito, ho capito. Voglio comprare una cosa per te. Visto che sei alta, nessuno penserebbe a prima vista che fai le superiori, allora dobbiamo vestirci in modo un po’ più provocante, che ne dici, Eri-chan? Non ti ho mai vista senza i vestiti di scuola.»
Era diventata tutta rossa. Provocante? Quel termine non esisteva neppure nel suo vocabolario.
La cosa che un po’ la preoccupava era che vestendosi in quel modo, Hasegawa l’avrebbe vista. Non capiva il motivo della preoccupazione ma c’era ed era insistente dentro lo stomaco.
Non voleva metterlo in imbarazzo e neanche sembrare troppo fuori luogo, eppure Atsuko sembrava esperta o comunque ne sapeva più di lei.
«C-Cosa vuoi c-comprare?»
«Ti vedo sempre in calzamaglia a scuola, dovremmo prendere delle parigine, che ne pensi?»
Le parigine erano forse quelle calze alte sopra al ginocchio? Eri avvampò al solo pensiero. Erano davvero fuori la sua portata. Non poteva indossarli, sarebbe stato imbarazzante, ma non riusciva a dire di no ad Atsuko visto che era stata così gentile da pensare a cosa avrebbe potuto mettere.
Si era presa quell’impegno tanto amorevolmente che non riusciva proprio a deluderla.
«Non preoccuparti, Eri-chan, io non sono una stupida – sorrise, sospirando – se sapessi che qualcosa può starti male o metterti a disagio non te lo proporrei neanche, ma visto che le tue gambe non hanno niente di sbagliato, credo che quel tipo di calze siano decisamente adatte a te.»
“Credeva fossi spaventata…e mi ha aiutata. Atsuko è davvero una bella persona, mi chiedo cosa abbia fatto di buono per conoscerla. “
 
Eri stringeva le labbra mentre Atsuko sceglieva le calze più adatte a lei, era talmente impaurita da non riuscire neppure ad avvicinarsi allo scaffale. Per fortuna Nomura pensava a tutto e ogni tanto guardava verso di lei chiedendogli se la fantasia delle calze andasse bene, senza parlare, ovviamente.
Ne scelse, in fine, un paio semplice, nero.
«Penso che queste vadano meglio, solo più lucide e trasparenti.»
Yoshida tremava dalla timidezza, erano trasparenti e avrebbero persino lasciato parte della coscia scoperta. Con quale coraggio avrebbe indossato quelle cose?
Atsuko la trascinò fino al camerino, chiedendole di provarle.
 
Eri, rimasta da sola dentro quello spazio dedicato alle persone che volevano provare il capo prima di acquistarlo, dovette fare i conti con lo specchio. Si guardava attentamente, aveva tolto la calzamaglia che indossava per la scuola, mettendo il prodotto preso da Atsuko.
Le sue gambe sfilavano maggiormente, scoperte.
“Se penso che mi stiano bene, poi alla fine… qualcosa andrà male, vero?” La sua espressione triste non le permetteva di godersi liberamente quel momento di piacere personale.
Erano belle, erano davvero belle.
Le piaceva come scivolavano sulla sue gambe e le piaceva il fatto che poteva sollevarle quasi fino alla coscia, ma certamente, qualcuno l’avrebbe presa in giro quella sera, smantellando completamente ogni suo pensiero positivo.
«Eri-chan, hai finito?» Senza dire altro, Atsuko aprì la tendina del camerino. La cosa inquietante fu il modo in cui la guardò, chiudendo subito dopo.
“Mi stanno così male?” Pensò, rattristata e confusa, Eri, dalla reazione dell’amica.
«Eri-chan, toglile, così le paghiamo – abbassò dopo il tono della voce – non pensavo ti stessero così bene… s-sembri una studentessa universitaria. Fai veloce, se vedono che delle liceali acquistano questo genere di capi ci faranno dei problemi.»
È vero, anche se Atsuko non indossava più la divisa, lei sì.
Velocemente le sfilò, porgendo, con un braccio fuori dalla tenda arancione, il capo a Nomura. Lei andò subito a pagare, mentre Yoshida si rivestiva.
 
Uscendo dal camerino, Eri si guardò intorno, accorgendosi soltanto in quel momento che quel negozio non era un semplice negozio d’abbigliamento, ma vendeva, soprattutto biancheria intima. Lo capì dal manichino con un bellissimo reggiseno azzurro con sui si scontrò.
Prima di capirlo, si era scusata, pensando che fosse una donna.
«Non sei troppo giovane per queste di calze?» Aveva detto una donna, la sua voce era arrivata ad Eri fin dalla cassa, il sangue si era immediatamente congelato dentro alle vene. La signora era piuttosto sorridente, non sembrava avrebbe fatto problemi.
«N-Non così giovane.» Aveva riso, nervosamente, Atsuko.
«Va bene, forza, vai via prima che se ne accorga qualcun altro.»
“Che signora gentile!” Arrossì Eri, guardandola come imbambolata mentre Nomura la spingeva verso di sé, correndo per uscire.
 
«Bene, abbiamo le calze, ora servono i vestiti.»
«N-Non posso permettermi i vestiti!»
«Non devi comprarli, scema. Adesso che arriviamo a casa tua scegliamo gli abiti migliori.»
«A-A-Atsuko-chan, n-non sono troppo e-e-esagerate quelle calze?»
«Non a Kyoto.»
 
Non ci volle molto per arrivare fino a casa sua, dopo aver preso quei due treni. In effetti il trucco di Atsuko si era leggermente sbavato a causa della foga e della fretta che avevano. Hasegawa sarebbe passato alle sette di sera, ed erano già le sei e mezza. Purtroppo Eri non era riuscita ad uscire abbastanza prima visto che proprio quel giorno in biblioteca c’era un gran lavoro da fare, ma pensavano di poter fare in tempo.
 
«Oh cielo! Una nuova amichetta di Eri?» Aveva esultato sua madre, vedendo Atsuko entrare.
L’amica rivolse alla donna un bellissimo sorriso. «Signora mamma di Eri-chan, finalmente la incontro! Che piacere immenso, non può sapere!»
Eri si grattava nervosamente la nuca. Quelle due sembravano estremamente simili. «Amh…»
«Lei ha fatto un lavoro straordinario con Eri! Se fossi stato un ragazzo l’avrei sposata all’istante, lo sa? Non solo è così graziosa ma è anche una persona purissima, per questo devo ringraziarla di cuore, signora mamma di Eri-chan!»
“Non ho ancora detto a mia madre che sarei uscita.” La cosa un po’ la turbava visto che avrebbe lasciato la madre da sola per tutta la notte, ma in qualche modo sapeva che non le avrebbe impedito di uscire. Potevano comunque restare in contatto dal cellulare.
“È vero, la cena! Devo preparare la cena alla mamma!”
«Oh, ma sei proprio un’adulatrice, eh? Come ti chiami giovane fanciulla?»
«Mi chiami Atsuko, la prego.»
«Io sono Irene, Atsu-chan!»
«Neanche sua figlia mi chiama in modo così carino!»
Eri doveva mettere fine a quella strana situazione, sbrigandosi. Non voleva far aspettare Hasegawa.
«Mamma, senti…»
«E’ vero, Irene-kun, stasera volevamo uscire con dei compagni di scuola, può venire Eri-chan?»
La cosa che non si sarebbe aspettata era proprio l’espressione contraria sul volto di sua madre. Sembrava decisamente preoccupata. Non credeva che sua madre potesse irrigidirsi tanto davanti ad una proposta del genere.
«Compagni di classe? Dove andrete?»
Atsuko era in difficoltà. «E’ un posto vicino la scuola, un karaoke.»
In quel preciso momento, suonarono al campanello.
Tutto si complicava. Doveva essere Issei ma perché era venuto con trenta minuti di anticipo?
La verità era che l’errore lo aveva fatto Eri, pensando che sua madre non le avrebbe detto niente per l’uscita. Forse non se la sentiva di restare a casa senza Eri? Anche perché magari il sabato era un po’ pericoloso rimanere da soli.
Yoshida sospirò, andando ad aprire. Era lui.
Fu impossibile non arrossire.
Issei era totalmente diverso dal solito. Parte della sua frangetta scura era stata raccolta dietro da fermargli, indossava pantaloni larghi e una maglia attillata sotto ad una felpa, di quelle americane, con le maniche bianche e il resto rosso, sopra vi erano anche delle scritte in inglese, cucite volontariamente amatorialmente.
Raccogliendo i capelli, scopriva parte delle orecchie piene di piercing. Nel lobo c’era un orecchino nero largo che catturò immediatamente l’attenzione di Eri.
Le mancava il fiato.
Perché il suo cuore batteva così forte?
 
«Hai dato il meglio di te, Hasegawa, vero?» Sorrise imbarazzata, Atsuko, portando il peso della discussione avvenuta poco prima sul nuovo arrivato.
«Hey, Nomura. Ah scusami Eri – l’aveva chiamata per nome? Aveva sentito bene? – ma sono arrivato un po’ prima, spero non sia un problema per tua madre se resto qui mentre ti prepari. Oh, Irene! – Si avvicinò alla donna, prendendole le mani e sorridendo – come sta? Non ci vediamo da quella volta.»
«Mocciosetto, sono stata una ragazza anche io – interruppe il loro contatto – stai facendo il bello con me per convincermi a far uscire Eri?»
Issei si voltò verso l’amica, la guardava come se volesse ucciderla. Lui non sapeva che Yoshida non aveva ancora avuto il permesso di uscire, quindi era sembrato piuttosto viscido con lei.
«Mamma, lui non sapeva che non potevo andare. Non l’ha fatto per questo.»
L’aveva salvato, in calcio d’angolo.
«Ah, comunque non ho detto che non puoi andare – sospirò, lei – solo che non mi piace sapere le cose all’ultimo. Per questa volta passa, ma la prossima volta che devi uscire voglio saperlo almeno tre giorni prima.»
Tutto sembrò prendere una piega positiva. Eri sorrise, correndo incontro alla madre, per abbracciarla. Lo fece delicatamente, prima di poterle fare davvero male. «Grazie, grazie, grazie tanto!»
Atsuko e Issei si diedero il cinque, anche non vedendoli Eri aveva sentito i loro palmi battere.
«R-Ragazzi, io dovrei preparare la cena a mia madre, ci m-m-metto poco – evitava lo sguardo di Issei, non solo perché il suo aspetto le faceva sentire uno strano caldo, ma anche perché sapeva di essere in ritardo e non poteva farci niente – lo p-prometto!»
«Ah, Eri-chan, sei così carina che non posso neanche restare arrabbiata con te – sbuffò, imbronciata, sua madre – va a prepararti, ci penso io, al massimo ordino qualcosa, ok?»
«N-No… ne abbiamo parlato tante volte.»
Sapeva di essere testarda ma non poteva permetterle di mangiare cibo poco salutare e non poteva neppure lasciarla cucinare visto che anche solo scottandosi o tagliandosi la sua situazione fisica sarebbe potuta peggiorare.
«Ci penso io, avanti – sospirò, divertito, Issei, mentre toglieva la giacca, scoprendo una canottiera nera e stretta contro il suo addome, ciò risaltava le sue spalle larghe – Atsuko, aiuta Eri e fate in fretta. Qui il cuoco è molto veloce.»
Irene aveva incrociato le braccia al petto, sorridente. «Va bene, mi sa che dovrò accettare, almeno c’è lo spettacolo.»
Nomura assisteva alla situazione come se stesse accadendo qualcosa di estremamente stupido.
Senza pensare ulteriormente, salirono in fretta fino alla stanza di Yoshida.
 
«Eri-chan, la tua camera è uscita forse da… una casa delle barbie? Non ho mai visto tante cose rosa.»
Anche parlandole, Yoshida era strana, almeno da quando era arrivato Issei. Sembrava assente. In effetti l’unica cosa a cui pensava era quella di sbrigarsi per non far aspettare Hasegawa, anche se al tutto si aggiungeva uno strano entusiasmo e tante paure.
«C-Cosa dovrei mettere?»
Atsuko iniziò a massaggiarsi il mento. «Non puoi indossare quelle calze per uscire, devi metterle quando usciamo.»
Aveva ragione. Non poteva farsi vedere da sua madre vestita in quel modo.
Non pensava che avrebbe vissuto così intensamente la sua prima uscita.
«Abbiamo poco tempo, Eri-chan, fammi vedere i tuoi vestiti. Preparo tutto io, ok?»
Yoshida, sconfitta da quel fato così crudele, le indicò l’armadio.
Atsuko prese le cose, probabilmente, più inadatte. Eri non le avrebbe scelte volontariamente. La gonna a pieghe, rossa, era troppo corta e il maglione nero era troppo attillato. Perché voleva vestirla in quel modo?
«Lascia questa calzamaglia, per il momento – lanciando disordinatamente i vestiti sul letto, prese le estremità della camicia scolastica, sfilandola il più delicatamente possibile (anche se sarebbe bastato sbottonarla) – yah, Eri-chan, mi fai arrabbiare, lo sai?» Atsuko gettò la camicia su una sedia, distruggendo l’equilibrio ordinario di quella stanza.
«C-Cosa p-pe-perché?» Yoshida era stata violentemente spogliata dalla sua amica che cercava di farla sbrigare.
I seni prosperosi di Eri non passarono certo inosservati agli occhi della “meno fortunata” tra le due amiche. Il reggiseno metteva particolarmente in risalto la mercanzia di Yoshida.
«Quasi neanche mi serve indossare il reggiseno, per questo.» Borbottò, fingendosi offesa, mentre le lanciava la gonna. Eri aveva tolto quella scozzese, gialla, della divisa scolastica, infilando quella rossa.
«S-Senti, ma c-come dovrei… i-indossare le calze fuori?»
«Ti copro un secondo e lo fai!»

 


«Quindi – iniziò a parlare Irene, vedendo Issei muoversi familiarmente attorno ai fornelli, mentre lei lo osservava con una mano sotto al mento, compiaciuta da quella vista – dove andrete?»
Issei si paralizzò.
Beccato.
«E-Eri non le ha detto niente?»
«Veramente non c’è stato il tempo.»
«N-Non lo sappiamo ancora… forse mangeremo una pizza.»
«Dove?»
Quel ragazzino stava cercando di prenderla in giro e la cosa era piuttosto evidente, non solo perché la sua versione non combaciava con quella dell’amichetta di Eri, il suo temperamento nervoso e vago la diceva lunga.
D’altra parte, lui era consapevole della fossa che stava scavando per se stesso, sebbene non volesse comunque cedere.
Voleva davvero che Yoshida uscisse con loro?
Lasciò il riso sopra, sedendosi di fronte ad Irene. La guardava negli occhi.
«Si fida di me?»
«Se mi dici le bugie, no.»
Issei sospirò, sorridendole, con fare piacente. «Irene, io proteggerò Eri anche se andassimo in capo al mondo, lo capisce?»
La donna gli accarezzò il viso. «Ne sono sicura, solo che continui a divagare sul dove diamine avete intenzione di andare.»
Hasegawa rabbrividì.
«Eh va bene, abbiamo appuntamento con dei ragazzi della scuola a Kyoto, non so cosa sappia ma questa è la verità al cento per cento – si era grattato i capelli, attento a non smontare quella costruzione di forcine e gel – sono sicuro che non glielo abbiano detto perché si sarebbe preoccupata, ma ci sono io, posso proteggerla, davvero.»
Irene sorrise. «E’ carino che tu sia venuto fin qui per non farle andare da sole.»
«Sono un gentiluomo, cosa pensa?»
«Va bene, a me sta bene, ma voglio che lei mi dica la verità le prossime volte… a dirla tutta – guardò verso le scale, non c’era ancora l’ombra delle due amiche – sono felice che esca con i ragazzi della sua età, inoltre, questa sua nuova amichetta mi sta davvero simpatica, anche se sembra un po’ svitata. Proprio come piacciono a me, le persone.»
Issei soffocò una risata, sentendo la definizione di Nomura.
 
Parlare con Irene era stato piacevole. Non capiva perché si sentisse così legato a quella donna, eppure, per le poche volte che l’aveva vista, quella gli era sembrata la personificazione esatta della madre, il genere di persona che mancava nella sua famiglia.
Yoshida era fortunata ad avere una persona del genere in casa, qualcuno che si preoccupava per lei, ma riusciva a capire anche quando dare fiducia alla figlia per non tapparle le ali.
«Non ti nascondo che mi tremano le ginocchia al solo pensiero che la mia bambina possa arrivare a Kyoto tutta sola… non faccio che pensare al fatto che non potrei aiutarla se avesse qualche problema, che non potrei andare a recuperarla nel caso perdesse il treno, né potrei salvarla dalle mani di qualche delinquente… per cui, se non fossi venuto, non credo l’avrei lasciata andare, non ho creduto alla questione del karaoke fin dall’inizio.»
“Karaoke? Le hanno detto così? Reggeva perfettamente. Potevo anche arrivarci senza saperlo, che stupido.”
«Sai, con questi vestiti non sembri neppure un sedicenne.»
«Ho già compiuto diciassette anni, comunque.»
Irene aveva un’espressione confusa. «Hai perso un anno?»
«No, no, da bambino avevo dei problemi di salute, quindi ho cominciato il mio percorso scolastico un anno dopo, rispetto ai miei coetanei, ma in realtà, questa cosa non la conosce nessuno a parte la mia famiglia e lei.»
La donna sembrò toccata. Si era aperto con lei, rivelandole una strana realtà, non così preoccupante ma decisamente personale.
«Capisco. Quello che volevo dire – fece il possibile per non dar peso a quello che aveva detto, superando il discorso come se non avesse importanza, Issei aveva capito che lo faceva per non farglielo pesare – è che penso tu possa proteggere quelle ragazze… non ho motivo di fidarmi di te, ma sai, non posso neppure costringere Eri a restare in casa, altrimenti, che razza di genitore sarei – i suoi occhi erano diventati tristi come quella volta – sono impotente. Vorrei proteggerla ma nonostante tutto, non credo di avere il diritto di impedirle di vivere visto tutto quello che fa per me. So… che se le dicessi di farlo, lo farebbe e non me ne vorrebbe neanche, tuttavia, puoi capire che sarebbe una cosa orribile da parte mia. Per questo, mi sembri l’unica ancora a cui aggrapparmi… ho una paura tale da sentire i muscoli del corpo irrigidirsi ma… Eri deve andare.»
Così premurosa, così attenta, così giusta, Irene era davvero la madre che Issei non aveva mai potuto avere. Perché lamentarsi? Sua madre era in ottima salute, ancora per poco probabilmente, mentre Irene era la causa di tutte quelle costrizioni per Yoshida, ma alla fine, una volta tornata a casa, Eri avrebbe trovato una madre amorevole, al contrario di lui.
Sospirò, stringendo i denti, arrabbiato. Non era giusto.
«Non le accadrà nulla, davvero. Andrà tutto bene e gliela porterò a casa sana e salva.»
Irene gli accarezzò i capelli. Sentendo quel contatto, ad Issei venne la pelle d’oca, era quel gesto che sua madre non aveva mai fatto. Era stata delicata, attenta a non distruggere la capigliatura, riuscendo comunque a far sentire il calore del suo palmo al corpo di Hasegawa.
«Scusami, Issei, se ti addosso tutte queste responsabilità.»
«Io… ho sempre detto ad Eri che non faccio cose che non mi va di fare. Non è semplice strafottenza. Preferisco impegnarmi per le cose che mi interessano.»
«Ti interessa proteggere Eri?»
Le gote di Issei si colorarono. Nascose immediatamente il viso sotto la mano. «S-Sarà.»
 
Dei passi raggiunsero la cucina. Issei era tornato a preparare la cena ad Irene, non facendo caso effettivamente alla situazione. Voleva soltanto preparare dei piatti belli da vedere quanto buoni.
Voleva piacere davvero ad Irene.
«E-Eri… SEI ASSOLUTAMENTE BELLISSIMA!» Aveva urlato la donna, sconnettendo Hasegawa dai fornelli per spingerlo a girarsi.
Yoshida si era fermata sulla soglia della porta, teneva lo sguardo basso e le ginocchia strette per l’imbarazzo. Issei non poté che restare a fissarla, come stregato. Atsuko le aveva legato i capelli in una treccia sulla spalla, lasciando la frangetta libera sulla fronte. Le aveva fatto mettere una maglioncino leggero, nero, ma piuttosto attillato e con una scollatura matura. Sulle spalle aveva una giacca del medesimo colore e sotto il tutto vi era una gonna a pieghe, rossa. Le sue scarpe erano simili alle converse ma leggermente rialzate, come con una specie di tacco quadrato – lui non se ne intendeva – e alte come degli stivali un po’ sopra la caviglia.
La cosa straordinaria era probabilmente il modo in cui era truccata. Il trucco leggero sugli occhi e quel rossetto rosso che risaltava le sue labbra carnose, rendendole lucide alla vista, tutto ciò le stava d’incanto.
Probabilmente stava arrossendo, per sicurezza si coprì il volto.
«Ma quella gonna non è troppo corta?»
Irene se n’era accorta dopo ma Issei lo aveva notato subito. Le sue gambe risultavano lunghe e ben delineate da quella calzamaglia nera che spezzava il rosso acceso dei vestiti.
Era corta.
Troppo corta per andare a Kyoto, con i ragazzi che c’erano.
Sembrava un’altra persona. Una bellissima ragazza che risaltava le sue curve più morbide di quelle delle ragazze comuni, diversa dalla ragazza graziosa nascosta dagli abiti larghi che indossava a scuola o di consueto.
«Irene-kun, ho fatto un buon lavoro? È vero la gonna è corta ma non le sta benissimo? Lasciarla nell’armadio era un peccato.»
«Sei stata fantastica, Atsu-chan!»
Sembrava un discorso tra ragazzine, più che tra una madre e una studentessa.
«Non dici niente, Issei?» Lo chiamò, Irene, ridendo.
«Stai bene.» Mugugnò sotto la mano, velocemente, tornando poi in cucina.
 
Sentiva la testa esplodere. Yoshida era bellissima vestita in quel modo. Lo infastidiva sapere che uscendo chiunque avrebbe potuto guardarla. Cos’erano quelle sensazioni così strane?
“Naoko, Issei, devi pensare a Naoko.” Si disse, sospirando, ma solo poco dopo ebbe una rivelazione. Perché doveva dirsi di pensare a Naoko, se dimenticarla era proprio il suo unico obiettivo?
Inoltre, a che gli serviva pensare a Naoko? In fondo, non c’era niente di male nel trovare Yoshida bella, lui era pur sempre un ragazzo, un ragazzo libero di pensare le stesse cose che avrebbe potuto pensare chiunque altro, nella sua situazione.
“Non voglio che pensino che Yoshida è bella.” Pensò, ancora, infastidito.
 
«Irene, la cena è pronta. L’ho coperta con la pellicola così resterà calda per un po’, può mangiarla quando preferisce.»
La donna gli diede ragione, come se le avesse ricordato qualcosa. «E’ vero, Eri-chan, non so per quanto tempo resterò sveglia ma se dovessi addormentarmi prima del tuo ritorno – da un cassetto prese qualcosa – tieni, sono le chiavi di casa.»
Yoshida sembrava così felice di quel gesto. Forse finalmente si sentiva un’adulta, Issei aveva le chiavi di casa e probabilmente anche Nomura.
Hasegawa rimise in fretta la giacca. «Bene allora noi andiamo.»
«Non tornate oltre l’orario dell’ultimo treno o picchierò qualcuno di voi, e ovviamente, intendo te, Issei caro – gli diede un bacino sulla spalla, visto che non arrivava lontanamente alla sua fronte – comunque grazie per la cena!»
Issei era troppo alto per essere un ragazzo di soli diciassette anni, ne era certo.
 
Dopo essersi salutati tutti, iniziarono a camminare per la stazione. Atsuko ed Eri parlavano gioiosamente alle sue spalle ma lui non era riuscito a rivolgerle la parola neanche per un secondo, dato che avrebbe dovuto guardarla. Non riusciva ad accettare quell’abbigliamento così provocante.
 
«Hasegawa, puoi aspettare un secondo? Dobbiamo fare una cosa.» L’aveva chiamato Atsuko.
Issei si girò subito ma erano già scomparse.
Riusciva ad intravedere la testolina di Nomura dietro un cespuglio. Stavano… facendo pipì? Ma erano appena uscite di casa!
Sbuffando, incrociò le braccia al petto, cercando di guardare altrove. Non voleva passare per un guardone.
«Ecco qua, sei ancora più bella Eri-chan, così!»
“Cosa? Che è successo?”
Parlavano dietro al cespuglio.
«S-S-Sicura? N-Non si vedono t-t-troppo le g-gambe?»
Issei sentì uno strano bruciore arrivare fino alla testa. Non capiva di che stessero parlando ma non sembrava nulla di buono.
«Te lo puoi permettere, Eri-chan! E poi non preoccuparti, c’è Atsuko che ti protegge se qualcuno ti dà fastidio.»
«M-Mi potrebbero… p-prendere in giro?»
«Non… non intendevo proprio questo per “darti fastidio” … tu non preoccuparti ed esci fuori che è tardi!»
Quando seguì l’ordine, o consiglio, dell’amica, Issei dovette rendere conto a quel genere di stupide sensazioni dovute alla pubertà, sentire quei bruciori su per tutto il corpo, involontariamente.  Eri aveva cambiato le calze, mettendone un paio più corte, così che le cosce fossero scoperte, alte un 10cm sopra al ginocchio, vagamente trasparenti e lucide.
«Che c’è, Hasegawa? Sembri infastidito.» Domandò, ridendo sarcasticamente Nomura.
Yoshida, sentendo quelle parole, si coprì il volto. «T-Te lo avevo d-detto che l-lo avrei m-m-messo a d-disagio…»
“Si sta davvero preoccupando di questo?” Issei arricciò le labbra, irritato. “Che carina, santo dio.”
«Non sono infastidito – deglutì, cercando di cacciare via l’impreparazione ad una vista del genere – a-anzi, Yoshida… tu stai davvero bene così. E smettila con i complessi, almeno stasera.»
Non gli andava di aggredirla, voleva che si sentisse a suo agio. Non era certo l’unica ragazza di sedici anni a vestirsi in quel modo, che poi, non era neanche così volgare, anzi, molto alla moda. Molte ragazze a Kyoto vestivano così, anche più giovani di lei, il vero problema era quello di restare calmo davanti a lei.
Un pensiero che lo divertì, in quel momento, fu chiedersi se Hitomaru avrebbe detto “brutta” a Yoshida, vedendola vestita in quel modo. Che ragazzo idiota.
Comunque Yoshida era bella anche senza tutte quelle cose.
Andava bene per com’era.
Non servivano proprio quei vestiti.
 
Arrivati alla stazioni si sedettero aspettando il treno per Kyoto.
«Anche io penso stia davvero bene. Magari Eri-chan conosce un bel principe di Kyoto e si innamorano, no?»
“No.” Pensò Issei, evitando di dirlo.
«A-A me non i-interessa questo. M-Mi basterebbe…c-conoscere gente s-simpatica.»
Era soddisfatto di quella risposta.
«Comunque, Nomura, non ti importa del fatto che stasera vedrai Miura? Sicuramente verrà.»
«Veramente me lo ha chiesto anche lui di venire – sorrise la ragazza, lasciando Issei a bocca aperta, consapevole di quello che era successo tra di loro, non capiva come potesse essere successo – sarà con la sua ragazza, mi sembra. Nell’ultimo periodo, grazie al gruppo di studio, abbiamo fatto… forse, amicizia. È diventato un’altra persona dai primi anni delle medie, lo sapevi Hasegawa?»
Conosceva Miura dal primo anno. Erano stati amici stretti, in effetti, anche se a causa di Naoko, si erano persi.
«Non è mai stato uno stronzo alla Hitomaru, a dirla tutta, solo che al tempo non pensava quando faceva le cose.»
Atsuko aveva chinato lo sguardo, quello che aveva detto l’aveva ferita. Per quanto al tempo si era tenuto fuori dalla situazione, anche Issei sapeva quanto male le avesse fatto e forse parlare così a sproposito era stato poco rispettoso verso Nomura.
«Immagino che trovandosi contro, tutta la scuola, praticamente, sia maturato bruscamente. La vita ha ripagato le ferite che ti ha causato, colpendolo direttamente in faccia.»
«Che vuoi dire?»
«E’ arrivato il treno!» Indicò loro, Yoshida, totalmente estranea al discorso.




 
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Capitolo 5
*** Fiocco ***


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Gli occhi di Yoshida così luminosi brillavano alla vista della Kyoto notturna, quella era probabilmente la cosa più bella da vedere in quel momento per Issei, che da quando erano arrivati non era riuscito a toglierle gli occhi di dosso.

Avrebbero raggiunto dei suoi amici, qualcuno di loro probabilmente Nomura lo conosceva. Il vero piano era quello di andare in un pub con quei ragazzi, si sarebbe esibito un gruppo piuttosto vicino ad Issei, visto che per un piccolo periodo aveva suonato con loro.

Era una passione che non aveva mai coltivato più di tanto, il basso. Gliene aveva regalato uno Naoko, voleva che imparasse a suonarlo e lui l’aveva fatto, inizialmente non con grande entusiasmo. Alla fine aveva visto che la cosa gli piaceva ed aveva continuato. Naoko gli aveva presentato un suo amico, Eichi, un ragazzo nomade che aveva vissuto per la maggior parte del tempo a Kyoto, ma era originario della stessa prefettura di Yoshida, più o meno vicino la sua.

Eichi era davvero un grande. Frequentava la scuola ma riusciva a star dietro a quell’impegno così importante come una band che si esibiva in molti locali, venivano persino pagati per quello.

Poteva far parte anche lui di quella famiglia ma a causa della distanza e della difficoltà nel raggiungere Kyoto ogni giorno, per prove e incontri, aveva rinunciato.

Non c’erano rimpianti in lui se non un po’ di tristezza.

Non avrebbe più suonato il basso, in ogni caso, visto che aveva iniziato proprio per far piacere alla sua ex ragazza.


 

«Menomale che mi hai detto di portare la giacca – aveva sorriso Yoshida, parlando ad Atsuko, mentre strofinava una mano sul braccio opposto – in città fa davvero freddo, eh?»

«Ti scaldo io, Eri-chan!» Le si buttò addosso, stringendola.

Issei aveva intravisto il ragazzo che lo aveva invitato, Koizumi. Stava fumando una sigaretta. Lo raggiunsero in fretta. Sedevano tutti sotto un albero, le radici erano contenute da una sorta di panchina circolare in cemento. C’erano diverse conoscenze, tra cui Miura, quella che doveva essere la sua ragazza sedeva sulle sue gambe, mostrandogli qualcosa dal cellulare.

«E’ arrivato Hasegawa?» Aveva chiesto una ragazza in fondo.

«Sì, cazzo, non lo vedevo da mesi! Ma che fine avevi fatto Hasegawa?»

Conosceva quasi tutti.

«Hasegawa, hai portato due splendide donzelle con te, eh?» Aveva detto Koizumi, tirandogli una violenta cozzata.

«Guarda che sono Nomura e Yoshida.»

La faccia di Jin era sconvolta. Probabilmente non aveva osservato bene le due studentesse per poterle riconoscere ma nei pochi momenti che le aveva viste non doveva averci prestato particolare attenzione.

Issei aveva un qualcosa di ironico e saccente dipinto in volto.

«Nomura? Yoshida?» Chiese, sorpreso.

Stava guardando anche troppo le due ragazze, per i gusti di Hasegawa. Pensando a quanto la cosa lo infastidisse, Miura si sollevò, camminando verso di lui, ma sorpassandolo freddamente, per raggiungere le amiche. Issei si era immediatamente voltato.

«Sei venuta, quindi!»

Atsuko aveva distolto lo sguardo orgoglioso. «Non volevo lasciare Eri-chan da sola.»

Miura le aveva arruffato gentilmente i capelli, non aveva un’espressione decifrabile, piuttosto anonima fino a quel momento. «L’importante è che tu sia venuta, immagino – si girò verso Yoshida, sorridendole – è bello vederti fuori dalla scuola, stai molto bene con questi vestiti.»

Issei sentì uno strano istinto nel volerlo picchiare, ma ci aveva pensato Atsuko a spingerlo lontano dalla preziosa Yoshida. Lo guardava come un nemico. «Sei qui con la tua ragazza, non ti vergogni?»

«Kanna è solo un’amica.»

«Comunque, non osare mettere i tuoi occhi sulla mia Eri-chan! Te li caverò!»

Koizumi era apparso improvvisamente dietro Nomura, poggiando i suoi palmi sulle spalle piccole e sottili della ragazza. «Nomura, dovrai dare del filo da torcere ad ogni ragazzo qui, se non vuoi che guardino Yoshida.»

Issei sbuffò rumorosamente.

«Non importa, mi basta che sia Miura a farlo. Mantieni le distanze di sicurezza, Miura-kun.»

«Sei stupida, Atsuko – sospirò il biondo, mettendo le mani in tasca – sono l’unico qui che non ha cattive intenzioni e temi proprio me.»

Yoshida moriva di imbarazzo per quello che stava succedendo, talmente tanto da non riuscire neppure a parlare. Le sue guance si erano colorate splendidamente di rosa, inoltre, stringeva forte le mani attorno al manico della borsetta che aveva portato.

Tossendo avrebbe catturato l’attenzione di tutti, spostandola dalla povera Eri che non sapeva ambientarsi affatto. Così fece.

Era adorabile.

«Allora, ci muoviamo? Andiamo da Eichi oppure no?»

«Che c’è Issei, non vuoi che facciamo conoscenza?» Aveva scherzato un altro ragazzo, passandogli accanto e stampandogli cinque dita sulla nuca. Il prossimo che avrebbe colpito il suo corpo, anche per sbaglio, lo avrebbe fulminato sul momento.


 


 

«Sapete come arrivare al pub? Non ho mica capito dove si trova.» Koizumi si era acceso un’altra sigaretta mentre camminavano per la meta. In testa vi erano due ragazze (mai viste) e un vecchio amico. Non parlavano spesso ma questo non impediva loro di considerarsi tali.

Issei notò che mentre Atsuko si era messa a camminare con Miura, il suo piano, probabilmente, era evitare che potesse avvicinarsi a Yoshida, proprio quest’ultima era rimasta poco più indietro. Teneva il passo quanto le distanze. Non sapeva come aiutarla.

La aspettò, rallentando, finché i loro corpi non si allinearono, come a scuola.


 

«Che ne pensi? Sono gentili, no?» Sospirò, fingendo disinteresse.

«S-Sono divertenti…»

Yoshida camminava sempre a testa bassa, Issei non ne capiva il motivo. Forse era soltanto abitudine. Si era girato verso di lei, guardandola un po’, prima di mettere in atto ciò che aveva in mente. Nonostante non fosse niente di importante, non capiva perché il suo viso si era accaldato e il suo cuore aveva preso a battere.

Sbuffò, tutte quelle strane reazioni lo infastidivano.

Poggiò la sua mano sui morbidi e mossi capelli neri di Yoshida. Stranamente, nel momento in cui la toccò, sentì un brivido partire dalla punta delle dite per finire alla fine della schiena.

«Voglio che ti… c-che ti diverta stasera, quindi rilassati…ok?»

Yoshida lo stava guardando così dolcemente che non sapeva cosa pensare. I suoi grandi occhi chiari si erano soffermati su di lui. Lo ringraziava senza parole, anche se non era certo del motivo.

Anche dopo aver interrotto il contatto, Issei riusciva a sentire la morbidezza dei capelli di Eri sulle dite. Era una sensazione sorprendentemente bella.

«Sei… sempre tanto gentile. Non ti ho neanche r-ringraziato per aver cucinato per mia madre.»

«So che mi sei grata, ragazza stupida, ma preferisco che tu pensi ad altre cose questa sera. Voglio vederti sorridere più spesso, quindi fai del tuo meglio e divertiti, ok?»

«O-Ok!»


 

«Siamo arrivati, tribù.» Aveva annunciato, entusiasta, Koizumi. Quando era fuori diventava una persona estremamente amichevole e alla mano.

Il locale sembrava abbastanza bello, tra l’altro.

Da fuori si sentiva che stavano già suonando. Issei non vedeva l’ora di entrare, ma sembrava essere l’obiettivo anche di tutti gli altri.

«Stasera sentirai del jrock dal vivo, sai?» Le aveva detto mentre aspettavano il loro turno per pagare l’ingresso, il prezzo era piuttosto alto. Lei e il biondino stavano ancora dietro, per cui era riuscita a scoprire il prezzo ancor prima di arrivare alla cassa.

«N-Non so se entrerò – si grattò nervosamente la nuca, Atsuko, rispondendo rattristata alla domanda di Miura – non so se arrivo con i soldi.»

«Non preoccuparti di questo, ci penso io – disse allora, quel ragazzo che si lasciava riscoprire un buon amico – non è un problema per me.»

Atsuko gli impedì di riprendere il portafogli, fermandolo con le sue piccole mani. Non è che non gli fosse grato, d’altra parte, non trovava la cosa necessaria, soprattutto perché non gli andava di essere in debito con qualcuno come Miura. Certo, era cambiato e negli ultimi giorni lo aveva ben capito, d’altra parte, come giusto che fosse, avrebbe dovuto tenersi comunque pronta a reagire nel caso quella fosse tutta una scenata.

Non era una persona dubbiosa, tuttavia, chiunque ci avrebbe pensato almeno cento volte davanti ad un cambio così repentino di personalità. Magari lei ci avrebbe pensato solo cinquanta volte, ma sarebbe stato necessario.

«Mi dispiace solo di lasciare Eri da sola, d’altra parte è con Issei, va bene, insomma. Non è un problema, la musica si sente anche da qui.»

Miura reagì in modo strano. In effetti non cercò neppure di convincerla a cambiare idea, sospirando soltanto. Evitò di guardarla direttamente e mise il portafogli nella tasca posteriore dei jeans. «Come vuoi, Nomura. Non starò qui ad insistere, se vuoi così, mi sta bene.»

Kanna, la ragazza di cui aveva parlato poco prima, afferrò Ryuu per il braccio, tirandolo a sé. Diceva che era soltanto un’amica, non che gli importasse qualcosa, ma gli sembrò una qualche bugia.

Kanna era piuttosto bella. Aveva lunghi capelli lisci e vestiva molto provocante. Che motivo aveva di mentire su una cosa del genere?

Atsuko mise le mani nelle tasche dei jeans, allontanandosi dalla coda.

«Ryuu-kun andiamo, stiamo aspettando solo te. Perché hai bloccato la fila?»

Prima di lasciarsi trascinare via, Miura si era voltato verso di lei, concedendole un’ultima, strana, occhiata. Kanna lo portò dagli altri e Atsuko decise solo di sedersi su una panchina. Non aveva neppure il cellulare, non era certa di cosa avrebbe fatto per tutto il tempo.

Per quanto potesse sembrare imbarazzante, lei non si sentiva affatto umiliata da quella situazione. I suoi genitori lavoravano sodo per mantenere sia lei che suo fratello, per cui, anche se le loro possibilità erano molto limitate, era già una gran cosa che potessero permetterselo.

Ad Atsuko non mancavano strumenti scolastici, aveva sempre qualcosa da mettere o da mangiare e un tetto caldo dove tornare, allora di cosa avrebbe dovuto lamentarsi? Il cellulare? Non le serviva davvero, tanto che quando i suoi genitori avevano proposto sia a lei che a suo fratello di acquistarne uno, lei aveva lasciato che lo prendessero per lui.

Non si sarebbe lamentata di una cosa del genere.

Sicuramente Eri si sarebbe preoccupata della sua assenza ma Miura avrebbe spiegato la situazione e tutto sarebbe andato bene. Decise di andarsi a prendere qualcosa da mangiare, meno costoso e più utile di un concerto in live.

Guardandosi in giro non la vide. Prima di spaventarsi davvero preferì controllare bene che non fosse nascosta dietro la figura di qualcun altro. Così Eri iniziò a girare tra le persone di quella comitiva, non trovando da nessuna parte Atsuko. Fu solo allora che si lasciò sopraffare dal panico.

Dov’era finita? Perché non era con loro? E perché non se n’era ancora accorto nessuno? Lo avrebbe dovuto notare proprio lei? Lei che solo a pensare di dover parlare con uno sconosciuto, sudava freddo?

Issei parlava con Koizumi, tranquillamente.

Eri, silenziosa, si avvicinò ad Hasegawa. Non voleva disturbarlo ma non sapeva a chi altro dirlo, era davvero preoccupata. Tremando, tirò la manica larga della felpa da football di Issei, chiamandolo timidamente.

«Yoshida? Che c’è?»

«A-A-Atsuko! D-Dov’è?»

Issei cambiò immediatamente espressione, cancellando la spensieratezza dal volto per lasciarsi andare alla preoccupazione. «Dov’è? Non l’hai vista entrare?»

Eri scosse la testa. Cercò Miura tra i ragazzi ma era troppo lontano, insieme ad una ragazza che era stata con loro, per potergli parlare. «N-No! M-M-Mi dispiace Ha-Hasegawa! Avrei dovuto stare p-più a-attenta!»

Stava per scoppiare in lacrime.

Issei storse le labbra. «Stupida, è colpa mia. Dovevo stare io attento a Nomura, ora n-non – sembrò arrossire, distogliendo lo sguardo – non agitarti. Andiamo a cercarla insieme ma per favore, non piangere.»

Inaspettatamente prese la sua mano, stringendola forte perché potesse portarla con sé. La stretta di Hasegawa era così salda e calda che causò un’irregolare batticuore dentro al suo petto. Si lasciò trascinare tra la gente, avrebbero cercato insieme Nomura.

Mentre camminavano in fretta, alla ricerca dell’amica, Eri aveva la testa gonfia di pensieri. Era spaventata per l’amica ma anche molto imbarazzata. “Perché non lascia la presa? Ho paura di star arrossendo così tanto da lasciarlo vedere.”

Eri si lasciò sommergere dalle troppe persone sotto al palco, pronte ad ascoltare il famoso concerto. Erano così tante che aveva davvero paura di perdere la mano di Issei, visto che con tutte quelle persone sarebbe potuto succedere che lo perdesse anche di vista. Sorprendentemente, Issei, se ne era accorto, per questo la tirò così forte da farle anche un po’ male, pur di superare il muro di gente che si era insidiato tra di loro.

A causa delle scarpe, Eri perse l’equilibrio, scivolando su Issei, pronto a prenderla.

Si guardarono per giusto qualche secondo negli occhi poi Yoshida scattò via, totalmente rossa in viso. «S-Scusa, t-ti ho fatto male?»

Hasegawa non perse tempo, una volta accertatosi che stesse bene e non si fosse fatta male, riprendendo a correre. Avevano una meta, Miura. Quest’ultimo sembrava non esserti assolutamente accorto della faccenda, visto che parlava tranquillamente con la ragazza.

Issei gli mise una mano sulla spalla, costringendolo a voltarsi quasi violentemente. Le sembrò un gesto non totalmente a caso.

«Dov’è Atsuko?»

Miura lo allontanò, freddamente. «Non mi toccare.»

«Te lo richiedo, dove cazzo è Atsuko? L’ultima volta che l’ho vista era insieme a te, all’ingresso.»

«Non è voluta entrare. Non…non le andava.»

Eri ebbe paura, Issei non lasciò la sua mano ma iniziava a stringerla un po’ troppo forte, sembrava quasi fosse indemoniato. A giudicare dalla sua faccia era davvero arrabbiato, non capiva se lo fosse con Miura oppure per la situazione grave.

«E tu l’hai lasciata da sola? Ma poi perché non lo hai detto subito a Yoshida? L’hai fatta preoccupare a morte!»

«Perché ti scaldi? – Il tipo biondo sbuffò, infastidito – Volevo vedere se vi sareste preoccupati. Stavo giudicando il vostro grado di sincerità con lei.»

«Se le sei così amico perché sei qui dentro e non fuori con lei? È una ragazza, è sola e questa è Kyoto!»

Eri sentiva le labbra tremare fin troppo. «A-Atsuko… n-non ha un t-telefono.»

Fu soltanto in quel momento che Miura prese coscienza di ciò che era successo. Sembrò davvero sorpreso da quella notizia, aveva sgranato gli occhi spaventosamente. Forse l’aveva lasciata con la sicurezza che potesse chiamare in qualsiasi momento.

«Non ha…» Non riuscì a finire la frase che cercò di correre via, bloccato però, successivamente, dalla presa di quella ragazza.

«Ryuu-kun, dove vai? Dai, che ti frega di quella!»

Lui non si sprecò neppure a risponderle che liberandosi fisicamente di lei riprese a correre verso l’uscita. Issei non fece altro, se non tenere salda Eri a sé, guardandolo andare via. La ragazza che accompagnava Miura, praticamente dovunque, gli rivolse uno sguardo schifato.

«Avete deciso di uscire con le sfigate, tutti e due? Vi basta un po’ di trucco per dimenticare che mostro si nasconde sotto?» Commentò acidamente, guardando le loro mani unite.

Hasegawa incurvò le sopracciglia. «Cosa? Da chi devo sentire queste parole? L’ultima ruota del carro? Quella che stasera c’è e domani non più? Quella di cui Miura si ricorderà come una sveltina? Sempre che se ne ricordi, certo. Puoi, proprio tu, parlare di sfigati? Oppure vai fiera della tua poca dignità?»

Lei rimase senza parole, quasi stordita dalla risposta acida di Issei.

Eri chinò lo sguardo.

Lo aveva sicuramente messo a disagio.

Era costernata del fatto che dovesse difenderla. Non solo era stato così gentile da invitarla ad uscire insieme ad altre persone ma lo aveva anche messo in una situazione scomoda e fastidiosa come quelle, costringendolo quasi ad offendere quella ragazza.

Eppure, non era giusto.

Almeno non del tutto.

Forse Issei sentì la sua mano stringersi forte prima di parlare, avrebbe pensato dopo all’imbarazzo per ciò. «N-Non è vero!» Cercò di dire ad alta voce, quasi fallendo, per fortuna un calo momentaneo di chiasso permise alla ragazza scortese di sentirla.

Hasegawa si era voltato verso di lei, confuso.

«A-Atsuko, l-lei è una b-bella persona! N-Non puoi dire q-quelle cose di lei!»

La frase che era uscita dalla sua bocca era diversa da quella formulata nella mente, ma, per lo meno, era riuscita a difenderla. Nomura, sempre troppo gentile con lei, si meritava almeno di essere difesa da quella arpia, era il minimo.

«Andiamocene.» La portò con sé, Issei, lasciando quella tipa da sola.

-

Corso fuori, Miura si concesse qualche secondo per respirare, un po’ affannosamente. Pensava avrebbe trovato Atsuko ancora sulla panchina ma probabilmente era impossibile che ciò accadesse.

Fu inevitabile non lasciarsi andare allo sconforto. La sua mente era piena di pensieri negativi e tutti dicevano che la colpa era sua.

Forse, se non l’avesse trattata male, avrebbe accettato di lasciarsi pagare il biglietto. Forse avrebbe dovuto insistere e tutto ciò non sarebbe successo. Eppure lui non aveva insistito proprio per non darle fastidio, gli sarebbe andato bene anche aspettare fuori con lei ma non era certo che avrebbe apprezzato.

Perché non aveva pensato, in quel momento?

Guardando dappertutto, davanti al locale, Miura non riuscì ad intravedere neppure una volta Atsuko. Era scomparsa.

Si maledì, correndo verso una qualche meta. Chiese a diverse persone in giro se avessero visto quella ragazza da qualche parte ma nessuno aveva idea di chi potesse essere e nessuno l’aveva vista.

La paura fu tale da prendere lo stomaco. Faceva così male che avrebbe pianto volentieri, se ve ne fosse stato tempo.

Si avvicinò a due ragazzi, stavano fumando una sigaretta davanti ad una sorta di gelateria.

«Scusate, avete visto una ragazza? Capelli corti, più o meno alta così – col palmo mostro l’altezza indicativa – indossava dei jeans e una camicia larga!»

Uno dei due sembrò trattenere una risata, l’altro gli diede un colpo sulla spalla. «No, veramente non l’abbiamo vista.»

Quella scenetta non lo convinse affatto, inoltre, il pensare che quei due idioti lo stessero prendendo in giro lo fece imbestialire. Non era una persona violenta e non usava più i pugni da tanto tempo, se lo era promesso, in qualsiasi situazione non sarebbe successo. Il vecchio Miura li avrebbe certamente presi a pugni fino a farli sanguinare ma al nuovo quel controllo sembrò voler sfuggire fin troppo.

Si limitò ad afferrare il tipo che rideva dal colletto del maglione attillato, avvicinandoselo al viso. «Che cazzo hai da ridere?»

Quello si scaldò in fretta, spingendolo così bruscamente da farlo oscillare. «Non rompere le palle e vattene da qualche altra parte.»

Lo aveva minacciato davvero?

Comunque non si spiegava che collegamento potesse esserci fra loro e Atsuko; la risposta più ovvia sembrava quella maledetta risatina. Ryuu si rialzò, pulendosi i jeans.

Non importava più la promessa, c’era di mezzo l’incolumità di Atsuko, giusto?

Tirò un pugno al muro dove poggiava quel tipo. Non fu particolarmente rumoroso ma a giudicare dal leggero solco che lasciò sulla parete i due ragazzi sembrarono calmarsi. Ryuu tuttavia non abbassò le difese, avvicinandosi così tanto a lui da sembrare che volesse baciarlo. Lo fissava, lasciando che il suo respiro pesante toccasse la pelle del volto del malcapitato che si era messo contro di lui, leggermente più basso. «Perché ridevi?»

«Senti amico, stai calmo, ok? Era uno scherzo, la tua ragazza è dentro, sta prendendo un gelato, insomma, è in fila.»

Guardò dentro.

Vedere Atsuko tra quelle persone con un menù delle specialità in mano lo tranquillizzò talmente tanto da fargli perdere la forza nelle braccia. Era rimasto soltanto a guardarla. Sentiva la pace inondarlo.

Stava bene, Atsuko stava bene.

Se lo chiese soltanto dopo, perché quel ragazzo aveva sorriso?

In effetti accanto ad Atsuko c’era una strana figura. Un omone, probabilmente molto più vecchio di lui. Era davvero vicino ad Atsuko, quasi cercasse per forza di avere un contatto fisico con lei, apparentemente ignara della situazione. I due idioti erano corsi dentro per avvertire della sua presenza quell’omone.

Che fosse una qualche organizzazione di rapitori?

«Allora, hai finito di poggiarti a me? – Sbottò Atsuko, bloccando la sua entrata in scena, parlava all’omone dai capelli scuri – Se devi chiedermi qualcosa fallo e basta, perché continui a spingermi? Vuoi passare avanti? A me non importa, puoi passare avanti!»

Quello, guardandolo bene in faccia non doveva essere molto vecchio in effetti, sembrò arrossire tantissimo al suono delle parole di Atsuko. Miura capì cosa stava succedendo e si sentì uno stupido ad aver fatto una scenata del genere a quei due.

Il ragazzone voleva parlare con Atsuko, perché, interessato? Quei ragazzi erano suoi amici e cercavano di aiutarlo? Ma perché ridere?

Quando indicarono al ragazzone la sua presenza anche Atsuko si voltò verso di lui, perplessa. Ryuu deglutì, aveva fatto una gran figura del cavolo con quelli, così, a causa del nervosismo, iniziò ad accarezzarsi alcune ciocche di capelli. La compagna di classe non era andata verso di lui, forse non voleva vederlo e trovarlo a spiarla non era proprio un bel bigliettino da visita. Decise di allontanarsi dalla gelateria.

Per lo meno, Atsuko stava bene.

Si sedette sul bordo di una fontana, rannicchiato su se stesso a domandarsi il senso della sua vita. Non era abituato alle figuracce, non le faceva da troppo tempo.

Poco dopo dal posto uscirono tutti e quattro, Atsuko sembrava parlargli quasi amichevolmente. Erano diventati amici? Fu come ricevere l’ennesima bastonata in faccia.

L’omone lo fissava con occhi languidi.

«Tu… - era un omone con un grande vocione – io ti devo delle scuse! Come ti chiami?»

Miura non era sicuro che parlasse a lui, inizialmente, ma visto che i suoi occhi erano rivolti a lui doveva, purtroppo, essere così. «I-io – tossì qualche volta, evitando di mostrarsi imbarazzato ad Atsuko – sono M-Miura Ryuu…»

«Io sono Riome Takeo – si inginocchiò, all’improvviso e soprattutto davanti a tutti, senza alcun motivo – mi scuso con te, Miura-kun! – Aveva le lacrime agli occhi, per…una qualche ragione – Questo comportamento non rappresenta la mia famiglia. Se avessi saputo che Nomura-kun era impegnata non avrei minimamente cercato di corteggiarla.» Iniziò a fare diversi inchini formali, mettendolo davvero, davvero a disagio.

Ryuu iniziò a scuotere le mani, negando e cercando di interrompere quella situazione visto che molta gente si era fermata a fissarli. In tutto ciò, Atsuko, rideva come una dannata, manco fosse uno spettacolo comico.

«Inoltre, i miei amici ti porgono le loro scuse – li costrinse ad inginocchiarsi, per cui, mentre Miura sedeva dall’alto del bordo di una fontana, tre sconosciuti si inchinavano quasi lo stessero adorando come un dio, nel bel mezzo di Kyoto (c’era persino qualcuno che scattava delle foto) – hanno riso perché notando la tua bellezza hanno pensato che io non fossi all’altezza di conquistare la nobile Nomura.»

«Ci scusiamo!» Dissero in coro.

Più passava il tempo, più sperava di annegare in quella rumorosa fontana, scomparendo definitivamente.

«Va bene, Riome-kun, per questa volta il mio fidanzato non si arrabbierà, ma potresti incontrare un ragazzo più polemico e potrebbe succedere qualcosa di spiacevole – spiegò Atsuko, porgendogli la mano per aiutarlo ad alzarsi – se ti interessa una ragazza dovresti parlarle direttamente. Se le spingi e basta penseranno che sei una persona strana e sinistra!»

Perché aveva acconsentito alla farsa del fidanzamento? Certo, non che gli dispiacesse, ma era un atteggiamento strano visto il soggetto, Atsuko, la quale aveva preferito aspettare tutto il tempo fuori piuttosto che lasciarsi pagare il biglietto da lui.

«Perdonami Nomura-kun. Sarò più attento e farò tesoro dei tuoi preziosi consigli, grazie. Onori la tua famiglia.»

Non era certo di cosa ci fosse di sbagliato in loro, vista la questione della famiglia, ma dato che la situazione si era tranquillizzata pensò bene di alzarsi per abbracciare dalle spalle Atsuko. Dovevano fare i finti fidanzati, giusto?

La risposta fu un appuntito gomito nello stomaco.

«Ah, R…R-R-Ryuu-kun… – non era sicura neanche lei di quello che stava dicendo, ma voleva che la farsa continuasse – lo sai che non mi piacciono queste dimostrazioni di affetto fuori, per favore, non farlo.» Lo stava fulminando con lo sguardo.

Si arrese in fretta.

«Te lo avevo detto che era un modello – sussurrò quello che aveva sorriso nel momento più sbagliato, poco prima, all’omone – dovevi solo andartene!»

«Taci, sono queste le tue maniere?»

Dopo essersi, poi, “formalmente” salutati, Atsuko e Ryuu si misero a camminare insieme. Lei non aveva detto niente e lui soffriva ancora per la gomitata ricevuta.


 

«Comunque, posso chiamarti Ryuu anche quando non sono arrabbiata, vero?»

Miura arrossì violentemente al suono di quella richiesta. «C-Certo!»

«Volevo… volevo ringraziarti, Ryuu-kun, per prima insomma. Sei venuto a cercarmi, è stato… gentile. Riome-kun era una brava persona ma poteva anche non esserlo e… beh, tu c’eri. Lo apprezzo, insomma.»

Atsuko, nonostante tutto, sembrava a suo agio. Gli parlava proprio come si parlerebbe ad un amico, soltanto ad un amico. Non poteva certo lamentarsi, era sufficiente che fosse così.

«Perché non hai negato la faccenda del fidanzamento?»

«Non è che non mi piacesse, poteva essere un bravo ragazzo, però, per la questione della famiglia, degli inchini formali e delle scuse… dette in quel modo, ho paura che essere corteggiata da una persona del genere possa significare una qualche proposta nuziale. Non mi interessano le seccature.»

Era sollevato, l’aveva trovata, era diventato il suo ragazzo per una manciata di minuti e lei aveva rifiutato di diventare moglie di un qualche discendente di famiglie strane.

«Scusami, ti starai perdendo il concerto a causa mia.»

«Yoshida ed Hasegawa erano davvero preoccupati per te… sono felice che hai trovato delle persone del genere, che tengono a te.»

«Beh, sì, Eri posso capirlo che era preoccupata ma credo che Issei lo fosse solo perché non gli piace vederla triste.»

Miura sorrise leggermente malinconico. «Non conosci Issei… lui non si preoccupa per finta, non è quel genere di persona. Era davvero in pensiero per ciò, quindi, rallegrati. Hai dei buoni amici.»

«Ryuu-kun…»

«Sì?»

«Anche tu sembri qualcuno che può essere un buon amico… per qualche motivo.»

«Atsuko sta bene, che paura – Issei respirò così profondamente che quando l’anidrite carbonica abbandonò i suoi polmoni sembrò sgonfiarsi, tanto che si accasciò su divanetto intorno al tavolo, inerme – quello stupido è andato a recuperarla.»

Eri sembrava sollevata, per fortuna. In effetti si era preso un bello spavento per Atsuko, comunque non capiva perché mai non fosse entrata, era sembrata piuttosto eccitata per il concerto. Alla fine probabilmente Miura sarebbe rimasto con lei.

Chissà se gli era passata quella strana fissazione per Nomura.

Visto che erano stati così tanto amici, in passato, non era un segreto per lui. Forse quella era stata la prima forma d’amore che avesse mai conosciuto. Quello che aveva provato per Nomura era stato così importante che lo aveva portato allo stato di degrado a cui era arrivato negli anni. Forse riallacciando i rapporti avrebbe pensato di avere una seconda occasione, oppure stava solo cercando di pulire la sua coscienza più che sporca.

Un po’ era invidioso di non poter sapere cosa fosse diventato, che persona fosse in quel momento. Dopo tutto quello che era successo, ormai era Miura a non volerne sapere di Issei, probabilmente. Forse non era riuscito ad accettarlo.

In fondo era lui a dover essere arrabbiato. 

«Quando comincia il concerto?» Aveva domandato ad alta voce Koizumi, leggermente lontano da Hasegawa.

«Eichi vuole passare a salutare Hasegawa, ha detto.» Lo informò una delle ragazze, accanto vi era Kanna.

«Cosa vuoi bere, Yoshida?» Le sussurrò.

«N-Niente!»

«Allora prendi qualcosa da mangiare.»

«Ho già c-cenato a lavoro.»

Sembrava tanto una bugia.

Il cameriere che si era avvicinato a loro aveva già preso le ordinazioni del resto del tavolo, mancavano soltanto loro due. Issei allora ordinò una birra alla spina, con un nome strano, non dovette neppure presentare i documenti, cosa che non passò inosservata a Yoshida, lo aveva notato.

«Dai, Yoshida, ti prendo una birra?» Lui chiaramente scherzava.

Eri impallidì. «Sì, quello che ha preso lui!»

«Cosa… no aspetta…» Cercò di fermare il cameriere, Issei, che però ormai era fuggito. Perché aveva fatto una battuta del genere? Con quale esperienza avrebbe potuto reggere la birra che si era preso?

Yoshida sembrava abbastanza soddisfatta della sua scelta. Per una malsana curiosità scelse di non fare nulla per cambiare l’ordine. Forse bevendo un goccio si sarebbe tranquillizzata.

«Come mai hai preso la mia stessa cosa?»

«Beh… visto che abbiamo la stessa età, p-penso che non sia qualcosa di forte e che possiamo bere. N-Non sono mai stata in un locale… di questo tipo, quindi non ero sicura di cosa ordinare.»

Ha pensato che non gli ho dato i documenti perché la bevanda era analcolica? Davvero, Yoshida?” La sua logica, tenera almeno quanto lei, lo fece scoppiare a ridere. «Sì, hai proprio capito.»

I ragazzi al tavolo si agitarono tutto ad un tratto. Alzati tutti iniziarono a gridare euforici, probabilmente la star del posto si stava avvicinando. Eichi era finalmente venuto e soltanto per salutare proprio lui. Quando si voltò in direzione della figura popolare intravide un ragazzo alto poco meno di lui dai capelli tinti di rosso, il quale spargeva sorrisi e occhiolini alla gente che lo conosceva.

«Ah, sei diventato più basso?» Lo chiamò, Issei, alzandosi anche lui, ma solo quando fu abbastanza vicino a lui.

Eichi gli corse contro, saltandogli addosso come una scimmia. Per fortuna Hasegawa era abituato al suo peso quindi riuscì a prenderlo al volo. Eichi si era sempre comportato come una ragazza nei suoi confronti, era un vecchio giochino che andava avanti dai tempi in cui anche lui faceva parte della band.

«Oh dio, sei venuto! Sono così contento!»

Una volta sceso dall’albero che era Issei si concessero un fraterno abbraccio.

Non erano mai stati stretti amici per scelta. Pensandoci, Issei aveva più persone fidate di quanto avrebbe dovuto. Eichi era stato colui che gli aveva insegnato a suonare il basso, qualcosa che non avrebbe scordato in fretta. A causa della scuola poi aveva dovuto lasciare la band ma per Eichi non era stato un problema visto che era rimasto a Kyoto. Quando suonavano insieme ancora non erano neanche così famosi, poi si erano persi e le strade si erano divise.

«Non ti facevi vivo da un po’, eh, stronzetto? Ho sentito tanto la tua mancanza, ogni sera, nel letto.»

Issei sorrise divertito. «Sono stato un po’ impegnato.»

«Aspetta, ma non sei con Naoko? So che ci sarà anche lei stasera, pensavo di trovarti con lei.» Spostandolo, quasi, guardò chi vi fosse seduto vicino a lui.

Inizialmente non disse niente. Forse pensava che Issei si era portato la nuova ragazza ma il suo silenzio prolungato gli fece capire che non doveva essere proprio quella la ragione, o comunque non totalmente.

Eichi guardava Yoshida come se non potesse credere ai suoi occhi. La cosa che più catturò l’attenzione di Issei fu quella serietà nello sguardo dell’amico, quasi sul punto di commuoversi sinceramente. Era sorpreso e silenzioso, in modo quasi spaventoso.

«Issei, lei è la tua nuova ragazza?»

Non avrebbe concepito un nuovo insulto nei confronti di Eri, anche se effettivamente da un tipo come lui non se lo sarebbe aspettato. «Non è la mia ragazza, perché?»

Eichi coprì la bocca con una mano, sorridendovi sotto. «Yoshida-kun, sei tu?»

Eri, presa in causa, arrossì immediatamente. Non sembrava averlo riconosciuto, ma da come aveva reagito Kouda (Eichi) si supponeva che per lui fosse così. «S-Sì!»

Sorpassando Issei, il quale era incapace di reagire, raggiunse Eri, sedendosi accanto a lei e rubandogli il posto amichevolmente. «Non volermene, Hase-chan, non mi tratterrò per molto, tra poco devo suonare – gli fece l’occhiolino, incosciente del fastidio che gli aveva procurato agendo in quel modo – Yoshida, sono Kou-chan, ti ricordi? Alle elementari!»

Hasegawa si concentrò sull’ultima parte, parlava delle elementari e immediatamente gli venne in mente una cosa che aveva sentito proprio dalla diretta interessata, Eri.

Quella volta che aveva comprato i nikkuman anche per lei parlava di un bambino che alle elementari le piaceva. Che fosse proprio Eichi?

«K-Kou-chan? – Si mise a riflettere Yoshida, poi, purtroppo, ebbe l’illuminazione e sorrise, sorrise in quel modo che tanto piaceva ad Issei, con quel suo sorriso gentile e sincero che sperava apparisse più spesso sul suo viso… perché stava sorridendo per Eichi? – Kouda-kun! Sei tu?»

Tutti al tavolo guardavano scherzosamente la situazione, ridevano, a parte Koizumi, lui si era fermato a osservare la reazione di Issei, Hasegawa se n’era accorto immediatamente.

«N-Non pensavo saresti cresciuta così bene, Yoshida-kun!» S’azzardò, a parere di Issei, Kouda.

Eri arrossiva timidamente. «P-Perdonami, n-non ti ho riconosciuto subito!»

«Non importa – Eichi le prese entrambe le mani, stringendole tra le sue – dopo essermi trasferito pensavo che non ti avrei più incontrato, non puoi sapere quanto ciò mi renda felice!»

Sembra…contenta” pensò, Hasegawa, appoggiatosi al divanetto in cui sedevano anche i due amici “le ho detto che avrebbe dovuto sorridere stasera, allora perché mi sento così nervoso? Sta facendo…quello che le ho detto.”

«Yoshida, ascolta, io sono il cantante della band che sta per esibirsi, voglio che tu mi ascolti più di tutti! Ti dedico questa canzone!»

La ragazza annuì, era onorata di tutto ciò. Dopo di che Eichi scomparse, non prima di aver dato una pacca che sprizzava gioia da ogni poro della sua pelle ad Hasegawa, quasi per ringraziarlo. Issei tornò al suo posto ma non aveva un’espressione così tanto entusiasta, d’altra parte, Eri sembrava davvero serena e contenta di quello che era successo.

Chissà se Eichi era il ragazzo di cui aveva parlato… sentiva il desiderio morboso di avere una risposta ma non poteva certo chiederglielo.

«N-Non pensavo… - parlò sottovoce Eri, al suo fianco – che il mondo fosse così piccolo…»

Hasegawa sospirò. «Già, sembri contenta.»

«E-Eichi era l’unico amico che io a-abbia mai avuto…»

Lo ha chiamato per nome…”

Cercò di cancellare il fastidio, prendendo le birre che il cameriere aveva portato per loro. La prima la mise davanti a Yoshida la quale, sorpresa della dimensione, arrossì nuovamente. Era sempre così dannatamente carina.

«Comunque – Issei bevve un sorso dal calice di vetro – Kouda è una bella persona…quindi, è bello che lo conosca anche tu.»

«P-Però non capisco come mi abbia riconosciuta! Q-Quando ero alle elementari ero…una bambina davvero sgraziata e goffa… s-sembravo p-più che altro una p-p-palla. A-Adesso che s-sono vestita così… neppure quel ragazzo della nostra scuola m-mi ha riconosciuto!»

In effetti era strano. Significava che Yoshida era rimasta davvero impressa nella mente di Eichi, il quale nella sua adolescenza aveva frequentato una quantità di ragazze superiore o addirittura doppia rispetto a quella di Miura, il quale, nella sua scuola soprattutto, aveva il primato.

Perché Yoshida? Perché proprio Yoshida?

«Magari c’è andato a caso, voleva rimorchiarti e ha fatto centro.» Commentò acidamente il ragazzo.

Eri non la prese molto bene quella battuta, anzi, tanto che distolse lo sguardo, quasi quella frase l’avesse demoralizzata. «K-Kouda-kun non e-era quel tipo di persona…»

Lo stava difendendo.

Lo stava davvero difendendo.

Le sue labbra rosse e lucide si scontrarono con il vetro freddo del bicchiere subito dopo ed Issei non poté che restare imbambolato davanti a quella visione: morbide si piegavano sul bordo per bere.

«Ha un s-sapore fortissimo…q-questa cosa.» Disse dopo aver arruffato il naso, per il gusto troppo forte della birra.

Era davvero carina… però, non sembrava avere più bisogno della sua protezione, Yoshida, così non le disse nulla riguardo al non berla.

Intanto Eichi e la sua band avevano raggiunto il palco con una carica di adrenalina diversa dalla solita a cui aveva assistito, o partecipato. Forse Eichi era motivato a dare il meglio di sé per la presenza di Yoshida. Aveva salutato energicamente il pubblico mentre il nuovo bassista, sbizzarrendosi con giri assurdamente belli, preparava la base alla canzone.

Eichi aveva iniziato a cantare poco dopo. La sua voce, la sua personalità, forse Issei lo aveva invidiato un po’ nel periodo in cui suonava con lui. Gli era sempre piaciuto il suo modo di cantare, mascolino e sicuro, inoltre aveva davvero talento nel comporre musica.

Di quel talento, a quanto pareva, se n’era accorta anche Eri che restava imbambolata ad ascoltarlo.

Forse dopo quella sera sarebbero usciti insieme, Yoshida ed Eichi.

Lui poteva esserne artefice e la cosa era positiva, giusto?

Perché invece di godersi il concerto continuava ad arrovellarsi il cervello in quelle stupidaggini? Cos’è che sentiva minacciato al punto da preoccuparsi tanto?

Senza accorgersene, Yoshida aveva dimezzato la birra. Forse vedendo che tutti gli altri bevevano allegramente anche lei non voleva restare dietro, eppure aveva detto che non aveva un sapore buono, o comunque così Issei aveva capito.

Eichi dal palco indicò Yoshida, facendo un sensuale occhiolino che fece strillare le ragazze del pubblico, tranne la ragazza che sedeva al suo fianco. Lei era semplicemente arrossita, stringendo una mano sul suo prosperoso seno quasi per trattenere il cuore.

La musica era davvero troppo forte.

Issei dopo quel gesto sentì di aver visto anche troppo e smise di guardarla, era inutilmente nervoso a causa di quella situazione. Non voleva assistere a quel corteggiamento così spudorato. Chissà se anche Yoshida aveva capito le intenzioni di Eichi, probabilmente no a giudicare da come lo “difendeva”.

Il concerto proseguì tranquillo, Issei si allontanò soltanto un secondo per raggiungere il bagno. Dopo un po’ iniziò a non sopportare più la voce di Kouda, quel suo modo di urlare, quelle note alte intonate perfettamente, quel suo modo di stringere la chitarra, toccandola con estrema cura, quasi fosse una donna, lo irritava. Yoshida non aveva fatto altro che guardarlo, dondolando su se stessa a ritmo di musica…e intanto la birra era finita.

Quando tornò si accorse, anche grazie all’aiuto delle luci del locale che si erano finalmente riaccese, mettendo fine a quello stupido concerto, delle guance di Yoshida estremamente arrossate.

Forse è ubriaca?” Si chiese, titubante.

«Tutto bene, Yoshida?»

La ragazza si voltò nella sua direzione, ridendo. Era palesemente ubriaca. «Hasegawa-kun! M-Mi stavo chiedendo… dov’è A-Atsuko?» Singhiozzò adorabilmente subito dopo.

Fu impossibile non lasciarsi sfuggire una risata. «E’ con Miura, non ricordi?»

«L-Lei… v-voglio andare da lei! Non la trovo!»

Si sentì un idiota ad averla lasciata bere. Aveva preso una scelta terribilmente egoistica solo a causa del suo orgoglio ferito. In fondo, Yoshida non era mica la sua ragazza, che motivo c’era di arrabbiarsi così tanto? Non sapeva rispondere neppure lui a quella domanda.

«Hasegawa-kun!» Lo chiamò, notando che non le aveva risposto.

«S-Sì?»

«Stasera sei davvero bello!»

Come se una vampata di calore avesse travolto completamente il suo corpo, Issei rimase immobile davanti al sorriso di Yoshida. Quel suo modo carino di stringere gli occhi, le sue guance colorate come rose scarlatte, in quel momento furono dettagli davvero letali a giudicare da quanto veloce batteva il suo cuore.

Yoshida gli aveva fatto un complimento… un complimento che proprio non si aspettava, da lei. Troppo azzardato, per lei.

Effettivamente, l’unica cosa che pensava era come risponderle senza sembrare un idiota timido. Voleva dirlo anche a lei, voleva farle sapere che pensava fosse sinceramente bella quella sera, ma che lo era anche tutti gli altri giorni, per cui, non era necessario truccarsi o vestirsi in quel modo… soprattutto perché chinata così tanto verso di lui, la scollatura non lasciava molto spazio alla fantasia.

Issei mise la mano davanti al viso, lasciando il palmo esterno. «Yoshida… anche…»


 

Una voce.

«Yoshida!»

Quella voce.


 

Correndo nella loro direzione, Eichi li raggiunse, appoggiandosi ad Issei, impedendogli di dire quello che si era preparato per tutto il tempo.

«Miura dove diavolo sei scomparso?» Iniziò a borbottare Nomura vedendolo riapparire dopo qualche minuto.

Quel ragazzo era scappato senza dirle niente, l’aveva solo lasciata vicino la fontana a parlare, improvvisamente, da sola. Quando tornò, non fece caso da dove, sembrava tenere qualcosa dietro la schiena.

Atsuko se ne accorse solo dopo.

«N-Non ho intenzione di drogarmi!»

Il biondo fece un’espressione infastidita, riducendo le palpebre in due minuscole fessure. «Sei stupida? Pensi che sia andato a prendere la droga?»

Rimase in silenzio. Sapeva di aver detto una stupidaggine.

«Avanti, scegli, destra o sinistra?»

Sollevò le due spalle alternandole per farle scegliere una delle due braccia.

Arricciando le labbra, non del tutto convinta, Atsuko indicò quella a sinistra, da cui poco dopo spuntò un braccio con un cono gelato. La cialda, interamente coperta di cioccolata, sosteneva ben tre palline di gelato, a prima vista sembrò essere tutto cioccolato.

«E’ per me?» Chiese, un po’ eccitata dalla cosa.

«Prendilo, si sta sciogliendo.»

«Non mi piace il gelato al cioccolato!» Sorrise, divertita, lo prendeva un pochino in giro, il suo strano modo di ringraziarlo.

Miura sospirò. «Zitta e mangialo.»

Come una bambina afferrò immediatamente il gelato, concedendosi una piccola leccata. «Ma è nocciola! Il mio preferito!»

«Lo so.»

Inizialmente gli sembrò una risposta tanto per, non si era concentrata sulla situazione, tanto che quando si accese la scintilla dell’attenzione sentì una strana sensazione pervaderla. «Lo sai?»

Il compagno di classe si era messo a giocare al cellulare, mentre leccava anche lui il suo gelato alla vaniglia. Non la guardava, neppure dopo avergli fatto un’esplicita domanda.

«Una volta ti ho incont…. Vista, eri con tuo fratello. Mi trovavo nella stessa gelateria.»

Per qualche motivo, Atsuko iniziò a concentrarsi su Miura. Seduto curvo su se stesso, con una gamba piegata per poggiare il braccio e l’altra lasciata a penzoloni, con i pantaloni ancora troppo grandi per lui, con la maglia di una qualche squadra di baseball americana, con la giacca color sabbia legata alla vita che spezzava la monotonia del bianco indossato.

Ricordò per un solo secondo il viso di quel senpai.

Quel giorno che lo aveva visto fuori dalla scuola era vestito quasi nello stesso modo, seduto come Miura in quel momento, sul muretto fuori alla sala giochi nella sua zona.


 

«Guardate chi c’è.»

Atsuko sentì immediatamente i muscoli irrigidirsi. Non aveva notato nessuna conoscenza fino a quel momento, ma probabilmente perché non sollevava mai lo sguardo. La voce era familiare ma sconosciuta, in qualche modo.

«Nomura-kun, sei davvero tu?»

Atsuko si voltò, addolcita dal cambio di tono della persona che l’aveva chiamata. Era proprio lui, Kisazumi-kun, il senpai del terzo anno… come conosceva il suo nome? Stava forse sognando?

Con le guance scottanti, Atsuko si avvicinò. «C-Conosci il mio nome?»

«A scuola chi non conosce il tuo nome, dumbo!» Scoppiò a ridere un amico di Kisazumi, indicandola.

Il senpai non rise. Sedeva sul muretto fuori alla Naka’s House, con le sue ciocche bionde che risaltavano anche nel buio di quella sera, Kisazumi era vestito di bianco, come un principe. Il principe che finalmente l’avrebbe salvata. Il suo grande amore, fin dal primo giorno.

Kisazumi non era solo un bel ragazzo, si preoccupava delle persone intorno a lui, inoltre era il ragazzo con i voti più alti dell’intera scuola, semplicemente un principe.

«Ignoralo, Nomura – disse, saltando giù, per raggiungerla – non sa che quest’anno si portano per moda le tue orecchie.»

Anche lui, dopo i suoi amici, scoppiò a ridere.

Sentitasi umiliata e già con le lacrime agli occhi, Atsuko decise di correre via.


 

«Lo ha detto tuo fratello, insomma.»

Fu riportata alla realtà bruscamente dalla voce di Miura. La sua voce non era come quella di Kisazumi, era dolce, pacata.

Perché lo pensava?

La cosa la fece arrossire e Ryuu se ne accorse immediatamente.

«C-Cosa ho detto di s-sbagliato?» Anche lui si colorò.

«C-Cosa? No, niente! Scusa, mi sono persa a pensare ad una cosa.»

Lui strinse le labbra preoccupato. «A… cosa stavi pensando? F-Forse hai cambiato idea e pensi che mi stia comportando in modo s-strano?»

Era nervoso e imbarazzato.

Che carino” pensò, osservandolo confusa “perché si preoccupa di queste cose? Come può una persona che ha fatto tutto quello…comportarsi così?”

«No… scemo, pensavo solo che oggi somigli molto a Kisazumi-sen…. Kisazumi-kun.»

Nel volto di Miura qualcosa si spense all’istante. «Perché… lo pensi?»

«Anche lui si vestiva così quando non era a scuola – ammise – anche lui aveva i capelli dello stesso biondo – senza pensarci, mise la sua piccola mano tra le ciocche bionde del nuovo “amico” – però… la tua voce, mi piace di più la tua voce della sua.»

Subito dopo il tocco, Miura si tirò indietro, come spaventato. Perché? Le sue gote paonazze non le permettevano di capirne il motivo, anzi, la confondevano ulteriormente. Lui sembrava… quasi impaurito. Soprattutto dopo quello che gli aveva detto, incredulo forse.

«N-Non dirlo…mai più!»

Cosa ho fatto?”

«N-Non…paragonarmi mai più… a Kisazumi.»

Era offeso. Perché?

Atsuko sorrise, divertita. «Hai avuto problemi con lui per qualche fanciulla?» La prese come uno scherzo, lei, ingenuamente.

«No! Lui… lui… - vide le labbra di Ryuu arrossarsi, dopo averle morse per qualche secondo, distogliendo lo sguardo – io non sono come Kisazumi. Non voglio che tu lo dica più.»

Dopo quella scenata, Atsuko decise di non parlare più. Non era sicura del perché avesse reagito in quel modo ma la sua, di reazione, fu l’assoluto sconforto. Non aveva intenzione di irritarlo, né farlo arrabbiare. Alla fine sentiva solo tristezza per tutto quello che era successo.

Voleva essere gentile ma lui si era offeso.

In silenzio, continuò il suo gelato che quasi non sembrava buono come all’inizio.

Miura non diceva assolutamente niente, si era talmente innervosito da gettare via il suo gelato color crema.

«Torniamo al locale.»

«Il concerto… è finito?»

«Sì, altrimenti non te lo avrei detto, no?»

Perché rispondeva così bruscamente? Non le piaceva quel modo di parlarle, non le piaceva perché aveva appena pensato l’opposto, inoltre, davanti a Miura, non era sicura di riuscire a reagire.

Gli aveva offerto la sua amicizia, impreparata al fatto che le cose potessero non andare bene.

Quando Atsuko si avvicinò alla pattumiera, incapace di finire il gelato a causa della malinconia, Miura sbuffò. «Perché lo butti?»

«Non mi va di mangiare il gelato se non sono di buon umore.»

Sta arrossendo… di nuovo.”

Miura la raggiunse, bloccandole il polso, più stretto e saldo all’interno della grande mano del ragazzo. «Non buttarlo, Nomura.»

Più che un ordine, suonò come una supplica.

«Mi dici che cavolo ti ho fatto, Miura?!» Sbottò, allora, Atsuko, stanca di quel suo essere lunatico.

Gli occhi di Miura non erano mai stati così vicini ai suoi e quasi vi si perse dentro, dentro al color nocciola in cui quasi poteva specchiarsi. «E’ che non sono bravo a trattenere… quello che ho dentro.»

Il suo tono era cambiato ancora, passato dal dolce al freddo al… profondo. In quel momento le parlava seriamente, non pensava che la sua voce potesse essere così tanto calda.

«Non è colpa tua… se ho cambiato umore. Ce l’avevo soltanto con me stesso.»

Lasciò la presa.

Atsuko sentiva la pressione e la forza con cui l’aveva afferrata anche dopo che il contatto si era spezzato. Era una sensazione piacevole. «Non farlo, allora!» Quasi gli urlò.

«Cosa?»

«Non parlarmi più così! Non m’importa cosa ti passa per la testa, ma se non sto io a colpevolizzarti, non devi essere tu a farlo! Non farlo…Miura… se ti arrabbi con me… avrò soltanto…p-paura.»

Non era il ragazzo di prima, quello davanti a lei. I suoi occhi in penombra la spaventavano sul serio. Ryuu non parlò, non si scusò, come avrebbe sospettato, a giudicare dall’ultima versione di quella persona che aveva conosciuto, invece sollevò lentamente una mano che raggiunse poco dopo la guancia fredda di Atsuko.

Le mani di Miura erano estremamente calde, il contatto di prima non le aveva lasciato il tempo per scoprirlo, mentre in quel momento il suo tepore aveva inondato completamente il petto di Atsuko che reagiva irregolarmente.

«Nomura… non ti farò mai più del male. Ti chiedo solo di non aver paura di me, ok? Sto cercando davvero… davvero di fare del mio meglio.»

La guardava così intensamente negli occhi che la ragazza sentì le gambe cedere, inspiegabilmente. Non era certa di poter reggere ancora per molto, eppure, le ciglia lunghe di Miura, il colore dei suoi occhi nocciola che quasi scaldavano quella fredda serata primaverile, la tenevano ferma, sotto il suo potere.

«Io non sono Kisazumi. Da quando parliamo non ho mai pensato a farti del male, a ferirti, sono stato attento, e tu…Nomura, devi credermi.»

 



avevo già scritto il capitolo tempo fa e quindi non so,
magari può farvi piacere vederlo
è come ho immaginato Eri, Issei ed Atsuko.
 
NOTE
Non so se vi ricordate ancora di me ma
sono tornata e sono immensamente dispiaciuta per essere scomparsa.
Ho dovuto affrontare dei problemi personali.
Beh, comunque spero che la storia sia di vostro gradimento, ho solo
due cose precise da annunciare, anzi tre

uno
rileggendo distrattamente i capitoli mi sono resa conto
di quanto siano pieni di errori, in parte
vorrei scusarmi ma sono sempre di fretta e presto poca
attenzione alla correzione (mea culpa)
due
cercherò di scrivere meglio i prossimi, tuttavia essendo
una storia con stampo "manga" trovo sia
un po' fuori luogo l'esagerata narrativa, di fatto è solo una storiella
dolce e carina a cui per qualche ragione sono affezionata
tre
non so scannerizzare i disegni che faccio e con la tavoletta grafica
non mi soddisfano per niente, ho più la mano "fisica"
comunque se vi piacciono posso farne altri
in questo caso è stata solo un'eccezione.

Grazie mille per essere arrivati fino a qui!
Spero che la storia sia ancora nel vostro
Se pensate che debba farmi "perdonare" sono disposta a pubblicare un altro capitolo tra qualche giorno,
fatemi sapere se potrebbe farvi piacere. ;)
Sì, mi sento generosa e positiva oggi.
In caso a mercoledì prossimo!
 

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Capitolo 6
*** Lava cake ***


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«Sono felice…che tu l’abbia invitata, non sai quanto.» Confessò, Eichi, una volta rimasti soli.

Erano usciti dal locale, qualcuno sarebbe tornato a casa, anche loro. Yoshida aveva ritrovato la sua dolce Atsuko che in quel momento, insieme a Miura, le faceva compagnia. A causa dell’alcol Eri divenne particolarmente amichevole e disponibile con tutti. Era tutto carino quello che faceva ai suoi occhi, persino ubriacarsi come una ragazzina con una birra alla spina. Doveva essere la prima volta che beveva.

Kouda stava lavando le mani in una fontanella nei dintorni, aveva chiesto ad Hasegawa di fargli compagnia, forse proprio per parlargli di Yoshida. Non che il fastidio fosse passato, restava là, dentro al petto, così prepotente da non permettergli neanche di respirare liberamente.

Più aveva Eichi davanti, più s’innervosiva.

«Ti conosco da un po’, non mi hai mai parlato del grande rapporto che ti legava con una ragazzina di Nishijin.» L’acidità che sputava fuori non cercava neanche di nasconderla a Kouda, quel suo caro amico. Eichi non era uno stupido, aveva capito già da prima che quel suo ostinato voler parlare con Yoshida aveva infastidito Hasegawa ma aveva evitato di uscire il discorso, anche se in genere, persino durante le discussioni per le ragazze, era proprio Kouda a voler chiarire immediatamente.

«Ti sei lasciato da poco con Naoko, no? Puoi già essere geloso di un’altra ragazza?»

Come una lama quella domanda retorica non poté che ferirlo. Cos’era quel comportamento strano? Perché Kouda non era amichevole e accondiscendente come le altre volte? Perché non si era semplicemente tirato indietro? Era cambiato nel tempo oppure si comportava così perché di mezzo c’era proprio Yoshida?

«Mi hai chiesto perché non fossi con lei, come sai che mi sono lasciato?»

«Perché Naoko parla di te come se fossi ancora il suo ragazzo ma tu non fai la stessa cosa – con lo sguardo indicò Yoshida, in lontananza, che rideva mentre faceva un gioco di mani con Atsuko – non voglio litigare con te, Issei, ma tu sei interessato a Yoshida?»

Che domanda è? Perché dovrei dargli queste spiegazioni?”

Rimase a riflettere.

No, dovrei solo dire la verità.”

«Non ho dimenticato Naoko… neanche per me è stata facile la nostra separazione e…»

«E… ti ho appena detto che lei parla di te come se fossi ancora il suo fidanzato ma tu non hai battuto ciglio. Non parlare di lei, è di Yoshida che ti ho chiesto, sei o non sei interessato a lei?»

«Cambierebbe qualcosa la mia risposta?»

Eichi sorrise, sarcastico. «Sai quanto ti voglio bene… tuttavia, non credo di riuscire a farmi da parte con lei. Penso a Yoshida da quando mi sono trasferito. Tu sai con quante ragazze io sia stato…eppure, penso ancora a Yoshida, a quanto fosse carina al tempo. Figurati che ad un bambino delle elementari, poi se si parla di me, non entrano in testa neanche le tabelline…invece lei…»

Parlava di Yoshida con passione, interesse, non aveva mai visto il suo amico così imbarazzato e sicuro allo stesso tempo. Yoshida non era solo una conquista a quanto pare e sebbene non gli fosse chiarissimo il loro trascorso, capì che probabilmente era lui a doversi fare da parte. Il sentimento che provava in quel momento era forse quello che Kouda aveva sentito quando Issei si era impuntato per avere Naoko? Eichi non glielo aveva mai rinfacciato ma forse era una delle poche ragazze a cui si era mai affezionato.

«Non preoccuparti, non mi interessa Yoshida. L’ho conosciuta per alcuni malintesi…ma insomma, lei non è il mio tipo, e poi come ho cercato di dirti prima, non ho dimenticato Naoko.»

«Nonostante questo – Eichi gli mise una mano sulla spalla – non credo che riesco a crederti… comunque, lo hai detto tu, quindi, in futuro, promettimi di non metterti mai in mezzo a me ed Eri!»

L’ha chiamata per nome anche lui… forse sono davvero fatti l’uno per l’altra? Forse è giusto così, Yoshida…avrà un ragazzo.”

«Hai paura che te la riesca a portare via?» Glielo chiese con gran nonchalance, non lo pensava davvero, era ovvio.

Eichi sorrise ancora, quasi forzatamente. «Sì.»

«Non sono così intrigante, non posso piacere a tutte.»

L’amico sorrise ancora, forse un po’ meno raggiante. «Ma tu le piaci… per tutto il tempo, durante il concerto, lei non faceva che guardare te, non me – Eichi si mise le mani in tasca, sbuffando – forse per l’alcol, oppure non so, ma sono sicuro che le piaci e sono spaventato. Per questo ti ho chiesto di promettermelo.»

Com’era possibile?

Un senso di pesantezza lo travolse. Yoshida non aveva fatto altro che guardare Kouda durante il concerto, ne era certo. Ma forse, se era davvero come diceva lui, si era voltata ogni volta che si era sentita osservata. Coprì immediatamente il viso, nascondendo il rossore provocato da quella notizia. Era inspiegabilmente felice.

Anche il suo cuore lo era.

«Lo farai, Issei? Sarai mio amico? Almeno questa volta, solo questa volta, per te… Yoshida non ha la stessa importanza che ha per me. Lei… è la ragione per cui io oggi sono quello che sono!»

Hasegawa non poteva certo rimangiarsi quello che aveva appena detto. Aveva rinunciato formalmente a Yoshida, lo aveva fatto per un amico che tanto tempo prima si era fatto da parte, solo grazie a lui Issei e Naoko si erano messi insieme, lui era sempre stato un buon amico e il fatto che si fossero innamorati della stessa ragazza non aveva impedito alla loro amicizia di fiorire ugualmente. Era giusto così, era giusto lasciare le cose per come stavano.

Eppure sapere che Yoshida non aveva fatto che fissarlo durante il concerto gli riempiva il cuore di malinconia, non poteva farci proprio niente. Fosse stato meno orgoglioso forse non avrebbe detto quelle cose, riguardo al non provare interesse per lei, tuttavia ormai lo aveva fatto.

«Come l’hai riconosciuta?» Domandò sottovoce.

Sul volto di Kouda un bellissimo sorriso comparve. «Yoshida è l’unica ragazza con i capelli naturalmente ricci, ci hai fatto caso? Suo padre non è giapponese, deve aver preso da lui. Ho riconosciuto immediatamente i suoi boccoli, sono ancora belli come quando era piccola.»

«Quando era piccola non era graziosa come adesso, ha detto.»

«Non che mi importi… sai, anche io da piccolo non ero proprio un bambino grazioso, ero sottopeso e un po’ bruttino. Mi prendevano sempre in giro per queste – indicò le lentiggini sul suo viso – eravamo molto simili allora.»

In qualche modo, Yoshida e Kouda condividevano tantissime cose, il passato e anche il presente in quanto entrambi erano cresciuti così bene. Purtroppo Yoshida non era riuscita a superare la cosa, forse a causa della situazione familiare e sicuramente il suo carattere timido e insicuro avevano infierito parecchio.

Non poteva evitare di pensarci, se non le avesse chiesto di uscire quel sabato non avrebbe mai più incontrato Eichi, Eri sarebbe rimasta soltanto sua.

«Non posso evitare di esserle amico, è bene che tu lo sappia.»

«Perché no?» Chiese un po’ sfiduciato Eichi.

Issei si infilò le mani in tasca. «Si è creato un bel rapporto tra me, lei e la ragazza che adesso è con lei, passiamo il tempo insieme a scuola… inoltre, a scuola io – fu pervaso da un fortissimo senso d’orgoglio – io la proteggo, senza la mia vicinanza finirebbe di nuovo in situazioni spiacevoli.»

«Francamente, non pensavo potessi essere così egoista – sorrise il rosso, mordendosi le labbra – comunque mi piace pensare che non lo fai per conquistare il suo cuore. Non è questo l’amico per cui mi sono sacrificato. Poco fa hai detto di non essere interessato a lei, adesso stai lentamente curvando il discorso con queste sciocchezze, in ogni caso, farò in modo che proteggere Eri non sia più compito tuo.»

Qualcosa dentro Hasegawa, anche se era sicuro che stesse accadendo anche dentro al petto dell’amico, si spense come definitivamente. Non era sicuro di cosa avesse in mente ma non voleva neppure saperlo.

La sua espressione rimase fredda e indecifrabile. «Non ho detto che ti metterò i bastoni tra le ruote, né che mi metterò tra di voi. Ti sto dicendo che Eri – e fece ben attenzione a chiamarla per nome – per me è importante. Se riuscirai a conquistarla sarò più che felice per voi, io… non so perché mi sento così ma desidero davvero che lei sia felice. Non voglio tornare sullo stesso discorso, te l’ho già detto, mi sono lasciato da poco con Naoko e questo non mi permette di dimenticarla ma… quello che è successo tra me e lei appartiene soltanto a noi due, non sei tu a poter dire cosa devo sentire o no, giusto? Allora cerca di camminare sui tuoi binari, io non ti taglierò la strada.»

«Stai mentendo.»

Una folata di vento sollevò loro i capelli, facendo ondeggiare irregolarmente i loro abiti.

«Sono sincero, ma non so se il mio cervello agirà a sproposito, questo sì. Se tieni davvero a lei, fai il possibile perché guardi te come sosteni guardasse me. Non lasciarmi il peso di quello che potrebbe essere un fallimento o il contrario, dipende solo da quello che farai… quindi, beh non ho altro da dirti.»

Eichi gli poggiò una mano sulla spalla, ancora una volta. «Ci vediamo presto, Hasegawa-kun.»

Un brivido prima che il rosso potesse allontanarsi per raggiungere Yoshida. Issei restò immobile senza tuttavia smettere di seguire la figura alta dell’amico il quale si era concesso un largo abbraccio con la povera Eri ubriaca, la quale non faceva che ridere e arrossire, indifesa. In fondo la serata aveva preso una piega inaspettata. Pensava che sarebbe stata corteggiata da qualche idiota, cosa che invece non era successa o per la sua l’impressione che faceva su chiunque le rivolgesse uno sguardo, essendo sempre al suo fianco, o perché Yoshida restava la ragazza che gli altri tendevano ad evitare. D’altra parte, un vecchio spasimante e suo carissimo amico si era messo in mezzo, pericolosamente.

Come avrebbe dovuto comportarsi dopo quello che il ragazzo gli aveva detto? Come avrebbe dovuto parlare con lei? Cosa dirle? Magari era solo l’effetto dell’alcol che le aveva fatto pronunciare quel così dolce complimento, anche gli sguardi che sosteneva gli rivolgesse, eppure dentro al petto era così bello. Si sentiva così felice che avrebbe volentieri interrotto quel contatto così fastidioso e che durava anche fin troppo.

Non dimenticava come lo aveva apostrofato Eichi, “egoista”. Lo era davvero?

Probabilmente sì, a giudicare da come si era comportato per Naoko. Eppure al tempo la conosceva da pochissimo tempo, non era neppure paragonabile quello che Yoshida era riuscita a fargli provare in quei pochi giorni alla situazione con Naoko all’inizio.

Lui non aveva mai chiesto ad Eichi di farsi da parte, aveva scelto lui di farlo. Eppure non poteva semplicemente dimenticare il gesto.

Si avvicinò involontariamente minacciosamente al gruppetto, con loro c’era ancora Miura che lo guardava con un’espressione quasi divertita. Era irritato ma aveva anche altro per la testa per darci peso.

«Beh, allora ci vediamo presto, Eri-chan!» Disse, come se non fosse successo assolutamente niente poco prima con Issei, Kouda.

Lei annuì sorridente.

«Hasegawa-chan, non dimenticarti di invitarle le prossime volte che saprai di un qualche concerto, oppure… Yoshida non hai un cellulare con cui posso avvertirti direttamente io?»

Nomura non aveva una bella cera, forse Kouda le dava fastidio. Lei era rimasta fuori dal locale quindi non poteva sapere i retroscena. «Non pensi che ti stai prendendo troppe libertà?» Sbottò, visibilmente infastidita.

Hasegawa strinse gli occhi, avrebbe tanto voluto evitare che si scambiassero i numeri ma per quanto Eichi potesse portargli collera, non vi si oppose, come probabilmente sospettava lui. «In effetti… sarebbe più utile se potessi avvertirla tu, non è detto che io sia libero quel giorno ma magari lei lo è.»

Atsuko lo guardava come se fosse stata appena tradita, pugnalata da chi invece doveva farle da spalla.

«S-Sì ho un telefono… m-ma – singhiozzò brilla – non ricordo il n-numero a memoria.» Parlottava mentre apriva il cellulare a conchiglia, scorrendo per la rubrica alla ricerca del suo numero.

«Hasegawa, tu non hai il suo numero? Mi sembra un po’ confusa per trovarlo adesso… potresti mandarmelo con un messaggio più tardi, adesso devo andare con la band, purtroppo, a festeggiare.»

Il biondo, Ryuu, sospirò rumorosamente. «Lo farà sicuramente – disse mentre prendeva Kouda dalle spalle, allontanandolo amichevolmente – ciao ciao Yoshida-kun, adesso si è proprio fatto tardi – assottigliò la voce così da velocizzare quell’arrivederci, il gesto sembrò inspiegabile per Issei, intanto Kouda era scappato scuotendo la mano verso Yoshida che faceva lo stesso, poi tornò dal gruppo di amici – non pensi sia tardi? Le accompagniamo a casa?»

Hasegawa annuì docilmente. «Tra poco parte l’ultimo treno.»


 

Per tutto il tragitto Nomura non gli rivolse la parola neppure una volta, camminava più avanti con Yoshida scherzando insieme a lei. Non facevano che parlare e ridere. Miura restò poco più indietro insieme a lui.

«Non sembri in forma, eh.»

Hasegawa sbuffò, evitando di rispondere. Si dimostrava proprio un ragazzino.

«Senti, non mi importa la tua amicizia, sto solo cercando di non annoiarmi fino a quando non accompagneremo Yoshida, visto che Nomura quando c’è lei non mi calcola proprio – ridacchiò, la cosa non lo infastidiva – sono carine insieme.»

«E cosa pensi che dovrei risponderti? Non scambiamo parola da tipo un anno, vuoi che ti racconti come mi sento così potrai consolarmi?»

Ryuu sollevò stancamente gli occhi. «Sei noioso.»

«Lo so.»

«Sai cosa mi fa arrabbiare?»

Issei ovviamente non rispose ma era curioso del perché del suo temperamento. «Mi fa davvero incazzare il tuo modo di comportarti, abbiamo chiuso i rapporti per una ragazza che ti raccontava bugie sul mio conto, sei rimasto con lei e dopo esservi lasciati da così poco ti vedo così frastornato per una sciocchezza di una sera, cioè un tipo ci ha provato con la sostituta del tuo grande amore, eppure hai mandato tutto a puttane per questo grande amore.»

«Non sono frastornato e non parlare così di Naoko.» Voleva sembrare rabbioso nel dirlo ma alla fine era la frustrazione a venir fuori.

«Tu ormai lo sai che erano bugie quelle, allora perché non mi hai più parlato?»

«Perché lei aveva paura e io non volevo che si sentisse così insicura. Tu avresti vissuto bene anche senza di me.»

Miura sollevò il mento, per guardare il cielo. «Ne sei così sicuro?»

Quel modo gentile di approcciarsi gli ricordò il vecchio Miura, quello goffo che vestiva in modo strambo per piacere alla docile Atsuko, il Miura che si arrabbiava vedendo i cani calciati per strada, il Miura che era diventato un così caro amico in poco tempo, Miura, l’unica persona che era riuscita a considerare tale fin dall’inizio. Miura, in fondo, sotto ai vestiti che portava, doveva essere tornato quello di prima e Nomura doveva averlo capito, anche se lei quel Ryuu di cui ricordava non lo aveva mai conosciuto.

Aveva ragione anche su quello. Naoko, la ragazza che gli aveva mentito dicendo che Miura aveva cercato di baciarla, Naoko la ragazza che aveva mentito per paura che le tipe che giravano intorno a Ryuu potessero distoglierlo da lei, lei che era stata la distruzione del loro rapporto, fino ad allora era stata l’unica cosa importante per Issei.

Eppure Issei era arrabbiato con Miura, quel suo amico che non aveva battuto ciglio dopo essersi picchiati. Miura che non aveva cercato neppure di scagionarsi, quel ragazzo che si era fidato dell’amico, all’inizio troppo cieco per comprendere quelle sottili motivazioni e che lo aveva preso a pugni dalla rabbia.

«Ormai non ha più importanza, me la sono cavata evidentemente.»

«Comunque… - cercò di parlare, Issei, anche se si sentiva profondamente colpevole e ferito – sono felice che hai sistemato le cose con Atsuko, alla fine sei arrivato ai tuoi obiettivi comunque.»

«Atsuko non è un mio obiettivo. Non penso di doverti nessuna spiegazione.»

«In ogni caso, sono… fiero di quello che hai fatto.»

Ryuu corrugò la fronte, arrabbiato, ma non disse nulla. Aveva un’espressione parecchio carina, sembrava un bambino. Strinse le labbra e accelerò il passo, raggiungendo le due ragazze. Non voleva continuare la discussione anche se non ne comprendeva il motivo.


 

Una volta sul treno Issei prese posto di fianco a Yoshida che aveva gli occhi semi chiusi, probabilmente a causa del sonno. In fondo aveva lavorato fino al tardo pomeriggio, povera ragazza, e lui le aveva anche permesso di bere. Che idiota che era stato.

Nomura non aveva più aperto bocca, seduta vicino a Miura, davanti a loro. A quell’ora il treno non era particolarmente affollato, solo qualche ubriaco e qualche gruppetto di ragazzini silenziosi, troppo impegnati con i cellulari. 

«Q-Quando arriviamo a casa?» Supplicò quasi, Eri, poggiata al vetro del finestrino alle sue spalle.

Issei guardò sul cellulare, in effetti era un po’ tardi e quello era l’ultimo treno diretto per la prefettura di Yoshida. Un forte colpo di ruote scosse così bruscamente i passeggeri da gettare Eri sulla spalla di Issei che all’impatto non poté che sentire il cuore in gola, lei era mezza addormentata. Dall’altro lato del vagone, tuttavia, Miura era finito completamente addosso ad Atsuko travolgendola goffamente e sbattendo anche la fronte contro il metallo del sedile. Nomura scoppiò a ridere e coinvolse anche Hasegawa che si concesse una risata mentre Ryuu teneva la fronte dal dolore.

«Che cosa ridete, maledetti!» Imprecò quello.

Intanto Yoshida era già nel mondo dei sogni, la sua guancia morbida e chiara poggiava dolcemente sulla sua spalla, eppure a vederla così non sembrava particolarmente confortevole, tanto che si era avvicinata ancora alla ricerca di maggiore comodità. Issei sospirò, la malinconia tornò presto nel suo petto; agì d’impulso, non ci pensò neppure per un secondo e sollevando con cura il braccio lasciò che la figura di Yoshida s’incastrasse con la sua, la mano la stringeva più a sé, dal fianco, quel genere di contatto era davvero pericoloso. Sentiva come se quella potesse essere l’ultima occasione, per cosa tuttavia non ne era sicuro. Voleva che il suo profumo lo avvolgesse ancora per qualche minuto prima di scendere.

Non gli importava che espressione avrebbe avuto Nomura, e neppure il parere di Ryuu gli importava mentre riusciva a stringersi a lei. I capelli di Eri avevano un meraviglioso odore floreale.

«Lo facciamo anche noi, Nomura?» Sentì blaterare scherzosamente di fronte, senza però sollevare lo sguardo.

«Vuoi morire?» Rispose immediatamente Atsuko.

«Era solo una proposta, potremmo incontrare di nuovo l’omone! Lo dico per l’incolumità della tua mano!»

Non poteva vederlo ma a giudicare dall'urletto di dolore, Nomura doveva averlo colpito.

«Hasegawa-kun… - sussurrò Yoshida con un tono piuttosto sveglio, come se non si fosse mai addormentata – sono stata d-davvero bene.»

«I-Io – preso alla sprovvista Issei non seppe cosa fare, lei doveva essere sveglia mentre lui l’accoglieva tra le sue braccia, eppure non aveva fatto niente per evitarlo – sono felice che tu ti sia divertita… visto? Hai anche incontrato un caro amico.»

«N-Non sarebbe mai successo senza di te – fece un gran respiro, poggiandosi meglio sul suo petto, quella non era la Yoshida di sempre, era pur sempre ubriaca – mi piace il calore del tuo corpo.»

Anche se in quel modo avrebbe sentito il suo cuore andare a mille, non gli importava affatto. Voleva tenerla vicino il più possibile.

In quel momento Naoko, Fujihara, Eichi,  nessun altro aveva importanza se non loro due.


 

Il saluto davanti casa Yoshida fu la parte più brutta della serata, si erano salutati con un dolce “ciao” ma dopo il treno i loro corpi non si erano più incontrati. Atsuko era andata con lei per aiutarla a mettersi a letto, probabilmente Irene dormiva già e dopo una decina di minuti fu di nuovo da loro. In quel tempo lui e Miura non parlarono.

«Yoshida è a casa, non serve accompagnare anche me, la strada la conosco.»

«Non dire cazzate!» Alzò leggermente il tono di voce Ryuu.

Hasegawa scosse la testa annuendo. «E’ vero, comunque posso accompagnarla anche io, per tornare a casa tua non prendi un altro treno?»

«Ho cambiato casa, vengo a scuola con l’auto, posso tornare anche da qui.»

Atsuko non disse nulla, probabilmente era contenta che i due non l’avessero lasciata sola nel tragitto di casa, non perché non fosse capace di difendersi da sola quanto perché si sarebbe annoiata. «Beh...grazie. Comunque, riguardo a te – mise l’indice sul petto di Issei – come hai potuto far bere Eri-chan?»

«E’ stato un malinteso.» Non si sprecò.

«E quel tipo che le hai presentato? Non hai visto com’era appiccicoso? Trovava sempre scuse per abbracciarla o per toccarle i capelli, chi diavolo è?»

Alla fine Eichi era tornato tra di loro. «E’ un vecchio amico di Yoshida, dentro al locale si sono riconosciuti ma quando è uscita credo fosse troppo ubriaca per spiegarti tutto. Lui… non preoccuparti, non è un cattivo ragazzo, lo conosco da molto, da quanto ho capito è follemente innamorato di lei dalle elementari quindi… insomma non ti fare problemi, lui… lui è ok. E poi pensi che non farei niente se le mancasse di rispetto?»

Nomura sembrò innervosita dalla sua risposta ma decise di non dire altro. Forse si fidava delle sue parole e non avrebbe più sospettato di lui, anche se francamente la cosa non gli faceva molto piacere. Nomura si era opposta all’idea che ad Eri potesse piacergli Issei, invece quello lo aveva accettato senza problemi.

«Eichi è un po’ strano, ma è ok, davvero.» Annuì anche Ryuu a cui non era stato chiesto alcun parere.

Dopo aver lasciato anche Atsuko a casa entrambi i ragazzi si sarebbero separati per seguire due strade diverse.

Hasegawa aveva aspettato che la luce della camera di Nomura si spegnesse per uscire dalla tasca interna della giacca un pacchetto di sigarette dall’astuccio bianco e rosso, portandone una alla bocca.

«Non hai smesso?»

«Lo faccio di rado.» Si sollevò con entrambe le braccia per sedere su un muretto vicino l’abitazione Nomura, quasi frontale. Miura fece lo stesso anche se non gli era stato chiesto.

«Che ne pensi di questa serata? Sembra sia andato tutto bene, a parte questo.» Massaggiava ancora la fronte.

Dopo un lungo tiro di sigaretta Issei sorrise sarcasticamente. «Beh sì, a parte quello sembra che sia andato tutto bene.»

«Sai cosa ho pensato a volte? Che Naoko non facesse per te, sono sempre state le ragazze come Yoshida più adatte a te. Poi ho capito, lei si comportava in modo diverso con te, probabilmente all’inizio perché eri il ragazzo più figo, poi si sarà affezionata. Il tempo sembra darmi ragione.»

«Perché parli sempre di lei? Lasciala stare, Naoko.»

«Perché io… la odio. Non lo vedi? Per colpa sua hai appena rinunciato ad una ragazza che potrebbe davvero fare per te, è patetico.»

In effetti la personalità di Naoko non era mai stata delle più limpide, ma fondamentalmente si era sempre comportata in modo dolce nei suoi confronti, verso la fine della relazione questo atteggiamento era venuto meno ma sembrava sempre la stessa ragazza, forse per forza di abitudine.

Non c’era motivo per cui Miura doveva arrabbiarsi per le sue questioni però.

«Comunque non torno a casa perché non ho ancora voglia di tornare, non per restare con te. Tu resti solo per fumare?»

«Non mi piace fumare quando cammino.»

«A proposito, Atsuko sembra fidarsi di te, era più tranquilla dopo avergli spiegato la situazione di Kouda. Mi piace che si fidi di te.»

«Avrei preferito che non lo facesse.»

«Immagino – rise appena – comunque se sembriamo amici potrò frequentarla ancora, fuori dalla scuola. È per questo che ti parlo. Voglio stare ancora con Nomura, mi sembra una scorciatoia un po’ patetica, tuttavia, anche quella più possibile – saltò giù dal muretto – non arrabbiarti se scambierò qualche parola con te a scuola, ok?»

Hasegawa sorpreso piacevolmente non accennò ad alcuna espressione. Se voleva farlo ne aveva la piena libertà, non si sarebbe opposto. «Come vuoi.» In effetti era un po’ sospetto quel lato amichevole nei suoi confronti, dopo tutto quello che era successo.

Prima di scappare via, Ryuu gli strappò la sigaretta ancora mezza dalle mani, gettandola via. «Non fare uso di questa merda, se sei arrabbiato prendimi a pugni o qualsiasi altra cosa, ma non fumare, è schifoso.»

Così, scomparse.

«Ti vedo di buon umore.» Sorrise Mori, sistemando alcuni fogli dietro la scrivania, Atsuko seduta su un banco più lontano scuoteva le gambe a penzoloni.

«Alla fine parlarle non è stato necessario, sono contenta. Pensi che sabato siamo persino uscite insieme, è stato bello.»

L’uomo dall’espressione matura annuì quasi contento, poi si sedette. «E i compagni di classe? Come si comportano?»

«Dopo il gran boato che è successo quella volta, beh, non danno più fastidio ad Eri sembra… e poi forse hanno anche paura di Hasegawa, in questo caso odio ammetterlo ma è una cosa positiva.»

«Già, purtroppo lo è.»

Era da un bel po’ che non tornava dal tirocinante, ora supplente. Dopo quello che era successo sabato non vedeva l’ora di raccontarglielo, e poi, un po’ le mancava il suo viso; nei corridoi la settimana prima le era capitato raramente di incontrarlo, così visto che avevano quel rapporto ne aveva approfittato.

Certo, non mancavano dubbi nella sua testa. Tra la comparsa del nuovo Miura e la situazione tra Eri-chan e Issei che non sembrava delle migliori, a giudicare dal modo freddo in cui l’aveva trattata il compagno quella mattina, non faceva che chiedersi se l’uscita di sabato fosse stata una cosa positiva o meno.

Aveva l’impressione che Hasegawa fosse infastidito molte volte dalla presenza di Yoshida ma non se ne spiegava i motivi. Che c’entrasse quello sbruffone dai capelli rossi? In fondo, se era davvero come le aveva detto Issei, quello era un tipo più che raccomandabile e inoltre conosceva Yoshida da molto...anche se definirsi innamorato le sembrava un po’ esagerato visto che quella doveva essere la prima sera che l'incontrava dopo tanto tempo.

Comunque il buon umore era incessante, aveva sempre più voglia di scambiare qualche parola con Miura e la sua presenza non la irritava più.

«E di te? Cosa mi dici? Sei felice soltanto per la tua amica?»

Nomura arrossì leggermente. «Beh no… in questo tempo ho anche fatto pace con un vecchio “bullo”, adesso è davvero cambiato.»

Mori non sembrò per niente entusiasta della cosa. «Perché credi che ti abbia avvicinato?»

«Per pulire la sua coscienza, non è una cosa positiva?»

«Non te lo dico per demoralizzarti, sia chiaro – disse con aria più greve – però ci sono tanti motivi per cui potrebbe averlo fatto e dubito che sia quello che hai detto tu. Potrebbe dimostrarsi pentito solo perché, magari, ti trova carina, o peggio, potrebbe averti avvicinata per tirarti l’ennesimo tiro mancino… penso sia la prima, a giudicare da quanto sei carina.»

Atsuko si colorò totalmente in viso, era confusa e destabilizzata da quello che aveva appena detto il professore. Lui...la trovava forse carina? No, si stava facendo solo mille pensieri inutili, probabilmente lo diceva a tutte le studentesse in momenti del genere, giusto per far capire loro la situazione.

«A-Ah… io non credo sia per questo, è più probabile sia la seconda. Beh, questo ragazzo ha sempre avuto a che fare con bellissime ragazze, popolari e perfette… io non sono il suo tipo, ne sono sicura. Comunque da come si è comportato con me in questi giorni io non credo che abbia cattive intenzioni… me lo ha detto anche un suo vecchio amico.»

L’uomo sospirò, addolcito dalla risposta e con eleganza le passò una mano tra i capelli sottili e lisci, come al solito in disordine. «Spero che sia come dici tu… è solo che non mi piace vederti così ingenua con questo genere di persone quindi, per favore fai attenzione. Inoltre – aggiunse – io penso che non ci sia niente di sbagliato in te, anzi, ma queste cose è meglio che non le dica uno nella mia posizione.»

Sentiva il cuore in gola, perché Mori diceva quel genere di cose? Non era da lui, lo aveva cominciato a fare solo dopo avergli parlato di Miura. Non riusciva a capirne il nesso.

Scendendo dal banco con un salto meno energico del solito, quasi inebriato da tutto quello che era appena successo, Nomura si avviò verso l’uscita in quanto la campanella era appena suonata.

«Beh… io vado a-allora...» Sentiva le guance bollenti, reazione anomala per lei.

«Atsuko… torna più spesso, in questo periodo non vederti mi ha un po’ rattristato. Buona lezione.»

La voce calda del professore le rimase dentro al petto anche dopo essersi chiusa la porta alle spalle. Non ci capiva davvero niente. Perché il sempre serio e composto professore Mori si era spinto così tanto oltre? Cos’era successo? Non sembrava neppure lui...eppure, ne era così felice.

Mori-san...”

«Stavo pensando – disse Issei all’improvviso durante la pausa pranzo, come al solito sul tetto, aspettavano Atsuko e probabilmente anche Ryuu sarebbe arrivato con lei – da domani protesti smettere di prepararmi il bento?»

Così come lui si dimostrava più distante di sabato, Yoshida era quasi ritornata a chiudersi in sé quando erano da soli. «S-Sì scusami, non avrei dovuto rifarlo comunque… n-non succederà più.»

Avevano parlato molto poco quella mattina ed Eri non aveva mai sollevato lo sguardo verso di lui. Chissà se ricordava quello che era successo alla metro, di fatto, lui non faceva che pensarci e ogni volta nel suo petto correvano mille cavalli.

Quella mattina il cielo era sereno, nemmeno una nuvola sopra di loro.

«Yoshida, vuoi il numero di Eichi?» La rigirò un po’ la questione del numero, in quel modo avrebbe capito cosa ne pensava dell’amico d’infanzia.

«Ah… s-sì. Gli m-manderò subito un m-messaggio, così potrà segnare il mio nome.»

Eppure Yoshida era dolce come sempre, perché non poteva comportarsi come sempre? Dopo quella volta sul treno aveva pensato addirittura di riabbracciarla il lunedì seguente, eppure anche lui, come un riccio, si era chiuso in sé stesso. Non dimenticava e non poteva dimenticare le parole rivolte ad Eichi, doveva restare al suo posto. Eppure anche in quel momento avrebbe voluto strapparle il cellulare dalle mani per dirle che non avrebbe mai dato il suo numero a quello lì.

Che idiota che era.

Mentre scorreva tra le rubrica passò più volte il contatto di Eichi, facendo su e giù, Yoshida non poteva accorgersene visto che non lo guardava minimamente.

«Ti piace Kouda?»

La domanda sembrò un fulmine a ciel sereno tra di loro. Aveva come l’impressione di averla ferita nel chiederglielo ma non poteva tornare indietro.

«S-Se non vuoi rispondere… sono comunque fatti vostri.»

Continuava a rimandare il momento di darle quel maledetto numero.

«Ha-Hasegawa-kun… io l-lo so benissimo d-dove vuoi arrivare…»

Ma che sta dicendo? Dove vorrei arrivare?”

«M-Ma non preoccuparti, non sono interessata a t-te. N-Non s-sarò mai d-di disturbo tra d-di voi!» Prese coraggio e sollevò il viso verso di lui, i suoi occhi vagamente languidi non parlavano abbastanza da fargli capire.

«Che cosa stai dicendo, Yoshida?»

«S-SONO TREMENDAMENTE D-DISPIACIUTA P-PER IL MIO COMPORTAMENTO DI SABATO!» Le parole uscirono troppo forte rispetto al suo solito modo di parlare, Issei continuava a non capire. Quando connesse i fili nella sua testa avvampò. Che ricordasse quello che era successo in treno? Lo ricordava, allora.

«P-Perché ti stai scusando?!»

«I-Io lo so! Non m-mi metterò t-tra di voi! I-Io ero solo...b-brilla, c-credo!»

Che fosse stato Eichi a dirle quelle cose? Mettersi tra chi? Lui e Naoko? Era stato abbastanza chiaro quando le aveva spiegato che loro non si frequentavano, eppure la stupida ancora si faceva problemi. Comunque se era consapevole del suo comportamento perché lo aveva abbracciato così forte?

«Come si vede che non ti conosce – sorrise Hasegawa che come alleggerito dalle parole di Eri osò accarezzarle dolcemente il viso – non sa proprio niente di come sei fatta, eh?»

Gli occhioni incorniciati dalle lunghe ciglia di Yoshida si gonfiarono di lacrime, sempre, troppo, carina, ai suoi occhi.

«C-Cosa?»

Era stato un colpo basso quello di Kouda, in qualche momento della serata in cui non era stato attento doveva averle detto di stargli lontano per non mettersi tra lui e la sua ex fidanzata Naoko. Quello, quello era un comportamento davvero sporco e infame.

«Tu non mi rechi alcun fastidio, va bene? Quante volte dovrò dirtelo?»

Le lacrime cominciarono a scendere copiosamente. «A-Allora p-perché? N-Non t-ti piace come ho p-preparato il bento?»

«Scusami, pensavo fosse una seccatura per te.» Senza lasciarle aprire nuovamente bocca la spinse contro al proprio petto, usando la sua morbida chioma nera per poggiare il mento. Era felice di essere riuscito a stringerla di nuovo. Il senso di colpa era scomparso dopo aver capito quello che quel meschino di Kouda le aveva detto. Aveva cercato di mantenere la correttezza ad ogni costo, anche contro il suo volere, ma non così.

«K-Kouda-kun è un b-bugiardo?»

«No…. - sussurrò – lui avrà solo frainteso la situazione. Non ci vediamo da molto e avrà pensato chissà cosa ma non è così.»
 


 
 

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Capitolo 7
*** Popcorn ***


«La vostra separazione deve averlo turbato molto.»

Miura si era trovato lì per caso, era sceso in cortile per bere dalle fontanelle vicino al campo e ci aveva trovato Naoko con le sue stupide amiche a chiacchierare, sedute poco lontano dalla sua postazione. Non le guardava ma riusciva a sentire bene le loro parole.

«E’ vero, Nao-chan – Ryuu poteva percepire una certa falsità nella preoccupazione dell’altra ragazza che aveva parlato – adesso frequenta il boiler, mi chiedo come si possa passare da un fiore come Nao-chan a quella roba!» La grossa risata che seguì lo irritò particolarmente.

Naoko se ne restava in silenzio, Miura la conosceva, era debole come allora. Si aggrappava a quelle ragazze per non restare sola, inoltre, quelle due erano in qualche modo rilevanti all’interno della scuola, per lei era una buona situazione, meglio di quello che avrebbe mai sperato. Era sempre stata così, debole.

«Perché non provi a riprendertelo? Non hai detto che è stato lui a lasciarti? A me non sembra essere molto sereno, si sarà già pentito!» Continuò la prima.

Ryuu smise di premere sul bottoncino della fontanella, l’acqua gli gocciolava lungo il collo. Rivolse a Naoko un’occhiataccia mentre ritornava a scuola, lei sul momento ricambiò ma poi distolse lo sguardo.

«Io… potrei rifarlo.»


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«Alla fine non abbiamo vinto – commentò Issei alla fine della lezione, non erano riusciti a vincere la visita di tre giorni a Tokyo ma in effetti non si sarebbe creata una bella situazione con quel genere di compagni, anche se in fondo, un po’ sperava di poter andare a Tokyo insieme ad Eri, pensava questo mentre la guardava assorta nel mettere in ordine la cartella – a te non dispiace?»

«Un giorno – sorrise appena la compagna – vorrei andarci comunque, vorrei andare al mare.»

«Non ci sei mai stata?»

Lei mugugnò qualcosa per dire di no.

In fondo le vacanze estive non erano particolarmente lontane, forse avrebbero potuto organizzare qualcosa insieme, certo, con Atsuko e forse anche Miura si sarebbe unito a loro. Quel genere di prospettiva non gli dispiaceva.

Non appena Yoshida fu pronta ad andare anche lui raccolse la sua più maltrattata borsa scolastica, uscendo dopo di lei. Atsuko era andata un po’ prima, doveva prendere delle fotocopie per il professore in sala docenti, invece Ryuu non aveva proprio partecipato alla lezione, non gli era mai piaciuta letteratura e così aveva finto un malore per dormicchiare in infermeria.

«A-Andiamo a controllare come sta Miura-kun?» Domandò timidamente l’amica e Issei acconsentì svogliatamente.

Come sospettava, Ryuu dormiva beatamente sul lettino nella stanza, l’infermiera che si occupava dello studio era una donna particolarmente simpatica e alla mano, facilmente la convincevano a coprirli. Probabilmente il fatto che fosse molto giovane la rendeva più vicina ai ragazzi. Quando Issei ed Eri entrarono li aveva accolti con un bel sorriso, poi, raccogliendo alcuni fogli era uscita.

Miura aprì un occhio, vedendo i due compagni entrare. «Hase-chan eri preoccupato per me?»

«Non potrebbe fregarmene di meno, era lei quella preoccupata.» Sbottò orgoglioso, incrociando le braccia al petto con aria annoiata.

Yoshida sembrò morire d’imbarazzo.

«Eri-chan! - balzò immediatamente fuori dalle coperte, saltandole addosso nell’intento di abbracciarla, Issei sorpreso del gesto inizialmente non seppe come reagire – Sei così adorabile!»

«MIURA!» Urlò una voce familiare, prima che Hasegawa potesse tirarlo via, era Atsuko.

Ryuu scattò all’indietro, spaventato, inciampando contro il letto. In effetti Nomura doveva terrorizzarlo.

«Non è come pensi, cara, era solo un abbraccio fraterno il mio! Ho occhi solo per te, davvero!» Spiegò frettolosamente, recitando un po’.

Yoshida sorrideva divertita e Issei non poteva che dimenticare tutto il resto per concentrarsi sulla sua bocca, così rosea, dai bordi ben delineati e le labbra carnose, si sentiva spesso uno stupido a restare imbambolato a causa sua ma non poteva evitarlo in nessun modo, non più.

Nomura, intanto, colpiva Miura con la sua cartella.

Da quel giorno sul tetto non c’erano più stati contatti strettamente fisici tra di loro e questo non poteva che turbarlo, sentiva come un morboso attaccamento alla ragazza e quel loro stringersi così intimamente non aveva che solidificato il rapporto, evolvendolo in qualcosa che Issei non riusciva bene a definire.

Quando aveva iniziato a frequentarsi con Naoko aveva soltanto quindici anni e il loro approccio era stato completamente diverso, la sua ex ragazza si era dimostrata più intraprendente e sfacciata nei suoi confronti, anche se sembrò solo un modo per nascondere la sua natura timida e accondiscendente. Guardando Eri, con gli occhi del presente, non riusciva proprio ad immaginare che potesse fingersi una persona socievole o alla mano, almeno per com’era davvero fatta lei. Naoko era ancora un punto interrogativo per lui e la cosa un po’ l’aveva allontanata dal suo cuore, specialmente dopo le parole di Miura.

Da quel momento non ci capiva più nulla.

«Prendiamo un gelato? Una crepes?» Propose Nomura, prima di lasciare Hasegawa e Yoshida davanti la fermata.

Eri sembrava contenta ma non si sporse. Issei capì che probabilmente lei voleva farlo ma non era sicura che tutti gli altri fossero d’accordo quindi non aveva detto niente. «Ma dove?»

Miura si grattò la nuca con fare disinteressato. «C’è un centro commerciale nei dintorni, c’è anche un cinema.»

Tra l’entusiasmo delle due ragazze, con Nomura che diceva ad Eri che c’era un peluche a forma di scimmia in una di quelle macchinette col braccio meccanico che desiderava da tanto tempo e avrebbe provato a recuperarlo e Yoshida che si perdeva nell’accurata descrizione di quello che sembrava essere un bellissimo pupazzetto, Hasegawa e Miura rimasero poco indietro.

«Sei contento?»

Ryuu inarcò un sopracciglio. «Che?»

«Finalmente potrai uscire con Nomura.» Parlò sottovoce anche se era certo che Atsuko non gli stesse prestando minimamente attenzione.

«Significa che ci lascerete da soli?»

Issei avvampò, voleva metterlo a disagio ma era finito lui a sentirsi imbarazzato. «Prova tu a separarle.»

Ryuu assottigliò gli occhi verso le due ragazze, sorridendo sinceramente felice. «Sono contento, mi piace vederle insieme. Sembrano aver trovato il loro equilibrio.»

«E’ tutto merito di Nomura.» Acconsentì Issei, sollevato dal fatto che il discorso fosse cambiato.

«E’ anche merito di Yoshida, guardala, è così dolce che è impossibile resisterle.» Miura scoppiò a ridere quando Hasegawa lo prese per il colletto della camicia bianca della divisa scolastica.

«Non fai che dire queste cazzate, che intenzioni hai?!»

«Mi piace solo darti fastidio – dopo essersi liberato della presa dell’ex amico, sollevò le mani in segno di resto – non hai idea di che faccia stupida fai ogni volta che ti ingelosisci.»

Il ragazzo dalla folta frangetta scura sbuffò, mettendo le mani in tasca e riprendendo a camminare. In realtà sapeva bene che Miura non nutriva alcun interesse per Yoshida ma il fatto che ci scherzasse su lo faceva imbestialire, forse perché ricordava ancora bene quello che era successo con Naoko. Issei si sentiva preso in giro, sapendo come tutto quello che era successo non fosse che un fraintendimento, il senso di colpa lo portava a reagire in modo aggressivo. Era troppo impulsivo.

«Wow!» Esultò, meravigliata, Yoshida. Forse non aveva mai visto quel centro commerciale prima d’ora, in effetti passava tutto il tempo tra casa e lavoro, inoltre, prima di allora con chi avrebbe potuto visitarlo?

«Yoshida!» La chiamò Issei, come illuminato.

La ragazza si voltò immediatamente, spaventata.

«Ma tu non devi andare a lavoro?!»

«Ah no, non preoccuparti, s-sono stata licenziata.» Lo disse con un certo sorriso ingenuo che quasi gli venne da ridere, riconosceva che la situazione non fosse per niente positiva ma lei era così carina anche quando diceva cose del genere.

Nomura l’afferrò per le spalle. «Come licenziata? Perché?»

«La biblioteca sta per chiudere, non conosco tutti i motivi ma pare che non ci siano dei conti proprio in regola. C-Comunque non è un problema, eh! Ho già mandato dei curriculum! E poi… tengo sempre qualche soldo da parte per questi momenti difficili, non è la prima volta.»

Yoshida, al contrario di tutti loro, era davvero la più matura. Parlava, in quel momento, più come una donna che come una ragazzina del liceo. Hasegawa rimase talmente meravigliato da sentire le guance andare a fuoco, poi tossì per evitare di pensarci.

«Sai cosa Yoshida? - iniziò a parlare Miura, guadagnandosi due brutte occhiatacce – Mi sembra di aver letto in un bar di maid che cercano personale, tu sei molto particolare come ragazza e lì ci vanno spesso i maniaci, basterebbe scoprire un po’ il seno e mettere qualche filo di trucco, poi con una divisa da maid staresti benissimo.»

Eri rimase pietrificata davanti alla proposta, il suo viso bianco come il latte si colorò di un aggressivo rosso, Nomura rimase in silenzio qualche secondo prima di tirargli un assestante pugno nello stomaco. Anche la reazione di Hasegawa non fu delle migliori, la proposta di Miura era del tutto fuori luogo e quelle osservazioni che aveva fatto avrebbe voluto fargliele rimangiare, d’altra parte gli era apparsa in mente Eri vestita da cameriera che gentilmente gli chiedeva cosa avrebbe voluto ordinare e le reazioni nel suo corpo iniziarono a non rispondere più.

Sono uno di quei maniaci?

Io… sono uno di quei maniaci… No, non può essere!

Comprendendo la pericolosità delle idee che gli erano venute in mente solo immaginando Eri vestita in quel modo capì quanto Miura meritava le botte. «Quindi… - sussurrò con la frangetta davanti al volto, Hasegawa che aveva catturato l’attenzione di tutti – quindi tu frequenti i bar per le ragazze… sei disgustoso.»

Nomura si allontanò, sconvolta. «Miura-kun è un maniaco!» Corse da Eri per abbracciarla, quasi volesse difenderla.

«Perché non apprezzate il mio modo di scherzare? - Sussurrò Ryuu mentre teneva l’addome, dolorante – Se voi non avete il senso dell’umorismo è un problema vostro!»

 

Entrati al centro commerciale Yoshida sembrava essersi completamente ripresa dall’imbarazzo di prima e finalmente si concentrava sulla bellezza del luogo, con le sue luci, i suoi grandi negozi e le fontanelle nei centri di ritrovo. Nomura le indicava i posti più convenienti dove a volte aveva comperato qualcosa.

«Quindi? Avete deciso? Crepes o cinema?» Chiese Ryuu.

«Che fanno al cinema?» Rispose Atsuko.

Issei cercava qualcosa di interessante lì, in effetti quel genere di posti non si addicevano per niente a lui. Mentre i due discutevano sul da farsi anche Yoshida si era allontanata appena per avvicinarsi alla vetrina di un negozio, dalla sua posizione non riusciva a capire cosa vendessero così si avvicinò all’amica. Un grazioso cucciolo bianco e peloso scodinzolava e saltava su se stesso mentre Yoshida batteva il dito contro il vetro per salutarlo.

Che carina.

«Abbiamo deciso!» Li richiamò all’attenti Nomura, contenta.

«Beh, che si fa?»

«Il cinema salta, non voglio che Yoshida spenda troppo quindi possiamo andare a mangiare qualcosa.»

Issei storse le labbra, il risultato non lo aveva convinto. «Yoshida, tu vuoi andare al cinema? Ci andresti se il prezzo non fosse un problema?»

«P-Possiamo andare a prescindere! Non potrà essere così caro...n-no?»

«Lo è abbastanza perché possa offrirtelo quel riccone di Hasegawa, sai?» Commentò Miura, ridacchiando.

Eri arrossì. «N-No!»

«Non è un problema per me e comunque è uscito da poco un film che volevo vedere, ci ho pensato solo adesso.»

«A-Allora andiamo a vederlo. Ho già d-detto che non è un problema il prezzo!»

«Puoi comunque usarli per qualcos’altro, per tua madre, o che ne so. Lascia stare, io non ho nessuna spesa.»

«Allora lo offrirò anch’io a Nomura, così come farebbero due bravi fidanzati.» Scherzò Miura che si coprì agilmente il viso, pensando che Nomura l’avrebbe colpito a breve. Quando il colpo non arrivò guardò la ragazza per capire che cosa poteva essere successo ma vide soltanto l’amica un po’ confusa, con le guance teneramente colorate di rosa. Che razza di reazione era quella? Divenne rosso anche lui.

«Non pensarci neanche.» Ritornò in fretta sulle sue, Nomura, girando il capo per nascondere l’imbarazzo.

Anche Hasegawa era abbastanza confuso e sorpreso di quella reazione.

«No! Non lo faccio per te, Nomura! - Cercò di mantenere un’aria scherzosa Miura che tuttavia non poteva nascondere quanto quella situazione l’avesse colpito – Ma pensa se ci vede di nuovo l’omone! Potrebbe succedere, devo assolutamente comportarmi così per il tuo bene, almeno per un periodo.»

«Non prendermi in giro!»

«Avete finito?» Sbottò Hasegawa, che iniziava a sentirsi in imbarazzo tra di loro, Yoshida era diventata in qualche modo trasparente. Prese il ragazzo dal braccio prima che Nomura potesse solo uscire il portafogli dal borsone, trascinandolo fino al banco per fare i biglietti, quella non sembrò reagire.

«Ma che le prende?» Il ragazzo sembrava svuotato dall’interno, Issei trovava la cosa parecchio tenera.

«Forse ha le sue cose, diventano pazze quando sono in quei giorni.»

Miura sorrise, divertito, intanto la fila scorreva. «E’ cambiato qualcosa, me lo sento! Ma non capisco cosa, non capisco neppure se è una cosa positiva o meno.»

«Non hai notato niente di strano ultimamente?»

«Non è che le sto appiccicato tutto il giorno addosso, come te con Yoshida.»

«Beh a lei sta bene, non sto cercando mica il suo santo perdono.»

Miura sollevò il dito medio con grande nonchalance.

Presi i biglietti tornarono dalle compagne di classe, non sembravano aver parlato in loro assenza. Nomura era evidentemente scossa ma non capiva bene da cosa, anche lo sguardo di Ryuu tradiva una certa confusione. Comunque all’inizio del film mancava ancora un po’, potevano fare un giro per la sala giochi.

«Hasegawa-kun… g-grazie.» Parlò così tanto a bassa voce che fu difficile scandire bene le parole di Eri tra quel baccano, eppure Issei le offriva sempre la sua completa attenzione, era certo che avrebbe potuto sentirla dappertutto, in qualsiasi momento.

«Te lo scordi in continuazione.»

«C-Cosa?»

«Io, quello che faccio, lo faccio solo perché mi va.»

Non faceva che pensarci, per quanto avesse provato ad ignorarlo, un senso di pesantezza si era bloccato sul suo stomaco e ogni volta che guardava di sfuggita Nomura si sentiva frastornato. Voleva capire, a tutti i costi.

Yoshida ed Issei, secondo indicazioni di quest’ultimo, si erano allontanati e a Ryuu quello era sembrato un gesto di pace da parte di Hasegawa. Erano andati a vedere dei giochi a coppia in cui si usava una pistola di plastica per sparare agli zombie, infatti, prima di poter entrare nelle sale del cinema c’era un angolo totalmente dedicato a quel genere di giochi, anche la macchina col braccio meccanico che ricordava Atsuko si trovava in quella zona. Alla fine si erano semplicemente separati.

«Quindi, ricordi dov’è la scimmia di pezza?»

Nomura, stranamente silenziosa, indicò il gioco e insieme si avvicinarono, prima di loro c’era una coppia, non che lo sapesse ma lo sospettava da come si sorridevano. Atsuko si grattava nervosamente il braccio scoperto dalla manica corta della camicetta della divisa scolastica. Non voleva parlargli forse.

Quei due avevano preso di mira proprio la scimmia che piaceva ad Atsuko, la cosa lo preoccupò perché il ragazzo la volta precedente l’aveva quasi presa. Guardò la ragazza più bassa che invece si concentrava con aria malinconica sulla loro preda.

Quando il tipo riuscì finalmente a prenderla qualcosa si spense in lei, al contrario la ragazza della coppia saltò in braccio all’altro, per ringraziarlo. Il premio non è che fosse particolarmente bello, la scimmia era cucita un po’ male e la faccia non era molto carina, anzi, metteva un po’ paura. Non si sorprese che quel pupazzo piacesse alla stramba Nomura che in quel momento sembrava essersi ammutolita del tutto, mentre i due andavano via soddisfatti.

«Ci sono peluche più carini, puoi provare a prenderne un altro. Poi, la loro è stata solo fortuna, queste macchine sono difettose.»

Atsuko annuì. «Non importa, è come hai detto tu sono difettose. A me piaceva la scimmietta, non ne voglio un altro, va bene così. Avremmo dovuto arrivare prima.»

Non tollerava di vederla così triste, non gli piaceva. Il suo viso era bello quando sorrideva, voleva vederlo sempre sorridente. Una fitta al petto lo costrinse a distogliere lo sguardo, doveva assolutamente fare qualcosa per lei.

«Vai da Yoshida, io devo andare al bagno per un momento.»

Atsuko annuì poco convinta e si allontanò.

Guardandosi intorno con fare sospetto anche lui si allontanò, voleva capire dove sarebbero andati i due ragazzi. Voleva solo parlare con loro, magari avrebbero capito, certo non è che fosse particolarmente contento della cosa, non aveva voglia di mostrarsi gentile verso di loro, perché avrebbero dovuto prendere proprio la scimmia? Era pieno di pupazzi rosa e confettosi, come la ragazza dai capelli biondi e i vestiti attillati, non si addiceva affatto a lei, che fastidiosi.

No, si stava arrabbiando senza ragione.

I due non sembravano dover andare al cinema infatti uscirono dalla zona per ritornare al centro commerciale, camminavano e ridacchiavano mentre lei si aggrappava scioccamente al suo braccio. Miura sbuffò prima di fermarli.

«S-Scusate!» Alzò il tono di voce.

La prima a girarsi fu la ragazza che gli sorrise un po’ sfacciatamente, subito dopo di lei lo fece il fidanzato che invece non aveva in faccia stampato proprio il buon umore.

«Sì?» Sembrò sforzarsi di essere gentile, lui.

«Posso acquistare il vostro coso...peluche, la scimmia insomma.»

«Cosa? No!» Strillò la ragazza che sembrava aspettarsi qualcos’altro dalla sua presenza.

Miura pensò al modo migliore per convincerli.

«Insomma, a me serve davvero, la mia sorellina fa collezione di questo genere di peluche e purtroppo non ce ne sono altri. Ma – bloccò il ragazzo che voleva dire qualcosa, alzando ancora la voce – se io lo comprassi, non guadagnereste almeno il triplo di quello che avete speso per quel gettone? Se volete anche il quadruplo. E poi, rimanga tra noi, non è molto carino quel pupazzo, per una bella ragazza come lei – si rivolse al fidanzato, mentre la tipa sorrideva come un’oca – non sarebbe meglio qualcosa come un orsetto o un coniglio? Se me lo vendeste con quei soldi potreste cercare di prenderne uno molto più bello.»

Quello guardò la compagna come per chiederle consiglio, sembrava abbastanza tentato, Ryuu rimase in silenzio a studiare le loro espressioni. Volevano venderlo ma non volevano cederlo facilmente, come per un senso d’orgoglio.

«E va bene – sospirò la biondina, avvicinandosi – ma voglio almeno cinque volte il prezzo del gettone.»

Ma guarda tu questa… pensò infastidito mentre dal portafogli contava le banconote da cedere ai due sconosciuti. Non che fosse un problema per lui spendere quei soldi ma non gli piaceva avere a che fare con quel genere di gente, era solo un peluche del cavolo, cucito anche male.

Quando glielo misero tra le mani andarono via e lui guardò per qualche minuto la scimmia, profondamente, negli occhi. Chissà cosa c’era di speciale in quel pezzo di stoffa per piacere tanto ad Atsuko.

Yoshida era del tutto goffa con quel genere di cose e la cosa lo faceva ridere parecchio, probabilmente non si aspettava di dover sparare in ambientazioni così lugubri e spaventose come vecchi ospedali o manicomi abbandonati. Teneva con una certa difficoltà la pistola giocattolo mentre sparava e quando appariva qualche jumpscare di uno zombie sobbalzava emettendo un urletto, a volte si era persino dimenticato del gioco perché l’aveva guardata troppo a lungo.

Finiti i turni disponibili si accorsero di Atsuko che silenziosamente stava dietro di loro, da sola, Miura non era con lei.

«Sei riuscita a prendere la scimmia?»

«Veramente no. C’erano due ragazzi davanti a noi e l’hanno presa, purtroppo.»

Yoshida corrugò la fronte. «Mi spiace tanto.»

«Su, su, non è la fine del mondo.» Mentiva, era chiaro dalla sua espressione triste.

Miura tornò poco dopo, a detta di Nomura era andato al bagno un secondo e intanto l’ora dello spettacolo era arrivata così sarebbero potuti entrare. Atsuko ed Eri sedettero tra i due ragazzi, occupando una piccola porzione di una fila di sedili al centro della sala, la vista da lì era decisamente ottima.

«Non urlate troppo.» Li avvertì Miura, facendo ridere Hasegawa.

Atsuko strinse le spalle. «Non mi hanno mai spaventata questi film.»

«S-Spaventata?» Domandò, incosciente, Yoshida. Ryuu scoppiò a ridere e Nomura impallidì, Issei in effetti doveva aspettarselo che quello non era proprio il genere della vicina di banco, anche a giudicare dalla reazione per un gioco sciocco come quello che avevano fatto prima.

«Non hai letto il titolo sul biglietto? Fuori c’erano le anteprime di cartone.» Spiegò Miura, mostrandole il titolo del film.

Hasegawa tossì colpevole. «Veramente… le ho dato il biglietto solo prima di entrare. N-Non ci ho pensato.»

Yoshida si era irrigidita sulla poltroncina. «N-Non c’è problema. È colpa mia che non ho c-chiesto. E poi… n-non mi fanno c-così paura!»

Nomura, preoccupata, le mise una mano sulla spalla. «Quale film horror hai visto fino ad oggi?»

«C-Credo nessuno.»

«MA E’ IMPOSSIBILE!» Il biondo non la smetteva di ridere.

Nomura gli tirò una lieve gomitata. «E-Eri-chan, quando avrai paura stringimi forte oppure chiudi gli occhi.»

«C’è anche Issei, può stringersi a lui, così quando mi spavento io posso abbracciarti.» Continuava a scherzare, Atsuko arrossì di nuovo, stavolta meno freddamente ma più divertita.

In effetti poteva tenersi anche ad Issei, per lui era tutt’altro che un problema. Allargò le braccia, un po’ come Gesù. «Mi sacrificherò, Yoshida, lo farò.»

Finalmente la vide sorridere.

All’improvviso si spensero tutte le luci, il film stava per cominciare, ma questo Eri non doveva averlo capito subito visto che tremò sorpresa.

Hasegawa prevedeva due ore piene di piacevole tensione, era pronto.

 

Quel film non era molto spaventoso, in effetti, neppure Yoshida venne coinvolta molto a giudicare dalle poche volte che la vide terrorizzata, comunque i pochi jumpscare buttati in mezzo al film per non far addormentare lo spettatore la fecero urlare ogni volta, fortunatamente, o sfortunatamente – non era sicuro se definirsi un sadico o qualcosa del genere -, comunque le volte che Miura si era gettato scherzosamente addosso a Nomura che reagiva sempre più timidamente, Eri fu costretta a prendere la mano di Hasegawa, mentre il cuore di quest’ultimo scoppiava dentro al petto.

Sarebbero dovuti uscire più spesso insieme, Miura si era rivelato più utile di quello che avrebbe potuto credere.

Il film si era chiuso nel modo più violento possibile, non si addiceva alla poca violenza vista fino a quel momento, comunque fu sufficiente per costringere Eri a nascondere il viso sul suo petto. Più che impaurita, doveva essere proprio schifata da quella visione; intanto Issei sudava freddo in quanto il bracciolo della poltrona si era messo tra la vita di Yoshida e il suo braccio, che poggiava esattamente sul suo prosperoso seno. Non riusciva a muoversi, era paralizzato dall’imbarazzo. Yoshida non doveva averci fatto caso e per quanto ragionevole potesse essere, il ragazzo, non poteva certo desiderare di liberarsi.

No, non doveva pensare a quel genere di cose, non con Yoshida. Lei era ingenua, quasi infantile sotto quel punto di vista, era come se la stesse molestando solo pensandoci.

Riaccese le luci tutto finì ed Eri tirò un respiro di sollievo.

«Com’è stato?» Domandò, preoccupata, Atsuko, rivolgendosi all’amica ancora un po’ evidentemente scossa.

Anche Issei si riprese. «Faticoso.»

Gli occhioni di Yoshida divennero subito lucidi, a causa dell’imbarazzo. «S-Scusa!»

Hasegawa e Yoshida avevano già preso il treno, così non restava  a lei e Ryuu che tornare a casa, avevano camminato fianco a fianco per tutto il tempo senza parlare di nulla. A volte Miura aveva cercato di iniziare un discorso, facendo vari commenti sul film deludente, tuttavia lei non sentiva di riuscire a discutere con lui in modo normale. Odiava che quei sentimenti trasparissero così evidentemente.

Dopo le parole di Mori non riusciva a comportarsi normalmente con Miura, anche se non poteva dire di non averci provato. Lui sembrava sempre lo stesso ma qualcosa in lei stava lentamente cambiando, qualcosa del tutto sconosciuto.

Che Miura si stesse davvero prendendo gioco di lei?

«Miura-kun.» Lo chiamò, all’improvviso.

Il ragazzo si grattò la nuca, confuso. «Sì?»

«Pensi che io sia carina?»

Lui balzò all’indietro, visibilmente arrossito. «C-Cosa?»

«S-Stavo pensando – strinse le labbra timidamente – tu pensi che io sia carina? Da quei giorni in cui mi trattavi in quel modo… io f-forse potrei essere più carina. Mi tratti bene per questo motivo?»

Miura sembrò arrabbiarsi al suono di quelle parole, le rivolse uno sguardo quasi ringhioso e quel comportamento la spaventò un po’. «Tu sei uguale a quei giorni, ai miei occhi.»

Qualcosa, come una piccola luce, dentro al suo petto sembrò spegnersi. Non capiva a cosa era dovuta quella strana sensazione, tuttavia, era ben consapevole di dover essere felice di quella risposta.

Sì, era felice di quella risposta.

Sospirò sollevata, sorridendo appena. «Beh, allora va bene così, immagino.»

Ryuu le diede le spalle, riprendendo a camminare. Non era certa del perché l’avesse fatto arrabbiare, gli dispiaceva, prima sembrava tanto di buon umore che quel suo brusco cambio d’umore doveva essere causato proprio dalla sua domanda strana.

Erano arrivati davanti casa sua.

Senza pensarci, alla fine, Miura l’aveva accompagnata fino a casa.

Perché faceva tutte quelle cose gentili verso di lei? E perché quei gesti sembravano provocarle quella strana gioia?

«Tu non ti fidi ancora di me, giusto?» Miura non la guardava, si era semplicemente seduto sul muretto di fronte casa sua, aveva guardato distrattamente l’ora sullo schermo del cellulare.

Atsuko prese a grattarsi il gomito nervosamente. «N-Non penso ci siano motivi per non fidarmi di te.»

«Allora perché mi hai chiesto una cosa del genere? Forse… forse io non ho il diritto di dirlo però – fece una breve pausa, evitava ad ogni costo il viso di Nomura – però non è per niente carino quello che hai pensato.»

«In effetti mi sono sopravvalutata appena un po’.» Rise, veloce, nascondendo una certa amarezza.

Ryuu sbuffò, spazientito. «Ma non è per questo, idiota! Pensavi che mi fossi avvicinato a te solo… solo per quel motivo. Io… so benissimo che non posso fare l’offeso, so bene che le mie azioni hanno sempre dimostrato il contrario, però, io non sono quel genere di persona. E comunque non ho detto che non sei bella, ho solo detto che fai dei ragionamenti stupidi e offensivi.»

Forse lui non poteva vederlo, teneva lo sguardo basso, eppure il cuore di Atsuko aveva preso a battere irregolarmente, i suoi grandi occhi castani si erano sgranati sorpresi. Quelle parole erano state molto brusche, l’ultima cosa che avrebbe voluto rendere a Miura, che si dimostrava invece un buon amico, era il dubbio della sua buona fede. Era normale essere un po’ confusi, però aveva sbagliato ad insinuare quel genere di cose, erano davvero terribili e degni di una persona orribile.

Eppure Miura era stato orribile.

Perché si sentiva così in colpa?

Ryuu aveva abbandonato il borsone scolastico ai suoi piedi, si era appena chinato di fronte a lei per prendere qualcosa. Forse era un segnale per dirle di andare via.

«M-Mi dispiace…» Balbettò insicura, andava verso il cancello basso del cortile davanti casa.

«Aspetta!»

Atsuko si voltò immediatamente.

Miura stringeva con una mano la tanto desiderata scimmia di stoffa che quel pomeriggio l’aveva resa così triste, finendo nelle mani di quegli estranei. Non riusciva più a controllare le sue emozioni e le lacrime scesero velocemente giù per il suo viso. Il biondo sembrò parecchio a disagio nel vederla piangere ma per quanto cercasse di asciugare le gocce d’acqua con le mani, continuavano a scendere sempre più copiosamente.

Atsuko, era lei quella che era stata orribile con Miura.

Come aveva potuto dire quelle cose? Ma soprattutto, perché faceva quelle cose per lei?

«N-Non la vuoi più?» Visto che la ragazza non riusciva a muovere le gambe e piangeva, forse Miura aveva pensato che non la volesse più.

Atsuko si fece forza e chiamando a raccolta tutto il suo coraggio, velocemente, lo abbracciò. Lui rimase con il braccio disteso verso il vuoto, paralizzato dal gesto, mentre la compagna di classe si stringeva affettuosamente intorno al suo addome. Lui era effettivamente troppo alto per lei, appena qualche centimetro meno di Issei.

Insomma, due giganti.

«Mi dispiace tantissimo, Ryuu-kun!»

Anche lui sembrò singhiozzare. Velocemente coprì il viso, Atsuko rimase a guardarlo dal basso, per qualche secondo, riusciva chiaramente a vedere i suoi occhi socchiusi e bagnati, era davvero tenero.

Non si sarebbe mai aspettata una reazione del genere.

«P-Prendila e basta. È i-imbarazzante.» Anche il suo tono di voce aveva preso un’intonazione particolarmente carina.

In fondo, Mori non conosceva Miura, e certo non l’aveva frequentato come lei in quelle settimane. Non poteva sapere che persona era diventato, non sapeva proprio nulla di quello che aveva fatto per lei.

Atsuko afferrò dolcemente la scimmietta, stringendola sul petto e allontanandosi lentamente dall’amico. Gli sorrise, sinceramente, anche se le lacrime scivolavano, sempre più piano, sul suo viso. «Non succederà mai più, Ryuu!»

«B-Beh, lo s-spero per te. L-La prossima volta ti picchierò!»

 

Tornata in casa la prima cosa che fece fu salire in camera per gettarsi sul letto con la sua nuova amica, o il suo nuovo amico, avrebbe dovuto sceglierlo. Distrattamente si accorse, dalla finestra, che Miura era rimasto seduto sul muretto. Si era raccolto le ginocchia al petto, sembrava un riccio biondo. Scostò leggermente la tenda per vedere meglio e lui sembrò accorgersene, non aveva un’aria triste, anzi, sembrava abbastanza sereno mentre scuoteva la mano per salutarla.

Atsuko non aveva mai provato quelle emozioni, si sentì un'ebete a ricambiare il saluto.


Yoshida non aveva proprio un bell’aspetto la mattina successiva, Hasegawa si chiedeva cosa potesse essere successo per non farla dormire bene.

Che stesse pensando al loro contatto al cinema? Che stesse pensando a lui?

Devo smetterla una buona volta.

«Cosa sono quelle occhiaie?» Domandò, rude.

Eri si toccò le guance, più sotto gli occhi, imbarazzata. Forse non avrebbe dovuto chiedere con quel tono. «Ho f-fatto i compiti fino a tardi, n-non ho dormito molto bene.»

Atsuko strillò subito dopo, come terrorizzata. «I COMPITI!»

«I comp… Quali compiti?!» Anche Issei era sorpreso. Si era totalmente dimenticato di quello, dopo essere ritornato a casa non aveva fatto che giocare alla play station, continuando a chiedersi se Yoshida si fosse accorta di qualcosa.

Che fosse lui a pensarla troppo?

Lei sembrava piuttosto tranquilla, sotto quel punto di vista.

No, io non la penso affatto. Pensò, fieramente. Cazzo lo sto facendo di nuovo, adesso il problema sono i compiti!

«Quanto siete inutili – commentò Miura, appena entrato in classe, si era appoggiato alla finestra vicino il banco di Yoshida – siete degli studenti, come fate a dimenticare di studiare, è proprio idiozia.»

Issei aspettò la solita battuta acida di Atsuko, per rincarare la dose, ma questa non arrivò neanche dopo diversi secondi. Lei sembrava sul punto di dire qualcosa ma le sue guance rosse parlavano per lei, anche Miura si dimostrava particolarmente vulnerabile quando incontrava il suo sguardo.

Decise di fare da sé. «Gli studenti seguono le lezioni senza fingere malanni.»

«Non puoi capirlo tu, guarda la tua comune faccia, io, al contrario, penso così tanto spesso a quanto sono bello che mi sento addirittura male.»

Yoshida scoppiò a ridere, lui sembrava soddisfatto del risultato.

«Eri-chan! - la richiamò, finalmente Atsuko che mostrava segni di vita – Non partecipare al suo sporco gioco, aumenti solo il suo smisurato ego.»

Issei aveva notato da un po’ lo sguardo di Fujihara, sembrava sorpresa di vederli così contenti e allegri, anche abbastanza infastidita.

Poco dopo entrò anche il professore così tutti dovettero prendere velocemente posto. Teneva alcuni fogli raccolti nelle braccia, goffamente. Sistemò la cattedra per ordinarla, poi, dopo averli invitati a fare silenzio, prese alcuni gessetti per scrivere alla lavagna.

Il piccolo festival che la loro scuola organizzava prima delle vacanze estive si avvicinava e tutti gli studenti avrebbero dovuto organizzare un raduno quantomeno dignitoso. Era una sorta di tradizione, lo facevano anche alle medie.

«Dividetevi i ruoli, siete ufficialmente in autogestione.»

In effetti nessuno avrebbe pensato ad un imprevisto del genere, erano in largo anticipo.

«Se vi state chiedendo perché – parlò l’uomo, notando i visi interrogativi davanti a sé – vi viene chiesto di organizzarlo in anticipo, è perché l’ultima volta è stato un vero fallimento e la nostra scuola vuole dare una buona impressione ai nuovi studenti, in visita. Le nostre tradizioni sono oggetto di grande curiosità per i nuovi studenti.»

Il liceo che frequentavano era particolarmente famoso, considerato tra i migliori per istruzione e festività di quel tipo. Ci tenevano davvero molto e questo permetteva quasi ogni anno di organizzare grandiosi festival. Quel genere di eventi serviva per dare un’idea agli studenti che avrebbero voluto iscriversi l’anno successivo, inoltre, il fatto che la scuola organizzasse ben due fiere, al contrario del normali istituti.

Il festival prima delle vacanze estive permette loro anche di avere un’idea chiara su cosa migliorare durante il bunkasai.

Una volta che il professore lasciò la classe tutti ricominciarono a parlare, eccitati ed emozionati.

Eri guardava la lavagna con aria pensierosa.

«Hai già pensato di cosa vorresti occuparti?» Domandò Atsuko che aveva lasciato sbadatamente la sua postazione per poggiarsi sul bordo della finestra.

La riccia strinse le spalle, assolta. «Io non so cos’è.»

«Una sorta di bunkasai ma molto meno in grande.» L’aiutò Miura, che aveva preso il posto davanti a Yoshida.

«Oh, misono sempre piaciuto questo genere di cose, però, non so se riusciremo a metterci d’accordo con la classe. Dovremmo vedere di cosa si occupano nelle altre?»

Eri trovò quella un’ottima idea e senza fare troppi complimenti uscì insieme all’amica, lasciandolo da solo con Ryuu. Molti erano usciti, probabilmente per poltrire, altri, i più secchioni si erano muniti di carta e penna per organizzare prima di tutto le attività.

«Guarda chi è curioso di sapere che club si formerà in questa classe.» Disse, Miura, ridendo in modo abbastanza fastidioso, mentre indicava fuori dalla porta.

Hasegawa si prese un colpo, Naoko nascondeva metà del viso dietro la porta e sbirciava timidamente dentro la classe, come se non conoscesse nessuno lì. In realtà molti membri del gruppo classe erano proprio suoi amici.

Forse si sentiva a disagio perché c’era lui. Forse sarebbe dovuto uscire.

Quando i loro occhi si incontrarono lei sembrò arrossire tristemente, Issei distolse solo lo sguardo. Si sentiva colpevole di qualcosa ma non era sicuro di cosa. Quando lei decise di entrare, Ryuu si alzò agilmente per uscire. Non la sopportava proprio quella ragazza.

Anche Issei sarebbe voluto fuggire con lui ma avrebbe dovuto affrontare in modo maturo il fatto che lei si era avvicinata proprio per sedersi nel posto di Yoshida, vuoto.

«Ciao.» Disse soltanto, raccogliendo una delle sue lunghissime ciocche dietro l’orecchio.

«Che sei venuta a fare?»

«Volevo vederti.»

Non si aspettava una risposta del genere, inevitabilmente sentì il cuore battere a causa di quella spregiudicata affermazione. Era proprio come sospettava, non era ancora riuscito a cancellare Naoko dalla sua vita; d’altronde come avrebbe potuto dopo tutto il tempo che aveva trascorso con lei?

«Ho sentito Eichi, mi ha raccontato della tua nuova amica.»

Hasegawa s’irrigidì, in parte era spaventato da quello che avrebbe potuto dirle, dall’altra, qualcosa dentro di lui, sentiva in modo positivo il fatto che Eichi avesse potuto dirle che era interessato a Yoshida, in quel caso anche lui lo avrebbe dovuto accettare.

«E cosa ti ha detto?»

«Che è molto gentile – sorrise, divertita, era bella come sempre – pare che questa ragazza sia davvero una bella persona. Sono...contenta che sia tua amica. Anche Nomura, vi vedo spesso insieme. Certo, non mi sarei mai aspettato un tuo atteggiamento, in genere te ne fregavi di queste persone.»

Lo irritò, quel modo di parlare, lo irritò terribilmente. In che senso “quelle persone”? Cosa c’era in Yoshida o in Nomura di speciale?

«Non fraintendermi, sono davvero contenta di questo. Sai, anche io sono stanca della mia compagnia, sono ragazze presuntuose...troppo spesso cattive, anche con me. È un bene che tu sia amico loro. Mi fido ciecamente di Eichi.»

La presenza di Naoko iniziava a stargli stretta, per qualche motivo. Si allargò il colletto della camicia, sospirando. «Mi dispiace.»

«A proposito di lui mi ha detto che non gli hai inviato ancora il numero di Yoshida, potresti farlo?»

Si alzò, quasi scazzato. Dopo tutto quel tempo era venuta a parlargli solo per ricordargli di mettere Eichi ed Eri a loro agio? Non c’era nient’altro?

Quel pizzico di ipocrisia nel suo stesso atteggiamento gli fece venire la nausea. Si stava lamentando di una cosa del genere solo nel momento in cui ci era finita di mezzo Eri, e Kouda, continuava a rispuntare fuori.

«Che ne sa lui, magari le ho dato il numero ma lei non gli ha voluto scrivere.»

Gli occhi di Naoko si gonfiarono immediatamente di lacrime dopo quell’acida risposta, forse aveva lasciato trasparire fin troppo la sua posizione, dimenticando che la ragazza davanti a lui non era che la sua storia ex fidanzata. Naoko si era alzata, in silenzio, e così com’era entrata in classe – ossia come un fantasma – era uscita.

Issei rimase qualche secondo fermo, pensava a cosa dirle, come scusarsi, poi corse fuori.

Mentre Atsuko parlava di quello che avrebbe preferito fare durante il festival, il cervello di Eri si sconnesse totalmente quando vide correre fuori dalla sua classe una ragazza, la ragazza del corridoio, la ragazza di Issei, o quella che lui definiva la sua ex fidanzata. Per qualche ragione sentì una certa preoccupazione crescergli dentro al petto.

Cosa ci faceva nella sua classe?

Poco dopo, ad uscire, arrivò anche Hasegawa, che cercava disperatamente di raggiungerla.

Quella situazione le fece sentire le ginocchia quasi cedere. Non che ne capisse il motivo, non sapeva perché, non capiva tutta quella delusione, quella tristezza, quel malessere che poco a poco le aveva afferrato lo stomaco.

«Eri-chan? Eri….»

 
 

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