November 8th 1997 di NicoRobs (/viewuser.php?uid=1049899)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo Parte 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 - Il Demone Bianco ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 - La fisica delle mele e dei sacchetti di patatine ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 - Un ideale di giustizia assoluta ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 - Condanna a morte ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 - Esecuzione ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 - "I promised you not to die" ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 - "Temo di essere io Kira" ***
Capitolo 9: *** Primo Epilogo ***
Capitolo 10: *** Prologo Parte 2 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 8 - "Mio Dio, L, cosa sei diventato?" ***
Capitolo 12: *** Capitolo 9 - "Nov. 8th, 1997" ***
Capitolo 13: *** Capitolo 10 - La bilancia della giustizia ***
Capitolo 14: *** Capitolo 11 - Rivelazioni ***
Capitolo 15: *** Capitolo 12 - Tensione e Scontro ***
Capitolo 16: *** Capitolo 13 - La voce del lago e quella del mare in tempesta ***
Capitolo 17: *** Capitolo 14 - "Un monumento al tuo ego" ***
Capitolo 18: *** Capitolo 15 - Ora d'aria ***
Capitolo 19: *** Capitolo 16 - Dei Delitti e Delle Pene ***
Capitolo 20: *** Capitolo 17 - Mani insanguinate ***
Capitolo 21: *** Secondo Epilogo ***
Capitolo 22: *** Prologo Parte Tre ***
Capitolo 23: *** Capitolo 18 - Fiori di ciliegio ***
Capitolo 24: *** Capitolo 19 - Il punto ***
Capitolo 1 *** Prologo Parte 1 ***
Note
Vorrei fare qualche chiarimento sul contenuto di questa fanfiction per
tutti colori che dovessero fermarsi a leggerla: lessi il manga di Death
Note anni fa, e nell'estate del 2016 cominciai a guardare l'anime, che
fino ad allora non avevo mai visto. A parte, dunque, manga e anime, non
ho letto né visto nessun'altra opera legata a Death Note,
motivo per cui è possibile che molti lettori decisamente
più appassionati ed attenti della sottoscritta troveranno
delle discrepanze rispetto "all'universo espanso" di Death Note. Una di
queste discrepanze è la stessa protagonista, K, un OC di mia
invenzione, che ho scoperto solo in seguito essere il nome di un
personaggio del film L
change the WorLd, anch'esso femmina. Ho comunque deciso di
mantenere identico il suo soprannome, in quanto lo trovavo
significativo ai fini della trama che avevo ormai già in
gran parte elaborato. Vi chiedo dunque di perdonare questa mia presa di
posizione.
A
parte il cambiamento di alcune sostanziali parti di trama,
tipico di ogni fanfiction, vorrei inoltre segnalare che ho
deciso di modificare l'età di Near, rendendolo molto
più giovane rispetto alla reale età attribuitagli
da Oba. Si tratta, questo, di un cambio voluto per inserirsi meglio
nella mia trama. Ho inoltre ripreso il personaggio di Q, dal romanzo di L change the WorLd, anche
se non ho voluto approfondirlo.
Ho
voluto scrivere questa nota introduttiva perché possiate
comprendere i cambiamenti che ho fatto alla trama, ma anche per
avvertirvi della mia non perfetta conoscenza dell'universo di Death
Note. Se doveste intraprendere la lettura e voleste farmi presenze
incongruenze, errori, o evidenziarmi punti poco chiari, vi prego di
farlo. Il motivo principale per cui ho deciso di pubblicare questa
fanfiction è proprio per potermi confrontare con lettori,
scrittori e appassionati più competenti, che mi possano
aiutare a migliorarmi nella scrittura.
Detto
ciò, auguro a tutti voi una buona lettura, e rimango a
vostra disposizione per dissipare eventuali dubbi o per confrontarmi.
Parte
I
Prologo
Tokyo,
27 dicembre 2003.
In
una stradina passeggiavano due uomini ed una giovane donna caucasici.
Lei indossava un lungo cappotto nero e un paio di pantaloni eleganti,
che terminavano larghi sopra gli stivaletti. Camminava a testa bassa,
togliendo di tanto in tanto una mano guantata dalla tasca per
spostare dalla faccia ciuffi ribelli del suo caschetto nero. Il suo
volto era per metà coperto da grandi occhiali da sole scuri,
nonostante il cielo fosse coperto da una spessa coltre di smog, che
la luce del giorno non era in grado di penetrare. Uno dei due uomini
aveva circa trentacinque anni, i capelli neri tagliati molto corti e
rasati ai lati, l'altro, biondo, li portava lunghi fino al collo, con
la riga di lato. Poteva avere una quarantina d'anni.
Camminavano
vicini e parlavano a bassa voce, senza guardarsi in faccia. I due
uomini portavano abiti casual ed erano entrambi alti e muscolosi. La
loro camminata era veloce, quasi a passo di marcia. La donna si
fermò
un istante perché i due la superassero. Scosse la testa.
-Anche
un idiota capirebbe che siete agenti in borghese.-
I
due si fermarono. -Tenete le spalle più rilassate, guardate
la città
intorno a voi e, per l'amor del cielo, non siamo ad una parata
militare, camminate come persone normali!-
L'agente
sulla quarantina fece una smorfia di disgusto. -Sta' a vedere che ora
dobbiamo prendere ordini da te, Banks.-
-Non
capisco perché abbiano messo voi
a farmi da scorta.- riprese la donna chiamata Banks, ricominciando a
camminare.
-Perché
gli agenti bravi
devono sorvegliare quasi centocinquanta famiglie per trovare la talpa
dell'Interpol.- rispose lui. -Mentre noi siamo costretti fare da
babysitter a una puttana come te.-
La donna non si
scompose.
Allungò un po' il passo per raggiungere più in
fretta l'hotel.
Stare fuori in pieno giorno le metteva sempre agitazione.
Rimanere lì era solo una
perdita di tempo. Sperava che le sarebbe stato concesso di
partecipare a quelle che senza dubbio sarebbero state ricordate come
le indagini del secolo, ma quei cani da guardia le stavano addosso
tutto il tempo, e non c'era modo di avvicinarsi al quartier generale
della polizia giapponese. Non che sperasse di riuscire a raccogliere
informazioni in quel modo, era chiaro, ma quel loro vagare per Tokyo,
in attesa che succedesse qualcosa, la stava facendo uscire di senno.
Si trovavano
lì da poco: la
richiesta di rinforzi per condurre le indagini era arrivata un paio
di settimane prima, e l'FBI si era proposto di inviare sei o sette
agenti al massimo. Troppo pochi, aveva sentenziato il mediatore.
Perciò la sua agenzia si era offerta di mandare alcuni dei
propri
uomini, come già aveva fatto in passato. La Hogson Society
for
Veteran Reintegration, o, meglio, la sezione paramilitare chiamata
Privates for Police Enforcements Program, di cui il bastardo di Hayer
era il capo, aveva alle spalle una lunga collaborazione con le forze
federali, Banks sentiva ripetere spesso dai suoi superiori, ogni
volta che veniva chiamata per un caso. Eppure, di tutti quegli
agenti, addirittura in due erano stati assegnati a lei come
“guardie
del corpo”. A che pro mandarla in Giappone, allora? Quali
erano i
piani di Hayer?
Senza rendersene conto, si
stava arricciando una ciocca di capelli intorno al dito indice.
Rimise la mano in tasca con un gesto brusco, e si morse le labbra
pallide. D'un tratto, sentì uno dei due agenti gemere, e un
momento
dopo il rumore di un corpo che si accasciava a terra. Si
voltò di
scatto. -Johnson, cosa ti succede?- chiese l'agente più
giovane al
proprio collega. Johnson respirava a fatica, e si era portato una
mano tremante sopra al cuore. I due non fecero in tempo ad
avvicinarsi al compagno che anche l'altro agente iniziò a
stringersi
il petto. I suoi occhi erano trasfigurati dal terrore.
“NO!”
pensò Banks.
Il secondo agente
cadde in
ginocchio, mugolando, col viso rivolto verso il cielo e la bocca
spalancata. Quasi nello stesso istante, i due uomini smisero di
respirare, ed entrambi i loro corpi si fermarono in posizioni
innaturali sul marciapiede. Banks non tentò nemmeno il
massaggio
cardiaco. Sapeva che non ci sarebbe stato nulla da fare.
Attese ancora qualche
istante, pietrificata, col pugno chiuso pronto a battersi sul petto,
nel caso l'arresto cardiaco avesse colpito anche lei. Misura inutile,
certo, ma non avrebbe voluto che la morte la cogliesse impreparata.
Nel giro di pochi
secondi,
si erano radunate già diverse persone attorno ai due
cadaveri.
Un lampo
balzò negli occhi
di Banks, che si tolse con un rapido gesto prima gli occhiali dal
volto, e poi la collana, mettendoli nella tasca del cappotto.
-Aiuto! Chiamate
un'ambulanza!- urlo in giapponese ai passanti.
Si tolse il cappotto
e lo
appoggiò al corpo di uno dei due e, guardando di sottecchi i
curiosi
attorno a lei, approfittò di quella posizione per infilare
una mano
nello stivaletto, estraendo, con un gesto da prestigiatore, una
minuscola chiave da dentro la manica della camicetta.
Afferrò la
chiave col pollice e l'indice, mentre con le restanti dita arpionava
il braccialetto elettronico che le cingeva la caviglia.
“Click”,
fece il
braccialetto elettronico. Lo sfilò e lo nascose nella tasca
del
cappotto, assieme agli occhiali e alla collana.
Poi si
alzò e corse in un negozio di fiori lì vicino.
-Presto! Ho bisogno di un telefono! I
miei due amici stanno male!-.
Un signore le
mostrò il
telefono e corse fuori dal negozio a vedere cosa stesse succedendo.
Cinque anni. Aveva atteso
per cinque anni un'occasione come quella, e non avrebbe mai creduto
che si sarebbe presentata... grazie a Kira.
Pregò
soltanto che in tutto
quel tempo il numero d'emergenza per gli ex studenti dell'accademia
non fosse cambiato, che chi avesse risposto al telefono non le
avrebbe attaccato la cornetta in faccia, e che quell'operazione non
venisse scoperta. Digitò il numero e rimase in attesa,
tremante.
-Wammy's House, parla
Harvey- rispose una voce maschile dall'accento britannico. -Prego,
identificatevi col vostro numero di matricola.-
-James?-
Banks
esitò un momento nel
riconoscere la voce dall'altro capo del telefono, ma sapeva di non
avere nemmeno un secondo da perdere.
-Ho un messaggio
urgente per
Watari. La supplico di riferirglielo.- disse, con voce ferma.
-Il numero di
matricola,
prego.- insistette l'uomo. -In quanto ex studenti della Wammy's
House, qualsiasi sia il problema, dovreste sapere che le
procedure...-
-K-768706S- lo
interruppe
Banks. Dall'altro capo del telefono si sentì un mugolio di
sorpresa.
-Se... se questo
è uno
scherzo...- riprese il signor Harvey.
-Senta, James, la
prego di
non fare domande e di fare quello che le chiedo.- riprese Banks con
voce ferma. -È evidente che sono ancora viva, ma non per
molto, se
non mi ascolta. Il messaggio è il seguente: “Sono
la Matricola
K-768706S. Sono attualmente un ostaggio del Privates for Police
Enforcement Program, sezione paramilitare della Hogson Society for
Veteran Reintegration. Ho eluso la sorveglianza perché gli
uomini
della mia scorta sono morti. Se volete aiutarmi, dovete ingaggiare
Nathalie Banks perché vi aiuti col caso Kira. L non deve
saperne
nulla. Consideratevi in pericolo”.-
-K...Ka...Kay...-
balbettò
l'uomo all'altro capo del telefono.
-Signor
Harvey, non ho tempo di spiegarle. Sappia solo che la vita di alcune
persone che Lei conosce dipendono dalla sua riservatezza e dal fatto
che Lei riporti esattamente queste
parole al signor Watari. Siamo intesi?-
Vi fu un attimo di
silenzio.
-Sarà fatto, signorina.-
Nathalie Banks sospirò
mentre riattaccava. Guardò l'orologio: ci aveva messo troppo
tempo.
Si allontanò in fretta dal negozio, lasciando sul bancone un
fascio
di banconote per rimediare ai costi della chiama internazionale. In
strada si erano radunate molte persone intorno ai due cadaveri.
-Lasciatemi passare,
sono
miei colleghi!- urlò in giapponese ai curiosi. Raccolse il
proprio
cappotto mentre si chinava sull'uomo chiamato Johnson; con una mano
riprese occhiali, collana e braccialetto elettronico e rimise ogni
cosa al suo posto, mentre con l'altra sfilò il cellulare
dalla tasca
del cadavere.
-Quartier generale,
sono
Banks. Johnson e Heinemann sono morti. Attacco cardiaco. Nello stesso
momento. Notizie dagli altri agenti?-
Silenzio. Un
interminabile
ed inquietante silenzio, durante il quale Banks non riusciva a
smettere di rigirarsi la sua collana tra le dita.
-Nessuno risponde.-
fece la
voce all'altro capo del telefono. -Dobbiamo dedurne che siano tutti
morti?-
-Così
pare.- disse
Nathalie, guardandosi intorno. La folla iniziava a disperdersi, e in
lontananza si sentiva il suono delle sirene.
-Banks.- si
sentì chiamare
da un'altra voce al telefono. Era Hayer in persona. -Provvederemo al
più presto a mandarti una nuova scorta. Ora dammi la tua
posizione e
l'ora del decesso, ti mandiamo un taxi che ti porterà
all'hotel,
senza deviazioni. Sali in camera e restaci finché non ti
sarà
assegnata una nuova scorta. Il tuo telefono, come sempre,
sarà
attivo solo per le chiamate in entrata. Ora, resterai al telefono
fino a che non sarà arrivato il taxi a scortarti, e potrai
chiudere
la chiamata soltanto quando un nostro agente ti dirà di
farlo. Siamo
intesi?-
A
migliaia di chilometri di distanza, un distinto signore inglese di
mezz'età, con occhiali dalla montatura nera e quadrata, e
con viso e
cranio freschi di rasatura, si dirigeva verso lo schedario
dell'istituto. Non era uno schedario molto grande, dal momento che
c'erano pochissimi studenti che venivano scelti per entrare alla
Wammy's House; talmente pochi che in un cassetto c'erano i fascicoli
di un intero decennio di matricole.
Aprì
il primo cassetto dal basso, la cui etichetta recitava
“1985-1989”.
La maggior parte dei fascicoli erano della tipica tonalità
giallo
ocra, ma tra questi, ne spuntavano alcuni rosso scarlatto.
“Coloro
che macchiano il nostro orgoglio”, diceva spesso il signor
Wammy.
Quattro suicidi e un morto sul lavoro, tra gli immatricolati in quel
decennio.
Harvey
non aveva nemmeno bisogno di accendere la lampada sopra gli schedari
per trovare quello della matricola K-768706S.
Era uno di quelli rossi, e si trovava proprio accanto al più
spesso
tra tutti i fascicoli della Wammy's House. Quello della matricola
L-798721?. Non era nemmeno passato moltissimo tempo dall'ultima volta
che era stato messo sotto verifica.
Harvey
ritornò verso la sua
scrivania, mentre la pioggia insistente batteva sul vetro. Non
riusciva ancora a credere a ciò che era appena successo: il
signor
Wammy, di solito sempre così pacato e composto, gli aveva
urlato
contro per diversi minuti al telefono.
-E non hai pensato di farle
altre domande, per accertarti fosse veramente lei?-
-Ha detto che aveva
poco
tempo...-
-E con quale faccia
tosta si
fa viva dopo cinque anni? Mettendoci tutti in pericolo?-
-Pare che sia tenuta
sotto
strettissima sorveglianza.-
-Quando me la
ritroverò
davanti...- aveva inveito ancora il signor Wammy, prima di fermarsi,
ansimando.
-Harvey, organizza il
prima
possibile una squadra perché indaghi sulla Hogson Society
for
Veteran Reintegration, e sulla sua sezione paramilitare.-
-Ma...-
provò a protestare
Harvey. -Lei ha sempre detto che non voleva che nessuno si
intromettesse in quel caso...-
-E a cosa
è servito?- aveva
domandato aspramente Wammy. -Quell'infame... ha quasi ucciso L! E non
solo lui! E, come se non bastasse, ha finto di essere morta per tutto
questo tempo!-
C'era stato un attimo
di
silenzio, dopo il quale Wammy aveva ripreso a parlare normalmente.
-Voglio che trovi
qualcuno
dei vecchi studenti che se la senta di prendere in mano il caso. Devo
verificare se quello che ha detto questa donna che dice di essere K
è
vero, se lei è effettivamente viva, e quali sono
concretamente i
rischi che corriamo se vogliamo aiutarla. Oltretutto, ci troviamo in
un momento pessimo: ora, con la morte degli agenti dell'FBI,
verrà
sicuramente a galla che L stava indagando sui familiari degli agenti
dell'Interpol.-
Harvey aveva sentito
l'uomo
sospirare, e si era risistemato gli occhiali sul naso dritto.
-Potremmo perdere
l'appoggio
della polizia giapponese e dell'Interpol. Rischiamo di ritrovarci da
soli. Sarebbe enormemente rischioso chiamare la sedicente Nathalie
Banks, o come ha deciso di farsi chiamare ora quella... quell'ingrata
di K. Perché sicuramente le metteranno addosso altri
carcerieri.
Dannazione, quelli che la tengono sotto sequestro collaborano coi
federali! In che situazione si è
cacciata?! In che situazione
ha intenzione di coinvolgerci?-
C'era stata un'altra
pausa.
-Ma non ha
importanza. La
aiuteremo. Però voglio che qualcuno dei nostri indaghi.-.
C'era
stato un sospiro. -Devo conoscere i rischi.-
-Sissignore.-
-Ah, e un'altra
cosa.- aveva
aggiunto Wammy. -Aumenta la sicurezza attorno a Nate River. Non deve
avere alcun contatto con l'esterno, siamo intesi?-
-Sissignore.-
-Dai disposizioni
perché
nessun estraneo possa chiamare o avvicinarsi alla Wammy's House fino
a nuovo ordine. Se le persone che tengono K sotto sequestro dovessero
venire a scoprire che è riuscita ad eludere la sorveglianza
e a
contattarci, non passerà molto tempo prima che tentino di
entrare
alla Wammy's House per prendersi Nate River.-
-Sarà
fatto.-
-Ah, mi auguro tu
abbia già
fatto sparire i tabulati telefonici della chiamata ricevuta da lei.
È
vero che il numero che ha usato corrisponde ad una linea criptata,
ma se dovesse uscire dai tabulati telefonici che c'è stata
una
chiamata ad una linea criptata...-
Mentre
ripensava alla conversazione poco prima conclusasi, Harvey era giunto
alla scrivania, e aveva aperto il fascicolo scarlatto per ricopiare
alcuni dei dati, da faxare agli unici due ex studenti che si erano
offerti di prendere il caso.
Matricola:
K-768706S
Nata
a: Bloemfontein (South Africa) il 3
agosto 1976
Morta a: Seattle
(Washington, U.S.A) il 7 settembre 1998
Studentessa
eccezionale, era
stata K. Quando era giunta alla Wammy's House aveva già
subito gravi
traumi, e nonostante ciò era riuscita a sopravvivere a tutti
i cicli
scolastici con pochissimi incidenti di percorso. Da fuori, sarebbe
potuta quasi sembrare una persona normale, perfettamente inserita
nella società. Quand'era giunta la notizia che si era
gettata da una
finestra, gli era persino un po' dispiaciuto, nonostante Watari
già
non sopportasse che qualcuno pronunciasse il suo nome in presenza
propria.
L'uomo
sottolineò in rosso
la data di morte e vi fece un punto interrogativo di fianco.
Perciò
il suo suicidio era stato simulato da questa Hogson Society
perché
si perdessero le sue tracce? E se lei era tenuta in ostaggio,
significava che pure quel tale, come si chiamava... Bjorn? Harvey non
ricordava, aveva un nome scandinavo. Comunque, lui e i suoi genitori,
anche loro erano in pericolo? Per il solo fatto di essere le persone
più vicine a K? Quindi anche il commissario Roger Burton era
coinvolto? E com'erano andate veramente le cose con Nate River? La
Hogson Society sapeva che si trovava alla Wammy's House?
Nathalie chiuse la porta
della camera alle sue spalle e sospirò nervosamente. Forse
ce
l'aveva fatta. Aveva aspettato per cinque anni un momento simile. Non
aveva preparato un piano, aveva semplicemente agito d'istinto, ma
forse le cose sarebbero andate bene ugualmente. Si fece una doccia e
poi si mise ad ascoltare i notiziari, mentre aspettava che le
portassero la cena. La notizia in prima pagina era sulla morte di
dodici agenti dell'FBI mandati in Giappone per il caso Kira: erano
tutti morti nello stesso momento per attacco cardiaco. A seguito
veniva annunciata da parte del portavoce dei federali la rinuncia da
parte loro a proseguire le indagini a fianco dell'Interpol.
“Merda!”
pensò
Nathalie. Questo complicava le cose. Non era propriamente un agente
dell'FBI, quanto più un collaboratore alle indagini esterno.
Probabilmente, la definizione più appropriata sarebbe stata
“Mercenaria carne da macello”. Dopotutto, i membri
della sezione
Privates for Police Enforcement Program (PPEP) della Hogson Society
erano mercenari spesso ingaggiati dalle varie forze di polizia o
governative, come supporto nelle operazioni ad alto rischio.
“Carne
da macello”, per l'appunto.
Ma se i federali si
ritiravano dalle indagini, come avrebbe fatto Watari a farla
contattare per chiederle di partecipare al caso? E se Hayer l'avesse
scoperta? Afferrò l'anello d'oro bianco che portava al
collo, legato
su di un semplice filo nero, e cominciò a rigirarselo tra le
dita,
come faceva sempre quando si sentiva nervosa. Ogni sua iniziativa
personale sarebbe stata gravemente punita da Hayer, ma nulla le
vietava di partecipare ad indagini per le quali veniva richiesta la
sua consulenza. Aveva già collaborato con L in passato,
all'oscuro
di tutti. Come durante il caso del killer di Los Angeles. Né
L né
Watari avevano minimamente sospettato che la persona dall'altra parte
del telefono o del PC fosse lei, K, l'ex studentessa bannata dalla
Wammy's House. L'ex studentessa morta suicida. Si chiese cosa avrebbe
pensato Watari all'ascoltare il messaggio che aveva lasciato ad
Harvey. Ce l'avrebbe avuta ancora con lei, dopo tutti quegli anni?
L'avrebbe aiutata?
Guardava distrattamente i
nomi dei morti che passavano alla televisione, quando si
sentì venir
meno.
Raye Penber.
Si
abbandonò con un gesto
stanco sul divano, fissando la televisione con uno sguardo vuoto.
Perciò
c'era anche Raye tra
quegli agenti?
Nathalie si
pentì di aver
ironicamente ringraziato Kira per averle concesso l'occasione di
fuggire. Il povero Raye...
Ma la tristezza aveva
già
ceduto il posto alla rabbia, al pensiero di non poter usare il
telefono per chiamare Naomi, che con ogni probabilità si
trovava
come lei a Tokyo, andare da lei, cercare di farle forza. Quanto
sarebbe dovuta ancora durare la sua prigionia? Quanto tempo avrebbe
passato ancora, tagliata fuori da ogni legame col mondo? Ricordava
tutti gli inviti a cena di Naomi e Raye, che aveva dovuto rifiutare,
perché sotto sorveglianza, e per paura di coinvolgerli nella
sua
rete di intrighi.
Si alzò e
tirò un pugno
violento allo schienale del divano, e con un calcio rovesciò
la
poltrona. Poi si buttò nuovamente a sedere a gambe larghe, e
affondò
le mani nei folti capelli.
In quel momento, squillò
il telefono.
La donna si
voltò con
sguardo furente verso il mobile su cui era appoggiato il telefono,
per poi alzarsi controvoglia per andare a rispondere.
-Nathalie Banks.-
-Piccola! Ho sentito
il
telegiornale e ho temuto il peggio!- fece una voce maschile.
-Bjarne!-
esclamò lei
piacevolmente sorpresa. -Non sai quanto sono felice di sentirti!-
Si arrotolava una
ciocca di
capelli attorno al dito indice, mentre parlava.
-Ho chiamato subito i
tuoi... ehm... superiori, per sapere se stavi bene e mi hanno detto
che ti avevano scortata in hotel. Te non hai idea del colpo che mi
sono preso!- continuò lui, la voce ansante.
-Sei sicura di voler
continuare a lavorare su questo caso?- riprese, con tono preoccupato.
-Questo Kira non può essere umano! Insomma, uccide le
persone a
distanza, come potete competere con qualcuno che non sapete come fa
ad uccidere?-
-Ci sto lavorando,
Bjarne,
tranquillo.- rispose lei, appoggiandosi al muro.
-E comunque, per il
momento
pare che l'FBI si sia ritirato dalle indagini.- continuò,
volgendo
lo sguardo verso il soffitto mentre giocherellava col filo della
cornetta. -Quindi non ti devi preoccupare.-
-Bene...- disse
allora
Bjarne, sospirando. Poi vi fu un attimo di silenzio, dopo il quale
l'uomo riprese a parlare, in tono più tranquillo. -Quindi...
tornerai negli Stati Uniti?-
-È
probabile.- rispose lei,
spostando il proprio peso da una gamba all'altra. -Almeno per il
momento.-
-Bene.- disse Bjarne.
-Non
te lo perdonerei mai se ti facessi ammazzare.-
Nathalie si
lasciò scappare
una risatina triste.
-Bjarne. Tra quegli
agenti
c'era Raye. Il fidanzato di Naomi.- disse, spostando lo sguardo fuori
dalla finestra.
-Ah.- fece l'uomo
all'altro
capo del telefono. -Naomi... è la ragazza che aveva
cominciato ad
insegnarti il giapponese? Quella del caso del serial killer di Los
Angeles?-
-Sì.-
rispose K,
sospirando. -Mi avevano chiamato per una consulenza e ci siamo
conosciute lì. Insomma, ci aveva chiamate... lui.-
-Aha.- disse Bjarne.
-Non
vorrei essere indelicato, ma... non è colpa tua se Raye
Penber è
morto. Non cominciare col tuo brutto vizio di sentirti responsabile
delle tragedie che accadono a chi conosci.-
-Bjarne...-
-Ascoltami.- la
interruppe
lui. -Concentra le tue energie per cercare di sopravvivere, va bene?
Dico sul serio. Io me la cavo, i miei se la cavano, stai facendo
anche troppo per cercare di tenerci al sicuro.-
Nathalie fremette. Lui non
poteva sapere che proprio quel pomeriggio aveva fatto qualcosa che
avrebbe potuto metterli seriamente in pericolo. Era stata una
decisione istintiva, ma forse troppo egoista?
-Non parliamo di
questo.-
disse allora. -Piuttosto, dimmi qualcosa di te. Non ci sentiamo da
almeno tre giorni.-
Sentì
ridacchiare
dall'altra parte del telefono.
-Non ti ho
fatto morire i
fiori, se è questo che ti stai chiedendo.-
Perfetto. Era il loro
codice
per avvertirla se gli uomini di Hayer lo pedinavano più del
solito o
lo minacciavano.
-Ma che bravo!-
ridacchiò
anche lei. -Appena torno a casa mi assicurerò che sia tutto
in
ordine. Guai a te se trovo qualcosa fuori posto!-
Cominciò
ad arrotolarsi una
ciocca di capelli attorno al dito.
-A proposito dei
fiori...-
riprese. -Oggi, tornando qui in taxi, sono passata davanti ad uno di
quei grandi parchi pieni di alberi di ciliegio, e
mi spiace
non poter rimanere qui in Giappone fino alla fioritura.
Perciò, ho
pensato di chiamare il fiorista, quando
verrà la stagione, e
prendere qualche ramo da mettere in casa, quando verrò a
trovarti.
Sai, stare da te mi mette sempre allegria, anche perché
sembra tu
viva in un giardino botanico, però pensavo di cambiare un
po' colore
alla mia stanza. Non che il rosa mi sia mai piaciuto, ma mi sono un
po' stancata di tutti quei colori freddi.-
Dall'altro capo della
cornetta, Bjarne tratteneva il respiro. Nathalie si rendeva conto che
il codice basato sui fiori era stupido e scontato, ma quando erano
riusciti ad elaborarlo, lontano da cimici e telecamere, era l'unica
cosa abbastanza semplice da elaborare, con diverse
possibilità di
interpretazione, e che potesse incastrarsi in modo più o
meno
naturale in una normale conversazione.
-Ahaha!-
ridacchiò di nuovo
Bjarne. -Mi piace come idea! Certo, sarebbe meglio se potessi
assistere direttamente alla fioritura lì in Giappone, ma
direi che
ci possiamo accontentare. E, se mi posso permettere di dirtelo, era
proprio ora che ti decidessi a cambiare un po' la tua stanza. Sono
anni che non mi permetti di spostare nulla di un millimetro.-
Rise di nuovo.
-Questa casa
effettivamente sembrerebbe davvero un posto lugubre, senza i nostri
fiori. In questo palazzo vecchissimo, le finestre danno su vicoli
sporchi e stretti, le assi del pavimento scricchiolano. Ma visto che
sei così in vena di cambiamenti, non è che riesco
pure a
convincerti a prenderci un cane?-
Ricevettero in quel momento
l'avviso che la chiamata sarebbe stata interrotta. Il tempo era
scaduto. Bjarne era stato avvertito del suo tentativo di mettersi in
contatto con Watari, e aveva reagito bene. Povero idiota, pensava
Nathalie, non si era ancora reso conto in che razza di casino s'era
messo quando aveva deciso che sarebbe rimasto al suo fianco in ogni
caso? Non pensava alla sua famiglia?
Un paio di ore dopo,
la
donna si infilò una logora maglietta nera e sformata e si
mise a
letto. Ripensava all'esatto svolgimento degli eventi della giornata,
cercando di considerare ogni possibile scenario. Ogni modo in cui
Hayer poteva essersi accorto che si era tolta il braccialetto
elettronico e il cappotto, sicuramente pieno di altre cimici e
localizzatori, e soprattutto l'anello d'oro bianco col rubino, quello
dal quale non si separava mai, quello che le avevano strappato dalle
mani anni prima per profanarlo con un localizzatore proprio sotto la
pietra preziosa; l'anello che ora si stava rigirando tra le mani.
-November
8th,
1997, by the river.- sussurrò,
prima di addormentarsi.
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Capitolo 2 *** Capitolo 1 - Il Demone Bianco ***
Capitolo
I
Il Demone Bianco
Hayer
camminava avanti e indietro per la stanza, nervosamente. Le lampade
dello studio proiettavano ombre gigantesche al suo passaggio. Aveva
conservato la mole con la quale riusciva ad intimidire persino i suoi
superiori, ai tempi del Vietnam. Cinque dei suoi agenti erano morti,
ma ciò che era peggio, Banks si era ritrovata senza
sorveglianza.
Per almeno tre minuti. Dio solo sapeva cos'era stata in grado di fare
in quei tre minuti. Né il GPS che aveva addosso,
né il bracciale
elettronico avevano rilevato qualcosa di sospetto, ma quella donna
era il diavolo fatto a persona, e Hayer non dubitava del fatto che
fosse stata capace di disattivare tutto. Quando qualcuno gli chiedeva
se gli piacesse o meno Banks, Hayer non sapeva mai come rispondere.
Certo, sarebbe stata una collaboratrice perfetta, non fosse stata
un'investigatrice e uno sbirro con una qualche morale. Era certamente
troppo dotata per essere una pedina. Morta, sarebbe stata uno spreco
di risorse. Eppure, era troppo furba, troppo ingestibile, troppo
imprevedibile.
In tutta la
sua carriera, militare prima, amministrativa (se così si
poteva
definire) poi, non aveva mai avuto a che fare con qualcuno che non
poteva controllare. Coloro che chiedevano aiuto alla Hogson Society
for Veteran Reintegration erano uomini distrutti dalla guerra,
abbandonati dalla società, mutilati o caduti nella
depressione e
nell'alcolismo. Quelli erano i più facili da manipolare. In
molti
arrivavano addirittura ad offrirsi volontari per il PPEP, Privates
for Police Enforcement Program, il corpo paramilitare dal quale la
Hogson Society ricavava il maggior guadagno. Poi c'erano gli ex
carcerati, a cui bastava offrire del denaro e la promessa di venire
legalmente tutelati, e a volte ragazzi di qualche quartiere
difficile, che lo Stato non sapeva se mandare in riformatorio o
aspettare che diventassero dei criminali per poi sbatterli in galera.
Ma con Banks non potevi
ragionare coi soldi o con le prospettive di carriera. Le buone non
servivano a nulla con una come lei, ma nemmeno le cattive. Aveva
mandato all'ospedale cinque o sei dei suoi, che avevano tentato di
metterle le mani addosso. L'avevano minacciata con una pistola alla
tempia, e lei aveva sbadigliato in modo plateale. L'avevano
picchiata, o almeno, ci avevano provato, ma lei aveva ricambiato ogni
colpo con una furia cieca. L'avevano legata, prima di picchiarla di
nuovo, e lei aveva riso. Una risata spaventosa, che pareva essere
uscita dalle porte dell'inferno. I suoi compagni di scuola la
chiamavano “Demone Bianco”, aveva detto. Hayer
pensava che il
soprannome fosse azzeccato. Se ripensava a quello sguardo iniettato
di sangue, si sentiva quasi minacciato. Non era servito a nulla
nemmeno minacciare di morte il dannatissimo bamboccio che stava con
lei. Appena le avevano mostrato su uno dei monitor il cecchino che
stava puntando quel Bjarne, lei aveva semplicemente tirato fuori dal
reggiseno una lametta e se l'era avvicinata alla giugulare.
-Sparategli e io
muoio. E se
io muoio, non potrò contattare come ogni mese la
società di
sicurezza che custodisce tutte le prove che ho raccolto contro di
voi. E se non li contatto, loro spediranno tutto il materiale al
detective Eraldo Coil. A voi la scelta.-
Qualsiasi
cosa fosse successa in quei tre minuti, rimuginarci non lo avrebbe
aiutato. Uccidere Bjarne e la sua famiglia non sarebbe servito, anzi,
sarebbe stato troppo rischioso e sospetto. Uccidere lei non avrebbe
risolto le cose. Eppure, ormai era diventata una spina nel fianco
davvero notevole. Hayer detestava dover essere prigioniero dei
capricci di una bestia di Satana come Banks, ma, per poter dormire
sonni tranquilli, si sarebbe dovuto sbarazzare di Coil. Cioe, di L.
Ormai erano un paio di anni che Hayer possedeva quell'informazione:
uno dei suoi agenti, mandati come rinforzo all'FBI, aveva scoperto
che L e Eraldo Coil erano in realtà la stessa persona. Aveva
tenuto
quell'informazione per sé, in attesa di poterla vendere al
miglior
offerente; ma perché non approfittare, aveva pensato, delle
doti di
spia di Banks per scoprire qualcosa di più
sull'identità del più
grande detective al mondo? In quel modo, il prezzo delle informazioni
sarebbe senz'altro salito. L'operazione di spionaggio durante il caso
del killer di Los Angeles non aveva dato i frutti sperati, ma forse
si poteva tentare di nuovo il colpaccio grazie al caso Kira. Se Banks
tentava così disperatamente di mettersi in contatto con L,
perché
non permetterglielo? Avrebbe potuto avvicinarsi al grande detective,
e forse si sarebbe finalmente sbarazzato del pericolo rappresentato
da Banks. Quante persone avrebbero pagato cifre a nove zeri per
vedere L morto?
California,
2 maggio 2004.
Passarono
mesi di stallo prima che arrivasse la telefonata tanto attesa.
Nathalie era in sala a togliere delle pesanti tende arancioni dalla
loro asta, per lavarle. Era una bellissima giornata di pioggia, e
Nathalie aveva aperto le finestre per respirare l'aria pungente che
sapeva di foglie bagnate. Bjarne era a lavoro, non sarebbe tornato
prima dell'ora di cena.
-Banks,
sono Hayer. Watari ha chiesto di te.- disse la voce del capo, senza
troppo preamboli.
-Sul
serio?- rispose Nathalie con voce genuinamente stupita, interrompendo
a metà il gesto di battersi la mano impolverata sui
pantaloni.
-Perché avrebbero bisogno di me?-
-Immagino
tu abbia seguito gli ultimi sviluppi su quell'emittente giapponese
demenziale, la Sakura TV.-
Nathalie
emise un mugolio di assenso.
-Nel
suo messaggio alla Sakura TV, il secondo Kira ha mandato una pagina
di diario in cui si parlava di Shinigami. Watari ha detto che nel
periodo dei test sui carcerati, era stato lasciato un messaggio per
L, che non è stato diffuso ai media per non intralciare le
indagini,
in cui si parlava degli Shinigami.-
-Ah.-
fece Nathalie, arrotolando nervosamente il filo del telefono attorno
ad un dito, aggrottando le sopracciglia. - Per questo hanno bisogno
di un esperto in esoterismo?-
-Non
vogliono tralasciare nulla, ma nemmeno vogliono perdere tempo su una
pista che potrebbe rivelarsi un vicolo cieco.- disse Hayer in tono
secco.
-Capisco...-
Stava in punta di piedi, e dondolava indietro fino a reggersi sui
talloni. Punte. Talloni. Punte. Talloni. Le sarebbe servita una buona
ora al poligono di tiro per scaricare tutta la tensione; non le
avevano mai permesso di procurarsi un sacco da boxe da tenere nella
cuccetta a lei riservata, al quartier generale del PPEP. La
lasciavano libera di vedere Bjarne solo ogni due finesettimana, e
normalmente quando era insieme a lui non sentiva alcun bisogno di
scaricare la tensione.
-Vi
hanno detto come devo fare per mettermi in contatto con loro?- chiese
infine.
-L
ha creato una piccola task force di persone fidate alle quali si
è
mostrato in volto. Dovrai presentarti di persona. Niente terze parti,
questa volta.-
Si
sentì un tonfo. Nathalie aveva tirato il cavo talmente
bruscamente
da far cadere il telefono dal tavolo.
-Io...
non.. no-non posso farlo!- balbettò, le pupille
strettissime. Tentò
di riprendersi. -È troppo rischioso per voi mandarmi da lui
di
persona!-
-Banks!-
tuonò minaccioso Hayer. -Mi rallegra il fatto di sentirti
così
agitata. Vuol dire che sai quali rischi implica questa operazione. Ma
sappi che non ti lasceremo mai da sola durante tutto il corso delle
indagini.-
La
donna non lo poteva vedere in faccia, ma sapeva che Hayer stava
sogghignando. -E poi...- continuò l'uomo. -Questa occasione
è più
unica che rara per noi per spiarlo da vicino, quindi vedi di
controllarti e di fare un buon lavoro. Il tuo nuovo partner ti
raggiungerà presto per darti tutti i dettagli. A presto!-
Nathalie
rimase ancora per qualche minuto ferma con la cornetta in mano.
“No,
non così! È troppo rischioso!”.
Hayer
aveva scoperto che L e Eraldo Coil erano la stessa persona. Lei aveva
sperato fino all'ultimo che non venisse a sapere che lei conosceva la
sua vera identità, ma Hayer non era stupido, aveva fatto
condurre
delle indagini. La riservatezza era una dei punti di forza della
Wammy's House: l'identità degli studenti era nota soltanto a
tre
persone in tutto l'istituto. Nemmeno i suoi compagni conoscevano la
sua vera identità, solo il suo aspetto. A parte L,
ovviamente. Lei e
L erano i soli a conoscere le loro reciproche identità, per
ovvi
motivi. Nathalie era fiduciosa nel fatto che la correlazione tra lei
ed L non sarebbe mai stata scoperta, ma circa due anni prima, le cose
erano cambiate.
F,
uno studente più giovane di lei, che non aveva mai
conosciuto, e che
era diventato un agente investigativo di tutto rispetto, si era
suicidato dopo aver scoperto di aver incriminato la persona
sbagliata. Quel caso aveva fatto scalpore, ed erano state fatte molte
speculazioni sui motivi che avevano spinto quel brillante agente a
togliersi la vita; ed era stato così che il nome della
Wammy's House
era venuto fuori, dal momento che non sarebbe stato né il
primo né
l'ultimo studente dal talento straordinario suicidatosi
perché
incapace di reggere la pressione e le alte aspettative che
l'accademia aveva inculcato loro.
Non
ci avevano messo molto a supporre che L fosse il prodotto
più
perfetto della Wammy's House, e a quel punto era stato chiaro a tutti
che anche Nathalie fosse stata addestrata lì, e che
perciò dovesse
per forza conoscere L.
Se
solo avessero sospettato che lei sapeva molto di più di
quanto non
fosse lecito sul conto di L, non se la sarebbe cavata con un paio di
pestaggi, la testa nel catino d'acqua e qualche settimana in
isolamento.
Ma
ora avrebbe dovuto incontrarlo, sul serio. Sarebbe riuscita a celare
la sua identità? Aveva affrontato un intervento per
correggere il
suo leggero strabismo, quello e un piccolo camuffamento erano sempre
riusciti a renderla irriconoscibile. Ma era talmente nervosa che il
suo intero corpo tremava, sentiva forte in lei l'impulso di
nascondere la faccia in un cuscino e urlare selvaggiamente con tutto
il fiato che aveva in corpo, fare a pezzi il cuscino, sfasciare
sedie, tavoli, picchiare contro le porte.
Doveva
calmarsi. Chiuse gli occhi e respirò a fondo.
-November
8th,
1997, by the river.-
Riaprì gli occhi, cercando di calmare la respirazione. -Ok.-
posò
la cornetta, che aveva tenuto in mano fino ad allora, e si diresse
verso il computer, rigirandosi l'anello che portava al collo tra le
dita esili. -Shinigami.-
Tokyo, 5 maggio 2004.
Nathalie aprì la porta
dell'appartamento e fece entrare il suo nuovo partner.
-Sono Paul Grumann.-
disse
lapidario, con un mezzo sorriso sulle labbra sottili. -Posso
entrare?-
Il nuovo partner di
Nathalie
era un giovane agente, biondo e con sfuggenti occhi castani. Aveva i
lineamenti spigolosi e un'ombra grigia di barba sul viso. Mentre
parlava, si passava una mano tra i capelli fini, più lunghi
sopra,
con la riga a metà, e più corti a partire
dall'altezza delle
orecchie.
Le porse una sacca di
vestiti.
-Questi sono senza
cimici,
rilevatori o mini telecamere.- disse. -Ci sono state date
disposizioni per cui non possiamo entrare in presenza di L con cose
del genere addosso. Verremo perquisiti.-
-E come
farò con questo?-
disse Nathalie, indicando il braccialetto elettronico sulla caviglia
nuda. -E ho un localizzatore sull'anello che porto al collo.-
-Come quando sei
salita
sull'aereo, te li togliamo entrambi.- e poi sorrise in modo sinistro.
-Se provi ad allontanarti, ho l'ordine di spararti. Se provi a
rivelare qualsiasi cosa a L, Hayer mi ha detto di premere questo
bottone sul mio orologio...- disse, mostrandole un orologio da polso
dal quadrante molto grande.
-Invierà
un segnale ad
Hayer, e il tuo caro Bi... Bio... ah, no, Bjarne, giusto. Bjarne
morirà.-
Nathalie gli rivolse
un'occhiata inespressiva.
-È il tuo
primo lavoro con
Hayer?- domandò annoiata.
-Lavoro con lui da
prima che
tu arrivassi, dolcezza.- rispose lui. -Facevo il mediatore durante i
rapimenti. Ma non dalla parte dei buoni, se capisci cosa intendo.-
La donna,
roteò gli occhi
al cielo.
-Se non è
il tuo primo
lavoro con Hayer, è comunque il tuo primo lavoro con me.
Perciò
ascolta.- e così dicendo si voltò di spalle.
-Non riuscirai a
spaventarmi
con le minacce: mi minacciano da quando ho varcato la soglia della
Hogson Society for Veteran Reintegration, e se mi stai facendo da
babysitter dovresti sapere che il motivo per cui mi hanno preso in
ostaggio è che non sono riusciti ad ammazzare me e il mio
fratellastro insieme al resto della nostra famiglia.-
Voltò
leggermente il viso e
lo squadrò dall'alto in basso da sopra la spalla. -Questo
era per
dirti che so benissimo quali sono le regole da seguire per riuscire
ad arrivare viva la sera, e far sì che ci arrivino vivi
anche quei
poveri disgraziati che sanno che sono viva e vorrebbero aiutarmi.-
Si girò di
nuovo, allungò
la gamba destra in fuori e si indicò la caviglia.
-E ora, se non ti
dispiace,
potresti levarmi quest'affare? Che non posso mettermi i collant,
sennò.-
Giunsero all'hotel dove
quel giorno si trovava il quartier generale che era già
buio. Un
sollievo per la giovane donna, che non aveva dovuto indossare gli
occhiali da sole. Furono accolti all'entrata da un giovane poliziotto
giapponese dal viso gentile e i capelli arruffati. Era estremamente
giovane.
-Voi siete Banks e
Grumann?-
cercò di dire in un inglese impacciato.
-Tranquillo, parliamo
giapponese.- rispose Grumann. -E Lei è?-
-Touta Matsuda. Molto
piacere.- si strinsero la mano.
-Paul Grumann.-
-Nathalie Banks-.
-Vi faccio strada.-
disse il
giovane poliziotto, sorridendo.
L'hotel era un cinque
stelle
dall'aria incredibilmente signorile. Non sembrava ci fossero
pattuglie fuori, e nessuna persona incontrata della hall aveva l'aria
di essere un agente in borghese. Possibile che la squadra
investigativa sul caso Kira si fosse ridotta a così poche
unità da
non poter nemmeno garantire un'adeguata sorveglianza? Effettivamente,
pensò Nathalie, dovevano essere davvero in pochi, se L aveva
deciso
di mostrarsi in volto. Non avrebbe mai creduto che lui potesse
arrivare a tanto.
Grumann conversava
amabilmente con l'agente giapponese, ma era sicura che la stesse
controllando ad ogni passo. Nathalie tentava di mascherare il suo
nervosismo: immaginava che Hayer dovesse avere un piano molto
più
ampio in mente, o non le avrebbe mai permesso di incontrarsi faccia a
faccia con L. Possibile che volesse tentare di ucciderlo, per poi far
fuori lei e tutti gli altri ostaggi? Sarebbe stata una manovra
estremamente rischiosa, anche perché avrebbe dovuto far
fuori
l'intera squadra, compreso Watari. Un'azione solitaria di Grumann non
avrebbe mai funzionato, e Hayer lo sapeva bene. L'unico modo per
raggiungere l'obiettivo sarebbe stato un attacco diretto alla stanza
dell'albergo, o all'albergo intero, ma Nathalie dubitava che ci
sarebbe stato il tempo necessario per organizzare una cosa simile:
l'ubicazione del quartier generale di L cambiava ogni giorno, e
mentre gli agenti venivano informati la mattina del nuovo indirizzo,
lei e Grumann erano stati prelevati da un taxi chiamato da Watari dal
loro appartamento, ed erano stati portati assieme alle due guardie
del corpo a destinazione. Far saltare in aria l'intero hotel? Ci
sarebbero volute ore per farlo. L'unica soluzione per Hayer sarebbe
forse stata il mandare un elicottero a schiantarsi contro la stanza
d'albergo dov'erano diretti, supponendo che Grumann e le due guardie
del corpo riuscissero a comunicarla prima che venissero requisiti
loro i telefoni.
Ma Watari era stato
avvertito del pericolo, e sicuramente aveva indagato a fondo e aveva
fatto in modo di prendere ogni possibile precauzione.
Perciò, era
altamente improbabile che sarebbero tutti morti quella sera. Questo
pensiero confortò Nathalie, che prese un respiro profondo e
cercò
di rilassare la tensione sulle spalle larghe. Già, Watari.
Chissà
che faccia avrebbe fatto, vedendola. Era un gentiluomo, di quelli
all'antica, per cui, se anche non ci fosse stato il rischio di
smascherarla, se anche si fossero incontrati in condizioni normali,
loro due soltanto, non l'avrebbe presa a cazzotti in faccia. Le venne
quasi da ridere al ricordo della mostruosa sfuriata dopo la quale
Watari l'aveva bandita dalla Wammy's House. E tutto solo per aver
messo le mani addosso al suo pupillo, anche se quello non era se non
il crimine minore che avesse commesso. Nathalie era sicura che Watari
avrebbe cercato di aiutarla spinto dal suo senso di giustizia, e
forse per una sorta di rispetto verso i suoi genitori. E non aveva
dubbi sul fatto che non avesse detto assolutamente nulla a L,
né che
fosse ancora viva, né che se la sarebbe ritrovata di fronte.
O,
appena lo avrebbe visto, lui si che l'avrebbe
presa a cazzotti
in faccia. Come minimo.
-Vi hanno già informato
dei dettagli?- chiese Matsuda ai due agenti, una volta entrati
nell'ascensore.
-Abbiamo avuto
qualche
informazione dalle quali partire con le nostre ricerche.- rispose la
signorina (signora?) Banks. -Ma ci auguriamo che dopo questo
colloquio con L sapremo tutto ciò di cui abbiamo bisogno per
svolgere indagini più accurate.-
-Dovrete rivolgervi a
lui
col nome di Ryuzaki.- li avvertì Matsuda. Poi
guardò più
attentamente la giovane donna. Portava un completo elegante,
pantaloni lunghi, camicetta e giacca. Era abbastanza alta, forse
appena cinque centimetri in meno rispetto a lui, e il suo volto
pallido aveva lineamenti delicati, che stonavano leggermente con la
sua espressione dura. Un piccolo naso all'insù, zigomi alti,
labbra
sottili, occhi verde palude dall'espressione fredda sotto gli
occhiali dalle lenti ovali, sopracciglia spigolose ed aggrottate.
Aveva la pelle liscia e senza rughe, nonostante gli avessero detto
che non era giovanissima. Eppure doveva essere davvero una
professionista, se era stata chiamata addirittura da L.
-E quindi Lei
è l'esperta
di esoterismo?- chiese, infine.
-Non c'è
bisogno di essere
così formali, signor Matsuda- rispose la donna, come
risvegliata dai
propri pensieri. -Comunque sì. Ho collaborato con L ad altri
due
casi, ma questa sarà la prima volta che lo vedrò
faccia a
faccia...-
-Beh...- la
interruppe lui.
-La avverto che potrebbe non essere come se lo aspetterebbe.-
Matsuda si
ritrovò a
ripensare alla prima volta che si era ritrovato faccia a faccia con
L. Tutti gli agenti si erano presentati di fronte a quello strano
giovane trasandato, e alla fine lui aveva alzato una mano, facendo il
gesto della pistola, e aveva semplicemente detto: “Bang. Se
fossi
stato io Kira, ora sareste tutti morti”.
-Non credo questo
abbia
importanza.- riprese la signorina Banks, avvicinandosi alle porte
scorrevoli dell'ascensore. -Ho collaborato con lui per la prima volta
ad un caso abbastanza intricato che riguardava alcuni omicidi
satanici. Erano persone con una psicologia molto complessa, e
perciò
mi hanno chiamata. Sono abituata a lavorare con casi del genere:
fanatici religiosi, sette... Conosco il loro modo di pensare e cosa
li ispira, per questo sono spesso in grado di prevedere alcune loro
mosse.-
-E... riguardo al
secondo
caso?- chiese Matsuda.
La donna si
voltò verso il
suo interlocutore. -Ho lavorato al caso del killer di Los Angeles.
Assieme a Naomi Misora. La fidanzata dell'agente Penber, scomparsa
poco dopo la sua morte.- L'espressione dei suoi occhi verdi era
agghiacciante. All'apparenza vuota, ma carica di una rabbia cieca e
incontrollabile. Matsuda capì che non era il caso di andare
oltre
con le domande. Quella donna, per quanto piacevole d'aspetto, era
dannatamente inquietante.
Si aprirono le porte
dell'ascensore. Un uomo sulla sessantina, dai capelli bianchi e dai
grandi baffi li accolse. Era vestito con un elegante completo nero, e
aveva i capelli inamidati.
-Signorina Banks,
benvenuta.
Signor Grumann, sono stato avvertito della sua presenza solo stamane,
perciò mi presento. Sono Watari. Benvenuto anche a lei.-
Strinse la
mano ad entrambi. Parlava col più perfetto RP che i due
agenti
avessero mai sentito.
-Possiamo parlare in
giapponese- rispose ancora una volta Grumann, sorridendo. -È
un
piacere per me fare la conoscenza di un collaboratore di cui il
famoso L si fida così tanto!-
Nathalie
lanciò
un'occhiataccia al collega, poi si rivolse a Watari in giapponese.
-Finalmente la vedo a volto scoperto, signor Watari!-
L'uomo fece un breve
cenno
col capo, e intimò loro di seguirlo, senza ulteriori indugi.
Si
fermò poi di fronte ad una porta e chiamò
all'interno.
Aprì un uomo sulla
cinquantina, baffi e capelli neri, un po' brizzolati, e un paio di
occhiali, che si presentò loro come il Sovrintendente Yagami.
-Ero a capo della
task force
dell'Interpol per il caso Kira- disse, facendo loro cenno di
accomodarsi e di lasciare i cappotti nel guardaroba. -...ma quasi
tutti i nostri uomini ci hanno abbandonato quando hanno scoperto che
L aveva chiesto ad alcuni agenti dell'FBI di pedinarli
perché
pensava ci fosse una talpa che passava informazioni a Kira.-
Fece cenno a Matsuda
di
perquisirli e poi riprese a parlare. -Da quel momento, L, o meglio,
Ryuzaki ha deciso di mostrarsi alle poche persone che avrebbero
deciso di continuare a seguire il caso a costo della vita.-
Attese che Matsuda
requisisse le loro pistole e tastasse in modo impacciato le loro
tasche, poi li condusse attraverso un ampio salone. -Vi ho detto
questo perché sappiate a cosa andate incontro accettando
questo
caso.-
Aprì una porta, al fondo
del salone. La stanza era uno studio poco illuminato, perché
le
tende erano state tirate. Oltre ad un tavolo, sul quale giacevano
diverse tazzine e piattini, due divanetti e un'ampia scrivania, su
cui diversi monitor trasmettevano immagini da notiziari relativi al
caso Kira, non c'era molto. A capotavola, su una poltrona, sedeva,
per modo di dire, un giovane. Meglio dire, forse, che stava
accovacciato. Indossava un paio di jeans chiari e una maglia bianca
slabbrata, abiti visibilmente troppo grandi per lui. Tuttavia doveva
essere abbastanza alto, e il fatto che avesse le spalle larghe dava
l'impressione che quello non fosse sempre stato il suo aspetto.
Pareva infatti che in quei vestiti si fosse sciupato nel tempo,
impressione che veniva rafforzata ad osservarlo bene in volto: era
emaciato e dalla pelle pallidissima, con folti capelli neri
incredibilmente arruffati e lunghi. E gli occhi. Nella penombra della
sala, il suo sguardo fece trasalire i due nuovi arrivati. Gli occhi
erano sgranati, innaturalmente aperti. Le pupille erano talmente
dilatate da nascondere l'iride. E occhiaie spaventosamente scure ed
estese incorniciavano quello sguardo inquietante, che si era posato
sui due agenti. Finì di sorseggiare il suo caffè,
l'ennesimo,
reggendo tazzina e piattino con dita sottili e affusolate, che
parevano dovere andare in frantumi da un momento all'altro.
Sgranchì
le dita dei piedi, e fu solo allora che Nathalie e Paul notarono che
era scalzo. Era scalzo e teneva i piedi sulla poltrona, le ginocchia
puntate al petto.
-Benvenuti.- disse
loro, con
una voce paurosamente vuota e cupa. -Accomodatevi. Volete una tazza
di tè?-.
Presero posto in silenzio.
Nessuno osava parlare. Grumann rivolse lo sguardo a Nathalie, che
incrociò le dita in grembo. “Non sono di certo
così stupida da
usare il linguaggio dei segni per comunicare... Per chi mi ha preso
questo secondino?”.
L poggiò
delicatamente la
tazzina sul tavolo e finalmente iniziò a parlare.
-Signorina Banks,
lieto di
incontrarla faccia a faccia.- esordì con voce tanto calma da
parere
innaturale. -Spero abbia qualche buona notizia per me.-
Guardava la sua
interlocutrice fissa negli occhi, senza sbattere le palpebre, con
quegli occhi che parevano due buchi neri.
-In
realtà...- lo
interruppe Grumann, con l'espressione più affabile che
riuscì a
fare. -Vorremmo prima sapere da lei, Ryuzaki, qualche dettaglio in
più su questo caso.-
L chiuse gli occhi e
abbassò
leggermente la testa, le mani incrociate di fronte al volto.
Calò un
pesante silenzio, e, qualche secondo dopo, riprese a parlare con una
nota di irritazione nella voce.
-Signor Grumann, ho
accettato la sua presenza qui soltanto perché ritengo
indispensabile
al momento l'aiuto della signorina Banks.- rispose Ryuzaki, senza
guardarlo in faccia. -Non ho avuto abbastanza tempo per poter
indagare a fondo su di lei, ma il suo curriculum e i suoi documenti
sono palesemente falsati. Immagino che sia naturale, per coloro che
lavorano per la Hogson Society for Veteran Reintegration, ottenere
una nuova identità e una nuova vita, e questo vale anche per
la
signorina Banks, ma odio non sapere con chi ho a che fare. Pertanto,
a meno che lei non sia un brillante detective o non abbia le
capacità
per aiutare nella risoluzione di questo caso, la pregherei di
rimanere in silenzio.
Ora.- aggiunse,
aprendo
finalmente gli occhi e rivolgendo nuovamente lo sguardo verso
Nathalie. -La signorina Banks ha già lavorato per me, anche
se non
ci siamo mai trovati faccia a faccia, e lei sa bene che prima di
diffondere qualsiasi informazione voglio avere la certezza di
trovarmi di fronte a persone competenti.-
Alzò le
mani intrecciate
fino a coprirsi la bocca.
-Ho già
rischiato molto
parlando col vostro capo dei messaggi di Kira durante i suoi
esperimenti sui detenuti. Ma i morti aumentano, e sono dovuto
ricorrere a metodi drastici.- Sporse il busto in avanti e
appoggiò
il mento sulle mani unite. -Mi dica, ora, signorina Banks, ha
qualcosa per me?-
Nathalie non si era
scomposta di fronte alla reazione di L. Era abituata a ben di peggio.
Tirò fuori dalla valigetta un plico di fogli (che era stato
accuratamente analizzato per controllare che la donna non vi avesse
inserito messaggi in codice di alcun tipo rivelanti la sua vera
identità) e lo passò al detective.
-Ho fatto alcune
ricerche.-
disse, continuando a stare seduta con le mani intrecciate sul grembo.
-Nulla che potesse collegare gli dei della morte alle mele rosse,
visto che le mele rosse rappresentano, di solito, secondo gli
universali mitologici, il desiderio carnale. Presumo che i messaggi
rinvenuti sui cadaveri avessero il solo scopo di confondere le idee e
di mandarci fuori strada.-
-È quello
che ho pensato
subito anch'io.- ribatté L, inespressivo. -Può
dirmi qualcosa che
non so già?-
-Lo vedo
difficile...-
rispose Nathalie con fare seccato. Non era nuova a certi battibecchi:
anche lavorare con lui nei casi precedenti, sebbene comunicassero
quasi esclusivamente via email e qualche volta al telefono, era stato
difficile. L era sicuramente un giovane molto dotato, ma non era
assolutamente in grado di gestire le relazioni interpersonali;
Nathalie non lo sopportava e non lo nascondeva. Ma L la
ignorò.
Ignorava sempre le persone che gli borbottavano contro. Sicuramente
ci aveva fatto il callo.
-...Avete immaginato non
potesse essere un caso che i due Kira avessero fatto riferimenti agli
Shinigami, all'insaputa l'uno dell'altro. È per questo che
mi avete
contattato, no?- chiese allora la giovane.
Il detective
annuì.
Grumann, intanto, tirò fuori dalla tasca dei pantaloni un
taccuino
per prendere appunti.
-Non è
permesso registrare
o prendere appunti.- lo fulminò L, senza guardarlo ancora in
volto.
-E non potete portare la documentazione relativa al caso con voi al
di fuori di questa stanza. Abbiamo già avuto una talpa,
cerchiamo di
limitare i danni. In caso contrario, signor Grumann, le
dovrò
chiedere di lasciare la stanza.-
-No, aspetti!-
esclamò
Nathalie in tono un po' più alto di quanto intendesse.
Rimase un po'
stranita da come suonava la sua voce in giapponese: sembrava una
bambina. Non ricordava se in qualche momento della sua infanzia
avesse mai avuto una voce simile.
-Per la mia
sicurezza...-
riprese, dopo essersi schiarita la voce. -Grumann non può
allontanarsi da me. Se se ne deve andare, devo seguirlo.-
Calcolò il
tono e scelse
bene le parole per quello che stava per seguire.
-...Sono sotto
protezione
testimoni, come avrà già intuito. Ecco il motivo
delle due guardie
del corpo e del mio assistente, così digiuno di formazione
investigativa.-
In altre occasioni,
probabilmente avrebbe cercato a fatica di stamparsi in volto
l'espressione più supplichevole che riuscisse a fare (e che,
doveva
ammetterlo, non era mai un granché; non era tipo da
suppliche, lei),
ma con L sarebbe stato inutile. Non che non riuscisse a percepire le
emozioni dei propri interlocutori, ma al dannato Aspie semplicemente
non importavano.
-Mi lasci finire il
mio
resoconto, prima di decidere se cacciarci o meno.- riprese. -E
consideri che si è mostrato a noi in volto,
perciò, se mi posso
permettere, sarebbe più sicuro se ci permettesse di
partecipare alle
indagini fino alle fine. A quanto vedo, oltretutto...- aggiunse,
voltandosi verso la porta dello studio. -Mi sembra un po' a corto di
personale.-
L si mise a guardarla con
più attenzione. Aggrottò la fronte.
-Lei non mi piace,
signorina
Banks.- esordì dopo un po'. -Mi nascondi qualcosa, mi
innervosisci e
non so il perché.-
Non solo aveva omesso
le
formule di cortesia, ma d'un tratto si alzò e
andò verso di lei.
-Io mi sono dovuto mostrare in volto per guadagnarmi la fiducia di
pochi poliziotti giapponesi, e invece tu ti stai nascondendo. La
parrucca è di ottima qualità, te lo concedo,
probabilmente è
addirittura di capelli veri, e la frangetta e il taglio aiutano a
nascondere l'attaccatura dei capelli, ma si nota un leggero
rigonfiamento sulla testa, e per la tua costituzione e per la forma
del tuo volto, non puoi avere un cranio di quelle dimensioni. E le
lenti...- aggiunse, avvicinandosi al suo viso. Nathalie riusciva a
sentire il suo respiro, e l'odore di bucato fresco che veniva dai
suoi vestiti.
-Sono quasi perfette.
Ottimo
mosaico, e anche la gradazione di colore è naturale. Il
fatto che
siano sotto ad un paio di occhiali aiuta inoltre a dissimularle. Ma
prima hai perso il controllo, anche se solo per un secondo, e la tua
pupilla si è ristretta, e non ho potuto non notare il
cerchio scuro
che...-
Si sentì un “click”
metallico, e L si zittì. La donna aveva una mano dietro la
schiena,
e il suo sguardo, per un solo secondo, era diventato terribilmente
minaccioso. Teneva le labbra strettissime, e sentiva le vene del
collo pulsare. Ryuzaki rimase ancora un attimo fermo a scrutarla,
prima di tornare a sedersi, come se nulla fosse accaduto.
-Mi chiedo
perché mai
questi poliziotti giapponesi non vogliano perquisire per bene le
donne.- disse, accovacciandosi sulla poltrona. -Avevi una pistola
infilata nel retro dei pantaloni, come hanno fatto a non
accorgersene?-
Grumann era
impallidito. Non
immaginava di poter assistere ad una scena simile.
-Chi le fa tanta
paura,
signorina Banks, da non potersi mostrare in volto e da girare con una
scorta di due uomini- disse indicando la finestra con un cenno della
testa -e un alto cane da guardia- e indicò Grumann
–e non una, ma
ben tre pistole tra quella che sicuramente aveva nella borsetta,
quella che probabilmente era infilata nella fondina sulla caviglia
destra, come si vede dallo stivale, che è l'unico dei due ad
essersi
allargato in quel punto, e infine quella alla quale ha tolto la
sicura un attimo fa?-
Era ritornato a
rivolgersi a
lei in modo formale, e in tono calmo. Probabilmente, la
curiosità
che provava in quel momento era più forte del fastidio che
Nathalie
gli aveva provocato.
La donna estrasse la
pistola da dietro la schiena alzando istintivamente le mani in segno
di resa, rimise la sicura, estrasse il caricatore, mostrando che non
c'erano proiettili. Erano nel guardaroba, assieme ad un mini
revolver. La appoggiò sul tavolo e alzò di nuovo
le mani.
-Non si è
mai troppo
prudenti.- rispose, secca. -Ero con due agenti dell'FBI nel momento
in cui sono stati uccisi tutti da Kira. Poco dopo, anche Naomi Misora
è scomparsa. Ho iniziato a temere il peggio per me e per la
mia
famiglia.- concluse, abbassando le mani e incrociando le braccia.
-Capisco...- disse il
detective. Ora stava a ginocchia aperte, col gomito destro sulla
coscia e la testa mollemente appoggiata alla mano chiusa, e con la
sinistra a palma in giù sul ginocchio.
-Inoltre, se mi posso
permettere...- riprese Nathalie. -Porto con me solo due pistole. Una
terza pistola alla caviglia mi appesantirebbe il piede destro, e, se
dovessi essere inseguita, non riuscirei a correre in modo uniforme e
mi stancherei prima.-
-Mi pare sensato.-
fece L,
con la testa ciondolante in equilibrio precario sulla mano chiusa.
-Devo quindi dedurre che lo stivale allargato, e il motivo per cui
porta degli stivali sotto un completo elegante, sia dovuto ad un
braccialetto elettronico?-
Nathalie fece una
smorfia,
che si tramutò subito in un sorriso storto.
-Non
riuscirò a convincerla
che non sono una criminale, anche se al momento non porto alcun
braccialetto elettronico.-
La donna sentiva
Grumann
trattenere il respiro. Probabilmente lui non si aspettava che L fosse
così attento e che avesse un tale intuito, anche se sembrava
a
malapena che li stesse guardando. Ma lei si era preparata a fondo per
riuscire a controbattere a tutte le questioni che il detective
avrebbe potuto sollevare sulla sua finta identità, per
evitare che
scoprisse chi era veramente. Era abbastanza certa di potercela fare.
Dopotutto, nonostante L fosse diventato un detective di fama
mondiale, dalle capacità ormai superiori alle sue, Nathalie
sapeva
come ragionava.
Era stata lei ad
addestrarlo.
-Va bene così, allora.-
disse allora il giovane e, facendo cenno con la mano libera,
aggiunse: -Vada pure avanti con quello che ha scoperto. Anzi,
lasciamo perdere il Lei. È vero che stiamo parlando in
giapponese,
ma non mi sono mai piaciute le troppe formalità.-
-Bene.- riprese lei,
ricomponendosi.
-Basandomi sulla
pagina di
diario mandata dal secondo Kira, ho cercato di analizzare tutti gli
elementi per trovare una correlazione che avesse una base mitologica,
e per vedere se esistevano altre parole in codice che avrebbe potuto
usare per comunicare col vero Kira.-
Era quello il motivo
per cui
Nathalie era stata chiamata: negli ultimi anni si era specializzata
in casi che coinvolgevano sette, occultismo, cosiddetti fenomeni
paranormali. Le morti inspiegabili e la nascita di una sottospecie di
“culto di Kira” rappresentavano un caso ideale, per
una persona
con le sue competenze.
-In molte tradizioni
la vita
umana viene rappresentata come una fiamma o come un filo,- disse,
estraendo un nuovo fascicolo dalla borsa. -però esistono
anche
alcune tradizioni in cui il dio della morte possiede un libro nero,
chiamato di solito “libro dei morti”. Il secondo
Kira parlava di
“mostrare il suo diario ad un amico”.-
-E quindi pensi che
entrambi
i Kira siano davvero degli dei della morte che posseggono un libro
nero?- chiese Grumann, in tono canzonatorio.
-No.- rispose
Nathalie,
seccata. -Delle divinità non si rivolgerebbero ad una
emittente come
la Sakura TV per attirare l'attenzione dei propri simili. I due Kira
sono sicuramente umani, ma quello che non sappiamo è come
facciano
ad uccidere le persone a distanza, o a programmarne le morti,
conoscendone soltanto volto e nome. E, nel caso del secondo Kira,
solo il volto. Com'è successo al vostro agente, Ukita.-
-Già...-
disse L. -Anche il
sovrintendente Yagami ha rischiato parecchio quella sera. Non fosse
stato per quell'episodio, non avrei mai pensato che la sua vita fosse
seriamente in pericolo a causa di Kira.-
La fissò
intensamente negli
occhi, mentre con un pollice si schiacciava il labbro inferiore. -Ma
se vuoi sapere il perché, dovrai attendere.-
-Io continuerei.-
-Prego.- Ryuzaki si
versò
dell'altro caffè nella tazzina con grande attenzione.
-Ho elaborato una teoria.-
riprese la giovane donna, mettendosi comoda sul divanetto. -Ho notato
che tra tutti i criminali dei quali è stato mostrato il
volto e il
nome, sono morti tutti tranne quelli dei quali veniva mostrato un
identikit o... il cui nome veniva riportato erroneamente. Il che non
ci sarebbe così utile, se non fosse che ho notato che si
salvavano
anche i criminali, per lo più stranieri, per i quali si
conosceva la
pronuncia del nome, ma non la grafia.-
Il detective
alzò un
momento lo sguardo dalle sue zollette di zucchero, interessato.
-Quello che voglio
dire
è...- continuò la donna, estraendo dal fascicolo
una lista di nomi.
La maggior parte di questi erano stranieri, e di fianco alla
traslitterazione in katakana vi erano le possibili grafie in alfabeto
latino. I nomi erano solo sette.
-...che
non avrebbe senso che i “poteri” del primo Kira non
gli
permettano di uccidere una persona della quale sa pronunciare
il nome. Ma le cose cambiano nel caso in cui per uccidere una persona
sia necessario scriverne
il nome. Tra questi nomi, ce ne sono tre di origine slava, e al
notiziario sono stati traslitterati in giapponese con l'alfabeto
fonetico. Uno di questi è riportato su diversi siti internet
con
grafie ogni volta diverse, dal momento che è russo, e non
tutti i
giornalisti seguono le convenzioni per la traslitterazione del
cirillico. Vi ho mostrato questo caso perché penso sia il
più
emblematico: è possibile infatti pronunciare correttamente
questo
nome grazie alla trascrizione fonetica, ma non c'è accordo
sulla
grafia. E difatti questa persona si è salvata. Questo,
assieme agli
altri sei casi simili, mi ha fatto ipotizzare l'esistenza di una
sorta di “libro dei morti”, per cui, se un nome
viene scritto in
modo erroneo, la persona non muore.-
Il giovane smise di girare
il cucchiaino nella tazzina stracolma di zucchero. Se lo
portò alle
labbra e alzò lo sguardo assumendo un'espressione
pensierosa.
-Questo è interessante.- disse. -Farraginoso, ma
interessante.
Quindi mi stai dicendo che se Kira, per esempio, ascolta alla radio
notizie di criminali, e perciò non è sicuro della
corretta grafia
del nome, non può uccidere quella persona?-
Ritornò a
guardare la
tazzina, e appoggiò il cucchiaino sul piattino.
-Potremmo tenere
questa
pista in considerazione nel caso in cui riuscissimo a scovare il
secondo Kira e a ottenere qualche informazione.- disse, portandosi la
tazza alle labbra.
-Molto bene,
signorina
Banks.- concluse, bevendo un sorso.
-Avrei un'altra
considerazione da fare.- ribatté lei, porgendogli un altro
plico di
fogli. -Mi sono permessa di fare delle
“misurazioni”. A quanto
pare, ad eccezione dei casi in cui si hanno avute delle morti
programmate in orari prestabiliti, come il giorno in cui c'è
stato
un morto ogni ora, ho cronometrato il tempo trascorso
dall'apparizione di un criminale alla TV e l'ora del decesso.-
Nathalie
passò a L una
nuova lista, questa volta leggermente più corposa della
precedente,
con gli orari della messa in onda dell'identità del
criminale e
l'esatta morte del decesso.
-Purtroppo
l'intervallo è
abbastanza approssimativo, in quanto è successo di rado che
vi siano
state delle morti in diretta, ad esclusione del conduttore di Canale
28 ucciso dal secondo Kira, perché era chiaramente una morte
programmata. Queste sono tutte morti registrate nelle prigioni, ma, a
meno che qualche guardia non venisse allertata dalle urla, o il
decesso avvenisse durante l'ora d'aria o alla mensa, i cadaveri
venivano rinvenuti troppo dopo rispetto all'orario dell'annuncio in
TV.-
-A questo posso
rimediare
io.- le disse L, indicando il dossier col cucchiaino, mentre con
l'altra mano continuava a reggere la tazzina.
-Posso fare in modo
che
nelle carceri vengano monitorate le morti con la massima precisione,
se questo può risultare utile a capire come faccia Kira ad
uccidere.-
Bevve un altro sorso,
si
liberò le mani e sollevò il foglio dagli due
angoli superiori coi
soli pollici e indici.
-Quali sono stati i
risultati delle tue ricerche?- domandò poi.
-Ecco...- riprese lei. -Non
so quanto possano essere utili. L'intervallo tra l'apparizione di
nome e volto e l'ora del decesso è di minimo due minuti
circa. Non
sono riuscita a fare di meglio. Ma è sicuro che non ci siano
morti
istantanee. È sempre dovuto passare un minimo lasso di tempo
perché
le vittime morissero. Ho usato la morte di Lind L. Taylor come
indicatore massimo, quattro minuti; tutti i nomi che vedi lì
evidenziati sono morti in un intervallo di tempo minore rispetto al
suo.-
-E questo ti ha
portato a
pensare che possa esistere una sorta di rituale che Kira compie prima
di uccidere le sue vittime, o col fine stesso di ucciderle?- chiese
il detective, che intanto aveva ripreso la tazza per sorseggiare di
nuovo il tè.
-Esatto.- rispose
Nathalie
-Purtroppo questo è tutto ciò che sono riuscita a
ipotizzare, mi
spiace.-
-Non ti
dispiacere...- bevve
un sorso. -Mi hai tolto un po' di lavoro. Un risultato davvero
notevole, considerando che ti ho fatta contattare appena tre giorni
fa, e che nel frattempo hai anche dovuto fare un volo transoceanico.
Puoi rivolgerti a Watari per il tuo compenso.-
-Veramente...-
Nathalie
abbassò lo sguardo, poi guardò Grumann, che era
rimasto zitto e
immobile per tutto il tempo. Sorrideva in quel suo modo viscido, e i
suoi occhi nascondevano una velata minaccia. Intanto L continuava a
bere il suo tè.
-...Volevo chiedervi
se
potevamo partecipare alle indagini.- disse allora la donna, tesa.
-Siamo pur sempre agenti abituati a collaborare con l'FBI, pensiamo
di potervi essere utili.- Strinse la stoffa dei pantaloni tra le mani
bianche. -Credo... credo che Naomi Misora sia stata un'altra vittima
di Kira. Abbiamo lavorato insieme. E poi mi sono morti davanti agli
occhi due agenti, uccisi da Kira...-
Rimasero tutti in
silenzio
per qualche istante. Nathalie era partita per il Giappone certa che L
le avrebbe chiesto di continuare a lavorare al caso, ma la presenza
di Grumann avrebbe potuto mandare a monte il piano.
-Speravo me l'avresti
chiesto.- disse infine L, posando di nuovo la tazzina e portandosi le
mani intrecciate davanti al volto. -Siamo un po' a corto di
personale, come hai già notato, e tu mi sembri intelligente.
Mi
infastidisci, certo, ma sei in gamba, te lo concedo. Sono anche
disposto a permetterti di portare qui il tuo cagnolino...- rivolse
un'occhiata fredda a Grumann. -Ma spero che tu sappia che questo caso
metterà in pericolo te e le persone che ti stanno vicine.-
-Non ho paura di
questo.-
rispose lei con voce ferma, e ritornando a guardarlo negli occhi.
Odiava dover implorare.
-Non ho paura di
morire. E
sono poche le persone che devo proteggere. E Kira non può
venire a
conoscenza dell'identità di nessuna di queste.-
-Bene!- riprese L,
raccogliendo i dossier sul tavolino e sistemandoli aperti sulle
proprie gambe incrociate. -Benvenuta nella squadra.-
Uscirono dall'hotel che era
notte inoltrata. L aveva voluto continuare il colloquio dopo aver
mandato a casa gli altri (pochi) agenti giapponesi, perché
voleva
parlare del suo, fino a quel momento, unico sospetto. Light Yagami.
Primo anno di università, tra gli studenti più
intelligenti del
Giappone, ragazzo modello, bell'aspetto, ex campione di tennis.
Praticamente
perfetto.
Troppo perfetto.
Faceva parte delle
famiglie
controllate da Penber poco prima della sua morte. Era lecito pensare
che l'americano fosse stato avvicinato da Kira e che fosse stato
costretto a rivelargli i nomi degli altri agenti. La presenza di una
busta, ripresa dalle telecamere mentre stava per salire sul treno, e
la sua assenza al momento della morte di Penber, unite al viaggio
insolitamente lungo fatto dallo stesso, sembravano non dare adito a
dubbi. Ma Light Yagami aveva superato i due giorni di sorveglianza
senza mostrare comportamenti sospetti. Nathalie aveva chiesto di
poter visionare i filmati e leggere la documentazione relativa al
caso, ed era stata invitata per la mattina successiva. L aveva
inoltre detto che era entrato in contatto con Light Yagami da un po'
di tempo, e gli aveva chiesto di collaborare alle indagini, non prima
di avergli detto che sospettava che fosse lui Kira.
“È
la prima volta che L
usa il 'metodo Burton'” pensò Nathalie di ritorno
al suo albergo.
Entrare in contatto col sospettato e anticiparne ogni mossa,
sfidandolo di continuo, per farlo innervosire e sperando facesse
qualche errore. Era il metodo che era stato insegnato a lei, durante
il suo addestramento al dipartimento di polizia di Boston sotto la
guida di Roger Burton: un metodo che le si addiceva, ripetevano
spesso i suoi colleghi, perché se c'era una persona in grado
di far
andare fuori di testa un sospettato, quella era lei.
-Persino un innocente
si
farebbe sbattere in galera, piuttosto che continuare ad averti come
aguzzino.- la canzonavano.
Anche L
“perseguitava”
le proprie “vittime”, ma non si era mai esposto in
prima persona,
prima di allora. Non che lei sapesse. Mantenere l'anonimato era
diventata la regola per gli studenti della Wammy's House, dopo che un
altro brillante detective era stato ucciso per vendetta, sette anni
prima.
Ma, anche se L gli
stava
addosso, Light era incredibilmente intelligente, non avrebbe perso la
calma. Forse, però, in questo modo avrebbe abbassato un po'
il tiro,
magari qualche vita si sarebbe potuta salvare...
Nathalie non sapeva bene
cosa pensare. Era certa di una cosa, però: se L diceva che
Light
Yagami era Kira, Light Yagami era Kira. L aveva l'intuito
più
formidabile che si fosse mai visto. Ma non era un amante del lavoro
sul campo, e avrebbe avuto bisogno di qualcuno di altrettanto
competente per raccogliere le prove. E ora c'era lei, e raccogliere
prove era la sua specialità. E mentre pensava a tutte queste
cose,
Grumann si stufò e si accese una sigaretta.
-Per favore, non
fumarmi
addosso.- gli disse, seccata.
-Mi avevano avvertito
che
eri una noiosissima salutista.- ribatté lui, ignorandola e
dando il
primo tiro. -Ma di certo l'aria di Tokyo non è che sia
meglio di
questa sigaretta. Cambiando discorso...- le fumò in faccia.
-È vero
quello che ha detto L? Che ti sei travestita?-
Nathalie gli prese il
polso
e lo torse forte. L'uomo urlò e tentò di colpirla
con l'altra mano,
ma lei, con un movimento fulmineo, si portò alle sue spalle.
-Prova
a fumarmi in faccia un'altra volta, Grumann, e la sigaretta ti
finirà
in gola.- gli sussurrò ad un orecchio. Poi lo
liberò dalla stretta.
Lui indietreggiò e la guardò furibondo.
-Pensavi sul serio
che
questo fosse il mio vero aspetto? A quanto pare non ti hanno detto un
bel niente su di me.- disse, risistemandosi la giacchetta. -Meglio
così, vuol dire che non vali abbastanza da esserne
informato.-
I due uomini della
scorta li
richiamarono all'ordine. Intanto erano giunti al palazzo dove
alloggiavano. Si divisero senza salutarsi, e Grumann si
allontanò
imprecando.
Iniziava a piovere, pareva
stesse arrivando un temporale. Meglio così. Nathalie adorava
la
pioggia, si sentiva libera di poter vagare da sola all'aria aperta.
Anche se Grumann aveva ragione: l'aria di Tokyo era terribile da
sopportare. Salì tutti e sei i piani di scale a piedi, senza
apparente fatica, si infilò nel proprio appartamento e
iniziò a
gettare tutti i vestiti a terra a mano a mano che si spogliava. Dopo
aver controllato che tutte le porte e le finestre fossero chiuse a
dovere, andò in bagno e accese la luce per togliersi le
lenti a
contatto, si lavò via il pesante trucco dal volto e dalle
mani e si
levò la parrucca. Mentre toglieva ad una ad una tutte le
forcine,
lunghissimi capelli setosi le ricadevano sulla schiena nuda. Erano
bianchi.
-E non ho schiacciato
abbastanza i capelli perché L non si rendesse conto che
questa era
una parrucca.- sbuffò, pettinando con le mani i finti
capelli neri.
Uscì dal bagno per sistemare la parrucca su di una testa di
polistirolo e tornò indietro. Si infilò nella
doccia e aprì il
getto dell'acqua calda.
La situazione era troppo
surreale. Era di nuovo partita per il Giappone per dare la caccia a
Kira. Dopo che era riuscita a scoprire della scomparsa di Naomi
Misora, aveva cominciato ad attendere con ansia il giorno in cui
l'avrebbero chiamata: quasi non le importava più il riuscire
a
liberarsi da Hayer; voleva mettere le mani addosso a Kira e sbatterlo
in una cella due metri per uno, senza finestre, per tutto il resto
dei suoi giorni. Quando avrebbe imparato la lezione? Qualunque
persona le si avvicinasse, moriva sempre troppo presto.
In quel momento non
voleva
pensare a nulla. Lasciò che l'acqua bollente le scorresse
addosso,
sulla pelle chiarissima, finché questa non si
arrossò. Uscì dalla
doccia e cercò nell'armadietto dei tubetti di crema.
Iniziò a
spalmarsi, come faceva ogni giorno, una crema dall'aspetto unticcio
sulla spessa cicatrice che aveva sulla spalla destra. Lentamente. Era
lunga una decina di centimetri e larga uno, e le cadeva
perpendicolarmente sulla spalla. Iniziava davanti e finiva dietro.
Poi passò alla seconda. Era sottile, lunga solo pochi
centimetri, e
tagliava in diagonale il suo avambraccio sinistro. Quasi invisibile
ad occhio nudo. Ma era una delle sue cicatrici, e pertanto andava
inserita nel suo rituale quotidiano. La terza. Un taglio chirurgico
al fondo dell'addome, largo meno di una dozzina di centimetri. Pareva
impossibile che di lì ci fosse potuto passare un neonato.
Alzò gli
occhi verso lo specchio. Le labbra delicate e il naso fine e
all'insù, gli zigomi alti... era un viso di quelli di
porcellana.
Non le era mai interessato essere bella (quelli come lei potevano
essere di una bellezza incredibile, ma sarebbero sempre stati
guardati come mostri), ma sapeva di esserlo. Finché non si
alzava lo
sguardo. Su quel viso quasi bianco si vedeva una macchia più
scura
correrle verticalmente dalla fronte allo zigomo destro. Il segno di
un'ustione. Non troppo grave da sfigurarle il volto corrodendole la
pelle. Non abbastanza lieve da non lasciare traccia. E, in mezzo, un
occhio rosso.
Il calore della
doccia le
aveva attivato la circolazione, rendendole la pelle leggermente
rosata, ma anche le iridi si erano arrossate. Gli occhi degli albini
non sono mai rosso sangue, ma Nathalie tendeva ad infuriarsi di
continuo, per cui capitava spesso che i suoi occhi fossero rossi e
insanguinati. Avevano ragione, i compagni della Wammy's House, a
chiamarla “Demone Bianco”, quando erano piccoli.
Dopo essersi spalmata
addosso altre creme solari e protettive contro i raggi UV, rimise
tutto a posto nell'armadietto, ma, nel farlo, cadde una foto.
Nathalie la raccolse. Erano lei e Bjarne. Facevano davvero contrasto,
loro due. Lui, alto, abbronzato come sempre, a quel tempo teneva i
capelli biondo platino, quasi completamente sbiancati dal sole,
legati in uno chignon, e portava il pizzetto. Aveva un sorriso
smagliante e gli occhi castani gli brillavano. Aveva addosso una
camicia di lino e dei pantaloncini. Le cingeva dolcemente la vita,
accarezzandole il pancione. Erano sulla terrazza di un qualche bel
ristorante in California. Lei aveva i capelli che le arrivavano alle
spalle, ondulati, un vestito a fiori largo e leggero, e sopra una
maglia in tessuto leggerissimo che le riparava le braccia dal sole.
Il pancione era di soli cinque mesi, ma era molto evidente, dal
momento che era aveva sempre avuto un fisico magro, longilineo e
abbastanza atletico. Portava un enorme cappello che le faceva ombra
al viso, perché quel giorno Bjarne l'aveva convinta ad
andare in
giro senza trucco e lenti, e anche se c'era il sole. Pensava che al
bambino avrebbe fatto bene. Nathalie ricordava sempre con piacere
quella giornata. Era già ostaggio di Hayer, e le venivano
concesse
poche giornate di libertà, anche se sotto strettissima
sorveglianza.
Quel giorno Bjarne aveva preparato un'uscita speciale, si era
assicurato di trovare un ristorante con vista mare che cucinasse i
suoi piatti preferiti e che avesse un angolo molto riparato dal sole.
Era in vena di festeggiamenti, sebbene non ci fosse assolutamente
nulla da festeggiare. Nathalie era riuscita a mangiare tutto, ed era
stata felice. Gli altri clienti del locale non le avevano nemmeno
dedicato troppi sguardi. Alcuni si erano addirittura avvicinati per
farle gli auguri per il bambino.
Tutti quelli che la
vedevano la compativano sempre un po', quando non la guardavano
terrorizzati. La genetica aveva voluto che nascesse affetta da
albinismo totale, occhi rossi annessi. L'unica della famiglia. Non
c'era memoria di altri casi di albinismo in nessuno dei due rami.
Fortunatamente la sua vista era abbastanza buona, e lo strabismo che
aveva corretto solo pochi anni prima era talmente insignificante da
non averle mai dato problemi.
Aveva iniziato molto
presto
a nascondere la sua ustione, i suoi occhi, i suoi capelli. Bastava un
po' di correttore a coprire la macchia; per i capelli, aveva
cominciato da subito ad indossare parrucche; non appena le lenti a
contatto colorate erano diventate disponibili sul commercio, Nathalie
aveva cominciato a portarle. In quel modo, nessuno l'avrebbe
più
compatita. Odiava doversi nascondere, ma odiava ancora di
più gli
sguardi pietosi della gente. Poi era diventata un agente
investigativo, e l'anonimato era diventato per lei una
priorità,
perciò aveva passato anni a nascondere il suo vero volto. A
volte
dimenticava persino che aspetto avesse realmente.
Rimise a posto la foto e si
infilò mutande e la logora maglietta nera con una scolorita
bandiera
inglese, troppo larga per lei, che usava come pigiama. Sarebbero
arrivate giornate molto lunghe. L non le aveva dato la documentazione
relativa al caso e a Light Yagami perché sarebbe stato
rischioso
portare del materiale del genere fuori dal quartier generale,
perciò
aveva a disposizione quattro ore di sonno prima di doversi preparare
nuovamente per raggiungere il nuovo quartier generale.
-November
8th,
1997, by the river.-
si ripeté prima di infilarsi a letto, mentre arrotolava una
ciocca
di capelli bianchi intorno al dito.
-Watari.- chiamò L.
-Vuoi per caso
dell'altro
tè?- chiese il vecchio, alzando appena la testa dalla
poltrona sulla
quale sedeva, leggendo gli ultimi risultati delle indagini.
-No, grazie.- rispose
il
giovane, che stava rannicchiato sul divanetto e si passava il pollice
sul labbro inferiore. -Vorrei parlarti dei due collaboratori dell'FBI
che sono venuti oggi.-
Watari si
sentì trasalire,
ma cercò di non darlo a vedere. -Hai davvero intenzione di
reclutarli?- chiese, con voce tranquilla. -In ogni caso, gli hai
già
raccontato un bel po' di cose, non credi?-
-Non è
questo il problema.-
rispose lui, continuando a fissare il vuoto. -Di Banks non so se
fidarmi, ma è in gamba e ha un senso della giustizia molto
simile al
mio. So che non ha secondi fini. È Grumann che mi preoccupa.-
-Quale pensi sia il
suo
ruolo?- domandò Watari. Avevano avuto poco tempo quella
mattina per
discutere della presenza di un assistente al fianco della signorina
Banks. Nel momento in cui gli era stato ordinato da L di contattare
la loro vecchia collaboratrice, Watari aveva già accennato
alla
possibilità che le potesse venire affiancata un'altra
persona, e il
detective aveva rimandato a lui ogni decisione al riguardo.
-Credo che
più che il cane
da guardia di Banks, sia il suo secondino.- disse L, senza sembrare
minimamente sorpreso o preoccupato. -La teneva costantemente
d'occhio, era evidente.-
Il giovane
alzò lo sguardo
verso il soffitto, e si portò l'indice al mento.
-Negli altri due casi
per i
quali abbiamo chiesto la consulenza di Banks, non parevano esserci
irregolarità o cose sospette nel suo curriculum.-
continuò,
parlando più a se stesso che a Watari.
-Ma non possiamo
escludere
la possibilità che, in fondo, lei sia soltanto una delle
tante spie
mandate a cercare di scoprire la mia identità. Magari non
agisce di
sua spontanea volontà, dal momento che si sente
così minacciata. Ma
ciò non cambia la realtà dei fatti.-
-Cosa pensi di fare
al
riguardo?- gli domandò Watari, sfogliando il proprio dossier
senza
alzare lo sguardo. L non ci avrebbe messo molto, forse, a capire che
gli stava nascondendo qualcosa. Sarebbe stato forse meglio dirgli
tutto? Quanto avrebbe potuto metterli in pericolo? Aveva indagato a
suo tempo su Hayer, ma sia lui che K erano sempre riusciti a
nascondere a L l'esistenza sua e dell'organizzazione del Privates for
Police Enforcement Program all'interno della Hogson Society for
Veteran Reintegration.
-Voglio che Banks lavori
per me.- disse il detective, volgendo lo sguardo direttamente a
Watari. -Che Grumann cerchi di spiarmi, mi interessa poco. È
chiaro
che sia un pesce piccolo, e il mio volto servirà a poco a
chiunque
voglia scoprire la mia identità.-
Aprì il
fascicolo dei due
nuovi arrivati e si mise a scrutare i loro profili. -E se Banks
è in
pericolo, mi auguro che riesca a difendersi da sola. In questo
momento non abbiamo di certo né il tempo né gli
uomini per farle da
babysitter.-
-La signorina Banks
ha dato
un contributo fondamentale negli altri due casi ai quali avete
collaborato.- intervenne allora Watari. -Potresti mostrarle un po'
più di gentilezza.-
-La riconoscenza nei
suoi
confronti mi ha fatto decidere di mostrarmi in volto, e mi ha anche
impedito di congedarla appena ricevuti i risultati delle sue
ricerche.- ribatté il giovane, alzando di nuovo lo sguardo,
pensieroso. -Mi nasconde la sua identità, e la cosa mi
irrita.-
Watari avrebbe voluto
parlare. Non importava quanto la situazione potesse metterli in
pericolo; sarebbero riusciti a contrastare Hayer. Sebbene avesse
covato per anni un forte risentimento nei confronti di K, quella sera
si era sentito quasi tremare nel vederla. Non l'avrebbe mai
riconosciuta, se non avesse saputo che era lei. Come non l'aveva
riconosciuta dalle foto e dai video che la ritraevano durante i due
precedenti casi a cui aveva lavorato con quella falsa
identità. E
non era perché era travestita, quello lo faceva da quando
aveva
sedici anni. Ma il suo volto, quello non era più lo stesso.
Il suo
sguardo impudente, il suo mezzo sorriso canzonatorio... svaniti.
Trovarsi di fronte a
lei
dava la stessa sensazione che si prova di fronte ad un condannato a
morte che non mostra segni di paura, ma che guarda il suo boia con
aria di sfida: un sentimento di rispetto, certo, ma anche un terrore
sordo.
Il trucco e i vestiti
potevano coprire le sue cicatrici, ma c'era un'aura di orrore che la
circondava. Per questo, meritava di essere aiutata. Meritava la
possibilità di poter tornare a casa, di tornare alla Wammy's
House,
di poter insegnare anche alle nuove generazioni di detective.
Di vedere Nate.
-E poi...- ricominciò L,
interrompendo il corso dei suoi pensieri.
-Con l'apparizione
del
secondo Kira, e con la partecipazione di Light alle indagini, la
risoluzione del caso potrebbe essere davvero troppo vicina per
preoccuparsi d'altro. Come quali siano le intenzioni di Grumann. O di
Banks.-
L chiuse il fascicolo
e
ritornò a mangiare i suoi bignè, rompendoli con
le mani e
leccandone il ripieno. Completamente ignaro.
Watari desistette. Il
caso
stava davvero per avere una svolta fondamentale, non poteva parlare.
Non si immaginava che reazione potesse avere L al sapere che K era
ancora viva e che stava attualmente lavorando con lui, ma di sicuro
lo stato mentale del giovane, dopo una scoperta di tale portata, non
sarebbe di certo stato adatto a risolvere un caso così
complesso
come quello di fronte al quale si trovavano. Dopotutto, tra loro due
non era certo Watari quello che aveva rischiato la morte a causa di
K, né quello che aveva rischiato di vedersi portato via da
lei la
cosa più preziosa della sua intera esistenza.
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Capitolo 3 *** Capitolo 2 - La fisica delle mele e dei sacchetti di patatine ***
Capitolo
II
Nathalie arrivò al nuovo
hotel prima che sorgesse il sole, per evitare di doversi riparare
dalla luce. Voleva soltanto mettersi al lavoro, concentrarsi sul caso
Kira e fingere che la sua esistenza non fosse appesa ad un filo.
Watari accolse lei e Grumann nell'ampio ingresso, con un sorriso
stanco. La donna non ci aveva fatto caso il giorno prima, ma ora
guardava stupita l'uomo che aveva accolto lei e L alla Wammy's House,
diciassette anni prima. Non sembrava invecchiato. Ricordava che anche
quando erano piccoli, Watari aveva già i capelli bianchi. Un
po'
meno rughe forse, ma a loro era sempre sembrato vecchio. La
differenza, rispetto ad allora, rispetto all'ultima volta che lo
aveva visto anni prima, era che ora il vecchio sembrava... rabbonito.
Non era più la figura paterna esigente e distante della sua
prima
adolescenza; ora sembrava più... il nonnino gentile che ti
passa le
caramelle di nascosto. Nathalie si ritrovò a pensare cosa
potesse
averlo portato a diventare l'assistente personale di L (anche se a
volte sembrava di più il suo maggiordomo), quando, a rigor
di
logica, probabilmente sarebbe stato più corretto considerare
L un
suo dipendente.
-Ryuzaki non
è ancora
arrivato.- disse Watari, facendosi dare i cappotti. -Nel frattempo,
potete accomodarvi e fare colazione.-
Grumann ancora non le
parlava. Si diresse verso il buffet e lanciò un'imprecazione
nel
vedere che veniva servita solo la colazione tipica giapponese o un
vasto assortimento di dolci. Niente salsicce o pancetta con uova e
pane tostato. Nathalie si ritrovò a pensare, mentre si
serviva una
ciotola di riso bianco con natto e alghe nori e una di zuppa di miso,
con un po' di salmone su un piattino, che era strano che un mediatore
della Yakuza negli Stati Uniti rimanesse così stranito di
fronte a
quel tipo di cibo. Hayer non le aveva detto molto del suo
collaboratore, ma era praticamente certo che avesse lavorato per la
Yakuza.
Il colloquio col capo la
sera prima era andato meglio di quanto si sarebbe aspettata,
rifletteva, mentre si versava una tazza di tè verde e
cercava un
posto a sedere. Le proteste di Grumann per il polso torto avevano
avuto come unico effetto quello di far innervosire Hayer, che lo
aveva ripreso:
-Grumann. Questa
operazione
ci serve per raccogliere altre informazioni utili su L da rivendere.
Voi due non gli piacete, è chiaro, ma Banks gode almeno di
un minimo
di fiducia. È quello che succede quando si è
intelligenti.- aveva
aggiunto, sogghignando.
-Per cui non mi
interessano
i tuoi piagnistei, il tuo compito e solo quello di essere i miei
occhi e le mie orecchie. Non il mio manganello. Banks, mi secca
dirlo, ma sa stare al suo posto, quando sa cosa c'è in
gioco.
Giusto, Banks?-
Nathalie aveva
asserito
controvoglia con un “Sissignore”, prima di tornare
a pensare ai
fatti propri. La chiamata con Hayer stava durando talmente tanto che
si era resa conto che per quella sera Bjarne non avrebbe potuto
chiamarla.
Un'ora più tardi, Watari
annunciò loro che avevano terminato il trasferimento e che L
era
pronto a riceverli. La camera d'albergo, questa volta, era
più
piccola, e così i computer erano stati sistemati nella sala.
Questa
volta fu l'agente Mogi a perquisirli e a passare il metal detector,
dal momento che il giorno prima Matsuda aveva controllato
scrupolosamente solo Grumann, senza accorgersi della pistola di
Nathalie. Mogi era imponente, ma aveva un viso quasi gentile, era
taciturno e ligio al dovere. C'erano lui e Aizawa come supporto a L,
quella mattina. Due soli poliziotti, per aiutare il detective
più
bravo al mondo a catturare il più spaventoso serial killer
della
storia.
-Accomodatevi.- disse
L con
in bocca un cucchiaino stracolmo di torta alle fragole.
Stava seduto su una
poltrona
davanti a diversi schermi che trasmettevano notiziari, e aveva appena
alzato la testa al loro arrivo.
-Lì ci
sono tutti i filmati
dei periodi di sorveglianza.- disse, indicando un computer libero col
cucchiaino sporco di panna. -E quel plico di fogli è tutta
la
documentazione di cui avete bisogno per mettervi in pari con gli
altri.-
Ritornò
poi a quello che
stava facendo, e parve dimenticarsi della loro esistenza.
Nathalie quel giorno
non
portava il solito paio di occhiali dalle piccole lenti ovali e dalla
montatura fine e quasi invisibile, composta dalle sole aste, ponte e
cerniere di un pallido color dorato, che le davano un'espressione
ancora più seria e la facevano sembrare più
vecchia; al loro posto,
indossava grandi occhiali dalla montatura nera con le lenti
progressive e il filtro anti-luce blu, dal momento che avrebbe dovuto
passare quasi tutta la giornata davanti ad un computer, e L teneva le
tende tirate e l'illuminazione bassa. I suoi occhi erano estremamente
sensibili alla luce e detestavano in particolare gli schermi, un
altro handicap dell'essere nata albina.
Banks e Grumann passarono
almeno mezza giornata a visionare i filmati della sorveglianza, ma
nulla sembrava essere utile. Dopo un paio d'ore, L cominciò
ad
unirsi a loro per ricontrollare se gli fosse sfuggito qualcosa.
Giunsero ai filmati
di una
sera in casa Yagami, in cui Kira aveva giustiziato una persona appena
apparsa al telegiornale, in un momento in cui il ragazzo non stava
guardando la televisione.
-Ecco. Questo
è il momento
dell'alibi di Yagami, non è così?- chiese
Nathalie, controllando su
uno degli schermi l'inizio del telegiornale che era in onda nello
stesso momento in cui veniva registrato il video.
-Esatto.-
disse L, mettendo in pausa tutti i video. -Qui finisce di cenare e
sale in camera prima
che inizino a trasmettere i volti dei criminali ai notiziari.-
Si
accovacciò nuovamente
sulla sua poltrona e fece ripartire i filmati.
-Mmm...- fece
Nathalie,
sovrappensiero. Light Yagami era attentissimo alla salute e alla
forma fisica, si capiva dalle sue abitudini. Perciò...
perché
lasciare a metà la cena per mangiarsi un pacco formato
famiglia di
patatine?
-Qualcosa non va,
signorina
Banks?- chiese L con la sua solita voce vuota. Lei gli espresse i
suoi dubbi, ma lui scosse la testa. -Cercare a tutti i costi qualcosa
che non quadra, non aiuta l'indagine.-
Si passò
poi il pollice
sulle labbra. -Per quanto io vorrei avere la conferma di essere sulla
strada giusta per risolvere questo caso, non credo che trovare
sospetto qualsiasi cosa faccia Light possa portarci alla soluzione.-
Alzò poi
lo sguardo verso
il soffitto. -Non dimentichiamoci che si tratta di un adolescente,
che oltretutto in questo periodo doveva affrontare gli esami finali
del liceo. Comportamenti che esulano dall'ordinario sono
perfettamente comprensibili.-
Osservarono tutti e tre in
silenzio, mentre passavano le notizie dei criminali arrestati, e
Light scriveva senza quasi staccare gli occhi dal foglio, se non,
ogni tanto, per prendere una patatina. L'ora del decesso del
criminale ucciso da Kira quella sera era stato monitorato per ordine
di L, difatti era uno dei dati che Nathalie aveva raccolto per
cronometrare l'intervallo tra apparizione e morte per arresto
cardiaco. Se lo ricordava ancora: un minuto e trentotto secondi.
Sembrava davvero non
ci
fosse niente da fare. Finché Light non si alzò,
appallottolò il
sacchetto di patatine e lo buttò nel cestino.
“Tong”.
Il sacchetto di
plastica,
del peso approssimativo di pochi grammi, era atterrato ad una
velocità insolita nel cestino, facendo
“Tong”.
-Puoi rimandarlo
indietro,
Ryuzaki?-
Lui le
passò il telecomando
senza dire una parola.
-Ecco, ora fate
attenzione
al momento in cui butta il sacchetto.- disse Nathalie, che aveva
stoppato il video. Lo fece ripartire, rividero la scena, e poi la
donna tornò di nuovo indietro.
-Avete notato nulla
di
strano?- domandò.
-Perché
vuoi farci perdere
tempo con queste cose inutili?- domandò Grumann, passandosi
una mano
tra i capelli.
-Un sacchetto di
plastica
come quello dovrebbe pesare meno di venti grammi.- riprese Nathalie,
facendo ripartire l'immagine e fermandola ad ogni fotogramma.
-Anche supponendo che
dentro
ci siano ancora delle patatine, la traiettoria di caduta segue una
linea retta, e il tempo di caduta è troppo veloce in
relazione al
suo peso.-
Fece trascorrere gli
ultimi
decimi di secondo del video senza stopparlo, alzando il volume al
massimo.
“Tong”.
“Criiiiick”.
-E quello vi pare il
rumore
che fa un sacchetto di patatine quando cade?-
Nathalie si
voltò verso L,
che aveva gli occhi incollati allo schermo. Era certa che non avesse
notato quel dettaglio, e ora si stesse maledicendo mentalmente per
questo.
-Che cos'è
stato trovato
nella spazzatura di casa Yagami, in quei giorni?- domandò la
donna,
togliendosi gli occhiali progressivi e guardando L.
-Sono desolato,-
rispose il
giovane, senza voltarsi. -ma non siamo riusciti a far controllare la
spazzatura.-
-Ma come?!-
esclamò
Nathalie, alzandosi in piedi di scatto e rovesciando la sedia.
-È
l'ABC della sorveglianza, il requisire la spazzatura!-
-Come però
puoi vedere,
signorina Banks,- riprese lui, finalmente voltandosi e piantandole in
faccia uno sguardo infastidito. -Non ho abbastanza uomini per farlo.
E se anche ce li avessi, i giapponesi hanno un senso della privacy, o
meglio, un senso di ciò che è o non è
appropriato, che non
arriverò mai a capire. Oltretutto, dei dodici agenti mandati
dall'FBI per controllare le centoquaranta famiglie dei poliziotti
dell'Interpol, non uno, ma addirittura due erano assegnati anche alla
tua sicurezza. Come avrei potuto far controllare loro anche la
spazzatura?-
Poi rivolse lo
sguardo verso
la sedia a terra, e aggiunse, in tono saccente:
-A proposito di
questo,
signorina Banks, hai di nuovo intenzione di minacciarmi puntandomi
una pistola senza proiettili addosso?-
Nathalie chiuse
entrambe le
mani a pugno. Se quella scena fosse successa sei o sette anni prima,
probabilmente lo avrebbe afferrato per la collottola e poi avrebbe
preso ad urlargli in faccia, per sfogare così il proprio
impulso di
prenderlo a pugni. Tra tutte le cose che non sopportava di L, quel
suo atteggiamento la mandava completamente fuori dai gangheri.
-Non
succederà più, parola
di giovane marmotta.- bofonchiò sarcastica, drizzando la
schiena e
alzando la mano destra.
-In ogni caso.-
riprese,
dopo aver inspirato ed essersi calmata. -Vorrei poter analizzare le
registrazioni delle cimici, per riuscire a capire di che tipo di
rumore si trattava.-
Rimandò
ancora una volta il
video indietro, col volume al massimo.
-Sembra... il rumore
di un
oggetto metallico che cade a terra, accompagnato da un vetro che si
incrina.-
L tirò
fuori da una scatola
dei biscottini e si mise ad osservarli attentamente uno ad uno.
-Posso procurarti i
nastri,
se proprio vuoi.-
Ne addentò
uno.
-Effettivamente, non
mi ero
accorto di questo particolare, nonostante tutte le volte che ho
riguardato questo video. Prestavo la massima concentrazione a
ciò
che succedeva prima e durante
il notiziario.-
-Avrei anche bisogno
di un
programma per il riconoscimento dei suoni.- insistette Banks.
L stava tenendo un
secondo
biscottino tra le dita, quando si girò a guardare Nathalie.
-E cosa speri di
trovare?-
Nathalie si morse il
labbro
e cominciò a tamburellare con la matita sul proprio
taccuino. Doveva
cercare di sfogare il proprio nervosismo in qualche modo; il suo
impulso era sempre quello di arrotolarsi i capelli attorno al dito,
ma sapeva che si trattava di un gesto fin troppo riconoscibile.
-L'ora del decesso
coincide
con l'annuncio del criminale al notiziario.- esordì, alzando
la
sedia da terra e mettendocisi a sedere.
-La stessa notizia
è stata
riportata sui giornali il giorno dopo, ovviamente, ma sui siti
internet? Se nel sacchetto di patatine ci fosse stato un cellulare in
grado di connettersi a internet, Light Yagami avrebbe potuto leggere
la notizia mentre prendeva le patatine.-
Riprese il
telecomando e
fece tornare indietro il video al momento in cui Light infilava la
mano nel sacchetto.
-La posizione delle
telecamere non permette di vedere l'interno del sacchetto.-
osservò
L, posando sul tavolo il biscottino che stava per mangiare.
-Ma comunque lo
schermo di
un cellulare sarebbe troppo piccolo, e per scorrere le notizie
sarebbe necessario usare i tasti.- continuò Nathalie.
-Inoltre, un
cellulare non
fa quel rumore così forte, cadendo.-
-E gli schermi non
sono in
vetro.-
-Perciò,
escludendo la
possibilità che stesse controllando le notizie su
internet...-
-Rimane come unica
soluzione
il notiziario, perciò...-
-Un televisore
portatile!-
esclamarono insieme, voltandosi di scatto e guardandosi negli occhi.
L ritornò
subito ad
osservare uno schermo.
-Supponendo che
questa
assurda teoria sia vera, questo significherebbe che Light si
aspettava di essere messo sotto sorveglianza, e aveva preparato
questo stratagemma da prima che mettessimo le telecamere.-
-Ma purtroppo, se
anche
avessi ragione, questo non dimostrerebbe come fa Kira ad uccidere le
sue vittime.- aggiunse Nathalie, amareggiata.
L raggiunse la
scatola dei
biscotti con una mano, per poi porla a Nathalie.
-Mi piace come
ragioni.
Meriti un biscotto.- disse, invitandola a servirsi con un cenno, al
quale lei rispose alzando una mano e scuotendo il capo. -Pensi fuori
dagli schemi, e hai un'ossessione per i dettagli insignificanti. Ma
sono certo che questo in molti casi torna estremamente utile.-
Riprese la scatola e
si mise
a guardarci dentro.
-Purtroppo, penso che
questa
pista sia impraticabile.-
Si
sgranchì le dita dei
piedi e poi si alzò, rimanendo con la schiena curva.
-Sarebbe meglio
concentrarsi
su altro, per il momento.-
Si rivolse poi a Grumann.
-Tu, hai trovato qualcosa tra quei rapporti?-
-Nulla di
interessante o di
utile.- rispose, approfittando della pausa per stiracchiarsi. Si
voltò verso di Nathalie e verso il detective, che si stava
dirigendo
al carrello dei dolci per prendere la teiera.
-A parte questo piano
per il
secondo Kira.- disse, alzando il foglio coi piani di pedinamento per
le date del 22, 23 e 30 maggio.
-Pensi sia saggio,
Ryuzaki,
chiedere a Light Yagami di unirsi agli agenti in borghese e
controllare i posti dove potrebbe trovarsi il secondo Kira, visto che
è proprio lui il tuo unico sospettato?-
-In cuor mio, spero
che il
secondo Kira lo trovi.- gli rispose lui, senza alzare gli occhi dalla
tazza.
Questa volta
andò a sedersi
sul divanetto, sistemando il vassoio col tè sul tavolino, e
poi
cominciò a giocare con le zollette di zucchero. -Light
è troppo
intelligente e sa che sarebbe controllato ad ogni passo, ma il
secondo Kira non sembra altrettanto scaltro. Se trovasse il modo di
avvicinare Light, sarebbe più facile per noi catturarli
entrambi.-
Si voltò
un momento verso
Nathalie. -Credo che sarebbe una pista più semplice rispetto
al
cercare nella spazzatura di mesi fa una prova che potrebbe non
esserci o non essere rilevante.-
-Era solo
un'ipotesi.-
protestò lei -E soprattutto, non abbiamo molto altro in
mano. Se ci
lasciamo sfuggire occasioni come questa per raccogliere delle prove,
non chiuderemo mai il caso.-
L si ritrovò a pensare che
Banks stava facendo delle osservazioni intelligenti. Impossibili da
provare, però intelligenti. La squadra che gli era toccata
non gli
sembrava la più adatta a quel tipo di indagine, oltre al
fatto non
trascurabile che si era ridotta a soli quattro elementi. La
situazione era talmente disperata che aveva dovuto accettare pure
quel criminale di Grumann. Non che quello fosse di per sé un
problema, era abituato a collaborare con criminali, ma di solito si
assicurava che questi non avessero buoni motivi per venderlo al
migliore offerente.
Gli seccava
ammetterlo, ma
era pure disposto a tollerare la presenza di Grumann, pur di tenersi
Banks a lavorare per lui. Probabilmente Banks era intelligente quanto
Light. Peccato che entrambi gli sembrassero persone troppo sospette
per potersi affidare completamente a loro. L'unica persona della
quale si sarebbe fidato era Naomi Misora, ma lei era morta. Erano
mesi che L si malediceva per essersi reso irraggiungibile il giorno
in cui lei era andata al quartier generale dell'Interpol chiedendo di
lui. Era certo che grazie a lei il caso sarebbe già stato
chiuso;
invece, si era visto costretto a rivolgersi a due persone che con
ogni probabilità erano spie.
Si zuccherava il
tè mentre
leggeva altre decine di rapporti che Watari gli aveva stampato. Si
era fatto dare i permessi per ottenere le trasmissioni di quante
più
telecamere di sicurezza possibili, durante i fatidici giorni 22, 23 e
30 maggio, indicati nella pagina di diario del secondo Kira come
possibili giorni in cui incontrare il vero Kira. Oltre a quelle, si
sarebbe mobilitato per farne installare altre.
L'osservazione di
Banks lo
stava irritando. Perché non si era accorto del tonfo
provocato dal
sacchetto di patatine? Eppure aveva riguardato quelle immagini decine
di volte. Dormiva meno del solito, ultimamente. Beveva caffè
a
litri. Mangiava solo dolci. Non avrebbe resistito a lungo in quelle
condizioni. Ma una svolta nelle indagini era vicina, lo sentiva!
Aspettava solo un passo falso del secondo Kira, era sicuro avrebbe
fatto un passo falso; e poi Mogi pedinava Light, ad insaputa del
vecchio Soichiro. Poteva farcela, poteva risolvere il caso entro
tempi brevi.
Ma ad un tratto si ritrovò
nella cucina della vecchia casa a Boston. La riconosceva dalle
macchie di umidità sul soffitto. Erano da soli in casa, lui
e sua
madre. Lei si era arrabbiata di nuovo, ma questa volta non aveva
urlato come al solito. Sua madre era depressa da quando suo padre era
morto in quel dannato incidente, e L aveva imparato a riconoscere
quali erano i momenti peggiori. Il silenzio era peggio delle urla. L
si premeva le mani sulle orecchie, desiderando essere altrove,
desiderando non esistere proprio. Poco dopo, lei era tornata con un
cuscino. L si era alzato di scatto, ma poi non era più
riuscito a
muovere un muscolo. Sua madre, sempre in silenzio, l'aveva
strattonato per un braccio, per poi buttarlo a terra e schiacciargli
il cuscino sulla faccia. L cercava di divincolarsi, cercava di
graffiare le braccia della mamma, ma stava sprecando ossigeno
prezioso. Che stupido, pensava. Dovrei trattenere il respiro e
fingermi morto. Intanto sentiva le forze abbandonarlo, i polmoni
bruciare e gli occhi lacrimare. E poi, un dolore al gomito. Ma
perché? Non ricordava perché dovesse fargli male
il gomito. Non era
così che erano andate le cose!
Aprì gli occhi e vide
sopra di sé il volto freddo e inespressivo di Banks,
inginocchiata
di fianco a lui che lo guardava con aria di rimprovero. -Ti sei
addormentato e sei caduto dalla poltrona, Ryuzaki.-
La donna si
alzò in piedi e
gli tese una mano, ma lui distolse lo sguardo, rivolgendolo a terra.
-Non hai l'aria di
uno che
dorme molto.- disse allora lei, girando sui tacchi.
Il giovane si rimise
in
piedi da solo, grugnendo. -Tornate pure a... quello che stavate
facendo.-
Raccolse da terra i
fogli
caduti e prese una delle sedie girevoli dalla postazione dei
computer. Su quelle era più difficile riuscire ad
addormentarsi di
colpo.
-Io continuo qui.-
riprese.
-Tranquilli, non capiterà di nuovo. Ho ancora un sacco di
lavoro da
fare prima della riunione di stasera con gli agenti del quartier
generale. Vi sarei grato se poteste finire prima del loro arrivo.-
Si rimisero tutti a lavoro.
C'era più di un motivo se L odiava dormire, e questo era tra
i
principali. Si massaggiò il gomito e tornò a
sedersi. Gli serviva
dell'altro caffè.
Verso le 7 Banks e Grumann
lasciarono l'hotel, giusto poco prima che arrivassero gli altri
agenti. Anche se era maggio, il sole non era tanto alto da creare un
problema per la donna, che decise di fare un giro prima di rientrare
in albergo. La notte prima aveva piovuto, così l'aria era
diventata
leggermente più respirabile. Grumann la lasciò
con gli uomini della
scorta; non c'era pericolo che si mettesse in contatto con L a sua
insaputa, perché il suo telefono era attivo soltanto per le
chiamate
in entrata, e le guardie del corpo custodivano sempre le sue pistole
nel tragitto dall'albergo al quartier generale e viceversa.
Nathalie
comunicò ai due
agenti della scorta che aveva intenzione di passare da casa Yagami a
fare un primo sopralluogo. Presero quindi un taxi e si fecero
lasciare ad un isolato di distanza.
Scesero dal taxi, e
la donna
condusse i due agenti di fronte ad una mappa della zona, appesa sotto
la pensilina di una fermata degli autobus.
-Barnes.- disse
Nathalie,
rivolgendosi ad uno dei due. -Tu verrai con me. Fingeremo di essere
una coppia, così daremo meno nell'occhio. Imboccheremo
quella
strada, per poi sbucare nel vicolo a destra rispetto all'incrocio con
la via in cui abitano gli Yagami. Dale.- fece poi all'altro agente,
porgendogli la propria valigetta nera.
-Prendi questa, fingi
di
essere un impiegato di ritorno dal lavoro. Mi raccomando, trascina i
piedi e fingiti stanco morto, o saresti poco credibile. Qui siamo in
Giappone.- concluse sogghignando appena.
-Tu dovrai fare il
giro da
quella parte, sbucherai direttamente nella via di Yagami. Rimani
nascosto finché non ti suonerà il telefono. Hai
dietro un
binocolo?-
L'uomo di nome Dale
annuì.
-Bene. Noi
aspetteremo di
vedere arrivare Light da quella direzione.- disse indicando verso
sinistra. -È altamente probabile che giunga da
lì, perché la
fermata del bus da e per l'università è da quella
parte, e se anche
si dovesse fermare in un konbini, ne troverebbe uno sulla strada. Noi
lo terremo d'occhio finché non svolta l'angolo, e appena lo
fa,
Barnes farà partire una chiamata sul tuo cellulare, tu
risponderai e
ti metterai a camminare lungo la via, parlando al telefono. In quel
modo sembrerai meno sospettoso.-
Dale
annuì, ma poi domandò:
-Come mai vuoi sorvegliarlo solo per quel tratto di strada? Che senso
ha?-
-Stando ai rapporti
sulla
sorveglianza che ho letto oggi,- cominciò a spiegare
Nathalie,
tirando fuori dalla borsetta una macchina fotografica reflex, a cui
tolse il tappo. -... Light prende il bus alle 18:21
dall'università,
spesso si ferma a fare compere per sua madre e poi torna a casa. Non
è possibile osservarlo sul bus, ma ci sono telecamere a
circuito
chiuso in questa zona, e anche nei konbini e nei negozi. L'unica zona
scoperta è proprio l'incrocio tra la via dove abita Yagami e
questa.- disse, indicandola sulla mappa del quartiere.
-Perciò,
se Light volesse
incontrare un complice, o addirittura il secondo Kira, o se volesse
mettersi in contatto, dovrebbe farlo al di fuori dell'area
sorvegliata da telecamere.-
Si incamminarono così
verso casa Yagami prendendo due strade distinte; a quell'ora l'agente
Mogi, che aveva lasciato il quartier generale verso l'ora di pranzo,
di sicuro stava tornando da L per la riunione serale, perciò
la
sorveglianza era scoperta. Nathalie si chiedeva come sperassero di
riuscire ad incastrare il loro sospettato, se la sua sorveglianza
aveva queste falle enormi. Se l'agenzia per cui
“lavorava” non
fosse stata una società di copertura di stronzi criminali
della
peggio specie, avrebbe chiesto rinforzi lei stessa. Ma, tra l'essere
circondata da ex soldati o carcerati con l'ordine di spararle a
vista, e un serial killer che non conosceva la sua identità,
preferiva doversi preoccupare del solo Kira.
Mentre Nathalie e il
suo
compagno erano ancora in un vicolo nei pressi della casa, videro
arrivare un ragazzo dalla via opposta. Era alto, aveva meno di
vent'anni e portava un caschetto di capelli castani lunghi fino alla
base del collo, con una frangetta scalata che quasi gli copriva gli
occhi. Era sicuramente Light Yagami. Indossava la divisa
dell'università, e con una mano portava una valigetta,
mentre con
l'altra sorreggeva un sacchetto di carta. Nathalie e l'agente di
scorta si fermarono, e lei lo spinse contro il muro e lo
abbracciò,
per riuscire a spiare Light da sopra la sua spalla. Il ragazzo non si
era accorto di loro. Pareva tranquillo, non si guardava in giro
sospettoso, come sarebbe stato naturale per quasi chiunque avesse
avuto qualcosa da nascondere. Nathalie aveva avuto a che fare coi
peggiori criminali, e chi girava a testa alta come se non avesse
nulla da nascondere di solito era più pericoloso di tutti.
Ma questo
era solo un ragazzo. Possibile che fosse davvero Kira e gli riuscisse
così bene recitare la parte del bravo ragazzo? Con suo
padre,
poi? Certo, aveva senso fosse lui la talpa, ma...
Nathalie
scacciò quei
pensieri e cercò di concentrarsi. Se L diceva che Light
Yagami era
Kira, non poteva sbagliarsi.
Ad un certo punto, vide il
ragazzo muovere le labbra. Camminava a testa bassa e sembrava stesse
parlando con qualcuno. Gli parve di leggere “...Bene, ...
nessuno... sicuro?”. Purtroppo la sua competenza nel
giapponese non
era così perfetta, quando si trattava di leggere il labiale,
ma
quelle parole erano abbastanza riconoscibili. Però, a quel
punto,
Light si fermò, posò la valigetta a terra, prese
una mela dal
sacchetto di carta e la gettò alle sue spalle.
Inspiegabilmente, la
mela non cadde a terra, bensì rimase sospesa a mezz'aria.
Poi ne
sparì un pezzo, come se un essere invisibile a due metri da
terra le
avesse dato un morso. E poi si mosse, mentre continuava ad essere
morsa, seguendo Light, che si era rimesso in cammino. Nathalie aveva
la sua macchina fotografica pronta, si mosse rapidamente verso
l'angolo del vicolo e tentò di fare alcuni scatti, semi
accovacciata
a terra. Aspettò che avessero girato l'angolo prima di
abbassare la
macchina fotografica e tornare da Barnes, che stava chiamando Dale.
-Cosa hai visto?-
chiese
l'uomo.
Nathalie rimise il
tappo
all'obbiettivo della macchina fotografica e sospirò, delusa.
-Parlava da solo, mi
è
sembrato. Poi ha preso una mela e se l'è buttata alle
spalle.-
rispose Nathalie. Non le pareva il caso di andare oltre. E poi,
magari se l'era sognato. Aveva fatto le foto, ma dubitava che si
sarebbe visto qualcosa: aveva fatto così in fretta che aveva
messo
la modalità automatica, non aveva regolato per bene
l'obbiettivo,
quindi era abbastanza sicura che le foto sarebbero venute tutte
sfocate o mosse. Ma, dopotutto, il ragazzo si era buttato una mela
alle spalle. Magari stava parlando tra sé e sé,
aveva notato una
mela bacata o marcia nel sacchetto e l'aveva buttata via. Era
così
decisa a trovare delle prove che magari voleva davvero vederle
ovunque, addirittura vedeva mele che volavano e si mangiavano da
sole. Come la faccenda del sacchetto di patatine.
-Non mi sembra
sospetto.-
rispose lui. -Perché fargli delle foto?-
-Ho pensato che,
visto che
parlava da solo, magari poteva avere un auricolare.- mentì
lei.
-Magari è già in contatto col secondo Kira, ma
immagina il suo
telefono sia controllato e ha una ricetrasmittente.-
Per quanto inventata
sul
momento, pareva una versione molto più credibile rispetto
alla
storia della mela.
-Non possiamo
escluderlo.-
disse l'agente, annuendo. -Vedremo quando svilupperai le foto. Ora
torniamo all'albergo?-
-Sì,
certo.- rispose
Nathalie, pensierosa. -Di' a Dales di raggiungere la pensilina dove
eravamo prima.-
Sulla
strada del ritorno, Nathalie pensava alle foto che aveva scattato,
perché la disturbava l'idea che fossero tutte
inutilizzabili.
Oltretutto, avrebbe dovuto stravolgere il bagno per farlo diventare
una camera oscura. E ad un certo punto, in un lampo della memoria,
rivide le immagini che le erano state inviate da Hayer pochi giorni
prima. Le foto dei messaggi dei carcerati prima di morire, che
insieme formavano il messaggio: L, lo
sai che gli shinigami mangiano mele rosse?
Grumann
si diresse a gran velocità verso la camera di Banks,
nonostante
fosse solo quella di fianco alla sua; la chiacchierata a telefono con
Hayer l'aveva lasciato inquieto. Non si spiegava come facesse Banks
ad essere sempre così apparentemente tranquilla, quando
parlava col
capo. Dopo che la Yakuza aveva lasciato che lo arrestassero, Grumann
era riuscito ad avere uno sconto di pena rivelando un po' di nomi
alla polizia americana. Ma, una volta uscito di prigione, la Yakuza
l'avrebbe ritrovato, e Grumann sapeva fin troppo bene cosa lo avrebbe
aspettato se fosse successo. Aveva accettato la proposta di Hayer
come fosse oro colato: libertà e protezione, se lavorava per
lui ad
un quinto dell'ingaggio degli altri mercenari.
Però Hayer
gli faceva
paura. Era alto quasi due metri, e conservava la mole che lo
contraddistingueva già dai tempi della guerra in Vietnam.
Portava
ancora il tipico taglio di capelli da soldato, con la rasatura
argentea che partiva dal collo e sfumava verso il nero salendo verso
l'alto. Aveva la mascella squadrata e denti bianchissimi, che esibiva
spesso con un sorriso sicuro, ma negli occhi grigi, sotto le spesse
sopracciglia nere, pareva celarsi sempre una velata minaccia. Grumann
non osava immaginarsi come avessero dovuto sentirsi gli uomini al suo
comando, a quei tempi: con quelli del Privates for Police Empowerment
Program, l'agenzia di mercenari affiliata alla Hogson Society gestita
da lui personalmente, Hayer sapeva essere spaventoso anche parlando
nel tono più calmo e col sorriso più naturale del
mondo. I
mercenari del PPEP erano ex soldati che erano stati in Iraq e in
Afganistan, gente che aveva visto cose orribili e non era riuscita a
reinserirsi nella società; eppure, tremavano di fronte ad
Hayer.
Grumann
pensò che, in fondo
in fondo, lui era fortunato. Dopotutto, era un dipendente di Hayer,
non un suo mercenario. O un prigioniero. Hayer lo teneva per le
palle, ma non avrebbe fatto nulla a... oh, cielo!
Bussò
insistentemente prima
che qualcuno gli venisse ad aprire, e a quel punto l'uomo
trasalì.
Di fronte a lui apparve una donna fantasmatica, abbastanza alta,
molto slanciata, dalla pelle chiarissima, di un bianco innaturale, i
lunghissimi capelli bianchi che scendevano ondulati fin sotto la
vita. Stava lì, sullo stipite della porta, ad osservarlo con
le
braccia incrociate e il volto imbronciato. Grumann deglutì.
Portava
una canottiera bianca, e sotto un reggiseno nero. La spallina della
canottiera un po' troppo larga le cadeva mollemente sul braccio,
rivelando una spessa cicatrice rosea in rilievo sulla clavicola. Ma
era il volto la cosa più spaventosa. Pallido, quasi
mortifero, con
uno sfregio sul lato sinistro, che le correva dalla fonte fino a
metà
della guancia. E gli occhi. Rossi, iniettati di sangue, pulsanti. La
riconobbe dal suo sguardo carico di rabbia repressa e disprezzo.
-B...Banks?- le
domandò,
con un'espressione stralunata.
-Cosa vuoi?-
sibilò lei,
con le labbra strette.
-D...Devo parlarti.-
rispose
Grumann, cercando di non guardarla in faccia. -Ho appena chiamato
Hayer.-
La donna rimase in
silenzio
per qualche istante, prima, di sospirare e spostarsi dall'ingresso.
-Entra.-
Sciolse le braccia
che fino
a quel momento aveva tenuto incrociate, e solo allora Grumann vide
che aveva nascosto il suo mini-revolver tra il braccio e la tetta
sinistra, sotto l'ascella.
Banks portava un paio
di
pantaloncini da tennis e la canottiera bianca, lunga e molto larga.
Dopotutto, a Tokyo in quei giorni le temperature si erano abbastanza
alzate, e si era chiesto perché la sua collega indossasse
sempre
una camicetta le cui maniche erano tirate fino ai polsi e abbottonata
fino in cima, e sotto pantaloni lunghi. Ora era chiaro; era albina,
perciò, oltre a doversi truccare soltanto volto e mani, in
quel modo
era più protetta dalla luce solare. Ecco spiegato anche il
perché
usciva sempre con gli occhiali da sole, e perché pareva che
il suo
umore fosse migliore se il cielo era nuvoloso o pioveva.
Osservò a
lungo la giovane
donna che gli faceva strada tra valigie semiaperte e asciugamani
sparsi. Era alta circa un metro e settanta, ma aveva due gambe
lunghissime che la facevano sembrare ancora più slanciata, e
un
fisico asciutto e tonico, con due spalle molto larghe. La cicatrice
sulla clavicola era troppo larga perché si trattasse di un
semplice
taglio, doveva essere stata molto profonda per lasciare quel segno.
Invece, lo sfregio sul volto era semplicemente una macchia
più scura
che le partiva dalla fronte, si fermava all'arcata sopraccigliare, e
poi riprendeva sotto l'occhio fino alla fine dello zigomo.
Improbabile fosse una voglia. Più realisticamente,
un'ustione di
primo grado. Come se qualcuno le avesse appoggiato un attizzatoio
incandescente in faccia, risparmiandole l'occhio. Il suo aspetto era
molto più inquietante rispetto a quello della maggior parte
dei
mercenari del PPEP.
Banks liberò una sedia e
lo fece accomodare.
-Cosa vuoi, Grumann?-
domandò con voce leggermente irritata.
-Ho chiamato Hayer.-
cominciò l'uomo, sedendosi, e passandosi una mano tra i
capelli.
-Lo so.- fece lei
spazientita, mentre si lasciava cadere sulla sedia di fronte a lui.
Appoggiò un gomito sul tavolo e riprese a sorseggiare la sua
tisana,
a gambe larghe, il corpo abbandonato come un sacco vuoto. Dava
totalmente un'altra impressione rispetto a come si comportava sotto
copertura: lì composta, ben vestita, ordinata; qui
svogliata,
incurante, con un paio di straccetti stropicciati addosso.
-Gli ho detto che
dopo
essere usciti, sei andata via con Dale e Barnes.- cominciò
Grumann,
guardandola di sottecchi.
-Non è
stato contento. Ha
voluto che anche loro facessero rapporto, prima di tranquillizzarsi.-
Prese a grattarsi nervosamente una tempia.
-Ti stai agitando per
nulla.- disse la donna, con lo sguardo vuoto rivolto al muro di
fronte a sé. -Mi è permesso indagare liberamente,
finché sono
sotto sorveglianza e ho un accesso controllato a mezzi di
comunicazione. E questo lui lo sa benissimo.-
-Senti, io non so chi
diavolo tu fossi prima di pestare i piedi a Hayer, ma io non voglio
avere niente a che vedere coi tuoi casini!- esclamò l'uomo,
agitato.
Banks si
voltò,
rivolgendogli uno sguardo freddo. -Spiegati, Grumann.-
-Mi ha detto di
ricordarti
di tuo figlio.-
Bank prese ancora un
lungo
sorso di tisana, poi posò lentamente la tazza sul tavolo e
rivolse
lo sguardo fuori dalla finestra, appoggiando la nuca sulla mano,
muovendo le dita tra i capelli fini.
-Sei il mio
carceriere.-
disse infine, con voce vuota. -Ti sei lasciato intenerire da un
bambino?-
-Senti.- riprese
l'uomo,
sempre più agitato. -A me non interessa chi hai fatto
arrabbiare e
perché. Non so nemmeno perché devo seguirti ogni
dannato secondo.
Ma non voglio avere un bambino sulla coscienza. Quindi, se avevi in
mente di far infuriare Hayer, vedi di cambiare idea, e in fretta!-
Calò il silenzio. Banks
continuava a guardare fuori dalla finestra. Grumann non poteva
credere che quella donna avesse addirittura un figlio di quasi sei
anni. Di certo non se la immaginava a riempire di baci un neonato, ma
soprattutto ad accudirlo con pazienza. Giocare con lui, perfino. O
forse era diventata così proprio perché il
piccolo era tenuto in
ostaggio.
-Non possono fargli
del
male.- disse lei, infastidita. -Hayer continua ad usarlo a suo
vantaggio, ma, ora come ora, non lo può toccare. Ma anche se
fosse...- aggiunse, alzando le spalle. -... ho il sospetto che gli
possa essere più utile da vivo che da morto. Certo...-
continuò,
tirando su la testa e sbattendo la mano sul tavolo, a palmo aperto.
-...Non è che ne possa essere sicura, dal momento che io non
l'ho
mai nemmeno visto, quel bambino.-
Abbassò lo
sguardo. -Almeno
lui è al sicuro. Non è per lui che devo
preoccuparmi in questo
momento.-
Grumann
aprì la bocca e poi
la richiuse. Non sapeva come reagire ad una situazione del genere.
Ogni persona ha un suo codice morale, e lui si era sempre rifiutato
di fare qualsiasi cosa che potesse nuocere ad un bambino. Quando
lavorava per la Yakuza, non aveva mai nemmeno voluto avere a che fare
con rapimenti di padri o madri con figli piccoli.
-Hai... hai detto...-
cominciò. -Hai detto a L... che c'erano tre persone che
dovevi
proteggere. Chi sono le altre due?-
Banks lo
fulminò con uno
sguardo di fuoco, facendo trasalire l'uomo. Grumann aveva sempre
pensato che gli albini fossero inquietanti, ma questa aveva pure una
cicatrice in faccia e gli occhi insanguinati.
Poi la donna riprese
a
parlare. -Non vedo perché dovrei risponderti.-
-La tua famiglia,
forse? Il
padre del bambino?-
Banks stava ora coi
gomiti
appoggiati sul tavolo, la testa incassata nelle spalle, e lo guardava
col suo solito misto di rabbia repressa e disprezzo.
-E come fai ad essere
così
sicura che tuo figlio non sia in pericolo?- chiese ancora Grumann,
lasciandosi cadere con la schiena sulla sedia.
-Il bambino non
è in
pericolo.- ripeté lei, aprendo e chiudendo i pugni.
-Perché
dici così?-
-Perché
almeno per lui sono
riuscita a scendere a patti.- rispose Banks, con una nota rancorosa
nella voce. -Ti sei chiesto perché Hayer non mi ha
semplicemente
uccisa, o perché non mi ha tenuta segregata nelle sue celle?
Eppure,
dovresti sapere che io ho delle prove contro di lui.-
Grumann vide gli
occhi della
donna cominciare a pulsare, e diventare sempre più rossi.
-Perché
sono dannatamente
brava a fare il mio lavoro, ecco perché.-
continuò lei, battendo un
pugno sul tavolo. -Senza contare il fatto che prima che mi
prendessero avevo fatto in modo che le prove che avevo raccolto
finissero nelle mani giuste se fossi stata uccisa o imprigionata.
Avrei potuto uscirne.-
E batté di
nuovo il pugno
sul tavolo.
-Ma si sono accorti
che ero
incinta. Perciò ho perso il vantaggio e ho dovuto
patteggiare. Mi
hanno concesso un solo salvacondotto in cambio della mia
collaborazione. Uno solo. Mi pagano meno di te, perché si
tengono
tutti i soldi del mio ingaggio. E devi sapere che il mio ingaggio
è
molto, molto alto.-
Poi
scoppiò a ridere, e la
sua era una risata terrificante.
-E la vuoi sapere
un'altra
cosa?- aggiunse, guardandolo con un ghigno. -Io quel salvacondotto
l'avrei usato per Bjarne. Nemmeno l'ho mai voluto, un figlio. Ma lui
no! Dovevo per forza salvare il piccolo bastardello che io nemmeno
avrei fatto nascere, e lasciare che fossero lui e la sua famiglia a
rimetterci.-
Ora Grumann iniziava
ad
avere paura. Forse era l'agitazione che gli aveva messo addosso
Hayer, forse era l'aspetto di lei che lo intimidiva... ma forse ora
capiva perché Banks non mostrava paura di fronte ad Hayer.
Doveva
essere un mostro tale e quale a lui.
“Il
bambino... il
bastardello... nemmeno l'avrei fatto nascere...”
Possibile che una
madre
potesse essere così crudele?
La strega, o forse
era
meglio dire il demone, parve leggergli nel pensiero, perché
disse:
-Ti chiedi come
faccia ad
essere così senza cuore?-
Sogghignò.
-La storia
dell'istinto
materno è una stronzata. Guarda quante ragazze gettano i
figli nella
spazzatura o dalla finestra pur di non far scoprire di essere rimaste
incinte, guarda quante madri uccidono i propri figli o usano violenza
su di loro.-
Distolse di nuovo lo
sguardo, e prese ad arrotolarsi una ciocca di capelli attorno ad un
dito.
-Non è che
perché ho una
vagina, allora devo automaticamente farmi piacere l'idea di essere
madre. Oltretutto...- aggiunse, tornando a guardarlo. -Me l'hanno
tolto prima che potessi vederlo. Non l'ho mai nemmeno toccato. Ero
sotto anestesia.- Alzò la canottiera per mostrare la
cicatrice del
cesareo, sotto il leggero segno degli addominali. -Non so nemmeno che
faccia abbia. So solo che è un maschio, grazie al cielo non
è
albino, e pare sia molto intelligente.-
Cadde di nuovo il silenzio.
Grumann era in parte sconvolto dai discorsi deliranti di Banks, ma
sotto sotto si sentiva più sollevato. Avrebbe potuto
lavorare
liberamente ora che sapeva che dalle sue parole non sarebbe dipesa la
vita di un bambino di quasi sei anni, maschio, non albino e molto
intelligente. Che, di certo, senza Banks sarebbe vissuto meglio.
-Quand'è che potrò avere
altre mele?-
-Ryuk, te l'ho
già detto,
quando torno a casa te le compro. Ora smettila di parlarmi che siamo
quasi arrivati al quartier generale.-
Light si
guardò intorno per
vedere se qualche passante in lontananza l'aveva sentito parlare.
Pareva di no. Affrettò il passo, per non fare tardi
all'incontro con
L, con le mani in tasca, con lo sguardo dritto davanti a sé,
senza
però quasi vedere la strada e le persone che vi camminavano.
Mancavano due settimane all'appuntamento del secondo Kira ad Aoyama.
Non sapeva come avrebbe fatto a trovarlo, ma aveva già
escogitato un
modo per non farsi riconoscere a sua volta; bisognava toccare il
quaderno per riuscire a vedere lo Shinigami che lo aveva posseduto,
ma gli dei della morte potevano vedersi tra loro. E se l'altro
Shinigami avesse visto Ryuk e l'avesse detto al secondo Kira? Sarebbe
stato rischioso girare da solo con Ryuk e con Matsuda.
Perciò,
decise che avrebbe chiesto ad alcuni compagni di accompagnarlo a fare
un giro a Aoyama il 22 maggio, sperando che, in questo modo, se il
secondo Kira avesse potuto vedere Ryuk, non sarebbe stato in grado di
capire chi stesse seguendo.
Ryuk aveva un aspetto
particolare. Era alto più di due metri e scheletrico. Aveva
due
enormi ali nere, la pelle grigiastra e occhi tondi molto sporgenti.
Sembrava un punk delle origini. Vestiti di pelle, teschi, capelli che
parevano tirati su col gel... Light si era sempre chiesto se Ryuk non
fosse stato umano, un tempo, ma non aveva mai voluto fargli certe
domande. Ormai aveva fatto abitudine alla sua costanze presenza, e
sapeva riconoscere perfettamente i momenti in cui poteva o meno
rivolgergli la parola. Era diventato incredibilmente cauto. L'euforia
iniziale e la sensazione di essere destinato ad essere il dio di un
nuovo mondo si erano un po' smorzate da quando L aveva iniziato a
stargli sempre più addosso. Sapeva che aspettava soltanto
che
facesse un passo falso.
Accompagnato da questi
pensieri, era giunto all'hotel in cui L alloggiava quel giorno. Ryuk
sapeva di dover rimanere in silenzio per tutto il tempo, per non
distrarre Light. Di fronte all'entrata stavano due bodyguard molto
ben vestiti. Erano occidentali, alti e muscolosi, probabilmente
americani. Lo squadrarono dalla testa ai piedi, ma non dissero nulla.
Il ragazzo si diresse verso le scale. A Ruyk gli ascensori non
piacevano e non aveva voglia di sentirlo lamentarsi. Suo padre gli
aveva detto per telefono il piano e la camera dove si sarebbe dovuto
recare; gli altri sarebbero già stati tutti lì.
Trovò Aizawa ad
aspettarlo sulla soglia della porta.
-Sei addirittura in
anticipo!- gli disse l'agente, sorridendo.
-Salve, Aizawa. Posso
già
entrare?-
-Penso di
sì.- rispose
l'uomo, passandosi una mano tra i folti capelli ricci. -Ryuzaki sta
dicendo le ultime cose a due collaboratori che vengono dall'America.-
gli aprì la porta e gli fece cenno di entrare. -Saremo
pronti tra
pochi minuti.-
Light
entrò nella camera
d'albero. Suo padre e gli altri agenti avevano già preso
posto,
mentre L stava in piedi bevendo caffè di fronte ad una
giovane donna
e un uomo. L'uomo aveva una barbetta vecchia di qualche giorno sul
viso appuntito, i capelli biondi tirati indietro, era tutto vestito
di nero e stava in silenzio. La giovane donna stava parlando
animatamente con L. La guardò meglio. Indossava un completo
elegante, e parlava un giapponese praticamente perfetto, con un
accento straniero quasi impercettibile. Era nervosa, e batteva per
terra un piede mentre stava a braccia incrociate ad ascoltare cosa le
diceva L. Il detective alla fine si accorse di lui, e lo
salutò a
voce. La donna si soffiò via una ciocca dei capelli neri e
si voltò
di scatto.
-Oh.- fece, vedendo Light,
e il ragazzo poté notare un'espressione sorpresa nei suoi
occhi
verde scuro dietro gli occhiali. Sembrava abbastanza giovane,
più o
meno dell'età di Matsuda.
-Light, questa
è Nathalie
Banks, ci dà una mano anche lei.- disse L, senza muoversi da
dove
stava. -E quello è Paul Grumann.-
La
giovane donna che aveva chiamato Banks, però, era rimasta
pietrificata nel vedere Light. Anzi no. Guardò meglio. Lei
stava
guardando dietro di
Light! Sicuramente nel punto in cui si trovava Ryuk. Doveva girarsi?
Non doveva girarsi? Si sarebbe tradito se si fosse girato? Ma no, una
si mette a fissare un punto dietro di te senza dire una parola,
è
perfettamente normale che ci si giri a guardare cosa succede. Stava
ancora tenendo lo sguardo fisso? Ma come faceva a vederlo? Era troppo
tardi per voltarsi, ora?
Light si decise a
girarsi,
seguendo la linea dello sguardo della giovane donna di nome Banks. E
Ryuk era proprio dietro di lui, che guardava confuso la donna.
-Secondo te
può vedermi?-
chiese a Light, anche se sapeva che non poteva rispondergli.
Com'era possibile? Si
voltò
di nuovo verso di lei. Intanto L gli si era avvicinato, sempre curvo
su te stesso.
-Qualche problema?-
chiese,
guardando di sottecchi Banks.
-Oh... Nulla.- fece
lei,
voltandosi verso il detective. -Devo aver avuto un abbaglio...
Probabilmente ho solo passato troppe ore al computer.-
Si voltò verso Light e gli
tese la mano. -Scusami, sono molto stanca. Voglio dire, sono
Nathalie, e probabilmente stravedo e straparlo perché sono
molto
stanca.- provò ad abbozzare un sorriso forzato. Light le
strinse la
mano, ma era come paralizzato. Non sapeva cosa dire.
Borbottò un
-Piacere- e un -Non si preoccupi- e rimase a fissarla mentre andava
via, senza voltarsi, se non brevemente per salutare gli altri agenti,
con Matsuda al suo fianco che le porgeva la borsa, con un sorriso
impacciato.
Light stava perdendo
il
controllo, doveva calmarsi. Ma com'era possibile che vedesse Ryuk? O
era un trucchetto di L? Ma no, lui era un razionalista, non avrebbe
mai creduto alla storia degli shinigami. Anche se, quando il secondo
Kira aveva menzionato gli shinigami, aveva avuto una reazione
stranissima, quasi di terrore vero, tanto che era caduto dalla
poltrona. No, non ci poteva pensare adesso, non doveva insospettire
nessuno. Salutò suo padre e gli altri e andò a
prendere posto. A
casa avrebbe scritto il nome di quella Banks sul quaderno. Ma come
farla morire? L'attacco cardiaco avrebbe attirato i sospetti verso di
lui. Un incidente? L sapeva che si potevano manipolare le azioni
delle persone prima della morte, ma non sapeva si potesse farle
morire in altri modi, oltre all'attacco cardiaco. Sì,
l'incidente
era la soluzione migliore. Un sacco di persone muoiono a causa di
incidenti, no? Avrebbe escogitato un modo credibile per far morire
Nathalie Banks una volta arrivato a casa. Farla sparire la sera
stessa sarebbe stato troppo sospetto: una collaboratrice alle
indagini che sparisce proprio dopo aver incontrato il principale
sospettato di essere Kira? No, no, avrebbe dovuto inventarsi
qualcos'altro. Però non avrebbe potuto aspettare troppo
tempo prima
di agire, o c'era il rischio che lei raccontasse cosa credeva di aver
visto quella sera. E se avesse manipolato le sue azioni, ordinandole
di non fare parola con L di qualsiasi cosa riguardante gli shinigami?
Avrebbe potuto farla ammalare. Farle manifestare i primi sintomi
già
dal giorno successivo, costringendola a rimanere a casa a letto.
Poteva programmare la sua morte con abbastanza anticipo, e togliersi
di torno almeno una seccatura.
Ma, ora che ci pensava, non
era possibile che quella donna potesse aver visto Ryuk, a meno che
non avesse toccato il Death Note. Era davvero stata tutta
un'illusione? Beh, avrebbe comunque potuto ucciderla per sicurezza,
una volta tornato a casa. Non c'era nulla di cui dovesse preoccuparsi
in quel momento. Sospirò, sollevato e tornò a
fare attenzione a ciò
che diceva L.
In ascensore, Grumann
chiese a Nathalie perché stesse sorridendo.
Lei gli rispose senza
guardarlo in faccia.
-Provavo una teoria-
-Si può
sapere che hai
visto prima che ti sei piantata?- insistette lui, stralunato.
Nathalie continuava a
sorridere. Non pensava che il trucchetto avrebbe funzionato. Era
davvero convinta di aver visto la mela spolpata da morsi invisibili
soltanto nella sua immaginazione, soprattutto perché, come
temeva,
dalle foto che aveva sviluppato si vedeva davvero poco, ma tanto
valeva provare un piccolo bluff. Ed aveva funzionato! Il giovane
Yagami era visibilmente impallidito. Le pupille si erano dilatate. E
quando gli aveva stretto la mano, l'aveva trovata sudata; l'aveva
stretta apposta un po' più in su, verso il polso, con due
mani, e
aveva sentito chiaramente le vene pulsare all'impazzata. Non c'erano
dubbi: Light Yagami aveva, o era convinto di avere, un contatto con
un dio della morte.
Si
voltò verso Grumann. -Ho visto... un'ammissione di
colpevolezza.-
Note
In questi primi due capitoli suppongo i lettori abbiano notato il
repentino cambio di punto di vista tra i personaggi, che
spesso non è segnalato da verba dicendi. Ho
pensato di sperimentare questo uso del punto di vista principalemtne
per cercare di avvicinarmi il più possibile allo stile
narrativo dell'anime; un altro motivo della mia scelta riguarda la mia
speranza di poter ricostruire la personalità dei vari
personaggi tramite un mosaico di impressioni da parte di chi li
osserva, anziché tramite descrizioni più
dettagliate (che, come avete potuto notare, sono praticamente
inesistenti). Il motivo principale per il quale ho deciso di pubblicare
qui questa fanfiction è per avere dei pareri da chi si
intente maggiormente di scrittura, e per verificare se questo modo di
scrivere fosse troppo confusionario per il lettore. Questa è
la prima volta che mi esercito nella scrittura da anni, motivo per cui
non sono per nulla sicura dell'efficacia del mio modo di esprimermi. Ho
inoltre l'impressione che questo racconto voglia essere un po' troppo
ambizioso rispetto alle mie attuali competenze. Rimango
perciò a disposizione per qualsiasi consiglio o critica
vogliate muovermi, poiché spero di potermi migliorare
tramite questo confronto.
Grazie per la pazienza, e buona lettura!
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Capitolo 4 *** Capitolo 3 - Un ideale di giustizia assoluta ***
-E quindi, come sta andando
a lavoro?-
-Bjarne, lo sai che
non
posso diffondere informazioni.- gli rispose Nathalie, sospirando, con
la cornetta appoggiata tra l'orecchio e la spalla, mentre sfogliava
il giornale, in piedi, appoggiata contro il muro. Le telefonate con
Bjarne erano una delle poche libertà che le erano concesse,
ma erano
costantemente sotto controllo.
-Lo so...- rispose
lui, con
tono premuroso. -Vorrei solo assicurarmi che non ti stanchi troppo, o
che non stai troppo all'aperto... Sei adulta e vaccinata, ma dovresti
permettermi ogni tanto di preoccuparmi per te.-
-Il problema
è che tu ti
preoccupi troppo per me.- disse Nathalie,
accennando ad una
risatina. -È da quando ti conosco che non mi lasci
starnutire senza
arrivare di corsa con un pacchetto di fazzoletti, un tè
caldo e una
sciarpa.-
-Parli come se tu non
avessi
sempre fatto lo stesso.- protestò lui. -Ok, quando ci siamo
conosciuti eri poco più di una mocciosetta, ma non appena
hai
lasciato l'orfanotrofio e hai cominciato a sentirti grande, ti sei
messa anche te a darti arie da cavaliere senza macchia con la sua
armatura scintillante, pronta a proteggermi dai pericoli del mondo.-
L'ultima parte della
frase
l'aveva pronunciata in tono ironicamente pomposo.
-E smettila...-
ribatté la
donna, ridendo di nuovo. -Ti dai queste grandi arie da uomo di mondo,
gentiluomo, di uno che ha capito tutto della vita, e poi non ti sai
nemmeno sbucciare una mela da solo.-
-Questo non
è esatto.-
protestò di nuovo Bjarne. -È tutto relativo. Le
mele le sbuccio, il
fatto che rimanga mezzo centimetro di polpa attaccata alla buccia
è
tutto un altro discorso.-
Scoppiarono entrambi
a
ridere.
Nonostante le prese
in giro,
Nathalie gli era immensamente grata. Per tutto. Da quando si erano
conosciuti, lui si era sempre preoccupato per lei, e le era stato
vicino in ogni momento, da quando aveva lasciato definitivamente
l'orfanotrofio. Sperava nel giorno in cui le cose sarebbero tornate
alla normalità, in cui il PPEP fosse stato smantellato, la
Hogson
Society messa sotto processo, e Hayer condannato all'ergastolo;
allora avrebbero potuto tornare a vivere come una famiglia. Tutti
quanti. Suo padre sarebbe stato vendicato. L avrebbe finalmente
saputo la verità. Chissà se l'avrebbe mai
perdonata. Nathalie
avrebbe voluto parlare a Bjarne di L, ma non poteva. Le telefonate
erano controllate, e temeva che ogni piccolo dettaglio (da quanto L
fosse cresciuto, ma contemporaneamente fosse incredibilmente
dimagrito ed emaciato rispetto al passato, a quanto fosse diventato
ancora più antisociale e a quanto fosse dannatamente in
gamba)
potesse essere usato da Hayer contro di lui. Bjarne lo sapeva, e non
chiedeva.
-Spero di poterti
venire a
trovare presto, se il lavoro me lo permette.- disse poi Bjarne,
tornato serio. Il problema, però, non era certo il lavoro, e
lo
sapevano entrambi. Bjarne non poteva lasciare il Paese,
perché il
suo passaporto era stato ritirato dagli uomini di Hayer. I suoi
genitori ce l'avevano fatta ad andarsene in Canada prima che la
situazione peggiorasse, ma Bjarne ormai c'era dentro fino al collo, e
non sarebbe stato altrettanto fortunato.
-Oh, non ti
preoccupare,
l'aria qui è terribile, c'è un inquinamento
spaventoso. E poi i
giapponesi di solito non capiscono l'inglese. A volte faccio fatica a
farmi capire io parlando in giapponese!- concluse, ridendo.
-Piuttosto, se vuoi
farti
una vacanza, fermati a metà strada su qualche isola del
Pacifico a
fare un po' di surf, perché l'ultima volta che ci siamo
visti ho
notato che avevi la carnagione quasi rosa... e noi non vogliamo
essere bianchi giusto? Dobbiamo sembrare il tipico californiano
surfista strafigo col sorriso abbagliante che si vede nelle serie TV,
no?-
Il giovane rise.
-Hai uno strano modo
di fare
complimenti alla gente, tesoro.-
-Io non faccio
complimenti
alla gente.- ribatté Nathalie, facendo le
virgolette con le
dita, e facendo cadere il giornale. Gesto inutile, visto che lui non
poteva vederla.
-Ah giusto.- fece
lui,
mentre lei prendeva il telefono con una mano, imprecando, e si
abbassava a raccogliere il giornale.
-Ad un certo punto
della tua
vita hai preso l'importante decisione di fare la stronza col mondo
intero, e per nessun motivo usciresti dal personaggio. Dovrei
sentirmi onorato per il trattamento di favore che mi riservi. Ma che
stai facendo?-
-Ho fatto cadere il
giornale
perché sono un'idiota.- rispose lei, tentando di rimettere a
posto
le pagine. -E ora, ovviamente, non si piega più come
dovrebbe.-
Poi riempì
i polmoni d'aria
e si mise a fare una voce da annunciatrice.
-Signori e signori,
ecco a
voi una delle più promettenti agenti investigative con cui
la
polizia di Stato americana abbia mai collaborato. … Che...
non
sa... ripiegare un giornale.-
La donna
sentì Bjarne
ridere e battere le mani.
-Fossi in Kira,
starei già
tremando di paura.-
-Lascia perdere...-
riprese
lei. -che a quanto pare non sono nemmeno capace di scattare tre
foto.-
-Ah, ma smettila...-
fece
lui. -Che se non l'avete ancora preso, è solo
perché a te e a L
stanno tenendo il guinzaglio troppo corto.-
A Nathalie morì un poco il
sorriso sulle labbra. Avrebbe preferito che lui non facesse
riferimenti diretti al suo lavoro o al suo capo, perché non
ci
voleva nulla a far infuriare Hayer. E se gli fosse successo qualcosa,
non avrebbe mai potuto perdonarselo. Quando era rimasta incinta, lui
aveva mollato tutto per starle vicino. Bjarne sapeva che non le
avrebbero fatto tenere il bambino, e che avrebbe bisogno di tutto il
sostegno possibile per superare... beh, sarebbe forse il caso di
chiamarlo “l'inferno”. Sei anni e mezzo come
ostaggio. Non si
lamentava troppo della sua condizione, e anche a lui era andata
abbastanza bene, in fin dei conti. Aveva le cimici e qualche
telecamera in casa, il telefono sotto controllo e non poteva lasciare
lo Stato. Veniva scortato ovunque, per evitare che denunciasse il
fatto. Ma Nathalie aveva visto Hayer fare di peggio, perciò
non
protestava. Quando avevano scoperto che era incinta, e
perciò
pensavano di poter dettare loro le condizioni, lei era riuscita a
ribaltare la situazione; aveva estratto la mini-revolver dalla
fondina nascosta sotto la pancia ormai visibile, nascosta da una
maglia premaman, e, senza dire una parola, si era ficcata la canna in
bocca.
Hayer sapeva che non
avrebbe
esitato a premere il grilletto. Se il destino di Bjarne fosse stato
segnato, si sarebbe uccisa senza pensarci due volte: non potevano
accedere alla cassetta di sicurezza dove erano custodite le prove
raccolte fino al momento della sua cattura, e se lei non avesse
contattato il caveau come ogni mese, dando loro la parola d'ordine
esatta, la cassetta sarebbe stata spedita immediatamente a Watari.
Almeno aveva preparato per bene le prove, prima di farsi prendere:
aveva fatto imparare a memoria ad una persona fidata una lista di
parole d'ordine, una per ogni mese. Il giorno 15, lei avrebbe dovuto
chiamare quella persona, recitarle la parola d'ordine, e questa
sarebbe andata a riferirla alla società di sicurezza presso
cui
erano custodite le prove. Se entro le 18, ora locale, ciò
non
avveniva, le prove sarebbero state inviate a Watari. Se questa
persona fosse morta, o avesse chiesto, sotto minaccia, di ritirare le
prove, queste sarebbero state ugualmente inviate a Watari. Solo
così
Nathalie era riuscita a tenere in pugno Hayer.
Le era andata bene.
Hayer
aveva acconsentito a farla lavorare per lui e a vedere il mondo
esterno, ma le aveva concesso un solo salvacondotto. Nathalie avrebbe
voluto usarlo per Bjarne, perché potesse lasciare il Paese,
e poi
avrebbe cercato di abortire: non tanto perché non avesse mai
voluto
avere figli, quanto perché si immaginava il tipo di vita che
il
bambino avrebbe dovuto patire, e avrebbe voluto risparmiargliela. Ma
Bjarne aveva insistito dicendo che non spettava soltanto a lei
scegliere, e, se la sua opinione valeva qualcosa, avrebbe voluto che
il bambino si salvasse. Avrebbe dato volentieri la sua vita per
quello, aveva detto. Era pronto a quell'evenienza dal momento in cui
Nathalie era sparita per tre giorni e poi l'aveva chiamato per una
cena al ristorante: la sera in cui avrebbe voluto pregarlo di
lasciare il Paese con la sua famiglia, ma lui aveva rifiutato.
-Tutto ok?-
domandò Bjarne,
preoccupato. -Sei sparita per un po'.-
-Scusami...- disse
lei,
sospirando e staccandosi dal muro sul quale era appoggiata. -Pensavo
a cose. Ma sto bene, eh, non è il caso di allarmarsi. In
ogni caso,
penso che il tempo stia per scadere, quindi è meglio se ti
saluto
subito, prima di perdermi di nuovo.-
Si lasciò
cadere
pesantemente sul divano, facendosi quasi inghiottire dai cuscini,
alzò una gamba e la appoggiò ad uno dei
braccioli, col piede a
penzoloni.
Parlarono ancora un po',
prima di riattaccare. A quel punto, Nathalie si alzò dal
divano per
andare verso la camera da letto, ma si fermò a
metà strada,
lasciando cadere lungo il fianco la mano che aveva alzato per aprire
la maniglia; tornò in salotto, spostò il quadro
che nascondeva la
cassaforte e la aprì. Ne estrasse una scatola di legno,
dall'aspetto
molto vecchio; era piena di lettere, biglietti e foto. Tutto
rigorosamente in copia, e nulla che non fosse già stato
scoperto da
Hayer. Erano le riproduzioni del contenuto della cassaforte che le
avevano scassinato, nel dicembre del 1997, e dal quale erano riusciti
a scoprire la sua identità, e a ricollegare lei a suo padre,
che
avevano fatto morire in un “incidente” d'auto,
quando era
bambina. Erano solo ricordi. Tracce di un passato che la confortavano
nei momenti peggiori, e che erano state usate infine per rovinarle la
vita. Nella prima foto della pila c'era Bjarne, ed era stata scattata
lo stesso giorno di quella che teneva nell'armadietto del bagno. Lui
la abbracciava da dietro, e guardava verso la macchina fotografica
sorridendo in modo spontaneo. Lei aveva un'espressione un po'
impacciata e intimidita, ma sorrideva. Si guardava in quella foto, e
trovava quella ragazza terribilmente vulnerabile. Un'altra persona.
Seconda foto: Londra,
dipartimento di Scotland Yard. Due ragazzi dalla pelle chiara, con
addosso la divisa della polizia: lei, sorridente, con capelli rossi
corti e mossi e un paio di occhiali che nascondevano gli occhi
castani, e lui, inespressivo, con le mani in tasca, aveva gli occhi
grigi leggermente allungati e folti capelli neri tutti arruffati.
Avevano rispettivamente 19 e 16 anni. Era il loro primo giorno a
Scotland Yard. Kendra Burton e Eraldo Coil. Il loro primo caso
insieme.
La foto successiva
era
vecchissima: era del giorno della sua prima partenza per gli Stati
Uniti. Aveva quattordici anni. Era inverno, e nevicava, come quando
lei e L erano arrivati alla Wammy's House, tre anni prima. Per lei
era ormai giunto il momento di finire il liceo in una qualche scuola
preparativa negli Stati Uniti, prima di iscriversi ad Harvard. Stava
salutando L, erano entrambi nel cortile della scuola. Erano altri
tempi, quelli; L non si infuriava ancora se lo chiamava
“fratellino”
con una vocina stridula arruffandogli i capelli, ma soprattutto tra
loro non c'era ancora quella rivalità e quel sentimento di
rabbia,
frustrazione e gelosia che avevano portato alla rottura. Era tutto
più semplice, quando erano bambini. Sembra sempre tutto
più
semplice, se si ripensa a quando si era bambini.
Infine
trovò la foto che
cercava: quella che la ritraeva poco prima della sua partenza per il
primo caso con l'FBI. Erano all'aeroporto internazionale di Londra.
Lei, Bjarne e L. L non era particolarmente felice, in quella foto;
avrebbe preferito non essere lì, in quel momento, ma Bjarne
aveva
insistito talmente tanto che alla fine aveva ceduto. All'epoca era
ancora poco più alto di Nathalie, aveva ancora degli occhi e
un
colorito normale, anche se già si notavano delle occhiaie
marcate,
ma soprattutto stava ancora ritto con la schiena, e sotto la
maglietta nei Nirvana, seppur larga, si notava il suo fisico asciutto
ma atletico. Bjarne era accanto a lei, e le passava una mano attorno
alle spalle. Era felice, perché finalmente lei sarebbe
tornata a
vivere negli Stati Uniti, e si sarebbero potuti vedere più
spesso.
Nathalie pensò a come era buffo il destino, a come pareva si
stesse
divertendo a prendersi gioco di loro. Erano ignari e felici,
guardavano al futuro con ottimismo; forse le cose sarebbero
migliorare, forse il sogno di una vita normale non era così
impossibile. Nathalie riguardava quella foto e pensava a quanto
sembrassero stupidi quei sorrisi, quella fiducia. Prima che
cominciasse tutto. Prima che finisse tutto.
L ascoltava i rapporti
degli agenti in silenzio, seduto a gambe incrociate sulla poltrona,
coi gomiti appoggiati alle ginocchia e i polpastrelli uniti davanti
al volto.
Gli ultimi sviluppi
col
secondo Kira, la questione della pagina del diario e i messaggi in
codice lo stavano tenendo sveglio da giorni. Questo caso stava
diventando sempre più complesso mano a mano che venivano
alla luce
nuovi elementi per un semplice motivo: c'erano sicuramente in ballo
forze al di là dell'umana comprensione. Ed L odiava non
capire.
Com'era possibile condurre un ragionamento se la realtà
stessa non
corrispondeva a nessuna logica? Non sapeva se dare credito alle
teorie di Banks, anche se l'aveva ingaggiata esattamente per quel
motivo. Per quel che ne sapeva, a parte un caso di omicidio
conclusosi con l'esorcismo del colpevole, anche lei aveva sempre
perseguito la ragione, e non strane favolette su fenomeni
paranormali. Studiava la complessa psicologia di soggetti deviati da
credenze di qualche tipo, non era certo una medium. Fino a quel
momento, L aveva sempre risolto ogni caso con la logica e con la
razionalità. Aveva svolto molte ricerche su Banks, nel corso
degli
anni. Non avrebbe assoldato qualcuno senza prima accertarsi delle sue
competenze. Quella di Banks era un'identità fittizia. Il
nome era
sicuramente falso, così come il suo aspetto. Era attiva da
una
decina d'anni, a quanto pareva, ma c'era ovviamente la
possibilità
che i dati fossero stati falsati. O che il nome “Nathalie
Banks”
corrispondesse ad un'identità di copertura,
un'identità ereditaria.
Come sarebbe stata l'identità dello stesso L.
Il detective
ripensò al
momento in cui aveva accettato il caso Kira: sentiva che la sua
stessa vita sarebbe stata in pericolo, e così aveva deciso
di
cercare un successore tra le nuove generazioni di investigatori in
via di addestramento alla Wammy's House. Aveva voluto tenere una
sorta di videoconferenza per vedere se ci fosse qualcuno abbastanza
bravo da ricevere la sua eredità. Non era soltanto la sua,
di
eredità, in realtà, ma preferì
scacciare via quel pensiero, per il
momento. Si sentiva ribollire il sangue al solo pensiero.
Gli avevano detto il
candidato più autorevole era un ragazzino di origini
tedesche,
Mihael Keehl, ma che c'era un altro bambino che poteva avere
potenzialità anche maggiori, nonostante avesse solo cinque
anni.
Durante la videoconferenza, le matricole di tutti gli anni si erano
accalcate per fare ognuno la propria domanda a L, tranne due, che
stavano seduti al fondo. Uno portava un caschetto biondo e aveva gli
occhi azzurri, doveva avere circa quattordici anni, perciò
aveva
intuito si trattasse di Mihael Keehl. L'altro, il più
piccolo tra
tutti, arrivato da solo un anno da uno degli orfanotrofi di Watari,
ascoltava abbastanza distrattamente le domande degli altri, ma
prestava attenzione alle risposte di L, arricciandosi i capelli
biondo platino attorno ad un dito. Stava componendo un piccolo
puzzle, i cui pezzi erano bianchi. Quando lo completava, lo disfaceva
e ricominciava daccapo. Ma ad un certo punto uno dei pezzi gli era
caduto un po' più lontano rispetto a dov'era seduto, quindi
si era
alzato per andarlo a prendere. Ed era stato allora che la telecamera
era riuscito ad inquadrarlo bene. Sotto i capelli biondo platino,
tutti arruffati, L era riuscito a scorgere un paio gli zigomi alti,
un naso all'insù e grandi occhi castani. Certo, non erano
delle
caratteristiche così particolari, ma, accompagnati allo
strano
comportamento chiuso e scostante del bambino, alla sua età,
e dal
modo in cui si arrotolava i capelli attorno al dito indice, L non era
riuscito a non notare in lui i lineamenti di K, e gli occhi di
Bjarne. Aveva cinque anni, era più intelligente della media,
era
stato abbandonato alla nascita, se ne stava in disparte senza
interagire con nessuno. Era stato costretto ad interrompere la
videoconferenza. La vista di quel bambino lo aveva lasciato
pietrificato.
-...Ryuzaki...?- lo chiamò
timidamente Matsuda. L si scosse dai propri pensieri. -Scusatemi.-
disse, grattandosi la testa. -Riflettevo. Andiamo pure avanti.-
La sorveglianza per
il 22 ad
Aoyama era stata organizzata, perciò ora dovevano
organizzare quella
per Shibuya per il giorno 23. Banks si tirò fuori, con la
scusa che
aveva problemi respiratori e che l'inquinamento di Tokyo sarebbe
stato difficile da sopportare. Scusa plausibile, considerando che
aveva sempre una mascherina in borsa, ma L sapeva che non era quello
il motivo: sicuramente Banks doveva rimanere sotto sorveglianza, per
cui non avrebbe potuto partecipare ad un'operazione sotto copertura.
Tirandosi fuori Banks, si tirava fuori anche Grumann. Sarebbero
rimasti al quartier generale insieme a lui a controllare le
telecamere.
Stavano ancora
discutendo
quando Watari fece entrare Light. L si voltò per salutarlo,
alzando
la mano che reggeva la forchettina con cui stava mangiando una torta
alla frutta, ma lo vide impallidire nell'istante in cui varcava la
soglia. Seguì il suo sguardo, senza voltarsi, e vide che
stava
fissando Banks, seduta sul divanetto di spalle alla porta. Anche lei
si girò, guardò Light e, com'era successo alcuni
giorni prima, si
fermò a fissare un punto dietro di lui, anche se questa
volta fu
solo per un attimo. A Light tremava il labbro. Come l'ultima volta.
Che Banks stesse
provando a
bluffare per provare la teoria dello shinigami? A quanto gli aveva
detto la donna, secondo le leggende capitava che degli shinigami si
servissero della bramosia degli umani per uccidere più
persone, e,
in quei casi, seguivano l'umano designato fino al completamento
dell'opera. Ma questi shinigami dovevano necessariamente rimanere
invisibili. Fingendo di vedere qualcosa alle spalle di Light, Banks
voleva farlo innervosire? Magari Light, supponendo che fosse davvero
Kira, aveva pensato di far morire Banks, e, nel vederla viva, era
entrato nel panico. Ovviamente, pensò L, perché
Nathalie Banks non
era sicuramente il suo nome, e quello non era il suo vero aspetto. Ma
se Banks fosse stata trovata morta e la causa fosse stata un attacco
cardiaco, L sarebbe potuto risalire facilmente a Light. A meno che...
L tornò a
guardare Light
con gli occhi sbarrati, e un'espressione pensierosa. A meno che Kira
non potesse causare la morte delle proprie vittime anche in altri
modi, oltre all'attacco cardiaco. E Kira poteva manipolare le azioni
delle vittime subito prima della morte, quindi non sarebbe stato
assurdo se avesse anche potuto far morire le persone in modi diversi.
Era stato così che aveva causato la morte di Naomi Misora? L
se
l'era sempre chiesto. Il suo corpo non era mai stato trovato, e
avrebbe avuto senso se Kira le avesse ordinato di raggiungere un
luogo completamente isolato dove sarebbe stato impossibile trovarla,
prima di farla morire di attacco cardiaco. Oppure, avrebbe potuto
simulare un suicidio. L si maledisse ancora una volta per non averle
potuto parlare quando lei lo aveva cercato. Con Naomi al suo fianco,
non si sarebbe arrivati a quel punto. Naomi gli piaceva. Non meritava
la fine che, con ogni probabilità, Kira le aveva fatto fare.
Nel frattempo, si erano
tutti alzati per salutare e far posto a Light, che aveva recuperato
la normalità. A L tuttavia non passarono inosservate le
occhiate
corrucciate che ogni tanto Light riservava a Banks, ma si
limitò ad
esporre il proprio piano come se nulla stesse accadendo: sarebbe
stato scorretto intromettersi nell'indagine della sua collaboratrice,
per quanto sospettosa e poco affidabile lei fosse.
Light tentò di nascondere
l'agitazione che aveva provato nel vedere Banks, cercando di sedersi
in una posizione in cui non potesse vederla direttamente. Ci mancava
solo questa. Non bastava l'inquietudine che gli aveva messo addosso
il giorno prima, quando si era fermata a fissare Ryuk. Non ci aveva
messo molto a tranquillizzarsi e a stabilire che non fosse possibile
che lo avesse visto per davvero; tuttavia, la sera prima, aveva
tirato fuori il Death Note, e aveva scritto:
“Nathalie
Banks. Il giorno
8 maggio, si recherà come di consueto al quartier generale,
senza
però fare parola alla persona che conosce col nome di L di
argomenti
legati in qualche modo agli shinigami. Alle ore 15:18,
comincerà ad
avvertire febbre, nausea e vertigini. Tornerà a casa alle
ore 16:12,
dicendo di non sentirsi bene. Le sue condizioni di salute si
aggraveranno, facendole perdere la coscienza, finché non
morirà il
22 maggio alle ore 16:09”
Il piano era
semplice, ma
efficace. Se il 22 fosse arrivata al quartier generale la notizia che
Banks era morta, sicuramente si sarebbe creato dello scompiglio, e
magari la sorveglianza che L aveva sicuramente organizzato ai suoi
danni si sarebbe allentata. L'ora del decesso avrebbe coinciso con
l'inizio del concerto al locale Note Blue di Aoyama, dove, con ogni
probabilità, il secondo Kira lo avrebbe atteso. In quel
modo,
avrebbe preso due piccioni con una fava!
Eppure, Light era
arrivato
alle 18:40, e Banks era ancora lì, in perfetta salute. Era
sicuro di
non aver sbagliato data, perciò com'era possibile che fosse
ancora
viva? L non aveva dato a lei e a Grumann dei nomi falsi,
perché non
erano ancora pronti i falsi distintivi di Watari, per cui aveva dato
per scontato che quelli fossero i loro veri nomi. Che errore da
principiante!
Questo spiegava il perché
Banks non stesse agendo sotto l'effetto del Death Note. Ma Light non
riusciva ancora a spiegarsi come fosse possibile che avesse guardato
Ryuk. Ripensò a tutti i momenti in cui aveva usato fogli del
quaderno, e se fosse possibile che ne avesse perso qualcuno. Poco
prima, quando era entrato, Banks aveva guardato dietro di lui solo
per un momento, e poi aveva distolto lo sguardo. Ryuk non c'era, gli
aveva dato ordine di rimanere nel corridoio per tutto il tempo. Se
Banks si fosse fissata nuovamente come la prima volta, sarebbe stato
evidente che era un bluff. Ma in quel caso? Poteva aver pensato di
aver avuto davvero un'allucinazione la sera prima? O aveva anticipato
la sua mossa, prevedendo che non avrebbe permesso a Ryuk di
manifestarsi di nuovo? Dal computer di suo padre, Light non aveva
potuto scoprire molto su di lei, solo che collaborava con l'FBI e che
era una detective esperta di esoterismo, con due lauree, voti
eccelsi, un curriculum molto corposo e una specializzazione in
medicina legale, che le permetteva di assistere alle autopsie durante
le indagini. D'un tratto, i suoi occhi si illuminarono; un'idea gli
era balenata in mente. Sul dossier trovato sul computer di suo padre
c'era scritto che Banks si trovava con due degli agenti dell'FBI
uccisi da Kira, nel momento in cui erano morti. E che conosceva Naomi
Misora, con la quale aveva collaborato in alcune occasioni,
perciò
era lecito pensare che conoscesse anche Raye Penber. Ed era arrivata
in Giappone per la prima volta nel novembre del 2003.
Era certamente
un'ipotesi
incredibilmente azzardata, ma se Banks fosse stata mandata da Penber
ad indagare sul criminale morto sul pullman per Spaceland? Light
ricordava di aver fatto cadere un foglio strappato dal quaderno per
permettere al dirottatore di vedere Ryuk. Però poi non
l'aveva
raccolto. Non sarebbe stata un'azione normale per una persona tenuta
sotto ostaggio. In più Penber non voleva che si scoprisse
che era un
agente dell'FBI sotto copertura, difatti gli aveva chiesto di non
fare parola della sua presenza. Non sarebbe stato così
strano se
avesse chiamato Banks ad affiancare le indagini sul dirottatore,
così
che lei potesse coprirlo. In quel modo, Banks sarebbe potuta essere
andata sul posto a fare i rilevamenti per l'autopsia; quindi avrebbe
potuto raccogliere, oltre ai bossoli dei proiettili del dirottatore,
anche il foglio, una volta giunta sul posto.
No, stava lavorando troppo
di fantasia. Doveva calmarsi e pensare lucidamente. Banks stava
sicuramente bluffando. Era stata ingaggiata da L come esperta di
esoterismo, sicuramente per via della ripetizione nei messaggi sia
del primo che del secondo Kira degli shinigami. Non sarebbe stato
strano se la l'agente avesse semplicemente finto di vedere qualcosa
dietro di lui per studiare la sua reazione. Anzi. Era la spiegazione
più logica e razionale. Light si dette dello stupido per
aver
lavorato così tanto di fantasia, in preda al panico com'era.
Non
doveva lasciarsi andare a reazioni esagerate.
Finalmente calmo,
riprese a
prestare attenzione alle parole di L, cercando contemporaneamente di
elaborare un piano per chiudere la faccenda il prima possibile. Si
appoggiò finalmente allo schienale del divanetto, cercando
di
eliminare la tensione dalle spalle. Era seduto sul divanetto che dava
le spalle alla porta, vicino a Matsuda, che stava a sua volta accanto
a Banks. L aveva rivolto ad entrambi qualche occhiata inquisitoria.
Il ragazzo si sentì sollevato: sembrava che, qualsiasi
fossero le
intenzioni di Banks, L non ne fosse al corrente.
Dopo circa un'ora,
domandò
di poter tornare a casa, con la scusa dello studio, e uscì
in fretta
dall'appartamento. Ryuk lo aspettava in corridoio.
-Non mi piace che tu
mi dica
dove devo stare.- gli disse lo shinigami, seccato.
Light attese di
essere
arrivato alle scale, prima di rispondere.
-Mi sembrava che ieri
anche
tu fossi preoccupato per lei.-
Ryuk rise.
-Stupito, non
preoccupato.-
E si mise a camminare
accanto a Light, piegando la testa e piantandogli i suoi grandi occhi
gialli in faccia.
-Quella donna
è molto
interessante.- disse, col suo solito ghigno stampato in faccia.
-Avresti potuto
avvertirmi
che quello non era il suo vero nome!- protestò Light,
sottovoce. -Ma
uno shinigami non può rivelare un nome ad un umano, giusto?
Oppure
ti diverti semplicemente a vedermi rischiare la vita? Come con Naomi
Misora?-
Ryuk
scoppiò di nuovo a
ridere, prima di scendere un paio di gradini e fermarsi proprio di
fronte a Light.
-Ti ho dato il Death
Note
perché mi annoiavo.- disse, alzando il dito indice per aria.
-Tutta
questa sfida tra te e L, e ora con il secondo Kira di mezzo, e questa
agente Banks... le cose si stanno facendo davvero interessanti.-
Un paio di giorni dopo, L
stava controllando la quotidiana lista di criminali giustiziati nelle
precedenti 24 ore, quando gli si avvicinò Banks, seguita a
breve
distanza dal suo cagnolino.
-Avrei una
richiesta.-
esordì la donna, prendendo una sedia girevole e
trascinandola
accanto a lui, prima di sedersi, a braccia incrociate.
-Fammi indovinare...-
disse
L, girando il cucchiaino nella sua tazzina di caffè.
-Vorresti
fermarti qui fino a tardi, stasera, e cercare di trattenere Light
Yagami per avere l'occasione di parlarci e verificare di persona se i
miei sospetti sono fondati.-
Smise di girare il
cucchiaino e la guardò. -Non è così?-
Banks
sospirò.
-Sì,
Ryuzaki.-
Fece fare alla sedia
un
mezzo giro, allungò un braccio e prese un fascicolo, e, nel
voltarsi
nuovamente verso di lui, fece come per lasciarlo cadere pesantemente
sul tavolo, ma si bloccò a mezz'aria, e glielo
passò normalmente.
-Ho cominciato a
redigere un
profilo psicologico, basandomi sul materiale raccolto durante il
periodo di sorveglianza, ma non mi soddisfa.-
Si
risistemò gli occhiali
da vista progressivi sul naso fine.
-Vorrei potergli
parlare,
fargli qualche domanda, per potermi fare un'idea più
completa.-
L bevve un sorso di
caffè.
-Come vuoi, allora.-
disse,
appoggiando la tazzina di fianco al dossier, che prese con le lunghe
dita sottili. -Non nego che mi faccia piacere sapere che c'è
qualcun
altro in questo quartier generale, oltre a me e a Watari, che non
esclude a priori la colpevolezza di Light Yagami.-
Poi il suo sguardo si
fece
inquisitorio.
-Sempre che questo
non sia
soltanto un modo per ingraziarti il sottoscritto, o per raccogliere
informazioni che potresti vendere facilmente al di fuori di questo
quartier generale.-
La donna non si
scompose, ma
anzi continuò a guardarlo coi suoi occhi di ghiaccio.
-Questo è
un rischio che
non si può mai eliminare. Non cambierebbe molto se al posto
mio e di
Grumann ci fossero altre persone.-
Si
appoggiò sullo
schienale, appoggiando un braccio sul tavolo.
-Avresti anche potuto
farti
dare i risultati delle mie ricerche per telefono. Via mail. O, se
proprio non ti fidavi a lasciare che ciò che avevo scoperto
trapelasse, avresti potuto farmi comunque venire qui e affidare i
miei risultati a Watari. O interrogarmi tramite telecamera e
microfono distorto dalla stanza accanto.-
Incrociò
le gambe, e sul
suo volto si disegnò un mezzo ghigno, che si spense subito.
-Quello che penso,
Ryuzaki...- continuò la donna, risistemandosi gli occhiali.
-È che
hai paura. Ti sei dovuto esporre, mostrarti a questi agenti,
mostrarti a colui che sospetti di essere Kira. Perciò ci
vedi
soltanto come un pericolo, e non come una risorsa.-
L la ascoltava in silenzio,
tenendo la tazzina con le dita, ma senza berlo.
-Hai chiesto a Light
Yagami
di aiutarti nelle indagini, perché ti serve la sua
intelligenza, e
credi di riuscire a controllarlo meglio in questo modo.-
E così
dicendo, portò la
mano sopra al dossier che gli aveva passato poco prima, tamburellando
coi polpastrelli sopra la copertina.
-Potresti fare la
stessa
cosa con me, lo sai?-
L non rispose, ma
guardò la
reazione di Grumann. L'uomo era rimasto col fiato sospeso per tutto
il tempo: probabilmente non si aspettava che L mostrasse
così
apertamente i suoi sospetti su di loro, e stava pesando ogni minima
parola di Banks, per paura che potesse rivelare troppo.
Banks non gli
piaceva, L
continuava a ripeterselo, ma se stava tirando tanto la corda con lei
era soprattutto per testare Grumann, e il tipo di minaccia che poteva
rappresentare. Lei gli poteva sicuramente servire, ma a quale costo?
Grumann l'avrebbe uccisa per chiuderle la bocca? E questo, avrebbe
potuto compromettere le loro indagini?
Ma ancora una volta,
la
curiosità vinse sulla prudenza. L era tanto ansioso di
conoscere
quali fossero le capacità della sua collaboratrice, che
avrebbe
corso il rischio. Si rimise finalmente a bere il caffè,
prima di
dirle:
-Va bene, Banks. Ti
darò
ciò che vuoi.-
L gli aveva chiesto di
fermarsi ancora per poco, per parlare con Banks. Light aveva
accettato, seppur controvoglia: immaginava che Banks volesse fargli
il quarto grado, ma doveva mostrarsi disponibile, come aveva
già
fato con L, per fugare ogni tipo di sospetto sul suo conto.
-Mi doveva dire
qualcosa,
signorina Banks?- esordì, entrando nello studio dov'erano
presenti
soltanto loro due, Grumann e L. Gli altri agenti erano insieme a
Watari, a discutere di alcuni dettagli sulla sorveglianza alla
partita al Tokyo Dome del 30 maggio.
-Puoi sederti, se
vuoi.-
disse la donna, appoggiata al tavolo dei computer.
Light si
accomodò su una
sedia, di fronte a lei, e lanciò una breve occhiata a
Grumann. Non
partecipava mai attivamente alle discussioni sul caso, si limitava
ogni tanto a fare qualche commento o battuta, ma in generale veniva
ignorato. Il ragazzo si era sempre chiesto quale fosse il suo scopo:
il suo unico compito sembrava essere quello di controllare ogni cosa
facesse Banks. Lei non si allontanava mai dal suo campo visivo, e
prima di prendere delle decisioni si consultava con lui. Quali erano
i loro ruoli?
-Può
cominciare quando
vuole.- disse infine Light.
-Oh, non era mia
intenzione
sottoporti ad un interrogatorio vecchio stile.- rise la donna. La sua
risata era tagliente, non c'era sentimento in essa. Per quanto
sembrasse essere una bella donna, il suo volto era truce, freddo,
quasi cattivo. La vide mentre prendeva una penna, faceva batter la
punta sul tavolo, scorreva le dita fino in fondo, la ruotava al
contrario, e faceva battere il tappo all'altra estremità.
Ripetutamente. Punta, tappo, punta, tappo.
Sembrava una persona
estremamente nervosa, scostante, impaziente. Tutto il contrario,
rispetto ad L.
-Mi potresti dire, Yagami,
come ti trovi all'università?- domandò infine
Banks, fermando la
corsa della penna prima che toccasse il tavolo.
Il ragazzo rimase un
po'
spiazzato.
-In che senso?-
chiese
infine. -Come mi trovo coi compagni, coi professori, o...-
-Oh, non ti
preoccupare.-
disse la donna, portandosi la mano con la penna sotto il mento. -Non
c'è una risposta giusta o sbagliata a questa domanda.
È molto
semplice, in realtà. Da quel che ho potuto vedere, mi sembri
un
ragazzo straordinariamente dotato, con un'intelligenza fuori dal
comune. Mi chiedevo, quindi, se all'università ti trovassi
meglio
rispetto al liceo, perché immagino lì tu abbia a
che fare con
persone più intelligenti rispetto a prima.-
Light rimase fermo a
pensare
per un attimo. Dove voleva andare a parare? Però
pensò che se
avesse pensato troppo alla risposta, sarebbe risultato sospettoso.
Era questo il fine dell'interrogatorio? Testare la sua colpevolezza
in base a come reagiva a domande di conversazione quotidiana?
-In tutta
sincerità...-
disse alla fine. -Credo che anche l'università sia piena di
persone
stupide.-
-Sono d'accordo.-
disse lei,
annuendo. -E la stupidità ti infastidisce?-
Light sorrise appena.
-Non
se non è nociva per gli altri. Alcune persone stupide
possono fare
cose intelligenti e migliorare la giornata, o addirittura la vita,
agli altri. Così come persone intelligenti possono fare cose
stupide
e rovinare la vita agli altri.-
-Mmm...- fece Banks,
rimettendosi a posto gli occhiali. -Bella risposta.-
-E lei, invece?-
domandò
allora Light. -Questa dovrebbe essere una conversazione normale, non
un interrogatorio, no? Perciò, anch'io posso farle delle
domande.-
Banks chiuse gli
occhi e
rifece quel suo mezzo ghigno a labbra strette. Grumann li osservava
in silenzio, mentre L mangiava, ma Light era certo che li stesse
tenendo d'occhio.
-Ovviamente...- disse
allora
Banks.
-Bene, allora.-
Light
incrociò le braccia e
stiracchiò le gambe.
-Lei ha fatto studi
di
psicologia criminale?- chiese infine.
-Come quasi tutti
quelli che
decidono di intraprendere la carriera investigativa...- disse lei,
giocherellando col la penna tra le dita. -Vuoi sapere se è
mia
abitudine analizzare ogni persona con cui parlo per verificare se
è
un potenziale criminale?-
-Sarebbe stata la mia
prossima domanda, sì.- ammise Light.
-Beh...-
cominciò lei,
voltandosi a fissare un punto fisso sulla parete. -In realtà
no.
Difficilmente le persone mi interessano. Meno ci ho a che fare,
più
sono felice.-
Il ragazzo
sogghignò,
pensando che non si immaginava per nulla quella donna felice.
-E tu, Light...-
riprese la
donna, voltandosi di nuovo. -Le persone ti stimolano? Ad esempio, i
professori e i compagni di università? Oppure ti annoiano?-
Light fece finta di
pensarci
su, prima di rispondere:
-A volte, lo
confesso, la
vita mi annoia. Ma credo sia un sentimento comune a molti, e forse
è
tipico della mia età, o delle nostre generazioni in
generale.-
Banks
annuì di nuovo, poi
fece roteare la penna tra le dita e la puntò verso Light,
mentre
teneva l'altro braccio incrociato sotto il seno.
-Volevi diventare un
poliziotto, come tuo padre, no?- domandò allora.
Light
annuì.
-E dimmi,
c'è un sistema
giudiziario a cui guardi come modello, o c'è qualche
meccanismo che
reputi una falla nel sistema, che ostacola gli addetti ai lavori?-
Il ragazzo si
lasciò
scappare una piccola risatina.
-Se rispondessi che
trovo
che i sistemi giudiziari di tutto il mondo abbiano delle falle, e che
la giustizia non funziona, questo mi renderebbe più
sospettoso di
essere Kira?-
-No, ti farebbe
apparire
come una persona normale.- rispose Banks, con una nota di
ilarità
nella voce. -Se avessi sostenuto il contrario, avrei pensato che
fossi un perfetto idiota.-
Light assunse
un'espressione
stupita.
-Quello che penso, perché
so che me lo stai per chiedere...- riprese la donna. -... è
che ogni
sistema, compreso quello giudiziario, ovviamente, ha le sue falle, ha
dei meccanismi che non funzionano. Spesso non riesce a stare al passo
coi tempi, perché la società cambia in fretta, ma
le istituzioni
difficilmente vengono rivoluzionate ogni volta che è
necessario. Le
istituzioni devono dare alla gente la ferrea sicurezza di esistere
come punto fisso, perciò è raro che vi siano
cambiamenti.-
Si alzò
sulle proprie
gambe, e cominciò a camminare per la stanza, a braccia
conserte.
-La polizia, la
giustizia,
le leggi... sono tutte cose che devono esistere, e in cui la gente
deve avere fiducia, o scoppierebbe il panico. Un'istituzione forte
deve servire come baluardo e come deterrente, per questo ci facciamo
andare bene una realtà del genere, così piena di
difetti. Perché è
meglio un sistema difettoso, che l'assenza di esso.-
Si mise a guardare
fuori
dalla finestra, continuando a parlare.
-I sistemi sono
prodotti
umani, per questo saranno sempre imperfetti, per definizione. L'unica
cosa che possiamo fare come esseri umani, è cercare di
condurre un
passo alla volta queste istituzioni verso la via che riteniamo
migliore, correggendo il tiro di tanto in tanto. Non vedo altra
soluzione, se non quella di ammettere che siamo impotenti, e che non
possiamo pretendere di poter raggiungere un ideale di giustizia
assoluta.-
Ad un certo punto si
fermò,
e lo guardò dritto negli occhi da sopra la spalla.
-Chi pensa di avere
la
soluzione unica e definitiva è un folle, che rifiuta la
propria
stessa natura umana, imperfetta e ignorante per definizione. Una
persona del genere si crederebbe un dio. Vedi, è questo
quello che
penso di Kira.-
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Capitolo 5 *** Capitolo 4 - Condanna a morte ***
-Ho visto che a Tokyo in
questi giorni c'è il sole.- disse Bjarne al telefono. -Ti
sta dando
problemi?-
-Ho più
problemi quando
vengo da te in California, durante la tua stagione estiva alla scuola
di surfisti, sai com'è...- rispose Nathalie, giocherellando
col filo
della cornetta.
Guardava il suo
riflesso
allo specchio: i suoi occhi erano di un rosa pallido, il loro colore
naturale, il colore di quando si sentiva serena, rilassata,
tranquilla, felice, divertita. Per questo era un evento così
raro.
-Queste giornate sono
una
noia.- riprese, con tono infantilmente lamentoso. -Stiamo aspettando.
E odio l'inazione.-
-Ho vagamente
presente,
sì...- rise il giovane. -Come quella volta che sei partita
per il
Nevada per andare a stanare quei narcotrafficanti, senza rinforzi,
senza mandato di perquisizione...-
Poi d'un tratto la
sua voce
si fece seria.
-Quella volta ho
davvero
avuto paura che ti ammazzassero.-
-Dio mio Bjarne, non
ricominciare con quella storia!- protestò lei con torno
scherzoso,
ma poi si fece seria anche a lei.
-Ho promesso che non
avrei
mai più messo così a rischio la mia vita
inutilmente.-
-È quell'inutilmente
che mi preoccupa.- ribatté Bjarne. -La tua vita non
è utile o
inutile. È la tua vita. E, se è vero che la tua
vita appartiene a
te, è anche vero che non esiste in isolamento rispetto alle
altre.
Nella tua vita c'è anche un pezzo della mia, c'è
anche un pezzo di
quella di tante altre persone. Se dovessi morire, morirebbero anche
quei frammenti di altre persone che sono in te. Così come
morirebbero i frammenti di te che ci sono nelle altre persone che hai
incontrato.-
Poi ci fu un attimo
di
silenzio, prima che il giovane scoppiasse a ridere.
-Ho tentato di
mettermi a
fare della filosofia e ne è uscito un discorso senza senso,
scusami.-
-Ma non è
vero!-
Poi anche Nathalie
rise.
-Ho afferrato il
concetto.
Certo, da quando hai cominciato a lavorare al caffè
letterario sta
piano piano uscendo fuori il tuo lato poetico, eh?-
Si tirò
dietro il telefono
dal mobiletto su cui era posto e andò a buttarsi sul divano,
alzando
i piedi sul tavolino da tè.
-A proposito, come
sta
andando il lavoro lì?-
-Mmm...- fece Bjarne.
-Non
c'è male. Incontro un sacco di persone interessanti,
organizziamo
serate di lettura delle poesie, e Jonathan mi dà una mano a
gestire
il bar. Tutto sommato... direi che ce la stiamo cavando bene.-
Nathalie
sospirò. Aveva
sempre paura che gli uomini di Hayer boicottassero i suoi lavori,
come il caffè letterario dove aveva iniziato a lavorare otto
anni
prima, e a cui avevano da poco lasciato la gestione, e
l'attività
come istruttore di surf.
-Perciò...
non ci sono
problemi, no?- insistette.
Bjarne si
lasciò scappare
una leggera risata, e poi disse, con voce dolce:
-Non c'è
nulla di cui tu ti
debba preoccupare. Puoi fare quella telefonata.-
Erano le 23:40 del 15
maggio, in Giappone. Questo significava che a Chicago erano le 8:40
di quello stesso giorno. Bjarne le aveva assicurato che andava tutto
bene, per cui avrebbe potuto fare la sua telefonata, come ogni 15 del
mese, alle 9 di mattina, ora di Chicago.
Era cominciato nel
novembre
del 1995. Aveva invitato Roger a prendersi un caffè, quel
pomeriggio. Lo aveva aspettato per una decina di minuti, seduta sul
divanetto, imbacuccata nel suo felpone grigio chiaro
dell'Università
di Berkeley, che le aveva regalato Bjarne. Ricordava che continuava a
tirarsi le maniche fino a coprirsi le dita, e si era tirata su il
cappuccio sopra la parrucca rossa e mossa che portava di solito.
-Eccomi, tesoro.-
aveva
sentito la voce dell'uomo alle sue spalle, e con la coda dell'occhio
l'aveva visto metterle una mano sulla spalla, mentre con l'altra si
toglieva la sciarpa. Aveva una quarantina d'anni, all'epoca. Roger
Burton, uno dei più brillanti ispettori dello Stato. Era
alto, aveva
le spalle larghe, la mascella quadrata e capelli castani tirati
all'indietro, lunghi fino alla nuca.
Lei aveva fatto una
smorfia
nel sentirsi chiamare “tesoro”. Quando,
all'età di quattordici
anni, aveva deciso di andare a studiare negli Stati Uniti per
prepararsi ad entrare ad Harvard, aveva anche espresso immediatamente
la volontà di cominciare fin da subito l'addestramento, come
assistente di un qualche detective, o per la polizia. Ma era
minorenne, e nessuno riteneva opportuno per una ragazzina
“immischiarsi in quelle cose da grandi”.
Finché, un giorno,
aveva finalmente ricevuto una lettera con una risposta positiva:
l'ispettore Roger Burton, del dipartimento di polizia di Chicago, si
diceva disposto ad accoglierla tra le sue fila. Burton era a
conoscenza delle straordinarie capacità degli studenti della
Wammy's
House, perché aveva avuto occasione di collaborare con uno
di loro,
poco tempo prima. Non si era quindi lasciato sfuggire l'occasione di
avere una mente così promettente al proprio servizio. Ma le
questioni legali sull'età della ragazzina rimanevano,
perciò l'uomo
aveva proposto una soluzione alquanto insolita: essendo lei orfana,
ed essendo la sua identità nascosta, dal momento che il
padre era
morto in circostanze sospette, Burton si era offerto di adottarla; in
quel modo, avrebbe potuto godere della sua protezione, e avrebbe
potuto farsi affiancare nel lavoro di ufficio, con la scusa di
portare la figlia sul luogo di lavoro e, soprattutto, approfittare
della sua consulenza a casa. Sarebbe stata una soluzione vantaggiosa
per entrambi. Lei aveva accettato, anche se con qualche riserva: a
quattordici anni, non sentiva la necessità di avere di nuovo
un
padre.
Erano passati quatto anni,
e se anche Roger l'aveva adottata con lo scopo di fare carriera, alla
fine si era affezionato a lei; eppure, lei era andata a stare in
collegio appena erano cominciati i corsi, e aveva sempre cercato di
mantenere un rapporto di tipo esclusivamente professionale con lui.
Gli era grata, lo rispettava, spesso le faceva anche piacere vederlo;
ma non lo avrebbe mai visto come un padre.
-Roger, dai...- aveva
protestato. -Per favore...-
-E va bene.- aveva
sospirato
l'uomo, togliendosi anche il cappotto e prendendo posto sul divanetto
di fronte a lei.
-Hai già
ordinato? Hai
fame?-
-No...- aveva
risposto lei.
-Aspettavo te. Chiama pure la cameriera. Dopo c'è una cosa
di cui
vorrei parlarti.-
-Naturalmente!- aveva
riso
lui, con una scintilla negli occhi azzurri chiarissimi. -Non mi
illudevo mica che volessi semplicemente vedermi per chiacchierare.-
Si erano fatti
portare una
tazza di caffè, delle uova strapazzate con pane tostato e
una fetta
di torta al limone.
-Così, ora
che hai
terminato l'addestramento...- aveva cominciato lui, assaggiando la
torta. -... vuoi metterti in proprio?-
-Lavorerò
con te fino a
maggio.- aveva detto lei, tenendo la tazza di caffè tra le
mani
intirizzite dal freddo, curva su se stessa. -Poi, però,
vorrei
mettermi ad indagare per conto mio, per scoprire chi ha ordinato di
far fuori mio padre e tutto il resto della nostra famiglia.-
L'uomo aveva alzato
un
sopracciglio, e poi si era schiarito la voce.
-Non ti serve una
mano?-
-Preferirei di no.-
aveva
detto lei, tenendo lo sguardo fisso sul suo caffè. -Sei un
personaggio molto in vista, ora che abbiamo arrestato i russi. Se
dovessi seguire il mio caso, ti noterebbero. E ho come l'impressione
che ci sia dietro qualcosa di grosso, per cui ci vorrà molto
tempo
per indagare.-
-È
pericoloso.- aveva
allora detto lui, preoccupato. -Non sai con chi hai a che fare, e poi
si tratta di fatti risalenti a quasi dieci anni fa! Sarebbe molto
più
semplice se io potessi aiutarti.-
-Mi dispiace, Roger.-
aveva
detto allora lei, alzando lo sguardo. -È proprio
perché mi rendo
conto che sia pericoloso che preferirei ne stessi fuori. Mio padre
è
stato ucciso solo perché ha visto qualcosa, ed è
andato a
denunciare il fatto alla polizia. Questo è quello che mi
hanno detto
quando mi sono risvegliata dal coma dopo l'incidente d'auto.
Perciò
preferisco indagare da sola, smuovere il meno possibile le acque,
raccogliere prove...-
Poi si era tolta gli
occhiali da vista perché il caffè non li
appannasse, e i suoi occhi
castani leggermente strabici avevano assunto un'espressione triste.
-Perciò,
se dovessi morire,
vorrei che tu continuassi col caso. Mi auguro di riuscire a
raccogliere abbastanza prove per spianarti la strada, fino ad
allora.-
Le labbra di Roger si
erano
piegate, come in una smorfia di dolore. Aveva stretto più
forte la
tazza tra le sue grosse mani, prima di ricominciare a parlare.
-Speri in questo modo
di
riuscire a tenere al sicuro Bjarne e L?-
Lei aveva annuito, e poi si
era portata la tazza alle labbra, che all'epoca erano ancora carnose.
-Ho detto che
lavorerò con
te fino a maggio, perché per allora vorrei poter cominciare
ad
addestrare L.- disse, dopo aver bevuto un lungo sorso.
-Lo coinvolgerai
nelle
indagini?- aveva chiesto Roger, tornando a mangiare la torta.
Lei aveva scosso la
testa.
-Non nei primi
tempi.-
rispose, appoggiando nuovamente la tazza sul tavolino. -Gli
terrò
nascoste le mie indagini parallele finché
riuscirò, ma preferirei
coinvolgerlo soltanto quando avrò la certezza di avere
qualcosa di
serio in mano.-
Roger aveva annuito,
e poi
si era pulito la bocca con un tovagliolo.
-Hai già
raccolto
qualcosa?-
-In effetti
sì.- aveva
detto lei, girandosi per prendere la sua borsa di tela verde
militare, da cui aveva estratto un plico di fascicoli e qualche
cassetta, infilati in una busta di carta.
-Per ora brancolo
ancora
abbastanza nel buio, ma questa è tutta la documentazione che
sono
riuscita a reperire della denuncia di mio padre e del nostro
incidente.- aveva sussurrato, mostrando a Roger il contenuto della
busta.
-Ti ho chiesto di
venire
qui, perché vorrei che trovassi un posto sicuro dove
custodire tutto
ciò. E dove io possa inviare mano a mano il materiale che
riesco a
trovare.-
Roger stava
ascoltando con
attenzione, e con un'espressione seria sul volto tirato.
-Se riuscirai a fare
questo
per me, vorrei inoltre chiederti di procurarti un telefono non
rintracciabile, a cui io ti chiamerò ogni mese ad un giorno
prestabilito. Ti darò una parola in codice, che
cambierò ogni mese,
e che significherà che sono viva, che sto bene e che non
è ancora
il momento per te di ritirare quelle prove e metterti a lavorare sul
caso.-
L'uomo aveva annuito,
per
poi intervenire.
-C'è una
società di
sicurezza per cui lavorano persone fidate. Potrei far mettere le tue
prove in una cassetta sorvegliata in uno dei loro caveau, e andare di
persona ogni mese a confermare che la cassetta deve rimanere al suo
posto. Dopotutto, se risalissero a te, potrebbero prendere di mira
anche me, e a quel punto, se dovessero catturare o uccidere me,
quelle prove rimarrebbero lì, e nessuno potrebbe chiudere il
caso.-
Lei aveva sbarrato
gli
occhi. Non si aspettava che Roger prendesse in considerazione
quell'eventualità con tutta quella calma.
-Credo che sia meglio
che in
caso di mia morte, tu dia l'ordine di mandare tutte le prove alla
Wammy's House. Gli studenti come te agiscono nell'anonimato, magari
riuscirebbero a risolvere il caso senza altre perdite.-
La ragazza aveva
abbassato
lo sguardo. Si sentiva terribilmente egoista in quel momento: aveva
parlato del suo piano a Roger, anche se sperava di coinvolgerlo il
meno possibile, ma lui stava dipingendo uno scenario talmente buio
che si era pentita di aver anche solo concepito quell'idea.
Lui sembrava averle
letto
nei pensieri, perché le aveva sfiorato delicatamente la mano
e si
era avvicinato per sussurrarle:
-Ehi, non ti devi
preoccupare.-
Si era guardato
intorno
circospetto, e poi si era sporto ancora un po' di più verso
di lei.
-Mi hai sempre visto
come un
poliziotto che vuole far carriera, no?-
E aveva riso.
-Non lo nego. E,
soprattutto, se risolvessi un caso come questo, riceverei una
promozione ancora più grossa dell'ultima.-
Si riferiva alla
cellula
della mafia russa che era riuscito a smantellare grazie a lei.
-Perciò
vedila così: ti
devo un grosso favore. Se non credi alla messinscena del padre
affettuoso che abbiamo recitato per tutto questo tempo, credi
nell'ottica del favoritismo: ti voglio aiutare, per sdebitarmi. Ma,
se dovessi sospettare che ho qualcuno alle calcagna, o se dovessi
venire a sapere che ti è successo qualcosa, lascerei il caso
ai tuoi
colleghi della Wammy's House, a meno di non essere sicuro di riuscire
a pararmi il culo a dovere.-
Lei aveva riso.
Sapeva che
Roger non era un codardo, ma concordava sul fatto che fosse
più
sicuro se una copia delle prove fosse arrivata anche a Watari.
-Allora...- aveva quindi
ripreso Roger, tornando a sedersi. -Qual è il tuo piano?-
Lei aveva appoggiato
i
gomiti sul tavolo, e si era piegata in avanti per parlare a bassa
voce.
-Hai ancora l'unica
copia
esistente della prima versione della mia tesi di laurea a casa?
Quella sulla pena di morte, che alla fine non ho presentato?-
-Certo che
sì.- aveva
risposto lui, sorridendo. -Trovo la sua lettura... illuminante, di
tanto in tanto.-
-Bene. Se ti ricordi,
le
parte importanti sono evidenziate di diversi colori. Le parole chiave
sono in arancione, e sono quasi sempre parole singole. Ogni mese io
ti chiamerò, alle 9 di mattina precise, e ti dirò
una di quelle
parole, in ordine, a partire dall'introduzione.-
-Mi stai dicendo che
ricordi
quel tomazzo che hai scritto a memoria?- aveva detto Roger, nemmeno
troppo sorpreso.
-Riesco ancora a
recitarlo a
memoria, perciò sono certa di poter ricordare le parole
evidenziare
nel giusto ordine.- aveva risposto lei, sicura. -Però, non
userò
mai la parola “sedia elettrica”. E nemmeno tu. Io
ti chiamerò e
ti dirò la parola d'ordine, e tu dovrai rispondere con
quella
successiva nella frase. Per esempio, la prima parola evidenziata in
quel testo è “Prove”. La frase completa
sarebbe: “Non ci sono
prove indiscutibili del fatto che la pena di morte porti un reale
giovamento alla società”. Io perciò ti
dirò la parola “Prove”,
e tu dovrai rispondere con “Indiscutibili”. Ogni
mese dovrai
presentarti al caveau e confermare che la cassetta deve rimanere al
suo posto. Se non ti chiamerò, andrai a dare l'ordine che il
contenuto della cassetta sia inviato alla Wammy's House. Se ti
dirò
la parola “sedia”, tu risponderai
“elettrica”, così saprò
che hai ricevuto il messaggio, e andrai a dare l'ordine che il
contenuto della cassetta sia inviato alla Wammy's House. Se non ti
presenterai, dovranno avere l'ordine che il contenuto della cassetta
sia inviato alla Wammy's House. Se dovessi sentirti in pericolo, non
andare al caveau, cerca protezione e lascia che sia Watari ad
occuparsi del caso. Se alla mia parola dovessi rispondere tu con
“sedia elettrica” o con una parola diversa, allora
saprò che sei
in pericolo, e sarò io a dare l'ordine che il contenuto
della
cassetta sia trasferito.-
Roger era stato ad
ascoltare, annuendo di tanto in tanto in silenzio.
-E se tu ti sentissi
minacciata, come faresti a farmelo sapere?-
-Allora
dirò “iniezione”,
e tu dovrai rispondere “letale”.- aveva detto lei,
mettendo
infine le uova strapazzate sul pane tostato, aiutandosi con la
forchetta. -Ma, anche in quel caso, dovrai continuare a confermare la
giacenza delle prove al caveau. Se anche dovessi essere in pericolo,
potrei comunque avere la possibilità di raccogliere altro
materiale,
per cui continuerò ad indagare finché ne
avrò la possibilità.-
-Watari sa di questo
tuo
piano?- aveva chiesto poi Roger, una volta finito di mangiare.
-Conto di dirglielo
quando
riterrò L pronto a lavorare al caso con me. Ho il sospetto
che se
glielo dicessi ora, darebbe il caso in mano ad altri.-
Aveva abbassato lo
sguardo,
con una nota di tristezza negli occhi.
-E... preferirei
essere io a
trovare la verità su cosa ha causato la morte di quasi tutta
la mia
famiglia.-
Roger le aveva appena
sfiorato un braccio, poi aveva chiamato la cameriera per farsi
portare altro caffè. E così era cominciata la
trafila, ogni mese,
con una puntualità svizzera. Ad un certo punto,
però, lei aveva
deciso di tenere a tutti i costi L fuori da quell'indagine,
perché
mano a mano che saltavano fuori nuovi elementi, si convinceva del
fatto che sarebbe stato troppo pericoloso, e non lo voleva
coinvolgere. Aveva perciò fatto aggiungere tra i documenti e
le
istruzioni da far pervenire a Watari in caso di pericolo, che L
sarebbe dovuto rimanere fuori da tutta quella faccenda, a meno che
non fosse lui stesso a scoprire ciò che stava dietro
all'assassinio
dei suoi genitori. Ed erano passati circa due anni, prima che lei si
accorgesse che qualcuno si era introdotto nel suo appartamento. Il 15
dicembre aveva avvertito Roger del pericolo, dicendo la parola
“iniezione”.
Pochi giorni dopo, i
mercenari di Hayer avevano fatto irruzione in casa sua e l'avevano
portata da Hayer.
-Guarda guarda
guarda...-
aveva detto l'omone appena l'aveva vista. Aveva spessi capelli neri
brizzolati sui lati, e la pelle scura, cotta dal sole. Era imponente,
nel suo completo elegante con la spilletta della Hogson Society. Era
rasato di fresco, aveva il naso schiacciato, una fronte ampia e
spiovente e spesse sopracciglia nere e folte. I suoi occhi grigi e il
suo mezzo sorriso mettevano inquietudine a tutti, in quella stanza.
-Ci siamo ritrovati
un
sassolino alquanto fastidioso nella scarpa, e a quanto pare si tratta
di un sassolino esile, giovane e femmina. “Kendra
Burton”. È
così che ti fai chiamare, ora?-
Aveva attraversato la
stanza
a passi lenti, con le mani incrociate dietro la schiena.
-La farò
breve. O ci dici
dove sono le prove, e qual è la parola d'ordine
perché ce le
consegnino, oppure uccideremo il tuo avvenente
“amichetto”.-
E, nel dirlo, aveva
tirato
fuori da dietro una schiena una foto di Bjarne, con ogni
probabilità
scattata da uno degli uomini che avevano pedinato anche lei.
La giovane aveva
allora
alzato lo sguardo dritto verso Hayer, e si era stampata in faccia un
sorriso beffardo.
-Non esiste parola
d'ordine
per consegnare le prove, né per distruggerle.- aveva detto,
senza
alcun tremore nella voce. -Ma se torcerete un solo capello alle
persone che conosco, o se proverete ad uccidermi, o se proverete ad
impedirmi di ripetere il mio codice ogni mese...-
E il suo sorriso era
diventato un ghigno.
-Le prove andranno a
finire
alla Wammy's House.-
Era riuscita a trattare, a
quel modo. Era riuscita a tenerli sulle spine per settimane. La
tenevano prigioniera, tenevano Bjarne costantemente sotto tiro, ma i
suoi genitori erano riusciti a scappare, e le uniche altre due
persone che Hayer sapeva informate del caso, Burton e l'avvocato
Medina, erano figure troppo in vista perché potessero
minacciare
alla loro vita senza che vi fossero conseguenze. A lei andava bene
così, rimanere prigioniera, raccogliere prove, aspettando
una
qualsiasi apertura per poter inviare a qualcuno la sua testimonianza;
e poi avrebbero anche potuto farla fuori, ma il suo compito sarebbe
stato portato a termine. Finché non si erano accorti che era
incinta, ed era dovuta scendere a patti. Bjarne si era consegnato di
sua spontanea volontà, pur di garantirle un po' di
libertà. Era
stato allora che Hayer aveva acconsentito ad accettare le loro
condizioni: il bambino sarebbe stato libero; lei avrebbe lavorato per
loro; Bjarne sarebbe vissuto sotto la minaccia dei suoi uomini. Ma
lei doveva morire. Kendra Burton doveva morire, e doveva morire da
sola e lontana da tutti, odiata da tutti quelli che conosceva, di
modo che nessuno si fosse mai più voluto fare domande su di
lei. E
lei aveva accettato.
E così avevano inscenato
il suo suicidio, dopo mesi in cui era ritornata nel mondo soltanto
per far sì che il mondo cominciasse ad odiarla. Non le era
stato
particolarmente difficile. E immaginava che nessuno si fosse stupito
quando era stata diffusa la notizia che la giovane figlia adottiva
dell'ispettore Burton era morta suicida all'età di 22 anni.
Eppure,
il 15 settembre, poco prima delle 9 di mattina, le avevano dato un
telefono, e le avevano intimato di fare la sua chiamata. Se quella
cassetta di sicurezza si fosse mossa di lì, sarebbero morti
sia lei,
sia Bjarne. E Hayer aveva promesso che si sarebbe impegnato
perché
entro breve i signori Hartford, genitori di Bjarne, Medina, il suo
cugino avvocato, l'ispettore Burton e anche il suo bastardello
spedito in orfanotrofio arrivassero a tenere loro compagnia.
Perciò, si
era ripassata
mentalmente la frase della sua tesi da cui sarebbe dipesa la vita di
tutti. “Se ne deduce che l'essere umano abbia la
necessità di
vedere un colpevole punito in modo esemplare, di modo da esorcizzare
su di una sorta di capro espiatorio ogni peccato da egli commesso;
non importa che questi sia realmente colpevole, come si evince dal
fatto che nella simbologia ebraica e cristiana sia l'agnello
pasquale, simbolo di innocenza, a venire sgozzato perché
paghi per i
peccati di tutto il mondo.”
Aveva composto il
numero.
Era in una stanza con uno schermo davanti, che trasmetteva l'immagine
in diretta di Bjarne in piedi, in casa sua, con le mani legate dietro
la schiena, e uno dei mercenari di Hayer che gli puntava una pistola
alla tempia.
Il telefono
squillava. Lei
era circondata da altri tre uomini armati, mentre Hayer stava proprio
di fianco allo schermo, con un telefono in mano.
La giovane aveva
sentito
qualcuno alzare la cornetta, dall'altro capo del telefono.
-Agnello pasquale.-
aveva
detto, senza esitazioni.
Dall'altro capo del
telefono, in vivavoce, tutti i presenti sentirono un singhiozzo, e
poi un sospiro.
-Simbolo di
innocenza.-
aveva risposto la voce di Roger, prima di chiudere la chiamata.
Ore 23:57. Nathalie si
scosse dai propri pensieri, mentre sullo schermo del computer vedeva
Hayer a braccia conserte guardare nervosamente l'orologio dietro di
lui, che segnava le 08:57.
Per cinque anni aveva
continuato a seguire il piano, e a dare le giuste parole d'ordine a
Roger, che non aveva mai tardato di un secondo nel rispondere e nel
recarsi poi al caveau. Non importava quale missione avesse o quale
caso stesse seguendo: il 15 di ogni mese, si rendeva irreperibile.
Per 5 anni, Nathalie
aveva
ripetuto periodicamente la sua tesi nella testa, per essere sicura di
azzeccare sempre le parole giuste. Aveva una memoria fotografica
eccezionale, per cui si ricordava le pagine e l'esatta disposizione
delle frasi, con le parole evidenziate.
“Perciò
ritengo che
l'unico effetto significativo e su larga scala della pena di morte
sia la sua funzione di catarsi, per la popolazione desiderosa di
poter additare il mostro, l'estraneo alla
comunità.”
00:00
Nathalie compose il
numero.
Vi fu appena un mezzo squillo, prima che la cornetta, dall'altra
parte, venisse alzata.
-Catarsi.- disse lei,
tranquilla.
-Per la popolazione.-
rispose Roger, prima di riattaccare.
Hayer non era mai
riuscito a
trovare la fonte del codice. Nathalie non sapeva come avesse fatto
Roger a nascondere il manoscritto per tutto quel tempo, ma se erano
ancora tutti vivi, era solo grazie a lui.
25 maggio.
-Non abbiamo rilevato
nessun
indizio particolare...- stava facendo rapporto Aizawa. -Né
il 22 ad
Aoyama, né il 24 a Shibuya. L'unica data che ci resta
è... quella
del 30 maggio al Tokyo Dome.-
Light ad Aoyama non
aveva
visto nessuno al Note Blue che potesse essere il secondo Kira. Quel
pomeriggio era andato al nuovo quartier generale subito dopo pranzo,
per presentare rapporto e fare il punto della situazione assieme agli
altri agenti. Si stava chiedendo se l'appuntamento col secondo Kira
non fosse davvero il 30 maggio, quando improvvisamente ricevettero
una videochiamata di Watari.
-Ryuzaki.-
risuonò la voce
del vecchio. -Alla Sakura TV è arrivato un altro messaggio
da parte
del secondo Kira.-
Si alzarono tutti
dagli
stretti divanetti a righe gialle e verdi, tranne L, che rimase
accovacciato sulla sua poltrona, e Banks, che stava sulla sua sedia
in penombra, con braccia e gambe incrociate.
-Il timbro indica che
è
stato spedito il 23.-
Subito dopo, Watari
mandò
in onda il video. La roca voce distorta, a cui ormai avevano fatto
l'abitudine, disse:
-Sono riuscito a
trovare
Kira. Ringrazio la polizia, e tutto il personale della TV.-
Light rimase
esterrefatto.
Non poteva essere. Dov'era successo? Forse il suo shinigami aveva
visto Ryuk e gliel'aveva detto. Ma no, si disse, non aveva modo di
capire a chi fosse legato Ryuk; e aveva controllato bene se qualcuno
lo stava seguendo.
-L'ha trovato!-
esclamò
Aizawa. -Questa non ci voleva!-
-Già...-
concordò il padre
di Light. -In questo due modo i due Kira si sono alleati, e la
situazione si complica.-
-No.- intervenne L,
girando
il cucchiaino nella sua tazzina di caffè. -Di questo non
possiamo
ancora essere certi. Il secondo Kira ha solo detto di averlo trovato,
ed è possibile che non l'abbia ancora incontrato.-
Finì di
girare il caffè e
ne bevve un sorso.
-A questo punto non
ci
rimane che contattarlo, ma a differenza delle altre volte lo faremo
nelle vesti della polizia.-
-Vuoi contattarlo?-
domandò
Matsuda, che intanto era tornato a sedersi.
-Sì.- fece
L, tranquillo.
-Gli proporremo delle buone condizioni, a patto che lui ci riveli
l'identità di Kira.-
Ryuk scoppiò a ridere.
-Eh! Eh! Non poteva
andarti
peggio di così, eh, Light?-
Maledizione,
pensò il
ragazzo, non aveva idea di come avrebbe potuto rispondere un
individuo simile; e, d'altronde, non aveva modo di fermare l'appello
della polizia.
Nathalie non era d'accordo.
Il secondo Kira agiva spinto da una sorta di reverenza nei confronti
del primo, e non l'avrebbe mai tradito. Piuttosto, era possibile che
un messaggio del genere lo avrebbe spinto ancora di più a
mettersi
in contatto col vero Kira, dal momento che era chiaro che non lo
avesse ancora fatto. Ma si tenne i suoi commenti per sé. L
stava
sicuramente agendo in questo modo perché sperava
che il
secondo Kira fosse tanto stupido da abboccare e a precipitarsi dal
primo. E ciò avrebbe sicuramente complicato non poco le cose
per la
polizia... a meno che il primo Kira non fosse effettivamente Light
Yagami. Nathalie ne era certa: il timbro della busta era del 23,
perciò con ogni probabilità i due Kira si erano
incrociati ad
Aoyama, proprio il giorno in cui Light si era offerto di andare ad
indagare. Il riferimento al quaderno, contenuto nella pagina di
diario, rafforzava la sua idea sull'esistenza di un libro nero dei
morti. L aveva sicuramente pensato lo stesso, per cui doveva aver
deciso di agire in quel modo, sperando che il secondo Kira
contattasse Light. In quel modo, avrebbero forse scoperto
l'identità
del secondo Kira, e dal momento che non sembrava così
attento come
il primo, forse sarebbero riusciti a trovare prove sufficienti per
arrestarlo.
Si alzò in
piedi, quando
vide che i raggi solari cominciavano a girare verso di lei, e si
allontanò dal cono di luce con la scusa di prepararsi un
tè verde,
mentre L e gli agenti discutevano del contenuto del messaggio da
inviare alla TV. La sua permanenza al quartier generale stava
procedendo senza intoppi, e sicuramente Hayer sarebbe stato felice di
poter avere tutte quelle informazioni riguardo al caso Kira. La sola
idea la disgustava.
-Banks, vieni qui per
favore.- la chiamò L. -Vorrei anche il tuo parere sul
messaggio che
faremo trasmettere.-
La giovane si
avvicinò agli
altri tenendo la tazza con dentro l'acqua bollente con entrambe le
mani. Lo faceva spesso. Adorava la sensazione ustionante sulle
proprie mani; doveva essere simile a quella che provano le persone
normali ad uscire a pelle scoperta in una giornata di sole.
Rimase in piedi, in
silenzio, sempre nella penombra, col tè verde fumante in
mano.
-Dimmi cosa ne
pensi.-
riprese allora L, sollevando il foglio col testo appena
scarabocchiato a mano coi soli pollici e indici. -”Se al
momento
Kira non conosce ancora la tua identità, sei ancora in
tempo. Non
devi assolutamente avvicinarlo solo per soddisfare la tua
curiosità.
Se lo incontri, ti sfrutterà per i suoi scopi e poi ti
ucciderà.
Ricorda che Kira è un pluriomicida. Per nulla al mondo devi
dargli
il tuo appoggio. Ciò che puoi fare ora, è
riflettere sul valore
della vita umana e riparare alle tue colpe, rivelando alla polizia
ciò che sai su di lui, così da liberare il mondo
dal terrore di
Kira”-
Si voltò
quindi verso di
lei, guardandola attentamente negli occhi.
Lei fece un mezzo
ghigno, e
annuì.
Quella sera, in un
appartamento di Tokyo, una ragazza bassina, prosperosa, dai capelli
biondi e gli occhi color nocciola, vide il notiziario,
ascoltò il
messaggio della polizia, e si alzò dal suo soffice letto
senza dire
una parola. Andò all'armadio, mentre, nella piccola stanza
invasa da
pupazzi dall'aspetto emo-goth, un'enorme creatura ricoperta di bende
bianche, con un occhio giallo da gatto e spesse ciocche di capelli
color lavanda, che però parevano tentacoli, la guardava
scegliersi
accuratamente i vestiti. Autoreggenti e mezzi guanti in pizzo, neri.
Un vestito con bustino e gonna a ruota, sempre nero. Anfibi. Collana
e orecchini i cuoi ciondoli erano a forma di giglio. Un nastrino nero
al collo. Si raccolse i capelli lisci in due codini, si
truccò, mise
un paio di lenti azzurre, infilò un quaderno nero dentro una
borsetta e uscì di casa.
-Dove vai, Misa?-
domandò
la creatura, volandole dietro, quando furono fuori.
-A presentarmi!-
rispose
lei, candidamente.
Giunsero infine di
fronte ad
una casetta di un quartiere tranquillo. Al campanello c'era scritto
“Yagami”. La ragazza suonò.
Le aprì
una ragazzina di
circa quattordici anni, coi capelli castani raccolti in una coda,
urlando “Bentornato!”. Rimase stupita nel vederla.
-E tu chi sei?-
domandò
infine.
-Buonasera...-
cominciò la
ragazza, impacciata. -Io... io mi chiamo Misa Amane. Sono venuta a
portare a Light un quaderno molto importante che oggi ha dimenticato
all'università.-
-Sì!-
esclamò la
ragazzina, che sembrava si fosse appena ricordata di qualcosa.
-Aspetta che te lo chiamo!-
L'attesa sembrava
infinita.
Misa sentì la ragazzina chiamare Light, e poi, finalmente,
lo vide
scendere. Quando l'aveva visto ad Aoyama avesse subito pensato che
fosse figo, ma, ora che lo poteva vedere faccia a faccia, le pareva
che quell'impressione impallidisse di fronte a come gli appariva in
quel momento. Perfetto. Alto, atletico, dai lineamenti delicati, ma
virili, con occhi sfuggenti, ma magnetici, il fare misterioso, ma
intrigante. Si chiuse la porta alle spalle senza dire una parola, e
rimase a guardarla intensamente negli occhi.
-Ah...- disse infine
lei,
come scossa da un sogno. -Piacere.- riprese, inchinandosi. -Mi chiamo
Misa Amane. Ho pensato che magari ti saresti preoccupato vedendo il
messaggio in TV, e così non ce l'ho più fatta a
resistere.-
Si mise a frugare
nella
borsa e ne estrasse un quaderno, dalla copertina in pelle nera.
-Ecco il quaderno.-
disse,
porgendoglielo.
-Ryuzaki, hai intenzione di
guardati tutti i video sulla giornata del 22 ad Aoyama?-
domandò
Aizawa.
-Sì.-
rispose lui, impalato
di fronte alla televisione col telecomando in mano. -perché
ritengo
molto probabile che i due Kira si siano incontrati qui, quindi...
voglio visionarle tutte personalmente. Inoltre... Yagami.-
-Sì,
dimmi.- rispose il
sovrintendente.
-Dica a Mogi di
seguire gli
spostamenti di Light.- disse L, mentre faceva andare avanti e
indietro veloce il video.
-Gli... spostamenti
di
Light?- chiese l'uomo.
-Se per caso Light
dovesse
essere Kira, è possibile che il secondo Kira lo avvicini in
qualche
modo.-
Questa volta il
sovrintendente non protestò. Rispose mestamente
“Va bene”, e si
allontanò dalla stanza.
-Io proprio non
riesco a
capire...- disse poi Aizawa, quando furono rimasti da soli. -Ma
Ryuzaki, quando dorme?-
-Qualche tempo fa
l'ho
sorpreso che dormiva sulla sedia in quella posizione-
confessò
Matsuda.
E mentre i due agenti
parlavano così, L mangiava un gelato, con gli occhi
incollati allo
schermo. Era certo che il suo messaggio avrebbe portato allo scoperto
il secondo Kira, e a quanto pare Banks era d'accordo con lui. Le
aveva chiesto di rimanere, quella sera, per visionare i filmati
assieme a lui, dal momento che sembrava così ossessivamente
attenta
ai dettagli. Ovviamente, assieme a lei sarebbe rimasto anche Grumann,
ed era possibile che anche Matsuda, che ultimamente le ronzava
continuamente attorno, decidesse di rimanere. Sperava solo che i due
uomini stessero zitti.
Poco dopo, giunsero i due
americani, che avevano finito di cenare. Banks prese una sedia e si
mise accanto a L a guardare i video.
-Cosa ne pensi?- le
domandò
lui, terminando il suo stecco e leccandosi le labbra.
La donna gli fece
cenno con
la testa ai due poliziotti giapponesi dietro di loro, poi si
voltò
verso di loro e li invitò ad andare a cenare, dal momento
che non lo
avevano ancora fatto. Matsuda la ringraziò, probabilmente si
stava
passando una mano tra i capelli dietro la testa; L non lo poteva
vedere, ma se lo immaginava. Matsuda era il più giovane tra
i
poliziotti, e, sebbene ci mettesse molto impegno, non era il
più
sveglio tra loro. Inoltre, aveva il vizio di correre dietro ad ogni
bella ragazza, e Banks, per quanto fredda e arcigna, e forse un po'
troppo vecchia, poteva considerarsi una bella donna, o almeno
credeva.
Quando se ne furono
andati,
Banks sospirò.
-Non avevo voglia che
contestassero ogni nostra supposizione su di Light.- disse, e poi si
mise ad armeggiare con la sua borsa.
-Ho studiato
l'itinerario di
Light di quel giorno.- continuò, passandogli una cartina,
sulla
quale era segnato il percorso. C'erano diversi punti su quel percorso
che erano stati cerchiati.
-Aoyama è
grande, perciò
sospettavo che Light avrebbe tentato di passare per luoghi in cui
fosse normale trovare persone con un quaderno in mano. Ho segnato
fumetterie, librerie, caffè letterari, anche un locale che
si chiama
“Note Blue”. Perciò direi che potremmo
seguire questo itinerario
e concentrare l'attenzione su quei punti, anziché perdere
tempo ad
analizzare fotogramma per fotogramma.-
-Pensavo fossi tu
quella a
cui piaceva analizzare fotogramma per fotogramma i video di
sorveglianza.- ribatté lui, sarcastico.
La vide abbozzare un
mezzo
sorriso, con la coda dell'occhio. Non era quella sua solita smorfia
inquietante, era un sorriso vero, quasi come se fosse contenta che
lui la stesse pendendo in giro. Quasi come se si rendesse conto che
era quello l'atteggiamento che assumeva quando cominciava a prendere
confidenza con qualcuno. Si ritrovò a chiedersi quanto
potesse
essere pericolosa per lui, quella confidenza.
Light faceva roteare la sua
penna, sovrappensiero, durante una delle lezioni
all'università. L'arrivo di Misa Amane lo aveva messo in
agitazione, soprattutto
perché i sentimenti che provava nei suoi confronti la
rendevano
troppo imprevedibile e difficile da controllare. Certo, aveva
scoperto come uccidere uno shinigami, e avrebbe potuto usare gli
occhi della ragazza per far fuori L, Watari, Banks e Grumann,
così
poi avrebbe avuto la strada spianata per sbarazzarsi del quartier
generale al gran completo. Probabilmente, sarebbe bastato soltanto L,
perché il suo piano andasse a buon fine. Ma le dichiarazioni
d'amore
di Misa, e il fatto che la sua shinigami Rem avesse minacciato di
ucciderlo se fosse successo qualcosa alla ragazza, complicava di non
poco le cose. In ogni caso, quello era il giorno in cui l'ultimo
video del secondo Kira sarebbe pervenuto alla Sakura TV, passando
prima dal quartier generale. Doveva assolutamente andarci, per vedere
la reazione di L.
In quel momento il
corso dei
suoi pensieri fu interrotto da Kiyomi Takada, la più bella
ragazza
dell'università, a cui aveva chiesto di mettersi insieme
poco dopo
l'uscita di gruppo ad Aoyama. Era bella, non c'era dubbio, era anche
intelligente, ma troppo vanitosa. Prima che arrivasse Misa a bussare
alla sua porta, aveva preso in considerazione l'idea di cominciare ad
uscirci, perché avere una ragazza poteva magari rendere meno
sospettosi alcuni suoi comportamenti o atteggiamenti. Dopotutto,
aveva diciotto anni, sarebbe stato normale alla sua età
uscire con
delle ragazze, anziché seguire delle indagini di polizia.
Ora, però,
doveva fare attenzione, innanzitutto a non far scoprire il suo
rapporto con Misa, e parallelamente a non far arrabbiare
quest'ultima. Se Light fosse uscito con diverse ragazze, tra cui
Misa, e una di loro fosse morta, sarebbe sicuramente finito
nuovamente nel mirino di L.
Quel pomeriggio si presentò
al quartier generale abbastanza presto.
-Buongiorno.- disse,
entrando nella stanza dove si trovavano L e suo padre.
-Buongiorno Light.-
lo
salutò il detective, rannicchiato come al solito su una
poltrona.
-Capiti proprio al momento giusto. È arrivato un altro video
dal
secondo Kira.-
Light
appoggiò a terra la
sua borsa, e poi si voltò verso di lui.
-Un altro? Non me
l'aspettavo, così presto.-
-Già...
dice che è
l'ultimo.-
L aspettò
che Light lo
raggiungesse.
-Comunque, guarda tu
stesso.-
Partì il
video.
-Rinuncerò
al mio proposito
di incontrare Kira. Ringrazio la polizia per il suggerimento.
Tuttavia, intendo continuare ad aiutarlo a punire i malvagi,
così
che un giorno egli possa apprezzare la mia collaborazione. Per prima
cosa, giudicherò i criminali non ancora giustiziati da Kira.
Inoltre, intendo migliorare questo mondo condividendo il mio potere
con altre persone che riterrò all'altezza del compito.-
L spense la
televisione, e
appoggiò il telecomando sul tavolino da tè.
-Sai, guardando
questo video
ho avuto la sensazione che i due Kira abbiano già unito le
loro
forze.- disse, sporgendosi verso una scatola piena di ciambelle.
Light lo guardava
serio.
-Ma come fai a dirlo?-
L si voltò
verso di lui.
-Non hai avuto la
stessa
sensazione?- domandò, sorpreso. -E dire che credevo che io e
te
fossimo sulla stessa lunghezza d'onda.-
Si voltò
di nuovo, afferrò
una ciambella e la addentò.
-Trovo strano questo
suo
cambiamento improvviso, dopo che ha insistito tanto per incontrare
Kira.- disse, masticando.
-E inoltre dice che
d'ora in
avanti giudicherà i criminali che Kira non è
riuscito a giustiziare
per ottenere la sua approvazione.-
Mandò
giù il boccone,
prima di continuare.
-E allora mi chiedo:
perché
non l'ha fatto prima? Semplice. Perché finora non ci era
ancora
arrivato. Il che mi fa pensare che probabilmente ha incontrato Kira.-
Divorò
l'ultimo pezzo di
ciambella.
-Il quale gli ha
ordinato di
giudicare quei criminali e far sì che nessuno sospetti del
loro
incontro.-
-Capisco.- intervenne
allora
Light. -Se è così, significa che neanche Kira ha
riflettuto molto
prima di agire.-
-Già...-
gli fece eco L,
leccandosi le dita. -Forse le circostanze non glielo consentivano.
Oppure ha lasciato apposta che capissimo del loro incontro per
metterci in agitazione. Il loro legame rappresenta una bella minaccia
per noi; tuttavia, questo attenua i miei sospetti sul conto di
Light.-
Il padre di Light trasalì.
-Che cosa vuoi dire,
Ryuzaki?-
Il detective stava
con le
mani appoggiate alle ginocchia, e guardava nel vuoto.
-Se Kira fosse Light,
credo
che avrebbe chiesto al secondo Kira di costringermi nuovamente ad
apparire in TV, invece di fargli mandare un messaggio del genere. A
quel punto la responsabilità sarebbe ricaduta sul secondo
Kira, non
avendo avuto conferma dell'avvenuto contatto tra i due.-
Prese poi una
ciambella con
la glassa al cioccolato.
-Inoltre, il secondo
Kira
avrebbe potuto dire che la prima volta aveva abbandonato l'idea
perché gli era stato ordinato da Kira, ma che adesso ha
capito che
quell'ordine non poteva essere del vero Kira, il quale vorrebbe
vedere L morto.-
Si rigirava la
ciambella tra
le dita, leccandone la glassa.
-Ryuzaki.- intervenne
allora
Light.
-Sì?-
-Se io fossi Kira non
farei
mai una cosa del genere.- disse il ragazzo, con una nota di
irritazione nella voce.
-Perché?-
domandò L, con
tono di nuovo fintamente sorpreso.
-Perché io
conosco il tuo
modo di pensare, sempre che tu sia davvero L, come dici di essere.
Qualsiasi minaccia L ricevesse, non si mostrerebbe mai in
televisione. Né sceglierebbe di mandare un sostituto.-
Tentò di
mantenere la
calma, mentre continuava.
-Di una cosa sono
certo,
però, cercherebbe in tutti i modi una via d'uscita.-
L rimase un attimo in
silenzio, poi si voltò, con un sorriso inquietante sul volto.
-Mi hai scoperto, eh?-
-Light!- lo
rimproverò il
padre. -Non dirlo mai più! Non permetterti mai
più di fare un
esempio del genere, intesi?-
-Hai ragione,
papà,
scusami.- fece allora Light. -Però... a questo punto
preferisco dire
chiaramente tutto quello che penso a Ryuzaki. Sia per risolvere
questo caso, sia per dileguare i sospetti sul mio conto.-
Si era voltato verso
di lui,
che aveva cominciato a seminare zollette di zucchero nella propria
tazzina di caffè.
-Inoltre, se posso
fare
esempi del genere è proprio perché io non sono
Kira.-
-Giusto...-
intervenne
allora L, prendendo il cucchiaino e cominciando a girare il
caffè.
-Light non è Kira. Anzi, se lo fosse sarebbe un bel
problema, per
me. Perché Light...-
E fermò il
cucchiaino,
mentre guardava la tazzina con occhi vuoi.
-Light è
il primo, vero,
caro amico che ho.-
Vi fu un attimo di
silenzio,
in cui rimbombò il suono di un colpo forte contro il legno
del
pavimento. Banks bofonchiò qualcosa, irritata, sollevando un
pesante
libro da terra, e uscì, mentre L beveva un sorso di
caffè come se
non avesse detto nulla.
Nathalie si chiuse la porta
alle spalle con un tonfo, seguita a poca distanza da Grumann, e poi
cominciò a camminare nervosamente in tondo, tentando di
sopprimere
la sua rabbia. Il suo secondino la guardava storto, ma non diceva
nulla: si era abituato ormai ai suoi scatti d'ira.
“Il primo,
vero, caro
amico”, eh?
Sapeva che L diceva
sul
serio, non stava mentendo per compromettere Light, o per testarlo. Lo
considerava davvero un amico. Il primo. Così Bjarne non era
abbastanza per lui, non era abbastanza intelligente, abbastanza
interessante, abbastanza stimolante per potersi considerare suo
amico? Considerando che stava mettendo a repentaglio la propria vita
per proteggere anche lui, assieme a tutti gli altri, considerando
tutto ciò che aveva fatto per lui, e il fatto che avesse
cercato di
proteggere da lei il suo unico lascito. È vero, c'erano
state
tensioni, tra loro tre. C'era anche un po' di gelosia, certo,
perché
era suo fratello, dopotutto. Ma davvero Light meritava di essere
considerato un vero amico più di quanto non lo fosse Bjarne?
Nathalie era furiosa.
Sperava che nessuno avesse dato peso o si fosse accorto che aveva
scaraventato quel librone a terra per la rabbia. Doveva calmarsi.
Doveva respirare a fondo, non pensarci, rientrare in quella stanza e
fare come se nulla fosse successo.
Poco dopo, Light
uscì dalla
stanza, mentre lei era seduta sul divanetto a catalogare assieme a
Grumann le possibili nuove vittime del secondo Kira, tra i criminali
che il primo non era riuscito a giustiziare, in ordine di
probabilità. Il ragazzo li salutò con un cenno
della mano. Nathalie
si alzò e andò da lui, lasciando le schede dei
criminali a Grumann.
-Passi molto tempo al
quartier generale, Light.- gli disse, aprendogli la porta di uscita.
-Non è salutare per un ragazzo della tua età
avere a che fare con
simili cose. Prenditi un pomeriggio o una sera per te, di tanto in
tanto.-
Il ragazzo
accennò ad un
sorriso, prese la maniglia della porta e poi disse:
-Non posso di certo
stare
tranquillo sapendo che mio padre è in prima linea a
rischiare la
vita per assicurare Kira alla giustizia.-
Alzò un
po' la voce per
salutare anche Grumann, e poi si richiuse la porta alle spalle.
Nathalie tornò da Grumann,
a braccia incrociate.
-Anche a me
piacerebbe
prendermi un pomeriggio o una serata libera.- disse l'uomo, ridendo.
-Ma, se anche non ci trovassimo qui, dovrei stare addosso a te. Sai
quant'è noioso?-
-Il sentimento
è
reciproco.- ribatté lei, riprendendo in mano la lista, senza
guardarlo in faccia.
Decisero allora di
tornare
dagli altri.
-Banks ha stilato una
lista
dei prossimi possibili obiettivi del secondo Kira in ordine di
probabilità.- esordì Grumann, aprendo la porta.
-È una
donna dannatamente
irritante.- aggiunse anche, con una risatina.
-Dobbiamo verificare
se il
secondo Kira può uccidere anche solo conoscendo
l'identikit.-
intervenne allora Nathalie.
-Ottimo.- disse L,
mentre
lei gli lasciava la lista sul tavolino da tè. -Anche se ti
vedo un
po' infastidita, oggi. Puoi andare a casa, se sei stanca.-
Nathalie si trattenne
dallo
sbuffare apertamente, e gli domandò cosa intendesse fare ora
che il
secondo Kira aveva inviato quello che diceva essere il suo ultimo
video.
-Per il momento
staremo a
vedere.- disse L, cominciando a leggere la lista dei criminali.
Passò circa un quarto
d'ora, prima che Grumann si accorgesse che L si era addormentato. Si
era avvicinato alla sua poltrona per chiedergli se aveva bisogno di
altro, o se se ne potevano andare a casa, dal momento che erano
giorni che si fermavano fino a tardi, e sembrava non ci fosse
nient'altro da fare. Lo vide stare accovacciato nella sua solita
posizione, con gli occhi chiusi e la bocca semiaperta. Si sentiva
Banks camminare nervosamente su e giù, nell'altra stanza,
mentre
parlava con gli altri agenti delle sue idee sulla psicologia del
secondo Kira. I suoi passi erano pesanti, la si sentiva anche con la
porta chiusa.
Ad un certo punto, L
strinse
gli occhi, e borbottò, in inglese:
-Kay, for
God's sake: stop it with those heels...-
Grumann si
lasciò andare ad
un mugolio di sorpresa, che svegliò L. Il giovane gli
rivolse
un'occhiata infastidita.
-Cosa c'è,
Grumann.-
domandò, con voce leggermente rauca. -Non fai il cane da
guardia di
Banks?-
L'uomo
sogghignò, e si
sbottonò uno dei due gemelli della giacca, premendolo
leggermente in
cima.
-Ti ho sentito
parlare nel
sonno. Ce l'avevi con “Kay”.-
-Ah.-
ribatté secco lui,
voltandosi verso la porta. -Dev'essere per il rumore dei tacchi.
Una... collega aveva una camminata molto nervosa, e faceva sempre un
gran baccano.-
Si
strofinò stancamente gli
occhi, borbottando: -Che risveglio spiacevole.-
Grumann si
alzò, scusandosi
per il disturbo, voltandosi di spalle perché L non lo
vedesse in
volto. Aveva un sorriso da un orecchio all'altro. Si stava annoiando
molto, troppo, ultimamente. Finalmente aveva l'occasione di
divertirsi un po', ora che Hayer avrebbe sicuramente ascoltato quel
breve pezzo di conversazione.
-Volevi chiedermi di
uscire
prima, stasera?- domandò L, stiracchiandosi.
-Oh, no.- fece
l'uomo,
andando verso la porta. -Credo che potremmo fermarci fino alle sette,
come avevamo già deciso.-
Ho deciso di riportare alcune scene
dell'anime, con la speranza di renderle il più possibile
indistinguibili, a livello di stile e di dialoghi, dal resto della
narrazione. Nella mia prima stesura avevo semplicemente fatto un
accenno a cosa succedeva in una data scena, per evitare di riportarla
per intero, non essendo scene di mia creazione; ho tuttavia pensato che
in questo modo avrei tolto parecchio alla narrazione, e ho voluto
prenderla come sfida personale: se fossi riuscita ad inserire tali
scene senza che si percepisse un distacco dal resto della narrazione,
avrebbe voluto dire che ero riuscita ad adattare il mio stile di
scrittura. Non ho idea se questo mio obiettivo sia stato o meno
raggiunto, motivo per cui lo domando a voi: cosa pensate delle scene
dell'anime? Credete sia meglio eliminarle o narrarle diversamente? La
differenza tra le scene riprese dall'anime e quelle da me inventate
è molto marcata?
Ancora una volta, ringrazio tutti coloro
che sono giunti fino a questo punto.
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Capitolo 6 *** Capitolo 5 - Esecuzione ***
-Amico...- ripeté Ryuk,
una volta che lui e Light furono per strada. -Ha detto
“amico”!
Sarai contento, Light, no?-
-Niente affatto.-
rispose il
ragazzo. -Ryuzaki ha capito subito che i due Kira si sono
già
incontrati. Devo sbrigarmi a farlo fuori.-
-Ah. Ecco.- fece
Ryuk,
deluso.
Il ragazzo stava
pensando
che sarebbe stato incredibilmente rischioso farsi vedere con Misa a
quel punto; ma non aveva ancora finito di formulare quel pensiero che
si sentì chiamare dalla vocina della ragazza. Fece appena in
tempo a
voltarsi, che lei gli si lanciò addosso a peso morto,
facendo finire
entrambi a terra.
-Stavo giusto venendo
a
trovarti!- esclamò lei, sovrastandolo. -Non ce l'avrei mai
fatta ad
aspettare due settimane!-
Ed emise un risolino
che
nelle intenzioni avrebbe dovuto renderla più carina e
infantile, ma
che non ebbe altro risultato se non far infuriare Light.
Il ragazzo
cercò di
trattenersi, ben conscio di quello che lo aspettava se provava a fare
del male a Misa. Rem era proprio dietro di lei, minacciosa ed
imponente.
Misa doveva essersi
accorta
di aver fatto innervosire il ragazzo, perché si
alzò in piedi
scusandosi.
-È che
volevo assolutamente
vederti...-
Anche Light si
tirò su,
sospirando.
-E va bene. Andiamo a
casa
mia.-
La ragazza
esultò, e così
si allontanarono insieme. Appena aperta la porta di casa si
ritrovarono davanti Sayu, la sorellina di Light, che accolse
entusiasta Misa, sventolando una delle copertine su cui la modella
appariva.
Salirono in camera, e Light
chiuse la porta. Già che Misa gli aveva fatto correre un bel
rischio, fermandolo per strada a quel modo, tanto valeva che
approfittasse della situazione per cercare di convincere Rem a far
fuori L, e magari anche Watari, Banks e Grumann. Dopotutto, alla
shinigami stava stranamente a cuore la ragazza, perciò era
convinto
di poterla convincere a fare ciò che voleva, promettendo in
cambio
il suo amore per Misa. Avrebbe potuto facilmente abbindolare Misa,
come quando l'aveva abbracciata pochi giorni prima. Un bacio forse
sarebbe bastato.
Tirò
quindi Misa a sé, e,
guardandola intensamente negli occhi, le disse:
-Rem vuole che tu sia
felice, no? Ma se L riuscisse a catturare uno di noi due, la nostra
felicità sarebbe seriamente minacciata.-
Ryuk rise alle loro
spalle.
-In effetti gli
shinigami
non possono rivelare il nome di una persona. Ma nulla, assolutamente
nulla vieta a Rem di uccidere qualcuno.-
-Giusto.- riprese
Light. -Se
Rem uccidesse L, non solo tu mi saresti ancora più cara, e
io sarei
più grato a Rem, ma nulla potrebbe più ostacolare
la nostra
felicità.-
Misa, con gli occhi
lucidi,
si voltò verso la shinigami, e, raccogliendo le mani in
gesto di
preghiera, disse:
-Rem, io voglio che
Light mi
ami. E ciò che più desidero al mondo,
è essere felice assieme a
lui.-
Passarono attimi di
silenzio, finché Light sospirò, e tolse la mano
dalla spalla di
Misa.
-Va bene.- disse
infine Rem.
-E sia, Light Yagami.
Tu non
mi piaci per niente, pertanto non rischio di morire, anche se
ciò
avrà l'effetto di prolungarti la vita. Ucciderò
io L per te. La sua
vita mi è del tutto indifferente.-
-Ah! Evviva! Evviva!-
esclamò Misa, correndo ad abbracciare la shinigami. -Grazie!
Sei
grande!-
Light invece era
rimasto al
proprio posto, immobile, con gli occhi sbarrati e un'espressione
stupita in volto.
“Quindi...”
pensò. “L
morirà... così facilmente?”
-Nathalie.- la chiamò L,
ad un certo punto. -Ah... scusami. Ti dispiace se ti chiamo
Nathalie?-
-Affatto, Ryuzaki-
rispose
lei, avvicinandosi. -Noi stiamo per andare. Hai bisogno di qualcosa?
C'è bisogno di aiuto?-
Il detective era in
piedi,
curvo con le spalle, e si sfregava il labbro inferiore col pollice.
-No, direi che per il
momento non sembrano esserci novità, per cui possiamo
cavarcela
anche da soli.-
Rivolse un'occhiata a
Grumann, che stava sistemando alcuni documenti, ma che sicuramente li
stava ascoltando. Si era pentito di aver risposto alla sua domanda su
K, anche se non doveva essere per nulla un'informazione che avrebbe
potuto rivelare qualcosa sulla sua identità. Poi
tornò a guardare
la donna davanti a sé. Era visibilmente stanca e provata,
anche se
tentava di nasconderlo.
-Potrei avere davvero
bisogno di te, nei prossimi giorni, perciò mi dispiace
chiedertelo,
ma ho bisogno che tu sia in forma per quello che verrà.-
Nathalie distolse lo
sguardo, e sospirò pesantemente, prima di rispondere.
-Mi auguro che
riusciremo a
chiudere in fretta questo caso.- disse, porgendogli la mano per
salutarlo.
Lui
abbassò lo sguardo
sulla mano, e poi lo alzò di nuovo suoi suoi occhi. Avrebbe
davvero
voluto aiutarla. Ma le indagini stavano per giungere ad una svolta, e
in quel momento non avrebbe potuto fare nulla per lei. Le strinse una
mano.
-È quello
che speriamo
tutti.-
In realtà
aveva mentito.
Nel momento in cui avesse scoperto l'identità del secondo
Kira,
avrebbe teso un agguato ai due. Avrebbe dato loro l'indirizzo e la
stanza di un falso hotel, e quando fossero stati disarmati e senza
cimici o ricetrasmittenti, avrebbe fatto arrestare Grumann, e avrebbe
tentato di scoprire dove si trovava la famiglia di Banks, per
metterli al sicuro. Era stato difficile svolgere delle ricerche, ma
alla fine era riuscito a scoprire che Banks risiedeva per lo
più a
Concord, nel New Hampshire, ma viaggiava due volte al mese verso
Santa Barbara, in California. Aveva già contattato alcuni
suoi
collaboratori, per condurre l'operazione. Era rischioso, certo, ma se
non avesse agito così, Grumann e i suoi uomini lo avrebbero
fatto
fuori non appena venuti a sapere l'identità del secondo Kira.
Dannata Banks. Se solo gli
avesse dato uno straccio di indizio, avrebbe potuto tentare di
toglierla prima da quella situazione. Pensava forse di poterne uscire
da sola? Se le cose fossero andate male, non avrebbe potuto
“disperarsi” più di tanto. L'unica cosa
che gli dava fastidio in
tutto quello, era che probabilmente l'aveva semplicemente presa in
antipatia perché gli ricordava lei. E se
non se n'era accorto
fino a quel giorno, era perché aveva tentato di relegare il
suo
ricordo nell'angolino più buio della sua memoria, da cui
emergeva
soltanto per infestare i suoi incubi. Non che avessero molto in
comune: lo stesso naso, forse, una vaga somiglianza nei lineamenti,
anche se Banks era sicuramente più vecchia, probabilmente
più
bassa, aveva un portamento militare, e, per quanto nervosa e
irritabile, non era un demonio uscito da una band grunge con gli
anfibi al posto delle converse.
In quel momento,
però,
arrivò Watari, col cellulare in mano.
-È Mogi.-
disse,
passandogli il telefono.
L se lo
portò all'orecchio,
tenendolo mollemente con la punta delle dita.
-Ryuzaki, mentre
Light
tornava a casa è stato fermato da un'altra ragazza.- disse
l'agente,
senza preamboli. -Si sono allontanati insieme, e sono andati a casa
sua!-
Le labbra di L si
piegarono
in un sorriso.
-Light l'ha chiamata
per
nome?- domandò, anche se sapeva già la risposta.
-No.- disse Mogi.
-Torno il
prima possibile al quartier generale per fare un identikit. Intanto
posso dirti che è alta circa un metro e mezzo, magra,
bionda,
dovrebbe avere non più di vent'anni, e porta i capelli con
la
frangetta, e due specie di codini alti, coi capelli lunghi fin sotto
le spalle.-
Bionda, frangetta, un
metro
e mezzo, due codini, eh?
L pensò
che era insolito
che una ragazza giapponese avesse i capelli biondi: la decolorazione
e la tinta erano dispendiose e portavano via molto tempo.
Generalmente, erano le idol ad avere dei capelli particolari. E si
dava il caso che, sfogliando riviste per ragazze per riuscire a
trovare indizi sul secondo Kira, avesse notato una modella che poteva
essere la ragazza vista da Mogi.
-Portava calze nere,
minigonna, cintura borchiata e giacca di pelle. È saltata
addosso a
Light, e ha detto che non ce l'avrebbe fatta ad aspettare due
settimane prima di vederlo.-
L sorrise di nuovo.
Ringraziò Mogi e lo invitò a raggiungere il prima
possibile il
quartier generale.
Banks avrebbe dovuto
aspettare. Quello che stava accadendo aveva la precedenza.
-Allora, quando
dovrei
ucciderlo?- domandò Rem a Light. -Quando? Se mi porti da
lui, io
posso anche ammazzarlo subito.-
-Prima è,
meglio è...-
rispose Light. -Domani stesso!-
Poi però
si fermò a
pensare. -Forse, però, sarebbe opportuno riflettere con
calma.-
Alzò lo
sguardo verso Rem.
-Stanotte
rifletterò con
calma su come ucciderlo, e domattina ti farò sapere.-
-D'accordo.-
-Ascoltami bene.-
insistette
il ragazzo. -Non dovrai ucciderlo finché non te lo
dirò io. In
nessun caso, chiaro?-
-Non preoccuparti,
hai la
mia parola.- rispose Rem, con voce ferma. -Almeno per quanto riguarda
L.-
-Misa...- riprese
allora
Light, volgendosi verso la ragazza. -Ora tu mi darai il tuo numero di
cellulare, d'accordo?-
-Ce ne hai messo di
tempo a
chiedermelo!- lo rimproverò lei. -Anch'io voglio il tuo!-
-No, mi dispiace, ma
il mio
non posso dartelo.-
-Ma come!-
urlò allora
Misa. -Che razza di fidanzati saremo allora, eh?-
Light
tentò di mantenere la
calma.
-Ricordi? Ti ho
già detto
che la polizia mi tiene d'occhio. Non lo sai che al giorno d'oggi
possono intercettare le conversazioni dei cellulari?-
Misa sembrava delusa,
ma poi
sembrò avere un'idea, e si mise a rovistare nella borsetta
fino a
tirare fuori un cellulare dai tasti rosa. Gli disse che era uno dei
suoi tre cellulari, e che poteva prenderlo.
-Mi sembra una buona
idea.-
le disse Light, accennando ad un sorriso. -Se il telefono è
tuo non
credi ci siano problemi.-
-Che bello!-
squittì Misa.
-Faremo i piccioncini tutti i giorni e ci manderemo tanti
messaggini!-
-No.- disse Light,
mettendosi il telefono in tasca. -Io lo terrò spento, lo
accenderò
soltanto per telefonare, e sarò soltanto io a chiamarti,
quando lo
riterrò necessario.-
-Oh... Ma come?- fece
Misa,
delusa. -E allora... quando mi telefonerai?- domandò con le
lacrime
agli occhi.
-Ti
chiamerò domani. Lo
farò comunque, indipendentemente se l'esecuzione di L
avrà luogo
oppure no.
-Aaaah! Domani!-
ripeté
entusiasta Misa. -L'argomento non è dei più
romantici, ma dopo
nulla ci vieterà di scambiarci qualche parolina dolce.-
-Allora a domani.- la
salutò
Light, senza troppo sentimento. -Adesso è meglio se torni a
casa.-
-Cosa? Ma sono
soltanto le
sette!- insistette lei. -Guarda che per i fidanzati il bello viene
adesso! Potremmo uscire, magari andare a mangiare qualcosa insieme, e
poi finalmente il piatto forte, uaaaaooo...-
Light si
avvicinò e la
chiamò per nome, sfiorandole il braccio. Poi la
baciò. Quando si
staccò da lei le vide il volto illuminato, arrossito, con
gli occhi
sognanti.
-Fai la brava.-
-Pare che tu e Ryuzaki
riusciate ad intendervi benissimo.- disse Grumann, rivolgendole un
sorriso inquietante, non appena le porte dell'ascensore dell'hotel in
cui alloggiavano si furono chiuse. -Hayer alla fine me l'ha detto.
Che avete lavorato insieme per due anni, prima della tua...
dipartita.-
Nathalie
incrociò le
braccia e cercò di ignorarlo. Si chiedeva perché
Hayer avesse
condiviso un'informazione simile con un pesce piccolo come Grumann.
-Ho notate che vi
capite
anche quando non parlate. Il che immagino sia normale per te, ma lui?
Gli hai fatto capire che sei un mio ostaggio, vero?-
-Tsk.- fece Nathalie.
-Tutta
la faccenda è stata sospettosa fin dall'inizio. Soprattutto
perché
te non eri all'altezza del compito. Non è certo colpa mia se
ha
avuto sospetti su di noi dal momento stesso in cui ci siamo
presentati. Ma, dal momento che ha deciso di far partecipare alle
indagini Light Yagami, il suo unico sospettato di essere Kira, non mi
stupisce lo abbia permesso anche a noi.-
Gli rivolse poi
un'occhiata
gelida.
-Immagino non sia
nemmeno
nuovo a gente che tenta di spiarlo per poi rivendere a caro prezzo le
informazioni raccolte. Dopotutto, è già successo
una volta, no? E
grazie ad uno dei vostri uomini, tra l'altro. Quindi non mi sono
fatta troppe domande nemmeno per questo. E, per quanto riguarda il
fatto che io sia un tuo ostaggio, dubito gli importi qualcosa.
Sicuramente mi crede una criminale, anche se non ai tuoi livelli,
perciò non gli interessa sicuramente aiutarmi ad uscirne. E
Hayer
senza dubbio lo sapeva, motivo per cui non gli importava che mi
vedesse in faccia.-
Si
appoggiò quindi alla
parete dell'ascensore.
-L non si fa problemi
a
farsi aiutare da criminali, se il caso è così
complesso da
richiedere soluzioni estreme per risolverlo. Perché lui
è fatto
così. Userebbe qualsiasi mezzo per giungere ad incriminare
il
colpevole, e sembra che i metodi non convenzionali siano i suoi
preferiti. E Hayer sapeva anche questo. Perciò non mi
stupisce che
sia arrivato a rischiare una contro-indagine da parte di L ai suoi
danni, pur di arrivargli così vicino.-
Incrociò
le lunghe gambe, e
rivolse lo sguardo altrove.
-Il vostro obiettivo
è
uccidere L, non è così? Uccidere me, lui e
Watari, di modo che le
mie prove non vengano usate da loro contro di voi. E continuate ad
aspettare perché volete essere certi
dell'identità di entrambi i
Kira, e avete bisogno di L per farlo. Chissà quanto hanno
offerto ad
Hayer perché consegnasse loro la testa di L e il nome di
Kira,
magari qualche folle che pensa di poter piegare Kira al suo volere
per sbarazzarsi di polizia e oppositori. Tutte le grandi
organizzazioni criminali del mondo sanno che è solo
questione di
tempo, prima che Kira riesca ad accedere ai file della polizia e
cominci a farli fuori senza che vengano arrestati. Ma non avete
tenuto in considerazione una cosa.-
E così
dicendo si voltò, e
fulminò con lo sguardo il suo compagno.
-Non dovete soltanto
preoccuparvi del fatto che L sicuramente si aspettava tutto
ciò dal
primo momento che abbiamo varcato quella soglia. Ma avete minacciato
la vita dei miei amici e della mia famiglia, o quel che ne è
rimasto, visto che non siete ancora riusciti ad ammazzarci tutti. Per
cui, fossi in voi, mi ritirerei finché siete in tempo.-
-Tutte osservazioni
sensate.- disse l'uomo, annuendo, ed estraendo la pistola dalla
fondina. -Potresti quasi avermi messo paura. Ma non è
che...- e si
avvicinò alla donna, usando la canna per accarezzarla sulla
guancia.
-... sei così sicura che ne uscirete tutti illesi
perché sei
riuscita a comunicare a L la tua identità?-
Nathalie gli
lanciò uno
sguardo carico d'odio. -Se così fosse...- gli disse, con una
voce
tagliente come un vento artico -... probabilmente mi avrebbe
già
messo le mani al collo in un raptus. Poi ti avrebbe sbattuto in
galera e gettato la chiave. E tutta la Hogson Society sarebbe stata
smantellata prima del mio risveglio dal probabile coma.-
Non aveva ancora
finito di
parlare, che si mosse in modo rapido e deciso, con la mano destra
afferrò la canna della pistola e le fece fare un giro in
senso
antiorario, mentre col braccio sinistro bloccava l'avambraccio di
Grumann e gli assestava una ginocchiata allo stomaco. Gli torse il
polso e lo disarmò. Estrasse il caricatore e si
rovesciò i
proiettili sul palmo della mano, per poi buttare la pistola addosso
all'uomo, piegato in due.
-Voglio solo
risolvere
questo caso.- gli disse, rimettendolo in piedi. Grumann era paonazzo
di rabbia, ma sapeva di non poter reagire. Hayer gli aveva fatto
chiaramente capire che Banks era un elemento troppo importante
perché
le venisse torto un capello. Mentre lui, beh... poteva facilmente
essere rimpiazzato. Com'erano stati rimpiazzati i due agenti della
scorta di Banks.
-Se risolvo questo
caso
facendo la brava bambina, Hayer mi concederà più
libertà. Ha
promesso che libererà Bjarne, ma so che non lo
farà. Ma allenterà
un po' il cappio, quello sì.- continuò Nathalie,
sistemandogli la
camicia e la giacca. -Pensi davvero che manderei tutto quanto a
puttane in un momento simile?-
Le porte dell'ascensore si
aprirono. Nathalie infilò le pallottole nella tasca dei
pantaloni di
Grumann. -Io me ne vado.- sentenziò.
Si infilò
nella sua stanza,
chiuse a chiave la porta a tripla mandata, e vi spostò
davanti un
pesante cassettone. Abbastanza inutile, ma le avrebbe fatto
guadagnare un po' di tempo.
Non andava bene. Non
andava
affatto bene. Hayer doveva aver affrettato i tempi, o Grumann doveva
avergli denunciato qualcosa, perché quella era una
dichiarazione di
guerra. Accese il cellulare col cuore in gola. Un messaggio di un'ora
e mezzo prima, da parte di Hayer.
-Banks, penso sia
meglio se
ti sbrighi a tornare a casa, perché potrebbe esserci un
messaggio
del tuo caro Bjarne per te.-
Merda! Cos'era
successo?
Cosa aveva raccontato Grumann? Dove aveva sbagliato? Cosa avevano
fatto a Bjarne!
Corse verso il
telefono, e
vide la spia della segreteria telefonica accesa.
L aveva inviato una mail
sul cellulare di Mogi, con in allegato la foto di una rivista di
moda, chiedendo se la ragazza in copertina corrispondesse a quella
con cui Light Yagami era tornato a casa. Mogi confermò.
-Molto bene.- disse
L,
intingendo una fragola della sua macedonia nella panna. -Watari.-
chiamò -Scopri dove soggiorna Misa Amane e fammi avere un
mandato di
perquisizione. Poi avverti i laboratori che presto avremo bisogno di
un test del DNA.-
Misa se n'era appena
andata, e Light tornò in camera a sedersi alla sua
scrivania.
Mancava ancora parecchio al notiziario delle nove, e aveva un po' di
nomi di criminali da fare fuori, prima che cominciasse. Kira doveva
continuare a giustiziare i criminali, non importava quando Light
fosse impegnato con il quartier generale, o avrebbe destato sospetti.
-Con quel bacio
improvviso
mi hai lasciato proprio di stucco.- disse Ryuk, chiudendo le tende.
-Devo fare in modo
che perda
completamente la testa per me.-
Aveva acceso la luce
sulla
scrivania, ma non aveva ancora tirato fuori il Death Note.
-Ma adesso devo
pensare se
uccidere L domani oppure no. Se lui morisse in questo momento, prima
di essersi mostrato in pubblico, dovrei prepararmi ad essere
più
sospettato di quanto non sia già ora.-
-Capisco...- fece
Ryuk,
sedutosi sul suo letto. -E dire che credevo che esitassi ad ucciderli
perché vi eravate dichiarati a vicenda la vostra amicizia.-
-Amicizia?-
ripeté Light,
in tono vagamente sarcastico. -Gli ho soltanto dato un po' di corda.
Mi sembra di averti detto fin dall'inizio che se mi avesse offerto la
sua amicizia, io non mi sarei tirato indietro. Apparentemente Ryuga
è
amico di Light Yagami, ma L è nemico di Kira.-
Proprio
così” pensò. “L
è mio nemico. E dato che Ryuga si è presentato
dicendo di essere L,
devo ucciderlo. Se lo facessi morire in un incidente, quasi nessuno
sospetterebbe di me. Ma se anche fosse... non ci sarebbe uno straccio
di prova. Adesso, però, devo pensare a come comportarmi dopo
la sua
morte. A questo punto è una scommessa. Domani
sarà la fine per L. O
per Ryuzaki. O per Ryuga.-
La donna si precipitò al
telefono. La spia della segreteria stava lampeggiando. C'era un solo
messaggio. “Signorina Banks.”
Nathalie riconobbe la
voce
di Medina, il cugino di Bjarne. Una delle poche persone a sapere che
non era morta! La situazione doveva essere gravissima, se era stato
lui stesso a chiamare.
“Sono
l'avvocato del
signor Hartford. Mi richiami al più presto su questo
numero”.
Avvocato? Si
presentava come
avvocato? Cosa gli avevano fatto? Si poteva risolvere? Ma
soprattutto, come avrebbe fatto a richiamare, dal momento che tutti i
suoi telefoni, ovunque andasse, erano attivi soltanto per le chiamate
in entrata?
Sentì un
brivido correrle
lungo la schiena. Che quel sadico di Hayer avesse deciso di farli
fuori, ma volesse godersi lo spettacolo di lei che si disperava?
Si voltò
verso una delle
telecamere che erano state piazzate al suo arrivo, e fece il dito
medio, mentre premeva il tasto per richiamare il numero.
Non finì
nemmeno il primo
squillo, e una voce maschile rispose. Era Medina.
-Christopher!-
urlò lei,
sul punto di perdere il controllo. Poi tentò di controllarsi.
-Quant'è
grave la
situazione? Lui...-
-È vivo.-
rispose
l'avvocato. -Ma siamo in caserma. Hanno fatto irruzione poco dopo la
mezzanotte nel suo bar, e l'hanno arrestato con l'accusa di pedofilia
e pedopornografia.-
-Cosa?!-
urlò lei. -Ma che
storia è questa?! Che razza di accuse sono andati ad
inventarsi?-
Poi, d'un tratto,
capì.
-Chris...-
domandò allora,
con voce tremante. -In qualche modo c'entra qualche giapponese, non
è
così?-
Dall'altro capo del
telefono
sentì un sospiro.
-Senti, è
riuscito a
malapena a far chiamare me. Sono corso subito, ma non mi hanno ancora
fatto parlare con lui. Non mi hanno nemmeno detto i dettagli, ma a
quando pare un ragazzino che ha avuto come studente di surf, l'ha
denunciato di stupro.-
Nathalie non sapeva
se
sperare che l'intenzione di Hayer fosse “solo”
quella di rovinare
per sempre la vita a Bjarne, infamandolo e mettendolo alla gogna. Ma
una notizia del genere non avrebbe probabilmente varcato i confini
americani. Perciò, considerando quanto poco ci avrebbe messo
lei a
tornare da L per raccontargli tutto, doveva per forza esserci
qualcosa che a Medina non avevano detto, o che Medina le stava
nascondendo, che avrebbe fatto sì che la notizia sarebbe
stata
trasmessa in Giappone. Quella sera stessa.
-Ti giuro che
è tutto
quello che so.- insistette Medina, come se le avesse letto nel
pensiero.
Lei guardò
l'ora. Erano le
20:04. Meno di un'ora di tempo prima del notiziario serale.
Calcolò
che se l'avevano avvertita a quel modo, significava che Hayer voleva
divertirsi a guardarla disperarsi, finché non fosse giunta
l'ora.
Significava anche che il motivo per cui Dale e Barnes erano andati
via subito dopo aver scaricato lei e Grumann davanti all'hotel, era
per tornare da L, e fare fuori anche lui. Grumann non era rientrato
nella propria stanza, quella accanto alla sua, perché non
aveva
sentito la porta aprirsi e chiudersi. Perciò la stavano
lasciando
libera. Libera di tentare il tutto per tutto per salvare gli ostaggi,
e fallire miseramente. Probabilmente, anche Roger era in pericolo, e
così lo stesso Medina. Magari era stato arrestato anche lui,
e non
glielo voleva dire. Magari quella era l'unica chiamata che gli era
stata concessa, e aveva deciso di chiamare lei, immaginando che anche
Burton fosse in pericolo.
-Chris. Hanno preso
anche
te?-
-Non ancora.- disse
lui,
teso. -Immagino che se ci arrestassero tutti allo stesso tempo,
sarebbe sospetto.-
-Allora cerca di
convincerli
a farti parlare con Bjarne. E dammi il tuo numero.-
Gli diede poche e brevi
istruzioni, e chiuse la chiamata. 20:06. Doveva decidere se salvare
il quartier generale giapponese, se salvare Bjarne, se mettere in
salvo Roger e Medina o rischiare di rivelare a Harvey la combinazione
della cassetta di sicurezza con le prove contro Hayer.
-November
8th,
1997, by the river, under
the cherry tree.-
si disse, per calmarsi.
Aveva un borsone
già pronto
per le emergenze, per il giorno in cui sarebbe finalmente fuggita
dalla Hogson Society. Lo afferrò con violenza, vi
buttò dentro le
due pistole con cui girava di solito, e corse a svuotare la
cassaforte, mentre pensava. Non sarebbe arrivata in tempo da L, ci
volevano almeno tre quarti d'ora in taxi fino al quartier generale di
quel giorno. E poi aveva bisogno di un telefono, anzi, più
telefoni,
e un computer. Tolse le scarpe col tacco e le lanciò con
forza verso
una delle telecamere che aveva alle spalle, e corse verso l'entrata
per infilarsi i suoi vecchi anfibi. Aveva provato inutilmente a
premere il pulsante sulla cintura che Watari aveva dato loro in
dotazione, ma Grumann doveva averla manomessa. Che idiota!
Aprì poi
la porta-finestra
sul balcone. Aveva studiato un piano di fuga, ovviamente. La stanza
d'albergo era stata volutamente presa all'ultimo piano, per impedirle
di buttarsi di sotto per scappare. I balconi avevano le telecamere,
per cui non poteva calarsi. L'unica opzione che le rimaneva era
arrampicarsi sul cornicione ad un metro e mezzo sopra la sua testa, e
camminare intorno all'edificio. C'era un palazzo pieno di uffici,
giusto dietro il suo hotel, da cui avrebbe voluto dirigere le
operazioni. Era abbastanza certa che Grumann non si sarebbe trovato
lì. Doveva arrivare fino ad un vicolo alla sinistra
dell'entrata
dell'hotel, e lei in quel momento si trovava sul lato destro. Una
volta camminato lungo le tre facciate, si sarebbe ritrovata nel
vicolo largo due metri, perciò avrebbe dovuto tentare il
tutto per
tutto in un salto: il palazzo di fianco era più basso,
perciò, se
ce l'avesse fatta, sarebbe atterrata sul tetto. Da lì,
sarebbe
potuta correre in direzione opposta rispetto all'entrata del suo
hotel, e calarsi giù dalla grondaia.
Ci sarebbero voluti
quindici minuti, per fare quel percorso senza ammazzarsi.
Calcolò
che non poteva mettercene più di dieci.
Intanto aveva
già spinto
uno dei mobili, che aveva preventivamente spostato vicino alla
portafinestra a quello scopo, sul balcone, e vi era salita. Si mise
il borsone a tracolla e sospirò. Saltò e si
aggrappò al
cornicione, poi fece forza coi piedi per tirarsi su. Riuscì
ad
issarsi, ma poi decise di gattonare almeno fino all'angolo, di modo
da passare più inosservata. Il borsone era pesante, e le
ballava
minaccioso sulla schiena, ma K sapeva che non avrebbe dovuto mollare.
Nathalie sarebbe
morta
quella sera. Uccisa da Hayer. Come aveva già ucciso Kendra e
Stephanie. Sarebbe stata uccisa per tre volte dallo stesso uomo, ma
si giurò che quella sarebbe stata l'ultima.
Si fece forza per non
scivolare sulle cacche di piccione, quando si alzò in piedi
per
percorrere la facciata laterale dell'hotel. Avrebbe dovuto farsi dare
un telefono, avrebbe chiamato Watari, per avvertirlo del pericolo, e
perché facesse sì che L desse l'ordine di
interrompere il
notiziario. Poi avrebbe chiamato Harvey e Roger, per monitorare la
situazione, mettere in salvo il bambino e dare l'ordine che le prove
fossero inviate alla Wammy's House.
Girò di
nuovo l'angolo. 3
minuti. 20:12. Ci stava mettendo troppo. Avrebbe avuto bisogno di
almeno 5 telefoni e un computer. Guardò giù:
c'erano delle macchine
parcheggiate, ma non sembrava nessuno la stesse tenendo sotto tiro.
Sentì salire un senso di vertigine, ma alzò lo
sguardo verso
l'alto, e continuò ad andare avanti.
Girò di
nuovo l'angolo.
20:14. Non aveva tempo per raggiungere il punto che aveva calcolato
per il salto. Tentò di mantenere l'equilibrio, mentre si
sfilava la
tracolla e la lanciava con forza sul tetto dell'edificio dall'altra
parte del vicolo. Atterrò, senza problemi, ma K non poteva
fare a
meno di notare quanto sembrassero immensi due metri, ora che doveva
saltare. Represse la tentazione di chiudere gli occhi, prese un
profondo respiro e si diede lo slancio con le gambe.
“Per
fortuna ero brava
negli sport” pensò, allungando una gamba oltre il
cornicione,
atterrando malamente sul piede, piegandosi e rotolando di fianco per
attutire la caduta.
20:15.
Riprese la tracolla e
corse
ignorando il dolore alla caviglia, fino alla fine del tetto. La
grondaia le pareva ora molto più precaria di quanto
ricordasse.
Prese una corda, la legò alla base della ringhiera d'acciaio
che
delimitava il tetto e se la passò sotto le ascelle, prima di
far
cadere l'eccesso giù, lungo il muro. Scavalcò la
ringhiera,
tenendosi saldamente alla corda con la mano destra; poi tirò
fuori
una sciarpa, e la fece passare tramite doppio giro dietro il tubo
della grondaia con la sinistra. Poi, si arrotolò una delle
estremità
intorno al polso sinistro, poi si aggrappò con quella mano
alla
corda e si arrotolò la sciarpa attorno al polso destro.
Infine
guardò verso l'alto, e pensò che sarebbe stato
bello avere qualcuno
da pregare. Si lasciò cadere per due metri, scivolando lungo
la
grondaia, legata per le braccia alla ringhiera sul tetto, e rimanendo
vicina al muro grazie alla sciarpa che passava dietro la grondaia.
Poi puntò i piedi appena passò con l'ombelico su
uno dei punti in
cui il tubo era fissato al muro tramite fascette. Si
aggrappò con
una mano alle fascette di ferro, fece passare la sciarpa di sotto,
prese di nuovo un profondo respiro, e si lasciò di nuovo
scivolare
giù. Per altre tre volte.
Atterrò sul piede ancora
buono, anche se questo le fece perdere l'equilibrio, e
tagliò la
corda, che le aveva ferito le ascelle.
20:21.
Si voltò.
Gli uffici erano
davanti a lei. Esibì il distintivo dell'FBI alle segretarie
all'entrata, zoppicando, ansimando, coi vestiti rotti.
-Sono un agente
federale.
Lavoro al caso Kira. Un testimone innocente sta per essere esposto al
notiziario come criminale e giustiziato, ma si tratta di una
montatura. Qualcuno di sta servendo di Kira per uccidere personaggi
scomodi facendoli arrestare con false accuse.- disse tutto d'un fiato
al primo signore distinto che le si parò davanti.
-Ho bisogno di
requisire un
ufficio che abbia diversi telefoni e ho bisogno che rendiate le
chiamate non rintracciabili. Grazie per la vostra collaborazione.-
Arrivò il
direttore,
trafelato, e la fece accomodare nel suo ufficio. 20:27.
K prese uno dei
telefoni e
compose il numero di Watari. Si sentì gelare il sangue: non
squillava! Se anche erano in riunione, com'era possibile che il suo
telefono rimanesse spento? A meno che... Grumann non avesse manomesso
anche quello. E se era così, significava che aveva messo
fuori uso
anche i cellulari di tutti gli altri agenti.
Contemporaneamente
aveva
anche composto il numero che le aveva dato Medina, e anche quello di
Roger, quello del telefono su cui lo chiamava ogni mese. Ma negli
Stati Uniti erano ormai passate le tre di notte, chissà se
avrebbe
risposto!
-Kendra.- rispose
Medina.
-Sono riuscito a parlare con Bjarne. È qui.-
La donna
sentì dei rumori
in sottofondo, e alla fine, la voce di Bjarne.
-Kendra, mi
dispiace.-
esordì, con appena un leggero tremolio della voce.
-Stupido!- lo
rimproverò
lei, componendo anche il numero della Wammy's House, mentre con
l'altra mano cercava su internet i numeri delle stazioni televisive e
degli uffici dei piani alti della polizia. Aizawa avrebbe potuto
aiutarla, lui aveva conoscenze sia alla TV che al dipartimento di
polizia, ma era in riunione, e a quanto pare erano tutti
irraggiungibili quella sera.
-Cosa dici che ti
dispiace?
Sei in questo casino per colpa mia! Perché non ti ho mandato
via
quando era il momento!-
Al telefono in linea con la
Wammy's House, rispose una donna che non conosceva, e chiese
urgentemente di farsi passare il signor Harvey. Le rispose che non
c'era, che si era preso qualche giorno di ferie. K insistette per
farsi dare un recapito telefonico, mentre cercava di scrivere una
mail da mandare al quartier generale di L.
-Bjarne, devi sapere
che non
ho molto tempo, ma sto facendo del mio meglio.-
Poi si rivolse alla
signora
al telefono, dicendo: -Matricola K-768706S. Watari, L e Nate River
sono in pericolo. La Hogson Society for Veteran Reintegration mi ha
tenuta in ostaggio fino ad oggi, e ora vuole farci fuori
contemporaneamente. Contattate Roger Burton. Dietro tutto questo
c'è
il colonnello Edmund William Hayer.-
Lasciò
andare la cornetta.
20:39. Non c'era
più tempo.
-Kendra, moriranno
davvero
tutti gli altri?- domandò Bjarne, con voce roca.
-No!- urlò
lei, mentre
ricomponeva il numero di Roger e dava l'ordine ad alcune segretarie
accorse ad aiutarla di chiamare tutti i componenti del quartier
generale.
-Sarebbe troppo
stupido e
pericoloso. Non ci uccideranno tutti insieme, e questo
costerà loro
caro.- ringhiò.
-Ma soprattutto,
dovresti
pensare soltanto a te, è la tua vita che sto cercando di
salvare,
ora, perché tu sei l'unico che si sia buttato in questa cosa
senza
avere la benché minima rete di salvataggio.-
Si fermò
per riprendere
fiato.
-Sono grata a tutti
quelli
che mi hanno voluto aiutare, ma tutti avevano una qualche garanzia di
potersi salvare. Tu no. Per questo sto lottando per te.-
Il giovane uomo sentiva
Kendra lavorare febbrilmente, provando a chiamare i direttori dei
notiziari per fermare le trasmissioni e fallire, provare a contattare
il capo dell'Interpol e sentirsi dire che non avrebbe fatto una cosa
simile nemmeno se gliel'avesse chiesto L in persona. La
sentì
accendere la televisione e fare zapping per controllare l'inizio dei
notiziari. E nonostante sapesse che era in preda al panico quanto
lui, si mostrava forte, sicura, lucida. E si rese conto che non
l'avrebbe mai più rivista. Che tutti quegli anni passati al
suo
fianco a sostenerla stavano per giungere al termine. Pensò a
tutte
le cose a cui aveva rinunciato per starle vicino, e a tutto quello a
cui lei aveva dovuto rinunciare per tenerlo al sicuro. Era certo che
non fosse colpa sua se l'avevano mandato al patibolo. Era qualcosa
che doveva succedere, prima o poi. Aveva sempre sospettato che
sarebbe stata libera solo quando lui non ci fosse più stato.
A quel
punto, per quei criminali non ci sarebbe stato più nulla da
fare. La
giustizia avrebbe trionfato. Kendra avrebbe diffuso le prove raccolte
in quegli anni, L avrebbe saputo la verità e Nate sarebbe
stato
libero.
Richiamò la sua
attenzione.
-Sto provando a
mettermi in
contatto con Harvey, ma non risponde! Ho anche lasciato un messaggio
ad ognuno degli agenti del quartier generale, ma la riunione non
finirà prima di un'ora e mezza e noi abbiamo solo dodici
minuti!
Cosa dice il tuo avvocato?-
-Calmati, per
favore.- le
disse Bjarne, col tono di voce più pacato che
riuscì a tirare
fuori. -Non servirà. So che non c'è nulla che
possa salvarmi, a
questo punto.-
-Non dire
così!- urlò
Kendra. -Non ti azzardare!- Un braccio le cadde molle lungo il corpo.
-Se solo avessi immaginato le intenzioni di Grumann... Ma come
potevo? Avrei dovuto tenere il cellulare acceso e ricevere la
chiamata di Hayer. Avrei potuto avvertire immediatamente L, avrei
avuto più tempo...-
-Hayer sapeva che
saresti
stata in riunione col telefono spento.- le disse Bjarne. -Ti ha
chiamata in quel momento solo per farti venire dei sensi di colpa e
farti perdere la lucidità. Non devi cedere!-
-Se solo riuscissi a
contattare L...- disse Kendra, esausta. -Riceve le mail soltanto da
indirizzi da lui autorizzati, ma l'account associato a Nathalie Banks
è sotto il controllo della Hogson, ed è
già stato disattivato. Ho
provato a creare cinque indirizzi nuovi, ma non so se i messaggi
arriveranno a Watari. Ho scritto come oggetto “Kira
ucciderà
Bjarne”. Se dovessero vedere questi messaggi, interverranno.
Non
permetterebbe mai che tu venga ucciso.-
-Kendra... ti
prego...- la
supplicò Bjarne. -Mancano dieci minuti. È tutto
inutile, non puoi
salvarmi.-
-Non è tutto perduto!-
ringhiò lei.
Finalmente, uno dei
telefoni
squillò. Era Roger.
-Kendra, per l'amor
del
cielo, dimmi che stai bene, ti prego!- disse l'uomo, affannato.
-Roger, hanno preso
Bjarne!-
gli disse lei, quasi in preda alla disperazione. -Devi lasciare il
Paese prima che prendano anche te!-
Ci fu un attimo di
silenzio,
prima che l'uomo rispondesse.
-Kendra, pensa a
Bjarne,
ora. Io mi farò inserire nel programma di protezione
testimoni e
prenderò quelle maledette carte. Mi sono preparato per tutti
questi
anni a questo momento, ma tu ora vedi di fermare quei figli di
puttana prima che torcano un capello a Bjarne!-
La giovane
lasciò la
cornetta con la chiamata di Roger in corso, e contemporaneamente
pigiò il tasto di richiamata sul telefono in linea col
numero che le
avevano dato di Harvey.
Nessuna risposta da
parte
del quartier generale di L.
20:54.
-Kendra...- la
chiamò di
nuovo Bjarne. -Ti prego. Resta con me.-
Soprirò, e
la giovane sentì
un tremolio nella sua voce.
-Per favore. So che
stai
cercando di fare il possibile, ma... ho paura.-
Lei rimase in
silenzio per
un istante, poi rispose.
-Fammi tentare il
tutto per
tutto.-
Compose il numero di
casa
Yagami. Se fosse riuscita a distrarre Kira durante i notiziari,
avrebbe guadagnato tempo!
Rispose la madre.
-Salve, sono una
compagna di
università di Yagami...- iniziò Kendra, facendo
la voce più
cordiale che le riuscisse in giapponese. -Avrei urgente bisogno di
parlargli per un progetto che dobbiamo consegnare domani.-
-Oh...- fece la
madre. -Mi
spiace, ma credo che stia studiando, vuoi che ti faccia richiamare?-
-Ma signora,
probabilmente
sta studiando per il progetto che dovevamo fare!- insistette Kendra
-Ma l'ho già terminato io, quindi non c'è bisogno
che lui studi. La
prego, lo vada a chiamare, mi spiacerebbe se facesse del lavoro extra
totalmente inutile...-
-Va bene, in questo
caso
proverò a chiamarlo...- disse la madre. K sentì i
suoi passi
allontanarsi, ma il rumore si confondeva con quello del battito del
suo cuore, che rimbombava nelle trombe d'Eustachio. Intanto, alla TV,
un presentatore stava annunciando l'imminente inizio del notiziario.
-Kendra...- la
chiamò
ancora Bjarne, con la voce tremante. -Voglio che tu capisca che non
dovrai mai sentirti in colpa...-
-No!- urlò
di rimando lei,
coprendo la cornetta del telefono fisso con una mano. -Non mi
arrendo!-
-... Voglio che tu
riprenda
a fare una vita normale... che consegni quei bastardi alla
giustizia... che dica tutta la verità a L e che torni da
Nate...-
K lo sentì
prendere fiato.
-Voglio che viviate
tutti
una vita felice, perché ve la siete guadagnata.-
Vi fu un singhiozzo, e poi
entrambi rimasero in silenzio. La notizia straordinaria dell'arresto
di Bjarne Hartford, trentaquattro anni, americano, accusato di
stupro, pedofilia e pedopornografia, apparve sullo schermo
accompagnata dalla foto segnaletica. Uno studente giapponese in
vacanza in California dichiarava di essere stato avvicinato durante
le lezioni di surf, convinto a posare per foto porno sotto la
minaccia di violenze, che si erano concluse col suo stupro. La
polizia giapponese e quella americana avevano lavorato per mesi al
caso, prima di riuscire a raccogliere tutte le prove che
incriminavano definitivamente il mostro di Santa Barbara.
Venne mostrata la
foto
segnaletica.
-No...-
sussurrò Kendra. La
madre di Light era di sopra? Ma se anche l'avesse distratto al
momento del notiziario, una notizia del genere sarebbe rimbalzata per
tutti i media in tempo zero. Non c'era modo di riuscire a fermarla.
E, a quel punto, fece
una
cosa che non avrebbe mai pensato avrebbe potuto fare in quel momento.
Fece partire un cronometro sullo schermo del computer.
-Giurami che non ti
sentirai
mai in colpa per questo.- la implorò Bjarne.
-Non posso farlo.-
disse K,
che non riusciva a distogliere lo guardo dalla foto segnaletica. La
signora Yagami non tornava.
8... 9...
-È
finita.- disse Bjarne.
-Dimmi almeno addio.-
-Non mi hanno dato la
possibilità di sdebitarmi per tutto quello che hai fatto per
me in
questi anni. La pagheranno per questo.-
Il suo sguardo era
fisso.
22... 23...
-Sappi che non mi
pento di
nulla.- riprese Bjarne. -Ti prego di credermi. Ti ho voluto bene per
davvero.-
-Bjarne...-
30... 31...
A malincuore, si
dissero
addio. 39... 40... Bjarne gemette. Si sentì un tonfo. Uno
scalpiccio
diffuso e grida. 41. Kendra fermò il cronometro. Una lacrima
le
scese sulla guancia. L'uomo più importante della sua vita
era
sparito per sempre.
Passò poco e tornò la
signora Yagami al telefono.
-Scusami per
l'attesa... Si
chiude sempre in camera, ultimamente. Comunque, Light ha detto che
l'unico progetto che deve consegnare è per la settimana
prossima.
Sicura di non aver sbagliato data?-
-Ah...- rispose
Kendra,
tentando di moderare il tremolio della voce. -Vuol dire che ho
terminato il lavoro in anticipo.- Pausa. -Yagami cosa stava facendo?-
-Mmm guardava la
televisione, ha detto che si voleva distrarre un po' prima di
continuare a studiare.-
-Bene.- Gli occhi le
si
illuminarono sotto le lenti verdi. -Allora gli dica ancora questo.
Che la mia ricerca sugli Shinigami è completa. Non
c'è bisogno che
lui faccia altro. Sarebbe così gentile da farlo?-
-Ma certo.- rispose
la madre
-E grazie per averlo avvertito!-
“Non
c'è di che...”
pensò Kendra. “Mi sembra corretto fargli sapere
che siamo in
guerra. Passerà forse molto tempo prima che possa vedere
Hayer
dietro le sbarre, ma se posso far saltare qualche testa subito, le
prime che voglio sono quelle di Grumann e di Kira.”
Note
Siamo giunti alla
scontatissima morte di Bjarne. Tuttavia, non è lui l'oggetto
di questa nota.
Volevo avere una vostra opinione sulla
parte della fuga di K dall'hotel, che è stata inserita
soltanto nella terza stesura (quella corrente). La trovate
inverosimile? Esagerata? È incomprensibile? Non ha senso?
Ho avuto molti dubbi nello scrivere e
nel rileggere questa scena, ma al momento ho deciso di renderla
pubblica e chiedere consigli, aziché eliminarla a priori
perché la trovavo poco convincente.
Ringrazio ancora tutti coloro siano
giunti fino a questo punto. Non odiatemi troppo per aver ucciso Bjarne.
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Capitolo 7 *** Capitolo 6 - "I promised you not to die" ***
Light aveva aspettato che
la madre fosse abbastanza lontana per sbattere con violenza un pugno
sul tavolo.
-Merda!-
esclamò.
Ryuk non condivideva
la sua
preoccupazione. Era più che altro curioso. -Vorrei tanto
sapere come
ha fatto Banks a scoprire l'esistenza degli shinigami. - rise.
-Chiudi il becco,
Ruyk!- gli
urlò contro Light. Non era possibile che avesse provato
l'esistenza
degli Shinigami. E anche se così fosse stato, senza il Death
Note
non poteva provare niente. Niente! Magari era tutto un bluff.
Escogitato da L per farlo andare fuori di testa. Per fargli fare
qualcosa di avventato. Come provare ad uccidere Banks. E il suo era
un nome falso, Ryuk gliel'aveva confermato. Come avrebbe fatto? E se
invece Banks stesse agendo per conto suo? Se volesse a rivelare L
indizi preziosi che l'avrebbero incastrato?
Pensò che l'unica
soluzione sarebbe stata sbarazzarsi di entrambi il prima possibile.
Sarebbe stato rischioso, ma non vedeva altra via d'uscita. Doveva
costringere L ad uscire allo scoperto, così che Misa potesse
vederne
il nome con gli occhi dello shinigami. Se fosse riuscito a far fuori
L, nessuno avrebbe prestato ascolto alle parole di Banks. L era
convinto della sua colpevolezza, certo, ma non aveva prove. Lui,
Light, aveva un alibi inattaccabile grazie ai video della
sorveglianza. Morto il grande detective nessuno avrebbe prestato
ascolto ad una svitata che blatera di dei della morte. Si decise
infine a far uccidere L da Rem il giorno seguente. A quel punto,
sarebbe stato libero. Doveva solo fare in modo che Misa non fosse
sospettata, o Rem lo avrebbe ucciso.
Cercò di calmarsi. Si
risistemò i capelli e raccolse le matite che aveva fatto
cadere
dalla scrivania quando le aveva tirato un pugno. Aveva ancora un
vantaggio notevole sugli avversari. Ne era sicuro.
-Stando
a quello che dice Mogi...- disse L, guardando in faccia ognuno dei
poliziotti presenti. -La modella conosciuta come Misa Amane ha
avvicinato Light Yagami, stasera, dimostrando di conoscerlo. Ci ho
messo un po' per avere un riscontro dalle telecamere di sicurezza di
Tokyo, ma, a quanto pare, Misa Amane si è recata da Light
Yagami la
sera stessa dell'ultimo annuncio della polizia al secondo Kira, pochi
minuti dopo la fine del notiziario.-
L
notò che Soichiro si stava trattenendo a stento, era
visibilmente
impallidito, e le sue labbra fremevano, ma avvertiva dell'aperta
ostilità anche da parte degli altri agenti.
-Ovviamente
potrebbe trattarsi di semplici coincidenze, ma... se così
non fosse,
significherebbe che il pesce ha abboccato all'amo.-
Prese
in mano il telecomando e lo puntò verso i televisori.
-Ho
chiesto un mandato di perquisizione per l'appartamento di Misa Amane,
ma non potremo andarci prima di domattina. L'analisi delle buste ha
rivelato tracce di capelli, da cui abbiamo estratto il DNA,
perciò
il riscontro della scientifica non dovrebbe farsi attendere.-
Fissò
gli occhi su Soichiro.
-Se
le tracce di DNA sulle buste e quelle che cercheremo di trovare
nell'appartamento di Misa Amane non dovessero coincidere... i miei
sospetti su Light Yagami cadranno, e lo solleverò
immediatamente
Mogi o chiunque altro dal sorvegliarlo. In via definitiva.-
Poi
si voltò di nuovo verso i televisori.
-Per
cui, questa sera vi chiedo nuovamente di rimanere a lavorare qui.
Voglio che esaminiamo insieme i filmati della sorveglianza ad Aoyama
per trovare tracce di Misa Amane, anche se ho il sospetto che, se lei
è il secondo Kira, si sia travestita. E, inoltre, ho
recuperato
altri video delle telecamere sparse per Tokyo, soprattutto delle
stazioni, per controllare se Amane abbia preso il treno per spedire
le buste, dal momento che i timbri postali sono di posti diversi tra
loro.-
Si
alzò, suo malgrado, sentendo tutto il dolore alla schiena e
alle
ginocchia, e andò a versarsi del caffè.
-Questa
sera ci concentreremo solo su questo. Watari ci avvertirà,
nel caso
dovessero esserci novità.-
K non si sarebbe concessa
nemmeno un istante per il lutto. Quei bastardi non avevano ancora
finito con lei, perciò non si sarebbe potuta fermare,
nemmeno in
quel momento. Al quartier generale dovevano essere ancora ignari di
tutto, o forse erano già stati presi tutti in ostaggio. Non
c'era
tempo da perdere; se non riusciva a contattare il quartier generale,
sarebbe dovuta andarci di persona. Sapeva che Dale, Barnes e Grumann
l'avevano volutamente lasciata agire indisturbata, che probabilmente
la stavano aspettando al varco. Ma quali alternative c'erano?
Ringraziò
il direttore e le
segretarie, ancora sgomenti per tutto ciò che era successo
in quei
pochi minuti, e uscì per sicurezza dal retro, tentando di
camminare
ritta e non perdere la concentrazione. Eppure, per quanto il dolore
alla caviglia, alle ginocchia, alle mani, ai polsi, alle braccia e
alle ascelle fosse quasi insignificante, si sentiva come se ad ogni
passo dovesse perdere l'equilibrio. Bjarne era morto, e lei non era
stata accanto a lui in quel momento. Non l'aveva confortato quando
aveva avuto paura, aveva fallito su tutta la linea. E ora erano tutti
in pericolo, a causa della sua arroganza e della sua sicurezza di
poter risolvere da sola il caso.
Il direttore, al
sapere che
lavorava per L al caso Kira (ebbene sì, non si era
preoccupata di
nascondere troppo la sua condizione, decisa com'era a far valere la
propria autorità per ottenere l'aiuto che le serviva), le
aveva
fatto avere un cellulare. Si chiamava Yamato; K decise che non
avrebbe mai scordato il nome di quello sconosciuto che le aveva messo
paternalmente una mano sulla spalla, quando la voce di Bjarne si era
strozzata, e dopo vi era stato il silenzio. Perciò ora
possedeva
soltanto i documenti falsi della Hogson, che le avrebbero impedito di
lasciare il Paese, un cellulare e una carta di credito, l'unica di
cui Hayer non era a conoscenza.
Immaginava che presto
si
sarebbe scatenato il panico al quartier generale, appena fosse finita
la riunione e gli agenti avessero ascoltato i messaggi in segreteria.
Sempre che fossero ancora tutti vivi. Aveva detto loro che aveva le
prove che qualcuno si stava servendo di Kira per uccidere persone
innocenti, mandandole in prigione con false accuse e poi ai
notiziari. In ogni caso, ad attenderla ci sarebbe stato Grumann, non
c'erano dubbi. Doveva ragionare con calma. La priorità era
fare in
modo che tutte le prove che aveva raccolto contro la Hosgon in quegli
anni arrivassero alle persone giuste. D'accordo con Roger, aveva
fatto diverse copie delle prove su disco, oltre a quelle custodite
nella cassetta di sicurezza sotto il suo controllo. C'erano
ventisette copie delle prove. Due le portava sempre con sé,
in due
dischetti. C'erano poi tre copie cartacee e le restanti ventidue
erano su disco, assieme a diversi nastri di registrazioni. Le
ventidue copie erano custodite in diverse banche estere sparse per il
mondo, e sarebbero state consegnate al signor Quillish Wammy,
onorevole fondatore degli orfanotrofi in cui era stata accolta, nel
caso Bjarne Hartford fosse morto. Il testamento in cui venivano
definiti i dettagli della transazione era stato fatto in presenza
dell'avvocato Christohper Medina, e una copia era custodita nella
cassetta di sicurezza sotto il controllo di Burton.
Doveva correre al
quartier
generale; non dubitava del fatto che Watari sarebbe stato
perfettamente in grado di difendersi dagli uomini di Hayer:
dopotutto, non avevano idea del fatto che fosse uno straordinario
cecchino, ma non si sarebbe mai potuta perdonare se qualcuno di loro
fosse rimasto ferito in un'imboscata. In quel momento, era tutto in
mano a Watari: se si fosse accorto che Grumann e i suoi uomini erano
tornati all'albergo, li avrebbe rispediti nell'inferno da cui erano
usciti. E magari poi avrebbe fatto in modo che Medina e Burton
scappassero dagli Stati Uniti. Cercava di aggrapparsi a quella
speranza, mentre studiava un piano per introdursi al quartier
generale senza che i mercenari la riempissero di piombo.
Stava a poco a poco
recuperando lucidità. Decise che muovendosi in taxi ci
avrebbe messo
troppo tempo, a quell'ora della sera; ritirò del contante, e
cominciò a correre verso l'entrata della metro. Era
rischioso, dal
momento che ci sarebbe stata una sola uscita, e avrebbero potuto
attenderla senza sforzo lì, ma decise che valeva la pena
rischiare,
se questo l'avrebbe portata più in fretta da L.
Hayer accolse con un
sorriso stanco la conferma della morte di Bjarne Hartford. Sentiva le
spalle e il petto come liberate da un macigno che lo aveva oppresso
per anni. Non sarebbero più stati prigionieri di quella
spina nel
fianco di un'agente investigativo. Respirò a pieni polmoni
l'aria
fresca della notte, fuori dalla finestra del suo ufficio. Era ancora
buio, ma le stelle cominciavano a spegnersi nel cielo.
Aveva inviato una
squadra di
professionisti, poco numerosa ma molto efficiente; Dale e Barnes
erano i suoi agenti migliori: li aveva assegnati a Banks col solo
scopo di prendere il controllo quando fosse giunto il momento. Alcune
ore prima, aveva ricevuto in trasmissione diretta con Grumann le
parole di L: “ Una... collega aveva una camminata
molto
nervosa”. Era probabile che non ci avrebbe messo
molto, a quel
punto, a rendersi conto della vera identità della donna che
aveva
assunto. Ma ciò non aveva fatto altro se non anticipare di
poco
l'operazione: Hayer era già deciso ad agire il
più presto
possibile.
Ritornò
alla propria
scrivania, e bevve un sorso del suo caffè bollente. Poi si
diresse
verso il guardaroba, per il suo consueto rito scaramantico:
tirò
fuori la giacca della sua uniforme militare, e si mise ad accarezzare
coi polpastrelli delle mani spesse i gradi così
faticosamente
sudati. Poi la girò, e la alzò in alto, di fronte
a sé. La appese
sull'anta del guardaroba, per poi alitare dolcemente sulla sua
medaglia al valore, e pulirla delicatamente con un panno. Quella
medaglia era per lui la cosa più importante al mondo: era
stato solo
per difenderla dall'onta e dal fango che gli avrebbero gettato
addosso i pacifisti, se aveva accettato l'invito di due imprenditori
dai molti soldi, ma con poche idee, di fondare quella
società
fantoccio. Portava mal volentieri il completo elegante da uomo
d'affari: Hayer era e rimaneva un soldato, un combattente.
Perciò
aveva seguito personalmente tutta la faccenda della Burton, come
voleva essere chiamata; lei aveva un animo di fuoco, era una
combattente, e quella contro di lei e contro la sua rete di
controllo, o meglio, contro la sua rete di sicurezza, era stata una
battaglia stimolante come quando era in Vietnam.
Lei era pronta a
morire
senza battere ciglio, come un vietcong, pur di vederlo marcire in
galera. Era una cosa che apprezzava di lei. Mentre tutti i suoi
uomini erano rimasti sbigottiti nel vederla puntarsi la lametta alla
giugulare, quando si era rifiutata di rivelare l'identità di
Eraldo
Coil anche con Hartford minacciato di morte, lui aveva emesso un
fischio di approvazione. Quella ragazzina aveva una volontà
incrollabile, ed era stata in grado di adattarsi perfettamente per
sopravvivere: aveva smesso coi suoi scatti d'ira, era diventata
più
lucida, controllata, fredda. Una statua di ghiaccio col fuoco negli
occhi. Si era divertito a tentare di piegarla, solo per vederla
ribellarsi in modo sicuro ma distaccato. Un'avversaria onorevole, si
ripeté.
Eppure, non avrebbe mai
potuto farla vincere. Ne andava della sua medaglia, e del suo onore
di soldato. Dirigere mercenari in operazioni sotto copertura nei
paesi dell'Africa sconvolti dalla guerra civile era un ottimo
passatempo da pensionati, sicuramente molto meglio rispetto al
vendere armi ai governi dittatoriali in cambio dei loro diamanti,
però non era quella la sua vita; la sua vera vita era finita
nel
giorno in cui era stato contattato dalla Casa Bianca e il suo
fascicolo era stato riaperto. Qualcuno aveva parlato. Gli stolti lo
avevano accusato di aver sacrificato la sua intera unità,
mandandoli
a morire in un attacco suicida, per liberare il colonnello Steiner,
suo diretto superiore.
-Lei è una
vergogna per
l'intera nazione, signore.- gli avevano detto in
modo
sprezzante, rifiutando di riconoscergli il grado che si era
guadagnato a costo di un così grande sacrificio.
La guerra era guerra,
e
l'allora colonnello Steiner era un elemento assolutamente
insostituibile per il loro reggimento. I dannati musi gialli lo
sapevano, per questo, anziché ucciderlo, lo avevano
catturato e
tenuto in ostaggio, nella speranza di far fuori tutti gli americani
che avessero tentato di liberarlo. Perciò, Hayer aveva
dovuto
prendere una decisione difficile, di cui non si era mai pentito: i
suoi uomini non erano morti con onore, erano solo dei codardi che non
meritavano di sopravvivere al posto dei bravi soldati che
combattevano spinti da un ideale. Perciò aveva raggruppato
quella
squadra, e li aveva mandati a fare da esca. Ignari di tutto, erano
morti probabilmente prima di rendersene conto, e allora Hayer aveva
avuto la via libera per condurre gli altri a salvare il loro
colonnello.
Quella medaglia, che
aveva
tenuto a suo grande rischio e pericolo, restituendo al capo
dell'esercito americano una sua copia perfetta, rappresentava tutto
ciò in cui credeva, e se doveva sporcarsi le mani facendo
fuori
qualche testimone pur di mantenere la propria posizione, l'avrebbe
fatto. Alla Hogson tutti lo chiamavano “Colonnello
Hayer”, ed era
suo compito guidare le truppe mercenarie in Africa. La guerra era
guerra: senza guerra non ci sono soldati, e senza soldati una nazione
viene sopraffatta. La guerra era necessaria per eliminare tutta la
feccia dal mondo, per creare un mondo dove non ci sarebbero
più
stati 11 settembre, e i soldati servivano per dare alle persone la
sicurezza che qualcuno vegliava su di loro. E così l'America
si
sarebbe innalzata su ogni altro Paese come un faro di luce e di
democrazia di un mondo ideale.
La Hogson non gli piaceva,
ma lì, al di là degli intrighi di potere, poteva
essere ciò che
era sempre stato: un soldato. Non aveva mai voluto immischiarsi nei
traffici illegali della Hogson, soprattutto dopo quella volta che era
stato scoperto da quel professore, il padre di Banks. Era stato
davvero un pivello in quell'occasione. Ma, a parte questo, alla
Hogson aveva i suoi soldati, e tutti rispettavano i suoi gradi.
Tranne Banks. Banks si ostinava a chiamarlo
“Hayer”, metteva in
dubbio non la sua autorità, ma il suo diritto a definirsi un
soldato. Avere a che fare con una pacifista come lei, addirittura
contraria alla pena di morte, era stata un'enorme seccatura per lui;
ma poteva annoverare tra le sue vittorie quella di essere riuscito a
piegarla, a colpirla, a torturarla psicologicamente quel tanto che
era bastato a farle imbracciare un'arma. Aveva avuto l'addestramento
base alle armi quando era entrata in polizia, ma lui ne aveva fatto
un soldato. Senza obbligarla, senza nemmeno chiederlo. Il peso della
sua prigionia e la tensione per le continue aggressioni e gli
sporadici tentativi di stupro, l'avevano fatta alzare nel cuore della
notte, e raggiungere, in silenzio, la struttura per l'allenamento dei
mercenari. Di giorno osservava i soldati che si allenavano, e di
notte andava a farlo lei stessa. Finché, circa otto mesi
dopo che
aveva partorito, Hayer fu chiamato a notte fonda, allertato dagli
spari provenienti dal poligono di tiro. Banks aveva ripreso in mano
la sua pistola da poliziotto. Non era passato molto tempo, che ne
aveva prese altre due. Aveva cominciato ad addestrarsi coi mercenari,
riuscendo quasi sempre a prevalere grazie ai suoi riflessi. Aveva
cominciato a camminare come un militare, a mettere su muscoli, a
diventare silenziosa, guardinga, sempre all'erta. La ragazzina che
avevano tenuto sotto sorveglianza per settimane, quella allegra,
sfacciata, provocatrice, energica ed esuberante, era lentamente morta
in quella struttura. Soltanto quando tornava da Bjarne, sembrava che
non fosse cambiato poi granché. Ma ora lui gliel'aveva
portato via.
I suoi uomini avevano l'ordine non uccidere Banks: sarebbe tornata da
loro, le avrebbero impedito di suicidarsi, e Hayer avrebbe finalmente
visto il fuoco spegnersi lentamente dai suoi occhi.
Watari rimise a posto la
cornetta del telefono con un gesto lento e sofferto. In sottofondo,
le notizie al telegiornale erano finite, e stava per cominciare il
meteo. Avevano isolato il quartier generale, non c'erano dubbi. E
avevano anche fatto un discreto lavoro, perché,
anziché tagliare i
fili del telefono e provocare un black-out, come qualunque criminale
da quattro soldi, erano riusciti a deviare tutte le chiamate rivolte
all'hotel in cui si trovava L, di modo che, accortosi del fatto che
né al computer né al telefono riceveva alcuna
risposta, il vecchio
non aveva potuto contattare chi si trovava lì nemmeno
chiamando la
reception, o il direttore dell'albergo. Calcolò che dal
luogo in cui
si trovava ci avrebbe messo circa venti minuti in macchina a
raggiungere l'hotel, ma forse sarebbe stato meglio piazzarsi nel
palazzo di fronte per poter colpire a distanza chiunque tentasse di
irrompere nel quartier generale.
Alla fine, non era
riuscito
a fare nulla per Bjarne. Nonostante la sua influenza e i suoi sforzi,
nonostante avesse preparato quell'operazione per mesi, avevano
colpito in modi e tempi che non aveva calcolato. Appena aveva visto
la foto segnaletica di Hartford in televisione, aveva capito che per
lui non ci sarebbe stato più nulla da fare. Aveva ricevuto
solo un
paio di minuti prima una delle email inviategli da K, e non c'era
stato tempo per fare nulla: il quartier generale non rispondeva, e
agli studi televisivi l'avevano messo in attesa. Ora non aveva idea
di dove fosse, né cosa stesse facendo K, ma era certo che
sarebbe
andata al quartier generale per affrontare i suoi carcerieri.
Più
realisticamente, per farsi finalmente ammazzare.
L'unica cosa che
aveva
potuto fare in quei pochi minuti, era stato chiamare Burton, col
numero che K gli aveva allegato alla mail: un gesto rischioso, ma
doveva essere stata realmente disperata, in quel momento. Burton
gliel'aveva confermato: Bjarne era morto, e ovviamente l'avvocato
Medina, che a quanto pareva era ugualmente a conoscenza di tutta la
faccenda, era stato trattenuto dalla polizia perché si
trovava
insieme al ragazzo, all'ora del decesso. Andò in fretta a
prendere
la valigia col suo M40, e cominciò un rapido giro di
telefonate,
mentre scendeva a prendere la macchina. Doveva mettere al sicuro
Burton e Medina, e solo dopo avrebbero pensato alle prove. Ma doveva
sbrigarsi, o non sarebbe rimasto nessuno a poter chiudere il caso o
che potesse vendicare tutte quelle morti.
K era uscita dalla metro
senza vedere nessuna persona sospetta sulle sue tracce, e si mise
immediatamente a correre per le vie che conducevano all'hotel. In
metro aveva sentito su di sé sguardi curiosi e insistenti, e
solo
allora si era resa conto del suo aspetto terribile: pantaloni e
giacca sporchi e strappati, capelli arruffati, il borsone da sfollata
ai suoi piedi. Arrivata in vista dell'edificio, rallentò,
per
valutare il da farsi. Sapeva che Grumann sarebbe stato lì e
che Dale
e Barnes avrebbero pattugliato il perimetro per impedirle di
introdursi. Non escludeva la possibilità che Hayer avesse
inviato
altri uomini nei giorni precedenti, e che fossero tutti pronti a
colpire in quel momento. Ai cellulari non rispondeva ancora nessuno,
sempre dando per scontato che non fossero già stati presi
come
ostaggi. L'unica sua possibilità era cercare di introdursi
nel
parcheggio nascosta in un camion di rifornimenti o qualcosa di
simile. Ma di sicuro ci sarebbe stato qualcuno a sorvegliare le scale
e l'ascensore.
Provò di
nuovo a chiamare
il numero di Soichiro Yagami. Finalmente squillava!
-Il signor Yagami
è in
riunione.- rispose la voce di Grumann, divertita. Kendra si
sentì
gelare il sangue, e, un attimo dopo, avvampare in modo
incontrollabile.
-Banks? Oh, che
piacere
sentirti!- riprese l'uomo, fintamente sorpreso. -O meglio, sentire
finalmente che te ne stai zitta.- rise.
-Cosa ci fai al
quartier
generale, Grumann.- chiese con voce inespressiva, per guadagnare
tempo, mentre cercava di scorgere rumori di fondo che le
permettessero di capire in quale parte dell'hotel si trovasse.
-Domanda troppo
stupida per
una persona intelligente quanto te.- rispose Grumann, continuando a
ridere, ma tenendo un tono di voce basso.
-Mi sono proposto di
fare
sorveglianza mentre gli altri erano in riunione, cosa credevi?
Così
ho impedito che tu riuscissi a contattarli.-
Mentiva. Watari non
gli
avrebbe mai affidato la sicurezza, sapeva che era il suo carceriere.
Ma, se aveva risposto dal cellulare di Yagami, molto probabilmente
era riuscito ad introdursi nella camera il tempo sufficiente per
requisire tutti i telefoni che venivano lasciati nel guardaroba, e
cancellare i messaggi dalle segreterie telefoniche. Era anche
probabile che li avessero isolati, sia coi cellulari che coi
computer.
-So che vorresti
tanto
vedere L per farti aiutare a vendicare il tuo amato Bjarne...-
continuò l'uomo. -E oggi mi sento generoso. Hai un quarto
d'ora per
consegnarti, poi comincerò a sparare su tutte le persone che
si
trovano in questa stanza, a cominciare da L.-
Stava bluffando. K sapeva
che Hayer voleva L vivo, per venderlo a chi avrebbe pagato di
più
per la sua testa. Voleva vivi entrambi, per potersi divertire. Era
questa l'unica speranza che era rimasta alla giovane: approfittare
della loro sicurezza.
L'uomo parve intuire
cosa
stesse pensando, perché disse:
-Pensi sia un bluff,
non è
così?-
Ma non le diede il
tempo di
rispondere. -Hayer mi vuole già morto.- continuò,
tranquillo.
-Vedi, mi stavo annoiando a seguire questo caso. Non sono un
investigatore, ero un morto che cammina, almeno per la Yakuza. Ho
solo colto l'occasione, è bastata una piccola registrazione,
e il
colonnello ha dato il via all'operazione.-
K intanto stava
continuando
a perlustrare il perimetro dell'hotel, nascosta, per tentare di
capire come introdursi.
-Tuttavia, so
perfettamente
che il colonnello mi vuole far fuori non appena la questione
sarà
chiusa. So troppo sul caso Kira, e potrei vendere informazioni,
soprattutto per quanto riguarda gli agenti dell'FBI uccisi da lui.
Come quell'altro tuo amichetto, Penber.-
L'entrata sembrava
libera.
Non era una trappola, nessuno sarebbe stato così stupido da
cascarci, se lo fosse stata, perciò l'unica spiegazione
plausibile è
che stessero aspettando che entrasse.
-Perciò
vedi...- continuava
Grumann, in tono divertito. -Probabilmente speravi di riuscire a
cavartela, visto che il colonnello ha dato ordine di non uccidere te
e L... Ma io non sono d'accordo sul modo in cui dovrebbe essere
gestito questo caso. Dale e Barnes sono appostati lì fuori,
e
aspettano che arrivi Watari o la polizia per respingerli.-
Perciò
Watari non si
trovava con loro! K avrebbe voluto tirare un sospiro di sollievo.
Watari era molto più pericoloso da lontano che da vicino.
-Io dovrei fare solo
in modo
che qui dentro nessuno sospetti di nulla, perché non
attivino le
cinture.-
Quindi si trovava con
ogni
probabilità davanti alla stanza del quartier generale! Ci
avrebbe
messo troppo tempo a salire le scale: avrebbe per forza dovuto
prendere l'ascensore.
-Il piano
è che tu venga
fatta salire, in modo da potervi prendere in ostaggio tutti insieme.-
riprese Grumann. -I rinforzi stanno arrivando. Se nessuno di voi
farà
storie, non verrà torto voi un capello... Per il momento.-
Poi
scoppiò a ridere.
-Ma questo
è il loro
piano. Ovviamente, una volta trasferiti tutti lontani da occhi
indiscreti, abbiamo pronto tutto l'occorrente per simulare un arresto
cardiaco a tutti quelli della polizia giapponese, mentre tu, L e
Watari sarete mandati dal colonnello. Ah, e ovviamente io sarei
incluso tra le persone da fare fuori. E vedi, non è che mi
vada
molto a genio questa cosa. Perciò ho pensato che, visto che
devo
crepare, tanto vale portarmi dietro quante più persone
possibili.-
K sgranò
gli occhi e,
dimentica di ogni precauzione, quasi urlò, in preda al
panico:
-Hai davvero
intenzione di
ammazzare gli agenti?-
Sentì
l'uomo ridere di
nuovo, dall'altra parte del telefono.
-Il quarto d'ora ha
già
iniziato a scorrere. Hai meno di dodici minuti.-
K chiuse la chiamata e
ricominciò a correre. Ormai non importava che dovesse morire
quella
sera per mano di un bastardo come Grumann. Se poteva impedire che
qualcun altro ci rimettesse la pelle a causa delle sue indagini,
l'avrebbe fatto. Ma aveva già corso per un pezzo, ed era in
tensione
da più di due ore; il cuore non ce la faceva più
a starle dietro, e
sentiva i polmoni bruciare. Le gambe le tremavano non appena si
fermava, e ormai non riusciva a non zoppicare.
Entrata nella hall,
cercò
invano con lo sguardo qualche concièrge da avvertire del
pericolo,
ma ovviamente trovò tutto deserto. Finalmente si
buttò
nell'ascensore. Non ce l'avrebbe fatta a salire le scale. Pensava che
presto sarebbe tutto finito, e non avrebbe avuto un'altra occasione
per provare a redimersi per tutto il male che aveva causato. Si
trascinò fino allo specchio dell'ascensore e
provò a togliersi le
lenti a contatto. Si sarebbe presentata col suo vero volto; non
importava cosa L avrebbe pensato: di sicuro avrebbe capito. E avrebbe
agito di conseguenza. Ma l'ascensore si fermò al quarto
piano,
mentre lei tentava di non far tremare le dita nell'infilarle
nell'occhio, e si aprirono le porte: Grumann era lì in piedi
che la
aspettava.
-Era ora, Banks.-
La afferrò
per un braccio.
-C'erano tre persone che dovevi proteggere: una te l'ho già
portata
via; una non la toccherò, perché sono comunque un
uomo d'onore e i
bambini non si toccano; e l'altra ora te la ammazzerò
davanti agli
occhi. Giusto per godermi la tua faccia, prima che vengano a fare un
buco nella testa ad entrambi.-
-Non oserai!-
urlò lei, con
tutto il fiato che le era rimasto, e gli si avventò contro,
puntando
a schiacciargli i testicoli. Ma Grumann le assestò un colpo
in testa
col calcio della pistola, anche se non troppo forte da farle perdere
i sensi, e poi la colpì alla trachea in modo violento.
Riuscì a trascinarla per
il colletto della camicia di nuovo dentro l'ascensore, dove prese a
tirarle violenti calci allo stomaco. Quando si aprirono nuovamente le
porte dell'ascensore, la prese per il collo e la rimise in piedi,
facendola arrancare fino alla stanza adibita a quartier generale.
Aprì la porta della stanza in cui si trovavano gli agenti, e
L con
un calcio. Si voltarono tutti sbigottiti.
-Ops!- fece Grumann,
ridendo. -Spero di non aver interrotto nulla di importante.-
Spinse K a terra
davanti a
sé, nel silenzio generale, poi alzò la pistola.
-Che nessuno provi a
toccare
quella dannata cintura.- ordinò, continuando a sorridere.
-Mani in
alto e bene in vista, o la vostra amichetta muore per prima. A meno
che non siate dei gentiluomini, perché in quel caso, come si
dice,
“Prima le signore”!-
K tentò di
alzare il volto,
ma Grumann le ricacciò la testa per terra. Allora
provò a parlare,
ma le venne da tossire. Il cuore batteva talmente forte che le
sembrava di non riuscire a respirare. Girò la testa di lato,
appena
in tempo per vedere Grumann sollevare due pistole: una era la sua,
l'altra l'aveva presa a lei dopo averla tramortita. Le aveva anche
tolto le altre pistole appena l'aveva trascinata fuori
dall'ascensore. La caviglia era gonfiata, e non riusciva a muoverla;
sembrava che il petto le stesse andando a fuoco; un qualsiasi
movimento le provocava fitte dolorose all'addome e alle ascelle, e
non c'era una sola parte in tutto il corpo che non le facesse male.
Le arrivava troppo poco sangue al cervello perché riuscisse
a
ragionare, ma riusciva comunque a darsi della stupida per non aver
sparato a Grumann appena si erano aperte le porte dell'ascensore. Era
di schiena, era stata colta di sorpresa.
-Che cosa vuoi da noi,
Grumann?- chiese il sovrintendente Yagami, cercando di piazzarsi di
fronte a K.
-Da voi? Ma nulla!
Non
crediate di essere così importanti...- iniziò a
ridere
sguaiatamente. -Tra poco arriverà qualcuno a farmi la festa,
e
pensavo che sarebbe stato un peccato andarmene all'inferno da solo,
quindi perché non portami qualcuno per farmi compagnia?-
Alzò la
pistola e la puntò contro L.
“No.”
In questi casi si
dice che
le persone raccolgano tutte le proprie forze per compiere un ultimo,
eroico atto. Ebbene, K non ne aveva il tempo. L'adrenalina le
bastò
appena per riuscire a rimettersi sulle sue gambe, e scaraventarsi a
peso morto contro Grumann, per tiragli una testata allo stomaco.
Partì il colpo. Dalla sua
stessa pistola. Il sangue schizzò sul tappeto e sul divano.
K
sentiva ancora il rimbombo nella testa, e il corpo bruciare, mentre
si accasciava a terra. Yagami, Aizawa e Mogi si buttarono addosso a
Grumann per disarmarlo, mentre Matsuda si gettò verso di lei
e tentò
di comprimerle la ferita. Il proiettile l'aveva colpita alla spalla,
ma l'adrenalina e l'iperventilazione le stavano pompando il sangue ad
una velocità esagerata. L, che fino a quel momento era
rimasto
immobile ed in silenzio, si piegò verso la giovane donna,
che
tentava disperatamente di chiamarlo col braccio ancora funzionante.
Aveva paura. K glielo leggeva negli occhi grigi sbarrati. Il
detective si sporse verso di lei, e raccolse la pistola che era
caduta a Grumann, alzandola in modo impreciso ed esitante verso il
criminale, che sbraitava in inglese contro i tre agenti, che lo
avevano disarmato e immobilizzato con la faccia a terra.
-L...- disse lei,
cercando
di normalizzare il respiro, e grugnendo dal dolore. Lui non doveva
prendere in mano la pistola. Non di nuovo. Non poteva sopportare di
vederlo di nuovo con un'arma in mano
-Va tutto bene,
Banks...- le
disse il giovane, alzando la maglietta bianca e mostrando la cintura
di Watari, stretta all'inverosimile per fargli stare su quei jeans
sformati. -Polizia e ambulanze sono già state allertata, e
così
anche Watari. Ho premuto il pulsante appena ti sei lanciata contro
Grumann. Ora non agitarti, stai perdendo molto sangue.-
K scosse la testa.
-No...
No...- Sentiva che stava per perdere i sensi.
Sentirono un rumore di
porte sbattute, ed entrarono Dale e Barnes, probabilmente allertati
dallo sparo e dalle urla. Videro Grumann a terra e gli spararono alla
testa, senza esitazione, nonostante Mogi, Yagami e Aizawa fossero
esattamente lì, a tenerlo immobile. Aizawa li
aggredì verbalmente,
Yagami indietreggiò e Mogi recuperò l'altra
pistola, per poi
puntarla loro addosso. I due americani dissero in inglese che
dovevano portare via la signorina Banks, perché c'era il
pericolo
che qualcun altro tentasse di ucciderla. Si stavano avvicinando,
senza abbassare le armi, verso il centro della stanza.
In quel momento, si
sentì
un rumore di vetri rotti, seguito da quello del metallo contro il
metallo, e Barnes fece cadere a terra la pistola. Stesso rumore, e
anche la pistola di Dale cadde a terra. Watari ce l'aveva fatta: era
arrivato in tempo
-Non credo che sarete
voi a
portarla via.- riconobbero la sua voce distorta al megafono,
provenire da fuori dalla finestra, ormai in frantumi. Si accesero
anche diversi fari, tutti puntati su quella stanza, e il rumore di
elicotteri e sirene della polizia, fino ad allora smorzati dal vetro.
-Abbiamo preso i
vostri
complici.- continuò la voce camuffata di Watari. -Non avete
più vie
di scampo. Gettate le armi e uscite dalla porta principale con le
mani alzate.-
Gli spari avevano
allertato
anche la sicurezza dell'hotel, che giunse armata di pistola,
intimando ai due uomini di gettare le armi.
K avrebbe voluto tirare un
sospiro, ma le provocò solo un altro accesso di tosse.
Avrebbe
soltanto spinto alto sangue fuori dalla ferita.
-Ehi, calmati,
Nathalie.- le
disse Matsuda, che la teneva sulle proprie ginocchia, continuando a
premere sulla ferita. -Stai perdendo troppo sangue! Non devi
muoverti, né fare sforzi.-
Poi lo vide voltarsi
verso L
con uno sguardo rabbioso.
-Metti giù
quella pistola,
Ryuzaki, e piuttosto vai a prendere un kit di pronto soccorso! Ha
bisogno di un laccio emostatico!-
Ma L aveva gli occhi
sbarrati che guardavano i due americani mentre venivano portati via.
Tremando, rimise la sicura, e lasciò la pistola a terra, poi
si
voltò verso di K e Matsuda, e fece per alzarsi, ma la donna
allungò
ancora una volta la mano e lo afferrò per la maglia bianca.
Il giovane la
guardò, con
espressione più vuota del solito, mentre K soffocava un
gemito, e
tentava di aprirsi la camicetta.
“La
cicatrice” pensava.
“L'anello.”
Non riusciva a
parlare, e
non riusciva a muoversi come avrebbe voluto, perché le
ferite sotto
le braccia bruciavano.
L si sfilò
la cintura, e la
passò a Matsuda, senza dire una parola.
-Nathalie, non
sprecare ora
le tue forze.- le disse. -Qualsiasi cosa tu mi debba dire, ora
calmati e sopravvivi, e me la dirai.-
K alzò gli
occhi al cielo e
ringhiò di dolore.
-No... Nove...-
Ma
lui si era voltato per dare a tutti l'ordine di allontanarsi dalla
porta e dalle finestre, di armarsi e di attendere l'arrivo della
polizia, e quando si accorse che lei lo stava ancora chiamando, la
guardò col suo solito sguardo vacuo. E K sentì
una fitta lacerante
al petto, per poi perdere i sensi, senza riuscire a dirglielo.
November
8th,
1997, by the river, under the cherry tree.
You see? I still remember. I can't die if I still remember. I
promised you not to die until I'd remembered.
|
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Capitolo 8 *** Capitolo 7 - "Temo di essere io Kira" ***
Era stata una giornata
lunga e faticosa oltre ogni immaginazione, perciò L
tirò un lungo
sospiro di sollievo, quando i suoi agenti e la polizia ebbero finito
i loro interrogatori e lasciarono l'hotel, a notte inoltrata. Watari
era riuscito a convincere il capo della polizia giapponese a
permettere a L di non mostrarsi in volto, mentre lasciava la sua
deposizione sui fatti di quella sera.
Che seccatura, aveva
pensato, e con tutto quello che gli rimaneva da fare ora che era
spuntata Misa Amane nella vita di Light! Banks non poteva scegliere
momento peggiore per tentare di farsi ammazzare insieme a tutti loro.
La questione che più lo irritava, però, era che
Watari non gli
avesse ancora rivelato nulla; odiava non sapere. Gli era andato bene
fino a quel momento, anche perché lasciava sempre a lui il
compito
di occuparsi di questioni di secondaria importanza, ma quella sera si
erano visti puntare addosso delle pistole, perciò avrebbe
preteso
una spiegazione esaustiva, non appena le acque si fossero calmate. Ma
non aveva ancora avuto occasione di parlargli, perché si era
allontanato in ambulanza con Banks, ed era ritornato solo molto dopo,
a fare la sua deposizione.
A quanto pareva, Banks era
ostaggio di un gruppo paramilitare che aveva come obiettivo quello di
uccidere L; avevano approfittato delle sue competenze per farla
infiltrare al quartier generale, ma si erano accorti che li aveva
traditi, perciò avevano tentato di fare fuori tutti. Nulla
di nuovo,
insomma, almeno per quanto riguardava L: gli agenti giapponesi, a
cominciare da Aizawa, lo avevano pesantemente attaccato per aver
permesso che la squadra corresse un tale pericolo, senza che avesse
speso anche solo mezza parola per avvertirli. Yagami si era unito al
coro, rimarcando il fatto che suo figlio fosse sotto accusa senza
delle reali prove, mentre un criminale come Grumann era stato libero
di agire indisturbato al loro fianco. Matsuda aveva ovviamente tenuto
le parti della donzella, e lo aveva duramente attaccato per non
averla aiutata tempestivamente. Mogi, come al solito, non aveva
proferito parola, ma era evidente che anche lui fosse molto teso. Una
tale spaccatura nella squadra era di quanto meno auspicabile ci fosse
in un momento delicato come quello, ma contava di riuscire a
riprendere in mano la situazione. Se, il giorno dopo, dalla
perquisizione e dalle analisi dell'appartamento di Misa Amane fosse
saltato fuori un collegamento col secondo Kira, non ci sarebbe
più
stato tempo per discussioni come quelle.
Ma mentre ragionava su
tutto ciò, la testa cominciò a farglisi pesante,
e, suo malgrado,
cedette al sonno. Ancora una volta gli incubi vennero a tormentarlo:
ancora una volta si sentì soffocare sotto il cuscino che sua
madre
gli aveva spinto contro la faccia. Aveva smesso di agitarsi,
lasciando che le braccine e le gambe gli si abbandonassero mollemente
sul pavimento; stava per perdere i sensi. Aveva iniziato a vedere
tutto nero, e sentiva le palpebre pesanti, ma poi, inspiegabilmente,
sua madre aveva smesso di premere il cuscino, si era alzata e si era
allontanata. Piano piano, il bambino si era tolto il cuscino dalla
faccia, per poter respirare a pieni polmoni. Bruciavano. La sua vista
era annebbiata. E allora si era rimesso in piedi, e con passo leggero
aveva tentato di allontanarsi. La porta di casa non era così
lontana, sarebbe potuto scappare da lì, senza voltarsi
più
indietro. Vedere sua madre preda della depressione era stato
doloroso, durante quegli anni, ma ora sentiva di essere in pericolo.
I suoi scatti d'ira si facevano sempre più frequenti e i
suoi
atteggiamenti sempre più violenti. A piccoli passi si era
diretto
verso il corridoio, ed era stato allora che l'aveva vista. Stava
seduta sul davanzale, con le gambe a penzoloni. Portava una vestaglia
bianca, larga e lunga, che poco prima non aveva, che non ricordava di
averle mai visto addosso. Al piccolo bambino senza un nome era
scappato un gemito di sorpresa, e la donna si era voltata verso di
lui. Le rughe sul suo volto erano sparite, e avevano lasciato il
posto ad una macchia rosa scuro che andava dalla fronte allo zigomo
destro. Due occhi rossi lo fissarono pieni di rabbia, e poi la
ragazza si lasciò cadere nel vuoto.
Matsuda
si presentò al nuovo quartier generale con qualche minuto di
ritardo, dal momento che, per ordine di Ryuzaki, tutti gli agenti
avevano dovuto prendere due treni e un taxi per tentare di depistare
eventuali altri uomini mandati da quelli che li avevano attaccati la
sera prima. Il giovane aveva trovato traffico, e aveva perso molto
tempo a guardarsi le spalle durante tutto il tragitto. Tutti quanti
al quartier generale avevano l'aria stravolta e molto tesa: nessuno
di loro si aspettava un attacco del genere. Beh, forse sarebbe stato
il caso di dire che nessuno tranne Watari e Ryuzaki se lo aspettava.
Ryuzaki era parso incredibilmente calmo per tutto il tempo, anche se,
ad uno sguardo più attento, la sua agitazione era evidente;
come
quando era morto Ukita, e Aizawa l'aveva visto tremare e sorridere
nervosamente. Lo avevano attaccati tutti duramente la sera prima, ma,
in fin dei conti, era lui che si stava per beccare una pallottola in
fronte. Se Nathalie non si fosse messa sulla sua traiettoria...
Povera
ragazza. Era arrivata al quartier generale già in pessime
condizioni: aveva segni di strangolamento, non riusciva a respirare,
aveva i vestiti stracciati, e nello strapparle una manica della
camicia per metterle il laccio emostatico, dopo che era svenuta,
aveva notato delle abrasioni sotto le ascelle. Appena Watari era
entrato nella stanza, gli aveva intimato di allontanarsi, e si era
messo lui ad occuparsi di lei, dicendo a L di andare a chiudersi
nella stanza accanto perché nessun altro lo vedesse. Matsuda
aveva
pensato che il vecchio Watari in quel momento sembrava un'altra
persona: deciso, energico, e, per una volta, non era rimasto
impassibile di fronte a quello che si trovava davanti.
-I
miei uomini si sono già messi a lavoro per perquisire
l'appartamento
di Misa Amane.- aveva detto L, non appena tutti avevano preso posto
in silenzio davanti a lui.
L'albergo
dove si trovavano quel giorno era situato in una zona incredibilmente
trafficata di Tokyo. La finestra occupava quasi l'intera parete di
fondo, ma era di vetro infrangibile, per cui avevano tranquillamente
preso posto sui divanetti proprio di fronte. Avevano tutti con
sé la
propria pistola, e Mogi stava davanti alla porta, con un auricolare
all'orecchio, in collegamento con Watari, che monitorava la
situazione dalle telecamere, nascosto nel palazzo di fronte.
-In
questi giorni, purtroppo, non avrò il tempo di seguire
personalmente, come di solito, ogni caso di ogni criminale ucciso da
Kira.- disse Ryuzaki
Si
voltò quindi verso di Matsuda, con lo sguardo più
stanco e irritato
del solito.
-Matsuda,
pensi di riuscire ad occupartene tu?-
Il
giovane non sopportava il tono di supponenza nella voce di Ryuzaki,
quando gli parlava.
-Certo
che posso farlo.- rispose, risentito.
Ryuzaki
rimase in silenzio, poi, molto lentamente, si alzò dalla
propria
poltrona, e si mise a camminare, curvo, scalzo e con le mani in
tasca, verso la finestra. Si appoggiò di schiena al muro, di
fianco
ad essa, e si mise a sbirciare fuori da sopra la propria spalla.
-Mi
rendo conto di avervi messo incredibilmente in agitazione, e che
queste non siano le condizioni migliori in cui lavorare ad un caso
come questo. Ma, vedete... tutti hanno paura. I governi mondiali
hanno paura, le organizzazioni criminali hanno paura, pure i corpi di
polizia hanno paura. Nessuno vuole immischiarsi in questo caso. Ho
dovuto cercare per mesi qualche collaboratore che accettasse di
darmi... di darci, una mano.-
Si
voltò verso la finestra, e tirò leggermente la
tenda.
-Da
quando sono morti gli agenti dell'FBI, ho chiesto a tutti i miei
contatti, e anche oltre, ma non ho ricevuto una singola risposta
positiva. E dopo tutto quel tempo, mi sono ritrovato a dover fare una
scelta: assumere Banks, una mente brillante, pur essendo stato
avvertito della possibilità che fosse costretta a lavorare
per
qualche organizzazione criminale.-
-Ma
siamo sicuri che fosse costretta?- intervenne Aizawa, con tono duro.
-E se invece fosse stato il suo obiettivo sin dall'inizio, quello di
farci fuori tutti?-
-Ehi,
Aizawa!- protestò allora Matsuda. -Credi che si sarebbe
presa una
pallottola addosso per tentare di mettere a terra Grumann, se davvero
avesse voluto vederci tutti morti?-
Ryuzaki
era ancora in piedi di fianco alla finestra, con un lembo della tenda
in mano.
-La
famiglia di Banks era tenuta in ostaggio.- disse, dopo un attimo di
silenzio. -Il giorno in cui si presentarono al quartier generale, mi
disse che Kira non sarebbe potuto venire a conoscenza dei loro nomi,
ma probabilmente intendeva dire che ciò sarebbe stato
impossibile
anche per me.-
Si
voltò verso gli agenti, e continuò.
-Grumann
ascoltava ogni sua parola, e controllava ogni suo gesto. Ho valutato
attentamente se fosse il caso di dirvi quali pericoli stavate
correndo, ma ho ritenuto che una notizia del genere vi avrebbe
portati a mutare il vostro atteggiamento nei suoi confronti, e
probabilmente lui l'avrebbe notato. E avrebbe agito molto prima.-
Si
rimise le mani in tasca e si incamminò nuovamente verso la
poltrona.
-E
Banks?- domandò allora il sovrintendente Yagami. -Come sta?-
Ryuzaki
si arrampicò di nuovo sulla sua poltrona, e si
sgranchì le dita dei
piedi.
-L'intervento
è andato bene.- esordì, appoggiando le braccia
piegate sulle
ginocchia. -Ma i dottori credono che le ci vorrà un po' per
risvegliarsi dal coma. Ha perso molto sangue, era in uno stato di
stress emotivo e fisico molto serio. Dicono che se la
caverà, ma non
potremo contare sul suo aiuto per un bel po' di tempo.-
Il
colonnello Hayer sbatté con rabbia la cornetta sul telefono.
Burton
si era appena imbarcato per l'Inghilterra, e Medina era stato
rilasciato; era arrivata una scorta per condurlo fino a casa, dove
sarebbe dovuto rimanere ancora per un paio di giorni. Il bastardo
aveva anche dichiarato di fronte ai giornalisti, accalcatisi davanti
al commissariato, che avrebbe dimostrato che le accuse mosse ad
Hartford erano infondate, e che quello era stato ucciso e lui
trattenuto perché erano testimoni scomodi. In quel modo, se
avessero
tentato di torcergli un capello, l'opinione pubblica avrebbe
cominciato a farsi qualche domanda. Avrebbe dovuto fare in modo che
tutto quel polverone non arrivasse anche in Giappone, o era probabile
che Kira si sarebbe interessato al caso, e se davvero si trattava del
ragazzino figlio del sovrintendente della polizia, che lavorava con
loro, non ci sarebbe voluto nulla perché riuscisse a farsi
dare
tutti i nomi dei responsabili da Banks.
Dannato
Grumann. Avrebbe dovuto farlo fuori prima
di cominciare l'operazione. Ma non aveva a disposizione molti uomini
che sapessero il giapponese, per cui aveva deciso di tenerlo in vita
fino ad operazione conclusa. Se non avesse dato di matto, avrebbero
avuto L, Banks e i nomi dei due Kira su un piatto d'argento, e
avrebbero potuto facilmente sbarazzarsi di Burton e Medina, con
calma. Invece ora Medina minacciava di far riaprire il caso a giorni,
e una volta cominciato ad alzare il coperchio... chissà cosa
ne
sarebbe venuto fuori. Banks non poteva testimoniare, almeno non al
momento: le avevano sparato, ed era stata portata via in ambulanza.
Aveva passato tutta la notte e tutta la mattina a cercare di capire
in quale ospedale l'avessero portata, per poter mandare qualcuno a
finire il lavoro. Ma Burton era riuscito a scappare, e non ci sarebbe
voluto molto prima che qualcuno andasse a prelevare le prove!
Il
caso aveva voluto che quella sera Burton avesse il turno di notte,
motivo per cui non avevano potuto sequestrarlo da casa sua. C'erano
delle macchine appostate fuori dal commissariato, ma Burton non era
mai uscito: era arrivato un elicottero dopo diverse ore, che era
atterrato sul tetto. Burton era salito ed era stato trasportato via.
Hayer aveva messo i suoi uomini ad attenderlo a casa sua,
all'aeroporto, alla stazione dei treni e dei pullman di Chicago, ma
giusto pochi minuti prima gli era giunta notizia che era probabile
che l'elicottero avesse sorvolato il lago Michigan, e che Burton
avesse raggiunto il più vicino aeroporto per imbarcarsi per
Londra.
Il colonnello era convinto che, una
volta catturati L e Watari, nessuno avrebbe più potuto
intralciarlo;
avrebbe sequestrato Burton e trattenuto Medina in commissariato,
finché non avessero raggiunto un accordo. Ma evidentemente L
doveva
avere risorse enormi e parecchie conoscenze, perché ora si
trovava
con le spalle al muro. Per la prima volta, in tanti anni,
cominciò
ad avere paura.
Light aveva cercato di
andare a dormire presto, la sera prima, per svegliarsi di buon'ora
quella mattina e valutare attentamente se e come uccidere L. Ma era
stato svegliato verso le quattro dalla voce preoccupata di sua madre,
in piedi al piano di sotto, al rientro di suo padre. Era strano che
tornasse così tardi, per cui era sceso a chiedere cosa fosse
successo. Suo padre aveva tranquillizzato la mamma, e l'aveva mandata
a dormire, dicendo che si sarebbe preparato una tisana e l'avrebbe
raggiunta. Aveva anche mandato Light a dormire, ma il ragazzo aveva
intuito dal suo sguardo che avrebbe voluto che ritornasse subito
dopo, senza farsi sentire.
-Il quartier generale...-
aveva cominciato, non appena lo aveva raggiunto in cucina,
chiudendosi la porta alle spalle. -Siamo stati attaccati. Grumann e
gli altri due americani hanno preso Banks e hanno minacciato di farci
fuori tutti.-
Light si era sentito gelare
il sangue nelle vene. Aveva sempre sospettato che Grumann fosse
incredibilmente sospettoso, e che fosse lì per tenere
d'occhio
Banks, ma addirittura attaccare l'intero quartier generale!
-Banks era un suo ostaggio,
o meglio, agiva perché la sua famiglia era tenuta in
ostaggio,
stando a quanto ha detto Watari.- aveva detto il padre, lasciandosi
cadere sulla sedia.
-Grumann ha tentato di
sparare a L, ma Banks si è messa sulla traiettoria e si
è presa la
pallottola.-
L'orrore e lo stupore di
Light avevano lasciato il posto al suo spirito pratico. Ecco una
scusa perfetta per far morire L e Banks! Avrebbe potuto studiare un
modo perché la loro morte facesse pensare ad un omicidio, e
la colpa
sarebbe potuta tranquillamente ricadere sugli uomini che lavoravano
per Grumann! Avrebbe dovuto saperne di più, per poter
ragionare con
calma su questa nuova prospettiva.
-Abbiamo immobilizzato
Grumann...- aveva continuato il padre. -Ma sono arrivati gli altri
due, e l'hanno ammazzato senza pensarci su un momento.-
Light si era avvicinato e
gli aveva messo una mano sulla spalla. L'uomo aveva sospirato
profondamente, e aveva ripreso.
-C'erano altre tre persone,
fuori dall'hotel. Ringrazio il cielo che tu non fossi lì!-
aveva
concluso, reprimendo un singhiozzo.
-Ci sono stati altri feriti?
Banks come sta?- aveva domandato allora il ragazzo.
-Nessuno s'è fatto
male, a
parte lei.- aveva detto il padre, passandosi una mano sul volto
stanco. -L'hanno trasportata d'urgenza all'ospedale e l'hanno dovuta
operare. Ha perso molto sangue. E noi siamo rimasti lì fino
ad ora a
testimoniare.-
Poi era rimasto in silenzio
per qualche istante, con lo sguardo rivolto verso il basso. Alla fine
si era alzato, e aveva preso il figlio per le spalle, dicendogli:
-Light. Non devi
più
tornare per nessun motivo al quartier generale, siamo intesi? Te lo
proibisco. Ryuzaki potrà dire quello che vuole, ma non
voglio più
che tu corra un pericolo del genere!-
Il ragazzo lo aveva
ascoltato in silenzio, e poi aveva sorriso.
-Papà, apprezzo il
fatto
che tu ti stia preoccupando per me. Non verrò al quartier
generale,
a meno che non ci sia un più che valido motivo per farlo.
Ma, in
questo momento, sto pensando più che altro alla tua
sicurezza, non
alla mia. Capisco che tu voglia catturare Kira, come anche me, del
resto, ma non voglio che tu corra rischi.-
Si erano scambiati ancora
qualche parola di conforto, e poi erano andati entrambi a letto.
Light non era più
riuscito
a prendere sonno. Se Banks era in condizioni abbastanza gravi, era
probabile che ci avrebbe messo un po' a risvegliarsi. Questo gli dava
un po' di tempo: sarebbe potuto andare a trovarla all'ospedale con
una scusa, scattarle una fotografia col cellulare senza farsi vedere
e mandarla a Misa, perché ne leggesse il nome e la facesse
morire
per qualche complicazione. Quella sarebbe stata la parte facile. Ma
L? Avrebbe dovuto studiare un modo per ritornare il più
presto
possibile al quartier generale, anche se aveva promesso al padre che
non lo avrebbe fatto. E di certo non sarebbe stato facile convincere
L a mettere il naso fuori dal quartier generale, dopo quello che era
successo.
All'università, non
riusciva a prestare attenzione né al professore,
né a Takada che
gli bisbigliava, seduta di fianco a lui. Aspettava il momento in cui
sarebbe stato solo per chiamare suo padre e farsi dire com'era la
situazione. Avrebbe potuto far morire Banks nei giorni a seguire, e
nessuno avrebbe sospettato di nulla, bastava convincere suo padre ad
andarla a visitare in ospedale. Per L le cose si facevano
più
complicate: se anche avesse dato a Misa l'indirizzo del nuovo
quartier generale, non sarebbe di certo potuta entrare nell'hotel, e
Rem non si sarebbe potuta allontanare più di poche decine di
metri
da lei, per salire nella camera dove si trovavano gli agenti e
leggere il nome di L. L'unica speranza sarebbe stata se Misa fosse
riuscita a piazzarsi sotto la finestra e Rem si fosse alzata in volo;
ma sarebbe stato rischioso: se avessero visto Misa, si sarebbero
sicuramente insospettiti, e soprattutto non poteva avere la certezza
che L sarebbe stato in una stanza con le finestre, soprattutto dopo
l'attacco che avevano subito!
La situazione era ancora
complessa, e andava considerata con più attenzione.
L iniziava a pensare che
forse sarebbe stato meglio per loro trasferirsi subito nel quartier
generale di cui aveva ordinato la costruzione. Sarebbe stato
più
sicuro per tutti, e non c'erano più scuse, ora che il
pericolo di
Grumann e di chi stava alle costole di Banks era stato sventato. Ma
non aveva tempo per preoccuparsene, ora: la perquisizione a casa di
Misa Amane era andata a buon fine, e in quel momento se ne stava
rannicchiato su una poltroncina ad esaminare i capelli, le briciole,
e tutto ciò che era stato rinvenuto a casa di Amane e sul
nastro
adesivo dei pacchi inviati dal secondo Kira alla Sakura TV.
-Yagami!- chiamò
ad un
tratto.
-Se io muoio nei prossimi
giorni, vuol dire che Kira è suo figlio.- disse, col tono
più
naturale del mondo, continuando ad alzare le buste trasparenti
contenenti le prove raccolte a casa di Amane.
Sentì il
sovrintendente
sobbalzare, e poi alzarsi in piedi.
-Che cosa hai detto,
Ryuzaki?- fece, con tono alterato.
-Già!- gli fece
eco
Matsuda. -Di che cosa stai parlando? Cos'è questa storia?-
-E ho deciso che
lascerò a
lei il comando.- continuò il detective, come se non avesse
sentito
una sola parola. -Potrà chiedere a Watari tutto quello che
le
serve.-
Sentì i passi del
sovrintendente avvicinarsi alle sue spalle.
-Ryuzaki! Avevi detto di
aver chiarito quasi tutti i dubbi sulla sua innocenza, fino a che
punto sospetti veramente di lui?-
L sollevò un altro
campione.
-Nemmeno io so veramente che
cosa pensare.-
Rimase un attimo in
silenzio, per poi aggiungere, quasi più rivolto a se stesso
che a
Yagami. -Non mi era mai successo prima d'ora.-
Continuava a sollevare le
buste trasparenti, sempre dando le spalle a Yagami e agli altri.
-Se i due Kira avessero
davvero unito le forze...- riprese, a tono più alto. -...
allora per
me sarebbe davvero la fine.-
Abbassò lo sguardo
sul
tavolino e prese la tazzina del caffè.
-Forse è per
questo che
ancora non riesco ad analizzare la situazione con la dovuta calma.-
Bevve un sorso.
-Forse mi ostino a pensare
che sia lui solo perché non abbiamo nessun altro indiziato.
Ad ogni
modo...- aggiunse, posando nuovamente la tazzina sul tavolo. -Se
dovessi morire... la prego di concludere che Kira è suo
figlio.-
Gli agenti alle sue spalle
rimasero in silenzio. A L non restava altro se non attaccare di nuovo
Light di sorpresa. Era stata sua la prima mossa, sfidandolo
apertamente in televisione, e anche la seconda, quando si era
presentato al ragazzo come L. Era giunto il momento di lanciarsi in
una nuova scommessa.
Quello stesso pomeriggio,
si presentò di nuovo all'università nella quale
era entrato assieme
a Light, e col preciso scopo di tenerlo d'occhio. Si sedette su una
panchina, all'ombra, si tolse scarpe e calzini e vi si
rannicchiò a
leggere. Era una bella giornata di sole, di quelle che lui detestava.
Erano anni, ormai, che non usciva alla luce del giorno, senza che si
sentisse pervadere da una rabbia sorda e da una profonda tristezza.
Ma non era il momento di pensare al passato. Light si stava
avvicinando in compagnia di Kyomi Takada. Lo chiamò ad alta
voce, e
lo vide fissarlo con uno sguardo gelido e indecifrabile.
Salutò la
ragazza e si diresse verso di lui.
-Spero di non essere
inopportuno.- disse L, quando Light gli fu vicino.
-Ma no, figurati...- lo
rassicurò Light. -Piuttosto... Ieri non dicevi che non ti
sentivi
sicuro a farti vedere in giro? Dopo la sparatoria all'hotel, poi...
Mio padre è tornato a casa nel cuore della notte, eravamo
tutti
preoccupati.-
-Di quegli energumeni che
tenevano in ostaggio Banks non c'è più da
preoccuparsi.- rispose L,
tranquillo.
-E lei?- domandò
allora il
ragazzo, serio. -Come sta?-
L alzò gli occhi
al cielo,
noncurante.
-Se la caverà.-
rispose. -È
vero, ha perso molto sangue ed è entrata in coma, ma Watari
si sta
occupando di lei, e siamo tutti convinti che si riprenderà
presto.
Anche perché avrà diverse cosa da spiegarci...-
Il detective scorse con la
coda dell'occhio il pugno di Light che si stringeva e le nocche che
sbiancavano.
-Ha... ha detto qualcosa?-
domandò quindi il ragazzo. -Prima... di svenire?-
L si portò il dito
indice
sotto il mento, mentre rivolgeva di nuovo gli occhi al cielo.
-No. Tossiva, non riusciva a
respirare bene.- Poi si voltò verso Light. -Penso che prima
di
perdere i sensi stesse tentando di farfugliare qualcosa in inglese.-
Light lo fissava immobile,
con un'espressione indecifrabile. L immaginava che sperasse che Banks
non uscisse dal coma, visto che, con ogni probabilità, aveva
cercato
di ucciderla ma non ci era riuscito. Il detective non era del tutto
sicuro che la donna fosse fuori pericolo, ma voleva vedere quale
sarebbe stata la reazione di Light. Certo, se fosse morta senza
riuscire a rivelargli quello che sapeva, sarebbe stata una bella
seccatura. Forse avrebbe dovuto lasciarla parlare anche nelle
condizioni in cui si trovava, invece di preoccuparsi che si salvasse
la pelle.
-In ogni caso...- riprese.
-Ho pensato che per me non dovrebbero esserci altri problemi, a meno
che tu non sia Kira. Sei l'unico al di fuori del quartier generale a
sapere che io sono L. Per questo, se io dovessi morire nei prossimi
giorni...- e guardò Light attentamente. -...ho lasciato
detto ai
nostri amici del quartier generale che saresti tu Kira.-
Light non sembrò
avere
alcuna reazione a quelle parole, ma L era convinto che fosse
incredibilmente bravo a dissimulare le emozioni.
-Ho pensato di fare un salto
all'università, visto che senza di me ti sentivi solo...-
continuò
il detective. -E poi anch'io volevo cambiare un po' aria. Sai... mi
trovo bene qui, fintanto che non muoio.-
-Già...- disse
infine
Light. -Effettivamente qui c'è da annoiarsi senza di te. Non
c'è
nessun altro del mio livello con cui fare conversazione.-
-Per questo frequenti una
ragazza brillante come Takada?- domandò L. Voleva vedere se
Light si
sarebbe tradito, visti i suoi contatti con Misa.
-Sì...- fece
Light, per
nulla toccato. -Più o meno...-
-Ti va se mangiamo qualcosa
al bar?- domandò allora L, alzandosi e rimettendosi ai piedi
le
scarpe da tennis logore.
-Ma sì, tanto
anch'io sono
in pausa.- E si incamminarono.
Ma non fecero molta strada
che sentirono alle loro spalle un'acuta voce femminile.
-Light! Ti ho trovato!-
Era Amane.
-Ho un servizio fotografico
qui vicino, e ho pensato di fare un salto.-
Bingo.
-Lui è un tuo
amico?-
continuò lei, avvicinandosi. -È un tipo
originale, fico!-
Light continuava a rimanere
in silenzio. L non poteva sperare in un'occasione migliore. Sperava
solo che tutto filasse liscio.
-Io sono Misa Amane, la
ragazza di Light.- fece lei.
L si presentò col
nome
falso col quale si era iscritto a quell'università, Ryuga
Hideki, il
nome di un cantante/attore famoso in Giappone. Per un attimo, vide lo
sguardo della ragazza alzarsi sopra la sua testa, e la sua
espressione farsi sorpresa, mentre ripeteva il suo nome. A quel punto
Light si mise in mezzo.
-Già... si chiama
proprio
come quel cantante... Che combinazione, eh?-
L si lasciò andare
ad un
sorriso inquietante e ad una risatina appena accennata, senza
staccare gli occhi di dosso a Misa. Poteva farcela.
-Lo sai che ti invidio?-
disse infine per stemperare la tensione, accortosi dello sguardo
preoccupato che Light gli stava rivolgendo. -Sono un tuo fan.- disse
poi, rivolto a Misa.
Intanto molti degli
studenti si erano accorti della presenza della idol e
le si
fecero attorno. L approfittò della confusione per sfilare il
cellulare a Misa con una mano, mentre con l'altra le dava una rapida
palpatina al sedere e la distraeva. Light non si era accorto di
nulla, fino a che Amane non aveva urlato che qualcuno le aveva
toccato il sedere, e il ragazzo si era voltato verso di lui,
più
stupito che altro. Poco dopo arrivò una donna che doveva
essere la
manager di Misa, e la trascinò via. La folla si disperse, e
L,
rimasto solo con Light, rinnovò l'invito ad andare al bar.
Il
ragazzo gli disse di andare avanti, con la scusa di dover andare al
bagno.
L si allontanò
lentamente,
mentre Light andava nella direzione opposta. Come si aspettava, non
passarono molti secondi che il cellulare che aveva sfilato dalla
borsa di Misa iniziò a squillare. Rise. Infine rispose.
-Sì? Pronto?-
A pochi metri da lui, Light
gli chiese con tono seccato perché lo stesse facendo.
-Ah, ti riferisci a questo
cellulare? Deve essere caduto a qualcuno in mezzo a tutta quella
confusione...-
Il pensiero dell'imminente
vittoria lo metteva incredibilmente di buonumore.
-È il cellulare di
Misa.-
disse Light, avvicinandosi. -Glielo restituisco io.-
L restituì il
telefono a
Light e si allontanò, ma dopo pochi passi sentì
il proprio
cellulare suonargli nella tasca dei jeans. Lasciò da parte
il suo
tono canzonatorio e rispose normalmente alla chiamata. A quanto
pareva, era tutto pronto.
Chiuse la chiamata e si
voltò verso Light.
-Non so se la cosa ti
farà
piacere o ti rattristerà, Yagami, ma... abbiamo arrestato
Misa in
quanto sospettata di essere il secondo Kira.-
Bendata e immobilizzata,
Misa fu interrogata per giorni, ma continuò a rifiutarsi di
rispondere. L restava giorno e notte seduto di fronte ai monitor per
controllare ogni suo minimo gesto, e continuava a porle le stesse
domande: conosceva Light Yagami? Era entrata in contatto col primo
Kira? Si trovava ad Aoyama il 22 maggio?
Si erano trasferiti in un
grande appartamento, dove avevano potuto installare comodamente tutti
i monitor di cui avevano bisogno per la sorveglianza di Misa. I
poliziotti giapponesi si davano il cambio per sorvegliare la
sospettata assieme al detective, ma lui quasi non sentiva la loro
presenza, tanto era concentrato su ciò che succedeva nella
stanza in
cui Misa era tenuta prigioniera.
Non sentiva più la
differenza tra il giorno e la notte, e aveva ormai perso la
cognizione del tempo. Non era nemmeno sicuro se fosse sveglio o se
stesse sognando, finché, d'un tratto, sentì
corrergli un brivido
lungo la schiena. Lei era in piedi, appoggiata al muro al fondo della
stanza. La sentiva. E così seppe per certo che stava
dormendo.
-K.- disse L, sbuffando.
-Ultimamente vieni un po' troppo spesso a seccarmi.-
Lei non rispose. Non avrebbe
potuto, perché L non ricordava quasi più la sua
voce. Il ricordo di
una voce è quello che sbiadisce per primo, tranne alcuni
frammenti;
ricordava il modo in cui sogghignava, col suo fare borioso e
prepotente; ricordava il tono perentorio con cui abbaiava gli ordini
ai suoi sottoposti, lui compreso; ricordava il modo in cui gli
grugniva infastidita quando le si sedeva accanto sul divano.
Ricordava soprattutto la sua risata tagliente e a tratti diabolica.
-Purtroppo non ho tempo,
ora.- riprese L, continuando a darle le spalle, seduto sulla sua
poltrona. Non voleva voltarsi a guardarla; spesso nei suoi sogni K
aveva l'aspetto spaventoso immortalato dalle foto trovate sul dossier
sulla sua morte: portava una vestaglia bianca macchiata di rosso, il
volto escoriato dalla caduta e ricoperto di grumi di sangue e
cervello. -Devo sorvegliare Misa Amane e non posso dormire.- disse il
giovane, agitandosi sulla sedia, per tentare di cadere, e svegliarsi
così dal sogno.
Sentì sogghignare
alle sue
spalle, e poi il leggero rumore di passi sul pavimento, accompagnato
da un fruscio di vesti.
L sospirò, mentre la
figura entrava nel suo campo visivo. K portava le vesti della notte
in cui si era uccisa, ma non era ricoperta di sangue come nelle foto
del suo cadavere. Gli passò di fianco, rivolgendogli uno
sguardo
tagliente e un sorriso beffardo, e poi si sedette sul tavolo di
fronte ad L, dando un colpo ad un monitor con un gomito e spostando
malamente il microfono e la tastiera del detective. Lui la
guardò
sprezzante. Aveva il volto perfettamente ovale e gli zigomi alti, le
labbra carnose e grandi occhi, di cui quello sinistro leggermente
strabico, com'era frequente tra gli albini. I suoi lineamenti erano
delicati, quasi bambineschi, ma l'espressione del viso trasmetteva a
L solo crudeltà e sadismo. Le ricordava molto la madre, ed
era il
principale motivo per cui la odiava. Ma al solo ripensare alla madre,
la stanza intorno a lui si trasformò nel corridoio
dell'appartamento
di Boston, e il tavolo sul quale K era seduta divenne il davanzale
della finestra dalla quale la madre si era buttata. Ed L si
risvegliò
di soprassalto.
Le cose cambiarono, dopo
quella notte. L e i poliziotti assistettero ad un evento
inspiegabile. Misa, stremata, cominciò a parlare da sola,
continuando a ripetere “Uccidimi... Uccidimi...”
Minacciò di
suicidarsi, ma
L ordinò tempestivamente a Watari di imbavagliarla
perché non si
mordesse la lingua per soffocarsi. Ad un certo punto, L vide una
ciocca dei capelli di Misa muoversi, come animata da vita propria, e
la ragazza, in lacrime, svenne. E al suo risveglio, tra lo stupore
generale, pareva avere un'altra personalità. Ogni ricordo di
Kira
pareva cancellato. Ora era convinta che il suo carceriere fosse un
maniaco, uno di quei vecchi frustrati che assillano le idol
giapponesi. E, soprattutto, insisteva di continuo per essere
liberata, mentre, come faceva notare Mogi, fin dall'arresto, durante
il quale si era lasciata ammanettare e bendare quasi in modo
rassegnato, e per tutta la prima parte della prigionia, sembrava
fosse decisa a morire, piuttosto che parlare. Infine, L
provò a
chiederle se conoscesse il motivo per cui era stata portata in quella
cella e legata.
-Il motivo?- chiese Misa,
quasi stupita. -Perché sono una star!- rispose subito.
L rimase interdetto.
Provò
a farle di nuovo le domande a cui non aveva ricevuto risposta nei
giorni precedenti, e questa volta Misa ammise candidamente che Light
era il suo ragazzo.
Proprio in quel momento, il
cellulare di L squillò. Era Light. Gli diede l'indirizzo
dell'appartamento buio dal quale stavano monitorando Misa in cella, e
attese.
Dopo circa un'ora si
aprirono le porte della stanza.
-Ryuzaki...-
esordì il
ragazzo, facendosi avanti. -Come ti ho già detto al
telefono...
Purtroppo... temo di essere io Kira.-
E mentre il sovrintendente
gli si faceva incontro, scuotendolo per le spalle, chiedendogli cosa
gli saltasse in mente, L si chiedeva come mai, visto che non c'erano
prove, Light si fosse presentato lì confessando di essere
Kira.
“È tutta una
farsa...”
pensava. “Tu non potresti essere Kira... tu sei Kira...”
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Capitolo 9 *** Primo Epilogo ***
Primo
Epilogo
K
si risvegliò in un letto, presumibilmente di ospedale, con
una flebo
attaccata al braccio, un collare, il gesso alla caviglia e la spalla
sinistra bendata. Non aveva idea di quanto tempo avesse passato in
coma, ma era abbastanza certa di essere al sicuro. Si voltò
verso il
comodino: la sveglia digitale segnava le 16:28 del 5 luglio. Si
sentì
sprofondare al pensiero di quanto tempo era rimasta incosciente.
Oltre alla sveglia, c'era un'orchidea dai delicati color pastello, un
bicchierino con di fianco delle pillole, una bottiglietta d'acqua e
un telefono. Nient'altro. Si tastò il decolltée
allarmata, col
braccio destro, e tirò un sospiro di sollievo quando
sentì sotto le
dita i contorni regolari del rubino sul suo anello.
Si
girò quindi a guardarsi intorno. La stanza era molto ampia,
e c'era
solo lei lì dentro. Oltre alle flebo, c'era un respiratore
artificiale e altri macchinari che probabilmente l'avevano tenuta in
coma per tutto quel tempo. Non sembrava però una stanza di
ospedale,
perché c'era troppo silenzio. Forse Watari l'aveva
trasferita in
qualche clinica speciale, per paura che tornassero ad ammazzarla. Si
fece forza, e di mise a sedere. Era stata a letto per più di
un
mese, non credeva di avere la forza per alzarsi, ma ci provò
lo
stesso. Poi alzò la cornetta, e premette il pulsante rosso
per
richiamare l'ultimo numero: se Watari non le aveva lasciato il suo
numero scritto, era probabile che fosse quello il modo per
contattarlo.
Rispose
dopo tre squilli.
-Banks!
Ti sei svegliata!-
L'aveva
chiamata Banks. Perciò doveva essere al quartier generale.
-Sì.-
rispose lei, con voce roca. Si accorse solo in quel momento di avere
la bocca incredibilmente secca. -Grazie, Watari.-
E
riattaccò. Aprì la bottiglietta e la bevve tutta
d'un sorso, poi
cercò un tasto per chiamare un'infermiera o qualcuno, e
chiedere che
le portassero del cibo.
Si
voltò verso l'ampia finestra alla sua destra. La skyline era
quella
di Tokyo, si vedeva molto bene perché l'edificio in cui si
trovava
doveva essere estremamente alto. Il suo letto era a debita distanza
dalla finestra, probabilmente per far sì che la luce solare
non
potesse raggiungerla direttamente.
Alla
fine trovò il tasto, lo premette e rimase ad aspettare
pazientemente
nel suo letto. Davanti a lei c'era un televisore molto grande, ma non
aveva voglia di rovistare nei cassetti alla ricerca di un
telecomando, perciò tornò a guardare fuori dalla
finestra.
Poco
dopo, sulla soglia apparve un dottore sulla sessantina, coi capelli
corti e una barbetta grigia molto curata.
-Dottor
Roberts?- domandò, stupita. Era il medico che operava alla
Wammy's
House; quello che l'aveva curata quando L le aveva ustionato il
volto, o quando si era aperta il braccio con una lametta rubata da
una delle stanze dei professori uomini.
-Bentornata
tra noi, K.- le disse lui, sorridendo anche con gli occhi azzurri e
gentili. -Come ti senti?-
-Sono
viva.- rispose semplicemente, e il suo volto si tese. Era viva.
Ancora una volta. E ancora una volta sarebbe rimasta a contemplare il
vuoto lasciato dalle persone che non ce l'avevano fatta. Solo che,
questa volta, aveva la sensazione che il vuoto che si era creato
avrebbe finito con l'inghiottirla.
-È
un inizio.- commentò il dottore, avvicinandosi. -Immagino tu
stia
morendo di fame, ma sarebbe meglio se prima ti facessi un controllo
veloce. Poi, se vuoi, possiamo dire a Watari di prenderti qualcosa
mentre è per strada.-
I
bambini della Wammy's House adoravano il dottor Roberts. A differenza
dei professori e di tutto il resto del personale, lui non negava mai
una parola gentile ai bambini che visitava: era pediatra per
vocazione. Forse l'unica persona che avesse portato un po' di
umanità
in quel posto.
-Come
avrai intuito...- riprese il dottore. -... non ci troviamo in un
ospedale. Siamo nel quartier generale che ha fatto costruire L, il
signor Wammy ti ha fatta trasferire qui subito dopo l'operazione, per
evitare che ti prendessero, o che cominciassero a fare troppe
domande. Poi mi ha chiamato, e sono corso qui col primo volo per il
Giappone.-
Le
staccò delicatamente la flebo e le preparò il
braccio per prenderle
la pressione.
-Avevi
riportato diversi traumi. Nulla di grave, in realtà, ma
sembrava non
avessi le forze per riprenderti. La pallottola non ha intaccato nulla
di vitale, solo il muscolo, perciò ti servirà
della fisioterapia,
non appena riuscirai a metterti in piedi.-
Pompò
aria nel bracciale, si segnò la pressione sulla cartella, e
poi le
liberò il braccio.
-Abbiamo
cercato di mantenere la tua muscolatura attiva tramite
elettrostimolazione e massaggi. Dovresti riuscire a stare in piedi.
Ah, e penso che potremmo toglierti il gesso.- aggiunse, indicando il
piede della giovane. -Era una semplice microfrattura. Ora dovresti
essere a posto.-
K
tentò di schiarirsi la gola, mentre Roberts metteva via il
misuratore di pressione e prendeva il fonendoscopio.
-C'è
stato qualche altro ferito?-
-Fortunatamente
no.- rispose il dottore, facendole segno di mettersi su un fianco. Le
sentì il cuore, e poi riprese a parlare.
-Il
signor Wammy li ha disarmati con l'M40.-
La
fece poi voltare di nuovo verso di lui e cominciò a
toglierle
delicatamente il collare.
-E
ti posso anticipare la prossima domanda, così non ti
sforzi.-
aggiunse, mettendo via il collare e cominciando a massaggiarle il
collo.
-Burton
sta bene, e anche il cugino di Hartford. Ma di loro ti
parlerà
Watari.-
Le
fece muovere la testa, annuendo soddisfatto.
-Sembra
che non ci sia più alcun trauma.-
Poi
tirò fuori il cellulare.
-Allora,
cosa vuoi mangiare?-
-Sono
felice di vedere che stai bene.- disse Watari, dalla soglia della
stanza. -Ho messo a scaldare il tuo pranzo nel microonde. Mangerai
tra poco.-
-Grazie...-
mormorò K, soffiando sulla tazza di latte caldo con
cioccolato che
le aveva preparato il dottore. Si sentiva di nuovo bambina, come
quando si era risvegliata dal coma e le avevano detto che suo padre
era morto in quell'incidente. Anche allora erano stati tutti molto
gentili e premurosi con lei.
-Sei
rimasta incosciente per altri dieci giorni, dopo esserti risvegliata
dal coma.- riprese Watari, aiutandola a tirarsi su con la schiena.
-Ti ho portato in questo palazzo, che sarà presto il nuovo
quartier
generale di L. In questo modo pensavo saresti stata più al
sicuro.-
K
annuì. Aveva tante domande da fargli, ma aveva paura delle
risposte.
Soprattutto, le sembrava strano poter parlare con Watari in quel modo
tranquillo, dopo che erano passati così tanti anni dal loro
ultimo
incontro, non così “pacifico”.
-L
sa che sei qui.- parve leggerle nel pensiero il vecchio. -E no, non
sa che sei tu. Ti ho fatta scortare all'ospedale perché eri
un
soggetto a rischio, sono venuto per dare disposizioni all'ospedale e
per dare loro la tua cartella clinica, poi ho lasciato Mogi con te e
sono tornato indietro, per far arrestare i due agenti e per far
aprire le indagini su Hayer e sulla Hogson. Dopo che ti hanno operata
ti ho fatta trasferire qui.-
K
finì il latte e posò la tazza sul comodino. Le
veniva da tossire,
ma non voleva far saltare i punti alla spalla.
-Grazie
per non aver detto nulla a L.- disse infine.
-Capisco
la tua preoccupazione, ma dovrai affrontarlo, prima o poi.-
-Non
ora che il caso Kira sembrava essere giunto ad una svolta.-
ribatté,
senza guardare il vecchio negli occhi. -Come procedono le indagini?-
-Giusto...-
Watari fece una pausa. -Hanno arrestato Misa Amane con l'accusa di
essere il secondo Kira. Light Yagami si è consegnato poco
dopo
dicendo che “potrebbe essere Kira”.-
-Sta
mentendo.- lo interruppe K. -È lui Kira. Sta architettando
un piano
per scagionarsi assieme al secondo Kira.-
-È
la stessa conclusione alla quale è giunto L.-
-Ovviamente.-
Si voltò a guardare fuori dalla finestra. Il sole era ancora
alto,
doveva essere appena finita la stagione delle piogge. -Era mio
allievo.-
Watari
sorrise.
-Da
quando Light è andato in prigione, sono cessate le
esecuzioni. Ma
sono ricominciate quindici giorni dopo. L però non lo ha
detto a lui
e ad Amane, per vedere cosa sarebbe successo se avessero continuato a
credere di poter essere i due Kira. Sembra anche che la loro
personalità e i loro ricordi siano cambiati. -
K
si voltò di nuovo verso Watari.
-L'ha
ucciso lui. Ha ucciso lui Bjarne.- Strinse con forza la coperta del
letto. -Lo so che ha semplicemente fatto da boia, ma non posso
credere di non essere riuscita a fermarlo... È solo un
ragazzo...-
Si rabbuiò in volto.
-L
non sa nemmeno che Kira ha ucciso Bjarne.- disse poi Watari.
-L'arresto di Misa e la sparatoria hanno occupato l'attenzione di
tutti perché qualcuno si potesse preoccupare di controllare
le
vittime. Ho fatto in modo di convincere L a lasciare che fosse
qualcun altro ad occuparsi dei criminali uccisi, per un po', ma la
notizia della morte di Bjarne non è più apparsa
sui notiziari
giapponesi. Poi Light si è fatto chiudere in cella, e da
quel
momento L non ha smesso un momento di sorvegliarlo.-
La
guardò, grave. -Devo dirglielo?-
-No.-
rispose K. -Glielo dirò io. Appena potrò lasciare
questo letto
andrò a dirgli tutto.-
-Bene.-
Watari iniziò a cercare nelle tasche interne della giacca.
Estrasse
un dischetto.
-Ora
passiamo a queste. Sono riuscito a far scappare Burton entro 24 ore
dal fatto. Successivamente, è stato difficile riuscire a far
avvicinare qualcuno al caveau con le tue prove, ma fortunatamente
Medina ha fatto entrare in vigore il testamento di Bjarne,
perciò
abbiamo recuperato le prove su dischetto, oltre alle copie che avevi
con te. Siamo partiti da quelle.-
K
lo guardava con attenzione, ma si sentiva stanca, quasi come se il
suo spirito avesse gettato la spugna.
-Burton
ha preso in mano le indagini, e Medina ha denunciato l'arresto di
Bjarne come un tentativo di far fuori un testimone chiave. La Hogson
ha tutti addosso in questo momento.-
-Ma
le prove che ho raccolto da sole non bastano...- intervenne K,
scoraggiata.
-Basteranno.-
Watari sorrise. -Vedi, K, conobbi tuo padre durante una conferenza ad
Oxford. Mi parve subito un uomo estremamente brillante. Ma capii
anche che si era procurato dei nemici. Qualche mese più
tardi, mi
chiese se potessi accoglierti nel mio orfanotrofio, nel caso in cui a
lui e a tua madre fosse successo qualcosa. Immagino tu questo lo
sapessi già, non è così?-
-Sì,
infatti...-
-Beh,
quello che non sai è che tuo padre mi lasciò una
copia dei suoi
appunti, di tutte le prove che aveva raccolto, quando morì.-
K
sgranò gli occhi.
-Mi
disse che avrei potuto consegnartele, nel caso in cui tu avessi
cercato di scoprire perché lo avevano ucciso, ma solo quando
avessi
compiuto venticinque anni.- Watari si sistemò gli occhiali
sul naso.
-Si raccomandava però, che io cercassi sempre di dissuaderti
dal
cercare la verità, per la tua sicurezza. Ma quando sei
sparita avevi
ancora ventun anni. Per questo ho deciso di usare quegli appunti e
avviare un'indagine, non appena ho ricevuto la tua chiamata. Era
qualcosa che avrei voluto fare molto prima, in realtà, se
non altro
per rispetto del sacrificio di tuo padre... ma sono cambiate molte
cose da quando hai lasciato... ti ho cacciata dalla
Wammy's
House, e non ho voluto mettere in pericolo altri studenti.-
K
provò l'impulso di abbracciare Watari, ma muoversi le faceva
male.
Così gli rivolse un timido sorriso.
-Al
momento, Burton sta lavorando affiancato da Q e...J.-
Watari
si interruppe, preparato alla reazione di disgusto di K nel sentire
nominare J.
-Hanno
già smosso le acque. Hanno preferito mettere subito le carte
in
tavola per evitare che la Hogson avesse il tempo per disfarsi di
prove e testimoni. Ma in questo modo è possibile che ci
vogliano
mesi prima di arrivare al primo processo. E la tua testimonianza
sarà
fondamentale, per far sì che finiscano tutti in galera.-
-È
uscita qualche notizia ai telegiornali giapponesi?- domandò
K,
seria.
-Nessuna,
per ora.- le rispose Watari. -Hai paura che se trapelasse qualcosa,
Kira potrebbe uccidere i responsabili?-
-Mi
auguro che non accada.- disse la giovane, con gli occhi che stavano
virando verso il rosso. -Devono continuare a vivere, per vivere una
vita di inferno.-
Watari
evitò il suo sguardo, perché c'era una nota di
pietà nei suoi
occhi, e sapeva che lei odiava essere compatita. Perciò si
alzò, e
posò una lettera sul tavolino di fianco al letto.
-Questa
è da parte dei genitori di Bjarne.- le disse. -Avrei voluto
aspettare ancora un po' a dartela, ma penso sia meglio che tu la
legga subito. Anche quei fiori lì sono da parte loro.- e
indicò il
vaso sul comodino. -Sono davvero dispiaciuto per la sua morte, K.
Chiunque l'abbia conosciuto lo è.-
Passarono
diverse ore prima che K avesse il coraggio di aprire la busta.
“Cara
Kendra,
Ti
scriviamo questa lettera per farti sapere che siamo vicini anche a te
nel dolore della perdita di Bjarne. Chris ci ha detto quanto impegno
ci hai messo per cercare di salvarlo, e il signor Wammy ci ha
chiamato il giorno dopo per dirci che non saresti potuta venire al
suo funerale. Ci ha spiegato a quali pericoli sei andata incontro per
cercare di dargli giustizia, e quali e quanti pericoli probabilmente
dovrai ancora affrontare. È per questo che ti siamo grati
per tutto.
Bjarne ha sempre voluto proteggerti e ti ha sempre voluto bene, e
sarebbe un torto alla sua memoria se ora scaricassimo la colpa della
sua morte su di te. Hai dovuto sopportare sofferenze terribili, e la
morte del nostro Bjarne è solo l'ultima tra queste.
Ci
auguriamo che tu possa riprenderti presto dalle tue ferite e dal tuo
dolore. Sappi che la nostra casa sarà sempre aperta per te.
Bjarne
avrebbe tanto voluto che tu entrassi a far parte della nostra
famiglia, e come lui anche noi l'abbiamo sempre sperato.
Abbi
cura di te.
Tua,
Anne”
K
rimise delicatamente la lettera nella busta, ripensando all'ultima
volta che aveva visto Bjarne.
Si
trovavano in una stanza d'albergo a New York, prima che lei partisse
nuovamente per il Giappone. Lei stava infilando malamente i suoi
vestiti nel valigione, in mutande e con la sua solita maglietta nera
slargata, con la bandiera dell'Inghilterra scolorita.
-Hai
per caso visto la mia camicia da boscaiolo?- aveva chiesto a voce
alta.
Bjarne
era entrato nella camera da letto col giornale sotto braccio e un
vassoio con la colazione.
-Com'è
possibile che tu abbia già seminato tutta la tua roba in
giro, se
sei arrivata ieri sera?-
-Prima
di andare a letto mi è presa la paranoia di non aver
abbastanza
proiettili.- aveva risposto lei, avvicinandosi a lui, afferrando uno
dei bagel e dandoci un bel morso.
-Ti
fanno viaggiare con le armi?- aveva chiesto stupito Bjarne,
appoggiando il vassoio su un tavolino e sedendosi per mangiare. Aveva
la carnagione abbronzata e il fisico atletico da surfista. Era alto,
aveva poco più di trent'anni e portava i capelli biondo
platino
lunghi fino al collo, e teneva una barbetta chiara e ben curata per
sembrare più vecchio di quanto i suoi lineamenti gentili
lasciassero
intendere. I suoi occhi marroni erano a mandorla e avevano sempre
un'espressione dolce, e si illuminavano ad ogni suo sorriso.
Kendra
lo guardava, mentre mangiava il suo bagel, raccogliendo le briciole
che vi cadevano in un tovagliolo di carta, e si era sentita
improvvisamente serena, nonostante il gran turbamento che aveva
dentro da quando Hayer l'aveva ricontattata.
-Scusami,
ero rimasta incantata dalle tue fattezze da statua greca.- aveva
riso, ad un certo punto, e lui aveva riso con lei.
-Comunque...
per rispondere alla tua domanda...- aveva ripreso poi, in tono
più
serio. -Risulto essere un agente governativo, per questo mi lasciano
portare le armi.-
Lui
aveva annuito, versandosi della spremuta d'arancia.
-Farai
attenzione, non è vero?- le aveva chiesto ad un tratto,
serio.
-Come
sempre.-
Avevano
continuato a mangiare in silenzio, ascoltando il rumore del traffico
mattutino di New York, quando, ad un certo punto, K aveva ripreso:
-Sono preoccupata per te. Ho paura di aver fatto un grave errore
nell'accettare questo caso.-
Bjarne
si era alzato ed era andato a sederlesi accanto, sul letto.
-Smetti
di preoccuparti per me.- l'aveva rassicurata, cingendole le spalle
con un braccio. Entrambi temevano che in quella stanza Hayer avesse
fatto piazzare, come di consueto, delle cimici, per cui dovevano
essere cauti nel parlarsi.
-Penso
che sia giusto che tu vada in Giappone ad aiutare L.- aveva
continuato, baciandola delicatamente sulla fronte.
-Ho
paura che ti possa succedere qualcosa di brutto...- aveva insistito
lei, abbassando lo sguardo. -E se dovesse succederti qualcosa non
potrei mai perdonarmelo.-
Bjarne
aveva sospirato e l'aveva presa per le spalle, costringendola a
guardarlo negli occhi.
-Io
non ho paura.- aveva detto, semplicemente. -E non ho paura
perché ho
sempre cercato di vivere la mia vita appieno, al massimo delle mie
possibilità. Ho sempre coltivato le mie passioni, ho portato
avanti
le mie battaglie, ho cercato di realizzarmi...-
Le
aveva accarezzato dolcemente una guancia. -Mi sono occupato delle
persone a me care...-
Lei
aveva accennato un sorriso triste.
-Per
questo non ho paura di morire...- aveva sussurrato lui, prendendole
il viso tra le mani.
-Probabilmente
tu non riesci a capirlo, perché non hai mai vissuto una vita
tua.
Pensaci. Il tuo destino è stato segnato da quando tuo padre
è stato
ucciso per le sue indagini. Hai sempre vissuto la vita di qualcun
altro, una vita che ti è stata imposta da altri o che ti sei
imposta
tu, ma che non è mai stata tua. Sei stata addestrata fin
dalla
tenera età per diventare un detective, hai preso sulle tue
spalle il
destino di tuo padre, ma hai mai davvero avuto una scelta?-
L'aveva
stretta forte contro il proprio petto, continuando a sussurrarle
all'orecchio.
-Quando
ti ho conosciuta, eri già una detective. E non eri nemmeno
adolescente. Ma non credo che, se avessi potuto scegliere, avresti
percorso questa via in questo modo. E per questo ho cominciato a
riflettere. E dopo aver visto che eri costretta a vivere una vita a
metà, e dopo aver scoperto di essere malato, ho deciso che
avrei
vissuto pienamente la mia vita, come se ogni giorno fosse l'ultimo.-
Si
era staccato da lei per guardarla di nuovo negli occhi. -E speravo
che avrei portato anche te su questa strada. Per questo continuo a
ripetertelo. Devi trovare il coraggio di prendere in mano la tua vita
e vivere secondo il tuo volere, non secondo ciò che gli
altri hanno
scelto per te.-
K
aveva annuito, aveva preso le sue mani tra le proprie e aveva tirato
un lungo sospiro.
-Non
mi basterebbero tre vite per ricambiare tutto quello che hai fatto
per me in questi anni.- aveva detto, tirando su le gambe che
ciondolavano dal letto, piegando le ginocchia e mettendosi a sedere
sui talloni.
-Potresti
cominciare smettendola di preoccuparti per me.- aveva ribattuto lui,
con un sorriso.
-E
ora muoviamoci, Regina delle Nevi, il tuo cocchio ti aspetta.-
Lei
aveva riso, e si era lasciata cadere di schiena sul letto.
-Come
vuoi, Silver Surfer.-
Lo
avrebbe ricordato così, con la tavola da surf sulle spalle,
col suo
sorriso smagliante, coi capelli scompigliati dal vento. O mentre
rimetteva a posto i libri sugli scaffali e progettava viaggi in posti
meravigliosi. O mentre le metteva una coperta addosso e le offriva
biscotti appena sfornati. Oppure quando si erano incontrati, in un
giorno di pioggia, e lui si era avvicinato con l'ombrello bianco,
aveva messo al riparo lei e un L ancora bambino e aveva detto: -Ehi,
Fratellini Prodigio! Non risolverete molti altri casi, se vi beccate
una tubercolosi.-
Li
aveva scortati al riparo, aveva scrollato via l'acqua dall'ombrello e
poi aveva allungato la mano verso K, dicendo: -Sono Bjarne Hartford.
Ho sentito molto parlare di te, ed ero curioso di conoscerti.-
Note
A chi fosse interessato alla continuazione della storia volevo
comunicare che capitoli della seconda parte, relativa all'arco
narrativo della Yotsuba, non usciranno con regolarità.
Questo perché sto ancora scrivendo la terza stesura, e sono
arrivata appena al capitolo XI. Ho molti dubbi relativi a cosa dovrei o
meno aggiungere ai capitoli che seguiranno, in quanto in questa terza
stesura sto aggiungendo episodi che fanno luce sul passato di tutti i
personaggi, che fanno riferimento o riprendono fatti successi in una
specie di prequel di questa fanfiction (che chiamerò per
comodità Before
November 8th). Non so quanto spazio lasciare al
sentimentalismo e al ricordo, né quali o quanti flashback o
riflessioni inserire per aiutare il lettore a crearsi una propria idea
sui vari personaggi.
Ringrazio tutti colori che hanno letto
fino a qui, spero la mia storia vi stia piacendo!
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Capitolo 10 *** Prologo Parte 2 ***
Era
passato un mese da quando le esecuzioni dei criminali erano
ricominciate, ma L non sembrava minimamente intenzionato a rilasciare
Light e Misa. Anche il sovrintendente Yagami si era fatto mettere in
carcere, dal momento che temeva di cadere preda della pazzia per
l'arresto del figlio. I tre prigionieri mangiavano a malapena,
dormivano male e sembravano sul punto di crollare. Ma L non stava
molto meglio. Non dormiva, se non quelle volte in cui crollava di
fronte ai monitor della sorveglianza. Non usciva, rimaneva sempre
rannicchiato sulla poltrona per captare un qualunque cambiamento, un
minimo indizio. Dopo i primi giorni, Misa aveva cambiato
personalità.
Pareva ovvio che in quel momento non sapesse nulla riguardo a Kira. A
quel punto Light si era fatto arrestare, e dopo circa una settimana
anche lui era cambiato di colpo. Era possibile che fossero stati come
“posseduti” fino a quel momento, e che
l'entità in grado di
uccidere a distanza conoscendo solo i nomi e i volti delle vittime
avesse cercato altri umani per portare a termine i suoi scopi? Pareva
l'unica spiegazione plausibile. Avrebbe spiegato perché gli
omicidi
si erano fermati ed erano poi ricominciati. Ma L non credeva che
Light e Misa fossero delle vittime. Perché mai una qualunque
entità
avrebbe dovuto decidere di giustiziare tutti i criminali in quel
particolare momento storico? Perché partire dal Giappone?
No, il
modus operandi, gli obiettivi e l'ideologia di Kira potevano derivare
soltanto da una personalità quale era quella di Light
Yagami. Light
Yagami aveva creato Kira, non era stato Kira ad usarlo come tramite.
Le conoscenze di Banks nel campo esoterico si sarebbero rivelate
utili, se solo non si fosse beccata una pallottola addosso e non
fosse finita in coma per settimane.
Tuttavia,
alla vista delle esecuzioni che si susseguivano, gli altri agenti non
smettevano di fare pressioni ad L perché liberasse i
prigionieri, e
che dicesse loro che le esecuzioni erano ricominciate. Già,
perché
L aveva taciuto su questo fatto, per verificare se i due indiziati
stessero o meno mentendo. Nonostante lo accusassero di continuo di
essere un maledetto sadico, L non demordeva. Era convinto che
liberare Light e Misa avrebbe favorito il loro piano. E non era solo
quello: più passava il tempo, più diventava
evidente che nessuno
dei due potesse essere l'attuale responsabile per le morti dei
criminali; ed era una cosa che lo mandava in bestia. Aveva avuto i
due Kira sotto custodia, ma ora... non erano più i due Kira.
Non
poteva accettarlo, non poteva sopportarlo. Brancolava nel buio
più
totale, non capiva come tutto ciò fosse possibile. E questo
lo
rendeva ancora più crudele di quanto non fosse normalmente.
Watari
lo aveva lasciato pochi minuti prima: aveva ricevuto una chiamata dal
nuovo quartier generale. Banks si era risvegliata. Peccato fosse in
condizioni probabilmente troppo pietose per poter essere realmente di
aiuto. L avrebbe preferito mille volte non vedere più la sua
faccia,
quella vera o quella finta che fosse, dopo quello che avevano
rischiato al quartier generale, ma temeva che, in quel momento, fosse
l'unica tra i suoi collaboratori che potesse avere una qualche
speranza di aiutarlo, anziché giudicarlo.
Burton
fu accolto all'entrata del nuovo quartier generale dal signor Wammy
in persona. Non c'erano stati intoppi durante il viaggio
dall'Inghilterra, e la lunga corsa in taxi fatta per depistare
qualunque inseguitore gli era parsa superflua. La Hogson ormai aveva
smesso di seguirlo, da quando lui e Medina avevano rese pubbliche le
prime prove raccolte, relative soprattutto al caso del povero Bjarne.
Burton non aveva una famiglia che potessero prendere in ostaggio: era
figlio unico, i sui genitori erano morti molto tempo prima, e non si
era mai sposato, non sia mai. Era sposato al suo lavoro e alla sua
carriera, non avrebbe mai potuto conciliare l'essere un poliziotto ad
una famiglia. Era questo il motivo per cui aveva adottato Kendra: per
quanto fosse da tutti ritenuto molto in gamba, Burton si rendeva
conto che avrebbe tanto desiderato avere quella marcia in
più, che
gli avrebbe permesso di fare carriera. Aveva trovato “quel
qualcosa
in più” quando lavorava ancora al dipartimento di
polizia di
Boston, ed era sergente; al commissariato si era presentato un
detective inglese, proveniente dalla Wammy's House: sebbene dai modi
un po' burberi e dalla scarsa capacità di collaborare,
legate
soprattutto alla sua estrema competitività, era di
un'intelligenza e
di un'acutezza mentale fuori dal comune. Burton ne era rimasto
incantato, e da quel momento aveva cercato disperatamente di mettersi
in contatto con la Wammy's House, per poter vedere come venivano
addestrati i giovani detective. Ma era andato incontro ad una cocente
delusione: non vi era modo di parlare col loro direttore, né
tantomeno di farsi ricevere. L'accademia era protetta dalla
più
assoluta discrezione, e tutti i loro studenti ne custodivano
gelosamente i segreti.
Finché,
un giorno, al commissariato era giunta una chiamata del direttore
stesso della Wammy's House, il signor Quillish Wammy. Diceva che una
loro studentessa avrebbe voluto affiancarli nelle indagini per
imparare il mestiere sul campo. Spiegò che aveva ricevuto
opinioni
positive sul sergente Burton, e che avrebbe voluto approfittare del
suo interesse verso gli studenti della Wammy's House per cominciare
una collaborazione che avrebbe giovato ad entrambi, la propria
studentessa e la sua curiosità.
-Non
vedo perché no.- aveva detto il superiore di Burton, il
capitano
Lee. -Ma mi chiedo quante ore vorrà dedicare
all'apprendistato, e
soprattutto se possiede o meno una formazione come agente di
polizia.-
-Non
si tratterà più che di qualche ora a settimana.-
aveva risposto
Wammy. -Dovrà comunque frequentare per un anno una scuola
preparativa per entrare ad Harvard, dove vorrebbe studiare Legge.-
-Non
ha ancora nemmeno frequentato l'università?!- aveva
domandato il
capitano, alzando un po' troppo la voce. -Come pretende che prendiamo
con noi una ragazzina appena maggiorenne senza istruzione e senza
addestramento?-
-In
realtà...- aveva ripreso Wammy, con tono divertito. -Ha
quattordici
anni. Sarebbe potuta entrare ad Harvard già quest'anno, ma
ha
insistito per fare prima una scuola preparatoria e vedere come lavora
la polizia. Non si preoccupi, per quando sarà maggiorenne
è
probabile che abbia anche preso il master, e a quel punto
potrà
entrare direttamente in accademia di polizia.-
Aveva
fatto una pausa, ma nell'ufficio del capitano erano rimasti tutti
sbigottiti e nessuno osava proferire parola.
-È
possibile che tra cinque anni avrà tutte le carte in regola
per
essere lei a comandare voi. Perciò la mia domanda
è questa: ve la
sentite di accettare la sfida?-
Burton
aveva riso sonoramente, spezzando il pesante silenzio che era caduto
in ufficio.
-Per
quanto brillante possa essere questa ragazzina, se non è
maggiorenne
non potrebbe nemmeno entrarci, qui.- aveva detto, avvicinandosi al
telefono, in vivavoce.
-E
immagino che sarebbe anche un bel problema per lei venire a vivere
qui a Boston, frequentare un liceo, frequentare
un'università,
essendo minorenne e senza un tutore, giusto?-
-Avrà
un tutore.- aveva risposto Wammy. -Ovviamente.-
-E
invece credo che sarebbe più che altro nominale.- aveva
ribattuto il
sergente. -Ho come l'impressione che i vostri studenti a quattordici
anni siano già degli adulti fatti e finiti. Non voglio di
certo
mettere nei guai questo distretto soltanto per il mio desiderio di
far carriera, costringendoli a prendersi la responsabilità
di badare
ad una bambina. Perciò...-
E
aveva sorriso, con fare sicuro.
-Pensa
che se la adottassi, questo sistemerebbe le cose?-
Tutti
i colleghi lo avevano guardato esterrefatti. Burton aveva appena
trentadue anni, ed era già diventato sergente grazie al suo
brillante intuito e alla sua totale dedizione al lavoro. Per quanto
fosse un uomo affascinante e carismatico, aveva anche smesso con le
relazioni occasionali, perché, a suo dire, gli portavano via
troppo
tempo. E ora, pur di poter finalmente mettere le mani sui segreti
dell'addestramento dei detective della Wammy's House, si era detto
disposto ad adottare un'adolescente, senza nemmeno pensarci su un
momento. Burton sapeva che era quello a cui stavano pensando tutti in
quel momento, ma non se ne preoccupava. Quella per lui sarebbe stata
una sfida, e lui adorava le sfide. Immaginava anche che la ragazzina
in questione sarebbe stata totalmente indipendente, e che non avrebbe
seriamente dovuto farle da padre, se non nominalmente.
E
così era stato. Kendra, che aveva così preso il
suo cognome, era
una persona difficile da trattare: appariva sfrontata, sarcastica,
indipendente e sicura di sé, e fin da quando era andata a
prenderla
alla Wammy's House aveva stabilito la propria indipendenza: avrebbe
vissuto il collegio, per frequentare la scuola preparatoria ad
Harvard, e sarebbe tornata solo i finesettimana e di tanto in tanto
qualche sera a settimana, per lavorare con lui. Non si sarebbe mai
rivolta a lui chiamandolo “padre”, non avrebbero
festeggiato
alcun avvenimento insieme, se non fosse stato assolutamente
necessario per salvare le apparenze, lui non avrebbe dovuto
intromettersi nella sua vita in alcun modo. E avrebbe dovuto
permetterle di andare una volta al mese in California, per vedere un
suo caro amico, Bjarne Hartford.
In
cambio, Burton le aveva chiesto di non rappresentare per lui una
seccatura: non rimanere incinta, non farsi arrestare, non pestare
nessuno, se voleva bere o fumare, che lo facesse senza farsi beccare,
come tutti. La sua condotta doveva essere esemplare, dal momento che
rappresentava lo strumento più importante per il suo
avanzamento di
carriera, per cui non avrebbe mai dovuto gettare cattiva luce su di
lui.
Entrambe
le parti avevano accettato l'accordo, e da quel momento, e per gli
anni successivi, il loro rapporto era stato esclusivamente
lavorativo. Kendra tornava a casa di Burton tre o quattro volte a
settimana, per esaminare i suoi casi e per dargli qualche dritta su
come affrontarli, su come ragionare, su come agire. Burton si era
reso presto conto che quei ragazzini dovevano essere stati
pesantemente indottrinati, ed era arrivato alla conclusione che
fossero tutti orfani, e che Kendra non rappresentasse un caso
speciale. Non poteva esserci altra spiegazione: quei bambini dovevano
essere stati selezionati dai vari orfanotrofi, sempre di
proprietà
di Wammy, non appena avevano mostrato di avere un'intelligenza
superiore alla media. Rinchiusi in quell'accademia, era possibile che
dedicassero tutto il loro tempo all'apprendimento e
all'addestramento, poiché Kendra aveva dimostrato di avere
molta
esperienza nel risolvere casi. Perciò lei non doveva essere
l'unica
bambina prodigio: probabilmente erano tutti come lei, estremamente
precoci, ed estremamente problematici.
Non
le aveva voluto fare domande sulle sue cicatrici: in realtà,
non le
aveva mai viste. Dal primo momento in cui Kendra era entrata in casa
sua, era sempre stata truccata, aveva sempre portato la parrucca e le
lenti. Si era quindi stupito, quando un venerdì sera, dopo
un anno e
mezzo, tornando a casa, aveva visto le luci accese, era salito nella
camera destinata a lei, e l'aveva vista studiare alla scrivania,
bianchissima, con un caschetto disordinato di capelli candidi che le
arrivavano alla nuca. Aveva addosso una canottiera, perciò
aveva
visto per la prima volta la cicatrice sulla sua spalla.
-Ciao
Roger.- aveva detto. -Scusami se sono tornata senza preavviso.-
In
tutto ciò, non si era voltata. Burton aveva guardato verso
la
finestra, e aveva visto il suo viso riflesso. Sapeva che aveva
un'ustione sul volto, ma non credeva che fosse così evidente.
-Se
vuoi posso voltarmi.- aveva detto la ragazzina. -Però non ti
devi
spaventare.-
-Non
devi farlo, se non vuoi.- aveva risposto Burton, tranquillo. -Dimmi
solo: è successo qualcosa all'università?-
-Nulla
che possa mettere in pericolo la tua posizione.- aveva detto lei,
voltandosi lentamente sulla sedia girevole.
-Non
riuscivo a studiare, tutto qui. Speravo di poter trovare un po'
più
di tranquillità, qui.-
Burton
l'aveva guardata, e per la prima volta aveva notato una sconfinata
tristezza nel suo sguardo. La ragazzina che rideva sempre di tutto e
di tutti, che si mostrava superiore, egocentrica, distaccata, in quel
momento era fragile, e così stanca da non nasconderlo.
-Allora
ti lascio studiare.- aveva detto lui, dirigendosi alla porta. Si era
poi bloccato con la mano sul pomolo, e aveva aggiunto:
-Se
finisci presto di studiare, potresti andare qualche giorno da Bjarne,
no?-
Lei
aveva accennato ad un sorriso stanco, e poi si era alzata.
-Sto
bene, Roger.- aveva detto, aprendogli la porta. -Domani dobbiamo
lavorare al tuo caso. Vai pure a riposarti, io mi ero preparata la
cena, puoi riscaldartene un po', se vuoi.-
Da
quella sera, Burton aveva cominciato a fare qualche domanda in giro,
per sapere di più su di lei. Era venuto fuori che soffriva
spesso di
crisi isteriche e attacchi di panico, e perciò nessuna
ragazza
voleva stare in stanza con lei. Aveva iniziato a sospettare che fosse
autolesionista, ma non trovò nulla né in casa,
né nella sua stanza
al college. Forse nascondeva bene la cosa per evitare dei guai anche
a lui. Sapeva che non aveva altri amici al di fuori di quel Bjarne, e
di un bambino della Wammy, il suo fratellino. Che le aveva regalato
quell'ustione in faccia. Sapeva che suo padre era morto in un
incidente d'auto in circostanza misteriose, assieme allo zio, e che
la madre, sopravvissuta all'incidente, era stata trovata senza vita
poco tempo dopo. Kendra si trovava su quell'auto. Un pezzo di lamiera
le si era conficcato nella spalla, e si era risvegliata dal coma
quattro mesi dopo, scoprendo che i suoi genitori erano morti.
Sindrome
del sopravvissuto.
Autolesionismo.
Sarebbe
stata una situazione difficile per chiunque, anche se non fosse
cresciuta in un'accademia disumana come la Wammy's House.
Aveva
deciso di cominciare ad indagare sul mistero della morte dei suoi
genitori, ma le indagini non lo avevano portato molto lontano.
Finché
pochi anni dopo, lei non lo aveva coinvolto in quella storia, ormai
disperata, poco dopo aver scoperto di essere malata, come Bjarne, e
di non avere grandi prospettive di vita.
A
quel tempo, Kendra era diventata, almeno nei suoi pensieri, sua
figlia a tutti gli effetti. La carriera rimaneva per lui la cosa
più
importante, ma non era più l'unico scopo. Aveva scoperto che
dava
molta più motivazione l'andare avanti per il bene di
un'altra
persona, e non solo per il proprio. Se sei spinto solo dal tuo
interesse, è più facile che tu possa rallentare,
o lasciare
perdere, ma se lo fai per qualcun altro, sai che non devi cedere: hai
nelle tue mani la responsabilità di un'altra persona,
perciò non ti
puoi concedere tregua.
Era
per questo motivo che Burton si trovava in Giappone, e aveva mollato
momentaneamente il dipartimento di polizia di Chicago, dove lo
avevano trasferito dopo la sua promozione, per sbattere in galera
coloro che avevano rovinato la vita alla sua pupilla. Anche
perché,
quella promozione la doveva a lei. E, non ultimo, se fosse riuscito
ad uscire vivo da quel caso, la sua carriera ne avrebbe sicuramente
tratto enorme vantaggio.
-Kendra.-
disse semplicemente, giunto sulla porta della stanza adibita a centro
fisioterapico, dove la ragazza faceva esercizi per la spalla
sinistra. Lei alzò lo sguardo, e accennò ad un
mezzo sorriso.
-Grazie
di essere venuto, Roger.- disse, posando a terra il peso e alzandosi
in piedi. Gli andò incontro e gli porse la mano destra.
Roger la
guardò, poi alzò lo sguardo e
l'abbracciò di scatto, facendo
attenzione a non farle male alla spalla.
-Non
sai quanto sono felice di vedere che sei viva, e che sei libera!-
cominciò, con voce rotta dall'emozione. -E non sai quanto mi
abbia
addolorato la morte di Bjarne. Avrei voluto poter fare di
più, per
tutti voi.-
Incredibilmente,
Kendra ricambiò timidamente l'abbraccio, cingendogli la
schiena col
braccio destro, e abbandonando il volto sulla sua spalla.
Però si
scostò subito.
-Hai
rischiato molto per noi, Roger.- gli disse, con voce ferma. -Non hai
nulla di cui rimproverarti. Anzi, stai facendo un lavoro eccezionale,
assieme a Medina. Se Hayer finirà in galera, sarà
solo per merito
vostro.-
-Non
avremmo potuto dimostrare nulla senza le prove da te raccolte.- disse
Burton, abbassando gli occhi azzurrissimi verso terra. -Ma purtroppo,
senza di te non possiamo chiudere il caso.-
-Per
questo sei qui, no?- disse lei, sorridendo in modo innocente.
Lui
le rivolse un'occhiataccia. -Sono qui perché volevo vedere
come
stavi. Sarei venuto molto prima, ma Wammy ha voluto che aspettassi
almeno che uscissi dal coma. E certo.- aggiunse, alzando la propria
valigetta. -Ho bisogno di una tua deposizione. Ma non
basterà, sarà
necessario che tu ti presenti in tribunale.-
-Voglio
partecipare alle indagini.- protestò lei. -Sto dietro a
questo caso
da anni, non me ne starò qui con le mani in mano.-
-Non
chiuderemo il caso senza di te, non ti devi preoccupare di questo.-
disse risoluto Burton, invitandola a sedersi. -Ma siamo tutti
d'accordo col pensare che tu al momento sia più al sicuro
qui. Puoi
darci istruzioni da qui, su come muoverci per le indagini, ma la
priorità è che tu resti al sicuro. Non potremmo
smantellare
l'intera organizzazione se ti succedesse qualcosa, perciò
per il
momento ti chiedo di non lasciare questo edificio.-
Kendra
si sedette, col volto leggermente rabbuiato.
-E
va bene.- sospirò infine. -Anche perché non
vorrei nemmeno
abbandonare il caso Kira. Vorrei poter lavorare ad entrambi, anche se
sbattere in galera Hayer è la mia priorità.-
-Per
questo siamo tutti qui ad aiutarti.- disse Burton, aprendo la
valigetta.
-Possiamo
discutere prima dei dettagli, se vuoi, sennò possiamo
passare subito
alla tua deposizione. Almeno starai un po' più tranquilla. E
poi io
ordinerei qualcosa da mangiare. Sto morendo di fame.-
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Capitolo 11 *** Capitolo 8 - "Mio Dio, L, cosa sei diventato?" ***
Capitolo
VIII
26
luglio.
La
luce del mattino entrava dalla finestra, illuminando la poltrona dove
L stava rannicchiato, ad osservare i monitor con le riprese in
diretta dalle celle di Light, del sovrintendente Yagami e di Amane.
-Tutto
bene, signor Yagami?- domandò al sovrintendente, che stava
seduto
curvo sulla sua sedia, coi capelli striati di bianco che gli
ricadevano lunghi sul volto. -Lo sa che non ha motivo di restare
lì.-
-È
già passato più di un mese da quando Kira ha
ripreso ad uccidere.-
rispose Yagami, con voce carica di risentimento. -Ormai, io sono
assolutamente sicuro del fatto che mio figlio non sia Kira. Ora devi
solo convincertene tu, Ryuzaki.-
Il
detective stava seduto davanti allo schermo, rannicchiato con le mani
appoggiate alle ginocchia.
-Sono
fermamente deciso ad uscire da qui soltanto insieme a mio figlio.-
continuò Yagami.
-Certo
che anche il sovrintendente è testardo.- commentò
a bassa voce
Matsuda, rivolto ad Aizawa.
L
cambiò microfono, e ingrandì la ripresa della
cella di Light.
-Light,
come stai? Va tutto bene?-
Il
ragazzo era sdraiato a terra, con mani e piedi legati. Sembrava
dormisse. Tuttavia, alzò leggermente la testa, con la
frangia che
gli copriva il viso fino al naso, e si rivolse alla telecamera.
-Sì,
va tutto bene.- rispose con voce flebile. -Ascolta, Ryuzaki, da
quando sono stato rinchiuso non è morto nemmeno un
criminale,
quindi... ne deduco che Kira è perfettamente a conoscenza di
ciò
che sta accendo qui, il che...-
-No.-
lo interruppe bruscamente L, con un evidente nervosismo che
traspariva dalla sua voce.
-Mi
porta a pensare...- tentò di continuare Light.
-Se
non è stato ucciso ancora alcun criminale è
perché tu sei Kira.-
lo interruppe di nuovo L, che stava quasi gridando dalla rabbia e
dalla frustrazione.
-Ti
sbagli, io non sono Kira!- protestò Light, con voce
disperata.
-Quante volte te lo devo ripetere questo?!-
L
rimase per un attimo in silenzio a guardare il ragazzo accasciato a
terra nello schermo. “Se lui fosse Kira”
pensò. “...dovrebbe
saperlo che gli omicidi sono ricominciati, eppure non si direbbe
proprio.”
Aizawa,
in piedi alle sue spalle a braccia incrociate, cominciò a
commentare
rivolto a Matsuda, irritato:
-Ryuzaki
è così crudele, quando tempo aspetterà
ancora per dire a Light che
i criminali hanno ricominciato a morire in massa?-
L
fece finta di non sentirlo, cambiò inquadratura,
cambiò microfono e
attivò la distorsione della voce:
-Amane.-
-Sì?-
rispose la flebile voce di Misa. Aveva addosso una camicia di forza,
aveva gli occhi bendati, ed era legata ad un pannello di metallo con
le luci dei fari puntate addosso. La ragazza era piegata in avanti,
l'unica posizione in cui riuscisse a dormire.
-Non
ti vedo molto in forma.- commentò L -Tutto bene?-
-Ma
sei scemo?- rispose Misa, senza nemmeno muoversi. -Come posso stare
bene se mi tieni rinchiusa qui dentro da decine di giorni?-
-Sì...
non hai tutti i torti.-
-Sbrigati
a liberarmi.- riprese la ragazza. -Voglio vedere Light!-
E
poi continuò a ripetere il suo nome, con la voce sempre
più rotta
dal pianto: -Light... Light! … Light!-
Matsuda
non riuscì più a trattenersi.
-Accidenti,
sembra proprio che tutti e tre abbiano raggiunto il limite.-
Aizawa,
ripartì alla carica, con tono d'accusa.
-Ryuzaki,
ma perché vuoi continuare a tenere prigioniero Light? Non ti
sembra
ora di liberarlo, così anche il sovrintendente
potrà uscire?-
L
chiuse il microfono e ritornò alla visualizzazione delle tre
celle
in contemporanea. Allungò un dito verso la coppa di gelato
vuota,
fece la scarpetta sul bordo e si ciucciò il dito.
-Al
momento nessuno dei due ha accesso ai notiziari, eppure i criminali
stanno morendo lo stesso.- continuava intanto Aizawa. -Non è
abbastanza come prova della loro innocenza?-
-Per
niente.- rispose il detective, con tono seccato. -L'unica cosa che ho
capito è che Amane prova un amore smisurato nei confronti di
Light
Yagami.-
-Scusa,
Ryuzaki, ma non posso fare a meno di pensare che tu stia facendo
tutto questo soltanto perché non vuoi ammettere di esserti
sbagliato
sul conto di Light.- riprese Aizawa, in tono sempre più
concitato.
-Allora
è così che la pensa?- domandò L,
impassibile, senza alzare gli
occhi dal monitor.
Aizawa
perse definitivamente il controllo.
-Come
ha detto Light, se Kira potesse uccidere anche mentre è
sotto
sorveglianza, e senza poter accedere ad alcuna informazione, allora
perché avrebbe dovuto uccidere Lind L. Taylor e gli agenti
dell'FBI?
Anche se avessero indagato sul suo conto, non avrebbero potuto
incastrarlo, no? Non hai ammesso tu stesso che Kira non uccide senza
un preciso motivo?-
-Già,
questo è vero.- concordò Matsuda. -Se Light
potesse uccidere in
quelle condizioni, allora non avrebbe avuto motivo di far fuori gli
agenti dell'FBI, no?-
L
prese un altro po' di panna mista a gelato rimasta nella sua coppa
con un dito e se lo leccò, in silenzio.
-Ormai
sono passati cinquanta giorni, non ha alcun senso continuare
così.
Piuttosto, sarebbe ora di pensare a catturare il vero Kira.- gli
lanciò la frecciatina Aizawa.
L
continuava a guardare Light accasciato a terra dallo schermo, mentre
ascoltava l'agente.
Alla
fine, abbassò lo sguardo verso la sua coppa di gelato vuota,
allungò
un dito per fare di nuovo la scarpetta, ma all'ultimo momento lo
ritrasse.
-E
va bene.- si arrese. -Vediamo un po'.-
-Signor
Yagami.- lo richiamò dal microfono che teneva sul tavolino
da tè di
fronte alla sua poltrona.
-Che
c'è?- rispose il sovrintendente in tono stanco e seccato.
-Potrebbe
tornare al quartier generale? Le devo assolutamente parlare a
quattr'occhi. Voglio che ascolti le mie conclusioni sul caso, visto
che lei è il padre di Light.-
Vi
fu un attimo di silenzio, poi Yagami rispose.
-D'accordo,
verrò.-
L
si alzò dalla poltrona e tentò di tendere il
corpo anchilosato.
Fece allontanare Matsuda e Aizawa e poi chiamò Watari, che
in quel
momento si trovava nel nuovo quartier generale: avrebbe sottoposto
Light e Misa ad un'ultima prova, e poi li avrebbe scarcerati.
Sarebbero stati trasferiti nel nuovo quartier generale, che ora era
perfettamente operativo, dove sarebbero stati tenuti sotto controllo
e avrebbero collaborato alle indagini. Yagami sarebbe stato
scarcerato all'istante, ma aveva bisogno di cure mediche, per cui
sarebbe voluto andare al nuovo quartier generale per usare
l'infermeria, che era attiva già da settimane per curare
Banks.
Yagami
giunse dopo una mezz'ora nell'albergo dove si trovava L, che gli
propose di seguirlo all'infermeria del nuovo quartier generale, dove
avrebbe fatto un check-up medico, per maggiore discrezione, e questi
accettò. Sarebbe stato complicato spiegare ad un qualunque
ospedale
che si era volontariamente fatto mettere in carcere per cinquanta
giorni perché suo figlio era sospettato di essere Kira. Il
signor
Yagami era terribilmente invecchiato in quei mesi. I capelli, fino ad
un anno prima neri, erano ora interamente striati di bianco. Il volto
era emaciato, le rughe erano aumentate, e il suo sguardo era spento.
Si
fecero portare al nuovo quartier generale in taxi. Si trattava di un
edificio altissimo e con grandi vetrate, ma non era possibile vedervi
all'interno. Il taxi li lasciò in una stradina laterale,
così
fecero un piccolo pezzo a piedi. L portava ai piedi un paio di scarpe
da tennis logore e slacciate, che si tolse immediatamente quando
entrarono, dopo aver passato numerosi controlli di sicurezza.
-Ci
trasferiremo presto qui.- disse, precedendo Yagami con la sua solita
andatura curva. La stanza principale, il cuore del quartier generale,
era vicina all'ingresso, al piano terra. Vi era una lunghissima
scrivania con una dozzina di postazioni computer, e la parete era
coperta da schermi. Ai due lati della stanza partivano due scalinate
che conducevano ad un piano intermedio, dal quale era possibile
prendere l'ascensore. Fece accomodare Yagami e si diresse verso un
tavolino sul quale era appoggiata una caraffa di caffè
americano
ancora caldo, che si versò in un bicchierino di carta. Aveva
superato i dieci caffè, quel giorno, ed erano appena le
dieci;
sapeva che il suo fisico non sarebbe riuscito a reggere ancora a
lungo in quelle condizioni, ma gli importava poco: voleva riuscire
solo a resistere fino alla risoluzione del caso. Aveva seri dubbi
sulle sue possibilità di sopravvivere, nel momento in cui
fosse
riuscito effettivamente ad incastrare Kira, ed era per questo che
aveva già designato i suoi due eredi, Mello e Near. Era
stanco,
incredibilmente stanco. Nemmeno l'idea di morire lo turbava
più.
Ritornò
dall'ex sovrintendente, che stava provando uno dei computer.
-Vedo
che ti sei dato da fare, Ryuzaki.- gli disse. -Penso che lavoreremo
bene qui.-
-Lo
spero.- fece L. -A breve dovrebbe arrivare l'equipe di medici che la
visiterà. L'infermeria è al tredicesimo piano.-
Accese
alcuni degli schermi per mostrargli le varie aree del quartier
generale. Vi erano diversi appartamenti, tanto che la struttura
poteva arrivare ad ospitare circa sessanta persone.
Controllò il
cellulare: aveva provato a chiamare Watari appena arrivato, ma non
aveva risposto e non lo aveva ancora richiamato.
-È
qui che è stata scortata la signorina Banks?-
domandò Yagami.
-Sì.-
L si voltò e si appoggiò alla scrivania. -Watari
dice che sta bene.
Troverà un modo per metterla al sicuro e poi se ne
andrà.-
-Ma...
non sarebbe più sicuro se rimanesse qui un altro po'?-
provò a
protestare Yagami. -Dopotutto, da quel che ho capito era un ostaggio
da parecchio tempo, e gli uomini che hanno tentato di ucciderla
potrebbero tornare!-
-Non
ho avuto il tempo di indagare approfonditamente sull'organizzazione
per cui lavorava.- rispose L, facendo una smorfia nell'assaggiare il
caffè, al quale avrebbe aggiunto volentieri altri sei o
sette
cucchiaini di zucchero. -E anche se penso che la sua intenzione non
fosse quella di spiarci, non posso permetterle di rimanere oltre.-
Ma
L era venuto fino a lì con Yagami per parlare del suo piano
per
scagionare Light e Misa. Soichiro riteneva che la prigionia
così
prolungata del figlio e della ragazza fosse una vera
crudeltà, ma
sapeva che le prove a carico di Misa erano pesanti, e che Light era
stato avvicinato da lei subito dopo l'evento di Aoyama. Si chiedeva
come avrebbero proceduto ora che gli unici due indiziati avevano un
alibi inattaccabile. Le esecuzioni continuavano nonostante loro non
avessero notizie dall'esterno.
-L'ho
portata fin qui personalmente perché dovrei chiederle un
favore.-
disse Ryuzaki. -Sono disposto a scarcerare Light e Misa e a far
cadere tutte le accuse su suo figlio, ma per farlo sarebbe necessaria
un'operazione che potrebbe costarle la vita.-
-Se
mio figlio è innocente, sono disposto a fare qualunque cosa
purché
esca di prigione.-
-Se
suo figlio è innocente non le succederà nulla.-
riprese L,
tranquillo. -Ma se dovesse essere Kira...- e si voltò a
guardarlo in
volto -...Lei morirà.-
Soichiro
abbassò lo sguardo. -Non credo riuscirei comunque a vivere
sapendo
che mio figlio è il più grande serial killer
della storia
dell'umanità.- Si prese il viso tra le mani e
cominciò a sospirare.
Infine, chiese a L di esporgli il suo piano. Si trattava di far
credere ai due ragazzi, ancora convinti che le esecuzioni fossero
cessate definitivamente, di essere stati giudicati colpevoli e
condannati a morte. Yagami li avrebbe dovuti trasportare in macchina
al luogo dell'esecuzione, ma poi avrebbe deviato verso un posto
abbandonato. Avrebbe tirato fuori una pistola caricata a salve e
l'avrebbe puntata contro Light, dicendo che li avrebbe uccisi
personalmente e poi si sarebbe tolto la vita. Se i due ragazzi
fossero stati i due Kira, l'avrebbero ucciso prima che fosse riuscito
a sparare. In caso contrario, le accuse sarebbero cadute.
Soichiro
rifletté a lungo. Non gli importava di morire, se davvero
suo figlio
si fosse rivelato essere Kira. Si chiedeva piuttosto se avrebbe avuto
i nervi abbastanza saldi per portare a termine l'operazione.
Minacciare di morte il proprio figlio... perché L gli
chiedeva una
cosa del genere?
-Accetto.-
disse infine. -Ma mi devi giurare che farai cadere tutte le accuse su
mio figlio, Ryuzaki.-
-Non
posso prometterle che non avrò più dubbi sulla
sua innocenza.-
ribatté L, guardando il i rimasugli di caffè
misto a zucchero che
erano rimasti sul fondo nel bicchierino. -Perché le
esecuzioni hanno
avuto un arresto inspiegabile nel momento in cui Light si è
consegnato a me. E ho monitorato le esecuzioni delle ultime
settimane, e credo di poter affermare senza ombra di dubbio che
questo Kira è diverso dal primo. Il primo Kira uccideva i
criminali
pericolosi ed irrecuperabili. Questo uccide indistintamente chiunque
appaia nei notiziari, anche coloro che sono solo sospettati di
qualche crimine, poveracci che rubano per fame o gente che uccide per
legittima difesa.- Alzò il bicchiere e provò a
dargli dei colpetti
sul fondo, in modo da far scivolare lo zucchero verso la sua bocca
aperta. -Quindi possiamo presumere che Light, diciamo, fosse sotto il
controllo di Kira, che lo usava per le sue esecuzioni. E nel momento
in cui lui e Misa sono diventati inutili, abbia trovato un nuovo
“tramite”.- “Ma è
più probabile che Light fosse pienamente
cosciente di ciò che faceva e abbia architettato questo
piano”
disse tra sé e sé. Ma questa parte del suo
ragionamento avrebbe
spinto Yagami a rifiutarsi di collaborare. Ed era un ragionamento
ancora tutto da dimostrare.
Discussero
ancora, finché l'uomo accettò. Era già
passata più di mezz'ora da
quando erano arrivati e ancora non si vedeva nessuno. D'un tratto,
però Soichiro vide un movimento su uno degli schermi.
-Ryuzaki,
guarda, è lì Watari. Vuoi provare a richiamarlo?-
L
lanciò un'occhiata allo schermo alle sue spalle senza
girarsi, ma
qualcosa lo fece irrigidire e rimanere immobile per diversi secondi.
Le labbra gli si piegarono in una smorfia di rabbia, e le sue
pupille, di norma sempre esageratamente dilatate, per un attimo si
restrinsero, mentre una scintilla pareva illuminare il suo sguardo
altrimenti sempre spento. La mano con cui reggeva il caffè
tremò, e
poi si strinse di colpo, accartocciando il bicchiere e spillando a
terra il suo poco contenuto. Era la prima volta che Soichiro vedeva L
agitato. Questi gettò lontano il bicchierino, si
alzò dalla
scrivania e si diresse a passo svelto su dalle scale, rovesciando la
sedia girevole sul quale era seduto.
-Ryuzaki!-
provò a chiamarlo.
-NON
ORA!- gli urlò il giovane di rimando, con voce terribile.
Soichiro
rimase sbigottito. Si volse verso i monitor per vedere cosa potesse
aver scatenato quella reazione in Ryuzaki. Una reazione!
Ritrovò
l'immagine di Watari. Le riprese erano in bianco e nero, e aveva
subito notato Watari perché portava, come suo solito, un
completo
nero. Non aveva notato che di fianco a lui ci fosse una ragazza.
Aveva lunghissimi capelli molto chiari e la pelle bianca. Portava dei
jeans corti e una maglietta aderente che con ogni
probabilità era
bianca. Stagliata contro la parete, bianca anch'essa, probabilmente a
prima vista non l'aveva notata. Le uniche note di colore erano gli
anfibi che portava ai piedi e una macchia sul viso, che dalla fronte
scendeva verso la guancia.
L
aveva iniziato a correre alla cieca. Saliva un piano alla volta per
poi guardarsi attorno rabbioso, cercando di capire dove potessero
trovarsi quei due. Era lei. Maledetta. Era lei ed era sempre stata
lei, nelle altre indagini, era lei ed era sotto il suo naso e lui non
se n'era accorto! Dov'era finito il suo intuito, visto che non era
stato in grado di riconoscerla? E Watari lo sapeva! Avrebbero dovuto
fare i conti con lui. Sei anni e mezzo. Sei anni e mezzo di incubi e
di sensi di colpa mentre lei era rimasta a spiarlo per tutto quel
tempo! Mano a mano che la rabbia cresceva, aumentava il passo e
sbatteva le porte con più forza. Si sentì girare
la testa e si
appoggiò con la schiena al muro.
-K!-
urlò furioso. -Dove sei, stronza?!-
Provò
ad aprire una porta a caso davanti a sé e la
trovò di nuovo chiusa.
-Me
lo devi, stronza!- gridò di nuovo.
La
rabbia e la frustrazione di quelle settimane passate impotente
davanti ad uno schermo, mentre tutte le sue certezze su quel caso
lentamente si sfaldavano, stavano esplodendo nel suo petto, trovando
nuova forza nei sentimenti negativi accumulati verso di lei in quegli
anni, soffocati nell'indifferenza, ma mai del tutto spariti.
Arrancò
fino ad una stanza aperta. Era una sorta di area relax per gli
agenti: c'erano dei divani, una grande televisione e un biliardo. Era
proprio di fianco alla tromba delle scale, così si
affacciò per
gridare ancora: -Fatti vedere in faccia! K! Non osare nasconderti
ancora da me!-
Riuscì
poi ad entrare nella sala e sprofondare su uno dei divani. Era
davvero ridotto male, se non riusciva nemmeno a fare qualche rampa di
scale di corsa senza rischiare di svenire. Gli girava la testa,
iniziava ad avere la vista appannata, e respirava a fatica. Ad un
certo punto, oltre al rumore martellante delle vene che sentiva
pulsare nelle orecchie, sentì dei passi avvicinarsi di
corsa. Pochi
istanti dopo, lei apparve alla porta. Kendra, era questo il nome che
le avevano dato all'orfanotrofio appena era arrivata. I bambini
però
preferivano chiamarla “Il Demone Bianco”. E proprio
lei, in carne
ed ossa, viva e vegeta, sicuramente messa molto meglio rispetto a
lui, lo stava guardando in silenzio, a braccia conserte, con gli
occhi rosati pieni di tristezza.
-Non
scappo.- gli disse, entrando nella stanza e chiudendosi la porta alle
spalle. Poi la vide alzare istintivamente la mano destra in alto, in
segno di resa, e ad andare ad appoggiarsi con la schiena contro una
parete. L si tirò su dal divano e tentò di
normalizzare il respiro.
-Ti
prometto che non aprirò bocca finché non avrai
finito.- continuò
K. -Puoi cominciare quando vuoi.-
Il
suo tono di voce era molto più basso rispetto al passato. I
capelli
bianchi le erano cresciuti fino a coprirle tutta la schiena. Era in
piedi, in silenzio, appoggiata contro il muro con le braccia lungo i
fianchi. L non si stupì di non essere riuscito a
riconoscerla, pur
avendola avuta sotto gli occhi per giorni: non era tanto per il fatto
che ora il suo occhio sinistro fosse perfettamente allineato, o per
la linea delle sopracciglia più dritta e angolata che
rendeva più
duro il suo sguardo; e nemmeno per il volto scarno, per le palpebre
calate che le facevano sembrare gli occhi più piccoli, per
la
smorfia delle sue labbra diventate così sottili, e per
l'espressione
vuota dei suoi occhi, in quel momento rosa. Era invecchiata. E aveva
messo su muscoli, a differenza di L, che era ormai l'ombra di se
stesso. Eppure, il vero motivo per cui non avrebbe mai potuto pensare
che Nathalie Banks fosse K, non era nemmeno quello, né che
si fosse
camuffata i lineamenti probabilmente tirandosi il volto con lo
scotch, né la sua andatura, né la sua
espressione. Era qualcosa di
molto più... difficile da spiegare. Era vero, la K che
conosceva,
col quale era cresciuto, era all'apparenza allegra, si muoveva
leggera sulle lunghe gambe, aveva sul volto una continua espressione
di scherno. Eppure sotto i maliziosi occhi grandi da cerbiatta,
nascondeva una tristezza infinita, che spesso si tramutava in rabbia
incontrollabile. Ora, la sensazione che L provava stando in sua
presenza non era più la stessa: lo inquietava, lo rendeva
nervoso,
ma in modo diverso. All'apparenza era fredda, ma nei suoi occhi si
nascondeva una furia ancora più cieca e terribile, rispetto
al
passato, una furia domata, ma sempre presente, sempre all'erta. Oltre
a quello, camminava come un militare, aveva un tono da militare e la
sua figura, una volta atletica nella giusta misura, era ora molto
più
secca e nervosa, lo si vedeva dai muscoli perfettamente definiti di
braccia e gambe, anche in quella posizione a riposo, e dall'ampiezza
delle sue spalle. Pareva un automa. Un automa assassino.
L
non sapeva più da dove cominciare. Avrebbe tanto voluto
spaccare
qualcosa. Le si parò davanti e le rivolse uno sguardo carico
d'odio.
-Perché.-
Strinse i pugni. -Voglio sapere perché mi hai fatto credere
di
averti praticamente uccisa e aver passato gli ultimi anni a spiarmi!-
Il suo tono di voce stava salendo di nuovo.
-Mi
hai portato in casa un ex esponente della Yakuza! Hai messo in
pericolo anche i miei uomini! Non dicevi che avresti voluto
proteggermi? Non mi hai impedito di partecipare alle tue indagini
perché avevi paura per me? E ora questo? Dimmi che bisogno
c'era di
vendere la mia identità al mafioso di turno! Voglio una
risposta!-
Il
giovane respirava affannosamente, mentre la guardava furibondo, con
le pupille degli occhi grigi finalmente strette.
Lei
non si mosse, bensì sostenne sicura il suo sguardo.
-L,
credevo fossi la persona più intelligente che avessi mai
incontrato.- cominciò poi, fredda. -Mi vuoi dire che credi
veramente
che io sia sparita di mia spontanea volontà per... questo?-
-Non
posso credere che ti abbiano costretta!- ribatté L, che
ormai
urlava, stingendo sempre di più i pugni, fino a che non gli
tremarono le mani.
-Sei
sempre stata troppo sveglia perché qualcuno ti potesse
obbligare a
fare qualcosa che ritenevi sbagliato. Non ti sto riconoscendo!-
Aprì
le mani e fece un passo indietro, sempre senza staccarle gli occhi di
dosso.
-Hai
trascinato me e tutti i miei uomini in una regolazione di conti, nel
bel mezzo del caso probabilmente più importante della
storia!-
Abbassò
infine lo sguardo. Riuscì a controllare la voce. -Io... non
ti
riconosco. Giravi con una scorta e con due pistole addosso. La K che
conoscevo diceva che le faceva orrore tenere in mano un'arma!-
Poi
si portò una mano al petto, mentre sentiva i polmoni
bruciare e la
testa girargli.
-Se
davvero credi che mi sia potuta convertire ai metodi di quei
bastardi, non credo che avremo mai più occasione di
conversare.-
Aveva
distolto anche lei lo sguardo. -Ma sono decisa a restare qui
finché
non ti avrò convinto che quello che ti sto dicendo
è la verità.-
Si morse il labbro inferiore. -Mi rendo conto di averti fatto un
torto terribile...-
-Un
torto?!- urlò di nuovo L, alzando nuovamente il volto. -Hai
idea di
cosa significa avere il terrore di addormentarmi perché nei
miei
incubi in cui mia madre tenta di soffocarmi con un cuscino alla fine
non è lei a buttarsi dalla finestra, ma sei tu?! Mi hai
lasciato
credere che ti avessi spinta io a buttarti giù da una
finestra!-
Il
suo sguardo era terribilmente minaccioso, ma anche disperato.
-Sei
una dannata sadica! Lo sei sempre stata, ma con questo ti sei
superata! Non potevi fingere di crepare in qualsiasi altro modo? No!
Dovevi risvegliare in me traumi che sapevi
che mi avrebbero distrutto!-
Riprese
fiato per un istante, prima di gridare: -Guardami!-,
battendosi le mani sul petto, con la schiena curva e lo sguardo
allucinato. -Guarda in che stato mi sono ridotto a causa tua!-
K
si lasciò scivolare un po' lungo la parete. Non credeva di
poter
sostenere quella conversazione ancora a lungo. Se l'era immaginato
per anni, il momento in cui sarebbero giunti alla resa dei conti, ma
non pensava che L potesse perdere in quel modo il lume della ragione.
Doveva essere sfinito dal caso, e sicuramente incredibilmente
frustrato, se le sue capacità di giudizio erano state
così
offuscate.
-Sai
perfettamente che non è stata una mia scelta...-
provò a dire,
stringendo la mano destra in un pugno.
-O,
almeno, lo dovresti immaginare. Ci conosciamo da sempre.-
Scosse
la testa. -Mi hanno detto che per il tuo bene sarebbe stato meglio se
avessi creduto che fossi morta. Perché evitassi di cercarmi,
per
evitare che indagassi su di me e facessi la mia stessa fine. Ma...-
sospirò. -Sai che non ti avrei mai fatto una cosa simile.-
L
stava cercando di normalizzare il respiro; sembrava che la
discussione stesse affaticando lui quanto lei.
-Ho
potuto lasciarti un unico indizio...- aggiunse poi. Ma queste parole
non ebbero altro effetto se non quello di far infuriare nuovamente L.
-Un
indizio?!- urlò di nuovo il giovane. -Nate River sarebbe un
indizio?!-
Tirò
un calcio al divanetto, incurante del fatto che fosse scalzo.
-È tuo
figlio,
dannazione! Quello che avevi detto avresti abortito!-
Si
fermò un attimo, a recuperare il fiato. -Ti
rendi conto che sono venuto a sapere che era vivo e stava bene solo
meno di un anno fa? Se solo l'avessi...- Si portò le mani ai
folti
capelli neri e li strinse, mentre le sue pupille tornavano a
dilatarsi.
-Io...
sono stato via dalla Wammy's House per tutto quel tempo...-
Il
labbro gli tremava per la rabbia e la frustrazione, e la sua schiena
era scossa da violenti tremiti.
-L'ho... l'ho visto
quando
cercavo il mio successore...- ricominciò. -...Mi avevano
detto che
c'era un bambino molto più intelligente degli altri... e
aveva i
tuoi lineamenti...- La guardò in volto. Non si sarebbe
potuto
sbagliare. -E aveva gli occhi di Bjarne...-
A sentirne il nome K
si
sentì mancare il fiato. Il ricordo di lui non la abbandonava
mai, ma
non si era ancora concessa il lusso di piangerlo. Tuttavia, ogni
volta che ci pensava si sentiva come se una mano gelida le perforasse
il petto, togliendole cuore e polmoni, e lasciandola agonizzante in
un angolo della sua mente. Non poteva ancora piangerlo; era un lusso
che si sarebbe concessa una volta che il caso fosse stato chiuso. Era
questa la sua regola: finché un caso non era chiuso non ci
sarebbe
stato posto per alcun tipo di sentimento o distrazione; la sua mente
doveva rimanere ferma sull'obiettivo, e non poteva vacillare.
-Tu... devi tornare a
casa.- riprese L, sforzando di recuperare il suo solito modo di
parlare calmo e senza emozioni. -Non puoi stare qui.-
K scoppiò
in una risata
isterica che scosse il giovane.
-Tornare a casa?-
fece poi,
con tono sprezzante, mentre i suoi occhi cominciavano a virare verso
il rosso. -E dove? Sono stata tenuta in ostaggio da quei bastardi che
hanno ucciso mio padre per più di sei anni, dei bastardi che
hanno
pensato bene di strapparmi mio figlio dal grembo
mentre ero
sotto anestesia.- si alzò la maglietta per mostrare la
cicatrice.
-Non l'ho mai visto. È vero che non l'ho mai nemmeno voluto,
ma non
mi hanno nemmeno permesso di vederlo una sola volta. E nel suo caso,
sono ancora stata fortunata.-
Iniziò a
girare per la
stanza con passo veloce, mentre L la guardava furioso.
-Tutto quello che
sono
riuscita a lasciargli era un destino da ostaggio, un probabile futuro
da pedina in mano ad un'organizzazione paramilitare infiltrata nel
governo statunitense, la concreta possibilità di aver
ereditato
malattie varie e disturbi mentali e di dover quindi vivere una vita
d'inferno come la nostra, ed un nome che avrebbe dovuto far capire a
quell'idiota del detective più bravo al
mondo che non mi ero
suicidata per fargli un dispetto!-
L'ultima parte della
frase
l'aveva urlata.
L'idiota di detective
la
seguiva con lo sguardo, mentre la sua rabbia cominciava a scemare. K
continuava a muoversi per la stanza ridendo nervosamente.
-Mi
è stato permesso di mantenere i contatti solo con Bjarne.
Per loro
non era abbastanza intelligente per rappresentare una minaccia, e poi
gli faceva comodo avere un ostaggio della cui morte non sarebbe
importato a nessuno,
per ricattarmi. Eh già, perché tu eri
intoccabile, a differenza
sua, e nostro figlio poteva rivelarsi utile, se solo fosse diventato
un altro dei geni sfornati dalla Wammy's House. Bjarne era l'ostaggio
perfetto. E sai cos'è successo?- gli domandò,
avvicinandosi al suo
viso.
-È
morto!- gli urlò in faccia, con tutto il fiato che aveva in
corpo.
Poi cadde sulle ginocchia e fissò lo sguardo a terra. -L'ho
sentito
morire al telefono...- sussurrò.
L
rimase esterrefatto. D'un tratto, si sentiva come se il sangue stesse
defluendo, lasciandolo pensare libero dal risentimento, dall'odio,
dalla delusione. Non aveva mai sul serio pensato che K avesse potuto
davvero fargli nulla di male. Si era lasciato trascinare dalla
rabbia, una rabbia che derivava dal suo senso di colpa e che non
aveva nulla a che vedere con quello di cui l'aveva accusata. In
fondo, aveva anche sempre saputo che la sua sparizione era dovuta a
quegli uomini che non nominava mai, quelli contro cui aveva lottato
tutta la sua vita e dai quali aveva sempre cercato di tenerlo al
sicuro. E sapeva anche che non si era volutamente
gettata da una finestra. Provò a prenderle una mano, ma lei
lo
cacciò e si rimise in piedi, voltandogli le spalle.
-...Come....-
provò a
chiederle.
-La sera della
sparatoria.-
rispose lei, fredda. -Quando sono arrivata al mio appartamento ho
scoperto che Bjarne era stato arrestato con accuse infondate, solo
per essere mandato in TV.-
-L'hanno...
l'hanno fatto uccidere da Kira?-
K
non rispose. Continuava a dargli le spalle, con la testa bassa. -Non
ho potuto fare nulla, nessuno avrebbe fermato la trasmissione delle
notizie nemmeno se l'avessi ordinato tu, e tu eri in riunione.-
L
strinse i pugni. -Per questo sei tornata al nostro hotel?-
domandò.
-No.
Bjarne era già morto.-
Strinse
i pugni e fece un respiro profondo, prima di continuare.
-Sapevo
di non poter scappare, e quindi mi sono consegnata per impedire che
ti ammazzassero...-
Si
bloccò e si morse il labbro. -...E che ammazzassero gli
altri,
ovviamente.-
K
si era presa una pallottola. Si era presa una pallottola per lui e
lui appena l'aveva vista non aveva saputo fare di meglio se non
accusarla di cose che nemmeno pensava avesse fatto. Un nuovo senso di
colpa aveva già cominciato a scavare un'altra voragine nel
petto di
L.
Lei
era stata ostaggio per sei anni e mezzo. Le avevano tolto Nate, che
poteva rischiare di fare la stessa sua fine, un giorno. Bjarne era
morto. Mentre lui era vivo, libero, ignaro di tutto.
-Grumann
aveva scoperto troppo su di noi e l'avrebbero fatto fuori, per questo
voleva fare una carneficina. Così, per divertimento.-
concluse la
donna disgustata.
-Perché
ora?- chiese allora lui.
-Tsk.-
fece K. -Grumann probabilmente aveva detto al bastardo numero uno che
ti avevo fatto capire di essere io, e che quindi presto mi avresti
liberata e avrei potuto farli marcire tutti in galera.-
Si
voltò verso di lui, rivolgendogli uno sguardo gelido.
-Probabilmente
se avessero visto con quanto menefreghismo mi stavi guardando morire
dissanguata, non si sarebbero mai azzardati a torcere un capello a
Bjarne.-
L
rimase in silenzio, con un lampo di colpevolezza nello sguardo. Quel
giorno, lui l'aveva chiamata nel sonno. Aveva riconosciuto la sua
camminata, per questo poi aveva cominciato a sognarla! E quel
bastardo di Grumann lo aveva sentito.
K
era tornata a voltare le spalle a L, mentre lui stava fermo, lo
sguardo rivolto a terra e i pugni stretti.
-Avrei
voluto evitarvi tutto questo.- disse lei, dopo un po'. -Quando ho
incontrato per la prima volta Bjarne, ho tentato di convincerlo a
tenersi fuori da tutto questo. Come ho cercato di fare con te. E
sarei riuscita a tenervi entrambi al sicuro e a non aiutare in nessun
modo la Hogson. Ma quando ha capito che ero rimasta incinta, Bjarne
è
voluto rimanere al mio fianco, ed è diventato un ostaggio
anche
lui.-
Era
ormai quasi mezzogiorno, e l'intensa luce del sole cominciava ad
entrare nella stanza. K non si stava nemmeno accorgendo di essere
quasi esposta ai raggi. L andò a chiudere le tende con un
gesto
secco.
-Avrei
potuto aiutarti...- disse poi, triste. -Ma tu non hai mai voluto che
ti aiutassi, in nessuna occasione. Ti sei presa cura di me quando ero
un bambino, e poi quando ero il tuo apprendista, ma anch'io avrei
voluto badare a te, se solo me lo avessi permesso! Tutto quello che
volevo... che avrei voluto... era aiutarti. E tu lo sai.-
Le
si avvicinò barcollando e la costrinse a guardarlo negli
occhi.
-Spero che tu sappia quanto mi addolori la morte di Bjarne. E spero
tu voglia restare con me in modo da assicurare il suo boia alla
giustizia. E lavoreremo anche per incastrare quei bastardi che vi
hanno... che ci hanno distrutto le vite.-
La
prese per mano, ma lei gemette per il dolore. Era la sinistra, il
lato in cui aveva ricevuto il proiettile. Lui si morse il labbro,
rendendosi conto solo in quel momento della fasciatura sotto la
maglietta della giovane. -Ti ho lasciato altre cicatrici...-
K
si allontanò di qualche passo, infilandosi la mano destra
sotto la
maglietta per controllare che la medicazione fosse a posto. Appena
aveva sentito la voce di L era corsa verso di lui senza mettere la
benda al collo, e ora la spalla le dava fastidio.
-Ora,
se permetti, avrei anch'io una considerazione da fare.- gli disse,
piegando il braccio sinistro verso il busto e aggrappandosi con la
mano alla maglietta. L aveva rimesso le mani in tasca, e la guardava
di sottecchi.
-Da
quando mi sono risvegliata dal coma, ho cercato di lavorare
contemporaneamente sia al caso Kira che al mio. Watari mi ha fatto
avere i video di sorveglianza di Light e Amane e...-
Sospirò,
appoggiando nuovamente la schiena contro il muro.
-Mio
Dio, L, cosa sei diventato?-
Il
detective rimase in silenzio, ma abbassò lo sguardo.
-Sai
che non ho mai approvato i tuoi metodi, ma questa volta mi hai
davvero delusa.-
L
digrignò i denti. Aveva sempre odiato ricevere la paternale
da lei,
e si infuriava ogni volta che lo trattava come un bambino. Decise
comunque di mordersi la lingua anche quella volta.
-Siamo
entrambi adulti, ora, e non è mia intenzione trattarti come
un
moccioso come facevo quando ti addestravo.- disse lei, come se gli
avesse letto nel pensiero. -Sono sempre stata una stronza sadica, con
te come con chiunque altro... anzi, forse con te sono stata ancora
più crudele. E sei anni come ostaggio mi hanno fatto capire
quanto
fosse inutile il mio atteggiamento. E quanto io abbia sbagliato, con
te. Ma ora ascoltami: non mi sarei mai aspettata che potessi
ricorrere a metodi così estremi, e francamente non ti
riconosco. Non
è giustizia, questa. Hai tenuto quei ragazzi in galera anche
dopo
che era palese che non potessero essere più loro i
responsabili di
quelle morti! Ma in che modo, poi! Legati, camicia di forza, fari
puntati! Ho assistito a dei sequestri, L, e ho visto sequestratori
trattare i prigionieri con più rispetto. Capisco che le
accuse siano
pesanti e che il pericolo sia enorme, ma dimmi, era davvero
necessario tenerli prigionieri per un intero mese, dopo che gli
omicidi erano ricominciati? Non sarebbe bastata una settimana, e poi
magari trasferirli in questa stessa struttura, e tenerli sotto
controllo ventiquattr'ore su ventiquattro con telecamere e cimici? In
due stanze diverse, senza accesso a notizie provenienti dal mondo
esterno, ma in condizioni più umane? Era chiaro che a quel
punto
avessero subito un cambiamento di personalità, era chiaro
che
fossero inoffensivi. Hai pensato che liberandoli avresti fatto il
loro gioco, ma ci sarebbe stata una via di mezzo.-
Cercò
di rimettersi in piedi, ma il dolore alla spalla stava aumentando, e
non riusciva a darsi lo slancio per staccarsi dalla parete.
-L,
avrai infranto almeno quindici accordi internazionali sui diritti
umani, questa è tortura! Nessun tribunale avrebbe
considerato valide
le confessioni estorte in queste condizioni!-
-Se
non ti conoscessi...- intervenne allora L. -... Penserei che tu sia
convinta della loro innocenza.-
-Come
no.- sbuffò lei, reprimendo un gemito di dolore.
-Sarò in prima
fila a godermi lo spettacolo di Light Yagami giudicato colpevole di
essere Kira, e non perché ha fatto da boia a Bjarne, ma
perché ha
ucciso Naomi Misora.-
A
sentire quel nome, L abbassò lo sguardo, imbarazzato.
-E
comunque... ho cercato di raccogliere delle prove, in questi giorni,
senza ricorrere ai tuoi metodi abominevoli.- riprese K, tentando di
farsi forza col braccio destro per tirarsi su. -Non voglio mettere in
discussione la tua capacità di giudizio, né il
tuo senso della
giustizia. Ma hai bisogno di un freno, L, perché stai
percorrendo
una strada pericolosa.-
Arrancò
verso la porta, e si voltò verso di lui.
-Torno
nel mio appartamento a prendere la mia fascia. Se vieni con me, ti
faccio vedere la documentazione su Light che ho raccolto in questi
giorni.-
-Ci
ritroviamo a parlare dopo più di sei anni, e tu cominci
subito
affrontando il caso Kira?- domandò lui, con ancora un po' di
risentimento nella voce. -Seriamente? Credi forse che abbiamo
finito?-
-Non
abbiamo finito.- rispose K, stremata. -Ma nessuno dei due al momento
mi sembra nelle condizioni adatte ad affrontare l'argomento.
Oltretutto ci troviamo al centro di due casi fondamentali, per le
nostre vite e per la nostra sicurezza, e sai che non posso
permettermi di lasciarmi andare a sentimentalismi, se voglio
mantenere la mente fredda e lucida.-
L
abbassò lo sguardo, stringendo i denti. K aveva
l'impressionante
capacità di lasciare in sospeso questioni personali per
settimane,
se stava lavorando ad un caso. Il suo autocontrollo era un'arma a
doppio taglio: riusciva a tenere a bada il suo tormento interiore, ma
se avesse abbassato la guardia anche solo per un istante, le sarebbe
stato impossibile ritrovare la lucidità. Quando si erano
trasferiti
insieme a Londra per lavorare a Scotland Yard, l'aveva vista per la
prima volta perdere il controllo; fino a quel momento, per lui K era
stata quasi una supereroina, una seconda madre che lo aveva accudito,
una sorella che lo aveva difeso, una rivale che lo aveva spinto a
migliorarsi sempre di più, un'insegnante da cui sapeva che
avrebbe
imparato molto.
Eppure
una notte l'aveva sentita rientrare alle tre, mentre era ancora
sveglio a studiare, e l'aveva sentita soffocare delle grida. Era
corso in cucina, e l'aveva vista rannicchiata in un angolo, col
cuscino in bocca, il trucco colato, urlare e piangere, piangere e
urlare col cuscino in bocca, sbattere i pugni a terra, tremare,
schiumare. Aveva tentato di avvicinarsi, ma lei gli aveva abbaiato
contro, ed era tornata a dondolare nel suo angolo. Aveva aspettato
che si addormentasse in quella posizione, per poi prenderle la
borsetta ed ispezionarla: lamette e barbiturici. Di nuovo. Come
quella volta che l'aveva sorpresa a tagliarsi il braccio nel bagno
delle ragazze, alla Wammy's House. Come svariate altre volte era
successo mentre studiava negli Stati Uniti, come Bjarne gli aveva
raccontato quando erano tornati in Inghilterra.
-Ti
prego di fare attenzione a lei.- si era raccomandato il ragazzo,
mentre la stavano guardando giocare a tennis contro J nel campo della
Wammy's House. -Tenta di nascondersi dietro questa facciata di
stronzetta arrogante contro cui nulla e nessuno può
competere, ma
spesso crolla. Avrebbe bisogno di sfogare tutta la sua rabbia e il
suo dolore, eppure non sempre ci riesce. Vedi come colpisce
rabbiosamente la palla? Sta scaricando contro J tutta la sua
frustrazione accumulata negli anni, e probabilmente molto altro. Mi
sono ritrovato a cercare di consolarla durante una delle sue crisi, e
c'è mancato poco che mi mandasse all'ospedale.-
Aveva
riso tristemente. -Quando si è accorta che mi stava facendo
male, è
impallidita, ed è peggiorata ancora di più. Mi ha
chiesto di
ammanettarla ad una sedia, L. Mi ha chiesto di controllarle la carta
di credito per vedere se comprava sonniferi, e chiamare Burton
perché
la fermasse. Ci sono giorni in cui mi prega di chiuderla in una
stanza e di mettermi i tappi per non sentire le sue urla.-
Quella
sera, a Londra, L aveva aspettato che K passasse la fase delle urla,
e cominciasse con quella del pianto. Le aveva requisito il contenuto
della borsa e aveva bloccato i cassetti coi coltelli da cucina, poi
l'aveva fatta alzare, l'aveva sorretta fino in bagno, e poi aveva
aspettato che si spogliasse girato di spalle, per controllare poi che
tra i suoi vestiti non avesse nascosto nient'altro per farsi del
male. Per fortuna il loro appartamento aveva solo il box doccia,
aveva pensato, sospirando. Quella scena gli aveva ricordato, come in
un buffo parallelismo del destino, la notte in cui lei l'aveva
trovato sotto la neve, nel cortile della Wammy's House, pochi giorni
dopo il loro arrivo, e l'aveva trascinato fino alla vasca da bagno
nel bagno dei professori, che aveva l'acqua calda.
Probabilmente,
era da quando era stata presa in ostaggio che K non aveva una delle
sue crisi. Quando fosse arrivato quel momento, L non voleva trovarsi
nei paraggi. Sapeva che non sarebbe stato in grado di contenerla.
Ma,
in ogni caso, sembrava che i toni si fossero finalmente smorzati. K
provava inconsciamente un po' di rancore nei confronti di L, ma
riteneva fosse giusto che lui la odiasse un altro po', senza che lei
lo attaccasse ancora per il modo disumano con cui stava affrontando
il caso Kira, mentre lui pensava a Bjarne, al suo sorriso sempre
pronto, alla sua generosità e gentilezza, e al fatto che non
l'avrebbe rivisto mai più. Ripensò al giorno in
cui era arrivato
alla Wammy's House, e si era presentato a K, sotto la pioggia.
Ci
avevano messo un po' prima di andare d'accordo, lui e Bjarne, e c'era
sempre stata un po' di tensione, soprattutto da parte sua. Gelosia.
Possesso. Sentimento di abbandono. Bjarne era una di quelle persone
che tutti adorano, a pelle. Eppure L aveva sempre cercato di
rimanergli distante, come faceva con tutti, perché fin da
bambino
aveva temuto che gli avrebbe portato via K, e che lui sarebbe rimasto
di nuovo da solo. Pensò amaramente che ora non c'era
più questo
pericolo, anche se lui ormai non era più un bambino
piagnone, almeno
in apparenza. Bjarne non ci sarebbe più stato, non l'avrebbe
più
salutato con una forte pacca sulla spalla, non gli avrebbe
più
passato, di nascosto dalle cameriere, la sua bottiglia di birra. Non
si sarebbe più raccomandato che trattasse bene sua sorella e
se ne
prendesse cura al posto suo, e lo avvertisse se c'era qualcosa che
non andava. Ripensò all'ultima volta che lo aveva visto,
dopo il suo
fidanzamento con K, e non riuscì a sopportare l'idea che
quello
sarebbe stato l'ultimo ricordo che avrebbe avuto di lui. Non aveva
avuto l'occasione di fare di Bjarne un vero amico. E non aveva
nemmeno mantenuto la promessa fattagli di prendersi cura di K.
Note
Questo capitolo continua ad essere molto difficile per me: si tratta di
una delle prime scene che ho elaborato nel dettaglio, dopo aver pensato
allo scheletro della storia, e ovviamente la sua resa non è
mai stata all'altezza delle mie aspettative; motivo per cui dubito
fortemente che questa sarà la sua versione definitiva.
È il punto di svolta a partire dal quale molti nodi
verranno al pettine, per cui il mio intento era quello di trovare il
giusto equilibrio tra rivelazioni e anticipazioni, ma mantenendo il
dialogo il più realistico possibile: non credo di esserci
riuscita, perciò è altamente probabile che, una
volta finita questa terza stesura, riscriverò questo
capitolo.
Mi auguro in ogni caso che chi
è giunto fin qui nella lettura sia felice del fatto che
finalmente L e K si sono ritrovati, e che finalmente sarà
possibile scoprire di più sulle loro origini.
Ringrazio Lally19 per la sua recensione:
mi ha davvero dato la spinta per continuare a pubblicare!
Buona lettura a tutti :)
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Capitolo 12 *** Capitolo 9 - "Nov. 8th, 1997" ***
Capitolo
IX
K
si avviò verso le scale e L la seguì.
Faticò a salire.
L'appartamento che Watari aveva riservato alla giovane era appena tre
piani più in alto, e quando arrivarono in cima alle scale a
lui
prese a girare la testa, si accasciò sul corrimano e si
lasciò
sfuggire un gemito.
-L!-
esclamò K, che lo prese al volo col braccio sano. Poi lo
fece
appoggiare a sé, lo trascinò a fatica fin dentro
il suo
appartamento, facendo aprire a lui le porte, per poi farlo sdraiare
sul proprio letto.
-Ho
“visitato” cadaveri più in forma di te.-
disse poi sbuffando
sonoramente per la fatica.
L
sorrise mentre appoggiava la testa sul cuscino: se iniziava ad
insultarlo in quel modo sembrava essere tornata quella di un tempo.
-Non
c'è niente da ridere!- riprese lei, alzandogli le gambe e
cacciandoci sotto un cuscino. -In queste condizioni non puoi
affrontare un'indagine. Dovresti smetterla col caffè e col
glucosio
e cominciare a dormire e a mangiare dei pasti normali. Proteine. Ti
stai friggendo i neuroni, e lo trovo davvero poco rispettoso nei
confronti di chi, il cervello, ce l'ha con una data di scadenza.-
K
non si lamentava molto spesso della sua condizione. Rimasta orfana in
tenera età, era nata albina ed era condannata a non potersi
mai
godere il sole. All'orfanotrofio le avevano dato un nuovo nome, ma
nessuno lo usava, perché veniva sempre additata come
“Il Demone
Bianco”. L era stato un bambino problematico,
perciò lei si era
sempre occupata di lui. Aveva litigato per anni per riuscire a
guadagnare il rispetto degli altri per sé e per L. Nel
farlo, si era
fatta ustionare il viso con un coltello da cucina. Tutti ne avevano
paura e la evitavano, ma lei sembrava felice così.
All'età di
quattordici anni aveva lasciato l'orfanotrofio perché era
già
pronta a frequentare il liceo. Era ritornata alla Wammy's House a
diciannove con una laurea in Criminologia e un posto fisso in una
squadra investigativa molto famosa, che aveva smantellato una cellula
mafiosa russa. Aveva detto che era tornata per addestrare L a
diventare un detective di fama mondiale. Solo dopo un certo periodo
gli aveva confessato il vero motivo per cui lo stava facendo: le
avevano diagnosticato la malattia di Huntigton, che l'avrebbe portata
a perdere il controllo sul proprio corpo e, soprattutto, avrebbe
portato ad un calo delle sue capacità cognitive e a disturbi
psichiatrici e comportamentali. Aveva confessato a L che appena la
malattia si fosse manifestata, sarebbe ricorsa all'eutanasia o si
sarebbe suicidata, piuttosto che perdere del tutto il controllo su di
sé. Per questo aveva bisogno di un
“erede”. E anche per questo
era praticamente una salutista: aveva ridotto al minimo l'assunzione
di alcool, di sostanze eccitanti e di farmaci. Praticava sport,
faceva molta attenzione all'alimentazione e alle ore di sonno.
Inoltre evitava di uscire durante le ore di luce e usava diverse
protezioni solari ai raggi UV. “Se c'è una cosa
che posso almeno
evitarmi, quella è il cancro alla pelle” diceva
spesso. Era per
questo che era particolarmente sensibile alle persone intorno a
sé
che avevano abitudini poco salutari. Sensibile, per non dire
intransigente. Intransigente, per non dire insopportabile.
Mentre
L rifletteva su tutto questo, vide K tornare con fonendoscopio e un
misuratore della pressione. Era arrivato anche Watari.
-Ti
pregherei di affrontare più tardi una qualunque discussione
su
quanto sia stato inopportuno da parte mia tacere sul fatto che K
fosse viva.- gli disse l'anziano uomo. L annuì.
-Watari
ha mandato Yagami a farsi visitare dopo che ti abbiamo sentito urlare
per le scale, ma sono abbastanza sicura che le cure servano
più a te
che a lui.- disse K, preparandosi a prendergli la pressione.
Controllò il valore e gli tolse il bracciale.
-C'è Roberts, qui. È
stato lui a seguirmi, dopo che mi hanno estratto la pallottola. Penso
sia meglio chiamarlo e far fare un check-up anche a te.-
Watari
annuì, e si allontanò per andarlo a chiamare.
-L,
tirati su la maglia, che devo sentirti il battito.- gli
ordinò lei,
prendendo il fonendoscopio.
Il
ragazzo abbassò lo sguardo, imbarazzato.
K
sospirò ancora, e gli appoggiò il ferro freddo
del fonendoscopio
sulla schiena ossuta infilandolo da sotto la maglia, lasciandola
com'era.
-Idiota.
Come se non mi fossi già accorta da sola che peserai trenta
chili
bagnato.-
Rimasero
in silenzio.
-Come
cavolo fai ad essere ancora vivo con un battito così
accelerato?-
domandò lei, rimettendo tutto nel kit di pronto soccorso.
-Ti
controllerei anche la pupilla, ma non credo di averne bisogno: ormai
ti si vedono soltanto quelle.-
Tirò
comunque fuori il faretto e gli tirò il volto verso di
sé con fare
brusco.
-Pupille
dilatate. Ma va?- commentò sarcastica. Poi lo
lasciò andare. -Sono
abbastanza certa che quando mi stavano trasportando in ambulanza fino
all'ospedale, fossi più in forma di quanto tu non sia
adesso.-
Tirò
fuori un apparecchio per misurare la glicemia.
-Dito.-
gli intimò. -Sperando che, con tutti i dolci che mangi,
questo coso
non esploda.-
L
tentò di trattenere di nuovo un sorriso. Ora sì
che la riconosceva.
Tra loro era sempre stato così: un continuo battibecco dai
toni
sarcastici.
-Dovrai
lasciare Misa e Light in prigione ancora per qualche giorno.- disse
infine K, alzandosi dal letto. -Ti ci vorranno almeno quattro o
cinque giorni di sonno. Attaccato ad una flebo. In queste condizioni
non saresti in grado di ragionare come faresti di solito.-
-Sono
d'accordo.- cominciò L. -Però non ho intenzione
di lasciare Light e
Misa in prigione solo perché io sono in condizioni pietose.
Li
rilascerò e li metterò alla prova. Se il
sovrintendente Yagami
dovesse uscirne illeso senza l'intervento di Watari come cecchino,
allora mi farò ricoverare.-
Si
voltò verso di lei. -Tu prenderai il mio posto quando
sarò
ricoverato.-
Dopo
che l'equipe medica ebbe visitato il sovrintendente Yagami,
raggiunsero tutti l'appartamento di K, dove L giaceva a letto. Li
accolse Watari, e fece strada verso la camera. Nel soggiorno,
Soichiro si trovò davanti la ragazza che aveva visto nel
video. Non
poteva essere altri che Banks, anche se non somigliava per nulla alla
donna con cui aveva lavorato. Gli avevano detto che Banks si trovava
lì, e dubitava che L avesse dato l'accesso ad altre persone.
La
ragazza era intenta a passare l'evidenziatore su alcuni fogli, che
nascose al suo arrivo.
-Signorina
Nathalie?- provò a chiederle.
-Sì,
sono io.-
Si
alzò in piedi e gli porse la mano. Soichiro cercava di non
guardarla
troppo fisso in volto, per via degli occhi rosati e della macchia.
-Non
si senta troppo in imbarazzo per la mia faccia.- gli disse Banks. -Ci
convivo da più di vent'anni e non mi ha mai dato fastidio
sembrare
un demone dell'inferno... Quello che non sopporto è essere
compatita.-
Soichiro
trasalì e chinò il capo, scusandosi.
-Si
accorgerà quando mi sto arrabbiando.- riprese Banks.
-Immagino
sappia che i miei occhi hanno questo colore perché la mia
iride è
trasparente e quelli sono i miei vasi sanguigni. Ebbene, la avverto
che ho un caratteraccio e che tendo a perdere in fretta le staffe.
Quando mi vedrà gli occhi rossi, inizi a tremare.-
L'uomo
rimase interdetto per un istante, poi Banks scoppiò a
ridere. Era
una risata gentile. -Mi scusi, signor Yagami.- disse poi, dandogli
una pacca sulla spalla. -È che adoro fare la melodrammatica.
Non me
la prendo se non riesce a guardarmi in faccia, tranquillo. Ci ho
fatto l'abitudine.-
Entrarono
nella camera da letto. L si era tolto jeans e maglia e aspettava di
essere visitato, seduto sotto le lenzuola. Era molto magro, ma la
larghezza delle spalle e del busto indicavano che probabilmente un
tempo aveva avuto un fisico atletico. Banks distolse lo sguardo.
Soichiro
aveva visto L allontanarsi di corsa non appena aveva riconosciuto la
ragazza, e l'aveva sentito urlare su dalle scale. Non pensava che
l'avrebbe mai visto perdere il controllo in quel
modo,
ma qualsiasi cosa fosse successa, sembrava che quei due fossero
tornati ad avere toni civili.
-Signor
Yagami, le chiedo scusa per gli inconvenienti di oggi.-
cominciò il
detective, mentre il medico inglese che lo aveva visitato poco prima
gli prelevava il sangue. -Purtroppo non credo di essere abbastanza in
forma per continuare le indagini in queste condizioni.-
L'uomo
non si stupì. Dopo cinquanta giorni di reclusione era in
condizioni
critiche, soprattutto per lo stress emotivo, ma per lo meno aveva
mangiato normalmente e aveva dormito, cosa che non aveva mai visto
fare a Ryuzaki nemmeno prima del suo incarceramento.
-Ho
già concordato con Watari tutto ciò che riguarda
l'operazione di
domani. Se tutto andrà bene, vi chiederei di permettermi di
essere
ricoverato per qualche giorno qui, di modo che possa tornare attivo
entro breve.-
Soichiro
annuì. Chissà che il riposo non potesse risolvere
i suoi dubbi nei
confronti di Light...
-Nel
frattempo, il comando delle operazioni passerà all'agente
K.- disse,
indicando la signorina Banks col mento. -È questa
l'identità della
signorina Banks. Abbiamo lavorato insieme prima che io diventassi L,
e sono sicuro che potrà dare un grosso contributo alle
indagini.
Sebbene...- e distolse lo sguardo. -... come avrà potuto
intuire
dalla mia reazione nel riconoscerla, non scorre buon sangue tra di
noi. Ma vi posso assicurare che con lei sarete in ottime mani.-
-Io
non sono un investigatore come L.- intervenne allora lei,
avvicinandosi. -Abbiamo metodi diversi. Lui si basa quasi interamente
sulle sue intuizioni ed è in grado di risolvere un caso da
solo. Io
invece ho continuamente bisogno della collaborazione dei miei uomini,
perché vaglio ogni ipotesi e mi concentro sul lavoro sul
campo e sul
raccoglimento delle prove. In parole povere... vi farò
sgobbare.-
Sorrise. -Non sono così intelligente da potermi permettere
di
risolvere questo caso da sola.-
Discussero
dei dettagli, e poi Soichiro lasciò che L venisse visitato.
L'agente
K si spostò nel salotto e ricominciò il suo
lavoro, mentre lui uscì
assieme a Watari, che l'avrebbe accompagnato a casa. La scarcerazione
dei due sospettati sarebbe avvenuta tre giorni dopo, al tramonto.
Yagami domandò a Watari alcune cose, anche se tenne per
sé la
domanda che più gli premeva fare: Chi era l'agente K?
Perché
Ryuzaki aveva avuto quella reazione violenta nel vederla?
Watari
sembrava aver intuito la sua curiosità, perché
gli disse: -K e L
hanno lavorato insieme per un certo periodo quando erano più
giovani.-
“Più
giovani?” pensò Soichiro “Avranno
entrambi meno di trent'anni!”
-In
realtà... K è stata la maestra di L.- si
sistemò gli occhiali sul
naso adunco. -Forse da sola non vale quanto lui, ma datele una
squadra e giungerà praticamente agli stessi risultati.-
Yagami
rimase sbigottito. -Quella ragazza ha addestrato L?!-
domandò
incredulo.
Watari
annuì. -K è più grande, ed
è stata parecchio precoce. Ma si è
resa subito conto del potenziale di L, per questo ha voluto
addestrarlo personalmente. Però si può dire che
l'alunno ha
superato di gran lunga la maestra.-
Yagami
pigiò il pulsante del piano terra sull'ascensore,
riflettendo;
sperava che lavorare con l'agente K sarebbe stato più
semplice. Da
quel che aveva potuto capire nelle settimane in cui era stata con
loro al quartier generale, si fidava ciecamente delle intuizioni di
L, ma questo non le aveva impedito di sollevare delle obiezioni.
Sperava che avesse un po' più di buonsenso, e che, grazie a
lei,
Light avrebbe potuto avere un po' di pace. Certo, prima L aveva
tenuto conto delle opinioni di Banks, ma fino ad un certo punto: se
ora aveva scoperto che dietro quella donna c'era la sua maestra,
avrebbe ascoltato il suo parere?
Dopo
la visita, L rimase a letto. Roberts gli aveva somministrato dei
tranquillanti per farlo dormire, e si era raccomandato di non
svegliarlo per almeno sedici ore.
-L'ho
visto ridursi lentamente in quello stato, nel corso di questi anni.-
disse Roberts a K, una volta lasciata la stanza. -Non può
andare
avanti così. Ne va della sua sopravvivenza.-
K
sbuffò, nervosa. -Idiota.- commentò. -Sta
ottenendo l'effetto
esattamente opposto. Crede di dover fare tutto da solo, restando
sveglio la notte, quando sa perfettamente che in questo modo non
lascia al suo cervello il tempo di elaborare meglio le informazioni
acquisite durante il giorno. Il suo è uno sforzo inutile e
dannoso.-
-Da
qualcuno dovrà pur aver preso.- disse Roberts, guardandola
severamente.
-Tsk.-
fece K. -Io reprimo le mie emozioni e le mie reazioni, ma mangio e
dormo regolarmente, durante un caso.-
Roberts
le consegnò un foglio coi medicinali da somministrare ad L e
le
indicazioni degli orari, poi si infilò le mani in tasca, e
uscì
dall'appartamento.
K
rimase tutto il resto del pomeriggio e della sera in salotto ad
analizzare dati e a preparare un piano d'azione, finché,
verso le
dieci, sentì il giovane mugolare ed agitarsi nel letto.
Entrò nella
stanza per vedere come stava, e lo vide dibattersi tra le lenzuola,
in un bagno di sudore. Gli toccò la fronte: scottava. Allora
andò
in bagno per inumidire un panno da passargli sul viso, e poi si
sedette di fianco a lui per assisterlo come meglio poteva. Era di
sicuro in preda ad uno dei suoi incubi. Riviveva ogni notte, da quasi
vent'anni, l'incubo della madre che tentava di soffocarlo col
cuscino, e che poi si gettava dalla finestra. Per questo odiava
dormire.
K
gli tamponava il viso col panno umido, e ripensava alle parole che le
aveva rivolto alcune ore prima: “Guarda come mi sono
ridotto”. Si
arricciò i capelli intorno al dito, pensando al fatto che
lui non le
aveva mai detto una sola parola d'affetto, eppure il senso di colpa
nei suoi confronti lo aveva logorato al punto da renderlo il fantasma
di se stesso. E quella furia... K non l'aveva mai visto
così.
L'aveva visto arrabbiarsi altre volte, poteva contarle sulle dita di
una mano: il giorno in cui le aveva ustionato il viso, durante il
caso dei sequestratori del Nevada (ah, quella volta... aveva
addirittura rischiato di farli scoprire!), e un'altra volta, sempre a
lavoro. E poi quella furibonda litigata, il giorno in cui Watari
l'aveva cacciata dalla Wammy's House. Non erano nulla, se messe a
confronto con ciò che era successo quel pomeriggio.
L
smise di dibattersi, e tornò a respirare normalmente. A K
sembrava
di essere tornata ai tempi della Wammy's House, quando lui era stato
seppellito dagli altri bambini sotto la neve, e lei aveva dovuto
accudirlo tutta la notte, perché ovviamente gli era salita
la
febbre. In quel momento, gli sembrava ugualmente fragile e indifeso,
così dimagrito, così sciupato, e con quel
nervosismo e l'arroganza
che derivavano dal fatto che le sue convinzioni stessero vacillando.
Gli rimase ancora un po' accanto, controllando la flebo,
asciugandogli il viso, prendendogli la temperatura, prima di
decidersi finalmente ad andare a letto.
Era
all'incirca mezzogiorno, quando L fu svegliato da K che bussava alla
porta.
-Devi
alzarti e mangiare.- sentì la sua voce oltre la porta. -E i
tuoi
vestiti sono asciutti. Posso entrare?-
L
mugugnò di sì, e lei aprì la porta.
Reggeva i vestiti di L con la
mano sinistra, la cui spalla era ancora fasciata, e il detective
poté
notarvi un leggero tremolio. Indossava gli stessi pantaloncini di
jeans molto corti del giorno prima, ma ora aveva addosso una
canottiera bianca, lunga e sformata, che lasciava intravedere la
spessa cicatrice sulla spalla destra e la fasciatura sulla sinistra.
Per evitare che si notasse troppo il reggiseno, aveva infilato un top
nero sotto. Gli lasciò i vestiti ai piedi del letto, e poi
tentò di
sciogliere la spalla.
-Ho
saputo che il proiettile non ha intaccato nulla di vitale, per cui
dovresti riuscire a riprenderti al cento per cento.- disse L.
-Però... ti fa tanto male?-
K
fece il giro del letto, per controllare la flebo.
-Sono
stata peggio.- rispose, lapidaria, mentre gli sfilava l'ago dal
braccio. -Ora vestiti. Ti aspetto di là.-
-Vedo
che non sono l'unico a girare con vestiti che mi cascano di dosso.-
commentò L, facendole cenno alla spallina della canottiera
che le
stava scivolando sul braccio.
-Sì,
vabbé, ecco...- bofonchiò lei. -Sono scappata dal
mio appartamento
con una borsa d'emergenza, non è che potessi portarmi dietro
tutto
il guardaroba. Piuttosto...-
E
lo guardò storto.
-Ricordo
un tempo in cui questi vestiti più o meno li riempivi. Cerca
di
ricominciare ad avere dei ritmi normali, o non so quanto riuscirai ad
andare avanti.-
Poi
uscì, e L si rivestì in fretta per raggiungerla
in soggiorno, dove
vide un plico di fogli molto alto, con alcune parti evidenziate e con
qualche appunto a margine. Sul divano più grande c'era un
cuscino
spiegazzato e un impermeabile che pendeva dallo schienale.
-Ti
prego, non mi dire che hai dormito sul divano, con tutti gli
appartamenti che ci sono in questo palazzo.- le disse,
stiracchiandosi.
Nelle
ultime due settimane probabilmente aveva dormito in totale meno
rispetto a quanto non fosse riuscito a fare quella notte. Mancavano
due giorni alla scarcerazione di Light e Misa, e ne avrebbe potuto
approfittare per lasciare un po' di lavoro a K e Watari e cercare di
riprendersi, ma c'erano ancora troppe cose in sospeso che avrebbe
voluto risolvere.
-Lavoravo
qui, quando ti è venuta la febbre.- rispose la voce di K,
proveniente da un'altra stanza. -Ad un certo punto hai cominciato ad
agitarti. È stato un bene che io fossi qui a farti da
balia.-
Uscì
dal cucinino con un vassoio su cui facevano bella mostra diversi
piatti, con bacon, uova strapazzate con erba cipollina, fagioli, pane
e burro.
-English
breakfast.- gli fece, posando il vassoio sul tavolino. -E spremuta
d'arancia. Scordati il caffè per un po'.-
-Va
bene, mamma.- sbuffò lui. -E dire che ho
quasi venticinque
anni, ora. Potresti anche smetterla di trattarmi come un moccioso.-
Anche
lei sbuffò sonoramente, e si lasciò cadere
pesantemente sul divano.
-Sei
tu che hai cominciato a comportarti da bambino capriccioso.- disse,
allargando le gambe e appoggiandovisi sopra coi gomiti, dopo aver
preso la propria tazza di matcha. -Saresti morto stecchito di stenti
davanti a quegli schermi, pur di dimostrare che Light è
Kira.-
Mangiarono
in un silenzio surreale, lanciandosi di tanto in tanto qualche
occhiata in cagnesco; nulla di strano, almeno per loro. Quando ebbero
finito, K liberò il tavolo e vi poggiò i suoi
appunti; poi si
sedette a terra, mentre L rimase sul divano.
-Prima
di iniziare... ora vorrei che ci concentrassimo esclusivamente sul
caso Kira.-
Stava
evitando di guardarlo negli occhi.
-La
priorità in questo momento e rimetterci a lavorare sul serio
a
questo caso, mentre tu cerchi di riprenderti. Perciò ti
esporrò i
risultati delle mie ricerche e, se ci avanza tempo, potrai chiedermi
quello che vuoi.-
L
annuì, e allungò una mano per prendere il primo
tra i fascicoli che
K gli stava porgendo. Lo svogliò in silenzio, mentre finiva
di bere
una tazza di tè verde.
-Perciò,
hai partecipato alle autopsie degli agenti dell'FBI uccisi da Kira?-
-Esatto.-
K
si rabbuiò leggermente in volto.
-Vedi...
Per farla breve: mentre mi tenevano prigioniera, quand'ero incinta,
dal momento che non potevo muovermi dalla mia cella se non in casi
eccezionali, mi sono messa a studiare medicina legale. Poi mi hanno
fatto continuare gli studi e ho preso un'altra laurea, e
così ne
hanno approfittato poi per farmi partecipare per anni alle autopsie a
fianco dell'NCIS. Era anche il motivo per cui mi avevano mandato in
Giappone a novembre, assieme agli agenti dell'FBI: oltre ad essere
un'agente investigativo, avrei anche potuto effettuare io l'autopsia
subito, anziché attendere che le salme fossero rimpatriate
per poi
chiamare l'NCIS.-
Scosse
la testa, e incrociò le lunghe gambe bianche.
-Sono
riuscita a conservarmi parte dei risultati, sebbene abbia dovuto
spedire tutto negli States.-
Estrasse
alcune fotografie, e le passò a L. -Impronte digitali
rilevate sul
distintivo dell'agente Raye Penber.-
I
documenti parlavano di tre diversi tipi di impronte. Uno
corrispondeva a quelle dello stesso Penber, un altro a Naomi Misora.
Il terzo tipo risultava introvabile nel database.
-Cos'hai
trovato?- chiese L. K gli mostrò una copia del documento di
incarcerazione di Light Yagami, completo delle sue impronte digitali.
-Quando
ho fatto l'autopsia, Light non era ancora stato incarcerato. Ma
guarda la rilevazione che sono riuscita a fare, appena uscita dal
coma.-
Le
impronte digitali sconosciute ritrovate sul distintivo di Penber
coincidevano con quelle di Light Yagami.
-Bingo!-
sussurrò L.
-Mi
ero anche permessa- continuò K -di inviare una foto di Light
Yagami
a tutti coloro che a Tokyo vendevano televisori portatili, chiedendo
se per caso un ragazzo con quell'aspetto ne avesse acquistato uno
prima della fine del 2003.-
L
la guardò sorpreso. -Non posso credere che tu sia riuscita a
trovare
qualcosa seguendo quella pista.-
-Considerando
la giovane età dell'acquirente, ho ricevuto una risposta
più
positiva di quanto mi aspettassi. Una dozzina di negozi hanno
risposto che generalmente non è un articolo acquistato
così spesso
da ragazzi, e quindi era probabile che quello in foto fosse tra i
compratori. Mi sono fatta inviare i video di sorveglianza dei mesi
ottobre, novembre e dicembre del 2003, e ho trovato questo.-
Passò
ad L alcuni fotogrammi in bianco e nero stampati su carta
fotografica. Nel primo si vedeva un ragazzo del tutto simile a Light
Yagami entrare nel negozio. Nel secondo, lo stesso ragazzo stava
indicando ad un commesso un mini televisore. Nel terzo, si trovava
alla cassa e stava pagando in contanti. Nel quarto, lo si vedeva
uscire dal negozio con una busta abbastanza grande nella mano destra.
-Dalla
data e dall'ora riportati sul video sono riuscita a risalire a
questo.- e mostrò una fotocopia del registro di quel
negozio, dove
aveva evidenziato la vendita di un televisore portatile da 7 pollici
a cristalli liquidi, nel giorno e all'ora indicati sul video di
sorveglianza.
K
poteva aver ragione con la sua teoria del televisore nascosto nel
sacchetto di patatine. Restava da verificare se il sovrintendente
Yagami fosse a conoscenza di questo acquisto. Tra gli apparecchi
elettronici registrati durante l'installazione delle telecamere in
casa Yagami (registrazione che era stata necessaria per sapere dove
piazzare le telecamere in maggior numero) non vi era menzione alcuna
ad un televisore portatile. E tale sopralluogo era avvenuto dopo la
data d'acquisto del televisore. Certo, purtroppo nessuna di quelle
prove era schiacciante, e avrebbe smentito soltanto l'alibi di Light
per le esecuzioni avvenute durante la sua sorveglianza, e non quelle
delle settimane successive alla sua incarcerazione. Ma avrebbero
giustificato i sospetti di L di fronte agli altri agenti. O forse...
-Sei
stata lodevole come sempre.- disse L, leggendo i rapporti. -Ma ti
devo chiedere di mantenere queste informazioni segrete.-
-Sapevo
l'avresti detto.- sorrise K. -Ci sarebbe anche un'altra cosa di cui
vorrei discutere con te.-
L
la guardò dritta negli occhi. Lei distolse lo sguardo.
-Il
momento in cui Misa e Light paiono uscire da una sorta di
possessione.-
Prese
il telecomando e accese la TV.
-Lasciamo
da parte per un momento l'orrore che mi è salito nel vedere
queste
registrazioni, e concentriamoci sul labiale.-
Erano
le registrazioni delle telecamere di sorveglianza delle celle di Misa
e Light. Si vedeva prima Misa, con gli occhi coperti, rifiutarsi di
parlare. Poi la si vedeva piangere e urlare “Uccidimi, ti
prego!”.
Infine, la si vedeva sussurrare qualcosa. Una ciocca di capelli si
era mossa, da sola, e Misa era svenuta. Al suo risveglio, la sua
personalità sembrava completamente stravolta, e pareva del
tutto
ignara di qualunque cosa riguardasse Kira. Nelle immagini relative a
Light, lo si vedeva sempre in silenzio, assorto, ogni tanto parlare
da solo sottovoce. Ad un certo punto aveva mormorato qualcosa, e
pochi istanti dopo aveva cominciato ad agitarsi e a proclamare la
propria innocenza.
-Sono
cambi repentini di personalità che farebbero pensare ad una
possessione.- disse L, scettico.
-Questo
prevederebbe che le due vittime siano completamente preda di una
forza superiore.- ribatté K. -Ma non so se hai notato che
loro due
pronunciano le stesse parole, prima del cambiamento.-
L
annuì. -Ma muovono pochissimo le labbra e hanno la testa
rivolta
verso il basso.-
-Per
questo ho chiamato un fonologo giapponese.- disse K con una risatina.
Il grande difetto di L era che era poco propenso a chiedere aiuto.
Mentre lei non si faceva scrupoli a smuovere chiunque per sopperire
alle sue lacune.
-Dicono
entrambi chiaramente “Rinuncio”. Che è
una formula generalmente
usata nella liturgia, specialmente durante il Battesimo e la Cresima
per sancire la propria rinuncia a Satana.-
-Quindi,
secondo te...- cominciò L, sfregandosi il pollice contro il
labbro
inferiore -Non è possibile che loro siano semplici vittime,
perché
in quel momento rinunciano consapevolmente a qualsiasi sia
l'entità
che conferisce loro il potere di uccidere.-
-Esatto.-
rispose K, spegnendo il televisore e raccogliendo le ginocchia al
petto, per poi avvolgerle con le sue braccia. Si mise a dondolare sul
tappeto.
-Sono
d'accordo con te.- disse lui, voltandosi verso di lei. -È
probabile
che abbiano perso i ricordi legati alle loro azioni in quanto Kira,
ma che abbiano la possibilità di ritornarne in possesso.-
-Come
pensi che dovremmo muoverci?- chiese allora la giovane, sempre
continuando a dondolare. -Cosa dovrei fare mentre tu resti in
infermeria?-
Elaborarono
un piano. Era un po' strano che ora fosse L, tra i due, a dare
ordini.
K
lo stava ad ascoltare in silenzio, ma ogni tanto non riusciva ad
evitare qualche commento saccente.
-Come
sarebbe a dire che non ti sei degnato nemmeno di cercare una traccia
sull'identità del nuovo Kira?!- sbottò, ad un
certo punto. -Mi stai
dicendo che sei davvero rimasto cinquanta giorni a tenere d'occhio
Light e Amane senza preoccuparti dei nuovi omicidi?!-
Lui
distolse lo sguardo.
-Mi
rendo perfettamente conto di aver gestito questa parte del caso in
modo inappropriato, senza che sia tu a dirmelo.-
-Dannazione,
L!- fece lei, esasperata. -Io non ho potuto fare molto in questi
giorni, dal momento che Roberts voleva farmi fare più
terapia
possibile per non doversi fermare qui in Giappone ancora a lungo, e
oltre ad occuparmi di Light stavo cercando di aiutare Burton ad
incriminare la Hogson.-
Batté
il pugno a terra.
-Mi
stai dicendo che devo cominciare praticamente daccapo le indagini?-
-L'unica
cosa che ho notato...- continuò L. -È che questo
nuovo Kira uccide
indistintamente chiunque venga accusato di un crimine, senza seguire
una sorta di morale. Punisce anche chi uccide per difesa, per errore,
o chi ruba per fame.-
-Sì,
grazie, questo l'avevo notato anch'io.- ribatté lei acida.
-Ma non
avresti almeno potuto impegnare Aizawa, Mogi e Matsuda per occuparsi
dei nuovi casi di morte? Perché hai voluto focalizzare tutta
la tua
attenzione su quei poveri ragazzi?-
-Quei
poveri ragazzi hanno ucciso centinaia di persone!- protestò
L,
alzando il tono della voce. -Non ho idea di quello che potrebbe
succedere, ora che probabilmente verranno liberati.-
-È
vero che meriterebbero di marcire in galera per il resto dei loro
giorni.- concordò K. -Ma le persone continuano a morire.
Dovremmo
pensare alla punizione dopo
aver fermato gli omicidi.-
L sospirò a fondo, e si
prese il viso tra le mani, sfinito. Lui e K lavoravano perfettamente
in simbiosi quando si trovavano d'accordo, ma avevano metodi diversi,
e si ritrovavano a discutere troppo spesso.
-Ci
lavoreremo in questi due
giorni che ci restano.- cedette, alla fine. -Cercheremo di trovare
una pista da cui ripartire con le indagini, di modo da rimettere
Light immediatamente al lavoro.-
-Ah,
no, caro.- ribatté lei, alzandosi in piedi e incrociando le
braccia.
-Io ci lavorerò in
questi giorni, mentre tu
te ne starai buono buonino a letto, a cercare di rimettere in sesto
il tuo povero cervello.-
Si
chinò poi a raccogliere
le stoviglie sul vassoio, per riportare tutto in cucina.
-Stai
andando avanti
soltanto a botte di caffeina e glucosio, sei praticamente strafatto
da settimane. E non penso di doverti avvertire io di quanto sia
pericoloso continuare così, e non solo per il tuo fisico.-
Si
alzò e si voltò verso
di lui, fissandolo intensamente negli occhi.
-Stai
perdendo di vista ciò
che è lecito e ciò che non lo è,
ciò che è giusto e ciò che
è
sbagliato, l'umano dal disumano. Per questo sei arrivato a questo
punto.-
Lo
lasciò sul divano a rimuginare, mentre andava in cucina. Il
detective si alzò per sgranchirsi le gambe, e,
nel farlo,
sentì il rumore di qualcosa di piccolo tintinnare cadendo
sul
pavimento. Guardò a terra e vide un anello d'oro bianco con
un
rubino in cima, infilato in una cordicella nera strappata. Si
chinò
a raccoglierlo con le lunghe dita affusolate e lo alzò
controluce,
ammirandone i riflessi; poi lo pulì delicatamente, e lo
alzò
nuovamente per esporlo alla luce. In quel momento si accorse che i
raggi del sole stavano entrando di sbieco nella stanza, illuminando i
due divani, così si infilò l'anello in tasca e
andò a tirare le
tende.
-Faccio
dell'altro tè?- domandò K, dal cucinino. -Ah, e
per la cronaca:
spero che non ti abitui a me che ti faccio da cameriera, da
infermiera e da balia. Come hai detto tu, hai venticinque anni,
potresti anche badare da solo a te stesso. E non usare il povero
Watari come maggiordomo.-
-Così
adesso è diventato “il povero Watari”?-
L
infilò la mano in tasca, e si mise a giocherellare con
l'anello,
mentre sul suo volto si disegnava un sorriso triste.
Andò
verso la cucina, tentando di camminare ritto.
-Voglio
sapere cos'è successo dopo che sei partita per gli Stati
Uniti,
sette anni fa.- disse, in tono serio.
K
stava sciacquando i piatti nel lavandino, e si voltò a
guardarlo con
gli occhi sbarrati.
-E
va bene.- disse, asciugandosi le mani. -Andiamo di là.-
Aspettarono
che l'acqua bollisse e si sedettero nuovamente sul divano: L stava
appoggiato allo schienale, con le gambe distese, mentre K si era di
nuovo buttata malamente, coi gomiti appoggiati alle ginocchia
divaricate e lo sguardo fisso avanti.
-Prima,
però, c'è un'altra cosa che non ti ho detto
riguardo a Light
Yagami.- disse, sprofondando con la testa tra le spalle. -E non ti
piacerà.-
-Non
penso che ci sia qualcosa tra tutto quello che mi devi dire che mi
possa piacere.- disse L, passando un braccio sopra lo schienale del
divano. -Perciò, spara. Ma non credere che poi non
pretenderò di
sapere tutto quello che mi hai nascosto in questi anni.-
K
annuì, intrecciò le dita e abbassò lo
sguardo.
-La
sera in cui hanno ucciso Bjarne ho provato a telefonare a casa di
Light, in modo da impedirgli di vedere i notiziari.-
Versò
l'acqua calda nelle due tazze e poi posò il bollitore sul
tavolino.
-Non
ha funzionato. Quindi...-
Si
morse il labbro, mentre portava la propria tazza alla bocca. -L'ho
minacciato.-
L
trasalì. -Perché hai fatto una cosa tanto
stupida?-
-Guarda
che non sono una completa idiota...- si difese lei, voltandosi per
fulminarlo con lo sguardo. -Non gli ho mica detto chiaro e tondo
“Hai
appena ucciso mio fratello, pagherai per questo”.-
L
si rimise a sedere normalmente, guardandola di sottecchi.
-Ma
se per caso riuscisse a trovare un collegamento tra te e Bjarne?-
-Non
sono in pericolo, non col primo Kira.- rispose K, tentando nuovamente
di bere il tè; cambiò idea, e prese a soffiarci
sopra, tenendo la
tazza con entrambe le mani bianche.
-E
se anche Light scoprisse che c'era un collegamento tra me e lui, non
riuscirebbe comunque a risalire al mio nome. Bjarne è stato
adottato
alla nascita, sarebbe praticamente impossibile riuscire a risalire ai
documenti di adozione, visto che i nomi dei genitori naturali sono
tenuti segreti. E poi io e lui abbiamo padri diversi, e mia madre ha
cambiato cognome dopo essersi sposata con mio padre, perciò
dubito
che sarebbe così semplice riuscire da lui a risalire al mio
vero
nome. Inoltre ci siamo conosciuti che eravamo già grandi, e
sono in
pochi a sapere che è mio fratello.-
-Hai
intenzione di mostrarti in volto durante le indagini, non è
così?-
domandò L, leggermente infastidito.
-Esatto.-
K provò a sorseggiare la tisana. -Sono stanca di
nascondermi. E poi
non sai che fastidio, portare lenti colorate e parrucca tutto il
giorno. E il trucco per coprirmi l'ustione, ah...!-
L
non discusse, sebbene quella decisione lo preoccupasse molto. Fino a
quel momento K aveva avuto un notevole vantaggio rispetto a Light e
Misa perché la sua identità era ancora nascosta,
e i due non
sospettavano che quello che Light conosceva non fosse il suo vero
volto.
-Ciò
non toglie che se Light recuperasse la memoria, probabilmente tu
salteresti in cima alla lista delle persone da fare fuori.-
protestò
L, avvicinando la mano alla propria tazza. Scottava. La ritrasse.
-Siamo
entrambi in cima a quella lista, L.- ribatté la giovane,
bevendo un
altro sorso. -Oltretutto, tu sei molto più influente sugli
organi
giudiziari, perciò sei maggiormente a rischio. In questa
situazione,
stiamo entrambi mettendo in gioco la pelle, ma, se me lo permetti,
gradirei non dover essere costretta a guardarmi continuamente le
spalle e truccarmi e travestirmi di continuo.-
L
abbassò lo sguardo per un istante.
-E
va bene, allora.- disse. -Cercherò di pensare ad un modo per
tenerci
entrambi al sicuro. Ora, però, mi devi delle spiegazioni.-
K
sospirò, si tirò indietro con la schiena, gemendo
leggermente per
il dolore alla spalla; si appoggiò allo schienale e si
raggomitolò
sul divano.
-Il
motivo per cui ho accettato il lavoro all'FBI...- cominciò,
con la
tazza alzata a coprirle il volto. -...era che avevo scoperto che il
responsabile dell'incidente di vent'anni fa gestiva un gruppo di
mercenari che occasionalmente prestavano servizio sotto il comando
degli agenti federali.-
Abbassò
lo sguardo.
-Devi
sapere che mio padre aveva organizzato un viaggio in Sudafrica. Sai,
mia madre gli ripeteva spesso che avrebbe voluto fargli vedere i
luoghi in cui era cresciuta, eccetera. Per cui, un giorno mi
lasciarono dai nonni e andarono a fare un giro in una vecchia zona di
Bloemfontain, dove una volta c'erano dei parchi, dove mia madre
andava giocare, o qualcosa del genere. Ebbene, quel posto era
diventato un luogo di spaccio, e perciò, quando arrivarono,
si
ritrovarono nel bel mezzo di uno scambio: c'era un furgone pieno di
armi, che probabilmente stavano scambiando con dei diamanti. Mio
padre vide la scena da lontano, e fece dietrofront con la macchina
noleggiata, per andare al più vicino negozio e chiamare la
polizia.
Ma i soldati videro la targa e riuscirono facilmente a risalire a
lui. Così quella sera stessa tornammo in Inghilterra col
primo volo,
e cominciammo a fuggire.-
Bevve
un lungo sorso e rimase un attimo in silenzio, mentre guardava le
ombre allungarsi sul pavimento.
-Ci
misero qualche mese a rintracciare i nostri spostamenti. Mio padre
sicuramente si era messo a fare delle ricerche, per cui era certo che
avessero intenzione di farci fuori tutti. Poi ci fu l'incidente.-
Si
voltò verso la spalla destra: la canottiera bianca consunta
lasciava
la cicatrice ben visibile.
-Avevano
manomesso i freni. Eravamo nelle Highlands, uscimmo da una curva e ci
schiantammo giù dal fianco di una montagnola. Mio padre e
mio zio
morirono sul colpo, e io mi beccai una lamiera addosso. Ma mia madre
era riuscita a rimanere cosciente, per cui mi tirò fuori
dalla
macchina. Svenni poco dopo, e mi risvegliai dopo quattro mesi in una
clinica pediatrica privata finanziata da Watari, che mi disse che
nemmeno mia madre si era salvata. Le si era fermato il cuore mentre
era ricoverata all'ospedale di Glasgow; sospettavano che avessero
pagato qualcuno per iniettarle qualcosa mentre era incosciente.
Quanto a me...-
Disse,
stringendosi le ginocchia col braccio che reggeva la tazza di
tè.
-...
I miei genitori erano in contatto con Watari già da un po',
per
chiedergli aiuto nel raccogliere abbastanza prove perché
potessero
essere inseriti in un programma di protezione testimoni.
Perciò,
Watari fu immediatamente avvertito dell'incidente e mi fece
ricoverare nella sua clinica. Falsificò il mio certificato
di morte
e mi accolse in uno dei suoi orfanotrofi.-
Si
voltò a guardare L.
-Dopo
tre anni si accorse delle mie doti e mi trasferì alla
Wammy's House,
pochi giorni prima che arrivassi tu. Rispetto agli altri bambini,
eravamo quelli che avevano vissuto più tempo coi propri
genitori, e
avevamo già affrontato traumi difficili, perciò
aveva pensato che
fosse una buona idea farci entrare insieme per farci forza l'un
l'altra.-
Le
sue labbra si piegarono in un sorriso sardonico.
-Col
senno di poi... probabilmente non mi avrebbe mai permesso di
avvicinarmi a te.-
L
la guardava intensamente. Questa parte della storia la conosceva, a
grandi linee. Gliel'aveva raccontata una sera, una delle innumerevoli
volte in cui erano scappati dalla Wammy's House per andare in riva al
fiume sotto l'albero di ciliegio, a studiare le stelle. L non aveva
parlato per settimane, dopo il suo arrivo all'accademia, per cui gli
altri bambini lo avevano preso di mira. Eppure, K gli era sempre
stata accanto, l'aveva difeso e aveva cominciato a portarlo sempre
insieme a sé.
-Ora
che sei qui, dobbiamo darti un nuovo nome.- gli aveva detto Watari,
il giorno in cui era arrivato.
-Ho
fatto alcune ricerche, ma a quanto pare tua madre non ti ha mai
registrato all'anagrafe. Sei praticamente inesistente, per il mondo:
niente certificato di nascita, niente documenti. Hai almeno un nome?-
Il
bambino non aveva risposto.
-Nulla?
Eppure ho bisogno di un nome per compilare la tua matricola. Vedi...-
E
gli mostrò la sua cartella.
-Ogni
matricola è composta da due lettere, l'anno di nascita,
l'anno di
immatricolazione e un numero indicante l'ordine di immatricolazione
per quell'anno: dispari per i maschi, pari per le femmine. Sono
riuscito a risalire al tuo anno di nascita, perciò la tua
matricola,
per il momento, sarebbe: L come Lawliet, poi c'è il
trattino, poi 79
come il tuo anno di nascita, 87, che è quest'anno, 21,
perché prima
di te quest'anno sono arrivati altri nove bambini (il numero 01 non
lo assegniamo per scaramanzia, come nei camerini a teatro).
Però
manca l'ultima lettera. Mi vuoi dire che non hai un nome?-
Il
bambino era rimasto in silenzio a guardare verso il basso.
-Va
bene.- si era arreso il vecchio. -Vorrà dire che ci
metterò un
punto interrogativo.-
Aveva
scarabocchiato sulla cartella e vi aveva apposto un timbro.
-Ecco.-
aveva detto infine. -Matricola L-798721?, questo è il tuo
documento.-
Poi
aveva chiuso la cartella.
-Ora
però dobbiamo darti un nuovo nome. Vuoi scegliertelo da solo
o te ne
diamo noi uno d'ufficio?-
Il
bambino aveva aperto il fascicolo, e aveva indicato la
“L” prima
del trattino.
-L?-
aveva domandato il vecchio, dubbioso. -Ma non puoi chiamarti
“L”.-
-Signor
Wammy?- aveva allora detto una vocina femminile.
Il
bambino si era voltato, e aveva visto una ragazzina più alta
di lui,
con lunghi capelli bianchi, la pelle chiarissima e gli occhi rosa
leggermente asimmetrici.
-Mi
aveva fatta chiamare?-
-Certo,
Kendra, accomodati pure.- le aveva detto il vecchio. -Questo
sarà il
vostro nuovo compagno. Ho pensato di fare le vostre immatricolazioni
lo stesso giorno, così da risparmiarmi un po' di seccature.-
Si
era quindi voltato di nuovo verso il bambino.
-Gli
ho chiesto quale fosse il suo nome, o quale nome volesse scegliere
per sé, ma non parla ancora. Ha solo indicato la
“L”.-
-”L”?-
aveva ripetuto la ragazzina, sovrappensiero. -Perché no?
Sembra un
nome da agente segreto! Ed è per questo che siamo qui, no?
Per
diventare delle specie di agenti segreti!-
Aveva
riso, di una risata spontanea e innocente.
Wammy
si era voltato verso il bambino, con le sopracciglia aggrottate.
-Vorresti
davvero farti chiamare L?-
Il
bambino aveva abbassato lo sguardo, poi aveva annuito lentamente.
-Non
che ci siano problemi, credo.- aveva ripreso il vecchio. -Ma non
pensi che gli altri bambini possano prenderti in giro per questo?-
-E
allora io potrei farmi chiamare K.- aveva detto Kendra. -Dopotutto,
mi hai chiamata Kendra perché la mia matricola inizia con la
K, no?
E poi sono più grande, e la K viene prima della L
nell'alfabeto.-
Si
era voltata verso il bambino e gli aveva sorriso, allungandogli la
mano.
-Ciao,
io sono Kendra, ma se vuoi, d'ora in avanti, io e te saremo K e L.-
-Penso
che la Hogson abbia cominciato a sospettare che io fossi ancora viva
quando ho richiesto le cartelle cliniche di mia madre e mi sono fatta
fare uno storico delle nostre malattie.- stava dicendo ora K.
L
si riprese dai propri pensieri.
-Quando
Bjarne è stato chiamato per il servizio di leva?-
La
giovane annuì.
-È
stato allora che abbiamo scoperto di avere entrambi la malattia di
Huntington.- disse, sprofondando nel divanetto.
-Immagino
che da quel momento in avanti, abbiano tentato di risalire alla mia
identità, ma dal momento che lavoravo con Burton,
probabilmente
pensavano che fosse stato lui a consultare quelle cartelle per
riaprire il caso della morte dei miei genitori.-
Si
allungò per appoggiare la tazza sul tavolino da
tè, e riprese.
-Iniziai
a raccogliere degli indizi concreti poco dopo. Così andai da
Burton
e gli chiesi se avrebbe potuto trovare un modo per custodirli. Poi
tornai in Inghilterra da te per cominciare ad addestrarti.-
-Perché
continuassi a lavorare al caso nel caso in cui tu fossi morta o si
fosse manifestato l'Huntington.- terminò lui.
-Perciò, Burton
custodiva le prove.-
Sbuffò
e volse lo sguardo altrove. -Buono a sapersi...-
-Ecco...-
riprese K. -... Ma alla fine ho deciso di tenerti fuori...
perché...-
Abbassò
lo sguardo, mentre gli occhi e le guance le viravano verso il rosso.
-Perché
hai pensato bene di salvarmi tenendomi completamente all'oscuro di
tutto questo, e hai preferito farmi credere di esserti suicidata?-
domandò L, con tono irritato.
-Errore
di calcolo.- disse lei. -Non avrei dovuto coinvolgerti dall'inizio. E
non lasciarmi coinvolgere da te.-
Stava
sprofondando sempre più nel divano, con le braccia conserte,
la
testa stretta nelle spalle e un piede che si muoveva su e
giù
nervosamente.
-In
ogni caso, avevo scoperto i collegamenti della Hogson con l'FBI, per
cui mi ero resa conto che qualsiasi cosa fosse, sarebbe stata
incredibilmente grossa e pericolosa per permettere anche a te di
ficcarci il naso. Ho tentato di convincere anche Bjarne a starne
fuori, ma sai quant'è cocciuto.-
Si
bloccò, ed abbassò lo sguardo.
-Era.
Era cocciuto.- sussurrò.
Rimasero
per un attimo in
silenzio, e poi lei riprese.
-Un
giorno tornai nel mio
appartamento e mi resi conto che era stato perquisito. Sai che avevo
i miei metodi per scoprire se qualcuno era entrato in camera mia di
nascosto, no?-
-Perciò
le tue manie di
persecuzione sono finalmente servite a qualcosa?-
K
lo ignorò.
-Avevano
aperto la
cassaforte, e avevano trovato la cassetta in cui tenevo le mie foto e
i miei ricordi... E così hanno capito chi ero.
Perciò, alcuni
giorni dopo, sono stata rapita mentre andavo a lavoro, e mi hanno
portato direttamente da Hayer, che era quello che si occupava dei
mercenari in quell'organizzazione.-
I suoi occhi stavano di
nuovo diventando rossi, e questa volta non per l'imbarazzo.
-Hayer
minacciò di uccidere
te e Bjarne, anche se non aveva idea di chi voi foste, solo
perché
vi aveva visto nelle mie foto. Su di te non aveva scoperto nulla,
ovviamente, mentre Bjarne lo stavano facendo pedinare da giorni.
Sapevano anche di Burton, e delle prove che custodiva, ma dal momento
che non erano riusciti a risalire al codice, si erano decisi a
prendermi come prigioniera.-
Strinse
i pugni.
-Feci
subito capire loro che
ero io ad avere il coltello dalla parte del manico, perché
non
sarebbero mai potuti risalire a te, e se io e Bjarne fossimo morti,
le prove sarebbero finite alla Wammy's House. Perciò hanno
avuto
paura, e hanno deciso di tenermi prigioniera a vita solo per
continuare a dare a Burton le giuste chiavi di accesso, mese per
mese, finché non avessero trovato un'apertura.-
-Perciò...-
intervenne L.
-Le cose sono precipitate quando ti sei accorta di essere incinta?-
Lei
gli rivolse
un'occhiataccia.
-Mi
lasciarono libera una
sera, per incontrare Bjarne. Ovviamente sarebbe stato un incontro
controllato da diversi uomini, e avevo delle cimici addosso. Lo
fecero solo perché immaginavano che Bjarne si sarebbe
insospettito
se avessi saltato ancora una volta uno dei nostri incontri.-
Sospirò.
-Per
cui andammo in un
ristorante dove facevano pesce. Io ero intenzionata a fargli capire
che mi avevano presa, e che lui sarebbe dovuto fuggire subito dal
Paese insieme ai suoi. Però... durante la cena cominciai a
sentirmi
male, e corsi in bagno a vomitare. Lui mi seguì, per
accertarsi che
andasse tutto bene, e venne subito raggiunto da uno dei due uomini
che ci stavano tenendo d'occhio. Bjarne sicuramente l'aveva visto,
per cui fece due più due... e quella sera avvertì
i suoi genitori
di mollare tutto e scappare.-
-Ma
lui non lo fece.-
intervenne allora L.
Poi
distolse lo sguardo, con
un velo di tristezza sul volto. -Ovvio, se aveva intuito che eri nei
guai. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per te.-
-Per
di più aveva
sicuramente capito che ero incinta.- riprese K, stringendosi ancora
di più su se stessa. -Mentre vomitavo l'anima ho fatto due
calcoli,
ho ripensato a quella sera, e credo di averti chiamato con
appellativi poco carini. E lui sicuramente ha sentito.-
Anche
L si rannicchiò su se
stesso, portandosi anche lui le ginocchia al petto e stringendole a
sé.
-Beh, suppongo di essermeli
meritati.- sussurrò.
-Supponi?!-
ringhiò lei, scattando in piedi.
-Dimmi
la verità.-
continuò, piantandogli in faccia uno sguardo infuocato.
-L'hai rotto
apposta, non è vero?-
L
la guardò a lungo negli
occhi, mentre la rabbia di lei saliva, e, infine, abbassò lo
sguardo.
-Lo
sapevo!- urlò allora
K, voltandosi di scatto e prendendo a camminare nervosamente su e
giù
per la stanza, sibilando un “Bastardo” tra i denti.
-Dovevo
proprio ridurmi ad
andare a letto con un imbecille con la sindrome dell'abbandono? Che
mi mette incinta soltanto perché ha paura che io non ritorni
da
lui?- urlava, camminando a passi rapidi per la stanza.
-Qualcuno
potrebbe
sentirti.- intervenne L, in tono calmo, alzandosi dal divano.
-Stai.
Zitto.- scandì lei,
girandosi improvvisamente verso di lui, puntandogli il dito contro.
-Mi hai odiata per sei anni perché ti ho detto che non
avresti mai
visto tuo figlio, che avrei abortito senza pensarci due volte, e
avresti avuto ragione ad odiarmi, ma...-
E
così dicendo gli si
avvicinò, con gli occhi che pulsavano rossi.
-Mi
vuoi spiegare a che
cazzo stavi pensando quella sera? Davvero credevi che sarei tornata
da te e che avremmo giocato all'allegra famiglia?-
Arrivò
a muso duro a pochi
centimetri dal suo volto, prima di urlargli contro:
-Eri
un fottutissimo
ragazzino!-
Si
allontanò da lui,
lottando contro l'impulso di tirargli uno schiaffo in faccia.
-Ti
eri preso solo la classica, fottutissima cotta per la tua insegnante,
per la tua figura materna di riferimento! E io? Io ci sono cascata in
pieno! Perché andare a letto con uno studente, minorenne,
che in
passato tutti avevano considerato come il mio fratellino era troppo
eccitante e trasgressivo.-
Tirò
un pugno al muro,
frenandosi solo verso la fine. Tremava.
-Siamo
stati due idioti. Ma
saremmo stati solo due idioti qualunque, se le cose si fossero
fermate lì.-
Si
voltò a guardarlo, con
gli occhi pieni di rabbia.
-Invece
hai voluto fare la stronzata più colossale che si potesse
immaginare. Non vuoi che ti tratti come un bambino, eppure mi hai
messa incinta solo perché avevi paura che ti abbandonassi.
Come ha
fatto tua madre con te. Hai proiettato su di me la sua figura per
anni. E hai
finito per metterci
in mezzo persone che non c'entravano nulla, e per cosa?-
Fece
una smorfia.
-Solo
per gelosia e
possesso.-
L aveva dipinta sul volto
un'espressione indecifrabile. Si alzò e tentò di
avvicinarsi, ma
cambiò idea, e rimase fermo dove si trovava.
-Hai
perfettamente ragione.-
disse, infine. -Non c'è nulla che possa dire per
giustificarmi o per
cambiare quello che è successo. Sono stato un idiota, e pure
un
egoista, perché per quanto potessimo essere adulti e maturi
già a
quella giovane età, con l'infanzia e l'addestramento che
abbiamo
avuto... mi sono comportato da bambino capriccioso.-
Si
era messo le mani in
tasca, e sfregava nervosamente un piede contro i jeans.
-E,
non contento, sono stato
ancora più stupido ad averti odiata perché
credevo mi avresti
portato via Nate. Perché pensavo egoisticamente soltanto a
come
sarebbe stato bello avere un piccolo clone a cui insegnare tutto
quello che sapevo. Giocare a fare il padre, visto che non ne avevo
mai avuto uno.-
Si
lasciò andare ad una
risatina sprezzante, e poi ad una smorfia di disgusto.
-Sono
una persona ancora più
subdola e meschina di quanto entrambi credessimo.-
Tirò
fuori l'anello dalla
tasca dei propri jeans, e lo allungò verso di lei.
-Ti
ho persino chiesto di
sposarmi, pur di avere la sicurezza che non mi avresti abbandonato.-
-Guarda
che non è proprio
andata così.- ribatté lei, incrociando le braccia
e volgendo lo
sguardo altrove. -Hai semplicemente farfugliato qualcosa sui diritti
legali concessi ai familiari dei malati incapaci di intendere e di
volere. Ho pensato che ti sentissi in dovere di farmi da cavaliere
per occuparti di me una volta che l'Huntington si fosse manifestato,
rimanendo al mio fianco in qualità di coniuge, dal momento
che non
potevo riconoscere Bjarne come mio fratello, essendo tecnicamente
morta a seguito dell'incidente di mio padre. Certo, sarebbe stato un
bel colpo, per te: avresti potuto avermi tutta per te alla faccia di
Bjarne. E tutto ciò quand'eri diventato maggiorenne da
appena mezzo
secondo.-
Lui allora si avvicinò di
qualche passo, sempre tenendo l'anello in mano.
-E
allora mi chiedo...-
cominciò, parandosi di fronte a lei. -... come mai tu non
solo lo
abbia accettato quel giorno, ma lo abbia addirittura conservato per
tutto questo tempo.-
Lei
sospirò sonoramente,
roteò gli occhi e si staccò dal muro, sempre a
braccia conserte,
facendo pochi passi, fino a dargli le spalle.
-Perché
mi hai fatto fare
una promessa.- disse, con lo sguardo basso. -Mi hai chiesto di
continuare a lottare per vivere, finché avessi ricordato
quel
giorno. Anche se l'Huntington si fosse manifestato.-
Poi
girò leggermente il
viso, per guardarlo da sopra la spalla.
-Come
puoi vedere,
nonostante tutto ho mantenuto quella promessa. Anche nei momenti
peggiori della mia prigionia, anche quando credevo che non ci fosse
via di scampo, e che fossimo tutti finiti, ho cercato di tenere a
mente quella promessa, e non ho mollato.-
Anche
lui allora si voltò,
la raggiunse nuovamente e le prese una mano, ma lei la ritrasse.
-Calma.-
le disse. -Voglio
solo che lo riprendi. Vorrei che continuassi a mantenere la promessa,
e che tu non ti faccia uccidere da Kira. O da Hayer.
K
guardò l'anello sul palmo
della mano del giovane, poi lo afferrò con un gesto secco e
se lo
mise in tasca.
-Devi finire di spiegarmi
cos'è successo a te e a Bjarne.- riprese L, come se nulla
fosse
successo, tornando a sedersi.
K
era rimasta in piedi, a
guardarlo storto, ma alla fine ritornò anche lei sul divano,
dove si
lasciò cadere, reggendosi la testa con la mano.
-Bjarne
si era reso conto
che ero incinta, per cui non avrebbe voluto lasciarmi in quella
situazione. Sai com'era fatto. Dal momento in cui ha scoperto di
avere la malattia di Huntington ha deciso di intraprendere una
personale crociata per rendermi libera di vivere una vita normale,
finché avessi potuto. Tuttavia, dal momento che i suoi
genitori
partirono quella sera stessa, vennero assunte misure più
severe nei
suoi confronti: gli bloccarono il passaporto, gli piazzarono cimici e
qualche telecamera nell'appartamento, iniziarono a controllare tutte
le sue chiamate e i conti correnti. Io avrei voluto abortire, prima
che si rendessero conto che ero incinta, ma... non ne ebbi il
coraggio. In parte, fu merito o colpa di Bjarne.-
Strinse
la mano a pugno.
-Alla
fine se ne accorsero.
E ne approfittarono. Dissero che in cambio del mio silenzio e della
mia collaborazione, mi avrebbero garantito un salvacondotto, uno
solo. Io l'avrei usato per Bjarne. Mi avevano già pestata
più di
una volta, immaginavo che prima o poi mi avrebbero procurato un
aborto a suon di botte, ma Hayer proibì a chiunque di
toccarmi.
Bjarne scelse di cedere il suo salvacondotto al bambino, per
permettermi di darlo in adozione. Diceva che non avevo il diritto di
decidere univocamente se farlo nascere o meno, e che la decisione
spettava anche a te. E gli avrei anche dato ragione, se io avessi
avuto voce in capitolo al momento di concepirlo. Perciò...
devi
ringraziare lui se il bastardello è alla Wammy's House.-
L
si sentì pervadere da un
senso di disgusto al sentire quelle parole, ma cercò di non
darlo a
vedere.
-Per cui mi dissero che
sarei dovuta morire. E sarei dovuta morire odiata, in modo che
nessuno avesse poi il minimo interesse ad indagare sulla mia morte.
Per questo ti lasciai quel messaggio in segreteria, mi resi
irrintracciabile per chiunque e poi simulai il mio suicidio.-
Riprese
fiato. Senza
rendersene conto, aveva cominciato a tremare dalla rabbia.
-Poi
mi corressero lo
strabismo e mi diedero una nuova identità. Potevo chiamare
Burton
per confermare i codici, e vedere Bjarne ogni tanto. Iniziarono a
procurarmi lavori molto remunerativi come investigatrice e
collaboratrice, per investire poi quei soldi in diversi giri poco
puliti. Tentarono ovviamente di scoprire la tua identità, ma
dal
momento che ti presentavi come Eraldo Coil ai tempi in cui lavoravamo
insieme, riuscirono a ricollegare soltanto quell'identità a
te.
Finché un loro collaboratore dell'FBI non arrivò
con un identikit
tuo, e così capirono che eri anche L. Ma questo è
successo solo di
recente, circa un anno e mezzo fa.-
-Perciò
ti hanno fatto
assumere durante il caso Kira per tentare di uccidermi?-
domandò il
giovane, col mento appoggiato sulle dita intrecciate.
-Immagino
che volessero
sbarazzarsi di me definitivamente, eliminando ogni possibile
pericolo. Per cui, avrebbero tentato di uccidere te e Watari, Burton,
Medina, me e Bjarne. E magari avrebbero preso Nate per crescerlo tra
le loro fila e servirsi di lui in futuro.-
L
strinse i denti e sciolse
le dita, rimettendosi rannicchiato con le ginocchia contro il petto e
cominciando a mordicchiarsi il pollice.
-Nel
momento in cui sono
morti i due agenti che erano con me, sono corsa nel primo negozio per
chiamare Harvey, e avvertire Watari che ero viva e che eravate in
pericolo. Non ho voluto che tu lo sapessi in quel momento,
perché
non sapevo come avresti reagito, e avevo bisogno che rimanessi
completamente lucido, se non altro per il bene di Bjarne.-
Calò un attimo di
silenzio.
-Credevi
che mi sarei
rifiutato di aiutarti?- domandò infine L.
-Non
potevo immaginare come
avresti reagito dopo che ti avevo fatto credere di essermi suicidata
come tua madre, e averti molto probabilmente provocato di nuovo lo
stesso trauma.-
Gli
occhi di K in quel
momento erano tristi.
-Non
mi avrebbe stupito se
ieri, vedendomi, mi avessi strangolata a morte.-
Il
suo tono di voce era
cupo.
-Non
ti avrei biasimato, se
lo avessi fatto.-
Il
sole stava calando. K era tutta raccolta su se stessa, col volto
nascosto dai lunghi capelli bianchi, appoggiato sulle ginocchia, e
guardava nel vuoto. Un soffio di vento mosse le tende, facendo
entrare un raggio di sole, e L si alzò per andare a chiudere
la
finestra.
-Ti
ho odiata, lo ammetto.-
disse infine, rimanendo a guardare fuori il cielo arancione. -Ti ho
odiata talmente tanto che credevo avrei perso completamente il
senno.-
Volse
lo sguardo verso di
lei.
-Mi
hai visto, no? Ho
rivissuto il mio peggior incubo per la seconda volta. Solo che ero
convinto di aver perso molto di più rispetto al passato.-
-Avrei
voluto fare in un
altro modo.- riprese allora lei. -Ma tra le mie cose avevano trovato
una lettera che mi mandasti quando ero al college, in cui parlavi del
suicidio di tua madre, per cui mi obbligarono a rimetterlo in scena.-
-Non
ha più importanza,
ormai.- disse lui, con un'espressione indecifrabile negli occhi grigi
sbarrati. -Per come la vedo io, continuare a discutere dei nostri
errori e delle nostre colpe del passato non ci aiuterà ad
affrontare
quello che sta per arrivare. Ma...-
E
si avvicinò a lei,
tendendo una mano.
-Puoi
continuare ad odiarmi
per aver messo tutti in pericolo col mio desiderio infantile. Lo
capirei. I miei capricci potrebbero aver indirettamente causato la
morte della persona a cui tenevi di più al mondo.-
Lei
guardò la sua mano, e
si decise a dargli una stretta.
-Non
hai causato tu la sua
morte.- sussurrò. -Anch'io ho le mie colpe.-
Si strinsero la mano in
segno di riappacificazione, e K si alzò in piedi. Poi
riprese le
tazze e si allontanò di nuovo verso il cucinino.
-Tra
poco dovresti tornare
al quartier generale, vero?- domandò, mentre apriva l'acqua
calda
per lavare i piatti.
L
la seguì.
-Sì.-
disse, prendendo uno
strofinaccio. -Darò a te il comando per i preparativi per la
scarcerazione di Light e Misa, e poi tornerò qui per essere
ricoverato. Verrete te e Yagami a farmi rapporto domani sera, e poi
dopodomani parteciperò anch'io all'operazione.-
Si
mise ad asciugare i
piatti.
-Sai
davvero ancora come si
fanno i lavori domestici?- domandò K, in tono tagliente.
L
non le rispose, e continuò
il suo lavoro.
-Prima
o poi voglio sapere
la storia di come Watari si è trasformato dal perfido
direttore del
Wammy Lager ad Alfred il Maggiordomo.-
L
rise, ma era una risata
amara.
-Non
oggi.-
E
posò la tazza appena
asciugata sul piano della cucina.
-Non
è una storia
divertente. Sicuramente non per te.-
K
si morse il labbro, e calò
di nuovo un silenzio imbarazzato, rotto dallo stomaco di L che si
mise a brontolare.
Scoppiarono
a ridere.
-Vado a cambiarmi.- disse
allora K. -Tra poco dovrebbe arrivare Watari. Avevo fatto ordinare
del pesce per te stasera, ma avevo detto di fartelo portare
direttamente all'hotel dove si trovano i tuoi agenti. Però
possiamo
fermarci per strada a comprare dei tamagoyaki, se hai fame.-
L
la guardò allontanarsi, e
gli parve che il suo passo fosse tornato quello leggero e
ancheggiante di un tempo.
-Ehi.-
la chiamò,
raggiungendola. Lei si girò, con sguardo interrogativo.
-Stephanie...-
K
sbarrò gli occhi e
sobbalzò al sentirsi chiamare col suo vero nome.
-No.
Nononononono.-
L
le cinse la vita con un braccio, e le infilò l'altra mano
tra i
capelli. Col pollice le sfiorò la macchia dell'ustione. K
gli poggiò
istintivamente le mani sul petto per spingerselo via di dosso.
-Sì,
mandami via.- le sussurrò lui, facendo scorrere le dita
lungo la
linea della sua mascella, per poi prenderle in mento tra pollice e
indice, mentre le sue labbra si schiudevano. -Dimmi chiaro e tondo
che non mi vuoi.-
K
lo fissava negli occhi grigi allungati con sguardo a metà
tra
l'impaurito e il doloroso. Le sue dita ebbero un fremito, mentre le
premeva contro quel petto divenuto scheletrico. Avrebbe potuto
liberarsi della sua debole presa prima ancora che lui la stringesse a
sé, e anche in quel momento avrebbe potuto scaraventarlo
via. Ma non
lo fece. Abbassò lo sguardo, e strinse tra le dita tremanti
la
maglietta di lui, mentre le sue spalle tese si scioglievano.
Lo
attrasse a sé, stringendo i denti, mormorando, sconfitta:
-Siamo due
idioti.-
Watari
aprì la porta in quel momento, e K ritrovò la
forza di spingere L
via da sé, per poi stringersi nelle spalle, e avvolgersi in
un
abbraccio solitario.
-Scusate
l'interruzione.-
Il
vecchio richiuse la porta alle sue spalle, totalmente impassibile di
fronte alla scena intravista. -Ma credo sia quasi il momento di
andare.-
K,
se possibile, era diventata ancora più bianca in volto.
-N-Non...
stavamo facendo nulla!- esclamò, imbarazzata, mentre si
allontanava
in punta di piedi, raggomitolata su se stessa.
-Beh...
siete entrambi maggiorenni, ora...-
commentò Watari, solo leggermente accigliato. -Suppongo di
non avere
più il diritto di dirvi cosa potete o non potete fare.-
Detto
questo, uscì
dall'appartamento intimando loro di sbrigarsi, e K si infilò
velocemente nella propria camera, sbattendosi la porta alle spalle.
-Colpa
di quei pantaloncini
scandalosamente corti.- le disse ad alta voce L, dal soggiorno.
-Ritengo sia meglio tu ti vesta in modo un po' più
appropriato
durante le indagini. Non vorrei diventassi una distrazione. E non
parlo solo di me.-
-Non
dire una parola!- urlò
lei di rimando, mentre gettava malamente i jeans incriminati e la
canottiera sul letto, e prendeva il suo completo nuovo dall'armadio.
-Sbagliare è umano. Perseverare per mesi è
diabolico. Rimanere
incinta, non ne parliamo. Addirittura ricascarci? È follia!-
Stava
per precipitarsi fuori dalla stanza, quando si bloccò sulla
soglia,
tornò indietro e rovistò nelle tasche dei jeans
per tirare fuori
l'anello, e portarlo con sé. Controllò di aver
abbottonato bene la
camicetta, fino all'ultimo bottone, e infilò l'anello nel
taschino
della giacca, poi uscì di corsa dalla stanza, rossa in
volto, corse
verso il tavolino da tè e buttò un po' di fogli
alla rinfusa in una
valigetta nera.
L
era all'ingresso, che si infilava le sue logore scarpe da tennis
bianche in piedi e con le mani in tasca, aiutandosi solo con le dita
dei piedi.
-Hai
intenzione di ignorare quello che è appena successo
finché non
avremo chiuso il caso?- domandò, guardando nel vuoto.
-I
casi.- lo
corresse lei. -E la risposta è sì. Lo sai
perfettamente che non
accetto alcun tipo di distrazione quando lavoro, e le questioni
personali sono le peggiori.-
Terminò
il proprio
maldestro lavoro e raggiunse il giovane.
-E
poi, non è successo nulla.- aggiunse, piegandosi di lato
per infilarsi una scarpa col tacco. -Sono passati quasi sette anni,
eravamo due ragazzini immaturi e idioti, con un sacco di gravi
complessi.-
Si
mise anche l'altra, mentre L apriva la porta.
-Abbiamo
fatto un casino.- continuò lei. -Abbiamo incasinato la vita
anche ad
altra gente, ed è successo tutto per noia.
Perciò ora noi usciremo da quella porta, e ci comporteremo
come due
adulti che non sono finiti a letto per noia unita ad un bel complesso
edipico irrisolto, il tutto condito dalla mia tendenza autolesionista
a mettermi nei casini per il solo piacere di vedermi punita.-
Fece
per uscire, ma L le
bloccò il passaggio, parandolesi davanti.
-Un'ultima
cosa, allora.-
disse, calmo, allungando una mano e sbottonandole il primo bottone
della camicia, ignorando il suo sguardo furente. -Questo colletto
rischia di soffocarti. Cerca di non morire prima che abbiamo concluso
questo caso e io abbia avuto la possibilità di parlarti di
nuovo
apertamente com'è successo oggi. So che hai l'anello in
mano, per
cui ricorda il motivo per cui te l'ho dato.-
Si
voltò e aprì la porta.
Poi si voltò verso di lei, accennando un mezzo sorriso.
-Non
morire.-
K
uscì in silenzio e a testa bassa, e, mentre L richiudeva la
porta
dell'appartamento, la donna si rigirò l'anello
tra le dita, passando un dito sull'incisione, che recitava: L
& K. Nov. 8Th,
1997.
Note
Ebbene sì, eccoci giunti al "colpo di scena".
Essendo una ff era abbastanza scontato
che la mia OC fosse stata con L, perciò non sono riuscita a
sfuggire a questo classico clichè. Devo però dire
che mi ha divertito molto creare tutte quelle ambiguità cha
hanno fatto così che il lettore potesse convincersi del
fatto che il fratellastro di K fosse L, e che Bjarne fosse suo
fidanzato e padre di Near.
Sebbene la scena della riunione di K e L sia probabilmente la mia
preferita, per come l'ho creata e per tutte le versioni di essa che ho
elaborato fino ad arrivare a quella che per me non credo
sarà ancora quella definitiva, apprezzo anche questo
momento, quello della rivelazione. Ho cercato di intessere nella
narrazione, fin dall'inizio del capitolo, alcuni "campanelli
d'allarme", e ho rinunciato a presentare questa rivelazione come colpo
di scena a fine capitolo perché ritenevo che non sarebbe
stato naturale per i due protagonisti. In questo, credo che
questo capitolo sia più naturale rispetto al precedente: in
quello non ho potuto rivelare molto, per cui credo che i dialoghi
possano apparire decontestualizzati, strozzati, incoerenti, che, per
dirla in modo profano, si "salti di palo in frasca". Ho cercato
però di costruire quei dialoghi come risultato di due anime
in subbuglio, accecate dal risentimento e dal rimorso ed incapaci di
esprimere i loro veri sentimenti; cosa che è invece stata
possibile in questo capitolo, dove la calma ha permesso di fare luce su
molti aspetti oscuri del passato di K e L, senza dovermi per questo
perdere in lunghe digressioni da narratore onnisciente, che considero
assolutamente estraneo allo stile del manga, e che per questo motivo
non ho voluto adottare.
Vi chiedo scusa per la nota
così lunga, ma considero questo uno dei punti fondamentali
della mia fic, più a livello tecnico che di trama, ed
è per questo che vorrei chiedervi dal profondo del cuore se
poteste scrivermi le vostre opinioni in un messaggio privato. Sarebbe
importante per me sapere se questo modo di scrivere ha sortito gli
effetti che speravo, se è necessario che cambi qualcosa, mi
piacerebbe avere qualche consiglio sullo stile.
Ringrazio di cuore tutti coloro che
hanno avuto la pazienza di seguirmi fino a qui, e spero possiate
aiutare questa povera aspirante scrittrice a capire se è
effettivamente capace a scrivere xD
|
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Capitolo 13 *** Capitolo 10 - La bilancia della giustizia ***
Capitolo
X
Soichiro aveva avvertito i
suoi uomini del piano di Ryuzaki per scarcerare Light e Misa, e
ovviamente aveva incontrato grandi resistenze da parte di Aizawa.
Nemmeno a lui quel piano piaceva, ma era indubbio che le prove a
carico di Misa Amane e il suo legame con Light fossero pesanti.
Ryuzaki non aveva reso noto il loro stato di fermo, perché
era ben
conscio che, se l'avesse fatto, nel momento in cui gli omicidi si
erani interrotti, i governi mondiali avrebbero preteso la testa dei
due ragazzi, anche se non vi erano altre prove a carico.
-E
poi...- aveva aggiunto
Aizawa. -Cos'è questa storia che sarà Banks a
dirigerci? Ryuzaki
non aveva detto che avrebbe lasciato a lei il comando, signor
Yagami?-
-Eppure
io mi sono fatto
incarcerare perché temevo di impazzire all'idea che mio
figlio
potesse essere Kira.- aveva risposto il sovrintendente. -E stando a
quanto ha detto Watari, l'agente K è stata colei che ha
addestrato
Ryuzaki, perciò io credo di potermi fidare del suo giudizio.-
-Ma
anche lei crede che
Light sia colpevole!- aveva insistito Aizawa. -E, per quanto ne
sappiamo, potrebbe essere colpa sua se Ryuzaki ha quei modi poco
ortodossi di condurre le indagini!-
La
discussione era andata
avanti ancora per molto, ma alla fine avevano dovuto tutti accettare
la decisione di Ryuzaki.
Era già buio quando entrò
Watari, accompagnato dal detective e dall'agente K. Soichiro aveva
avvertito gli altri dell'aspetto della giovane donna, invitandoli a
non mostrarsi troppo curiosi o insistenti nel guardarla; eppure,
sobbalzarono tutti nel vederla arrivare.
Portava,
come sempre, un
completo blu elegante, ma questa volta, anziché avere i
pantaloni
lunghi e la camicia abbottonata fino ai polsi e fino al collo, aveva
una gonna appena sopra il ginocchio, una giacchetta con le maniche a
tre quarti, le maniche della camicetta bianche arrotolate e i primi
bottoni aperti, per cui si vedeva chiaramente la sua pelle bianca. Si
soffiò il folto ciuffo da davanti il lato sinistro del
volto, dove
aveva l'ustione, mentre entrava a passo spedito, reggendo la
valigetta con la mano destra e tentando di non muovere troppo la
sinistra.
-Ben
ritrovati a tutti.-
disse L, che si stava togliendo le logore scarpe da tennis. -Come
immagino vi avrà già anticipato il
sovrintendente, per qualche
giorno dovrò assentarmi, per recuperare la salute, e in
questo
periodo lavorerete sotto la direzione della qui presente agente K,
che per comodità continuerete a chiamare Nathalie Banks.-
-Come
stai, Nathalie?-
intervenne subito Matsuda. -Non abbiamo avuto molte notizie dopo il
tuo incidente.-
-E
quello lo chiami un
incidente?- commentò seccato Aizawa. Poi si voltò
verso Banks e la
fulminò con lo sguardo. -Questa donna ci ha portato degli
infiltrati
nel quartier generale che erano pronti a farci fuori tutti! Chi ci
assicura che non ci tradirà di nuovo?-
-Insomma,
Aizawa!-
intervenne Soichiro. -Ha tentato di disarmare Grumann ed è
stata
ferita, non ti sembra abbastanza?-
-Ha
ragione Aizawa.- disse
infine Banks, facendo un passo avanti, con la mano destra sul fianco.
-È assolutamente normale che sia sospettoso nei miei
confronti.
Significa che il suo istinto da poliziotto sta facendo il suo
dovere.-
Rimasero tutti sbigottiti di
fronte alla sua presa di posizione. Non era tanto cosa aveva detto,
ma il suo tono, e lo sguardo vagamente inquietante che illuminava il
suo volto. Piegò le labbra in un ghigno sprezzante.
-Non
mi aspetto di certo che
siate d'accordo con la decisione di Ryuzaki di usare la messinscena
della finta esecuzione per scarcerare Light e Misa.- riprese, mentre
il suo volto tornava ad essere neutro. -Ma, d'altronde, se fosse
trapelata la notizia dell'arresto di Amane, delle prove raccolte e
dell'inspiegabile interruzione degli omicidi coincidente con
l'arresto di Light Yagami... quei due sarebbero finiti al patibolo da
un pezzo.-
Ritornò
verso il tavolino
dove aveva appoggiato la borsa, ne estrasse dei fogli, che
riallineò
facendoli cadere perpendicolarmente sul piano.
-Pensate
che Ryuzaki sia
prevenuto nei confronti di Light e che stia esagerando? Non vi do
torto. Ma, se ci pensate bene, anche voi state facendo la stessa cosa
al contrario: Ryuzaki pensa che Light Yagami sia Kira,
perciò si
rifiutava di credere che lasciare libero lui e Amane fosse giusto e
lecito; d'altra parte, voi tutti partite dal presupposto che Light
Yagami non possa in alcun modo essere Kira, perché
è un ragazzo
esemplare, non ha mai mostrato segni di ribellione, né
comportamenti
violenti, è il figlio del sovrintendente, è
gentile con tutti.
Tuttavia, state perdendo di vista alcuni fatti incontrovertibili.-
E
sollevò il dito indice.
-Numero uno: Kira è
giapponese, e vive nel Kanto. L'ha dimostrato Ryuzaki con lo
stratagemma di Lind L Taylor. Light è giapponese e vive nel
Kanto.-
Sollevò
anche il dito
medio.
-Numero
due: all'inizio
delle indagini, è stata scoperta una talpa all'interno
dell'interpol, il che ha portato ad ipotizzare che Kira si potesse
trovare tra i familiari degli agenti di quella sezione, gli unici in
grado di potersi avvicinare ad un terminale che possedesse le
informazioni trapelate. Da una rapida analisi dei nuclei familiari di
quegli agenti, considerando che la probabile talpa dovesse avere un
minimo di conoscenza informatica per poter entrare nel sistema, si
è
giunti ad una scrematura di possibili indiziati, tra i quali figura
Light Yagami.-
Pollice.
-Numero
tre: tra tutti gli
agenti dell'FBI venuti in Giappone per sorvegliare le famiglie degli
agenti dell'Interpol, è Raye Penber, come si evince dalle
riprese
delle telecamere, l'unico ad avere un comportamento sospetto poco
prima che muoiano tutti. E Raye Penber era colui che stava
sorvegliando in quei giorni proprio la famiglia Yagami, assieme ad
altre tre.-
Anulare.
-Numero
quattro: Naomi
Misora, giunta al quartiere generale dell'Interpol per contattare L,
viene vista parlare con Light Yagami. Si perdono le sue tracce poco
dopo.-
Mignolo.
-Numero
cinque: Light Yagami
si propone di andare ad Aoyama il 22 maggio. Il 23 maggio, viene
imbucato un nuovo video del secondo Kira, che dice di aver trovato il
primo. Il 26 maggio, Mogi vede Misa Amane con Light Yagami. Il 27
maggio, la scientifica trova corrispondenza tra il DNA di Misa Amane
e quello trovato sul nastro di imballaggio dei pacchi del secondo
Kira.-
Alzò anche l'altra mano.
-Numero
sei: i genitori di
Misa Amane vengono uccisi da un ladro. Tuttavia, il processo va per
le lunghe, e c'è la possibilità che il colpevole
riesca a
cavarsela. Ma Kira lo uccide. Un motivo abbastanza valido per creare
nella ragazza rimasta orfana un senso di gratitudine e la voglia di
conoscere Kira.
Numero
sette, e qui voglio
tutta la vostra attenzione: dopo l'arresto di Misa Amane e Light
Yagami, si fermano inspiegabilmente gli omicidi. Per quindici giorni.
Non uno, non due. Quindici. Dovremmo forse supporre che Kira abbia
deciso di prendersi una vacanza nell'esatto momento in cui Light
Yagami entra in cella? Una bella coincidenza. Peccato che la prima
regola di un agente investigativo sia che non esistono le
coincidenze.-
Aizawa fece per parlare, ma
lei continuò, zittendolo con lo sguardo.
-Ora
possiamo restare qui a
disquisire quanto volete sul fatto che poi gli omicidi siano
ricominciati, ma questi sono i fatti. E non ho ancora finito. Numero
otto, e sto per finire le dita. Ryuzaki, nel caso dammi una mano.
Letteralmente. Dicevo, numero otto: i sospettati cambiano
repentinamente personalità ad un certo punto. Poco dopo,
ricominciano le morti. Nel caso specifico di Misa Amane, inizia ad
ammettere di conoscere Light e di essere la sua ragazza, quando prima
si era sempre rifiutata di rispondere a questa domanda. Numero
nove...-
-Nessuna
di queste cose
dimostra che Light è Kira!- la interruppe Aizawa, quasi
urlando.
Calò
il silenzio, e tutti
gli agenti videro gli occhi di Banks cominciare a pulsare e a farsi
rosso sangue. Soichiro vide Ryuzaki sorridere sotto i baffi.
-Nu-me-ro-no-ve.-
scandì
Banks, con tono basso, ma graffiante, quasi come se la sua voce fosse
accompagnata da un ringhio. Il collo si era teso, e così il
suo
viso, con le labbra che erano diventati una linea sottile, distorta.
Aizawa non osava più muovere un muscolo.
-Quando
sono ricominciati
gli omicidi di Kira, è risultato chiaro che chi li
perpetrava aveva
un metodo diverso rispetto ai primi due.-
Il silenzio si era fatto
pesantissimo, e l'aria era terribilmente tesa.
-Ora.-
riprese allegramente
Banks dopo qualche secondo. -Esaminiamo i fatti incontrovertibili che
invece allontanano da Light Yagami i sospetti di essere Kira.-
E
riprese a contare sulle
dita.
-Numero
uno!- esordì, con
un tono da annunciatrice televisiva. -Durante il periodo di
sorveglianza con le telecamere, Light Yagami non stava guardando i
notiziari nel momento in cui i criminali venivano annunciati, e
morivano poco dopo.-
E
poi, di nuovo.
-Numero
due! Nonostante
Light Yagami fosse stato incarcerato, gli omicidi sono ripresi dopo
quindici giorni, senza che lui avesse alcun accesso a notizie
dall'esterno.
Numero
tre! … Ah...-
E
le sue labbra si aprirono
in un ghigno.
-Non
c'è nessun numero
tre.- sibilò.
Di
nuovo, tutti gli agenti
rimasero sbigottiti.
-Certo...- riprese Banks,
incrociando le braccia e cominciando a camminare su e giù
per la
stanza. -Siamo praticamente certi che quando scarcereremo Light e
Misa, dopodomani, non si verificherà alcun tipo di fenomeno
paranormale che finirebbe con l'uccidere il sovrintendente Yagami,
perciò possiamo dare un altro punto all'innocenza di Light.
E, per
voler essere proprio gentili, potremmo anche levare un punto dalla
bilancia dell'accusa, ad esempio quello sulle motivazioni che
potrebbero spingere Misa Amane ad ammirare Kira,
sebbene lei
l'abbia anche ammesso esplicitamente; dopotutto, in molti ammirano
Kira, ma non sono tutti dei potenziali serial killer.-
Si
fermò e guardò tutti
gli agenti negli occhi.
-Anche
in questo caso, ci
ritroveremmo con otto bussolotti sul piatto dei colpevoli e tre sul
piatto degli innocenti.-
Riprese
a camminare.
-Vogliamo parlare del peso di questi undici fatti?
Bene!
Parliamone.-
Si
fermò di nuovo.
-Gli
omicidi si sono fermati
per quindici giorni nel momento in cui Light Yagami si è
consegnato
alla polizia. E poi sono ricominciati con un'altra modalità.
Mi
sembra un fatto insindacabile di un certo peso, voi cosa ne dite?-
Il
suo tono e la sua
espressione tornarono ad essere seri e distaccati.
-Perciò
vi chiedo questo:
siete dei poliziotti, considerate i fatti. Non vi lasciate traviare
dalle impressioni. Il vostro giudizio non deve essere offuscato da
sentimenti personali o meri stereotipi. Pensate che il nostro
accanimento sia esagerato, che i nostri metodi siano estremi, che
dovremmo seguire altre piste? Sono assolutamente d'accordo con voi.-
Si
voltò a guardare
Ryuzaki.
-Nemmeno
io sono d'accordo
coi metodi e con l'accanimento di Ryuzaki. Eppure, non posso sfuggire
alla realtà dei fatti.-
Si
avvicinò allo schienale
di una poltrona e vi si appoggiò con una mano, piegandosi in
avanti
e tenendo l'altra su di un fianco.
-E
i fatti dicono che c'è
più di una buona ragione per sospettare Light Yagami di
essere stato
per lo meno lo strumento di Kira dalla prima morte fino al 6 giugno
del 2004.-
Si alzò, e si voltò verso
Ryuzaki.
-Come
sono andata?- domandò,
con voce infantilmente entusiasta.
-Di
manica un po' larga.-
rispose il detective, inespressivo. -Sembra che tu ti sia ammorbidita
con gli anni.-
I
poliziotti giapponesi
erano rimasti esterrefatti. Quando lavorava sotto copertura, Banks
era molto rigida, fredda, chiusa, e rimaneva al suo posto. Ma in quei
pochi minuti, quell'impressione si era completamente sgretolata di
fronte alla sua vera essenza.
-Per
concludere questa
introduzione...- intervenne allora L, che intanto aveva preso posto
sulla poltrona dove Banks stava appoggiata. -Voglio che nella
giornata di domani cominciate a raccogliere un po' di dati sui nuovi
omicidi di Kira, e che poi ce li riportiate non appena saremo tutti
di nuovo riuniti. Se le cose dovessero andare bene, Misa Amane
rimarrà sotto stretta sorveglianza, dal momento che le prove
a suo
carico non sono ancora state smentite da alcun alibi, mentre Light
potrà partecipare alle indagini, ma dovrà
rimanere ammanettato al
sottoscritto.-
Si
allungò verso il
tavolino da tè, dove Watari aveva portato del matcha. Prese
la tazza
giapponese con due mani, bevve un sorso, e fece una smorfia di
disgusto per via del sapore amaro.
-Voi
mettetevi pure al
lavoro.- disse, riprendendosi. -Io vi devo lasciare tra poco; devo
tornare al nuovo quartier generale per ricevere le dovute cure.-
-Certo che non me lo sarei
mai aspettata che il maniaco fosse un vecchietto come te.- disse Misa
al sovrintendente Yagami, quando la fece salire sull'auto.
-Guarda
che io non sono un
maniaco.- rispose il sovrintendente, vagamente nervoso. -Sono un
poliziotto.-
-Un
poliziotto...?- domandò
Misa, confusa. -Ma sì! Ora ricordo! Quando all'inizio hai
detto che
ero indiziata per il caso del secondo Kira parlavi sul serio!-
Stava
sudando.
-Andiamo,
un poliziotto non
mi avrebbe legata in questo modo come un pervertito... E dai!-
Si
piegò verso il sedile
del guidatore.
-Smettila
di prendermi in
giro... E poi perché porto ancora le manette se hai detto
che sto
per essere liberata?-
-Smettila
di fare domande.-
la zittì Yagami, a muso duro.
Si infilò con l'auto in un
tunnel, dove lo aspettava Aizawa insieme a Light, anche lui
ammanettato. Si fermò, scese e aprì la portiera
ad Amane, che corse
subito incontro al ragazzo, chiamandolo per nome.
-Morivo
dalla voglia di
vederti!- squittì.
-Papà,
ma cosa significa
tutto questo?- domandò Light.
-Cosa?!
L'hai chiamato
papà?- fece Misa, improvvisamente agitata. -Accidenti, ho
dato del
maniaco a tuo padre! Gli ho detto delle cose terribili!-
Si
stampò un sorriso
gentile in faccia e si rivolse a Yagami.
-Piacere
di conoscerla! Sono
Misa Amane e al momento mi vedo con suo figlio...-
Ma
Soichiro aveva preso le
chiavi della macchina di Aizawa, ed era andato ad aprirla, senza
aprir bocca.
-Che
vi prende?- domandò
infine, guardando i ragazzi col volto corrucciato. -Salite, presto.-
-Finalmente mi avete
liberato.- disse Light, dopo un po'. -Voglio sperare che i sospetti
sul mio conto si siano dissolti.-
-No.-
ribatté Soichiro,
duro. -Adesso vi porterò entrambi sul patibolo,
perché siate
giustiziati.-
Dietro
di lui, i due ragazzi
sobbalzarono.
-Il
luogo dell'esecuzione è
stato allestito in segreto nei sotterranei di un edificio, e io mi
sono offerto volontario per condurvi là.-
Light
e Amane cominciarono a
protestare in tono concitato.
-L
ha stabilito che Light
Yagami è Kira, e Misa Amane è il secondo Kira. Ed
è giunto alla
conclusione che giustiziandovi cesserà la serie di omicidi.-
-Questo
vuol dire che gli
omicidi non si sono interrotti?- domandò allora Light, con
una
grande rabbia dentro.
-No.
Stanno ancora
continuando.-
-Ma
com'è possibile?! L ha
continuato a dirmi tutto il contrario...-
-Forse
si trattava di una
falsa informazione che L ti ha dato per farti confessare, ma ormai
non ha più importanza. Tutti i principali organi, dall'ONU
al
governo hanno accolto di buon grado la proposta di uccidervi entrambi
per fermare i delitti. Pertanto è stato deciso che Kira
verrà
eliminato, e all'oscuro da tutti.-
-Non
posso crederci!- quasi
urlò Light. -È assurdo! Io non sono Kira!-
-È
vero!- intervenne Misa.
-Cosa le passa per la testa, papà? Light è suo
figlio, no?-
-Non
sono stato io a
decidere.- riprese il sovrintendente, mentre si vedeva in lontananza
la luce del tramonto entrare nel tunnel. -Ma è stato L ad
ordinarmelo. Lui ha risolto molti casi in passato, senza mai
sbagliare una volta.-
-Ma
papà...- riprese Light,
con un tono a metà tra il supplichevole e il risentito. -Ti
fidi più
di L che di me che sono tuo figlio?-
-L
ha anche detto che se ciò
non farà interrompere la serie di omicidi se ne
assumerà la
responsabilità togliendosi la vita.-
Light sobbalzò.
-Dannato
L! Ma cosa gli
passa per la testa? Effettivamente, basandosi solo sugli indizi
raccolto fin'ora, è logico che lui la pensi
così... Ma si sta
sbagliando! Perché giungere ad una conclusione
così drastica?-
Alzò
lo sguardo.
-C'è
qualcosa di strano...
Non è da lui agire in questo modo, non ti pare? In tutti i
casi che
ha risolto fin'ora L ha sempre fornito delle prove schiaccianti, non
vorrà mica chiudere il caso in questo modo?!-
Ormai
si vedeva il ponte e
il profilo della città al di fuori del tunnel.
-Ecco.-
riprese Soichiro.
-Siamo quasi arrivati.-
Appena
usciti, il
sovrintendente sterzò bruscamente, e scese per una stradina
sterrata
al lato del ponte. Senza diminuire la velocità, procedette a
forti
sbalzi fino a ritrovarsi sul terreno piano. Sgommò e spense
il
motore.
Si trovavano sotto un
ponte, in mezzo ad una grande distesa di erbacce. Il cielo era
livido, e si sentivano i corvi gracchiare in lontananza.
-Ma
dove siamo, papà?-
domandò il ragazzo. -Perché ci hai portati in
questo posto così
sperduto? Non riesco proprio a capire.-
-Ah,
ci sono!- esclamò
Misa, allegra. -Forse vuole lasciarci fuggire, signore?-
-In
effetti siamo in un
posto dove nessuno può vederci, per questo ho deciso di
portarvi qui
di mia iniziativa invece che sul luogo dell'esecuzione.-
Tentò
di mantenere i nervi
saldi, mentre si voltava verso i ragazzi.
-Light...
ora ti ucciderò,
e poi mi toglierò la vita.-
I
due impallidirono.
-Ma
che cosa stai dicendo
papà, non dire sciocchezze ti prego!-
-Vuole
uccidere suo figlio e
poi togliersi la vita solo perché crede che lui sia Kira?-
urlò
Misa, con le lacrime agli occhi. -Se proprio ci tiene a morire, lo
faccia da solo! Se adesso lo uccide sarà uguale a Kira!-
-No,
io sono diversi da
Kira!- ribatté il sovrintendente, rivolgendo ai due uno
sguardo
tagliente. -Io ho delle responsabilità sia come genitore che
come
sovrintendente di polizia!-
-Papà!
Misa ha ragione,
ascoltala! Se morissimo ora non si saprebbe mai qual è la
verità,
per questo è meglio fuggire finché siamo in
tempo!-
-È
troppo tardi, Light.-
disse Soichiro, estraendo la pistola dalla giacca. -Tanto non hai vie
di scampo, e allora... preferisco che tu muoia per mano mia.-
Gliela
puntò alla fronte, e
vide il volto del figlio deformato dall'orrore e dalla paura.
-Papà
fermati ti prego! Ti
giuro che non sono io Kira!-
Tentava
di forzare le
manette, senza smuoverle di un millimetro.
-Se
morissi ora faresti
soltanto il suo gioco, non lo capisci?-
Soichiro avvicinò ancora la
pistola alla fronte di Light.
-Amane.-
chiamò. -Io e mio
figlio moriremo qui, ma questo non implica che tu venga uccisa in
questo luogo. A breve la polizia troverà questa macchina, e
tu sarai
portata sul luogo dell'esecuzione, e verrai giustiziata.-
Tolse
la sicura alla
pistola. Light tremava.
-Addio
Light. Ci rivedremo
all'inferno, nel girone degli assassini.-
Light
lo chiamò ancora una
volta. Misa urlò disperata.
Ma
non successe nulla. Il
proiettile era a salve.
Yagami sospirò
profondamente, e si rimise a sedere al posto di guida, lasciando
ricadere la testa indietro.
-Grazie
al cielo.- sussurrò.
-Grazie
al cielo?- domandò
Light. -Ma che significa tutto questo, papà?-
-Perdonatemi,
tutti e due.-
disse il sovrintendente, lasciandosi cadere in avanti. -Era l'unico
modo per tirarvi fuori di prigione. Vi prego di comprendere. L'ho
fatto proprio perché so che tu non sei Kira, Light.-
Poi
alzò leggermente lo
sguardo verso la telecamera montata sopra lo specchietto retrovisore.
-Hai
visto tutto, Ryuzaki?-
domandò. -Ho fatto come mi hai chiesto, ma come vedi, sono
ancora
vivo.-
-Sì.
Ottima
interpretazione- rispose la voce del detective, tornato alla stanza
d'albergo con Matsuda, Aizawa e Banks. -Se Misa Amane fosse stata il
secondo Kira, le sarebbe bastato vederla in faccia per ucciderla,
quindi ho ragione di pensare che l'avrebbe fatto prima che potesse
sparare a Light. Inoltre, dall'idea che mi sono fatto di Kira, se
fosse stato Light probabilmente avrebbe ucciso anche il suo stesso
padre, se costretto. Certo, non posso escludere la
possibilità che
ad un certo punto Light abbia capito che lei stesse recitando, ma...
come le ho promesso porrò immediatamente fine alla loro
prigionia.
Infine,
sempre stando ai
patti, per quanto Misa amane si ostini a ribadire che si trattava di
video di fenomeni paranormali, abbiamo ancora delle prove a suo
carico, perciò la terremo sotto sorveglianza.-
Amane
protestò, ma il
sovrintendente la rabbonì, dicendole che avrebbe potuto
riprendere
la propria vita.
-Per
quanto riguarda Light,
invece...- riprese L. -Dovrà restare letteralmente incollato
a me.
Ventiquattro ore su ventiquattro, e dovrà darmi una mano con
le
indagini.-
Light
ci pensò su un
momento, e poi sorrise.
-E
va bene, Ryuzaki.
Cattureremo Kira insieme, vedrai...-
-Bene.-
rispose L. -Conto
sul tuo aiuto.-
Poi
diede l'ordine di
rientrare all'hotel, mentre, in piedi dietro di lui, K prendeva
appunti su quanto appena successo.
-C'era bisogno di arrivare
a tanto, Ryuzaki?- borbottò Light, alzando il polso
ammanettato.
Lui
e Misa erano stati
portati in una nuova stanza di hotel, e il ragazzo era stato subito
ammanettato al detective, anche se la catena che univa le due
estremità era lunga circa tre metri, per permettere loro di
muoversi
più o meno liberamente.
-Di
certo non lo faccio
perché mi va di farlo, Light.- sbuffò Ryuzaki,
che agli occhi di
Light appariva messo ancora peggio rispetto all'ultima volta che lo
aveva visto, quando si era fatto arrestare. Le occhiaie nere gli
arrivavano quasi all'altezza degli zigomi, e sembrava essere ancora
più curvo e pallido.
-Oh!-
esclamò Misa,
portandosi una mano davanti alla bocca. -Era questo che intendevi
quando parlavi di cose tra maschietti e dicevi che dovevate stare
insieme ventiquattr'ore su ventiquattro?-
Poi
gli rivolse un'occhiata
maliziosa.
-Non
sarai mica gay,
Ryuzaki?-
-Ho
appena detto che non lo
faccio perché mi va di farlo, chiaro?- rispose lui,
tranquillo.
-Ma
Light è il mio
ragazzo!- protestò lei, alzando la voce. -Se tu stai con lui
ventiquattro ore al giorno, mi dici quand'è che
potrà uscire con
me?-
-A
questo punto è ovvio che
dovremo inevitabilmente uscire in tre.-
-Che
cosa?!- esclamò la
ragazza, irritata. -Ci vorresti obbligare a baciarci davanti a te?-
-Nessuno
vi costringe a
farlo, ma comunque dovrò tenervi d'occhio, Misa.-
Per tutta risposta, lei
gonfiò le guance e assunse un'espressione da bambina
imbronciata.
-Ma
che ti passa per la
testa?!- disse di nuovo ad alta voce. -Lo dicevo io che sei un
maniaco.-
-Light,
falla stare zitta,
per favore.-
-Misa,
smettila di fare i
capricci.- intervenne allora il ragazzo. -Credo invece che dovresti
essergli grata. Ti permette in ogni caso di restare in
libertà,
sebbene ormai sia accertato che sei stata tu a spedire i video.-
-Eh?
Ma che dici, Light?!-
protestò la ragazza, con tono lamentevole. -Ti ci metti pure
tu?
Sono la tua ragazza, non ti fidi della tua fidanzata?-
-Fidanzata?!
Ma sei tu che
mi stai sempre appiccicata da quando sei sbucata fuori dal nulla
dicendo di aver avuto un colpo di fulmine.-
Misa
gemette, e gli occhi le
si riempirono di lacrime.
-Allora
ti sei solo
approfittato del fatto che ti ho dichiarato il mio amore per baciarmi
e tutto il resto?!-
E
poi gli si buttò addosso,
colpendolo al petto con deboli pugni.
-A proposito di quel colpo
di fulmine...- intervenne allora Ryuzaki. -Il 22 maggio sei stata ad
Aoyama, non è vero?-
Misa
si era voltata a
guardare il detective.
-Sì,
ero lì.-
-Mi
dici perché ci sei
andata proprio quel giorno, e mi dici anche che cosa indossavi?-
La
ragazza si voltò di
scatto, con espressione infastidita.
-Quante
volte te lo devo
ripetere? Ero in quel posto perché mi andava. Ti ho detto
che non mi
ricordo cosa mi passava per la testa quel giorno, né tanto
meno cosa
mi ero messa! Perché, non posso farmi un giro ad Aoyama
senza un
motivo preciso?-
Si
era sporta in avanti
verso Ryuzaki,con aria di sfida.
-E
quando sei tornata, non
solo sapevi già il nome di Light, ma eri anche perdutamente
innamorata di lui.-
-Esatto.-
ribatté lei,
raddrizzandosi e mettendosi le mani sui fianchi.
-Però
neanche tu ti spieghi
come hai fatto a conoscerlo, giusto?-
Misa
si mise a pochi
centimetri dal naso di Ryuzaki, piantandogli in faccia uno sguardo di
fuoco.
-Sì,
proprio così!-
-E
cosa penseresti di Light
se venissi a sapere che lui è Kira?-
La
ragazza assunse
un'espressione sorpresa.
-Se
venissi a sapere che
Light è Kira?-
-Proprio
così.-
Misa
tornò in fretta da
Light e si aggrappò al suo braccio, con un sorriso malizioso.
-Lo
vuoi proprio sapere?-
E
poi si mise a strofinare
la propria guancia sul braccio del ragazzo, dicendo: -Sarebbe proprio
il massimo! Sono sempre stata grata a Kira per aver giustiziato il
ladro che ha ucciso i miei genitori! Se Light fosse Kira sono sicura
che lo amerei ancora di più, anche se lo amo già
così tanto che
non so come potrei volergli ancora più bene!-
Ryuzaki aveva dipinta sul
volto un'espressione seria e vagamente infastidita.
-Stiamo
parlando di Kira, e
tu mi dici che lo ameresti ancora di più? Scusa, ma l'idea
non ti fa
paura?-
-E
perché mai?- ribatté
lei, candidamente. -Se non sbaglio stiamo pur sempre parlando di
Light, no? E poi io sono dalla parte di Kira, altro che paura!
Piuttosto cercherei di essergli utile in qualche modo!-
Gli
agenti nella stanza
erano visibilmente seccati da quella conversazione.
-Non
credo tu gli possa
essere d'aiuto, anzi, probabilmente gli saresti solo d'impaccio.-
disse allora Ryuzaki. -Ma questo prova che tu sei il secondo Kira,
senza ombra di dubbio. È talmente evidente che mi riesce
difficile
crederci.-
-Beh,
e allora non crederci,
visto che io non sono il secondo Kira.- riprese Misa, ostile, facendo
la linguaccia.
-Ad
ogni modo ti terremo
sotto stretta sorveglianza. Quando vorrai uscire ti basterà
chiamarci con la linea interna. Abbiamo già pagato la tua
agenzia
per far sì che d'ora in avanti Matsuda ti accompagni sempre,
sia in
privato che al lavoro in qualità di manager. Il suo nome
sarà
Matsui, e nessuno saprà che è un poliziotto,
quindi stai attenta a
non smascherarlo.-
Si
voltarono verso Matsuda,
che era in piedi e faceva un cenno di saluto, sorridente, mentre
Yagami e Aizawa, seduti sul divanetto, a stento reprimevano il
fastidio e il disagio provocato dai tre giovani.
-Non
ci tengo proprio ad
avere questo tizio come manager.- protestò Misa,
capricciosa.
-Ma...
Ma... Ma per quale
motivo?!- chiese allora Matsuda, dispiaciuto. -Che cos'ho che non va,
Misa-Misa?-
A quel punto Aizawa non ce
la fece più a trattenersi, si alzò in piedi e
sbatté la mano sul
tavolino.
-Cose
tra maschietti,
Misa-Misa, appuntamenti, baci... dateci un taglio!- urlò.
-Stiamo
cercando di risolvere il caso Kira, proviamo ad essere un po'
più
seri!-
-Scusa
tanto, Aizawa!- fece
allora Matsuda, colpito dalla sua reazione.
-No,
scusa tu, Matsuda.-
rispose Aizawa, rimettendosi dritto e allontanandosi. -So che stai
facendo sul serio.-
Si
diresse verso Misa a
passo deciso, intimandole di andarsene nella sua stanza. La prese e
la trascinò verso la porta, nonostante lei tentasse di
sfuggirgli.
-Oh,
Light! Guarda che mi
sta bene anche un appuntamento a tre!- urlò, sull'uscio
della porta.
-Ragazzina, mi stai
pestando i piedi.- disse allora una voce femminile alle spalle di
Misa.
A
Light suonava familiare,
ma non ricordava a chi appartenesse.
Misa
si voltò, e gemette.
-E
questa?- urlò, sfuggendo
nuovamente alla presa di Aizawa e correndo verso Light, per
nascondersi dietro di lui.
-Che
cos'è, Halloween? Chi
è questa stangona inquietante?-
La
donna entrò nella
stanza, sbuffando. Aveva la pelle lattea, i capelli bianchi e due
occhi rosso sangue. Una macchia rosea le attraversava il lato destro
del volto. Si piantò di fronte a Ryuzaki e a Light, con le
gambe
leggermente divaricate e le braccia incrociate.
-Fai
un sacco di baccano,
Amane.- disse poi, infastidita. La sua presenza in quella stanza, il
suo sguardo e la nota arcigna nella sua voce ricordarono a Light di
chi si trattava.
-Signorina
Banks?- domandò,
timidamente.
-Sì,
Light, sono io.- disse
lei, mentre gli occhi dal rosso viravano verso il rosa pallido. -Non
sono venuta prima perché stavo controllando la stanza di
questo
hotel dove starà Amane ancora per qualche giorno, mentre
Mogi si
occupava della sicurezza.-
-Light,
perché conosci
questa spilungona antipatica?- domandò la ragazza, con
espressione
corrucciata.
-Non
sono io ad essere alta,
sei tu ad essere particolarmente piccolina.- ribatté la
signorina
Nathalie, rivolgendo lo sguardo altrove.
-Lei è Nathalie Banks.-
intervenne allora Ryuzaki, sempre con le mani in tasca. -È
un'agente
investigativo che collabora con la polizia giapponese al caso Kira, e
viene dagli Stati Uniti.-
-Perciò
ti seri ripresa al
cento percento dalla sparatoria?- domandò quindi Light.
La
donna annuì, poco
convinta.
-Ho
ancora qualche problema
a muovere il braccio, ma nulla che mi possa impedire di lavorare al
caso.-
-Sarà
lei a prendere le
redini delle indagini nei prossimi giorni.- continuò
Ryuzaki. -Io
dovrò rimanere ancora qualche giorno a riposo.-
Ma
a Light era
improvvisamente ritornata in mente la questione legata a Grumann e a
quegli altri uomini, e voleva fare chiarezza.
-Che
cos'è successo agli
uomini che vi hanno attaccati?-
La
signorina Nathalie,
intanto, si stava dirigendo verso la scrivania adibita a postazione
computer, per prendere una cartella.
-Coloro
che hanno
partecipato all'attacco sono tutti finiti in galera, e sto
attualmente indagando sui responsabili per consegnarli tutti alla
giustizia.-
-Segui
due casi
contemporaneamente?!- esclamò Misa, ammirata. -Ed io che
pensavo che
lavorassi qui solo perché sei una donna... Certo, fai un po'
paura,
ma credo che in generale gli uomini si possano accontentare.-
Poi
si coprì la bocca con
la mano, con un lampo di colpevolezza negli occhi.
-Ovviamente
parlavo in
generale, signor papà di Light!- esclamò,
rivolgendosi con un
sorriso imbarazzato a Soichiro.
-Misa!-
protestò Light,
sgranando gli occhi. -Devi sapere che la signorina Banks è
incredibilmente dotata, e non stento a credere che possa aiutarci
molto a risolvere il caso Kira.-
Poi si voltò verso la
donna.
-Ma...
chi c'era dietro
l'attacco al quartier generale? E la tua famiglia? Stanno tutti
bene?-
La
signorina Nathalie volse
di nuovo lo sguardo altrove.
-Nessuno,
a parte Ryuzaki,
potrà avere accesso alle informazioni su quel caso,
finché il caso
Kira non sarà risolto, mi dispiace.-
Light
strinse i pugni.
-È
perché è convinta che
io sia Kira, non è così?-
-Mi
pare ovvio.- rispose
lei, mentre si toglieva la giacchetta blu, rivelando sotto di essa
una camicetta leggermente stropicciata e fuori dalla gonna.
Si
mise una mano su un
fianco, e con l'altra si buttò la giacchetta sopra la spalla.
-Non
posso correre il
rischio che quelle persone vengano ammazzate da Kira, motivo per cui
ho dato ordine che non trapeli nulla di quell'indagine.-
-Come
sarebbe a dire che
anche lei è convinta che siamo noi i colpevoli?!-
protestò Misa,
senza lasciare il fianco di Light.
-Ho
sentito quello che
dicevi poco fa, Amane.- ribatté tranquilla lei, senza
nemmeno
guardarla in volto. Poi si voltò verso gli altri agenti:
-Questo
riporta la situazione 9 a 3 per la colpevolezza.-
-Cosa significa?- domandò
Light, vagamente infastidito.
La
signorina Nathalie gli
rivolse un'occhiata tagliente.
-Significa
che, considerando
i fatti, ci sono ben nove elementi che pesano a vostro sfavore,
mentre sono soltanto tre quelli che potrebbero provare la vostra
innocenza. Soffermandoci soltanto su quelli importanti, possiamo dire
che i fattori incriminanti sono molto gravi: vi trovavate entrambi ad
Aoyama lo stesso giorno, e tu stesso ti sei proposto di fare la
sorveglianza lì; il video che abbiamo ricevuto
successivamente
dimostra che i due Kira si sono trovati ad Aoyama. Poi ci sono le
tracce di DNA trovate sui pacchi spediti dal secondo Kira.
L'inspiegabile cessare delle morti nel momento in cui tu ti sei fatto
incarcerare. E infine la candida confessione fatta pochi minuti fa da
Amane. Mentre gli unici elementi a tuo favore sono i video della
sorveglianza a casa tua, il fatto che gli omicidi siano ricominciati
quando non avevi accesso alle notizie e il fatto che il
sovrintendente Yagami non sia morto anche se minacciava di
ucciderti.-
Piegò
le labbra in un
ghigno beffardo.
-Per
Amane abbiamo sia un
movente che la mancanza di un alibi. Purtroppo per noi, l'elemento
fondamentale che manca al nostro puzzle è l'arma del
delitto, o, più
precisamente, capire com'è che fa Kira ad uccidere.-
Si voltò a guardare
l'orologio da parete sopra il divanetto su cui sedeva il
sovrintendente.
-Ryuzaki,
è quasi ora che
tu vada.- disse, quindi.
Il
detective le si avvicinò,
col la sua solita andatura curva.
-So
di lasciare il quartier
generale in buone mani, ma vedi di non spaventare troppo i tuoi
collaboratori.- le disse, allungando la mano verso i fogli che la
donna gli stava porgendo.
-Certo
che fate proprio una
bella coppia di sadici, voi due.- commentò infastidita Misa.
-Perché
non ti unisci ai nostri appuntamenti, così tieni occupato
quel
maniaco mentre io e Light facciamo i piccioncini?-
Stava
rivolgendo uno sguardo
ostile a Ryuzaki, stringendosi nuovamente al braccio di Light, che si
voltò a guardarla, con un leggero imbarazzo.
-Neanche
per idea.- rispose
la donna, candidamente. -Mentre Ryuzaki sarà impegnato a
tenervi
d'occhio, io potrò dedicarmi al caso.-
-Mi fa piacere vedere che
c'è almeno qualcuno che prende seriamente il caso.-
bofonchiò
allora Aizawa, mentre si aggiustava la cravatta. -Anche se trovo
insopportabile il fatto che tu non voglia dirci nulla sugli uomini
che stavano per farci fuori, Banks.-
-La
prudenza non è mai
troppa.- ribatté lei, poggiando la giacchetta blu sulla
sedia
davanti alla scrivania. -In nessun caso Kira dovrà venire a
conoscenza dell'identità di quegli uomini, non posso
rischiare che
vengano fatti fuori.-
-Ma,
se anche fossimo noi i
due Kira...- intervenne allora Light. -Uccidere dei criminali di cui
solo noi potremmo essere a conoscenza, sarebbe una mossa troppo
stupida.-
-Questo
è vero.- annuì la
donna. -Ma non voglio comunque rischiare.-
-Mi
chiedo come mai...-
sussurrò Matsuda, dal fondo della stanza.
-Che
vuoi dire?- gli chiese
allora la signorina Nathalie, incrociando nuovamente le braccia.
Matsuda
prese a passarsi una
mano tra i capelli, leggermente nervoso.
-Beh...
a quanto ho capito
ti hanno tenuta in ostaggio per anni, e la tua famiglia era in
pericolo... Non vorresti vederli tutti morti?-
Light percepì il pericolo
imminente dal modo in cui le spalle della signorina Nathalie si erano
tese, e dagli occhi, che stavano di nuovo pulsando, rossi. Vide
Ryuzaki voltarsi verso la donna, serio.
-In
nessun caso permetterei
che quelle persone vengano condannate a morte.- rispose lentamente la
donna, tentando di reprimere un ringhio nella voce. -Perché
sono
dell'idea che la vita possa essere una punizione di molto peggiore
rispetto alla morte.-
Poi
si voltò verso Light e
Misa: il suo sguardo era di ghiaccio e di fuoco allo stesso tempo.
-La
stessa cosa vale per
Kira. Chiunque sia.-
Era
calato un silenzio
pesante nella stanza, e tutti avevano gli occhi puntati sull'agente
donna. Incurante di ciò, lei si avvicinò a
Ryuzaki, che aveva
finito di leggere i suoi fogli, estraendo una chiave dal taschino
della camicetta.
-È
proprio ora che tu
vada.- gli disse, liberandolo dalle manette. Poi andò a
toglierle
anche a Light.
-Da
qui in avanti ci penso
io.- aggiunse, volgendo lo sguardo a tutta la squadra.
-Signori,
nei prossimi tre
giorni lavorerete con me. Misa ora salirà nella sua stanza e
sarà
sorvegliata da me personalmente, mentre Light starà con
Mogi. Ci
ritroviamo qui domattina alle sette, e vi verranno assegnati i vostri
nuovi compiti. Mi auguro che sia tutto chiaro.-
-Confido
che seguirete alla
lettera le direttive dell'agente Banks fino al mio ritorno.-
intervenne Ruyzaki, appoggiando i fogli sul tavolino da tè
di fronte
al divanetto da dove il padre di Light si era appena alzato per
stringergli la mano. -Signor Yagami, la aspetto domani assieme
all'agente Banks perché mi facciate rapporto.-
Note
Anche in questo capitolo ho fatto un cospicuo uso delle scene
dell'anime. Pensate sia fastidioso? Fatemi sapere cosa ne pensate.
A parte ciò, mi sono
divertita molto a scrivere la scena di K che elenca gli elementi a
favore e a sfavore dei sospetti nei confronti di Light e Misa,
perché ho cercato di concentrare in quelle poche battute la
sua vera essenza, lasciando da parte il dolore, il sentimento
autodistruttivo e la disperazione che si porta dietro. Dal primo
momento in cui ho immaginato questo personaggio, ho desiderato che
fosse particolarmente antipatico, sebbene tutte le disgrazie che ha
affrontato probabilmente aiutano il lettore a perdonare il suo
carattere. Tuttavia, avendoci lavorato molto a lungo e avendo elaborato
nei dettagli tutta la sua dolorosa backstory, il ritratto che ne
è uscito alla fine è molto più
positivo di quanto avessi voluto.
Di solito propongo quello stralcio di
capitolo alle persone a cui vorrei far leggere questa fanfiction,
perché si possano fare una prima impressione sul personaggio
che ho creato.
Perdonatemi lo sproloquio. Ringrazio
ancora chiunque abbia avuto la pazienza di seguire la storia fino ad
ora e vi do l'appuntamento a lunedì 7 maggio per il capitolo
XI!
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Capitolo 14 *** Capitolo 11 - Rivelazioni ***
Capitolo XI
Quella mattina, Misa si
svegliò prima della sua compagna di stanza. Nel dormiveglia,
con gli
occhi appena socchiusi, aveva visto una luce rossa venire dal letto
accanto al suo, e si era svegliata per capire cosa fosse. Filtrava un
raggio di sole dalle tende tirate, e stava facendo brillare un rubino
su un anello d'oro bianco, legato al collo di Nathalie con un cordino
nero. Misa fece attenzione a non fare rumore, mentre si alzava, dal
momento che la donna non smetteva di inquietarla.
-Alla fine non sei
stata di
molte parole, Amane.- le aveva detto la sera prima, chiudendo a
chiave la porta della camera d'albergo dietro di sé.
-Beh, avevo come
l'impressione di dare fastidio a Light, per questo non ho
più detto
nulla.- le aveva risposto lei, imbronciata. -Ma ora finalmente posso
dirti tutto quello che penso.-
Si era messa una mano
sul
fianco, mentre con l'altra puntava un dito accusatore verso la donna.
-Non mi piaci proprio
per
niente, tu. Ti atteggi da spavalda e comandi tutti a bacchetta, e
pendono tutti dalle tue labbra soltanto perché sei una
donna, anche
se sei sfregiata.-
-Non mi interessa se
chi
lavora con me o per me esegue i miei ordini per dovere,
pietà o per
un qualche secondo fine. Le questioni di principio non mi
interessano, finché raggiungo il mio risultato.- aveva detto
lei,
tranquilla, andando ad appendere la giacchetta del completo
nell'armadio di fianco alla porta.
Misa aveva stretto i pugni,
e le era andata dietro.
-Va bene, ma sia
chiara una
cosa.- le aveva detto a muso duro. -Tieni giù le mani dal
mio
Light.-
Lei si era lasciata
andare
ad una risatina sprezzante, e le aveva risposto, senza nemmeno
guardarla in faccia: -Certo, come no... Light.-
Poi si era voltata a
guardarla negli occhi, con espressione di scherno.
-Sia ben chiara una
cosa: io
sono convinta al cento percento del fatto che tu e Yagami siate il
primo ed il secondo Kira, e fosse per me vi sbatterei in galera e
butterei la chiave. Ma se anche così non fosse... Quando mi
sono
iscritta all'università, Light molto probabilmente non
sapeva ancora
né leggere né scrivere. Puoi capire quanto possa
interessarmi.-
Si era poi chinata
per
prendere una borsa di carta, dalla quale aveva estratto alcuni dei
vestiti di Misa.
-Vai in bagno a
cambiarti.
Dopo ti dovrò perquisire.-
-Ah, è
così?-
Misa aveva preso i
vestiti e
aveva assunto un'espressione maliziosa.
-Vuoi dire che hai
quel tipo
di gusti?-
Nathalie aveva riso,
ma era
una risata terribile, crudele.
-Sei più
ossessionata te
dal sesso che un ragazzo quindicenne.-
Misa era arrossita, e
le
aveva rivolto un'occhiata ostile.
-E comunque nemmeno
tu
saresti il mio tipo.- aveva aggiunto Nathalie, aprendole la porta del
bagno e facendole cenno di darsi una mossa.
Misa si avvicinò al letto
dove dormiva la donna in punta di piedi, allungando il collo.
Nathalie era di spalle, e la collana di filo si era avvolta attorno
alla spalla sinistra, per cui l'anello ora pendeva sulla sua schiena.
I capelli bianchi e mossi erano sparpagliati su tutto il cuscino, e
alcune ciocche erano illuminate da un riflesso rosato proveniente dal
rubino. Era sicuramente una pietra preziosa, e non un falso, a
giudicare dall'intensità dei riflessi. E allora
perché tenerlo
legato ad un cordino, nascosto sotto la brutta camicia da notte?
Misa
allungò una mano verso
l'anello, lentamente.
Ma Nathalie si
voltò di
scatto e le bloccò il polso con la mano destra, mentre con
la
sinistra aveva afferrato la pistola da sotto al cuscino. Misa
spalancò gli occhi e cacciò un urlo.
La donna
sospirò e mollò
la presa.
-Ma sei impazzita?!- gridò
la ragazza, indietreggiando con un balzo verso il proprio letto. -Sei
proprio americana! Dormi con la pistola sotto al cuscino, la punti
così a caso, ma chi ti credi di essere?!-
Nathalie
abbassò lo sguardo
verso il revolver che teneva nella mano sinistra; lo alzò
mollemente
e prese ad accarezzare con un dito la canna, con gli occhi rosati
ancora assonnati.
-Hai ragione, sono
diventata
dannatamente americana.- disse, secca.
Poi alzò
lo sguardo.
-Comunque ero
sveglia.
Questo era un avvertimento. Se dovessi riprovare a fare una cosa del
genere mentre sto dormendo, la mia reazione sarebbe molto
più
imprevedibile ed incontrollata. Sei avvertita.-
-Vuoi dire che mi
spareresti
così, senza pensarci?- gemette angosciata la ragazza.
Nathalie si alzò in piedi
ed estrasse il caricatore, per poi allungarlo verso Misa: era vuoto.
Lo rimise a posto.
-Stando in camera con
un'altra persona ho tolto i proiettili per evitare di sparare se
colta di sorpresa, ma sappi che sono ugualmente pericolosa anche
senza.-
Misa si aspettava che
le
rivolgesse quel suo ghigno sadico ed inquietante, ma si
stupì nel
notare che il suo sguardo era triste e vuoto.
Nathalie si
alzò in piedi,
e si diresse verso il bagno.
-Perché
tieni un anello
così prezioso legato al collo?- le domandò allora
Misa, alzandosi
anche lei in piedi.
Nathalie si
voltò,
rivolgendole uno sguardo annoiato.
-Sono affari miei.-
Indossava una camicia
da
notte da ospedale, lunga, larga e bianca. Misa pensò che
vestita
così, alta com'era, pareva una tenda ambulante. La sera
prima si era
spaventata al vederla per la prima volta proprio alle sue spalle, con
quegli occhi iniettati di sangue e quello sfregio sul volto. La sua
sola presenza sembrava in grado di far calare il silenzio sull'intera
squadra. Non le piaceva per nulla l'idea di dover dormire con lei per
altri due giorni in quella stanza. Quando la sera prima le aveva
chiesto se anche loro due avrebbero dovuto girare ammanettate, lei
aveva risposto in modo canzonatorio che non aveva alcuna intenzione
di farle da babysitter.
-Oggi resterai qui,
in
questa stanza.- le disse Nathalie, sulla soglia della porta del
bagno. -Vedi di non fare nulla che mi possa convincere a sbatterti in
cella. Non sono una persona paziente.-
E così la lasciò sola,
chiudendosi la porta alle spalle.
Misa
sospirò a fondo e si
lasciò cadere a braccia aperte sul soffice letto accanto
alla
finestra. Indossava una leggera sottoveste rosa che lasciava
trasparire le sue forme, e i suoi capelli biondi e lisci erano in
ordine, sebbene si fosse da poco svegliata. Si mise a dondolare le
gambe a penzoloni dal letto, mentre pensava a cosa avrebbe potuto
fare quel giorno. In realtà, avrebbe voluto rimanere a letto
fino a
sera, o almeno fino a quando non le avrebbero dato la
possibilità di
rivedere Light; quei due mesi di prigionia l'avevano sfinita, ma, in
un certo senso, se ne rendeva conto soltanto in quel momento.
Dall'istante in cui aveva rivisto Light in quella galleria, il giorno
prima, tutta la sua sofferenza era come svanita, e il suo cuore si
era colmato di gioia nel rivedere il proprio amato. Eppure ora non
poteva restargli accanto, perché quel maniaco di L doveva
stargli
appiccicato. Che assurdità, pensare che loro due potessero
essere
Kira! Si chiedeva come fosse possibile che L e Banks fossero dei
detective così apprezzati, se erano convinti di una tale
sciocchezza!
La porta del bagno si aprì,
scuotendo Misa dai propri pensieri. La sua carceriera si era cambiata
e ora portava il completo blu elegante del giorno prima. Aveva
raccolto i capelli spessi e disordinati in una crocchia molto blanda,
da cui sfuggivano diverse ciocche bianche.
-Vai pure tu, io mi
trucco
allo specchio lì.- le disse, indicando l'anta dell'armadio.
-Non ti facevo
così
vanitosa.- commentò la ragazza, alzandosi in piedi. -Anche
se devo
dire che quel completo mi sembra un pochino aderente da usare a
lavoro.-
Le lanciò
di sfuggita
un'occhiata alle gambe lunghe, dritte e snelle, lasciate in bella
mostra dalla gonna che le sfiorava appena il ginocchio e le fasciava
il sedere piccolo, tondo e sodo. La camicetta infilata nella gonna le
cadeva morbida sul seno alto, e la giacca, che pareva forse di una
taglia più grande, era abbottonata fino all'altezza dello
stomaco in
modo da evidenziare la vita sottile.
-Sono le taglie
asiatiche
che non funzionano mai coi caucasici.- ribatté lei, secca,
arrotolandosi le maniche fino ai gomiti, camminando scalza in
direzione dell'armadio, senza guardarla in faccia.
-E poi, non
è perché
faccio un lavoro che tu consideri da uomo o perché, come
dici tu,
sono sfregiata, allora non devo curare il mio aspetto.-
Anche Misa la
seguì
all'armadio, per prendere il suo cambio di vestiti, e lanciò
un'ultima occhiata alla donna davanti allo specchio dell'anta mentre
estraeva da un vecchio e logoro astuccio un balsamo per le labbra e
un mascara di marche ignote, prima di allontanarsi, sperando con
tutto il cuore di potersi risvegliare presto insieme a Light in una
stanza d'albergo simile a quella.
-Bene...- disse K, quando
tutti gli agenti ebbero preso posto nella stanza in cui si erano
trovati la sera prima. -Cosa avete da dirmi sugli omicidi che sono
avvenuti da quando Light e Misa sono stati arrestati?-
-Sono ricominciati
dopo
quindici giorni, e tutti i criminali che non erano stati giustiziati
in quel lasso di tempo sono morti tutti in una volta.- disse Matsuda.
-Va bene, Matsuda.-
disse la
donna mentre passeggiava per la stanza con le mani dietro la schiena,
accompagnata dal rumore dei tacchi. -Ma vorrei che mi diceste
qualcosa che non si sappia già.-
Si guardarono tutti
in
faccia, confusi. Intervenne Soichiro.
-Ryuzaki ha detto che
i
criminali giustiziati dopo l'arresto di Light non sono gli stessi che
il primo Kira prendeva di mira.-
-È vero!-
intervenne Mogi.
-Ora tra le vittime ci sono anche tante persone sulle quali ci sono
semplici sospetti e nessuna prova.-
-Molto bene.- disse
allora
K. -Questo ci porta a pensare che ci sia la possibilità che
questo
Kira sia diverso rispetto ai primi due. Dopotutto, Kira risponde ad
un suo personale senso della giustizia, che è una cosa
soggettiva.
Difatti il secondo Kira ha ucciso un semplice borseggiatore apparso
su una rivista di moda, mentre questo condanna persone probabilmente
innocenti o con attenuanti. Siete d'accordo con me?-
Tutti annuirono.
L'eventualità dell'esistenza di un terzo Kira non piaceva a
nessuno.
-Perciò...-
cominciò
Light, scrutandola con espressione seria. -Neanche riuscendo a
catturare questo nuovo Kira le accuse contro Misa e il sottoscritto
cadrebbero?-
Tutti si misero a
fissare la
donna.
Vi fu una breve
pausa,
durante la quale K fissò attentamente il ragazzo.
-Esattamente.- disse
infine. Poi girò sui tacchi e prese a camminare su e
giù davanti
agli agenti, con le braccia conserte, reggendo la cartellina contro
l'addome piatto. -Anzi, la cattura di questo fantomatico terzo Kira
probabilmente non risolverebbe comunque il caso, anche se tu e Misa
doveste rimanere in prigione o sotto sorveglianza, in quanto
è
possibile che il potere di uccidere venga trasferito ancora una volta
ad una persona libera di agire. Ma dovete sapere...-
E appoggiò
la cartella che
aveva in mano per arrotolarsi le maniche della camicetta su per le
braccia.
-... che sono
fermamente
convinta che la capacità di uccidere derivi da un qualche
potere
sovrannaturale concesso agli umani da una qualche
entità a
noi sconosciuta; un'entità in grado di trasferire questo
potere da
persona a persona tramite una sorta di possessione.-
Rivolse poi
nuovamente lo
sguardo rosato in direzione di Light.
-E sono anche
convinta al
cento percento che al momento tu e Misa non abbiate alcun ricordo
legato alle azioni presumibilmente commesse sotto il controllo del
potere di Kira, e che quindi non rappresentiate in alcun modo una
minaccia, almeno per ora.-
Light sembrava
genuinamente
turbato.
-Quindi ora non è Light
che ci interessa.- riprese K.
-Quello che vorrei chiedervi ora è di aiutarmi a svolgere
delle
ricerche approfondite per quanto riguarda il modus operandi, gli
obiettivi e l'ideologia di questo nuovo Kira, e per farlo
sarà
necessario recuperare tutti i dati disponibili sulle uccisioni che
sono ricominciate dopo metà giugno.-
Ritornò
al tavolo, dove troneggiavano tre plichi di fogli, con diversi
post-it di diversi colori, e cominciò a dividerli per colore.
-Dovrete
lavorare sugli omicidi svoltisi in sei settimane, e voi siete cinque,
ma non ho fatto una divisione equa: Aizawa non vive qui, e deve
badare alla sua famiglia, Mogi deve preoccuparsi della sicurezza,
Matsuda deve fare da manager a Misa e così via. Per cui, ho
assegnato a Light un carico di lavoro forse un po' eccessivo, ma sono
certa che sarà in grado di portare a termine il suo compito
egregiamente. Però, se doveste ritenere necessario rivedere
l'assegnazione di questi compiti, non esitate a farmelo sapere.-
-Non
credo ce ne sarà bisogno.- intervenne allora Light. -Sono
pronto a
lavorare giorno e notte pur di essere d'aiuto nella risoluzione del
caso.-
-Questo
è lo spirito giusto.- annuì K, che aveva finito
di dividere i
fogli.
Ne
consegnò un malloppo segnato da post-it azzurri a Matsuda,
che era
il più vicino, poi radunò quelli coi post-it
arancioni per Mogi e
così via.
-Avrete
due settimane di tempo. Mi rendo conto che sia molto lavoro, ma
dobbiamo riuscire a recuperare terreno il prima possibile e
restringere il campo in modo da giungere rapidamente ad una sorta di
identikit di questo terzo Kira, come già aveva fatto L per i
primi
due.-
Si
rimise a camminare su e giù per la stanza, con lo sguardo
fisso
avanti a sé.
-In
base alle ricerche che sono riuscita a fare, posso dire con tutta
certezza che anche questo Kira è giapponese e vive a Tokyo,
e questo
grazie alle analisi sul tipo di notiziari in cui sono apparsi i
criminali, l'ora dei decessi e la diffusione delle notizie.-
-Potrei
fare una considerazione?- domandò allora Matsuda, dopo aver
sfogliato velocemente la risma di fogli che gli era stata assegnata.
-Sei
pregato di farlo.- gli rispose K, voltandosi a guardarlo.
-Non
credi che sia possibile che questo nuovo Kira possa aver tentato di
depistarci, facendoci credere di essere sempre il primo Kira,
giapponese del Kanto?-
-Non
è possibile.- intervenne allora Light. -Se questa persona
avesse
avuto l'accortezza di guardare i nostri notiziari locali eccetera,
resterebbe comunque il fatto che uccide in modo indiscriminato, senza
una logica, perciò non avrebbe senso che tenti di copiare il
primo
Kira da un lato e tralasci un aspetto così importante
dall'altro.-
-È
esattamente questo il punto.- riprese K. -Bravo, Light.-
Si
rivolse poi a tutti i presenti.
-Per
questo motivo vi ho aggiunto una griglia di valutazione all'inizio
del vostro dossier: dovrete classificare per ogni morte il tipo di
medium su cui è apparsa la notizia, la differenza tra l'ora
di
pubblicazione della notizia e quella dei decessi, se si tratta di un
omicidio che il primo Kira avrebbe commesso o se la condanna di
colpevolezza esula dal suo principio di giustizia, e infine se prima
della morte siano stati registrati comportamenti sospetti da parte
delle vittime, che lascino presagire un controllo da parte di Kira,
com'era successo all'inizio delle indagini. In una scheda separata,
dovrete invece segnare tutti quei criminali che sono apparsi ai
notiziari ma che non sono morti.-
Si
accorse poi che i raggi del sole si stavano spostando,
perciò
arretrò verso la parete opposta alle finestre.
-So
che si tratta di una considerevole mole di lavoro, ma solo quando
saremo in possesso di tutti i dati sarà possibile analizzare
affinità e tracciare un quadro.-
Prese
ad arricciarsi distrattamente una ciocca di capelli attorno al dito
indice.
-Inoltre,
dovete sapere che al novanta percento questo è stato il tipo
di
lavoro fatto da L per giungere all'identikit del primo Kira e alla
messinscena della diretta TV. Con la differenza che lui ha svolto
tutto questo lavoro da solo.-
Gli
agenti rimasero sbigottiti.
-Bene,
ora che sapete quello che dovete fare, potete decidere se lavorare
qui coi vostri portatili, anche se non c'è molto spazio sul
tavolo,
oppure se tornare nelle vostre stanze. Light dovrà in ogni
caso
rimanere con Mogi. Posso farvi portare un altro tavolo e altre sedie,
se preferite rimanere tutti qui.-
Tutti
annuirono, e si alzarono dal divanetto.
-Light.-
chiamò K, avvicinandosi al ragazzo. -Hai del grande
potenziale,
perciò intendo sfruttare al massimo il tuo aiuto. Ma dimmelo
se
dovessi ritenere che stia esagerando, va bene?-
Il
ragazzo sorrise.
-Non
c'è nessun problema, Nathalie, lascia fare a me.-
A pomeriggio inoltrato, K
si congedò dagli agenti e da Light, tutti concentrati sulle
ricerche, e andò insieme al sovrintendente Yagami e a Watari
all'infermeria del quartier generale in taxi, per fare rapporto a L.
Sembrava che le sue condizioni fossero già leggermente
migliorate:
dormiva circa venti ore al giorno ed era attaccato ad una flebo,
stava riprendendo colorito e gli occhi parevano meno allucinati.
Quando arrivavano, stava finendo un'abbondante porzione di pesce.
-Accomodatevi...-
fece loro
tra un boccone e l'altro, indicando delle sedie di fronte a lui con
la forchetta,
vestito solo con
un camice da ospedale.
-Per
il momento ho assegnato a tutti le ricerche che avevo già
concordato
con te.- disse K. -Forse ho esagerato un po' con Light, ma è
sveglio
e credo possa fare un ottimo lavoro.-
-Non
ne dubito.- disse L, annuendo e posando il piatto sul comodino di
fianco al suo letto. -Entro quando credi che potremmo avere i
risultati?-
-Ho
dato due settimane come termine massimo, poi provvederò
personalmente a tracciare un quadro comune, e da lì
partiremo per
costruire il nostro profilo psicologico.-
-Ma
questa volta dovrebbe essere più semplice riuscire a trovare
Kira,
no?- domandò Yagami.
-Purtroppo
no.- rispose L, che si portò un dito al mento e
cominciò a fissare
un punto sul soffitto. -Questo sarà molto più
difficile da
trovare.-
-Dobbiamo
considerare innanzitutto il fatto che questo Kira non agisce spinto
da un reale interesse nei confronti della giustizia.-
continuò K per
lui.
Il
sovrintendente pareva confuso.
-Come
fate a dirlo?-
-Semplice...-
fece L, tornando a guardare davanti a sé. -Perché
uccide a caso.-
-Sembrerebbe
uccidere soltanto perché qualcuno gli impone di farlo, ma
senza
soffermarsi a considerare i casi uno alla volta, a differenza del
primo Kira.- riprese K.
-Questo
rafforzerebbe, tra l'altro, la nostra teoria della possessione.-
continuò L, portando le ginocchia al petto.
-Si
potrebbe ipotizzare che chi ha “inventato” Kira
abbia dato come
ordine quello di uccidere i criminali, ma che rientri nelle
possibilità, nelle capacità intellettive e nella
morale di ognuna
delle persone che ha ricevuto questo potere uccidere chi ritengono si
meriti tale appellativo.- aggiunse K, prendendo il vassoio coi piatti
sporchi e andandolo a sistemare sul carrellino col quale era stato
portato il pranzo a L.
-Questo
escluderebbe dal profilo del nostro nuovo sospettato la
peculiarità
di avere un ideale di giustizia assoluta. Non si tratta di uno di
quegli invasati che frequentano i forum anonimi legati al culto di
Kira.- riprese L, incrociando le dita sotto il mento.
-Da
uno primo sguardo ai dati raccolti è anche evidente che non
si
tratti di un disoccupato o di una casalinga, dal momento che gli
omicidi avvengono tutti alla sera.- disse K, andando questa volta a
controllare le flebo e il tracciato dell'elettrocardiogramma.
-È
quello che avete scoperto nei giorni scorsi?- domandò allora
il
sovrintendente.
I
due si voltarono a guardarlo con espressione indecifrabile.
-No,
Yagami.- disse quindi L. -Stiamo facendo delle supposizioni sul
momento.-
-Le
ricerche che vi ho assegnato mi serviranno per provare a capire le
abitudini di questo nuovo Kira.- intervenne allora K. -I notiziari
che guarda, i giornali che legge, quando li legge, quanto naviga su
internet, quali sono i siti su cui naviga, quali sono i suoi orari di
lavoro, quali sono le sue convinzioni...-
-Per
il momento...- riprese L. -... possiamo ipotizzare che sia una
persona adulta con un tipico lavoro dalle 8 di mattina alle 8 di
sera, dal momento che le morti si concentrano principalmente dopo il
notiziario delle nove.-
-Un
lavoro di ufficio, molto probabilmente, non lontano dal luogo in cui
vive.- continuò K, prendendo la cartella clinica al fondo
del letto
e scrutando i dati raccolti. -Sicuramente non è
un'attività a
conduzione familiare, data la regolarità degli orari, per
cui non
sarebbe troppo azzardato pensare che abbia una posizione abbastanza
buona all'interno dell'azienda, che gli ha permesso di trasferirsi in
un appartamento vicino al luogo di lavoro.-
-È
probabile.- annuì L. -Ma non possiamo escludere per il
momento altre
piste.-
K
rimise a posto la cartella clinica. -Inoltre, mi verrebbe da pensare
che questa persona possa aver ricevuto il potere di uccidere e,
insieme ad esso, l'ordine di uccidere i criminali.
Ma se non
sa distinguere la gravità dei crimini commessi dalle sue
vittime, è
possibile che non gli importi, o che lei stessa abbia una
moralità
dubbia.-
-Perciò,
se ammettiamo la possibilità che a chi possiede il potere di
Kira
sia concesso un certo margine di iniziativa personale...-
cominciò
L.
-...
Ne seguirebbe che sarebbe possibile che questa persona possa usare
quello stesso potere per scopi personali.- concluse K.
Soichiro osservava i due
giovani sbigottito. Non riusciva a credere che quella donna avesse
potuto addestrare L, ma a giudicare dalla sua elasticità
mentale,
dalla sua prontezza di spirito e dalla sua risolutezza, era costretto
ad ammettere di trovarsi di fronte ad una persona straordinariamente
competente. Più di tutti i suoi agenti messi assieme. Tanto
che L
teneva in considerazione la sua opinione, e, anzi, pareva fare molto
affidamento sul suo giudizio. Cosa mai poteva aver creato tanto
dissapore tra quei due? Eppure ora pareva che lavorassero in completa
sintonia. Erano totalmente su di un altro piano rispetto a lui ed
alla sua squadra.
-È tutto?- domandò allora
L. -Perché, se non c'è altro, penso possiate
rientrare.-
Poi guardò
K.
-Dovresti tornare
all'hotel
per controllare Misa.-
-Mi auguro che Amane
sia in
grado di non provocare l'Apocalisse fino al mio ritorno.-
bofonchiò
la giovane. Infine, si passò una mano tra i capelli che le
cadevano
disordinati dalla crocchia ormai sfatta e li sciolse, scrollandoli
nervosamente e gettandoseli alle spalle.
-Io in
realtà avrei
un'altra cosa da dire.- riprese, mordicchiandosi il labbro ed
abbassando lo sguardo.
-Ho dimenticato di
parlartene nei giorni scorsi, e approfitto della presenza del
sovrintendente Yagami per dirtelo adesso.-
I due la guardarono,
incuriositi.
Vi fu una lunga pausa, al
termine della quale K sospirò e alzò lo sguardo
verso L.
-Ho ucciso un uomo.-
Yagami reprimette un
sussulto, ma L non si scompose.
-È
successo circa cinque
anni fa. Uno degli uomini dell'organizzazione che mi teneva in
ostaggio una notte si introdusse nella mia cuccetta, con
intenzioni... non propriamente pacifiche.-
La giovane non
poté fare a
meno di notare la mano del suo compagno tremare, mentre il suo volto
rimaneva congelato. Sperava soltanto Yagami non se ne fosse accorto.
-C'è stata
una
colluttazione, e alla fine gli ho tirato un calcio al mento,
girandogli indietro la testa e spezzandogli il collo.-
continuò, con
tono calmo. -Ovviamente l'organizzazione insabbiò la cosa e
per me
non ci furono conseguenze, perché ero una riserva preziosa
ed era
stato dato l'ordine di non torcermi un capello.-
Chiuse la mano destra
a
pugno sulla propria gonna blu, mentre i suoi occhi diventavano sempre
più rossi.
-Motivo per cui,
è
possibile che questa informazione possa trapelare da parte di questa
organizzazione, nel tentativo di farmi perdere la
credibilità e
compromettere la mia deposizione. Magari addirittura per farmi
uccidere da Kira, chi lo sa. È per questo che ho voluto che
ne
veniste a conoscenza qui e ora, e dalla mia bocca.-
-Mi dispiace molto,
Nathalie.- disse Yagami, che si era alzato in piedi e le porgeva la
mano. -Ma puoi stare tranquilla: provvederemo noi a proteggerti
finché sarà necessario.-
K guardò
prima la mano, poi
il sovrintendente; infine la strinse e si alzò anche lei in
piedi.
-Al momento
è stata formata
una task force per lavorare a quel caso, anche se non sono ancora
state rese pubbliche le prove a carico di questi criminali.
Probabilmente ci vorranno mesi prima che la storia venga fatta
trapelare, e nel frattempo mi auguro che noi avremo catturato Kira,
per potermi poi dedicare a quel processo.-
Si
avvicinò al letto sul
quale stava seduto L, e si voltò verso Yagami.
-Dovrò
inoltre chiedere a
Lei e ai suoi uomini la cortesia di farmi una deposizione su Grumann
e sulla sera della sparatoria. Non che ci sia fretta, ma i ricordi
tendono a svanire col tempo, e sono già passati due mesi
dagli
eventi di quella notte.-
Il sovrintendente
diede la
sua completa disponibilità a collaborare, e si
avvicinò anche lui
al letto per congedarsi da L.
Infine K porse la
mano al
detective, con un'espressione triste sul volto bianco.
-Cerca di rimetterti
presto.- disse, mentre gli stringeva la mano.
Lui la guardava
diffidente,
poi rivolse lo sguardo altrove e sussurrò: -Grazie per
avermelo
detto. Ora almeno so perché sei diventata così.
Perché giri
armata.-
-Non sai nulla di
quello che
mi è successo in questi anni.- ribatté piccata
lei.
Yagami era
già uscito, ma
lei non voleva indulgere troppo ad andarsene, per evitare che potesse
pensare che lei e L complottavano qualcosa contro Light e Misa.
-Ma... se usciremo
entrambi
vivi da questa storia, giuro che ti dirò tutto.-
Quella notte L sognò
Bjarne.
Si era ormai convinto che
anche lui avrebbe cominciato ad infestare i suoi incubi dettati dal
senso di colpa. Si era svegliato intorno alle tre di notte, con una
sensazione di pesantezza al petto, e aveva affondato il viso stanco
tra le mani pallide.
-Bussano alla porta,
K.- le
aveva detto L, mentre la ragazza era ancora sotto la doccia.
-Aspettavi qualcuno?-
-No.- aveva risposto
lei
dall'altra parte della porta, spegnendo il getto della doccia. -Vai
te a vedere o aspetti che esca di qui nuda e gocciolante?-
L aveva tenuto per
sé il
commento che stava per sfuggirgli dalle labbra, e si era diretto
verso la porta del loro appartamento a passi veloci.
Avevano trovato un
trilocale all'ultimo piano di un palazzo da poco rimesso a nuovo, a
Shoreditch, nel periodo in cui lavoravano per Scotland Yard. Il
soggiorno con angolo cottura era ben illuminato ed abbastanza grande,
e c'erano due camere da letto, accessibili da uno stretto corridoio
che affiancava la sala e terminava in un piccolo bagno. Ad L, ormai
abituato a spostarsi continuamente e soggiornare in hotel di lusso,
spesso mancava quel piccolo divano verde e sfondato, i pavimenti in
legno, i mobili di seconda mano dove stipava i suoi libri di
università, i vasi di fiori che K aveva messo ovunque, e lo
scricchiolio delle assi di legno quando lei si alzava da suo letto di
notte per ritornare in camera propria. O forse no, forse quello non
era un ricordo piacevole.
L era andato ad aprire, e
si era trovato di fonte il volto abbronzato e sorridente di Bjarne.
-Ehi, ciao!- lo aveva
salutato, porgendogli la mano. In genere lui salutava gli altri con
una pacca sulla spalla o con un forte abbraccio, ma L aveva sempre
usato la “scusa” della sindrome di Asperger per
limitare al
minimo i contatti. K diceva spesso che non credeva che lui avesse
davvero l'Asperger: per lei lui era solo stronzo.
-Bjarne! Non sapevo
fossi in
Inghilterra.- aveva esclamato L, accennando ad un sorriso. -Entra,
entra. K è sotto la doccia. Non hai bagagli con te?-
-Solo questo zaino.-
aveva
detto lui, appoggiandolo a terra. -Scusate l'improvvisata. Cercavo un
volo per le Hawaii per le selezioni per il prossimo campionato
nazionale di surf e ho visto un'offerta per Londra che non potevo
lasciarmi sfuggire.-
-C'è
Bjarne?!- aveva urlato
allora K, dal bagno. -Aaaaaa!-
E dopo pochi secondi
se
l'erano vista comparire davanti, ancora con l'accappatoio e i capelli
raccolti in un asciugamano blu.
-Fratelloneeeeee!-
aveva
urlato, gettandoglisi al collo in modo così scomposto che il
turbante che aveva in testa si era sciolto, lasciando cadere il suo
caschetto disordinato di capelli bianchi sulla pelle rosata per via
della doccia calda.
-Non sai quanto sono
felice
che tu sia qui!- aveva esclamato, stampandogli un bacio sulla
guancia.
Lui aveva riso. -Dai,
piccola, vai a sistemarti, ci salutiamo per bene dopo.-
Lei si era staccata
da lui
con un largo sorriso e aveva fatto un giro su se stessa, in punta di
piedi, prima di allontanarsi canticchiando.
In quel momento, L aveva
visto l'ombra del dubbio attraversare il volto di Bjarne.
-Kendra... giurerei
che
odori di sesso.- aveva detto, con tono improvvisamente serio.
Lei si era voltata di
scatto, con le labbra socchiuse e una nota di paura nello sguardo, ma
si era subito ricomposta. L si era voltato, reprimendo l'istinto di
controllarsi il collo e le spalle alla ricerca di tracce del delitto
appena commesso.
-Beh, sai... ieri
sono
uscita. Sono adulta e responsabile, sai? A volte...-
-Tu sarai anche
adulta.-
l'aveva interrotta lui. Poi si era voltato verso L, con una scintilla
negli occhi castani -Ma lui non lo è.-
K aveva spalancato i
grandi
occhi da cerbiatta, nascondendosi nell'accappatoio.
-Ma... cosa ti viene
in
mente?- aveva sussurrato, col cuore in gola.
-Bjarne, non so
perché hai
pensato questa cosa.- aveva cominciato il ragazzo. -Ma ti posso
assicurare...-
-Kendra ha dei
succhiotti
sulla schiena.- l'aveva interrotto Bjarne, incrociando le braccia e
avvicinandosi di un passo ai ragazzi. -E sono freschi.-
L non aveva potuto
fare a
meno di impallidire, spalancare gli occhi e sussultare. K invece si
era immediatamente voltata di scatto per guardarsi la schiena.
-Ti ho fregata.-
aveva
allora detto Bjarne, sciogliendo le braccia. -Non ho visto nulla
sulla tua schiena, ma se hai reagito in questo modo significa che hai
qualcosa da nascondere.-
K era tornata a
guardarlo in
volto, coi capelli gocciolanti che le incorniciavano il viso
arrossito.
-Tu, brutto...-
-Ho imparato da te.-
aveva
detto allora lui. -L non ha fatto una piega quando ti ha vista
arrivare con solo l'accappatoio addosso.-
Poi si era voltato
verso il
ragazzo, con sguardo severo.
-Non crederai che non
avessi
notato come la guardavi negli ultimi mesi?-
Aveva fatto un passo verso
di lui, mentre L cercava di dipingersi in volto l'espressione
più
fredda che gli riuscisse.
-Sospettavo da
settimane che
tra voi ci fosse qualcosa.- aveva detto Bjarne, per poi voltarsi
furente verso K. -Ma non mi aspettavo di arrivare qui e avere
immediatamente la conferma!-
-Sei venuto fin qui
per
controllarmi?- gli aveva allora chiesto K, acida. -Ti posso giurare
che non è come pensi.-
-Ah, ma davvero?-
aveva
detto lui, alzando la voce. -Perché io penso che tu fossi
incredibilmente annoiata ed in crisi, e avessi bisogno di sfogarti
come fai di solito. Ma anziché andartene a letto col primo
capitato
in uno squallido pub hai pensato bene di approfittare dell'infantile
cotta che il tuo studente minorenne prova per te, così da
aggiungere
un po' di trasgressione al tutto.-
Le si era parato
davanti,
sovrastandola col suo fisico muscoloso.
-Allora...- aveva
ripreso,
allargando le braccia. -Cosa ho sbagliato nella mia analisi?-
Lei aveva aperto e
richiuso
la bocca, come un pesce rosso albino. Il suo occhio strabico era
ancora più storto del solito. Poi aveva alzato un dito e
aveva
sussurrato: -Io... non vado a letto col primo che capita.-
-Oh, Dio!- aveva
esclamato
lui, roteando gli occhi e voltandosi.
-E se anche
così fosse non
ci sarebbe nulla di male!- aveva insistito lei.
-È minorenne!-
aveva
urlato Bjarne, girandosi di nuovo verso di lei a braccia aperte, coi
palmi rivolti verso l'alto. Poi aveva girato i tacchi ed era andato a
prendere L per la collottola.
-Bjarne...- aveva
provato a
protestare lui.
-Non me ne frega un
cazzo se
sto invadendo il tuo spazio personale, non ora, Aspie.- l'aveva
zittito, sprezzante. -Non ce l'ho con te perché ti sei
ripetutamente
fatto mia sorella, perciò non provare a giocarti quella
carta. Ce
l'ho con te perché so per certo che questa cosa è
partita da te, ed
eri perfettamente consapevole del fatto che facendo così
l'avresti
messa nei casini.-
Gli aveva lasciato la
maglietta, e si era passato quella stessa mano sul volto, sospirando
profondamente.
-Bjarne...- aveva
sussurrato K, avvicinandosi in punta di piedi e appoggiando una mano
sulla schiena del giovane. -Non volevo che tu ti preoccupassi.
Davvero.-
Poi si era morsa il
labbro.
-So di essermi messa
in una
situazione del cazzo... ma ti prometto che ne usciremo senza
incidenti. Non mi farò scoprire.-
-Ti ho scoperta
io...- aveva
detto lui, voltandosi verso di lei, e prendendole le spalle tra le
grandi mani. -Ci potrebbe arrivare chiunque.-
-Non vorrei
interrompervi in
questo momento toccante.- era intervenuto allora L. -Ma vorrei avere
anch'io la possibilità di parlare.-
E così
dicendo aveva
afferrato Bjarne per un braccio, costringendolo a guardarlo in
faccia.
-Innanzitutto, anche
se ho
solo diciassette anni, non puoi negare il fatto che tutti noi
studenti della Wammy's House siamo in realtà molto
più maturi di
quanto sembri. Per quanto riguarda l'aspetto legale, io sono
consenziente, ho più di sedici anni e K ha solo tre anni in
più di
me. Terzo, sono stato io a provarci con lei, non il contrario. E
poi...-
-Non te la prendere
con
lui.- era intervenuta allora K, facendo voltare il fratello verso di
sé. -Se dovesse succedere qualcosa, mi prenderò
le responsabilità
di quello che ho fatto. Non è la prima volta che faccio una
cazzata,
saprò badare a me stessa, vedrai.-
-Smettila di
trattarmi come
un bambino!- aveva allora protestato L, alzando la voce. I suoi occhi
grigi e allungati si erano stretti in uno sguardo pieno di rancore.
-Sono stato io ad insistere per rimanere a lavorare con te, sono
stato io a baciarti! Ho tante colpe quante ne hai tu!-
-Ma poi sono stata io
a
spogliarmi davanti a te, le cose sarebbero finite con quel bacio, se
poi io non avessi deciso di starci!-
-Whoa whoa whoa...-
era
intervenuto allora Bjarne, alzando le mani e facendo ad entrambi
segno di fermarsi. -A nessuno qui interessa dei vostri riti di
accoppiamento.-
Si era poi avvicinato
a K le
aveva messo una mano sulla spalla, con espressione preoccupata.
-Ho soltanto paura
che tu ti
possa rovinare la carriera per un colpo di testa.-
-Guarda che so badare
a me
ste... etciù!-
K aveva appena fatto
in
tempo a coprirsi il naso con le mani prima di starnutire, e la sua
schiena era stata percorsa da un brivido di freddo.
-Sì, come
no.- aveva
commentato Bjarne in tono polemico. Poi l'aveva stretta a sé
in un
forte abbraccio, avvolgendola con le braccia muscolose. Infine le
aveva passato una mano tra i capelli bagnati e le aveva detto
dolcemente: -Vai ad asciugarti e a cambiarti. Metto su un tè
e ne
parliamo con calma, ok?-
La ragazza si era
allontanata in punta di piedi, e Bjarne si era seduto sul vecchio
divano verde, appoggiandosi ad occhi chiusi con la testa sullo
schienale.
L, ancora infastidito
dalla
discussione appena conclusasi, era andato verso l'angolo cottura per
mettere su l'acqua per un tè.
La porta di ingresso
si
trovava al di là di una piccola parete divisoria in
cartongesso
lunga appena un metro e mezzo; entrando nell'appartamento ci si
trovava così in uno spazio ristretto che presto sbucava
nella sala,
che per quanto fosse grande era incredibilmente spoglia: a sinistra,
c'era la cucina, un tavolo di legno con quattro sedie e il divano
orientato verso di esso, che dava le spalle alla finestra, dalla
quale in quel momento entrava la luce del sole. K non poteva stare
esposta ai raggi solari, per cui il lato destro della sala era
praticamente inutilizzato, a parte per una vecchia libreria ed un
mobile sul quale avevano messo il telefono, poiché era
l'unico punto
della casa in cui fosse presente la presa adatta.
L aveva tirato fuori
dalla
credenza il bollitore, quando aveva sentito dire a Bjarne, dietro di
lui: -Scusami per averti attaccato.-
Il ragazzo si era
voltato,
ed aveva accennato ad un mezzo sorriso.
-Non ti scusare,
Bjarne. So
che ci tieni molto a lei.-
Poi si era girato di
nuovo e
aveva aperto il rubinetto.
-Anzi, ti dovrei
ringraziare.- aveva aggiunto, sempre dando le spalle a Bjarne.
-Perché hai riconosciuto la mia parte di colpa in questa
storia. Hai
riconosciuto che ho delle responsabilità.-
Poi aveva chiuso il
rubinetto e aveva guardato davanti a sé.
-Lei continua a
trattarmi
come un moccioso, e questa cosa non la sopporto.- aveva aggiunto a
voce bassa.
Poi aveva sentito il
giovane alzarsi e avvicinarsi a lui.
-Temevo che sarebbe
successo
dal momento stesso in cui vi ho conosciuti.- aveva detto, cercando in
uno dei cassetti la scatola dei fiammiferi per accendere il gas.
-Era evidente che
vedessi in
lei una figura materna. Non avendo nessun altro, ti eri aggrappato a
lei con tutte le tue forze, perciò immaginavo che prima o
poi
avresti sviluppato una sottospecie di complesso edipico.-
E a quel punto
l'aveva
guardato di sottecchi.
-Specialmente nel
momento in
cui l'avresti vista pienamente sviluppata ed in pantaloncini.-
L aveva distolto lo
sguardo,
e aveva appoggiato il bollitore sul gas che Bjarne aveva acceso.
-Ma ti posso
assicurare che
non è necessario che ti preoccupi.- aveva detto, dopo
qualche
momento di silenzio. -È vero, è cominciata
così, ma tutto rimane
nella camera da letto. È la regola. E in molti pensavano tra
noi ci
fosse qualcosa già prima che io cominciassi addirittura a
pensare a
lei in quel modo, semplicemente perché viviamo e lavoriamo
insieme e
siamo di sesso opposto.-
-Tipico.- aveva
commentato
il giovane. -Ma non è per i vostri colleghi che mi
preoccupo.-
A quel punto L si era
voltato. -Hai paura che lo venga a scoprire il direttore Wammy?-
Bjarne aveva annuito.
-Wammy ti considera
un
figlio, e per di più per lui sei intoccabile. Non
ascolterebbe
ragioni se la cosa venisse a galla.-
A quell'eventualità L non
aveva mai pensato, per cui si portò una mano al mento, con
espressione dubbiosa.
-Io credevo avrei
dovuto
aver paura di te e di Burton.- aveva detto infine. -Di te
perché sei
morbosamente attaccato a tua sorella, e di Burton perché uno
scandalo del genere nuocerebbe alla sua immagine.-
-Burton ora considera
davvero Kendra come sua figlia.- aveva ribattuto Bjarne.
-Probabilmente, ora come ora, sarebbe più propenso a farti
la pelle
se le facessi qualcosa di male, piuttosto che prendersela nel caso
scoppiasse uno scandalo. E per quanto riguarda me...-
E così
dicendo aveva preso
tre tazze dalla credenza.
-Non sono
“morbosamente
attaccato a mia sorella”.-
Aveva appoggiato le
tazze
sul tavolo e si era seduto.
-I miei genitori mi
hanno
dimostrato quanto può essere grande e disinteressato l'amore
verso
un'altra persona. Ed io non voglio bene a Kendra solo perché
abbiamo
lo stesso sangue, ma perché merita qualcuno che le voglia
bene.-
L aveva preso una
scatola
contenente diverse bustine di tè, zucchero, miele, latte e
limone,
aveva sistemato tutto su di un vassoio e si era seduto dal lato corto
del tavolo.
-Mettila come vuoi,
io
continuo a pensare che il vostro rapporto abbia qualcosa di
inquietante. Non da sempre, ma specialmente negli ultimi anni.-
Bjarne aveva aperto la
scatola e stava distrattamente sfogliando le varie bustine di
tè.
-Ho scoperto di
essere
malato.- aveva detto infine. L era trasalito a quella notizia.
-Cosa...?-
-Non ho l'AIDS, se
è quello
che ti stai chiedendo.- aveva sbuffato Bjarne, irritato. -Non
è che
se sono stato a letto con diverse ragazze e anche alcuni ragazzi
automaticamente devo avere qualche malattia sessualmente
trasmissibile.-
-Non ho mai pensato a
quello.- aveva ribattuto L. -In realtà, è da
quando ti ho rivisto
un anno fa che ho cominciato a sospettare che potessi essere malato.-
Si era accorto in
quel
momento che non aveva preso i cucchiaini, così si era alzato
ed era
andato a rovistare nel secondo cassetto, dove c'erano tutte le
posate, eccetto i coltelli più affilati e altri strumenti
pericolosi; quelli stavano nel terzo cassetto, che era chiuso a
chiave, per impedire che K, in uno dei suoi raptus, potesse farsi del
male.
-Sei sempre stato un
ragazzo
serio e studioso, ma ad un certo punto hai mollato
l'università, hai
cominciato a fare l'istruttore di surf, il barista, e altri mille
lavoretti. Viaggi molto, hai solo relazioni occasionali, hai anche
cominciato a scrivere. Inizialmente pensavo che potesse c'entrare la
rottura con la tua ex, ma poi sono giunto alla conclusione che un
simile cambiamento poteva essere dovuto al sapere di avere una
malattia che potrebbe portarti via tutto molto presto.-
Il bollitore aveva
fischiato, e L l'aveva messo in tavola assieme al resto.
-Spero di non
sembrarti
troppo freddo se non mi mostro profondamente addolorato per la tua
malattia, ma, credimi, mi dispiace sul serio.-
-Non ti preoccupare.-
aveva
risposto Bjarne, per poi aggiungere, abbassando lo sguardo: -Scusami
se ti ho chiamato “Aspie”.-
-Tua sorella lo fa
sempre
quando è nervosa, vale a dire che lo fa di continuo.- aveva
borbottato lui. -Se mi avesse dato fastidio, non ci sarei finito a
letto.-
Si erano poi versati
l'acqua nelle tazze, e avevano ripreso a parlare nell'attesa che il
tè fosse pronto.
-Ho la malattia di
Huntington.- aveva detto allora Bjarne. -L'ho scoperto quando ho
fatto la visita medica perché mi avevano richiamato per
combattere
in Iraq. A volte avevo dei formicolii, e ho voluto fare tutti gli
accertamenti del caso, sperando di farmi escludere dall'arruolamento.
Così mi sono procurato uno storico delle malattie dei miei
genitori
naturali, ho fatto i test ed è saltato fuori questo.-
Poi aveva soffiato
sulla
propria tazza, prima di riprendere.
-Io e Jane volevamo
sposarci, sai? Ne avevamo parlato spesso, e avremmo voluto farlo dopo
la laurea. Ma appena seppe della mia malattia non se la
sentì e ci
lasciammo. E a quel punto dovevo fare una scelta: completare gli
studi senza la borsa di studio dell'atletica, accendere un mutuo
universitario, laurearmi, trovare dei lavori abbastanza remunerativi
per ripagarmi i debiti, cercare di nuovo una relazione stabile che
accettasse la mia malattia e di starmi accanto quando sarebbe
peggiorata... oppure mollare tutto, sfruttare la salute che ancora
avevo, che ancora ho, per fare tutto ciò che avrei voluto
fare nella
vita, provando tutte le esperienze che potevo fare, provando a
realizzarmi. E ho scelto questa strada.-
Aveva provato a bere
un
sorso di tè, e i suoi occhi erano diventati lucidi.
-Ti chiederai
perché sono
diventato progressivamente più attaccato a Kendra... Beh...
Come
saprai, la malattia di Huntington ha tra i vari effetti quello del
calo delle capacità mentali. Alcune persone arrivano a non
riconoscere più chi gli sta intorno. E non credo di correre
questo
rischio coi miei genitori, dal momento che li conosco da quando ho
memoria, e li ho sempre frequentati anche dopo essermene andato di
casa. Ma con Kendra... le cose sono diverse.-
Si era voltato verso
L, con
uno sguardo pieno di dolore e di lacrime.
-Potrei svegliarmi un
giorno
e non sapere più chi è. È questa la
mia paura più grande.-
Erano rimasti in silenzio
per alcuni minuti, prima che L avesse il coraggio di alzarsi e
mettere una mano sulla spalla a Bjarne.
-Tra tutte le persone
al
mondo, penso tu fossi quella che meno tra tutte meritava un destino
simile.-
Il giovane l'aveva
ringraziato con lo sguardo.
-So cosa ti stai
chiedendo...- aveva poi cominciato a dire.
-Ebbene
sì, anch'io ho la
malattia di Huntington.-
Si erano voltati
entrambi e
avevano visto K sulla soglia della porta che conduceva al corridoio
sulle camere da letto e sul bagno. Indossava la felpa grigia
dell'università di Stanford che era stata di Bjarne, la
canottiera
bianca che di solito usava per giocare a basket e un paio di jeans a
sigaretta particolarmente stretti che le fasciavano le gambe lunghe e
perfette, e stava in piedi a braccia incrociate appoggiata allo
stipite.
-Mi chiedevo dove
fossi
finita.- aveva osservato allora Bjarne.
-Ho visto che stavate
parlando, ed è una cosa che non succede mai.- aveva
ribattuto lei,
sciogliendo le braccia e avvicinandosi. -Per questo non ho voluto
interrompervi.-
Si era diretta verso
una
delle ante della credenza e aveva tirato fuori degli shortbreads, dei
cookies e dei biscotti allo zenzero; poi aveva appoggiato tutto
malamente sul tavolo e si era seduta assieme a loro.
-Lo sai da due anni e
non mi
hai detto nulla?- le aveva domandato L, con una nota di risentimento
nella voce.
-Speravo di poterti
addestrare di modo che potessi prendere il mio posto.- aveva risposto
K, immergendo la sua bustina nella tazza piena d'acqua calda, col
viso mollemente appoggiato ad una mano e col gomito sul tavolo. -Ma
hai decisamente superato ogni mia aspettativa.-
L si versò un bicchiere
d'acqua e prese il cellulare dal comodino. Non sapeva se fosse o meno
il caso di mandare una mail a K per chiederle se ci fosse altro che
doveva dirgli in privato, ma poi pensò che a quell'ora stava
sicuramente dormendo, e non voleva rischiare che Misa sospettasse di
qualcosa.
Ripensare a Bjarne
gli
faceva uno strano effetto, ora. Avrebbe voluto rivederlo, per
ringraziarlo di tutto ciò che aveva fatto per loro, ma ormai
era
troppo tardi. Avrebbe voluto credere in un'esistenza dopo la morte,
per potergli parlare ora che non c'era più. Ma ormai era
troppo
tardi. Per qualunque cosa.
Note
Nel caso ve lo steste chiedendo.... No, non ho preso ispirazione da Dr.
House per la storia dei due fratelli con l'Huntington. Ho scoperto
l'esistenza di questa malattia da "Il mio finale - Parte 1" di Scrubs.
Tempo dopo aver finito la prima stesura di questa ff, hanno messo Dr.
House su Netflix e per caso ho scoperto che la stessa cosa succede
anche a Tredici e a suo fratello
|
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Capitolo 15 *** Capitolo 12 - Tensione e Scontro ***
Capitolo XII
Tensione
e scontro
Finalmente
L venne dimesso, e la sede delle indagini venne trasferita quel
mercoledì sera nel nuovo quartier generale, dove Watari
accolse
Light con le manette dalla catena lunga tre metri che l'avrebbe
legato a L. Ai due ragazzi venne assegnato un appartamento molto
grande, esattamente di fronte a quello di K, mentre Matsuda, il
sovrintendente e Mogi vennero sistemati al piano superiore. Aizawa
non aveva voluto trasferirsi assieme a loro, essendo sposato e con
due bambini piccoli. A Misa fu riservato un appartamento di lusso al
ventitreesimo piano. Vi si poteva accedere soltanto tramite ascensore
privato
con tanto di pass; una
vera prigione dorata.
Il
giovedì mattina gli agenti, tranne Aizawa, che sarebbe
giunto nel
pomeriggio, e Light cominciarono ad esporre a L i risultati delle
loro ricerche. Il detective li ascoltò attentamente uno ad
uno,
seduto sulla sua sedia girevole con le ginocchia al petto le mani
incrociate davanti al volto impassibile.
-Ottimo.-
disse infine. -Continuate pure così. In mancanza di altri
elementi,
ci concentreremo sugli omicidi dei criminali.-
-Con
tutto il rispetto, capo...- intervenne K, avvicinandosi. -Ma siamo
ormai certi del fatto che questo Kira non sia mosso dallo stesso
principio di giustizia che animava il primo, giusto?-
Light,
alle sue spalle, annuì.
-Certo.-
disse. -Sta agendo in modo abbastanza incurante, a mio avviso.-
-Come
dice Light...- riprese la giovane, voltandosi verso gli agenti.
-Vorrei mettervi al
corrente delle
conclusioni alle quali siamo giunti io e Ryuzaki.-
L
le fece segno di procedere, e lei passò ad illustrare la
teoria
secondo la quale chi veniva investito dei poteri di Kira potesse
avere un margine di libertà personale. Questo,
spiegò, poteva voler
dire che chiunque ci fosse in quel momento dietro la morte dei
criminali avrebbe potuto anche utilizzare quegli stessi poteri per i
propri fini personali.
-Propongo
pertanto di provare a controllare anche decessi sospetti per arresto
cardiaco tra i civili.- concluse. -Se trovassimo nelle cartelle
cliniche dei civili deceduti per arresto cardiaco dei casi sospetti
che possano avere un qualche collegamento, magari riusciremmo a
restringere il campo di ricerca.-
L
la guardava fisso, con un'espressione leggermente corrucciata.
-Questo
richiederebbe una mole di lavoro aggiuntiva non indifferente, e che
potrebbe non portare da nessuna parte.- disse infine. -Vuoi davvero
spremere questi agenti in questo modo?-
-Me
ne posso occupare io.- insistette lei. -Farò qualche
straordinario,
che ci vuole. Mi paghi per questo, no?-
Gli
altri agenti le rivolsero tutti uno sguardo a metà tra
l'ammirazione
e il puro terrore. Nessuno osava dire a L cosa fare, e se lui si
concentrava su di una pista, non c'era modo di convincerlo a
considerare altre ipotesi. Stava qui la maggiore differenza tra una
che lavora in squadra e uno che lavora da solo.
L
rimase in silenzio, sfregando tra loro i piedi nudi.
-E
va bene, Banks.- disse infine. -Fai le tue ricerche. Spero soltanto
che il fatto di seguire due casi contemporaneamente e caricarti di
compiti aggiuntivi non si ripercuota sulla qualità del tuo
lavoro.-
La
giovane lo ringraziò e salutò i presenti,
dirigendosi verso le
scale.
-Ah!-
esclamò allora Matsuda. -Quindi basta essere una bella
ragazza per
riuscire a farsi ascoltare da te!- continuò ridendo.
K
si fermò, si voltò e rivolse a
Matsuda un'occhiata
raggelante. -Se è per questo, Ryuzaki presta anche molta
attenzione
a quello che dice Light. Vorresti dire che anche Light è una
bella
ragazza?-
Mogi
scoppiò a ridere, e L intervenne, seccato. -Matsuda, anni fa
ho
lavorato per Nathalie, è stata lei ad avermi addestrato come
agente
investigativo.-
Il
giovane poliziotto, Mogi e Light sobbalzarono, e si voltarono tutti
verso K, che era ancora ferma vicino alle scale.
-Che
c'è?- chiese allora. -Vi sembra strano che una donna sia una
brava
detective?-
-Ma
siete entrambi giovanissimi!- esclamò allora Light.
-Guarda
che io sono più
vecchia di Matsuda.-
-Vogliamo
riportare la discussione su Kira, per cortesia?- li interruppe L,
seccato. K fece un cenno con la testa e se ne andò. Il
detective
riprese. -Concentratevi sulle vostre ricerche, per favore. Vorrei
avere quei dati il prima possibile.-
Light
era molto pensieroso negli ultimi tempi. Si sentiva disorientato, ed
era roso continuamente dal dubbio che potesse essere stato lui il
vero Kira. Era palese che i tre Kira rispondessero ad una diversa
visione della giustizia, ma quella del primo corrispondeva in modo
inquietante a quella che lui stesso aveva. E poi c'era Misa... Come
si erano conosciuti? Ricordava che si era presentata a casa sua,
dicendo che l'aveva visto... dove l'aveva visto? E poi aveva
insistito per essere la sua ragazza, ed era tutt'ora convinta di
essere la sua ragazza. Ma lui non poteva aver accettato... E allora
perché lei mostrava tutta quella sicurezza?
C'erano
molte cose che non si sapeva spiegare.
Quello
stesso pomeriggio, Misa insistette moltissimo per vederlo. Ryuzaki
sarebbe rimasto con loro; Light ne era in parte sollevato, sebbene
detestasse l'idea di dover rimanere ammanettato al detective
ventiquattro ore al giorno.
Raggiunsero
l'appartamento di Misa con l'ascensore, e quando lei aprì la
porta,
si gettò tra le braccia del ragazzo, urlando di gioia.
Ryuzaki se ne
stava poco distante, con le mani in tasca e le spalle curve, mentre
sfregava tra loro i piedi nudi.
Misa
tentò in tutti i modi di convincere Ryuzaki a liberare Light
dalle
manette e andarsene, ma lui non si smosse. Arrivarono anche Mogi e
Matsuda per controllare l'appartamento, com'era stato stabilito da
Nathalie, e questo infastidì ancora di più Misa,
che voleva restare
da sola con Light.
-Che
cosa credi che possa mai fare Light, da volergli stare sempre
appiccicato per controllarlo?- domandò la ragazza a Ryuzaki,
gonfiando le guance e sporgendosi verso di lui con le mani sui
fianchi.
-Non
lo so.- rispose lui, sbuffando. -Non ho idea di come funzioni questa
sottospecie di possessione, o come facciano a trasmettersi i poteri
di Kira. E io odio non capire.-
-Beh,
faresti meglio a risolverti i tuoi dubbi da solo e lasciare Light
insieme a me!- lo aggredì Misa.
Lui
le rivolse uno sguardo infastidito.
-Supponiamo
per un momento che ci sia una qualche entità che ha scelto
Light
Yagami come emissario di Kira.- disse, muovendosi verso uno dei
divanetti, sempre con le mani in tasca. Light lo seguì, ma
Misa lo
afferrò per un braccio prima che potesse sedersi accanto al
detective e lo trascinò sul divanetto di fronte, separato da
un
tavolino da tè, buttandosi a sedere e tirando giù
il ragazzo,
mentre Ryuzaki parlava.
-Ci
sarà stato sicuramente un motivo se la sua scelta
è ricaduta su di
lui. Magari perché riteneva che Light avesse le
capacità per
nascondere le proprie tracce. Perciò, non pensi che ci sia
una
possibilità che questa entità voglia riprendere
il controllo su di
lui? E che quindi sia ragionevole tenerlo costantemente d'occhio?-
-Secondo
me stai dicendo un mucchio di sciocchezze.- ribatté Misa,
che
stringeva ancora tra le mani il braccio di Light. -E poi, se anche
Light dovesse ottenere i poteri di Kira, farei di tutto per ottenerli
anch'io, così lo libererei da te!-
Light
trasalì. Sapeva che la posizione di Misa era molto precaria,
in
quanto vi erano prove tangibili che la riconducevano al secondo Kira.
Tracce dei suoi capelli erano state trovate sul nastro adesivo che
chiudeva i pacchi mandati dal secondo Kira alla Sakura TV; con le sue
parole, anche la posizione di Light si aggravava. Poi un altro
pensiero lo colpì: se Misa fosse stata il secondo Kira, e
ammettendo
che lui non fosse stato il primo Kira, cosa sarebbe successo se Misa
avesse recuperato i ricordi e la capacità di uccidere?
Avrebbe
ucciso lui e tutti quelli della task force, dal momento che avevano
tentato di ostacolare Kira?
Si
voltò a guardare Ryuzaki in volto, ma lui non pareva
sorpreso o
preoccupato. Sembrava incredibilmente apatico.
In
quel momento si sentì bussare alla porta, e quando si
voltarono
videro Nathalie sulla soglia. Si era cambiata; durante le riunioni
portava sempre un completo elegante blu, gonna, giacchetta e tacchi,
e teneva i capelli bianchi raccolti. Ora, invece, portava jeans
grigi, una maglietta bianca molto larga e un paio di anfibi neri.
Pareva molto più giovane, truccata solo leggermente, senza
parrucca
né lenti. Light era giunto alla conclusione che Nathalie era
di
certo fortunata rispetto a molte altre persone affette da albinismo.
La sua pelle non era propriamente bianchissima, bensì
lattea.
Nascosti i capelli bianchi e gli occhi rossi, poteva passare per una
qualsiasi ragazza di origini nordiche. Non era difficile,
considerando i suoi lineamenti delicati, gli zigomi alti e il fine
naso all'insù. Non era nemmeno affetta da strabismo o da
grossi
deficit visivi: portava di sicuro le lenti a contatto e usava sempre
gli occhiali da sole davanti ai monitor, ma per il resto non sembrava
avere altri problemi.
-Avete
lasciato la porta aperta.- disse.
Light
si era alzato per salutarla, e poi ne aveva approfittato per andarsi
a sedere di fianco a Ryuzaki.
La
giovane si avvicinò loro e tese un foglio al detective, che
non si
era mosso di un centimetro.
-Ti
ho fatto una copia dello schema con cui analizzerò le morti
per
arresto cardiaco sospette tra i civili.- disse. -Penso di
concentrarmi su una zona di Tokyo alla volta, dal momento che penso
sia ragionevole supporre che anche questo Kira viva qui, come i primi
due.-
Ryuzaki
mugugnò qualcosa, mentre leggeva distrattamente.
-Classificherò
le vittime in base a quartiere di residenza, professione, estrazione
sociale, affiliazioni ad associazioni, istruzione, età
eccetera. Tra
qualche giorno Watari dovrebbe essere in grado di procurarmi una
lista dei morti per arresto cardiaco negli ultimi due mesi dagli
ospedali del distretto di Shirokane.-
-Hai
scelto un quartiere ricco perché supponi che, se questa
persona
volesse usare il potere di uccidere per i propri scopi, possa voler
puntare ad arricchirsi.- commentò Ryuzaki, prendendo a
sfregarsi col
pollice il labbro inferiore. -È una conclusione abbastanza
ovvia, ma
temo che non ti faciliterà di molto il compito.-
-È
una scommessa.- ribatté la giovane. -Al momento non abbiamo
altre
piste, e tu non puoi esporti per sfidare questo nuovo Kira, anche
perché dubito che sarebbe abbastanza scaltro da poter
rispondere
senza rivelare nulla della sua identità. E questo
probabilmente lui
o lei lo sa.-
-Se
dovete parlare di lavoro, potete anche andarvene e lasciare me e
Light da soli.- protestò Misa. Ryuzaki non le fece caso e
guardò di
sottecchi Nathalie.
-In
ogni caso, non potevi dirmelo in un altro momento?- Le
restituì il
foglio. -Non era il caso che venissi qui. Non hai altro su cui
lavorare?-
Nathalie
fece un sorriso un po' inquietante e poi guardò Misa. -So di
aver
detto di non avere intenzione di partecipare ai vostri incontri, ma
mi stavo annoiando e morivo dalla voglia di vederti battibeccare con
Amane.-
-Bene,
Nathalie...- sogghignò lei. -Perché non ti fermi
anche tu e cerchi
di tenere Ryuzaki impegnato mentre io cerco di passare del tempo col
mio ragazzo?-
Light
trasalì. Nathalie rise. -Penso che basterebbe una fetta di
torta con
un sacco di panna a tenerlo impegnato.- disse, alzandosi dal divano.
-Ma credo che per il momento mi fermerò a godermi questo
teatrino.-
E
così dicendo, tornò verso la soglia della porta
per togliersi gli
stivali.
-Non
mi parlare di torte con la panna, dannata sadica.- protestò
Ryuzaki.
-Non vedo un dolce da quando ti ho rincontrata, e questo mi rende
davvero poco tollerante nei tuoi confronti.-
Nathalie
lasciò a terra vicino agli anfibi la sua borsa di tela verde
militare e tornò verso di loro.
-Sta'
calmo.- disse, con una risatina. -Watari sta arrivando con della
macedonia. Ti prometto che avrai un dolcetto quando avrai catturato
Kira.-
Misa
si alzò e si allontanò per andare in bagno
ondeggiando i fianchi.
Quel giorno indossava un top corto e aderente, una minigonna,
anch'essa aderente e delle calze alte fino a metà coscia.
Sembrava
ancora più bassina e molto più curvilinea di
quanto non fosse in
realtà. Era pomeriggio inoltrato e la luce entrava dalle
grandi
vetrate. L si alzò dal divano, vi si avvicinò per
chiudere le
spesse tende, costringendo Light ad alzarsi e seguirlo, e poi
tornò
a sedersi sul divanetto rivolto verso la finestra, facendo segno al
ragazzo di accomodarsi accanto a lui. Nathalie si buttò a
sedere di
fronte a loro, con le gambe divaricate ed un braccio mollemente
appoggiato sul bracciolo. Misa tornò con un trucco
leggermente più
accentuato, si sistemò di fianco a Nathalie, e si
stiracchiò le
gambe.
Poi
si voltò verso la giovane, con uno sguardo pieno di
disapprovazione.
-Sembri
una camionista.- le disse, incrociando le gambe e raccogliendo le
mani in grembo.
Portarono
infine del tè e della macedonia. Misa parlava tantissimo,
soprattutto tentando di convincere L a permettere a lei e a Light di
avere un appuntamento al di fuori del quartier generale.
-Non
se ne parla.- ripose lui. -Anche perché io dovrei seguirvi,
e non
sarebbe normale vedere girare per Tokyo due persone ammanettate.-
-E
allora perché non lo liberi?- protestò lei.
-Potrai venire anche tu
e portarti la spilungona.-
-La
spilungona non è il vostro cagnolino da compagnia.- rispose
Nathalie, senza guardare nessuno dei presenti in faccia, col viso
appoggiato mollemente sulla mano. Pareva molto annoiata.
Ryuzaki
sembrava sul serio preso più dalla sua macedonia che dalla
conversazione, sebbene a volte provasse a tornare sul discorso Kira.
Light
cominciava ad innervosirsi.
-Ryuzaki.-
disse infine. -Siamo in questo nuovo quartier generale super
attrezzato, però... mi sbaglio o mi pare di capire che non
hai
nessuna voglia di lavorare?-
-Voglia
di lavorare, dici?- fece lui, fermandosi col cucchiaino a mezz'aria.
-Non ne ho.-
-Infatti
dovreste ringraziare che ci sia io.- borbottò Nathalie.
-A
dire il vero sono depresso.- riprese il detective, con lo sguardo
fisso nel vuoto.
-Sei
depresso?-
-Già.-
E
così dicendo raccolse una fragola e se la mangiò.
-Il
fatto è che ho sempre sospettato che tu fossi Kira, e ora
che questa
pista è andata in fumo mi sento, come dire, piuttosto
depresso.-
-E
certamente le nostre supposizioni sul fatto che in realtà le
vostre
azioni, o meglio, le vostre volontà fossero manovrate, non
ci sono
di alcun aiuto a questo punto del caso, con un nuovo Kira libero di
agire indisturbato.- intervenne Nathalie.
-Inoltre,
se Kira fosse capace di una cosa simile, catturarlo non sarebbe
facile.- concluse Light.
-Già...
Per questo mi sento depresso.- concordò Ryuzaki. -Se la
persona
manovrata per uccidere i criminali venisse catturata, il suo potere
passerebbe a qualcun altro, e io mi ritroverei con un pugno di mosche
in mano.-
-Beh,
ma non è ancora detto, no?- cercò di tirarlo su
Light, che lo
ascoltava a braccia incrociate. -Dai, Ryuzaki... ritrova il tuo
entusiasmo!-
-Entusiasmo?-
ripeté il detective, sempre apatico. -Beh, non ne ho per
niente.
Anzi, penso che farei bene a non impegnarmi neanche troppo.-
Poi
alzò lo sguardo verso il soffitto e si infilò un
dito in bocca,
pensieroso.
-Anche
se ce la mettessi tutta per acciuffarlo non farei altro che mettere a
repentaglio la mia vita. Non credi?-
Nathalie
aveva un'espressione disgustata sul volto pallido. Light allora si
alzò in piedi, calmo; chiamò il suo compagno,
stringendo il pugno,
e, non appena quello si fu girato, lo colpì con violenza sul
volto
cinereo ed impassibile. Il giovane finì sbilanciato e stava
per
cadere a terra; così, con un gesto fulmineo,
lanciò la coppa che
teneva nella mano sinistra verso il tavolo. Questa girò su
se
stessa, e lo sciroppo di fragola, che si era formato sul fondo, si
rovesciò un po' ovunque, compreso addosso a Nathalie, che
stava
seduta proprio di fronte al detective. Questi si parò la
caduta col
braccio ora libero, ma fece comunque cadere vaso dietro di lui,
mentre e Light aveva inavvertitamente rovesciato il tavolino da
tè
nel momento in cui veniva trascinato anch'egli a terra dalla catena
che lo legava a Ryuzaki.
Misa
si alzò di scatto dal divano, urlando, mentre Nathalie
ringhiò uno
Shit! e
prese un fazzoletto
per pulirsi di dosso lo sciroppo rosso.
Ryuzaki si mise a sedere,
col volto stralunato.
-Mi hai fatto male, sai?-
disse, con voce vuota.
-Mi prendi in giro?- lo
aggredì Light, con voce colma di rabbia. -Solo
perché io non sono
il vero Kira e i tuoi ragionamenti sono andati in fumo ti è
passata
la voglia di catturarlo, eh?-
Il detective si
strofinò la
guancia colpita con la manica della maglia bianca slabbrata.
-No, ma anche continuando le
indagini non arriveremmo a nulla di buono, quindi tanto vale
rinunciare, no?-
Light fece un passo verso di
lui, col pugno ancora serrato.
-Ma se non gli diamo la
caccia mi spieghi come facciamo a prenderlo? Perché non
pensi a
tutti gli innocenti che hai già coinvolto... eh?!-
E così dicendo gli
si
avvicinò di nuovo, prendendolo per la collottola e
portandosi a
pochi centimetri dal suo volto esangue.
-E poi sei stato tu a
mettere me e Misa in una cella, o ricordo male?-
Ryuzaki gli rispose con tono
tranquillo.
-Sì, ti capisco.
Ma
qualunque siano le tue ragioni, Light...-
E, in un istante, si
liberò
della presa del ragazzo, si piegò sulle braccia ed gli
assestò un
forte calcio in faccia.
-... Non c'è colpo
che non
rendo.- concluse, con un ringhio sordo nella voce.
Lo slancio del calcio fece
indietreggiare Light, che si portò dietro Ryuzaki, ed
entrambi
finirono sul divanetto, che si rovesciò a terra. Misa
gemeva, con le
mani raccolte sotto il viso, mentre Nathalie osservava la scena,
impassibile.
Ryuzaki si rialzò.
-Il punto non è
tanto che i
miei ragionamenti sono andati in fumo, quanto il fatto che il caso
non si può risolvere identificando te come Kira e Misa Amane
come il
secondo Kira. Per questo mi sono un po' scoraggiato. Sono un essere
umano anch'io, che male c'è?-
Light si infuriò
di nuovo,
e si alzò da terra, dicendo: -Che male c'è? Da
come parli
sembrerebbe che saresti soddisfatto solo se fossi io Kira.-
Il detective allora si mise
a quattro zampe, fronteggiando Light, pronto ad attaccare ancora.
-Soltanto se tu fossi Kira?-
ripeté, con tono sempre più rabbioso.
-Sì, può anche darsi,
certo.-
Il suo sguardo era diventato
sempre più penetrante e ostile.
-L'ho capito soltanto
adesso. Avrei tanto voluto che Kira fossi tu.-
Quegli occhi furenti fecero
di nuovo perdere la testa a Light, che lo colpì proprio in
mezzo
alla faccia.
Ryuzaki non cercò
di
togliersi quel pugno dal viso, ma, anzi, si spinse ancora di
più in
direzione del ragazzo, lasciando che le sue nocche gli ferissero le
palpebre.
-Te l'ho già detto
che non
c'è colpo che non renda.- rantolò furioso, mentre
il suo intero
corpo tremava.
Misa continuava a fissare la
scena con gli occhi spalancati, mentre Nathalie si era ormai arresa
nel suo tentativo di pulirsi la maglietta.
-Guarda che io sono
piuttosto forte, Light.- aggiunse, prima di voltarsi di scatto,
cogliendo nuovamente Light di sorpresa, e assestandogli un calcio
rotante che fece perdere al suo avversario l'equilibrio.
K fece una smorfia.
-I
wouldn't have given you two bits right now, boy.-
sussurrò, cercando di nascondere il perverso piacere che le
dava la
vista del boia di suo fratello preso a calci.
Ma
i due si rotolarono a terra continuando a colpirsi, mentre
la
catena che li teneva legati sbatteva ovunque facendo un gran chiasso.
Di sicuro gli altri agenti li stavano vedendo dalle telecamere di
sicurezza, difatti in quel momento il telefono squillò.
Eppure i
due, troppo presi dallo scontro, non ci stavano facendo caso. K,
innervosita, fece cenno a Misa di rispondere, mentre continuava a
guardare i due ragazzi, serrando i pugni un po' di più, ogni
istante
che passava.
Ad
un certo punto, Light spinse L a terra; questi non riuscì a
parare
la caduta, e la sua testa mancò per pochi centimetri lo
spigolo del
tavolino da tè in vetro che stava riverso sul pavimento.
E
K per un attimo perse il senno.
Light
si piegò verso il suo avversario, steso a terra, caricando
un altro
pugno mentre lo teneva di nuovo per la vecchia maglia slargata, ma ad
un tratto sentì un brivido corrergli lungo la schiena. Si
voltò di
scatto e vide Nathalie alzarsi in piedi, gli occhi rosso fuoco,
pulsanti, con le pupille strettissime, la maglietta sporca di
sciroppo che in quel momento gli parve sangue, i lunghi capelli
bianchi e mossi danzare attorno alla sua figura slanciata ad ogni suo
passo pesante e marziale. Gli arrivò alle spalle, lo
afferrò per la
vita e lo strappò via da Ryuzaki, che stava sotto di lui, e
bloccò
quest'ultimo, che si stava già rialzando per ricominciare lo
scontro, piantandogli un piede sul petto. Teneva il braccio destro
teso in direzione di Light, con la mano alzata per intimarlo a
rimanere dov'era.
-La
volete piantare voi due?- urlò loro. I suoi occhi
insanguinati
pulsavano forte.
Light
rabbrividì a quella vista, ma si scusò subito,
balbettando, e fu
subito raggiunto da Misa, che gli si gettò al collo con le
lacrime
agli occhi, mentre Ryuzaki rimase ancora a terra qualche istante,
guardandolo male.
Misa
prese ad accarezzare il volto del ragazzo. -Light! Light! Tutto
bene?- Si voltò poi verso Ryuzaki. -Adesso ti faccio vedere
io,
brutto maniaco!-
-Misa,
non ti ci mettere anche tu.- ringhiò Nathalie, strizzando
gli occhi.
Poi abbassò il braccio e si voltò verso Ryuzaki,
tendendogli la
mano, ma quello distolse lo sguardo, infastidito, e si
rialzò da
solo.
-Per
quanto questo teatrino sia stato particolarmente esilarante e non mi
abbia fatto pentire della mia decisione di restare con voi,
è ora
che ci diate tutti un taglio.-
Light
si scusò ancora, e fece per allontanarsi per rimettere a
posto i
mobili rovesciati durante la colluttazione, ma Ryuzaki lo stava
tenendo fermo per la catena. Il ragazzo si voltò, e vide che
il
detective si era piantato a due spanne dal volto di Nathalie, con
sguardo furente, ritto sulla schiena: era la prima volta che lo
vedeva ergersi in tutta la sua altezza, e solo in quel momento
notò
che era alto quasi dieci centimetri in più rispetto alla
giovane
donna.
-I've
heard what you've said before.- sibilò tra i
denti. -Stop.
Calling. Me. “Boy”.-
-Then
behave like the adult you're supposed to be.-
ribatté lei,
incrociando le braccia, ma, nel farlo, emise un gemito di dolore, e
lasciò cadere il braccio sinistro lungo il fianco.
-Shit.-
disse ancora, prima di tornare a guardare Ryuzaki negli occhi.
-Rimettiti
al lavoro.- riprese, in giapponese. -Perché se non fosse
stato per
me, ma anche per Light, ci ritroveremmo ancora ad un punto morto
delle indagini. E intanto qui stanno perdendo la vita non soltanto
criminali, ma anche civili.-
Poi
si voltò verso i ragazzi, massaggiandosi la spalla sinistra.
-Misa,
potrei usare il tuo bagno per pulirmi da 'sta cosa?-
domandò,
indicandole con lo sguardo la maglietta sporca di sciroppo.
-Sì,
certo.- disse lei, tornando a guardare preoccupata il volto di Light.
-Ah, e prendi pure qualcosa di mio da metterti, al posto di quella...
ehm... cosa che hai addosso. Puoi usare il bagno privato di camera
mia, scegli qualcosa di carino da metterti dal mio armadio.-
K
andò verso la porta e prese la sua borsa a tracolla di tela
verde
militare, mentre i due ragazzi rimettevano a posto tutta la
confusione che avevano creato, poi entrò nella camera da
letto di
Misa.
L'appartamento
riservato alla ragazza era molto grande, e la camera da letto non
faceva eccezione, eppure Misa era riuscita a riempire completamente
la stanza di peluche inquietanti, cuscini, poster emo-goth e oggetti
d'arredamento decisamente fuori dal comune. C'era pure uno scaffale
intero su cui facevano bella mostra diverse teste di polistirolo con
altrettante parrucche, e K era certa che l'enorme armadio quattro
stagioni che copriva un'intera parete fosse pieno zeppo di vestiti.
Si
chiuse a chiave nel suo bagno e si sfilò la maglietta
sporca. Non
pensava che L sarebbe riuscito ad offrirle un'occasione del genere
per frugare tra gli effetti personali di Amane in così poco
tempo.
Certo, era quello il motivo per cui si era fermata quel pomeriggio e
per cui aveva fatto preparare della macedonia, ma non si sarebbe mai
aspettata che, per trovare l'occasione per rovesciarle la sua coppa
addosso, L avrebbe indotto Light a cominciare una rissa. Magari non
lo aveva nemmeno fatto apposta. Dopotutto, lei non si sarebbe mai
aspettata che Light potesse cedere in questo modo alla violenza, per
quanto fosse comprensibile, visto e considerato il lungo periodo di
prigionia (che non si era, in realtà, ancora concluso).
Forse L
aveva bisogno di sfogare in qualche modo la sua frustrazione, per cui
aveva volutamente cercato la rissa. Come tutte le volte che avevano
litigato e avevano risolto le loro tensioni con una scazzottata tra
amici, che si concludeva sempre con una bella risata e due birre
fresche.
K
scosse la testa. Non era il caso di abbandonarsi ai ricordi o alle
elucubrazioni mentali, in quel momento. Si trovava lì per un
motivo
preciso. Tirò fuori dalla tracolla un paio di guanti e una
busta di
plastica trasparente. Aprì il cesto della biancheria sporca
e ne
tirò fuori una sottoveste rosa che aveva un odore abbastanza
forte.
La chiuse nella busta di plastica e se la mise nella borsa, poi si
sfilò i guanti, andò al lavandino e si
pulì la pancia dalle tracce
di liquido rosso. Uscì dal bagno coi soli jeans e il
reggiseno nero
addosso.
In
quel quartier generale ognuno doveva occuparsi delle proprie pulizie,
del proprio bucato e occasionalmente dei pasti: Watari si faceva
recapitare ogni giorno la spesa e la distribuiva ai vari
appartamenti, così che ognuno potesse svolgere le proprie
faccende
domestiche. Ma K aveva bisogno di un indumento della ragazza per
usarlo, nel caso in cui si fosse reso necessario, per far seguire le
sue tracce dai cani, motivo per cui aveva ritenuto necessario
organizzare quella messinscena; difatti, la perquisizione
dell'appartamento della ragazza avveniva sempre in coppia, e K non
voleva che gli altri agenti sapessero del suo piano parallelo di
sorveglianza (o meglio, spionaggio) di Misa.
Ma
il suo lavoro non era ancora finito; si rimise i guanti e prese a
frugare velocemente nei cassetti, facendo attenzione a lasciare tutto
esattamente al suo posto, finché non trovò quello
che le
interessava: la collana preferita di Misa, quella che portava quasi
sempre quando usciva, quella col grande ciondolo d'acciaio la cui
forma ricordava la punta di una lancia, o il simbolo araldico del
giglio. Estrasse dalla propria borsa la sua copia esatta, che aveva
fatto preparare prima che la ragazza uscisse di prigione; aveva
infatti inviato l'originale, sequestrato al momento dell'arresto
assieme agli altri suoi effetti personali, ad un orafo, e se lo era
fatto riconsegnare prima che venisse scarcerata. La copia, che era
stata recapitata a Watari soltanto quella mattina, ospitava una
cimice, un localizzatore GPS e una microtelecamera, come quelle che
solitamente metteva il PPEP addosso a lei, il tutto reso
però più
piccolo, più preciso e più funzionale grazie alle
modifiche fatte
dal geniale inventore. K sperava vivamente che Misa avrebbe
continuato ad indossarla anche fuori dal quartier generale, per
poterla controllare meglio. In molti dei suoi vestiti aveva fatto
nascondere GPS e cimici, ma temeva che, se Light avesse recuperato i
ricordi di Kira, l'avrebbe persuasa a controllare tutto il suo
guardaroba e a disfarsi di tutto.
Il
ciondolo, invece (K continuava a sperarlo) magari sarebbe passato
inosservato.
Si
voltò infine verso il grande armadio, sospirando. Ora doveva
cercare
qualcosa da mettersi. Misa, per quanto ne sapeva, indossava
soprattutto bustini, vestiti da gothic lolita, al massimo top o
comunque maglie aderenti, e K aveva le spalle larghe, era alta quasi
venti centimetri più di lei e, sebbene avesse più
o meno la stessa
misura di seno, aveva anche il busto più ampio. Ma se anche
avessero
avuto lo stesso fisico, K odiava quel genere di vestiti; sebbene
fosse sempre stata consapevole del suo bel fisico, ai limiti di una
vanità molesta, odiava in generale pizzi, gonne a sbuffo,
vestiti
appariscenti e quel genere di cose, prediligendo, al di fuori del
lavoro, abiti tipicamente maschili, come felponi, magliette larghe,
giacche di pelle, la camicia tartan di Bjarne, delle Converse o i
suoi vecchi anfibi, look che in passato le era valso diverse battute
del tipo: “Sei appena uscita da una band grunge?”.
Dopo
molto frugare, alla fine trovò un crop top color blu mare
molto
corto, ma che per lo meno le entrava; se lo infilò ed
uscì.
-Non
potevi trovarti qualcosa di meglio?- le chiese Misa, che era seduta
sul bracciolo del divano accanto a Light, quasi addosso a lui, mentre
L era tornato al suo posto e beveva il suo tè completamente
indifferente. -Non ricordavo nemmeno di avere una maglia del genere.
Vuoi mettere in mostra i tuoi addominali da uomo?-
-Ti
ringrazio per la disponibilità...- rispose K, tirando su i
jeans
grigi a sigaretta. -... ma ho le spalle troppo larghe per le tue
magliette aderenti e i tuoi bustini mi schiaccerebbero troppo le
tette.-
A
Light andò di traverso la cucchiaiata di macedonia e
cominciò a
tossire, mentre Misa rideva.
-Oh,
scusate...- fece Nathalie, tornando a sedersi. -A volte scordo che i
giapponesi hanno un diverso senso di ciò che sia appropriato
dire in
pubblico.-
La
maglietta le arrivava all'ultimo paio di costole, lasciando in vista
gli addominali e una cicatrice rossa diversi centimetri sotto
l'ombelico. Anche le spalle erano rimaste scoperte: alla destra c'era
un'altra cicatrice lunga, e alla sinistra si intravedeva il buco del
proiettile, in quel momento visibilmente arrossato. Forse era quello
il motivo per cui, poco prima, aveva avuto quel gemito di dolore? Si
era fatta male nel tentativo di dividere lui da Ryuzaki?
-Come
te le sei fatta tutte quelle cicatrici?- domandò Misa.
-Più ti
guardo, più mi sembri un uomo. Non è che sei un
trans?-
Light
pensò che nemmeno quello era qualcosa di appropriato da
chiedere.
Ogni tanto Misa gli dava fastidio col suo atteggiamento troppo
bambinesco; faceva parte dell'essere una idol,
ma poteva essere molto irritante a volte. Certo, d'altra parte
continuava ad accettare di stare al suo fianco e di proteggerla come
meglio poteva, dal momento che lei aveva dovuto subire delle torture
terribili durante la sua prigionia, e lo aveva fatto solo per amor
suo. Poteva biasimarla se si era presa una cotta del genere per lui?
Tuttavia,
Light a volte temeva che, se davvero lui stesso era stato Kira, era
probabile che avesse approfittato dei sentimenti che Misa provava nei
suoi confronti, per manipolarla. Non aveva idea di come si fossero
conosciuti, sapeva soltanto che una sera se l'era ritrovata davanti
alla porta di casa e l'aveva fatta salire in camera sua senza
esitazione. Ricordava anche vagamente che ci fosse stato un bacio tra
loro due, ma sperava vivamente di sbagliarsi: Misa era indubbiamente
attraente, ma per nulla il suo tipo; per questo non avrebbe voluto
illuderla.
Le
lanciò un'occhiata carica di senso di colpa, mentre la
guardava
discutere con Nathalie, che la stava rimproverando per le sue idee
bigotte sulle persone transessuali.
-Per
quanto riguarda le mie cicatrici, invece...- aggiunse, infine.
-Diciamo che sono piccoli inconvenienti del voler sempre pestare i
piedi agli altri.-
Nathalie
si versò una tazza di tè, e poi si mise a sedere
di fianco a
Ryuzali. Ma Light e Misa continuavano a guardarla, perciò
sospirò e
iniziò ad indicarsi le cicatrici. -Incidente stradale,
sparatoria,
scommessa... intervento chirurgico- concluse, passando
il dito
sul ventre.
-Beh,
è un peccato...- disse Misa, guardandola pietosamente.
-Saresti
potuta essere davvero carina, se non fosse... beh, insomma, per
tutto.-
Light
si voltò di scatto per fulminarla con lo sguardo. -Misa!-
esclamò
indignato. Ma Nathalie scoppiò a ridere.
-Bitch,
I'm fabulous.- disse
in inglese, e nel farlo scosse i folti capelli bianchi con una mano,
piegando le labbra in un sorriso inquietante. Misa scoppiò
nuovamente a ridere.
-Stai parlando con la
persona più straordinariamente vanitosa che abbia mai
conosciuto.-
intervenne Ryuzaki, aprendo bocca per la prima volta da quando
avevano finito di azzuffarsi.
-Non esagerare.-
protestò
bonariamente la giovane, voltandosi verso il detective. -Se fossi
così straordinariamente vanitosa, mi definirei
tranquillamente la
persona più intelligente in questa stanza.-
-In quel caso saresti
stupida, non poco vanitosa.- ribatté lui, continuando a
sorseggiare
il suo tè non zuccherato.
Lei rise e si
voltò di
nuovo verso Misa.
-E comunque nemmeno a me
piacciono tutti questi muscoli.- riprese. -Ma vedi, sono stata
sequestrata da un gruppo paramilitare, e ad un certo punto ho dovuto
cominciare ad addestrarmi insieme a loro, se volevo avere qualche
possibilità di riuscire a difendermi.-
-Wow! Che forza!-
esclamò
la ragazza, unendo le mani e sporgendosi in avanti.
-Non ti sembra di star
esagerando coi dettagli sul tuo conto?- la rimproverò invece
Ryuzaki, lanciandole un'occhiataccia.
-Faccio conversazione,
Ryuzaki.- rispose lei in tono condiscendente. -Provaci anche tu, ogni
tanto.-
-A proposito delle persone
che ti hanno tenuto prigioniera...- intervenne allora Light. -Ci sono
novità per quanto riguarda quelle persone?-
-Quando sarà il
momento di
diffondere quel tipo di informazione, tuo padre e gli altri saranno i
primi a saperlo.- rispose lei, ritornando d'un tratto seria. -Come ti
ho già detto, non ho intenzione di condividere certi
dettagli con
te, nell'eventualità che tu fossi Kira e che possa ritornare
in
possesso di quei poteri.-
A
quel punto si alzò per andarsene, e promise a Misa che
sarebbe
tornata il prima possibile per restituirle la maglietta.
-Sìììì
per favore, torna!- fece Misa, tutta felice. -E magari la prossima
volta ti trovo io qualcosa di più carino da metterti. Ma
quella la
puoi tenere, te la regalo! Tanto ho sbirciato nel tuo guardaroba e ho
visto che hai solo un paio di vecchi stracci.-
Nathalie
si appoggiò allo schienale del divanetto sul quale era
seduto L,
come quando era arrivata, e tirò un gran sospiro. -Mi
spiace, Misa,
ma non ti farò da sorellina o da migliore amica del cuore,
per
quello chiedi a Matsuda.-
Light
e Misa risero. Effettivamente, Matsuda era parso incredibilmente
sovraeccitato all'idea di avere a che fare con la famosa
“Misa
Misa”.
-Senza
offesa, eh, Matsuda!- urlò poi, rivolta alla telecamera.
Light
pensò che Matsuda li stava sicuramente guardando dai monitor
della
sorveglianza, e che probabilmente in quel momento si stava
arrabbiando come suo solito perché nessuno pareva prenderlo
sul
serio come poliziotto.
-Ma
potremmo uscire a comprarti qualcosa di carino, un giorno!-
insistette la ragazza. -Ho visto che hai solo vestiti pesanti, e sta
facendo davvero tanto caldo!-
-Potrebbe
non essere una cattiva idea.- intervenne allora Ryuzaki, appoggiando
la tazza sul tavolino da tè.
Nathalie
alzò gli occhi al cielo.
-Certo,
se vuoi che gli amichetti di Grumann vengano a finire il lavoro
piantandomi una pallottola in testa.- sbuffò.
-Pensavo
proprio a quello infatti.- disse Ryuzaki, mentre teneva lo sguardo
fisso sulle dita dei piedi che stava stiracchiando. -Finalmente si
avrebbe un po' di pace in questo posto.-
Nathalie
fece per tirargli uno scappellotto, ma si bloccò a
metà del gesto.
-Girati.-
ordinò.
Il
detective non si mosse, perciò lei si sporse dallo schienale
del
divano, gli prese il mento tra le dita e tirò il suo viso
dietro di
sé.
-Hai
un aspetto peggiore del solito.- bofonchiò, e poi lo
lasciò andare.
Si
rimise dritta, si voltò e andò dritta verso la
cucina di Misa.
-Hai
bisogno di qualcosa?- domandò Misa, alzandosi in piedi.
-No,
grazie.- fece lei.
Light
allora si girò verso Ryuzaki e vide che la sclera dei suoi
occhi si
era arrossata, e le orbite stavano diventando viola. Ecco
perché se
n'era stato tutto il tempo con lo sguardo basso.
Sentirono
dei rumori in cucina, e poi videro tornare Nathalie con uno
strofinaccio appallottolato e legato per le estremità
attorno a
quello che Light intuì essere ghiaccio.
-Non
lo sai che in Giappone si chiede prima di usare la cucina in casa
d'altri?- la rimproverò Ryuzaki, ignorando il pacchetto che
lei gli
stava porgendo.
La
giovane sbuffò, e gli passò davanti,
appoggiandogli in modo
grossolano il ghiaccio sul viso.
-Scusami
Amane per i miei modi rozzi.- le disse. -Ho vissuto troppo tempo con
dei militari americani reietti. E L, credo che il tuo malumore derivi
dalla crisi di astinenza da zucchero.- aggiunse, guardandolo di
sottecchi. Poi andò verso la porta, si infilò gli
anfibi, prese la
sua borsa e tornò indietro, rovistando dentro.
-Tieni.-
disse, porgendo al detective un piccolo involucro di stagnola.
-Cioccolato fondente. Per la serotonina.-
Ryuzaki
si tolse l'impacco di ghiaccio dagli occhi e prese il cioccolato,
mormorando un “grazie” a denti stretti.
Nathalie
continuava a guardarlo torva, poi si voltò a salutare Light
e Misa.
-D'ora
in avanti voglio vederti dare il cento percento in questo caso.-
disse ancora rivolta a Ryuzaki, mentre se ne andava.
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Capitolo 16 *** Capitolo 13 - La voce del lago e quella del mare in tempesta ***
Capitolo XIII
La voce del lago e quella
del mare in tempesta
Quella
sera, Light volle parlare di K. Chiese a L perché non fosse
mai
andato a trovarla in ospedale dopo la sera della sparatoria,
riducendosi così a rincontrarla e riconoscerla solo per
caso. Sapeva
che Grumann stava puntando la pistola contro di lui, al momento dello
sparo, e che lei si era messa in mezzo per proteggerlo.
-Anche
se non ti importava di Nathalie Banks...- disse. -...sarebbe stato
per lo meno cortese da parte tua andarle a fare una visita per
assicurarti di persona che stesse bene.-
L
cercava di essere il più cauto possibile con le informazioni
da
dargli.
-C'è
stato il tuo arresto di mezzo, non penserai mica che potessi perdere
tempo in visite di cortesia...-
-Ma
ti ha salvato la vita!- protestò Light. -Un minimo di
riconoscenza
sarebbe stata... umana.-
-Vedi,
Light...- cominciò L, buttandosi sul letto, con le mani
intrecciate
dietro la testa. -Ho perso molti uomini, durante le mie indagini. Non
c'è da stupirsi che sia stato così... insensibile
di fronte alla
visione di una donna che conoscevo appena che perdeva soltanto del
sangue da una spalla.-
-Ma
in realtà non è vero che la conoscevi appena!-
ribatté Light,
avvicinandosi al letto e piantando gli occhi in faccia a L. -L'ha
detto anche lei oggi. È stata la tua maestra, avete lavorato
insieme!-
L
non era molto convinto che rivelare questo dettaglio fosse stata una
mossa intelligente, ma era il modo più sicuro per non
destare
sospetti. Lui e K si capivano senza bisogno di parlare, erano in
perfetta sintonia quando lavoravano insieme: chiunque avrebbe
sospettato che si conoscessero da tempo. Mentre rifletteva su tutto
ciò, il detective continuava a fissare il soffitto. Poi
parlò: -Da
quanto ti interessa così tanto Nathalie?-
Light
rimase interdetto. -Cos... Andiamo, Ryuzaki, non sei tipo da
fraintendere certe cose...- Distolse lo sguardo e andò a
sedersi sul
proprio letto. -È che sembra una che ha passato una vita
d'inferno... E non posso credere che accetti di lavorare per te.-
Rimasero
entrambi in silenzio. Poi Light riprese.
-Ha
detto che il segno che ha in faccia è il risultato di una
scommessa... Ma chi mai sarebbe così sadico da ustionare in
quel
modo il volto a qualcuno, anche se ha perso una scommessa?-
-Io.-
rispose L, calmissimo, incrociando le gambe.
-Cosa?!-
urlò Light, scattando in piedi, con gli occhi sbarrati. Si
scaraventò sul letto di L e lo prese per la collottola.
-Come
sarebbe a dire?! Sei stato tu a farlo?-
-Sì.-
rispose ancora L, reggendo lo sguardo di Light. Il ragazzo si stava
agitando moltissimo.
-Hai
intenzione di ricominciare come oggi?-
-Non
mi provocare!- gli urlò di rimando Light. Lo
lasciò andare e si
mise in piedi per sovrastarlo. -È qualcosa di troppo
meschino
persino per te.-
L
lo ignorò e tornò a sdraiarsi con le mani dietro
la testa. Light
intanto si stava togliendo rabbiosamente i pantaloni. Poco
più tardi
sarebbe arrivato Watari a togliere loro le manette perché
potessero
cambiarsi anche la maglia.
-Non
ti facevo tipo da preoccuparti così tanto per qualcuna.-
riprese L,
e per tutta risposta Light gli lanciò i jeans in faccia, con
la
cintura ancora infilata nei passanti.
Il
detective riuscì a ripararsi il volto ancora violaceo dalla
fibbia
di metallo che rischiava di colpirlo, e riprese a parlare.
-Non
nutri sentimenti per Misa Amane. E negli stessi giorni in cui lei si
presentava a casa tua, tu frequentavi anche Kiyomi Takada, la
“miss”
della nostra università.-
Vide
Light interrompersi e sbarrare gli occhi, come se gli fosse tornato
in mente qualcosa che aveva scordato per molto tempo.
-Ti
vedevi anche con un'altra ragazza, se non mi sbaglio...-
continuò L.
Voleva verificare quali fossero i ricordi di Light, e se fossero
stati in un certo senso manipolati.
-Io...
senti, non so cos'abbia visto Mogi mentre mi pedinava.-
cominciò a
dire il ragazzo. -Ma non sono di certo il tipo che... e poi, cosa
c'entra con le indagini? Perché me lo stai chiedendo?
Stavamo
parlando del fatto che hai ustionato la faccia ad una povera
ragazza...-
-Se
ti sentisse compatirla in questo modo...- lo interruppe L, voltandosi
a guardarlo. -... ti prenderebbe a calci fino a ridurti in condizioni
molto peggiori delle sue, una volta finito con te.-
Tornò
poi a fissare il soffitto. -Si è fatta marchiare con un
coltellaccio
arroventato perché degli idioti la smettessero di
considerarla una
fragile ragazzina malaticcia. È stato più
efficace che usare
quell'arnese su di loro.- Alzò le spalle. -Non che non ne
sarebbe
stata capace...-
Light
rimase allibito.
-Ma
torniamo a Kiyomi Takada.- riprese L, divaricando questa volta le
gambe. -Sicuramente molto attraente, e di certo più
intelligente di
Misa. Ma nemmeno lei ti interessava sul serio, o sbaglio?-
Light
aprì la bocca e poi la richiuse. Non sapeva cosa rispondere.
-Sei
un tipo molto intelligente e molto sveglio. Una come Takada
sembrerebbe fare proprio per te, ma scommetto che trovi che ceda
troppo facilmente alle lusinghe, che nonostante sia molto
intelligente sia anche un po' superficiale. Non è
così?-
Il
ragazzo continuava a rimanere in silenzio. -È probabilmente
il
destino di chi è troppo intelligente quello di rimanere da
solo.-
disse infine.
-Potresti
avere ragione...- disse L, dondolando un piede fuori dal letto.
-Non
mi riferivo a me.- precisò Light, rivolgendogli
un'occhiataccia.
L
lo ignorò. -Non è nel mio interesse discutere
della tua vita
sentimentale, Light, voglio solo che tu mi dica perché,
mentre
uscivi con Takada, ti sentivi con un'altra e ricevevi a casa Misa;
perché penso che la tua risposta possa essere utile alle
indagini.
Naturalmente potresti anche rispondermi che l'hai fatto soltanto
perché ti andava di farlo, perché sei giovane e
hai successo con le
ragazze, ma... sappiamo entrambi che non è così.-
Light
rimase in silenzio per un bel pezzo, prima di rispondere.
-Io...
non so perché l'ho fatto.- Si mise le mani tra i capelli.
-Ho
ricordi confusi riguardo a questa faccenda.-
-Era
quello che volevo sentirmi dire.- L si alzò in piedi di
scatto. -E
ora rivestiti. Abbiamo una cosa da fare e non voglio aspettare fino a
domani.-
K
sentì bussare alla porta e si alzò di
soprassalto, con un gemito,
afferrando con un gesto secco la pistola dalla fondina legata alla
spalliera del letto e togliendo la sicura. Poi si rese conto che non
aveva motivo di allarmarsi, e rimise a posto l'arma.
Cercò
di normalizzare il respiro, e poi accese l'abat-jour sul comodino per
cercare qualcosa da mettersi addosso. Trovò i jeans chiari
che aveva
malamente tagliato ad altezza quasi inguinale e la sua felpa grigia
di Stanford, ed infilò entrambi gli indumenti sopra la
sottoveste
leggera con la quale era andata a letto quella sera.
Infine
andò ad aprire.
-Che
ci fate voi due qui a quest'ora?- disse, stropicciandosi gli occhi,
coi capelli bianchi e scompigliati che le incorniciavano, gonfi, la
figura atletica.
-Light
ha dei dubbi sui suoi ricordi.- le disse L, entrando. Light gli venne
dietro, scusandosi per il disturbo.
Si
sedettero tutti e tre intorno al tavolo del cucinino, ed L
esordì
illustrandole la faccenda delle tre ragazze che Light non si sapeva
spiegare.
-Oh...
ragazzaccio...- lo canzonò lei, assonnata, tirandogli un
buffetto
alla spalla.
-Io...-
disse Light. -Non sono sicuro di ricordare bene come siano andate le
cose. Ricordo di aver baciato Misa, di mia iniziativa, ma...
insomma... non è possibile, perché non
è una cosa che farei...-
-Non
credo che questo
sia così grave...- fece K, piegandosi per rovistare in uno
dei
cassetti sotto al tavolo, tirandone fuori un taccuino. -Ma a questo
punto avrei alcune domande da farti.-
Con la mano sinistra si mise
a sfogliare le pagine, mentre con la destra impugnava la penna,
facendo scattare la punta, col gomito appoggiato al tavolo.
Trovò finalmente
una pagina
libera dalla sua calligrafia spigolosa e riprese a parlare. -Hai mai
comprato un televisore portatile con schermo LCD, o meglio, ne hai
comprato uno nel mese di novembre 2003?-
Light parve sorpreso dalla
domanda. Scosse la testa, ma poi rimase fermo a pensare.
-Ehm... sì, ora
che ci
penso, ricordo di averlo fatto...-
Si mise coi gomiti sul
tavolo e appoggiò il mento sul dorso della mano. -Ma non
ricordo
perché, e non so dove possa essere andato a finire.-
Guardò K
dritta negli occhi. -Perché questa domanda? E
perché ora?-
-Ssssh...- K
accompagnò
l'intimazione a stare zitto con un cenno della mano. -Seguo una
pista.-
-Era considerata un vero
segugio, un tempo.- si intromise L, che si era rannicchiato sulla
sedia con le ginocchia al petto.
-Zitto tu. Domani se mi
sveglio tardi sarà colpa tua. Dov'eravamo rimast... ah,
sì.-
Scarabocchiò qualcosa sul taccuino. -Ricordi di aver mai
incontrato
una donna di nome Naomi Misora?-
Light annuì. -L'ho
incontrata al quartier generale dell'Interpol, un giorno in cui ero
andato a portare un ricambio di vestiti per mio padre...-
-Solo che non c'era nessuno
degli agenti, lì, perché ci trovavamo sempre
tutti al mio hotel...-
intervenne L.
-Cosa vi siete detti? Sapevi
perché era lì?- lo interrogò K.
Light sembrava sforzarsi di
ricordare. -Ricordo di averla incontrata alla reception, chiedeva di
parlare con qualcuno del quartier generale perché credeva di
avere
informazioni preziose per il caso Kira... Le risposero che al momento
non c'era nessuno, e quindi le dissi che ero figlio del
sovrintendente, e che avrei potuto provare a chiamare mio padre
quando avesse finito la riunione. Noi... abbiamo camminato insieme
per un po'... e le ho chiesto... come si chiamasse.-
-Le hai chiesto di mostrarti
un suo documento?- domandò allora K.
-Io... non ricordo...
credo... all'inizio mi aveva dato un nome falso.- Light si prese il
viso tra le mani. -Lei... mi disse che era la fidanzata di un certo
agente Penber ucciso da Kira... e aveva delle teorie... voleva
parlare con L!-
L si rabbuiò. Considerava
Misora una bravissima agente, oltre che una persona eccezionale, e
sarebbe stato felice di avere il suo aiuto. La sua sparizione l'aveva
molto turbato. -E siete rimasti insieme finché tuo padre non
ha
terminato la riunione?- chiese.
Light guardava un punto
fisso sul tavolo. -No. Lei... è andata via all'improvviso.
Poi mio
padre mi ha richiamato perché gli avevo lasciato un
messaggio in
segreteria...-
L lo guardò bene
in faccia.
-Ma tu non gli hai detto nulla di lei. Ero con lui, me l'avrebbe
riferito immediatamente.-
Light pareva molto confuso.
-Io... è vero... non gliel'ho detto... Non so
perché non gliel'ho
detto...-
K posò la penna,
intrecciò
le mani poggiate sul tavolo e guardò Light con occhi
taglienti.
-L'unica cosa ritrovata di Naomi Misora è stata la sua
patente
giapponese. Dagli spazzini. Vicino al quartier generale
dell'Interpol. Tutto questo ti dice nulla?-
-Io... sì, lei mi
ha
mostrato la patente.-
K e L si guardarono.
-Pensate che possa averla
fatta sparire io?!- domandò il ragazzo, in preda
all'agitazione.
-Avete detto che credete che chi è sotto il controllo di
Kira abbia
un margine di manovra e che possa agire secondo la propria morale.
Pensate che io possa aver ucciso un'innocente?-
-Istinto
di conservazione.- rispose secca K. -Se, e ripeto se
la volontà di uccidere è instillata da questa
entità che
continuiamo a chiamare Kira, è probabile che chiunque venga,
diciamo
così, posseduto risponda non solo all'ordine di uccidere,
bensì
anche ad una sorta di istinto di conservazione. Questo non ti
qualificherebbe automaticamente come un assassino.-
Light tentò di
riprendere
fiato per calmarsi. K era sicura che quel modo di trattare con lui
fosse più efficace rispetto a quello di L, che consisteva
principalmente nello sfidarlo di continuo e nell'attaccarlo
direttamente. Potevano anche definirla come la tecnica del
“poliziotto buono” e del “poliziotto
cattivo”; tuttavia la
stupiva il fatto di essere proprio lei, in quella situazione, il
poliziotto buono.
-Light...- riprese. -Vorrei
che ora ti concentrassi il più possibile per ricordare
perché Naomi
se n'è andata e cosa vi siete detti.-
Poi si rimise a rovistare
nel cassetto e ne estrasse una busta di plastica trasparente, da cui
prese una foto: era un fotogramma ingrandito delle telecamere di
sicurezza, che riprendeva la donna e il ragazzo che camminavano poco
fuori dal quartier generale. Poi prese un'altra foto di Naomi, che
ritraeva un suo primo piano, e mise entrambe le immagini di fronte a
Light.
-Cerco di stimolare la tua
memoria.- gli disse. -Perché se n'è andata, se
avrebbe potuto
parlare direttamente con L se solo avesse aspettato qualche minuto?
Cosa ti ha detto? Perché non aveva la sua patente?
Perché avrebbe
dovuto farti vedere la sua patente?-
-Io...-
Light sospirò a
fondo, e
poi abbassò il volto, affondando le mani nei propri capelli
castani
e lisci.
-Io... le ho chiesto un
documento... per segnarmi i suoi dati, per riferirli a mio padre.-
disse, infine. -Pensavo... fosse una richiesta ragionevole. E poi...-
Si alzò di scatto,
come se
avesse avuto un'idea. Aveva le labbra dischiuse e gli occhi fissi
verso un punto, ma durò solo un istante.
-Non... non ricordo altro.-
si arrese, sospirando.
-Sei sicuro di non
ricordarti cosa ti ha detto prima di andarsene?- insistette lei,
tentando di mantenere il proprio tono di voce più cordiale e
calmo
che le riuscisse.
Light prese le due foto e
si mise a fissarle per diversi secondi. Ogni tanto apriva e poi
richiudeva la bocca, come se avesse qualcosa da dire, ma le parole
non riuscissero mai ad arrivare in superficie.
Allora abbassò lo
sguardo
ancora una volta, sconfitto, e nel farlo gli cadde l'occhio sul
proprio orologio.
Batté una mano sul
tavolo.
-L'orologio!- disse,
trionfante. -L'ultima cosa che ricordo è che ha chiesto
perché
guardassi sempre l'orologio!-
-Perché...
guardassi sempre
l'orologio?- ripeté K, con gli occhi fissi su di lui,
mentre, con
delicatezzza, riapriva il taccuino e faceva scattare la penna.
-Ha detto, “Light,
posso
chiederti perché continui a guardare
l'orologio?”... E poi... poi
è diventata strana, e se n'è andata.-
K si mise a trascrivere
tutto, disegnando i kanji in un modo un po' titubante, mentre
ripeteva “Light, posso chiederti perché continui a
guardare
l'orologio?”.
-Aspetta!- esclamò
Light,
toccandole la mano con la propria.
K alzò lo sguardo
con
espressione interrogativa.
-Tu...
hai una voce molto simile a quella di Naomi Misora.- disse, convinto.
-Potresti... riusciresti a provare a ripetere delle frasi che ricordo
avermi detto?-
K incrociò le
braccia.
-È stata lei ad
insegnarmi
il giapponese.- disse. -Probabilmente è per quello che ti
sembra che
parliamo in modo simile.-
-No, no!- insistette il
ragazzo. -È proprio la voce che è simile.
Riusciresti ad imitarla?-
K
si voltò verso L, che la stava guardando, ma non la stava vedendo
davvero. Si chiese se stesse pensando a quella giovane gentile,
talentuosa e sveglia, che probabilmente avrebbe potuto renderlo
più
felice di quanto lei stessa sarebbe mai riuscita a fare.
Allora si rivolse nuovamente
a Light e provò ad imitare la voce di Naomi, dicendogli
“Ciao, mi
chiamo Naomi Misora. Ero la fidanzata di Raye Penber e ho una teoria
su come possa essere stato ucciso. Vorrei poter parlare con
L”.
Il ragazzo annuì,
serio.
-Sì, le vostre
voci si
somigliano.- disse infine. -Proviamo così, allora, ripeti le
frasi
che ti dirò continuando ad imitarla, così magari
in questo modo
riusciremo a stimolare la mia memoria!-
Tentarono per diversi minuti
di sbloccare qualche altro ricordo nella mente di Light, ma nulla che
sembrasse essere rilevante.
Si arresero, e K decise di
tentare di sciogliere un altro nodo.
-Ora...- riprese. -Vorrei
che tu pensassi alla sera in cui c'è stata la sparatoria.
Ricordi
qual è, non è così?- Light
annuì. -Bene, vorrei che tu mi dicessi
esattamente cosa hai fatto quella sera, prima in generale e poi nei
minimi dettagli.-
-Io... Misa è
venuta a
trovarmi, ma è andata via verso le sette. Poi ho cenato.
Abbastanza
in fretta. Sono andato in camera e ho aiutato mia sorella coi
compiti. Poi... l'ho mandata in camera, e ho acceso un po' la TV...
e... è arrivata mia madre, e mi ha detto che c'era a
telefono una
compagna dell'università per un progetto... Ma io ho pensato
che non
avevo nessun progetto in quel periodo, quindi ho ipotizzato potesse
essere Takada che mi chiamava con una scusa, e ho mandato via mia
madre... e...-
Si bloccò. I suoi
interlocutori lo fissavano immobili.
-Mi madre poco dopo
è
tornata su e ha detto che la ragazza mi aveva lasciato un
messaggio... e che aveva un accento un po' strano, non del posto,
comunque, quindi io ho pensato che non potesse essere Takada.-
Si fermò.
-E qual era il contenuto del
messaggio?- insistette K, giocherellando con una ciocca di capelli.
Light assunse un'espressione
pensierosa. -Non ne sono sicuro... continuava a parlare di un lavoro,
e che non dovevo fare altro... Ma sono sicuro che non fosse per me,
ho pensato che avesse sbagliato persona e ho lasciato perdere...-
-Cosa guardavi alla TV?-
-Non ne sono sicuro,
probabilmente passavo solo da un canale all'altro.-
-Ero io al telefono.- disse
K. Light la guardò interrogativo.
-Ho chiamato io per
verificare se stessi guardando i notiziari, ipotizzando che le
uccisioni non sarebbero avvenute se ti avessi tenuto al telefono.- Lo
sguardo di Light era sempre più stupito, ma non sembrava
stesse
nascondendo loro qualcosa.
-Ma ho fallito nel mio
intento, e così ho lasciato un messaggio che solo il vero
Kira
avrebbe saputo interpretare. E ora mi stai dicendo che non ne ricordi
il contenuto?-
-Ma... ma è la
verità!-
esclamò Light, agitato. Si era alzato di scatto dalla sedia,
rovesciandola a terra.
-Calmati!- K lo
afferrò per
un braccio. -Potrai anche pensare che sia assurdo, ma ti credo. Credo
seriamente che non ricordi cose o che i tuoi ricordi siano in qualche
modo manipolati. È una condizione abbastanza comune nei casi
di
possessione, e ho lavorato a parecchi casi di possessione, io...-
Lo fece sedere nuovamente,
poi si alzò, andò a rovistare in una delle sue
borse e tornò al
tavolo con un quaderno in mano. -Voglio che tu inizi a scrivere su
questo quaderno la cronistoria di ogni giorno a partire dalla
settimana prima della prima esecuzione. Cerca di ripercorrere con la
memoria ogni dettaglio, e scrivi tutto ciò che ti pare non
abbia
senso o sia discordante. Potrebbe aiutarti.-
-Ma...- balbettò
Light, che
si sentiva ancora molto scosso. -Se dovessi davvero essere io Kira?-
-Lo scopriremo.- rispose
calma K. -Scopriremo la verità, scopriremo quanta sia la
responsabilità delle persone implicate in queste esecuzioni
e
agiremo di conseguenza.-
K vide con la coda
dell'occhio che L la stava guardando di sottecchi. Era lo sguardo di
quando non gli piaceva quello che stava succedendo.
-Avrei ancora molto da
chiederti, soprattutto sulla sera della sparatoria, del
perché Misa
fosse lì, di cosa avete parlato, perché
è andata via così presto
e cosa stessi esattamente guardando alla TV, ma
vedo che sei
stremato, e anch'io sono stanca.-
Poi sospirò.
-E ora fuori di qui, che io
vorrei dormire.-
-Aspetta...- disse allora
Light, alzandosi e appoggiando le mani sul tavolo. -Volevo dirti
ancora una cosa... riguardo oggi pomeriggio.-
K incrociò le
braccia,
spazientita. -Sì, ma in fretta.-
Light allora si
passò una
mano sulla nuca, distogliendo lo sguardo. -Mi spiace per come si
è
comportata Misa... È stata impertinente nei tuoi confronti.-
-Beh, credo che sia
abbastanza grande e abbia tutte le facoltà per rispondere
delle
proprie azioni.-
Si alzò in piedi e
fece per
andare ad aprire la porta. -Però non capisco di cosa tu stia
parlando.-
-Ecco...- cominciò
lui,
imbarazzato. -Il fatto che ti abbia compatita per il tuo aspetto...-
-Ah,
quello.-
fece allora K, divertita. -Come se me ne fregasse qualcosa di cosa la
gente pensa del mio aspetto. Vedi, Light, non ho bisogno di gente che
mi dica che sono bella, che non sono bella, che sarei bella se non
sembrassi un demone bianco...-
Light trasalì.
-...
Quindi ti prego di non pensare che io abbia bisogno della tua
pietà,
tua come quella di chiunque altro. Non potrebbe fregarmene di meno di
quello che le persone pensano del mio aspetto, finché non
iniziano a
compatirmi. Non ho avuto esattamente una vita così semplice
e serena
per potermi interessare a tali cazzate come quello che gli altri
pensano del mio aspetto esteriore. Se escludiamo i miei drammi
familiari e il fatto di essere stata sotto sequestro per anni, resta
comunque il fatto che sulla fronte ho un
timer che fa il conto alla rovescia del tempo che mi resta da vivere.
Che sia in una sparatoria, per un melanoma o per altri tipi di
cancro, la mia vita è troppo breve perché possa
perdere tempo per
certe cose.-
Light era impallidito
visibilmente, e per un attimo i suoi occhi erano stati attraversati
da un'ombra.
-Tutto bene?- gli chiese
allora L, che era rimasto seduto di fronte a lui.
-Io... s-sì, sto
bene...-
balbettò il ragazzo. -Scusatemi, ho avuto una strana
sensazione...
un po' inquietante.-
K e L si scambiarono una
fugace occhiata.
-Beh...- riprese allora la
giovane. -Credo di aver perso già abbastanza tempo con
questo
discorso inutile. Ora volete farmi il favore di levarvi dai piedi?-
Light si era già
addormentato, ma L non credeva sarebbe riuscito a dormire.
L'osservazione di Light sulla voce di K, così simile a
quella di
Naomi, l'aveva messo in agitazione.
Aveva sempre avuto un debole
per Naomi, dal primo momento in cui l'aveva sentita per telefono, al
primo caso a cui avevano collaborato. La sua voce era così
delicata
e gentile, come un laghetto cristallino le cui acque non sono
increspate se non dal leggero cadere delle foglie che vi galleggiano
sopra. Non aveva mai capito perché la sua voce e la sua
presenza,
anche se solo al di là di uno schermo, riuscissero a
calmarlo tanto;
a quei tempi, il ricordo della voce sarcastica, o sprezzante, o
euforica, o maliziosa, o arrogante di K, che somigliava tanto al mare
in tempesta in cui lei adorava tuffarsi nei giorni di pioggia, era
stato sostituito da quello del tono furioso e tagliente con cui gli
aveva parlato nel messaggio in segreteria che aveva registrato per
tagliare definitivamente tutti i ponti con lui.
“Sai
già perché ti sto
chiamato, dannatissimo stronzo.”
Ricordava ancora ogni
parola.
“Sono passata sopra la tua
ridicola sceneggiata della proposta di matrimonio, perché
sei un
bambino, e pensavo che stando separati per un po' di tempo avresti
smesso con queste assurde pretese. Ma no! Tu volevi essere sicuro
che io tornassi da te.
Sei un pezzo di merda.
Nemmeno ti rendi conto di quanto sia stupido ed infantile il fatto
che tu mi abbia messa incinta.
Neanche a dirlo, ho perso il
lavoro. Ho avuto le nausee mentre ero ad una riunione coi grandi
capi, hanno fatto due più due e mi hanno detto di stare a
casa a
prendermi cura di me. E ovviamente, dopo che l'FBI mi ha rifiutata
perché sono una che si fa mettere incinta e non rivela il
nome del
padre, nessuno al mondo vorrà più assumermi.
La mia carriera è
finita.
Non potrò mai più contare sull'aiuto di nessuno
per risolvere il
mistero della morte dei miei genitori. Ed è tutta colpa tua.
E ora mi tocca stare qui,
con un feto che non volevo nella pancia mentre vomito l'anima, solo
perché sei uno stronzo possessivo e geloso. Sei
un'incosciente.
E stai tranquillo, ho
già
prenotato la data per l'aborto. Tuo figlio non nascerà mai,
e non
soltanto perché per me è stata una disgrazia
averlo concepito, ma
perché così gli risparmierò una vita
di merda. Con tutti i
disturbi mentali che abbiamo, con le nostre malattie genetiche...
Cosa ti è saltato in mente?
Ma soprattutto, gli
risparmierò la peggiore cosa che potrebbe capitare a
qualcuno nella
vita.
Avere te come padre.
E ora non cercarmi mai
più.”
L aveva riascoltato quel
messaggio decine e decine di volte. L'aveva cercata, e non l'aveva
trovata, aveva rintracciato Bjarne, ma lui l'aveva fatto cacciare
prima da davanti la porta del suo appartamento, e poi dal suo posto
di lavoro, e si era rifiutato sia di vederlo, sia di rivolgergli la
parola; poi era andato da Burton, che l'aveva aggredito verbalmente,
dicendo che lui e quella sciacquetta che, se ne sarebbe pentito per
il resto della vita, aveva adottato, avevano macchiato
irreversibilmente la sua reputazione.
Aveva continuato ad
ascoltare quel messaggio, finché, una notte, in preda agli
incubi,
si era svegliato furioso, era andato al telefono e aveva fatto a
pezzi il nastro. Ora sapeva che K era stata costretta a mandargli
quel messaggio, e Burton e Bjarne avevano dovuto reagire come da
copione, ma questo non attenuava il dolore e la rabbia che lo avevano
dilaniato per anni; per quanto quel messaggio fosse stato preparato
apposta perché lui la odiasse e smettesse di cercarla, non
sapeva
quanto di ciò che K aveva detto era completamente falso.
Mesi dopo, era stato
richiamato in Inghilterra da Watari, che gli aveva comunicato che
l'avevano trovata morta suicida. Da quel giorno, era tutto cambiato.
Lo squarcio che aveva sempre sentito dentro di sé, e la cui
sensazione soffocante si era attenuata negli anni precedenti, aveva
ricominciato a scavargli dentro, mano a mano che perdeva peso, mano a
mano che diventava più pallido ed intrattabile.
Era già l'ombra di se
stesso, quando un giorno aveva sentito la voce di Naomi al telefono.
E in quell'istante gli era sembrato che fosse tornato un po' di
calore nel mondo.
Si rendeva conto soltanto in
quel momento che, probabilmente, in Naomi aveva voluto vedere
l'esatto opposto di K. Intelligente, sicuramente, acuta quasi quanto
lei. Ma era gentile, tranquilla, decisa ma sempre rispettosa; e,
soprattutto, lasciava che le emozioni facessero il loro corso, anche
quando lavorava. Probabilmente era stato questo a spingerla a
cercarlo dopo la morte del suo fidanzato, e forse, a causarne la
morte.
Nonostante più
passava del
tempo a lavorare con Naomi, più i suoi sentimenti per lei si
facevano profondi, non era mai stato geloso di Raye. Si era
dispiaciuto quando aveva sentito che Naomi voleva lasciare l'FBI per
mettere su famiglia, ma solo perché pensava che il mondo
investigativo avrebbe perso un valido elemento. Non gli sarebbe
spiaciuto vederla vivere una vita felice come sposa e come madre, se
era questo ciò che lei desiderava, anche se non sarebbe
stato lui il
fortunato.
E K se n'era accorta.
Probabilmente, quando tutti e tre si erano ritrovati a lavorare sullo
stesso caso, K si era accorta dei sentimenti che L provava per Naomi,
solo sentendolo parlare con lei attraverso l'audio distorto che
usciva dalle casse del computer con cui comunicavano. K l'aveva
sempre capito meglio di quanto lui fosse mai riuscito a capire se
stesso.
Lui aveva sempre pensato che
i suoi sentimenti per Naomi fossero autentici, perché non
derivavano
dal senso di colpa, né dal ricordo della madre,
né da nessuna delle
altre mille cose per cui aveva perso la testa nei confronti di K. E
invece ora scopriva che le loro voci erano simili. E non soltanto in
giapponese. Mentre lei e Light provavano le frasi per stimolargli la
memoria, lui non aveva fatto altro che cercare di ricordare le voci
delle due giovani in inglese. In quel momento non era riuscito a
trovare un ricordo di K in cui lei parlasse con un tono tanto gentile
e delicato, ma ora che era lì, nel letto, nella notte
silenziosa,
poteva cercare di rievocare quei ricordi felici che per anni aveva
cancellato dalla propria memoria.
Gli bastò chiudere gli
occhi e voltarsi di fianco, facendo attenzione a non muovere troppo
la catena per non svegliare Light, e pensare ad una mattina qualunque
degli ultimi mesi che avevano trascorso insieme. E, improvvisamente,
si calmò, mentre sentiva le dita di lei scostargli i folti
capelli
arruffati dalla fronte, e poi le sue labbra calde posargli
delicatamente un bacio in mezzo agli occhi.
-Buon compleanno, L.- gli
sussurrò dolcemente all'orecchio.
Lui avrebbe voluto aprire
gli occhi, ma sapeva che se l'avesse fatto davanti a sé
avrebbe
visto solo il buio della sua stanza. Perciò li tenne chiusi,
e i
suoi ricordi furono inondati dalla luce di quel mattino e, in mezzo
alla luce, si disegnò il volto ancora ovale e delicato della
ragazza, con gli occhi rosati che lo guardavano, sorridenti, e il
caschetto bianco e arruffato che rifletteva i raggi del sole.
-È tardi.- aveva
detto lui
allora. -Il sole tra un po' arriverà fino al letto.
Perché non mi
hai svegliato prima?-
-Perché sei sempre
così
carino quando dormi.- aveva riso lei, ed era una risata genuina e
delicata.
Lui aveva allungato un mano
verso il suo volto e le aveva accarezzato la macchia sullo zigomo
destro. Lei gli aveva preso la mano e vi aveva strofinato sopra il
viso.
-Come mai così
tranquilla e
felice, stamattina?- le aveva domandato, passandole la mano tra i
capelli.
Lei aveva sorriso. -Per la
prima volta stare in questo letto non è illegale.-
-Infatti mi stupisce che tu
sia qui.- aveva scherzato lui. -Pensavo te la saresti svignata
passata la mezzanotte. E non intendo come nei primi mesi, quando te
ne andavi appena finito di fare sesso. Pensavo proprio avresti fatto
le valigie e te ne saresti andata, perché essendo io ormai
maggiorenne le cose non sarebbero più state interessanti.-
Lei aveva finto di mettere
il broncio.
-Che uomo di poca fede!-
aveva borbottato, soffocando le risate.
Lui non aveva potuto fare a
meno di sentirsi felice per quell' “uomo”. Aveva
sempre odiato il
fatto che lei lo chiamasse costantemente
“ragazzino”, ma in quel
momento aveva sperato che le cose sarebbero cambiate.
-Guarda che se sto con te
non è mica solo per quello.- aveva ripreso lei. Poi si era
messa a
giocherellare coi suoi capelli neri. -Sai, è molto
più comodo così.
Viviamo insieme, tu sai chi sono, non devo truccarmi, tenere la
parrucca o farlo da vestita, non ti spaventi se voglio provare
qualche giochetto, non ti devo mentire... Così è
molto più
rilassante e godibile.-
Ma, sebbene stesse
sorridendo, i suoi occhi si erano fatti tristi.
-E poi... te l'avevo
già
detto che sarei scappata.-
Lui aveva fatto scendere la
mano dai suoi capelli alla schiena, e l'aveva stretta a sé.
Era il
31 ottobre, ma entrambi indossavano ancora pigiami leggeri, dal
momento che dormivano abbracciati sotto pesanti coperte.
-Resta ancora qualche
giorno.- aveva detto lui. -Godiamocelo. E se tra un anno il tuo
periodo di prova all'FBI sarà andato bene, e tu avrai ancora
voglia
di vedermi, mi farò trovare davanti alla tua porta.-
Ma a quel punto L dovette
aprire gli occhi e lasciare che l'oscurità lo avvolgesse,
prima che
i ricordi lo risucchiassero.
E da quel momento non
riuscì
più a dimenticare quel sorriso dolce e quella voce delicata.
Note
La parte di questo capitolo relativa
alla voce di Naomi Misora deriva da un caso abbastanza fortuito: come
molti altri, shippo L e Naomi, ma ho voluto creare il personaggio di K
in modo da gettare luce sul passato di L, in un modo che penso non
sarebbe stato possibile senza un personaggio proveniente dalla Wammy's
House. Ho cercato di costruire K partendo da Light (allo stesso tempo
doppio e opposto di L) e da Naomi (secondo me la ship perfetta per L),
anche se, nel corso delle stesure, K è diventata un
personaggio sempre più indipendente. La prima cosa che ho
immaginato di K è stato l'albinismo e le cicatrici, assieme
al fisico muscoloso, ma subito dopo ho immaginato la voce (do molta
importanza alla voce dei personaggi che scrivo, lo trovo utile per
creare tutti gli idioletti; in questa fanfiction gli idioletti non sono
marcati perché mi sono attenuta allo stile del doppiaggio
italiano). Ebbene, la voce con cui avevo immaginato K era quella di
Domitilla D'Amico quando doppia Scarlett Johansson nell'MCU, quando
è adulta (quindi la voce più profonda della
Vedova Nera), e Azula di Avatar - La Leggenda di Aang quando
è giovane. Non ricordavo che Domitilla D'Amico avesse
doppiato anche la stessa Naomi Misora.
Tutto questo papiro per dire che il caso
ha voluto che la donna di cui L in questa storia era innamorato non
solo era l'immagine idealizzata ed epurata da tutti i difetti della sua
cotta adolescenziale, situazione che avevo volutamente creato, ma
addirittura avevano una voce quasi uguale (è da notare che
Naomi Misora parla in modo diverso rispetto ad Azula e alla Vedova
Nera).
Nel caso a qualcuno interessasse sapere
quali sono le altre voci: Bjarne ha la voce di Patrizio Prata (Roronoa
Zoro), Burton ha la voce di Francesco Bulckaen (Obi-Wan Kenobi in
Episodio I, II e III), Grumann ha la voce di Pasquale Anselmo
(doppiatore di Nicholas Cage). La voce di Hayer è l'unica
che non mi sia venuta in mente in modo così naturale;
diciamo che la sua voce è ricostruita, non appartiene ad un
particolare attore o doppiatore. Hayer mi ha dato diversi problemi,
perché non mi piace come villain: non l'ho costruito bene
all'inizio, e ho dovuto correggere il tiro mano a mano che sono andata
avanti con la storia. Mi serviva un villain senza "zone di grigio" come
parallelo a Higuchi, ma a me non piacciono i villain "cattivi
perché sì".
Scusatemi se mi sono dilungata, spero
che a chi è giunto fin qui la storia continui a piacere e
possa trovare interessante sapere qualche retroscena.
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Capitolo 17 *** Capitolo 14 - "Un monumento al tuo ego" ***
capitolo XIV
Capitolo
XIV
“Un
monumento al tuo ego”
La mattina dopo, K si
svegliò suo malgrado verso le cinque. Guardò
rabbiosamente la
sveglia sul comodino, rigirandosi dall'altra parte e tirandosi il
lenzuolo sopra la testa. Fuori dalla finestra, la notte stava
schiarendo, anche se le luci di Tokyo non le permettevano di vederlo.
Per
quanto desiderasse
restare a dormire un altro po', non riusciva a non svegliarsi a
quell'ora, ora che il suo corpo si era abituato alle levatacce, agli
allenamenti, all'addestramento. Al campo del PPEP, nel New Hampshire,
la pallida luce del nuovo giorno era visibile già da
quell'ora,
almeno in estate, perché si trovavano in mezzo ai boschi, in
una
provincia disabitata. La notte sarebbe potuta sgattaiolare fuori
dalla sua cuccetta per vedere le stelle, ma non lo aveva mai fatto;
quelle stelle che era rimasta ore intere ad ammirare sotto il
ciliegio in riva al fiume, a Winchester, sembravano aver perduto il
loro fascino, viste dal campo di addestramento.
Alla
fine si era convinta a
lasciare da parte ciò che credeva, e a farsi tramutare in un
soldato. Le avevano curato lo strabismo, permettendole così
il porto
d'armi che si era negata al diventare un agente investigativo. Non
che prima non sapesse sparare: Burton aveva insistito perché
imparasse ad usare una pistola, nel caso in cui si fosse trovata con
altri agenti durante un'operazione di polizia e fosse dovuta
intervenire. Lei non aveva mai esploso un colpo, se non al poligono
di tiro, fino al giorno in cui la sua task force era intervenuta ad
arrestare i trafficanti d'armi dai quali si era fatta rapire.
A maggio del 1997, lei e L
erano stati chiamati negli Stati Uniti per un caso molto complesso di
corpi trovati carbonizzati in Arizona e New Mexico. Dopo qualche
giorno di indagine, entrambi erano giunti alla conclusione che si
trattava molto probabilmente di trafficanti d'armi che facevano soldi
grazie al commercio di droga proveniente dal Sudamerica attraverso il
Messico: facevano arrivare dei corrieri con la droga all'interno del
proprio corpo, li uccidevano, li sventravano per prendere la droga e
poi pestavano il volto e bruciavano i cadaveri per renderli
irriconoscibili, per poi trasportarli di notte all'interno del Paese
e disseminarli in giro, per rendere più difficile
tracciarli. Era
possibile che anche le persone del posto tanto sfortunate da
coglierli in flagrante incontrassero la stessa fine, o venissero
rapiti per poi essere drogati fino alla dipendenza e affiancati
infine agli spacciatori per procurar loro clienti.
Così K si era studiata le
mappe, lei e L avevano elaborato un piano e avevano deciso di inviare
un agente sotto copertura per poter scoprire quale fosse la base e
quante e quali persone facessero parte del gruppo. Tuttavia, tutti i
loro colleghi del dipartimento si erano mostrati estremamente
diffidenti nei confronti di quei due ragazzini che si comportavano da
agenti investigativi esperti; nessuno aveva voluto considerare
seriamente il loro piano, sostenendo che non era possibile che
fossero giunti ad una pista così chiara nel giro di pochi
giorni,
mentre loro stessi avevano lavorato per mesi al caso. Avevano preteso
un altro mese di indagini, prima di muoversi, e a quel punto K si era
infuriata.
-Nelle
ultime settimane il
tasso di cadaveri ritrovati e di sparizioni è aumentato.-
aveva
protestato. -E sospettiamo che stia per arrivare un grosso carico di
eroina al confine entro la fine del mese, e vorrà dire altre
morti,
altre sparizioni, altre armi date in mano ai signori della droga.-
Ma
nessuno aveva voluto
sentire ragioni. E allora K aveva sbattuto violentemente il pugno
contro il tavolo, urlando “Silenzio!” con voce
terribile, per poi
rimettersi dritta, sfregare le mani tra loro ed annunciare: -Allora
sarò io ad andare, e Coil vi dirigerà al posto
mio.-
L
si era alzato in piedi,
furioso, dandole della folle, ma lei non aveva voluto sentire
ragioni. Era troppo giovane perché quei criminali potessero
sospettare che fosse un poliziotto, e, se aveva ragione (ed era
sicura di avercela), l'avrebbero rapita, e non uccisa.
Così aveva fatto.
Era
rimasta prigioniera di
quegli uomini per tre giorni, prima che arrivasse la task force a
liberarla. Ma, quando i poliziotti avevano sfondato la porta della
cascina dove si trovava coi suoi rapitori, K si era sentita venir
meno. L era con loro. Con giubbotto antiproiettile e casco, ma non
poteva essere altri che lui. Impugnava una pistola in modo insicuro
ed esitante, e si era istantaneamente mosso, assieme ad altri due
uomini alti e ben piazzati, per andarle a fare da scudo.
Ma,
purtroppo, la sua
inesperienza non era passata inosservata ai trafficanti d'armi.
Mentre lui tentava di farle da scudo col suo corpo mentre uscivano
dalla cascina ormai trasformata in campo di battaglia, uno dei
rapitori li aveva seguiti, e aveva tentato di sparare a L. Lei
l'aveva visto con la coda dell'occhio puntare al collo del ragazzo,
così lo aveva fermato, voltato in un'angolazione dalla quale
fosse
invulnerabile, gli aveva strappato la pistola di mano e aveva
sparato.
Aveva
una buona mira, pur
essendo leggermente strabica. Ma il bersaglio in movimento, la
stanchezza, e il terrore che potessero colpire L erano stati fatali
per lei.
Aveva
esploso il colpo,
mirando alla gamba del criminale, ma aveva preso l'aorta.
Lo
scontro si era protratto
troppo a lungo perché i soccorsi potessero arrivare e
salvarlo; era
morto dissanguato, e il suo sguardo carico di odio e paura si era
impresso a fuoco nella mente di K. E, appena un anno e mezzo dopo, un
altro volto congelato nella morte era andato ad unirvisi; quello
dell'uomo che si era introdotto nella sua cuccetta nel cuore della
notte.
K si alzò rabbiosamente
dal letto, e andò in bagno a sciacquarsi il viso. Da quando
si era
risvegliata dal coma, aveva tentato di riprendere gli allenamenti che
ormai faceva ogni giorno da cinque anni, per esorcizzare la paura e
il senso di impotenza che aveva provato in quegli anni da ostaggio.
Si tolse la sottoveste e si guardò allo specchio: stava
recuperando
il tono muscolare e la definizione che aveva prima della sparatoria
al quartier generale, ma era evidente che non fosse più la
stessa di
prima. Il suo volto, che era diventato così scarno col
passare del
tempo, stava tornando ovale e delicato. La sua bocca non era
più una
linea sottile, perché aveva smesso di serrare nervosamente
labbra e
mascella in quel modo che le aveva cambiato così tanto i
connotati.
Il suo passo era sempre più spesso leggero ed ancheggiante,
e non
pesante e marziale.
Era
ancora prigioniera in
una gabbia dorata, con due serial killer demoniaci, e la Hogson non
aveva ancora pagato per ciò che aveva fatto, ma il suo corpo
non
avvertiva più il pericolo, la minaccia, e aveva cominciato a
distendersi.
K si infilò la canotta da
basket bianca e i pantaloncini da tennis neri, e andò nella
stanza
che Watari le aveva adibito a palestra personale. Si mosse in punta
di piedi tra gli attrezzi, si fermò davanti alla
rastrelliera dei
pesi, e li sfiorò con le dita.
Amane
le aveva detto che le
sembrava un uomo, ma non era questa la verità. K somigliava
ad un
soldato. E in quel momento decise che non avrebbe più voluto
somigliare ad un soldato.
Perciò
girò i tacchi e si
diresse verso il cucinino, per fare colazione. Erano le cinque e
quaranta del mattino, perciò a Chicago dovevano essere le
tre e
quaranta del pomeriggio del giorno prima. Poteva chiamare Burton e
mettersi al lavoro. Quel giorno non sarebbe scesa a lavorare insieme
agli agenti giapponesi.
Hayer si accese l'ennesima
sigaretta.
Erano
anni che non fumava,
ma quell'ultimo periodo aveva riportato a galla tutti i suoi vecchi
vizi e le sue debolezze. Non andava bene. Nulla sembrava andare bene,
dalla sera della sparatoria.
In quei due mesi, le
attività della Hogson si erano congelate; o meglio, le
attività di
Hayer erano state del tutto interrotte, e avevano continuato soltanto
le operaazioni e gli affari legali. Il colonnello era certo che
Burton stesse controllando tutte le loro transazioni, ed era
possibile che avesse accesso anche ai nomi dei conti correnti esteri
su cui veniva versato gran parte del guadagno del traffico di armi.
Eppure i fratelli Hogson non avevano voluto che muovesse un dito,
perché dicevano di avere un piano per uscire più
o meno indenni da
quella situazione.
Hayer
aveva tentato di
convincerli a diffondere l'identikit di Banks, o meglio, di Stephanie
Kenton, di modo che Kira potesse ucciderla: fatta fuori la testimone,
forse al processo avrebbero potuto scamparla. Ma quei cacassotto in
giacca e cravatta avevano il terrore anche solo di torcerle un
capello, per paura delle ripercussioni che avrebbero avuto con L.
Certo, se lei fosse morta, il grande detective li avrebbe mandati
tutti al macello prima che avessero potuto aprire bocca, ma Hayer
avrebbe preferito vedere morta quella puttana e rischiare di non
salvarsi la pelle.
Ci sarebbe stato poco da
fare, in ogni caso. Ormai non c'era più futuro per la sua
organizzazione, ed era certo che il piano degli Hogson consistesse
nel darlo in pasto alla polizia e dissociarsi da ogni sua azione.
Mentre
camminava
nervosamente su e giù per il proprio ufficio, passandosi una
mano
sui capelli rasati, smicciando la sigaretta nel posacenere sulla sua
scrivania in mogano, pensò che probabilmente Grumann si era
sentito
allo stesso modo, quando aveva capito che stava per morire. Anche se
lo aveva odiato per tutte quelle settimane per aver mandato a monte
l'intera operazione e per aver esposto la società alle
indagini di
quell'abominio albino, ora lo riusciva quasi ad ammirare. Era andato
incontro alla morte probabilmente con un ghigno stampato in faccia,
godendo degli effetti che la sua diserzione avrebbero causato. Era
morto, sì, ma alzando contro il colonnello un grande dito
medio. Era
morto, ma aveva vinto.
Hayer schiacciò con
violenza la sigaretta nel posacenere, digrignando i denti. Il campo
d'addestramento del distretto di Concord era rimasto attivo soltanto
per l'addestramento; i mercenari mandati come rinforzi alle agenzie
governative, con regolare contratto, erano stati rimandati indietro,
perché già dal giorno dopo la sparatoria avevano
cominciato a
girare voci sulla probabile implicazione della Hogson in giri poco
puliti. I soldati di Hayer erano confusi e nervosi, e doveva fare il
possibile per impedire che perdessero la calma e gli si rivoltassero
contro, o che qualcuno di loro andasse alla polizia a spifferare
tutto per ottenere un qualche vantaggio. Lo sapeva lui come lo
sapevano loro: erano già stati abbandonati una volta dalla
società
americana, e non ci sarebbero stati sconti se fossero venuti a galla
tutti i crimini commessi durante il loro servizio alla Hogson.
Con un gesto secco, Hayer
aprì il cassetto della propria scrivania, dove conservava
una copia
del fascicolo redatto per la morte del soldato semplice Jeff Norde,
ucciso da Banks nell'ottobre del '98. Gli Hogson erano convinti che
quel crimine, che erano riusciti ad insabbiare, sarebbe potuto
tornare loro utile per sbarazzarsi di Banks senza ucciderla; la loro
strategia si basava sul pilotare il processo in modo da svelare tutti
i retroscena che la riguardavano: l'omicidio del povero soldato
innocente, la sua volontà di abortire il suo unico figlio,
il suo
carattere irascibile, i suoi problemi comportamentali... Avrebbero
distrutto la sua credibilità come testimone di fronte alla
giuria
popolare, rivoltando il processo contro di lei.
Tolto
di mezzo il testimone,
e fatto fuori Hayer, loro ne sarebbero usciti quasi puliti.
Il colonnello strinse tra
le forti dita il fascicolo, guardando torvo la foto del cadavere del
soldato, con volto tumefatto, la mascella spaccata, i denti saltati e
tutto il resto. C'era voluto loro molto lavoro con trucco e protesi
in lattice per simulare quelle ferite, che sarebbe stato impossibile
provocare al corpo già morto; solo in questo modo avrebbero
potuto
accusare Banks di omicidio preterintenzionale aggravato dalla
crudeltà, un reato che avrebbe fatto molto più
scalpore rispetto al
semplice omicidio colposo per legittima difesa.
Si trovò nuovamente a
pensare a Grumann, alzando gli occhi e volgendo lo sguardo fuori
dalla finestra, al campo di addestramento per metà sgombrato
dalle
attrezzature. Che non fosse giunto il momento anche per lui di
disobbedire agli ordini e scegliersi da solo il suo gran finale?
Quella mattina al quartier
generale l'umore era decisamente migliore del solito; i lavori
assegnati da K agli agenti e la sua iniziativa di controllare le
vittime tra i civili aveva portato entusiasmo ed ottimismo, e ogni
tanto, tra una ricerca e l'altra, si alzava un po' di
chiacchiericcio.
L
stava consumando
lentamente la sua ciotola di ciliegie denocciolate per lo spuntino di
metà mattina, posando distrattamente lo sguardo da un
monitor
all'altro, senza fare realmente nulla. Quella mattina, allo
svegliarsi, Light gli aveva detto che nonostante tutto quello che era
successo la sera prima, non avrebbe lasciato perdere il discorso di
come L avesse ustionato il volto di Nathalie, e pretendeva che il
detective gli desse una spiegazione soddisfacente per quanto
accaduto. Al che L aveva risposto che non era tenuto a dare
né a lui
né ad altri alcuna spiegazione per le azioni compiute da
bambino, e
lo aveva trascinato fuori dall'appartamento prima ancora che questi
avesse finito di infilarsi le scarpe.
Lui non poteva di certo
immaginare la sua frustrazione ogni volta che la guardava in volto.
Se K si era offerta per quell'assurda prova di coraggio, era stato
anche perché lui venisse risparmiato dalla cattiveria degli
altri
bambini. E aveva calcolato la temperatura e il tempo di esposizione
necessario perché non rimanesse alcun segno, né
sul suo volto lei,
né su quello di J. E aveva lasciato a lui il compito di
poggiarle il
dannato coltello sul viso, perché solo di lui si fidava. E
lui aveva
avuto paura, e l'aveva tolto un attimo troppo tardi, rendendole
impossibile una completa guarigione. Si era odiato per anni e
continuava ad odiarsi per averle lasciato quella cicatrice. Molto
tempo dopo, il giorno in cui aveva confessato a K che non riusciva a
vederla più come una sorella maggiore perché si
sentiva attratto da
lei, si era arrabbiata parecchio, perché credeva che si
sentisse
semplicemente in debito per quello che era successo al suo viso. Non
poteva esserci altra spiegazione.
-Tu
vivi perseguitato dal
senso di colpa.- gli aveva detto. -È tutta la vita che ti
senti in
colpa per la morte di tua madre, e poi hai iniziato a sentirti in
colpa per questa.- e si era indicata la parte destra del volto, sul
quale metteva sempre correttore e fondotinta in modo da nascondere la
macchia agli sguardi pietosi della gente.
L non sapeva se avesse o
meno ragione. Era così abituato a vivere accompagnato dal
senso di
colpa, che quasi non riusciva a fare posto per nient'altro.
Ma
cercò di scacciare via
quel pensiero, e riprese a giocherellare coi computer mentre gli
altri intorno a lui continuavano il loro lavoro.
Furono
interrotti da una
chiamata di Watari, che L mandò in vivavoce sugli
altoparlanti.
-Ryuzaki,
il lavoro di oggi
mi impegnerà più a lungo del previsto.- disse.
-Chi voleva ordinare
il pranzo da fuori, oggi dovrà cucinare.-
-Questa
è una bella
seccatura.- commentò Ryuzaki, mangiando un'altra ciliegia.
-Dai,
Ryuzaki...- gli fece
Light, avvicinandosi. -Non è mica la fine del mondo.
Possiamo
prepararci il pranzo da soli, no?-
-Non
capisco perché dovrei
perdere tempo prezioso a fare una cosa, quando potrei potrei pagare
qualcuno per farla meglio.- ribatté lui, chiudendo la
chiamata.
-Non
mi sembra che tu sia
così impegnato al momento.- commentò Light. -E
sinceramente mi
sembri un po' viziato. Sei sempre stato così ricco da
permetterti
tutto questo?-
L
cercò di scacciare dalla
mente il ricordo del bilocale umido e vecchio di Boston, il cibo
spazzatura e i pochi stracci che era costretto ad indossare quando
ancora viveva con sua madre, l'orfanotrofio in cui aveva vissuto nei
mesi successivi al suo suicidio, e poi i pasti poveri e dallo stesso
sapore indefinito della Wammy's House, dove spesso non avevano
nemmeno il riscaldamento o l'acqua calda, ed evitò di
rispondere.
Solo quando si era ritrasferito negli Stati Uniti per le scuole
preparatorie e per poi frequentare Harvard, come già aveva
fatto K,
aveva cominciato a vivere in condizioni umanamente più
accettabili.
-Come vuoi tu, Light.- si
arrese, infine. -Ma sbrighiamoci, perché dopo abbiamo una
cosa da
fare.-
K sentì bussare alla porta
e guardò l'orologio. Erano le due del pomeriggio.
Sospirò esausta
davanti allo schermo del PC, sul quale vedeva il volto tirato di
Burton che dava istruzioni ai suoi uomini.
-È
tardissimo, Roger.-
disse. -Da te deve essere passata la mezzanotte. E qui hanno appena
bussato.-
-Vai
pure, Kendra.- rispose
lui. -Penso che tra un po' ce ne andremo tutti a letto.-
-Era
ora!- protestò J,
entrando nel suo campo visivo. Basso e tarchiato, J era sempre
sembrato a K dall'aspetto troppo stupido per essere uno studente
della Wammy's House. Aveva taglienti occhi neri, capelli castani e
leggere lentiggini sul naso a punta, e nonostante i suoi trent'anni e
un debole accenno di pizzetto, sembrava poco più che un
ragazzino.
Per
quanto si sforzasse di
comportarsi in modo adulto e maturo nei suoi confronti, non poteva
sopportare il fatto che lui le tirasse continuamente delle
frecciatine.
-Arrivo!-
urlò, rivolta
verso la porta.
-Il
padre di tuo figlio
torna a casa per mangiare e non hai ancora messo nulla in tavola?-
rise il suo vecchio compagno.
Lei
sospirò.
-Anche
se apprezzo il tuo
contributo professionale a questo caso, devo dire che il tuo
atteggiamento rimane sempre quello di un bulletto di dieci anni, J.-
-J
è molto stanco.-
intervenne Burton, allontanando il giovane dalla webcam. -Ed
è
meglio che vada a dire agli altri che possono tornare a casa.-
Il
volto del detective tornò
serio, annuì e si allontanò dal campo visivo di
K, camminando a
passo deciso verso la porta che conduceva dall'ufficio di Burton alla
sala dei computer.
K si alzò in piedi e
augurò la buonanotte al padre adottivo, prima di chiudere il
portatile con un gesto secco ed andare ad aprire la porta.
Erano
L e Light.
-Novità?-
domandò, senza
togliersi dalla porta.
-Ancora
nulla.- rispose L.
-Possiamo entrare?-
Solo
in quel momento K si
rese conto di star morendo di fame.
-È
una cosa lunga?-
domandò, vagamente infastidita, soffiandosi il ciuffo bianco
da
davanti agli occhi rosati, ancora coperti dai Ray-Ban Aviator che
usava davanti al PC.
-Puoi
pranzare mentre
parliamo, se proprio devi.- insistette L, a cui non erano sfuggiti i
brontolii del suo stomaco.
Lei
sospirò, si tolse gli
occhiali e girò i tacchi, lasciando la porta aperta.
Indossava
ancora gli stessi abiti di quella mattina, per cui li lasciò
nella
sala e si chiuse in camera per cambiarsi velocemente. Infilò
i jeans
lunghi e grigi del giorno prima, ma sopra non aveva altro ricambio
per quella canotta larga: la maglietta bianca era a lavare, la
camicetta del completo blu pure, e le rimaneva soltanto la maglietta
nera con la Union Jack, quella che usava come pigiama, ma pure quella
era larga e rovinata, o il crop top di Misa, che però era
troppo
corto.
Uscì pertanto così,
borbottando delle scuse sul fatto che non avesse altro da mettere.
-Era
giusto di questo che
volevo parlare.- colse la palla al balzo L, che si era sistemato sul
divano.
-Cos'è,
vi siete messi
tutti d'accordo sull'unirvi alla Santa Inquisizione dei Guardaroba?-
sbuffò.
-Pensavo
che sarebbe meglio
se andassi davvero a fare shopping con Misa.- insistette L. -Dal
momento che Light non ha intenzione di raggirarla per ottenere
informazioni, speravo lo potessi fare tu.-
-Se
dobbiamo per forza
parlare, venite in cucina.- disse K, attraversando la stanza senza
guardarli. -Fatemi mangiare.-
-Non
ti preoccupare,
torneremo più tardi.- intervenne Light, alzandosi in piedi.
-No,
Light.- insistette L.
-Ho bisogno di parlarle del caso Kira, dal momento che l'ho assunta
per questo motivo, e sta usando il mio prezioso tempo per lavorare ad
un altro caso.-
K
sbuffò di nuovo,
sonoramente.
-Trattienimi
l'ingaggio,
cosa vuoi che ti dica?-
Entrò
nel cucinino e aprì
il frigo.
-Sai
quanto me ne importa,
dei tuoi soldi.-
I due presero posto sul
tavolo, in silenzio. K rovistò un po' nel frigo ed estrasse
la
pentola dove aveva preparato del brodo dashi, prese
del pollo
e due uova, poi tirò fuori dalla credenza una confezione di
riso e
una bottiglia di mirin, e, infine, prese dagli
scomparti in
basso il bollitore elettrico per il riso e una pentola piccola.
Mentre
metteva il riso nel
bollitore e travasava un po' di brodo dashi nella
pentola più
piccola, Light esclamò: -Prepari donburi!-
K
gli lanciò una breve
occhiata ed annuì.
-O
almeno ci provo.-
-Non
pensavo ti piacesse la
cucina giapponese.- disse il ragazzo, ammirato.
K
fece scivolare il pollo
già tagliato nella pentola col brodo, a cui aggiunse la
salsa di
soia e il mirin.
-Non
è che mi piaccia la
cucina giapponese.- disse. -È che, visto che sono in
Giappone, penso
sia più sano prepararmi da sola i piatti con gli ingredienti
del
posto, anziché mangiare sempre da asporto o comprare roba di
importazione.-
Controllò che fosse tutto
in ordine, e poi si sedette con gli altri, appoggiando i gomiti sul
tavolo.
-Cosa
vuoi?- chiese a L.
Lui
si rannicchiò sulla
sedia e appoggiò le mani sulle proprie ginocchia.
-Vorrei
che tu uscissi
insieme a Misa Amane con la scusa di andare a fare shopping.-
-E
perché?- insistette la
giovane.
L
la guardava fisso, senza
sbattere le palpebre.
-Le
avevo promesso la
libertà vigilata, ma ultimamente ho pensato che potesse non
essere
una buona idea.- cominciò. -Perché chi ci dice
che chi le ha dato i
poteri una volta non la voglia avvicinare di nuovo, ora che lei
è
così vicina a me?-
Light
impallidì.
-Come
puoi pensare una cosa
del genere?- protestò. -Continui a credere che io e Misa
potremmo
mai uccidere qualcuno di voi?-
-La
vera questione è...- si
intromise K. -Che abbiamo appurato che Kira agisce spinto anche da un
istinto di autoconservazione. Perciò, se Misa dovesse uscire
di qui,
e tu, Ryuzaki, poi dovessi morire, sarebbe logico supporre che lei
abbia recuperato i poteri di Kira.-
-Parlate
entrambi come se
non ci fosse alcun dubbio sulla nostra colpevolezza!-
ribatté Light,
infastidito.
-Non
ce ne sono, infatti.-
risposero all'unisono i due detective, rivolgendo lo sguardo verso il
ragazzo.
-Tanto
meglio per noi.-
riprese L, ignorando le proteste di Light. -Se per Kira si rivelasse
troppo rischiosa questa pista, potremmo mandare Misa in giro senza
alcun problema. Ma vedi...-
E
poi intrecciò le dita
davanti alla propria bocca.
-È
giunto il momento che io
faccia la mia mossa. E vorrei che ci fossi tu con Misa in quel
momento, per essere i miei occhi e le mie orecchie.-
K strinse gli occhi.
-Ti
rendi ovviamente conto
del fatto che mandarmi là fuori potrebbe costarmi la vita,
vero?-
sibilò. -L'hai detto anche ieri, ma speravo fosse soltanto
una delle
tue stupide provocazioni.-
-Come
hai detto tu... è
altamente improbabile che Misa recuperi i suoi poteri e che uccida
qualcuno del quartier generale.- rispose L, tranquillo. -In
più, se
fossi tu la prima a morire mentre sei fuori insieme a lei, sarebbe
subito sospettata e non potrebbe mai tornarci, al quartier generale.-
-Non
è per mano di Misa che
potrei lasciarci la pelle.- insistette K, stringendo i pugni. -Ci
sono persone che per anni avrebbero voluto vedermi morta, e per poco
non ci riuscivano non più tardi di due mesi fa.-
E
così dicendo indicò la
cicatrice del proiettile sulla spalla sinistra.
-Te
lo ripeterò: cosa ti
dice che non ci sia qualcuno pronto a farmi un buco in fronte non
appena metterò piede fuori di qui?-
L continuava a guardarla
senza battere ciglio.
-Ho
chiesto il tuo aiuto
perché penso tu sia la sola che può sorvegliarla
a dovere, almeno
le prime volte che lascerà il quartier generale...-
-“Le
prime volte”?-
ripeté lei, ringhiando. -Al plurale?-
-Ma
se credi che questo
possa metterti in pericolo, sei assolutamente libera di rifiutare.-
continuò L, ignorando i suoi occhi che pulsavano, sempre
più rossi.
-Dopotutto,
quando ho
proposto al sovrintendente Yagami di mettere a repentaglio la propria
vita nell'operazione che ha portato alla scarcerazione di Light e
Misa, anche lui ha avuto la possibilità di rifiutare. Tutti
gli
agenti che hanno deciso di lavorare con me, di fronte
all'eventualità
di poter perdere la vita, hanno avuto la possibilità di
rifiutare.-
K sapeva qual era il suo
scopo.
Era
solo questione di tempo,
prima che qualcuno cominciasse a sospettare che tra loro ci fosse
stato qualcosa, o meglio, probabilmente tutti lo pensavano,
semplicemente perché avevano lavorato insieme ed erano di
sesso
opposto, ma nessuno l'aveva ancora insinuato. Se Light avesse dovuto
scoprire che erano l'uno il punto debole dell'altra, avrebbe potuto
usare quest'informazione per distruggerli, se avesse recuperato i
ricordi ed i poteri di Kira. Per questo, L doveva affidarle un
compito rischioso, che mettesse a repentaglio la sua stessa vita, per
fugare ogni dubbio: lei gli aveva salvato la vita; lui doveva
dimostrarsi completamente indifferente alla cosa, doveva metterla
volutamente in pericolo, in modo che nessuno sospettasse nulla.
La
giovane batté il pugno
sul tavolo.
-Sei
un sadico
doppiogiochista.- ringhiò. -Non meriti che nessuna persona
al mondo
decida di morire per te!-
L,
impassibile, sciolse le
dita intrecciate, e incrociò le braccia.
-Immaginavo
non saresti
stata d'accordo.-
-Stai
giocando col fuoco!-
continuò lei, furiosa. -Cerchi di catturare un serial
killer, un
criminale di fama mondiale, ma ti stai mettendo al suo stesso piano!-
Si alzò in piedi, e la
sedia cadde all'indietro, andando a sbattere contro i mobili della
cucina.
-Hai
raggirato, mentito ai
tuoi agenti, hai usato un condannato a morte come cavia da
laboratorio per la tua grandiosa entrata in scena...-
Stava
tenendo il conto con
le dita.
-Hai
messo in pericolo un
sacco di persone, tra cui i tuoi stessi uomini, per provare le tue
teorie, hai torturato Light e Misa, non hai provato pietà
per
nessuno, e soprattutto, non ti è mai importato nulla delle
centinaia
di vittime di Kira!- concluse, urlando.
Si
voltò, raccolse la sedia
e la appoggiò pesantemente in un angolo, lontana da lei.
Light
la guardava confuso, e
solo in quel momento si rese conto di essersi messa a parlare in
inglese. Decise tuttavia di ignorare il ragazzo, e continuò.
-Credi
di essere
l'incarnazione della giustizia?- riprese, piantandosi con le mani sul
tavolo, di fronte a lui. -Beh, anche il primo Kira era convinto di
questo. Sei contento di essere esattamente come lui?-
-Non
sono affatto come lui.-
rispose L, calmo.
-Invece
è così.-
insistette lei. -Non avrai materialmente ucciso nessuno, ma il tuo
completo disinteresse verso le persone ha fatto sì che
morissero
molte più persone di quante “avrebbero
dovuto”.-
E
mimò le virgolette con le
mani.
-Se
ti fossi messo a
lavorare seriamente al caso, anziché prenderla come una
sfida
personale al tuo ingegno, probabilmente sarebbe morta metà
della
gente, o anche meno.-
Poi si rimise dritta e
cominciò a girare su se stessa, coi palmi delle mani rivolti
verso
l'alto.
-Ma
no! Questa doveva essere
una grande sfida, Sherlock L contro Kira Moriarty, per il titolo di
mente più acuta del mondo!-
Quindi
si fermò, si
avvicinò ad una delle pareti del cucinino e si mise ad
accarezzare
il muro.
-Bello
questo quartier
generale in cui non stai muovendo nemmeno un dito per fermare Kira.
È
così enorme, tronfio e scintillante, è il
perfetto monumento al tuo
ego smisurato!-
E
così dicendo alzò una
gamba per tirare un calcio al muro, poi notò di essere
scalza e vi
appoggiò semplicemente il piede. Infine trasse un lungo
sospiro,
fece scivolare giù il piede e si lasciò andare
contro la parete,
appoggiandovi la fronte.
-È
necessario che qualcuno
metta un freno alle tue azioni, Ryuzaki.- riprese in giapponese. -Non
ti rendi conto che quello che stai seguendo non è un cammino
di
giustizia, ma di perversione. Non è così che
agisce un uomo di
legge.-
Dietro
di lei, L aveva uno
sguardo vagamente rancoroso, ma anche triste.
-Non
credo che tu sia la
persona più adatta a dirmi come dovrebbe agire un uomo o una
donna
di legge.- ribatté, in tono acido.
K si voltò, di nuovo
furiosa, arrivò al tavolo in un passo e mezzo e
allargò il braccio
destro con la mano aperta, pronta a tirargli uno schiaffo... ma si
bloccò a mezz'aria.
“Non
sono un bambino” le
aveva detto L la prima volta che era giunta ad un simile gesto.
“Non
ti permetto di prendermi a schiaffi come se fossi un moccioso
disobbediente.”
E
poi le aveva preso la
mano, e l'aveva chiusa a pugno.
“Ecco.”
aveva
continuato. “Ora puoi farlo. Ma sappi che io
risponderò al colpo.”
Fin
da quando erano andati a
vivere insieme per l'addestramento di L, spesso c'erano state delle
liti più o meno accese. Quel giorno, K aveva per la prima
volta
alzato le mani, e questa era stata la risposta del suo amico e
compagno. Lei aveva cominciato a sospettare che la madre che L tanto
odiava l'avesse picchiato per anni, e lui non avesse mai potuto
rispondere, e che, probabilmente dopo l'incidente della sua ustione,
L avesse deciso di non farsi mai più mettere i piedi in
testa.
Lei
non avrebbe mai voluto
alzare le mani contro una persona a cui teneva, e si era sentita
incredibilmente meschina ed ignobile ad aver ceduto alla violenza. Ma
L l'aveva rassicurata, dicendole che non gli importava che entrambi
sfogassero rabbia e frustrazione con una bella scazzottata, per poi
dimenticare tutto. Come tra amici maschi.
Da
quel giorno i loro litigi
erano finiti sempre con grasse risate e due birre ghiacciate.
Ma ora non erano più
liberi di farlo.
E
così K chiuse la mano a
pugno e la sbatté sul tavolo.
-Smettila
di manipolare le
persone.- disse, con voce rotta dal dolore. -Smettila di mettere a
repentaglio la vita di chi ti sta intorno per i tuoi comodi. Smettila
di passare sopra ogni regola e fregartene della legge perché
sei
convinto di perseguire un bene superiore.-
Il
brodo stava bollendo
ormai da un po', così se ne andò ai fornelli a
spegnere tutto.
-Se
sono questi i mezzi con
cui vuoi battere Kira...- riprese. -Sappi che questa non è
giustizia. E tu non sei meglio di lui.-
Calò
un silenzio pesante,
durante il quale lei continuò a dare le spalle ai due,
guardando con
occhi vuoti il pollo galleggiare nella pentola.
-Ne
devo dedurre che non
metterai a repentaglio la tua vita soltanto per provare una mia
teoria?- domandò infine L. -Lo accetto. Non c'è
problema. Mi
organizzerò per...-
-Accetto.-
lo interruppe
lei, voltandosi.
Sperò
con tutto il cuore
che Light non lo stesse notando, ma L era impallidito e aveva
sgranato gli occhi, coi quali sembrava volerle dire “No, ti
prego!”.
Non
poteva sopportare che
lui facesse tutta questa messinscena soltanto per passare dalla parte
del bruto senza cuore che quindi non poteva in nessun modo provare
dei sentimenti per lei. Anche se K era consapevole di cosa e
perché
lo stesse facendo, anche quella era una forma di manipolazione. E lei
non riusciva a sopportarlo.
-Dobbiamo
provare che Misa
Amane non corra pericoli una volta reinserita nella società,
così
che, se riuscissimo a catturare Kira e a fermare gli omicidi, e se
potremo dimostrare senza ombra di dubbio che lei e Light non hanno
agito secondo la loro volontà, sapremo che tutti e due
potranno
ricominciare una vita normale.-
-Ma
se è così rischioso
per te non è giusto che sia tu a farlo!- intervenne Light,
alzando
la voce. -Non quando ci sono altre persone che possono intervenire al
posto tuo!-
K si voltò verso di lui.
-Sono
un'esperta di
esoterismo, e sono probabilmente più in grado di chiunque si
trovi
in questo edificio di riconoscere i segni di una possessione.-
Poi
tornò verso il frigo,
lo aprì, tirò fuori la pentola col dashi
e ne aggiunse un
paio di mestoli al brodo col pollo.
-E
per quanto riguarda
quelli che mi vogliono morta...- continuò, rimettendo tutto
a posto.
-Mi nasconderò in piena luce. Letteralmente.-
Lanciò
un'occhiata a L, che
era ancora impietrito a guardarla con occhi sgranati.
-Andrò
domani. Hanno
annunciato una giornata di sole e cielo terso. E ho fatto credere
loro di essere eliofobica, non si aspetteranno mai che esca
completamente esposta alla luce solare.-
Chiuse
il frigo.
-Sempre
che tu sia riesca a
preparare l'operazione con così poco preavviso, Ryuzaki.-
L
ormai non si poteva tirare
indietro, o avrebbe fatto insospettire Light. Si era spinto troppo
oltre e ora se ne stava pentendo, K poteva leggerglielo negli occhi
quasi completamente neri.
Alla
fine si alzò in piedi,
infilandosi le mani in tasca.
-Allora
ti manderò Watari
per i dettagli.- disse, cercando di ricomporsi.
-Bene.-
annuì K, e poi andò
ad aprire il bollitore elettrico per vedere se il riso fosse pronto.
-A
me è passato abbastanza
l'appetito.- aggiunse, tastando con un cucchiaio di legno la
consistenza del riso. -Se avete ancora fame, prendo due piatti.-
-No,
grazie.- fece Light,
alzandosi anche lui in piedi. -Penso che ormai Ryuzaki ti abbia
infastidita abbastanza.-
E
così dicendo gli rivolse
un'occhiata torva.
-Noi
ce ne andiamo, vero
Ryuzaki?-
Il
detective tirò fuori le
mani dalle tasche per stiracchiarsi.
-Certo,
noi torniamo al
lavoro.- disse, ritornando curvo. -Grazie per aver accettato,
Nathalie Banks. Mi sei di grande aiuto.-
Watari
sentì bussare alla porta.
-Sono
io.- disse la voce di K da fuori.
Il
vecchio si alzò dalla sedia girevole ed andò ad
aprire la porta,
facendo cenno con la mano alla giovane perché si
accomodasse. Erano
le undici di sera, per cui la ragazza non aveva addosso il completo
da lavoro, bensì un vecchio paio di jeans grigi e la felpa
dell'università di Stanford.
-Sei
qui per parlarmi dell'operazione di domani?- domandò,
prendendo una
sedia, girandola verso di lei ed invitandola ad accomodarsi. -Se
vuoi, nel frattempo posso preparare del tè.-
-Vada
per il tè.- rispose lei, sedendosi, incrociando le gambe e
appoggiando il gomito sul tavolino dei computer.
La sala di controllo dove Watari passava la
maggior parte delle sue
giornate a monitorare tutto ciò che accadeva nel quartier
generale,
e dove controllava le notizie sui criminali per registrarne le morti,
era uno stanzino senza finestre, dai muri spessi e rinforzati
ricoperti da lastre di metallo. La parete di fondo era ricoperta da
schermi, di fronte c'era un unico tavolo lungo e stretto con una
larga tastiera meccanica, e non c'era quasi altra luce a parte quella
bluastra proveniente dagli schermi, che si rifletteva sul metallo
delle pareti circostanti. Pareva un container.
Watari
aveva sistemato un tavolino su uno dei muri laterali con un bollitore
ed un servizio di tazze, più tutto il necessario per
preparare il
tè. Quella era una cosa alla quale non avrebbe mai
rinunciato.
-È
bello poter di nuovo partecipare a questa cerimonia del tè.-
disse
K, con sguardo triste. -Al quartier generale del PPEP non c'era
tè,
solo quella brodaglia indecente che si ostinano a chiamare
"caffè
americano".-
Watari
piegò le labbra in un sorriso appena accennato.
-In
ogni caso, dubito tu sia venuta qui solo per una tazza di
tè.-
disse, sedendosi di fronte a lei. -Sei stranamente silenziosa.
È
successo qualcosa? Non sei qui per parlare dell'operazione per
domani?-
-Anche
se ho trattato L in quel modo, oggi, non è che fossi davvero
preoccupata per la mia incolumità all'idea di uscire
domani.- disse,
volgendo lo sguardo altrove. -Gli ho detto quelle cose
perché temo
davvero che si stia perdendo, Watari. Ho il terrore che possa
definitivamente perdere la misura di ciò che è
giusto e ciò che sbagliato, e se devo mettermi in pericolo
per cercare di svegliare la
sua coscienza da questo torpore in cui è caduto, lo faccio
con
convinzione.-
-Metterti
volutamente in pericolo non è una soluzione.- la
rimproverò Watari.
-Non risolveremo mai nulla se ti fai fare un buco in testa.-
K
trasse un lungo sospiro, e si passò le mani sul volto, con
espressione stanca.
-In
realtà sono qui perché vorrei che mi parlassi di
Nate River.-
riprese, appoggiando la testa sulla propria mano, allargando il
gomito sul tavolo e sprofondando con la schiena nella sedia
imbottita. -So che magari è tardi per chiedertelo, ma ho
bisogno di
sapere.-
Watari
rimase in silenzio, si tolse gli occhiali dal naso adunco e prese a
pulirli.
-Pensavo
non ti importasse nulla di quel bambino.- disse infine, rimettendosi
gli occhiali. -Come mai ora ti interessa tanto?-
K
rimase in silenzio e fissò lo sguardo altrove, verso gli
schermi che
ricoprivano la parete.
-Vorresti
che ti dicessi che in realtà ho sempre pensato al suo bene e
che il
mio unico desiderio è di vederlo e di crescerlo
com'è giusto che
sia?- domandò, in tono freddo. -Sai che non è
così.-
Watari
non rispose, si alzò e prese il bollitore per servire ad
entrambi il
tè.
-Vedi,
non ho mai avuto intenzione di avere figli.- riprese la ragazza, con
sguardo spento. -Sono sempre stata convinta che l'unica ragione per
cui ero rimasta in vita fosse quella di vendicare i miei genitori, e
che non ci fosse altro per me a questo mondo. E ovviamente questa
convinzione si è rafforzata nel momento in cui ho scoperto
di avere
anch'io il gene dell'Huntington, oltre al fatto che, a quanto pareva,
in tutti i casi di Huntington nella famiglia di mia madre, la
malattia si era manifestata in giovane età. E soprattutto...-
Si
drizzò un momento per porgere la tazza a Watari
perché la riempisse
di acqua calda e per prendere una bustina di tè.
-...
di certo non avrei mai voluto avere figli con L. Chissà,
magari
prima o poi avrei trovato un uomo di cui innamorarmi e con cui
costruire una famiglia, magari questa persona mi avrebbe convinto ad
adottare un bambino. Ma con L?-
Si
lasciò andare ad una risatina sprezzante.
-Nessuno
di noi due è in grado di badare a se stesso. Siamo entrambi
infantili ed egoisti, abbiamo delle personalità
problematiche e la
nostra relazione non è mai stata sana. Avere un figlio
sarebbe stata
in assoluto l'idea peggiore che L potesse mai avere; voglio dire, ti
ci vedi me come
madre?-
Prese
la tazza bollente con entrambe le mani e se la portò alle
labbra,
per soffiarci sopra.
-Sono
mentalmente instabile. Ho un grosso problema con la gestione della
rabbia, soffro di depressione e sono autolesionista. Non ti ricorda
qualcuno?-
Watari
abbassò lo sguardo.
-La
madre di L.- rispose, con voce rotta dalla commozione.
-Proprio
lei.- riprese K. -Il fantasma che L ha sempre messo tra noi, il
fantasma con cui mi ha identificato.-
Sbuffò
sonoramente, e poi bevve un sorso dalla sua tazza.
-Come
avrei potuto crescere un bambino in queste condizioni? Quando per
certi versi mi toccava ancora fare da madre a L, poi!-
Watari
la guardò di sottecchi.
-Ma
tu dicesti che avresti abortito. Lasciasti a L un messaggio in
segreteria in cui lo accusavi di averti rovinato per sempre la
carriera, gli dicesti che non avresti mai e poi mai tenuto il bambino
e che non lo avresti mai più voluto rivedere.-
Tagliò
una sottile fetta di limone e la fece delicatamente cadere nella
propria tazza.
-Anche
se è stata la Hogson a costringerti a dire quelle cose, sono
abbastanza certo che fosse ciò che pensavi. Non è
così?-
K
bevve un altro sorso e poi appoggiò la tazza sul tavolo.
-È
vero, avrei preferito in ogni caso abortire.- disse infine. -Se non
fossi stata presa come ostaggio, ovviamente sarei tornata per
affrontare L, ma la mia scelta sarebbe comunque ricaduta
sull'aborto.-
Riprese
a vagare con lo sguardo triste sulle pareti spoglie della stanza.
-Bjarne
è stato adottato, è vero, e ha vissuto
un'infanzia splendida
circondato da persone che lo amavano. Quando mia madre rimase incinta
di lui, il ragazzo che frequentava a quei tempi sparì. Era
un
poveraccio di Johannesburg, figlio di una cameriera messa incinta dal
suo padrone bianco, quando in Sudafrica l'Apartheid era ancora una
cosa nuova.-
Strinse
il manico della tazza, mentre le sue labbra si piegavano in una
smorfia di disgusto.
-Mia
madre aveva vinto una borsa per continuare gli studi di medicina in
Inghilterra, e sapeva che se si fosse scoperto che aveva un figlio
illegittimo gliel'avrebbero tolta. Così pensò di
darlo in adozione.
Fortuna volle che ad una visita ginecologica incontrò gli
Hartford,
che erano venuti in Inghilterra dagli Stati Uniti per tentare una
nuova terapia per la fecondazione assistita. Anne non poteva avere
figli, e le avevano rifiutato l'adozione perché aveva
tentato il
suicidio quando il primo marito, un pastore particolarmente bigotto,
l'aveva ripudiata in quanto “ostacolo all'avverarsi del
disegno di
Dio”. Così, alla fine, riuscirono ad accordarsi
per un'adozione
privata. All'epoca la legislazione in merito era ancora abbastanza
nebulosa, motivo per cui redassero appena un paio di documenti e non
ebbero problemi.-
Si
fermò un istante, e sospirò profondamente.
-Bjarne
è stato fortunato. Ha trovato una famiglia che lo ha amato.
Eppure
io sentivo di non poter dare Nate in adozione, anche se lo avessi
voluto.-
Alzò
lo sguardo verso Watari.
-Se
avessi scoperto che aveva ereditato il gene dell'Huntington, o
l'albinismo, o se in seguito avesse mostrato comportamenti
riconducibili allo spettro di Asperger come suo padre... darlo in
adozione e costringere una famiglia a dover sostenere questo tipo di
problemi sarebbe stato ingiusto. Almeno dal mio punto di vista.-
Rivolse
poi lo sguardo alla propria tazza di tè.
-Se
avessi potuto scegliere tra il condannare il bambino ad una vita di
dolore insieme a me e a L, che non saremmo stati in grado di
occuparcene, lasciare che fosse qualcun altro ad occuparsene, col
rischio comunque che passasse una vita d'inferno se avesse ereditato
anche solo uno dei nostri disturbi, o impedirgli di nascere... avrei
scelto di risparmiagli una vita di dolore. Dopotutto, non sarebbe
stato la prima vittima innocente della cui morte devo farmi carico.-
Watari
la osservava attentamente.
-Dici
così perché non sei in grado di dare valore alla
vita.- sentenziò.
Lei
si strinse nelle spalle e si morse il labbro inferiore.
-La
vita è una punizione...- sussurrò.
-La
vita è un dono.- ribatté Watari. -E ti ricordo
che un sacco di
persone hanno sacrificato la propria perché tu potessi
continuare
vivere.-
-Il
loro sacrificio è stato inutile.- disse ancora K, stringendo
le dita
attorno alla tazza. -Una volta che avrò fermato la Hogson...
cosa
rimarrà di loro? Solo polvere.-
Watari
si accorse che il suo respiro si stava facendo sempre più
affannoso,
così si alzò e allungò una mano verso
la sua spalla. Ma K si voltò
di scatto, spalancò gli occhi e si scostò in
fretta.
Il
vecchio rimase interdetto.
-Scusami.-
disse lei, ricomponendosi.
-K...-
cominciò Watari, con sguardo addolorato e voce rotta. -...
Credevi
volessi colpirti?-
Lei
si sforzò di tirare fuori un sorriso triste.
-A
volte quando ti guardo sento ancora la guancia pulsare.-
Watari
abbassò lo sguardo e strinse i pugni. Non pensava che, dopo
tutta la
spavalderia che K aveva sempre dimostrato di fronte a qualunque tipo
di dolore fisico, potesse ritrarsi per paura di un suo schiaffo.
-Quando
ti ho cacciata dalla Wammy's House...- cominciò. -...
è vero che ho
alzato una mano per tirarti uno schiaffo. Il tuo atteggiamento
arrogante e per nulla pentito di fronte all'evidenza che ti portavi L
a letto mi aveva mandato in bestia. Ma non lo avrei fatto.-
Alzò
il volto solcato dalle rughe e la guardò.
-Ma
tu non eri spaventata. Mi guardavi urlare con la mano alzata e avevi
uno sguardo compiaciuto. Ridevi, addirittura. Per questo non ci ho
visto più. Eppure, non credevo che dopo tutti questi anni
avresti
ancora avuto paura.-
Le
si distese il volto a sentire quelle parole, e toccò
affettuosamente
il braccio di Watari.
-Ridevo
perché era giusto così.- disse allora.
-Perché era giusto che
fossi punita per ciò che avevo fatto. Era giusto che mi
odiassi, era
giusto che tutti voi mi odiaste, perché mi avevate dato una
vita ed
un ruolo di cui non ero degna.-
Watari
spalancò gli occhi ed indietreggiò.
-Smettila
di dire certe cose!-
-Credimi,
è così.- disse lei, tranquilla, mentre tornava ad
appoggiarsi al
tavolo. -Volevo servirmi di L perché temevo che non sarei
vissuta
abbastanza a lungo da risolvere il caso della morte dei miei
genitori. Ho usato anche Burton, nel momento in cui ho cominciato a
trovare degli indizi. Senza contare i rischi che sapevo che avrei
fatto correre a Bjarne e alla sua famiglia.-
Poi
si voltò di nuovo verso il vecchio.
-Ad
un certo punto mi ero accorta che L era attratto da me.- disse, con
un sorriso sulle labbra, ma una tristezza infinita nello sguardo
rosato. -Forse me ne sono accorta prima che lui stesso se ne rendesse
conto. Lavoravamo insieme già da sei mesi, e gli avevo
proposto di
farsi assumere da qualche agenzia privata famosa per provare a
lavorare da solo. Perché smettesse di vedermi. Ma lui non ha
voluto,
e io non ho insistito, perché non
volevo se ne andasse.
Volevo che risolvessimo il mio caso assieme.-
Si
girò di nuovo verso la tazza, e ne bevve un altro lungo
sorso.
-Alla
fine ho ceduto.- riprese. -All'epoca, probabilmente avevo anche
trovato delle ottime ragioni per giustificarmi, ma ora non ne ricordo
nessuna. So che erano tutte balle. Ma non pensavo di aver fatto
qualcosa di così
grave, finché non c'è stata quella storia del
sequestro in Nevada.-
Allora
fissò lo sguardo negli occhi di Watari, e la sua calma ed il
suo
sorriso erano spariti.
-Ha
voluto unirsi a tutti i costi alla task force che mi ha liberata,
Wammy.- disse, con voce roca. -Uno dei trafficanti ha capito che non
era addestrato e gli ha sparato contro.-
Le
sue mani bianche tremavano.
-Stava
per farsi ammazzare, e solo perché si era preso una sbandata
per me,
capisci?-
Si
voltò di scatto, e nascose il viso tra le mani, mentre i
lunghi
capelli bianchi le coprivano il volto.
Watari
si avvicinò e le mise finalmente una mano sulla spalla. Il
suo
respiro era sempre più affannoso.
-Dovresti
provare a piangere.- le disse il vecchio. -Ti farebbe bene.-
-Se
cominciassi ora a piangere, non finirei mai più.-
ribatté lei, con
voce tremante, da dietro lo scudo che si era fatta con le mani. -Ma
ecco... ora capisci perché avessi bisogno di essere punita?
Il Wammy
Lager, nonostante fosse il posto peggiore in cui una persona possa
mai crescere, era la mia casa, e tu eri la persona che mi aveva dato
una seconda vita. E io ho fatto cose terribili, per cui era giusto
che mi cacciassi. Ho addirittura sparato ed ucciso quell'uomo che
stava per far fuori L. Ho ucciso una persona. E tutto perché
non
sono stata in grado di continuare ad ignorare quegli occhioni grigi e
tristi.-
Watari
si avvicinò di un altro passo, e poi si chinò
verso quella piccola
bambina indifesa che ora gli stava seduta davanti. La prese per le
spalle, la fece voltare e poi prese le sue mani bianche tra le
proprie, costringendola a scoprirsi il volto.
-Hai
commesso degli errori, è vero... ma tutti ne facciamo. Noi
possiamo
perdonarti, ma non servirà se non riuscirai a perdonare te
stessa.-
Poi
sospirò. -Cosa credi, che io non immaginassi già
che voi due
saresti finiti insieme? In realtà io lo speravo. Certo,
speravo che
avreste aspettato di essere entrambi maggiorenni. Ma non ho mai
potuto evitare di pensare che fosse giusto che steste insieme;
perché
insieme siete delle persone migliori, siete in grado di limare i lati
del vostro carattere che vi impediscono di vivere nella
società, e
solo così riuscite a vivere delle vite normali.-
Si
riaggiustò gli occhiali sul naso adunco, mentre K continuava
a
tenere lo sguardo fisso a terra.
-Ciò
che mi ha fatto imbestialire quando vi ho scoperti, non era tanto il
fatto che lui fosse minorenne, anche se dovevo recitare la parte del
direttore intransigente che non poteva accettare la cosa.-
K
sbarrò gli occhi e alzò di scatto il volto, con
la bocca semiaperta
in un'espressione di stupore.
-Il
motivo per cui ho perso la testa era che entrambi avete negato che vi
legasse un qualsiasi tipo di sentimento. Perché solo
l'affetto che
provavate l'uno per l'altra vi avrebbe potuto rendere persone libere
e migliori, ma voi l'avete rifiutato.-
Poi
la guardò severamente. -E continuate a farlo.-
-Sono
passati sei anni...- riprese lei, distogliendo ancora una volta lo
sguardo. -Lui avrebbe avuto la possibilità di trovarsi una
persona
che non avesse i problemi che ho io. Magari una come Naomi Misora...-
-E
non hai mai pensato che lui si fosse preso una cotta per Naomi Misora
perché gli ricordava te?- le domandò allora
Watari, rimettendosi in
piedi e sbattendo via la polvere dai pantaloni del completo nero. -O
meglio... la versione idealizzata di te?-
In
quel momento K sentì vibrare il cellulare nella tasca dei
jeans. Era
una mail da parte di L.
“Spero
tu sia ancora sveglia. Se sei certa al cento percento di uscire senza
protezione, domani, dimmi per lo meno qual è il tuo piano, e
quali
precauzioni prenderai. Non ti chiedo altro. E non volevo arrivare a
tanto, credimi, ma credevo fosse l'unico modo per
proteggerci.”
La
ragazza sospirò.
-Si
è fatto tardi, non credi?- le disse allora Watari. -Non
è meglio se
vai a letto?-
-Ma
non abbiamo parlato di ciò per cui ero venuta qui.-
protestò lei,
chiudendo con un gesto secco il telefono a conchiglia. -Non abbiamo
parlato di niente, in realtà.-
-Vieni
domani, parleremo con calma.- la rassicurò Watari,
raccogliendo dal
tavolo il bollitore, la scatola delle bustine di tè, il
miele, il
latte, il limone e lo zucchero e sistemando tutto su di un vassoio.
K
allora si alzò, si stiracchiò e lo
salutò, augurandogli la
buonanotte.
Watari
la guardò allontanarsi con le mani in tasca, notando che la
sua
andatura ora non era quella militare che aveva presentato dal momento
in cui era tornata da loro, bensì era ora leggermente curva,
lenta
ed esitante. Un po' come quella di L.
Il
vecchio pensò che quella sera non ce l'avrebbe fatta a dirle
che
anche Nate River era probabilmente affetto da un disturbo
comportamentale dello spettro Asperger.
K
chiuse la porta del suo appartamento a tripla mandata, per poi
fermarsi a riflettere se fosse o meno il caso di spingerci davanti il
mobiletto per le scarpe che si trovava contro il muro alla sua
sinistra. Decise infine che non era necessario ricorrere a questo
tipo di precauzioni: quell'edificio era stato progettato sotto le
direttive della persona più paranoica che avesse mai avuto
la
sfortuna di incontrare, perciò era certa che il suo Aspie
non avesse
lasciato nulla al caso.
Si
diresse in camera da letto e chiuse anche quella porta dietro di
sé,
poi andò all'armadio e si sfilò la felpa grigia
per riporla
ordinatamente sulla sua stampella. Rimase qualche istante a
guardarla, passando delicatamente l'indice sulla scritta rossa
“Stanford”, poi chiuse la zip ed appese la
stampella
nell'armadio, scostandola di una ventina di centimetri dai suoi pochi
abiti puliti. La Santa Inquisizione del Guardaroba aveva ragione,
dopotutto: avrebbe dovuto procurarsi qualcos'altro da mettersi, fosse
anche solo per non rischiare di sgualcire ulteriormente quelle
reliquie che teneva nell'armadio; abiti non suoi, che avevano
rappresentato per lei surrogati di abbracci non ricevuti in quegli
anni di semi-prigionia. La maglietta con la Union Jack della sua
prima volta con L, la camicia e la felpa di Bjarne. La felpa di
Stanford, soprattutto, rappresentava per lei tutto ciò a cui
suo
fratello aveva dovuto rinunciare a seguito del manifestarsi della
malattia, e il dolore che entrambi avevano sofferto.
Non
avrebbe mai scordato il momento in cui il mondo le era, per la
seconda volta, crollato addosso. Quel giorno K aveva avuto lezione
fino a tardi, per cui, uscita dall'aula di Psicologia alle sette
passate, si era fiondata di corsa ai telefoni pubblici del
dormitorio, componendo freneticamente il numero di casa degli
Hartford. Le telefonate a Bjarne le costavano sempre una fortuna, dal
momento che lei viveva nel Massachussets e lui in California, ma per
quel giorno non avrebbe badato a spese: Bjarne stava aspettando i
risultati del test per l'Huntington, e lei era stata in ansia per
giorni.
-Hartford,
parla Philip.- aveva risposto la voce profonda del signor Hartford.
-Phil,
sono Kendra.- aveva detto lei, attorcigliando nervosamente una ciocca
della parrucca rossa attorno al dito indice. -Bjarne c'è?-
-Ah...-
aveva fatto l'uomo. C'era stato un attimo di silenzio, prima che
riprendesse a parlare. -Mi dispiace molto, Kendra, ma non penso che
Bjarne sia nelle condizioni adatte a parlare con te.-
A
K era sfuggito un gemito.
-Vuoi
dire che i risultati...-
-Il
test è risultato positivo.- aveva concluso Phil. -Bjarne ha
l'Huntington.-
K
aveva sbarrato gli occhi e si era lasciata scivolare tremante lungo
la parete bianca della stanza. Gli studenti continuavano a passare
per quel corridoio, ridendo, e qualcuno le rivolgeva di tanto in
tanto un'occhiata disgustata, spaventata o di scherno: Kendra Burton
era considerata una pazza svitata, e nessuno lì ad Harvard
voleva
averci a che fare.
-Mi...
mi dispiace... mi dispiace... così tanto...- aveva
sussurrato lei
con voce rotta dal dolore.
-Ma
anche tu dovresti fare il test.- aveva continuato Phil, a voce bassa.
-Dalle cartelle cliniche è risultato che il gene Bjarne l'ha
ereditato da tua madre, perciò anche tu potresti averlo.-
K
lo sapeva, e aveva già fatto il test, senza dirlo a nessuno.
Aveva
avuto i risultati il giorno prima, ma non se n'era curata: tutto
ciò
che le importava era che Bjarne non avesse la malattia. Lui non la
meritava. Lui aveva una vita davanti a sé.
Ad
un tratto, la ragazza aveva sentito la voce dell'amato fratello
dall'altro capo del telefono.
-È
lei, non è vero?- l'aveva sentito dire con tono rabbioso.
-Fammi
parlare con lei!- aveva aggiunto, urlando.
Probabilmente
a quel punto Phil aveva coperto la cornetta con una mano, ma K era
riuscita a distinguere perfettamente le sue parole.
-Ora
calmati, Bjarne! Non sei in te!-
-Voglio
parlare con lui.- aveva allora detto lei, alzando la voce, e facendo
voltare alcune delle persone che stavano passando in corridoio. -Ti
prego, Phil...-
Aveva
sentito l'uomo sospirare, e dopo pochi secondi la voce aggressiva di
Bjarne che le ringhiava contro.
-Perché?!-
aveva urlato. -Perché proprio questo? Perché
proprio a me?-
-Bjarne,
credimi, mi dispiace tantissimo.-
-Non
abbastanza!-
C'era
una nota di dolore nella sua voce, mentre parlava.
-Io...
io sono il figlio degli Hartford...- aveva ripreso, dopo un attimo di
silenzio, ansimando. -Perché dovevo ereditare questa
malattia da una
donna che nemmeno ho mai conosciuto?-
K
aveva trattenuto un singhiozzo.
-È
terribile, lo so...-
-Non
sai niente, invece!- le aveva urlato contro Bjarne. -Appena l'ha
saputo, Jane mi ha mollato. Ha detto che in questi giorni, mentre
aspettavamo i risultati, ci aveva pensato a lungo, ed era giunta alla
conclusione che non se la sentiva di passare il resto della sua vita
con me se avessi cominciato a perdere la testa o se mi fosse
diventato impossibile muovermi. Anche perché non avremmo
potuto
avere bambini, e per lei questa era una cosa troppo importante per
poterci rinunciare.-
Si
era poi fermato un istante per riprendere fiato.
-Come
se per me non fosse altrettanto importante?!- aveva ricominciato,
alzando nuovamente la voce. -Io avevo dei progetti per la mia vita,
Kendra, volevo diventare avvocato, volevo fare un sacco di cose! Ma
come credi che sarò in grado di pagarmi i debiti per
l'università,
una casa e tutto il resto se da un momento all'altro potrei perdere
la testa? E quanto mi verrebbero a costare le cure? Dovrei mandare i
miei genitori sul lastrico per potermi curare?-
E
poi la sua voce si era caricata di rancore.
-Sono
loro
i miei genitori, cazzo!
Non un bastardo nullatenente sudafricano e un'irresponsabile
infermiera olandese! Io sono americano! Mi è toccato
crescere con un
nome straniero che non mi rispecchia, anche se non avevo nulla a che
vedere con la tua famiglia! Perciò mi spieghi
perché mi sono dovuto
prendere la vostra malattia?!-
Il
respiro di K si era fatto sempre più corto, e, per quanto
cercasse
di inspirare a fondo, la sensazione di soffocamento si acuiva. Le
pareva in quel momento di stare annegando. Il cuore le batteva
all'impazzata, e le immagini di fronte a sé cominciavano a
farsi
sempre più scure e pulsanti.
-Ora
basta, Bjarne!- aveva gridato Phil, probabilmente a pochi passi da
lui.
Era
possibile ci fosse stata una breve colluttazione, accompagnata da
grida e rumori di fondo, e, dopo qualche istante, K aveva di nuovo
sentito la voce ansante di Phil alla cornetta.
-Mi
dispiace tantissimo, Kendra, credimi. Non è in
sé.-
Ma
lei aveva cominciato ad ansimare in modo rumoroso, gemendo ad ogni
respiro che non le portava alcun sollievo. Non sentiva più
cosa
diceva Phil, sentiva soltanto il battito accelerato del proprio cuore
esploderle nelle orecchie, assieme ad un ronzio che si faceva sempre
più insistente. Aveva lasciato cadere la cornetta a terra, e
da quel
momento i suoi ricordi si erano fermati, finché non si era
risvegliata in infermeria.
-Che
ore sono?- aveva domandato all'infermiera che, di spalle rispetto a
lei, stava sistemando degli strumenti sul suo tavolino.
La
giovane donna bionda si era voltata verso di lei, con espressione
severa.
-Tranquilla,
Burton, sono passati appena cinque minuti da quando ti abbiamo presa
dal corridoio.-
K
aveva tentato di mettersi a sedere, ma le girava ancora leggermente
la testa. I polmoni continuavano a bruciarle, ma in quel momento, per
lo meno, riusciva a respirare.
-Mi
sono stufata di trovarti sempre in infermeria.- aveva sbuffato allora
l'infermiera. -Ti ustioni con l'acqua calda, hai attacchi di
panico... siamo tutti abbastanza certi che ti droghi.-
-Vi
ho già portato almeno una decina di volte le mie urine e i
miei
capelli da analizzare.- aveva allora ribattuto K, scendendo dal
lettino e chinandosi per infilarsi le Converse ai piedi. -Eppure
continuate a sostenere che io sia fatta. Non lo sapete che prima di
lanciare delle accuse sarebbe opportuno avere delle prove? Oppure
volete una denuncia per diffamazione?-
Si
era legata le scarpe con un gesto secco, si era alzata e aveva
cominciato a cercare con lo sguardo la sua borsa di tela verde
militare, mentre l'infermiera ritornava ad armeggiare con le sue cose
con gesti seccati.
-La
tua borsa è su quella sedia.- aveva detto infine,
indicandogliela
con un indice laccato di smalto. -L'abbiamo perquisita per vedere se
ci fosse qualcosa di illegale, e abbiamo trovato i risultati del tuo
test.-
-Violazione
della privacy, Steele.- aveva ringhiato K, afferrando la propria
borsa e aprendola con gesto furente. -Stai attenta.-
-Avresti
dovuto avvertirci che hai il gene dell'Huntington.- aveva continuato
tranquilla la signorina Steele. -Dobbiamo tenere aggiornate le
cartelle degli studenti. Soprattutto di quelli che hanno
così tanti
problemi come te.-
K
era uscita come una furia dall'infermeria, sbattendo la porta. Poi
aveva sospirato, si era appoggiata al muro e si era lasciata
scivolare lungo la parete, con lo sguardo rivolto verso l'alto, a
fissare il vuoto. Ad un certo punto, era stata percorsa da un brivido
di freddo. Avrebbe voluto fiondarsi in camera a prendere la camicia
di flanella rossa a quadri che aveva “preso in
prestito” a
Bjarne, quella che gli avevano regalato per Natale i suoi compagni di
università, ma che a lui non piaceva. Lei l'adorava, invece;
era
così grande e calda, che le dava l'impressione di essere
immersa
nell'abbraccio affettuoso del suo adorato fratello. Ma in quel
momento, aveva pensato, Bjarne non avrebbe più voluto essere
suo
fratello, non avrebbe più avuto compagni di
università, né una
fidanzata.
Né
un futuro.
E
lei se ne sentiva responsabile.
Aveva
guardato l'ora sul proprio orologio, e aveva pensato che avrebbe
fatto ancora in tempo a prendere la metropolitana e tornarsene a
Boston. Non se la sentiva di rimanere al campus, non dopo aver dato
spettacolo nei corridoi del dorm.
Così
era tornata nella sua stanza, una delle poche stanze singole del
campus, aveva raccattato le sue cose, aveva affisso un biglietto alla
porta, dicendo che per motivi di salute sarebbe tornata dal padre per
qualche giorno, ed era uscita per prendere la metro. Ci voleva appena
un quarto d'ora da Harvard a Boston, ma lei era sempre stata gelosa
della propria indipendenza, e sicuramente Burton non la voleva tra i
piedi, motivo per cui, anziché vivere col padre adottivo,
aveva
insistito per farsi dare una stanza singola al campus; ma quella sera
non avrebbe potuto sopportare il suono delle risatine e delle frasi
sussurrate dai ragazzi che passavano di fronte alla sua porta,
indicandola e fuggendo.
Erano
da poco passate le otto quand'era arrivata a casa di Burton. Si era
fatta una lunga doccia e poi aveva preparato la cena. Per entrambi.
Non si era truccata di nuovo, né si era rimessa la parrucca
rossa e
riccia sopra il suo caschetto ribelle di capelli bianchi, o le lenti
castane: voleva essere libera, voleva essere se stessa. Era stanca di
fingere.
Quando
Roger era tornato, l'aveva vista col suo vero aspetto per la prima
volta. Ed un sacco di cose erano cambiate, da quella sera.
Un
paio di giorni dopo, la domenica mattina, K si era alzata decisamente
più tardi del solito, e quando era andata in cucina aveva
trovato il
suo posto a tavola apparecchiato con un cartone di latte, uno di
succo e una scatola di cereali. Anche il giorno prima Roger aveva
cercato in modo maldestro di comportarsi in modo premuroso,
probabilmente mosso a compassione dopo gli eventi del
venerdì sera.
La ragazza non poteva esserne sicura, ma era possibile che quella
notte avesse anche pianto. Così si era mangiata quella
colazione da
undicenne, si era truccata, aveva infilato un berretto sopra i
capelli bianchi, un paio di occhiali da sole, aveva preso il chiodo
ed era uscita a fare la spesa. Voleva preparare una cottage
pie
per pranzo, come quella che suo padre le preparava nelle giornate
particolarmente uggiose.
Nata
in Sudafrica, da madre olandese e padre irlandese, cresciuta tra
Dublino, dove suo padre insegnava al Trinity College (era sempre
stato un grande onore, per la piccola Stephanie) e Galway, dove
trascorrevano le estati, K aveva potuto assaporare ben otto anni di
vita normale, fatta di vacanze al mare, corse a perdifiato nei prati
color verde smeraldo, pie fatte in casa, storie
fantastiche di
fate e gnomi raccontate davanti al camino e feste di paese piene di
colori, musica e vestiti stravaganti.
Poi
era arrivato l'incidente, e l'Irlanda era sparita dietro un mare
insolcabile, e lei era finita nel triste orfanotrofio della triste
Inghilterra, dove non c'erano differenze di stagione, dove gli unici
abiti che poteva indossare erano costituiti dall'uniforme lunga,
fatta con quella lana che le pizzicava la pelle, dove i pasti avevano
tutti lo stesso sapore, dove il cielo non era mai così
azzurro e i
prati mai così verdi. Così almeno le sembrava.
E
dopo l'Inghilterra erano arrivati gli Stati Uniti, e lì le
sembrava
che il verde non esistesse più, che i pasti avessero un
sapore
troppo chimico, e che l'uniforme che aveva dovuto portare per tutto
l'anno precedente non fosse poi così diversa da quella della
Wammy's
House.
Per
questo motivo, ogni volta che si sentiva spaesata e triste, tornava
con la mente alla sua Irlanda, dove aveva pur sempre speso
metà
della sua vita. La metà felice. Già,
perché nonostante tutto, K
all'epoca aveva appena sedici anni.
Stava
pensando a tutto questo quando si era trovata di fronte alla porta
dell'appartamento di Burton e aveva visto Bjarne. Aveva spalancato la
bocca e le buste della spesa le erano cadute di mano, così
che le
patate si erano sparpagliate sul parquet del
corridoio.
-Ciao
Kendra.- le aveva detto lui, con un sorriso triste. -Aspetta, ti
aiuto.-
Si
era chinato a raccogliere tutto, mentre K era rimasta pietrificata
sul posto, con un groppo in gola che le impediva di parlare. Il
fratello si era alzato in piedi coi sacchetti in mano e le aveva
domandato, quasi sussurrando, se poteva entrare.
K
aveva richiuso la bocca e si era messa a tastare le tasche del chiodo
per trovare le chiavi.
Erano
entrati nel più completo silenzio, e la ragazza si era tolta
la
giacca, il berretto e gli occhiali, voltandosi più volte a
guardare
Bjarne che, con lo sguardo basso, andava verso la cucina ad
appoggiare le buste.
Alla
fine si era voltato verso di lei. La sua carnagione non era ancora
così scura a quei tempi, perché passava la
maggior parte del tempo
chiuso in casa a studiare e, nonostante fosse per metà
mulatto, era
nato bianco e coi lineamenti nordici della madre. A quei tempi si
faceva la barba tutti i giorni, e portava i capelli corti, con un
taglio ordinario, come ci si sarebbe aspettati da un futuro avvocato.
Era riuscito ad ottenere una borsa di studio per
l'università di
Stanford grazie alle sue doti atletiche, ma, una volta reso pubblico
che aveva la malattia di Huntington, sicuramente gliel'avrebbero
tolta.
Bjarne
non desiderava diventare avvocato solo perché anche suo
cugino Chris
stava studiando legge per entrare nello studio del padre: i suoi
genitori avevano particolarmente insistito nell'educarlo alla difesa
dei più deboli e al rifiutare l'indifferenza sociale. Per
questo,
Bjarne era fermamente deciso a fare il possibile per fare la
differenza nella vita delle persone.
Ma
dal momento che aveva scoperto di essere malato, questo non gli
sarebbe più stato possibile.
K
stava pensando questo, mentre guardava il fratello con addosso la
felpa di Stanford e gli occhi le si riempivano di lacrime.
-Kendra...-
aveva cominciato allora lui, avvicinandosi di un passo.
-Perdonami...-
K
non era più riuscita a trattenersi e si era gettata al collo
di
Bjarne, singhiozzando in modo incontrollato.
-Mi
dispiace tanto!- aveva esclamato, con voce roca. -Mi dispiace
così
tanto! Tu non te lo meritavi, non lo meritavi!-
Bjarne
le accarezzava i capelli bianchi e la stringeva a sé.
-È
a me che dispiace.- aveva detto infine. -Di aver detto tutte quelle
cose... senza pensare al dolore che provi tu ogni giorno nello
svegliarti e renderti conto che i tuoi genitori non ci sono
più. Di
aver pensato solo a come mi sentissi io e ad accusarti, senza pensare
che sarebbe stato difficile anche per te dover affrontare l'idea di
dover perdere forse troppo presto l'unico parente che ti era rimasto
in vita.-
-Tu
non sei solo questo, per me...- aveva detto lei, strofinandosi via le
lacrime dagli occhi e alzando il volto per guardarlo. -Anche se ci
conosciamo da poco, sei sempre stato gentile e premuroso nei miei
confronti. E soprattutto comprensivo. E se anche la mia famiglia
fosse viva e vegeta, tu saresti comunque il miglior fratello che si
possa mai desiderare. E un amico insostituibile.-
Poi
era tornata a rifugiarsi nel suo abbraccio, piangendo ancora.
-Anche
dopo averti aggredita e aver detto quelle cose terribili su tua... su
nostra madre?- aveva domandato lui, con voce rauca.
-Un
momento di debolezza non cancella la tua buona natura, Bjarne.- aveva
risposto lei, tra un singhiozzo e l'altro. -E ti trovavi in una
situazione difficile, e avevi bisogno di scaricare la colpa su
qualcuno. È naturale, lo fa chiunque. Ed era logico che te
la
prendessi con me.-
Lui
aveva sorriso tristemente.
-Riesci
a ragionare a mente lucida anche se ti ho ferita così
tanto?- aveva
domandato.
-Se
non mi affidassi alla ragione sarei impazzita molto tempo fa.- aveva
risposto lei, scostandosi dall'abbraccio, stringendosi nelle spalle e
cominciando a sfregarsi le mani sulle braccia nude sulle quali era
venuta la pelle d'oca. Faceva freddo, quel giorno, e il cielo era
grigio. O forse era il suo stato d'animo di allora che le faceva
ricordare le cose in quel modo.
Bjarne
si era tolto la felpa e gliel'aveva messa addosso, stingendole le
spalle.
-Ti
prego, arrabbiati con me.- le aveva detto infine. -Prendimi a pugni,
urla, mandami via, accusami, poi verrò di nuovo a chiederti
perdono
e alla fine faremo pace. Non è questo che fanno i fratelli?-
Lei
aveva sorriso, stringendosi nella felpa.
-Ho
ereditato anch'io il gene.- aveva risposto invece, guardando il
ragazzo dritto negli occhi. -Non voglio perdere del tempo prezioso a
litigare con te. Considerando che ci siamo trovati solo da poco.-
Ricordava
ancora la lenta sequenza di immagini degli occhi di Bjarne che si
riempivano di lacrime, e il suo scoppiare in un pianto disperato.
Si
erano abbracciati ancora, tra le lacrime, promettendo di non
lasciarsi mai andare.
Note
Mi rendo conto di star riempiendo la storia di flashback, ma
pensavo fossero utili alla comprensione e alla caratterizzazione dei
personaggi. Vorrei ampliare tutti questi episodi magari in una raccolta
di one-shot (non ricordo se l'avevo già accennato altrove),
ma mi piacerebbe sapere cosa ne pensate. Vorreste leggere degli
one-shot sulla storia di questi personaggi (L compreso)? Sarebbero
scritti nel mio stile personale e non in questo stile astratto e
fortemente dialogico che sto sperimentando, ci sarebbe più
azione e probabilmente sarebbe a rating arancione (o rosso, ma non mi
sono mai esercitata con scene erotiche e penso mi troverei molto a
disagio a scriverne diverse con L protagonista, perché mi
parrebbe di snaturare il personaggio molto più di quanto non
abbia già fatto).
Se vi va, fatemi sapere cosa ne pensate con un messaggio
privato.
Grazie a chi ha letto fino ad ora, alla prossima settimana
per il nuovo capitolo, il cui titolo sarà "Ora d'aria". (Ho
cominciato anche a sperimentare coi titoli dei capitoli, che prima non
avevo messo perché non credevo di essere capace a farli)
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Capitolo 18 *** Capitolo 15 - Ora d'aria ***
Capitolo
XV
Ora
d'aria
-Allora
posso scegliere io cosa farti mettere per uscire di qui?-
domandò
Misa, squittendo. Quello sarebbe stato il suo primo giorno di
libertà
dopo più di due mesi di prigionia e, sebbene non fosse per
nulla
entusiasta di passarlo con l'inquietante Nathalie, avrebbe dovuto far
buon viso a cattivo gioco per tutto il giorno. Ne andava della buona
riuscita del suo piano.
-Fai
come ti pare.- sbuffò lei, dandole le spalle, in piedi
davanti al
suo specchio, mentre sistemava i suoi capelli folti, secchi e
sfibrati, in modo da potersi mettere la retina e poi la parrucca.
-Da
quanto tempo non vedi un parrucchiere?- le domandò Misa,
osservandola, mentre si portava un dito sotto il mento, con un
braccio che le avvolgeva la vita.
-Almeno
sei anni.- rispose lei, senza smettere di puntare le lunghe ciocche
di capelli bianchi con le forcine. -Te l'ho detto, sono stata presa
in ostaggio. E di farmi rasare come tutti gli altri mercenari non
avevo proprio voglia.-
-Allora
magari dovremmo chiamare la mia parrucchiera.- disse Misa, voltandosi
per prendere l'unico cellulare che le era stato concesso di tenere
dalla propria borsetta. -Anche perché ho due mesi di
ricrescita e
devo rifare il biondo.-
Ma
in meno di un secondo, si materializzò davanti a lei il
braccio
bianco della donna, che la afferrò per i polsi.
-Tu
fai quello che vuoi, ma io non mi esporrò davanti ad
un'altra
persona.- ringhiò, piantandole in faccia il suo sguardo
rosso
sangue. -Non devo far vedere il mio vero aspetto, a meno che non
voglia farmi riconoscere ed ammazzare.-
-Lasciami
andare subito!- protestò lei, gonfiando le guance. -Guarda
che lo
dico agli altri se mi tratti così.-
Per
tutta risposta lei sogghignò, e poi si voltò di
nuovo verso lo
specchio per finire il lavoro.
-Comunque
non ti devi preoccupare.- riprese poi, rimettendo il cellulare nella
borsetta. -La mia parrucchiera è abituata a lavorare con
persone che
vogliono mantenere la privacy, come appunto le star come me.
Perciò
non corri pericolo.-
Nathalie
mugugnò qualcosa e poi si infilò la retina.
-Hai
deciso che parrucca metterti?- domandò allora la ragazza,
andando
verso l'armadio e aprendolo; cercava di nascondere il sorrisetto che
le era spuntato all'idea di come avrebbe conciato la sua irascibile
carceriera.
-Quella
nera col frangione.- le rispose lei, indicandola con un dito, senza
togliere gli occhi dalla propria immagine riflessa nello specchio.
-Per nascondermi meglio. Non sarebbe male avere anche un paio di
occhiali da sole.-
Si
mise poi delle gocce negli occhi e sbatté le pesanti
palpebre.
-Allora
prendi questi.- disse Misa, passandole i vestiti ancora appesi alle
grucce. -Usa pure il bagno per cambiarti. Ci sono un paio di lenti a
contatto azzurre non ancora aperte nell'armadietto, ma non sono
graduate.-
-Poco
male.- fece lei, prendendo i vestiti senza nemmeno guardarli e
andando verso il bagno. -Non penso che, anche se avessi delle lenti
graduate, sarei in grado di vedere un cecchino che mi punta, con
tutto il sole che c'è lì fuori oggi.-
Nathalie
si chiuse in bagno, e Misa cominciò a spogliarsi per
cambiarsi i
vestiti. Ormai aveva deciso: avrebbe fatto qualsiasi cosa per
dimostrare che lei e Light non erano i due Kira; solo in quel modo le
accuse su di loro sarebbero cadute e il suo amato sarebbe stato
libero. Non aveva ancora idea di come fare, ma avrebbe cercato
qualsiasi spiraglio per riuscire nel suo intento. Non c'erano dubbi
sull'innocenza sua e di Light, e allora perché si ostinavano
tutti a
sospettare di loro?
Si
infilò la sua minigonna tartan rossa con una cintura
borchiata
infilata mollemente tra i passanti e un bustino nero, per poi andare
allo specchio per farsi i codini. Quel giorno faceva decisamente
caldo per mettersi anche i guanti di pizzo e le calze, per cui
optò
per delle autoreggenti a rete sotto gli stivali neri. Nel frattempo,
Nathalie era uscita dal bagno: le aveva fatto mettere un top aderente
nero con le coppe rinforzate e la scollatura a cuore, con due
bretelline abbastanza ampie da coprirle le cicatrici, e una gonna
svasata di pizzo, anch'essa nera, che la giovane aveva però
sistemato sui fianchi.
-Questa
gonna non mi va.- disse, mostrandole la cerniera che aveva lasciato
aperta. Si era truccata con un cerone bianco, rossetto nero, pesante
ombretto dello stesso colore, una spessa linea di eyeliner sopra e
sotto gli occhi colorati di azzurro dalle lenti e le folte ciglia
finte. Il pallore della sua pelle sarebbe stato perfetto per farla
sembrare una ragazza goth, soprattutto aggiungendoci la parrucca nera
col frangione, e magari qualcuno degli accessori di Misa.
-Certo
che non ti va.- sbuffò la ragazza. -Quella va in vita, non
sui
fianchi.-
-Appunto.-
fece Nathalie, tirando finalmente su la gonna e chiudendola in vita,
rivelando di colpo un notevole stacco di coscia bianca e tonica.
-Considera che sono alta venti centimetri in più di te.
Capisco che
il tuo intento fosse quello di farmi sembrare ridicola, ma qui si
sfiorano i limiti dell'indecenza.-
Misa
le si avvicinò, le sistemò un po' le pieghe della
gonna e poi fece
un passo indietro per osservarla meglio.
-Pensavo
che fossi vanitosa e ti piacesse farti vedere.- osservò.
-Ma
non conciandomi in modo indecente.- ribatté lei, andando a
prendersi
la parrucca che aveva scelto tra quelle esposte su uno degli
scaffali. -Ah, penso che prima di tutto dovrò andare a
comprarmi dei
nuovi stivali; quegli anfibi vecchi e logori sono troppo
riconoscibili.-
Misa
si diresse verso uno dei suoi cassetti e ne tirò fuori
alcuni anelli
e collane, che poi porse a Nathalie, e infine raccolse dal proprio
comodino la sua collana preferita, quella col ciondolo a forma di
giglio, da cui non si separava quasi mai.
-Come
mai sei scappata con quegli stracci?- domandò infine,
avvicinandosi
allo specchio dove Nathalie si stava sistemando con cura la parrucca,
per controllarsi il trucco.
Lei
sospirò.
-Sono
un'inguaribile romantica.- disse poi. -Quegli
“stracci” sono
legati a molti ricordi. Rappresentavano l'unico legame col mio
passato, per questo sono l'unica cosa che mi sono portata dietro.-
E
così dicendo si voltò e andò a
prendere le calze di pizzo che Misa
le aveva appoggiato sulla spalliera di una sedia.
-È
proprio necessario che metta anche queste?- domandò, con
espressione
schifata. -Coi reggicalze?-
-Almeno
così puoi coprire quei sei metri di gambe che ti ritrovi.-
ribatté
lei, con un risolino.
Uscirono
dall'appartamento dopo che Nathalie l'ebbe perquisita un'ultima
volta, poi questa usò la tessera per chiamare l'ascensore e
scesero
al piano terra, dove Light e gli agenti stavano lavorando.
Appena
le porte dell'ascensore si furono aperte, Misa corse fuori
dall'abitacolo e poi giù dalle scale, chiamando Light a gran
voce.
Il ragazzo si voltò per salutarla, e lei gli
saltò al collo.
-È
così ingiusto che il mio primo giorno di libertà
io non possa
uscire con te, Light!- esclamò, sprofondando il proprio viso
nella
sua camicia, che odorava di fresco e pulito. Lui le mise timidamente
una mano sulla schiena, sussurrando: -Dai, Misa, ne riparliamo
un'altra volta, ok?-
Misa
alzò il volto e si mise in punta di piedi, protendendo le
labbra
verso Light, con gli occhi socchiusi... quando nel silenzio generale
scoppiò alta e forte una risata.
Era
Ryuzaki.
Che
guardava Nathalie scendere dalle scale.
Tutti
gli agenti erano rimasti attoniti e si erano subito voltati verso il
detective, che rideva sguaiatamente, quasi nervosamente, con una mano
sul ventre e l'altra davanti alla bocca. Misa guardò allora
Nathalie, che si era sfilata i grandi occhiali da sole dalle lenti
rotonde che lei gli aveva prestato, e ora lanciava a Ryuzaki
un'occhiataccia.
-Hai
finito?- domandò infastidita, una volta sceso l'ultimo
gradino,
piantandosi ritta di fronte agli agenti con una mano sul fianco.
Ma
lui ormai non riusciva a fermarsi. Si chiuse la bocca con entrambe le
mani, ma continuava a mugolare, mentre le sue larghe spalle andavano
su e giù.
Nathalie
sbuffò sonoramente, si avvicinò a Misa
afferrandola per un braccio,
e le intimò di muoversi, dal momento che Watari le stava
aspettando.
-Ah,
Ryuzaki?- disse, fermandosi davanti alla porta di vetro ad apertura
automatica, mentre Misa protestava per il malo modo in cui stava
venendo trattata. -Se dovessero piantarmi un colpo in testa... ho
lasciato detto a Watari a chi dovrai versare il mio ingaggio. Non
sarà una grande eredità, ma mi auguro qualche
soldo possa tornare
utile alle persone che tu sai.-
E
poi tirò dritto, mentre alle loro spalle i mugolii del
detective si
erano trasformati in una tosse strozzata.
Hayer
si passò nervosamente le mani tra i cortissimi capelli
appena
striati di grigio.
C'era
sicuramente una talpa all'interno del suo reggimento, e se n'era
accorto soltanto quel pomeriggio.
Cominciò
a camminare ansioso avanti e indietro per il suo ufficio, aprendo e
chiudendo i cassetti, andando al computer per cercare quei file che
gli avrebbero salvato la vita. Ma le cartelle col materiale raccolto
su Banks e su L era sparito dal suo computer. Tutte le informazioni
che aveva raccolto in quegli anni si erano semplicemente
volatilizzate. In quel momento rappresentavano la sua unica via di
fuga, e non riusciva a trovarle da nessuna parte!
E
se gli Hogson avessero intuito il suo piano e se ne fossero
impossessati? Hayer aveva sempre tenuto quelle informazioni segrete;
in primo luogo perché gli Hogson preferivano rimanere
all'oscuro di
tutte le operazioni illecite pianificate dal PPEP; in secondo luogo,
perché quelle informazioni avrebbero potuto rappresentare il
suo
salvacondotto, nel caso le cose si fossero messe... come si stavano
mettendo.
Già,
perché se gli Hogson erano all'oscuro di quasi tutte le
informazioni
su L, lui avrebbe potuto venderle al miglior offerente e garantirsi
un passaporto falso, un biglietto di sola andata verso un paese senza
estradizione e un'agiata pensione.
E
invece, ora quelle informazioni erano sparite dai CD dove erano state
salvate. Esistevano ancora le copie cartacee, ma sarebbe stato
enormemente rischioso, a quel punto, allontanarsi dal quartier
generale per andarle a recuperare dalla cassaforte di casa sua.
Prese
il proprio cellulare dalla tasca dei pantaloni e vi gettò
un'occhiata nervosa. Gli uomini inviati in Giappone dopo il
fallimento dell'operazione di due mesi prima lo aggiornavano
costantemente sugli spostamenti di Watari e degli agenti giapponesi.
Ormai avevano intuito che tutta la squadra di L si era trasferita in
un edificio di recentissima costruzione e con sistemi di sicurezza
assolutamente all'avanguardia, e stavano tentando di recuperare
quante più informazioni fosse possibile per elaborare una
nuova
strategia che avrebbe permesso loro di far fuori Banks. Eliminato il
testimone più pericoloso, per la Hogson uscire da quella
situazione
non sarebbe più stato un problema.
Ma
quel pomeriggio (che corrispondeva alla mattina del giorno seguente
in Giappone) non aveva ricevuto ancora alcuna chiamata. Cosa stava
succedendo?
-Ok,
ora non siamo più sotto controllo.- disse K, una volta
chiusa la
portiera dell'auto di Watari. -Ora puoi dirmelo: perché hai
finto di
voler a tutti i costi uscire insieme a me?-
Misa
stava controllando la chiusura della propria borsa, e alzò
stupita
gli occhi colorati dalle stesse lenti che aveva prestato alla
giovane.
-Perché
credi che abbia finto? Volevo davvero uscire a prendere una boccata
d'aria!- protestò.
K
si stava guardando intorno, circospetta, alla ricerca di eventuali
segni di pericolo. Avevano deciso di andare a Roppongi a fare
shopping, dal momento che c'erano diversi negozi di vestiti di marche
occidentali, e anche perché Misa voleva fare un salto al
salone di
bellezza che curava la sua immagine da quando era diventata una idol;
scelta che non era piaciuta per nulla a K, conscia del fatto che si
trattava di una zona non solo in passato controllata dalla Yakuza, ma
anche prevalentemente frequentata da occidentali, che fossero turisti
o uomini d'affari... e, soprattutto, da militari. In quelle
condizioni, riuscire a riconoscere gli uomini di Hayer, che con ogni
probabilità erano ancora sulle sue tracce, diventava
praticamente
impossibile. Watari le aveva dato una ricetrasmittente e avrebbe
fatto il giro di ogni isolato in cui sarebbero passate, per
garantirle almeno un po' di copertura, ma K non poteva fare a meno di
sentirsi in pericolo ad ogni passo.
Infine
fece cenno a Misa di seguirla, e si mescolò alla gente che
affollava
i marciapiedi in quella calda giornata d'agosto, cercando
istintivamente l'ombra degli alberi e dei tendoni dei negozi per
ripararsi dal sole che, nonostante la sua protezione 50+ spalmatasi
l'ultima volta mentre era in auto, avrebbe presto cominciato ad
arrostirle la pelle.
-Perché
non ti sto per nulla simpatica.- disse infine, accelerando il passo
per raggiungere una zona d'ombra tra i palazzi. -E ho capito
abbastanza di te da non avere dubbi sul fatto che tu abbia un piano.-
-Ah...-
fece Misa, delusa. Si avvicinò rapidamente a K, mentre
questa si
voltava ancora nervosamente per guardarsi attorno.
-Perché
ti muovi come un animale in gabbia?- tentò quindi di
cambiare
discorso.
Per
tutta risposta, K le mise una mano sulla spalla e si rimise a
camminare, tenendola alla propria sinistra, mentre sulla destra c'era
la strada.
-Perché
potremmo venire seguite.- disse infine. -Quelli che hanno tentato di
farmi fuori una volta potrebbero tornare a finire il lavoro.-
-Ma
allora tu e Ryuzaki non stavate scherzando ieri!- esclamò
Misa,
portandosi le mani davanti alla bocca. -Si può sapere
perché hai
voluto mettere anche me in pericolo in questo modo?-
-Parla
piano!- le intimò K, spingendola dentro la porta girevole di
un
centro commerciale. -Watari ci sta coprendo. E siamo in mezzo ad un
sacco di persone. È molto improbabile che riescano a
spararmi in
queste condizioni, soprattutto se continuiamo a muoverci.-
Si
trovavano ora nella hall di un grande centro commerciale, e K stava
guardando sospettosamente in ogni direzione, facendo attenzione a
rimanere sempre nelle zone d'ombra. Alla fine sospirò.
-Pare
che non ci siano problemi.- disse infine. -Forza, scegli un negozio
dove entrare.-
-Pensi
che potrei fare shopping tranquilla sapendo che potrebbe esserci
qualcuno che vuole ucciderci?- protestò lei, piantandolesi
di fronte
con le mani sui fianchi.
-Nessuno
vuole uccidere te, Misa.- ribatté K, sistemandosi i grandi
occhiali
tondi sul naso all'insù e muovendosi verso uno dei negozi di
scarpe
che circondavano la piazzetta al piano terra del centro commerciale.
-Ma
in ogni caso è molto più sicuro che ci sia io
insieme a te.-
Entrarono
dalle porte scorrevoli, una dietro all'altra, ma K non si tolse gli
occhiali. Secondo le sue ricerche, i criminali mostrati in
televisione di cui venivano mostrate le foto con cappuccio e occhiali
da sole si salvavano dalla morte, motivo per cui sperava di rimanere
il più possibile coperta, nel caso Kira avesse voluto
avvicinare
Misa.
-Perché
lo pensi?- domandò la ragazza sottovoce, aumentando il passo
e
affiancandolesi.
-Se
fossi stata tu da sola, è possibile che ti avrebbero rapita
per
estorcerti informazioni su dove si trovasse Ryuzaki, e, di
conseguenza, anche la sottoscritta. Dopotutto, anche se l'uomo che ha
cercato di sparare a Ryuzaki non sapeva che eri proprio tu la persona
sospettata di essere il secondo Kira, i suoi colleghi e superiori non
ci avranno messo molto a fare due più due, dal momento che
sei stata
arrestata il giorno dopo la sparatoria, e proprio mentre ti trovavi
all'università frequentata da Light.- rispose lei,
fermandosi
davanti al reparto stivali.
-Essendoci
invece io con te, suppongo che la mossa più logica sia
cercare di
far fuori me.-
Scelse
un paio di stivali alti e neri in finto cuoio, con qualche centimetro
di tacco spesso e i lacci, e si sedette su uno dei divanetti del
negozio, sfilandosi i logori anfibi.
Misa
afferrò dallo scaffale un paio di Demonia e si sedette di
fianco a
lei.
-Quindi
sei qui per proteggermi?- domandò, cominciando a slacciare
le fibbie
dei propri stivali.
-Sono
qui per assicurarmi che una certa entità (con ogni
probabilità
sovrannaturale) non prenda possesso del tuo corpo.- sussurrò
K in
risposta.
Misa
gonfiò le guance e assunse un'espressione imbronciata.
-Ma
allora la vostra è una fissa!- protestò.
Finalmente
il telefono squillò.
Hayer
rispose in meno di un secondo.
-Colonnello.-
fece la voce di uno dei suoi soldati dall'altro capo. -L'obiettivo
numero tre, Watari, era riuscito a seminarci, ma ci è stata
comunicata la presenza della idol Misa Amane in
giro per Tokyo
con una ragazza caucasica.-
Hayer
prese il proprio fazzoletto dalla tasca e si tamponò la base
del
collo; poi si lasciò finalmente andare ad un sorriso.
-Era
ora che quella puttana uscisse dal suo nascondiglio.-
sogghignò.
-Voi
continuate a seguirla, e, mi raccomando, prendetela viva.-
Tra
le informazioni che Hayer aveva comunicato agli Hogson vi era quella
che Kendra Burton e Eraldo Coil, o L, erano stati amanti. Avevano
pertanto l'ordine di recuperare Banks come ostaggio per costringere L
a non intervenire al processo che (era solo questione di tempo)
avrebbe interessato la Hogson, in cambio della vita della donna.
Ma
i soldati che in quel momento si trovavano dall'altra parte
dell'oceano erano i suoi
uomini, non quelli della Hogson. Non importava che le loro telefonate
fossero sotto controllo: i suoi uomini sapevano sempre come dovevano
agire.
-Era
proprio necessario passare due ore e mezzo dalla tua parrucchiera?-
sbuffò K, risistemandosi la parrucca. -In tutto questo tempo
chi mi
segue avrebbe tranquillamente potuto prepararsi per farmi fuori.-
-Rilassati...-
disse Misa con un sorrisetto, accarezzandosi i capelli biondi freschi
di piega. -Quel negozio è fatto apposta per essere
introvabile dai
paparazzi, e abbiamo usato l'uscita di servizio. Nemmeno i miei fan
riescono mai a trovarmi.-
Dopo
le compere al centro commerciale, Misa l'aveva trascinata in un
salone di bellezza nascosto in un edificio riservato ad uffici di una
ditta di telecomunicazioni, e ora stavano di nuovo camminando
all'aria aperta.
-Alla
fine non mi hai detto che cos'avevi in mente, Amane.- fece ad un
certo punto K, alzando le borse sue e di Misa e caricandosele sulle
spalle, per riparare meglio la propria pelle dal sole.
-Parli
come se fossi io quella che stava complottando alle tue spalle.-
protestò lei, camminandole avanti con le mani intrecciate
dietro la
schiena. -Quando sei stata tu a farmi uscire per catturare i tuoi
inseguitori.-
-Io
però te l'ho detto.- ribatté K. -Il fatto che tu
non mi abbia presa
sul serio è un tuo problema.- E stava per continuare, quando
sentì
il proprio stomaco brontolare rumorosamente.
Misa
si voltò e scoppiò a ridere.
K
continuò ad andare avanti, intimando a Misa di seguirla con
un gesto
della testa.
-Visto
che siamo andate al salone di bellezza come volevi tu, ora si pranza
dove dico io. So che qui a Roppongi c'è l'Hard Rock
Café, e ho una
voglia di hamburger che nemmeno immagini.-
Il
locale, com'era prevedibile, era incredibilmente affollato, ma alla
vista di Misa Misa i camerieri liberarono immediatamente uno dei
tavoli riservati e portarono loro un menù.
-Ti
sembra una buona idea scegliere un locale così affollato per
parlare
e per nasconderti?- domandò la ragazza, alzando la voce e
sporgendosi verso K per contrastare la confusione intorno a loro.
-Fidati
di me, siamo più al sicuro qui.- disse K, mentre con una
mano teneva
il menù e con l'altra razziava il cestino del pane posto al
centro
del tavolino.
Dopo
aver osservato minuziosamente il locale per individuare potenziali
sospetti e le vie di fuga più agibili, lasciò
detto a Misa cosa
avrebbe dovuto ordinare per lei, nel caso fosse arrivato il
cameriere, e poi si alzò per andarsi a comprare un paio di
magliette
al negozio.
Pareva
tutto tranquillo. Watari la teneva costantemente aggiornata, e fino a
quel momento non avevano rivelato alcun movimento anomalo che fosse
riconducibile ad un pedinamento, o ad un agguato.
Non
dovettero aspettare più di mezz'ora perché
venisse portato loro il
pranzo. Misa aveva ordinato un'insalata, mentre K aveva preso il
gigantesco hamburger alto quindici centimetri con insalata, pomodori,
sottaceti e patatine fritte, accompagnato da un bicchiere di birra.
La
ragazza aveva una faccia alquanto schifata.
-Come
fai a mangiare questa roba?- domandò, prendendo in mano la
forchetta, per poi cambiare idea e afferrare le bacchette.
-Per
te questa è la prima uscita in libertà dopo due
mesi di prigionia.-
disse K, alzando il mostruoso panino e rigirandoselo tra le mani,
cercando il punto migliore da addentare. -Per me è la prima
uscita
in libertà dopo sei anni e otto mesi. Volevo festeggiare.-
E
finalmente affondò il primo morso. Passò qualche
secondo a gustarsi
lentamente il tanto agognato cibo spazzatura, per poi appoggiarlo
nuovamente sul piatto, pulirsi le labbra dalla salsa, togliendosi
gran parte del rossetto nero, e infine aggiunse: -E che ne so, magari
potrebbe pure essere il mio ultimo pasto.-
L'espressione
di Misa era sempre più inorridita. La guardava con gli occhi
spalancati, la bocca semiaperta e le bacchette immobili tra le dita,
con la fetta di pomodoro che stava precipitando nel piatto.
-Ora
dimmi perché hai voluto che lasciassi il quartier generale
insieme a
te.-
La
ragazza deglutì, e poi appoggiò le bacchette.
-Speravo
di riuscire a farti comprare qualcosa che ti rendesse più
attraente.
È anche per questo che ho voluto andare al salone di
bellezza.-
Appoggiò
poi i gomiti sul tavolo e intrecciò le mani sotto il mento.
-Volevo
che tu seducessi Ryuzaki.- continuò, con un sorrisetto furbo
sul
volto di porcellana.
K
non batté ciglio.
-A
che scopo?-
-Beh,
innanzitutto perché in questo modo magari si sarebbe deciso
a
togliere le manette a Light, e io avrei potuto finalmente stare con
lui senza quel maniaco che ci segue.- rispose lei, mentre il suo tono
si faceva progressivamente più stizzito.
Si
fermò un momento e poi riprese a parlare, con voce
più calma.
-E
secondo, perché speravo che, se fossi riuscita nell'intento,
magari
avresti potuto convincerlo che io e Light siamo innocenti.-
K
intanto aveva dato un altro bel morso al suo hamburger, e guardava
fisso Misa mentre masticava lentamente.
-Premettendo
il fatto che non cederei in alcun modo alle tue richieste o minacce.-
disse, finendo di deglutire. -E te lo dico per stroncare sul nascere
qualunque tua speranza di vedere realizzato il tuo piano. Ma, per
curiosità...-
E
appoggiò nuovamente l'hamburger sul piatto.
-Perché
mai dovrei fare una cosa simile?-
Misa
sorrise di nuovo, e rovistò nella borsetta alla ricerca del
suo
cellulare.
-Ovviamente
mi sono preparata come potevo.- disse, aprendo la scocca e scorrendo
rapidamente fino alla galleria delle immagini.
-Non
è passato inosservato il fatto che io sia sparita dalle
scene per
due interi mesi, e spero non sarai così ingenua da pensare
che sia
disposta a perdonare Ryuzaki per quello che mi ha fatto passare.-
Smise
di scorrere le foto e girò il telefono verso K. Sullo
schermo c'era
una sua foto, scattata una delle notti che aveva passato con lei
all'hotel dopo la scarcerazione di Misa. Questa andò avanti
e le
mostrò altre foto prese di nascosto, le ultime delle quali
erano
state scattate quella stessa mattina.
-Se
non farai quello che voglio, queste foto finiranno sui giornali,
dirò
che mi hai rapita per ordine di Ryuzaki e che mi hai tenuta in
ostaggio per tutto questo tempo. Faranno indagini su di te, e magari
salterà fuori il tuo vero nome, e Kira allora ti
ucciderà.-
K
rimase qualche istante in silenzio, poi scoppiò a ridere di
cuore.
Misa
rimase interdetta, poi chiuse il cellulare e lo rimise in borsa.
K
intanto aveva preso il tovagliolo, si era pulita il viso e le mani e
ora si stava alzando in piedi per dare una pacca sulla spalla della
ragazza.
-Ben
fatto, Amane.- le disse con un sorriso. -Sono proprio contenta che
sia tu l'indiziata. Davvero una bella mossa.-
Poi
ritornò a sedersi e riprese in mano il suo hamburger.
-Anzi,
ti dirò... invia subito quelle foto, dai!- la
incitò, prima di dare
un nuovo morso.
Il
volto di Misa si rabbuiò.
-Cosa...
cosa significa questo?- domandò, tirando di nuovo fuori il
telefono.
-Dai,
prova a mandare la mail, su.- ripeté K, tra un boccone e
l'altro.
Misa
fece come richiesto, continuando a guardare sospettosamente la donna.
Eppure, al momento di premere il tasto per l'invio, cambiò
idea, e
sostituì l'indirizzo mail del suo ufficio stampa con uno dei
propri.
K
sorrise, mentre finiva di masticare, e dopo qualche secondo si
ripulì
le mani e tirò fuori dalla borsetta che Misa le aveva
prestato un
cellulare, il cui display stava lampeggiando. Senza nemmeno guardarlo
lei stessa, lo mostrò a Misa, e aprì la mail
appena ricevuta. Era
quella scritta dalla ragazza, non c'erano dubbi.
-Come
puoi vedere, qui ci sono anche tutte le mail che hai inviato a Light
stamattina, ieri, l'altro ieri, eccetera.- disse K, scorrendo in
basso la casella di posta.
-Vedi,
Misa, tutte le mail inviate da quel cellulare, come anche dal tuo
computer portatile, a qualsiasi numero o indirizzo, vengono
intercettate da me e da Watari. Sta a noi poi decidere se inoltrarle
ai legittimi destinatari.-
Misa
si infuriò e sbatté i pugni sul tavolo.
-Questa
è violazione della privacy!- esclamò.
-Shhh,
bambina mia...- la zittì K, tornando indietro nella casella
di posta
per scrivere a sua volta una mail. -Ti è stato detto che
saresti
stata sotto sorveglianza ad ogni passo, e che tutte le tue telefonate
e le tue mail sarebbero state controllate. Ci sono prove pesanti a
tuo carico, e tu sei libera soltanto perché gli agenti del
quartier
generale sono troppo ottusi e coinvolti per vedere la verità
che
hanno proprio sotto il loro naso, chiara e lampante.-
In
quel momento, il telefono di Misa vibrò, e lei lesse sul
display il
nome della sua agenzia.
-Ovviamente
ricevo anche tutte le tue mail in entrata.- riprese K, sorseggiando
un po' di birra. -Non c'è nulla che tu possa fare per
danneggiarmi,
in questo momento.-
Misa
le lanciò un'occhiataccia e poi, titubante, aprì
la mail.
Lo
schermo divenne nero. Misa sussultò, provò a
pigiare tutti i tasti,
a premere quello di accensione e spegnimento, ma nulla. Il telefono
pareva inservibile.
-Ah,
ma quella che hai ricevuto ora non era una vera mail dalla tua
agenzia.- disse K, poggiando il boccale sul tavolo. -Era un virus.
Che ha cancellato tutto ciò che c'era su quel telefono.-
Poi
riprese in mano il cellulare che le aveva mostrato, e glielo
sventolò
davanti.
-Posso
inviarti mail, messaggi e chiamate facendoti visualizzare il numero o
l'indirizzo mail di Light, o delle tue colleghe, o dei tuoi
truccatori, o di chi io voglia. Non potrai mai sapere se si tratta
veramente di loro o meno. Ma per sicurezza, ho qualche virus o trojan
pronto da mandarti, nel caso non potessi sequestrarti il telefono
quando ne avessi bisogno.-
Lo
rimise a posto, e riprese a mangiare, mentre Misa tentava in tutti i
modi di far riaccendere il proprio cellulare, lanciandole insulti e
molliche di pane.
-Sai,
la tua idea di ricattarmi poteva essere buona, davvero...- riprese
poi, prendendo una spessa patatina dal piatto con le dita bianche.
-Ma purtroppo hai fatto due errori da principiante. Il primo,
è che
io non cedo alle minacce di morte, nemmeno quando mi puntano una
pistola alla tempia. E il secondo... Ryuzaki non cambierebbe idea
sulla vostra colpevolezza nemmeno di fronte alla più
eccitante
delle...-
E
concluse la frase in modo talmente volgare che persino i loro vicini
di tavolo si voltarono scandalizzati.
-Però
ti invito a ritentare.- concluse, pulendosi di nuovo le mani sul
tovagliolo per poi ripassare al gigantesco hamburger che continuava a
troneggiare sul suo piatto.
Così
Misa si arrese, infilò il cellulare nella borsa e prese a
mangiare,
con lo sguardo fisso sul proprio piatto.
Rimasero
così in silenzio, finché l'altro telefono di K,
quello che
utilizzava normalmente, non squillò. Ci lanciò
una breve occhiata e
vide che sul display era apparsa una Q maiuscola a carattere gotico.
Si guardò intorno, guardò Misa e concluse che
sarebbe stato più
sicuro per entrambe se fosse rimasta al tavolo.
-Non
posso muovermi di qui.- disse in inglese, appena premuto il tasto di
risposta.
-Lo
so.- disse la voce camuffata di Q. -Sei all'interno dell'Hard Rock
Café di Roppongi nella saletta privata. Vi tengo d'occhio
dalle
telecamere di sicurezza.-
-Siamo
in pericolo?- domandò K. Q non chiamava mai, se non era
estremamente
necessario, e soprattutto non usciva mai allo scoperto se i suoi
collaboratori si trovavano in compagnia di estranei.
-Ci
sono tre persone sospette che girano intorno all'edificio.- rispose
la voce distorta dall'altro capo del telefono. -Ho già
avvertito
Watari, deciderà lui se chiamare o meno la polizia.-
-Avrebbe
potuto avvertirmi lui.- ribatté K, abbassando la voce e
cercando di
guardarsi intorno senza dare nell'occhio. -Perché mi stai
chiamando,
allora?-
-Perché
Hayer ha inserito i CD con tutti i dati raccolti su di te e L nel suo
computer, e il mio virus li ha cancellati. Immagino volesse vendere
l'identità di L per guadagnarsi la fuga in un altro Paese.
Ora
suppongo che cercherà di recuperare le copie cartacee nella
cassaforte a casa sua. Vuoi che provochi un corto circuito e faccia
bruciare l'edificio?-
-Scordatelo.-
rispose secca lei. -Attieniti al piano.-
Il
pomeriggio precedente, dopo che Light e L se n'erano andati, K aveva
organizzato quell'operazione nei minimi dettagli: sapeva che gli
uomini di Hayer pedinavano Watari dal giorno successivo alla
sparatoria di due mesi prima, ed era sicura che l'avrebbero trovata
non appena avessero scoperto che Misa Amane era di nuovo in giro per
Tokyo. In realtà, puntava proprio a farli avvicinare e a
prenderli
per incastrare Hayer. Burton aveva già un mandato di
perquisizione
per casa sua, avrebbe raccolto tutte le prove, prelevato le carte
dalla sua cassaforte e fatto sparire ogni riferimento
all'identità
di L prima che queste finissero in mano al procuratore. Nessuno al
dipartimento avrebbe mai potuto immaginare che Hayer fosse a
conoscenza di dettagli cruciali sull'identità di L, motivo
per cui
Burton avrebbe potuto bruciare i documenti in tutta
tranquillità.
Ciò
che più importava, in quel momento, era tenere Misa al
sicuro. K
aveva tentato di farle da scudo umano per tutto il giorno, ma se in
quel momento c'erano tre uomini fuori dal locale, non poteva
permetterle di uscire.
Chiuse
la chiamata con Q, e chiamò Mogi.
-Watari
ti ha messo al corrente?- domandò, non appena l'uomo ebbe
risposto.
-Sì.
Mi trovo all'entrata del locale. Watari è nell'edificio di
fronte ed
è armato.-
-Bene.-
K
lanciò un'occhiata a Misa, che la guardava piena di rancore
mentre
finiva di mangiare.
-Allora
vieni qui e proteggi Amane.- continuò, rovistando nella
borsetta
alla ricerca della pistola. -Io esco.-
Chiuse
la chiamata prima che Mogi potesse protestare e intimò a
Misa di
rimanere al suo posto. Si alzò in piedi, si
risistemò gli occhiali
sul naso e tentò di farsi strada tra le persone che
affollavano il
locale, con la mano destra che teneva stretta la pistola dentro la
borsetta. Ad un certo punto si sentì tirare per il braccio,
e vide
Misa alle sue spalle, con la fronte aggrottata, che la tratteneva.
-Dove
hai intenzione di andare, ora?-
K
la prese, la trascinò a sé e la bloccò
col braccio sinistro contro
il proprio petto, e, mentre ruotava per la stanza tentando di non
offrire il fianco della ragazza ad alcun potenziale criminale, le
sussurrò all'orecchio: -È pericoloso. Resta
insieme a Mogi.-
L'agente
le raggiunse immediatamente e staccò Misa da quel bizzarro
abbraccio.
-Non
vi muovete di qui.- intimò loro, e poi imboccò la
via per uscire.
Il
sole del pomeriggio la abbagliò, nonostante le lenti scure,
ma cercò
in ogni caso di guardarsi intorno, mentre pigiava col dito il tasto
sulla ricetrasmittente che portava all'orecchio, per sentire le
istruzioni di Watari.
-La
polizia arriverà a momenti.- le disse il vecchio. -Portano
caschi
neri, uno è in moto, cercheranno di farlo sembrare un
omicidio della
Yakuza.-
K
si guardava intorno alla ricerca dei tre uomini, mentre Watari le
dava istruzioni su dove sistemarsi perché lui, dal palazzo
di
fronte, avesse la visuale più ampia e pulita per sparare in
caso di
necessità. C'erano molte, troppe persone che affollavano
quel
marciapiede. Così K iniziò a fingere di
barcollare, avanzando verso
il punto che Watari le aveva indicato con passo tremante ed insicuro,
dondolando, per poi mettersi ad urlare in un inglese biascicato frasi
sconnesse su “il mio signore Satana”. Certo, con
una bottiglia di
birra o di liquore avrebbe fatto più scena, avrebbe potuto
rompere
il vetro per terrorizzare ulteriormente i passanti, ma si sarebbe
dovuta arrangiare diversamente. Si mise così a sbavare,
allungando
il collo verso le persone che la circondavano, urlando come
un'invasata versi delle canzoni dei Cure.
Tutti
intorno a lei si scansarono istintivamente, guardandola preoccupati,
ma erano ancora troppo vicini. Alcuni, anzi, probabilmente si stavano
avvicinando per farle un video. Per cui si piegò in due e
finse dei
conati di vomito, sperando che questo avrebbe allontanato
definitivamente tutti i curiosi.
Stava
quasi funzionando, ma in quel momento sentì due suoni che
fino a
quel momento si era augurata di non sentire in successione: il rombo
del motore di una moto e... le urla di Misa.
-Non
mi puoi mollare così dopo tutto quello che mi hai fatto
passare!-
stava gridando la ragazza, sfuggendo da sotto il braccio di Mogi e
correndo verso di lei. K vide con la coda dell'occhio l'uomo sulla
moto nera alzare una pistola e puntargliela contro, e poi si
girò
verso Misa. Con uno slancio delle lunghe gambe, si gettò a
volo
d'angelo sulla ragazza, chiudendo le braccia attorno alla sua testa,
e con un colpo di reni si girò di novanta gradi, tenendo
forte Misa
e atterrando malamente al suolo dando le spalle alla strada, ma con
la ragazza riparata dietro dal suo corpo e davanti dal muro dell'Hard
Rock Café.
Le
urla delle persone fuori dal locale soffocarono l'esplosione del
proiettile. Poi, un botto, rumore di freni, metallo contro asfalto, i
passi di Mogi che intimava a tutti di rimanere indietro e si parava
davanti alle due ragazze. K tentò di ignorare il dolore al
braccio e
alla coscia escoriatisi contro l'asfalto, e si voltò,
nascondendo il
volto di Misa nel suo petto. La ruota anteriore della moto era
esplosa e il conducente era stato sbalzato in avanti, e ora Mogi lo
teneva sotto tiro. Ma gli altri due uomini coi caschi neri si stavano
avvicinando con le pistole puntate.
K
estrasse la pistola, mentre Misa cominciava a singhiozzare, cercando
di puntare alla gamba di quello più vicino; tentò
di calmare il
respiro e di scacciare dalla mente gli occhi vitrei e pieni d'odio
del trafficante d'armi che aveva ucciso per salvare L.
In
lontananza si sentivano le sirene, e tutti i passanti stavano
fuggendo in ogni direzione, cercando di rifugiarsi nei locali lungo
la strada, quando, uno dopo l'altro, i tre uomini caddero a terra con
un gemito.
-Li
ho addormentati.- disse Watari alla ricetrasmittente.
K
avrebbe voluto alzarsi, ma non poteva lasciare Misa scoperta,
perciò
intimò a Mogi di disarmarli ed immobilizzarli
finché non fosse
arrivata la polizia. La ragazza ormai singhiozzava in modo nervoso e
scomposto, maledicendo K, L e tutti quanti avessero deciso di punto
in bianco di rovinarle la vita.
Quando
Hayer ricevette la chiamata tanto attesa, nel tragitto in taxi dal
quartier generale a casa sua, si sarebbe aspettato di udire la voce
dei suoi uomini dall'altro capo della cornetta. Già
pregustava il
momento in cui gli avrebbero comunicato, con finto tono di sconforto,
il fallimento della loro operazione. Li immaginava descrivere nei
minimi particolari il loro tentativo di rapimento di Banks, che si
era malauguratamente concluso con la morte della donna. Era
già
pronto a mostrarsi infuriato, urlare, minacciarli di prendere seri
provvedimenti, per poi chiudere violentemente la chiamata e lasciarsi
andare ad un sorriso soddisfatto, un sorriso che gli Hogson non
avrebbero potuto percepire dalle registrazioni delle sue chiamate. Ma
non fu quella di uno dei suoi soldati la voce che sentì non
appena
rispose alla chiamata; era William Hogson, il maggiore dei due
fratelli.
-Colonnello
Hayer.- esordì, con la sua voce melliflua. -Ci è
giunta la notizia
che i suoi uomini sono attualmente sotto la custodia della polizia
giapponese per aver aperto il fuoco contro dei civili.-
Hayer
si sentì ghiacciare il sangue nelle vene.
Strabuzzò gli occhi e
irrigidì il collo, mentre contraeva la mascella, in preda al
panico.
Si voltò di scatto, come se la catastrofe che stava per
abbattersi
su di lui fosse effettivamente un'entità visibile alle sue
spalle,
che inseguiva il suo taxi. Hogson non aveva detto
“ucciso”, aveva
detto “aperto il fuoco”.
Aprì
e chiuse la grossa mano libera, e poi domandò: -Ci sono
stati morti
o feriti?-
-Solo
una gran confusione.- rispose il maggiore degli Hogson.
-Però,
Colonnello, questa non è la prima volta che i suoi uomini
disobbediscono apertamente ai suoi ordini. La sua autorità
è
compromessa fino a questo punto?-
Hayer
sperava che gli lasciassero tempo almeno fino alla mattina seguente.
C'era già più di un compratore interessato alle
informazioni che
aveva da vendere, e i documenti falsi e il biglietto aereo erano
già
pronti e al sicuro nella sua valigetta. I suoi uomini avevano
fallito. Aveva sperato che, con la morte di Banks, si creasse
abbastanza trambusto perché per un po' si dimenticassero di
lui,
lasciandolo libero di agire.
E
invece era andato tutto storto.
Ancora
una volta.
Il
taxi stava già rallentando per accostare sul vialetto di
casa sua,
quando Hayer li vide.
-Colonnello,
ma mi sta ascoltando?- domandò la voce di Hogson,
infastidita.
Hayer
continuò a tenere premuto il telefono contro il proprio
orecchio,
mentre la paura di poco prima si trasformava in rabbia. Chiuse la
mano a pugno, trasse un lungo respiro e squadrò con la
dovuta calma
le tre volanti della polizia che sostavano nel vialetto di casa sua,
coi lampeggianti accesi, mentre il suo taxi rallentava e si spostava
lentamente verso destra. C'erano dieci agenti più il
commissario.
Il
taxi si fermò al cenno di uno di quelli in divisa, mentre il
commissario si avviava a passo deciso verso il finestrino dal quale
Hayer osservava la scena. Era alto, ben piantato, portava un completo
grigio leggero e aveva le maniche tirate su fino ai gomiti; era sulla
quarantina, ma aveva il viso ancora giovane e pulito, e capelli
castani mossi appena da una leggera brezza. Gli piantò in
faccia uno
sguardo gelido e tagliente coi suoi occhi azzurrissimi e gli
intimò
di aprire la portiera, esibendo il suo distintivo.
-Commissario
Roger Burton.- esordì, rimettendo a posto il distintivo
nella tasca
interna della giacca grigia ed estraendo al suo posto un mandato di
cattura e uno di perquisizione.
-Lei
è sospettato di aver ordito un sequestro ai danni della vita
di
Kendra Burton, fino ad ora creduta morta suicida.-
Hayer
non accennava a voler aprire la portiera. Ci avevano messo meno del
previsto, questo stava pensando, mentre chiudeva con un gesto secco
il proprio telefono cellulare e allungava la mano verso la valigetta,
dove teneva la pistola. Si maledisse per averla chiusa a chiave
lì
dentro e non averla infilata nei pantaloni.
Era
solo questione di tempo, dopotutto.
Burton
custodiva le prove a suo carico da almeno sette anni. Sapeva che
sarebbe finita in quel modo, se non fosse riuscito ad ucciderli tutti
prima. Eppure, ora che il commissario Burton gli stava di fronte,
ripetendogli di aprire la porta, a malapena in grado di controllare
la furia che sicuramente lo stava scuotendo dal profondo (glielo
poteva leggere in quegli occhi color ghiaccio dalle pupille
strettissime, dalle vene pulsanti sul suo collo teso e dal leggero
tremore delle sue mani), e Hayer non riusciva ancora a reagire,
sentendosi come sospeso tra due realtà, quella in cui stava
per
essere arrestato e quella in cui usciva sempre vincitore da ogni
scontro.
Non
poteva finire così. Questo pensava.
Intanto
si erano avvicinati altri due agenti con un paio di manette, aprirono
la portiera e gli strapparono di mano la valigetta e il telefono,
intimandogli di uscire dall'abitacolo.
Vedere
quelle mani estranee avvicinarsi a lui senza un minimo di deferenza
fu la spinta che permise ad Hayer di scuotersi dall'apatia in cui era
caduto alla vista del commissario Burton. Cominciò ad urlare
e a
dimenarsi, spingendo via gli agenti, chiudendosi nel taxi ed
intimando al tassista di ripartire, mentre premeva la chiusura di
sicurezza sulle due portiere posteriori.
Il
pover'uomo che lo aveva condotto sino a lì si
voltò col terrore
negli occhi, ma non accennò a voler rimettere in moto
l'auto, per
cui Hayer si sporse verso di lui, con l'intenzione di afferrarlo per
il collo.
Dalla
portiera anteriore destra entrò un altro agente che
tentò di
fermarlo, Ma Hayer lo colpì in volto con un forte pugno,
facendolo
indietreggiare; poi si sporse in avanti per chiudere anche quella
portiera con la sicura, ma nel farlo mollò la presa sul
povero
tassista, che venne fatto scendere e allontanare dall'auto.
Rimaneva
quindi soltanto la porta anteriore sinistra da chiudere, e, nella
confusione, né il tassiste né l'agente che
l'aveva fatto uscire
avevano preso le chiavi.
Poteva
farcela.
Sfortunatamente
il poliziotto più muscoloso di quella squadra di smidollati
aveva
fatto cenno agli uomini accorsi per cercare di tirare fuori Hayer di
stare indietro, e si infilò nell'abitacolo afferrando il
colonnello
per un braccio. Questi puntò i piedi e si gettò
con tutto il
proprio peso all'indietro, mentre con la mano libera cercava di
afferrare un qualsiasi oggetto pesante. Non ne trovò, ma
riuscì a
trascinare per intero l'agente grande e grosso all'interno del taxi,
alzò il braccio libero, tese l'indice e il medio e
caricò il colpo
diretto agli occhi del suo assalitore.
Le
urla strazianti dell'uomo che rimbombavano nel piccolo spazio chiuso
quasi gli ferirono i timpani, e già sentiva gli agenti
intorno a sé
che si preparavano a sfondare i finestrini, mentre, davanti a lui,
stavano cercando di far uscire il loro collega ferito; ma ormai
sentiva di avere il controllo della situazione, per cui
allungò la
mano verso la fondina del poliziotto che giaceva urlante in mezzo ai
sedili, con le mani chiuse sul viso, e gli prese la pistola.
Tuttavia,
era stato di nuovo troppo ottimista. Ad un segnale di Burton,
tutti gli agenti avevano circondato l'auto, accovacciandosi per non
farsi colpire attraverso i finestrini. Aveva
spalancato la portiera del conducente e stava alzando ed abbassando
la chiusura di sicurezza per far scattare tutte le porte
contemporaneamente. Hayer gli puntò contro la pistola,
pronto a
premere il grilletto, cercando di ignorare le urla del poliziotto
sotto di sé.
Ma
quel bastardo si alzò di scatto, fulminandolo con uno
sguardo
iniettato di sangue, afferrò la canna della pistola e la
deviò
verso il tettuccio dell'auto con una mano, mentre con l'altra faceva
scendere un potente pugno sul suo polso, facendogli perdere la presa
sulla pistola. Era accaduto tutto in una frazione di secondo, e Hayer
non era riuscito a reagire. Il poliziotto gettò l'arma fuori
dalla
porta aperta di fianco a lui, Burton urlò “Via
libera!” ed
entrambe le portiere posteriori si aprirono. Hayer tentò
invano di
togliersi di dosso le mani di quegli agenti che tentavano di
trascinarlo fuori dall'auto, ma alla fine si decise a cedere.
Una
volta uscito, si guardò intorno, in cerca di una via di
fuga, ma i
poliziotti erano in troppi, in due lo tenevano sotto tiro con la
pistola, mentre uno aiutava l'energumeno ferito agli occhi, un altro
teneva al sicuro il tassista, quello che si era beccato il pugno in
faccia si tamponava il naso sanguinante mentre tentava di aprire la
valigetta che gli avevano sottratto, e uno stava tenendo lontani
vicini e passanti che erano accorsi ad assistere alla scena.
Lo
stavano tenendo in due per le braccia, ma lui continuava a dimenarsi,
cercando di portarsi in una posizione agevole per colpirli ai
testicoli. Se dovevano prenderlo, lui avrebbe combattuto fino alla
fine, per il suo onore e la sua medaglia, per il suo grado e per
tutto ciò che aveva dato al suo Paese.
Eppure Burton si stava avvicinando, con
fare apparentemente calmo e
controllato. Hayer si sforzò al massimo per sfuggire alla
stretta
dei due poliziotti, e riuscì infine a liberarsi, colpendo
entrambi
alla bocca dello stomaco, per poi gettarsi contro Burton. Ma il
commissario si mosse con gesti rapidi e precisi, gli afferrò
il
braccio e usò lo stesso slancio col quale Hayer gli si stava
buttando addosso per farlo girare su se stesso, e infine fargli
sbattere violentemente la testa contro il taxi.
-È
inutile che ti agiti, bastardo.- gli sussurrò rabbiosamente
all'orecchio, con un sorriso inquietante sulle labbra. -Abbiamo i
cellulari dei tre assaltatori e i tabulati telefonici, tanto per
cominciare. E tu non sai quanti anni sono che aspetto questo
momento.-
Gli
torse forte i polsi, facendolo urlare di dolore, mentre lo
ammanettava.
-Sono
stato un tuo bersaglio per quasi sette anni, e ti farò
pentire di
ogni singolo secondo che hai rubato a me e a tutti gli altri.-
K
e Misa tornarono al quartier generale che era già sera.
Light
costrinse L con le minacce ad andare all'ingresso ad accoglierle,
rinfacciandogli il fatto che fosse soltanto colpa sua se avevano
corso un rischio così grande.
Quando
si aprirono le porte scorrevoli, Misa si gettò al collo di
Light,
piangendo, accompagnata da Mogi, che teneva tutte le loro borse.
-Misa,
stai bene?- domandò il ragazzo, abbracciandola. -Avrei
dovuto
immaginarlo che sarebbe stato troppo pericoloso farti uscire non
travestita.-
Erano
stati tutti trattenuti dalla polizia giapponese per essere
interrogati, e L aveva parlato col capo della polizia per cercare di
insabbiare la cosa. Gli aveva rivelato che si trattava di un episodio
collegato a quello della sparatoria di due mesi prima, e che vedeva
coinvolta una donna che rappresentava una testimone chiave di un caso
molto complesso, e solo dopo infinite trattative era riuscito a
convincerlo a rilasciare una falsa dichiarazione ai media: quegli
uomini avevano come bersaglio Misa Amane da tempo, probabilmente
volevano rapirla per conto di qualche ricco pervertito, motivo per
cui nei due mesi precedenti la ragazza si era ritirata dalle scene.
L'alternativa
sarebbe stata rivelare che Misa era un testimone chiave nel caso
Kira, il che avrebbe creato non pochi disagi alla polizia durante le
imminenti riprese del film che vedeva Misa come protagonista. Questo
piano aveva inoltre il vantaggio di far innalzare il livello di
sicurezza dei set su cui Misa avrebbe lavorato, sopperendo in questo
modo alla mancanza di personale di sorveglianza della squadra di L. E
tutto questo piano era stato preparato da K in un pomeriggio. Quella
ragazza sapeva davvero volgere tutto a suo favore.
Il
detective stette ad ascoltare in silenzio tutti gli insulti che gli
agenti, Light e Misa gli rivolgevano contro, attendendo pazientemente
sulla porta.
E
finalmente arrivarono.
Watari
reggeva la sua valigetta coi fucili, mentre K era dietro di lui, e
saltellava con la parrucca nera in mano. Era ancora truccata, ma
teneva i capelli bianchi raccolti in due trecce olandesi, la gonna di
pizzo si era lacerata e penzolava da un lato, mentre le calze erano
tutte bucate. Aveva il braccio e la gamba sinistra pieni di
escoriazioni, le spalle rosse di insolazione, il volto illuminato di
una gioia incontenibile.
-Ce
l'abbiamo fatta!- urlava. -L'abbiamo preso!-
-Nathalie!-
esclamò Matsuda, correndole incontro. -Tutto bene? Ti sei
fatta
tanto male?-
-Non
sono mai stata meglio in vita mia!- rispose lei, abbracciando di
slancio l'agente, mentre gli scompigliava i capelli.
Matsuda
arrossì violentemente e tentò di balbettare una
richiesta di
spiegazioni.
-Suppongo
voglia dire che è riuscita a far arrestare l'uomo che l'ha
tenuta
prigioniera per più di sei anni e mezzo.- intervenne L, che
osservava la scena a debita distanza, con le mani in tasca.
Ma
K non lo stava a sentire, e saltellava sul posto con le lunghe gambe
bianche e ferite, sciogliendosi le trecce aderenti alla testa,
lasciando che i suoi lunghi capelli bianchi e, ora, setosi e lucenti
le ricadessero sulle spalle arrossate in morbide onde ordinate.
Saltò
al collo di Watari, stringendolo forte, guardandolo negli occhi con
sguardo follemente felice e pieno di gratitudine, e poi
abbracciò
anche gli altri agenti.
Infine
lo raggiunse, col sorriso più dolce che il giovane riuscisse
a
ricordare, con le braccia aperte, e la pelle che sicuramente odorava
di crema solare; quell'odore allo stesso tempo dolce e fresco che gli
era mancato sentirsi addosso ogni mattina, in quegli anni.
-Sei
pregata di non invadere il mio spazio personale.- le disse,
indietreggiando.
Aveva
rischiato di farla morire. E tutto per fugare ogni dubbio su un
qualsiasi tipo di legame tra loro. Ma lei ora lo stava stringendo a
sé, con quella pelle profumata che scottava, con le braccia
e le
spalle che tremavano.
-Concedimelo.-
gli sussurrò all'orecchio, con voce rotta dall'emozione. -La
mia
famiglia... avrà giustizia...-
L
era rimasto immobile al suo posto, con le mani in tasca. Si
voltò
leggermente verso gli agenti ancora scossi dall'esuberanza di K ed
esclamò: -Qualcuno me la toglie di dosso?-
-Quanto
sei antipatico ultimamente, Ryuzaki.- rise Light, tastando
delicatamente la spalla di K e aprendo poi le braccia. L vide per un
istante il sorriso sulle labbra della giovane spegnersi, e strinse
forte i pugni nascosti nelle tasche.
No.
Questo
non lo doveva fare.
Lui
era l'assassino di Bjarne.
Con
quale diritto ora voleva prendere tra le braccia la donna che aveva
privato di Bjarne, la persona più importante della sua vita?
-Come
ti sei ridotta così?- domandò Light, dopo averla
liberata dalla
stretta.
-Tentavo
di proteggere Misa da una pallottola.- rispose candidamente K. -A
quanto pare, prendermi pallottole al posto di gente che non mi
sopporta è diventata la mia specialità.-
Poi
si voltò verso gli altri e domandò a gran voce:
-A chi altri di voi
sto antipatica? Aizawa? Bene, Aizawa, la prossima pallottola me la
prenderò al posto tuo.-
Tutti
scoppiarono a ridere.
Eppure
non era giusto. Quello doveva essere probabilmente il momento
più
felice nella vita di K, un momento che avrebbe dovuto passare assieme
alle persone davvero meritevoli del suo abbraccio. E invece lei era
lì, assieme all'assassino di suo fratello, lontana dal padre
che non
considerava tale, ma a cui voleva bene, lontana dalla famiglia di
Bjarne, divisa per sempre da quel fratello che aveva sempre
significato tutto per lei... e anche così lontana dallo
stesso L. Si
trovavano nella stessa stanza, ma non potevano essere più
lontani.
-Grazie...-
disse ad un tratto Misa, avvicinandosi a K con lo sguardo basso. -Per
avermi salvata, intendo.-
Lei
le diede una pacca sulla spalla.
-Sei
un testimone chiave, Misa Misa, non potevo rischiare che ti
torcessero anche solo un capello!- rise.
L
guardò K continuare a sorridere, anche se in quel momento il
pensiero di Bjarne e di chi glielo aveva portato via le avrebbe
probabilmente fatto salire le lacrime agli occhi, se solo fosse stata
libera di piangere.
E
L si ritrovò a pensare che era un bene che Light lo avesse
preso a
pugni in faccia, poiché in quel modo nessuno avrebbe fatto
caso ai
suoi occhi rossi e gonfi che si facevano sempre più lucidi,
mentre
guardava quella ragazza bellissima ed indomabile che festeggiava la
propria vittoria. Giustizia sarebbe stata fatta. Una giustizia vera,
conquistata con le proprie lacrime, col proprio sudore, col proprio
sangue. Letteralmente. Giustizia per coloro che avevano sofferto, e
per coloro che non c'erano più.
L
non ricordava il momento in cui aveva smesso di perseguire la
Giustizia per il bene delle persone, e aveva invece cominciato a
farlo per nutrire il proprio ego.
Forse,
in fondo in fondo, nemmeno lui meritava l'abbraccio di K.
Note
Siamo quasi al termine della Parte II.
Originariamente la mia fanfiction era lunga 117 pagine Word ed era
divisa in tre parti, ora siamo già a 207 pagine e le parti
diventeranno quattro. Mi rendo conto che stia diventando lunghissimo e
pesante, perciò mi scuso con coloro siano riusciti a
resistere fino a qui, ma ci sono tantissime cose che vorrei raccontare
e temi che vorrei approfondire.
Dal momento che è cominciata la
sessione estiva all'università, è possibile che
non riesca ad aggiornare ogni lunedì, anche
perché mi ritrovo ad un punto in cui devo effettivamente
scrivere interi capitoli da zero (quello che avete appena letto
è uno di questi). Il prossimo, in ogni caso, sarà
intitolato "Dei Delitti e delle Pene" (esatto, l'opera di Cesare
Beccaria). Spero di poterlo scrivere e revisionare entro
lunedì prossimo!
Un saluto e un sentito grazie a chi mi
sta leggendo!
|
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Capitolo 19 *** Capitolo 16 - Dei Delitti e Delle Pene ***
Capitolo
XVI
Dei
delitti e delle pene
I
festeggiamenti non durarono a lungo. La mattina seguente Aizawa stava
già protestando a causa del fatto che K si ostinava a non
volerli
mettere al corrente dei retroscena dell'arresto, insistendo sul fatto
che anche loro erano stati vittime di quella persona la cui
identità
K non voleva svelare. Lamentele che erano cominciato dal momento
stesso in cui lei li aveva raggiunti, nella tarda mattinata,
scendendo le scale con passo allegro e leggero, canticchiando a bocca
chiusa, con una camicetta senza maniche che lasciava visibili le
medicazioni alle escoriazioni sul braccio sinistro (per precauzione
legato di nuovo al collo per evitare di affaticare troppo la spalla,
non del tutto guarita ancora dalla pallottola di due mesi prima), e
con lunghi pantaloni blu a vita alta e dal taglio morbido, che
facevano sembrare le sue gambe perfette ancora più lunghe. I
capelli
bianchi non erano più scompigliati e ribelli,
bensì morbidi e
lucenti, e le ciocche ora ben definite si arricciavano naturalmente
in blandi boccoli.
L
aveva sempre immaginato che, se non fosse nata albina, K sarebbe
stata la tipica irlandese rossa di capelli, con le lentiggini e gli
occhi chiari. La notte di quel lontano 8 novembre di quasi sette anni
prima (in cui, in preda al panico, alla frustrazione e alla paura
dell'abbandono, aveva graffiato con le unghie la punta del
preservativo, prima di metterselo), aveva pensato che gli sarebbe
piaciuto avere una bambina con capelli rossi ricci e ribelli, e tante
lentiggini sul viso ovale, come quello della mamma. Ricordava di aver
immaginato quel viso in modo così vivido, che quando poi si
era
trovato di fronte Nate River non aveva avuto alcun dubbio sulla sua
identità. Non poteva essere altri se non suo figlio. Loro
figlio.
K
aveva sceso le scale e li aveva raggiunti, salutandoli con un largo
sorriso, e subito dopo Aizawa aveva domandato, in modo abbastanza
provocatorio ed impaziente, di essere messo a parte dei dettagli
dell'arresto. Cosa che lei si era rifiutata di fare, rispondendo
anche in modo gentile, e senza perdere per un solo istante il
buonumore. L la sentiva parlare alle proprie spalle, mentre scorreva
annoiato le notizie che apparivano di ora in ora sui decessi
ricollegabili a Kira.
Non
era ancora riuscito a riprendersi dall'angoscia che lo aveva
attanagliato nei due giorni precedenti; il fatto che K avesse voluto
mettere in pericolo la propria vita solo per tenere il punto era un
atteggiamento tipico di lei, ma L non aveva mai avuto così
tanta
paura di perderla dal giorno in cui aveva insistito per farsi fare
prigioniera da quei trafficanti di armi del Nevada. All'epoca, lui
non aveva né l'esperienza, né i mezzi,
né l'autorità per fermarla
e per intervenire, ma ora che possedeva tutte queste cose... non era
comunque riuscito a fare nulla.
Era
fermamente convinto di essere pronto a qualsiasi cosa, pur di tenere
al sicuro lei, Watari e Near. Qualsiasi.
Compreso il non trovare mai il nuovo Kira. Sarebbero morte centinaia,
migliaia di altre persone, ma se avesse preso il nuovo Kira, Light
avrebbe recuperato i ricordi, e i poteri. Non vi erano dubbi su
questo, era palese che questo fosse esattamente
il piano architettato da Light prima di farsi imprigionare.
Non
poteva permettere che questo accadesse: Watari e K sarebbero stati in
pericolo. Lui stesso? Per quanto l'idea di morire non gli piacesse
per nulla, la sua vita faceva parte del prezzo che era disposto a
pagare per la salvezza degli altri.
Lanciò
un'occhiata a Light. Una parte di lui lo odiava per ciò che
rappresentava, ma un'altra parte lo ammirava per lo stesso motivo.
Certo, sarebbe stato bello poter salvare anche lui e Misa da Kira. O,
per meglio dire, da loro stessi.
Eppure
si rendeva conto del fatto che quella non fosse un'opzione da
contemplare: in primo luogo, l'esistenza stessa di Kira era un
pericolo per le fondamenta della società, per la
sopravvivenza delle
istituzioni e dei valori morali che regolano la vita collettiva in
ogni tipo di civiltà; in secondo luogo, vi erano i crimini
da Kira
commessi, che in quanto tali esigevano la punizione del colpevole; in
terzo luogo, Kira era un pericolo anche per le persone innocenti,
come Bjarne, il loro agente Ukita, Naomi, il suo fidanzato e gli
altri agenti dell'FBI e chiunque osasse intralciare il suo cammino;
ultimo, ma non ultimo, almeno per L, era il fatto che il mistero che
avvolgeva Kira fosse un indovinello da risolvere. E, in quanto
studente della Wammy's House, risolvere gli enigmi era il suo unico
Credo. Magari non condivideva la visione idealistica e decisamente
romantica che K aveva sulla giustizia, ma il suo fine era lo stesso:
la Giustizia, appunto.
-Quello
che non capisco...- intervenne Matsuda, interrompendo il filo dei
pensieri di L. -...è come mai sei così decisa a
tenere segreta
l'identità di queste persone che ti hanno fatto del male.
Non
vorresti vederle pagare per i crimini commessi?-
L
staccò la mano dal mouse e la appoggiò sulle
ginocchia, che aveva,
come suo solito, raccolto contro il petto, e si mise ad ascoltare.
Anche Light, seduto accanto a lui, si era voltato.
-Questo
è ovvio.- rispose K, risistemandosi la fascia che le reggeva
il
braccio sinistro. -Ma, dal momento che noi non siamo Kira,
lascerò
che sia una giuria a condannarli. Se diffondessi le loro
identità,
Kira farebbe il suo solito lavoro, ovvero quello di giudice, giuria e
boia, e io non voglio essere sua complice.-
Si
avvicinò quindi al tavolo di fronte ai monitor, prese una
sedia
girevole e si sedette di fianco a L.
-Inoltre...-
aggiunse, tirando fuori una tastiera e un mouse dal ripiano
scorrevole sotto il tavolo e cominciando a fare ricerche in rete. -Ho
dei motivi più personali per voler tenere al sicuro la
persona che
ha mandato Grumann, Dale e Barnes a sorvegliarci e a tentare di
ucciderci. Insomma, penso semplicemente ai miei interessi, non
è che
voglia a tutti i costi fare una campagna contro la pena di morte.-
-Capisco
tu sia americana.- intervenne allora Aizawa. -E so che da voi ci sono
molte discussioni per abolire la pena di morte in tutti gli stati,
ma...-
-Il
fatto che io abbia delle pistole...- lo interruppe K senza voltarla.
-... e che sia solita puntarle addosso alla gente con apparente
noncuranza, o il fatto che sia rumorosa, irascibile e decisamente
volgare ai vostri occhi, non vuole per forza dire che io sia
americana. Il mondo è pieno di persone spiacevoli come la
sottoscritta.-
Ridacchiò.
-Ma,
vedete, il discorso sulla pena di morte non è solo morale.-
-Eccola
che ricomincia...- bofonchiò L. -Signori, vi invito a
lasciare la
stanza prima che sia troppo tardi. La vostra collega sa tenere dei
comizi molto sfiancanti.-
K
si voltò verso di lui e rise di cuore. Poi si
alzò dalla sedia e
gli diede una pacca sulla spalla con la mano libera dalla fascia.
-Non
temere...- disse, sollevando un angolo della bocca in un mezzo
ghigno. -Non ti ruberò tempo prezioso e non
annoierò i tuoi uomini
coi miei discorsi.-
-A
me, in realtà, interesserebbe sentire cos'hai da dire,
Nathalie.-
intervenne allora Light, che aveva voltato la propria sedia girevole
in direzione dei due detective caucasici.
L
gli rivolse uno sguardo carico di interesse.
-Dopotutto...-
riprese il ragazzo, che teneva il gomito sinistro appoggiato alla
scrivania e la mano destra sul ginocchio. -Vorrei diventare un
poliziotto. Un uomo di legge. E credo che per avere una visione
più
ampia della giustizia sia necessario conoscere diversi punti di
vista.-
K
sollevò anche l'altro angolo della bocca, e si
batté la mano libera
sulla coscia.
-E
bravo Yagami!- esclamò, compiaciuta. -Mi piace come ragioni.
Mi
ricordi un mio ex studente molto promettente.-
Poi
si voltò verso gli altri agenti, appoggiando la mano sul
fianco.
-Vedete,
uno degli scogli più insormontabili che si presentano nel
momento in
cui si parla di giustizia è la morale. Questo
perché la morale, pur
essendo parte delle fondamenta di ogni società, è
qualcosa di
estremamente labile e mutevole. Non solo la morale cambia da epoca
storica ad epoca storica, o da società a società,
ma addirittura da
individuo ad individuo.-
Guardò
quindi Light da sopra la propria spalla.
-Il
senso di giustizia di un giapponese sarà necessariamente
diverso
rispetto a quello di un occidentale. Non è strano che un
giapponese
si tolga la vita per rimediare ad un suo errore, perché
c'è un
senso dell'onore e della responsabilità nella vostra cultura
che un
occidentale stenterebbe a comprendere. Ryuzaki riesce a capirlo, e
credo in parte lo condivida anche, mentre per me resta un mistero.
Come avrete intuito, io e Ryuzaki abbiamo origini simili e abbiamo
ricevuto la stessa educazione, eppure il nostro senso della giustizia
e la nostra morale è molto diversa.-
L
se ne stava rannicchiato e immobile sulla sua sedia, domandandosi se
fosse saggio da parte di K confermare tali dettagli sul loro passato.
-Per
questo credo che la polarità giusto/sbagliato non sia un
criterio
utile per valutare cosa sia Giustizia e cosa non lo sia.- aveva
intanto ripreso K. -Non è un criterio oggettivo.
Non è
misurabile. Non è inconfutabile. Prendiamo come esempio
l'operato di
Kira: è giusto o sbagliato? Inserito in un sistema morale
è
sbagliato perché uccidere è sbagliato, ma in
Giappone la pena di
morte esiste, no? E si tratta di una pena di morte inflitta tramite
impiccagione e senza che i familiari ne siano informati.-
Gli
occhi di tutti i giapponesi erano puntati contro la giovane, che
accompagnava le proprie parole con gesti morbidi della mano.
-Kira
uccide in modo altrettanto segreto, ma lo fa tramite arresto
cardiaco, un metodo più rapido ed indolore rispetto
all'impiccagione. Considerando quindi che Kira è giapponese,
o, per
lo meno, che vive in Giappone, questo suo modo di uccidere è
quasi
da considerarsi più umano rispetto a quello adottato dal
vostro
governo. Scusate la franchezza.-
-La
signorina Banks è un'inguaribile idealista.- intervenne
allora L,
con una nota di irritazione nella voce. -Ed è anche tanto
melodrammatica da sembrare uscita direttamente da una qualche
patetica opera teatrale.-
-Il
tuo contributo a questa discussione è stato molto
illuminante,
Ryuzaki.- rise lei. Poi riprese. -Se, quindi, l'operato di Kira
eguaglia i metodi utilizzati dal governo giapponese per punire i
criminali, non possiamo giudicarlo colpevole da un punto di vista
strettamente morale: uccidere è sbagliato, ma allora
perché lo
Stato uccide per punire coloro che uccidono? Questa è
un'intima
contraddizione della pena di morte. Perciò giudicare Kira in
base
all'amoralità di ciò che fa è
ipocrita, in uno Stato che utilizza
la pena di morte.-
Il
silenzio nella stanza si era fatto pesante. Aizawa serrava la
mascella e i pugni, e il sovrintendente Yagami era visibilmente a
disagio. Ma per quanto L odiasse quei momenti in cui K cominciava le
proprie crociate sul suo senso della giustizia, quando cercava di
convincerlo che ciò che la Wammy's House aveva insegnato
loro era
sbagliato, che ciò che faceva lui stesso era sbagliato, in
quel
momento si rese conto che le parole di K ora non erano rivolte a lui,
ma a Light.
K
forse voleva tentare di salvare Light da Kira. Forse Light sarebbe
stato più disposto rispetto a lui ad ascoltare,
probabilmente era
questo che K pensava.
-Perciò
perché giudichiamo sbagliato ciò che fa Kira?
Perché si oppone
alle istituzioni. Eppure le istituzioni, per quanto siano necessarie
a garantire la sopravvivenza di una società, non sono
infallibili.
Ciò che secoli fa era giustizia oggi in molti casi ci appare
abominevole. È sicuramente utile che un'istituzione preservi
se
stessa condannando chi si contrappone ad essa, ma possiamo dire con
assoluta certezza che sia giusto?-
Ora
gli agenti avevano abbassato lo sguardo. Tutti tranne Light, che
guardava senza timore la giovane, con espressione seria, ma con gli
occhi castani illuminati da una scintilla di interesse.
-È
un ragionamento esatto.- intervenne, facendo voltare K verso di lui.
-Ma, come hai detto tu poco fa, Kira fa da giudice, giuria e boia, e
si tratta di tre compiti che vanno tenuti separati, per garantire
l'imparzialità della sentenza.-
K
si aprì in un largo sorriso.
-Ero
sicura che avresti sollevato quest'obiezione, Light.- disse,
dolcemente. -Significa che hai compreso uno dei nodi più
problematici della questione: la parzialità di Kira.-
Tornò
quindi a rivolgersi agli agenti.
-Uno
dei pilastri fondamentali della giustizia è la sua
imparzialità. E
ciò non significa soltanto che la legge deve essere uguale
per
tutti, ma anche che una condanna deve avvenire soltanto nel momento
in cui si è a conoscenza di tutti gli elementi. La prima
vittima di
Kira, ad esempio.-
E
così dicendo si voltò verso i computer e
andò alla tastiera per
visualizzare il file corrispondente.
-Il
sequestratore di Shinjuku.- riprese, rimanendo china sulla scrivania
a fissare il monitor. -Un uomo che aveva da poco perso il lavoro. La
polizia che ha indagato sul caso ha attribuito il suo gesto ad uno
stato depressivo. Prima che Ryuzaki facesse risalire la sua morte a
Kira, la polizia aveva dichiarato che, dal momento che a nessuno
degli ostaggi era stato torto un capello, e tenuto in considerazione
lo stato mentale dell'uomo, se non fosse morto ci sarebbero state
buone probabilità di riuscire a liberare gli ostaggi e far
sì che
si consegnasse alla polizia.-
Poi
si raddrizzò e si voltò.
-Un
uomo che impazzisce perché perde il lavoro e cade in
depressione non
viene condannato a morte. Non tutti i crimini sono uguali,
perciò
non tutti i criminali meritano la stessa pena. È a questo
che
servono la polizia investigativa, i giudici e gli avvocati. Ci si
può
permettere di giudicare soltanto quando si è dotati di
conoscenza,
una conoscenza che Kira non può avere.-
-Ma
nemmeno le istituzioni possono avere la conoscenza assoluta.-
protestò pacatamente Light. -Sarebbe bello poter sapere
sempre qual
è la verità, ma è impossibile. In
quanto esseri umani non possiamo
sapere tutto, e in ogni caso esistono sempre delle situazioni in cui
le istituzioni falliscono o non ricercano volutamente la
verità.-
Ora
tutti gli occhi erano puntati su di Light; soprattutto quelli del
sovrintendente, che probabilmente temeva che le parole del ragazzo
potessero far aggravare i sospetti su di lui.
-Non
voglio assolutamente dire che Kira abbia ragione, questo è
ovvio.-
aggiunse tranquillo, guardando gli agenti negli occhi. -Ma se
l'obiettivo di questa conversazione è stabilire
perché stiamo
cercando di fermare Kira, non credo che questa argomentazione sia
rilevante.-
Poi
abbassò lo sguardo.
-Forse
non esiste un'argomentazione rilevante.- riprese, leggermente
sconsolato. -Nathalie ha ragione. In base a ciò che abbiamo
detto,
non esistono ragioni per cui l'operato di Kira debba essere
considerato sbagliato e quello della polizia debba essere considerato
giusto. Né si può dire che le istituzioni siano
più in grado
rispetto a Kira di perseguire la verità.-
Alzò
quindi lo sguardo verso K.
-Perciò...
l'unico motivo che giustifica la nostra caccia a Kira è la
salvaguardia delle istituzioni? Come hai detto tu quando abbiamo
discusso sulla giustizia, prima dell'arresto mio e di Misa, per
quanto imperfette le istituzioni vanno salvaguardate perché
rappresentano le fondamenta di una società.-
-Eppure
la polarità giusto/sbagliato non è l'unica
prospettiva dalla quale
è possibile giudicare l'operato di Kira.- riprese K,
incrociando le
braccia.
L
seguiva la scena osservando nel monitor spento il riflesso della
stanza e delle persone alle sue spalle. Vide K voltarsi verso di lui
con un sorrisetto impertinente.
-Quello
che dirò ora farà spazientire Ryuzaki,
perché si ricollega alla
mia solita arringa sulla pena di morte.-
Il
giovane roteò gli occhi.
K
si avvicinò alla scrivania e vi si mise a sedere,
incrociando le
perfette gambe fasciate dai pantaloni blu ad una distanza che L
giudicò provocatoriamente troppo ravvicinata rispetto a dove
si
trovava lui. K si stava divertendo. Era mostruosamente di buonumore,
aveva un pubblico da intrattenere e aveva trovato il modo perfetto di
stuzzicarlo. Insopportabilmente primadonna. Ingenuamente idealista.
-La
pena di morte, e quindi l'operato di Kira, è inutile.-
Gli
agenti rimasero interdetti a quelle parole, e poi presero a guardarsi
confusamente tra loro.
-L'Europa
è l'unico continente al mondo in cui la pena di morte
è stata
abolita in tutti gli Stati.- riprese la giovane, col suo solito,
irritante sorrisetto. -Grazie ad un'opera diffusa in epoca
Illuminista, cioè nel diciottesimo secolo secondo il
calendario
occidentale, un periodo caratterizzato da grandi scoperte
scientifiche che portarono ad una rivoluzione del pensiero. Si tratta
di un'epoca dominata dalla convinzione che la logica e
l'oggettività
potessero garantire agli uomini l'accesso alla verità.
Perciò,
anche la questione della pena di morte venne affrontata in modo
quanto più possibile logico ed oggettivo.-
Appoggiò
la mano libera sulla scrivania per sostenere il peso della schiena
che stava inclinando all'indietro, mentre dondolava un piede
nell'aria.
-Quest'opera
si chiama “Dei Delitti e Delle Pene”. Ovviamente la
visione
utilitaristica che viene usata in quest'opera può essere
considerata
un assolutismo, ma vedrete che questo punto di vista si
rivelerà
molto più efficace nel giudicare Kira di quanto non riesca
ad
esserlo quello moralistico.-
Light
aveva appena dischiuso le labbra in un moto di sorpresa, per poi
inconsapevolmente tendersi in avanti, ascoltando con interesse.
-Possiamo
supporre che il piano di Kira sia creare una società libera
da ogni
forma di crimine, e che per raggiungere questo scopo sia per lui o
lei necessario uccidere tutti i criminali per eliminare, in primo
luogo, il male dal mondo, e, in secondo luogo, per creare un
deterrente per il crimine. Provando a mettermi nei panni di Kira,
probabilmente penserei che l'ideale sarebbe quello di riuscire a
creare una società di sole persone buone, ma si tratta di un
progetto utopistico anche per una persona dotata del potere di
uccidere a comando. Difatti, su una popolazione mondiale di sei
miliardi di persone sarebbe impossibile per chiunque sapere chi
è
effettivamente buono e chi non lo è. Più
realisticamente, Kira
potrebbe voler usare gli omicidi come deterrente.-
Si
fermò ad osservare negli occhi il suo pubblico, prima di
riprendere.
-Quindi,
possiamo ipotizzare che gli omicidi di Kira abbiano una triplice
funzione: punizione per chi delinque, prevenzione perché chi
delinque non torni a farlo e deterrente per chi vorrebbe delinquere.
Il problema di fondo è che l'omicidio si rivela inutile in
tutti e
tre i casi.-
Ruotò
le gambe che teneva accavallate e scese dalla scrivania dandosi una
spinta col braccio buono.
-Teniamo
a mente una cosa fondamentale: Kira può uccidere solo
conoscendo
nome e volto delle sue vittime, perciò il criminale deve
essere
stato riconosciuto dalla polizia in quanto tale. Si presentano quindi
tre casi: che il criminale sia stato arrestato, che sia ancora sotto
processo o che sia latitante. Ora consideriamo il primo punto:
punizione per chi delinque. Se il criminale è stato
arrestato, la
punizione gli spetta già, perciò l'azione di Kira
è inutile. Se è
sotto processo, esiste la possibilità che sia innocente, e
in quel
caso l'azione di Kira sarebbe dannosa, oppure che sia colpevole, e
che quindi debba venire arrestato, per cui la punizione già
esiste,
e l'azione di Kira è inutile. Se è latitante, ma
non è ancora
stato sottoposto a processo, si presenta lo stesso problema. Solo nel
caso in cui il latitante sia stato giudicato colpevole l'azione di
Kira è utile, ma non tanto come punizione quanto come
prevenzione.-
Aizawa,
per la prima volta da quando K si era presentata quella mattina a
lavoro, sembrava aver messo da parte il suo atteggiamento aggressivo,
e aveva un'espressione dubbiosa sul volto incupito. Seguiva il
ragionamento della giovane annuendo di tanto in tanto, concentrato.
K
continuò, scostandosi una ciocca di capelli setosi dal volto.
-Se
però vogliamo prendere in considerazione la prevenzione,
dobbiamo
tenere conto di ciò che abbiamo detto: se un criminale
è già
dietro le sbarre, la prevenzione di crimini futuri tramite omicidio
è
inutile; a meno che, non so, la pena sia troppo corta e il colpevole
possa uscire di prigione. Se invece è latitante e giudicato
colpevole, la sua azione potrebbe essere utile. E badate bene, sto
volutamente escludendo le questioni morali e mi sto concentrando solo
sul piano utilitaristico. Non credo ci possano essere grosse
obiezioni se consideriamo la questione esclusivamente dal punto di
vista della logica.-
Si
fermò un attimo e si voltò per cercare un
bicchiere in cui versarsi
un po' d'acqua. Lo prese e ricominciò a parlare, mentre
andava verso
il carrellino portato da Watari per prendere la brocca d'acqua.
-Probabilmente
l'aspetto del piano di Kira che dovrebbe agire su scala più
ampia è
quello dell'effetto deterrente sui possibili criminali. Abbiamo
infatti detto che su una popolazione di sei miliardi di persone
sarebbe impossibile riuscire a venire a conoscenza di ogni crimine, e
quindi punire ogni criminale, perciò sarebbe più
utile riuscire ad
instillare nei possibili criminali il terrore della morte di modo che
si persuadano a non delinquere. Che è poi il motivo
principale per
cui le esecuzioni capitali venivano fatte in pubblico.-
Si
versò l'acqua e riprese.
-Ma
è proprio qui che sta l'errore di valutazione.-
Bevve
un sorso mentre guardava gli agenti, in piedi a pochi passi da lei.
-Perché,
in percentuale, sono estremamente in pochi coloro che decidono di
delinquere tenendo in conto la possibilità di venire
scoperti,
condannati e messi in prigione. La maggior parte delle persone ha
già
abbastanza paura del carcere da decidere di delinquere con la
certezza di non venire catturatia. E in un mondo dominato da Kira, la
cattura dei criminali non dipenderebbe dalle capacità di
Kira, ma da
quelle della polizia locale; solo in seguito all'identificazione del
criminale Kira sarebbe in grado di ucciderlo. Eppure, quanti
distretti di polizia al mondo sono famosi per un'efficienza del cento
percento proprio apparato? Stiamo comunque parlando dell'ordine di
miliardi di possibili delinquenti. Quante
possibilità ci sono
che, con tutti i crimini che vengono commessi ogni giorno, una
percentuale maggiore al cinquanta percento di chi li commette venga
identificato? Anche supponendo che Kira possa in futuro tenere in
scacco gli organi di polizia e di informazione di tutto il mondo, e
venire quindi immediatamente a conoscenza di ogni criminale
identificato, non potrebbe mai uccidere ogni persona che commette un
crimine.
E
il criminale, o il potenziale criminale, fa esattamente questo
ragionamento, e in genere ritiene di poter ricadere nella percentuale
di coloro che non vengono catturati. Dopotutto, chi delinque lo fa
perché si crede più intelligente, più
furbo del sistema. Che
motivo avrebbe, diversamente, di correre il rischio della condanna,
per lieve che sia? Perciò l'azione di deterrente da parte di
Kira
sarebbe estremamente limitata.-
Finì
di bere, posò il bicchiere sul carrellino e tornò
verso la
postazione dei computer, rimettendo a posto la propria sedia sotto il
tavolo.
-Non
è tutto.- riprese. -Ci sono altri elementi che qualificano
l'azione
di Kira come inutile o potenzialmente dannosa.-
Schioccò
la lingua e rimase per qualche secondo a guardare gli agenti, come
accorgendosi per la prima volta in diversi minuti che erano persone,
suoi colleghi, e non una platea indistinta.
-Ma
per l'amor del cielo, sedetevi, vi prego!- esclamò. -Non
dovete
certo stare in piedi ad ascoltarmi!-
-Questa
sala è stata progettata male.- intervenne allora Light,
girando un
poco la propria sedia. -Non c'è un tavolo attorno a cui
stare per
discutere guardandosi negli occhi. O stiamo tutti seduti qui dai
computer, o necessariamente chi lavora qui dà le spalle agli
altri.-
K
si voltò verso L con uno sguardo di rimprovero.
-Mi
chiedo chi abbia fatto i progetti.- sibilò, incrociando il
braccio
destro sotto al sinistro, sostenuto dalla fascia.
L
continuò nella sua occupazione primaria di fingere di
ignorarla, e
per tutta risposta si alzò dal proprio posto, con le mani in
tasca,
tirando Light per la catena, diretto verso il carrellino a prendersi
un bicchiere di spremuta o una tazza di tisana, le uniche cose che
quella dannata sadica gli permetteva di bere nella sua assurda
crociata contro la sua dipendenza da glucosio e caffeina.
-In
ogni caso...- riprese lei, voltandosi di nuovo verso i poliziotti
giapponesi. -Volevo che consideraste in primo luogo un elemento che
si è già rivelato fondamentale nell'ascesa di
Kira. Internet.
Considerate che lo stesso nome di Kira viene da internet, da forum su
cui le persone scrivono in forma anonima. Internet permette il
diffondersi di notizie e false notizie ad una velocità
spaventosa, e
sono già nati diversi forum a sostegno di Kira. Pensate
quale
impatto potrebbe avere in futuro la rete nei piani di Kira: una
persona che ha troppa paura di denunciare un'aggressione, una
violenza, uno stupro, potrebbe farlo in forma anonima su internet,
fornendo a Kira i dettagli che diversamente darebbe alla polizia.
Secondo la nostra ottica utilitaristica, ciò sarebbe un
bene,
giusto? Tuttavia, senza la mediazione della polizia che indaga, degli
avvocati che raccolgono le prove e dei giudici che mettono insieme
tutti gli elementi, quante possibilità ci sono che i fatti
vengano
alterati e le prove inquinate?-
Fece
una pausa ad effetto, mentre L brontolava, versandosi un infuso di
chissà quali erbe, fiori, frutti o altro nella sua tazza di
porcellana.
-Pensateci,
i rischi sono notevoli.- continuò K. -Potrebbero venire
usati video
o foto contraffatte, messinscene, false accuse, false testimonianze,
e Kira non potrebbe mai sapere se si tratta o meno di crimini reali.
Penso soprattutto ai giovani, agli adolescenti, nei loro periodi di
maggiore stress e crisi emotive: una ragazza lasciata dal suo ragazzo
che inventa una storia di violenza per vendicarsi di lui, o fa cadere
accuse pesanti sulla sua nuova ragazza perché venga uccisa;
un
ragazzo insicuro preso costantemente in giro che inventa sevizie mai
ricevute per far uccidere chi lo tormenta, o viene rifiutato da una
ragazza per cui ha sviluppato un'ossessione e fa di tutto per farla
uccidere...-
Il
sovrintendente aveva un'espressione affranta, e si allentò
il nodo
della cravatta.
K
fissò lo sguardo su di lui, prima di riprendere.
-A
livelli più alti, c'è anche la
possibilità che qualcuno riesca a
manomettere i siti di informazioni o della polizia e inserire falsi
articoli o false schede di criminali, solo per far uccidere un
personaggio scomodo. O che si sfrutti internet per far girare bufale
ben costruite. Kira non si avvale dei canali istituzionali per
amministrare la sua giustizia, quindi sarebbe propenso ad utilizzare
queste fonti non convenzionali per trovare nuove vittime. Ma come
potrebbe discernere le denunce reali da quelle false? Come potrebbe
agire se almeno due miliardi di persone al mondo hanno accesso ad
internet? Non potrebbe ignorare questo fenomeno, perché Kira
è
vanitoso, e desidera l'appoggio delle persone. Si crede un dio
magnanimo, non il fautore di una dittatura del terrore. Senza contare
il fatto che questo pericolo non si presenta soltanto per quanto
riguarda i forum su internet, ma all'interno della polizia stessa.-
Il
sovrintendente e Matsuda sussultarono.
-Cosa
vuoi dire con questo?- domandò Matsuda, con crescente
disagio.
K
accennò un sorrisetto.
-Vi
chiedo: in un anno, quanti esponenti della Yakuza, diciamo dei pesci
grossi, vengono arrestati e processati qui in Giappone?-
Vi
fu un lungo silenzio. Tutti avevano lo sguardo rivolto verso il
basso, finché Aizawa prese il coraggio di rispondere.
-Decisamente
pochi, purtroppo.-
K
annuì.
-E,
sempre in un anno, quanti presunti esponenti della Yakuza, tra pesci
piccoli, corrieri, spacciatori locali o persone non informate dei
fatti, vengono arrestati ogni anno? Solo arrestati, non processati.-
Questa
volta fu il sovrintendente a rispondere, deciso.
-Un
numero molto maggiore.-
-E
di questi...- riprese K, posando il suo sguardo rosato su ognuno
degli agenti. -... quanti si rivelano essere una falsa pista, o
quanti si rivelano essere persone innocenti incastrate dalla Yakuza?-
Di
nuovo sul volto degli agenti si dipinse un'espressione affranta.
-Vorresti
dire...- intervenne allora Light, con voce ferma, in piedi a pochi
passi da L. -Che Kira non sarebbe comunque in grado di fermare grandi
criminali, perché questi hanno i mezzi per depistare le
indagini o
far condannare innocenti?-
K
si era voltata verso di lui, e annuì, grave.
-È
pur sempre vero che esistono capi mafiosi o di altre organizzazioni
criminali i cui nomi e volti sono noti a tutti, ma che la polizia non
può arrestare per motivi legati alla corruzione o per
pressioni del
governo. Kira potrebbe sicuramente uccidere queste persone. Ma si
tratta solo della punta dell'iceberg. Là fuori il mondo
è pieno di
organizzazioni estese e complesse i cui membri non hanno mai nemmeno
ricevuto una multa, figuriamoci un arresto.-
L
la guardava con la coda dell'occhio e vide le sue dita stringersi
saldamente attorno alle braccia conserte, mentre le pupille si
stringevano e gli occhi viravano verso il rosso.
-Queste
persone sono in grado di corrompere la polizia o creare false prove
per far incastrare innocenti. E Kira non lo può sapere.-
L
notò la sua mascella che si serrava e la sua voce che
diventava
progressivamente più roca, come se stesse soffocando un
ringhio
sordo nella gola. Ma poi si fermò, chiuse gli occhi ed
inspirò.
Sciolse le braccia e fece ricadere il destro lungo il fianco, e poi
riaprì gli occhi e continuò.
-Questi
elementi dovrebbero dimostrarvi come l'azione di Kira sia
potenzialmente dannosa. Perciò, tornando al discorso
iniziale,
utilizzando questo approccio utilitaristico, se facciamo una lista
dei pro e dei contro, scopriamo che l'operato di Kira è
inutile. E
se la giustizia di Kira è inutile, allora non può
essere
giustizia.-
-E
a cosa è servito?- protestò quindi Aizawa.
-Nessuno di noi ha alcun
dubbio sul fatto che Kira vada fermato!-
-È
vero che vi ho rubato tempo con un'arringa che con voi non aveva
nulla a che vedere.- ribatté lei, tranquilla. Poi si
voltò verso
Light. -Ma, dal momento che le probabilità che Light sia
stato il
primo Kira, e che questi abbia agito secondo il senso morale di
Light, nello sventurato caso in cui lui dovesse tornare sotto il
controllo di Kira, voglio che tenga a mente ciò che ho
appena
detto.-
Poi
sospirò sonoramente, girò la sua sedia verso di
sé e vi si buttò
malamente, appoggiando il gomito sul tavolo e inclinando la schiena
fino a lasciar cadere la fronte sulla mano dritta ed aperta a suo
sostegno.
-Se
Kira avesse coscienza del pericolo che rappresenta per persone
innocenti usate in modo crudele da chi sta troppo in alto per poter
essere arrestato, e così evitasse di intraprendere ogni
strada che
possa portare ad ucciderle, allora, anche se dovessimo morire tutti
quanti, almeno sarei riuscita a salvare qualche vita, e sarebbe
comunque una vittoria. Avrei comunque fatto il mio lavoro.-
-Ma
che sciocchezze!- protestò Aizawa, con tono infastidito.
-Light non
ucciderebbe mai degli innocenti, anche ammesso che possa essere Kira,
se, come hai detto tu, Kira agisce secondo la morale della persona
che “possiede”.-
Fece
poi un passo in avanti e alzò il tono di voce.
-E
comunque si tratta di una tesi ancora tutta da dimostrare!-
Il
buonumore di K era ormai svanito, e pareva che d'un tratto si fosse
ricordata di essere estremamente stanca. Di lottare, di discutere, di
lavorare, di vivere. L l'aveva vista troppo spesso ridursi ad uno
stato simile, e quasi quasi cominciava a provare pena per i
giapponesi, che ignoravano il pericolo, che ignoravano la tempesta
che si sarebbe potuta abbattere su di loro in ogni momento.
Ma
K guardò solo leggermente storto il suo collega, per poi
voltarsi
verso i monitor.
-Non
voglio ripetere tutti gli elementi a carico della colpevolezza di
Light e Misa. Sono fatti incontrovertibili e la vostra ottusa
ostinazione ad ignorarli non cancellerà la loro esistenza. E
comunque il primo Kira ha già ucciso degli innocenti. Gli
agenti
dell'FBI, tanto per cominciare, con l'assoluta consapevolezza del
fatto che l'unico crimine che avrebbero commesso era quello di aver
voluto indagare su di lui.-
Appoggiò
sul tavolo anche il braccio fasciato e legato al collo, e
cominciò a
tamburellare nervosamente con le dita.
-Senza
contare gli innocenti che ha ucciso in modo inconsapevole. Non so
quanti siano, non ho ancora avuto modo di scoprirlo, ma so che ci
sono.-
-E
cosa te lo fa dire con tutta questa sicurezza?- rincarò la
dose
Aizawa in tono provocatorio, avvicinandosi di un altro passo.
K
continuava a reggersi la testa col braccio appoggiato al tavolo, ma
diresse il proprio sguardo verso Light, che stava tornando a sedersi
assieme a L e alla sua tazza di infuso non meglio identificato.
-Non
hai ricordato nulla di quanto accaduto la sera della sparatoria, dopo
che Misa se n'è andata?- gli domandò, ignorando
Aizawa alle sue
spalle.
L
si sentì venir meno. Non voleva davvero rivelare a tutti...
No.
Forse aveva capito il suo piano. Forse aveva dirottato fin
dall'inizio la conversazione in quella direzione a quell'unico scopo.
Guardò Light seduto accanto a sé, e
notò che gli si era illuminato
lo sguardo.
-Intendi...
riguardo alla telefonata? Al messaggio che solo il vero Kira avrebbe
potuto interpretare?-
Alle
loro spalle, Matsuda e il sovrintendente bisbigliavano confusi.
K
sostenne per un po' lo sguardo di Light, poi scrollò le
spalle e
chiuse gli occhi.
-Immagino
a questo punto sia inutile tenervelo nascosto.- disse, piano.
-Hai
chiamato a casa mia quella sera...- intervenne Light, serio. -...
perché sapevi che avrebbero mandato la notizia di un arresto
fasullo, e pensavi di poter salvare una persona innocente
distogliendo la mia attenzione dal notiziario.-
Si
portò una mano al mento, mentre continuava a parlare.
-Non
era solo una prova per stabilire la mia colpevolezza. No... Volevi
guadagnare tempo. Sapevi che il quartier generale era in pericolo e
non potevano aiutarti. Volevi guadagnare tempo fino a che non fossi
riuscita a far intervenire L, magari per bloccare le informazioni.-
Si
alzò in piedi, facendo tintinnare la catena, e
appoggiò la mano che
teneva sul mento sul tavolo.
-La
tua famiglia era in ostaggio, e quella sera gli uomini per cui eri
costretta a lavorare volevano farti fuori.-
Cercava
di parlare in tono calmo e naturale, ma sul suo viso trasparivano i
segni di una crescente angoscia.
-È
davvero come penso, Nathalie?- domandò infine. -Hanno
arrestato gli
ostaggi con false accuse e li hanno trasmessi ai notiziari
perché
Kira li giustiziasse?-
Alle
loro spalle si alzarono gemiti di sgomento, ma poi si zittirono
tutti, e calò un pesante silenzio nella sala.
-Un
solo ostaggio.- disse K, secca. -C'era un solo ostaggio. Avevano
già
distrutto tutta la mia famiglia, ma non era abbastanza. Sapevo
troppo.-
Sospirò.
-Noi due... siamo stati ostaggio di quelle persone per più
di sei
anni. Avevano paura che avessi avvertito L. E così mi hanno
fatto
assistere in diretta alla sua morte.-
Alzò
la testa dalla mano, che si passò tra i capelli bianchi.
-Mi
avevano già portato via tutti, non mi era rimasto altro da
proteggere, eppure non ce l'ho fatta.- sospirò.
-Perciò se
esistesse anche solo una possibilità che Light sia Kira e
torni ad
essere Kira, vorrei che lo sapesse. Vorrei che sapesse che uccide
innocenti. Vorrei che sapesse che quello che fa è inutile e
non è
giustizia.-
Calò
di nuovo il silenzio nella sala. Light stringeva i pugni e aveva lo
sguardo basso, Aizawa si era ricomposto e si era allontanato. Dopo
qualche istante, Matsuda prese coraggio e andò da K,
poggiandole
delicatamente una mano sulla spalla.
-E
sei venuta da noi al quartier generale nonostante avessero fatto
giustiziare una persona a te cara?- domandò, con voce
addolorata.
K
non si voltò.
-Come
ho già detto... riuscire a salvare almeno una vita per me
significherebbe aver fatto il mio lavoro.-
-E
da allora hai continuato a lavorare a due casi contemporaneamente,
senza mai fermarti, quando chiunque al tuo posto probabilmente non
sarebbe nemmeno riuscito a trovare la forza di alzarsi la mattina.-
continuò il giovane.
-Lavorare
mi impedisce di pensare.- tagliò corto lei. -Di realizzare.
È una
vigliaccata, ma è più semplice.-
-Sei
da ammirare.- insistette Matsuda, il cui tono di voce si stava
facendo più basso.
-Ne
sei sicuro?-
K si
era voltata di scatto con uno sguardo di fuoco nei grandi occhi.
-Ho
messo in pericolo delle persone innocenti con le mie indagini,
persone che oggi potrebbero ancora essere vive, o che avrebbero
vissuto una vita migliore se io non avessi voluto egoisticamente
risolvere il caso da sola.-
Si
fermò e non si mosse, ma L sentiva che, in cuor suo, K si
stava
voltando verso di lui, con un'espressione di dolore e rimorso dipinta
sul volto delicato. Non era colpa sua, pensava L. Ma sapeva anche che
lei non sarebbe riuscita a perdonarselo.
-Avrei
potuto lasciare il caso in mano a professionisti estranei alla
vicenda. Farmi mettere in un programma di protezione testimoni.-
riprese la giovane. -E invece mi sono imbarcata in una crociata
personale contro queste persone, coi risultati che avete visto.-
Si
alzò in piedi e guardò Mogi, Aizawa e Yagami.
-Siete
stati aggrediti e minacciati da tre criminali armati, e per cosa?
Perché volevo sanare il mio senso di colpa essendo io stessa
a
catturarli.-
Distolse
lo sguardo, e con la mano destra prese a massaggiarsi la spalla
ferita dal proiettile.
-Questa
non è giustizia, è solo un'altra forma di egoismo
e vanità. Non
sono migliore di Kira, o di Ryuzaki, che critico così tanto.
So di
essere idealista, e mi rendo conto che gli idealismi, da che mondo
è
mondo, hanno sempre ucciso delle persone. Non sono riuscita ad
evitare che le mie azioni costassero care a me e alle persone che mi
circondavano, per questo vorrei impedire ad altri di cadere
nell'errore di credere di possedere la risposta definitiva su cosa
sia la giustizia.-
Solo
quando salirono nel loro appartamento per pranzare, Light si decise
finalmente a parlare apertamente a Ryuzaki. Il dubbio lo aveva
attanagliato per ore, ma era cosciente di non poter tirare fuori la
questione davanti agli altri agenti.
-Nathalie...
o, meglio, K...- cominciò, non appena si chiusero la porta
alle
spalle. Guardò il suo compagno dritto negli occhi
stralunati. -Ha un
figlio, o una figlia, non è vero?-
Ryuzaki
si stava mordendo l'unghia del pollice, e non batté ciglio.
-È
vero che è stata lei ad addestrarmi, ma è stato
tanto tempo fa.-
rispose, tranquillo. -Cos'abbia fatto nel frattempo, non lo so.-
Light
cominciava ad innervosirsi.
-L'altro
giorno, con quella maglietta corta addosso, si vedeva una cicatrice
sul basso ventre.- insistette. -Era la tipica cicatrice di un parto
cesareo.-
-O di
una qualche complessa operazione all'utero.- ribatté
Ryuzaki,
rivolgendo lo sguardo altrove.
-Non
provare a fregarmi!- alzò la voce Light, sporgendosi in
avanti. -Si
vedevano chiaramente delle smagliature sul bacino. So com'è
fatta
una donna che ha partorito, e so riconoscere una cicatrice da parto
cesareo!-
Ryuzaki
gli rivolse uno sguardo inquisitore.
-Credi
che avrebbero fatto uccidere un bambino o una bambina a Kira?-
domandò in tono canzonatorio.
-Finiscila,
Ryuzaki.- sbottò il ragazzo, che stava perdendo la pazienza.
-È
impossibile che l'ostaggio di cui parlava fosse un bambino o una
bambina. Ma non mi ci vorrà molto a scoprire di chi si
tratta.
Quello che voglio sapere...-
-Bjarne
Hartford.- lo interruppe Ryuzaki, per poi voltarsi nuovamente a
guardarlo. -Tanto entro cinque minuti saresti venuto a saperlo.
Watari voleva cancellare ogni traccia di quella notizia, ma ha fatto
un tale scandalo che non sarebbe stato possibile.-
Rimase
un attimo in silenzio, e poi si lasciò andare ad un
sorrisetto
inquietante.
-Curioso
che tu non lo ricordi... eppure, la notizia è stata
trasmessa in
Giappone attraverso ogni mezzo di comunicazione.-
Light
lo affrontò a muso duro.
-Questo
non significa nulla!- esclamò, deciso. -Quella notte mio
padre è
tornato che era quasi l'alba dicendo che erano stati presi in
ostaggio, e che Grumann era morto dopo aver tentato di farli fuori
tutti, poi il giorno dopo Misa è stata arrestata, e io ho
cominciato
a credere di essere posseduto da Kira. Se anche avessero arrestato
l'imperatore del Giappone, probabilmente mi sarei comunque scordato
di aver sentito la notizia.-
Gli
era arrivato a pochi centimetri dal volto, con uno sguardo di fuoco.
-Basta
con questi giochetti!- sibilò. -Non penso tu abbia preso
dalla tua
maestra questo vizio di manipolare le persone, ma di sicuro piace
molto ad entrambi.-
Ryuzaki
sorrise di nuovo, e poi si voltò, mettendosi le mani in
tasca.
-Quindi
l'hai capito?- domandò, con tono ammirato. -Non ti sei fatto
fregare
come Matsuda dalla sua messinscena.-
-Non
credo fosse una messinscena.- ribatté Light, prendendo la
catena in
mano e tirandosi dietro Ryuzaki mentre andava in cucina. -Sicuramente
ha fatto quel discorso per un secondo fine, ma sono certo che il suo
dolore fosse reale.-
Aprì
il frigo e poi si voltò verso il suo compagno.
-Se
fossi stato io Kira, e se tornassi ad esserlo, molto probabilmente
non scorderei le sue parole. Vacillerei, non saprei se chi voglio
uccidere è davvero colpevole.-
Tirò
fuori dal frigo due bento e si spostò verso i cassetti, da
cui
estrasse una tovaglia e delle bacchette.
-Se
quindi cambiassi il mio modo di uccidere, voi ve ne accorgereste, e
potreste imputarlo agli effetti che ha avuto il suo discorso su di
me, e quindi avere un motivo in più per arrestarmi. E se non
lo
facessi, allora dovrei convivere con l'idea che non sto agendo
secondo giustizia.-
Passò
tutto ciò che aveva in mano a Ryuzaki, intimandogli di
apparecchiare
il tavolo. Il detective lo fece controvoglia.
-Banks
è una donna terribile.- disse semplicemente, mentre stendeva
la
tovaglia.
-Però
non hai ancora risposto alla mia domanda.- insistette Light,
arrivando coi bicchieri e una brocca d'acqua. -Do per scontato che
sia vero che abbia un figlio o una figlia. Supponiamo che questo
Bi... questa persona che hai detto tu prima fosse il padre. Quello
che voglio sapere è se il bambino o la bambina si trova al
sicuro,
e perché lei resta con noi ad indagare anziché
andare da lui, o da
lei, visto che immagino ormai sia l'unica famiglia che le è
rimasta.-
Ryuzaki
gli prese di mano i bicchieri e li sistemò davanti ai bento,
ai due
lati opposti del tavolo, e si sedette.
-Ci ha
pensato Watari.- disse infine. -E per quanto riguarda la seconda
domanda ho già risposto. Banks è una donna
terribile.-
Light
sospirò.
-Ho
capito, non caverò un ragno dal buco tentando di continuare
questa
conversazione con te.-
Si
sedette quindi anche lui.
-Devo
dire che, con tutto quello che ha dovuto sopportare, il fatto che
sopporti quotidianamente la diffidenza di Aizawa senza protestare
probabilmente è più di quanto chiunque
riuscirebbe a fare.-
E poi
si rabbuiò.
-Inoltre...
è convinta che sia io Kira. Perciò vive e lavora
a stretto contatto
con la persona che crede responsabile della morte di una persona
amata.-
Abbassò
lo sguardo sul suo bento.
-Eppure,
non mi ha mai trattato in modo freddo o aggressivo. Non credo che, se
fossi nei suoi panni, riuscirei a mantenere la calma così a
lungo.-
Per
tutta risposta, Ryuzaki gli intimò di smettere di
arrovellarsi e di
cominciare a mangiare.
Light
aprì il bento e prese le bacchette in mano, poi
abbassò la testa
per sentire l'odore del pesce e delle verdure fresche.
-Ryuzaki...
non sarai tu, invece, il padre?- chiese ad un tratto, sempre con lo
sguardo fisso sul suo pasto.
-Pensi
davvero potrei essere il tipo?- domandò di rimando il
giovane con
tono quasi offeso, mentre addentava il primo boccone di tonno.
-Bah,
non lo so...- rispose Light, alzando la testa. -Sei un uomo... lei
è
una donna... lavoravate insieme... Il fatto che tu sia visibilmente
infastidito la maggior parte del tempo che trascorriamo assieme a
lei, e la vostra misteriosa differenza di età vogliono dire
poco,
considerando che ogni volta che ci troviamo con lei in una stanza con
delle finestre corri a chiudere le tende perché non entri il
sole, e
fai in modo che lei si sieda sempre all'ombra.-
E così
dicendo lo guardò di sottecchi, ma il suo compagno
continuava a
mangiare tranquillo e ad osservarlo con occhi vuoti.
Light
sbuffò.
-Dico
solo che non sarebbe così strano pensarla così.-
Unì
le mani davanti a sé e chiuse gli occhi. -Itadakimasu.-
Note
Vorrei innanzitutto scusarmi con quelle due o tre
persone che seguono la storia per il ritardo di quasi due mesi nel
caricare questo capitolo. Ho finito di scriverlo poco fa, dopo aver
passato tutto giugno e metà luglio a preparare uno dei miei
ultimi esami della magistrale. Mi dispiace, ma davvero non sono
riuscita a trovare prima di ora il tempo e la calma per sedermi a
scrivere.
Inoltre, mi dispiace che dopo due mesi
di assenza il capitolo uscito sia un "mattonazzo". Tuttavia, lo reputo
un capitolo importante, perché, come ho detto tramite
messaggio privato, il motivo per cui ho scritto questa fanfiction era
per "salvare" L dalla sua visione distorta della giustizia, e non per
trovargli una fidanzata (anzi, nelle prime versioni c'erano soltanto
tre scene vagamente sentimentali e quasi nessun accenno al di fuori di
esse alla relazione o ai sentimenti tra i due). Questa storia
è nata da una delle solite discussioni su chi avesse
"ragione" tra Light e L, e la mia risposta è sempre stata
"hanno entrambi torto, ma L un po' meno". Parte della mia riflessione
partiva anche dall'inutilità del metodo di Kira per portare
giustizia, riflessione largamente debitrice del capitolo ventottesimo
del "Dei Delitti e Delle Pene". Trovavo perciò necessario
dedicare alcune pagine a questo tema. Se vi va, fatemi sapere tramite
messaggio privato la vostra posizione sul senso di giustizia e i metodi
di Light e L, ho sempre trovato queste discussioni molto interessanti!
Dal momento che mi è stato
chiesto, colgo l'occasione per scrivere qui che io non sono
K, o meglio, K non è me, e, anche se a volte la uso
come portavoce delle mie critiche nei confronti di L, non mi
rappresenta, né rappresenta sempre e strettamente quello che
penso. È sicuramente un dubbio legittimo, e pensavo potesse
essere utile farlo presente.
Come ultima cosa vorrei dirvi che questa
settimana conto di dedicarmi soltanto alla scrittura, perciò
spero di riuscire a garantirvi più regolarità
nell'uscita dei capitoli anche durante la preparazione degli esami di
settembre. Per farmi "perdonare" (parlo quasi come se la mia ff abbia
un qualche reale impatto sulle vostre vite, ma l'impegno che mi sono
presa nel pubblicarla è l'unica cosa che mi fa continuare a
scrivere!) per il ritardo nell'aggiornamento e la pesantezza del
capitolo, pensavo di pubblicare la prima one-shot del prequel di questa
storia, ma non prometto nulla; in questi giorni sto finendo anche la
lore di una mia original.
Dal momento che sul gruppo Facebook di EFP si
parlava delle pagine degli autori, vi lascio qui i link della
mia pagina
(su cui vorrei postare i disegni che alcuni miei amici hanno fatto su
questa fanfiction) e del mio profilo
nel caso voleste aggiungermi
agli amici. Suggeritemi pure le vostre pagine!
A presto (lo spero vivamente)!
P.S.: Per quanto litighi con NVU non riesco mai a fare il testo tutto
grande uguale. Mi dispiace che ci siano porzioni che per ragioni a me
ignote rimangono piccole.
|
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Capitolo 20 *** Capitolo 17 - Mani insanguinate ***
Capitolo
XVII
Mani
insanguinate
Il
distretto di polizia di Burton era in completo subbuglio. Tutti gli
uomini della sua squadra si muovevano febbrilmente per i corridoi,
portando da un ufficio all'altro fax, rapporti, fotocopie, urlando
ordini a chiunque fosse a portata d'orecchio. Solo quando passavano
davanti alla porta dell'ufficio di Roger abbassavano il tono e
misuravano i passi. Nessuno voleva vederlo infuriarsi.
Ad
un tratto, gli uomini all'interno dell'ufficio sentirono bussare.
Roger
fece cenno con la mano al suo collega, il sergente Schmidt e a J di
stare in silenzio, e invitò chi si trovava al di
là della porta ad
entrare.
Un
poliziotto sulla cinquantina fece un breve cenno di saluto, si
scusò
con voce bassa e profonda per il disturbo, e si avvicinò
all'ampia
scrivania del capitano per lasciargli due rapporti e svariati fax.
Uscì
senza aggiungere un'altra parola.
Roger
guardò J, e poi abbassò lo sguardo sui fogli che
gli erano appena
stati portati.
-Non
hanno l'aspetto dei fax con buone notizie.- commentò
mestamente.
-Non
ho idea di che aspetto possano avere i fax con le buone notizie, ma
in questo caso devo darle ragione, capitano.- rispose il sergente.
Roger
rimase per qualche secondo ad osservare i fogli che ancora sapevano
di inchiostro fresco, non trovando la forza per afferrarli e
leggerli. Eppure sapeva che non c'era tempo da perdere.
La
brutta notizia l'aveva data loro Q. Com'era da aspettarsi.
Sul
sito della CNN il trafiletto
in primo piano recitava “Arrestato membro di associazione
filogovernativa per sospetta associazione criminale”. In
poche
righe, veniva fornito ogni dettaglio utile a condannarlo oltre ogni
ragionevole dubbio. “L'ex colonnello Edmund W. Hayer,
congedato con
disonore, e fino ad ora impiegato presso l'associazione
filogovernativa Hogson for Veteran Reintergration, è stato
arrestato
tre giorni fa a seguito di un'operazione durata mesi volta a rivelare
i traffici illeciti della sezione da lui diretta, tra i quali
spiccano omicidio, sequestro, tortura, traffico illegale di armi e
ricatto.”
Mancava poco ormai al primo
notiziario del mattino e, sebbene Q fosse riuscito ad inserire alcuni
falsi articoli in primo piano sul sito della CNN, relegando il
trafiletto sull'arresto di Hayer a piè pagina assieme ad
altre
vecchie notizie dal titolo tagliato (per impedire che questa
rimbalzasse ovunque), non sarebbe stato semplice convincere i vertici
a sospendere la trasmissione della notizia.
Polizia e giornalisti,
sebbene entrambi votati alla ricerca della verità,
combattevano da
sempre una guerriglia continua e sfiancante tra loro: la polizia
necessitava di assoluta discrezione per poter portare avanti le
proprie operazioni, che spesso duravano anni e presentavano rischi
enormi per gli agenti sotto copertura; tuttavia, molto, troppo
spesso, il giornalista di turno, alla ricerca dello scoop che gli
avrebbe cambiato la vita, rivelava al mondo dettagli che la polizia
era riuscita a tenere, con così tanto sforzo, segreti. E
così, in
nome della libertà di informazione e del dovere morale del
mondo
giornalistico di rendere tutti partecipi della verità delle
cose, la
polizia si ritrovava con le proprie coperture saltate, con un gruppo
di pesci piccoli dietro le sbarre e coi grandi criminali che si
dileguavano dell'oscurità, ancora una volta liberi di agire.
E
sembrava che a nessuno interessasse. Tranne quando le operazioni
andavano male e gli agenti sotto copertura morivano. Eppure, anche in
quei casi, quel tipo di giornalisti se la cavava sempre con poco.
Roger non ce l'aveva,
ovviamente, con la categoria in sé. Conosceva un gran numero
di
giornalisti che mettevano a rischio la propria vita in operazioni
altrettanto lunghe e pericolose, e che non ricevevano quasi credito
alcuno per il loro lavoro. Esattamente come i poliziotti. Eppure, il
mondo del giornalismo era dominato da squali, e chi voleva fare
carriera trovava terreno facile grazie a qualche mazzetta data al
poliziotto giusto, pronto a rivelare qualsiasi dettaglio gli fosse
richiesto per arrotondare la propria misera paga.
Per questo c'era tutta
quella confusione nel dipartimento: tutti i suoi uomini avevano
intrapreso l'usuale caccia alle streghe per trovare il venduto di
turno. Roger non riusciva pienamente a comprendere il perché
di
tutto quell'astio: era stato lui ad essere stato velatamente in
ostaggio per tutti quegli anni; era stata sua figlia ad essere stata
presa come prigioniera e ricattata, la sua vita distrutta, i suoi
affetti strappatigli. Forse, pensava Roger, i suoi uomini avevano
solo bisogno di trovare un colpevole quanto più possibile
vicino,
per sfogarli addosso la propria frustrazione cresciuta in quelle
settimane di lavoro febbrile, per poi dimenticare tutto, e tornare a
lavorare.
Si decise infine a prendere
in mano i fax.
Diede solo una brevissima
occhiata ad ognuno dei fogli, per poi accartocciarli mano a mano e
gettarli nel cestino di fianco alla propria scrivania.
-Tutto inutile.-
sospirò
infine. -È già tanto se non ci denunciano per
aver manipolato il
sito della CNN, anche se non ci sono prove che possano ricollegare il
fatto a noi.-
Si lasciò cadere
sulla
propria poltrona, affondando il viso stanco tra le mani. Erano di
nuovo rimasti in piedi tutta la notte a lavorare, per cercare di
arginare i danni che quella fuga di notizie avrebbe portato.
-E quegli idioti
là fuori
stanno a scannarsi tra loro.- riprese, con una nota aggressiva nella
voce. -Quando è chiaro che siano stati i figli di puttana
della
Hogson a consegnare il loro uomo alle folle inferocite, per lavarsene
le mani. Ora che l'attenzione pubblica si concentrerà sul
caso, in
mezzo a tutta la confusione riusciranno a fabbricare prove ad hoc per
incolpare solo quel bastardo di Hayer.-
Lasciò scivolare
le mani
lungo il viso.
-E troveranno il modo di
incastrare Kendra così che la sua testimonianza perda di
credibilità.-
Fissava
un punto sul soffitto, sentendo le forze abbandonarlo. Sapeva che
tentare di sbattere in galera esponenti di organizzazioni
sovvenzionate dallo Stato era un vero e proprio attentato alla
propria carriera, soprattutto dal momento che si toccavano temi
così
delicati per l'opinione pubblica come i soldati, le armi e la guerra,
ma non era soltanto per il bene di Kendra che aveva accettato di
farsi coinvolgere: sapeva
di avere le capacità per affrontare il caso. Se gli fosse
andata
bene, sarebbe stato il più giovane Capo del Dipartimento che
si
fosse mai visto a Chicago. Se gli fosse andata male, e fosse stato
degradato, avrebbe comunque potuto muovere gran parte dell'opinione
pubblica a suo favore; era certo che la sua carriera non sarebbe
finita con quel caso. Se gli fosse andata malissimo, e fosse morto...
beh, sarebbe potuto morire anche durante una normale ronda di
mercoledì pomeriggio, uscendo da una caffetteria ad inizio
turno.
-Se anche non possiamo
arginare la fuga di notizie qui...- disse ad un tratto J, muovendosi
finalmente dal fondo della stanza e distogliendolo dai propri
pensieri. -Possiamo comunque tentare di impedire che in Giappone
venga diffuso dai notiziari il nome e il volto di Hayer.-
L'uomo si accese una
sigaretta con noncuranza, e riprese a parlare a mezza bocca, prima di
fare il primo tiro.
-Questo Kira è
estremamente
noncurante, è distratto e non approfondisce mai
ciò che vede ai
notiziari giapponesi.-
Allungò il
pacchetto a
Roger e al sergente Schmidt, ma il capitano rifiutò, dicendo
che
aveva smesso di fumare dopo aver adottato Kendra.
-Perciò...-
riprese J,
dando un secondo tiro con le labbra strette. -Ci sono buone
probabilità che se informiamo L della cosa, lui
riuscirà per lo
meno a fare in modo che il nome di Hayer venga riportato in modo
erroneo in Giappone. Se il nome è scritto in modo errato,
Kira non
può uccidere, e dubito questo Kira si metterebbe a fare
controlli
incrociati, o si metta a controllare se effettivamente tutte le sue
vittime sono morte.-
-E se anche così
fosse...-
disse allora Roger, sporgendosi verso la scrivania ed appoggiandoci i
gomiti. -... potremmo comunque fare muro e rifiutarci di diffondere
informazioni su Hayer a seguito della sua apparizione sui notiziari.
Nascerebbero speculazioni sul fatto che la polizia di Chicago voglia
nascondere la sua morte per continuare le indagini, Kira perderebbe
interesse nella faccenda, convinto di aver ucciso Hayer, e gli Hogson
comincerebbero a sentirsi con l'acqua alla gola.-
J sorrise.
-Vedo che la collaborazione
con studenti della Wammy's House può davvero fare miracoli.-
Esalò il fumo,
strizzando i
piccoli occhi castani.
-Lei è
incredibilmente
sveglio, capitano Burton.-
-Ero sveglio anche prima di
adottare Kendra, caro il mio J.- ribatté Roger, che aveva
recuperato
il sorriso e la compostezza, ma non la tranquillità. La
sopravvivenza di Hayer era fondamentale per incastrare la Hogson e
permettere a Kendra di ricominciare a vivere una vita, se non felice,
per lo meno normale. Ma nulla di tutto ciò dipendeva da lui,
e Roger
odiava dover dipendere dagli altri.
Guardò l'orologio. Erano
da poco passate le quattro di mattina, e il cielo fuori dalla
finestra del suo ufficio era sicuramente ancora nero, là, al
di
sopra della luce dei lampioni. In Giappone erano quindi ancora le
18:00, e Kira avrebbe cominciato ad uccidere dopo le 21:00.
-Vuole chiamare L?-
domandò
J, smicciando la sigaretta direttamente in un cestino
dell'immondizia, con la mano libera infilata nella tasca del completo
grigio scuro. Si rimise la sigaretta in bocca e si avvicinò
al
capitano, tendendo la mano.
-Ci faccia parlare me.-
propose. -So come convincerlo a fare quello che gli si chiede.-
Roger aveva tirato su la
cornetta del telefono, ma si fermò a fissare J dritto negli
occhi
castani, con un sopracciglio alzato.
-So che praticamente
qualsiasi poliziotto al mondo trema solo all'idea di dover chiedere
aiuto al grande L...- disse infine, dopo una lunga pausa. -Ma pochi
di loro l'hanno visto in faccia, e sanno che, a parte essere un po'
inquietante, non è il Dio sceso in terra che tutti credono.-
Poi portò la
cornetta
all'orecchio e abbassò lo sguardo verso la tastiera numerica.
-In più, si
scopava mia
figlia sapendo perfettamente che se li avessero beccati lo avrei
fatto nero. Dovrebbe essere lui quello in soggezione.-
Fino a quando non
ricevettero l'avviso di Watari, la giornata al quartier generale era
stata noiosa come al solito. Non vi era stato alcun progresso con la
raccolta dei dati volta a smascherare Kira, e Light iniziava ad avere
seri dubbi sul fatto che sarebbero mai giunti ad un qualche risultato
concreto.
Nathalie era salita da Misa
in compagnia del suo portatile e di una considerevole
quantità di
cartelle cliniche, procuratale da Watari, per il suo turno di
sorveglianza. Prima di salire a prendere l'ascensore, aveva sbuffato
sonoramente, augurandosi di poter convincere la ragazza a starsene
buona mentre lei controllava tutti i referti di morte per arresto
cardiaco nel distretto di Shirokane.
Erano passate due ore, prima
che Watari si mettesse in contatto con Ryuzaki dal centro di
sorveglianza del quartier generale.
-Ryuzaki, c'è una
chiamata
per te.- aveva detto la sua voce attraverso gli altoparlanti della
sala dei monitor.
Light aveva notato la
sorpresa sul volto del detective, che probabilmente non stava
aspettando nessuna chiamata. Di solito era Watari ad occuparsi delle
comunicazioni, perciò se lui stesso aveva ritenuto
necessario
passargli la telefonata, la questione doveva essere di una certa
importanza. Probabilmente era per questo motivo che aveva detto a
Watari di farlo contattare sul proprio cellulare.
Aveva attivato la
distorsione della voce, per poi rispondere in giapponese non appena
il telefono aveva squillato. Il suo cellulare era stato sicuramente
modificato da Watari, perché aveva un pulsante per la
distorsione
proprio vicino al microfono, mentre l'uscita del suono era
ottimizzata in modo tale che era impossibile, anche per chi gli stava
accanto, riuscire a sentire ciò che veniva detto all'altro
capo del
telefono.
Perciò Light ora stava
osservando il volto di Ryuzaki, per cercare di capire al meglio delle
sue capacità cosa stesse succedendo. E così aveva
notato le sue
pupille che si stringevano, rivelando l'iride grigia quasi sempre
ridotta ad un sottilissimo cerchio.
Poi il detective
cominciò a
parlare in inglese, ma solo rispondendo a monosillabi, mentre il suo
sguardo si faceva sempre più vuoto.
Concluse la chiamata dicendo
al proprio interlocutore che gli lasciava Watari a completa
disposizione, e che avrebbe fatto il possibile per aiutarlo.
Riattaccò, e ordinò a Watari di informarsi sul
lavoro da svolgere.
-Ci sono novità?-
domandò
quindi il padre di Light. -Brutte notizie?-
Ryuzaki guardò gli
agenti
dietro di sé da sopra la propria spalla.
-È successo quello
che
Banks ipotizzava l'altro giorno.- rispose, secco. -Qualcuno vuole
usare Kira per sbarazzarsi di una pedina scomoda. Anche se questa
volta si tratta di un criminale vero.-
Si voltò poi di
nuovo verso
i monitor, con le mani appoggiate sulle ginocchia.
-Si tratta dell'uomo che ha
tenuto Banks prigioniera e ha ordinato di ucciderci.-
Tutti trasalirono, e si
avvicinarono al detective riempiendolo di domande, concitati.
-Com'è successo?-
-Possiamo fermarlo?-
-Chi c'è dietro?-
-La persona che mi ha
chiamato è il capitano Roger Burton del distretto di
Chicago.- li
interruppe Ryuzaki. -Inutile nascondervelo ancora. È
trapelata la
notizia dell'arresto di qualche giorno fa, con tanto di nome e foto,
e dal momento che si tratta di uno scandalo di un certo peso, di
sicuro la notizia sarà trasmessa anche qui.-
-Nathalie era coinvolta in
qualcosa di grosso?- domandò Matsuda, angosciato.
Light non disse nulla. Era
sicuro di aver già sentito quel nome, Roger Burton, ma non
riusciva
a ricordare quando e perché.
Ryuzaki sbuffò.
-L'uomo responsabile di
tutto quello che è successo si chiama Hayer, e fa parte di
una
società per il reinserimento dei reduci di guerra nella
società che
riceve sussidi dallo Stato americano e da diverse società
della
lobby delle armi.- rispose, secco. -Era a capo di un gruppo di
mercenari che trafficavano illegalmente armi in Africa, ed è
particolarmente famoso per i suoi metodi di tortura. Ma sicuramente
l'argomento sarà trattato con dovizia di particolari nella
prossima
edizione del notiziario serale.-
-E tu vorresti fermare le
trasmissioni?- intervenne allora Aizawa, avvicinandosi al tavolo con
le braccia incrociate. -Lo hai detto tu stesso fin dall'inizio che
interrompere la diffusione delle notizie avrebbe fatto infuriare
Kira.-
-Eppure, in quanto
poliziotti, dovreste immaginare che questa vicenda rischia di avere
conseguenze gravi per la risoluzione del caso che vede Banks
coinvolta.- ribatté Ryuzaki, prendendo la tastiera e il
mouse da
sotto al tavolo.
-Se muore Hayer non ci
sarà
la possibilità di incastrare l'organizzazione intera, la
testimonianza di Banks potrebbe non essere abbastanza.-
Aveva cominciato a fare
ricerche in rete mentre parlava.
-Potrebbero addirittura
addossare la colpa su di lei come probabilmente già stanno
facendo
con Hayer.- concluse, mentre visualizzava sullo schermo i principali
siti di informazioni del Giappone. Non sembrava si fosse ancora
nessuna notizia sull'arresto di questo Hayer.
-Ma allora dobbiamo fare
qualcosa per fermare la diffusione della notizia!- intervenne
Matsuda, voltandosi poi in direzione di Aizawa. -Dopotutto, anche noi
siamo stati minacciati a causa di quell'uomo. Ma se ci sono altre
persone dietro di lui, è nostro dovere fare in modo di
consegnarle
alla giustizia, per impedire che in futuro ad altri possa succedere
la stessa cosa.-
Il padre di Light distolse
lo sguardo, dubbioso.
-Certo, sarebbe ovviamente
giusto impedire la morte di questo Hayer.- disse, passandosi una mano
tra i capelli striati di bianco. -Ma sarebbe giusto anche impedire
che tutte le altre potenziali vittime di Kira vengano uccise.
Salvarne uno soltanto perché torna comodo ad uno di noi non
credo
sia eticamente corretto, soprattutto considerando il fatto che dopo
che Light e Misa sono finiti in prigione hanno cominciato a morire
anche persone costrette ad uccidere o a rubare, persone che un
qualsiasi tribunale avrebbe assolto.-
Si avvicinò quindi
a
Ryuzaki, risistemandosi gli occhiali sul naso.
-Se mi è
consentito
esprimere la mia opinione, Ryuzaki, se hai intenzione di salvare
questa persona convincendo le reti televisive e i siti internet a non
pubblicarne la notizia, allora dovresti anche fare qualcosa per
limitare le informazioni sui criminali.-
Il detective era rimasto in
silenzio a guardare il padre di Light, per poi voltarsi verso
quest'ultimo.
-Tu cosa ne pensi, Light?-
domandò. -È un po' che non parli.-
-Scusami, Ryuzaki. Stavo
cercando di ricordare dove avevo già sentito il nome Roger
Burton.-
rispose il ragazzo, che era ancora in atteggiamento pensoso, con una
mano sotto il mento. -Ma in ogni caso, sono d'accordo con mio padre.
Sarebbe una vera ingiustizia salvare un criminale
“vero” mentre
delle persone innocenti vengono uccise ogni giorno da Kira. Certo, se
avessimo fatto qualche passo in questo senso, riducendo la
circolazione delle informazioni, avremmo potuto permetterci di tanto
in tanto salvare qualcuno. Ma anche in questo caso... salvare chi? E
con quale criterio?-
-Ryuzaki all'inizio disse
che Kira era infantile.- intervenne allora Aizawa. -E quindi se
avessimo interrotto la trasmissione dei notiziari probabilmente
avrebbe cominciato ad uccidere innocenti fino a farla riprendere. Ma
ora Ryuzaki ritiene che questo Kira sia un'altra persona,
perciò...
non potremmo cercare di limitare le perdite, adesso?-
Ryuzaki annuì, e
si voltò
verso gli agenti.
-Purtroppo non ci sono
garanzie che questo Kira non reagisca se dovessimo limitare i
criminali mostrati ai notiziari. Non possiamo sapere se le persone
coi poteri di Kira assecondano un volere altro, per cui devono
seguire una certa linea di comportamento.-
-Eppure questo Kira mi
sembra molto noncurante.- osservò Light. -Se potessimo
almeno
salvare chi verrebbe giudicato innocente da un tribunale...-
-Questi discorsi sono
pericolosi.- intervenne allora il padre di Light. -Dovremmo
concentrarci sul fermare Kira e far finire così l'intera
serie di
omicidi, anziché discutere su chi dovremmo o potremmo
salvare.-
-Ma l'osservazione di Light
è corretta.- ribatté Ryuzaki, sfregandosi il
pollice contro il
labbro inferiore. -Potremmo per lo meno tentare di far rispettare ai
giornalisti l'anonimato di chi viene arrestato fino al processo.-
Si voltò quindi
verso
Soichiro.
-In dubbio pro reo.-
disse. -Quando non c'è certezza di colpevolezza, sarebbe
auspicabile
propendere per l'innocenza. Il fatto che vengano diffuse immagini e
nomi di persone che non sono ancora state giudicate è una
delle
maggiori critiche che vengono rivolte al mondo giornalistico. Sono il
sensazionalismo e lo sciacallaggio che vendono, e i piani alti della
categoria ne approfittano. Se solo decidessero di applicare questo
principio e rendere pubbliche le identità di chi viene
arrestato
solo in seguito alla condanna, almeno coloro che non rischiano il
carcere verrebbero risparmiati dalla quotidiana strage di Kira.-
Assunse poi un'espressione
dubbiosa.
-Ma per attuare un piano del
genere sarebbe necessario per lo meno l'appoggio dell'ONU. È
l'eterna battaglia tra il diritto all'informazione e il rispetto
della libertà individuale.-
-Quindi?- disse allora
Aizawa. -Hai detto a quel Burton che lo avresti aiutato. Cos'hai
intenzione di fare?-
Ryuzaki lo guardò
di
sottecchi.
-Sono in debito con lui.-
rispose, secco. -Gli ho detto che avrei fatto il possibile. Ci
penserà Watari. Dopotutto, non c'è nulla che io
possa fare in
questa situazione che non possa fare anche lui. Perciò
chiudiamola
qui, e vi chiederei inoltre di non riferire nulla a Banks, almeno per
il momento. Le mando ora una mail, e le chiedo di prolungare il suo
turno di sorveglianza, per tenercela lontana finché non
sapremo come
evolve la situazione.-
Tutti si guardarono
sconcertati, e tornarono ognuno al proprio lavoro.
E nessuno prestò
attenzione
a cosa Ryuzaki stesse scrivendo, e soprattutto a chi.
Nel suo enorme e luminoso
appartamento con vista su Central Park, Q si versò
distrattamente
del caffè ormai quasi freddo nella sua tazza, senza
distogliere lo
sguardo dal monitor di fronte a sé.
Ormai aveva l'impressione di
aver sviluppato la capacità di percepire il flusso dei dati
spostarsi attraverso i cavi, l'elettricità, l'aria, quasi
fossero
qualcosa di vivo, che da ogni parte del mondo tentava disperatamente
di confluire in lui.
Per questo aprì
istintivamente la finestra della casella di posta, dando un primo
sorso al caffè troppo allungato. Sei... sette... otto
secondi. Nuovo
messaggio. L.
Lesse il contenuto della
mail in un paio di secondi e bestemmiò sonoramente.
-Sarà un lavoro
lunghissimo
e noioso.- disse al proprio riflesso stanco nella tazza del
caffè.
Si risistemò gli
occhiali
rettangolari sul naso fine e si stiracchiò per bene sulla
sedia
girevole.
-Vediamo cosa riesco a fare
in quaranta minuti.- disse poi, passandosi una mano sulla barbetta
scura e curata. -Al resto ci penserò poi.-
Dopo un po', Light richiamò
l'attenzione di tutti.
-Sapevo di aver
già sentito
nominare Roger Burton!- esclamò.
Si voltò quindi
verso
Ryuzaki, che era rimasto fermo con la sua fetta di prosciutto avvolto
attorno ad un pezzo di melone sospesa a mezz'aria.
-Non so se sia stata una
leggerezza, la tua... quella di rivelare i nomi di Burton e Hayer,
intendo. Ma credo che abbiano tutti il diritto di sapere quello che
ho scoperto.-
Si fecero tutti attorno al
ragazzo, mentre il detective ritornava a spazzolare il proprio
piatto.
-Burton era un ispettore che
riuscì a smantellare una grossa cellula mafiosa russa che
gestiva i
traffici della costa orientale degli Stati Uniti.- cominciò,
mostrando sul monitor i relativi articoli. -La notizia fece il giro
del mondo, soprattutto per la sua giovane età e per le
brillanti
deduzioni e il piano complesso che elaborò per incastrarli.
Per
questo lo ricordo. Ho sempre voluto diventare un poliziotto, per cui
mi interessavo molto a notizie del genere ed ero solito fare
ricerche.-
Rivolse una breve occhiata a
Ryuzaki, che continuava a mangiare, e decise che poteva andare
avanti.
-Questa operazione gli valse
una promozione da ispettore a capitano, e gli diedero un distretto a
Chicago. Prima di allora viveva a Boston. Ma, secondo alcune
indiscrezioni, Burton sarebbe giunto alla risoluzione del caso grazie
all'aiuto della figlia adottiva Kendra, che studiava Criminologia ad
Harvard quando aveva appena sedici anni.-
Passò quindi a
mostrare
diverse pagine internet sulle quali aveva fatto ricerche su Kendra
Burton.
-Come potete vedere, non
esistono foto della figlia, nemmeno negli articoli di giornale sugli
studenti premiati ad Harvard in quegli anni, e nemmeno negli annuari.
L'unica notizia legata al suo nome è quella della sua morte.-
E così dicendo si
mise a
tradurre il contenuto dell'articolo dall'inglese al giapponese.
-Qui dice che è
stata
trovata morta suicida nel 1998. A quanto pare aveva cominciato a
lavorare per l'FBI ma era stata licenziata perché era
rimasta
incinta quasi subito, e pare si sia buttata giù da un
palazzo
quand'era all'incirca al settimo o ottavo mese.-
Si voltò quindi
verso
Ryuzaki.
-Voi non l'avete vista, ma
Nathalie ha una cicatrice da parto cesareo e delle smagliature
sull'addome. La sua identità è fasulla, e ha
detto di essere stata
prigioniera di Hayer per anni. E immagino sia più semplice
nascondere una persona se tutti la credono morta. Giusto, Ryuzaki?-
Il detective si
infilò in
bocca l'ultima fetta di prosciutto e melone e masticò
lentamente,
prima di rispondere.
-Ottimo lavoro, Light.-
disse, appoggiando la forchettina sul piatto. -I vostri battibecchi
sulla vera identità di Banks e dei suoi rapitori mi avevano
stancato, perciò sono felice che tu abbia scoperto tutto
questo.-
Light fece una smorfia.
-Conti sul fatto che, se io
fossi Kira, uccidere Burton perché vuole impedire la morte
di un
criminale, oppure per danneggiare Nathalie, attirerebbe i sospetti su
di me, e quindi non lo farei. E, dal momento che è adottata,
Kendra
Burton non può essere il vero nome di Nathalie Banks. Per
cui, anche
volessi ucciderli tutti, avrei le mani legate. Ho indovinato?-
Il detective sorrise.
-Mi leggi proprio nel
pensiero, Light.-
Non passò molto che L
sentì il pesante rumore di tacchi che lasciava presagire
l'arrivo di
K. A giudicare dalla sua intensità, era sufficientemente
nervosa da
essere la solita K. Perciò ancora non sapeva nulla.
-Ryuzaki, ne ho abbastanza
da fare da baby-sitter ad Amane.- esordì lei, raggiungendo
il tavolo
e prendendosi una sedia su cui lasciarsi cadere. -È il turno
di
Mogi, e io non ho intenzione di andarmene da qui.-
Mogi però non si
mosse.
Nessuno degli agenti si mosse. Rimasero tutti a guardare la giovane
che dondolava a destra e a sinistra sulla sua sedia girevole, con le
gambe incrociate. Dopo aver chiuso l'argomento su Hayer e sulla sua
probabile condanna a morte, L non aveva più mosso un dito, e
ormai
mancava appena un'ora al notiziario della sera. Watari non lo aveva
ricontattato, ma L era certo che le cose sarebbero andate secondo i
suoi piani.
-Che diamine avete tutti
quanti?- domandò K, infastidita.
L si era fatto portare una
grossa fetta di cheescake ai frutti di bosco, e parlò senza
alzare
gli occhi dal suo piatto.
-Sul sito della CNN
è
apparsa la notizia dell'arresto di Hayer. Con tanto di nome e foto.-
In meno di un secondo lei
gli fu addosso. L'aveva afferrato per la collottola, gli occhi rossi
e pulsanti, digrignava i denti e stava a pochi centimetri dal naso
del detective.
-Che cazzo hai detto?!-
abbaiò. -E me lo dici così?! Da quanto lo sai,
eh?!-
-Molla l'osso, Kendra
Burton.- sibilò lui, stringendo gli occhi. -Ormai
è inutile. La
notizia è saltata fuori, e così anche loro sanno.-
E così dicendo si
voltò
verso gli agenti.
Light tentò di
avvicinarsi
per dividerli, ma c'era qualcosa in K che stava terrorizzando tutti.
-Io ti ammazzo!-
urlò lei,
caricando un pugno. Ma L conosceva perfettamente la sua furia, e
sapeva che non stava ragionando come avrebbe dovuto; così le
afferrò
il polso che lo teneva per il collo della maglia slabbrata e
abbassò
la testa, mentre la colpiva con la mano sinistra aperta sul volto.
Lei allora usò la
mano
libera per afferrarlo per i folti capelli neri, tirandogli la testa
all'indietro, poi alzò la gamba e la usò per
spingere via la sedia
girevole e staccarselo di dosso.
L le lasciò andare
il
polso. Era il sinistro, il lato colpito dalla pallottola, e non
voleva trascinarsi via K per quel braccio.
Light si avvicinò
a L e
fermò la sedia, per impedire di venire tirato via anche lui
dalla
catena.
-Nathalie, calmati!- ebbe
allora il coraggio di intervenire Matsuda, tentando di metterle una
mano sulla spalla. -Watari sta cercando di fare il possibile per
risolvere la cosa.-
-Nessuno di noi è
d'accordo
con l'idea di deciderci ora a salvare una persona da Kira soltanto
perché ci fa comodo.- puntualizzò Aizawa,
mettendosi tra lei e L.
-Ma non ci siamo opposti, e abbiamo accettato che Ryuzaki facesse un
tentativo.-
-Ci rendiamo conto del fatto
che per te sia difficile da accettare.- disse allora Light.
-Purtroppo, però, devi prepararti all'evenienza che non sia
possibile fermare la cosa.-
K trasse un profondo respiro
e strinse i pugni.
L si alzò dalla
propria
sedia e si mise le mani in tasca.
-Ha chiamato tuo padre.-
disse, calmo. -Sperava che potessi impedire le trasmissioni in
Giappone senza che tu venissi a sapere del pericolo fino a quando non
fosse stato sventato. Ma ci abbiamo già provato in passato,
e non ha
funzionato. Tu stessa hai provato ad usare la tua e la mia
autorità
per fermare le trasmissioni la sera in cui è morto Bjarne,
eppure
non sei riuscita a fare nulla.-
Intimò ad Aizawa
di
scostarsi, sicuro che K non lo avrebbe attaccato ancora.
-Non potendo garantire per
l'incolumità di Hayer, io e Watari penseremo ad una
soluzione
alternativa.- riprese. -Sono abbastanza certo di poterti garantire
un'adeguata protezione e sostegno durante il processo. Non è
tutto
perduto.-
Ma
gli occhi di K erano sempre di un vivo rosso sangue, le vene sul suo
collo pulsavano e il suo respiro si era di nuovo fatto irregolare. Si
voltò di scatto e fece per tirare un violento pugno contro
uno dei
monitor che aveva alle spalle, ma L, con uno scatto, le si era messo
davanti: le parò il destro e con un movimento furtivo le si
mise
alle spalle, trascinandosi dietro Light, ammanettato al suo polso,
con un gran frastuono di anelli d'acciaio che battevano sul pavimento
della stanza. La bloccò contro il proprio petto, tentando di
sollevarla da terra tirandola su da sotto le ascelle. Non poteva
aggredire lui, pertanto era logico che avrebbe tentato di ferire se
stessa. Era già successo troppe volte perché L
non sapesse
riconoscere i segnali.
Ma
quella volta, fortunatamente, K si trattenne. La parata di L le aveva
fatto perdere l'equilibrio, e aveva rischiato di cadere di faccia
sulla scrivania, ma fortunatamente il detective l'aveva afferrata per
le spalle. Ansimava e teneva lo sguardo fisso verso il basso, coi
pugni ancora stretti. L sentiva il cuore di lei battere all'impazzata
contro il proprio petto, e fece per mollare la presa. Ma in quel
momento si avvicinò Light, e il detective sentì
il corpo della
giovane farsi nuovamente teso sotto le sue braccia. K, nella sua
ritrovata furia, lo vide. L'assassino di Bjarne.
L
lasciò andare la ragazza, e la chiamò con voce
fredda.
-K...-
Lei
si voltò nuovamente verso di lui, ansimando, e la scintilla
rossa
nei suoi occhi scomparve.
-Non...
mi toccate...- disse, con voce tremante. -Io... scusatemi... ma...
vorrei che nessuno mi si avvicinasse.-
L
fece un passo indietro, nel silenzio generale.
-Via
di qui.- disse infine, lapidario. -Vedi di non spaccarmi
l'attrezzatura. E di non ferirti ancora.-
Poi
fece per voltarsi e la guardò di sottecchi.
-C'è
roba di valore qui. Non voglio che la rovini.-
K
sbuffò, rimettendosi a posto la giacchetta alla quale erano
saltati
un paio di bottoni. Si allontanò dalla scrivania e dai
monitor a
passo marziale, tirando una spallata a L al passargli accanto, e poi
cominciando a correre su per i gradini anziché prendere
l'ascensore.
-Si
può sapere cosa vi è preso?- gridò il
sovrintendente Yagami, non
appena K fu abbastanza lontana.
L
era tornato a sedersi e aveva ripreso a mangiare la sua cheescake.
-Nathalie
ha dei problemi a gestire la rabbia, come avete potuto notare.-
disse, tranquillo, mentre i poliziotti gli si facevano intorno.
-Ma
perché l'hai trattata in quel modo?- si osò a
domandare Mogi.
-E
ti pareva il caso di arrabbiarti così tanto per della
semplice
attrezzatura?- tuonò Light, che per la rabbia spinse via il
piattino
da sotto il naso di L. -Poteva farsi male sul serio!-
Il
detective non batté ciglio.
-Fidatevi,
era meglio che si infuriasse con me ora, piuttosto che si illudesse
che Hayer non sarebbe morto, e poi dover fare i conti con la dura
realtà.-
Allungò
la mano e riprese il piattino finito un metro più in
là, e ne
tagliò un pezzo con la forchetta.
-Cercavo solo di limitare i
danni. Ho lavorato per lei, l'ho vista sfasciare interi uffici per
molto meno di questo. Ora andrà a sbollire la rabbia contro
il suo
sacco da boxe fino all'ora in cui trasmetteranno i notiziari, e se
Hayer morirà sarà troppo spompata per lanciare
mobili fuori dalla
finestra e contro tutto ciò che si muove.-
Erano rimasti tutti
impietriti a guardarlo.
-Fidatevi.- disse allora,
mangiando un altro boccone. -Vi ho fatto un favore.-
Light
non riusciva a togliersi dalla testa l'occhiata furibonda che
Nathalie gli aveva rivolto quando le si era avvicinato. Lei era
convinta che lui fosse Kira. Kira le aveva portato via una persona
cara. E se Hayer fosse morto quella sera, a lei non sarebbe rimasto
nessun altro se non Kira su cui riversare il suo odio e la sua
frustrazione. Come avrebbe reagito lui, se si fosse trovato di fronte
ogni giorno il potenziale assassino di una persona a lui cara? Sua
sorella, per esempio. Se avesse sospettato che l'assassino di sua
sorella si trovasse proprio lì, davanti a lui, come avrebbe
reagito?
Come avrebbe fatto a non volerlo morto?
Per
di più, era angosciato dal fatto che, nonostante sapessero
che una
persona stava per essere uccisa da Kira, e che le conseguenze di
questo fatto sarebbero potute essere molto gravi per altri innocenti,
nessuno di loro stava facendo alcunché per impedire che
accadesse.
Light riteneva fosse giusto pensare che scegliere di salvare qualcuno
piuttosto che qualcun altro fosse un'ingiustizia, soprattutto se
andava a vantaggio di uno tra loro. Eppure, Hayer aveva fatto
sicuramente cose terribili, e anche se la Hogson si proclamava
innocente ed estranea, sicuramente aveva la sua parte di colpa.
Light
aveva passato tutto quel tempo a fare ricerche. La Hogson era nata in
seguito alla guerra del Vietnam per reinserire i reduci con sindrome
post-traumatica nella società: questo era ciò che
si leggeva più o
meno ovunque; tuttavia, il ragazzo aveva scoperto che il padre degli
Hogson aveva una società che produceva armi, e che aveva
subito
diversi assalti da parte dei pacifisti durante la guerra. Era quindi
opinione comune che i figli avessero voluto cancellare quella macchia
istituendo la loro società. Però, i vecchi
stabilimenti per la
produzione delle armi non erano stati tutti smantellati; si leggeva
un po' ovunque che le armi continuavano a venire prodotte per le
squadre di mercenari e per i servizi di vigilanza, due delle
divisioni in cui venivano impiegati gli ex soldati accolti dalla
Hogson. Logico, sì... ma gli stabilimenti erano troppi. Dove
finivano tutte le armi? Veniva immediatamente da pensare che le
operazioni illegali in Africa non facessero parte, quindi, di
un'iniziativa personale dell'ex colonnello Hayer, come veniva
chiamato in ogni articolo a suo riguardo. Edmund-Wilson Hayer,
così
pareva si chiamasse, appuntato Colonnello al ritorno dalla guerra del
Vietnam, prima che si scoprisse che aveva volutamente mandato a
morire un'avanguardia per salvare un suo superiore; fatto, questo,
che gli era costato tutti i gradi.
Light
pensava che se la Hogson fosse uscita pulita da quel putiferio non ci
avrebbe probabilmente messo molto a trovare qualcun altro del calibro
di Hayer a cui far fare quel genere di lavoro sporco.
Nessuno
chiamò Nathalie quando cominciarono i notiziari. Nessuno ne
ebbe il
coraggio.
Rimasero
tutti in silenzio a guardare la televisione, mentre Ryuzaki stava al
telefono con Burton, previamente informato che ogni sforzo da parte
di Watari di convincere le varie emittenti televisive a censurare la
notizia era stato inutile.
E
la notizia arrivò. Edmund-Wilson Hayer, con tanto di foto.
Nella
stanza non si sentiva quasi respirare, fino a che, dopo un paio di
minuti Ryuzaki non sentì qualcosa al telefono e disse: -Mi
dispiace,
Burton. Se solo avessimo avuto più tempo, forse avremmo
potuto fare
di più.-
Solo
in quel momento tutti sospirarono tristemente.
-Però
dobbiamo assolutamente cercare di raggiungere un accordo con le reti
televisive.- ruppe il silenzio Matsuda. -Cosa succederebbe se ne
andasse della riuscita del caso? E poi c'è la questione
delle
persone giustiziate anche se rubano per fame o uccidono per legittima
difesa, gli incidenti e tutto il resto!-
-A
questo penseremo d'ora in avanti.- disse Ryuzaki, mettendo via il
telefono. -Almeno finché non avremo fatto progressi nel
restringere
il campo attorno al nuovo Kira, dovremmo cercare di limitare le
perdite.-
Light
a quel punto si alzò in piedi.
-Dobbiamo
andare da Nathalie.- intervenne. -Tutti quanti. È un momento
difficile per lei, e il fatto che possa diventare una furia non ci
dovrebbe impedire di andare a sostenerla.-
-Sono
d'accordo con Light.- lo spalleggiò Matsuda.
Ryuzaki
roteò gli occhi.
-E
ti pareva...- borbottò.
-Vi
chiederei di attendere ancora un po'.- aggiunse, poi. -Watari
è
riuscito, anche se con un po' di ritardo, a procurarmi un contatto
con alcune emittenti televisive e testate giornalistiche disposte a
collaborare. Non sprechiamo quest'occasione.-
K
aveva lanciato il telefono da qualche parte dietro il divano, ma
questo continuava a squillare. Andò come una furia verso il
frigo e
lo aprì con un gesto secco. Watari le aveva preso tre
bottiglie di
Guinnes che lei non aveva ancora toccato. Aveva passato quasi un'ora
a prendere a pugni il sacco da boxe e poi si era fatta una doccia
bollente, il telefono continuava a squillare ma lei non aveva il
coraggio di rispondere. Era ancora nervosa.
Prese
la prima bottiglia e richiuse il frigo con un calcio.
Ryuzaki,
Light e Matsuda si diressero verso l'ascensore.
-E
smettila di lamentarti!- fece Light al detective, con tono a
metà
tra il seccato e l'amareggiato. -Penso che sia giusto che ci
accertiamo che stia bene.-
Ryuzaki
camminava curvo, con lo sguardo basso. -Se sei sicuro di voler
entrare nella sua stanza dopo averla vista oggi in quelle
condizioni... fai pure...- Pigiò il pulsante di chiamata.
-Io me ne
resterò in disparte.-
Light
rimase in silenzio per un po', mentre guardava i numeri sul display
posto di fianco all'ascensore. 17... 16... 15...
-Ma
non vi siete stancati di stare ammanettati, voi due?-
commentò
Matsuda.
-Non
immagini quanto.- risposero quasi all'unisono, infilandosi le mani in
tasca.
Le
porte dell'ascensore finalmente si aprirono.
-Come
pensi che stia, Ryuzaki?- domandò ancora Matsuda, quando
furono
entrati. -Tu... che la conosci meglio, insomma.-
Il
detective si appoggiò alla parete metallica.
-Soffre
di problemi di gestione della rabbia, questo mi sembra ovvio.-
rispose, guardando altrove. -E dubito che in questi anni di prigionia
le abbiano concesso di continuare le sedute psicanalitiche e la
terapia. Perciò, fossi in voi, mi preparerei al peggio.-
Quando
suonarono alla porta del suo appartamento, sentirono la sua voce
rancorosa da dietro alla porta che intimava loro di andare via.
Matsuda si era già voltato a testa bassa, mormorando agli
altri due
di seguirlo, quando Ryuzaki lo bloccò per un braccio.
-Fermo.-
intimò, serio.
-Cosa?-
domandò confuso Matsuda.
Ma
il detective era andato alla serratura elettronica della porta, di
quelle che si aprono grazie ad un pass, e digitò il codice
di
sicurezza sulla tastiera posta di fianco al lettore.
-Dopo
Watari cambierà il codice.- disse, aprendo la porta.
Nathalie
era di spalle, ma si era voltata di scatto con uno sguardo carico
d'odio non appena aveva sentito il segnale acustico che indicava che
la porta era stata sbloccata.
-A
cosa serve chiedere se potete entrare se poi fate come vi pare?-
sbraitò, stringendo i pugni.
-Scusaci
Nathalie.- fece Matsuda, toccandosi i capelli. -Eravamo in pensiero
per te.-
La
giovane non smise di guardarli in cagnesco, ma poi si voltò,
sempre
coi pugni chiusi.
-C'è
casino.- disse lapidaria, spostando
con un piede gli anfibi che stavano in mezzo all'entrata.
C'era
l'accappatoio abbandonato sul
divano, il completo che usava per lavorare sulla spalliera della
sedia e una valigetta rovesciata a terra, con un sacco di fogli
sparsi, mentre il tavolino da tè era bagnato. C'erano anche
scopa e
paletta in un angolo, e i cuscini del divano sembrava fossero stati
piazzati al contrario, quindi probabilmente si era già
calmata e
stava sistemando l'appartamento.
-Prepari del
tè?- chiese allora Ryuzaki.
Light si voltò per rivolgergli un'occhiataccia, e Matsuda lo
rimproverò per la sfacciataggine, ma Nathalie emise appena
un
grugnito e fece per andare verso il cucinino.
-Non pulisci
prima il tavolo?- insistette
Ryuzaki, incurante delle proteste dei suoi compagni.
Nathalie si
bloccò, sempre coi pugni
chiusi e stretti, e Light ne notò il tremore.
Tornò a guardare la
paletta abbandonata in un angolo: cocci di vetro di bottiglie di
birra. Gli si gelò il sangue all'istante.
E Ryuzaki lo stava trascinando verso di
Nathalie a passo deciso; la fece voltare a forza, ignorando il suo
sguardo iniettato di sangue e la prese per i polsi, intimandole di
aprire le mani.
Le braccia
bianche e lisce erano intonse,
per fortuna.
-Non mi sono
fatta nulla.- ringhiò lei,
mostrando i palmi delle mani ricoperti solo da leggeri graffi. -Se mi
distruggessi le mani poi non potrei più lavorare e
diventerei
inutile per te, non è vero, Ryuzaki?-
-Ma...
Nathalie!- esclamò sgomento
Matsuda, accorrendo. -Volevi farti male sul serio?!-
Anche lei
gli rivolse un'occhiataccia.
-Quel
dannato telefono non la smetteva di
squillare.- disse, ritirando le mani che ancora stavano tra quelle di
Ryuzaki. -Stavo bevendo una birra, ero nervosa, ho sbattuto forte la
bottiglia sul tavolo e s'è rotta. Se avessi voluto farmi
male sul
serio, l'avrei fatto.-
Light rimase
impietrito all'idea della
forza che doveva aver usato per distruggere una bottiglia di vetro.
-Suppongo tu
non abbia voluto guardare i
notiziari né rispondere al telefono.- disse Ryuzaki,
rimettendosi le
mani in tasca e voltandosi.
-Perché
avrei dovuto?- domandò lei,
incrociando le braccia. -Tanto non potevi fare nulla per impedire che
quel bastardo morisse. Non ce l'ho con te, quindi non stare sulla
difensiva. È che sei abbastanza stronzo di tuo da meritarti
che ti
prenda a schiaffi senza motivo.-
-Sono
d'accordo.- disse il detective.
-Non ho fatto nulla per impedire che Edmund-Wilson Hayer morisse.-
Poi la
guardò da sopra la spalla.
-Se
guarderai i notiziari più tardi o
leggerai le notizie su internet, vedrai che la notizia si è
diffusa
ovunque. Ho inoltre parlato con Burton, e ha deciso che
terrà
nascosta la notizia della morte di Hayer per il momento, per tentare
di non sconvolgere le indagini.-
Light
notò il volto di Nathalie farsi,
se possibile, più bianco di quello che era. Aveva occhi e
bocca
spalancati e sembrava senza fiato, come se la conferma della morte di
Hayer l'avesse colpita dritta come un pugno allo stomaco.
“Edmund-Wilson” pensava K.
Edmund-Wilson, aveva detto L, come se fossero due nomi attaccati con
un trattino. Non poteva correre a controllare il telefono, la TV, il
PC, qualsiasi mezzo per confermare i suoi pensieri, ma non potevano
esserci dubbi: il secondo nome di Hayer era William, solitamente
abbreviato con l'iniziale puntata. Conoscere il secondo nome non era
importante per poter uccidere qualcuno, come dimostrava la morte di
Lind L. Taylor, ma se il primo nome era composto o legato con un
trattino, Kira avrebbe dovuto scriverlo per intero.
L aveva
sicuramente chiesto a Q di
modificare il suo nome. E gli agenti erano convinti che quello fosse
il vero nome di Hayer, perciò L doveva aver pensato
all'eventualità
che Light potesse ucciderlo sul serio, se avesse mai recuperato i
poteri di Kira. Perciò Q probabilmente avrebbe dovuto
falsificare
ogni singola apparizione del suo nome su ogni fonte
internet e
sulle scannerizzazioni dei suoi documenti e dei rapporti che lo
riguardavano.
Se gli
avesse semplicemente dato l'ordine
di far apparire il suo nome in modo incorretto ai notiziari, ad
esempio scrivendo “Haier”, sarebbe stato
più probabile per Light
scoprire l'errore, perché sicuramente qualcuno lo avrebbe
fatto
notare; ma chi presta così tanta attenzione ai secondi nomi?
Hayer
firmava ovunque con una doppia v puntata, nessuno avrebbe fatto caso
all'errore, e sicuramente gli Hogson non avrebbero potuto insistere
sulla cosa, o avrebbero attirato dei sospetti: perché mai
voler
puntualizzare la correttezza o meno di un secondo nome, quando
c'è
la concreta possibilità che il suo portatore muoia?
K avrebbe
voluto tirare un sospiro di
sollievo, ma avrebbe dovuto interpretare la parte della psicopatica
furiosa per lasciare che i giapponesi rimanessero fermamente convinti
della morte di Hayer. Avevano fatto un miracolo in appena un paio
d'ore, L, Q e sicuramente anche J e Roger.
Intanto Matsuda si era offerto di andare
a preparare del tè per tutti, e Light stava sistemando il
disastro
che aveva lasciato in soggiorno, trascinandosi dietro L che
borbottava.
Una decina
di minuti dopo, si sedettero
tutti e quattro attorno al tavolino del soggiorno, con le tazze
fumanti in mano.
-Ci tenevo a
farti sapere che dispiace a
tutti non averti potuta aiutare.- esordì Matsuda, finendo di
versare
il tè.
-Non mi va
di parlarne.- tagliò corto
lei. -E se è questo l'unico motivo per cui siete qui, vorrei
che ve
ne andaste. Il fatto che io abbia perso il controllo in quel modo
è
inaccettabile, ma nulla mi costringe a restare in vostra compagnia in
questo momento.-
Light rimase
in silenzio per qualche
secondo, sorseggiando timidamente il suo tè, prima di
parlare.
-Abbiamo
chiamato i direttori delle
emittenti televisive, ma non abbiamo avuto molto successo.-
In quel momento, K vide con la coda
dell'occhio L tendere il collo e tirare in avanti lo scollo della
maglia bianca, quasi questa lo stesse facendo soffocare; cosa molto
improbabile, considerando quanto era larga e consunta. O, forse, come
se si stesse allentando una cravatta invisibile. Il gesto che in
passato solitamente faceva per attirare la sua attenzione e farle
capire che voleva parlarle, se erano a lavoro con altre persone.
Light stava facendo il riassunto di ciò che avevano fatto in
sua
assenza, mentre lei teneva sott'occhio L, che stava aggiungendo un
cucchiaino di zucchero di canna grezzo al tè, per poi
girarlo.
Ding,
ding, ding fece
il cucchiaino.
-Però
questi direttori sono stati più disponibili.- stava
continuando
Light. Dong. -Hanno
detto che discuteranno con noi i casi di difesa personale prima di
decidere se mandarli o meno in onda.-
Ding.
-Ma purtroppo
questo non risolve
il problema, dal momento che comunque le emittenti più
seguite non
hanno alcuna intenzione di collaborare.-
Ding,
dong, dong, ding.
Light si
fermò e si voltò verso L,
rivolgendogli un'occhiata corrucciata. -Puoi girare quel tè
senza
fare tutto questo baccano?-
Ding,
ding, ding, ding. Light
era
troppo concentrato sul suo discorso per rendersi conto che L stava
usando il codice Morse, sebbene in modo così approssimativo.
-Mi
annoio.- rispose semplicemente il detective. Ding,
dong.
-Abbiamo
capito.- fece K, appoggiando la
propria tazza vuota sul tavolino. L smise di battere il cucchiaino
contro le pareti della tazza e ne bevve il contenuto.
Fu
il turno di Matsuda di mettersi a parlare di cose che non le
interessavano, mentre lei tentava di reprimere un sorriso. Non
avrebbe dovuto perdere il controllo di fronte a tutti, lo sapeva.
Soprattutto perché questo aveva messo L in una posizione
difficile,
lo aveva già costretto a rivelare dettagli del suo passato
che
avrebbero potuto mettere a rischio anche la propria
identità. Eppure
il messaggio che stava cercando di farle arrivare in quel momento,
per quanto in modo irresponsabilmente palese, non era di rimprovero,
bensì il contrario. Punto-punto-punto. Linea. Punto.
Punto-linea-linea-punto. Punto-punto-punto-punto. S.T.E.P.H.
Stephanie...
Se la
chiamava per nome, voleva dire che
era preoccupato per lei.
La giovane lasciò la presa sulla tazza
non più bollente.
-Ora che
Hayer è morto, non sarà
possibile smantellare interamente l'organizzazione finché io
non
andrò a testimoniare contro di loro.- esordì,
interrompendo gli
aneddoti di Matsuda sul suo lavoro in qualità di manager di
Misa.
Lo sguardo
di L si fece gelido e
tagliente. -Potrebbero ucciderti prima che tu arrivi in tribunale.-
Si stinse nelle spalle. -Potrebbero condannare anche te.-
-È
un “no”?- domandò K, appoggiando
la tazza sul tavolino. -Non mi permetterai di andare a fargliela
pagare a quei bastardi?-
L
incrociò le dita sotto il mento e la
guardò attentamente negli occhi.
-Sei libera
di andare quando vuoi. È
ovvio che io preferisca che tu resti qui.- Rimase in silenzio per un
attimo. -Sei in gamba, e io ho pochi agenti. Ma capisco che in questo
momento tu debba seguire un altro caso. Quello che mi preoccupa...- e
alzò un poco il tono della voce. -... è che tu ti
possa mettere nei
guai. Vorrei offrirti i migliori avvocati per affrontare il processo
e... il mio aiuto. In nome della nostra... passata collaborazione.-
K
distolse lo sguardo. Mostrarsi in tribunale poteva rivelarsi
pericoloso, ma contava sul fatto che gli Hogson non fossero
così
stupidi da condannandosi da soli ammazzandola così, su due
piedi.
L
la scosse dai suoi pensieri.
-Se
vuoi lasciare la base, sei libera di farlo. Ma ti chiedo di
rifletterci. Se mi aiuti a prendere Kira in tempi brevi, appena
avrò
chiuso il caso lavorerò con te per assicurare quel gruppo
alla
giustizia.- Si voltò verso Light. -E chiederò
anche agli altri di
partecipare, dal momento che hanno dovuto presentare le dimissioni
dalla polizia giapponese. Loro avranno un nuovo incarico, e tu...- E
tornò a guardare K. -...Tu avrai più risorse.-
-Ma
certo!- esclamò Matsuda, sorridendo. -Ormai siamo una
squadra, no? E
in più noi siamo stati tenuti in ostaggio da Grumann, quindi
finiremmo comunque per dover testimoniare contro di loro.-
Appoggiò
la tazza sul tavolino e tirò su un pugno.
-Basterà
rimandare l'inizio del processo fino a quando non avremo catturato
Kira, e a quel punto potremo dare agli Hogson la lezione che si
meritano!-
-Certo,
ma...- li interruppe Light. -Se quelli hanno mandato a morire Hayer
per potergli addossare la colpa, sicuramente cercheranno di inquinare
le prove.-
Intrecciò
le mani sotto il mento.
-Forse,
a questo punto, rimandare il processo potrebbe essere rischioso, a
meno che tu non abbia in mano abbastanza prove da incastrarli.-
-Hai
ragione, Light.- annuì K. -Se voglio che finiscano tutti
dietro le
sbarre, è necessario che li metta con le spalle al muro
ora.-
D'un
tratto L si alzò.
-Grazie
del tè, Nathalie.- disse, voltandosi di spalle. -Spero che
accetterai la mia offerta, e che continui ad aiutarmi col caso Kira.-
-Ehi,
aspetta un momento...- fece Light, guardando storto il compagno.
-Forza,
Light. Matsuda-
Il
detective si stava dirigendo verso la porta, senza curarsi di nulla.
-Abbiamo già perso abbastanza tempo, per oggi.-
Se
ne andarono così. K era rimasta seduta con lo sguardo fisso
sul
fondo della propria tazza.
“Ti odio, L
Lawliet.”
pensava. “Ti odio da morire, quando mi chiami col mio vero
nome.”
Gli studenti della Wammy's
House non dovevano rivelare i propri nomi a nessuno, nemmeno ai loro
compagni, perché non era raro che in seguito ognuno tentasse
di
vendere le identità degli altri. Tutti indagavano su tutti,
e
rendersi invisibili a foto, telecamere, documenti, qualsiasi cosa,
era diventata da tempo una regola non scritta dell'accademia.
Eppure L le aveva raccontato
di sé, della sua disastrata famiglia e del nome che non
aveva mai
avuto. Alla fine, anche lei aveva fatto lo stesso, una sera di giugno
nel loro appartamento a Shoreditch.
Lei si era addormentata sui
suoi appunti sul caso dei suoi genitori, e L si era avvicinato di
soppiatto per darci un'occhiata. Si era svegliata di soprassalto e
aveva preso ad urlargli contro, facendolo indietreggiare, per poi
lasciarsi scivolare a terra, tremando dalla rabbia, con le mani sul
volto arrossato.
L
si era avvicinato
piano, si era seduto a terra di
fianco a lei, con le mani appoggiate al pavimento.
-Quando abbiamo iniziato a lavorare insieme, quando sei tornata...
Hai detto che volevi prepararmi per indagare insieme a te su quelli
che hanno ucciso i tuoi, e sarei stato ben felice di aiutarti.
Perché
ora mi stai tenendo tutto nascosto, e non vuoi nemmeno che veda i
tuoi appunti?-
-Io...- K non lo guardava
nemmeno in faccia. -Volevo proteggerti.-
L aveva sospirato. -Hai
sempre provato a proteggermi, fin da quando eravamo bambini. Ma
perché ora mi escludi dalle tue indagini?-
-Perché...-
Aveva soffocato un
singhiozzo. -... Ora credo di essermi innamorata di te.-
Teneva lo sguardo basso, e
tremava, quasi come se quella confessione le stesse costando una
immensa fatica.
-Kendra...- aveva provato a
dire lui dopo un po'.
-Stephanie.- aveva detto
allora lei, guardandolo per un istante cogli occhi lucidi. -Il mio
vero nome è Stephanie.-
-Stephanie...- aveva
ripetuto L. Poi l'aveva presa per le spalle, seduto sui propri
talloni, e dopo un lungo silenzio aveva ripreso a parlare.
-Una volta mi hai detto che
quando hai avuto l'incidente sei morta davvero. Mi hai detto che
quello che eri era morto assieme ai tuoi genitori. E così ti
sei
costruita l'identità di Kendra, la ragazzina senza paura, la
ragazzina forte che non piange nemmeno quando la faccia le sta
bruciando...-
E le aveva accarezzato,
com'era solito fare, la macchia dell'ustione col pollice.
-... in grado di sopportare
qualsiasi cosa, una roccia per gli altri, quella che non si piega di
fronte a nulla.-
K respirava rumorosamente,
stringendo con entrambe le mani il tessuto della sua leggera
vestaglia bianca semi trasparente.
-Ma io non credo che
Stephanie sia morta quel giorno.- aveva continuato L.
-Stephanie piange al posto
tuo, ride in quel modo dolce e timido che ti vergogni a far sentire
agli altri, canticchia un motivetto irlandese senza accorgersene, si
commuove al vedere un cielo stellato, o un albero o un prato fioriti,
cammina a piedi nudi sulle punte improvvisando un passo di danza e
arrossisce se la tieni per mano.-
E la mano che le aveva
accarezzato il volto era scesa lungo il braccio fino al suo pugno
chiuso, e L aveva indugiato con la punta del dito indice sulle sue
nocche, tracciando cerchi con tocco leggero, finché K non
aveva
allentato la presa.
-Non devi essere sempre
Kendra, K, la studentessa prodigio impertinente, rancorosa ed
implacabile. Permettiti di essere anche Stephanie.-
K si era stretta ancora di
più nelle spalle, cercando in ogni modo di evitare di
guardarlo
negli occhi.
-Mi hai detto quello che
provi per me, e l'hai fatto piangendo, come se fosse un crimine. Non
puoi impedirti di provare dei sentimenti perché non
è in linea col
copione del personaggio che ti sei costruita.-
A distanza di sette anni, K
non riusciva ancora a spiegarsi come fosse possibile che parole del
genere fossero venute dalla bocca di L. Non si sarebbe stupita se un
discorso del genere glielo avesse fatto Bjarne; Bjarne le parlava
spesso in quel modo, perché avvertiva lo squarcio che
dilaniava il
cuore della sorellina costretta a nascondersi, costretta a fingere,
che spesso non sapeva più chi fosse. E invece quella volta
le parole
di conforto erano venute da L; e ogni qualvolta lui si rendeva conto
che lei era in conflitto, che stava reprimendo i suoi sentimenti, la
chiamava Stephanie, per ricordarle che non era solo uno prodotto
della Wammy's House, un poliziotto, un mezzo per raggiungere la
verità, ma una persona; e le persone hanno il diritto di
provare
sentimenti.
Questi pensieri portarono le
lacrime agli occhi rosati di K.
Così pianse tutta
la notte,
soffocando le sue urla disperate nel cuscino a cui era abbracciata,
seduta a terra contro il muro.
Pianse sulle sue mani che
machbettianamente vedeva macchiate di sangue, nonostante il vetro
della bottiglia le avesse procurato appena qualche graffio. Il sangue
di tutti quelli che avevano sofferto. Pianse per Bjarne. Per Roger.
Per Anne e Phil. Per i suoi genitori e per suo zio. Per Naomi e Raye.
Per Watari che aveva deluso. Per il trafficante d'armi che aveva
ucciso per sbaglio in Nevada. Per quello che aveva ammazzato senza
volerlo al PPEP per difendersi. Per il figlio che non aveva voluto e
che non aveva mai rimpianto. Per L che nonostante tutto forse, in
fondo, l'aveva quasi amata.
Pianse fino all'alba.
Poi si alzò, si
lavò la
faccia con acqua fredda, andò a prendere una valigia e
chiamò
Watari perché le prenotasse un volo di sola andata per gli
Stati
Uniti, mentre prendeva con la mano libera i suoi vestiti
dall'armadio.
Note
Scusate di nuovo per il
ritardo della pubblicazione.
La cosa che più mi preoccupa di questo
capitolo è l'aver reso L troppo OOC; ovviamente ho fatto
fare un certo percorso al personaggio in Before November 8th che
dovrebbe giustificare un tale atteggiamento, ma non avendo ancora
pubblicato Before
non posso sapere da voi se tutto ciò è coerente.
Spero tutto ciò non sia troppo "disturbante"
Altro appunto: mi sono resa conto di aver
fatto confusione coi gradi di Burton: quando adotta K è
ispettore,
poi viene promosso a capitano, ma nei capitoli passati ho scritto
commissario al posto di capitano. Vedrò di correggere in
questi
giorni.
Sto facendo un po' fatica a
scrivere ultimamente, mi sembra tutto così pesante, ma la
buona
notizia è che la Seconda Parte è conclusa. La
cattiva è che ne
mancano altre due. La nota positiva è che il manga da questo
punto
in avanti torna ad avere un certo ritmo, quindi anche la mia
fanfiction sarà meno noiosa.
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Capitolo 21 *** Secondo Epilogo ***
Epilogo Parte Due
K raddrizzò sull'addome
l'imbottitura che aveva usato per camuffarsi, mentre tirava su i
pantaloni larghi fino sulla vita allargata. Il suo trolley ancora non
si vedeva sul nastro trasportatore.
Era stata Misa ad
aiutarla a
prepararsi.
-Davvero hanno fatto
fuori
tutta la tua famiglia?- le aveva domandato, lisciandole la plastilina
che aveva usato per crearle un doppio mento.
-Come a te.- le aveva
risposto lei, cercando di muovere la bocca il meno possibile. -Ma,
come puoi vedere, non ho consegnato i responsabili in bocca a Kira.
Spero che un giorno riuscirai a capire il perché.-
-Sta' ferma!- le
aveva
intimato la ragazza. -Comunque non capisco perché mai
dovresti
volere che io la pensi come te. Sei convinta che io sia il secondo
Kira, no? Non vuoi vedermi in prigione?-
-Magari
più avanti.- aveva
scherzato lei. -Ora mi servi.-
Misa aveva gonfiato
le
guance e aveva preso una salvietta per pulirsi le mani.
-Dovrai farti
perdonare per
l'aggressione dell'altro giorno.- le aveva detto. -Portami qualcosa
di carino dagli Stati Uniti.-
-A dire il vero,
spererei di
non dover più mettere piede qui. Ma magari ti
spedirò qualcosa.-
aveva ribattuto K, alzandosi in piedi.
Arrivò
finalmente il
trolley, e K poté uscire dal gate.
Tra la folla si stava
facendo largo un uomo non molto alto, con un completo elegante, corti
capelli color carota e occhiali da sole che in quel momento
alzò,
rivelando dei piccoli e sfuggenti occhi castani che cercavano un
volto conosciuto tra i viaggiatori in uscita.
K si
fermò, indecisa sul da
farsi. Poi sorrise e alzò in alto il braccio.
Lui la vide e la
raggiunse a
passo rapido.
-Tregua.-
scandì con le
labbra quando fu abbastanza vicino. Poi allungò una mano,
posandogliela sulla spalla e alzò il più
possibile il mento per
sfiorarle la fronte con la bocca, mimando un paternale bacio.
-Così
diamo meno
nell'occhio.- sussurrò J, approfittando della vicinanza.
-Immagino
avresti preferito che fosse qualcun altro a venirti a prendere, ma
Burton e Medina sono sotto scorta e Q... beh, mi piacerebbe proprio
sapere dove si trova.-
Poi si
staccò in fretta da
lei e si chinò a prendere il trolley.
-E comunque pensavo
sarebbe
stato meglio per te vedere una faccia conosciuta.-
Fece per voltarsi, ma
K lo
trattenne per un braccio e, lentamente, si accoccolò sul suo
petto,
celando negli occhi la più grande vergogna che ricordava di
aver mai
provato. Lui rimase per un attimo interdetto, ma poi, timidamente, le
cinse le spalle col braccio libero. E così la giovane
si strinse forte a J,
guardando altrove. Si odiava per aver un così disperato
bisogno di
rifugiarsi nelle braccia di qualcuno. Per anni quel qualcuno era
stato Bjarne, a volte anche L; ma si ritrovò a pensare che
era da
quando si era risvegliata da bambina nella sala d'ospedale in cui le
avevano detto che i suoi genitori erano morti, che cercava
disperatamente un abbraccio entro cui trovare rifugio.
Era assurdo pensare
che una
cosa così semplice eppure così fondamentale le
fosse stata
preclusa. Più volte. Dalle stesse persone.
K sapeva il vero motivo per
cui J e gli altri avevano preso di mira lei e L, ai tempi; loro erano
gli unici bambini di quella generazione di studenti alla Wammy's
House a non essere stati abbandonati alla nascita. Avevano avuto dei
genitori, avevano sperimentato l'affetto di una vera famiglia,
avevano vissuto Natali con biscotti, alberi decorati e cenoni, e
compleanni con torte e regali, gite al luna park, pomeriggi al parco.
Questo pensavano. Certo, L aveva avuto una madre ma aveva
sperimentato soltanto botte, negligenza e tutte le tipiche
conseguenze dell'avere un genitore depresso e alcolizzato, ma questo
loro non lo potevano sapere: credevano che la sua rabbia sorda, il
suo sguardo cattivo e spesso vuoto fossero il risultato del trauma di
aver perso la famiglia ed essere finito in orfanotrofio; in
realtà
(K lo aveva immaginato dal primo istante in cui lo aveva visto),
quello era ciò che L era sempre stato. Per questo si era
sentita fin
da subito in dovere di proteggerlo: lui aveva perso una famiglia che
probabilmente non voleva nemmeno rimpiangere. Dolore nel dolore, un
dolore contro cui non aveva mai avuto intenzione di reagire.
Eppure, nonostante
tutti gli
insulti, le botte, le ingiustizie subite per proteggere L da J e dai
suoi compagni, K non ce l'aveva con loro: si rendeva conto che l'odio
tra i suoi studenti era l'unica arma che la Wammy's House potesse
usare per impedire che i ragazzi le si rivoltassero contro;
incanalare rabbia e frustrazione verso chi sta in posizione
più
svantaggiata è da sempre l'arma usata da chi sta in alto.
Alla
Wammy's House avevano sempre scoraggiato gli studenti dal creare
legami: i legami li avrebbero resi deboli, questo insegnavano loro.
Dimostrare di essere i numeri uno: questo, invece, era il loro credo.
Non era colpa di J o
degli
altri bambini, o anche di L, se non avevano conosciuto alcuna via
alternativa. Ma K un'altra via la conosceva, perciò si
sentiva
l'unica da biasimare per aver ceduto all'odio contro Hayer e tutti
gli altri.
Quanto a J... non lo
odiava
per davvero. Solo che era diventato divertente, per loro, odiarsi.
Mantennero impacciati
quella posizione per qualche secondo, quando finalmente K riprese a
parlare.
-Grazie per aver
accettato
il caso, J. E per aver aiutato Roger.-
Alzò la
fronte, incontrando
per un attimo il suo sguardo, ma poi prese a fissare un punto alle
sue spalle.
-E grazie per essere
qui.-
-Non voglio che la
gente mi
ricordi come il vigliacco che ti ha spinta a marchiarti la faccia
come una qualsiasi vacca da allevamento.- borbottò lui,
guardando,
allo stesso modo, chiunque lo circondasse, ma non la giovane di
fronte a lui. -Noi studenti della Wammy's House finiamo sempre per
diventare dei grandissimi stronzi; ammetto di aver detenuto il
primato da piccolo, ma le persone cambiano.-
-Potrei quasi
crederci.-
disse K si raddrizzandosi e staccandosi da lui. -Ma so che ti piace
troppo vedermi incazzare per smettere di provocarmi in modo stupido.-
J si
lasciò scappare un
sorrisetto.
-Nessuna persona
sospetta in
giro.- aggiunse lei, con la voce che s'era fatta seria tutta d'un
tratto. -Fine della tregua.-
Lui si
allontanò
immediatamente da lei, strinse il manico del trolley e prese a
camminare in direzione dell'uscita.
-Spero apprezzerai lo
sforzo
che ho fatto nel non scoppiarti a ridere in faccia mentre ti alzavi
in punta di piedi per darmi un bacio in fronte.- gongolò K.
-Ha-ha-ha.- la
canzonò lui.
-Che originalità. Le battute sulla mia altezza. Wow. Sei
anni sotto
sequestro e non sei riuscita ad aggiungere nulla di meglio al tuo
repertorio?-
Si unirono alla
fiumana di
gente diretta verso l'uscita.
-Beh, sai
com'è... Non è
che tu fossi proprio in cima alla lista dei miei pensieri. E comunque
anche tu non è che brilli per inventiva quando decidi di
farmi
incazzare.-
-Questo
perché non devo
fare chissà quale sforzo... Ti arrabbi per qualsiasi cosa.
Quando ho
smesso di avere paura di fronte alla tua faccia sfregiata e ai tuoi
occhi indemoniati, ho scoperto quanto può essere ridicolo
vederti
perdere le staffe.-
Risero entrambi di
cuore.
-Per questo
è così
frustrante quando non abbocchi alle mie provocazioni e ti comporti da
persona adulta ignorandomi. Non è da te!- concluse l'uomo.
-Dammi tempo.-
protestò K.
-Stasera ti porto nel ristorante in cui servono le migliori bistecche
di tutto l'Illinois. E, visto che sono certa che tu abbia una qualche
cimice addosso e che Q ci stia ascoltando... Q, sei invitato anche
tu. Così intanto vi ringrazio per il lavoro svolto fino ad
ora, mi
aggiorno sulla vita di J per trovare nuovi spunti per punzecchiarlo e
ristabilirò le giuste gerarchie ricominciando a darvi ordini
fino a
chiudere il caso Hogson.-
Le porte scorrevoli si
aprirono davanti a loro e uscirono sul marciapiede della corsia
riservata ai taxi. C'era una volante della polizia che li attendeva.
-Q ha appena detto
che per
la nostra sicurezza sarebbe meglio se prenotassimo una suite ad un
Hilton Hotel e facessimo venire uno chef stellato. Dice che l'ha
progettato lui il sistema di sorveglianza agli Hilton Hotel, quindi
non corriamo rischi. Questo è il sergente Schmidt, comunque,
lavora
con tuo padre.- disse J, indicandole l'uomo che stava tenendo loro la
portiera aperta.
-Allora è
deciso, stasera
Hilton Hotel, caviale e champagne.- aggiunse, entrando in macchina.
-Tanto hai detto offri tu, no?-
-Ah sì.-
fece lei,
distrattamente. -Tanto sono soldi di L alla fine. Sono sulla sua
busta paga.-
-Sembra che qui siamo
tutti
sulla sua busta paga.- rise J. -A parte forse Q. Q è
diventato
schifosamente ricco.-
La macchina si mise
in moto
mentre i due ex compagni ridevano.
-Ah, volevo dirti una
cosa,
ma spero che questo non ti trasformi in nella solita lagna piagnona e
sentimentale.- disse ad un tratto J. -Volevo farti le mie
condoglianze per Bjarne. Era in gamba, un po' troppo iper-protettivo
ed appiccicoso, ma mi stava simpatico. Non ti somiglia per niente.
Forse è per quello che non mi dispiaceva.-
K rise, anche se un
po'
amaramente.
-Io invece sono
abbastanza
sicura che lui ti avrebbe preso a ceffoni fin dalla prima volta che
ti ha visto, ma era troppo buono.-
-Per questo ripeto:
non ti
somigliava per niente.-
Un giovane agente entrò
nell'ufficio del penitenziario reggendo due tazze di caffè
nero, e
Roger gli fece cenno di appoggiarle sulla sua scrivania. J stava
seduto (o, per meglio dire, abbandonato) su una sedia, a gambe
larghe, con le braccia a penzoloni e la testa rovesciata
all'indietro, con la bocca spalancata. Davvero patetico.
Il capitano gli si
avvicinò,
si chinò e gli urlò all'orecchio: -Sveglia!- a
pieni polmoni.
Il giovane emise un
grido,
spalancò gli occhi di soprassalto e sobbalzò
sulla sedia, per poi
portarsi le mani alle orecchie.
-Burton, dannazione,
la mia
testa...- biascicò.
-Se non reggi l'alcol
è
inutile che ti sbronzi se la mattina dopo devi andare a lavoro.- lo
rimproverò Kendra, entrando dalla porta aperta con un gran
rumore di
tacchi.
Si diresse alla
scrivania e
prese una delle due tazze.
-Tutta colpa di Q.-
bofonchiò J, rimettendosi dritto e massaggiandosi le tempie.
-Dannazione, K, potevi toglierci la bottiglia visto che eri l'unica
rimasta sobria.-
-E perdermi lo
spettacolo di
voi due sottobraccio che cantavate da cima a fondo il musical di My
Fair Lady?- ridacchiò Kendra. -Neanche per sogno.-
Poi si
parò di fronte a lui
e gli diede la tazza di caffè.
-Ricomponiti,
detective.
Stanno per portarci Hayer.-
Era arrivata negli Stati
Uniti da appena un giorno, ma già Roger si sentiva meglio.
Quando
l'aveva vista, dopo sei anni, in quel palazzo a Tokyo, convalescente,
invecchiata, smagrita nel volto ma irrobustita nel fisico, con lo
sguardo svuotato e l'espressione di chi ne ha avuto abbastanza, si
era sentito male; nella sua mente, Kendra era ancora la ragazzina
impudente e scontrosa che girava per casa sua o per il suo ufficio
dettando ordini. Forse, pensò, era questo quello che
provavano i
padri veri nel vedere i figli tornare a casa.
Il padre di Roger era
un
poliziotto, e fin da piccolo gli aveva impartito una dura disciplina;
nulla di ciò che il piccolo Roger faceva era mai abbastanza
per il
vecchio Burton, nonostante i suoi immensi sforzi per eccellere in
ogni campo: negli studi, nello sport, nei lavoretti che faceva per
guadagnarsi qualche soldo e riuscire a comprarsi la sua indipendenza.
Il piccolo Roger non giocava mai, non andava al parco con gli altri
bambini per una partita a football o a baseball: suo padre
considerava fossero tutte sciocchezze, che i bambini stessi fossero
soltanto degli sciocchi rammolliti che potevano servire a qualcosa
solo quando fossero cresciuti. Da adolescente, Roger aveva cominciato
a pensare che suo padre e sua madre fossero andati a letto insieme
solo per concepirlo; in casa sua madre non parlava mai, o, per meglio
dire, nessuno tranne suo padre parlava. Il vecchio riteneva che
correre dietro le ragazze fosse una perdita di tempo, che le donne
rammollissero gli uomini, che si dovessero fare figli perché
era
questo che ci si aspettava da un uomo ed una donna... cose
così.
Roger non aveva mai osato
alzare la voce contro suo padre, si era sempre impegnato nello studio
e nel football, così come nei suoi lavoretti occasionali,
per poter
vincere una borsa di studio ed andare ad Harvard; avrebbe studiato
legge e sarebbe diventato un poliziotto come suo padre, ovviamente.
Ed era stato solo
quando
finalmente era riuscito ad andarsene di casa, che per la prima volta
era riuscito a respirare; il suo fisico scolpito e gli occhi azzurro
ghiaccio, ovviamente, avevano attirato sin dal primo giorno
l'interesse delle ragazze, ma questo non gli aveva fatto montare la
testa. Anzi, aveva continuato ad impegnarsi nello studio e nello
sport, ma, per la prima volta, aveva goduto dell'ammirazione altrui:
delle ragazze che facevano a gara per mettersi in mostra, di chi
seguiva le sue partite, dei professori strabiliati dalla sua
intelligenza e dal suo acume. Roger aveva cominciato a vivere
dell'ammirazione degli altri come se fosse una droga, e aveva
cominciato a sfidare apertamente suo padre.
Non gli era
particolarmente
dispiaciuto quando il vecchio era morto, e non aveva sofferto
eccessivamente quando sua madre lo aveva raggiunto due anni dopo; le
prospettive di una carriera erano tutto ciò di cui aveva
bisogno in
quel momento, l'unico obiettivo verso cui tendere.
Roger non sapeva
perché
stava pensando a queste cose, mentre Hayer veniva portato
nell'ufficio ammanettato e tenuto sotto sorveglianza da tre
poliziotti molto robusti. Probabilmente perché Kendra era
lì con
lui, a risolvere il caso, e lui ne era felice.
Aveva vissuto per
anni
dell'ammirazione di colleghi, superiori e molte donne; quando aveva
preso con sé quella ragazzina, aveva inizialmente sperato di
poter
fare il salto di qualità, e l'aveva considerata come
un'aiutante, ma
si era reso presto conto del fatto che lei non ci avrebbe messo nulla
a superarlo. E così, in cuor suo, era nata la speranza che
un giorno
anche lei potesse guardarlo con ammirazione. Poi, dall'ammirazione,
era passato a desiderare di vedere nei suoi occhi l'orgoglio che il
suo vecchio non aveva mai provato nei suoi confronti. Già,
era
vomitevole da pensare, ma avrebbe voluto che Kendra lo guardasse
negli occhi sorridendo e gli dicesse: “Sono fiera di te...
papà.”
Perché
lui, di lei, era
estremamente fiero.
-Mi rendo perfettamente
conto del fatto che preferiresti morire piuttosto che deciderti a
collaborare con noi per fare arrestare gli Hogson.- stava dicendo
Kendra ad Hayer, sporgendosi verso di lui con gli occhi rossi che
brillavano. -Ma ormai sei spacciato in ogni caso. L'unica
libertà
che ti rimane è quella di decidere chi tra me o gli Hogson
hai più
voglia di rovinare. E in questo caso ti do una dritta: gli Hogson
potrebbero anche decidere di rendere pubblica la notizia del fatto
che io abbia fatto fuori quel povero disgraziato, Norde, mentre ero
al vostro servizio, e usare la sua finta autopsia per farmi apparire
ai notiziari e farmi ammazzare da Kira.-
Tutti nella stanza
sussultarono, tranne Roger e J.
-E sai benissimo che
la cosa
non è che mi spaventi così tanto. Non ho mai
creduto, nella mia
intera esistenza, che sarei morta pacificamente da vecchia dopo aver
vissuto una lunga vita felice. Ma non posso dire lo stesso per gli
Hogson.-
E si tirò
su, guardando il
suo nemico di una vita, immobilizzato sulla sedia, dall'alto in basso
mentre incrociava le braccia sul petto.
-Se vuoi toglierti
un'ultima
soddisfazione, ti consiglierei di prendere in considerazione l'idea
di far sbattere gli Hogson in galera, anche se questo,
inevitabilmente, andrebbe a mio favore.-
Hayer era rimasto
impassibile per tutto il tempo, e non aveva mai distolto lo sguardo
da Kendra. Conservava il suo aspetto intimidatorio e autoritario
anche con la barba di qualche giorno e i capelli in disordine.
Alla fine sorrise,
mostrando
una dentatura sana e perfetta.
-Non ti preoccupare,
Banks.-
disse, tranquillo. -Su di te ho già avuto le mie vittorie.-
-K.-
ribatté lei,
stringendo appena gli occhi, ma mantenendo il sorriso sulle labbra.
-Mi chiamo K. Nathalie Banks non esiste.-
-Oh, e invece esiste
eccome,
Banks.- riprese Hayer. -Ho ammazzato prima Stephanie Lilith Kenton
assieme alla sua patetica famiglia, e poi ho ammazzato Kendra Burton,
che è stata così stupida da credere di potermi
arrestare, e ho
creato Nathalie Banks. Non sei un prodotto della Wammy's House dal
nome in codice K; sei un mio prodotto.-
E poi distolse lo
sguardo
dai suoi occhi per la prima volta per osservarla intera nella sua
figura, alzando il mento per indicarla.
-Quella che eri prima
che io
ti costringessi a lavorare per me era una stupida pacifista
antiamericana che odiava l'idea stessa dell'esistenza delle armi. E
ora guardati: quel fisico da soldato, ti ho costretto io a
costruirtelo; le tue pistole, ti ho costretto io a prenderle e ad
imparare ad usarle come un soldato; quel tuo passo militare,
è nato
grazie a me; io ti ho portata ad uccidere un uomo a mani nude!-
Riprese quindi a
guardarla
intensamente negli occhi.
-In parte ti ammiravo
perché
non avevi paura di nulla, eri insubordinata e piena di grinta.
Saresti stata un ottimo soldato, ed è stato quello il mio
scopo.
Volevo che diventassi una mia creatura, volevo piegare la tua
volontà
e renderti uguale a me, dal momento che nessuna ferita ti avessi
inflitto sarebbe servita allo scopo. Sei un'inguaribile idealista,
perciò la peggiore sconfitta per te sarebbe stata
trasformarti in
qualcosa che tu stessa disprezzavi.-
Il suo sorriso si
fece più
profondo.
-Sono riuscito a
portarti
via tutto, e a renderti un mio soldato a tutti gli effetti. Nathalie
Banks è una mia creatura, mentre quello che credevi di
essere l'ho
distrutto io pezzo per pezzo.-
Kendra era rimasta
impassibile, anche se aveva smesso di sorridere.
Alla fine,
lentamente,
sciolse le braccia, si avvicinò di nuovo ad Hayer, e sporse
il busto
in avanti, appoggiandosi ai braccioli della sedia.
-Hai ucciso mia
madre, mio
padre, mio zio, mio fratello, e mi hai separata da tutte le persone
con cui avevo un legame per anni. È vero, mi hai cambiata,
mi hai
resa una persona che non avrei voluto essere, ma io sono ancora qui.
Ben venga il tuo tentativo di trasformarmi in un soldato, se mi ha
permesso di continuare a combattere e mi ha portata fino a qui.-
Finalmente,
accennò
nuovamente un sorriso.
-Io sono K. Sono
molto più
di un prodotto della Wammy's House; molto più di Stephanie
Lilith
Kenton e Kendra Burton. Da piccola decisi che sarei diventata una
persona in grado di fare giustizia per la mia famiglia e per chiunque
ne avesse bisogno, ed è quello che sono diventata. Fine
della
storia.-
Poi si
raddrizzò e si voltò
verso Roger.
-E poi, non mi hai
portato
via tutto. Il figlio di L è al sicuro, così come
lui, e Burton è
qui con me. Saremo pure uniti da vincoli tutt'altro che naturali o
ordinari, ma è una famiglia anche questa.-
Tornò a
guardare Hayer.
-Finirai i tuoi
giorni in
carcere, Hayer. E lo farai sapendo che non mi hai piegata.-
Lo portarono via poco dopo,
e la stanza si svuotò.
-Famiglia?-
domandò allora
Roger con un sorriso, mentre J si allontanava per prendere
un'aspirina per il suo dopo-sbornia, lasciandoli soli.
-Non ho detto nulla
di
strano, Roger.- rispose Kendra, andando a prendere il proprio
soprabito. -Ti sei offerto di aiutarmi con questo caso fin
dall'inizio mettendo a rischio la tua stessa vita. Sono passati quasi
dieci anni, e non ti sei mai tirato indietro né hai mai
preteso
nulla in cambio, ma anzi, sei sempre stato pronto a sostenermi.-
Gli passò
anche il suo
soprabito e raccolse la sua valigetta.
-Alla fine,
è questo che fa
un padre, no?-
Roger sorrise
più
apertamente, mentre lei gli apriva la porta per uscire dal carcere.
-Quindi ora per te
sono un
padre?-
Kendra rise.
-Questo fa di te
anche un
nonno, Roger.-
Anche il capitano
scoppiò a
ridere, anche se avvertì una punta di nervosismo nella
propria voce.
-A questo non avevo
pensato.
Penso che fare il nonno non mi si addica per nulla.-
-Allora siamo in due
ad
essere stati colti alla sprovvista.-
E continuarono a
ridere di
cuore mentre uscivano per le nuvolose strade di Chicago.
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Capitolo 22 *** Prologo Parte Tre ***
november
Prologo Parte Tre
10 agosto 2004.
Erano quasi le undici di
sera, e gli agenti decisero di spostarsi nella sala adibita ad area
relax per cenare tutti insieme. Watari aveva invitato tutti a
rimanere lì per la notte, vista l'ora tarda, ma Aizawa se n'era
comunque andato, temendo l'ennesimo litigio con sua moglie per essere
rincasato che era già notte.
Light sospirava mentre
tentava di trascinare un nervoso Ryuzaki per la catena: quel giorno
avevano di nuovo discusso, e solo grazie all'intervento di Matsuda
non erano arrivati alle mani. Nathalie, come avevano deciso di
continuare a chiamarla, era andata via da ormai una settimana, e
Ryuzaki aveva di nuovo perso interesse nel caso Kira: non c'era stato
alcun progresso, e la raccolta dei dati sulle vittime ordinata dalla
giovane era stata momentaneamente interrotta per verificare se non ci
fossero modi più rapidi di raccogliere informazioni. Ryuzaki si
annoiava, era evidente, e probabilmente l'astinenza da dolci e caffè
lo aveva reso estremamente insofferente, ma Light non poteva
sopportare la sua poca voglia di lavorare e quell'improvvisa
arrendevolezza. Non trovava giusto che la salvezza di migliaia di
persone dovesse dipendere da un individuo così capriccioso ed
egoista.
Avevano smesso di lavorare
così tardi perché avevano passato ore a vagliare diverse soluzioni
alternative rispetto alla capillare raccolta e archiviazione di dati
ordinata da Nathalie, ma Ryuzaki le aveva bocciate tutte quante,
finché, esasperato, Light non aveva preso ad urlargli contro, deciso
a risvegliarlo dal suo torpore; era una cosa che lui e Nathalie
avevano decisamente in comune. Ma alla fine Matsuda e suo padre
avevano intimato loro di smetterla, e Watari aveva proposto di
portare la cena a tutti nell'area relax.
Entrando nella stanza,
Light lanciò uno sguardo al pianoforte che Watari aveva fatto
materializzare la mattina successiva all'esecuzione di Hayer. L'aveva
visto appena era entrato nella sala per fare colazione con gli altri
agenti attorno al lungo tavolino da caffè: un pianoforte a coda
molto grande e sicuramente abbastanza costoso. Aveva pensato che non
sarebbe stato male sedersi a suonare, ogni tanto, ma si chiedeva
perché Watari ci avesse pensato solo in quel momento.
Si era poi andato a sedere
sul divano, trascinato da Ryuzaki che guardava con sguardo omicida il
vassoio di cupcake a disposizione di tutti gli altri agenti, mentre a
lui era stato preparato dello yogurt, muesli e frutti di bosco e
spremuta d'arancia; già si percepiva il suo pessimo umore.
Dopo che tutti furono
entrati e si furono sistemati per cominciare a mangiare, sulla porta
era apparsa Nathalie, con la sua camicetta leggera e la gonna blu.
Matsuda e Soichiro l'avevano salutata e le avevano indicato il posto
lasciato libero per lei sul divano, ma lei aveva lo sguardo fisso sul
pianoforte. Perciò aveva fatto cenno con una mano che non si
preoccupassero e che cominciassero a mangiare, mentre si avvicinava
allo strumento, lo osservava da attentamente, gli girava intorno, e
timidamente allungava una mano per scoprire i tasti. Un flebile alito
d'aria in quel momento aveva mosso le tende, e Light aveva colto con
lo sguardo Ryuzaki guardare i raggi di sole che entravano obliqui
nella stanza. Lei era la sua debolezza, non c'era alcun dubbio al
riguardo. Forse, l'aggressività nei suoi confronti, il continuo
atteggiamento di supponenza non erano una facciata sfruttata da
Ryuzaki per allontanare i sospetti; forse, il suo era stato un
affetto o un'attrazione non ricambiata. Nathalie era attraente, era
carismatica, intelligente e stimolante, ed era stata la sua
insegnante: non sarebbe stato strano se Ryuzaki avesse cominciato a
sentirsi attratto da lei. La convinzione di Light si rafforzava ogni
qualvolta vedeva il suo compagno osservare accigliato i raggi di sole
che rischiavano di colpire la pelle bianca della giovane, il modo in
cui si muoveva in relazione ai movimenti di lei... e poi il modo in
cui l'aveva protetta il giorno prima. Certo, poteva raccontare a lui
e agli altri agenti mille storie su come non volesse che lei gli
spaccasse l'attrezzatura o cominciasse a tirar loro sedie addosso, ma
era innegabile il fatto che le avesse, prima di tutto, impedito di
farsi male. Aveva anche recitato bene la parte di quello insensibile
che non aveva intenzione di andarla a vedere, ma, di fronte al suo
rifiuto di aprire la porta, aveva sbloccato la serratura, era entrato
di forza e l'aveva costretta a mostrargli le mani. Era per questo che
Light non si capacitava di come, non molto tempo prima, Ryuzaki
avesse potuto decidere di mandarla fuori, per le strade di Tokyo
assieme a Misa, esponendola al pericolo. Probabilmente, pensava,
contava sul fatto che lei avrebbe rifiutato. Forse la sua proposta
altro non era che un tentativo per dissolvere ogni dubbio su un suo
coinvolgimento nei confronti di Nathalie.
Light non era sicuro di
cosa dovesse pensare dello strano rapporto tra i due: se Ryuzaki a
volte tradiva un atteggiamento molto protettivo nei confronti della
giovane, lei lo trattava apertamente con maternale ma allo stesso
tempo brusca premura, come se lui fosse un bambino capriccioso che
lei doveva con immensa pazienza sopportare e tentare di educare. Ed,
effettivamente, Ryuzaki era un bambino capriccioso.
Capriccioso ed orgoglioso.
Nathalie si era poi
lentamente andata a sedere sul divanetto e aveva cominciato a
mangiare, guardandosi di tanto in tanto i graffi sulle mani bianche.
-Tornerò negli Stati Uniti,
dopodomani.- aveva detto ad un tratto, tenendo lo sguardo basso.
Gli agenti erano rimasti in
silenzio; era prevedibile: con la morte di Hayer era necessario che
Nathalie fosse presente per andare quanto prima a processo. Non c'era
altra soluzione, seppur questo avrebbe inevitabilmente rallentato le
loro indagini e ridotto notevolmente l'efficienza del piccolo gruppo
investigativo.
Così il resto della
colazione era trascorso in silenzio, finché tutti si erano alzati,
lasciando Nathalie seduta al tavolino da sola a finire di sorseggiare
il proprio tè. Erano tutti usciti dalla stanza e avevano chiamato i
due ascensori per scendere al piano terra e cominciare a lavorare,
quando, dalla porta socchiusa della sala relax, aveva cominciato a
venire della musica. Dapprima titubante e bassa, piena di errori ed
incertezze, poi progressivamente più decisa e precisa. Era Chopin,
il “Nocturne Op. 9 No. 2”.
Gli ascensori erano giunti
al piano, ma nessuno si era mosso dal corridoio. Era come se la
musica li stesse trattenendo, come se Nathalie stesse rivelando un
lato di sé che nessuno aveva previsto, e ora volessero scoprire di
più, rimanendo voyeuristicamente ad ascoltare senza farsi beccare.
Light era rimasto alquanto stupito dalla scelta del brano di apertura
di quel bizzarro concerto privato e mattutino: credeva che a Nathalie
si addicesse molto di più qualcosa come “Sonata al chiaro di
luna” di Beethoven; così intensa e oscura, per certi versi. E
poi, Nathalie poteva, a suo parere, apparire esattamente come un
raggio di luna, flebile luce riflessa, freddo satellite che brilla
grazie alla luce di un sole lontano.
Ma, ad un certo punto, la
giovane aveva cominciato a mutare melodia, una melodia che Light non
aveva mai sentito. Era malinconica, ma anche un po' rabbiosa, come
lei; sembrava ci fossero due voci, una maschile ed una femminile che
si facevano da contrappunto, e la voce femminile era indubbiamente
quella di Nathalie: a volte esagitata, rumorosa, a volte fragile.
Light era stato, però, l'unico a riscuotersi dallo stato di
sospensione che aveva avvolto tutto il gruppo, quando aveva notato le
dita di Ryuzaki scivolare a destra e sinistra lungo una linea
immaginaria, per poi ogni tanto fermarsi e tremare sul posto; come se
stesse accompagnando la musica suonando un violino invisibile.
Watari aveva lasciato la
cena nella sala relax e se ne andò non appena L e gli altri
entrarono. Voleva andare all'appartamento di K per innaffiarle i
fiori; voleva che la ragazza ritrovasse tutto in ordine, quando fosse
tornata da loro.
K gli aveva domandato già
un paio di volte il motivo che lo aveva portato a trasformarsi dal
distante e intransigente direttore del “Wammy Lager”, come lo
chiamava lei, nel docile e servizievole Alfred il Maggiordomo, ma lui
aveva sempre tergiversato; non credeva lei fosse ancora nelle
condizioni psicologiche adatte a scoprire qual era stata la reazione
di L allo scoprire che si era buttata da un palazzo col loro bambino
nel grembo. O meglio, con la loro bambina. Per depistarli, infatti,
quelli della Hogson avevano fornito l'autopsia di una donna incinta
di una femmina, affetta da albinismo e da malattia di Huntington.
Magari credevano che, in quel modo, loro non avrebbero fatto caso al
bambino maschio che era stato dato in adozione ad uno degli
orfanotrofi segretamente a lui affiliati, tre mesi più tardi.
In realtà, dopo una vita
trascorsa tra la realizzazione delle sue invenzioni, l'insegnamento e
la direzione della Wammy's House, Watari trovava rilassante potersi
dedicare a faccende quotidiane. Anzi, si divertiva abbastanza a
recitare la parte del mite maggiordomo, per poi vedere l'espressione
confusa dipinta sui volti dei propri collaboratori quando decideva di
passare all'azione.
Watari riempì una
bottiglietta d'acqua nel lavello dell'angolo cucina, per poi andare a
versarla in tutti i sottovasi dell'appartamento. K aveva sempre avuto
una vera e propria fissazione per i fiori (rigorosamente non recisi):
aveva curato con maniacale attenzione quelli del giardino della
Wammy's House, era addirittura arrivata a procurarsi il necessario
per potare il ciliegio in riva al fiume a nord dell'accademia, il suo
albero preferito, quello verso il quale scappava ogni notte,
portandosi dietro il piccolo L. Anche i suoi appartamenti erano
sempre pieni di fiori; difatti, poco dopo essere stata dimessa, oltre
alle orchidee ordinate per lei dai genitori di Bjarne e quelle prese
da Burton quando era venuto a trovarla, K aveva preferito che Watari
le prendesse un altro paio di piante, anziché dei vestiti nuovi. Gli
aveva confessato che questa sua mania si era però rivelata utile,
perché Bjarne l'aveva sfruttata per creare un semplice codice
segreto basato sui fiori che lei gli aveva regalato per il suo
appartamento.
Bjarne era stato una
creatura straordinaria; e Watari, nella propria vita, aveva avuto
solo a che fare con persone straordinarie, ma in un altro senso:
altri inventori geniali come lui, ricercatori conosciuti in tutto il
mondo, luminari, e poi tanti, tantissimi bambini prodigio. Bjarne non
faceva parte di nessuna di queste categorie: aveva studiato come
avvocato, era vero, era molto intelligente e colto, amava leggere ed
esplorare diversi campi, ma era estremamente... ordinario. Nessuno
avrebbe pensato che fosse destinato a grandi cose. Eppure, Bjarne
era stato una persona straordinaria, capace di portare luce laddove
c'era solo buio e tristezza.
Watari ripensò al pacco
che aveva già imballato e che era pronto per essere spedito alla
Wammy's House. Non gli piaceva fare uno strappo alle proprie regole,
e nemmeno fare favoritismi, ma sapeva di doverlo, almeno a Bjarne.
-Avrei un altro favore da
chiederti.- gli aveva detto K, seria, prima di partire per gli Stati
Uniti la settimana prima.
-Non sei obbligato a farlo,
e non solo perché è una regola che gli studenti della Wammy's House
non possano ricevere nulla dal mondo esterno, ma perché capisco
perfettamente che se un bambino d'un tratto ricevesse un regalo, gli
altri si ingelosirebbero e lo prenderebbero subito di mira. Ma... voi
non lo sapete perché data e luogo di nascita sono stati modificati
sul suo certificato di nascita, ma vedi... Nate River è nato il 24
agosto. Perciò tra qualche settimana sarà il suo compleanno.-
Si era passata una mano
sulla nuca, guardando altrove, imbarazzata.
-Bjarne si era messo in
testa di imparare a lavorare il legno, sai? Per cui... ha provato a
scolpirgli delle figure. Ogni anno, una per il suo compleanno e una
per Natale. Sono tra le cose che mi sono portata sempre dietro. Vedi,
ora che lui non c'è più, vorrei che suo nipote avesse queste cose.
Penso lo renderebbe felice.-
Watari le aveva messo
paternamente una mano sulla spalla, mentre lei continuava a guardare
altrove.
-In realtà... c'è anche
un'altra cosa.- aveva ripreso a dire, arricciandosi una ciocca di
capelli attorno al dito indice. -Io... ho provato a scrivere delle
storie, su dei quadernetti. Racconti gialli, insomma, senza troppe
pretese. Più che altro sono annotazioni di casi a cui ho lavorato,
un po' romanzati.-
Poi aveva stretto la mano
attorno al tessuto della propria gonna.
-Sai che L da bambino
leggeva solo Arthur Conan Doyle. Ecco, ho pensato che un bambino nato
da lui avrebbe letto soltanto romanzi gialli, così ho cercato di
arrangiare qualcosa del genere. Insomma, immagino presto avrà finito
tutti i romanzi gialli della biblioteca della Wammy's House, almeno
avrà qualcos'altro da leggere.-
Watari aveva sorriso nel
vederla così imbarazzata, e lei si era un po' imbronciata.
-Non sono totalmente un
mostro, ok?- aveva detto, incrociando le braccia. -L'ho messo al
mondo e l'ho mandato in un posto che ho sempre reputato disumano. Mi
sento responsabile per lui, e ora che finalmente posso fare qualcosa
per lui senza che rischi di lasciarci le penne, vorrei poterlo fare.
È un inizio, no?-
Watari aveva stretto la
presa sulla sua spalla.
-È un inizio. Hai ragione.-
Watari si era interrogato a
lungo su cosa fosse meglio fare con quella scatola imballata: dentro
c'erano una semplice trottola di legno con gli spicchi colorati, un
puzzle tridimensionale, un nodo di legno cinese e altri rompicapo,
più sei libretti con la copertina rigida finemente decorata, scritti
a mano con la spigolosa calligrafia di K.
Certo, voleva che quelle
cose arrivassero a Near, ma non sapeva come giustificarle; per questo
motivo non aveva ancora spedito il pacco. Near era di certo
abbastanza schivo e riservato da non fare parola con nessuno del dono
ricevuto, perciò non temeva che i suoi compagni lo avrebbero preso
di mira per quel motivo, ma non sapeva come avrebbe potuto reagire un
bambino di sei anni alla notizia che alcuni suoi parenti si erano
rifatti vivi.
Ci aveva pensato un'intera
settimana. Aveva fatto tanto per tentare di tenere i suoi studenti
lontani dalle famiglie che li avevano abbandonati, per far
dimenticare loro l'esistenza dei loro affetti e cercare così di
diminuire la loro sofferenza, e ora si ritrovava a fare esattamente
il contrario.
Ma, alla fine, il senso di
colpa per aver impedito a L di rivedere i parenti rimastigli in vita
a Boston, una volta uscito dalla Wammy's House, ebbero il
sopravvento. Chissà se K aveva fatto leva proprio su quello. La
piccola canaglia... lei aveva vissuto a Boston, di certo aveva fatto
ricerche su L, perciò era possibile che sapesse che sua zia e suo
nonno erano ancora vivi e che Watari gli aveva impedito di vederli.
Era stata davvero così subdolamente astuta? O forse davvero si
sentiva in debito nei confronti di quel bambino che non aveva voluto?
Watari decise che nulla di
tutto ciò aveva importanza. Avrebbe detto la verità a Near: suo zio
era morto e gli aveva lasciato un regalo di compleanno per ogni suo
anno di vita, assieme ad alcuni quaderni scritti da sua madre.
Magari a Near non sarebbe
nemmeno importato.
L aveva notato lo sguardo
che Light aveva rivolto al pianoforte, e anche nella sua mente, quasi
le due fossero collegate, erano affiorati i pensieri relativi a quel
bizzarro concerto privato di una settimana prima.
Quando finalmente furono
entrati in ascensore, Light si era messo a commentare ciò che aveva
appena sentito e aveva esposto i propri dubbi. L lo aveva guardato
intensamente, con uno sguardo in cui interesse e ammirazione si
fondevano nel vuoto nero delle sue enormi pupille dilatate.
-”Sonata al chiaro di
luna” di Beethoven è esattamente la melodia che userei
per descriverla.- aveva detto infine.
Il detective aveva pensato
che non c'erano parole migliori con cui Light avrebbe potuto
descrivere K: un raggio di luna. Capriccioso, incostante, freddo,
vivo solo grazie ad un sole lontano. E quel sole era Bjarne. Cosa
sarebbe successo ora che quel sole era scomparso?
Ma anche le osservazioni del
ragazzo sulla canzone che K aveva composto erano assolutamente
corrette. L si chiedeva come fosse possibile che una persona con
all'apparenza un così scarso interesse per qualsiasi cosa al mondo
al di fuori di sé potesse percepire l'essenza di un'altra persona
attraverso la musica. L era sempre stato convinto che Light
osservasse con occhio critico e meticoloso ogni cosa, che ne facesse
una radiografia mentale, ma che non fosse in grado di percepire
le cose. Per questo si sentiva così simile a lui; era stato Bjarne a
dirglielo: -L, tu sei in grado di osservare ogni cosa e comprenderne
il significato, ma non ascolti.-
Era stato durante il loro
viaggio in macchina, nell'estate del '97. Si erano accampati e ora
osservavano il cielo stellato sdraiati sul cofano ancora caldo di
motore della Mustang Cobra blu del '91, la macchina che Bjarne era
riuscito a comprarsi coi suoi sudati risparmi.
-Riuscirai anche ad
elencarmi tutte le costellazioni che si vedono in questa porzione di
cielo, e a predire entro quanto spunteranno le prossime e quali
saranno, ma mi sai dire cosa ti trasmette questa vista?-
L era rimasto con le mani
intrecciate dietro i suoi spessi capelli neri e ribelli.
-Io e tua sorella da piccoli
scappavamo spesso per andare a guardare le stelle in riva al fiume,
sotto il ciliegio. Era il suo posto preferito.- aveva detto,
voltandosi leggermente a guardare la figura di K in pantaloncini e
top che scuoteva la tovaglia dalle briciole.
-Quella porzione di cielo mi
provoca nostalgia. Ma qui... è diverso. Non siamo in Inghilterra.
L'atlante del cielo è come spostato, e io... mi sento come se ci
fosse qualcosa fuori posto.-
Di fianco a lui, Bjarne
aveva sorriso, senza voltarsi.
-È un inizio.-
Forse ci sarebbe voluto uno
come Bjarne per sradicare del tutto Kira dal cuore di Light; lui, di
sicuro, non ne sarebbe stato in grado. K, neanche a parlarne.
Mentre si sedevano tutti
intorno al tavolino attendendo che Watari portasse loro la cena, L
continuava a pensare alla canzone composta da K. La sua vena
melodrammatica e teatrale l'aveva sempre portata a vedere le proprie
mani come portatrici di morte, lo ripeteva ogni volta che aveva una
crisi. -Tutto ciò che tocco muore.- diceva, o -Le mie mani sono
coperte di sangue.-, come fosse una moderna Re Mida del sangue, o una
Lady Macbeth dei poveri.
Per questo, il suo
autolesionismo di concentrava sulle mani: K non si tagliava (era
successo una sola volta, e ne portava una cicatrice quasi
invisibile), bensì iniziava a colpire qualsiasi cosa le capitasse a
tiro fino a ferirsi le nocche, sbucciarsi le dita o graffiarsi i
palmi con le proprie unghie. Per questo aveva voluto che Watari
mettesse quel pianoforte: era il suo modo per ricordarle che le sue
mani erano anche capaci di cose belle.
Per questo lei aveva
cominciato a suonare quando sapeva che lui era ancora nei paraggi: e
aveva cominciato col Nocturne di Chopin: la sua ninnananna. I
sogni di L erano sempre stati infestati dagli incubi, e, dalla prima
notte in cui K lo aveva trovato sepolto sotto la neve e lo aveva
accudito e tenuto al caldo nel proprio letto, lui aveva sempre
cercato di trovare il modo di dormire con lei: il rumore del suo
respiro lo calmava, sia che lei fosse accanto a lui, sotto l'albero
di ciliegio, mentre lo avvolgeva nella coperta nelle serene notti
d'estate, sia che lei stesse dormendo sotto il suo letto per
nascondersi dagli altri bambini maschi. E, soprattutto, per farlo
dormire lei gli canticchiava il Nocturne, oppure glielo
suonava al pianoforte della sala grande della Wammy's House; era
anche stata la canzone con cui gli aveva insegnato a suonare il
piano, sebbene lo avesse sempre spronato a suonare qualche altro
strumento.
-Così potremmo suonare
insieme!- gli diceva.
L non era stupito dal fatto
che K fosse riuscita a comporre una canzone per Bjarne senza,
probabilmente aver toccato un pianoforte per anni: quando vivevano
alla Wammy's House, e anche in seguito, quando si erano trasferiti a
Shoreditch, K aveva sempre “suonato” una tavola di legno, su cui
aveva inciso con un taglierino la forma di tutti i tasti. A
Shoreditch non c'era spazio per un pianoforte, e alla Wammy's House
ce n'era soltanto uno a disposizione di tutti gli studenti e dei
professori. Per questo lei si era costruita quel surrogato di
pianoforte, dinanzi al quale si sedeva di tanto in tanto, sgranchiva
le mani, e cominciava a suonare melodie mute ed immaginarie. La sua
musica, sia quando proveniva da un vero piano, sia quando era un
semplice mugolio delle sue labbra serrate di fronte alla tavola di
legno, lo aveva sempre colpito: non era a musica di una bambina
prodigio della Wammy's House, era la musica di Stephanie.
L aveva continuato a pensare
a quella melodia che aveva ascoltato quella mattina, prima che K
partisse per gli Stati Uniti, e non aveva potuto far altro se non
comporre nella sua mente un accompagnamento col violino; si rendeva
conto del fatto che fosse un'intrusione da parte sua nel dialogo
disperato tra K e Bjarne, ma ne aveva sentito la necessità fin dalle
prime note.
Quella
musica era cominciata come se fosse stata una voce maschile,
malinconica ma allo stesso tempo risoluta, a parlare, una voce che ad
un tratto si faceva più dolce e rassicurante, come se cercasse col
suo affetto di cacciare via la tristezza.
E
a quel punto interveniva una voce femminile esagitata, incalzante,
affannata, che quasi copriva quella di lui, lui che tentava di
continuare il proprio canto consolatorio. Alla fine era la voce di
lei a prendere il sopravvento, ripetendo con tristezza il motivo di
lui; finché il suo canto acuto non si spezzava, non si sdoppiava,
come se il pianto avesse preso il sopravvento, come se si stesse
chiedendo il perché di tutto questo mentre le lacrime cadevano a due
a due, finché la sua voce non scoppiava e le parole si susseguivano
come un fiume in piena. Non c'era spiegazione per quel dolore, non
c'era rimedio, era rimasta una sola voce e il cielo era muto. Il suo
sole si era spento, e lei, povera luna arida e fredda, non poteva più
brillare della sua luce riflessa.
Cercava
di recuperare la ragione, sembrava stesse prendendo un bel respiro,
la sua melodia non era più così acuta e concitata, ma questa quiete
durava poco, perché la voce si strozzava nella gola, e ricominciava
il pianto.
Ma
lui ritornava a parlarle, la sua voce faceva da contrappunto a quella
di lei... o forse era solo un'illusione? Forse era un'eco lontana di
lui che ormai non c'era più? Forse era per questo che il canto di
lei si faceva così aggressivo, si ribellava alla melodia, anche se
lui, distante, tentava di rassicurarla. E ci riusciva. Riusciva a
riportarla alla melodia che insieme avevano cominciato, e,
approfittando della ritrovata calma di lei, lui riprendeva a parlarle
dolcemente, abbracciandola, bagnandosi con le sue lacrime.
Ma
la rabbia tornava ad impadronirsi della voce femminile capricciosa ed
inconsolabile, che quindi si staccava da lui, si ribellava alla
melodia e batteva i piedi per terra come le dita che in quel momento
colpivano violentemente i tasti.
Eppure
lui riusciva a riprendere il sopravvento, sempre così calmo, così
malinconico, come se stesse cercando di affondare le grida di lei nel
proprio petto. Triste non tanto per il fatto di non esserci più,
quanto perché in questo modo aveva lasciato lei da sola.
Così
lei gli rispondeva, a volte in modo titubante, con le medesime parole
che lui aveva per primo pronunciato, mentre le lacrime le cadevano
dagli occhi ritmiche e distanti, finché la voce non si spezzava di
nuovo per il pianto; eppure, ora non c'era più rabbia nella sua
voce. E, mentre lei continuava il suo canto sempre malinconico, ma
ora più tranquillo, la voce di lui si era fatta muta, e non sarebbe
più tornata. Ma tutte le parole erano state ormai dette, e lei era
finalmente libera di dargli il suo ultimo addio.
E L ora accompagnava quel
pianto disperato col suono di un violino invisibile. Un intruso, in
quel dolore e in quella relazione, com'era sempre stato. Eppure, non
poteva evitare di sentire il bisogno di partecipare a quel canto, se
non altro, almeno per accompagnare e sostenere quelle due voci
malinconiche.
Note
Stavo cominciando a perdere
le speranze con questa fic: la parte della Yotsuba è lenta e noiosa,
e io la sto tirando ancora di più per le lunghe perché c'erano
mille argomenti, tutti più o meno pesanti, che avrei voluto
trattare. Fortunatamente sono riuscita a ritrovare un po' il giusto
slancio leggendo altro (tra cui le fanfiction su Death Note di
Alumina, che vi consiglio, in caso non le abbiate già lette) e
cominciando la stesura del prequel Before November 8th.
Mi serviva proprio, è stata una boccata d'aria fresca. Ho
scritto questo prologo e la prima one-shot di Before insieme,
e credo che questo prologo sia anche indicato come prologo delle
one-shot di Before November 8th.
In ogni caso, se avete delle fic di Death Note da suggerirmi come
lettura, non esitate a dirmelo tramite messaggio privato! Nelle
prossime settimane sarò impegnata a preparare gli esami per
settembre, ma spero di potermi ritagliare del tempo per leggere e
scrivere.
Ci tenevo a fare alcune
precisazioni su questo capitolo: innanzitutto, la canzone che K
“compone” per elaborare il lutto di Bjarne è “Comptine
d'une autre été” del film “Il Favoloso Mondo di Amélie”.
La scena del piano l'avevo immaginata mesi e mesi fa come risposta
alla scena delle mani insanguinate (che qui non ha la pregnanza che
le avevo dato in una stesura intermedia, perché sto modificando
alcune cose della trama), e sentivo che la canzone suonata da
K doveva essere quella. Così ho immaginato un ultimo dialogo tra K e
Bjarne, visto dagli occhi di L.
Per il Nocturne, o
meglio, per la mia conoscenza e il mio apprezzamento di Chopin, sono
debitrice ai Muse: il Nocturne in E-flat Major Op. 9 No. 2 è
infatti inserito nella coda “Collateral Damage” a “United
States of Eurasia”. Pensavo che un piccolo L, terrorizzato
dagli incubi di sua madre che si butta giù dalla finestra, potesse
effettivamente addormentarsi al suono di una voce che “canta” il
Nocturne. Il dettaglio dell'asse di legno coi tasti su cui K
immaginava di suonare l'ho invece preso dal film “Il Pianista”.
Altra cosa, che ora mi
sento in dovere di spiegare: Bjarne è palesemente un sole, e K una
luna, in più di un senso, ed era talmente palese che persino L
probabilmente sarebbe giunto ad una considerazione così “romantica”.
Eppure, anche se pensa di essere escluso dalla cerchia degli affetti
più profondi di K, io non la vedo così. Per me K è la luna, e L la
Terra. La luna è nata dalla Terra quando questa era ancora troppo
giovane per ricordarsene; K ha scelto il suo nome in relazione a L,
che aveva deciso di farsi chiamare così. K era una ragazzina rimasta
in orfanotrofio per tre anni per superare il trauma della morte dei
propri genitori, prima di entrare alla Wammy's House. Quando arriva è
una bambina distrutta, che sta cercando una ragione per continuare a
vivere; poi incontra L, e vede nei suoi occhi il vuoto in cui lei
stessa aveva avuto paura di sprofondare, per questo decide di
prenderlo sotto la propria ala. Sceglie il nome di K per non farlo
sentire solo, diventa una figura di riferimento per lui perché solo
salvando lui crede di poter salvare se stessa. K gravita attorno ad L
e, forse, con gli anni L ha dato un po' per scontata la sua presenza,
tanto da infuriarsi nei pochi momenti in cui lei è più presente per
suo fratello che per lui. Ricordiamo che L è canonicamente infantile
e capriccioso, e io gli ho aggiunto un bel trauma con la madre e un
complesso edipico irrisolto. Avrei voluto trattare prima o poi questa
questione, ma faccio fatica a trovare qualcuno che possa dare voce a
questi pensieri: forse l'unico che avrebbe potuto farlo sarebbe stato
Bjarne, ma io, purtroppo, Bjarne l'ho fatto morire.
Per questo gli ho scritto
un prequel.
Grazie davvero dal profondo
del cuore a chi ancora mi segue, a presto!
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Capitolo 23 *** Capitolo 18 - Fiori di ciliegio ***
Capitolo
XVIII
Fiori
di ciliegio
Sono
felice che ti abbiano portato da me.
Sentivo
proprio il bisogno di vederti, di parlarti un po', di trascorrere un
altro po' di tempo insieme.
Però,
trovo che quest'urna non ti si addica per niente. Le fanno davvero
tutte così serie? Apprezzo il fatto che sia blu, come il
mare che
adoravi tanto, e, con un po' di fantasia, potrei vedere in quelle
righine dorate lì, sulla base e sul collo, come i riflessi
del sole
sulle onde. Penso sia un'immagine che ti calza a pennello.
Però,
scusa se te lo dico, ma la trovo un po' freddina. Dai, magari quando
tutto questo sarà finito prenderò lezioni di
ceramica e te ne farò
una nuova su misura.
Al
lavoro va tutto bene, non ti preoccupare. J dice che sta lavorando ad
una pista della quale non mi vuole dire nulla, quello stronzetto.
Però sai, ha davvero fatto un ottimo lavoro in questi mesi.
Sia lui,
che Q, che Roger. Anche tuo cugino Chris se la sta cavando
egregiamente. Sai, anche loro vivono qui, in questo hotel. Siamo
tutti sotto scorta. Roger sta proprio qui di fianco, Chris sta in
fondo al corridoio, siamo tutti su questo piano. Ti porto dalla
finestra per vedere il panorama?
...
Sei
incredibilmente leggero. È incredibile che io possa
sollevarti e
portarti in giro. Ricordo quando mi alzavi di peso dal divano mentre
ero incinta e mi addormentavo davanti alla TV, tu mi portavi nella
mia stanza e mi rimboccavi le coperte. Con quello che costano gli
affitti, e col tuo misero stipendio, ti eri intestardito a voler
prendere un trilocale per avere una stanza per gli ospiti. Povero
scemo. E mai che tu abbia accettato un centesimo da me! E dire che,
praticamente, quella stanza in più alla fine era diventata
la mia
stanza.
...
Spero J non
decida di venire qui a
parlarmi di lavoro mentre sto con te. Non capirebbe. Nessuno della
Wammy's House probabilmente capirebbe, L soprattutto. Ci hanno
istruito all'assoluto agnosticismo e alla Religione della Logica, ma
non ho mai fatto caso a queste cose. Ecco, lo sapevo, ora ridi e fai
battute sul fatto che sono irlandese e quindi devo per forza essere
cattolica praticante. Quanto sei infantile, a volte! Guarda che non
è
per questo. È per il coma. Quello di quando ero bambina, non
quello
di due mesi fa. Sai, la cosa della luce bianca, e tutto il resto.
Io... non l'ho mai detto a nessuno, nemmeno a te, ma... ecco,
è
successo anche a me. Non ti so dire il perché ed il per
come, ma
credo di aver sentito qualcosa. Per questo ho poi deciso di
specializzarmi in esoterismo, sai? Cioè, non mi
fraintendere, non è
che volessi fare la Ghostbuster, figurati, ma mi interessava
approcciare la questione della vita dopo la morte in modo... tecnico
e razionale. Che è praticamente l'unico approccio che mi
abbiano
insegnato ad usare.
Non
sarebbe probabilmente stato così, se mio padre non fosse
morto. Lui
aveva l'animo di un poeta, lo sai. Filtrava tutto ciò che
vedeva con
la poesia, e riusciva sempre a farmi osservare il mondo attraverso
lenti colorate. Però poi arrivava mia madre e mi restituiva
un'immagine oggettiva ed analitica della realtà. Erano i
tipici
opposti che si attraggono, loro due, ci ho pensato spesso, sai?
Però,
in qualche modo, a me è sempre sembrato che tu fossi
più figlio di
mio padre che di nostra madre; anche tu come lui adoravi circondarti
di bellezza, e anche tu come lui adoravi far sorridere la gente.
Spero vi siate incontrati, ovunque voi
siate. Penso che a lui tu piaceresti molto.
Aaaarg.
Merda.
Fa freschino qui.
No, tranquillo, era solo una folata di
vento sulla schiena, m'è venuto un brivido e...
Ah, già, te non hai visto il tatuaggio.
Guarda, è ancora fresco, e sono solo i
contorni. Cinque ore dal tatuatore per farli, e tra un mese devo
ritornare per il colore. Ti piace? È un ramo di ciliegio.
L'ho fatto
partire da qui in basso, copre tutta la schiena in diagonale e
finisce proprio sulla mia cicatrice sulla spalla destra.
Così ora,
anziché avere quel brutto taglio antiestetico,
avrò un ramo
fiorito.
Vedi? Questi sei fiori che si sono
staccati da ramo e stanno cadendo siete voi: qui ci sei tu, qui
c'è
nostra madre, mio padre, mio zio, e quelli più piccoli sono
Naomi e
Raye. È vero, non è che avessi tutta questa
confidenza con loro, ma
sono sempre stati carini con me, e anche se avevano capito che gli
nascondevo qualcosa non hanno mai detto nulla.
Lo so, il ciliegio è il fiore che
usavamo per riferirci in codice a L. Perché in parte
è giapponese e
perché quel vecchio albero in riva al fiume era il suo posto
preferito. E anche il mio. Però pensavo che potesse essere
una buona
idea questo tatuaggio. In parte perché, con tutto il male
che ho
dovuto sopportare e che dovrò sopportare ancora tra colore e
ritocchi, magari in questo modo la smetterò di farmi del
male
picchiando cose solo per contrastare i miei sensi di colpa. Ma anche
per il significato dei fiori di ciliegio: la bellezza splendente ma
effimera della vita, la sua delicatezza e fragilità. Non so
se hai
notato, anche perché questo è solo lo scheletro e
manca il colore,
ma per ogni fiore caduto c'è un germoglio: dopotutto, la
caduta dei
fiori di ciliegio non è la fine; è necessaria
perché poi nasca il
frutto, il seme, e così via. Quelle cose lì.
Insomma, pensavo potesse essere bello.
Solo che ora mi tocca muovermi al
rallentatore per evitare di tirare la schiena e devo spalmarmi la
crema e non posso mettermi vestiti normali. J ha storto il naso,
già
si lamentava perché è contro le regole della
Wammy's House farsi
tatuaggi (sai, per la questione dell'anonimato e del travestimento),
e poi perché così non mi muovo alla stessa
velocità di prima. Gli
ho detto che più che correre come una scema per gli uffici
è meglio
che faccia muovere il cervello, ma sai com'è fatto,
criticare è il
suo passatempo preferito.
Mi
manchi, sai? Sarò banale, ma è così.
Eri il mio stesso sangue, eri
tutto ciò che rimaneva della mia famiglia. Avevi i
lineamenti così
simili ai miei, a quelli di nostra madre, ed era come se emanassi una
luce, come mio padre. Ho sempre voluto vedere loro in te, in qualche
modo. Sai, tutto nella mia esistenza mi pareva un surrogato di
qualcos'altro: Roger era un surrogato di padre, L da bambino era un
surrogato di fratello minore, poi è diventato un surrogato
di
trombamico complessato in quella sottospecie di surrogato di
relazione che avevamo. Pure il mio pianoforte disegnato sulla tavola
di legno era un surrogato. Ma tu... tu eri reale. Eri davvero mio
fratello, eri davvero il mio sangue, e soprattutto mi volevi davvero
bene come un fratello. Inconsciamente, cercavo così
disperatamente
un contatto umano, dell'affetto, un abbraccio, che quando ho trovato
tutto questo in te per me è stato come... come risvegliarmi
da un
letargo, più o meno. È vero, il nostro rapporto
fratello/sorella
non è mai stato come tutti gli altri, ma semplicemente
perché non
abbiamo vissuto sotto lo stesso tetto, quindi non c'era occasione
perché nascessero tensioni, gelosie e scontri. Non so dove
ho
sentito dire che i parenti li si apprezza di più quando non
li si
vede. Forse è davvero questo il segreto della nostra
amicizia.
Spero
che quello che ho detto non ti renda triste. Cioè, lo so che
eri
preoccupato del fatto che potessi rimanere da sola se fossi morto
prima di me, ma credo che me la caverò. Stai a vedere. Roger
a
quanto pare col passare degli anni è diventato un tenerone,
e sono
certa di poter contare su di lui in ogni occasione. Gli voglio bene,
davvero. E non solo perché ha rischiato di rimetterci la
pelle in
tutti questi anni solo per proteggere noi. Ma perché...
è una brava
persona. Sono davvero orgogliosa di lui, non perché
è intelligente
o perché è diventato un eccellente poliziotto, ma
perché è
diventato una brava persona. Era un narcisista egocentrico, e ora
invece è una brava persona. Qualcuno di cui andare fieri.
Sai, il
tatuaggio... i fiori che sono
ancora attaccati al ramo non sono casuali: ognuno rappresenta una
persona che mi ha lasciato qualcosa di importante. Infatti il fiore
di Roger è qui, lo vedi? Ci sono anche i tuoi, su questo
rametto,
dove c'è il germoglio lasciato dal tuo fiore che
è caduto. E qui di
fianco c'è L, più sotto c'è Watari, e
quel bocciolo che non è
ancora fiorito... è tuo nipote. Cioè, lo so, lui
non l'ho nemmeno
mai visto, non mi ha lasciato nulla... ancora. Ma ha fortemente
condizionato la mia vita e le mie scelte, e, anche se non avrei
voluto avere un figlio in questo modo, ho sempre cercato di fare il
possibile perché potesse essere fiero di me, un giorno.
Perché so
che scoprirà di essere figlio mio e di L. È
intelligente quanto suo
padre, me lo sento dentro.
In
realtà, sto pensando al futuro,
ultimamente. Strano, vero? Penso a cosa vorrei fare della mia vita
quando tutto questo sarà finito. Intendo, se usciremo vivi
dal caso
Kira e se non mi sbatteranno in prigione per il caso PPEP. E nulla,
pensavo al fatto che, come ho imparato ad apprezzare Roger come
persona e anche come padre, magari c'è una
possibilità che succeda
lo stesso con Nate. Potrei darci una possibilità, magari.
Non lo so,
vedrò.
E poi con L.
Mmm...
so che eri curioso di sapere cosa sarebbe successo quando mi avrebbe
riconosciuta. Immagino tu l'abbia visto, no? Non è...
esattamente
una cosa semplice. Voglio dire, oltre al fatto che continua ad
avercela, giustamente, con me... una bottarella me la darebbe ancora.
Ecco, ora stai ridendo. Guarda che è una cosa seria! Ed
è un
problema, perché se si lascia trasportare dagli ormoni come
quando
aveva diciassette anni, finirà per fare qualche stronzata. Di
sicuro. E sono
certa che Light
abbia capito qualcosa. Penso fosse inevitabile; Light non è
cieco e
non è stupido. Certo, gli altri poliziotti è
improbabile che ci
arrivino, visto e considerato che dopo tutto questo tempo continuino
a negare l'evidenza per quanto riguarda Light e Misa e il fatto che
siano stati i due Kira.
D'altra
parte, penso che L sia anche parecchio interessato a Light. Sai, la
sera in cui... te ne sei andato... voglio dire, quel giorno L ha
detto a Light che lui era il suo primo, vero, caro amico, e questo mi
aveva mandata in bestia. Ho sempre detestato la sua infantile gelosia
nei tuoi confronti, ed è per questo che l'ho sempre trattato
come un
bambino, anche se mi rendevo conto di quanto fosse sbagliato. Il
fatto è che... ora L è sempre più
coinvolto. Temo che non voglia
fare progressi con l'indagine non solo perché teme di fare
il gioco
di Kira, ma anche perché non vuole che Light recuperi i
ricordi ed i
poteri di Kira. Sai... ora il ragazzo ha un'altra
personalità. È
evidente; talmente evidente che non capisco come suo
padre
non se ne
accorga. Giusto per
tornare al discorso di prima. Da un certo punto di vista, vorrei che
non ce l'avessi con lui, anche se è quello che ti ha
materialmente
ucciso. Ma cosa dico, ovvio che non ce l'hai con lui!
Se
ci fossi tu, sono certa che potresti salvarli. Lui e Misa. Misa
è...
un'orfana, come me. I suoi genitori sono stati uccisi da un ladro,
così, senza alcuna spiegazione, e come se non bastasse,
girano voci
che sia stata spesso aggredita dai fan, che sia stata stalkerata e
che abbia avuto a che fare con diversi maniaci. Penso sia evidente
dal modo in cui parlava a L quando lui la teneva prigioniera: non
piangeva, non urlava, non tremava di paura, non era nemmeno
paralizzata dal terrore; lei in parte continuava a recitare
una parte da idol
vittima, quasi
come fosse un
gioco di ruolo a letto. Mi ha fatta inorridire, perché ho
pensato
che non fosse la prima volta che veniva presa con la forza da
sconosciuti, probabilmente stuprata e chissà cos'altro; non
è così
che dovrebbe reagire una ragazzina di vent'anni legata e bendata non
si sa bene dove e non si sa bene da chi! Non oso immaginare come
debba essere stata la sua vita, ma in ogni caso dubito sia stata
piacevole. Non sarebbe strano se si fosse aggrappata con tutte le sue
forze all'idea di una giustizia divina che colpisce i colpevoli
quando la società non lo fa, e se questo l'avesse fatta
innamorare
di Kira, nella persona di Light. O meglio: per Light ha una cotta
quasi infantile, davvero strana per una della sua età;
sembra quasi
che Misa in Light veda l'ideale di ragazzo che non ha mai avuto...
gentile, educato, serio, quasi cavalleresco e soprattutto non
ossessionato dal sesso (cosa davvero strana, per uno della sua
età,
se me lo fai dire). Per Kira, invece... sembra provare una devozione
assoluta, un amore che porta al martirio, come se volesse
completamente abbandonarsi al suo volere ed annullare se stessa per
realizzare un destino più grande. Ci ho pensato guardando e
riguardando le immagini del suo arresto e della sua prigionia, prima
del cambio di personalità. Sai, non ha opposto resistenza
quando
l'hanno presa. Nonostante la tortura (L prima o poi se la
dovrà
vedere con me per questo!), non ha mai vacillato, era pronta a morire
pur di non tradire Kira. Ed ecco... penso che se ci fossi tu insieme
a noi, le cose sarebbero molto diverse. Magari riusciresti a salvare
Misa dalla voragine che si è scavata dentro di lei, e che
lei ha
tentato di riempire con la sua devozione al dio di una giustizia
distorta... come hai salvato me. E forse riusciresti anche a
riportare a galla la luce che c'è in Light. Buffo gioco di
parole,
non credi? Si chiama Light, ma forse Glimmer sarebbe più
appropriato: la sua è una luce offuscata, praticamente
soffocata
dalla noia. Sai che il suo nome si scrive con kanji di
“luna”?
Trovo che sia una cosa come minino bizzarra, visto che la luna di per
sé non dà luce.
Sì,
sì, lo so... ultimamente sta
uscendo il mio lato sentimentale. Ma dopotutto, sono figlia di mio
padre, no? Anche a me, come a lui, piace vedere un po' di poesia nel
mondo, solo che per un sacco di tempo non ho voluto guardare al di
là
del mio naso; era tutto grigio, quando non c'eri tu.
Mi fa bene
parlare con te. Del caso, di
quello che mi passa per la testa, di tutto. Mi aiuta. Vorrei solo
poter essere d'aiuto anch'io, per gli altri. Voglio dire, lo so che
Misa e Light sono colpevoli e che andrebbero messi in carcere a vita,
ma vorrei che almeno Misa potesse liberarsi dei suoi demoni
interiori, e Light trovasse un senso alla propria esistenza;
perché,
ora come ora, loro due sono già morti, dentro. Ma purtroppo
io non
sono come te; a malapena riesco a reggermi malamente sulle mie gambe.
E trovo sia incredibilmente egoista il fatto che abbia cominciato a
prendere seriamente in mano la mia vita solo ora che non ci sei
più.
Eri la mia rete di salvataggio, emotivamente parlando, e invece ora
devo trovare da me la forza di andare avanti. Però ti sono
grata per
tutto quello che mi hai trasmesso in questi anni. Se
riuscirò a fare
qualcosa di buono per le persone, lo dovrò solo a te.
…
Credo sia ora di
andare. J voleva
vederci per cena, quindi andiamo nel suo appartamento, e io prima
devo cercare di mettermi la crema sul tatuaggio.
Mi dispiace doverti lasciare qui, ma
vorrei continuare a parlarti appena torno. Magari di cose un po'
più
divertenti, eh? Sì, non ti devi preoccupare; è
vero che negli
ultimi tempi ho continuato ad andare avanti soltanto perché
reprimevo i miei sentimenti, come se fossi un robot. Ma ormai sono
fuori da quella fase.
Non ti preoccupare per me. Hai sempre
cercato di trasmettermi la tua luce e la tua forza. Non le
lascerò
chiuse in un cassettino come delle reliquie mentre continuo a
ripiegarmi su me stessa. Le farò splendere, e
farò splendere te con
loro.
Ti voglio bene,
fratellone.
Note
Mi dispiace
nuovamente per il ritardo di
più di un mese.
Questo capitolo è rimasto breve (so
che
avete tirato un sospiro di sollievo al vederlo) perché
volevo
lasciare a K e Bjarne il loro momento e il loro spazio. Essendo un
monologo, ovviamente mi sono concessa più libertà
da un punto di
vista grammaticale e di punteggiatura.
Purtroppo, giusto
dopo aver pubblicato i
due capitoli di November e Before un
mese fa, c'è
stato un evento a livello personale che mi ha destabilizzata
parecchio, motivo per cui non ho voluto scrivere nulla fino a che non
fossi stata sicura che la mia situazione personale non avrebbe
influito su ciò che scrivevo (già questo
è un angst, ci manca
ancora che mi lasci trasportare dai sentimenti negativi e faccia
fuori gente a caso). Non so se riuscirò a mantenere un certo
ritmo
nella pubblicazione, ma non temete; prima o poi vedremo la fine di
questa epopea!
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Capitolo 24 *** Capitolo 19 - Il punto ***
Capitolo
XIX
Il punto
Light si alzò automaticamente dal
tavolo della mensa comune, prendendo il proprio piatto per andare a
lavarlo, ma a metà del movimento ricordò di
essere ammanettato allo
scontroso detective che vegetava ancora seduto di fianco a lui,
sorseggiando controvoglia un caffè d'orzo. Da quando
Nathalie se
n'era andata, si era impuntato per interrompere le indagini che lei
aveva messo in moto, ed era ritornato a gestire il secondo Kira come
aveva fatto nei due mesi precedenti: vale a dire non muovendo un
dito.
Light era furioso con
lui, ma si era
ripromesso di non prenderlo più a cazzotti, dal momento che
l'ultima
volta avevano spaventato a morte Misa e avevano rischiato di far
saltare i punti alla spalla di Nathalie; così aveva pensato
di
sfidarlo nuovamente a tennis, come quel giorno
all'università che
ormai sembrava appartenere ad un'altra vita, ad un altro Light.
Ryuzaki sarebbe stato soddisfatto soltanto con un confronto diretto
con lui? Benissimo. Sarebbe stato disposto a fare qualunque cosa,
purché quel capriccioso bambino troppo cresciuto si
rimettesse al
lavoro. Non poteva sopportare che la vita di decine di persone ogni
giorno dovesse dipendere da un individuo tanto egocentrico ed
irresponsabile.
Le loro giornate ormai trascorrevano
lentamente, tutte uguali, tra il monitoraggio delle morti e sempre
più frequenti visite all'appartamento di Misa; Ryuzaki
sembrava
trovare estremamente divertente l'idea di mandare la ragazza su tutte
le furie presenziando ad ogni loro “appuntamento”.
Forse, in quel
momento, quello rappresentava il suo unico svago. A Light interessava
poco, in ogni caso: Misa era sicuramente una ragazza bellissima, ma
lui non provava alcun interesse nei suoi confronti. Nonostante avesse
sempre avuto grande successo con le ragazze, non ne aveva mai
approfittato più di tanto; le trovava tutte... noiose. Anzi,
ora che
ci pensava, aveva sempre trovato la sua intera vita noiosa.
Era sicuramente stato baciato dalla
fortuna alla nascita, Light Yagami; era sempre stato bello, sveglio,
intelligente, atletico. Era sempre il migliore in tutto ciò
che
faceva, e senza chissà quale sforzo, come se la sua intera
vita
fosse stata un gioco con un livello di difficoltà
estremamente
basso. Nulla sembrava in grado di stuzzicare la sua
curiosità. O
almeno, così era stato finché non era comparso
Kira. E poi Ryuzaki.
E probabilmente anche Nathalie. Delle menti così acute erano
state
come una boccata d'aria fresca per la noiosa vita di Light. Erano
stimolanti, intriganti, in grado di spiazzare il ragazzo che credeva
sempre di essere tre passi davanti a tutti. Erano figure che lo
affascinavano. Forse era anche per questo motivo che ce l'aveva
così
tanto con Ryuzaki per essersi lasciato andare in quel modo.
-Hai per lo meno
intenzione di alzarti
dalla sedia?- domandò al suo compagno, senza nascondere una
nota di
irritazione nella voce.
Il detective si
voltò a guardarlo con
occhi sbarrati e inespressivi, col cucchiaino che gli penzolava dalle
labbra.
-Hai fretta, Light?-
fece, sgranchendosi
le dita dei piedi.
-Carne rossa per cena? Di nuovo?-
domandò K alzando un sopracciglio, chiudendo la porta
dell'appartamento di J dietro di sé. -Mi spiace, ma io
stavolta
passo.-
-E dai, non fare la
guastafeste!- esclamò
J andandole incontro e alzando una mano per darle una pacca sulla
schiena, gesto al quale K reagì con uno scatto fulmineo per
uscire
dal raggio d'azione dell'uomo.
-Se mi tocchi sopra il
tatuaggio giuro
che ti spezzo un osso a tua scelta.- ringhiò.
-Finitela voi due.-
sbuffò Q dall'altra
stanza, senza degnarsi di lasciare la propria sedia. -Ho un sacco di
lavoro da fare e non mi pagate abbastanza per farmi assistere ai
vostri battibecchi.-
L'atmosfera in pieno
stile Wammy's House,
che avrebbe fatto affiorare una smorfia nostalgica vagamente simile
ad un sorriso sulle labbra dei tre ex studenti, fu rotta dall'aprirsi
della porta e dall'ingresso di Burton e Medina.
Ora c'erano tutti.
Si sedettero intorno al tavolo della
sala e presero a cenare, discutendo animatamente tra un boccone e
l'altro.
-Dico solo che se non
fosse stato per
noi, a quest'ora saresti già in carcere, bella mia.-
esclamò a gran
voce J, puntando il pezzo di pane che stava sbocconcellando in
direzione di K. -O magari all'obitorio. Non so quale delle due
opzioni mi entusiasmi di più.-
Il suo viso
già naturalmente tendente al
rosso era ormai paonazzo, e dopo appena un bicchiere e mezzo di vino.
-Come se tu avessi
effettivamente fatto
qualcosa di utile.- lo canzonò Q, sistemandosi gli occhiali
sul naso
e tagliandosi con cura il filetto alla Wellington nel proprio piatto.
-Vorrei ricordare a tutti i presenti che io ho dovuto tenere
sotto controllo la corrispondenza di Hayer e di buona parte della
Hogson e dell'FBI dal momento in cui la nostra cara collega
s'è
rifatta viva con Watari.-
Fissò
intensamente K cogli occhi color
nocciola, sempre vispi sotto le pesanti palpebre. -Non mi sono
probabilmente mai annoiato tanto a fare un lavoro. Ho dovuto alterare
ogni rapporto che Grumann ha inviato ad Hayer su tutti i componenti
della squadra di L e sul caso Kira, perché non trapelassero
informazioni sulle indagini. Senza contare la magnifica trovata di
cambiare il cognome di Hayer per impedire che venisse ammazzato.-
Schioccò la
lingua, e poi si portò la
forchetta alla bocca.
-Hai ragione, Q.
Dovrei farti una
statua.- gli sorrise K, posando il calice di vino.
-Bene, se avete
finito, allora...- si
intromise Medina, ripulendosi le labbra carnose col tovagliolo
bianco. -... direi che potremmo discutere del caso Hogson.-
Si sentì il
rumore delle posate che
venivano rimesse sul tavolo, tranne quelle di Q, che stava
continuando a masticare lentamente.
L'avvocato si voltò verso la giovane,
che gli sedeva di fianco, poggiandole una mano sulla spalla.
-La prima udienza si
avvicina. Dobbiamo
preparare la tua testimonianza, ma essere anche pronti al
contro-interrogatorio della difesa.-
-Finirò sul
banco degli imputati, lo
so.- disse lei con un sospiro, incrociando le braccia. -Tenteranno di
portare alla luce tutto il torbido della faccenda per farmi mangiare
viva dalla giuria popolare e minare alla credibilità della
mia
testimonianza.-
-E il fatto che sia
stato io a condurre
l'arresto non farà altro che indebolire le basi
dell'accusa.- disse
allora Roger, col suo solito tono calmo e controllato. -È
una strada
in salita. Ci sono abbastanza prove per sbattere in galera tutti,
anche gli inservienti, ma nessuno di noi ha agito secondo la legge. E
rischiamo di perdere. Rischiamo grosso.-
Si sentì un
pugno battere sul tavolo, e
i calici tremarono emettendo un flebile tintinnio.
-Però, se
al nostro posto ci fosse L,
nessuno oserebbe dirgli nulla!- protestò J, con voce un po'
troppo
alta.
Quasi
contemporaneamente, Q e K rotearono
gli occhi.
-Quel figlio di
puttana se ne frega delle
regole, delle leggi e delle costituzioni, fa di testa sua, infrange
trattati, risolve casi e tutto il mondo è lì
fuori, in ginocchio,
pronto a leccargli il culo.-
Nessuno
parlò, ma Roger, seduto di
fronte alla figlia, le rivolse un eloquente sguardo che pareva dire
“Non è che abbia tutti i torti”.
Per tutta risposta, K
si alzò dal suo
posto e prese con fare deciso la bottiglia di Bordeaux e il calice di
vino di J, e si allontanò verso il cucinino.
-Non hai tutti i
torti.- disse, mentre si
allontanava. -Ma lamentarsene ora non ci aiuterà a risolvere
questo
casino.-
-Te devi solo stare
zitta.- le urlò
dietro l'uomo. Poi si voltò verso gli altri seduti al
tavolo, e
abbassò lo sguardo. -Ci hanno cresciuti come mostri. Delle
bestie,
delle bestie razionali e senz'anima, pronte a fare qualsiasi cosa per
trovare la verità.-
-”Ogni caso
è un enigma”.-
intervenne Q, passandosi una mano sulla barbetta curata. -”E
un
enigma va risolto con ogni mezzo”.-
J scosse la testa con
un sorrisetto
sprezzante. -Siamo arrivati a sacrificare la legge in nome della
giustizia. Siamo poco più che criminali legalizzati.-
-Come i pirati al
servizio della Corona.-
intervenne K, ritornando al tavolo reggendo con un piatto con della
frutta e una pagnotta, che posò davanti a J. Poi prese una
brocca
d'acqua e gli riempì il bicchiere fino all'orlo.
-Dobbiamo lavorare. Ci
servi lucido al
cento percento.- gli ringhiò contro, intimandogli di
mangiare e bere
con uno sguardo di fuoco.
-J non è ubriaco, K, anche se non
sembra avere ben chiaro quale sia attualmente il volume della sua
voce.- Q riprese a parlare, mentre Medina si alzava a sua volta per
prendere i piatti vuoti e portarli via.
-È solo
frustrato, e questo perché... è
che tutti noi abbiamo vissuto il nostro momento di crisi, di
conflitto, quando abbiamo cominciato a lavorare e ci siamo trovati a
dover scegliere se operare entro i limiti della legge, oppure agire
col solo fine di trovare la verità.-
K era tornata al suo
posto, appoggiando
entrambi i gomiti sul tavolo e lasciando cadere il suo volto stanco
sulla mano chiusa a pugno.
-Ma L...- riprese Q,
togliendosi gli
occhiali e strofinandosi gli occhi con la mano aperta. -...
è sempre
stato uno degli studenti più dotati, ma anche più
inquietanti. È
vero che noi compagni non siamo mai stati molto... collaborativi; vi
abbiamo maltrattati per anni, e tu sei stata la sola a volerti
prendere cura di lui.-
-E con che
risultati...- bofonchiò J,
mentre beveva il bicchiere d'acqua a piccoli sorsi.
-Chiudi quella bocca.-
lo zittì Roger.
Q e K si voltarono a
guardarlo con
espressione smarrita, alla quale il poliziotto rispose con uno dei
suoi irresistibili sorrisi.
-Mi interessa sapere
cos'avete da
recriminare a mia figlia. Perciò, prego, continua. Basta che
non la
facciate tanto lunga, perché vi ricordo che siamo qui per
lavorare.-
Q si rimise gli occhiali e si voltò
nuovamente verso la sua vecchia compagna.
-In breve: J ce l'ha
con te perché crede
che sia tu il motivo per cui L conduce le sue indagini in modo
abominevole. Con la diretta conseguenza che qualunque altro ex
studente della Wammy's House che decide di sottostare alle leggi non
ha speranza di poter competere con lui. In pratica, ci hai rovinato
il mercato.-
K rimase immobile,
sbattendo solo le
palpebre in modo ostentato.
-Ragazzi, che cazzo,
ci scopavo solo. E
non
guardarmi così, Roger. Sono adulta e
vaccinata.-
-Lui non lo era.-
-Shh!- lo
zittì K, portandosi il dito
davanti alle labbra serrate e spalancando gli occhi. -L'età
del
consenso in Inghilterra è di sedici anni. Per di
più...- riprese
poi, rivolgendosi di nuovo ai due vecchi compagni, seduti ai due lati
opposti del tavolo. -Sapete perfettamente quanto io fossi la prima ad
odiare i metodi che ci avevano inculcato alla Wammy's House. Magari
avrete indagato su di me e avrete anche capito il motivo per cui mi
sono sempre opposta a quello che ci insegnavano. E ho anche cercato
di farlo entrare in quella testa dura di L, quindi, J, non
prendertela con me se non sei nella top 3 dei migliori detective al
mondo. Sai com'è fatto quello, ha un ego così
smisurato che
addirittura occupa da solo tutto il podio!-
-Se non gli avessi
fatto credere di
esserti buttata da una finestra per colpa sua...- ribatté
allora J,
sbottonandosi i primi bottoni della camicia. -Ammettiamolo: l'hai
rovinato. L'hai rammollito. E poi l'hai fatto diventare più
cattivo
di quanto non fosse. E ora lui pensa di essere al di sopra di
qualsiasi legge, al di sopra della morale.-
-E mi volete dire
tutto ciò cosa c'entra
con caso Hogson?- sbuffò K, reggendo la fronte con le dita e
guardandoli di sbieco.
J si tirò
su le maniche della camicia e
si chiarì la voce.
-Non puoi uscire
pulita da questa
storia.- sentenziò con voce ferma. -Tu e Burton potete
tranquillamente passare dalla parte del torto per aver tenuto la
bocca chiusa per più di sei anni. Tu addirittura lavoravi
per loro.
E poi, guardiamo in faccia la realtà, ci sono pure i
federali
invischiati in questa storia. Credi forse che il governo americano
lascerà che dimostriamo i suoi legami anche solo incidentali
con
un'organizzazione che vende armi in Africa? Andiamo! Sono i campioni
mondiali del lavarsene le mani quando si parla di queste cose.-
Poi alzò di
nuovo leggermente il tono di
voce.
-Senza offesa, eh,
Burton e Medina.-
L'avvocato si era
defilato da un bel po',
dal momento che odiava assistere ai loro battibecchi, mentre Roger
continuava a fissare i giovani con uno sguardo indecifrabile nei
chiarissimi occhi azzurri.
-Nessuna offesa, J.
Basta che arrivi al
punto.-
L'uomo allora si protese verso il
tavolo, appoggiandovi delicatamente i polpastrelli di una mano.
-Dobbiamo prendere
tempo. Dobbiamo
riuscire a far andare avanti il processo finché L non
avrà chiuso
il caso Kira. Da soli non possiamo vincere perché le leggi,
l'opinione pubblica e sicuramente anche parte di un organo
governativo ci sono contro. Ma abbiamo detto che L se ne fotte delle
leggi, delle costituzioni, dei capi di Stato, no? Bene. Vedrete che
rovescerà ogni istituzione esistente, farà a
pezzi il sistema
giudiziario, farà qualsiasi cosa per impedire che la sua
sciacquetta-barra-sorella-barra-madre-barra-mentore finisca in
prigione.-
-Non
funzionerà, J.- disse allora K,
allungando una mano verso un grappolo d'uva nel piatto del compagno,
lasciato da questi intonso. -Se anche la giuria passasse sopra il
fatto che ho mentito sulla mia identità...- e si
tirò un acino
d'uva in bocca. -...Ho collaborato con l'FBI con lo scopo di
sottrarre informazioni... ho partecipato ad autopsie a fianco
dell'NCIS, anche se non ho mai falsificato certificati di morte
né
alterato alcuna prova, tutto ciò mentre lavoravo per
un'organizzazione criminale...-
Rimase a guardare il
secondo acino che
aveva staccato dal grappolo, rigirandoselo tra le dita. -... Resta il
fatto che ho ucciso una persona.-
Poi abbassò
lo sguardo.
-Non importa che abbia
agito per
autodifesa. E non è nemmeno la prima persona che faccio
fuori. Se
devo essere sincera, io spero che mi mettano in prigione.
Anche se non prima di averci fatto finire Hayer e tutti gli altri.-
Sospirò,
tentando di evitare lo sguardo
di Roger.
-Ma poi, a te che te
ne frega? Se Burton
viene escluso dal caso e io finisco in carcere, rimani soltanto tu a
poter chiudere il caso. La gloria sarebbe tutta tua.-
-Ti sbagli, K.-
riprese allora J, con un
sorrisetto sulle labbra sottili. -Tu hai indagato sulla Hogson per
tutta la tua vita. Burton custodiva le prove ed è stato loro
ostaggio per più di sei anni. Se vi toglieste di mezzo e
fossi io a
chiudere il caso, con la strada spianata a questo modo, la mia
vittoria non varrebbe nulla. Sarò soddisfatto solo se
riuscirò a
battere il sistema e a salvarti il culo.-
-Oh, ma fatela finita!- sbottò Medina,
emergendo dai meandri di non si sa quale stanza dell'appartamento.
Si piantò
sulla soglia della porta della
sala, a gambe divaricate e braccia incrociate, nel suo metro e
ottantacinque di fisico asciutto chiuso in una camicia bianca che
contrastava meravigliosamente con la sua pelle olivastra.
Piantò in
faccia a tutti i presenti uno sguardo gelido dei suoi occhi verdi, e
poi alzò il dito indice per aria, con fare decisamente
avvocatesco.
-Detesto sentire la
gente discutere,
visto che già devo farlo per lavoro, perciò
vedete di darci un
taglio e cominciate a dire le cose chiaramente. Stiamo
lavorando insieme, dobbiamo comunicare. K, smettila di credere che al
mondo siano tutti egocentrici e agiscano solo per il proprio
interesse: Burton non è stato ostaggio di Hayer per
più di sei anni
perché sperava di fare il colpaccio mettendolo in prigione e
salire
di grado; l'ha fatto perché ti vuole bene. E J non vuole che
tu
finisca in prigione anche perché forse, in fondo in fondo,
si sente
in colpa per quello che è successo quando eravate bambini.
Forse
forse voi studenti della Wammy's House ci tenete davvero gli uni agli
altri.-
Indicò J
con un cenno della mano mentre
continuava.
-Questa testa calda
s'è sbattuto per
mesi per trovare tutte le prove per scagionarti da ogni accusa
possibile. Dopo che Bjarne è morto e ho cominciato a
lavorare con
lui, praticamente la tua linea difensiva era già tutta
pronta,
perché aveva già preparato tutto. Anche in queste
ultime settimane,
ha smosso mari e monti per trovare l'ultimo tassello del puzzle, e
l'unico motivo per cui ci siamo trovati questa sera era per dirti
che...-
-Non oserai!- lo
interruppe bruscamente
J, alzandosi in piedi e stringendo i pugni.
-Norde è
vivo.- concluse Medina,
ignorandolo. -Il tizio che eri convinta di aver ucciso... l'abbiamo
trovato.-
K spalancò
gli occhi e la bocca
contemporaneamente, dimenticandosi per un attimo come si facesse a
respirare, mentre J imprecava contro Medina lamentandosi di come gli
avesse rovinato la sorpresa, e Burton si alzava dalla sedia
sgranchendosi le gambe e commentando tra sé e sé
il fatto che era
ora che qualcuno si fosse deciso ad arrivare al punto.
Nota
Guarda caso oggi
è lì8 novembre. Dopo quasi un anno e mezzo di
blocco, ho deciso di pubblicare questo capitolo, scritto ormai
più di un anno fa, che non mi aveva mai convinto. Sono
successe molte cose nella mia vita negli ultimi due anni che mi hanno
portato a rivalutare totalmente quello che ho scritto. Non nascondo
che, ormai, mi provoca un misto di ribrezzo e vergogna. Non sono mai
stata un'esperta di fanfiction, non ne avevo mai lette, e sono entrata
in questo mondo dopo aver scritto le mie prime fic (compresa questa,
che sto pubblicando ora ampliata, ma che era già completa
prima che mi iscrivessi a EFP). Non sono più sicura di
quello che scrivo, della legittimità dei miei personaggi e
delle mie scelte di trama.
Tuttavia, ci sono
delle persone che credo avessero piacere di vedere finire questa
storia. Per questo motivo, ho deciso di continuarla. Spero di
concludere in tempi non dico brevi, ma, per lo meno, non biblici.
Grazie per la vostra
pazienza. E grazie a quelle persone che mi hanno dato la motivazione a
lavorare ad altri progetti originali.
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