November 8th 1997

di NicoRobs
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo Parte 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 - Il Demone Bianco ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 - La fisica delle mele e dei sacchetti di patatine ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 - Un ideale di giustizia assoluta ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 - Condanna a morte ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 - Esecuzione ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 - "I promised you not to die" ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 - "Temo di essere io Kira" ***
Capitolo 9: *** Primo Epilogo ***
Capitolo 10: *** Prologo Parte 2 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 8 - "Mio Dio, L, cosa sei diventato?" ***
Capitolo 12: *** Capitolo 9 - "Nov. 8th, 1997" ***
Capitolo 13: *** Capitolo 10 - La bilancia della giustizia ***
Capitolo 14: *** Capitolo 11 - Rivelazioni ***
Capitolo 15: *** Capitolo 12 - Tensione e Scontro ***
Capitolo 16: *** Capitolo 13 - La voce del lago e quella del mare in tempesta ***
Capitolo 17: *** Capitolo 14 - "Un monumento al tuo ego" ***
Capitolo 18: *** Capitolo 15 - Ora d'aria ***
Capitolo 19: *** Capitolo 16 - Dei Delitti e Delle Pene ***
Capitolo 20: *** Capitolo 17 - Mani insanguinate ***
Capitolo 21: *** Secondo Epilogo ***
Capitolo 22: *** Prologo Parte Tre ***
Capitolo 23: *** Capitolo 18 - Fiori di ciliegio ***
Capitolo 24: *** Capitolo 19 - Il punto ***



Capitolo 1
*** Prologo Parte 1 ***



Note

    Vorrei fare qualche chiarimento sul contenuto di questa fanfiction per tutti colori che dovessero fermarsi a leggerla: lessi il manga di Death Note anni fa, e nell'estate del 2016 cominciai a guardare l'anime, che fino ad allora non avevo mai visto. A parte, dunque, manga e anime, non ho letto né visto nessun'altra opera legata a Death Note, motivo per cui è possibile che molti lettori decisamente più appassionati ed attenti della sottoscritta troveranno delle discrepanze rispetto "all'universo espanso" di Death Note. Una di queste discrepanze è la stessa protagonista, K, un OC di mia invenzione, che ho scoperto solo in seguito essere il nome di un personaggio del film L change the WorLd, anch'esso femmina. Ho comunque deciso di mantenere identico il suo soprannome, in quanto lo trovavo significativo ai fini della trama che avevo ormai già in gran parte elaborato. Vi chiedo dunque di perdonare questa mia presa di posizione.
    A parte il cambiamento di alcune sostanziali parti di trama, tipico di ogni fanfiction, vorrei inoltre segnalare che ho deciso di modificare l'età di Near, rendendolo molto più giovane rispetto alla reale età attribuitagli da Oba. Si tratta, questo, di un cambio voluto per inserirsi meglio nella mia trama. Ho inoltre ripreso il personaggio di Q, dal romanzo di L change the WorLd, anche se non ho voluto approfondirlo.
    Ho voluto scrivere questa nota introduttiva perché possiate comprendere i cambiamenti che ho fatto alla trama, ma anche per avvertirvi della mia non perfetta conoscenza dell'universo di Death Note. Se doveste intraprendere la lettura e voleste farmi presenze incongruenze, errori, o evidenziarmi punti poco chiari, vi prego di farlo. Il motivo principale per cui ho deciso di pubblicare questa fanfiction è proprio per potermi confrontare con lettori, scrittori e appassionati più competenti, che mi possano aiutare a migliorarmi nella scrittura.
    Detto ciò, auguro a tutti voi una buona lettura, e rimango a vostra disposizione per dissipare eventuali dubbi o per confrontarmi.


Parte I



Prologo



     Tokyo, 27 dicembre 2003.

In una stradina passeggiavano due uomini ed una giovane donna caucasici. Lei indossava un lungo cappotto nero e un paio di pantaloni eleganti, che terminavano larghi sopra gli stivaletti. Camminava a testa bassa, togliendo di tanto in tanto una mano guantata dalla tasca per spostare dalla faccia ciuffi ribelli del suo caschetto nero. Il suo volto era per metà coperto da grandi occhiali da sole scuri, nonostante il cielo fosse coperto da una spessa coltre di smog, che la luce del giorno non era in grado di penetrare. Uno dei due uomini aveva circa trentacinque anni, i capelli neri tagliati molto corti e rasati ai lati, l'altro, biondo, li portava lunghi fino al collo, con la riga di lato. Poteva avere una quarantina d'anni.

Camminavano vicini e parlavano a bassa voce, senza guardarsi in faccia. I due uomini portavano abiti casual ed erano entrambi alti e muscolosi. La loro camminata era veloce, quasi a passo di marcia. La donna si fermò un istante perché i due la superassero. Scosse la testa.

-Anche un idiota capirebbe che siete agenti in borghese.-

I due si fermarono. -Tenete le spalle più rilassate, guardate la città intorno a voi e, per l'amor del cielo, non siamo ad una parata militare, camminate come persone normali!-

L'agente sulla quarantina fece una smorfia di disgusto. -Sta' a vedere che ora dobbiamo prendere ordini da te, Banks.-

-Non capisco perché abbiano messo voi a farmi da scorta.- riprese la donna chiamata Banks, ricominciando a camminare.

-Perché gli agenti bravi devono sorvegliare quasi centocinquanta famiglie per trovare la talpa dell'Interpol.- rispose lui. -Mentre noi siamo costretti fare da babysitter a una puttana come te.-

La donna non si scompose. Allungò un po' il passo per raggiungere più in fretta l'hotel. Stare fuori in pieno giorno le metteva sempre agitazione.

     Rimanere lì era solo una perdita di tempo. Sperava che le sarebbe stato concesso di partecipare a quelle che senza dubbio sarebbero state ricordate come le indagini del secolo, ma quei cani da guardia le stavano addosso tutto il tempo, e non c'era modo di avvicinarsi al quartier generale della polizia giapponese. Non che sperasse di riuscire a raccogliere informazioni in quel modo, era chiaro, ma quel loro vagare per Tokyo, in attesa che succedesse qualcosa, la stava facendo uscire di senno.

Si trovavano lì da poco: la richiesta di rinforzi per condurre le indagini era arrivata un paio di settimane prima, e l'FBI si era proposto di inviare sei o sette agenti al massimo. Troppo pochi, aveva sentenziato il mediatore. Perciò la sua agenzia si era offerta di mandare alcuni dei propri uomini, come già aveva fatto in passato. La Hogson Society for Veteran Reintegration, o, meglio, la sezione paramilitare chiamata Privates for Police Enforcements Program, di cui il bastardo di Hayer era il capo, aveva alle spalle una lunga collaborazione con le forze federali, Banks sentiva ripetere spesso dai suoi superiori, ogni volta che veniva chiamata per un caso. Eppure, di tutti quegli agenti, addirittura in due erano stati assegnati a lei come “guardie del corpo”. A che pro mandarla in Giappone, allora? Quali erano i piani di Hayer?

     Senza rendersene conto, si stava arricciando una ciocca di capelli intorno al dito indice. Rimise la mano in tasca con un gesto brusco, e si morse le labbra pallide. D'un tratto, sentì uno dei due agenti gemere, e un momento dopo il rumore di un corpo che si accasciava a terra. Si voltò di scatto. -Johnson, cosa ti succede?- chiese l'agente più giovane al proprio collega. Johnson respirava a fatica, e si era portato una mano tremante sopra al cuore. I due non fecero in tempo ad avvicinarsi al compagno che anche l'altro agente iniziò a stringersi il petto. I suoi occhi erano trasfigurati dal terrore.

NO!” pensò Banks.

Il secondo agente cadde in ginocchio, mugolando, col viso rivolto verso il cielo e la bocca spalancata. Quasi nello stesso istante, i due uomini smisero di respirare, ed entrambi i loro corpi si fermarono in posizioni innaturali sul marciapiede. Banks non tentò nemmeno il massaggio cardiaco. Sapeva che non ci sarebbe stato nulla da fare.

Attese ancora qualche istante, pietrificata, col pugno chiuso pronto a battersi sul petto, nel caso l'arresto cardiaco avesse colpito anche lei. Misura inutile, certo, ma non avrebbe voluto che la morte la cogliesse impreparata.

Nel giro di pochi secondi, si erano radunate già diverse persone attorno ai due cadaveri.

Un lampo balzò negli occhi di Banks, che si tolse con un rapido gesto prima gli occhiali dal volto, e poi la collana, mettendoli nella tasca del cappotto.

-Aiuto! Chiamate un'ambulanza!- urlo in giapponese ai passanti.

Si tolse il cappotto e lo appoggiò al corpo di uno dei due e, guardando di sottecchi i curiosi attorno a lei, approfittò di quella posizione per infilare una mano nello stivaletto, estraendo, con un gesto da prestigiatore, una minuscola chiave da dentro la manica della camicetta. Afferrò la chiave col pollice e l'indice, mentre con le restanti dita arpionava il braccialetto elettronico che le cingeva la caviglia.

Click”, fece il braccialetto elettronico. Lo sfilò e lo nascose nella tasca del cappotto, assieme agli occhiali e alla collana.

Poi si alzò e corse in un negozio di fiori lì vicino. -Presto! Ho bisogno di un telefono! I miei due amici stanno male!-.

Un signore le mostrò il telefono e corse fuori dal negozio a vedere cosa stesse succedendo.

     Cinque anni. Aveva atteso per cinque anni un'occasione come quella, e non avrebbe mai creduto che si sarebbe presentata... grazie a Kira.

Pregò soltanto che in tutto quel tempo il numero d'emergenza per gli ex studenti dell'accademia non fosse cambiato, che chi avesse risposto al telefono non le avrebbe attaccato la cornetta in faccia, e che quell'operazione non venisse scoperta. Digitò il numero e rimase in attesa, tremante.

-Wammy's House, parla Harvey- rispose una voce maschile dall'accento britannico. -Prego, identificatevi col vostro numero di matricola.-

-James?-

Banks esitò un momento nel riconoscere la voce dall'altro capo del telefono, ma sapeva di non avere nemmeno un secondo da perdere.

-Ho un messaggio urgente per Watari. La supplico di riferirglielo.- disse, con voce ferma.

-Il numero di matricola, prego.- insistette l'uomo. -In quanto ex studenti della Wammy's House, qualsiasi sia il problema, dovreste sapere che le procedure...-

-K-768706S- lo interruppe Banks. Dall'altro capo del telefono si sentì un mugolio di sorpresa.

-Se... se questo è uno scherzo...- riprese il signor Harvey.

-Senta, James, la prego di non fare domande e di fare quello che le chiedo.- riprese Banks con voce ferma. -È evidente che sono ancora viva, ma non per molto, se non mi ascolta. Il messaggio è il seguente: “Sono la Matricola K-768706S. Sono attualmente un ostaggio del Privates for Police Enforcement Program, sezione paramilitare della Hogson Society for Veteran Reintegration. Ho eluso la sorveglianza perché gli uomini della mia scorta sono morti. Se volete aiutarmi, dovete ingaggiare Nathalie Banks perché vi aiuti col caso Kira. L non deve saperne nulla. Consideratevi in pericolo”.-

-K...Ka...Kay...- balbettò l'uomo all'altro capo del telefono.

-Signor Harvey, non ho tempo di spiegarle. Sappia solo che la vita di alcune persone che Lei conosce dipendono dalla sua riservatezza e dal fatto che Lei riporti esattamente queste parole al signor Watari. Siamo intesi?-

Vi fu un attimo di silenzio. -Sarà fatto, signorina.-


     Nathalie Banks sospirò mentre riattaccava. Guardò l'orologio: ci aveva messo troppo tempo. Si allontanò in fretta dal negozio, lasciando sul bancone un fascio di banconote per rimediare ai costi della chiama internazionale. In strada si erano radunate molte persone intorno ai due cadaveri.

-Lasciatemi passare, sono miei colleghi!- urlò in giapponese ai curiosi. Raccolse il proprio cappotto mentre si chinava sull'uomo chiamato Johnson; con una mano riprese occhiali, collana e braccialetto elettronico e rimise ogni cosa al suo posto, mentre con l'altra sfilò il cellulare dalla tasca del cadavere.

-Quartier generale, sono Banks. Johnson e Heinemann sono morti. Attacco cardiaco. Nello stesso momento. Notizie dagli altri agenti?-

Silenzio. Un interminabile ed inquietante silenzio, durante il quale Banks non riusciva a smettere di rigirarsi la sua collana tra le dita.

-Nessuno risponde.- fece la voce all'altro capo del telefono. -Dobbiamo dedurne che siano tutti morti?-

-Così pare.- disse Nathalie, guardandosi intorno. La folla iniziava a disperdersi, e in lontananza si sentiva il suono delle sirene.

-Banks.- si sentì chiamare da un'altra voce al telefono. Era Hayer in persona. -Provvederemo al più presto a mandarti una nuova scorta. Ora dammi la tua posizione e l'ora del decesso, ti mandiamo un taxi che ti porterà all'hotel, senza deviazioni. Sali in camera e restaci finché non ti sarà assegnata una nuova scorta. Il tuo telefono, come sempre, sarà attivo solo per le chiamate in entrata. Ora, resterai al telefono fino a che non sarà arrivato il taxi a scortarti, e potrai chiudere la chiamata soltanto quando un nostro agente ti dirà di farlo. Siamo intesi?-


     A migliaia di chilometri di distanza, un distinto signore inglese di mezz'età, con occhiali dalla montatura nera e quadrata, e con viso e cranio freschi di rasatura, si dirigeva verso lo schedario dell'istituto. Non era uno schedario molto grande, dal momento che c'erano pochissimi studenti che venivano scelti per entrare alla Wammy's House; talmente pochi che in un cassetto c'erano i fascicoli di un intero decennio di matricole.

Aprì il primo cassetto dal basso, la cui etichetta recitava “1985-1989”. La maggior parte dei fascicoli erano della tipica tonalità giallo ocra, ma tra questi, ne spuntavano alcuni rosso scarlatto. “Coloro che macchiano il nostro orgoglio”, diceva spesso il signor Wammy. Quattro suicidi e un morto sul lavoro, tra gli immatricolati in quel decennio.

Harvey non aveva nemmeno bisogno di accendere la lampada sopra gli schedari per trovare quello della matricola K-768706S. Era uno di quelli rossi, e si trovava proprio accanto al più spesso tra tutti i fascicoli della Wammy's House. Quello della matricola L-798721?. Non era nemmeno passato moltissimo tempo dall'ultima volta che era stato messo sotto verifica.

Harvey ritornò verso la sua scrivania, mentre la pioggia insistente batteva sul vetro. Non riusciva ancora a credere a ciò che era appena successo: il signor Wammy, di solito sempre così pacato e composto, gli aveva urlato contro per diversi minuti al telefono.

     -E non hai pensato di farle altre domande, per accertarti fosse veramente lei?-

-Ha detto che aveva poco tempo...-

-E con quale faccia tosta si fa viva dopo cinque anni? Mettendoci tutti in pericolo?-

-Pare che sia tenuta sotto strettissima sorveglianza.-

-Quando me la ritroverò davanti...- aveva inveito ancora il signor Wammy, prima di fermarsi, ansimando.

-Harvey, organizza il prima possibile una squadra perché indaghi sulla Hogson Society for Veteran Reintegration, e sulla sua sezione paramilitare.-

-Ma...- provò a protestare Harvey. -Lei ha sempre detto che non voleva che nessuno si intromettesse in quel caso...-

-E a cosa è servito?- aveva domandato aspramente Wammy. -Quell'infame... ha quasi ucciso L! E non solo lui! E, come se non bastasse, ha finto di essere morta per tutto questo tempo!-

C'era stato un attimo di silenzio, dopo il quale Wammy aveva ripreso a parlare normalmente.

-Voglio che trovi qualcuno dei vecchi studenti che se la senta di prendere in mano il caso. Devo verificare se quello che ha detto questa donna che dice di essere K è vero, se lei è effettivamente viva, e quali sono concretamente i rischi che corriamo se vogliamo aiutarla. Oltretutto, ci troviamo in un momento pessimo: ora, con la morte degli agenti dell'FBI, verrà sicuramente a galla che L stava indagando sui familiari degli agenti dell'Interpol.-

Harvey aveva sentito l'uomo sospirare, e si era risistemato gli occhiali sul naso dritto.

-Potremmo perdere l'appoggio della polizia giapponese e dell'Interpol. Rischiamo di ritrovarci da soli. Sarebbe enormemente rischioso chiamare la sedicente Nathalie Banks, o come ha deciso di farsi chiamare ora quella... quell'ingrata di K. Perché sicuramente le metteranno addosso altri carcerieri. Dannazione, quelli che la tengono sotto sequestro collaborano coi federali! In che situazione si è cacciata?! In che situazione ha intenzione di coinvolgerci?-

C'era stata un'altra pausa.

-Ma non ha importanza. La aiuteremo. Però voglio che qualcuno dei nostri indaghi.-. C'era stato un sospiro. -Devo conoscere i rischi.-

-Sissignore.-

-Ah, e un'altra cosa.- aveva aggiunto Wammy. -Aumenta la sicurezza attorno a Nate River. Non deve avere alcun contatto con l'esterno, siamo intesi?-

-Sissignore.-

-Dai disposizioni perché nessun estraneo possa chiamare o avvicinarsi alla Wammy's House fino a nuovo ordine. Se le persone che tengono K sotto sequestro dovessero venire a scoprire che è riuscita ad eludere la sorveglianza e a contattarci, non passerà molto tempo prima che tentino di entrare alla Wammy's House per prendersi Nate River.-

-Sarà fatto.-

-Ah, mi auguro tu abbia già fatto sparire i tabulati telefonici della chiamata ricevuta da lei. È vero che il numero che ha usato corrisponde ad una linea criptata, ma se dovesse uscire dai tabulati telefonici che c'è stata una chiamata ad una linea criptata...-

     Mentre ripensava alla conversazione poco prima conclusasi, Harvey era giunto alla scrivania, e aveva aperto il fascicolo scarlatto per ricopiare alcuni dei dati, da faxare agli unici due ex studenti che si erano offerti di prendere il caso.

Matricola: K-768706S

Nata a: Bloemfontein (South Africa) il 3 agosto 1976

Morta a: Seattle (Washington, U.S.A) il 7 settembre 1998

Studentessa eccezionale, era stata K. Quando era giunta alla Wammy's House aveva già subito gravi traumi, e nonostante ciò era riuscita a sopravvivere a tutti i cicli scolastici con pochissimi incidenti di percorso. Da fuori, sarebbe potuta quasi sembrare una persona normale, perfettamente inserita nella società. Quand'era giunta la notizia che si era gettata da una finestra, gli era persino un po' dispiaciuto, nonostante Watari già non sopportasse che qualcuno pronunciasse il suo nome in presenza propria.

L'uomo sottolineò in rosso la data di morte e vi fece un punto interrogativo di fianco. Perciò il suo suicidio era stato simulato da questa Hogson Society perché si perdessero le sue tracce? E se lei era tenuta in ostaggio, significava che pure quel tale, come si chiamava... Bjorn? Harvey non ricordava, aveva un nome scandinavo. Comunque, lui e i suoi genitori, anche loro erano in pericolo? Per il solo fatto di essere le persone più vicine a K? Quindi anche il commissario Roger Burton era coinvolto? E com'erano andate veramente le cose con Nate River? La Hogson Society sapeva che si trovava alla Wammy's House?



     Nathalie chiuse la porta della camera alle sue spalle e sospirò nervosamente. Forse ce l'aveva fatta. Aveva aspettato per cinque anni un momento simile. Non aveva preparato un piano, aveva semplicemente agito d'istinto, ma forse le cose sarebbero andate bene ugualmente. Si fece una doccia e poi si mise ad ascoltare i notiziari, mentre aspettava che le portassero la cena. La notizia in prima pagina era sulla morte di dodici agenti dell'FBI mandati in Giappone per il caso Kira: erano tutti morti nello stesso momento per attacco cardiaco. A seguito veniva annunciata da parte del portavoce dei federali la rinuncia da parte loro a proseguire le indagini a fianco dell'Interpol.

Merda!” pensò Nathalie. Questo complicava le cose. Non era propriamente un agente dell'FBI, quanto più un collaboratore alle indagini esterno. Probabilmente, la definizione più appropriata sarebbe stata “Mercenaria carne da macello”. Dopotutto, i membri della sezione Privates for Police Enforcement Program (PPEP) della Hogson Society erano mercenari spesso ingaggiati dalle varie forze di polizia o governative, come supporto nelle operazioni ad alto rischio. “Carne da macello”, per l'appunto.

     Ma se i federali si ritiravano dalle indagini, come avrebbe fatto Watari a farla contattare per chiederle di partecipare al caso? E se Hayer l'avesse scoperta? Afferrò l'anello d'oro bianco che portava al collo, legato su di un semplice filo nero, e cominciò a rigirarselo tra le dita, come faceva sempre quando si sentiva nervosa. Ogni sua iniziativa personale sarebbe stata gravemente punita da Hayer, ma nulla le vietava di partecipare ad indagini per le quali veniva richiesta la sua consulenza. Aveva già collaborato con L in passato, all'oscuro di tutti. Come durante il caso del killer di Los Angeles. Né L né Watari avevano minimamente sospettato che la persona dall'altra parte del telefono o del PC fosse lei, K, l'ex studentessa bannata dalla Wammy's House. L'ex studentessa morta suicida. Si chiese cosa avrebbe pensato Watari all'ascoltare il messaggio che aveva lasciato ad Harvey. Ce l'avrebbe avuta ancora con lei, dopo tutti quegli anni? L'avrebbe aiutata?

     Guardava distrattamente i nomi dei morti che passavano alla televisione, quando si sentì venir meno.

Raye Penber.

Si abbandonò con un gesto stanco sul divano, fissando la televisione con uno sguardo vuoto.

Perciò c'era anche Raye tra quegli agenti?

Nathalie si pentì di aver ironicamente ringraziato Kira per averle concesso l'occasione di fuggire. Il povero Raye...

Ma la tristezza aveva già ceduto il posto alla rabbia, al pensiero di non poter usare il telefono per chiamare Naomi, che con ogni probabilità si trovava come lei a Tokyo, andare da lei, cercare di farle forza. Quanto sarebbe dovuta ancora durare la sua prigionia? Quanto tempo avrebbe passato ancora, tagliata fuori da ogni legame col mondo? Ricordava tutti gli inviti a cena di Naomi e Raye, che aveva dovuto rifiutare, perché sotto sorveglianza, e per paura di coinvolgerli nella sua rete di intrighi.

Si alzò e tirò un pugno violento allo schienale del divano, e con un calcio rovesciò la poltrona. Poi si buttò nuovamente a sedere a gambe larghe, e affondò le mani nei folti capelli.

     In quel momento, squillò il telefono.

La donna si voltò con sguardo furente verso il mobile su cui era appoggiato il telefono, per poi alzarsi controvoglia per andare a rispondere.

-Nathalie Banks.-

-Piccola! Ho sentito il telegiornale e ho temuto il peggio!- fece una voce maschile.

-Bjarne!- esclamò lei piacevolmente sorpresa. -Non sai quanto sono felice di sentirti!-

Si arrotolava una ciocca di capelli attorno al dito indice, mentre parlava.

-Ho chiamato subito i tuoi... ehm... superiori, per sapere se stavi bene e mi hanno detto che ti avevano scortata in hotel. Te non hai idea del colpo che mi sono preso!- continuò lui, la voce ansante.

-Sei sicura di voler continuare a lavorare su questo caso?- riprese, con tono preoccupato. -Questo Kira non può essere umano! Insomma, uccide le persone a distanza, come potete competere con qualcuno che non sapete come fa ad uccidere?-

-Ci sto lavorando, Bjarne, tranquillo.- rispose lei, appoggiandosi al muro.

-E comunque, per il momento pare che l'FBI si sia ritirato dalle indagini.- continuò, volgendo lo sguardo verso il soffitto mentre giocherellava col filo della cornetta. -Quindi non ti devi preoccupare.-

-Bene...- disse allora Bjarne, sospirando. Poi vi fu un attimo di silenzio, dopo il quale l'uomo riprese a parlare, in tono più tranquillo. -Quindi... tornerai negli Stati Uniti?-

-È probabile.- rispose lei, spostando il proprio peso da una gamba all'altra. -Almeno per il momento.-

-Bene.- disse Bjarne. -Non te lo perdonerei mai se ti facessi ammazzare.-

Nathalie si lasciò scappare una risatina triste.

-Bjarne. Tra quegli agenti c'era Raye. Il fidanzato di Naomi.- disse, spostando lo sguardo fuori dalla finestra.

-Ah.- fece l'uomo all'altro capo del telefono. -Naomi... è la ragazza che aveva cominciato ad insegnarti il giapponese? Quella del caso del serial killer di Los Angeles?-

-Sì.- rispose K, sospirando. -Mi avevano chiamato per una consulenza e ci siamo conosciute lì. Insomma, ci aveva chiamate... lui.-

-Aha.- disse Bjarne. -Non vorrei essere indelicato, ma... non è colpa tua se Raye Penber è morto. Non cominciare col tuo brutto vizio di sentirti responsabile delle tragedie che accadono a chi conosci.-

-Bjarne...-

-Ascoltami.- la interruppe lui. -Concentra le tue energie per cercare di sopravvivere, va bene? Dico sul serio. Io me la cavo, i miei se la cavano, stai facendo anche troppo per cercare di tenerci al sicuro.-

     Nathalie fremette. Lui non poteva sapere che proprio quel pomeriggio aveva fatto qualcosa che avrebbe potuto metterli seriamente in pericolo. Era stata una decisione istintiva, ma forse troppo egoista?

-Non parliamo di questo.- disse allora. -Piuttosto, dimmi qualcosa di te. Non ci sentiamo da almeno tre giorni.-

Sentì ridacchiare dall'altra parte del telefono.

-Non ti ho fatto morire i fiori, se è questo che ti stai chiedendo.-

Perfetto. Era il loro codice per avvertirla se gli uomini di Hayer lo pedinavano più del solito o lo minacciavano.

-Ma che bravo!- ridacchiò anche lei. -Appena torno a casa mi assicurerò che sia tutto in ordine. Guai a te se trovo qualcosa fuori posto!-

Cominciò ad arrotolarsi una ciocca di capelli attorno al dito.

-A proposito dei fiori...- riprese. -Oggi, tornando qui in taxi, sono passata davanti ad uno di quei grandi parchi pieni di alberi di ciliegio, e mi spiace non poter rimanere qui in Giappone fino alla fioritura. Perciò, ho pensato di chiamare il fiorista, quando verrà la stagione, e prendere qualche ramo da mettere in casa, quando verrò a trovarti. Sai, stare da te mi mette sempre allegria, anche perché sembra tu viva in un giardino botanico, però pensavo di cambiare un po' colore alla mia stanza. Non che il rosa mi sia mai piaciuto, ma mi sono un po' stancata di tutti quei colori freddi.-

Dall'altro capo della cornetta, Bjarne tratteneva il respiro. Nathalie si rendeva conto che il codice basato sui fiori era stupido e scontato, ma quando erano riusciti ad elaborarlo, lontano da cimici e telecamere, era l'unica cosa abbastanza semplice da elaborare, con diverse possibilità di interpretazione, e che potesse incastrarsi in modo più o meno naturale in una normale conversazione.

-Ahaha!- ridacchiò di nuovo Bjarne. -Mi piace come idea! Certo, sarebbe meglio se potessi assistere direttamente alla fioritura lì in Giappone, ma direi che ci possiamo accontentare. E, se mi posso permettere di dirtelo, era proprio ora che ti decidessi a cambiare un po' la tua stanza. Sono anni che non mi permetti di spostare nulla di un millimetro.-

Rise di nuovo. -Questa casa effettivamente sembrerebbe davvero un posto lugubre, senza i nostri fiori. In questo palazzo vecchissimo, le finestre danno su vicoli sporchi e stretti, le assi del pavimento scricchiolano. Ma visto che sei così in vena di cambiamenti, non è che riesco pure a convincerti a prenderci un cane?-

     Ricevettero in quel momento l'avviso che la chiamata sarebbe stata interrotta. Il tempo era scaduto. Bjarne era stato avvertito del suo tentativo di mettersi in contatto con Watari, e aveva reagito bene. Povero idiota, pensava Nathalie, non si era ancora reso conto in che razza di casino s'era messo quando aveva deciso che sarebbe rimasto al suo fianco in ogni caso? Non pensava alla sua famiglia?

Un paio di ore dopo, la donna si infilò una logora maglietta nera e sformata e si mise a letto. Ripensava all'esatto svolgimento degli eventi della giornata, cercando di considerare ogni possibile scenario. Ogni modo in cui Hayer poteva essersi accorto che si era tolta il braccialetto elettronico e il cappotto, sicuramente pieno di altre cimici e localizzatori, e soprattutto l'anello d'oro bianco col rubino, quello dal quale non si separava mai, quello che le avevano strappato dalle mani anni prima per profanarlo con un localizzatore proprio sotto la pietra preziosa; l'anello che ora si stava rigirando tra le mani.

-November 8th, 1997, by the river.- sussurrò, prima di addormentarsi.

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 - Il Demone Bianco ***




Capitolo I

Il Demone Bianco



     Hayer camminava avanti e indietro per la stanza, nervosamente. Le lampade dello studio proiettavano ombre gigantesche al suo passaggio. Aveva conservato la mole con la quale riusciva ad intimidire persino i suoi superiori, ai tempi del Vietnam. Cinque dei suoi agenti erano morti, ma ciò che era peggio, Banks si era ritrovata senza sorveglianza. Per almeno tre minuti. Dio solo sapeva cos'era stata in grado di fare in quei tre minuti. Né il GPS che aveva addosso, né il bracciale elettronico avevano rilevato qualcosa di sospetto, ma quella donna era il diavolo fatto a persona, e Hayer non dubitava del fatto che fosse stata capace di disattivare tutto. Quando qualcuno gli chiedeva se gli piacesse o meno Banks, Hayer non sapeva mai come rispondere. Certo, sarebbe stata una collaboratrice perfetta, non fosse stata un'investigatrice e uno sbirro con una qualche morale. Era certamente troppo dotata per essere una pedina. Morta, sarebbe stata uno spreco di risorse. Eppure, era troppo furba, troppo ingestibile, troppo imprevedibile. In tutta la sua carriera, militare prima, amministrativa (se così si poteva definire) poi, non aveva mai avuto a che fare con qualcuno che non poteva controllare. Coloro che chiedevano aiuto alla Hogson Society for Veteran Reintegration erano uomini distrutti dalla guerra, abbandonati dalla società, mutilati o caduti nella depressione e nell'alcolismo. Quelli erano i più facili da manipolare. In molti arrivavano addirittura ad offrirsi volontari per il PPEP, Privates for Police Enforcement Program, il corpo paramilitare dal quale la Hogson Society ricavava il maggior guadagno. Poi c'erano gli ex carcerati, a cui bastava offrire del denaro e la promessa di venire legalmente tutelati, e a volte ragazzi di qualche quartiere difficile, che lo Stato non sapeva se mandare in riformatorio o aspettare che diventassero dei criminali per poi sbatterli in galera.

     Ma con Banks non potevi ragionare coi soldi o con le prospettive di carriera. Le buone non servivano a nulla con una come lei, ma nemmeno le cattive. Aveva mandato all'ospedale cinque o sei dei suoi, che avevano tentato di metterle le mani addosso. L'avevano minacciata con una pistola alla tempia, e lei aveva sbadigliato in modo plateale. L'avevano picchiata, o almeno, ci avevano provato, ma lei aveva ricambiato ogni colpo con una furia cieca. L'avevano legata, prima di picchiarla di nuovo, e lei aveva riso. Una risata spaventosa, che pareva essere uscita dalle porte dell'inferno. I suoi compagni di scuola la chiamavano “Demone Bianco”, aveva detto. Hayer pensava che il soprannome fosse azzeccato. Se ripensava a quello sguardo iniettato di sangue, si sentiva quasi minacciato. Non era servito a nulla nemmeno minacciare di morte il dannatissimo bamboccio che stava con lei. Appena le avevano mostrato su uno dei monitor il cecchino che stava puntando quel Bjarne, lei aveva semplicemente tirato fuori dal reggiseno una lametta e se l'era avvicinata alla giugulare.

-Sparategli e io muoio. E se io muoio, non potrò contattare come ogni mese la società di sicurezza che custodisce tutte le prove che ho raccolto contro di voi. E se non li contatto, loro spediranno tutto il materiale al detective Eraldo Coil. A voi la scelta.-

     Qualsiasi cosa fosse successa in quei tre minuti, rimuginarci non lo avrebbe aiutato. Uccidere Bjarne e la sua famiglia non sarebbe servito, anzi, sarebbe stato troppo rischioso e sospetto. Uccidere lei non avrebbe risolto le cose. Eppure, ormai era diventata una spina nel fianco davvero notevole. Hayer detestava dover essere prigioniero dei capricci di una bestia di Satana come Banks, ma, per poter dormire sonni tranquilli, si sarebbe dovuto sbarazzare di Coil. Cioe, di L. Ormai erano un paio di anni che Hayer possedeva quell'informazione: uno dei suoi agenti, mandati come rinforzo all'FBI, aveva scoperto che L e Eraldo Coil erano in realtà la stessa persona. Aveva tenuto quell'informazione per sé, in attesa di poterla vendere al miglior offerente; ma perché non approfittare, aveva pensato, delle doti di spia di Banks per scoprire qualcosa di più sull'identità del più grande detective al mondo? In quel modo, il prezzo delle informazioni sarebbe senz'altro salito. L'operazione di spionaggio durante il caso del killer di Los Angeles non aveva dato i frutti sperati, ma forse si poteva tentare di nuovo il colpaccio grazie al caso Kira. Se Banks tentava così disperatamente di mettersi in contatto con L, perché non permetterglielo? Avrebbe potuto avvicinarsi al grande detective, e forse si sarebbe finalmente sbarazzato del pericolo rappresentato da Banks. Quante persone avrebbero pagato cifre a nove zeri per vedere L morto?


     California, 2 maggio 2004.

     Passarono mesi di stallo prima che arrivasse la telefonata tanto attesa. Nathalie era in sala a togliere delle pesanti tende arancioni dalla loro asta, per lavarle. Era una bellissima giornata di pioggia, e Nathalie aveva aperto le finestre per respirare l'aria pungente che sapeva di foglie bagnate. Bjarne era a lavoro, non sarebbe tornato prima dell'ora di cena.

-Banks, sono Hayer. Watari ha chiesto di te.- disse la voce del capo, senza troppo preamboli.

-Sul serio?- rispose Nathalie con voce genuinamente stupita, interrompendo a metà il gesto di battersi la mano impolverata sui pantaloni. -Perché avrebbero bisogno di me?-

-Immagino tu abbia seguito gli ultimi sviluppi su quell'emittente giapponese demenziale, la Sakura TV.-

Nathalie emise un mugolio di assenso.

-Nel suo messaggio alla Sakura TV, il secondo Kira ha mandato una pagina di diario in cui si parlava di Shinigami. Watari ha detto che nel periodo dei test sui carcerati, era stato lasciato un messaggio per L, che non è stato diffuso ai media per non intralciare le indagini, in cui si parlava degli Shinigami.-

-Ah.- fece Nathalie, arrotolando nervosamente il filo del telefono attorno ad un dito, aggrottando le sopracciglia. - Per questo hanno bisogno di un esperto in esoterismo?-

-Non vogliono tralasciare nulla, ma nemmeno vogliono perdere tempo su una pista che potrebbe rivelarsi un vicolo cieco.- disse Hayer in tono secco.

-Capisco...- Stava in punta di piedi, e dondolava indietro fino a reggersi sui talloni. Punte. Talloni. Punte. Talloni. Le sarebbe servita una buona ora al poligono di tiro per scaricare tutta la tensione; non le avevano mai permesso di procurarsi un sacco da boxe da tenere nella cuccetta a lei riservata, al quartier generale del PPEP. La lasciavano libera di vedere Bjarne solo ogni due finesettimana, e normalmente quando era insieme a lui non sentiva alcun bisogno di scaricare la tensione.

     -Vi hanno detto come devo fare per mettermi in contatto con loro?- chiese infine.

-L ha creato una piccola task force di persone fidate alle quali si è mostrato in volto. Dovrai presentarti di persona. Niente terze parti, questa volta.-

Si sentì un tonfo. Nathalie aveva tirato il cavo talmente bruscamente da far cadere il telefono dal tavolo.

-Io... non.. no-non posso farlo!- balbettò, le pupille strettissime. Tentò di riprendersi. -È troppo rischioso per voi mandarmi da lui di persona!-

-Banks!- tuonò minaccioso Hayer. -Mi rallegra il fatto di sentirti così agitata. Vuol dire che sai quali rischi implica questa operazione. Ma sappi che non ti lasceremo mai da sola durante tutto il corso delle indagini.-

La donna non lo poteva vedere in faccia, ma sapeva che Hayer stava sogghignando. -E poi...- continuò l'uomo. -Questa occasione è più unica che rara per noi per spiarlo da vicino, quindi vedi di controllarti e di fare un buon lavoro. Il tuo nuovo partner ti raggiungerà presto per darti tutti i dettagli. A presto!-

     Nathalie rimase ancora per qualche minuto ferma con la cornetta in mano. “No, non così! È troppo rischioso!”.

Hayer aveva scoperto che L e Eraldo Coil erano la stessa persona. Lei aveva sperato fino all'ultimo che non venisse a sapere che lei conosceva la sua vera identità, ma Hayer non era stupido, aveva fatto condurre delle indagini. La riservatezza era una dei punti di forza della Wammy's House: l'identità degli studenti era nota soltanto a tre persone in tutto l'istituto. Nemmeno i suoi compagni conoscevano la sua vera identità, solo il suo aspetto. A parte L, ovviamente. Lei e L erano i soli a conoscere le loro reciproche identità, per ovvi motivi. Nathalie era fiduciosa nel fatto che la correlazione tra lei ed L non sarebbe mai stata scoperta, ma circa due anni prima, le cose erano cambiate.

     F, uno studente più giovane di lei, che non aveva mai conosciuto, e che era diventato un agente investigativo di tutto rispetto, si era suicidato dopo aver scoperto di aver incriminato la persona sbagliata. Quel caso aveva fatto scalpore, ed erano state fatte molte speculazioni sui motivi che avevano spinto quel brillante agente a togliersi la vita; ed era stato così che il nome della Wammy's House era venuto fuori, dal momento che non sarebbe stato né il primo né l'ultimo studente dal talento straordinario suicidatosi perché incapace di reggere la pressione e le alte aspettative che l'accademia aveva inculcato loro.

Non ci avevano messo molto a supporre che L fosse il prodotto più perfetto della Wammy's House, e a quel punto era stato chiaro a tutti che anche Nathalie fosse stata addestrata lì, e che perciò dovesse per forza conoscere L.

Se solo avessero sospettato che lei sapeva molto di più di quanto non fosse lecito sul conto di L, non se la sarebbe cavata con un paio di pestaggi, la testa nel catino d'acqua e qualche settimana in isolamento.

     Ma ora avrebbe dovuto incontrarlo, sul serio. Sarebbe riuscita a celare la sua identità? Aveva affrontato un intervento per correggere il suo leggero strabismo, quello e un piccolo camuffamento erano sempre riusciti a renderla irriconoscibile. Ma era talmente nervosa che il suo intero corpo tremava, sentiva forte in lei l'impulso di nascondere la faccia in un cuscino e urlare selvaggiamente con tutto il fiato che aveva in corpo, fare a pezzi il cuscino, sfasciare sedie, tavoli, picchiare contro le porte.

Doveva calmarsi. Chiuse gli occhi e respirò a fondo.

-November 8th, 1997, by the river.- Riaprì gli occhi, cercando di calmare la respirazione. -Ok.- posò la cornetta, che aveva tenuto in mano fino ad allora, e si diresse verso il computer, rigirandosi l'anello che portava al collo tra le dita esili. -Shinigami.-



     Tokyo, 5 maggio 2004.

     Nathalie aprì la porta dell'appartamento e fece entrare il suo nuovo partner.

-Sono Paul Grumann.- disse lapidario, con un mezzo sorriso sulle labbra sottili. -Posso entrare?-

Il nuovo partner di Nathalie era un giovane agente, biondo e con sfuggenti occhi castani. Aveva i lineamenti spigolosi e un'ombra grigia di barba sul viso. Mentre parlava, si passava una mano tra i capelli fini, più lunghi sopra, con la riga a metà, e più corti a partire dall'altezza delle orecchie.

Le porse una sacca di vestiti.

-Questi sono senza cimici, rilevatori o mini telecamere.- disse. -Ci sono state date disposizioni per cui non possiamo entrare in presenza di L con cose del genere addosso. Verremo perquisiti.-

-E come farò con questo?- disse Nathalie, indicando il braccialetto elettronico sulla caviglia nuda. -E ho un localizzatore sull'anello che porto al collo.-

-Come quando sei salita sull'aereo, te li togliamo entrambi.- e poi sorrise in modo sinistro. -Se provi ad allontanarti, ho l'ordine di spararti. Se provi a rivelare qualsiasi cosa a L, Hayer mi ha detto di premere questo bottone sul mio orologio...- disse, mostrandole un orologio da polso dal quadrante molto grande.

-Invierà un segnale ad Hayer, e il tuo caro Bi... Bio... ah, no, Bjarne, giusto. Bjarne morirà.-

     Nathalie gli rivolse un'occhiata inespressiva.

-È il tuo primo lavoro con Hayer?- domandò annoiata.

-Lavoro con lui da prima che tu arrivassi, dolcezza.- rispose lui. -Facevo il mediatore durante i rapimenti. Ma non dalla parte dei buoni, se capisci cosa intendo.-

La donna, roteò gli occhi al cielo.

-Se non è il tuo primo lavoro con Hayer, è comunque il tuo primo lavoro con me. Perciò ascolta.- e così dicendo si voltò di spalle.

-Non riuscirai a spaventarmi con le minacce: mi minacciano da quando ho varcato la soglia della Hogson Society for Veteran Reintegration, e se mi stai facendo da babysitter dovresti sapere che il motivo per cui mi hanno preso in ostaggio è che non sono riusciti ad ammazzare me e il mio fratellastro insieme al resto della nostra famiglia.-

Voltò leggermente il viso e lo squadrò dall'alto in basso da sopra la spalla. -Questo era per dirti che so benissimo quali sono le regole da seguire per riuscire ad arrivare viva la sera, e far sì che ci arrivino vivi anche quei poveri disgraziati che sanno che sono viva e vorrebbero aiutarmi.-

Si girò di nuovo, allungò la gamba destra in fuori e si indicò la caviglia.

-E ora, se non ti dispiace, potresti levarmi quest'affare? Che non posso mettermi i collant, sennò.-



     Giunsero all'hotel dove quel giorno si trovava il quartier generale che era già buio. Un sollievo per la giovane donna, che non aveva dovuto indossare gli occhiali da sole. Furono accolti all'entrata da un giovane poliziotto giapponese dal viso gentile e i capelli arruffati. Era estremamente giovane.

-Voi siete Banks e Grumann?- cercò di dire in un inglese impacciato.

-Tranquillo, parliamo giapponese.- rispose Grumann. -E Lei è?-

-Touta Matsuda. Molto piacere.- si strinsero la mano.

-Paul Grumann.-

-Nathalie Banks-.

-Vi faccio strada.- disse il giovane poliziotto, sorridendo.

L'hotel era un cinque stelle dall'aria incredibilmente signorile. Non sembrava ci fossero pattuglie fuori, e nessuna persona incontrata della hall aveva l'aria di essere un agente in borghese. Possibile che la squadra investigativa sul caso Kira si fosse ridotta a così poche unità da non poter nemmeno garantire un'adeguata sorveglianza? Effettivamente, pensò Nathalie, dovevano essere davvero in pochi, se L aveva deciso di mostrarsi in volto. Non avrebbe mai creduto che lui potesse arrivare a tanto.

Grumann conversava amabilmente con l'agente giapponese, ma era sicura che la stesse controllando ad ogni passo. Nathalie tentava di mascherare il suo nervosismo: immaginava che Hayer dovesse avere un piano molto più ampio in mente, o non le avrebbe mai permesso di incontrarsi faccia a faccia con L. Possibile che volesse tentare di ucciderlo, per poi far fuori lei e tutti gli altri ostaggi? Sarebbe stata una manovra estremamente rischiosa, anche perché avrebbe dovuto far fuori l'intera squadra, compreso Watari. Un'azione solitaria di Grumann non avrebbe mai funzionato, e Hayer lo sapeva bene. L'unico modo per raggiungere l'obiettivo sarebbe stato un attacco diretto alla stanza dell'albergo, o all'albergo intero, ma Nathalie dubitava che ci sarebbe stato il tempo necessario per organizzare una cosa simile: l'ubicazione del quartier generale di L cambiava ogni giorno, e mentre gli agenti venivano informati la mattina del nuovo indirizzo, lei e Grumann erano stati prelevati da un taxi chiamato da Watari dal loro appartamento, ed erano stati portati assieme alle due guardie del corpo a destinazione. Far saltare in aria l'intero hotel? Ci sarebbero volute ore per farlo. L'unica soluzione per Hayer sarebbe forse stata il mandare un elicottero a schiantarsi contro la stanza d'albergo dov'erano diretti, supponendo che Grumann e le due guardie del corpo riuscissero a comunicarla prima che venissero requisiti loro i telefoni.

     Ma Watari era stato avvertito del pericolo, e sicuramente aveva indagato a fondo e aveva fatto in modo di prendere ogni possibile precauzione. Perciò, era altamente improbabile che sarebbero tutti morti quella sera. Questo pensiero confortò Nathalie, che prese un respiro profondo e cercò di rilassare la tensione sulle spalle larghe. Già, Watari. Chissà che faccia avrebbe fatto, vedendola. Era un gentiluomo, di quelli all'antica, per cui, se anche non ci fosse stato il rischio di smascherarla, se anche si fossero incontrati in condizioni normali, loro due soltanto, non l'avrebbe presa a cazzotti in faccia. Le venne quasi da ridere al ricordo della mostruosa sfuriata dopo la quale Watari l'aveva bandita dalla Wammy's House. E tutto solo per aver messo le mani addosso al suo pupillo, anche se quello non era se non il crimine minore che avesse commesso. Nathalie era sicura che Watari avrebbe cercato di aiutarla spinto dal suo senso di giustizia, e forse per una sorta di rispetto verso i suoi genitori. E non aveva dubbi sul fatto che non avesse detto assolutamente nulla a L, né che fosse ancora viva, né che se la sarebbe ritrovata di fronte. O, appena lo avrebbe visto, lui si che l'avrebbe presa a cazzotti in faccia. Come minimo.


     -Vi hanno già informato dei dettagli?- chiese Matsuda ai due agenti, una volta entrati nell'ascensore.

-Abbiamo avuto qualche informazione dalle quali partire con le nostre ricerche.- rispose la signorina (signora?) Banks. -Ma ci auguriamo che dopo questo colloquio con L sapremo tutto ciò di cui abbiamo bisogno per svolgere indagini più accurate.-

-Dovrete rivolgervi a lui col nome di Ryuzaki.- li avvertì Matsuda. Poi guardò più attentamente la giovane donna. Portava un completo elegante, pantaloni lunghi, camicetta e giacca. Era abbastanza alta, forse appena cinque centimetri in meno rispetto a lui, e il suo volto pallido aveva lineamenti delicati, che stonavano leggermente con la sua espressione dura. Un piccolo naso all'insù, zigomi alti, labbra sottili, occhi verde palude dall'espressione fredda sotto gli occhiali dalle lenti ovali, sopracciglia spigolose ed aggrottate. Aveva la pelle liscia e senza rughe, nonostante gli avessero detto che non era giovanissima. Eppure doveva essere davvero una professionista, se era stata chiamata addirittura da L.

-E quindi Lei è l'esperta di esoterismo?- chiese, infine.

-Non c'è bisogno di essere così formali, signor Matsuda- rispose la donna, come risvegliata dai propri pensieri. -Comunque sì. Ho collaborato con L ad altri due casi, ma questa sarà la prima volta che lo vedrò faccia a faccia...-

-Beh...- la interruppe lui. -La avverto che potrebbe non essere come se lo aspetterebbe.-

Matsuda si ritrovò a ripensare alla prima volta che si era ritrovato faccia a faccia con L. Tutti gli agenti si erano presentati di fronte a quello strano giovane trasandato, e alla fine lui aveva alzato una mano, facendo il gesto della pistola, e aveva semplicemente detto: “Bang. Se fossi stato io Kira, ora sareste tutti morti”.

-Non credo questo abbia importanza.- riprese la signorina Banks, avvicinandosi alle porte scorrevoli dell'ascensore. -Ho collaborato con lui per la prima volta ad un caso abbastanza intricato che riguardava alcuni omicidi satanici. Erano persone con una psicologia molto complessa, e perciò mi hanno chiamata. Sono abituata a lavorare con casi del genere: fanatici religiosi, sette... Conosco il loro modo di pensare e cosa li ispira, per questo sono spesso in grado di prevedere alcune loro mosse.-

-E... riguardo al secondo caso?- chiese Matsuda.

La donna si voltò verso il suo interlocutore. -Ho lavorato al caso del killer di Los Angeles. Assieme a Naomi Misora. La fidanzata dell'agente Penber, scomparsa poco dopo la sua morte.- L'espressione dei suoi occhi verdi era agghiacciante. All'apparenza vuota, ma carica di una rabbia cieca e incontrollabile. Matsuda capì che non era il caso di andare oltre con le domande. Quella donna, per quanto piacevole d'aspetto, era dannatamente inquietante.

     Si aprirono le porte dell'ascensore. Un uomo sulla sessantina, dai capelli bianchi e dai grandi baffi li accolse. Era vestito con un elegante completo nero, e aveva i capelli inamidati.

-Signorina Banks, benvenuta. Signor Grumann, sono stato avvertito della sua presenza solo stamane, perciò mi presento. Sono Watari. Benvenuto anche a lei.- Strinse la mano ad entrambi. Parlava col più perfetto RP che i due agenti avessero mai sentito.

-Possiamo parlare in giapponese- rispose ancora una volta Grumann, sorridendo. -È un piacere per me fare la conoscenza di un collaboratore di cui il famoso L si fida così tanto!-

Nathalie lanciò un'occhiataccia al collega, poi si rivolse a Watari in giapponese. -Finalmente la vedo a volto scoperto, signor Watari!-

L'uomo fece un breve cenno col capo, e intimò loro di seguirlo, senza ulteriori indugi. Si fermò poi di fronte ad una porta e chiamò all'interno.

     Aprì un uomo sulla cinquantina, baffi e capelli neri, un po' brizzolati, e un paio di occhiali, che si presentò loro come il Sovrintendente Yagami.

-Ero a capo della task force dell'Interpol per il caso Kira- disse, facendo loro cenno di accomodarsi e di lasciare i cappotti nel guardaroba. -...ma quasi tutti i nostri uomini ci hanno abbandonato quando hanno scoperto che L aveva chiesto ad alcuni agenti dell'FBI di pedinarli perché pensava ci fosse una talpa che passava informazioni a Kira.-

Fece cenno a Matsuda di perquisirli e poi riprese a parlare. -Da quel momento, L, o meglio, Ryuzaki ha deciso di mostrarsi alle poche persone che avrebbero deciso di continuare a seguire il caso a costo della vita.-

Attese che Matsuda requisisse le loro pistole e tastasse in modo impacciato le loro tasche, poi li condusse attraverso un ampio salone. -Vi ho detto questo perché sappiate a cosa andate incontro accettando questo caso.-

     Aprì una porta, al fondo del salone. La stanza era uno studio poco illuminato, perché le tende erano state tirate. Oltre ad un tavolo, sul quale giacevano diverse tazzine e piattini, due divanetti e un'ampia scrivania, su cui diversi monitor trasmettevano immagini da notiziari relativi al caso Kira, non c'era molto. A capotavola, su una poltrona, sedeva, per modo di dire, un giovane. Meglio dire, forse, che stava accovacciato. Indossava un paio di jeans chiari e una maglia bianca slabbrata, abiti visibilmente troppo grandi per lui. Tuttavia doveva essere abbastanza alto, e il fatto che avesse le spalle larghe dava l'impressione che quello non fosse sempre stato il suo aspetto. Pareva infatti che in quei vestiti si fosse sciupato nel tempo, impressione che veniva rafforzata ad osservarlo bene in volto: era emaciato e dalla pelle pallidissima, con folti capelli neri incredibilmente arruffati e lunghi. E gli occhi. Nella penombra della sala, il suo sguardo fece trasalire i due nuovi arrivati. Gli occhi erano sgranati, innaturalmente aperti. Le pupille erano talmente dilatate da nascondere l'iride. E occhiaie spaventosamente scure ed estese incorniciavano quello sguardo inquietante, che si era posato sui due agenti. Finì di sorseggiare il suo caffè, l'ennesimo, reggendo tazzina e piattino con dita sottili e affusolate, che parevano dovere andare in frantumi da un momento all'altro. Sgranchì le dita dei piedi, e fu solo allora che Nathalie e Paul notarono che era scalzo. Era scalzo e teneva i piedi sulla poltrona, le ginocchia puntate al petto.

-Benvenuti.- disse loro, con una voce paurosamente vuota e cupa. -Accomodatevi. Volete una tazza di tè?-.

     Presero posto in silenzio. Nessuno osava parlare. Grumann rivolse lo sguardo a Nathalie, che incrociò le dita in grembo. “Non sono di certo così stupida da usare il linguaggio dei segni per comunicare... Per chi mi ha preso questo secondino?”.

L poggiò delicatamente la tazzina sul tavolo e finalmente iniziò a parlare.

-Signorina Banks, lieto di incontrarla faccia a faccia.- esordì con voce tanto calma da parere innaturale. -Spero abbia qualche buona notizia per me.-

Guardava la sua interlocutrice fissa negli occhi, senza sbattere le palpebre, con quegli occhi che parevano due buchi neri.

-In realtà...- lo interruppe Grumann, con l'espressione più affabile che riuscì a fare. -Vorremmo prima sapere da lei, Ryuzaki, qualche dettaglio in più su questo caso.-

L chiuse gli occhi e abbassò leggermente la testa, le mani incrociate di fronte al volto. Calò un pesante silenzio, e, qualche secondo dopo, riprese a parlare con una nota di irritazione nella voce.

-Signor Grumann, ho accettato la sua presenza qui soltanto perché ritengo indispensabile al momento l'aiuto della signorina Banks.- rispose Ryuzaki, senza guardarlo in faccia. -Non ho avuto abbastanza tempo per poter indagare a fondo su di lei, ma il suo curriculum e i suoi documenti sono palesemente falsati. Immagino che sia naturale, per coloro che lavorano per la Hogson Society for Veteran Reintegration, ottenere una nuova identità e una nuova vita, e questo vale anche per la signorina Banks, ma odio non sapere con chi ho a che fare. Pertanto, a meno che lei non sia un brillante detective o non abbia le capacità per aiutare nella risoluzione di questo caso, la pregherei di rimanere in silenzio.

Ora.- aggiunse, aprendo finalmente gli occhi e rivolgendo nuovamente lo sguardo verso Nathalie. -La signorina Banks ha già lavorato per me, anche se non ci siamo mai trovati faccia a faccia, e lei sa bene che prima di diffondere qualsiasi informazione voglio avere la certezza di trovarmi di fronte a persone competenti.-

Alzò le mani intrecciate fino a coprirsi la bocca.

-Ho già rischiato molto parlando col vostro capo dei messaggi di Kira durante i suoi esperimenti sui detenuti. Ma i morti aumentano, e sono dovuto ricorrere a metodi drastici.- Sporse il busto in avanti e appoggiò il mento sulle mani unite. -Mi dica, ora, signorina Banks, ha qualcosa per me?-

     Nathalie non si era scomposta di fronte alla reazione di L. Era abituata a ben di peggio. Tirò fuori dalla valigetta un plico di fogli (che era stato accuratamente analizzato per controllare che la donna non vi avesse inserito messaggi in codice di alcun tipo rivelanti la sua vera identità) e lo passò al detective.

-Ho fatto alcune ricerche.- disse, continuando a stare seduta con le mani intrecciate sul grembo. -Nulla che potesse collegare gli dei della morte alle mele rosse, visto che le mele rosse rappresentano, di solito, secondo gli universali mitologici, il desiderio carnale. Presumo che i messaggi rinvenuti sui cadaveri avessero il solo scopo di confondere le idee e di mandarci fuori strada.-

-È quello che ho pensato subito anch'io.- ribatté L, inespressivo. -Può dirmi qualcosa che non so già?-

-Lo vedo difficile...- rispose Nathalie con fare seccato. Non era nuova a certi battibecchi: anche lavorare con lui nei casi precedenti, sebbene comunicassero quasi esclusivamente via email e qualche volta al telefono, era stato difficile. L era sicuramente un giovane molto dotato, ma non era assolutamente in grado di gestire le relazioni interpersonali; Nathalie non lo sopportava e non lo nascondeva. Ma L la ignorò. Ignorava sempre le persone che gli borbottavano contro. Sicuramente ci aveva fatto il callo.

     -...Avete immaginato non potesse essere un caso che i due Kira avessero fatto riferimenti agli Shinigami, all'insaputa l'uno dell'altro. È per questo che mi avete contattato, no?- chiese allora la giovane.

Il detective annuì. Grumann, intanto, tirò fuori dalla tasca dei pantaloni un taccuino per prendere appunti.

-Non è permesso registrare o prendere appunti.- lo fulminò L, senza guardarlo ancora in volto. -E non potete portare la documentazione relativa al caso con voi al di fuori di questa stanza. Abbiamo già avuto una talpa, cerchiamo di limitare i danni. In caso contrario, signor Grumann, le dovrò chiedere di lasciare la stanza.-

-No, aspetti!- esclamò Nathalie in tono un po' più alto di quanto intendesse. Rimase un po' stranita da come suonava la sua voce in giapponese: sembrava una bambina. Non ricordava se in qualche momento della sua infanzia avesse mai avuto una voce simile.

-Per la mia sicurezza...- riprese, dopo essersi schiarita la voce. -Grumann non può allontanarsi da me. Se se ne deve andare, devo seguirlo.-

Calcolò il tono e scelse bene le parole per quello che stava per seguire.

-...Sono sotto protezione testimoni, come avrà già intuito. Ecco il motivo delle due guardie del corpo e del mio assistente, così digiuno di formazione investigativa.-

In altre occasioni, probabilmente avrebbe cercato a fatica di stamparsi in volto l'espressione più supplichevole che riuscisse a fare (e che, doveva ammetterlo, non era mai un granché; non era tipo da suppliche, lei), ma con L sarebbe stato inutile. Non che non riuscisse a percepire le emozioni dei propri interlocutori, ma al dannato Aspie semplicemente non importavano.

-Mi lasci finire il mio resoconto, prima di decidere se cacciarci o meno.- riprese. -E consideri che si è mostrato a noi in volto, perciò, se mi posso permettere, sarebbe più sicuro se ci permettesse di partecipare alle indagini fino alle fine. A quanto vedo, oltretutto...- aggiunse, voltandosi verso la porta dello studio. -Mi sembra un po' a corto di personale.-

     L si mise a guardarla con più attenzione. Aggrottò la fronte.

-Lei non mi piace, signorina Banks.- esordì dopo un po'. -Mi nascondi qualcosa, mi innervosisci e non so il perché.-

Non solo aveva omesso le formule di cortesia, ma d'un tratto si alzò e andò verso di lei. -Io mi sono dovuto mostrare in volto per guadagnarmi la fiducia di pochi poliziotti giapponesi, e invece tu ti stai nascondendo. La parrucca è di ottima qualità, te lo concedo, probabilmente è addirittura di capelli veri, e la frangetta e il taglio aiutano a nascondere l'attaccatura dei capelli, ma si nota un leggero rigonfiamento sulla testa, e per la tua costituzione e per la forma del tuo volto, non puoi avere un cranio di quelle dimensioni. E le lenti...- aggiunse, avvicinandosi al suo viso. Nathalie riusciva a sentire il suo respiro, e l'odore di bucato fresco che veniva dai suoi vestiti.

-Sono quasi perfette. Ottimo mosaico, e anche la gradazione di colore è naturale. Il fatto che siano sotto ad un paio di occhiali aiuta inoltre a dissimularle. Ma prima hai perso il controllo, anche se solo per un secondo, e la tua pupilla si è ristretta, e non ho potuto non notare il cerchio scuro che...-

     Si sentì un “click” metallico, e L si zittì. La donna aveva una mano dietro la schiena, e il suo sguardo, per un solo secondo, era diventato terribilmente minaccioso. Teneva le labbra strettissime, e sentiva le vene del collo pulsare. Ryuzaki rimase ancora un attimo fermo a scrutarla, prima di tornare a sedersi, come se nulla fosse accaduto.

-Mi chiedo perché mai questi poliziotti giapponesi non vogliano perquisire per bene le donne.- disse, accovacciandosi sulla poltrona. -Avevi una pistola infilata nel retro dei pantaloni, come hanno fatto a non accorgersene?-

Grumann era impallidito. Non immaginava di poter assistere ad una scena simile.

-Chi le fa tanta paura, signorina Banks, da non potersi mostrare in volto e da girare con una scorta di due uomini- disse indicando la finestra con un cenno della testa -e un alto cane da guardia- e indicò Grumann –e non una, ma ben tre pistole tra quella che sicuramente aveva nella borsetta, quella che probabilmente era infilata nella fondina sulla caviglia destra, come si vede dallo stivale, che è l'unico dei due ad essersi allargato in quel punto, e infine quella alla quale ha tolto la sicura un attimo fa?-

Era ritornato a rivolgersi a lei in modo formale, e in tono calmo. Probabilmente, la curiosità che provava in quel momento era più forte del fastidio che Nathalie gli aveva provocato.

     La donna estrasse la pistola da dietro la schiena alzando istintivamente le mani in segno di resa, rimise la sicura, estrasse il caricatore, mostrando che non c'erano proiettili. Erano nel guardaroba, assieme ad un mini revolver. La appoggiò sul tavolo e alzò di nuovo le mani.

-Non si è mai troppo prudenti.- rispose, secca. -Ero con due agenti dell'FBI nel momento in cui sono stati uccisi tutti da Kira. Poco dopo, anche Naomi Misora è scomparsa. Ho iniziato a temere il peggio per me e per la mia famiglia.- concluse, abbassando le mani e incrociando le braccia.

-Capisco...- disse il detective. Ora stava a ginocchia aperte, col gomito destro sulla coscia e la testa mollemente appoggiata alla mano chiusa, e con la sinistra a palma in giù sul ginocchio.

-Inoltre, se mi posso permettere...- riprese Nathalie. -Porto con me solo due pistole. Una terza pistola alla caviglia mi appesantirebbe il piede destro, e, se dovessi essere inseguita, non riuscirei a correre in modo uniforme e mi stancherei prima.-

-Mi pare sensato.- fece L, con la testa ciondolante in equilibrio precario sulla mano chiusa. -Devo quindi dedurre che lo stivale allargato, e il motivo per cui porta degli stivali sotto un completo elegante, sia dovuto ad un braccialetto elettronico?-

Nathalie fece una smorfia, che si tramutò subito in un sorriso storto.

-Non riuscirò a convincerla che non sono una criminale, anche se al momento non porto alcun braccialetto elettronico.-

La donna sentiva Grumann trattenere il respiro. Probabilmente lui non si aspettava che L fosse così attento e che avesse un tale intuito, anche se sembrava a malapena che li stesse guardando. Ma lei si era preparata a fondo per riuscire a controbattere a tutte le questioni che il detective avrebbe potuto sollevare sulla sua finta identità, per evitare che scoprisse chi era veramente. Era abbastanza certa di potercela fare. Dopotutto, nonostante L fosse diventato un detective di fama mondiale, dalle capacità ormai superiori alle sue, Nathalie sapeva come ragionava.

Era stata lei ad addestrarlo.

     -Va bene così, allora.- disse allora il giovane e, facendo cenno con la mano libera, aggiunse: -Vada pure avanti con quello che ha scoperto. Anzi, lasciamo perdere il Lei. È vero che stiamo parlando in giapponese, ma non mi sono mai piaciute le troppe formalità.-

-Bene.- riprese lei, ricomponendosi.

-Basandomi sulla pagina di diario mandata dal secondo Kira, ho cercato di analizzare tutti gli elementi per trovare una correlazione che avesse una base mitologica, e per vedere se esistevano altre parole in codice che avrebbe potuto usare per comunicare col vero Kira.-

Era quello il motivo per cui Nathalie era stata chiamata: negli ultimi anni si era specializzata in casi che coinvolgevano sette, occultismo, cosiddetti fenomeni paranormali. Le morti inspiegabili e la nascita di una sottospecie di “culto di Kira” rappresentavano un caso ideale, per una persona con le sue competenze.

-In molte tradizioni la vita umana viene rappresentata come una fiamma o come un filo,- disse, estraendo un nuovo fascicolo dalla borsa. -però esistono anche alcune tradizioni in cui il dio della morte possiede un libro nero, chiamato di solito “libro dei morti”. Il secondo Kira parlava di “mostrare il suo diario ad un amico”.-

-E quindi pensi che entrambi i Kira siano davvero degli dei della morte che posseggono un libro nero?- chiese Grumann, in tono canzonatorio.

-No.- rispose Nathalie, seccata. -Delle divinità non si rivolgerebbero ad una emittente come la Sakura TV per attirare l'attenzione dei propri simili. I due Kira sono sicuramente umani, ma quello che non sappiamo è come facciano ad uccidere le persone a distanza, o a programmarne le morti, conoscendone soltanto volto e nome. E, nel caso del secondo Kira, solo il volto. Com'è successo al vostro agente, Ukita.-

-Già...- disse L. -Anche il sovrintendente Yagami ha rischiato parecchio quella sera. Non fosse stato per quell'episodio, non avrei mai pensato che la sua vita fosse seriamente in pericolo a causa di Kira.-

La fissò intensamente negli occhi, mentre con un pollice si schiacciava il labbro inferiore. -Ma se vuoi sapere il perché, dovrai attendere.-

-Io continuerei.-

-Prego.- Ryuzaki si versò dell'altro caffè nella tazzina con grande attenzione.

     -Ho elaborato una teoria.- riprese la giovane donna, mettendosi comoda sul divanetto. -Ho notato che tra tutti i criminali dei quali è stato mostrato il volto e il nome, sono morti tutti tranne quelli dei quali veniva mostrato un identikit o... il cui nome veniva riportato erroneamente. Il che non ci sarebbe così utile, se non fosse che ho notato che si salvavano anche i criminali, per lo più stranieri, per i quali si conosceva la pronuncia del nome, ma non la grafia.-

Il detective alzò un momento lo sguardo dalle sue zollette di zucchero, interessato.

-Quello che voglio dire è...- continuò la donna, estraendo dal fascicolo una lista di nomi. La maggior parte di questi erano stranieri, e di fianco alla traslitterazione in katakana vi erano le possibili grafie in alfabeto latino. I nomi erano solo sette.

-...che non avrebbe senso che i “poteri” del primo Kira non gli permettano di uccidere una persona della quale sa pronunciare il nome. Ma le cose cambiano nel caso in cui per uccidere una persona sia necessario scriverne il nome. Tra questi nomi, ce ne sono tre di origine slava, e al notiziario sono stati traslitterati in giapponese con l'alfabeto fonetico. Uno di questi è riportato su diversi siti internet con grafie ogni volta diverse, dal momento che è russo, e non tutti i giornalisti seguono le convenzioni per la traslitterazione del cirillico. Vi ho mostrato questo caso perché penso sia il più emblematico: è possibile infatti pronunciare correttamente questo nome grazie alla trascrizione fonetica, ma non c'è accordo sulla grafia. E difatti questa persona si è salvata. Questo, assieme agli altri sei casi simili, mi ha fatto ipotizzare l'esistenza di una sorta di “libro dei morti”, per cui, se un nome viene scritto in modo erroneo, la persona non muore.-

     Il giovane smise di girare il cucchiaino nella tazzina stracolma di zucchero. Se lo portò alle labbra e alzò lo sguardo assumendo un'espressione pensierosa. -Questo è interessante.- disse. -Farraginoso, ma interessante. Quindi mi stai dicendo che se Kira, per esempio, ascolta alla radio notizie di criminali, e perciò non è sicuro della corretta grafia del nome, non può uccidere quella persona?-

Ritornò a guardare la tazzina, e appoggiò il cucchiaino sul piattino.

-Potremmo tenere questa pista in considerazione nel caso in cui riuscissimo a scovare il secondo Kira e a ottenere qualche informazione.- disse, portandosi la tazza alle labbra.

-Molto bene, signorina Banks.- concluse, bevendo un sorso.

-Avrei un'altra considerazione da fare.- ribatté lei, porgendogli un altro plico di fogli. -Mi sono permessa di fare delle “misurazioni”. A quanto pare, ad eccezione dei casi in cui si hanno avute delle morti programmate in orari prestabiliti, come il giorno in cui c'è stato un morto ogni ora, ho cronometrato il tempo trascorso dall'apparizione di un criminale alla TV e l'ora del decesso.-

Nathalie passò a L una nuova lista, questa volta leggermente più corposa della precedente, con gli orari della messa in onda dell'identità del criminale e l'esatta morte del decesso.

-Purtroppo l'intervallo è abbastanza approssimativo, in quanto è successo di rado che vi siano state delle morti in diretta, ad esclusione del conduttore di Canale 28 ucciso dal secondo Kira, perché era chiaramente una morte programmata. Queste sono tutte morti registrate nelle prigioni, ma, a meno che qualche guardia non venisse allertata dalle urla, o il decesso avvenisse durante l'ora d'aria o alla mensa, i cadaveri venivano rinvenuti troppo dopo rispetto all'orario dell'annuncio in TV.-

-A questo posso rimediare io.- le disse L, indicando il dossier col cucchiaino, mentre con l'altra mano continuava a reggere la tazzina.

-Posso fare in modo che nelle carceri vengano monitorate le morti con la massima precisione, se questo può risultare utile a capire come faccia Kira ad uccidere.-

Bevve un altro sorso, si liberò le mani e sollevò il foglio dagli due angoli superiori coi soli pollici e indici.

-Quali sono stati i risultati delle tue ricerche?- domandò poi.

     -Ecco...- riprese lei. -Non so quanto possano essere utili. L'intervallo tra l'apparizione di nome e volto e l'ora del decesso è di minimo due minuti circa. Non sono riuscita a fare di meglio. Ma è sicuro che non ci siano morti istantanee. È sempre dovuto passare un minimo lasso di tempo perché le vittime morissero. Ho usato la morte di Lind L. Taylor come indicatore massimo, quattro minuti; tutti i nomi che vedi lì evidenziati sono morti in un intervallo di tempo minore rispetto al suo.-

-E questo ti ha portato a pensare che possa esistere una sorta di rituale che Kira compie prima di uccidere le sue vittime, o col fine stesso di ucciderle?- chiese il detective, che intanto aveva ripreso la tazza per sorseggiare di nuovo il tè.

-Esatto.- rispose Nathalie -Purtroppo questo è tutto ciò che sono riuscita a ipotizzare, mi spiace.-

-Non ti dispiacere...- bevve un sorso. -Mi hai tolto un po' di lavoro. Un risultato davvero notevole, considerando che ti ho fatta contattare appena tre giorni fa, e che nel frattempo hai anche dovuto fare un volo transoceanico. Puoi rivolgerti a Watari per il tuo compenso.-

-Veramente...- Nathalie abbassò lo sguardo, poi guardò Grumann, che era rimasto zitto e immobile per tutto il tempo. Sorrideva in quel suo modo viscido, e i suoi occhi nascondevano una velata minaccia. Intanto L continuava a bere il suo tè.

-...Volevo chiedervi se potevamo partecipare alle indagini.- disse allora la donna, tesa. -Siamo pur sempre agenti abituati a collaborare con l'FBI, pensiamo di potervi essere utili.- Strinse la stoffa dei pantaloni tra le mani bianche. -Credo... credo che Naomi Misora sia stata un'altra vittima di Kira. Abbiamo lavorato insieme. E poi mi sono morti davanti agli occhi due agenti, uccisi da Kira...-

Rimasero tutti in silenzio per qualche istante. Nathalie era partita per il Giappone certa che L le avrebbe chiesto di continuare a lavorare al caso, ma la presenza di Grumann avrebbe potuto mandare a monte il piano.

-Speravo me l'avresti chiesto.- disse infine L, posando di nuovo la tazzina e portandosi le mani intrecciate davanti al volto. -Siamo un po' a corto di personale, come hai già notato, e tu mi sembri intelligente. Mi infastidisci, certo, ma sei in gamba, te lo concedo. Sono anche disposto a permetterti di portare qui il tuo cagnolino...- rivolse un'occhiata fredda a Grumann. -Ma spero che tu sappia che questo caso metterà in pericolo te e le persone che ti stanno vicine.-

-Non ho paura di questo.- rispose lei con voce ferma, e ritornando a guardarlo negli occhi. Odiava dover implorare.

-Non ho paura di morire. E sono poche le persone che devo proteggere. E Kira non può venire a conoscenza dell'identità di nessuna di queste.-

     -Bene!- riprese L, raccogliendo i dossier sul tavolino e sistemandoli aperti sulle proprie gambe incrociate. -Benvenuta nella squadra.-


     Uscirono dall'hotel che era notte inoltrata. L aveva voluto continuare il colloquio dopo aver mandato a casa gli altri (pochi) agenti giapponesi, perché voleva parlare del suo, fino a quel momento, unico sospetto. Light Yagami. Primo anno di università, tra gli studenti più intelligenti del Giappone, ragazzo modello, bell'aspetto, ex campione di tennis.

Praticamente perfetto. Troppo perfetto.

Faceva parte delle famiglie controllate da Penber poco prima della sua morte. Era lecito pensare che l'americano fosse stato avvicinato da Kira e che fosse stato costretto a rivelargli i nomi degli altri agenti. La presenza di una busta, ripresa dalle telecamere mentre stava per salire sul treno, e la sua assenza al momento della morte di Penber, unite al viaggio insolitamente lungo fatto dallo stesso, sembravano non dare adito a dubbi. Ma Light Yagami aveva superato i due giorni di sorveglianza senza mostrare comportamenti sospetti. Nathalie aveva chiesto di poter visionare i filmati e leggere la documentazione relativa al caso, ed era stata invitata per la mattina successiva. L aveva inoltre detto che era entrato in contatto con Light Yagami da un po' di tempo, e gli aveva chiesto di collaborare alle indagini, non prima di avergli detto che sospettava che fosse lui Kira.

È la prima volta che L usa il 'metodo Burton'” pensò Nathalie di ritorno al suo albergo. Entrare in contatto col sospettato e anticiparne ogni mossa, sfidandolo di continuo, per farlo innervosire e sperando facesse qualche errore. Era il metodo che era stato insegnato a lei, durante il suo addestramento al dipartimento di polizia di Boston sotto la guida di Roger Burton: un metodo che le si addiceva, ripetevano spesso i suoi colleghi, perché se c'era una persona in grado di far andare fuori di testa un sospettato, quella era lei.

-Persino un innocente si farebbe sbattere in galera, piuttosto che continuare ad averti come aguzzino.- la canzonavano.

Anche L “perseguitava” le proprie “vittime”, ma non si era mai esposto in prima persona, prima di allora. Non che lei sapesse. Mantenere l'anonimato era diventata la regola per gli studenti della Wammy's House, dopo che un altro brillante detective era stato ucciso per vendetta, sette anni prima.

Ma, anche se L gli stava addosso, Light era incredibilmente intelligente, non avrebbe perso la calma. Forse, però, in questo modo avrebbe abbassato un po' il tiro, magari qualche vita si sarebbe potuta salvare...

     Nathalie non sapeva bene cosa pensare. Era certa di una cosa, però: se L diceva che Light Yagami era Kira, Light Yagami era Kira. L aveva l'intuito più formidabile che si fosse mai visto. Ma non era un amante del lavoro sul campo, e avrebbe avuto bisogno di qualcuno di altrettanto competente per raccogliere le prove. E ora c'era lei, e raccogliere prove era la sua specialità. E mentre pensava a tutte queste cose, Grumann si stufò e si accese una sigaretta.

-Per favore, non fumarmi addosso.- gli disse, seccata.

-Mi avevano avvertito che eri una noiosissima salutista.- ribatté lui, ignorandola e dando il primo tiro. -Ma di certo l'aria di Tokyo non è che sia meglio di questa sigaretta. Cambiando discorso...- le fumò in faccia. -È vero quello che ha detto L? Che ti sei travestita?-

Nathalie gli prese il polso e lo torse forte. L'uomo urlò e tentò di colpirla con l'altra mano, ma lei, con un movimento fulmineo, si portò alle sue spalle. -Prova a fumarmi in faccia un'altra volta, Grumann, e la sigaretta ti finirà in gola.- gli sussurrò ad un orecchio. Poi lo liberò dalla stretta. Lui indietreggiò e la guardò furibondo.

-Pensavi sul serio che questo fosse il mio vero aspetto? A quanto pare non ti hanno detto un bel niente su di me.- disse, risistemandosi la giacchetta. -Meglio così, vuol dire che non vali abbastanza da esserne informato.-

I due uomini della scorta li richiamarono all'ordine. Intanto erano giunti al palazzo dove alloggiavano. Si divisero senza salutarsi, e Grumann si allontanò imprecando.

     Iniziava a piovere, pareva stesse arrivando un temporale. Meglio così. Nathalie adorava la pioggia, si sentiva libera di poter vagare da sola all'aria aperta. Anche se Grumann aveva ragione: l'aria di Tokyo era terribile da sopportare. Salì tutti e sei i piani di scale a piedi, senza apparente fatica, si infilò nel proprio appartamento e iniziò a gettare tutti i vestiti a terra a mano a mano che si spogliava. Dopo aver controllato che tutte le porte e le finestre fossero chiuse a dovere, andò in bagno e accese la luce per togliersi le lenti a contatto, si lavò via il pesante trucco dal volto e dalle mani e si levò la parrucca. Mentre toglieva ad una ad una tutte le forcine, lunghissimi capelli setosi le ricadevano sulla schiena nuda. Erano bianchi.

-E non ho schiacciato abbastanza i capelli perché L non si rendesse conto che questa era una parrucca.- sbuffò, pettinando con le mani i finti capelli neri. Uscì dal bagno per sistemare la parrucca su di una testa di polistirolo e tornò indietro. Si infilò nella doccia e aprì il getto dell'acqua calda.

     La situazione era troppo surreale. Era di nuovo partita per il Giappone per dare la caccia a Kira. Dopo che era riuscita a scoprire della scomparsa di Naomi Misora, aveva cominciato ad attendere con ansia il giorno in cui l'avrebbero chiamata: quasi non le importava più il riuscire a liberarsi da Hayer; voleva mettere le mani addosso a Kira e sbatterlo in una cella due metri per uno, senza finestre, per tutto il resto dei suoi giorni. Quando avrebbe imparato la lezione? Qualunque persona le si avvicinasse, moriva sempre troppo presto.

In quel momento non voleva pensare a nulla. Lasciò che l'acqua bollente le scorresse addosso, sulla pelle chiarissima, finché questa non si arrossò. Uscì dalla doccia e cercò nell'armadietto dei tubetti di crema. Iniziò a spalmarsi, come faceva ogni giorno, una crema dall'aspetto unticcio sulla spessa cicatrice che aveva sulla spalla destra. Lentamente. Era lunga una decina di centimetri e larga uno, e le cadeva perpendicolarmente sulla spalla. Iniziava davanti e finiva dietro. Poi passò alla seconda. Era sottile, lunga solo pochi centimetri, e tagliava in diagonale il suo avambraccio sinistro. Quasi invisibile ad occhio nudo. Ma era una delle sue cicatrici, e pertanto andava inserita nel suo rituale quotidiano. La terza. Un taglio chirurgico al fondo dell'addome, largo meno di una dozzina di centimetri. Pareva impossibile che di lì ci fosse potuto passare un neonato. Alzò gli occhi verso lo specchio. Le labbra delicate e il naso fine e all'insù, gli zigomi alti... era un viso di quelli di porcellana. Non le era mai interessato essere bella (quelli come lei potevano essere di una bellezza incredibile, ma sarebbero sempre stati guardati come mostri), ma sapeva di esserlo. Finché non si alzava lo sguardo. Su quel viso quasi bianco si vedeva una macchia più scura correrle verticalmente dalla fronte allo zigomo destro. Il segno di un'ustione. Non troppo grave da sfigurarle il volto corrodendole la pelle. Non abbastanza lieve da non lasciare traccia. E, in mezzo, un occhio rosso.

Il calore della doccia le aveva attivato la circolazione, rendendole la pelle leggermente rosata, ma anche le iridi si erano arrossate. Gli occhi degli albini non sono mai rosso sangue, ma Nathalie tendeva ad infuriarsi di continuo, per cui capitava spesso che i suoi occhi fossero rossi e insanguinati. Avevano ragione, i compagni della Wammy's House, a chiamarla “Demone Bianco”, quando erano piccoli.

     Dopo essersi spalmata addosso altre creme solari e protettive contro i raggi UV, rimise tutto a posto nell'armadietto, ma, nel farlo, cadde una foto. Nathalie la raccolse. Erano lei e Bjarne. Facevano davvero contrasto, loro due. Lui, alto, abbronzato come sempre, a quel tempo teneva i capelli biondo platino, quasi completamente sbiancati dal sole, legati in uno chignon, e portava il pizzetto. Aveva un sorriso smagliante e gli occhi castani gli brillavano. Aveva addosso una camicia di lino e dei pantaloncini. Le cingeva dolcemente la vita, accarezzandole il pancione. Erano sulla terrazza di un qualche bel ristorante in California. Lei aveva i capelli che le arrivavano alle spalle, ondulati, un vestito a fiori largo e leggero, e sopra una maglia in tessuto leggerissimo che le riparava le braccia dal sole. Il pancione era di soli cinque mesi, ma era molto evidente, dal momento che era aveva sempre avuto un fisico magro, longilineo e abbastanza atletico. Portava un enorme cappello che le faceva ombra al viso, perché quel giorno Bjarne l'aveva convinta ad andare in giro senza trucco e lenti, e anche se c'era il sole. Pensava che al bambino avrebbe fatto bene. Nathalie ricordava sempre con piacere quella giornata. Era già ostaggio di Hayer, e le venivano concesse poche giornate di libertà, anche se sotto strettissima sorveglianza. Quel giorno Bjarne aveva preparato un'uscita speciale, si era assicurato di trovare un ristorante con vista mare che cucinasse i suoi piatti preferiti e che avesse un angolo molto riparato dal sole. Era in vena di festeggiamenti, sebbene non ci fosse assolutamente nulla da festeggiare. Nathalie era riuscita a mangiare tutto, ed era stata felice. Gli altri clienti del locale non le avevano nemmeno dedicato troppi sguardi. Alcuni si erano addirittura avvicinati per farle gli auguri per il bambino.

     Tutti quelli che la vedevano la compativano sempre un po', quando non la guardavano terrorizzati. La genetica aveva voluto che nascesse affetta da albinismo totale, occhi rossi annessi. L'unica della famiglia. Non c'era memoria di altri casi di albinismo in nessuno dei due rami. Fortunatamente la sua vista era abbastanza buona, e lo strabismo che aveva corretto solo pochi anni prima era talmente insignificante da non averle mai dato problemi.

Aveva iniziato molto presto a nascondere la sua ustione, i suoi occhi, i suoi capelli. Bastava un po' di correttore a coprire la macchia; per i capelli, aveva cominciato da subito ad indossare parrucche; non appena le lenti a contatto colorate erano diventate disponibili sul commercio, Nathalie aveva cominciato a portarle. In quel modo, nessuno l'avrebbe più compatita. Odiava doversi nascondere, ma odiava ancora di più gli sguardi pietosi della gente. Poi era diventata un agente investigativo, e l'anonimato era diventato per lei una priorità, perciò aveva passato anni a nascondere il suo vero volto. A volte dimenticava persino che aspetto avesse realmente.

     Rimise a posto la foto e si infilò mutande e la logora maglietta nera con una scolorita bandiera inglese, troppo larga per lei, che usava come pigiama. Sarebbero arrivate giornate molto lunghe. L non le aveva dato la documentazione relativa al caso e a Light Yagami perché sarebbe stato rischioso portare del materiale del genere fuori dal quartier generale, perciò aveva a disposizione quattro ore di sonno prima di doversi preparare nuovamente per raggiungere il nuovo quartier generale.

-November 8th, 1997, by the river.- si ripeté prima di infilarsi a letto, mentre arrotolava una ciocca di capelli bianchi intorno al dito.


     -Watari.- chiamò L.

-Vuoi per caso dell'altro tè?- chiese il vecchio, alzando appena la testa dalla poltrona sulla quale sedeva, leggendo gli ultimi risultati delle indagini.

-No, grazie.- rispose il giovane, che stava rannicchiato sul divanetto e si passava il pollice sul labbro inferiore. -Vorrei parlarti dei due collaboratori dell'FBI che sono venuti oggi.-

Watari si sentì trasalire, ma cercò di non darlo a vedere. -Hai davvero intenzione di reclutarli?- chiese, con voce tranquilla. -In ogni caso, gli hai già raccontato un bel po' di cose, non credi?-

-Non è questo il problema.- rispose lui, continuando a fissare il vuoto. -Di Banks non so se fidarmi, ma è in gamba e ha un senso della giustizia molto simile al mio. So che non ha secondi fini. È Grumann che mi preoccupa.-

-Quale pensi sia il suo ruolo?- domandò Watari. Avevano avuto poco tempo quella mattina per discutere della presenza di un assistente al fianco della signorina Banks. Nel momento in cui gli era stato ordinato da L di contattare la loro vecchia collaboratrice, Watari aveva già accennato alla possibilità che le potesse venire affiancata un'altra persona, e il detective aveva rimandato a lui ogni decisione al riguardo.

-Credo che più che il cane da guardia di Banks, sia il suo secondino.- disse L, senza sembrare minimamente sorpreso o preoccupato. -La teneva costantemente d'occhio, era evidente.-

Il giovane alzò lo sguardo verso il soffitto, e si portò l'indice al mento.

-Negli altri due casi per i quali abbiamo chiesto la consulenza di Banks, non parevano esserci irregolarità o cose sospette nel suo curriculum.- continuò, parlando più a se stesso che a Watari.

-Ma non possiamo escludere la possibilità che, in fondo, lei sia soltanto una delle tante spie mandate a cercare di scoprire la mia identità. Magari non agisce di sua spontanea volontà, dal momento che si sente così minacciata. Ma ciò non cambia la realtà dei fatti.-

-Cosa pensi di fare al riguardo?- gli domandò Watari, sfogliando il proprio dossier senza alzare lo sguardo. L non ci avrebbe messo molto, forse, a capire che gli stava nascondendo qualcosa. Sarebbe stato forse meglio dirgli tutto? Quanto avrebbe potuto metterli in pericolo? Aveva indagato a suo tempo su Hayer, ma sia lui che K erano sempre riusciti a nascondere a L l'esistenza sua e dell'organizzazione del Privates for Police Enforcement Program all'interno della Hogson Society for Veteran Reintegration.

     -Voglio che Banks lavori per me.- disse il detective, volgendo lo sguardo direttamente a Watari. -Che Grumann cerchi di spiarmi, mi interessa poco. È chiaro che sia un pesce piccolo, e il mio volto servirà a poco a chiunque voglia scoprire la mia identità.-

Aprì il fascicolo dei due nuovi arrivati e si mise a scrutare i loro profili. -E se Banks è in pericolo, mi auguro che riesca a difendersi da sola. In questo momento non abbiamo di certo né il tempo né gli uomini per farle da babysitter.-

-La signorina Banks ha dato un contributo fondamentale negli altri due casi ai quali avete collaborato.- intervenne allora Watari. -Potresti mostrarle un po' più di gentilezza.-

-La riconoscenza nei suoi confronti mi ha fatto decidere di mostrarmi in volto, e mi ha anche impedito di congedarla appena ricevuti i risultati delle sue ricerche.- ribatté il giovane, alzando di nuovo lo sguardo, pensieroso. -Mi nasconde la sua identità, e la cosa mi irrita.-

     Watari avrebbe voluto parlare. Non importava quanto la situazione potesse metterli in pericolo; sarebbero riusciti a contrastare Hayer. Sebbene avesse covato per anni un forte risentimento nei confronti di K, quella sera si era sentito quasi tremare nel vederla. Non l'avrebbe mai riconosciuta, se non avesse saputo che era lei. Come non l'aveva riconosciuta dalle foto e dai video che la ritraevano durante i due precedenti casi a cui aveva lavorato con quella falsa identità. E non era perché era travestita, quello lo faceva da quando aveva sedici anni. Ma il suo volto, quello non era più lo stesso. Il suo sguardo impudente, il suo mezzo sorriso canzonatorio... svaniti.

Trovarsi di fronte a lei dava la stessa sensazione che si prova di fronte ad un condannato a morte che non mostra segni di paura, ma che guarda il suo boia con aria di sfida: un sentimento di rispetto, certo, ma anche un terrore sordo.

Il trucco e i vestiti potevano coprire le sue cicatrici, ma c'era un'aura di orrore che la circondava. Per questo, meritava di essere aiutata. Meritava la possibilità di poter tornare a casa, di tornare alla Wammy's House, di poter insegnare anche alle nuove generazioni di detective.

Di vedere Nate.

     -E poi...- ricominciò L, interrompendo il corso dei suoi pensieri.

-Con l'apparizione del secondo Kira, e con la partecipazione di Light alle indagini, la risoluzione del caso potrebbe essere davvero troppo vicina per preoccuparsi d'altro. Come quali siano le intenzioni di Grumann. O di Banks.-

L chiuse il fascicolo e ritornò a mangiare i suoi bignè, rompendoli con le mani e leccandone il ripieno. Completamente ignaro.

Watari desistette. Il caso stava davvero per avere una svolta fondamentale, non poteva parlare. Non si immaginava che reazione potesse avere L al sapere che K era ancora viva e che stava attualmente lavorando con lui, ma di sicuro lo stato mentale del giovane, dopo una scoperta di tale portata, non sarebbe di certo stato adatto a risolvere un caso così complesso come quello di fronte al quale si trovavano. Dopotutto, tra loro due non era certo Watari quello che aveva rischiato la morte a causa di K, né quello che aveva rischiato di vedersi portato via da lei la cosa più preziosa della sua intera esistenza.

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 - La fisica delle mele e dei sacchetti di patatine ***



Capitolo II



    Nathalie arrivò al nuovo hotel prima che sorgesse il sole, per evitare di doversi riparare dalla luce. Voleva soltanto mettersi al lavoro, concentrarsi sul caso Kira e fingere che la sua esistenza non fosse appesa ad un filo. Watari accolse lei e Grumann nell'ampio ingresso, con un sorriso stanco. La donna non ci aveva fatto caso il giorno prima, ma ora guardava stupita l'uomo che aveva accolto lei e L alla Wammy's House, diciassette anni prima. Non sembrava invecchiato. Ricordava che anche quando erano piccoli, Watari aveva già i capelli bianchi. Un po' meno rughe forse, ma a loro era sempre sembrato vecchio. La differenza, rispetto ad allora, rispetto all'ultima volta che lo aveva visto anni prima, era che ora il vecchio sembrava... rabbonito. Non era più la figura paterna esigente e distante della sua prima adolescenza; ora sembrava più... il nonnino gentile che ti passa le caramelle di nascosto. Nathalie si ritrovò a pensare cosa potesse averlo portato a diventare l'assistente personale di L (anche se a volte sembrava di più il suo maggiordomo), quando, a rigor di logica, probabilmente sarebbe stato più corretto considerare L un suo dipendente.
-Ryuzaki non è ancora arrivato.- disse Watari, facendosi dare i cappotti. -Nel frattempo, potete accomodarvi e fare colazione.-
Grumann ancora non le parlava. Si diresse verso il buffet e lanciò un'imprecazione nel vedere che veniva servita solo la colazione tipica giapponese o un vasto assortimento di dolci. Niente salsicce o pancetta con uova e pane tostato. Nathalie si ritrovò a pensare, mentre si serviva una ciotola di riso bianco con natto e alghe nori e una di zuppa di miso, con un po' di salmone su un piattino, che era strano che un mediatore della Yakuza negli Stati Uniti rimanesse così stranito di fronte a quel tipo di cibo. Hayer non le aveva detto molto del suo collaboratore, ma era praticamente certo che avesse lavorato per la Yakuza.
    Il colloquio col capo la sera prima era andato meglio di quanto si sarebbe aspettata, rifletteva, mentre si versava una tazza di tè verde e cercava un posto a sedere. Le proteste di Grumann per il polso torto avevano avuto come unico effetto quello di far innervosire Hayer, che lo aveva ripreso:
-Grumann. Questa operazione ci serve per raccogliere altre informazioni utili su L da rivendere. Voi due non gli piacete, è chiaro, ma Banks gode almeno di un minimo di fiducia. È quello che succede quando si è intelligenti.- aveva aggiunto, sogghignando.
-Per cui non mi interessano i tuoi piagnistei, il tuo compito e solo quello di essere i miei occhi e le mie orecchie. Non il mio manganello. Banks, mi secca dirlo, ma sa stare al suo posto, quando sa cosa c'è in gioco. Giusto, Banks?-
Nathalie aveva asserito controvoglia con un “Sissignore”, prima di tornare a pensare ai fatti propri. La chiamata con Hayer stava durando talmente tanto che si era resa conto che per quella sera Bjarne non avrebbe potuto chiamarla.

    Un'ora più tardi, Watari annunciò loro che avevano terminato il trasferimento e che L era pronto a riceverli. La camera d'albergo, questa volta, era più piccola, e così i computer erano stati sistemati nella sala. Questa volta fu l'agente Mogi a perquisirli e a passare il metal detector, dal momento che il giorno prima Matsuda aveva controllato scrupolosamente solo Grumann, senza accorgersi della pistola di Nathalie. Mogi era imponente, ma aveva un viso quasi gentile, era taciturno e ligio al dovere. C'erano lui e Aizawa come supporto a L, quella mattina. Due soli poliziotti, per aiutare il detective più bravo al mondo a catturare il più spaventoso serial killer della storia.
-Accomodatevi.- disse L con in bocca un cucchiaino stracolmo di torta alle fragole.
Stava seduto su una poltrona davanti a diversi schermi che trasmettevano notiziari, e aveva appena alzato la testa al loro arrivo.
-Lì ci sono tutti i filmati dei periodi di sorveglianza.- disse, indicando un computer libero col cucchiaino sporco di panna. -E quel plico di fogli è tutta la documentazione di cui avete bisogno per mettervi in pari con gli altri.-
Ritornò poi a quello che stava facendo, e parve dimenticarsi della loro esistenza.
Nathalie quel giorno non portava il solito paio di occhiali dalle piccole lenti ovali e dalla montatura fine e quasi invisibile, composta dalle sole aste, ponte e cerniere di un pallido color dorato, che le davano un'espressione ancora più seria e la facevano sembrare più vecchia; al loro posto, indossava grandi occhiali dalla montatura nera con le lenti progressive e il filtro anti-luce blu, dal momento che avrebbe dovuto passare quasi tutta la giornata davanti ad un computer, e L teneva le tende tirate e l'illuminazione bassa. I suoi occhi erano estremamente sensibili alla luce e detestavano in particolare gli schermi, un altro handicap dell'essere nata albina.
    Banks e Grumann passarono almeno mezza giornata a visionare i filmati della sorveglianza, ma nulla sembrava essere utile. Dopo un paio d'ore, L cominciò ad unirsi a loro per ricontrollare se gli fosse sfuggito qualcosa.
Giunsero ai filmati di una sera in casa Yagami, in cui Kira aveva giustiziato una persona appena apparsa al telegiornale, in un momento in cui il ragazzo non stava guardando la televisione.
-Ecco. Questo è il momento dell'alibi di Yagami, non è così?- chiese Nathalie, controllando su uno degli schermi l'inizio del telegiornale che era in onda nello stesso momento in cui veniva registrato il video.
-Esatto.- disse L, mettendo in pausa tutti i video. -Qui finisce di cenare e sale in camera prima che inizino a trasmettere i volti dei criminali ai notiziari.-
Si accovacciò nuovamente sulla sua poltrona e fece ripartire i filmati.
-Mmm...- fece Nathalie, sovrappensiero. Light Yagami era attentissimo alla salute e alla forma fisica, si capiva dalle sue abitudini. Perciò... perché lasciare a metà la cena per mangiarsi un pacco formato famiglia di patatine?
-Qualcosa non va, signorina Banks?- chiese L con la sua solita voce vuota. Lei gli espresse i suoi dubbi, ma lui scosse la testa. -Cercare a tutti i costi qualcosa che non quadra, non aiuta l'indagine.-
Si passò poi il pollice sulle labbra. -Per quanto io vorrei avere la conferma di essere sulla strada giusta per risolvere questo caso, non credo che trovare sospetto qualsiasi cosa faccia Light possa portarci alla soluzione.-
Alzò poi lo sguardo verso il soffitto. -Non dimentichiamoci che si tratta di un adolescente, che oltretutto in questo periodo doveva affrontare gli esami finali del liceo. Comportamenti che esulano dall'ordinario sono perfettamente comprensibili.-
    Osservarono tutti e tre in silenzio, mentre passavano le notizie dei criminali arrestati, e Light scriveva senza quasi staccare gli occhi dal foglio, se non, ogni tanto, per prendere una patatina. L'ora del decesso del criminale ucciso da Kira quella sera era stato monitorato per ordine di L, difatti era uno dei dati che Nathalie aveva raccolto per cronometrare l'intervallo tra apparizione e morte per arresto cardiaco. Se lo ricordava ancora: un minuto e trentotto secondi.
Sembrava davvero non ci fosse niente da fare. Finché Light non si alzò, appallottolò il sacchetto di patatine e lo buttò nel cestino.
Tong”.
Il sacchetto di plastica, del peso approssimativo di pochi grammi, era atterrato ad una velocità insolita nel cestino, facendo “Tong”.
-Puoi rimandarlo indietro, Ryuzaki?-
Lui le passò il telecomando senza dire una parola.
-Ecco, ora fate attenzione al momento in cui butta il sacchetto.- disse Nathalie, che aveva stoppato il video. Lo fece ripartire, rividero la scena, e poi la donna tornò di nuovo indietro.
-Avete notato nulla di strano?- domandò.
-Perché vuoi farci perdere tempo con queste cose inutili?- domandò Grumann, passandosi una mano tra i capelli.
-Un sacchetto di plastica come quello dovrebbe pesare meno di venti grammi.- riprese Nathalie, facendo ripartire l'immagine e fermandola ad ogni fotogramma.
-Anche supponendo che dentro ci siano ancora delle patatine, la traiettoria di caduta segue una linea retta, e il tempo di caduta è troppo veloce in relazione al suo peso.-
Fece trascorrere gli ultimi decimi di secondo del video senza stopparlo, alzando il volume al massimo.
Tong”. “Criiiiick”.
-E quello vi pare il rumore che fa un sacchetto di patatine quando cade?-
Nathalie si voltò verso L, che aveva gli occhi incollati allo schermo. Era certa che non avesse notato quel dettaglio, e ora si stesse maledicendo mentalmente per questo.
-Che cos'è stato trovato nella spazzatura di casa Yagami, in quei giorni?- domandò la donna, togliendosi gli occhiali progressivi e guardando L.
-Sono desolato,- rispose il giovane, senza voltarsi. -ma non siamo riusciti a far controllare la spazzatura.-
-Ma come?!- esclamò Nathalie, alzandosi in piedi di scatto e rovesciando la sedia. -È l'ABC della sorveglianza, il requisire la spazzatura!-
-Come però puoi vedere, signorina Banks,- riprese lui, finalmente voltandosi e piantandole in faccia uno sguardo infastidito. -Non ho abbastanza uomini per farlo. E se anche ce li avessi, i giapponesi hanno un senso della privacy, o meglio, un senso di ciò che è o non è appropriato, che non arriverò mai a capire. Oltretutto, dei dodici agenti mandati dall'FBI per controllare le centoquaranta famiglie dei poliziotti dell'Interpol, non uno, ma addirittura due erano assegnati anche alla tua sicurezza. Come avrei potuto far controllare loro anche la spazzatura?-
Poi rivolse lo sguardo verso la sedia a terra, e aggiunse, in tono saccente:
-A proposito di questo, signorina Banks, hai di nuovo intenzione di minacciarmi puntandomi una pistola senza proiettili addosso?-
Nathalie chiuse entrambe le mani a pugno. Se quella scena fosse successa sei o sette anni prima, probabilmente lo avrebbe afferrato per la collottola e poi avrebbe preso ad urlargli in faccia, per sfogare così il proprio impulso di prenderlo a pugni. Tra tutte le cose che non sopportava di L, quel suo atteggiamento la mandava completamente fuori dai gangheri.
-Non succederà più, parola di giovane marmotta.- bofonchiò sarcastica, drizzando la schiena e alzando la mano destra.
-In ogni caso.- riprese, dopo aver inspirato ed essersi calmata. -Vorrei poter analizzare le registrazioni delle cimici, per riuscire a capire di che tipo di rumore si trattava.-
Rimandò ancora una volta il video indietro, col volume al massimo.
-Sembra... il rumore di un oggetto metallico che cade a terra, accompagnato da un vetro che si incrina.-
L tirò fuori da una scatola dei biscottini e si mise ad osservarli attentamente uno ad uno.
-Posso procurarti i nastri, se proprio vuoi.-
Ne addentò uno.
-Effettivamente, non mi ero accorto di questo particolare, nonostante tutte le volte che ho riguardato questo video. Prestavo la massima concentrazione a ciò che succedeva prima e durante il notiziario.-
-Avrei anche bisogno di un programma per il riconoscimento dei suoni.- insistette Banks.
L stava tenendo un secondo biscottino tra le dita, quando si girò a guardare Nathalie.
-E cosa speri di trovare?-
Nathalie si morse il labbro e cominciò a tamburellare con la matita sul proprio taccuino. Doveva cercare di sfogare il proprio nervosismo in qualche modo; il suo impulso era sempre quello di arrotolarsi i capelli attorno al dito, ma sapeva che si trattava di un gesto fin troppo riconoscibile.
-L'ora del decesso coincide con l'annuncio del criminale al notiziario.- esordì, alzando la sedia da terra e mettendocisi a sedere.
-La stessa notizia è stata riportata sui giornali il giorno dopo, ovviamente, ma sui siti internet? Se nel sacchetto di patatine ci fosse stato un cellulare in grado di connettersi a internet, Light Yagami avrebbe potuto leggere la notizia mentre prendeva le patatine.-
Riprese il telecomando e fece tornare indietro il video al momento in cui Light infilava la mano nel sacchetto.
-La posizione delle telecamere non permette di vedere l'interno del sacchetto.- osservò L, posando sul tavolo il biscottino che stava per mangiare.
-Ma comunque lo schermo di un cellulare sarebbe troppo piccolo, e per scorrere le notizie sarebbe necessario usare i tasti.- continuò Nathalie.
-Inoltre, un cellulare non fa quel rumore così forte, cadendo.-
-E gli schermi non sono in vetro.-
-Perciò, escludendo la possibilità che stesse controllando le notizie su internet...-
-Rimane come unica soluzione il notiziario, perciò...-
-Un televisore portatile!- esclamarono insieme, voltandosi di scatto e guardandosi negli occhi.
L ritornò subito ad osservare uno schermo.
-Supponendo che questa assurda teoria sia vera, questo significherebbe che Light si aspettava di essere messo sotto sorveglianza, e aveva preparato questo stratagemma da prima che mettessimo le telecamere.-
-Ma purtroppo, se anche avessi ragione, questo non dimostrerebbe come fa Kira ad uccidere le sue vittime.- aggiunse Nathalie, amareggiata.
L raggiunse la scatola dei biscotti con una mano, per poi porla a Nathalie.
-Mi piace come ragioni. Meriti un biscotto.- disse, invitandola a servirsi con un cenno, al quale lei rispose alzando una mano e scuotendo il capo. -Pensi fuori dagli schemi, e hai un'ossessione per i dettagli insignificanti. Ma sono certo che questo in molti casi torna estremamente utile.-
Riprese la scatola e si mise a guardarci dentro.
-Purtroppo, penso che questa pista sia impraticabile.-
Si sgranchì le dita dei piedi e poi si alzò, rimanendo con la schiena curva.
-Sarebbe meglio concentrarsi su altro, per il momento.-
    Si rivolse poi a Grumann. -Tu, hai trovato qualcosa tra quei rapporti?-
-Nulla di interessante o di utile.- rispose, approfittando della pausa per stiracchiarsi. Si voltò verso di Nathalie e verso il detective, che si stava dirigendo al carrello dei dolci per prendere la teiera.
-A parte questo piano per il secondo Kira.- disse, alzando il foglio coi piani di pedinamento per le date del 22, 23 e 30 maggio.
-Pensi sia saggio, Ryuzaki, chiedere a Light Yagami di unirsi agli agenti in borghese e controllare i posti dove potrebbe trovarsi il secondo Kira, visto che è proprio lui il tuo unico sospettato?-
-In cuor mio, spero che il secondo Kira lo trovi.- gli rispose lui, senza alzare gli occhi dalla tazza.
Questa volta andò a sedersi sul divanetto, sistemando il vassoio col tè sul tavolino, e poi cominciò a giocare con le zollette di zucchero. -Light è troppo intelligente e sa che sarebbe controllato ad ogni passo, ma il secondo Kira non sembra altrettanto scaltro. Se trovasse il modo di avvicinare Light, sarebbe più facile per noi catturarli entrambi.-
Si voltò un momento verso Nathalie. -Credo che sarebbe una pista più semplice rispetto al cercare nella spazzatura di mesi fa una prova che potrebbe non esserci o non essere rilevante.-
-Era solo un'ipotesi.- protestò lei -E soprattutto, non abbiamo molto altro in mano. Se ci lasciamo sfuggire occasioni come questa per raccogliere delle prove, non chiuderemo mai il caso.-

    L si ritrovò a pensare che Banks stava facendo delle osservazioni intelligenti. Impossibili da provare, però intelligenti. La squadra che gli era toccata non gli sembrava la più adatta a quel tipo di indagine, oltre al fatto non trascurabile che si era ridotta a soli quattro elementi. La situazione era talmente disperata che aveva dovuto accettare pure quel criminale di Grumann. Non che quello fosse di per sé un problema, era abituato a collaborare con criminali, ma di solito si assicurava che questi non avessero buoni motivi per venderlo al migliore offerente.
Gli seccava ammetterlo, ma era pure disposto a tollerare la presenza di Grumann, pur di tenersi Banks a lavorare per lui. Probabilmente Banks era intelligente quanto Light. Peccato che entrambi gli sembrassero persone troppo sospette per potersi affidare completamente a loro. L'unica persona della quale si sarebbe fidato era Naomi Misora, ma lei era morta. Erano mesi che L si malediceva per essersi reso irraggiungibile il giorno in cui lei era andata al quartier generale dell'Interpol chiedendo di lui. Era certo che grazie a lei il caso sarebbe già stato chiuso; invece, si era visto costretto a rivolgersi a due persone che con ogni probabilità erano spie.
Si zuccherava il tè mentre leggeva altre decine di rapporti che Watari gli aveva stampato. Si era fatto dare i permessi per ottenere le trasmissioni di quante più telecamere di sicurezza possibili, durante i fatidici giorni 22, 23 e 30 maggio, indicati nella pagina di diario del secondo Kira come possibili giorni in cui incontrare il vero Kira. Oltre a quelle, si sarebbe mobilitato per farne installare altre.
L'osservazione di Banks lo stava irritando. Perché non si era accorto del tonfo provocato dal sacchetto di patatine? Eppure aveva riguardato quelle immagini decine di volte. Dormiva meno del solito, ultimamente. Beveva caffè a litri. Mangiava solo dolci. Non avrebbe resistito a lungo in quelle condizioni. Ma una svolta nelle indagini era vicina, lo sentiva! Aspettava solo un passo falso del secondo Kira, era sicuro avrebbe fatto un passo falso; e poi Mogi pedinava Light, ad insaputa del vecchio Soichiro. Poteva farcela, poteva risolvere il caso entro tempi brevi.
    Ma ad un tratto si ritrovò nella cucina della vecchia casa a Boston. La riconosceva dalle macchie di umidità sul soffitto. Erano da soli in casa, lui e sua madre. Lei si era arrabbiata di nuovo, ma questa volta non aveva urlato come al solito. Sua madre era depressa da quando suo padre era morto in quel dannato incidente, e L aveva imparato a riconoscere quali erano i momenti peggiori. Il silenzio era peggio delle urla. L si premeva le mani sulle orecchie, desiderando essere altrove, desiderando non esistere proprio. Poco dopo, lei era tornata con un cuscino. L si era alzato di scatto, ma poi non era più riuscito a muovere un muscolo. Sua madre, sempre in silenzio, l'aveva strattonato per un braccio, per poi buttarlo a terra e schiacciargli il cuscino sulla faccia. L cercava di divincolarsi, cercava di graffiare le braccia della mamma, ma stava sprecando ossigeno prezioso. Che stupido, pensava. Dovrei trattenere il respiro e fingermi morto. Intanto sentiva le forze abbandonarlo, i polmoni bruciare e gli occhi lacrimare. E poi, un dolore al gomito. Ma perché? Non ricordava perché dovesse fargli male il gomito. Non era così che erano andate le cose!
    Aprì gli occhi e vide sopra di sé il volto freddo e inespressivo di Banks, inginocchiata di fianco a lui che lo guardava con aria di rimprovero. -Ti sei addormentato e sei caduto dalla poltrona, Ryuzaki.-
La donna si alzò in piedi e gli tese una mano, ma lui distolse lo sguardo, rivolgendolo a terra.
-Non hai l'aria di uno che dorme molto.- disse allora lei, girando sui tacchi.
Il giovane si rimise in piedi da solo, grugnendo. -Tornate pure a... quello che stavate facendo.-
Raccolse da terra i fogli caduti e prese una delle sedie girevoli dalla postazione dei computer. Su quelle era più difficile riuscire ad addormentarsi di colpo.
-Io continuo qui.- riprese. -Tranquilli, non capiterà di nuovo. Ho ancora un sacco di lavoro da fare prima della riunione di stasera con gli agenti del quartier generale. Vi sarei grato se poteste finire prima del loro arrivo.-
    Si rimisero tutti a lavoro. C'era più di un motivo se L odiava dormire, e questo era tra i principali. Si massaggiò il gomito e tornò a sedersi. Gli serviva dell'altro caffè.

    Verso le 7 Banks e Grumann lasciarono l'hotel, giusto poco prima che arrivassero gli altri agenti. Anche se era maggio, il sole non era tanto alto da creare un problema per la donna, che decise di fare un giro prima di rientrare in albergo. La notte prima aveva piovuto, così l'aria era diventata leggermente più respirabile. Grumann la lasciò con gli uomini della scorta; non c'era pericolo che si mettesse in contatto con L a sua insaputa, perché il suo telefono era attivo soltanto per le chiamate in entrata, e le guardie del corpo custodivano sempre le sue pistole nel tragitto dall'albergo al quartier generale e viceversa.
Nathalie comunicò ai due agenti della scorta che aveva intenzione di passare da casa Yagami a fare un primo sopralluogo. Presero quindi un taxi e si fecero lasciare ad un isolato di distanza.
Scesero dal taxi, e la donna condusse i due agenti di fronte ad una mappa della zona, appesa sotto la pensilina di una fermata degli autobus.
-Barnes.- disse Nathalie, rivolgendosi ad uno dei due. -Tu verrai con me. Fingeremo di essere una coppia, così daremo meno nell'occhio. Imboccheremo quella strada, per poi sbucare nel vicolo a destra rispetto all'incrocio con la via in cui abitano gli Yagami. Dale.- fece poi all'altro agente, porgendogli la propria valigetta nera.
-Prendi questa, fingi di essere un impiegato di ritorno dal lavoro. Mi raccomando, trascina i piedi e fingiti stanco morto, o saresti poco credibile. Qui siamo in Giappone.- concluse sogghignando appena.
-Tu dovrai fare il giro da quella parte, sbucherai direttamente nella via di Yagami. Rimani nascosto finché non ti suonerà il telefono. Hai dietro un binocolo?-
L'uomo di nome Dale annuì.
-Bene. Noi aspetteremo di vedere arrivare Light da quella direzione.- disse indicando verso sinistra. -È altamente probabile che giunga da lì, perché la fermata del bus da e per l'università è da quella parte, e se anche si dovesse fermare in un konbini, ne troverebbe uno sulla strada. Noi lo terremo d'occhio finché non svolta l'angolo, e appena lo fa, Barnes farà partire una chiamata sul tuo cellulare, tu risponderai e ti metterai a camminare lungo la via, parlando al telefono. In quel modo sembrerai meno sospettoso.-
Dale annuì, ma poi domandò: -Come mai vuoi sorvegliarlo solo per quel tratto di strada? Che senso ha?-
-Stando ai rapporti sulla sorveglianza che ho letto oggi,- cominciò a spiegare Nathalie, tirando fuori dalla borsetta una macchina fotografica reflex, a cui tolse il tappo. -... Light prende il bus alle 18:21 dall'università, spesso si ferma a fare compere per sua madre e poi torna a casa. Non è possibile osservarlo sul bus, ma ci sono telecamere a circuito chiuso in questa zona, e anche nei konbini e nei negozi. L'unica zona scoperta è proprio l'incrocio tra la via dove abita Yagami e questa.- disse, indicandola sulla mappa del quartiere.
-Perciò, se Light volesse incontrare un complice, o addirittura il secondo Kira, o se volesse mettersi in contatto, dovrebbe farlo al di fuori dell'area sorvegliata da telecamere.-
    Si incamminarono così verso casa Yagami prendendo due strade distinte; a quell'ora l'agente Mogi, che aveva lasciato il quartier generale verso l'ora di pranzo, di sicuro stava tornando da L per la riunione serale, perciò la sorveglianza era scoperta. Nathalie si chiedeva come sperassero di riuscire ad incastrare il loro sospettato, se la sua sorveglianza aveva queste falle enormi. Se l'agenzia per cui “lavorava” non fosse stata una società di copertura di stronzi criminali della peggio specie, avrebbe chiesto rinforzi lei stessa. Ma, tra l'essere circondata da ex soldati o carcerati con l'ordine di spararle a vista, e un serial killer che non conosceva la sua identità, preferiva doversi preoccupare del solo Kira.
Mentre Nathalie e il suo compagno erano ancora in un vicolo nei pressi della casa, videro arrivare un ragazzo dalla via opposta. Era alto, aveva meno di vent'anni e portava un caschetto di capelli castani lunghi fino alla base del collo, con una frangetta scalata che quasi gli copriva gli occhi. Era sicuramente Light Yagami. Indossava la divisa dell'università, e con una mano portava una valigetta, mentre con l'altra sorreggeva un sacchetto di carta. Nathalie e l'agente di scorta si fermarono, e lei lo spinse contro il muro e lo abbracciò, per riuscire a spiare Light da sopra la sua spalla. Il ragazzo non si era accorto di loro. Pareva tranquillo, non si guardava in giro sospettoso, come sarebbe stato naturale per quasi chiunque avesse avuto qualcosa da nascondere. Nathalie aveva avuto a che fare coi peggiori criminali, e chi girava a testa alta come se non avesse nulla da nascondere di solito era più pericoloso di tutti. Ma questo era solo un ragazzo. Possibile che fosse davvero Kira e gli riuscisse così bene recitare la parte del bravo ragazzo? Con suo padre, poi? Certo, aveva senso fosse lui la talpa, ma...
Nathalie scacciò quei pensieri e cercò di concentrarsi. Se L diceva che Light Yagami era Kira, non poteva sbagliarsi.
    Ad un certo punto, vide il ragazzo muovere le labbra. Camminava a testa bassa e sembrava stesse parlando con qualcuno. Gli parve di leggere “...Bene, ... nessuno... sicuro?”. Purtroppo la sua competenza nel giapponese non era così perfetta, quando si trattava di leggere il labiale, ma quelle parole erano abbastanza riconoscibili. Però, a quel punto, Light si fermò, posò la valigetta a terra, prese una mela dal sacchetto di carta e la gettò alle sue spalle. Inspiegabilmente, la mela non cadde a terra, bensì rimase sospesa a mezz'aria. Poi ne sparì un pezzo, come se un essere invisibile a due metri da terra le avesse dato un morso. E poi si mosse, mentre continuava ad essere morsa, seguendo Light, che si era rimesso in cammino. Nathalie aveva la sua macchina fotografica pronta, si mosse rapidamente verso l'angolo del vicolo e tentò di fare alcuni scatti, semi accovacciata a terra. Aspettò che avessero girato l'angolo prima di abbassare la macchina fotografica e tornare da Barnes, che stava chiamando Dale.
-Cosa hai visto?- chiese l'uomo.
Nathalie rimise il tappo all'obbiettivo della macchina fotografica e sospirò, delusa.
-Parlava da solo, mi è sembrato. Poi ha preso una mela e se l'è buttata alle spalle.- rispose Nathalie. Non le pareva il caso di andare oltre. E poi, magari se l'era sognato. Aveva fatto le foto, ma dubitava che si sarebbe visto qualcosa: aveva fatto così in fretta che aveva messo la modalità automatica, non aveva regolato per bene l'obbiettivo, quindi era abbastanza sicura che le foto sarebbero venute tutte sfocate o mosse. Ma, dopotutto, il ragazzo si era buttato una mela alle spalle. Magari stava parlando tra sé e sé, aveva notato una mela bacata o marcia nel sacchetto e l'aveva buttata via. Era così decisa a trovare delle prove che magari voleva davvero vederle ovunque, addirittura vedeva mele che volavano e si mangiavano da sole. Come la faccenda del sacchetto di patatine.
-Non mi sembra sospetto.- rispose lui. -Perché fargli delle foto?-
-Ho pensato che, visto che parlava da solo, magari poteva avere un auricolare.- mentì lei. -Magari è già in contatto col secondo Kira, ma immagina il suo telefono sia controllato e ha una ricetrasmittente.-
Per quanto inventata sul momento, pareva una versione molto più credibile rispetto alla storia della mela.
-Non possiamo escluderlo.- disse l'agente, annuendo. -Vedremo quando svilupperai le foto. Ora torniamo all'albergo?-
-Sì, certo.- rispose Nathalie, pensierosa. -Di' a Dales di raggiungere la pensilina dove eravamo prima.-
Sulla strada del ritorno, Nathalie pensava alle foto che aveva scattato, perché la disturbava l'idea che fossero tutte inutilizzabili. Oltretutto, avrebbe dovuto stravolgere il bagno per farlo diventare una camera oscura. E ad un certo punto, in un lampo della memoria, rivide le immagini che le erano state inviate da Hayer pochi giorni prima. Le foto dei messaggi dei carcerati prima di morire, che insieme formavano il messaggio: L, lo sai che gli shinigami mangiano mele rosse?

    Grumann si diresse a gran velocità verso la camera di Banks, nonostante fosse solo quella di fianco alla sua; la chiacchierata a telefono con Hayer l'aveva lasciato inquieto. Non si spiegava come facesse Banks ad essere sempre così apparentemente tranquilla, quando parlava col capo. Dopo che la Yakuza aveva lasciato che lo arrestassero, Grumann era riuscito ad avere uno sconto di pena rivelando un po' di nomi alla polizia americana. Ma, una volta uscito di prigione, la Yakuza l'avrebbe ritrovato, e Grumann sapeva fin troppo bene cosa lo avrebbe aspettato se fosse successo. Aveva accettato la proposta di Hayer come fosse oro colato: libertà e protezione, se lavorava per lui ad un quinto dell'ingaggio degli altri mercenari.
Però Hayer gli faceva paura. Era alto quasi due metri, e conservava la mole che lo contraddistingueva già dai tempi della guerra in Vietnam. Portava ancora il tipico taglio di capelli da soldato, con la rasatura argentea che partiva dal collo e sfumava verso il nero salendo verso l'alto. Aveva la mascella squadrata e denti bianchissimi, che esibiva spesso con un sorriso sicuro, ma negli occhi grigi, sotto le spesse sopracciglia nere, pareva celarsi sempre una velata minaccia. Grumann non osava immaginarsi come avessero dovuto sentirsi gli uomini al suo comando, a quei tempi: con quelli del Privates for Police Empowerment Program, l'agenzia di mercenari affiliata alla Hogson Society gestita da lui personalmente, Hayer sapeva essere spaventoso anche parlando nel tono più calmo e col sorriso più naturale del mondo. I mercenari del PPEP erano ex soldati che erano stati in Iraq e in Afganistan, gente che aveva visto cose orribili e non era riuscita a reinserirsi nella società; eppure, tremavano di fronte ad Hayer.
Grumann pensò che, in fondo in fondo, lui era fortunato. Dopotutto, era un dipendente di Hayer, non un suo mercenario. O un prigioniero. Hayer lo teneva per le palle, ma non avrebbe fatto nulla a... oh, cielo!
Bussò insistentemente prima che qualcuno gli venisse ad aprire, e a quel punto l'uomo trasalì. Di fronte a lui apparve una donna fantasmatica, abbastanza alta, molto slanciata, dalla pelle chiarissima, di un bianco innaturale, i lunghissimi capelli bianchi che scendevano ondulati fin sotto la vita. Stava lì, sullo stipite della porta, ad osservarlo con le braccia incrociate e il volto imbronciato. Grumann deglutì. Portava una canottiera bianca, e sotto un reggiseno nero. La spallina della canottiera un po' troppo larga le cadeva mollemente sul braccio, rivelando una spessa cicatrice rosea in rilievo sulla clavicola. Ma era il volto la cosa più spaventosa. Pallido, quasi mortifero, con uno sfregio sul lato sinistro, che le correva dalla fonte fino a metà della guancia. E gli occhi. Rossi, iniettati di sangue, pulsanti. La riconobbe dal suo sguardo carico di rabbia repressa e disprezzo.
-B...Banks?- le domandò, con un'espressione stralunata.
-Cosa vuoi?- sibilò lei, con le labbra strette.
-D...Devo parlarti.- rispose Grumann, cercando di non guardarla in faccia. -Ho appena chiamato Hayer.-
La donna rimase in silenzio per qualche istante, prima, di sospirare e spostarsi dall'ingresso.
-Entra.-
Sciolse le braccia che fino a quel momento aveva tenuto incrociate, e solo allora Grumann vide che aveva nascosto il suo mini-revolver tra il braccio e la tetta sinistra, sotto l'ascella.
Banks portava un paio di pantaloncini da tennis e la canottiera bianca, lunga e molto larga. Dopotutto, a Tokyo in quei giorni le temperature si erano abbastanza alzate, e si era chiesto perché la sua collega indossasse sempre una camicetta le cui maniche erano tirate fino ai polsi e abbottonata fino in cima, e sotto pantaloni lunghi. Ora era chiaro; era albina, perciò, oltre a doversi truccare soltanto volto e mani, in quel modo era più protetta dalla luce solare. Ecco spiegato anche il perché usciva sempre con gli occhiali da sole, e perché pareva che il suo umore fosse migliore se il cielo era nuvoloso o pioveva.
Osservò a lungo la giovane donna che gli faceva strada tra valigie semiaperte e asciugamani sparsi. Era alta circa un metro e settanta, ma aveva due gambe lunghissime che la facevano sembrare ancora più slanciata, e un fisico asciutto e tonico, con due spalle molto larghe. La cicatrice sulla clavicola era troppo larga perché si trattasse di un semplice taglio, doveva essere stata molto profonda per lasciare quel segno. Invece, lo sfregio sul volto era semplicemente una macchia più scura che le partiva dalla fronte, si fermava all'arcata sopraccigliare, e poi riprendeva sotto l'occhio fino alla fine dello zigomo. Improbabile fosse una voglia. Più realisticamente, un'ustione di primo grado. Come se qualcuno le avesse appoggiato un attizzatoio incandescente in faccia, risparmiandole l'occhio. Il suo aspetto era molto più inquietante rispetto a quello della maggior parte dei mercenari del PPEP.
    Banks liberò una sedia e lo fece accomodare.
-Cosa vuoi, Grumann?- domandò con voce leggermente irritata.
-Ho chiamato Hayer.- cominciò l'uomo, sedendosi, e passandosi una mano tra i capelli.
-Lo so.- fece lei spazientita, mentre si lasciava cadere sulla sedia di fronte a lui. Appoggiò un gomito sul tavolo e riprese a sorseggiare la sua tisana, a gambe larghe, il corpo abbandonato come un sacco vuoto. Dava totalmente un'altra impressione rispetto a come si comportava sotto copertura: lì composta, ben vestita, ordinata; qui svogliata, incurante, con un paio di straccetti stropicciati addosso.
-Gli ho detto che dopo essere usciti, sei andata via con Dale e Barnes.- cominciò Grumann, guardandola di sottecchi.
-Non è stato contento. Ha voluto che anche loro facessero rapporto, prima di tranquillizzarsi.- Prese a grattarsi nervosamente una tempia.
-Ti stai agitando per nulla.- disse la donna, con lo sguardo vuoto rivolto al muro di fronte a sé. -Mi è permesso indagare liberamente, finché sono sotto sorveglianza e ho un accesso controllato a mezzi di comunicazione. E questo lui lo sa benissimo.-
-Senti, io non so chi diavolo tu fossi prima di pestare i piedi a Hayer, ma io non voglio avere niente a che vedere coi tuoi casini!- esclamò l'uomo, agitato.
Banks si voltò, rivolgendogli uno sguardo freddo. -Spiegati, Grumann.-
-Mi ha detto di ricordarti di tuo figlio.-
Bank prese ancora un lungo sorso di tisana, poi posò lentamente la tazza sul tavolo e rivolse lo sguardo fuori dalla finestra, appoggiando la nuca sulla mano, muovendo le dita tra i capelli fini.
-Sei il mio carceriere.- disse infine, con voce vuota. -Ti sei lasciato intenerire da un bambino?-
-Senti.- riprese l'uomo, sempre più agitato. -A me non interessa chi hai fatto arrabbiare e perché. Non so nemmeno perché devo seguirti ogni dannato secondo. Ma non voglio avere un bambino sulla coscienza. Quindi, se avevi in mente di far infuriare Hayer, vedi di cambiare idea, e in fretta!-
    Calò il silenzio. Banks continuava a guardare fuori dalla finestra. Grumann non poteva credere che quella donna avesse addirittura un figlio di quasi sei anni. Di certo non se la immaginava a riempire di baci un neonato, ma soprattutto ad accudirlo con pazienza. Giocare con lui, perfino. O forse era diventata così proprio perché il piccolo era tenuto in ostaggio.
-Non possono fargli del male.- disse lei, infastidita. -Hayer continua ad usarlo a suo vantaggio, ma, ora come ora, non lo può toccare. Ma anche se fosse...- aggiunse, alzando le spalle. -... ho il sospetto che gli possa essere più utile da vivo che da morto. Certo...- continuò, tirando su la testa e sbattendo la mano sul tavolo, a palmo aperto. -...Non è che ne possa essere sicura, dal momento che io non l'ho mai nemmeno visto, quel bambino.-
Abbassò lo sguardo. -Almeno lui è al sicuro. Non è per lui che devo preoccuparmi in questo momento.-
Grumann aprì la bocca e poi la richiuse. Non sapeva come reagire ad una situazione del genere. Ogni persona ha un suo codice morale, e lui si era sempre rifiutato di fare qualsiasi cosa che potesse nuocere ad un bambino. Quando lavorava per la Yakuza, non aveva mai nemmeno voluto avere a che fare con rapimenti di padri o madri con figli piccoli.
-Hai... hai detto...- cominciò. -Hai detto a L... che c'erano tre persone che dovevi proteggere. Chi sono le altre due?-
Banks lo fulminò con uno sguardo di fuoco, facendo trasalire l'uomo. Grumann aveva sempre pensato che gli albini fossero inquietanti, ma questa aveva pure una cicatrice in faccia e gli occhi insanguinati.
Poi la donna riprese a parlare. -Non vedo perché dovrei risponderti.-
-La tua famiglia, forse? Il padre del bambino?-
Banks stava ora coi gomiti appoggiati sul tavolo, la testa incassata nelle spalle, e lo guardava col suo solito misto di rabbia repressa e disprezzo.
-E come fai ad essere così sicura che tuo figlio non sia in pericolo?- chiese ancora Grumann, lasciandosi cadere con la schiena sulla sedia.
-Il bambino non è in pericolo.- ripeté lei, aprendo e chiudendo i pugni.
-Perché dici così?-
-Perché almeno per lui sono riuscita a scendere a patti.- rispose Banks, con una nota rancorosa nella voce. -Ti sei chiesto perché Hayer non mi ha semplicemente uccisa, o perché non mi ha tenuta segregata nelle sue celle? Eppure, dovresti sapere che io ho delle prove contro di lui.-
Grumann vide gli occhi della donna cominciare a pulsare, e diventare sempre più rossi.
-Perché sono dannatamente brava a fare il mio lavoro, ecco perché.- continuò lei, battendo un pugno sul tavolo. -Senza contare il fatto che prima che mi prendessero avevo fatto in modo che le prove che avevo raccolto finissero nelle mani giuste se fossi stata uccisa o imprigionata. Avrei potuto uscirne.-
E batté di nuovo il pugno sul tavolo.
-Ma si sono accorti che ero incinta. Perciò ho perso il vantaggio e ho dovuto patteggiare. Mi hanno concesso un solo salvacondotto in cambio della mia collaborazione. Uno solo. Mi pagano meno di te, perché si tengono tutti i soldi del mio ingaggio. E devi sapere che il mio ingaggio è molto, molto alto.-
Poi scoppiò a ridere, e la sua era una risata terrificante.
-E la vuoi sapere un'altra cosa?- aggiunse, guardandolo con un ghigno. -Io quel salvacondotto l'avrei usato per Bjarne. Nemmeno l'ho mai voluto, un figlio. Ma lui no! Dovevo per forza salvare il piccolo bastardello che io nemmeno avrei fatto nascere, e lasciare che fossero lui e la sua famiglia a rimetterci.-
Ora Grumann iniziava ad avere paura. Forse era l'agitazione che gli aveva messo addosso Hayer, forse era l'aspetto di lei che lo intimidiva... ma forse ora capiva perché Banks non mostrava paura di fronte ad Hayer. Doveva essere un mostro tale e quale a lui.
Il bambino... il bastardello... nemmeno l'avrei fatto nascere...”
Possibile che una madre potesse essere così crudele?
La strega, o forse era meglio dire il demone, parve leggergli nel pensiero, perché disse:
-Ti chiedi come faccia ad essere così senza cuore?-
Sogghignò.
-La storia dell'istinto materno è una stronzata. Guarda quante ragazze gettano i figli nella spazzatura o dalla finestra pur di non far scoprire di essere rimaste incinte, guarda quante madri uccidono i propri figli o usano violenza su di loro.-
Distolse di nuovo lo sguardo, e prese ad arrotolarsi una ciocca di capelli attorno ad un dito.
-Non è che perché ho una vagina, allora devo automaticamente farmi piacere l'idea di essere madre. Oltretutto...- aggiunse, tornando a guardarlo. -Me l'hanno tolto prima che potessi vederlo. Non l'ho mai nemmeno toccato. Ero sotto anestesia.- Alzò la canottiera per mostrare la cicatrice del cesareo, sotto il leggero segno degli addominali. -Non so nemmeno che faccia abbia. So solo che è un maschio, grazie al cielo non è albino, e pare sia molto intelligente.-
    Cadde di nuovo il silenzio. Grumann era in parte sconvolto dai discorsi deliranti di Banks, ma sotto sotto si sentiva più sollevato. Avrebbe potuto lavorare liberamente ora che sapeva che dalle sue parole non sarebbe dipesa la vita di un bambino di quasi sei anni, maschio, non albino e molto intelligente. Che, di certo, senza Banks sarebbe vissuto meglio.

    -Quand'è che potrò avere altre mele?-
-Ryuk, te l'ho già detto, quando torno a casa te le compro. Ora smettila di parlarmi che siamo quasi arrivati al quartier generale.-
Light si guardò intorno per vedere se qualche passante in lontananza l'aveva sentito parlare. Pareva di no. Affrettò il passo, per non fare tardi all'incontro con L, con le mani in tasca, con lo sguardo dritto davanti a sé, senza però quasi vedere la strada e le persone che vi camminavano. Mancavano due settimane all'appuntamento del secondo Kira ad Aoyama. Non sapeva come avrebbe fatto a trovarlo, ma aveva già escogitato un modo per non farsi riconoscere a sua volta; bisognava toccare il quaderno per riuscire a vedere lo Shinigami che lo aveva posseduto, ma gli dei della morte potevano vedersi tra loro. E se l'altro Shinigami avesse visto Ryuk e l'avesse detto al secondo Kira? Sarebbe stato rischioso girare da solo con Ryuk e con Matsuda. Perciò, decise che avrebbe chiesto ad alcuni compagni di accompagnarlo a fare un giro a Aoyama il 22 maggio, sperando che, in questo modo, se il secondo Kira avesse potuto vedere Ryuk, non sarebbe stato in grado di capire chi stesse seguendo.
    Ryuk aveva un aspetto particolare. Era alto più di due metri e scheletrico. Aveva due enormi ali nere, la pelle grigiastra e occhi tondi molto sporgenti. Sembrava un punk delle origini. Vestiti di pelle, teschi, capelli che parevano tirati su col gel... Light si era sempre chiesto se Ryuk non fosse stato umano, un tempo, ma non aveva mai voluto fargli certe domande. Ormai aveva fatto abitudine alla sua costanze presenza, e sapeva riconoscere perfettamente i momenti in cui poteva o meno rivolgergli la parola. Era diventato incredibilmente cauto. L'euforia iniziale e la sensazione di essere destinato ad essere il dio di un nuovo mondo si erano un po' smorzate da quando L aveva iniziato a stargli sempre più addosso. Sapeva che aspettava soltanto che facesse un passo falso.
    Accompagnato da questi pensieri, era giunto all'hotel in cui L alloggiava quel giorno. Ryuk sapeva di dover rimanere in silenzio per tutto il tempo, per non distrarre Light. Di fronte all'entrata stavano due bodyguard molto ben vestiti. Erano occidentali, alti e muscolosi, probabilmente americani. Lo squadrarono dalla testa ai piedi, ma non dissero nulla. Il ragazzo si diresse verso le scale. A Ruyk gli ascensori non piacevano e non aveva voglia di sentirlo lamentarsi. Suo padre gli aveva detto per telefono il piano e la camera dove si sarebbe dovuto recare; gli altri sarebbero già stati tutti lì. Trovò Aizawa ad aspettarlo sulla soglia della porta.
-Sei addirittura in anticipo!- gli disse l'agente, sorridendo.
-Salve, Aizawa. Posso già entrare?-
-Penso di sì.- rispose l'uomo, passandosi una mano tra i folti capelli ricci. -Ryuzaki sta dicendo le ultime cose a due collaboratori che vengono dall'America.- gli aprì la porta e gli fece cenno di entrare. -Saremo pronti tra pochi minuti.-
Light entrò nella camera d'albero. Suo padre e gli altri agenti avevano già preso posto, mentre L stava in piedi bevendo caffè di fronte ad una giovane donna e un uomo. L'uomo aveva una barbetta vecchia di qualche giorno sul viso appuntito, i capelli biondi tirati indietro, era tutto vestito di nero e stava in silenzio. La giovane donna stava parlando animatamente con L. La guardò meglio. Indossava un completo elegante, e parlava un giapponese praticamente perfetto, con un accento straniero quasi impercettibile. Era nervosa, e batteva per terra un piede mentre stava a braccia incrociate ad ascoltare cosa le diceva L. Il detective alla fine si accorse di lui, e lo salutò a voce. La donna si soffiò via una ciocca dei capelli neri e si voltò di scatto.
    -Oh.- fece, vedendo Light, e il ragazzo poté notare un'espressione sorpresa nei suoi occhi verde scuro dietro gli occhiali. Sembrava abbastanza giovane, più o meno dell'età di Matsuda.
-Light, questa è Nathalie Banks, ci dà una mano anche lei.- disse L, senza muoversi da dove stava. -E quello è Paul Grumann.-
La giovane donna che aveva chiamato Banks, però, era rimasta pietrificata nel vedere Light. Anzi no. Guardò meglio. Lei stava guardando dietro di Light! Sicuramente nel punto in cui si trovava Ryuk. Doveva girarsi? Non doveva girarsi? Si sarebbe tradito se si fosse girato? Ma no, una si mette a fissare un punto dietro di te senza dire una parola, è perfettamente normale che ci si giri a guardare cosa succede. Stava ancora tenendo lo sguardo fisso? Ma come faceva a vederlo? Era troppo tardi per voltarsi, ora?
Light si decise a girarsi, seguendo la linea dello sguardo della giovane donna di nome Banks. E Ryuk era proprio dietro di lui, che guardava confuso la donna.
-Secondo te può vedermi?- chiese a Light, anche se sapeva che non poteva rispondergli.
Com'era possibile? Si voltò di nuovo verso di lei. Intanto L gli si era avvicinato, sempre curvo su te stesso.
-Qualche problema?- chiese, guardando di sottecchi Banks.
-Oh... Nulla.- fece lei, voltandosi verso il detective. -Devo aver avuto un abbaglio... Probabilmente ho solo passato troppe ore al computer.-
    Si voltò verso Light e gli tese la mano. -Scusami, sono molto stanca. Voglio dire, sono Nathalie, e probabilmente stravedo e straparlo perché sono molto stanca.- provò ad abbozzare un sorriso forzato. Light le strinse la mano, ma era come paralizzato. Non sapeva cosa dire. Borbottò un -Piacere- e un -Non si preoccupi- e rimase a fissarla mentre andava via, senza voltarsi, se non brevemente per salutare gli altri agenti, con Matsuda al suo fianco che le porgeva la borsa, con un sorriso impacciato.
Light stava perdendo il controllo, doveva calmarsi. Ma com'era possibile che vedesse Ryuk? O era un trucchetto di L? Ma no, lui era un razionalista, non avrebbe mai creduto alla storia degli shinigami. Anche se, quando il secondo Kira aveva menzionato gli shinigami, aveva avuto una reazione stranissima, quasi di terrore vero, tanto che era caduto dalla poltrona. No, non ci poteva pensare adesso, non doveva insospettire nessuno. Salutò suo padre e gli altri e andò a prendere posto. A casa avrebbe scritto il nome di quella Banks sul quaderno. Ma come farla morire? L'attacco cardiaco avrebbe attirato i sospetti verso di lui. Un incidente? L sapeva che si potevano manipolare le azioni delle persone prima della morte, ma non sapeva si potesse farle morire in altri modi, oltre all'attacco cardiaco. Sì, l'incidente era la soluzione migliore. Un sacco di persone muoiono a causa di incidenti, no? Avrebbe escogitato un modo credibile per far morire Nathalie Banks una volta arrivato a casa. Farla sparire la sera stessa sarebbe stato troppo sospetto: una collaboratrice alle indagini che sparisce proprio dopo aver incontrato il principale sospettato di essere Kira? No, no, avrebbe dovuto inventarsi qualcos'altro. Però non avrebbe potuto aspettare troppo tempo prima di agire, o c'era il rischio che lei raccontasse cosa credeva di aver visto quella sera. E se avesse manipolato le sue azioni, ordinandole di non fare parola con L di qualsiasi cosa riguardante gli shinigami? Avrebbe potuto farla ammalare. Farle manifestare i primi sintomi già dal giorno successivo, costringendola a rimanere a casa a letto. Poteva programmare la sua morte con abbastanza anticipo, e togliersi di torno almeno una seccatura.
    Ma, ora che ci pensava, non era possibile che quella donna potesse aver visto Ryuk, a meno che non avesse toccato il Death Note. Era davvero stata tutta un'illusione? Beh, avrebbe comunque potuto ucciderla per sicurezza, una volta tornato a casa. Non c'era nulla di cui dovesse preoccuparsi in quel momento. Sospirò, sollevato e tornò a fare attenzione a ciò che diceva L.

    In ascensore, Grumann chiese a Nathalie perché stesse sorridendo.
Lei gli rispose senza guardarlo in faccia.
-Provavo una teoria-
-Si può sapere che hai visto prima che ti sei piantata?- insistette lui, stralunato.
Nathalie continuava a sorridere. Non pensava che il trucchetto avrebbe funzionato. Era davvero convinta di aver visto la mela spolpata da morsi invisibili soltanto nella sua immaginazione, soprattutto perché, come temeva, dalle foto che aveva sviluppato si vedeva davvero poco, ma tanto valeva provare un piccolo bluff. Ed aveva funzionato! Il giovane Yagami era visibilmente impallidito. Le pupille si erano dilatate. E quando gli aveva stretto la mano, l'aveva trovata sudata; l'aveva stretta apposta un po' più in su, verso il polso, con due mani, e aveva sentito chiaramente le vene pulsare all'impazzata. Non c'erano dubbi: Light Yagami aveva, o era convinto di avere, un contatto con un dio della morte.
Si voltò verso Grumann. -Ho visto... un'ammissione di colpevolezza.-


Note

    In questi primi due capitoli suppongo i lettori abbiano notato il repentino cambio di punto di vista tra i personaggi, che spesso non è segnalato da verba dicendi. Ho pensato di sperimentare questo uso del punto di vista principalemtne per cercare di avvicinarmi il più possibile allo stile narrativo dell'anime; un altro motivo della mia scelta riguarda la mia speranza di poter ricostruire la personalità dei vari personaggi tramite un mosaico di impressioni da parte di chi li osserva, anziché tramite descrizioni più dettagliate (che, come avete potuto notare, sono praticamente inesistenti). Il motivo principale per il quale ho deciso di pubblicare qui questa fanfiction è per avere dei pareri da chi si intente maggiormente di scrittura, e per verificare se questo modo di scrivere fosse troppo confusionario per il lettore. Questa è la prima volta che mi esercito nella scrittura da anni, motivo per cui non sono per nulla sicura dell'efficacia del mio modo di esprimermi. Ho inoltre l'impressione che questo racconto voglia essere un po' troppo ambizioso rispetto alle mie attuali competenze. Rimango perciò a disposizione per qualsiasi consiglio o critica vogliate muovermi, poiché spero di potermi migliorare tramite questo confronto.
    Grazie per la pazienza, e buona lettura!

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 - Un ideale di giustizia assoluta ***




Capitolo III


    -E quindi, come sta andando a lavoro?-
-Bjarne, lo sai che non posso diffondere informazioni.- gli rispose Nathalie, sospirando, con la cornetta appoggiata tra l'orecchio e la spalla, mentre sfogliava il giornale, in piedi, appoggiata contro il muro. Le telefonate con Bjarne erano una delle poche libertà che le erano concesse, ma erano costantemente sotto controllo.
-Lo so...- rispose lui, con tono premuroso. -Vorrei solo assicurarmi che non ti stanchi troppo, o che non stai troppo all'aperto... Sei adulta e vaccinata, ma dovresti permettermi ogni tanto di preoccuparmi per te.-
-Il problema è che tu ti preoccupi troppo per me.- disse Nathalie, accennando ad una risatina. -È da quando ti conosco che non mi lasci starnutire senza arrivare di corsa con un pacchetto di fazzoletti, un tè caldo e una sciarpa.-
-Parli come se tu non avessi sempre fatto lo stesso.- protestò lui. -Ok, quando ci siamo conosciuti eri poco più di una mocciosetta, ma non appena hai lasciato l'orfanotrofio e hai cominciato a sentirti grande, ti sei messa anche te a darti arie da cavaliere senza macchia con la sua armatura scintillante, pronta a proteggermi dai pericoli del mondo.-
L'ultima parte della frase l'aveva pronunciata in tono ironicamente pomposo.
-E smettila...- ribatté la donna, ridendo di nuovo. -Ti dai queste grandi arie da uomo di mondo, gentiluomo, di uno che ha capito tutto della vita, e poi non ti sai nemmeno sbucciare una mela da solo.-
-Questo non è esatto.- protestò di nuovo Bjarne. -È tutto relativo. Le mele le sbuccio, il fatto che rimanga mezzo centimetro di polpa attaccata alla buccia è tutto un altro discorso.-
Scoppiarono entrambi a ridere.
Nonostante le prese in giro, Nathalie gli era immensamente grata. Per tutto. Da quando si erano conosciuti, lui si era sempre preoccupato per lei, e le era stato vicino in ogni momento, da quando aveva lasciato definitivamente l'orfanotrofio. Sperava nel giorno in cui le cose sarebbero tornate alla normalità, in cui il PPEP fosse stato smantellato, la Hogson Society messa sotto processo, e Hayer condannato all'ergastolo; allora avrebbero potuto tornare a vivere come una famiglia. Tutti quanti. Suo padre sarebbe stato vendicato. L avrebbe finalmente saputo la verità. Chissà se l'avrebbe mai perdonata. Nathalie avrebbe voluto parlare a Bjarne di L, ma non poteva. Le telefonate erano controllate, e temeva che ogni piccolo dettaglio (da quanto L fosse cresciuto, ma contemporaneamente fosse incredibilmente dimagrito ed emaciato rispetto al passato, a quanto fosse diventato ancora più antisociale e a quanto fosse dannatamente in gamba) potesse essere usato da Hayer contro di lui. Bjarne lo sapeva, e non chiedeva.
-Spero di poterti venire a trovare presto, se il lavoro me lo permette.- disse poi Bjarne, tornato serio. Il problema, però, non era certo il lavoro, e lo sapevano entrambi. Bjarne non poteva lasciare il Paese, perché il suo passaporto era stato ritirato dagli uomini di Hayer. I suoi genitori ce l'avevano fatta ad andarsene in Canada prima che la situazione peggiorasse, ma Bjarne ormai c'era dentro fino al collo, e non sarebbe stato altrettanto fortunato.
-Oh, non ti preoccupare, l'aria qui è terribile, c'è un inquinamento spaventoso. E poi i giapponesi di solito non capiscono l'inglese. A volte faccio fatica a farmi capire io parlando in giapponese!- concluse, ridendo.
-Piuttosto, se vuoi farti una vacanza, fermati a metà strada su qualche isola del Pacifico a fare un po' di surf, perché l'ultima volta che ci siamo visti ho notato che avevi la carnagione quasi rosa... e noi non vogliamo essere bianchi giusto? Dobbiamo sembrare il tipico californiano surfista strafigo col sorriso abbagliante che si vede nelle serie TV, no?-
    Il giovane rise.
-Hai uno strano modo di fare complimenti alla gente, tesoro.-
-Io non faccio complimenti alla gente.- ribatté Nathalie, facendo le virgolette con le dita, e facendo cadere il giornale. Gesto inutile, visto che lui non poteva vederla.
-Ah giusto.- fece lui, mentre lei prendeva il telefono con una mano, imprecando, e si abbassava a raccogliere il giornale.
-Ad un certo punto della tua vita hai preso l'importante decisione di fare la stronza col mondo intero, e per nessun motivo usciresti dal personaggio. Dovrei sentirmi onorato per il trattamento di favore che mi riservi. Ma che stai facendo?-
-Ho fatto cadere il giornale perché sono un'idiota.- rispose lei, tentando di rimettere a posto le pagine. -E ora, ovviamente, non si piega più come dovrebbe.-
Poi riempì i polmoni d'aria e si mise a fare una voce da annunciatrice.
-Signori e signori, ecco a voi una delle più promettenti agenti investigative con cui la polizia di Stato americana abbia mai collaborato. … Che... non sa... ripiegare un giornale.-
La donna sentì Bjarne ridere e battere le mani.
-Fossi in Kira, starei già tremando di paura.-
-Lascia perdere...- riprese lei. -che a quanto pare non sono nemmeno capace di scattare tre foto.-
-Ah, ma smettila...- fece lui. -Che se non l'avete ancora preso, è solo perché a te e a L stanno tenendo il guinzaglio troppo corto.-
    A Nathalie morì un poco il sorriso sulle labbra. Avrebbe preferito che lui non facesse riferimenti diretti al suo lavoro o al suo capo, perché non ci voleva nulla a far infuriare Hayer. E se gli fosse successo qualcosa, non avrebbe mai potuto perdonarselo. Quando era rimasta incinta, lui aveva mollato tutto per starle vicino. Bjarne sapeva che non le avrebbero fatto tenere il bambino, e che avrebbe bisogno di tutto il sostegno possibile per superare... beh, sarebbe forse il caso di chiamarlo “l'inferno”. Sei anni e mezzo come ostaggio. Non si lamentava troppo della sua condizione, e anche a lui era andata abbastanza bene, in fin dei conti. Aveva le cimici e qualche telecamera in casa, il telefono sotto controllo e non poteva lasciare lo Stato. Veniva scortato ovunque, per evitare che denunciasse il fatto. Ma Nathalie aveva visto Hayer fare di peggio, perciò non protestava. Quando avevano scoperto che era incinta, e perciò pensavano di poter dettare loro le condizioni, lei era riuscita a ribaltare la situazione; aveva estratto la mini-revolver dalla fondina nascosta sotto la pancia ormai visibile, nascosta da una maglia premaman, e, senza dire una parola, si era ficcata la canna in bocca.
Hayer sapeva che non avrebbe esitato a premere il grilletto. Se il destino di Bjarne fosse stato segnato, si sarebbe uccisa senza pensarci due volte: non potevano accedere alla cassetta di sicurezza dove erano custodite le prove raccolte fino al momento della sua cattura, e se lei non avesse contattato il caveau come ogni mese, dando loro la parola d'ordine esatta, la cassetta sarebbe stata spedita immediatamente a Watari. Almeno aveva preparato per bene le prove, prima di farsi prendere: aveva fatto imparare a memoria ad una persona fidata una lista di parole d'ordine, una per ogni mese. Il giorno 15, lei avrebbe dovuto chiamare quella persona, recitarle la parola d'ordine, e questa sarebbe andata a riferirla alla società di sicurezza presso cui erano custodite le prove. Se entro le 18, ora locale, ciò non avveniva, le prove sarebbero state inviate a Watari. Se questa persona fosse morta, o avesse chiesto, sotto minaccia, di ritirare le prove, queste sarebbero state ugualmente inviate a Watari. Solo così Nathalie era riuscita a tenere in pugno Hayer.
Le era andata bene. Hayer aveva acconsentito a farla lavorare per lui e a vedere il mondo esterno, ma le aveva concesso un solo salvacondotto. Nathalie avrebbe voluto usarlo per Bjarne, perché potesse lasciare il Paese, e poi avrebbe cercato di abortire: non tanto perché non avesse mai voluto avere figli, quanto perché si immaginava il tipo di vita che il bambino avrebbe dovuto patire, e avrebbe voluto risparmiargliela. Ma Bjarne aveva insistito dicendo che non spettava soltanto a lei scegliere, e, se la sua opinione valeva qualcosa, avrebbe voluto che il bambino si salvasse. Avrebbe dato volentieri la sua vita per quello, aveva detto. Era pronto a quell'evenienza dal momento in cui Nathalie era sparita per tre giorni e poi l'aveva chiamato per una cena al ristorante: la sera in cui avrebbe voluto pregarlo di lasciare il Paese con la sua famiglia, ma lui aveva rifiutato.
-Tutto ok?- domandò Bjarne, preoccupato. -Sei sparita per un po'.-
-Scusami...- disse lei, sospirando e staccandosi dal muro sul quale era appoggiata. -Pensavo a cose. Ma sto bene, eh, non è il caso di allarmarsi. In ogni caso, penso che il tempo stia per scadere, quindi è meglio se ti saluto subito, prima di perdermi di nuovo.-
Si lasciò cadere pesantemente sul divano, facendosi quasi inghiottire dai cuscini, alzò una gamba e la appoggiò ad uno dei braccioli, col piede a penzoloni.
    Parlarono ancora un po', prima di riattaccare. A quel punto, Nathalie si alzò dal divano per andare verso la camera da letto, ma si fermò a metà strada, lasciando cadere lungo il fianco la mano che aveva alzato per aprire la maniglia; tornò in salotto, spostò il quadro che nascondeva la cassaforte e la aprì. Ne estrasse una scatola di legno, dall'aspetto molto vecchio; era piena di lettere, biglietti e foto. Tutto rigorosamente in copia, e nulla che non fosse già stato scoperto da Hayer. Erano le riproduzioni del contenuto della cassaforte che le avevano scassinato, nel dicembre del 1997, e dal quale erano riusciti a scoprire la sua identità, e a ricollegare lei a suo padre, che avevano fatto morire in un “incidente” d'auto, quando era bambina. Erano solo ricordi. Tracce di un passato che la confortavano nei momenti peggiori, e che erano state usate infine per rovinarle la vita. Nella prima foto della pila c'era Bjarne, ed era stata scattata lo stesso giorno di quella che teneva nell'armadietto del bagno. Lui la abbracciava da dietro, e guardava verso la macchina fotografica sorridendo in modo spontaneo. Lei aveva un'espressione un po' impacciata e intimidita, ma sorrideva. Si guardava in quella foto, e trovava quella ragazza terribilmente vulnerabile. Un'altra persona.
Seconda foto: Londra, dipartimento di Scotland Yard. Due ragazzi dalla pelle chiara, con addosso la divisa della polizia: lei, sorridente, con capelli rossi corti e mossi e un paio di occhiali che nascondevano gli occhi castani, e lui, inespressivo, con le mani in tasca, aveva gli occhi grigi leggermente allungati e folti capelli neri tutti arruffati. Avevano rispettivamente 19 e 16 anni. Era il loro primo giorno a Scotland Yard. Kendra Burton e Eraldo Coil. Il loro primo caso insieme.
La foto successiva era vecchissima: era del giorno della sua prima partenza per gli Stati Uniti. Aveva quattordici anni. Era inverno, e nevicava, come quando lei e L erano arrivati alla Wammy's House, tre anni prima. Per lei era ormai giunto il momento di finire il liceo in una qualche scuola preparativa negli Stati Uniti, prima di iscriversi ad Harvard. Stava salutando L, erano entrambi nel cortile della scuola. Erano altri tempi, quelli; L non si infuriava ancora se lo chiamava “fratellino” con una vocina stridula arruffandogli i capelli, ma soprattutto tra loro non c'era ancora quella rivalità e quel sentimento di rabbia, frustrazione e gelosia che avevano portato alla rottura. Era tutto più semplice, quando erano bambini. Sembra sempre tutto più semplice, se si ripensa a quando si era bambini.
Infine trovò la foto che cercava: quella che la ritraeva poco prima della sua partenza per il primo caso con l'FBI. Erano all'aeroporto internazionale di Londra. Lei, Bjarne e L. L non era particolarmente felice, in quella foto; avrebbe preferito non essere lì, in quel momento, ma Bjarne aveva insistito talmente tanto che alla fine aveva ceduto. All'epoca era ancora poco più alto di Nathalie, aveva ancora degli occhi e un colorito normale, anche se già si notavano delle occhiaie marcate, ma soprattutto stava ancora ritto con la schiena, e sotto la maglietta nei Nirvana, seppur larga, si notava il suo fisico asciutto ma atletico. Bjarne era accanto a lei, e le passava una mano attorno alle spalle. Era felice, perché finalmente lei sarebbe tornata a vivere negli Stati Uniti, e si sarebbero potuti vedere più spesso. Nathalie pensò a come era buffo il destino, a come pareva si stesse divertendo a prendersi gioco di loro. Erano ignari e felici, guardavano al futuro con ottimismo; forse le cose sarebbero migliorare, forse il sogno di una vita normale non era così impossibile. Nathalie riguardava quella foto e pensava a quanto sembrassero stupidi quei sorrisi, quella fiducia. Prima che cominciasse tutto. Prima che finisse tutto.

    L ascoltava i rapporti degli agenti in silenzio, seduto a gambe incrociate sulla poltrona, coi gomiti appoggiati alle ginocchia e i polpastrelli uniti davanti al volto.
Gli ultimi sviluppi col secondo Kira, la questione della pagina del diario e i messaggi in codice lo stavano tenendo sveglio da giorni. Questo caso stava diventando sempre più complesso mano a mano che venivano alla luce nuovi elementi per un semplice motivo: c'erano sicuramente in ballo forze al di là dell'umana comprensione. Ed L odiava non capire. Com'era possibile condurre un ragionamento se la realtà stessa non corrispondeva a nessuna logica? Non sapeva se dare credito alle teorie di Banks, anche se l'aveva ingaggiata esattamente per quel motivo. Per quel che ne sapeva, a parte un caso di omicidio conclusosi con l'esorcismo del colpevole, anche lei aveva sempre perseguito la ragione, e non strane favolette su fenomeni paranormali. Studiava la complessa psicologia di soggetti deviati da credenze di qualche tipo, non era certo una medium. Fino a quel momento, L aveva sempre risolto ogni caso con la logica e con la razionalità. Aveva svolto molte ricerche su Banks, nel corso degli anni. Non avrebbe assoldato qualcuno senza prima accertarsi delle sue competenze. Quella di Banks era un'identità fittizia. Il nome era sicuramente falso, così come il suo aspetto. Era attiva da una decina d'anni, a quanto pareva, ma c'era ovviamente la possibilità che i dati fossero stati falsati. O che il nome “Nathalie Banks” corrispondesse ad un'identità di copertura, un'identità ereditaria. Come sarebbe stata l'identità dello stesso L.
Il detective ripensò al momento in cui aveva accettato il caso Kira: sentiva che la sua stessa vita sarebbe stata in pericolo, e così aveva deciso di cercare un successore tra le nuove generazioni di investigatori in via di addestramento alla Wammy's House. Aveva voluto tenere una sorta di videoconferenza per vedere se ci fosse qualcuno abbastanza bravo da ricevere la sua eredità. Non era soltanto la sua, di eredità, in realtà, ma preferì scacciare via quel pensiero, per il momento. Si sentiva ribollire il sangue al solo pensiero.
    Gli avevano detto il candidato più autorevole era un ragazzino di origini tedesche, Mihael Keehl, ma che c'era un altro bambino che poteva avere potenzialità anche maggiori, nonostante avesse solo cinque anni. Durante la videoconferenza, le matricole di tutti gli anni si erano accalcate per fare ognuno la propria domanda a L, tranne due, che stavano seduti al fondo. Uno portava un caschetto biondo e aveva gli occhi azzurri, doveva avere circa quattordici anni, perciò aveva intuito si trattasse di Mihael Keehl. L'altro, il più piccolo tra tutti, arrivato da solo un anno da uno degli orfanotrofi di Watari, ascoltava abbastanza distrattamente le domande degli altri, ma prestava attenzione alle risposte di L, arricciandosi i capelli biondo platino attorno ad un dito. Stava componendo un piccolo puzzle, i cui pezzi erano bianchi. Quando lo completava, lo disfaceva e ricominciava daccapo. Ma ad un certo punto uno dei pezzi gli era caduto un po' più lontano rispetto a dov'era seduto, quindi si era alzato per andarlo a prendere. Ed era stato allora che la telecamera era riuscito ad inquadrarlo bene. Sotto i capelli biondo platino, tutti arruffati, L era riuscito a scorgere un paio gli zigomi alti, un naso all'insù e grandi occhi castani. Certo, non erano delle caratteristiche così particolari, ma, accompagnati allo strano comportamento chiuso e scostante del bambino, alla sua età, e dal modo in cui si arrotolava i capelli attorno al dito indice, L non era riuscito a non notare in lui i lineamenti di K, e gli occhi di Bjarne. Aveva cinque anni, era più intelligente della media, era stato abbandonato alla nascita, se ne stava in disparte senza interagire con nessuno. Era stato costretto ad interrompere la videoconferenza. La vista di quel bambino lo aveva lasciato pietrificato.
    -...Ryuzaki...?- lo chiamò timidamente Matsuda. L si scosse dai propri pensieri. -Scusatemi.- disse, grattandosi la testa. -Riflettevo. Andiamo pure avanti.-
La sorveglianza per il 22 ad Aoyama era stata organizzata, perciò ora dovevano organizzare quella per Shibuya per il giorno 23. Banks si tirò fuori, con la scusa che aveva problemi respiratori e che l'inquinamento di Tokyo sarebbe stato difficile da sopportare. Scusa plausibile, considerando che aveva sempre una mascherina in borsa, ma L sapeva che non era quello il motivo: sicuramente Banks doveva rimanere sotto sorveglianza, per cui non avrebbe potuto partecipare ad un'operazione sotto copertura. Tirandosi fuori Banks, si tirava fuori anche Grumann. Sarebbero rimasti al quartier generale insieme a lui a controllare le telecamere.
Stavano ancora discutendo quando Watari fece entrare Light. L si voltò per salutarlo, alzando la mano che reggeva la forchettina con cui stava mangiando una torta alla frutta, ma lo vide impallidire nell'istante in cui varcava la soglia. Seguì il suo sguardo, senza voltarsi, e vide che stava fissando Banks, seduta sul divanetto di spalle alla porta. Anche lei si girò, guardò Light e, com'era successo alcuni giorni prima, si fermò a fissare un punto dietro di lui, anche se questa volta fu solo per un attimo. A Light tremava il labbro. Come l'ultima volta.
Che Banks stesse provando a bluffare per provare la teoria dello shinigami? A quanto gli aveva detto la donna, secondo le leggende capitava che degli shinigami si servissero della bramosia degli umani per uccidere più persone, e, in quei casi, seguivano l'umano designato fino al completamento dell'opera. Ma questi shinigami dovevano necessariamente rimanere invisibili. Fingendo di vedere qualcosa alle spalle di Light, Banks voleva farlo innervosire? Magari Light, supponendo che fosse davvero Kira, aveva pensato di far morire Banks, e, nel vederla viva, era entrato nel panico. Ovviamente, pensò L, perché Nathalie Banks non era sicuramente il suo nome, e quello non era il suo vero aspetto. Ma se Banks fosse stata trovata morta e la causa fosse stata un attacco cardiaco, L sarebbe potuto risalire facilmente a Light. A meno che...
L tornò a guardare Light con gli occhi sbarrati, e un'espressione pensierosa. A meno che Kira non potesse causare la morte delle proprie vittime anche in altri modi, oltre all'attacco cardiaco. E Kira poteva manipolare le azioni delle vittime subito prima della morte, quindi non sarebbe stato assurdo se avesse anche potuto far morire le persone in modi diversi. Era stato così che aveva causato la morte di Naomi Misora? L se l'era sempre chiesto. Il suo corpo non era mai stato trovato, e avrebbe avuto senso se Kira le avesse ordinato di raggiungere un luogo completamente isolato dove sarebbe stato impossibile trovarla, prima di farla morire di attacco cardiaco. Oppure, avrebbe potuto simulare un suicidio. L si maledisse ancora una volta per non averle potuto parlare quando lei lo aveva cercato. Con Naomi al suo fianco, non si sarebbe arrivati a quel punto. Naomi gli piaceva. Non meritava la fine che, con ogni probabilità, Kira le aveva fatto fare.
    Nel frattempo, si erano tutti alzati per salutare e far posto a Light, che aveva recuperato la normalità. A L tuttavia non passarono inosservate le occhiate corrucciate che ogni tanto Light riservava a Banks, ma si limitò ad esporre il proprio piano come se nulla stesse accadendo: sarebbe stato scorretto intromettersi nell'indagine della sua collaboratrice, per quanto sospettosa e poco affidabile lei fosse.

    Light tentò di nascondere l'agitazione che aveva provato nel vedere Banks, cercando di sedersi in una posizione in cui non potesse vederla direttamente. Ci mancava solo questa. Non bastava l'inquietudine che gli aveva messo addosso il giorno prima, quando si era fermata a fissare Ryuk. Non ci aveva messo molto a tranquillizzarsi e a stabilire che non fosse possibile che lo avesse visto per davvero; tuttavia, la sera prima, aveva tirato fuori il Death Note, e aveva scritto:
Nathalie Banks. Il giorno 8 maggio, si recherà come di consueto al quartier generale, senza però fare parola alla persona che conosce col nome di L di argomenti legati in qualche modo agli shinigami. Alle ore 15:18, comincerà ad avvertire febbre, nausea e vertigini. Tornerà a casa alle ore 16:12, dicendo di non sentirsi bene. Le sue condizioni di salute si aggraveranno, facendole perdere la coscienza, finché non morirà il 22 maggio alle ore 16:09”
Il piano era semplice, ma efficace. Se il 22 fosse arrivata al quartier generale la notizia che Banks era morta, sicuramente si sarebbe creato dello scompiglio, e magari la sorveglianza che L aveva sicuramente organizzato ai suoi danni si sarebbe allentata. L'ora del decesso avrebbe coinciso con l'inizio del concerto al locale Note Blue di Aoyama, dove, con ogni probabilità, il secondo Kira lo avrebbe atteso. In quel modo, avrebbe preso due piccioni con una fava!
Eppure, Light era arrivato alle 18:40, e Banks era ancora lì, in perfetta salute. Era sicuro di non aver sbagliato data, perciò com'era possibile che fosse ancora viva? L non aveva dato a lei e a Grumann dei nomi falsi, perché non erano ancora pronti i falsi distintivi di Watari, per cui aveva dato per scontato che quelli fossero i loro veri nomi. Che errore da principiante!
    Questo spiegava il perché Banks non stesse agendo sotto l'effetto del Death Note. Ma Light non riusciva ancora a spiegarsi come fosse possibile che avesse guardato Ryuk. Ripensò a tutti i momenti in cui aveva usato fogli del quaderno, e se fosse possibile che ne avesse perso qualcuno. Poco prima, quando era entrato, Banks aveva guardato dietro di lui solo per un momento, e poi aveva distolto lo sguardo. Ryuk non c'era, gli aveva dato ordine di rimanere nel corridoio per tutto il tempo. Se Banks si fosse fissata nuovamente come la prima volta, sarebbe stato evidente che era un bluff. Ma in quel caso? Poteva aver pensato di aver avuto davvero un'allucinazione la sera prima? O aveva anticipato la sua mossa, prevedendo che non avrebbe permesso a Ryuk di manifestarsi di nuovo? Dal computer di suo padre, Light non aveva potuto scoprire molto su di lei, solo che collaborava con l'FBI e che era una detective esperta di esoterismo, con due lauree, voti eccelsi, un curriculum molto corposo e una specializzazione in medicina legale, che le permetteva di assistere alle autopsie durante le indagini. D'un tratto, i suoi occhi si illuminarono; un'idea gli era balenata in mente. Sul dossier trovato sul computer di suo padre c'era scritto che Banks si trovava con due degli agenti dell'FBI uccisi da Kira, nel momento in cui erano morti. E che conosceva Naomi Misora, con la quale aveva collaborato in alcune occasioni, perciò era lecito pensare che conoscesse anche Raye Penber. Ed era arrivata in Giappone per la prima volta nel novembre del 2003.
Era certamente un'ipotesi incredibilmente azzardata, ma se Banks fosse stata mandata da Penber ad indagare sul criminale morto sul pullman per Spaceland? Light ricordava di aver fatto cadere un foglio strappato dal quaderno per permettere al dirottatore di vedere Ryuk. Però poi non l'aveva raccolto. Non sarebbe stata un'azione normale per una persona tenuta sotto ostaggio. In più Penber non voleva che si scoprisse che era un agente dell'FBI sotto copertura, difatti gli aveva chiesto di non fare parola della sua presenza. Non sarebbe stato così strano se avesse chiamato Banks ad affiancare le indagini sul dirottatore, così che lei potesse coprirlo. In quel modo, Banks sarebbe potuta essere andata sul posto a fare i rilevamenti per l'autopsia; quindi avrebbe potuto raccogliere, oltre ai bossoli dei proiettili del dirottatore, anche il foglio, una volta giunta sul posto.
    No, stava lavorando troppo di fantasia. Doveva calmarsi e pensare lucidamente. Banks stava sicuramente bluffando. Era stata ingaggiata da L come esperta di esoterismo, sicuramente per via della ripetizione nei messaggi sia del primo che del secondo Kira degli shinigami. Non sarebbe stato strano se la l'agente avesse semplicemente finto di vedere qualcosa dietro di lui per studiare la sua reazione. Anzi. Era la spiegazione più logica e razionale. Light si dette dello stupido per aver lavorato così tanto di fantasia, in preda al panico com'era. Non doveva lasciarsi andare a reazioni esagerate.
Finalmente calmo, riprese a prestare attenzione alle parole di L, cercando contemporaneamente di elaborare un piano per chiudere la faccenda il prima possibile. Si appoggiò finalmente allo schienale del divanetto, cercando di eliminare la tensione dalle spalle. Era seduto sul divanetto che dava le spalle alla porta, vicino a Matsuda, che stava a sua volta accanto a Banks. L aveva rivolto ad entrambi qualche occhiata inquisitoria. Il ragazzo si sentì sollevato: sembrava che, qualsiasi fossero le intenzioni di Banks, L non ne fosse al corrente.
Dopo circa un'ora, domandò di poter tornare a casa, con la scusa dello studio, e uscì in fretta dall'appartamento. Ryuk lo aspettava in corridoio.
-Non mi piace che tu mi dica dove devo stare.- gli disse lo shinigami, seccato.
Light attese di essere arrivato alle scale, prima di rispondere.
-Mi sembrava che ieri anche tu fossi preoccupato per lei.-
Ryuk rise.
-Stupito, non preoccupato.-
E si mise a camminare accanto a Light, piegando la testa e piantandogli i suoi grandi occhi gialli in faccia.
-Quella donna è molto interessante.- disse, col suo solito ghigno stampato in faccia.
-Avresti potuto avvertirmi che quello non era il suo vero nome!- protestò Light, sottovoce. -Ma uno shinigami non può rivelare un nome ad un umano, giusto? Oppure ti diverti semplicemente a vedermi rischiare la vita? Come con Naomi Misora?-
Ryuk scoppiò di nuovo a ridere, prima di scendere un paio di gradini e fermarsi proprio di fronte a Light.
-Ti ho dato il Death Note perché mi annoiavo.- disse, alzando il dito indice per aria. -Tutta questa sfida tra te e L, e ora con il secondo Kira di mezzo, e questa agente Banks... le cose si stanno facendo davvero interessanti.-

    Un paio di giorni dopo, L stava controllando la quotidiana lista di criminali giustiziati nelle precedenti 24 ore, quando gli si avvicinò Banks, seguita a breve distanza dal suo cagnolino.
-Avrei una richiesta.- esordì la donna, prendendo una sedia girevole e trascinandola accanto a lui, prima di sedersi, a braccia incrociate.
-Fammi indovinare...- disse L, girando il cucchiaino nella sua tazzina di caffè. -Vorresti fermarti qui fino a tardi, stasera, e cercare di trattenere Light Yagami per avere l'occasione di parlarci e verificare di persona se i miei sospetti sono fondati.-
Smise di girare il cucchiaino e la guardò. -Non è così?-
Banks sospirò.
-Sì, Ryuzaki.-
Fece fare alla sedia un mezzo giro, allungò un braccio e prese un fascicolo, e, nel voltarsi nuovamente verso di lui, fece come per lasciarlo cadere pesantemente sul tavolo, ma si bloccò a mezz'aria, e glielo passò normalmente.
-Ho cominciato a redigere un profilo psicologico, basandomi sul materiale raccolto durante il periodo di sorveglianza, ma non mi soddisfa.-
Si risistemò gli occhiali da vista progressivi sul naso fine.
-Vorrei potergli parlare, fargli qualche domanda, per potermi fare un'idea più completa.-
L bevve un sorso di caffè.
-Come vuoi, allora.- disse, appoggiando la tazzina di fianco al dossier, che prese con le lunghe dita sottili. -Non nego che mi faccia piacere sapere che c'è qualcun altro in questo quartier generale, oltre a me e a Watari, che non esclude a priori la colpevolezza di Light Yagami.-
Poi il suo sguardo si fece inquisitorio.
-Sempre che questo non sia soltanto un modo per ingraziarti il sottoscritto, o per raccogliere informazioni che potresti vendere facilmente al di fuori di questo quartier generale.-
La donna non si scompose, ma anzi continuò a guardarlo coi suoi occhi di ghiaccio.
-Questo è un rischio che non si può mai eliminare. Non cambierebbe molto se al posto mio e di Grumann ci fossero altre persone.-
Si appoggiò sullo schienale, appoggiando un braccio sul tavolo.
-Avresti anche potuto farti dare i risultati delle mie ricerche per telefono. Via mail. O, se proprio non ti fidavi a lasciare che ciò che avevo scoperto trapelasse, avresti potuto farmi comunque venire qui e affidare i miei risultati a Watari. O interrogarmi tramite telecamera e microfono distorto dalla stanza accanto.-
Incrociò le gambe, e sul suo volto si disegnò un mezzo ghigno, che si spense subito.
-Quello che penso, Ryuzaki...- continuò la donna, risistemandosi gli occhiali. -È che hai paura. Ti sei dovuto esporre, mostrarti a questi agenti, mostrarti a colui che sospetti di essere Kira. Perciò ci vedi soltanto come un pericolo, e non come una risorsa.-
    L la ascoltava in silenzio, tenendo la tazzina con le dita, ma senza berlo.
-Hai chiesto a Light Yagami di aiutarti nelle indagini, perché ti serve la sua intelligenza, e credi di riuscire a controllarlo meglio in questo modo.-
E così dicendo, portò la mano sopra al dossier che gli aveva passato poco prima, tamburellando coi polpastrelli sopra la copertina.
-Potresti fare la stessa cosa con me, lo sai?-
L non rispose, ma guardò la reazione di Grumann. L'uomo era rimasto col fiato sospeso per tutto il tempo: probabilmente non si aspettava che L mostrasse così apertamente i suoi sospetti su di loro, e stava pesando ogni minima parola di Banks, per paura che potesse rivelare troppo.
Banks non gli piaceva, L continuava a ripeterselo, ma se stava tirando tanto la corda con lei era soprattutto per testare Grumann, e il tipo di minaccia che poteva rappresentare. Lei gli poteva sicuramente servire, ma a quale costo? Grumann l'avrebbe uccisa per chiuderle la bocca? E questo, avrebbe potuto compromettere le loro indagini?
Ma ancora una volta, la curiosità vinse sulla prudenza. L era tanto ansioso di conoscere quali fossero le capacità della sua collaboratrice, che avrebbe corso il rischio. Si rimise finalmente a bere il caffè, prima di dirle:
-Va bene, Banks. Ti darò ciò che vuoi.-

    L gli aveva chiesto di fermarsi ancora per poco, per parlare con Banks. Light aveva accettato, seppur controvoglia: immaginava che Banks volesse fargli il quarto grado, ma doveva mostrarsi disponibile, come aveva già fato con L, per fugare ogni tipo di sospetto sul suo conto.
-Mi doveva dire qualcosa, signorina Banks?- esordì, entrando nello studio dov'erano presenti soltanto loro due, Grumann e L. Gli altri agenti erano insieme a Watari, a discutere di alcuni dettagli sulla sorveglianza alla partita al Tokyo Dome del 30 maggio.
-Puoi sederti, se vuoi.- disse la donna, appoggiata al tavolo dei computer.
Light si accomodò su una sedia, di fronte a lei, e lanciò una breve occhiata a Grumann. Non partecipava mai attivamente alle discussioni sul caso, si limitava ogni tanto a fare qualche commento o battuta, ma in generale veniva ignorato. Il ragazzo si era sempre chiesto quale fosse il suo scopo: il suo unico compito sembrava essere quello di controllare ogni cosa facesse Banks. Lei non si allontanava mai dal suo campo visivo, e prima di prendere delle decisioni si consultava con lui. Quali erano i loro ruoli?
-Può cominciare quando vuole.- disse infine Light.
-Oh, non era mia intenzione sottoporti ad un interrogatorio vecchio stile.- rise la donna. La sua risata era tagliente, non c'era sentimento in essa. Per quanto sembrasse essere una bella donna, il suo volto era truce, freddo, quasi cattivo. La vide mentre prendeva una penna, faceva batter la punta sul tavolo, scorreva le dita fino in fondo, la ruotava al contrario, e faceva battere il tappo all'altra estremità. Ripetutamente. Punta, tappo, punta, tappo.
Sembrava una persona estremamente nervosa, scostante, impaziente. Tutto il contrario, rispetto ad L.
    -Mi potresti dire, Yagami, come ti trovi all'università?- domandò infine Banks, fermando la corsa della penna prima che toccasse il tavolo.
Il ragazzo rimase un po' spiazzato.
-In che senso?- chiese infine. -Come mi trovo coi compagni, coi professori, o...-
-Oh, non ti preoccupare.- disse la donna, portandosi la mano con la penna sotto il mento. -Non c'è una risposta giusta o sbagliata a questa domanda. È molto semplice, in realtà. Da quel che ho potuto vedere, mi sembri un ragazzo straordinariamente dotato, con un'intelligenza fuori dal comune. Mi chiedevo, quindi, se all'università ti trovassi meglio rispetto al liceo, perché immagino lì tu abbia a che fare con persone più intelligenti rispetto a prima.-
Light rimase fermo a pensare per un attimo. Dove voleva andare a parare? Però pensò che se avesse pensato troppo alla risposta, sarebbe risultato sospettoso. Era questo il fine dell'interrogatorio? Testare la sua colpevolezza in base a come reagiva a domande di conversazione quotidiana?
-In tutta sincerità...- disse alla fine. -Credo che anche l'università sia piena di persone stupide.-
-Sono d'accordo.- disse lei, annuendo. -E la stupidità ti infastidisce?-
Light sorrise appena. -Non se non è nociva per gli altri. Alcune persone stupide possono fare cose intelligenti e migliorare la giornata, o addirittura la vita, agli altri. Così come persone intelligenti possono fare cose stupide e rovinare la vita agli altri.-
-Mmm...- fece Banks, rimettendosi a posto gli occhiali. -Bella risposta.-
-E lei, invece?- domandò allora Light. -Questa dovrebbe essere una conversazione normale, non un interrogatorio, no? Perciò, anch'io posso farle delle domande.-
Banks chiuse gli occhi e rifece quel suo mezzo ghigno a labbra strette. Grumann li osservava in silenzio, mentre L mangiava, ma Light era certo che li stesse tenendo d'occhio.
-Ovviamente...- disse allora Banks.
-Bene, allora.-
Light incrociò le braccia e stiracchiò le gambe.
-Lei ha fatto studi di psicologia criminale?- chiese infine.
-Come quasi tutti quelli che decidono di intraprendere la carriera investigativa...- disse lei, giocherellando col la penna tra le dita. -Vuoi sapere se è mia abitudine analizzare ogni persona con cui parlo per verificare se è un potenziale criminale?-
-Sarebbe stata la mia prossima domanda, sì.- ammise Light.
-Beh...- cominciò lei, voltandosi a fissare un punto fisso sulla parete. -In realtà no. Difficilmente le persone mi interessano. Meno ci ho a che fare, più sono felice.-
Il ragazzo sogghignò, pensando che non si immaginava per nulla quella donna felice.
-E tu, Light...- riprese la donna, voltandosi di nuovo. -Le persone ti stimolano? Ad esempio, i professori e i compagni di università? Oppure ti annoiano?-
Light fece finta di pensarci su, prima di rispondere:
-A volte, lo confesso, la vita mi annoia. Ma credo sia un sentimento comune a molti, e forse è tipico della mia età, o delle nostre generazioni in generale.-
Banks annuì di nuovo, poi fece roteare la penna tra le dita e la puntò verso Light, mentre teneva l'altro braccio incrociato sotto il seno.
-Volevi diventare un poliziotto, come tuo padre, no?- domandò allora.
Light annuì.
-E dimmi, c'è un sistema giudiziario a cui guardi come modello, o c'è qualche meccanismo che reputi una falla nel sistema, che ostacola gli addetti ai lavori?-
Il ragazzo si lasciò scappare una piccola risatina.
-Se rispondessi che trovo che i sistemi giudiziari di tutto il mondo abbiano delle falle, e che la giustizia non funziona, questo mi renderebbe più sospettoso di essere Kira?-
-No, ti farebbe apparire come una persona normale.- rispose Banks, con una nota di ilarità nella voce. -Se avessi sostenuto il contrario, avrei pensato che fossi un perfetto idiota.-
Light assunse un'espressione stupita.
    -Quello che penso, perché so che me lo stai per chiedere...- riprese la donna. -... è che ogni sistema, compreso quello giudiziario, ovviamente, ha le sue falle, ha dei meccanismi che non funzionano. Spesso non riesce a stare al passo coi tempi, perché la società cambia in fretta, ma le istituzioni difficilmente vengono rivoluzionate ogni volta che è necessario. Le istituzioni devono dare alla gente la ferrea sicurezza di esistere come punto fisso, perciò è raro che vi siano cambiamenti.-
Si alzò sulle proprie gambe, e cominciò a camminare per la stanza, a braccia conserte.
-La polizia, la giustizia, le leggi... sono tutte cose che devono esistere, e in cui la gente deve avere fiducia, o scoppierebbe il panico. Un'istituzione forte deve servire come baluardo e come deterrente, per questo ci facciamo andare bene una realtà del genere, così piena di difetti. Perché è meglio un sistema difettoso, che l'assenza di esso.-
Si mise a guardare fuori dalla finestra, continuando a parlare.
-I sistemi sono prodotti umani, per questo saranno sempre imperfetti, per definizione. L'unica cosa che possiamo fare come esseri umani, è cercare di condurre un passo alla volta queste istituzioni verso la via che riteniamo migliore, correggendo il tiro di tanto in tanto. Non vedo altra soluzione, se non quella di ammettere che siamo impotenti, e che non possiamo pretendere di poter raggiungere un ideale di giustizia assoluta.-
Ad un certo punto si fermò, e lo guardò dritto negli occhi da sopra la spalla.
-Chi pensa di avere la soluzione unica e definitiva è un folle, che rifiuta la propria stessa natura umana, imperfetta e ignorante per definizione. Una persona del genere si crederebbe un dio. Vedi, è questo quello che penso di Kira.-

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 - Condanna a morte ***





Capitolo IV




    -Ho visto che a Tokyo in questi giorni c'è il sole.- disse Bjarne al telefono. -Ti sta dando problemi?-
-Ho più problemi quando vengo da te in California, durante la tua stagione estiva alla scuola di surfisti, sai com'è...- rispose Nathalie, giocherellando col filo della cornetta.
Guardava il suo riflesso allo specchio: i suoi occhi erano di un rosa pallido, il loro colore naturale, il colore di quando si sentiva serena, rilassata, tranquilla, felice, divertita. Per questo era un evento così raro.
-Queste giornate sono una noia.- riprese, con tono infantilmente lamentoso. -Stiamo aspettando. E odio l'inazione.-
-Ho vagamente presente, sì...- rise il giovane. -Come quella volta che sei partita per il Nevada per andare a stanare quei narcotrafficanti, senza rinforzi, senza mandato di perquisizione...-
Poi d'un tratto la sua voce si fece seria.
-Quella volta ho davvero avuto paura che ti ammazzassero.-
-Dio mio Bjarne, non ricominciare con quella storia!- protestò lei con torno scherzoso, ma poi si fece seria anche a lei.
-Ho promesso che non avrei mai più messo così a rischio la mia vita inutilmente.-
-È quell'inutilmente che mi preoccupa.- ribatté Bjarne. -La tua vita non è utile o inutile. È la tua vita. E, se è vero che la tua vita appartiene a te, è anche vero che non esiste in isolamento rispetto alle altre. Nella tua vita c'è anche un pezzo della mia, c'è anche un pezzo di quella di tante altre persone. Se dovessi morire, morirebbero anche quei frammenti di altre persone che sono in te. Così come morirebbero i frammenti di te che ci sono nelle altre persone che hai incontrato.-
Poi ci fu un attimo di silenzio, prima che il giovane scoppiasse a ridere.
-Ho tentato di mettermi a fare della filosofia e ne è uscito un discorso senza senso, scusami.-
-Ma non è vero!-
Poi anche Nathalie rise.
-Ho afferrato il concetto. Certo, da quando hai cominciato a lavorare al caffè letterario sta piano piano uscendo fuori il tuo lato poetico, eh?-
Si tirò dietro il telefono dal mobiletto su cui era posto e andò a buttarsi sul divano, alzando i piedi sul tavolino da tè.
-A proposito, come sta andando il lavoro lì?-
-Mmm...- fece Bjarne. -Non c'è male. Incontro un sacco di persone interessanti, organizziamo serate di lettura delle poesie, e Jonathan mi dà una mano a gestire il bar. Tutto sommato... direi che ce la stiamo cavando bene.-
Nathalie sospirò. Aveva sempre paura che gli uomini di Hayer boicottassero i suoi lavori, come il caffè letterario dove aveva iniziato a lavorare otto anni prima, e a cui avevano da poco lasciato la gestione, e l'attività come istruttore di surf.
-Perciò... non ci sono problemi, no?- insistette.
Bjarne si lasciò scappare una leggera risata, e poi disse, con voce dolce:
-Non c'è nulla di cui tu ti debba preoccupare. Puoi fare quella telefonata.-

    Erano le 23:40 del 15 maggio, in Giappone. Questo significava che a Chicago erano le 8:40 di quello stesso giorno. Bjarne le aveva assicurato che andava tutto bene, per cui avrebbe potuto fare la sua telefonata, come ogni 15 del mese, alle 9 di mattina, ora di Chicago.
Era cominciato nel novembre del 1995. Aveva invitato Roger a prendersi un caffè, quel pomeriggio. Lo aveva aspettato per una decina di minuti, seduta sul divanetto, imbacuccata nel suo felpone grigio chiaro dell'Università di Berkeley, che le aveva regalato Bjarne. Ricordava che continuava a tirarsi le maniche fino a coprirsi le dita, e si era tirata su il cappuccio sopra la parrucca rossa e mossa che portava di solito.
-Eccomi, tesoro.- aveva sentito la voce dell'uomo alle sue spalle, e con la coda dell'occhio l'aveva visto metterle una mano sulla spalla, mentre con l'altra si toglieva la sciarpa. Aveva una quarantina d'anni, all'epoca. Roger Burton, uno dei più brillanti ispettori dello Stato. Era alto, aveva le spalle larghe, la mascella quadrata e capelli castani tirati all'indietro, lunghi fino alla nuca.
Lei aveva fatto una smorfia nel sentirsi chiamare “tesoro”. Quando, all'età di quattordici anni, aveva deciso di andare a studiare negli Stati Uniti per prepararsi ad entrare ad Harvard, aveva anche espresso immediatamente la volontà di cominciare fin da subito l'addestramento, come assistente di un qualche detective, o per la polizia. Ma era minorenne, e nessuno riteneva opportuno per una ragazzina “immischiarsi in quelle cose da grandi”. Finché, un giorno, aveva finalmente ricevuto una lettera con una risposta positiva: l'ispettore Roger Burton, del dipartimento di polizia di Chicago, si diceva disposto ad accoglierla tra le sue fila. Burton era a conoscenza delle straordinarie capacità degli studenti della Wammy's House, perché aveva avuto occasione di collaborare con uno di loro, poco tempo prima. Non si era quindi lasciato sfuggire l'occasione di avere una mente così promettente al proprio servizio. Ma le questioni legali sull'età della ragazzina rimanevano, perciò l'uomo aveva proposto una soluzione alquanto insolita: essendo lei orfana, ed essendo la sua identità nascosta, dal momento che il padre era morto in circostanze sospette, Burton si era offerto di adottarla; in quel modo, avrebbe potuto godere della sua protezione, e avrebbe potuto farsi affiancare nel lavoro di ufficio, con la scusa di portare la figlia sul luogo di lavoro e, soprattutto, approfittare della sua consulenza a casa. Sarebbe stata una soluzione vantaggiosa per entrambi. Lei aveva accettato, anche se con qualche riserva: a quattordici anni, non sentiva la necessità di avere di nuovo un padre.
    Erano passati quatto anni, e se anche Roger l'aveva adottata con lo scopo di fare carriera, alla fine si era affezionato a lei; eppure, lei era andata a stare in collegio appena erano cominciati i corsi, e aveva sempre cercato di mantenere un rapporto di tipo esclusivamente professionale con lui. Gli era grata, lo rispettava, spesso le faceva anche piacere vederlo; ma non lo avrebbe mai visto come un padre.
-Roger, dai...- aveva protestato. -Per favore...-
-E va bene.- aveva sospirato l'uomo, togliendosi anche il cappotto e prendendo posto sul divanetto di fronte a lei.
-Hai già ordinato? Hai fame?-
-No...- aveva risposto lei. -Aspettavo te. Chiama pure la cameriera. Dopo c'è una cosa di cui vorrei parlarti.-
-Naturalmente!- aveva riso lui, con una scintilla negli occhi azzurri chiarissimi. -Non mi illudevo mica che volessi semplicemente vedermi per chiacchierare.-
Si erano fatti portare una tazza di caffè, delle uova strapazzate con pane tostato e una fetta di torta al limone.
-Così, ora che hai terminato l'addestramento...- aveva cominciato lui, assaggiando la torta. -... vuoi metterti in proprio?-
-Lavorerò con te fino a maggio.- aveva detto lei, tenendo la tazza di caffè tra le mani intirizzite dal freddo, curva su se stessa. -Poi, però, vorrei mettermi ad indagare per conto mio, per scoprire chi ha ordinato di far fuori mio padre e tutto il resto della nostra famiglia.-
L'uomo aveva alzato un sopracciglio, e poi si era schiarito la voce.
-Non ti serve una mano?-
-Preferirei di no.- aveva detto lei, tenendo lo sguardo fisso sul suo caffè. -Sei un personaggio molto in vista, ora che abbiamo arrestato i russi. Se dovessi seguire il mio caso, ti noterebbero. E ho come l'impressione che ci sia dietro qualcosa di grosso, per cui ci vorrà molto tempo per indagare.-
-È pericoloso.- aveva allora detto lui, preoccupato. -Non sai con chi hai a che fare, e poi si tratta di fatti risalenti a quasi dieci anni fa! Sarebbe molto più semplice se io potessi aiutarti.-
-Mi dispiace, Roger.- aveva detto allora lei, alzando lo sguardo. -È proprio perché mi rendo conto che sia pericoloso che preferirei ne stessi fuori. Mio padre è stato ucciso solo perché ha visto qualcosa, ed è andato a denunciare il fatto alla polizia. Questo è quello che mi hanno detto quando mi sono risvegliata dal coma dopo l'incidente d'auto. Perciò preferisco indagare da sola, smuovere il meno possibile le acque, raccogliere prove...-
Poi si era tolta gli occhiali da vista perché il caffè non li appannasse, e i suoi occhi castani leggermente strabici avevano assunto un'espressione triste.
-Perciò, se dovessi morire, vorrei che tu continuassi col caso. Mi auguro di riuscire a raccogliere abbastanza prove per spianarti la strada, fino ad allora.-
Le labbra di Roger si erano piegate, come in una smorfia di dolore. Aveva stretto più forte la tazza tra le sue grosse mani, prima di ricominciare a parlare.
-Speri in questo modo di riuscire a tenere al sicuro Bjarne e L?-
    Lei aveva annuito, e poi si era portata la tazza alle labbra, che all'epoca erano ancora carnose.
-Ho detto che lavorerò con te fino a maggio, perché per allora vorrei poter cominciare ad addestrare L.- disse, dopo aver bevuto un lungo sorso.
-Lo coinvolgerai nelle indagini?- aveva chiesto Roger, tornando a mangiare la torta.
Lei aveva scosso la testa.
-Non nei primi tempi.- rispose, appoggiando nuovamente la tazza sul tavolino. -Gli terrò nascoste le mie indagini parallele finché riuscirò, ma preferirei coinvolgerlo soltanto quando avrò la certezza di avere qualcosa di serio in mano.-
Roger aveva annuito, e poi si era pulito la bocca con un tovagliolo.
-Hai già raccolto qualcosa?-
-In effetti sì.- aveva detto lei, girandosi per prendere la sua borsa di tela verde militare, da cui aveva estratto un plico di fascicoli e qualche cassetta, infilati in una busta di carta.
-Per ora brancolo ancora abbastanza nel buio, ma questa è tutta la documentazione che sono riuscita a reperire della denuncia di mio padre e del nostro incidente.- aveva sussurrato, mostrando a Roger il contenuto della busta.
-Ti ho chiesto di venire qui, perché vorrei che trovassi un posto sicuro dove custodire tutto ciò. E dove io possa inviare mano a mano il materiale che riesco a trovare.-
Roger stava ascoltando con attenzione, e con un'espressione seria sul volto tirato.
-Se riuscirai a fare questo per me, vorrei inoltre chiederti di procurarti un telefono non rintracciabile, a cui io ti chiamerò ogni mese ad un giorno prestabilito. Ti darò una parola in codice, che cambierò ogni mese, e che significherà che sono viva, che sto bene e che non è ancora il momento per te di ritirare quelle prove e metterti a lavorare sul caso.-
L'uomo aveva annuito, per poi intervenire.
-C'è una società di sicurezza per cui lavorano persone fidate. Potrei far mettere le tue prove in una cassetta sorvegliata in uno dei loro caveau, e andare di persona ogni mese a confermare che la cassetta deve rimanere al suo posto. Dopotutto, se risalissero a te, potrebbero prendere di mira anche me, e a quel punto, se dovessero catturare o uccidere me, quelle prove rimarrebbero lì, e nessuno potrebbe chiudere il caso.-
Lei aveva sbarrato gli occhi. Non si aspettava che Roger prendesse in considerazione quell'eventualità con tutta quella calma.
-Credo che sia meglio che in caso di mia morte, tu dia l'ordine di mandare tutte le prove alla Wammy's House. Gli studenti come te agiscono nell'anonimato, magari riuscirebbero a risolvere il caso senza altre perdite.-
La ragazza aveva abbassato lo sguardo. Si sentiva terribilmente egoista in quel momento: aveva parlato del suo piano a Roger, anche se sperava di coinvolgerlo il meno possibile, ma lui stava dipingendo uno scenario talmente buio che si era pentita di aver anche solo concepito quell'idea.
Lui sembrava averle letto nei pensieri, perché le aveva sfiorato delicatamente la mano e si era avvicinato per sussurrarle:
-Ehi, non ti devi preoccupare.-
Si era guardato intorno circospetto, e poi si era sporto ancora un po' di più verso di lei.
-Mi hai sempre visto come un poliziotto che vuole far carriera, no?-
E aveva riso.
-Non lo nego. E, soprattutto, se risolvessi un caso come questo, riceverei una promozione ancora più grossa dell'ultima.-
Si riferiva alla cellula della mafia russa che era riuscito a smantellare grazie a lei.
-Perciò vedila così: ti devo un grosso favore. Se non credi alla messinscena del padre affettuoso che abbiamo recitato per tutto questo tempo, credi nell'ottica del favoritismo: ti voglio aiutare, per sdebitarmi. Ma, se dovessi sospettare che ho qualcuno alle calcagna, o se dovessi venire a sapere che ti è successo qualcosa, lascerei il caso ai tuoi colleghi della Wammy's House, a meno di non essere sicuro di riuscire a pararmi il culo a dovere.-
Lei aveva riso. Sapeva che Roger non era un codardo, ma concordava sul fatto che fosse più sicuro se una copia delle prove fosse arrivata anche a Watari.
    -Allora...- aveva quindi ripreso Roger, tornando a sedersi. -Qual è il tuo piano?-
Lei aveva appoggiato i gomiti sul tavolo, e si era piegata in avanti per parlare a bassa voce.
-Hai ancora l'unica copia esistente della prima versione della mia tesi di laurea a casa? Quella sulla pena di morte, che alla fine non ho presentato?-
-Certo che sì.- aveva risposto lui, sorridendo. -Trovo la sua lettura... illuminante, di tanto in tanto.-
-Bene. Se ti ricordi, le parte importanti sono evidenziate di diversi colori. Le parole chiave sono in arancione, e sono quasi sempre parole singole. Ogni mese io ti chiamerò, alle 9 di mattina precise, e ti dirò una di quelle parole, in ordine, a partire dall'introduzione.-
-Mi stai dicendo che ricordi quel tomazzo che hai scritto a memoria?- aveva detto Roger, nemmeno troppo sorpreso.
-Riesco ancora a recitarlo a memoria, perciò sono certa di poter ricordare le parole evidenziare nel giusto ordine.- aveva risposto lei, sicura. -Però, non userò mai la parola “sedia elettrica”. E nemmeno tu. Io ti chiamerò e ti dirò la parola d'ordine, e tu dovrai rispondere con quella successiva nella frase. Per esempio, la prima parola evidenziata in quel testo è “Prove”. La frase completa sarebbe: “Non ci sono prove indiscutibili del fatto che la pena di morte porti un reale giovamento alla società”. Io perciò ti dirò la parola “Prove”, e tu dovrai rispondere con “Indiscutibili”. Ogni mese dovrai presentarti al caveau e confermare che la cassetta deve rimanere al suo posto. Se non ti chiamerò, andrai a dare l'ordine che il contenuto della cassetta sia inviato alla Wammy's House. Se ti dirò la parola “sedia”, tu risponderai “elettrica”, così saprò che hai ricevuto il messaggio, e andrai a dare l'ordine che il contenuto della cassetta sia inviato alla Wammy's House. Se non ti presenterai, dovranno avere l'ordine che il contenuto della cassetta sia inviato alla Wammy's House. Se dovessi sentirti in pericolo, non andare al caveau, cerca protezione e lascia che sia Watari ad occuparsi del caso. Se alla mia parola dovessi rispondere tu con “sedia elettrica” o con una parola diversa, allora saprò che sei in pericolo, e sarò io a dare l'ordine che il contenuto della cassetta sia trasferito.-
Roger era stato ad ascoltare, annuendo di tanto in tanto in silenzio.
-E se tu ti sentissi minacciata, come faresti a farmelo sapere?-
-Allora dirò “iniezione”, e tu dovrai rispondere “letale”.- aveva detto lei, mettendo infine le uova strapazzate sul pane tostato, aiutandosi con la forchetta. -Ma, anche in quel caso, dovrai continuare a confermare la giacenza delle prove al caveau. Se anche dovessi essere in pericolo, potrei comunque avere la possibilità di raccogliere altro materiale, per cui continuerò ad indagare finché ne avrò la possibilità.-
-Watari sa di questo tuo piano?- aveva chiesto poi Roger, una volta finito di mangiare.
-Conto di dirglielo quando riterrò L pronto a lavorare al caso con me. Ho il sospetto che se glielo dicessi ora, darebbe il caso in mano ad altri.-
Aveva abbassato lo sguardo, con una nota di tristezza negli occhi.
-E... preferirei essere io a trovare la verità su cosa ha causato la morte di quasi tutta la mia famiglia.-
    Roger le aveva appena sfiorato un braccio, poi aveva chiamato la cameriera per farsi portare altro caffè. E così era cominciata la trafila, ogni mese, con una puntualità svizzera. Ad un certo punto, però, lei aveva deciso di tenere a tutti i costi L fuori da quell'indagine, perché mano a mano che saltavano fuori nuovi elementi, si convinceva del fatto che sarebbe stato troppo pericoloso, e non lo voleva coinvolgere. Aveva perciò fatto aggiungere tra i documenti e le istruzioni da far pervenire a Watari in caso di pericolo, che L sarebbe dovuto rimanere fuori da tutta quella faccenda, a meno che non fosse lui stesso a scoprire ciò che stava dietro all'assassinio dei suoi genitori. Ed erano passati circa due anni, prima che lei si accorgesse che qualcuno si era introdotto nel suo appartamento. Il 15 dicembre aveva avvertito Roger del pericolo, dicendo la parola “iniezione”.
Pochi giorni dopo, i mercenari di Hayer avevano fatto irruzione in casa sua e l'avevano portata da Hayer.
-Guarda guarda guarda...- aveva detto l'omone appena l'aveva vista. Aveva spessi capelli neri brizzolati sui lati, e la pelle scura, cotta dal sole. Era imponente, nel suo completo elegante con la spilletta della Hogson Society. Era rasato di fresco, aveva il naso schiacciato, una fronte ampia e spiovente e spesse sopracciglia nere e folte. I suoi occhi grigi e il suo mezzo sorriso mettevano inquietudine a tutti, in quella stanza.
-Ci siamo ritrovati un sassolino alquanto fastidioso nella scarpa, e a quanto pare si tratta di un sassolino esile, giovane e femmina. “Kendra Burton”. È così che ti fai chiamare, ora?-
Aveva attraversato la stanza a passi lenti, con le mani incrociate dietro la schiena.
-La farò breve. O ci dici dove sono le prove, e qual è la parola d'ordine perché ce le consegnino, oppure uccideremo il tuo avvenente “amichetto”.-
E, nel dirlo, aveva tirato fuori da dietro una schiena una foto di Bjarne, con ogni probabilità scattata da uno degli uomini che avevano pedinato anche lei.
La giovane aveva allora alzato lo sguardo dritto verso Hayer, e si era stampata in faccia un sorriso beffardo.
-Non esiste parola d'ordine per consegnare le prove, né per distruggerle.- aveva detto, senza alcun tremore nella voce. -Ma se torcerete un solo capello alle persone che conosco, o se proverete ad uccidermi, o se proverete ad impedirmi di ripetere il mio codice ogni mese...-
E il suo sorriso era diventato un ghigno.
-Le prove andranno a finire alla Wammy's House.-
    Era riuscita a trattare, a quel modo. Era riuscita a tenerli sulle spine per settimane. La tenevano prigioniera, tenevano Bjarne costantemente sotto tiro, ma i suoi genitori erano riusciti a scappare, e le uniche altre due persone che Hayer sapeva informate del caso, Burton e l'avvocato Medina, erano figure troppo in vista perché potessero minacciare alla loro vita senza che vi fossero conseguenze. A lei andava bene così, rimanere prigioniera, raccogliere prove, aspettando una qualsiasi apertura per poter inviare a qualcuno la sua testimonianza; e poi avrebbero anche potuto farla fuori, ma il suo compito sarebbe stato portato a termine. Finché non si erano accorti che era incinta, ed era dovuta scendere a patti. Bjarne si era consegnato di sua spontanea volontà, pur di garantirle un po' di libertà. Era stato allora che Hayer aveva acconsentito ad accettare le loro condizioni: il bambino sarebbe stato libero; lei avrebbe lavorato per loro; Bjarne sarebbe vissuto sotto la minaccia dei suoi uomini. Ma lei doveva morire. Kendra Burton doveva morire, e doveva morire da sola e lontana da tutti, odiata da tutti quelli che conosceva, di modo che nessuno si fosse mai più voluto fare domande su di lei. E lei aveva accettato.
    E così avevano inscenato il suo suicidio, dopo mesi in cui era ritornata nel mondo soltanto per far sì che il mondo cominciasse ad odiarla. Non le era stato particolarmente difficile. E immaginava che nessuno si fosse stupito quando era stata diffusa la notizia che la giovane figlia adottiva dell'ispettore Burton era morta suicida all'età di 22 anni. Eppure, il 15 settembre, poco prima delle 9 di mattina, le avevano dato un telefono, e le avevano intimato di fare la sua chiamata. Se quella cassetta di sicurezza si fosse mossa di lì, sarebbero morti sia lei, sia Bjarne. E Hayer aveva promesso che si sarebbe impegnato perché entro breve i signori Hartford, genitori di Bjarne, Medina, il suo cugino avvocato, l'ispettore Burton e anche il suo bastardello spedito in orfanotrofio arrivassero a tenere loro compagnia.
Perciò, si era ripassata mentalmente la frase della sua tesi da cui sarebbe dipesa la vita di tutti. “Se ne deduce che l'essere umano abbia la necessità di vedere un colpevole punito in modo esemplare, di modo da esorcizzare su di una sorta di capro espiatorio ogni peccato da egli commesso; non importa che questi sia realmente colpevole, come si evince dal fatto che nella simbologia ebraica e cristiana sia l'agnello pasquale, simbolo di innocenza, a venire sgozzato perché paghi per i peccati di tutto il mondo.”
Aveva composto il numero. Era in una stanza con uno schermo davanti, che trasmetteva l'immagine in diretta di Bjarne in piedi, in casa sua, con le mani legate dietro la schiena, e uno dei mercenari di Hayer che gli puntava una pistola alla tempia.
Il telefono squillava. Lei era circondata da altri tre uomini armati, mentre Hayer stava proprio di fianco allo schermo, con un telefono in mano.
La giovane aveva sentito qualcuno alzare la cornetta, dall'altro capo del telefono.
-Agnello pasquale.- aveva detto, senza esitazioni.
Dall'altro capo del telefono, in vivavoce, tutti i presenti sentirono un singhiozzo, e poi un sospiro.
-Simbolo di innocenza.- aveva risposto la voce di Roger, prima di chiudere la chiamata.

    Ore 23:57. Nathalie si scosse dai propri pensieri, mentre sullo schermo del computer vedeva Hayer a braccia conserte guardare nervosamente l'orologio dietro di lui, che segnava le 08:57.
Per cinque anni aveva continuato a seguire il piano, e a dare le giuste parole d'ordine a Roger, che non aveva mai tardato di un secondo nel rispondere e nel recarsi poi al caveau. Non importava quale missione avesse o quale caso stesse seguendo: il 15 di ogni mese, si rendeva irreperibile.
Per 5 anni, Nathalie aveva ripetuto periodicamente la sua tesi nella testa, per essere sicura di azzeccare sempre le parole giuste. Aveva una memoria fotografica eccezionale, per cui si ricordava le pagine e l'esatta disposizione delle frasi, con le parole evidenziate.
Perciò ritengo che l'unico effetto significativo e su larga scala della pena di morte sia la sua funzione di catarsi, per la popolazione desiderosa di poter additare il mostro, l'estraneo alla comunità.”
00:00
Nathalie compose il numero. Vi fu appena un mezzo squillo, prima che la cornetta, dall'altra parte, venisse alzata.
-Catarsi.- disse lei, tranquilla.
-Per la popolazione.- rispose Roger, prima di riattaccare.
Hayer non era mai riuscito a trovare la fonte del codice. Nathalie non sapeva come avesse fatto Roger a nascondere il manoscritto per tutto quel tempo, ma se erano ancora tutti vivi, era solo grazie a lui.

    25 maggio.
-Non abbiamo rilevato nessun indizio particolare...- stava facendo rapporto Aizawa. -Né il 22 ad Aoyama, né il 24 a Shibuya. L'unica data che ci resta è... quella del 30 maggio al Tokyo Dome.-
Light ad Aoyama non aveva visto nessuno al Note Blue che potesse essere il secondo Kira. Quel pomeriggio era andato al nuovo quartier generale subito dopo pranzo, per presentare rapporto e fare il punto della situazione assieme agli altri agenti. Si stava chiedendo se l'appuntamento col secondo Kira non fosse davvero il 30 maggio, quando improvvisamente ricevettero una videochiamata di Watari.
-Ryuzaki.- risuonò la voce del vecchio. -Alla Sakura TV è arrivato un altro messaggio da parte del secondo Kira.-
Si alzarono tutti dagli stretti divanetti a righe gialle e verdi, tranne L, che rimase accovacciato sulla sua poltrona, e Banks, che stava sulla sua sedia in penombra, con braccia e gambe incrociate.
-Il timbro indica che è stato spedito il 23.-
Subito dopo, Watari mandò in onda il video. La roca voce distorta, a cui ormai avevano fatto l'abitudine, disse:
-Sono riuscito a trovare Kira. Ringrazio la polizia, e tutto il personale della TV.-
Light rimase esterrefatto. Non poteva essere. Dov'era successo? Forse il suo shinigami aveva visto Ryuk e gliel'aveva detto. Ma no, si disse, non aveva modo di capire a chi fosse legato Ryuk; e aveva controllato bene se qualcuno lo stava seguendo.
-L'ha trovato!- esclamò Aizawa. -Questa non ci voleva!-
-Già...- concordò il padre di Light. -In questo due modo i due Kira si sono alleati, e la situazione si complica.-
-No.- intervenne L, girando il cucchiaino nella sua tazzina di caffè. -Di questo non possiamo ancora essere certi. Il secondo Kira ha solo detto di averlo trovato, ed è possibile che non l'abbia ancora incontrato.-
Finì di girare il caffè e ne bevve un sorso.
-A questo punto non ci rimane che contattarlo, ma a differenza delle altre volte lo faremo nelle vesti della polizia.-
-Vuoi contattarlo?- domandò Matsuda, che intanto era tornato a sedersi.
-Sì.- fece L, tranquillo. -Gli proporremo delle buone condizioni, a patto che lui ci riveli l'identità di Kira.-
    Ryuk scoppiò a ridere.
-Eh! Eh! Non poteva andarti peggio di così, eh, Light?-
Maledizione, pensò il ragazzo, non aveva idea di come avrebbe potuto rispondere un individuo simile; e, d'altronde, non aveva modo di fermare l'appello della polizia.

    Nathalie non era d'accordo. Il secondo Kira agiva spinto da una sorta di reverenza nei confronti del primo, e non l'avrebbe mai tradito. Piuttosto, era possibile che un messaggio del genere lo avrebbe spinto ancora di più a mettersi in contatto col vero Kira, dal momento che era chiaro che non lo avesse ancora fatto. Ma si tenne i suoi commenti per sé. L stava sicuramente agendo in questo modo perché sperava che il secondo Kira fosse tanto stupido da abboccare e a precipitarsi dal primo. E ciò avrebbe sicuramente complicato non poco le cose per la polizia... a meno che il primo Kira non fosse effettivamente Light Yagami. Nathalie ne era certa: il timbro della busta era del 23, perciò con ogni probabilità i due Kira si erano incrociati ad Aoyama, proprio il giorno in cui Light si era offerto di andare ad indagare. Il riferimento al quaderno, contenuto nella pagina di diario, rafforzava la sua idea sull'esistenza di un libro nero dei morti. L aveva sicuramente pensato lo stesso, per cui doveva aver deciso di agire in quel modo, sperando che il secondo Kira contattasse Light. In quel modo, avrebbero forse scoperto l'identità del secondo Kira, e dal momento che non sembrava così attento come il primo, forse sarebbero riusciti a trovare prove sufficienti per arrestarlo.
Si alzò in piedi, quando vide che i raggi solari cominciavano a girare verso di lei, e si allontanò dal cono di luce con la scusa di prepararsi un tè verde, mentre L e gli agenti discutevano del contenuto del messaggio da inviare alla TV. La sua permanenza al quartier generale stava procedendo senza intoppi, e sicuramente Hayer sarebbe stato felice di poter avere tutte quelle informazioni riguardo al caso Kira. La sola idea la disgustava.
    -Banks, vieni qui per favore.- la chiamò L. -Vorrei anche il tuo parere sul messaggio che faremo trasmettere.-
La giovane si avvicinò agli altri tenendo la tazza con dentro l'acqua bollente con entrambe le mani. Lo faceva spesso. Adorava la sensazione ustionante sulle proprie mani; doveva essere simile a quella che provano le persone normali ad uscire a pelle scoperta in una giornata di sole.
Rimase in piedi, in silenzio, sempre nella penombra, col tè verde fumante in mano.
-Dimmi cosa ne pensi.- riprese allora L, sollevando il foglio col testo appena scarabocchiato a mano coi soli pollici e indici. -”Se al momento Kira non conosce ancora la tua identità, sei ancora in tempo. Non devi assolutamente avvicinarlo solo per soddisfare la tua curiosità. Se lo incontri, ti sfrutterà per i suoi scopi e poi ti ucciderà. Ricorda che Kira è un pluriomicida. Per nulla al mondo devi dargli il tuo appoggio. Ciò che puoi fare ora, è riflettere sul valore della vita umana e riparare alle tue colpe, rivelando alla polizia ciò che sai su di lui, così da liberare il mondo dal terrore di Kira”-
Si voltò quindi verso di lei, guardandola attentamente negli occhi.
Lei fece un mezzo ghigno, e annuì.

    Quella sera, in un appartamento di Tokyo, una ragazza bassina, prosperosa, dai capelli biondi e gli occhi color nocciola, vide il notiziario, ascoltò il messaggio della polizia, e si alzò dal suo soffice letto senza dire una parola. Andò all'armadio, mentre, nella piccola stanza invasa da pupazzi dall'aspetto emo-goth, un'enorme creatura ricoperta di bende bianche, con un occhio giallo da gatto e spesse ciocche di capelli color lavanda, che però parevano tentacoli, la guardava scegliersi accuratamente i vestiti. Autoreggenti e mezzi guanti in pizzo, neri. Un vestito con bustino e gonna a ruota, sempre nero. Anfibi. Collana e orecchini i cuoi ciondoli erano a forma di giglio. Un nastrino nero al collo. Si raccolse i capelli lisci in due codini, si truccò, mise un paio di lenti azzurre, infilò un quaderno nero dentro una borsetta e uscì di casa.
-Dove vai, Misa?- domandò la creatura, volandole dietro, quando furono fuori.
-A presentarmi!- rispose lei, candidamente.
Giunsero infine di fronte ad una casetta di un quartiere tranquillo. Al campanello c'era scritto “Yagami”. La ragazza suonò.
Le aprì una ragazzina di circa quattordici anni, coi capelli castani raccolti in una coda, urlando “Bentornato!”. Rimase stupita nel vederla.
-E tu chi sei?- domandò infine.
-Buonasera...- cominciò la ragazza, impacciata. -Io... io mi chiamo Misa Amane. Sono venuta a portare a Light un quaderno molto importante che oggi ha dimenticato all'università.-
-Sì!- esclamò la ragazzina, che sembrava si fosse appena ricordata di qualcosa. -Aspetta che te lo chiamo!-
L'attesa sembrava infinita. Misa sentì la ragazzina chiamare Light, e poi, finalmente, lo vide scendere. Quando l'aveva visto ad Aoyama avesse subito pensato che fosse figo, ma, ora che lo poteva vedere faccia a faccia, le pareva che quell'impressione impallidisse di fronte a come gli appariva in quel momento. Perfetto. Alto, atletico, dai lineamenti delicati, ma virili, con occhi sfuggenti, ma magnetici, il fare misterioso, ma intrigante. Si chiuse la porta alle spalle senza dire una parola, e rimase a guardarla intensamente negli occhi.
-Ah...- disse infine lei, come scossa da un sogno. -Piacere.- riprese, inchinandosi. -Mi chiamo Misa Amane. Ho pensato che magari ti saresti preoccupato vedendo il messaggio in TV, e così non ce l'ho più fatta a resistere.-
Si mise a frugare nella borsa e ne estrasse un quaderno, dalla copertina in pelle nera.
-Ecco il quaderno.- disse, porgendoglielo.

    -Ryuzaki, hai intenzione di guardati tutti i video sulla giornata del 22 ad Aoyama?- domandò Aizawa.
-Sì.- rispose lui, impalato di fronte alla televisione col telecomando in mano. -perché ritengo molto probabile che i due Kira si siano incontrati qui, quindi... voglio visionarle tutte personalmente. Inoltre... Yagami.-
-Sì, dimmi.- rispose il sovrintendente.
-Dica a Mogi di seguire gli spostamenti di Light.- disse L, mentre faceva andare avanti e indietro veloce il video.
-Gli... spostamenti di Light?- chiese l'uomo.
-Se per caso Light dovesse essere Kira, è possibile che il secondo Kira lo avvicini in qualche modo.-
Questa volta il sovrintendente non protestò. Rispose mestamente “Va bene”, e si allontanò dalla stanza.
-Io proprio non riesco a capire...- disse poi Aizawa, quando furono rimasti da soli. -Ma Ryuzaki, quando dorme?-
-Qualche tempo fa l'ho sorpreso che dormiva sulla sedia in quella posizione- confessò Matsuda.
E mentre i due agenti parlavano così, L mangiava un gelato, con gli occhi incollati allo schermo. Era certo che il suo messaggio avrebbe portato allo scoperto il secondo Kira, e a quanto pare Banks era d'accordo con lui. Le aveva chiesto di rimanere, quella sera, per visionare i filmati assieme a lui, dal momento che sembrava così ossessivamente attenta ai dettagli. Ovviamente, assieme a lei sarebbe rimasto anche Grumann, ed era possibile che anche Matsuda, che ultimamente le ronzava continuamente attorno, decidesse di rimanere. Sperava solo che i due uomini stessero zitti.
    Poco dopo, giunsero i due americani, che avevano finito di cenare. Banks prese una sedia e si mise accanto a L a guardare i video.
-Cosa ne pensi?- le domandò lui, terminando il suo stecco e leccandosi le labbra.
La donna gli fece cenno con la testa ai due poliziotti giapponesi dietro di loro, poi si voltò verso di loro e li invitò ad andare a cenare, dal momento che non lo avevano ancora fatto. Matsuda la ringraziò, probabilmente si stava passando una mano tra i capelli dietro la testa; L non lo poteva vedere, ma se lo immaginava. Matsuda era il più giovane tra i poliziotti, e, sebbene ci mettesse molto impegno, non era il più sveglio tra loro. Inoltre, aveva il vizio di correre dietro ad ogni bella ragazza, e Banks, per quanto fredda e arcigna, e forse un po' troppo vecchia, poteva considerarsi una bella donna, o almeno credeva.
Quando se ne furono andati, Banks sospirò.
-Non avevo voglia che contestassero ogni nostra supposizione su di Light.- disse, e poi si mise ad armeggiare con la sua borsa.
-Ho studiato l'itinerario di Light di quel giorno.- continuò, passandogli una cartina, sulla quale era segnato il percorso. C'erano diversi punti su quel percorso che erano stati cerchiati.
-Aoyama è grande, perciò sospettavo che Light avrebbe tentato di passare per luoghi in cui fosse normale trovare persone con un quaderno in mano. Ho segnato fumetterie, librerie, caffè letterari, anche un locale che si chiama “Note Blue”. Perciò direi che potremmo seguire questo itinerario e concentrare l'attenzione su quei punti, anziché perdere tempo ad analizzare fotogramma per fotogramma.-
-Pensavo fossi tu quella a cui piaceva analizzare fotogramma per fotogramma i video di sorveglianza.- ribatté lui, sarcastico.
La vide abbozzare un mezzo sorriso, con la coda dell'occhio. Non era quella sua solita smorfia inquietante, era un sorriso vero, quasi come se fosse contenta che lui la stesse pendendo in giro. Quasi come se si rendesse conto che era quello l'atteggiamento che assumeva quando cominciava a prendere confidenza con qualcuno. Si ritrovò a chiedersi quanto potesse essere pericolosa per lui, quella confidenza.

    Light faceva roteare la sua penna, sovrappensiero, durante una delle lezioni all'università. L'arrivo di Misa Amane lo aveva messo in agitazione, soprattutto perché i sentimenti che provava nei suoi confronti la rendevano troppo imprevedibile e difficile da controllare. Certo, aveva scoperto come uccidere uno shinigami, e avrebbe potuto usare gli occhi della ragazza per far fuori L, Watari, Banks e Grumann, così poi avrebbe avuto la strada spianata per sbarazzarsi del quartier generale al gran completo. Probabilmente, sarebbe bastato soltanto L, perché il suo piano andasse a buon fine. Ma le dichiarazioni d'amore di Misa, e il fatto che la sua shinigami Rem avesse minacciato di ucciderlo se fosse successo qualcosa alla ragazza, complicava di non poco le cose. In ogni caso, quello era il giorno in cui l'ultimo video del secondo Kira sarebbe pervenuto alla Sakura TV, passando prima dal quartier generale. Doveva assolutamente andarci, per vedere la reazione di L.
In quel momento il corso dei suoi pensieri fu interrotto da Kiyomi Takada, la più bella ragazza dell'università, a cui aveva chiesto di mettersi insieme poco dopo l'uscita di gruppo ad Aoyama. Era bella, non c'era dubbio, era anche intelligente, ma troppo vanitosa. Prima che arrivasse Misa a bussare alla sua porta, aveva preso in considerazione l'idea di cominciare ad uscirci, perché avere una ragazza poteva magari rendere meno sospettosi alcuni suoi comportamenti o atteggiamenti. Dopotutto, aveva diciotto anni, sarebbe stato normale alla sua età uscire con delle ragazze, anziché seguire delle indagini di polizia. Ora, però, doveva fare attenzione, innanzitutto a non far scoprire il suo rapporto con Misa, e parallelamente a non far arrabbiare quest'ultima. Se Light fosse uscito con diverse ragazze, tra cui Misa, e una di loro fosse morta, sarebbe sicuramente finito nuovamente nel mirino di L.
    Quel pomeriggio si presentò al quartier generale abbastanza presto.
-Buongiorno.- disse, entrando nella stanza dove si trovavano L e suo padre.
-Buongiorno Light.- lo salutò il detective, rannicchiato come al solito su una poltrona. -Capiti proprio al momento giusto. È arrivato un altro video dal secondo Kira.-
Light appoggiò a terra la sua borsa, e poi si voltò verso di lui.
-Un altro? Non me l'aspettavo, così presto.-
-Già... dice che è l'ultimo.-
L aspettò che Light lo raggiungesse.
-Comunque, guarda tu stesso.-
Partì il video.
-Rinuncerò al mio proposito di incontrare Kira. Ringrazio la polizia per il suggerimento. Tuttavia, intendo continuare ad aiutarlo a punire i malvagi, così che un giorno egli possa apprezzare la mia collaborazione. Per prima cosa, giudicherò i criminali non ancora giustiziati da Kira. Inoltre, intendo migliorare questo mondo condividendo il mio potere con altre persone che riterrò all'altezza del compito.-
L spense la televisione, e appoggiò il telecomando sul tavolino da tè.
-Sai, guardando questo video ho avuto la sensazione che i due Kira abbiano già unito le loro forze.- disse, sporgendosi verso una scatola piena di ciambelle.
Light lo guardava serio.
-Ma come fai a dirlo?-
L si voltò verso di lui.
-Non hai avuto la stessa sensazione?- domandò, sorpreso. -E dire che credevo che io e te fossimo sulla stessa lunghezza d'onda.-
Si voltò di nuovo, afferrò una ciambella e la addentò.
-Trovo strano questo suo cambiamento improvviso, dopo che ha insistito tanto per incontrare Kira.- disse, masticando.
-E inoltre dice che d'ora in avanti giudicherà i criminali che Kira non è riuscito a giustiziare per ottenere la sua approvazione.-
Mandò giù il boccone, prima di continuare.
-E allora mi chiedo: perché non l'ha fatto prima? Semplice. Perché finora non ci era ancora arrivato. Il che mi fa pensare che probabilmente ha incontrato Kira.-
Divorò l'ultimo pezzo di ciambella.
-Il quale gli ha ordinato di giudicare quei criminali e far sì che nessuno sospetti del loro incontro.-
-Capisco.- intervenne allora Light. -Se è così, significa che neanche Kira ha riflettuto molto prima di agire.-
-Già...- gli fece eco L, leccandosi le dita. -Forse le circostanze non glielo consentivano. Oppure ha lasciato apposta che capissimo del loro incontro per metterci in agitazione. Il loro legame rappresenta una bella minaccia per noi; tuttavia, questo attenua i miei sospetti sul conto di Light.-
    Il padre di Light trasalì.
-Che cosa vuoi dire, Ryuzaki?-
Il detective stava con le mani appoggiate alle ginocchia, e guardava nel vuoto.
-Se Kira fosse Light, credo che avrebbe chiesto al secondo Kira di costringermi nuovamente ad apparire in TV, invece di fargli mandare un messaggio del genere. A quel punto la responsabilità sarebbe ricaduta sul secondo Kira, non avendo avuto conferma dell'avvenuto contatto tra i due.-
Prese poi una ciambella con la glassa al cioccolato.
-Inoltre, il secondo Kira avrebbe potuto dire che la prima volta aveva abbandonato l'idea perché gli era stato ordinato da Kira, ma che adesso ha capito che quell'ordine non poteva essere del vero Kira, il quale vorrebbe vedere L morto.-
Si rigirava la ciambella tra le dita, leccandone la glassa.
-Ryuzaki.- intervenne allora Light.
-Sì?-
-Se io fossi Kira non farei mai una cosa del genere.- disse il ragazzo, con una nota di irritazione nella voce.
-Perché?- domandò L, con tono di nuovo fintamente sorpreso.
-Perché io conosco il tuo modo di pensare, sempre che tu sia davvero L, come dici di essere. Qualsiasi minaccia L ricevesse, non si mostrerebbe mai in televisione. Né sceglierebbe di mandare un sostituto.-
Tentò di mantenere la calma, mentre continuava.
-Di una cosa sono certo, però, cercherebbe in tutti i modi una via d'uscita.-
L rimase un attimo in silenzio, poi si voltò, con un sorriso inquietante sul volto.
-Mi hai scoperto, eh?-
-Light!- lo rimproverò il padre. -Non dirlo mai più! Non permetterti mai più di fare un esempio del genere, intesi?-
-Hai ragione, papà, scusami.- fece allora Light. -Però... a questo punto preferisco dire chiaramente tutto quello che penso a Ryuzaki. Sia per risolvere questo caso, sia per dileguare i sospetti sul mio conto.-
Si era voltato verso di lui, che aveva cominciato a seminare zollette di zucchero nella propria tazzina di caffè.
-Inoltre, se posso fare esempi del genere è proprio perché io non sono Kira.-
-Giusto...- intervenne allora L, prendendo il cucchiaino e cominciando a girare il caffè. -Light non è Kira. Anzi, se lo fosse sarebbe un bel problema, per me. Perché Light...-
E fermò il cucchiaino, mentre guardava la tazzina con occhi vuoi.
-Light è il primo, vero, caro amico che ho.-
Vi fu un attimo di silenzio, in cui rimbombò il suono di un colpo forte contro il legno del pavimento. Banks bofonchiò qualcosa, irritata, sollevando un pesante libro da terra, e uscì, mentre L beveva un sorso di caffè come se non avesse detto nulla.

    Nathalie si chiuse la porta alle spalle con un tonfo, seguita a poca distanza da Grumann, e poi cominciò a camminare nervosamente in tondo, tentando di sopprimere la sua rabbia. Il suo secondino la guardava storto, ma non diceva nulla: si era abituato ormai ai suoi scatti d'ira.
Il primo, vero, caro amico”, eh?
Sapeva che L diceva sul serio, non stava mentendo per compromettere Light, o per testarlo. Lo considerava davvero un amico. Il primo. Così Bjarne non era abbastanza per lui, non era abbastanza intelligente, abbastanza interessante, abbastanza stimolante per potersi considerare suo amico? Considerando che stava mettendo a repentaglio la propria vita per proteggere anche lui, assieme a tutti gli altri, considerando tutto ciò che aveva fatto per lui, e il fatto che avesse cercato di proteggere da lei il suo unico lascito. È vero, c'erano state tensioni, tra loro tre. C'era anche un po' di gelosia, certo, perché era suo fratello, dopotutto. Ma davvero Light meritava di essere considerato un vero amico più di quanto non lo fosse Bjarne?
Nathalie era furiosa. Sperava che nessuno avesse dato peso o si fosse accorto che aveva scaraventato quel librone a terra per la rabbia. Doveva calmarsi. Doveva respirare a fondo, non pensarci, rientrare in quella stanza e fare come se nulla fosse successo.
Poco dopo, Light uscì dalla stanza, mentre lei era seduta sul divanetto a catalogare assieme a Grumann le possibili nuove vittime del secondo Kira, tra i criminali che il primo non era riuscito a giustiziare, in ordine di probabilità. Il ragazzo li salutò con un cenno della mano. Nathalie si alzò e andò da lui, lasciando le schede dei criminali a Grumann.
-Passi molto tempo al quartier generale, Light.- gli disse, aprendogli la porta di uscita. -Non è salutare per un ragazzo della tua età avere a che fare con simili cose. Prenditi un pomeriggio o una sera per te, di tanto in tanto.-
Il ragazzo accennò ad un sorriso, prese la maniglia della porta e poi disse:
-Non posso di certo stare tranquillo sapendo che mio padre è in prima linea a rischiare la vita per assicurare Kira alla giustizia.-
Alzò un po' la voce per salutare anche Grumann, e poi si richiuse la porta alle spalle.
    Nathalie tornò da Grumann, a braccia incrociate.
-Anche a me piacerebbe prendermi un pomeriggio o una serata libera.- disse l'uomo, ridendo. -Ma, se anche non ci trovassimo qui, dovrei stare addosso a te. Sai quant'è noioso?-
-Il sentimento è reciproco.- ribatté lei, riprendendo in mano la lista, senza guardarlo in faccia.
Decisero allora di tornare dagli altri.
-Banks ha stilato una lista dei prossimi possibili obiettivi del secondo Kira in ordine di probabilità.- esordì Grumann, aprendo la porta.
-È una donna dannatamente irritante.- aggiunse anche, con una risatina.
-Dobbiamo verificare se il secondo Kira può uccidere anche solo conoscendo l'identikit.- intervenne allora Nathalie.
-Ottimo.- disse L, mentre lei gli lasciava la lista sul tavolino da tè. -Anche se ti vedo un po' infastidita, oggi. Puoi andare a casa, se sei stanca.-
Nathalie si trattenne dallo sbuffare apertamente, e gli domandò cosa intendesse fare ora che il secondo Kira aveva inviato quello che diceva essere il suo ultimo video.
-Per il momento staremo a vedere.- disse L, cominciando a leggere la lista dei criminali.

    Passò circa un quarto d'ora, prima che Grumann si accorgesse che L si era addormentato. Si era avvicinato alla sua poltrona per chiedergli se aveva bisogno di altro, o se se ne potevano andare a casa, dal momento che erano giorni che si fermavano fino a tardi, e sembrava non ci fosse nient'altro da fare. Lo vide stare accovacciato nella sua solita posizione, con gli occhi chiusi e la bocca semiaperta. Si sentiva Banks camminare nervosamente su e giù, nell'altra stanza, mentre parlava con gli altri agenti delle sue idee sulla psicologia del secondo Kira. I suoi passi erano pesanti, la si sentiva anche con la porta chiusa.
Ad un certo punto, L strinse gli occhi, e borbottò, in inglese:
-Kay, for God's sake: stop it with those heels...-
Grumann si lasciò andare ad un mugolio di sorpresa, che svegliò L. Il giovane gli rivolse un'occhiata infastidita.
-Cosa c'è, Grumann.- domandò, con voce leggermente rauca. -Non fai il cane da guardia di Banks?-
L'uomo sogghignò, e si sbottonò uno dei due gemelli della giacca, premendolo leggermente in cima.
-Ti ho sentito parlare nel sonno. Ce l'avevi con “Kay”.-
-Ah.- ribatté secco lui, voltandosi verso la porta. -Dev'essere per il rumore dei tacchi. Una... collega aveva una camminata molto nervosa, e faceva sempre un gran baccano.-
Si strofinò stancamente gli occhi, borbottando: -Che risveglio spiacevole.-
Grumann si alzò, scusandosi per il disturbo, voltandosi di spalle perché L non lo vedesse in volto. Aveva un sorriso da un orecchio all'altro. Si stava annoiando molto, troppo, ultimamente. Finalmente aveva l'occasione di divertirsi un po', ora che Hayer avrebbe sicuramente ascoltato quel breve pezzo di conversazione.
-Volevi chiedermi di uscire prima, stasera?- domandò L, stiracchiandosi.
-Oh, no.- fece l'uomo, andando verso la porta. -Credo che potremmo fermarci fino alle sette, come avevamo già deciso.-


Note

    Ho deciso di riportare alcune scene dell'anime, con la speranza di renderle il più possibile indistinguibili, a livello di stile e di dialoghi, dal resto della narrazione. Nella mia prima stesura avevo semplicemente fatto un accenno a cosa succedeva in una data scena, per evitare di riportarla per intero, non essendo scene di mia creazione; ho tuttavia pensato che in questo modo avrei tolto parecchio alla narrazione, e ho voluto prenderla come sfida personale: se fossi riuscita ad inserire tali scene senza che si percepisse un distacco dal resto della narrazione, avrebbe voluto dire che ero riuscita ad adattare il mio stile di scrittura. Non ho idea se questo mio obiettivo sia stato o meno raggiunto, motivo per cui lo domando a voi: cosa pensate delle scene dell'anime? Credete sia meglio eliminarle o narrarle diversamente? La differenza tra le scene riprese dall'anime e quelle da me inventate è molto marcata?
    Ancora una volta, ringrazio tutti coloro che sono giunti fino a questo punto.

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 - Esecuzione ***





Capitolo V




    -Amico...- ripeté Ryuk, una volta che lui e Light furono per strada. -Ha detto “amico”! Sarai contento, Light, no?-
-Niente affatto.- rispose il ragazzo. -Ryuzaki ha capito subito che i due Kira si sono già incontrati. Devo sbrigarmi a farlo fuori.-
-Ah. Ecco.- fece Ryuk, deluso.
Il ragazzo stava pensando che sarebbe stato incredibilmente rischioso farsi vedere con Misa a quel punto; ma non aveva ancora finito di formulare quel pensiero che si sentì chiamare dalla vocina della ragazza. Fece appena in tempo a voltarsi, che lei gli si lanciò addosso a peso morto, facendo finire entrambi a terra.
-Stavo giusto venendo a trovarti!- esclamò lei, sovrastandolo. -Non ce l'avrei mai fatta ad aspettare due settimane!-
Ed emise un risolino che nelle intenzioni avrebbe dovuto renderla più carina e infantile, ma che non ebbe altro risultato se non far infuriare Light.
Il ragazzo cercò di trattenersi, ben conscio di quello che lo aspettava se provava a fare del male a Misa. Rem era proprio dietro di lei, minacciosa ed imponente.
Misa doveva essersi accorta di aver fatto innervosire il ragazzo, perché si alzò in piedi scusandosi.
-È che volevo assolutamente vederti...-
Anche Light si tirò su, sospirando.
-E va bene. Andiamo a casa mia.-
La ragazza esultò, e così si allontanarono insieme. Appena aperta la porta di casa si ritrovarono davanti Sayu, la sorellina di Light, che accolse entusiasta Misa, sventolando una delle copertine su cui la modella appariva.
    Salirono in camera, e Light chiuse la porta. Già che Misa gli aveva fatto correre un bel rischio, fermandolo per strada a quel modo, tanto valeva che approfittasse della situazione per cercare di convincere Rem a far fuori L, e magari anche Watari, Banks e Grumann. Dopotutto, alla shinigami stava stranamente a cuore la ragazza, perciò era convinto di poterla convincere a fare ciò che voleva, promettendo in cambio il suo amore per Misa. Avrebbe potuto facilmente abbindolare Misa, come quando l'aveva abbracciata pochi giorni prima. Un bacio forse sarebbe bastato.
Tirò quindi Misa a sé, e, guardandola intensamente negli occhi, le disse:
-Rem vuole che tu sia felice, no? Ma se L riuscisse a catturare uno di noi due, la nostra felicità sarebbe seriamente minacciata.-
Ryuk rise alle loro spalle.
-In effetti gli shinigami non possono rivelare il nome di una persona. Ma nulla, assolutamente nulla vieta a Rem di uccidere qualcuno.-
-Giusto.- riprese Light. -Se Rem uccidesse L, non solo tu mi saresti ancora più cara, e io sarei più grato a Rem, ma nulla potrebbe più ostacolare la nostra felicità.-
Misa, con gli occhi lucidi, si voltò verso la shinigami, e, raccogliendo le mani in gesto di preghiera, disse:
-Rem, io voglio che Light mi ami. E ciò che più desidero al mondo, è essere felice assieme a lui.-
Passarono attimi di silenzio, finché Light sospirò, e tolse la mano dalla spalla di Misa.
-Va bene.- disse infine Rem.
-E sia, Light Yagami. Tu non mi piaci per niente, pertanto non rischio di morire, anche se ciò avrà l'effetto di prolungarti la vita. Ucciderò io L per te. La sua vita mi è del tutto indifferente.-
-Ah! Evviva! Evviva!- esclamò Misa, correndo ad abbracciare la shinigami. -Grazie! Sei grande!-
Light invece era rimasto al proprio posto, immobile, con gli occhi sbarrati e un'espressione stupita in volto.
Quindi...” pensò. “L morirà... così facilmente?”

    -Nathalie.- la chiamò L, ad un certo punto. -Ah... scusami. Ti dispiace se ti chiamo Nathalie?-
-Affatto, Ryuzaki- rispose lei, avvicinandosi. -Noi stiamo per andare. Hai bisogno di qualcosa? C'è bisogno di aiuto?-
Il detective era in piedi, curvo con le spalle, e si sfregava il labbro inferiore col pollice.
-No, direi che per il momento non sembrano esserci novità, per cui possiamo cavarcela anche da soli.-
Rivolse un'occhiata a Grumann, che stava sistemando alcuni documenti, ma che sicuramente li stava ascoltando. Si era pentito di aver risposto alla sua domanda su K, anche se non doveva essere per nulla un'informazione che avrebbe potuto rivelare qualcosa sulla sua identità. Poi tornò a guardare la donna davanti a sé. Era visibilmente stanca e provata, anche se tentava di nasconderlo.
-Potrei avere davvero bisogno di te, nei prossimi giorni, perciò mi dispiace chiedertelo, ma ho bisogno che tu sia in forma per quello che verrà.-
Nathalie distolse lo sguardo, e sospirò pesantemente, prima di rispondere.
-Mi auguro che riusciremo a chiudere in fretta questo caso.- disse, porgendogli la mano per salutarlo.
Lui abbassò lo sguardo sulla mano, e poi lo alzò di nuovo suoi suoi occhi. Avrebbe davvero voluto aiutarla. Ma le indagini stavano per giungere ad una svolta, e in quel momento non avrebbe potuto fare nulla per lei. Le strinse una mano.
-È quello che speriamo tutti.-
In realtà aveva mentito. Nel momento in cui avesse scoperto l'identità del secondo Kira, avrebbe teso un agguato ai due. Avrebbe dato loro l'indirizzo e la stanza di un falso hotel, e quando fossero stati disarmati e senza cimici o ricetrasmittenti, avrebbe fatto arrestare Grumann, e avrebbe tentato di scoprire dove si trovava la famiglia di Banks, per metterli al sicuro. Era stato difficile svolgere delle ricerche, ma alla fine era riuscito a scoprire che Banks risiedeva per lo più a Concord, nel New Hampshire, ma viaggiava due volte al mese verso Santa Barbara, in California. Aveva già contattato alcuni suoi collaboratori, per condurre l'operazione. Era rischioso, certo, ma se non avesse agito così, Grumann e i suoi uomini lo avrebbero fatto fuori non appena venuti a sapere l'identità del secondo Kira.
    Dannata Banks. Se solo gli avesse dato uno straccio di indizio, avrebbe potuto tentare di toglierla prima da quella situazione. Pensava forse di poterne uscire da sola? Se le cose fossero andate male, non avrebbe potuto “disperarsi” più di tanto. L'unica cosa che gli dava fastidio in tutto quello, era che probabilmente l'aveva semplicemente presa in antipatia perché gli ricordava lei. E se non se n'era accorto fino a quel giorno, era perché aveva tentato di relegare il suo ricordo nell'angolino più buio della sua memoria, da cui emergeva soltanto per infestare i suoi incubi. Non che avessero molto in comune: lo stesso naso, forse, una vaga somiglianza nei lineamenti, anche se Banks era sicuramente più vecchia, probabilmente più bassa, aveva un portamento militare, e, per quanto nervosa e irritabile, non era un demonio uscito da una band grunge con gli anfibi al posto delle converse.
In quel momento, però, arrivò Watari, col cellulare in mano.
-È Mogi.- disse, passandogli il telefono.
L se lo portò all'orecchio, tenendolo mollemente con la punta delle dita.
-Ryuzaki, mentre Light tornava a casa è stato fermato da un'altra ragazza.- disse l'agente, senza preamboli. -Si sono allontanati insieme, e sono andati a casa sua!-
Le labbra di L si piegarono in un sorriso.
-Light l'ha chiamata per nome?- domandò, anche se sapeva già la risposta.
-No.- disse Mogi. -Torno il prima possibile al quartier generale per fare un identikit. Intanto posso dirti che è alta circa un metro e mezzo, magra, bionda, dovrebbe avere non più di vent'anni, e porta i capelli con la frangetta, e due specie di codini alti, coi capelli lunghi fin sotto le spalle.-
Bionda, frangetta, un metro e mezzo, due codini, eh?
L pensò che era insolito che una ragazza giapponese avesse i capelli biondi: la decolorazione e la tinta erano dispendiose e portavano via molto tempo. Generalmente, erano le idol ad avere dei capelli particolari. E si dava il caso che, sfogliando riviste per ragazze per riuscire a trovare indizi sul secondo Kira, avesse notato una modella che poteva essere la ragazza vista da Mogi.
-Portava calze nere, minigonna, cintura borchiata e giacca di pelle. È saltata addosso a Light, e ha detto che non ce l'avrebbe fatta ad aspettare due settimane prima di vederlo.-
L sorrise di nuovo. Ringraziò Mogi e lo invitò a raggiungere il prima possibile il quartier generale.
Banks avrebbe dovuto aspettare. Quello che stava accadendo aveva la precedenza.
    -Allora, quando dovrei ucciderlo?- domandò Rem a Light. -Quando? Se mi porti da lui, io posso anche ammazzarlo subito.-
-Prima è, meglio è...- rispose Light. -Domani stesso!-
Poi però si fermò a pensare. -Forse, però, sarebbe opportuno riflettere con calma.-
Alzò lo sguardo verso Rem.
-Stanotte rifletterò con calma su come ucciderlo, e domattina ti farò sapere.-
-D'accordo.-
-Ascoltami bene.- insistette il ragazzo. -Non dovrai ucciderlo finché non te lo dirò io. In nessun caso, chiaro?-
-Non preoccuparti, hai la mia parola.- rispose Rem, con voce ferma. -Almeno per quanto riguarda L.-
-Misa...- riprese allora Light, volgendosi verso la ragazza. -Ora tu mi darai il tuo numero di cellulare, d'accordo?-
-Ce ne hai messo di tempo a chiedermelo!- lo rimproverò lei. -Anch'io voglio il tuo!-
-No, mi dispiace, ma il mio non posso dartelo.-
-Ma come!- urlò allora Misa. -Che razza di fidanzati saremo allora, eh?-
Light tentò di mantenere la calma.
-Ricordi? Ti ho già detto che la polizia mi tiene d'occhio. Non lo sai che al giorno d'oggi possono intercettare le conversazioni dei cellulari?-
Misa sembrava delusa, ma poi sembrò avere un'idea, e si mise a rovistare nella borsetta fino a tirare fuori un cellulare dai tasti rosa. Gli disse che era uno dei suoi tre cellulari, e che poteva prenderlo.
-Mi sembra una buona idea.- le disse Light, accennando ad un sorriso. -Se il telefono è tuo non credi ci siano problemi.-
-Che bello!- squittì Misa. -Faremo i piccioncini tutti i giorni e ci manderemo tanti messaggini!-
-No.- disse Light, mettendosi il telefono in tasca. -Io lo terrò spento, lo accenderò soltanto per telefonare, e sarò soltanto io a chiamarti, quando lo riterrò necessario.-
-Oh... Ma come?- fece Misa, delusa. -E allora... quando mi telefonerai?- domandò con le lacrime agli occhi.
-Ti chiamerò domani. Lo farò comunque, indipendentemente se l'esecuzione di L avrà luogo oppure no.
-Aaaah! Domani!- ripeté entusiasta Misa. -L'argomento non è dei più romantici, ma dopo nulla ci vieterà di scambiarci qualche parolina dolce.-
-Allora a domani.- la salutò Light, senza troppo sentimento. -Adesso è meglio se torni a casa.-
-Cosa? Ma sono soltanto le sette!- insistette lei. -Guarda che per i fidanzati il bello viene adesso! Potremmo uscire, magari andare a mangiare qualcosa insieme, e poi finalmente il piatto forte, uaaaaooo...-
Light si avvicinò e la chiamò per nome, sfiorandole il braccio. Poi la baciò. Quando si staccò da lei le vide il volto illuminato, arrossito, con gli occhi sognanti.
-Fai la brava.-

    -Pare che tu e Ryuzaki riusciate ad intendervi benissimo.- disse Grumann, rivolgendole un sorriso inquietante, non appena le porte dell'ascensore dell'hotel in cui alloggiavano si furono chiuse. -Hayer alla fine me l'ha detto. Che avete lavorato insieme per due anni, prima della tua... dipartita.-
Nathalie incrociò le braccia e cercò di ignorarlo. Si chiedeva perché Hayer avesse condiviso un'informazione simile con un pesce piccolo come Grumann.
-Ho notate che vi capite anche quando non parlate. Il che immagino sia normale per te, ma lui? Gli hai fatto capire che sei un mio ostaggio, vero?-
-Tsk.- fece Nathalie. -Tutta la faccenda è stata sospettosa fin dall'inizio. Soprattutto perché te non eri all'altezza del compito. Non è certo colpa mia se ha avuto sospetti su di noi dal momento stesso in cui ci siamo presentati. Ma, dal momento che ha deciso di far partecipare alle indagini Light Yagami, il suo unico sospettato di essere Kira, non mi stupisce lo abbia permesso anche a noi.-
Gli rivolse poi un'occhiata gelida.
-Immagino non sia nemmeno nuovo a gente che tenta di spiarlo per poi rivendere a caro prezzo le informazioni raccolte. Dopotutto, è già successo una volta, no? E grazie ad uno dei vostri uomini, tra l'altro. Quindi non mi sono fatta troppe domande nemmeno per questo. E, per quanto riguarda il fatto che io sia un tuo ostaggio, dubito gli importi qualcosa. Sicuramente mi crede una criminale, anche se non ai tuoi livelli, perciò non gli interessa sicuramente aiutarmi ad uscirne. E Hayer senza dubbio lo sapeva, motivo per cui non gli importava che mi vedesse in faccia.-
Si appoggiò quindi alla parete dell'ascensore.
-L non si fa problemi a farsi aiutare da criminali, se il caso è così complesso da richiedere soluzioni estreme per risolverlo. Perché lui è fatto così. Userebbe qualsiasi mezzo per giungere ad incriminare il colpevole, e sembra che i metodi non convenzionali siano i suoi preferiti. E Hayer sapeva anche questo. Perciò non mi stupisce che sia arrivato a rischiare una contro-indagine da parte di L ai suoi danni, pur di arrivargli così vicino.-
Incrociò le lunghe gambe, e rivolse lo sguardo altrove.
-Il vostro obiettivo è uccidere L, non è così? Uccidere me, lui e Watari, di modo che le mie prove non vengano usate da loro contro di voi. E continuate ad aspettare perché volete essere certi dell'identità di entrambi i Kira, e avete bisogno di L per farlo. Chissà quanto hanno offerto ad Hayer perché consegnasse loro la testa di L e il nome di Kira, magari qualche folle che pensa di poter piegare Kira al suo volere per sbarazzarsi di polizia e oppositori. Tutte le grandi organizzazioni criminali del mondo sanno che è solo questione di tempo, prima che Kira riesca ad accedere ai file della polizia e cominci a farli fuori senza che vengano arrestati. Ma non avete tenuto in considerazione una cosa.-
E così dicendo si voltò, e fulminò con lo sguardo il suo compagno.
-Non dovete soltanto preoccuparvi del fatto che L sicuramente si aspettava tutto ciò dal primo momento che abbiamo varcato quella soglia. Ma avete minacciato la vita dei miei amici e della mia famiglia, o quel che ne è rimasto, visto che non siete ancora riusciti ad ammazzarci tutti. Per cui, fossi in voi, mi ritirerei finché siete in tempo.-
    -Tutte osservazioni sensate.- disse l'uomo, annuendo, ed estraendo la pistola dalla fondina. -Potresti quasi avermi messo paura. Ma non è che...- e si avvicinò alla donna, usando la canna per accarezzarla sulla guancia. -... sei così sicura che ne uscirete tutti illesi perché sei riuscita a comunicare a L la tua identità?-
Nathalie gli lanciò uno sguardo carico d'odio. -Se così fosse...- gli disse, con una voce tagliente come un vento artico -... probabilmente mi avrebbe già messo le mani al collo in un raptus. Poi ti avrebbe sbattuto in galera e gettato la chiave. E tutta la Hogson Society sarebbe stata smantellata prima del mio risveglio dal probabile coma.-
Non aveva ancora finito di parlare, che si mosse in modo rapido e deciso, con la mano destra afferrò la canna della pistola e le fece fare un giro in senso antiorario, mentre col braccio sinistro bloccava l'avambraccio di Grumann e gli assestava una ginocchiata allo stomaco. Gli torse il polso e lo disarmò. Estrasse il caricatore e si rovesciò i proiettili sul palmo della mano, per poi buttare la pistola addosso all'uomo, piegato in due.
-Voglio solo risolvere questo caso.- gli disse, rimettendolo in piedi. Grumann era paonazzo di rabbia, ma sapeva di non poter reagire. Hayer gli aveva fatto chiaramente capire che Banks era un elemento troppo importante perché le venisse torto un capello. Mentre lui, beh... poteva facilmente essere rimpiazzato. Com'erano stati rimpiazzati i due agenti della scorta di Banks.
-Se risolvo questo caso facendo la brava bambina, Hayer mi concederà più libertà. Ha promesso che libererà Bjarne, ma so che non lo farà. Ma allenterà un po' il cappio, quello sì.- continuò Nathalie, sistemandogli la camicia e la giacca. -Pensi davvero che manderei tutto quanto a puttane in un momento simile?-
    Le porte dell'ascensore si aprirono. Nathalie infilò le pallottole nella tasca dei pantaloni di Grumann. -Io me ne vado.- sentenziò.
Si infilò nella sua stanza, chiuse a chiave la porta a tripla mandata, e vi spostò davanti un pesante cassettone. Abbastanza inutile, ma le avrebbe fatto guadagnare un po' di tempo.
Non andava bene. Non andava affatto bene. Hayer doveva aver affrettato i tempi, o Grumann doveva avergli denunciato qualcosa, perché quella era una dichiarazione di guerra. Accese il cellulare col cuore in gola. Un messaggio di un'ora e mezzo prima, da parte di Hayer.
-Banks, penso sia meglio se ti sbrighi a tornare a casa, perché potrebbe esserci un messaggio del tuo caro Bjarne per te.-
Merda! Cos'era successo? Cosa aveva raccontato Grumann? Dove aveva sbagliato? Cosa avevano fatto a Bjarne!
Corse verso il telefono, e vide la spia della segreteria telefonica accesa.

    L aveva inviato una mail sul cellulare di Mogi, con in allegato la foto di una rivista di moda, chiedendo se la ragazza in copertina corrispondesse a quella con cui Light Yagami era tornato a casa. Mogi confermò.
-Molto bene.- disse L, intingendo una fragola della sua macedonia nella panna. -Watari.- chiamò -Scopri dove soggiorna Misa Amane e fammi avere un mandato di perquisizione. Poi avverti i laboratori che presto avremo bisogno di un test del DNA.-

    Misa se n'era appena andata, e Light tornò in camera a sedersi alla sua scrivania. Mancava ancora parecchio al notiziario delle nove, e aveva un po' di nomi di criminali da fare fuori, prima che cominciasse. Kira doveva continuare a giustiziare i criminali, non importava quando Light fosse impegnato con il quartier generale, o avrebbe destato sospetti.
-Con quel bacio improvviso mi hai lasciato proprio di stucco.- disse Ryuk, chiudendo le tende.
-Devo fare in modo che perda completamente la testa per me.-
Aveva acceso la luce sulla scrivania, ma non aveva ancora tirato fuori il Death Note.
-Ma adesso devo pensare se uccidere L domani oppure no. Se lui morisse in questo momento, prima di essersi mostrato in pubblico, dovrei prepararmi ad essere più sospettato di quanto non sia già ora.-
-Capisco...- fece Ryuk, sedutosi sul suo letto. -E dire che credevo che esitassi ad ucciderli perché vi eravate dichiarati a vicenda la vostra amicizia.-
-Amicizia?- ripeté Light, in tono vagamente sarcastico. -Gli ho soltanto dato un po' di corda. Mi sembra di averti detto fin dall'inizio che se mi avesse offerto la sua amicizia, io non mi sarei tirato indietro. Apparentemente Ryuga è amico di Light Yagami, ma L è nemico di Kira.-
Proprio così” pensò. “L è mio nemico. E dato che Ryuga si è presentato dicendo di essere L, devo ucciderlo. Se lo facessi morire in un incidente, quasi nessuno sospetterebbe di me. Ma se anche fosse... non ci sarebbe uno straccio di prova. Adesso, però, devo pensare a come comportarmi dopo la sua morte. A questo punto è una scommessa. Domani sarà la fine per L. O per Ryuzaki. O per Ryuga.-

    La donna si precipitò al telefono. La spia della segreteria stava lampeggiando. C'era un solo messaggio. “Signorina Banks.”
Nathalie riconobbe la voce di Medina, il cugino di Bjarne. Una delle poche persone a sapere che non era morta! La situazione doveva essere gravissima, se era stato lui stesso a chiamare.
Sono l'avvocato del signor Hartford. Mi richiami al più presto su questo numero”.
Avvocato? Si presentava come avvocato? Cosa gli avevano fatto? Si poteva risolvere? Ma soprattutto, come avrebbe fatto a richiamare, dal momento che tutti i suoi telefoni, ovunque andasse, erano attivi soltanto per le chiamate in entrata?
Sentì un brivido correrle lungo la schiena. Che quel sadico di Hayer avesse deciso di farli fuori, ma volesse godersi lo spettacolo di lei che si disperava?
Si voltò verso una delle telecamere che erano state piazzate al suo arrivo, e fece il dito medio, mentre premeva il tasto per richiamare il numero.
Non finì nemmeno il primo squillo, e una voce maschile rispose. Era Medina.
-Christopher!- urlò lei, sul punto di perdere il controllo. Poi tentò di controllarsi.
-Quant'è grave la situazione? Lui...-
-È vivo.- rispose l'avvocato. -Ma siamo in caserma. Hanno fatto irruzione poco dopo la mezzanotte nel suo bar, e l'hanno arrestato con l'accusa di pedofilia e pedopornografia.-
-Cosa?!- urlò lei. -Ma che storia è questa?! Che razza di accuse sono andati ad inventarsi?-
Poi, d'un tratto, capì.
-Chris...- domandò allora, con voce tremante. -In qualche modo c'entra qualche giapponese, non è così?-
Dall'altro capo del telefono sentì un sospiro.
-Senti, è riuscito a malapena a far chiamare me. Sono corso subito, ma non mi hanno ancora fatto parlare con lui. Non mi hanno nemmeno detto i dettagli, ma a quando pare un ragazzino che ha avuto come studente di surf, l'ha denunciato di stupro.-
Nathalie non sapeva se sperare che l'intenzione di Hayer fosse “solo” quella di rovinare per sempre la vita a Bjarne, infamandolo e mettendolo alla gogna. Ma una notizia del genere non avrebbe probabilmente varcato i confini americani. Perciò, considerando quanto poco ci avrebbe messo lei a tornare da L per raccontargli tutto, doveva per forza esserci qualcosa che a Medina non avevano detto, o che Medina le stava nascondendo, che avrebbe fatto sì che la notizia sarebbe stata trasmessa in Giappone. Quella sera stessa.
-Ti giuro che è tutto quello che so.- insistette Medina, come se le avesse letto nel pensiero.
Lei guardò l'ora. Erano le 20:04. Meno di un'ora di tempo prima del notiziario serale. Calcolò che se l'avevano avvertita a quel modo, significava che Hayer voleva divertirsi a guardarla disperarsi, finché non fosse giunta l'ora. Significava anche che il motivo per cui Dale e Barnes erano andati via subito dopo aver scaricato lei e Grumann davanti all'hotel, era per tornare da L, e fare fuori anche lui. Grumann non era rientrato nella propria stanza, quella accanto alla sua, perché non aveva sentito la porta aprirsi e chiudersi. Perciò la stavano lasciando libera. Libera di tentare il tutto per tutto per salvare gli ostaggi, e fallire miseramente. Probabilmente, anche Roger era in pericolo, e così lo stesso Medina. Magari era stato arrestato anche lui, e non glielo voleva dire. Magari quella era l'unica chiamata che gli era stata concessa, e aveva deciso di chiamare lei, immaginando che anche Burton fosse in pericolo.
-Chris. Hanno preso anche te?-
-Non ancora.- disse lui, teso. -Immagino che se ci arrestassero tutti allo stesso tempo, sarebbe sospetto.-
-Allora cerca di convincerli a farti parlare con Bjarne. E dammi il tuo numero.-
    Gli diede poche e brevi istruzioni, e chiuse la chiamata. 20:06. Doveva decidere se salvare il quartier generale giapponese, se salvare Bjarne, se mettere in salvo Roger e Medina o rischiare di rivelare a Harvey la combinazione della cassetta di sicurezza con le prove contro Hayer.
-November 8th, 1997, by the river, under the cherry tree.- si disse, per calmarsi.
Aveva un borsone già pronto per le emergenze, per il giorno in cui sarebbe finalmente fuggita dalla Hogson Society. Lo afferrò con violenza, vi buttò dentro le due pistole con cui girava di solito, e corse a svuotare la cassaforte, mentre pensava. Non sarebbe arrivata in tempo da L, ci volevano almeno tre quarti d'ora in taxi fino al quartier generale di quel giorno. E poi aveva bisogno di un telefono, anzi, più telefoni, e un computer. Tolse le scarpe col tacco e le lanciò con forza verso una delle telecamere che aveva alle spalle, e corse verso l'entrata per infilarsi i suoi vecchi anfibi. Aveva provato inutilmente a premere il pulsante sulla cintura che Watari aveva dato loro in dotazione, ma Grumann doveva averla manomessa. Che idiota!
Aprì poi la porta-finestra sul balcone. Aveva studiato un piano di fuga, ovviamente. La stanza d'albergo era stata volutamente presa all'ultimo piano, per impedirle di buttarsi di sotto per scappare. I balconi avevano le telecamere, per cui non poteva calarsi. L'unica opzione che le rimaneva era arrampicarsi sul cornicione ad un metro e mezzo sopra la sua testa, e camminare intorno all'edificio. C'era un palazzo pieno di uffici, giusto dietro il suo hotel, da cui avrebbe voluto dirigere le operazioni. Era abbastanza certa che Grumann non si sarebbe trovato lì. Doveva arrivare fino ad un vicolo alla sinistra dell'entrata dell'hotel, e lei in quel momento si trovava sul lato destro. Una volta camminato lungo le tre facciate, si sarebbe ritrovata nel vicolo largo due metri, perciò avrebbe dovuto tentare il tutto per tutto in un salto: il palazzo di fianco era più basso, perciò, se ce l'avesse fatta, sarebbe atterrata sul tetto. Da lì, sarebbe potuta correre in direzione opposta rispetto all'entrata del suo hotel, e calarsi giù dalla grondaia.
    Ci sarebbero voluti quindici minuti, per fare quel percorso senza ammazzarsi. Calcolò che non poteva mettercene più di dieci.
Intanto aveva già spinto uno dei mobili, che aveva preventivamente spostato vicino alla portafinestra a quello scopo, sul balcone, e vi era salita. Si mise il borsone a tracolla e sospirò. Saltò e si aggrappò al cornicione, poi fece forza coi piedi per tirarsi su. Riuscì ad issarsi, ma poi decise di gattonare almeno fino all'angolo, di modo da passare più inosservata. Il borsone era pesante, e le ballava minaccioso sulla schiena, ma K sapeva che non avrebbe dovuto mollare.
Nathalie sarebbe morta quella sera. Uccisa da Hayer. Come aveva già ucciso Kendra e Stephanie. Sarebbe stata uccisa per tre volte dallo stesso uomo, ma si giurò che quella sarebbe stata l'ultima.
Si fece forza per non scivolare sulle cacche di piccione, quando si alzò in piedi per percorrere la facciata laterale dell'hotel. Avrebbe dovuto farsi dare un telefono, avrebbe chiamato Watari, per avvertirlo del pericolo, e perché facesse sì che L desse l'ordine di interrompere il notiziario. Poi avrebbe chiamato Harvey e Roger, per monitorare la situazione, mettere in salvo il bambino e dare l'ordine che le prove fossero inviate alla Wammy's House.
Girò di nuovo l'angolo. 3 minuti. 20:12. Ci stava mettendo troppo. Avrebbe avuto bisogno di almeno 5 telefoni e un computer. Guardò giù: c'erano delle macchine parcheggiate, ma non sembrava nessuno la stesse tenendo sotto tiro. Sentì salire un senso di vertigine, ma alzò lo sguardo verso l'alto, e continuò ad andare avanti.
Girò di nuovo l'angolo. 20:14. Non aveva tempo per raggiungere il punto che aveva calcolato per il salto. Tentò di mantenere l'equilibrio, mentre si sfilava la tracolla e la lanciava con forza sul tetto dell'edificio dall'altra parte del vicolo. Atterrò, senza problemi, ma K non poteva fare a meno di notare quanto sembrassero immensi due metri, ora che doveva saltare. Represse la tentazione di chiudere gli occhi, prese un profondo respiro e si diede lo slancio con le gambe.
Per fortuna ero brava negli sport” pensò, allungando una gamba oltre il cornicione, atterrando malamente sul piede, piegandosi e rotolando di fianco per attutire la caduta.
20:15.
Riprese la tracolla e corse ignorando il dolore alla caviglia, fino alla fine del tetto. La grondaia le pareva ora molto più precaria di quanto ricordasse. Prese una corda, la legò alla base della ringhiera d'acciaio che delimitava il tetto e se la passò sotto le ascelle, prima di far cadere l'eccesso giù, lungo il muro. Scavalcò la ringhiera, tenendosi saldamente alla corda con la mano destra; poi tirò fuori una sciarpa, e la fece passare tramite doppio giro dietro il tubo della grondaia con la sinistra. Poi, si arrotolò una delle estremità intorno al polso sinistro, poi si aggrappò con quella mano alla corda e si arrotolò la sciarpa attorno al polso destro. Infine guardò verso l'alto, e pensò che sarebbe stato bello avere qualcuno da pregare. Si lasciò cadere per due metri, scivolando lungo la grondaia, legata per le braccia alla ringhiera sul tetto, e rimanendo vicina al muro grazie alla sciarpa che passava dietro la grondaia. Poi puntò i piedi appena passò con l'ombelico su uno dei punti in cui il tubo era fissato al muro tramite fascette. Si aggrappò con una mano alle fascette di ferro, fece passare la sciarpa di sotto, prese di nuovo un profondo respiro, e si lasciò di nuovo scivolare giù. Per altre tre volte.
    Atterrò sul piede ancora buono, anche se questo le fece perdere l'equilibrio, e tagliò la corda, che le aveva ferito le ascelle.
20:21.
Si voltò. Gli uffici erano davanti a lei. Esibì il distintivo dell'FBI alle segretarie all'entrata, zoppicando, ansimando, coi vestiti rotti.
-Sono un agente federale. Lavoro al caso Kira. Un testimone innocente sta per essere esposto al notiziario come criminale e giustiziato, ma si tratta di una montatura. Qualcuno di sta servendo di Kira per uccidere personaggi scomodi facendoli arrestare con false accuse.- disse tutto d'un fiato al primo signore distinto che le si parò davanti.
-Ho bisogno di requisire un ufficio che abbia diversi telefoni e ho bisogno che rendiate le chiamate non rintracciabili. Grazie per la vostra collaborazione.-
Arrivò il direttore, trafelato, e la fece accomodare nel suo ufficio. 20:27.
K prese uno dei telefoni e compose il numero di Watari. Si sentì gelare il sangue: non squillava! Se anche erano in riunione, com'era possibile che il suo telefono rimanesse spento? A meno che... Grumann non avesse manomesso anche quello. E se era così, significava che aveva messo fuori uso anche i cellulari di tutti gli altri agenti.
Contemporaneamente aveva anche composto il numero che le aveva dato Medina, e anche quello di Roger, quello del telefono su cui lo chiamava ogni mese. Ma negli Stati Uniti erano ormai passate le tre di notte, chissà se avrebbe risposto!
-Kendra.- rispose Medina. -Sono riuscito a parlare con Bjarne. È qui.-
La donna sentì dei rumori in sottofondo, e alla fine, la voce di Bjarne.
-Kendra, mi dispiace.- esordì, con appena un leggero tremolio della voce.
-Stupido!- lo rimproverò lei, componendo anche il numero della Wammy's House, mentre con l'altra mano cercava su internet i numeri delle stazioni televisive e degli uffici dei piani alti della polizia. Aizawa avrebbe potuto aiutarla, lui aveva conoscenze sia alla TV che al dipartimento di polizia, ma era in riunione, e a quanto pare erano tutti irraggiungibili quella sera.
-Cosa dici che ti dispiace? Sei in questo casino per colpa mia! Perché non ti ho mandato via quando era il momento!-
    Al telefono in linea con la Wammy's House, rispose una donna che non conosceva, e chiese urgentemente di farsi passare il signor Harvey. Le rispose che non c'era, che si era preso qualche giorno di ferie. K insistette per farsi dare un recapito telefonico, mentre cercava di scrivere una mail da mandare al quartier generale di L.
-Bjarne, devi sapere che non ho molto tempo, ma sto facendo del mio meglio.-
Poi si rivolse alla signora al telefono, dicendo: -Matricola K-768706S. Watari, L e Nate River sono in pericolo. La Hogson Society for Veteran Reintegration mi ha tenuta in ostaggio fino ad oggi, e ora vuole farci fuori contemporaneamente. Contattate Roger Burton. Dietro tutto questo c'è il colonnello Edmund William Hayer.-
Lasciò andare la cornetta.
20:39. Non c'era più tempo.
-Kendra, moriranno davvero tutti gli altri?- domandò Bjarne, con voce roca.
-No!- urlò lei, mentre ricomponeva il numero di Roger e dava l'ordine ad alcune segretarie accorse ad aiutarla di chiamare tutti i componenti del quartier generale.
-Sarebbe troppo stupido e pericoloso. Non ci uccideranno tutti insieme, e questo costerà loro caro.- ringhiò.
-Ma soprattutto, dovresti pensare soltanto a te, è la tua vita che sto cercando di salvare, ora, perché tu sei l'unico che si sia buttato in questa cosa senza avere la benché minima rete di salvataggio.-
Si fermò per riprendere fiato.
-Sono grata a tutti quelli che mi hanno voluto aiutare, ma tutti avevano una qualche garanzia di potersi salvare. Tu no. Per questo sto lottando per te.-
    Il giovane uomo sentiva Kendra lavorare febbrilmente, provando a chiamare i direttori dei notiziari per fermare le trasmissioni e fallire, provare a contattare il capo dell'Interpol e sentirsi dire che non avrebbe fatto una cosa simile nemmeno se gliel'avesse chiesto L in persona. La sentì accendere la televisione e fare zapping per controllare l'inizio dei notiziari. E nonostante sapesse che era in preda al panico quanto lui, si mostrava forte, sicura, lucida. E si rese conto che non l'avrebbe mai più rivista. Che tutti quegli anni passati al suo fianco a sostenerla stavano per giungere al termine. Pensò a tutte le cose a cui aveva rinunciato per starle vicino, e a tutto quello a cui lei aveva dovuto rinunciare per tenerlo al sicuro. Era certo che non fosse colpa sua se l'avevano mandato al patibolo. Era qualcosa che doveva succedere, prima o poi. Aveva sempre sospettato che sarebbe stata libera solo quando lui non ci fosse più stato. A quel punto, per quei criminali non ci sarebbe stato più nulla da fare. La giustizia avrebbe trionfato. Kendra avrebbe diffuso le prove raccolte in quegli anni, L avrebbe saputo la verità e Nate sarebbe stato libero.
    Richiamò la sua attenzione.
-Sto provando a mettermi in contatto con Harvey, ma non risponde! Ho anche lasciato un messaggio ad ognuno degli agenti del quartier generale, ma la riunione non finirà prima di un'ora e mezza e noi abbiamo solo dodici minuti! Cosa dice il tuo avvocato?-
-Calmati, per favore.- le disse Bjarne, col tono di voce più pacato che riuscì a tirare fuori. -Non servirà. So che non c'è nulla che possa salvarmi, a questo punto.-
-Non dire così!- urlò Kendra. -Non ti azzardare!- Un braccio le cadde molle lungo il corpo. -Se solo avessi immaginato le intenzioni di Grumann... Ma come potevo? Avrei dovuto tenere il cellulare acceso e ricevere la chiamata di Hayer. Avrei potuto avvertire immediatamente L, avrei avuto più tempo...-
-Hayer sapeva che saresti stata in riunione col telefono spento.- le disse Bjarne. -Ti ha chiamata in quel momento solo per farti venire dei sensi di colpa e farti perdere la lucidità. Non devi cedere!-
-Se solo riuscissi a contattare L...- disse Kendra, esausta. -Riceve le mail soltanto da indirizzi da lui autorizzati, ma l'account associato a Nathalie Banks è sotto il controllo della Hogson, ed è già stato disattivato. Ho provato a creare cinque indirizzi nuovi, ma non so se i messaggi arriveranno a Watari. Ho scritto come oggetto “Kira ucciderà Bjarne”. Se dovessero vedere questi messaggi, interverranno. Non permetterebbe mai che tu venga ucciso.-
-Kendra... ti prego...- la supplicò Bjarne. -Mancano dieci minuti. È tutto inutile, non puoi salvarmi.-
    -Non è tutto perduto!- ringhiò lei.
Finalmente, uno dei telefoni squillò. Era Roger.
-Kendra, per l'amor del cielo, dimmi che stai bene, ti prego!- disse l'uomo, affannato.
-Roger, hanno preso Bjarne!- gli disse lei, quasi in preda alla disperazione. -Devi lasciare il Paese prima che prendano anche te!-
Ci fu un attimo di silenzio, prima che l'uomo rispondesse.
-Kendra, pensa a Bjarne, ora. Io mi farò inserire nel programma di protezione testimoni e prenderò quelle maledette carte. Mi sono preparato per tutti questi anni a questo momento, ma tu ora vedi di fermare quei figli di puttana prima che torcano un capello a Bjarne!-
La giovane lasciò la cornetta con la chiamata di Roger in corso, e contemporaneamente pigiò il tasto di richiamata sul telefono in linea col numero che le avevano dato di Harvey.
Nessuna risposta da parte del quartier generale di L.
20:54.
-Kendra...- la chiamò di nuovo Bjarne. -Ti prego. Resta con me.-
Soprirò, e la giovane sentì un tremolio nella sua voce.
-Per favore. So che stai cercando di fare il possibile, ma... ho paura.-
Lei rimase in silenzio per un istante, poi rispose.
-Fammi tentare il tutto per tutto.-
Compose il numero di casa Yagami. Se fosse riuscita a distrarre Kira durante i notiziari, avrebbe guadagnato tempo!
Rispose la madre.
-Salve, sono una compagna di università di Yagami...- iniziò Kendra, facendo la voce più cordiale che le riuscisse in giapponese. -Avrei urgente bisogno di parlargli per un progetto che dobbiamo consegnare domani.-
-Oh...- fece la madre. -Mi spiace, ma credo che stia studiando, vuoi che ti faccia richiamare?-
-Ma signora, probabilmente sta studiando per il progetto che dovevamo fare!- insistette Kendra -Ma l'ho già terminato io, quindi non c'è bisogno che lui studi. La prego, lo vada a chiamare, mi spiacerebbe se facesse del lavoro extra totalmente inutile...-
-Va bene, in questo caso proverò a chiamarlo...- disse la madre. K sentì i suoi passi allontanarsi, ma il rumore si confondeva con quello del battito del suo cuore, che rimbombava nelle trombe d'Eustachio. Intanto, alla TV, un presentatore stava annunciando l'imminente inizio del notiziario.
-Kendra...- la chiamò ancora Bjarne, con la voce tremante. -Voglio che tu capisca che non dovrai mai sentirti in colpa...-
-No!- urlò di rimando lei, coprendo la cornetta del telefono fisso con una mano. -Non mi arrendo!-
-... Voglio che tu riprenda a fare una vita normale... che consegni quei bastardi alla giustizia... che dica tutta la verità a L e che torni da Nate...-
K lo sentì prendere fiato.
-Voglio che viviate tutti una vita felice, perché ve la siete guadagnata.-
    Vi fu un singhiozzo, e poi entrambi rimasero in silenzio. La notizia straordinaria dell'arresto di Bjarne Hartford, trentaquattro anni, americano, accusato di stupro, pedofilia e pedopornografia, apparve sullo schermo accompagnata dalla foto segnaletica. Uno studente giapponese in vacanza in California dichiarava di essere stato avvicinato durante le lezioni di surf, convinto a posare per foto porno sotto la minaccia di violenze, che si erano concluse col suo stupro. La polizia giapponese e quella americana avevano lavorato per mesi al caso, prima di riuscire a raccogliere tutte le prove che incriminavano definitivamente il mostro di Santa Barbara.
Venne mostrata la foto segnaletica.
-No...- sussurrò Kendra. La madre di Light era di sopra? Ma se anche l'avesse distratto al momento del notiziario, una notizia del genere sarebbe rimbalzata per tutti i media in tempo zero. Non c'era modo di riuscire a fermarla.
E, a quel punto, fece una cosa che non avrebbe mai pensato avrebbe potuto fare in quel momento. Fece partire un cronometro sullo schermo del computer.
-Giurami che non ti sentirai mai in colpa per questo.- la implorò Bjarne.
-Non posso farlo.- disse K, che non riusciva a distogliere lo guardo dalla foto segnaletica. La signora Yagami non tornava.

8... 9...
-È finita.- disse Bjarne. -Dimmi almeno addio.-
-Non mi hanno dato la possibilità di sdebitarmi per tutto quello che hai fatto per me in questi anni. La pagheranno per questo.-
Il suo sguardo era fisso.

22... 23...
-Sappi che non mi pento di nulla.- riprese Bjarne. -Ti prego di credermi. Ti ho voluto bene per davvero.-
-Bjarne...-
30... 31...
A malincuore, si dissero addio. 39... 40... Bjarne gemette. Si sentì un tonfo. Uno scalpiccio diffuso e grida. 41. Kendra fermò il cronometro. Una lacrima le scese sulla guancia. L'uomo più importante della sua vita era sparito per sempre.
    Passò poco e tornò la signora Yagami al telefono.
-Scusami per l'attesa... Si chiude sempre in camera, ultimamente. Comunque, Light ha detto che l'unico progetto che deve consegnare è per la settimana prossima. Sicura di non aver sbagliato data?-
-Ah...- rispose Kendra, tentando di moderare il tremolio della voce. -Vuol dire che ho terminato il lavoro in anticipo.- Pausa. -Yagami cosa stava facendo?-
-Mmm guardava la televisione, ha detto che si voleva distrarre un po' prima di continuare a studiare.-
-Bene.- Gli occhi le si illuminarono sotto le lenti verdi. -Allora gli dica ancora questo. Che la mia ricerca sugli Shinigami è completa. Non c'è bisogno che lui faccia altro. Sarebbe così gentile da farlo?-
-Ma certo.- rispose la madre -E grazie per averlo avvertito!-
Non c'è di che...” pensò Kendra. “Mi sembra corretto fargli sapere che siamo in guerra. Passerà forse molto tempo prima che possa vedere Hayer dietro le sbarre, ma se posso far saltare qualche testa subito, le prime che voglio sono quelle di Grumann e di Kira.”


Note


    Siamo giunti alla scontatissima morte di Bjarne. Tuttavia, non è lui l'oggetto di questa nota.
    Volevo avere una vostra opinione sulla parte della fuga di K dall'hotel, che è stata inserita soltanto nella terza stesura (quella corrente). La trovate inverosimile? Esagerata? È incomprensibile? Non ha senso?
    Ho avuto molti dubbi nello scrivere e nel rileggere questa scena, ma al momento ho deciso di renderla pubblica e chiedere consigli, aziché eliminarla a priori perché la trovavo poco convincente.
    Ringrazio ancora tutti coloro siano giunti fino a questo punto. Non odiatemi troppo per aver ucciso Bjarne.

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 - "I promised you not to die" ***





Capitolo VI



    Light aveva aspettato che la madre fosse abbastanza lontana per sbattere con violenza un pugno sul tavolo.
-Merda!- esclamò.
Ryuk non condivideva la sua preoccupazione. Era più che altro curioso. -Vorrei tanto sapere come ha fatto Banks a scoprire l'esistenza degli shinigami. - rise.
-Chiudi il becco, Ruyk!- gli urlò contro Light. Non era possibile che avesse provato l'esistenza degli Shinigami. E anche se così fosse stato, senza il Death Note non poteva provare niente. Niente! Magari era tutto un bluff. Escogitato da L per farlo andare fuori di testa. Per fargli fare qualcosa di avventato. Come provare ad uccidere Banks. E il suo era un nome falso, Ryuk gliel'aveva confermato. Come avrebbe fatto? E se invece Banks stesse agendo per conto suo? Se volesse a rivelare L indizi preziosi che l'avrebbero incastrato?
    Pensò che l'unica soluzione sarebbe stata sbarazzarsi di entrambi il prima possibile. Sarebbe stato rischioso, ma non vedeva altra via d'uscita. Doveva costringere L ad uscire allo scoperto, così che Misa potesse vederne il nome con gli occhi dello shinigami. Se fosse riuscito a far fuori L, nessuno avrebbe prestato ascolto alle parole di Banks. L era convinto della sua colpevolezza, certo, ma non aveva prove. Lui, Light, aveva un alibi inattaccabile grazie ai video della sorveglianza. Morto il grande detective nessuno avrebbe prestato ascolto ad una svitata che blatera di dei della morte. Si decise infine a far uccidere L da Rem il giorno seguente. A quel punto, sarebbe stato libero. Doveva solo fare in modo che Misa non fosse sospettata, o Rem lo avrebbe ucciso.
    Cercò di calmarsi. Si risistemò i capelli e raccolse le matite che aveva fatto cadere dalla scrivania quando le aveva tirato un pugno. Aveva ancora un vantaggio notevole sugli avversari. Ne era sicuro.

    -Stando a quello che dice Mogi...- disse L, guardando in faccia ognuno dei poliziotti presenti. -La modella conosciuta come Misa Amane ha avvicinato Light Yagami, stasera, dimostrando di conoscerlo. Ci ho messo un po' per avere un riscontro dalle telecamere di sicurezza di Tokyo, ma, a quanto pare, Misa Amane si è recata da Light Yagami la sera stessa dell'ultimo annuncio della polizia al secondo Kira, pochi minuti dopo la fine del notiziario.-
L notò che Soichiro si stava trattenendo a stento, era visibilmente impallidito, e le sue labbra fremevano, ma avvertiva dell'aperta ostilità anche da parte degli altri agenti.
-Ovviamente potrebbe trattarsi di semplici coincidenze, ma... se così non fosse, significherebbe che il pesce ha abboccato all'amo.-
Prese in mano il telecomando e lo puntò verso i televisori.
-Ho chiesto un mandato di perquisizione per l'appartamento di Misa Amane, ma non potremo andarci prima di domattina. L'analisi delle buste ha rivelato tracce di capelli, da cui abbiamo estratto il DNA, perciò il riscontro della scientifica non dovrebbe farsi attendere.-
Fissò gli occhi su Soichiro.
-Se le tracce di DNA sulle buste e quelle che cercheremo di trovare nell'appartamento di Misa Amane non dovessero coincidere... i miei sospetti su Light Yagami cadranno, e lo solleverò immediatamente Mogi o chiunque altro dal sorvegliarlo. In via definitiva.-
Poi si voltò di nuovo verso i televisori.
-Per cui, questa sera vi chiedo nuovamente di rimanere a lavorare qui. Voglio che esaminiamo insieme i filmati della sorveglianza ad Aoyama per trovare tracce di Misa Amane, anche se ho il sospetto che, se lei è il secondo Kira, si sia travestita. E, inoltre, ho recuperato altri video delle telecamere sparse per Tokyo, soprattutto delle stazioni, per controllare se Amane abbia preso il treno per spedire le buste, dal momento che i timbri postali sono di posti diversi tra loro.-
Si alzò, suo malgrado, sentendo tutto il dolore alla schiena e alle ginocchia, e andò a versarsi del caffè.
-Questa sera ci concentreremo solo su questo. Watari ci avvertirà, nel caso dovessero esserci novità.-

    K non si sarebbe concessa nemmeno un istante per il lutto. Quei bastardi non avevano ancora finito con lei, perciò non si sarebbe potuta fermare, nemmeno in quel momento. Al quartier generale dovevano essere ancora ignari di tutto, o forse erano già stati presi tutti in ostaggio. Non c'era tempo da perdere; se non riusciva a contattare il quartier generale, sarebbe dovuta andarci di persona. Sapeva che Dale, Barnes e Grumann l'avevano volutamente lasciata agire indisturbata, che probabilmente la stavano aspettando al varco. Ma quali alternative c'erano?

Ringraziò il direttore e le segretarie, ancora sgomenti per tutto ciò che era successo in quei pochi minuti, e uscì per sicurezza dal retro, tentando di camminare ritta e non perdere la concentrazione. Eppure, per quanto il dolore alla caviglia, alle ginocchia, alle mani, ai polsi, alle braccia e alle ascelle fosse quasi insignificante, si sentiva come se ad ogni passo dovesse perdere l'equilibrio. Bjarne era morto, e lei non era stata accanto a lui in quel momento. Non l'aveva confortato quando aveva avuto paura, aveva fallito su tutta la linea. E ora erano tutti in pericolo, a causa della sua arroganza e della sua sicurezza di poter risolvere da sola il caso.
Il direttore, al sapere che lavorava per L al caso Kira (ebbene sì, non si era preoccupata di nascondere troppo la sua condizione, decisa com'era a far valere la propria autorità per ottenere l'aiuto che le serviva), le aveva fatto avere un cellulare. Si chiamava Yamato; K decise che non avrebbe mai scordato il nome di quello sconosciuto che le aveva messo paternalmente una mano sulla spalla, quando la voce di Bjarne si era strozzata, e dopo vi era stato il silenzio. Perciò ora possedeva soltanto i documenti falsi della Hogson, che le avrebbero impedito di lasciare il Paese, un cellulare e una carta di credito, l'unica di cui Hayer non era a conoscenza.
Immaginava che presto si sarebbe scatenato il panico al quartier generale, appena fosse finita la riunione e gli agenti avessero ascoltato i messaggi in segreteria. Sempre che fossero ancora tutti vivi. Aveva detto loro che aveva le prove che qualcuno si stava servendo di Kira per uccidere persone innocenti, mandandole in prigione con false accuse e poi ai notiziari. In ogni caso, ad attenderla ci sarebbe stato Grumann, non c'erano dubbi. Doveva ragionare con calma. La priorità era fare in modo che tutte le prove che aveva raccolto contro la Hosgon in quegli anni arrivassero alle persone giuste. D'accordo con Roger, aveva fatto diverse copie delle prove su disco, oltre a quelle custodite nella cassetta di sicurezza sotto il suo controllo. C'erano ventisette copie delle prove. Due le portava sempre con sé, in due dischetti. C'erano poi tre copie cartacee e le restanti ventidue erano su disco, assieme a diversi nastri di registrazioni. Le ventidue copie erano custodite in diverse banche estere sparse per il mondo, e sarebbero state consegnate al signor Quillish Wammy, onorevole fondatore degli orfanotrofi in cui era stata accolta, nel caso Bjarne Hartford fosse morto. Il testamento in cui venivano definiti i dettagli della transazione era stato fatto in presenza dell'avvocato Christohper Medina, e una copia era custodita nella cassetta di sicurezza sotto il controllo di Burton.
Doveva correre al quartier generale; non dubitava del fatto che Watari sarebbe stato perfettamente in grado di difendersi dagli uomini di Hayer: dopotutto, non avevano idea del fatto che fosse uno straordinario cecchino, ma non si sarebbe mai potuta perdonare se qualcuno di loro fosse rimasto ferito in un'imboscata. In quel momento, era tutto in mano a Watari: se si fosse accorto che Grumann e i suoi uomini erano tornati all'albergo, li avrebbe rispediti nell'inferno da cui erano usciti. E magari poi avrebbe fatto in modo che Medina e Burton scappassero dagli Stati Uniti. Cercava di aggrapparsi a quella speranza, mentre studiava un piano per introdursi al quartier generale senza che i mercenari la riempissero di piombo.
    Stava a poco a poco recuperando lucidità. Decise che muovendosi in taxi ci avrebbe messo troppo tempo, a quell'ora della sera; ritirò del contante, e cominciò a correre verso l'entrata della metro. Era rischioso, dal momento che ci sarebbe stata una sola uscita, e avrebbero potuto attenderla senza sforzo lì, ma decise che valeva la pena rischiare, se questo l'avrebbe portata più in fretta da L.

    Hayer accolse con un sorriso stanco la conferma della morte di Bjarne Hartford. Sentiva le spalle e il petto come liberate da un macigno che lo aveva oppresso per anni. Non sarebbero più stati prigionieri di quella spina nel fianco di un'agente investigativo. Respirò a pieni polmoni l'aria fresca della notte, fuori dalla finestra del suo ufficio. Era ancora buio, ma le stelle cominciavano a spegnersi nel cielo.
Aveva inviato una squadra di professionisti, poco numerosa ma molto efficiente; Dale e Barnes erano i suoi agenti migliori: li aveva assegnati a Banks col solo scopo di prendere il controllo quando fosse giunto il momento. Alcune ore prima, aveva ricevuto in trasmissione diretta con Grumann le parole di L: “ Una... collega aveva una camminata molto nervosa”. Era probabile che non ci avrebbe messo molto, a quel punto, a rendersi conto della vera identità della donna che aveva assunto. Ma ciò non aveva fatto altro se non anticipare di poco l'operazione: Hayer era già deciso ad agire il più presto possibile.
Ritornò alla propria scrivania, e bevve un sorso del suo caffè bollente. Poi si diresse verso il guardaroba, per il suo consueto rito scaramantico: tirò fuori la giacca della sua uniforme militare, e si mise ad accarezzare coi polpastrelli delle mani spesse i gradi così faticosamente sudati. Poi la girò, e la alzò in alto, di fronte a sé. La appese sull'anta del guardaroba, per poi alitare dolcemente sulla sua medaglia al valore, e pulirla delicatamente con un panno. Quella medaglia era per lui la cosa più importante al mondo: era stato solo per difenderla dall'onta e dal fango che gli avrebbero gettato addosso i pacifisti, se aveva accettato l'invito di due imprenditori dai molti soldi, ma con poche idee, di fondare quella società fantoccio. Portava mal volentieri il completo elegante da uomo d'affari: Hayer era e rimaneva un soldato, un combattente. Perciò aveva seguito personalmente tutta la faccenda della Burton, come voleva essere chiamata; lei aveva un animo di fuoco, era una combattente, e quella contro di lei e contro la sua rete di controllo, o meglio, contro la sua rete di sicurezza, era stata una battaglia stimolante come quando era in Vietnam.
Lei era pronta a morire senza battere ciglio, come un vietcong, pur di vederlo marcire in galera. Era una cosa che apprezzava di lei. Mentre tutti i suoi uomini erano rimasti sbigottiti nel vederla puntarsi la lametta alla giugulare, quando si era rifiutata di rivelare l'identità di Eraldo Coil anche con Hartford minacciato di morte, lui aveva emesso un fischio di approvazione. Quella ragazzina aveva una volontà incrollabile, ed era stata in grado di adattarsi perfettamente per sopravvivere: aveva smesso coi suoi scatti d'ira, era diventata più lucida, controllata, fredda. Una statua di ghiaccio col fuoco negli occhi. Si era divertito a tentare di piegarla, solo per vederla ribellarsi in modo sicuro ma distaccato. Un'avversaria onorevole, si ripeté.
    Eppure, non avrebbe mai potuto farla vincere. Ne andava della sua medaglia, e del suo onore di soldato. Dirigere mercenari in operazioni sotto copertura nei paesi dell'Africa sconvolti dalla guerra civile era un ottimo passatempo da pensionati, sicuramente molto meglio rispetto al vendere armi ai governi dittatoriali in cambio dei loro diamanti, però non era quella la sua vita; la sua vera vita era finita nel giorno in cui era stato contattato dalla Casa Bianca e il suo fascicolo era stato riaperto. Qualcuno aveva parlato. Gli stolti lo avevano accusato di aver sacrificato la sua intera unità, mandandoli a morire in un attacco suicida, per liberare il colonnello Steiner, suo diretto superiore.
-Lei è una vergogna per l'intera nazione, signore.- gli avevano detto in modo sprezzante, rifiutando di riconoscergli il grado che si era guadagnato a costo di un così grande sacrificio.
La guerra era guerra, e l'allora colonnello Steiner era un elemento assolutamente insostituibile per il loro reggimento. I dannati musi gialli lo sapevano, per questo, anziché ucciderlo, lo avevano catturato e tenuto in ostaggio, nella speranza di far fuori tutti gli americani che avessero tentato di liberarlo. Perciò, Hayer aveva dovuto prendere una decisione difficile, di cui non si era mai pentito: i suoi uomini non erano morti con onore, erano solo dei codardi che non meritavano di sopravvivere al posto dei bravi soldati che combattevano spinti da un ideale. Perciò aveva raggruppato quella squadra, e li aveva mandati a fare da esca. Ignari di tutto, erano morti probabilmente prima di rendersene conto, e allora Hayer aveva avuto la via libera per condurre gli altri a salvare il loro colonnello.
Quella medaglia, che aveva tenuto a suo grande rischio e pericolo, restituendo al capo dell'esercito americano una sua copia perfetta, rappresentava tutto ciò in cui credeva, e se doveva sporcarsi le mani facendo fuori qualche testimone pur di mantenere la propria posizione, l'avrebbe fatto. Alla Hogson tutti lo chiamavano “Colonnello Hayer”, ed era suo compito guidare le truppe mercenarie in Africa. La guerra era guerra: senza guerra non ci sono soldati, e senza soldati una nazione viene sopraffatta. La guerra era necessaria per eliminare tutta la feccia dal mondo, per creare un mondo dove non ci sarebbero più stati 11 settembre, e i soldati servivano per dare alle persone la sicurezza che qualcuno vegliava su di loro. E così l'America si sarebbe innalzata su ogni altro Paese come un faro di luce e di democrazia di un mondo ideale.
    La Hogson non gli piaceva, ma lì, al di là degli intrighi di potere, poteva essere ciò che era sempre stato: un soldato. Non aveva mai voluto immischiarsi nei traffici illegali della Hogson, soprattutto dopo quella volta che era stato scoperto da quel professore, il padre di Banks. Era stato davvero un pivello in quell'occasione. Ma, a parte questo, alla Hogson aveva i suoi soldati, e tutti rispettavano i suoi gradi. Tranne Banks. Banks si ostinava a chiamarlo “Hayer”, metteva in dubbio non la sua autorità, ma il suo diritto a definirsi un soldato. Avere a che fare con una pacifista come lei, addirittura contraria alla pena di morte, era stata un'enorme seccatura per lui; ma poteva annoverare tra le sue vittorie quella di essere riuscito a piegarla, a colpirla, a torturarla psicologicamente quel tanto che era bastato a farle imbracciare un'arma. Aveva avuto l'addestramento base alle armi quando era entrata in polizia, ma lui ne aveva fatto un soldato. Senza obbligarla, senza nemmeno chiederlo. Il peso della sua prigionia e la tensione per le continue aggressioni e gli sporadici tentativi di stupro, l'avevano fatta alzare nel cuore della notte, e raggiungere, in silenzio, la struttura per l'allenamento dei mercenari. Di giorno osservava i soldati che si allenavano, e di notte andava a farlo lei stessa. Finché, circa otto mesi dopo che aveva partorito, Hayer fu chiamato a notte fonda, allertato dagli spari provenienti dal poligono di tiro. Banks aveva ripreso in mano la sua pistola da poliziotto. Non era passato molto tempo, che ne aveva prese altre due. Aveva cominciato ad addestrarsi coi mercenari, riuscendo quasi sempre a prevalere grazie ai suoi riflessi. Aveva cominciato a camminare come un militare, a mettere su muscoli, a diventare silenziosa, guardinga, sempre all'erta. La ragazzina che avevano tenuto sotto sorveglianza per settimane, quella allegra, sfacciata, provocatrice, energica ed esuberante, era lentamente morta in quella struttura. Soltanto quando tornava da Bjarne, sembrava che non fosse cambiato poi granché. Ma ora lui gliel'aveva portato via. I suoi uomini avevano l'ordine non uccidere Banks: sarebbe tornata da loro, le avrebbero impedito di suicidarsi, e Hayer avrebbe finalmente visto il fuoco spegnersi lentamente dai suoi occhi.

    Watari rimise a posto la cornetta del telefono con un gesto lento e sofferto. In sottofondo, le notizie al telegiornale erano finite, e stava per cominciare il meteo. Avevano isolato il quartier generale, non c'erano dubbi. E avevano anche fatto un discreto lavoro, perché, anziché tagliare i fili del telefono e provocare un black-out, come qualunque criminale da quattro soldi, erano riusciti a deviare tutte le chiamate rivolte all'hotel in cui si trovava L, di modo che, accortosi del fatto che né al computer né al telefono riceveva alcuna risposta, il vecchio non aveva potuto contattare chi si trovava lì nemmeno chiamando la reception, o il direttore dell'albergo. Calcolò che dal luogo in cui si trovava ci avrebbe messo circa venti minuti in macchina a raggiungere l'hotel, ma forse sarebbe stato meglio piazzarsi nel palazzo di fronte per poter colpire a distanza chiunque tentasse di irrompere nel quartier generale.
Alla fine, non era riuscito a fare nulla per Bjarne. Nonostante la sua influenza e i suoi sforzi, nonostante avesse preparato quell'operazione per mesi, avevano colpito in modi e tempi che non aveva calcolato. Appena aveva visto la foto segnaletica di Hartford in televisione, aveva capito che per lui non ci sarebbe stato più nulla da fare. Aveva ricevuto solo un paio di minuti prima una delle email inviategli da K, e non c'era stato tempo per fare nulla: il quartier generale non rispondeva, e agli studi televisivi l'avevano messo in attesa. Ora non aveva idea di dove fosse, né cosa stesse facendo K, ma era certo che sarebbe andata al quartier generale per affrontare i suoi carcerieri. Più realisticamente, per farsi finalmente ammazzare.
L'unica cosa che aveva potuto fare in quei pochi minuti, era stato chiamare Burton, col numero che K gli aveva allegato alla mail: un gesto rischioso, ma doveva essere stata realmente disperata, in quel momento. Burton gliel'aveva confermato: Bjarne era morto, e ovviamente l'avvocato Medina, che a quanto pareva era ugualmente a conoscenza di tutta la faccenda, era stato trattenuto dalla polizia perché si trovava insieme al ragazzo, all'ora del decesso. Andò in fretta a prendere la valigia col suo M40, e cominciò un rapido giro di telefonate, mentre scendeva a prendere la macchina. Doveva mettere al sicuro Burton e Medina, e solo dopo avrebbero pensato alle prove. Ma doveva sbrigarsi, o non sarebbe rimasto nessuno a poter chiudere il caso o che potesse vendicare tutte quelle morti.

    K era uscita dalla metro senza vedere nessuna persona sospetta sulle sue tracce, e si mise immediatamente a correre per le vie che conducevano all'hotel. In metro aveva sentito su di sé sguardi curiosi e insistenti, e solo allora si era resa conto del suo aspetto terribile: pantaloni e giacca sporchi e strappati, capelli arruffati, il borsone da sfollata ai suoi piedi. Arrivata in vista dell'edificio, rallentò, per valutare il da farsi. Sapeva che Grumann sarebbe stato lì e che Dale e Barnes avrebbero pattugliato il perimetro per impedirle di introdursi. Non escludeva la possibilità che Hayer avesse inviato altri uomini nei giorni precedenti, e che fossero tutti pronti a colpire in quel momento. Ai cellulari non rispondeva ancora nessuno, sempre dando per scontato che non fossero già stati presi come ostaggi. L'unica sua possibilità era cercare di introdursi nel parcheggio nascosta in un camion di rifornimenti o qualcosa di simile. Ma di sicuro ci sarebbe stato qualcuno a sorvegliare le scale e l'ascensore.
Provò di nuovo a chiamare il numero di Soichiro Yagami. Finalmente squillava!
-Il signor Yagami è in riunione.- rispose la voce di Grumann, divertita. Kendra si sentì gelare il sangue, e, un attimo dopo, avvampare in modo incontrollabile.
-Banks? Oh, che piacere sentirti!- riprese l'uomo, fintamente sorpreso. -O meglio, sentire finalmente che te ne stai zitta.- rise.
-Cosa ci fai al quartier generale, Grumann.- chiese con voce inespressiva, per guadagnare tempo, mentre cercava di scorgere rumori di fondo che le permettessero di capire in quale parte dell'hotel si trovasse.
-Domanda troppo stupida per una persona intelligente quanto te.- rispose Grumann, continuando a ridere, ma tenendo un tono di voce basso.
-Mi sono proposto di fare sorveglianza mentre gli altri erano in riunione, cosa credevi? Così ho impedito che tu riuscissi a contattarli.-
Mentiva. Watari non gli avrebbe mai affidato la sicurezza, sapeva che era il suo carceriere. Ma, se aveva risposto dal cellulare di Yagami, molto probabilmente era riuscito ad introdursi nella camera il tempo sufficiente per requisire tutti i telefoni che venivano lasciati nel guardaroba, e cancellare i messaggi dalle segreterie telefoniche. Era anche probabile che li avessero isolati, sia coi cellulari che coi computer.
-So che vorresti tanto vedere L per farti aiutare a vendicare il tuo amato Bjarne...- continuò l'uomo. -E oggi mi sento generoso. Hai un quarto d'ora per consegnarti, poi comincerò a sparare su tutte le persone che si trovano in questa stanza, a cominciare da L.-
    Stava bluffando. K sapeva che Hayer voleva L vivo, per venderlo a chi avrebbe pagato di più per la sua testa. Voleva vivi entrambi, per potersi divertire. Era questa l'unica speranza che era rimasta alla giovane: approfittare della loro sicurezza.
L'uomo parve intuire cosa stesse pensando, perché disse:
-Pensi sia un bluff, non è così?-
Ma non le diede il tempo di rispondere. -Hayer mi vuole già morto.- continuò, tranquillo. -Vedi, mi stavo annoiando a seguire questo caso. Non sono un investigatore, ero un morto che cammina, almeno per la Yakuza. Ho solo colto l'occasione, è bastata una piccola registrazione, e il colonnello ha dato il via all'operazione.-
K intanto stava continuando a perlustrare il perimetro dell'hotel, nascosta, per tentare di capire come introdursi.
-Tuttavia, so perfettamente che il colonnello mi vuole far fuori non appena la questione sarà chiusa. So troppo sul caso Kira, e potrei vendere informazioni, soprattutto per quanto riguarda gli agenti dell'FBI uccisi da lui. Come quell'altro tuo amichetto, Penber.-
L'entrata sembrava libera. Non era una trappola, nessuno sarebbe stato così stupido da cascarci, se lo fosse stata, perciò l'unica spiegazione plausibile è che stessero aspettando che entrasse.
-Perciò vedi...- continuava Grumann, in tono divertito. -Probabilmente speravi di riuscire a cavartela, visto che il colonnello ha dato ordine di non uccidere te e L... Ma io non sono d'accordo sul modo in cui dovrebbe essere gestito questo caso. Dale e Barnes sono appostati lì fuori, e aspettano che arrivi Watari o la polizia per respingerli.-
Perciò Watari non si trovava con loro! K avrebbe voluto tirare un sospiro di sollievo. Watari era molto più pericoloso da lontano che da vicino.
-Io dovrei fare solo in modo che qui dentro nessuno sospetti di nulla, perché non attivino le cinture.-
Quindi si trovava con ogni probabilità davanti alla stanza del quartier generale! Ci avrebbe messo troppo tempo a salire le scale: avrebbe per forza dovuto prendere l'ascensore.
-Il piano è che tu venga fatta salire, in modo da potervi prendere in ostaggio tutti insieme.- riprese Grumann. -I rinforzi stanno arrivando. Se nessuno di voi farà storie, non verrà torto voi un capello... Per il momento.-
Poi scoppiò a ridere.
-Ma questo è il loro piano. Ovviamente, una volta trasferiti tutti lontani da occhi indiscreti, abbiamo pronto tutto l'occorrente per simulare un arresto cardiaco a tutti quelli della polizia giapponese, mentre tu, L e Watari sarete mandati dal colonnello. Ah, e ovviamente io sarei incluso tra le persone da fare fuori. E vedi, non è che mi vada molto a genio questa cosa. Perciò ho pensato che, visto che devo crepare, tanto vale portarmi dietro quante più persone possibili.-
K sgranò gli occhi e, dimentica di ogni precauzione, quasi urlò, in preda al panico:
-Hai davvero intenzione di ammazzare gli agenti?-
Sentì l'uomo ridere di nuovo, dall'altra parte del telefono.
-Il quarto d'ora ha già iniziato a scorrere. Hai meno di dodici minuti.-
    K chiuse la chiamata e ricominciò a correre. Ormai non importava che dovesse morire quella sera per mano di un bastardo come Grumann. Se poteva impedire che qualcun altro ci rimettesse la pelle a causa delle sue indagini, l'avrebbe fatto. Ma aveva già corso per un pezzo, ed era in tensione da più di due ore; il cuore non ce la faceva più a starle dietro, e sentiva i polmoni bruciare. Le gambe le tremavano non appena si fermava, e ormai non riusciva a non zoppicare.
Entrata nella hall, cercò invano con lo sguardo qualche concièrge da avvertire del pericolo, ma ovviamente trovò tutto deserto. Finalmente si buttò nell'ascensore. Non ce l'avrebbe fatta a salire le scale. Pensava che presto sarebbe tutto finito, e non avrebbe avuto un'altra occasione per provare a redimersi per tutto il male che aveva causato. Si trascinò fino allo specchio dell'ascensore e provò a togliersi le lenti a contatto. Si sarebbe presentata col suo vero volto; non importava cosa L avrebbe pensato: di sicuro avrebbe capito. E avrebbe agito di conseguenza. Ma l'ascensore si fermò al quarto piano, mentre lei tentava di non far tremare le dita nell'infilarle nell'occhio, e si aprirono le porte: Grumann era lì in piedi che la aspettava.
-Era ora, Banks.-
La afferrò per un braccio. -C'erano tre persone che dovevi proteggere: una te l'ho già portata via; una non la toccherò, perché sono comunque un uomo d'onore e i bambini non si toccano; e l'altra ora te la ammazzerò davanti agli occhi. Giusto per godermi la tua faccia, prima che vengano a fare un buco nella testa ad entrambi.-
-Non oserai!- urlò lei, con tutto il fiato che le era rimasto, e gli si avventò contro, puntando a schiacciargli i testicoli. Ma Grumann le assestò un colpo in testa col calcio della pistola, anche se non troppo forte da farle perdere i sensi, e poi la colpì alla trachea in modo violento.
    Riuscì a trascinarla per il colletto della camicia di nuovo dentro l'ascensore, dove prese a tirarle violenti calci allo stomaco. Quando si aprirono nuovamente le porte dell'ascensore, la prese per il collo e la rimise in piedi, facendola arrancare fino alla stanza adibita a quartier generale. Aprì la porta della stanza in cui si trovavano gli agenti, e L con un calcio. Si voltarono tutti sbigottiti.
-Ops!- fece Grumann, ridendo. -Spero di non aver interrotto nulla di importante.-
Spinse K a terra davanti a sé, nel silenzio generale, poi alzò la pistola.
-Che nessuno provi a toccare quella dannata cintura.- ordinò, continuando a sorridere. -Mani in alto e bene in vista, o la vostra amichetta muore per prima. A meno che non siate dei gentiluomini, perché in quel caso, come si dice, “Prima le signore”!-
K tentò di alzare il volto, ma Grumann le ricacciò la testa per terra. Allora provò a parlare, ma le venne da tossire. Il cuore batteva talmente forte che le sembrava di non riuscire a respirare. Girò la testa di lato, appena in tempo per vedere Grumann sollevare due pistole: una era la sua, l'altra l'aveva presa a lei dopo averla tramortita. Le aveva anche tolto le altre pistole appena l'aveva trascinata fuori dall'ascensore. La caviglia era gonfiata, e non riusciva a muoverla; sembrava che il petto le stesse andando a fuoco; un qualsiasi movimento le provocava fitte dolorose all'addome e alle ascelle, e non c'era una sola parte in tutto il corpo che non le facesse male. Le arrivava troppo poco sangue al cervello perché riuscisse a ragionare, ma riusciva comunque a darsi della stupida per non aver sparato a Grumann appena si erano aperte le porte dell'ascensore. Era di schiena, era stata colta di sorpresa.
    -Che cosa vuoi da noi, Grumann?- chiese il sovrintendente Yagami, cercando di piazzarsi di fronte a K.
-Da voi? Ma nulla! Non crediate di essere così importanti...- iniziò a ridere sguaiatamente. -Tra poco arriverà qualcuno a farmi la festa, e pensavo che sarebbe stato un peccato andarmene all'inferno da solo, quindi perché non portami qualcuno per farmi compagnia?- Alzò la pistola e la puntò contro L.
No.”
In questi casi si dice che le persone raccolgano tutte le proprie forze per compiere un ultimo, eroico atto. Ebbene, K non ne aveva il tempo. L'adrenalina le bastò appena per riuscire a rimettersi sulle sue gambe, e scaraventarsi a peso morto contro Grumann, per tiragli una testata allo stomaco.
    Partì il colpo. Dalla sua stessa pistola. Il sangue schizzò sul tappeto e sul divano. K sentiva ancora il rimbombo nella testa, e il corpo bruciare, mentre si accasciava a terra. Yagami, Aizawa e Mogi si buttarono addosso a Grumann per disarmarlo, mentre Matsuda si gettò verso di lei e tentò di comprimerle la ferita. Il proiettile l'aveva colpita alla spalla, ma l'adrenalina e l'iperventilazione le stavano pompando il sangue ad una velocità esagerata. L, che fino a quel momento era rimasto immobile ed in silenzio, si piegò verso la giovane donna, che tentava disperatamente di chiamarlo col braccio ancora funzionante. Aveva paura. K glielo leggeva negli occhi grigi sbarrati. Il detective si sporse verso di lei, e raccolse la pistola che era caduta a Grumann, alzandola in modo impreciso ed esitante verso il criminale, che sbraitava in inglese contro i tre agenti, che lo avevano disarmato e immobilizzato con la faccia a terra.
-L...- disse lei, cercando di normalizzare il respiro, e grugnendo dal dolore. Lui non doveva prendere in mano la pistola. Non di nuovo. Non poteva sopportare di vederlo di nuovo con un'arma in mano
-Va tutto bene, Banks...- le disse il giovane, alzando la maglietta bianca e mostrando la cintura di Watari, stretta all'inverosimile per fargli stare su quei jeans sformati. -Polizia e ambulanze sono già state allertata, e così anche Watari. Ho premuto il pulsante appena ti sei lanciata contro Grumann. Ora non agitarti, stai perdendo molto sangue.-
K scosse la testa. -No... No...- Sentiva che stava per perdere i sensi.
    Sentirono un rumore di porte sbattute, ed entrarono Dale e Barnes, probabilmente allertati dallo sparo e dalle urla. Videro Grumann a terra e gli spararono alla testa, senza esitazione, nonostante Mogi, Yagami e Aizawa fossero esattamente lì, a tenerlo immobile. Aizawa li aggredì verbalmente, Yagami indietreggiò e Mogi recuperò l'altra pistola, per poi puntarla loro addosso. I due americani dissero in inglese che dovevano portare via la signorina Banks, perché c'era il pericolo che qualcun altro tentasse di ucciderla. Si stavano avvicinando, senza abbassare le armi, verso il centro della stanza.
In quel momento, si sentì un rumore di vetri rotti, seguito da quello del metallo contro il metallo, e Barnes fece cadere a terra la pistola. Stesso rumore, e anche la pistola di Dale cadde a terra. Watari ce l'aveva fatta: era arrivato in tempo
-Non credo che sarete voi a portarla via.- riconobbero la sua voce distorta al megafono, provenire da fuori dalla finestra, ormai in frantumi. Si accesero anche diversi fari, tutti puntati su quella stanza, e il rumore di elicotteri e sirene della polizia, fino ad allora smorzati dal vetro.
-Abbiamo preso i vostri complici.- continuò la voce camuffata di Watari. -Non avete più vie di scampo. Gettate le armi e uscite dalla porta principale con le mani alzate.-
Gli spari avevano allertato anche la sicurezza dell'hotel, che giunse armata di pistola, intimando ai due uomini di gettare le armi.
    K avrebbe voluto tirare un sospiro, ma le provocò solo un altro accesso di tosse. Avrebbe soltanto spinto alto sangue fuori dalla ferita.
-Ehi, calmati, Nathalie.- le disse Matsuda, che la teneva sulle proprie ginocchia, continuando a premere sulla ferita. -Stai perdendo troppo sangue! Non devi muoverti, né fare sforzi.-
Poi lo vide voltarsi verso L con uno sguardo rabbioso.
-Metti giù quella pistola, Ryuzaki, e piuttosto vai a prendere un kit di pronto soccorso! Ha bisogno di un laccio emostatico!-
Ma L aveva gli occhi sbarrati che guardavano i due americani mentre venivano portati via. Tremando, rimise la sicura, e lasciò la pistola a terra, poi si voltò verso di K e Matsuda, e fece per alzarsi, ma la donna allungò ancora una volta la mano e lo afferrò per la maglia bianca.
Il giovane la guardò, con espressione più vuota del solito, mentre K soffocava un gemito, e tentava di aprirsi la camicetta.
La cicatrice” pensava. “L'anello.”
Non riusciva a parlare, e non riusciva a muoversi come avrebbe voluto, perché le ferite sotto le braccia bruciavano.
L si sfilò la cintura, e la passò a Matsuda, senza dire una parola.
-Nathalie, non sprecare ora le tue forze.- le disse. -Qualsiasi cosa tu mi debba dire, ora calmati e sopravvivi, e me la dirai.-
K alzò gli occhi al cielo e ringhiò di dolore.
-No... Nove...-
Ma lui si era voltato per dare a tutti l'ordine di allontanarsi dalla porta e dalle finestre, di armarsi e di attendere l'arrivo della polizia, e quando si accorse che lei lo stava ancora chiamando, la guardò col suo solito sguardo vacuo. E K sentì una fitta lacerante al petto, per poi perdere i sensi, senza riuscire a dirglielo. November 8th, 1997, by the river, under the cherry tree. You see? I still remember. I can't die if I still remember. I promised you not to die until I'd remembered.

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 - "Temo di essere io Kira" ***






Capitolo VII




    Era stata una giornata lunga e faticosa oltre ogni immaginazione, perciò L tirò un lungo sospiro di sollievo, quando i suoi agenti e la polizia ebbero finito i loro interrogatori e lasciarono l'hotel, a notte inoltrata. Watari era riuscito a convincere il capo della polizia giapponese a permettere a L di non mostrarsi in volto, mentre lasciava la sua deposizione sui fatti di quella sera.
Che seccatura, aveva pensato, e con tutto quello che gli rimaneva da fare ora che era spuntata Misa Amane nella vita di Light! Banks non poteva scegliere momento peggiore per tentare di farsi ammazzare insieme a tutti loro. La questione che più lo irritava, però, era che Watari non gli avesse ancora rivelato nulla; odiava non sapere. Gli era andato bene fino a quel momento, anche perché lasciava sempre a lui il compito di occuparsi di questioni di secondaria importanza, ma quella sera si erano visti puntare addosso delle pistole, perciò avrebbe preteso una spiegazione esaustiva, non appena le acque si fossero calmate. Ma non aveva ancora avuto occasione di parlargli, perché si era allontanato in ambulanza con Banks, ed era ritornato solo molto dopo, a fare la sua deposizione.
A quanto pareva, Banks era ostaggio di un gruppo paramilitare che aveva come obiettivo quello di uccidere L; avevano approfittato delle sue competenze per farla infiltrare al quartier generale, ma si erano accorti che li aveva traditi, perciò avevano tentato di fare fuori tutti. Nulla di nuovo, insomma, almeno per quanto riguardava L: gli agenti giapponesi, a cominciare da Aizawa, lo avevano pesantemente attaccato per aver permesso che la squadra corresse un tale pericolo, senza che avesse speso anche solo mezza parola per avvertirli. Yagami si era unito al coro, rimarcando il fatto che suo figlio fosse sotto accusa senza delle reali prove, mentre un criminale come Grumann era stato libero di agire indisturbato al loro fianco. Matsuda aveva ovviamente tenuto le parti della donzella, e lo aveva duramente attaccato per non averla aiutata tempestivamente. Mogi, come al solito, non aveva proferito parola, ma era evidente che anche lui fosse molto teso. Una tale spaccatura nella squadra era di quanto meno auspicabile ci fosse in un momento delicato come quello, ma contava di riuscire a riprendere in mano la situazione. Se, il giorno dopo, dalla perquisizione e dalle analisi dell'appartamento di Misa Amane fosse saltato fuori un collegamento col secondo Kira, non ci sarebbe più stato tempo per discussioni come quelle.
    Ma mentre ragionava su tutto ciò, la testa cominciò a farglisi pesante, e, suo malgrado, cedette al sonno. Ancora una volta gli incubi vennero a tormentarlo: ancora una volta si sentì soffocare sotto il cuscino che sua madre gli aveva spinto contro la faccia. Aveva smesso di agitarsi, lasciando che le braccine e le gambe gli si abbandonassero mollemente sul pavimento; stava per perdere i sensi. Aveva iniziato a vedere tutto nero, e sentiva le palpebre pesanti, ma poi, inspiegabilmente, sua madre aveva smesso di premere il cuscino, si era alzata e si era allontanata. Piano piano, il bambino si era tolto il cuscino dalla faccia, per poter respirare a pieni polmoni. Bruciavano. La sua vista era annebbiata. E allora si era rimesso in piedi, e con passo leggero aveva tentato di allontanarsi. La porta di casa non era così lontana, sarebbe potuto scappare da lì, senza voltarsi più indietro. Vedere sua madre preda della depressione era stato doloroso, durante quegli anni, ma ora sentiva di essere in pericolo. I suoi scatti d'ira si facevano sempre più frequenti e i suoi atteggiamenti sempre più violenti. A piccoli passi si era diretto verso il corridoio, ed era stato allora che l'aveva vista. Stava seduta sul davanzale, con le gambe a penzoloni. Portava una vestaglia bianca, larga e lunga, che poco prima non aveva, che non ricordava di averle mai visto addosso. Al piccolo bambino senza un nome era scappato un gemito di sorpresa, e la donna si era voltata verso di lui. Le rughe sul suo volto erano sparite, e avevano lasciato il posto ad una macchia rosa scuro che andava dalla fronte allo zigomo destro. Due occhi rossi lo fissarono pieni di rabbia, e poi la ragazza si lasciò cadere nel vuoto.

    Matsuda si presentò al nuovo quartier generale con qualche minuto di ritardo, dal momento che, per ordine di Ryuzaki, tutti gli agenti avevano dovuto prendere due treni e un taxi per tentare di depistare eventuali altri uomini mandati da quelli che li avevano attaccati la sera prima. Il giovane aveva trovato traffico, e aveva perso molto tempo a guardarsi le spalle durante tutto il tragitto. Tutti quanti al quartier generale avevano l'aria stravolta e molto tesa: nessuno di loro si aspettava un attacco del genere. Beh, forse sarebbe stato il caso di dire che nessuno tranne Watari e Ryuzaki se lo aspettava. Ryuzaki era parso incredibilmente calmo per tutto il tempo, anche se, ad uno sguardo più attento, la sua agitazione era evidente; come quando era morto Ukita, e Aizawa l'aveva visto tremare e sorridere nervosamente. Lo avevano attaccati tutti duramente la sera prima, ma, in fin dei conti, era lui che si stava per beccare una pallottola in fronte. Se Nathalie non si fosse messa sulla sua traiettoria...
Povera ragazza. Era arrivata al quartier generale già in pessime condizioni: aveva segni di strangolamento, non riusciva a respirare, aveva i vestiti stracciati, e nello strapparle una manica della camicia per metterle il laccio emostatico, dopo che era svenuta, aveva notato delle abrasioni sotto le ascelle. Appena Watari era entrato nella stanza, gli aveva intimato di allontanarsi, e si era messo lui ad occuparsi di lei, dicendo a L di andare a chiudersi nella stanza accanto perché nessun altro lo vedesse. Matsuda aveva pensato che il vecchio Watari in quel momento sembrava un'altra persona: deciso, energico, e, per una volta, non era rimasto impassibile di fronte a quello che si trovava davanti.
    -I miei uomini si sono già messi a lavoro per perquisire l'appartamento di Misa Amane.- aveva detto L, non appena tutti avevano preso posto in silenzio davanti a lui.
L'albergo dove si trovavano quel giorno era situato in una zona incredibilmente trafficata di Tokyo. La finestra occupava quasi l'intera parete di fondo, ma era di vetro infrangibile, per cui avevano tranquillamente preso posto sui divanetti proprio di fronte. Avevano tutti con sé la propria pistola, e Mogi stava davanti alla porta, con un auricolare all'orecchio, in collegamento con Watari, che monitorava la situazione dalle telecamere, nascosto nel palazzo di fronte.
-In questi giorni, purtroppo, non avrò il tempo di seguire personalmente, come di solito, ogni caso di ogni criminale ucciso da Kira.- disse Ryuzaki
Si voltò quindi verso di Matsuda, con lo sguardo più stanco e irritato del solito.
-Matsuda, pensi di riuscire ad occupartene tu?-
Il giovane non sopportava il tono di supponenza nella voce di Ryuzaki, quando gli parlava.
-Certo che posso farlo.- rispose, risentito.
Ryuzaki rimase in silenzio, poi, molto lentamente, si alzò dalla propria poltrona, e si mise a camminare, curvo, scalzo e con le mani in tasca, verso la finestra. Si appoggiò di schiena al muro, di fianco ad essa, e si mise a sbirciare fuori da sopra la propria spalla.
-Mi rendo conto di avervi messo incredibilmente in agitazione, e che queste non siano le condizioni migliori in cui lavorare ad un caso come questo. Ma, vedete... tutti hanno paura. I governi mondiali hanno paura, le organizzazioni criminali hanno paura, pure i corpi di polizia hanno paura. Nessuno vuole immischiarsi in questo caso. Ho dovuto cercare per mesi qualche collaboratore che accettasse di darmi... di darci, una mano.-
Si voltò verso la finestra, e tirò leggermente la tenda.
-Da quando sono morti gli agenti dell'FBI, ho chiesto a tutti i miei contatti, e anche oltre, ma non ho ricevuto una singola risposta positiva. E dopo tutto quel tempo, mi sono ritrovato a dover fare una scelta: assumere Banks, una mente brillante, pur essendo stato avvertito della possibilità che fosse costretta a lavorare per qualche organizzazione criminale.-
-Ma siamo sicuri che fosse costretta?- intervenne Aizawa, con tono duro. -E se invece fosse stato il suo obiettivo sin dall'inizio, quello di farci fuori tutti?-
-Ehi, Aizawa!- protestò allora Matsuda. -Credi che si sarebbe presa una pallottola addosso per tentare di mettere a terra Grumann, se davvero avesse voluto vederci tutti morti?-
    Ryuzaki era ancora in piedi di fianco alla finestra, con un lembo della tenda in mano.
-La famiglia di Banks era tenuta in ostaggio.- disse, dopo un attimo di silenzio. -Il giorno in cui si presentarono al quartier generale, mi disse che Kira non sarebbe potuto venire a conoscenza dei loro nomi, ma probabilmente intendeva dire che ciò sarebbe stato impossibile anche per me.-
Si voltò verso gli agenti, e continuò.
-Grumann ascoltava ogni sua parola, e controllava ogni suo gesto. Ho valutato attentamente se fosse il caso di dirvi quali pericoli stavate correndo, ma ho ritenuto che una notizia del genere vi avrebbe portati a mutare il vostro atteggiamento nei suoi confronti, e probabilmente lui l'avrebbe notato. E avrebbe agito molto prima.-
Si rimise le mani in tasca e si incamminò nuovamente verso la poltrona.
-E Banks?- domandò allora il sovrintendente Yagami. -Come sta?-
Ryuzaki si arrampicò di nuovo sulla sua poltrona, e si sgranchì le dita dei piedi.
-L'intervento è andato bene.- esordì, appoggiando le braccia piegate sulle ginocchia. -Ma i dottori credono che le ci vorrà un po' per risvegliarsi dal coma. Ha perso molto sangue, era in uno stato di stress emotivo e fisico molto serio. Dicono che se la caverà, ma non potremo contare sul suo aiuto per un bel po' di tempo.-

    Il colonnello Hayer sbatté con rabbia la cornetta sul telefono.
Burton si era appena imbarcato per l'Inghilterra, e Medina era stato rilasciato; era arrivata una scorta per condurlo fino a casa, dove sarebbe dovuto rimanere ancora per un paio di giorni. Il bastardo aveva anche dichiarato di fronte ai giornalisti, accalcatisi davanti al commissariato, che avrebbe dimostrato che le accuse mosse ad Hartford erano infondate, e che quello era stato ucciso e lui trattenuto perché erano testimoni scomodi. In quel modo, se avessero tentato di torcergli un capello, l'opinione pubblica avrebbe cominciato a farsi qualche domanda. Avrebbe dovuto fare in modo che tutto quel polverone non arrivasse anche in Giappone, o era probabile che Kira si sarebbe interessato al caso, e se davvero si trattava del ragazzino figlio del sovrintendente della polizia, che lavorava con loro, non ci sarebbe voluto nulla perché riuscisse a farsi dare tutti i nomi dei responsabili da Banks.
Dannato Grumann. Avrebbe dovuto farlo fuori prima di cominciare l'operazione. Ma non aveva a disposizione molti uomini che sapessero il giapponese, per cui aveva deciso di tenerlo in vita fino ad operazione conclusa. Se non avesse dato di matto, avrebbero avuto L, Banks e i nomi dei due Kira su un piatto d'argento, e avrebbero potuto facilmente sbarazzarsi di Burton e Medina, con calma. Invece ora Medina minacciava di far riaprire il caso a giorni, e una volta cominciato ad alzare il coperchio... chissà cosa ne sarebbe venuto fuori. Banks non poteva testimoniare, almeno non al momento: le avevano sparato, ed era stata portata via in ambulanza. Aveva passato tutta la notte e tutta la mattina a cercare di capire in quale ospedale l'avessero portata, per poter mandare qualcuno a finire il lavoro. Ma Burton era riuscito a scappare, e non ci sarebbe voluto molto prima che qualcuno andasse a prelevare le prove!
Il caso aveva voluto che quella sera Burton avesse il turno di notte, motivo per cui non avevano potuto sequestrarlo da casa sua. C'erano delle macchine appostate fuori dal commissariato, ma Burton non era mai uscito: era arrivato un elicottero dopo diverse ore, che era atterrato sul tetto. Burton era salito ed era stato trasportato via. Hayer aveva messo i suoi uomini ad attenderlo a casa sua, all'aeroporto, alla stazione dei treni e dei pullman di Chicago, ma giusto pochi minuti prima gli era giunta notizia che era probabile che l'elicottero avesse sorvolato il lago Michigan, e che Burton avesse raggiunto il più vicino aeroporto per imbarcarsi per Londra.
    Il colonnello era convinto che, una volta catturati L e Watari, nessuno avrebbe più potuto intralciarlo; avrebbe sequestrato Burton e trattenuto Medina in commissariato, finché non avessero raggiunto un accordo. Ma evidentemente L doveva avere risorse enormi e parecchie conoscenze, perché ora si trovava con le spalle al muro. Per la prima volta, in tanti anni, cominciò ad avere paura.

    Light aveva cercato di andare a dormire presto, la sera prima, per svegliarsi di buon'ora quella mattina e valutare attentamente se e come uccidere L. Ma era stato svegliato verso le quattro dalla voce preoccupata di sua madre, in piedi al piano di sotto, al rientro di suo padre. Era strano che tornasse così tardi, per cui era sceso a chiedere cosa fosse successo. Suo padre aveva tranquillizzato la mamma, e l'aveva mandata a dormire, dicendo che si sarebbe preparato una tisana e l'avrebbe raggiunta. Aveva anche mandato Light a dormire, ma il ragazzo aveva intuito dal suo sguardo che avrebbe voluto che ritornasse subito dopo, senza farsi sentire.
-Il quartier generale...- aveva cominciato, non appena lo aveva raggiunto in cucina, chiudendosi la porta alle spalle. -Siamo stati attaccati. Grumann e gli altri due americani hanno preso Banks e hanno minacciato di farci fuori tutti.-
Light si era sentito gelare il sangue nelle vene. Aveva sempre sospettato che Grumann fosse incredibilmente sospettoso, e che fosse lì per tenere d'occhio Banks, ma addirittura attaccare l'intero quartier generale!
-Banks era un suo ostaggio, o meglio, agiva perché la sua famiglia era tenuta in ostaggio, stando a quanto ha detto Watari.- aveva detto il padre, lasciandosi cadere sulla sedia.
-Grumann ha tentato di sparare a L, ma Banks si è messa sulla traiettoria e si è presa la pallottola.-
L'orrore e lo stupore di Light avevano lasciato il posto al suo spirito pratico. Ecco una scusa perfetta per far morire L e Banks! Avrebbe potuto studiare un modo perché la loro morte facesse pensare ad un omicidio, e la colpa sarebbe potuta tranquillamente ricadere sugli uomini che lavoravano per Grumann! Avrebbe dovuto saperne di più, per poter ragionare con calma su questa nuova prospettiva.
-Abbiamo immobilizzato Grumann...- aveva continuato il padre. -Ma sono arrivati gli altri due, e l'hanno ammazzato senza pensarci su un momento.-
Light si era avvicinato e gli aveva messo una mano sulla spalla. L'uomo aveva sospirato profondamente, e aveva ripreso.
-C'erano altre tre persone, fuori dall'hotel. Ringrazio il cielo che tu non fossi lì!- aveva concluso, reprimendo un singhiozzo.
-Ci sono stati altri feriti? Banks come sta?- aveva domandato allora il ragazzo.
-Nessuno s'è fatto male, a parte lei.- aveva detto il padre, passandosi una mano sul volto stanco. -L'hanno trasportata d'urgenza all'ospedale e l'hanno dovuta operare. Ha perso molto sangue. E noi siamo rimasti lì fino ad ora a testimoniare.-
    Poi era rimasto in silenzio per qualche istante, con lo sguardo rivolto verso il basso. Alla fine si era alzato, e aveva preso il figlio per le spalle, dicendogli:
-Light. Non devi più tornare per nessun motivo al quartier generale, siamo intesi? Te lo proibisco. Ryuzaki potrà dire quello che vuole, ma non voglio più che tu corra un pericolo del genere!-
Il ragazzo lo aveva ascoltato in silenzio, e poi aveva sorriso.
-Papà, apprezzo il fatto che tu ti stia preoccupando per me. Non verrò al quartier generale, a meno che non ci sia un più che valido motivo per farlo. Ma, in questo momento, sto pensando più che altro alla tua sicurezza, non alla mia. Capisco che tu voglia catturare Kira, come anche me, del resto, ma non voglio che tu corra rischi.-
Si erano scambiati ancora qualche parola di conforto, e poi erano andati entrambi a letto.
Light non era più riuscito a prendere sonno. Se Banks era in condizioni abbastanza gravi, era probabile che ci avrebbe messo un po' a risvegliarsi. Questo gli dava un po' di tempo: sarebbe potuto andare a trovarla all'ospedale con una scusa, scattarle una fotografia col cellulare senza farsi vedere e mandarla a Misa, perché ne leggesse il nome e la facesse morire per qualche complicazione. Quella sarebbe stata la parte facile. Ma L? Avrebbe dovuto studiare un modo per ritornare il più presto possibile al quartier generale, anche se aveva promesso al padre che non lo avrebbe fatto. E di certo non sarebbe stato facile convincere L a mettere il naso fuori dal quartier generale, dopo quello che era successo.
    All'università, non riusciva a prestare attenzione né al professore, né a Takada che gli bisbigliava, seduta di fianco a lui. Aspettava il momento in cui sarebbe stato solo per chiamare suo padre e farsi dire com'era la situazione. Avrebbe potuto far morire Banks nei giorni a seguire, e nessuno avrebbe sospettato di nulla, bastava convincere suo padre ad andarla a visitare in ospedale. Per L le cose si facevano più complicate: se anche avesse dato a Misa l'indirizzo del nuovo quartier generale, non sarebbe di certo potuta entrare nell'hotel, e Rem non si sarebbe potuta allontanare più di poche decine di metri da lei, per salire nella camera dove si trovavano gli agenti e leggere il nome di L. L'unica speranza sarebbe stata se Misa fosse riuscita a piazzarsi sotto la finestra e Rem si fosse alzata in volo; ma sarebbe stato rischioso: se avessero visto Misa, si sarebbero sicuramente insospettiti, e soprattutto non poteva avere la certezza che L sarebbe stato in una stanza con le finestre, soprattutto dopo l'attacco che avevano subito!
La situazione era ancora complessa, e andava considerata con più attenzione.

    L iniziava a pensare che forse sarebbe stato meglio per loro trasferirsi subito nel quartier generale di cui aveva ordinato la costruzione. Sarebbe stato più sicuro per tutti, e non c'erano più scuse, ora che il pericolo di Grumann e di chi stava alle costole di Banks era stato sventato. Ma non aveva tempo per preoccuparsene, ora: la perquisizione a casa di Misa Amane era andata a buon fine, e in quel momento se ne stava rannicchiato su una poltroncina ad esaminare i capelli, le briciole, e tutto ciò che era stato rinvenuto a casa di Amane e sul nastro adesivo dei pacchi inviati dal secondo Kira alla Sakura TV.
-Yagami!- chiamò ad un tratto.
-Se io muoio nei prossimi giorni, vuol dire che Kira è suo figlio.- disse, col tono più naturale del mondo, continuando ad alzare le buste trasparenti contenenti le prove raccolte a casa di Amane.
Sentì il sovrintendente sobbalzare, e poi alzarsi in piedi.
-Che cosa hai detto, Ryuzaki?- fece, con tono alterato.
-Già!- gli fece eco Matsuda. -Di che cosa stai parlando? Cos'è questa storia?-
-E ho deciso che lascerò a lei il comando.- continuò il detective, come se non avesse sentito una sola parola. -Potrà chiedere a Watari tutto quello che le serve.-
Sentì i passi del sovrintendente avvicinarsi alle sue spalle.
-Ryuzaki! Avevi detto di aver chiarito quasi tutti i dubbi sulla sua innocenza, fino a che punto sospetti veramente di lui?-
L sollevò un altro campione.
-Nemmeno io so veramente che cosa pensare.-
Rimase un attimo in silenzio, per poi aggiungere, quasi più rivolto a se stesso che a Yagami. -Non mi era mai successo prima d'ora.-
Continuava a sollevare le buste trasparenti, sempre dando le spalle a Yagami e agli altri.
-Se i due Kira avessero davvero unito le forze...- riprese, a tono più alto. -... allora per me sarebbe davvero la fine.-
Abbassò lo sguardo sul tavolino e prese la tazzina del caffè.
-Forse è per questo che ancora non riesco ad analizzare la situazione con la dovuta calma.-
Bevve un sorso.
-Forse mi ostino a pensare che sia lui solo perché non abbiamo nessun altro indiziato. Ad ogni modo...- aggiunse, posando nuovamente la tazzina sul tavolo. -Se dovessi morire... la prego di concludere che Kira è suo figlio.-
    Gli agenti alle sue spalle rimasero in silenzio. A L non restava altro se non attaccare di nuovo Light di sorpresa. Era stata sua la prima mossa, sfidandolo apertamente in televisione, e anche la seconda, quando si era presentato al ragazzo come L. Era giunto il momento di lanciarsi in una nuova scommessa.

    Quello stesso pomeriggio, si presentò di nuovo all'università nella quale era entrato assieme a Light, e col preciso scopo di tenerlo d'occhio. Si sedette su una panchina, all'ombra, si tolse scarpe e calzini e vi si rannicchiò a leggere. Era una bella giornata di sole, di quelle che lui detestava. Erano anni, ormai, che non usciva alla luce del giorno, senza che si sentisse pervadere da una rabbia sorda e da una profonda tristezza. Ma non era il momento di pensare al passato. Light si stava avvicinando in compagnia di Kyomi Takada. Lo chiamò ad alta voce, e lo vide fissarlo con uno sguardo gelido e indecifrabile. Salutò la ragazza e si diresse verso di lui.
-Spero di non essere inopportuno.- disse L, quando Light gli fu vicino.
-Ma no, figurati...- lo rassicurò Light. -Piuttosto... Ieri non dicevi che non ti sentivi sicuro a farti vedere in giro? Dopo la sparatoria all'hotel, poi... Mio padre è tornato a casa nel cuore della notte, eravamo tutti preoccupati.-
-Di quegli energumeni che tenevano in ostaggio Banks non c'è più da preoccuparsi.- rispose L, tranquillo.
-E lei?- domandò allora il ragazzo, serio. -Come sta?-
L alzò gli occhi al cielo, noncurante.
-Se la caverà.- rispose. -È vero, ha perso molto sangue ed è entrata in coma, ma Watari si sta occupando di lei, e siamo tutti convinti che si riprenderà presto. Anche perché avrà diverse cosa da spiegarci...-
Il detective scorse con la coda dell'occhio il pugno di Light che si stringeva e le nocche che sbiancavano.
-Ha... ha detto qualcosa?- domandò quindi il ragazzo. -Prima... di svenire?-
L si portò il dito indice sotto il mento, mentre rivolgeva di nuovo gli occhi al cielo.
-No. Tossiva, non riusciva a respirare bene.- Poi si voltò verso Light. -Penso che prima di perdere i sensi stesse tentando di farfugliare qualcosa in inglese.-
    Light lo fissava immobile, con un'espressione indecifrabile. L immaginava che sperasse che Banks non uscisse dal coma, visto che, con ogni probabilità, aveva cercato di ucciderla ma non ci era riuscito. Il detective non era del tutto sicuro che la donna fosse fuori pericolo, ma voleva vedere quale sarebbe stata la reazione di Light. Certo, se fosse morta senza riuscire a rivelargli quello che sapeva, sarebbe stata una bella seccatura. Forse avrebbe dovuto lasciarla parlare anche nelle condizioni in cui si trovava, invece di preoccuparsi che si salvasse la pelle.
-In ogni caso...- riprese. -Ho pensato che per me non dovrebbero esserci altri problemi, a meno che tu non sia Kira. Sei l'unico al di fuori del quartier generale a sapere che io sono L. Per questo, se io dovessi morire nei prossimi giorni...- e guardò Light attentamente. -...ho lasciato detto ai nostri amici del quartier generale che saresti tu Kira.-
Light non sembrò avere alcuna reazione a quelle parole, ma L era convinto che fosse incredibilmente bravo a dissimulare le emozioni.
-Ho pensato di fare un salto all'università, visto che senza di me ti sentivi solo...- continuò il detective. -E poi anch'io volevo cambiare un po' aria. Sai... mi trovo bene qui, fintanto che non muoio.-
-Già...- disse infine Light. -Effettivamente qui c'è da annoiarsi senza di te. Non c'è nessun altro del mio livello con cui fare conversazione.-
-Per questo frequenti una ragazza brillante come Takada?- domandò L. Voleva vedere se Light si sarebbe tradito, visti i suoi contatti con Misa.
-Sì...- fece Light, per nulla toccato. -Più o meno...-
    -Ti va se mangiamo qualcosa al bar?- domandò allora L, alzandosi e rimettendosi ai piedi le scarpe da tennis logore.
-Ma sì, tanto anch'io sono in pausa.- E si incamminarono.
Ma non fecero molta strada che sentirono alle loro spalle un'acuta voce femminile.
-Light! Ti ho trovato!-
Era Amane.
-Ho un servizio fotografico qui vicino, e ho pensato di fare un salto.-
Bingo.
-Lui è un tuo amico?- continuò lei, avvicinandosi. -È un tipo originale, fico!-
Light continuava a rimanere in silenzio. L non poteva sperare in un'occasione migliore. Sperava solo che tutto filasse liscio.
-Io sono Misa Amane, la ragazza di Light.- fece lei.
L si presentò col nome falso col quale si era iscritto a quell'università, Ryuga Hideki, il nome di un cantante/attore famoso in Giappone. Per un attimo, vide lo sguardo della ragazza alzarsi sopra la sua testa, e la sua espressione farsi sorpresa, mentre ripeteva il suo nome. A quel punto Light si mise in mezzo.
-Già... si chiama proprio come quel cantante... Che combinazione, eh?-
L si lasciò andare ad un sorriso inquietante e ad una risatina appena accennata, senza staccare gli occhi di dosso a Misa. Poteva farcela.
-Lo sai che ti invidio?- disse infine per stemperare la tensione, accortosi dello sguardo preoccupato che Light gli stava rivolgendo. -Sono un tuo fan.- disse poi, rivolto a Misa.
    Intanto molti degli studenti si erano accorti della presenza della idol e le si fecero attorno. L approfittò della confusione per sfilare il cellulare a Misa con una mano, mentre con l'altra le dava una rapida palpatina al sedere e la distraeva. Light non si era accorto di nulla, fino a che Amane non aveva urlato che qualcuno le aveva toccato il sedere, e il ragazzo si era voltato verso di lui, più stupito che altro. Poco dopo arrivò una donna che doveva essere la manager di Misa, e la trascinò via. La folla si disperse, e L, rimasto solo con Light, rinnovò l'invito ad andare al bar. Il ragazzo gli disse di andare avanti, con la scusa di dover andare al bagno.
L si allontanò lentamente, mentre Light andava nella direzione opposta. Come si aspettava, non passarono molti secondi che il cellulare che aveva sfilato dalla borsa di Misa iniziò a squillare. Rise. Infine rispose.
-Sì? Pronto?-
A pochi metri da lui, Light gli chiese con tono seccato perché lo stesse facendo.
-Ah, ti riferisci a questo cellulare? Deve essere caduto a qualcuno in mezzo a tutta quella confusione...-
Il pensiero dell'imminente vittoria lo metteva incredibilmente di buonumore.
-È il cellulare di Misa.- disse Light, avvicinandosi. -Glielo restituisco io.-
L restituì il telefono a Light e si allontanò, ma dopo pochi passi sentì il proprio cellulare suonargli nella tasca dei jeans. Lasciò da parte il suo tono canzonatorio e rispose normalmente alla chiamata. A quanto pareva, era tutto pronto.
    Chiuse la chiamata e si voltò verso Light.
-Non so se la cosa ti farà piacere o ti rattristerà, Yagami, ma... abbiamo arrestato Misa in quanto sospettata di essere il secondo Kira.-

    Bendata e immobilizzata, Misa fu interrogata per giorni, ma continuò a rifiutarsi di rispondere. L restava giorno e notte seduto di fronte ai monitor per controllare ogni suo minimo gesto, e continuava a porle le stesse domande: conosceva Light Yagami? Era entrata in contatto col primo Kira? Si trovava ad Aoyama il 22 maggio?
Si erano trasferiti in un grande appartamento, dove avevano potuto installare comodamente tutti i monitor di cui avevano bisogno per la sorveglianza di Misa. I poliziotti giapponesi si davano il cambio per sorvegliare la sospettata assieme al detective, ma lui quasi non sentiva la loro presenza, tanto era concentrato su ciò che succedeva nella stanza in cui Misa era tenuta prigioniera.
Non sentiva più la differenza tra il giorno e la notte, e aveva ormai perso la cognizione del tempo. Non era nemmeno sicuro se fosse sveglio o se stesse sognando, finché, d'un tratto, sentì corrergli un brivido lungo la schiena. Lei era in piedi, appoggiata al muro al fondo della stanza. La sentiva. E così seppe per certo che stava dormendo.
-K.- disse L, sbuffando. -Ultimamente vieni un po' troppo spesso a seccarmi.-
Lei non rispose. Non avrebbe potuto, perché L non ricordava quasi più la sua voce. Il ricordo di una voce è quello che sbiadisce per primo, tranne alcuni frammenti; ricordava il modo in cui sogghignava, col suo fare borioso e prepotente; ricordava il tono perentorio con cui abbaiava gli ordini ai suoi sottoposti, lui compreso; ricordava il modo in cui gli grugniva infastidita quando le si sedeva accanto sul divano. Ricordava soprattutto la sua risata tagliente e a tratti diabolica.
-Purtroppo non ho tempo, ora.- riprese L, continuando a darle le spalle, seduto sulla sua poltrona. Non voleva voltarsi a guardarla; spesso nei suoi sogni K aveva l'aspetto spaventoso immortalato dalle foto trovate sul dossier sulla sua morte: portava una vestaglia bianca macchiata di rosso, il volto escoriato dalla caduta e ricoperto di grumi di sangue e cervello. -Devo sorvegliare Misa Amane e non posso dormire.- disse il giovane, agitandosi sulla sedia, per tentare di cadere, e svegliarsi così dal sogno.
Sentì sogghignare alle sue spalle, e poi il leggero rumore di passi sul pavimento, accompagnato da un fruscio di vesti.
    L sospirò, mentre la figura entrava nel suo campo visivo. K portava le vesti della notte in cui si era uccisa, ma non era ricoperta di sangue come nelle foto del suo cadavere. Gli passò di fianco, rivolgendogli uno sguardo tagliente e un sorriso beffardo, e poi si sedette sul tavolo di fronte ad L, dando un colpo ad un monitor con un gomito e spostando malamente il microfono e la tastiera del detective. Lui la guardò sprezzante. Aveva il volto perfettamente ovale e gli zigomi alti, le labbra carnose e grandi occhi, di cui quello sinistro leggermente strabico, com'era frequente tra gli albini. I suoi lineamenti erano delicati, quasi bambineschi, ma l'espressione del viso trasmetteva a L solo crudeltà e sadismo. Le ricordava molto la madre, ed era il principale motivo per cui la odiava. Ma al solo ripensare alla madre, la stanza intorno a lui si trasformò nel corridoio dell'appartamento di Boston, e il tavolo sul quale K era seduta divenne il davanzale della finestra dalla quale la madre si era buttata. Ed L si risvegliò di soprassalto.

    Le cose cambiarono, dopo quella notte. L e i poliziotti assistettero ad un evento inspiegabile. Misa, stremata, cominciò a parlare da sola, continuando a ripetere “Uccidimi... Uccidimi...”
Minacciò di suicidarsi, ma L ordinò tempestivamente a Watari di imbavagliarla perché non si mordesse la lingua per soffocarsi. Ad un certo punto, L vide una ciocca dei capelli di Misa muoversi, come animata da vita propria, e la ragazza, in lacrime, svenne. E al suo risveglio, tra lo stupore generale, pareva avere un'altra personalità. Ogni ricordo di Kira pareva cancellato. Ora era convinta che il suo carceriere fosse un maniaco, uno di quei vecchi frustrati che assillano le idol giapponesi. E, soprattutto, insisteva di continuo per essere liberata, mentre, come faceva notare Mogi, fin dall'arresto, durante il quale si era lasciata ammanettare e bendare quasi in modo rassegnato, e per tutta la prima parte della prigionia, sembrava fosse decisa a morire, piuttosto che parlare. Infine, L provò a chiederle se conoscesse il motivo per cui era stata portata in quella cella e legata.
-Il motivo?- chiese Misa, quasi stupita. -Perché sono una star!- rispose subito.
L rimase interdetto. Provò a farle di nuovo le domande a cui non aveva ricevuto risposta nei giorni precedenti, e questa volta Misa ammise candidamente che Light era il suo ragazzo.
    Proprio in quel momento, il cellulare di L squillò. Era Light. Gli diede l'indirizzo dell'appartamento buio dal quale stavano monitorando Misa in cella, e attese.
Dopo circa un'ora si aprirono le porte della stanza.
-Ryuzaki...- esordì il ragazzo, facendosi avanti. -Come ti ho già detto al telefono... Purtroppo... temo di essere io Kira.-
E mentre il sovrintendente gli si faceva incontro, scuotendolo per le spalle, chiedendogli cosa gli saltasse in mente, L si chiedeva come mai, visto che non c'erano prove, Light si fosse presentato lì confessando di essere Kira.
È tutta una farsa...” pensava. “Tu non potresti essere Kira... tu sei Kira...”

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Capitolo 9
*** Primo Epilogo ***




Primo Epilogo





    K si risvegliò in un letto, presumibilmente di ospedale, con una flebo attaccata al braccio, un collare, il gesso alla caviglia e la spalla sinistra bendata. Non aveva idea di quanto tempo avesse passato in coma, ma era abbastanza certa di essere al sicuro. Si voltò verso il comodino: la sveglia digitale segnava le 16:28 del 5 luglio. Si sentì sprofondare al pensiero di quanto tempo era rimasta incosciente. Oltre alla sveglia, c'era un'orchidea dai delicati color pastello, un bicchierino con di fianco delle pillole, una bottiglietta d'acqua e un telefono. Nient'altro. Si tastò il decolltée allarmata, col braccio destro, e tirò un sospiro di sollievo quando sentì sotto le dita i contorni regolari del rubino sul suo anello.
Si girò quindi a guardarsi intorno. La stanza era molto ampia, e c'era solo lei lì dentro. Oltre alle flebo, c'era un respiratore artificiale e altri macchinari che probabilmente l'avevano tenuta in coma per tutto quel tempo. Non sembrava però una stanza di ospedale, perché c'era troppo silenzio. Forse Watari l'aveva trasferita in qualche clinica speciale, per paura che tornassero ad ammazzarla. Si fece forza, e di mise a sedere. Era stata a letto per più di un mese, non credeva di avere la forza per alzarsi, ma ci provò lo stesso. Poi alzò la cornetta, e premette il pulsante rosso per richiamare l'ultimo numero: se Watari non le aveva lasciato il suo numero scritto, era probabile che fosse quello il modo per contattarlo.
Rispose dopo tre squilli.
-Banks! Ti sei svegliata!-
L'aveva chiamata Banks. Perciò doveva essere al quartier generale.
-Sì.- rispose lei, con voce roca. Si accorse solo in quel momento di avere la bocca incredibilmente secca. -Grazie, Watari.-
E riattaccò. Aprì la bottiglietta e la bevve tutta d'un sorso, poi cercò un tasto per chiamare un'infermiera o qualcuno, e chiedere che le portassero del cibo.
Si voltò verso l'ampia finestra alla sua destra. La skyline era quella di Tokyo, si vedeva molto bene perché l'edificio in cui si trovava doveva essere estremamente alto. Il suo letto era a debita distanza dalla finestra, probabilmente per far sì che la luce solare non potesse raggiungerla direttamente.
    Alla fine trovò il tasto, lo premette e rimase ad aspettare pazientemente nel suo letto. Davanti a lei c'era un televisore molto grande, ma non aveva voglia di rovistare nei cassetti alla ricerca di un telecomando, perciò tornò a guardare fuori dalla finestra.
Poco dopo, sulla soglia apparve un dottore sulla sessantina, coi capelli corti e una barbetta grigia molto curata.
-Dottor Roberts?- domandò, stupita. Era il medico che operava alla Wammy's House; quello che l'aveva curata quando L le aveva ustionato il volto, o quando si era aperta il braccio con una lametta rubata da una delle stanze dei professori uomini.
-Bentornata tra noi, K.- le disse lui, sorridendo anche con gli occhi azzurri e gentili. -Come ti senti?-
-Sono viva.- rispose semplicemente, e il suo volto si tese. Era viva. Ancora una volta. E ancora una volta sarebbe rimasta a contemplare il vuoto lasciato dalle persone che non ce l'avevano fatta. Solo che, questa volta, aveva la sensazione che il vuoto che si era creato avrebbe finito con l'inghiottirla.
-È un inizio.- commentò il dottore, avvicinandosi. -Immagino tu stia morendo di fame, ma sarebbe meglio se prima ti facessi un controllo veloce. Poi, se vuoi, possiamo dire a Watari di prenderti qualcosa mentre è per strada.-
I bambini della Wammy's House adoravano il dottor Roberts. A differenza dei professori e di tutto il resto del personale, lui non negava mai una parola gentile ai bambini che visitava: era pediatra per vocazione. Forse l'unica persona che avesse portato un po' di umanità in quel posto.
-Come avrai intuito...- riprese il dottore. -... non ci troviamo in un ospedale. Siamo nel quartier generale che ha fatto costruire L, il signor Wammy ti ha fatta trasferire qui subito dopo l'operazione, per evitare che ti prendessero, o che cominciassero a fare troppe domande. Poi mi ha chiamato, e sono corso qui col primo volo per il Giappone.-
Le staccò delicatamente la flebo e le preparò il braccio per prenderle la pressione.
-Avevi riportato diversi traumi. Nulla di grave, in realtà, ma sembrava non avessi le forze per riprenderti. La pallottola non ha intaccato nulla di vitale, solo il muscolo, perciò ti servirà della fisioterapia, non appena riuscirai a metterti in piedi.-
Pompò aria nel bracciale, si segnò la pressione sulla cartella, e poi le liberò il braccio.
-Abbiamo cercato di mantenere la tua muscolatura attiva tramite elettrostimolazione e massaggi. Dovresti riuscire a stare in piedi. Ah, e penso che potremmo toglierti il gesso.- aggiunse, indicando il piede della giovane. -Era una semplice microfrattura. Ora dovresti essere a posto.-
K tentò di schiarirsi la gola, mentre Roberts metteva via il misuratore di pressione e prendeva il fonendoscopio.
-C'è stato qualche altro ferito?-
-Fortunatamente no.- rispose il dottore, facendole segno di mettersi su un fianco. Le sentì il cuore, e poi riprese a parlare.
-Il signor Wammy li ha disarmati con l'M40.-
La fece poi voltare di nuovo verso di lui e cominciò a toglierle delicatamente il collare.
-E ti posso anticipare la prossima domanda, così non ti sforzi.- aggiunse, mettendo via il collare e cominciando a massaggiarle il collo.
-Burton sta bene, e anche il cugino di Hartford. Ma di loro ti parlerà Watari.-
Le fece muovere la testa, annuendo soddisfatto.
-Sembra che non ci sia più alcun trauma.-
Poi tirò fuori il cellulare.
-Allora, cosa vuoi mangiare?-

    -Sono felice di vedere che stai bene.- disse Watari, dalla soglia della stanza. -Ho messo a scaldare il tuo pranzo nel microonde. Mangerai tra poco.-
-Grazie...- mormorò K, soffiando sulla tazza di latte caldo con cioccolato che le aveva preparato il dottore. Si sentiva di nuovo bambina, come quando si era risvegliata dal coma e le avevano detto che suo padre era morto in quell'incidente. Anche allora erano stati tutti molto gentili e premurosi con lei.
-Sei rimasta incosciente per altri dieci giorni, dopo esserti risvegliata dal coma.- riprese Watari, aiutandola a tirarsi su con la schiena. -Ti ho portato in questo palazzo, che sarà presto il nuovo quartier generale di L. In questo modo pensavo saresti stata più al sicuro.-
K annuì. Aveva tante domande da fargli, ma aveva paura delle risposte. Soprattutto, le sembrava strano poter parlare con Watari in quel modo tranquillo, dopo che erano passati così tanti anni dal loro ultimo incontro, non così “pacifico”.
-L sa che sei qui.- parve leggerle nel pensiero il vecchio. -E no, non sa che sei tu. Ti ho fatta scortare all'ospedale perché eri un soggetto a rischio, sono venuto per dare disposizioni all'ospedale e per dare loro la tua cartella clinica, poi ho lasciato Mogi con te e sono tornato indietro, per far arrestare i due agenti e per far aprire le indagini su Hayer e sulla Hogson. Dopo che ti hanno operata ti ho fatta trasferire qui.-
K finì il latte e posò la tazza sul comodino. Le veniva da tossire, ma non voleva far saltare i punti alla spalla.
-Grazie per non aver detto nulla a L.- disse infine.
-Capisco la tua preoccupazione, ma dovrai affrontarlo, prima o poi.-
-Non ora che il caso Kira sembrava essere giunto ad una svolta.- ribatté, senza guardare il vecchio negli occhi. -Come procedono le indagini?-
-Giusto...- Watari fece una pausa. -Hanno arrestato Misa Amane con l'accusa di essere il secondo Kira. Light Yagami si è consegnato poco dopo dicendo che “potrebbe essere Kira”.-
-Sta mentendo.- lo interruppe K. -È lui Kira. Sta architettando un piano per scagionarsi assieme al secondo Kira.-
-È la stessa conclusione alla quale è giunto L.-
-Ovviamente.- Si voltò a guardare fuori dalla finestra. Il sole era ancora alto, doveva essere appena finita la stagione delle piogge. -Era mio allievo.-
    Watari sorrise.
-Da quando Light è andato in prigione, sono cessate le esecuzioni. Ma sono ricominciate quindici giorni dopo. L però non lo ha detto a lui e ad Amane, per vedere cosa sarebbe successo se avessero continuato a credere di poter essere i due Kira. Sembra anche che la loro personalità e i loro ricordi siano cambiati. -
K si voltò di nuovo verso Watari.
-L'ha ucciso lui. Ha ucciso lui Bjarne.- Strinse con forza la coperta del letto. -Lo so che ha semplicemente fatto da boia, ma non posso credere di non essere riuscita a fermarlo... È solo un ragazzo...- Si rabbuiò in volto.
-L non sa nemmeno che Kira ha ucciso Bjarne.- disse poi Watari. -L'arresto di Misa e la sparatoria hanno occupato l'attenzione di tutti perché qualcuno si potesse preoccupare di controllare le vittime. Ho fatto in modo di convincere L a lasciare che fosse qualcun altro ad occuparsi dei criminali uccisi, per un po', ma la notizia della morte di Bjarne non è più apparsa sui notiziari giapponesi. Poi Light si è fatto chiudere in cella, e da quel momento L non ha smesso un momento di sorvegliarlo.-
La guardò, grave. -Devo dirglielo?-
-No.- rispose K. -Glielo dirò io. Appena potrò lasciare questo letto andrò a dirgli tutto.-
    -Bene.- Watari iniziò a cercare nelle tasche interne della giacca. Estrasse un dischetto.
-Ora passiamo a queste. Sono riuscito a far scappare Burton entro 24 ore dal fatto. Successivamente, è stato difficile riuscire a far avvicinare qualcuno al caveau con le tue prove, ma fortunatamente Medina ha fatto entrare in vigore il testamento di Bjarne, perciò abbiamo recuperato le prove su dischetto, oltre alle copie che avevi con te. Siamo partiti da quelle.-
K lo guardava con attenzione, ma si sentiva stanca, quasi come se il suo spirito avesse gettato la spugna.
-Burton ha preso in mano le indagini, e Medina ha denunciato l'arresto di Bjarne come un tentativo di far fuori un testimone chiave. La Hogson ha tutti addosso in questo momento.-
-Ma le prove che ho raccolto da sole non bastano...- intervenne K, scoraggiata.
-Basteranno.- Watari sorrise. -Vedi, K, conobbi tuo padre durante una conferenza ad Oxford. Mi parve subito un uomo estremamente brillante. Ma capii anche che si era procurato dei nemici. Qualche mese più tardi, mi chiese se potessi accoglierti nel mio orfanotrofio, nel caso in cui a lui e a tua madre fosse successo qualcosa. Immagino tu questo lo sapessi già, non è così?-
-Sì, infatti...-
-Beh, quello che non sai è che tuo padre mi lasciò una copia dei suoi appunti, di tutte le prove che aveva raccolto, quando morì.-
K sgranò gli occhi.
-Mi disse che avrei potuto consegnartele, nel caso in cui tu avessi cercato di scoprire perché lo avevano ucciso, ma solo quando avessi compiuto venticinque anni.- Watari si sistemò gli occhiali sul naso. -Si raccomandava però, che io cercassi sempre di dissuaderti dal cercare la verità, per la tua sicurezza. Ma quando sei sparita avevi ancora ventun anni. Per questo ho deciso di usare quegli appunti e avviare un'indagine, non appena ho ricevuto la tua chiamata. Era qualcosa che avrei voluto fare molto prima, in realtà, se non altro per rispetto del sacrificio di tuo padre... ma sono cambiate molte cose da quando hai lasciato... ti ho cacciata dalla Wammy's House, e non ho voluto mettere in pericolo altri studenti.-
K provò l'impulso di abbracciare Watari, ma muoversi le faceva male. Così gli rivolse un timido sorriso.
-Al momento, Burton sta lavorando affiancato da Q e...J.-
Watari si interruppe, preparato alla reazione di disgusto di K nel sentire nominare J.
-Hanno già smosso le acque. Hanno preferito mettere subito le carte in tavola per evitare che la Hogson avesse il tempo per disfarsi di prove e testimoni. Ma in questo modo è possibile che ci vogliano mesi prima di arrivare al primo processo. E la tua testimonianza sarà fondamentale, per far sì che finiscano tutti in galera.-
-È uscita qualche notizia ai telegiornali giapponesi?- domandò K, seria.
-Nessuna, per ora.- le rispose Watari. -Hai paura che se trapelasse qualcosa, Kira potrebbe uccidere i responsabili?-
-Mi auguro che non accada.- disse la giovane, con gli occhi che stavano virando verso il rosso. -Devono continuare a vivere, per vivere una vita di inferno.-
    Watari evitò il suo sguardo, perché c'era una nota di pietà nei suoi occhi, e sapeva che lei odiava essere compatita. Perciò si alzò, e posò una lettera sul tavolino di fianco al letto.
-Questa è da parte dei genitori di Bjarne.- le disse. -Avrei voluto aspettare ancora un po' a dartela, ma penso sia meglio che tu la legga subito. Anche quei fiori lì sono da parte loro.- e indicò il vaso sul comodino. -Sono davvero dispiaciuto per la sua morte, K. Chiunque l'abbia conosciuto lo è.-
Passarono diverse ore prima che K avesse il coraggio di aprire la busta.

Cara Kendra,

    Ti scriviamo questa lettera per farti sapere che siamo vicini anche a te nel dolore della perdita di Bjarne. Chris ci ha detto quanto impegno ci hai messo per cercare di salvarlo, e il signor Wammy ci ha chiamato il giorno dopo per dirci che non saresti potuta venire al suo funerale. Ci ha spiegato a quali pericoli sei andata incontro per cercare di dargli giustizia, e quali e quanti pericoli probabilmente dovrai ancora affrontare. È per questo che ti siamo grati per tutto. Bjarne ha sempre voluto proteggerti e ti ha sempre voluto bene, e sarebbe un torto alla sua memoria se ora scaricassimo la colpa della sua morte su di te. Hai dovuto sopportare sofferenze terribili, e la morte del nostro Bjarne è solo l'ultima tra queste.
    Ci auguriamo che tu possa riprenderti presto dalle tue ferite e dal tuo dolore. Sappi che la nostra casa sarà sempre aperta per te. Bjarne avrebbe tanto voluto che tu entrassi a far parte della nostra famiglia, e come lui anche noi l'abbiamo sempre sperato.
Abbi cura di te.
Tua,

Anne”

    K rimise delicatamente la lettera nella busta, ripensando all'ultima volta che aveva visto Bjarne.
Si trovavano in una stanza d'albergo a New York, prima che lei partisse nuovamente per il Giappone. Lei stava infilando malamente i suoi vestiti nel valigione, in mutande e con la sua solita maglietta nera slargata, con la bandiera dell'Inghilterra scolorita.
-Hai per caso visto la mia camicia da boscaiolo?- aveva chiesto a voce alta.
Bjarne era entrato nella camera da letto col giornale sotto braccio e un vassoio con la colazione.
-Com'è possibile che tu abbia già seminato tutta la tua roba in giro, se sei arrivata ieri sera?-
-Prima di andare a letto mi è presa la paranoia di non aver abbastanza proiettili.- aveva risposto lei, avvicinandosi a lui, afferrando uno dei bagel e dandoci un bel morso.
-Ti fanno viaggiare con le armi?- aveva chiesto stupito Bjarne, appoggiando il vassoio su un tavolino e sedendosi per mangiare. Aveva la carnagione abbronzata e il fisico atletico da surfista. Era alto, aveva poco più di trent'anni e portava i capelli biondo platino lunghi fino al collo, e teneva una barbetta chiara e ben curata per sembrare più vecchio di quanto i suoi lineamenti gentili lasciassero intendere. I suoi occhi marroni erano a mandorla e avevano sempre un'espressione dolce, e si illuminavano ad ogni suo sorriso.
Kendra lo guardava, mentre mangiava il suo bagel, raccogliendo le briciole che vi cadevano in un tovagliolo di carta, e si era sentita improvvisamente serena, nonostante il gran turbamento che aveva dentro da quando Hayer l'aveva ricontattata.
-Scusami, ero rimasta incantata dalle tue fattezze da statua greca.- aveva riso, ad un certo punto, e lui aveva riso con lei.
-Comunque... per rispondere alla tua domanda...- aveva ripreso poi, in tono più serio. -Risulto essere un agente governativo, per questo mi lasciano portare le armi.-
Lui aveva annuito, versandosi della spremuta d'arancia.
    -Farai attenzione, non è vero?- le aveva chiesto ad un tratto, serio.
-Come sempre.-
Avevano continuato a mangiare in silenzio, ascoltando il rumore del traffico mattutino di New York, quando, ad un certo punto, K aveva ripreso: -Sono preoccupata per te. Ho paura di aver fatto un grave errore nell'accettare questo caso.-
Bjarne si era alzato ed era andato a sederlesi accanto, sul letto.
-Smetti di preoccuparti per me.- l'aveva rassicurata, cingendole le spalle con un braccio. Entrambi temevano che in quella stanza Hayer avesse fatto piazzare, come di consueto, delle cimici, per cui dovevano essere cauti nel parlarsi.
-Penso che sia giusto che tu vada in Giappone ad aiutare L.- aveva continuato, baciandola delicatamente sulla fronte.
-Ho paura che ti possa succedere qualcosa di brutto...- aveva insistito lei, abbassando lo sguardo. -E se dovesse succederti qualcosa non potrei mai perdonarmelo.-
Bjarne aveva sospirato e l'aveva presa per le spalle, costringendola a guardarlo negli occhi.
-Io non ho paura.- aveva detto, semplicemente. -E non ho paura perché ho sempre cercato di vivere la mia vita appieno, al massimo delle mie possibilità. Ho sempre coltivato le mie passioni, ho portato avanti le mie battaglie, ho cercato di realizzarmi...-
Le aveva accarezzato dolcemente una guancia. -Mi sono occupato delle persone a me care...-
Lei aveva accennato un sorriso triste.
-Per questo non ho paura di morire...- aveva sussurrato lui, prendendole il viso tra le mani.
    -Probabilmente tu non riesci a capirlo, perché non hai mai vissuto una vita tua. Pensaci. Il tuo destino è stato segnato da quando tuo padre è stato ucciso per le sue indagini. Hai sempre vissuto la vita di qualcun altro, una vita che ti è stata imposta da altri o che ti sei imposta tu, ma che non è mai stata tua. Sei stata addestrata fin dalla tenera età per diventare un detective, hai preso sulle tue spalle il destino di tuo padre, ma hai mai davvero avuto una scelta?-
L'aveva stretta forte contro il proprio petto, continuando a sussurrarle all'orecchio.
-Quando ti ho conosciuta, eri già una detective. E non eri nemmeno adolescente. Ma non credo che, se avessi potuto scegliere, avresti percorso questa via in questo modo. E per questo ho cominciato a riflettere. E dopo aver visto che eri costretta a vivere una vita a metà, e dopo aver scoperto di essere malato, ho deciso che avrei vissuto pienamente la mia vita, come se ogni giorno fosse l'ultimo.-
Si era staccato da lei per guardarla di nuovo negli occhi. -E speravo che avrei portato anche te su questa strada. Per questo continuo a ripetertelo. Devi trovare il coraggio di prendere in mano la tua vita e vivere secondo il tuo volere, non secondo ciò che gli altri hanno scelto per te.-
    K aveva annuito, aveva preso le sue mani tra le proprie e aveva tirato un lungo sospiro.
-Non mi basterebbero tre vite per ricambiare tutto quello che hai fatto per me in questi anni.- aveva detto, tirando su le gambe che ciondolavano dal letto, piegando le ginocchia e mettendosi a sedere sui talloni.
-Potresti cominciare smettendola di preoccuparti per me.- aveva ribattuto lui, con un sorriso.
-E ora muoviamoci, Regina delle Nevi, il tuo cocchio ti aspetta.-
Lei aveva riso, e si era lasciata cadere di schiena sul letto.
-Come vuoi, Silver Surfer.-

    Lo avrebbe ricordato così, con la tavola da surf sulle spalle, col suo sorriso smagliante, coi capelli scompigliati dal vento. O mentre rimetteva a posto i libri sugli scaffali e progettava viaggi in posti meravigliosi. O mentre le metteva una coperta addosso e le offriva biscotti appena sfornati. Oppure quando si erano incontrati, in un giorno di pioggia, e lui si era avvicinato con l'ombrello bianco, aveva messo al riparo lei e un L ancora bambino e aveva detto: -Ehi, Fratellini Prodigio! Non risolverete molti altri casi, se vi beccate una tubercolosi.-
Li aveva scortati al riparo, aveva scrollato via l'acqua dall'ombrello e poi aveva allungato la mano verso K, dicendo: -Sono Bjarne Hartford. Ho sentito molto parlare di te, ed ero curioso di conoscerti.-


Note

    A chi fosse interessato alla continuazione della storia volevo comunicare che capitoli della seconda parte, relativa all'arco narrativo della Yotsuba, non usciranno con regolarità. Questo perché sto ancora scrivendo la terza stesura, e sono arrivata appena al capitolo XI. Ho molti dubbi relativi a cosa dovrei o meno aggiungere ai capitoli che seguiranno, in quanto in questa terza stesura sto aggiungendo episodi che fanno luce sul passato di tutti i personaggi, che fanno riferimento o riprendono fatti successi in una specie di prequel di questa fanfiction (che chiamerò per comodità Before November 8th). Non so quanto spazio lasciare al sentimentalismo e al ricordo, né quali o quanti flashback o riflessioni inserire per aiutare il lettore a crearsi una propria idea sui vari personaggi.
    Ringrazio tutti colori che hanno letto fino a qui, spero la mia storia vi stia piacendo!

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Capitolo 10
*** Prologo Parte 2 ***





Parte II

Capitolo VIII



    Era passato un mese da quando le esecuzioni dei criminali erano ricominciate, ma L non sembrava minimamente intenzionato a rilasciare Light e Misa. Anche il sovrintendente Yagami si era fatto mettere in carcere, dal momento che temeva di cadere preda della pazzia per l'arresto del figlio. I tre prigionieri mangiavano a malapena, dormivano male e sembravano sul punto di crollare. Ma L non stava molto meglio. Non dormiva, se non quelle volte in cui crollava di fronte ai monitor della sorveglianza. Non usciva, rimaneva sempre rannicchiato sulla poltrona per captare un qualunque cambiamento, un minimo indizio. Dopo i primi giorni, Misa aveva cambiato personalità. Pareva ovvio che in quel momento non sapesse nulla riguardo a Kira. A quel punto Light si era fatto arrestare, e dopo circa una settimana anche lui era cambiato di colpo. Era possibile che fossero stati come “posseduti” fino a quel momento, e che l'entità in grado di uccidere a distanza conoscendo solo i nomi e i volti delle vittime avesse cercato altri umani per portare a termine i suoi scopi? Pareva l'unica spiegazione plausibile. Avrebbe spiegato perché gli omicidi si erano fermati ed erano poi ricominciati. Ma L non credeva che Light e Misa fossero delle vittime. Perché mai una qualunque entità avrebbe dovuto decidere di giustiziare tutti i criminali in quel particolare momento storico? Perché partire dal Giappone? No, il modus operandi, gli obiettivi e l'ideologia di Kira potevano derivare soltanto da una personalità quale era quella di Light Yagami. Light Yagami aveva creato Kira, non era stato Kira ad usarlo come tramite. Le conoscenze di Banks nel campo esoterico si sarebbero rivelate utili, se solo non si fosse beccata una pallottola addosso e non fosse finita in coma per settimane.
    Tuttavia, alla vista delle esecuzioni che si susseguivano, gli altri agenti non smettevano di fare pressioni ad L perché liberasse i prigionieri, e che dicesse loro che le esecuzioni erano ricominciate. Già, perché L aveva taciuto su questo fatto, per verificare se i due indiziati stessero o meno mentendo. Nonostante lo accusassero di continuo di essere un maledetto sadico, L non demordeva. Era convinto che liberare Light e Misa avrebbe favorito il loro piano. E non era solo quello: più passava il tempo, più diventava evidente che nessuno dei due potesse essere l'attuale responsabile per le morti dei criminali; ed era una cosa che lo mandava in bestia. Aveva avuto i due Kira sotto custodia, ma ora... non erano più i due Kira. Non poteva accettarlo, non poteva sopportarlo. Brancolava nel buio più totale, non capiva come tutto ciò fosse possibile. E questo lo rendeva ancora più crudele di quanto non fosse normalmente.
Watari lo aveva lasciato pochi minuti prima: aveva ricevuto una chiamata dal nuovo quartier generale. Banks si era risvegliata. Peccato fosse in condizioni probabilmente troppo pietose per poter essere realmente di aiuto. L avrebbe preferito mille volte non vedere più la sua faccia, quella vera o quella finta che fosse, dopo quello che avevano rischiato al quartier generale, ma temeva che, in quel momento, fosse l'unica tra i suoi collaboratori che potesse avere una qualche speranza di aiutarlo, anziché giudicarlo.

    Burton fu accolto all'entrata del nuovo quartier generale dal signor Wammy in persona. Non c'erano stati intoppi durante il viaggio dall'Inghilterra, e la lunga corsa in taxi fatta per depistare qualunque inseguitore gli era parsa superflua. La Hogson ormai aveva smesso di seguirlo, da quando lui e Medina avevano rese pubbliche le prime prove raccolte, relative soprattutto al caso del povero Bjarne. Burton non aveva una famiglia che potessero prendere in ostaggio: era figlio unico, i sui genitori erano morti molto tempo prima, e non si era mai sposato, non sia mai. Era sposato al suo lavoro e alla sua carriera, non avrebbe mai potuto conciliare l'essere un poliziotto ad una famiglia. Era questo il motivo per cui aveva adottato Kendra: per quanto fosse da tutti ritenuto molto in gamba, Burton si rendeva conto che avrebbe tanto desiderato avere quella marcia in più, che gli avrebbe permesso di fare carriera. Aveva trovato “quel qualcosa in più” quando lavorava ancora al dipartimento di polizia di Boston, ed era sergente; al commissariato si era presentato un detective inglese, proveniente dalla Wammy's House: sebbene dai modi un po' burberi e dalla scarsa capacità di collaborare, legate soprattutto alla sua estrema competitività, era di un'intelligenza e di un'acutezza mentale fuori dal comune. Burton ne era rimasto incantato, e da quel momento aveva cercato disperatamente di mettersi in contatto con la Wammy's House, per poter vedere come venivano addestrati i giovani detective. Ma era andato incontro ad una cocente delusione: non vi era modo di parlare col loro direttore, né tantomeno di farsi ricevere. L'accademia era protetta dalla più assoluta discrezione, e tutti i loro studenti ne custodivano gelosamente i segreti.
Finché, un giorno, al commissariato era giunta una chiamata del direttore stesso della Wammy's House, il signor Quillish Wammy. Diceva che una loro studentessa avrebbe voluto affiancarli nelle indagini per imparare il mestiere sul campo. Spiegò che aveva ricevuto opinioni positive sul sergente Burton, e che avrebbe voluto approfittare del suo interesse verso gli studenti della Wammy's House per cominciare una collaborazione che avrebbe giovato ad entrambi, la propria studentessa e la sua curiosità.
-Non vedo perché no.- aveva detto il superiore di Burton, il capitano Lee. -Ma mi chiedo quante ore vorrà dedicare all'apprendistato, e soprattutto se possiede o meno una formazione come agente di polizia.-
-Non si tratterà più che di qualche ora a settimana.- aveva risposto Wammy. -Dovrà comunque frequentare per un anno una scuola preparativa per entrare ad Harvard, dove vorrebbe studiare Legge.-
-Non ha ancora nemmeno frequentato l'università?!- aveva domandato il capitano, alzando un po' troppo la voce. -Come pretende che prendiamo con noi una ragazzina appena maggiorenne senza istruzione e senza addestramento?-
-In realtà...- aveva ripreso Wammy, con tono divertito. -Ha quattordici anni. Sarebbe potuta entrare ad Harvard già quest'anno, ma ha insistito per fare prima una scuola preparatoria e vedere come lavora la polizia. Non si preoccupi, per quando sarà maggiorenne è probabile che abbia anche preso il master, e a quel punto potrà entrare direttamente in accademia di polizia.-
Aveva fatto una pausa, ma nell'ufficio del capitano erano rimasti tutti sbigottiti e nessuno osava proferire parola.
-È possibile che tra cinque anni avrà tutte le carte in regola per essere lei a comandare voi. Perciò la mia domanda è questa: ve la sentite di accettare la sfida?-
    Burton aveva riso sonoramente, spezzando il pesante silenzio che era caduto in ufficio.
-Per quanto brillante possa essere questa ragazzina, se non è maggiorenne non potrebbe nemmeno entrarci, qui.- aveva detto, avvicinandosi al telefono, in vivavoce.
-E immagino che sarebbe anche un bel problema per lei venire a vivere qui a Boston, frequentare un liceo, frequentare un'università, essendo minorenne e senza un tutore, giusto?-
-Avrà un tutore.- aveva risposto Wammy. -Ovviamente.-
-E invece credo che sarebbe più che altro nominale.- aveva ribattuto il sergente. -Ho come l'impressione che i vostri studenti a quattordici anni siano già degli adulti fatti e finiti. Non voglio di certo mettere nei guai questo distretto soltanto per il mio desiderio di far carriera, costringendoli a prendersi la responsabilità di badare ad una bambina. Perciò...-
E aveva sorriso, con fare sicuro.
-Pensa che se la adottassi, questo sistemerebbe le cose?-
Tutti i colleghi lo avevano guardato esterrefatti. Burton aveva appena trentadue anni, ed era già diventato sergente grazie al suo brillante intuito e alla sua totale dedizione al lavoro. Per quanto fosse un uomo affascinante e carismatico, aveva anche smesso con le relazioni occasionali, perché, a suo dire, gli portavano via troppo tempo. E ora, pur di poter finalmente mettere le mani sui segreti dell'addestramento dei detective della Wammy's House, si era detto disposto ad adottare un'adolescente, senza nemmeno pensarci su un momento. Burton sapeva che era quello a cui stavano pensando tutti in quel momento, ma non se ne preoccupava. Quella per lui sarebbe stata una sfida, e lui adorava le sfide. Immaginava anche che la ragazzina in questione sarebbe stata totalmente indipendente, e che non avrebbe seriamente dovuto farle da padre, se non nominalmente.
    E così era stato. Kendra, che aveva così preso il suo cognome, era una persona difficile da trattare: appariva sfrontata, sarcastica, indipendente e sicura di sé, e fin da quando era andata a prenderla alla Wammy's House aveva stabilito la propria indipendenza: avrebbe vissuto il collegio, per frequentare la scuola preparatoria ad Harvard, e sarebbe tornata solo i finesettimana e di tanto in tanto qualche sera a settimana, per lavorare con lui. Non si sarebbe mai rivolta a lui chiamandolo “padre”, non avrebbero festeggiato alcun avvenimento insieme, se non fosse stato assolutamente necessario per salvare le apparenze, lui non avrebbe dovuto intromettersi nella sua vita in alcun modo. E avrebbe dovuto permetterle di andare una volta al mese in California, per vedere un suo caro amico, Bjarne Hartford.
In cambio, Burton le aveva chiesto di non rappresentare per lui una seccatura: non rimanere incinta, non farsi arrestare, non pestare nessuno, se voleva bere o fumare, che lo facesse senza farsi beccare, come tutti. La sua condotta doveva essere esemplare, dal momento che rappresentava lo strumento più importante per il suo avanzamento di carriera, per cui non avrebbe mai dovuto gettare cattiva luce su di lui.
Entrambe le parti avevano accettato l'accordo, e da quel momento, e per gli anni successivi, il loro rapporto era stato esclusivamente lavorativo. Kendra tornava a casa di Burton tre o quattro volte a settimana, per esaminare i suoi casi e per dargli qualche dritta su come affrontarli, su come ragionare, su come agire. Burton si era reso presto conto che quei ragazzini dovevano essere stati pesantemente indottrinati, ed era arrivato alla conclusione che fossero tutti orfani, e che Kendra non rappresentasse un caso speciale. Non poteva esserci altra spiegazione: quei bambini dovevano essere stati selezionati dai vari orfanotrofi, sempre di proprietà di Wammy, non appena avevano mostrato di avere un'intelligenza superiore alla media. Rinchiusi in quell'accademia, era possibile che dedicassero tutto il loro tempo all'apprendimento e all'addestramento, poiché Kendra aveva dimostrato di avere molta esperienza nel risolvere casi. Perciò lei non doveva essere l'unica bambina prodigio: probabilmente erano tutti come lei, estremamente precoci, ed estremamente problematici.
    Non le aveva voluto fare domande sulle sue cicatrici: in realtà, non le aveva mai viste. Dal primo momento in cui Kendra era entrata in casa sua, era sempre stata truccata, aveva sempre portato la parrucca e le lenti. Si era quindi stupito, quando un venerdì sera, dopo un anno e mezzo, tornando a casa, aveva visto le luci accese, era salito nella camera destinata a lei, e l'aveva vista studiare alla scrivania, bianchissima, con un caschetto disordinato di capelli candidi che le arrivavano alla nuca. Aveva addosso una canottiera, perciò aveva visto per la prima volta la cicatrice sulla sua spalla.
-Ciao Roger.- aveva detto. -Scusami se sono tornata senza preavviso.-
In tutto ciò, non si era voltata. Burton aveva guardato verso la finestra, e aveva visto il suo viso riflesso. Sapeva che aveva un'ustione sul volto, ma non credeva che fosse così evidente.
-Se vuoi posso voltarmi.- aveva detto la ragazzina. -Però non ti devi spaventare.-
-Non devi farlo, se non vuoi.- aveva risposto Burton, tranquillo. -Dimmi solo: è successo qualcosa all'università?-
-Nulla che possa mettere in pericolo la tua posizione.- aveva detto lei, voltandosi lentamente sulla sedia girevole.
-Non riuscivo a studiare, tutto qui. Speravo di poter trovare un po' più di tranquillità, qui.-
Burton l'aveva guardata, e per la prima volta aveva notato una sconfinata tristezza nel suo sguardo. La ragazzina che rideva sempre di tutto e di tutti, che si mostrava superiore, egocentrica, distaccata, in quel momento era fragile, e così stanca da non nasconderlo.
-Allora ti lascio studiare.- aveva detto lui, dirigendosi alla porta. Si era poi bloccato con la mano sul pomolo, e aveva aggiunto:
-Se finisci presto di studiare, potresti andare qualche giorno da Bjarne, no?-
Lei aveva accennato ad un sorriso stanco, e poi si era alzata.
-Sto bene, Roger.- aveva detto, aprendogli la porta. -Domani dobbiamo lavorare al tuo caso. Vai pure a riposarti, io mi ero preparata la cena, puoi riscaldartene un po', se vuoi.-
Da quella sera, Burton aveva cominciato a fare qualche domanda in giro, per sapere di più su di lei. Era venuto fuori che soffriva spesso di crisi isteriche e attacchi di panico, e perciò nessuna ragazza voleva stare in stanza con lei. Aveva iniziato a sospettare che fosse autolesionista, ma non trovò nulla né in casa, né nella sua stanza al college. Forse nascondeva bene la cosa per evitare dei guai anche a lui. Sapeva che non aveva altri amici al di fuori di quel Bjarne, e di un bambino della Wammy, il suo fratellino. Che le aveva regalato quell'ustione in faccia. Sapeva che suo padre era morto in un incidente d'auto in circostanza misteriose, assieme allo zio, e che la madre, sopravvissuta all'incidente, era stata trovata senza vita poco tempo dopo. Kendra si trovava su quell'auto. Un pezzo di lamiera le si era conficcato nella spalla, e si era risvegliata dal coma quattro mesi dopo, scoprendo che i suoi genitori erano morti.
Sindrome del sopravvissuto.
Autolesionismo.
Sarebbe stata una situazione difficile per chiunque, anche se non fosse cresciuta in un'accademia disumana come la Wammy's House.
    Aveva deciso di cominciare ad indagare sul mistero della morte dei suoi genitori, ma le indagini non lo avevano portato molto lontano. Finché pochi anni dopo, lei non lo aveva coinvolto in quella storia, ormai disperata, poco dopo aver scoperto di essere malata, come Bjarne, e di non avere grandi prospettive di vita.
A quel tempo, Kendra era diventata, almeno nei suoi pensieri, sua figlia a tutti gli effetti. La carriera rimaneva per lui la cosa più importante, ma non era più l'unico scopo. Aveva scoperto che dava molta più motivazione l'andare avanti per il bene di un'altra persona, e non solo per il proprio. Se sei spinto solo dal tuo interesse, è più facile che tu possa rallentare, o lasciare perdere, ma se lo fai per qualcun altro, sai che non devi cedere: hai nelle tue mani la responsabilità di un'altra persona, perciò non ti puoi concedere tregua.
Era per questo motivo che Burton si trovava in Giappone, e aveva mollato momentaneamente il dipartimento di polizia di Chicago, dove lo avevano trasferito dopo la sua promozione, per sbattere in galera coloro che avevano rovinato la vita alla sua pupilla. Anche perché, quella promozione la doveva a lei. E, non ultimo, se fosse riuscito ad uscire vivo da quel caso, la sua carriera ne avrebbe sicuramente tratto enorme vantaggio.
    -Kendra.- disse semplicemente, giunto sulla porta della stanza adibita a centro fisioterapico, dove la ragazza faceva esercizi per la spalla sinistra. Lei alzò lo sguardo, e accennò ad un mezzo sorriso.
-Grazie di essere venuto, Roger.- disse, posando a terra il peso e alzandosi in piedi. Gli andò incontro e gli porse la mano destra. Roger la guardò, poi alzò lo sguardo e l'abbracciò di scatto, facendo attenzione a non farle male alla spalla.
-Non sai quanto sono felice di vedere che sei viva, e che sei libera!- cominciò, con voce rotta dall'emozione. -E non sai quanto mi abbia addolorato la morte di Bjarne. Avrei voluto poter fare di più, per tutti voi.-
Incredibilmente, Kendra ricambiò timidamente l'abbraccio, cingendogli la schiena col braccio destro, e abbandonando il volto sulla sua spalla. Però si scostò subito.
-Hai rischiato molto per noi, Roger.- gli disse, con voce ferma. -Non hai nulla di cui rimproverarti. Anzi, stai facendo un lavoro eccezionale, assieme a Medina. Se Hayer finirà in galera, sarà solo per merito vostro.-
-Non avremmo potuto dimostrare nulla senza le prove da te raccolte.- disse Burton, abbassando gli occhi azzurrissimi verso terra. -Ma purtroppo, senza di te non possiamo chiudere il caso.-
-Per questo sei qui, no?- disse lei, sorridendo in modo innocente.
Lui le rivolse un'occhiataccia. -Sono qui perché volevo vedere come stavi. Sarei venuto molto prima, ma Wammy ha voluto che aspettassi almeno che uscissi dal coma. E certo.- aggiunse, alzando la propria valigetta. -Ho bisogno di una tua deposizione. Ma non basterà, sarà necessario che tu ti presenti in tribunale.-
-Voglio partecipare alle indagini.- protestò lei. -Sto dietro a questo caso da anni, non me ne starò qui con le mani in mano.-
-Non chiuderemo il caso senza di te, non ti devi preoccupare di questo.- disse risoluto Burton, invitandola a sedersi. -Ma siamo tutti d'accordo col pensare che tu al momento sia più al sicuro qui. Puoi darci istruzioni da qui, su come muoverci per le indagini, ma la priorità è che tu resti al sicuro. Non potremmo smantellare l'intera organizzazione se ti succedesse qualcosa, perciò per il momento ti chiedo di non lasciare questo edificio.-
Kendra si sedette, col volto leggermente rabbuiato.
-E va bene.- sospirò infine. -Anche perché non vorrei nemmeno abbandonare il caso Kira. Vorrei poter lavorare ad entrambi, anche se sbattere in galera Hayer è la mia priorità.-
-Per questo siamo tutti qui ad aiutarti.- disse Burton, aprendo la valigetta.
-Possiamo discutere prima dei dettagli, se vuoi, sennò possiamo passare subito alla tua deposizione. Almeno starai un po' più tranquilla. E poi io ordinerei qualcosa da mangiare. Sto morendo di fame.-

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Capitolo 11
*** Capitolo 8 - "Mio Dio, L, cosa sei diventato?" ***





Capitolo VIII

    26 luglio.
La luce del mattino entrava dalla finestra, illuminando la poltrona dove L stava rannicchiato, ad osservare i monitor con le riprese in diretta dalle celle di Light, del sovrintendente Yagami e di Amane.
-Tutto bene, signor Yagami?- domandò al sovrintendente, che stava seduto curvo sulla sua sedia, coi capelli striati di bianco che gli ricadevano lunghi sul volto. -Lo sa che non ha motivo di restare lì.-
-È già passato più di un mese da quando Kira ha ripreso ad uccidere.- rispose Yagami, con voce carica di risentimento. -Ormai, io sono assolutamente sicuro del fatto che mio figlio non sia Kira. Ora devi solo convincertene tu, Ryuzaki.-
Il detective stava seduto davanti allo schermo, rannicchiato con le mani appoggiate alle ginocchia.
-Sono fermamente deciso ad uscire da qui soltanto insieme a mio figlio.- continuò Yagami.
-Certo che anche il sovrintendente è testardo.- commentò a bassa voce Matsuda, rivolto ad Aizawa.
L cambiò microfono, e ingrandì la ripresa della cella di Light.
-Light, come stai? Va tutto bene?-
Il ragazzo era sdraiato a terra, con mani e piedi legati. Sembrava dormisse. Tuttavia, alzò leggermente la testa, con la frangia che gli copriva il viso fino al naso, e si rivolse alla telecamera.
-Sì, va tutto bene.- rispose con voce flebile. -Ascolta, Ryuzaki, da quando sono stato rinchiuso non è morto nemmeno un criminale, quindi... ne deduco che Kira è perfettamente a conoscenza di ciò che sta accendo qui, il che...-
-No.- lo interruppe bruscamente L, con un evidente nervosismo che traspariva dalla sua voce.
-Mi porta a pensare...- tentò di continuare Light.
-Se non è stato ucciso ancora alcun criminale è perché tu sei Kira.- lo interruppe di nuovo L, che stava quasi gridando dalla rabbia e dalla frustrazione.
-Ti sbagli, io non sono Kira!- protestò Light, con voce disperata. -Quante volte te lo devo ripetere questo?!-
L rimase per un attimo in silenzio a guardare il ragazzo accasciato a terra nello schermo. “Se lui fosse Kira” pensò. “...dovrebbe saperlo che gli omicidi sono ricominciati, eppure non si direbbe proprio.”
Aizawa, in piedi alle sue spalle a braccia incrociate, cominciò a commentare rivolto a Matsuda, irritato:
-Ryuzaki è così crudele, quando tempo aspetterà ancora per dire a Light che i criminali hanno ricominciato a morire in massa?-
    L fece finta di non sentirlo, cambiò inquadratura, cambiò microfono e attivò la distorsione della voce:
-Amane.-
-Sì?- rispose la flebile voce di Misa. Aveva addosso una camicia di forza, aveva gli occhi bendati, ed era legata ad un pannello di metallo con le luci dei fari puntate addosso. La ragazza era piegata in avanti, l'unica posizione in cui riuscisse a dormire.
-Non ti vedo molto in forma.- commentò L -Tutto bene?-
-Ma sei scemo?- rispose Misa, senza nemmeno muoversi. -Come posso stare bene se mi tieni rinchiusa qui dentro da decine di giorni?-
-Sì... non hai tutti i torti.-
-Sbrigati a liberarmi.- riprese la ragazza. -Voglio vedere Light!-
E poi continuò a ripetere il suo nome, con la voce sempre più rotta dal pianto: -Light... Light! … Light!-
Matsuda non riuscì più a trattenersi.
-Accidenti, sembra proprio che tutti e tre abbiano raggiunto il limite.-
Aizawa, ripartì alla carica, con tono d'accusa.
-Ryuzaki, ma perché vuoi continuare a tenere prigioniero Light? Non ti sembra ora di liberarlo, così anche il sovrintendente potrà uscire?-
L chiuse il microfono e ritornò alla visualizzazione delle tre celle in contemporanea. Allungò un dito verso la coppa di gelato vuota, fece la scarpetta sul bordo e si ciucciò il dito.
-Al momento nessuno dei due ha accesso ai notiziari, eppure i criminali stanno morendo lo stesso.- continuava intanto Aizawa. -Non è abbastanza come prova della loro innocenza?-
-Per niente.- rispose il detective, con tono seccato. -L'unica cosa che ho capito è che Amane prova un amore smisurato nei confronti di Light Yagami.-
-Scusa, Ryuzaki, ma non posso fare a meno di pensare che tu stia facendo tutto questo soltanto perché non vuoi ammettere di esserti sbagliato sul conto di Light.- riprese Aizawa, in tono sempre più concitato.
-Allora è così che la pensa?- domandò L, impassibile, senza alzare gli occhi dal monitor.
Aizawa perse definitivamente il controllo.
-Come ha detto Light, se Kira potesse uccidere anche mentre è sotto sorveglianza, e senza poter accedere ad alcuna informazione, allora perché avrebbe dovuto uccidere Lind L. Taylor e gli agenti dell'FBI? Anche se avessero indagato sul suo conto, non avrebbero potuto incastrarlo, no? Non hai ammesso tu stesso che Kira non uccide senza un preciso motivo?-
-Già, questo è vero.- concordò Matsuda. -Se Light potesse uccidere in quelle condizioni, allora non avrebbe avuto motivo di far fuori gli agenti dell'FBI, no?-
L prese un altro po' di panna mista a gelato rimasta nella sua coppa con un dito e se lo leccò, in silenzio.
-Ormai sono passati cinquanta giorni, non ha alcun senso continuare così. Piuttosto, sarebbe ora di pensare a catturare il vero Kira.- gli lanciò la frecciatina Aizawa.
L continuava a guardare Light accasciato a terra dallo schermo, mentre ascoltava l'agente.
Alla fine, abbassò lo sguardo verso la sua coppa di gelato vuota, allungò un dito per fare di nuovo la scarpetta, ma all'ultimo momento lo ritrasse.
-E va bene.- si arrese. -Vediamo un po'.-
-Signor Yagami.- lo richiamò dal microfono che teneva sul tavolino da tè di fronte alla sua poltrona.
-Che c'è?- rispose il sovrintendente in tono stanco e seccato.
-Potrebbe tornare al quartier generale? Le devo assolutamente parlare a quattr'occhi. Voglio che ascolti le mie conclusioni sul caso, visto che lei è il padre di Light.-
Vi fu un attimo di silenzio, poi Yagami rispose.
-D'accordo, verrò.-

    L si alzò dalla poltrona e tentò di tendere il corpo anchilosato. Fece allontanare Matsuda e Aizawa e poi chiamò Watari, che in quel momento si trovava nel nuovo quartier generale: avrebbe sottoposto Light e Misa ad un'ultima prova, e poi li avrebbe scarcerati. Sarebbero stati trasferiti nel nuovo quartier generale, che ora era perfettamente operativo, dove sarebbero stati tenuti sotto controllo e avrebbero collaborato alle indagini. Yagami sarebbe stato scarcerato all'istante, ma aveva bisogno di cure mediche, per cui sarebbe voluto andare al nuovo quartier generale per usare l'infermeria, che era attiva già da settimane per curare Banks.
Yagami giunse dopo una mezz'ora nell'albergo dove si trovava L, che gli propose di seguirlo all'infermeria del nuovo quartier generale, dove avrebbe fatto un check-up medico, per maggiore discrezione, e questi accettò. Sarebbe stato complicato spiegare ad un qualunque ospedale che si era volontariamente fatto mettere in carcere per cinquanta giorni perché suo figlio era sospettato di essere Kira. Il signor Yagami era terribilmente invecchiato in quei mesi. I capelli, fino ad un anno prima neri, erano ora interamente striati di bianco. Il volto era emaciato, le rughe erano aumentate, e il suo sguardo era spento.
    Si fecero portare al nuovo quartier generale in taxi. Si trattava di un edificio altissimo e con grandi vetrate, ma non era possibile vedervi all'interno. Il taxi li lasciò in una stradina laterale, così fecero un piccolo pezzo a piedi. L portava ai piedi un paio di scarpe da tennis logore e slacciate, che si tolse immediatamente quando entrarono, dopo aver passato numerosi controlli di sicurezza.
-Ci trasferiremo presto qui.- disse, precedendo Yagami con la sua solita andatura curva. La stanza principale, il cuore del quartier generale, era vicina all'ingresso, al piano terra. Vi era una lunghissima scrivania con una dozzina di postazioni computer, e la parete era coperta da schermi. Ai due lati della stanza partivano due scalinate che conducevano ad un piano intermedio, dal quale era possibile prendere l'ascensore. Fece accomodare Yagami e si diresse verso un tavolino sul quale era appoggiata una caraffa di caffè americano ancora caldo, che si versò in un bicchierino di carta. Aveva superato i dieci caffè, quel giorno, ed erano appena le dieci; sapeva che il suo fisico non sarebbe riuscito a reggere ancora a lungo in quelle condizioni, ma gli importava poco: voleva riuscire solo a resistere fino alla risoluzione del caso. Aveva seri dubbi sulle sue possibilità di sopravvivere, nel momento in cui fosse riuscito effettivamente ad incastrare Kira, ed era per questo che aveva già designato i suoi due eredi, Mello e Near. Era stanco, incredibilmente stanco. Nemmeno l'idea di morire lo turbava più.
Ritornò dall'ex sovrintendente, che stava provando uno dei computer.
-Vedo che ti sei dato da fare, Ryuzaki.- gli disse. -Penso che lavoreremo bene qui.-
-Lo spero.- fece L. -A breve dovrebbe arrivare l'equipe di medici che la visiterà. L'infermeria è al tredicesimo piano.-
Accese alcuni degli schermi per mostrargli le varie aree del quartier generale. Vi erano diversi appartamenti, tanto che la struttura poteva arrivare ad ospitare circa sessanta persone. Controllò il cellulare: aveva provato a chiamare Watari appena arrivato, ma non aveva risposto e non lo aveva ancora richiamato.
-È qui che è stata scortata la signorina Banks?- domandò Yagami.
-Sì.- L si voltò e si appoggiò alla scrivania. -Watari dice che sta bene. Troverà un modo per metterla al sicuro e poi se ne andrà.-
-Ma... non sarebbe più sicuro se rimanesse qui un altro po'?- provò a protestare Yagami. -Dopotutto, da quel che ho capito era un ostaggio da parecchio tempo, e gli uomini che hanno tentato di ucciderla potrebbero tornare!-
-Non ho avuto il tempo di indagare approfonditamente sull'organizzazione per cui lavorava.- rispose L, facendo una smorfia nell'assaggiare il caffè, al quale avrebbe aggiunto volentieri altri sei o sette cucchiaini di zucchero. -E anche se penso che la sua intenzione non fosse quella di spiarci, non posso permetterle di rimanere oltre.-
    Ma L era venuto fino a lì con Yagami per parlare del suo piano per scagionare Light e Misa. Soichiro riteneva che la prigionia così prolungata del figlio e della ragazza fosse una vera crudeltà, ma sapeva che le prove a carico di Misa erano pesanti, e che Light era stato avvicinato da lei subito dopo l'evento di Aoyama. Si chiedeva come avrebbero proceduto ora che gli unici due indiziati avevano un alibi inattaccabile. Le esecuzioni continuavano nonostante loro non avessero notizie dall'esterno.
-L'ho portata fin qui personalmente perché dovrei chiederle un favore.- disse Ryuzaki. -Sono disposto a scarcerare Light e Misa e a far cadere tutte le accuse su suo figlio, ma per farlo sarebbe necessaria un'operazione che potrebbe costarle la vita.-
-Se mio figlio è innocente, sono disposto a fare qualunque cosa purché esca di prigione.-
-Se suo figlio è innocente non le succederà nulla.- riprese L, tranquillo. -Ma se dovesse essere Kira...- e si voltò a guardarlo in volto -...Lei morirà.-
Soichiro abbassò lo sguardo. -Non credo riuscirei comunque a vivere sapendo che mio figlio è il più grande serial killer della storia dell'umanità.- Si prese il viso tra le mani e cominciò a sospirare. Infine, chiese a L di esporgli il suo piano. Si trattava di far credere ai due ragazzi, ancora convinti che le esecuzioni fossero cessate definitivamente, di essere stati giudicati colpevoli e condannati a morte. Yagami li avrebbe dovuti trasportare in macchina al luogo dell'esecuzione, ma poi avrebbe deviato verso un posto abbandonato. Avrebbe tirato fuori una pistola caricata a salve e l'avrebbe puntata contro Light, dicendo che li avrebbe uccisi personalmente e poi si sarebbe tolto la vita. Se i due ragazzi fossero stati i due Kira, l'avrebbero ucciso prima che fosse riuscito a sparare. In caso contrario, le accuse sarebbero cadute.
    Soichiro rifletté a lungo. Non gli importava di morire, se davvero suo figlio si fosse rivelato essere Kira. Si chiedeva piuttosto se avrebbe avuto i nervi abbastanza saldi per portare a termine l'operazione. Minacciare di morte il proprio figlio... perché L gli chiedeva una cosa del genere?
-Accetto.- disse infine. -Ma mi devi giurare che farai cadere tutte le accuse su mio figlio, Ryuzaki.-
-Non posso prometterle che non avrò più dubbi sulla sua innocenza.- ribatté L, guardando il i rimasugli di caffè misto a zucchero che erano rimasti sul fondo nel bicchierino. -Perché le esecuzioni hanno avuto un arresto inspiegabile nel momento in cui Light si è consegnato a me. E ho monitorato le esecuzioni delle ultime settimane, e credo di poter affermare senza ombra di dubbio che questo Kira è diverso dal primo. Il primo Kira uccideva i criminali pericolosi ed irrecuperabili. Questo uccide indistintamente chiunque appaia nei notiziari, anche coloro che sono solo sospettati di qualche crimine, poveracci che rubano per fame o gente che uccide per legittima difesa.- Alzò il bicchiere e provò a dargli dei colpetti sul fondo, in modo da far scivolare lo zucchero verso la sua bocca aperta. -Quindi possiamo presumere che Light, diciamo, fosse sotto il controllo di Kira, che lo usava per le sue esecuzioni. E nel momento in cui lui e Misa sono diventati inutili, abbia trovato un nuovo “tramite”.- “Ma è più probabile che Light fosse pienamente cosciente di ciò che faceva e abbia architettato questo piano” disse tra sé e sé. Ma questa parte del suo ragionamento avrebbe spinto Yagami a rifiutarsi di collaborare. Ed era un ragionamento ancora tutto da dimostrare.
    Discussero ancora, finché l'uomo accettò. Era già passata più di mezz'ora da quando erano arrivati e ancora non si vedeva nessuno. D'un tratto, però Soichiro vide un movimento su uno degli schermi.
-Ryuzaki, guarda, è lì Watari. Vuoi provare a richiamarlo?-
L lanciò un'occhiata allo schermo alle sue spalle senza girarsi, ma qualcosa lo fece irrigidire e rimanere immobile per diversi secondi. Le labbra gli si piegarono in una smorfia di rabbia, e le sue pupille, di norma sempre esageratamente dilatate, per un attimo si restrinsero, mentre una scintilla pareva illuminare il suo sguardo altrimenti sempre spento. La mano con cui reggeva il caffè tremò, e poi si strinse di colpo, accartocciando il bicchiere e spillando a terra il suo poco contenuto. Era la prima volta che Soichiro vedeva L agitato. Questi gettò lontano il bicchierino, si alzò dalla scrivania e si diresse a passo svelto su dalle scale, rovesciando la sedia girevole sul quale era seduto.
-Ryuzaki!- provò a chiamarlo.
-NON ORA!- gli urlò il giovane di rimando, con voce terribile. Soichiro rimase sbigottito. Si volse verso i monitor per vedere cosa potesse aver scatenato quella reazione in Ryuzaki. Una reazione!
Ritrovò l'immagine di Watari. Le riprese erano in bianco e nero, e aveva subito notato Watari perché portava, come suo solito, un completo nero. Non aveva notato che di fianco a lui ci fosse una ragazza. Aveva lunghissimi capelli molto chiari e la pelle bianca. Portava dei jeans corti e una maglietta aderente che con ogni probabilità era bianca. Stagliata contro la parete, bianca anch'essa, probabilmente a prima vista non l'aveva notata. Le uniche note di colore erano gli anfibi che portava ai piedi e una macchia sul viso, che dalla fronte scendeva verso la guancia.

    L aveva iniziato a correre alla cieca. Saliva un piano alla volta per poi guardarsi attorno rabbioso, cercando di capire dove potessero trovarsi quei due. Era lei. Maledetta. Era lei ed era sempre stata lei, nelle altre indagini, era lei ed era sotto il suo naso e lui non se n'era accorto! Dov'era finito il suo intuito, visto che non era stato in grado di riconoscerla? E Watari lo sapeva! Avrebbero dovuto fare i conti con lui. Sei anni e mezzo. Sei anni e mezzo di incubi e di sensi di colpa mentre lei era rimasta a spiarlo per tutto quel tempo! Mano a mano che la rabbia cresceva, aumentava il passo e sbatteva le porte con più forza. Si sentì girare la testa e si appoggiò con la schiena al muro.
-K!- urlò furioso. -Dove sei, stronza?!-
Provò ad aprire una porta a caso davanti a sé e la trovò di nuovo chiusa.
-Me lo devi, stronza!- gridò di nuovo.
La rabbia e la frustrazione di quelle settimane passate impotente davanti ad uno schermo, mentre tutte le sue certezze su quel caso lentamente si sfaldavano, stavano esplodendo nel suo petto, trovando nuova forza nei sentimenti negativi accumulati verso di lei in quegli anni, soffocati nell'indifferenza, ma mai del tutto spariti.
Arrancò fino ad una stanza aperta. Era una sorta di area relax per gli agenti: c'erano dei divani, una grande televisione e un biliardo. Era proprio di fianco alla tromba delle scale, così si affacciò per gridare ancora: -Fatti vedere in faccia! K! Non osare nasconderti ancora da me!-
Riuscì poi ad entrare nella sala e sprofondare su uno dei divani. Era davvero ridotto male, se non riusciva nemmeno a fare qualche rampa di scale di corsa senza rischiare di svenire. Gli girava la testa, iniziava ad avere la vista appannata, e respirava a fatica. Ad un certo punto, oltre al rumore martellante delle vene che sentiva pulsare nelle orecchie, sentì dei passi avvicinarsi di corsa. Pochi istanti dopo, lei apparve alla porta. Kendra, era questo il nome che le avevano dato all'orfanotrofio appena era arrivata. I bambini però preferivano chiamarla “Il Demone Bianco”. E proprio lei, in carne ed ossa, viva e vegeta, sicuramente messa molto meglio rispetto a lui, lo stava guardando in silenzio, a braccia conserte, con gli occhi rosati pieni di tristezza.
-Non scappo.- gli disse, entrando nella stanza e chiudendosi la porta alle spalle. Poi la vide alzare istintivamente la mano destra in alto, in segno di resa, e ad andare ad appoggiarsi con la schiena contro una parete. L si tirò su dal divano e tentò di normalizzare il respiro.
-Ti prometto che non aprirò bocca finché non avrai finito.- continuò K. -Puoi cominciare quando vuoi.-
Il suo tono di voce era molto più basso rispetto al passato. I capelli bianchi le erano cresciuti fino a coprirle tutta la schiena. Era in piedi, in silenzio, appoggiata contro il muro con le braccia lungo i fianchi. L non si stupì di non essere riuscito a riconoscerla, pur avendola avuta sotto gli occhi per giorni: non era tanto per il fatto che ora il suo occhio sinistro fosse perfettamente allineato, o per la linea delle sopracciglia più dritta e angolata che rendeva più duro il suo sguardo; e nemmeno per il volto scarno, per le palpebre calate che le facevano sembrare gli occhi più piccoli, per la smorfia delle sue labbra diventate così sottili, e per l'espressione vuota dei suoi occhi, in quel momento rosa. Era invecchiata. E aveva messo su muscoli, a differenza di L, che era ormai l'ombra di se stesso. Eppure, il vero motivo per cui non avrebbe mai potuto pensare che Nathalie Banks fosse K, non era nemmeno quello, né che si fosse camuffata i lineamenti probabilmente tirandosi il volto con lo scotch, né la sua andatura, né la sua espressione. Era qualcosa di molto più... difficile da spiegare. Era vero, la K che conosceva, col quale era cresciuto, era all'apparenza allegra, si muoveva leggera sulle lunghe gambe, aveva sul volto una continua espressione di scherno. Eppure sotto i maliziosi occhi grandi da cerbiatta, nascondeva una tristezza infinita, che spesso si tramutava in rabbia incontrollabile. Ora, la sensazione che L provava stando in sua presenza non era più la stessa: lo inquietava, lo rendeva nervoso, ma in modo diverso. All'apparenza era fredda, ma nei suoi occhi si nascondeva una furia ancora più cieca e terribile, rispetto al passato, una furia domata, ma sempre presente, sempre all'erta. Oltre a quello, camminava come un militare, aveva un tono da militare e la sua figura, una volta atletica nella giusta misura, era ora molto più secca e nervosa, lo si vedeva dai muscoli perfettamente definiti di braccia e gambe, anche in quella posizione a riposo, e dall'ampiezza delle sue spalle. Pareva un automa. Un automa assassino.
    L non sapeva più da dove cominciare. Avrebbe tanto voluto spaccare qualcosa. Le si parò davanti e le rivolse uno sguardo carico d'odio.
-Perché.- Strinse i pugni. -Voglio sapere perché mi hai fatto credere di averti praticamente uccisa e aver passato gli ultimi anni a spiarmi!- Il suo tono di voce stava salendo di nuovo.
-Mi hai portato in casa un ex esponente della Yakuza! Hai messo in pericolo anche i miei uomini! Non dicevi che avresti voluto proteggermi? Non mi hai impedito di partecipare alle tue indagini perché avevi paura per me? E ora questo? Dimmi che bisogno c'era di vendere la mia identità al mafioso di turno! Voglio una risposta!-
Il giovane respirava affannosamente, mentre la guardava furibondo, con le pupille degli occhi grigi finalmente strette.
Lei non si mosse, bensì sostenne sicura il suo sguardo.
-L, credevo fossi la persona più intelligente che avessi mai incontrato.- cominciò poi, fredda. -Mi vuoi dire che credi veramente che io sia sparita di mia spontanea volontà per... questo?-
-Non posso credere che ti abbiano costretta!- ribatté L, che ormai urlava, stingendo sempre di più i pugni, fino a che non gli tremarono le mani.
-Sei sempre stata troppo sveglia perché qualcuno ti potesse obbligare a fare qualcosa che ritenevi sbagliato. Non ti sto riconoscendo!-
Aprì le mani e fece un passo indietro, sempre senza staccarle gli occhi di dosso.
-Hai trascinato me e tutti i miei uomini in una regolazione di conti, nel bel mezzo del caso probabilmente più importante della storia!-
Abbassò infine lo sguardo. Riuscì a controllare la voce. -Io... non ti riconosco. Giravi con una scorta e con due pistole addosso. La K che conoscevo diceva che le faceva orrore tenere in mano un'arma!-
Poi si portò una mano al petto, mentre sentiva i polmoni bruciare e la testa girargli.
-Se davvero credi che mi sia potuta convertire ai metodi di quei bastardi, non credo che avremo mai più occasione di conversare.-
Aveva distolto anche lei lo sguardo. -Ma sono decisa a restare qui finché non ti avrò convinto che quello che ti sto dicendo è la verità.- Si morse il labbro inferiore. -Mi rendo conto di averti fatto un torto terribile...-
-Un torto?!- urlò di nuovo L, alzando nuovamente il volto. -Hai idea di cosa significa avere il terrore di addormentarmi perché nei miei incubi in cui mia madre tenta di soffocarmi con un cuscino alla fine non è lei a buttarsi dalla finestra, ma sei tu?! Mi hai lasciato credere che ti avessi spinta io a buttarti giù da una finestra!-
Il suo sguardo era terribilmente minaccioso, ma anche disperato.
-Sei una dannata sadica! Lo sei sempre stata, ma con questo ti sei superata! Non potevi fingere di crepare in qualsiasi altro modo? No! Dovevi risvegliare in me traumi che sapevi che mi avrebbero distrutto!-
Riprese fiato per un istante, prima di gridare: -Guardami!-, battendosi le mani sul petto, con la schiena curva e lo sguardo allucinato. -Guarda in che stato mi sono ridotto a causa tua!-
    K si lasciò scivolare un po' lungo la parete. Non credeva di poter sostenere quella conversazione ancora a lungo. Se l'era immaginato per anni, il momento in cui sarebbero giunti alla resa dei conti, ma non pensava che L potesse perdere in quel modo il lume della ragione. Doveva essere sfinito dal caso, e sicuramente incredibilmente frustrato, se le sue capacità di giudizio erano state così offuscate.
-Sai perfettamente che non è stata una mia scelta...- provò a dire, stringendo la mano destra in un pugno.
-O, almeno, lo dovresti immaginare. Ci conosciamo da sempre.-
Scosse la testa. -Mi hanno detto che per il tuo bene sarebbe stato meglio se avessi creduto che fossi morta. Perché evitassi di cercarmi, per evitare che indagassi su di me e facessi la mia stessa fine. Ma...- sospirò. -Sai che non ti avrei mai fatto una cosa simile.-
L stava cercando di normalizzare il respiro; sembrava che la discussione stesse affaticando lui quanto lei.
-Ho potuto lasciarti un unico indizio...- aggiunse poi. Ma queste parole non ebbero altro effetto se non quello di far infuriare nuovamente L.
-Un indizio?!- urlò di nuovo il giovane. -Nate River sarebbe un indizio?!-
Tirò un calcio al divanetto, incurante del fatto che fosse scalzo. -È tuo figlio, dannazione! Quello che avevi detto avresti abortito!-
Si fermò un attimo, a recuperare il fiato. -Ti rendi conto che sono venuto a sapere che era vivo e stava bene solo meno di un anno fa? Se solo l'avessi...- Si portò le mani ai folti capelli neri e li strinse, mentre le sue pupille tornavano a dilatarsi.
-Io... sono stato via dalla Wammy's House per tutto quel tempo...-
Il labbro gli tremava per la rabbia e la frustrazione, e la sua schiena era scossa da violenti tremiti.
-L'ho... l'ho visto quando cercavo il mio successore...- ricominciò. -...Mi avevano detto che c'era un bambino molto più intelligente degli altri... e aveva i tuoi lineamenti...- La guardò in volto. Non si sarebbe potuto sbagliare. -E aveva gli occhi di Bjarne...-
A sentirne il nome K si sentì mancare il fiato. Il ricordo di lui non la abbandonava mai, ma non si era ancora concessa il lusso di piangerlo. Tuttavia, ogni volta che ci pensava si sentiva come se una mano gelida le perforasse il petto, togliendole cuore e polmoni, e lasciandola agonizzante in un angolo della sua mente. Non poteva ancora piangerlo; era un lusso che si sarebbe concessa una volta che il caso fosse stato chiuso. Era questa la sua regola: finché un caso non era chiuso non ci sarebbe stato posto per alcun tipo di sentimento o distrazione; la sua mente doveva rimanere ferma sull'obiettivo, e non poteva vacillare.
    -Tu... devi tornare a casa.- riprese L, sforzando di recuperare il suo solito modo di parlare calmo e senza emozioni. -Non puoi stare qui.-
K scoppiò in una risata isterica che scosse il giovane.
-Tornare a casa?- fece poi, con tono sprezzante, mentre i suoi occhi cominciavano a virare verso il rosso. -E dove? Sono stata tenuta in ostaggio da quei bastardi che hanno ucciso mio padre per più di sei anni, dei bastardi che hanno pensato bene di strapparmi mio figlio dal grembo mentre ero sotto anestesia.- si alzò la maglietta per mostrare la cicatrice. -Non l'ho mai visto. È vero che non l'ho mai nemmeno voluto, ma non mi hanno nemmeno permesso di vederlo una sola volta. E nel suo caso, sono ancora stata fortunata.-
Iniziò a girare per la stanza con passo veloce, mentre L la guardava furioso.
-Tutto quello che sono riuscita a lasciargli era un destino da ostaggio, un probabile futuro da pedina in mano ad un'organizzazione paramilitare infiltrata nel governo statunitense, la concreta possibilità di aver ereditato malattie varie e disturbi mentali e di dover quindi vivere una vita d'inferno come la nostra, ed un nome che avrebbe dovuto far capire a quell'idiota del detective più bravo al mondo che non mi ero suicidata per fargli un dispetto!-
L'ultima parte della frase l'aveva urlata.
L'idiota di detective la seguiva con lo sguardo, mentre la sua rabbia cominciava a scemare. K continuava a muoversi per la stanza ridendo nervosamente.
-Mi è stato permesso di mantenere i contatti solo con Bjarne. Per loro non era abbastanza intelligente per rappresentare una minaccia, e poi gli faceva comodo avere un ostaggio della cui morte non sarebbe importato a nessuno, per ricattarmi. Eh già, perché tu eri intoccabile, a differenza sua, e nostro figlio poteva rivelarsi utile, se solo fosse diventato un altro dei geni sfornati dalla Wammy's House. Bjarne era l'ostaggio perfetto. E sai cos'è successo?- gli domandò, avvicinandosi al suo viso.
-È morto!- gli urlò in faccia, con tutto il fiato che aveva in corpo. Poi cadde sulle ginocchia e fissò lo sguardo a terra. -L'ho sentito morire al telefono...- sussurrò.
    L rimase esterrefatto. D'un tratto, si sentiva come se il sangue stesse defluendo, lasciandolo pensare libero dal risentimento, dall'odio, dalla delusione. Non aveva mai sul serio pensato che K avesse potuto davvero fargli nulla di male. Si era lasciato trascinare dalla rabbia, una rabbia che derivava dal suo senso di colpa e che non aveva nulla a che vedere con quello di cui l'aveva accusata. In fondo, aveva anche sempre saputo che la sua sparizione era dovuta a quegli uomini che non nominava mai, quelli contro cui aveva lottato tutta la sua vita e dai quali aveva sempre cercato di tenerlo al sicuro. E sapeva anche che non si era volutamente gettata da una finestra. Provò a prenderle una mano, ma lei lo cacciò e si rimise in piedi, voltandogli le spalle.
-...Come....- provò a chiederle.
-La sera della sparatoria.- rispose lei, fredda. -Quando sono arrivata al mio appartamento ho scoperto che Bjarne era stato arrestato con accuse infondate, solo per essere mandato in TV.-
-L'hanno... l'hanno fatto uccidere da Kira?-
K non rispose. Continuava a dargli le spalle, con la testa bassa. -Non ho potuto fare nulla, nessuno avrebbe fermato la trasmissione delle notizie nemmeno se l'avessi ordinato tu, e tu eri in riunione.-
L strinse i pugni. -Per questo sei tornata al nostro hotel?- domandò.
-No. Bjarne era già morto.-
Strinse i pugni e fece un respiro profondo, prima di continuare.
-Sapevo di non poter scappare, e quindi mi sono consegnata per impedire che ti ammazzassero...-
Si bloccò e si morse il labbro. -...E che ammazzassero gli altri, ovviamente.-
K si era presa una pallottola. Si era presa una pallottola per lui e lui appena l'aveva vista non aveva saputo fare di meglio se non accusarla di cose che nemmeno pensava avesse fatto. Un nuovo senso di colpa aveva già cominciato a scavare un'altra voragine nel petto di L.
Lei era stata ostaggio per sei anni e mezzo. Le avevano tolto Nate, che poteva rischiare di fare la stessa sua fine, un giorno. Bjarne era morto. Mentre lui era vivo, libero, ignaro di tutto.
-Grumann aveva scoperto troppo su di noi e l'avrebbero fatto fuori, per questo voleva fare una carneficina. Così, per divertimento.- concluse la donna disgustata.
-Perché ora?- chiese allora lui.
-Tsk.- fece K. -Grumann probabilmente aveva detto al bastardo numero uno che ti avevo fatto capire di essere io, e che quindi presto mi avresti liberata e avrei potuto farli marcire tutti in galera.-
Si voltò verso di lui, rivolgendogli uno sguardo gelido. -Probabilmente se avessero visto con quanto menefreghismo mi stavi guardando morire dissanguata, non si sarebbero mai azzardati a torcere un capello a Bjarne.-
L rimase in silenzio, con un lampo di colpevolezza nello sguardo. Quel giorno, lui l'aveva chiamata nel sonno. Aveva riconosciuto la sua camminata, per questo poi aveva cominciato a sognarla! E quel bastardo di Grumann lo aveva sentito.
    K era tornata a voltare le spalle a L, mentre lui stava fermo, lo sguardo rivolto a terra e i pugni stretti.
-Avrei voluto evitarvi tutto questo.- disse lei, dopo un po'. -Quando ho incontrato per la prima volta Bjarne, ho tentato di convincerlo a tenersi fuori da tutto questo. Come ho cercato di fare con te. E sarei riuscita a tenervi entrambi al sicuro e a non aiutare in nessun modo la Hogson. Ma quando ha capito che ero rimasta incinta, Bjarne è voluto rimanere al mio fianco, ed è diventato un ostaggio anche lui.-
Era ormai quasi mezzogiorno, e l'intensa luce del sole cominciava ad entrare nella stanza. K non si stava nemmeno accorgendo di essere quasi esposta ai raggi. L andò a chiudere le tende con un gesto secco.
-Avrei potuto aiutarti...- disse poi, triste. -Ma tu non hai mai voluto che ti aiutassi, in nessuna occasione. Ti sei presa cura di me quando ero un bambino, e poi quando ero il tuo apprendista, ma anch'io avrei voluto badare a te, se solo me lo avessi permesso! Tutto quello che volevo... che avrei voluto... era aiutarti. E tu lo sai.-
Le si avvicinò barcollando e la costrinse a guardarlo negli occhi. -Spero che tu sappia quanto mi addolori la morte di Bjarne. E spero tu voglia restare con me in modo da assicurare il suo boia alla giustizia. E lavoreremo anche per incastrare quei bastardi che vi hanno... che ci hanno distrutto le vite.-
La prese per mano, ma lei gemette per il dolore. Era la sinistra, il lato in cui aveva ricevuto il proiettile. Lui si morse il labbro, rendendosi conto solo in quel momento della fasciatura sotto la maglietta della giovane. -Ti ho lasciato altre cicatrici...-
    K si allontanò di qualche passo, infilandosi la mano destra sotto la maglietta per controllare che la medicazione fosse a posto. Appena aveva sentito la voce di L era corsa verso di lui senza mettere la benda al collo, e ora la spalla le dava fastidio.
-Ora, se permetti, avrei anch'io una considerazione da fare.- gli disse, piegando il braccio sinistro verso il busto e aggrappandosi con la mano alla maglietta. L aveva rimesso le mani in tasca, e la guardava di sottecchi.
-Da quando mi sono risvegliata dal coma, ho cercato di lavorare contemporaneamente sia al caso Kira che al mio. Watari mi ha fatto avere i video di sorveglianza di Light e Amane e...-
Sospirò, appoggiando nuovamente la schiena contro il muro.
-Mio Dio, L, cosa sei diventato?-
Il detective rimase in silenzio, ma abbassò lo sguardo.
-Sai che non ho mai approvato i tuoi metodi, ma questa volta mi hai davvero delusa.-
L digrignò i denti. Aveva sempre odiato ricevere la paternale da lei, e si infuriava ogni volta che lo trattava come un bambino. Decise comunque di mordersi la lingua anche quella volta.
-Siamo entrambi adulti, ora, e non è mia intenzione trattarti come un moccioso come facevo quando ti addestravo.- disse lei, come se gli avesse letto nel pensiero. -Sono sempre stata una stronza sadica, con te come con chiunque altro... anzi, forse con te sono stata ancora più crudele. E sei anni come ostaggio mi hanno fatto capire quanto fosse inutile il mio atteggiamento. E quanto io abbia sbagliato, con te. Ma ora ascoltami: non mi sarei mai aspettata che potessi ricorrere a metodi così estremi, e francamente non ti riconosco. Non è giustizia, questa. Hai tenuto quei ragazzi in galera anche dopo che era palese che non potessero essere più loro i responsabili di quelle morti! Ma in che modo, poi! Legati, camicia di forza, fari puntati! Ho assistito a dei sequestri, L, e ho visto sequestratori trattare i prigionieri con più rispetto. Capisco che le accuse siano pesanti e che il pericolo sia enorme, ma dimmi, era davvero necessario tenerli prigionieri per un intero mese, dopo che gli omicidi erano ricominciati? Non sarebbe bastata una settimana, e poi magari trasferirli in questa stessa struttura, e tenerli sotto controllo ventiquattr'ore su ventiquattro con telecamere e cimici? In due stanze diverse, senza accesso a notizie provenienti dal mondo esterno, ma in condizioni più umane? Era chiaro che a quel punto avessero subito un cambiamento di personalità, era chiaro che fossero inoffensivi. Hai pensato che liberandoli avresti fatto il loro gioco, ma ci sarebbe stata una via di mezzo.-
Cercò di rimettersi in piedi, ma il dolore alla spalla stava aumentando, e non riusciva a darsi lo slancio per staccarsi dalla parete.
-L, avrai infranto almeno quindici accordi internazionali sui diritti umani, questa è tortura! Nessun tribunale avrebbe considerato valide le confessioni estorte in queste condizioni!-
-Se non ti conoscessi...- intervenne allora L. -... Penserei che tu sia convinta della loro innocenza.-
-Come no.- sbuffò lei, reprimendo un gemito di dolore. -Sarò in prima fila a godermi lo spettacolo di Light Yagami giudicato colpevole di essere Kira, e non perché ha fatto da boia a Bjarne, ma perché ha ucciso Naomi Misora.-
A sentire quel nome, L abbassò lo sguardo, imbarazzato.
-E comunque... ho cercato di raccogliere delle prove, in questi giorni, senza ricorrere ai tuoi metodi abominevoli.- riprese K, tentando di farsi forza col braccio destro per tirarsi su. -Non voglio mettere in discussione la tua capacità di giudizio, né il tuo senso della giustizia. Ma hai bisogno di un freno, L, perché stai percorrendo una strada pericolosa.-
Arrancò verso la porta, e si voltò verso di lui.
-Torno nel mio appartamento a prendere la mia fascia. Se vieni con me, ti faccio vedere la documentazione su Light che ho raccolto in questi giorni.-
    -Ci ritroviamo a parlare dopo più di sei anni, e tu cominci subito affrontando il caso Kira?- domandò lui, con ancora un po' di risentimento nella voce. -Seriamente? Credi forse che abbiamo finito?-
-Non abbiamo finito.- rispose K, stremata. -Ma nessuno dei due al momento mi sembra nelle condizioni adatte ad affrontare l'argomento. Oltretutto ci troviamo al centro di due casi fondamentali, per le nostre vite e per la nostra sicurezza, e sai che non posso permettermi di lasciarmi andare a sentimentalismi, se voglio mantenere la mente fredda e lucida.-
L abbassò lo sguardo, stringendo i denti. K aveva l'impressionante capacità di lasciare in sospeso questioni personali per settimane, se stava lavorando ad un caso. Il suo autocontrollo era un'arma a doppio taglio: riusciva a tenere a bada il suo tormento interiore, ma se avesse abbassato la guardia anche solo per un istante, le sarebbe stato impossibile ritrovare la lucidità. Quando si erano trasferiti insieme a Londra per lavorare a Scotland Yard, l'aveva vista per la prima volta perdere il controllo; fino a quel momento, per lui K era stata quasi una supereroina, una seconda madre che lo aveva accudito, una sorella che lo aveva difeso, una rivale che lo aveva spinto a migliorarsi sempre di più, un'insegnante da cui sapeva che avrebbe imparato molto.
Eppure una notte l'aveva sentita rientrare alle tre, mentre era ancora sveglio a studiare, e l'aveva sentita soffocare delle grida. Era corso in cucina, e l'aveva vista rannicchiata in un angolo, col cuscino in bocca, il trucco colato, urlare e piangere, piangere e urlare col cuscino in bocca, sbattere i pugni a terra, tremare, schiumare. Aveva tentato di avvicinarsi, ma lei gli aveva abbaiato contro, ed era tornata a dondolare nel suo angolo. Aveva aspettato che si addormentasse in quella posizione, per poi prenderle la borsetta ed ispezionarla: lamette e barbiturici. Di nuovo. Come quella volta che l'aveva sorpresa a tagliarsi il braccio nel bagno delle ragazze, alla Wammy's House. Come svariate altre volte era successo mentre studiava negli Stati Uniti, come Bjarne gli aveva raccontato quando erano tornati in Inghilterra.
-Ti prego di fare attenzione a lei.- si era raccomandato il ragazzo, mentre la stavano guardando giocare a tennis contro J nel campo della Wammy's House. -Tenta di nascondersi dietro questa facciata di stronzetta arrogante contro cui nulla e nessuno può competere, ma spesso crolla. Avrebbe bisogno di sfogare tutta la sua rabbia e il suo dolore, eppure non sempre ci riesce. Vedi come colpisce rabbiosamente la palla? Sta scaricando contro J tutta la sua frustrazione accumulata negli anni, e probabilmente molto altro. Mi sono ritrovato a cercare di consolarla durante una delle sue crisi, e c'è mancato poco che mi mandasse all'ospedale.-
Aveva riso tristemente. -Quando si è accorta che mi stava facendo male, è impallidita, ed è peggiorata ancora di più. Mi ha chiesto di ammanettarla ad una sedia, L. Mi ha chiesto di controllarle la carta di credito per vedere se comprava sonniferi, e chiamare Burton perché la fermasse. Ci sono giorni in cui mi prega di chiuderla in una stanza e di mettermi i tappi per non sentire le sue urla.-
Quella sera, a Londra, L aveva aspettato che K passasse la fase delle urla, e cominciasse con quella del pianto. Le aveva requisito il contenuto della borsa e aveva bloccato i cassetti coi coltelli da cucina, poi l'aveva fatta alzare, l'aveva sorretta fino in bagno, e poi aveva aspettato che si spogliasse girato di spalle, per controllare poi che tra i suoi vestiti non avesse nascosto nient'altro per farsi del male. Per fortuna il loro appartamento aveva solo il box doccia, aveva pensato, sospirando. Quella scena gli aveva ricordato, come in un buffo parallelismo del destino, la notte in cui lei l'aveva trovato sotto la neve, nel cortile della Wammy's House, pochi giorni dopo il loro arrivo, e l'aveva trascinato fino alla vasca da bagno nel bagno dei professori, che aveva l'acqua calda.
Probabilmente, era da quando era stata presa in ostaggio che K non aveva una delle sue crisi. Quando fosse arrivato quel momento, L non voleva trovarsi nei paraggi. Sapeva che non sarebbe stato in grado di contenerla.
    Ma, in ogni caso, sembrava che i toni si fossero finalmente smorzati. K provava inconsciamente un po' di rancore nei confronti di L, ma riteneva fosse giusto che lui la odiasse un altro po', senza che lei lo attaccasse ancora per il modo disumano con cui stava affrontando il caso Kira, mentre lui pensava a Bjarne, al suo sorriso sempre pronto, alla sua generosità e gentilezza, e al fatto che non l'avrebbe rivisto mai più. Ripensò al giorno in cui era arrivato alla Wammy's House, e si era presentato a K, sotto la pioggia.
Ci avevano messo un po' prima di andare d'accordo, lui e Bjarne, e c'era sempre stata un po' di tensione, soprattutto da parte sua. Gelosia. Possesso. Sentimento di abbandono. Bjarne era una di quelle persone che tutti adorano, a pelle. Eppure L aveva sempre cercato di rimanergli distante, come faceva con tutti, perché fin da bambino aveva temuto che gli avrebbe portato via K, e che lui sarebbe rimasto di nuovo da solo. Pensò amaramente che ora non c'era più questo pericolo, anche se lui ormai non era più un bambino piagnone, almeno in apparenza. Bjarne non ci sarebbe più stato, non l'avrebbe più salutato con una forte pacca sulla spalla, non gli avrebbe più passato, di nascosto dalle cameriere, la sua bottiglia di birra. Non si sarebbe più raccomandato che trattasse bene sua sorella e se ne prendesse cura al posto suo, e lo avvertisse se c'era qualcosa che non andava. Ripensò all'ultima volta che lo aveva visto, dopo il suo fidanzamento con K, e non riuscì a sopportare l'idea che quello sarebbe stato l'ultimo ricordo che avrebbe avuto di lui. Non aveva avuto l'occasione di fare di Bjarne un vero amico. E non aveva nemmeno mantenuto la promessa fattagli di prendersi cura di K.

Note

    Questo capitolo continua ad essere molto difficile per me: si tratta di una delle prime scene che ho elaborato nel dettaglio, dopo aver pensato allo scheletro della storia, e ovviamente la sua resa non è mai stata all'altezza delle mie aspettative; motivo per cui dubito fortemente che questa sarà la sua versione definitiva. È il punto di svolta a partire dal quale molti nodi verranno al pettine, per cui il mio intento era quello di trovare il giusto equilibrio tra rivelazioni e anticipazioni, ma mantenendo il dialogo il più realistico possibile: non credo di esserci riuscita, perciò è altamente probabile che, una volta finita questa terza stesura, riscriverò questo capitolo.
    Mi auguro in ogni caso che chi è giunto fin qui nella lettura sia felice del fatto che finalmente L e K si sono ritrovati, e che finalmente sarà possibile scoprire di più sulle loro origini.
    Ringrazio Lally19 per la sua recensione: mi ha davvero dato la spinta per continuare a pubblicare!
    Buona lettura a tutti :)

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Capitolo 12
*** Capitolo 9 - "Nov. 8th, 1997" ***




Capitolo IX




     K si avviò verso le scale e L la seguì. Faticò a salire. L'appartamento che Watari aveva riservato alla giovane era appena tre piani più in alto, e quando arrivarono in cima alle scale a lui prese a girare la testa, si accasciò sul corrimano e si lasciò sfuggire un gemito.

-L!- esclamò K, che lo prese al volo col braccio sano. Poi lo fece appoggiare a sé, lo trascinò a fatica fin dentro il suo appartamento, facendo aprire a lui le porte, per poi farlo sdraiare sul proprio letto.
-Ho “visitato” cadaveri più in forma di te.- disse poi sbuffando sonoramente per la fatica.
L sorrise mentre appoggiava la testa sul cuscino: se iniziava ad insultarlo in quel modo sembrava essere tornata quella di un tempo.
-Non c'è niente da ridere!- riprese lei, alzandogli le gambe e cacciandoci sotto un cuscino. -In queste condizioni non puoi affrontare un'indagine. Dovresti smetterla col caffè e col glucosio e cominciare a dormire e a mangiare dei pasti normali. Proteine. Ti stai friggendo i neuroni, e lo trovo davvero poco rispettoso nei confronti di chi, il cervello, ce l'ha con una data di scadenza.-
     K non si lamentava molto spesso della sua condizione. Rimasta orfana in tenera età, era nata albina ed era condannata a non potersi mai godere il sole. All'orfanotrofio le avevano dato un nuovo nome, ma nessuno lo usava, perché veniva sempre additata come “Il Demone Bianco”. L era stato un bambino problematico, perciò lei si era sempre occupata di lui. Aveva litigato per anni per riuscire a guadagnare il rispetto degli altri per sé e per L. Nel farlo, si era fatta ustionare il viso con un coltello da cucina. Tutti ne avevano paura e la evitavano, ma lei sembrava felice così. All'età di quattordici anni aveva lasciato l'orfanotrofio perché era già pronta a frequentare il liceo. Era ritornata alla Wammy's House a diciannove con una laurea in Criminologia e un posto fisso in una squadra investigativa molto famosa, che aveva smantellato una cellula mafiosa russa. Aveva detto che era tornata per addestrare L a diventare un detective di fama mondiale. Solo dopo un certo periodo gli aveva confessato il vero motivo per cui lo stava facendo: le avevano diagnosticato la malattia di Huntigton, che l'avrebbe portata a perdere il controllo sul proprio corpo e, soprattutto, avrebbe portato ad un calo delle sue capacità cognitive e a disturbi psichiatrici e comportamentali. Aveva confessato a L che appena la malattia si fosse manifestata, sarebbe ricorsa all'eutanasia o si sarebbe suicidata, piuttosto che perdere del tutto il controllo su di sé. Per questo aveva bisogno di un “erede”. E anche per questo era praticamente una salutista: aveva ridotto al minimo l'assunzione di alcool, di sostanze eccitanti e di farmaci. Praticava sport, faceva molta attenzione all'alimentazione e alle ore di sonno. Inoltre evitava di uscire durante le ore di luce e usava diverse protezioni solari ai raggi UV. “Se c'è una cosa che posso almeno evitarmi, quella è il cancro alla pelle” diceva spesso. Era per questo che era particolarmente sensibile alle persone intorno a sé che avevano abitudini poco salutari. Sensibile, per non dire intransigente. Intransigente, per non dire insopportabile.
     Mentre L rifletteva su tutto questo, vide K tornare con fonendoscopio e un misuratore della pressione. Era arrivato anche Watari.
-Ti pregherei di affrontare più tardi una qualunque discussione su quanto sia stato inopportuno da parte mia tacere sul fatto che K fosse viva.- gli disse l'anziano uomo. L annuì.
-Watari ha mandato Yagami a farsi visitare dopo che ti abbiamo sentito urlare per le scale, ma sono abbastanza sicura che le cure servano più a te che a lui.- disse K, preparandosi a prendergli la pressione. Controllò il valore e gli tolse il bracciale. -C'è Roberts, qui. È stato lui a seguirmi, dopo che mi hanno estratto la pallottola. Penso sia meglio chiamarlo e far fare un check-up anche a te.-
Watari annuì, e si allontanò per andarlo a chiamare.
-L, tirati su la maglia, che devo sentirti il battito.- gli ordinò lei, prendendo il fonendoscopio.
Il ragazzo abbassò lo sguardo, imbarazzato.
K sospirò ancora, e gli appoggiò il ferro freddo del fonendoscopio sulla schiena ossuta infilandolo da sotto la maglia, lasciandola com'era.
-Idiota. Come se non mi fossi già accorta da sola che peserai trenta chili bagnato.-
Rimasero in silenzio.
-Come cavolo fai ad essere ancora vivo con un battito così accelerato?- domandò lei, rimettendo tutto nel kit di pronto soccorso. -Ti controllerei anche la pupilla, ma non credo di averne bisogno: ormai ti si vedono soltanto quelle.-
Tirò comunque fuori il faretto e gli tirò il volto verso di sé con fare brusco.
-Pupille dilatate. Ma va?- commentò sarcastica. Poi lo lasciò andare. -Sono abbastanza certa che quando mi stavano trasportando in ambulanza fino all'ospedale, fossi più in forma di quanto tu non sia adesso.-
Tirò fuori un apparecchio per misurare la glicemia.
-Dito.- gli intimò. -Sperando che, con tutti i dolci che mangi, questo coso non esploda.-
L tentò di trattenere di nuovo un sorriso. Ora sì che la riconosceva. Tra loro era sempre stato così: un continuo battibecco dai toni sarcastici.
-Dovrai lasciare Misa e Light in prigione ancora per qualche giorno.- disse infine K, alzandosi dal letto. -Ti ci vorranno almeno quattro o cinque giorni di sonno. Attaccato ad una flebo. In queste condizioni non saresti in grado di ragionare come faresti di solito.-
-Sono d'accordo.- cominciò L. -Però non ho intenzione di lasciare Light e Misa in prigione solo perché io sono in condizioni pietose. Li rilascerò e li metterò alla prova. Se il sovrintendente Yagami dovesse uscirne illeso senza l'intervento di Watari come cecchino, allora mi farò ricoverare.-
Si voltò verso di lei. -Tu prenderai il mio posto quando sarò ricoverato.-

     Dopo che l'equipe medica ebbe visitato il sovrintendente Yagami, raggiunsero tutti l'appartamento di K, dove L giaceva a letto. Li accolse Watari, e fece strada verso la camera. Nel soggiorno, Soichiro si trovò davanti la ragazza che aveva visto nel video. Non poteva essere altri che Banks, anche se non somigliava per nulla alla donna con cui aveva lavorato. Gli avevano detto che Banks si trovava lì, e dubitava che L avesse dato l'accesso ad altre persone. La ragazza era intenta a passare l'evidenziatore su alcuni fogli, che nascose al suo arrivo.
-Signorina Nathalie?- provò a chiederle.
-Sì, sono io.-
Si alzò in piedi e gli porse la mano. Soichiro cercava di non guardarla troppo fisso in volto, per via degli occhi rosati e della macchia.
-Non si senta troppo in imbarazzo per la mia faccia.- gli disse Banks. -Ci convivo da più di vent'anni e non mi ha mai dato fastidio sembrare un demone dell'inferno... Quello che non sopporto è essere compatita.-
Soichiro trasalì e chinò il capo, scusandosi.
-Si accorgerà quando mi sto arrabbiando.- riprese Banks. -Immagino sappia che i miei occhi hanno questo colore perché la mia iride è trasparente e quelli sono i miei vasi sanguigni. Ebbene, la avverto che ho un caratteraccio e che tendo a perdere in fretta le staffe. Quando mi vedrà gli occhi rossi, inizi a tremare.-
L'uomo rimase interdetto per un istante, poi Banks scoppiò a ridere. Era una risata gentile. -Mi scusi, signor Yagami.- disse poi, dandogli una pacca sulla spalla. -È che adoro fare la melodrammatica. Non me la prendo se non riesce a guardarmi in faccia, tranquillo. Ci ho fatto l'abitudine.-
     Entrarono nella camera da letto. L si era tolto jeans e maglia e aspettava di essere visitato, seduto sotto le lenzuola. Era molto magro, ma la larghezza delle spalle e del busto indicavano che probabilmente un tempo aveva avuto un fisico atletico. Banks distolse lo sguardo.
Soichiro aveva visto L allontanarsi di corsa non appena aveva riconosciuto la ragazza, e l'aveva sentito urlare su dalle scale. Non pensava che l'avrebbe mai visto perdere il controllo in quel modo, ma qualsiasi cosa fosse successa, sembrava che quei due fossero tornati ad avere toni civili.
-Signor Yagami, le chiedo scusa per gli inconvenienti di oggi.- cominciò il detective, mentre il medico inglese che lo aveva visitato poco prima gli prelevava il sangue. -Purtroppo non credo di essere abbastanza in forma per continuare le indagini in queste condizioni.-
L'uomo non si stupì. Dopo cinquanta giorni di reclusione era in condizioni critiche, soprattutto per lo stress emotivo, ma per lo meno aveva mangiato normalmente e aveva dormito, cosa che non aveva mai visto fare a Ryuzaki nemmeno prima del suo incarceramento.
-Ho già concordato con Watari tutto ciò che riguarda l'operazione di domani. Se tutto andrà bene, vi chiederei di permettermi di essere ricoverato per qualche giorno qui, di modo che possa tornare attivo entro breve.-
Soichiro annuì. Chissà che il riposo non potesse risolvere i suoi dubbi nei confronti di Light...
-Nel frattempo, il comando delle operazioni passerà all'agente K.- disse, indicando la signorina Banks col mento. -È questa l'identità della signorina Banks. Abbiamo lavorato insieme prima che io diventassi L, e sono sicuro che potrà dare un grosso contributo alle indagini. Sebbene...- e distolse lo sguardo. -... come avrà potuto intuire dalla mia reazione nel riconoscerla, non scorre buon sangue tra di noi. Ma vi posso assicurare che con lei sarete in ottime mani.-
-Io non sono un investigatore come L.- intervenne allora lei, avvicinandosi. -Abbiamo metodi diversi. Lui si basa quasi interamente sulle sue intuizioni ed è in grado di risolvere un caso da solo. Io invece ho continuamente bisogno della collaborazione dei miei uomini, perché vaglio ogni ipotesi e mi concentro sul lavoro sul campo e sul raccoglimento delle prove. In parole povere... vi farò sgobbare.- Sorrise. -Non sono così intelligente da potermi permettere di risolvere questo caso da sola.-
     Discussero dei dettagli, e poi Soichiro lasciò che L venisse visitato. L'agente K si spostò nel salotto e ricominciò il suo lavoro, mentre lui uscì assieme a Watari, che l'avrebbe accompagnato a casa. La scarcerazione dei due sospettati sarebbe avvenuta tre giorni dopo, al tramonto. Yagami domandò a Watari alcune cose, anche se tenne per sé la domanda che più gli premeva fare: Chi era l'agente K? Perché Ryuzaki aveva avuto quella reazione violenta nel vederla?
Watari sembrava aver intuito la sua curiosità, perché gli disse: -K e L hanno lavorato insieme per un certo periodo quando erano più giovani.-
Più giovani?” pensò Soichiro “Avranno entrambi meno di trent'anni!”
-In realtà... K è stata la maestra di L.- si sistemò gli occhiali sul naso adunco. -Forse da sola non vale quanto lui, ma datele una squadra e giungerà praticamente agli stessi risultati.-
Yagami rimase sbigottito. -Quella ragazza ha addestrato L?!- domandò incredulo.
Watari annuì. -K è più grande, ed è stata parecchio precoce. Ma si è resa subito conto del potenziale di L, per questo ha voluto addestrarlo personalmente. Però si può dire che l'alunno ha superato di gran lunga la maestra.-
Yagami pigiò il pulsante del piano terra sull'ascensore, riflettendo; sperava che lavorare con l'agente K sarebbe stato più semplice. Da quel che aveva potuto capire nelle settimane in cui era stata con loro al quartier generale, si fidava ciecamente delle intuizioni di L, ma questo non le aveva impedito di sollevare delle obiezioni. Sperava che avesse un po' più di buonsenso, e che, grazie a lei, Light avrebbe potuto avere un po' di pace. Certo, prima L aveva tenuto conto delle opinioni di Banks, ma fino ad un certo punto: se ora aveva scoperto che dietro quella donna c'era la sua maestra, avrebbe ascoltato il suo parere?

     Dopo la visita, L rimase a letto. Roberts gli aveva somministrato dei tranquillanti per farlo dormire, e si era raccomandato di non svegliarlo per almeno sedici ore.
-L'ho visto ridursi lentamente in quello stato, nel corso di questi anni.- disse Roberts a K, una volta lasciata la stanza. -Non può andare avanti così. Ne va della sua sopravvivenza.-
K sbuffò, nervosa. -Idiota.- commentò. -Sta ottenendo l'effetto esattamente opposto. Crede di dover fare tutto da solo, restando sveglio la notte, quando sa perfettamente che in questo modo non lascia al suo cervello il tempo di elaborare meglio le informazioni acquisite durante il giorno. Il suo è uno sforzo inutile e dannoso.-
-Da qualcuno dovrà pur aver preso.- disse Roberts, guardandola severamente.
-Tsk.- fece K. -Io reprimo le mie emozioni e le mie reazioni, ma mangio e dormo regolarmente, durante un caso.-
Roberts le consegnò un foglio coi medicinali da somministrare ad L e le indicazioni degli orari, poi si infilò le mani in tasca, e uscì dall'appartamento.
     K rimase tutto il resto del pomeriggio e della sera in salotto ad analizzare dati e a preparare un piano d'azione, finché, verso le dieci, sentì il giovane mugolare ed agitarsi nel letto. Entrò nella stanza per vedere come stava, e lo vide dibattersi tra le lenzuola, in un bagno di sudore. Gli toccò la fronte: scottava. Allora andò in bagno per inumidire un panno da passargli sul viso, e poi si sedette di fianco a lui per assisterlo come meglio poteva. Era di sicuro in preda ad uno dei suoi incubi. Riviveva ogni notte, da quasi vent'anni, l'incubo della madre che tentava di soffocarlo col cuscino, e che poi si gettava dalla finestra. Per questo odiava dormire.
K gli tamponava il viso col panno umido, e ripensava alle parole che le aveva rivolto alcune ore prima: “Guarda come mi sono ridotto”. Si arricciò i capelli intorno al dito, pensando al fatto che lui non le aveva mai detto una sola parola d'affetto, eppure il senso di colpa nei suoi confronti lo aveva logorato al punto da renderlo il fantasma di se stesso. E quella furia... K non l'aveva mai visto così. L'aveva visto arrabbiarsi altre volte, poteva contarle sulle dita di una mano: il giorno in cui le aveva ustionato il viso, durante il caso dei sequestratori del Nevada (ah, quella volta... aveva addirittura rischiato di farli scoprire!), e un'altra volta, sempre a lavoro. E poi quella furibonda litigata, il giorno in cui Watari l'aveva cacciata dalla Wammy's House. Non erano nulla, se messe a confronto con ciò che era successo quel pomeriggio.
L smise di dibattersi, e tornò a respirare normalmente. A K sembrava di essere tornata ai tempi della Wammy's House, quando lui era stato seppellito dagli altri bambini sotto la neve, e lei aveva dovuto accudirlo tutta la notte, perché ovviamente gli era salita la febbre. In quel momento, gli sembrava ugualmente fragile e indifeso, così dimagrito, così sciupato, e con quel nervosismo e l'arroganza che derivavano dal fatto che le sue convinzioni stessero vacillando. Gli rimase ancora un po' accanto, controllando la flebo, asciugandogli il viso, prendendogli la temperatura, prima di decidersi finalmente ad andare a letto.

     Era all'incirca mezzogiorno, quando L fu svegliato da K che bussava alla porta.
-Devi alzarti e mangiare.- sentì la sua voce oltre la porta. -E i tuoi vestiti sono asciutti. Posso entrare?-
L mugugnò di sì, e lei aprì la porta. Reggeva i vestiti di L con la mano sinistra, la cui spalla era ancora fasciata, e il detective poté notarvi un leggero tremolio. Indossava gli stessi pantaloncini di jeans molto corti del giorno prima, ma ora aveva addosso una canottiera bianca, lunga e sformata, che lasciava intravedere la spessa cicatrice sulla spalla destra e la fasciatura sulla sinistra. Per evitare che si notasse troppo il reggiseno, aveva infilato un top nero sotto. Gli lasciò i vestiti ai piedi del letto, e poi tentò di sciogliere la spalla.
-Ho saputo che il proiettile non ha intaccato nulla di vitale, per cui dovresti riuscire a riprenderti al cento per cento.- disse L. -Però... ti fa tanto male?-
K fece il giro del letto, per controllare la flebo.
-Sono stata peggio.- rispose, lapidaria, mentre gli sfilava l'ago dal braccio. -Ora vestiti. Ti aspetto di là.-
-Vedo che non sono l'unico a girare con vestiti che mi cascano di dosso.- commentò L, facendole cenno alla spallina della canottiera che le stava scivolando sul braccio.
-Sì, vabbé, ecco...- bofonchiò lei. -Sono scappata dal mio appartamento con una borsa d'emergenza, non è che potessi portarmi dietro tutto il guardaroba. Piuttosto...-
E lo guardò storto.
-Ricordo un tempo in cui questi vestiti più o meno li riempivi. Cerca di ricominciare ad avere dei ritmi normali, o non so quanto riuscirai ad andare avanti.-
     Poi uscì, e L si rivestì in fretta per raggiungerla in soggiorno, dove vide un plico di fogli molto alto, con alcune parti evidenziate e con qualche appunto a margine. Sul divano più grande c'era un cuscino spiegazzato e un impermeabile che pendeva dallo schienale.
-Ti prego, non mi dire che hai dormito sul divano, con tutti gli appartamenti che ci sono in questo palazzo.- le disse, stiracchiandosi.
Nelle ultime due settimane probabilmente aveva dormito in totale meno rispetto a quanto non fosse riuscito a fare quella notte. Mancavano due giorni alla scarcerazione di Light e Misa, e ne avrebbe potuto approfittare per lasciare un po' di lavoro a K e Watari e cercare di riprendersi, ma c'erano ancora troppe cose in sospeso che avrebbe voluto risolvere.
-Lavoravo qui, quando ti è venuta la febbre.- rispose la voce di K, proveniente da un'altra stanza. -Ad un certo punto hai cominciato ad agitarti. È stato un bene che io fossi qui a farti da balia.-
Uscì dal cucinino con un vassoio su cui facevano bella mostra diversi piatti, con bacon, uova strapazzate con erba cipollina, fagioli, pane e burro.
-English breakfast.- gli fece, posando il vassoio sul tavolino. -E spremuta d'arancia. Scordati il caffè per un po'.-
-Va bene, mamma.- sbuffò lui. -E dire che ho quasi venticinque anni, ora. Potresti anche smetterla di trattarmi come un moccioso.-
Anche lei sbuffò sonoramente, e si lasciò cadere pesantemente sul divano.
-Sei tu che hai cominciato a comportarti da bambino capriccioso.- disse, allargando le gambe e appoggiandovisi sopra coi gomiti, dopo aver preso la propria tazza di matcha. -Saresti morto stecchito di stenti davanti a quegli schermi, pur di dimostrare che Light è Kira.-
     Mangiarono in un silenzio surreale, lanciandosi di tanto in tanto qualche occhiata in cagnesco; nulla di strano, almeno per loro. Quando ebbero finito, K liberò il tavolo e vi poggiò i suoi appunti; poi si sedette a terra, mentre L rimase sul divano.
-Prima di iniziare... ora vorrei che ci concentrassimo esclusivamente sul caso Kira.-
Stava evitando di guardarlo negli occhi.
-La priorità in questo momento e rimetterci a lavorare sul serio a questo caso, mentre tu cerchi di riprenderti. Perciò ti esporrò i risultati delle mie ricerche e, se ci avanza tempo, potrai chiedermi quello che vuoi.-
L annuì, e allungò una mano per prendere il primo tra i fascicoli che K gli stava porgendo. Lo svogliò in silenzio, mentre finiva di bere una tazza di tè verde.
-Perciò, hai partecipato alle autopsie degli agenti dell'FBI uccisi da Kira?-
-Esatto.-
K si rabbuiò leggermente in volto.
-Vedi... Per farla breve: mentre mi tenevano prigioniera, quand'ero incinta, dal momento che non potevo muovermi dalla mia cella se non in casi eccezionali, mi sono messa a studiare medicina legale. Poi mi hanno fatto continuare gli studi e ho preso un'altra laurea, e così ne hanno approfittato poi per farmi partecipare per anni alle autopsie a fianco dell'NCIS. Era anche il motivo per cui mi avevano mandato in Giappone a novembre, assieme agli agenti dell'FBI: oltre ad essere un'agente investigativo, avrei anche potuto effettuare io l'autopsia subito, anziché attendere che le salme fossero rimpatriate per poi chiamare l'NCIS.-
Scosse la testa, e incrociò le lunghe gambe bianche.
-Sono riuscita a conservarmi parte dei risultati, sebbene abbia dovuto spedire tutto negli States.-
Estrasse alcune fotografie, e le passò a L. -Impronte digitali rilevate sul distintivo dell'agente Raye Penber.-
     I documenti parlavano di tre diversi tipi di impronte. Uno corrispondeva a quelle dello stesso Penber, un altro a Naomi Misora. Il terzo tipo risultava introvabile nel database.
-Cos'hai trovato?- chiese L. K gli mostrò una copia del documento di incarcerazione di Light Yagami, completo delle sue impronte digitali.
-Quando ho fatto l'autopsia, Light non era ancora stato incarcerato. Ma guarda la rilevazione che sono riuscita a fare, appena uscita dal coma.-
Le impronte digitali sconosciute ritrovate sul distintivo di Penber coincidevano con quelle di Light Yagami.
-Bingo!- sussurrò L.
-Mi ero anche permessa- continuò K -di inviare una foto di Light Yagami a tutti coloro che a Tokyo vendevano televisori portatili, chiedendo se per caso un ragazzo con quell'aspetto ne avesse acquistato uno prima della fine del 2003.-
L la guardò sorpreso. -Non posso credere che tu sia riuscita a trovare qualcosa seguendo quella pista.-
-Considerando la giovane età dell'acquirente, ho ricevuto una risposta più positiva di quanto mi aspettassi. Una dozzina di negozi hanno risposto che generalmente non è un articolo acquistato così spesso da ragazzi, e quindi era probabile che quello in foto fosse tra i compratori. Mi sono fatta inviare i video di sorveglianza dei mesi ottobre, novembre e dicembre del 2003, e ho trovato questo.-
Passò ad L alcuni fotogrammi in bianco e nero stampati su carta fotografica. Nel primo si vedeva un ragazzo del tutto simile a Light Yagami entrare nel negozio. Nel secondo, lo stesso ragazzo stava indicando ad un commesso un mini televisore. Nel terzo, si trovava alla cassa e stava pagando in contanti. Nel quarto, lo si vedeva uscire dal negozio con una busta abbastanza grande nella mano destra.
-Dalla data e dall'ora riportati sul video sono riuscita a risalire a questo.- e mostrò una fotocopia del registro di quel negozio, dove aveva evidenziato la vendita di un televisore portatile da 7 pollici a cristalli liquidi, nel giorno e all'ora indicati sul video di sorveglianza.
     K poteva aver ragione con la sua teoria del televisore nascosto nel sacchetto di patatine. Restava da verificare se il sovrintendente Yagami fosse a conoscenza di questo acquisto. Tra gli apparecchi elettronici registrati durante l'installazione delle telecamere in casa Yagami (registrazione che era stata necessaria per sapere dove piazzare le telecamere in maggior numero) non vi era menzione alcuna ad un televisore portatile. E tale sopralluogo era avvenuto dopo la data d'acquisto del televisore. Certo, purtroppo nessuna di quelle prove era schiacciante, e avrebbe smentito soltanto l'alibi di Light per le esecuzioni avvenute durante la sua sorveglianza, e non quelle delle settimane successive alla sua incarcerazione. Ma avrebbero giustificato i sospetti di L di fronte agli altri agenti. O forse...
-Sei stata lodevole come sempre.- disse L, leggendo i rapporti. -Ma ti devo chiedere di mantenere queste informazioni segrete.-
-Sapevo l'avresti detto.- sorrise K. -Ci sarebbe anche un'altra cosa di cui vorrei discutere con te.-
     L la guardò dritta negli occhi. Lei distolse lo sguardo.
-Il momento in cui Misa e Light paiono uscire da una sorta di possessione.-
Prese il telecomando e accese la TV.
-Lasciamo da parte per un momento l'orrore che mi è salito nel vedere queste registrazioni, e concentriamoci sul labiale.-
Erano le registrazioni delle telecamere di sorveglianza delle celle di Misa e Light. Si vedeva prima Misa, con gli occhi coperti, rifiutarsi di parlare. Poi la si vedeva piangere e urlare “Uccidimi, ti prego!”. Infine, la si vedeva sussurrare qualcosa. Una ciocca di capelli si era mossa, da sola, e Misa era svenuta. Al suo risveglio, la sua personalità sembrava completamente stravolta, e pareva del tutto ignara di qualunque cosa riguardasse Kira. Nelle immagini relative a Light, lo si vedeva sempre in silenzio, assorto, ogni tanto parlare da solo sottovoce. Ad un certo punto aveva mormorato qualcosa, e pochi istanti dopo aveva cominciato ad agitarsi e a proclamare la propria innocenza.
-Sono cambi repentini di personalità che farebbero pensare ad una possessione.- disse L, scettico.
-Questo prevederebbe che le due vittime siano completamente preda di una forza superiore.- ribatté K. -Ma non so se hai notato che loro due pronunciano le stesse parole, prima del cambiamento.-
L annuì. -Ma muovono pochissimo le labbra e hanno la testa rivolta verso il basso.-
-Per questo ho chiamato un fonologo giapponese.- disse K con una risatina. Il grande difetto di L era che era poco propenso a chiedere aiuto. Mentre lei non si faceva scrupoli a smuovere chiunque per sopperire alle sue lacune.
-Dicono entrambi chiaramente “Rinuncio”. Che è una formula generalmente usata nella liturgia, specialmente durante il Battesimo e la Cresima per sancire la propria rinuncia a Satana.-
-Quindi, secondo te...- cominciò L, sfregandosi il pollice contro il labbro inferiore -Non è possibile che loro siano semplici vittime, perché in quel momento rinunciano consapevolmente a qualsiasi sia l'entità che conferisce loro il potere di uccidere.-
-Esatto.- rispose K, spegnendo il televisore e raccogliendo le ginocchia al petto, per poi avvolgerle con le sue braccia. Si mise a dondolare sul tappeto.
-Sono d'accordo con te.- disse lui, voltandosi verso di lei. -È probabile che abbiano perso i ricordi legati alle loro azioni in quanto Kira, ma che abbiano la possibilità di ritornarne in possesso.-
-Come pensi che dovremmo muoverci?- chiese allora la giovane, sempre continuando a dondolare. -Cosa dovrei fare mentre tu resti in infermeria?-
     Elaborarono un piano. Era un po' strano che ora fosse L, tra i due, a dare ordini.
K lo stava ad ascoltare in silenzio, ma ogni tanto non riusciva ad evitare qualche commento saccente.
-Come sarebbe a dire che non ti sei degnato nemmeno di cercare una traccia sull'identità del nuovo Kira?!- sbottò, ad un certo punto. -Mi stai dicendo che sei davvero rimasto cinquanta giorni a tenere d'occhio Light e Amane senza preoccuparti dei nuovi omicidi?!-
Lui distolse lo sguardo.
-Mi rendo perfettamente conto di aver gestito questa parte del caso in modo inappropriato, senza che sia tu a dirmelo.-
-Dannazione, L!- fece lei, esasperata. -Io non ho potuto fare molto in questi giorni, dal momento che Roberts voleva farmi fare più terapia possibile per non doversi fermare qui in Giappone ancora a lungo, e oltre ad occuparmi di Light stavo cercando di aiutare Burton ad incriminare la Hogson.-
Batté il pugno a terra.
-Mi stai dicendo che devo cominciare praticamente daccapo le indagini?-
-L'unica cosa che ho notato...- continuò L. -È che questo nuovo Kira uccide indistintamente chiunque venga accusato di un crimine, senza seguire una sorta di morale. Punisce anche chi uccide per difesa, per errore, o chi ruba per fame.-
-Sì, grazie, questo l'avevo notato anch'io.- ribatté lei acida. -Ma non avresti almeno potuto impegnare Aizawa, Mogi e Matsuda per occuparsi dei nuovi casi di morte? Perché hai voluto focalizzare tutta la tua attenzione su quei poveri ragazzi?-
-Quei poveri ragazzi hanno ucciso centinaia di persone!- protestò L, alzando il tono della voce. -Non ho idea di quello che potrebbe succedere, ora che probabilmente verranno liberati.-
-È vero che meriterebbero di marcire in galera per il resto dei loro giorni.- concordò K. -Ma le persone continuano a morire. Dovremmo pensare alla punizione dopo aver fermato gli omicidi.-
     L sospirò a fondo, e si prese il viso tra le mani, sfinito. Lui e K lavoravano perfettamente in simbiosi quando si trovavano d'accordo, ma avevano metodi diversi, e si ritrovavano a discutere troppo spesso.
-Ci lavoreremo in questi due giorni che ci restano.- cedette, alla fine. -Cercheremo di trovare una pista da cui ripartire con le indagini, di modo da rimettere Light immediatamente al lavoro.-
-Ah, no, caro.- ribatté lei, alzandosi in piedi e incrociando le braccia. -Io ci lavorerò in questi giorni, mentre tu te ne starai buono buonino a letto, a cercare di rimettere in sesto il tuo povero cervello.-
Si chinò poi a raccogliere le stoviglie sul vassoio, per riportare tutto in cucina.
-Stai andando avanti soltanto a botte di caffeina e glucosio, sei praticamente strafatto da settimane. E non penso di doverti avvertire io di quanto sia pericoloso continuare così, e non solo per il tuo fisico.-
Si alzò e si voltò verso di lui, fissandolo intensamente negli occhi.
-Stai perdendo di vista ciò che è lecito e ciò che non lo è, ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, l'umano dal disumano. Per questo sei arrivato a questo punto.-
     Lo lasciò sul divano a rimuginare, mentre andava in cucina. Il detective si alzò per sgranchirsi le gambe, e, nel farlo, sentì il rumore di qualcosa di piccolo tintinnare cadendo sul pavimento. Guardò a terra e vide un anello d'oro bianco con un rubino in cima, infilato in una cordicella nera strappata. Si chinò a raccoglierlo con le lunghe dita affusolate e lo alzò controluce, ammirandone i riflessi; poi lo pulì delicatamente, e lo alzò nuovamente per esporlo alla luce. In quel momento si accorse che i raggi del sole stavano entrando di sbieco nella stanza, illuminando i due divani, così si infilò l'anello in tasca e andò a tirare le tende.
-Faccio dell'altro tè?- domandò K, dal cucinino. -Ah, e per la cronaca: spero che non ti abitui a me che ti faccio da cameriera, da infermiera e da balia. Come hai detto tu, hai venticinque anni, potresti anche badare da solo a te stesso. E non usare il povero Watari come maggiordomo.-
-Così adesso è diventato “il povero Watari”?-
L infilò la mano in tasca, e si mise a giocherellare con l'anello, mentre sul suo volto si disegnava un sorriso triste.
Andò verso la cucina, tentando di camminare ritto.
     -Voglio sapere cos'è successo dopo che sei partita per gli Stati Uniti, sette anni fa.- disse, in tono serio.
K stava sciacquando i piatti nel lavandino, e si voltò a guardarlo con gli occhi sbarrati.
-E va bene.- disse, asciugandosi le mani. -Andiamo di là.-
Aspettarono che l'acqua bollisse e si sedettero nuovamente sul divano: L stava appoggiato allo schienale, con le gambe distese, mentre K si era di nuovo buttata malamente, coi gomiti appoggiati alle ginocchia divaricate e lo sguardo fisso avanti.
-Prima, però, c'è un'altra cosa che non ti ho detto riguardo a Light Yagami.- disse, sprofondando con la testa tra le spalle. -E non ti piacerà.-
-Non penso che ci sia qualcosa tra tutto quello che mi devi dire che mi possa piacere.- disse L, passando un braccio sopra lo schienale del divano. -Perciò, spara. Ma non credere che poi non pretenderò di sapere tutto quello che mi hai nascosto in questi anni.-
K annuì, intrecciò le dita e abbassò lo sguardo.
-La sera in cui hanno ucciso Bjarne ho provato a telefonare a casa di Light, in modo da impedirgli di vedere i notiziari.-
Versò l'acqua calda nelle due tazze e poi posò il bollitore sul tavolino.
-Non ha funzionato. Quindi...-
Si morse il labbro, mentre portava la propria tazza alla bocca. -L'ho minacciato.-
L trasalì. -Perché hai fatto una cosa tanto stupida?-
-Guarda che non sono una completa idiota...- si difese lei, voltandosi per fulminarlo con lo sguardo. -Non gli ho mica detto chiaro e tondo “Hai appena ucciso mio fratello, pagherai per questo”.-
L si rimise a sedere normalmente, guardandola di sottecchi.
-Ma se per caso riuscisse a trovare un collegamento tra te e Bjarne?-
-Non sono in pericolo, non col primo Kira.- rispose K, tentando nuovamente di bere il tè; cambiò idea, e prese a soffiarci sopra, tenendo la tazza con entrambe le mani bianche.
-E se anche Light scoprisse che c'era un collegamento tra me e lui, non riuscirebbe comunque a risalire al mio nome. Bjarne è stato adottato alla nascita, sarebbe praticamente impossibile riuscire a risalire ai documenti di adozione, visto che i nomi dei genitori naturali sono tenuti segreti. E poi io e lui abbiamo padri diversi, e mia madre ha cambiato cognome dopo essersi sposata con mio padre, perciò dubito che sarebbe così semplice riuscire da lui a risalire al mio vero nome. Inoltre ci siamo conosciuti che eravamo già grandi, e sono in pochi a sapere che è mio fratello.-
-Hai intenzione di mostrarti in volto durante le indagini, non è così?- domandò L, leggermente infastidito.
-Esatto.- K provò a sorseggiare la tisana. -Sono stanca di nascondermi. E poi non sai che fastidio, portare lenti colorate e parrucca tutto il giorno. E il trucco per coprirmi l'ustione, ah...!-
     L non discusse, sebbene quella decisione lo preoccupasse molto. Fino a quel momento K aveva avuto un notevole vantaggio rispetto a Light e Misa perché la sua identità era ancora nascosta, e i due non sospettavano che quello che Light conosceva non fosse il suo vero volto.
-Ciò non toglie che se Light recuperasse la memoria, probabilmente tu salteresti in cima alla lista delle persone da fare fuori.- protestò L, avvicinando la mano alla propria tazza. Scottava. La ritrasse.
-Siamo entrambi in cima a quella lista, L.- ribatté la giovane, bevendo un altro sorso. -Oltretutto, tu sei molto più influente sugli organi giudiziari, perciò sei maggiormente a rischio. In questa situazione, stiamo entrambi mettendo in gioco la pelle, ma, se me lo permetti, gradirei non dover essere costretta a guardarmi continuamente le spalle e truccarmi e travestirmi di continuo.-
L abbassò lo sguardo per un istante.
-E va bene, allora.- disse. -Cercherò di pensare ad un modo per tenerci entrambi al sicuro. Ora, però, mi devi delle spiegazioni.-
     K sospirò, si tirò indietro con la schiena, gemendo leggermente per il dolore alla spalla; si appoggiò allo schienale e si raggomitolò sul divano.
-Il motivo per cui ho accettato il lavoro all'FBI...- cominciò, con la tazza alzata a coprirle il volto. -...era che avevo scoperto che il responsabile dell'incidente di vent'anni fa gestiva un gruppo di mercenari che occasionalmente prestavano servizio sotto il comando degli agenti federali.-
Abbassò lo sguardo.
-Devi sapere che mio padre aveva organizzato un viaggio in Sudafrica. Sai, mia madre gli ripeteva spesso che avrebbe voluto fargli vedere i luoghi in cui era cresciuta, eccetera. Per cui, un giorno mi lasciarono dai nonni e andarono a fare un giro in una vecchia zona di Bloemfontain, dove una volta c'erano dei parchi, dove mia madre andava giocare, o qualcosa del genere. Ebbene, quel posto era diventato un luogo di spaccio, e perciò, quando arrivarono, si ritrovarono nel bel mezzo di uno scambio: c'era un furgone pieno di armi, che probabilmente stavano scambiando con dei diamanti. Mio padre vide la scena da lontano, e fece dietrofront con la macchina noleggiata, per andare al più vicino negozio e chiamare la polizia. Ma i soldati videro la targa e riuscirono facilmente a risalire a lui. Così quella sera stessa tornammo in Inghilterra col primo volo, e cominciammo a fuggire.-
Bevve un lungo sorso e rimase un attimo in silenzio, mentre guardava le ombre allungarsi sul pavimento.
-Ci misero qualche mese a rintracciare i nostri spostamenti. Mio padre sicuramente si era messo a fare delle ricerche, per cui era certo che avessero intenzione di farci fuori tutti. Poi ci fu l'incidente.-
Si voltò verso la spalla destra: la canottiera bianca consunta lasciava la cicatrice ben visibile.
-Avevano manomesso i freni. Eravamo nelle Highlands, uscimmo da una curva e ci schiantammo giù dal fianco di una montagnola. Mio padre e mio zio morirono sul colpo, e io mi beccai una lamiera addosso. Ma mia madre era riuscita a rimanere cosciente, per cui mi tirò fuori dalla macchina. Svenni poco dopo, e mi risvegliai dopo quattro mesi in una clinica pediatrica privata finanziata da Watari, che mi disse che nemmeno mia madre si era salvata. Le si era fermato il cuore mentre era ricoverata all'ospedale di Glasgow; sospettavano che avessero pagato qualcuno per iniettarle qualcosa mentre era incosciente. Quanto a me...-
Disse, stringendosi le ginocchia col braccio che reggeva la tazza di tè.
-... I miei genitori erano in contatto con Watari già da un po', per chiedergli aiuto nel raccogliere abbastanza prove perché potessero essere inseriti in un programma di protezione testimoni. Perciò, Watari fu immediatamente avvertito dell'incidente e mi fece ricoverare nella sua clinica. Falsificò il mio certificato di morte e mi accolse in uno dei suoi orfanotrofi.-
Si voltò a guardare L.
-Dopo tre anni si accorse delle mie doti e mi trasferì alla Wammy's House, pochi giorni prima che arrivassi tu. Rispetto agli altri bambini, eravamo quelli che avevano vissuto più tempo coi propri genitori, e avevamo già affrontato traumi difficili, perciò aveva pensato che fosse una buona idea farci entrare insieme per farci forza l'un l'altra.-
Le sue labbra si piegarono in un sorriso sardonico.
-Col senno di poi... probabilmente non mi avrebbe mai permesso di avvicinarmi a te.-
     L la guardava intensamente. Questa parte della storia la conosceva, a grandi linee. Gliel'aveva raccontata una sera, una delle innumerevoli volte in cui erano scappati dalla Wammy's House per andare in riva al fiume sotto l'albero di ciliegio, a studiare le stelle. L non aveva parlato per settimane, dopo il suo arrivo all'accademia, per cui gli altri bambini lo avevano preso di mira. Eppure, K gli era sempre stata accanto, l'aveva difeso e aveva cominciato a portarlo sempre insieme a sé.
     -Ora che sei qui, dobbiamo darti un nuovo nome.- gli aveva detto Watari, il giorno in cui era arrivato.
-Ho fatto alcune ricerche, ma a quanto pare tua madre non ti ha mai registrato all'anagrafe. Sei praticamente inesistente, per il mondo: niente certificato di nascita, niente documenti. Hai almeno un nome?-
Il bambino non aveva risposto.
-Nulla? Eppure ho bisogno di un nome per compilare la tua matricola. Vedi...-
E gli mostrò la sua cartella.
-Ogni matricola è composta da due lettere, l'anno di nascita, l'anno di immatricolazione e un numero indicante l'ordine di immatricolazione per quell'anno: dispari per i maschi, pari per le femmine. Sono riuscito a risalire al tuo anno di nascita, perciò la tua matricola, per il momento, sarebbe: L come Lawliet, poi c'è il trattino, poi 79 come il tuo anno di nascita, 87, che è quest'anno, 21, perché prima di te quest'anno sono arrivati altri nove bambini (il numero 01 non lo assegniamo per scaramanzia, come nei camerini a teatro). Però manca l'ultima lettera. Mi vuoi dire che non hai un nome?-
Il bambino era rimasto in silenzio a guardare verso il basso.
-Va bene.- si era arreso il vecchio. -Vorrà dire che ci metterò un punto interrogativo.-
Aveva scarabocchiato sulla cartella e vi aveva apposto un timbro.
-Ecco.- aveva detto infine. -Matricola L-798721?, questo è il tuo documento.-
Poi aveva chiuso la cartella.
-Ora però dobbiamo darti un nuovo nome. Vuoi scegliertelo da solo o te ne diamo noi uno d'ufficio?-
Il bambino aveva aperto il fascicolo, e aveva indicato la “L” prima del trattino.
-L?- aveva domandato il vecchio, dubbioso. -Ma non puoi chiamarti “L”.-
-Signor Wammy?- aveva allora detto una vocina femminile.
Il bambino si era voltato, e aveva visto una ragazzina più alta di lui, con lunghi capelli bianchi, la pelle chiarissima e gli occhi rosa leggermente asimmetrici.
-Mi aveva fatta chiamare?-
-Certo, Kendra, accomodati pure.- le aveva detto il vecchio. -Questo sarà il vostro nuovo compagno. Ho pensato di fare le vostre immatricolazioni lo stesso giorno, così da risparmiarmi un po' di seccature.-
Si era quindi voltato di nuovo verso il bambino.
-Gli ho chiesto quale fosse il suo nome, o quale nome volesse scegliere per sé, ma non parla ancora. Ha solo indicato la “L”.-
-”L”?- aveva ripetuto la ragazzina, sovrappensiero. -Perché no? Sembra un nome da agente segreto! Ed è per questo che siamo qui, no? Per diventare delle specie di agenti segreti!-
Aveva riso, di una risata spontanea e innocente.
Wammy si era voltato verso il bambino, con le sopracciglia aggrottate.
-Vorresti davvero farti chiamare L?-
Il bambino aveva abbassato lo sguardo, poi aveva annuito lentamente.
-Non che ci siano problemi, credo.- aveva ripreso il vecchio. -Ma non pensi che gli altri bambini possano prenderti in giro per questo?-
-E allora io potrei farmi chiamare K.- aveva detto Kendra. -Dopotutto, mi hai chiamata Kendra perché la mia matricola inizia con la K, no? E poi sono più grande, e la K viene prima della L nell'alfabeto.-
Si era voltata verso il bambino e gli aveva sorriso, allungandogli la mano.
-Ciao, io sono Kendra, ma se vuoi, d'ora in avanti, io e te saremo K e L.-
     -Penso che la Hogson abbia cominciato a sospettare che io fossi ancora viva quando ho richiesto le cartelle cliniche di mia madre e mi sono fatta fare uno storico delle nostre malattie.- stava dicendo ora K.
L si riprese dai propri pensieri.
-Quando Bjarne è stato chiamato per il servizio di leva?-
La giovane annuì.
-È stato allora che abbiamo scoperto di avere entrambi la malattia di Huntington.- disse, sprofondando nel divanetto.
-Immagino che da quel momento in avanti, abbiano tentato di risalire alla mia identità, ma dal momento che lavoravo con Burton, probabilmente pensavano che fosse stato lui a consultare quelle cartelle per riaprire il caso della morte dei miei genitori.-
Si allungò per appoggiare la tazza sul tavolino da tè, e riprese.
-Iniziai a raccogliere degli indizi concreti poco dopo. Così andai da Burton e gli chiesi se avrebbe potuto trovare un modo per custodirli. Poi tornai in Inghilterra da te per cominciare ad addestrarti.-
-Perché continuassi a lavorare al caso nel caso in cui tu fossi morta o si fosse manifestato l'Huntington.- terminò lui. -Perciò, Burton custodiva le prove.-
Sbuffò e volse lo sguardo altrove. -Buono a sapersi...-
     -Ecco...- riprese K. -... Ma alla fine ho deciso di tenerti fuori... perché...-
Abbassò lo sguardo, mentre gli occhi e le guance le viravano verso il rosso.
-Perché hai pensato bene di salvarmi tenendomi completamente all'oscuro di tutto questo, e hai preferito farmi credere di esserti suicidata?- domandò L, con tono irritato.
-Errore di calcolo.- disse lei. -Non avrei dovuto coinvolgerti dall'inizio. E non lasciarmi coinvolgere da te.-
Stava sprofondando sempre più nel divano, con le braccia conserte, la testa stretta nelle spalle e un piede che si muoveva su e giù nervosamente.
-In ogni caso, avevo scoperto i collegamenti della Hogson con l'FBI, per cui mi ero resa conto che qualsiasi cosa fosse, sarebbe stata incredibilmente grossa e pericolosa per permettere anche a te di ficcarci il naso. Ho tentato di convincere anche Bjarne a starne fuori, ma sai quant'è cocciuto.-
Si bloccò, ed abbassò lo sguardo.
-Era. Era cocciuto.- sussurrò.
Rimasero per un attimo in silenzio, e poi lei riprese.
-Un giorno tornai nel mio appartamento e mi resi conto che era stato perquisito. Sai che avevo i miei metodi per scoprire se qualcuno era entrato in camera mia di nascosto, no?-
-Perciò le tue manie di persecuzione sono finalmente servite a qualcosa?-
K lo ignorò.
-Avevano aperto la cassaforte, e avevano trovato la cassetta in cui tenevo le mie foto e i miei ricordi... E così hanno capito chi ero. Perciò, alcuni giorni dopo, sono stata rapita mentre andavo a lavoro, e mi hanno portato direttamente da Hayer, che era quello che si occupava dei mercenari in quell'organizzazione.-
     I suoi occhi stavano di nuovo diventando rossi, e questa volta non per l'imbarazzo.
-Hayer minacciò di uccidere te e Bjarne, anche se non aveva idea di chi voi foste, solo perché vi aveva visto nelle mie foto. Su di te non aveva scoperto nulla, ovviamente, mentre Bjarne lo stavano facendo pedinare da giorni. Sapevano anche di Burton, e delle prove che custodiva, ma dal momento che non erano riusciti a risalire al codice, si erano decisi a prendermi come prigioniera.-
Strinse i pugni.
-Feci subito capire loro che ero io ad avere il coltello dalla parte del manico, perché non sarebbero mai potuti risalire a te, e se io e Bjarne fossimo morti, le prove sarebbero finite alla Wammy's House. Perciò hanno avuto paura, e hanno deciso di tenermi prigioniera a vita solo per continuare a dare a Burton le giuste chiavi di accesso, mese per mese, finché non avessero trovato un'apertura.-
-Perciò...- intervenne L. -Le cose sono precipitate quando ti sei accorta di essere incinta?-
Lei gli rivolse un'occhiataccia.
-Mi lasciarono libera una sera, per incontrare Bjarne. Ovviamente sarebbe stato un incontro controllato da diversi uomini, e avevo delle cimici addosso. Lo fecero solo perché immaginavano che Bjarne si sarebbe insospettito se avessi saltato ancora una volta uno dei nostri incontri.-
Sospirò.
-Per cui andammo in un ristorante dove facevano pesce. Io ero intenzionata a fargli capire che mi avevano presa, e che lui sarebbe dovuto fuggire subito dal Paese insieme ai suoi. Però... durante la cena cominciai a sentirmi male, e corsi in bagno a vomitare. Lui mi seguì, per accertarsi che andasse tutto bene, e venne subito raggiunto da uno dei due uomini che ci stavano tenendo d'occhio. Bjarne sicuramente l'aveva visto, per cui fece due più due... e quella sera avvertì i suoi genitori di mollare tutto e scappare.-
-Ma lui non lo fece.- intervenne allora L.
Poi distolse lo sguardo, con un velo di tristezza sul volto. -Ovvio, se aveva intuito che eri nei guai. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per te.-
-Per di più aveva sicuramente capito che ero incinta.- riprese K, stringendosi ancora di più su se stessa. -Mentre vomitavo l'anima ho fatto due calcoli, ho ripensato a quella sera, e credo di averti chiamato con appellativi poco carini. E lui sicuramente ha sentito.-
Anche L si rannicchiò su se stesso, portandosi anche lui le ginocchia al petto e stringendole a sé.
      -Beh, suppongo di essermeli meritati.- sussurrò.
-Supponi?!- ringhiò lei, scattando in piedi.
-Dimmi la verità.- continuò, piantandogli in faccia uno sguardo infuocato. -L'hai rotto apposta, non è vero?-
L la guardò a lungo negli occhi, mentre la rabbia di lei saliva, e, infine, abbassò lo sguardo.
-Lo sapevo!- urlò allora K, voltandosi di scatto e prendendo a camminare nervosamente su e giù per la stanza, sibilando un “Bastardo” tra i denti.
-Dovevo proprio ridurmi ad andare a letto con un imbecille con la sindrome dell'abbandono? Che mi mette incinta soltanto perché ha paura che io non ritorni da lui?- urlava, camminando a passi rapidi per la stanza.
-Qualcuno potrebbe sentirti.- intervenne L, in tono calmo, alzandosi dal divano.
-Stai. Zitto.- scandì lei, girandosi improvvisamente verso di lui, puntandogli il dito contro. -Mi hai odiata per sei anni perché ti ho detto che non avresti mai visto tuo figlio, che avrei abortito senza pensarci due volte, e avresti avuto ragione ad odiarmi, ma...-
E così dicendo gli si avvicinò, con gli occhi che pulsavano rossi.
-Mi vuoi spiegare a che cazzo stavi pensando quella sera? Davvero credevi che sarei tornata da te e che avremmo giocato all'allegra famiglia?-
Arrivò a muso duro a pochi centimetri dal suo volto, prima di urlargli contro:
-Eri un fottutissimo ragazzino!-
Si allontanò da lui, lottando contro l'impulso di tirargli uno schiaffo in faccia.
-Ti eri preso solo la classica, fottutissima cotta per la tua insegnante, per la tua figura materna di riferimento! E io? Io ci sono cascata in pieno! Perché andare a letto con uno studente, minorenne, che in passato tutti avevano considerato come il mio fratellino era troppo eccitante e trasgressivo.-
Tirò un pugno al muro, frenandosi solo verso la fine. Tremava.
-Siamo stati due idioti. Ma saremmo stati solo due idioti qualunque, se le cose si fossero fermate lì.-
Si voltò a guardarlo, con gli occhi pieni di rabbia.
-Invece hai voluto fare la stronzata più colossale che si potesse immaginare. Non vuoi che ti tratti come un bambino, eppure mi hai messa incinta solo perché avevi paura che ti abbandonassi. Come ha fatto tua madre con te. Hai proiettato su di me la sua figura per anni. E hai finito per metterci in mezzo persone che non c'entravano nulla, e per cosa?-
Fece una smorfia.
-Solo per gelosia e possesso.-
     L aveva dipinta sul volto un'espressione indecifrabile. Si alzò e tentò di avvicinarsi, ma cambiò idea, e rimase fermo dove si trovava.
-Hai perfettamente ragione.- disse, infine. -Non c'è nulla che possa dire per giustificarmi o per cambiare quello che è successo. Sono stato un idiota, e pure un egoista, perché per quanto potessimo essere adulti e maturi già a quella giovane età, con l'infanzia e l'addestramento che abbiamo avuto... mi sono comportato da bambino capriccioso.-
Si era messo le mani in tasca, e sfregava nervosamente un piede contro i jeans.
-E, non contento, sono stato ancora più stupido ad averti odiata perché credevo mi avresti portato via Nate. Perché pensavo egoisticamente soltanto a come sarebbe stato bello avere un piccolo clone a cui insegnare tutto quello che sapevo. Giocare a fare il padre, visto che non ne avevo mai avuto uno.-
Si lasciò andare ad una risatina sprezzante, e poi ad una smorfia di disgusto.
-Sono una persona ancora più subdola e meschina di quanto entrambi credessimo.-
Tirò fuori l'anello dalla tasca dei propri jeans, e lo allungò verso di lei.
-Ti ho persino chiesto di sposarmi, pur di avere la sicurezza che non mi avresti abbandonato.-
-Guarda che non è proprio andata così.- ribatté lei, incrociando le braccia e volgendo lo sguardo altrove. -Hai semplicemente farfugliato qualcosa sui diritti legali concessi ai familiari dei malati incapaci di intendere e di volere. Ho pensato che ti sentissi in dovere di farmi da cavaliere per occuparti di me una volta che l'Huntington si fosse manifestato, rimanendo al mio fianco in qualità di coniuge, dal momento che non potevo riconoscere Bjarne come mio fratello, essendo tecnicamente morta a seguito dell'incidente di mio padre. Certo, sarebbe stato un bel colpo, per te: avresti potuto avermi tutta per te alla faccia di Bjarne. E tutto ciò quand'eri diventato maggiorenne da appena mezzo secondo.-
     Lui allora si avvicinò di qualche passo, sempre tenendo l'anello in mano.
-E allora mi chiedo...- cominciò, parandosi di fronte a lei. -... come mai tu non solo lo abbia accettato quel giorno, ma lo abbia addirittura conservato per tutto questo tempo.-
Lei sospirò sonoramente, roteò gli occhi e si staccò dal muro, sempre a braccia conserte, facendo pochi passi, fino a dargli le spalle.
-Perché mi hai fatto fare una promessa.- disse, con lo sguardo basso. -Mi hai chiesto di continuare a lottare per vivere, finché avessi ricordato quel giorno. Anche se l'Huntington si fosse manifestato.-
Poi girò leggermente il viso, per guardarlo da sopra la spalla.
-Come puoi vedere, nonostante tutto ho mantenuto quella promessa. Anche nei momenti peggiori della mia prigionia, anche quando credevo che non ci fosse via di scampo, e che fossimo tutti finiti, ho cercato di tenere a mente quella promessa, e non ho mollato.-
Anche lui allora si voltò, la raggiunse nuovamente e le prese una mano, ma lei la ritrasse.
-Calma.- le disse. -Voglio solo che lo riprendi. Vorrei che continuassi a mantenere la promessa, e che tu non ti faccia uccidere da Kira. O da Hayer.
K guardò l'anello sul palmo della mano del giovane, poi lo afferrò con un gesto secco e se lo mise in tasca.
     -Devi finire di spiegarmi cos'è successo a te e a Bjarne.- riprese L, come se nulla fosse successo, tornando a sedersi.
K era rimasta in piedi, a guardarlo storto, ma alla fine ritornò anche lei sul divano, dove si lasciò cadere, reggendosi la testa con la mano.
-Bjarne si era reso conto che ero incinta, per cui non avrebbe voluto lasciarmi in quella situazione. Sai com'era fatto. Dal momento in cui ha scoperto di avere la malattia di Huntington ha deciso di intraprendere una personale crociata per rendermi libera di vivere una vita normale, finché avessi potuto. Tuttavia, dal momento che i suoi genitori partirono quella sera stessa, vennero assunte misure più severe nei suoi confronti: gli bloccarono il passaporto, gli piazzarono cimici e qualche telecamera nell'appartamento, iniziarono a controllare tutte le sue chiamate e i conti correnti. Io avrei voluto abortire, prima che si rendessero conto che ero incinta, ma... non ne ebbi il coraggio. In parte, fu merito o colpa di Bjarne.-
Strinse la mano a pugno.
-Alla fine se ne accorsero. E ne approfittarono. Dissero che in cambio del mio silenzio e della mia collaborazione, mi avrebbero garantito un salvacondotto, uno solo. Io l'avrei usato per Bjarne. Mi avevano già pestata più di una volta, immaginavo che prima o poi mi avrebbero procurato un aborto a suon di botte, ma Hayer proibì a chiunque di toccarmi. Bjarne scelse di cedere il suo salvacondotto al bambino, per permettermi di darlo in adozione. Diceva che non avevo il diritto di decidere univocamente se farlo nascere o meno, e che la decisione spettava anche a te. E gli avrei anche dato ragione, se io avessi avuto voce in capitolo al momento di concepirlo. Perciò... devi ringraziare lui se il bastardello è alla Wammy's House.-
L si sentì pervadere da un senso di disgusto al sentire quelle parole, ma cercò di non darlo a vedere.
     -Per cui mi dissero che sarei dovuta morire. E sarei dovuta morire odiata, in modo che nessuno avesse poi il minimo interesse ad indagare sulla mia morte. Per questo ti lasciai quel messaggio in segreteria, mi resi irrintracciabile per chiunque e poi simulai il mio suicidio.-
Riprese fiato. Senza rendersene conto, aveva cominciato a tremare dalla rabbia.
-Poi mi corressero lo strabismo e mi diedero una nuova identità. Potevo chiamare Burton per confermare i codici, e vedere Bjarne ogni tanto. Iniziarono a procurarmi lavori molto remunerativi come investigatrice e collaboratrice, per investire poi quei soldi in diversi giri poco puliti. Tentarono ovviamente di scoprire la tua identità, ma dal momento che ti presentavi come Eraldo Coil ai tempi in cui lavoravamo insieme, riuscirono a ricollegare soltanto quell'identità a te. Finché un loro collaboratore dell'FBI non arrivò con un identikit tuo, e così capirono che eri anche L. Ma questo è successo solo di recente, circa un anno e mezzo fa.-
-Perciò ti hanno fatto assumere durante il caso Kira per tentare di uccidermi?- domandò il giovane, col mento appoggiato sulle dita intrecciate.
-Immagino che volessero sbarazzarsi di me definitivamente, eliminando ogni possibile pericolo. Per cui, avrebbero tentato di uccidere te e Watari, Burton, Medina, me e Bjarne. E magari avrebbero preso Nate per crescerlo tra le loro fila e servirsi di lui in futuro.-
L strinse i denti e sciolse le dita, rimettendosi rannicchiato con le ginocchia contro il petto e cominciando a mordicchiarsi il pollice.
-Nel momento in cui sono morti i due agenti che erano con me, sono corsa nel primo negozio per chiamare Harvey, e avvertire Watari che ero viva e che eravate in pericolo. Non ho voluto che tu lo sapessi in quel momento, perché non sapevo come avresti reagito, e avevo bisogno che rimanessi completamente lucido, se non altro per il bene di Bjarne.-
     Calò un attimo di silenzio.
-Credevi che mi sarei rifiutato di aiutarti?- domandò infine L.
-Non potevo immaginare come avresti reagito dopo che ti avevo fatto credere di essermi suicidata come tua madre, e averti molto probabilmente provocato di nuovo lo stesso trauma.-
Gli occhi di K in quel momento erano tristi.
-Non mi avrebbe stupito se ieri, vedendomi, mi avessi strangolata a morte.-
Il suo tono di voce era cupo.
-Non ti avrei biasimato, se lo avessi fatto.-
     Il sole stava calando. K era tutta raccolta su se stessa, col volto nascosto dai lunghi capelli bianchi, appoggiato sulle ginocchia, e guardava nel vuoto. Un soffio di vento mosse le tende, facendo entrare un raggio di sole, e L si alzò per andare a chiudere la finestra.
-Ti ho odiata, lo ammetto.- disse infine, rimanendo a guardare fuori il cielo arancione. -Ti ho odiata talmente tanto che credevo avrei perso completamente il senno.-
Volse lo sguardo verso di lei.
-Mi hai visto, no? Ho rivissuto il mio peggior incubo per la seconda volta. Solo che ero convinto di aver perso molto di più rispetto al passato.-
-Avrei voluto fare in un altro modo.- riprese allora lei. -Ma tra le mie cose avevano trovato una lettera che mi mandasti quando ero al college, in cui parlavi del suicidio di tua madre, per cui mi obbligarono a rimetterlo in scena.-
-Non ha più importanza, ormai.- disse lui, con un'espressione indecifrabile negli occhi grigi sbarrati. -Per come la vedo io, continuare a discutere dei nostri errori e delle nostre colpe del passato non ci aiuterà ad affrontare quello che sta per arrivare. Ma...-
E si avvicinò a lei, tendendo una mano.
-Puoi continuare ad odiarmi per aver messo tutti in pericolo col mio desiderio infantile. Lo capirei. I miei capricci potrebbero aver indirettamente causato la morte della persona a cui tenevi di più al mondo.-
Lei guardò la sua mano, e si decise a dargli una stretta.
-Non hai causato tu la sua morte.- sussurrò. -Anch'io ho le mie colpe.-
     Si strinsero la mano in segno di riappacificazione, e K si alzò in piedi. Poi riprese le tazze e si allontanò di nuovo verso il cucinino.
-Tra poco dovresti tornare al quartier generale, vero?- domandò, mentre apriva l'acqua calda per lavare i piatti.
L la seguì.
-Sì.- disse, prendendo uno strofinaccio. -Darò a te il comando per i preparativi per la scarcerazione di Light e Misa, e poi tornerò qui per essere ricoverato. Verrete te e Yagami a farmi rapporto domani sera, e poi dopodomani parteciperò anch'io all'operazione.-
Si mise ad asciugare i piatti.
-Sai davvero ancora come si fanno i lavori domestici?- domandò K, in tono tagliente.
L non le rispose, e continuò il suo lavoro.
-Prima o poi voglio sapere la storia di come Watari si è trasformato dal perfido direttore del Wammy Lager ad Alfred il Maggiordomo.-
L rise, ma era una risata amara.
-Non oggi.-
E posò la tazza appena asciugata sul piano della cucina.
-Non è una storia divertente. Sicuramente non per te.-
K si morse il labbro, e calò di nuovo un silenzio imbarazzato, rotto dallo stomaco di L che si mise a brontolare.
Scoppiarono a ridere.
     -Vado a cambiarmi.- disse allora K. -Tra poco dovrebbe arrivare Watari. Avevo fatto ordinare del pesce per te stasera, ma avevo detto di fartelo portare direttamente all'hotel dove si trovano i tuoi agenti. Però possiamo fermarci per strada a comprare dei tamagoyaki, se hai fame.-
L la guardò allontanarsi, e gli parve che il suo passo fosse tornato quello leggero e ancheggiante di un tempo.
-Ehi.- la chiamò, raggiungendola. Lei si girò, con sguardo interrogativo.
-Stephanie...-
K sbarrò gli occhi e sobbalzò al sentirsi chiamare col suo vero nome.
-No. Nononononono.-
L le cinse la vita con un braccio, e le infilò l'altra mano tra i capelli. Col pollice le sfiorò la macchia dell'ustione. K gli poggiò istintivamente le mani sul petto per spingerselo via di dosso.
-Sì, mandami via.- le sussurrò lui, facendo scorrere le dita lungo la linea della sua mascella, per poi prenderle in mento tra pollice e indice, mentre le sue labbra si schiudevano. -Dimmi chiaro e tondo che non mi vuoi.-
K lo fissava negli occhi grigi allungati con sguardo a metà tra l'impaurito e il doloroso. Le sue dita ebbero un fremito, mentre le premeva contro quel petto divenuto scheletrico. Avrebbe potuto liberarsi della sua debole presa prima ancora che lui la stringesse a sé, e anche in quel momento avrebbe potuto scaraventarlo via. Ma non lo fece. Abbassò lo sguardo, e strinse tra le dita tremanti la maglietta di lui, mentre le sue spalle tese si scioglievano.
Lo attrasse a sé, stringendo i denti, mormorando, sconfitta: -Siamo due idioti.-
     Watari aprì la porta in quel momento, e K ritrovò la forza di spingere L via da sé, per poi stringersi nelle spalle, e avvolgersi in un abbraccio solitario.
-Scusate l'interruzione.-
Il vecchio richiuse la porta alle sue spalle, totalmente impassibile di fronte alla scena intravista. -Ma credo sia quasi il momento di andare.-
K, se possibile, era diventata ancora più bianca in volto.
-N-Non... stavamo facendo nulla!- esclamò, imbarazzata, mentre si allontanava in punta di piedi, raggomitolata su se stessa.
-Beh... siete entrambi maggiorenni, ora...- commentò Watari, solo leggermente accigliato. -Suppongo di non avere più il diritto di dirvi cosa potete o non potete fare.-
Detto questo, uscì dall'appartamento intimando loro di sbrigarsi, e K si infilò velocemente nella propria camera, sbattendosi la porta alle spalle.
-Colpa di quei pantaloncini scandalosamente corti.- le disse ad alta voce L, dal soggiorno. -Ritengo sia meglio tu ti vesta in modo un po' più appropriato durante le indagini. Non vorrei diventassi una distrazione. E non parlo solo di me.-
-Non dire una parola!- urlò lei di rimando, mentre gettava malamente i jeans incriminati e la canottiera sul letto, e prendeva il suo completo nuovo dall'armadio. -Sbagliare è umano. Perseverare per mesi è diabolico. Rimanere incinta, non ne parliamo. Addirittura ricascarci? È follia!-
Stava per precipitarsi fuori dalla stanza, quando si bloccò sulla soglia, tornò indietro e rovistò nelle tasche dei jeans per tirare fuori l'anello, e portarlo con sé. Controllò di aver abbottonato bene la camicetta, fino all'ultimo bottone, e infilò l'anello nel taschino della giacca, poi uscì di corsa dalla stanza, rossa in volto, corse verso il tavolino da tè e buttò un po' di fogli alla rinfusa in una valigetta nera.
     L era all'ingresso, che si infilava le sue logore scarpe da tennis bianche in piedi e con le mani in tasca, aiutandosi solo con le dita dei piedi.
-Hai intenzione di ignorare quello che è appena successo finché non avremo chiuso il caso?- domandò, guardando nel vuoto.
-I casi.- lo corresse lei. -E la risposta è sì. Lo sai perfettamente che non accetto alcun tipo di distrazione quando lavoro, e le questioni personali sono le peggiori.-
Terminò il proprio maldestro lavoro e raggiunse il giovane.
-E poi, non è successo nulla.- aggiunse, piegandosi di lato per infilarsi una scarpa col tacco. -Sono passati quasi sette anni, eravamo due ragazzini immaturi e idioti, con un sacco di gravi complessi.-
Si mise anche l'altra, mentre L apriva la porta.
-Abbiamo fatto un casino.- continuò lei. -Abbiamo incasinato la vita anche ad altra gente, ed è successo tutto per noia. Perciò ora noi usciremo da quella porta, e ci comporteremo come due adulti che non sono finiti a letto per noia unita ad un bel complesso edipico irrisolto, il tutto condito dalla mia tendenza autolesionista a mettermi nei casini per il solo piacere di vedermi punita.-
Fece per uscire, ma L le bloccò il passaggio, parandolesi davanti.
-Un'ultima cosa, allora.- disse, calmo, allungando una mano e sbottonandole il primo bottone della camicia, ignorando il suo sguardo furente. -Questo colletto rischia di soffocarti. Cerca di non morire prima che abbiamo concluso questo caso e io abbia avuto la possibilità di parlarti di nuovo apertamente com'è successo oggi. So che hai l'anello in mano, per cui ricorda il motivo per cui te l'ho dato.-
Si voltò e aprì la porta. Poi si voltò verso di lei, accennando un mezzo sorriso.
-Non morire.-
K uscì in silenzio e a testa bassa, e, mentre L richiudeva la porta dell'appartamento, la donna si rigirò l'anello tra le dita, passando un dito sull'incisione, che recitava: L & K. Nov. 8Th, 1997.

Note

    Ebbene sì, eccoci giunti al "colpo di scena".
    Essendo una ff era abbastanza scontato che la mia OC fosse stata con L, perciò non sono riuscita a sfuggire a questo classico clichè. Devo però dire che mi ha divertito molto creare tutte quelle ambiguità cha hanno fatto così che il lettore potesse convincersi del fatto che il fratellastro di K fosse L, e che Bjarne fosse suo fidanzato e padre di Near.
Sebbene la scena della riunione di K e L sia probabilmente la mia preferita, per come l'ho creata e per tutte le versioni di essa che ho elaborato fino ad arrivare a quella che per me non credo sarà ancora quella definitiva, apprezzo anche questo momento, quello della rivelazione. Ho cercato di intessere nella narrazione, fin dall'inizio del capitolo, alcuni "campanelli d'allarme", e ho rinunciato a presentare questa rivelazione come colpo di scena a fine capitolo perché ritenevo che non sarebbe stato  naturale per i due protagonisti. In questo, credo che questo capitolo sia più naturale rispetto al precedente: in quello non ho potuto rivelare molto, per cui credo che i dialoghi possano apparire decontestualizzati, strozzati, incoerenti, che, per dirla in modo profano, si "salti di palo in frasca". Ho cercato però di costruire quei dialoghi come risultato di due anime in subbuglio, accecate dal risentimento e dal rimorso ed incapaci di esprimere i loro veri sentimenti; cosa che è invece stata possibile in questo capitolo, dove la calma ha permesso di fare luce su molti aspetti oscuri del passato di K e L, senza dovermi per questo perdere in lunghe digressioni da narratore onnisciente, che considero assolutamente estraneo allo stile del manga, e che per questo motivo non ho voluto adottare.
    Vi chiedo scusa per la nota così lunga, ma considero questo uno dei punti fondamentali della mia fic, più a livello tecnico che di trama, ed è per questo che vorrei chiedervi dal profondo del cuore se poteste scrivermi le vostre opinioni in un messaggio privato. Sarebbe importante per me sapere se questo modo di scrivere ha sortito gli effetti che speravo, se è necessario che cambi qualcosa, mi piacerebbe avere qualche consiglio sullo stile.
    Ringrazio di cuore tutti coloro che hanno avuto la pazienza di seguirmi fino a qui, e spero possiate aiutare questa povera aspirante scrittrice a capire se è effettivamente capace a scrivere xD

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Capitolo 13
*** Capitolo 10 - La bilancia della giustizia ***




Capitolo X




     Soichiro aveva avvertito i suoi uomini del piano di Ryuzaki per scarcerare Light e Misa, e ovviamente aveva incontrato grandi resistenze da parte di Aizawa. Nemmeno a lui quel piano piaceva, ma era indubbio che le prove a carico di Misa Amane e il suo legame con Light fossero pesanti. Ryuzaki non aveva reso noto il loro stato di fermo, perché era ben conscio che, se l'avesse fatto, nel momento in cui gli omicidi si erani interrotti, i governi mondiali avrebbero preteso la testa dei due ragazzi, anche se non vi erano altre prove a carico.
-E poi...- aveva aggiunto Aizawa. -Cos'è questa storia che sarà Banks a dirigerci? Ryuzaki non aveva detto che avrebbe lasciato a lei il comando, signor Yagami?-
-Eppure io mi sono fatto incarcerare perché temevo di impazzire all'idea che mio figlio potesse essere Kira.- aveva risposto il sovrintendente. -E stando a quanto ha detto Watari, l'agente K è stata colei che ha addestrato Ryuzaki, perciò io credo di potermi fidare del suo giudizio.-
-Ma anche lei crede che Light sia colpevole!- aveva insistito Aizawa. -E, per quanto ne sappiamo, potrebbe essere colpa sua se Ryuzaki ha quei modi poco ortodossi di condurre le indagini!-
La discussione era andata avanti ancora per molto, ma alla fine avevano dovuto tutti accettare la decisione di Ryuzaki.
     Era già buio quando entrò Watari, accompagnato dal detective e dall'agente K. Soichiro aveva avvertito gli altri dell'aspetto della giovane donna, invitandoli a non mostrarsi troppo curiosi o insistenti nel guardarla; eppure, sobbalzarono tutti nel vederla arrivare.
Portava, come sempre, un completo blu elegante, ma questa volta, anziché avere i pantaloni lunghi e la camicia abbottonata fino ai polsi e fino al collo, aveva una gonna appena sopra il ginocchio, una giacchetta con le maniche a tre quarti, le maniche della camicetta bianche arrotolate e i primi bottoni aperti, per cui si vedeva chiaramente la sua pelle bianca. Si soffiò il folto ciuffo da davanti il lato sinistro del volto, dove aveva l'ustione, mentre entrava a passo spedito, reggendo la valigetta con la mano destra e tentando di non muovere troppo la sinistra.
-Ben ritrovati a tutti.- disse L, che si stava togliendo le logore scarpe da tennis. -Come immagino vi avrà già anticipato il sovrintendente, per qualche giorno dovrò assentarmi, per recuperare la salute, e in questo periodo lavorerete sotto la direzione della qui presente agente K, che per comodità continuerete a chiamare Nathalie Banks.-
-Come stai, Nathalie?- intervenne subito Matsuda. -Non abbiamo avuto molte notizie dopo il tuo incidente.-
-E quello lo chiami un incidente?- commentò seccato Aizawa. Poi si voltò verso Banks e la fulminò con lo sguardo. -Questa donna ci ha portato degli infiltrati nel quartier generale che erano pronti a farci fuori tutti! Chi ci assicura che non ci tradirà di nuovo?-
-Insomma, Aizawa!- intervenne Soichiro. -Ha tentato di disarmare Grumann ed è stata ferita, non ti sembra abbastanza?-
-Ha ragione Aizawa.- disse infine Banks, facendo un passo avanti, con la mano destra sul fianco. -È assolutamente normale che sia sospettoso nei miei confronti. Significa che il suo istinto da poliziotto sta facendo il suo dovere.-
     Rimasero tutti sbigottiti di fronte alla sua presa di posizione. Non era tanto cosa aveva detto, ma il suo tono, e lo sguardo vagamente inquietante che illuminava il suo volto. Piegò le labbra in un ghigno sprezzante.
-Non mi aspetto di certo che siate d'accordo con la decisione di Ryuzaki di usare la messinscena della finta esecuzione per scarcerare Light e Misa.- riprese, mentre il suo volto tornava ad essere neutro. -Ma, d'altronde, se fosse trapelata la notizia dell'arresto di Amane, delle prove raccolte e dell'inspiegabile interruzione degli omicidi coincidente con l'arresto di Light Yagami... quei due sarebbero finiti al patibolo da un pezzo.-
Ritornò verso il tavolino dove aveva appoggiato la borsa, ne estrasse dei fogli, che riallineò facendoli cadere perpendicolarmente sul piano.
-Pensate che Ryuzaki sia prevenuto nei confronti di Light e che stia esagerando? Non vi do torto. Ma, se ci pensate bene, anche voi state facendo la stessa cosa al contrario: Ryuzaki pensa che Light Yagami sia Kira, perciò si rifiutava di credere che lasciare libero lui e Amane fosse giusto e lecito; d'altra parte, voi tutti partite dal presupposto che Light Yagami non possa in alcun modo essere Kira, perché è un ragazzo esemplare, non ha mai mostrato segni di ribellione, né comportamenti violenti, è il figlio del sovrintendente, è gentile con tutti. Tuttavia, state perdendo di vista alcuni fatti incontrovertibili.-
E sollevò il dito indice.
     -Numero uno: Kira è giapponese, e vive nel Kanto. L'ha dimostrato Ryuzaki con lo stratagemma di Lind L Taylor. Light è giapponese e vive nel Kanto.-
Sollevò anche il dito medio.
-Numero due: all'inizio delle indagini, è stata scoperta una talpa all'interno dell'interpol, il che ha portato ad ipotizzare che Kira si potesse trovare tra i familiari degli agenti di quella sezione, gli unici in grado di potersi avvicinare ad un terminale che possedesse le informazioni trapelate. Da una rapida analisi dei nuclei familiari di quegli agenti, considerando che la probabile talpa dovesse avere un minimo di conoscenza informatica per poter entrare nel sistema, si è giunti ad una scrematura di possibili indiziati, tra i quali figura Light Yagami.-
Pollice.
-Numero tre: tra tutti gli agenti dell'FBI venuti in Giappone per sorvegliare le famiglie degli agenti dell'Interpol, è Raye Penber, come si evince dalle riprese delle telecamere, l'unico ad avere un comportamento sospetto poco prima che muoiano tutti. E Raye Penber era colui che stava sorvegliando in quei giorni proprio la famiglia Yagami, assieme ad altre tre.-
Anulare.
-Numero quattro: Naomi Misora, giunta al quartiere generale dell'Interpol per contattare L, viene vista parlare con Light Yagami. Si perdono le sue tracce poco dopo.-
Mignolo.
-Numero cinque: Light Yagami si propone di andare ad Aoyama il 22 maggio. Il 23 maggio, viene imbucato un nuovo video del secondo Kira, che dice di aver trovato il primo. Il 26 maggio, Mogi vede Misa Amane con Light Yagami. Il 27 maggio, la scientifica trova corrispondenza tra il DNA di Misa Amane e quello trovato sul nastro di imballaggio dei pacchi del secondo Kira.-
     Alzò anche l'altra mano.
-Numero sei: i genitori di Misa Amane vengono uccisi da un ladro. Tuttavia, il processo va per le lunghe, e c'è la possibilità che il colpevole riesca a cavarsela. Ma Kira lo uccide. Un motivo abbastanza valido per creare nella ragazza rimasta orfana un senso di gratitudine e la voglia di conoscere Kira.
Numero sette, e qui voglio tutta la vostra attenzione: dopo l'arresto di Misa Amane e Light Yagami, si fermano inspiegabilmente gli omicidi. Per quindici giorni. Non uno, non due. Quindici. Dovremmo forse supporre che Kira abbia deciso di prendersi una vacanza nell'esatto momento in cui Light Yagami entra in cella? Una bella coincidenza. Peccato che la prima regola di un agente investigativo sia che non esistono le coincidenze.-
     Aizawa fece per parlare, ma lei continuò, zittendolo con lo sguardo.
-Ora possiamo restare qui a disquisire quanto volete sul fatto che poi gli omicidi siano ricominciati, ma questi sono i fatti. E non ho ancora finito. Numero otto, e sto per finire le dita. Ryuzaki, nel caso dammi una mano. Letteralmente. Dicevo, numero otto: i sospettati cambiano repentinamente personalità ad un certo punto. Poco dopo, ricominciano le morti. Nel caso specifico di Misa Amane, inizia ad ammettere di conoscere Light e di essere la sua ragazza, quando prima si era sempre rifiutata di rispondere a questa domanda. Numero nove...-
-Nessuna di queste cose dimostra che Light è Kira!- la interruppe Aizawa, quasi urlando.
Calò il silenzio, e tutti gli agenti videro gli occhi di Banks cominciare a pulsare e a farsi rosso sangue. Soichiro vide Ryuzaki sorridere sotto i baffi.
-Nu-me-ro-no-ve.- scandì Banks, con tono basso, ma graffiante, quasi come se la sua voce fosse accompagnata da un ringhio. Il collo si era teso, e così il suo viso, con le labbra che erano diventati una linea sottile, distorta. Aizawa non osava più muovere un muscolo.
-Quando sono ricominciati gli omicidi di Kira, è risultato chiaro che chi li perpetrava aveva un metodo diverso rispetto ai primi due.-
     Il silenzio si era fatto pesantissimo, e l'aria era terribilmente tesa.
-Ora.- riprese allegramente Banks dopo qualche secondo. -Esaminiamo i fatti incontrovertibili che invece allontanano da Light Yagami i sospetti di essere Kira.-
E riprese a contare sulle dita.
-Numero uno!- esordì, con un tono da annunciatrice televisiva. -Durante il periodo di sorveglianza con le telecamere, Light Yagami non stava guardando i notiziari nel momento in cui i criminali venivano annunciati, e morivano poco dopo.-
E poi, di nuovo.
-Numero due! Nonostante Light Yagami fosse stato incarcerato, gli omicidi sono ripresi dopo quindici giorni, senza che lui avesse alcun accesso a notizie dall'esterno.
Numero tre! … Ah...-
E le sue labbra si aprirono in un ghigno.
-Non c'è nessun numero tre.- sibilò.
Di nuovo, tutti gli agenti rimasero sbigottiti.
     -Certo...- riprese Banks, incrociando le braccia e cominciando a camminare su e giù per la stanza. -Siamo praticamente certi che quando scarcereremo Light e Misa, dopodomani, non si verificherà alcun tipo di fenomeno paranormale che finirebbe con l'uccidere il sovrintendente Yagami, perciò possiamo dare un altro punto all'innocenza di Light. E, per voler essere proprio gentili, potremmo anche levare un punto dalla bilancia dell'accusa, ad esempio quello sulle motivazioni che potrebbero spingere Misa Amane ad ammirare Kira, sebbene lei l'abbia anche ammesso esplicitamente; dopotutto, in molti ammirano Kira, ma non sono tutti dei potenziali serial killer.-
Si fermò e guardò tutti gli agenti negli occhi.
-Anche in questo caso, ci ritroveremmo con otto bussolotti sul piatto dei colpevoli e tre sul piatto degli innocenti.-
Riprese a camminare. -Vogliamo parlare del peso di questi undici fatti? Bene! Parliamone.-
Si fermò di nuovo.
-Gli omicidi si sono fermati per quindici giorni nel momento in cui Light Yagami si è consegnato alla polizia. E poi sono ricominciati con un'altra modalità. Mi sembra un fatto insindacabile di un certo peso, voi cosa ne dite?-
Il suo tono e la sua espressione tornarono ad essere seri e distaccati.
-Perciò vi chiedo questo: siete dei poliziotti, considerate i fatti. Non vi lasciate traviare dalle impressioni. Il vostro giudizio non deve essere offuscato da sentimenti personali o meri stereotipi. Pensate che il nostro accanimento sia esagerato, che i nostri metodi siano estremi, che dovremmo seguire altre piste? Sono assolutamente d'accordo con voi.-
Si voltò a guardare Ryuzaki.
-Nemmeno io sono d'accordo coi metodi e con l'accanimento di Ryuzaki. Eppure, non posso sfuggire alla realtà dei fatti.-
Si avvicinò allo schienale di una poltrona e vi si appoggiò con una mano, piegandosi in avanti e tenendo l'altra su di un fianco.
-E i fatti dicono che c'è più di una buona ragione per sospettare Light Yagami di essere stato per lo meno lo strumento di Kira dalla prima morte fino al 6 giugno del 2004.-
     Si alzò, e si voltò verso Ryuzaki.
-Come sono andata?- domandò, con voce infantilmente entusiasta.
-Di manica un po' larga.- rispose il detective, inespressivo. -Sembra che tu ti sia ammorbidita con gli anni.-
I poliziotti giapponesi erano rimasti esterrefatti. Quando lavorava sotto copertura, Banks era molto rigida, fredda, chiusa, e rimaneva al suo posto. Ma in quei pochi minuti, quell'impressione si era completamente sgretolata di fronte alla sua vera essenza.
-Per concludere questa introduzione...- intervenne allora L, che intanto aveva preso posto sulla poltrona dove Banks stava appoggiata. -Voglio che nella giornata di domani cominciate a raccogliere un po' di dati sui nuovi omicidi di Kira, e che poi ce li riportiate non appena saremo tutti di nuovo riuniti. Se le cose dovessero andare bene, Misa Amane rimarrà sotto stretta sorveglianza, dal momento che le prove a suo carico non sono ancora state smentite da alcun alibi, mentre Light potrà partecipare alle indagini, ma dovrà rimanere ammanettato al sottoscritto.-
Si allungò verso il tavolino da tè, dove Watari aveva portato del matcha. Prese la tazza giapponese con due mani, bevve un sorso, e fece una smorfia di disgusto per via del sapore amaro.
-Voi mettetevi pure al lavoro.- disse, riprendendosi. -Io vi devo lasciare tra poco; devo tornare al nuovo quartier generale per ricevere le dovute cure.-

     -Certo che non me lo sarei mai aspettata che il maniaco fosse un vecchietto come te.- disse Misa al sovrintendente Yagami, quando la fece salire sull'auto.
-Guarda che io non sono un maniaco.- rispose il sovrintendente, vagamente nervoso. -Sono un poliziotto.-
-Un poliziotto...?- domandò Misa, confusa. -Ma sì! Ora ricordo! Quando all'inizio hai detto che ero indiziata per il caso del secondo Kira parlavi sul serio!-
Stava sudando.
-Andiamo, un poliziotto non mi avrebbe legata in questo modo come un pervertito... E dai!-
Si piegò verso il sedile del guidatore.
-Smettila di prendermi in giro... E poi perché porto ancora le manette se hai detto che sto per essere liberata?-
-Smettila di fare domande.- la zittì Yagami, a muso duro.
     Si infilò con l'auto in un tunnel, dove lo aspettava Aizawa insieme a Light, anche lui ammanettato. Si fermò, scese e aprì la portiera ad Amane, che corse subito incontro al ragazzo, chiamandolo per nome.
-Morivo dalla voglia di vederti!- squittì.
-Papà, ma cosa significa tutto questo?- domandò Light.
-Cosa?! L'hai chiamato papà?- fece Misa, improvvisamente agitata. -Accidenti, ho dato del maniaco a tuo padre! Gli ho detto delle cose terribili!-
Si stampò un sorriso gentile in faccia e si rivolse a Yagami.
-Piacere di conoscerla! Sono Misa Amane e al momento mi vedo con suo figlio...-
Ma Soichiro aveva preso le chiavi della macchina di Aizawa, ed era andato ad aprirla, senza aprir bocca.
-Che vi prende?- domandò infine, guardando i ragazzi col volto corrucciato. -Salite, presto.-
     -Finalmente mi avete liberato.- disse Light, dopo un po'. -Voglio sperare che i sospetti sul mio conto si siano dissolti.-
-No.- ribatté Soichiro, duro. -Adesso vi porterò entrambi sul patibolo, perché siate giustiziati.-
Dietro di lui, i due ragazzi sobbalzarono.
-Il luogo dell'esecuzione è stato allestito in segreto nei sotterranei di un edificio, e io mi sono offerto volontario per condurvi là.-
Light e Amane cominciarono a protestare in tono concitato.
-L ha stabilito che Light Yagami è Kira, e Misa Amane è il secondo Kira. Ed è giunto alla conclusione che giustiziandovi cesserà la serie di omicidi.-
-Questo vuol dire che gli omicidi non si sono interrotti?- domandò allora Light, con una grande rabbia dentro.
-No. Stanno ancora continuando.-
-Ma com'è possibile?! L ha continuato a dirmi tutto il contrario...-
-Forse si trattava di una falsa informazione che L ti ha dato per farti confessare, ma ormai non ha più importanza. Tutti i principali organi, dall'ONU al governo hanno accolto di buon grado la proposta di uccidervi entrambi per fermare i delitti. Pertanto è stato deciso che Kira verrà eliminato, e all'oscuro da tutti.-
-Non posso crederci!- quasi urlò Light. -È assurdo! Io non sono Kira!-
-È vero!- intervenne Misa. -Cosa le passa per la testa, papà? Light è suo figlio, no?-
-Non sono stato io a decidere.- riprese il sovrintendente, mentre si vedeva in lontananza la luce del tramonto entrare nel tunnel. -Ma è stato L ad ordinarmelo. Lui ha risolto molti casi in passato, senza mai sbagliare una volta.-
-Ma papà...- riprese Light, con un tono a metà tra il supplichevole e il risentito. -Ti fidi più di L che di me che sono tuo figlio?-
-L ha anche detto che se ciò non farà interrompere la serie di omicidi se ne assumerà la responsabilità togliendosi la vita.-
     Light sobbalzò.
-Dannato L! Ma cosa gli passa per la testa? Effettivamente, basandosi solo sugli indizi raccolto fin'ora, è logico che lui la pensi così... Ma si sta sbagliando! Perché giungere ad una conclusione così drastica?-
Alzò lo sguardo.
-C'è qualcosa di strano... Non è da lui agire in questo modo, non ti pare? In tutti i casi che ha risolto fin'ora L ha sempre fornito delle prove schiaccianti, non vorrà mica chiudere il caso in questo modo?!-
Ormai si vedeva il ponte e il profilo della città al di fuori del tunnel.
-Ecco.- riprese Soichiro. -Siamo quasi arrivati.-
Appena usciti, il sovrintendente sterzò bruscamente, e scese per una stradina sterrata al lato del ponte. Senza diminuire la velocità, procedette a forti sbalzi fino a ritrovarsi sul terreno piano. Sgommò e spense il motore.
     Si trovavano sotto un ponte, in mezzo ad una grande distesa di erbacce. Il cielo era livido, e si sentivano i corvi gracchiare in lontananza.
-Ma dove siamo, papà?- domandò il ragazzo. -Perché ci hai portati in questo posto così sperduto? Non riesco proprio a capire.-
-Ah, ci sono!- esclamò Misa, allegra. -Forse vuole lasciarci fuggire, signore?-
-In effetti siamo in un posto dove nessuno può vederci, per questo ho deciso di portarvi qui di mia iniziativa invece che sul luogo dell'esecuzione.-
Tentò di mantenere i nervi saldi, mentre si voltava verso i ragazzi.
-Light... ora ti ucciderò, e poi mi toglierò la vita.-
I due impallidirono.
-Ma che cosa stai dicendo papà, non dire sciocchezze ti prego!-
-Vuole uccidere suo figlio e poi togliersi la vita solo perché crede che lui sia Kira?- urlò Misa, con le lacrime agli occhi. -Se proprio ci tiene a morire, lo faccia da solo! Se adesso lo uccide sarà uguale a Kira!-
-No, io sono diversi da Kira!- ribatté il sovrintendente, rivolgendo ai due uno sguardo tagliente. -Io ho delle responsabilità sia come genitore che come sovrintendente di polizia!-
-Papà! Misa ha ragione, ascoltala! Se morissimo ora non si saprebbe mai qual è la verità, per questo è meglio fuggire finché siamo in tempo!-
-È troppo tardi, Light.- disse Soichiro, estraendo la pistola dalla giacca. -Tanto non hai vie di scampo, e allora... preferisco che tu muoia per mano mia.-
Gliela puntò alla fronte, e vide il volto del figlio deformato dall'orrore e dalla paura.
-Papà fermati ti prego! Ti giuro che non sono io Kira!-
Tentava di forzare le manette, senza smuoverle di un millimetro.
-Se morissi ora faresti soltanto il suo gioco, non lo capisci?-
     Soichiro avvicinò ancora la pistola alla fronte di Light.
-Amane.- chiamò. -Io e mio figlio moriremo qui, ma questo non implica che tu venga uccisa in questo luogo. A breve la polizia troverà questa macchina, e tu sarai portata sul luogo dell'esecuzione, e verrai giustiziata.-
Tolse la sicura alla pistola. Light tremava.
-Addio Light. Ci rivedremo all'inferno, nel girone degli assassini.-
Light lo chiamò ancora una volta. Misa urlò disperata.
Ma non successe nulla. Il proiettile era a salve.
     Yagami sospirò profondamente, e si rimise a sedere al posto di guida, lasciando ricadere la testa indietro.
-Grazie al cielo.- sussurrò.
-Grazie al cielo?- domandò Light. -Ma che significa tutto questo, papà?-
-Perdonatemi, tutti e due.- disse il sovrintendente, lasciandosi cadere in avanti. -Era l'unico modo per tirarvi fuori di prigione. Vi prego di comprendere. L'ho fatto proprio perché so che tu non sei Kira, Light.-
Poi alzò leggermente lo sguardo verso la telecamera montata sopra lo specchietto retrovisore.
-Hai visto tutto, Ryuzaki?- domandò. -Ho fatto come mi hai chiesto, ma come vedi, sono ancora vivo.-
-Sì. Ottima interpretazione- rispose la voce del detective, tornato alla stanza d'albergo con Matsuda, Aizawa e Banks. -Se Misa Amane fosse stata il secondo Kira, le sarebbe bastato vederla in faccia per ucciderla, quindi ho ragione di pensare che l'avrebbe fatto prima che potesse sparare a Light. Inoltre, dall'idea che mi sono fatto di Kira, se fosse stato Light probabilmente avrebbe ucciso anche il suo stesso padre, se costretto. Certo, non posso escludere la possibilità che ad un certo punto Light abbia capito che lei stesse recitando, ma... come le ho promesso porrò immediatamente fine alla loro prigionia.
Infine, sempre stando ai patti, per quanto Misa amane si ostini a ribadire che si trattava di video di fenomeni paranormali, abbiamo ancora delle prove a suo carico, perciò la terremo sotto sorveglianza.-
Amane protestò, ma il sovrintendente la rabbonì, dicendole che avrebbe potuto riprendere la propria vita.
-Per quanto riguarda Light, invece...- riprese L. -Dovrà restare letteralmente incollato a me. Ventiquattro ore su ventiquattro, e dovrà darmi una mano con le indagini.-
Light ci pensò su un momento, e poi sorrise.
-E va bene, Ryuzaki. Cattureremo Kira insieme, vedrai...-
-Bene.- rispose L. -Conto sul tuo aiuto.-
Poi diede l'ordine di rientrare all'hotel, mentre, in piedi dietro di lui, K prendeva appunti su quanto appena successo.

     -C'era bisogno di arrivare a tanto, Ryuzaki?- borbottò Light, alzando il polso ammanettato.
Lui e Misa erano stati portati in una nuova stanza di hotel, e il ragazzo era stato subito ammanettato al detective, anche se la catena che univa le due estremità era lunga circa tre metri, per permettere loro di muoversi più o meno liberamente.
-Di certo non lo faccio perché mi va di farlo, Light.- sbuffò Ryuzaki, che agli occhi di Light appariva messo ancora peggio rispetto all'ultima volta che lo aveva visto, quando si era fatto arrestare. Le occhiaie nere gli arrivavano quasi all'altezza degli zigomi, e sembrava essere ancora più curvo e pallido.
-Oh!- esclamò Misa, portandosi una mano davanti alla bocca. -Era questo che intendevi quando parlavi di cose tra maschietti e dicevi che dovevate stare insieme ventiquattr'ore su ventiquattro?-
Poi gli rivolse un'occhiata maliziosa.
-Non sarai mica gay, Ryuzaki?-
-Ho appena detto che non lo faccio perché mi va di farlo, chiaro?- rispose lui, tranquillo.
-Ma Light è il mio ragazzo!- protestò lei, alzando la voce. -Se tu stai con lui ventiquattro ore al giorno, mi dici quand'è che potrà uscire con me?-
-A questo punto è ovvio che dovremo inevitabilmente uscire in tre.-
-Che cosa?!- esclamò la ragazza, irritata. -Ci vorresti obbligare a baciarci davanti a te?-
-Nessuno vi costringe a farlo, ma comunque dovrò tenervi d'occhio, Misa.-
     Per tutta risposta, lei gonfiò le guance e assunse un'espressione da bambina imbronciata.
-Ma che ti passa per la testa?!- disse di nuovo ad alta voce. -Lo dicevo io che sei un maniaco.-
-Light, falla stare zitta, per favore.-
-Misa, smettila di fare i capricci.- intervenne allora il ragazzo. -Credo invece che dovresti essergli grata. Ti permette in ogni caso di restare in libertà, sebbene ormai sia accertato che sei stata tu a spedire i video.-
-Eh? Ma che dici, Light?!- protestò la ragazza, con tono lamentevole. -Ti ci metti pure tu? Sono la tua ragazza, non ti fidi della tua fidanzata?-
-Fidanzata?! Ma sei tu che mi stai sempre appiccicata da quando sei sbucata fuori dal nulla dicendo di aver avuto un colpo di fulmine.-
Misa gemette, e gli occhi le si riempirono di lacrime.
-Allora ti sei solo approfittato del fatto che ti ho dichiarato il mio amore per baciarmi e tutto il resto?!-
E poi gli si buttò addosso, colpendolo al petto con deboli pugni.
     -A proposito di quel colpo di fulmine...- intervenne allora Ryuzaki. -Il 22 maggio sei stata ad Aoyama, non è vero?-
Misa si era voltata a guardare il detective.
-Sì, ero lì.-
-Mi dici perché ci sei andata proprio quel giorno, e mi dici anche che cosa indossavi?-
La ragazza si voltò di scatto, con espressione infastidita.
-Quante volte te lo devo ripetere? Ero in quel posto perché mi andava. Ti ho detto che non mi ricordo cosa mi passava per la testa quel giorno, né tanto meno cosa mi ero messa! Perché, non posso farmi un giro ad Aoyama senza un motivo preciso?-
Si era sporta in avanti verso Ryuzaki,con aria di sfida.
-E quando sei tornata, non solo sapevi già il nome di Light, ma eri anche perdutamente innamorata di lui.-
-Esatto.- ribatté lei, raddrizzandosi e mettendosi le mani sui fianchi.
-Però neanche tu ti spieghi come hai fatto a conoscerlo, giusto?-
Misa si mise a pochi centimetri dal naso di Ryuzaki, piantandogli in faccia uno sguardo di fuoco.
-Sì, proprio così!-
-E cosa penseresti di Light se venissi a sapere che lui è Kira?-
La ragazza assunse un'espressione sorpresa.
-Se venissi a sapere che Light è Kira?-
-Proprio così.-
Misa tornò in fretta da Light e si aggrappò al suo braccio, con un sorriso malizioso.
-Lo vuoi proprio sapere?-
E poi si mise a strofinare la propria guancia sul braccio del ragazzo, dicendo: -Sarebbe proprio il massimo! Sono sempre stata grata a Kira per aver giustiziato il ladro che ha ucciso i miei genitori! Se Light fosse Kira sono sicura che lo amerei ancora di più, anche se lo amo già così tanto che non so come potrei volergli ancora più bene!-
     Ryuzaki aveva dipinta sul volto un'espressione seria e vagamente infastidita.
-Stiamo parlando di Kira, e tu mi dici che lo ameresti ancora di più? Scusa, ma l'idea non ti fa paura?-
-E perché mai?- ribatté lei, candidamente. -Se non sbaglio stiamo pur sempre parlando di Light, no? E poi io sono dalla parte di Kira, altro che paura! Piuttosto cercherei di essergli utile in qualche modo!-
Gli agenti nella stanza erano visibilmente seccati da quella conversazione.
-Non credo tu gli possa essere d'aiuto, anzi, probabilmente gli saresti solo d'impaccio.- disse allora Ryuzaki. -Ma questo prova che tu sei il secondo Kira, senza ombra di dubbio. È talmente evidente che mi riesce difficile crederci.-
-Beh, e allora non crederci, visto che io non sono il secondo Kira.- riprese Misa, ostile, facendo la linguaccia.
-Ad ogni modo ti terremo sotto stretta sorveglianza. Quando vorrai uscire ti basterà chiamarci con la linea interna. Abbiamo già pagato la tua agenzia per far sì che d'ora in avanti Matsuda ti accompagni sempre, sia in privato che al lavoro in qualità di manager. Il suo nome sarà Matsui, e nessuno saprà che è un poliziotto, quindi stai attenta a non smascherarlo.-
Si voltarono verso Matsuda, che era in piedi e faceva un cenno di saluto, sorridente, mentre Yagami e Aizawa, seduti sul divanetto, a stento reprimevano il fastidio e il disagio provocato dai tre giovani.
-Non ci tengo proprio ad avere questo tizio come manager.- protestò Misa, capricciosa.
-Ma... Ma... Ma per quale motivo?!- chiese allora Matsuda, dispiaciuto. -Che cos'ho che non va, Misa-Misa?-
     A quel punto Aizawa non ce la fece più a trattenersi, si alzò in piedi e sbatté la mano sul tavolino.
-Cose tra maschietti, Misa-Misa, appuntamenti, baci... dateci un taglio!- urlò. -Stiamo cercando di risolvere il caso Kira, proviamo ad essere un po' più seri!-
-Scusa tanto, Aizawa!- fece allora Matsuda, colpito dalla sua reazione.
-No, scusa tu, Matsuda.- rispose Aizawa, rimettendosi dritto e allontanandosi. -So che stai facendo sul serio.-
Si diresse verso Misa a passo deciso, intimandole di andarsene nella sua stanza. La prese e la trascinò verso la porta, nonostante lei tentasse di sfuggirgli.
-Oh, Light! Guarda che mi sta bene anche un appuntamento a tre!- urlò, sull'uscio della porta.
     -Ragazzina, mi stai pestando i piedi.- disse allora una voce femminile alle spalle di Misa.
A Light suonava familiare, ma non ricordava a chi appartenesse.
Misa si voltò, e gemette.
-E questa?- urlò, sfuggendo nuovamente alla presa di Aizawa e correndo verso Light, per nascondersi dietro di lui.
-Che cos'è, Halloween? Chi è questa stangona inquietante?-
La donna entrò nella stanza, sbuffando. Aveva la pelle lattea, i capelli bianchi e due occhi rosso sangue. Una macchia rosea le attraversava il lato destro del volto. Si piantò di fronte a Ryuzaki e a Light, con le gambe leggermente divaricate e le braccia incrociate.
-Fai un sacco di baccano, Amane.- disse poi, infastidita. La sua presenza in quella stanza, il suo sguardo e la nota arcigna nella sua voce ricordarono a Light di chi si trattava.
-Signorina Banks?- domandò, timidamente.
-Sì, Light, sono io.- disse lei, mentre gli occhi dal rosso viravano verso il rosa pallido. -Non sono venuta prima perché stavo controllando la stanza di questo hotel dove starà Amane ancora per qualche giorno, mentre Mogi si occupava della sicurezza.-
-Light, perché conosci questa spilungona antipatica?- domandò la ragazza, con espressione corrucciata.
-Non sono io ad essere alta, sei tu ad essere particolarmente piccolina.- ribatté la signorina Nathalie, rivolgendo lo sguardo altrove.
     -Lei è Nathalie Banks.- intervenne allora Ryuzaki, sempre con le mani in tasca. -È un'agente investigativo che collabora con la polizia giapponese al caso Kira, e viene dagli Stati Uniti.-
-Perciò ti seri ripresa al cento percento dalla sparatoria?- domandò quindi Light.
La donna annuì, poco convinta.
-Ho ancora qualche problema a muovere il braccio, ma nulla che mi possa impedire di lavorare al caso.-
-Sarà lei a prendere le redini delle indagini nei prossimi giorni.- continuò Ryuzaki. -Io dovrò rimanere ancora qualche giorno a riposo.-
Ma a Light era improvvisamente ritornata in mente la questione legata a Grumann e a quegli altri uomini, e voleva fare chiarezza.
-Che cos'è successo agli uomini che vi hanno attaccati?-
La signorina Nathalie, intanto, si stava dirigendo verso la scrivania adibita a postazione computer, per prendere una cartella.
-Coloro che hanno partecipato all'attacco sono tutti finiti in galera, e sto attualmente indagando sui responsabili per consegnarli tutti alla giustizia.-
-Segui due casi contemporaneamente?!- esclamò Misa, ammirata. -Ed io che pensavo che lavorassi qui solo perché sei una donna... Certo, fai un po' paura, ma credo che in generale gli uomini si possano accontentare.-
Poi si coprì la bocca con la mano, con un lampo di colpevolezza negli occhi.
-Ovviamente parlavo in generale, signor papà di Light!- esclamò, rivolgendosi con un sorriso imbarazzato a Soichiro.
-Misa!- protestò Light, sgranando gli occhi. -Devi sapere che la signorina Banks è incredibilmente dotata, e non stento a credere che possa aiutarci molto a risolvere il caso Kira.-
     Poi si voltò verso la donna.
-Ma... chi c'era dietro l'attacco al quartier generale? E la tua famiglia? Stanno tutti bene?-
La signorina Nathalie volse di nuovo lo sguardo altrove.
-Nessuno, a parte Ryuzaki, potrà avere accesso alle informazioni su quel caso, finché il caso Kira non sarà risolto, mi dispiace.-
Light strinse i pugni.
-È perché è convinta che io sia Kira, non è così?-
-Mi pare ovvio.- rispose lei, mentre si toglieva la giacchetta blu, rivelando sotto di essa una camicetta leggermente stropicciata e fuori dalla gonna.
Si mise una mano su un fianco, e con l'altra si buttò la giacchetta sopra la spalla.
-Non posso correre il rischio che quelle persone vengano ammazzate da Kira, motivo per cui ho dato ordine che non trapeli nulla di quell'indagine.-
-Come sarebbe a dire che anche lei è convinta che siamo noi i colpevoli?!- protestò Misa, senza lasciare il fianco di Light.
-Ho sentito quello che dicevi poco fa, Amane.- ribatté tranquilla lei, senza nemmeno guardarla in volto. Poi si voltò verso gli altri agenti: -Questo riporta la situazione 9 a 3 per la colpevolezza.-
     -Cosa significa?- domandò Light, vagamente infastidito.
La signorina Nathalie gli rivolse un'occhiata tagliente.
-Significa che, considerando i fatti, ci sono ben nove elementi che pesano a vostro sfavore, mentre sono soltanto tre quelli che potrebbero provare la vostra innocenza. Soffermandoci soltanto su quelli importanti, possiamo dire che i fattori incriminanti sono molto gravi: vi trovavate entrambi ad Aoyama lo stesso giorno, e tu stesso ti sei proposto di fare la sorveglianza lì; il video che abbiamo ricevuto successivamente dimostra che i due Kira si sono trovati ad Aoyama. Poi ci sono le tracce di DNA trovate sui pacchi spediti dal secondo Kira. L'inspiegabile cessare delle morti nel momento in cui tu ti sei fatto incarcerare. E infine la candida confessione fatta pochi minuti fa da Amane. Mentre gli unici elementi a tuo favore sono i video della sorveglianza a casa tua, il fatto che gli omicidi siano ricominciati quando non avevi accesso alle notizie e il fatto che il sovrintendente Yagami non sia morto anche se minacciava di ucciderti.-
Piegò le labbra in un ghigno beffardo.
-Per Amane abbiamo sia un movente che la mancanza di un alibi. Purtroppo per noi, l'elemento fondamentale che manca al nostro puzzle è l'arma del delitto, o, più precisamente, capire com'è che fa Kira ad uccidere.-
     Si voltò a guardare l'orologio da parete sopra il divanetto su cui sedeva il sovrintendente.
-Ryuzaki, è quasi ora che tu vada.- disse, quindi.
Il detective le si avvicinò, col la sua solita andatura curva.
-So di lasciare il quartier generale in buone mani, ma vedi di non spaventare troppo i tuoi collaboratori.- le disse, allungando la mano verso i fogli che la donna gli stava porgendo.
-Certo che fate proprio una bella coppia di sadici, voi due.- commentò infastidita Misa. -Perché non ti unisci ai nostri appuntamenti, così tieni occupato quel maniaco mentre io e Light facciamo i piccioncini?-
Stava rivolgendo uno sguardo ostile a Ryuzaki, stringendosi nuovamente al braccio di Light, che si voltò a guardarla, con un leggero imbarazzo.
-Neanche per idea.- rispose la donna, candidamente. -Mentre Ryuzaki sarà impegnato a tenervi d'occhio, io potrò dedicarmi al caso.-
     -Mi fa piacere vedere che c'è almeno qualcuno che prende seriamente il caso.- bofonchiò allora Aizawa, mentre si aggiustava la cravatta. -Anche se trovo insopportabile il fatto che tu non voglia dirci nulla sugli uomini che stavano per farci fuori, Banks.-
-La prudenza non è mai troppa.- ribatté lei, poggiando la giacchetta blu sulla sedia davanti alla scrivania. -In nessun caso Kira dovrà venire a conoscenza dell'identità di quegli uomini, non posso rischiare che vengano fatti fuori.-
-Ma, se anche fossimo noi i due Kira...- intervenne allora Light. -Uccidere dei criminali di cui solo noi potremmo essere a conoscenza, sarebbe una mossa troppo stupida.-
-Questo è vero.- annuì la donna. -Ma non voglio comunque rischiare.-
-Mi chiedo come mai...- sussurrò Matsuda, dal fondo della stanza.
-Che vuoi dire?- gli chiese allora la signorina Nathalie, incrociando nuovamente le braccia.
Matsuda prese a passarsi una mano tra i capelli, leggermente nervoso.
-Beh... a quanto ho capito ti hanno tenuta in ostaggio per anni, e la tua famiglia era in pericolo... Non vorresti vederli tutti morti?-
     Light percepì il pericolo imminente dal modo in cui le spalle della signorina Nathalie si erano tese, e dagli occhi, che stavano di nuovo pulsando, rossi. Vide Ryuzaki voltarsi verso la donna, serio.
-In nessun caso permetterei che quelle persone vengano condannate a morte.- rispose lentamente la donna, tentando di reprimere un ringhio nella voce. -Perché sono dell'idea che la vita possa essere una punizione di molto peggiore rispetto alla morte.-
Poi si voltò verso Light e Misa: il suo sguardo era di ghiaccio e di fuoco allo stesso tempo.
-La stessa cosa vale per Kira. Chiunque sia.-
Era calato un silenzio pesante nella stanza, e tutti avevano gli occhi puntati sull'agente donna. Incurante di ciò, lei si avvicinò a Ryuzaki, che aveva finito di leggere i suoi fogli, estraendo una chiave dal taschino della camicetta.
-È proprio ora che tu vada.- gli disse, liberandolo dalle manette. Poi andò a toglierle anche a Light.
-Da qui in avanti ci penso io.- aggiunse, volgendo lo sguardo a tutta la squadra.
-Signori, nei prossimi tre giorni lavorerete con me. Misa ora salirà nella sua stanza e sarà sorvegliata da me personalmente, mentre Light starà con Mogi. Ci ritroviamo qui domattina alle sette, e vi verranno assegnati i vostri nuovi compiti. Mi auguro che sia tutto chiaro.-
-Confido che seguirete alla lettera le direttive dell'agente Banks fino al mio ritorno.- intervenne Ruyzaki, appoggiando i fogli sul tavolino da tè di fronte al divanetto da dove il padre di Light si era appena alzato per stringergli la mano. -Signor Yagami, la aspetto domani assieme all'agente Banks perché mi facciate rapporto.-


Note

    Anche in questo capitolo ho fatto un cospicuo uso delle scene dell'anime. Pensate sia fastidioso? Fatemi sapere cosa ne pensate.
    A parte ciò, mi sono divertita molto a scrivere la scena di K che elenca gli elementi a favore e a sfavore dei sospetti nei confronti di Light e Misa, perché ho cercato di concentrare in quelle poche battute la sua vera essenza, lasciando da parte il dolore, il sentimento autodistruttivo e la disperazione che si porta dietro. Dal primo momento in cui ho immaginato questo personaggio, ho desiderato che fosse particolarmente antipatico, sebbene tutte le disgrazie che ha affrontato probabilmente aiutano il lettore a perdonare il suo carattere. Tuttavia, avendoci lavorato molto a lungo e avendo elaborato nei dettagli tutta la sua dolorosa backstory, il ritratto che ne è uscito alla fine è molto più positivo di quanto avessi voluto.
    Di solito propongo quello stralcio di capitolo alle persone a cui vorrei far leggere questa fanfiction, perché si possano fare una prima impressione sul personaggio che ho creato.

    Perdonatemi lo sproloquio. Ringrazio ancora chiunque abbia avuto la pazienza di seguire la storia fino ad ora e vi do l'appuntamento a lunedì 7 maggio per il capitolo XI!

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Capitolo 14
*** Capitolo 11 - Rivelazioni ***





Capitolo XI


     Quella mattina, Misa si svegliò prima della sua compagna di stanza. Nel dormiveglia, con gli occhi appena socchiusi, aveva visto una luce rossa venire dal letto accanto al suo, e si era svegliata per capire cosa fosse. Filtrava un raggio di sole dalle tende tirate, e stava facendo brillare un rubino su un anello d'oro bianco, legato al collo di Nathalie con un cordino nero. Misa fece attenzione a non fare rumore, mentre si alzava, dal momento che la donna non smetteva di inquietarla.
-Alla fine non sei stata di molte parole, Amane.- le aveva detto la sera prima, chiudendo a chiave la porta della camera d'albergo dietro di sé.
-Beh, avevo come l'impressione di dare fastidio a Light, per questo non ho più detto nulla.- le aveva risposto lei, imbronciata. -Ma ora finalmente posso dirti tutto quello che penso.-
Si era messa una mano sul fianco, mentre con l'altra puntava un dito accusatore verso la donna.
-Non mi piaci proprio per niente, tu. Ti atteggi da spavalda e comandi tutti a bacchetta, e pendono tutti dalle tue labbra soltanto perché sei una donna, anche se sei sfregiata.-
-Non mi interessa se chi lavora con me o per me esegue i miei ordini per dovere, pietà o per un qualche secondo fine. Le questioni di principio non mi interessano, finché raggiungo il mio risultato.- aveva detto lei, tranquilla, andando ad appendere la giacchetta del completo nell'armadio di fianco alla porta.
     Misa aveva stretto i pugni, e le era andata dietro.
-Va bene, ma sia chiara una cosa.- le aveva detto a muso duro. -Tieni giù le mani dal mio Light.-
Lei si era lasciata andare ad una risatina sprezzante, e le aveva risposto, senza nemmeno guardarla in faccia: -Certo, come no... Light.-
Poi si era voltata a guardarla negli occhi, con espressione di scherno.
-Sia ben chiara una cosa: io sono convinta al cento percento del fatto che tu e Yagami siate il primo ed il secondo Kira, e fosse per me vi sbatterei in galera e butterei la chiave. Ma se anche così non fosse... Quando mi sono iscritta all'università, Light molto probabilmente non sapeva ancora né leggere né scrivere. Puoi capire quanto possa interessarmi.-
Si era poi chinata per prendere una borsa di carta, dalla quale aveva estratto alcuni dei vestiti di Misa.
-Vai in bagno a cambiarti. Dopo ti dovrò perquisire.-
-Ah, è così?-
Misa aveva preso i vestiti e aveva assunto un'espressione maliziosa.
-Vuoi dire che hai quel tipo di gusti?-
Nathalie aveva riso, ma era una risata terribile, crudele.
-Sei più ossessionata te dal sesso che un ragazzo quindicenne.-
Misa era arrossita, e le aveva rivolto un'occhiata ostile.
-E comunque nemmeno tu saresti il mio tipo.- aveva aggiunto Nathalie, aprendole la porta del bagno e facendole cenno di darsi una mossa.
     Misa si avvicinò al letto dove dormiva la donna in punta di piedi, allungando il collo. Nathalie era di spalle, e la collana di filo si era avvolta attorno alla spalla sinistra, per cui l'anello ora pendeva sulla sua schiena. I capelli bianchi e mossi erano sparpagliati su tutto il cuscino, e alcune ciocche erano illuminate da un riflesso rosato proveniente dal rubino. Era sicuramente una pietra preziosa, e non un falso, a giudicare dall'intensità dei riflessi. E allora perché tenerlo legato ad un cordino, nascosto sotto la brutta camicia da notte?
Misa allungò una mano verso l'anello, lentamente.
Ma Nathalie si voltò di scatto e le bloccò il polso con la mano destra, mentre con la sinistra aveva afferrato la pistola da sotto al cuscino. Misa spalancò gli occhi e cacciò un urlo.
La donna sospirò e mollò la presa.
     -Ma sei impazzita?!- gridò la ragazza, indietreggiando con un balzo verso il proprio letto. -Sei proprio americana! Dormi con la pistola sotto al cuscino, la punti così a caso, ma chi ti credi di essere?!-
Nathalie abbassò lo sguardo verso il revolver che teneva nella mano sinistra; lo alzò mollemente e prese ad accarezzare con un dito la canna, con gli occhi rosati ancora assonnati.
-Hai ragione, sono diventata dannatamente americana.- disse, secca.
Poi alzò lo sguardo.
-Comunque ero sveglia. Questo era un avvertimento. Se dovessi riprovare a fare una cosa del genere mentre sto dormendo, la mia reazione sarebbe molto più imprevedibile ed incontrollata. Sei avvertita.-
-Vuoi dire che mi spareresti così, senza pensarci?- gemette angosciata la ragazza.
     Nathalie si alzò in piedi ed estrasse il caricatore, per poi allungarlo verso Misa: era vuoto.
Lo rimise a posto.
-Stando in camera con un'altra persona ho tolto i proiettili per evitare di sparare se colta di sorpresa, ma sappi che sono ugualmente pericolosa anche senza.-
Misa si aspettava che le rivolgesse quel suo ghigno sadico ed inquietante, ma si stupì nel notare che il suo sguardo era triste e vuoto.
Nathalie si alzò in piedi, e si diresse verso il bagno.
-Perché tieni un anello così prezioso legato al collo?- le domandò allora Misa, alzandosi anche lei in piedi.
Nathalie si voltò, rivolgendole uno sguardo annoiato.
-Sono affari miei.-
Indossava una camicia da notte da ospedale, lunga, larga e bianca. Misa pensò che vestita così, alta com'era, pareva una tenda ambulante. La sera prima si era spaventata al vederla per la prima volta proprio alle sue spalle, con quegli occhi iniettati di sangue e quello sfregio sul volto. La sua sola presenza sembrava in grado di far calare il silenzio sull'intera squadra. Non le piaceva per nulla l'idea di dover dormire con lei per altri due giorni in quella stanza. Quando la sera prima le aveva chiesto se anche loro due avrebbero dovuto girare ammanettate, lei aveva risposto in modo canzonatorio che non aveva alcuna intenzione di farle da babysitter.
-Oggi resterai qui, in questa stanza.- le disse Nathalie, sulla soglia della porta del bagno. -Vedi di non fare nulla che mi possa convincere a sbatterti in cella. Non sono una persona paziente.-
     E così la lasciò sola, chiudendosi la porta alle spalle.
Misa sospirò a fondo e si lasciò cadere a braccia aperte sul soffice letto accanto alla finestra. Indossava una leggera sottoveste rosa che lasciava trasparire le sue forme, e i suoi capelli biondi e lisci erano in ordine, sebbene si fosse da poco svegliata. Si mise a dondolare le gambe a penzoloni dal letto, mentre pensava a cosa avrebbe potuto fare quel giorno. In realtà, avrebbe voluto rimanere a letto fino a sera, o almeno fino a quando non le avrebbero dato la possibilità di rivedere Light; quei due mesi di prigionia l'avevano sfinita, ma, in un certo senso, se ne rendeva conto soltanto in quel momento. Dall'istante in cui aveva rivisto Light in quella galleria, il giorno prima, tutta la sua sofferenza era come svanita, e il suo cuore si era colmato di gioia nel rivedere il proprio amato. Eppure ora non poteva restargli accanto, perché quel maniaco di L doveva stargli appiccicato. Che assurdità, pensare che loro due potessero essere Kira! Si chiedeva come fosse possibile che L e Banks fossero dei detective così apprezzati, se erano convinti di una tale sciocchezza!
     La porta del bagno si aprì, scuotendo Misa dai propri pensieri. La sua carceriera si era cambiata e ora portava il completo blu elegante del giorno prima. Aveva raccolto i capelli spessi e disordinati in una crocchia molto blanda, da cui sfuggivano diverse ciocche bianche.
-Vai pure tu, io mi trucco allo specchio lì.- le disse, indicando l'anta dell'armadio.
-Non ti facevo così vanitosa.- commentò la ragazza, alzandosi in piedi. -Anche se devo dire che quel completo mi sembra un pochino aderente da usare a lavoro.-
Le lanciò di sfuggita un'occhiata alle gambe lunghe, dritte e snelle, lasciate in bella mostra dalla gonna che le sfiorava appena il ginocchio e le fasciava il sedere piccolo, tondo e sodo. La camicetta infilata nella gonna le cadeva morbida sul seno alto, e la giacca, che pareva forse di una taglia più grande, era abbottonata fino all'altezza dello stomaco in modo da evidenziare la vita sottile.
-Sono le taglie asiatiche che non funzionano mai coi caucasici.- ribatté lei, secca, arrotolandosi le maniche fino ai gomiti, camminando scalza in direzione dell'armadio, senza guardarla in faccia.
-E poi, non è perché faccio un lavoro che tu consideri da uomo o perché, come dici tu, sono sfregiata, allora non devo curare il mio aspetto.-
Anche Misa la seguì all'armadio, per prendere il suo cambio di vestiti, e lanciò un'ultima occhiata alla donna davanti allo specchio dell'anta mentre estraeva da un vecchio e logoro astuccio un balsamo per le labbra e un mascara di marche ignote, prima di allontanarsi, sperando con tutto il cuore di potersi risvegliare presto insieme a Light in una stanza d'albergo simile a quella.

     -Bene...- disse K, quando tutti gli agenti ebbero preso posto nella stanza in cui si erano trovati la sera prima. -Cosa avete da dirmi sugli omicidi che sono avvenuti da quando Light e Misa sono stati arrestati?-
-Sono ricominciati dopo quindici giorni, e tutti i criminali che non erano stati giustiziati in quel lasso di tempo sono morti tutti in una volta.- disse Matsuda.
-Va bene, Matsuda.- disse la donna mentre passeggiava per la stanza con le mani dietro la schiena, accompagnata dal rumore dei tacchi. -Ma vorrei che mi diceste qualcosa che non si sappia già.-
Si guardarono tutti in faccia, confusi. Intervenne Soichiro.
-Ryuzaki ha detto che i criminali giustiziati dopo l'arresto di Light non sono gli stessi che il primo Kira prendeva di mira.-
-È vero!- intervenne Mogi. -Ora tra le vittime ci sono anche tante persone sulle quali ci sono semplici sospetti e nessuna prova.-
-Molto bene.- disse allora K. -Questo ci porta a pensare che ci sia la possibilità che questo Kira sia diverso rispetto ai primi due. Dopotutto, Kira risponde ad un suo personale senso della giustizia, che è una cosa soggettiva. Difatti il secondo Kira ha ucciso un semplice borseggiatore apparso su una rivista di moda, mentre questo condanna persone probabilmente innocenti o con attenuanti. Siete d'accordo con me?-
Tutti annuirono. L'eventualità dell'esistenza di un terzo Kira non piaceva a nessuno.
-Perciò...- cominciò Light, scrutandola con espressione seria. -Neanche riuscendo a catturare questo nuovo Kira le accuse contro Misa e il sottoscritto cadrebbero?-
Tutti si misero a fissare la donna.
Vi fu una breve pausa, durante la quale K fissò attentamente il ragazzo.
     -Esattamente.- disse infine. Poi girò sui tacchi e prese a camminare su e giù davanti agli agenti, con le braccia conserte, reggendo la cartellina contro l'addome piatto. -Anzi, la cattura di questo fantomatico terzo Kira probabilmente non risolverebbe comunque il caso, anche se tu e Misa doveste rimanere in prigione o sotto sorveglianza, in quanto è possibile che il potere di uccidere venga trasferito ancora una volta ad una persona libera di agire. Ma dovete sapere...-
E appoggiò la cartella che aveva in mano per arrotolarsi le maniche della camicetta su per le braccia.
-... che sono fermamente convinta che la capacità di uccidere derivi da un qualche potere sovrannaturale concesso agli umani da una qualche entità a noi sconosciuta; un'entità in grado di trasferire questo potere da persona a persona tramite una sorta di possessione.-
Rivolse poi nuovamente lo sguardo rosato in direzione di Light.
-E sono anche convinta al cento percento che al momento tu e Misa non abbiate alcun ricordo legato alle azioni presumibilmente commesse sotto il controllo del potere di Kira, e che quindi non rappresentiate in alcun modo una minaccia, almeno per ora.-
Light sembrava genuinamente turbato.
     -Quindi ora non è Light che ci interessa.- riprese K. -Quello che vorrei chiedervi ora è di aiutarmi a svolgere delle ricerche approfondite per quanto riguarda il modus operandi, gli obiettivi e l'ideologia di questo nuovo Kira, e per farlo sarà necessario recuperare tutti i dati disponibili sulle uccisioni che sono ricominciate dopo metà giugno.-
Ritornò al tavolo, dove troneggiavano tre plichi di fogli, con diversi post-it di diversi colori, e cominciò a dividerli per colore.
-Dovrete lavorare sugli omicidi svoltisi in sei settimane, e voi siete cinque, ma non ho fatto una divisione equa: Aizawa non vive qui, e deve badare alla sua famiglia, Mogi deve preoccuparsi della sicurezza, Matsuda deve fare da manager a Misa e così via. Per cui, ho assegnato a Light un carico di lavoro forse un po' eccessivo, ma sono certa che sarà in grado di portare a termine il suo compito egregiamente. Però, se doveste ritenere necessario rivedere l'assegnazione di questi compiti, non esitate a farmelo sapere.-
-Non credo ce ne sarà bisogno.- intervenne allora Light. -Sono pronto a lavorare giorno e notte pur di essere d'aiuto nella risoluzione del caso.-
-Questo è lo spirito giusto.- annuì K, che aveva finito di dividere i fogli.
Ne consegnò un malloppo segnato da post-it azzurri a Matsuda, che era il più vicino, poi radunò quelli coi post-it arancioni per Mogi e così via.
-Avrete due settimane di tempo. Mi rendo conto che sia molto lavoro, ma dobbiamo riuscire a recuperare terreno il prima possibile e restringere il campo in modo da giungere rapidamente ad una sorta di identikit di questo terzo Kira, come già aveva fatto L per i primi due.-
     Si rimise a camminare su e giù per la stanza, con lo sguardo fisso avanti a sé.
-In base alle ricerche che sono riuscita a fare, posso dire con tutta certezza che anche questo Kira è giapponese e vive a Tokyo, e questo grazie alle analisi sul tipo di notiziari in cui sono apparsi i criminali, l'ora dei decessi e la diffusione delle notizie.-
-Potrei fare una considerazione?- domandò allora Matsuda, dopo aver sfogliato velocemente la risma di fogli che gli era stata assegnata.
-Sei pregato di farlo.- gli rispose K, voltandosi a guardarlo.
-Non credi che sia possibile che questo nuovo Kira possa aver tentato di depistarci, facendoci credere di essere sempre il primo Kira, giapponese del Kanto?-
-Non è possibile.- intervenne allora Light. -Se questa persona avesse avuto l'accortezza di guardare i nostri notiziari locali eccetera, resterebbe comunque il fatto che uccide in modo indiscriminato, senza una logica, perciò non avrebbe senso che tenti di copiare il primo Kira da un lato e tralasci un aspetto così importante dall'altro.-
-È esattamente questo il punto.- riprese K. -Bravo, Light.-
Si rivolse poi a tutti i presenti.
-Per questo motivo vi ho aggiunto una griglia di valutazione all'inizio del vostro dossier: dovrete classificare per ogni morte il tipo di medium su cui è apparsa la notizia, la differenza tra l'ora di pubblicazione della notizia e quella dei decessi, se si tratta di un omicidio che il primo Kira avrebbe commesso o se la condanna di colpevolezza esula dal suo principio di giustizia, e infine se prima della morte siano stati registrati comportamenti sospetti da parte delle vittime, che lascino presagire un controllo da parte di Kira, com'era successo all'inizio delle indagini. In una scheda separata, dovrete invece segnare tutti quei criminali che sono apparsi ai notiziari ma che non sono morti.-
     Si accorse poi che i raggi del sole si stavano spostando, perciò arretrò verso la parete opposta alle finestre.
-So che si tratta di una considerevole mole di lavoro, ma solo quando saremo in possesso di tutti i dati sarà possibile analizzare affinità e tracciare un quadro.-
Prese ad arricciarsi distrattamente una ciocca di capelli attorno al dito indice.
-Inoltre, dovete sapere che al novanta percento questo è stato il tipo di lavoro fatto da L per giungere all'identikit del primo Kira e alla messinscena della diretta TV. Con la differenza che lui ha svolto tutto questo lavoro da solo.-
Gli agenti rimasero sbigottiti.
-Bene, ora che sapete quello che dovete fare, potete decidere se lavorare qui coi vostri portatili, anche se non c'è molto spazio sul tavolo, oppure se tornare nelle vostre stanze. Light dovrà in ogni caso rimanere con Mogi. Posso farvi portare un altro tavolo e altre sedie, se preferite rimanere tutti qui.-
Tutti annuirono, e si alzarono dal divanetto.
-Light.- chiamò K, avvicinandosi al ragazzo. -Hai del grande potenziale, perciò intendo sfruttare al massimo il tuo aiuto. Ma dimmelo se dovessi ritenere che stia esagerando, va bene?-
Il ragazzo sorrise.
-Non c'è nessun problema, Nathalie, lascia fare a me.-

     A pomeriggio inoltrato, K si congedò dagli agenti e da Light, tutti concentrati sulle ricerche, e andò insieme al sovrintendente Yagami e a Watari all'infermeria del quartier generale in taxi, per fare rapporto a L. Sembrava che le sue condizioni fossero già leggermente migliorate: dormiva circa venti ore al giorno ed era attaccato ad una flebo, stava riprendendo colorito e gli occhi parevano meno allucinati. Quando arrivavano, stava finendo un'abbondante porzione di pesce.
-Accomodatevi...- fece loro tra un boccone e l'altro, indicando delle sedie di fronte a lui con la forchetta, vestito solo con un camice da ospedale.
-Per il momento ho assegnato a tutti le ricerche che avevo già concordato con te.- disse K. -Forse ho esagerato un po' con Light, ma è sveglio e credo possa fare un ottimo lavoro.-
-Non ne dubito.- disse L, annuendo e posando il piatto sul comodino di fianco al suo letto. -Entro quando credi che potremmo avere i risultati?-
-Ho dato due settimane come termine massimo, poi provvederò personalmente a tracciare un quadro comune, e da lì partiremo per costruire il nostro profilo psicologico.-
-Ma questa volta dovrebbe essere più semplice riuscire a trovare Kira, no?- domandò Yagami.
-Purtroppo no.- rispose L, che si portò un dito al mento e cominciò a fissare un punto sul soffitto. -Questo sarà molto più difficile da trovare.-
-Dobbiamo considerare innanzitutto il fatto che questo Kira non agisce spinto da un reale interesse nei confronti della giustizia.- continuò K per lui.
     Il sovrintendente pareva confuso.
-Come fate a dirlo?-
-Semplice...- fece L, tornando a guardare davanti a sé. -Perché uccide a caso.-
-Sembrerebbe uccidere soltanto perché qualcuno gli impone di farlo, ma senza soffermarsi a considerare i casi uno alla volta, a differenza del primo Kira.- riprese K.
-Questo rafforzerebbe, tra l'altro, la nostra teoria della possessione.- continuò L, portando le ginocchia al petto.
-Si potrebbe ipotizzare che chi ha “inventato” Kira abbia dato come ordine quello di uccidere i criminali, ma che rientri nelle possibilità, nelle capacità intellettive e nella morale di ognuna delle persone che ha ricevuto questo potere uccidere chi ritengono si meriti tale appellativo.- aggiunse K, prendendo il vassoio coi piatti sporchi e andandolo a sistemare sul carrellino col quale era stato portato il pranzo a L.
-Questo escluderebbe dal profilo del nostro nuovo sospettato la peculiarità di avere un ideale di giustizia assoluta. Non si tratta di uno di quegli invasati che frequentano i forum anonimi legati al culto di Kira.- riprese L, incrociando le dita sotto il mento.
-Da uno primo sguardo ai dati raccolti è anche evidente che non si tratti di un disoccupato o di una casalinga, dal momento che gli omicidi avvengono tutti alla sera.- disse K, andando questa volta a controllare le flebo e il tracciato dell'elettrocardiogramma.
     -È quello che avete scoperto nei giorni scorsi?- domandò allora il sovrintendente.
I due si voltarono a guardarlo con espressione indecifrabile.
-No, Yagami.- disse quindi L. -Stiamo facendo delle supposizioni sul momento.-
-Le ricerche che vi ho assegnato mi serviranno per provare a capire le abitudini di questo nuovo Kira.- intervenne allora K. -I notiziari che guarda, i giornali che legge, quando li legge, quanto naviga su internet, quali sono i siti su cui naviga, quali sono i suoi orari di lavoro, quali sono le sue convinzioni...-
-Per il momento...- riprese L. -... possiamo ipotizzare che sia una persona adulta con un tipico lavoro dalle 8 di mattina alle 8 di sera, dal momento che le morti si concentrano principalmente dopo il notiziario delle nove.-
-Un lavoro di ufficio, molto probabilmente, non lontano dal luogo in cui vive.- continuò K, prendendo la cartella clinica al fondo del letto e scrutando i dati raccolti. -Sicuramente non è un'attività a conduzione familiare, data la regolarità degli orari, per cui non sarebbe troppo azzardato pensare che abbia una posizione abbastanza buona all'interno dell'azienda, che gli ha permesso di trasferirsi in un appartamento vicino al luogo di lavoro.-
-È probabile.- annuì L. -Ma non possiamo escludere per il momento altre piste.-
K rimise a posto la cartella clinica. -Inoltre, mi verrebbe da pensare che questa persona possa aver ricevuto il potere di uccidere e, insieme ad esso, l'ordine di uccidere i criminali. Ma se non sa distinguere la gravità dei crimini commessi dalle sue vittime, è possibile che non gli importi, o che lei stessa abbia una moralità dubbia.-
-Perciò, se ammettiamo la possibilità che a chi possiede il potere di Kira sia concesso un certo margine di iniziativa personale...- cominciò L.
-... Ne seguirebbe che sarebbe possibile che questa persona possa usare quello stesso potere per scopi personali.- concluse K.

     Soichiro osservava i due giovani sbigottito. Non riusciva a credere che quella donna avesse potuto addestrare L, ma a giudicare dalla sua elasticità mentale, dalla sua prontezza di spirito e dalla sua risolutezza, era costretto ad ammettere di trovarsi di fronte ad una persona straordinariamente competente. Più di tutti i suoi agenti messi assieme. Tanto che L teneva in considerazione la sua opinione, e, anzi, pareva fare molto affidamento sul suo giudizio. Cosa mai poteva aver creato tanto dissapore tra quei due? Eppure ora pareva che lavorassero in completa sintonia. Erano totalmente su di un altro piano rispetto a lui ed alla sua squadra.

     -È tutto?- domandò allora L. -Perché, se non c'è altro, penso possiate rientrare.-
Poi guardò K.
-Dovresti tornare all'hotel per controllare Misa.-
-Mi auguro che Amane sia in grado di non provocare l'Apocalisse fino al mio ritorno.- bofonchiò la giovane. Infine, si passò una mano tra i capelli che le cadevano disordinati dalla crocchia ormai sfatta e li sciolse, scrollandoli nervosamente e gettandoseli alle spalle.
-Io in realtà avrei un'altra cosa da dire.- riprese, mordicchiandosi il labbro ed abbassando lo sguardo.
-Ho dimenticato di parlartene nei giorni scorsi, e approfitto della presenza del sovrintendente Yagami per dirtelo adesso.-
I due la guardarono, incuriositi.
     Vi fu una lunga pausa, al termine della quale K sospirò e alzò lo sguardo verso L.
-Ho ucciso un uomo.-
Yagami reprimette un sussulto, ma L non si scompose.
-È successo circa cinque anni fa. Uno degli uomini dell'organizzazione che mi teneva in ostaggio una notte si introdusse nella mia cuccetta, con intenzioni... non propriamente pacifiche.-
La giovane non poté fare a meno di notare la mano del suo compagno tremare, mentre il suo volto rimaneva congelato. Sperava soltanto Yagami non se ne fosse accorto.
-C'è stata una colluttazione, e alla fine gli ho tirato un calcio al mento, girandogli indietro la testa e spezzandogli il collo.- continuò, con tono calmo. -Ovviamente l'organizzazione insabbiò la cosa e per me non ci furono conseguenze, perché ero una riserva preziosa ed era stato dato l'ordine di non torcermi un capello.-
Chiuse la mano destra a pugno sulla propria gonna blu, mentre i suoi occhi diventavano sempre più rossi.
-Motivo per cui, è possibile che questa informazione possa trapelare da parte di questa organizzazione, nel tentativo di farmi perdere la credibilità e compromettere la mia deposizione. Magari addirittura per farmi uccidere da Kira, chi lo sa. È per questo che ho voluto che ne veniste a conoscenza qui e ora, e dalla mia bocca.-
     -Mi dispiace molto, Nathalie.- disse Yagami, che si era alzato in piedi e le porgeva la mano. -Ma puoi stare tranquilla: provvederemo noi a proteggerti finché sarà necessario.-
K guardò prima la mano, poi il sovrintendente; infine la strinse e si alzò anche lei in piedi.
-Al momento è stata formata una task force per lavorare a quel caso, anche se non sono ancora state rese pubbliche le prove a carico di questi criminali. Probabilmente ci vorranno mesi prima che la storia venga fatta trapelare, e nel frattempo mi auguro che noi avremo catturato Kira, per potermi poi dedicare a quel processo.-
Si avvicinò al letto sul quale stava seduto L, e si voltò verso Yagami.
-Dovrò inoltre chiedere a Lei e ai suoi uomini la cortesia di farmi una deposizione su Grumann e sulla sera della sparatoria. Non che ci sia fretta, ma i ricordi tendono a svanire col tempo, e sono già passati due mesi dagli eventi di quella notte.-
Il sovrintendente diede la sua completa disponibilità a collaborare, e si avvicinò anche lui al letto per congedarsi da L.
Infine K porse la mano al detective, con un'espressione triste sul volto bianco.
-Cerca di rimetterti presto.- disse, mentre gli stringeva la mano.
Lui la guardava diffidente, poi rivolse lo sguardo altrove e sussurrò: -Grazie per avermelo detto. Ora almeno so perché sei diventata così. Perché giri armata.-
-Non sai nulla di quello che mi è successo in questi anni.- ribatté piccata lei.
Yagami era già uscito, ma lei non voleva indulgere troppo ad andarsene, per evitare che potesse pensare che lei e L complottavano qualcosa contro Light e Misa.
-Ma... se usciremo entrambi vivi da questa storia, giuro che ti dirò tutto.-

     Quella notte L sognò Bjarne.
     Si era ormai convinto che anche lui avrebbe cominciato ad infestare i suoi incubi dettati dal senso di colpa. Si era svegliato intorno alle tre di notte, con una sensazione di pesantezza al petto, e aveva affondato il viso stanco tra le mani pallide.
-Bussano alla porta, K.- le aveva detto L, mentre la ragazza era ancora sotto la doccia. -Aspettavi qualcuno?-
-No.- aveva risposto lei dall'altra parte della porta, spegnendo il getto della doccia. -Vai te a vedere o aspetti che esca di qui nuda e gocciolante?-
L aveva tenuto per sé il commento che stava per sfuggirgli dalle labbra, e si era diretto verso la porta del loro appartamento a passi veloci.
     Avevano trovato un trilocale all'ultimo piano di un palazzo da poco rimesso a nuovo, a Shoreditch, nel periodo in cui lavoravano per Scotland Yard. Il soggiorno con angolo cottura era ben illuminato ed abbastanza grande, e c'erano due camere da letto, accessibili da uno stretto corridoio che affiancava la sala e terminava in un piccolo bagno. Ad L, ormai abituato a spostarsi continuamente e soggiornare in hotel di lusso, spesso mancava quel piccolo divano verde e sfondato, i pavimenti in legno, i mobili di seconda mano dove stipava i suoi libri di università, i vasi di fiori che K aveva messo ovunque, e lo scricchiolio delle assi di legno quando lei si alzava da suo letto di notte per ritornare in camera propria. O forse no, forse quello non era un ricordo piacevole.
     L era andato ad aprire, e si era trovato di fonte il volto abbronzato e sorridente di Bjarne.
-Ehi, ciao!- lo aveva salutato, porgendogli la mano. In genere lui salutava gli altri con una pacca sulla spalla o con un forte abbraccio, ma L aveva sempre usato la “scusa” della sindrome di Asperger per limitare al minimo i contatti. K diceva spesso che non credeva che lui avesse davvero l'Asperger: per lei lui era solo stronzo.
-Bjarne! Non sapevo fossi in Inghilterra.- aveva esclamato L, accennando ad un sorriso. -Entra, entra. K è sotto la doccia. Non hai bagagli con te?-
-Solo questo zaino.- aveva detto lui, appoggiandolo a terra. -Scusate l'improvvisata. Cercavo un volo per le Hawaii per le selezioni per il prossimo campionato nazionale di surf e ho visto un'offerta per Londra che non potevo lasciarmi sfuggire.-
-C'è Bjarne?!- aveva urlato allora K, dal bagno. -Aaaaaa!-
E dopo pochi secondi se l'erano vista comparire davanti, ancora con l'accappatoio e i capelli raccolti in un asciugamano blu.
-Fratelloneeeeee!- aveva urlato, gettandoglisi al collo in modo così scomposto che il turbante che aveva in testa si era sciolto, lasciando cadere il suo caschetto disordinato di capelli bianchi sulla pelle rosata per via della doccia calda.
-Non sai quanto sono felice che tu sia qui!- aveva esclamato, stampandogli un bacio sulla guancia.
Lui aveva riso. -Dai, piccola, vai a sistemarti, ci salutiamo per bene dopo.-
Lei si era staccata da lui con un largo sorriso e aveva fatto un giro su se stessa, in punta di piedi, prima di allontanarsi canticchiando.
     In quel momento, L aveva visto l'ombra del dubbio attraversare il volto di Bjarne.
-Kendra... giurerei che odori di sesso.- aveva detto, con tono improvvisamente serio.
Lei si era voltata di scatto, con le labbra socchiuse e una nota di paura nello sguardo, ma si era subito ricomposta. L si era voltato, reprimendo l'istinto di controllarsi il collo e le spalle alla ricerca di tracce del delitto appena commesso.
-Beh, sai... ieri sono uscita. Sono adulta e responsabile, sai? A volte...-
-Tu sarai anche adulta.- l'aveva interrotta lui. Poi si era voltato verso L, con una scintilla negli occhi castani -Ma lui non lo è.-
K aveva spalancato i grandi occhi da cerbiatta, nascondendosi nell'accappatoio.
-Ma... cosa ti viene in mente?- aveva sussurrato, col cuore in gola.
-Bjarne, non so perché hai pensato questa cosa.- aveva cominciato il ragazzo. -Ma ti posso assicurare...-
-Kendra ha dei succhiotti sulla schiena.- l'aveva interrotto Bjarne, incrociando le braccia e avvicinandosi di un passo ai ragazzi. -E sono freschi.-
L non aveva potuto fare a meno di impallidire, spalancare gli occhi e sussultare. K invece si era immediatamente voltata di scatto per guardarsi la schiena.
-Ti ho fregata.- aveva allora detto Bjarne, sciogliendo le braccia. -Non ho visto nulla sulla tua schiena, ma se hai reagito in questo modo significa che hai qualcosa da nascondere.-
K era tornata a guardarlo in volto, coi capelli gocciolanti che le incorniciavano il viso arrossito.
-Tu, brutto...-
-Ho imparato da te.- aveva detto allora lui. -L non ha fatto una piega quando ti ha vista arrivare con solo l'accappatoio addosso.-
Poi si era voltato verso il ragazzo, con sguardo severo.
-Non crederai che non avessi notato come la guardavi negli ultimi mesi?-
     Aveva fatto un passo verso di lui, mentre L cercava di dipingersi in volto l'espressione più fredda che gli riuscisse.
-Sospettavo da settimane che tra voi ci fosse qualcosa.- aveva detto Bjarne, per poi voltarsi furente verso K. -Ma non mi aspettavo di arrivare qui e avere immediatamente la conferma!-
-Sei venuto fin qui per controllarmi?- gli aveva allora chiesto K, acida. -Ti posso giurare che non è come pensi.-
-Ah, ma davvero?- aveva detto lui, alzando la voce. -Perché io penso che tu fossi incredibilmente annoiata ed in crisi, e avessi bisogno di sfogarti come fai di solito. Ma anziché andartene a letto col primo capitato in uno squallido pub hai pensato bene di approfittare dell'infantile cotta che il tuo studente minorenne prova per te, così da aggiungere un po' di trasgressione al tutto.-
Le si era parato davanti, sovrastandola col suo fisico muscoloso.
-Allora...- aveva ripreso, allargando le braccia. -Cosa ho sbagliato nella mia analisi?-
Lei aveva aperto e richiuso la bocca, come un pesce rosso albino. Il suo occhio strabico era ancora più storto del solito. Poi aveva alzato un dito e aveva sussurrato: -Io... non vado a letto col primo che capita.-
-Oh, Dio!- aveva esclamato lui, roteando gli occhi e voltandosi.
-E se anche così fosse non ci sarebbe nulla di male!- aveva insistito lei.
minorenne!- aveva urlato Bjarne, girandosi di nuovo verso di lei a braccia aperte, coi palmi rivolti verso l'alto. Poi aveva girato i tacchi ed era andato a prendere L per la collottola.
-Bjarne...- aveva provato a protestare lui.
-Non me ne frega un cazzo se sto invadendo il tuo spazio personale, non ora, Aspie.- l'aveva zittito, sprezzante. -Non ce l'ho con te perché ti sei ripetutamente fatto mia sorella, perciò non provare a giocarti quella carta. Ce l'ho con te perché so per certo che questa cosa è partita da te, ed eri perfettamente consapevole del fatto che facendo così l'avresti messa nei casini.-
Gli aveva lasciato la maglietta, e si era passato quella stessa mano sul volto, sospirando profondamente.
     -Bjarne...- aveva sussurrato K, avvicinandosi in punta di piedi e appoggiando una mano sulla schiena del giovane. -Non volevo che tu ti preoccupassi. Davvero.-
Poi si era morsa il labbro.
-So di essermi messa in una situazione del cazzo... ma ti prometto che ne usciremo senza incidenti. Non mi farò scoprire.-
-Ti ho scoperta io...- aveva detto lui, voltandosi verso di lei, e prendendole le spalle tra le grandi mani. -Ci potrebbe arrivare chiunque.-
-Non vorrei interrompervi in questo momento toccante.- era intervenuto allora L. -Ma vorrei avere anch'io la possibilità di parlare.-
E così dicendo aveva afferrato Bjarne per un braccio, costringendolo a guardarlo in faccia.
-Innanzitutto, anche se ho solo diciassette anni, non puoi negare il fatto che tutti noi studenti della Wammy's House siamo in realtà molto più maturi di quanto sembri. Per quanto riguarda l'aspetto legale, io sono consenziente, ho più di sedici anni e K ha solo tre anni in più di me. Terzo, sono stato io a provarci con lei, non il contrario. E poi...-
-Non te la prendere con lui.- era intervenuta allora K, facendo voltare il fratello verso di sé. -Se dovesse succedere qualcosa, mi prenderò le responsabilità di quello che ho fatto. Non è la prima volta che faccio una cazzata, saprò badare a me stessa, vedrai.-
-Smettila di trattarmi come un bambino!- aveva allora protestato L, alzando la voce. I suoi occhi grigi e allungati si erano stretti in uno sguardo pieno di rancore. -Sono stato io ad insistere per rimanere a lavorare con te, sono stato io a baciarti! Ho tante colpe quante ne hai tu!-
-Ma poi sono stata io a spogliarmi davanti a te, le cose sarebbero finite con quel bacio, se poi io non avessi deciso di starci!-
-Whoa whoa whoa...- era intervenuto allora Bjarne, alzando le mani e facendo ad entrambi segno di fermarsi. -A nessuno qui interessa dei vostri riti di accoppiamento.-
Si era poi avvicinato a K le aveva messo una mano sulla spalla, con espressione preoccupata.
-Ho soltanto paura che tu ti possa rovinare la carriera per un colpo di testa.-
-Guarda che so badare a me ste... etciù!-
K aveva appena fatto in tempo a coprirsi il naso con le mani prima di starnutire, e la sua schiena era stata percorsa da un brivido di freddo.
-Sì, come no.- aveva commentato Bjarne in tono polemico. Poi l'aveva stretta a sé in un forte abbraccio, avvolgendola con le braccia muscolose. Infine le aveva passato una mano tra i capelli bagnati e le aveva detto dolcemente: -Vai ad asciugarti e a cambiarti. Metto su un tè e ne parliamo con calma, ok?-
     La ragazza si era allontanata in punta di piedi, e Bjarne si era seduto sul vecchio divano verde, appoggiandosi ad occhi chiusi con la testa sullo schienale.
L, ancora infastidito dalla discussione appena conclusasi, era andato verso l'angolo cottura per mettere su l'acqua per un tè.
La porta di ingresso si trovava al di là di una piccola parete divisoria in cartongesso lunga appena un metro e mezzo; entrando nell'appartamento ci si trovava così in uno spazio ristretto che presto sbucava nella sala, che per quanto fosse grande era incredibilmente spoglia: a sinistra, c'era la cucina, un tavolo di legno con quattro sedie e il divano orientato verso di esso, che dava le spalle alla finestra, dalla quale in quel momento entrava la luce del sole. K non poteva stare esposta ai raggi solari, per cui il lato destro della sala era praticamente inutilizzato, a parte per una vecchia libreria ed un mobile sul quale avevano messo il telefono, poiché era l'unico punto della casa in cui fosse presente la presa adatta.
L aveva tirato fuori dalla credenza il bollitore, quando aveva sentito dire a Bjarne, dietro di lui: -Scusami per averti attaccato.-
Il ragazzo si era voltato, ed aveva accennato ad un mezzo sorriso.
-Non ti scusare, Bjarne. So che ci tieni molto a lei.-
Poi si era girato di nuovo e aveva aperto il rubinetto.
-Anzi, ti dovrei ringraziare.- aveva aggiunto, sempre dando le spalle a Bjarne. -Perché hai riconosciuto la mia parte di colpa in questa storia. Hai riconosciuto che ho delle responsabilità.-
Poi aveva chiuso il rubinetto e aveva guardato davanti a sé.
-Lei continua a trattarmi come un moccioso, e questa cosa non la sopporto.- aveva aggiunto a voce bassa.
     Poi aveva sentito il giovane alzarsi e avvicinarsi a lui.
-Temevo che sarebbe successo dal momento stesso in cui vi ho conosciuti.- aveva detto, cercando in uno dei cassetti la scatola dei fiammiferi per accendere il gas.
-Era evidente che vedessi in lei una figura materna. Non avendo nessun altro, ti eri aggrappato a lei con tutte le tue forze, perciò immaginavo che prima o poi avresti sviluppato una sottospecie di complesso edipico.-
E a quel punto l'aveva guardato di sottecchi.
-Specialmente nel momento in cui l'avresti vista pienamente sviluppata ed in pantaloncini.-
L aveva distolto lo sguardo, e aveva appoggiato il bollitore sul gas che Bjarne aveva acceso.
-Ma ti posso assicurare che non è necessario che ti preoccupi.- aveva detto, dopo qualche momento di silenzio. -È vero, è cominciata così, ma tutto rimane nella camera da letto. È la regola. E in molti pensavano tra noi ci fosse qualcosa già prima che io cominciassi addirittura a pensare a lei in quel modo, semplicemente perché viviamo e lavoriamo insieme e siamo di sesso opposto.-
-Tipico.- aveva commentato il giovane. -Ma non è per i vostri colleghi che mi preoccupo.-
A quel punto L si era voltato. -Hai paura che lo venga a scoprire il direttore Wammy?-
Bjarne aveva annuito.
-Wammy ti considera un figlio, e per di più per lui sei intoccabile. Non ascolterebbe ragioni se la cosa venisse a galla.-
     A quell'eventualità L non aveva mai pensato, per cui si portò una mano al mento, con espressione dubbiosa.
-Io credevo avrei dovuto aver paura di te e di Burton.- aveva detto infine. -Di te perché sei morbosamente attaccato a tua sorella, e di Burton perché uno scandalo del genere nuocerebbe alla sua immagine.-
-Burton ora considera davvero Kendra come sua figlia.- aveva ribattuto Bjarne. -Probabilmente, ora come ora, sarebbe più propenso a farti la pelle se le facessi qualcosa di male, piuttosto che prendersela nel caso scoppiasse uno scandalo. E per quanto riguarda me...-
E così dicendo aveva preso tre tazze dalla credenza.
-Non sono “morbosamente attaccato a mia sorella”.-
Aveva appoggiato le tazze sul tavolo e si era seduto.
-I miei genitori mi hanno dimostrato quanto può essere grande e disinteressato l'amore verso un'altra persona. Ed io non voglio bene a Kendra solo perché abbiamo lo stesso sangue, ma perché merita qualcuno che le voglia bene.-
L aveva preso una scatola contenente diverse bustine di tè, zucchero, miele, latte e limone, aveva sistemato tutto su di un vassoio e si era seduto dal lato corto del tavolo.
-Mettila come vuoi, io continuo a pensare che il vostro rapporto abbia qualcosa di inquietante. Non da sempre, ma specialmente negli ultimi anni.-
     Bjarne aveva aperto la scatola e stava distrattamente sfogliando le varie bustine di tè.
-Ho scoperto di essere malato.- aveva detto infine. L era trasalito a quella notizia.
-Cosa...?-
-Non ho l'AIDS, se è quello che ti stai chiedendo.- aveva sbuffato Bjarne, irritato. -Non è che se sono stato a letto con diverse ragazze e anche alcuni ragazzi automaticamente devo avere qualche malattia sessualmente trasmissibile.-
-Non ho mai pensato a quello.- aveva ribattuto L. -In realtà, è da quando ti ho rivisto un anno fa che ho cominciato a sospettare che potessi essere malato.-
Si era accorto in quel momento che non aveva preso i cucchiaini, così si era alzato ed era andato a rovistare nel secondo cassetto, dove c'erano tutte le posate, eccetto i coltelli più affilati e altri strumenti pericolosi; quelli stavano nel terzo cassetto, che era chiuso a chiave, per impedire che K, in uno dei suoi raptus, potesse farsi del male.
-Sei sempre stato un ragazzo serio e studioso, ma ad un certo punto hai mollato l'università, hai cominciato a fare l'istruttore di surf, il barista, e altri mille lavoretti. Viaggi molto, hai solo relazioni occasionali, hai anche cominciato a scrivere. Inizialmente pensavo che potesse c'entrare la rottura con la tua ex, ma poi sono giunto alla conclusione che un simile cambiamento poteva essere dovuto al sapere di avere una malattia che potrebbe portarti via tutto molto presto.-
     Il bollitore aveva fischiato, e L l'aveva messo in tavola assieme al resto.
-Spero di non sembrarti troppo freddo se non mi mostro profondamente addolorato per la tua malattia, ma, credimi, mi dispiace sul serio.-
-Non ti preoccupare.- aveva risposto Bjarne, per poi aggiungere, abbassando lo sguardo: -Scusami se ti ho chiamato “Aspie”.-
-Tua sorella lo fa sempre quando è nervosa, vale a dire che lo fa di continuo.- aveva borbottato lui. -Se mi avesse dato fastidio, non ci sarei finito a letto.-
     Si erano poi versati l'acqua nelle tazze, e avevano ripreso a parlare nell'attesa che il tè fosse pronto.
-Ho la malattia di Huntington.- aveva detto allora Bjarne. -L'ho scoperto quando ho fatto la visita medica perché mi avevano richiamato per combattere in Iraq. A volte avevo dei formicolii, e ho voluto fare tutti gli accertamenti del caso, sperando di farmi escludere dall'arruolamento. Così mi sono procurato uno storico delle malattie dei miei genitori naturali, ho fatto i test ed è saltato fuori questo.-
Poi aveva soffiato sulla propria tazza, prima di riprendere.
-Io e Jane volevamo sposarci, sai? Ne avevamo parlato spesso, e avremmo voluto farlo dopo la laurea. Ma appena seppe della mia malattia non se la sentì e ci lasciammo. E a quel punto dovevo fare una scelta: completare gli studi senza la borsa di studio dell'atletica, accendere un mutuo universitario, laurearmi, trovare dei lavori abbastanza remunerativi per ripagarmi i debiti, cercare di nuovo una relazione stabile che accettasse la mia malattia e di starmi accanto quando sarebbe peggiorata... oppure mollare tutto, sfruttare la salute che ancora avevo, che ancora ho, per fare tutto ciò che avrei voluto fare nella vita, provando tutte le esperienze che potevo fare, provando a realizzarmi. E ho scelto questa strada.-
Aveva provato a bere un sorso di tè, e i suoi occhi erano diventati lucidi.
-Ti chiederai perché sono diventato progressivamente più attaccato a Kendra... Beh... Come saprai, la malattia di Huntington ha tra i vari effetti quello del calo delle capacità mentali. Alcune persone arrivano a non riconoscere più chi gli sta intorno. E non credo di correre questo rischio coi miei genitori, dal momento che li conosco da quando ho memoria, e li ho sempre frequentati anche dopo essermene andato di casa. Ma con Kendra... le cose sono diverse.-
Si era voltato verso L, con uno sguardo pieno di dolore e di lacrime.
-Potrei svegliarmi un giorno e non sapere più chi è. È questa la mia paura più grande.-
     Erano rimasti in silenzio per alcuni minuti, prima che L avesse il coraggio di alzarsi e mettere una mano sulla spalla a Bjarne.
-Tra tutte le persone al mondo, penso tu fossi quella che meno tra tutte meritava un destino simile.-
Il giovane l'aveva ringraziato con lo sguardo.
-So cosa ti stai chiedendo...- aveva poi cominciato a dire.
-Ebbene sì, anch'io ho la malattia di Huntington.-
Si erano voltati entrambi e avevano visto K sulla soglia della porta che conduceva al corridoio sulle camere da letto e sul bagno. Indossava la felpa grigia dell'università di Stanford che era stata di Bjarne, la canottiera bianca che di solito usava per giocare a basket e un paio di jeans a sigaretta particolarmente stretti che le fasciavano le gambe lunghe e perfette, e stava in piedi a braccia incrociate appoggiata allo stipite.
-Mi chiedevo dove fossi finita.- aveva osservato allora Bjarne.
-Ho visto che stavate parlando, ed è una cosa che non succede mai.- aveva ribattuto lei, sciogliendo le braccia e avvicinandosi. -Per questo non ho voluto interrompervi.-
Si era diretta verso una delle ante della credenza e aveva tirato fuori degli shortbreads, dei cookies e dei biscotti allo zenzero; poi aveva appoggiato tutto malamente sul tavolo e si era seduta assieme a loro.
-Lo sai da due anni e non mi hai detto nulla?- le aveva domandato L, con una nota di risentimento nella voce.
-Speravo di poterti addestrare di modo che potessi prendere il mio posto.- aveva risposto K, immergendo la sua bustina nella tazza piena d'acqua calda, col viso mollemente appoggiato ad una mano e col gomito sul tavolo. -Ma hai decisamente superato ogni mia aspettativa.-

     L si versò un bicchiere d'acqua e prese il cellulare dal comodino. Non sapeva se fosse o meno il caso di mandare una mail a K per chiederle se ci fosse altro che doveva dirgli in privato, ma poi pensò che a quell'ora stava sicuramente dormendo, e non voleva rischiare che Misa sospettasse di qualcosa.
Ripensare a Bjarne gli faceva uno strano effetto, ora. Avrebbe voluto rivederlo, per ringraziarlo di tutto ciò che aveva fatto per loro, ma ormai era troppo tardi. Avrebbe voluto credere in un'esistenza dopo la morte, per potergli parlare ora che non c'era più. Ma ormai era troppo tardi. Per qualunque cosa.

Note

    Nel caso ve lo steste chiedendo.... No, non ho preso ispirazione da Dr. House per la storia dei due fratelli con l'Huntington. Ho scoperto l'esistenza di questa malattia da "Il mio finale - Parte 1" di Scrubs. Tempo dopo aver finito la prima stesura di questa ff, hanno messo Dr. House su Netflix e per caso ho scoperto che la stessa cosa succede anche a Tredici e a suo fratello

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Capitolo 15
*** Capitolo 12 - Tensione e Scontro ***




Capitolo XII
Tensione e scontro


     Finalmente L venne dimesso, e la sede delle indagini venne trasferita quel mercoledì sera nel nuovo quartier generale, dove Watari accolse Light con le manette dalla catena lunga tre metri che l'avrebbe legato a L. Ai due ragazzi venne assegnato un appartamento molto grande, esattamente di fronte a quello di K, mentre Matsuda, il sovrintendente e Mogi vennero sistemati al piano superiore. Aizawa non aveva voluto trasferirsi assieme a loro, essendo sposato e con due bambini piccoli. A Misa fu riservato un appartamento di lusso al ventitreesimo piano. Vi si poteva accedere soltanto tramite ascensore privato con tanto di pass; una vera prigione dorata.
Il giovedì mattina gli agenti, tranne Aizawa, che sarebbe giunto nel pomeriggio, e Light cominciarono ad esporre a L i risultati delle loro ricerche. Il detective li ascoltò attentamente uno ad uno, seduto sulla sua sedia girevole con le ginocchia al petto le mani incrociate davanti al volto impassibile.
-Ottimo.- disse infine. -Continuate pure così. In mancanza di altri elementi, ci concentreremo sugli omicidi dei criminali.-
-Con tutto il rispetto, capo...- intervenne K, avvicinandosi. -Ma siamo ormai certi del fatto che questo Kira non sia mosso dallo stesso principio di giustizia che animava il primo, giusto?-
Light, alle sue spalle, annuì.
-Certo.- disse. -Sta agendo in modo abbastanza incurante, a mio avviso.-
-Come dice Light...- riprese la giovane, voltandosi verso gli agenti. -Vorrei mettervi al corrente delle conclusioni alle quali siamo giunti io e Ryuzaki.-
     L le fece segno di procedere, e lei passò ad illustrare la teoria secondo la quale chi veniva investito dei poteri di Kira potesse avere un margine di libertà personale. Questo, spiegò, poteva voler dire che chiunque ci fosse in quel momento dietro la morte dei criminali avrebbe potuto anche utilizzare quegli stessi poteri per i propri fini personali.
-Propongo pertanto di provare a controllare anche decessi sospetti per arresto cardiaco tra i civili.- concluse. -Se trovassimo nelle cartelle cliniche dei civili deceduti per arresto cardiaco dei casi sospetti che possano avere un qualche collegamento, magari riusciremmo a restringere il campo di ricerca.-
L la guardava fisso, con un'espressione leggermente corrucciata.
-Questo richiederebbe una mole di lavoro aggiuntiva non indifferente, e che potrebbe non portare da nessuna parte.- disse infine. -Vuoi davvero spremere questi agenti in questo modo?-
-Me ne posso occupare io.- insistette lei. -Farò qualche straordinario, che ci vuole. Mi paghi per questo, no?-
     Gli altri agenti le rivolsero tutti uno sguardo a metà tra l'ammirazione e il puro terrore. Nessuno osava dire a L cosa fare, e se lui si concentrava su di una pista, non c'era modo di convincerlo a considerare altre ipotesi. Stava qui la maggiore differenza tra una che lavora in squadra e uno che lavora da solo.
L rimase in silenzio, sfregando tra loro i piedi nudi.
-E va bene, Banks.- disse infine. -Fai le tue ricerche. Spero soltanto che il fatto di seguire due casi contemporaneamente e caricarti di compiti aggiuntivi non si ripercuota sulla qualità del tuo lavoro.-
La giovane lo ringraziò e salutò i presenti, dirigendosi verso le scale.
-Ah!- esclamò allora Matsuda. -Quindi basta essere una bella ragazza per riuscire a farsi ascoltare da te!- continuò ridendo.
K si fermò, si voltò e rivolse a Matsuda un'occhiata raggelante. -Se è per questo, Ryuzaki presta anche molta attenzione a quello che dice Light. Vorresti dire che anche Light è una bella ragazza?-
Mogi scoppiò a ridere, e L intervenne, seccato. -Matsuda, anni fa ho lavorato per Nathalie, è stata lei ad avermi addestrato come agente investigativo.-
Il giovane poliziotto, Mogi e Light sobbalzarono, e si voltarono tutti verso K, che era ancora ferma vicino alle scale.
-Che c'è?- chiese allora. -Vi sembra strano che una donna sia una brava detective?-
-Ma siete entrambi giovanissimi!- esclamò allora Light.
-Guarda che io sono più vecchia di Matsuda.-
-Vogliamo riportare la discussione su Kira, per cortesia?- li interruppe L, seccato. K fece un cenno con la testa e se ne andò. Il detective riprese. -Concentratevi sulle vostre ricerche, per favore. Vorrei avere quei dati il prima possibile.-

     Light era molto pensieroso negli ultimi tempi. Si sentiva disorientato, ed era roso continuamente dal dubbio che potesse essere stato lui il vero Kira. Era palese che i tre Kira rispondessero ad una diversa visione della giustizia, ma quella del primo corrispondeva in modo inquietante a quella che lui stesso aveva. E poi c'era Misa... Come si erano conosciuti? Ricordava che si era presentata a casa sua, dicendo che l'aveva visto... dove l'aveva visto? E poi aveva insistito per essere la sua ragazza, ed era tutt'ora convinta di essere la sua ragazza. Ma lui non poteva aver accettato... E allora perché lei mostrava tutta quella sicurezza?
C'erano molte cose che non si sapeva spiegare.
     Quello stesso pomeriggio, Misa insistette moltissimo per vederlo. Ryuzaki sarebbe rimasto con loro; Light ne era in parte sollevato, sebbene detestasse l'idea di dover rimanere ammanettato al detective ventiquattro ore al giorno.
Raggiunsero l'appartamento di Misa con l'ascensore, e quando lei aprì la porta, si gettò tra le braccia del ragazzo, urlando di gioia. Ryuzaki se ne stava poco distante, con le mani in tasca e le spalle curve, mentre sfregava tra loro i piedi nudi.
Misa tentò in tutti i modi di convincere Ryuzaki a liberare Light dalle manette e andarsene, ma lui non si smosse. Arrivarono anche Mogi e Matsuda per controllare l'appartamento, com'era stato stabilito da Nathalie, e questo infastidì ancora di più Misa, che voleva restare da sola con Light.
     -Che cosa credi che possa mai fare Light, da volergli stare sempre appiccicato per controllarlo?- domandò la ragazza a Ryuzaki, gonfiando le guance e sporgendosi verso di lui con le mani sui fianchi.
-Non lo so.- rispose lui, sbuffando. -Non ho idea di come funzioni questa sottospecie di possessione, o come facciano a trasmettersi i poteri di Kira. E io odio non capire.-
-Beh, faresti meglio a risolverti i tuoi dubbi da solo e lasciare Light insieme a me!- lo aggredì Misa.
Lui le rivolse uno sguardo infastidito.
-Supponiamo per un momento che ci sia una qualche entità che ha scelto Light Yagami come emissario di Kira.- disse, muovendosi verso uno dei divanetti, sempre con le mani in tasca. Light lo seguì, ma Misa lo afferrò per un braccio prima che potesse sedersi accanto al detective e lo trascinò sul divanetto di fronte, separato da un tavolino da tè, buttandosi a sedere e tirando giù il ragazzo, mentre Ryuzaki parlava.
-Ci sarà stato sicuramente un motivo se la sua scelta è ricaduta su di lui. Magari perché riteneva che Light avesse le capacità per nascondere le proprie tracce. Perciò, non pensi che ci sia una possibilità che questa entità voglia riprendere il controllo su di lui? E che quindi sia ragionevole tenerlo costantemente d'occhio?-
-Secondo me stai dicendo un mucchio di sciocchezze.- ribatté Misa, che stringeva ancora tra le mani il braccio di Light. -E poi, se anche Light dovesse ottenere i poteri di Kira, farei di tutto per ottenerli anch'io, così lo libererei da te!-
     Light trasalì. Sapeva che la posizione di Misa era molto precaria, in quanto vi erano prove tangibili che la riconducevano al secondo Kira. Tracce dei suoi capelli erano state trovate sul nastro adesivo che chiudeva i pacchi mandati dal secondo Kira alla Sakura TV; con le sue parole, anche la posizione di Light si aggravava. Poi un altro pensiero lo colpì: se Misa fosse stata il secondo Kira, e ammettendo che lui non fosse stato il primo Kira, cosa sarebbe successo se Misa avesse recuperato i ricordi e la capacità di uccidere? Avrebbe ucciso lui e tutti quelli della task force, dal momento che avevano tentato di ostacolare Kira?
Si voltò a guardare Ryuzaki in volto, ma lui non pareva sorpreso o preoccupato. Sembrava incredibilmente apatico.
     In quel momento si sentì bussare alla porta, e quando si voltarono videro Nathalie sulla soglia. Si era cambiata; durante le riunioni portava sempre un completo elegante blu, gonna, giacchetta e tacchi, e teneva i capelli bianchi raccolti. Ora, invece, portava jeans grigi, una maglietta bianca molto larga e un paio di anfibi neri. Pareva molto più giovane, truccata solo leggermente, senza parrucca né lenti. Light era giunto alla conclusione che Nathalie era di certo fortunata rispetto a molte altre persone affette da albinismo. La sua pelle non era propriamente bianchissima, bensì lattea. Nascosti i capelli bianchi e gli occhi rossi, poteva passare per una qualsiasi ragazza di origini nordiche. Non era difficile, considerando i suoi lineamenti delicati, gli zigomi alti e il fine naso all'insù. Non era nemmeno affetta da strabismo o da grossi deficit visivi: portava di sicuro le lenti a contatto e usava sempre gli occhiali da sole davanti ai monitor, ma per il resto non sembrava avere altri problemi.
-Avete lasciato la porta aperta.- disse.
Light si era alzato per salutarla, e poi ne aveva approfittato per andarsi a sedere di fianco a Ryuzaki.
     La giovane si avvicinò loro e tese un foglio al detective, che non si era mosso di un centimetro.
-Ti ho fatto una copia dello schema con cui analizzerò le morti per arresto cardiaco sospette tra i civili.- disse. -Penso di concentrarmi su una zona di Tokyo alla volta, dal momento che penso sia ragionevole supporre che anche questo Kira viva qui, come i primi due.-
Ryuzaki mugugnò qualcosa, mentre leggeva distrattamente.
-Classificherò le vittime in base a quartiere di residenza, professione, estrazione sociale, affiliazioni ad associazioni, istruzione, età eccetera. Tra qualche giorno Watari dovrebbe essere in grado di procurarmi una lista dei morti per arresto cardiaco negli ultimi due mesi dagli ospedali del distretto di Shirokane.-
-Hai scelto un quartiere ricco perché supponi che, se questa persona volesse usare il potere di uccidere per i propri scopi, possa voler puntare ad arricchirsi.- commentò Ryuzaki, prendendo a sfregarsi col pollice il labbro inferiore. -È una conclusione abbastanza ovvia, ma temo che non ti faciliterà di molto il compito.-
-È una scommessa.- ribatté la giovane. -Al momento non abbiamo altre piste, e tu non puoi esporti per sfidare questo nuovo Kira, anche perché dubito che sarebbe abbastanza scaltro da poter rispondere senza rivelare nulla della sua identità. E questo probabilmente lui o lei lo sa.-
     -Se dovete parlare di lavoro, potete anche andarvene e lasciare me e Light da soli.- protestò Misa. Ryuzaki non le fece caso e guardò di sottecchi Nathalie.
-In ogni caso, non potevi dirmelo in un altro momento?- Le restituì il foglio. -Non era il caso che venissi qui. Non hai altro su cui lavorare?-
Nathalie fece un sorriso un po' inquietante e poi guardò Misa. -So di aver detto di non avere intenzione di partecipare ai vostri incontri, ma mi stavo annoiando e morivo dalla voglia di vederti battibeccare con Amane.-
-Bene, Nathalie...- sogghignò lei. -Perché non ti fermi anche tu e cerchi di tenere Ryuzaki impegnato mentre io cerco di passare del tempo col mio ragazzo?-
Light trasalì. Nathalie rise. -Penso che basterebbe una fetta di torta con un sacco di panna a tenerlo impegnato.- disse, alzandosi dal divano. -Ma credo che per il momento mi fermerò a godermi questo teatrino.-
E così dicendo, tornò verso la soglia della porta per togliersi gli stivali.
-Non mi parlare di torte con la panna, dannata sadica.- protestò Ryuzaki. -Non vedo un dolce da quando ti ho rincontrata, e questo mi rende davvero poco tollerante nei tuoi confronti.-
Nathalie lasciò a terra vicino agli anfibi la sua borsa di tela verde militare e tornò verso di loro.
-Sta' calmo.- disse, con una risatina. -Watari sta arrivando con della macedonia. Ti prometto che avrai un dolcetto quando avrai catturato Kira.-
     Misa si alzò e si allontanò per andare in bagno ondeggiando i fianchi. Quel giorno indossava un top corto e aderente, una minigonna, anch'essa aderente e delle calze alte fino a metà coscia. Sembrava ancora più bassina e molto più curvilinea di quanto non fosse in realtà. Era pomeriggio inoltrato e la luce entrava dalle grandi vetrate. L si alzò dal divano, vi si avvicinò per chiudere le spesse tende, costringendo Light ad alzarsi e seguirlo, e poi tornò a sedersi sul divanetto rivolto verso la finestra, facendo segno al ragazzo di accomodarsi accanto a lui. Nathalie si buttò a sedere di fronte a loro, con le gambe divaricate ed un braccio mollemente appoggiato sul bracciolo. Misa tornò con un trucco leggermente più accentuato, si sistemò di fianco a Nathalie, e si stiracchiò le gambe.
Poi si voltò verso la giovane, con uno sguardo pieno di disapprovazione.
-Sembri una camionista.- le disse, incrociando le gambe e raccogliendo le mani in grembo.
     Portarono infine del tè e della macedonia. Misa parlava tantissimo, soprattutto tentando di convincere L a permettere a lei e a Light di avere un appuntamento al di fuori del quartier generale.
-Non se ne parla.- ripose lui. -Anche perché io dovrei seguirvi, e non sarebbe normale vedere girare per Tokyo due persone ammanettate.-
-E allora perché non lo liberi?- protestò lei. -Potrai venire anche tu e portarti la spilungona.-
-La spilungona non è il vostro cagnolino da compagnia.- rispose Nathalie, senza guardare nessuno dei presenti in faccia, col viso appoggiato mollemente sulla mano. Pareva molto annoiata.
Ryuzaki sembrava sul serio preso più dalla sua macedonia che dalla conversazione, sebbene a volte provasse a tornare sul discorso Kira.
Light cominciava ad innervosirsi.
-Ryuzaki.- disse infine. -Siamo in questo nuovo quartier generale super attrezzato, però... mi sbaglio o mi pare di capire che non hai nessuna voglia di lavorare?-
-Voglia di lavorare, dici?- fece lui, fermandosi col cucchiaino a mezz'aria. -Non ne ho.-
-Infatti dovreste ringraziare che ci sia io.- borbottò Nathalie.
-A dire il vero sono depresso.- riprese il detective, con lo sguardo fisso nel vuoto.
-Sei depresso?-
-Già.-
E così dicendo raccolse una fragola e se la mangiò.
-Il fatto è che ho sempre sospettato che tu fossi Kira, e ora che questa pista è andata in fumo mi sento, come dire, piuttosto depresso.-
-E certamente le nostre supposizioni sul fatto che in realtà le vostre azioni, o meglio, le vostre volontà fossero manovrate, non ci sono di alcun aiuto a questo punto del caso, con un nuovo Kira libero di agire indisturbato.- intervenne Nathalie.
-Inoltre, se Kira fosse capace di una cosa simile, catturarlo non sarebbe facile.- concluse Light.
-Già... Per questo mi sento depresso.- concordò Ryuzaki. -Se la persona manovrata per uccidere i criminali venisse catturata, il suo potere passerebbe a qualcun altro, e io mi ritroverei con un pugno di mosche in mano.-
-Beh, ma non è ancora detto, no?- cercò di tirarlo su Light, che lo ascoltava a braccia incrociate. -Dai, Ryuzaki... ritrova il tuo entusiasmo!-
-Entusiasmo?- ripeté il detective, sempre apatico. -Beh, non ne ho per niente. Anzi, penso che farei bene a non impegnarmi neanche troppo.-
Poi alzò lo sguardo verso il soffitto e si infilò un dito in bocca, pensieroso.
-Anche se ce la mettessi tutta per acciuffarlo non farei altro che mettere a repentaglio la mia vita. Non credi?-
     Nathalie aveva un'espressione disgustata sul volto pallido. Light allora si alzò in piedi, calmo; chiamò il suo compagno, stringendo il pugno, e, non appena quello si fu girato, lo colpì con violenza sul volto cinereo ed impassibile. Il giovane finì sbilanciato e stava per cadere a terra; così, con un gesto fulmineo, lanciò la coppa che teneva nella mano sinistra verso il tavolo. Questa girò su se stessa, e lo sciroppo di fragola, che si era formato sul fondo, si rovesciò un po' ovunque, compreso addosso a Nathalie, che stava seduta proprio di fronte al detective. Questi si parò la caduta col braccio ora libero, ma fece comunque cadere vaso dietro di lui, mentre e Light aveva inavvertitamente rovesciato il tavolino da tè nel momento in cui veniva trascinato anch'egli a terra dalla catena che lo legava a Ryuzaki.
Misa si alzò di scatto dal divano, urlando, mentre Nathalie ringhiò uno Shit! e prese un fazzoletto per pulirsi di dosso lo sciroppo rosso.
Ryuzaki si mise a sedere, col volto stralunato.
-Mi hai fatto male, sai?- disse, con voce vuota.
-Mi prendi in giro?- lo aggredì Light, con voce colma di rabbia. -Solo perché io non sono il vero Kira e i tuoi ragionamenti sono andati in fumo ti è passata la voglia di catturarlo, eh?-
Il detective si strofinò la guancia colpita con la manica della maglia bianca slabbrata.
-No, ma anche continuando le indagini non arriveremmo a nulla di buono, quindi tanto vale rinunciare, no?-
Light fece un passo verso di lui, col pugno ancora serrato.
-Ma se non gli diamo la caccia mi spieghi come facciamo a prenderlo? Perché non pensi a tutti gli innocenti che hai già coinvolto... eh?!-
E così dicendo gli si avvicinò di nuovo, prendendolo per la collottola e portandosi a pochi centimetri dal suo volto esangue.
-E poi sei stato tu a mettere me e Misa in una cella, o ricordo male?-
Ryuzaki gli rispose con tono tranquillo.
-Sì, ti capisco. Ma qualunque siano le tue ragioni, Light...-
E, in un istante, si liberò della presa del ragazzo, si piegò sulle braccia ed gli assestò un forte calcio in faccia.
-... Non c'è colpo che non rendo.- concluse, con un ringhio sordo nella voce.
     Lo slancio del calcio fece indietreggiare Light, che si portò dietro Ryuzaki, ed entrambi finirono sul divanetto, che si rovesciò a terra. Misa gemeva, con le mani raccolte sotto il viso, mentre Nathalie osservava la scena, impassibile.
Ryuzaki si rialzò.
-Il punto non è tanto che i miei ragionamenti sono andati in fumo, quanto il fatto che il caso non si può risolvere identificando te come Kira e Misa Amane come il secondo Kira. Per questo mi sono un po' scoraggiato. Sono un essere umano anch'io, che male c'è?-
Light si infuriò di nuovo, e si alzò da terra, dicendo: -Che male c'è? Da come parli sembrerebbe che saresti soddisfatto solo se fossi io Kira.-
Il detective allora si mise a quattro zampe, fronteggiando Light, pronto ad attaccare ancora.
-Soltanto se tu fossi Kira?- ripeté, con tono sempre più rabbioso. -Sì, può anche darsi, certo.-
Il suo sguardo era diventato sempre più penetrante e ostile.
-L'ho capito soltanto adesso. Avrei tanto voluto che Kira fossi tu.-
     Quegli occhi furenti fecero di nuovo perdere la testa a Light, che lo colpì proprio in mezzo alla faccia.
Ryuzaki non cercò di togliersi quel pugno dal viso, ma, anzi, si spinse ancora di più in direzione del ragazzo, lasciando che le sue nocche gli ferissero le palpebre.
-Te l'ho già detto che non c'è colpo che non renda.- rantolò furioso, mentre il suo intero corpo tremava.
Misa continuava a fissare la scena con gli occhi spalancati, mentre Nathalie si era ormai arresa nel suo tentativo di pulirsi la maglietta.
-Guarda che io sono piuttosto forte, Light.- aggiunse, prima di voltarsi di scatto, cogliendo nuovamente Light di sorpresa, e assestandogli un calcio rotante che fece perdere al suo avversario l'equilibrio.

     K fece una smorfia.
-I wouldn't have given you two bits right now, boy.- sussurrò, cercando di nascondere il perverso piacere che le dava la vista del boia di suo fratello preso a calci.
Ma i due si rotolarono a terra continuando a colpirsi, mentre la catena che li teneva legati sbatteva ovunque facendo un gran chiasso. Di sicuro gli altri agenti li stavano vedendo dalle telecamere di sicurezza, difatti in quel momento il telefono squillò. Eppure i due, troppo presi dallo scontro, non ci stavano facendo caso. K, innervosita, fece cenno a Misa di rispondere, mentre continuava a guardare i due ragazzi, serrando i pugni un po' di più, ogni istante che passava.
Ad un certo punto, Light spinse L a terra; questi non riuscì a parare la caduta, e la sua testa mancò per pochi centimetri lo spigolo del tavolino da tè in vetro che stava riverso sul pavimento.
E K per un attimo perse il senno.

     Light si piegò verso il suo avversario, steso a terra, caricando un altro pugno mentre lo teneva di nuovo per la vecchia maglia slargata, ma ad un tratto sentì un brivido corrergli lungo la schiena. Si voltò di scatto e vide Nathalie alzarsi in piedi, gli occhi rosso fuoco, pulsanti, con le pupille strettissime, la maglietta sporca di sciroppo che in quel momento gli parve sangue, i lunghi capelli bianchi e mossi danzare attorno alla sua figura slanciata ad ogni suo passo pesante e marziale. Gli arrivò alle spalle, lo afferrò per la vita e lo strappò via da Ryuzaki, che stava sotto di lui, e bloccò quest'ultimo, che si stava già rialzando per ricominciare lo scontro, piantandogli un piede sul petto. Teneva il braccio destro teso in direzione di Light, con la mano alzata per intimarlo a rimanere dov'era.
-La volete piantare voi due?- urlò loro. I suoi occhi insanguinati pulsavano forte.
Light rabbrividì a quella vista, ma si scusò subito, balbettando, e fu subito raggiunto da Misa, che gli si gettò al collo con le lacrime agli occhi, mentre Ryuzaki rimase ancora a terra qualche istante, guardandolo male.
Misa prese ad accarezzare il volto del ragazzo. -Light! Light! Tutto bene?- Si voltò poi verso Ryuzaki. -Adesso ti faccio vedere io, brutto maniaco!-
-Misa, non ti ci mettere anche tu.- ringhiò Nathalie, strizzando gli occhi. Poi abbassò il braccio e si voltò verso Ryuzaki, tendendogli la mano, ma quello distolse lo sguardo, infastidito, e si rialzò da solo.
-Per quanto questo teatrino sia stato particolarmente esilarante e non mi abbia fatto pentire della mia decisione di restare con voi, è ora che ci diate tutti un taglio.-
Light si scusò ancora, e fece per allontanarsi per rimettere a posto i mobili rovesciati durante la colluttazione, ma Ryuzaki lo stava tenendo fermo per la catena. Il ragazzo si voltò, e vide che il detective si era piantato a due spanne dal volto di Nathalie, con sguardo furente, ritto sulla schiena: era la prima volta che lo vedeva ergersi in tutta la sua altezza, e solo in quel momento notò che era alto quasi dieci centimetri in più rispetto alla giovane donna.
-I've heard what you've said before.- sibilò tra i denti. -Stop. Calling. Me. “Boy”.-
-Then behave like the adult you're supposed to be.- ribatté lei, incrociando le braccia, ma, nel farlo, emise un gemito di dolore, e lasciò cadere il braccio sinistro lungo il fianco.
-Shit.- disse ancora, prima di tornare a guardare Ryuzaki negli occhi.
-Rimettiti al lavoro.- riprese, in giapponese. -Perché se non fosse stato per me, ma anche per Light, ci ritroveremmo ancora ad un punto morto delle indagini. E intanto qui stanno perdendo la vita non soltanto criminali, ma anche civili.-
     Poi si voltò verso i ragazzi, massaggiandosi la spalla sinistra.
-Misa, potrei usare il tuo bagno per pulirmi da 'sta cosa?- domandò, indicandole con lo sguardo la maglietta sporca di sciroppo.
-Sì, certo.- disse lei, tornando a guardare preoccupata il volto di Light. -Ah, e prendi pure qualcosa di mio da metterti, al posto di quella... ehm... cosa che hai addosso. Puoi usare il bagno privato di camera mia, scegli qualcosa di carino da metterti dal mio armadio.-

     K andò verso la porta e prese la sua borsa a tracolla di tela verde militare, mentre i due ragazzi rimettevano a posto tutta la confusione che avevano creato, poi entrò nella camera da letto di Misa.
L'appartamento riservato alla ragazza era molto grande, e la camera da letto non faceva eccezione, eppure Misa era riuscita a riempire completamente la stanza di peluche inquietanti, cuscini, poster emo-goth e oggetti d'arredamento decisamente fuori dal comune. C'era pure uno scaffale intero su cui facevano bella mostra diverse teste di polistirolo con altrettante parrucche, e K era certa che l'enorme armadio quattro stagioni che copriva un'intera parete fosse pieno zeppo di vestiti.
Si chiuse a chiave nel suo bagno e si sfilò la maglietta sporca. Non pensava che L sarebbe riuscito ad offrirle un'occasione del genere per frugare tra gli effetti personali di Amane in così poco tempo. Certo, era quello il motivo per cui si era fermata quel pomeriggio e per cui aveva fatto preparare della macedonia, ma non si sarebbe mai aspettata che, per trovare l'occasione per rovesciarle la sua coppa addosso, L avrebbe indotto Light a cominciare una rissa. Magari non lo aveva nemmeno fatto apposta. Dopotutto, lei non si sarebbe mai aspettata che Light potesse cedere in questo modo alla violenza, per quanto fosse comprensibile, visto e considerato il lungo periodo di prigionia (che non si era, in realtà, ancora concluso). Forse L aveva bisogno di sfogare in qualche modo la sua frustrazione, per cui aveva volutamente cercato la rissa. Come tutte le volte che avevano litigato e avevano risolto le loro tensioni con una scazzottata tra amici, che si concludeva sempre con una bella risata e due birre fresche.
     K scosse la testa. Non era il caso di abbandonarsi ai ricordi o alle elucubrazioni mentali, in quel momento. Si trovava lì per un motivo preciso. Tirò fuori dalla tracolla un paio di guanti e una busta di plastica trasparente. Aprì il cesto della biancheria sporca e ne tirò fuori una sottoveste rosa che aveva un odore abbastanza forte. La chiuse nella busta di plastica e se la mise nella borsa, poi si sfilò i guanti, andò al lavandino e si pulì la pancia dalle tracce di liquido rosso. Uscì dal bagno coi soli jeans e il reggiseno nero addosso.
In quel quartier generale ognuno doveva occuparsi delle proprie pulizie, del proprio bucato e occasionalmente dei pasti: Watari si faceva recapitare ogni giorno la spesa e la distribuiva ai vari appartamenti, così che ognuno potesse svolgere le proprie faccende domestiche. Ma K aveva bisogno di un indumento della ragazza per usarlo, nel caso in cui si fosse reso necessario, per far seguire le sue tracce dai cani, motivo per cui aveva ritenuto necessario organizzare quella messinscena; difatti, la perquisizione dell'appartamento della ragazza avveniva sempre in coppia, e K non voleva che gli altri agenti sapessero del suo piano parallelo di sorveglianza (o meglio, spionaggio) di Misa.
     Ma il suo lavoro non era ancora finito; si rimise i guanti e prese a frugare velocemente nei cassetti, facendo attenzione a lasciare tutto esattamente al suo posto, finché non trovò quello che le interessava: la collana preferita di Misa, quella che portava quasi sempre quando usciva, quella col grande ciondolo d'acciaio la cui forma ricordava la punta di una lancia, o il simbolo araldico del giglio. Estrasse dalla propria borsa la sua copia esatta, che aveva fatto preparare prima che la ragazza uscisse di prigione; aveva infatti inviato l'originale, sequestrato al momento dell'arresto assieme agli altri suoi effetti personali, ad un orafo, e se lo era fatto riconsegnare prima che venisse scarcerata. La copia, che era stata recapitata a Watari soltanto quella mattina, ospitava una cimice, un localizzatore GPS e una microtelecamera, come quelle che solitamente metteva il PPEP addosso a lei, il tutto reso però più piccolo, più preciso e più funzionale grazie alle modifiche fatte dal geniale inventore. K sperava vivamente che Misa avrebbe continuato ad indossarla anche fuori dal quartier generale, per poterla controllare meglio. In molti dei suoi vestiti aveva fatto nascondere GPS e cimici, ma temeva che, se Light avesse recuperato i ricordi di Kira, l'avrebbe persuasa a controllare tutto il suo guardaroba e a disfarsi di tutto.
Il ciondolo, invece (K continuava a sperarlo) magari sarebbe passato inosservato.
     Si voltò infine verso il grande armadio, sospirando. Ora doveva cercare qualcosa da mettersi. Misa, per quanto ne sapeva, indossava soprattutto bustini, vestiti da gothic lolita, al massimo top o comunque maglie aderenti, e K aveva le spalle larghe, era alta quasi venti centimetri più di lei e, sebbene avesse più o meno la stessa misura di seno, aveva anche il busto più ampio. Ma se anche avessero avuto lo stesso fisico, K odiava quel genere di vestiti; sebbene fosse sempre stata consapevole del suo bel fisico, ai limiti di una vanità molesta, odiava in generale pizzi, gonne a sbuffo, vestiti appariscenti e quel genere di cose, prediligendo, al di fuori del lavoro, abiti tipicamente maschili, come felponi, magliette larghe, giacche di pelle, la camicia tartan di Bjarne, delle Converse o i suoi vecchi anfibi, look che in passato le era valso diverse battute del tipo: “Sei appena uscita da una band grunge?”.
Dopo molto frugare, alla fine trovò un crop top color blu mare molto corto, ma che per lo meno le entrava; se lo infilò ed uscì.
-Non potevi trovarti qualcosa di meglio?- le chiese Misa, che era seduta sul bracciolo del divano accanto a Light, quasi addosso a lui, mentre L era tornato al suo posto e beveva il suo tè completamente indifferente. -Non ricordavo nemmeno di avere una maglia del genere. Vuoi mettere in mostra i tuoi addominali da uomo?-
-Ti ringrazio per la disponibilità...- rispose K, tirando su i jeans grigi a sigaretta. -... ma ho le spalle troppo larghe per le tue magliette aderenti e i tuoi bustini mi schiaccerebbero troppo le tette.-

     A Light andò di traverso la cucchiaiata di macedonia e cominciò a tossire, mentre Misa rideva.
-Oh, scusate...- fece Nathalie, tornando a sedersi. -A volte scordo che i giapponesi hanno un diverso senso di ciò che sia appropriato dire in pubblico.-
La maglietta le arrivava all'ultimo paio di costole, lasciando in vista gli addominali e una cicatrice rossa diversi centimetri sotto l'ombelico. Anche le spalle erano rimaste scoperte: alla destra c'era un'altra cicatrice lunga, e alla sinistra si intravedeva il buco del proiettile, in quel momento visibilmente arrossato. Forse era quello il motivo per cui, poco prima, aveva avuto quel gemito di dolore? Si era fatta male nel tentativo di dividere lui da Ryuzaki?
-Come te le sei fatta tutte quelle cicatrici?- domandò Misa. -Più ti guardo, più mi sembri un uomo. Non è che sei un trans?-
Light pensò che nemmeno quello era qualcosa di appropriato da chiedere. Ogni tanto Misa gli dava fastidio col suo atteggiamento troppo bambinesco; faceva parte dell'essere una idol, ma poteva essere molto irritante a volte. Certo, d'altra parte continuava ad accettare di stare al suo fianco e di proteggerla come meglio poteva, dal momento che lei aveva dovuto subire delle torture terribili durante la sua prigionia, e lo aveva fatto solo per amor suo. Poteva biasimarla se si era presa una cotta del genere per lui?
Tuttavia, Light a volte temeva che, se davvero lui stesso era stato Kira, era probabile che avesse approfittato dei sentimenti che Misa provava nei suoi confronti, per manipolarla. Non aveva idea di come si fossero conosciuti, sapeva soltanto che una sera se l'era ritrovata davanti alla porta di casa e l'aveva fatta salire in camera sua senza esitazione. Ricordava anche vagamente che ci fosse stato un bacio tra loro due, ma sperava vivamente di sbagliarsi: Misa era indubbiamente attraente, ma per nulla il suo tipo; per questo non avrebbe voluto illuderla.
Le lanciò un'occhiata carica di senso di colpa, mentre la guardava discutere con Nathalie, che la stava rimproverando per le sue idee bigotte sulle persone transessuali.
     -Per quanto riguarda le mie cicatrici, invece...- aggiunse, infine. -Diciamo che sono piccoli inconvenienti del voler sempre pestare i piedi agli altri.-
Nathalie si versò una tazza di tè, e poi si mise a sedere di fianco a Ryuzali. Ma Light e Misa continuavano a guardarla, perciò sospirò e iniziò ad indicarsi le cicatrici. -Incidente stradale, sparatoria, scommessa... intervento chirurgico- concluse, passando il dito sul ventre.
-Beh, è un peccato...- disse Misa, guardandola pietosamente. -Saresti potuta essere davvero carina, se non fosse... beh, insomma, per tutto.-
Light si voltò di scatto per fulminarla con lo sguardo. -Misa!- esclamò indignato. Ma Nathalie scoppiò a ridere.
-Bitch, I'm fabulous.- disse in inglese, e nel farlo scosse i folti capelli bianchi con una mano, piegando le labbra in un sorriso inquietante. Misa scoppiò nuovamente a ridere.
-Stai parlando con la persona più straordinariamente vanitosa che abbia mai conosciuto.- intervenne Ryuzaki, aprendo bocca per la prima volta da quando avevano finito di azzuffarsi.
-Non esagerare.- protestò bonariamente la giovane, voltandosi verso il detective. -Se fossi così straordinariamente vanitosa, mi definirei tranquillamente la persona più intelligente in questa stanza.-
-In quel caso saresti stupida, non poco vanitosa.- ribatté lui, continuando a sorseggiare il suo tè non zuccherato.
Lei rise e si voltò di nuovo verso Misa.
-E comunque nemmeno a me piacciono tutti questi muscoli.- riprese. -Ma vedi, sono stata sequestrata da un gruppo paramilitare, e ad un certo punto ho dovuto cominciare ad addestrarmi insieme a loro, se volevo avere qualche possibilità di riuscire a difendermi.-
-Wow! Che forza!- esclamò la ragazza, unendo le mani e sporgendosi in avanti.
-Non ti sembra di star esagerando coi dettagli sul tuo conto?- la rimproverò invece Ryuzaki, lanciandole un'occhiataccia.
-Faccio conversazione, Ryuzaki.- rispose lei in tono condiscendente. -Provaci anche tu, ogni tanto.-
     -A proposito delle persone che ti hanno tenuto prigioniera...- intervenne allora Light. -Ci sono novità per quanto riguarda quelle persone?-
-Quando sarà il momento di diffondere quel tipo di informazione, tuo padre e gli altri saranno i primi a saperlo.- rispose lei, ritornando d'un tratto seria. -Come ti ho già detto, non ho intenzione di condividere certi dettagli con te, nell'eventualità che tu fossi Kira e che possa ritornare in possesso di quei poteri.-
A quel punto si alzò per andarsene, e promise a Misa che sarebbe tornata il prima possibile per restituirle la maglietta.
-Sìììì per favore, torna!- fece Misa, tutta felice. -E magari la prossima volta ti trovo io qualcosa di più carino da metterti. Ma quella la puoi tenere, te la regalo! Tanto ho sbirciato nel tuo guardaroba e ho visto che hai solo un paio di vecchi stracci.-
Nathalie si appoggiò allo schienale del divanetto sul quale era seduto L, come quando era arrivata, e tirò un gran sospiro. -Mi spiace, Misa, ma non ti farò da sorellina o da migliore amica del cuore, per quello chiedi a Matsuda.-
Light e Misa risero. Effettivamente, Matsuda era parso incredibilmente sovraeccitato all'idea di avere a che fare con la famosa “Misa Misa”.
-Senza offesa, eh, Matsuda!- urlò poi, rivolta alla telecamera.
Light pensò che Matsuda li stava sicuramente guardando dai monitor della sorveglianza, e che probabilmente in quel momento si stava arrabbiando come suo solito perché nessuno pareva prenderlo sul serio come poliziotto.
-Ma potremmo uscire a comprarti qualcosa di carino, un giorno!- insistette la ragazza. -Ho visto che hai solo vestiti pesanti, e sta facendo davvero tanto caldo!-
-Potrebbe non essere una cattiva idea.- intervenne allora Ryuzaki, appoggiando la tazza sul tavolino da tè.
Nathalie alzò gli occhi al cielo.
-Certo, se vuoi che gli amichetti di Grumann vengano a finire il lavoro piantandomi una pallottola in testa.- sbuffò.
-Pensavo proprio a quello infatti.- disse Ryuzaki, mentre teneva lo sguardo fisso sulle dita dei piedi che stava stiracchiando. -Finalmente si avrebbe un po' di pace in questo posto.-
     Nathalie fece per tirargli uno scappellotto, ma si bloccò a metà del gesto.
-Girati.- ordinò.
Il detective non si mosse, perciò lei si sporse dallo schienale del divano, gli prese il mento tra le dita e tirò il suo viso dietro di sé.
-Hai un aspetto peggiore del solito.- bofonchiò, e poi lo lasciò andare.
Si rimise dritta, si voltò e andò dritta verso la cucina di Misa.
-Hai bisogno di qualcosa?- domandò Misa, alzandosi in piedi.
-No, grazie.- fece lei.
Light allora si girò verso Ryuzaki e vide che la sclera dei suoi occhi si era arrossata, e le orbite stavano diventando viola. Ecco perché se n'era stato tutto il tempo con lo sguardo basso.
Sentirono dei rumori in cucina, e poi videro tornare Nathalie con uno strofinaccio appallottolato e legato per le estremità attorno a quello che Light intuì essere ghiaccio.
-Non lo sai che in Giappone si chiede prima di usare la cucina in casa d'altri?- la rimproverò Ryuzaki, ignorando il pacchetto che lei gli stava porgendo.
La giovane sbuffò, e gli passò davanti, appoggiandogli in modo grossolano il ghiaccio sul viso.
-Scusami Amane per i miei modi rozzi.- le disse. -Ho vissuto troppo tempo con dei militari americani reietti. E L, credo che il tuo malumore derivi dalla crisi di astinenza da zucchero.- aggiunse, guardandolo di sottecchi. Poi andò verso la porta, si infilò gli anfibi, prese la sua borsa e tornò indietro, rovistando dentro.
-Tieni.- disse, porgendo al detective un piccolo involucro di stagnola. -Cioccolato fondente. Per la serotonina.-
Ryuzaki si tolse l'impacco di ghiaccio dagli occhi e prese il cioccolato, mormorando un “grazie” a denti stretti.
Nathalie continuava a guardarlo torva, poi si voltò a salutare Light e Misa.
-D'ora in avanti voglio vederti dare il cento percento in questo caso.- disse ancora rivolta a Ryuzaki, mentre se ne andava.

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Capitolo 16
*** Capitolo 13 - La voce del lago e quella del mare in tempesta ***



Capitolo XIII

La voce del lago e quella del mare in tempesta



     Quella sera, Light volle parlare di K. Chiese a L perché non fosse mai andato a trovarla in ospedale dopo la sera della sparatoria, riducendosi così a rincontrarla e riconoscerla solo per caso. Sapeva che Grumann stava puntando la pistola contro di lui, al momento dello sparo, e che lei si era messa in mezzo per proteggerlo.
-Anche se non ti importava di Nathalie Banks...- disse. -...sarebbe stato per lo meno cortese da parte tua andarle a fare una visita per assicurarti di persona che stesse bene.-
L cercava di essere il più cauto possibile con le informazioni da dargli.
-C'è stato il tuo arresto di mezzo, non penserai mica che potessi perdere tempo in visite di cortesia...-
-Ma ti ha salvato la vita!- protestò Light. -Un minimo di riconoscenza sarebbe stata... umana.-
-Vedi, Light...- cominciò L, buttandosi sul letto, con le mani intrecciate dietro la testa. -Ho perso molti uomini, durante le mie indagini. Non c'è da stupirsi che sia stato così... insensibile di fronte alla visione di una donna che conoscevo appena che perdeva soltanto del sangue da una spalla.-
-Ma in realtà non è vero che la conoscevi appena!- ribatté Light, avvicinandosi al letto e piantando gli occhi in faccia a L. -L'ha detto anche lei oggi. È stata la tua maestra, avete lavorato insieme!-
     L non era molto convinto che rivelare questo dettaglio fosse stata una mossa intelligente, ma era il modo più sicuro per non destare sospetti. Lui e K si capivano senza bisogno di parlare, erano in perfetta sintonia quando lavoravano insieme: chiunque avrebbe sospettato che si conoscessero da tempo. Mentre rifletteva su tutto ciò, il detective continuava a fissare il soffitto. Poi parlò: -Da quanto ti interessa così tanto Nathalie?-
Light rimase interdetto. -Cos... Andiamo, Ryuzaki, non sei tipo da fraintendere certe cose...- Distolse lo sguardo e andò a sedersi sul proprio letto. -È che sembra una che ha passato una vita d'inferno... E non posso credere che accetti di lavorare per te.-
Rimasero entrambi in silenzio. Poi Light riprese.
-Ha detto che il segno che ha in faccia è il risultato di una scommessa... Ma chi mai sarebbe così sadico da ustionare in quel modo il volto a qualcuno, anche se ha perso una scommessa?-
-Io.- rispose L, calmissimo, incrociando le gambe.
-Cosa?!- urlò Light, scattando in piedi, con gli occhi sbarrati. Si scaraventò sul letto di L e lo prese per la collottola. -Come sarebbe a dire?! Sei stato tu a farlo?-
-Sì.- rispose ancora L, reggendo lo sguardo di Light. Il ragazzo si stava agitando moltissimo.
-Hai intenzione di ricominciare come oggi?-
-Non mi provocare!- gli urlò di rimando Light. Lo lasciò andare e si mise in piedi per sovrastarlo. -È qualcosa di troppo meschino persino per te.-
L lo ignorò e tornò a sdraiarsi con le mani dietro la testa. Light intanto si stava togliendo rabbiosamente i pantaloni. Poco più tardi sarebbe arrivato Watari a togliere loro le manette perché potessero cambiarsi anche la maglia.
     -Non ti facevo tipo da preoccuparti così tanto per qualcuna.- riprese L, e per tutta risposta Light gli lanciò i jeans in faccia, con la cintura ancora infilata nei passanti.
Il detective riuscì a ripararsi il volto ancora violaceo dalla fibbia di metallo che rischiava di colpirlo, e riprese a parlare.
-Non nutri sentimenti per Misa Amane. E negli stessi giorni in cui lei si presentava a casa tua, tu frequentavi anche Kiyomi Takada, la “miss” della nostra università.-
Vide Light interrompersi e sbarrare gli occhi, come se gli fosse tornato in mente qualcosa che aveva scordato per molto tempo.
-Ti vedevi anche con un'altra ragazza, se non mi sbaglio...- continuò L. Voleva verificare quali fossero i ricordi di Light, e se fossero stati in un certo senso manipolati.
-Io... senti, non so cos'abbia visto Mogi mentre mi pedinava.- cominciò a dire il ragazzo. -Ma non sono di certo il tipo che... e poi, cosa c'entra con le indagini? Perché me lo stai chiedendo? Stavamo parlando del fatto che hai ustionato la faccia ad una povera ragazza...-
-Se ti sentisse compatirla in questo modo...- lo interruppe L, voltandosi a guardarlo. -... ti prenderebbe a calci fino a ridurti in condizioni molto peggiori delle sue, una volta finito con te.-
Tornò poi a fissare il soffitto. -Si è fatta marchiare con un coltellaccio arroventato perché degli idioti la smettessero di considerarla una fragile ragazzina malaticcia. È stato più efficace che usare quell'arnese su di loro.- Alzò le spalle. -Non che non ne sarebbe stata capace...-
Light rimase allibito.
-Ma torniamo a Kiyomi Takada.- riprese L, divaricando questa volta le gambe. -Sicuramente molto attraente, e di certo più intelligente di Misa. Ma nemmeno lei ti interessava sul serio, o sbaglio?-
Light aprì la bocca e poi la richiuse. Non sapeva cosa rispondere.
-Sei un tipo molto intelligente e molto sveglio. Una come Takada sembrerebbe fare proprio per te, ma scommetto che trovi che ceda troppo facilmente alle lusinghe, che nonostante sia molto intelligente sia anche un po' superficiale. Non è così?-
Il ragazzo continuava a rimanere in silenzio. -È probabilmente il destino di chi è troppo intelligente quello di rimanere da solo.- disse infine.
-Potresti avere ragione...- disse L, dondolando un piede fuori dal letto.
-Non mi riferivo a me.- precisò Light, rivolgendogli un'occhiataccia.
     L lo ignorò. -Non è nel mio interesse discutere della tua vita sentimentale, Light, voglio solo che tu mi dica perché, mentre uscivi con Takada, ti sentivi con un'altra e ricevevi a casa Misa; perché penso che la tua risposta possa essere utile alle indagini. Naturalmente potresti anche rispondermi che l'hai fatto soltanto perché ti andava di farlo, perché sei giovane e hai successo con le ragazze, ma... sappiamo entrambi che non è così.-
Light rimase in silenzio per un bel pezzo, prima di rispondere.
-Io... non so perché l'ho fatto.- Si mise le mani tra i capelli. -Ho ricordi confusi riguardo a questa faccenda.-
-Era quello che volevo sentirmi dire.- L si alzò in piedi di scatto. -E ora rivestiti. Abbiamo una cosa da fare e non voglio aspettare fino a domani.-

     K sentì bussare alla porta e si alzò di soprassalto, con un gemito, afferrando con un gesto secco la pistola dalla fondina legata alla spalliera del letto e togliendo la sicura. Poi si rese conto che non aveva motivo di allarmarsi, e rimise a posto l'arma.
Cercò di normalizzare il respiro, e poi accese l'abat-jour sul comodino per cercare qualcosa da mettersi addosso. Trovò i jeans chiari che aveva malamente tagliato ad altezza quasi inguinale e la sua felpa grigia di Stanford, ed infilò entrambi gli indumenti sopra la sottoveste leggera con la quale era andata a letto quella sera.
Infine andò ad aprire.
-Che ci fate voi due qui a quest'ora?- disse, stropicciandosi gli occhi, coi capelli bianchi e scompigliati che le incorniciavano, gonfi, la figura atletica.
-Light ha dei dubbi sui suoi ricordi.- le disse L, entrando. Light gli venne dietro, scusandosi per il disturbo.
Si sedettero tutti e tre intorno al tavolo del cucinino, ed L esordì illustrandole la faccenda delle tre ragazze che Light non si sapeva spiegare.
-Oh... ragazzaccio...- lo canzonò lei, assonnata, tirandogli un buffetto alla spalla.
-Io...- disse Light. -Non sono sicuro di ricordare bene come siano andate le cose. Ricordo di aver baciato Misa, di mia iniziativa, ma... insomma... non è possibile, perché non è una cosa che farei...-
-Non credo che questo sia così grave...- fece K, piegandosi per rovistare in uno dei cassetti sotto al tavolo, tirandone fuori un taccuino. -Ma a questo punto avrei alcune domande da farti.-
Con la mano sinistra si mise a sfogliare le pagine, mentre con la destra impugnava la penna, facendo scattare la punta, col gomito appoggiato al tavolo.
Trovò finalmente una pagina libera dalla sua calligrafia spigolosa e riprese a parlare. -Hai mai comprato un televisore portatile con schermo LCD, o meglio, ne hai comprato uno nel mese di novembre 2003?-
Light parve sorpreso dalla domanda. Scosse la testa, ma poi rimase fermo a pensare.
-Ehm... sì, ora che ci penso, ricordo di averlo fatto...-
Si mise coi gomiti sul tavolo e appoggiò il mento sul dorso della mano. -Ma non ricordo perché, e non so dove possa essere andato a finire.- Guardò K dritta negli occhi. -Perché questa domanda? E perché ora?-
-Ssssh...- K accompagnò l'intimazione a stare zitto con un cenno della mano. -Seguo una pista.-
-Era considerata un vero segugio, un tempo.- si intromise L, che si era rannicchiato sulla sedia con le ginocchia al petto.
-Zitto tu. Domani se mi sveglio tardi sarà colpa tua. Dov'eravamo rimast... ah, sì.- Scarabocchiò qualcosa sul taccuino. -Ricordi di aver mai incontrato una donna di nome Naomi Misora?-
     Light annuì. -L'ho incontrata al quartier generale dell'Interpol, un giorno in cui ero andato a portare un ricambio di vestiti per mio padre...-
-Solo che non c'era nessuno degli agenti, lì, perché ci trovavamo sempre tutti al mio hotel...- intervenne L.
-Cosa vi siete detti? Sapevi perché era lì?- lo interrogò K.
Light sembrava sforzarsi di ricordare. -Ricordo di averla incontrata alla reception, chiedeva di parlare con qualcuno del quartier generale perché credeva di avere informazioni preziose per il caso Kira... Le risposero che al momento non c'era nessuno, e quindi le dissi che ero figlio del sovrintendente, e che avrei potuto provare a chiamare mio padre quando avesse finito la riunione. Noi... abbiamo camminato insieme per un po'... e le ho chiesto... come si chiamasse.-
-Le hai chiesto di mostrarti un suo documento?- domandò allora K.
-Io... non ricordo... credo... all'inizio mi aveva dato un nome falso.- Light si prese il viso tra le mani. -Lei... mi disse che era la fidanzata di un certo agente Penber ucciso da Kira... e aveva delle teorie... voleva parlare con L!-
     L si rabbuiò. Considerava Misora una bravissima agente, oltre che una persona eccezionale, e sarebbe stato felice di avere il suo aiuto. La sua sparizione l'aveva molto turbato. -E siete rimasti insieme finché tuo padre non ha terminato la riunione?- chiese.
Light guardava un punto fisso sul tavolo. -No. Lei... è andata via all'improvviso. Poi mio padre mi ha richiamato perché gli avevo lasciato un messaggio in segreteria...-
L lo guardò bene in faccia. -Ma tu non gli hai detto nulla di lei. Ero con lui, me l'avrebbe riferito immediatamente.-
Light pareva molto confuso. -Io... è vero... non gliel'ho detto... Non so perché non gliel'ho detto...-
K posò la penna, intrecciò le mani poggiate sul tavolo e guardò Light con occhi taglienti. -L'unica cosa ritrovata di Naomi Misora è stata la sua patente giapponese. Dagli spazzini. Vicino al quartier generale dell'Interpol. Tutto questo ti dice nulla?-
-Io... sì, lei mi ha mostrato la patente.-
K e L si guardarono.
     -Pensate che possa averla fatta sparire io?!- domandò il ragazzo, in preda all'agitazione. -Avete detto che credete che chi è sotto il controllo di Kira abbia un margine di manovra e che possa agire secondo la propria morale. Pensate che io possa aver ucciso un'innocente?-
-Istinto di conservazione.- rispose secca K. -Se, e ripeto se la volontà di uccidere è instillata da questa entità che continuiamo a chiamare Kira, è probabile che chiunque venga, diciamo così, posseduto risponda non solo all'ordine di uccidere, bensì anche ad una sorta di istinto di conservazione. Questo non ti qualificherebbe automaticamente come un assassino.-
Light tentò di riprendere fiato per calmarsi. K era sicura che quel modo di trattare con lui fosse più efficace rispetto a quello di L, che consisteva principalmente nello sfidarlo di continuo e nell'attaccarlo direttamente. Potevano anche definirla come la tecnica del “poliziotto buono” e del “poliziotto cattivo”; tuttavia la stupiva il fatto di essere proprio lei, in quella situazione, il poliziotto buono.
-Light...- riprese. -Vorrei che ora ti concentrassi il più possibile per ricordare perché Naomi se n'è andata e cosa vi siete detti.-
Poi si rimise a rovistare nel cassetto e ne estrasse una busta di plastica trasparente, da cui prese una foto: era un fotogramma ingrandito delle telecamere di sicurezza, che riprendeva la donna e il ragazzo che camminavano poco fuori dal quartier generale. Poi prese un'altra foto di Naomi, che ritraeva un suo primo piano, e mise entrambe le immagini di fronte a Light.
-Cerco di stimolare la tua memoria.- gli disse. -Perché se n'è andata, se avrebbe potuto parlare direttamente con L se solo avesse aspettato qualche minuto? Cosa ti ha detto? Perché non aveva la sua patente? Perché avrebbe dovuto farti vedere la sua patente?-
-Io...-
Light sospirò a fondo, e poi abbassò il volto, affondando le mani nei propri capelli castani e lisci.
-Io... le ho chiesto un documento... per segnarmi i suoi dati, per riferirli a mio padre.- disse, infine. -Pensavo... fosse una richiesta ragionevole. E poi...-
Si alzò di scatto, come se avesse avuto un'idea. Aveva le labbra dischiuse e gli occhi fissi verso un punto, ma durò solo un istante.
-Non... non ricordo altro.- si arrese, sospirando.
-Sei sicuro di non ricordarti cosa ti ha detto prima di andarsene?- insistette lei, tentando di mantenere il proprio tono di voce più cordiale e calmo che le riuscisse.
     Light prese le due foto e si mise a fissarle per diversi secondi. Ogni tanto apriva e poi richiudeva la bocca, come se avesse qualcosa da dire, ma le parole non riuscissero mai ad arrivare in superficie.
Allora abbassò lo sguardo ancora una volta, sconfitto, e nel farlo gli cadde l'occhio sul proprio orologio.
Batté una mano sul tavolo.
-L'orologio!- disse, trionfante. -L'ultima cosa che ricordo è che ha chiesto perché guardassi sempre l'orologio!-
-Perché... guardassi sempre l'orologio?- ripeté K, con gli occhi fissi su di lui, mentre, con delicatezzza, riapriva il taccuino e faceva scattare la penna.
-Ha detto, “Light, posso chiederti perché continui a guardare l'orologio?”... E poi... poi è diventata strana, e se n'è andata.-
K si mise a trascrivere tutto, disegnando i kanji in un modo un po' titubante, mentre ripeteva “Light, posso chiederti perché continui a guardare l'orologio?”.
-Aspetta!- esclamò Light, toccandole la mano con la propria.
K alzò lo sguardo con espressione interrogativa.
-Tu... hai una voce molto simile a quella di Naomi Misora.- disse, convinto. -Potresti... riusciresti a provare a ripetere delle frasi che ricordo avermi detto?-
K incrociò le braccia.
-È stata lei ad insegnarmi il giapponese.- disse. -Probabilmente è per quello che ti sembra che parliamo in modo simile.-
-No, no!- insistette il ragazzo. -È proprio la voce che è simile. Riusciresti ad imitarla?-
     K si voltò verso L, che la stava guardando, ma non la stava vedendo davvero. Si chiese se stesse pensando a quella giovane gentile, talentuosa e sveglia, che probabilmente avrebbe potuto renderlo più felice di quanto lei stessa sarebbe mai riuscita a fare.
Allora si rivolse nuovamente a Light e provò ad imitare la voce di Naomi, dicendogli “Ciao, mi chiamo Naomi Misora. Ero la fidanzata di Raye Penber e ho una teoria su come possa essere stato ucciso. Vorrei poter parlare con L”.
Il ragazzo annuì, serio.
-Sì, le vostre voci si somigliano.- disse infine. -Proviamo così, allora, ripeti le frasi che ti dirò continuando ad imitarla, così magari in questo modo riusciremo a stimolare la mia memoria!-
Tentarono per diversi minuti di sbloccare qualche altro ricordo nella mente di Light, ma nulla che sembrasse essere rilevante.
Si arresero, e K decise di tentare di sciogliere un altro nodo.
     -Ora...- riprese. -Vorrei che tu pensassi alla sera in cui c'è stata la sparatoria. Ricordi qual è, non è così?- Light annuì. -Bene, vorrei che tu mi dicessi esattamente cosa hai fatto quella sera, prima in generale e poi nei minimi dettagli.-
-Io... Misa è venuta a trovarmi, ma è andata via verso le sette. Poi ho cenato. Abbastanza in fretta. Sono andato in camera e ho aiutato mia sorella coi compiti. Poi... l'ho mandata in camera, e ho acceso un po' la TV... e... è arrivata mia madre, e mi ha detto che c'era a telefono una compagna dell'università per un progetto... Ma io ho pensato che non avevo nessun progetto in quel periodo, quindi ho ipotizzato potesse essere Takada che mi chiamava con una scusa, e ho mandato via mia madre... e...-
Si bloccò. I suoi interlocutori lo fissavano immobili.
-Mi madre poco dopo è tornata su e ha detto che la ragazza mi aveva lasciato un messaggio... e che aveva un accento un po' strano, non del posto, comunque, quindi io ho pensato che non potesse essere Takada.-
Si fermò.
-E qual era il contenuto del messaggio?- insistette K, giocherellando con una ciocca di capelli.
Light assunse un'espressione pensierosa. -Non ne sono sicuro... continuava a parlare di un lavoro, e che non dovevo fare altro... Ma sono sicuro che non fosse per me, ho pensato che avesse sbagliato persona e ho lasciato perdere...-
-Cosa guardavi alla TV?-
-Non ne sono sicuro, probabilmente passavo solo da un canale all'altro.-
     -Ero io al telefono.- disse K. Light la guardò interrogativo.
-Ho chiamato io per verificare se stessi guardando i notiziari, ipotizzando che le uccisioni non sarebbero avvenute se ti avessi tenuto al telefono.- Lo sguardo di Light era sempre più stupito, ma non sembrava stesse nascondendo loro qualcosa.
-Ma ho fallito nel mio intento, e così ho lasciato un messaggio che solo il vero Kira avrebbe saputo interpretare. E ora mi stai dicendo che non ne ricordi il contenuto?-
-Ma... ma è la verità!- esclamò Light, agitato. Si era alzato di scatto dalla sedia, rovesciandola a terra.
-Calmati!- K lo afferrò per un braccio. -Potrai anche pensare che sia assurdo, ma ti credo. Credo seriamente che non ricordi cose o che i tuoi ricordi siano in qualche modo manipolati. È una condizione abbastanza comune nei casi di possessione, e ho lavorato a parecchi casi di possessione, io...-
Lo fece sedere nuovamente, poi si alzò, andò a rovistare in una delle sue borse e tornò al tavolo con un quaderno in mano. -Voglio che tu inizi a scrivere su questo quaderno la cronistoria di ogni giorno a partire dalla settimana prima della prima esecuzione. Cerca di ripercorrere con la memoria ogni dettaglio, e scrivi tutto ciò che ti pare non abbia senso o sia discordante. Potrebbe aiutarti.-
-Ma...- balbettò Light, che si sentiva ancora molto scosso. -Se dovessi davvero essere io Kira?-
-Lo scopriremo.- rispose calma K. -Scopriremo la verità, scopriremo quanta sia la responsabilità delle persone implicate in queste esecuzioni e agiremo di conseguenza.-
K vide con la coda dell'occhio che L la stava guardando di sottecchi. Era lo sguardo di quando non gli piaceva quello che stava succedendo.
-Avrei ancora molto da chiederti, soprattutto sulla sera della sparatoria, del perché Misa fosse lì, di cosa avete parlato, perché è andata via così presto e cosa stessi esattamente guardando alla TV, ma vedo che sei stremato, e anch'io sono stanca.-
Poi sospirò.
-E ora fuori di qui, che io vorrei dormire.-
     -Aspetta...- disse allora Light, alzandosi e appoggiando le mani sul tavolo. -Volevo dirti ancora una cosa... riguardo oggi pomeriggio.-
K incrociò le braccia, spazientita. -Sì, ma in fretta.-
Light allora si passò una mano sulla nuca, distogliendo lo sguardo. -Mi spiace per come si è comportata Misa... È stata impertinente nei tuoi confronti.-
-Beh, credo che sia abbastanza grande e abbia tutte le facoltà per rispondere delle proprie azioni.-
Si alzò in piedi e fece per andare ad aprire la porta. -Però non capisco di cosa tu stia parlando.-
-Ecco...- cominciò lui, imbarazzato. -Il fatto che ti abbia compatita per il tuo aspetto...-
-Ah, quello.- fece allora K, divertita. -Come se me ne fregasse qualcosa di cosa la gente pensa del mio aspetto. Vedi, Light, non ho bisogno di gente che mi dica che sono bella, che non sono bella, che sarei bella se non sembrassi un demone bianco...-
Light trasalì.
-... Quindi ti prego di non pensare che io abbia bisogno della tua pietà, tua come quella di chiunque altro. Non potrebbe fregarmene di meno di quello che le persone pensano del mio aspetto, finché non iniziano a compatirmi. Non ho avuto esattamente una vita così semplice e serena per potermi interessare a tali cazzate come quello che gli altri pensano del mio aspetto esteriore. Se escludiamo i miei drammi familiari e il fatto di essere stata sotto sequestro per anni, resta comunque il fatto che sulla fronte ho un timer che fa il conto alla rovescia del tempo che mi resta da vivere. Che sia in una sparatoria, per un melanoma o per altri tipi di cancro, la mia vita è troppo breve perché possa perdere tempo per certe cose.-
Light era impallidito visibilmente, e per un attimo i suoi occhi erano stati attraversati da un'ombra.
-Tutto bene?- gli chiese allora L, che era rimasto seduto di fronte a lui.
-Io... s-sì, sto bene...- balbettò il ragazzo. -Scusatemi, ho avuto una strana sensazione... un po' inquietante.-
K e L si scambiarono una fugace occhiata.
-Beh...- riprese allora la giovane. -Credo di aver perso già abbastanza tempo con questo discorso inutile. Ora volete farmi il favore di levarvi dai piedi?-

     Light si era già addormentato, ma L non credeva sarebbe riuscito a dormire. L'osservazione di Light sulla voce di K, così simile a quella di Naomi, l'aveva messo in agitazione.
Aveva sempre avuto un debole per Naomi, dal primo momento in cui l'aveva sentita per telefono, al primo caso a cui avevano collaborato. La sua voce era così delicata e gentile, come un laghetto cristallino le cui acque non sono increspate se non dal leggero cadere delle foglie che vi galleggiano sopra. Non aveva mai capito perché la sua voce e la sua presenza, anche se solo al di là di uno schermo, riuscissero a calmarlo tanto; a quei tempi, il ricordo della voce sarcastica, o sprezzante, o euforica, o maliziosa, o arrogante di K, che somigliava tanto al mare in tempesta in cui lei adorava tuffarsi nei giorni di pioggia, era stato sostituito da quello del tono furioso e tagliente con cui gli aveva parlato nel messaggio in segreteria che aveva registrato per tagliare definitivamente tutti i ponti con lui.
     “Sai già perché ti sto chiamato, dannatissimo stronzo.”
Ricordava ancora ogni parola.
Sono passata sopra la tua ridicola sceneggiata della proposta di matrimonio, perché sei un bambino, e pensavo che stando separati per un po' di tempo avresti smesso con queste assurde pretese. Ma no! Tu volevi essere sicuro che io tornassi da te.
Sei un pezzo di merda. Nemmeno ti rendi conto di quanto sia stupido ed infantile il fatto che tu mi abbia messa incinta.
Neanche a dirlo, ho perso il lavoro. Ho avuto le nausee mentre ero ad una riunione coi grandi capi, hanno fatto due più due e mi hanno detto di stare a casa a prendermi cura di me. E ovviamente, dopo che l'FBI mi ha rifiutata perché sono una che si fa mettere incinta e non rivela il nome del padre, nessuno al mondo vorrà più assumermi.
La mia carriera è finita. Non potrò mai più contare sull'aiuto di nessuno per risolvere il mistero della morte dei miei genitori. Ed è tutta colpa tua.
E ora mi tocca stare qui, con un feto che non volevo nella pancia mentre vomito l'anima, solo perché sei uno stronzo possessivo e geloso. Sei un'incosciente.
E stai tranquillo, ho già prenotato la data per l'aborto. Tuo figlio non nascerà mai, e non soltanto perché per me è stata una disgrazia averlo concepito, ma perché così gli risparmierò una vita di merda. Con tutti i disturbi mentali che abbiamo, con le nostre malattie genetiche... Cosa ti è saltato in mente?
Ma soprattutto, gli risparmierò la peggiore cosa che potrebbe capitare a qualcuno nella vita.
Avere te come padre.
E ora non cercarmi mai più.”

     L aveva riascoltato quel messaggio decine e decine di volte. L'aveva cercata, e non l'aveva trovata, aveva rintracciato Bjarne, ma lui l'aveva fatto cacciare prima da davanti la porta del suo appartamento, e poi dal suo posto di lavoro, e si era rifiutato sia di vederlo, sia di rivolgergli la parola; poi era andato da Burton, che l'aveva aggredito verbalmente, dicendo che lui e quella sciacquetta che, se ne sarebbe pentito per il resto della vita, aveva adottato, avevano macchiato irreversibilmente la sua reputazione.
Aveva continuato ad ascoltare quel messaggio, finché, una notte, in preda agli incubi, si era svegliato furioso, era andato al telefono e aveva fatto a pezzi il nastro. Ora sapeva che K era stata costretta a mandargli quel messaggio, e Burton e Bjarne avevano dovuto reagire come da copione, ma questo non attenuava il dolore e la rabbia che lo avevano dilaniato per anni; per quanto quel messaggio fosse stato preparato apposta perché lui la odiasse e smettesse di cercarla, non sapeva quanto di ciò che K aveva detto era completamente falso.
     Mesi dopo, era stato richiamato in Inghilterra da Watari, che gli aveva comunicato che l'avevano trovata morta suicida. Da quel giorno, era tutto cambiato. Lo squarcio che aveva sempre sentito dentro di sé, e la cui sensazione soffocante si era attenuata negli anni precedenti, aveva ricominciato a scavargli dentro, mano a mano che perdeva peso, mano a mano che diventava più pallido ed intrattabile.
     Era già l'ombra di se stesso, quando un giorno aveva sentito la voce di Naomi al telefono. E in quell'istante gli era sembrato che fosse tornato un po' di calore nel mondo.
Si rendeva conto soltanto in quel momento che, probabilmente, in Naomi aveva voluto vedere l'esatto opposto di K. Intelligente, sicuramente, acuta quasi quanto lei. Ma era gentile, tranquilla, decisa ma sempre rispettosa; e, soprattutto, lasciava che le emozioni facessero il loro corso, anche quando lavorava. Probabilmente era stato questo a spingerla a cercarlo dopo la morte del suo fidanzato, e forse, a causarne la morte.
Nonostante più passava del tempo a lavorare con Naomi, più i suoi sentimenti per lei si facevano profondi, non era mai stato geloso di Raye. Si era dispiaciuto quando aveva sentito che Naomi voleva lasciare l'FBI per mettere su famiglia, ma solo perché pensava che il mondo investigativo avrebbe perso un valido elemento. Non gli sarebbe spiaciuto vederla vivere una vita felice come sposa e come madre, se era questo ciò che lei desiderava, anche se non sarebbe stato lui il fortunato.
     E K se n'era accorta. Probabilmente, quando tutti e tre si erano ritrovati a lavorare sullo stesso caso, K si era accorta dei sentimenti che L provava per Naomi, solo sentendolo parlare con lei attraverso l'audio distorto che usciva dalle casse del computer con cui comunicavano. K l'aveva sempre capito meglio di quanto lui fosse mai riuscito a capire se stesso.
Lui aveva sempre pensato che i suoi sentimenti per Naomi fossero autentici, perché non derivavano dal senso di colpa, né dal ricordo della madre, né da nessuna delle altre mille cose per cui aveva perso la testa nei confronti di K. E invece ora scopriva che le loro voci erano simili. E non soltanto in giapponese. Mentre lei e Light provavano le frasi per stimolargli la memoria, lui non aveva fatto altro che cercare di ricordare le voci delle due giovani in inglese. In quel momento non era riuscito a trovare un ricordo di K in cui lei parlasse con un tono tanto gentile e delicato, ma ora che era lì, nel letto, nella notte silenziosa, poteva cercare di rievocare quei ricordi felici che per anni aveva cancellato dalla propria memoria.
     Gli bastò chiudere gli occhi e voltarsi di fianco, facendo attenzione a non muovere troppo la catena per non svegliare Light, e pensare ad una mattina qualunque degli ultimi mesi che avevano trascorso insieme. E, improvvisamente, si calmò, mentre sentiva le dita di lei scostargli i folti capelli arruffati dalla fronte, e poi le sue labbra calde posargli delicatamente un bacio in mezzo agli occhi.
-Buon compleanno, L.- gli sussurrò dolcemente all'orecchio.
Lui avrebbe voluto aprire gli occhi, ma sapeva che se l'avesse fatto davanti a sé avrebbe visto solo il buio della sua stanza. Perciò li tenne chiusi, e i suoi ricordi furono inondati dalla luce di quel mattino e, in mezzo alla luce, si disegnò il volto ancora ovale e delicato della ragazza, con gli occhi rosati che lo guardavano, sorridenti, e il caschetto bianco e arruffato che rifletteva i raggi del sole.
-È tardi.- aveva detto lui allora. -Il sole tra un po' arriverà fino al letto. Perché non mi hai svegliato prima?-
-Perché sei sempre così carino quando dormi.- aveva riso lei, ed era una risata genuina e delicata.
Lui aveva allungato un mano verso il suo volto e le aveva accarezzato la macchia sullo zigomo destro. Lei gli aveva preso la mano e vi aveva strofinato sopra il viso.
-Come mai così tranquilla e felice, stamattina?- le aveva domandato, passandole la mano tra i capelli.
Lei aveva sorriso. -Per la prima volta stare in questo letto non è illegale.-
-Infatti mi stupisce che tu sia qui.- aveva scherzato lui. -Pensavo te la saresti svignata passata la mezzanotte. E non intendo come nei primi mesi, quando te ne andavi appena finito di fare sesso. Pensavo proprio avresti fatto le valigie e te ne saresti andata, perché essendo io ormai maggiorenne le cose non sarebbero più state interessanti.-
Lei aveva finto di mettere il broncio.
-Che uomo di poca fede!- aveva borbottato, soffocando le risate.
Lui non aveva potuto fare a meno di sentirsi felice per quell' “uomo”. Aveva sempre odiato il fatto che lei lo chiamasse costantemente “ragazzino”, ma in quel momento aveva sperato che le cose sarebbero cambiate.
-Guarda che se sto con te non è mica solo per quello.- aveva ripreso lei. Poi si era messa a giocherellare coi suoi capelli neri. -Sai, è molto più comodo così. Viviamo insieme, tu sai chi sono, non devo truccarmi, tenere la parrucca o farlo da vestita, non ti spaventi se voglio provare qualche giochetto, non ti devo mentire... Così è molto più rilassante e godibile.-
Ma, sebbene stesse sorridendo, i suoi occhi si erano fatti tristi.
-E poi... te l'avevo già detto che sarei scappata.-
Lui aveva fatto scendere la mano dai suoi capelli alla schiena, e l'aveva stretta a sé. Era il 31 ottobre, ma entrambi indossavano ancora pigiami leggeri, dal momento che dormivano abbracciati sotto pesanti coperte.
-Resta ancora qualche giorno.- aveva detto lui. -Godiamocelo. E se tra un anno il tuo periodo di prova all'FBI sarà andato bene, e tu avrai ancora voglia di vedermi, mi farò trovare davanti alla tua porta.-
     Ma a quel punto L dovette aprire gli occhi e lasciare che l'oscurità lo avvolgesse, prima che i ricordi lo risucchiassero.
E da quel momento non riuscì più a dimenticare quel sorriso dolce e quella voce delicata.

Note

    La parte di questo capitolo relativa alla voce di Naomi Misora deriva da un caso abbastanza fortuito: come molti altri, shippo L e Naomi, ma ho voluto creare il personaggio di K in modo da gettare luce sul passato di L, in un modo che penso non sarebbe stato possibile senza un personaggio proveniente dalla Wammy's House. Ho cercato di costruire K partendo da Light (allo stesso tempo doppio e opposto di L) e da Naomi (secondo me la ship perfetta per L), anche se, nel corso delle stesure, K è diventata un personaggio sempre più indipendente. La prima cosa che ho immaginato di K è stato l'albinismo e le cicatrici, assieme al fisico muscoloso, ma subito dopo ho immaginato la voce (do molta importanza alla voce dei personaggi che scrivo, lo trovo utile per creare tutti gli idioletti; in questa fanfiction gli idioletti non sono marcati perché mi sono attenuta allo stile del doppiaggio italiano). Ebbene, la voce con cui avevo immaginato K era quella di Domitilla D'Amico quando doppia Scarlett Johansson nell'MCU, quando è adulta (quindi la voce più profonda della Vedova Nera), e Azula di Avatar - La Leggenda di Aang quando è giovane. Non ricordavo che Domitilla D'Amico avesse doppiato anche la stessa Naomi Misora.
    Tutto questo papiro per dire che il caso ha voluto che la donna di cui L in questa storia era innamorato non solo era l'immagine idealizzata ed epurata da tutti i difetti della sua cotta adolescenziale, situazione che avevo volutamente creato, ma addirittura avevano una voce quasi uguale (è da notare che Naomi Misora parla in modo diverso rispetto ad Azula e alla Vedova Nera).
    Nel caso a qualcuno interessasse sapere quali sono le altre voci: Bjarne ha la voce di Patrizio Prata (Roronoa Zoro), Burton ha la voce di Francesco Bulckaen (Obi-Wan Kenobi in Episodio I, II e III), Grumann ha la voce di Pasquale Anselmo (doppiatore di Nicholas Cage). La voce di Hayer è l'unica che non mi sia venuta in mente in modo così naturale; diciamo che la sua voce è ricostruita, non appartiene ad un particolare attore o doppiatore. Hayer mi ha dato diversi problemi, perché non mi piace come villain: non l'ho costruito bene all'inizio, e ho dovuto correggere il tiro mano a mano che sono andata avanti con la storia. Mi serviva un villain senza "zone di grigio" come parallelo a Higuchi, ma a me non piacciono i villain "cattivi perché sì".

    Scusatemi se mi sono dilungata, spero che a chi è giunto fin qui la storia continui a piacere e possa trovare interessante sapere qualche retroscena.

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Capitolo 17
*** Capitolo 14 - "Un monumento al tuo ego" ***


capitolo XIV


Capitolo XIV

Un monumento al tuo ego”


     La mattina dopo, K si svegliò suo malgrado verso le cinque. Guardò rabbiosamente la sveglia sul comodino, rigirandosi dall'altra parte e tirandosi il lenzuolo sopra la testa. Fuori dalla finestra, la notte stava schiarendo, anche se le luci di Tokyo non le permettevano di vederlo.
Per quanto desiderasse restare a dormire un altro po', non riusciva a non svegliarsi a quell'ora, ora che il suo corpo si era abituato alle levatacce, agli allenamenti, all'addestramento. Al campo del PPEP, nel New Hampshire, la pallida luce del nuovo giorno era visibile già da quell'ora, almeno in estate, perché si trovavano in mezzo ai boschi, in una provincia disabitata. La notte sarebbe potuta sgattaiolare fuori dalla sua cuccetta per vedere le stelle, ma non lo aveva mai fatto; quelle stelle che era rimasta ore intere ad ammirare sotto il ciliegio in riva al fiume, a Winchester, sembravano aver perduto il loro fascino, viste dal campo di addestramento.
Alla fine si era convinta a lasciare da parte ciò che credeva, e a farsi tramutare in un soldato. Le avevano curato lo strabismo, permettendole così il porto d'armi che si era negata al diventare un agente investigativo. Non che prima non sapesse sparare: Burton aveva insistito perché imparasse ad usare una pistola, nel caso in cui si fosse trovata con altri agenti durante un'operazione di polizia e fosse dovuta intervenire. Lei non aveva mai esploso un colpo, se non al poligono di tiro, fino al giorno in cui la sua task force era intervenuta ad arrestare i trafficanti d'armi dai quali si era fatta rapire.
     A maggio del 1997, lei e L erano stati chiamati negli Stati Uniti per un caso molto complesso di corpi trovati carbonizzati in Arizona e New Mexico. Dopo qualche giorno di indagine, entrambi erano giunti alla conclusione che si trattava molto probabilmente di trafficanti d'armi che facevano soldi grazie al commercio di droga proveniente dal Sudamerica attraverso il Messico: facevano arrivare dei corrieri con la droga all'interno del proprio corpo, li uccidevano, li sventravano per prendere la droga e poi pestavano il volto e bruciavano i cadaveri per renderli irriconoscibili, per poi trasportarli di notte all'interno del Paese e disseminarli in giro, per rendere più difficile tracciarli. Era possibile che anche le persone del posto tanto sfortunate da coglierli in flagrante incontrassero la stessa fine, o venissero rapiti per poi essere drogati fino alla dipendenza e affiancati infine agli spacciatori per procurar loro clienti.
     Così K si era studiata le mappe, lei e L avevano elaborato un piano e avevano deciso di inviare un agente sotto copertura per poter scoprire quale fosse la base e quante e quali persone facessero parte del gruppo. Tuttavia, tutti i loro colleghi del dipartimento si erano mostrati estremamente diffidenti nei confronti di quei due ragazzini che si comportavano da agenti investigativi esperti; nessuno aveva voluto considerare seriamente il loro piano, sostenendo che non era possibile che fossero giunti ad una pista così chiara nel giro di pochi giorni, mentre loro stessi avevano lavorato per mesi al caso. Avevano preteso un altro mese di indagini, prima di muoversi, e a quel punto K si era infuriata.
-Nelle ultime settimane il tasso di cadaveri ritrovati e di sparizioni è aumentato.- aveva protestato. -E sospettiamo che stia per arrivare un grosso carico di eroina al confine entro la fine del mese, e vorrà dire altre morti, altre sparizioni, altre armi date in mano ai signori della droga.-
Ma nessuno aveva voluto sentire ragioni. E allora K aveva sbattuto violentemente il pugno contro il tavolo, urlando “Silenzio!” con voce terribile, per poi rimettersi dritta, sfregare le mani tra loro ed annunciare: -Allora sarò io ad andare, e Coil vi dirigerà al posto mio.-
L si era alzato in piedi, furioso, dandole della folle, ma lei non aveva voluto sentire ragioni. Era troppo giovane perché quei criminali potessero sospettare che fosse un poliziotto, e, se aveva ragione (ed era sicura di avercela), l'avrebbero rapita, e non uccisa.
     Così aveva fatto.
Era rimasta prigioniera di quegli uomini per tre giorni, prima che arrivasse la task force a liberarla. Ma, quando i poliziotti avevano sfondato la porta della cascina dove si trovava coi suoi rapitori, K si era sentita venir meno. L era con loro. Con giubbotto antiproiettile e casco, ma non poteva essere altri che lui. Impugnava una pistola in modo insicuro ed esitante, e si era istantaneamente mosso, assieme ad altri due uomini alti e ben piazzati, per andarle a fare da scudo.
Ma, purtroppo, la sua inesperienza non era passata inosservata ai trafficanti d'armi. Mentre lui tentava di farle da scudo col suo corpo mentre uscivano dalla cascina ormai trasformata in campo di battaglia, uno dei rapitori li aveva seguiti, e aveva tentato di sparare a L. Lei l'aveva visto con la coda dell'occhio puntare al collo del ragazzo, così lo aveva fermato, voltato in un'angolazione dalla quale fosse invulnerabile, gli aveva strappato la pistola di mano e aveva sparato.
Aveva una buona mira, pur essendo leggermente strabica. Ma il bersaglio in movimento, la stanchezza, e il terrore che potessero colpire L erano stati fatali per lei.
Aveva esploso il colpo, mirando alla gamba del criminale, ma aveva preso l'aorta.
Lo scontro si era protratto troppo a lungo perché i soccorsi potessero arrivare e salvarlo; era morto dissanguato, e il suo sguardo carico di odio e paura si era impresso a fuoco nella mente di K. E, appena un anno e mezzo dopo, un altro volto congelato nella morte era andato ad unirvisi; quello dell'uomo che si era introdotto nella sua cuccetta nel cuore della notte.
     K si alzò rabbiosamente dal letto, e andò in bagno a sciacquarsi il viso. Da quando si era risvegliata dal coma, aveva tentato di riprendere gli allenamenti che ormai faceva ogni giorno da cinque anni, per esorcizzare la paura e il senso di impotenza che aveva provato in quegli anni da ostaggio. Si tolse la sottoveste e si guardò allo specchio: stava recuperando il tono muscolare e la definizione che aveva prima della sparatoria al quartier generale, ma era evidente che non fosse più la stessa di prima. Il suo volto, che era diventato così scarno col passare del tempo, stava tornando ovale e delicato. La sua bocca non era più una linea sottile, perché aveva smesso di serrare nervosamente labbra e mascella in quel modo che le aveva cambiato così tanto i connotati. Il suo passo era sempre più spesso leggero ed ancheggiante, e non pesante e marziale.
Era ancora prigioniera in una gabbia dorata, con due serial killer demoniaci, e la Hogson non aveva ancora pagato per ciò che aveva fatto, ma il suo corpo non avvertiva più il pericolo, la minaccia, e aveva cominciato a distendersi.
     K si infilò la canotta da basket bianca e i pantaloncini da tennis neri, e andò nella stanza che Watari le aveva adibito a palestra personale. Si mosse in punta di piedi tra gli attrezzi, si fermò davanti alla rastrelliera dei pesi, e li sfiorò con le dita.
Amane le aveva detto che le sembrava un uomo, ma non era questa la verità. K somigliava ad un soldato. E in quel momento decise che non avrebbe più voluto somigliare ad un soldato.
Perciò girò i tacchi e si diresse verso il cucinino, per fare colazione. Erano le cinque e quaranta del mattino, perciò a Chicago dovevano essere le tre e quaranta del pomeriggio del giorno prima. Poteva chiamare Burton e mettersi al lavoro. Quel giorno non sarebbe scesa a lavorare insieme agli agenti giapponesi.

     Hayer si accese l'ennesima sigaretta.
Erano anni che non fumava, ma quell'ultimo periodo aveva riportato a galla tutti i suoi vecchi vizi e le sue debolezze. Non andava bene. Nulla sembrava andare bene, dalla sera della sparatoria.
     In quei due mesi, le attività della Hogson si erano congelate; o meglio, le attività di Hayer erano state del tutto interrotte, e avevano continuato soltanto le operaazioni e gli affari legali. Il colonnello era certo che Burton stesse controllando tutte le loro transazioni, ed era possibile che avesse accesso anche ai nomi dei conti correnti esteri su cui veniva versato gran parte del guadagno del traffico di armi. Eppure i fratelli Hogson non avevano voluto che muovesse un dito, perché dicevano di avere un piano per uscire più o meno indenni da quella situazione.
Hayer aveva tentato di convincerli a diffondere l'identikit di Banks, o meglio, di Stephanie Kenton, di modo che Kira potesse ucciderla: fatta fuori la testimone, forse al processo avrebbero potuto scamparla. Ma quei cacassotto in giacca e cravatta avevano il terrore anche solo di torcerle un capello, per paura delle ripercussioni che avrebbero avuto con L. Certo, se lei fosse morta, il grande detective li avrebbe mandati tutti al macello prima che avessero potuto aprire bocca, ma Hayer avrebbe preferito vedere morta quella puttana e rischiare di non salvarsi la pelle.
     Ci sarebbe stato poco da fare, in ogni caso. Ormai non c'era più futuro per la sua organizzazione, ed era certo che il piano degli Hogson consistesse nel darlo in pasto alla polizia e dissociarsi da ogni sua azione.
Mentre camminava nervosamente su e giù per il proprio ufficio, passandosi una mano sui capelli rasati, smicciando la sigaretta nel posacenere sulla sua scrivania in mogano, pensò che probabilmente Grumann si era sentito allo stesso modo, quando aveva capito che stava per morire. Anche se lo aveva odiato per tutte quelle settimane per aver mandato a monte l'intera operazione e per aver esposto la società alle indagini di quell'abominio albino, ora lo riusciva quasi ad ammirare. Era andato incontro alla morte probabilmente con un ghigno stampato in faccia, godendo degli effetti che la sua diserzione avrebbero causato. Era morto, sì, ma alzando contro il colonnello un grande dito medio. Era morto, ma aveva vinto.
     Hayer schiacciò con violenza la sigaretta nel posacenere, digrignando i denti. Il campo d'addestramento del distretto di Concord era rimasto attivo soltanto per l'addestramento; i mercenari mandati come rinforzi alle agenzie governative, con regolare contratto, erano stati rimandati indietro, perché già dal giorno dopo la sparatoria avevano cominciato a girare voci sulla probabile implicazione della Hogson in giri poco puliti. I soldati di Hayer erano confusi e nervosi, e doveva fare il possibile per impedire che perdessero la calma e gli si rivoltassero contro, o che qualcuno di loro andasse alla polizia a spifferare tutto per ottenere un qualche vantaggio. Lo sapeva lui come lo sapevano loro: erano già stati abbandonati una volta dalla società americana, e non ci sarebbero stati sconti se fossero venuti a galla tutti i crimini commessi durante il loro servizio alla Hogson.
     Con un gesto secco, Hayer aprì il cassetto della propria scrivania, dove conservava una copia del fascicolo redatto per la morte del soldato semplice Jeff Norde, ucciso da Banks nell'ottobre del '98. Gli Hogson erano convinti che quel crimine, che erano riusciti ad insabbiare, sarebbe potuto tornare loro utile per sbarazzarsi di Banks senza ucciderla; la loro strategia si basava sul pilotare il processo in modo da svelare tutti i retroscena che la riguardavano: l'omicidio del povero soldato innocente, la sua volontà di abortire il suo unico figlio, il suo carattere irascibile, i suoi problemi comportamentali... Avrebbero distrutto la sua credibilità come testimone di fronte alla giuria popolare, rivoltando il processo contro di lei.
Tolto di mezzo il testimone, e fatto fuori Hayer, loro ne sarebbero usciti quasi puliti.
     Il colonnello strinse tra le forti dita il fascicolo, guardando torvo la foto del cadavere del soldato, con volto tumefatto, la mascella spaccata, i denti saltati e tutto il resto. C'era voluto loro molto lavoro con trucco e protesi in lattice per simulare quelle ferite, che sarebbe stato impossibile provocare al corpo già morto; solo in questo modo avrebbero potuto accusare Banks di omicidio preterintenzionale aggravato dalla crudeltà, un reato che avrebbe fatto molto più scalpore rispetto al semplice omicidio colposo per legittima difesa.
     Si trovò nuovamente a pensare a Grumann, alzando gli occhi e volgendo lo sguardo fuori dalla finestra, al campo di addestramento per metà sgombrato dalle attrezzature. Che non fosse giunto il momento anche per lui di disobbedire agli ordini e scegliersi da solo il suo gran finale?

     Quella mattina al quartier generale l'umore era decisamente migliore del solito; i lavori assegnati da K agli agenti e la sua iniziativa di controllare le vittime tra i civili aveva portato entusiasmo ed ottimismo, e ogni tanto, tra una ricerca e l'altra, si alzava un po' di chiacchiericcio.
L stava consumando lentamente la sua ciotola di ciliegie denocciolate per lo spuntino di metà mattina, posando distrattamente lo sguardo da un monitor all'altro, senza fare realmente nulla. Quella mattina, allo svegliarsi, Light gli aveva detto che nonostante tutto quello che era successo la sera prima, non avrebbe lasciato perdere il discorso di come L avesse ustionato il volto di Nathalie, e pretendeva che il detective gli desse una spiegazione soddisfacente per quanto accaduto. Al che L aveva risposto che non era tenuto a dare né a lui né ad altri alcuna spiegazione per le azioni compiute da bambino, e lo aveva trascinato fuori dall'appartamento prima ancora che questi avesse finito di infilarsi le scarpe.
     Lui non poteva di certo immaginare la sua frustrazione ogni volta che la guardava in volto. Se K si era offerta per quell'assurda prova di coraggio, era stato anche perché lui venisse risparmiato dalla cattiveria degli altri bambini. E aveva calcolato la temperatura e il tempo di esposizione necessario perché non rimanesse alcun segno, né sul suo volto lei, né su quello di J. E aveva lasciato a lui il compito di poggiarle il dannato coltello sul viso, perché solo di lui si fidava. E lui aveva avuto paura, e l'aveva tolto un attimo troppo tardi, rendendole impossibile una completa guarigione. Si era odiato per anni e continuava ad odiarsi per averle lasciato quella cicatrice. Molto tempo dopo, il giorno in cui aveva confessato a K che non riusciva a vederla più come una sorella maggiore perché si sentiva attratto da lei, si era arrabbiata parecchio, perché credeva che si sentisse semplicemente in debito per quello che era successo al suo viso. Non poteva esserci altra spiegazione.
-Tu vivi perseguitato dal senso di colpa.- gli aveva detto. -È tutta la vita che ti senti in colpa per la morte di tua madre, e poi hai iniziato a sentirti in colpa per questa.- e si era indicata la parte destra del volto, sul quale metteva sempre correttore e fondotinta in modo da nascondere la macchia agli sguardi pietosi della gente.
     L non sapeva se avesse o meno ragione. Era così abituato a vivere accompagnato dal senso di colpa, che quasi non riusciva a fare posto per nient'altro.
Ma cercò di scacciare via quel pensiero, e riprese a giocherellare coi computer mentre gli altri intorno a lui continuavano il loro lavoro.
Furono interrotti da una chiamata di Watari, che L mandò in vivavoce sugli altoparlanti.
-Ryuzaki, il lavoro di oggi mi impegnerà più a lungo del previsto.- disse. -Chi voleva ordinare il pranzo da fuori, oggi dovrà cucinare.-
-Questa è una bella seccatura.- commentò Ryuzaki, mangiando un'altra ciliegia.
-Dai, Ryuzaki...- gli fece Light, avvicinandosi. -Non è mica la fine del mondo. Possiamo prepararci il pranzo da soli, no?-
-Non capisco perché dovrei perdere tempo prezioso a fare una cosa, quando potrei potrei pagare qualcuno per farla meglio.- ribatté lui, chiudendo la chiamata.
-Non mi sembra che tu sia così impegnato al momento.- commentò Light. -E sinceramente mi sembri un po' viziato. Sei sempre stato così ricco da permetterti tutto questo?-
L cercò di scacciare dalla mente il ricordo del bilocale umido e vecchio di Boston, il cibo spazzatura e i pochi stracci che era costretto ad indossare quando ancora viveva con sua madre, l'orfanotrofio in cui aveva vissuto nei mesi successivi al suo suicidio, e poi i pasti poveri e dallo stesso sapore indefinito della Wammy's House, dove spesso non avevano nemmeno il riscaldamento o l'acqua calda, ed evitò di rispondere. Solo quando si era ritrasferito negli Stati Uniti per le scuole preparatorie e per poi frequentare Harvard, come già aveva fatto K, aveva cominciato a vivere in condizioni umanamente più accettabili.
     -Come vuoi tu, Light.- si arrese, infine. -Ma sbrighiamoci, perché dopo abbiamo una cosa da fare.-

     K sentì bussare alla porta e guardò l'orologio. Erano le due del pomeriggio. Sospirò esausta davanti allo schermo del PC, sul quale vedeva il volto tirato di Burton che dava istruzioni ai suoi uomini.
-È tardissimo, Roger.- disse. -Da te deve essere passata la mezzanotte. E qui hanno appena bussato.-
-Vai pure, Kendra.- rispose lui. -Penso che tra un po' ce ne andremo tutti a letto.-
-Era ora!- protestò J, entrando nel suo campo visivo. Basso e tarchiato, J era sempre sembrato a K dall'aspetto troppo stupido per essere uno studente della Wammy's House. Aveva taglienti occhi neri, capelli castani e leggere lentiggini sul naso a punta, e nonostante i suoi trent'anni e un debole accenno di pizzetto, sembrava poco più che un ragazzino.
Per quanto si sforzasse di comportarsi in modo adulto e maturo nei suoi confronti, non poteva sopportare il fatto che lui le tirasse continuamente delle frecciatine.
-Arrivo!- urlò, rivolta verso la porta.
-Il padre di tuo figlio torna a casa per mangiare e non hai ancora messo nulla in tavola?- rise il suo vecchio compagno.
Lei sospirò.
-Anche se apprezzo il tuo contributo professionale a questo caso, devo dire che il tuo atteggiamento rimane sempre quello di un bulletto di dieci anni, J.-
-J è molto stanco.- intervenne Burton, allontanando il giovane dalla webcam. -Ed è meglio che vada a dire agli altri che possono tornare a casa.-
Il volto del detective tornò serio, annuì e si allontanò dal campo visivo di K, camminando a passo deciso verso la porta che conduceva dall'ufficio di Burton alla sala dei computer.
     K si alzò in piedi e augurò la buonanotte al padre adottivo, prima di chiudere il portatile con un gesto secco ed andare ad aprire la porta.
Erano L e Light.
-Novità?- domandò, senza togliersi dalla porta.
-Ancora nulla.- rispose L. -Possiamo entrare?-
Solo in quel momento K si rese conto di star morendo di fame.
-È una cosa lunga?- domandò, vagamente infastidita, soffiandosi il ciuffo bianco da davanti agli occhi rosati, ancora coperti dai Ray-Ban Aviator che usava davanti al PC.
-Puoi pranzare mentre parliamo, se proprio devi.- insistette L, a cui non erano sfuggiti i brontolii del suo stomaco.
Lei sospirò, si tolse gli occhiali e girò i tacchi, lasciando la porta aperta. Indossava ancora gli stessi abiti di quella mattina, per cui li lasciò nella sala e si chiuse in camera per cambiarsi velocemente. Infilò i jeans lunghi e grigi del giorno prima, ma sopra non aveva altro ricambio per quella canotta larga: la maglietta bianca era a lavare, la camicetta del completo blu pure, e le rimaneva soltanto la maglietta nera con la Union Jack, quella che usava come pigiama, ma pure quella era larga e rovinata, o il crop top di Misa, che però era troppo corto.
     Uscì pertanto così, borbottando delle scuse sul fatto che non avesse altro da mettere.
-Era giusto di questo che volevo parlare.- colse la palla al balzo L, che si era sistemato sul divano.
-Cos'è, vi siete messi tutti d'accordo sull'unirvi alla Santa Inquisizione dei Guardaroba?- sbuffò.
-Pensavo che sarebbe meglio se andassi davvero a fare shopping con Misa.- insistette L. -Dal momento che Light non ha intenzione di raggirarla per ottenere informazioni, speravo lo potessi fare tu.-
-Se dobbiamo per forza parlare, venite in cucina.- disse K, attraversando la stanza senza guardarli. -Fatemi mangiare.-
-Non ti preoccupare, torneremo più tardi.- intervenne Light, alzandosi in piedi.
-No, Light.- insistette L. -Ho bisogno di parlarle del caso Kira, dal momento che l'ho assunta per questo motivo, e sta usando il mio prezioso tempo per lavorare ad un altro caso.-
K sbuffò di nuovo, sonoramente.
-Trattienimi l'ingaggio, cosa vuoi che ti dica?-
Entrò nel cucinino e aprì il frigo.
-Sai quanto me ne importa, dei tuoi soldi.-
     I due presero posto sul tavolo, in silenzio. K rovistò un po' nel frigo ed estrasse la pentola dove aveva preparato del brodo dashi, prese del pollo e due uova, poi tirò fuori dalla credenza una confezione di riso e una bottiglia di mirin, e, infine, prese dagli scomparti in basso il bollitore elettrico per il riso e una pentola piccola.
Mentre metteva il riso nel bollitore e travasava un po' di brodo dashi nella pentola più piccola, Light esclamò: -Prepari donburi!-
K gli lanciò una breve occhiata ed annuì.
-O almeno ci provo.-
-Non pensavo ti piacesse la cucina giapponese.- disse il ragazzo, ammirato.
K fece scivolare il pollo già tagliato nella pentola col brodo, a cui aggiunse la salsa di soia e il mirin.
-Non è che mi piaccia la cucina giapponese.- disse. -È che, visto che sono in Giappone, penso sia più sano prepararmi da sola i piatti con gli ingredienti del posto, anziché mangiare sempre da asporto o comprare roba di importazione.-
     Controllò che fosse tutto in ordine, e poi si sedette con gli altri, appoggiando i gomiti sul tavolo.
-Cosa vuoi?- chiese a L.
Lui si rannicchiò sulla sedia e appoggiò le mani sulle proprie ginocchia.
-Vorrei che tu uscissi insieme a Misa Amane con la scusa di andare a fare shopping.-
-E perché?- insistette la giovane.
L la guardava fisso, senza sbattere le palpebre.
-Le avevo promesso la libertà vigilata, ma ultimamente ho pensato che potesse non essere una buona idea.- cominciò. -Perché chi ci dice che chi le ha dato i poteri una volta non la voglia avvicinare di nuovo, ora che lei è così vicina a me?-
Light impallidì.
-Come puoi pensare una cosa del genere?- protestò. -Continui a credere che io e Misa potremmo mai uccidere qualcuno di voi?-
-La vera questione è...- si intromise K. -Che abbiamo appurato che Kira agisce spinto anche da un istinto di autoconservazione. Perciò, se Misa dovesse uscire di qui, e tu, Ryuzaki, poi dovessi morire, sarebbe logico supporre che lei abbia recuperato i poteri di Kira.-
-Parlate entrambi come se non ci fosse alcun dubbio sulla nostra colpevolezza!- ribatté Light, infastidito.
-Non ce ne sono, infatti.- risposero all'unisono i due detective, rivolgendo lo sguardo verso il ragazzo.
-Tanto meglio per noi.- riprese L, ignorando le proteste di Light. -Se per Kira si rivelasse troppo rischiosa questa pista, potremmo mandare Misa in giro senza alcun problema. Ma vedi...-
E poi intrecciò le dita davanti alla propria bocca.
-È giunto il momento che io faccia la mia mossa. E vorrei che ci fossi tu con Misa in quel momento, per essere i miei occhi e le mie orecchie.-
     K strinse gli occhi.
-Ti rendi ovviamente conto del fatto che mandarmi là fuori potrebbe costarmi la vita, vero?- sibilò. -L'hai detto anche ieri, ma speravo fosse soltanto una delle tue stupide provocazioni.-
-Come hai detto tu... è altamente improbabile che Misa recuperi i suoi poteri e che uccida qualcuno del quartier generale.- rispose L, tranquillo. -In più, se fossi tu la prima a morire mentre sei fuori insieme a lei, sarebbe subito sospettata e non potrebbe mai tornarci, al quartier generale.-
-Non è per mano di Misa che potrei lasciarci la pelle.- insistette K, stringendo i pugni. -Ci sono persone che per anni avrebbero voluto vedermi morta, e per poco non ci riuscivano non più tardi di due mesi fa.-
E così dicendo indicò la cicatrice del proiettile sulla spalla sinistra.
-Te lo ripeterò: cosa ti dice che non ci sia qualcuno pronto a farmi un buco in fronte non appena metterò piede fuori di qui?-
     L continuava a guardarla senza battere ciglio.
-Ho chiesto il tuo aiuto perché penso tu sia la sola che può sorvegliarla a dovere, almeno le prime volte che lascerà il quartier generale...-
-“Le prime volte”?- ripeté lei, ringhiando. -Al plurale?-
-Ma se credi che questo possa metterti in pericolo, sei assolutamente libera di rifiutare.- continuò L, ignorando i suoi occhi che pulsavano, sempre più rossi.
-Dopotutto, quando ho proposto al sovrintendente Yagami di mettere a repentaglio la propria vita nell'operazione che ha portato alla scarcerazione di Light e Misa, anche lui ha avuto la possibilità di rifiutare. Tutti gli agenti che hanno deciso di lavorare con me, di fronte all'eventualità di poter perdere la vita, hanno avuto la possibilità di rifiutare.-
     K sapeva qual era il suo scopo.
Era solo questione di tempo, prima che qualcuno cominciasse a sospettare che tra loro ci fosse stato qualcosa, o meglio, probabilmente tutti lo pensavano, semplicemente perché avevano lavorato insieme ed erano di sesso opposto, ma nessuno l'aveva ancora insinuato. Se Light avesse dovuto scoprire che erano l'uno il punto debole dell'altra, avrebbe potuto usare quest'informazione per distruggerli, se avesse recuperato i ricordi ed i poteri di Kira. Per questo, L doveva affidarle un compito rischioso, che mettesse a repentaglio la sua stessa vita, per fugare ogni dubbio: lei gli aveva salvato la vita; lui doveva dimostrarsi completamente indifferente alla cosa, doveva metterla volutamente in pericolo, in modo che nessuno sospettasse nulla.
La giovane batté il pugno sul tavolo.
-Sei un sadico doppiogiochista.- ringhiò. -Non meriti che nessuna persona al mondo decida di morire per te!-
L, impassibile, sciolse le dita intrecciate, e incrociò le braccia.
-Immaginavo non saresti stata d'accordo.-
-Stai giocando col fuoco!- continuò lei, furiosa. -Cerchi di catturare un serial killer, un criminale di fama mondiale, ma ti stai mettendo al suo stesso piano!-
     Si alzò in piedi, e la sedia cadde all'indietro, andando a sbattere contro i mobili della cucina.
-Hai raggirato, mentito ai tuoi agenti, hai usato un condannato a morte come cavia da laboratorio per la tua grandiosa entrata in scena...-
Stava tenendo il conto con le dita.
-Hai messo in pericolo un sacco di persone, tra cui i tuoi stessi uomini, per provare le tue teorie, hai torturato Light e Misa, non hai provato pietà per nessuno, e soprattutto, non ti è mai importato nulla delle centinaia di vittime di Kira!- concluse, urlando.
Si voltò, raccolse la sedia e la appoggiò pesantemente in un angolo, lontana da lei.
Light la guardava confuso, e solo in quel momento si rese conto di essersi messa a parlare in inglese. Decise tuttavia di ignorare il ragazzo, e continuò.
-Credi di essere l'incarnazione della giustizia?- riprese, piantandosi con le mani sul tavolo, di fronte a lui. -Beh, anche il primo Kira era convinto di questo. Sei contento di essere esattamente come lui?-
-Non sono affatto come lui.- rispose L, calmo.
-Invece è così.- insistette lei. -Non avrai materialmente ucciso nessuno, ma il tuo completo disinteresse verso le persone ha fatto sì che morissero molte più persone di quante “avrebbero dovuto”.-
E mimò le virgolette con le mani.
-Se ti fossi messo a lavorare seriamente al caso, anziché prenderla come una sfida personale al tuo ingegno, probabilmente sarebbe morta metà della gente, o anche meno.-
     Poi si rimise dritta e cominciò a girare su se stessa, coi palmi delle mani rivolti verso l'alto.
-Ma no! Questa doveva essere una grande sfida, Sherlock L contro Kira Moriarty, per il titolo di mente più acuta del mondo!-
Quindi si fermò, si avvicinò ad una delle pareti del cucinino e si mise ad accarezzare il muro.
-Bello questo quartier generale in cui non stai muovendo nemmeno un dito per fermare Kira. È così enorme, tronfio e scintillante, è il perfetto monumento al tuo ego smisurato!-
E così dicendo alzò una gamba per tirare un calcio al muro, poi notò di essere scalza e vi appoggiò semplicemente il piede. Infine trasse un lungo sospiro, fece scivolare giù il piede e si lasciò andare contro la parete, appoggiandovi la fronte.
-È necessario che qualcuno metta un freno alle tue azioni, Ryuzaki.- riprese in giapponese. -Non ti rendi conto che quello che stai seguendo non è un cammino di giustizia, ma di perversione. Non è così che agisce un uomo di legge.-
Dietro di lei, L aveva uno sguardo vagamente rancoroso, ma anche triste.
-Non credo che tu sia la persona più adatta a dirmi come dovrebbe agire un uomo o una donna di legge.- ribatté, in tono acido.
     K si voltò, di nuovo furiosa, arrivò al tavolo in un passo e mezzo e allargò il braccio destro con la mano aperta, pronta a tirargli uno schiaffo... ma si bloccò a mezz'aria.
Non sono un bambino” le aveva detto L la prima volta che era giunta ad un simile gesto. “Non ti permetto di prendermi a schiaffi come se fossi un moccioso disobbediente.”
E poi le aveva preso la mano, e l'aveva chiusa a pugno.
Ecco.” aveva continuato. “Ora puoi farlo. Ma sappi che io risponderò al colpo.”
Fin da quando erano andati a vivere insieme per l'addestramento di L, spesso c'erano state delle liti più o meno accese. Quel giorno, K aveva per la prima volta alzato le mani, e questa era stata la risposta del suo amico e compagno. Lei aveva cominciato a sospettare che la madre che L tanto odiava l'avesse picchiato per anni, e lui non avesse mai potuto rispondere, e che, probabilmente dopo l'incidente della sua ustione, L avesse deciso di non farsi mai più mettere i piedi in testa.
Lei non avrebbe mai voluto alzare le mani contro una persona a cui teneva, e si era sentita incredibilmente meschina ed ignobile ad aver ceduto alla violenza. Ma L l'aveva rassicurata, dicendole che non gli importava che entrambi sfogassero rabbia e frustrazione con una bella scazzottata, per poi dimenticare tutto. Come tra amici maschi.
Da quel giorno i loro litigi erano finiti sempre con grasse risate e due birre ghiacciate.
     Ma ora non erano più liberi di farlo.
E così K chiuse la mano a pugno e la sbatté sul tavolo.
-Smettila di manipolare le persone.- disse, con voce rotta dal dolore. -Smettila di mettere a repentaglio la vita di chi ti sta intorno per i tuoi comodi. Smettila di passare sopra ogni regola e fregartene della legge perché sei convinto di perseguire un bene superiore.-
Il brodo stava bollendo ormai da un po', così se ne andò ai fornelli a spegnere tutto.
-Se sono questi i mezzi con cui vuoi battere Kira...- riprese. -Sappi che questa non è giustizia. E tu non sei meglio di lui.-
Calò un silenzio pesante, durante il quale lei continuò a dare le spalle ai due, guardando con occhi vuoti il pollo galleggiare nella pentola.
-Ne devo dedurre che non metterai a repentaglio la tua vita soltanto per provare una mia teoria?- domandò infine L. -Lo accetto. Non c'è problema. Mi organizzerò per...-
-Accetto.- lo interruppe lei, voltandosi.
Sperò con tutto il cuore che Light non lo stesse notando, ma L era impallidito e aveva sgranato gli occhi, coi quali sembrava volerle dire “No, ti prego!”.
Non poteva sopportare che lui facesse tutta questa messinscena soltanto per passare dalla parte del bruto senza cuore che quindi non poteva in nessun modo provare dei sentimenti per lei. Anche se K era consapevole di cosa e perché lo stesse facendo, anche quella era una forma di manipolazione. E lei non riusciva a sopportarlo.
-Dobbiamo provare che Misa Amane non corra pericoli una volta reinserita nella società, così che, se riuscissimo a catturare Kira e a fermare gli omicidi, e se potremo dimostrare senza ombra di dubbio che lei e Light non hanno agito secondo la loro volontà, sapremo che tutti e due potranno ricominciare una vita normale.-
-Ma se è così rischioso per te non è giusto che sia tu a farlo!- intervenne Light, alzando la voce. -Non quando ci sono altre persone che possono intervenire al posto tuo!-
     K si voltò verso di lui.
-Sono un'esperta di esoterismo, e sono probabilmente più in grado di chiunque si trovi in questo edificio di riconoscere i segni di una possessione.-
Poi tornò verso il frigo, lo aprì, tirò fuori la pentola col dashi e ne aggiunse un paio di mestoli al brodo col pollo.
-E per quanto riguarda quelli che mi vogliono morta...- continuò, rimettendo tutto a posto. -Mi nasconderò in piena luce. Letteralmente.-
Lanciò un'occhiata a L, che era ancora impietrito a guardarla con occhi sgranati.
-Andrò domani. Hanno annunciato una giornata di sole e cielo terso. E ho fatto credere loro di essere eliofobica, non si aspetteranno mai che esca completamente esposta alla luce solare.-
Chiuse il frigo.
-Sempre che tu sia riesca a preparare l'operazione con così poco preavviso, Ryuzaki.-
L ormai non si poteva tirare indietro, o avrebbe fatto insospettire Light. Si era spinto troppo oltre e ora se ne stava pentendo, K poteva leggerglielo negli occhi quasi completamente neri.
Alla fine si alzò in piedi, infilandosi le mani in tasca.
-Allora ti manderò Watari per i dettagli.- disse, cercando di ricomporsi.
-Bene.- annuì K, e poi andò ad aprire il bollitore elettrico per vedere se il riso fosse pronto.
-A me è passato abbastanza l'appetito.- aggiunse, tastando con un cucchiaio di legno la consistenza del riso. -Se avete ancora fame, prendo due piatti.-
-No, grazie.- fece Light, alzandosi anche lui in piedi. -Penso che ormai Ryuzaki ti abbia infastidita abbastanza.-
E così dicendo gli rivolse un'occhiata torva.
-Noi ce ne andiamo, vero Ryuzaki?-
Il detective tirò fuori le mani dalle tasche per stiracchiarsi.
-Certo, noi torniamo al lavoro.- disse, ritornando curvo. -Grazie per aver accettato, Nathalie Banks. Mi sei di grande aiuto.-

     Watari sentì bussare alla porta.
-Sono io.- disse la voce di K da fuori.
Il vecchio si alzò dalla sedia girevole ed andò ad aprire la porta, facendo cenno con la mano alla giovane perché si accomodasse. Erano le undici di sera, per cui la ragazza non aveva addosso il completo da lavoro, bensì un vecchio paio di jeans grigi e la felpa dell'università di Stanford.
-Sei qui per parlarmi dell'operazione di domani?- domandò, prendendo una sedia, girandola verso di lei ed invitandola ad accomodarsi. -Se vuoi, nel frattempo posso preparare del tè.-
-Vada per il tè.- rispose lei, sedendosi, incrociando le gambe e appoggiando il gomito sul tavolino dei computer.
     La sala di controllo dove Watari passava la maggior parte delle sue giornate a monitorare tutto ciò che accadeva nel quartier generale, e dove controllava le notizie sui criminali per registrarne le morti, era uno stanzino senza finestre, dai muri spessi e rinforzati ricoperti da lastre di metallo. La parete di fondo era ricoperta da schermi, di fronte c'era un unico tavolo lungo e stretto con una larga tastiera meccanica, e non c'era quasi altra luce a parte quella bluastra proveniente dagli schermi, che si rifletteva sul metallo delle pareti circostanti. Pareva un container.
Watari aveva sistemato un tavolino su uno dei muri laterali con un bollitore ed un servizio di tazze, più tutto il necessario per preparare il tè. Quella era una cosa alla quale non avrebbe mai rinunciato.
-È bello poter di nuovo partecipare a questa cerimonia del tè.- disse K, con sguardo triste. -Al quartier generale del PPEP non c'era tè, solo quella brodaglia indecente che si ostinano a chiamare "caffè americano".-
Watari piegò le labbra in un sorriso appena accennato.
-In ogni caso, dubito tu sia venuta qui solo per una tazza di tè.- disse, sedendosi di fronte a lei. -Sei stranamente silenziosa. È successo qualcosa? Non sei qui per parlare dell'operazione per domani?-
-Anche se ho trattato L in quel modo, oggi, non è che fossi davvero preoccupata per la mia incolumità all'idea di uscire domani.- disse, volgendo lo sguardo altrove. -Gli ho detto quelle cose perché temo davvero che si stia perdendo, Watari. Ho il terrore che possa definitivamente perdere la misura di ciò che è giusto e ciò che sbagliato, e se devo mettermi in pericolo per cercare di svegliare la sua coscienza da questo torpore in cui è caduto, lo faccio con convinzione.-
-Metterti volutamente in pericolo non è una soluzione.- la rimproverò Watari. -Non risolveremo mai nulla se ti fai fare un buco in testa.-
     K trasse un lungo sospiro, e si passò le mani sul volto, con espressione stanca.
-In realtà sono qui perché vorrei che mi parlassi di Nate River.- riprese, appoggiando la testa sulla propria mano, allargando il gomito sul tavolo e sprofondando con la schiena nella sedia imbottita. -So che magari è tardi per chiedertelo, ma ho bisogno di sapere.-
Watari rimase in silenzio, si tolse gli occhiali dal naso adunco e prese a pulirli.
-Pensavo non ti importasse nulla di quel bambino.- disse infine, rimettendosi gli occhiali. -Come mai ora ti interessa tanto?-
K rimase in silenzio e fissò lo sguardo altrove, verso gli schermi che ricoprivano la parete.
-Vorresti che ti dicessi che in realtà ho sempre pensato al suo bene e che il mio unico desiderio è di vederlo e di crescerlo com'è giusto che sia?- domandò, in tono freddo. -Sai che non è così.-
     Watari non rispose, si alzò e prese il bollitore per servire ad entrambi il tè.
-Vedi, non ho mai avuto intenzione di avere figli.- riprese la ragazza, con sguardo spento. -Sono sempre stata convinta che l'unica ragione per cui ero rimasta in vita fosse quella di vendicare i miei genitori, e che non ci fosse altro per me a questo mondo. E ovviamente questa convinzione si è rafforzata nel momento in cui ho scoperto di avere anch'io il gene dell'Huntington, oltre al fatto che, a quanto pareva, in tutti i casi di Huntington nella famiglia di mia madre, la malattia si era manifestata in giovane età. E soprattutto...-
Si drizzò un momento per porgere la tazza a Watari perché la riempisse di acqua calda e per prendere una bustina di tè.
-... di certo non avrei mai voluto avere figli con L. Chissà, magari prima o poi avrei trovato un uomo di cui innamorarmi e con cui costruire una famiglia, magari questa persona mi avrebbe convinto ad adottare un bambino. Ma con L?-
Si lasciò andare ad una risatina sprezzante.
-Nessuno di noi due è in grado di badare a se stesso. Siamo entrambi infantili ed egoisti, abbiamo delle personalità problematiche e la nostra relazione non è mai stata sana. Avere un figlio sarebbe stata in assoluto l'idea peggiore che L potesse mai avere; voglio dire, ti ci vedi me come madre?-
Prese la tazza bollente con entrambe le mani e se la portò alle labbra, per soffiarci sopra.
-Sono mentalmente instabile. Ho un grosso problema con la gestione della rabbia, soffro di depressione e sono autolesionista. Non ti ricorda qualcuno?-
Watari abbassò lo sguardo.
-La madre di L.- rispose, con voce rotta dalla commozione.
-Proprio lei.- riprese K. -Il fantasma che L ha sempre messo tra noi, il fantasma con cui mi ha identificato.-
Sbuffò sonoramente, e poi bevve un sorso dalla sua tazza.
-Come avrei potuto crescere un bambino in queste condizioni? Quando per certi versi mi toccava ancora fare da madre a L, poi!-
     Watari la guardò di sottecchi.
-Ma tu dicesti che avresti abortito. Lasciasti a L un messaggio in segreteria in cui lo accusavi di averti rovinato per sempre la carriera, gli dicesti che non avresti mai e poi mai tenuto il bambino e che non lo avresti mai più voluto rivedere.-
Tagliò una sottile fetta di limone e la fece delicatamente cadere nella propria tazza.
-Anche se è stata la Hogson a costringerti a dire quelle cose, sono abbastanza certo che fosse ciò che pensavi. Non è così?-
K bevve un altro sorso e poi appoggiò la tazza sul tavolo.
-È vero, avrei preferito in ogni caso abortire.- disse infine. -Se non fossi stata presa come ostaggio, ovviamente sarei tornata per affrontare L, ma la mia scelta sarebbe comunque ricaduta sull'aborto.-
Riprese a vagare con lo sguardo triste sulle pareti spoglie della stanza.
-Bjarne è stato adottato, è vero, e ha vissuto un'infanzia splendida circondato da persone che lo amavano. Quando mia madre rimase incinta di lui, il ragazzo che frequentava a quei tempi sparì. Era un poveraccio di Johannesburg, figlio di una cameriera messa incinta dal suo padrone bianco, quando in Sudafrica l'Apartheid era ancora una cosa nuova.-
Strinse il manico della tazza, mentre le sue labbra si piegavano in una smorfia di disgusto.
-Mia madre aveva vinto una borsa per continuare gli studi di medicina in Inghilterra, e sapeva che se si fosse scoperto che aveva un figlio illegittimo gliel'avrebbero tolta. Così pensò di darlo in adozione. Fortuna volle che ad una visita ginecologica incontrò gli Hartford, che erano venuti in Inghilterra dagli Stati Uniti per tentare una nuova terapia per la fecondazione assistita. Anne non poteva avere figli, e le avevano rifiutato l'adozione perché aveva tentato il suicidio quando il primo marito, un pastore particolarmente bigotto, l'aveva ripudiata in quanto “ostacolo all'avverarsi del disegno di Dio”. Così, alla fine, riuscirono ad accordarsi per un'adozione privata. All'epoca la legislazione in merito era ancora abbastanza nebulosa, motivo per cui redassero appena un paio di documenti e non ebbero problemi.-
     Si fermò un istante, e sospirò profondamente.
-Bjarne è stato fortunato. Ha trovato una famiglia che lo ha amato. Eppure io sentivo di non poter dare Nate in adozione, anche se lo avessi voluto.-
Alzò lo sguardo verso Watari.
-Se avessi scoperto che aveva ereditato il gene dell'Huntington, o l'albinismo, o se in seguito avesse mostrato comportamenti riconducibili allo spettro di Asperger come suo padre... darlo in adozione e costringere una famiglia a dover sostenere questo tipo di problemi sarebbe stato ingiusto. Almeno dal mio punto di vista.-
Rivolse poi lo sguardo alla propria tazza di tè.
-Se avessi potuto scegliere tra il condannare il bambino ad una vita di dolore insieme a me e a L, che non saremmo stati in grado di occuparcene, lasciare che fosse qualcun altro ad occuparsene, col rischio comunque che passasse una vita d'inferno se avesse ereditato anche solo uno dei nostri disturbi, o impedirgli di nascere... avrei scelto di risparmiagli una vita di dolore. Dopotutto, non sarebbe stato la prima vittima innocente della cui morte devo farmi carico.-
     Watari la osservava attentamente.
-Dici così perché non sei in grado di dare valore alla vita.- sentenziò.
Lei si strinse nelle spalle e si morse il labbro inferiore.
-La vita è una punizione...- sussurrò.
-La vita è un dono.- ribatté Watari. -E ti ricordo che un sacco di persone hanno sacrificato la propria perché tu potessi continuare vivere.-
-Il loro sacrificio è stato inutile.- disse ancora K, stringendo le dita attorno alla tazza. -Una volta che avrò fermato la Hogson... cosa rimarrà di loro? Solo polvere.-
Watari si accorse che il suo respiro si stava facendo sempre più affannoso, così si alzò e allungò una mano verso la sua spalla. Ma K si voltò di scatto, spalancò gli occhi e si scostò in fretta.
Il vecchio rimase interdetto.
-Scusami.- disse lei, ricomponendosi.
-K...- cominciò Watari, con sguardo addolorato e voce rotta. -... Credevi volessi colpirti?-
Lei si sforzò di tirare fuori un sorriso triste.
-A volte quando ti guardo sento ancora la guancia pulsare.-
Watari abbassò lo sguardo e strinse i pugni. Non pensava che, dopo tutta la spavalderia che K aveva sempre dimostrato di fronte a qualunque tipo di dolore fisico, potesse ritrarsi per paura di un suo schiaffo.
-Quando ti ho cacciata dalla Wammy's House...- cominciò. -... è vero che ho alzato una mano per tirarti uno schiaffo. Il tuo atteggiamento arrogante e per nulla pentito di fronte all'evidenza che ti portavi L a letto mi aveva mandato in bestia. Ma non lo avrei fatto.-
Alzò il volto solcato dalle rughe e la guardò.
-Ma tu non eri spaventata. Mi guardavi urlare con la mano alzata e avevi uno sguardo compiaciuto. Ridevi, addirittura. Per questo non ci ho visto più. Eppure, non credevo che dopo tutti questi anni avresti ancora avuto paura.-
Le si distese il volto a sentire quelle parole, e toccò affettuosamente il braccio di Watari.
-Ridevo perché era giusto così.- disse allora. -Perché era giusto che fossi punita per ciò che avevo fatto. Era giusto che mi odiassi, era giusto che tutti voi mi odiaste, perché mi avevate dato una vita ed un ruolo di cui non ero degna.-
     Watari spalancò gli occhi ed indietreggiò.
-Smettila di dire certe cose!-
-Credimi, è così.- disse lei, tranquilla, mentre tornava ad appoggiarsi al tavolo. -Volevo servirmi di L perché temevo che non sarei vissuta abbastanza a lungo da risolvere il caso della morte dei miei genitori. Ho usato anche Burton, nel momento in cui ho cominciato a trovare degli indizi. Senza contare i rischi che sapevo che avrei fatto correre a Bjarne e alla sua famiglia.-
Poi si voltò di nuovo verso il vecchio.
-Ad un certo punto mi ero accorta che L era attratto da me.- disse, con un sorriso sulle labbra, ma una tristezza infinita nello sguardo rosato. -Forse me ne sono accorta prima che lui stesso se ne rendesse conto. Lavoravamo insieme già da sei mesi, e gli avevo proposto di farsi assumere da qualche agenzia privata famosa per provare a lavorare da solo. Perché smettesse di vedermi. Ma lui non ha voluto, e io non ho insistito, perché non volevo se ne andasse. Volevo che risolvessimo il mio caso assieme.-
Si girò di nuovo verso la tazza, e ne bevve un altro lungo sorso.
-Alla fine ho ceduto.- riprese. -All'epoca, probabilmente avevo anche trovato delle ottime ragioni per giustificarmi, ma ora non ne ricordo nessuna. So che erano tutte balle. Ma non pensavo di aver fatto qualcosa di così grave, finché non c'è stata quella storia del sequestro in Nevada.-
Allora fissò lo sguardo negli occhi di Watari, e la sua calma ed il suo sorriso erano spariti.
-Ha voluto unirsi a tutti i costi alla task force che mi ha liberata, Wammy.- disse, con voce roca. -Uno dei trafficanti ha capito che non era addestrato e gli ha sparato contro.-
Le sue mani bianche tremavano.
-Stava per farsi ammazzare, e solo perché si era preso una sbandata per me, capisci?-
Si voltò di scatto, e nascose il viso tra le mani, mentre i lunghi capelli bianchi le coprivano il volto.
     Watari si avvicinò e le mise finalmente una mano sulla spalla. Il suo respiro era sempre più affannoso.
-Dovresti provare a piangere.- le disse il vecchio. -Ti farebbe bene.-
-Se cominciassi ora a piangere, non finirei mai più.- ribatté lei, con voce tremante, da dietro lo scudo che si era fatta con le mani. -Ma ecco... ora capisci perché avessi bisogno di essere punita? Il Wammy Lager, nonostante fosse il posto peggiore in cui una persona possa mai crescere, era la mia casa, e tu eri la persona che mi aveva dato una seconda vita. E io ho fatto cose terribili, per cui era giusto che mi cacciassi. Ho addirittura sparato ed ucciso quell'uomo che stava per far fuori L. Ho ucciso una persona. E tutto perché non sono stata in grado di continuare ad ignorare quegli occhioni grigi e tristi.-
Watari si avvicinò di un altro passo, e poi si chinò verso quella piccola bambina indifesa che ora gli stava seduta davanti. La prese per le spalle, la fece voltare e poi prese le sue mani bianche tra le proprie, costringendola a scoprirsi il volto.
-Hai commesso degli errori, è vero... ma tutti ne facciamo. Noi possiamo perdonarti, ma non servirà se non riuscirai a perdonare te stessa.-
Poi sospirò. -Cosa credi, che io non immaginassi già che voi due saresti finiti insieme? In realtà io lo speravo. Certo, speravo che avreste aspettato di essere entrambi maggiorenni. Ma non ho mai potuto evitare di pensare che fosse giusto che steste insieme; perché insieme siete delle persone migliori, siete in grado di limare i lati del vostro carattere che vi impediscono di vivere nella società, e solo così riuscite a vivere delle vite normali.-
     Si riaggiustò gli occhiali sul naso adunco, mentre K continuava a tenere lo sguardo fisso a terra.
-Ciò che mi ha fatto imbestialire quando vi ho scoperti, non era tanto il fatto che lui fosse minorenne, anche se dovevo recitare la parte del direttore intransigente che non poteva accettare la cosa.-
K sbarrò gli occhi e alzò di scatto il volto, con la bocca semiaperta in un'espressione di stupore.
-Il motivo per cui ho perso la testa era che entrambi avete negato che vi legasse un qualsiasi tipo di sentimento. Perché solo l'affetto che provavate l'uno per l'altra vi avrebbe potuto rendere persone libere e migliori, ma voi l'avete rifiutato.-
Poi la guardò severamente. -E continuate a farlo.-
-Sono passati sei anni...- riprese lei, distogliendo ancora una volta lo sguardo. -Lui avrebbe avuto la possibilità di trovarsi una persona che non avesse i problemi che ho io. Magari una come Naomi Misora...-
-E non hai mai pensato che lui si fosse preso una cotta per Naomi Misora perché gli ricordava te?- le domandò allora Watari, rimettendosi in piedi e sbattendo via la polvere dai pantaloni del completo nero. -O meglio... la versione idealizzata di te?-
     In quel momento K sentì vibrare il cellulare nella tasca dei jeans. Era una mail da parte di L.
Spero tu sia ancora sveglia. Se sei certa al cento percento di uscire senza protezione, domani, dimmi per lo meno qual è il tuo piano, e quali precauzioni prenderai. Non ti chiedo altro. E non volevo arrivare a tanto, credimi, ma credevo fosse l'unico modo per proteggerci.”
La ragazza sospirò.
-Si è fatto tardi, non credi?- le disse allora Watari. -Non è meglio se vai a letto?-
-Ma non abbiamo parlato di ciò per cui ero venuta qui.- protestò lei, chiudendo con un gesto secco il telefono a conchiglia. -Non abbiamo parlato di niente, in realtà.-
-Vieni domani, parleremo con calma.- la rassicurò Watari, raccogliendo dal tavolo il bollitore, la scatola delle bustine di tè, il miele, il latte, il limone e lo zucchero e sistemando tutto su di un vassoio.
K allora si alzò, si stiracchiò e lo salutò, augurandogli la buonanotte.
Watari la guardò allontanarsi con le mani in tasca, notando che la sua andatura ora non era quella militare che aveva presentato dal momento in cui era tornata da loro, bensì era ora leggermente curva, lenta ed esitante. Un po' come quella di L.
Il vecchio pensò che quella sera non ce l'avrebbe fatta a dirle che anche Nate River era probabilmente affetto da un disturbo comportamentale dello spettro Asperger.

     K chiuse la porta del suo appartamento a tripla mandata, per poi fermarsi a riflettere se fosse o meno il caso di spingerci davanti il mobiletto per le scarpe che si trovava contro il muro alla sua sinistra. Decise infine che non era necessario ricorrere a questo tipo di precauzioni: quell'edificio era stato progettato sotto le direttive della persona più paranoica che avesse mai avuto la sfortuna di incontrare, perciò era certa che il suo Aspie non avesse lasciato nulla al caso.
Si diresse in camera da letto e chiuse anche quella porta dietro di sé, poi andò all'armadio e si sfilò la felpa grigia per riporla ordinatamente sulla sua stampella. Rimase qualche istante a guardarla, passando delicatamente l'indice sulla scritta rossa “Stanford”, poi chiuse la zip ed appese la stampella nell'armadio, scostandola di una ventina di centimetri dai suoi pochi abiti puliti. La Santa Inquisizione del Guardaroba aveva ragione, dopotutto: avrebbe dovuto procurarsi qualcos'altro da mettersi, fosse anche solo per non rischiare di sgualcire ulteriormente quelle reliquie che teneva nell'armadio; abiti non suoi, che avevano rappresentato per lei surrogati di abbracci non ricevuti in quegli anni di semi-prigionia. La maglietta con la Union Jack della sua prima volta con L, la camicia e la felpa di Bjarne. La felpa di Stanford, soprattutto, rappresentava per lei tutto ciò a cui suo fratello aveva dovuto rinunciare a seguito del manifestarsi della malattia, e il dolore che entrambi avevano sofferto.
     Non avrebbe mai scordato il momento in cui il mondo le era, per la seconda volta, crollato addosso. Quel giorno K aveva avuto lezione fino a tardi, per cui, uscita dall'aula di Psicologia alle sette passate, si era fiondata di corsa ai telefoni pubblici del dormitorio, componendo freneticamente il numero di casa degli Hartford. Le telefonate a Bjarne le costavano sempre una fortuna, dal momento che lei viveva nel Massachussets e lui in California, ma per quel giorno non avrebbe badato a spese: Bjarne stava aspettando i risultati del test per l'Huntington, e lei era stata in ansia per giorni.
-Hartford, parla Philip.- aveva risposto la voce profonda del signor Hartford.
-Phil, sono Kendra.- aveva detto lei, attorcigliando nervosamente una ciocca della parrucca rossa attorno al dito indice. -Bjarne c'è?-
-Ah...- aveva fatto l'uomo. C'era stato un attimo di silenzio, prima che riprendesse a parlare. -Mi dispiace molto, Kendra, ma non penso che Bjarne sia nelle condizioni adatte a parlare con te.-
A K era sfuggito un gemito.
-Vuoi dire che i risultati...-
-Il test è risultato positivo.- aveva concluso Phil. -Bjarne ha l'Huntington.-
K aveva sbarrato gli occhi e si era lasciata scivolare tremante lungo la parete bianca della stanza. Gli studenti continuavano a passare per quel corridoio, ridendo, e qualcuno le rivolgeva di tanto in tanto un'occhiata disgustata, spaventata o di scherno: Kendra Burton era considerata una pazza svitata, e nessuno lì ad Harvard voleva averci a che fare.
-Mi... mi dispiace... mi dispiace... così tanto...- aveva sussurrato lei con voce rotta dal dolore.
-Ma anche tu dovresti fare il test.- aveva continuato Phil, a voce bassa. -Dalle cartelle cliniche è risultato che il gene Bjarne l'ha ereditato da tua madre, perciò anche tu potresti averlo.-
K lo sapeva, e aveva già fatto il test, senza dirlo a nessuno. Aveva avuto i risultati il giorno prima, ma non se n'era curata: tutto ciò che le importava era che Bjarne non avesse la malattia. Lui non la meritava. Lui aveva una vita davanti a sé.
     Ad un tratto, la ragazza aveva sentito la voce dell'amato fratello dall'altro capo del telefono.
-È lei, non è vero?- l'aveva sentito dire con tono rabbioso. -Fammi parlare con lei!- aveva aggiunto, urlando.
Probabilmente a quel punto Phil aveva coperto la cornetta con una mano, ma K era riuscita a distinguere perfettamente le sue parole.
-Ora calmati, Bjarne! Non sei in te!-
-Voglio parlare con lui.- aveva allora detto lei, alzando la voce, e facendo voltare alcune delle persone che stavano passando in corridoio. -Ti prego, Phil...-
Aveva sentito l'uomo sospirare, e dopo pochi secondi la voce aggressiva di Bjarne che le ringhiava contro.
-Perché?!- aveva urlato. -Perché proprio questo? Perché proprio a me?-
-Bjarne, credimi, mi dispiace tantissimo.-
-Non abbastanza!-
C'era una nota di dolore nella sua voce, mentre parlava.
-Io... io sono il figlio degli Hartford...- aveva ripreso, dopo un attimo di silenzio, ansimando. -Perché dovevo ereditare questa malattia da una donna che nemmeno ho mai conosciuto?-
K aveva trattenuto un singhiozzo.
-È terribile, lo so...-
-Non sai niente, invece!- le aveva urlato contro Bjarne. -Appena l'ha saputo, Jane mi ha mollato. Ha detto che in questi giorni, mentre aspettavamo i risultati, ci aveva pensato a lungo, ed era giunta alla conclusione che non se la sentiva di passare il resto della sua vita con me se avessi cominciato a perdere la testa o se mi fosse diventato impossibile muovermi. Anche perché non avremmo potuto avere bambini, e per lei questa era una cosa troppo importante per poterci rinunciare.-
     Si era poi fermato un istante per riprendere fiato.
-Come se per me non fosse altrettanto importante?!- aveva ricominciato, alzando nuovamente la voce. -Io avevo dei progetti per la mia vita, Kendra, volevo diventare avvocato, volevo fare un sacco di cose! Ma come credi che sarò in grado di pagarmi i debiti per l'università, una casa e tutto il resto se da un momento all'altro potrei perdere la testa? E quanto mi verrebbero a costare le cure? Dovrei mandare i miei genitori sul lastrico per potermi curare?-
E poi la sua voce si era caricata di rancore.
-Sono loro i miei genitori, cazzo! Non un bastardo nullatenente sudafricano e un'irresponsabile infermiera olandese! Io sono americano! Mi è toccato crescere con un nome straniero che non mi rispecchia, anche se non avevo nulla a che vedere con la tua famiglia! Perciò mi spieghi perché mi sono dovuto prendere la vostra malattia?!-
Il respiro di K si era fatto sempre più corto, e, per quanto cercasse di inspirare a fondo, la sensazione di soffocamento si acuiva. Le pareva in quel momento di stare annegando. Il cuore le batteva all'impazzata, e le immagini di fronte a sé cominciavano a farsi sempre più scure e pulsanti.
-Ora basta, Bjarne!- aveva gridato Phil, probabilmente a pochi passi da lui.
Era possibile ci fosse stata una breve colluttazione, accompagnata da grida e rumori di fondo, e, dopo qualche istante, K aveva di nuovo sentito la voce ansante di Phil alla cornetta.
-Mi dispiace tantissimo, Kendra, credimi. Non è in sé.-
     Ma lei aveva cominciato ad ansimare in modo rumoroso, gemendo ad ogni respiro che non le portava alcun sollievo. Non sentiva più cosa diceva Phil, sentiva soltanto il battito accelerato del proprio cuore esploderle nelle orecchie, assieme ad un ronzio che si faceva sempre più insistente. Aveva lasciato cadere la cornetta a terra, e da quel momento i suoi ricordi si erano fermati, finché non si era risvegliata in infermeria.
-Che ore sono?- aveva domandato all'infermiera che, di spalle rispetto a lei, stava sistemando degli strumenti sul suo tavolino.
La giovane donna bionda si era voltata verso di lei, con espressione severa.
-Tranquilla, Burton, sono passati appena cinque minuti da quando ti abbiamo presa dal corridoio.-
K aveva tentato di mettersi a sedere, ma le girava ancora leggermente la testa. I polmoni continuavano a bruciarle, ma in quel momento, per lo meno, riusciva a respirare.
-Mi sono stufata di trovarti sempre in infermeria.- aveva sbuffato allora l'infermiera. -Ti ustioni con l'acqua calda, hai attacchi di panico... siamo tutti abbastanza certi che ti droghi.-
-Vi ho già portato almeno una decina di volte le mie urine e i miei capelli da analizzare.- aveva allora ribattuto K, scendendo dal lettino e chinandosi per infilarsi le Converse ai piedi. -Eppure continuate a sostenere che io sia fatta. Non lo sapete che prima di lanciare delle accuse sarebbe opportuno avere delle prove? Oppure volete una denuncia per diffamazione?-
Si era legata le scarpe con un gesto secco, si era alzata e aveva cominciato a cercare con lo sguardo la sua borsa di tela verde militare, mentre l'infermiera ritornava ad armeggiare con le sue cose con gesti seccati.
     -La tua borsa è su quella sedia.- aveva detto infine, indicandogliela con un indice laccato di smalto. -L'abbiamo perquisita per vedere se ci fosse qualcosa di illegale, e abbiamo trovato i risultati del tuo test.-
-Violazione della privacy, Steele.- aveva ringhiato K, afferrando la propria borsa e aprendola con gesto furente. -Stai attenta.-
-Avresti dovuto avvertirci che hai il gene dell'Huntington.- aveva continuato tranquilla la signorina Steele. -Dobbiamo tenere aggiornate le cartelle degli studenti. Soprattutto di quelli che hanno così tanti problemi come te.-
K era uscita come una furia dall'infermeria, sbattendo la porta. Poi aveva sospirato, si era appoggiata al muro e si era lasciata scivolare lungo la parete, con lo sguardo rivolto verso l'alto, a fissare il vuoto. Ad un certo punto, era stata percorsa da un brivido di freddo. Avrebbe voluto fiondarsi in camera a prendere la camicia di flanella rossa a quadri che aveva “preso in prestito” a Bjarne, quella che gli avevano regalato per Natale i suoi compagni di università, ma che a lui non piaceva. Lei l'adorava, invece; era così grande e calda, che le dava l'impressione di essere immersa nell'abbraccio affettuoso del suo adorato fratello. Ma in quel momento, aveva pensato, Bjarne non avrebbe più voluto essere suo fratello, non avrebbe più avuto compagni di università, né una fidanzata.
Né un futuro.
E lei se ne sentiva responsabile.
     Aveva guardato l'ora sul proprio orologio, e aveva pensato che avrebbe fatto ancora in tempo a prendere la metropolitana e tornarsene a Boston. Non se la sentiva di rimanere al campus, non dopo aver dato spettacolo nei corridoi del dorm.
Così era tornata nella sua stanza, una delle poche stanze singole del campus, aveva raccattato le sue cose, aveva affisso un biglietto alla porta, dicendo che per motivi di salute sarebbe tornata dal padre per qualche giorno, ed era uscita per prendere la metro. Ci voleva appena un quarto d'ora da Harvard a Boston, ma lei era sempre stata gelosa della propria indipendenza, e sicuramente Burton non la voleva tra i piedi, motivo per cui, anziché vivere col padre adottivo, aveva insistito per farsi dare una stanza singola al campus; ma quella sera non avrebbe potuto sopportare il suono delle risatine e delle frasi sussurrate dai ragazzi che passavano di fronte alla sua porta, indicandola e fuggendo.
Erano da poco passate le otto quand'era arrivata a casa di Burton. Si era fatta una lunga doccia e poi aveva preparato la cena. Per entrambi. Non si era truccata di nuovo, né si era rimessa la parrucca rossa e riccia sopra il suo caschetto ribelle di capelli bianchi, o le lenti castane: voleva essere libera, voleva essere se stessa. Era stanca di fingere.
Quando Roger era tornato, l'aveva vista col suo vero aspetto per la prima volta. Ed un sacco di cose erano cambiate, da quella sera.
     Un paio di giorni dopo, la domenica mattina, K si era alzata decisamente più tardi del solito, e quando era andata in cucina aveva trovato il suo posto a tavola apparecchiato con un cartone di latte, uno di succo e una scatola di cereali. Anche il giorno prima Roger aveva cercato in modo maldestro di comportarsi in modo premuroso, probabilmente mosso a compassione dopo gli eventi del venerdì sera. La ragazza non poteva esserne sicura, ma era possibile che quella notte avesse anche pianto. Così si era mangiata quella colazione da undicenne, si era truccata, aveva infilato un berretto sopra i capelli bianchi, un paio di occhiali da sole, aveva preso il chiodo ed era uscita a fare la spesa. Voleva preparare una cottage pie per pranzo, come quella che suo padre le preparava nelle giornate particolarmente uggiose.
Nata in Sudafrica, da madre olandese e padre irlandese, cresciuta tra Dublino, dove suo padre insegnava al Trinity College (era sempre stato un grande onore, per la piccola Stephanie) e Galway, dove trascorrevano le estati, K aveva potuto assaporare ben otto anni di vita normale, fatta di vacanze al mare, corse a perdifiato nei prati color verde smeraldo, pie fatte in casa, storie fantastiche di fate e gnomi raccontate davanti al camino e feste di paese piene di colori, musica e vestiti stravaganti.
Poi era arrivato l'incidente, e l'Irlanda era sparita dietro un mare insolcabile, e lei era finita nel triste orfanotrofio della triste Inghilterra, dove non c'erano differenze di stagione, dove gli unici abiti che poteva indossare erano costituiti dall'uniforme lunga, fatta con quella lana che le pizzicava la pelle, dove i pasti avevano tutti lo stesso sapore, dove il cielo non era mai così azzurro e i prati mai così verdi. Così almeno le sembrava.
E dopo l'Inghilterra erano arrivati gli Stati Uniti, e lì le sembrava che il verde non esistesse più, che i pasti avessero un sapore troppo chimico, e che l'uniforme che aveva dovuto portare per tutto l'anno precedente non fosse poi così diversa da quella della Wammy's House.
Per questo motivo, ogni volta che si sentiva spaesata e triste, tornava con la mente alla sua Irlanda, dove aveva pur sempre speso metà della sua vita. La metà felice. Già, perché nonostante tutto, K all'epoca aveva appena sedici anni.
     Stava pensando a tutto questo quando si era trovata di fronte alla porta dell'appartamento di Burton e aveva visto Bjarne. Aveva spalancato la bocca e le buste della spesa le erano cadute di mano, così che le patate si erano sparpagliate sul parquet del corridoio.
-Ciao Kendra.- le aveva detto lui, con un sorriso triste. -Aspetta, ti aiuto.-
Si era chinato a raccogliere tutto, mentre K era rimasta pietrificata sul posto, con un groppo in gola che le impediva di parlare. Il fratello si era alzato in piedi coi sacchetti in mano e le aveva domandato, quasi sussurrando, se poteva entrare.
K aveva richiuso la bocca e si era messa a tastare le tasche del chiodo per trovare le chiavi.
Erano entrati nel più completo silenzio, e la ragazza si era tolta la giacca, il berretto e gli occhiali, voltandosi più volte a guardare Bjarne che, con lo sguardo basso, andava verso la cucina ad appoggiare le buste.
Alla fine si era voltato verso di lei. La sua carnagione non era ancora così scura a quei tempi, perché passava la maggior parte del tempo chiuso in casa a studiare e, nonostante fosse per metà mulatto, era nato bianco e coi lineamenti nordici della madre. A quei tempi si faceva la barba tutti i giorni, e portava i capelli corti, con un taglio ordinario, come ci si sarebbe aspettati da un futuro avvocato. Era riuscito ad ottenere una borsa di studio per l'università di Stanford grazie alle sue doti atletiche, ma, una volta reso pubblico che aveva la malattia di Huntington, sicuramente gliel'avrebbero tolta.
Bjarne non desiderava diventare avvocato solo perché anche suo cugino Chris stava studiando legge per entrare nello studio del padre: i suoi genitori avevano particolarmente insistito nell'educarlo alla difesa dei più deboli e al rifiutare l'indifferenza sociale. Per questo, Bjarne era fermamente deciso a fare il possibile per fare la differenza nella vita delle persone.
Ma dal momento che aveva scoperto di essere malato, questo non gli sarebbe più stato possibile.
     K stava pensando questo, mentre guardava il fratello con addosso la felpa di Stanford e gli occhi le si riempivano di lacrime.
-Kendra...- aveva cominciato allora lui, avvicinandosi di un passo. -Perdonami...-
K non era più riuscita a trattenersi e si era gettata al collo di Bjarne, singhiozzando in modo incontrollato.
-Mi dispiace tanto!- aveva esclamato, con voce roca. -Mi dispiace così tanto! Tu non te lo meritavi, non lo meritavi!-
Bjarne le accarezzava i capelli bianchi e la stringeva a sé.
-È a me che dispiace.- aveva detto infine. -Di aver detto tutte quelle cose... senza pensare al dolore che provi tu ogni giorno nello svegliarti e renderti conto che i tuoi genitori non ci sono più. Di aver pensato solo a come mi sentissi io e ad accusarti, senza pensare che sarebbe stato difficile anche per te dover affrontare l'idea di dover perdere forse troppo presto l'unico parente che ti era rimasto in vita.-
-Tu non sei solo questo, per me...- aveva detto lei, strofinandosi via le lacrime dagli occhi e alzando il volto per guardarlo. -Anche se ci conosciamo da poco, sei sempre stato gentile e premuroso nei miei confronti. E soprattutto comprensivo. E se anche la mia famiglia fosse viva e vegeta, tu saresti comunque il miglior fratello che si possa mai desiderare. E un amico insostituibile.-
Poi era tornata a rifugiarsi nel suo abbraccio, piangendo ancora.
-Anche dopo averti aggredita e aver detto quelle cose terribili su tua... su nostra madre?- aveva domandato lui, con voce rauca.
-Un momento di debolezza non cancella la tua buona natura, Bjarne.- aveva risposto lei, tra un singhiozzo e l'altro. -E ti trovavi in una situazione difficile, e avevi bisogno di scaricare la colpa su qualcuno. È naturale, lo fa chiunque. Ed era logico che te la prendessi con me.-
Lui aveva sorriso tristemente.
-Riesci a ragionare a mente lucida anche se ti ho ferita così tanto?- aveva domandato.
-Se non mi affidassi alla ragione sarei impazzita molto tempo fa.- aveva risposto lei, scostandosi dall'abbraccio, stringendosi nelle spalle e cominciando a sfregarsi le mani sulle braccia nude sulle quali era venuta la pelle d'oca. Faceva freddo, quel giorno, e il cielo era grigio. O forse era il suo stato d'animo di allora che le faceva ricordare le cose in quel modo.
     Bjarne si era tolto la felpa e gliel'aveva messa addosso, stingendole le spalle.
-Ti prego, arrabbiati con me.- le aveva detto infine. -Prendimi a pugni, urla, mandami via, accusami, poi verrò di nuovo a chiederti perdono e alla fine faremo pace. Non è questo che fanno i fratelli?-
Lei aveva sorriso, stringendosi nella felpa.
-Ho ereditato anch'io il gene.- aveva risposto invece, guardando il ragazzo dritto negli occhi. -Non voglio perdere del tempo prezioso a litigare con te. Considerando che ci siamo trovati solo da poco.-
Ricordava ancora la lenta sequenza di immagini degli occhi di Bjarne che si riempivano di lacrime, e il suo scoppiare in un pianto disperato.
Si erano abbracciati ancora, tra le lacrime, promettendo di non lasciarsi mai andare.


Note

     Mi rendo conto di star riempiendo la storia di flashback, ma pensavo fossero utili alla comprensione e alla caratterizzazione dei personaggi. Vorrei ampliare tutti questi episodi magari in una raccolta di one-shot (non ricordo se l'avevo già accennato altrove), ma mi piacerebbe sapere cosa ne pensate. Vorreste leggere degli one-shot sulla storia di questi personaggi (L compreso)? Sarebbero scritti nel mio stile personale e non in questo stile astratto e fortemente dialogico che sto sperimentando, ci sarebbe più azione e probabilmente sarebbe a rating arancione (o rosso, ma non mi sono mai esercitata con scene erotiche e penso mi troverei molto a disagio a scriverne diverse con L protagonista, perché mi parrebbe di snaturare il personaggio molto più di quanto non abbia già fatto).
     Se vi va, fatemi sapere cosa ne pensate con un messaggio privato.
     Grazie a chi ha letto fino ad ora, alla prossima settimana per il nuovo capitolo, il cui titolo sarà "Ora d'aria". (Ho cominciato anche a sperimentare coi titoli dei capitoli, che prima non avevo messo perché non credevo di essere capace a farli)

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Capitolo 18
*** Capitolo 15 - Ora d'aria ***





Capitolo XV

Ora d'aria

     -Allora posso scegliere io cosa farti mettere per uscire di qui?- domandò Misa, squittendo. Quello sarebbe stato il suo primo giorno di libertà dopo più di due mesi di prigionia e, sebbene non fosse per nulla entusiasta di passarlo con l'inquietante Nathalie, avrebbe dovuto far buon viso a cattivo gioco per tutto il giorno. Ne andava della buona riuscita del suo piano.
-Fai come ti pare.- sbuffò lei, dandole le spalle, in piedi davanti al suo specchio, mentre sistemava i suoi capelli folti, secchi e sfibrati, in modo da potersi mettere la retina e poi la parrucca.
-Da quanto tempo non vedi un parrucchiere?- le domandò Misa, osservandola, mentre si portava un dito sotto il mento, con un braccio che le avvolgeva la vita.
-Almeno sei anni.- rispose lei, senza smettere di puntare le lunghe ciocche di capelli bianchi con le forcine. -Te l'ho detto, sono stata presa in ostaggio. E di farmi rasare come tutti gli altri mercenari non avevo proprio voglia.-
-Allora magari dovremmo chiamare la mia parrucchiera.- disse Misa, voltandosi per prendere l'unico cellulare che le era stato concesso di tenere dalla propria borsetta. -Anche perché ho due mesi di ricrescita e devo rifare il biondo.-
Ma in meno di un secondo, si materializzò davanti a lei il braccio bianco della donna, che la afferrò per i polsi.
-Tu fai quello che vuoi, ma io non mi esporrò davanti ad un'altra persona.- ringhiò, piantandole in faccia il suo sguardo rosso sangue. -Non devo far vedere il mio vero aspetto, a meno che non voglia farmi riconoscere ed ammazzare.-
-Lasciami andare subito!- protestò lei, gonfiando le guance. -Guarda che lo dico agli altri se mi tratti così.-
Per tutta risposta lei sogghignò, e poi si voltò di nuovo verso lo specchio per finire il lavoro.
-Comunque non ti devi preoccupare.- riprese poi, rimettendo il cellulare nella borsetta. -La mia parrucchiera è abituata a lavorare con persone che vogliono mantenere la privacy, come appunto le star come me. Perciò non corri pericolo.-
     Nathalie mugugnò qualcosa e poi si infilò la retina.
-Hai deciso che parrucca metterti?- domandò allora la ragazza, andando verso l'armadio e aprendolo; cercava di nascondere il sorrisetto che le era spuntato all'idea di come avrebbe conciato la sua irascibile carceriera.
-Quella nera col frangione.- le rispose lei, indicandola con un dito, senza togliere gli occhi dalla propria immagine riflessa nello specchio. -Per nascondermi meglio. Non sarebbe male avere anche un paio di occhiali da sole.-
Si mise poi delle gocce negli occhi e sbatté le pesanti palpebre.
-Allora prendi questi.- disse Misa, passandole i vestiti ancora appesi alle grucce. -Usa pure il bagno per cambiarti. Ci sono un paio di lenti a contatto azzurre non ancora aperte nell'armadietto, ma non sono graduate.-
-Poco male.- fece lei, prendendo i vestiti senza nemmeno guardarli e andando verso il bagno. -Non penso che, anche se avessi delle lenti graduate, sarei in grado di vedere un cecchino che mi punta, con tutto il sole che c'è lì fuori oggi.-
     Nathalie si chiuse in bagno, e Misa cominciò a spogliarsi per cambiarsi i vestiti. Ormai aveva deciso: avrebbe fatto qualsiasi cosa per dimostrare che lei e Light non erano i due Kira; solo in quel modo le accuse su di loro sarebbero cadute e il suo amato sarebbe stato libero. Non aveva ancora idea di come fare, ma avrebbe cercato qualsiasi spiraglio per riuscire nel suo intento. Non c'erano dubbi sull'innocenza sua e di Light, e allora perché si ostinavano tutti a sospettare di loro?
Si infilò la sua minigonna tartan rossa con una cintura borchiata infilata mollemente tra i passanti e un bustino nero, per poi andare allo specchio per farsi i codini. Quel giorno faceva decisamente caldo per mettersi anche i guanti di pizzo e le calze, per cui optò per delle autoreggenti a rete sotto gli stivali neri. Nel frattempo, Nathalie era uscita dal bagno: le aveva fatto mettere un top aderente nero con le coppe rinforzate e la scollatura a cuore, con due bretelline abbastanza ampie da coprirle le cicatrici, e una gonna svasata di pizzo, anch'essa nera, che la giovane aveva però sistemato sui fianchi.
-Questa gonna non mi va.- disse, mostrandole la cerniera che aveva lasciato aperta. Si era truccata con un cerone bianco, rossetto nero, pesante ombretto dello stesso colore, una spessa linea di eyeliner sopra e sotto gli occhi colorati di azzurro dalle lenti e le folte ciglia finte. Il pallore della sua pelle sarebbe stato perfetto per farla sembrare una ragazza goth, soprattutto aggiungendoci la parrucca nera col frangione, e magari qualcuno degli accessori di Misa.
-Certo che non ti va.- sbuffò la ragazza. -Quella va in vita, non sui fianchi.-
-Appunto.- fece Nathalie, tirando finalmente su la gonna e chiudendola in vita, rivelando di colpo un notevole stacco di coscia bianca e tonica. -Considera che sono alta venti centimetri in più di te. Capisco che il tuo intento fosse quello di farmi sembrare ridicola, ma qui si sfiorano i limiti dell'indecenza.-
Misa le si avvicinò, le sistemò un po' le pieghe della gonna e poi fece un passo indietro per osservarla meglio.
-Pensavo che fossi vanitosa e ti piacesse farti vedere.- osservò.
-Ma non conciandomi in modo indecente.- ribatté lei, andando a prendersi la parrucca che aveva scelto tra quelle esposte su uno degli scaffali. -Ah, penso che prima di tutto dovrò andare a comprarmi dei nuovi stivali; quegli anfibi vecchi e logori sono troppo riconoscibili.-
     Misa si diresse verso uno dei suoi cassetti e ne tirò fuori alcuni anelli e collane, che poi porse a Nathalie, e infine raccolse dal proprio comodino la sua collana preferita, quella col ciondolo a forma di giglio, da cui non si separava quasi mai.
-Come mai sei scappata con quegli stracci?- domandò infine, avvicinandosi allo specchio dove Nathalie si stava sistemando con cura la parrucca, per controllarsi il trucco.
Lei sospirò.
-Sono un'inguaribile romantica.- disse poi. -Quegli “stracci” sono legati a molti ricordi. Rappresentavano l'unico legame col mio passato, per questo sono l'unica cosa che mi sono portata dietro.-
E così dicendo si voltò e andò a prendere le calze di pizzo che Misa le aveva appoggiato sulla spalliera di una sedia.
-È proprio necessario che metta anche queste?- domandò, con espressione schifata. -Coi reggicalze?-
-Almeno così puoi coprire quei sei metri di gambe che ti ritrovi.- ribatté lei, con un risolino.
Uscirono dall'appartamento dopo che Nathalie l'ebbe perquisita un'ultima volta, poi questa usò la tessera per chiamare l'ascensore e scesero al piano terra, dove Light e gli agenti stavano lavorando.
Appena le porte dell'ascensore si furono aperte, Misa corse fuori dall'abitacolo e poi giù dalle scale, chiamando Light a gran voce. Il ragazzo si voltò per salutarla, e lei gli saltò al collo.
-È così ingiusto che il mio primo giorno di libertà io non possa uscire con te, Light!- esclamò, sprofondando il proprio viso nella sua camicia, che odorava di fresco e pulito. Lui le mise timidamente una mano sulla schiena, sussurrando: -Dai, Misa, ne riparliamo un'altra volta, ok?-
Misa alzò il volto e si mise in punta di piedi, protendendo le labbra verso Light, con gli occhi socchiusi... quando nel silenzio generale scoppiò alta e forte una risata.
Era Ryuzaki.
Che guardava Nathalie scendere dalle scale.
     Tutti gli agenti erano rimasti attoniti e si erano subito voltati verso il detective, che rideva sguaiatamente, quasi nervosamente, con una mano sul ventre e l'altra davanti alla bocca. Misa guardò allora Nathalie, che si era sfilata i grandi occhiali da sole dalle lenti rotonde che lei gli aveva prestato, e ora lanciava a Ryuzaki un'occhiataccia.
-Hai finito?- domandò infastidita, una volta sceso l'ultimo gradino, piantandosi ritta di fronte agli agenti con una mano sul fianco.
Ma lui ormai non riusciva a fermarsi. Si chiuse la bocca con entrambe le mani, ma continuava a mugolare, mentre le sue larghe spalle andavano su e giù.
Nathalie sbuffò sonoramente, si avvicinò a Misa afferrandola per un braccio, e le intimò di muoversi, dal momento che Watari le stava aspettando.
-Ah, Ryuzaki?- disse, fermandosi davanti alla porta di vetro ad apertura automatica, mentre Misa protestava per il malo modo in cui stava venendo trattata. -Se dovessero piantarmi un colpo in testa... ho lasciato detto a Watari a chi dovrai versare il mio ingaggio. Non sarà una grande eredità, ma mi auguro qualche soldo possa tornare utile alle persone che tu sai.-
E poi tirò dritto, mentre alle loro spalle i mugolii del detective si erano trasformati in una tosse strozzata.

     Hayer si passò nervosamente le mani tra i cortissimi capelli appena striati di grigio.
C'era sicuramente una talpa all'interno del suo reggimento, e se n'era accorto soltanto quel pomeriggio.
Cominciò a camminare ansioso avanti e indietro per il suo ufficio, aprendo e chiudendo i cassetti, andando al computer per cercare quei file che gli avrebbero salvato la vita. Ma le cartelle col materiale raccolto su Banks e su L era sparito dal suo computer. Tutte le informazioni che aveva raccolto in quegli anni si erano semplicemente volatilizzate. In quel momento rappresentavano la sua unica via di fuga, e non riusciva a trovarle da nessuna parte!
E se gli Hogson avessero intuito il suo piano e se ne fossero impossessati? Hayer aveva sempre tenuto quelle informazioni segrete; in primo luogo perché gli Hogson preferivano rimanere all'oscuro di tutte le operazioni illecite pianificate dal PPEP; in secondo luogo, perché quelle informazioni avrebbero potuto rappresentare il suo salvacondotto, nel caso le cose si fossero messe... come si stavano mettendo.
Già, perché se gli Hogson erano all'oscuro di quasi tutte le informazioni su L, lui avrebbe potuto venderle al miglior offerente e garantirsi un passaporto falso, un biglietto di sola andata verso un paese senza estradizione e un'agiata pensione.
E invece, ora quelle informazioni erano sparite dai CD dove erano state salvate. Esistevano ancora le copie cartacee, ma sarebbe stato enormemente rischioso, a quel punto, allontanarsi dal quartier generale per andarle a recuperare dalla cassaforte di casa sua.
     Prese il proprio cellulare dalla tasca dei pantaloni e vi gettò un'occhiata nervosa. Gli uomini inviati in Giappone dopo il fallimento dell'operazione di due mesi prima lo aggiornavano costantemente sugli spostamenti di Watari e degli agenti giapponesi. Ormai avevano intuito che tutta la squadra di L si era trasferita in un edificio di recentissima costruzione e con sistemi di sicurezza assolutamente all'avanguardia, e stavano tentando di recuperare quante più informazioni fosse possibile per elaborare una nuova strategia che avrebbe permesso loro di far fuori Banks. Eliminato il testimone più pericoloso, per la Hogson uscire da quella situazione non sarebbe più stato un problema.
Ma quel pomeriggio (che corrispondeva alla mattina del giorno seguente in Giappone) non aveva ricevuto ancora alcuna chiamata. Cosa stava succedendo?

     -Ok, ora non siamo più sotto controllo.- disse K, una volta chiusa la portiera dell'auto di Watari. -Ora puoi dirmelo: perché hai finto di voler a tutti i costi uscire insieme a me?-
Misa stava controllando la chiusura della propria borsa, e alzò stupita gli occhi colorati dalle stesse lenti che aveva prestato alla giovane.
-Perché credi che abbia finto? Volevo davvero uscire a prendere una boccata d'aria!- protestò.
K si stava guardando intorno, circospetta, alla ricerca di eventuali segni di pericolo. Avevano deciso di andare a Roppongi a fare shopping, dal momento che c'erano diversi negozi di vestiti di marche occidentali, e anche perché Misa voleva fare un salto al salone di bellezza che curava la sua immagine da quando era diventata una idol; scelta che non era piaciuta per nulla a K, conscia del fatto che si trattava di una zona non solo in passato controllata dalla Yakuza, ma anche prevalentemente frequentata da occidentali, che fossero turisti o uomini d'affari... e, soprattutto, da militari. In quelle condizioni, riuscire a riconoscere gli uomini di Hayer, che con ogni probabilità erano ancora sulle sue tracce, diventava praticamente impossibile. Watari le aveva dato una ricetrasmittente e avrebbe fatto il giro di ogni isolato in cui sarebbero passate, per garantirle almeno un po' di copertura, ma K non poteva fare a meno di sentirsi in pericolo ad ogni passo.
     Infine fece cenno a Misa di seguirla, e si mescolò alla gente che affollava i marciapiedi in quella calda giornata d'agosto, cercando istintivamente l'ombra degli alberi e dei tendoni dei negozi per ripararsi dal sole che, nonostante la sua protezione 50+ spalmatasi l'ultima volta mentre era in auto, avrebbe presto cominciato ad arrostirle la pelle.
-Perché non ti sto per nulla simpatica.- disse infine, accelerando il passo per raggiungere una zona d'ombra tra i palazzi. -E ho capito abbastanza di te da non avere dubbi sul fatto che tu abbia un piano.-
-Ah...- fece Misa, delusa. Si avvicinò rapidamente a K, mentre questa si voltava ancora nervosamente per guardarsi attorno.
-Perché ti muovi come un animale in gabbia?- tentò quindi di cambiare discorso.
Per tutta risposta, K le mise una mano sulla spalla e si rimise a camminare, tenendola alla propria sinistra, mentre sulla destra c'era la strada.
-Perché potremmo venire seguite.- disse infine. -Quelli che hanno tentato di farmi fuori una volta potrebbero tornare a finire il lavoro.-
-Ma allora tu e Ryuzaki non stavate scherzando ieri!- esclamò Misa, portandosi le mani davanti alla bocca. -Si può sapere perché hai voluto mettere anche me in pericolo in questo modo?-
-Parla piano!- le intimò K, spingendola dentro la porta girevole di un centro commerciale. -Watari ci sta coprendo. E siamo in mezzo ad un sacco di persone. È molto improbabile che riescano a spararmi in queste condizioni, soprattutto se continuiamo a muoverci.-
     Si trovavano ora nella hall di un grande centro commerciale, e K stava guardando sospettosamente in ogni direzione, facendo attenzione a rimanere sempre nelle zone d'ombra. Alla fine sospirò.
-Pare che non ci siano problemi.- disse infine. -Forza, scegli un negozio dove entrare.-
-Pensi che potrei fare shopping tranquilla sapendo che potrebbe esserci qualcuno che vuole ucciderci?- protestò lei, piantandolesi di fronte con le mani sui fianchi.
-Nessuno vuole uccidere te, Misa.- ribatté K, sistemandosi i grandi occhiali tondi sul naso all'insù e muovendosi verso uno dei negozi di scarpe che circondavano la piazzetta al piano terra del centro commerciale.
-Ma in ogni caso è molto più sicuro che ci sia io insieme a te.-
Entrarono dalle porte scorrevoli, una dietro all'altra, ma K non si tolse gli occhiali. Secondo le sue ricerche, i criminali mostrati in televisione di cui venivano mostrate le foto con cappuccio e occhiali da sole si salvavano dalla morte, motivo per cui sperava di rimanere il più possibile coperta, nel caso Kira avesse voluto avvicinare Misa.
-Perché lo pensi?- domandò la ragazza sottovoce, aumentando il passo e affiancandolesi.
-Se fossi stata tu da sola, è possibile che ti avrebbero rapita per estorcerti informazioni su dove si trovasse Ryuzaki, e, di conseguenza, anche la sottoscritta. Dopotutto, anche se l'uomo che ha cercato di sparare a Ryuzaki non sapeva che eri proprio tu la persona sospettata di essere il secondo Kira, i suoi colleghi e superiori non ci avranno messo molto a fare due più due, dal momento che sei stata arrestata il giorno dopo la sparatoria, e proprio mentre ti trovavi all'università frequentata da Light.- rispose lei, fermandosi davanti al reparto stivali.
-Essendoci invece io con te, suppongo che la mossa più logica sia cercare di far fuori me.-
Scelse un paio di stivali alti e neri in finto cuoio, con qualche centimetro di tacco spesso e i lacci, e si sedette su uno dei divanetti del negozio, sfilandosi i logori anfibi.
Misa afferrò dallo scaffale un paio di Demonia e si sedette di fianco a lei.
-Quindi sei qui per proteggermi?- domandò, cominciando a slacciare le fibbie dei propri stivali.
-Sono qui per assicurarmi che una certa entità (con ogni probabilità sovrannaturale) non prenda possesso del tuo corpo.- sussurrò K in risposta.
Misa gonfiò le guance e assunse un'espressione imbronciata.
-Ma allora la vostra è una fissa!- protestò.

     Finalmente il telefono squillò.
Hayer rispose in meno di un secondo.
-Colonnello.- fece la voce di uno dei suoi soldati dall'altro capo. -L'obiettivo numero tre, Watari, era riuscito a seminarci, ma ci è stata comunicata la presenza della idol Misa Amane in giro per Tokyo con una ragazza caucasica.-
Hayer prese il proprio fazzoletto dalla tasca e si tamponò la base del collo; poi si lasciò finalmente andare ad un sorriso.
-Era ora che quella puttana uscisse dal suo nascondiglio.- sogghignò.
-Voi continuate a seguirla, e, mi raccomando, prendetela viva.-
Tra le informazioni che Hayer aveva comunicato agli Hogson vi era quella che Kendra Burton e Eraldo Coil, o L, erano stati amanti. Avevano pertanto l'ordine di recuperare Banks come ostaggio per costringere L a non intervenire al processo che (era solo questione di tempo) avrebbe interessato la Hogson, in cambio della vita della donna.
Ma i soldati che in quel momento si trovavano dall'altra parte dell'oceano erano i suoi uomini, non quelli della Hogson. Non importava che le loro telefonate fossero sotto controllo: i suoi uomini sapevano sempre come dovevano agire.

     -Era proprio necessario passare due ore e mezzo dalla tua parrucchiera?- sbuffò K, risistemandosi la parrucca. -In tutto questo tempo chi mi segue avrebbe tranquillamente potuto prepararsi per farmi fuori.-
-Rilassati...- disse Misa con un sorrisetto, accarezzandosi i capelli biondi freschi di piega. -Quel negozio è fatto apposta per essere introvabile dai paparazzi, e abbiamo usato l'uscita di servizio. Nemmeno i miei fan riescono mai a trovarmi.-
Dopo le compere al centro commerciale, Misa l'aveva trascinata in un salone di bellezza nascosto in un edificio riservato ad uffici di una ditta di telecomunicazioni, e ora stavano di nuovo camminando all'aria aperta.
-Alla fine non mi hai detto che cos'avevi in mente, Amane.- fece ad un certo punto K, alzando le borse sue e di Misa e caricandosele sulle spalle, per riparare meglio la propria pelle dal sole.
-Parli come se fossi io quella che stava complottando alle tue spalle.- protestò lei, camminandole avanti con le mani intrecciate dietro la schiena. -Quando sei stata tu a farmi uscire per catturare i tuoi inseguitori.-
-Io però te l'ho detto.- ribatté K. -Il fatto che tu non mi abbia presa sul serio è un tuo problema.- E stava per continuare, quando sentì il proprio stomaco brontolare rumorosamente.
Misa si voltò e scoppiò a ridere.
K continuò ad andare avanti, intimando a Misa di seguirla con un gesto della testa.
-Visto che siamo andate al salone di bellezza come volevi tu, ora si pranza dove dico io. So che qui a Roppongi c'è l'Hard Rock Café, e ho una voglia di hamburger che nemmeno immagini.-
     Il locale, com'era prevedibile, era incredibilmente affollato, ma alla vista di Misa Misa i camerieri liberarono immediatamente uno dei tavoli riservati e portarono loro un menù.
-Ti sembra una buona idea scegliere un locale così affollato per parlare e per nasconderti?- domandò la ragazza, alzando la voce e sporgendosi verso K per contrastare la confusione intorno a loro.
-Fidati di me, siamo più al sicuro qui.- disse K, mentre con una mano teneva il menù e con l'altra razziava il cestino del pane posto al centro del tavolino.
Dopo aver osservato minuziosamente il locale per individuare potenziali sospetti e le vie di fuga più agibili, lasciò detto a Misa cosa avrebbe dovuto ordinare per lei, nel caso fosse arrivato il cameriere, e poi si alzò per andarsi a comprare un paio di magliette al negozio.
Pareva tutto tranquillo. Watari la teneva costantemente aggiornata, e fino a quel momento non avevano rivelato alcun movimento anomalo che fosse riconducibile ad un pedinamento, o ad un agguato.
     Non dovettero aspettare più di mezz'ora perché venisse portato loro il pranzo. Misa aveva ordinato un'insalata, mentre K aveva preso il gigantesco hamburger alto quindici centimetri con insalata, pomodori, sottaceti e patatine fritte, accompagnato da un bicchiere di birra.
La ragazza aveva una faccia alquanto schifata.
-Come fai a mangiare questa roba?- domandò, prendendo in mano la forchetta, per poi cambiare idea e afferrare le bacchette.
-Per te questa è la prima uscita in libertà dopo due mesi di prigionia.- disse K, alzando il mostruoso panino e rigirandoselo tra le mani, cercando il punto migliore da addentare. -Per me è la prima uscita in libertà dopo sei anni e otto mesi. Volevo festeggiare.-
E finalmente affondò il primo morso. Passò qualche secondo a gustarsi lentamente il tanto agognato cibo spazzatura, per poi appoggiarlo nuovamente sul piatto, pulirsi le labbra dalla salsa, togliendosi gran parte del rossetto nero, e infine aggiunse: -E che ne so, magari potrebbe pure essere il mio ultimo pasto.-
L'espressione di Misa era sempre più inorridita. La guardava con gli occhi spalancati, la bocca semiaperta e le bacchette immobili tra le dita, con la fetta di pomodoro che stava precipitando nel piatto.
-Ora dimmi perché hai voluto che lasciassi il quartier generale insieme a te.-
     La ragazza deglutì, e poi appoggiò le bacchette.
-Speravo di riuscire a farti comprare qualcosa che ti rendesse più attraente. È anche per questo che ho voluto andare al salone di bellezza.-
Appoggiò poi i gomiti sul tavolo e intrecciò le mani sotto il mento.
-Volevo che tu seducessi Ryuzaki.- continuò, con un sorrisetto furbo sul volto di porcellana.
K non batté ciglio.
-A che scopo?-
-Beh, innanzitutto perché in questo modo magari si sarebbe deciso a togliere le manette a Light, e io avrei potuto finalmente stare con lui senza quel maniaco che ci segue.- rispose lei, mentre il suo tono si faceva progressivamente più stizzito.
Si fermò un momento e poi riprese a parlare, con voce più calma.
-E secondo, perché speravo che, se fossi riuscita nell'intento, magari avresti potuto convincerlo che io e Light siamo innocenti.-
K intanto aveva dato un altro bel morso al suo hamburger, e guardava fisso Misa mentre masticava lentamente.
-Premettendo il fatto che non cederei in alcun modo alle tue richieste o minacce.- disse, finendo di deglutire. -E te lo dico per stroncare sul nascere qualunque tua speranza di vedere realizzato il tuo piano. Ma, per curiosità...-
E appoggiò nuovamente l'hamburger sul piatto.
-Perché mai dovrei fare una cosa simile?-
Misa sorrise di nuovo, e rovistò nella borsetta alla ricerca del suo cellulare.
-Ovviamente mi sono preparata come potevo.- disse, aprendo la scocca e scorrendo rapidamente fino alla galleria delle immagini.
-Non è passato inosservato il fatto che io sia sparita dalle scene per due interi mesi, e spero non sarai così ingenua da pensare che sia disposta a perdonare Ryuzaki per quello che mi ha fatto passare.-
Smise di scorrere le foto e girò il telefono verso K. Sullo schermo c'era una sua foto, scattata una delle notti che aveva passato con lei all'hotel dopo la scarcerazione di Misa. Questa andò avanti e le mostrò altre foto prese di nascosto, le ultime delle quali erano state scattate quella stessa mattina.
-Se non farai quello che voglio, queste foto finiranno sui giornali, dirò che mi hai rapita per ordine di Ryuzaki e che mi hai tenuta in ostaggio per tutto questo tempo. Faranno indagini su di te, e magari salterà fuori il tuo vero nome, e Kira allora ti ucciderà.-
     K rimase qualche istante in silenzio, poi scoppiò a ridere di cuore.
Misa rimase interdetta, poi chiuse il cellulare e lo rimise in borsa.
K intanto aveva preso il tovagliolo, si era pulita il viso e le mani e ora si stava alzando in piedi per dare una pacca sulla spalla della ragazza.
-Ben fatto, Amane.- le disse con un sorriso. -Sono proprio contenta che sia tu l'indiziata. Davvero una bella mossa.-
Poi ritornò a sedersi e riprese in mano il suo hamburger.
-Anzi, ti dirò... invia subito quelle foto, dai!- la incitò, prima di dare un nuovo morso.
Il volto di Misa si rabbuiò.
-Cosa... cosa significa questo?- domandò, tirando di nuovo fuori il telefono.
-Dai, prova a mandare la mail, su.- ripeté K, tra un boccone e l'altro.
Misa fece come richiesto, continuando a guardare sospettosamente la donna. Eppure, al momento di premere il tasto per l'invio, cambiò idea, e sostituì l'indirizzo mail del suo ufficio stampa con uno dei propri.
K sorrise, mentre finiva di masticare, e dopo qualche secondo si ripulì le mani e tirò fuori dalla borsetta che Misa le aveva prestato un cellulare, il cui display stava lampeggiando. Senza nemmeno guardarlo lei stessa, lo mostrò a Misa, e aprì la mail appena ricevuta. Era quella scritta dalla ragazza, non c'erano dubbi.
-Come puoi vedere, qui ci sono anche tutte le mail che hai inviato a Light stamattina, ieri, l'altro ieri, eccetera.- disse K, scorrendo in basso la casella di posta.
-Vedi, Misa, tutte le mail inviate da quel cellulare, come anche dal tuo computer portatile, a qualsiasi numero o indirizzo, vengono intercettate da me e da Watari. Sta a noi poi decidere se inoltrarle ai legittimi destinatari.-
Misa si infuriò e sbatté i pugni sul tavolo.
-Questa è violazione della privacy!- esclamò.
-Shhh, bambina mia...- la zittì K, tornando indietro nella casella di posta per scrivere a sua volta una mail. -Ti è stato detto che saresti stata sotto sorveglianza ad ogni passo, e che tutte le tue telefonate e le tue mail sarebbero state controllate. Ci sono prove pesanti a tuo carico, e tu sei libera soltanto perché gli agenti del quartier generale sono troppo ottusi e coinvolti per vedere la verità che hanno proprio sotto il loro naso, chiara e lampante.-
     In quel momento, il telefono di Misa vibrò, e lei lesse sul display il nome della sua agenzia.
-Ovviamente ricevo anche tutte le tue mail in entrata.- riprese K, sorseggiando un po' di birra. -Non c'è nulla che tu possa fare per danneggiarmi, in questo momento.-
Misa le lanciò un'occhiataccia e poi, titubante, aprì la mail.
Lo schermo divenne nero. Misa sussultò, provò a pigiare tutti i tasti, a premere quello di accensione e spegnimento, ma nulla. Il telefono pareva inservibile.
-Ah, ma quella che hai ricevuto ora non era una vera mail dalla tua agenzia.- disse K, poggiando il boccale sul tavolo. -Era un virus. Che ha cancellato tutto ciò che c'era su quel telefono.-
Poi riprese in mano il cellulare che le aveva mostrato, e glielo sventolò davanti.
-Posso inviarti mail, messaggi e chiamate facendoti visualizzare il numero o l'indirizzo mail di Light, o delle tue colleghe, o dei tuoi truccatori, o di chi io voglia. Non potrai mai sapere se si tratta veramente di loro o meno. Ma per sicurezza, ho qualche virus o trojan pronto da mandarti, nel caso non potessi sequestrarti il telefono quando ne avessi bisogno.-
Lo rimise a posto, e riprese a mangiare, mentre Misa tentava in tutti i modi di far riaccendere il proprio cellulare, lanciandole insulti e molliche di pane.
-Sai, la tua idea di ricattarmi poteva essere buona, davvero...- riprese poi, prendendo una spessa patatina dal piatto con le dita bianche. -Ma purtroppo hai fatto due errori da principiante. Il primo, è che io non cedo alle minacce di morte, nemmeno quando mi puntano una pistola alla tempia. E il secondo... Ryuzaki non cambierebbe idea sulla vostra colpevolezza nemmeno di fronte alla più eccitante delle...-
E concluse la frase in modo talmente volgare che persino i loro vicini di tavolo si voltarono scandalizzati.
-Però ti invito a ritentare.- concluse, pulendosi di nuovo le mani sul tovagliolo per poi ripassare al gigantesco hamburger che continuava a troneggiare sul suo piatto.
     Così Misa si arrese, infilò il cellulare nella borsa e prese a mangiare, con lo sguardo fisso sul proprio piatto.
Rimasero così in silenzio, finché l'altro telefono di K, quello che utilizzava normalmente, non squillò. Ci lanciò una breve occhiata e vide che sul display era apparsa una Q maiuscola a carattere gotico. Si guardò intorno, guardò Misa e concluse che sarebbe stato più sicuro per entrambe se fosse rimasta al tavolo.
-Non posso muovermi di qui.- disse in inglese, appena premuto il tasto di risposta.
-Lo so.- disse la voce camuffata di Q. -Sei all'interno dell'Hard Rock Café di Roppongi nella saletta privata. Vi tengo d'occhio dalle telecamere di sicurezza.-
-Siamo in pericolo?- domandò K. Q non chiamava mai, se non era estremamente necessario, e soprattutto non usciva mai allo scoperto se i suoi collaboratori si trovavano in compagnia di estranei.
-Ci sono tre persone sospette che girano intorno all'edificio.- rispose la voce distorta dall'altro capo del telefono. -Ho già avvertito Watari, deciderà lui se chiamare o meno la polizia.-
-Avrebbe potuto avvertirmi lui.- ribatté K, abbassando la voce e cercando di guardarsi intorno senza dare nell'occhio. -Perché mi stai chiamando, allora?-
-Perché Hayer ha inserito i CD con tutti i dati raccolti su di te e L nel suo computer, e il mio virus li ha cancellati. Immagino volesse vendere l'identità di L per guadagnarsi la fuga in un altro Paese. Ora suppongo che cercherà di recuperare le copie cartacee nella cassaforte a casa sua. Vuoi che provochi un corto circuito e faccia bruciare l'edificio?-
-Scordatelo.- rispose secca lei. -Attieniti al piano.-
     Il pomeriggio precedente, dopo che Light e L se n'erano andati, K aveva organizzato quell'operazione nei minimi dettagli: sapeva che gli uomini di Hayer pedinavano Watari dal giorno successivo alla sparatoria di due mesi prima, ed era sicura che l'avrebbero trovata non appena avessero scoperto che Misa Amane era di nuovo in giro per Tokyo. In realtà, puntava proprio a farli avvicinare e a prenderli per incastrare Hayer. Burton aveva già un mandato di perquisizione per casa sua, avrebbe raccolto tutte le prove, prelevato le carte dalla sua cassaforte e fatto sparire ogni riferimento all'identità di L prima che queste finissero in mano al procuratore. Nessuno al dipartimento avrebbe mai potuto immaginare che Hayer fosse a conoscenza di dettagli cruciali sull'identità di L, motivo per cui Burton avrebbe potuto bruciare i documenti in tutta tranquillità.
     Ciò che più importava, in quel momento, era tenere Misa al sicuro. K aveva tentato di farle da scudo umano per tutto il giorno, ma se in quel momento c'erano tre uomini fuori dal locale, non poteva permetterle di uscire.
Chiuse la chiamata con Q, e chiamò Mogi.
-Watari ti ha messo al corrente?- domandò, non appena l'uomo ebbe risposto.
-Sì. Mi trovo all'entrata del locale. Watari è nell'edificio di fronte ed è armato.-
-Bene.-
K lanciò un'occhiata a Misa, che la guardava piena di rancore mentre finiva di mangiare.
-Allora vieni qui e proteggi Amane.- continuò, rovistando nella borsetta alla ricerca della pistola. -Io esco.-
Chiuse la chiamata prima che Mogi potesse protestare e intimò a Misa di rimanere al suo posto. Si alzò in piedi, si risistemò gli occhiali sul naso e tentò di farsi strada tra le persone che affollavano il locale, con la mano destra che teneva stretta la pistola dentro la borsetta. Ad un certo punto si sentì tirare per il braccio, e vide Misa alle sue spalle, con la fronte aggrottata, che la tratteneva.
-Dove hai intenzione di andare, ora?-
K la prese, la trascinò a sé e la bloccò col braccio sinistro contro il proprio petto, e, mentre ruotava per la stanza tentando di non offrire il fianco della ragazza ad alcun potenziale criminale, le sussurrò all'orecchio: -È pericoloso. Resta insieme a Mogi.-
L'agente le raggiunse immediatamente e staccò Misa da quel bizzarro abbraccio.
-Non vi muovete di qui.- intimò loro, e poi imboccò la via per uscire.
     Il sole del pomeriggio la abbagliò, nonostante le lenti scure, ma cercò in ogni caso di guardarsi intorno, mentre pigiava col dito il tasto sulla ricetrasmittente che portava all'orecchio, per sentire le istruzioni di Watari.
-La polizia arriverà a momenti.- le disse il vecchio. -Portano caschi neri, uno è in moto, cercheranno di farlo sembrare un omicidio della Yakuza.-
K si guardava intorno alla ricerca dei tre uomini, mentre Watari le dava istruzioni su dove sistemarsi perché lui, dal palazzo di fronte, avesse la visuale più ampia e pulita per sparare in caso di necessità. C'erano molte, troppe persone che affollavano quel marciapiede. Così K iniziò a fingere di barcollare, avanzando verso il punto che Watari le aveva indicato con passo tremante ed insicuro, dondolando, per poi mettersi ad urlare in un inglese biascicato frasi sconnesse su “il mio signore Satana”. Certo, con una bottiglia di birra o di liquore avrebbe fatto più scena, avrebbe potuto rompere il vetro per terrorizzare ulteriormente i passanti, ma si sarebbe dovuta arrangiare diversamente. Si mise così a sbavare, allungando il collo verso le persone che la circondavano, urlando come un'invasata versi delle canzoni dei Cure.
Tutti intorno a lei si scansarono istintivamente, guardandola preoccupati, ma erano ancora troppo vicini. Alcuni, anzi, probabilmente si stavano avvicinando per farle un video. Per cui si piegò in due e finse dei conati di vomito, sperando che questo avrebbe allontanato definitivamente tutti i curiosi.
     Stava quasi funzionando, ma in quel momento sentì due suoni che fino a quel momento si era augurata di non sentire in successione: il rombo del motore di una moto e... le urla di Misa.
-Non mi puoi mollare così dopo tutto quello che mi hai fatto passare!- stava gridando la ragazza, sfuggendo da sotto il braccio di Mogi e correndo verso di lei. K vide con la coda dell'occhio l'uomo sulla moto nera alzare una pistola e puntargliela contro, e poi si girò verso Misa. Con uno slancio delle lunghe gambe, si gettò a volo d'angelo sulla ragazza, chiudendo le braccia attorno alla sua testa, e con un colpo di reni si girò di novanta gradi, tenendo forte Misa e atterrando malamente al suolo dando le spalle alla strada, ma con la ragazza riparata dietro dal suo corpo e davanti dal muro dell'Hard Rock Café.
Le urla delle persone fuori dal locale soffocarono l'esplosione del proiettile. Poi, un botto, rumore di freni, metallo contro asfalto, i passi di Mogi che intimava a tutti di rimanere indietro e si parava davanti alle due ragazze. K tentò di ignorare il dolore al braccio e alla coscia escoriatisi contro l'asfalto, e si voltò, nascondendo il volto di Misa nel suo petto. La ruota anteriore della moto era esplosa e il conducente era stato sbalzato in avanti, e ora Mogi lo teneva sotto tiro. Ma gli altri due uomini coi caschi neri si stavano avvicinando con le pistole puntate.
     K estrasse la pistola, mentre Misa cominciava a singhiozzare, cercando di puntare alla gamba di quello più vicino; tentò di calmare il respiro e di scacciare dalla mente gli occhi vitrei e pieni d'odio del trafficante d'armi che aveva ucciso per salvare L.
In lontananza si sentivano le sirene, e tutti i passanti stavano fuggendo in ogni direzione, cercando di rifugiarsi nei locali lungo la strada, quando, uno dopo l'altro, i tre uomini caddero a terra con un gemito.
-Li ho addormentati.- disse Watari alla ricetrasmittente.
K avrebbe voluto alzarsi, ma non poteva lasciare Misa scoperta, perciò intimò a Mogi di disarmarli ed immobilizzarli finché non fosse arrivata la polizia. La ragazza ormai singhiozzava in modo nervoso e scomposto, maledicendo K, L e tutti quanti avessero deciso di punto in bianco di rovinarle la vita.

     Quando Hayer ricevette la chiamata tanto attesa, nel tragitto in taxi dal quartier generale a casa sua, si sarebbe aspettato di udire la voce dei suoi uomini dall'altro capo della cornetta. Già pregustava il momento in cui gli avrebbero comunicato, con finto tono di sconforto, il fallimento della loro operazione. Li immaginava descrivere nei minimi particolari il loro tentativo di rapimento di Banks, che si era malauguratamente concluso con la morte della donna. Era già pronto a mostrarsi infuriato, urlare, minacciarli di prendere seri provvedimenti, per poi chiudere violentemente la chiamata e lasciarsi andare ad un sorriso soddisfatto, un sorriso che gli Hogson non avrebbero potuto percepire dalle registrazioni delle sue chiamate. Ma non fu quella di uno dei suoi soldati la voce che sentì non appena rispose alla chiamata; era William Hogson, il maggiore dei due fratelli.
-Colonnello Hayer.- esordì, con la sua voce melliflua. -Ci è giunta la notizia che i suoi uomini sono attualmente sotto la custodia della polizia giapponese per aver aperto il fuoco contro dei civili.-
Hayer si sentì ghiacciare il sangue nelle vene. Strabuzzò gli occhi e irrigidì il collo, mentre contraeva la mascella, in preda al panico. Si voltò di scatto, come se la catastrofe che stava per abbattersi su di lui fosse effettivamente un'entità visibile alle sue spalle, che inseguiva il suo taxi. Hogson non aveva detto “ucciso”, aveva detto “aperto il fuoco”.
Aprì e chiuse la grossa mano libera, e poi domandò: -Ci sono stati morti o feriti?-
-Solo una gran confusione.- rispose il maggiore degli Hogson. -Però, Colonnello, questa non è la prima volta che i suoi uomini disobbediscono apertamente ai suoi ordini. La sua autorità è compromessa fino a questo punto?-
     Hayer sperava che gli lasciassero tempo almeno fino alla mattina seguente. C'era già più di un compratore interessato alle informazioni che aveva da vendere, e i documenti falsi e il biglietto aereo erano già pronti e al sicuro nella sua valigetta. I suoi uomini avevano fallito. Aveva sperato che, con la morte di Banks, si creasse abbastanza trambusto perché per un po' si dimenticassero di lui, lasciandolo libero di agire.
E invece era andato tutto storto.
Ancora una volta.
     Il taxi stava già rallentando per accostare sul vialetto di casa sua, quando Hayer li vide.
-Colonnello, ma mi sta ascoltando?- domandò la voce di Hogson, infastidita.
Hayer continuò a tenere premuto il telefono contro il proprio orecchio, mentre la paura di poco prima si trasformava in rabbia. Chiuse la mano a pugno, trasse un lungo respiro e squadrò con la dovuta calma le tre volanti della polizia che sostavano nel vialetto di casa sua, coi lampeggianti accesi, mentre il suo taxi rallentava e si spostava lentamente verso destra. C'erano dieci agenti più il commissario.
Il taxi si fermò al cenno di uno di quelli in divisa, mentre il commissario si avviava a passo deciso verso il finestrino dal quale Hayer osservava la scena. Era alto, ben piantato, portava un completo grigio leggero e aveva le maniche tirate su fino ai gomiti; era sulla quarantina, ma aveva il viso ancora giovane e pulito, e capelli castani mossi appena da una leggera brezza. Gli piantò in faccia uno sguardo gelido e tagliente coi suoi occhi azzurrissimi e gli intimò di aprire la portiera, esibendo il suo distintivo.
-Commissario Roger Burton.- esordì, rimettendo a posto il distintivo nella tasca interna della giacca grigia ed estraendo al suo posto un mandato di cattura e uno di perquisizione.
-Lei è sospettato di aver ordito un sequestro ai danni della vita di Kendra Burton, fino ad ora creduta morta suicida.-
     Hayer non accennava a voler aprire la portiera. Ci avevano messo meno del previsto, questo stava pensando, mentre chiudeva con un gesto secco il proprio telefono cellulare e allungava la mano verso la valigetta, dove teneva la pistola. Si maledisse per averla chiusa a chiave lì dentro e non averla infilata nei pantaloni.
Era solo questione di tempo, dopotutto.
Burton custodiva le prove a suo carico da almeno sette anni. Sapeva che sarebbe finita in quel modo, se non fosse riuscito ad ucciderli tutti prima. Eppure, ora che il commissario Burton gli stava di fronte, ripetendogli di aprire la porta, a malapena in grado di controllare la furia che sicuramente lo stava scuotendo dal profondo (glielo poteva leggere in quegli occhi color ghiaccio dalle pupille strettissime, dalle vene pulsanti sul suo collo teso e dal leggero tremore delle sue mani), e Hayer non riusciva ancora a reagire, sentendosi come sospeso tra due realtà, quella in cui stava per essere arrestato e quella in cui usciva sempre vincitore da ogni scontro.
Non poteva finire così. Questo pensava.
     Intanto si erano avvicinati altri due agenti con un paio di manette, aprirono la portiera e gli strapparono di mano la valigetta e il telefono, intimandogli di uscire dall'abitacolo.
Vedere quelle mani estranee avvicinarsi a lui senza un minimo di deferenza fu la spinta che permise ad Hayer di scuotersi dall'apatia in cui era caduto alla vista del commissario Burton. Cominciò ad urlare e a dimenarsi, spingendo via gli agenti, chiudendosi nel taxi ed intimando al tassista di ripartire, mentre premeva la chiusura di sicurezza sulle due portiere posteriori.
Il pover'uomo che lo aveva condotto sino a lì si voltò col terrore negli occhi, ma non accennò a voler rimettere in moto l'auto, per cui Hayer si sporse verso di lui, con l'intenzione di afferrarlo per il collo.
Dalla portiera anteriore destra entrò un altro agente che tentò di fermarlo, Ma Hayer lo colpì in volto con un forte pugno, facendolo indietreggiare; poi si sporse in avanti per chiudere anche quella portiera con la sicura, ma nel farlo mollò la presa sul povero tassista, che venne fatto scendere e allontanare dall'auto.
Rimaneva quindi soltanto la porta anteriore sinistra da chiudere, e, nella confusione, né il tassiste né l'agente che l'aveva fatto uscire avevano preso le chiavi.
Poteva farcela.
     Sfortunatamente il poliziotto più muscoloso di quella squadra di smidollati aveva fatto cenno agli uomini accorsi per cercare di tirare fuori Hayer di stare indietro, e si infilò nell'abitacolo afferrando il colonnello per un braccio. Questi puntò i piedi e si gettò con tutto il proprio peso all'indietro, mentre con la mano libera cercava di afferrare un qualsiasi oggetto pesante. Non ne trovò, ma riuscì a trascinare per intero l'agente grande e grosso all'interno del taxi, alzò il braccio libero, tese l'indice e il medio e caricò il colpo diretto agli occhi del suo assalitore.
Le urla strazianti dell'uomo che rimbombavano nel piccolo spazio chiuso quasi gli ferirono i timpani, e già sentiva gli agenti intorno a sé che si preparavano a sfondare i finestrini, mentre, davanti a lui, stavano cercando di far uscire il loro collega ferito; ma ormai sentiva di avere il controllo della situazione, per cui allungò la mano verso la fondina del poliziotto che giaceva urlante in mezzo ai sedili, con le mani chiuse sul viso, e gli prese la pistola.
     Tuttavia, era stato di nuovo troppo ottimista. Ad un segnale di Burton, tutti gli agenti avevano circondato l'auto, accovacciandosi per non farsi colpire attraverso i finestrini. Aveva spalancato la portiera del conducente e stava alzando ed abbassando la chiusura di sicurezza per far scattare tutte le porte contemporaneamente. Hayer gli puntò contro la pistola, pronto a premere il grilletto, cercando di ignorare le urla del poliziotto sotto di sé.
Ma quel bastardo si alzò di scatto, fulminandolo con uno sguardo iniettato di sangue, afferrò la canna della pistola e la deviò verso il tettuccio dell'auto con una mano, mentre con l'altra faceva scendere un potente pugno sul suo polso, facendogli perdere la presa sulla pistola. Era accaduto tutto in una frazione di secondo, e Hayer non era riuscito a reagire. Il poliziotto gettò l'arma fuori dalla porta aperta di fianco a lui, Burton urlò “Via libera!” ed entrambe le portiere posteriori si aprirono. Hayer tentò invano di togliersi di dosso le mani di quegli agenti che tentavano di trascinarlo fuori dall'auto, ma alla fine si decise a cedere.
Una volta uscito, si guardò intorno, in cerca di una via di fuga, ma i poliziotti erano in troppi, in due lo tenevano sotto tiro con la pistola, mentre uno aiutava l'energumeno ferito agli occhi, un altro teneva al sicuro il tassista, quello che si era beccato il pugno in faccia si tamponava il naso sanguinante mentre tentava di aprire la valigetta che gli avevano sottratto, e uno stava tenendo lontani vicini e passanti che erano accorsi ad assistere alla scena.
Lo stavano tenendo in due per le braccia, ma lui continuava a dimenarsi, cercando di portarsi in una posizione agevole per colpirli ai testicoli. Se dovevano prenderlo, lui avrebbe combattuto fino alla fine, per il suo onore e la sua medaglia, per il suo grado e per tutto ciò che aveva dato al suo Paese.
     Eppure Burton si stava avvicinando, con fare apparentemente calmo e controllato. Hayer si sforzò al massimo per sfuggire alla stretta dei due poliziotti, e riuscì infine a liberarsi, colpendo entrambi alla bocca dello stomaco, per poi gettarsi contro Burton. Ma il commissario si mosse con gesti rapidi e precisi, gli afferrò il braccio e usò lo stesso slancio col quale Hayer gli si stava buttando addosso per farlo girare su se stesso, e infine fargli sbattere violentemente la testa contro il taxi.
-È inutile che ti agiti, bastardo.- gli sussurrò rabbiosamente all'orecchio, con un sorriso inquietante sulle labbra. -Abbiamo i cellulari dei tre assaltatori e i tabulati telefonici, tanto per cominciare. E tu non sai quanti anni sono che aspetto questo momento.-
Gli torse forte i polsi, facendolo urlare di dolore, mentre lo ammanettava.
-Sono stato un tuo bersaglio per quasi sette anni, e ti farò pentire di ogni singolo secondo che hai rubato a me e a tutti gli altri.-

     K e Misa tornarono al quartier generale che era già sera.
Light costrinse L con le minacce ad andare all'ingresso ad accoglierle, rinfacciandogli il fatto che fosse soltanto colpa sua se avevano corso un rischio così grande.
Quando si aprirono le porte scorrevoli, Misa si gettò al collo di Light, piangendo, accompagnata da Mogi, che teneva tutte le loro borse.
-Misa, stai bene?- domandò il ragazzo, abbracciandola. -Avrei dovuto immaginarlo che sarebbe stato troppo pericoloso farti uscire non travestita.-
Erano stati tutti trattenuti dalla polizia giapponese per essere interrogati, e L aveva parlato col capo della polizia per cercare di insabbiare la cosa. Gli aveva rivelato che si trattava di un episodio collegato a quello della sparatoria di due mesi prima, e che vedeva coinvolta una donna che rappresentava una testimone chiave di un caso molto complesso, e solo dopo infinite trattative era riuscito a convincerlo a rilasciare una falsa dichiarazione ai media: quegli uomini avevano come bersaglio Misa Amane da tempo, probabilmente volevano rapirla per conto di qualche ricco pervertito, motivo per cui nei due mesi precedenti la ragazza si era ritirata dalle scene.
L'alternativa sarebbe stata rivelare che Misa era un testimone chiave nel caso Kira, il che avrebbe creato non pochi disagi alla polizia durante le imminenti riprese del film che vedeva Misa come protagonista. Questo piano aveva inoltre il vantaggio di far innalzare il livello di sicurezza dei set su cui Misa avrebbe lavorato, sopperendo in questo modo alla mancanza di personale di sorveglianza della squadra di L. E tutto questo piano era stato preparato da K in un pomeriggio. Quella ragazza sapeva davvero volgere tutto a suo favore.
Il detective stette ad ascoltare in silenzio tutti gli insulti che gli agenti, Light e Misa gli rivolgevano contro, attendendo pazientemente sulla porta.
E finalmente arrivarono.
     Watari reggeva la sua valigetta coi fucili, mentre K era dietro di lui, e saltellava con la parrucca nera in mano. Era ancora truccata, ma teneva i capelli bianchi raccolti in due trecce olandesi, la gonna di pizzo si era lacerata e penzolava da un lato, mentre le calze erano tutte bucate. Aveva il braccio e la gamba sinistra pieni di escoriazioni, le spalle rosse di insolazione, il volto illuminato di una gioia incontenibile.
-Ce l'abbiamo fatta!- urlava. -L'abbiamo preso!-
-Nathalie!- esclamò Matsuda, correndole incontro. -Tutto bene? Ti sei fatta tanto male?-
-Non sono mai stata meglio in vita mia!- rispose lei, abbracciando di slancio l'agente, mentre gli scompigliava i capelli.
Matsuda arrossì violentemente e tentò di balbettare una richiesta di spiegazioni.
-Suppongo voglia dire che è riuscita a far arrestare l'uomo che l'ha tenuta prigioniera per più di sei anni e mezzo.- intervenne L, che osservava la scena a debita distanza, con le mani in tasca.
Ma K non lo stava a sentire, e saltellava sul posto con le lunghe gambe bianche e ferite, sciogliendosi le trecce aderenti alla testa, lasciando che i suoi lunghi capelli bianchi e, ora, setosi e lucenti le ricadessero sulle spalle arrossate in morbide onde ordinate. Saltò al collo di Watari, stringendolo forte, guardandolo negli occhi con sguardo follemente felice e pieno di gratitudine, e poi abbracciò anche gli altri agenti.
Infine lo raggiunse, col sorriso più dolce che il giovane riuscisse a ricordare, con le braccia aperte, e la pelle che sicuramente odorava di crema solare; quell'odore allo stesso tempo dolce e fresco che gli era mancato sentirsi addosso ogni mattina, in quegli anni.
-Sei pregata di non invadere il mio spazio personale.- le disse, indietreggiando.
Aveva rischiato di farla morire. E tutto per fugare ogni dubbio su un qualsiasi tipo di legame tra loro. Ma lei ora lo stava stringendo a sé, con quella pelle profumata che scottava, con le braccia e le spalle che tremavano.
-Concedimelo.- gli sussurrò all'orecchio, con voce rotta dall'emozione. -La mia famiglia... avrà giustizia...-
L era rimasto immobile al suo posto, con le mani in tasca. Si voltò leggermente verso gli agenti ancora scossi dall'esuberanza di K ed esclamò: -Qualcuno me la toglie di dosso?-
     -Quanto sei antipatico ultimamente, Ryuzaki.- rise Light, tastando delicatamente la spalla di K e aprendo poi le braccia. L vide per un istante il sorriso sulle labbra della giovane spegnersi, e strinse forte i pugni nascosti nelle tasche.
No.
Questo non lo doveva fare.
Lui era l'assassino di Bjarne.
Con quale diritto ora voleva prendere tra le braccia la donna che aveva privato di Bjarne, la persona più importante della sua vita?
-Come ti sei ridotta così?- domandò Light, dopo averla liberata dalla stretta.
-Tentavo di proteggere Misa da una pallottola.- rispose candidamente K. -A quanto pare, prendermi pallottole al posto di gente che non mi sopporta è diventata la mia specialità.-
Poi si voltò verso gli altri e domandò a gran voce: -A chi altri di voi sto antipatica? Aizawa? Bene, Aizawa, la prossima pallottola me la prenderò al posto tuo.-
Tutti scoppiarono a ridere.
Eppure non era giusto. Quello doveva essere probabilmente il momento più felice nella vita di K, un momento che avrebbe dovuto passare assieme alle persone davvero meritevoli del suo abbraccio. E invece lei era lì, assieme all'assassino di suo fratello, lontana dal padre che non considerava tale, ma a cui voleva bene, lontana dalla famiglia di Bjarne, divisa per sempre da quel fratello che aveva sempre significato tutto per lei... e anche così lontana dallo stesso L. Si trovavano nella stessa stanza, ma non potevano essere più lontani.
-Grazie...- disse ad un tratto Misa, avvicinandosi a K con lo sguardo basso. -Per avermi salvata, intendo.-
Lei le diede una pacca sulla spalla.
-Sei un testimone chiave, Misa Misa, non potevo rischiare che ti torcessero anche solo un capello!- rise.
     L guardò K continuare a sorridere, anche se in quel momento il pensiero di Bjarne e di chi glielo aveva portato via le avrebbe probabilmente fatto salire le lacrime agli occhi, se solo fosse stata libera di piangere.
E L si ritrovò a pensare che era un bene che Light lo avesse preso a pugni in faccia, poiché in quel modo nessuno avrebbe fatto caso ai suoi occhi rossi e gonfi che si facevano sempre più lucidi, mentre guardava quella ragazza bellissima ed indomabile che festeggiava la propria vittoria. Giustizia sarebbe stata fatta. Una giustizia vera, conquistata con le proprie lacrime, col proprio sudore, col proprio sangue. Letteralmente. Giustizia per coloro che avevano sofferto, e per coloro che non c'erano più.
L non ricordava il momento in cui aveva smesso di perseguire la Giustizia per il bene delle persone, e aveva invece cominciato a farlo per nutrire il proprio ego.
Forse, in fondo in fondo, nemmeno lui meritava l'abbraccio di K.

Note

     Siamo quasi al termine della Parte II. Originariamente la mia fanfiction era lunga 117 pagine Word ed era divisa in tre parti, ora siamo già a 207 pagine e le parti diventeranno quattro. Mi rendo conto che stia diventando lunghissimo e pesante, perciò mi scuso con coloro siano riusciti a resistere fino a qui, ma ci sono tantissime cose che vorrei raccontare e temi che vorrei approfondire.
    Dal momento che è cominciata la sessione estiva all'università, è possibile che non riesca ad aggiornare ogni lunedì, anche perché mi ritrovo ad un punto in cui devo effettivamente scrivere interi capitoli da zero (quello che avete appena letto è uno di questi). Il prossimo, in ogni caso, sarà intitolato "Dei Delitti e delle Pene" (esatto, l'opera di Cesare Beccaria). Spero di poterlo scrivere e revisionare entro lunedì prossimo!
     Un saluto e un sentito grazie a chi mi sta leggendo!

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Capitolo 19
*** Capitolo 16 - Dei Delitti e Delle Pene ***





Capitolo XVI

Dei delitti e delle pene


     I festeggiamenti non durarono a lungo. La mattina seguente Aizawa stava già protestando a causa del fatto che K si ostinava a non volerli mettere al corrente dei retroscena dell'arresto, insistendo sul fatto che anche loro erano stati vittime di quella persona la cui identità K non voleva svelare. Lamentele che erano cominciato dal momento stesso in cui lei li aveva raggiunti, nella tarda mattinata, scendendo le scale con passo allegro e leggero, canticchiando a bocca chiusa, con una camicetta senza maniche che lasciava visibili le medicazioni alle escoriazioni sul braccio sinistro (per precauzione legato di nuovo al collo per evitare di affaticare troppo la spalla, non del tutto guarita ancora dalla pallottola di due mesi prima), e con lunghi pantaloni blu a vita alta e dal taglio morbido, che facevano sembrare le sue gambe perfette ancora più lunghe. I capelli bianchi non erano più scompigliati e ribelli, bensì morbidi e lucenti, e le ciocche ora ben definite si arricciavano naturalmente in blandi boccoli.
L aveva sempre immaginato che, se non fosse nata albina, K sarebbe stata la tipica irlandese rossa di capelli, con le lentiggini e gli occhi chiari. La notte di quel lontano 8 novembre di quasi sette anni prima (in cui, in preda al panico, alla frustrazione e alla paura dell'abbandono, aveva graffiato con le unghie la punta del preservativo, prima di metterselo), aveva pensato che gli sarebbe piaciuto avere una bambina con capelli rossi ricci e ribelli, e tante lentiggini sul viso ovale, come quello della mamma. Ricordava di aver immaginato quel viso in modo così vivido, che quando poi si era trovato di fronte Nate River non aveva avuto alcun dubbio sulla sua identità. Non poteva essere altri se non suo figlio. Loro figlio.
     K aveva sceso le scale e li aveva raggiunti, salutandoli con un largo sorriso, e subito dopo Aizawa aveva domandato, in modo abbastanza provocatorio ed impaziente, di essere messo a parte dei dettagli dell'arresto. Cosa che lei si era rifiutata di fare, rispondendo anche in modo gentile, e senza perdere per un solo istante il buonumore. L la sentiva parlare alle proprie spalle, mentre scorreva annoiato le notizie che apparivano di ora in ora sui decessi ricollegabili a Kira.
Non era ancora riuscito a riprendersi dall'angoscia che lo aveva attanagliato nei due giorni precedenti; il fatto che K avesse voluto mettere in pericolo la propria vita solo per tenere il punto era un atteggiamento tipico di lei, ma L non aveva mai avuto così tanta paura di perderla dal giorno in cui aveva insistito per farsi fare prigioniera da quei trafficanti di armi del Nevada. All'epoca, lui non aveva né l'esperienza, né i mezzi, né l'autorità per fermarla e per intervenire, ma ora che possedeva tutte queste cose... non era comunque riuscito a fare nulla.
     Era fermamente convinto di essere pronto a qualsiasi cosa, pur di tenere al sicuro lei, Watari e Near. Qualsiasi. Compreso il non trovare mai il nuovo Kira. Sarebbero morte centinaia, migliaia di altre persone, ma se avesse preso il nuovo Kira, Light avrebbe recuperato i ricordi, e i poteri. Non vi erano dubbi su questo, era palese che questo fosse esattamente il piano architettato da Light prima di farsi imprigionare.
Non poteva permettere che questo accadesse: Watari e K sarebbero stati in pericolo. Lui stesso? Per quanto l'idea di morire non gli piacesse per nulla, la sua vita faceva parte del prezzo che era disposto a pagare per la salvezza degli altri.
Lanciò un'occhiata a Light. Una parte di lui lo odiava per ciò che rappresentava, ma un'altra parte lo ammirava per lo stesso motivo. Certo, sarebbe stato bello poter salvare anche lui e Misa da Kira. O, per meglio dire, da loro stessi.
Eppure si rendeva conto del fatto che quella non fosse un'opzione da contemplare: in primo luogo, l'esistenza stessa di Kira era un pericolo per le fondamenta della società, per la sopravvivenza delle istituzioni e dei valori morali che regolano la vita collettiva in ogni tipo di civiltà; in secondo luogo, vi erano i crimini da Kira commessi, che in quanto tali esigevano la punizione del colpevole; in terzo luogo, Kira era un pericolo anche per le persone innocenti, come Bjarne, il loro agente Ukita, Naomi, il suo fidanzato e gli altri agenti dell'FBI e chiunque osasse intralciare il suo cammino; ultimo, ma non ultimo, almeno per L, era il fatto che il mistero che avvolgeva Kira fosse un indovinello da risolvere. E, in quanto studente della Wammy's House, risolvere gli enigmi era il suo unico Credo. Magari non condivideva la visione idealistica e decisamente romantica che K aveva sulla giustizia, ma il suo fine era lo stesso: la Giustizia, appunto.
     -Quello che non capisco...- intervenne Matsuda, interrompendo il filo dei pensieri di L. -...è come mai sei così decisa a tenere segreta l'identità di queste persone che ti hanno fatto del male. Non vorresti vederle pagare per i crimini commessi?-
L staccò la mano dal mouse e la appoggiò sulle ginocchia, che aveva, come suo solito, raccolto contro il petto, e si mise ad ascoltare. Anche Light, seduto accanto a lui, si era voltato.
-Questo è ovvio.- rispose K, risistemandosi la fascia che le reggeva il braccio sinistro. -Ma, dal momento che noi non siamo Kira, lascerò che sia una giuria a condannarli. Se diffondessi le loro identità, Kira farebbe il suo solito lavoro, ovvero quello di giudice, giuria e boia, e io non voglio essere sua complice.-
Si avvicinò quindi al tavolo di fronte ai monitor, prese una sedia girevole e si sedette di fianco a L.
-Inoltre...- aggiunse, tirando fuori una tastiera e un mouse dal ripiano scorrevole sotto il tavolo e cominciando a fare ricerche in rete. -Ho dei motivi più personali per voler tenere al sicuro la persona che ha mandato Grumann, Dale e Barnes a sorvegliarci e a tentare di ucciderci. Insomma, penso semplicemente ai miei interessi, non è che voglia a tutti i costi fare una campagna contro la pena di morte.-
-Capisco tu sia americana.- intervenne allora Aizawa. -E so che da voi ci sono molte discussioni per abolire la pena di morte in tutti gli stati, ma...-
-Il fatto che io abbia delle pistole...- lo interruppe K senza voltarla. -... e che sia solita puntarle addosso alla gente con apparente noncuranza, o il fatto che sia rumorosa, irascibile e decisamente volgare ai vostri occhi, non vuole per forza dire che io sia americana. Il mondo è pieno di persone spiacevoli come la sottoscritta.-
Ridacchiò.
-Ma, vedete, il discorso sulla pena di morte non è solo morale.-
     -Eccola che ricomincia...- bofonchiò L. -Signori, vi invito a lasciare la stanza prima che sia troppo tardi. La vostra collega sa tenere dei comizi molto sfiancanti.-
K si voltò verso di lui e rise di cuore. Poi si alzò dalla sedia e gli diede una pacca sulla spalla con la mano libera dalla fascia.
-Non temere...- disse, sollevando un angolo della bocca in un mezzo ghigno. -Non ti ruberò tempo prezioso e non annoierò i tuoi uomini coi miei discorsi.-
-A me, in realtà, interesserebbe sentire cos'hai da dire, Nathalie.- intervenne allora Light, che aveva voltato la propria sedia girevole in direzione dei due detective caucasici.
L gli rivolse uno sguardo carico di interesse.
-Dopotutto...- riprese il ragazzo, che teneva il gomito sinistro appoggiato alla scrivania e la mano destra sul ginocchio. -Vorrei diventare un poliziotto. Un uomo di legge. E credo che per avere una visione più ampia della giustizia sia necessario conoscere diversi punti di vista.-
K sollevò anche l'altro angolo della bocca, e si batté la mano libera sulla coscia.
-E bravo Yagami!- esclamò, compiaciuta. -Mi piace come ragioni. Mi ricordi un mio ex studente molto promettente.-
Poi si voltò verso gli altri agenti, appoggiando la mano sul fianco.
-Vedete, uno degli scogli più insormontabili che si presentano nel momento in cui si parla di giustizia è la morale. Questo perché la morale, pur essendo parte delle fondamenta di ogni società, è qualcosa di estremamente labile e mutevole. Non solo la morale cambia da epoca storica ad epoca storica, o da società a società, ma addirittura da individuo ad individuo.-
Guardò quindi Light da sopra la propria spalla.
-Il senso di giustizia di un giapponese sarà necessariamente diverso rispetto a quello di un occidentale. Non è strano che un giapponese si tolga la vita per rimediare ad un suo errore, perché c'è un senso dell'onore e della responsabilità nella vostra cultura che un occidentale stenterebbe a comprendere. Ryuzaki riesce a capirlo, e credo in parte lo condivida anche, mentre per me resta un mistero. Come avrete intuito, io e Ryuzaki abbiamo origini simili e abbiamo ricevuto la stessa educazione, eppure il nostro senso della giustizia e la nostra morale è molto diversa.-
L se ne stava rannicchiato e immobile sulla sua sedia, domandandosi se fosse saggio da parte di K confermare tali dettagli sul loro passato.
-Per questo credo che la polarità giusto/sbagliato non sia un criterio utile per valutare cosa sia Giustizia e cosa non lo sia.- aveva intanto ripreso K. -Non è un criterio oggettivo. Non è misurabile. Non è inconfutabile. Prendiamo come esempio l'operato di Kira: è giusto o sbagliato? Inserito in un sistema morale è sbagliato perché uccidere è sbagliato, ma in Giappone la pena di morte esiste, no? E si tratta di una pena di morte inflitta tramite impiccagione e senza che i familiari ne siano informati.-
     Gli occhi di tutti i giapponesi erano puntati contro la giovane, che accompagnava le proprie parole con gesti morbidi della mano.
-Kira uccide in modo altrettanto segreto, ma lo fa tramite arresto cardiaco, un metodo più rapido ed indolore rispetto all'impiccagione. Considerando quindi che Kira è giapponese, o, per lo meno, che vive in Giappone, questo suo modo di uccidere è quasi da considerarsi più umano rispetto a quello adottato dal vostro governo. Scusate la franchezza.-
-La signorina Banks è un'inguaribile idealista.- intervenne allora L, con una nota di irritazione nella voce. -Ed è anche tanto melodrammatica da sembrare uscita direttamente da una qualche patetica opera teatrale.-
-Il tuo contributo a questa discussione è stato molto illuminante, Ryuzaki.- rise lei. Poi riprese. -Se, quindi, l'operato di Kira eguaglia i metodi utilizzati dal governo giapponese per punire i criminali, non possiamo giudicarlo colpevole da un punto di vista strettamente morale: uccidere è sbagliato, ma allora perché lo Stato uccide per punire coloro che uccidono? Questa è un'intima contraddizione della pena di morte. Perciò giudicare Kira in base all'amoralità di ciò che fa è ipocrita, in uno Stato che utilizza la pena di morte.-
Il silenzio nella stanza si era fatto pesante. Aizawa serrava la mascella e i pugni, e il sovrintendente Yagami era visibilmente a disagio. Ma per quanto L odiasse quei momenti in cui K cominciava le proprie crociate sul suo senso della giustizia, quando cercava di convincerlo che ciò che la Wammy's House aveva insegnato loro era sbagliato, che ciò che faceva lui stesso era sbagliato, in quel momento si rese conto che le parole di K ora non erano rivolte a lui, ma a Light.
K forse voleva tentare di salvare Light da Kira. Forse Light sarebbe stato più disposto rispetto a lui ad ascoltare, probabilmente era questo che K pensava.
-Perciò perché giudichiamo sbagliato ciò che fa Kira? Perché si oppone alle istituzioni. Eppure le istituzioni, per quanto siano necessarie a garantire la sopravvivenza di una società, non sono infallibili. Ciò che secoli fa era giustizia oggi in molti casi ci appare abominevole. È sicuramente utile che un'istituzione preservi se stessa condannando chi si contrappone ad essa, ma possiamo dire con assoluta certezza che sia giusto?-
     Ora gli agenti avevano abbassato lo sguardo. Tutti tranne Light, che guardava senza timore la giovane, con espressione seria, ma con gli occhi castani illuminati da una scintilla di interesse.
-È un ragionamento esatto.- intervenne, facendo voltare K verso di lui. -Ma, come hai detto tu poco fa, Kira fa da giudice, giuria e boia, e si tratta di tre compiti che vanno tenuti separati, per garantire l'imparzialità della sentenza.-
K si aprì in un largo sorriso.
-Ero sicura che avresti sollevato quest'obiezione, Light.- disse, dolcemente. -Significa che hai compreso uno dei nodi più problematici della questione: la parzialità di Kira.-
Tornò quindi a rivolgersi agli agenti.
-Uno dei pilastri fondamentali della giustizia è la sua imparzialità. E ciò non significa soltanto che la legge deve essere uguale per tutti, ma anche che una condanna deve avvenire soltanto nel momento in cui si è a conoscenza di tutti gli elementi. La prima vittima di Kira, ad esempio.-
E così dicendo si voltò verso i computer e andò alla tastiera per visualizzare il file corrispondente.
-Il sequestratore di Shinjuku.- riprese, rimanendo china sulla scrivania a fissare il monitor. -Un uomo che aveva da poco perso il lavoro. La polizia che ha indagato sul caso ha attribuito il suo gesto ad uno stato depressivo. Prima che Ryuzaki facesse risalire la sua morte a Kira, la polizia aveva dichiarato che, dal momento che a nessuno degli ostaggi era stato torto un capello, e tenuto in considerazione lo stato mentale dell'uomo, se non fosse morto ci sarebbero state buone probabilità di riuscire a liberare gli ostaggi e far sì che si consegnasse alla polizia.-
Poi si raddrizzò e si voltò.
-Un uomo che impazzisce perché perde il lavoro e cade in depressione non viene condannato a morte. Non tutti i crimini sono uguali, perciò non tutti i criminali meritano la stessa pena. È a questo che servono la polizia investigativa, i giudici e gli avvocati. Ci si può permettere di giudicare soltanto quando si è dotati di conoscenza, una conoscenza che Kira non può avere.-
-Ma nemmeno le istituzioni possono avere la conoscenza assoluta.- protestò pacatamente Light. -Sarebbe bello poter sapere sempre qual è la verità, ma è impossibile. In quanto esseri umani non possiamo sapere tutto, e in ogni caso esistono sempre delle situazioni in cui le istituzioni falliscono o non ricercano volutamente la verità.-
     Ora tutti gli occhi erano puntati su di Light; soprattutto quelli del sovrintendente, che probabilmente temeva che le parole del ragazzo potessero far aggravare i sospetti su di lui.
-Non voglio assolutamente dire che Kira abbia ragione, questo è ovvio.- aggiunse tranquillo, guardando gli agenti negli occhi. -Ma se l'obiettivo di questa conversazione è stabilire perché stiamo cercando di fermare Kira, non credo che questa argomentazione sia rilevante.-
Poi abbassò lo sguardo.
-Forse non esiste un'argomentazione rilevante.- riprese, leggermente sconsolato. -Nathalie ha ragione. In base a ciò che abbiamo detto, non esistono ragioni per cui l'operato di Kira debba essere considerato sbagliato e quello della polizia debba essere considerato giusto. Né si può dire che le istituzioni siano più in grado rispetto a Kira di perseguire la verità.-
Alzò quindi lo sguardo verso K.
-Perciò... l'unico motivo che giustifica la nostra caccia a Kira è la salvaguardia delle istituzioni? Come hai detto tu quando abbiamo discusso sulla giustizia, prima dell'arresto mio e di Misa, per quanto imperfette le istituzioni vanno salvaguardate perché rappresentano le fondamenta di una società.-
     -Eppure la polarità giusto/sbagliato non è l'unica prospettiva dalla quale è possibile giudicare l'operato di Kira.- riprese K, incrociando le braccia.
L seguiva la scena osservando nel monitor spento il riflesso della stanza e delle persone alle sue spalle. Vide K voltarsi verso di lui con un sorrisetto impertinente.
-Quello che dirò ora farà spazientire Ryuzaki, perché si ricollega alla mia solita arringa sulla pena di morte.-
Il giovane roteò gli occhi.
K si avvicinò alla scrivania e vi si mise a sedere, incrociando le perfette gambe fasciate dai pantaloni blu ad una distanza che L giudicò provocatoriamente troppo ravvicinata rispetto a dove si trovava lui. K si stava divertendo. Era mostruosamente di buonumore, aveva un pubblico da intrattenere e aveva trovato il modo perfetto di stuzzicarlo. Insopportabilmente primadonna. Ingenuamente idealista.
-La pena di morte, e quindi l'operato di Kira, è inutile.-
Gli agenti rimasero interdetti a quelle parole, e poi presero a guardarsi confusamente tra loro.
-L'Europa è l'unico continente al mondo in cui la pena di morte è stata abolita in tutti gli Stati.- riprese la giovane, col suo solito, irritante sorrisetto. -Grazie ad un'opera diffusa in epoca Illuminista, cioè nel diciottesimo secolo secondo il calendario occidentale, un periodo caratterizzato da grandi scoperte scientifiche che portarono ad una rivoluzione del pensiero. Si tratta di un'epoca dominata dalla convinzione che la logica e l'oggettività potessero garantire agli uomini l'accesso alla verità. Perciò, anche la questione della pena di morte venne affrontata in modo quanto più possibile logico ed oggettivo.-
Appoggiò la mano libera sulla scrivania per sostenere il peso della schiena che stava inclinando all'indietro, mentre dondolava un piede nell'aria.
-Quest'opera si chiama “Dei Delitti e Delle Pene”. Ovviamente la visione utilitaristica che viene usata in quest'opera può essere considerata un assolutismo, ma vedrete che questo punto di vista si rivelerà molto più efficace nel giudicare Kira di quanto non riesca ad esserlo quello moralistico.-
Light aveva appena dischiuso le labbra in un moto di sorpresa, per poi inconsapevolmente tendersi in avanti, ascoltando con interesse.
-Possiamo supporre che il piano di Kira sia creare una società libera da ogni forma di crimine, e che per raggiungere questo scopo sia per lui o lei necessario uccidere tutti i criminali per eliminare, in primo luogo, il male dal mondo, e, in secondo luogo, per creare un deterrente per il crimine. Provando a mettermi nei panni di Kira, probabilmente penserei che l'ideale sarebbe quello di riuscire a creare una società di sole persone buone, ma si tratta di un progetto utopistico anche per una persona dotata del potere di uccidere a comando. Difatti, su una popolazione mondiale di sei miliardi di persone sarebbe impossibile per chiunque sapere chi è effettivamente buono e chi non lo è. Più realisticamente, Kira potrebbe voler usare gli omicidi come deterrente.-
Si fermò ad osservare negli occhi il suo pubblico, prima di riprendere.
-Quindi, possiamo ipotizzare che gli omicidi di Kira abbiano una triplice funzione: punizione per chi delinque, prevenzione perché chi delinque non torni a farlo e deterrente per chi vorrebbe delinquere. Il problema di fondo è che l'omicidio si rivela inutile in tutti e tre i casi.-
     Ruotò le gambe che teneva accavallate e scese dalla scrivania dandosi una spinta col braccio buono.
-Teniamo a mente una cosa fondamentale: Kira può uccidere solo conoscendo nome e volto delle sue vittime, perciò il criminale deve essere stato riconosciuto dalla polizia in quanto tale. Si presentano quindi tre casi: che il criminale sia stato arrestato, che sia ancora sotto processo o che sia latitante. Ora consideriamo il primo punto: punizione per chi delinque. Se il criminale è stato arrestato, la punizione gli spetta già, perciò l'azione di Kira è inutile. Se è sotto processo, esiste la possibilità che sia innocente, e in quel caso l'azione di Kira sarebbe dannosa, oppure che sia colpevole, e che quindi debba venire arrestato, per cui la punizione già esiste, e l'azione di Kira è inutile. Se è latitante, ma non è ancora stato sottoposto a processo, si presenta lo stesso problema. Solo nel caso in cui il latitante sia stato giudicato colpevole l'azione di Kira è utile, ma non tanto come punizione quanto come prevenzione.-
Aizawa, per la prima volta da quando K si era presentata quella mattina a lavoro, sembrava aver messo da parte il suo atteggiamento aggressivo, e aveva un'espressione dubbiosa sul volto incupito. Seguiva il ragionamento della giovane annuendo di tanto in tanto, concentrato.
K continuò, scostandosi una ciocca di capelli setosi dal volto.
-Se però vogliamo prendere in considerazione la prevenzione, dobbiamo tenere conto di ciò che abbiamo detto: se un criminale è già dietro le sbarre, la prevenzione di crimini futuri tramite omicidio è inutile; a meno che, non so, la pena sia troppo corta e il colpevole possa uscire di prigione. Se invece è latitante e giudicato colpevole, la sua azione potrebbe essere utile. E badate bene, sto volutamente escludendo le questioni morali e mi sto concentrando solo sul piano utilitaristico. Non credo ci possano essere grosse obiezioni se consideriamo la questione esclusivamente dal punto di vista della logica.-
     Si fermò un attimo e si voltò per cercare un bicchiere in cui versarsi un po' d'acqua. Lo prese e ricominciò a parlare, mentre andava verso il carrellino portato da Watari per prendere la brocca d'acqua.
-Probabilmente l'aspetto del piano di Kira che dovrebbe agire su scala più ampia è quello dell'effetto deterrente sui possibili criminali. Abbiamo infatti detto che su una popolazione di sei miliardi di persone sarebbe impossibile riuscire a venire a conoscenza di ogni crimine, e quindi punire ogni criminale, perciò sarebbe più utile riuscire ad instillare nei possibili criminali il terrore della morte di modo che si persuadano a non delinquere. Che è poi il motivo principale per cui le esecuzioni capitali venivano fatte in pubblico.-
Si versò l'acqua e riprese.
-Ma è proprio qui che sta l'errore di valutazione.-
Bevve un sorso mentre guardava gli agenti, in piedi a pochi passi da lei.
-Perché, in percentuale, sono estremamente in pochi coloro che decidono di delinquere tenendo in conto la possibilità di venire scoperti, condannati e messi in prigione. La maggior parte delle persone ha già abbastanza paura del carcere da decidere di delinquere con la certezza di non venire catturatia. E in un mondo dominato da Kira, la cattura dei criminali non dipenderebbe dalle capacità di Kira, ma da quelle della polizia locale; solo in seguito all'identificazione del criminale Kira sarebbe in grado di ucciderlo. Eppure, quanti distretti di polizia al mondo sono famosi per un'efficienza del cento percento proprio apparato? Stiamo comunque parlando dell'ordine di miliardi di possibili delinquenti. Quante possibilità ci sono che, con tutti i crimini che vengono commessi ogni giorno, una percentuale maggiore al cinquanta percento di chi li commette venga identificato? Anche supponendo che Kira possa in futuro tenere in scacco gli organi di polizia e di informazione di tutto il mondo, e venire quindi immediatamente a conoscenza di ogni criminale identificato, non potrebbe mai uccidere ogni persona che commette un crimine.
E il criminale, o il potenziale criminale, fa esattamente questo ragionamento, e in genere ritiene di poter ricadere nella percentuale di coloro che non vengono catturati. Dopotutto, chi delinque lo fa perché si crede più intelligente, più furbo del sistema. Che motivo avrebbe, diversamente, di correre il rischio della condanna, per lieve che sia? Perciò l'azione di deterrente da parte di Kira sarebbe estremamente limitata.-
     Finì di bere, posò il bicchiere sul carrellino e tornò verso la postazione dei computer, rimettendo a posto la propria sedia sotto il tavolo.
-Non è tutto.- riprese. -Ci sono altri elementi che qualificano l'azione di Kira come inutile o potenzialmente dannosa.-
Schioccò la lingua e rimase per qualche secondo a guardare gli agenti, come accorgendosi per la prima volta in diversi minuti che erano persone, suoi colleghi, e non una platea indistinta.
-Ma per l'amor del cielo, sedetevi, vi prego!- esclamò. -Non dovete certo stare in piedi ad ascoltarmi!-
-Questa sala è stata progettata male.- intervenne allora Light, girando un poco la propria sedia. -Non c'è un tavolo attorno a cui stare per discutere guardandosi negli occhi. O stiamo tutti seduti qui dai computer, o necessariamente chi lavora qui dà le spalle agli altri.-
K si voltò verso L con uno sguardo di rimprovero.
-Mi chiedo chi abbia fatto i progetti.- sibilò, incrociando il braccio destro sotto al sinistro, sostenuto dalla fascia.
L continuò nella sua occupazione primaria di fingere di ignorarla, e per tutta risposta si alzò dal proprio posto, con le mani in tasca, tirando Light per la catena, diretto verso il carrellino a prendersi un bicchiere di spremuta o una tazza di tisana, le uniche cose che quella dannata sadica gli permetteva di bere nella sua assurda crociata contro la sua dipendenza da glucosio e caffeina.
-In ogni caso...- riprese lei, voltandosi di nuovo verso i poliziotti giapponesi. -Volevo che consideraste in primo luogo un elemento che si è già rivelato fondamentale nell'ascesa di Kira. Internet. Considerate che lo stesso nome di Kira viene da internet, da forum su cui le persone scrivono in forma anonima. Internet permette il diffondersi di notizie e false notizie ad una velocità spaventosa, e sono già nati diversi forum a sostegno di Kira. Pensate quale impatto potrebbe avere in futuro la rete nei piani di Kira: una persona che ha troppa paura di denunciare un'aggressione, una violenza, uno stupro, potrebbe farlo in forma anonima su internet, fornendo a Kira i dettagli che diversamente darebbe alla polizia. Secondo la nostra ottica utilitaristica, ciò sarebbe un bene, giusto? Tuttavia, senza la mediazione della polizia che indaga, degli avvocati che raccolgono le prove e dei giudici che mettono insieme tutti gli elementi, quante possibilità ci sono che i fatti vengano alterati e le prove inquinate?-
Fece una pausa ad effetto, mentre L brontolava, versandosi un infuso di chissà quali erbe, fiori, frutti o altro nella sua tazza di porcellana.
-Pensateci, i rischi sono notevoli.- continuò K. -Potrebbero venire usati video o foto contraffatte, messinscene, false accuse, false testimonianze, e Kira non potrebbe mai sapere se si tratta o meno di crimini reali. Penso soprattutto ai giovani, agli adolescenti, nei loro periodi di maggiore stress e crisi emotive: una ragazza lasciata dal suo ragazzo che inventa una storia di violenza per vendicarsi di lui, o fa cadere accuse pesanti sulla sua nuova ragazza perché venga uccisa; un ragazzo insicuro preso costantemente in giro che inventa sevizie mai ricevute per far uccidere chi lo tormenta, o viene rifiutato da una ragazza per cui ha sviluppato un'ossessione e fa di tutto per farla uccidere...-
     Il sovrintendente aveva un'espressione affranta, e si allentò il nodo della cravatta.
K fissò lo sguardo su di lui, prima di riprendere.
-A livelli più alti, c'è anche la possibilità che qualcuno riesca a manomettere i siti di informazioni o della polizia e inserire falsi articoli o false schede di criminali, solo per far uccidere un personaggio scomodo. O che si sfrutti internet per far girare bufale ben costruite. Kira non si avvale dei canali istituzionali per amministrare la sua giustizia, quindi sarebbe propenso ad utilizzare queste fonti non convenzionali per trovare nuove vittime. Ma come potrebbe discernere le denunce reali da quelle false? Come potrebbe agire se almeno due miliardi di persone al mondo hanno accesso ad internet? Non potrebbe ignorare questo fenomeno, perché Kira è vanitoso, e desidera l'appoggio delle persone. Si crede un dio magnanimo, non il fautore di una dittatura del terrore. Senza contare il fatto che questo pericolo non si presenta soltanto per quanto riguarda i forum su internet, ma all'interno della polizia stessa.-
Il sovrintendente e Matsuda sussultarono.
-Cosa vuoi dire con questo?- domandò Matsuda, con crescente disagio.
K accennò un sorrisetto.
-Vi chiedo: in un anno, quanti esponenti della Yakuza, diciamo dei pesci grossi, vengono arrestati e processati qui in Giappone?-
Vi fu un lungo silenzio. Tutti avevano lo sguardo rivolto verso il basso, finché Aizawa prese il coraggio di rispondere.
-Decisamente pochi, purtroppo.-
K annuì.
-E, sempre in un anno, quanti presunti esponenti della Yakuza, tra pesci piccoli, corrieri, spacciatori locali o persone non informate dei fatti, vengono arrestati ogni anno? Solo arrestati, non processati.-
Questa volta fu il sovrintendente a rispondere, deciso.
-Un numero molto maggiore.-
-E di questi...- riprese K, posando il suo sguardo rosato su ognuno degli agenti. -... quanti si rivelano essere una falsa pista, o quanti si rivelano essere persone innocenti incastrate dalla Yakuza?-
Di nuovo sul volto degli agenti si dipinse un'espressione affranta.
-Vorresti dire...- intervenne allora Light, con voce ferma, in piedi a pochi passi da L. -Che Kira non sarebbe comunque in grado di fermare grandi criminali, perché questi hanno i mezzi per depistare le indagini o far condannare innocenti?-
K si era voltata verso di lui, e annuì, grave.
-È pur sempre vero che esistono capi mafiosi o di altre organizzazioni criminali i cui nomi e volti sono noti a tutti, ma che la polizia non può arrestare per motivi legati alla corruzione o per pressioni del governo. Kira potrebbe sicuramente uccidere queste persone. Ma si tratta solo della punta dell'iceberg. Là fuori il mondo è pieno di organizzazioni estese e complesse i cui membri non hanno mai nemmeno ricevuto una multa, figuriamoci un arresto.-
L la guardava con la coda dell'occhio e vide le sue dita stringersi saldamente attorno alle braccia conserte, mentre le pupille si stringevano e gli occhi viravano verso il rosso.
-Queste persone sono in grado di corrompere la polizia o creare false prove per far incastrare innocenti. E Kira non lo può sapere.-
     L notò la sua mascella che si serrava e la sua voce che diventava progressivamente più roca, come se stesse soffocando un ringhio sordo nella gola. Ma poi si fermò, chiuse gli occhi ed inspirò. Sciolse le braccia e fece ricadere il destro lungo il fianco, e poi riaprì gli occhi e continuò.
-Questi elementi dovrebbero dimostrarvi come l'azione di Kira sia potenzialmente dannosa. Perciò, tornando al discorso iniziale, utilizzando questo approccio utilitaristico, se facciamo una lista dei pro e dei contro, scopriamo che l'operato di Kira è inutile. E se la giustizia di Kira è inutile, allora non può essere giustizia.-
-E a cosa è servito?- protestò quindi Aizawa. -Nessuno di noi ha alcun dubbio sul fatto che Kira vada fermato!-
-È vero che vi ho rubato tempo con un'arringa che con voi non aveva nulla a che vedere.- ribatté lei, tranquilla. Poi si voltò verso Light. -Ma, dal momento che le probabilità che Light sia stato il primo Kira, e che questi abbia agito secondo il senso morale di Light, nello sventurato caso in cui lui dovesse tornare sotto il controllo di Kira, voglio che tenga a mente ciò che ho appena detto.-
Poi sospirò sonoramente, girò la sua sedia verso di sé e vi si buttò malamente, appoggiando il gomito sul tavolo e inclinando la schiena fino a lasciar cadere la fronte sulla mano dritta ed aperta a suo sostegno.
-Se Kira avesse coscienza del pericolo che rappresenta per persone innocenti usate in modo crudele da chi sta troppo in alto per poter essere arrestato, e così evitasse di intraprendere ogni strada che possa portare ad ucciderle, allora, anche se dovessimo morire tutti quanti, almeno sarei riuscita a salvare qualche vita, e sarebbe comunque una vittoria. Avrei comunque fatto il mio lavoro.-
-Ma che sciocchezze!- protestò Aizawa, con tono infastidito. -Light non ucciderebbe mai degli innocenti, anche ammesso che possa essere Kira, se, come hai detto tu, Kira agisce secondo la morale della persona che “possiede”.-
Fece poi un passo in avanti e alzò il tono di voce.
-E comunque si tratta di una tesi ancora tutta da dimostrare!-
Il buonumore di K era ormai svanito, e pareva che d'un tratto si fosse ricordata di essere estremamente stanca. Di lottare, di discutere, di lavorare, di vivere. L l'aveva vista troppo spesso ridursi ad uno stato simile, e quasi quasi cominciava a provare pena per i giapponesi, che ignoravano il pericolo, che ignoravano la tempesta che si sarebbe potuta abbattere su di loro in ogni momento.
Ma K guardò solo leggermente storto il suo collega, per poi voltarsi verso i monitor.
-Non voglio ripetere tutti gli elementi a carico della colpevolezza di Light e Misa. Sono fatti incontrovertibili e la vostra ottusa ostinazione ad ignorarli non cancellerà la loro esistenza. E comunque il primo Kira ha già ucciso degli innocenti. Gli agenti dell'FBI, tanto per cominciare, con l'assoluta consapevolezza del fatto che l'unico crimine che avrebbero commesso era quello di aver voluto indagare su di lui.-
Appoggiò sul tavolo anche il braccio fasciato e legato al collo, e cominciò a tamburellare nervosamente con le dita.
-Senza contare gli innocenti che ha ucciso in modo inconsapevole. Non so quanti siano, non ho ancora avuto modo di scoprirlo, ma so che ci sono.-
-E cosa te lo fa dire con tutta questa sicurezza?- rincarò la dose Aizawa in tono provocatorio, avvicinandosi di un altro passo.
     K continuava a reggersi la testa col braccio appoggiato al tavolo, ma diresse il proprio sguardo verso Light, che stava tornando a sedersi assieme a L e alla sua tazza di infuso non meglio identificato.
-Non hai ricordato nulla di quanto accaduto la sera della sparatoria, dopo che Misa se n'è andata?- gli domandò, ignorando Aizawa alle sue spalle.
L si sentì venir meno. Non voleva davvero rivelare a tutti... No. Forse aveva capito il suo piano. Forse aveva dirottato fin dall'inizio la conversazione in quella direzione a quell'unico scopo. Guardò Light seduto accanto a sé, e notò che gli si era illuminato lo sguardo.
-Intendi... riguardo alla telefonata? Al messaggio che solo il vero Kira avrebbe potuto interpretare?-
Alle loro spalle, Matsuda e il sovrintendente bisbigliavano confusi.
K sostenne per un po' lo sguardo di Light, poi scrollò le spalle e chiuse gli occhi.
-Immagino a questo punto sia inutile tenervelo nascosto.- disse, piano.
-Hai chiamato a casa mia quella sera...- intervenne Light, serio. -... perché sapevi che avrebbero mandato la notizia di un arresto fasullo, e pensavi di poter salvare una persona innocente distogliendo la mia attenzione dal notiziario.-
Si portò una mano al mento, mentre continuava a parlare.
-Non era solo una prova per stabilire la mia colpevolezza. No... Volevi guadagnare tempo. Sapevi che il quartier generale era in pericolo e non potevano aiutarti. Volevi guadagnare tempo fino a che non fossi riuscita a far intervenire L, magari per bloccare le informazioni.-
Si alzò in piedi, facendo tintinnare la catena, e appoggiò la mano che teneva sul mento sul tavolo.
-La tua famiglia era in ostaggio, e quella sera gli uomini per cui eri costretta a lavorare volevano farti fuori.-
Cercava di parlare in tono calmo e naturale, ma sul suo viso trasparivano i segni di una crescente angoscia.
-È davvero come penso, Nathalie?- domandò infine. -Hanno arrestato gli ostaggi con false accuse e li hanno trasmessi ai notiziari perché Kira li giustiziasse?-
Alle loro spalle si alzarono gemiti di sgomento, ma poi si zittirono tutti, e calò un pesante silenzio nella sala.
-Un solo ostaggio.- disse K, secca. -C'era un solo ostaggio. Avevano già distrutto tutta la mia famiglia, ma non era abbastanza. Sapevo troppo.-
Sospirò. -Noi due... siamo stati ostaggio di quelle persone per più di sei anni. Avevano paura che avessi avvertito L. E così mi hanno fatto assistere in diretta alla sua morte.-
Alzò la testa dalla mano, che si passò tra i capelli bianchi.
-Mi avevano già portato via tutti, non mi era rimasto altro da proteggere, eppure non ce l'ho fatta.- sospirò. -Perciò se esistesse anche solo una possibilità che Light sia Kira e torni ad essere Kira, vorrei che lo sapesse. Vorrei che sapesse che uccide innocenti. Vorrei che sapesse che quello che fa è inutile e non è giustizia.-
     Calò di nuovo il silenzio nella sala. Light stringeva i pugni e aveva lo sguardo basso, Aizawa si era ricomposto e si era allontanato. Dopo qualche istante, Matsuda prese coraggio e andò da K, poggiandole delicatamente una mano sulla spalla.
-E sei venuta da noi al quartier generale nonostante avessero fatto giustiziare una persona a te cara?- domandò, con voce addolorata.
K non si voltò.
-Come ho già detto... riuscire a salvare almeno una vita per me significherebbe aver fatto il mio lavoro.-
-E da allora hai continuato a lavorare a due casi contemporaneamente, senza mai fermarti, quando chiunque al tuo posto probabilmente non sarebbe nemmeno riuscito a trovare la forza di alzarsi la mattina.- continuò il giovane.
-Lavorare mi impedisce di pensare.- tagliò corto lei. -Di realizzare. È una vigliaccata, ma è più semplice.-
-Sei da ammirare.- insistette Matsuda, il cui tono di voce si stava facendo più basso.
-Ne sei sicuro?-
K si era voltata di scatto con uno sguardo di fuoco nei grandi occhi.
-Ho messo in pericolo delle persone innocenti con le mie indagini, persone che oggi potrebbero ancora essere vive, o che avrebbero vissuto una vita migliore se io non avessi voluto egoisticamente risolvere il caso da sola.-
Si fermò e non si mosse, ma L sentiva che, in cuor suo, K si stava voltando verso di lui, con un'espressione di dolore e rimorso dipinta sul volto delicato. Non era colpa sua, pensava L. Ma sapeva anche che lei non sarebbe riuscita a perdonarselo.
-Avrei potuto lasciare il caso in mano a professionisti estranei alla vicenda. Farmi mettere in un programma di protezione testimoni.- riprese la giovane. -E invece mi sono imbarcata in una crociata personale contro queste persone, coi risultati che avete visto.-
Si alzò in piedi e guardò Mogi, Aizawa e Yagami.
-Siete stati aggrediti e minacciati da tre criminali armati, e per cosa? Perché volevo sanare il mio senso di colpa essendo io stessa a catturarli.-
Distolse lo sguardo, e con la mano destra prese a massaggiarsi la spalla ferita dal proiettile.
-Questa non è giustizia, è solo un'altra forma di egoismo e vanità. Non sono migliore di Kira, o di Ryuzaki, che critico così tanto. So di essere idealista, e mi rendo conto che gli idealismi, da che mondo è mondo, hanno sempre ucciso delle persone. Non sono riuscita ad evitare che le mie azioni costassero care a me e alle persone che mi circondavano, per questo vorrei impedire ad altri di cadere nell'errore di credere di possedere la risposta definitiva su cosa sia la giustizia.-

     Solo quando salirono nel loro appartamento per pranzare, Light si decise finalmente a parlare apertamente a Ryuzaki. Il dubbio lo aveva attanagliato per ore, ma era cosciente di non poter tirare fuori la questione davanti agli altri agenti.
-Nathalie... o, meglio, K...- cominciò, non appena si chiusero la porta alle spalle. Guardò il suo compagno dritto negli occhi stralunati. -Ha un figlio, o una figlia, non è vero?-
Ryuzaki si stava mordendo l'unghia del pollice, e non batté ciglio.
-È vero che è stata lei ad addestrarmi, ma è stato tanto tempo fa.- rispose, tranquillo. -Cos'abbia fatto nel frattempo, non lo so.-
Light cominciava ad innervosirsi.
-L'altro giorno, con quella maglietta corta addosso, si vedeva una cicatrice sul basso ventre.- insistette. -Era la tipica cicatrice di un parto cesareo.-
-O di una qualche complessa operazione all'utero.- ribatté Ryuzaki, rivolgendo lo sguardo altrove.
-Non provare a fregarmi!- alzò la voce Light, sporgendosi in avanti. -Si vedevano chiaramente delle smagliature sul bacino. So com'è fatta una donna che ha partorito, e so riconoscere una cicatrice da parto cesareo!-
Ryuzaki gli rivolse uno sguardo inquisitore.
-Credi che avrebbero fatto uccidere un bambino o una bambina a Kira?- domandò in tono canzonatorio.
-Finiscila, Ryuzaki.- sbottò il ragazzo, che stava perdendo la pazienza. -È impossibile che l'ostaggio di cui parlava fosse un bambino o una bambina. Ma non mi ci vorrà molto a scoprire di chi si tratta. Quello che voglio sapere...-
-Bjarne Hartford.- lo interruppe Ryuzaki, per poi voltarsi nuovamente a guardarlo. -Tanto entro cinque minuti saresti venuto a saperlo. Watari voleva cancellare ogni traccia di quella notizia, ma ha fatto un tale scandalo che non sarebbe stato possibile.-
Rimase un attimo in silenzio, e poi si lasciò andare ad un sorrisetto inquietante.
-Curioso che tu non lo ricordi... eppure, la notizia è stata trasmessa in Giappone attraverso ogni mezzo di comunicazione.-
Light lo affrontò a muso duro.
-Questo non significa nulla!- esclamò, deciso. -Quella notte mio padre è tornato che era quasi l'alba dicendo che erano stati presi in ostaggio, e che Grumann era morto dopo aver tentato di farli fuori tutti, poi il giorno dopo Misa è stata arrestata, e io ho cominciato a credere di essere posseduto da Kira. Se anche avessero arrestato l'imperatore del Giappone, probabilmente mi sarei comunque scordato di aver sentito la notizia.-
Gli era arrivato a pochi centimetri dal volto, con uno sguardo di fuoco.
-Basta con questi giochetti!- sibilò. -Non penso tu abbia preso dalla tua maestra questo vizio di manipolare le persone, ma di sicuro piace molto ad entrambi.-
     Ryuzaki sorrise di nuovo, e poi si voltò, mettendosi le mani in tasca.
-Quindi l'hai capito?- domandò, con tono ammirato. -Non ti sei fatto fregare come Matsuda dalla sua messinscena.-
-Non credo fosse una messinscena.- ribatté Light, prendendo la catena in mano e tirandosi dietro Ryuzaki mentre andava in cucina. -Sicuramente ha fatto quel discorso per un secondo fine, ma sono certo che il suo dolore fosse reale.-
Aprì il frigo e poi si voltò verso il suo compagno.
-Se fossi stato io Kira, e se tornassi ad esserlo, molto probabilmente non scorderei le sue parole. Vacillerei, non saprei se chi voglio uccidere è davvero colpevole.-
Tirò fuori dal frigo due bento e si spostò verso i cassetti, da cui estrasse una tovaglia e delle bacchette.
-Se quindi cambiassi il mio modo di uccidere, voi ve ne accorgereste, e potreste imputarlo agli effetti che ha avuto il suo discorso su di me, e quindi avere un motivo in più per arrestarmi. E se non lo facessi, allora dovrei convivere con l'idea che non sto agendo secondo giustizia.-
Passò tutto ciò che aveva in mano a Ryuzaki, intimandogli di apparecchiare il tavolo. Il detective lo fece controvoglia.
-Banks è una donna terribile.- disse semplicemente, mentre stendeva la tovaglia.
-Però non hai ancora risposto alla mia domanda.- insistette Light, arrivando coi bicchieri e una brocca d'acqua. -Do per scontato che sia vero che abbia un figlio o una figlia. Supponiamo che questo Bi... questa persona che hai detto tu prima fosse il padre. Quello che voglio sapere è se il bambino o la bambina si trova al sicuro, e perché lei resta con noi ad indagare anziché andare da lui, o da lei, visto che immagino ormai sia l'unica famiglia che le è rimasta.-
Ryuzaki gli prese di mano i bicchieri e li sistemò davanti ai bento, ai due lati opposti del tavolo, e si sedette.
-Ci ha pensato Watari.- disse infine. -E per quanto riguarda la seconda domanda ho già risposto. Banks è una donna terribile.-
Light sospirò.
-Ho capito, non caverò un ragno dal buco tentando di continuare questa conversazione con te.-
Si sedette quindi anche lui.
-Devo dire che, con tutto quello che ha dovuto sopportare, il fatto che sopporti quotidianamente la diffidenza di Aizawa senza protestare probabilmente è più di quanto chiunque riuscirebbe a fare.-
E poi si rabbuiò.
-Inoltre... è convinta che sia io Kira. Perciò vive e lavora a stretto contatto con la persona che crede responsabile della morte di una persona amata.-
Abbassò lo sguardo sul suo bento.
-Eppure, non mi ha mai trattato in modo freddo o aggressivo. Non credo che, se fossi nei suoi panni, riuscirei a mantenere la calma così a lungo.-
Per tutta risposta, Ryuzaki gli intimò di smettere di arrovellarsi e di cominciare a mangiare.
     Light aprì il bento e prese le bacchette in mano, poi abbassò la testa per sentire l'odore del pesce e delle verdure fresche.
-Ryuzaki... non sarai tu, invece, il padre?- chiese ad un tratto, sempre con lo sguardo fisso sul suo pasto.
-Pensi davvero potrei essere il tipo?- domandò di rimando il giovane con tono quasi offeso, mentre addentava il primo boccone di tonno.
-Bah, non lo so...- rispose Light, alzando la testa. -Sei un uomo... lei è una donna... lavoravate insieme... Il fatto che tu sia visibilmente infastidito la maggior parte del tempo che trascorriamo assieme a lei, e la vostra misteriosa differenza di età vogliono dire poco, considerando che ogni volta che ci troviamo con lei in una stanza con delle finestre corri a chiudere le tende perché non entri il sole, e fai in modo che lei si sieda sempre all'ombra.-
E così dicendo lo guardò di sottecchi, ma il suo compagno continuava a mangiare tranquillo e ad osservarlo con occhi vuoti.
Light sbuffò.
-Dico solo che non sarebbe così strano pensarla così.-
Unì le mani davanti a sé e chiuse gli occhi. -Itadakimasu.-

Note
     Vorrei innanzitutto scusarmi con quelle due o tre persone che seguono la storia per il ritardo di quasi due mesi nel caricare questo capitolo. Ho finito di scriverlo poco fa, dopo aver passato tutto giugno e metà luglio a preparare uno dei miei ultimi esami della magistrale. Mi dispiace, ma davvero non sono riuscita a trovare prima di ora il tempo e la calma per sedermi a scrivere.
     Inoltre, mi dispiace che dopo due mesi di assenza il capitolo uscito sia un "mattonazzo". Tuttavia, lo reputo un capitolo importante, perché, come ho detto tramite messaggio privato, il motivo per cui ho scritto questa fanfiction era per "salvare" L dalla sua visione distorta della giustizia, e non per trovargli una fidanzata (anzi, nelle prime versioni c'erano soltanto tre scene vagamente sentimentali e quasi nessun accenno al di fuori di esse alla relazione o ai sentimenti tra i due).  Questa storia è nata da una delle solite discussioni su chi avesse "ragione" tra Light e L, e la mia risposta è sempre stata "hanno entrambi torto, ma L un po' meno". Parte della mia riflessione partiva anche dall'inutilità del metodo di Kira per portare giustizia, riflessione largamente debitrice del capitolo ventottesimo del "Dei Delitti e Delle Pene". Trovavo perciò necessario dedicare alcune pagine a questo tema. Se vi va, fatemi sapere tramite messaggio privato la vostra posizione sul senso di giustizia e i metodi di Light e L, ho sempre trovato queste discussioni molto interessanti!
     Dal momento che mi è stato chiesto, colgo l'occasione per scrivere qui che io non sono K, o meglio, K non è me, e, anche se a volte la uso come portavoce delle mie critiche nei confronti di L, non mi rappresenta, né rappresenta sempre e strettamente quello che penso. È sicuramente un dubbio legittimo, e pensavo potesse essere utile farlo presente.
    Come ultima cosa vorrei dirvi che questa settimana conto di dedicarmi soltanto alla scrittura, perciò spero di riuscire a garantirvi più regolarità nell'uscita dei capitoli anche durante la preparazione degli esami di settembre. Per farmi "perdonare" (parlo quasi come se la mia ff abbia un qualche reale impatto sulle vostre vite, ma l'impegno che mi sono presa nel pubblicarla è l'unica cosa che mi fa continuare a scrivere!) per il ritardo nell'aggiornamento e la pesantezza del capitolo, pensavo di pubblicare la prima one-shot del prequel di questa storia, ma non prometto nulla; in questi giorni sto finendo anche la lore di una mia original.
    Dal momento che sul gruppo Facebook di EFP si parlava delle pagine degli autori, vi lascio qui i link della mia pagina (su cui vorrei postare i disegni che alcuni miei amici hanno fatto su questa fanfiction) e del mio 
profilo  nel caso voleste aggiungermi agli amici. Suggeritemi pure le vostre pagine!
     A presto (lo spero vivamente)!

P.S.: Per quanto litighi con NVU non riesco mai a fare il testo tutto grande uguale. Mi dispiace che ci siano porzioni che per ragioni a me ignote rimangono piccole.

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Capitolo 20
*** Capitolo 17 - Mani insanguinate ***





Capitolo XVII
Mani insanguinate


     Il distretto di polizia di Burton era in completo subbuglio. Tutti gli uomini della sua squadra si muovevano febbrilmente per i corridoi, portando da un ufficio all'altro fax, rapporti, fotocopie, urlando ordini a chiunque fosse a portata d'orecchio. Solo quando passavano davanti alla porta dell'ufficio di Roger abbassavano il tono e misuravano i passi. Nessuno voleva vederlo infuriarsi.
Ad un tratto, gli uomini all'interno dell'ufficio sentirono bussare.
Roger fece cenno con la mano al suo collega, il sergente Schmidt e a J di stare in silenzio, e invitò chi si trovava al di là della porta ad entrare.
Un poliziotto sulla cinquantina fece un breve cenno di saluto, si scusò con voce bassa e profonda per il disturbo, e si avvicinò all'ampia scrivania del capitano per lasciargli due rapporti e svariati fax.
Uscì senza aggiungere un'altra parola.
Roger guardò J, e poi abbassò lo sguardo sui fogli che gli erano appena stati portati.
-Non hanno l'aspetto dei fax con buone notizie.- commentò mestamente.
-Non ho idea di che aspetto possano avere i fax con le buone notizie, ma in questo caso devo darle ragione, capitano.- rispose il sergente.
Roger rimase per qualche secondo ad osservare i fogli che ancora sapevano di inchiostro fresco, non trovando la forza per afferrarli e leggerli. Eppure sapeva che non c'era tempo da perdere.
     La brutta notizia l'aveva data loro Q. Com'era da aspettarsi.
Sul sito della CNN il trafiletto in primo piano recitava “Arrestato membro di associazione filogovernativa per sospetta associazione criminale”. In poche righe, veniva fornito ogni dettaglio utile a condannarlo oltre ogni ragionevole dubbio. “L'ex colonnello Edmund W. Hayer, congedato con disonore, e fino ad ora impiegato presso l'associazione filogovernativa Hogson for Veteran Reintergration, è stato arrestato tre giorni fa a seguito di un'operazione durata mesi volta a rivelare i traffici illeciti della sezione da lui diretta, tra i quali spiccano omicidio, sequestro, tortura, traffico illegale di armi e ricatto.”
Mancava poco ormai al primo notiziario del mattino e, sebbene Q fosse riuscito ad inserire alcuni falsi articoli in primo piano sul sito della CNN, relegando il trafiletto sull'arresto di Hayer a piè pagina assieme ad altre vecchie notizie dal titolo tagliato (per impedire che questa rimbalzasse ovunque), non sarebbe stato semplice convincere i vertici a sospendere la trasmissione della notizia.
Polizia e giornalisti, sebbene entrambi votati alla ricerca della verità, combattevano da sempre una guerriglia continua e sfiancante tra loro: la polizia necessitava di assoluta discrezione per poter portare avanti le proprie operazioni, che spesso duravano anni e presentavano rischi enormi per gli agenti sotto copertura; tuttavia, molto, troppo spesso, il giornalista di turno, alla ricerca dello scoop che gli avrebbe cambiato la vita, rivelava al mondo dettagli che la polizia era riuscita a tenere, con così tanto sforzo, segreti. E così, in nome della libertà di informazione e del dovere morale del mondo giornalistico di rendere tutti partecipi della verità delle cose, la polizia si ritrovava con le proprie coperture saltate, con un gruppo di pesci piccoli dietro le sbarre e coi grandi criminali che si dileguavano dell'oscurità, ancora una volta liberi di agire.
E sembrava che a nessuno interessasse. Tranne quando le operazioni andavano male e gli agenti sotto copertura morivano. Eppure, anche in quei casi, quel tipo di giornalisti se la cavava sempre con poco.
     Roger non ce l'aveva, ovviamente, con la categoria in sé. Conosceva un gran numero di giornalisti che mettevano a rischio la propria vita in operazioni altrettanto lunghe e pericolose, e che non ricevevano quasi credito alcuno per il loro lavoro. Esattamente come i poliziotti. Eppure, il mondo del giornalismo era dominato da squali, e chi voleva fare carriera trovava terreno facile grazie a qualche mazzetta data al poliziotto giusto, pronto a rivelare qualsiasi dettaglio gli fosse richiesto per arrotondare la propria misera paga.
Per questo c'era tutta quella confusione nel dipartimento: tutti i suoi uomini avevano intrapreso l'usuale caccia alle streghe per trovare il venduto di turno. Roger non riusciva pienamente a comprendere il perché di tutto quell'astio: era stato lui ad essere stato velatamente in ostaggio per tutti quegli anni; era stata sua figlia ad essere stata presa come prigioniera e ricattata, la sua vita distrutta, i suoi affetti strappatigli. Forse, pensava Roger, i suoi uomini avevano solo bisogno di trovare un colpevole quanto più possibile vicino, per sfogarli addosso la propria frustrazione cresciuta in quelle settimane di lavoro febbrile, per poi dimenticare tutto, e tornare a lavorare.
Si decise infine a prendere in mano i fax.
Diede solo una brevissima occhiata ad ognuno dei fogli, per poi accartocciarli mano a mano e gettarli nel cestino di fianco alla propria scrivania.
-Tutto inutile.- sospirò infine. -È già tanto se non ci denunciano per aver manipolato il sito della CNN, anche se non ci sono prove che possano ricollegare il fatto a noi.-
Si lasciò cadere sulla propria poltrona, affondando il viso stanco tra le mani. Erano di nuovo rimasti in piedi tutta la notte a lavorare, per cercare di arginare i danni che quella fuga di notizie avrebbe portato.
-E quegli idioti là fuori stanno a scannarsi tra loro.- riprese, con una nota aggressiva nella voce. -Quando è chiaro che siano stati i figli di puttana della Hogson a consegnare il loro uomo alle folle inferocite, per lavarsene le mani. Ora che l'attenzione pubblica si concentrerà sul caso, in mezzo a tutta la confusione riusciranno a fabbricare prove ad hoc per incolpare solo quel bastardo di Hayer.-
Lasciò scivolare le mani lungo il viso.
-E troveranno il modo di incastrare Kendra così che la sua testimonianza perda di credibilità.-
Fissava un punto sul soffitto, sentendo le forze abbandonarlo. Sapeva che tentare di sbattere in galera esponenti di organizzazioni sovvenzionate dallo Stato era un vero e proprio attentato alla propria carriera, soprattutto dal momento che si toccavano temi così delicati per l'opinione pubblica come i soldati, le armi e la guerra, ma non era soltanto per il bene di Kendra che aveva accettato di farsi coinvolgere: sapeva di avere le capacità per affrontare il caso. Se gli fosse andata bene, sarebbe stato il più giovane Capo del Dipartimento che si fosse mai visto a Chicago. Se gli fosse andata male, e fosse stato degradato, avrebbe comunque potuto muovere gran parte dell'opinione pubblica a suo favore; era certo che la sua carriera non sarebbe finita con quel caso. Se gli fosse andata malissimo, e fosse morto... beh, sarebbe potuto morire anche durante una normale ronda di mercoledì pomeriggio, uscendo da una caffetteria ad inizio turno.
     -Se anche non possiamo arginare la fuga di notizie qui...- disse ad un tratto J, muovendosi finalmente dal fondo della stanza e distogliendolo dai propri pensieri. -Possiamo comunque tentare di impedire che in Giappone venga diffuso dai notiziari il nome e il volto di Hayer.-
L'uomo si accese una sigaretta con noncuranza, e riprese a parlare a mezza bocca, prima di fare il primo tiro.
-Questo Kira è estremamente noncurante, è distratto e non approfondisce mai ciò che vede ai notiziari giapponesi.-
Allungò il pacchetto a Roger e al sergente Schmidt, ma il capitano rifiutò, dicendo che aveva smesso di fumare dopo aver adottato Kendra.
-Perciò...- riprese J, dando un secondo tiro con le labbra strette. -Ci sono buone probabilità che se informiamo L della cosa, lui riuscirà per lo meno a fare in modo che il nome di Hayer venga riportato in modo erroneo in Giappone. Se il nome è scritto in modo errato, Kira non può uccidere, e dubito questo Kira si metterebbe a fare controlli incrociati, o si metta a controllare se effettivamente tutte le sue vittime sono morte.-
-E se anche così fosse...- disse allora Roger, sporgendosi verso la scrivania ed appoggiandoci i gomiti. -... potremmo comunque fare muro e rifiutarci di diffondere informazioni su Hayer a seguito della sua apparizione sui notiziari. Nascerebbero speculazioni sul fatto che la polizia di Chicago voglia nascondere la sua morte per continuare le indagini, Kira perderebbe interesse nella faccenda, convinto di aver ucciso Hayer, e gli Hogson comincerebbero a sentirsi con l'acqua alla gola.-
J sorrise.
-Vedo che la collaborazione con studenti della Wammy's House può davvero fare miracoli.-
Esalò il fumo, strizzando i piccoli occhi castani.
-Lei è incredibilmente sveglio, capitano Burton.-
-Ero sveglio anche prima di adottare Kendra, caro il mio J.- ribatté Roger, che aveva recuperato il sorriso e la compostezza, ma non la tranquillità. La sopravvivenza di Hayer era fondamentale per incastrare la Hogson e permettere a Kendra di ricominciare a vivere una vita, se non felice, per lo meno normale. Ma nulla di tutto ciò dipendeva da lui, e Roger odiava dover dipendere dagli altri.
     Guardò l'orologio. Erano da poco passate le quattro di mattina, e il cielo fuori dalla finestra del suo ufficio era sicuramente ancora nero, là, al di sopra della luce dei lampioni. In Giappone erano quindi ancora le 18:00, e Kira avrebbe cominciato ad uccidere dopo le 21:00.
-Vuole chiamare L?- domandò J, smicciando la sigaretta direttamente in un cestino dell'immondizia, con la mano libera infilata nella tasca del completo grigio scuro. Si rimise la sigaretta in bocca e si avvicinò al capitano, tendendo la mano.
-Ci faccia parlare me.- propose. -So come convincerlo a fare quello che gli si chiede.-
Roger aveva tirato su la cornetta del telefono, ma si fermò a fissare J dritto negli occhi castani, con un sopracciglio alzato.
-So che praticamente qualsiasi poliziotto al mondo trema solo all'idea di dover chiedere aiuto al grande L...- disse infine, dopo una lunga pausa. -Ma pochi di loro l'hanno visto in faccia, e sanno che, a parte essere un po' inquietante, non è il Dio sceso in terra che tutti credono.-
Poi portò la cornetta all'orecchio e abbassò lo sguardo verso la tastiera numerica.
-In più, si scopava mia figlia sapendo perfettamente che se li avessero beccati lo avrei fatto nero. Dovrebbe essere lui quello in soggezione.-

     Fino a quando non ricevettero l'avviso di Watari, la giornata al quartier generale era stata noiosa come al solito. Non vi era stato alcun progresso con la raccolta dei dati volta a smascherare Kira, e Light iniziava ad avere seri dubbi sul fatto che sarebbero mai giunti ad un qualche risultato concreto.
Nathalie era salita da Misa in compagnia del suo portatile e di una considerevole quantità di cartelle cliniche, procuratale da Watari, per il suo turno di sorveglianza. Prima di salire a prendere l'ascensore, aveva sbuffato sonoramente, augurandosi di poter convincere la ragazza a starsene buona mentre lei controllava tutti i referti di morte per arresto cardiaco nel distretto di Shirokane.
Erano passate due ore, prima che Watari si mettesse in contatto con Ryuzaki dal centro di sorveglianza del quartier generale.
-Ryuzaki, c'è una chiamata per te.- aveva detto la sua voce attraverso gli altoparlanti della sala dei monitor.
Light aveva notato la sorpresa sul volto del detective, che probabilmente non stava aspettando nessuna chiamata. Di solito era Watari ad occuparsi delle comunicazioni, perciò se lui stesso aveva ritenuto necessario passargli la telefonata, la questione doveva essere di una certa importanza. Probabilmente era per questo motivo che aveva detto a Watari di farlo contattare sul proprio cellulare.
Aveva attivato la distorsione della voce, per poi rispondere in giapponese non appena il telefono aveva squillato. Il suo cellulare era stato sicuramente modificato da Watari, perché aveva un pulsante per la distorsione proprio vicino al microfono, mentre l'uscita del suono era ottimizzata in modo tale che era impossibile, anche per chi gli stava accanto, riuscire a sentire ciò che veniva detto all'altro capo del telefono.
     Perciò Light ora stava osservando il volto di Ryuzaki, per cercare di capire al meglio delle sue capacità cosa stesse succedendo. E così aveva notato le sue pupille che si stringevano, rivelando l'iride grigia quasi sempre ridotta ad un sottilissimo cerchio.
Poi il detective cominciò a parlare in inglese, ma solo rispondendo a monosillabi, mentre il suo sguardo si faceva sempre più vuoto.
Concluse la chiamata dicendo al proprio interlocutore che gli lasciava Watari a completa disposizione, e che avrebbe fatto il possibile per aiutarlo. Riattaccò, e ordinò a Watari di informarsi sul lavoro da svolgere.
-Ci sono novità?- domandò quindi il padre di Light. -Brutte notizie?-
Ryuzaki guardò gli agenti dietro di sé da sopra la propria spalla.
-È successo quello che Banks ipotizzava l'altro giorno.- rispose, secco. -Qualcuno vuole usare Kira per sbarazzarsi di una pedina scomoda. Anche se questa volta si tratta di un criminale vero.-
Si voltò poi di nuovo verso i monitor, con le mani appoggiate sulle ginocchia.
-Si tratta dell'uomo che ha tenuto Banks prigioniera e ha ordinato di ucciderci.-
Tutti trasalirono, e si avvicinarono al detective riempiendolo di domande, concitati.
-Com'è successo?-
-Possiamo fermarlo?-
-Chi c'è dietro?-
-La persona che mi ha chiamato è il capitano Roger Burton del distretto di Chicago.- li interruppe Ryuzaki. -Inutile nascondervelo ancora. È trapelata la notizia dell'arresto di qualche giorno fa, con tanto di nome e foto, e dal momento che si tratta di uno scandalo di un certo peso, di sicuro la notizia sarà trasmessa anche qui.-
-Nathalie era coinvolta in qualcosa di grosso?- domandò Matsuda, angosciato.
Light non disse nulla. Era sicuro di aver già sentito quel nome, Roger Burton, ma non riusciva a ricordare quando e perché.
Ryuzaki sbuffò.
-L'uomo responsabile di tutto quello che è successo si chiama Hayer, e fa parte di una società per il reinserimento dei reduci di guerra nella società che riceve sussidi dallo Stato americano e da diverse società della lobby delle armi.- rispose, secco. -Era a capo di un gruppo di mercenari che trafficavano illegalmente armi in Africa, ed è particolarmente famoso per i suoi metodi di tortura. Ma sicuramente l'argomento sarà trattato con dovizia di particolari nella prossima edizione del notiziario serale.-
-E tu vorresti fermare le trasmissioni?- intervenne allora Aizawa, avvicinandosi al tavolo con le braccia incrociate. -Lo hai detto tu stesso fin dall'inizio che interrompere la diffusione delle notizie avrebbe fatto infuriare Kira.-
-Eppure, in quanto poliziotti, dovreste immaginare che questa vicenda rischia di avere conseguenze gravi per la risoluzione del caso che vede Banks coinvolta.- ribatté Ryuzaki, prendendo la tastiera e il mouse da sotto al tavolo.
-Se muore Hayer non ci sarà la possibilità di incastrare l'organizzazione intera, la testimonianza di Banks potrebbe non essere abbastanza.-
Aveva cominciato a fare ricerche in rete mentre parlava.
-Potrebbero addirittura addossare la colpa su di lei come probabilmente già stanno facendo con Hayer.- concluse, mentre visualizzava sullo schermo i principali siti di informazioni del Giappone. Non sembrava si fosse ancora nessuna notizia sull'arresto di questo Hayer.
     -Ma allora dobbiamo fare qualcosa per fermare la diffusione della notizia!- intervenne Matsuda, voltandosi poi in direzione di Aizawa. -Dopotutto, anche noi siamo stati minacciati a causa di quell'uomo. Ma se ci sono altre persone dietro di lui, è nostro dovere fare in modo di consegnarle alla giustizia, per impedire che in futuro ad altri possa succedere la stessa cosa.-
Il padre di Light distolse lo sguardo, dubbioso.
-Certo, sarebbe ovviamente giusto impedire la morte di questo Hayer.- disse, passandosi una mano tra i capelli striati di bianco. -Ma sarebbe giusto anche impedire che tutte le altre potenziali vittime di Kira vengano uccise. Salvarne uno soltanto perché torna comodo ad uno di noi non credo sia eticamente corretto, soprattutto considerando il fatto che dopo che Light e Misa sono finiti in prigione hanno cominciato a morire anche persone costrette ad uccidere o a rubare, persone che un qualsiasi tribunale avrebbe assolto.-
Si avvicinò quindi a Ryuzaki, risistemandosi gli occhiali sul naso.
-Se mi è consentito esprimere la mia opinione, Ryuzaki, se hai intenzione di salvare questa persona convincendo le reti televisive e i siti internet a non pubblicarne la notizia, allora dovresti anche fare qualcosa per limitare le informazioni sui criminali.-
     Il detective era rimasto in silenzio a guardare il padre di Light, per poi voltarsi verso quest'ultimo.
-Tu cosa ne pensi, Light?- domandò. -È un po' che non parli.-
-Scusami, Ryuzaki. Stavo cercando di ricordare dove avevo già sentito il nome Roger Burton.- rispose il ragazzo, che era ancora in atteggiamento pensoso, con una mano sotto il mento. -Ma in ogni caso, sono d'accordo con mio padre. Sarebbe una vera ingiustizia salvare un criminale “vero” mentre delle persone innocenti vengono uccise ogni giorno da Kira. Certo, se avessimo fatto qualche passo in questo senso, riducendo la circolazione delle informazioni, avremmo potuto permetterci di tanto in tanto salvare qualcuno. Ma anche in questo caso... salvare chi? E con quale criterio?-
-Ryuzaki all'inizio disse che Kira era infantile.- intervenne allora Aizawa. -E quindi se avessimo interrotto la trasmissione dei notiziari probabilmente avrebbe cominciato ad uccidere innocenti fino a farla riprendere. Ma ora Ryuzaki ritiene che questo Kira sia un'altra persona, perciò... non potremmo cercare di limitare le perdite, adesso?-
Ryuzaki annuì, e si voltò verso gli agenti.
-Purtroppo non ci sono garanzie che questo Kira non reagisca se dovessimo limitare i criminali mostrati ai notiziari. Non possiamo sapere se le persone coi poteri di Kira assecondano un volere altro, per cui devono seguire una certa linea di comportamento.-
-Eppure questo Kira mi sembra molto noncurante.- osservò Light. -Se potessimo almeno salvare chi verrebbe giudicato innocente da un tribunale...-
-Questi discorsi sono pericolosi.- intervenne allora il padre di Light. -Dovremmo concentrarci sul fermare Kira e far finire così l'intera serie di omicidi, anziché discutere su chi dovremmo o potremmo salvare.-
-Ma l'osservazione di Light è corretta.- ribatté Ryuzaki, sfregandosi il pollice contro il labbro inferiore. -Potremmo per lo meno tentare di far rispettare ai giornalisti l'anonimato di chi viene arrestato fino al processo.-
Si voltò quindi verso Soichiro.
-In dubbio pro reo.- disse. -Quando non c'è certezza di colpevolezza, sarebbe auspicabile propendere per l'innocenza. Il fatto che vengano diffuse immagini e nomi di persone che non sono ancora state giudicate è una delle maggiori critiche che vengono rivolte al mondo giornalistico. Sono il sensazionalismo e lo sciacallaggio che vendono, e i piani alti della categoria ne approfittano. Se solo decidessero di applicare questo principio e rendere pubbliche le identità di chi viene arrestato solo in seguito alla condanna, almeno coloro che non rischiano il carcere verrebbero risparmiati dalla quotidiana strage di Kira.-
Assunse poi un'espressione dubbiosa.
-Ma per attuare un piano del genere sarebbe necessario per lo meno l'appoggio dell'ONU. È l'eterna battaglia tra il diritto all'informazione e il rispetto della libertà individuale.-
-Quindi?- disse allora Aizawa. -Hai detto a quel Burton che lo avresti aiutato. Cos'hai intenzione di fare?-
Ryuzaki lo guardò di sottecchi.
-Sono in debito con lui.- rispose, secco. -Gli ho detto che avrei fatto il possibile. Ci penserà Watari. Dopotutto, non c'è nulla che io possa fare in questa situazione che non possa fare anche lui. Perciò chiudiamola qui, e vi chiederei inoltre di non riferire nulla a Banks, almeno per il momento. Le mando ora una mail, e le chiedo di prolungare il suo turno di sorveglianza, per tenercela lontana finché non sapremo come evolve la situazione.-
Tutti si guardarono sconcertati, e tornarono ognuno al proprio lavoro.
E nessuno prestò attenzione a cosa Ryuzaki stesse scrivendo, e soprattutto a chi.

     Nel suo enorme e luminoso appartamento con vista su Central Park, Q si versò distrattamente del caffè ormai quasi freddo nella sua tazza, senza distogliere lo sguardo dal monitor di fronte a sé.
Ormai aveva l'impressione di aver sviluppato la capacità di percepire il flusso dei dati spostarsi attraverso i cavi, l'elettricità, l'aria, quasi fossero qualcosa di vivo, che da ogni parte del mondo tentava disperatamente di confluire in lui.
Per questo aprì istintivamente la finestra della casella di posta, dando un primo sorso al caffè troppo allungato. Sei... sette... otto secondi. Nuovo messaggio. L.
Lesse il contenuto della mail in un paio di secondi e bestemmiò sonoramente.
-Sarà un lavoro lunghissimo e noioso.- disse al proprio riflesso stanco nella tazza del caffè.
Si risistemò gli occhiali rettangolari sul naso fine e si stiracchiò per bene sulla sedia girevole.
-Vediamo cosa riesco a fare in quaranta minuti.- disse poi, passandosi una mano sulla barbetta scura e curata. -Al resto ci penserò poi.-

     Dopo un po', Light richiamò l'attenzione di tutti.
-Sapevo di aver già sentito nominare Roger Burton!- esclamò.
Si voltò quindi verso Ryuzaki, che era rimasto fermo con la sua fetta di prosciutto avvolto attorno ad un pezzo di melone sospesa a mezz'aria.
-Non so se sia stata una leggerezza, la tua... quella di rivelare i nomi di Burton e Hayer, intendo. Ma credo che abbiano tutti il diritto di sapere quello che ho scoperto.-
Si fecero tutti attorno al ragazzo, mentre il detective ritornava a spazzolare il proprio piatto.
-Burton era un ispettore che riuscì a smantellare una grossa cellula mafiosa russa che gestiva i traffici della costa orientale degli Stati Uniti.- cominciò, mostrando sul monitor i relativi articoli. -La notizia fece il giro del mondo, soprattutto per la sua giovane età e per le brillanti deduzioni e il piano complesso che elaborò per incastrarli. Per questo lo ricordo. Ho sempre voluto diventare un poliziotto, per cui mi interessavo molto a notizie del genere ed ero solito fare ricerche.-
Rivolse una breve occhiata a Ryuzaki, che continuava a mangiare, e decise che poteva andare avanti.
-Questa operazione gli valse una promozione da ispettore a capitano, e gli diedero un distretto a Chicago. Prima di allora viveva a Boston. Ma, secondo alcune indiscrezioni, Burton sarebbe giunto alla risoluzione del caso grazie all'aiuto della figlia adottiva Kendra, che studiava Criminologia ad Harvard quando aveva appena sedici anni.-
Passò quindi a mostrare diverse pagine internet sulle quali aveva fatto ricerche su Kendra Burton.
-Come potete vedere, non esistono foto della figlia, nemmeno negli articoli di giornale sugli studenti premiati ad Harvard in quegli anni, e nemmeno negli annuari. L'unica notizia legata al suo nome è quella della sua morte.-
E così dicendo si mise a tradurre il contenuto dell'articolo dall'inglese al giapponese.
-Qui dice che è stata trovata morta suicida nel 1998. A quanto pare aveva cominciato a lavorare per l'FBI ma era stata licenziata perché era rimasta incinta quasi subito, e pare si sia buttata giù da un palazzo quand'era all'incirca al settimo o ottavo mese.-
Si voltò quindi verso Ryuzaki.
-Voi non l'avete vista, ma Nathalie ha una cicatrice da parto cesareo e delle smagliature sull'addome. La sua identità è fasulla, e ha detto di essere stata prigioniera di Hayer per anni. E immagino sia più semplice nascondere una persona se tutti la credono morta. Giusto, Ryuzaki?-
Il detective si infilò in bocca l'ultima fetta di prosciutto e melone e masticò lentamente, prima di rispondere.
-Ottimo lavoro, Light.- disse, appoggiando la forchettina sul piatto. -I vostri battibecchi sulla vera identità di Banks e dei suoi rapitori mi avevano stancato, perciò sono felice che tu abbia scoperto tutto questo.-
Light fece una smorfia.
-Conti sul fatto che, se io fossi Kira, uccidere Burton perché vuole impedire la morte di un criminale, oppure per danneggiare Nathalie, attirerebbe i sospetti su di me, e quindi non lo farei. E, dal momento che è adottata, Kendra Burton non può essere il vero nome di Nathalie Banks. Per cui, anche volessi ucciderli tutti, avrei le mani legate. Ho indovinato?-
Il detective sorrise.
-Mi leggi proprio nel pensiero, Light.-

     Non passò molto che L sentì il pesante rumore di tacchi che lasciava presagire l'arrivo di K. A giudicare dalla sua intensità, era sufficientemente nervosa da essere la solita K. Perciò ancora non sapeva nulla.
-Ryuzaki, ne ho abbastanza da fare da baby-sitter ad Amane.- esordì lei, raggiungendo il tavolo e prendendosi una sedia su cui lasciarsi cadere. -È il turno di Mogi, e io non ho intenzione di andarmene da qui.-
Mogi però non si mosse. Nessuno degli agenti si mosse. Rimasero tutti a guardare la giovane che dondolava a destra e a sinistra sulla sua sedia girevole, con le gambe incrociate. Dopo aver chiuso l'argomento su Hayer e sulla sua probabile condanna a morte, L non aveva più mosso un dito, e ormai mancava appena un'ora al notiziario della sera. Watari non lo aveva ricontattato, ma L era certo che le cose sarebbero andate secondo i suoi piani.
-Che diamine avete tutti quanti?- domandò K, infastidita.
L si era fatto portare una grossa fetta di cheescake ai frutti di bosco, e parlò senza alzare gli occhi dal suo piatto.
-Sul sito della CNN è apparsa la notizia dell'arresto di Hayer. Con tanto di nome e foto.-
In meno di un secondo lei gli fu addosso. L'aveva afferrato per la collottola, gli occhi rossi e pulsanti, digrignava i denti e stava a pochi centimetri dal naso del detective.
-Che cazzo hai detto?!- abbaiò. -E me lo dici così?! Da quanto lo sai, eh?!-
-Molla l'osso, Kendra Burton.- sibilò lui, stringendo gli occhi. -Ormai è inutile. La notizia è saltata fuori, e così anche loro sanno.-
E così dicendo si voltò verso gli agenti.
Light tentò di avvicinarsi per dividerli, ma c'era qualcosa in K che stava terrorizzando tutti.
-Io ti ammazzo!- urlò lei, caricando un pugno. Ma L conosceva perfettamente la sua furia, e sapeva che non stava ragionando come avrebbe dovuto; così le afferrò il polso che lo teneva per il collo della maglia slabbrata e abbassò la testa, mentre la colpiva con la mano sinistra aperta sul volto.
Lei allora usò la mano libera per afferrarlo per i folti capelli neri, tirandogli la testa all'indietro, poi alzò la gamba e la usò per spingere via la sedia girevole e staccarselo di dosso.
L le lasciò andare il polso. Era il sinistro, il lato colpito dalla pallottola, e non voleva trascinarsi via K per quel braccio.
Light si avvicinò a L e fermò la sedia, per impedire di venire tirato via anche lui dalla catena.
     -Nathalie, calmati!- ebbe allora il coraggio di intervenire Matsuda, tentando di metterle una mano sulla spalla. -Watari sta cercando di fare il possibile per risolvere la cosa.-
-Nessuno di noi è d'accordo con l'idea di deciderci ora a salvare una persona da Kira soltanto perché ci fa comodo.- puntualizzò Aizawa, mettendosi tra lei e L. -Ma non ci siamo opposti, e abbiamo accettato che Ryuzaki facesse un tentativo.-
-Ci rendiamo conto del fatto che per te sia difficile da accettare.- disse allora Light. -Purtroppo, però, devi prepararti all'evenienza che non sia possibile fermare la cosa.-
K trasse un profondo respiro e strinse i pugni.
L si alzò dalla propria sedia e si mise le mani in tasca.
-Ha chiamato tuo padre.- disse, calmo. -Sperava che potessi impedire le trasmissioni in Giappone senza che tu venissi a sapere del pericolo fino a quando non fosse stato sventato. Ma ci abbiamo già provato in passato, e non ha funzionato. Tu stessa hai provato ad usare la tua e la mia autorità per fermare le trasmissioni la sera in cui è morto Bjarne, eppure non sei riuscita a fare nulla.-
Intimò ad Aizawa di scostarsi, sicuro che K non lo avrebbe attaccato ancora.
-Non potendo garantire per l'incolumità di Hayer, io e Watari penseremo ad una soluzione alternativa.- riprese. -Sono abbastanza certo di poterti garantire un'adeguata protezione e sostegno durante il processo. Non è tutto perduto.-
     Ma gli occhi di K erano sempre di un vivo rosso sangue, le vene sul suo collo pulsavano e il suo respiro si era di nuovo fatto irregolare. Si voltò di scatto e fece per tirare un violento pugno contro uno dei monitor che aveva alle spalle, ma L, con uno scatto, le si era messo davanti: le parò il destro e con un movimento furtivo le si mise alle spalle, trascinandosi dietro Light, ammanettato al suo polso, con un gran frastuono di anelli d'acciaio che battevano sul pavimento della stanza. La bloccò contro il proprio petto, tentando di sollevarla da terra tirandola su da sotto le ascelle. Non poteva aggredire lui, pertanto era logico che avrebbe tentato di ferire se stessa. Era già successo troppe volte perché L non sapesse riconoscere i segnali.
Ma quella volta, fortunatamente, K si trattenne. La parata di L le aveva fatto perdere l'equilibrio, e aveva rischiato di cadere di faccia sulla scrivania, ma fortunatamente il detective l'aveva afferrata per le spalle. Ansimava e teneva lo sguardo fisso verso il basso, coi pugni ancora stretti. L sentiva il cuore di lei battere all'impazzata contro il proprio petto, e fece per mollare la presa. Ma in quel momento si avvicinò Light, e il detective sentì il corpo della giovane farsi nuovamente teso sotto le sue braccia. K, nella sua ritrovata furia, lo vide. L'assassino di Bjarne.
L lasciò andare la ragazza, e la chiamò con voce fredda.
-K...-
Lei si voltò nuovamente verso di lui, ansimando, e la scintilla rossa nei suoi occhi scomparve.
-Non... mi toccate...- disse, con voce tremante. -Io... scusatemi... ma... vorrei che nessuno mi si avvicinasse.-
L fece un passo indietro, nel silenzio generale.
-Via di qui.- disse infine, lapidario. -Vedi di non spaccarmi l'attrezzatura. E di non ferirti ancora.-
Poi fece per voltarsi e la guardò di sottecchi.
-C'è roba di valore qui. Non voglio che la rovini.-
K sbuffò, rimettendosi a posto la giacchetta alla quale erano saltati un paio di bottoni. Si allontanò dalla scrivania e dai monitor a passo marziale, tirando una spallata a L al passargli accanto, e poi cominciando a correre su per i gradini anziché prendere l'ascensore.
     -Si può sapere cosa vi è preso?- gridò il sovrintendente Yagami, non appena K fu abbastanza lontana.
L era tornato a sedersi e aveva ripreso a mangiare la sua cheescake.
-Nathalie ha dei problemi a gestire la rabbia, come avete potuto notare.- disse, tranquillo, mentre i poliziotti gli si facevano intorno.
-Ma perché l'hai trattata in quel modo?- si osò a domandare Mogi.
-E ti pareva il caso di arrabbiarti così tanto per della semplice attrezzatura?- tuonò Light, che per la rabbia spinse via il piattino da sotto il naso di L. -Poteva farsi male sul serio!-
Il detective non batté ciglio.
-Fidatevi, era meglio che si infuriasse con me ora, piuttosto che si illudesse che Hayer non sarebbe morto, e poi dover fare i conti con la dura realtà.-
Allungò la mano e riprese il piattino finito un metro più in là, e ne tagliò un pezzo con la forchetta.
-Cercavo solo di limitare i danni. Ho lavorato per lei, l'ho vista sfasciare interi uffici per molto meno di questo. Ora andrà a sbollire la rabbia contro il suo sacco da boxe fino all'ora in cui trasmetteranno i notiziari, e se Hayer morirà sarà troppo spompata per lanciare mobili fuori dalla finestra e contro tutto ciò che si muove.-
Erano rimasti tutti impietriti a guardarlo.
-Fidatevi.- disse allora, mangiando un altro boccone. -Vi ho fatto un favore.-
                Light non riusciva a togliersi dalla testa l'occhiata furibonda che Nathalie gli aveva rivolto quando le si era avvicinato. Lei era convinta che lui fosse Kira. Kira le aveva portato via una persona cara. E se Hayer fosse morto quella sera, a lei non sarebbe rimasto nessun altro se non Kira su cui riversare il suo odio e la sua frustrazione. Come avrebbe reagito lui, se si fosse trovato di fronte ogni giorno il potenziale assassino di una persona a lui cara? Sua sorella, per esempio. Se avesse sospettato che l'assassino di sua sorella si trovasse proprio lì, davanti a lui, come avrebbe reagito? Come avrebbe fatto a non volerlo morto?
Per di più, era angosciato dal fatto che, nonostante sapessero che una persona stava per essere uccisa da Kira, e che le conseguenze di questo fatto sarebbero potute essere molto gravi per altri innocenti, nessuno di loro stava facendo alcunché per impedire che accadesse. Light riteneva fosse giusto pensare che scegliere di salvare qualcuno piuttosto che qualcun altro fosse un'ingiustizia, soprattutto se andava a vantaggio di uno tra loro. Eppure, Hayer aveva fatto sicuramente cose terribili, e anche se la Hogson si proclamava innocente ed estranea, sicuramente aveva la sua parte di colpa.
     Light aveva passato tutto quel tempo a fare ricerche. La Hogson era nata in seguito alla guerra del Vietnam per reinserire i reduci con sindrome post-traumatica nella società: questo era ciò che si leggeva più o meno ovunque; tuttavia, il ragazzo aveva scoperto che il padre degli Hogson aveva una società che produceva armi, e che aveva subito diversi assalti da parte dei pacifisti durante la guerra. Era quindi opinione comune che i figli avessero voluto cancellare quella macchia istituendo la loro società. Però, i vecchi stabilimenti per la produzione delle armi non erano stati tutti smantellati; si leggeva un po' ovunque che le armi continuavano a venire prodotte per le squadre di mercenari e per i servizi di vigilanza, due delle divisioni in cui venivano impiegati gli ex soldati accolti dalla Hogson. Logico, sì... ma gli stabilimenti erano troppi. Dove finivano tutte le armi? Veniva immediatamente da pensare che le operazioni illegali in Africa non facessero parte, quindi, di un'iniziativa personale dell'ex colonnello Hayer, come veniva chiamato in ogni articolo a suo riguardo. Edmund-Wilson Hayer, così pareva si chiamasse, appuntato Colonnello al ritorno dalla guerra del Vietnam, prima che si scoprisse che aveva volutamente mandato a morire un'avanguardia per salvare un suo superiore; fatto, questo, che gli era costato tutti i gradi.
Light pensava che se la Hogson fosse uscita pulita da quel putiferio non ci avrebbe probabilmente messo molto a trovare qualcun altro del calibro di Hayer a cui far fare quel genere di lavoro sporco.
     Nessuno chiamò Nathalie quando cominciarono i notiziari. Nessuno ne ebbe il coraggio.
Rimasero tutti in silenzio a guardare la televisione, mentre Ryuzaki stava al telefono con Burton, previamente informato che ogni sforzo da parte di Watari di convincere le varie emittenti televisive a censurare la notizia era stato inutile.
E la notizia arrivò. Edmund-Wilson Hayer, con tanto di foto.
Nella stanza non si sentiva quasi respirare, fino a che, dopo un paio di minuti Ryuzaki non sentì qualcosa al telefono e disse: -Mi dispiace, Burton. Se solo avessimo avuto più tempo, forse avremmo potuto fare di più.-
Solo in quel momento tutti sospirarono tristemente.
-Però dobbiamo assolutamente cercare di raggiungere un accordo con le reti televisive.- ruppe il silenzio Matsuda. -Cosa succederebbe se ne andasse della riuscita del caso? E poi c'è la questione delle persone giustiziate anche se rubano per fame o uccidono per legittima difesa, gli incidenti e tutto il resto!-
-A questo penseremo d'ora in avanti.- disse Ryuzaki, mettendo via il telefono. -Almeno finché non avremo fatto progressi nel restringere il campo attorno al nuovo Kira, dovremmo cercare di limitare le perdite.-
Light a quel punto si alzò in piedi.
-Dobbiamo andare da Nathalie.- intervenne. -Tutti quanti. È un momento difficile per lei, e il fatto che possa diventare una furia non ci dovrebbe impedire di andare a sostenerla.-
-Sono d'accordo con Light.- lo spalleggiò Matsuda.
Ryuzaki roteò gli occhi.
-E ti pareva...- borbottò.
-Vi chiederei di attendere ancora un po'.- aggiunse, poi. -Watari è riuscito, anche se con un po' di ritardo, a procurarmi un contatto con alcune emittenti televisive e testate giornalistiche disposte a collaborare. Non sprechiamo quest'occasione.-

     K aveva lanciato il telefono da qualche parte dietro il divano, ma questo continuava a squillare. Andò come una furia verso il frigo e lo aprì con un gesto secco. Watari le aveva preso tre bottiglie di Guinnes che lei non aveva ancora toccato. Aveva passato quasi un'ora a prendere a pugni il sacco da boxe e poi si era fatta una doccia bollente, il telefono continuava a squillare ma lei non aveva il coraggio di rispondere. Era ancora nervosa.
Prese la prima bottiglia e richiuse il frigo con un calcio.

     Ryuzaki, Light e Matsuda si diressero verso l'ascensore.
-E smettila di lamentarti!- fece Light al detective, con tono a metà tra il seccato e l'amareggiato. -Penso che sia giusto che ci accertiamo che stia bene.-
Ryuzaki camminava curvo, con lo sguardo basso. -Se sei sicuro di voler entrare nella sua stanza dopo averla vista oggi in quelle condizioni... fai pure...- Pigiò il pulsante di chiamata. -Io me ne resterò in disparte.-
Light rimase in silenzio per un po', mentre guardava i numeri sul display posto di fianco all'ascensore. 17... 16... 15...
-Ma non vi siete stancati di stare ammanettati, voi due?- commentò Matsuda.
-Non immagini quanto.- risposero quasi all'unisono, infilandosi le mani in tasca.
Le porte dell'ascensore finalmente si aprirono.
-Come pensi che stia, Ryuzaki?- domandò ancora Matsuda, quando furono entrati. -Tu... che la conosci meglio, insomma.-
Il detective si appoggiò alla parete metallica.
-Soffre di problemi di gestione della rabbia, questo mi sembra ovvio.- rispose, guardando altrove. -E dubito che in questi anni di prigionia le abbiano concesso di continuare le sedute psicanalitiche e la terapia. Perciò, fossi in voi, mi preparerei al peggio.-
     Quando suonarono alla porta del suo appartamento, sentirono la sua voce rancorosa da dietro alla porta che intimava loro di andare via. Matsuda si era già voltato a testa bassa, mormorando agli altri due di seguirlo, quando Ryuzaki lo bloccò per un braccio.
-Fermo.- intimò, serio.
-Cosa?- domandò confuso Matsuda.
Ma il detective era andato alla serratura elettronica della porta, di quelle che si aprono grazie ad un pass, e digitò il codice di sicurezza sulla tastiera posta di fianco al lettore.
-Dopo Watari cambierà il codice.- disse, aprendo la porta.
Nathalie era di spalle, ma si era voltata di scatto con uno sguardo carico d'odio non appena aveva sentito il segnale acustico che indicava che la porta era stata sbloccata.
-A cosa serve chiedere se potete entrare se poi fate come vi pare?- sbraitò, stringendo i pugni.
-Scusaci Nathalie.- fece Matsuda, toccandosi i capelli. -Eravamo in pensiero per te.-
La giovane non smise di guardarli in cagnesco, ma poi si voltò, sempre coi pugni chiusi.
-C'è casino.- disse lapidaria, spostando con un piede gli anfibi che stavano in mezzo all'entrata.
C'era l'accappatoio abbandonato sul divano, il completo che usava per lavorare sulla spalliera della sedia e una valigetta rovesciata a terra, con un sacco di fogli sparsi, mentre il tavolino da tè era bagnato. C'erano anche scopa e paletta in un angolo, e i cuscini del divano sembrava fossero stati piazzati al contrario, quindi probabilmente si era già calmata e stava sistemando l'appartamento.
-Prepari del tè?- chiese allora Ryuzaki. Light si voltò per rivolgergli un'occhiataccia, e Matsuda lo rimproverò per la sfacciataggine, ma Nathalie emise appena un grugnito e fece per andare verso il cucinino.
-Non pulisci prima il tavolo?- insistette Ryuzaki, incurante delle proteste dei suoi compagni.
Nathalie si bloccò, sempre coi pugni chiusi e stretti, e Light ne notò il tremore. Tornò a guardare la paletta abbandonata in un angolo: cocci di vetro di bottiglie di birra. Gli si gelò il sangue all'istante.
     E Ryuzaki lo stava trascinando verso di Nathalie a passo deciso; la fece voltare a forza, ignorando il suo sguardo iniettato di sangue e la prese per i polsi, intimandole di aprire le mani.
Le braccia bianche e lisce erano intonse, per fortuna.
-Non mi sono fatta nulla.- ringhiò lei, mostrando i palmi delle mani ricoperti solo da leggeri graffi. -Se mi distruggessi le mani poi non potrei più lavorare e diventerei inutile per te, non è vero, Ryuzaki?-
-Ma... Nathalie!- esclamò sgomento Matsuda, accorrendo. -Volevi farti male sul serio?!-
Anche lei gli rivolse un'occhiataccia.
-Quel dannato telefono non la smetteva di squillare.- disse, ritirando le mani che ancora stavano tra quelle di Ryuzaki. -Stavo bevendo una birra, ero nervosa, ho sbattuto forte la bottiglia sul tavolo e s'è rotta. Se avessi voluto farmi male sul serio, l'avrei fatto.-
Light rimase impietrito all'idea della forza che doveva aver usato per distruggere una bottiglia di vetro.
-Suppongo tu non abbia voluto guardare i notiziari né rispondere al telefono.- disse Ryuzaki, rimettendosi le mani in tasca e voltandosi.
-Perché avrei dovuto?- domandò lei, incrociando le braccia. -Tanto non potevi fare nulla per impedire che quel bastardo morisse. Non ce l'ho con te, quindi non stare sulla difensiva. È che sei abbastanza stronzo di tuo da meritarti che ti prenda a schiaffi senza motivo.-
-Sono d'accordo.- disse il detective. -Non ho fatto nulla per impedire che Edmund-Wilson Hayer morisse.-
Poi la guardò da sopra la spalla.
-Se guarderai i notiziari più tardi o leggerai le notizie su internet, vedrai che la notizia si è diffusa ovunque. Ho inoltre parlato con Burton, e ha deciso che terrà nascosta la notizia della morte di Hayer per il momento, per tentare di non sconvolgere le indagini.-
Light notò il volto di Nathalie farsi, se possibile, più bianco di quello che era. Aveva occhi e bocca spalancati e sembrava senza fiato, come se la conferma della morte di Hayer l'avesse colpita dritta come un pugno allo stomaco.

     “Edmund-Wilson” pensava K. Edmund-Wilson, aveva detto L, come se fossero due nomi attaccati con un trattino. Non poteva correre a controllare il telefono, la TV, il PC, qualsiasi mezzo per confermare i suoi pensieri, ma non potevano esserci dubbi: il secondo nome di Hayer era William, solitamente abbreviato con l'iniziale puntata. Conoscere il secondo nome non era importante per poter uccidere qualcuno, come dimostrava la morte di Lind L. Taylor, ma se il primo nome era composto o legato con un trattino, Kira avrebbe dovuto scriverlo per intero.
L aveva sicuramente chiesto a Q di modificare il suo nome. E gli agenti erano convinti che quello fosse il vero nome di Hayer, perciò L doveva aver pensato all'eventualità che Light potesse ucciderlo sul serio, se avesse mai recuperato i poteri di Kira. Perciò Q probabilmente avrebbe dovuto falsificare ogni singola apparizione del suo nome su ogni fonte internet e sulle scannerizzazioni dei suoi documenti e dei rapporti che lo riguardavano.
Se gli avesse semplicemente dato l'ordine di far apparire il suo nome in modo incorretto ai notiziari, ad esempio scrivendo “Haier”, sarebbe stato più probabile per Light scoprire l'errore, perché sicuramente qualcuno lo avrebbe fatto notare; ma chi presta così tanta attenzione ai secondi nomi? Hayer firmava ovunque con una doppia v puntata, nessuno avrebbe fatto caso all'errore, e sicuramente gli Hogson non avrebbero potuto insistere sulla cosa, o avrebbero attirato dei sospetti: perché mai voler puntualizzare la correttezza o meno di un secondo nome, quando c'è la concreta possibilità che il suo portatore muoia?
K avrebbe voluto tirare un sospiro di sollievo, ma avrebbe dovuto interpretare la parte della psicopatica furiosa per lasciare che i giapponesi rimanessero fermamente convinti della morte di Hayer. Avevano fatto un miracolo in appena un paio d'ore, L, Q e sicuramente anche J e Roger.
     Intanto Matsuda si era offerto di andare a preparare del tè per tutti, e Light stava sistemando il disastro che aveva lasciato in soggiorno, trascinandosi dietro L che borbottava.
Una decina di minuti dopo, si sedettero tutti e quattro attorno al tavolino del soggiorno, con le tazze fumanti in mano.
-Ci tenevo a farti sapere che dispiace a tutti non averti potuta aiutare.- esordì Matsuda, finendo di versare il tè.
-Non mi va di parlarne.- tagliò corto lei. -E se è questo l'unico motivo per cui siete qui, vorrei che ve ne andaste. Il fatto che io abbia perso il controllo in quel modo è inaccettabile, ma nulla mi costringe a restare in vostra compagnia in questo momento.-
Light rimase in silenzio per qualche secondo, sorseggiando timidamente il suo tè, prima di parlare.
-Abbiamo chiamato i direttori delle emittenti televisive, ma non abbiamo avuto molto successo.-
     In quel momento, K vide con la coda dell'occhio L tendere il collo e tirare in avanti lo scollo della maglia bianca, quasi questa lo stesse facendo soffocare; cosa molto improbabile, considerando quanto era larga e consunta. O, forse, come se si stesse allentando una cravatta invisibile. Il gesto che in passato solitamente faceva per attirare la sua attenzione e farle capire che voleva parlarle, se erano a lavoro con altre persone. Light stava facendo il riassunto di ciò che avevano fatto in sua assenza, mentre lei teneva sott'occhio L, che stava aggiungendo un cucchiaino di zucchero di canna grezzo al tè, per poi girarlo.
Ding, ding, ding fece il cucchiaino.
-Però questi direttori sono stati più disponibili.- stava continuando Light. Dong. -Hanno detto che discuteranno con noi i casi di difesa personale prima di decidere se mandarli o meno in onda.-
Ding. -Ma purtroppo questo non risolve il problema, dal momento che comunque le emittenti più seguite non hanno alcuna intenzione di collaborare.-
Ding, dong, dong, ding.
Light si fermò e si voltò verso L, rivolgendogli un'occhiata corrucciata. -Puoi girare quel tè senza fare tutto questo baccano?-
Ding, ding, ding, ding. Light era troppo concentrato sul suo discorso per rendersi conto che L stava usando il codice Morse, sebbene in modo così approssimativo.
-Mi annoio.- rispose semplicemente il detective. Ding, dong.
-Abbiamo capito.- fece K, appoggiando la propria tazza vuota sul tavolino. L smise di battere il cucchiaino contro le pareti della tazza e ne bevve il contenuto.
Fu il turno di Matsuda di mettersi a parlare di cose che non le interessavano, mentre lei tentava di reprimere un sorriso. Non avrebbe dovuto perdere il controllo di fronte a tutti, lo sapeva. Soprattutto perché questo aveva messo L in una posizione difficile, lo aveva già costretto a rivelare dettagli del suo passato che avrebbero potuto mettere a rischio anche la propria identità. Eppure il messaggio che stava cercando di farle arrivare in quel momento, per quanto in modo irresponsabilmente palese, non era di rimprovero, bensì il contrario. Punto-punto-punto. Linea. Punto. Punto-linea-linea-punto. Punto-punto-punto-punto. S.T.E.P.H. Stephanie...
Se la chiamava per nome, voleva dire che era preoccupato per lei.
     La giovane lasciò la presa sulla tazza non più bollente.
-Ora che Hayer è morto, non sarà possibile smantellare interamente l'organizzazione finché io non andrò a testimoniare contro di loro.- esordì, interrompendo gli aneddoti di Matsuda sul suo lavoro in qualità di manager di Misa.
Lo sguardo di L si fece gelido e tagliente. -Potrebbero ucciderti prima che tu arrivi in tribunale.- Si stinse nelle spalle. -Potrebbero condannare anche te.-
-È un “no”?- domandò K, appoggiando la tazza sul tavolino. -Non mi permetterai di andare a fargliela pagare a quei bastardi?-
L incrociò le dita sotto il mento e la guardò attentamente negli occhi.
-Sei libera di andare quando vuoi. È ovvio che io preferisca che tu resti qui.- Rimase in silenzio per un attimo. -Sei in gamba, e io ho pochi agenti. Ma capisco che in questo momento tu debba seguire un altro caso. Quello che mi preoccupa...- e alzò un poco il tono della voce. -... è che tu ti possa mettere nei guai. Vorrei offrirti i migliori avvocati per affrontare il processo e... il mio aiuto. In nome della nostra... passata collaborazione.-
K distolse lo sguardo. Mostrarsi in tribunale poteva rivelarsi pericoloso, ma contava sul fatto che gli Hogson non fossero così stupidi da condannandosi da soli ammazzandola così, su due piedi.
L la scosse dai suoi pensieri.
-Se vuoi lasciare la base, sei libera di farlo. Ma ti chiedo di rifletterci. Se mi aiuti a prendere Kira in tempi brevi, appena avrò chiuso il caso lavorerò con te per assicurare quel gruppo alla giustizia.- Si voltò verso Light. -E chiederò anche agli altri di partecipare, dal momento che hanno dovuto presentare le dimissioni dalla polizia giapponese. Loro avranno un nuovo incarico, e tu...- E tornò a guardare K. -...Tu avrai più risorse.-
-Ma certo!- esclamò Matsuda, sorridendo. -Ormai siamo una squadra, no? E in più noi siamo stati tenuti in ostaggio da Grumann, quindi finiremmo comunque per dover testimoniare contro di loro.-
Appoggiò la tazza sul tavolino e tirò su un pugno.
-Basterà rimandare l'inizio del processo fino a quando non avremo catturato Kira, e a quel punto potremo dare agli Hogson la lezione che si meritano!-
-Certo, ma...- li interruppe Light. -Se quelli hanno mandato a morire Hayer per potergli addossare la colpa, sicuramente cercheranno di inquinare le prove.-
Intrecciò le mani sotto il mento.
-Forse, a questo punto, rimandare il processo potrebbe essere rischioso, a meno che tu non abbia in mano abbastanza prove da incastrarli.-
-Hai ragione, Light.- annuì K. -Se voglio che finiscano tutti dietro le sbarre, è necessario che li metta con le spalle al muro ora.-
D'un tratto L si alzò.
-Grazie del tè, Nathalie.- disse, voltandosi di spalle. -Spero che accetterai la mia offerta, e che continui ad aiutarmi col caso Kira.-
-Ehi, aspetta un momento...- fece Light, guardando storto il compagno.
-Forza, Light. Matsuda-
Il detective si stava dirigendo verso la porta, senza curarsi di nulla. -Abbiamo già perso abbastanza tempo, per oggi.-
     Se ne andarono così. K era rimasta seduta con lo sguardo fisso sul fondo della propria tazza.
Ti odio, L Lawliet.” pensava. “Ti odio da morire, quando mi chiami col mio vero nome.”
Gli studenti della Wammy's House non dovevano rivelare i propri nomi a nessuno, nemmeno ai loro compagni, perché non era raro che in seguito ognuno tentasse di vendere le identità degli altri. Tutti indagavano su tutti, e rendersi invisibili a foto, telecamere, documenti, qualsiasi cosa, era diventata da tempo una regola non scritta dell'accademia.
Eppure L le aveva raccontato di sé, della sua disastrata famiglia e del nome che non aveva mai avuto. Alla fine, anche lei aveva fatto lo stesso, una sera di giugno nel loro appartamento a Shoreditch.
Lei si era addormentata sui suoi appunti sul caso dei suoi genitori, e L si era avvicinato di soppiatto per darci un'occhiata. Si era svegliata di soprassalto e aveva preso ad urlargli contro, facendolo indietreggiare, per poi lasciarsi scivolare a terra, tremando dalla rabbia, con le mani sul volto arrossato.
L si era avvicinato piano, si era seduto a terra di fianco a lei, con le mani appoggiate al pavimento. -Quando abbiamo iniziato a lavorare insieme, quando sei tornata... Hai detto che volevi prepararmi per indagare insieme a te su quelli che hanno ucciso i tuoi, e sarei stato ben felice di aiutarti. Perché ora mi stai tenendo tutto nascosto, e non vuoi nemmeno che veda i tuoi appunti?-
-Io...- K non lo guardava nemmeno in faccia. -Volevo proteggerti.-
L aveva sospirato. -Hai sempre provato a proteggermi, fin da quando eravamo bambini. Ma perché ora mi escludi dalle tue indagini?-
-Perché...-
Aveva soffocato un singhiozzo. -... Ora credo di essermi innamorata di te.-
Teneva lo sguardo basso, e tremava, quasi come se quella confessione le stesse costando una immensa fatica.
-Kendra...- aveva provato a dire lui dopo un po'.
-Stephanie.- aveva detto allora lei, guardandolo per un istante cogli occhi lucidi. -Il mio vero nome è Stephanie.-
-Stephanie...- aveva ripetuto L. Poi l'aveva presa per le spalle, seduto sui propri talloni, e dopo un lungo silenzio aveva ripreso a parlare.
-Una volta mi hai detto che quando hai avuto l'incidente sei morta davvero. Mi hai detto che quello che eri era morto assieme ai tuoi genitori. E così ti sei costruita l'identità di Kendra, la ragazzina senza paura, la ragazzina forte che non piange nemmeno quando la faccia le sta bruciando...-
E le aveva accarezzato, com'era solito fare, la macchia dell'ustione col pollice.
-... in grado di sopportare qualsiasi cosa, una roccia per gli altri, quella che non si piega di fronte a nulla.-
K respirava rumorosamente, stringendo con entrambe le mani il tessuto della sua leggera vestaglia bianca semi trasparente.
-Ma io non credo che Stephanie sia morta quel giorno.- aveva continuato L.
-Stephanie piange al posto tuo, ride in quel modo dolce e timido che ti vergogni a far sentire agli altri, canticchia un motivetto irlandese senza accorgersene, si commuove al vedere un cielo stellato, o un albero o un prato fioriti, cammina a piedi nudi sulle punte improvvisando un passo di danza e arrossisce se la tieni per mano.-
E la mano che le aveva accarezzato il volto era scesa lungo il braccio fino al suo pugno chiuso, e L aveva indugiato con la punta del dito indice sulle sue nocche, tracciando cerchi con tocco leggero, finché K non aveva allentato la presa.
-Non devi essere sempre Kendra, K, la studentessa prodigio impertinente, rancorosa ed implacabile. Permettiti di essere anche Stephanie.-
K si era stretta ancora di più nelle spalle, cercando in ogni modo di evitare di guardarlo negli occhi.
-Mi hai detto quello che provi per me, e l'hai fatto piangendo, come se fosse un crimine. Non puoi impedirti di provare dei sentimenti perché non è in linea col copione del personaggio che ti sei costruita.-
     A distanza di sette anni, K non riusciva ancora a spiegarsi come fosse possibile che parole del genere fossero venute dalla bocca di L. Non si sarebbe stupita se un discorso del genere glielo avesse fatto Bjarne; Bjarne le parlava spesso in quel modo, perché avvertiva lo squarcio che dilaniava il cuore della sorellina costretta a nascondersi, costretta a fingere, che spesso non sapeva più chi fosse. E invece quella volta le parole di conforto erano venute da L; e ogni qualvolta lui si rendeva conto che lei era in conflitto, che stava reprimendo i suoi sentimenti, la chiamava Stephanie, per ricordarle che non era solo uno prodotto della Wammy's House, un poliziotto, un mezzo per raggiungere la verità, ma una persona; e le persone hanno il diritto di provare sentimenti.
Questi pensieri portarono le lacrime agli occhi rosati di K.
Così pianse tutta la notte, soffocando le sue urla disperate nel cuscino a cui era abbracciata, seduta a terra contro il muro.
Pianse sulle sue mani che machbettianamente vedeva macchiate di sangue, nonostante il vetro della bottiglia le avesse procurato appena qualche graffio. Il sangue di tutti quelli che avevano sofferto. Pianse per Bjarne. Per Roger. Per Anne e Phil. Per i suoi genitori e per suo zio. Per Naomi e Raye. Per Watari che aveva deluso. Per il trafficante d'armi che aveva ucciso per sbaglio in Nevada. Per quello che aveva ammazzato senza volerlo al PPEP per difendersi. Per il figlio che non aveva voluto e che non aveva mai rimpianto. Per L che nonostante tutto forse, in fondo, l'aveva quasi amata.
Pianse fino all'alba.
Poi si alzò, si lavò la faccia con acqua fredda, andò a prendere una valigia e chiamò Watari perché le prenotasse un volo di sola andata per gli Stati Uniti, mentre prendeva con la mano libera i suoi vestiti dall'armadio.

Note

     Scusate di nuovo per il ritardo della pubblicazione.
    La cosa che più mi preoccupa di questo capitolo è l'aver reso L troppo OOC; ovviamente ho fatto fare un certo percorso al personaggio in Before November 8th che dovrebbe giustificare un tale atteggiamento, ma non avendo ancora pubblicato Before non posso sapere da voi se tutto ciò è coerente. Spero tutto ciò non sia troppo "disturbante"
     Altro appunto: mi sono resa conto di aver fatto confusione coi gradi di Burton: quando adotta K è ispettore, poi viene promosso a capitano, ma nei capitoli passati ho scritto commissario al posto di capitano. Vedrò di correggere in questi giorni.
     Sto facendo un po' fatica a scrivere ultimamente, mi sembra tutto così pesante, ma la buona notizia è che la Seconda Parte è conclusa. La cattiva è che ne mancano altre due. La nota positiva è che il manga da questo punto in avanti torna ad avere un certo ritmo, quindi anche la mia fanfiction sarà meno noiosa.

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Capitolo 21
*** Secondo Epilogo ***





Epilogo Parte Due


     K raddrizzò sull'addome l'imbottitura che aveva usato per camuffarsi, mentre tirava su i pantaloni larghi fino sulla vita allargata. Il suo trolley ancora non si vedeva sul nastro trasportatore.
Era stata Misa ad aiutarla a prepararsi.
-Davvero hanno fatto fuori tutta la tua famiglia?- le aveva domandato, lisciandole la plastilina che aveva usato per crearle un doppio mento.
-Come a te.- le aveva risposto lei, cercando di muovere la bocca il meno possibile. -Ma, come puoi vedere, non ho consegnato i responsabili in bocca a Kira. Spero che un giorno riuscirai a capire il perché.-
-Sta' ferma!- le aveva intimato la ragazza. -Comunque non capisco perché mai dovresti volere che io la pensi come te. Sei convinta che io sia il secondo Kira, no? Non vuoi vedermi in prigione?-
-Magari più avanti.- aveva scherzato lei. -Ora mi servi.-
Misa aveva gonfiato le guance e aveva preso una salvietta per pulirsi le mani.
-Dovrai farti perdonare per l'aggressione dell'altro giorno.- le aveva detto. -Portami qualcosa di carino dagli Stati Uniti.-
-A dire il vero, spererei di non dover più mettere piede qui. Ma magari ti spedirò qualcosa.- aveva ribattuto K, alzandosi in piedi.
Arrivò finalmente il trolley, e K poté uscire dal gate.
     Tra la folla si stava facendo largo un uomo non molto alto, con un completo elegante, corti capelli color carota e occhiali da sole che in quel momento alzò, rivelando dei piccoli e sfuggenti occhi castani che cercavano un volto conosciuto tra i viaggiatori in uscita.
K si fermò, indecisa sul da farsi. Poi sorrise e alzò in alto il braccio.
Lui la vide e la raggiunse a passo rapido.
-Tregua.- scandì con le labbra quando fu abbastanza vicino. Poi allungò una mano, posandogliela sulla spalla e alzò il più possibile il mento per sfiorarle la fronte con la bocca, mimando un paternale bacio.
-Così diamo meno nell'occhio.- sussurrò J, approfittando della vicinanza. -Immagino avresti preferito che fosse qualcun altro a venirti a prendere, ma Burton e Medina sono sotto scorta e Q... beh, mi piacerebbe proprio sapere dove si trova.-
Poi si staccò in fretta da lei e si chinò a prendere il trolley.
-E comunque pensavo sarebbe stato meglio per te vedere una faccia conosciuta.-
Fece per voltarsi, ma K lo trattenne per un braccio e, lentamente, si accoccolò sul suo petto, celando negli occhi la più grande vergogna che ricordava di aver mai provato. Lui rimase per un attimo interdetto, ma poi, timidamente, le cinse le spalle col braccio libero. E così la giovane
si strinse forte a J, guardando altrove. Si odiava per aver un così disperato bisogno di rifugiarsi nelle braccia di qualcuno. Per anni quel qualcuno era stato Bjarne, a volte anche L; ma si ritrovò a pensare che era da quando si era risvegliata da bambina nella sala d'ospedale in cui le avevano detto che i suoi genitori erano morti, che cercava disperatamente un abbraccio entro cui trovare rifugio.
Era assurdo pensare che una cosa così semplice eppure così fondamentale le fosse stata preclusa. Più volte. Dalle stesse persone.
     K sapeva il vero motivo per cui J e gli altri avevano preso di mira lei e L, ai tempi; loro erano gli unici bambini di quella generazione di studenti alla Wammy's House a non essere stati abbandonati alla nascita. Avevano avuto dei genitori, avevano sperimentato l'affetto di una vera famiglia, avevano vissuto Natali con biscotti, alberi decorati e cenoni, e compleanni con torte e regali, gite al luna park, pomeriggi al parco. Questo pensavano. Certo, L aveva avuto una madre ma aveva sperimentato soltanto botte, negligenza e tutte le tipiche conseguenze dell'avere un genitore depresso e alcolizzato, ma questo loro non lo potevano sapere: credevano che la sua rabbia sorda, il suo sguardo cattivo e spesso vuoto fossero il risultato del trauma di aver perso la famiglia ed essere finito in orfanotrofio; in realtà (K lo aveva immaginato dal primo istante in cui lo aveva visto), quello era ciò che L era sempre stato. Per questo si era sentita fin da subito in dovere di proteggerlo: lui aveva perso una famiglia che probabilmente non voleva nemmeno rimpiangere. Dolore nel dolore, un dolore contro cui non aveva mai avuto intenzione di reagire.
Eppure, nonostante tutti gli insulti, le botte, le ingiustizie subite per proteggere L da J e dai suoi compagni, K non ce l'aveva con loro: si rendeva conto che l'odio tra i suoi studenti era l'unica arma che la Wammy's House potesse usare per impedire che i ragazzi le si rivoltassero contro; incanalare rabbia e frustrazione verso chi sta in posizione più svantaggiata è da sempre l'arma usata da chi sta in alto. Alla Wammy's House avevano sempre scoraggiato gli studenti dal creare legami: i legami li avrebbero resi deboli, questo insegnavano loro. Dimostrare di essere i numeri uno: questo, invece, era il loro credo.
Non era colpa di J o degli altri bambini, o anche di L, se non avevano conosciuto alcuna via alternativa. Ma K un'altra via la conosceva, perciò si sentiva l'unica da biasimare per aver ceduto all'odio contro Hayer e tutti gli altri.
Quanto a J... non lo odiava per davvero. Solo che era diventato divertente, per loro, odiarsi.
     Mantennero impacciati quella posizione per qualche secondo, quando finalmente K riprese a parlare.
-Grazie per aver accettato il caso, J. E per aver aiutato Roger.-
Alzò la fronte, incontrando per un attimo il suo sguardo, ma poi prese a fissare un punto alle sue spalle.
-E grazie per essere qui.-
-Non voglio che la gente mi ricordi come il vigliacco che ti ha spinta a marchiarti la faccia come una qualsiasi vacca da allevamento.- borbottò lui, guardando, allo stesso modo, chiunque lo circondasse, ma non la giovane di fronte a lui. -Noi studenti della Wammy's House finiamo sempre per diventare dei grandissimi stronzi; ammetto di aver detenuto il primato da piccolo, ma le persone cambiano.-
-Potrei quasi crederci.- disse K si raddrizzandosi e staccandosi da lui. -Ma so che ti piace troppo vedermi incazzare per smettere di provocarmi in modo stupido.-
J si lasciò scappare un sorrisetto.
-Nessuna persona sospetta in giro.- aggiunse lei, con la voce che s'era fatta seria tutta d'un tratto. -Fine della tregua.-
Lui si allontanò immediatamente da lei, strinse il manico del trolley e prese a camminare in direzione dell'uscita.
-Spero apprezzerai lo sforzo che ho fatto nel non scoppiarti a ridere in faccia mentre ti alzavi in punta di piedi per darmi un bacio in fronte.- gongolò K.
-Ha-ha-ha.- la canzonò lui. -Che originalità. Le battute sulla mia altezza. Wow. Sei anni sotto sequestro e non sei riuscita ad aggiungere nulla di meglio al tuo repertorio?-
Si unirono alla fiumana di gente diretta verso l'uscita.
-Beh, sai com'è... Non è che tu fossi proprio in cima alla lista dei miei pensieri. E comunque anche tu non è che brilli per inventiva quando decidi di farmi incazzare.-
-Questo perché non devo fare chissà quale sforzo... Ti arrabbi per qualsiasi cosa. Quando ho smesso di avere paura di fronte alla tua faccia sfregiata e ai tuoi occhi indemoniati, ho scoperto quanto può essere ridicolo vederti perdere le staffe.-
Risero entrambi di cuore.
-Per questo è così frustrante quando non abbocchi alle mie provocazioni e ti comporti da persona adulta ignorandomi. Non è da te!- concluse l'uomo.
-Dammi tempo.- protestò K. -Stasera ti porto nel ristorante in cui servono le migliori bistecche di tutto l'Illinois. E, visto che sono certa che tu abbia una qualche cimice addosso e che Q ci stia ascoltando... Q, sei invitato anche tu. Così intanto vi ringrazio per il lavoro svolto fino ad ora, mi aggiorno sulla vita di J per trovare nuovi spunti per punzecchiarlo e ristabilirò le giuste gerarchie ricominciando a darvi ordini fino a chiudere il caso Hogson.-
     Le porte scorrevoli si aprirono davanti a loro e uscirono sul marciapiede della corsia riservata ai taxi. C'era una volante della polizia che li attendeva.
-Q ha appena detto che per la nostra sicurezza sarebbe meglio se prenotassimo una suite ad un Hilton Hotel e facessimo venire uno chef stellato. Dice che l'ha progettato lui il sistema di sorveglianza agli Hilton Hotel, quindi non corriamo rischi. Questo è il sergente Schmidt, comunque, lavora con tuo padre.- disse J, indicandole l'uomo che stava tenendo loro la portiera aperta.
-Allora è deciso, stasera Hilton Hotel, caviale e champagne.- aggiunse, entrando in macchina. -Tanto hai detto offri tu, no?-
-Ah sì.- fece lei, distrattamente. -Tanto sono soldi di L alla fine. Sono sulla sua busta paga.-
-Sembra che qui siamo tutti sulla sua busta paga.- rise J. -A parte forse Q. Q è diventato schifosamente ricco.-
La macchina si mise in moto mentre i due ex compagni ridevano.
-Ah, volevo dirti una cosa, ma spero che questo non ti trasformi in nella solita lagna piagnona e sentimentale.- disse ad un tratto J. -Volevo farti le mie condoglianze per Bjarne. Era in gamba, un po' troppo iper-protettivo ed appiccicoso, ma mi stava simpatico. Non ti somiglia per niente. Forse è per quello che non mi dispiaceva.-
K rise, anche se un po' amaramente.
-Io invece sono abbastanza sicura che lui ti avrebbe preso a ceffoni fin dalla prima volta che ti ha visto, ma era troppo buono.-
-Per questo ripeto: non ti somigliava per niente.-

     Un giovane agente entrò nell'ufficio del penitenziario reggendo due tazze di caffè nero, e Roger gli fece cenno di appoggiarle sulla sua scrivania. J stava seduto (o, per meglio dire, abbandonato) su una sedia, a gambe larghe, con le braccia a penzoloni e la testa rovesciata all'indietro, con la bocca spalancata. Davvero patetico.
Il capitano gli si avvicinò, si chinò e gli urlò all'orecchio: -Sveglia!- a pieni polmoni.
Il giovane emise un grido, spalancò gli occhi di soprassalto e sobbalzò sulla sedia, per poi portarsi le mani alle orecchie.
-Burton, dannazione, la mia testa...- biascicò.
-Se non reggi l'alcol è inutile che ti sbronzi se la mattina dopo devi andare a lavoro.- lo rimproverò Kendra, entrando dalla porta aperta con un gran rumore di tacchi.
Si diresse alla scrivania e prese una delle due tazze.
-Tutta colpa di Q.- bofonchiò J, rimettendosi dritto e massaggiandosi le tempie. -Dannazione, K, potevi toglierci la bottiglia visto che eri l'unica rimasta sobria.-
-E perdermi lo spettacolo di voi due sottobraccio che cantavate da cima a fondo il musical di My Fair Lady?- ridacchiò Kendra. -Neanche per sogno.-
Poi si parò di fronte a lui e gli diede la tazza di caffè.
-Ricomponiti, detective. Stanno per portarci Hayer.-
     Era arrivata negli Stati Uniti da appena un giorno, ma già Roger si sentiva meglio. Quando l'aveva vista, dopo sei anni, in quel palazzo a Tokyo, convalescente, invecchiata, smagrita nel volto ma irrobustita nel fisico, con lo sguardo svuotato e l'espressione di chi ne ha avuto abbastanza, si era sentito male; nella sua mente, Kendra era ancora la ragazzina impudente e scontrosa che girava per casa sua o per il suo ufficio dettando ordini. Forse, pensò, era questo quello che provavano i padri veri nel vedere i figli tornare a casa.
Il padre di Roger era un poliziotto, e fin da piccolo gli aveva impartito una dura disciplina; nulla di ciò che il piccolo Roger faceva era mai abbastanza per il vecchio Burton, nonostante i suoi immensi sforzi per eccellere in ogni campo: negli studi, nello sport, nei lavoretti che faceva per guadagnarsi qualche soldo e riuscire a comprarsi la sua indipendenza. Il piccolo Roger non giocava mai, non andava al parco con gli altri bambini per una partita a football o a baseball: suo padre considerava fossero tutte sciocchezze, che i bambini stessi fossero soltanto degli sciocchi rammolliti che potevano servire a qualcosa solo quando fossero cresciuti. Da adolescente, Roger aveva cominciato a pensare che suo padre e sua madre fossero andati a letto insieme solo per concepirlo; in casa sua madre non parlava mai, o, per meglio dire, nessuno tranne suo padre parlava. Il vecchio riteneva che correre dietro le ragazze fosse una perdita di tempo, che le donne rammollissero gli uomini, che si dovessero fare figli perché era questo che ci si aspettava da un uomo ed una donna... cose così.
     Roger non aveva mai osato alzare la voce contro suo padre, si era sempre impegnato nello studio e nel football, così come nei suoi lavoretti occasionali, per poter vincere una borsa di studio ed andare ad Harvard; avrebbe studiato legge e sarebbe diventato un poliziotto come suo padre, ovviamente.
Ed era stato solo quando finalmente era riuscito ad andarsene di casa, che per la prima volta era riuscito a respirare; il suo fisico scolpito e gli occhi azzurro ghiaccio, ovviamente, avevano attirato sin dal primo giorno l'interesse delle ragazze, ma questo non gli aveva fatto montare la testa. Anzi, aveva continuato ad impegnarsi nello studio e nello sport, ma, per la prima volta, aveva goduto dell'ammirazione altrui: delle ragazze che facevano a gara per mettersi in mostra, di chi seguiva le sue partite, dei professori strabiliati dalla sua intelligenza e dal suo acume. Roger aveva cominciato a vivere dell'ammirazione degli altri come se fosse una droga, e aveva cominciato a sfidare apertamente suo padre.
Non gli era particolarmente dispiaciuto quando il vecchio era morto, e non aveva sofferto eccessivamente quando sua madre lo aveva raggiunto due anni dopo; le prospettive di una carriera erano tutto ciò di cui aveva bisogno in quel momento, l'unico obiettivo verso cui tendere.
Roger non sapeva perché stava pensando a queste cose, mentre Hayer veniva portato nell'ufficio ammanettato e tenuto sotto sorveglianza da tre poliziotti molto robusti. Probabilmente perché Kendra era lì con lui, a risolvere il caso, e lui ne era felice.
Aveva vissuto per anni dell'ammirazione di colleghi, superiori e molte donne; quando aveva preso con sé quella ragazzina, aveva inizialmente sperato di poter fare il salto di qualità, e l'aveva considerata come un'aiutante, ma si era reso presto conto del fatto che lei non ci avrebbe messo nulla a superarlo. E così, in cuor suo, era nata la speranza che un giorno anche lei potesse guardarlo con ammirazione. Poi, dall'ammirazione, era passato a desiderare di vedere nei suoi occhi l'orgoglio che il suo vecchio non aveva mai provato nei suoi confronti. Già, era vomitevole da pensare, ma avrebbe voluto che Kendra lo guardasse negli occhi sorridendo e gli dicesse: “Sono fiera di te... papà.”
Perché lui, di lei, era estremamente fiero.
     -Mi rendo perfettamente conto del fatto che preferiresti morire piuttosto che deciderti a collaborare con noi per fare arrestare gli Hogson.- stava dicendo Kendra ad Hayer, sporgendosi verso di lui con gli occhi rossi che brillavano. -Ma ormai sei spacciato in ogni caso. L'unica libertà che ti rimane è quella di decidere chi tra me o gli Hogson hai più voglia di rovinare. E in questo caso ti do una dritta: gli Hogson potrebbero anche decidere di rendere pubblica la notizia del fatto che io abbia fatto fuori quel povero disgraziato, Norde, mentre ero al vostro servizio, e usare la sua finta autopsia per farmi apparire ai notiziari e farmi ammazzare da Kira.-
Tutti nella stanza sussultarono, tranne Roger e J.
-E sai benissimo che la cosa non è che mi spaventi così tanto. Non ho mai creduto, nella mia intera esistenza, che sarei morta pacificamente da vecchia dopo aver vissuto una lunga vita felice. Ma non posso dire lo stesso per gli Hogson.-
E si tirò su, guardando il suo nemico di una vita, immobilizzato sulla sedia, dall'alto in basso mentre incrociava le braccia sul petto.
-Se vuoi toglierti un'ultima soddisfazione, ti consiglierei di prendere in considerazione l'idea di far sbattere gli Hogson in galera, anche se questo, inevitabilmente, andrebbe a mio favore.-
Hayer era rimasto impassibile per tutto il tempo, e non aveva mai distolto lo sguardo da Kendra. Conservava il suo aspetto intimidatorio e autoritario anche con la barba di qualche giorno e i capelli in disordine.
Alla fine sorrise, mostrando una dentatura sana e perfetta.
-Non ti preoccupare, Banks.- disse, tranquillo. -Su di te ho già avuto le mie vittorie.-
-K.- ribatté lei, stringendo appena gli occhi, ma mantenendo il sorriso sulle labbra. -Mi chiamo K. Nathalie Banks non esiste.-
-Oh, e invece esiste eccome, Banks.- riprese Hayer. -Ho ammazzato prima Stephanie Lilith Kenton assieme alla sua patetica famiglia, e poi ho ammazzato Kendra Burton, che è stata così stupida da credere di potermi arrestare, e ho creato Nathalie Banks. Non sei un prodotto della Wammy's House dal nome in codice K; sei un mio prodotto.-
E poi distolse lo sguardo dai suoi occhi per la prima volta per osservarla intera nella sua figura, alzando il mento per indicarla.
-Quella che eri prima che io ti costringessi a lavorare per me era una stupida pacifista antiamericana che odiava l'idea stessa dell'esistenza delle armi. E ora guardati: quel fisico da soldato, ti ho costretto io a costruirtelo; le tue pistole, ti ho costretto io a prenderle e ad imparare ad usarle come un soldato; quel tuo passo militare, è nato grazie a me; io ti ho portata ad uccidere un uomo a mani nude!-
Riprese quindi a guardarla intensamente negli occhi.
-In parte ti ammiravo perché non avevi paura di nulla, eri insubordinata e piena di grinta. Saresti stata un ottimo soldato, ed è stato quello il mio scopo. Volevo che diventassi una mia creatura, volevo piegare la tua volontà e renderti uguale a me, dal momento che nessuna ferita ti avessi inflitto sarebbe servita allo scopo. Sei un'inguaribile idealista, perciò la peggiore sconfitta per te sarebbe stata trasformarti in qualcosa che tu stessa disprezzavi.-
Il suo sorriso si fece più profondo.
-Sono riuscito a portarti via tutto, e a renderti un mio soldato a tutti gli effetti. Nathalie Banks è una mia creatura, mentre quello che credevi di essere l'ho distrutto io pezzo per pezzo.-
     Kendra era rimasta impassibile, anche se aveva smesso di sorridere.
Alla fine, lentamente, sciolse le braccia, si avvicinò di nuovo ad Hayer, e sporse il busto in avanti, appoggiandosi ai braccioli della sedia.
-Hai ucciso mia madre, mio padre, mio zio, mio fratello, e mi hai separata da tutte le persone con cui avevo un legame per anni. È vero, mi hai cambiata, mi hai resa una persona che non avrei voluto essere, ma io sono ancora qui. Ben venga il tuo tentativo di trasformarmi in un soldato, se mi ha permesso di continuare a combattere e mi ha portata fino a qui.-
Finalmente, accennò nuovamente un sorriso.
-Io sono K. Sono molto più di un prodotto della Wammy's House; molto più di Stephanie Lilith Kenton e Kendra Burton. Da piccola decisi che sarei diventata una persona in grado di fare giustizia per la mia famiglia e per chiunque ne avesse bisogno, ed è quello che sono diventata. Fine della storia.-
Poi si raddrizzò e si voltò verso Roger.
-E poi, non mi hai portato via tutto. Il figlio di L è al sicuro, così come lui, e Burton è qui con me. Saremo pure uniti da vincoli tutt'altro che naturali o ordinari, ma è una famiglia anche questa.-
Tornò a guardare Hayer.
-Finirai i tuoi giorni in carcere, Hayer. E lo farai sapendo che non mi hai piegata.-
     Lo portarono via poco dopo, e la stanza si svuotò.
-Famiglia?- domandò allora Roger con un sorriso, mentre J si allontanava per prendere un'aspirina per il suo dopo-sbornia, lasciandoli soli.
-Non ho detto nulla di strano, Roger.- rispose Kendra, andando a prendere il proprio soprabito. -Ti sei offerto di aiutarmi con questo caso fin dall'inizio mettendo a rischio la tua stessa vita. Sono passati quasi dieci anni, e non ti sei mai tirato indietro né hai mai preteso nulla in cambio, ma anzi, sei sempre stato pronto a sostenermi.-
Gli passò anche il suo soprabito e raccolse la sua valigetta.
-Alla fine, è questo che fa un padre, no?-
Roger sorrise più apertamente, mentre lei gli apriva la porta per uscire dal carcere.
-Quindi ora per te sono un padre?-
Kendra rise.
-Questo fa di te anche un nonno, Roger.-
Anche il capitano scoppiò a ridere, anche se avvertì una punta di nervosismo nella propria voce.
-A questo non avevo pensato. Penso che fare il nonno non mi si addica per nulla.-
-Allora siamo in due ad essere stati colti alla sprovvista.-
E continuarono a ridere di cuore mentre uscivano per le nuvolose strade di Chicago.

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Capitolo 22
*** Prologo Parte Tre ***


november


Prologo Parte Tre


     10 agosto 2004.
     Erano quasi le undici di sera, e gli agenti decisero di spostarsi nella sala adibita ad area relax per cenare tutti insieme. Watari aveva invitato tutti a rimanere lì per la notte, vista l'ora tarda, ma Aizawa se n'era comunque andato, temendo l'ennesimo litigio con sua moglie per essere rincasato che era già notte.
Light sospirava mentre tentava di trascinare un nervoso Ryuzaki per la catena: quel giorno avevano di nuovo discusso, e solo grazie all'intervento di Matsuda non erano arrivati alle mani. Nathalie, come avevano deciso di continuare a chiamarla, era andata via da ormai una settimana, e Ryuzaki aveva di nuovo perso interesse nel caso Kira: non c'era stato alcun progresso, e la raccolta dei dati sulle vittime ordinata dalla giovane era stata momentaneamente interrotta per verificare se non ci fossero modi più rapidi di raccogliere informazioni. Ryuzaki si annoiava, era evidente, e probabilmente l'astinenza da dolci e caffè lo aveva reso estremamente insofferente, ma Light non poteva sopportare la sua poca voglia di lavorare e quell'improvvisa arrendevolezza. Non trovava giusto che la salvezza di migliaia di persone dovesse dipendere da un individuo così capriccioso ed egoista.
Avevano smesso di lavorare così tardi perché avevano passato ore a vagliare diverse soluzioni alternative rispetto alla capillare raccolta e archiviazione di dati ordinata da Nathalie, ma Ryuzaki le aveva bocciate tutte quante, finché, esasperato, Light non aveva preso ad urlargli contro, deciso a risvegliarlo dal suo torpore; era una cosa che lui e Nathalie avevano decisamente in comune. Ma alla fine Matsuda e suo padre avevano intimato loro di smetterla, e Watari aveva proposto di portare la cena a tutti nell'area relax.
     Entrando nella stanza, Light lanciò uno sguardo al pianoforte che Watari aveva fatto materializzare la mattina successiva all'esecuzione di Hayer. L'aveva visto appena era entrato nella sala per fare colazione con gli altri agenti attorno al lungo tavolino da caffè: un pianoforte a coda molto grande e sicuramente abbastanza costoso. Aveva pensato che non sarebbe stato male sedersi a suonare, ogni tanto, ma si chiedeva perché Watari ci avesse pensato solo in quel momento.
Si era poi andato a sedere sul divano, trascinato da Ryuzaki che guardava con sguardo omicida il vassoio di cupcake a disposizione di tutti gli altri agenti, mentre a lui era stato preparato dello yogurt, muesli e frutti di bosco e spremuta d'arancia; già si percepiva il suo pessimo umore.
Dopo che tutti furono entrati e si furono sistemati per cominciare a mangiare, sulla porta era apparsa Nathalie, con la sua camicetta leggera e la gonna blu. Matsuda e Soichiro l'avevano salutata e le avevano indicato il posto lasciato libero per lei sul divano, ma lei aveva lo sguardo fisso sul pianoforte. Perciò aveva fatto cenno con una mano che non si preoccupassero e che cominciassero a mangiare, mentre si avvicinava allo strumento, lo osservava da attentamente, gli girava intorno, e timidamente allungava una mano per scoprire i tasti. Un flebile alito d'aria in quel momento aveva mosso le tende, e Light aveva colto con lo sguardo Ryuzaki guardare i raggi di sole che entravano obliqui nella stanza. Lei era la sua debolezza, non c'era alcun dubbio al riguardo. Forse, l'aggressività nei suoi confronti, il continuo atteggiamento di supponenza non erano una facciata sfruttata da Ryuzaki per allontanare i sospetti; forse, il suo era stato un affetto o un'attrazione non ricambiata. Nathalie era attraente, era carismatica, intelligente e stimolante, ed era stata la sua insegnante: non sarebbe stato strano se Ryuzaki avesse cominciato a sentirsi attratto da lei. La convinzione di Light si rafforzava ogni qualvolta vedeva il suo compagno osservare accigliato i raggi di sole che rischiavano di colpire la pelle bianca della giovane, il modo in cui si muoveva in relazione ai movimenti di lei... e poi il modo in cui l'aveva protetta il giorno prima. Certo, poteva raccontare a lui e agli altri agenti mille storie su come non volesse che lei gli spaccasse l'attrezzatura o cominciasse a tirar loro sedie addosso, ma era innegabile il fatto che le avesse, prima di tutto, impedito di farsi male. Aveva anche recitato bene la parte di quello insensibile che non aveva intenzione di andarla a vedere, ma, di fronte al suo rifiuto di aprire la porta, aveva sbloccato la serratura, era entrato di forza e l'aveva costretta a mostrargli le mani. Era per questo che Light non si capacitava di come, non molto tempo prima, Ryuzaki avesse potuto decidere di mandarla fuori, per le strade di Tokyo assieme a Misa, esponendola al pericolo. Probabilmente, pensava, contava sul fatto che lei avrebbe rifiutato. Forse la sua proposta altro non era che un tentativo per dissolvere ogni dubbio su un suo coinvolgimento nei confronti di Nathalie.
     Light non era sicuro di cosa dovesse pensare dello strano rapporto tra i due: se Ryuzaki a volte tradiva un atteggiamento molto protettivo nei confronti della giovane, lei lo trattava apertamente con maternale ma allo stesso tempo brusca premura, come se lui fosse un bambino capriccioso che lei doveva con immensa pazienza sopportare e tentare di educare. Ed, effettivamente, Ryuzaki era un bambino capriccioso. Capriccioso ed orgoglioso.
Nathalie si era poi lentamente andata a sedere sul divanetto e aveva cominciato a mangiare, guardandosi di tanto in tanto i graffi sulle mani bianche.
-Tornerò negli Stati Uniti, dopodomani.- aveva detto ad un tratto, tenendo lo sguardo basso.
Gli agenti erano rimasti in silenzio; era prevedibile: con la morte di Hayer era necessario che Nathalie fosse presente per andare quanto prima a processo. Non c'era altra soluzione, seppur questo avrebbe inevitabilmente rallentato le loro indagini e ridotto notevolmente l'efficienza del piccolo gruppo investigativo.
Così il resto della colazione era trascorso in silenzio, finché tutti si erano alzati, lasciando Nathalie seduta al tavolino da sola a finire di sorseggiare il proprio tè. Erano tutti usciti dalla stanza e avevano chiamato i due ascensori per scendere al piano terra e cominciare a lavorare, quando, dalla porta socchiusa della sala relax, aveva cominciato a venire della musica. Dapprima titubante e bassa, piena di errori ed incertezze, poi progressivamente più decisa e precisa. Era Chopin, il “Nocturne Op. 9 No. 2”.
Gli ascensori erano giunti al piano, ma nessuno si era mosso dal corridoio. Era come se la musica li stesse trattenendo, come se Nathalie stesse rivelando un lato di sé che nessuno aveva previsto, e ora volessero scoprire di più, rimanendo voyeuristicamente ad ascoltare senza farsi beccare. Light era rimasto alquanto stupito dalla scelta del brano di apertura di quel bizzarro concerto privato e mattutino: credeva che a Nathalie si addicesse molto di più qualcosa come “Sonata al chiaro di luna” di Beethoven; così intensa e oscura, per certi versi. E poi, Nathalie poteva, a suo parere, apparire esattamente come un raggio di luna, flebile luce riflessa, freddo satellite che brilla grazie alla luce di un sole lontano.
     Ma, ad un certo punto, la giovane aveva cominciato a mutare melodia, una melodia che Light non aveva mai sentito. Era malinconica, ma anche un po' rabbiosa, come lei; sembrava ci fossero due voci, una maschile ed una femminile che si facevano da contrappunto, e la voce femminile era indubbiamente quella di Nathalie: a volte esagitata, rumorosa, a volte fragile. Light era stato, però, l'unico a riscuotersi dallo stato di sospensione che aveva avvolto tutto il gruppo, quando aveva notato le dita di Ryuzaki scivolare a destra e sinistra lungo una linea immaginaria, per poi ogni tanto fermarsi e tremare sul posto; come se stesse accompagnando la musica suonando un violino invisibile.

     Watari aveva lasciato la cena nella sala relax e se ne andò non appena L e gli altri entrarono. Voleva andare all'appartamento di K per innaffiarle i fiori; voleva che la ragazza ritrovasse tutto in ordine, quando fosse tornata da loro.
K gli aveva domandato già un paio di volte il motivo che lo aveva portato a trasformarsi dal distante e intransigente direttore del “Wammy Lager”, come lo chiamava lei, nel docile e servizievole Alfred il Maggiordomo, ma lui aveva sempre tergiversato; non credeva lei fosse ancora nelle condizioni psicologiche adatte a scoprire qual era stata la reazione di L allo scoprire che si era buttata da un palazzo col loro bambino nel grembo. O meglio, con la loro bambina. Per depistarli, infatti, quelli della Hogson avevano fornito l'autopsia di una donna incinta di una femmina, affetta da albinismo e da malattia di Huntington. Magari credevano che, in quel modo, loro non avrebbero fatto caso al bambino maschio che era stato dato in adozione ad uno degli orfanotrofi segretamente a lui affiliati, tre mesi più tardi.
     In realtà, dopo una vita trascorsa tra la realizzazione delle sue invenzioni, l'insegnamento e la direzione della Wammy's House, Watari trovava rilassante potersi dedicare a faccende quotidiane. Anzi, si divertiva abbastanza a recitare la parte del mite maggiordomo, per poi vedere l'espressione confusa dipinta sui volti dei propri collaboratori quando decideva di passare all'azione.
Watari riempì una bottiglietta d'acqua nel lavello dell'angolo cucina, per poi andare a versarla in tutti i sottovasi dell'appartamento. K aveva sempre avuto una vera e propria fissazione per i fiori (rigorosamente non recisi): aveva curato con maniacale attenzione quelli del giardino della Wammy's House, era addirittura arrivata a procurarsi il necessario per potare il ciliegio in riva al fiume a nord dell'accademia, il suo albero preferito, quello verso il quale scappava ogni notte, portandosi dietro il piccolo L. Anche i suoi appartamenti erano sempre pieni di fiori; difatti, poco dopo essere stata dimessa, oltre alle orchidee ordinate per lei dai genitori di Bjarne e quelle prese da Burton quando era venuto a trovarla, K aveva preferito che Watari le prendesse un altro paio di piante, anziché dei vestiti nuovi. Gli aveva confessato che questa sua mania si era però rivelata utile, perché Bjarne l'aveva sfruttata per creare un semplice codice segreto basato sui fiori che lei gli aveva regalato per il suo appartamento.
Bjarne era stato una creatura straordinaria; e Watari, nella propria vita, aveva avuto solo a che fare con persone straordinarie, ma in un altro senso: altri inventori geniali come lui, ricercatori conosciuti in tutto il mondo, luminari, e poi tanti, tantissimi bambini prodigio. Bjarne non faceva parte di nessuna di queste categorie: aveva studiato come avvocato, era vero, era molto intelligente e colto, amava leggere ed esplorare diversi campi, ma era estremamente... ordinario. Nessuno avrebbe pensato che fosse destinato a grandi cose. Eppure, Bjarne era stato una persona straordinaria, capace di portare luce laddove c'era solo buio e tristezza.
     Watari ripensò al pacco che aveva già imballato e che era pronto per essere spedito alla Wammy's House. Non gli piaceva fare uno strappo alle proprie regole, e nemmeno fare favoritismi, ma sapeva di doverlo, almeno a Bjarne.
-Avrei un altro favore da chiederti.- gli aveva detto K, seria, prima di partire per gli Stati Uniti la settimana prima.
-Non sei obbligato a farlo, e non solo perché è una regola che gli studenti della Wammy's House non possano ricevere nulla dal mondo esterno, ma perché capisco perfettamente che se un bambino d'un tratto ricevesse un regalo, gli altri si ingelosirebbero e lo prenderebbero subito di mira. Ma... voi non lo sapete perché data e luogo di nascita sono stati modificati sul suo certificato di nascita, ma vedi... Nate River è nato il 24 agosto. Perciò tra qualche settimana sarà il suo compleanno.-
Si era passata una mano sulla nuca, guardando altrove, imbarazzata.
-Bjarne si era messo in testa di imparare a lavorare il legno, sai? Per cui... ha provato a scolpirgli delle figure. Ogni anno, una per il suo compleanno e una per Natale. Sono tra le cose che mi sono portata sempre dietro. Vedi, ora che lui non c'è più, vorrei che suo nipote avesse queste cose. Penso lo renderebbe felice.-
Watari le aveva messo paternamente una mano sulla spalla, mentre lei continuava a guardare altrove.
-In realtà... c'è anche un'altra cosa.- aveva ripreso a dire, arricciandosi una ciocca di capelli attorno al dito indice. -Io... ho provato a scrivere delle storie, su dei quadernetti. Racconti gialli, insomma, senza troppe pretese. Più che altro sono annotazioni di casi a cui ho lavorato, un po' romanzati.-
Poi aveva stretto la mano attorno al tessuto della propria gonna.
-Sai che L da bambino leggeva solo Arthur Conan Doyle. Ecco, ho pensato che un bambino nato da lui avrebbe letto soltanto romanzi gialli, così ho cercato di arrangiare qualcosa del genere. Insomma, immagino presto avrà finito tutti i romanzi gialli della biblioteca della Wammy's House, almeno avrà qualcos'altro da leggere.-
Watari aveva sorriso nel vederla così imbarazzata, e lei si era un po' imbronciata.
-Non sono totalmente un mostro, ok?- aveva detto, incrociando le braccia. -L'ho messo al mondo e l'ho mandato in un posto che ho sempre reputato disumano. Mi sento responsabile per lui, e ora che finalmente posso fare qualcosa per lui senza che rischi di lasciarci le penne, vorrei poterlo fare. È un inizio, no?-
Watari aveva stretto la presa sulla sua spalla.
-È un inizio. Hai ragione.-
     Watari si era interrogato a lungo su cosa fosse meglio fare con quella scatola imballata: dentro c'erano una semplice trottola di legno con gli spicchi colorati, un puzzle tridimensionale, un nodo di legno cinese e altri rompicapo, più sei libretti con la copertina rigida finemente decorata, scritti a mano con la spigolosa calligrafia di K.
Certo, voleva che quelle cose arrivassero a Near, ma non sapeva come giustificarle; per questo motivo non aveva ancora spedito il pacco. Near era di certo abbastanza schivo e riservato da non fare parola con nessuno del dono ricevuto, perciò non temeva che i suoi compagni lo avrebbero preso di mira per quel motivo, ma non sapeva come avrebbe potuto reagire un bambino di sei anni alla notizia che alcuni suoi parenti si erano rifatti vivi.
Ci aveva pensato un'intera settimana. Aveva fatto tanto per tentare di tenere i suoi studenti lontani dalle famiglie che li avevano abbandonati, per far dimenticare loro l'esistenza dei loro affetti e cercare così di diminuire la loro sofferenza, e ora si ritrovava a fare esattamente il contrario.
Ma, alla fine, il senso di colpa per aver impedito a L di rivedere i parenti rimastigli in vita a Boston, una volta uscito dalla Wammy's House, ebbero il sopravvento. Chissà se K aveva fatto leva proprio su quello. La piccola canaglia... lei aveva vissuto a Boston, di certo aveva fatto ricerche su L, perciò era possibile che sapesse che sua zia e suo nonno erano ancora vivi e che Watari gli aveva impedito di vederli. Era stata davvero così subdolamente astuta? O forse davvero si sentiva in debito nei confronti di quel bambino che non aveva voluto?
Watari decise che nulla di tutto ciò aveva importanza. Avrebbe detto la verità a Near: suo zio era morto e gli aveva lasciato un regalo di compleanno per ogni suo anno di vita, assieme ad alcuni quaderni scritti da sua madre.
Magari a Near non sarebbe nemmeno importato.

     L aveva notato lo sguardo che Light aveva rivolto al pianoforte, e anche nella sua mente, quasi le due fossero collegate, erano affiorati i pensieri relativi a quel bizzarro concerto privato di una settimana prima.
Quando finalmente furono entrati in ascensore, Light si era messo a commentare ciò che aveva appena sentito e aveva esposto i propri dubbi. L lo aveva guardato intensamente, con uno sguardo in cui interesse e ammirazione si fondevano nel vuoto nero delle sue enormi pupille dilatate.
-”Sonata al chiaro di luna” di Beethoven è esattamente la melodia che userei per descriverla.- aveva detto infine.
Il detective aveva pensato che non c'erano parole migliori con cui Light avrebbe potuto descrivere K: un raggio di luna. Capriccioso, incostante, freddo, vivo solo grazie ad un sole lontano. E quel sole era Bjarne. Cosa sarebbe successo ora che quel sole era scomparso?
Ma anche le osservazioni del ragazzo sulla canzone che K aveva composto erano assolutamente corrette. L si chiedeva come fosse possibile che una persona con all'apparenza un così scarso interesse per qualsiasi cosa al mondo al di fuori di sé potesse percepire l'essenza di un'altra persona attraverso la musica. L era sempre stato convinto che Light osservasse con occhio critico e meticoloso ogni cosa, che ne facesse una radiografia mentale, ma che non fosse in grado di percepire le cose. Per questo si sentiva così simile a lui; era stato Bjarne a dirglielo: -L, tu sei in grado di osservare ogni cosa e comprenderne il significato, ma non ascolti.-
     Era stato durante il loro viaggio in macchina, nell'estate del '97. Si erano accampati e ora osservavano il cielo stellato sdraiati sul cofano ancora caldo di motore della Mustang Cobra blu del '91, la macchina che Bjarne era riuscito a comprarsi coi suoi sudati risparmi.
-Riuscirai anche ad elencarmi tutte le costellazioni che si vedono in questa porzione di cielo, e a predire entro quanto spunteranno le prossime e quali saranno, ma mi sai dire cosa ti trasmette questa vista?-
L era rimasto con le mani intrecciate dietro i suoi spessi capelli neri e ribelli.
-Io e tua sorella da piccoli scappavamo spesso per andare a guardare le stelle in riva al fiume, sotto il ciliegio. Era il suo posto preferito.- aveva detto, voltandosi leggermente a guardare la figura di K in pantaloncini e top che scuoteva la tovaglia dalle briciole.
-Quella porzione di cielo mi provoca nostalgia. Ma qui... è diverso. Non siamo in Inghilterra. L'atlante del cielo è come spostato, e io... mi sento come se ci fosse qualcosa fuori posto.-
Di fianco a lui, Bjarne aveva sorriso, senza voltarsi.
-È un inizio.-
     Forse ci sarebbe voluto uno come Bjarne per sradicare del tutto Kira dal cuore di Light; lui, di sicuro, non ne sarebbe stato in grado. K, neanche a parlarne.
Mentre si sedevano tutti intorno al tavolino attendendo che Watari portasse loro la cena, L continuava a pensare alla canzone composta da K. La sua vena melodrammatica e teatrale l'aveva sempre portata a vedere le proprie mani come portatrici di morte, lo ripeteva ogni volta che aveva una crisi. -Tutto ciò che tocco muore.- diceva, o -Le mie mani sono coperte di sangue.-, come fosse una moderna Re Mida del sangue, o una Lady Macbeth dei poveri.
Per questo, il suo autolesionismo di concentrava sulle mani: K non si tagliava (era successo una sola volta, e ne portava una cicatrice quasi invisibile), bensì iniziava a colpire qualsiasi cosa le capitasse a tiro fino a ferirsi le nocche, sbucciarsi le dita o graffiarsi i palmi con le proprie unghie. Per questo aveva voluto che Watari mettesse quel pianoforte: era il suo modo per ricordarle che le sue mani erano anche capaci di cose belle.
Per questo lei aveva cominciato a suonare quando sapeva che lui era ancora nei paraggi: e aveva cominciato col Nocturne di Chopin: la sua ninnananna. I sogni di L erano sempre stati infestati dagli incubi, e, dalla prima notte in cui K lo aveva trovato sepolto sotto la neve e lo aveva accudito e tenuto al caldo nel proprio letto, lui aveva sempre cercato di trovare il modo di dormire con lei: il rumore del suo respiro lo calmava, sia che lei fosse accanto a lui, sotto l'albero di ciliegio, mentre lo avvolgeva nella coperta nelle serene notti d'estate, sia che lei stesse dormendo sotto il suo letto per nascondersi dagli altri bambini maschi. E, soprattutto, per farlo dormire lei gli canticchiava il Nocturne, oppure glielo suonava al pianoforte della sala grande della Wammy's House; era anche stata la canzone con cui gli aveva insegnato a suonare il piano, sebbene lo avesse sempre spronato a suonare qualche altro strumento.
-Così potremmo suonare insieme!- gli diceva.
     L non era stupito dal fatto che K fosse riuscita a comporre una canzone per Bjarne senza, probabilmente aver toccato un pianoforte per anni: quando vivevano alla Wammy's House, e anche in seguito, quando si erano trasferiti a Shoreditch, K aveva sempre “suonato” una tavola di legno, su cui aveva inciso con un taglierino la forma di tutti i tasti. A Shoreditch non c'era spazio per un pianoforte, e alla Wammy's House ce n'era soltanto uno a disposizione di tutti gli studenti e dei professori. Per questo lei si era costruita quel surrogato di pianoforte, dinanzi al quale si sedeva di tanto in tanto, sgranchiva le mani, e cominciava a suonare melodie mute ed immaginarie. La sua musica, sia quando proveniva da un vero piano, sia quando era un semplice mugolio delle sue labbra serrate di fronte alla tavola di legno, lo aveva sempre colpito: non era a musica di una bambina prodigio della Wammy's House, era la musica di Stephanie.
L aveva continuato a pensare a quella melodia che aveva ascoltato quella mattina, prima che K partisse per gli Stati Uniti, e non aveva potuto far altro se non comporre nella sua mente un accompagnamento col violino; si rendeva conto del fatto che fosse un'intrusione da parte sua nel dialogo disperato tra K e Bjarne, ma ne aveva sentito la necessità fin dalle prime note.
     Quella musica era cominciata come se fosse stata una voce maschile, malinconica ma allo stesso tempo risoluta, a parlare, una voce che ad un tratto si faceva più dolce e rassicurante, come se cercasse col suo affetto di cacciare via la tristezza.
E a quel punto interveniva una voce femminile esagitata, incalzante, affannata, che quasi copriva quella di lui, lui che tentava di continuare il proprio canto consolatorio. Alla fine era la voce di lei a prendere il sopravvento, ripetendo con tristezza il motivo di lui; finché il suo canto acuto non si spezzava, non si sdoppiava, come se il pianto avesse preso il sopravvento, come se si stesse chiedendo il perché di tutto questo mentre le lacrime cadevano a due a due, finché la sua voce non scoppiava e le parole si susseguivano come un fiume in piena. Non c'era spiegazione per quel dolore, non c'era rimedio, era rimasta una sola voce e il cielo era muto. Il suo sole si era spento, e lei, povera luna arida e fredda, non poteva più brillare della sua luce riflessa.
Cercava di recuperare la ragione, sembrava stesse prendendo un bel respiro, la sua melodia non era più così acuta e concitata, ma questa quiete durava poco, perché la voce si strozzava nella gola, e ricominciava il pianto.
Ma lui ritornava a parlarle, la sua voce faceva da contrappunto a quella di lei... o forse era solo un'illusione? Forse era un'eco lontana di lui che ormai non c'era più? Forse era per questo che il canto di lei si faceva così aggressivo, si ribellava alla melodia, anche se lui, distante, tentava di rassicurarla. E ci riusciva. Riusciva a riportarla alla melodia che insieme avevano cominciato, e, approfittando della ritrovata calma di lei, lui riprendeva a parlarle dolcemente, abbracciandola, bagnandosi con le sue lacrime.
Ma la rabbia tornava ad impadronirsi della voce femminile capricciosa ed inconsolabile, che quindi si staccava da lui, si ribellava alla melodia e batteva i piedi per terra come le dita che in quel momento colpivano violentemente i tasti.
Eppure lui riusciva a riprendere il sopravvento, sempre così calmo, così malinconico, come se stesse cercando di affondare le grida di lei nel proprio petto. Triste non tanto per il fatto di non esserci più, quanto perché in questo modo aveva lasciato lei da sola.
Così lei gli rispondeva, a volte in modo titubante, con le medesime parole che lui aveva per primo pronunciato, mentre le lacrime le cadevano dagli occhi ritmiche e distanti, finché la voce non si spezzava di nuovo per il pianto; eppure, ora non c'era più rabbia nella sua voce. E, mentre lei continuava il suo canto sempre malinconico, ma ora più tranquillo, la voce di lui si era fatta muta, e non sarebbe più tornata. Ma tutte le parole erano state ormai dette, e lei era finalmente libera di dargli il suo ultimo addio.
     E L ora accompagnava quel pianto disperato col suono di un violino invisibile. Un intruso, in quel dolore e in quella relazione, com'era sempre stato. Eppure, non poteva evitare di sentire il bisogno di partecipare a quel canto, se non altro, almeno per accompagnare e sostenere quelle due voci malinconiche.


Note

     Stavo cominciando a perdere le speranze con questa fic: la parte della Yotsuba è lenta e noiosa, e io la sto tirando ancora di più per le lunghe perché c'erano mille argomenti, tutti più o meno pesanti, che avrei voluto trattare. Fortunatamente sono riuscita a ritrovare un po' il giusto slancio leggendo altro (tra cui le fanfiction su Death Note di Alumina, che vi consiglio, in caso non le abbiate già lette) e cominciando la stesura del prequel Before November 8th. Mi serviva proprio, è stata una boccata d'aria fresca. Ho scritto questo prologo e la prima one-shot di Before insieme, e credo che questo prologo sia anche indicato come prologo delle one-shot di Before November 8th. In ogni caso, se avete delle fic di Death Note da suggerirmi come lettura, non esitate a dirmelo tramite messaggio privato! Nelle prossime settimane sarò impegnata a preparare gli esami per settembre, ma spero di potermi ritagliare del tempo per leggere e scrivere.
     Ci tenevo a fare alcune precisazioni su questo capitolo: innanzitutto, la canzone che K “compone” per elaborare il lutto di Bjarne è “Comptine d'une autre été” del film “Il Favoloso Mondo di Amélie”. La scena del piano l'avevo immaginata mesi e mesi fa come risposta alla scena delle mani insanguinate (che qui non ha la pregnanza che le avevo dato in una stesura intermedia, perché sto modificando alcune cose della trama), e sentivo che la canzone suonata da K doveva essere quella. Così ho immaginato un ultimo dialogo tra K e Bjarne, visto dagli occhi di L.
Per il Nocturne, o meglio, per la mia conoscenza e il mio apprezzamento di Chopin, sono debitrice ai Muse: il Nocturne in E-flat Major Op. 9 No. 2 è infatti inserito nella coda “Collateral Damage” a “United States of Eurasia”. Pensavo che un piccolo L, terrorizzato dagli incubi di sua madre che si butta giù dalla finestra, potesse effettivamente addormentarsi al suono di una voce che “canta” il Nocturne. Il dettaglio dell'asse di legno coi tasti su cui K immaginava di suonare l'ho invece preso dal film “Il Pianista”.
     Altra cosa, che ora mi sento in dovere di spiegare: Bjarne è palesemente un sole, e K una luna, in più di un senso, ed era talmente palese che persino L probabilmente sarebbe giunto ad una considerazione così “romantica”. Eppure, anche se pensa di essere escluso dalla cerchia degli affetti più profondi di K, io non la vedo così. Per me K è la luna, e L la Terra. La luna è nata dalla Terra quando questa era ancora troppo giovane per ricordarsene; K ha scelto il suo nome in relazione a L, che aveva deciso di farsi chiamare così. K era una ragazzina rimasta in orfanotrofio per tre anni per superare il trauma della morte dei propri genitori, prima di entrare alla Wammy's House. Quando arriva è una bambina distrutta, che sta cercando una ragione per continuare a vivere; poi incontra L, e vede nei suoi occhi il vuoto in cui lei stessa aveva avuto paura di sprofondare, per questo decide di prenderlo sotto la propria ala. Sceglie il nome di K per non farlo sentire solo, diventa una figura di riferimento per lui perché solo salvando lui crede di poter salvare se stessa. K gravita attorno ad L e, forse, con gli anni L ha dato un po' per scontata la sua presenza, tanto da infuriarsi nei pochi momenti in cui lei è più presente per suo fratello che per lui. Ricordiamo che L è canonicamente infantile e capriccioso, e io gli ho aggiunto un bel trauma con la madre e un complesso edipico irrisolto. Avrei voluto trattare prima o poi questa questione, ma faccio fatica a trovare qualcuno che possa dare voce a questi pensieri: forse l'unico che avrebbe potuto farlo sarebbe stato Bjarne, ma io, purtroppo, Bjarne l'ho fatto morire.
     Per questo gli ho scritto un prequel.

     Grazie davvero dal profondo del cuore a chi ancora mi segue, a presto!

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Capitolo 23
*** Capitolo 18 - Fiori di ciliegio ***





Capitolo XVIII
Fiori di ciliegio



     Sono felice che ti abbiano portato da me.
Sentivo proprio il bisogno di vederti, di parlarti un po', di trascorrere un altro po' di tempo insieme.
Però, trovo che quest'urna non ti si addica per niente. Le fanno davvero tutte così serie? Apprezzo il fatto che sia blu, come il mare che adoravi tanto, e, con un po' di fantasia, potrei vedere in quelle righine dorate lì, sulla base e sul collo, come i riflessi del sole sulle onde. Penso sia un'immagine che ti calza a pennello. Però, scusa se te lo dico, ma la trovo un po' freddina. Dai, magari quando tutto questo sarà finito prenderò lezioni di ceramica e te ne farò una nuova su misura.
Al lavoro va tutto bene, non ti preoccupare. J dice che sta lavorando ad una pista della quale non mi vuole dire nulla, quello stronzetto. Però sai, ha davvero fatto un ottimo lavoro in questi mesi. Sia lui, che Q, che Roger. Anche tuo cugino Chris se la sta cavando egregiamente. Sai, anche loro vivono qui, in questo hotel. Siamo tutti sotto scorta. Roger sta proprio qui di fianco, Chris sta in fondo al corridoio, siamo tutti su questo piano. Ti porto dalla finestra per vedere il panorama?
...
Sei incredibilmente leggero. È incredibile che io possa sollevarti e portarti in giro. Ricordo quando mi alzavi di peso dal divano mentre ero incinta e mi addormentavo davanti alla TV, tu mi portavi nella mia stanza e mi rimboccavi le coperte. Con quello che costano gli affitti, e col tuo misero stipendio, ti eri intestardito a voler prendere un trilocale per avere una stanza per gli ospiti. Povero scemo. E mai che tu abbia accettato un centesimo da me! E dire che, praticamente, quella stanza in più alla fine era diventata la mia stanza.
...
     Spero J non decida di venire qui a parlarmi di lavoro mentre sto con te. Non capirebbe. Nessuno della Wammy's House probabilmente capirebbe, L soprattutto. Ci hanno istruito all'assoluto agnosticismo e alla Religione della Logica, ma non ho mai fatto caso a queste cose. Ecco, lo sapevo, ora ridi e fai battute sul fatto che sono irlandese e quindi devo per forza essere cattolica praticante. Quanto sei infantile, a volte! Guarda che non è per questo. È per il coma. Quello di quando ero bambina, non quello di due mesi fa. Sai, la cosa della luce bianca, e tutto il resto. Io... non l'ho mai detto a nessuno, nemmeno a te, ma... ecco, è successo anche a me. Non ti so dire il perché ed il per come, ma credo di aver sentito qualcosa. Per questo ho poi deciso di specializzarmi in esoterismo, sai? Cioè, non mi fraintendere, non è che volessi fare la Ghostbuster, figurati, ma mi interessava approcciare la questione della vita dopo la morte in modo... tecnico e razionale. Che è praticamente l'unico approccio che mi abbiano insegnato ad usare.
Non sarebbe probabilmente stato così, se mio padre non fosse morto. Lui aveva l'animo di un poeta, lo sai. Filtrava tutto ciò che vedeva con la poesia, e riusciva sempre a farmi osservare il mondo attraverso lenti colorate. Però poi arrivava mia madre e mi restituiva un'immagine oggettiva ed analitica della realtà. Erano i tipici opposti che si attraggono, loro due, ci ho pensato spesso, sai? Però, in qualche modo, a me è sempre sembrato che tu fossi più figlio di mio padre che di nostra madre; anche tu come lui adoravi circondarti di bellezza, e anche tu come lui adoravi far sorridere la gente.
Spero vi siate incontrati, ovunque voi siate. Penso che a lui tu piaceresti molto.
     Aaaarg.
Merda.
Fa freschino qui.
No, tranquillo, era solo una folata di vento sulla schiena, m'è venuto un brivido e...
Ah, già, te non hai visto il tatuaggio.
Guarda, è ancora fresco, e sono solo i contorni. Cinque ore dal tatuatore per farli, e tra un mese devo ritornare per il colore. Ti piace? È un ramo di ciliegio. L'ho fatto partire da qui in basso, copre tutta la schiena in diagonale e finisce proprio sulla mia cicatrice sulla spalla destra. Così ora, anziché avere quel brutto taglio antiestetico, avrò un ramo fiorito.
Vedi? Questi sei fiori che si sono staccati da ramo e stanno cadendo siete voi: qui ci sei tu, qui c'è nostra madre, mio padre, mio zio, e quelli più piccoli sono Naomi e Raye. È vero, non è che avessi tutta questa confidenza con loro, ma sono sempre stati carini con me, e anche se avevano capito che gli nascondevo qualcosa non hanno mai detto nulla.
Lo so, il ciliegio è il fiore che usavamo per riferirci in codice a L. Perché in parte è giapponese e perché quel vecchio albero in riva al fiume era il suo posto preferito. E anche il mio. Però pensavo che potesse essere una buona idea questo tatuaggio. In parte perché, con tutto il male che ho dovuto sopportare e che dovrò sopportare ancora tra colore e ritocchi, magari in questo modo la smetterò di farmi del male picchiando cose solo per contrastare i miei sensi di colpa. Ma anche per il significato dei fiori di ciliegio: la bellezza splendente ma effimera della vita, la sua delicatezza e fragilità. Non so se hai notato, anche perché questo è solo lo scheletro e manca il colore, ma per ogni fiore caduto c'è un germoglio: dopotutto, la caduta dei fiori di ciliegio non è la fine; è necessaria perché poi nasca il frutto, il seme, e così via. Quelle cose lì.
Insomma, pensavo potesse essere bello.
Solo che ora mi tocca muovermi al rallentatore per evitare di tirare la schiena e devo spalmarmi la crema e non posso mettermi vestiti normali. J ha storto il naso, già si lamentava perché è contro le regole della Wammy's House farsi tatuaggi (sai, per la questione dell'anonimato e del travestimento), e poi perché così non mi muovo alla stessa velocità di prima. Gli ho detto che più che correre come una scema per gli uffici è meglio che faccia muovere il cervello, ma sai com'è fatto, criticare è il suo passatempo preferito.
     Mi manchi, sai? Sarò banale, ma è così. Eri il mio stesso sangue, eri tutto ciò che rimaneva della mia famiglia. Avevi i lineamenti così simili ai miei, a quelli di nostra madre, ed era come se emanassi una luce, come mio padre. Ho sempre voluto vedere loro in te, in qualche modo. Sai, tutto nella mia esistenza mi pareva un surrogato di qualcos'altro: Roger era un surrogato di padre, L da bambino era un surrogato di fratello minore, poi è diventato un surrogato di trombamico complessato in quella sottospecie di surrogato di relazione che avevamo. Pure il mio pianoforte disegnato sulla tavola di legno era un surrogato. Ma tu... tu eri reale. Eri davvero mio fratello, eri davvero il mio sangue, e soprattutto mi volevi davvero bene come un fratello. Inconsciamente, cercavo così disperatamente un contatto umano, dell'affetto, un abbraccio, che quando ho trovato tutto questo in te per me è stato come... come risvegliarmi da un letargo, più o meno. È vero, il nostro rapporto fratello/sorella non è mai stato come tutti gli altri, ma semplicemente perché non abbiamo vissuto sotto lo stesso tetto, quindi non c'era occasione perché nascessero tensioni, gelosie e scontri. Non so dove ho sentito dire che i parenti li si apprezza di più quando non li si vede. Forse è davvero questo il segreto della nostra amicizia.
     Spero che quello che ho detto non ti renda triste. Cioè, lo so che eri preoccupato del fatto che potessi rimanere da sola se fossi morto prima di me, ma credo che me la caverò. Stai a vedere. Roger a quanto pare col passare degli anni è diventato un tenerone, e sono certa di poter contare su di lui in ogni occasione. Gli voglio bene, davvero. E non solo perché ha rischiato di rimetterci la pelle in tutti questi anni solo per proteggere noi. Ma perché... è una brava persona. Sono davvero orgogliosa di lui, non perché è intelligente o perché è diventato un eccellente poliziotto, ma perché è diventato una brava persona. Era un narcisista egocentrico, e ora invece è una brava persona. Qualcuno di cui andare fieri.
     Sai, il tatuaggio... i fiori che sono ancora attaccati al ramo non sono casuali: ognuno rappresenta una persona che mi ha lasciato qualcosa di importante. Infatti il fiore di Roger è qui, lo vedi? Ci sono anche i tuoi, su questo rametto, dove c'è il germoglio lasciato dal tuo fiore che è caduto. E qui di fianco c'è L, più sotto c'è Watari, e quel bocciolo che non è ancora fiorito... è tuo nipote. Cioè, lo so, lui non l'ho nemmeno mai visto, non mi ha lasciato nulla... ancora. Ma ha fortemente condizionato la mia vita e le mie scelte, e, anche se non avrei voluto avere un figlio in questo modo, ho sempre cercato di fare il possibile perché potesse essere fiero di me, un giorno. Perché so che scoprirà di essere figlio mio e di L. È intelligente quanto suo padre, me lo sento dentro.
     In realtà, sto pensando al futuro, ultimamente. Strano, vero? Penso a cosa vorrei fare della mia vita quando tutto questo sarà finito. Intendo, se usciremo vivi dal caso Kira e se non mi sbatteranno in prigione per il caso PPEP. E nulla, pensavo al fatto che, come ho imparato ad apprezzare Roger come persona e anche come padre, magari c'è una possibilità che succeda lo stesso con Nate. Potrei darci una possibilità, magari. Non lo so, vedrò.
E poi con L.
Mmm... so che eri curioso di sapere cosa sarebbe successo quando mi avrebbe riconosciuta. Immagino tu l'abbia visto, no? Non è... esattamente una cosa semplice. Voglio dire, oltre al fatto che continua ad avercela, giustamente, con me... una bottarella me la darebbe ancora. Ecco, ora stai ridendo. Guarda che è una cosa seria! Ed è un problema, perché se si lascia trasportare dagli ormoni come quando aveva diciassette anni, finirà per fare qualche stronzata. Di sicuro. E sono certa che Light abbia capito qualcosa. Penso fosse inevitabile; Light non è cieco e non è stupido. Certo, gli altri poliziotti è improbabile che ci arrivino, visto e considerato che dopo tutto questo tempo continuino a negare l'evidenza per quanto riguarda Light e Misa e il fatto che siano stati i due Kira.
     D'altra parte, penso che L sia anche parecchio interessato a Light. Sai, la sera in cui... te ne sei andato... voglio dire, quel giorno L ha detto a Light che lui era il suo primo, vero, caro amico, e questo mi aveva mandata in bestia. Ho sempre detestato la sua infantile gelosia nei tuoi confronti, ed è per questo che l'ho sempre trattato come un bambino, anche se mi rendevo conto di quanto fosse sbagliato. Il fatto è che... ora L è sempre più coinvolto. Temo che non voglia fare progressi con l'indagine non solo perché teme di fare il gioco di Kira, ma anche perché non vuole che Light recuperi i ricordi ed i poteri di Kira. Sai... ora il ragazzo ha un'altra personalità. È evidente; talmente evidente che non capisco come suo padre non se ne accorga. Giusto per tornare al discorso di prima. Da un certo punto di vista, vorrei che non ce l'avessi con lui, anche se è quello che ti ha materialmente ucciso. Ma cosa dico, ovvio che non ce l'hai con lui!
     Se ci fossi tu, sono certa che potresti salvarli. Lui e Misa. Misa è... un'orfana, come me. I suoi genitori sono stati uccisi da un ladro, così, senza alcuna spiegazione, e come se non bastasse, girano voci che sia stata spesso aggredita dai fan, che sia stata stalkerata e che abbia avuto a che fare con diversi maniaci. Penso sia evidente dal modo in cui parlava a L quando lui la teneva prigioniera: non piangeva, non urlava, non tremava di paura, non era nemmeno paralizzata dal terrore; lei in parte continuava a recitare una parte da idol vittima, quasi come fosse un gioco di ruolo a letto. Mi ha fatta inorridire, perché ho pensato che non fosse la prima volta che veniva presa con la forza da sconosciuti, probabilmente stuprata e chissà cos'altro; non è così che dovrebbe reagire una ragazzina di vent'anni legata e bendata non si sa bene dove e non si sa bene da chi! Non oso immaginare come debba essere stata la sua vita, ma in ogni caso dubito sia stata piacevole. Non sarebbe strano se si fosse aggrappata con tutte le sue forze all'idea di una giustizia divina che colpisce i colpevoli quando la società non lo fa, e se questo l'avesse fatta innamorare di Kira, nella persona di Light. O meglio: per Light ha una cotta quasi infantile, davvero strana per una della sua età; sembra quasi che Misa in Light veda l'ideale di ragazzo che non ha mai avuto... gentile, educato, serio, quasi cavalleresco e soprattutto non ossessionato dal sesso (cosa davvero strana, per uno della sua età, se me lo fai dire). Per Kira, invece... sembra provare una devozione assoluta, un amore che porta al martirio, come se volesse completamente abbandonarsi al suo volere ed annullare se stessa per realizzare un destino più grande. Ci ho pensato guardando e riguardando le immagini del suo arresto e della sua prigionia, prima del cambio di personalità. Sai, non ha opposto resistenza quando l'hanno presa. Nonostante la tortura (L prima o poi se la dovrà vedere con me per questo!), non ha mai vacillato, era pronta a morire pur di non tradire Kira. Ed ecco... penso che se ci fossi tu insieme a noi, le cose sarebbero molto diverse. Magari riusciresti a salvare Misa dalla voragine che si è scavata dentro di lei, e che lei ha tentato di riempire con la sua devozione al dio di una giustizia distorta... come hai salvato me. E forse riusciresti anche a riportare a galla la luce che c'è in Light. Buffo gioco di parole, non credi? Si chiama Light, ma forse Glimmer sarebbe più appropriato: la sua è una luce offuscata, praticamente soffocata dalla noia. Sai che il suo nome si scrive con kanji di “luna”? Trovo che sia una cosa come minino bizzarra, visto che la luna di per sé non dà luce.
     Sì, sì, lo so... ultimamente sta uscendo il mio lato sentimentale. Ma dopotutto, sono figlia di mio padre, no? Anche a me, come a lui, piace vedere un po' di poesia nel mondo, solo che per un sacco di tempo non ho voluto guardare al di là del mio naso; era tutto grigio, quando non c'eri tu.
     Mi fa bene parlare con te. Del caso, di quello che mi passa per la testa, di tutto. Mi aiuta. Vorrei solo poter essere d'aiuto anch'io, per gli altri. Voglio dire, lo so che Misa e Light sono colpevoli e che andrebbero messi in carcere a vita, ma vorrei che almeno Misa potesse liberarsi dei suoi demoni interiori, e Light trovasse un senso alla propria esistenza; perché, ora come ora, loro due sono già morti, dentro. Ma purtroppo io non sono come te; a malapena riesco a reggermi malamente sulle mie gambe. E trovo sia incredibilmente egoista il fatto che abbia cominciato a prendere seriamente in mano la mia vita solo ora che non ci sei più. Eri la mia rete di salvataggio, emotivamente parlando, e invece ora devo trovare da me la forza di andare avanti. Però ti sono grata per tutto quello che mi hai trasmesso in questi anni. Se riuscirò a fare qualcosa di buono per le persone, lo dovrò solo a te.

     Credo sia ora di andare. J voleva vederci per cena, quindi andiamo nel suo appartamento, e io prima devo cercare di mettermi la crema sul tatuaggio.
Mi dispiace doverti lasciare qui, ma vorrei continuare a parlarti appena torno. Magari di cose un po' più divertenti, eh? Sì, non ti devi preoccupare; è vero che negli ultimi tempi ho continuato ad andare avanti soltanto perché reprimevo i miei sentimenti, come se fossi un robot. Ma ormai sono fuori da quella fase.
Non ti preoccupare per me. Hai sempre cercato di trasmettermi la tua luce e la tua forza. Non le lascerò chiuse in un cassettino come delle reliquie mentre continuo a ripiegarmi su me stessa. Le farò splendere, e farò splendere te con loro.

     Ti voglio bene, fratellone.


Note

     Mi dispiace nuovamente per il ritardo di più di un mese.
Questo capitolo è rimasto breve (so che avete tirato un sospiro di sollievo al vederlo) perché volevo lasciare a K e Bjarne il loro momento e il loro spazio. Essendo un monologo, ovviamente mi sono concessa più libertà da un punto di vista grammaticale e di punteggiatura.
     Purtroppo, giusto dopo aver pubblicato i due capitoli di November e Before un mese fa, c'è stato un evento a livello personale che mi ha destabilizzata parecchio, motivo per cui non ho voluto scrivere nulla fino a che non fossi stata sicura che la mia situazione personale non avrebbe influito su ciò che scrivevo (già questo è un angst, ci manca ancora che mi lasci trasportare dai sentimenti negativi e faccia fuori gente a caso). Non so se riuscirò a mantenere un certo ritmo nella pubblicazione, ma non temete; prima o poi vedremo la fine di questa epopea!

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Capitolo 24
*** Capitolo 19 - Il punto ***





Capitolo XIX
Il punto


     Light si alzò automaticamente dal tavolo della mensa comune, prendendo il proprio piatto per andare a lavarlo, ma a metà del movimento ricordò di essere ammanettato allo scontroso detective che vegetava ancora seduto di fianco a lui, sorseggiando controvoglia un caffè d'orzo. Da quando Nathalie se n'era andata, si era impuntato per interrompere le indagini che lei aveva messo in moto, ed era ritornato a gestire il secondo Kira come aveva fatto nei due mesi precedenti: vale a dire non muovendo un dito.
Light era furioso con lui, ma si era ripromesso di non prenderlo più a cazzotti, dal momento che l'ultima volta avevano spaventato a morte Misa e avevano rischiato di far saltare i punti alla spalla di Nathalie; così aveva pensato di sfidarlo nuovamente a tennis, come quel giorno all'università che ormai sembrava appartenere ad un'altra vita, ad un altro Light. Ryuzaki sarebbe stato soddisfatto soltanto con un confronto diretto con lui? Benissimo. Sarebbe stato disposto a fare qualunque cosa, purché quel capriccioso bambino troppo cresciuto si rimettesse al lavoro. Non poteva sopportare che la vita di decine di persone ogni giorno dovesse dipendere da un individuo tanto egocentrico ed irresponsabile.
     Le loro giornate ormai trascorrevano lentamente, tutte uguali, tra il monitoraggio delle morti e sempre più frequenti visite all'appartamento di Misa; Ryuzaki sembrava trovare estremamente divertente l'idea di mandare la ragazza su tutte le furie presenziando ad ogni loro “appuntamento”. Forse, in quel momento, quello rappresentava il suo unico svago. A Light interessava poco, in ogni caso: Misa era sicuramente una ragazza bellissima, ma lui non provava alcun interesse nei suoi confronti. Nonostante avesse sempre avuto grande successo con le ragazze, non ne aveva mai approfittato più di tanto; le trovava tutte... noiose. Anzi, ora che ci pensava, aveva sempre trovato la sua intera vita noiosa.
     Era sicuramente stato baciato dalla fortuna alla nascita, Light Yagami; era sempre stato bello, sveglio, intelligente, atletico. Era sempre il migliore in tutto ciò che faceva, e senza chissà quale sforzo, come se la sua intera vita fosse stata un gioco con un livello di difficoltà estremamente basso. Nulla sembrava in grado di stuzzicare la sua curiosità. O almeno, così era stato finché non era comparso Kira. E poi Ryuzaki. E probabilmente anche Nathalie. Delle menti così acute erano state come una boccata d'aria fresca per la noiosa vita di Light. Erano stimolanti, intriganti, in grado di spiazzare il ragazzo che credeva sempre di essere tre passi davanti a tutti. Erano figure che lo affascinavano. Forse era anche per questo motivo che ce l'aveva così tanto con Ryuzaki per essersi lasciato andare in quel modo.
-Hai per lo meno intenzione di alzarti dalla sedia?- domandò al suo compagno, senza nascondere una nota di irritazione nella voce.
Il detective si voltò a guardarlo con occhi sbarrati e inespressivi, col cucchiaino che gli penzolava dalle labbra.
-Hai fretta, Light?- fece, sgranchendosi le dita dei piedi.

     -Carne rossa per cena? Di nuovo?- domandò K alzando un sopracciglio, chiudendo la porta dell'appartamento di J dietro di sé. -Mi spiace, ma io stavolta passo.-
-E dai, non fare la guastafeste!- esclamò J andandole incontro e alzando una mano per darle una pacca sulla schiena, gesto al quale K reagì con uno scatto fulmineo per uscire dal raggio d'azione dell'uomo.
-Se mi tocchi sopra il tatuaggio giuro che ti spezzo un osso a tua scelta.- ringhiò.
-Finitela voi due.- sbuffò Q dall'altra stanza, senza degnarsi di lasciare la propria sedia. -Ho un sacco di lavoro da fare e non mi pagate abbastanza per farmi assistere ai vostri battibecchi.-
L'atmosfera in pieno stile Wammy's House, che avrebbe fatto affiorare una smorfia nostalgica vagamente simile ad un sorriso sulle labbra dei tre ex studenti, fu rotta dall'aprirsi della porta e dall'ingresso di Burton e Medina.
Ora c'erano tutti.
     Si sedettero intorno al tavolo della sala e presero a cenare, discutendo animatamente tra un boccone e l'altro.
-Dico solo che se non fosse stato per noi, a quest'ora saresti già in carcere, bella mia.- esclamò a gran voce J, puntando il pezzo di pane che stava sbocconcellando in direzione di K. -O magari all'obitorio. Non so quale delle due opzioni mi entusiasmi di più.-
Il suo viso già naturalmente tendente al rosso era ormai paonazzo, e dopo appena un bicchiere e mezzo di vino.
-Come se tu avessi effettivamente fatto qualcosa di utile.- lo canzonò Q, sistemandosi gli occhiali sul naso e tagliandosi con cura il filetto alla Wellington nel proprio piatto. -Vorrei ricordare a tutti i presenti che io ho dovuto tenere sotto controllo la corrispondenza di Hayer e di buona parte della Hogson e dell'FBI dal momento in cui la nostra cara collega s'è rifatta viva con Watari.-
Fissò intensamente K cogli occhi color nocciola, sempre vispi sotto le pesanti palpebre. -Non mi sono probabilmente mai annoiato tanto a fare un lavoro. Ho dovuto alterare ogni rapporto che Grumann ha inviato ad Hayer su tutti i componenti della squadra di L e sul caso Kira, perché non trapelassero informazioni sulle indagini. Senza contare la magnifica trovata di cambiare il cognome di Hayer per impedire che venisse ammazzato.-
Schioccò la lingua, e poi si portò la forchetta alla bocca.
-Hai ragione, Q. Dovrei farti una statua.- gli sorrise K, posando il calice di vino.
-Bene, se avete finito, allora...- si intromise Medina, ripulendosi le labbra carnose col tovagliolo bianco. -... direi che potremmo discutere del caso Hogson.-
Si sentì il rumore delle posate che venivano rimesse sul tavolo, tranne quelle di Q, che stava continuando a masticare lentamente.
     L'avvocato si voltò verso la giovane, che gli sedeva di fianco, poggiandole una mano sulla spalla.
-La prima udienza si avvicina. Dobbiamo preparare la tua testimonianza, ma essere anche pronti al contro-interrogatorio della difesa.-
-Finirò sul banco degli imputati, lo so.- disse lei con un sospiro, incrociando le braccia. -Tenteranno di portare alla luce tutto il torbido della faccenda per farmi mangiare viva dalla giuria popolare e minare alla credibilità della mia testimonianza.-
-E il fatto che sia stato io a condurre l'arresto non farà altro che indebolire le basi dell'accusa.- disse allora Roger, col suo solito tono calmo e controllato. -È una strada in salita. Ci sono abbastanza prove per sbattere in galera tutti, anche gli inservienti, ma nessuno di noi ha agito secondo la legge. E rischiamo di perdere. Rischiamo grosso.-
Si sentì un pugno battere sul tavolo, e i calici tremarono emettendo un flebile tintinnio.
-Però, se al nostro posto ci fosse L, nessuno oserebbe dirgli nulla!- protestò J, con voce un po' troppo alta.
Quasi contemporaneamente, Q e K rotearono gli occhi.
-Quel figlio di puttana se ne frega delle regole, delle leggi e delle costituzioni, fa di testa sua, infrange trattati, risolve casi e tutto il mondo è lì fuori, in ginocchio, pronto a leccargli il culo.-
Nessuno parlò, ma Roger, seduto di fronte alla figlia, le rivolse un eloquente sguardo che pareva dire “Non è che abbia tutti i torti”.
Per tutta risposta, K si alzò dal suo posto e prese con fare deciso la bottiglia di Bordeaux e il calice di vino di J, e si allontanò verso il cucinino.
-Non hai tutti i torti.- disse, mentre si allontanava. -Ma lamentarsene ora non ci aiuterà a risolvere questo casino.-
-Te devi solo stare zitta.- le urlò dietro l'uomo. Poi si voltò verso gli altri seduti al tavolo, e abbassò lo sguardo. -Ci hanno cresciuti come mostri. Delle bestie, delle bestie razionali e senz'anima, pronte a fare qualsiasi cosa per trovare la verità.-
-”Ogni caso è un enigma”.- intervenne Q, passandosi una mano sulla barbetta curata. -”E un enigma va risolto con ogni mezzo”.-
J scosse la testa con un sorrisetto sprezzante. -Siamo arrivati a sacrificare la legge in nome della giustizia. Siamo poco più che criminali legalizzati.-
-Come i pirati al servizio della Corona.- intervenne K, ritornando al tavolo reggendo con un piatto con della frutta e una pagnotta, che posò davanti a J. Poi prese una brocca d'acqua e gli riempì il bicchiere fino all'orlo.
-Dobbiamo lavorare. Ci servi lucido al cento percento.- gli ringhiò contro, intimandogli di mangiare e bere con uno sguardo di fuoco.
     -J non è ubriaco, K, anche se non sembra avere ben chiaro quale sia attualmente il volume della sua voce.- Q riprese a parlare, mentre Medina si alzava a sua volta per prendere i piatti vuoti e portarli via.
-È solo frustrato, e questo perché... è che tutti noi abbiamo vissuto il nostro momento di crisi, di conflitto, quando abbiamo cominciato a lavorare e ci siamo trovati a dover scegliere se operare entro i limiti della legge, oppure agire col solo fine di trovare la verità.-
K era tornata al suo posto, appoggiando entrambi i gomiti sul tavolo e lasciando cadere il suo volto stanco sulla mano chiusa a pugno.
-Ma L...- riprese Q, togliendosi gli occhiali e strofinandosi gli occhi con la mano aperta. -... è sempre stato uno degli studenti più dotati, ma anche più inquietanti. È vero che noi compagni non siamo mai stati molto... collaborativi; vi abbiamo maltrattati per anni, e tu sei stata la sola a volerti prendere cura di lui.-
-E con che risultati...- bofonchiò J, mentre beveva il bicchiere d'acqua a piccoli sorsi.
-Chiudi quella bocca.- lo zittì Roger.
Q e K si voltarono a guardarlo con espressione smarrita, alla quale il poliziotto rispose con uno dei suoi irresistibili sorrisi.
-Mi interessa sapere cos'avete da recriminare a mia figlia. Perciò, prego, continua. Basta che non la facciate tanto lunga, perché vi ricordo che siamo qui per lavorare.-
     Q si rimise gli occhiali e si voltò nuovamente verso la sua vecchia compagna.
-In breve: J ce l'ha con te perché crede che sia tu il motivo per cui L conduce le sue indagini in modo abominevole. Con la diretta conseguenza che qualunque altro ex studente della Wammy's House che decide di sottostare alle leggi non ha speranza di poter competere con lui. In pratica, ci hai rovinato il mercato.-
K rimase immobile, sbattendo solo le palpebre in modo ostentato.
-Ragazzi, che cazzo, ci scopavo solo. E non guardarmi così, Roger. Sono adulta e vaccinata.-
-Lui non lo era.-
-Shh!- lo zittì K, portandosi il dito davanti alle labbra serrate e spalancando gli occhi. -L'età del consenso in Inghilterra è di sedici anni. Per di più...- riprese poi, rivolgendosi di nuovo ai due vecchi compagni, seduti ai due lati opposti del tavolo. -Sapete perfettamente quanto io fossi la prima ad odiare i metodi che ci avevano inculcato alla Wammy's House. Magari avrete indagato su di me e avrete anche capito il motivo per cui mi sono sempre opposta a quello che ci insegnavano. E ho anche cercato di farlo entrare in quella testa dura di L, quindi, J, non prendertela con me se non sei nella top 3 dei migliori detective al mondo. Sai com'è fatto quello, ha un ego così smisurato che addirittura occupa da solo tutto il podio!-
-Se non gli avessi fatto credere di esserti buttata da una finestra per colpa sua...- ribatté allora J, sbottonandosi i primi bottoni della camicia. -Ammettiamolo: l'hai rovinato. L'hai rammollito. E poi l'hai fatto diventare più cattivo di quanto non fosse. E ora lui pensa di essere al di sopra di qualsiasi legge, al di sopra della morale.-
-E mi volete dire tutto ciò cosa c'entra con caso Hogson?- sbuffò K, reggendo la fronte con le dita e guardandoli di sbieco.
J si tirò su le maniche della camicia e si chiarì la voce.
-Non puoi uscire pulita da questa storia.- sentenziò con voce ferma. -Tu e Burton potete tranquillamente passare dalla parte del torto per aver tenuto la bocca chiusa per più di sei anni. Tu addirittura lavoravi per loro. E poi, guardiamo in faccia la realtà, ci sono pure i federali invischiati in questa storia. Credi forse che il governo americano lascerà che dimostriamo i suoi legami anche solo incidentali con un'organizzazione che vende armi in Africa? Andiamo! Sono i campioni mondiali del lavarsene le mani quando si parla di queste cose.-
Poi alzò di nuovo leggermente il tono di voce.
-Senza offesa, eh, Burton e Medina.-
L'avvocato si era defilato da un bel po', dal momento che odiava assistere ai loro battibecchi, mentre Roger continuava a fissare i giovani con uno sguardo indecifrabile nei chiarissimi occhi azzurri.
-Nessuna offesa, J. Basta che arrivi al punto.-
     L'uomo allora si protese verso il tavolo, appoggiandovi delicatamente i polpastrelli di una mano.
-Dobbiamo prendere tempo. Dobbiamo riuscire a far andare avanti il processo finché L non avrà chiuso il caso Kira. Da soli non possiamo vincere perché le leggi, l'opinione pubblica e sicuramente anche parte di un organo governativo ci sono contro. Ma abbiamo detto che L se ne fotte delle leggi, delle costituzioni, dei capi di Stato, no? Bene. Vedrete che rovescerà ogni istituzione esistente, farà a pezzi il sistema giudiziario, farà qualsiasi cosa per impedire che la sua sciacquetta-barra-sorella-barra-madre-barra-mentore finisca in prigione.-
-Non funzionerà, J.- disse allora K, allungando una mano verso un grappolo d'uva nel piatto del compagno, lasciato da questi intonso. -Se anche la giuria passasse sopra il fatto che ho mentito sulla mia identità...- e si tirò un acino d'uva in bocca. -...Ho collaborato con l'FBI con lo scopo di sottrarre informazioni... ho partecipato ad autopsie a fianco dell'NCIS, anche se non ho mai falsificato certificati di morte né alterato alcuna prova, tutto ciò mentre lavoravo per un'organizzazione criminale...-
Rimase a guardare il secondo acino che aveva staccato dal grappolo, rigirandoselo tra le dita. -... Resta il fatto che ho ucciso una persona.-
Poi abbassò lo sguardo.
-Non importa che abbia agito per autodifesa. E non è nemmeno la prima persona che faccio fuori. Se devo essere sincera, io spero che mi mettano in prigione. Anche se non prima di averci fatto finire Hayer e tutti gli altri.-
Sospirò, tentando di evitare lo sguardo di Roger.
-Ma poi, a te che te ne frega? Se Burton viene escluso dal caso e io finisco in carcere, rimani soltanto tu a poter chiudere il caso. La gloria sarebbe tutta tua.-
-Ti sbagli, K.- riprese allora J, con un sorrisetto sulle labbra sottili. -Tu hai indagato sulla Hogson per tutta la tua vita. Burton custodiva le prove ed è stato loro ostaggio per più di sei anni. Se vi toglieste di mezzo e fossi io a chiudere il caso, con la strada spianata a questo modo, la mia vittoria non varrebbe nulla. Sarò soddisfatto solo se riuscirò a battere il sistema e a salvarti il culo.-
     -Oh, ma fatela finita!- sbottò Medina, emergendo dai meandri di non si sa quale stanza dell'appartamento.
Si piantò sulla soglia della porta della sala, a gambe divaricate e braccia incrociate, nel suo metro e ottantacinque di fisico asciutto chiuso in una camicia bianca che contrastava meravigliosamente con la sua pelle olivastra. Piantò in faccia a tutti i presenti uno sguardo gelido dei suoi occhi verdi, e poi alzò il dito indice per aria, con fare decisamente avvocatesco.
-Detesto sentire la gente discutere, visto che già devo farlo per lavoro, perciò vedete di darci un taglio e cominciate a dire le cose chiaramente. Stiamo lavorando insieme, dobbiamo comunicare. K, smettila di credere che al mondo siano tutti egocentrici e agiscano solo per il proprio interesse: Burton non è stato ostaggio di Hayer per più di sei anni perché sperava di fare il colpaccio mettendolo in prigione e salire di grado; l'ha fatto perché ti vuole bene. E J non vuole che tu finisca in prigione anche perché forse, in fondo in fondo, si sente in colpa per quello che è successo quando eravate bambini. Forse forse voi studenti della Wammy's House ci tenete davvero gli uni agli altri.-
Indicò J con un cenno della mano mentre continuava.
-Questa testa calda s'è sbattuto per mesi per trovare tutte le prove per scagionarti da ogni accusa possibile. Dopo che Bjarne è morto e ho cominciato a lavorare con lui, praticamente la tua linea difensiva era già tutta pronta, perché aveva già preparato tutto. Anche in queste ultime settimane, ha smosso mari e monti per trovare l'ultimo tassello del puzzle, e l'unico motivo per cui ci siamo trovati questa sera era per dirti che...-
-Non oserai!- lo interruppe bruscamente J, alzandosi in piedi e stringendo i pugni.
-Norde è vivo.- concluse Medina, ignorandolo. -Il tizio che eri convinta di aver ucciso... l'abbiamo trovato.-
K spalancò gli occhi e la bocca contemporaneamente, dimenticandosi per un attimo come si facesse a respirare, mentre J imprecava contro Medina lamentandosi di come gli avesse rovinato la sorpresa, e Burton si alzava dalla sedia sgranchendosi le gambe e commentando tra sé e sé il fatto che era ora che qualcuno si fosse deciso ad arrivare al punto.


Nota
Guarda caso oggi è lì8 novembre. Dopo quasi un anno e mezzo di blocco, ho deciso di pubblicare questo capitolo, scritto ormai più di un anno fa, che non mi aveva mai convinto. Sono successe molte cose nella mia vita negli ultimi due anni che mi hanno portato a rivalutare totalmente quello che ho scritto. Non nascondo che, ormai, mi provoca un misto di ribrezzo e vergogna. Non sono mai stata un'esperta di fanfiction, non ne avevo mai lette, e sono entrata in questo mondo dopo aver scritto le mie prime fic (compresa questa, che sto pubblicando ora ampliata, ma che era già completa prima che mi iscrivessi a EFP). Non sono più sicura di quello che scrivo, della legittimità dei miei personaggi e delle mie scelte di trama.
Tuttavia, ci sono delle persone che credo avessero piacere di vedere finire questa storia. Per questo motivo, ho deciso di continuarla. Spero di concludere in tempi non dico brevi, ma, per lo meno, non biblici.
Grazie per la vostra pazienza. E grazie a quelle persone che mi hanno dato la motivazione a lavorare ad altri progetti originali.

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