Cell block tango

di donteverlookback
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** In cella ***
Capitolo 2: *** Pop! ***
Capitolo 3: *** Six! ***
Capitolo 4: *** Squish! ***
Capitolo 5: *** Uh-uh ***



Capitolo 1
*** In cella ***


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“And now the six merry murderesses of the Crookem County jail

In their rendition of 'The cell block tango'”

 

 

 

 

Erano tutte lì, e non facevano quasi nulla.
Ogni santo giorno, da quando erano lì dentro, non facevano altro che ripetere gli stessi movimenti, come avvinte da un incantesimo, gentile e crudele allo stesso tempo.
Erano tutte lì col corpo, ma lontane mille miglia con la mente.
Tre celle adiacenti, nello stretto carcere di Chicago, in cui la noia era una presenza onnipresente, come la polvere o i topi. E loro, nonostante tutto, cercavano di tenersi impegnate.
Nella prima cella Liz, l'esuberante ragazza di origini irlandesi e i boccoli rossi,e Annie:la prima intenta a osservare la sua immagine nello specchio scheggiato, la seconda impegnata a pettinarsi i lunghi capelli biondi con le dita, gesto che tradiva l'assoluta estraneazione della sua mente.June e Huniak nella cella accanto, impegnate in modo appena più costruttivo. June era sempre stata una casalinga, e per tutta la vita non aveva fatto altro che pulire:tentava di farlo anche durante la permanenza in carcere, con scarso successo. Huniak era una ragazza svizzera, di quella bellezza quasi insipida di capelli biondi e occhi azzurri, la vita stretta e i fianchi larghi. La ragazza era impegnata in una lunga serie di gorgheggi, l'unico suono in quel silenzio di tomba. Non si poteva negare che aveva una voce davvero incantevole.
L'ultima cella era detta “ricreativa” dalle altre ospiti del carcere, anche se in quel buco di tre metri per tre di ricreativo c'era davvero poco. Veniva chiamata così per le sue occupanti:Velma e Mona erano famose per la professione, o comunque la passione, che avevano prima che la legge decidesse che per loro due nel mondo al di là delle sbarre non c'era più spazio.
Velma era stata un'acrobata, con tanto di tournée in giro per i teatri e le piazze dell'America settentrionale. Era di una bellezza sensuale e mozzafiato:i capelli scuri, lunghi fino alla vita, la pelle leggermente ambrata dal sole, gli occhi come due tizzoni ardenti incastrati in un viso dai lineamenti perfetti. Al momento, era per terra in spaccata, e si massaggiava i muscoli con aria assente. Ogni tanto contraeva le punte dei piedi, come per prepararsi a spiccare un salto o per atterrare con delicatezza. Mona aveva gli occhi chiusi, e la piegatura della testa e delle braccia suggerivano cosa immaginasse dietro le palpebre serrate: immaginava di suonare il violino, di esibirsi in spettacoli memorabili. Ogni tanto apriva gli occhi e sorrideva,beandosi delle sue visioni.Liz, improvvisamente, smette di guardarsi allo specchio e si avvicina alle sbarre.
-Ehi, voi- urla semplicemente, la testa girata verso sinistra. Non succede nulla:Huniak continua a gorgheggiare, Velma rimane sul pavimento.
Liz si spazientisce: per lei la calma è la virtù dei coglioni, non certo quella dei forti.
-Parlo con voi, qui accanto. Mi sentite?-prosegue la rossa.
A quel punto Velma si alza a sua volta e si appoggia al muro, un sorriso rilassato sulle labbra.
-Cosa vuoi, ginger?-Domanda con tono insolente, perfettamente consapevole che tra lei e la rossa ci sono quattro metri, due file di sbarre e un secondino annoiato.
-Mi annoio, pantera. Invece di sparare cretinate, perché non proponi qualcosa di costruttivo?-
A quel punto velma scoppia a ridere in modo sguaiato. -Scusa tanto,bambolina.-Si asciuga una lacrima dovuta alle troppe risa -Avevo dimenticato di invitarti per il te!-
-Come ti permetti sottospecie di...-L'irlandese è in procinto di sfoggiare il suo vasto repertorio di offese, quando interviene June, cercando di calmare le acque,anche se...in maniera tutta sua.
-Avete finito?-esclama spazientita.-Già fa caldo, vi ci mettete anche voi a scassare?-
Le altre due borbottano una serie di improperi. A qual punto, Mona decide di intervenire.
-Che ci fate qui?-
La domanda è rivolta a tutte e a nessuna in particolare. Mona ama la quiete, ma se l'unico modo per non farle litigare è farle parlare...beh, che parlino pure.-Mi avevano detto che era la gita dei pensionati- risponde sarcastica Annie – ma forse ho sbagliato strada-. Scuote il capo e sospira, rassegnata, mentre Liz ridacchia sommessamente.
-Che ci facciamo qui, secondo te, miss Stradivari?-Domanda Velma seccata, alzando gli occhi al cielo. -La stessa cosa che ci fai tu. Aspettiamo che la buona condotta, l'amnistia o il giudizio universale ci facciano uscire.-
-Imbecilli che non siete altro- replica Mona. -Non capite mai quando uno parla?Volevo chiedere un'altra cosa.- Respira profondamente, poi ripete -Che ci fate qui?-Le altre ridono.
-E poi saremmo noi le imbecilli!- Dice June tra una risata e l'altra. Si tiene la pancia.
L'unica che non ride, a parte Mona, è Huniak:non capisce abbastanza bene l'inglese per poter ridere alle battute.
-Calma,ragazze.-Interviene Liz. -Credo che siamo d'accordo nel dire che Mona è assolutamente drogata,ma credo di avere capito cosa intende. Vuole sapere per quale omicidio siete finite in carcere.-
-Ginger, nessuno ha chiesto il tuo parere. E poi chi ti ha detto che siamo tutte qui per omicidio?-
A quel punto Liz scuote il capo, incredula. -Mona è drogata, ma tu sei veramente folle, ragazza mia. Siamo nel reparto omicidi: non si finisce qui per furto o oltraggio a pubblico ufficiale.-
Velma non risponde, stordita dalla gaffe appena commessa. Lei, così fredda e controllata, ha appena detto un'enorme cavolata.
-Partiamo da te, ginger head.- Propone Annie. -Perché sei in cella?-
Liz respira più e più volte, poi comincia a raccontare.

 

 

L'autrice╩

Salve a tutti!Mentre aspetto che torni l'ispirazione per “inconfessabile segreto” mi sono lanciata in questa nuova avventura. Per chi non la conoscesse, “The cell block tango” è una canzone dal musical “Chicago”. La frase in alto vuol dire “E adesso, le sei allegre assassine del carcere della Crookem County nella loro edizione del tango delle celle” o qualcosa di simile. Bene..commenti?
Ho inserito la storia in “Generale", registrandola come una song-fic. Se qualcuno crede che venga inserita da qualche altra parte, gli o le sarò molto grata. Non sono molto pratica di queste cose. ^.^Grazie a tutti, un bacio!

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Capitolo 2
*** Pop! ***


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You know how people
have these little habits
Thatget you down
Like Bernie.
Bernie liked to chew gum.
No, not chew. Pop.
Well, Icame home this one day    
I am really irritated,
and I looking for a little sympathy
and there's Bernie
layin' onthe couch
drinkin' a beer and chewin'.
No, not chewin'.Popin'.
So, I said to him, I said
"Bernie, you pop that
gum one more time..."
And he did!
So I took the shotgun off the wall
and fired two warning shots...
...into his head.

 

 
Nelle celle buie calò il silenzio: un silenzio angosciante, carico di attesa ma anche di profonda curiosità. Chi  aveva ucciso Liz? Di quale omicidio si erano macchiate le sue mani? Che cosa l’aveva spinta ad un gesto tanto terribile?
La tensione saliva mentre Liz cercava invano di trovare il momento opportuno per iniziare il suo doloroso racconto. Le astanti trattenevano il fiato,  come stregate dai movimenti lenti della donna.
 Dopo l’ennesimo sospiro, Liz finalmente cominciò:
-Ero appena tornata a casa, in cerca di un po’ di comprensione…sapete, certe persone, hanno quelle piccole ma fastidiose abitudini. Come ad esempio, mio marito Bernie: a Bernie piaceva masticare la gomma. Anzi no, a lui non piaceva masticarla: mio marito adorava fare pop!-
Si fermò per riprendere fiato; ricordare era incredibilmente doloroso!
-E allora? Vai avanti!- la esortò Velma, presa dal racconto della rossa.
Liz parve riassumere il controllo di se stessa  - Come dicevo, ero in cerca di comprensione, e lui continuava con quella dannata gomma; non ne potevo veramente più!-
-Donna, smetti di continuare a divagare e arriva al punto: cosa gli hai fatto?-Annie la incoraggiò a continuare.
Liz sembrava farsi più piccola mentre continuava a parlare, ora sempre più in fretta. – Non ce la facevo a sopportarlo oltre. Di solito, quando lo pregavo di smetterla, lui mi liquidava con un’alzata di spalle e continuava  a fare come gli pareva. Quel giorno, però non volevo sentire ragioni…-
-Ti sbrighi?  Mi sto annoiando!- Stavolta, a interromperla, fu Mona.
-Se smetteste di interrompermi ogni cinque secondi, avrei già finito!- Esclamò incazzata Liz. –State zitte, altrimenti la smetto.-
-Silenzio!- June fece un gesto intimidatorio con la mano – La cosa comincia a farsi interessante.-
Liz riprese, arrabbiata. – Era lì, sul divano, che masticava e beveva e aveva il televisore acceso. Allora mi avvicinai e gli dissi “azzardati a fargli fare pop solo un’altra volta…” e lui lo rifece, come per provocarmi.-
-Allora era seriamente stupido!-esclamò Mona sbrigativa –Su, prosegui.-
-Allora ho preso il fucile dalla parete, e ho sparato due colpi d’avvertimento…-
Un attimo di silenzio, in attesa della fine.
-… nella sua testa!-
Restarono tutte sbigottite di fronte a tale affermazione: tutto si sarebbero aspettate, tutto tranne che Liz fosse così impulsiva!
Il sorriso della donna era agghiacciante, e altrettanto spaventosa era la calma che ostentava in quel momento, in evidente contrasto con l’agitazione iniziale. Persino Velma era rimasta allibita, e una volta tanto non sapeva cosa dire.
Huniak aveva un’espressione confusa, non certa di aver capito bene: Liz non sembrava il genere di persona che fosse capace di un simile gesto. Si trovavano lì per lo stesso motivo, ma le pareva improbabile che Liz potesse compiere un atto come quello.
Ma la frase più  sorprendente fu quella di June:
-Se l’è meritato.- commentò con tono tranquillo.
-Già, può incolpare solo se stesso.- altrettanto calmo fu il tono di Mona.
Liz, che non si aspettava una reazione del genere, rimase piacevolmente colpita nel constatare che alle altre non sembrasse un’azione tanto terribile. Infondo, avevano ragione: se l’era proprio meritato!

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Capitolo 3
*** Six! ***


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I met Ezekiel Young

from Salt Lake city

about two years ago

And he told me he was single

and we hit it off right away

So, we started living together
He'd go to work,

he'd come home,

I'd fix him a drink,

we'd have dinner.

Then I found out,

single, my ass

Not only was he married,

well, he had six wives

One of those Mormons, you know
So that night, when he came home

fixed him his drink as usual

You know, some guys

just can't hold their arsenic!”

 

 

 

Finito il suo racconto, Liz si guardò intorno, curiosa, aspettando di sentire la prossima storia. Rivelare ciò che era successo quella sera le aveva tolto un enorme peso dallo stomaco: si accorse solo in quel momento di quanto tenersi dentro questa cosa l'avesse fatta soffrire.
Se solo non l'avessi fatto” pensava “ ora sicuramente non sarei qui a...”
Fu Annie, continuando a pettinarsi i lunghi biondi con gesti nervosi, a rompere il silenzio venutosi a creare dopo la fine del racconto.
- La mia storia è un po' diversa- mormorò piano – ma quello stronzo se l'è cercata.- La sua voce s'era fatta improvvisamente dura come il piombo. Tutte cominciarono a fissarla. Huniak le rivolse un sorriso incoraggiante, nonostante capisse un po' meno di niente. 
-Dunque.. ho conosciuto questo tipo, Ezekiel Young. Faceva l'assicuratore, ed era a Salt lake city per lavoro. Un ragazzo simpatico, dolce gentile. Bello come il sole per giunta.Mi invitò a cena cinque o sei volte: mi portava a mangiare nei ristoranti migliori, pagava sempre lui, mi portava a prendere il gelato, mi veniva a prendere e mi portava a casa. Alla quinta cena si presentò con uno splendido cucciolo di Siberian Husky.La sesta volta che uscimmo, gli chiesi perché un così bel partito fosse solo: mi disse che non aveva trovato la ragazza giusta, ma che con me sembrava diverso. Ci mettemmo insieme quella sera stessa. Un mese dopo, ci eravamo sposati.-
-Ma che bella storia d'amore- commentò ironica Velma. - Quando arriva il sangue?-
Annie la fulminò con lo sguardo, Mona le rivolse un'occhiata di disapprovazione, ma non proferì verbo.
-Comunque, il nostro sembrava un matrimonio felice: ci alzavamo insieme, gli facevo il caffè e lui si preparava. Mi baciava prima di uscire, e poi stava via fino alle sei. Tornava allegro, con una sorpresa ogni giorno. Gli portavo un bicchiere di brandy tutti le sere dopo cena, guardavamo la tv sul divano...Cose normali insomma. Poi è arrivata la bomba.-
Le altre trattennero il fiato, in attesa. Di cosa parlava Annie? A che si riferiva quando parlava di una “bomba”? 
-Un giorno bussa una donna alla porta di casa nostra. Avrà avuto si e no ventisei anni. La faccio accomodare, e lei senza neanche presentarsi mi dice “suo marito l'ha presa in giro” e mi fa vedere una foto: c'era lei in abito da sposa e accanto il mio Ezekiel. “Ma è single!” dico io. E lei mi risponde “Veramente è sposato...” e tira fuori altre foto “ con la bellezza di sei donne. Lei è la settima moglie di quest'uomo. E, se per caso se lo sta chiedendo, nessuna di queste donne è deceduta e siamo tutte regolarmente coniugate con lui.”-
-O mio Dio...- Mormorò June – Quel figlio di donna dai facili costumi!-
Annie annuì, poi continuò il suo racconto -L'ho fatta andare via perchè Ezekiel stava per tornare. Quando tornò, cercai di rimanere calma. Quando fu l'ora del brandy lui mi sorrise e bevve.É stato il suo ultimo giorno di vita. Sapete...- A quel punto Annie sorrise, e il suo sorriso fu quasi sadico -Certi ragazzi proprio non reggono l'arsenico.-
Un attimo di silenzio, poi fu Velma a parlare -Direi che è stato un omicidio, ma non un crimine.-

 

L'autrice╩

Salve, gente!

Dunque, questo capitolo è stato un po' complicato da scrivere... comunque spero che vi sia piaciuto. Un enorme grazie va alla mia beta, Alina 95. Un altro grazie è per la mia mitica Banner maker, HikariVava.

Ciao a tutti!

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Capitolo 4
*** Squish! ***


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Now, I'm standing in the kitchen
carvin' up the chicken for dinner,
minding my own business,
and in storms my husband Wilbur,
in a jealous rage.
"You been screwin' the milkman,"
he says. He was crazy
and he kept on screamin'
"You been screwin' the milkman,"
And then he ran into my knife
He ran into my knife ten times!”

 

 

-Tu,June?-
Fu Velma a porre la domanda alla ragazza mora, che tentava inutilmente di pulire una sbarra del letto con uno dei suoi vecchi vestiti. -Che ci fai qui?Chi è lo sfortunato?-
June non risponde. Ricorda troppo bene chi ha ucciso e perché. Ma Wilbur se l'era cercata, accidenti. June era sempre stata una ragazza paziente, una tessitrice che, piano piano,ripara i vestiti rotti. E,se la stoffa cedeva di nuovo, semplicemente lei ricominciava a cucire, con la convinzione che il buco non si sarebbe riaperto. Ma non sempre è così. Certe volte la stoffa di un rapporto è così consunta che bisogna semplicemente buttarlo via. E non sempre se ne ha il coraggio.
Lei non l'aveva avuto.
-Ho conosciuto Wilbur quando avevo sedici anni- cominciò con voce tremula. Si posò una mano sul petto, come se cercasse di calmare il respiro. -Era figlio dell'oste vicino casa mia, e mi aveva puntata già da un po'. Sembrava il ragazzo più buono del mondo, un po' ingenuo e sprovveduto, ma incapace di fare del male ad una mosca. E poi,invece...-
Scosse la testa, e le lacrime si raccolsero agli angoli degli occhi, che diventarono splendenti, due gemme verdi incastonate in un volto d'avorio.
-Era sospettoso e geloso. Picchiò il fioraio solo perché mi aveva guardata troppo a lungo, e ruppe due costole al postino perché scivolando mi aveva casualmente sfiorato il seno. Un giorno, però, era tornato ubriaco, e più collerico del solito.-
Lo ricordava ancora, la pancia tonda da bevitore di birra, le mani rosse e callose, la fronte sudata. Un tempo era stato un bell'uomo, ma il bere smodato, il cibo troppo abbondante, il lavoro...era cambiato irrimediabilmente. Io stavo tagliando il pollo per la cena, pensando ai fatti miei, poi lui è entrato, arrabbiato come non l'ho mai visto. E ha cominciato ad urlare frasi senza senso. E poi...e poi...- June singhiozza, si porta una mano al viso per asciugarsi le lacrime che le solcano le guance.
-Finalmente ha cominciato a parlare normalmente. E sapete cosa urlava? “Ti sei fatta il lattaio!”. Non ero mai stata con nessuno al di fuori di lui, ma a nulla sono valse le mie spiegazioni. Era pazzo, era completamente pazzo. Poi si è preso il mio coltello. Se lo è preso dieci volte, nello stomaco.-June ricordava la sensazione di rabbia che l'aveva percorsa quel giorno. Quell'ira funesta le aveva portato dei ricordi. Aveva ripensato al ragazzo buono e gentile di cui si era innamorata, e si era resa conto che quel bevitore violento non aveva il diritto di esistere. E aveva affondato il coltello. Una,due, tre volte...poi non ricordava più nulla. Era stata ritrovata, tremante e sotto choc, accanto al corpo senza vita di suo marito.
-June...-fu la prima e l'unica parola che pronunciò Huniak, spaventata nel vedere la ragazza in quello stato. Poi ammutolì. Fu Mona a proseguire, con tono tranquillo.
-Aveva un fiore, tra le mani-Accarezza la figura di June con lo sguardo. Le spalle tremanti, gli occhi chiusi e lacrimanti, il viso pallido e sfinito. -Aveva un fiore, e l'ha calpestato.-
Liz annuì. Sì. Era colpa sua.

 

╩L'autrice╩

Chiedo scusa ai miei lettori ( quei pochi che non sono scappati a gambe levate)per l'abnorme ritardo, ma impegni,vacanze e problemi personali molto importanti mi hanno tenuta lontana dal pc per un po'. Spero che vi sia piaciuto il capitolo, anche perchè la mia beta si è data alla macchia, quindi ho dovuto fare fondo alle mie conoscenze grammaticali per correggermi da sola. Un enorme grazie per il banner va alla mitica Vale. Grazie, tesoro, ti adoro <3

Bene, miei cari, alla prossima!

P.S. Scusa per i capitoli corti, Vale, ma questa storia me li fa venire così!

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Capitolo 5
*** Uh-uh ***


Mit keresek, én itt? Azt mondják,
hogy a híres lakem lefogta a férjemet én meg
lecsaptam a fejét.
De nem igaz, én ártatlan
vagyok. Nem tudom miért mondja
Uncle Sam, hogy én tettem. Probáltam
a rendőrségen megmagyarázni de nem értették meg...
 
Huniak non lo capiva l’inglese.
Quando aveva traslocato con Tamás lì a Chicago lui aveva imparato bene, con la stessa rapidità con cui imparava tutte le cose. Dopo poco sul lavoro avevano cominciato ad apprezzare quel ragazzo dalla parlantina accentata e svelta e le maniere così amabili.
Lei invece stava in casa a cercare di rendere abitabile quel buco che avevano preso a Logan Square, che almeno era a pochi passi dal lavoro.
Quando era scappata dall’Ungheria assieme a Tamàs dietro di sé aveva lasciato una famiglia divisa dalla discordia e dallo scandalo di una figlia promessa ad un altro che scappa di casa. Ma non era colpa sua: László era troppo grande, troppo volgare e troppo manesco per lei, e invece Tamàs era il più gentile degli uomini; riguardo allo scandalo… Beh, era colpa di tutti loro – la sua famiglia e quella di Làszlò - e nessun altro. Non poteva rimproverarsi niente, visto che quando si segue l’amore, quello vero, non c’è problema che regga. Così avevano traslocato e si erano rimboccati le maniche entrambi. Tre mesi fa. Appena tre mesi fa, maledizione. Era successo tutto così in fretta…
Quando i poliziotti erano venuti a prenderla a casa non aveva capito cosa volessero e così, un po’ per nascondere il disordine, un po’ per fermare l’odore del cavolo che aleggiava nel palazzo dall’entrare in casa sua, era uscita dalla porta. E si era immediatamente ritrovata due manette di lucido acciaio intorno ai polsi. L’avevano portata fuori così, in pantofole e vestaglia, un po’ spingendola e un po’ trascinandola, fino alla stazione di polizia locale, dove era stata sbattuta su una sedia grigia in una stanzetta vuota. Era rimasta lì per qualche ora – non avrebbe saputo dire quanto, non c’erano né finestre né telefoni e aveva perso il senso del tempo – quando finalmente erano entrati tre uomini che parlavano inglese con l’accento marcato degli americani. Uno di loro, finalmente, si rivolse a lei in ungherese e Huniak sentì che sarebbe potuta svenire dal sollievo; ma quando l’interprete finì la frase si sentì gelare fin nel profondo.
“Ha idea di cosa potesse volere da lei Làszlo Bialik?”
Scosse solo la testa, più che per l’orrore che per dare una negazione: in realtà sapeva benissimo cosa poteva volere da lei Làszlo; ecco perché non voleva avere niente a che fare con quella faccenda.
“Il signor Bialik è stato ritrovato morto stamattina nell’albergo in cui alloggiava; nella sua stanza era presente un biglietto in cui era stato appuntato il suo indirizzo con il suo nome e cognome. Vi conoscevate?”
Terrorizzata, Huniak scosse di nuovo la testa. Era vero, lei aveva odiato Làszlo, ma mai avrebbe voluto vederlo morto… Era così orribile…
Uno dei due poliziotti si rivolse a lei con un tono calmo che riuscì a farla sentire un po’ meglio, nonostante le parole fredde e prive di intonazione dell’interprete. Dopo un paio di frasi si fermò per dare all’altro il tempo di finire di tradurre.
“Parla, Huniak. E’ molto più semplice se ci dici cosa sai, qui nessuno ti sta ancora accusando di nulla. Ma abbiamo bisogno di sapere come eravate collegati tu e quest’uomo.”
Strofinandosi le braccia con le mani, Huniak raccontò all’interprete come fosse fuggita con Tamàs dall’Ungheria, la sua terra, per sfuggire al matrimonio con Làszlo, cui era stata promessa quando era molto piccola. Raccontò del carattere violento e irascibile dell’altro, dei lividi e delle botte che aveva ricevuto da lui quando si era rifiutata di mantenere fede alla promessa. No, non aveva idea di come avesse avuto il suo indirizzo a Chicago. No, non lo vedeva da quando erano in Ungheria. Sì, sapeva che lui si sarebbe arrabbiato ma no, non sospettava che sarebbe arrivato fin laggiù. Continuò a torcersi le mani mentre l’interprete parlava coi poliziotti, che uscirono dalla stanza lasciandola lì da sola. Huniak poggiò la fronte sulle mani congiunte e si mise a pregare.
 
Nel frattempo era passata qualche ora – o forse un giorno o venti- e poi quello che aveva parlato con voce gentile venne davanti a lei e la guardò, occhi castani nei suoi azzurri, e il tono era lento, misurato, di chi pesa bene le parole prima di pronunciarle. E, quando finì, l’interprete le disse di rispondere a una semplice domanda: è suo questo?
Così dicendo le porse, chiuso in una busta, uno scialle rosso e Huniak lo riconobbe come proprio; gliel’aveva regalato Tamàs quando si erano trasferiti per tenerla calda quando andava al mercato… ma lei…lei non lo vedeva da…
«E’ mio» disse guardando il poliziotto e non l’interprete, per conferire la maggior veridicità possibile alle sue parole «Ma l’ho perduto circa tre settimane fa, al mercato, e da allora non l’ho più visto». Ci era rimasta così male che non era nemmeno riuscita a confessare a Tamàs di aver perso il suo regalo. Negli occhi del poliziotto si accese una scintilla strana e lei si ritrasse per un secondo, spaventata.
Quando l’interprete le disse che il foulard era stato ritrovato a casa di Làszlo, sporco di sangue, lei cominciò a tremare.
Quando il poliziotto le strinse le manette intorno ai polsi e le dichiarava per bocca di un anno che era in arresto per l’omicidio di Làszlo Bialik, scoppiò definitivamente a piangere sul suo sogno americano che andava in mille pezzi.
 
Per quanto si fosse sforzata, non c’era stato modo di convincere la polizia che il foulard era sparito diverse settimane prima. Non aveva sporto denuncia perché più che a un furto aveva pensato a una distrazione, ma non aveva modo di dimostrare che quello che diceva fosse vero.
Tamàs si era arrabbiato così furiosamente quando gli avevano detto che era stata arrestata che era stato messo dentro anche lui, e ora erano separati senza la possibilità di comunicare.
Guardò June, la sua compagna di cella, domandandosi se prima o poi sarebbe riuscita a imparare abbastanza l’inglese da dirle che era innocente. Forse non l’avrebbe detto mai a nessun altro.
Aveva imparato a dire solo quelle due parole.
Uh-uh, not guilty. L’aveva detto a tutti, a chiunque l’avesse ascoltata, ma nessuno la credeva. Not. Guilty. Non. Colpevole.
Ormai, l’unica cosa che continuava a chiedersi era come diavolo ci fosse finito il suo foulard rosso a casa di Làszlo.

L'autrice
Salve a tutti! Mi sono decisa a dare un senso a questa storia mai finita, e tenterò anche di aggiustare anche il resto dei capitoli appena mi ricorderò come si usa bene l'editor. La traduzione della parte in ungherese è poco precisa perché ci sono delle versioni non sicure in inglese che ho poi dovuto portare all'italiano, ma più o meno dice "Come ho fatto a finire qui? Hanno detto che il mio amato ha staccato la testa del mio amante. L'ho detto allo Zio Sam, ma non mi hanno creduto" o giù di lì, dove ovviamente lo Zio Sam rappresenta gli USA.
Ciao a tutti!

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