Il mistero rinchiuso nel tempo

di Anmo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Si conoscevano fin da neonati, i loro genitori si erano incontrati nella sala d’aspetto della ginecologa. Lei era appena nata, lui dentro il pancione che scalciava ogni due per tre. Avevano passato i loro primi istanti di vita insieme, chi non li conosceva avrebbe scommesso che fossero fratelli, ma erano solo due bambini incrociati nel tempo, ingrovigliati come un nodo troppo stretto, come se il tempo stesso avesse voluto giocare con le loro vite.
Erano solo due bambini e quando tutto cominciò a cambiare avevano ambedue 4 anni, si differenziavano di 7 mesi e un giorno. Erano là che giocavano tranquilli in quel parco pieno di prati e fiori meravigliosi e profumati. Nessuno dava retta a loro, i loro genitori erano impegnati a svolgere le solite faccende domestiche o a lavorare, a Sarettima non c’erano pericoli e i genitori di tutti i pargoli non dovevano preoccuparsi più di tanto. Era il classico paesello abitato da alcune centinaia di anime, la maggior parte ormai anziani, il restante era formato da famiglie benestanti e oneste, i giovani raramente decidevano di rimanere, molti si trasferivano oppure prendevano giornalmente il traghetto per raggiungere il posto di lavoro sulla terra ferma. Era una vita sacrificata quella dei pendolari dato che la tratta durante le belle giornate durava quasi un’ora.
Eh si, Sarettima oltre ad essere un piccolo paesello era anche una piccola isola, un luogo perfetto per chi voleva allontanarsi dalle grandi città e dal caos di tutti i giorni. Nonostante questo punto a favore, Sarettima non era riuscita a trasformarsi in una località turistica. Le coste erano ricchissime di Posidonia e il continuo arenarsi di quell’alga sulle coste rendeva l’aria poco deliziosa e il mare poco gradevole ai bianchi turisti da piscina. Il mare è l’elemento principale in una località balneare, aggiungiamoci l’assenza di luoghi di divertimento o culturale e veniamo a scoprire perché Sarettima non era riuscita a decollare nel mondo del turismo. Però c’erano anche dei vantaggi in tutto questo, vantaggi che assecondavano di più le esigenze dei genitori. Si conoscevano tutti in quel paesello, raramente arrivavano estranei e quando succedeva avevano continuamente gli occhi addosso degli anziani che confabulavano tra loro sparlando alle loro spalle. Alcuni arrivavano ad aprire vere e proprie scommesse sugli stranieri:
                -Quel tipo tatuato non ha un viso di cui fidarsi, se ruba dalla bancarella di Ernesta, mi dovete un caffè!
                -Quella ragazza è sicuramente del nord, mandiamoci Franceschino, ad un bimbetto di 5 anni gli dirà sicuramente da dove viene!
                -Quella coppia è venuta sicuramente per farsi un bagno al mare, quanto scommettiamo che domani avranno di già le valigie pronte in mano per andar via?
I bar, le viuzze, le verande… erano sempre occupate da pensionati più o meno anziani che si godevano l’aria fresca e salmastra del paese, sparlando e scommettendo sui forestieri. Era il loro modo per dialogare evitando di parlare dell’ultima vecchia morta per un ictus o del vicino di casa che era inciampato sulle scale perché aveva deciso di non prendere l’ascensore, rompendosi il femore. Si, era più salutare “cuttigghiare” sui forestieri.
Il parco era visitato raramente dagli anziani, vi passeggiavano di più le vecchiette affascinate dai colori dei fiori sbocciati o dal loro odore. Portavano il loro naso a pochi centimetri dalla corolla per poi inspirarne un po’ il loro odore. Non strappavano mai i fiori, era una tradizione quasi religiosa dei Sarettesi, preferivano rispettare la natura godendosela senza deturparla. Spesso passava da lì un anziano in compagnia di una grossa tartaruga acquatica che teneva sotto braccio. Passeggiavano entrambi fino alla fontana dei cigni in pietra per poi soffermarsi lì per tutto il tempo che la tartaruga richiedeva. L’anziano la lasciava nuotare tranquillamente fino a quando la tartaruga non tornava da lui, guardandolo fisso negli occhi. Sembrava dirgli “mi sono scocciata, torniamo a casa?”.
In quel giorno non passarono vecchiette ad odorare le corolle dei fiori o l’anziano con la tartaruga, tutti i bambini erano andati ad un piccolo evento organizzato dagli scout della terra ferma, tutti tranne due. Stephanie e Francois, i due fratelli di giochi, erano soli quel giorno. Erano intenti a giocare con la terra creando polpettine di fango da servire su delle pietre tonde e piatte. Corsero per poi provare ad acchiapparsi a vicenda, superarono il laghetto dei cigni in pietra per poi tornare indietro e all’improvviso il gioco cambiò, cominciando a dare la caccia alle rane che abitavano in quelle acque. Non appena le acchiappavano, quelle pesti scivolavano via dalle loro mani come saponette bagnate. Al primo brontolio di stomaco, si allontanavano un attimo dal parco attraversando la strada desolata. Quasi nessuno possedeva un’automobile, non ve ne era necessità in una piccola isola come quella. Forse qualche motorino, ma tutti si muovevano a piedi, con la bici o con la navetta che faceva le proprie fermate in tutta l’isola. No, non conveniva tenere un’auto.
Di fronte al parco c’era una piccola gelateria aperta tutto l’anno, vendevano il più buon gelato artigianale dell’isola, o almeno così dicevano. Non l’ho mai provato ma essendo l’unica gelateria, doveva essere sicuramente la migliore. Tenevano ben 25 gusti diversi in estate e solo una decina in inverno. Gli inverni sono miserabili per chi vive di gelato, ma se si è a Sarettima, un gelato a settimana lo si va a mangiare di sicuro o i Sarettesi non avrebbero più chiuso occhio per via degli incubi che sarebbero sopraggiunti se quella gelateria gestita dal nipote del prozio della suocera sarebbe andata in malore. Nessuno di loro doveva mantenersi un’automobile, un gelato a settimana non avrebbe intaccato minimamente sui loro stipendi (o pensioni).
Dopo aver lasciato le proprie monetine sul bancone, Stephanie e Francois corsero via con i coni in mano. Lui banana e fragola, lei cioccolato e cocco. Era riuscita a beccarsi il cono rosa Stephanie, era il giorno più bello della sua vita pensò, raramente riusciva a convincere Josè il gelataio a darle il cono colorato allo stesso prezzo di quello normale. Si sedettero sul solito muretto mezzo diroccato, da lì si godevano la loro merenda ghiacciata e tra una leccata e l’altra osservavano il via vai tra i negozi. C’erano molti stranieri quel giorno, e con molti si intende una trentina ovviamente. Quella maggiore affluenza era data sicuramente dal piccolo evento organizzato dal gruppo scout. Stephanie era sempre attratta dai clienti che entravano nel suo negozio preferito: Fuson e Foulard. Amava toccare i tessuti e i colori dei foulard, fin da piccolissima era stata abituata a tenerne sempre uno al collo, teneva una piccola collezione nel cassetto della sua cameretta. Notò una giovane forestiera entrare ed uscire con un sacchetto stracolmo di foulard. Giornata fortunata anche per il negozio a quanto pare.
Stephanie allungò le mani nella borsetta tirando fuori il suo foulard preferito regalatole dal padre. Lo aveva messo da parte poco prima di cominciare a giocare per evitare di sporcarlo. Cominciò a sbatterlo come si fa con una tovaglia piena di briciole per poi correre e farlo svolazzare come un aquilone. Francois cominciò a ficcarsi velocemente il resto del cono in bocca, aveva finito di mangiare solo la crema e gli restava l’intera cialda, era sempre troppo lento a mangiare. Inghiottì quasi per intero enormi pezzi di cialda per poi sentirseli incastrare nell’esofago. In poco tempo ricominciarono a correre e a giocare per strada, per poi rinfilarsi nel parco. Lei era più grande di ben 7 mesi, ne era cosciente e si sentiva in dovere di proteggere il suo compagno di giochi. Nessuno le aveva mai detto che rientrava nel gentil sesso, che essere femmina significava essere più debole, non aveva mai sentito dire da alcun anziano che l’uomo era quello che doveva proteggere, predominare, comandare. A Sarettima non esisteva quel tipo di mentalità tipica della terra ferma. Lei era più grande e perciò doveva prendersi cura di chi era più piccolo di lei. Francois aveva paura dei ragni e quando se ne ritrovava uno davanti, chiedeva aiuto a Stephanie che gli veniva subito in soccorso. Da brava cavaliera, lo liberava dalla stretta del drago.
Ma quel giorno incombé un nemico peggiore di un enorme drago sputa fuoco, una mano sbucò dall’ombra afferrando il braccino di Stephanie. La tirò a sé sollevandola da terra come fosse piuma, tappandole velocemente la bocca con del nastro adesivo per poi portarle alla gola un piccolo coltellino ben affilato.
La povera piccola per la paura cominciò a lacrimare mentre il piccolo Francois si fece coraggio lanciandosi su quell’uomo. Ma lui era solo un bambino di 4 anni e per quanto coraggio potesse avere, i suoi pugni erano troppo deboli per fermare l’aggressore. Cominciò a gridare aiuto ma l’uomo lo zittì con un calcio, facendolo volare in avanti. Si rialzò dolorante, pieno di fango e lacrime e moccio per tutto il viso ma la rabbia lo costrinse a lottare nuovamente contro l’aggressore, ottenendo un altro calcio più doloroso del primo. Si rialzò ancora più malconcio e capendo che con quei piccoli pugnetti non avrebbe risolto nulla, cominciò a lanciare sassi. La poverina, guardava il suo inutile atto di coraggio. Non si sentiva più l’eroina che doveva proteggere il suo amichetto, ma la principessa che stava per essere salvata dal suo principe.
Dalla stessa penombra da cui era arrivato l’essere cattivo, ne arrivò un’altra buona che sferrò un sinistro pauroso sulla faccia dell’aggressore. Quest’ultimo lasciò la presa facendo cadere Stephanie per terra. La bimba raggiunse velocemente il suo piccolo principe ferito e da lì, sul prato verde smeraldo illuminato dal sole osservarono la dura lotta tra le due ombre che litigavano come due cani inferociti.
Il coltello tagliò l’aria, si agitava agile e fulmineo come un serpente, per poi mordere penetrando a fondo la carne viva. Un’ombra rallentò per un attimo per poi riprendere a lottare con ferocia, stendendo l’altro a terra con un’ulteriore sinistro in pieno viso. I bambini incuriositi si avvicinarono velocemente, cercando di intravedere il volto dell’ombra che li aveva salvati. Non percorsero troppi passi per capire di trovarsi davanti ad una giovane donna. Aveva lunghi capelli riccioluti e castani che gli arrivavano ben sotto le spalle. Sentivano il suo respiro affannato, gemiti di dolore provenivano dalla sua bocca digrignata. La videro allontanarsi sofferente con passo sempre più debole mentre l’erba smeraldata si tingeva sempre più di rosso.
Un suono acuto e allarmante si dirigeva a forte velocità verso la loro direzione, fino ad allora avevano sentito il suono di una sirena solo nei film. Una piccola e vecchia auto della polizia arrivò a sirene spiegate fermandosi nel bel mezzo del prato. Una chiamata anonima li aveva fatti accorrere, i due poliziotti erano al settimo cielo: non gli capitava un caso del genere dai tempi della scuola di polizia. La loro euforia si placò solo quando videro i due bambini malconci accanto a quello strano individuo svenuto e tutto quel sangue. Solo in quel momento si resero conto di non saper che fare, da anni per non dire decenni, si erano occupati di soli casi che riguardassero la fuga del cane del vicino o le liti con la nonna del macellaio.
Uno si fiondò ad ammanettare l’uomo privo di sensi, mentre l’altro cercò di riacquistare la calma per poter parlare e tranquillizzare i bambini
                –Quell’uomo! Quell’uomo ci voleva fare male! Ha preso il coltello e voleva tagliare la testa a Stephanie!
                - Si! È vero! È vero! Mi voleva tagliare la testa!
                –Bambini, voi state bene? Siete feriti? Di chi è questo sangue!
Cominciarono ad agitare le mani, a parlare di quella donna che li aveva salvati, scappata dopo solo averli guardati. L’uomo cominciò a rinsavire riuscendo persino a mettersi sulle proprie gambe ed entrare nel sedile posteriore dell’auto. Proprio in quel momento un grido squarciò l’aria calma di Sarettima, un grido di dolore, disperazione, proveniente dal boschetto di lecci e ulivi. Uno dei due poliziotti lasciò i bambini nelle mani del collega correndo in direzione di quella voce. Notò le chiazze di sangue che andavano sempre più a ingrandirsi e concentrarsi, sembravano direzionarsi proprio verso la fonte dell’urlo. Le tracce si fermarono in un’enorme chiazza di sangue, ma non vi era nessuno lì accanto, né vivo e né morto. Con la coda dell’occhio intravide una forte fonte di luce provenire da dietro un grosso ulivo centenario, una luce artificiale e potente che svanì dopo alcuni secondi. Ricominciò a correre, raggiunse l’enorme tronco per poi girare attorno alla sua circonferenza. Trovò scarse gocce di sangue qua e là, ma nessun’altra presenza, né a terra e né sui rami. Non avendo altre piste da seguire tornò ad informare il collega.
                -Trovato qualcosa?
                -No… ma tutto questo è veramente strano. Ho provato a raggiungere la fonte delle grida e mi son ritrovato nella stessa scia del sangue. È successa pure una cosa strana all’ulivo secolare… come una strana luce.
                -Prevedo una lunga giornata… dovremo scrivere un rapporto dettagliato, fare foto, chiamare la scientifica…
                -E cercare un morto. Una cosa è sicura: chiunque abbia perso tutto quel sangue, ne è sommerso fino al collo.
 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2
Quella piccola stazione di polizia era il luogo di gioco perfetto per due bambini: foto di poliziotti in azione, poster giganti del reparto cinofilo, crest appesi alle pareti dell’ufficio, scaffali stracolmi di faldoni disordinati, targhe commemorative, calendari della polizia di Stato… per loro era come giocare nel set di un film poliziesco. Entrarono in piena frenesia appena si accorsero della pistola appesa alla cintola.
                -Ma quella è vera??
                -Cosa? Questa? Si, piccolo. È una pistola vera, con questa non si ci gioca o qualcuno si può fare veramente tanto male.
                -Come la signora che ci ha difesi?
                -Esattamente… come quella signora. Ditemi, la conoscevate? L’avete mai vista?
                -No, mai vista…
                -Forse io si!- disse d’un tratto Stephanie.
                -Davvero? E chi era?
                -La signora dei foulard! Ne aveva presi tanti così!
                -Ma che dici! Non era lei! Quella aveva i capelli biondi come i tuoi!
                -Si però… sembrava lei…
Il cielo si ingrigì all’improvviso portando con sé un’abbondante tempesta. Il poliziotto rimase con loro a sorvegliarli mentre giocavano a guardare le gocce d’acqua che si rincorrevano sulla vetrata della finestra. Scommettevano sulla goccia più veloce e nella maggior parte dei casi era sempre Stephanie che si aggiudicava il podio. L’altro collega, il più giovane dei due, quello che aveva seguito le tracce di sangue e assistito alla strana apparizione luminosa, era intento a scrivere quell’interminabile rapporto che a breve sarebbe stato consegnato alla scientifica della terraferma. Un lavoro lungo e scomodo, ma essendo l’agente più giovane e colui che aveva assistito in prima persona a quegli eventi, doveva obbligatoriamente svolgere quel compito.
La pioggia scrosciava impetuosa ma non abbastanza da coprire lo scalpitio precipitoso delle persone infracidite che si erano riversate dentro la piccola stazione di polizia.
                -Francois! Francois!
I genitori del piccolo si erano precipitati non appena avevano ricevuto la chiamata. Entrambi erano fuori sede: il padre lavorava sulla terra ferma, la madre era andata a trovare una sua sorella che abitava sull’isola Gemella. Corsero ad abbracciare il figlio che ad un tratto si ritrovò a corto d’aria.
                -Stephanie! Come stai! Dov’è la mamma?
                -I bambini stanno entrambi bene, abbiamo provato a contattare la mamma di Stephanie ma non risponde al telefono… per di più non ha un cerca persone e tanto meno un cellulare come lo avevate voi.
                -Sarà sicuramente… indisposta, come suo solito. Per quanto riguarda quel delinquente, cosa ne avete fatto?
                -Lo abbiamo chiuso in cella con doppia mandata. È stato visitato poco fa dalla guardia medica ma oltre a qualche vistoso livido sta bene, sfortunatamente. Un poco di buono conosciuto sulla terra ferma. I bambini sono stati fortunati, aveva molti precedenti tutti riguardanti pedofilia.
                -Ossignore…
                -È stato fermato da una signora al momento sconosciuta, è stata ferita gravemente dal coltello che teneva il malvivente ma non siamo riusciti a rintracciarla.
                -Ci sta dicendo che chi ha salvato nostro figlio è lì fuori in pericolo di vita??
                -Dalla quantità di sangue da noi ritrovata, dubito che sia ancora in vita.
                -Credo di non aver capito bene, agente… come fa a volatilizzarsi una donna in punto di morte?
                -Signor Cossentino, lo so che sembra strano, ma il mio collega l’ha cercata ovunque, anche sugli alberi. Appena finirà la tempesta, il corpo cinofilo sarà qui insieme a quelli della scientifica. Così si portano via pure questo pezzo di mer…
                -Ci sono i bambini!
                -Si, mi scusi signora Cossentino. Scusatemi anche voi piccini. Stephanie rimane qui ad attendere la mamma oppure ve la lascio a voi?
                -A questo punto è meglio che la portiamo noi a casa… da noi. Dovremmo fare qualcosa per sua madre, non si può lasciare una bambina sotto la sorveglianza di una…
                -…ubriacona. Beve sempre la mamma, e puzza.
Dopo aver firmato varie carte e documenti vari, i bambini si affrettarono a salire in macchina. Sembrava avessero già superato il trauma, avevano ripreso a giocare normalmente e a guardare la pioggia fuori dal finestrino. Ma i grandi sembravano comportarsi in modo diverso dal solito, erano silenziosi, irrigiditi, spaventati. Sapevano che la storia non sarebbe finita lì, ci sarebbero stati altri incontri con la polizia, interrogatori, sedute con probabili psicologi, forse anche giornalisti, ma la cosa peggiore di tutte sarebbero state le voci della gente di Sarettima, quelle correvano veloci, eccome se correvano! Per anni se non per sempre, si sarebbero portati addosso quel marchio sfortunato di essere stati protagonisti di un evento pericoloso se non di un omicidio! Chiunque avrebbero incontrato, non avrebbe tralasciato quesiti che riguardassero quella vicenda. Nessuno ancora sapeva nulla, ma sarebbe successo presto e il solo pensiero li traumatizzava. Poco prima di arrivare a casa, si pensava già di trasferirsi nell’isola Gemella o addirittura sulla terra ferma, lontano da qualsiasi conoscenza.
La signora Elena, nonché la madre di Francois, si sistemò velocemente i lisci capelli castani, asciugandoseli e ripettinandoli dandogli la forma a caschetto. Non importava se fuori piovesse ancora a dirotto, non riusciva ad uscire di casa se non sistemata e dopo quel giorno quella sua fissa peggiorò notevolmente tanto da portarsi dietro spazzola e phon nell’enorme borsa da passeggio. Il suo intento era quello di andare a casa di Maria, la madre di Stephanie, per capire in che condizioni si trovasse e decidere se tenere la bambina quella notte o meno.
Il portone era a poche decine di metri da casa sua, dopo aver citofonato dovette aspettare molto prima che Maria le aprisse. Proprio come sospettava, la donna era ubriaca fradicia. Barcollava tenendosi a stento in piedi, i capelli ricci e biondi erano un ammasso di nodi e sembrava fossero scoppiati come un popcorn al microonde.
                -Ciao Maria… oggi è successa una cosa abbastanza spiacevole, la polizia ha cercato di contattarti telefonicamente ma non rispondevi. Tutto bene?
                -Oh, si, tutto bene…HIC! ha squillato…HIC! il telefono?
                -Si. I bambini sono stati aggrediti oggi al parco ma per fortuna adesso stanno bene, una signora ha bloccato l’aggressore... ma credo che dei particolari ne dovremo parlare un’altra volta, casomai insieme alla polizia. Stephanie è a casa mia al momento, che ne dici se per questa notte dorme da me? Così tu ti riposi, ti ristabilisci e domani ne parliamo tutti insieme con calma. Eh Maria? Che ne dici?
                -No! Stephanie! Dov’è Stephanie?
                -Tranquilla, è a casa mia, sta bene. Può stare da me?
                -No! Stephanie deve tornare a casa! HIC! Lei è… è in ritardo! Oggi le darò una… una sgridata che non dimenticherà più!
                -No, Maria! Non è colpa sua se non è tornata! Te l’ho detto! Comunque… date le tue condizioni è meglio se decido io. La bambina rimane da me stanotte, domani ci rivediamo. Gli agenti ci hanno chiesto di passare dalla stazione di polizia, ci incontriamo direttamente lì.
                -Stephanie! Stephanie! Vieni… vieni qui, subito!
                -Maria!
                -Fatti i cazzi tuoi! Tu non sai che significa vederli andare via e poi… poi… poi non tornano!
                -Allora, te lo ripeto, vai a dormire, se continui a cercare Stephanie chiamo la polizia e ti faccio togliere l’affido! Smettila di bere per uno stronzo scappato chissà dove, dovresti pensare alla bambina! Buonanotte Maria, a domani.
Chiuse la porta violentemente, cominciando a sbraitare parole al vento. Era sempre stata una donna debole, aveva affidato se stessa all’unico uomo che aveva mai amato e quando quell’appoggio è venuto a mancare lei è entrata nella più totale depressione. Il suo sfogo era l’alcol da ben più di sei mesi.
La strada del ritorno fu abbastanza bagnato, nonostante l’ombrello era riuscita a reinfracidirsi dalla testa ai piedi.
                -Elly, com’è andata?
                -Di merda, come deve andare? Si sarà scolata la qualunque cosa. Se continua così, il lavoro lo perde di sicuro. E dire che è stata pure fortunata a trovarlo qui nell’isola! Non sai cosa darei per trovare anche a te un lavoro qui! Quasi quasi faccio la proposta ad Alex così  quando la licenzierà, assumerà te!
                -Non essere così dura con lei, non è in sé e noi essendo gli unici suoi amici dovremmo cercare di aiutarla in qualche modo.
                -Dove sono i bambini?
                -Stanno di sopra, giocano.
                -Di sopra?? E tu li lasci da soli?? Potrebbero aprire la finestra per guarda la pioggia, sporgersi e…
                -Cara, anche tu hai bisogno di riposo, stanno bene tutti e due. Se ti fai venire le paranoie non sarà solo Maria che avrà bisogno di aiuto. Se vuoi stai un po’ sopra con loro, alla cena ci sto pensando già io. Pizza ti va bene giusto?
                -Non rifiuterei mai della pizza… grazie amore.
La serata passò tranquilla, fu un giorno da dimenticare e per fortuna passò anche in fretta. Genitori e bambini andarono a dormire poco dopo aver mangiato anche se Francois e Stephanie rimasero a lungo svegli tra le coperte.
                -Francois?
                -Mmh?
                -Secondo te come sta la signora?
                -Non lo so, ma è ferita e non l’hanno trovata ancora, credo stia ancora male.
                -Non può stare male, non deve! Lei ci ha aiutati e non può stare male per colpa nostra! Le voglio parlare!
                -Che le vuoi dire?
                -La mamma mi ha insegnato che quando una persona ti aiuta, la devi sempre ringraziare! Ci siamo dimenticati di dirle grazie…
                -Vero! Anche mia mamma me l’ha detto…
                -Dobbiamo farle un regalo!
                -Che le vuoi comprare?
                -Mmh… ho tanti soldi nel borsellino! Potrei comprarle una casa! Oppure… tanti gelati!
                -Non è vero… non sei così ricca!
                -Ah si? Bè, allora suggerisci tu cosa possiamo fare!
                -Secondo me potremmo intanto dirle grazie, poi fare qualche disegno…  possiamo anche raccogliere i fiori del parco e glieli portiamo! Alle signore piacciono i fiori! Mio papà li porta sempre alla mamma e lei è contenta!
                -Va bene! Allora disegni e taaaanti fiori! Ah! E anche un foulard! Non bisogna mai uscire senza! Me lo ha detto il mio papà!
 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Il giorno dopo l’evento, il sole aveva preso il posto della bufera e l’isola di Sarettima fu presa d’assalto dal più grande spiegamento di forze di polizia che avesse mai visto. L’assalitore fu subito consegnato alle autorità, era ricercato da diverso tempo e le vittime accertate erano una ventina, tutte bambine dai 3 ai 9 anni. Dopo aver finito il proprio “lavoro” le sfregiava incidendo col coltellino le sue iniziali, a volte sui glutei, altre volte al linguine. Dopo regolare processo fu condannato con diversi ergastoli da scontare prima in isolamento, solo negli ultimi anni gli furono concessi i domiciliari.
L’isola era invasa da cani della cinofila e agenti della scientifica. Furono raccolti vari campioni di sangue per conservare il DNA. I cani seguirono le tracce fino all’ulivo secolare dove perdevano completamente le tracce. I sommozzatori scrutarono in lungo e in largo le coste senza trovare alcun corpo o indizio. Cercarono pure sugli alberi ma le ricerche terminarono presto, l’isola non era così grande e la donna misteriosa sembrava scomparsa nel nulla, come se avesse avuto le ali e avesse spiccato il volo.
Come in accordo, la famiglia Cossentino e Maria in Cola, la madre di Stephanie, si ritrovarono tutti alla stazione di polizia per rispondere alle ultime domande e decidere su come far affrontare la vicenda ai bambini. Una psicologa era lì ad attenderli, accogliendo calorosamente i bambini.
                -Piacere piccoli, voi dovreste essere Francois e Stephanie giusto? Io mi chiamo dottoressa Lo Conte, staremo un po’ qui insieme per giocare, disegnare e parlare. Che ne dite?
                -Siiii!- ripose entusiasta Stephanie. La psicologa rimase stupita dall’atteggiamento della bambina, era entusiasta e contenta, cosa rara per una bambina così piccola a solo un giorno dal trauma.
Come fossero a scuola, gli assegnò diversi compiti divertenti da fare tra cui disegnare alberi, case, persone care ed infine cercare di rappresentare ciò che era successo al parco.
                -Oh, che bei disegni Francois! Questa qui chi è? La mamma? Fai veramente dei bei disegni… anche tu Stephanie…
Studiò attentamente i disegni, osservò ogni tratto, ogni colore, ogni disposizione. Non so cosa avesse notato esattamente, solo quei pazzi strizzacervelli riescono a vedere cose assurde da quei pochi tratti di matita, un po’ come facevano le megere che intravedevano il futuro nel fondo di una tazza da caffè. Ma al contrario delle megere, quei strani dottori ci azzeccavano sempre se sapevano fare bene il proprio lavoro.
                -Dimmi Stephanie, vuoi bene alla mamma?
                -Si.- disse senza  tanta convinzione.
                -C’è qualcosa che non ti piace della tua mamma?
                -Si… spesso urla, piange e puzza di alcol. Lo fa perché è triste perché papà se n’è andato. Ma lui mi ha promesso che torna, io gli credo ma la mamma no.
                -Mmh, capisco. Parliamo di ieri invece, avete avuto paura?
Il dialogo proseguì a lungo, entrambi i bambini avevano un’enorme voglia di parlare, cosa tipica a quell’età. La dottoressa non riuscì a sapere nulla di nuovo che già i bambini avessero potuto raccontare ai due agenti. Si trovavano nel luogo sbagliato al momento sbagliato, mentre la donna misteriosa si era trovata nel momento giusto per poterli salvare. Una donna riccioluta dai capelli castani, forse aveva comperato dei foulard al negozio del paese, ma l’altro bambino diceva fossero due persone diverse. Nessuno quel giorno aveva cavato un ragno dal buco.
I genitori invece si ritrovarono tutti nell’ala opposta della struttura, gli vennero poste diverse domande, se si fossero sentiti minacciati o sorvegliati, se avevano mai visto quell’uomo oppure la donna scomparsa, ma loro ne sapevano ancor meno dei figli.
Maria aveva i postumi della sbornia, dettaglio che non sfuggì né agli agenti e né all’assistente sociale che era con loro.
Il caso fu chiuso durante l’ultimo giorno delle ricerche ma la presenza degli assistenti sociali non  si fece mancare. Quasi ogni giorno la dottoressa Lo Conte faceva visita alla casa di Stephanie ma più che per la bambina, veniva per controllare le condizioni della madre. Era impossibile non notare le numerose lattine di birra o le bottiglie di alcol riversate sul pavimento, sul tavolo e persino in bagno. Per di più da dopo l’incidente, Maria aveva deciso di non far uscire più Stephanie da sola, nemmeno per farla incontrare con l’amichetto o mandarla all’asilo. La bambina si ritrovò d’un tratto da sola, chiusa in casa, in completa solitudine. Le richieste degli assistenti sociali cominciarono ad essere sempre più insistenti: se Maria non avesse cominciato una terapia psicologica e di disintossicazione, avrebbe perso l’affido della figlia. Quella minaccia così pericolosa ed imminente, riuscì a persuadere la donna che cominciò immediatamente la cura. Ma per quanti sforzi si cercarono di fare, Stephanie non fu più mandata sola da nessuna parte e quando trascorreva le sue ore all’asilo, Maria la aspettava lì davanti al cancello per tutto il tempo. Anche Francois non se la passò meglio dato che anche sua madre diventò molto protettiva con lui. Spesso dopo l’asilo trascorrevano alcune ore uno a casa dell’altro. Certo, potevano disegnare, mangiare biscotti, guardare un film, ma nulla poteva eguagliare la corsa sui prati del parco, la caccia alle rane o leccare il gelato seduti sul muretto in pietra. Ma la cosa che mancò più di tutti a Stephanie era osservare i clienti che entravano e uscivano dal negozio di foulard. Continuava ad indossarli anche dentro casa, anche in estate con 35°C all’ombra. Se avesse mantenuto la promessa fatta a suo padre allora anche lui avrebbe mantenuto la sua, sarebbe tornato.
Francois aveva un’enorme videoteca in casa, scaffali stracolmi di VHS e dei primi DVD che erano appena entrati in commercio. I suoi genitori erano entrambi degli appassionati di cinema e avevano diviso la videoteca in due sezioni: quella a cui Francois poteva accedere e quella a cui non poteva. Per non rischiare, i film gialli, thriller, splatter, drammatici, erano stati tutti chiusi a chiave in un’enorme credenza. La sezione a cui poteva accedere era stracolma di film Disney, fantasy, fantascienza, commedie. Per decidere che film guardare quel giorno una volta all’uno chiudevano gli occhi e puntavano un punto a caso, scegliendo così la VHS.
                -Oggi un film nuovo! Ri…tonno al fu…tu…ro.
Nonostante andassero ancora all’asilo, conoscevano l’intero alfabeto  e da poco avevano cominciato a leggere le frasi più corte e semplici, tutto questo grazie alla nonna di Francois, una docente di lettere ormai in pensione da tempo.
                -Siii! Io l’ho già visto “Ritorno al futuro”! È bellissimissimo!
                -Io non l’ho ancora visto! Guardiamolo!
Il mangianastri ingurgitò velocemente la VHS e, come per magia, il film fu riprodotto sullo schermo. Si sedettero a sul pavimento sopra dei grossi cuscini a forma di biscotto, seguirono le vicende con occhi sbarrati, increduli nel vedere un’auto così figa e potente correre nello spazio tempo. Appena Stephanie capì che il film non era veramente finito ma c’era un seguito, cominciò a saltare di gioia, cominciando a cercare la seconda parte della storia nella videoteca.
                -Stephanie preparati! Tra poco arriva la mamma!
Il tempo era finito, avrebbero dovuto vedere il film un altro giorno.
                -Voglio anche io una macchina del tempo!
                -Si! Così vedo tutti i dinosauri come quelli di Jurassic Park!
                -Oppure vedere papà e mamma quando erano bambini!
                -Io voglio vedere come sono nato! La mamma ha detto che mi ha trovato sotto un carciofo ed è per questo che ho i capelli arruffati, ma io non le credo…
                -Fai bene, ti ha detto una bugia! Lo sanno tutti che ci porta la cicogna!
                -Abbiamo bisogno di quella macchina! Adesso voglio sapere come sono nato veramente! Non mi piace dire che sono nato sotto un carciofo…
                -Potremmo usarla anche in altri modi…
                -Cioè?
                -Dobbiamo dire grazie a quella signora, o te lo sei scordato? Torniamo indietro nel tempo, aspettiamo che ci salva e poi andiamo da lei e le diciamo “grazie”!
                -È vero! Sei troppo intelligente! Dobbiamo comprare quella macchina, tanto tu hai tanti soldi.
                -Non la voglio comprare, la voglio costruire!
                -E come si fa Stephanie? Io non la so fare…
                -La mamma mi ha sempre detto che per fare qualcosa bisogna studiare! Perciò da oggi studieremo!
 

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