Candice White

di Gatto1967
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Io sono Candice White ***
Capitolo 2: *** Vi conviene fare le vostre scuse ***
Capitolo 3: *** Gli hai detto che sei orfana? ***
Capitolo 4: *** Non ho mai conosciuto i miei genitori ***
Capitolo 5: *** Come puoi regalare soldi a uno sconosciuto? ***
Capitolo 6: *** è il mistero degli Andrew ***
Capitolo 7: *** Come fa a sapere il mio nome? ***
Capitolo 8: *** Come un tenero ricordo d'infanzia ***
Capitolo 9: *** Non posso certo dire di essere un suo carissimo amico ***
Capitolo 10: *** Essa è l'Oriente e Giulietta è il sole ***
Capitolo 11: *** Forse mi dicevi soltanto la verità ***
Capitolo 12: *** Non ho mai conosciuto mia madre ***
Capitolo 13: *** Che si goda la sua serata di gloria ***
Capitolo 14: *** Gli opposti si attraggono ***
Capitolo 15: *** Le sembrò quasi di sentire il suo nome ***
Capitolo 16: *** Sembrava trasmettere positività ***
Capitolo 17: *** Vada a riposare signorina ***
Capitolo 18: *** Avrebbe voluto dire qualcosa ***
Capitolo 19: *** Ma che dignità c'è nel morire così? ***
Capitolo 20: *** Va tutto bene Candy ***



Capitolo 1
*** Io sono Candice White ***


Candy scese dalla collina di Pony tenendo in mano la spilla persa da quello strano ragazzo che suonava la cornamusa e che indossava quello strano costume.
La malinconia per la lettera in cui Annie le annunciava che non le avrebbe più scritto si era come dissipata e lei tornò alla casa di Pony come riempita di una nuova voglia di vivere la sua vita, con o senza Annie.
Davanti alla casa vide parcheggiata una macchina di gran lusso che sul cofano aveva come uno stemma.
Incuriosita la bambina stava avvicinandosi all’automobile per vedere meglio quello stemma, ma uno dei bambini più piccoli la chiamò.
-Candy! Miss Pony ti vuole vedere!-
Candy ringraziò il bambino e si avviò verso l’ufficio della sua benefattrice.
Non poté mai accorgersi che lo stemma sull’automobile era quasi identico allo stemma del suo medaglione, il medaglione del “principe della collina”.
 
-Candy, ti presento il signor Stewart.- disse miss Pony indicando un distinto signore alla sua sinistra.
-Il signor Stewart è qui per conto di una famiglia di Lakewood, la famiglia Legan.-
-Molto piacere signore.- disse lei accennando un inchino –Io sono Candice White ma può chiamarmi Candy.-
-Piacere di conoscerti Candy. Il signor Legan, che io rappresento, vorrebbe che tu entrassi a far parte della sua famiglia.-
-Oh bene, vuole adottarmi?-
-Non precisamente Candy…- rispose l’uomo ostentando una sorta di imbarazzo a quella domanda -Il signor Legan ha già una figlia più o meno della tua età, la signorina Iriza, e vorrebbe diciamo…  assumerti come “dama di compagnia” per la signorina.-
Candy fece una smorfia di delusione e quasi si mise a piangere. “Dama di compagnia”? Non sarebbe stata adottata? Nessuno la voleva quindi?
Suor Maria fece una smorfia di disgusto e miss Pony prese in mano la situazione.
-Dica al signor Legan che lo ringraziamo per la gentile offerta fatta alla nostra Candy, e che gli faremo sapere quanto prima la nostra risposta. Ma adesso vorremmo parlare con Candy da sole.-
-Certamente miss Pony. Naturalmente vorremmo sapere al più presto la vostra decisione, anche se mi stupisce tanta indecisione, in fondo per una bambina orfana è una bella opportunità andare a lavorare presso una famiglia di elevato rango sociale come…-
-Certamente signor Stewart, ma adesso vorremmo parlare con Candy.-
L’altezzoso signor Stewart uscì dalla stanza e la piccola Candy cominciò a piangere.
Suor Maria si chinò su di lei ad abbracciarla.
-Non verrò mai adottata… Nessuno mi vuole…-
La buona suora cercò di consolarla ma anche lei perse una lacrima.
-Noi ti vogliamo Candy. Noi siamo le tue mamme e non permetteremo mai che tu vada a fare la “dama di compagnia” piccola.-
-Non devo andare per forza?- chiese lei guardando Suor Maria con gli occhietti pieni di lacrime.
-No Candy. Non devi se non vuoi.- confermò miss Pony.
 
In realtà le cose non stavano proprio così. Secondo le regole che la casa di Pony seguiva, Candy non poteva rifiutare quell’opportunità, ma le due donne tacitamente avevano pensato più o meno la stessa cosa: al diavolo le regole! La loro Candy non sarebbe mai andata a fare la serva in una casa di riccastri altezzosi!
Quando il giorno dopo quella specie di maggiordomo sarebbe tornato, avrebbero fatto in modo che Candy non ci fosse, e sia pure con l’educazione che si addiceva alle due donne, gli avrebbero risposto picche.
Candy volle abbracciare entrambe le sue “mamme”, prima di uscire rinfrancata a giocare con i suoi fratellini e sorelline.
 
Qualche anno dopo
 
Il treno arrivò finalmente a Chicago e le allieve infermiere provenienti dalla scuola di miss Mary Jane ne scesero.
Chiedendo informazioni ai passanti trovarono l’ospedale Santa Johanna, e si presentarono alla caposala del reparto dove avrebbero prestato servizio come tirocinanti.
Sistemate le loro cose nelle stanze loro assegnate, le cinque ragazze decisero di godere i due giorni di libertà loro concessi prima di prendere servizio.
 
Scese dalla scalinata d’ingresso all’ospedale videro un’automobile che correva e sbandava pericolosamente in mezzo alla strada, evidentemente il guidatore non era molto abile.
Il veicolo sembrava puntare direttamente su di loro, e Candy e le sue colleghe (chiamarle amiche era improprio) riuscirono a scansarsi appena in tempo prima che la macchina andasse a sbattere proprio sulle scale.
Candy e Flanny si trovarono una sopra all’altra sul marciapiede, mentre le altre ragazze erano riuscite a mettersi in salvo in una posizione più comoda.
Dalla macchina sbalzò fuori un ragazzo dall’apparente età di diciotto, vent’anni, e subito Candy e Flanny si precipitarono su di lui per accertarsi di come stesse.
Era ferito alla testa, anche se nel complesso sembrava essersela cavata.
-Faccia vedere signore, noi siamo infermiere!- disse Candy avvicinandosi al ragazzo che stava cercando di rialzarsi.
-è solo un’escoriazione.- sentenziò Flanny con la sua solita aria glaciale. –Ma andrebbe medic…-
Flanny non riuscì a finire la frase, il giovane automobilista cacciò un urlo inatteso che la fece sobbalzare, e subito dopo la spinse via facendola cadere.
-Faccia attenzione! Mi ha fatto male!- gridò il giovane.
-Ma che maniere sono queste!!!- gridò di rimando Candy. –La mia collega la stava soccorrendo e lei come si permette di trattarla così!!!-
-Io mi permetto quello che mi pare e piace!- Urlò il ragazzo.
-Signore.- riprese Flanny –Mi scuso se le ho fatto male ma mi permetto di insistere, la ferita andrebbe medicata.-
-Ma cosa fai Flanny? Ti scusi con questo cafone? Ma andasse al diavolo!-
Il ragazzo guardò Candy con aria di sfida, poi salì in macchina e si allontanò.
-Candy sei incorreggibile! Quel ragazzo era ferito!-
-Ammiro la tua professionalità e la tua serietà Flanny, ma non ammetto che ti si tratti in questo modo!-
-Stavolta sono d’accordo con Candy!- intervenne Natalie. –Siamo infermiere è vero, ma proprio per questo ci è dovuto rispetto. Tu stavi soccorrendo quel ragazzo e lui che fa? Ti spinge a terra perché senza volerlo gli hai fatto sentire un po’ di dolore?-
Flanny aveva accusato il colpo. Le era già capitato di avere a che fare con pazienti dispotici e maleducati, ma mai nessuno si era permesso tanto.
-Avanti dammi la mano.- disse Candy porgendo la mano a Flanny. Lei la prese e si rialzò.
Candy si accorse che la fredda ragazza stava piangendo.
 
-Vogliate scusare quel cafone di mio cugino signorine.-
La voce apparteneva a un giovane dai capelli chiari, vestito elegantemente che si accompagnava a una ragazza dai lunghi capelli neri.
Quest’ultima diede segno di sconcerto, quasi di spavento e Candy la riconobbe: era Annie, la sua dolce cara Annie, che dopo essere stata adottata dalla famiglia Brighton era letteralmente scomparsa dalla sua vita. Non c’era dubbio: era cresciuta di statura, ma la sua faccia era identica a quando erano bambine.
-Purtroppo mio cugino pur essendo di famiglia, diciamo così, “aristocratica” non conosce assolutamente le buone maniere.
Lasciate che mi presenti: sono Archibald Cornwell e lei è la mia fidanzata Annie Brighton.-
Candy ricordò l’ultima lettera che Annie le aveva mandato anni prima, quella in cui le diceva di voler nascondere le sue origini, e decise di non “smascherarla”.
-Molto lieta signor Cornwell. Io sono Candice White.- disse la ragazza stringendo la mano al giovane e di rimando anche alla sua fidanzata Annie.
Si sentì morire quando percepì la freddezza di quest’ultima.
Le colleghe di Candy si presentarono una a una stringendo la mano ai due giovani.
-Flanny Hamilton.-
-Eleanor Mancy.-
-Judy Neta.-
-Natalie Vince.-
-Onoratissimo signorine. Consentitemi di offrirvi qualcosa per scusarmi della maleducazione di mio cugino.-
Poco dopo i sette giovani sedevano a un tavolino all’aperto di un bar di Chicago poco distante dall’ospedale Santa Johanna.
-Non prendetevela troppo per quell’ignorante di mio cugino Neal. Appartiene a una ricca famiglia, come me e Annie d’altronde, ma lui pensa che tutto gli sia dovuto in virtù del suo nome, anche se i Legan non sono così importanti come lui crede. Ma diteci di voi signorine.-
-Noi siamo allieve infermiere. Siamo arrivate oggi a Chicago per prendere servizio al Santa Johanna.- a parlare era stata Candy, lei era la più esuberante del gruppo, e le sue colleghe sembravano quasi infastidite dalla sua intraprendenza.
-Adesso ci sono stati concessi due giorni di libertà e…-
-E io me ne torno in ospedale Candy.- a parlare alzandosi in piedi era stata Flanny.
-Non so che farmene di due giorni a gironzolare per questa città. Preferisco tornare in ospedale e mettermi a studiare.-
Senza altre parole Flanny voltò le spalle al gruppo e se ne andò.
-Vogliate scusare la nostra collega signori.- intervenne Natalie –Lei è fatta così, ma in fondo non ha tutti i torti. Me ne torno anch’io in ospedale.
Anche Eleanor e Judy salutarono i due giovani e se ne andarono.
-Sarà meglio che torni anch’io in ospedale signori.- disse infine Candy alzandosi e stringendo la mano ai due fidanzati, unica del gruppetto a farlo.
-Spero di rivederla signorina White.- disse Archibald
-Lo spero anch’io signor Cornwell, Signorina Brighton…-
Candy raggiunse il suo gruppetto con la morte nel cuore: Annie aveva finto di non conoscerla.

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Capitolo 2
*** Vi conviene fare le vostre scuse ***


Nei giorni successivi Candy e le sue colleghe cominciarono il loro servizio in ospedale e per qualche tempo furono troppo impegnate per pensare ad altro.
I nuovi studi e il nuovo lavoro erano impegnativi, e le ragazze quasi si dimenticarono del piccolo incidente occorso il giorno del loro arrivo a Chicago.
Due settimane dopo Candy e Natalie godettero di un giorno di libertà, e decisero di fare insieme una passeggiata in città. I rapporti fra le due ragazze si stavano facendo più amichevoli, così come accadeva anche con Eleanor e Judy, mentre con Flanny, con la quale Candy divideva la stanza, i rapporti rimanevano freddi e formali.
Anche al Santa Johanna la ragazza era stata soprannominata “Iceberg” sia dai pazienti che dalle colleghe, e a sentire quel soprannome Candy si ricordava sempre del povero signor Mc Gregor, morto qualche mese prima, proprio davanti ai suoi occhi.
Passeggiando con Natalie, Candy si rese conto che non aveva amiche o amici della sua età da un bel pezzo.
Tom era stato adottato e lei non aveva modo di vederlo molto spesso, preso com’era dal suo lavoro nel ranch di suo padre, Annie poi… solo il ricordo la faceva quasi piangere.
Tutta la sua vita era trascorsa alla casa di Pony, con qualche puntata nei dintorni, e non aveva avuto modo di socializzare con persone della sua età.
Ricordava quando il dottor Lenard l’aveva presa con sé come assistente per qualche giorno. Fu in quell’occasione che aveva deciso di fare l’infermiera, e grazie all’interessamento di miss Pony era stata ammessa alla scuola per infermiere di miss Mary Jane presso l’ospedale Saint Joseph.
Le sembravano eventi lontanissimi nel tempo, ma erano avvenuti solo un anno prima.
 
Passando davanti alla vetrina di un negozio, Candy andò a scontrarsi con un tipo che ne stava uscendo carico di pacchi e pacchetti di varie dimensioni.
I due si ritrovarono a terra sul marciapiede con i pacchetti sparsi ovunque.
-Ehi dico! Guardi un po’ dove mette i piedi!- borbottò lui mentre si rialzava.
-Neal, ti sei fatto male?- gli chiese una ragazza che lo seguiva.
-No, sto bene, ma certo non per merito di questa imbranata!- rispose il giovane.
-Ma… come si permette? Imbranata lo dica a sua sorella, maleducato! Non l’ho certo fatto apposta!-
Rispose una piccata Candy mentre Natalie la aiutava a rialzarsi.
-Ehi, ma io ti conosco!-
-Ne dubito! Non frequento certi ignoranti!-
-Smettila Candy e andiamocene.- le disse sottovoce Natalie.
-Si certo, voi siete le infermiere del Santa Johanna!-
Candy guardò meglio il ragazzo e lo riconobbe, era lo stesso cafone che il giorno del loro arrivo a Chicago aveva spintonato Flanny.
-Oggi non c’è la vostra amica incapace con gli occhiali…-
Candy non ci vide più e mollò un sonoro schiaffone al ragazzo sotto gli occhi allibiti di Natalie, della ragazza che lo accompagnava, e dei passanti.
-Candy, sei impazzita?- esclamò un’atterrita Natalie.
-La nostra amica non è un’incapace signor… comecavolosichiama! E lei è un arrogante ingrato che non sa neanche guidare!-
-Ma come si permette? Polizia! Chiamate la polizia!- strillò la ragazza accanto al giovane Legan.
-Vieni Candy, andiamocene.-
Candy si decise a seguire l’amica ma entrambe furono bloccate da accorrenti poliziotti.
-Che succede qui?- tuonò uno dei due uomini in divisa davanti a Candy e Natalie.
 
Poco dopo, ascoltato il breve resoconto dell’accaduto uno dei due poliziotti prese da parte le due ragazze.
-Ascoltatemi, avete mille ragioni, ma vi conviene fare le vostre scuse a quei due. Voi non li conoscete, quelli sono i figli del signor Legan, uno dei banchieri più potenti di Chicago. Se proprio vi si mettono contro siete nei guai. Avete detto di essere allieve infermiere vero?-
-Sì agente, è così. Studiamo al Santa Johanna.- confermò Candy
-Beh, sappiate che quei due possono farvi cacciare dal Santa Johanna e fare in modo che nessun ospedale di Chicago vi faccia studiare o lavorare.-
Candy rimase senza parole, ma chi diavolo erano quei due?
-Candy…- bisbigliò Natalie come a implorare l’amica
Senza dire altro Candy si avvicinò ai due Legan.
-Signor Legan, signorina. Desidero farvi le mie più sincere scuse per l’accaduto. Spero vogliate accettarle.-
I due altezzosi ragazzi la squadrarono con fare superbo.
-Tu che ne dici Iriza?-
-Forse se questa ragazza si mettesse in ginocchio, potremmo anche soprassedere.-
Candy ebbe un tuffo al cuore. Si fosse trattato soltanto di lei non gliene sarebbe importato niente, avrebbe mollato altri sonori schiaffoni ai due arroganti che aveva davanti e sarebbe montata sul primo treno in partenza da Chicago, ma rischiava di andarci di mezzo Natalie. Non poteva permetterlo e quindi lo fece. Senza esitare si mise in ginocchio davanti ai due Legan e ripeté: -Vi chiedo scusa.-
I due ragazzi sogghignarono.
-Va bene, soprassediamo.- disse la ragazza chiamata Iriza prima di girare le spalle a Candy e andarsene insieme al fratello.
Candy si alzò fremente di rabbia e raggiunse una Natalie in lacrime.
-Torniamo in ospedale.-
 
Poco prima di entrare in ospedale Natalie prese Candy per un braccio e le disse:
-Candy… grazie per quello che hai fatto.-
Candy abbracciò l’amica e scoppiò in un pianto dirotto sulle sue spalle mentre lei le accarezzava la testa.
-Coraggio Candy! Oggi non è stata una bella giornata per te, ma da domani ti rivoglio allegra e pimpante come sempre! I tuoi pazienti hanno bisogno della loro infermiera preferita!-
Candy sorrise di gratitudine e le due ragazze salirono le scale d’ingresso al Santa Johanna.
 
Il giorno dopo una Candy più seriosa del solito entrò nella sala d’aspetto dell’ospedale, la caposala le aveva detto che c’erano delle persone che volevano parlarle.
Vi trovò tre giovanotti poco più grandi di lei, e uno di loro era Archibald Cornwell, il fidanzato di Annie.
Sembravano tutti e tre molto imbarazzati.
-Buongiorno signori, in cosa posso esservi utile?-
-Signorina White, si ricorda di me? Sono Archibald Cornwell.-
-Si signor Cornwell, mi ricordo perfettamente di lei.-
-La prego, mi chiami Archie. Le presento mio fratello Alistear Cornwell e mio cugino Anthony Brown.-
-Onorata signori, io sono Candice White, ma potete chiamarmi Candy.-
Fu il ragazzo chiamato Anthony a prendere la parola.
-Signorina. Ieri abbiamo assistito alla scena con i nostri cugini Neal e Iriza.-
Candy abbassò la testa.
-Volevamo scusarci con lei per l’indegno comportamento dei nostri parenti ed esprimerle la nostra solidarietà.-
-Vi ringrazio signori, ma in fondo anch’io ci ho messo del mio.- rispose lei accennando un sorriso.
-Il comportamento di Neal e Iriza è stato comunque vergognoso!- disse il ragazzo chiamato Alistear
-Già, vergognoso. Purtroppo eravamo lontani e non siamo potuti intervenire altrimenti li avremmo presi a schiaffoni anche noi quei due arroganti!- a parlare era stato ancora il ragazzo chiamato Anthony. Quel ragazzo ricordava qualcosa a Candy, qualcosa di tanti anni prima, ma non avrebbe saputo dire cosa.
Candy sfoderò un sincero sorriso di gratitudine.
-Signori, io vi ringrazio della vostra solidarietà, e vi assicuro che non ce l’ho con nessuno. Ora con il vostro permesso dovrei tornare al mio lavoro.-
-Certamente signorina.- disse Archie –Non vogliamo disturbarla oltre e speriamo di rivederci presto.-
-Lo spero anch’io signori, e la prossima volta lasciate perdere il “signorina” e chiamatemi semplicemente Candy.-
-Va bene Candy.- disse Anthony –E tu allora chiamaci Anthony, Archie e Stear.-
-D’accordo. Arrivederci a presto allora.-
 
Quella notte Candy ebbe un sonno agitato, sognava immagini confuse del suo passato.
Vedeva Annie allontanarsi per sempre dalla casa di Pony…
Vedeva se stessa piangere disperata sotto la pioggia…
Vedeva il ragazzo con la cornamusa…
Vedeva il signore che le proponeva di andare a lavorare come dama di compagnia per una famiglia… come si chiamava quella famiglia?
E la signorina a cui doveva fare compagnia come si chiamava? Aveva un nome strano, inconsueto… quale nome?
E poi quei tre gentili ragazzi che erano venuti a scusarsi per il comportamento di Neal Legan e di sua sorella…
Quei ragazzi… uno di loro in particolare… il suo volto le era familiare…
Ma chi era? Dove l’aveva visto? Quando l’aveva visto?
Si svegliò bagnata di sudore e ansimante.

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Capitolo 3
*** Gli hai detto che sei orfana? ***


Passarono alcuni giorni e Candy sembrò aver dimenticato l’umiliante disavventura con i fratelli Legan. Una mattina mentre prestava servizio in corsia, la ragazza fu fermata dalla caposala.
-Signorina White, hanno portato un biglietto per lei.-
Disse la donna porgendo a Candy una busta da lettera bianca con su scritto “Alla signorina Candice White”.
-Le concedo cinque minuti di pausa signorina.-
-La ringrazio signora Whitman.-
Candy si sedette nella sala dedicata agli infermieri e lesse il breve biglietto.
“Ciao Candy. Avrei piacere di incontrarti fuori dall’ospedale appena finisci il tuo turno.
Anthony Brown.”
Anthony! Anthony voleva incontrarla. Si sentì come animata da un’eccitazione infantile. Forse quel ragazzo era il misterioso “principe” incontrato sulla collina di Pony tanti anni prima e forse no, ma era comunque contenta di rivederlo.
Il tempo sembrò non passarle mai quella mattina, ma quando finì il suo turno di lavoro si precipitò in direzione dell’uscita senza neanche cambiarsi d’abito.
Lo trovò fuori dall’ospedale, proprio sul marciapiede davanti alla scalinata.
-Anthony!-
-Ciao Candy! Come stai?-
-Bene, ti ringrazio.-
Dopo una breve esitazione Anthony riprese la parola.
-Vorrei invitarti sabato sera a casa nostra, la residenza degli Andrew! La nostra famiglia organizza un ballo e ci farebbe piacere che venissi anche tu.-
-La vostra famiglia? La residenza degli Andrew?-
Candy aveva sentito parlare degli Andrew, erano una delle famiglie più ricche e influenti di Chicago e dello stato dell’Illinois e non avrebbe mai pensato che il giovane davanti a lei c’entrasse qualcosa con quella famiglia.
-Forse non te lo abbiamo detto, ma io e i miei cugini facciamo parte della famiglia Andrew. Mia madre era una Andrew.-
-Ci saranno anche… i vostri cugini?-
-Sì, ma non temere. Sarai nostra ospite e non oseranno infastidirti.-
Candy esitò. Quei tre ragazzi erano gentili e simpatici ma i loro cugini no. E poi temeva di essere fuori posto in una festa di quel tipo. Che c’entrava lei, un’allieva infermiera, con quegli ambienti altolocati?
-Anthony, posso chiederti una cosa?-
-Certo Candy.-
-Sei mai stato nell’Indiana?-
Il ragazzo ci pensò un attimo
-Dunque… L’Indiana non è lontanissima da Lakewood, dove la nostra famiglia ha una residenza estiva… ma… no. Non ricordo di esserci mai stato. Perché questa domanda?-
-Io vengo da lì. E anni fa incontrai un ragazzo che… ti somigliava.-
-Un ragazzo che mi somigliava?-
Davanti alla faccia stralunata di Anthony, Candy si mise a ridere.
-Lo so, devo sembrarti una matta!-
Anche Anthony rise
-Oh no, affatto! Anche tu mi ricordi qualcuno sai? Somigli tantissimo a mia madre, morta quando ero piccolo.-
Candy si sentì un po’ imbarazzata come se avesse toccato, sia pure involontariamente, un punto dolente.  
-Per quanto riguarda l’invito sarò lieta di venire al vostro ballo, anche se… temo di non avere un vestito adatto.-
-Per quello non preoccuparti! Lo troveremo noi un vestito per l’occasione. Sai, Archie è un fanatico di moda e ha già individuato la taglia adatta a te. Te lo faremo avere al più presto!-
Da dietro un albero Natalie aveva assistito alla scena, e sembrò esserne contrariata.
 
La sera stessa Natalie aveva il turno di notte, e aveva chiesto a Candy di raggiungerla nella sala infermieri prima di andare a dormire.
Così Candy dopo aver studiato per la lezione dell’indomani, raggiunse l’amica.
-Volevi parlarmi Natalie?-
-Si Candy. Sai dovrei chiederti scusa, oggi pomeriggio ho ascoltato la conversazione fra te e quel ragazzo…-
-Nessun problema Natalie. Non ci siamo detti mica chissà che cosa…-
-Candy, scusami se te lo dico, ma secondo me non dovresti andare a quel ballo.-
-Perché no? Sono stata invitata, perché non dovrei andarci?-
-Perché quello non è il tuo ambiente Candy! Quei ragazzi possono anche essere simpatici ma sono ricchi!-
-D’accordo, sono ricchi, e so anche a cosa stai pensando, ma non è mica detto che tutti i ricchi debbano essere come quei due… Legan.- pronunciò il nome con non poco disprezzo.
-Gli hai detto che sei orfana?-
Candy si arrabbiò
-E questo che c’entra?!!!-
-Per me niente Candy! Io ti voglio bene, ti trovo una ragazza meravigliosa, ma per loro non sarà così. Per quella gente l’estrazione sociale è tutto!-
Reprimendo a malapena la rabbia Candy si alzò e senza una parola lasciò la stanza vanamente chiamata da Natalie.
Rientrata nella sua stanza trovò Flanny che studiava. Entrò in bagno e si mise a piangere.
 
Due giorni dopo, un addetto alla ricezione le consegnò un pacco che era arrivato per lei.
Quel giorno aveva il turno di pomeriggio e subito dopo si ritirò nella sua stanza. Aprì il suo pacco e dentro vi trovò un vestito come non avrebbe mai creduto di averne in vita sua: un autentico abito da sera che da solo costava almeno due stipendi da infermiera diplomata, se non di più.
Entrò Flanny e la sua reazione fu sferzante.
-Cos’è? Un regalo dei tuoi amici ricchi?-
La risposta di Candy non fu meno acida.
-E se anche fosse?-
Flanny sembrò quasi mordersi il labbro, come a trattenere parole che forse si sarebbe pentita di pronunciare.
-Niente Candy, in fondo non sono affari miei.-
 
Venne infine il sabato della festa in casa Andrew, quella mattina Candy incrociò Natalie nella corsia del reparto in cui lavoravano entrambe.
-Candy… io…-
-Sì, Natalie?- in quel momento Candy sembrava Flanny per quanto gelido era il tono della sua voce.
-Volevo chiederti scusa Candy… e ti auguro di divertirti stasera…- davanti alle lacrime di Natalie, Candy non riuscì a tenerle ancora il broncio e l’abbracciò commossa.

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Capitolo 4
*** Non ho mai conosciuto i miei genitori ***


Quella sera un’elegantissima Candy uscì dall’ospedale sotto gli sguardi stupiti e ammirati delle colleghe infermiere e dei medici di turno che incontrava strada facendo.
Quando sentì i commenti del tipo “Wow! Che schianto!” che le allieve infermiere si scambiavano a vederla, se ne risentì, ma non troppo. La sua vanità femminile ne fu indubbiamente compiaciuta.
Fuori dall’ospedale un’automobile la attendeva.
A guidarla era Stear, il ragazzo occhialuto fratello di Archie che aveva conosciuto qualche giorno prima. Con lui c’era una ragazza, occhialuta anche lei, non particolarmente bella, ma dall’aria simpatica.
Le venne di salutarlo confidenzialmente
-Ciao Stear, grazie per essermi venuto a prendere.-
-Ciao Candy! Ti presento la mia fidanzata Patricia O’Brien, ci siamo conosciuti a Londra frequentando lo stesso collegio.-
-Onoratissima signorina O’Brien.-
La ragazza era scesa dalla macchina per stringerle la mano.
-La prego, mi chiami Patty, e il piacere è tutto mio!-
-D’accordo Patty, e tu chiamami Candy.-
Salirono sull’automobile di Stear e lui la mise in moto dopo qualche tentativo. Poi strada facendo la macchina fece qualche sobbalzo senza apparente motivo.
-Siamo alle solite Stear?- disse Patty -non sarà che questa tua carabattola ci farà finire un’altra volta dentro il lago?-
-Co-co-come sarebbe a dire dentro il lago?- disse Candy facendo una smorfia di paura
-Devi sapere Candy, che il mio Stear è un mago della meccanica, o almeno così crede lui, e questa automobile l’ha costruita lui.-
-Che cosa?!?!?-
-Con la sua ultima creazione siamo finiti dentro il lago al primo viaggio…-
-Avanti Patty! Un po’ di fiducia! Stavolta il volante è ben fissato e non si sgancerà come l’altra volta.-
Gli occhi di Candy sembravano roteare come due spirali, mentre gocce di sudore freddo le colavano lungo le guance.
-Coraggio Candy! Siamo arrivati ormai, quello è il cancello della nostra residenza!-
La macchina “fatta in casa” di Stear imboccò il cancello della tenuta degli Andrew.
-Oh oh!- esclamò Stear.
-Che succede stavolta Stear?- chiese Patty imbronciata e spaventata al tempo stesso.
-Stavolta il volante è troppo ben fissato. Si è incastrato!-
-Oh mio Dio!- disse un’atterrita Candy.
-E allora frenaaa!!!- Urlò Patty all’orecchio del fidanzato.
Stear frenò e l’auto si fermò con un ultimo sobbalzo.
-Questa è l’ultima volta che salgo su una delle tue trappole Stear!- disse Patty scendendo dalla macchina.
-Ma Patty…-
-Sia-siamo arrivati?-
-Candy, tutto bene?- quest’ultima era la voce di Anthony.
-Cr-credo di sì…-
Poco dopo i quattro ragazzi sedevano intorno a un tavolo insieme ad Archie e ad Annie, la cara Annie che Candy finse di vedere per la seconda volta in vita sua.
Nonostante la tristezza che Candy provava, per non poter abbracciare Annie come avrebbe voluto, la conversazione fra i sei giovani fu piacevole e divertente.
Candy apprese così che i suoi nuovi amici avevano frequentato la stessa scuola in Inghilterra, la Royal Saint Paul School. I ragazzi definirono l’esperienza simile all’andare in prigione, ma raccontarono anche che in quella scuola erano nati l’amore fra Patty e Stear e fra Annie e Archie.
-Avresti dovuto vederci a quella festa di Maggio Candy!- raccontò Patty ridendo. –Io e Stear che ballavamo insieme eravamo un completo disastro! Più o meno come le macchine che costruisce lui!-Candy ridacchiò, passata la paura dovette ammettere di essersi divertita un mondo.
-Ruzzolammo a terra e facemmo inciampare altre coppie, così ci cacciarono via dalla sala!-
Patty era davvero simpatica, mentre Annie… non aveva ancora detto mezza parola.                                        
-Oh, guarda chi si vede Neal!- la voce gracchiante era quella di Iriza Legan –La biondina imbranata dallo schiaffo facile.-
Candy fremeva, il ricordo dell’umiliazione subita quel giorno le bruciava ancora.
-Gira al largo Iriza!- le intimò Anthony –La signorina White è nostra ospite e non deve essere disturbata.-
Davanti ai modi bruschi di Anthony, Iriza fremette di rabbia. Aveva sempre desiderato quell’idiota ampolloso di Anthony e lui le aveva sempre preferito ragazze di rango inferiore come quella White e quell’altra...
-Non ho ben capito il suo nome signorina.-
Candy decise di affrontare la situazione con quel piglio sicuro che le era congeniale. Si alzò e porse la mano all’altezzosa Legan.
-Io sono Candice White signorina Legan.-
Iriza non strinse la mano che Candy le offriva e anzi cercò di dare un ulteriore affondo.
-La sua famiglia è di Chicago signorina? Non mi sembra di aver mai sentito di una famiglia White nel nostro ambiente.-
Candy fremette per un secondo ma poi il suo orgoglio ebbe la meglio e rispose a quell’odiosa ragazza con una sicurezza e una dignità da invidiare.
-Io non ho famiglia signorina. Sono un’orfana e non ho mai conosciuto i miei genitori. Sono cresciuta in un orfanotrofio nell’Indiana e sono qui a Chicago per studiare da infermiera.-
I presenti rimasero di stucco.
-Un’orfana… non se ne vedono molti di orfani nel nostro ambiente signorina.-
-Iriza adesso basta!- la voce era quello di un furente Anthony. –Stai importunando una nostra ospite! Sei pregata di andartene!-
-D’accordo, d’accordo, me ne vado Anthony! Coccolati pure la tua orfanella!-
-Candy non è l’unica orfana a questo tavolo Iriza!-
Annie si era alzata in piedi!
-Non intendevo certo offenderti Annie. So benissimo che tu sei stata adottata dai tuoi genitori, ma sei comunque la figlia di un loro nobile parente morto tanti anni fa, non sei certo una trovatella!-
-E invece lo sono! Sono cresciuta nello stesso orfanotrofio di Candy! Anche se in questi giorni ho fatto finta di non conoscerla…-
Calde lacrime le inondarono il viso. Mai la timida e introversa Annie aveva osato tanto.
-Va bene.- rispose la fredda e cinica Iriza –Vi lascio alle vostre rimpatriate. Buona serata signori!-
Mentre i due Legan si allontanavano, Candy in lacrime si avvicinò ad Annie, e senza bisogno di altre parole la abbracciò più forte che poteva.
 
-Perché non mi hai detto che sei cresciuta in un orfanotrofio Annie?- chiese poi Archie alla sua fidanzata.
-Mi vergognavo Archie… temevo che tu non mi avresti più voluta… Perdonami Candy…-
L’abbraccio di Archie e le lacrime di commozione dei suoi amici fugarono ogni dubbio di Annie.
 
Le note del Valzer risuonavano nella sala e Anthony chiese a Candy di concedergli l’onore del ballo.
Lo stesso fecero Archie e Stear con le loro fidanzate, e gli altri invitati furono lieti di fare spazio alle tre giovani e simpatiche coppie.
Anche la matriarca degli Andrew, la signora Elroy, sembrava aver preso in simpatia quella bionda che pure non apparteneva al suo “ceto sociale”.
Durante il ballo cavalieri e dame si scambiarono spesso così che Candy poté ballare con tutti e tre i suoi nuovi amici.
In quella magnifica serata aveva fatto una nuova amicizia, la dolce Patty, una ragazza fondamentalmente timida e riservata ma che nascondeva un temperamento peperino.
Ma soprattutto aveva ritrovato la sua cara Annie.

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Capitolo 5
*** Come puoi regalare soldi a uno sconosciuto? ***


Da quella sera la vita di Candy cambiò radicalmente. Al lavoro e allo studio, che pure assorbivano la maggior parte del suo tempo, si affiancarono le frequenti uscite con i suoi nuovi amici.
Con Annie e Patty si formò un solido capannello di amiche. Sembrava quasi che si conoscessero da sempre per quanto diventarono affiatate.
E con Anthony sembrò poter nascere una simpatia che andava ben oltre l’amicizia. D’altronde i due ragazzi erano anche gli unici del gruppetto a non essere fidanzati.
Candy titubava davanti a questa prospettiva, davvero la ricca e nobile famiglia Andrew avrebbe permesso che uno dei suoi rampolli si unisse a un’infermiera senza famiglia?
Tuttavia la simpatia che aveva per quel ragazzo era forte, e lui sembrava non farsi un problema della sua provenienza.
 
Dopo qualche tempo Flanny se ne andò. La loro vecchia direttrice Mary Jane, era venuta al Saint Joseph a chiedere che una delle sue ex-allieve si offrisse volontaria per andare come crocerossina in Europa in rappresentanza della sua scuola.
Fino a qualche tempo prima Candy si sarebbe fatta avanti senza esitare, ma in quel frangente fu bloccata dal pensiero dei suoi nuovi amici, e di Anthony. Flanny la precedette di una frazione di secondo e fu lei a partire per l’Europa.
 
Nel periodo successivo Candy fu totalmente presa dallo studio, si avvicinava il giorno dell’esame per diventare infermiera diplomata.
Tutto il suo futuro dipendeva da questo, se avesse fallito quell’esame tutto quello che aveva fatto fino a quel punto non sarebbe servito a niente.
Il giorno dell’esame arrivò e Candy lo superò a pieni voti classificandosi fra le prime del suo corso.
Naturalmente l’evento fu seguito da grandi festeggiamenti in un rinomato ristorante di Chicago, festeggiamenti offerti in toto da Anthony Archie e Stear, e in quell’occasione Candy fu inondata da uno spruzzo di champagne che Stear aveva stappato senza valutare l’inclinazione della bottiglia.
“Infermiera bagnata, infermiera fortunata!” Era stato l’allegro commento di Candy all’incidente.
 
Quella sera Candy aveva appuntamento con Anthony, e siccome era in ritardo, decise di tagliare attraversando il parco. Non era certo una scelta prudente a quell’ora per una ragazza sola, ma il temperamento di Candy spesso era impulsivo, e lei non valutò i rischi che correva.
Nei pressi di una specie di monumento sedevano tre ragazzi dall’aspetto non proprio raccomandabile.
Candy cercò di girare al largo, ma i tre ragazzi si alzarono in piedi e la circondarono rapidamente.
-Non ho… molti soldi con me…- balbettò lei maledicendosi mentalmente per la sua imprudenza.
-Va bene…- disse uno dei tre con un ghigno crudele –Ci faremo bastare il resto bellezza…-
I tre malviventi le si avvicinarono stringendo il cerchio intorno a lei, e lei si sentì perduta.
All’improvviso il ragazzo alla sinistra di Candy fu colpito da qualcuno, un uomo alto il cui volto non si distingueva al buio.
Il ragazzo cadde a terra e l’uomo che l’aveva colpito sferrò un diretto al volto del delinquente davanti a Candy.
Il terzo malvivente estrasse un coltello, ma prima che potesse usarlo, il misterioso salvatore di Candy lo disarmò con un calcio ben assestato al polso.
I tre gli saltarono addosso insieme, ma l’uomo, di cui ora Candy riusciva a vedere il volto e i lunghi capelli biondi, li sbaragliò con sorprendente facilità.
Candy era ancora paralizzata dalla paura quando il suo salvatore si bloccò portandosi le mani alla testa e cadendo sulle ginocchia.
I malviventi, vista la mala partita, scapparono via come razzi e Candy, passato lo sgomento si avvicinò all’uomo.
-Signore! Che cos’ha?-
L’uomo sembrava soffrire di tremendi dolori alla testa e dalla sua bocca uscirono suoni confusi.
-A-A-A-Al-bert.-
-Venga signore, si sieda qui e si metta tranquillo.-
si sedettero alla base del monumento e dopo un po’ di tempo l’uomo si calmò.
-Ma io la conosco!- esclamò Candy –Lei è il paziente della stanza n. 0!-
-Lei conosce l’ospedale Santa Johanna, signorina?-
-Sì, sono un’infermiera e lavoro lì! L’altro giorno sono entrata a portarle da mangiare ma lei dormiva e l’ho lasciata riposare.-
-Si… ricordo… mi sono svegliato e c’era quel vassoio vicino al letto.-
-L’hanno dimessa signore? Ma lei non sta affatto bene! Dovrebbe tornare in ospedale.-
-Il direttore ha ordinato che fossi dimesso, ormai fisicamente sto bene, anche se la mia memoria…-
-So che lei soffre di amnesia signore… poco fa ha pronunciato un nome… Albert mi sembra.-
-Si, mentre lottavo con quei tipi ho avuto come un flash e ho visto me stesso che facevo a pugni… e poi… c’era un uomo ferito… gli dicevo… io sono Albert!-
-Molto bene signore, la memoria le sta tornando.-
-E tu chi sei?-
-Io sono Candice White, ma può chiamarmi semplicemente Candy.-
-Piacere di conoscerti Candy. Chiamami pure Albert, e lascia perdere il “signore”.-
In quel mentre si avvicinò un piccolo animale, una puzzola. Candy la riconosceva, era la stessa puzzola che da qualche tempo transitava attraverso il giardino dell’ospedale, vanamente inseguita dagli inservienti che volevano acchiapparla per portarla via.
L’animale mostrava attaccamento al misterioso Albert, se questo era davvero il suo nome.
-Albert, io… ti ringrazio di avermi salvata.-
-è stato un piacere Candy, ma adesso sarà meglio che vada.-
-Dove andrai Albert?-
-Dove vuoi che possa andare un uomo senza passato? Mi metterò a vagabondare in attesa che mi torni la memoria.-
Già, che poteva fare quel pover’uomo?
-Aspetta Albert. Non ho molti soldi con me, ma te li do volentieri, ti faranno comodo.-
-Non dire sciocchezze Candy. Come puoi regalare soldi a uno sconosciuto?-
-Uno sconosciuto che mi ha appena salvato la vita. Dai prendili per favore, non ti risolveranno niente ma è anche un modo per me di sdebitarmi.-
Albert guardò la ragazza e ne fu turbato. Nel suo sguardo leggeva la sincerità, ma al tempo stesso avvertì come un formicolio nel cervello, come se quella ragazza gli ricordasse qualcosa.
-D’accordo Candy. Accetto i tuoi soldi, ma tu segui il mio consiglio: non attraversare più il parco da sola di notte. Si possono fare brutti incontri.-
Senza altre parole lo sconosciuto si alzò e se ne andò diretto verso la boscaglia lì vicino seguito dalla puzzola.

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Capitolo 6
*** è il mistero degli Andrew ***


Quando raggiunse Anthony, Candy gli raccontò l’accaduto e litigarono. Lui le diede persino uno schiaffo rimproverandola di essere stata imprudente. Lei si arrabbiò, ricambiò lo schiaffo e se ne andò via.
 
Il giorno dopo Candy se lo trovò in ospedale alla fine del suo turno di lavoro.
Stava per andarsene imbronciata ma lui la fermò.
-Perdonami Candy, se ti ho dato uno schiaffo.-
Non riuscì a tenergli il broncio
-Ti ho già perdonato.- gli disse con un sorriso. –non parliamone più.-
Ricominciarono a uscire insieme, sia da soli che con i cugini di lui e le loro fidanzate, e alla fine si scambiarono il primo bacio.
 
-Buonasera signorina White.- la salutò la cameriera di casa Andrew
-Buonasera signora Adams.-
-Prego si accomodi, il signor Brown la attende.-
Quante complicazioni in quei formalismi da ricchi! Pensò Candy. Forse Natalie non aveva tutti i torti quando le disse che quello non era il suo ambiente ma Anthony non era il rampollo viziato di una famiglia di riccastri come quella che anni addietro voleva assumerla come “dama di compagnia”. Anthony era un bravo ragazzo, semplice e alla mano, ed era sicura di poterci andare d’accordo.
C’era adesso da convincere la signora Elroy ad accettare che una ragazza di così umili origini potesse essere degna di un membro della famiglia Andrew.
-Ciao Candy.- la salutò lui scendendo le scale con passo svelto. –Vieni, la zia Elroy ci sta aspettando.-
 
La signora Adams li introdusse allo studio della matriarca degli Andrew dopo averli annunciati, e Candy entrò nello studio della signora insieme al suo Anthony.
-Signora Andrew.- disse lei accennando un inchino. –Io sono Candice White, onoratissima di fare la sua conoscenza.-
Candy indossava un semplice vestito rosso e portava una borsetta che le aveva regalato Anthony. Si capiva lontano un miglio che non apparteneva all’ambiente degli Andrew, ma esibiva comunque modi compìti e notevole dignità.
-Accomodatevi ragazzi. Ero davvero curiosa di fare la sua conoscenza signorina White.-
-La prego, mi chiami Candy.-
-Come desideri Candy. Anthony mi ha molto parlato di te, so che fai l’infermiera al Santa Johanna e che vieni da un orfanotrofio nell’Indiana.-
-Spero che non sia un problema signora Elroy. Io amo il mio lavoro e non mi vergogno affatto della mia provenienza.-
Elroy sembrò quasi infastidita da tanta schiettezza, ma fece buon viso a cattivo gioco.
-Non nascondo che nel nostro ambiente l’estrazione sociale conti molto, e che l’infermiera sarà sì un lavoro utile e dignitoso, ma non proprio da persone del nostro rango sociale. Tuttavia devo riconoscere che i tempi stanno cambiando.-
Candy fremeva, non sapeva bene come interpretare quel discorso, e
stava pensando a come rispondere quando entrò la cameriera che li aveva accolti.
-Domando scusa signora Elroy, ma è arrivato questo telegramma urgente per lei.-
La signora prese il telegramma e lo lesse rapidamente. Poi lo lasciò cadere a terra e sul suo volto si dipinse un’espressione cupa, quasi angosciata.
-Signora, si sente bene?- chiese Candy, ma l’anziana donna non rispondeva.
-Portate un bicchiere d’acqua!- disse perentoriamente rivolta alla cameriera e ad Anthony, e proprio Anthony corse verso la cucina.
-Signora Andrew, respiri piano. Per favore signora Adams, apra la finestra, cambiamo un po’  l’aria in questa stanza.-
Anthony tornò con l’acqua e Candy la fece bere piano all’anziana signora.
Dopo un po’ la signora Elroy sembrò stare meglio, e Anthony raccolse da terra il telegramma.
-Capisco zia.- disse dopo averlo letto. –Ancora nessuna notizia dello zio William.-
-Lo zio William?- chiese Candy
-Te ne ho parlato, ricordi? È il capo della famiglia Andrew. Un uomo a dir poco misantropo che sta sempre in viaggio per affari. Figurati che io non l’ho mai visto.-
-Ormai sono mesi che non ci dà sue notizie.- disse un’angosciata Elroy. –Quando ci ha scritto l’ultima volta si trovava in Italia.-
Italia… quella parola ricordava qualcosa a Candy, ma non avrebbe saputo dire cosa.
-Questi nipoti mi danno tante preoccupazioni. Adesso anche Stear vuole partire, vuole andare in guerra!-
-Cosa vuole fare Stear?-
-Già.- confermò Anthony –Si è messo in testa di andare in guerra come volontario.-
-Ma… perché?-
-Dice che vuole contribuire a riportare la pace. Che non è giusto che solo i figli dei poveri vadano in guerra, e altre sciocchezze simili!- sbottò Elroy.
Candy avrebbe avuto da dire la sua su quelle “sciocchezze” ma non le sembrava il caso di turbare oltre quella donna.
-Non si preoccupi signora, proverò a parlargli io.-
-Davvero lo faresti Candy? Oh, te ne sarei grata.-
-Adesso però vada a sdraiarsi signora, ha bisogno di riposare.-
-Sì certo, hai ragione Candy. Signora Adams mi accompagni in camera.-
 
Quando Candy rientrò in ospedale incontrò Natalie in uniforme che si dirigeva verso la loro stanza. Candy e Natalie erano diventate compagne di stanza, e lei aveva appena terminato il suo turno.
Entrarono insieme in stanza e decisero di andare a cena fuori.
Ovviamente scelsero un ristorante a portata delle loro tasche.
 
-Com’è andata la conoscenza con la zia di Anthony?-
-Insomma… è stata gentile senza dubbio, ma mi ha anche detto che “l’infermiera sarà sì un lavoro utile e dignitoso, ma non proprio da persone del nostro rango sociale”.- disse lei mimando il modo di fare aristocratico e altezzoso della signora.
-Oh mio Dio!-
-Poi è arrivato un telegramma e per poco non mi collassa davanti agli occhi. Ovviamente l’ho calmata, le ho fatto prendere un po’ d’aria e le ho amorevolmente consigliato di andarsi a sdraiare. Infine le ho anche promesso che cercherò di convincere Stear a non andare in guerra.-
-Stear vuole andare in guerra? E perché mai?-
-Beh, da quel poco che lo conosco Stear è un ragazzo molto idealista e credo che voglia contribuire a riportare la pace.-
-E per riportare la pace va in guerra?-
-Già, anch’io lo trovo contorto come modo di ragionare. Certamente non vorrei interferire con le sue scelte, ma ho promesso di parlarci e ci parlerò.-
-Perché la signora si è sentita male?-
-Sembra che un importante membro della famiglia Andrew sia scomparso in Italia, probabilmente quel telegramma veniva da qualcuno che sta facendo delle ricerche.-
-In Italia hai detto?-
-Si, perché?-
-Ricordi il paziente della n. 0?-
-Si me lo ricordo.- Candy non aveva raccontato a nessun altro oltre ad Anthony, della sua avventura nel parco.
-Veniva dall’Italia. È stato trovato lì senza memoria e ripeteva sempre una sola parola: “Chicago”. Così l’hanno imbarcato sulla prima nave diretta in America e l’hanno mandato qui.-
Candy ricordò l’uomo che l’aveva aiutata quella sera nel parco, “Albert” così aveva ricordato di chiamarsi.
I suoi lineamenti le sembrarono familiari, le ricordavano qualcuno, ma chi? Quell’uomo era giovane, non molto più grande di lei e di… Anthony!!!
 
Il giorno dopo Candy aveva la mattinata libera e ne approfittò per andare a trovare Anthony a casa. Il ragazzo studiava all’università ma quella mattina era rimasto a casa per stare vicino alla zia Elroy.
Dopo che si furono salutati con un bacio, Candy venne subito al dunque.
-Anthony ascoltami. Tu cosa sai dello zio William?-
-Non molto, è il mistero degli Andrew. Parlando con Archie e Stear ho appreso che nemmeno loro l’hanno mai visto, e così anche Neal e Iriza. Solo la zia Elroy sembra sapere qualcosa di lui.-
-Che tu sappia, ha dei figli?-
Anthony sembrò pensarci un attimo su.
-Non ne ho idea. Ora che mi ci fai pensare non posso sapere neanche questo, capisci? Quell’uomo è veramente un mistero totale!-
-Forse so qualcosa su una persona che potrebbe avere a che fare con lo zio William.
Ti ricordi quella sera che sono stata aggredita nel parco?-
-Certo, un uomo, un ex-paziente del tuo ospedale ti ha salvata e poi se ne è andato via.-
-Quell’uomo ha perso la memoria e viene dall’Italia.-
-E questo che c’entra? Sai quante persone vengono dall’Italia!-
-Ovvio ma quell’uomo ti somiglia! E non è una somiglianza vaga, posso assicurarti che quell’uomo è il ritratto di come sarai tu fra qualche anno Anthony!-
Il ragazzo rimase interdetto, Candy non era una stupida e non parlava a vanvera, ma come poteva essere?
-Anthony, credo che tu debba chiedere alla zia Elroy qualche notizia in più sullo zio William!-
 
Candy aveva appena finito di raccontare alla signora Elroy la sua disavventura nel parco e la storia del paziente della stanza n. 0.
La matriarca sembrò imprevedibilmente turbata dal racconto della ragazza.
-Dov’è ora quel ragazzo?-
-Questo non lo so signora, gli ho dato dei soldi, ma non erano molti e non credo proprio che gli siano bastati per prendere un treno e lasciare la città.-
-Quell’uomo è il bambino che stava sempre con mia madre quand’ero molto piccolo vero?-
-Tu ti ricordi di quel bambino?-
-Si zia Elroy, ero molto piccolo ma ricordo bene quel bambino, non sarà stato molto più grande di me e solo ora ho capito chi era.-
-Chi era Anthony?-
-Era l’uomo che ti ha salvata nel parco, era il ragazzo che hai incontrato tanti anni fa, il tuo “principe”.-
-Quindi… è il figlio del signor William.-
-No Candy. Quell’uomo è lo zio William!-
La zia Elroy abbassò gli occhi rassegnata
-Sì Anthony, è così.-
-Signora Elroy, mi dispiace ma io non potevo immaginare…-
-No certo, come avresti potuto… anzi ti ringrazio di avergli dato dei soldi per aiutarlo.-
-Ma perché a me ha detto di essersi ricordato il nome Albert?-
-Perché il suo nome completo è William Albert Andrew, ed è il figlio di mio fratello William, morto tanti anni fa. Lui è il fratello di tua madre Anthony. Quell’uomo è tuo zio.-
 
Più tardi Candy dovette rientrare in ospedale, e Anthony e la zia Elroy riferirono tutto a Stear e Archie, nonché a un dipendente degli Andrew che Elroy aveva appositamente convocato, un tale signor George che i ragazzi conoscevano di vista.
-Dov’è ora questa signorina White?- chiese proprio George ad Anthony.
-è dovuta rientrare all’ospedale Santa Johanna, lei lavora lì come infermiera. Ha detto di averlo lasciato nel parco e anche che la memoria gli stava tornando.-
-Con un po’ di fortuna possiamo sperare che la memoria gli torni del tutto a breve.- disse Archie.
-Già, ma nel frattempo dobbiamo cercarlo. È pur sempre un uomo solo, senza soldi e mezzi. Potrebbe mettersi nei guai.- rispose Stear.
-Dobbiamo farlo cercare dalla Polizia.- suggerì George –In fondo lui stava tornando a casa per prendere il suo posto nella famiglia Andrew, mantenere il segreto non ha più senso.-
-Già.- disse Archie –Perché tutto questo segreto? Che senso aveva?-
-Quando mio fratello e sua moglie morirono il piccolo William Albert venne a stare con me. Lui era il capo designato della famiglia Andrew, ma era appena un bambino e non era certo in grado di curare gli affari di famiglia.
Inoltre se si fosse saputo che l’erede designato degli Andrew era un bambino gli affari avrebbero potuto risentirne. Così decisi di far credere che lo “zio William” fosse un anziano signore amante della solitudine e costantemente in viaggio per affari, affari che in realtà presi in mano personalmente, assistita in questo dai membri più anziani della famiglia, che si impegnarono a mantenere il segreto finché il bambino non fosse cresciuto.
Affidai la sua educazione a George, e William ha sempre vissuto nascosto e lontano da casa.-
Anthony, Archie e Stear avrebbero avuto di che ridire su quelle scelte fatte a suo tempo dalla zia, ma non era certo quello il momento di polemizzare. Adesso c’era da trovare quell’uomo, dovunque se ne fosse andato.
-George ha ragione!- disse perentoriamente Anthony –Dobbiamo andare alla Polizia e denunciare la sua scomparsa!-
-D’accordo.- concordò Elroy. –Andremo personalmente io e George. Se sarò io a muovermi in rappresentanza della famiglia Andrew, la Polizia si attiverà subito.-
-Intanto noi andremo a cercarlo nel parco e in città.- disse di nuovo Anthony –E porteremo con noi anche Candy! Lei lo ha visto e può riconoscerlo.-

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Capitolo 7
*** Come fa a sapere il mio nome? ***


Era tutto il giorno che camminavano per Chicago e Annie e Patty non ne potevano più.
-Ragazzi vi prego, fermiamoci.- disse Annie con un filo di voce.
Chicago non era proprio una cittadina di provincia, e girarla tutta a piedi non era certo impresa da poco.
Candy aveva messo a disposizione il suo giorno di libertà per quella ricerca finora vana, ma il mattino dopo di buon’ora doveva riprendere il servizio in ospedale.
-Fra non molto dovrò rientrare in ospedale ragazzi, mi dispiace.-
-No Candy.- disse Anthony –Dispiace a noi di averti fatto trascorrere così il tuo giorno di libertà.-
-L’ho fatto volentieri Anthony. In fondo devo la vita a quel giovane.-
-Io non riesco a capire come abbia potuto la zia Elroy obbligare quel ragazzo a stare sempre nascosto!- Sbottò inaspettatamente Stear.
-Dice che l’ha fatto per gli affari di famiglia.- rispose Archie con tristezza.
-Maledetti affari di famiglia!- disse Anthony –Anche noi dovremo sottostare a questa logica aberrante?-
Candy si sentì orgogliosa del suo Anthony, lui e i suoi cugini dimostravano quanto i vecchi timori di Natalie fossero infondati. Non erano i tipi che subordinavano tutto al denaro e al prestigio.
Il cielo andava colorandosi con i colori tipici del tramonto, e i ragazzi proposero alle loro belle di cenare insieme in un ristorante lì vicino. Le ragazze accettarono, non ce la facevano più.
 
Arrivarono al ristorante che ormai il sole era tramontato e chiesero un tavolo per sei.
-Va bene signori accomodatevi. L’unico tavolo che abbiamo libero è quello lì, vicino alla cucina. Dispongo subito che ve lo apparecchino.- L’uomo entrò nella cucina e chiamò un suo dipendente.
-Albert, fammi il favore di apparecchiare il tavolo qui fuori, ci sono nuovi clienti.-
L’uomo chiamato “Albert” uscì dalla cucina e Candy vedendolo rimase di sasso.
-Albert! Sei tu!-
Il giovane davanti a loro guardò Candy e sembrò non riconoscerla subito.
-Sono Candy! La ragazza che hai salvato nel parco, ricordi?-
-Cosa? Lui è…-
-Albert!- ripeté lei avvicinandosi al ragazzo. –Sono Candy! Ti ricordi di me?-
Albert guardò la ragazza in viso e nella sua espressione riconobbe non solo la ragazza che aveva salvato nel parco, ma anche una bambina incontrata tanti anni prima…
-C-Candy???-
-Si Albert, sono io! E questo ragazzo…- indicò Anthony alle sue spalle
-è Anthony! Il figlio di tua sorella Rose! Ti ricordi di lui?-
Albert sembrò perdere l’equilibrio mentre ripeteva quei nomi
-An…thony… Rose… Candy… Al..bert-
Poi cadde a terra svenuto.
 
Quando si risvegliò era sdraiato in un letto dentro a una stanza lussuosamente arredata.
Accanto a lui un uomo elegantemente vestito.
-George… sei tu?-
-William! Sei sveglio!-
-Si… ricordo tutto… ho recuperato la memoria George! So chi sono!-
 
Candy era dovuta rientrare in ospedale, e la mattina seguente mentre era al lavoro in corsia ricevette la visita di Anthony in sala d’attesa.
-Candy! È meraviglioso!- era raggiante –Lo zio William ha recuperato la memoria!-
si abbracciarono ridendo e piangendo insieme.
-è tutto merito tuo amore mio! Tutto merito tuo!-
 
La domenica successiva Candy fu invitata quale ospite d’onore al ricevimento che la signora Elroy diede per festeggiare il ritorno a casa di William Albert Andrew e il suo “insediamento” nel ruolo di capofamiglia degli Andrew.
Anche la famiglia Legan era presente, e i due giovani figli Neal e Iriza sembravano schiumare di rabbia. Un po’ per gli onori che venivano tributati a quell’antipatica infermiera orfana, e un po’ perché pensavano che lo zio William fosse un uomo molto anziano e malato, e conseguentemente prossimo alla morte. Quindi nel loro affaristico e cinico cervello pensavano di figurare fra gli eredi designati.
E ora per colpa soprattutto di Candy, i loro calcoli erano svaniti nel nulla.
 
Candy aveva bevuto troppo spumante e troppo in fretta e le venne un forte singhiozzo.
Iriza di passaggio vicino a lei, ne approfittò per cercare di screditarla davanti a tutti.
-Non insegnano le buone maniere negli orfanotrofi signorina White?-
-La prego signorina Legan, mi chiami pure Candy. E comunque, anche se non ho frequentato costosi collegi inglesi, le buone maniere mi sono state insegnate, ma io a volte sono un’allieva un po’ svogliata. Non me ne voglia signorina.
Comunque mi accomodo di fuori.-
Candy fu ben felice di avere un pretesto per uscire da quella sala affollata da gente snob e altezzosa, e Albert ne approfittò per prendere da parte la “signorina” Legan.
 
Fuori il sole stava tramontando e un fresco venticello smorzava il caldo estivo.
Sul terrazzo c’era un uomo, girato di spalle che sembrava gustarsi il tramonto. Candy singhiozzò ancora e l’uomo si girò verso di lei.
-Bevuto troppo signorina White?-
Era un ragazzo più o meno della stessa età di Anthony.
-Temo di sì, non sono abituata a bere alcoolici.-
Il ragazzo ebbe un sorriso che aveva del malinconico.
-Io sì invece, a volte fin troppo, signorina White.-
-Mi scusi, ma come fa a sapere il mio nome?-
Lo sconosciuto proruppe in una risata
-Vuole scherzare signorina? È stata appena presentata in pompa magna davanti a tutti, neanche fosse la regina d’Inghilterra!-
-Già, è vero.- rise Candy
-Candy!- la voce era quella di Anthony.
-Ti cercavo per scusarmi della villania di Iriza.-
-Figurati Anthony, ormai ci sono abituata! Quasi non mi divertirei se tua cugina non cercasse di mettermi in difficoltà!-
-Lascia che ti presenti Terence Granchester. Abbiamo studiato insieme alla Royal Saint Paul School.-
-Terence… Granchester? Il famoso attore?-
-In persona mia bella signorina… Tuttalentiggini…- rispose il ragazzo profondendosi in un inchino che suonava ironico.
-Ma… come si permette?-
-Ehm… non prendertela Candy, Terence è fatto così, ama dare soprannomi a tutto e tutti.-
-Sarà meglio che rientri, con permesso signor “Grande Attore”!-
Rientrata la ragazza Terence fischiettò.
-Però, che caratterino la fanciulla!-
-E questo è niente! Appena arrivata a Chicago ha mandato Neal al diavolo e qualche giorno dopo lo ha schiaffeggiato in mezzo alla strada!-
Terence rise di cuore
-Neal preso a schiaffi! Avrei voluto vedere la scena!-
-Sono contento di rivederti Terence. Grazie di essere venuto.-
-Grazie a te Anthony. Sai, mi mancano le scazzottate che ci scambiavamo alla Saint Paul School.-
-…e le nottate che ci siamo fatti nella prigione della scuola dove le metti?-
-Già… bei tempi. Anche se non li rimpiango affatto. Dimmi un po’: la lentigginosa è la tua ganza?-
-Ma smettila! Comunque sì, è la mia fidanzata.-
-Un po’ ti invidio, ma certo che ha un bel caratterino!-
-Già, una volta ha dato uno schiaffo anche a me…-
-Oh mio Dio! Ti sei messo in un bel guaio Brown!-
-E a te come va? Si vocifera che fra te e Susanna Marlowe…-
-Ma per carità! Quella ragazza è appiccicosa come una cozza, ma non è assolutamente il mio tipo. È una brava attrice e vorrei che fossimo solo colleghi, sono i giornalisti a inventarsi quelle panzane.-
Sopraggiunse Albert che salutò l’attore con un abbraccio caloroso.
-Voi… vi conoscete?-
esclamò uno stupito Anthony.
-Certamente Anthony. Quando studiavate a Londra anch’io vivevo lì. Sai, volevo essere presente in caso di necessità, e mi ero anche trovato un lavoro allo zoo di Londra. Una sera uscivo da una birreria e vidi il qui presente Terence che faceva a cazzotti con tre energumeni.-
-Uno di quei bastardi aveva un coltello e se Albert non fosse intervenuto a quest’ora non sarei qui.-
-Quindi quando hai salvato Candy nel parco hai ricordato quell’episodio…-
-Già. Mi sono trovato nella stessa situazione, capisci? Stavo facendo a botte con tre malviventi e uno di loro aveva pure un coltello. Lì ho ricordato il mio secondo nome, Albert.-
-Scusatemi.- disse Anthony –Raggiungo Candy.-
-Fra un po’ devo andare via Brown, ho il treno per New York, ma vi aspetto alla prima di “Romeo e Giulietta” che si terrà fra un mese. Ovviamente l’invito è esteso anche alla bella lentigginosa.-
-Ci vediamo farabutto! E fammi un favore: non chiamarla “Lentigginosa”!-
 
Più tardi Candy raggiunse Albert.
-Albert, vorrei restituirti una cosa che ti appartiene.-
-Una cosa… che mi appartiene?-
Senza altre parole Candy estrasse da una tasca del suo abito una spilla, la spilla del “Principe della collina”, il principe delle favole che tanti sogni da bambina gli aveva suscitato.
Albert sorrise. Anche a lui quella spilla suscitava tanti ricordi e sensazioni.
-Avrei piacere se la tenessi tu Candy. L’hai custodita per tanto tempo come un piccolo tesoro, ora tienila come un segno di gratitudine della famiglia Andrew… insieme a questo…-
Albert estrasse dalla sua giacca un assegno bancario che consegnò a Candy.
-Oh mio Dio! Ma questa cifra equivale a tre anni dei miei stipendi! Non posso accettarla!-
-Ti prego di farlo Candy! So bene che una ragazza gentile e generosa come te non dà importanza ai soldi, ma quella cifra ti darà un po’ di tranquillità e ti permetterà di fare progetti per il futuro.-
Lei perse una lacrima.
-Albert, io…-
-Ho davvero un debito con te Candy, ti devo tutto.-

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Capitolo 8
*** Come un tenero ricordo d'infanzia ***


Dopo quella serata Candy tornò alla sua solita vita da infermiera. Amava il suo lavoro e non lo avrebbe mai lasciato per niente al mondo, neanche se un giorno fosse diventata la signora Brown, moglie di un ricco banchiere di Chicago. Chissà poi se era davvero quello che Anthony avrebbe voluto fare nella vita.
La storia dello “zio William” alias Albert, l’aveva fatta riflettere. Possibile che essere ricchi comportasse tante rinunce e tanti sacrifici? Quel ragazzo aveva passato buona parte della sua vita nascosto come un sorcio. Aveva sì viaggiato per il mondo e avuto tante esperienze di vita, ma non aveva mai potuto abbracciare suo nipote, il figlio di sua sorella Rose, morta tanti anni prima. Non aveva mai potuto dire a voce alta e chiara il suo vero nome, la sua vera storia.
Valeva la pena vivere così per “gli affari di famiglia”?
 
Anthony rientrava a casa dall’Università. Il tragitto non era lunghissimo, così quando non pioveva a dirotto lui preferiva farlo a piedi senza scomodare l’autista di casa Andrew. Attraversando la strada si trovò su un marciapiede a soli due isolati di distanza dalla residenza degli Andrew.
Passando davanti a un negozio di alimentari si sentì chiamare da una voce femminile che tradiva emozione.
-Anthony! Anthony Brown! Sei… sei tu?!!!-
Anthony si girò verso la provenienza di quella voce e vide una ragazza.
-D-Dorothy!!! Mio Dio, sei tu?!!!-
La ragazza davanti a lui tremava per l’emozione e piangeva. Non riusciva a spiccicare parola e anche Anthony rimase ammutolito.
-Dorothy.- la chiamò un tipo dietro ad Anthony –Credo che dovremmo andare. La signora Williams ci sta aspettando.-
-S-sì, certo Herbert, concedimi solo un minuto.-
-Intanto carico la spesa in macchina.-
-D-Dorothy, ma… cosa ci fai qui?-
-Sono tornata Anthony… sono tornata dal Messico da un anno.-
-E… perché non mi hai cercato?-
-Non sapevo dove cercarti Anthony…- la ragazza chiamata Dorothy perdeva copiose lacrime e anche gli occhi di Anthony si inumidirono.
 
Candy aspettava da una buona mezz’ora davanti a quel bar. Lo ricordava bene quel locale, era lo stesso dove Archie aveva offerto da bere a lei e alle sue compagne del Saint Joseph il giorno del loro arrivo a Chicago.
Cominciò a spazientirsi, Stear sarà anche stato un bravissimo ragazzo e un piccolo genio, ma era anche un ritardatario cronico!
Finalmente l’amico arrivò, di corsa, rischiando di scapicollarsi, ma arrivò.
-Eccomi Candy!- disse ansimando come reduce da una lunga corsa.
–Scusami… per… il ritardo… ma… ho dovuto…-
-Prendi fiato Stear.- rispose Candy –e mettiamoci a sedere piuttosto!-
Ci vollero diversi minuti perché il ragazzo riprendesse fiato.
-Tutto bene Stear?- disse allegramente Candy. –Quando sei arrivato sembrava che il cuore ti stesse scoppiando in gola!-
-Non “sembrava” Candy! Sai, io sono un intellettuale, non amo le cose d’azione!-
E intanto vuoi andare in guerra, pensò Candy.
Un cameriere prese le loro ordinazioni e poco dopo i due consumavano la loro colazione.
-Come sta Patty? È dal giorno della festa che non la vedo.-
-Non me ne parlare… abbiamo litigato…-
-Niente di serio, spero…-
-Invece si tratta di un problema serio Candy. Sai ho deciso di arruolarmi volontario per andare in guerra.-
-Perché Stear…- il tono di Candy era serio. In genere con quel ragazzo era abituata ad avere conversazioni scanzonate e allegre, non avrebbe mai pensato di doverci affrontare un argomento così serio e delicato.
-Candy, noi ci conosciamo da poco, ma tu hai tutta la mia ammirazione. Non hai famiglia, non hai mezzi, ma ti rimbocchi le maniche e ti dai da fare.
Io invece, cosa ho fatto nella mia vita?
Ho usato i soldi degli Andrew per costruire giocattoli inutili, ho studiato in una prestigiosa scuola inglese, ma in realtà non ho mai fatto niente in tutta la mia vita.
Lì in Europa c’è gente che muore per una guerra decisa da industriali e politici senza scrupoli, non tutti i magnati sono come lo zio William.
Questa guerra va fermata Candy, o diventerà il più spaventoso conflitto che l’uomo abbia mai conosciuto.-
-Stear, questi tuoi sentimenti ti fanno onore, ma vuoi sapere cosa troverai una volta che sarai lì? Altri ragazzi come te che dovrai uccidere per non esserne ucciso, capisci Stear?
In ospedale arrivano ogni giorno soldati feriti e mutilati nei modi più orribili. Quella è la guerra! Niente più di questo.-
-Dimmi un po’ Candy, te lo ha chiesto Patty di dirmi queste cose?- il tono di Stear era piccato.
Candy non riuscì a mentire.
-No, non me lo ha chiesto Patty… me lo ha chiesto… tua zia…-
Stear fece una risata amara.
-Incredibile… la zia Elroy che si abbassa a chiedere un favore a una semplice infermiera…-
Stear mise una banconota sul tavolino e se ne andò lasciando una Candy sola e in lacrime…
 
Anthony e Dorothy si guardavano senza riuscire a proferire parola.
Il venticello leggero che smuoveva i loro capelli e i petali delle rose del cancello degli Andrew, a loro sembrava un vento di tempesta che li avrebbe presto strappati alle loro vite.
-Devo andare Anthony. Devo finire di prepararmi.-
-Maledizione Dorothy! Deve esserci un modo! Forse… se scrivessi allo zio William lui potrebbe…-
-No Anthony, non posso rischiare! I soldi del mio stipendio fanno troppo comodo alla mia famiglia, non posso rischiare di perderli! Devo andare, capisci? Se mi vuoi bene devi lasciarmi andare Anthony!-
-Santo cielo! Ma… il Messico!-
-Lo so, è un paese lontano, ma non ho scelta. Se rifiutassi il trasferimento la signora Legan mi licenzierebbe e io non potrei più aiutare i miei fratellini e sorelline capisci?-
Anthony cominciò a piangere. Teneva molto a Dorothy ma non poteva far niente per aiutarla.
Sentiva che dietro a quella decisione improvvisa c’era lo zampino di quella vipera di Iriza, ma anche a saperlo con certezza cosa poteva fare?
-Addio Anthony!- furono le ultime parole che Dorothy pronunciò prima di fuggire via in lacrime.
 
-Ecco, questo è quello che accadde a Lakewood quell’estate zio.-
Albert e suo nipote sedevano su una panchina nel vasto giardino di casa Andrew.
-Una storia triste Anthony, sai io ho conosciuto Dorothy.-
-Cosa? Tu la conoscevi?-
-All’epoca io vivevo alla vecchia villa degli Andrew presso la cascata, te la ricordi?-
-Scherzi? Era lì che vivevamo insieme alla mamma! Come potrei dimenticarla?-
-Una sera mi stavo cucinando un pesce sul fuoco quando sentii un grido di donna provenire dalla cascata. Vidi che qualcuno stava precipitando e mi buttai in acqua, anche se a dire il vero, disperavo di poterla salvare.
Invece ci riuscii. La ragazza aveva perso i sensi e quando tornò in sé svenne di nuovo. All’epoca portavo la barba e lei poverina, mi scambiò per un orso.-
Anthony sorrise malinconicamente: se l’avesse saputo allora…
-Mi disse che si chiamava Dorothy e che lavorava presso i Legan. Mi disse anche che Neal l’aveva spinta in acqua, per farle uno dei suoi stupidi scherzi e che lei era finita nella cascata perché la corrente era troppo forte.
Poco dopo arrivasti tu, ricordi?-
-Già, e le diedi uno schiaffo “perché mi ero preoccupato”. A me non disse niente di Neal, certo per non farmi litigare con lui.-
-Intuii che fra voi due c’era della simpatia, e capii anche che la ragazza non se la passava bene dai Legan.
Maturai la decisione di farla assumere dalla zia Elroy, ma arrivai tardi. Poco dopo lei partì per il Messico…-
-Già, e poco dopo noi partimmo per l’Inghilterra.-
-è un ricordo triste Anthony, ma conservalo così, come un tenero ricordo d’infanzia. Ora nella tua vita c’è Candy.-
Anthony perse lacrime dagli occhi.
-Zio… Dorothy è tornata! È qui… a Chicago.-
-Cosa?-
-Si zio. L’ho incontrata. Lavora presso la famiglia Williams.-
Albert capì al volo cosa si agitava nel cuore di Anthony.
-I tuoi sentimenti per lei non sono cambiati, vero?-
Anthony in lacrime fece cenno di no.
-E lei li ricambia?-
-Sì.-
Albert entrò in piena empatia con il nipote. Capiva quello che provava ma non poteva e non voleva interferire. Poteva solo consigliarlo.
-Anthony. Io non posso dirti cosa fare, posso solo consigliarti di capire cosa veramente vuoi e di prendere una decisione, Qualunque sarà questa decisione tre persone soffriranno, ma è inevitabile.
Coraggio figliolo, non sei un mostro, sei un ragazzo buono che sta soffrendo. È un momento doloroso per te, ma lo supererai, dovrai superarlo.-
-E cosa farò con Candy?-
Ad Albert fu chiaro che la sua decisione Anthony l’aveva già presa.
-Non posso certo dire di conoscerla bene, posso solo dirti che mi sembra un tipo forte, supererà anche lei questo dolore, vedrai.-

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Capitolo 9
*** Non posso certo dire di essere un suo carissimo amico ***


Il treno arrivò finalmente alla stazione di New York.
-Candy svegliati!- disse Natalie scuotendo l’amica che si era addormentata.
-Ti vuoi svegliare, accidenti a te?!!!-
Candy finalmente aprì gli occhi.
-Dove siamo?- chiese stiracchiandosi e sbadigliando.
-Siamo a New York Candy! Sbrighiamoci a scendere prima che il treno ci riporti a Chicago!-
Candy si alzò chiaramente insonnolita e aiutata da una spazientita Natalie, recuperò il suo bagaglio.
Finalmente le due ragazze scesero dal treno e si diressero verso l’uscita dalla stazione.
Decisero di prendere una carrozza, l’indirizzo dove dovevano recarsi non era molto lontano dalla stazione, almeno così gli era stato detto, ma loro non conoscevano la città e il loro bagaglio era piuttosto pesante. Entrambe avevano un valigione stracolmo di ogni cosa.
 
Arrivate all’indirizzo stabilito, contattarono la padrona dell’appartamento che avevano affittato tramite l’agenzia immobiliare di Chicago e in poco tempo poterono prendere possesso dell’appartamento stesso.
Era al secondo piano di una palazzina in una strada secondaria. L’unica finestra di quel monolocale dava direttamente sul muro di un altro palazzo a meno di dieci metri di distanza, e si poteva essere ben sicuri che lì la luce del sole non arrivava mai.
Il monolocale era appena un po’ più grande della loro stanza in ospedale a Chicago, aveva un bagno strettissimo, un armadio che doveva bastare per entrambe, un angolo cottura vicino alla finestra, e due letti appoggiati alle opposte pareti.
In mezzo alla stanza un tavolo circolare a quattro gambe, delle quali una più corta delle altre, e tre sedie mezzo sgangherate, completavano il poco esaltante quadro della situazione.
-E mi raccomando.- disse loro la padrona di casa, la signora Willer
–Niente uomini in questa casa! Non voglio cose da sporcaccioni!-
Ciò detto se ne andò quasi sbattendo la porta e lasciando le due amiche interdette.
-Ma come si permette quella vecchia arpia…- sbraitò Natalie –Ma l’hai sentita? Praticamente ci ha dato… delle… delle…-
Candy sbottò a ridere lasciandosi cadere sul letto.
Natalie fu piacevolmente sorpresa: da quando era finita la sua storia con Anthony che non la sentiva ridere in quel modo.
Candy non l’aveva presa affatto bene, evidentemente per lei quella storia significava molto. Non che Natalie l’avesse mai ritenuta una “cacciatrice di riccastri da infinocchiare”, ma non pensava che quella storia fosse davvero così importante per lei.
Avrebbe capito se quell’Anthony l’avesse lasciata per una rampolla del suo ambiente, ma da quanto aveva capito si era messo con una cameriera che aveva conosciuto da bambino nella residenza estiva degli Andrew.
Anche Natalie si mise a ridere e si lasciò cadere sull’altro letto.
 
Poco dopo le due amiche si misero a sistemare le loro cose, per quello che fu possibile, nell’unico armadio di casa.
-A che ora ci dobbiamo presentare domani all’ospedale?- chiese Candy mentre sistemava le sue ultime cose nella sua valigia destinata a rimanere appoggiata sul pavimento.
-Abbiamo appuntamento domani mattina alle 9.00 in punto. Dobbiamo presentarci dalla caposala del reparto di Chirurgia. L’ospedale Saint Jacob è a pochi passi da qui, quindi potremo andarci comodamente a piedi senza fare alzatacce.-
-Natalie.- disse Candy con voce commossa. –Grazie per aver pensato a me, quando ti è capitata questa opportunità.-
-Figurati Candy, siamo o non siamo amiche?-
-Da quando è finita la storia con Anthony sei l’unica delle mie amiche che mi è rimasta vicino.
Annie è sparita e Patty è arrabbiata con me perché non sono riuscita  a convincere Stear a non andare in guerra.
Solo tu mi hai compresa e aiutata.-
Perse una lacrima dall’occhio
-Solo ora capisco quello che cercavi di dirmi quella sera in ospedale Natalie.-
-Beh quella sera mi sbagliavo. Avevi ragione tu, certo con Anthony ti è andata male ma evidentemente non era destino. Che poi lui ti abbia lasciata per mettersi con un’altra ragazza povera è significativo non trovi?-
Candy abbassò la testa e si mise a piangere.
-Oh Candy scusami! Sono una cretina!- disse sedendosi sul letto vicino all’amica e abbracciandola forte.
-Perdonami Candy, non volevo.-
-Non fa niente Natalie, non fa niente credimi.-
-Sai che facciamo? Ci cambiamo d’abito e andiamo a mangiare fuori!-
-Certo!- rispose una Candy di nuovo sorridente –Ma se incontriamo due bei giovanotti non portiamoli qui, sennò la Willer ci tira un colpo di pistola! Quella donna sembra un ranger del Texas!-
Sbottarono entrambe a ridere.
 
Chiedendo informazioni per strada arrivarono a un locale dove si poteva mangiare qualcosa. Come vi entrarono si trovarono in un ambiente chiuso e fumoso, pieno di tavoli accalcati e di uomini intenti soprattutto a bere.
-Candy, forse faremmo bene a…-
-Andiamo Natalie, io ho fame! Lo vedo che posto è questo, ma che vuoi che ci succeda? Avviciniamoci al bancone, ordiniamo qualcosa da mangiare e poi ce ne andiamo. Domani ci organizzeremo per farci la spesa e cucinarci da noi.-
Fra gli sguardi curiosi e divertiti degli astanti, Candy e Natalie si avvicinarono al bancone.
-Mi scusi.- disse Candy rivolta al personale dietro al banco –Io e la mia amica vorremmo mangiare qualcosa.-
-Certo signorina.- gli rispose una donna di mezza età –Qui abbiamo delle ottime salsicce e anche bistecche. Il tutto da accompagnare con patate fritte e dell’ottima birra.-
-Guarda guarda chi si vede.-
Disse una voce divertita alla destra di Candy.
-L’infermiera più lentigginosa di Chicago…-
-Ma come si permette… Terence! Terence Granchester!-
-Bentrovata signorina White… il vostro fidanzato vi manda sola?-
-Non la riguarda signor Granchester!- rispose piccata Candy.
-Spero non vi offendiate se vi offro la cena signorine.-
-Ma veramente noi…- rispose timidamente Natalie.
-Avanti signorine. Non intendevo offenderla signorina White.-
Davanti ai modi compìti del giovane un’affamata Natalie voleva accettare l’invito e Candy lo capì.
-Io devo andare in bagno, vi raggiungo poi.-
Terence si rivolse alla donna dietro al bancone.
-Maggie, facci portare tre belle bistecche con patatine fritte a quel tavolo, e anche tre birre.-
Natalie seguì il giovane al tavolo.
-Posso chiederle cos’ha Candy signorina? Non posso certo dire di essere un suo carissimo amico, ma poco ci mancava che mi mordesse!-
-Purtroppo la sua storia con Anthony è finita. Lui l’ha mollata da neanche un mese.-
-Mi dispiace.-
-Per favore, non dica niente a Candy!-
-Sì certo.-
 
Il resto della serata trascorse tranquilla. Candy e Natalie spiegarono il motivo della loro presenza a New York. Natalie aveva ricevuto un’offerta di lavoro da un importante ospedale della città e aveva pensato di coinvolgere Candy.
Dal canto suo Terence si guardò bene dall’usare soprannomi e si rivolse alle due ragazze con dei formali e rispettosi “Signorina White” e “Signorina Vince”.
-Grazie della bella serata signor Granchester.- gli disse Candy prima di congedarsi.

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Capitolo 10
*** Essa è l'Oriente e Giulietta è il sole ***


Il giorno successivo Candy e Natalie presero servizio al loro nuovo ospedale, e fin dai primi giorni il lavoro si annunciò anche più duro di quello che già svolgevano a Chicago.
Cominciarono a organizzare la loro vita anche fuori dall’ospedale così da poter mangiare in casa senza dover per forza uscire la sera o ricorrere alla mensa ospedaliera.
Si misero anche a cercare una nuova soluzione abitativa, quella specie di “casa” della signora Willer sarà anche stata a buon prezzo, ma era decisamente troppo “spartana” anche per due ragazze semplici e di poche pretese come loro.
Candy era sì vissuta in un orfanotrofio per i primi quindici anni della sua vita, ma sempre in condizioni di dignità e decoro.
Anche Natalie veniva da una famiglia povera sì, ma dignitosa.
Quel monolocale andava contro ogni più modesto concetto di “dignità” e “decoro”.
Certo, la ricerca non era semplice, le case costavano parecchio a New York, e poi quel monolocale aveva un grosso vantaggio: era a due passi dall’ospedale!
Se avessero preso casa dall’altra parte della città, per loro sarebbe stato un bel problema spostarsi e avere tempo per organizzare la loro vita.
Così la ricerca andava per le lunghe, e la bisbetica signora Willer, pur con le sue continue reprimende sulle “cose da sporcaccioni”, era una buona padrona di casa: non rompeva le scatole più di una volta al giorno.
 
Passò così un altro mese, e Candy sembrava ormai aver voltato pagina ed essersi buttata alle spalle l’amara esperienza con Anthony.
Una sera Natalie aveva il turno di notte e Candy si trovò da sola a casa. Non aveva voglia di cucinare e così decise di tornare in quel locale dove erano state la prima sera.
 
Entrò nel locale trovandovi la stessa aria fumosa e chiusa di quella sera e si diresse decisa verso il bancone fra la curiosità e i fischiettii di sorpresa dei clienti.
Al bancone c’era un giovane chiaramente brillo che si scolava quella che sembrava l’ennesima birra della serata.
Candy lo riconobbe: era Terence Granchester. Evidentemente era un cliente assiduo di quel locale.
Candy non intendeva attaccarci bottone, da un ubriaco era sempre meglio stare lontani, quindi al bancone si tenne ben alla larga da lui.
Ordinò un panino con la salsiccia e una birra che avrebbe rapidamente consumato al bancone senza prendere posto ai tavoli.
Mentre mangiava il suo panino Candy sentì un trambusto di voci concitate provenire dalla sua destra e si voltò.
Terence Granchester stava accapigliandosi con qualcuno, anzi per meglio dire, le stava prendendo sonoramente da qualcuno, un uomo di mezza età, dall’aria non particolarmente forte, ma che in quel momento poteva facilmente avere la meglio sull’ubriaco.
Terence cadde a terra e l’uomo fu su di lui per continuare a riempirlo di pugni in faccia.
La reazione di Candy fu immediata e decisa. Si alzò e si diresse verso i due litiganti con l’intento di mettere fine alla rissa.
-Fermo che fa? Non vede che questo ragazzo non è in grado di reagire?- L’uomo si dimostrò ragionevole e si alzò andandosene dal locale.
Anche Terence fu buttato fuori e Candy, pagato il suo conto, lo seguì.
 
Il ragazzo barcollava vistosamente in mezzo alla strada pronunciando con voce sorprendentemente nitida quelli che sembravano versi shakespeariani.
Candy gli si avvicinò e lo chiamò
-Signor Granchester! Signor Granchester! Non mi riconosce? Sono Candy! Candy White!-
-Oh! Ma quale luce irrompe da quella finestra lassù? Essa è l’Oriente e Giulietta è il sole!-
Il fiato del giovane emanava un odore pazzesco, e Candy investita in pieno da quel fetore fu quasi sul punto di dare di stomaco.
-Dove abita signor Granchester? La accompagno a casa io!-
Così come la voce del giovane era stata chiara e distinta quando declamava Shakespeare, così fu incomprensibile quando si trattò di rispondere a una semplicissima domanda.
All’improvviso il ragazzo si buttò in terra e cominciò a vomitare in mezzo alla strada. Candy fece appena in tempo a scansarsi ed evitare di essere investita in pieno.
Poi rimase lì a guardare quel ragazzo che stava male, e infine si chinò su di lui per aiutarlo.
-Venga con me signor Granchester.- le disse con una dolcezza che il giovane recepì lasciandosi aiutare da lei.
Senza riflettere troppo sulle possibili conseguenze, Candy portò il giovane Granchester a casa sua, e una volta entrati in casa lo fece sdraiare sul letto di Natalie, forse senza ricordarsi che quello era il letto di Natalie.
Quando si ricordò di Natalie e anche della signora Willer che prima o poi avrebbe fatto la sua ispezione quotidiana nel suo prezioso monolocale, imprecò contro se stessa.
-Accidenti a me! E adesso che faccio?-
 
La notte passò in bianco per Candy che non osava neanche spogliarsi per mettersi a letto. Cosa avrebbe raccontato poi?
Era l’alba quando Natalie rientrò dal suo turno in ospedale, e poco ci mancò che non gli prendesse un accidente!
-Candy! Esigo una spiegazione!-
Candy ci provò a dare una spiegazione e Natalie, anche se non era del tutto convinta, la prese per buona.
-E adesso che gli raccontiamo al nostro “Texas Ranger” quando verrà a fare l’ispezione quotidiana?-
Candy era mortificata.
-Che guaio ho combinato!-
In quel momento qualcuno bussò alla porta.
-Presto Candy!- disse Natalie sottovoce –Nascondiamolo sotto al mio letto.-
Con non poca fatica sistemarono il ragazzo sotto il letto.
-Adesso spogliati e mettiti a letto Candy!-
Mentre Natalie temporeggiava nell’aprire la porta, Candy si levò rapidamente scarpe e vestiti e si infilò sotto le coperte fingendo di dormire.
Solo in quel momento Natalie aprì la porta aspettandosi di trovare quel “Texas Ranger” della loro padrona di casa, e trovandosi davanti tutt’altro tipo.
Davanti a lei c’era infatti una donna di mezza età, bella e piacente anche se in lei trasparivano dolore e preoccupazione.
-Buongiorno, è lei la signorina Candice White?-
-No signora, Candice è l’amica con cui convivo, io mi chiamo Natalie Vince.-
-Io sono Eleanor Baker e sono la madre di Terence Granchester, mi è stato riferito che la signorina White…-
Natalie non la fece neanche finire
-Entri signora presto!-
Disse richiudendo la porta una volta che la signora fu entrata.
Intanto anche Candy si era alzata dal letto non avendo senso continuare la commedia.
-Sono io Candice White signora Baker. Suo figlio è qui!-
Senza neanche pensare a dare una spiegazione Candy si inginocchiò presso il letto di Natalie e tirò fuori l’esanime Terence sotto lo sguardo incredulo di sua madre.
-M-m-m-ma che cosa è successo qui?!!!-
Solo in quel momento Candy realizzò la situazione a dir poco sconveniente che doveva apparire a quella povera donna.
Divenne rossa e balbettò: -Ehm… si-signora… non è come sembra… po-possiamo spiegarle tutto.-
-E sarà meglio che lo facciate allora!-
Poco dopo, sedute al tavolo del monolocale, le due ragazze avevano spiegato tutto alla signora Baker, che appariva distrutta dal dolore e sul punto di scoppiare a piangere.
-Sarà meglio che si rivesta signorina, prima che arrivi la vostra padrona di casa.-
-E perché mai mamma…- la voce era quella di Terence che ormai aveva smaltito la sbornia della sera prima -…è una così bella visione…-
Eleanor Baker con la faccia piena di lacrime si alzò, raggiunse il figlio e cominciò a suonargliele di santa ragione picchiandolo ripetutamente in testa, finchè quest’ultimo si divincolò alzandosi in piedi e scansandola via.
-Ma sei impazzita?!!!! Non sono un bambino, smettila!!!-
-Già… non sei un bambino! Sei un uomo che sta buttando via la sua vita! Potresti avere tutto quello che vuoi e che stai facendo?!!!
Susanna è MORTA! Lo capisci?!!! Ti ha salvato la vita e tu come la ripaghi?!!!-
-Non glie l’ho chiesto io di sfracellarsi sotto quel riflettore! E lei ne ha approfittato per legarmi a sé! Era una donna meschina ed egoista, proprio come sua madre!-
I lineamenti di Eleanor si addolcirono e si avvicinò nuovamente al figlio accarezzandogli la faccia e continuando a piangere.
-Terence, quello che è stato è stato… Buttati tutto alle spalle… Fallo per te stesso… Fallo per me…-
Anche Terence iniziò a piangere e la madre lo abbracciò.
-Torniamo a casa… parleremo con il dottor Johnson… ti aiuteremo a disintossicarti… Non sarà facile lo so… Ma provaci Terence… Tu puoi farcela…-
In lacrime il ragazzo promise
-Ci proverò mamma, ci proverò…-
Madre e figlio si abbracciarono ancora sotto lo sguardo commosso di Candy e Natalie.
Poi all’improvviso il giovane Granchester disse con il tono scanzonato che Candy ben gli conosceva:
-Signorina White, per quanto la sua visione in siffatta veste mi sia gradita, forse farebbe bene a rivestirsi.-
In quel momento Candy si ricordò di essere mezza nuda davanti a un uomo e diventò di mille colori.
Raccolse i suoi vestiti e squadrando Terence con uno sguardo pieno di fulmini pronti a incenerirlo, entrò nel bagno dell’abitazione quasi sbattendo la porta.
In quel mentre qualcuno bussò alla porta.
-Aprite! Sono la padrona di casa! Aprite!-
-Oh mio Dio, e adesso che faccio?- si lamentò Natalie –Quell’arpia non vuole uomini in casa!-
-Apri la porta!- disse Eleanor –Ci penso io.-
Natalie aprì la porta e la signora Willer entrò nel monolocale.
-Buongiorno signora!- la accolse Eleanor con un largo sorriso –Lasci che mi presenti, sono la madre di Natalie venuta in visita da… Boston!- Eleanor non aveva la più pallida idea della provenienza di Candy e Natalie.
-E questo ragazzo è suo fratello.-
-Onoratissimo signora!- disse Terence reggendo il gioco di sua madre –Mi complimento con lei per l’abitazione… veramente chic che ha messo a disposizione di mia sorella e della sua amica dalle tante lentigg…-
La frase fu interrotta da un calcio che Candy, ormai rivestita e uscita dal bagno, mollò sugli stinchi del giovane.
-Di solito non ammetto uomini nel mio appartamento, ma trattandosi del fratello in visita alla sorella posso fare un’eccezione. Buona giornata!- e se ne riandò come al suo solito sbattendo la porta.
-“Abitazione veramente chic”…- ripeté Candy -…dì un po’ giovanotto, ci stai prendendo in giro?-
-Avanti signorina White, “topaia fatiscente” mi suonava male!-
Candy e Natalie si misero a ridere.
-E comunque io sono Candy, puoi chiamarmi così!-
-Va bene Candy, tu allora chiamami semplicemente Terence… e grazie di quello che hai fatto stanotte.-
Dopo che madre e figlio se ne furono andati Natalie e Candy si guardarono in silenzio, sbottando a ridere dopo un po’.

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Capitolo 11
*** Forse mi dicevi soltanto la verità ***


Il giorno dopo Candy stava facendo il giro del reparto a raccogliere le temperature dei pazienti quando la caposala la fermò e le diede una lettera indirizzata a lei.
-La ringrazio signora Parker, la leggerò a fine turno.-
 
Finito il turno di lavoro Candy si avviò verso casa. Era una bella giornata primaverile ormai tendente all’estate, e lei decise di fermarsi in un piccolo parco adiacente all’ospedale per leggere la sua lettera.
Una bella panchina accanto a un albero sembrava aspettare proprio lei, ma guardando l’albero Candy ebbe l’idea di appollaiarsi su un ramo, e senza esitare salì sull’albero.
Quando vide chi era il mittente ebbe un tuffo al cuore: era una lettera di Annie e Patty da Chicago.
Aprì la busta e vi trovò tre fogli di carta piegati e un biglietto.
Sul biglietto c’era scritto semplicemente “PERDONACI”, e le tre lettere la fecero piangere.
 
Lettera di Annie Brighton
“Carissima Candy.
Ti ho lasciata sola in un momento delicato della tua vita, mi sono fatta vigliaccamente convincere che era meglio così, che il mio passato andava sepolto, dimenticato. Che anche per te era meglio così, che in questo modo anche tu potevi buttarti alle spalle il tuo passato e guardare a un futuro migliore.
Ma io non voglio dimenticarti, non voglio che tu mi dimentichi.
Ti prego rispondimi, fammi avere tue notizie.
Dimmi che mi hai perdonata, e anche se questo non ti sarà possibile scrivimelo lo stesso.
Ti capirò se non vorrai perdonarmi.
Abbiamo trovato l’indirizzo del tuo nuovo ospedale a New York grazie all’interessamento di Anthony e Albert.
Anthony è preoccupato per te ma non osa scriverti e penso che tu possa capire il perché.
 
Ti prego Candy, dacci tue notizie
 
Annie”
 
Lettera di Patty O’Brien
“Carissima Candy.
Potrei dirti che quel giorno, quando ti ho respinta accusandoti di non aver saputo convincere Stear a non partire per la guerra, non ero in me, che temevo di perdere il mio amore, che cercavo un capro espiatorio, un modo di pensare ad altro.
La verità è che non ho scusanti.
La verità è che non merito più la tua amicizia.
Potrei mettermi in ginocchio davanti a te e restarci per un mese, ma questo non mi renderebbe degna di un’amica come te.
Non ti chiederò di perdonarmi perché non lo merito il tuo perdono.
Purtroppo devo darti una terribile notizia: Stear è morto.
È stato ucciso in battaglia pochi giorni dopo la tua partenza per New York.
Puoi immaginarti come stia in questo momento.
Insieme a mia nonna stiamo pensando di trasferirci in Florida o da qualche altra parte, dove potrò ricominciare da capo.
Ti ho mandato una lettera che Stear ti aveva scritto per scusarsi del suo comportamento quando tu cercasti di convincerlo a non partire.
 
Addio Candy e ricordati di me ogni tanto.
 
Patty”
 
Lettera di Alistear Cornwell
“Carissima Candy.
Ti scrivo dalla nave che mi sta portando in Europa, per chiederti scusa.
Quel giorno ti ho trattata in modo indegno.
Piantarti in asso dopo aver lasciato una banconota sul tavolo, è stata un’azione vigliacca e infame, degna dei miei cugini Legan.
Potevo anche non essere d’accordo con te, anche se forse mi dicevi soltanto la verità, ma niente giustifica il mio comportamento.
Spero che potrai perdonarmi e tornare a considerarmi un amico.
 
Sempre tuo
 
Stear”
 
Finito che ebbe di leggere, le guance di Candy erano rosse di pianto. Stear morto, Patty che le diceva che non si sarebbero viste più.
No, non poteva andare così, non voleva che andasse così.
Scese subito dall’albero e si avviò a rapidi passi verso casa.
 
Annie e Patty entrarono nel monolocale che Candy divideva con Natalie. Lei in quel momento era di turno in ospedale e Candy aveva ottenuto un giorno di libertà per poter stare con le sue amiche.
Le due ragazze si guardarono intorno con aria perplessa.
-Ehm Candy… ma non avete trovato di meglio?- chiese Annie, e Candy ridacchiò
-Non al prezzo che paghiamo qui! E poi abbiamo l’ospedale Saint Jacob a due passi, e così dopo qualche ricerca abbiamo lasciato stare. In fondo non potremmo più stare senza la signora Willer che ogni giorno viene a controllare che non facciamo le “cose da sporcaccioni”.-
-Oh mio dio!- esclamarono le due ragazze ad una voce.
Proprio in quel momento qualcuno bussò alla porta.
Candy aprì, era la signora Willer.
-Buongiorno signora Willer, le presento le mie amiche Annie e Patty.
Ragazze, la signora Willer è la nostra padrona di casa.-
Annie e Patty salutarono educatamente l’anziana e bisbetica signora, che dal canto suo le squadrò attentamente senza una parola, e prima di andarsene sbattendo la porta disse:
-Non voglio uomini qui dentro!-
Dopo un attimo di sconcerto le tre amiche si misero a ridere.
 
Quella sera le tre ragazze, insieme a Natalie, andarono a cena in un famoso ristorante di New York, e la serata trascorse in un clima di grandi risate. Sembravano veramente quattro amiche di lunga data.
Un uomo si avvicinò al loro tavolo.
-Terence!- esclamarono a una voce le quattro ragazze.
-Ma come, vi conoscete?- chiesero di nuovo tutte insieme. Al che la piccola comitiva scoppiò in una fragorosa risata.
-Sarà meglio che faccia io le dovute spiegazioni signorine, altrimenti passerete tutta la serata a parlare in coro.- disse uno scanzonato e allegro Terence.
-Dunque, le qui presenti signorine Annie Brighton e Patricia O’Brien sono state mie compagne di studi nel prestigioso collegio londinese “Royal Saint Paul School”, mentre le signorine Natalie Vince e Candice White mi hanno gentilmente ospitato nella loro lussuosa abitazione una sera che avevo…-
-Alzato il gomito signor Granchester?- disse Patty –Come quella volta che entrasti nella mia stanza in piena notte, ubriaco fradicio e ferito?-
Patty sembrava allo stesso tempo divertita e infastidita da quel ricordo.
Il ragazzo sorrise.
-Già, più o meno…-
Poi la sua faccia e la sua voce si fecero serie.
-Ho saputo di Stear… mi dispiace tanto Patty.-
-Ti ringrazio Terence… lui aveva simpatia per te lo sai…-
Come a voler spezzare la malinconia che aleggiava sul tavolo Candy chiese al ragazzo:
-Come mai da queste parti Terence?-
-Sono qui a cena con gli impresari della mia compagnia, a quel tavolo in fondo alla sala. Anzi sarà meglio che li raggiunga. Buona serata signorine.-
Andato via il giovane, sembrò quasi che una cappa grigia si fosse abbattuta sul tavolo delle quattro ragazze, finché Patty esclamò a gran voce dopo essersi asciugata una lacrima:
-Coraggio ragazze! Siamo qui per divertirci! Cosa sono questi musi lunghi?-
Anche Candy si asciugò una lacrima e provò tanta ammirazione per quella ragazza all’apparenza così fragile.
 
La permanenza di Annie e Patty a New York durò una settimana, poi le due ragazze dovettero partire.
-Mi raccomando ragazze, scrivetemi sempre, aspetto vostre notizie!-
-Certo Candy! E tu vieni a trovarmi a Chicago appena puoi! Insieme andremo anche alla casa di Pony!-
-E tu Patty, hai proprio deciso?-
-Si Candy, tornata a Chicago metterò insieme le mie cose e mi trasferirò in Florida insieme a mia nonna Marta. Mi piacerebbe poter restare negli Stati Uniti, ma per farlo devo avere un lavoro, e in Florida con l’aiuto economico dei miei genitori e di nonna Marta penso proprio che aprirò una piccola attività.
Spero proprio che un giorno veniate a trovarmi!-
-Verremo sicuramente Patty!- promise solennemente Candy.
Mentre il treno lasciava la stazione di New York Candy provò una stretta al cuore e perse una lacrima.
Aveva ritrovato le sue amiche, ma si sentì lo stesso tanta malinconia addosso.
 
Uscita dalla stazione Candy si diresse verso l’ospedale Saint Jacob dove quel giorno aveva il turno di pomeriggio.
-Buongiorno signorina Tarzan!-
la salutò una voce a lei familiare. Si girò nella direzione di quella voce e vide Terence che mimava un inchino elegante.
-Buongiorno a te Terence.- rispose Candy insieme contenta per rivedere quel giovane e piccata per l’atteggiamento canzonatorio che traspariva dalla sua voce.
-Se proprio vuoi chiamarmi in qualche modo puoi sempre usare il mio nome! E poi… che cavolo vuol dire “Tarzan”?-
-Adesso te lo spiego: immagina un piccolo giardino pubblico con una panchina e un albero, e immagina una graziosa bionda piena di lentiggini che per leggere una lettera, anziché sedersi sulla panchina come tutte le persone normali, si arrampica sull’albero appollaiandosi su un ramo.-
-Così mi hai vista quel giorno!-
-Sai, tu non te ne accorgesti, ma la gente che passava guardava compiaciuta le tue belle gambe al vento, e così anch’io…-
Candy diventò di mille colori.
-SPARISCI!!!-
Il giovane attore si mise a ridere e la ragazza riprese la sua strada.
Terence la affiancò lungo la strada
-Avanti Candy, non prendertela a male, stavo solo scherzando! E poi non è colpa mia se sali sugli alberi in città sventolando le gambe…-
-LA VUOI SMETTERE!!!!!- gridò di nuovo lei
-D’accordo d’accordo la smetto…-
Candy continuò a camminare in direzione del Saint Jacob’s Hospital senza degnare di altri sguardi il giovane attore che la guardava allontanarsi.
-…ma ci rivedremo presto signorina Tarzan tuttalentiggini…-

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Capitolo 12
*** Non ho mai conosciuto mia madre ***


La vita di Candy e Natalie proseguì tranquilla e metodica. Le due ragazze convivevano condividendo spazi e risorse ma avendo ognuna la sua vita.
In particolare Natalie aveva preso a uscire sempre più spesso, e un giorno, poco prima di mettersi a cenare sul traballante tavolo che la signora Willer metteva loro a disposizione, Natalie affrontò un argomento che sembrava imbarazzarla.
-Candy… devo dirti una cosa…-
-Ti ascolto.-
-Beh… ecco… vedi…-
-Si tratta di un certo dr Kennedy?-
Natalie arrossì.
-E tu come fai a…-
-Andiamo Natalie! Se ne accorgerebbe anche un cieco che vi siete “simpatici” tu e il giovane medico di Medicina Interna!
-è così evidente?-
A Candy non sembrò opportuno dire a Natalie che tutto l’ospedale non faceva che spettegolare su di lei e sul giovane dr Kennedy quindi cercò di dare un’altra direzione al discorso
-Tu mi scuserai, ma l’altra sera vi ho visti insieme mentre rientravo e…-
-Mi ha chiesto di sposarlo Candy.-
Candy non se lo aspettava e dopo un attimo di sorpresa abbracciò l’amica ridendo e piangendo con lei.
-è… meraviglioso!!!-
-Ci vorrà qualche tempo, ma entro l’estate convoleremo a giuste nozze!-
-Natalie… non sai quanto questo mi renda felice…-
L’espressione di Natalie si fece triste.
-Mi dispiace tanto lasciarti Candy…-
Candy la abbracciò di nuovo, anche a lei dispiaceva di perdere la sua amica.
-Me la caverò Natalie, me la caverò.-
 
Il giorno dopo Candy aveva il suo giorno di libertà e pensò di fare una passeggiata in città. New York era una delle città più grandi e famose degli Stati Uniti, e lei la conosceva appena.
Mentre guardava la vetrina di un negozio, piena di articoli che lei non avrebbe mai potuto comprare, si sentì chiamare da una voce di donna. Si voltò e vide davanti a lei Eleanor Baker, la madre di Terence.
-Ciao Candy!- la salutò confidenzialmente la donna.
-Buongiorno signora Baker!-
-Stai facendo compere Candy?-
Lei si mise a ridere
-Col mio stipendio? È già tanto se riesco a pagarmi l’appartamento della signora Willer e quel poco cibo che mangio!-
-Posso offrirti qualcosa da bere Candy?-
-La ringrazio signora Baker.-
 
Poco dopo sedute al tavolino all’aperto di un bar che dava direttamente sul fiume Hudson e sulla statua della libertà, Candy e Eleanor continuavano la loro conversazione.
-Come sta Terence signora Baker?-
-Bene direi, si sta impegnando a fondo nel programma di disintossicazione e i risultati si vedono. Certo, la strada è lunga e difficile.-
-Sono sicura che ce la farà, col suo aiuto non può non farcela.-
-Non ti ho ringraziato abbastanza per quello che hai fatto quella sera.-
-Ho fatto solo il mio dovere di infermiera, signora.-
-Non credo sia solo quello Candy. Tu sei una ragazza buona e altruista, credo proprio che tua madre sia orgogliosa di te.-
Candy abbassò lo sguardo.
-Non ho mai conosciuto mia madre. Sono stata abbandonata da piccola e sono cresciuta in un orfanotrofio.-
-Mi dispiace Candy… non lo sapevo…-
-Non importa…- disse lei asciugandosi una lacrima -…ormai ci sono abituata.-
-Posso farti una domanda personale Candy?-
-Certo signora.-
-Sei fidanzata? Hai una persona a cui tieni particolarmente?-
-No signora, quello che pensavo essere il mio fidanzato mi ha lasciata qualche mese fa. È stato allora che ho preso la decisione di venire a New York insieme alla mia amica Natalie. Adesso lei sta per sposarsi e resterò di nuovo sola.-
-Sono sicura che troverai una persona che ti ami come meriti Candy.-
 
Il giorno del matrimonio di Natalie arrivò prima del previsto e Candy fece da testimone alla sua migliore amica.
Alla fine della giornata, nel suo appartamento nascosta alla vista di tutti, si lasciò andare al pianto: era di nuovo sola.
 
Candy rientrava dal suo turno notturno all’ospedale e sbadigliava vistosamente mentre saliva le scale. Non vedeva l’ora di mettersi a letto. L’estate volgeva al termine e il clima di prima mattina era abbastanza fresco.
-Vi ho detto che non voglio uomini in casa mia!-
La voce della sua padrona di casa la fece sobbalzare, e rischiò di cadere giù dalle scale.
-Signora Willer! Perché urla così? Mi ha spaventata!-
-Vi ho detto mille volte che non voglio uomini in casa mia!-
Candy era quasi sul punto di cantargliele sode a quella megera, e riuscì a trattenersi a stento.
-Con tutto il rispetto signora Willer, io non vedo uomini qui.-
-Non adesso, ma ieri sera è venuto a cercarla un uomo, il fratello della sua amica!-
-Ma Natalie non…- si fermò appena in tempo. Se la megera avesse saputo che Terence non era il fratello di Natalie, l’avrebbe cacciata seduta stante.
-Ha lasciato questo per lei!-
Porse alla ragazza una busta.
-Che sia l’ultima volta signorina!-
-Certo signora, non succederà più signora.- disse ossequiosamente Candy mentre entrava nell’appartamento. In realtà la ragazza stava per scoppiare, e quando ebbe chiuso la porta dell’appartamento sbottò in una smorfia di rabbia e insofferenza.
Quando si fu calmata aprì la busta. C’erano un biglietto teatrale e una lettera scritta a mano.
 
“Carissima Candy.
Sia io che mia madre saremmo felici di averti alla prima dell’Amleto che si terrà fra un mese, e dove io reciterò nella parte principale.
Ti ho riservato un posto in tribuna d’onore accanto a mia madre che sarà felice di rivederti.
Mi raccomando signorina Tarzan Tuttalentiggini: non piombarmi sul palco impugnando una liana!
 
Terence Granchester.”
 
-Ma che spirito di patata!-
Quel “Tarzan Tuttalentiggini” non le era per niente gradito, ma l’invito sì.
Tirò fuori dall’armadio il suo abito da sera, dono dei suoi amici Anthony, Archie e Stear, e per quanto dolore potessero recarle certi ricordi, decise che avrebbe dato lustro di sé con quell’abito.
Mentalmente cominciò a contare il tempo che la separava da quella serata.

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Capitolo 13
*** Che si goda la sua serata di gloria ***


Nei giorni successivi la signora Willer si fece sempre più insopportabile, al punto che Candy maturò la decisione di andarsene da quella stamberga che si ostinava a chiamare casa e di cercare un’altra soluzione, anche a costo di dover attraversare New York a piedi ogni giorno.
Provò a sentire fra le sue colleghe se ci fosse qualche ragazza interessata a dividere le spese con lei. Chiese anche al marito di Natalie se nel suo reparto conoscesse qualche infermiera a cui proporre la convivenza, ma al momento non trovò niente.
-Ma è diventata davvero così insopportabile la Willer?- le chiese un giorno Natalie mentre pranzavano insieme.
-Scherzi? Qualche notte fa mi è piombata in casa mentre dormivo e mi ha svegliata! Ovviamente non ero certo vestita, e lei prima ha cacciato un urlo tremendo e poi si è messa a cercare uomini sotto il letto e nell’armadio!-
-Oh mio Dio, mi dispiace Candy…- disse Natalie mentre ridacchiava sotto i baffi.
-Non ce la faccio più!!!-
Natalie sbottò a ridere in faccia all’amica.
-Grazie! Bell’amica!- ma poi anche Candy rise di cuore: la situazione che descriveva era davvero paradossale.
 
In un modo o nell’altro quel mese passò e arrivò il tanto atteso giorno della prima dell’Amleto.
Candy uscì da casa con il suo abito da sera dopo essersi sorbita l’ennesima reprimenda della Willer sugli “uomini”, e rimase a bocca aperta nel vedere un’elegante carrozza con tanto di cocchiere davanti a casa sua.
-La signorina Candice White?- le chiese l’uomo.
-Si… sono io…-
-La stavo aspettando signorina, ho l’incarico di condurla a teatro.- disse l’uomo aprendo lo sportello dell’elegante carrozza.
-Ma… ma io non posso pagare un servizio simile… io…-
-Non si preoccupi signorina, la signora Baker ha già pagato tutto.-
-La… signora Baker?-
-Si signorina. La signora Baker mi ha incaricato di condurla a teatro. Prego signorina.-
Come imbambolata dall’inattesa situazione Candy salì sulla carrozza.
Una volta dentro cominciò a ridere sotto i baffi, le sembrava di vivere la favola di Cenerentola!
L’umile infermiera che viveva nella stamberga della signora Willer condotta al ballo sulla carrozza fatata!
 
Davanti al teatro fu accolta da una radiosa Eleanor Baker.
-Benvenuta Candy!-
-Signora, io la ringrazio, ma non doveva…-
-Zitta per favore! Stasera sei mia ospite! Vieni con me ragazza!-
Candy seguì la donna. In fondo era compiaciuta di quelle attenzioni.
Salirono le scale che portavano ai costosissimi posti d’onore. All’improvviso Candy sentì due voci sgradevolmente note.
-Guarda guarda Neal…-
-Toh! L’infermiera trovatella!-
Erano Neal e Iriza Legan.
-Non so chi siate signori, ma la signorina è mia gradita ospite e non deve essere importunata!-
-Vedo che la sua specialità è entrare nelle grazie di persone ricche signorina White, salvo quando poi la scaricano!-
La velenosa frase era stata detta da Iriza Legan, e Candy la ricambiò con un’occhiata carica di odio.
-Basta!- sbottò infine rifilando uno schiaffo all’odiosa ragazza che addirittura cadde a terra.
-Stia lontana da me signorina Legan! Usi pure tutto il potere della sua dannata famiglia per farmi cacciare dagli ospedali di tutti gli Stati Uniti se vuole, ma stia lontana da me!-
-Signorina Legan! Signorina Legan!- a chiamare la “signorina Legan” era un uomo di mezza età.
-Ma come si è permessa signorina?!!!!-
-Lascia stare Stewart!- rispose Iriza Legan rialzandosi –Che si goda la sua serata di gloria…-
Candy quasi sobbalzò, ma non per la neanche tanto velata minaccia dell’altezzosa Legan, quanto per il nome Stewart.
Si voltò e guardò l’uomo. Riconobbe in lui l’uomo che tanti anni prima le aveva proposto di andare a lavorare per una ricca famiglia di Lakewood… una famiglia di cui non aveva mai ricordato il nome… quella famiglia era la famiglia Legan!
Dallo sguardo dell’uomo capì che anche lui l’aveva riconosciuta.
-Vieni Candy, andiamo via…-
Candy si lasciò condurre via da Eleanor e la serata poté continuare tranquilla.
 
Dopo lo spettacolo Eleanor condusse Candy nei camerini degli attori e la ragazza si sentì più che mai come Cenerentola al ballo.
Fu presentata a Karen Kline, che aveva interpretato Ofelia, e strinse la mano ad altri famosi attori. Infine entrò insieme a Eleanor nel camerino di Terence.
 
La carrozza riportò Candy a casa che ormai mancava poco all’alba. Per fortuna quel giorno aveva il turno di pomeriggio e quindi avrebbe potuto riposare un po’ prima di recarsi al lavoro.
Ringraziato il cocchiere Candy si diresse verso il portone d’ingresso della palazzina dove abitava, ma un istante prima di arrivare all’ingresso di casa, Candy si trovò la strada sbarrata da un uomo.
Quell’uomo era Albert.
-Albert!- gridò commossa Candy mentre correva ad abbracciarlo.
-Non mi fai salire in casa?-
-Ehm… credimi Albert, è meglio di no. Quell’arpia della mia padrona di casa sta sempre di vedetta per vedere se porto qualche uomo in casa…-
-Oh mio Dio!-
-Puoi dirlo forte… mi piomba di notte in casa per controllare se sono sola.-
Albert proruppe in una sonora risata.
-Beh, sarà meglio che andiamo da qualche altra parte. Vorrei parlarti Candy.-
-Ti va una birra?-
-Perché no? Una bella birra la apprezzo.-
-Vieni con me allora.-
Poco dopo Albert e Candy sedevano al locale dove tempo addietro lei aveva trovato Terence ubriaco, e dove ogni tanto andava a farsi una birra o una cena veloce.
Al loro ingresso nel locale i clienti fischiettarono per la sorpresa nel vedere Candy agghindata in quel modo e in compagnia di un bel giovane elegante.
-Ehi Cenerentola! La scarpetta ti andava bene?- gridò qualcuno suscitando l’ilarità generale. Candy non se la prese: ormai ci era abituata.
 
-Come te la passi Candy?- chiese un Albert commosso nell’intuire la non facile vita di quella ragazza a cui tanto doveva.
-Me la cavo. Da quando la mia amica Natalie si è sposata e mi ha lasciata sola ho qualche problema in più, ma me la cavo lo stesso.-
-Candy, ero a teatro stasera e ho assistito alla scenata con Iriza.-
-Non capisco cos’abbia quella vipera contro di me: ci conosciamo appena ma non manca di infastidirmi con le sue battute sugli orfani!-
-Si, lo so. Iriza è una vera vipera, abituata a trattare le persone dall’alto al basso.
Volevo dirti che non hai fatto bene a raccogliere le sue provocazioni. Quello schiaffo se l’è legato al dito e cercherà di fartela pagare.-
-Ma qui non siamo a Chicago, qui i Legan non sono nessuno!-
-Non è così Candy. Il padre di Neal e Iriza ha consistenti affari anche in questa città, e se proprio lo volesse potrebbe crearti dei problemi.-
-E cosa dovrei fare? Scappare un’altra volta? Non ho forse il diritto di vivere in pace la mia vita?-
-Certo che lo hai Candy! E stai tranquilla: parlerò con Raymond Legan e gli chiederò di non assecondare i capricci della figlia. Vedrai che mi ascolterà, al contrario di moglie e figli, lui è un uomo di buon senso. Quello che volevo dirti è di stare alla larga da quei due. Non hai idea dei problemi che hanno causato a Dorothy quando lavorava per loro!-
-Ti ricordi quando ti ho raccontato che da piccola una ricca famiglia voleva assumermi come “dama di compagnia”?-
-Si certo, mi ricordo, ma che c’entra?-
-Erano i Legan. Stasera ho visto l’uomo che li accompagnava, è lo stesso uomo che venne alla casa di Pony a farmi la proposta.-
-Beh, puoi dire di averla scampata bella Candy!-
Sorseggiarono insieme le loro birre, poi Candy chiese:
-Come sta Anthony?-
-C’era anche lui a teatro, insieme a Dorothy… ora… sono sposati.-
Albert era dispiaciuto nel dare questa notizia a Candy.
-Digli che non ce l’ho con lui, e che sarei felice di rivederlo e di conoscere questa famosa… Dorothy…-
Non riuscì a trattenere le lacrime e Albert la guardò commosso. Pensò che Anthony aveva ragione: quella ragazza somigliava tantissimo a sua sorella Rose, e non solo nell’aspetto fisico, ma anche nel carattere.

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Capitolo 14
*** Gli opposti si attraggono ***


-Ciao Candy.-
-Ciao Anthony.-
Dopo essersi salutati i due ragazzi abbassarono lo sguardo imbarazzati. Per entrambi era un momento difficile.
-Ciao Candy! Io sono Dorothy, sono felice di conoscerti, ho sentito parlare molto di te!- la voce squillante che li trasse entrambi dall’imbarazzo di quel momento, era quella di Dorothy, una ragazza più o meno della stessa età di Candy, forse un po’ più grande.
-Ciao Dorothy. Anch’io sono felice di conoscerti.- rispose Candy stringendo la mano che Dorothy le porgeva.
-Vogliamo… entrare???- propose Anthony che vide quel momento di cordialità con grande sollievo.
Entrarono nel ristorante e si sedettero al tavolo che Anthony aveva prenotato. Una premurosa cameriera raccolse le loro ordinazioni e le portò in cucina lasciandoli soli.
-Sai Candy, ero proprio curiosa di conoscerti, Anthony mi ha parlato tantissimo di te, e non solo lui! Non ho mai sentito parlare così bene di qualcuno!-
E allora perché mi ha lasciata… pensò la bionda infermiera badando bene di non far trasparire i suoi sentimenti.
Anthony sembrò quasi leggere nel pensiero della sua ex-fidanzata e cercò di portare la conversazione su binari più sicuri.
-Sai Dorothy, Candy è un’infermiera, lavora al Saint Jacob qui a New York…-
-…e prima hai lavorato al Santa Johanna di Chicago…-
-Il lavoro dell’infermiera mi appassiona Dorothy, e credo proprio che non lo lascerò mai!-
Una punta d’orgoglio brillava nei suoi occhi e risuonava nella sua voce. Amava il suo lavoro.
-Dai, raccontami di te, della tua famiglia…-
-Io non ho famiglia, sono un’orfana e sono cresciuta in un orfanotrofio nell’Indiana.-
Dorothy si portò la mano alla bocca.
-Mi dispiace Candy, scusami…-
Candy sorrise
-Figurati! Non è poi così male sai? è vero, mi manca una famiglia, ma le due donne che mi hanno cresciuta sono state due mamme meravigliose per me, e i bambini ospiti della casa di Pony sono i miei fratellini e le mie sorelline. E poi Anthony e i suoi parenti sono amici carissimi, e anche qui a New York ho i miei amici e le mie frequentazioni.
Poi il mio lavoro non mi dà modo di sentirmi sola.
Dimmi di te piuttosto, Dorothy!-
Nella voce di Candy, Dorothy non avvertì acredine o risentimento, ma solo genuina spontaneità e cordialità. Non sembravano due cagnette che si erano contese lo stesso osso, ma due amiche che conversavano amabilmente.
-Io ho una famiglia numerosa: siamo nove figli e io sono la maggiore. Da piccola mi trasferii presso i Legan per fare la cameriera e i miei soldi li mandavo tutti a casa per contribuire al mantenimento dei miei fratellini e sorelline. Praticamente sono cresciuta lontana dalla mia famiglia.-
Candy guardò le mani della ragazza davanti a lei: erano mani segnate dal lavoro. Dorothy non era una smorfiosa arricchita o un’arrampicatrice sociale, era una ragazza semplice, autentica, come lei. Una persona che si era sempre rimboccata le maniche.
-Sai Dorothy. Da piccola rischiai di essere mandata dai Legan.-
-Che dici Candy?- intervenne Anthony incuriosito da quest’ultima frase.
-Ricordi quando ti raccontai di quell’uomo che venne alla casa di Pony a propormi di lavorare come “dama di compagnia”?-
-Si certo.-
-L’ho rivisto a teatro: era il tizio che accompagnava Neal e Iriza. Per fortuna le mie “mamme” si opposero e mi permisero di rimanere con loro.-
-Oh mio Dio Candy!- esclamò Dorothy –Ringrazia le tue “mamme”. Non sai cosa ti hanno risparmiato!-
-Posso immaginarlo. Ho conosciuto i due Legan a Chicago e ne avrei fatto volentieri a meno.-
-A me hanno fatto passare le pene dell’inferno quei due! Poi quando si sono stufati mi hanno fatta mandare in Messico, presso la tenuta che la loro famiglia ha in quel paese.
Non che in Messico sia stata male, il soprastante, il signor Garcia, e i suoi uomini non erano persone cattive, ma… mi mancava il mio paese, mi mancava la mia famiglia… e… mi mancava Anthony…-
Candy abbassò lo sguardo.
-Oh Candy, mi dispiace, io…-
Lei sorrise, quella ragazza le piaceva
-Non fa niente Dorothy, queste cose capitano nella vita. Anthony ha dovuto prendere una decisione. Ci ho sofferto, ma ora è passata, e non posso che essere felice per voi… credimi Dorothy… non ce l’ho né con te né con Anthony.-
Sia Dorothy che Anthony persero una lacrima.
-E tu Candy… frequenti qualcuno?- chiese Anthony.
-No so se si possa parlare di frequentazione, ma da un po’ di tempo mi capita di incontrare Terence Granchester, il tuo amico attore. Sai, l’altra sera a teatro ero ospite di sua madre, Eleanor Baker, e dopo lo spettacolo sono stata nei camerini!- raccontò con non poca eccitazione.
-Terence? Oh mio Dio Candy, non so immaginare due tipi più diversi di voi!-
-Gli opposti si attraggono Anthony. E poi siamo solo amici.-
 
Alla fine della serata Anthony, Candy e Dorothy si salutarono con una vigorosa stretta di mano. Da quel momento in poi sarebbero stati ottimi amici.

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Capitolo 15
*** Le sembrò quasi di sentire il suo nome ***


Candy entrò nell’ufficio del direttore del Saint Jacob e questi, un uomo di circa sessant’anni, dai capelli bianchi e vestito molto elegantemente, la fece accomodare.
Candy non aveva mai parlato a tu per tu con quell’uomo. Lei conferiva direttamente solo con l’ufficio del personale e con la sua caposala. La figura del direttore dell’ospedale Saint Jacob rimaneva un qualcosa di astratto. Rare erano le occasioni in cui quell’uomo veniva visto fuori dal suo ufficio.
-Signorina White, l’ho fatta convocare per congratularmi del suo lavoro, lei è davvero benvoluta dai pazienti, dalle sue colleghe e dai medici di questo ospedale.-
A Candy sembrava di cadere dalle nuvole: davvero era stata convocata per questo?
-Tuttavia mi trovo costretto a fare a meno della sua collaborazione. Il nostro ospedale sta passando un momento di difficoltà economiche e sono costretto, mio malgrado, a operare necessari quanto dolorosi tagli al personale. Lei capirà signorina che essendo fra le ultime assunte inevitabilmente è fra le prime a essere mandata via.-
Dopo la sviolinata iniziale Candy non si aspettava certo di essere licenziata.
-Ma signor direttore, io…-
-Mi lasci finire signorina. Probabilmente passato questo momento di difficoltà il nostro istituto potrà di nuovo accoglierla, con vero piacere da parte mia signorina. Nel frattempo ho una proposta per lei.-
Candy era assolutamente incapace di una qualunque reazione. Quell’uomo stava smantellando tutto ciò che lei si era faticosamente costruita in mesi e mesi di duro lavoro. E adesso che diavolo voleva proporgli?
-Lei sarebbe disposta a partire per l’Europa come crocerossina? La sua ferma durerebbe un anno, e al suo ritorno avrebbe la certezza di essere accolta dal nostro ospedale.-
Candy era frastornata: fino a pochi minuti prima era intenta al suo lavoro e alla sua vita a New York che andava consolidandosi, e tutto un tratto si trovava catapultata dall’altra parte dell’oceano.
E poi non ci capiva niente: nessuno aveva mai parlato di “difficoltà economiche” del Saint Jacob. Che ci fosse dietro lo zampino dei Legan? Ma Albert non aveva parlato con il padre di Neal e Iriza?
Tuttavia quella proposta di partire per l’Europa… già una volta stava per dire sì, ma era stata bruciata sul tempo da Flanny…
-Si signor direttore, accetto la sua proposta.-
-Molto bene signorina. Se ha un attimo di pazienza le farò firmare alcuni moduli e domani mattina potrà partire dal porto di New York.-
-Domani mattina? Così presto? Ma io devo sistemare alcune cose qui a New York, io…-
-Dimentica che lei adesso non lavora più qui. Una volta firmate queste carte lei sarà libera di sistemare le sue cose.-
 
Uscita Candy dall’ufficio del direttore, una porticina secondaria si aprì e ne uscì Iriza Legan.
-è soddisfatta signorina Legan?-
-Si direttore. Sono soddisfatta, e lei potrà contare su ulteriori donazioni da parte della mia famiglia. Piuttosto lei ha fatto firmare le carte giuste a quella ragazza?-
-Naturalmente signorina. Il licenziamento era solo un bluff. Quella ragazza si è arruolata volontariamente per il fronte italiano, e ha anche dichiarato di avere diciotto anni. Dal canto mio, provvederò a far sparire ogni traccia della sua destinazione. Nessuno riuscirà a scoprire dove è stata mandata.-
-Mi raccomando: non una parola con mio padre.-
-Stia tranquilla signorina. Il nostro è un patto fra gentiluomini.-
-E questa busta è per lei. Denaro contante come da accordi.-
 
Candy scendeva per le scale del Saint Jacob Hospital diretta all’uscita ancora frastornata e confusa. Davvero aveva firmato quelle carte? Davvero il giorno dopo sarebbe dovuta partire per l’Europa?
Non aveva nemmeno il tempo materiale per cercare di contattare i suoi amici di Chicago e poi… Terence!
Perché si scopriva a pensare a lui?
Terence… era lì… in fondo alla scala….
Con le lacrime agli occhi corse quella scala in discesa e gli buttò le braccia al collo.
 
Terence si alzò di scatto dalla panchina dove si erano seduti poco lontano dall’ospedale, era furioso.
-Ma tu sei impazzita Candy! Come hai potuto fare una cosa del genere?
E poi… che razza di modo è di reclutare una crocerossina? Minacciarla di licenziamento e farla partire il giorno dopo! Quel maledetto direttore se la vedrà con me!-
-Terence, non fare sciocchezze! E poi è stata una mia decisione. Io voglio partire. Sento che devo farlo!-
-Mio Dio Candy! Ma che stai dicendo? Sai cosa vuol dire andare in guerra?-
-Beh, ma io mica dovrò combattere! Lavorerò in un ospedale italiano, ben lontano dai campi di combattimento. E poi mi sono preparata anche per questa eventualità. Venni trasferita a Chicago proprio per studiare tecniche di chirurgia.-
Terence sembrava in apnea.
-A-ascoltami Candy, parliamone almeno. Non discuto che tu sia un’infermiera, e che possa far parte del tuo lavoro anche questa eventualità, ma in nome del cielo, non fare niente di precipitoso. Le navi per l’Europa partono in continuazione e tu devi ponderare meglio questa scelta… non puoi partire dall’oggi al domani! Lasciami il tempo di contattare i nostri amici di Chicago, forse loro…-
-Forse loro… cosa, Terence? Io non voglio facilitazioni, e quella che ho fatto è una scelta! Non hai il diritto di metterti in mezzo!-
-Candy… io ti amo!-
Fu come se un fulmine cadesse tutt’intorno a loro disegnando un’invisibile barriera con il resto del mondo.
-Io… ti amo…-
Gli sentì ripetere.
Anche lei lo amava, non nutriva dubbi in proposito, e si alzò ad abbracciarlo e baciarlo. Il loro primo bacio.
Non avrebbe mai saputo dire quanto fosse durato.
-Se davvero mi ami…- gli disse in lacrime -…rispetta la mia scelta. Io tornerò, tornerò presto.-
-Ti prego… aspetta solo qualche giorno… solo qualche giorno…-
Riuscì a strappargli un sì.
-Adesso però devo andare a casa… ci vediamo domani mattina e ti prometto che ne parleremo meglio… a mente fredda.-
Terence si fece bastare questa promessa.
 
Il giorno dopo, di buon’ora Terence si presentò davanti al palazzo dove abitava Candy: era deciso a prenderla di peso, se necessario, e a condurla all’ufficio del suo direttore.
Voleva affrontare quell’uomo, minacciarlo e risolvere quell’assurda situazione: una ragazza ancora minorenne spedita da un giorno all’altro dall’altra parte dell’Oceano!
Sua madre Eleanor conosceva fior di avvocati che avrebbero invalidato qualsiasi documento che Candy dovesse aver firmato.
Vide uscire dal portone la bisbetica signora Willer.
-Non voglio uomini in casa mia!-
Terence fu sul punto di sbottare. Ma chi ti vuole! Pensò dentro di sé.
-Buongiorno signora, sono il fratello di Natalie, si ricorda di me? Cercavo Candice White, la sua inquilina…-
-La biondina? Se n’è andata!-
Terence si sentì come se gli si paralizzasse il cuore.
-Dove è andata signora?- chiese con un fil di voce –La scongiuro signora… me lo dica!-
-Non lo so! Mi ha pagato il mese in anticipo e se n’è andata! Ha cambiato casa quella svergognata! Me la sono trovata mezza nuda in casa, sa?!!-
Terence impallidì e si sentì quasi mancare. Capì subito dov’era andata quella testarda!
Senza altre parole si voltò e corse via.
 
Arrivò al porto di New York con il cuore in gola.
-Dov’è la nave che deve partire per l’Europa? Dov’è?!!!-
chiese concitato a due uomini che sembravano essere lavoratori portuali.
-Al molo 2 in quella direzione ma…-
Senza far finire la frase Terence corse nella direzione indicata, e quando arrivò sentì il cuore balzargli in gola: la nave era già salpata!
Rimase lì, fermo, impietrito, con il dolore stampato sul viso.
Dopo un lungo, lunghissimo istante riuscì soltanto a gridare inutilmente al vento il nome della sua amata.
 
Sulla nave, che ormai aveva superato la diga del porto, Candy guardava tristemente il suolo americano che si apprestava a scomparire all’orizzonte.
Sentiva che dietro tutto quello che le era successo il giorno prima, c’era lo zampino dei Legan, ma sentiva anche di aver preso la decisione giusta, che era suo dovere fare quello che stava facendo, e che presto, molto presto sarebbe tornata a casa.
 
Nel vento che dalla terraferma soffiava in direzione della nave, le sembrò quasi di sentire il suo nome.

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Capitolo 16
*** Sembrava trasmettere positività ***


Il direttore dell’ospedale Saint Jacob venne portato via in manette dagli agenti di polizia che quella mattina avevano fatto irruzione nel suo ufficio. Il percorso che dalla sua stanza portava fino all’uscita dalla struttura che lui ormai non avrebbe più diretto, dovette suonare all’uomo come una vera e propria gogna, e gli sguardi stupiti dei suoi dipendenti dovettero sembrargli quasi sberleffi.
Fuori dal nosocomio, fra la piccola folla di curiosi assembrata lì davanti, l’altezzoso funzionario poté distinguere gli sguardi carichi di indignazione e di odio di tre giovani uomini.
Li riconobbe, e nella frazione di tempo che intercorse fra quell’istante e l’istante successivo in cui i poliziotti lo fecero salire in macchina, l’uomo ricordò quello che era accaduto il giorno prima.
 
La porta dell’ufficio del dottor Johnson si aprì improvvisamente, e tre giovani uomini entrarono senza preavviso nella stanza.
-Ancora lei! Ma cosa vuole da me, se ne vada subito!- esclamò l’uomo riconoscendo il giovane dai lunghi capelli neri e dalla pronuncia britannica che aveva fatto irruzione dieci giorni prima nella stessa stanza.
-Lasci stare il nostro amico.- rispose quello che sembrava il più “anziano” del gruppo. –Lui ha un temperamento impulsivo a volte. Lasci che mi presenti. Il mio nome è William Albert Andrew, e sono il presidente della banca di Chicago, dove lei si è rivolto per finanziamenti a questo istituto, finanziamenti che le sono stati erogati regolarmente ma che poi non si sa bene che fine abbiano fatto, visto che questo ospedale ne ha visti solo una minima parte. Dico bene dottor Johnson?-
I lineamenti dell’uomo erano tesi allo spasmo. Perché mai quell’uomo veniva fin lì da Chicago per chiedergli conto di quei soldi? Lui aveva fatto riferimento alla filiale newyorkese di quella banca, dove un amico fidato tra i funzionari, gli aveva fatto approvare quel finanziamento in cambio di una piccola percentuale…
-So cosa sta pensando dottor Johnson, “Ma perché quest’uomo viene qui da Chicago? Non doveva pensarci quel cretino di Carter a coprirmi con i suoi capi?
Non dubiti di Carter. In effetti lui ha fatto un buon lavoro e credo proprio che per un pezzo non avremmo scoperto i vostri traffici se non fosse stato per una vicenda di tutt’altra natura. Una vicenda personale a dire il vero, che però ci ha fatto addrizzare le orecchie su quello che accadeva nella nostra filiale di Chicago.
Il signor Carter aveva talmente giurato e spergiurato sulla figura “assolutamente integerrima” del dottor Johnson, che noi gli avevamo persino creduto, ma questa vicenda di carattere personale ci ha spinti a dubitare sulla sua figura “assolutamente integerrima”.-
La voce di Albert era stata cadenzata, misurata. Il tono quasi assolutamente neutro e lo sguardo duro avevano messo Johnson in soggezione.
Che voleva da lui quell’uomo?
Perché non era andato direttamente alla Polizia a denunciarlo?
-Cosa vuole… da me?-
Albert si avvicinò alla scrivania, quasi a mettere il viso sul viso di quell’uomo.
-Lei è solo un ladro dottor Johnson, un miserabile ladro che ruba allo stesso ospedale che dirige, e stia sicuro che poi la andrò a denunciare. Però potrei accettare, non dico di non fare niente, ma quantomeno di “alleggerire” la sua posizione se lei ci dicesse la verità su una persona che ci sta molto a cuore… una persona che lei, approfittando della sua ingenuità, ha spedito dall’altra parte dell’oceano.-
Johnson capì.
-Quella ragazza si è arruolata volontariamente!-
Terence non riuscì a frenarsi oltre e afferrò l’uomo per il bavero della giacca sollevandolo dalla scrivania
-Balle! Tu l’hai minacciata di licenziamento! Me lo ha detto lei!-
Anthony, che pure era furioso quanto Terence, cercò di trattenere l’amico.
-Calma Terence! Non dargli pretesti per denunciarti! Lascia fare lo zio William!-
A malincuore Terence lasciò il viscido uomo e si rassegnò a far parlare Albert.
-Vogliamo sapere perché hai minacciato quella ragazza di licenziamento per una crisi inesistente! L’ospedale gode ottima salute, perché l’hai fatto?!!!-
L’uomo sudava freddo. Non poteva dire la verità, ma non poteva neanche tacere. Qualunque cosa dicesse e facesse, quell’uomo davanti a lui poteva rovinarlo.
-Qualcuno ti ha pagato? Chi? E soprattutto perché?-
-Non lo so il perché… ma una persona mi ha dato dei soldi… affinché quella ragazza… fosse allontanata da qui…-
-Chi è questa persona?-
L’uomo sembrava quasi sul punto di mettersi a piangere.
 
-Adesso quel bastardo se la vedrà con la Polizia, ma noi siamo da punto a capo.- fu l’amara considerazione di Anthony.
-Già, sembra proprio che quel maledetto abbia fatto sparire i documenti che ha fatto firmare a Candy. Comunque il capitano Fletcher mi ha promesso che cercherà di far parlare quel verme.- rispose Albert.
-E adesso che facciamo?-
-Tu torni subito a Chicago. Lì c’è tua moglie che è incinta e ha bisogno di te. Io mi tratterrò qualche giorno di più per vedere se la situazione evolve.-
Anthony guardò un Terence sempre più cupo.
-Mi dispiace Terence. Mi dispiace tanto…-
Terence non rispose e voltò le spalle andandosene.
-Non prendertela a male Anthony, vai subito alla stazione e prendi il primo treno per Chicago. Dorothy ti aspetta.
E soprattutto… non metterti a pensare male… tu non hai nessuna colpa di quello che è successo a Candy, sono stato chiaro?-
Anthony in lacrime annuì e poi se ne andò. Doveva tornare a Chicago. Sua moglie aveva davvero bisogno di lui.
 
Rimasto solo Albert pensò a Candy. Cosa poteva fare per lei?
Anche scoprendo dove era stata mandata, lui non aveva alcun titolo per farla tornare indietro. Non era certo il suo tutore legale!
 
Suor Maria stava stendendo i panni ancora gocciolanti sulla corda stesa proprio davanti alla porta d’ingresso della casa di Pony, quando sentì l’inconfondibile rumore di un motore che si avvicinava.
Girò lo sguardo nella direzione della strada che conduceva alla casa di Pony e vide una lussuosa automobile.
Il veicolo si fermò a pochi metri da lei attirando l’attenzione dei bambini che giocavano lì vicino.
Ne scese un giovane uomo elegantemente vestito e dai lunghi capelli biondi.
L’uomo le si avvicinò e la salutò.
-Buongiorno sorella. Lei deve essere Suor Maria, dico bene?-
-Si signore.- rispose lei tendendo la mano al giovane, incuriosita dalla strana visita
-Con chi ho il piacere di parlare?-
-Il mio nome è William Albert Andrew, e sono un carissimo amico di una persona che vi sta molto a cuore.-
-E… chi sarebbe questa persona signor Andrew?-
-Candice White.-
 
-Quella piccola stupida testarda! Come ha potuto fare una cosa così stupida senza dirci niente?- Suor Maria era sbottata di rabbia al termine del racconto dell’uomo seduto davanti a lei e a miss Pony.
-Candy è stata ingannata. Quell’uomo non poteva spedirla dall’altra parte dell’oceano senza il vostro consenso. Candy è minorenne e qualsiasi cosa lei possa aver firmato non ha valore. Quel delinquente ha approfittato della sua ingenuità.-
-Ma perché, in nome di Dio, Perché?- Suor Maria sembrava un leone in gabbia.
-Vede signor Andrew. Candy ha passato tutta la sua vita in questa casa. I suoi coetanei venivano adottati e lei no. Nessuno la voleva per il suo carattere vivace e a dir poco pestifero.- la voce di miss Pony che raccontava quelle cose suonava commovente al giovane magnate.
-Col tempo questa casa è diventata stretta per lei, sempre sola con due donne certo non giovanissime e una torma di bambini pestiferi che lei adorava d’accordo, ma con i quali non poteva certo avere un’amicizia alla pari.
Due anni fa il medico del nostro paese la prese con sé come assistente per qualche giorno, e lei rimase talmente contenta di quell’esperienza che decise di fare l’infermiera e noi non osammo opporci. Era la prima volta che la vedevamo così felice da molto tempo.
Quasi scongiurai la mia amica Mary Jane di prenderla alla sua scuola per infermiere, e Candy partì.
Acconsentimmo anche quando venne trasferita al Santa Johanna di Chicago e quando scelse lei di lavorare al Saint Jacob di New York.
Certo, in questa occasione non avremmo mai dato il nostro consenso, Candy ha solo diciassette anni e non poteva certo arruolarsi!-
-Ascoltatemi: io penso di poter far tornare indietro Candy, dobbiamo solo scoprire su quale fronte è stata inviata e poi… serve un’altra condizione, ma qui ho bisogno del vostro aiuto.-
-Cosa ha in mente signor Andrew?- chiese Suor Maria.
-Voglio adottare Candy!-
 
Miss Pony e Suor Maria rimasero quasi turbate alle parole del giovane magnate. In fondo non sapevano niente di lui. Capivano anche che non c’era tempo da perdere se si voleva riportare Candy a casa sana e salva.
Loro certamente non avevano né le conoscenze né gli strumenti per far valere la loro tutela su quella testarda ragazza, ma quel giovane uomo sì.
Ci sarebbe voluto qualche giorno per mettere insieme i documenti necessari, e Albert accettò l’ospitalità delle due donne che gli assegnarono la stessa stanza che era stata di Candy. Quando la ragazza aveva cominciato a essere tanto più grande dei suoi “fratellini” e “sorelline”, avevano ritenuto giusto assegnargli una piccola stanza tutta sua, in modo da garantirgli una certa “privacy”, poi poco dopo, Candy era andata alla scuola per infermiere di miss Mary Jane.
 
Albert salì sulla collina di Pony, là dove tanti anni prima aveva incontrato Candy per la prima volta.
Quello era un giorno triste per lui, un giorno di ricordi dolorosi, e si era ritirato su quella collina a suonare la cornamusa, finché la vide.
Ricordava quell’incontro istante per istante, parola per parola, espressione per espressione.
Quella bambina lo aveva colpito. L’aveva vista che piangeva disperata, solo in seguito a Chicago, gli aveva spiegato il perché.
E poi quando l’aveva vista ridere, quella risata, quella luce negli occhi, quel riflesso nei capelli gli avevano ricordato qualcosa… o qualcuno… ma chi?
Anche quella sera nel parco di Chicago, quando l’aveva salvata da quei tre malviventi, quel volto, quei capelli le erano suonati familiari.
Lei l’aveva aiutato, regalandogli quei pochi soldi che aveva… cominciò a piangere al ricordo… quei soldi che con tanta fatica si guadagnava, li aveva dati tutti a uno sconosciuto.
Un vento fresco lo investì in pieno e in lui si rinnovò la determinazione a riportare a casa quella piccola testarda.
 
Quella sera, dopo essersi intrattenuto con i bambini della casa di Pony, Albert si ritirò nella stanza che era stata di Candy.
La guardò: una stanza semplice ma dignitosa. Una stanza perfettamente in linea con il carattere di quella ragazza a cui tanto doveva.
Fu incuriosito dagli oggetti appoggiati su una semplice mensola sulla parete opposta a quella dove c’era il letto: un libro, “La capanna dello zio Tom”. Anche lui lo aveva letto più volte, un piccolo capolavoro.
Un altro libro, “Piccole donne”, già, proprio una lettura da adolescente.
E poi… una bambola. Una bambola semplice, certo non lussuosa, una bambola povera, ma che sembrava trasmettere positività, una bambola sulla quale era scritto un nome: “CANDY”.

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Capitolo 17
*** Vada a riposare signorina ***


Arrivò a casa che il sole volgeva al tramonto. Era stato un viaggio faticoso, ma in quel momento Albert non aveva nessuna intenzione di riposare.
Fu accolto dallo zelante maggiordomo di casa Andrew.
-Signor Andrew, bentornato a casa. Oggi è arrivato questo telegramma per lei, dalla polizia di New York.-
Albert prese il telegramma e lo lesse d’un fiato. Poche laconiche parole firmate dal capitano Fletcher. Parole che assumevano un’importanza fondamentale per Albert.
“Sappiamo dov’è la ragazza che cercate. Fronte italiano.”
-Ascoltami James. Domani mattina dovrai recarti all’ufficio postale e dovrai mandare a mio nome due telegrammi: uno di risposta al capitano Fletcher e un altro… te lo spiegherò meglio poi, ma conto sulla tua discrezione. Siamo intesi?-
 
Candy era esausta! Aveva passato tutto il giorno in piedi a medicare e assistere feriti più o meno gravi. Da quando era arrivata nel nordest italiano un mese prima, le sue giornate erano tutte uguali.
All’inizio Candy si era trovata completamente spaesata, in un posto nuovo, di cui non conosceva la lingua. Per fortuna aveva subito conosciuto alcune colleghe americane come lei, e anche un giovane medico italiano parlava la sua lingua.
-Signorina White!- A chiamarla era stato proprio quel medico italiano, il dottor Piras.
-Vada a riposare, è tutto il giorno che sta in piedi.-
-Grazie dottore, ma qui c’è tanto da fare…-
-Vada a riposare signorina! È un ordine, chiaro?- il tono del dottor Piras non sembrava ammettere repliche e la ragazza si rassegnò a obbedire, in fondo era veramente stanca.
-Si dottore, vado subito.-
Attraversò lentamente i corridoi dell’ospedale dove lavorava fino a giungere alla sua stanza.
Vi entrò stancamente e si sdraiò subito sul letto senza neanche salutare la sua compagna.
-Hai lavorato molto oggi Candy.-
-Si Flanny. Sai quanto c’è da fare qui. E tu? Quando inizi il tuo turno?-
-Fra non molto Candy. Vogliamo mangiare qualcosa insieme alla mensa?-
-Sono troppo stanca Flanny! Troppo…- e si addormentò all’istante.
Flanny cominciava a provare simpatia per quella ragazza. Sentiva di averla giudicata male quando stavano insieme alla scuola Mary Jane o al Santa Johanna, tuttavia il suo temperamento freddo e compassato non le permetteva di esternare i suoi sentimenti.
Candy era veramente esausta e Flanny non osava svegliarla, però pensò anche che la sua collega dovesse mangiare qualcosa per non rischiare un collasso.
Così, dopo averle levato le scarpe e sommariamente sistemata sotto la coperta, Flanny uscì dalla stanza diretta alla mensa con l’intento di prendere da mangiare per sé e per Candy. Quando Candy si fosse svegliata avrebbe trovato del buon cibo italiano del quale aveva dimostrato di essere ghiotta.
Mentre camminava diretta alla mensa dell’ospedale, ricordò il giorno in cui, un mese prima in quello stesso corridoio…
 
Flanny si sentì chiamare dal dottor Piras, un giovane medico di neanche trent’anni di età.
-Mi dica dottore.- il dottor Piras era uno dei pochissimi italiani in quell’ospedale a parlare inglese, e per questo era stato incaricato di gestire direttamente le infermiere americane e inglesi.
-è appena arrivata una sua collega americana come lei. So che adesso lei è da sola in stanza, vorrei quindi affidargliela.-
-Va bene dottore. Dove posso trovarla?-
-è qui, dietro di me.- il dottor Piras si spostò di lato e Flanny sgranò gli occhi in un’espressione quasi di orrore.
-TU QUI?!!!!-
-Fl-Flanny! Sei proprio tu?-
-Vi conoscete? Beh, questa è una fortuna. Signorina Hamilton, conduca pure con sé la signorina White. Buon lavoro signorine.-
Superato lo sconcerto iniziale Flanny riprese il controllo di sé.
-D’accordo Candy: seguimi. Ti farò vedere in cosa consiste il nostro lavoro qui.-
Alla fine di quella giornata Candy e Flanny si ritrovarono insieme nella stessa stanza, così come era avvenuto al Saint Joseph e al Santa Johanna.
Candy sembrò prendere il coraggio a quattro mani
-Flanny, so che sei molto stanca, come me d’altronde, ma vorrei chiederti una cosa.-
-Ti ascolto Candy. Purché sia breve. Come hai detto giustamente tu, sono molto stanca.-
-Beh, sarò breve Flanny: Ti credi davvero tanto superiore a me?-
-Io non mi credo superiore a nessuno Candy! Penso solo al mio lavoro!-
-Ah davvero? Siamo state compagne di stanza per più di un anno, e non mi hai mai rivolto altro che freddezza e disprezzo. E anche oggi come mi hai trattata? Io sono come te Flanny e non c’è motivo al mondo per cui io e te non potremmo essere amiche o almeno trattarci con rispetto.-
Flanny era spiazzata.
-Non ce l’ho con te Candy. Certo, sei una chiacchierona insopportabile e una sbadata cronica, ma io non mi sento affatto superiore a te. Diciamo che non sono tipo da avere amici, non ne ho bisogno!-
-Balle! Tutti hanno bisogno di amici: non si può vivere soli Flanny!-
-Ascolta Candy. Siamo davvero tutte e due stanchissime. Se ti ho offesa ti chiedo scusa. Ti prometto che cercherò di essere molto più accomodante d’ora in poi, ma adesso ho davvero gli occhi che mi si chiudono e anche tu.-
 
Da quel giorno le cose fra Candy e Flanny erano andate via via migliorando e ora Flanny guardava a Candy con molta più simpatia di quanto avesse mai fatto.
 
Il capitano Fletcher ricevette con grande cordialità l’importante ospite di Chicago.
-Prego signor Andrew si accomodi.-
Albert si sedette davanti alla scrivania dell’ufficiale, che senza tanti preamboli arrivò subito al dunque.
-Come le ho scritto nel telegramma di qualche giorno fa, sappiamo dove si trova la ragazza che state cercando.-
-Quindi quel miserabile ha parlato.-
-No, quell’uomo rimane trincerato nel silenzio più assoluto. E mettendomi nei suoi panni mi sento di capirlo. Già dalle prime indagini abbiamo ragione di ritenere che sia ammanicato in traffici molto loschi con personaggi molto potenti, quindi il suo atteggiamento è più che comprensibile.-
-E allora come avete fatto a scoprire…-
L’uomo mise sulla scrivania un pezzo di carta con su scritto qualcosa. Albert lo prese e lo lesse sgranando gli occhi.
Quel messaggio diceva per filo e per segno dove si trovava Candy. La città e anche il nome dell’ospedale dove la ragazza prestava servizio come crocerossina.
-Come lo avete avuto?-
-Me lo ha dato un ragazzo mentre stavo venendo al lavoro.
Conosciamo bene quel ragazzo, appartiene a una famiglia molto povera che campa… di espedienti per così dire. Io gli ho chiesto dove avesse preso quel biglietto e lui mi ha detto che glielo aveva dato un signore molto elegante insieme a una banconota da dieci dollari.
È una prassi comune quando si vuole recapitare qualcosa al di fuori dei canali ufficiali e senza figurare.
Ovviamente ho lasciato andare quel ragazzo, lei mi capirà.-
-Si certamente, ma questa informazione è attendibile?-
-Avendo questi riferimenti così precisi sapevo dove informarmi, e ho potuto verificare. Candice White risulta allocata proprio in quell’ospedale.-
-Capitano, io la ringrazio infinitamente. Adesso so cosa fare. Mi servirebbe solo un’ultima informazione.-
-La ascolto signor Andrew.-
-Il nome di quel ragazzo e dove abita. Ho bisogno di parlare con lui.-
 
Terence sedeva afflitto nel salone della casa di sua madre. Erano più di due mesi che non aveva notizie di Candy, e aveva faticato come non mai per non ripiombare nell’alcoolismo.
Così anche sua madre Eleanor aveva faticato per convincerlo a non arruolarsi volontario. Ma in fondo, anche arruolandosi cosa avrebbe risolto? C’erano decine di fronti aperti in Europa e Terence non poteva certo sperare di indovinare quello dove avrebbe trovato Candy.
Si era preso un breve periodo di riposo dal suo lavoro di attore, in quelle condizioni non avrebbe certo dato il meglio di sé.
La porta di ingresso all’appartamento si aprì ed entrò sua madre Eleanor.
-Come stai Terence?-
-Al solito mamma. Avrei solo voglia di mollare tutto e tornare a ubriacarmi.-
-Lo so figlio mio, lo so. Ma devi resistere. Vedrai che il tuo amico Albert riuscirà a riportarla a casa.-
Terence iniziò a piangere
-Io l’amo mamma! Io l’amo…-
Eleanor abbracciò teneramente quel figlio al tempo stesso così spavaldo e fragile.
-Lo so Terence… e anche lei ti ama, l’ho capito subito.
Ma proprio per questo devi rispettarla. È stata ingannata d’accordo, ma ha anche preso una decisione.
Adesso devi solo avere fiducia.-
 
Ormai erano passati due mesi dal suo arrivo in Italia, e quella sera per la prima volta, Candy era uscita dall’ospedale dove lavorava per cenare in un tipico ristorante italiano.
Il dottor Piras e un altro suo collega che parlava anche lui inglese, avevano portato Candy e Flanny in un ristorante a non molta distanza dall’ospedale.
-Ma quante lingue si parlano in Italia?- chiese Candy. –Ogni volta che penso di capire qualche parola o qualche frase, viene fuori qualcuno che parla in modo completamente diverso!-
Candy aveva sentito parlare fra di loro i due proprietari del ristorante, marito e moglie.
I due medici si fecero una risata e poi il dottor Piras spiegò:
-Vedi Candy, in Italia si parlano da sempre tanti dialetti diversi, tutti derivati dal latino, l’antica lingua dei romani. Nel corso del medioevo e del Rinascimento il dialetto di Firenze si impose come “lingua franca” per le comunicazioni fra i diversi stati in cui allora era divisa l’Italia. Il fiorentino era la lingua della cultura e dei grandi poeti italiani, e divenne così quello che oggi chiamiamo italiano. Ma nelle diverse regioni di questo paese si continuano a parlare i dialetti locali insieme all’italiano. Capisci ora?
I proprietari di questo ristorante vengono da Napoli, un’importante città del Sud Italia, e la loro cucina è davvero particolare e caratteristica. Stasera vi faremo assaggiare la pizza.-
-Ne ho sentito parlare.- disse Flanny, -ma di che si tratta?-
-Lasciate fare a noi ragazze!-
In capo a una mezz’ora Candy e Flanny assaggiavano per la prima volta in vita loro le pizze fatte al modo napoletano, e ne rimasero entusiaste.
-Se ne potrebbe avere un’altra?- chiese Candy dopo essersi sbranata la sua pizza, dimenticandosi che i due medici avrebbero offerto la cena.
Flanny la richiamò e i due uomini proruppero in una fragorosa risata.
-Ma certo ragazze! Anche tu Flanny!-
-Io… veramente sarei sazia così.-
-Certo Candy, che sei una “buona forchetta” come diciamo in Italia.-
Candy era arrossita come un peperone per la figura da ingorda che aveva fatto, ma il suo imbarazzo sparì quando gli servirono un’altra splendida “pizza margherita” e anche la compassata Flanny non poté resistere alla tentazione di ordinare un’altra di quelle saporitissime “pizze”.
 
Finita la cena, i due medici e le ragazze rientrarono in ospedale. Il giorno dopo erano tutti attesi da un’altra giornata campale.
Appena entrati nella struttura furono accolti da un uomo di mezza età in divisa da ufficiale che si rivolse ai due medici.
-Sono il maggiore Castelli, signori dovete immediatamente partire per le retrovie del campo di combattimento. Gli austriaci stanno attaccando e le nostre truppe si stanno ritirando. Ci sono molti feriti e servono medici e infermiere sul campo. Portate anche le due ragazze con voi!-
 
Finalmente quella persona stava arrivando a Chicago. Dopo tanti anni Albert e Anthony potevano rivederla.
I rapporti epistolari non erano mai mancati, ma erano anni che non c’erano rapporti diretti con quell’uomo.
La carrozza si fermò davanti alla residenza degli Andrew e ne scese l’uomo che stavano aspettando.
-Benvenuto.- disse semplicemente Albert.
-è molto tempo che non ci vediamo.- aggiunse Anthony.

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Capitolo 18
*** Avrebbe voluto dire qualcosa ***


Le truppe italiane erano in rotta e stavano ritirandosi, le soverchianti truppe austro-ungariche e tedesche le avevano letteralmente travolte e le tende dell’ospedale da campo nelle retrovie dello schieramento italiano traboccavano di feriti.
Un ragazzo era appena spirato davanti agli occhi di Candy e Flanny.
-Portatelo via.- ordinò perentorio il dottore –Ci sono altri feriti e ci serve spazio.-
Candy era scombussolata: aveva già visto dei pazienti morire sotto i suoi occhi, ma la situazione, l’età di quel ragazzo, la sofferenza dipinta sul suo volto, rendevano il tutto… semplicemente disumano… semplicemente indegno di questo mondo.
La morte è un fatto naturale e Candy l’aveva imparato, ma nessuno dovrebbe morire così.
-Mi avete sentito infermiere?- la voce del dottor Piras si era fatta insolitamente dura, ma aveva ragione lui.
-Si dottore, provvediamo subito!- rispose Candy con una determinazione che colpì la stessa Flanny.
 
Portarono fuori il corpo vicino alla fila dei cadaveri che poi sarebbero stati seppelliti in fosse comuni o, se possibile, identificati e rispediti a casa. Il sole stava sorgendo in quel momento, e Candy avrebbe voluto dire qualcosa, una preghiera, un pensiero per ognuno dei corpi disumanamente accatastati davanti a lei, ma non c’era il tempo: altri ragazzi che forse potevano salvarsi, avevano bisogno di lei.
Si era già rigirata per tornare nella tenda che Flanny la chiamò.
-Guarda Candy! Uno di quei soldati è ancora vivo!-
Infatti era proprio così: uno dei corpi stesi per terra si muoveva. All’unisono Candy e Flanny si chinarono sul ferito e provarono a parlargli con quel poco di italiano che conoscevano.
-Dove… essere… ferito… signore?-
il ragazzo sembrava non capire
-Noi… aiutare… alzare…-
-Un momento Candy!-
-Che c’è Flanny? Questo ragazzo va curato!-
-Guarda la sua divisa! Non è italiana! Questo ragazzo è austriaco!-
-E allora? È un ferito e basta!-
-Certo che è un ferito! Ma se si accorgono che è un nemico sono capaci di fucilarlo!-
-Si signorina. È proprio così.- rispose il ragazzo in un inglese abbastanza fluente.
-Tu parli la nostra lingua?-
-Si signorina… Candy. La sua amica ha ragione: non potete portarmi dentro così… se la prenderebbero anche con voi.-
-Non possiamo neanche lasciarti qui, devi essere curato soldato!-
-Aiutatemi a indossare una divisa italiana.-
Flanny, con notevole sangue freddo, spogliò uno dei cadaveri, mentre Candy aiutava il ferito a spogliarsi della sua divisa. Poi lo aiutarono a indossare la divisa lacera sottratta al cadavere e lo portarono dentro non prima che Flanny gli raccomandasse: -Non dire una parola, mi raccomando.-
Il ragazzo annuì e subito dopo entrarono nella tenda.
-Ma dove vi eravate cacciate!- tuonò il dottor Piras prima di vedere il ferito.
-Dottore, questo ragazzo stava fra i cadaveri, ma è vivo.-
-Adagiatelo su quel tavolo presto!-
 
Il ragazzo austriaco fu curato, le sue ferite non erano gravi. Nel corso della battaglia era stato ferito e si era trovato accerchiato dalle truppe nemiche, per salvarsi aveva auto l’idea di sporcare tutta la sua uniforme con sangue e fango così da renderla irriconoscibile a un primo sguardo, e si era trascinato fino all’accampamento italiano. Per evitare di parlare e di essere riconosciuto come nemico, si era confuso fra i cadaveri pensando di poter fuggire con la notte, ma le sue ferite non glielo avevano consentito.
 
Passarono ancora ore prima che il dottor Piras ingiungesse alle due ragazze di andare a riposare in un’altra tenda.
Flanny e Candy uscirono dalla tenda dove avevano lavorato per quasi diciotto ore ininterrotte e si diressero lentamente verso la tenda alloggio dove avrebbero potuto riposare.
-Sai Candy? Credo proprio di essermi ricreduta su di te.-
-Oh ti ringrazio! Dopo due anni che ci conosciamo mi degni della tua stima? Sono commossa credimi!-
Flanny rise sotto i baffi.
-Dico sul serio Candy! Ti ho sempre giudicato una ragazza frivola e superficiale, ma solo qui ho capito che mi sbagliavo. Ti ammiro Candy, sono sincera, e credo proprio che io e te potremo essere ottime amiche.-
Candy riuscì a sorridere e abbracciò con uno slancio sincero la sua collega e amica Flanny.
-La mia ferma scadrà fra meno di due mesi Candy…-
-Lo so, e io resterò sola… ma ci ritroveremo Flanny, ci ritroveremo molto presto…-
 
Non avrebbero mai saputo quanto tempo fosse passato, ma vennero bruscamente svegliate che fuori era già notte.
Davanti a loro c’era un uomo sui cinquant’anni circa in divisa da ufficiale accompagnato da alcuni soldati e da un ufficiale più giovane che parlò loro in un perfetto inglese traducendo le parole dell’altro uomo.
-Siete voi le signorine Candice White e Flanny Hamilton?-
-Si signore, siamo noi.- rispose una Candy ancora assonnata.
-Siete in arresto per aver introdotto nel nostro accampamento una spia nemica!-
 
Neal Legan camminava verso casa. Tornava da una interminabile riunione della Banca di Chicago dove aveva da poco iniziato a lavorare.
Si sentì chiamare, si girò e vide che a chiamarlo era lo zio William dalla sua automobile personale, quella che guidava lui personalmente senza avvalersi di un autista.
-Sali Neal, ti do un passaggio verso casa.-
-Grazie zio William, ma sono quasi arrivato.-
-Sali lo stesso, ti vorrei parlare.-
Nel volto e nella voce del giovane capofamiglia degli Andrew, Neal vide una strana espressione, determinata ma compiaciuta.
Salì sulla macchina proprio accanto allo zio William.
-Andiamo a prenderci qualcosa ti va? Conosco un posto dove potremo bere e chiacchierare un po’.-
-Va bene zio, ma di cosa devi parlarmi?-
-è una questione un po’ delicata.-
 
Albert portò Neal in una birreria che conosceva, e chiese al gestore una saletta riservata dove poter parlare con discrezione. Allungò sul tavolo una bella banconota e l’uomo li fece entrare in una saletta dove sarebbero stati soli, e servì ai due giovani due bei boccali di birra.
-Di cosa vuoi parlarmi zio William?-
Senza una parola Albert estrasse dal taschino interno della sua giacca un pezzo di carta scritto, era quel biglietto che qualcuno aveva fatto recapitare al capitano Fletcher a New York.
-Cos’è questo?- chiese Neal.
-Oh andiamo Neal! Lo sai bene cos’è, dal momento che lo hai scritto tu.-
-E… come fai a dirlo?-
Albert fece un sorriso
-Neal, tu sarai anche un bravo ragazzo, ne sono convinto, ma avere una bella calligrafia non rientra certo fra le tue virtù!
Ho trovato il ragazzo a cui hai affidato questo biglietto, il capitano Fletcher lo conosceva bene, e gli ho chiesto di descrivermi l’uomo che lo ha pagato per quel piccolo servizio.
Dunque… sui vent’anni, alto quasi quanto me, capelli castani tendenti qua e là al biondo, vestito elegantemente con una cravatta a righe bianche e celesti, esattamente come quella che porti adesso…-
-E va bene… l’ho scritto io quel biglietto. Volevo che quella ragazza tornasse a casa… mi dispiaceva per lei…-
-è stata Iriza a corrompere il direttore del Saint Jacob, vero?-
-Sì è stata lei. Quello schiaffo a teatro se l’è legato al dito, inoltre credo che sia… invidiosa di quella ragazza…-
-Invidiosa? Santo cielo! Candy è orfana, non ha soldi né appoggi! Iriza ha tutto! Di cosa può essere invidiosa?-
-Lei è sempre stata innamorata di Anthony e lui le ha sempre preferito altre ragazze, credo che veda in quella ragazza quello che lei non è mai stata… non chiedermi di capirla fino in fondo. Io non sono certo un bravo ragazzo e Dorothy lo sa bene, ma non approvo quello che ha fatto Iriza, così per una volta ho voluto rimediare ai suoi casini invece di assecondarli.-
-Sei un bravo ragazzo Neal, e credo proprio che Dorothy ti perdonerà.- disse Albert appoggiando una mano sulla spalla del ragazzo.
-Rimane una cosa da chiarire: con quali soldi Iriza ha corrotto quel miserabile?-
Neal taceva
-I poliziotti di New York pensano che quell’uomo sia stato pagato con denaro contante. Nella sua abitazione hanno trovato una consistente somma che l’uomo non ha spiegato da dove venisse. Glie li ha dati Iriza quei soldi? Dove li ha presi?-
Neal perse una lacrima
-Li ha rubati in casa.-
-Lo immaginavo Neal. E tu hai cercato di coprirla vero?-
-Si… del furto hanno accusato una cameriera… sono riuscito a evitare che quella poveretta andasse in prigione, ma è stata comunque licenziata. Le ho trovato un altro lavoro fornendole referenze false… poi ho finto di approvare quello che ha fatto Iriza e l’ho fatta parlare…
ho ricostruito tutto e quando ho saputo che stavate cercando di far tornare quella ragazza in America ho fatto avere le informazioni a quel poliziotto…-
Albert era commosso
-Coraggio Neal… va tutto bene…-
-Che ne sarà di Iriza?- chiese il ragazzo in lacrime.
-Cercheremo di evitarle la prigione, non credo proprio che la reggerebbe, ma dovremo informare tuo padre, lo capisci?-
Neal annuì.
 
Relegate in una piccola tenda sorvegliata da un ragazzo in divisa, Candy e Flanny avvilite, attendevano gli eventi.
-Cosa ci faranno adesso?- chiese Candy –Ci manderanno in una prigione italiana?-
-Non credo…-
-E allora ci rimanderanno a casa…-
-Candy, noi siamo accusate di aver introdotto una spia nemica in un accampamento militare in zona di guerra. Questi sono reati da…-
Flanny abbassò gli occhi piangendo.
-…fucilazione sul campo…-
-Non possono farlo!- urlò una disperata Candy.
-Noi abbiamo solo soccorso un ferito! Siamo cittadine americane e volontarie della Croce Rossa!-
-Su queste cose gli italiani, come gli austriaci, non guardano tanto per il sottile. Possono sempre dire che siamo cadute sotto il fuoco nemico.-
-Beh, prima dovranno processarci, e lì diremo come sono andate le cose!-
-Se ci sarà un processo…-
A quelle parole Candy sgranò gli occhi: aveva soltanto diciassette anni, non poteva morire così, non poteva…
 
Iriza barcollò sotto lo schiaffo paterno. Mai i suoi genitori avevano alzato le mani su di lei.
-E ritieniti fortunata a cavartela così!- tuonò la voce di suo padre.
-Dovrei mandarti in galera per quello che hai fatto! E adesso fila in camera tua!-
In lacrime la ragazza salì le scale di corsa diretta nella sua stanza.
-Mi farà disperare quella ragazza!- sbottò l’uomo sedendosi su una poltrona.
-Le ho dato tutto, ha tutto quello che una ragazza della sua età può desiderare…-
-Tranne un padre!- tuonò risoluto Neal suscitando lo stupore dei presenti.
-Di cosa parli ragazzo?-
-è vero papà. Tu ci hai dato tutto: soldi, una bella casa, viviamo serviti e riveriti. Ma quante volte ti sei intrattenuto a parlare con noi? Quante volte hai giocato con noi quando eravamo bambini?
Eri sempre lontano da casa e quando c’eri ti ritiravi nel tuo studio perché “avevi da fare”.-
-Se per caso non te ne fossi reso conto ragazzo, io lavoravo. Tutto quello che ci circonda costa, e io lavoravo tutto il giorno per mantenervi nel lusso.-
-Certo, vivevamo nel lusso, ma non abbiamo mai passato del tempo con nostro padre! Non pensi che se quello schiaffo lo avessi dato tanti anni fa forse Iriza non avrebbe fatto quello che ha fatto?-
Raymond Legan fece una risata amara.
-Mi rimproveri di non avervi mai preso a schiaffi? Già, forse avrei dovuto farlo, visto la gratitudine che mi dimostri.-
-Avanti Raymond!- intervenne Albert temendo che la situazione degenerasse –è chiaro cosa intende dire Neal. La sua non è ingratitudine, è solo amareggiato quanto te per l’accaduto. E credo che dovremmo ringraziarlo per come ha gestito la situazione.-
-Che devo fare William? Che devo fare con quella ragazza…-
-Come dice tuo figlio, cerca di parlarci. La ricchezza e il prestigio sociale non sono tutto nella vita, ci sono anche altre cose ed è ora che Iriza cominci a capirlo. Non è troppo tardi per lei.-
 
Il dottor Piras entrò nella tenda dove erano tenute prigioniere Candy e Flanny, e le trovò entrambe accovacciate a terra con il volto rosso di pianto. Non era difficile intuire quali pensieri dovessero tormentarle.
-Dottor Piras…- la voce di Candy era impastata e la ragazza tremava. Forse aveva la febbre.
-Ragazze calmatevi e ascoltatemi.- la voce del giovane medico era risoluta, come a testimoniare la sua ferma volontà di trarre le due ragazze fuori dal guaio in cui si erano cacciate.
Si chinò su di loro.
-Fingete di essere spaventate!- disse bruscamente –il soldato di guardia parla a malapena l’italiano e non sa una parola di inglese, se fingo di essere arrabbiato con voi non sospetterà che voglio aiutarvi!-
-Non abbiamo… bisogno di fingere.- disse Candy in lacrime. –Siamo davvero spaventate…-
-Anzitutto voglio dirvi che sono fiero di voi. Quel ragazzo era ferito e voi lo avete aiutato.- riprese il dottor Piras.
-Che ne è stato di lui?- chiese Flanny
-è scappato. Qualcuno si è accorto che c’era qualcosa di strano in lui, e lui si è lasciato sfuggire un’imprecazione in tedesco.
Un soldato stava per sparargli ma lui è stato più veloce: ha afferrato un bisturi e lo ha ucciso. Poi è riuscito a fuggire prima che venisse dato l’allarme. A quest’ora sarà già al sicuro fra i suoi commilitoni.-
-Ha… ucciso… un soldato?- Candy piangeva, come se si sentisse responsabile
-Si è soltanto difeso Candy. Questa è la guerra: uccidere o morire. È un gioco perfido condotto dai più ricchi sulla pelle dei più poveri. Al posto suo avrei fatto la stessa cosa. Non dovete sentirvi responsabili.-
Le due ragazze annuirono con dolore.
-Ma i comandanti italiani non la pensano così. Temo proprio che si rivarranno su di voi, a meno che non affermiate di essere state ingannate.
Quando vi interrogheranno direte che non sapevate che quel soldato fosse austriaco, che vi ha parlato in italiano e che indossava già la divisa italiana che probabilmente aveva sottratto a uno dei cadaveri.-
-E questo basterà?- chiese Flanny che non riusciva a nascondere la sua angoscia.
Piras non volle mentire
-Non lo so ragazze. Non lo so.- rispose lui in lacrime.

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Capitolo 19
*** Ma che dignità c'è nel morire così? ***


Terence aveva ripreso il suo lavoro di attore. Starsene dentro casa a macerarsi nel suo dolore non serviva a niente.
Pur di tornare a lavorare aveva accettato anche una parte minore nell’Otello che la compagnia Stratford avrebbe messo in scena entro poche settimane. Aveva poco tempo per prepararsi ma la parte era semplice, e comunque tutto faceva brodo per tenerlo impegnato.
Stava uscendo dal locale dove si erano appena svolte le prove, quando si sentì chiamare.
Si girò e riconobbe due persone: uno era il suo amico Albert e l’altro…
-Che diavolo ci fai qui Neal?-
-Vengo in pace Terence, non ho cattive intenzioni.-
-Lo spero per te Legan!-
-Non sono certo qui per tendere gli agguati a Patty!-
-Agguati a Patty?!?!?- disse un accigliato Albert.
-Che storia è questa?-
Neal arrossì violentemente.
-Ehm… niente di importante zio… è una vecchia storia di quando andavamo alla Saint Paul School… meglio non parlarne…-
-Già. Ho come l’impressione che sia meglio.-
Poi si rivolse a Terence
-Ascolta Terence, non so cosa ci sia stato fra voi due, ma stavolta Neal ha buone intenzioni. È soprattutto merito suo se riusciremo a riportare Candy a casa.-
A quelle parole gli occhi di Terence si illuminarono.
 
Poco dopo i tre giovani sedevano nel salone della casa di Eleanor Baker.
-Quella maledetta Iriza! Maledetto il giorno che non l’ho lasciata annegare in Scozia!-
-Ehi! Vacci piano Granchester! È sempre mia sorella!-
Terence si calmò a stento
-Hai ragione Neal, scusami. Ma sono troppo angosciato. In questi ultimi mesi ho faticato per non ricominciare a bere come una spugna.-
-Coraggio Terence.- lo consolò sua madre che aveva appena servito il tè. –L’importante è che, se tutto va bene, fra poche settimane la tua Candy sarà di nuovo a casa.-
 
Uomini in divisa dall’aspetto cupo e accigliato entrarono nella tenda dove erano rinchiuse Candy e Flanny.
-In piedi!- disse in italiano quello che sembrava un sottufficiale.
-Credo che abbia detto di alzarci Candy.-
-Si, l’ho capito.- l’espressione “In piedi” Candy l’aveva sentita usare da medici rivolti a pazienti che poi si erano alzati.
Quando le due ragazze si furono alzate tremanti come foglie, l’uomo disse:
-Mani dietro la schiena!-
Le parole “mani” e “schiena” erano familiari alle due ragazze. Durante il loro servizio in Italia entrambe avevano imparato i nomi italiani di molte parti del corpo umano.
-Credo che… dobbiamo mettere le mani dietro alla schiena Candy…- disse Flanny in lacrime.
Anche Candy cominciava a capire mentre le legavano le mani dietro la schiena.
-Cosa vogliono fare?- gridò disperata –Non possono farlo!-
-Coraggio Candy… cerchiamo di morire con dignità…-
-Ma che dignità c’è nel morire così!!!-
Furono portate in uno spiazzo fuori dall’accampamento, dove alcuni soldati sembravano aspettare loro.
Ormai le lacrime scorrevano copiose dagli occhi delle due ragazze.
-Ti… ti voglio bene Flanny!-
-Anch’io Candy… anch’io…-
 
Tutto era pronto. Le due ragazze erano state messe di spalle rispetto al plotone, e l’esecuzione stava per avere luogo quando una voce che alle due amiche dovette suonare come quella di un angelo gridò:
-Sospendete l’esecuzione!- Una frase che le due ragazze capirono benissimo.
Credettero di svenire, ma si fecero forza. Dovevano restare lucide per capire.
Sentirono alcune voci discutere animatamente, troppo per poterci capire qualcosa.
Poi, dopo alcuni lunghi, interminabili minuti, qualcuno si avvicinò loro da dietro e ordinò perentoriamente in inglese.
-Giratevi!-
Flanny e Candy si girarono.
-Chi di voi è Candice White?-
-Sono io Candice White.-
-è giunto un ordine che la riguarda signorina White. Deve essere immediatamente rimpatriata, suo padre e suo zio hanno richiesto che lei rientri in Patria.-
Che diavolo stava dicendo quell’uomo? Padre? Zio? Tuttavia era sicuramente opportuno cogliere la palla al balzo.
-Io non mi muovo di qui se mia cugina non viene con me!-
-Che stai dicendo Candy?- bisbigliò Flanny
-Sto cercando di salvarti la pelle stupida zuccona! Assecondami maledizione o mi faccio ammazzare qui con te!-
-Qui non si parla di sua cugina signorina White.-
-Lei ha parlato di un padre e di uno zio, beh quello che è mio padre è lo zio di mia cugina Flanny!-
-Si certo… mio zio… John… è il padre di Candy… ed è… il fratello di mia madre!-
Dire un nome proprio era stato un azzardo, e se su quell’ordine fosse stato scritto un nome diverso? Ma ormai la frittata era fatta e le due ragazze si stavano preparando al peggio mentre i due uomini davanti a loro confabulavano qualcosa in italiano, troppo velocemente perché le due ragazze potessero capire.
-D’accordo.- disse poi il più anziano dei due parlando di nuovo in inglese. –Siete espulse con effetto immediato dal territorio del Regno d’Italia. Sarete condotte al porto di Genova, dove verrete imbarcate sulla prima nave in partenza per l’America. E fin d’ora siete entrambe ammonite a non mettere mai più piede nel territorio italiano!-
Le gambe delle due ragazze si piegarono per l’emozione ed entrambe caddero in ginocchio piangendo.
 
Appoggiate alla balaustra della Seagull, Candy e Flanny guardavano il territorio italiano scomparire all’orizzonte. Erano scampate alla morte per un soffio, ma non potevano non provare un’immensa tristezza.
Erano state condotte via dal campo senza neanche poter salutare il loro amico, il dottor Piras, con il quale avevano solo scambiato una fugace occhiata mentre una camionetta militare le portava via.
Non gli era stato neanche permesso di ritirare le loro cose all’ospedale dove avevano tanto faticosamente prestato servizio, gli erano stati consegnati i loro documenti e un foglio di espulsione, e nient’altro. Così che al di fuori delle uniformi ormai sporche che indossavano non avevano niente con sé, e quando sarebbero sbarcate negli Stati Uniti non avrebbero avuto neanche un centesimo bucato.
Un giovane marinaio le chiamò.
-Signorine, il comandante vorrebbe parlarvi. Vi prego di seguirmi.-
Il ragazzo le condusse fino alla cabina del comandante.
-Signore vi ho portato le due ragazze americane.-
-Grazie Cookie, attendi un attimo anche tu. Prego signorine accomodatevi, sono il capitano Niven.-
-Piacere capitano, io sono Flanny Hamilton e la mia amica è Candice White.-
-Ho trovato dei vestiti per voi, abbiamo anche della biancheria adatta a voi, così potrete cambiarvi.-
-La ringraziamo di vero cuore capitano.- rispose Candy
-Posso chiedervi cosa vi è successo? I militari italiani ci hanno pagato per imbarcarvi e portarvi in America, ma non ci hanno spiegato niente!-
 
Quando ebbero raccontato brevemente quello che era successo all’ospedale da campo, il capitano e Cookie che era rimasto ad ascoltare, ebbero uno sguardo di indignazione e sbigottimento.
-Assurdo! Ma che gente sono questi italiani?- sbottò il comandante.
-Oh, in realtà gli italiani sono persone fantastiche.- dichiarò Candy –I loro comandanti militari… un po’ meno.-
Flanny riuscì a sorridere della considerazione dell’amica. Presto Candy sarebbe tornata quella di prima, solo un po’ più determinata.
-Vi esprimo tutta la mia solidarietà signorine.
Cookie vi condurrà alla vostra cabina, lì troverete di che lavarvi e cambiarvi.-
-La ringraziamo infinitamente signore.- disse Flanny alzandosi, ed entrambe strinsero la mano all’uomo.
 
Nel suo ufficio di Chicago Albert ricevette la visita di Raymond Legan.
-Ciao Raymond. Accomodati prego.-
-Volevo ringraziarti, per non aver denunciato Iriza.-
-Siediti Raymond.-
-Hai notizie di quella ragazza… Candy?-
-Si, ho ricevuto un telegramma. È stata imbarcata per l’America insieme a sua “cugina”, e a giorni dovrebbe arrivare a New York.-
-Scusa, ma non mi dicevi che quella ragazza è cresciuta in un orfanotrofio?-
-Infatti è così, e non so davvero chi possa essere questa “cugina”. Comunque l’importante è che sia sana e salva.-
-Sono venuto per chiederti una cosa William.-
-Ti ascolto.-
-Si tratta dell’ex direttore del Saint Jacob. Sembra che stia cominciando a parlare…-
-Capisco i tuoi timori Raymond, ma se quell’uomo farà il nome di Iriza, io non intendo fare niente per invalidare la sua testimonianza: non intendo corrompere nessuno. Al più mi impegno a mettere a disposizione di tua figlia i migliori avvocati che potrò trovare. Iriza è giovane e incensurata, il suo è un reato si grave, ma che potrà essere contestualizzato, per così dire. Vedrai che se la caverà con poco.-
-Ma Iriza non resisterà neanche un giorno in prigione!-
-Mi dispiace Raymond, mi dispiace tanto…-
L’uomo perse una lacrima.
-Cosa ho sbagliato William? Cosa?-
-Non spetta a me dirtelo Raymond. Io posso solo darti un consiglio: parla con i tuoi figli. Dismetti l’abito del padre indignato e parla con Iriza. Cerca di capire cosa le è mancato e perché ha creduto di poter giocare così con la vita di una persona.
Sei ancora in tempo: Iriza è giovane, può crescere, migliorare.
Ovviamente non le auguro certo di finire in prigione, ma se questo dovesse accadere cerca di prepararla, di farle capire che le sarai sempre vicino, che cercherai di essere quel padre che forse non ha mai avuto.-
-Ho pensato… che bastasse darle tutto, farla vivere nel lusso, in quell’agiatezza che io da ragazzo non ho avuto…-
-Coraggio Raymond… coraggio.-
 
-Sai Flanny? Devo ammettere che mi manca l’Italia!-
-Santo cielo Candy! In quel paese ci sei finita davanti a un plotone d’esecuzione! Come fa a mancarti?-
-Si, è un paese che ha i suoi difetti, ma si mangiava da dio!-
Flanny si mise a ridere.
-Scommetto che ti manca la pizza, dico bene?-
-Dici bene Flanny, e anche la pastasciutta! Peccato non poterle mangiare più!-
-Ehi dico! Ma che newyorkese sei? Non lo sai che in quella città c’è una consistente comunità italiana? Non sai che ci sono molti ristoranti italiani?-
-Cosa? Ma ne sei sicura?!!!-
-Certo! Se vuoi andremo a cercarli insieme!-
Candy abbracciò l’amica ridendo come una pazza.
-Candy! Flanny!- A chiamarle era Cookie.
-Guardate all’orizzonte: quella è l’America!-
Gli occhi di Candy si bagnarono di lacrime, e anche la compassata Flanny non poté trattenere l’emozione: il loro incubo era finito, i ricordi di guerra e morte erano definitivamente alle loro spalle.

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Capitolo 20
*** Va tutto bene Candy ***


Sbarcate dalla Seagull, Candy e Flanny si sentirono spaesate, sbalestrate, e non solo per l’effetto “mal di terra”, inevitabile dopo settimane di navigazione ininterrotta in mare, ma anche perché si sentivano straniere in patria. L’equipaggio della Seagull si era autotassato per dare a quelle due ragazze, un po’ di denaro in tasca, ma ovviamente non era molto.
 
All’improvviso Candy sentì il suo nome gridato da due voci familiari.
-Albert! Anthony!-
Erano proprio loro: i suoi amici di Chicago.
-Ma… cosa ci fate qui?-
-è una lunga storia Candy, poi ti racconteremo tutto.-
Negli occhi di Albert e anche in quelli di Anthony, Candy vide una luce strana, come un’emozione nuova che i due amici stessero provando in quel momento. E sì che di emozioni e momenti particolari insieme ne avevano vissuti!
-Lasciate che vi presenti Flanny Hamilton, mia collega e amica fraterna, almeno quanto lo siete voi.-
Ecco spiegato chi era la “cugina” di Candy. Pensò Albert.
-Piacere di conoscerti Flanny. Io sono Anthony…- sembrava non avere il coraggio di dire altro.
-Candy mi ha parlato di te Anthony. E anche di te Albert.- rispose Flanny stringendo la mano ai due uomini.
-Venite con noi, la nostra macchina è da questa parte.- disse Anthony prendendo i modesti bagagli delle due ragazze, anche questi dono dell’equipaggio della Seagull.
Anthony e Albert sembravano guardarsi con imbarazzo, quasi non sapessero che fare.
-Dove volete portarci ragazzi? Noi vorremmo provare a farci assumere dall’ospedale Saint Jacob e poi io… vorrei contattare Terence…-
-è da lui che stiamo andando Candy.- rispose Albert.
-Ascoltami Candy.- intervenne Flanny –Forse è il caso che io ti lasci sola con i tuoi amici. Credo che tu abbia delle cose da chiarire con loro.-
-Non dire sciocchezze Flanny! Io non ti lascio sola! Con tutto quello che abbiamo passato insieme…-
-Io non voglio sparire Candy! Io e te adesso siamo davvero “cugine” come hai detto davanti al plotone di esec…-
Si fermò consapevole di aver detto troppo. I due ragazzi sgranarono gli occhi a quelle parole.
-Santo cielo! Ma cosa hai combinato in Italia Candy?!!!- l’espressione di Anthony aveva un che di strano.
-Ehm… niente ragazzi, è una lunga storia. Poi ve la racconterò.- disse la ragazza rivolgendo un’occhiataccia all’amica.
-Per favore signori, portatemi al Saint Jacob. È lì che volevamo andare, vero Candy?-
-Flanny, io…-
-Tu mi raggiungerai appena avrai finito con i tuoi amici. Me la caverò Candy.-
-Candy, non te lo chiederei se non fosse veramente importante.- intervenne Albert –Devi assolutamente venire con noi.-
-E va bene… così mi spiegherete anche la storia di un “padre” e di uno “zio” che volevano che tornassi in America!- rispose piccata Candy.
In breve tempo arrivarono al Saint Jacob, dove Flanny scese.
Le due ragazze si abbracciarono teneramente: ne avevano passate troppe insieme.
-Chiedi di Natalie, vedrai che lei ti aiuterà.-
-Certo Candy. Abbi cura di te.-
-Ehi! Io e te ci vedremo prestissimo, ok? Dobbiamo andare a mangiare la pizza, ricordi?-
Non poterono evitare di mettersi a piangere. Si sarebbero sicuramente riviste prestissimo, ma niente sarebbe più stato lo stesso per Candy.
 
L’abbraccio fra Candy e Terence fu lungo e commosso. Fu Terence a romperlo a malincuore.
-Vieni Candy. Dobbiamo entrare, ci sono delle persone che devi incontrare.-
-Ragazzi, mi state spaventando. Mi volete dire che diavolo sta succedendo?-
-Va tutto bene Candy.- disse Albert appoggiandole una mano sulla spalla.
Salirono le scale che portavano all’appartamento di Eleanore Baker, e Terence li fece entrare.
Candy entrò per prima e rimase a bocca aperta a vedere l’assembramento di persone che sembravano solo aspettare lei.
-Candy! Mio Dio Candy!- gridò Suor Maria correndo ad abbracciare la sua bambina.
-Suor Maria? Ma che cosa fa qui? E queste persone? Oh insomma: qualcuno mi vuole spiegare?-
Fu Anthony a prendere la parola.
-Candy, sicuramente ti ricordi la zia Elroy e Archie.-
-Certo che me li ricordo! Ma… che ci fa qui Neal? O meglio il “signor” Legan?-
-Va tutto bene Candy.- intervenne Annie prendendo le mani della sua amica –Io e Suor Maria non ti mentiremmo mai, e ti assicuro che va tutto bene.-
Di nuovo Anthony prese la parola.
-Lascia che ti presenti mio padre.- disse indicando con la mano un uomo sulla cinquantina con capelli brizzolati e un paio di folti baffi. L’uomo sembrava emozionato.
-Molto lieta di conoscerla signor Brown. Io sono Candice White, una carissima amica di Anthony, nonché sua ex-fidanz…-
-Ehm, forse è meglio venire al dunque Candy.- disse Anthony arrossendo violentemente.
-Già, sarà meglio.- disse Candy con aria corrucciata.
Suor Maria prese qualcosa da un tavolo dietro di lei e lo consegnò a Candy.
-La mia bambola.- disse lei con l’aria di chiedersi che cavolo c’entrava quell’oggetto.
-La riconosci Candy?- chiese Albert
-Si certo, è la bambola che stava nella mia cesta quando sono stata trovata davanti alla casa di Pony. C’è scritto sopra il mio nome. Mi piace pensare che lo abbia scritto mia madre.-
-No Candy, non lo ha scritto tua madre.- disse Albert
-E tu che cavolo ne sai Albert?-
Albert iniziò a piangere.
-Quel nome… l’ho scritto io…-
A Candy si fermò il respiro e la bambola cadde per terra.
 
Qualche mese prima alla casa di Pony
 
Albert uscì dalla stanza sconvolto e in lacrime tenendo in mano la bambola, e davanti alla stanza vide Suor Maria che accompagnava i bambini a letto.
-Signor Andrew, che succede? Sta male?- chiese la suora vedendo l’espressione sconvolta del giovane.
-Q-q-questa bambola…- riuscì a dire con la voce rotta dall’emozione.
-D-d-dove… l’avete presa?-
Sopraggiunse anche miss Pony che aveva sentito la domanda di Albert.
-La trovammo insieme a Candy, nella stessa cesta.- rispose Suor Maria.
-Oh mio Dio! Mio Dio!- esclamò Albert in lacrime
-Signor Andrew, vuole dirci che succede?- chiese miss Pony con aria decisa
-Questa bambola… la cucì mia sorella Rose… e il nome… lo scrissi io per gioco… Candy… è MIA NIPOTE!-
 
Molti anni prima.
 
John passeggiava nervosamente. Sua moglie era dentro la stanza di quel giovane medico di campagna intenta a dare alla luce il suo bambino.
Quel giovane medico era in grado di svolgere il suo lavoro?
D’altronde non avevano avuto scelta. Durante il viaggio di ritorno verso Lakewood, Rose aveva cominciato ad avere dolori addominali, qualcosa le aveva procurato le doglie assai prima del tempo, lei era incinta di sette mesi.
La porta della stanza si aprì molto lentamente, e ancora più lentamente il medico ne uscì con l’aria afflitta.
-Dottore, come sta mia moglie? E il bambino?-
-Mi dispiace signor Brown… sua moglie sta riposando, ma la bambina… è nata morta…-
Sul volto dell’uomo si dipinse un pallore mortale, e prima che qualcuno potesse fermarlo entrò nella stanza.
Sua moglie riposava, e su un lettino accanto al suo giaceva il corpicino della bambina pietosamente coperto da un lenzuolo.
 
Non avrebbe mai saputo ricordare come e perché, ma si trovò sulla sua automobile, con accanto una cesta contenente il corpicino della bambina nata morta, una bambina che non avrebbe mai avuto un nome che qualcuno potesse ricordare, una bambina che sarebbe stata per sempre un fantasma impalpabile.
Guidò a lungo, con le lacrime che gli offuscavano la vista.
Poi si fermò. Davanti a lui c’era una costruzione, sembrava una chiesa, il luogo ideale dove lasciare il corpicino innocente.
Scese dalla macchina e prese la cesta. Accanto alla cesta vide anche la bambola. Quella bambola che Rose e il suo fratellino William Albert avevano cucito insieme.
Sopra c’era scritto un nome “CANDY”. Quel nome l’aveva scritto il bambino, che aveva appena imparato a leggere e scrivere. CANDY, come il nome di una delle cameriere che si prendeva cura di lui.
-Candy- sussurrò John prendendo la bambola e depositandola nella cesta.
Poi si incamminò e raggiunse un albero vicino alla chiesa. Lì abbandonò la cesta.
-Riposa in pace Candy…- e poi se ne andò.
 
-Quella bambina eri tu Candy.- disse John Brown concludendo il suo racconto davanti a una Candy ammutolita e in lacrime
-Evidentemente non eri affatto morta, eri piuttosto… in uno stato di coma, non saprei dirlo.  
Tua madre si ammalò e morì pochi mesi dopo.-
 
Candy sembrava annientata da quelle rivelazioni inattese.
-Ascolta Candy.- intervenne Suor Maria –So che sei sconvolta, ma quest’uomo ti ha detto la verità. Il suo racconto coincide con le circostanze del tuo ritrovamento. Ci ha descritto per filo e per segno l’albero sotto il quale ti abbandonò e la cesta nella quale ti ritrovammo. Inoltre io e miss Pony abbiamo contattato il medico che ti fece nascere, sta in un paese non molto lontano dal nostro, e lui ha confermato tutto.-
John decise di dare l’affondo finale, quella ragazza doveva convincersi.
-Ascoltami Candy, quando il medico recise il cordone ombelicale, per sbaglio ti fece un piccolo taglio sulla pancia, all’altezza dell’ombelico. Dovresti avere ancora quella cicatrice.-
Muovendosi come un automa Candy si scoprì la pancia. La cicatrice c’era davvero.
 
Si voltò e fuggì in lacrime dall’appartamento, e Terence la seguì.
 
Riuscì a raggiungerla in fondo alle scale e l’abbracciò da dietro cingendole la vita con le mani.
-Va tutto bene Candy… va tutto bene amore mio…-
Si voltò verso di lui e lo baciò semplicemente sulle labbra.
Poi intravide i suoi cari, suo padre, suo zio e suo fratello in cima alla scala, anche loro in lacrime come lei.
Risalì la scala di corsa tendendo le braccia verso di loro.
 
FINE
 
 

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