Chantal e Lucienne

di Ladyhawke83
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Invito ***
Capitolo 2: *** Nuvole ***
Capitolo 3: *** Insonnia ***
Capitolo 4: *** Segreti ***
Capitolo 5: *** Futuro ***
Capitolo 6: *** Colazione ***
Capitolo 7: *** Vento ***
Capitolo 8: *** Statua ***
Capitolo 9: *** Lettere ***



Capitolo 1
*** Invito ***


Invito

 

Chantal sospirò riportandosi una ciocca ribelle dietro l’orecchio, il vento di quella giornata di inizio di ottobre, le rendeva difficile scrivere l’indirizzo sulla busta, la rigirò tra le mani un paio di volte, indecisa se imbucarla oppure no.

Aveva riflettuto molto sull’idea, di spedire o meno l’invito a quello che una volta avrebbe definito ad occhi chiusi come. Il suo migliore amico, si era decisa per il sì, poi qualcosa lungo il breve tragitto tra la Galleria d’Arte Moderna del Priamar e la spiaggia, aveva fatto vacillare la sua intenzione.

Non vedeva, né sentiva Renard da quasi dieci anni, e visto come si erano lasciati, e Chantal pensò che forse lui non avrebbe avuto il piacere di presenziare alla prima mostra di artisti Italo-francesi,

curata interamente da lei sola.

Una coppia le passò affianco, biascicando qualcosa sulla sua acconciatura, la ragazza poté giurare di aver sentito distintamente la signora più anziana lamentarsi dei suoi capelli.

“Ah questi giovani d’oggi, non sanno più cosa fare e si mettono il colore in testa...” 

D’istinto Chantal si portò una mano alla piccola treccia legata sulla nuca, dove due ciocche di un rosa acceso  e di un altrettanto brillante blu elettrico facevano  bella mostra, spiccando tra il color miele del resto della chioma.

Non disse nulla, fingendo di non aver sentito, ma percepì che qualcosa dentro sé si spezzava nuovamente.

Quanto avrebbe voluto  confidarsi con Renard, spiegare , anche solo guardandosi negli occhi, il peso enorme del vuoto che sentiva addosso e che velava ogni sua giornata ormai, con una patina grigia, rendendo tutto scialbo, apatico, incolore. Nemmeno respirare l’aria frizzantina e salmastra riusciva a tirarla su.quella tristezza senza nome, quella nostalgia strana di qualcosa che non c’è,  accompagnava Chantal dal mattino fino al momento di coricarsi, rendendo anche i suoi sogni un po’ inquieti.

L’invito alla mostra, stampato su carta anticata e filigranata doveva servire proprio a quello, a creare un ponte, un flebile filo di speranza che unisse il suo passato, la Costa Azzurra e i pomeriggi spensierati e pieni di straripante gioventù, trascorsi insieme a Renard e a Marisol, e il suo presente. fatto di vita ordinaria, di camminate sulle spiagge savonesi, accompagnate da una certa consapevolezza vestita di scuro, di disillusione e di progetti sfumati.

Chantal stava per infilare la busta nella fessura della casetta postale rossa, quando sentì vibrare insistentemente il cellulare. Sulle prime cercò di ignorare la chiamata, poi vedendo che quel dannato aggeggio “del demonio”(1) non la smetteva di agitarsi nella sua borsa, si arrese e con una certa destrezza riuscì a tirarlo fuori, prima che la chiamata terminasse, senza rovesciar per strada l’intero contenuto della piccola postina che portava a tracolla.

“Cosa c’è?” Rispose la ragazza, piuttosto scocciata.

“Dove sei? È da mezz’ora che ti aspettiamo al Caffè Caboto (2) per pranzare...” Disse una voce maschile dall’altro capo del telefono, piuttosto innervosita, anche se manteneva un certo contegno.

“Iniziate pure senza di me se ci tenete tanto. Non pensò che ai tuoi amici dispiacerà se non ci sono” Chantal rispose con un tono di vice apatico, quasi rassegnato, segno che non era la prima volta che le  si presentava una situazione del genere. 

In fondo lei era quella “strana”, quella “eccentrica”, quella “francese”, come se indicare la nazionalità avesse un che di dispregiativo. 

Loro, loro erano solo gli amici di suo marito, Luciano, ma lui si ostinava a considerarli anche amici di lei, quindi qualsiasi mancanza lei avesse avuto nei loro confronti, per lui era come una doppia offesa.

“Non dire cretinate, lo sai che i ragazzi ci tengono a vederti. Non fare sempre la solita asociale, sono i nostri amici, potresti sforzarti un po’ di più...” La voce del marito le giunse all’orecchio fredda e distante, quasi accusatoria.

Sforsarmi, io dovrei sforsarmi (3)? Sono loro che dovrebbero smetterla di vedermi soltanto come una bella statuina... e comunque Lucienne (4), quei deficianti sono tuoi amici, non miei!”. Detto ciò, Chantal chiuse la comunicazione con uno scatto nervoso, incurante delle occhiate dei passanti.

Chantal infilò decisa la bustina rettangolare nella fessura e si sentì subito più leggera, sperando in cuor suo che quel piccolo gesto, quelle poche parole che accompagnavano l’invito, e spedite oltralpe potessero cambiare veramente le cose in quel primo giorno d’ottobre il cui vento spirava da Nord carico di promesse e di profumi di montagna.

 

 

{725 parole}

{1 ottobre. Prompt: Invito}

 

 

Note al testo: 

  1. modo scherzoso in cui Chantal chiama il cellulare.
  2. Locale realmente esistente nella città di Savona.
  3. Chantal è francese d’origine, ma trapiantata in Italia, per amore. Parla molto bene l’italiano, anche se a volte la sua lingua madre fa qualche incursione facendole storpiare alcune parole. Nel testo le indicherò sempre in corsivo.
  4. Lucienne e il soprannome che Chantal usa verso suo marito Luciano, in realtà non è altro che la versione francese del nome italiano.

 

 

Note dell’autrice: eccomi qui col progetto folle di partecipare al #writober2018, da un progetto del sito fanwriter.it Una storia al giorno, un prompt al giorno per 31 giorno.

L’idea è di scrivere 31 one shot tutte collegate e farne una raccolta di one Shot. 

La storia sarà quella della coppia Chantal-Luciano, vista da lei.

I luoghi saranno reali o fittizi, ma tutto sommato riconducibili a due città. Toulon e Savona.

Persone o fatti sono di mia invenzione.

Buona lettura.

Ladyhawke83

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Capitolo 2
*** Nuvole ***


Nuvole


Le nuvole avevano sempre avuto una grande attrattiva per Chantal, che fin da bambina preferiva il cielo plumbeo alla banalità del celeste uniforme.

Cumuli di acqua e piccole polveri sottili che si spostano veloci, assumendo molteplici forme e sfumature passando dal viola al grigio scuro, come si può restare indifferenti ad un mare tempestoso coperto da un cielo altrettanto minaccioso, che si confonde all’orizzonte, solo un’artista come Chantal riusciva a cogliere il senso profondo di un banale fenomeno atmosferico. Dentro alle nuvole cariche di pioggia, lei ci leggeva la forza dirompente della natura che, indifferente agli esseri umani, si impone inevitabilmente, ora benevola, ora distruttrice.

“Cosa ci troverei mai in tutta questa pioggia?” Le domandava spesso il marito, quando la sorprendeva a camminare, zuppa dalla testa ai piedi, ma con lo sguardo perso a fissare il cielo.

“Non è solo pioggia, comunque cerco il senso, l’ispirazione...” rispondeva Chantal senza prendersela più di tanto, perché sapeva che Lucienne era fatto così. Tutto razionalità e lavoro, nessuno spazio per frivolezze, meno che meno “sentimentalismi” come li chiamava lui.

Eppure quell’uomo dagli occhi azzurri come il mare d’agosto, e dal passo svelto, ma svogliato, non era sempre stato così rigido e cinico.

Quando non erano che fidanzatini, poco più che ventenni, Luciano adorava uscire in mare, portandosi dietro lei e poco altro. 

Aveva una piccola imbarcazione, ereditata dal padre pescatore, L’ aveva rimessa a nuovo e ne aveva fatto la loro piccola alcova, il loro rifugio.

Su quella piccola stanza galleggiante, dove c’era posto a malapena per due persone, loro avevano passato tanti momenti felici, avevano riso, avevano sognato di un futuro insieme, avevano fatto l’amore cullati dal rumore delle onde e dall’ondeggiare della piccola cabina dipinta di bianco e azzurro.

“Starei qui con te per sempre” Gli aveva detto lei abbracciandolo, ancora nuda, sotto di lui.

Luciano le aveva sorriso complice, aveva un così bel sorriso, uno di quelli capaci di insinuarsi nelle pieghe dei pensieri e restarci a lungo, senza andarsene mai del tutto.

“Anch’io, ma prima o poi dovremo rientrare...” Le aveva ricordato baciandole l’incasso del collo.

“Che fretta c’è?” Gli aveva chiesto Chantal con quel suo sguardo   ammiccante “Godiamoci questi ultimi sprazzi di caldo e libertà, per pensare al futuro abbiamo tutto il tempo...” poi lo aveva baciato annullando qualsiasi suo tentativo di protesta, ricominciando quel gioco complice di corpi, sospiri e sguardi.

Com’era bello amarsi e perdersi in mezzo al mare, circondati solo da acqua e cielo, liberi, come gabbiani in volo, leggeri come nuvole di passaggio, pensò Chantal mentre camminava affianco del marito tutto impettito e contrariato da quell’acquazzone improvviso di inizio ottobre.

Ripensò a quell’estate sulla “Ladyhawke”, quello il nome della barca, dopo quella fuga d’amore incosciente, c’era stata l’università, il lavoro e un sacco di altre inutili cose, e loro due, per quanto avessero cercato di restare vicini, negli anni successivi, erano irrimediabilmente cambiarti. Le loro vite avevano preso direzioni opposte, ma nessuno dei due avrebbe mai confessato all’altro di sentirsi costretto in quel loro rapporto d’amore.  

Sia Chantal che Luciano avevano continuato, per anni, a cullarsi nell’illusione che il loro matrimonio non avesse bisogno d’altro che dei loro sogni condivisi e del sesso, quello ovviamente non mancava mai, anche se non era più così romantico. 

Avevano semplicemente smesso di parlarsi davvero, ovvero si parlavano spesso, ma rimanendo sulla superficie di vuote parole dette solo per non scoprirsi le ferite a vicenda. 

Certe cose era meglio non dirle, certi ricordi era meglio non farli riaffiorare alla memoria.

“Non ti piace proprio la pioggia, vero Lucienne?” Chiese Chantal, cercando di strappare un sorriso al marito pensieroso.

“No, lo sai. Mi ricorda mia madre, e non ci voglio pensare”. Rispose freddo lui, anche se subito dopo, cercò di aggiustare il tiro accarezzandole il braccio, come faceva da giovane innamorato.

“Mi dispiace, io l’adoro, fa sembrare i colori più vividi e il cielo più morbido e zuccherino” disse lei, tenendo l’ombrello trasparente e kawaii tra loro due.

“Zuccherino? Solo tu potresti vedere in questo freddo grigiore qualcosa di dolce e piacevole”. Ammise Luciano, per nulla stupito dalle parole della moglie.

“E non è anche per questo che mi ami?” Domandò lei, con un luccichio adolescenziale nello sguardo.

“Sì, può darsi...” Bofonchiò lui distrattamente, mentre fissava lo schermo del suo smartphone.

Chantal sospirò, non era la risposta che voleva sentirsi dire, ma incassò con dignità, mentre gocce di pioggia finissima le si infilavano tra le pieghe del cappotto, raffreddando ogni speranza  e ogni pensiero nostalgico su suo marito.

 

 

{749 parole}

{2 ottobre. Prompt: Nuvole}

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Capitolo 3
*** Insonnia ***


Insonnia

 

Renard, da quando aveva ricevuto quell’invito due giorni prima, non riusciva più a prendere sonno la notte.

Un’insonnia prepotente e carica di ripensamenti e nostalgici ricordi del passato si era impossessata di lui.

Aveva aperto quella busta, proveniente dall’Italia con mani tremanti e un nodo alla gola. Già solo dalla bella calligrafia aveva intuito chi fosse il mittente: Chantal.

Quanti anni erano che non si vedevano più? 

Dieci, no, undici anni ormai, si corresse mentalmente Renard, rigirandosi nel letto, duranti i quali c’era stata fra loro qualche sporadica telefonata per lo più insignificante e gli auguri canonici per il compleanno e per Natale.

Fuori dalla sua modesta casa, situata in un quartiere strategico, vicino al porto della città costiera di Toulon, si udiva solo il rumore delle barche e alcune sirene legate alla base militare navale, dovevano essere più o meno le tre del mattino, e di lì a poco si sarebbe dovuto alzare per andare al lavoro.

Cercò a tentoni il suo cellulare, tastando a casaccio il comodino, quel che trovò fu il soffice e caldo pelo del suo gatto Maurice, che si mise immediatamente a strusciarsi sulla sua mano e poi, non contento, sulla sua faccia.

“Dove hai fatto finire il mio telefono questa volta? E, furfante crocchetta dipendente!” Disse affettuosamente Renard, rivolto al micio paffuto dal manto tigrato e rossiccio. Il felino gli accoccolò, per tutta risposta, proprio sulla pancia col suo dolce peso di quasi otto chili e iniziò a “impastare” il suo padrone con le zampe anteriori, unendo il pungente massaggio con il tipico “Ron-Ron” di fusa.

“Eccolo!” Esclamò alla fine l’uomo, estraendo da sotto il letto il cellulare ancora intatto e in procinto di far suonare la propria malefica sveglia.

Renard disattivò l’allarme con un gesto automatico, sbadigliò e passandosi una mano tra i folti e indomabili capelli neri e decise di alzarsi.

Chissà cosa avrebbe pensato Chantal nel venire a sapere che, nonostante tutti i bei progetti, e le aspettative di un futuro da musicista famoso, Renard era finito a fare il panettiere.

Un lavoro onesto e di soddisfazione, ma di certo molto lontano dall’ideale spericolato, e un po’ bohémienne, che si erano fatti della vita da adulti, Renard e Chantal, sulla soglia della maturità.

“Una vita fa’...” pensò, mestamente l’uomo, mentre si infilava il lungo cappotto un po’ retrò, accarezzava distrattamente Maurice  apprestandosi a lasciare casa, dopo aver bevuto una veloce tazza di caffè riscaldato.

Le luci asettiche dei lampioni illuminavano la via che conduceva dal porto verso l’interno. Il negozio dove lavorava Maurice, ormai da più di cinque anni, era situato nel quartiere centrale, proprio vicino al famoso café “Brun Noir” in Rue de l’Équerre.

A quell’ora del mattino era tutto deserto, ma a lui piaceva così, adorava passeggiare in tranquillità e silenzio, il freddo non era mai stato un ostacolo. 

Tutti i giorni, che fosse estate, o inverno, Renard si recava al lavoro a piedi, percorrendo quel paio di chilometri che lo separavano da casa sua al panificio senza badarci più di tanto e, anzi, sfruttando quel tempo morto per riorganizzare i pensieri e la giornata. 

E mai come quella mattina ne aveva avuto bisogno. 

Sentiva uno strano peso sul cuore, che non riusciva a capire se fosse per nostalgia, rammarico, o semplicemente indolenza. Da due giorni, ormai, non faceva che venirgli in mente il viso di Chantal, come se lo ricordava, fine e con grandi occhi marroni sempre stupiti di fronte al mondo.

Passando davanti al negozio di Belle Arti di Thomàs, schiacciò il naso contro la vetrina e, scorgendo un cartoncino color carta da zucchero adatto per il disegno con l’acquarello, si decise.  

Quel giorno stesso avrebbe spedito alla sua vecchia amica la risposta all’invito, all’antica, utilizzando carta e francobolli, proprio come aveva fatto lei, telefonarle sarebbe stato più facile, ma Renard non era del tutto sicuro di volerla risentire, non in quel momento della sua vita almeno. 

Quel mese che lo separava dell’inaugurazione della mostra in Italia, gli sarebbe servito per riflettere su cosa era meglio far sapere, o tacere, a Chantal, del suo passato non proprio raccomandabile.

 

 

{683 parole}

{3 ottobre. Prompt: Insonnia}

 

 

Note dell’Autrice: eccomi qua, con un giorno di ritardo sul writober.

Scusate, ma con una bimba quasi duenne, il tempo è quello che è.

Lo so che avevo detto che avrei scritto tutte le OS dal punto di vista di Chantal, ma questa mi è uscita così. Il personaggio di Renard premeva per avere un suo spazio, ed eccolo qua. Probabilmente non sarà l’unico racconto con una voce differente da quella di Chantal, ma vedremo... prima devo cercare di stare in pari con la lista di prompt, e già questa mi pare una “mission impossibile”.

Buona lettura.

Ladyhawke83

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Capitolo 4
*** Segreti ***


Segreti

 

Mantenere un segreto può essere difficile, e Chantal lo sapeva bene, teneva dentro di sé il ricordo di quell’inconfessabile pomeriggio, da ormai undici anni quasi.

Ogni tanto si svegliava la notte con la paura di aver confessato ogni cosa nel sonno, poi guardava suo marito dormire beato nell’oscurità confortante del loro minuscolo appartamento, e tirava un sospiro di sollievo.

L’ultima persona che doveva venire a sapere di quella sua dolorosa scelta era proprio Luciano. Non avrebbe capito, né tantomeno perdonato facilmente una così tale è ingiustificabile leggerezza da parte della moglie, che sì, lui considerava eccentrica e impulsiva, ma non incosciente.

Ma si sa, un segreto per essere tale deve essere condiviso da due persone, altrimenti rimane solo un evento non detto, nel tempo. L’altro depositario di quella scomoda verità era proprio Renard, l’amico dal quale lei era fuggita,l ‘emblema di tutta la sua vita passata e di quel possibile futuro che avevano scelto di non avere, pur di rimanere amici.

“Sei sicura?” Le aveva chiesto lui, per l’ennesima volta, con voce ormai stanca e rassegnata. Non poteva vederla, ma poteva giurare che lei, l’incrollabile e ottimista Chantal, dall’altro capo del telefono, stesse piangendo.

“Sì, Renard. Non chiedermelo più, non rendermi le cose ancora più difficili...” Aveva risposto lei, trattenendo un singhiozzo a stento.

“Ma io potrei aiutarti... forse noi...” Balbettava Renard, scosso nel profondo, sentendosi scisso tra quello che avrebbe voluto fare, e quello che irrimediabilmente si trovava costretto a fare.

Non fu facile per quel ragazzo di appena ventidue anni decidere di lasciarla andare, decidere di lasciarla libera, e così perdere lei e il loro incerto domani. Eppure Renard lo fece, scelse di rispettare la volontà di Chantal, nonostante il suo cuore, insieme ai suoi piedi urlassero di volare a riprendersela Oltralpe e stringerla per levarle di dosso il peso di quella condanna, che si erano inflitti da soli, per un mero atto d’incoscienza. Un’unico momento di sensuale debolezza e fragilità, aveva distrutto fra loro ogni cosa.

Erano amici, eppure non lo erano, erano stati amanti, eppure non potevano e non dovevano stare insieme.

“Mi sposo fra sei mesi Renard...” quell’unica frase aveva messo la parola fine ad ogni speranza nella mente di Renard, eppure non riuscire ad accettarne il peso, la consapevolezza di tutto quanto ne sarebbe conseguito.

“Capisco, ma davvero non c’è un altro modo?” Chiese un’ultima volta il francese, poco convinto. Ormai era chiaro quello che lei avrebbe fatto.

“No, non c’è... credi che possa andare a dire a Luciano: Ehi ci sposiamo, ma io sono incinta del mio migliore amico?”. Chiese lei con un tono di voce rotto dall’emozione e dal dolore.

Puoi decidere di non sposarti più. E io ci sarei per te, per voi. Sempre...” Confessò Renard e le sue parole erano  sincere. Chantal sapeva che lui ci sarebbe stato come amico e come padre, ma non poteva chiedergli di rinunciare a tutti i suoi sogni, per un’incoscienza, per un’unica volta insieme.

E anche lei non era sicura di voler rinunciare a tutto per fare la madre. In fondo aveva solo ventuno anni e tutta la vita davanti, l’università da finire e un fidanzato innamorato e devoto. 

No, non poteva fare questa a Luciano.

“Io lo amo, Renard, non posso perderlo, perdonami se puoi...” disse Chantal e chiuse la telefonata, senza aspettare la risposta dell’amico. Non ce l’avrebbe fatta a sopportare tutto da sola, se avesse aspettato ancora, non poteva permettersi di ripensarci, di tenere quel bambino, che non era più grande di un fagiolo, venuto per caso e nel momento sbagliato.

Era il 4 ottobre del 2007 quando la sua vita cambiò irrimediabilmente e lei si ritrovò ad essere un vaso vuoto.

Lo avrebbe chiamato Leandre, se fosse stato un maschio, o Mélusine se fosse stata femmina, ma il destino di quella vita mai nata, e di quei nomi che non avrebbero mai avuto un viso a cui adattarsi sarebbe appartenuto solo a Chantal e a Renard. Un segreto che assomigliava più a una crepa sul cuore, che non a un qualcosa che semplicemente non si dice, e quella ferita che condividevano solo un due, da un lato li aveva uniti nel dolore del “se fosse”, dall’altro li aveva separati, per via del peso opprimente e il senso di colpa che portava con sé quel “mai”.

“Ho invitato Renard all’inaugurazione della mostra...” disse Chantal al marito non ancora del tutto sveglio.

“Ah... va bene, come vuoi” fu la sua unica risposta, a metà tra un grugnito e un sussurro onirico, prima  che Luciano si rigirasse dall’altra parte nel letto, russando, lasciandola sola coi suoi cupi pensieri.

 

 

{767 parole}

{4 ottobre. Prompt: segreti}

 

Note dell’Autrice: sono un po’ in ritardo col programma del writober, ma purtroppo l’essere mamma di una bimba di neanche due anni, non mi concede sempre il tempo che vorrei dedicare alla scrittura. 

Recupererò strada facendo.

Questa OS è un po’ triste, lo ammetto, perché parla in modo velato, di una scelta difficile, quale l’aborto.

Non voglio entrare nel merito della scelta morale. 

Questi sono Personaggi di finzione. 

Spero di aver gestito al meglio il personaggio di Chantal che si trova a fare i conti con un ricordo del suo passato. quando il matrimonio con Luciano era imminente e lei si era ritrovata incinta di Renard, senza volerlo, tutto per una debolezza, la passione durata un giorno, l’incoscienza e l’ebbrezza della gioventù.

Buona lettura.

Ladyhawke83

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Capitolo 5
*** Futuro ***


Futuro

 

Il futuro è una di quelle cose a cui da giovane non ci si pensa se non nei termini di qualcosa di molto lontano da noi, qualcosa di indefinito, ed il più possibile vago.

Crescendo si capisce che il futuro che si sognava è l’adesso, e a volte questo può deludere. 

Davvero ci si immaginava così? 

Dove si è sbagliato?

Queste domande se le faceva spesso in quei giorni Chantal, ormai quasi trentatreenne, ripensando ai sogni di quando aveva sì e no vent’anni.

“Sarò un’artista famosa” si diceva “girerò il mondo” sognava “e i miei quadri saranno esposti al Louvre”.

“Vedo che ti piace pensare in grande, non ti stai un po’ sopravvalutando?” gli rispondeva Renard, con un filo di sarcasmo nella voce.

“Lasciala in pace Ren! Tu sei uguale!” Lo riprese Marisol.

“La mia musica di qua, la mia musica di là, e i concerti, e il Bataclan(1)...” Gli fece eco l’amica dai riccioli folti e gli occhi troppo grandi, su quel suo viso minuto.

“Sono un così insopportabile narcisista secondo voi?” Chiese, un po’ mortificato, Renard alle due amiche dall’altro lato del tavolo.

“No... io penso tu abbia ragione Renard. Tu hai talento e per la tua musica non serve altro che ascoltarla, mentre per me, beh per me... è diverso...” avevo detto Chantal, divenuta d’improvviso triste e cupa in viso, si stropicciava le mani senza guardare gli altri due.

“Oh, dai Chantal, io scherzavo! Sai quanto io ami la tua arte e i tuoi dipinti” Le disse Renard, per tirarla un po’ su.

“Tu sì, ma gli altri? Molti non la capiscono e pensano che io sia solo una pazza visionaria...” continuò Chantal, fissando un punto oltre la spalla del ragazzo, senza vederlo in realtà, gli occhi velati di lacrime trattenute a stento.

Chanty tu sei meravigliosa e i tuoi quadri sono il riflesso di te, così piena di vita e di fiducia” Marisol le toccò la spalla, mentre Le parlava, ma era evidente che la mente di Chantal in quel momento era da un’altra parte. Forse non Dove era, ma con chi era la sua mente, era la domanda giusta.

“Scommetto che l’unico a pensare che la tua arte faccia schifo. Chantal, è quell’ignorante, becero, del tuo ragazzo italiano...” sputò fuori Renard, senza mezzi termini.

“Renard!” Gridò Marisol, quasi che fosse lei quella ad aver ricevuto l’offesa, e non l’amica.

“Sai Renard, forse hai ragione, ma io lo amo follemente, e forse in futuro cambierà”. Rispose Chantal, con una calma nella voce, quasi innaturale, come se la cosa non la toccasse.

“Per amore cambierà...” ripeté lei ai due amici, quasi che fosse un mantra con il quale auto-convincersi.

La realtà dei fatti, quasi tredici anni dopo quella conversazione tra Chantal, Marisol e Renard, era che non solo suo marito Luciano non era cambiato, ma anzi, se possibile, era addirittura peggiorato nelle sue posizioni.

Nel tempo che aveva vissuto insieme a lui, da sposati, lei lo aveva visto trasformarsi e cambiare radicalmente. Dopo la morte della madre Luciano si era irrigidito a tal punto,da non aprirsi più con nessuno, nemmeno con sua moglie.

Ogni cosa per lui doveva essere frutto di razionalità e funzionalità, ovvero, tutto quello che non rientrava nell’ordine della praticità e utilità veniva scartato dalla sua mente a priori. L’arte, nel senso stretto del termine, non faceva eccezione. 

Luciano considerava la passione di Chantal, per la pittura, le mostre ed il resto, un po’ come una perdita di tempo, un bisogno infantile di approvazione.

Non aveva mai approvato del tutto il lavoro della moglie, che in verità non considerava neanche come un vero lavoro, tuttalpiù lo relegava nella testa come un passatempo, un costoso, e poco remunerativo, passatempo. 

Come se tutto si potesse misurare in base ad una scala di guadagno.

Chantal scosse la testa al pensiero di come aveva reagito Luciano alla notizia dell’invito. La cosa era piuttosto semplice, in effetti: non aveva reagito, e lei non sapeva se preoccuparsene o meno.

Aveva voglia di disegnare, di imprimere sulla tela tutti quei pensieri e quel nervosismo strisciante che le veniva ogni qualvolta pensava alle parole del marito.

Lo amava ancora, ma si chiedeva in continuazione quale futuro potevano ancora insieme avere due persone che a malapena si parlavano al mattino, figuriamoci la sera, quando era già un miracolo che occupassero lo stesso letto per dormire.

All’improvviso Chantal si ricordò che era mattina presto, e lei era uscita di casa senza toccare cibo.

Decise di scrivere un messaggio ad un’amica per chiederle di raggiungerla.

 

Nives? 

Ciao, sei sveglia? 

Ti va’ un caffè al Caffè Storico? 

Ho bisogno di parlarti.

Ti aspetto. 

Ch.

 

Inviò il messaggio e, senza aspettarne la risposta, mise via il cellulare e si avviò in centro, alla volta del bar caratteristico, dove facevano uno dei caffè più buoni di Savona.

La città si stava svegliando, col suo chiassoso tran tran mattutino e l’odore delle strade appena disinfettate, Chantal si legò più stretta la sciarpa, coi colori della pace, al collo e sospirò, quella si prospettava come una lunga giornata.

 

 

Note al testo:

  1. un mio modestissimo omaggio al locale “Bataclan”dove è avvenuto l’attentato la notte tra il 13 e il 14 novembre 2015. Giusto per ricordare che non si possono fermare i sogni con la paura. 

 

 

{843 parole, note escluse}

{5 ottobre. Prompt “futuro”}

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Capitolo 6
*** Colazione ***


Colazione

 

“Non mi abituerò mai a questo...” esordì con tono perplesso Chantal, mentre fissava l’amica intingere beatamente, e con assoluta noncuranza, un pezzo di focaccia nella schiuma del cappuccino bollente.

“Oh dai, è così buono mescolare dolce e salato! Uno dei piaceri della vita!” Le rispose Nives, quasi parlando a bocca piena.

“Preferisco il mio caffè, quello sì che è un piacere. Come fate voi l’espresso in Italia, non lo fa nessuno!” Rise Chantal, mentre con il cucchiaino mescolava energicamente lo zucchero di canna sul fondo della tazzina.

“Veniamo alle cose serie, ragazza” la osservò Nives “di cosa volevi parlarmi, di così urgente da buttarmi giù dal letto alle 7:00 del mattino?” Domandò la mora, mentre Chantal si lasciava andare in un sospirò rumoroso.

“Penso che Lucienne abbia un’altra donna” esordì la bionda senza mezzi termini.

“No, dai. Cosa te lo fa pensare? Luciano è sempre stato innamoratissimo di te” sottolineò Nives, come se Chantal avesse detto un’assurdità.

“Forse lo era, ma adesso...” Chantal si torse le mani appoggiate in grembo, dopo aver dato un’occhiata di sfuggita ad una coppia con una bambina piccola, appena entrata nel locale.

“Quella potevo essere io...” disse quasi in un sussurro.

“Come?” Chiese l’altra che non aveva visto i neo genitori entrare al Caffè.

“Niente Nives, niente...” sorvolò Chantal, che non aveva voglia di riaprire anche quella mattina quella dolorosa ferita di tanti anni prima.

“Davvero credi che Luciano si lascerebbe scappare una come te?” L’esuberanza nella voce di Nives era quasi contagiosa, ma non forte abbastanza da allentare la nuvola grigia che aleggiava sopra la testa di Chantal.

“Lucienne quelle come me non le sopporta... lui vorrebbe la perfetta mogliettina, tutta casa e chiesa, e io non sono così. Non sono mai stata così” ribadì Chantal, sentendosi improvvisamente inadeguata, nauseata dall’immagine che doveva avere suo marito di lei stessa.

“Ma non dir cazzate va! Guardati...” le disse l’amica facendola alzare dalla seggiola “Sei uno splendore, sia dentro che fuori, hai intelligenza, hai talento, hai il fascino dell’esotico. Le casalinghe lasciale agli uomini senza fantasia!” 

“Nives, sii seria! Lucienne sarà certo stato attratto da me in passato, ma ora lo vedo che non è più felice, e forse non lo sono più neanche io” La riprese Chantal, un po’ in imbarazzo per i complimenti dell’amica, non era mai stata molto a suo agio con le lodi, seppur sincere.

“Allora se lo ami, se ci tieni ancora a Luciano dovresti parlargli, spingendolo a dirti cosa c’è che non va’, senza farlo sentire aggredito...” riflettè Nives, mentre ordinava una seconda focaccia.

“E se a lui non importasse, o, peggio, negasse?” Domandò Chantal, sentendosi già in agitazione al pensiero di quella conversazione col marito.

“Beh Allora anche tu ti potresti comportare di conseguenza, magari ignorandolo, o facendo qualcosa di stupido, tanto per vedere se si ingelosisce” suggerì con un lampo d’eccitazione negli occhi, le piacevano queste cose un po’ malandrine.

“Qualcosa di stupido credo di averlo già fatto, in effetti...” disse a Chantal, quasi vergognandosi di confessare.

“Che?” Fu la domanda impastata di Nives, che aveva di nuovo la bocca piena.

“Ho mandato l’invito per la mostra a Renard...” Ammise lei, espirando tutte le parole in un solo fiato.

“Chantal!” Disse solo l’amica con occhi sgranati e briciole di focaccia ovunque.

“Ok. Abbiamo un problema. Ma non è detto che questa cosa venga per nuocere...” ci pensò su Nives, improvvisamente seria, indossando la sua migliore espressione da stratega.

“Potrebbe essere quello che ci vuole per smuovere Luciano...” disse infine la mora.

“Lo spero Nives, anche se non so cosa ci sia da sperare” disse Chantal.

“Ma è ovvio. Che si riaccenda il fuoco d’amore per te in Luciano...” Dichiarò Nives tutta contenta, quasi che i problemi dell’amica non fossero altro che vicende da romanzo risa.

“Già...” La risposta di Chantal non apparve molto convincente, ma l’amica non ci fece caso. Nives pagò il conto, prese l’altra sottobraccio e se la trascinò fuori, incurante delle proteste.

“Andiamo! Ci vuole un po’ di shopping per tirarti su!” Urlò Nives, per farsi sentire al di sopra del traffico cittadino.

“Hanno aperto un mercatino delizioso, ci sono tante chincaglierie e robe vintage, vedrai ti piacerà!”.

Chantal fu travolta dall’entusiasmo dell’amica e non poté fare a meno che assecondarla, anche se nel suo animo, la domanda stava sempre lì. Voleva vedere Renard, perché così facendo, per gelosia Luciano sarebbe tornato da lei, oppure aveva invitato l’amico francese, perché in cuor suo sentiva che ormai non c’era più nulla da salvare in quel suo matrimonio?

 

{752 parole}

{6 ottobre. Prompt: colazione}

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Capitolo 7
*** Vento ***


Vento

 

“Lucienne? Lucienne, sei sveglio?” Chantal con una mano delicatamente scuoteva suo marito per parlargli.

“Che cosa c’è Chantal? Sai che ore sono, domani devo alzarmi presto!” Rispose lui, un po’ seccato. 

Nonostante avessero appena finito di fare l’amore, Luciano si era rigirato nel letto addormentandosi come un orso che va in letargo.

“C’è vento forte, e lo sai che quando c’è vento non riesco a dormire...” gli ricordo lei con voce stanca.

“Insomma, non fare la bambina...Girati e dormi. Se proprio non riesci alzati e fai qualcosa...” Disse lui, senza cattiveria, solo che quella non era esattamente la risposta che lei voleva sentirsi dire, anzi forse non voleva sentirsi rispondere nulla. Chantal voleva solo essere abbracciata, rassicurata da quelle forti braccia, che un tempo erano un rifugio sicuro per il suo cuore e la sua anima.

“Ah, io sarei la bambina?” Saltò su lei, quasi gridando.

“E tu che, ogni volta che c’è un orage giri per casa come un animale in pena?” Gli Ricordò lei abbastanza stizzita e, ogni volta che perdeva il controllo, le uscivano parole sbagliate, oppure in francese. Chantal si odiava per questo, perché il marito non mancava mai di farglielo notare.

Temporale, si dice Temporale” La corresse lui “E poi è successo solo una volta e non era un temporale normale bensì una tromba d’aria”.

“Cosa fai? Torna a letto” tentò di richiamarla Luciano, ma lei già si stava alzando, troppo delusa dalle parole del marito, per stare ancora nel letto accanto a lui.

“Me lo hai detto tu, se non riesci a dormire, fai qualcosa. E io farò qualcosa...” Tutto quello che Chantal aveva desiderato pochi minuti prima si poteva semplicemente riassumere in un abbraccio, un gesto amorevole che esulasse dal contesto del desiderio e del sesso, ma tutto quello che aveva avuto da Luciano era una certa freddezza.

Probabilmente nelle parole del marito non c’era vera cattiveria, ma forse un certo disinteresse sì.

Ormai entrambi si erano abituati a far due vite molto differenti e questo si rifletteva anche tra le mura domestiche, sotto le lenzuola.

“Come vuoi. Buonanotte.” Fu la lapidaria risposta che giunse dalla camera da letto.

Chantal sospirò e, per qualche minuto, rimase nel soggiorno, che era quasi completamente al buio, se non per la luce del lampione che filtrava attraverso le vecchie persiane verdi e sbilenche.

Tra un sibilo di vento e l’altro contro le finestre, giù nelle strade, su per le scale, lei aspettò speranzosa che magari Luciano si alzasse per avvolgerla in un abbraccio e riportarla a letto. Quando lo sentì russare capì che non sarebbe venuto a scusarsi, né a stringerla a sé, quindi si chiuse la vestaglia in vita e, a piedi nudi raggiunse la scrivania nell’altro locale che separava, come fosse un’anticamera, il soggiorno dalla cucina e dal bagno.

Prese carta e penna dal cassetto scorrevole, accese la luce da tavolo e iniziò a disegnare.

Mise sulla carta tutto il nervosismo che quel vento le provocava, unito al dolore strisciante di non sentirsi più al centro dell’attenzione del suo uomo.

Quello che ne venne fuori fu una figura, quasi astratta, ma dai contorni scuri e marcati, che fronteggia, immobile, un’onda composta di vorticose e linee minacciose.

Così si sentiva lei e così le appariva quel momento della sua vita, come una zavorra che le impediva di lasciarsi trasportare dagli eventi, le onde, e nello stesso tempo non le permetteva di proteggersi, l’immobilità.

 

{570 parole}

{7 ottobre. Prompt: Vento

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Capitolo 8
*** Statua ***


Statua

 

Quel monumento dedicato a Garibaldi, circondato da un’aiula di finocchietto selvatico, lavanda e lambito dalla sabbia e dalla salsedine della spiaggia del Priamar, aveva il suo fascino.

Soprattutto nelle giornate ventose e nuvolose, solenne si ergeva al centro della passeggiata, rimessa a nuovo solo da alcuni anni, ma poco frequentata dai turisti, ma non da Chantal.

La ragazza spesso si fermava sotto le mura della Rocca, all’ombra degli eucalipti, a prendersi un caffè alla “perla nera”, il locale caratteristico che doveva il nome proprio al film i pirati dei Caraibi.

Quel pomeriggio oltre al caffè fumante, aveva sul tavolino anche una cartelletta, da cui fuoriuscivano alcuni fogli con foto e schizzi corredati da descrizioni concise.

“Non è affatto facile...” disse tra sé Chantal scuotendo lievemente la testa. Prese in mano per l’ennesima volta la fotografia di quella statua moderna, rilesse più volte il titolo dell’opera voluto dal l’autore: “tracce di un futuro passato”.

Lei non sapeva dirsi il perché, ma quella semplice frase, a prima vista, priva di senso, su di lei aveva avuto l’effetto di uno schiaffo, dolce, ma spietato, qualcosa che l’aveva toccata nel profondo.

L’opera, una figura intagliata nel legno, non più grande di un metro per cinquanta centimetri circa, ritraeva una donna nell’atto di protendersi verso l’orizzonte davanti a sé, ma con il volto rivolto all’indietro e i piedi come inchiodati nel piedistallo da cui pure aveva preso forma e vita. Non aveva un’espressione ben definita, ma Chantal poteva leggerci dolore, speranza, rimpianto, ma anche rassegnazione. Il tutto unito da una forza espressiva ed un calore che l’artista, una donna di nome Cecilia Morselli, era stata capace di imprimere nel legno con pochi semplici colpi di scalpello.

“Questa sicuramente sì, dovrà esserci. Anche se so già cosa mi dirà Caterina... 

una cosa del genere spaventerà i visitatori anziché invitarli ad entrare!”.

Eppure il titolo della mostra era proprio “bianco e nero. Anima del corpo, cuore della mente”, quell’opera sembrava perfetta, davanti agli occhi di tutti sarebbe stato chiaro il contrasto intimo che essa rappresentava tra ciò che si vorrebbe fare e ciò che la vita ci impone di essere.

Chantal osservò diverse volte lo schermo del cellulare che rimandava solo l’ora e nessuna notifica sul salva schermo. Suo marito Lucienne non le aveva scritto nulla, né aveva cercato di chiamarla, dopo la loro piccola discussione della notte precedente.

Tipico di lui, si disse lei. Luciano, Chantal lo sapeva, si sarebbe presentato quella sera a cena, con un fiore fra le mani, e per lui sarebbe stato tutto risolto. Senza parole, senza scuse, solo con una rosa.

Un tempo forse lei si sarebbe accontentata del pensiero dolce e profumato del marito e lo avrebbe perdonato, solo che arriva un momento in cui la delusione supera la voglia di fare pace, e così un fiore non basta più, anzi, resta solo una stupida scorciatoia per i sensi di colpa, rivestita di spine. 

Quando era successo che Chantal aveva smesso di apprezzare i suoi tentativi maldestri di riavvicinarsi? Quand’è che aveva smesso di sorridere ripensando ai futili motivi per cui avevano litigato? Quando aveva lasciato che il cuore le si indurisse così tanto, da farle sentire stretta la fede al suo dito?

Forse un momento non c’era, forse era semplicemente accaduto, esattamente come le foglie che cadono dagli alberi in autunno, è inevitabile, ad ogni stagione segue quella successiva. E gli alberi devono lasciar morire tutte le lei foglie per poi poter rifiorire nella primavera successiva. Così forse era capitato a loro due. Il loro rapporto si era sfilacciato fino a perdere ogni legame, ogni piccolo perché, Chantal però voleva disperatamente ritornare a vedere i fiori, voleva un’altra primavera per il suo matrimonio. Doveva tentare, le foglie non erano ancora cadute tutte, avevano solo perso i loro colori, seccando pieno piano.

Scrisse velocemente un messaggio sul cellulare e senza rileggere premette invio e, per un attimo sperò che bastasse, così come La Rosa.

Ciao, amore.

Cosa dici se oggi mangiamo insieme per pranzo? 

Solo io e te. Magari davanti ad un bel bicchiere di vino? 

Ho da farti vedere i pezzi per la nostra... 

Mi piacerebbe sapere cosa ne pensi...”

 

La risposta non si fece attendere, ma non era quella che Chantal si aspettava da Luciano o, almeno, non quella che sperava.

 

Mi dispiace oggi ho molto lavoro da fare. 

Sono sicuro che qualsiasi cosa sceglierai piacerà agli addetti ai lavori... 

Non credo sarò a casa per cena. Scusa.

 

va te faire foutre!(1)” imprecò tra sé Chantal, rivolgendosi al marito assente, poi gettò con stizza il telefono nella borsa.

Era evidente che Luciano la stava ignorando e forse con quelle scuse del lavoro gliela stava anche facendo pagare. Per cosa poi? Per essere diversa da lui? Non era proprio per questo che lui l’aveva sposata?

La ragazza raccolse i capelli in uno chignon disordinato, pagò il conto e si incamminò verso la Galleria d’Arte, era già in ritardo di dieci minuti e non aveva nessuna voglia di sorbirsi la ramanzina di Caterina sulla puntualità, non dopo quello scialbo messaggio di Lucienne.

 

 

Note al testo (1) imprecazione facilmente intuibile.

 

{844 words}

{8 ottobre. Prompt:statua}

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Capitolo 9
*** Lettere ***


Lettere

 

Renard, quel pomeriggio, aveva deciso di prenderselo per sé.

Si era messo comodo sulla sua vecchia ottomana in vellutino viola scuro, dall’aspetto più che vissuto, viste le condizioni dei braccioli, gentilmente decorati dalle unghie di Maurice. Quel divano era il suo posto preferito per i sonnellini e assolveva alla funzione di perfetto tiragraffi. Il padrone di casa, nonché del paffuto micione non ci dava peso. “È solo un divano...” diceva a chiunque facesse osservazione.

In realtà l’unica a cui dava realmente fastidio che fosse rovinato dal gatto, era sua madre, ma Renard aveva imparato ad ignorare le sue filippiche rispondendo sempre con un condiscendente “sì”, ripetuto molte volte, finché non fosse riuscito a sembrare convincente. Per fortuna lei non passava spesso a trovarlo, ma quel giorno era uno di quelli in cui la sua presenza si era fatta sentire più di altri.

Con la mente ripensò alle ore appena trascorse e sospirò. Sua madre sapeva essere tanto amorevole, quanto devastante.

“Non puoi continuare a vivere così!” Lo aveva ripreso la madre quella stessa mattina, mentre entrambi erano seduti al tavolo da pranzo.

“E cosa dovrei cambiare, sentiamo...” rispose stancamente Renard, sapendo esattamente dov’è quella donna minuta, alta neanche un metro e sessanta, ma con uno sguardo da rapace, stava andando a parare.

“Innanzitutto questo appartamento è sporco e sciatto, non va bene per te... poi c’è quel gatto... il suo pelo non fa bene alla tua asma...” continuò la madre osservando con disprezzo il felino, placidamente adagiato sul davanzale della finestra in cucina.

“Dovresti trovarti una donna... ti serve qualcuno qui, hai una certa età, non puoi continuare ad inseguire stupidi sogni ad occhi aperti...come hai fatto con -quella-” Emmelie non aveva mezzi termini, quando doveva dire una cosa, la diceva e basta e aveva sempre l’effetto di uno schiacciasassi sull’umore si suo figlio, il bello è che lei sapeva di ferire il figlio, ma fingeva di farlo in assoluta buonafede.

“Punto primo non ho bisogno di una badante, non sono mica inabile. Punto secondo: ho l’asma non l’allergia, quindi Maurice resta. Punto terzo: la vita che faccio, e con chi la faccio, è affare mio non tuo, mamma...” Rispose deciso Renard alzandosi dal tavolo con impeto.

“Oh va bene. Come vuoi. Io lo dicevo per te, sono pur sempre tua madre no? È normale che mi preoccupi” Glissò con assoluta maestria Emmelie, dando prova di un gran sangue freddo e parlando con un tono fintamente innocente, come se fosse lei ad essere stata assalita dal figlio e non il contrario.

“Certo mamma, lo so, ma io ho trentadue anni. Avrò pure il diritto di vivere e di sbagliare per conto mio?” Rispose Renard molto più calmo, mentre versava il caffè in due grandi tazze di ceramica blu, una per sua madre e una per sé.

“Come vuoi Renard, come vuoi...” La madre fece un cenno noncurante con la mano, puntando nuovamente i piccoli occhi azzurri sull’indifferente Maurice, che faceva ciondolare mollemente la coda avanti e indietro.

Renard tirò il fiato, se ne era andata già da due ore, eppure le ultime parole di sua madre riecheggiavano ancora nell’aria, come un giudizio velato, un monito.

Prese da una vecchia scatola rossa un plico di lettere legate con lo spago. Le buste e la carta erano tutte ingiallite, ma la calligrafia fine e morbida, no, era nera, lucida, chiara e inconfondibile.

Iniziavano tutte così:

Cher Renard...

 

E finivano con la sua firma, o meglio con le sue iniziali: 

 

C.B. Chantal. Bouclé.

 

Renard ne rilesse una, dei primi anni 2000, poi se la mise in grembo sospirando a mezza voce.

“Non avrei dovuto lasciarti andare...”

 

 

{607 parole}

{9 ottobre. Prompt: Lettere

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