Prestami il tuo volto. Placa le mie tenebre. Affila la mia anima.

di Tessie_chan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prestami il tuo volto. Placa le mie tenebre. Affila la mia anima.



Y.K.


Prologo




Nascondi ciò che sono e aiutami a trovare
la maschera più adatta alle mie intenzioni.
- Shakespeare, La dodicesima notte
 



15 settembre 2006, Giappone

- Non potete mandarmi via! Non voglio andare in quel posto! Non conosco nessuno lì! Sarò completamente sola se ci vado!
- Ma ti insegneranno ad usare le tue capacità! Potrai diventare un medico esperto, un buon Cavaliere…
- Non voglio diventare un Cavaliere! E posso diventare un medico anche senza il loro aiuto! Reiji può insegnarmi, e…
- Reiji non è umano come te, e non possiede facoltà come quelle dei Cavalieri. Non può aiutarti a governare la tua. Hai bisogno di stare con quelli della tua razza…
- E se non volessi, zia Beatrix?!
- Non hai altra scelta, perché da oggi non sei più la benvenuta in questa casa. Questo non è il tuo posto, e sei inutile se non diventi un Cavaliere, un’inutile umana indifesa destinata a soccombere. Te ne rendi conto, vero? Se ti rifiuti di obbedirmi, non durerai un giorno senza la protezione dei Sakamaki. Perciò devi fare come ti ho detto, devi recarti alla Corte del Drago e seguire le orme di tua madre. Non sei mai davvero stata un membro della nostra famiglia, e mai lo sarai. Fattene una ragione.

- Va tutto bene, signorina?
La bambina seduta nell’auto non rispose. Stringeva forte le mani in grembo torturando senza pietà la costosa ed elegante seta del suo vestito, che ormai rappresentava tutto ciò che possedeva, a parte il pugnale d'argento che portava appeso alla cintura, e teneva gli occhi bassi, mentre si sforzava orgogliosamente di non piangere fissandosi le mani e ascoltando il rumore della pioggia che batteva contro i vetri. Anche se era stata appena ripudiata e cacciata dalla propria casa, e al momento non c’era comunque nessuno al suo fianco che avrebbe potuto prenderla in giro perché era ancora una bambina ingenua e inesperta in un mondo di demoni antichi, lei si sentiva comunque obbligata a mostrarsi impassibile, come se gli occhi dei fratelli adottivi potessero davvero seguirla ovunque, perfino in quell'auto, mentre fuori era pieno giorno, e i vampiri Sakamaki si erano di certo già ritirati nelle loro bare da un pezzo, all'oscuro di ogni cosa.
O forse era perché, dopotutto, lei non era mai davvero sola. Non con quella presenza oscura e corrotta che si agitava costantemente nel suo petto all'altezza del cuore, sempre pronta a sfruttare ogni momento di debolezza per ridere di lei, o peggio, per attaccarla e minare le sue difese.
Da quel giorno in poi avrebbe trovato un fertile terreno per i suoi intrighi, dunque… se solo Beatrix avesse immaginato cosa stava rischiando di scatenare con le sue decisioni…
- Signorina?
La bambina alzò la testa con un sospiro, e puntò i suoi occhi viola sul famiglio seduto al volante accanto a lei. Occhi grandi e lucidi di lacrime, che mal si accompagnavano con il tono compassato e vagamente scontroso con cui rispose - Sto bene. Ora però non disturbarmi, per favore.
Il famiglio annuì una volta sola, e riportò senza commentare lo sguardo sulla strada. Non sembrava preoccupato, e nemmeno dispiaciuto… solo vuoto, come tutti gli altri famigli. La bambina represse un moto di stizza. Ma se non gli interessava davvero del suo stato, perché la infastidiva con le sue domande?
Non devo arrabbiarmi. Risentimento e odio non fanno altro che rendere quella donna più forte.
La bambina si abbandonò sullo schienale, posandosi istintivamente la mano sul petto, stringendo i denti per il dolore. Gli attacchi di Cordelia erano feroci e colpiscono dritti al cuore, era come se una mano gelida le stringesse con forza le viscere.
Per quanti anni sarebbe andata avanti ancora così? Per quanto tempo ancora sarebbe riuscita a evitare la rinascita di quella donna, specie ora che era sola al mondo? Se solo avesse potuto dire la verità ai Sakamaki, forse loro avrebbero potuto aiutarla…
O forse mi ucciderebbero all'istante e basta. Il problema è che non avrebbero neanche torto…
La bambina scosse la testa, per sgombrarla da quei cupi pensieri. Non era il momento di pensare a questo, doveva pensare ad un modo per sfuggire al famiglio che la stava portando all'aeroporto. Non voleva andare alla Corte, non poteva andare alla Corte. Doveva trovare un sistema, qualcosa da…
- Dannazione!
La bambina sobbalzò, riportata bruscamente alla realtà dal grido del famiglio. Si voltò per capire cosa stia succedendo, ma venne bruscamente sbalzata contro la portiera prima ancora di poter mettere a fuoco, come se l’avesse investita un treno d’aria. Tentò di urlare a propria volta, ma non aveva più fiato dei polmoni, come se qualcosa la schiacciasse impedendole di muoversi, mentre il famiglio tentava disperatamente di riprendere il volante sfuggito al suo controllo, e l’auto sbandava sempre di più.
Non ci riuscì; era come se una forza sconosciuta e devastante lo stesse manovrando al suo posto. La bambina si coprì terrorizzata le orecchie, mentre il famiglio continuava ad imprecare cercando inutilmente di frenare…
E poi lei lo vide: fu solo per un secondo, forse anche meno, ma non ebbe dubbi: un pipistrello, sul sedile posteriore dell’auto. I suoi occhi rossi la osservavano, fin troppo consapevoli, e lei, confusa, ricambiò ipnotizzata il suo sguardo, dimenticando per un istante ciò che stava accadendo…
E poi capì. Quel pipistrello non era lì per caso. Qualcuno stava cercando di ucciderla, e l’animale era lì perché quel qualcuno voleva godersi lo spettacolo.
Con il tempo che sembrava scorrere a rallentatore, la bambina chiuse gli occhi, rassegnata. Ora sapeva che era finita. Il famiglio non sarebbe riuscito a recuperare il controllo dell’auto, non sarebbe mai riuscito a fermare l’assalto del vampiro che li stava attaccando, e nessuno dei Sakamaki sarebbe venuto per salvarla. Sarebbe morta lì, da sola, per mano di uno sconosciuto…
E Cordelia sarebbe scomparsa insieme a lei. La macchina ora stava per schiantarsi contro un palo della luce, e una luce abbacinante illuminava il volto della bimba: stava sorridendo adesso, di un sorriso ironico e compiaciuto, mentre attendeva che fosse tutto finito.
Un impatto violentissimo. Poi, il buio assoluto.

Y.K.

Un’auto frenò bruscamente, evitando per un pelo di schiantarsi contro un’altra macchina ferma sulla strada. L’uomo alla guida e la ragazza al suo fianco sgranarono inorriditi gli occhi davanti all’orrendo spettacolo che gli si mostrava davanti, ed uscirono di corsa dall’auto per guardare più da vicino, ignorando la pioggia che continua incessantemente a cadere.
Il paraurti era completamente deformato da un lampione, che vi si era piantato dentro in profondità.  L’asfalto era coperto da lamiere e frammenti di vetro schizzati via dai finestrini esplosi, e un forte odore di benzina e bruciato impregnava l’aria, mentre la pioggia che vi cadeva intorno scorreva in strani rivoli rossastri, tinti di sangue scarlatto.
- Dio mio… - sussurrò atterrita la ragazza, stringendo tra le dita il crocifisso d’argento decorato da pietre rosse che portava al collo, mentre l’uomo che le stava accanto si faceva il segno della croce.
- È impossibile che chi fosse a bordo sia sopravvissuto… – dichiarò addolorato l’uomo – Dio abbia pietà delle loro anime.
La ragazza non gli rispose. Non riusciva a smettere di fissare l’auto distrutta. Il rumore della pioggia ora le sembrava assordante, se paragonato al tetro silenzio che circondava l’ammasso di lamiere…
E poi lo sentì. Fu quasi impercettibile, ma la ragazza era sicura che non fosse uno scherzo della sua mente.
- Papà! Ho sentito un lamento! Qualcuno lì dentro è ancora vivo!
Senza aspettare una risposta la ragazza corse verso l’auto, ignorando le urla del padre che la mettevano in guardia dal pericolo. La ragazza riuscì ad individuare la maniglia della portiera nell’amorfo cumulo di ferraglia e iniziò a tirare, stringendo i denti per lo sforzo. Il padre, rassegnato, si avvicinò per aiutarla, e insieme riuscirono a spostarla quanto bastava perché la ragazza riuscisse ad infilarvi dentro la testa per vedere.
Dentro l’auto c'erano due persone. Uno era un uomo dall’età indefinita e inequivocabilmente morto, con il collo spezzato e il petto attraversato da un grosso pezzo di guardrail. L’altra invece era una bambina di circa dieci anni, completamente ricoperta dal sangue che continuava ad uscire da una profonda ferita alla testa. Non pareva avere altre ferite evidenti, ma quella lesione era evidentemente così grave che la piccola non poteva essere sopravvissuta, senza contare tutto il sangue che aveva già perso…
Eppure, grazie a chissà quale miracolo, le dita della mano destra si muovevano ancora. La ragazza lanciò un gridolino di sollievo ed iniziò a contorcersi per riuscire ad infilare nell’apertura anche le braccia, mentre il padre faceva forza con le mani per tentare di allargare lo spiraglio.
- Stai tranquilla, piccola… - disse la ragazza quando finalmente riuscì a venire fuori dall’auto con la bambina in braccio, mentre il padre faceva pressione sulla ferita per fermare l’emorragia – Vedrai che andrà tutto bene. Papà, dobbiamo portarla in ospedale!
La bambina non si svegliò malgrado quel trambusto, ma il suo petto continuava ad alzarsi e ad abbassarsi normalmente, quasi stesse semplicemente dormendo. Padre e figlia si scambiarono un’occhiata confusa, mentre correvano verso la loro macchina e sistemavano la bambina sul sedile posteriore. Com’era possibile una cosa del genere?
Non si accorsero dell’impercettibile rivolo di fumo che aveva cominciato a salire dalla ferita, e nemmeno del fatto che la sua pelle era bollente, come se la piccola avesse ingoiato fuoco. In pochi istanti l’auto partì e si allontanò, e tutto ritornò buio e silenzioso.
La pupilla dei Sakamaki scomparì ufficialmente nel nulla quella notte. E un’altra persona, con un volto e un nome diverso, era destinata a prendere il suo posto.

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


 Prestami il tuo volto. Placa le mie tenebre. Affila la mia anima.



Y.K.


Capitolo 1


 
Una persona non può liberarsi dal passato
più facilmente di quanto possa farlo dal suo corpo.
 - André Maurois
 



Dieci anni dopo, Monti Carpazi, Transilvania

 
Il nostro mondo è da sempre abitato da numerose e diverse creature. Ciascuna specie ha una propria specifica origine, ma ciò che è fondamentale sapere è che questo mondo è diviso in due diverse dimensioni: la Dimensione Demoniaca e la Dimensione degli Uomini. La leggenda vuole che Lucifero, dopo che fu scagliato giù dal Paradiso ed ebbe creato con il proprio corpo una spaccatura nella Terra che divenne la sua casa e il suo regno, volle avere come Dio un proprio popolo creato a sua immagine e somiglianza. Ma Lucifero non era come Dio, e dunque non aveva il potere di creare, ma solo di corrompere e distruggere, così emerse dall’Inferno insieme a coloro che avevano scelto di cadere con lui, e cominciò a vagare per la Terra per reclutare i propri sottoposti tra coloro che Dio aveva creato.
Gli umani possedevano il libero arbitrio: potevano dunque scegliere liberamente il loro modo di agire e pensare, e a chi offrire la propria lealtà. Lucifero perciò avvicinò quelli che tra loro erano i più ambiziosi, insoddisfatti, scettici e superbi, e in cambio della loro fedeltà offrì loro tutto ciò che Dio aveva loro negato: forza, potere, piaceri, vita eterna. Alcuni resistettero, altri invece cedettero, e mutarono sotto l’influsso di Lucifero: nacquero così i Fondatori, chiamati così perché Lucifero auspicava che creassero un nuovo ordine nel mondo, e perché a loro volta questi generarono le altre sottorazze demoniache: vampiri, vibora, licantropi e adler. I clan demoniaci dovettero però pagare a caro prezzo la loro scelta: ripudiarono ogni regola di giustizia e onore, cancellarono la pietà dai loro cuori, e dimenticarono il vero significato dell’amore. Tutto ciò che conoscevano ormai era il potere, e il possederlo li rese arroganti, crudeli, incapaci di riconoscere la virtù, e di ricordare da chi avessero ricevuto la vita. Dio vide ciò che erano diventati, e disgustato dal loro tradimento li bandì, costringendoli a vivere in un’altra dimensione, dove non avrebbero potuto danneggiare quelli che avevano respinto le tenebre. Ma tutti sapevano, da entrambe le parti, che la contesa non era finita lì, e che ben presto ci sarebbe stata la resa dei conti.
Dopo secoli di relativa quiete, si giunse infine ai tempi delle crociate. Sebbene i Fondatori e le stirpi demoniache avessero lasciato il mondo degli umani da secoli, il seme della discordia e della brama di potere era stato ormai sparso tra gli uomini, i quali cominciarono ben presto a combattersi l’un l’altro celando i propri oscuri desideri dietro falsi ideali di fede e giustizia, combattendo in nome di un Dio che aveva sempre ripudiato la violenza, predicando invece un mondo di amore e uguaglianza.
L’arroganza degli uomini non restò impunita, che ben presto rimpiansero la loro superbia e la loro sete di potere. Vedendo infatti ciò che stava accadendo sulla Terra, e credendo che finalmente il suo momento di gloria fosse arrivato, Lucifero indebolì le barriere tra la Dimensione demoniaca e quella degli Uomini, consentendo così ai suoi protetti di varcarle e di mescolarsi di nuovo tra gli umani. Fondatori, vampiri, licantropi, vibora e adler iniziarono a portare ovunque morte e distruzione, forti della propria superiorità nei confronti degli uomini, ma ben presto la situazione precipitò anche fra le loro schiere: animati dal desiderio di conquistare il mondo e di tenerlo solo per sé, i clan demoniaci iniziarono a scagliarsi gli uni contro gli altri, in un gioco di potere in cui ben presto anche gli umani, contro la loro volontà, furono coinvolti. Gli umani rivolsero così le loro preghiere a Dio, scongiurandolo di salvarli da quell’invasione oscura che stava sterminando interi popoli e villaggi con una guerra che non li riguardava. Dio però, adirato con i propri figli per l’abuso che avevano fatto del Suo nome nelle crociate, ignorò le loro suppliche.
Negli ultimi secoli nel frattempo aveva iniziato a diffondersi tra gli uomini un bizzarro fenomeno. A volte capitava che venisse al mondo un essere umano apparentemente uguale in tutto e per tutto a suoi simili, ma che in realtà nascondeva dentro di sé una dote particolare. Gli uomini erano stati creati dal potere di Dio, e una volta su un milione capitava che la scintilla di potere divino che li rendeva vivi fosse un po’ più intensa in una persona, e questa forza in più donava a quella persona una facoltà particolare, una sola tra le infinite che Dio possedeva. Gli altri uomini li chiamavano Nati Speciali però, malgrado il titolo lusinghiero che avevano loro concesso, li odiavano ed erano invidiosi di loro, e decisero di dare loro la caccia, accusandoli di essere servi del demonio. I Nati Speciali tuttavia si dimostrarono pragmatici, e compresero che tentare di opporre le proprie ragioni a quelle dell’ignoranza e della gelosia sarebbe stato inutile, così scelsero invece di nascondere i propri poteri, che chiamavano Arti Nobili, e di vivere pacificamente con i loro simili, nella speranza che con il tempo avrebbero avuto l’opportunità di vivere liberamente, senza essere perseguitati. Vissero in incognito per secoli, ma quando le barriere tra le due Dimensioni furono indebolite furono obbligati ad uscire allo scoperto. Le razze demoniache infatti intuirono il loro segreto e iniziarono a dar loro la caccia, per poterli asservire e sfruttarli per i loro scopi.
Il mondo ormai era al collasso, e se le cose avessero continuato ad andare in quel modo, per presto le stirpi demoniache si sarebbero sterminate tra di loro, trascinando nella loro caduta anche gli esseri umani. A quel punto i Nati Speciali, angosciati non solo per il proprio futuro ma per quello di tutti quanti, si decisero a intervenire: nel 1385, grazie ad un incantesimo rubato al Re dei Licantropi dell’epoca, tutti i Nati Speciali si riunirono in un castello della Transilvania da ogni angolo del mondo, e tutti insieme in quel luogo fondarono l’Ordine dei Cavalieri del Drago, una congregazione di uomini e donne che giurarono di usare le proprie Arti Nobili per liberare i propri compagni ancora prigionieri, e di riportare l’equilibrio nella Dimensione degli Uomini.
La loro contesa fu lunga e travagliata, e in un primo momento le razze demoniache si trovarono in difficoltà davanti ai poteri dei Cavalieri. I clan demoniaci avevano infatti sempre considerato gli umani una specie debole e incapace, ma i Nati Speciali, che erano intelligenti, astuti, e possedevano conoscenze vastissime, raccolte in secoli di ricerche segrete, si rivelarono dei validi avversari. I prigionieri vennero liberati, ma la guerra non finì come i Cavalieri avevano sperato, e ben presto l’Ordine si trovò in difficoltà. Malgrado i talenti che possedevano, i Cavalieri infatti restavano comunque umani in tutto e per tutto, con le debolezze e le fragilità che ciò comportava. Molti si ammalarono, debilitati dalle privazioni della guerra, moltissimi caddero in battaglia, altri rimasero invalidi per sempre, e nel frattempo le forze demoniache incalzavano, nettamente superiori sia per forza che per numero.
Sembrava essere la fine, ma fu proprio in quel momento che Dio, riconoscendo la disparità tra le due fazioni, decise di intervenire, e offrì ai Cavalieri la Sua protezione: disse loro che, poiché si erano dimostrati coraggiosi e degni di rispetto, avrebbe creato un luogo solo per loro dove i clan demoniaci non avrebbero potuto raggiungerli, salvandoli così da morte certa. I Cavalieri però, a sorpresa, rifiutarono sdegnati l’offerta, che avrebbe potuto sì salvare loro, ma avrebbe lasciato gli altri umani indifesi e alla mercé delle razze demoniache; risposero perciò che avevano giurato solennemente di riportare l’equilibrio nella loro dimensione, e che non sarebbe mai venuti meno alla parola data, nemmeno per salvarsi la vita.
Fu in quel momento che avvenne: le loro anime, rese salde dalla loro incrollabile determinazione, si concretizzarono e si trasformarono, materializzandosi sotto forma di armi nelle mani dei Cavalieri: armi diverse fra loro, quasi vive nelle mani di chi le aveva create, e che riflettevano ciascuna la personalità e la natura del Cavaliere che le brandiva.
Quella fu la svolta: armati e animati da una nuova forza, che nasceva dalla pura risolutezza, i Cavalieri si risollevarono e si scagliarono alla riscossa contro il nemico. I clan demoniaci accolsero con scherno quel nuovo attacco, convinti di avere già la vittoria in pugno, ma dovettero ricredersi: non solo i Cavalieri erano più forti di quanto non fossero mai stati, ma le nuove armi erano leggerissime e indistruttibili nelle loro mani, e i Cavalieri le brandivano con una maestria sorprendente, come se queste non fossero che un muscolo come gli altri che obbediva alla loro volontà. Lo scontro fu lungo e sanguinoso, ed entrambi gli schieramenti lasciarono molti morti sul campo di battaglia, ma nonostante ciò non ci fu alcun vincitore. I due eserciti rimasero perfettamente pari, e non sembrava esserci via d’uscita.
Fu allora che uno dei membri dell’ordine, Stefan Obilic, comprese che quella guerra ormai era inutile, e che se fosse continuata avrebbe condotto tutti alla rovina: era infatti evidente che, malgrado l’attuale parità di forze, i Cavalieri non avrebbero mai potuto vincere quella guerra, perché stanchezza, ferite e privazioni avevano ricominciato ad imporre il loro tributo; inoltre, Stefan possedeva un’Arte Nobile particolare, che gli permetteva di scrutare l’anima delle persone, e ciò che vedeva nei condottieri di entrambi gli eserciti era molto chiaro: il male era presente nel mondo già da molto prima dell’arrivo dei clan demoniaci, anche se non occorreva un’Arte Nobile per capirlo… così come era vero che, seppur seppellita in profondità nelle loro anime, i clan demoniaci possedevano ancora parte della loro antica umanità.
Probabilmente era utopico sperare di riportare alla luce quella parte di loro un giorno, ma era l’unica speranza a cui l’umanità potesse aggrapparsi. I Cavalieri si dimostrarono così ancora una volta pragmatici e, dopo aver invitato i maggiori esponenti dei clan demoniaci nella loro roccaforte in Transilvania, proposero dunque di concludere la guerra, stipulando con loro un accordo: se lo desideravano, i clan sarebbero potuti restare nella Dimensione degli Uomini, a patto però che le ostilità, sia interne che esterne, terminassero, e accettassero di coesistere in pace con gli uomini. Le razze demoniache, ormai anche loro stanche della guerra, accettarono, e finalmente venne inaugurato un periodo di pace, che dura ancora tutt’oggi… ed è nostro compito garantire che continui.
Noi siamo Cavalieri dell’Ordine del Drago. Umani nati con capacità speciali che scelgono di mettere i propri doni e le proprie vite al servizio di una causa più alta. Risolvere i conflitti tra le razze è compito nostro, da sempre. Non prendiamo mai le parti di nessuno, vigiliamo solo sulla pace, per il bene di tutti, umani o razze demoniache che siano. Sin dal giorno in cui abbiamo giurato, mantenere l’equilibrio nel Mondo dei Demoni, che sia con la diplomazia o con la forza, è il compito nostro, la nostra sacra missione…

- Milady, c’è una lettera per voi.
Una giovane donna sui vent'anni alzò lentamente lo sguardo dal libro, un po’ intontita per essere stata riportata così bruscamente alla realtà, e fissò senza dire niente la giovane cameriera che la stava guardando in attesa, porgendole un vassoio d’argento su cui è poggiata una busta bianca. La donna non parlò e non prese la lettera, si limitò a guardarla in silenzio con una strana espressione, come se si aspettasse di vederla sparire da un momento all'altro. O meglio, ci sperasse.
- Ehm… milady? – chiamò confusa la cameriera, abbassando lo sguardo su di sé. Possibile che quella Cavaliere la stesse fissando in quel modo perché aveva qualcosa fuori posto? La cameriera si controllò la divisa, e si specchiò con discrezione nel fondo del vassoio. Non le sembrò di avere niente di strano… ma no, la donna non stava guardando lei, bensì il sigillo di ceralacca impresso sulla lettera.
- Chi l’ha consegnata? – chiese improvvisamente la donna indicando la busta, facendo sobbalzare la cameriera. Dopo qualche istante questa riuscì a rispondere – Non lo so, signora… era in mezzo a tutte le altre lettere arrivate oggi al castello, non ho visto chi l’ha portata…
La Cavaliere serrò le labbra in un’espressione irata, e la cameriera cominciò a sudare freddo. Forse la giovane signora voleva prendersela con lei...?
Invece la donna si limitò a prendere alterata la busta dal vassoio e andarsene senza dire una parola, lasciando la cameriera allibita sul posto.
La Cavaliere attraversò il giardino a testa bassa, fendendo senza alcun riguardo i diversi gruppi di persone riunite per allenarsi nella spada e nelle arti marziali, ignorando saluti, richiami, rimproveri. Tutto ciò a cui riusciva a pensare era aprire la lettera, ma le sue mani tremavano così tanto che faceva fatica persino a tenerla in mano. Alla fine il sigillo si spezzò, e quando arrivò sulla soglia del portone del castello la donna era anche riuscita a spiegarla:

Mia cara figlia,
non riesco ancora a credere di star scrivendo questa lettera. Credevo di aver pagato a caro prezzo la mia inettitudine e la mia ingenuità piangendo la tua scomparsa dieci anni fa, e invece ora sono qui, che ti scrivo, più felice che mai nel saperti non solo ancora viva, ma adulta, forte e di successo, come avevo sempre sognato che tu diventassi. Non sai cosa darei per poterti vedere ancora, per poterti parlare, e se il destino lo vorrà questo accadrà, ma non in circostanze piacevoli, purtroppo.
La verità è che ho bisogno del tuo aiuto. Non voglio scrivere su questo foglio cosa sta succedendo in casa, temo che qualcuno potrebbe scoprirmi. So di non avere alcun diritto di chiederlo, e sono consapevole di metterti in difficoltà, ma ti prego, vieni a casa ad incontrarmi. Qui sono sola, i miei figli e i miei figliastri non si fidano di me, o semplicemente di me non gli importa; tu sei l’unica a cui io possa rivolgermi, davvero.
Se vorrai restare lontano dagli intrighi di questa famiglia, lo capirò. Ma se hai anche solo la metà del buon cuore dei tuoi genitori, allora sono fiduciosa nel fatto che presto ti rivedrò.
Sinceramente tua
Beatrix

La Cavaliere sbuffò lasciando cadere il braccio, rassegnata.
Certo, come se avesse potuto scegliere.

Y.K.

Beatrix posò la tazza di tè sul tavolino senza fare alcun rumore, riportandosi poi le mani in grembo con aria pensierosa. Era sola, lei era sempre da sola, nessuno le faceva mai compagnia.
Lei lo sapeva che quella dei figli e dei figliastri non era cattiveria. Era consapevole del fatto che lei stessa era stata la causa della loro diffidenza nei suoi confronti. Aveva commesso molti errori in passato, soprattutto con i due figli naturali, ma non ne avrebbe fatti altri.  
Cielo, il silenzio che c’era in quella casa è assordante. Beatrix andò verso la finestra e la aprì con decisione, lasciando che il vento fresco di fine autunno entrasse nella stanza. I ragazzi erano a scuola a quell'ora della sera, ma in realtà nemmeno quando erano a casa le cose sono molto diverse…
- Spero che tu abbia davvero un buon motivo per avermi fatto venire fino a qui, Beatrix. – esordì una voce femminile - Sono molto impegnata in questo periodo, e non posso assolutamente permettermi di perdere tempo.
Beatrix sobbalzò e si voltò di scatto, incredula. Seduta sulla poltrona, la stessa dove fino a qualche istante prima stava lei, ora c’era seduta una figura incappucciata, avvolta da un ampio mantello scuro, con il volto completamente nascosto nella penombra.
- Chi sei? – sibilò Beatrix, facendo uscire le zanne – Come hai fatto ad entrare?
La donna poggiò il viso su una mano – Dalla porta d’ingresso, mi sembra ovvio.
Era passata dalla porta d’ingresso? Assurdo. Come si poteva essere tanto sfacciati?
- Intendevo come hai fatto ad entrare senza che me ne accorgessi!
- La cosa ti sorprende? Se ricordi bene, lo so fare da quando avevo otto anni. È stato Subaru ad insegnarmelo, l’hai dimenticato?
Beatrix spalancò gli occhi e fece un passo avanti, mentre le zanne si ritiravano automaticamente. Possibile che fosse…?
- Sei… sei tu?
La donna annuì – Sì, sono io.
- Oh… - mormorò Beatrix, tendendo inconsapevolmente le mani verso l’altra – Non posso crederci… vieni, fatti vedere…
- Preferirei di no. – la bloccò con freddezza la donna, sollevando una mano per tenerla lontano – E preferirei anche che tu mantenessi le distanze, se non ti dispiace.
Beatrix lasciò cadere le braccia, dispiaciuta – Vedo che sei ancora arrabbiata con me…
- Non sono arrabbiata, è solo che non mi va di stare qui, quindi prima mi dici perché mi hai fatta venire, prima potrò andarmene. – replicò l’altra – Allora?
Beatrix sospirò, scuotendo la testa – Ascolta, Yu-
- Non chiamarmi in quel modo! – la interruppe la donna quasi urlando – Per favore, non farlo.
Beatrix la guardò confusa – E come dovrei chiamarti? È quello il tuo nome, no?
- No, non più. – replica la donna abbassando il tono – Adesso tutti mi chiamano Yui. Vorrei che lo facessi anche tu.
- Yui? – ripeté perplessa Beatrix – Non capisco…
- Per favore. – insistette la ragazza, e per un secondo Beatrix riuscì ad intravedere i suoi occhi sotto il cappuccio. Occhi viola, identici a quando era bambina, solo più grandi, e più tristi di quanto non fossero dieci anni prima.
- Va bene. Come vuoi tu, Yui. – disse Beatrix conciliante, come se stesse cercando di calmare un animale spaventato. Yui annuì e si ricompose, schiarendosi la voce – Allora, stavamo dicendo che ti serve il mio aiuto…
- Infatti.
- E il problema è…?
- Si tratta di Richter. È tornato alla villa.
La reazione di Yui fu evidente. Si mise a sedere dritta, sporgendosi verso Beatrix e guardandola finalmente bene in faccia – Cosa? Perché? Credevo che dopo la morte di Christa e dei miei genitori, Karl Heinz lo avesse fatto andare via!
- Non lo so. So solo che è tornato, e non una sola volta. Ormai si fa vedere qui almeno una volta a settimana, e vaga per la villa come se stesse cercando o aspettando qualcosa, e poi…
- E poi cosa?
Beatrix si torturò le mani. Sembra quasi un’altra persona dall'ultima volta che Yui l’aveva vista… l’angoscia era evidente nei suoi occhi, e il suo di solito impeccabile autocontrollo si stava incrinando, come una diga sottoposta a pressione eccessiva.
- Non lo so. Forse è solo una mia impressione, ma da qualche giorno percepisco in casa una strana presenza. Ho cercato ovunque, l’ho detto anche ai ragazzi, ma non abbiamo trovato nessun intruso. Però io continuo ad avvertirla, e a volte mi è anche sembrato di sentire la voce di qualcuno che piangeva.
- Una presenza, eh? – chiese Yui, umettandosi le labbra. – Per caso quando la sentivi piangere si alzava un’improvvisa raffica di vento?
Beatrix inarcò le sopracciglia – Be’, sì… ma tu come lo sai?
Yui ignorò la domanda - Be’, se davvero non avete trovato nessuno, allora forse potrebbe trattarsi di un fantasma…
- Un fantasma? E da dove dovrebbe arrivare? E che potrebbe volere da noi?
Yui non le rispose, ormai la sua mente era già al lavoro. La domanda di Beatrix non era illegittima, ma lei aveva fin troppo esperienza con i fantasmi per ignorare quei chiari indizi, anche se probabilmente non c’era da preoccuparsi di quello di cui parlava Beatrix. Tuttavia, se davvero Richter era tornato…
Ma no, che andava a pensare? I problemi dei Sakamaki non erano più affari suoi, e se qualcuno dell’Ordine avesse scoperto del legame che una volta lei aveva con loro, si sarebbe trovata in un mare di guai...
- Senti Beatrix, capisco la tua preoccupazione, ma come Cavaliere non posso intromettermi in conflitti familiari privati…
- Anche tu fai parte della famiglia. – dichiarò convinta Beatrix.
- Davvero? L’ultima volta non la pensavi così.
Beatrix incassò e abbassò lo sguardo, non riuscendo a replicare. Yui si alzò dalla poltrona, convinta che la discussione fosse finita… ma proprio quando era sul punto di avviarsi verso la porta, la voce di Beatrix la raggiunse – Senti, prometto che se mi aiuti a capire cosa sta succedendo in questa casa e cosa sta macchinando Richter, non dovrai più neanche pensare a noi mai più. Ti lascerò in pace e non ti chiederò più nulla, lo giuro.
Oh, andiamo, così però non vale! Pensò scocciata Yui, alzando gli occhi al cielo. Se glielo chiedeva così, come avrebbe potuto a dirle di no? E poi Richter era davvero pericoloso, e se stava combinando qualcosa di losco, allora era decisamente di interesse comune fermarlo, anche se questo avrebbe significato andare contro le regole. Dopo tutta la sofferenza che aveva già causato…
- Va bene.
Beatrix alzò lo sguardo di scatto – Va bene?
- Sì, ma sappi che sarà la prima e ultima volta. E non deve saperlo nessuno, sono stata chiara? Soprattutto i ragazzi! Non oso immaginare come la prenderebbero…
- Già, nemmeno io… - mormorò Beatrix, per poi alzare il tono – Come pensi di muoverti, allora?
- Tu di questo non devi preoccuparti. Mi farò viva io. Tu nel frattempo fai finta di niente…
- Te ne stai andando? – chiese Beatrix, vedendola andare verso la finestra. – Non passi dalla porta?
- I ragazzi staranno per tornare, e non voglio rischiare di farmi vedere. Devo sbrigarmi, alla Corte ho detto che andavo a far visita ad un amico e che sarei tornata domani, ma se non mi muovo perderò l’aereo. E poi, ho un matrimonio da organizzare.
- Davvero? E chi si sposa?
- Io. – rispose Yui senza voltarsi, saltando dalla finestra senza aggiungere altro. Scioccata, Beatrix raggiunse la balaustra e si affacciò, ma la ragazza era già scomparsa nella notte.

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