Il fiore che sboccia nel male

di Kiji
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Noi ***
Capitolo 2: *** L'inizio dell'incubo ***
Capitolo 3: *** Provarci ***
Capitolo 4: *** Mani legate ***
Capitolo 5: *** Una piccola verità ***
Capitolo 6: *** 5.5 SPECIAL- Ricordi ***
Capitolo 7: *** Chi sei? ***
Capitolo 8: *** Tu ***
Capitolo 9: *** Sam ***
Capitolo 10: *** Salvataggio?! Addio ***
Capitolo 11: *** Grazie ***
Capitolo 12: *** 10.5 Speciale. Io sono Sam ***
Capitolo 13: *** Lettera ***
Capitolo 14: *** Papà ***
Capitolo 15: *** Primo appuntamento ***
Capitolo 16: *** Lisa ***
Capitolo 17: *** Ritorno a casa ***
Capitolo 18: *** 15.5 Speciale - Piccoli amici crescono ***
Capitolo 19: *** Le ferite diventano cicatrici ***
Capitolo 20: *** Non doveva andare così ***
Capitolo 21: *** Una giornata con te ***
Capitolo 22: *** Il funerale ***
Capitolo 23: *** Smidollato ***
Capitolo 24: *** 20.5 Tra le pagine di un libro, una lettera di scuse ***



Capitolo 1
*** Noi ***


Il fiore che sboccia nel male
1 - Noi

 
Come si fa a decidere chi si deve amare?!
Questo pensiero mi è sempre frullato per la testa riuscendo difficile dargli una benchè minima risposta. Se solo le cose fossero state più facili, se solo lui non fosse il mio migliore amico, forse adesso sarebbe più semplice dimenticare.
Cosa posso dirti per farmi perdonare?!
E' troppo tardi vero? Eppure io sono ancora qui e ci sto provando...
Lo farò sempre fino a quando tu non risponderai!
 
Chi sono io?! Domanda legittima. Il mio nome è Colin Drago e no, non è uno scherzo. Non odio il mio nome, anche se ammetto che sia stato difficile ambientarmi nell'ambiente scolastico. Quando poi il tuo nome viene sminuito totalmente con un soprannome infantile è anche peggio. Credetemi quei nomignoli assurdi che si danno da bambini sono davvero la cosa più odiosa del mondo. Ti si appiccicano addosso e ti strappano via ogni identità fino a lasciarti agonizzante e vuoto.
 “ Il tuo nome è troppo difficile, ti chiamerò Coco" Un ricordo inopportuno mi sfiorò la mente. Si! Sebbene il mio nome fosse Colin, ormai tutti i miei amici e conoscenti, mi chiamavano Coco.
“Coco, andiamo a giocare!” La stessa voce mi ricondusse nello stesso luogo della mente, dove ancora ero all'oscuro di quel sentimento che già stava nascendo e che per tanto tempo fu la mia sola valvola di sfogo.
“A domani Coco, mi sono divertito a giocare con te!” Un paio di occhi azzurri mi fissava intensamente, la sua pelle candida sembrava latte al tramonto del sole. Il corpo
mingherlino, la voce troppo acuta ed i capelli spettinati, indelebile nella mia mente. Il mio migliore amico: Al!
Scusa Al... se il tuo cuore ci riesce, ti prego.... perdonami.
 
-Svegliati Coco. Non credere che anche se la scuola è finita, puoi stare ad oziare tutto il giorno. Comincia a cercare lavoro.- La voce di mia madre era stridula. Da bravo figlio le voglio un bene dell'anima, ma è troppo acida di prima mattina. Oddio è vero!
E' mattina! La scuola è finita da appena 3 giorni e già ho perso la cognizione del tempo. Ho pregato tanto che giungesse questo momento.
Che finissimo presto la scuola superiore sperando che, allontanandomi dalla sua presenza costante, smettessi anche di pensarlo, ma non avevo calcolato un piccolo particolare: siamo vicini di casa! Dalla mia finestra, per una strana e sfortunata coincidenza, posso persino vedere la sua camera e questo mi manda ai matti.
Si, avete capito bene. Sono innamorato del mio migliore amico!
Sono un ragazzo di 19 anni, con un nome che sembra una barzelletta e ho tendenze omosessuali, peggio di così non mi poteva andare. Eppure sapete una cosa?!
Credo che vada bene anche così.
Mia madre se n'era appena andata quando mi alzai stiracchiando le braccia ed assaporai la leggera aria del mattino. Amo l'estate!
Mi piace sudare e sentire caldo, anche se non mi piace per nulla andare al mare. Faccio per alzarmi quando mi accorgo del leggero dolore alle ossa che mi brucia lievemente, piccolo risultato delle notti piene di incubi. A fatica avanzo per la stanza.
Il letto ad una piazza e mezza è proprio al centro, circondato da tutte le cose che mi rendono felice. Il mio computer, appoggiato alla scrivania sul lato destro, le foto appese alle pareti dei miei eventi migliori: natale, compleanni, gite scolastiche da dimenticare, giornate relax con gli amici di sempre e tanto altro ancora.
Sul lato sinistro c'era la libreria costruita da mio padre, con una mensola mancante e piena zeppa di libri comprati al mercato dell'usato. Amavo tutto ciò che si poteva leggere!
Se la carta igenica fosse scritta, leggerei anche quella!
Accanto ad esso vi era il mio amico pagliaccio di ceramica un pò distrutto ma ancora sorridente. Lo avevo dalle scuole medie, un piccolo regalo macabro di Al.
" So che non ti piacciono i clown, ma forse così potrai superare la tua paura." Aveva detto lui quella volta. Non era servito a nulla! Più lo guardavo più i brividi mi salivano su per la schiena. Ero sicuro che prima o poi, mi sarei svegliato insanguinato, eppure non avevo il coraggio di gettarlo.
Dopotutto era un suo regalo!
Presi la prima maglia che trovai dall'armadio che si trovava proprio di fronte al letto e mi accorsi che faceva davvero troppa puzza. Da quanto tempo non la lavavo?!
Due settimane?! Un mese?! Oddio non mi ricordavo per nulla. La appallottolai e la rimisi dentro sperando che prima o poi si lavasse sola ( o forse che la mamma la trovasse un giorno o l'altro) e ne presi un'altra. Una delle poche che non emanava alcun odore e la infilai in un solo colpo. Misi il solito paio di jeans scolorito e mi pettinai senza cura i capelli troppo lisci. Una fugace occhiata allo specchio e via.
Non mi importa molto del mio aspetto. Cosa indosso o come faccio la riga, non importa a nessuno (o quasi.)
-Almeno tu, però, chiamami Colin. Sei tu stessa ad avermi dato questo nome. - A voce bassa, quasi strascicata per la fatica, mi inoltrai nella cucina stretta ed illuminata. Un intenso profumo di caffè si fece largo nelle mie narici, portandomi quasi al disgusto più totale. - Oddio Ma! Hai messo sù un quintale di caffè solo per torturarmi vero?!-
- Smettila di fare lo stupito! Sai bene che la mia vita non gira unicamente intorno a te, vero? Inoltre ti ho detto un centinaio di volte che mi pento di averti messo quel nome. Dovevo scegliere in anticipo Coco, ti sta perfetto.- Il suo sorriso mi fa imbestialire ancora di più.
"Calmati! Non vale la pena arrabbiarsi! Ricordati che è lei che prepara la cena!" Continuo a ripetere quelle parole come un mantra, ma è tutto inutile. La rabbia cresce a dismisura dentro di me.
-Perché non posso avere una madre normale?! Ti giuro che non appena trovo lavoro me ne vado da questa dannata casa! - Avevo esagerato, ma non me ne accorsi subito. Il viso triste di mia madre non mi rivolse più lo sguardo fino a quando non aggiunse. - Ti auguro di poter realizzare presto i tuoi desideri.-
Mio padre ci aveva abbandonato 3 anni prima.
Da un giorno all'altro aveva deciso che non eravamo abbastanza. Non gli bastava la donna che aveva partorito il suo unico figlio, la tranquillità familiare, le gioie di vivere insieme. Da quel giorno tiriamo avanti.
Mia madre sorride adesso, è più felice di quanto dovrebbe, ma io lo so. Sento i suoi pianti la notte, percepisco quanto sta soffrendo e mi dispiace.
-Sto uscendo.- Dico con voce bassa e rammaricata. Dove voglio andare ancora non lo so, mi basta solo cambiare aria. Spalanco la porta e la richiudo alle mie spalle senza neanche voltarmi indietro. Mi sento troppo in colpa per poter continuare a guardarla e così mi allontano ricordandomi di non aver fatto colazione. "Cazzo ho pure dimenticato il portafogli!" Mi dico nella mente, ma non torno indietro. Tiro dritto evitando di guardare la piccola casa azzurra di fronte la mia, sebbene sia quasi inevitabile. Mille ricordi mi attraversano la mente, respingendoli con tutto il mio cuore, accelero il passo."Non devi pensarci. Non devi pensarci coglione!" Quando volto l'angolo mi sento molto più sollevato e sorrido leggermente mentre mi godo una delle vie secondarie della mia cittadina di periferia. Le case sembrano tutte uguali qui. Alcune sono colorate e danno una leggera impressione di felicità, altre (la maggior parte) sono di un puro, sporco e decrepito, bianco calcificato. In alcuni muri ci sono delle scritte, quasi tutte uguali tra loro. " Ti amo Mary"
"Resterò al tuo fianco fino alla fine dei tempi."
"Il cielo è testimone di noi."
Pressoché la maggioranza di esse sono tema romantico, anche se modestamente le considero solo uno spreco di vernice spray. Quasi la totalità di queste coppie che, senza pudore, si dedicano l'un l'altra attraverso un muro, adesso vivrà felicemente con un altro o si è totalmente dimenticata di quel gesto così fragile e fugace. Cosa ne resta allora? Solo l'ombra di un sentimento immaturo ed egoista come l'amore.
Il marciapiede su cui cammino è stato ristrutturato da poco. Ha le mattonelle bianche e marroni e, ai margini, sono presenti piccoli cassonetti per i cani, anche se pochi li utilizzano.
Le macchine vanno e vengono lasciando una scia di rumore fastidioso dietro di loro, ed ogni tanto incrocio qualche altro passante che, forse più impegnato di me, corre chissà dove come una trottola impazzita. Sebbene possa sembrare il solito ragazzo svogliato e sfaticato, non è del tutto vero. Io ho un piano per la mia vita! L'unica cosa che mi risulta difficile è dirlo a mia madre.
Come posso spiegarle che dovrò lasciarla a breve?!
"Mamma, non voglio abbandonarti ma cazzo, non posso continuare a farmi le seghe pensando al mio migliore amico. "
No!
Come se potessi dirle una simile minchiata!
"Io non sono gay! Hai capito?!" Ed in effetti io non mi considero tale. Cioè voglio dire non è che mi piacciano tutti gli uomini. Non provo attrazione per nessun altro. Non ho mai avuto un'erezione per aver visto il pene di un qualche mio amico, eppure non riesco a smettere di pensare ad Al.
Il mio unico punto debole è lui! Come non amo nessun altro uomo, non riesco neanche ad innamorarmi di altre donne. E' questo il mio vero problema!
Senza accorgermene sono arrivato alla solita panchina del parco al centro della città e mi ci siedo come al solito. Prendo dalla tasca il mio smarthphone ed inizio a spulciare le mail.
Ne sto cercando una in particolare, quella che mi cambierà la vita e finalmente la trovo.
Indirizzata a Colin Drago, inviata dalla B&G industry.
"Spettabile Sig. Drago. Abbiamo preso in esame il curriculum vitae da lei allegato e, sebbene non ci sia presente alcuna esperienza lavorativa, è stato scelto per partecipare al nostro Stage lavorativo della durata di  un anno. Durate questo periodo potrà usufruire del nostro alloggio per dipendenti da cui però, sono esclusi i pasti. La invitiamo a presentarsi tra una settimana precisa per il corso di orientamento alla nostra filiale di Roma."
Era fatta!
Mi avevano preso proprio come avevo desiderato, ma sentivo che qualcosa non andava. Non ero felice. Non potevo esserlo!
- Coco?! Hey Coco. - Una voce femminile si levò tra le foglie Sapevo che l'avrei incontrata e forse per questo ero tornato al parco ancora una volta. Lei; la mia migliore amica Sabrina.
- Almeno tu! Perchè continuate tutti con questo stupido soprannome.- Sbuffando continuai a guardare il terreno scuro e mi spostai leggermente per permetterle di sedersi al mio fianco.
- Scusa dai. Lo sai che adoro il tuo nome ma preferisco di gran lunga chiamarti Coco. - Sorrideva come lui. Perché l'unica persona al mondo che gli somigliava così tanto, non mi attraeva per nulla?! - Quando la smetterai di evitare mio fratello? Sono giorni che è intrattabile.- Alzai lo sguardo per guardarla e trattenni per un istante il respiro. I suoi capelli ramati erano della stessa sfumatura della sua. Il suo odore era identico e gli occhi grandi e neri avevano lo stesso taglio di Al, allora qual'era il problema?
- Perché non posso amare te? Lo so Sabry. Lo so bene che continuando così lo perderò del tutto, ma non posso farci nulla. Ogni volta che lo vedo sento come una miriade di pugnali che mi trafiggono il cuore. E' estenuante! - Mi fermai trattenendo le lacrime. Non volevo farmi vedere in quello stato neanche da lei.
La mano calorosa della mia amica, si strinse alla mia. Lei era l'unica che lo sapeva. L'unica che poteva capirmi e che non mi ha mai giudicato. Anche quando la ferii, anche quando il suo cuore era in frantumi, ha sempre sorriso per me.
- Cosa vuoi fare allora? Evitarlo fino a quando smetterà di cercarti?! - Lei si fermò un attimo, poi sembrò capire e la sua espressione cambiò del tutto.
- Non dirmi che... - Disse poi smise di guardarmi.
-E' l'unica soluzione Sabry. Non vedo via d'uscita. Devo andarmene altrimenti rischio di impazzire. - - Stai solo scappando. Sai, anche quando ci siamo lasciati mi hai ferita, ma almeno pensavo "ok non può farci nulla". Adesso però penso che tu sia solo un vigliacco che non ha le palle per dire alla persona che ama la verità. Meglio pentirsi per i propri errori che rimpiangere a vita una felicità che non ci si è sforzati di ottenere. -
I suoi occhi erano caldi e pieni di rabbia repressa. Non posso fare altro che ascoltare le sue parole rimbombare dentro di me, prima di sentire la rabbia salirmi dentro.
- Tu non puoi capire! Non senti il dolore che porto dentro, quindi non giudicarmi!- Fu più veloce di me. La sua mano si schiantò sul mio viso facendomi trasalire. Gli occhi di Sabrina erano rigati dalle lacrime.
- Non sei il solo che ama una persona con la consapevolezza che non sarà mai sua. Io sono innamorata dello stesso ragazzo fin dall'asilo. Peccato che lui sia un totale vigliacco!- L'ho vista alzarsi e correre via. Ho potuto sentire il suo cuore frantumarsi di nuovo, ma come al solito non riuscii a fare nulla. Se solo fossi stato più forte mi sarei alzato e l'avrei rincorsa e forse era quello che lei segretamente desiderava. Se fossi stato diverso l'avrei stretta a me e ci saremmo baciati, forse avremmo costruito una vita insieme, ma non è così. Nulla sarà mai così!
Di una cosa ero sicuro però... Aveva ragione!
Mi alzo come un ladro colto in fragrante e mi faccio per avviarmi a casa quando, con la coda dell’occhio, vedo una sagoma dietro un albero. Non era la prima volta che vidi quell’ombra, ne ero sicuro, eppure non riuscivo a riconoscerla. Chi era?! Non sapevo perché ma qualcosa mi attirava in modo inesorabile verso quella direzione.
Dovevo fermarmi.
Senza riuscire a spiegarmelo le mie gambe si muovevano in modo autonomo. Varcai l’angolo e lo vidi. Lui era assopito, quasi addormentato in quel pacifico ambiente naturale. Non lo avevo mai visto, ma sentivo una forte attrazione verso di lui.
Pelle chiara e viso angelico lo contraddistinguevano e proprio quel momento, in cui era così calmo e beato lo conobbi. Rimasi immobile a fissarlo per una qualche strana ragione senza riuscire a muovermi. Non era chissà quale bellezza, non somigliava neanche lontanamente ad Al.
Ero assorto nei miei pensieri quando lui aprì gli occhi. Restare a guardarci mi fece fermare il cuore. I suoi occhi, forse più di tutto il resto, mi fecero capire che c’era qualcosa di pericoloso in lui.
Cosa? Non lo sapevo in realtà. Non parlò, quasi come se si aspettasse la mia visita, sostenne solamente il mio sguardo incantato, fino a quando fu proprio lui a rompere il silenzio.
-Sei troppo rumoroso di prima mattina lo sai?!- Il suo sguardo cambiò. Se prima nei suoi occhi leggevo, quasi bontà, adesso sembrava proprio un demone diabolico.
Scattò veloce come una lepre e, afferrandomi il viso tra le mani, impresse le sue labbra alle mie. Uno sconosciuto mi stava baciando?!
Sentivo chiaramente la sua lingua che toccava la mia, la muoveva e la inebriava del suo gusto ed iniziai a provare quasi piacere, eppure fu solo per un attimo.
Coco!
La sua voce mi tornò in mente e quella breve parentesi si scagliò su di me. Scostai di peso quel ragazzo e lo spinsi con forza contro l’albero.
- Non ho idea di chi tu sia, ma prova di nuovo a toccami e ti ucciderò.- Ero paonazzo! Non avevo mai baciato un uomo, sebbene avessi sognato spesso di farlo con Al. Il sogno con la realtà è davvero qualcosa del tutto diversa! Non provai repulsione e forse fu questo che mi spaventò di più.
Io che avevo sempre e solo amato una persona, com’era possibile che adesso provavo quegli strani sentimenti per un totale estraneo? Mi voltai e feci per andarmene.
-Ci rivedremo presto, Coco. -
Con quella promessa, scappai via, cercando di mettere ordine nei miei pensieri.
Forse ho sbagliato tutto dall’inizio. Ne sono sicuro!

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Capitolo 2
*** L'inizio dell'incubo ***


-Quindi vuoi lasciarmi anche tu?- Sentivo chiaramente la voce stirata di mia madre, così fiera ma anche immersa di dolore. Non ci fu bisogno di spiegazioni. Sembrava quasi che lei già sapesse tutto, ma al tempo stesso era ignara della cosa più importante.
Io non volevo abbandonarla.
Non mi sarei mai allontanato da casa lasciandola nel suo dolore. Se non ci fosse stato lui, io non mi sarei mai voluto trasferire per andare a lavorare gratis in un’azienda di telecomunicazioni che neanche mi faceva impazzire. Così impersonale e priva di anima.
Mia madre non mi accompagnò! Non fu lei ad aiutarmi a traslocare, ma era anche normale fosse così. Sapevo quanto dolore le stavo provocando, quindi quando mi disse “sono impegnata col lavoro”, feci finta di crederci. Spostarmi non fu difficile, bastava un treno e qualche scatolone che conteneva pochi vestiti e gli unici effetti di cui avevo davvero bisogno. Le altre cose le lasciai dietro di me. Non avevo bisogno di nulla. Prima di prendere il treno inviai un messaggio a Sabrina, ma lei non volle vedermi. Era da quel giorno che non ci parlavamo ed in fin dei conti non potevo darle torto.
Non sapevo mai come comportarmi con lei!
Alla fine aveva perfettamente ragione. Io ero un grandissimo codardo. Preferivo buttare al vengo i miei amici, le persone che mi amavano, pur di non soffrire. Come sarebbe stato bello poter urlare al vento “TI AMO BRUTTO IDIOTA.” Avrei anche potuto farlo, ma il problema è: come avrebbe reagito lui?!
Lo conoscevo troppo bene, sapevo cosa avrebbe detto e forse proprio per questo avevo paura. Lui mi avrebbe sorriso imbarazzato e avrebbe detto che potevamo ugualmente essere amici, che tutto sarebbe passato, ma non era così. L’imbarazzo e la vergogna avrebbe ugualmente distrutto la nostra amicizia fino a logorarci del tutto.
La mia nuova casa era tremenda!
Era un alloggio comune, pieno zeppo di studenti e viaggiatori occasionali senza un soldo in tasca. Non appena vidi la mia branda, ringraziai il cielo di essermi portato poco o niente. Sembrava quasi che da un momento all’altro qualcuno potesse saltarmi alla gola.
– Sei nuovo vero?! – Sentii una voce alle mie spalle e mi voltai senza pensarci. Di fronte  a me c’era un ragazzo abbronzato e pieno di tatuaggi. Voce calda e gel quasi ad impregnargli la testa, il tipico fighetto del liceo un po’ troppo cresciuto. Annuii senza voglia e tornai a disfare quei pochi pacchi che mi ero trascinato con me.
– Sei scappato di casa forse? – Sembrava non avesse capito che non avevo alcuna voglia di parlare, o forse non gliene importava niente.
– No, ma diciamo che sono scappato dalla mia vecchia vita. - - Io invece si. – Disse e si accomodò sul mio letto come se fosse anche suo. – Mi chiamo Hector, ma tutti mi conoscono come Tori. Sono qua da cinque anni ormai e non vedo l’ora di fuggire. – Mi guardai attorno e mi resi conto che era la stessa sensazione che avevano tutti.
Quella era un’unica stanza che fungeva da tutto. Cucina soggiorno e letti comuni tutto mischiato come un cocktail pronto ad esplodere. Non avevo idea del perché avessi scelto proprio quella opzione, o forse si. Costava una miseria proprio per lo squallore in cui ci ritrovavamo.
– Io sono Colin e ti pregherei se mi chiamassi col mio nome. Odio i nomignoli! – Dissi quelle parole con un tono di voce che non lasciava adito a fraintendimenti.
– Va bene Colin, qua siamo tutti fratelli quindi stai tranquillo. A parte qualche testa calda, sono tutte brave persone quindi fai sogni tranquilli. – Mi accarezzò la testa con dolcezza e per la prima volta, mi sentii rassicurato. Quella nuova avventura era troppo dura per me che avevo perso tutto, e proprio per questo la sua vicinanza mi fece piacere.
Driiiin driiiin.
“Mamma.” Risposi senza pensarci, trattenendo leggermente il fiato. Mi aspettavo quasi le sue urla, invece il suo tono di voce era solo stanco.
–Sei arrivato? – Disse dolcemente. – Ho appena aperto i pacchi, non preoccuparti. – Avrei voluto abbracciarla forte a me, se solo non ci fosse quel piccolo apparecchio a dividerci.
– Tornerò presto a trovarti, non appena mi danno un giorno libero verrò immediatamente, te lo giuro. – Lei non rispose, come se non credesse alle mie parole. Forse pensava che, dal momento che ero andato via, le mie visite sarebbero state più rare fino a sparire.
– Non devi sentirti legato, Coco. Tu devi percorrere la tua strada e, anche se sarà dura, non voltarti indietro. Forse tu pensi che io ti odi per questo, ma non è per nulla così. Ti voglio così bene piccolo mio, cerca solo di stare attento e vivere correttamente. – Una lacrima scese sulla guancia ma la asciugai prontamente.
– Ti voglio bene, mamma. – Dissi e chiusi la comunicazione. Avevo tante cose da fare, tanto da programmare. La B&G era vicino al dormitorio, così tanto che, affacciandomi dall’unica finestra, ne potevo osservare l’edificio.
Fu anche questo ciò che mi spinse a scegliere proprio quell’appartamento ( se così si poteva chiamare.) Sistemai con cura i miei averi e uscì di casa prima che Tori si fiondasse nuovamente su di me e, per la strada vidi subito un nuovo mondo. C’era odore di sporco, di inquinamento e sudore, ma soprattutto mancava la sensazione di lui. Sorrisi, per la prima volta dopo tempo e mi incamminai verso la sede centrale dove il giorno dopo, avrei lavorato. Sebbene fossi in un luogo nuovo, non sentivo il disorientamento che credevo. Arrivato di fronte il grande palazzo a vetri, mi sentii un soffio meglio. La mia vita stava per cambiare.
Non mi accorsi di nulla. Non vidi neanche che qualcuno mi stava osservando, né mi accorsi del sorriso sardonico di quella persona. Se solo mi fossi girato, lo avrei visto lì. A due passi di distanza da me, quella persona si beffava della mia persona, o forse era davvero sollevato nel vedermi, non ne sono sicuro. Lui mi scrutava come il cacciatore con la sua preda, pronto ad attaccare alla mia prossima mossa. Nella mia mente non c’era nessun sentore di pericolo, nessun avvertimento a quello strano comportamento. Non avevo idea!
Rimasi lì, lasciandomi cullare dalla freschezza dell’aria autunnale fino a quando, d’improvviso, mi sentii pieno. Ero pronto a lanciarmi in quella sfrenata avventura! Andava tutto bene, io sarei sopravvissuto.
Lentamente tornai in quella che ormai era diventata la mia “casa” e tutto era ancora lì. I ragazzi frenetici, la corsa a chi deve usare la cucina e le lotte per il “territorio.” Tori era fermo nella sua branda e non mi guardò nemmeno. Non sapevo cosa stesse facendo, se stava pensando o se si era solo appisolato ma restare solo mi rendeva un po’ felice. Volevo respirare.
– Tori smettila di cazzeggiare. Se non ti sbrighi ti rimpiazzano al tuo terzo lavoro. – Una voce sconosciuta partì dall’angolo cottura. Un ragazzo alto e biondo stava armeggiando con i coltelli quando pronunciò quelle parole.
– Va bene, rompiscatole. Sai che ti odio vero?! Spero che quel pesce economico che stai cucinando si risvegli e ti uccida. – Tutti si misero a ridere tranne me.
– In ogni caso nella mia assenza, fate amicizia con il “novellino”. Dobbiamo accoglierlo come si deve, o sbaglio? – A quelle parole tutti esultarono. Le voci di tre ragazzi furono un unico coro scoordinato e privo di armonia. – Un piccolo riepilogo Signor Colin. Il ragazzo biondo privo di grazia è Lorenzo, odia terribilmente quando lo chiami Enzo per questo tutti lo chiamiamo in quel modo. Alla sua destra trovi Riccardo il piccolo, detto così perché è alto una mela o poco più.  Ed infine c’è il belloccio Giuliano, lui è il più tremendo di tutti, ricordatelo. Per ora siamo solo noi ma non ti illudere. Spuntano sempre coinquilini nuovi. Chi resta un mese, chi qualche giorno ed altri che si fermano un po’ di più, ma noi siamo sempre presenti, almeno per ora. Ed ora benvenuto tra di noi. – Tutte e tre ricambiarono il saluto e Tori, che finalmente mi aveva inoltrato alla casa, fu tranquillo di cambiarsi ed uscire fuori come se nulla fosse. Rimasi a guardarlo per un attimo e non appena se ne fu andato, fu Lorenzo a prendere la parola.
– Fa il gradasso, ma è quello che si impegna più di tutti. – Disse per poi tacere per tutto il resto della serata. Riccardo e Giuliano parlarono tanto, anche troppo per i miei gusti. Mi chiesero molto di ciò che facevo, del motivo che mi aveva spinto lì e di qualsiasi domanda che gli spuntò per la testa. Ad alcune di queste risposi con onestà, ad altre mentii spudoratamente.
– Sono qui per inseguire il mio sogno nella pubblicità.- Potevo mentire a loro, ma i miei amici se ne sarebbero accorti.
 I miei veri amici!
Mangiammo tutti ciò che Lorenzo aveva cucinato, ovvero il “pesce economico” di cui parlava Tori e mi accorsi subito della sua abilità innata. Sebbene era un tipo taciturno, sapeva trasformare qualsiasi cosa, in un piatto sopraffino. La serata terminò lì. Giuliano e Riccardo uscirono, mentre Lorenzo si immerse nelle sue “letture istruttive” ed io?! Nel mio caso non feci altro che sdraiarmi e fissare il vuoto fino a quando, vinto dalla stanchezza non mi assopii in un sonno lungo e privo di bei sogni.
La sveglia suonò troppo presto nella mia prima giornata lavorativa. Quando mi alzai Lorenzo non c’era. Non sapevo nulla di quei quattro ragazzi, solo ciò che loro mi avevano raccontato in una misera notte, ma in fin dei conti in quel momento non ero neanche pronto ad ascoltare. Mi sistemai di corsa, avevo fretta di andare a lavoro. Mettermi sotto a lavorare mi avrebbe distolto la mente da lui e mi avrebbe fatto stare meglio. Il telefono registrava ancora i suoi messaggi.
Quanti ne aveva inviati dalla fine della scuola?! Capii che dovevo staccarmi da lui il giorno del diploma. In quel giorno, per la prima volta lo vidi. Lui era in cortile e non era solo.
Le sue labbra erano appiccicate a quelle di una giovane ragazza e solo allora mi accorsi che non ci poteva essere amicizia tra di noi. Io e lui eravamo destinati a lasciarci alle spalle e così feci. Da allora ero totalmente sparito.
Non avevo voglia di parlargli né potevo spiegargli il mio improvviso cambiamento. Era più facile andarmene per sempre, ma dalla sua prospettiva era tutto diverso, lui non sapeva nulla. Lessi l’ultimo che mi aveva inviato e una morsa mi strinse il cuore.
“Non credevo che la nostra amicizia fosse così indifferente per te. Dopo 16 anni passati fianco a fianco sparisci nel nulla senza neanche avvertirmi? Se non fosse stato per tua madre non avrei neanche saputo che eri partito. Sei un ipocrita egoista!” Come avrei reagito io al suo posto? Probabilmente allo stesso modo.
Smisi di pensarci ed uscii di casa. La strada fino all’agenzia fu breve e soddisfacente. All’ingresso mi fermai un attimo ed inspirai profondamente. “Si parte!” Con uno spirito ferreo mi inoltrai nell’ingresso e subito notai l’aria pesante e frenetica. Un semplice ufficio pulito e alla moda con due ragazze molto giovani all’accoglienza.
– Buongiorno, posso aiutarti? – Disse una di loro e subito le sorrisi cordialmente. – Grazie sono qui per iniziare il mio stage. Sono Colin Drago, mi è stato detto di presentarmi da oggi alla sede centrale. – Lei mi guardò un attimo poi si alzò.
– Benvenuto, io sono Cristina, vieni ti accompagno dal capo Rima, è lui che si occupa della formazione del personale. – La seguii senza obiettare e dalla stanza principale, entrammo in un piccolo corridoio in stile patronale, pieno di porte. Scoprii in seguito che quell’azienda si occupava di vari settori oltre quello pubblicitario. La terza porta a sinistra aveva come targhetta “editoria” il che non mi disse nulla in più e ci inoltrammo al di dentro lasciando dietro di noi il silenzio più totale. In quella stanza, al contrario, c’era molta frenesia sebbene fossimo solo nella prima mattinata.
– Matilde, ti ho detto più di una volta che devi evitare sbavature nell’editor altrimenti la sezione stampa ci rimanda indietro il lavoro. Cazzo non è il primo giorno che sei con noi. – L’uomo che urlava più di tutti era il capo Rima. Ebbi subito un forte senso di rispetto verso quell’uomo, e forse è per questo che, piano piano, inizia ad apprezzare quel lavoro.
– Cristina che c’è anche tu? Non vedi che siamo incasinati col lavoro? - - Scusami, è arrivato il Signor Drago per lo stage, ti ricordi? E’ stato il presidente a sceglierlo ed a mandarlo nella tua sezione. – Lui mi guardò un attimo ed io porsi la mano in senso di rispetto.
– Quindi sei tu il ragazzo senza qualifiche né esperienza che è venuto a rallentarci il lavoro?! – Dal suo tono di voce capii subito che non era affatto felice di avermi lì. Io, che credevo di essere stato scelto per chissà quale ragione, forse in realtà non ero neanche stato accettato.
– Vi lascio lavorare e cerca di non spaventarlo troppo. – Cristina mi fece l’occhiolino ed uscì dalla stanza. Rimasi lì a farmi squadrare da testa a piedi, con uno strano senso di vergogna.
– Allora, mettiamo subito in chiaro le cose. Non ti volevo qua perché io ho bisogno di gente che capisca almeno in minimo, invece tu non hai le basi per poterci aiutare. Sbaglio?! – Le sue parole erano come pugnali, ma non volevo farsi vedere ferito.
– Ha ragione, ma voglio imparare e sono sicuro che tramite la sua guida diverrò un aiuto concreto. – Sebbene la voce un po’ tremolante, ero sicuro di aver risposto bene.
– Per prima cosa, questo è il nostro ufficio, ci occupiamo del lavoro di editing della pubblicità cartacea. Noi gestiamo la bozza e la rifinitura di quello che sarà poi il prodotto finale. Per la prima settimana sarai affiancato a Jules, lui fa le prime bozze, cerca di apprendere il più possibile. – Dette quelle parole mi portò dal mio insegnate/collega. Un ragazzo sulla trentina con poca voglia di discutere. Uno di quelle persone che a primo sguardo capisci che è un artista. Per tutto il giorno stetti al suo fianco e capii la mia estrema incapacità.
Sebbene avessi studiato arte, la sua abilità era estremamente maggiore alla mia. Non riuscivo a stare al suo passo. Quando guardai l’ora e mi accorsi che erano già passate 12 ore, non mi sembrava vero. Come avevamo fatto?! Cosa in particolare era stato fatto?!
Ero incredulo! Fin da subito mi fu detto che stavamo creando uno spot per una nota casa di vestiti sportivi, il motto era “se ti piace sudare, fallo con noi.” Non so chi avesse partorito quell’idea, né il motivo, era davvero squallido. Rimasi al fianco di Jules, anche lui poco contento del mio ronzare attorno e quando arrivò l’ora di pranzo mi sdraiai senza forza sulla sedia.
– Accipicchia. – Mormorai. – E non hai ancora visto nulla. Per creare dei piccoli spot ci stiamo anche due settimane a volte. Non sempre le nostre idee piacciono e spesso vengono riportate indietro, o la bozza non colpisce e ci chiedono di rifarlo, per questo devi imparare in fretta in modo da poter esserci di aiuto. - - Grazie, farò del mio meglio. – E con quelle parole mi alzai e feci per tornare a casa. Non avevo pranzato ma d’altronde nessuno in quella stanza lo fece.
– Matilde ti fermi ancora? – La ragazza, con occhialoni e i capelli legati in un piccolo chignon sulla testa, guardò Jules con estrema dolcezza.
– Se questa volta lascio qualche errore penso che Rima mi ucciderà di certo. Sai quanto può essere crudele a volte. – Loro risero ed anche io, sebbene mi sentissi del tutto estraneo. Feci il percorso inverso accompagnato dal mio compagno e arrivammo all’ingresso che trovai un po’ più buio, ma sempre frenetico.
– Ti va di andare a mangiare qualcosa? – Mi disse. Forse in un’altra situazione avrei accettato, ma era ancora presto. Non volevo avere amicizie, non volevo che nessuno si avvicinasse a me. – Mi dispiace, devo tornare a casa. Ho ancora tante cose da sistemare. – Lui mi sorrise e ci avvicinammo all’uscita. Quando fummo fuori Jules mi salutò e prese la sua strada ed io, che ero quasi vicino a casa, mi stiracchiai la schiena e mi voltai per allontanarmi dall’azienda quando quella figura si ripresentò di fronte a me.
– Come promesso, ci rivediamo.- Quel ragazzo, lo sconosciuto del parco, era proprio di fronte a me con la sua aria beffarda ed i capelli spettinati. In piedi sembrava più alto di quanto avessi immaginato e decisamente più affascinante. Sentii un leggero brivido di timore insinuarsi in me.
– Cosa diavolo ci fai qui? Mi stavi aspettando? Chi cazzo sei?! – Dissi con tono seccato.
– Perché mi parli così? Pensavo che mi fossi più riconoscente dal momento che è merito mio l’averti strappato a quella vita monotona e piena di sofferenza. – Rimasi un attimo basito. – Tu cosa? – Non riuscivo a seguire i suoi discorsi, né a capire il perché fosse spuntato nuovamente fuori nella mia vita. – Quando ho ricevuto il tuo curriculum non sapevo cosa farmene di te. Eppure hai un nome troppo buffo e c’era qualcosa che mi incuriosiva. Sono venuto a trovarti, ti ho osservato per una settimana prima di prendere la mia decisione e ti ho voluto in questa azienda. Penso che la tua totale mancanza di affetti, ti porterà ad impegnarti di più per noi. Inoltre sei dannatamente carino, Coco. – Mi irritava. Odiavo il modo in cui parlava, odiavo tutto di quella persona. Sentivo che tutti i miei sforzi erano stati vani, perché per lui ero solo un giocattolo. Mi aveva preso in quell’azienda solo per divertirsi, mi aveva baciato per sfizio o forse solo per rendermi più ridicolo.
– Credi che abbia bisogno di te? Sei solo un grandissimo pezzo di merda. – Si avvicinò a me e mi prese con forza il polso trascinandomi di peso.
– Dove mi porti? Lasciami. – I suoi passi erano veloci e falcati, mi sentivo impotente, in balia dei suoi capricci.
– Entra. – Mi disse indicando la sua auto. – Da domani non verrò più in ufficio. Troverò un lavoro che non comporti il patto con uno stronzo come te. – La sua presa però era troppo stretta tanto da farmi male.
– Ho detto entra. O devo farlo con la forza? – Lo sfidai con lo sguardo. Non potevo cedere… non volevo. Lui si spinse più vicino e con lo sguardo continuò a tormentarmi.
– O sali in questa dannata auto, o ti giuro che renderò la tua vita un inferno. – Cedergli era fuori discussione. Non avevo bisogno di lui, o almeno così credevo.
– Provaci allora. –
A quel tempo, tante cose mi erano oscure. Non sapevo nulla di te né ciò che ti spinse davvero a portarmi via ed a inondarmi la vita. Volevo solo fuggire via e così provai a fare fino a quando tu stesso mi riportasti indietro…

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Capitolo 3
*** Provarci ***


Non riesco ancora a credere a ciò che avvenne dopo. Tenergli testa non fu sufficiente, perché lui non era abituato a sentirsi dire no. Mi scaraventò in macchina prendendomi di peso e chiuse con forza la portiera. L’urto mi tramortì e per un attimo persi le forze, ma fu solo un breve istante. Il ragazzo entrò in auto e non appena mise piede partimmo chissà dove.

– Lo sai che questo si chiama sequestro di persona?! – Non rispose. Si limitò a bloccare le portiere e ordinare al suo autista di continuare a camminare.

– Dove stiamo andando? – Chi era davvero? Perché era venuto a cercarmi? Non riuscivo a capire. Rimasi in silenzio per tutta la durata del viaggio, sperando che, almeno i miei coinquilini, si accorgessero della mia assenza.

La macchina girò più volte nelle vie di Roma fino a quando ci fermammo proprio di fronte un grande palazzo.

– Scendi e stai tranquillo, non voglio ucciderti. – Le portiere si sbloccarono ed io, in silenzio, uscii all’esterno. Mi guardai intorno. Non avevo idea di dove mi trovassi.

– Non mi piace l’idea di saperti in quel dormitorio da quattro soldi. Da questo momento in poi alloggerai in questo appartamento. Prendi le chiavi ed sistemati, farò portare le tue cose in poche ore. – Non riuscivo a capire. Non c’era alcun nesso logico e di certo quella persona non era del tutto normale. Io per lui ero un estraneo eppure si comportava come se mi conoscesse da tempo.

– Chi sei tu? – Domandai con lentezza. – Chi ti da il diritto di dirmi dove vivere?! Non verrò mai a vivere qui, né tu potrai costringermi a farlo. D’ora in poi le nostre strade si separeranno. Non voglio più vederti, hai capito? – Mi voltai e lentamente camminai verso una qualsiasi direzione intenzionato a recarmi alla stazione più vicina per capire almeno dove mi trovassi.

– Sono Leonardo Bergi, il capo esecutivo della filiale a Roma della B&G e ti amo più di qualsiasi altra persona in questo strano ed immenso mondo. Ti basta come spiegazione?! E se credi che questa sia la fine, allora ti sbagli di grosso. – Mi irrigidii. Perché per quella persona era così normale parlare di amore? Eravamo tutte e due uomini, ma sembrava che non gli importasse. Non voleva ammetterlo.

– Tu non sai cosa significa amare. Noi due siamo uomini, smettila di dire fesserie. – Con quelle parole lo lascia indietro. Non mi voltai neppure a guardarlo. Che espressione aveva fatto?! Per quale motivo mi interessava? Forse non c’era nessuna ragione in particolare. Mi incuriosiva solo il motivo per il quale quella persona, che era così tanto distante da me, si fosse così tanto interessato alla mia vita. Possibile?

In ogni caso non potevo continuare a vederlo, era fuori discussione.

In realtà, non sapevo che c’ero già dentro fino al collo. Quella sera tornai a casa tardi ma nessuno mi stava aspettando. I miei coinquilini erano indaffarati nelle loro vite, e come biasimarli? Quando girai la chiave nella toppa sentii delle voci discutere, ma non appena misi i piedi dentro tutto cessò. Vidi Tori e Lorenzo che si davano le spalle come se avessero litigato ed il resto della casa in penombra. Salutarono per convenzione e, da solo, finii gli avanzi della cena. Non so se si addormentarono o fecero solo finta di assopirsi, fatto sta che smisero di rivolgersi la parola per un po’. In quella seconda notte a Roma mi sentii perso.

Non sarei tornato alla B&G, non ne avevo alcun motivo. Lui mi avrebbe aspettato e questo non lo sopportavo. L’odio che provavo per quella persona cresceva quasi fino a riempirmi completamente. Leonardo…

E’ così che si era presentato. E dire che quel nome mi ricordava qualcosa. C’era stato qualcuno con quel nome nella mia vita: un bambino.

Eravamo ancora piccoli a quel tempo, poco dopo aver conosciuto Al. Lui era indietro con la crescita, troppo magro e fragile. Al ricordo di quell’amico sorrisi quasi ma, d’improvviso ricordai, lui era sparito per sempre. Quel ragazzo non c’era più, era impossibile rivederlo.

All’età di 8 anni partì per operarsi al cuore, successe tanti anni fa.

“Quando starò meglio tornerò a trovarvi. Se l’operazione avrà successo verrò nuovamente da voi amici miei e staremo per sempre insieme.” Aveva detto, ma da allora non tornò mai più.

Sebbene io ed Al lo cercammo molto per anni avvenire, anche dopo essere cresciuti un po’, sapemmo solo che non sopravvisse all’operazione. Ci aveva abbandonati per sempre!

Improvvisamente una lacrima mi rigò il viso e deviai subito i miei pensieri. Non potevo lasciarmi andare, non in quel momento. Mi ero trasferito per cambiare vita, ed adesso mi ritrovavo senza ambizione né prospettive.

Avrei trovato un lavoro, dovevo farlo o tutto sarebbe stato perduto per sempre. Non so quando successe, non mi accorsi nemmeno di avere sonno, ma improvvisamente mi addormentai. Nei miei sogni, che raramente facevo, c’era solo lui. Al era protagonista di tutto nella mia testa. Quando mi svegliai il sole batteva forte sulla mia testa. Un raggio indiscreto filtrava tra le tapparelle facendomi ridestare. Quando aprii gli occhi Tori era già in piedi, pulito e profumato.

 – Buongiorno. – Dissi. La sua espressione che, all’inizio, sembrava così triste, ad un tratto divenne quella di sempre, gioviale e serena.

– Hey stagista, non sei un po’ in ritardo per il lavoro? – Ah già, non avevo detto nulla ai miei coinquilini.

– Non ci vado più. Ho scoperto che mi hanno assunto solo per divertimento. Non voglio avere nulla a che fare con quella persona. – Tori rimase un po’ in silenzio prima di commentare la mia affermazione.

– Sei proprio sicuro? Vuoi veramente perdere questa opportunità per orgoglio? – Le sue parole mi fecero trasalire per un attimo. Non aveva tutti i torti ma, se solo avessi ceduto, che uomo sarei stato? Lui voleva rendermi il suo burattino, farmi recitare la parte della fanciulla in difficoltà o dell’arrampicatrice sociale ed io non ero niente di ciò.

– Non ho nessun diritto di giudicarti e se hai preso questa decisione sono fiero di te. Se vuoi posso aiutarti a trovare qualche lavoretto, ma ti assicuro che la paga è una schifezza. – La disponibilità di Tori era disarmante. Non mi conosceva neanche, ma era già pronto ad aiutarmi. Io invece che avevo fatto per lui? Nulla!

– Non mi importa quanto mi pagano, l’importante è che mi tenga impegnato la mente. – Tori non capiva, o forse si.

– Allora vestiti bello addormentato. Si inizia la festa. – In un lampo fui in piedi. Non avevo voglia di curarmi chissà quanto, quindi una leggera doccia bastò a rendermi soddisfatto. Indossai i vestiti più comodi che avevo ed in un batter d’occhio fui fuori insieme al mio compagno. Quando aprii il portone, mi accorsi della sua macchina, del suo odore pungente e secco. Quella persona mi stava aspettando.

Feci finta di non vederlo e continuai a camminare. Lui mi osservava senza dire nulla, un po’ adirato e sconcertato.

– Tanto tornerai. – Disse a voce alta. Solo io però me ne accorsi. Io che conoscevo la situazione potevo comprendere ciò che diceva, perché avevo avuto la forza di tenergli testa. Camminammo molto io e Tori, in silenzio e seri. Avrei voluto parlare, almeno per togliere quel poco senza di imbarazzo che si era creato, ma quando mi decisi, eravamo già arrivati alla nostra tappa. “Hotel Gufo.”

Era questa l’insegna che vidi da fuori, sebbene la struttura sembrava tutto fuorché un albergo. Era un modesto palazzo diroccato, con pezzi di muro mancanti e le finestre sgangherate.

– D’ora in poi parla il meno possibile e cerca di evitare lo sguardo dei clienti. Ti avverto, qui le persone sono poco contenti di avere estranei a lavorare perché l’ambiente è, come dire…. Ambiguo. Chi si presenta dentro ha dei gusti un po’ diversi dalla norma. Il nostro compito è tenere pulite le stanze ed evitare qualsiasi commento superfluo. Sei ancora in tempo per tornare al tuo tranquillo lavoro da stagista, se vuoi. – Disse lui d’un fiato. – No, sono pronto. Sarò molto discreto. – In silenzio entrammo e quando fummo dentro un forte odore di fumo ed alchool mi investì in pieno.

– Ciao Manilha, questo è il mio nuovo coinquilino, Colin. Ha bisogno di un lavoretto part-time. E’ un tipo apposto,  non ti preoccupare. – Manilha era una…. Cioè donna, almeno credo. Alta e possente, con le spalle larghe ed il pomo d’adamo in vista. Sapevo di dover parlare il meno possibile e così feci.

– Buongiorno. - - E bravo H, mi porti sempre zuccherini qui. Ragazzo d’ora in poi ti chiamerò C. Anche se non ti piace adesso, col tempo la troverai una soluzione molto utile. Preparati e segui le istruzioni di H, lui è il migliore. – Dopo quelle parole ci inoltrammo in una piccola stanzetta che, a malapena, ci ospitava entrambi e Tori mi porse una tuta lercia ed a tratti sgualcita.

– So che non è il massimo, ma credimi…. Ti servirà. – Mentre si cambiava notai che il corpo di Tori era pieno di lividi e questa cosa mi lasciò esterrefatto. Come se li procurava e soprattutto, perché? Quando fummo pronti mi accorsi in cosa consisteva veramente quell’albergo: incontri d’amore.

Non era una casa di appuntamenti, ma bensì un luogo dove chiunque, con qualsiasi desiderio depravato, potesse svolgere le sue attività senza domande né registrazioni. Ai proprietari non importava davvero chi fossero, né come riducevano la stanza alla loro uscita, l’importante era la discrezione. Io e Tori ci occupavamo di pulire il tutto e far tornare le stanze quanto meno decenti per i prossimi clienti che, di sicuro, arrivavano come flotte. A volte, in quel periodo in cui lavorai con loro, vi era persino la fila per attendere una camera. Possibile che il mondo stesse davvero così male?! Nella mia prima giornata lavorativa vidi di tutto.

Le stanze, quando venivano lasciate dai clienti, erano in stati inimmaginabili. C’era chi si limitava a sporcare le lenzuola di liquidi, chi spaccava qualche mobile qua e la e chi invece lasciava i resti delle loro imprese. Vidi manette abbandonate nei pomelli dei letti, fruste e vestitini imbarazzanti sia maschili che femminili, ma ciò non mi fece l’effetto che pensavo.

Mentre entravo nelle stanze per sistemarle, sentivo quasi un senso di tranquillità. Quelle perversioni c’erano, esistevano, e venirne in contatto era solo l’ordine naturale della vita. Da quel lavoro avrei guadagnato 150 € la settimana, un po’ poco e decisamente non in “regola” eppure andava anche bene in quel modo.

Avrei guadagnato qualcosa, fatto le mie esperienze e, forse, protetto la mia dignità. Quel giorno mangiammo di corsa un pezzetto di pane che ci passò la proprietaria. Non aveva molto gusto ed era decisamente vecchio di qualche giorno, ma mi tenne in piedi e pronto per continuare il lavoro senza crollare. In fin dei conti avevo bisogno solo di quello.

Con Tori non parlai un granché. Non che non mi importasse, ma lui era piuttosto taciturno e lo capivo perfettamente. Non voleva perdere il lavoro che lo manteneva e che gli consentiva di andare avanti. Non capivo come mai, guadagnando ugualmente una piccola sommetta, continuava a stare in quella bettola invece di cambiare vita. Non ci conoscevamo molto, eppure sentivo che era una persona capace ed intelligente.

Sapevo bene che, se avesse messo tutto se stesso, avrebbe potuto trovare un altro lavoro, ma per quale motivo non lo faceva? Ciò che scoprii in seguito, anche se un po’ torbido, non cambiò la mia opinione di una delle persone migliori che ho conosciuto nel mio cammino, neanche lentamente. Lui è e sarà sempre, uno dei capi saldi della mia integrità! Ebbi timore di fiatare quel giorno ed anche i successivi che mi videro protagonista di quel lavoro. Finimmo il turno alle 18 circa, stanchi e spossati, ma stranamente non percepivo minimamente la stanchezza. Sapevo che mi dolevano i muscoli, ma avrei continuato ancora tutta la notte, tanto ero emozionato e carico. Il mio primo lavoro, seppur schifoso e indegno, mi stava rendendo libero.

Non dovevo ringraziare nessuno, né sentirmi dire che quel piccolo passo era dovuto a loro. Io ero a decidere la mia vita, o almeno così credevo.

– Io non torno a casa, Colin detto Colin. – Disse d’un tratto Tori. Leggevo qualcosa nei suoi occhi, una paura immane che scoprissi qualcosa, ma a quel tempo non mi importava neanche andare a scovare le sue bugie.

– Tre giorni la settimana lavoro part-time come addetto le pulizie, impiegherò tutta la notte e ci rivedremo direttamente qui domani mattina. Sai tornarci? – La sua voce era vacua e un po’ spenta. Già da li dovevo capire!

– Si, stai tranquillo. Sembro stupido ma in realtà mi oriento molto bene in luoghi sconosciuti. – Sorrisi per finta. Se avessi potuto scegliere, non avrei mai voluto dovermi orientare. Avrei vissuto per sempre nella mia città natale, in quel luogo protetto che era la mia casa e mi sarei sentito bene con la persona che amavo da tutta la vita. Ci salutammo in fretta  e lui cambiò direzione. Lo vidi salire su un auto fermo alla sua fermata e poi sparì nel nulla. Io seguii la strada del mattino e lentamente mi imboccai nel vicolo stretto che portava al primo imbocco della metropolitana. Sebbene stavo da poco in quella città, avevo capito che per fare più in fretta, la metro è l’ideale. Da me non c’era nulla del genere.

Noi non avevamo nulla di sotterraneo, né ci stavamo pensando. Fu mentre entrai in stazione che lo vidi nuovamente. L’ultima volta che ci incontrammo fu il giorno del diploma, dal quale ne uscii distrutto, ma ero sicuro che fosse lui.

Il primo impatto mi irrigidì.

Non avevo idea che, anche allontanandomi così tanto, lui mi avrebbe rincorso. Al mi fissò da lontano, con lo sguardo vigile di chi è intento a cercare qualcosa e, finalmente, la trova. Sorrise ingenuamente e fece per avvicinarsi a me, poi si bloccò. Non gli sembrava quasi reale il fatto di avermi trovato e neanche io ci credevo davvero. Com’era possibile? Cominciò a camminare ed il mio cuore perse un battito. I suoi capelli spettinati, gli occhi di ghiaccio e la pelle abbronzata. Quel suo profumo riconoscibile che, anche adesso, sento nelle narici, mi confuse. Era dolce e piccante allo stesso momento, una fragranza che apparteneva solo a lui.

– Finalmente ti ho trovato Coco. – Cosa dovevo rispondere? Per un attimo rimasi paralizzato in attesa di istruzioni da parte del mio cervello o forse che il mio cuore riprendesse a battere in modo normale.

– Che ci fai qui? – Dissi semplicemente. Avevo paura della sua reazione, e mi stavo lentamente preparando alla mia.

– Volevo vederti. Sei sparito senza lasciare tracce. – Si fermò per un attimo prima di continuare a parlare.

– Coco, non capisco cosa succede. Cioè fino all’altro giorno era tutto perfetto. Siamo amici da una vita e d’improvviso inizi ad evitarmi senza spiegazioni e poi sparisci nel nulla per andare a lavorare nella capitale? Non mi saluti neanche e mi eviti dappertutto. – Lui si fermò e capii che non aveva altro da pronunciare. Le sue critiche erano vere. Lui aveva bisogno di alcune risposte, ma io non ero del tutto certo di potergliele fornire.

– Ho solo capito improvvisamente che, sebbene ci conosciamo da una vita, non ti ho mai detto che ti odio con tutto me stesso. – Mi ci volle tanto coraggio per dire quelle parole. – Tu hai sempre avuto tutto! Sei sempre stato il primo in ogni sport, ogni gara, ogni cosa e questo lentamente mi ha portato ad odiarti. Non posso essere tuo amico se provo questi sentimenti. Non voglio neanche provarci, mi dispiace. – Lo dissi evitando accuratamente di coinvolgere le mie emozioni. Fui freddo e privo di intenzioni.

– Non è vero! Sebbene parli così io ti conosco. Non sei il tipo da disprezzare chi ha più di te né sei davvero tu in questo momento che parli. Pensi che ci conosciamo da una settimana o giù di lì. – Si fermò per un attimo ed in quel momento percepii tutta la sua tristezza.

– Ok! Non vuoi dirmi cosa ti passa per la testa e mi sta anche bene, ma non accetto che sparisci dalla mia vita. Né che mi eviti quindi prenditi il tempo che vuoi. Posso aspettare anche anni, ma quando ti passa la stupidaggine, in quel momento sappi che ti sto ancora aspettando. Sarò sempre pronto a sorriderti Coco, perché per me sei e sarai sempre il mio amico più importante. – Disse quelle parole col cuore, così come aveva sempre fatto.

Per poco non scoppiai.

Stavo per dirgli che non potevo essere amico suo, che lo amavo troppo per stargli accanto, ma non lo feci.

– Resterò in città per i prossimo tre giorni. Poi dovrò ripartire. Mi trovo all’hotel Garizi, vicino la stazione Termini. Ti aspetterò. – Disse Al prima di superarmi. Le sue ultime parole sembravano quasi una supplica e lasciarono in me un senso di amarezza. Sapevo bene che non potevo andarci, non era la cosa giusta da fare.

Lasciarlo andare mi avrebbe reso tutto più facile e gli avrei evitato dolori più grandi.

Quella notte… La prima in assoluto…. Feci un bel sogno. Fu l’ultimo che mi permisi di fare, prima che tutto venne sconvolto per sempre, lasciandomi boccheggiante e inutile.

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Capitolo 4
*** Mani legate ***


Passò quasi un mese da quel mio incontro con Al! Un mese tranquillo e, per così dire, “sereno”, ma allo stesso tempo un po’ frenetico. Ovviamente non andai ad incontrarlo né lasciai che lui venisse di nuovo a parlarmi. Cosa potevo fare?! Rivederlo mi avrebbe solo lacerato il cuore. Successivamente, legato come un salame in quella camera che puzzava di cadaveri, mi resi conto che fu proprio quel “tenermi occupato” che mi impedì di impazzire. Al era venuto da me, mi aveva riaccolto nella sua vita, ed io che avevo fatto?!
Lo avevo brutalmente scacciato, evitandolo e dandogli l’ultima prova importante della mia noncuranza verso di lui. Mi aveva chiesto di andarlo a trovare, era la sua ultima supplica, ma ero sordo alle sue parola. In quel momento, mentre la mia esistenza era appesa ad un filo, capivo quanto sciocco ero stato a lasciarlo andare. Forse, e dico forse, se avessi avuto più coraggio, lui mi avrebbe capito.
Chi mi dava la certezza che lui mi avrebbe respinto? Ero davvero certo che la nostra amicizia sarebbe ugualmente andata allo sfracello, ma nessuno me ne aveva dato alcuna prova. Non mi ero minimamente fidato di lui, lo avevo solamente sottovalutato. Si! Scappare era stato facile, ma proprio ora che tutto mi veniva meno, mi si presentava sotto gli occhi il quadro vero, completo. Cosa successe dopo?! Praticamente quasi nulla di eclatante. Continuai il mio lavoro all’hotel e nel frattempo ricevetti parecchie visite da Leonardo. Non che me ne importasse, qualsiasi cosa diceva mi era nulla, ma alcune delle sue parole mi davano da pensare.
– Sei sempre uguale, un emerito testardo! – Continuava a ripetere come se mi conoscesse intimamente. – Se venissi alla B&G saresti al sicuro ed inoltre, non dovrai pulire quel cesso di casa per amanti. Torna, brutto idiota!- Mi chiesi solo allora se, forse, lui intuisse qualcosa. Mi voleva davvero proteggere, o erano unicamente parole di un pazzo esaltato? Non ne avevo minimamente idea.
– Almeno vieni a vivere nella mia villa, anche se non vuoi lavorare da me, lì non dovrai pagare affitto e avrai la tua stanza personale, fammi almeno questo piacere. – Io mi voltavo sempre dall’altra parte, evitando di guardarlo. Ogni giorno di più, sentivo quella persona meno odiosa. Non so perché, forse semplicemente il suo sguardo stava cambiando. Da beffardo a primo sguardo, stava quasi diventando dolce.
– Non verrò mai a vivere da te, non lavorerò nella tua compagnia e sarei davvero grato al cielo se smettessi di vederti tutti i giorni. – Ma lui non demordeva. Non era come Al…. Non smetteva di venirmi dietro neanche quando ero crudele e spietato. Questo non posso negarlo. Fu un giorno come un altro che, improvvisamente, la mia vita venne sconvolta. Ero appena uscito dal lavoro, come sempre e Tori mi aveva appena lasciato solo per il suo “secondo lavoro” quando una voce spezzò la routine quotidiana.
– Sei Colin Drago? – Non aspettò neanche la mia risposta, le sue mani si spinsero su di me bloccandomi il respiro. Erano dietro di me, non li vidi in viso, ma sentii che erano due uomini. Probabilmente molto più robusti di me, molto più massicci e carichi di muscoli. Non mi somigliavano affatto! Respirai qualcosa e le mie forze vennero meno. Sono sicuro che sapevano già chi fossi, per questo non mi avevano neanche lasciato rispondere. Nel velo nero di quel momento, non c’era nulla. Non c’era nè gioia né dolore.
Solo un enorme vuoto! Non so bene quando iniziai a svegliarmi. Da un momento all’altro i miei sensi iniziarono ad acuirsi. Prima sentii solo qualche voce, un po’ deforme e non molto strutturata, poi iniziai anche ad intuire qualche colore e immagine. Era impossibile stabilire con certezza dove mi trovassi! Era una stanza vuota, totalmente bianca e né una finestra, né un addobbo qualsiasi mi lasciava intuire il luogo che mi circondava. Provai a muovermi ma era tutto inutile, le mie mani erano legate con delle corde spesse e dure.
– Che diavolo! – Dissi in modo soffuso e leggero. Nessuno rispose. Rimasi lì a chiedermi cosa stava succedendo senza capire nulla. Il tempo passò inesorabile, lento e crudele. La mente giocava brutti scherzi e mi sembrava quasi di vedere le persone che avevano iniziato a far parte della mia vita lì, di fronte a me. Vedevo Lorenzo che cucinava, Tori che entrava ed usciva dalla porta e Leonardo che mi supplicava di andare a vivere da lui.
Sembravano lì, pronti a fissarmi fino a quando la porta, che quasi si confondeva con le pareti, si spalancò. Due tipi entrarono spavaldi quasi urtando le pareti. Il primo era più grosso, alto e biondo cenere, con i lineamenti duri e crespi di chi è un “vero duro”. L’altro invece era più bassino e cicciottello, ma sembrava più rozzo e pronto a tutto per dimostrare la sua virilità. Il più alto fece un segno e l’altro si avvicinò a me allargando le spalle.
– Alzati, il boss vuole vederti. – Disse. Solo quelle parole per tutta quell’agonia. Chi c’era dietro?! Forse grazie a quella persona avrei potuto scoprire di più, sapere perché tutto questo mi stava capitando. Il corridoio in cui mi infilarono era stretto ed angusto. Scoprii piano piano che quella casa era solo lo specchietto che portava a qualcosa di più ampio, come la punta di un enorme iceberg. C’era la parte superiore che sembrava in decadenza, ma più si andava in basso, più il lusso cresceva e con se tutto ciò che ne derivava. Vidi bei quadri e mobili antichi, ma non solo questo, a mano a mano che procedevamo le rifiniture andavano aumentando, più oro e diamanti alle pareti, ed a tutto ciò che potesse essere toccato. Non camminammo molto. Presto si infilarono in una porta in legno massiccio e lì conobbi il boss.
Non so bene come descriverlo, perché i miei ricordi di quei momenti sono un po’ offuscati. So di averlo visto, ma so anche che non bisogna ricordare il suo volto. Sono sicuro che avesse i baffi, di quelli belli e curati. Le mascelle grandi e gli occhi penetranti, di un uomo distinto e ricco. So che era vestito bene e ben pettinato, ma i miei ricordi si fermano lì. Anche se non ricordo molto il suo aspetto, ciò che resterà sempre immobile nei miei ricordi è la sua voce, calda e robusta. Sapeva avvolgermi, quasi legarmi. – Finalmente ci incontriamo, Colin. – Lui sembrava conoscermi, sembrava sapere chi fossi con estrema precisione.
-No, non crucciarti. Tu non hai idea di chi sono, ma io ti conosco molto bene. – Fece una breve, ma efficace, pausa. – Più precisamente, conosco tuo padre. – Lui si alzò. Era molto più alto di ciò che pensavo e si avvicinò leggermente a me che, ancora legavo, distanziavo quasi tre metri dalla sua posizione. – Sai, ci deve tanti soldi. Così tanti che non credo col tuo lavoretto, tu potrai restituirceli. – Iniziai ad innervosirmi. Non avevo la minima idea che mio padre fosse in affari con loro, né che conoscesse quella gente. Forse non lo conoscevo affatto!
– Ha chiesto un debito da noi la prima volta nel 2008, da lì ha preso sempre piccoli gruzzoli che, col tempo è diventata una grande somma. Ovviamente non ci ha mai ripagati. – La sua mascella si strinse leggermente, fino a far diventare la sua espressione quasi un ghigno. – L’ultima volta che lo incontrai mi disse queste parole: “troverò il modo di pagarti, nell’eventualità, fai di mio figlio ciò che ti pare.” Ora, sai… il debito non è stato ancora estinto ed io mi trovo in grossi guai. – Fù lì che iniziai a tremare. Il peggio doveva ancora arrivare.
– Io non ho fatto nulla, dovete parlare con mio padre. – Dissi speranzoso. – Mi dispiace figliolo, ma tuo padre non è rintracciabile, sebbene io abbia cercato molto. Credo, a mio parere, che vi abbia abbandonato qui ad affrontare il debito al suo posto, ma non posso esserne sicuro. Sono stato abbastanza paziente fino ad ora, ma gli affari vengono prima di tutto e, cerca di capire, ho bisogno di riavere il mio denaro. – Rispose. Non c’era via d’uscita.
– Quanto ammonta il debito? – Osai dire, mentre lui rideva. – 800 milioni di euro. – Restai immobile. Com’era possibile? A quale scopo gli erano serviti quei soldi e per quale motivo aveva lasciato me a pagarne il peso?
– Io… ci vorrà un po’ ma inizierò a pagarvi tutto. Troverò un nuovo lavoro, ma vi prego, liberatemi. – La mia supplica andò vana al vento. Sembravano non sentirmi ed in fin dei conti, anche io capivo bene che era quasi impossibile. Non erano certo spiccioli, mi ci sarebbe voluta quasi una vita e loro non erano persone disposte a cedere.
– Non hai capito l’entità del danno vero? Io non sono certo uno con cui poter scherzare ragazzo quindi smettiamola di prenderci in giro. Nel nostro caso ci sono alcuni metodi per ripagarci, ma di certo non prevede il tuo rateizzare a vita in questo modo. – Ciò che disse dopo mi lasciò senza fiato. – La prima opzione possibile è che tu lavori per noi, essenzialmente spaccio di droghe leggere e pesanti. Non è un lavoro facile e sinceramente dubito che tu possa fare bene questo compito. Inoltre hai poca conoscenza della materia e non riuscirei a riavere i miei soldi velocemente come desidero. La seconda scelta è che resti qui da noi come maggiordomo, ciò comporta una fedeltà a vita, l’entrata diretta nella nostra famiglia, ma avrei bisogno di fidarmi ciecamente di te e non sono sicuro di poterlo fare. La terza, ciò a cui sono più propenso, è la più difficile per te. Se dovessimo arrivare alla quarta significa che tu sei già deceduto. – Si fermò a guardarmi e poi arrivò diretto al mio corpo. Le sua mani caldi mi sfiorarono il viso ed una brutta sensazione di sgradevole presagio, mi avvolse la carne.
– Ho intenzione di venderti al miglior offerente. – Disse semplicemente. Lo fece come se ciò che stava dicendo fosse la cosa più normale al mondo, come se lo facesse tutti i giorni. – Sei un ragazzo molto attraente e sono sicuro che potrò trovare un buon acquirente per i tuoi “ servizi.” So che non è giusto, che hai paura e che non vuoi, ma non hai alcuna scelta. -
- Mi vuoi far diventare uno schiavo? Io non ho chiesto alcun debito, non puoi vendermi e credere di passarla liscia. – Sentivo il viso contratto, non avevo idea delle parole che mi uscivano dalla bocca. Era come vomitare!
– Ah si? E tuo padre che diritto aveva di prelevare i miei soldi e non restituirli? Se tu non vuoi adempiere i suoi oneri, chi lo farà? Tua madre?! – Sapevo bene cosa stava insinuando. Avrei mai lasciato la donna che mi aveva partorito, nelle loro mani? Mai! – In ogni caso non preoccuparti, se tu non basterai al nostro scopo, sarà lei a compensare. Pensi che sia un gioco questo? Credi che noi siamo quel tipo di persone con cui si può scherzare e dire “vabbè dai va tutto bene?” Tu non mi conosci, ho fatto fuori genti per meno di questo. Sam, Carl. Portatelo alla stanza rossa. L’asta è domani sera e non vogliamo che il nostro puledro si faccia male prima di allora. Ci devi fruttare tanti soldi. – Non mi lasciò dire altro. In fin dei conti cosa potevo aggiungere? Rifiutarmi era fuori discussione, le mie spalle erano confinate al muro, impossibilitate a muoversi. I tirapiedi, mi trascinarono su per le scale e, senza che me ne accorsi, mi lanciarono in una piccola stanzetta scura. Le finestre erano sigillate con assi di legno massicce da cui filtrava solo piccoli spiragli di luce. L’odore era quasi insostenibile. Tanfo di carne morta e, quasi, in decomposizione.
Il primo impatto fu nausea, ma a poco a poco iniziai ad abituarmi. In quella penombra, sentii le lacrime solcarmi il viso. Avevo paura. Per la prima volta da tanto tempo, sentivo il mio corpo impotente e quel peso mi rendeva difficile respirare. Sentivo in me una profonda ansia e capivo che, sebbene ci provassi, la mia difficoltà non sarebbe svanita. Il mio timore non si sarebbe mai riassorbito. Io ero totalmente indifeso! Come avrei potuto difendermi?! Probabilmente doveva andare in quel modo!
Non avrei più rivisto la mia famiglia né Al, l’unico che io avessi mai amato, e forse è proprio quello che avevo desiderato fin dall’inizio ma, cosa mi sarebbe riversato il futuro? Sarei stato comprato…. A quale scopo e soprattutto, da chi? Le lacrime erano la mia unica consolazione. Non volevo piangere, mi detestavo per la mia fragilità, ma che altro mi restava da fare? Anche se fossi scappato, mi avrebbero riportato proprio lì. E se per puro caso fossi riuscito a farla franca, chi ne avrebbe pagato? Mia madre! Già me la immaginavo, tremante e impaurita! No.
Dovevo affrontare tutto a testa alta. Mi accorsi che era notte solo quando la luce fu totalmente assente. In quella tetra oscurità, ciò che era fuori di me mi sembrava quasi un’oasi di ristoro in mezzo al deserto, una fugace apparizione. Appariva per poi scomparire nel nulla non appena provavo in alcun modo ad afferrarla. Dormii poco e male. Non avevo alcun letto, ed inoltre le mie mani erano ancora legate dietro la schiena, ragion per cui mi era impossibile trovare una posizione quanto mai “ comoda”. Fu all’alba che qualcosa si smosse. Iniziarono i primi rumori.
Cercai di percepire qualcosa di familiare, ma non ci fu nulla. Le auto arrivavano ad intermittenza, ma dopo quello nulla, niente che mi avrebbe fatto dire il luogo preciso di appartenenza. Non che ci sperassi più di tanto. Non sapevo se fuori di lì mi stessero cercando o no. Cos’avrebbe pensato Tori non vedendomi a lavoro? Forse non gli sarebbe importato nulla o magari si sarebbe preoccupato, ma di certo non mi avrebbe cercato. Ognuno ha la sua vita da aggiustare! Fu il giorno più lungo della mia vita. Chissà quando durante il giorno, arrivò qualcuno. Era un ragazzo ma non vidi bene il suo volto.
Mi portò qualcosa da mangiare e fuggì via. Sembrava abituato a quella routine e probabilmente era per questo che evitò per tutto il tempo il mio sguardo. Mi accorsi subito che la porta era aperta. A loro non importava rinchiudermi dentro. Non era quello il loro scopo! Vennero a prendermi all’improvviso. In mano avevano un sacco nero, immaginai da solo a cosa sarebbe servito, ed infatti avevo ragione.
– Mi dispiace. – Disse uno, chiunque fosse credo che in cuor suo fosse un po’ dispiaciuto per me. Almeno così mi piace pensare. – Per fortuna non è come la modella russa, lei l’abbiamo dovuta massacrar di botte. – Rise l’altro. Camminammo per un po’ fino a quando mi intimarono di star fermo. Salimmo su un’automobile e partimmo chissà dove. Incappucciato mi era impossibile sapere dove mi trovavo e persino dove stavamo andando. Aveva importanza? Una canzone folk fece da colonna sonora. Le parole, in inglese probabilmente, mi entrarono dentro e sembravano quasi parlarmi. “Stai calmo.” Sembravano che urlassero al mio cuore. Quanto tempo passò? Qualche minuto o qualche ora? Stavo disperando a cercare di capirlo. Ci fermammo con un brusco rumore stridulo dei freni.
– Scendi. – Dissero ed io eseguii. Fuori c’era freddo, ma io non me ne accorsi neanche. L’aria gelida mi sfiorava il viso ma a me quasi non importava. La cosa più vivida che ricordo è certamente quella luce accecante. I riflettori erano puntati su me o meglio su noi. Mi ero accorto di non essere il solo, ero stato messo in fila insieme ad altre persone: sia uomini che donne. Non ero l’unico che era stato messo “ all’asta”, né sarò mai l’ultimo. Mi tolsero il sacco, ma ugualmente vidi ben poco. I riflettori erano troppo forti per poter vedere altro che bianco. La voce di un uomo parlava lentamente e con la stessa intensità la sua voce continuò fino alla fine.
– Buonasera a tutti, parte adesso l’asta numero: 10789/678. Oggi abbiamo esemplari di rara bellezza e doti. Iniziamo con Serena Sopoviski, anni 18. Vedete da soli la sua estrema bellezza, gambe lunghe occhi ipnotici e soprattutto vergine e immacolata. Base d’asta 30 milioni. – Sentire quelle parole mi fece improvvisamente capire che era tutto vero. Le offerte fioccarono e così fecero per tutti i nomi a seguire. La prima venne venduta a 500 milioni. Poi il secondo a 300, ed ancora 20 milioni per una donna matura, 800 milioni per una ragazzina di 13 anni e 350 milioni per un uomo sulla trentina. Ci furono tanti nomi fino a quando arrivò il mio turno. Iniziai a tremare. – Ecco a voi il prossimo. Il suo nome è Colin Drago, ha 19 anni, poche esperienze lavorative ma ottimo come maggiordomo. Come vedete ha un corpo molto gracile, quasi femmineo. La sua base d’asta è di 30 milioni di euro, fate le vostre offerte. -
- 35 milioni. -
-40 milioni. -
-80 milioni. -
- 82 milioni. – Le offerte sembrano salire sempre più fino ad arrivare a 200 milioni. Quando le voci si fermarono qualcuno si avvicinò a me ed iniziò a togliermi i vestiti. Sentii le mani di uno sconosciuto frugare in me e qualcuno mormorare parole indistinte. – Non ve ne pentirete di questa merce, il ragazzo è illibato in ogni parte del suo corpo. – Disse la voce maggiore. Ci fu un suono, qualcuno parlò forte e così chiaro che mi voltai verso quella direzione sicuro di scorgere quasi il suo viso.
- Un miliardo. – Disse. Ed a quel punto nessun altro osò fiatare. Fu l’offerta maggiore fino ad allora.
– Aggiudicato al numero 385. – Dichiarò e tutto finì. Qualcuno mi portò via ed i miei occhi, che fino a quel momento fissavano una luce, tornarono nuovamente nell’ombra.

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Capitolo 5
*** Una piccola verità ***


Dormii.
La stanchezza arrivò di colpo lasciandomi impreparato. Improvvisamente tutto divenne di poca importanza lasciando il posto alle tenebre. Cosa sarebbe successo una volta sveglio non lo sapevo, ma ad una parte di me quasi non interessava. Ormai quella storia era conclusa ed io ero pronto alle conseguenze che ne derivavano. Non sentii che mi issavano né che mi trasportavano con l’automobile. Sentivo solo tanto caldo.
Il calore che percepii mi avvolse in un grande cerchio da cui non volevo andare via.
Tanto, tanto avvolgente.
Poi c’era un odore, qualcosa che mi faceva quasi tornare alla mia infanzia. C’era qualcosa di strano in quel sapore dolciastro. Un ricordo dimenticato, o forse stipato in qualche stanza particolare e pronto a fuggire quando sarà il momento. Per il resto, fu come tornare bambino, stipato dentro una grande sacca amniotica. Poi….. mi svegliai!
Fu come se mi si fosse acceso un interruttore e…. TACK.
La luce si era accesa ed io mi ritrovai in un luogo nuovo, un posto che non conoscevo. Mi guardai subito attorno e vidi una stanza semplice. Tutta bianca e spoglia. C’era un piccolo vaso con quattro fiori rossi e uno specchio alla parete che era direzionato alla porta. Provai ad alzarmi e sentii la pesantezza intera del mio corpo. Era come se non avessi dormito per anni interi ed improvvisamente, lo avessi fatto. Non indossavo i miei vestiti e questo fatto mi preoccupò.
Iniziai a guardarmi e l’agitazione crebbe. Portavo una maglietta spoglia, fondo unico e un pantalone della stessa tinta, ma decisamente non erano quelli i miei abiti.
Chi era stato a vestirmi e soprattutto perché?
Mi fiondai allo specchio per guardarmi e, a parte quel piccolo particolare, ero sempre io. Non ero cambiato in nulla. Con un po’ di paura, decisi di aprire quella porta e scoprire cosa mi sarebbe successo, perché era ora di sapere la verità.
Dall’altra parte c’era silenzio. Mi diressi verso l’unica direzione possibile ed iniziai a camminare. La casa era una semplice abitazione, senza sfarzi né alcun indizio particolare su chi ci viveva. Sembrava più un ufficio che una vera e propria casa.
Improvvisamente sentii un rumore e mi avvicinai.
– Si. No, ancora non credo sia sveglio. Va bene. Non si preoccupi me ne occuperò io. Ok. – La persona che parlava era decisamente una donna, con la voce dolce anche se un po’ troppo acuta. Quando mi accostai a quella porta lei si interruppe come se avesse percepito la mia presenza e staccò il telefono. Mi guardò per un attimo ed io feci ugualmente con lei. Era una bella donna, sulla trentina e ben curata. Portava un vestito sobrio e un pettinatura semplice ma elegante. Sembrava in tutto e per tutto la classica figura della segretaria e così era, per una strana ed irrilevante ragione.
– Finalmente sveglio. Sono due giorni che non dai segni di vita. Dovevi essere davvero sconvolto. – Sorrise ma in quello sguardo, pur concentrandomi, non vi trovai nulla di strano.
– Dove mi trovo? E per quale motivo non indosso i miei vestiti? – Lei si alzò dalla sedia e mi accorsi subito che quello doveva essere il suo ufficio, la sua piccola stanza dove doveva svolgere i suoi compiti anche se non ho mai saputo bene quali fossero. C’era la scrivania, il computer ed i suoi effetti personali insieme alla stampante e qualche oggetto decorativo.
 – Mi dispiace per quello. Eri sporco e così ti ho cambiato ma rassicurati, non ho fatto altro. Non mi permetterei mai di approfittare di un ragazzo addormentato. – Si fermò un attimo, voleva convincermi ed io non avevo nulla da poter obiettare.
– In ogni caso io sono Ambra, non avere paura, non sono io colei che ti ha comprato. Non so quanto tu abbia sentito della mia conversazione, ma non devi irrigidirti con me. Anzi siediti. Ti porto un po’ di tè caldo. – Lei sembrava quasi una mamma, dolce e gentile, mi fece passare un po’ di paura così, cedetti.
– Vuoi il limone? - -Si grazie. – Mentre non c’era mi soffermai sulle foto alle pareti, non esprimevano nulla di familiare, ma solo rendevano l’ambiente formale e aziendale.
– Potresti darmi più informazioni? Non so nulla di chi mi ha acquistato né cosa succederà d’ora in poi. – Lei ritornò quasi subito portando con sé una tazza fumante.
– Tieni. Non posso dirti molto, ma sappi che non ti farà del male. Lui mi ha detto di dirti che il debito di tuo padre è stato del tutto sanato e ha provveduto a levare tutti i diritti di riscossione del debito dalla tua testa. Non chiedermi altro perché non so più di questo. – Lei si sedette al suo posto, di fronte a me e mi guardò con uno sguardo caldo.
– Cosa dovrò fare io? – Dissi infine. – Nulla per ora. Non so quali saranno i tuoi compiti futuri, ma attualmente lui mi ha chiesto di darti questo. – Lei mi passò una busta rossa, non molto rilegata, una semplice di pochi centesimi, ma c’era qualcosa in quella lettera che mi incuteva un leggero timore. – Se preferisci puoi sempre leggerla nella stanza, io continuo il mio lavoro. – Mi alzai con quel fardello nelle mani. Quando chiusi la porta dietro di me restai ad ascoltare il piccolo tonfo ed il mio cuore accelerò i battiti. Mi misi seduto sul letto ancora scombinato e aprii la linguetta. Dentro vi era una lettera bianca ripiegata e un biglietto. Mi apprestai a leggere, e trattenni il fiato.

 
Caro Coco,
so che non ami questo nome, ma credo che al momento non voglio chiamarti in altri modi. Non posso dirti chi sono perché ciò ti spaventerebbe e non voglio questo. Ho saputo troppo tardi che ti avevano preso, non ho potuto fare nulla per fermarli. Probabilmente adesso hai paura, questo mi rende il cuore pesante, non voglio che tu sia spaventato. Ho risanato il debito e mi sono assicurato che non vengano più a cercarti né che possano fare del male a tua madre, perché per me siete entrambi importanti. Sono sicuro che non crederai di aver finito il tuo compito, conoscendoti so per certo che, anche se ci volessero anni tu cercherai sempre di ripagarmi. Per questo motivo ho incaricato Ambra di trovarti un lavoro e trattenere dal tuo stipendio la metà per le spese del debito. Non mi farò mai vedere da te, né cercherò favori o altro, tranne uno. Dentro la busta troverai il biglietto per andare a casa. Non so perché tu abbia tanta paura di rivelare i tuoi sentimenti, ma sono sicuro che, se ci provassi, lui non ti caccerà mai via. Voglio che tu vada a trovare Al, che gli dica ciò che provi per lui, perché se non lo farai te ne pentirai per sempre. Anche io sono un codardo. Addio Coco.

 
Una lettera del genere era ciò che non mi sarei mai aspettato. Non avevo ancora capito chi fosse stato a salvarmi, ma lui mi aveva dato una seconda possibilità. Potevo di nuovo tentare a vivere il sogno e chissà come, potevo farcela. Guardai il biglietto ed uscii dalla camera. Ambra mi stava aspettando, quasi come se sapesse già cosa stavo per fare.
– Tu lo sapevi? – Gli chiesi e lei annuì. Mi porse una piccola borsa e la fissai per un attimo. – Lui mi ha portato questi per te. Sono degli indumenti più consoni ad un viaggio. Sai, anche se non posso dirti molto, ciò che posso assicurarti è che lui ci tiene molto a te. Non so per quale motivo né mi è permesso chiedere, ma sappi che se vorrai incontrarlo, se davvero ci tieni, penso che lui ne sarebbe contento. – Disse quelle parole con un’aria strana ed io ci pensai un po’.
– Forse un giorno, ma credo che non sia il momento adatto. Se non è qui forse questa persona non vuole che io sappia altro, in cuor mio spero davvero che colui che mi ha salvato sia mio padre e forse adesso sto pensando proprio a lui mentre torno a casa. Un giorno saremo pronti a vederci, ma per ora devo andare. – Lei annuì e mi lasciò libero. Mi cambiai in mezzo secondo e, con ancora l’odore di notte, mi fiondai fuori, non prima che Ambra mi desse un bigliettino in cui c’era scritto il suo numero. Sarei dovuto tornare tra tre giorni esatti perché era quello lo scadere del tempo in cui mi avrebbe presentato al mio nuovo, entusiasmante lavoro.
Corsi come non mai per la strada, tanto da sentirmi sudaticcio e stremato. Corsi senza pensare, come se lui fosse lì per lì pronto ad afferrarlo. Il biglietto era per quella stessa sera, non avevo tanto tempo. Arrivato al dormitorio dove stavo, salii di fretta le scale e trovai la casa vuota. Non c’era nessuno ma le mie cose non erano state spostate. Il mio telefono lo ritrovai magicamente nel mio letto, come se mi aspettasse e lì c’erano centinaia di chiamate da parte di Tori. Entrai di corsa nella doccia  e lasciai un bigliettino in cui c’era scritto frettolosamente “Torno presto, Colin.” Non avevo il tempo di fare altro e, con il fiatone arrivai alla stazione. La strada verso casa non era chissà quanto lunga, ma sapevo bene che più che il viaggio, l’attesa mi avrebbe distrutto. Mentre salivo sul vagone, sentii quasi qualcuno che mi osservava, ma non mi voltai.
Qualcuno vegliava in silenzio ed allo stesso modo io me ne andai.  Il treno era lento e rumoroso. Cosa dovevo dire? Come potevo spiegare tutti quegli anni di desideri reconditi? “Al, mi sono allontanato perché ti amo da impazzire.” Il solo pensiero di pronunciare quelle parole mi lasciava attonito. Non potevo assolutamente! Non era nelle mie facoltà mentali continuare quel discorso.
No! No! No!
Eppure dovevo.
Era necessario che io dicessi i miei sentimenti il prima possibile. Il treno annunciò la mia fermata ed io mi fiondai fuori. Era ancora notte quando scesi alla stazione, non era il momento di fare altro così, lentamente, mi diressi verso casa. Non ero mancato tanto, ma sentivo che qualcosa era diverso. La strada era familiare, ma c’era sempre quel piccolo campanellino che annunciava “ qui non è più posto per te.”
Eh si!
Quel luogo non sembrava più appartenermi. Vidi la costruzione in cui ho abitato per così tanto tempo, poi la sua casa fianco alla mia e dalla sua finestra vidi la luce accesa e pensai. Pensai così tanto che mi faceva male la testa, ma rimasi fermo, lì, come un pazzo.
Immobile e silenzioso fino a quando, finalmente, la luce si spense ed anche il mio cuore si acquietò. Va bene così. Glielo dirò domani. Dicevo nella mente, ma sentivo che fosse l’ennesima bugia.
Entrai in una casa vuota.
– Mamma! – Urlai sbattendo la porta. Una piccola luce si aprì nella sua stanza e piccoli rumori distinti si iniziarono a formare.
– Coco? – La sentivo che diceva. – Che diavolo? Coco sei tu? – Io mi avvicinai e la vidi. Sembrava ancora più piccola in quel letto. – Cosa ci fai qui? Per quale motivo sei tornato? Senti io sto bene, non devi preoccuparti per me, hai capito? – La sua voce era calma ma severa. Non aveva importanza ciò che diceva, lei era sempre in quel modo.
– Non preoccuparti, sono solo venuto per una breve visita. – Le dissi. Non era proprio vero, ma preferivo sapesse solo quello. – Una mamma sa tutto Coco. – Mi rispose lei. Solo questo! Non aggiunse altro.
– Vai a dormire. Domani parliamo con calma. – Il mio corpo non si mosse. Mi sentivo un bambino e proprio così volevo essere. – Posso restare qui con te? Mi sei mancata, mamma. – Lei scostò la coperta e mi fece segno di entrare. Rimasi tutta la notte con lei, come quando da piccolo papà restava a lavoro fino a tardi.
Mio padre!
Prima o poi avrei dovuto pensarci ma era meglio dopo che prima. Era così che mi dicevo!
Chissà cosa stava facendo? Chissà con chi era.
Era stato davvero lui a salvarmi? Sebbene non ci credessi davvero, sentivo che lui fosse collegato anche in minima parte e, forse, avevo ragione. La mia mente vagò, confortato dal calore di mia madre e improvvisamente il mio cervello pensò a Leonardo. Perché?
Senza pensarci, l’ultimo viso che vidi quella notte fu proprio il suo. Rividi il nostro bacio, la sorpresa ed il sapore dolce delle sue labbra. Sentii su di me il suo corpo mentre, giorno dopo giorno, veniva a cercarmi ed una parte di me lo sapeva. Io sentivo che qualcosa era cambiato, che i miei sentimenti stavano mutando, ma non volevo dargli ascolto. Eppure, quella notte, non potevo non pensare a lui. Mi addormentai con il suo ricordo impresso nella carne, la sua voce nelle orecchie ed il suo alito caldo nei miei polmoni, fino a quando, la luce del sole rischiarò una nuova giornata.
Il profumo invitante del caffè mi fece da guida, mi ristorò e mi restituì al mondo.
Vedere mia mamma in cucina, non aveva prezzo. Sentii una forte pressione al cuore.
– Ben svegliato, pensavo di doverti far esplodere due bombe ai piedi del letto. – Lei rideva. Quanto tempo era che non la sentivo così allegra? C’era ancora papà, ne ero sicuro.
– Ho fatto tutto il viaggio senza addormentarmi ed era notte fonda quando sono arrivato, vuoi farmi riposare o no? – Le dissi un po’ scocciato, ma solo in apparenza. – Allora piccolo mio, quando vai da Al? – Il mio sguardo si abbassò sulla tazzina e sperai di annegare lì le mie preoccupazioni.
– Qual è il problema? So da sempre cosa provi per lui. Lo sanno tutti gioia mia, ma nessuno ti ha mai giudicato male. Bhè si forse quella pettegola di Agnese fa troppe battutine sarcastiche, ma credimi, tutti vi adorano. – Avrei voluto sparire. Non volevo che mia madre sapesse, ma forse era inevitabile.
– Ho paura! Se lui mi rifiutasse… - Lei mi prese la mano ed il suo calore era confortante. Un piccolo ricordo riaffiorò come dal nulla. Quel calore….
Sentivo ancora la forza di quell’abbraccio mente ero svenuto ed iniziò lì il dolore al cuore. Perché?! Possibile che il mio corpo mi desse il primo segnale?
– Più che paura di un rifiuto, hai proprio paura di ammettere ad alta voce ciò che provi, Coco. Sei andato via perché volevi separarti da Al quindi smettila di convincerti diversamente. Affronta le tue paure e vedrai che la cosa peggiore può essere che domani non vi guarderete più, ma in ogni caso non finirà il mondo e tu non ne morirai. Quindi vai amore mio. – Lei aveva ragione. Cazzo come era vero!
Mi alzai ed uscii di casa. Non dissi nulla perché era stato già tutto detto. Lei era consapevole di ciò che stavo facendo ed io ero finalmente tranquillo. Mi avvicinai a casa sua e suonai. Una e poi due volte quando Sabrina venne alla porta. Lei era bella come sempre, sebbene fosse ancora in pigiama. Così bella che per un attimo pensai a quanto fossi stato stupido, ma io sapevo che tra noi non ci sarebbe mai più stato niente.
– Coco? Che cosa ci fai qua? - - Dov’è tuo fratello? – Ero uno stupido e la ferii di nuovo. I suoi occhi si velarono di tristezza, la sua anima era stata macchiata. – Finalmente ti riconosco! E’ in palestra, per ora torna poco a casa, penso che qualcuno gli abbia spezzato il cuore. – Non avevo ancora capito e senza salutare corsi per la strada. Il vento era freddo sul viso ed il mio corpo, sospinto in avanti solo dalla mia forza di volontà, era esausto.
Sapevo che una volta arrivato non era detto sarei riuscito a dire ciò che speravo. Ero pur sempre un codardo, ma questa volta ci avrei provato.
– Coco? Quando sei tornato?- Vidi i miei amici e poi c’era lui. Non risposi a nessuno, rimasi solo a fissarlo sulla panchina. Non era solo e fu proprio quello a destabilizzarmi. C’era una ragazza con lui e dal suo sguardo si vedeva che non era una semplice amica. Lei rideva e lui guardava il pallone da basket con un leggero sorriso sulle labbra. Sembravano felici?!
Non ebbi il coraggio!
Mi bloccai.
Tutto sparì nel nulla.
Poi Al si voltò ed i nostri sguardi si incrociarono.
Fu un attimo. Scappai di nuovo! Questa volta per davvero. Corsi via in una direzione qualsiasi perché era troppo difficile. Non riuscivo a guardarlo in volto perché sapevo che avrei pianto come un bambino e tutto sarebbe andato in aria. Come potevo sorridergli di nuovo? Correvo più che potevo e non riuscivo a sentire altro che i miei singhiozzi fino a quando una mano mi bloccò.
– Coco, che diavolo fermati! – La sua voce! – Ti prego Al lasciami andare. – La mia supplica restò in aria, galleggiante.
– Perché sei tornato? Pensavo che non volessi più vedermi. – Io non risposi. Non riuscivo neanche voltarmi dalla sua parte. Ero inutile.
– Ti odio Colin! Per colpa tua la mia vita è diventata uno schifo. Mi stavo riprendendo cazzo! Ci stavo provando a vivere senza di te, ma tu sei tornato di nuovo, sei qui di fronte a me e non capisco più niente! Non ci riesco! Non posso più farlo Colin. Non va bene amarti. – Al si fermò e la mia testa iniziò a girare. Avevo davvero sentito quelle parole? Era davvero stato lui a dirle? Mi girai e lo vidi. Il suo volto era rigato dalle lacrime.
– Cosa hai detto? – Dissi a fior di voce. – Ti amo da morire stupido! Ti amo dalla prima volta che mi hai sorriso e non posso dimenticare questi sentimenti. Ci ho provato, credimi! Ho voluto a tutti i costi allontanarmi dal tuo ricordo, ma non ci riesco. So che sei parte di me e l’ho capito rivedendoti. Tu non sparirai mai dal mio cuore. – Non riuscii a dire nulla. Ero bloccato, ma felice. Mi avvicinai a lui e per la prima volta, esaudii il mio sogno. Le mie labbra, tremanti, sfiorarono le sue bagnate di lacrime ed il suo sapore mi travolse il cuore. Fu allora che pensai di nuovo a Leonardo, ma fu così breve il ricordo che sparì all’istante. La mia lingua cercò la sua ed in quell’attimo di estasi, tutto sparì.



Nota aggiuntiva:
Perdonatemi per il tempo che ho perso dall'ultima pubblicazione. Purtroppo ho avuto alcuni problemi per il "periodo natalizio" e non potevo assolutamente correggere il capitolo prima di pubblicarlo. Mi dispiace e spero che continuate a seguirmi ugualmente. Cercherò di pubblicare il più velocemente possibile. Grazie a chi continuerà a seguirmi, spero di cuore che commentate perchè sentire le vostre opinioni mi da forza e coraggio.

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Capitolo 6
*** 5.5 SPECIAL- Ricordi ***


“Avere 10 anni è uno schifo! Odio tutti e tutto.” 
E’ impossibile fermare i ricordi. Loro sono lì che ti aspettano e che ti divorano l'anima. 
Ho sempre amato una persona nella mia vita. C’era sempre per me, ma inizialmente non lo avevo ancora capito. Sapevo bene che era sbagliato, ma in cuor mio andava bene. 
“Anche se siamo entrambi uomini che cosa ci fa?” Mi ripetevo all’infinito, senza però riuscire a confessarlo apertamente, forse perché sapevo. 
Intuivo che era una cosa sbagliata, ma istintivamente non mi importava. Fu quando mia scoprii che mia sorella gemella, che fino a quel momento mi sembrava una bambina, condivideva i miei sentimenti che mi chiesi il perché. Se anche lei lo amava forse era un problema. Forse ( e dico forse) ero io quello sbagliato. 
“Ally, mi piace tanto Coco. Voglio sposarmi con lui quando sarò grande.” Ripeteva in continuazione. 
Ebbi paura! 
Perché dovevo condividere tutto con lei? 
La nascita, l’affetto di mamma e papà, gli amici e per giunta l’amore della mia vita. Eppure lei era così dolce ed io non potevo far altro che darle appoggio. Iniziai lì a smettere di manifestare ciò che provavo. Volevo che lei fosse felice, perché era quella la normalità. 
Il ricordo che rimbalza sempre  e continuamente nel cervello non è lei che si bacia con il mio migliore amico, né loro due a braccetto, ma il mio primo bacio con lui. Avevo solo 10 anni a quel tempo e già mi sentivo totalmente sicuro. 
Almeno io lo ero… 
Era inverno e, per la prima volta quell’anno, era giunta la neve. I fiocchi erano bianchi e candidi ed il freddo penetrava come aghi nella pelle. Coco era rimasto a dormire da me quella volta ed ero così emozionato che potevo morire in quell’istante e sentirmi ugualmente felice. 
“Al possiamo giocare ai videogiochi tutta la notte.” Urlava emozionato. Io già sapevo che non sarei riuscito a dormire, ma non potevo dirglielo. Sabrina, che solitamente dormiva con me, andò nella stanza dei miei genitori e, quando la porta si richiuse e noi restammo soli, sentii che qualcosa poteva davvero accadere. 
Coco fissava lo schermo della televisione come un cucciolo la prima notte in una nuova casa e lì capii che nulla quella notte sarebbe successo. Lui non si sarebbe voltato dalla mia parte né mi avrebbe dichiarato il suo amore. Io non sarei rimasto col cuore in subbuglio ad aspettare il suo bacio, né avrei sospirato di dolcezza mentre mi sfiorava i capelli arruffati. Con un piccolo sorriso, però, continuai a stargli accanto. 
Avrei aspettato! Potevo continuare a stare al suo fianco, perché la nostra amicizia andava oltre ogni ostacolo, ne ero sicuro! 
“Sei sicuro che vuoi giocare? Lo sai che ti batto sempre Coco. Sei una schiappa a qualsiasi gioco, sia virtuale che reale.” “Hey.” Disse e prese il joystick come se ne dipendesse dalla sua vita. 
“ Ti faccio vedere io. Ti batterò!” Ma non ci riuscì. Perse ogni partita! Eppure ridemmo come pazzi. Anche se Coco perdeva sempre, non si arrendeva mai. Era capace di provarci all’infinito e forse era una delle sue caratteristiche che amavo di più. Tutto mi piaceva, ma la sua testardaggine mi rendeva sicuro. 
Era dolce. 
“E’ troppo tardi. Smettetela subito con questi rumori ed andate a dormire.” Disse mia madre con in testa già i bigodini e la crema esfoliante ( ed inoltre odio sapere che sia esfoliante). 
“Va bene zietta. Chiudiamo subito altrimenti Al vede la sua sconfitta e credo non lo possa sopportare.” Disse allegramente e chiuse accuratamente la televisione avvicinandosi al letto di Sabrina come un bravo soldatino. Era molto ubbidiente Coco da piccolo. Suo padre era molto severo, sebbene lui non vorrà mai ammetterlo. 
Ripenso spesso ai momenti in cui, in lacrime, mi raccontava le botte che aveva preso per aver fatto un minimo ritardo. Aveva il terrore di lui ed anche io fino a quando non abbandonò tutto lasciando la sua famiglia sola e spaurita. 
Quando fu a letto mia madre chiuse la luce dandoci la buonanotte ed iniziò lì la mia tortura privata. 
“Al, so che dovremmo dormire ma… ho un po’ paura.” Disse improvvisamente Coco. Non conoscevo ancora quel lato di lui. “Coco…. Tu hai paura del buio?” Chiesi nel più assoluto silenzio. 
Lui non rispose! Non potevo vederlo bene, ma quel piccolo fascio di luce che penetrava dalla finestra mi faceva intuire che fosse raggomitolato nelle coperte, come se anche solo guardare altrove lo facesse stare male. Senza pensarci, senza dargli motivo di dubitare della mia integrità morale, mi alzai dal mio letto e mi infilai nel suo ( o meglio in quello di mia sorella). 
“Che fai Al. Non è quello, è che è la prima volta che vengo a casa tua di notte e…” Io mi accomodai e presi possesso di metà cuscino. 
“Non mi importa. Dormiamo!” Dissi e lui si fermò. Senza preavviso sentii il suo fiato calmarsi e capii che si stava addormentando. Il suo corpo era appiccicato al mio, la sua testa sfiorava il mio torace e… come potevo dormire. Quando fui sicuro che non potesse svegliarsi, fu in quel momento che non riuscii a trattenermi. 
“NON DEVI FARLO!” Urlava il mio cervello, ma il cuore non ha resistito. Sfiorai le sue labbra con delicatezza. Non c’era malizia in quel gesto, né voglia di andare oltre. C’ero solo io, un ragazzino innamorato e lui, la persona che sapevo mi avrebbe devastato la vita e quell’unico momento, era perfetto! 
Del tutto perfetto!

– Perché diavolo non chiudi la luce? – La voce di Coco nella profonda oscurità, non era molto diversa da quella che avevo nella mia mente di lui piccolo. Fermo sulla porta, in attesa di quel momento carico di estasi, mi sentivo unico. 
– Non voglio perdermi nulla. Cioè…. Coco aspetto questo momento da una vita. – Sembrava confuso.
- Tu desideravi fare sesso con me? – Disse quasi in paranoia. Com’era possibile che non se ne fosse mai accorto? Ero così bravo a nasconderlo? 
No! 
Probabilmente era solo lui che non capiva. 
– Certo stupido idiota che non sei altro. Ti ho detto che ti amo, è logico che volessi diventare una cosa sola con te. – Il suo volto si schiarì e mi fece segno di raggiungerlo. Aveva indosso solo i boxer e dalle lenzuola captavo il suo petto poco villoso ma estremamente sexy. Io, un po’ intimorito, portavo ancora il maglioncino quando lui, con le sue mani grandi e gentili, iniziò a denudarmi. 
– Ho sognato anche io questo istante e finalmente è arrivato. Voglio sentirti su di me, captare i tuoi respiri e annaspare nei tuoi gemiti. Al voglio tutto di te! – Iniziò a baciarmi, prima dolcemente, poi sempre con maggiore foga. 
La sua mano, che dapprima mi sfiorava il viso, iniziò piano piano a scendere sul mio petto, per poi giungere alla mia mascolinità. Quando fu lì, tutto sparì! 
Era come giungere alle porte del paradiso. Mi ero toccato spesso col suo pensiero in testa, ma sentire davvero lui che lo faceva, non aveva limiti. 
Era affogare! 
Poi fui io a prendere in mano la situazione. Lo scaraventai sul materasso e mi fiondai su di lui, volevo che sentisse il mio stesso piacere, che godesse insieme a me. Non resistevo, era troppo bello per potermi contenere. 
– Sei sicuro Coco? Se non vuoi possiamo anche fermarci qui. Non sei obbligato a continuare. E’ una cosa nuova per entrambi. – Lui mi baciò e mi spostò la mano verso il suo luogo nascosto. Non so chi decise che fossi proprio io a stare “sopra”, era quasi automatico, naturale per noi. 
Leccai la sua zona segreta come se fosse il piatto più squisito che avessi mai provato e, con delicatezza iniziai a toccarla, come l’oro più prezioso che possedevo. Lui soffriva ma non me lo faceva pesare. 
Sapeva che se avessi capito, mi sarei fermato ma, non era in quel modo. Non avrei mai potuto smettere quel gioco così pericoloso. Ormai ero andato troppo oltre. 
Sentire la sua profondità mi lasciò incapace di respirare. Non era come immaginavo. Era stretto, molto! Non era umido ma sicuramente molto caldo ed avvolgente. Mi sentii stritolare e le sue urla furono la prova che anche lui provava lo stesso dolore se non di più. 
Continuai a muovermi perché non potevo fare altrimenti. Più lui urlava più sentivo l’eccitazione credere ed il mio membro diventare più duro. Avevo voglia di squarciare in due ogni parte del suo corpo, ma allo stesso tempo mi sentivo in colpa per quei pensieri così squallidi. 
Vedevo il suo corpo bianco ed invitante e desideravo solo che godesse ancora ed ancora. Fu verso la fine che Coco iniziò a godere e quando lo fece fu ancora più magico. I nostri gemiti si fusero in qualcosa di unico e le nostre anime erano totalmente avvolte in una sola. 
Almeno così credevo! Venni in lui, liberandomi di ogni preoccupazione, ogni dubbio ed ogni lacrima versata. Fu lasciarmi tutto alle spalle ed iniziare la nostra vita insieme e, con le mani intrecciate, ricaddi nel letto accanto a lui. 
– Vuoi tenere ancora la luce accesa? – Disse guardandomi col fiatone. 
– Certo amore mio. Non permetterò mai al buio di farti paura o di rubarti a me. Ormai sei totalmente mio. – 
Ed io ci credo! 
Ci ho sempre creduto.

P.s. Scusate ma un pò di zam zam ci voleva. Che ne pensate? Love love love ma anche lo zam zam serve. In ogni caso volevo ringraziare tutte voi che mi seguite con questa storia per questo motivo ho inserito un capito SPECIAL in cui è Al a parlare e non Coco, un pò diverso dagli altri capitoli. Ho una domanda e spero che tutte voi che mi seguite possiate rispondermi in questo capitolo. Che ne pensate della coppia Al - Coco? Vi piace? Preferireste vedere Coco con qualcun altro? Se vi è piaciuto lo special e se volete che venga riproposto in futuro, commentatemi e datemi il vostro parere. Grazie mille a tutti e buon inizio del 2018. Kiss kiss a tutti!

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Capitolo 7
*** Chi sei? ***


-Ricapitoliamo. – 
Al era nervoso. Lo intuivo dal leggero sudore che aveva ai lati della fronte. – Tu arrivi alla stazione centrale alle 10 in punto, mentre io sono obbligato a prendere il treno tra due giorni perché a causa della neve non ci sono posti disponibili per le prossime ore. Bene! Ricordami per quale insano motivo devi per forza tornare entro oggi? – Non avevo spiegato tutto ad Al. Non ero ancora pronto e lui sembrava capirlo. Sapeva che ero turbato e quando qualcosa non andava, anche lui ne risentiva. Era sempre stato così anche prima che mi confessasse il suo amore. Era strano! 
Dovevo essere io a dire tutto ed invece… Come potevano cambiare le carte in un momento solo. – Ho un colloquio di lavoro! Lo sai che avrei preferito partire direttamente con te, ma non posso assolutamente saltare questo impegno. – Al mi abbracciò forte, quasi a stritolarmi. – Mi mancherai cazzo! – Il suo odore era buono, anzi…. Più che buono. Mi inebriava completamente. La porta della camera si aprì proprio in quel momento e Sabrina entrò tutta indaffarata. 
– Oddio! Mi ci devo ancora abituare. – Disse coprendosi gli occhi. – In ogni caso, bei piccioncini, se non vi sbrigate altro che essere in stazione per le 10. Quindi prendi i bagagli Coco e andiamo. – Uscimmo da casa in fretta e furia e questa volta era tutto diverso. A vedermi partire c’erano tutti. Mia madre, che ormai si era abituata al fatto che non c’ero; Sabrina che, anche col cuore spezzato, continuava a starmi accanto, ed anche l’amore della mia vita. Quel ragazzo che mi faceva impazzire ed anche rinsavire. – Chiama quando arrivi. – Disse la mamma. Poi, con cautela, abbracciai Sabrina. Lei disse qualcosa. – Mi mancherai stupido. – Sembrava proprio così, ma tra il fischio del treno e la sua voce flebile, percepii appena le sue parole. – Ti voglio bene. – Guardai Al e sorrisi. Finalmente sapevo che la nostra vita non stava per dividersi, non c’era motivo per disperare. Vederli allontanarsi, però, mi diede molto malinconia. E se quello fosse tutto un sogno?! Pensai all’improvviso. Presi il telefono e composi il numero. Dovevo sentirlo di nuovo, dovevo sapere che non me l’ero immaginato. – Già ti manco? - - Si. – 
E niente. Parlammo per ore. Più la mia voce pronunciava lettere, più l’entusiasmo cresceva. Non ricordo molto di quel viaggio di ritorno, perché per tutto il tempo io ero con lui, anche se appesi ad un tum tum telefonico. Ogni fermata mi segnava di più la lontananza. Arrivai con una precisione temporale assurda. Non volevo scendere, ma quando chiusi la chiamata con Al, dovetti arrendermi alla cruda realtà. C’era qualcosa che dovevo fare e prima o poi avrei dovuto confessare tutto ad Al. Scesi le scalette del vagone e vidi Ambra ad aspettarmi. Chissà da quanto tempo si trovava lì. – Ben tornato. – Mi disse al primo sguardo. Era sola! Non c’era nessun altro ad aspettarmi. – Avevi messo in conto la possibilità che fossi scappato? – Lei sorrise. – Io magari potrei farlo, eppure il mio capo mi ha assicurato che se fossi venuta qua ad aspettare, tu saresti sceso da quel treno, anche se fosse stata l’ultima azione della tua vita. – Non so perché, ma quelle parole mi colpirono. Chi era davvero quella persona che sembrava conoscermi meglio di me stesso? – Ovviamente tu non mi dirai niente in più, vero? – Lei annuì e mi fece segno di seguirla. – Ci aspettano al tuo nuovo, entusiasmante, posto di lavoro. Forza! – Disse e mi indicò di accomodarmi dietro una macchina nera fumo, posteggiata in doppia file all’uscita della stazione. Il viaggio non durò molto. Non ci fu il tempo neanche di capire bene che strava avevamo imboccato che subito l'auto si fermò, quasi per magia. – Scendi. – Non avevo idea di dove mi trovassi. – Non sto scherzando. Scendi. – Ero in mezzo al nulla. Nei dintorni c'erano dei palazzi e qualche macchina ma nulla di più. Né un negozio, né nulla. Quale sarebbe stato il mio compito? - Verrà a prenderti un nostro uomo, si chiama Julio. Sarà lui a spiegarti tutto. – Non osai parlare e, lentamente aprii la portiera. – Mi fido di te Ambra, spero di non dovermi sbagliare. – Annunciai prima di lasciare l’abitacolo. L’auto si defilò in fretta ed io rimasi solo ad aspettare chissà chi. Passò quasi mezz’ora prima che venissero a prendermi. Julio era un uomo latino americano, alto e muscoloso, leggermente abbronzato e con il pizzetto. Non so perché non me lo aspettavo proprio in quel modo. Probabilmente mi stupiva il fatto che sembrava più Europeo e ciò mi destabilizzò. – Grazie per aver aspettato il mio arrivo. Sono Julio e non aver paura, non sono io il tuo capo. Seguimi, ti porto alla tua sezione e ti presento il tutor che ti seguirà per questa settimana.. – Prendemmo la prima via dietro di noi e continuammo a camminare in salita fino a quando non ci trovammo su una strada isolata. Fu lì che Julio si fermò proprio di fronte un grande palazzo a vetri. Non ero mai andata in quella parte della città, così restai per un attimo fermo a fissare il palazzo. – Sbrigati. Non voglio arrivare in ritardo. – Mi fece segno ed affrettai il passo. Al di dentro lo stabile sembrava meno entusiasmante che dal fuori. Era un semplice ufficio. – Questo dipartimento si occupa di dati contabili. Archiviamo i risultati delle nostre aziende e provvediamo a capire come migliorare nel nostro settore. Hai una settimana di tempo per imparare quale sarà il tuo compito, pensi di farcela? – Dati contabili?! Pensai in me stesso “posso farcela.” Ma non era così facile come credevo. Per niente. 
Julio mi presentò a Giorgio, il responsabile della mia “zona lavoro” ed a sua volta mi affiancò a Kyle. Quando lo vidi, sentii che c’era qualcosa di strano in lui. Il viso perfetto e la pelle levigata mi fece pensare “ è davvero un ragazzo?” Era troppo bello per avere quei lineamenti così dolci e perfetti. Capelli biondi quasi finti, occhi verde ghiaccio pelle bianco latte. Il suo sorriso era un pugno allo stomaco. Solitamente non mi facevano impressione gli uomini. Non pensavo istintivamente “ che bello”, ma lui era oggettivamente un bell’uomo. Passai tre quarti d’ora a guardarlo, tanto era interessante la sua figura, ed il restante del tempo cercando di capire il mio lavoro. Sostanzialmente era semplice, ma per me, che non andavo d’accordo coi numeri, diventava tutto un po’ più complicato. 
Dovevo confrontare dati numerici di fattuali annuali in ditte della zona e non, confrontandoli nel tempo e nel territorio. Un po’ noioso ma alla fine fattibile. La prima giornata di lavoro passò dopo una vita. Rimasi a fissare quei numeri come un ritardato mentale, pensando, forse spariranno prima o poi. Quando uscii non c’era nessuno a controllarmi, presi le mie cose e mi allontanai. Nel mio telefono spuntò una chiamata: era Ambra. 
“Tutto bene?” Mi disse. Non mi sembrò strano il fatto che mi telefonasse, nè che sapesse il mio orario di chiusura. Lei mi aveva spedito lì e già avevo capito da tempo che sapesse anche più di ciò che intendeva farmi capire. “Me la caverò.” Risposi. “Penso che non debba chiederti dove andrai a dormire, ma penso di saperlo. Se hai bisogno puoi anche dormire nell’ufficio, il letto è sempre pronto per te.” “Ti ringrazio, ma preferirei vivere dai ragazzi per ora. E’ tanto che non li vedo e credo siano preoccupati per me.” Non ci salutammo, non c’era bisogno! Non feci neanche in tempo a prendere la strada di casa che accadde qualcosa che mi lasciò interdetto. Vidi lui! Era la prima volta che lo vedevo, eppure c'era qualcosa che non mi tornava.
Sentivo nella pelle che quella persona la conoscevo da tempo, da prima che diventassi davvero me stesso. Era un ragazzo molto alto, distinto e vestito in modo molto elegante. 
Il suo profumo richiamava in me qualcosa, ma non riuscivo ad afferrarne il senso. Era come una strana melodia che, al solo sentirne le note, partono nel cuore ricordi di una vita passata. Sentii un calore improvviso al mio corpo, un desiderio di parlargli, di sentire la sua voce. Era proprio di fronte a me, ma mi passò oltre. I capelli biondo cenere richiamavano la bellezza, gli occhi nero pece, rendevano il suo sguardo penetrante e provocatorio. Non sorrise, non mi fermò né mi degnò di altro se non un mero semplice sguardo, ma sentivo che anche lui mi aveva notato. 
Ebbi paura! Era una sensazione fobica e terrificante. Mi lasciava senza fiato.
“Per quale cazzo di ragione mi sento così sconvolto?” Si allontanò! Non mi degnò di altro, se non un mero sguardo apatico ed entrò nello stabile da cui ero appena uscito e ne venne risucchiato. L’idea che lavorasse lì mi torturava il cervello. 
Non riuscivo a credere che lavorasse lì! Chi era davvero quel tipo? Un dirigente? Un segretario o forse di più? 
Si! Da qualche parte io avevo già visto quella persona, quel ragazzo. Decisi così di aspettare! Le mie gambe erano immobili, dure come la pietra e costrette a restare salde fino a quando non fosse uscito nuovamente. Non dovetti aspettare molto perchè in breve lui fu fuori. Lui venne dalla mia parte, e si fermò a debita distanza. 
Mi scrutò con lo sguardo, per un attimo che sembrava infinito. Perchè? Avrei tanto voluto chiederglielo. 
- Non dirmi che mi stavi aspettando. - La sua voce era melodica e dolce, ma anche pericolosa. - Io... - 
– Fa nulla, immaginavo che lo avresti fatto. In ogni caso, ho un appuntamento urgente oggi e non posso dedicarti molto tempo. Se vuoi scusarmi... – Non potevo lasciarlo andare in quel modo, dovevo prima scoprire chi fosse e perché sentissi di conoscerlo. 
– Aspetta! Non so perché sento che ci siamo già incontrati, è una sensazione nostalgica e tenera, ma anche triste per certi versi, mi sento come se fossi tornato bambino. Ti prego dimmi chi sei. – Lui si voltò. La sua schiena era larga e potente. 
– Lui non vorrebbe che te lo dicessi. Però sono contento che non mi hai dimenticato. – Quel ragazzo continuò a camminare lasciandomi lì, pieno di domande e confuso. Fu in quel momento che squillò il telefono. 
“Al.” 
Non lo avevo chiamato. Non mi ero fatto sentire ed invece avevo seguito per strada un altro uomo. 
Che ragazzo di merda che ero! Desistii. Mi dissi che era meglio non continuare quel gioco pericoloso, perché nel mezzo c’era anche la persona che amavo. 
“Ti dichiaro il mio amore e tu sparisci nel nulla, come dovrei prenderla?” “Ti amo stupido! E' successa una cosa strana, ma ti racconterò quando avrò capito davvero cosa sia. In ogni caso il mio nuovo lavoro consiste nel fare i calcoli, ci crederai? Proprio Mr prendo 2 in matematica.” Lui rideva e quel suono mi faceva bene al cuore. Lentamente tornai al dormitorio, continuando a parlare e parlare fino a quando non entrai dentro. Tori quando mi vide, rivolse su di me tutta la sua ira. 
– Brutto stupido! Non ci hai fatto sapere nulla e sei sparito nel nulla, come cazzo ragioni? – Lorenzo invece non c’era. Tori aveva gli occhi lucidi, un po’ gonfi. Lo abbracciai. – Mi dispiace. Non lo farò più. – Sapevo che non stava piangendo per me. Qualcosa era successo, ma non ebbi il coraggio di chiedere. Quel ragazzo che, fino ad allora, avevo sempre visto sorridente e pieno di vita, era crollato. 
– Devo andare adesso. Sono in ritardo per il mio lavoro. Lui si arrabbierà. – Stava per uscire quando vidi arrivare Lorenzo. – Vai di nuovo vero? Non ti è bastato come ti ha trattato, vai di nuovo da lui senza il minimo orgoglio. Non sei un uomo! – Tori non rispose e Lorenzo sbattè la porta. – Tu non capisci! Anche se fa il duro io lo conosco…. Non è come credi. – Non capivo bene di cosa stessero parlando, ma mi sentii istintivamente fuori posto. 
– Se ti amasse davvero, non ti tratterebbe come una prostituta. Pensavi che non lo sapessi o forse ti umili a dirlo in giro? - - Sono stato io che gliel’ho chiesto, capito? Volevo sentire il suo corpo su di me, lui non c’entra. – Lorenzo si avvicinò in cucina e prese le prime cose che trovò sbattendole forte per terra. Ruppe qualche piatto ed i cocci finirono dappertutto. – Smettila di dire minchiate! Io ti amo dal primo momento che ti ho visto, ma tu provi amore solo per quel coglione di merda che ti fa soffrire. Me ne vado! Sono stanco di venirti dietro, perché questo amore mi sta uccidendo, hai capito? D’ora in poi sei da solo! – Lorenzo uscì e dietro di lui rimase solo il vuoto rotto esclusivamente dai singhiozzi di Tori che, lentamente, si stava autodistruggendo dentro. Non avevo mai visto Lorenzo arrabbiato, era la prima ed ultima volta, perchè da allora sparì per sempre dalla mia vista. 
– Mi dispiace Colin. Sei appena tornato e già vedi queste scene patetiche. Non ti ho mai detto la verità su dove andassi ogni volta dopo il lavoro, vero? – Si fermò un secondo per poi continuare. – Mi sono trasferito nella capitale quando ero ancora molto piccolo, non per divertimento ma per necessità. Mio padre anzi, il mio patrigno, abusava di me fin da quando ricordo e mia madre non è mai riuscita ad opporsi a lui. Fu così che, solo quando riuscii a capire davvero la gravità della situazione, scappai di casa. Da allora fu molto difficile per me. Per sopravvivere ho dovuto fare di tutto e non so come, mi immischiai con brutta gente. E’ per questo che, anche con un altro lavoro, non ho mai potuto lasciare il dormitorio. Ho contratto un debito mio malgrado e non sarei mai riuscito a sanarlo senza di lui. Ci siamo conosciuti per caso, mentre mi prostituivo per la strada. Lui non mi ha mai toccato prima di… cioè quando mi ha raccolto dalla strada lo ha fatto per il mio bene, almeno così credo. Mi ha dato una possibilità e non so neanche io il perché. Mi sono innamorato di lui Colin e so da sempre che Lorenzo prova questi sentimenti ma è più forte di me, non riuscirò mai ad amarlo. Quella persona però non ricambia, non prova ciò che sento io nel cuore. Se mi ha salvato è stato solo senso di pena, questo lo so bene, ma non riesco a far altro che aggrapparmici con le unghie. Sono patetico, lo so! – Per certi versi io e Tori eravamo simili. Entrambi eravamo in brutte situazioni, ma sentivo che la sua pena era spropositata rispetto alla mia. Amava il suo benefattore così tanto da oscurare un possibile futuro amoroso con una persona che teneva a lui più di chiunque altro al mondo. 
– Non devi vergognarti. Segui il tuo cuore e anche se ti sembra patetico, provaci con tutto te stesso. Anche se forse non sono la persona più indicata per darti consiglio. – Lui si voltò verso di me e mi sorrise. 
Poi uscì e sparì nella città affollata. 
Non potevo sapere chi fosse l’amore segreto di Tori, né che quella straordinaria coincidenza, ci avrebbe entrambi uniti indissolubilmente.

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Capitolo 8
*** Tu ***


-Ti giuro. Stavo impazzendo senza vederti. –
Al mi abbracciò fin quasi a stritolarmi. Vederlo, sebbene fossero passati appena pochi giorni, mi diede una strana sensazione. Un misto di gioia ed angoscia penetrava nel mio cuore confondendolo.
– A che ora inizi a lavorare? – Mi chiese improvvisamente strappandomi via dal tepore dei miei pensieri. – Ho ancora mezz’ora, non preoccuparti. – Non mi sentivo a mio agio nel mio nuovo lavoro, ma non per i compiti che dovevo svolgere, bensì mi rendeva matto l’idea di poter rivedere quell’uomo misterioso.
– Per quale motivo non vieni a vivere anche tu al dormitorio? Ti ho già detto che c’è posto. – Al sembrava un po’ in imbarazzo prima di rispondere. – Pensi che potrei trattenermi durante la notte sapendoti vicino a me? – Arrossii.
Sembravo una ragazzina alla sua prima cotta, eppure ero un ragazzo e non ero abituato a quel comportamento.
– Lo sai! Ho chiesto a mio zio di ospitarmi finchè non potrò pagare un appartamento, magari andremo anche a convivere. – Rise mentre diceva quelle cose e mi cinse le spalle con il suo braccio forte e muscoloso. Sentivo la sua presenza possente ed a passi veloci ci incamminammo verso la fermata dell’autobus. Non avevo il tempo di accompagnare Al, ma ci tenevo a stargli vicino il più possibile.
– Chiamami quando esci dal lavoro, mangiamo qualcosa insieme se ti va, che ne pensi? – Io sorrisi ed annuii. Vidi da lontano il suo autobus avvicinarsi. La strada era affollata. Chissà che impressione davamo alla gente… Magari ad un estraneo sembravamo dei semplici amici, o magari il nostro sguardo ci tradiva. Lui salì ed io lo vidi allontanarsi. Quando arrivai a lavoro il sorriso di Kyle mi rallegrò. Più i giorni passavano, più mi sentivo a mio agio con lui. Eravamo coetanei, sebbene lui sembrasse molto più maturo ed esperto di me.
- Colin devi controllare questi fatturati risalenti al 2002, se ci riesci dovresti fare un resoconto e qualche grafico. Mi servono entro stasera, ci riesci? – Il caos della stanza, la totale dedizione al lavoro, mi facevano sentire bene.
– Ci proverò! – Dissi e presi dalla scrivania i moduli richiesti, un insieme di scartoffie ingiallite. – Kyle, sono indiscreto se ti chiedo il perché lavori qui? – Mi chiedevo spesso in quei giorni come mai, un ragazzo così brillante e pieno di talento, fosse rinchiuso in quel lavoro metodico e noioso. – Capisco il perché me lo chiedi, è abbastanza statico questo lavoro, ma a me piace. Mio padre è cinese di nascita e mi ha tramandato la sua passione per la matematica e la statistica fin da quando ero bambino. Tu invece? Per quale motivo sei qui? – Non sapevo cosa rispondere, mi sentii in imbarazzo.
– Lavorare qui mi serve per ripagare un debito. – Dissi e lui sembrò quasi capirmi al volo. Non fece più domande e tornammo al lavoro. Ormai stavo iniziando a capire come funzionava, ma sembrava quasi impossibile che riuscissi a finire in tempo il mio compito.
– Mi sto confondendo. – Mormorai e Kyle si avvicinò a me.
– Guarda attentamente. I numeri sono molto più semplici da capire delle persone. Vedi. – Mi indicò un punto indefinito della pagina come se la risposta fosse lì, davanti ai miei occhi. – Devi registrare i dati negativi più di quelli positivi, perché se trovi l’inghippo che ha fatto abbassare i profitti, diventa tutto più semplice. Vieni ti aiuto. – Insieme a lui sembrava quasi che quelle pagine fossero elementari, vidi nei suoi occhi la passione che ci metteva nel suo compito e quasi inizia a pensare che quel lavoro, forse, poteva diventare anche la mia passione. Alla fine la maggior parte del carico venne fatta da Kyle stesso, ma sembrava entusiasta lo stesso.
– Stai migliorando Colin, devi solo impegnarti un po’ di più e vedrai che andrà bene. – Mi diede una pacca sulla spalla ed iniziammo ad avviarci all’uscita.
DIN.
Un messaggio arrivò sul mio telefono. Non conoscevo quel numero, né avrei mai potuto collegarlo in qualche modo, ma quando lessi il contenuto del testo capii.
“Fin dall’inizio ti ho scombussolato la vita. Se non avessi insistito per conoscerti, non avresti passato tanti guai. Scusa Coco, perdona uno stupido innamorato di te. Vorrei vederti per l’ultima volta, mi troverai a Piazza Venezia. Se non ci sarai sarà per sempre un addio.”
Era Leonardo!
Da ogni lettera trapelava la sua compostezza, il suo sguardo truce e dolce allo stesso tempo. Dimenticai Al e la nostra promessa di vederci e mi fiondai fuori, in mezzo alla strada intasata di auto e persone che smontavano dal lavoro. Presi la metropolitana e nel cuore sentivo battere il cuore all’impazzata.
Quel ragazzo era sparito! Prima decantava l’amore per me, ogni giorno si presentava alla mia porta quasi supplicando un po’ di attenzione e poi sparisce nel nulla, non riuscivo ad accettarlo. Al chiamò ma io non ci feci caso, pensavo solo a rivedere Leonardo ed a ciò che avrei dovuto dirgli una volta arrivato.
Il nostro addio sarebbe stato triste, o sarebbe stato una liberazione per entrambi?
Una parte di me sarebbe stata più serenza senza la sua ombra nel cervello, ma l’altra sentiva che non era giusto. Arrivato a destinazione lo vidi. Lui era da solo, vestito come non lo avevo mai visto prima e guardava nervosamente l’orologio.
​Indossava dei jeans strappati, un bomber nero e un cappello di maglia in testa, totalmente diverso dalla solita giacca e cravatta. Non riuscii a muovermi anzi, mi nascosi come un codardo. Riuscii solo ad osservarlo da lontano, sempre più triste nell’attesa del mio arrivo.
Credevo di essere diverso. Pensavo davvero che avrei potuto avvicinarmi a lui, che saremmo potuti restare amici, ma non era così. Leonardo mi spaventava, faceva scaturire in me sensazioni contrastanti. Pensavo alle sue labbra sulle mie, al suo dolce sapore e le guance si infuocavano. Poi si allontanò! Mi accorsi in quell’istante che il cielo si era fatto buio. Non sapevo che ore fossero, ma per lungo tempo anche dopo averlo perso di vista, io non riuscivo a fare altro che restare immobile, tremante e senza forze.
C’era freddo! Immensamente freddo! Così tanto che non riesco più a ricordare altro.
Non so come tornai a casa, né come feci a sdraiarmi nel letto ed ad addormentarmi. Ciò che mi resta ancora nella mente era quel gelo incanalato nelle ossa che non riuscivo a colmare in alcun modo. Dormii, anche se non avevo sonno. Fu Al a svegliarmi.
– Coco? –
Driiiiiiiiinnnnnnn. Il citofono era forte e squillante, come a dire “ vieni ad aprirmi”
– Sei a casa Coco?! – Mi avvicinai a fatica alla porta ed aprii senza pensarci. Al era affaticato e spaventato. – Come stai? Che diavolo stavi facendo? Dovevi contattarmi dopo il lavoro ed invece non rispondi neanche alle mie chiamate. – Avevo dimenticato tutto! Ero imperdonabile. Senza pensarci afferrai Al e lo abbracciai forte a me. Avevo un bisogno disperato di sentire il suo calore vicino.
– Scusami! Sono un ragazzo imperdonabile. Dovresti lasciarmi. – Una lacrima scese sul mio viso, ma non sapevo bene per quale motivo. – Se fai così come posso restare arrabbiato? – Al ricambiò il mio abbraccio e lentamente lo spinsi dentro richiudendoci la porta alle spalle.
– No! Hai ragione ad odiarmi. Anzi, devi rimproverarmi di più, sono una persona orribile. Ieri ho deliberatamente evitato di chiamarti. – Dissi tutto d’un fiato. Non riuscivo a restare in silenzio, anche se forse sarebbe stato meglio farlo. – Dovevo vedere un ragazzo, dovevamo salutarci per sempre, ma non ti ho detto nulla. Quello stupido ha deciso di allontanarsi per sempre da me e, sebbene è un idiota egocentrico, volevo vederlo per l’ultima volta, ma non ci sono riuscito. Quando l’ho visto ho capito che non era giusto. Se ci fossimo rivisti sarebbe stato un errore. Ti avrei fatto soffrire e non te lo meriti, così sono rimasto in disparte, aspettando che se ne andasse. Perdonami Al! Hai tutto il diritto di odiarmi. – Lui non si scostò da me, né cambiò la sua espressione.
– Sei innamorato di quel ragazzo? – Io rimasi interdetto. Non ci avevo mai pensato, ma sapevo per certo che le emozioni che provavo per Leonardo non erano paragonabili a quelle che sentivo per Al. – No! Io amo solo te! – Lui allora mi baciò con tutte le sue forze. La sua lingua penetrò nella mia bocca, con forza e determinazione. Sembrava volesse soffocarmi ed allo stesso tempo deliziarmi.
– Mi basta sapere questo. Non smettere mai di amarmi Coco. – La sua tenerezza, la passione che mi infondeva con il solo tocco delle dita, mi inebriò totalmente. La sua mano scese sempre di più fino a raggiungere il mio membro eccitato. Lo facemmo lì, in quella grande stanza vuota ormai.
Non avevo paura! Non mi importava di nulla, solo restare al suo fianco. Il letto, troppo piccolo per contenerci, sembrava restringersi sempre di più. Restammo abbracciati fino a quando il sole non arrivò al suo picco. Dimenticai tutto e restai nelle sue braccia come se fosse l’ultima cosa che potessi fare.
– Dobbiamo alzarci! Oggi devi lavorare. – Disse Al, ma non avevo alcuna voglia di obbedire. Era così bella quella sensazione di casa. Mi vestii a malincuore e in un baleno fummo fuori. L’aria fresca era piacevole.
– Sei sicuro che puoi accompagnarmi? – Lui annuì e mi prese per mano. Era la prima volta che ci esponevamo così apertamente. Sebbene a casa tutti sapessero ormai del nostro amore e ci avevo ormai accettati, in una nuova città era tutto diverso. Non c’erano occhi conosciuti, gente che mi aveva visto crescere che sorrideva sotto i baffi. C’eravamo noi due e basta. Non avevo voglia che finisse. Ogni tanto sentivo in lontananza qualche commento cattivo. – Guarda quei due finocchi. –
Qualcuno commentava, ma mi ricadeva addosso come acqua sporca. Lavava i miei pensieri ma allo stesso tempo mi macchiava la pelle di tristezza e frustrazione. Imboccammo la strada verso la filiale della compagnia dove lavoravo e all’improvviso mi fermai.
Quello strano uomo era lì, di fronte alle porte centrali, intento a chiacchierare allegramente con due uomini di mezza età. Il ragazzo che mi aveva fatto recuperare quelle sensazioni così vivide, così tormentate, era di fronte ai nostri occhi. Al sgranò lo sguardo e lo vidi cambiare in volto. Lui corse ed io rimasi impassibile mentre lo vedevo andare via veloce da me. Non sapevo cosa stava succedendo, ma sentivo che anche Al stava provando la mia stessa sensazione. Lui si voltò verso di noi e ci vide, con quello sguardo gelido e serio in viso. Al disse qualcosa ed i miei ricordi tornarono improvvisi.
Eravamo ancora bambini, in quel parco che conserva i nostri sorrisi e le nostre urla di gioia, ma anche le nostre lacrime. C’eravamo io ed Al, ma non solo.
C’era lui!
Quel ragazzo che mi infondeva uno strano calore: era lui! “Devo operarmi…” Sentivo nella mente la voce di Al che, in preda al panico cercava di non piangere ed io che, con dolore, mi dicevo che sarebbe andato tutto bene. Quel bambino era Leonardo e quel ragazzo che, in giacca e cravatta, ormai cresciuto e fatto, non poteva che essere lui.
– Tu….. tu sei… Non posso sbagliarmi. – Al aveva il viso rosso ed affaticato. – Lo sapevo che eri tu il più sveglio tra i due. Scusatemi signori, devo conferire con due dei miei amici d’infanzia. – Licenziò così i due uomini al suo seguito ed abbracciò Al come solo un vecchio amico può fare. Poi disse qualcosa che non sentii e si avvicinarono a me. Le ginocchia mi cedettero e caddi a terra tremante e privo di anima.
– Io credevo che tu fossi morto! Tu eri morto! Non ci credo. – Riuscivo a ripetere come uno stupido mentre Al, che arrivò al mio fianco, mi aiutò ad alzare. Leonardo era lì, proprio di fronte a me. Ricordavo la telefonata al padre, con il telefono pubblico del paese, la sua voce e le sue testuali parole “Leonardo non ha superato l’intervento.” I miei pianti, mischiati a quelli di Al, durarono così tanto ed ora lui era di fronte a noi. Non aveva alcun senso!
– Perché? – Chiesi. – Per quale motivo ci è stato fatto credere che tu fossi morto? –
Il suo sguardo si trasformò, sembrò quasi che parlarne gli facesse male. Per quale motivo soffriva? Eravamo noi ad aver dimenticato qualcosa? Al mi accarezzò il braccio lentamente, cercando di calmarmi, ma non funzionò. Sapevo che anche lui era arrabbiato, eppure metteva da parte tutto per il mio bene.
Che egoista che ero!
– Non lo so! Non so rispondere alle vostre domande, o meglio al momento non credo di poterlo fare. Coco, c’è una cosa che devi sapere. –
Rimasi boccheggiante ad aspettare le sue parole.
Ciò che disse, però, mi pugnalò al cuore.

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Capitolo 9
*** Sam ***


Ricordo che stavo correndo. Era come volare per la strada. I miei piedi erano due piccole piume dorate che, a grande velocità, si immergono nelle nuvole e saltano nel cielo azzurro. In quel momento le parole di Al e Leonardo erano futili, ciò che dovevo fare lo sapevo. Al avrebbe capito, forse!
Riascoltavo nella mente quelle parole e le ripetevo come un mantra ma non riuscivo a capire del tutto il loro significato.
– C’è una cosa che devi sapere… - Io però non lo avevo chiesto. Lui disse ciò che temevo, ciò che il mio cuore non voleva ascoltare.
– Io sono il vero Leonardo Bergi! – Non riuscivo a crederci! Quell’estraneo che fin da subito aveva detto di amarmi, mi aveva mentito spudoratamente. Non ne capivo il motivo e proprio quello mi mandava ai matti.
– Il ragazzo che è venuto a trovarti, si chiama Sam. Non avercela con lui, non aveva assolutamente cattive intenzioni. – Non sentii tutto il racconto. Guardai Al e chiesi qualcosa con lo sguardo che lui afferrò al volo. Mi diede la sua tacita approvazione anche se, forse, avrei agito ugualmente se si fosse opposto.
– Se vuoi parlargli, puoi trovarlo a questo indirizzo. – Mi diede un piccolo foglio bianco con su scritto: “Via torrenova 41” Non sapevo cosa avrei trovato una volta giunto lì, ma sentivo di doverci andare. Così, senza pensarci, volai verso la stazione. Dentro chiesi qualche informazione e salii sul vagone che mi avrebbe condotto verso quell’indirizzo. “Aspettami. Sto arrivando!” Pensai. Ogni minuto in più, era un minuto carico di ansia e trepidazione.
Quando scesi, vidi attorno a me un quartiere semplice, più interno della Roma a cui ero abituato. C’erano grandi strade con poche macchine e case carine e modeste. Sembrava quasi essere tornati a casa.
– Scusi dove si trova questo indirizzo? – Mostrai il  biglietto ad un uomo sulla cinquantina e mi indicò la strada per arrivare, non troppo difficile. Quando giunsi di fronte quell’abitazione capii il perché lui mi mandò lì. La casa era un po’ vecchiotta, con la facciata caduta ed il cancello un po’ arrugginito. Il citofono diceva: “ Samuele Ghiro” . Suonai ed attesi quando sentii la sua voce. Lui era lì. Il ragazzo che fino al giorno prima credevo fosse Leonardo Bergi, che mi aveva fatto credere di essere il capo della B&G, che era venuto a trovarmi ogni giorno per un mese, che decantava l’amore verso di me, era solo un impostore.
– Chi è? – Non risposi. Sentivo dentro di me una profonda delusione.
Lui uscì.
Indossava un maglioncino nero ed un pantalone nero di tuta, come se quella fosse semplicemente casa sua e lui si stesse riposando in una normale giornata qualunque. Restammo in silenzio a guardarci e, quando mi girai pronto ad andarmene, fu lui a fare la prima mossa.
– Aspetta! – Urlo ed io mi bloccai. Non so cosa mi aspettavo dicesse, ma volevo parlargli a tutti i costi. – Posso spiegarti Coco. Non andartene via così. – Mi sentivo un coglione. Ero arrivato fin lì solo per constatare con i miei occhi la sua truffa.
Mi sentivo umiliato e carico di rancore. Avevo visto quel ragazzo come un giovane ricco annoiato ed invece era solo un ragazzo comune che giocava a fare il ricco. Non che mi importasse, ma quella sua bugia mi irritava. – Cos’altro devi dirmi. Hai già mentito abbastanza. Volevi che credessi tu fossi un pezzo grosso, ma non mi interessa che lavoro fai. Perché sei venuto a cercarmi?! Ti divertiva il fatto di farmi impazzire? Volevi solamente divertirti? – Sam ( questo alla fine era il suo nome) aprì il cancello e mi prese la mano facendomi voltare verso di lui. Aveva le guance rosse ed i capelli arruffati.
– Volevo dirtelo. Se tu fossi venuto ieri ti avrei confessato tutto. Ti sbagli! Vieni dentro. Devo spiegarti. – La sua presa si infittì. Avevo dimenticato quanto fosse potente la sua mano.
– No! Non mi devi nulla! – Rifiutavo di capire. Nella mia mente lui era ancora quella persona arrogante. Con un solo colpo mi liberai dalla sua presa e presi per andarmene.
– Aspetta! – Iniziai a camminare, sperando che la sua voce mi seguisse. – Coco. – Fu in quel momento che capii che qualcosa era cambiato. Il suo tono di voce era diverso. Da allarmato era diventato sofferente. Mi voltai ed in un attimo vidi Sam a terra, accasciato sull’asfalto con il pugno stretto al petto. Corsi verso di lui con un solo slancio.
– V… va tutto…. Be…. Bene. – Disse, ma era ovvio che non fosse così. Composi il 118 in un lampo. – Vi prego aiutatemi. Il mio amico ha forti dolori al petto. –
- No. Loro…. Non possono fare…. Nulla… - Diceva Sam con spasmi di dolore. – Non parlare. Ti porto in ospedale. – Dissi.
– Coco….. scusa… - Diceva mentre, con la testa poggiata sulle mie ginocchia, si stringeva il petto. Presi il telefono e chiamai Al. Non sapevo se volesse sentirmi, avevo solo bisogno di parlargli.
– Pronto. – Era triste ed arrabbiato, o almeno era così che me lo immaginavo. – Sam sta male. Sta arrivando l’ambulanza. – Lui non disse molto. Le sue uniche parole furono “arriviamo”, e chiuse la chiamata.
Mi sentivo uno stupido! Fino a poco prima ero arrabbiato, mentre l’attimo dopo pregavo che non morisse. Accarezzai leggermente i capelli e mi stupii nel pensare a quanto fossero morbidi e lisci. Il ciuffo gli ricadeva sulla fronte, coprendo quasi i suoi occhi penetranti. Furono attimi da lasciare senza fiato.
Credetti fossero passati anni ed invece erano trascorsi pochi minuti dall’arrivo dell’autoambulanza. Arrivammo in ospedale in un battito di ciglia e lì trovai già il vero Leonardo ad attenderci.
– Lui è affetto da D I A, chiamate il dottor Martinelli, è lui che lo segue. – I medici annuirono e portarono Sam dentro, lasciando là fuori noi tre.
Al aveva il viso truce, un po’ arrabbiato, ma era così silenzioso che quasi non ci facevo neanche caso. Leonardo invece era il più preoccupato.
– Speravo che non accadesse di nuovo. Era fuori pericolo da mesi ormai. Non immaginavo! Cazzo! – Le sue parole mi colpirono. Chi era davvero quel Sam, e perché non gli ho dato ascolto.
– E’ colpa mia! Lui voleva spiegarmi ed io non ho voluto ascoltarlo. Cos’ha davvero? Per quale motivo è stato male? – Al in tutto quello rimase immobile, quasi disinteressato.
– Lui è Sam. – Nel suo sguardo c’era come la ferma determinazione di farmi capire chi fosse, anche se io non riuscivo a collegare nulla.
- So che si arrabbierà per questo, ma a questo punto dovete sapere tutto. – Disse prima di fermarsi per un attimo. – Forse non vi ricorderete di lui, ma è il mio fratellastro. – La pausa che fece fu letale. Mi diede una sorta di malinconia e ansia che le mie gambe tremavano. – Mio padre ha sempre avuto “scappatelle”, ma da una di esse uscì Sam. Anche lui come me ha sempre avuto problemi cardiaci, ma la sua malattia era un po’ più complessa della mia. Lui è affetto da un grave difetto congenito degli atri. Il cuore normalmente ha quattro scompartimenti, lui invece ne ha uno solo. Tecnicamente molte persone hanno la sua sindrome, ma la sua è una forma molto rara, che si trova solo in pochi casi e per questo molto difficile da operare. Quando vi conobbi, fummo costretti a vivere insieme, lo odiavo. Passavo tutti i miei giorni con voi, lasciandolo solo in casa, ma lui non si arrabbiò mai. Un giorno fui costretto a portarlo con me. Non poteva giocare con gli altri bambini, per questo non aveva nessun amico, ed anche al parco rimase isolato, come sempre. Solo tu Coco, ti avvicinasti a lui. Quel giorno ti sedesti vicino a Sam ed iniziaste a parlare. Al ti seguì ed anche io. Sam lo ricorda come l’esperienza più bella della sua vita, è per questo che voleva rivederti Coco, solo per questo. Il resto, però, te lo dirà lui.– Leonardo si allontanò, quasi volesse lasciarci un po’ di spazio ed io, con lenta determinazione, mi avvicinai ad Al.
– Avevi detto che non lo amavi. – Disse solamente. Non mi aspettavo quella frase. Avrei accettato tutto dalla sua bocca, ma quelle parole erano troppo dure. Avrei preferito un insulto, uno schiaffo o anche che mi urlasse contro, ma quello mi ferì.
– Non sono andato da lui perché lo amo. L’unica persona che c’è nel mio cuore sei tu, ma Sam è entrato nella mia vita quando credevo di doverti dimenticare. Tra me e lui non c’è niente, né ci sarà mai, ma sentivo di dover chiudere il capitolo. – Al mi prese la mano, più per consolarsi che per darmi un qualche conforto. Lui voleva credermi, lo sapevo, ma nel suo cuore non era del tutto convinto. Né io potevo essere più determinato di così. Passò un’ora prima che i medici uscissero a darci qualche informazione.
– C’è un tutore? - - Io. – Leonardo si avvicinò e tolse dal portafoglio un piccolo foglietto.
– Loro sono con me. – Aggiunse. Il medico ci guardò un attimo prima di parlare. – Abbiamo contattato il suo medico privato e gli abbiamo somministrato dei farmaci per ridurre la velocità cardiaca. Al momento sta riposando ma crediamo che possa ricapitare. Visto che lei è il suo tutore, la prego di controllare che non si stanchi troppo. – Il medico rimase per un secondo immobile in attesa delle nostre domande.
– Possiamo vederlo? – Chiese Leonardo. – Non è consigliabile, ma se preferite entrate uno per volta. Non dovete farlo agitare. – Dette quelle parole uscì.
– Coco, Al, sono contento di avervi rivisto, ma vi prego di andare via per oggi. Anche se Sam vorrebbe sicuramente chiarire tutto, non credo sia il momento adatto. - - Ho capito. – Risposi, e mi voltai. Dal corridoio vidi arrivare una sagoma conosciuta: Tori.
Nel vedermi si irrigidì, quasi come se fosse difficile per lui affrontarmi proprio lì. Lui si fermò proprio di fronte a noi, con la schiena un po’ curva ed il fiatone.
– Hector che ci fai qui? – Leonardo tornò severo, come non lo avevo mai visto.
– Voi… vi conoscete? – Tori arrossì violentemente dicendo quelle parole ed io rimasi in silenzio.
– Ti ho detto che qualsiasi cosa accada tu non devi venire a trovarmi! Vattene. – Non riconobbi quasi la sua voce.
– Ho saputo che eri in ospedale, cos’altro potevo fare? Mi sono preoccupato per te! – Leonardo scattò come una saetta ed afferrò il braccio di Tori con tutta la forza che aveva, suscitando in lui un piccolo dolore appena espresso.
– Non ci siamo capiti! Tu non esisti per me quindi sparisci! – Detto questo lo spinse via, come un cane. Non riuscivo a capire. Quello non era il Leonardo che conoscevo. Cosa gli era successo in tutto quel tempo? In quel momento Al, che fino a poco prima era rimasto in disparte, mi afferrò il polso ed iniziò a trascinarmi.
– Andiamo noi due. – Disse solamente e, senza darmi il tempo di riflettere, mi accompagnò fuori.
– Al mi fai male. – Non era del tutto vero, ma mi faceva paura. In tutti quegli anni che lo conoscevo, non lo avevo mai visto in quel modo. Che fosse geloso?! Non sapevo decifrare il suo comportamento, ma di certo non mi piaceva, mi preoccupava e mi terrorizzava al punto da non riuscire a reagire.
– Ti ho lasciato andar via un mese e tutti i ragazzi più belli di Roma ti saltano addosso?! – Urlò senza preoccuparsi della gente. Eravamo nel parcheggio dell’ospedale, con gente che soffriva, ma lui non ci faceva quasi caso.
– Quello era il mio coinquilino. - - Non me ne frega un cazzo! Tu sei mio, hai capito Colin! – Era strano sentirlo chiamarmi in quel modo. Per tutti quegli anni avevo sperato che il mio nome non fosse più una barzelletta da bambini, ma nella sua bocca suonava come un insulto. Non mi piaceva affatto. Vederlo arrabbiato era come una pugnalata al petto, logorava anche il mio cuore.
– Ti prego smettila! Ci stanno guardando tutti. – Sussurrai.
– E che guardino pure. Ti vergogni di me? Hai timore del giudizio di questi sconosciuti? Io ti amo e non me ne frega nulla se siamo due uomini. Se non sei pronto ad ammetterlo, possiamo anche smetterla con questa pagliacciata e tornare alle nostre vite. – La paura di perderlo mi attanagliò le membra. Qualcosa si era mosso in me, un piccolo spiraglio che mi avrebbe portato via da Al, ma io non volli ascoltarlo. Sebbene dentro di me Sam era diventato importante, quel ragazzo che era di fronte ai miei occhi lo era di più. Senza pensarci mi fiondai su di lui. La mia mano si poggiò sulla sua nuca toccando i capelli corti ed ispidi, e lo spinsi su di me coronando il tutto con un bacio lungo ed appassionato.
Se non lo avessi fatto, cosa sarebbe successo? Molte cose erano rimaste in sospeso, ma la mia decisione non era ancora cambiata: volevo passare la mia vita insieme ad Al. Il suono stridente delle gomme di un auto ci fece sobbalzare. Due loschi figuri si avvicinarono ad un ragazzo di fronte a noi.
– Vieni con noi senza storie. – Dissero. Ci misi solo un attimo a riconoscerlo, Tori era spaventato, potevo capirlo perfettamente.
– Non ho più niente a che fare con lui, smettetela di perseguitarmi. – Disse, ma loro furono più veloci. Si mossero così in fretta che non ebbi il tempo di fare nulla. Lo presero con tuta la forza che avevano e lo infilarono in quella Jaguar nera, come se fosse un pacco regalo, ed in tutta fretta ripartirono. –Tori! – Dissi, e loro sparirono nel nulla.
– Non era il tuo coinquilino? Cosa facciamo? – Al, preoccupato, mi accarezzò le dita della mano destra. Le parole di Tori di quel giorno tornarono alla mente. “Debito” “benefattore”, era tutto lì, ma mancava solo un tassello per ricollegare il tutto. “Per sopravvivere ho dovuto fare di tutto.” “Mi sono innamorato di lui.” Una lacrima scese sul mio viso capendo ciò che era davvero successo.
Non ne ero sicuro, ma d'altronde era come se quella realtà si spingesse a forza in me ed urlasse: “ECCOMI QUI!” Corsi indietro e tornai da Leonardo che, al telefono, sembrava in tutto e per tutto un uomo d’affari.
– Tu! – Dissi e lui chiuse la chiamata come se quella non fosse importante. Sapevo chi stava chiamando e sapevo pure che non avrebbero risposto al telefono.
– Sei tu che hai ripagato il debito di Tori, vero? Lo hai aiutato quando era nei guai e lo hai fatto anche con me! Ho sentito il tuo profumo nell’aria. All’inizio non volevo ammetterlo, ma adesso lo so! Sei stato tu a salvarmi da quella banda di criminali così come hai fatto con Tori. – Leonardo mi fissò per un attimo, poi sospirò e si arrese.
– Hai ragione, ma solo in parte. – Iniziò. – Ho conosciuto Hector per la strada. La prima volta che lo vidi pensai che ti somigliasse. Non so perché, né cosa mi avesse portato a pensarlo. Sentivo che in lui ci fosse qualcosa che mi ricordava te. Quella sensazione era così forte che non sono riuscito a sopportare di vederlo prostituirsi come una schifosa Puttana. Ho approfittato di lui per i miei interessi, ma sulla seconda parte ti sbagli. –
Si fermò un attimo prima di parlare.
– E’ stato Sam! E’ lui che ti ha dato salvato. – 

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Capitolo 10
*** Salvataggio?! Addio ***


-E’ stato Sam! E’ lui che ti ha salvato. –
Rimasi stupefatto!
– Sam?! –
 - Si! E’ stato lui che ha dato tutti i risparmi di una vita per poterti far uscire da quel tugurio. In realtà venne subito a cercarmi, dicendomi che ti avevano rapito. Mi chiese di accompagnarlo ed insieme siamo giunti al loro covo. Propose di ripagare il tuo debito, ma il “capo” rifiutò l’offerta. Disse: farò più soldi mettendolo all’asta. In effetti non aveva torto! – Al, che mi aveva seguito, non riusciva a capire il nostro discorso.
– Ti hanno rapito? Cos’è questa storia Coco! – Una molla scattò nella mia testa. Non avevamo tempo.
– Rapito?! Oddio si. Due loschi figuri hanno preso Tori. Lo hanno caricato in macchina e sono scappati. Dobbiamo aiutarlo. – Leonardo, che sembrava quasi impassibile, mostrò per un attimo la sua preoccupazione, ma fu solo passeggera.
– Quel ragazzaccio! Si mette sempre nei guai. Non preoccupatevi. So dove trovarlo! – Compose un numero in tutta fretta, come se lo conoscesse a memoria.
– Carlo?! Si! Lo hanno preso. Sai dove sono, manda al più presto l’auto. Ok. – Poi si rivolse nuovamente a noi.
– Devo andare a riacciuffarlo. In fin dei conti, credo che questa volta sia colpa mia se si trova nei guai. – Solo in quel momento mostrò una sorta di tenerezza verso Tori. Non voleva ammetterlo e credo che neanche lui forse lo sapeva ancora, ma provava più di ciò che diceva verso di lui.
– Veniamo con te! – Questa volta fu Al a parlare. – Siamo sempre stati una squadra. Vi ricordate quando, al parco, lottavamo contro i nemici immaginari? Questa volta lo faremo davvero. Non ti lascerò andare da solo Leo! – Mi sentivo in colpa verso Al. Lui era l’unico che stava subendo i nostri capricci.
Non avevo aperto me stesso verso di lui, eppure ancora restava al mio fianco. Non capivo il motivo di quel suo amore verso di me. Scattò un pensiero fulmineo nella mia mente: io al suo posto, come avrei reagito? In meno di dieci minuti arrivò un uomo di mezza età con gli occhi grigi ed un completo elegante e pulito.
Sembrava una guardia del corpo, dal suo aspetto fisico e forse era proprio questo. Porse una pila di documenti a Leo e ci scortò fuori. Una macchina ci attendeva.
Le cose andarono molto velocemente. Leonardo fu molto preciso, quasi come se non fosse la prima volta. Sapeva con precisione cosa dire e cosa fare mentre noi eravamo lì quasi più per supporto morale che altro. In auto tentai di prendere la mano di Al, ma lui si scostò con decisione da me. Mi guardò solamente sorridendo, per non farmi preoccupare, ma io avevo già intuito.
Avevo tirato troppo la corda!
– Sai dove sono? – La voce di Al era tranquilla, pacata  e dolce.
– Hanno una base nel bassifondi romani, ma è molto difficile entrare senza essere visti, più che altro impossibile. Carlo ci lascerà vicino alla dimora del Capo famiglia, sono sicuro che lo hanno portato lì. – Non mi intendevo molto di mafia o come si chiamasse.
Sapevo ciò che avevo vissuto e non ero neanche sicuro fosse quella la realtà a cui stavamo assistendo. Degli uomini mi avevano preso, sicuramente criminali, ma era davvero quella la mafia?! Adesso Tori era di nuovo nei guai ed io ricadevo in quei ricordi, graffiandomi la pelle per il dolore.
– Signorino, è sicuro di voler entrare da solo? – Carlo era una persona fidata, almeno era quello che avevo capito in quel breve frammento.
– Non sono solo. I miei amici sono con me. Devo andare io, altrimenti non lo lasceranno mai in pace. Lo sai bene anche tu. – La macchina ci lasciò lì, in una strada qualunque di campagna. Nell’aria c’era odore di erba e fango ed il cielo era coperto fitto dalle nuvole tanto che era quasi impossibile vedere il cielo azzurro.
– Andiamo. – Disse Leo e partimmo. La casa non si trovava molto distante, e come aveva preannunciato il nostro amico, fummo subito avvicinato da due loschi figuri. Uno dei due era biondo e muscoloso, l’altro un po’ pelato e più in là con l’età ma per niente debole.
– Cosa ci fate qui? Smammate! – Il loro tono era perentorio, non accettavano repliche.
– Il vostro capo ci sta aspettando. Sono qui per incontrarlo. – Disse Leo. – Sono il suo peggiore incubo. – Negli occhi aveva una strana luce di sicurezza che mi colpì. Ricordavo il piccolo bambino sorridente che mi seguiva dappertutto, e quasi non riuscivo ad associarlo a quell’uomo così maturo e sicuro di sé. Era cresciuto ed era finalmente diventato un uomo ed io?! Cosa avevo fatto?
– Avete armi? – Noi negammo ma ugualmente ci controllarono prima di scortarci al di dentro dell’abitazione. Erano più forti, ma ugualmente ci puntarono contro due pistole, di quelle vere.
Non stavamo giocando! Non eravamo nel cortile del parco, quella era la realtà!
La casa era una comune abitazione di campagna, nulla più nulla meno. Credo che forse anche un boss criminale abbia bisogno di un ambiente tranquillo dove passare la sua vita, o magari non voleva attirare su di se l’attenzione. Camminammo in un corridoio lungo ed i due uomini ci lasciarono all’ingresso di un portone in legno massiccio controllato ugualmente da altri due uomini entrambi massicci e forti.
– Controllateli, vogliono vedere il capo! – Leonardo sembrava conoscere quelle persone.
– Stai tranquillo, il signor Bergi è atteso. – Dissero solo quelle parole e ci lasciarono passare. Vidi un uomo vestito di bianco, un po’ grassoccio e con l’aria da bravo padre di famiglia.
Se non avessi saputo dove ci trovavamo, forse avrei pensato che quell’uomo fosse una persona rispettabile ed invece…
- Guarda chi abbiamo qui. Il Signor Bergi in persona! Quale onore. – Aveva un tono di voce lento e pacato, un po’ cantilenato.
– Avresti dovuto chiamare me qui invece di rapire Hector. Non c’era bisogno di farlo, sarei stato davvero lieto di venire a parlarti. – L’uomo di fronte a noi non cambiò espressione, il che mi diede un po’ di timore per l’esito della nostra missione.
– Vedo che hai portato con te degli amici, accomodatevi. Abbiamo alcune cose di cui parlare. – Leo non si mosse ed anche noi, seguendo il suo esempio, restammo immobili. Ci fidammo ciecamente di lui, in tutto.
– Dov’è? Lascialo andare prima che mi arrabbi. – A quelle parole il nostro avversario non ebbe la minima paura. Rise solamente, quasi a beffarsi del nostro modus operandi.
– Pensi davvero che io abbia paura di te? Sei solo un ragazzino. Sei stato tu a ficcare il naso nei nostri affari e questa è la tua ricompensa. – Di fermò un attimo. – Pensavi di passarla liscia solo perché tuo padre è un grande imprenditore e possiedi qualche società in giro per l’Europa? Tu non sei niente, quindi portami rispetto, o te ne pentirai. – In quel momento Leo, che fino a quel momento era rimasto immobile, si avvicinò a lui buttando con forza i documenti che aveva in mano in faccia al capo famiglia di quell’associazione criminale. Non c’era la minima esitazione nei suoi gesti. Era tutto programmato.
– Sei stato davvero bravo a distruggere con l’inganno la droga proveniente dall’est per la famiglia dei Casati. Ho le prove della tua partecipazione a quel tragico evento che ha rovinato gli affari dei tuoi amici in affari aumentando “stranamente” i tuoi profitti del 70%. Questa è solo una delle cose molto interessanti che ho scoperto di te. – Leo rimase impassibile, mostrando un’aura nera ed oscura che sembrava quasi impenetrabile, ma che stranamente gli donava. – Lascia andare Hector. Da questo momento in poi devi smettere di dargli fastidio. Né tu né i tuoi uomini dovranno avvicinarsi a lui, altrimenti i tuoi affari, la tua reputazione ed il tuo stesso potere al di dentro della “famiglia” verrà distrutto per sempre. Questo è il mio avvertimento. – L’uomo sembrò in difficoltà. Lesse i documenti ed il suo volto, da sereno, passò alla preoccupazione per poi sfociare nella paura.
– Come hai fatto a trovare tutto questo? I miei uomini sono i soli che conoscono certi dettagli. Chi è stato? – Leo non rispose. Di contro si avvicinò alla sua figura e con una mano prese il colletto della sua camicia strattonandolo in alto.
– Non ha importanza chi sia stato. Sei finito! Se divulgo queste informazioni la tua piccola azione criminale va a rotoli, quindi smettila di fare cazzate e lascia in pace i miei amici, o te ne pentirai amaramente. – Lasciò andare l’uomo e si diresse verso di noi.
– Seguitemi. – Mormorò piano in modo che potessimo ascoltarlo. Il nostro coinvolgimento non era quasi necessario, non eravamo riusciti a fare nulla per aiutarlo, ma vederlo in quelle vesti era rassicurante. Sentivo che era tutto apposto.
Uscimmo dall’edificio senza che nessuno ci fermò e forse fu anche meglio.
– Non dobbiamo riprenderci Tori? – Dissi preoccupato. Non avevo capito nulla, lui sapeva già tutto. Aveva premeditato il piano mentre eravamo in auto o forse anche prima.
– Non preoccuparti. Non rischierà tanto solo per infastidirmi. Hector sarà con noi prima ancora di rendercene conto. – E così accadde. Lo ritrovammo vicino al cancello da cui eravamo entrati. Sdraiato a terra, con lesioni sul viso e sul corpo ed i vestiti lacerati in più punti. Corsi da lui sotto gli occhi di Leo che, con la sua glaciale freddezza, ci osservava da lontano.
– Tori, come stai? – Lui aveva gli occhi socchiusi, gonfi e tumefatti.
– Va…. Tutto bene. – Sussurrò. Leo si avvicinò successivamente a noi e lo prese sulle spalle.
– Sei il solito cretino. Ti ho detto mille volte di stare alla larga da me! – Tori si lasciò trasportare e sul suo volto scene una piccola lacrima.
– Non ci riesco, tu per me sei tutto! – Leo arrossì leggermente sebbene Tori non poté assistere alla scena. Non riuscivo a capire il motivo per cui fosse così distante se poi si emozionava per quelle parole.
Desideravo fare qualcosa, ma avevo anche l’assoluta certezza che non fosse per nulla saggio.
- Dobbiamo farlo visitare. – Seguimmo le loro orme e presto ritrovammo Carlo che, da bravo assistente, ci aveva atteso per tutto il tempo.
– Grazie. Come pensavo avevano scoperto tutto. Volevano punirmi per essermi intromesso con l’affare Manhattan. - - Abbiamo fatto bene a raccogliere quelle testimonianze, altrimenti il signorino Hector avrebbe fatto una brutta fine. – Carlo prese Tori e lo distese nell’automobile. Diede così le chiavi a Leonardo e si rivolse a noi.
– La nostra autovettura arriverà tra due minuti al massimo, non dovrete preoccuparvi. – Io guardai Tori ed annuii. Leonardo salì al lato guidatore e si allontanò con Tori al seguito. Sapevo che avevano bisogno di tempo.
Solo quello avrebbe sanato ogni crepa e gli avrebbe dato un senso per completare le loro vite. Come promesso il nostro mezzo di trasporto non tardò ad arrivare. Presto quell’incubo era passato in secondo piano e noi eravamo di nuovo alle nostre vite di sempre.
Quando Carlo ci lasciò, il silenzio che si era creato, divenne insopportabile. Ci trovavamo sotto il nostro dormitorio quando Al, guardando con gli occhi al cielo, mi diede le spalle.
– Non dirmi un’altra bugia Coco, ne hai raccontate troppe fino ad ora. – Non potevo dargli torto.
– Al, non volevo mentirti. Lasciami spiegare. – Cercai di toccarlo ma lui si allontanò. Sentivo che tra noi si era creato un vuoto e non ero sicuro di riuscire a riempire quell’enorme crepa.
– Cosa pensi che sia una coppia? Credi che vivere insieme è solo darsi baci e carezze? Se è così sei fuori strada. – Gli tremavano le mani, era sempre così quando si innervosiva anche se cercava in ogni modo di nasconderlo. – Stare insieme significa condividere tutto, anima e mente. Penso che dovresti riconsiderare il nostro rapporto Coco, perché davvero io così impazzisco. – Nella mia mente già lo vedevo allontanarsi da me, un’ipotesi che mi rendeva pazzo.
– Lasciami la possibilità di spiegare almeno. Ti giuro che sarò onesto con te, niente più parole omesse o discussioni a metà. – Così lo feci. Dissi tutto ad Al, iniziando da quel primo incontro con Sam nel parco. Il nostro bacio, la partenza e lo scoprire lui proprio a Roma, il mese passato a vederlo tutti i giorni di fronte la mia abitazione aspettando che mi facessi avanti. Raccontai nei minimi dettagli il mio rapimento, l’asta e la lettera che trovai al mio risveglio fino a quando andai da lui. Mi esposi completamente, denudandomi di ogni mio gesto compiuto o pensato. Quando terminai, ebbi paura!
Non sapevo come avrebbe reagito, come o cosa avrebbe pensato e questo mi terrorizzava.
– Ci sono tante cose da assimilare. – Fu la sua reazione. – Devo pensarci su Coco, dammi del tempo. – Non mi diede neanche la possibilità di rispondere.
Se ne andò!
Non riuscii a fermarlo, né osai provarci. Aveva tutte le ragioni di odiarmi, avevo iniziato una relazione basandomi su inganni ed omissioni, il modo peggiore! Finalmente avevo realizzato il mio sogno ed in breve avevo distrutto tutto.
Ero un emerito coglione!
Rimasi la notte sveglio, d’altronde quella piccola casa, isolata com’era, mi incuteva imbarazzo. Per tutto il tempo pensai e ripensai ad ogni cosa. Mi misi nei panni di Al e più ci pensavo più mi odiavo. Fu solo la mattina che ebbi sue notizie. Un breve messaggio di testo che, con poche sillabe, mi invitava a vederci in un cafè nei paraggi.
Arrivai ancor prima del nostro appuntamento, tanto ero teso e ansioso. “Andrà bene, d’altronde è Al.”
Speravo in quei pensieri. Se ci avessi creduto con tutta la mia forza forse si sarebbero avverati. Quando entrò da quella porta, il ticchettio del sonaglio mi fece voltare mostrandomi il suo meraviglioso volto fanciullesco. Lui sorrise e ciò mi rassicurò.
“Vedi, non è più arrabbiato.” Pensai.
– Buongiorno, scusa per ieri, dovevo assimilare tutto. -  La sua voce era quasi squillante e gioiosa.
– Hai tutto il diritto di avercela con me. Al tuo posto non so come reagirei. – Al si sedette e posò i suoi effetti personali nella sedia vuota accanto a sé.
– Coco. So bene che tu non sei il tipo di ragazzo che mi potrebbe tradire. Sei tutto fuorché un bugiardo. – Iniziò. – Avevo capito da subito che c’era qualcosa che ti turbava, ma non credevo che l’entità del danno era tale. Scusa. – Non credevo alle sue parole.
Ero io il solo ad aver sbagliato. Dovevo assumermi la responsabilità delle mie azioni, chiedere il perdono in ginocchio, ed invece era lui che veniva da me.
– No! Non devi scusarti! Non mi sono fidato di te, sono pessimo. – Al mi prese la mano, sentii il suo tocco freddo e rabbrividii. Lui non era mai così ghiacciato.
– Fammi finire. – Aggiunse. – Ero davvero sconvolto del fatto che mi avessi tenuto nascosto così tante cose ed ancora adesso non ne capisco davvero il motivo. Fin da piccoli ci siamo sempre raccontati tutto, e forse è per questo che mi sentivo così sicuro di te. Credo, però, che qualcosa sia cambiato tra di noi e quella ingenuità che prima ci univa, adesso è solo un lontano ricordo. – Si fermò un attimo, quasi a cercare le parole esatte per farmi capire le sue emozioni evitando che fraintendessi. – Credo che abbiamo agito troppo frettolosamente, senza valutare bene se era davvero opportuno provarci e forse abbiamo un po’ affrettato i tempi. Con questo non voglio lasciarti Coco, non potrei davvero farlo senza lottare. Mi capisci? – Rimasi per un attimo stordito dalle sue parole, indeciso se affermare o negare.
– Non voglio separarmi da te, ma capisco anche che continuare così potrebbe solo portare a lasciarci per sempre e rovinare persino la nostra amicizia che prima di tutto ci lega in modo indissolubile. Detto questo, mi hanno invitato ad un corso di design a Milano. Inizialmente ho rifiutato, ma adesso credo sia opportuno partecipare. Allontanarci servirà a capire meglio i nostri sentimenti ed anche a farti comprendere cosa è davvero importante per te. – Si fermò in attesa che rispondessi.
Al mi amava fino a quel punto?
Aver scoperto quelle cose non lo aveva distolto dal mio fianco, anzi…
Stava soffrendo così tanto che preferiva darmi spazio e, se avessi scelto un altro, restarmi ugualmente accanto. Non volevo andasse via, ma capivo che per lui era importante che io prendessi finalmente una decisione.
Se lo avessi fatto restare, il dolore lo avrebbe logorato, vero?!
Al, quel giorno non ti fermai. Una parte di me si chiede quale fosse il reale motivo della mia scelta sebbene in quel preciso istante pensai fosse la scelta migliore per entrambi. Il mio egoismo ti ha reso triste e solo. Potrai mai perdonarmi?
-Quanto tempo? – Chiesi solamente.
– Un mese. Partirò domani mattina, ma non voglio che tu mi accompagni. Se tu fossi li con me non riuscirei a salire sul treno. – La sua mano sembrava così distante.
– Non sono passati neanche 10 giorni da quando abbiamo finalmente confessato i nostri sentimenti. Scusa Al è tutta colpa mia. – Lui non si avvicinò. Non mi confortò, né me lo aspettavo.
– Devi per forza partire? – Chissà cosa voleva sentirsi dire. Probabilmente se gli avessi chiesto di restare, lui lo avrebbe fatto, almeno così voglio immaginare.
– Tu devi per forza chiarire con Samuele? Devi per forza restare al fianco di un ragazzo che, fin dall’inizio, ti ha dimostrato apertamente di amarti? – Non osai rispondere. Abbassai solamente lo sguardo e lui capì. Non potevo voltare le spalle a quella persona che, anche goffamente, aveva fatto così tanto per salvarmi. Al si alzò, si avvicinò a me e mi prese il viso tra le mani.
– Non sto rinunciando al nostro amore. Tornerò e quando ci rivedremo sarai tu a dover scegliere. Pregherò ogni notte che il tuo solo sogno sarò sempre io. – Mi baciò la fronte e si allontanò. Lo vidi uscire dal locale così come ci era entrato.
Il suo sorriso era sparito, ed era tutta colpa mia. Avevo fatto la scelta giusta? Non ne ero sicuro, ma ormai ripensarci era fuori discussione. Mi alzai seguendo il suo esempio e pagai la consumazione. Uscendo fuori fui riscaldato da piccoli, ma intensi raggi di sole.
Il mio cammino era stato già segnato. Neanche pensai a ciò che stavo facendo, sapevo bene dov’ero diretto. L’ospedale non era molto distante, a piedi ci arrivai in pochissimo tempo. La struttura era molto ordinata e pulita. Mi avviai con decisione verso la sua stanza e chiesi all’infermiera il permesso di entrare.
– Non svegliarlo, è sotto tranquillanti. – Ringraziai e mi sedetti dentro. La stanza era una singola, con una piccola sedia al suo capezzale. C’erano dei fiori sul comodino e capii istintivamente fossero stati portati da Leo.
Mi accostai e lo fissai con intensità. Con gli occhi chiusi e lo sguardo sereno, sembrava un bambino delle elementari, dolce ed ingenuo. Quasi non intravedevo più il ragazzo egocentrico e dominatore che mi aveva tanto infastidito. Ripensai al nostro primo incontro e sorrisi.
Non aveva senso, niente poteva spiegare quel calore che portavo nel cuore. Non passò molto. Fu lui ad aprire gli occhi sebbene inizialmente non me ne resi conto. Quando capii già ci stavamo guardando. Sembrava sorpreso di vedermi lì e fece per alzarsi ma non aveva abbastanza forza. Senza pensarci mi avvicinai a lui e lo aiutai a mettersi seduto.
– Aspetta, ci sono io. – Sam sembrava non credere a quel che vedeva, era stupito quanto me. Che ci facevo lì!
– Coco…. Io… - Era in imbarazzo. Ormai la maschera che aveva indossato per tanto tempo, si era infranta.
– Leo mi ha raccontato. Non prendertela con lui, l’ho praticamente costretto. – Lui non sembrava arrabbiato, ma il suo sguardo, da vivace, si spense.
– Adesso mi odi, vero? Non volevo imbrogliarti. Sapevo che non ti saresti ricordato di un bambino fragile come me, volevo suscitare il tuo interesse e farti ricordare, per questo ho finto di essere mio fratello. Lui è così forte e non ha paura di nulla. Si prende ciò che vuole senza chiedere. Volevo assomigliargli ma ho solo combinato un casino.– La sua voce perse sicurezza. Ritrovai quel bambino dolce ed inaspettatamente, volli sentire il contatto con la sua pelle.
Presi la sua mano e lui sussultò.
– Sono stanco di giocare, posso restare qui con te? –
Quella frase…
Uscì dalla mia bocca come guidata da uno spirito misterioso. La stessa che dissi tanti anni prima e che ci unì, adesso sembrava quasi una proposta indiretta. Non avevo idea se quella mia decisione mi avrebbe reso più felice o al contrario se me ne sarei pentito per sempre, ma in quel momento mi sembrava l’unica via.
Forse lo avrei capito ancor prima di quanto mi sarei immaginato.
Forse….


Nota: Ciao a tutte siamo al nono capitolo effettivo della storia. Se non consideriamo il capitolo special, ovvio. Waaaaaaaaaaaa grazie mille per il vostro sostegno e spero che continuerete a seguire la storia con interesse. I vostri commenti mi rianimano GRAZIEEEEEEEEEEEEEE. Detto questo, non so voi ma a me piace tanto la storia Leo/Tori ed avevo un piccolo interesse a creare su di loro una storia a parte. Vi interesserebbe? Vorreste approfondire la conoscenza della loro relazione o non vi interessa un gran chè?! Fatemi sapere grazie mille. 

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Capitolo 11
*** Grazie ***


- Colin! Smettila di sognare! Abbiamo un meeting domani, quindi impegnati. – Kyle aveva la bava alla bocca.
I miei pensieri si erano arenati. Erano passati appena 3 giorni dalla partenza di Al ed io ero rimasto immobile in quello stato di agonia. Rivedevo il suo volto triste voltarsi per sempre poi il mio andare in ospedale e la reazione quasi incredibile di Sam, che fino a quel momento aveva manifestato il suo interesse in me.
Io tornai a quel momento: ero lì pronto a farlo restare nella mia vita, a capire cosa pensavo davvero della nostra relazione e lui mi spiazzò di nuovo.
– Dov’è Al? – La sua reazione alla mia proposta fu un ritrarsi. Perché?! Non avevo idea di cosa pensasse, né della paura che provasse ad esporsi tanto con me.
– Lui starà via per un mese, mi ha chiesto di mettere ordine nella mia mente. – Sam mi guardò un attimo, prima di prendere coraggio e continuare a parlare.
– Tu hai sempre amato Al. Ricordo bene lo sguardo con cui lo fissavi, perché anche dopo il nostro primo incontro, ho continuato ad osservarti da casa mia. Ogni volta lo invidiavo, anche se a quel tempo non capivo che il mio interesse verso di te era amore. – Si fermò un attimo, per poi voltarsi dalla parte opposta del letto.
– Ti ho chiesto di dichiararti proprio per impedirti di pentirtene per sempre. Quando ti ho scritto quella lettera ho deciso con tutte le mie forze che ti avrei lasciato andare, quindi non farmene pentire. – Sembrava facile per lui, ma io non riuscivo ad abbandonarlo. Non dopo aver saputo ciò che aveva fatto per me. Dovevo capire il motivo per cui il mio cuore batteva così forte e solo lo stare insieme lo avrebbe reso più facile.
– Al ormai ha deciso di andare. Sam tu hai un ricordo di me di quando ero piccolo forse anche troppo buono per ciò che ero realmente. Se diventassimo amici forse cambieresti idea ed anche a me farebbe bene conoscerti meglio. Voglio davvero stare al tuo fianco finché posso perché ho un debito nei tuoi confronti. – Sam non si mosse. Rimase impassibile alla mia richiesta. Io non andai via, non avevo altro posto dove rifugiarmi. – Va bene anche se non mi parli. Basta che mi fai restare qua. – Rimasi fino a tardi, sempre segnando quel tacito silenzio. Eppure il giorno dopo non lo trovai. Ero consapevole di dove vivesse, ma essere scacciato un’altra volta non riuscivo a sopportarlo.
“Io sono qua, chiamami quando vorrai vedermi.” Inviai quel messaggio ed anche dopo, in quella sala lavorativa, continuavo a pensarci. Per quale motivo non mi contattava? Un’improvvisa pila di fogli mi cadde addosso.
– Colin Drago, se non accantoni quella faccia da ebete ed inizi ad impegnarti, giuro che diverrò il tuo peggior incubo. – Kyle era serio e faceva anche tanta paura.
Lavorammo duramente! Non mi lasciò più vagare nei miei pensieri e forse era anche meglio. Avevo paura di ciò che ci avrei trovato. Sia Al che Sam mi stavano lasciando e questo mi spiazzava. Finimmo di lavorare più tardi del solito. Quando uscimmo fuori era già buio e, causa la stanchezza e la fame, il mio stomaco brontolò rumorosamente.
– Hai pure il coraggio di avere fame visto che mi hai fatto fare quasi tutto il lavoro che toccava a te. – Sbuffò seccato mentre, con una vocina timida e preoccupata, gli chiedevo scusa. – Mi tocca anche offrirti da mangiare, andiamo. – Non capii subito che il suo era un invito vero e proprio. Non eravamo mai usciti insieme e questo mi turbava.
La nostra “ amicizia” era rinchiusa in una bolla di sapone, circondata dall’ambiente lavorativo. Non sapevo nulla di effettivo su di lui, ma ugualmente non me la sentii di negare la sua gentilezza.
– Va bene, ma sarò io a pagare. – Kyle sorrise ed insieme ci incamminammo nella strada principale, un po’ più affollata di quella in cui ci trovavamo. Lui era vestito molto bene mentre io, preso alla sprovvista, avevo i capelli arruffati e le guance troppo rosse. Mi sentii un po’ in imbarazzo nel camminare al suo fianco, sfiguravo accanto ad un ragazzo così bello ed alto.
Kyle sembrava uno dei tanti principi delle fiabe, pronto a trovare la sua amata principessa ed io? Forse un Troll cattivo che cerca di rubarsi la sua bella. Istintivamente mi pentii di aver accettato il suo invito. “ Sei uno stupido,  a lui probabilmente neanche importa.” Eravamo amici, vero?! O almeno era questo che quell’invito voleva significare.
– Ti va bene una pizzeria? – Chiese ed io annuii. Mi piaceva mangiare la pizza, soprattutto da bambino, anche se adesso i miei gusti erano un po’ più complessi. Dalla classica Margherita amavo variare le prelibatezze che poteva contenere un singolo strato di pasta infornato. Ci fermammo in un locale vicino alla stazione, poco affollato, ma che mandava un meraviglioso profumino in tutta l’area.
– Ci vengo spesso qui, fanno una Caprese da urlo. – Il cameriere ci scortò in un tavolino isolato e, per la prima volta, ci trovammo da soli.
Cosa potevo dire? “Avanti, parla! Non fare la figura del fesso.”
– Vieni spesso qui? – “Che domanda idiota. Me lo ha detto poco prima!” Kyle vide il mio imbarazzo e sorrise.
– Si. Sono un cliente abituale. Rilassati Colin, non è una proposta di matrimonio. – Mi sentii punto nell’orgoglio. Non dovevo prenderla sul personale. Kyle era un bravo ragazzo e di certo non aveva cattive intenzioni.
– Scusa, sono un po’ nervoso. – Lui prese un pezzo di pane dal tavolo e lo addentò con forza.
– E’ perché il tuo ragazzo ti ha lasciato? – Mi irrigidii. Come faceva lui a sapere di Al? Non riuscivo a capire.
Ero stato attento ed ero convinto che nessuno al lavoro ci avesse visti, eppure Kyle aveva scoperto tutto, o forse mi prendeva semplicemente in giro?
– Oddio ho ragione! Non stupirti. Ti ho visto insieme a lui pochi giorni fa, non ero sicuro foste in intimità, ma dalla tua espressione vedo che non mi sbagliavo. Sei gay, vero? –
- No! – Urlai. Perché quella domanda mi feriva? Non mi ero mai considerato tale. Anche quando avevo capito di amare Al, ero convinto che lui fosse il solo. Non amavo nessun altro, uomo o donna che sia, solo lui!
– Non arrabbiarti. Non c’è nulla da vergognarsi, anche io lo sono! – A quelle parole sgranai gli occhi.
Kyle era gay?
Non vedevo nulla in lui diverso da me o qualsiasi altro ragazzo nella terra, eppure lo aveva appena affermato.
– Tu…? – Lui rise leggermente prima di essere interrotti dal cameriere.
– Io prendo una Capricciosa e per il mio amico una Specialità del pizzaiolo, sono sicuro che ti piacerà. – Non osai replicare ed aspettai che fummo soli per continuare.
– Cioè sei davvero attratto dagli uomini? – Kyle non sembrava turbato dalla mia domanda. Come avrei risposto io al suo posto? Sembrava davvero in pace con se stesso, a differenza mia che, di contro, apparivo come uno stupido.
– Ho sempre saputo di essere diverso, ma avendo un padre severo, avevo paura di confessare la mia vera natura. Solo quando mi trasferii qui nella capitale ho davvero avuto il coraggio di esprimermi in pieno. Adesso sono davvero felice e, mi sono innamorato. Vivo insieme all’uomo che desidero e non chiedo di meglio. – Possibile che per lui fosse così facile? Per me quella discussione era già ai confini della realtà ed invece per qualcun altro era la norma.
– Non sono come te. Non riesco a vivere tutto questo con leggerezza e tranquillità. È più forte di me. – Dissi sottovoce. Lui mi sentì ma fece finta di nulla.
– Sei davvero strano! Che differenza fa chi ami? Sia se sei attratto dall’altro sesso o no, non cambia certo chi sei davvero. So che non è facile, anche io avevo tanti dubbi prima di conoscere Fei. Lui però mi ha cambiato la vita, stravolgendola come un uragano impazzito. – Il suo sguardo era colmo di amore. Mi chiesi se anche io parlando di Al avessi quegli occhi. Chissà….
Arrivò la pizza ed iniziammo a mangiare. Kyle era strepitoso! Raccontare con tale facilità la sua esperienza, lo rendeva una persona molto umile ed il suo modo di aiutarmi in ufficio me lo fece apprezzare ancor di più Sentivo che tra noi potesse finalmente nascere una bella e solida amicizia.
– In realtà. – Dissi prima di potermene pentire. – Il ragazzo con cui mi hai visto è il mio migliore amico. Io so di amarlo da una vita, ma non credevo di poter essere attratto da altri uomini. – Feci una breve pausa mentre lui, con modestia, continuava ad ascoltarmi. – Ho incontrato un ragazzo però. Gli devo molto e questo mi ha scombussolato. Anche prima di scoprire ciò che aveva fatto per me, sentivo che per lui nutrivo qualcosa in più di una semplice conoscenza. Il mio cuore è confuso ed Al, il mio ragazzo, se n’è accorto. Mi ha lasciato la possibilità di capire cosa provo davvero, ma è davvero difficile. – Il mio interlocutore rimase dapprima in silenzio, mangiando a piccoli morsi la sua pizza. Ascoltavo il battito incessante del mio cuore e mi venne voglia di nascondermi per l’imbarazzo.
Era la prima volta che, veramente, avevo raccontato la mia storia a voce alta. Persino con Al non lo avevo potuto fare. Era però più facile di quanto mi aspettassi e quella consapevolezza mi spiazzò. Quanto era stato difficile per Tori dichiararsi apertamente con me? O anche Kyle che per lui non ero altro che un tizio bizzarro e bisognoso di attenzioni che gli si era piombato a lavoro.
– E’ normale essere confusi, soprattutto alla prima esperienza. Ho anche io rifiutato l’idea di amare Fei, anche per via di mio padre che ostentava il suo non curato odio omofobo. Capisco quanto sia difficile e credo che questo periodo di riflessione servirà ad entrambi. – Sapevo che aveva ragione, ma la tristezza non voleva passare. – Quando il tuo amico/fidanzato tornerà, sarai sicuramente pronto a capire i tuoi veri sentimenti e potrai finalmente vivere la storia d’amore che meriti, che sia con lui oppure no. – Ripensai molto alle sue parole, anche dopo che ci fummo separati.
Ero corso da Sam nell’esatto momento in cui Al mi aveva voltato le spalle.
Quanto ero stato indelicato con lui? Improvvisamente le mie azioni erano passate da giustificate e nobili a “sono uno stronzo che mi avvicino a te solo quando il mio ragazzo mi lascia solo.”
Dovevo far capire a Sam che se ero lì, era a prescindere dalla presenza o meno di Al, che volevo davvero essergli amico e forse in quel modo avrei anche io compreso meglio i miei sentimenti verso di lui. Tornai al dormitorio come ogni sera e, aprendo la porta della stanza comune, trovai Tori che sistemava le sue cose nel borsone. Aveva gli occhi lucidi e le mani che tremavano. I segni della violenza di quel giorno erano ancora visibili in lui, ma di questo non me ne stupii.
– Sei tornato? – Lui aveva la voce roca e un po’ flebile.  Non appariva sereno come il suo solito, non c’era traccia di sorriso sul suo volto.
– Come ti senti? – Chiesi non ottenendo nessuna risposta seria da lui. Non avevo idea di cosa fosse successo, né il perché mi stesse ignorando così. Mi accorsi solo allora che qualche lacrima gli rigava il viso.
– Tori che è successo? – Mi avvicinai a lui quasi a sfiorarlo, ma lui si scostò improvvisamente dandomi le spalle.
– Tori è solo per i miei amici, tu non sei nulla di tutto ciò. – Per quale motivo mi stava allontanando? Non avevamo parlato da quel giorno e non era difficile intuire che non avevo niente a che fare con il rapimento che gli era capitato.
– Che ti prende? Ero davvero preoccupato per te. – Lui battè le mani, come a ridicolizzare la mia serena esposizione.
– Sei davvero un ipocrita, ed io che mi ero fidato di te tanto da confidarti le mie emozioni. Mi fai schifo! Non avvicinarti più a me. – Nero assoluto. Stavo perdendo le persone importanti. Forse era davvero colpa mia.
– Che ti ho fatto? Dimmelo. – Lo afferrai per il polso e per tutta risposta lui mi scacciò via urlandomi contro parole terribili.
– Tu sei Coco ed io ti odio più di ogni altra cosa al mondo. Sei tu la ragione del mio stare male, sei tu il motivo per cui lui mi sdegna. D’ora in poi non salutarmi, non guardarmi e soprattutto, stai alla larga da Leonardo! – Prese il borsone e, senza aspettare ulteriore risposta, uscì dalla porta.
Rimasi di stucco, fermo in quell’angolo della stanza a guardare quel posto vuoto. Che senso aveva restare?
Tutti gli amici con cui avevo iniziato quell’avventura se ne erano andati. Lorenzo che, preso dalla gelosia, aveva abbandonato casa lasciandosi tutto alle spalle così come Tori che adesso mi odiava. Lentamente mi accovacciai sul mio letto e, tremando, chiusi gli occhi.
Ero davvero solo ormai!
Il giorno arrivò presto e così anche il sole spuntò in quella casa vuota. Non aveva più senso restare, così, impacchettai quelle poche cose che ormai mi restavano ed uscii anche io. Consegnai le chiavi al portiere e chiamai il padrone di casa. Non volevo più vivere in quel posto, dove solo ricordi negativi mi circondavano.
Avevo bisogno di cambiare aria, di lasciarmi alle spalle ciò che mi incuteva timore e tristezza. Presi la metropolitana senza pensarci, il mio cuore era confuso ed anche la mia mente vagava chissà dove. Senza rendermene conto ero di fronte l’abitazione di Sam, a fissare il campanello con la faccia scura ed il cuore ancora più nero.
Era giusto?! Ovviamente no!
Ne avevo bisogno? Assolutamente!
Dovevo sentire accanto una persona che mi amava, un bisogno che andava oltre il capire razionalmente il motivo che mi spingeva lì, a supplicare la sua presenza. Il mio dito spinse l’interruttore e la sua voce si diffuse nelle mie orecchie.
– Ti prego, apri. – Lui non ci pensò due volte. Il rumore sordo del cancello che si sbloccava mi riempì le orecchie. A piccoli passi mi addentrai nel cortile di casa sua e, quando alzai gli occhi e lo vidi, una strana forma di felicità sobbalzò nel mio cuore.
Non sapevo se ciò che provavo fosse davvero amore e non mi importava più. Lui mi fece strada ed io, a piccoli passi, mi abbandonai completamente.
– Posso restare con te? Ho bisogno di un posto da poter chiamare casa.–
Lui mi guardò per un attimo. I suoi occhi sembravano volermi perforare l’anima, poi, leggermente, tutto cambiò. Il suo viso si illuminò di una luce che non avevo mai visto e fu allora che il mio cuore perse un colpo.
– Entra. – Chiusi la porta dietro di me.
Quella grande casa, racchiudeva solo noi ed il suo profumo, che ormai era impresso nella mia mente, tornò a confortarmi.
Probabilmente mi sarei pentito di quella scelta, avrei odiato me stesso punendomi per le mie azioni, ma non era quello il giorno giusto. Posai il borsone e assaporai l’odore intenso di Sam che trapelava da ogni angolo e nella mia mente capii che era così che doveva andare fin dall’inizio.
“E’ giusto così.” Non capivo quanto quelle scelte mi avrebbero segnato.
Sai Al, so di aver sbagliato tutto. I miei errori sono state spade acuminate che ti hanno dato solo sofferenza e di questo me ne pento. Giorno dopo giorno so di dovermi far perdonare. Attendo la possibilità di farlo, per questo, torna da me! 

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Capitolo 12
*** 10.5 Speciale. Io sono Sam ***


Fin da piccolo ho sempre saputo di essere speciale.
Non lo ero semplicemente perché mio “padre” aveva un’altra famiglia, né perché lui fosse uno dei maggiori capi finanziari internazionali del paese.
No!
Io ero diverso perché stavo male.
-Piccolo mio, non puoi giocare come gli altri. Il dottore dice che devi riposare altrimenti potresti avere altri crisi.- Era questo che mi ripeteva sempre mia mamma. Sono cresciuto nella paura costante di capitolare al suolo. Non tanto per me, io ci ero abituato, ma le mie reazioni spaventavano chi mi stava attorno.
Fu così che mi allontanai da tutto e tutti.
Avevo 4 anni quando, giocando al pallone, caddi a terra ansimando e tremando. Fui portato in ospedale e da quel giorno mi ripromisi di non farlo più. L’orrore negli occhi di quei ragazzi che non conoscevano la mia malattia, fu una spada che trafiggeva il cuore.
Non potevo rischiare più! Non dovevo!
Crebbi da solo, con mia madre e mio padre che una volta ogni sei mesi veniva a trovarmi. Lui era un tipo molto elegante, freddo e distaccato. Non avevo idea di ciò che pensasse perché mai mi aveva detto parole dolci o provato ad ascoltarmi. Fu quando mia madre si ammalò che decise di mandarmi a vivere con mia nonna. A quel tempo credetti che fosse colpa mia ed anche lui perseguì la mia convinzione. Col tempo però, capii che ciò che portava dentro mia madre, non era una stanchezza fisica.
Lei, semplicemente, non mi voleva.
-Tua madre è esausta. Non può occuparsi di te. Ho deciso, quindi, di mandarti a stare da tua nonna, almeno fino a quando non troverò una sistemazione adatto a te. Cerca di non essere un peso per lei né per tuo fratello Leonardo, anche lui soffre di cuore.- Non avevo mai visto mio fratello, sebbene avessimo lo stesso padre. Avevo sempre sentito parlare bene di lui.
Leonardo è un genio!
Questo era il dipinto idilliaco di mio padre nei suoi confronti e conoscendolo, capii che aveva ragione. Aveva una rara intelligenza che io, nel mio piccolo, non potevo neanche comprendere. La prima volta che ci incontrammo, ero molto emozionato. Era il primo membro ufficiale dell’altra famiglia, che mi fosse in qualche modo vicino, e capii che dovevo cercare di avvicinarmi a lui, in un modo o nell’altro.
-Levati dai piedi. Non credere che siccome mio padre mi ha spedito qui, noi diventeremo veramente fratelli. Tu sei solo un suo errore!- Mi odiava!
Non ci eravamo mai visti eppure mi odiava.
Una cosa, però, era vera: io ero nato per sbaglio.
La mia esistenza non doveva esistere, eppure mi trovavo in quella terra. Leonardo era ciò che io sognavo di essere. Lui poteva uscire all’aria aperta, poteva farsi degli amici, poteva persino criticare gli altri perché il suo coraggio era mille volte il mio.
Perché non potevo assomigliargli? Da quella grande casa vedevo il parco dove andava tutti i giorni a giocare, osservavo i suoi amici e lo invidiavo con tutto me stesso. Non sarei mai arrivato ad essere come lui, mai!
-Nonna ti prego, manda anche me al parco.- Che dire di mia nonna! Lei era molto socievole e mi guardava sempre con tenerezza, ma sentivo che anche per lei ero solo un profondo sbaglio. Non che mi avesse mai detto nulla, ma queste cose si percepiscono. Se non fossi mai nato, forse la vita delle persone che amavo sarebbe stata migliore.
Ci pensavo continuamente. Mia madre non si sarebbe ammalata, mia nonna non avrebbe dovuto sopportare quel nipote illegittimo, mio padre sarebbe stato libero di vivere quel matrimonio infelice e mio fratello non mi avrebbe disprezzato. In qui giorni piangevo tutte le notti augurandomi la morte, che puntualmente saltava il mio letto.
-Lo sai che non puoi giocare con gli altri bambini, non farei i capricci.- Volevo morire, avevo davvero intenzione di farla finita con quel mondo, ma non potevo farlo se prima non avessi passato una giornata con quel mio idolo bambino che mi teneva in disparte. Anche  disprezzandomi di più, avevo bisogno di ricordi positivi, altrimenti niente avrebbe avuto senso.
-Starò in disparte. Non mi noteranno nemmeno perché non giocherò. Te lo giuro.- Stare buono a guardare era facile, il difficile sarebbe stato porre fine alla mia vita.
Come dovevo farlo? Una corda?! Ma io non ne avevo perché non potevo saltare. Avrei forse risolto tutto se solo mi fossi buttato, ma la mia casa era troppo bassa per quello scopo. Dovevo trovare un luogo perfetto per terminare la mia vita.
-Va bene Samuele, convincerò Leo a portarti domani con lui, ma se lo infastidirai o se avrai qualche crisi non ti farò più uscire.- Io ridevo perché sapevo che quella sarebbe davvero stata l’ultima volta. Se la nonna lo avesse capito subito, le sarebbe dispiaciuto? Forse si inizialmente, ma col tempo avrebbe certamente convenuto che era l’unica soluzione possibile.
Non fu facile far accettare la cosa a Leonardo che, senza mezzi termini, non faceva altro che insultarmi. Mi odiava al punto che ignorava anche che fossi in quella stanza, figuriamoci ammettere davanti ad altri che eravamo fratelli. Cosa significava poi quel termine?! Non avevamo vissuto insieme, eravamo dei perfetti estranei, ma un minimo di sangue ci rendeva uniti per sempre.
-Ti ho detto che Samuele verrà con te domani signorino, o dirò a tuo padre come lo tratti. Sai bene che vuole che andiate d’accordo, quindi smettila con quell’atteggiamento.- Disse la nonna e lui rimase in silenzio. Lo sguardo truce, ma ormai totalmente convinto e rassegnato.
Quella notte non riuscii a dormire dall’emozione. Era così bello il pensiero che potevo passare un’intera giornata con lui che mi sentii pieno di felicità e buoni propositi. Immaginavo di non essere malato, di poter giocare con lui e con tutti gli altri, ma quello era solo nella mia mente.
La realtà era un veleno crudele e corrosivo.
Quando arrivò il mattino mi alzai presto, mi lavai e mi sistemai. Avevo i pantaloni blu che mi aveva comprato la mamma e la maglietta bianca che piaceva tanto alla nonna, così aspettai paziente che Leonardo si alzasse. Lui, quando mi vide, fece una smorfia.
-Non pensare che dal momento che sono obbligato a portarti, tu conti qualcosa per me, vero? Verrai, ti siederai lontano e non proverai nemmeno a parlare con i miei amici. Non dire a nessuno chi sei né chi sono io, hai capito? Finalmente ho trovato dei bambini che non sanno chi sia mio padre, non ho intenzione di perdere il loro affetto per colpa tua.- Lorenzo era molto adirato, sembrava non sopportare proprio la mia vicinanza ma io, che aspiravo a qualsiasi sua forma di attenzione da parte sua, ero al settimo cielo. Mi andava bene anche che mi rimproverasse, basta che accettasse la mi vicinanza.
Passammo la strada mentre la nonna ci urlava dietro di fare attenzione. Provai a prendere la sua mano, ma mi allontanò con facilità con un piccolo suono gutturale della gola per farmi capire il suo sdegno.
Quando arrivammo al parco, una piccola zona di terreno incolto con qualche giochino e delle panchine, mi sentii il cuore scoppiare. Avrei visto mio fratello sorridere, non con il broncio e non da un vetro lontano. Ero lì con lui e quella felicità, forse, l’avrebbe condivisa con me.
Non appena entrammo, due bambini si avvicinarono a lui. Avevano circa la mia età, o almeno questo mi sembrò a primo impatto. Uno dei due aveva i capelli nerissimi ed il volto pallido, l’altro un po’ più scuretto in volto, aveva gli occhi di un blu pallido e sfocato. Un po’ più alti di me e decisamente più “in forma” di quanto potessi mai essere io che, senza mezzi termini, mi era proibito qualsiasi sport. Il mio corpo, gracile per natura, era quasi scheletrico al loro confronto. – Leo, finalmente sei qui. Chi è lui? – Fu il bambino più pallido a parlare, quello che sembrava più tenero e dolce.
– Non è nessuno, non fateci caso. Non giocherà con noi, è qui solo perché mi hanno costretto. Vai a sederti da qualche parte e non dare fastidio. – Quel bambino pallido mi guardò, sembrava confuso ed io, senza aspettare oltre, mi allontanai. C’era un posto comodo in cui mi trovai a mio agio, in un angolino alla destra dell’altalena. Lì potevo guardare in ogni direzione ed essere sicuro di non perdermi nulla. Era avvincente, ma anche triste restare a guardare. Sentii mio fratello urlare comandi, stavano giocando a rincorrersi, credo.
– Coco, corri o ti prenderanno. – Il bambino pallido iniziò a correre più che poteva per rifugiarsi dietro un tronco.
“Coco.” Quel nome mi sarebbe entrato nella mente per non uscirne più.
Leo era felice! Lui rideva così tanto che iniziai anche io a farlo, come se fossi ispirato. Non passò molto. Sentii gli occhi di quel bambino su di me, caldi e calorosi. Lui mi fissava come se fosse stregato o forse aveva solo tanta pena. Fu un piccolo istante, lo persi di vista ma non durò molto.
– Sono stanco di giocare, posso restare qui con te? – Quel bambino si presentò accanto a me e, senza aspettare che rispondessi, si sedette al mio fianco. Eravamo così vicini che potevo sentire il calore del suo corpo invadermi.
– Non ti piace giocare? – Disse all’improvviso. Non sapevo cosa rispondere. Per la prima volta, qualcuno smise di ignorarmi.
– Mi piacerebbe giocare ma non posso. – Non riuscii a dire altro e lui sorrise. – Io sono Colin, ma ormai tutti mi chiamano Coco. – Sorrideva lui ed improvvisamente il mio cuore iniziò a battere così forte che sembrava una delle mie crisi. Ebbi paura, ma non successe nulla. Non capitolai a terra, era solo una forte e tenera emozione che mi lasciò senza fiato.
– Coco! – Urlò l’altro bambino, quello con gli occhi quasi bianchi. – Perché non giochi più? – Lui si avvicinò a noi, un po’ seccato ma curioso.
– Non mi va. Continuate voi io resto con… Aspetta come ti chiami? – Si voltò verso di me ed io, timidamente, sussurrai il mio nome.
– Mi chiamo Sam. – Loro non sapevano nulla di me, non avevano idea di quanto potessi fare paura, ma ugualmente mi vennero vicino.
– Al, io resto con Sam. Tu torna a giocare. – Leo mi guardava da lontano e nei suoi occhi lessi disprezzo. Non volevo che mi odiasse di più. Non ero andato cercando di rubargli gli amici, ma per poterlo osservare felice.
– Voi andate pure. Io sono contento di vedervi divertire. – Al allora, senza che lo prevedessi, cambiò espressione e, un po’ seccato, prese posto accanto a noi.
– Non è divertente se non giochiamo tutti. Leo sbrigati, vieni anche tu. – Avevo rovinato la giornata a mio fratello, al mio idolo che tanto  volevo raggiungere, ma ero anche tanto felice. Leo si accomodò con noi e, a mia sorpresa, abbiamo giocato. Non era uno di quei giochi dove si corre o si suda, ma uno più tranquillo.
Anche io potevo avere degli amici?! Era troppo tardi però!
Avevo deciso di morire proprio prima di scoprire quella sconvolgente verità. Coco rimase accanto a me, sorrideva come un piccolo angelo e fu lì che capii. Quel ragazzo sarebbe stata la mia rovina. Se anche non fossi morto, per tutta la mia esistenza, avrei fatto di tutto per vederlo sempre ridere in quel modo, con quella piccola fossetta sulla guancia destra. Volevo che la sua vita, non la mia, fosse
meravigliosa. Il buio arrivò presto e noi tornammo a casa.
– Vieni ancora a trovarci. Dobbiamo giocare ancora insieme. – Disse Coco e mi abbracciò. Lui non sapeva ancora che quel suo piccolo gesto, fatto senza condizioni, aveva scaturito in me sensazioni ancora più dolci. Il brutto arrivò una volta dentro casa.
Leo non mi perdonò facilmente. Lui, che tanto si vergognava di me, non poteva accettare che gli avessi portato via i suoi amici.
– Tu non verrai più con me! – Urlò prima di chiudersi alle spalle la porta.
Era finita! Avevo definitivamente perso mio fratello.
Andava ugualmente bene. I ricordi che mi portavo dietro ponendo fine alla mia vita, erano iniziati ad essere dolci e teneri. Passai qualche altro giorno osservando Coco da lontano. Lui non poteva vedermi, ma io si. Studiai con cura i suoi lineamenti per portarli con me quando tutto sarebbe finito. Poi scelsi il giorno!
Sarei andato nell’edificio più alto e mi sarei lanciato più. Uscii di casa senza dire nulla alla nonna, ma lasciai un unico biglietto con su scritto: “salutate per me la mamma e perdonatemi per tutte le difficoltà che vi ho causato.”
Poi uscii. Dalla casa della nonna il posto più sicuro per morire indisturbato era di certo la scuola. La vedevo bene dalla finestra del salotto, così mi incamminai. Quando raggiunsi quell’edificio, mi sentii più sereno. Non avevo per nulla timore di lasciarmi tutto alle spalle.
Sapevo che chiunque nella mia vita ne avrebbe avuto un beneficio, quindi mi fu facile decidere di non mollare. Trovai la scuola aperta, così mi intrufolai, in fin dei conti non c’era nulla di male in me.
Salii lentamente le scale prima di avvertire un leggero tepore alla mano che mi costrinse a fermarmi.
– Sam?! – Quella voce la conoscevo. Mi voltai e vidi quel volto che tanto mi ossessionava.
– Coco? – Lui sorrise di cuore e una piccola fitta mi trafisse dentro.
– Che ci fai qui? Non ti ho mai visto nei corridoi. – Avevamo la stessa età, era normale che si chiedesse il perché non mi aveva mai visto.
– Volevo vedere la scuola. Io studio a casa, con un insegnante privato. – Dissi amareggiato. Mio padre credeva non fosse idoneo per me, che soffrivo di attacchi di iperventilazione, andare in un edificio che non fosse casa. Mi aveva privato anche di socializzare.
– Figo! Quindi tu non devi alzarti ogni giorno così presto, che fortuna! – Coco non aveva idea, non poteva sospettare. Non c’era nulla di così bello nello stare sempre solo, senza poter vedere altri che adulti.
– Sam, perché non sei più venuto al parco? Dovevamo giocare ancora, invece sei sparito. – Leonardo si sarebbe arrabbiato. Non potevo dire parole fuori luogo, né fare cenno al fatto che fossimo legati.
– Ho avuto degli impegni, mi dispiace. – I miei occhi pesavano. Avevo voglia di piangere, di urlare come un bambino piccolo e supplicarlo di donarmi un po’ di affetto, ma mi trattenni.
– Capisco, però io mi sono molto divertito con te. Spero di vederti presto e poter giocare ancora con te. Giusto! Sto andando adesso a casa di Al, perché non ti unisci a noi? Ci vedremo un film dell’orrore di nascosto perché sua mamma non vuole. Dice che siamo troppo piccoli per mostri e zombie, ma non è vero. Io non ho paura di niente. – Se fossi andato con lui forse adesso le cose sarebbero diverse.
Forse Coco si sarebbe ricordato di me al nostro incontro successivo, ma così non fu. Dovevo sparire per sempre dalla vita di tutti, cosicché nessuno avrebbe più sofferto.
– Mi dispiace, non posso. – Lui apparve triste, mi abbracciò di nuovo e mi salutò.
“Addio Coco.”
Nella mia mente quello era davvero un saluto finale. Salii sulla terrazza pronto a buttarmi giù. Potevo anche vedere la strada, ma non riconoscevo ciò che c’era sotto. Scorsi facilmente le macchine ed alcuni bambini nel cortile.
Mi chiesi all’istante come avrebbero reagito nel vedermi lì, morto sull’asfalto. Pregavo Dio che Coco non mi vedesse, che si ricordasse di me anche in futuro.
“Ti prego, non farlo dimenticare.” Proprio quando stavo per lanciarmi, una voce mi bloccò.
– Sam, no! – Non c’era bisogno di voltarmi per sapere chi fosse. La voce di Leonardo era inconfondibile.
– Stupido idiota! Che ti dice il cervello! – Corse da me e mi trascinò via per un braccio.
– Se adesso me ne vado per sempre, sarete tutti più felici. – Sussurrai. Quando lo guardai negli occhi me ne accorsi. Vidi le sue lacrime e non potei fare a meno di restarne scosso. Io, che credevo di non avere nessuno, scorsi un barlume di speranza.
– Sei uno stupido! Sei mio fratello, non ti permetto di morire!- Non so cosa fù.
Forse aveva finalmente accettato la mia presenza, o magari era solo senso di colpa, ma da allora noi diventammo fratelli! 

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Capitolo 13
*** Lettera ***


-Quindi, fammi capire. Tu abiti in questa casa tutto solo?! – Sam era diverso dalla prima impressione che ebbi di lui. In apparenza mi era sembrato molto arrogante e sicuro di sé, ma piano piano quella patina di sale, stava iniziando a sgretolarsi.
– Mia madre torna a trovarmi per il mio compleanno, per il resto sono tutto solo. Questa casa è un dono di mio padre, anche se con lui è molto più difficile vederci. Credo di averlo incontrato abitualmente solo fino ai miei 10 anni, poi è stato un susseguirsi di telefonate e bigliettini imbarazzanti in cui si scusava di non essere presente alle occasioni più importanti della mia vita. Ogni tanto organizziamo un incontro, ma quasi sempre di breve durata e con pochi scambi di saluti reciproci. In realtà ho perso la sua stima quando gli ho confessato di non nutrire alcuna ambizione nel rilevare parte della sua azienda. Non ho interesse ad un lavoro facile. – La mia famiglia era un disastro, ma la sua era anche peggio. Mi avvicinai a lui, ma si spostò di colpo. Non voleva farsi avvicinare, come un cucciolo impaurito.
– Non farlo! Non darmi quel calore se poi me lo negherai. – Lui appariva turbato, ma più di questo, ero io ad esserlo.
– Coco, sai dall’inizio cosa provo per te, perché sei qui adesso? Voglio averti nella mia vita, ma devo sapere che ruolo posso avere, altrimenti rischio di impazzire. – Aveva totalmente ragione. Ero sempre stato io ad allontanarlo.
Quanto deve aver sofferto porgendomi la mano? Quando mi aspettava ogni giorno tornare dal lavoro, quando si imponeva nella mia vita, forse avrei dovuto ascoltarlo.
– Sam, voglio che diventiamo amici. Il sentimento che provo per Al è forte e persistente. Io lo amo davvero, non ho il minimo dubbio, ma so anche che c’è qualcosa che mi spinge a cercarti. Forse penserai che sono egoista e mi sta anche bene, hai tutte le ragioni di crederlo, ma dammi la possibilità di conoscerti. – Lui sbuffò. Esausto dal mio accanimento e sorrise nuovamente.
– Va bene. E’ da quando ho capito di amarti che so di non poter conquistare il tuo cuore. Vada per “solo amici”. – Mi porse la sua mano con sicurezza e decisione. Il ragazzo timido ed impacciato che inizialmente mi aveva accolto in casa, era diventato un uomo. Quella parte infantile che tendeva ad allontanarmi, adesso aveva messo pace dentro di lui.
– Vieni, ci sono delle stanze vuote al piano di sopra, puoi sistemarti lì. – Presi quella piccola borsa che portavo con me e lo seguii. Da dietro, il suo contorno era nitido e puro. Aveva l’aria matura, più di me, ma dentro era mille volte più fragile.
Non avevo idea di cosa portasse nel cuore, ma presto lo avrei scoperto, mi ripetevo. Con Al era semplice, ci conoscevamo da tempo. Non c’era bisogno di parole tra noi, perché tutto era stato già detto, con Sam no. Ci eravamo incontrati una volta ed anche dopo, il nostro stare insieme era stato quasi un inganno. Di noi due c’era troppo da raccontare, forse ancora più di quello che credevo.
– Questa stanza è la più luminosa, credo che ti troverai bene. – Quando entrai, fui accecato dalla luce. Una meravigliosa finestra si affacciava sulla strada, con il sole che, per nulla intimidito, illuminava ogni cosa. Il senso di colpa che avevo per essermi insinuato così forzatamente in quella casa, era del tutto sparito di fronte a quella vita.
– Ti piace? – Disse Sam dopo il mio stupore iniziale.
– Certo che mi piace, ma sei sicuro che posso restare? – Lui entrò senza indugi e posò una chiave nel comodino.
– Non dire sciocchezze. Sono sempre solo ed averti in giro sarà divertente. Questa è una chiave di casa, tienila. – La sua totale fiducia in me mi lasciava di stucco.
– Ora ti lascio ambientare, fai come se fossi a casa tua. – Uscì dalla porta ma non prima che dicessi quell’unica risposta che potevo dargli: -grazie.- Ero davvero sincero. La stanza era molto semplice, senza fronzoli o artifici.
Il letto a baldacchino, una piccola scrivania in legno con qualche decoro floreale ed un grande armadio antico. Le pareti bianche erano adornate con pochi ma coloratissimi quadri astratti che rendeva la luce ancora più scintillante. Presi il telefono e composi l’unico numero che ricordavo perfettamente a memoria. Non avevo idea se lui volesse parlarmi o no, ma credevo che sentire la sua voce, fosse l’unico modo per non dimenticarlo.
– Pensavo non mi chiamassi più. – Al aveva una voce cupa e bassa.
– Ho aspettato anche troppo. – Risposi. Il silenzio divampò tra noi. Possibile che le cose fossero così diverse?
– Come va a Milano? – Al si prese un po’ di tempo per rispondere. Il che mi fece un po’ riflettere.
– Meravigliosamente. E’ pieno di belle persone. – C’era qualcosa di strano. Quella voce che sussurrava al telefono era diversa dal solito. Non indagai, né mi chiedi ulteriormente il perché.
– Tu invece? Come va con Sam? – Quella freccia infilzò il mio cuore.
– Tori mi odia, sai? Non so cosa gli sia preso, ma è scappato via di casa intimandomi di stare lontano da Leonardo. Ero solo Al ed ho avuto paura. Ho chiesto a Sam se posso stare un po’ da lui, ho bisogno di un conforto e tu mi manchi. Perché non torni? – Al non disse nulla per un po’. Seduto sul letto aspettavo un minimo segno che mi facesse intuire le sue intenzioni. Avrei tanto voluto vederlo, capire cosa pensasse, ma i suoi occhi erano troppo lontani dai miei.
– Se lo facessi cosa cambierebbe? Tu saresti ancora in bilico tra me ed il resto del mondo. Coco io so che tu mi ami, ma non so fino a che punto. Questo spetta a te stabilirlo. Tornerò, te lo giuro, ma prima cerca di capire cosa vuole davvero il tuo cuore. – Ci salutammo con l’amaro in bocca. Non era una novità, né mi stupii di ciò che aveva appena detto, ma la promessa di sentirci ogni giorni mi dava una speranza in più.
Volevo tutto e forse anche troppo, ma non riuscivo a rinunciare. Sistemai velocemente i miei vestiti in camera e mi preparai ad uscire. Per arrivare al lavoro dovevo prendere la metropolitana, avevo bisogno di tempo. Quando scesi giù trovai Sam in cucina, con due tazze di cioccolato fumante sul tavolo ad aspettarmi.
– Non sapevo se avessi già fatto colazione, così ti preparato una cioccolata. Bhè in effetti non so neanche se ti piace o no, ma…. Dai a chi non piace la cioccolata? – Io scoppiai a ridere. Era così buffo con quell’espressione, così tremendamente infantile.
– Hai ragione. – Convenni con lui e mi sedetti al suo fianco.
– Ambra mi ha detto che stai continuando a lavorare in azienda. Non voglio che mi ripaghi il debito Coco. Tu non lo sai ma in passato hai fatto molto per me, quei soldi non sono nulla a confronto. – Sam beveva la cioccolata mentre parlava. Si sporcò le labbra e mi sorrise senza rendersene conto. I suoi lineamenti semplici mi riportarono alla mente quel bambino seduto al parco.
Come avevo fatto a dimenticarlo per tanto tempo?! O forse non era così, semplicemente non ero riuscito ad associarlo al suo viso indurito dal tempo. Il fatto di averlo incontrato nuovamente al parco, sdraiato dietro un albero al nostro primo incontro, non sembrava più una coincidenza.
– Sai, mi piace lavorare lì. Mi sento più a mio agio del primo stage ed inoltre Kyle è molto efficiente nel lavoro. Mi trovo bene. – Il volto di Sam divenne per un breve momento più scuro e cupo.
- Scusa. Mi sono comportato come uno stupido all’inizio. E’ che volevo piacerti e nei libri l’uomo forte e un po’ stronzo, conquista sempre le donne. Quando ho capito che ti stavo allontanando ho provato a rimediare, ma era tardi. – Non riuscii a trattenermi, scoppiai in una fragorosa risata.
– Io non sono una donna Sam. Non hai bisogno di essere stronzo per fare colpo su di me. In ogni caso ora vado altrimenti non arriverò più. – Feci per alzarmi ed anche lui mi imitò.
– Ho la macchina stupido, ti accompagno io a lavoro. Inoltre devo passare in ospedale per una visita, quindi mi viene di passaggio. – Quella complicità, quel calore, iniziava a diventare parte di me. Insieme uscimmo di casa, salimmo in macchina e partimmo verso il centro di Roma.
Mi sentii bene, a mio agio. Anche senza parlare molto, anche se in altre occasioni o con altre persone forse ci sarebbe stato dei sentimenti contrastanti, con lui era diverso. Mi lasciò proprio dove, qualche settimana prima Ambra aveva già fatto ed io lo salutai con un sorriso.
Mi voltai e intrapresi quella strada come tutti i giorni, ma con più serenità. L’aver chiarito con Sam, mi aveva dato una pace interiore molto forte. Quel giorno non ricordo cosa ci occupammo a lavoro, ma fui più brillante del solito. Kyle mi chiese cosa avessi, ma non risposi. Mi sentivo bene con me stesso e questo si rifletteva probabilmente anche sulla concentrazione e sul mio modus operandi. Uscimmo che era già buio, non c’era foschia né troppo freddo.
Era una bella serata  e per la prima volta iniziai a pensare che vivere a Roma mi stava davvero piacendo. Trovai un messaggio vocale di Sam, lasciato distrattamente mentre lavoravo.
“ So che è la prima sera, ma purtroppo tornerò tardi. Non preoccuparti cercherò di arrivare per le 21.:00. La cena è pronta, aspettami se puoi.” Sorrisi nel pensare che finalmente, dopo tanto tempo, avrei di nuovo cenato con qualcuno.
Nel dormitorio era difficile essere tutti insieme. Ognuno di noi aveva la propria vita e non ci occupavamo degli altri. Vivevamo gli impegni con leggerezza e spesso non parlavamo per giorni,
troppo occupati. Cenare insieme, sorridere e completare l’uno il vuoto dell’altro.
Forse non era proprio amicizia la nostra, ma allora cos’era? Presi la metro e esci alla solita fermata. La strada era breve per arrivare a casa, così mi godei la passeggiata. Era rilassante e terapeutica. Quando giunsi di fronte il portone presi la chiave che mi aveva dato ed entrai. Era tutto buio dentro, ma c’era ugualmente un buon profumo.
Posai il giaccone ed iniziai ad esplorare la casa. L’abitazione era molto semplice, con pochi mobili ma arredata con gusto. Non sapevo se fosse stato Sam a sceglierli o se si fosse solo ritrovato dentro, ma mi piaceva.
L’ingresso non era molto ampio, con un piccolo scaffale per posare le scarpe ed un grande specchio stile vittoriano. Da lì ci si spostava nel salone un po’ retrò, con un divano a tre posti color caffè e tavolino in legno massiccio a cui era abbinata una piccola libreria sempre dello stesso stile. Mi accorsi subito che non c’era la TV, ma in fin dei conti neanche io seguivo molto i programmi, quindi non importava un granché. La cucina, sempre a pian terreno, era costituita da poche ante ed un angolo cottura adibito ad una persona. Tutta l’intera cosa trasudava solitudine. Era come se suo padre, quasi per punizione, lo avesse confinato lì, ricordandogli ogni singolo momento, che lui non aveva nessuno.
Il sotto non aveva altro, così, in preda alla curiosità, salii al piano di sopra. Le scale erano in cotto, rifinite con marmo rosso, molto d’effetto. Quando arrivai all’ultimo gradino vidi il piccolo corridoio in cui ero passato già prima con quattro distinte porte. La più vicina alle scale portava alla mia stanza, quella che Sam mi aveva concesso.
Le altre tre erano ancora un’incognita per me. Posai la mano sulla prima maniglia, quella successiva alla mia camera e aprii la porta scorgendo una seconda camera degli ospiti, più cupa e seria della mia. Molto semplice e modesta, sembrava più adatta ad un lavoratore che occasionalmente passa di lì. Intuii che fosse stata adibita a suo padre e ciò mi incuriosì.
Dall’aspetto e dalla perfezione nei mobili, sembrava quasi che nessuno ci fosse mai entrato e forse era proprio in quel modo. Di fronte c’era un’altra porta così mi spostai in quella direzione ed entrai. La stanza che mi si presentò di fronte, era sicuramente quella di Sam. Lo intuii perché, oltre il letto e l’armadio, vi erano alcuni apparecchi medici che sicuramente servivano in caso di bisogno. Era sterile, poco personale e distaccata.
Intuii che lui, sebbene ci vivesse, non vi aveva mai messo nulla di suo dentro. Che genere di persona era davvero Sam? La mia attenzione, però, si concentrò su una piccola busta all’ingresso della stanza. Non era tanto curiosità la mia, ma quella scrittura che aveva tanto di noto ai miei occhi.
C’era scritto: Destinatario Samuele Berga.
Una piccola scritta anonima che però diceva tanto. Io sapevo di chi fosse, ma dentro speravo di sbagliarmi. Non dovevo, ma la presi. Fu in quel momento che sentii aprirsi la porta.
– Coco, sei a casa? – La voce di Sam era squillante ed allegra, così infilai la busta nella mia stanza e scesi correndo sotto, trascurando quel piccolo particolare. Sebbene volessi sapere, non era il momento adatto.  
– Bentornato. – Gli dissi ed insieme entrammo in cucina. – Scusa il ritardo, ho incontrato una persona e si è fatto più tardi del previsto. – Sembrava impacciato, ma evitai di chiedere oltre.
– Com’è andata la visita? – Chiesi sperando di alleggerire l’atmosfera.
– Sempre malato, ma stabile. – Lui riscaldò le pietanze mentre io apparecchiai la tavola. Sembravamo una famiglia, ma non avevo ancora capito di che genere. Durante la cena parlammo del più e del meno, senza soffermarci troppo in un argomento preciso. Lui mi disse qualcosa in più sulla sua vita, su sua madre che si era risposata quando aveva 15 anni e che da allora la vedeva sempre più raramente, su suo padre invisibile e su Leonardo, l’unico membro effettivo della famiglia che gli dava appoggio.
Io dalla mia parte raccontai di mia madre, del suo riuscire a capirmi sempre, anche quando non me lo meritavo e di Al.
Quanto parlai di Al! In fin dei conti era lui il mio passato. Le mie insicurezze ed il mio intento di non causargli alcun male. Sam sembrava a suo agio. Anche se stavo parlando di un altro uomo che amavo dal profondo, a lui non faceva alcun effetto.
Perché?
Non ci eravamo neanche accorti che, dalla semplice cena, si era già fatta ora di dormire. Erano quasi mezzanotte e noi stavamo ancora coi piatti di fronte a raccontarci della nostra vita.
– Si sta facendo tardi. – Disse e così iniziammo a preparare per la notte. Salimmo ed io, col cuore in gola, mi chiusi immediatamente in camera con un semplice “buonanotte” incartato a fatica.
Il pensiero che lui dormisse così vicino a me, mi faceva uno strano effetto. Non era stato così per Al, non avevo provato quelle sensazioni quando avevamo fatto sesso. Non c’era stato quel tepore alle guance, quel sentimento crescente che sembrava volermi esplodere dentro.
– Buonanotte Coco, ci vediamo domani. – Il suo viso mentre diceva quelle parole, benché amichevole, mi apparì decisamente fin troppo sensuale. Quando richiusi la porta mi strinsi il petto con il pugno, dovevo calmarmi. Entrai in bagno che comunicava con la mia stanza, e mi sciacquai il viso.
“Respira” mi ripetevo. Quando i battiti del cuore tornarono stabili mi avvicinai al letto e vidi nuovamente quella busta. Un tarlo iniziò a divorarmi la mente. Dovevo leggerla, eppure mi sembrava fuori luogo.
“Devo fidarmi di lui.” Commentava una parte di me, mentre l’altra anelava unicamente di scoprire perché le mie mani fremevano. Presi la lettera e la aprii leggermente ma mi fermai di colpo.
No! Non dovevo.
Così, armato di buone intenzioni, aprii la porta e, a passi falcati, giunsi di fronte la sua stanza e bussai con vigore. Lui mi aveva accolto in casa, mi stava donando tutto per rendermi felice, non potevo dubitare. Quando Sam aprì la porta era a petto nudo. La sua pelle era rosea e delicata, il suo petto fresco ed impostato. Iniziai a sentire caldo e distolsi lo sguardo per concentrarmi maggiormente su di lui.
– Che succede? Hai bisogno di qualcosa? – Disse prima di accorgersi di quella busta. Il suo sguardo cambiò ed io capii. Non avevo immaginato nulla, né potevo più ignorarlo.
Quella scrittura era di mio padre.
– L’hai trovata! Non che sia un segreto, ma volevo dirti tutto un po’ più lentamente. Entra. – Mi fece passare ed io mi accomodai sul suo letto. L’odore penetrante del suo corpo era intenso e inebriante.
– Tu conosci mio padre? – Le mie parole furono fulminee e tristi. Pensavo di non avere più nulla a che fare con lui, ma il ricordo delle sue attenzioni, mi destabilizzarono. Ci aveva lasciati e soprattutto aveva omesso un grosso debito con persone poco raccomandabili. Non sapevo se volevo davvero riaverlo nella mia vita, ma decisamente avrei desiderato una sua spiegazione.
– E’ successo qualche anno fa. Lo incontrai casualmente mentre mi recavo nell’ufficio di mio padre, a Londra. Non so il perché si trovasse lì, ma lo riconobbi subito. Lo avevo visto spesso con te da bambino, così non mi fu difficile capire di chi si trattasse. Lui entrò nello studio di mio padre e restò dentro molto tempo. Non mi fu permesso di assistere, ma sentii la sua voce supplicare aiuto. Quel giorno non andai all’incontro, ma fermai tuo padre affermando di essere un tuo amico. Lui mi raccontò che aveva chiesto un aiuto finanziario a causa del debito che aveva contratto, ma che non gli fu concesso. Era disperato ed aveva paura che voi foste coinvolti. A quel tempo non avevo la possibilità, ma lo rassicurai. Avrei trovato un modo per non esporti al pericolo. Stavo prendendo accordi con quegli schifosi per ripagare tutto ratealmente con alcune quote che ho in società, ma non hanno accettato. Volevano recuperare i loro soldi più velocemente e…. sai cos’è successo. Per questo ho usato il fondo che avevo per metterti al sicuro. Ho preso una cattiva decisione, se avessi saldato prima non ti avrebbero mai rapito. In ogni caso ho scritto a tuo padre per informarlo che era tutto finito e lui è tornato qui Coco. Vuole incontrarti e chiederti perdono, è questo che c’è scritto e quello che mi ha confermato oggi. – Mio padre.
Come dovevo comportarmi?
Volevo davvero rivederlo?! C’era una sola risposta a quella domanda.
– Ti prego fammelo incontrare. – L’espressione dipinta sul suo viso divenne dolce ed io mi sentii mancare.
– Lo farò. – Le mie dita formicolavano.
Avevo la sensazione che se non mi fossi allontanato, qualcosa di irreparabile sarebbe successo così, in preda al panico, uscii lasciandomi solo dietro una scia di imbarazzo ed un breve saluto. Rintanato in camera presi quel piccolo foglietto, lo aprii e lessi la lettera, finalmente tranquillo di farlo.
Caro Samuele,
ti ringrazio di cuore di aver badato a mio figlio e di aver donato così tanto per risanare i miei errori. Se quel giorno non ti avessi incontrato, forse mio figlio non avrebbe un futuro adesso e te ne sono grato. Anche se ho fin troppo usufruito della tua gentilezza, ti chiedo di aiutarmi ancora una volta. Vorrei che mio figlio capisse il perché delle mie azioni, anche se ci vorrà del tempo. Sarò a Roma tra qualche giorno, spero di poterti incontrare e che tu possa recapitare per me questo messaggio a Colin.
Non riuscii a continuare, le lacrime iniziarono ad offuscarmi la vista.
Papà!
Con il cuore a pezzi, chiusi gli occhi per non vedere, annegando nel sonno la mia sofferenza.


Nota: Ciao a tutti, volevo scusarmi se per il prossimo capitolo ci vorrà qualche giorno in più ma nel fine settimana non sarò a casa. Proprio per questo ho lavorato tutto il tempo per perfezionare il prossimo capitolo e per poterlo aggiungere più velocemente. Vi ringrazio per i vostro supporto. Sto anche lavorando a qualche nuova storia, appena avrò qualcosa di concreto vi terrò aggiornate.  

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Capitolo 14
*** Papà ***


Fin da quando mio padre ci abbandonò, immaginavo il suo ritorno come quello dei film.
Nella mia mente lui avrebbe suonato il campanello di casa, portando con sé rose e regali per mia madre chiedendo umilmente perdono per i suoi peccati, eppure la realtà era diversa. Mio padre ci aveva lasciato tra i debiti e solo quando essi erano estinti, lui si è presentato. Non sapevo cosa fare né come avrei reagito a quel pensiero, ma solo incontrandolo avrei davvero capito.
Sam concordò un incontro con lui in un piccolo pub della zona limitrofa di Roma. Era un posto molto anonimo e per nulla alla moda, ma in fin dei conti capivo che non volesse saltare nell’occhio. Era scappato ad una gang mafiosa senza pagare, era ovvio che avesse ancora paura. Quando entrai non lo riconobbi.
Si era fatto crescere la barba ed indossava lenti colorate agli occhi per camuffare il suo aspetto. Aveva anche fatto un tatuaggio attorno all’orecchio ed indossava vestiti giovanili e per nulla adeguati alla sua età.
Andai solo.
Quella era una cosa che dovevo affrontare, prima o poi. Nel vedermi lui sussultò e sorrise come quando ero bambino, teneramente. Era tanto che non vedevo quel suo aspetto gentile e sereno.
– Colin, sono davvero felice che tu abbia accettato di incontrarmi. Davvero, non lo credevo possibile. – Mi sedetti di fronte a lui ed ordinai un cappuccino.
– Perché sei tornato? Anche se Sam ha pagato, il fatto che tu sia scappato così li ha fatti imbestialire. Penso che vorranno ugualmente pareggiare i conti. – Lui ci pensò un attimo, ma non cambiò espressione.
– Probabilmente. Se mi trovassero quasi sicuramente finirei in ospedale, ma me lo merito. Ho messo in pericolo te e la donna che amo, non merito neanche di vivere. – Lo vidi piangere. Per la prima volta dalla mia nascita, mio padre pianse di fronte a me. Quell’uomo che credevo di odiare in apparenza, dentro stava soffrendo come tutti noi.
– Mi dispiace figlio mio. Mi dispiace davvero. – Continuava a ripetere tra le lacrime prima che i singhiozzi finissero e tornasse con quell’espressione triste che non riuscivo a sopportare.
– Avrai sicuramente delle domande, sono qui per questo. – Disse d’un tratto lasciandomi leggermente senza fiato.
 – In realtà si. La prima cosa che ho pensato quando ho saputo, è stata che ci avevi mentito, poi però mi sono chiesto il perché. Papà, per quale motivo hai preso tutti quei soldi? – Lui sospirò prima di iniziare a parlare, come per raccogliere fiducia.
– Avevo perso il lavoro e non riuscivo a pagare le bollette. Andai in banca. Ricordo come fosse oggi quel giorno. “Non ha le credenziali, non possiamo aiutarla.” Mi risposero così quei bastardi. Sono arrivato al punto di dover scegliere o prendevo dei soldi dagli strozzini, o avrei dovuto vendere la casa di famiglia. Dove vi avrei fatti vivere? Era quella la mia preoccupazione. I tassi di interesse però erano troppo alti ed in breve mi ritrovai a dover chiedere ancora ed ancora facendo salire quel conto come un ascensore impazzito. E’ stata solo colpa mia Colin! Se potessi farei di tutto per tornare nella vita di tua madre, per chiederle perdono, ma non me lo merito. Come posso starle vicino quando so quanto dolore le ho causato?! Mi sento un verme e so che ho rovinato la mia vita con le mie stesse mani. Avevo solo voi e vi ho perso. – Non riuscivo ad odiarlo. Vedere la sua disperazione, osservare quegli occhi rossi di dolore era troppo. Passai la mia mano fredda sopra la sua così tiepida e la strinsi forte.
– Non è così. Hai ancora me! – Lui sorrise e si asciugò il viso.
– Andrò da loro, accetterò la loro punizione e confesserò tutto a tua madre. Voglio davvero rimediare Colin, ti renderò di nuovo fiero di me. – Sapevo che non sarebbe stato affatto facile, ma apprezzai molto le sue parole.
In neanche un’ora tornammo padre e figlio.
Il rapporto che credevo perso, si stava rigenerando, come una fenice che risorge delle ceneri. Sarebbe davvero riuscito ad accettare le sue azioni? Avrebbe chiesto il perdono dei suoi oppressori? Probabilmente no, eppure ero ancora lì.
Pur sapendo che una volta uscito da quella porta mio padre avrebbe preso il primo aereo per chissà dove, io non smisi un attimo di sorridere di fronte a lui. Le esperienze che avevo vissuto in quel periodo, le persone che avevo incontrato e le loro storie, mi avevano fatto capire con assoluta certezza che nessuno era perfetto. Mio padre prima di tutti non lo era. Aveva avuto tante difficoltà e preferiva restare a disprezzarsi, che affrontare i problemi a testa alta.
Non potevo odiarlo, non più!
– Come sta tua mamma? – Mi chiese. Cosa dovevo rispondergli?! “Gli manchi”? Lei non lo avrebbe sopportato, così dissi le uniche cose che sapevo per certo, lei avrebbe approvato.
– E’ forte e non ti ha dimenticato. All’inizio non è stato facile, ma la conosci. Lei è migliore di noi due. – Pensai a quel viso innocente ed alle sue lacrime. Se mio padre avesse saputo davvero quanto dolore stava provando, forse lo avrei ferito ancora di più. Ero andato lì per farlo tornare ma, forse, avevo già capito che non sarebbe mai successo. Lui, però, mi disse delle parole importanti che non riesco ancora a togliermi dalla testa.
– Sai Coco, quando credevo che tutto stava precipitando al suolo, è stato quel ragazzo a darmi il coraggio di non arrendermi. – Le sue parole erano dolci e gentili. – Samuele è stato un barlume di speranza per me. Non so perché Coco, ma lui prova per te qualcosa che io non so se ho mai davvero sperimentato. Non posso definirla amicizia e mi viene davvero arduo dire che sia amore, ma è così. Inizialmente ne ho avuto paura perché tu sei mio figlio e sei un uomo, ma col tempo ho capito che io non sono nessuno per giudicare. – Fece una piccola pausa e spostò il suo sguardo verso la finestra ad est.
– Lui porta dentro tanto amore verso mio figlio e gli sono davvero grato, per tutto. – Fù l’ultima cosa che ricordo con tanta precisione. Il resto fu solo un susseguirsi di ricordi e rammaricazioni. Quando ci lasciammo lui mi abbracciò forte e lì capii.
Era l’ultima volta che ci vedevamo.
Non volli piangere di fronte a lui, sarebbe stato patetico. Uscimmo dal locale e lo vidi allontanarsi con un semplice “a presto”, ma ormai era tutto fatto. Il mio cuore non ha retto. Solo quando fui certo di averlo perso di vista, crollai definitivamente.
Mi accasciai per terra, proprio di fronte quel bar che ci aveva ospitati e piansi. I miei singhiozzi erano così forti da far fermare la gente che mi guardava quasi inorridita.
 – Stai bene? – Qualcuno mi chiese ma io non risposi. Rimasi rannicchiato in me stesso piangendo tutte le lacrime che avevo dentro. Non era solo la consapevolezza che era la fine, ma tutto insieme. Al che era via, i sentimenti indefiniti per Sam, mia madre che soffriva in silenzio, mio padre che era andato per sempre.
Quel mix letale mi colpì in pieno. Per quanto rimasi lì? Quanto tempo piansi come un bambino che aveva perso la mamma?
Non lo so con certezza, ma ricordo bene che, così come erano arrivate, le lacrime ad un certo punto cessarono di scendere. Improvvisamente mi ritrovai accovacciato a terra, solo e triste e l’unica persona che volevo incontrare era diversa da ciò che intimamente credevo di volere.
Mi scoprii desideroso di vedere Sam. Mi alzaii lentamente con le gambe che facevano male per il troppo sedere e camminai lentamente per la città. Non lo chiamai, non feci nulla per vederlo, perché non avevo una spiegazione da dargli. Presi a camminare solamente, senza sapere bene dove fossi diretto.
Era semplice andare a zonzo senza pensieri. Era il mio giorno libero, non ero obbligato a presentarmi a lavoro e quel sentimento di nulla mi rincuorava. Per la prima volta dopo tanto tempo potevo davvero non fare nulla.
Non so come arrivai lì, né perché il destino fosse così strano e crudele a volte. Quel bar non lo conoscevo, ma dalla vetrina qualcosa mi incantò. Improvvisamente, senza ragione apparente, vidi lui.
Capelli arruffati ed occhi grandi e sorridenti, non potevo confondermi. Sam si trovava dentro quel locale, ma ciò che mi sconvolse non era l’incontro casuale che ci aveva colpito, ma che lui non fosse solo. Lì, a due passi di distanza, vidi che era in compagnia di una donna, probabilmente della nostra età. Aveva i capelli molto lunghi e lisci, di un nero brillante. La corporatura esile e occhi azzurri come il mare, sembrava una modella uscita da qualche rivista, tanto fosse bella. Qualcosa parlò in me.
Forse era la tristezza accumulata, o anche il fatto che credevo di essere speciale per lui, ma strinsi entrambi i pugni e mi ripromisi di non cedere.
Erano intimi!
Si vedeva anche da lì che la loro relazione non era casuale. Si conoscevano, perché lei gli teneva distrattamente la mano, con fare semplice e affettivo.
Perché? Non doveva andare in quel modo, non era giusto. La mia mente seguiva discorsi contrastanti che neanche io riuscivo a capire. Ero incollato al pavimento, impossibilitato a muovermi quando lei, senza batter ciglio, si voltò verso di me. Non fece alcun cambiamento nella sua espressione, ma c’era qualcosa di strano nel suo sguardo. Come ridestato da un incubo, le mie gambe tornarono a muoversi e, con passi decisi, mi allontanai.
Mille pensieri iniziarono a frullarmi per la mente ma, a fatica, li ricacciai indietro. Senza forza trovai la prima stazione della metro ed entrai. Avevo voglia di tornare a casa, di credere che Sam fosse lì ad aspettare il mio ritorno e che, con un leggero sorriso, mi chiedesse com’era andata. Ogni cellula del mio corpo ne sentiva il bisogno!
Il treno era lento e sporco. Dentro c’erano molte persone ma nessuna attirò la mia attenzione. Cercai invano di svuotare la mente, così, mi convinsi che non fosse lui. Attraverso un vetro la realtà può apparire distorta, almeno una parte di me tentò di crederci. Quando sentii la mia fermata scesi controvoglia. Intimamente sapevo cosa avrei trovato, ma speravo di sbagliare. Quando giunsi in prossimità del cancello, le mie mani iniziarono a tremare  e quando misi piede dentro qualcosa mi rincuorò vedendo una piccola luce aperta al piano di sopra.
– Sam? Sono tornato. – Forse mi ero davvero sbagliato! Poteva essere, no? Salii correndo le scale e quando fui di sopra, vidi un volto che ai miei occhi era sconosciuto ma che, con qualche anno in più, sembrava molto somigliante a Leonardo.
Capii subito che quello che avevo di fronte non era altri che il padre dei miei amici, quell’uomo freddo e distaccato di cui avevo sempre sentito parlare. Ad una prima occhiata era proprio un bell’uomo, con il viso curato e liscio, i capelli arruffati di Sam con qualche leggera sfumatura di grigio e gli occhi pieni di Leo. Alto molto più di me, con le spalle larghe ed i baffetti curati e brizzolati.
– Così tu sei il coinquilino di mio figlio. – La sua voce era severa e leggermente aspra. Mi guardò con totale disinteresse come se, a tutti gli effetti, io non contassi nulla.
– Mi scusi, non mi sono neanche presentato. Mi chiamo Colin Drago. – A quel nome i suoi occhi si spalancarono. Non capii il motivo di quello stupore inizialmente, eppure una piccola minaccia mi formicolò nel cervello. Era lì ma, inizialmente, non ci feci abbastanza caso.
– Drago, adesso ho capito! Ti pregherei di raccogliere tutti i tuoi effetti personali e di traslocare il prima possibile. Anche se Samuele non vuole ammetterlo, questa casa è stata acquistata con i miei soldi quindi risulta a tutti gli effetti mia. – Mi guardò con disprezzo. Ai suoi occhi non ero nulla, ma forse aveva ragione.
Per quale motivo avevo deciso di vivere lì? Era davvero perché desideravo un conforto emotivo di qualsiasi genere, o volevo solamente restare insieme a Sam?
– Mi perdoni signore. Io e Sam siamo amici, lui mi sta ospitando temporaneamente fino a quando non trovo un’altra sistemazione. La prego di permettermi di restare, le assicuro che me ne andrò presto. – Non volevo davvero farlo. Sentivo di voler restare, ma non riuscivo ad ammetterlo neanche con me stesso.
– Ti concedo qualche giorno, tornerò a controllare che tu abbia davvero lasciato la casa. – Annunciò con forza. Mi superò con passo deciso, scese le scale ed uscì dalla casa sbattendo con forza la porta. Quell’incontro mi aveva messo a terra definitivamente. Mi appoggiai alla parete e mi sedetti lì, senza forze per continuare. Appoggiai il viso alle gambe e chiusi gli occhi. Volevo che sparisse tutto, per sempre. Ero stanco e caddi in un polvere soffusa, a metà tra il sonno e la veglia. Non mi accorsi nemmeno quando rientrò e forse era un bene.
– Coco? – La sua voce giungeva come da lontano, ma in realtà era più vicina di quanto mi aspettassi. Le sue dita mi scuotevano gentilmente, solo allora aprì i miei occhi ritrovandomi il suo viso a qualche centimetro dal mio. Un piccolo calore salì nel mio corpo.
– Ti senti bene? Non dovresti dormire per terra. – Sam mi toccò la fronte per controllare la mia temperatura corporea, era così piacevole! – Non sembri caldo, in ogni caso conviene che riposi. – Stava per allontanarsi da me, ma non volevo. Afferrai la sua mano e lo spinsi verso di me. Lui ne rimase stupito. Lo abbracciai forte ed il suo corpo, a contatto col mio, mi fece fremere.
– Solo per un attimo. Resta tra le mie braccia per un piccolo istante. – Aveva un buon profumo. Il suo corpo odorava di fiori, mi piaceva  e mi cullava quasi in una totale estasi.
– Va tutto bene, Coco? E’ successo qualcosa con tuo padre? – Lui ricambiò il mio tocco e mi strinse forte, quasi volesse passarmi la sua stessa energia. Quel contatto era totalmente diverso da quello che provavo con Al. Con Sam sentivo qualcosa muovere nelle viscere, una sensazione strana e spaventosa, ma allo stesso tempo era come se fossi nato per quello. Di contro con Al era dolce, confortevole e premuroso. Non avevo la forza per parlare e lui lo capì. Non mi fece altre domande, né in quel momento né successivamente. Restammo solamente in silenzio, l’uno confortando l’altro.
Avevo tante domande da fare e tante cose che volevo dirgli, ma non riuscivo ad emettere alcun suono. Dovevo andarmene, prima che fosse troppo tardi. Se fossi rimasto, sarebbe stato estremamente difficile tornare da Al, ma ci sarei riuscito?! Un paio di giorni era l’ultimatum che mi era stato imposto ed io volevo godermelo a pieno. Non ci sarebbero stati litigi o dubbi, né frasi da pentirsene. Avrei passato il tempo con lui, unicamente insieme senza restrizioni.
Non volevo rimpiangere nulla una volta andato via. Più restavamo vicini, più era difficile allontanarsi. Quando presi il coraggio e lo scostai da me, rimasero i suoi occhi a fissarmi intensamente.
– Voglio uscire domani. Portami fuori. – La mia non era una domanda. Non mi ero neanche chiesto se avesse da fare o meno, volevo passare ogni istante in sua compagnia, fino a quando non fossi andato via.
– Non devi lavorare? – Io sorrisi.
– Il capo è un mio amico. – Sam rise e si alzò leggermente porgendomi la mano.
– Ci sto. Saremo solo noi due ed andremo in giro. Sbaglio o si può considerare come il nostro primo appuntamento?! – Arrossii e lui sorrise.
Era così bello mentre lo faceva. Mi alzai a fatica, sorretto dalle sue spalle forti. Sebbene a prima vista sembrava fragile, in realtà era decisamente muscoloso.
– Coco, se hai bisogno di parlare io ci sono, lo sai vero? – Io annuii ed entrai in camera. Avevo bisogno di calmarmi. Cos’era successo in un solo giorno? Cosa avrebbe detto Al se avesse saputo? Di certo non sarebbe stato contento.
Mi sdraiai sul letto, non avevo voglia neanche di respirare e chiusi gli occhi. Contai lentamente, cercando ristoro nel sonno. Non era buio, eppure ne avevo fin troppo di quella giornata così pesante. Volevo arrivare direttamente al giorno dopo, aprire gli occhi ed uscire con Sam. Vederlo sorridere e cercare in tutti i modi di non far uscire il mio cuore dalla gola per l’emozione.
Mi sarei vestito bene, avrei messo il profumo e saremmo usciti insieme di casa, come una coppia sposata. Prima di cadere in un sonno profondo, sentii il telefono vibrare.
“Scusa, non dovevo dire dell’appuntamento. So che siamo amici e che sei fidanzato, a volte sono un totale idiota. In ogni caso non voglio disturbarti, hai avuto una giornata pesante. Trovi la cena sul tavolo se hai voglia di mangiare qualcosa, io sono già in camera. Buonanotte.” Di nuovo il mio cuore andava ad un ritmo diverso.
Perché un sola sua parola riusciva a sconvolgermi totalmente? Da quando aveva iniziato a farmi quell’effetto? Forse ancora prima di quanto credessi.
Anche da bambini era successo qualcosa di simile. Vederlo seduto ad osservarci, quello sguardo triste e solitario. Era partito tutto da lì vero?! Avevo desiderato ardentemente che quel bambino ridesse e quando accadde cos’era accaduto dentro di me?
Il mio cuoricino di bambino aveva esultato, vero? Ed ancora adesso, molti anni dopo, ancora la stessa identica emozione. Con quei dubbi in testa, mi addormentai prima che me ne accorsi. Quella notte sognai Sam, ma non ricordo bene il sogno che feci.
Ciò che porto dentro è la sensazione che, in qualche modo, fossi davvero molto felice.
 

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Capitolo 15
*** Primo appuntamento ***


Chiamare Leonardo per chiedergli dei giorni di ferie, fu la parte più facile, il difficile era spiegarne il motivo.
– Io, voglio passare qualche giorno con Sam. – Sussurrai e Leonardo, dall’altra parte del telefono, sibilò appena.
– Giustificherò la tua assenza come problemi familiari. Ho solo una richiesta da farti. – Disse infine. – Non illudere mio fratello. Anche se sorride e sembra sereno in apparenza, è una persona molto sensibile. –
- Lo so. – Risposi ed attaccai la cornetta. Non ci eravamo accordati per il “programma” da rispettare, quindi non sapevo bene a che ora dovevamo incontrarci così, quando finii di parlare al telefono, scesi con nonchalance per la colazione. Non appena fui sotto, vidi la cucina deserta. Sembrava tutto al suo posto ma sul tavolo vi era un vassoio coperto ed un bigliettino al lato. Mi avvinai per scoprire cosa fosse e lessi d’un fiato il biglietto.
“So che non è nulla di romantico, ma non riuscivo ad aspettare solamente in camera. Ti aspetto alla stazione. Fai con calma, mi trovi lì.” La sua scrittura era tremolante, come se fosse nervoso mentre scriveva. Aprii il coperchio e trovai una torta ancora calda con le mele ed un bicchiere ancora fumante di cioccolata. A che ora si era alzato per preparare tutto? Mangiai col sorriso e finii di prepararmi. Ero così nervoso che non riuscivo neanche a decidere cosa indossare per l’occasione.
“Sei uno stupido? Non sono una fottuta ragazzina innamorata, ma un uomo che sta uscendo per un appuntamento con un suo amico. Ok, forse non dovrei ripetermelo mai più perché suona alquanto strano, ma è la verità cazzo!” Mi rasai e mi preparai al meglio che potevo e ciò che vidi allo specchio non mi bastò.
Ero un semplice ragazzino magro e pallido con i capelli troppo neri e le mani sudaticcie. Che diavolo ci aveva visto Sam in me?
“Sono davvero patetico.” Il telefono squillò e vidi il numero di Al sullo schermo.
“Perdonami, ti chiamerò più tardi.” Pensai, ma quando? Non avevo il tempo dei sensi di colpa, sapevo che lui mi stava aspettando ma ugualmente ero così tremendamente in ritardo. Presi il cappotto e le chiavi ed uscii frettolosamente. La strada per arrivare alla stazione era davvero molto poca, ma con quell’ansia che mi uccideva, divenne un percorso lungo e tormentato. Quando fui nelle vicinanze, lo riconobbi immediatamente. Aveva dei pantaloni eleganti ed una camicia. Era vestito come quando fingeva di essere Leonardo, elegante e tremendamente bello.
I capelli gellati e perfettamente ordinati, il cappotto nero lungo; sembrava un altro. Non era il ragazzo dolce che avevo stretto a me la sera prima, non gli somigliava neppure. Di fronte a me c’era un uomo, e quella consapevolezza mi fece tremare le ginocchia.
– Finalmente sei arrivato. – Disse sorridendo. La sua voce corposa mi travolse e rimasi come uno stupido a fissarlo senza sapere bene cosa dire né cosa fare.
– Cazzo. Hai la più pallida idea di quanto ti abbia aspettato? Almeno un “ciao Sam” me lo merito. – Per un decimo di secondo mise il broncio, ma fu così breve che quasi non me ne accorsi.
– Sei molto elegante. – Riuscii solo a dire confuso.
– Ovvio, devo uscire con te. In ogni caso siamo leggermente in ritardo, forza andiamo. – Non avevo idea di dove mi avrebbe portato, ma lo seguii senza fiatare. Accanto a lui sfiguravo. Mi accorsi per la prima volta che molte persone si fermavano a guardarlo.
La bellezza che inizialmente, avevo sottovalutato accecato dal mio sentimento per Al, era diventata innegabile. Sam sembrava un fotomodello, mentre io apparivo anonimo e privo di gusto. Che faccia dovevo fare a quel punto? Forse lui guardandomi aveva notato il mio imbarazzo e, senza che glielo chiedessi, mi prese la mano.
Notai nel suo volto un accenno di vergogna, aveva le guance rosse e lo sguardo perso nel vuoto e, stranamente, mi piacque. Quel suo lato tenero, era forse la parte migliore di lui.
– Dove stiamo andando? Non mi hai detto ancora nulla. – Avevamo preso il treno, ma ancora non sapevo dove veramente eravamo diretti.
– Sai Coco, ho sempre sognato di vedere il mare insieme a te. So che avevi tutt’altra idea in mente, ma c’è un posto che mi piacerebbe vedere con te. – Smisi di fare altre domande. Ci sedemmo uno di fronte all’altro. Era tremendamente scomodo e c’era un odore opprimente, ma non riuscii a dire altro. Sam guardava fuori il finestrino, apparentemente calmo, ma sapevo che non era necessariamente così. Lui aveva sempre desiderato quel giorno, mentre io fino a poco tempo prima non ricordavo neanche la sua esistenza.
Non fu un viaggio molto lungo, venni inoltre distratto continuamente da un passeggero molto rumoroso che parlava in continuazione, come se non avesse altro da fare.
- Sapete il treno è uno delle forme di viaggio più sicure al mondo, almeno secondo me. Cosa potrebbe andare storto? Io odio viaggiare in aereo, ci sono un sacco di turbolenze… - Le sue chiacchiere erano per lo più di argomenti futili e soggettivi. Credo che in realtà volesse solamente discutere, anche se non avesse minimamente idea di ciò che volesse comunicare al suo interlocutore. Ad un certo punto Sam si alzò.
– Preparati, tra poco scendiamo. – Io lo seguii ed insieme ci avviammo verso l’uscita. “Santa Severa” Non ero mai stato lì, ma intuii che lui conosceva bene quel luogo. Quando fummo fuori mi prese nuovamente la mano e cominciò a camminare in silenzio. Subito fuori la stazione vidi una strada con un ampio ed immenso giardino incolto, ai lati grandi alberi secolari ed una pace fuori misura.
Era un luogo molto tranquillo e spartano, immerso nel silenzio più totale ma, stranamente mi piaceva molto. Proprio lì, in quello spiazzale alberato, ci stava aspettando una macchina.
– Vieni, è troppo distante a piedi. – Lui mi trascinò forzatamente. L’autista del taxi ci salutò e salì in auto insieme a noi e la macchina si mosse. Le strade, in apparenza, sembravano quelle di una normale campagna, ma in lontananza si poteva benissimo scorgere il mare. Passammo nella strada statale, mentre in sottofondo la radio passava canzoni anni 90, fino a quando entrammo nel paese vero e proprio.
Era un bel posto dove vivere, con molti giardini e con belle case d’altri tempi. Imboccammo una strada, poi un’altra fino a quando non ci fermammo proprio di fronte l’ospedale pediatrico. Inizialmente non capii, ma vedendo lui muoversi, lo feci anche io.
– Vengo a riprendervi in serata. – Disse l’uomo e si allontanò. Restammo solo noi due, fermi di fronte quell’edificio bianco e senza vita, asettico e distaccato.
– Ti chiederai perché ti ho portato qui, vero? Dai 10 anni fino ai 14, mio padre mi rinchiuse in questo ospedale. Mia nonna non poteva occuparsi più di me e mia madre non aveva la forza per sopportare un figlio con tanti bisogni come i miei. Stanza 5b primo piano. Ho passato 4 anni qui, ho fatto tante amicizie, ma ogni giorno, da quella finestra che dava sul mare, sognavo di stare lì insieme a te. – Lui non disse altro, si limitò a fissare il terreno asfaltato con un’aria truce.
– Vieni, scendiamo in spiaggia. – Afferrai la sua mano e lo spinsi a correre insieme a me. Trovammo la strada giusta e, con trepidazione, ci avviammo verso l’aria salmastra. Dal tocco della sua pelle percepivo il suo cuore che batteva forte ed ancora di più. Si accedeva al mare solo dall’ospedale, ma, senza farci vedere, passammo ugualmente.
Il mare era quasi a ridosso del piccolo campo, con pochissima sabbia per sedersi, ma di certo molto salubre. Il rumore del mare sugli scogli, che si ergevano a protezione dai forti venti, era ipnotico. Restammo lì, un po’ a giocherellare con i sassolini, un po’ a fare battute, ma non solo.
– Ho perso definitivamente mio padre. – Sam si avvicinò a me che mi ero appollaiato su un piccolo pezzo di terra e mi accarezzò il viso.
– Mi dispiace. – Le sue dita erano calde e coinvolgenti.
– Ha detto che avrebbe risolto tutto, ma il suo volto parlava d’altro. Riuscivo a leggere chiaramente oltre, come se ascoltassi i suoi pensieri più intimi e questo mi ha spaventato molto. Lì c’era veramente mio padre con tutte le sue paure e fragilità. Non tornerà mai più, l’ho capito ormai. – Lui mi prese tra le sue braccia e mi diede il conforto che cercavo.
– Tu hai ancora una madre Coco. Devi pensare a lei e farti forza, perché la famiglia è esserci nel momento del bisogno, quando nessuno è disposto ad aiutarti. – Mi cullò come un bambino, ne avevo proprio bisogno. Quel completo elegante, a contatto con il terreno, si sporcò molto, ma a lui non importava.
– Quando ero piccolo credevo di non avere nessuno. Quando ho conosciuto voi, avevo deciso di porre fine alla mia vita, poi fu mio fratello a riportarmi indietro. Mi disse che eravamo una famiglia e che non sarei più stato solo. In quel momento ho pensato a te Coco. So che non ha senso, ma avevo deciso di rendere più bella la tua vita, per questo farò di tutto per farti felice, anche se farà male. – Ero inebriato dalle sue parole dolci. In trappola in una morsa di estrema dolcezza. Il resto della giornata lo ricordo minuto per minuto.
Nella mia mente quelle ore passate insieme sono come un film girato con estrema cura. I nostri piedi che toccavano l’acqua, il fresco sapore del suo fiato sulla mia pelle, le risa gioiose che ci scambiammo, era tutto lì. Volevo assaporare tutto.
Ci accorgemmo che era tardi quando il mio stomaco, improvvisamente, iniziò a borbottare. Salimmo sulla strada e trovammo un piccolo ristorante intimo. Era vicino alla spiaggia ed anche da lì riuscivamo a vedere i gabbiani che volavano ed il mare che si scagliava contro le rocce. Si stava facendo buio, la giornata stava per finire e l’amaro che ne susseguiva era alle porte.
– Ti rendi conto che abbiamo saltato il pranzo? – Disse Sam assaltando con voracità il suo piatto di spaghetti alle cozze. – Ugh! – Commentai io altrettanto affamato.
Presto saremmo tornati a casa ed un altro giorno si sarebbe concluso. Nella mia mente tornarono le immagini di lui con quella donna, ma non chiesi nulla. Mi ero ripromesso niente litigi, niente preoccupazioni, solo un sano ricordo bello. Poi il sogno si infranse e il tarlo del dubbio si insinuò più in profondità nella mia mente. Nel mio telefono arrivò una foto da un numero che io non conoscevo, la aprii e la osservai con attenzione mentre Sam, di fronte a me, finiva l’ultimo spaghetto nel piatto.
C’era lei, quella donna che avevo visto il giorno prima e Sam, un selfie sorridente e luminoso, non c’erano veramente dubbi.
“Ti stai divertendo con il mio Samuele? Non gli hai detto che ci hai visti, lo so bene, ma adesso sta a te. Se vuoi scoprire chi sono ci vediamo domani a quel bar, alle 9:00 in punto. So che verrai.”
– Che hai? E’ successo qualcosa? – Rimbeccava Sam, ed io chiusi lo schermo. Non volevo mostrare la mia tensione, ma c’era ed era evidente. Forse se avessi chiesto direttamente a lui sarebbe stato più facile, ma cosa mi avrebbe risposto. Il dubbio mi uccideva così decisi di nascondere tutto sotto la sabbia.
“Per oggi va bene così.” Mi ripetevo ancora a fatica. Presi la sua mano e posai il telefono in tasca con la promessa che non lo avrei aperto per molto tempo. Quella sera continuò come se nulla fosse, con noi due che continuavamo a scherzare e divertirci, ma qualcosa era diverso; io.
Il taxi arrivò troppo presto, era ora di fare ritorno così, con la delusione in volto, entrai svogliato nella vettura. Sam si avvicinò a me e sussurrò qualcosa nel mio orecchio.
– Torniamo a casa, insieme. – Anche se era un dato di fatto, quelle parole mi toccarono dentro. La giornata poteva anche essere conclusa, ma noi eravamo ancora insieme. Ascoltai distrattamente la radio fino a giungere alla stazione ed anche dentro continuai a canticchiare canzoni a caso mentre Sam, sorrideva leggermente osservandomi. La strava del ritorno sembrò troppo veloce, più dell’andata ed in un batter di ciglio avevamo aperto la porta e posato i giacconi. Mi sentivo strano, come se non volessi che terminasse. Le membra formicolavano e mi sentivo inquieto e felice.
– Grazie per questa giornata. – Iniziò Sam mentre salivamo le scale.
– Stare con te è stato davvero bello. – Replicai. Di fronte alla porta della mia camera indugiai un po’ prima di aprire la maniglia. Avevo bisogno di ancora qualche secondo in più ed anche lui non si mosse. Sentii dentro di me un impulso improvviso.
Le sue labbra erano troppo vicine, avevo voglia di sentirle sulle mie. Quel dolce sapore che avevo già sperimentato, mi mancava. Mi avvicinai a lui quasi sperando che capisse i miei sentimenti, ma al contrario, fu lui a stupirmi.
Sebbene desiderassi quel bacio, lui mi scostò leggermente.
– Siamo stanchi dopo questa lunga giornata. Non fare cose di cui potresti pentirti domani. – L’ultima frase fu quasi sussurrata ed io, ad udirla, spalancai gli occhi. Faceva male. Il cuore doleva pazzamente a quell’affermazione.
Avrei davvero rimpianto quel gesto? Lo desideravo sinceramente in quel preciso istante, ma cosa sarebbe accaduto il giorno dopo? Sam si voltò e, a lenti passi, sparì nella sua tana lasciandomi lì, in preda al panico.
“Stupido idiota!” Pensai con tutto me stesso. Avevo fatto un passo troppo in là, mi stavo spingendo al limite.
Mi odiai ed odiai lui! Impedendomi di capitolare, stava nuovamente dimostrando qualcosa, anche se non riuscivo ad afferrarne il senso.
Tornai dentro e mi avvolsi tra le lenzuola. Quel leggero tepore mi dava speranza e, senza accorgermene, mi assopii. Quando i miei occhi si riaprirono non era ancora l’alba. Non so cosa sognai, ma mi svegliai col fiatone. Ero così agitato che non riuscivo neanche a riprendere sonno così, nella totale oscurità della casa, scesi al piano inferiore. Guadai l’orario, le 5. Mi preparai qualche spuntino e mangiai in silenzio.
– Sono davvero un idiota. – Mormorai. Avevo bisogno di aria fresca così, ripulito tutto, mi sistemai ed uscii di casa. Non lasciai un biglietto né avevo avvertito, semplicemente volevo riprendere fiato. Avevo provato a baciare Sam!
Come avevo potuto farlo? Dentro di me lo sapevo, mi stavo innamorando di lui, ma non aveva senso. Fin da quando ho memoria, ho sempre provato un dolce sentimento per Al e nessun altro. Avevo desiderato con tutto me stesso di poter farlo diventare mio e quando ne avevo avuto la possibilità stavo buttando tutto nel cesso.
Cosa provavo per loro?
Quando pensavo ad Al sentivo il dolce sentimento di una vita insieme, di una famiglia amorevole e confortevole. D’altra parte con Sam stavo sperimentando qualcosa di diverso, c’era una strana passione che mi legava a lui come uno schiavo.
Vagai per la città per un po’, fino a quando si stava avvicinando l’ora dell’appuntamento. Non ricordavo di preciso il nome di quel bar, ma sapevo come arrivarci. Per tutto il tragitto mi impedii di pensare, concentrato com’ero nella ricerca.
Quando arrivai riconobbi il luogo ed entrai. Non c’era molta gente e mi accomodai tranquillamente in un tavolino vicino la vetrata principale, quella da cui avevo visto Sam.
Non passò molto prima che sentii la porta aprirsi e la vidi entrare, splendente come il sole. Era anche più bella di quanto ricordassi. Si avvicinò al mio tavolo e senza ulteriori indugi, si accomodò.
– Ciao Coco. – Conosceva il mio nome. Sapeva chi fossi anche se io di lei non sapevo nulla.
– Chi sei tu? – Mi limitai a chiedere nella più totale confusione.
– Tu non mi conosci, ma io so bene chi sei tu. Sono venuta qui per chiederti, anzi no… Voglio che tu ti allontani immediatamente da Sam. La mia non è e non sarà mai una richiesta perché tu, nel tuo egoismo e nella tua cattiveria, non hai alcun diritto di stare al suo fianco. – Nei suoi occhi c’era odio.
Non mi era mai successo prima. Quella persona che diceva di conoscermi, mi disprezzava così tanto da mandare con lo sguardo, frecce avvelenate. Per un istante rimasi immobile a pensare.
“Egoista e cattivo” Era davvero ciò che ero?!
Avrei voluto sprofondare, dileguarmi da lì, ma le gambe non mi reggevano.
– Allontanati subito da Sam o ti ucciderò con le mie stesse mani. –

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Capitolo 16
*** Lisa ***


– Allontanati subito da Sam o ti ucciderò con le mie stesse mani. – Ebbi un attimo di timore nel conoscere quella donna. C’erano ancora tante cose che dovevo sapere, ma mi feci forza.
– Perché dovrei? Io non ti conosco neppure e tu mi odi così tanto? – Lei si arricciò una ciocca dei cappelli e lì vidi per un attimo la sua fragilità.
Che tutta quella fosse solo una maschera?!
– Io sono la migliore amica di Sam e so bene il dolore che prova nello stare vicino a te. Non riesco a stare in un angolo in silenzio mentre una persona così buona come lui, viene ferito da un bambino viziato come te. – Era il colmo. Ero io il bambino viziato?!
– Cosa?! Non puoi parlarmi così, non hai idea della mia vita, quindi non provare ad insultarmi. – Alzai la voce nel dire quelle parole e la controparte ne rimase un tantino scossa. Di fronte a me non c’era un lupo famelico, ma una ragazza innamorata che si stava facendo forza con tutta se stessa. Quando ne ebbi la conferma abbassai le penne e cercai di trattenere il mio temperamento.
– Come ti chiami? – Chiesi con tono di voce più pacato.
– Sono Lisa. E’ stupido che Sam non ti abbia mai parlato di me. Lo conosco meglio di chiunque altro! – Feci un breve cenno al cameriere che mi raggiunse prontamente.
– Non so tu, ma a me è venuta fame. Mi scusi, per me un cappuccino con cornetto alla crema doppio e per lei una camomilla. – Lisa restò immobile, sguardo basso e rassegnato.
– Non so cosa tu sappia di me, ma è fuori dal mio interesse ferire Sam. Lui mi ha aiutato molto e mi sento di dovergli restituire qualcosa. – Rimasi per un attimo in silenzio a fissare un punto indefinito, Lisa però non aveva ancora rinunciato.
– Dici così ma in realtà lo stai uccidendo. Ogni volta che ti vede, non può fare a meno di pensare che tu ami un altro uomo e non lui, pensi che questo non basti? Io posso fare in modo che ti dimentichi, posso dargli una vita piena di amore ed affetto, ma se tu restassi al suo fianco tutto questo non sarebbe possibile. – Poi mi afferrò forte la mano con un gesto disperato.
– Ti prego, allontanati da lui prima che ne possa venire distrutto. Già una volta ha tentato il suicidio, non vorrai essere motivo per la seconda, vero? – Quelle parole mi restarono dentro anche quando, poco dopo, lei mi lasciò lì. Non bevemmo insieme, né ci salutammo come amici, semplicemente lei prese le sue cose e mi liquidò senza ulteriori indugi.
Aveva centrato il bersaglio e questo le bastava. Non era necessario dire oltre. Ero rimasto già sufficientemente scosso.
Poteva davvero arrivare al limite di rottura da desiderare nuovamente di morire?
E se davvero fosse così sarei stato davvero io la causa?
No! Non potevo crederci. Non io!
Il pensiero di renderlo così solo e deluso dalla vita, così triste da cercare la morte, non lo sopportavo. Dovevo terminare al più presto quella follia. Tornai a casa con l’intento di preparare le valige e di fare “dietrofront” Avrei chiesto scusa a Leonardo e mi sarei impegnato a trovare un lavoretto anche nel mio paese natale così da poter ripagare, seppur lentamente, il mio onere finanziario.
Io e Sam dovevamo separarci per sempre, così che la mia e la sua vita potessero tornare alla normalità. Con questo spirito aprii la porta di casa, inconsapevole di ciò che avrei trovato.
– Non puoi dirmi come vivere la mia vita, hai capito?! Non ne hai il diritto! – La voce di Sam era acuta ed aspra.
– Quel ragazzo non può vivere qui! Ti rovinerà la vita Samuele, la sua famiglia ha già fatto molti danni, non voglio che hai nulla a che fare con lui. – Riconobbi subito quel tono autoritario e freddo: era suo padre. Non mi aveva concesso neanche un paio di giorni in più per dirgli addio, che crudeltà!
– Non è lui che mi distrugge, sei tu! Se continuo a vivere non è merito tuo, ma perché penso di poterlo incontrare il giorno dopo. Io lo amo, devi accettarlo! – Ci fu un attimo di silenzio. Avrei voluto avvicinarmi, ma ero bloccato.
– Anche se lo ami, lui non ti ricambia vero? Anche sua madre era così, egoista e crudele. Devi smettila di sognare Samuele, quella famiglia è maledetta. – Mia madre?!
Qualcosa scattò nel mio cervello. Lui conosceva i miei genitori! Mio padre era andato a chiedergli un prestito, in più il suo sguardo truce nel sentire il mio cognome, improvvisamente era tutto chiaro.
– Ho amato quella donna con tutto il mio cuore, ma lei mi tradì col mio migliore amico, quell’uomo che adesso le ha dato una vita piena di sofferenza. In più, nella sua crudeltà, ha dato al figlio il nome di mio padre, che tanto ammiravo. Che essere spregevole! – Non riuscii a stare fermo. Non poteva dire quelle cose della donna che mi ha cresciuto ed amato.
– Non si permetti mai più di insultarla. – Avevo gli occhi gonfi di lacrime e sicuramente, dall’esterno, apparivo uno stupido frignone, ma non mi interessava. Anche se mia madre avesse sbagliato in passato, quell’uomo non aveva alcun diritto di infangare il suo nome.
– Coco! – Sam si voltò verso di me con un’aria preoccupata.
– Hai del fegato a parlarmi in quel modo. Ti avevo promesso che sarei tornato. – I nostri sguardi erano carichi di elettricità.
- Ed io ho promesso di lasciare questo appartamento, ma ciò non cambia il fatto che lei abbia insultato la donna che mi ha messo al mondo e questo non posso perdonarglielo. – Sam si avvicinò a me e mi prese il braccio con forza.
– Per quale motivo non me lo hai detto? Non devi andare via! Ha capito Coco? - Non mi voltai. Non riuscivo a staccare lo sguardo da quegli occhi gelidi e distanti.
– Samuele questa casa è mia ed io non permetterò mai che il figlio di quella donna ci abiti. – Fu proprio lui a stupirmi a quel punto. Sam aveva la straordinaria capacità di rendermi inerme di fronte alle sue scelte. Aveva un temperamento ed una forza tale che non riuscivo a fare a meno che ruotare attorno a lui, come un satellite impazzito.
 – Se la metti così allora io non voglio più vivere qui. – Affermò con assoluta certezza. Nella sua voce non c’era orma di pentimento o ripensamento. Non era una semplice minaccia, era totalmente convinto delle sue parole.
– Cosa stai dicendo stupido! Sei malato di cuore e non hai un lavoro, smettila di dire cazzate. – Lui si innervosì. Quell’uomo dall’aspetto di ghiaccio, stava lentamente mostrando le sue emozioni.
– Mi hai rinchiuso qui sperando che diventassi ancora più patetico. Non mi hai mai dato amore né hai voluto che altri lo donassero al tuo posto. Mi hai sempre allontanato da ogni essere umano, ma non posso permetterti di cacciare anche Coco. So che non mi ama e sono consapevole che resterà sempre un amore a senso unico, ma so anche che se mi allontanassi da lui, questa vita non avrebbe più alcun senso. – Vidi il padre di Sam cambiare leggermente espressione. Aveva il volto stanco e tirato, probabilmente stava soffrendo ma non accettava di mostrarcelo.
– Mi odi davvero così tanto, vero? Non voglio portarti via nulla, tu sei mio figlio. Mi dispiace Samuele, ma voi due non potete amarvi neanche se un domani quel ragazzino si ricredesse. Il vostro amore non è permesso e non solamente perché siete due uomini, quello è solo la punta dell’iceberg. Ricordatelo e separatevi prima di dovervene pentire per sempre. Non ti costringerò più a cacciarlo di casa, ma ascolta per una volta le mie parole. Non voglio doverti aprire gli occhi a forza, ma tieni a mente il mio avvertimento. Ci sono cose che voi due neanche immaginate, verità che non dovrebbero essere scoperte perché la vostra sanità mentale potrebbe risentirne ed il vostro mondo essere sconvolto totalmente, quindi cercate di ragionare. Per favore, evitate l’inevitabile! – Si avvicinò a noi e, con un impeto di estrema dolcezza, abbracciò forte Sam a sé. Dalla sua reazione capii che era uno dei pochi gesti affettuosi che gli aveva riservato nella sua vita e mi sentii quasi in imbarazzo ad essere d’intralcio. Poi si rivolse a me e, senza espressione, mi porse la sua mano.
– Tua madre mi ha fatto molto soffrire, ma forse non è neanche tutta colpa sua. Io non potevo darle la famiglia che desiderava e forse è questo che ha scelto Riccardo a me. Non posso non odiarla, ma la capisco. Perdonami se l’ho insultata di fronte a te, in fin dei conti non smetterò mai di amarla. – Dopo aver detto quelle parole uscì di casa.
Quello che aveva detto mi era rimasto appiccicato addosso. Non riuscivo a non pensarci, tanto era intricato e contorto.
“Ci sono cose che voi due neanche immaginate”.
Cosa intendeva?
Per quale motivo affermava con certezza che, per quanto potessimo anche amarci, la nostra relazione non avrebbe avuto futuro? I miei pensieri furono interrotti solo da Sam che, d’un tratto, venne verso di me e mi abbracciò con forza.
– Ti odio! Non decidere mai più queste cose da solo, stupido cretino! Se vuoi andartene la porta è sempre aperta, ma non devi mai e poi mai decidere qualcosa in base alle parole di mio padre. Non farlo mai più. – Capii in quel momento che non era me che voleva consolare, ma se stesso. Aveva affrontato il suo stesso padre per me. Io annuii e gli accarezzai la testa dolcemente.
– Non volevo che ti preoccupassi e sapevamo sin dall’inizio che la nostra convivenza era solo temporanea. Tu sai cosa intendeva dire tuo padre con quel discorso? Voglio sapere di più sulla relazione che ha avuto con mia madre. – Avevo bisogno di dirlo ad alta voce. Ascoltare il tutto a mente fredda avrebbe acceso in me la grinta necessaria. – E’ stato tuo papà a raccontarmi qualcosa, ma so ben poco su questa storia. Mi ha detto che i nostri genitori erano fidanzati prima che noi nascessimo. Tuo padre era un grande amico del mio, forse il migliore ed è stato proprio lui a rovinare il loro rapporto. Ciò che accadde fu molto brutto, successe qualcosa di tragico, ma non so altro, ti giuro. Non volevo che lo sapessi perché credevo che avresti cercato di andare più a fondo ed avevo ragione ma ti chiedo di non farlo. Non voglio scoprire la verità perché non mi interessa. Nulla cambierà il sentimento che provo per te. – Poi si allontanò da me e rimase a fissarmi con occhi dolci e comprensivi.
– Andiamo. Ci meritiamo un gelato. – A quel tempo non avevo capito. La verità che cercavo, lui la sapeva da tempo, ma ancora desiderava amarmi. Andammo in un bar vicino casa ed ordinammo due coni cioccolato. Sam si sporcò tutto mangiando il suo ed io non riuscivo a smettere di ridere.
– Sei un pasticcione, hai tutte le labbra marroni. – Urlavo tra le risa e lui, rosso peperone, iniziò a pulirsi alla cieca. Era così buffo ed allo stesso tempo adorabile. Poi immerse il dito nella crema scura e dolciastra e me la spalmò sul viso.
– Così sei più carino. – Era fredda. Tremendamente ghiacciata, ma non riuscii ad arrabbiarmi con lui. Passare il tempo in quel modo era ciò che ci serviva. Avevamo bisogno di quegli attimi, altrimenti non ci sarebbe rimasto nulla.
Prima di tornare a casa, però, presi la mia decisione.
Improvvisamente tutto era chiaro!
Era qualcosa di sofferto e sicuramente improvvisato, ma anche inevitabile. Fino a quanto avremmo potuto vivere quelle emozioni? Per quanto tempo ci era concesso di divertirci senza pensare alle conseguenze?
Stavo dimenticando Al, lo stavo sostituendo e sapevo che non era giusto nei suoi confronti. Non potevo continuare in quel modo ancora per molto, così feci la mia scelta, seppur sofferta. Ancora seduti in quel tavolino in ferro, guardai in basso e lui sembrò capire.
– Vuoi andare via vero? – Non so come abbia fatto ad intuire i miei pensieri, ma era sempre stato così. In qualche modo Sam sapeva capirmi.
– Non è colpa tua e non voglio rompere la nostra ritrovata amicizia. Penso solo che sia meglio per me tornare da mia madre. Non fraintendermi, troverò il modo di restituirti quei soldi, ma voglio farlo a modo mio. Devo delle spiegazioni anche ad Al e so che se continuassi a vivere con te non riuscirei mai a dargliele. Ti prego di capirmi. – Lui rimase in silenzio. Non osavo guardarlo per paura che il suo sguardo di odio potesse colpirmi in pieno. Per quale ragione mi era difficile muovermi? Quel vuoto che portavo dentro, faceva troppo male!
– Sapevo che saresti andato via, non devi darmi ulteriori spiegazioni. Ti chiedo solo di non pensare più a quel debito. Se davvero vuoi risarcirmi, dimenticati di quei soldi. Non ho mai voluto che tu li restituissi. Possiamo sempre sentirci al telefono ogni tanto e magari verrò a trovarti qualche volta. Non è un addio Coco. Voglio che la tua vita con Al sia ricca di amore, perché so che questo potrà renderti felice ed io non desidero altro per te. – Quelle parole mi spezzarono il cuore.
Sebbene mi stesse dando una consolazione sapendo che non era adirato con me, la sua gentilezza era un’arma a doppio taglio.
Quante volte potevo ferirlo prima che mi detestasse con tutte le sue forze? Se solo mi avesse insultato, forse non ne avrei sofferto perché ero consapevole che me lo meritavo. Pensai alle parole di Lisa e capii. Per quanto si stesse sforzando, dentro di lui il dolore lo annientava.
Andarmene avrebbe davvero cambiato la sua vita? Io non ero sicuro di potergli donare tutto il mio cuore, ma lei forse ci sarebbe riuscita.
– Domani mattina andrò a scusarmi con tuo fratello e successivamente prenderò il primo treno libero, mi dispiace per tutti i guai che ti ho causato. – Lui non rispose e si alzò con un leggero sorriso in volto, palesemente finto. Si stava trattenendo con tutto se stesso.
Avevo paura che fosse la nostra ultima discussione, ma che altro potevo dire? Anche dopo, mentre preparavamo la cena, non c’era nulla di concreto di cui parlare. Tutti i discorsi che avevamo intrapreso in quei giorni, la gioia e la complicità che ci avevano dato forza, erano diventati lontani ricordi.
Avevamo solo un enorme ed ingombrante peso al cuore. Lui si ritirò nella sua camera subito dopo aver sistemato i piatti. Vidi il suo corpo allontanarsi ed anche io soffrii. Le lacrime scesero sole sul mio viso senza che io riuscissi a fermarle.
Per tutta la notte il dolore fu attanagliante ed il giorno dopo, quando il sole salì alto sul cielo, decisi di uscire di scena in silenzio. A cosa ci avrebbe portato continuare a dilaniarci?! Sicuramente dirci addio sarebbe stato troppo difficile, umiliante e sofferente. Preparai i bagagli in fretta, non avevo molte cose e lasciai una lettera sul tavolo della cucina.
In quel foglio scrissi ciò che mi era difficile dire a parole, quei sentimenti nascenti che probabilmente non dovevano esistere e li richiusi in lui.
Ero egoista?! Certamente!
Avrebbe pianto leggendo quelle mie parole?! Ovvio! Ma non mi importava.
Quando arrivai all’ufficio di Leonardo, c’era Ambra all’ingresso. Lei era sempre la stessa e mi accolse con un enorme sorriso in volto. Era bello poterla salutare, perché anche lei aveva fatto parte della mia vita in quei mesi.
– Il signor Bergi ti aspetta. – Disse professionale come al solito. La porta in legno massiccio si aprì ed entrai. Leonardo era elegante e serio, ero davvero poco abituato a quel suo aspetto. Nella mia mente era ancora quel bambino alto e solitario, molto burbero ma dai gesti teneri.
– Ti chiedo scusa Leo, l’ho fatto soffrire davvero. – Non mi immaginavo di crollare di fronte a lui ed invece accadde. Quando lo vidi, caddi per terra tremante ed in lacrime.
Non avevo idea di stare soffrendo così, ma il mio cuore parlava da solo. Leonardo mi porse la mano e mi aiutò ad alzarmi, nel suo volto non c’era compassione, ma un leggero accenno di preoccupazione. – Ti sei innamorato infine, vero? – Lui evitava il mio sguardo, come se fosse difficile vedermi in quel modo. Cosa dovevo rispondere?
– Credo di si! Per questo prima che sia troppo tardi, devo andare via. Non sono sicuro di poter lasciare Al, non prima di provare seriamente ad essere un bravo fidanzato. Lui mi ha capito e mi ha accettato sempre, non posso fargli questo. In questi giorni ho capito di amare entrambi in modo diverso ed è stato l’errore più grande. Non avrei mai creduto possibile tutto ciò, altrimenti non avrei mai permesso ad Al di lasciarmi solo con Sam. – Fu allora che Leonardo mi attirò a sé e mi strinse forte. Sentii qualcosa di strano in quel tocco. Sebbene fossimo amici da sempre, sapevo che c’era qualcos’altro, ma cosa?
– Adesso posso lasciarti finalmente andare Coco. – Sussurrò quelle parole nel mio orecchio e si staccò da me con gli occhi lucidi. Si voltò di schiena e vidi che tremava, ciò mi lasciò per un attimo senza fiato. Cosa stava succedendo?
– Non ti ho ancora detto il motivo che mi ha spinto a fingermi morto per tutto questo tempo, vero? – Lui non si voltò! Parlò dandomi le spalle, come se fosse difficile guardarmi, ma in realtà voleva solo evitare di mostrare la sua sofferenza.
– Ho scoperto che Sam ti amava dopo il suo “incidente” alla scuola ed è stato allora che anche io ho capito una cosa importante. I sentimenti che provava mio fratello, erano uguali ai miei, anche io provavo lo stesso nei tuoi confronti Coco. – Feci per parlare, ma Leonardo mi bloccò prima, impedendomi di continuare.
– Ti prego, ascoltami fino alla fine. – Disse e riprese il suo discorso. – Sam non aveva mai avuto nulla, proprio come me, ma sapevo che lui era ancora più fragile per questo mi feci una promessa. Avrei dovuto reprimere i miei sentimenti verso di te e così feci. Non potevo mantenere il rapporto con voi in alcun modo, perché davvero sarebbe stato troppo duro per me. Fu per questo motivo che, con l’avvicinarsi della mia operazione, chiesi a mia nonna di mentirvi. E’ stata una decisione difficile che mi ha portato a soffrire molto, ma non avevo scelta. Come già sai quando incontrai Hector vidi in lui qualcosa di te, ma non è tutto. Pensavo che forse, solo lui potesse sostituirti, ma mi sbagliavo. Hector è totalmente diverso da te, ma non è per forza un male. Ho capito che dentro di me provo dei sentimenti molto forti verso di lui che non riesco più a trattenere, sebbene crede fermamente che io ti ami ancora. Forse però non ha tutti i torti. Proverò sempre qualcosa verso di te, come anche Sam non potrà mai amare nessun altro allo stesso modo. – Leo riprese fiato.
– Vai da Al! So che se davvero ci provi, riuscirai a dimenticare questi mesi passati ed a tornare alla tua vita di sempre. Penso che se lo farai potrai essere felice. I sentimenti che vi legano non sono unicamente legati alla passione, siete rimasti insieme in ogni avversità, sono sicuro che questo vi abbia unito molto più di ciò che credi. Se davvero non riuscissi ad andare oltre, non tornare sui tuoi passi! Scappa via più che puoi! Mio fratello merita di essere amato sinceramente.– Io mi avvicinai a piccoli passi a lui e lo presi per mano. Anche dopo quel gesto lui non si voltò verso di me ed, in parte, ne capii il motivo.
Ormai era tutto finito!
Uscii dal suo ufficio e dalle loro vite e quando salii sul treno, vidi da lontano il volto di Sam in lacrime.
Fu questo a ferirmi di più!

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Capitolo 17
*** Ritorno a casa ***


Mia madre non fu sconvolta nel vedermi tornare, anzi sembrava quasi se lo aspettasse, ma non per i motivi che inizialmente credevo.
– Finalmente. Anche se Al ha detto che eri troppo occupato, io sapevo che non era possibile. Sapevo che avresti fatto di tutto pur di venire. – Non capii subito.
Al era a Milano, o almeno così credevo.
– Che succede Mamma? Non capisco! – Lei rimase un attimo in silenzio.
– Immaginavo che non sapessi nulla. Non mi sono bevuta per nulla la storiella del “ha troppo lavoro.” – Lei, che in quel momento si trovava in cucina, mi fece segno di sedermi. – Penso che non te lo abbia detto per paura che ti preoccupassi, ma devi sapere che sia la madre di Al che sua sorella, sono stati ricoverati d’urgenza. E’ da qualche settimana che lui si trova qui; tutto il giorno in ospedale poverino. – Rimasi di sasso.
Per quale insano motivo non mi aveva detto nulla? Dovevo capirlo! Quel giorno quando lo chiamai al telefono, c’era qualcosa di strano nella sua voce.
– Dove? In quale ospedale le hanno portate? – Mia madre rimase per un attimo in silenzio guardando il tavolo da cucina.
– So solo che Sabrina è stata ricoverata qui, ma non so altro. Su sua madre non ci sono notizie. – Non mi cambiai nemmeno. Corsi più che potevo via da quella casa, verso l’unica struttura ospedaliera che possedeva la mia città.
Anche se in ritardo, sarei andato da lui.
Quanto stava soffrendo? Che stupido che ero stato!
Avevo lasciato solo il mio migliore amico, la persona che amavo. Quando entrai nel primo reparto, mi sentii morire. I tasti del telefono sembravano non voler collaborare ed iniziai a sudare.
“Cazzo, funziona!” Urlai in me stesso. Eppure, anche quando riuscii a far partire la chiamata, non riuscii a contattarlo. Aveva il telefono spento, credo, fatto sta che non potevo attendere. Girai ogni reparto con la solita domanda alla bocca.
-Si trova qui Sabrina Riva?- Fin quando la trovai.
“Traumatologia” reparto b secondo piano.
Attesi con pazienza l’orario di visita e mi feci largo tra il corridoio del reparto quando finalmente lo vidi. Al era seduto su quella piccola sedia scomoda, tenendo le mani di sua sorella gemella. Non riuscii a trattenere l’emozione. Sabrina aveva la testa fasciata e l’occhio bendato.
Cos’era successo? Sapevo da tempo che c’erano problemi nella sua famiglia, ma non avevo mai voluto approfondire. Al non riusciva a parlarne né io volevo interferire con la sua intimità. Sua madre era sempre stata “particolare”, ma non ebbi mai paura come in quel momento.
– Al. – Lui si voltò verso di me ed, improvvisamente, grosse lacrime scesero sul suo viso.
– Speravo che venissi, ma ormai non ci credevo neanche più. – Mi avvicinai lentamente a lui e lo abbracciai con tutto me stesso. Era così fragile in quel momento che il mio cuore non riusciva a smettere di tremare.
– Perché non me lo hai detto? Sai che voglio bene a tua sorella, non dovevi mentirmi. – Al sussultò e lì capii che stava piangendo.
– Non volevo farlo. Mentirti è stato davvero difficile ma credimi, inizialmente non sapevo neanche io bene cosa fosse successo. – Fece una breve pausa. – Mio padre mi chiamò prima di uscire di casa, quel giorno, dicendo che la mamma si era sentita poco bene e che Sabrina era stata ricoverata, ma niente di più. Non pensavo minimamente che la situazione fosse così. Volevo chiamarti, ma dopo la nostra ultima conversazione non sapevo bene se fosse indicato. Coco, avevo bisogno di te nella tua interezza, non di un fidanzato che pensa ad un altro uomo. Se vorrai tornare ad essere mio amico, dillo subito. Non posso sopportare altro al momento. – Andando da lui avevo scelto di abbandonare per sempre Samuele e quei sentimenti nascenti e così feci. In quel momento decisi che avrei dedicato la mia vita ad Al, era l’unica scelta sensata a cui riuscivo a pensare.
– Scusa, perdonami tutto. Sarei dovuto venire con te fin dall’inizio. So di amarti e d’ora in poi resteremo sempre insieme, te lo giuro. – Restammo un po’ in quel modo. Non avevo il coraggio di chiedere, non sapevo neanche da dove iniziare. Aspettai con pazienza che si calmasse e, solo quando le lacrime smisero di scendere ed i suoi singhiozzi si calmarono, iniziai a parlare.
– Per quale motivo Sabrina è in queste condizioni? Fin’ora non ti ho mai chiesto davvero spiegazioni, ma spero che riuscirai a toglierti dalle spalle questo peso. – Vidi nei suoi occhi l’incertezza.
Sicuramente il suo animo era diviso tra due scelte. Confessarsi a me o decidere di tacere. Per fortuna, però, prese la prima.
– Fin da quando ero piccolo so che mia mamma ha un grave disturbo della personalità. In lei coesistono due persone o meglio, la sua personalità si è scissa in due. Tutti i sentimenti belli e positivi sono rimasti nella persona “dominante” mentre quelli negativi e crudeli si sono spostati formando una mente a parte, chiamata Teresa. Fino ad ora abbiamo sempre tenuto a bada questa sua “parte”, ma evidentemente qualcosa non è andata come doveva. Teresa si è svegliata e ha colpito Sabrina alla testa per poi prendere un coltello e scagliarsi sul suo occhio sinistro.” Al si bloccò un istante, incapace di continuare.
- Per fortuna è tornato mio padre, altrimenti…. Oddio non riesco neanche a pensarci. Potevo perdere per sempre mia sorella. – Non riuscivo a replicare. Avrei dovuto dire qualcosa, dargli consolazione, ma non c’era nulla da aggiungere. Riuscii solamente a stare al suo fianco, in attesa.
– I medici dicono che, più che le ferite corporee, è il suo animo ad essere distrutto. L’hanno messa sotto sedativi e stanno aspettando che la cicatrice si rimargini. Non sanno ancora se l’occhio guarirà del tutto, ma di certo sarà dura per lei. – Per tutto il tempo rimasi con lui fino a quando, l’infermiera, mi intimò di uscire.
– Vai, verrò a casa tua prima di cena. – Così feci. Si era fatto buio ormai, sebbene non sapessi bene che ore fossero. La strada di ritorno non mi diede alcun conforto.
In quel momento non pensai ad altro che ad Al ed al male che gli avevo fatto. Ripensai al mio primo incontro con lui, al suo essere triste e solitario. A quel tempo non voleva essere avvicinato e forse, a distanza di anni, avevo finalmente scoperto il motivo recondito.
Aveva paura!
Probabilmente aveva sempre saputo quella terribile verità su sua madre e cercava a tutti i costi di tenere gli altri a distanza. Il fatto che, sebbene soffrisse, mi avesse lasciato far entrare nella sua vita, mi metteva addosso una gran tensione.
Non potevo deluderlo con le mie indecisioni, non più.
Quando rientrai a casa, mia madre non c’era. Aveva il turno notturno e quasi tirai un sospiro di sollievo
“ Ho amato quella donna con tutto il mio cuore.” La voce di quell’uomo rimbombò nella mia mente. Inizialmente avevo deciso di chiedere spiegazioni a mia madre, volevo davvero scoprire cos’era accaduto ed il motivo per cui lui la odiasse così tanto, ma rinunciai. A che pro mi avrebbe portato?! Il decidere di lasciare per sempre da parte i miei sentimenti per Sam, aveva anche reso vani i miei dubbi sul passato.
Adesso non c’era più bisogno di sapere, mi bastava avere Al nella mia vita. Non passò molto quando il suono del campanello interruppe i miei pensieri. Avanzai nella mia casa come se non l’avessi mai lasciata. Ero a mio agio in quel posto, con i ricordi di una vita a farmi forza. Quando aprii la porta, vidi il volto stanco di Al e lo invitai ad entrare.
 – Vuoi mangiare da me? – Chiesi distrattamente. Eravamo tornati come un tempo, due amici che però, adesso, provavano dei sentimenti diversi. –
 A casa mia non c’è nessuno che mi aspetta. Si vorrei davvero restare qui. – Si accasciò sul tavolo della cucina esausto, così piccolo e pieno di graffi.
– Non mi chiedi niente? Abbiamo passato due settimane lontani e non mi chiedi nulla? Non ti importa cos’è successo nella tua assenza? – Non osai guardarlo mentre pronunciavo quelle parole.
– Coco, ci conosciamo da una vita. Sei il primo vero amico che ho avuto dall’infanzia e ti conosco meglio di chiunque altro. So per certo che, qualora tu fossi andato a letto con Sam, non saresti mai tornato da me o quantomeno non mi avresti mai tenuto questo segreto. Mi fido di te più che di me stesso, non ho bisogno di sapere cosa vi siete detti o cosa avete fatto. Sono unicamente contento che tu abbia scelto me alla fine. – Solo allora mi voltai e mostrai il mio viso rigato dalle lacrime.
– Perché? Per quale motivo mi ami così tanto? – Al si avvicinò a me e mi prese tra le braccia, avvolgendo il mio viso nelle sue mani calde.
– Esiste sempre un motivo? Io ti amo perché ti amo. So che solo con te sento il cuore esplodere nel petto e che solo con te potrei mai passare il resto della mia vita. – Il fuoco era ancora acceso quando, con un piccolo scatto fulmineo, attirò le sue labbra alle mie.
Quel bacio, dopo così tanto tempo, era ancora così dolce e gentile. Le sue mani si mossero sul mio corpo ed iniziarono a sfiorarmi ed io chiusi istintivamente gli occhi.
– Ti voglio Coco. – Sussurrò al mio orecchio e quella frase scatenò qualcosa in me. Potevo percepire il suo respiro ed il mio sincronizzarsi. Al spostò la sua attenzione al mio membro che, stuzzicato, iniziò a gonfiarsi.
Per quale motivo era così diverso?!
Sentivo l’eccitazione, avvertivo il desiderio di lasciarmi andare, ma qualcosa mi bloccava. Intimamente lo sapevo, c’era ancora il ricordo fresco a graffiarmi le membra.
Dovevo dimenticare!
Come una furia mi avventai su Al, liberandolo da quegli scomodi jeans scuri ed aderenti. Volevo che mi facesse suo, che fossimo una cosa sola, così almeno mi sarei lasciato alle spalle Sam, spazzando via ogni traccia di sofferenza.
Al non si accorse di ciò che provavo, lui mi assecondò in tutto. Quando presi tra le mani la parte segreta del suo corpo, non fece alcun tentativo di fermarmi, non c’era traccia di imbarazzo in lui. Assaporai il suo sapore nascosto e lo feci mio.
Fui io a chiedergli di penetrarmi, ed allo stesso modo ero sempre io che urlavo di piacere. I ricordi erano lame, ma se avessi urlato più forte, forse quella voce nella mia testa si sarebbe fermata.
– Coco. – Ansimava Al e, quel mix agglomerante di sensualità, mi diede alla testa, facendomi fremere. Quando mi sfiorò, accentuando il piacere, fu il culmine.
Venimmo insieme, presi da quell’attimo di estasi che avevamo creato, ma non mi diede quel senso di pace che avevo sperato. Ne avevamo bisogno, ma non aveva cancellato nulla. Il divano che avevamo profanato, ci accoglieva entrambi e sentivo che ci aveva nuovamente unito, eppure non del tutto.
– Andiamo a farci una doccia? – Propose e non me lo feci ripetere due volte. Lavarci insieme mi ricordò quando eravamo ancora bambini. A quel tempo noi due eravamo inseparabili, due esseri fatti apposta per restare insieme. Ci insaponammo la schiena canticchiando melodie dimenticate e, sempre insieme, ci lasciammo cullare dal calore tiepido dell’acqua. Il volto di Al, era decisamente più sereno e ciò mi permise di rilassarmi. Preparai velocemente qualche boccone e mangiammo lentamente.
– Mio padre ha deciso di restare con mia madre in ospedale. – Aggiunse d’improvviso. – Da quando ci trasferimmo qui, Teresa si faceva vedere molto raramente e mai in presenza di estranei. Sembrava che la pace di questa città le avesse dato tregua, ma ci sbagliavamo. Lei stava solo covando odio e rancore. – Io mi avvicinai a lui, sedendomi al suo fianco. – Lei sa cosa ha fatto ed ha deciso di ricoverarsi, vuole guarire davvero questa volta e mio padre non vuole lasciarla sola. So che ci può riuscire! – Lo abbracciai forte a me.
– Ne sono sicuro. – Risposi. Quella sera dormimmo insieme. In quel piccolo letto che mi aveva visto crescere, restammo abbracciati per tutto il tempo. Da quella posizione sentivo chiaramente il battito incessante del suo cuore e lui poteva sentire il mio, era tutto perfetto.
Avrei voluto che il giorno non giungesse mai, purtroppo però, non si può fermare il tempo ed al sorgere del sole, la fiaba finì.
Driiiin driiin.
Lo squillo del telefono irruppe nella silenziosa casa.
Le 07:45!
Al si alzò e rispose composto alla chiamata.
– Si. Ho capito! Arrivo subito. – Io, che nel frattempo mi ero messo a sedere, mi stropicciai gli occhi.
– Sabrina si è svegliata. E’ in stato confusionale e vuole vedermi. Devo andare. – Mi alzai insieme a lui ed iniziai a vestirmi.
– Vengo anche io. Anche se non potrò entrare, voglio ugualmente poter essere vicino a te. – Lui mi sorrise ed, insieme, uscimmo di casa. Mia madre, nella stanza accanto, ci sentì sbattere la porta, ma non fece domande. Quando arrivammo in ospedale, trovai un luogo più caotico di quanto mi aspettassi.
– Finalmente è qui, sua sorella vuole vederla. – Ci comunicò l’infermiera all’ingresso.
– So che non è permesso, ma lui è un caro amico di famiglia, può accompagnarmi? – Lei ci guardò un istante, con lo sguardo truce di chi non ammette eccezioni.
– Il regolamento non lo consente. – Replicò.
– Sono sicuro che Sabrina si calmerà più facilmente se lo potesse incontrare. – A quelle parole, però, si corresse.
– Va bene. Abbiamo tanto da fare oggi e sua sorella continua ad urlare disturbando gli altri malati. Se avere vicino un amico potrà calmarla prima, allora entrate, ma non appena la ragazza riposa, voglio che usciate immediatamente.– Entrammo insieme e quando la vidi, capii cosa intendesse Al.
Quella non era Sabrina!
La ragazza piena di vita, quella che mi sorrideva sempre e mi consolava nel momento del bisogno, non c’era più.
– La mamma è cattiva, vero? Lei mi ha fatto male, no! Non è stata la mamma, è stato un mostro. Si! – Piangeva, delirava e tremava. – Fratellino, sei qui. Oh, Coco! Coco non sei stato tu vero? Non hai fatto del male alla mamma, giusto? No, tu sei il più cattivo di tutti, mi odi così tanto, ma io ti amo. No. Non ti amo più perché mi hai spezzato il cuore. – Al si avvicinò a lei e le prese la mano, ma si ritrasse così velocemente da far invidia ad un fulmine.
– NO! Tu vuoi colpirmi come ha fatto lei! NO! – Urlava. Io mi avvicinai al suo letto, non sapevo cosa fare per alleviare le sue sofferenze, ma ci provai ugualmente.
– Sabrina, ti prego calmati, siamo qui per te. – Lei rimase un attimo in silenzio, poi scoppiò a piangere.
– Mi sei mancato tanto Coco! – Ripeteva tra le lacrime. La benda si inzuppò di liquido, ma lei non si fermò neanche un attimo. La presi tra le braccia e la inondai del mio calore, mentre, con tutta se stessa, riversava su di me la sua disperazione.
– La mamma, Coco, è stata la mamma. – Io le accarezzai le spalle, la cullai a me come una bambina, fino a quando si calmò.
– Non è colpa sua! – Disse improvvisamente.
– Cosa? – Rispose Al.
– La mamma. Lei non voleva farmi del male, vero? – Noi annuimmo e lei tornò a dormire.
– Grazie. Fino ad ora non aveva mai ammesso ciò che era successo. Forse lo sapeva ma credeva fosse stato un mostro o chiunque tranne Teresa. Vederti l’ha tranquillizzata, ti vuole molto bene. – Al mi guardò per un attimo, poi si voltò.
– Ci vorrà del tempo, ma sono sicuro che tornerà la ragazza sorridente di un tempo. Fino ad allora, le starò sempre accanto. – Con la mano destra, tenevo ancora la sua mano, mentre con la sinistra sfiorai la guancia del mio ragazzo.
– Ed io resterò con te. Non sei solo. –
Quella promessa, è una delle poche che non ho infranto, vero?

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Capitolo 18
*** 15.5 Speciale - Piccoli amici crescono ***


Mi trasferii nel Luglio dei miei 5 anni. 
Non so perché i ricordi di quei tempi sono così vividi in me, forse semplicemente sono cose che non voglio dimenticare. Mio padre è sempre stato cagionevole di natura, eppure quel cambiamento non era dovuto alla sua salute, ma a quella di mia madre. 
– Alfonso, nessuno deve sapere che la mamma è malata, neanche i tuoi amici. Potrebbero evitarti per questo e non voglio che accada. Lei è una brava mamma, solo che a volte non è lei, capisci? – 
No! 
Potevo dirgli che mi era tutto incomprensibile? 
Il primo ricordo della mia infanzia è mia madre che cerca di strangolarmi, ma che poi, improvvisamente si ferma e scoppia a piangere. Disturbo della personalità multipla lo chiamavano, per me era solo una condanna a vita. Mia madre, quella che tenevo gelosamente nel cuore, era dolce e gentile, ma a volte cambiava. Improvvisamente diventava violenta ed aggressiva, testarda ed egoista. Se quando era dolce si chiama Camilla, nella sua altra versione voleva farsi chiamare Teresa. Da parte sua mio padre fece tutto il possibile per tenerci al sicuro, per questo motivo ci trasferimmo. 
Nella mia città natale, ormai tutti conoscevano il doppio volto di mia madre. Nella nuova città avevamo tante aspettative, tanti progetti. Non ero tanto io il problema ma mia sorella. Lei non capiva, non riusciva a distinguere la mamma buona da quella cattiva. Era di lei che mio padre si preoccupava di più, io ero sicuramente più forte. 
– Vi prometto che andrà tutto bene, riuscirò a controllare Teresa, non le permetterò più di farvi del male. – E così fu, almeno in parte. 
Mia madre era più serena e Teresa usciva fuori solo sporadicamente, quasi come se non avesse più il controllo su di lei. Ciò però che mi segnò in profondità, non riguarda questi avvenimenti, ma quell’incontro che mi cambiò totalmente l’esistenza. 
Accadde quasi subito, sebbene inizialmente non legammo così tanto. Mio padre mi costringeva tutti i giorni a scendere al parco per “socializzare”. Per il primo anno passato nella nuova città, mandò Sabrina a casa di mia nonna, perché la più vulnerabile, mentre io ero rimasto da “cavia”. Se lei fosse cambiata, allora avremmo potuto ricominciare davvero. Nel suo inconscio credeva che crescere due gemelli, fosse stato troppo duro da sopportare ed allontanarci avrebbe davvero alleggerito la sua anima e creato una Camilla più forte. 
Non mi piaceva stare con altri bambini, mi sentivo tremendamente a disagio. 
Per quale motivo?! 
Semplicemente perché non sapevo come rapportarmi con gli altri. Con una madre come la mia che, al minimo lamento, tentava di farmi del male, avevo paura di ogni cosa. 
Un bambino mi lanciava la palla?! Reagivo come una tigre! 
Un bambino rideva di qualcosa che mi riguardava?! Lo picchiavo senza pietà. 
Ero diventato proprio come Teresa, mio malgrado. Non era perché in me ci fosse cattiveria, ma detestavo essere debole. Volevo a tutti i costi evitare di essere calpestato e quello era l’unico, inevitabile, modo. Fu così che, già dai primi giorni, ogni bambino del quartiere aveva capito la mia natura “ribelle”, per così dire, ed iniziarono ad evitarmi. 
“Sapevo che sarebbe andata così, forse è meglio. Stare soli è una figata, così nessuno scoprirà mai la verità.” Pensavo in continuazione. Poi, però, arrivò lui nella mia vita. 
La prima cosa che notai fu il suo viso luminoso, con quella pelle lucida e biancastra contrastata da occhi neri come la pece. 
Mi sorrise! 
Lui, così fragile e mingherlino, si avvicinò senza paura a me, cupo ed in disparte ad emanare la più tetra aura nefasta. 
- Ciao. – Disse, ma io non risposi. Non volevo assolutamente che si avvicinasse a me, così mi voltai dall’altra parte. Se non fosse stato uno stupido, forse se ne sarebbe andato via, forse! 
– Gli altri hanno detto che fai paura, sono degli stupidi. Tu sei così carino! – Sorrideva mentre lo diceva. Per la prima volta, qualcuno mi sorrideva con tutto il cuore. Ebbi paura! Con uno scatto lo gettai via, lontano da me, facendolo cadere a terra. Vidi quel piccolo corpicino alzarsi e massaggiarsi il sedere per la botta, ma non pianse. Gli altri bambini avevano urlato, altri si erano ribellati, ma mai nessuno aveva continuato a sorridermi. 
– Diventiamo amici? – “Che stupido!” Pensai. “ L’ho appena buttato a terra e vuole ugualmente diventare mio amico?! Non ha capito nulla! Io non voglio avere amici.” Mi alzai e, senza rispondergli, corsi a casa o meglio, verso casa. Non mi ero accorto che dietro di me c’era ancora quello strano bambino, né che entrava proprio nella casa di fronte alla mia, mentre io, aspettavo in silenzio che si facesse buio. Mi chiedevo spesso per quale ragione ero in quello strano mondo quando, la mia stessa madre, voleva sbarazzarsi di me. 
No! Quella non era mia madre! Dovevo convincermene. Il giorno dopo, tornando al parco, lo incontrai nuovamente. Era insieme a tanti ragazzi della sua età, tutti così allegri e spensierati ed io, come al solito, mi sedetti in disparte, a guardare il terreno arido del campo. Dei passi si avvicinarono ed io pregai che non fosse lui. 
Avevo paura che, improvvisamente, mi potessi affezionare. Cosa sarebbe successo se, d’un tratto, avesse spezzato le difese che stavo lentamente costruendo? E se un giorno avesse scoperto la verità sulla mia famiglia? Se avesse iniziato ad odiarmi? Non potevo rischiare. 
– Eccoti di nuovo, sono contento che sei venuto. Ho parlato con gli altri, vogliamo che giochi con noi. – Lui era così vicino. Sebbene non osassi alzare lo sguardo, vidi le sue scarpette nere così vicino a me, da mettere una terribile ansia. La sua manina si poggiò sul mio capo ed allora scattai. Non era la mia volontà, quel riflesso si era insinuato in me come protezione. Con un solo movimento, lo colpii con violenza. 
– Vattene! Sei solo un fastidio! – Quel bambino si allontanò in silenzio ed io, con le lacrime inespresse, mi richiusi nuovamente in me stesso. 
“E’ meglio così. Stare soli va bene.” Ricordavo troppo bene il terrore negli occhi di quel compagno di classe quando, arrivato a casa mia, trovò Teresa con un coltello in mano a spaccare il divano con violenza. 
Da lì quelle voci, ero diventato il figlio della “pazza”. Immerso com’ero nei miei pensieri, non mi accorsi neppure che lui era tornato ed adesso sedeva accanto a me, a fissare il terreno proprio come stavo facendo anche io. Per quale motivo si dava tanto da fare? 
– Non preoccuparti, non parlerò più se non vuoi. Se sono davvero fastidioso, allora resterò unicamente accanto a te, senza fiatare, fino a quando vorrai essere mio amico. – Quelle parole arrivarono dritte al mio cuore. Come poteva essere così stupido? Era sempre circondato da gente, eppure ancora desiderava restare al mio fianco. Non risposi. Non credevo che riuscisse a mantenere la parola. 
“Si stancherà e tornerà presto da dove è venuto.” Anche fino al tramonto, lui rimase lì a fissare il vuoto. I bambini lo chiamavano: - Smettila di provarci, quello strano non vuole venire. Ti perderai tutto il divertimento. – Ma lui sorrideva sempre con quel fare da stupido. 
– Sono stanco, resterò a guardarvi. – Poi io mi alzai e me ne andai. Non lo ringraziai né lo salutai. Arrivato a casa pensai a lui con tutto me stesso desiderando intimamente che non finisse. Una parte di me voleva che ci riprovasse, e così fu. Il giorno dopo, quando arrivai, lui si fermò e si unì a me. Ogni tanto diceva qualcosa, ma io non ci facevo neanche caso. Tutto ciò si ripeté per giorni e giorni, fino a quando io arrivai e lui non c’era. 
Il mio cuore iniziò a tremare. Per quale motivo non era lì ad aspettarmi? Senza pensarci mi avvicinai al solito gruppetto, cercando disperatamente di mostrarmi forte e indipendente. 
- Sapete dov’è lui? Quel bambino che si siede sempre accanto a me. – Sembravano stupiti del mio interesse e come dargli torto. Ho sempre evitato tutti, ma ebbi come una strana sensazione in fondo al cuore. 
– Perché? Vuoi picchiarlo per averti seguito per giorni e giorni? – Rispose uno. – Non accetterà mai che lo rifiuti, è fatto così. In ogni caso oggi è rimasto a casa perché ha la febbre. – “Casa?!” Chissà dove abitava. In tutti quei giorni non mi ero mai chiesto il suo nome o dove abitasse, semplicemente non mi interessava. Adesso però desideravo conoscere qualcosa in più su di lui. 
– Dov’è? Come arrivo a casa sua? – Uno del gruppo rise. Mi stavano forse prendendo in giro? 
– Hey, ti ha seguito tutti questi giorni e non ti sei accorto che abita proprio di fronte casa tua? Non so cosa gli passa per la testa a Colin per andare dietro ad uno come te. – Mi aveva davvero seguito ogni giorno senza fiatare?! Perché? “Sei fastidioso” gli avevo detto e forse per questo aveva evitato accuratamente di infastidirmi. 
Senza ringraziare, corsi verso la direzione da cui ero appena giunto, ripercorrendo i passi appena fatti solo per andare a vederlo. Quella fu la prima volta che il mio cuore ha trepidato per lui ma di certo non l’ultima. Se non ci fosse stato nella mia vita, sicuramente mi sarei perso molto. Non avrei tutti quei bei ricordi che posso riportare alla mente, perché senza di lui la mia vita sarebbe stata unicamente sola e priva di colori. 
Non lo amo per ciò che ha fatto, perché sarebbe riduttivo, ma perché senza la sua presenza la mia vita non avrebbe senso. E’ questa la realtà che ho imparato ad accettare e che anche oggi mi tira avanti. Quando arrivai a casa sua, quel giorno, vidi sua madre e lo invidiai. La cura con lui lei lo trattava, era quasi devotica. 
Sapevo che la mia non avrebbe mai fatto tutto quello, ma alla fine andava bene così. Vederlo sul letto con quella pezza fredda sul viso, mi fece stringere il cuore. 
– Penso che ieri ha preso troppo freddo ma, sai una cosa, il mio piccolo Colin è forte e sono sicura che domani starà meglio. – Lui non si accorse della mia presenza, dormiva mentre gli passavo la mano fredda sul viso ed anche quando uscii dalla sua abitazione, non mi sentì nemmeno ma, in quel preciso istante, avevo lasciato che entrasse in me. 
Fu solo il giorno dopo che, rimesso in piedi, venne nuovamente al parco e, quando giunse con le manine impresse nei guanti troppo larghi, trovò un nuovo me stesso. 
– Il tuo nome è troppo lungo, ti chiamerò Coco. – Lui sorrise nuovamente e, da allora, giocammo così tanto, ridemmo a crepapelle e ci innamorammo. 
L’amore che ci lega trascende il tempo ed i limiti umani, perché il nostro legame durerà per sempre.
Anche se un giorno tu te ne andassi, dentro di me questi ricordi resteranno immutati, finché, sicuramente, potrai tornare da me. 

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Capitolo 19
*** Le ferite diventano cicatrici ***


-Smettila di fare la stupida. L’infermiere ha detto che questa pillola ti aiuta a calmarti, quindi perché devi fare tutte queste storie? – Al porse la mano tremante verso Sabrina che, col broncio, rifiutava qualsiasi cura.
– Ho già detto ai medici che mi sento meglio. Ogni volta che prendo questi farmaci mi viene sonno e divento strana. – Si fermò un attimo a guardarci. – So che assomigliavo ad una pazza, neanche io capivo molto in quel periodo, ma ora mi sento davvero bene. Ricordo perfettamente cos’ha fatto Teresa e non sono più arrabbiata con la Mamma. Non capisco neanche perché continuo a restare in ospedale. – Era passato un mese da quando ero tornato a “casa”.
Ogni giorno ero rimasto al capezzale di Sabrina insieme ad Al, aspettando con pazienza e devozione che lei facesse un passetto in avanti. Un giorno riusciva a riconoscerci per qualche minuto, poi diventarono ore ed infine tornò la solita ragazza allegra di sempre, sebbene quella benda oscurasse ancora la sua vista. La cicatrice si era ormai formata del tutto, non c’era più perdita di liquido, era lei che preferiva nasconderla dietro quella maschera bianca.
– Lo sai bene che è questione di giorni. Tra un po’ potrai benissimo tornare a casa quindi smettila di ribellarti e prendi le pillole fino a quando necessario. -
- No! –
Erano divertenti in fin dei conti. Sabrina era splendida, sebbene in pigiama e con i capelli arruffati.
Mi chiedo ancora per quale ragione non sono riuscito ad innamorarmi di lei. Ancora oggi non credo di essere gay, o meglio, non sento di esserlo. Non mi sono innamorato di Al per il suo aspetto, né di Sam per lo stesso motivo. Ciò che mi ha spinto verso di loro è stata la loro natura, il loro modo di essere e di porgersi verso di me o forse mi sbaglio.
“Sam.”
Ancora pensavo a lui sebbene fosse passato molto tempo dal nostro ultimo incontro. Era naturale non dimenticarlo, eppure il suo ricordo è un po’ sbiadito in me, lasciando solo molta tristezza. Non so quanto Al abbia capito dei miei sentimenti verso di lui, ma sicuramente qualcosa aveva intuito.
Non mi parlò più del periodo a Roma, né di Leonardo. I nostri discorsi sono tornati quelli del liceo e la nostra amicizia è tornata salda come lo era a quei tempi. Lontano da quell’ambiente sono cambiato nuovamente, mascherando totalmente ciò che avevo nel cuore.
“E’ un bene.” Mi convinsi, ma qualcosa in me non andava proprio nel verso giusto. C’erano ancora notti che piangevo come un bambino all’idea di aver lasciato una parte del mio cuore nelle mani di Sam.
– Sabry, so che è fastidioso, ma i medici lo fanno per il tuo bene. Perché non ti sforzi un pochino in più, ti prometto che parlerò con loro e chiederò che ti sospendano la cura, se proprio non vuoi, ma almeno oggi prendila. – Lei mi fissò per un attimo mentre dicevo quelle parole ed il suo sguardo si illuminò.
– Hai ragione Coco. Dammi qua fratello e se inizio ad addormentarmi sarà tutta colpa tua. – Disse in direzione di Al.
– Bla bla bla. Per quale motivo se te lo dice lui lo fai, mentre con me fai tante storie. Stupida di una sorella.- Scoppiammo a ridere e subito si avvicinò l’infermiera di turno.
– Ragazzi, per favore. Siamo in un ospedale. – Non ci era più permesso restare oltre il limite dell’orario di visita, fu per questo che non appena terminò, fummo costretti ad uscire.
Mano nella mano, varcammo la soglia della porta e salutammo Sabrina promettendole di tornare il giorno dopo. Non potevamo fare nulla per il suo sguardo triste nel vederci uscire, ma sapevamo che sarebbe tornata alla vita di tutti i giorni, o quasi. Ricordo ancora le parole del medico quel giorno.
– Il suo occhio sinistro non guarirà mai. La lama del coltello è andata troppo in fondo per poter recuperare la retina, purtroppo. La parte destra però non ha danni, ma soprattutto nei primi tempi avrà capogiri e difficoltà nella visione. La cosa positiva, però, è che non ci sono traumi al cervello. Ci vorrà del tempo, ma tornerà la ragazza di una volta, ve lo assicuro. – Ancora mi monta la rabbia sapendo che il suo splendido viso ne sarebbe rimasto deturpato, eppure era una mera consolazione sapere che non c’erano danni profondi.
Quando fummo fuori, Al era più sereno. Si stava riprendendo ed anche io mi sentivo carico di energie.
– Che facciamo? Sono già le 19:00, vieni a cena a casa mia? – Io annuii e ci incamminammo. Non avevo più paura di mostrare i miei sentimenti perché sentivo che, se non lo avessi fatto, avrei avvertito quel vuoto nel cuore che Sam aveva scavato.
Presi la sua mano e la infilai nella mia tasca. Andava bene in quel modo. Anche se gli altri ci avessero visti, cosa importava? I miei amici ormai sapevano cosa provavo per lui, mia madre e tutti gli altri conoscevano la verità quindi, perché nascondersi? Entrammo nella sua casa, ovviamente vuota, ed iniziai a cucinare.
– Sei stanco, vatti a fare una doccia, io preparo un po’ di pasta. – Lui si avvicinò a me e pose la sua testa sulla mia spalla.
– Grazie. Sei rimasto con me per tutto il tempo. – Poi mi afferrò la nuca ed impresse le sue labbra morbide e profumate sulle mie. Sentii il suo calore in me e d’improvviso, non aveva più importanza il cibo. Eravamo solo noi due in quell’enorme stanza.
“Sam.” Pensai e mi scostai.
Sapevo che non era giusto, ma sentivo in me ancora quell’enorme mancanza.
– Ho fame stupido, sbrigati a cambiarti. – Dissi spostando lo sguardo sul piano da cucina. Provavo in tutti i modi possibili a non farglielo notare, ma era estremamente difficile tenermi tutto dentro. Se gli avessi confessato che mi mancava, come l’avrebbe presa? Al uscì dalla cucina, non prima di darmi un leggero colpo al sedere e sorrise.
Anche quello era il suo modo di darmi del tempo, ma fino a quando sarebbe durata? Non c’era stato nulla con Samuele. Non ci eravamo baciati né avevamo fatto sesso eppure non riuscivo a toglierlo totalmente dalla mia vita.
“Perché?” Mi chiedevo torturandomi l’anima. “Per quale motivo continuo così? Io amo Al ed anche lui mi ricambia, posso riuscire a dimenticare quei brevi giorni, devo farcela.” Sentii il getto della doccia aprirsi ed immaginai il mio amico amante intento a lavarsi.
Cos’avrei fatto se si fosse stancato di me? Se Al si fosse svegliato improvvisamente ritenendo che fosse troppo per lui, che non era giusto il mio comportamento, avrei accettato passivamente di perderlo?
Forse no, oppure avrei nuovamente agito come un codardo come l’ultima volta. Non mi resi neanche conto di ciò che avevo cucinato, quando lui tornò con solo un piccolo asciugamano bianco in vita. Ero ancora intento a cuocere la pasta quando lo vidi e qualcosa si mosse in me.
Era perfetto. Il suo corpo sembrava essere scolpito nella roccia, mentre il mio privo di forma. Il mio membro si indurì a quella vista ed Al si avvicinò a me.
– Sono tutto pulito adesso, vuoi sporcarmi? – Nel dire quelle parole si leccò leggermente il labbro inferiore in tono sexy e seducente. Sapevo cosa voleva ed anche io ricambiavo, eppure la mente giocava davvero brutti scherzi.
Volevo ardentemente essere parte di lui, ma ne avevo anche timore. Perché in quel preciso istante, sentivo nuovamente la voce di Sam. Mentre Al mi sodomizzava, nella mia mente avvertivo la presenza di Samuele forte e costante. Sentivo la sua risata, il suo tocco nelle membra e riassaporavo il sapore del suo unico bacio. Era come una doppia tortura, il piacere tremendo di quell’atto d’amore e la sofferenza immane del tradimento che stavo compiendo con quel mio gesto.
Mi chiedevo senza sosta dove fosse, ma non avevo il diritto di cercarlo, non più. Al si avvicinò a me, iniziò a spogliarmi ed io non glielo impedii. I suoi movimenti erano lenti e caldi, in completo contrasto con la mia pelle fredda e piena di cicatrici invisibili.
Quando le sue labbra si impressero nel mio collo, un’inaspettata ondata di piacere si scatenò in me. Mi ero ormai abituato alle sue intrusioni nel mio corpo ed ogni volta il piacere, che inizialmente arrivava unicamente alla fine dell’atto, si faceva più intenso. Ormai ero pronto ad accettarlo e ciò mi incuteva ancora più timore. Il mio intero essere si era abituato ad Al.
Lui, che mi superava in altezza, su subito sopra di me. Mi spinse con forza sul divano del soggiorno, come un animale pronto a divorarmi e, allo stesso modo, mi prese. C’era rabbia e voglia di farmi suo, di imprimere in me il suo marchio. I nostri rapporti erano diventai così, forse per colpa mia. Credo che stesse iniziando a capire il mio dualismo nel nostro rapporto e ciò lo faceva impazzire.
“Sapevo che saresti andato via, non devi darmi ulteriori spiegazioni.” “Non decidere mai più queste cose da solo, stupido cretino!” Rivivevo tutto. Ogni istante con Al dentro di me, rivedevo quel viso dolce che mi aveva accolto in casa. La nostra giornata al mare, il nostro primo incontro, i nostri battibecchi iniziali, era tutto lì. Più Al spingeva il suo sesso in me, più per me era difficile dimenticare.
Quando finimmo lui si accasciò sopra di me, esausto e col fiatone. Non disse nulla proprio come me, ma sapevamo entrambi ciò che intimamente pensavamo.
– La pasta si sta scuocendo, fammi alzare. – Avevo ancora bisogno di tempo, ma quanto?
– Coco, va tutto bene. Lo sai che ti aspetterò tutta la vita. – Disse prima che i nostri sguardi si scostassero. Sapevo bene a cosa alludeva e bastava solo a farmi sentire maggiormente in colpa. Sistemai i piatti e andai a lavarmi, mi sentivo sporco e, forse, lo ero davvero.
Stavo ancora ingannando il mio migliore amico. Quando tornai a tavola lo trovai lì, ancora steso sul divano, nudo e stanco. Quando mi vide si illuminò in volto e sentii nuovamente una fitta al cuore.
– Stavo pensando che ci farebbe bene uscire insieme domani. Non passiamo una giornata veramente soli da secoli, ci farà bene non pensare all’ospedale e così via. Abbiamo bisogno anche noi di un po’ di tregua. – Rimasi un po’ impietrito dalla sua offerta. Sicuramente mi faceva piacere passare del tempo insieme, ma c’era qualcosa che mi turbava. Mi avvicinai al divano dove si trovava e mi sedetti vicino a lui.
– Come facciamo con tua sorella? Vuoi lasciarla davvero sola? – Anche lui aveva le mie stesse preoccupazioni.
– L’ho appena chiamata! Anche lei è d’accordo a lasciarci andare, dice che riuscirà a cavarsela e prenderà le medicine senza opporsi. Veramente Coco, abbiamo bisogno di una pausa ed in più lei ormai sta meglio. – Gli strinsi la mano e lo baciai in modo dolce e affettuoso.
– Va bene allora. Però, se non sbaglio, questo può anche essere considerato il nostro primo, vero, appuntamento. – Rimasi per un attimo a pensarci. Non eravamo mai usciti insieme come “fidanzati”, sebbene passavamo tutto il tempo insieme, organizzare qualcosa era stato davvero difficile dopo la reciproca dichiarazione.
– In effetti, hai ragione. Cosa proponi? – Mi chiese circondandomi col suo possente braccio. Insieme a lui mi sentivo bene, come se fossimo davvero una famiglia.
– Eh no! Ho aspettato tanto e pretendo il pacchetto completo. Dovrai farmi sciogliere il cuore di amore altrimenti tra noi è finita. – Risi, ma lui non mi seguì. Lì capii che in cuor suo qualcosa lo turbava ed ero io.
Ci stavo mettendo tutto me stesso, ma ancora non riuscivo a convincerlo totalmente dei miei sentimenti.
– Al… io…. – Lui mi fermò imprimendo in me un bacio forte e dolce.
– Ti giuro che avrai la giornata più romantica della tua vita. Questa volta non voglio scappare, farò di tutto per farti restare al mio fianco. – Mi sentii bene. Mangiammo la pasta ormai diventata colla e ci salutammo alla porta con la promessa di rivederci il giorno dopo.
Mentre attraversavo la casa, vidi una sagoma uscire da casa mia e salire su una lussuosa macchina nera. Il cuore perse un colpo: io sapevo di chi era quell’autovettura.
Perché il padre di Sam era lì? Sapevo che era successo qualcosa tra lui e mia madre, ma vederlo apparire di nuovo nella mia vita era quel qualcosa che non mi sarei mai aspettato. Corsi come non mai ma non feci in tempo, lui sfrecciò via osservando unicamente il mio volto affaticato. Aprii senza pensarci la porta di casa e vidi mia madre accasciata a terra; il volto ricoperto di lacrime e quei singhiozzi che mi spezzarono il cuore.
– Mamma! – Urlai e le fui accanto. Cos’era successo in mia assenza? Cosa le aveva fatto?
– Coco! Oddio Coco scusami. La tua mamma è una stupida! – Per quale motivo quell’uomo entrava in scena distruggendo nuovamente le nostre vite?
– Che ti ha fatto? Giuro che se ti ha sfiorata con un solo dito, lo uccido con le mie stesse mani. – Lei mi osservò tra le lacrime un po’ confusa.
– Tu lo conosci davvero? Non doveva succedere. – Presi di peso mia madre e la alzai, non riuscivo a sopportare di vederla riversa a terra, con quell’espressione così sofferente in viso. La feci accomodare sul divano e le diedi un bicchiere di acqua fredda. Solo quando si fu calmata, iniziai a farle le domande.
– Perché è venuto? – Lei sospirò e scostò lo sguardo.
– Ho fatto del male a quella persona Coco. Non dovrei darti preoccupazioni perché sono tua madre, ma non posso neanche mentirti.- Si fermò un attimo calibrando bene le parole da usare, per poi continuare a raccontare.
- Quell’uomo era il mio fidanzato ai tempi delle scuole superiori. Era un ragazzo così brillante rispetto a me, la competizione era troppo dura da sopportare. Lui iniziò a vivere una vita che ai miei occhi era troppo lontana, mi sentivo davvero sola a quel tempo. Reynold mi chiese di sposarlo, ma io per lui ero solo un peso. Guarda dov’è arrivato ora, ha una vita così piena e di successo. Se lo avessi relegato in questa città, probabilmente gli avrei tappato le ali costringendolo ad una vita di tristezza e frustrazione. Io lo amavo davvero Coco! Lo amavo così tanto da decidere di allontanarlo da me per sempre. Successivamente l’ho ferito di proposito, sperando che mi dimenticasse del tutto. Sposai tuo padre per darmi consolazione, poi sbagliai di nuovo. Ho fatto delle cose che non avrei dovuto fare e, mentre tuo padre credette in me, lui iniziò ad odiarmi con tutto se stesso. Non credevo potessi mai incontrarlo nuovamente, ma oggi si è di nuovo presentato qui. – C’erano troppe cose da memorizzare, troppi dati che non riuscivo ad afferrare completamente.
– Non pensare però che non ami tuo padre. Lui mi è rimasto accanto per tanto tempo, mi ha amata e rispettata. E' stato l'unico a darmi sostegno quando nessuno mi credeva. Anche se ci ha lasciati, io so il perché lo ha fatto. Ha sempre creduto di non meritarmi, cercando in tutti i modi di superare Reynold, ma non era ciò che io volevo. Non ha mai capito che ho scelto lui e solo lui. Ho amato entrambi in modi diversi, ma ciò non era abbastanza per tuo padre. So dei suoi debiti e so anche che adesso vive nel pentimento. Se solo potessi lo riporterei da me, ma non è questo ciò che vuole. Non so neanche io cosa sia! – Rimasi per un po’ in silenzio.
La verità che mi aveva raccontato, però, non riusciva a soddisfarmi. C’erano troppi pochi dettagli, sentivo che, scavando, avrei trovato tante altre cose.
– Cos’hai fatto per farti odiare? Ti giuro che non ti giudicherò né potrò mai disprezzarti, ma devo sapere. – Lei mi prese la mano e mi diede un po’ del suo calore.
– Non posso dirtelo piccolo mio. Ci sono segreti che non posso svelare e ti chiedo con tutto il cuore: se è vero che mi ami, non andare mai alla ricerca della verità. Ti prego! – Lei iniziò nuovamente a piangere ed io, ormai sconfitto, la abbracciai forte a me.
Avevo perso la partita! Ormai rassegnato al fatto che tutto ciò sarebbe rimasto solo un brutto ricordo, andai a letto sperando che fosse tutto finito. Una volta chiusa la porta della mia stanza, la sentii nuovamente piangere.
Cosa portava nel cuore?!
Fino a poco tempo prima, credevo fermamente che amasse unicamente mio padre, eppure aveva avuto una vita diversa di cui io non ero totalmente a conoscenza. Aveva amato altri uomini, aveva ferito delle persone e teneva dentro di se un grande segreto. Improvvisamente iniziai a capirla meglio, noi due non eravamo molto diversi. Cosa aveva pensato mia madre quando, divisa tra il suo amore e la voglia di lasciarlo davvero libero, aveva scelto di seguire la sua testa nascondendo il suo cuore?
Stavo anche io tralasciando i miei sentimenti?
Non avevo la forza di pensarci, non dopo quella lunga giornata. Mi stesi sul letto a chiedermi cosa sarebbe accaduto il giorno dopo! Dovevo concentrarmi solo su Al, perché in quel modo avrei davvero dato un senso al nostro amore. Chiusi gli occhi e mi addormentai, un sonno lungo e ristoratore, ma quando mi svegliai, mi sentii ancora più confuso.
Presi distrattamente il telefono che, proprio in quel momento, iniziò a squillare. Il numero sullo schermo non lo conoscevo, eppure risposi ugualmente. La voce dall’altra parte era profonda e di spessore.
– Pronto? Chi parla? -
- Bergi. Sono Reynold Bergi! – Perché mi chiamava? Per quale ragione si stava nuovamente intromettendo nelle nostre vite?
– La prego di smetterla di venire a casa mia o di tormentare mia madre. Il passato non può essere una scusa per la sua crudeltà. Mia madre è sconvolta dalla sua visita! – Lui rimase per un attimo in silenzio.
– Ne prendo atto. Non volevo turbare Isabella così tanto. Volevo solo chiederti di farla ragionare, domani ci sarà il funerale di mio padre e so che lui ci terrebbe se lei partecipasse. So di essere egoista, ma lei lo è stata prima. Credo ti convenga essere presente anche tu, visto la situazione. Spero di vedervi. – Chiuse la conversazione in quel modo, lasciando frasi a metà e molto non detto.
Mi alzai d’improvviso e corsi di sotto, ma mia madre non c’era. L’avevo lasciata nella sua stanza, eppure era sparita. Presi di nuovo il telefono e la chiamai, ma il suono forte indicò che esso si trovasse proprio nella sua stanza.
Era uscita di casa senza prendere nulla, lasciando unicamente il suo cellulare in giro. Cosa stava succedendo? Mi stava lasciando anche lei? Avevo già vissuto quel momento, quando mio padre ci aveva abbandonati.
Sebbene fosse un padre severo, ci tenevo a lui, era il mio modello, la mia guida. Quella mattina era proprio come questa, terribilmente deprimente e solitaria rotta solo dal pianto disperato di mia madre, la quale adesso non c’era.
Caddi per terra e tutto si fece nero, per poi sparire nel nulla per sempre!

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Capitolo 20
*** Non doveva andare così ***


Mia madre era sparita! Voleva davvero abbandonarmi o c'era qualche altra ragione per la sua scomparsa?

Non ricordavo molto di ciò che era successo. Dopo aver scoperto della fuga di mia madre, credo di essere svenuto, ma non ne sono del tutto sicuro. Capii che era successo qualcosa solo quando sentii, con insistenza, i colpi alla porta e la voce di Al che urlava il mio nome.

Da quanto tempo si trovava lì? Per quale motivo non lo avevo percepito prima? Ero forse svenuto?! Mi trovavo appoggiato alla parete, con la fronte madita di sudore e la gola secca. Mi alzai lentamente e, tremando, mi avvicinai alla porta.

- Coco, dannazione! Sei in casa?! - Aprii la porta con un colpo solo e vidi il volto tremante di Al cambiare espressione.

- Che diavolo... è mezz'ora che suono alla porta, non hai neanche risposto alle mie chiamate e, per quale motivo sei così pallido? - Dalla sua espressione capii bene quanto fosse sconvolto. In fin dei conti anche io avrei reagito allo stesso modo.

Oggi dovevamo uscire, vero! Al capì che c'era qualcosa che non andava, non poteva non intuirlo dalla mia espressione così, con dolcezza, mi accarezzò il viso.

- Diamine parla! Così mi uccidi! Cos'è successo?! - Io mi scostai un attimo e lo feci entrare.

- Credo che anche mia madre sia scappata. - Dissi mentre iniziai a sentire le guance inumidirsi. Non volevo piangere! Non avevo più l'età per farlo.

- In che senso? Coco ne sei sicuro? - Lo feci accomodare nel divano del soggiorno, una piccola stanza che sapeva di ricordi. Lì c'era tutta la mia vita, le mie gioie, i miei successi e le sconfitte, eppure non la sentii quasi più parte di me.

- Ci sono cose che, tornato da Roma, non ti ho raccontato. Non perchè non avessi voluto, ma dire certe cose sulla mia famiglia, mi faceva male, però credo che tu debba sapere. - Iniziai e da lì, vomitai tutto. Gli raccontai di quei giorni da Sam e menzionai mio padre, lo scontro con il Signor Bergi e la rivelazione sulla sua relazione con mia madre ed inifine la separazione per poi vederlo proprio in casa mia e quella strana telefonata. Non riuscivo neanche a guardarlo negli occhi per quanto fossi imbarazzato ma, non appena finii, mi feci forza. Ritrovarmi dentro il suo sguardo, era come una boccata d'aria fresca perchè in lui non c'era altro che la mia stessa preoccupazione. Non era arrabbiato nè provava pena verso di me, era solo assolutamente triste e sconfortato.

- Ho capito il motivo per cui non me ne hai parlato e, forse, anche io ho agito allo stesso modo. Neanche io ti ho mai detto della mia famiglia e del motivo che mi ha spinto a trasferirmi qui. Sono contento che adesso non abbiamo più segreti fra noi, eppure non possiamo lasciare le cose così come sono. - Era molto serio mentre pronunciava quelle parole, totalmente dentro quella situazione.

 "Lui è al mio fianco." Sentii la sua vicinanza ed il mio cuore si scaldò. Decisi che dovevo ripetermi che quei sentimenti erano sufficienti a spazzare via tutto il resto.

- Conosco da tanto tempo tua madre e non credo sia andata via per sempre. Da ciò che mi hai detto, rivedere il suo ex fidanzato l'ha profondamente scossa, credo che abbia bisogno di un pò di tempo per assimilare il tutto. Sono sicuro che tornerà a casa non appena si sarà schiarita le idee, non credi anche tu? E se proprio hai timore, potremmo andare a parlare con tua nonna, magari lei sa dove si possa trovare.- Al diceva quelle cose con una tale affermazione, che riuscì a persuadermi. Improvvisamente mi ritrovai convinto di quelle parole! Mia madre non era fuggita per sempre, mi ero comportato come uno sciocco.

- Hai ragione. Devo credere che tornerà da me non appena sarà pronta, perchè lei è diversa, non potrebbe mai abbandonarmi. Oggi dovevamo uscire, vuoi davvero passare la giornata da mia nonna? - Lui si voltò verso di me con fare ammaliante e mi prese per mano dolcemente.

- Non preoccuparti. Abbiamo tutta la vita davanti a noi per avere appuntamenti, ma la tua mamma è unica. Andiamo da nonna Fabrizia, lei saprà sicuramente aiutarci. - Avere Al al mio fianco era davvero confortante. Avevo dimenticato quanta forza sapeva darmi, quanto coraggio poteva infondermi.

- Grazie. - Mi preparai in fretta e, dopo poco, fummo fuori pronti a dirigersi verso casa di mia nonna. Era tanto che non la incontravo!

Lei non veniva mai a trovarci ed ogni volta che ci vedavamo, la mamma restava sempre fuori casa.

"Io e la nonna ci vogliamo bene, ma non andiamo molto d'accordo per ora." Lei dal canto suo era una forza della natura, ma non voleva parlare del suo rapporto con la figlia. Col tempo avevo imparato a capire di dover restarne fuori perchè quella era la loro vita, ma adesso mi chiedevo se il loro astio non fosse da ricollegarsi agli eventi passati.

La nonna viveva dall'altra parte della città, in una casetta piccola e fuori mano, ma ben arredata e sempre profumata di biscottini al latte. Da piccolo adoravo passare il mio tempo in quella casa, farmi coccolare da lei e dormire nella stanzetta che, una volta, era di mia madre. Uscimmo di casa in meno di cinque minuti e ci ritrovammo improvvisamente in strada. Sebbene la distanza che ci separava non era molta, sentivo la pesantezza di ogni passo. Il dubbio su cosa avrei trovato, su ciò che poteva sapere, era troppo.

- Stai tranquillo Coco, andrà tutto bene! - Mi rassicurò Al e strinse con più forza le dita tra le mie. Non appena arrivammo di fronte alla sua casa, iniziai davvero ad aver paura ma, con insistenza suonai al campanello.

- Chi è? - La voce di mia nonna rimbombò nell'aria.

- Nonna sono io, Colin. - Lei era l'unica persona che conosceva il mio nomignolo e che rifiutava di usarlo. La adoravo per quella accortezza. Aprì dopo poco la porta  e, notando la presenza di Al, sorrise e ci fece accomodare.

- Colin caro, ero davvero adirata con te perchè avevo saputo che eri tornato e non ti eri degnato di farmi visita, ma successivamente mi è stato spiegato la grave situazione della sorella di Alfonso ed ho capito. Sono contenta che alla fine siete venuti a trovarmi, mi sento molto turbata ultimamente. - La nonna abitava da sola da quando il nonno era passato a miglior vita, almeno 10 anni prima. Per lei è stata una grave e sofferta perdita ma, ugualmente, cercò di essere forte e mascherare, per quanto possibile, la sua estrema rabbia.

La casa era come la ricordavo, piena di oggettini piccoli e terribilmente fragili, ma anche calda e molto rassicurante.

- Nonna Fabrizia mi è mancata molto. Mia sorella sarebbe felice di vederla e quando tornerà dall'ospedale verremo sicuramente a farle una sorpresa. - Al aveva un rapporto molto aperto con mia nonna. Forse perchè lontano dai suoi parenti più stretti, era molto vicino ai miei e fin da piccolo, aveva mostrato il suo affetto per quella vecchina che lo rimproverava per ogni minimo rumore distratto.

- Come sta Sabrina caro? Non ho saputo gran chè da quelle pettegole delle mie amiche del circolo quindi credo che sia davvero una cosa grave. - In quel momento ringraziai che Al la conoscesse abbastanza bene da riuscire a capire i suoi modi di fare.

- Sta meglio, la ringrazio. Per fortuna mia sorella si sta riprendendo e presto verrà dimessa. Sono davvero molto contento! In ogni caso, anche se mi dispiace davvero ammetterlo, siamo qui per una ragione in particolare. Coco, credo che debba essere tu a parlare. - Mia nonna ci guardò per un attimo e sorrise.

- Oh, ma già lo so! Non c'era mica bisogno delle voci di paese per capire che vi volevate bene. Credo che me ne sia accorta quando portavate ancora i calzoncini e giocavate con le macchinine. Non dovete mica spiegarmi nulla! - Fu lì che mi sentii davvero pessimo. Ero davvero così facile da leggere che tutti si erano accorti che provavo dei sentimenti di amore verso il mio migliore amico. Persino mia nonna!

- Nonna, non siamo qui per questo motivo. Cioè è vero che ci vogliamo bene, ma ci sarà un'altra occasione per parlarne. - Lei smise di guardare Al e, intensamente, si concentrò sui miei occhi. - Questa mattina la mamma è scomparsa! - Lei si fece scura in viso. Succedeva sempre così. Ogni volta che la nominavo, lei diventava strana e cercava in tutti i modi di cambiare argomento anche se, per la prima volta, non evitò il mio sguardo.

- Me lo immaginavo, quella stupida! - "Lei sapeva qualcosa in più, sicuro!"

- Non preoccuparti Colin, tornerà presto a casa. Quella figlia, sebbene degenerata, non potrebbe mai separarsi da te. Ti vuole troppo bene per farlo. - Un improvviso senso di sollievo mi investì in pieno.

- Tu sai dove si trova? - Lei per un attimo mi fissò, decisa a mantenere salda la sua posizione.

- Anche se lo sapessi, credo che non sia giusto andare da lei. Penso che tua madre, più di chiunque altro, mi odi dal profondo del cuore ed è per questo che voglio mantenere almeno quel briciolo di rapporto, seppur carico di sofferenza. - Non capivo! Fino a quell'istante ero sicuro che fosse l'inverso ed invece scoprivo che non era la nonna adirata bensì mia madre.

- Nonna, devo sapere. Mi devi raccontare cosa sta succedendo perchè davvero credo che impazzirò. - Lei rimase in silenzio per tanto tempo, quasi un'eternità.

- Non posso raccontarti gli eventi passati, so che al momento giusto sarà lei a spiegarti ciò che accadde. Mi sento molto in colpa per averla abbandonata quando più di tutti aveva bisogno. A prescindere da ciò che aveva fatto, io non le sono stata accanto e questa cosa mi brucia ancora dentro. So che Isabella tornerà, quindi non preoccuparti figliolo e cerca di essere comprensivo quando lo farà. Credo che sarà in quel momento che, sicuramente, ti racconterà tutto e tu dovrai essere forte e starle vicino. Non commettere i miei stessi errori, altrimenti te ne pentirai con tutto te stesso. - Mi sentivo ancora più confuso ed amareggiato, ma di una sola cosa ero sicuro al cento per cento: l'avrei aspettata.

- Qualsiasi cosa sia, non potrò mai disprezzarla o additarla. Lei è la donna che mi ha cresciuto, che ha sempre creduto in me e che mi ha appoggiato anche quando le ho confessato di amare un altro uomo. Non potrei mai odiarla. - Mia nonna, con quell'odore leggermente acre, mi abbracciò forte a sè.

- Sono davvero felice di sentirtelo dire. Adesso ragazzi fuori da casa mia e uscite a divertirvi. Avete delle facce così pallide e scure, non va bene per niente! –

- Sarà fatto nonna Fabrizia, farò passare a Coco la migliore giornata della sua vita. – Noi ridemmo e, lentamente ci alzammo dal divano. In pochi minuti, avevo del tutto stravolto la mia opinione e le mie convinzioni. Prima di uscire, però, fummo fermati nuovamente.

– Ah Colin, dimenticavo quasi. La prossima volta porta pure quel tuo amico tanto simpatico con te. E’ tanto tempo che non lo vedo. – Rimasi per un attimo interdetto.

Nessuno dei miei amici era mai venuto a casa di mia nonna. Sebbene lei vivesse in città, non conosceva quasi nessuno dei miei compagni di classe, tralasciando ovviamente Al che mi seguiva sempre quando dormivo lì.

– Amico?! Di cosa stai parlando? – Lei, tutta indaffarata, si alzò dal divano e prese ad sistemare il tavolino del soggiorno, quasi non accorgendosi del mio stupore.

 – Quel ragazzino tanto carino. Mi ha aiutata a portare la spesa una volta e da allora è venuto spesso a trovarmi. Mi chiedeva di te dicendo che eravate amici ed ascoltava felice tutte le storie che gli raccontavo. In effetti ho sempre voluto chiederti di lui. Mi ha anche detto il suo nome ma, sai com’è l’età, credo di fare un po’ di confusione. Mi pare si chiamasse Simone o qualcosa del genere. – Mi irrigidii e sentii anche Al cambiare.

Non c’erano dubbi, la persona di cui parlava mia nonna era Sam, ma non riuscivo davvero a comprendere. Quando si erano conosciuti e perché le faceva visita?

– Forse intendevi Samuele. – La voce di Al era dura e forte ma, sicuramente, lei non se ne sarebbe accorta. Solo io riuscivo davvero ad accorgermene!

– Si, esatto. Mi manca tanto quel piccolo angelo. Fino a poco tempo fa veniva spesso, mi aiutava anche nelle faccende di casa, sebbene so che non dovrei approfittarne. Lui diceva di essere felice di potermi aiutare. Credo conoscesse anche te Alfonso, ma parlava sempre e solo del mio piccolo Colin. Che strano! – Il battito del mio cuore aumentò.

Possibile che non mi fossi mai accorto di nulla? Lui girava per le strade della città, veniva persino a casa di mia nonna eppure al nostro primo incontro non riuscivo neanche a sapere chi fosse. Iniziavo a credere che Sam fosse più presente nella mia vita di quanto potessi realmente credere.

– Nonna, credo che non verrà più a trovarti. Non siamo più così tanto amici adesso, in ogni caso se avessi l’occasione di rivederlo, gli porterò sicuramente i tuoi saluti. – Lei sorrise e sembrava soddisfatta della mia replica. Avevo un macigno dentro, pesante ed opprimente. Quando fummo fuori la porta, non sapevo cosa dire. Ero sicuramente sconvolto per quella notizia, ma non volevo farlo vedere.

– E’ impossibile! Credevo di essere io ad amarti di più, ed invece me la contendo davvero con lui. – Sebbene sembrasse sconvolto, vidi che stava lottando con tutto se stesso per evitare di dare peso a quella notizia.

– Mi dispiace Al! – In un solo scatto, mi strinse in un forte abbraccio e, senza preavviso, unì le sue labbra alle mie con forza e desiderio. Sapevo che ne aveva bisogno ma, una parte di me, non lo sopportava. Ci baciavamo spesso, ma quello non era la stessa cosa. Con quel gesto Al, voleva quasi marchiarmi a fuoco, come se fosse indispensabile che io restassi sotto di lui. Voleva dimostrare che ero suo e di nessun altro.

“Sono davvero suo?!” Non facevo altro che pensarci. Lo lasciai fare, finché non si staccò da me e notai con stupore quelle lacrime grosse e prepotenti che nascevano sui suoi occhi. Lo stavo ferendo come nessun altro! L’unica cosa che non volevo era proprio fargli del male! Perché dovevo aver incontrato Sam?! Per quale motivo non riuscivo a togliere dalla mia mente?

– Non posso vivere senza di te Coco! Ci ho provato ed è troppo difficile. – Al iniziò a piangere sommessamente. Sentivo a pelle il suo dolore e le sue forti cicatrici ma era difficile fare qualcosa. – Quando sei partito per Roma lasciandomi indietro senza neanche una parola, ho creduto di morire. Ho pregato per giorni e giorni tua madre di dirmi dove tu ti trovassi ma ha sempre asserito di non saperlo. Ero disperato! Quando ho sentito di non farcela più, sono venuto fin lì sperando di trovarti. Avevo preso la decisione di confessarti i miei sentimenti, ma quando ci siamo incontrato sembravi un altro. Ho sperato che ci fosse un perché e quando non sei venuto all’appuntamento ho capito di dover andare avanti senza di te. Inutile dire che è stato tutto inutile. Ho sofferto tremendamente la tua mancanza! Non voglio tornare a quel periodo, non sopporto di perderti per sempre un’altra volta. – Si fermò un attimo tirando su col naso. – Farò il possibile per riconquistare totalmente il tuo cuore. Aspetterò tutto il tempo necessario ma ti chiedo un solo favore. Se capissi di non riuscire ad amarmi pienamente, dimmelo! Voglio tutto di te, non posso sopportare di essere il secondo. Resterò ugualmente al tuo fianco, perché senza di te sono sicuro che impazzirei, ma in quel caso non avremo più seconde possibilità. Non riuscirei a farcela. – Io lo tenni stretto fino a quando i singhiozzi non si calmarono.

– Ti giuro Al che cercherò in tutti i modi di dimenticare, perché anche io voglio restare per sempre al tuo fianco. Ora ti prego, mi concedi il nostro primo, indimenticabile, appuntamento insieme? -

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Capitolo 21
*** Una giornata con te ***


-Mi concedi il nostro primo, indimenticabile, appuntamento insieme? – Al non se lo fece ripetere due volte.

Con gli occhi ancora umidi, mi prese forte per mano prima di correre verso il niente. Non sapevo dove stesse andando, né perché avesse tanta fredda o almeno, non ancora. Mi accorsi solo in quel momento che, a differenza mia, lui aveva programmato nel dettaglio quella giornata.

Non passò molto da quando, col fiatone, arrivammo a destinazione: il parco dove avevamo giocato così tanto.

L’altalena, un po’ sgangherata e lo scivolo con su scritte frasi da ragazzini innamorati. Il cavalluccio a molla ed il reticolo di corde dove mi attorcigliavo sempre, era tutto come lo avevamo lasciato. Sebbene passassi spesso di lì, erano anni che non ci mettevo piede.

Mi accorsi che, appoggiato ad un sedile, c’era un piccolo cesto in vimini verso cui Al si avvicinò.

– Lo avevo preparato prima di venire da te, non volevo che capissi ciò che avevo in mente quindi l’ho lasciato qui prima di venire a prenderlo. Spero che non si sia rovinato nulla.- Sembrava un po’ imbarazzato, con i piedi tamburellava nel terreno.

– So che non è nulla di chè. All’inizio avevo pensato di portarti a mangiare in qualche bel ristorante, ma non siamo noi. Qui è dove è partito tutto ed ho pensato che se proprio dobbiamo ricominciare, perché non ricominciare proprio da qua?  – La panchina era la solita in cui ci ritrovavamo a sdraiarci esausti dopo le solite partite al pallone, così ricca di ricordi che quasi mi faceva venire da piangere. Sentii gli occhi gonfiarsi pronti ad esplodere ma mi trattenni.

– Stronzo! Così mi farai sembrare una ragazzina che si emoziona per tutto. -  Mi avvicinai a lui e gli diedi un leggero colpo col pugno sulla spalla destra ed, insieme, scoppiammo a ridere.

– Non mi dire che ti sei dimenticato il pallone a casa. – Il volto di Al si arrossì leggermente e fu lì che, per la prima volta dopo tanto tempo, scoppiai a ridere di cuore.

Fu come liberarmi da un grosso peso.

– Stupido, vado a prenderlo subito. – Al si voltò ed è stato in quel momento che mi avvinghiai a lui, stretto in una morsa d’acciaio.

– Grazie. –

Sussurrai e restammo per un po’ in quel modo. Lui immobile ed io stretto alla sua schiena calda e piena. Avevo quasi dimenticato quelle emozioni.

Il batticuore che sapeva darmi, la dolcezza infinita delle sue continue attenzioni. Stavo buttando tutto all’aria e per quale ragione?

Non ero neanche sicuro dei miei sentimenti per Sam!

Restammo in silezio per un po’, il tempo che il mio cuore si ricaricasse. Al corse a casa ed in un battito di ciglia tornò indietro con quella palla sgangherata ed impolverata che avevamo consumato nel tempo.

– Lo sai che non riuscirai nuovamente a battermi vero? Non capisco perché ti ostini ancora a provarci, Coco! – Sapevo bene che non avevo speranze, ero una frana nei giochi di società o in qualsiasi gioco in realtà.

Non ero bravo neanche nei solitari!

Eppure avrei sempre provato a batterlo. Sentivo che prima o poi ci sarei riuscito, avrei conquistato quella vittoria. Non sapevo che c’ero già riuscito facendolo innamorare di me. Giocammo in quella base impolverata dei ricordi, sporcandoci i vestiti buoni che avevamo indossato per un appuntamento “romantico”, ma forse neanche ci importava.

Dovevamo rinascere partendo da quello perché era lì che eravamo imbattibili. Passarono ore prima che, ovviamente, ci sentissimo stanchi e troppo sudati per continuare. Ad un certo punto mi gettai a terra, stremato e sfinito per quel duro confronto che, decisamente, aveva visto Al come vincitore.

– Non sono più abituato a queste cose. – Al venne verso di me e mi porse la mano.

– Lo vedo, ma devo ammettere che ti impegni sempre al massimo. – Mi alzai grazie al suo aiuto e ci andammo a sdraiare nella panchina. Al mi passò una bottiglietta d’acqua che buttai giù in un solo sorso.

– Cazzo, ci voleva. – Poi prese il cestino in vimini e lo aprì mostrando tanti tramezini e frutta fresca. Si era davvero impegnato.

– Prendi. Lo sai che non sono eccezionale in cucina. So fare solo queste miserie, ma non osare lamentarti. Le ho fatte pensando a te. – Presi il primo con il tonno e lo divorai letteralmente. In quel piccoli bocconi, c’era racchiuso tutto l’amore che Al provava per me e mi sentii terribilmente lusingato. Lui c’era!

– Sono buonissimi! Puoi considerarti il re dei tramezini! – Ridemmo ancora.

Mangiammo tutto con voracità e gustammo lentamente la frutta dolce.

– Al, sin da quando mi hai confessato il tuo amore mi chiedo sempre una cosa. Quando l’hai capito? Cioè io non me ne sono mai accorto! – Lui stava mangiando ancora uno spicchio di arancia mentre, genuinamente, rispondeva alla mia domanda.

– Credo di aver sempre sentito di provare dei sentimenti per te, ma sono riuscito ad accettarlo con me stesso solo dopo averti visto baciare con Sabrina. Oddio che rabbia che ho provato in quel momento! Credevo di morire. – Io non mi ero accorto di nulla. Come ero stato cieco! – Non so se ti ricordi. Quel giorno che vi siete baciati di fronte la classe, prima della lezione di chimica, io vi ho visti. Nei giorni seguenti non volevo parlarti, così ti dissi che dovevo studiare per il compito di matematica, non era vero! Non sapevo come affrontarti né cosa dire. Ho dovuto accettare con me stesso che ti amavo ed è proprio lì che le cose si sono complicate. Una parte di me voleva supportarti ed esserti amico, l’altra si disperava perché sapevo che non saresti mai potuto essere mio. E’ stato davvero un brutto periodo! – Lui provava le mie stesse emozioni e paure.

Tutto ciò che ho patito io, era stato attraversato anche da lui. Se solo fossimo stati più sinceri prima, come sarebbero cambiate le cose?!

– E tu invece? Quando hai capito di non essere interessato alle donne? – Quando?! Ci pensai un po’, cercando di mettere in ordine i miei sentimenti prima di rispondere.

– In realtà non è che preferisco gli uomini. – Vidi gli occhi di Al strabuzzare per la meraviglia ed in fin dei conti non gli davo torto.

– Ehm, non so se ti sei accorto ma sei fidanzato con uno di loro. – Io risi e gli lanciai un pezzo di arancia.

– Fin dalla prima volta che ti ho visto, ho capito che tu eri speciale. Non ti amo perché sei un uomo, saresti anche potuto essere una donna, un cane o un elefante, ti avrei amato ugualmente. Il mio primo pensiero quando ti vidi la prima volta fù “resteremo per sempre insieme” non so perché, ma sentivo che eravamo legati intimamente. Quindi è dal nostro primo incontro che so di amarti con assoluta certezza! – Al divenne rosso come un peperone e, quasi si strozzò. Si avvicinò a me e mi abbracciò forte.

– E’ la cosa più bella che qualcuno mi abbia mai detto! Ti amo così tanto Coco, ti prego, non lasciarmi mai! – I nostri sguardi rimasero incollati per un tempo indefinito.

– Smettila di guardarmi! Sono un ragazzo timido io. – Mi alzai con le poche forze rimaste e lo invitai a fare lo stesso. – Andiamo a casa. Sono tutto sudato ed ho davvero bisogno di un bagno caldo. – Non so se si possa davvero considerare un appuntamento.

Non c’era la stessa atmosfera che si era creata con Sam, era qualcosa di diverso ma ugualmente intenso. Non ero abbastanza lucido per capire quale dei due fosse il meglio per me. Volevo sentire la presenza di Al in me, sapere che mi amava così tanto.

Con fare lascivo lo invitai in casa e dentro la doccia. In quel momento non c’era un ragazzo innamorato che vuole fare l’amore con il primo amore di una vita, ma solo un’anima disperata che ha bisogno di conforto. L’acqua calda che scrosciava nei nostri corpi, il suo respiro profondo su di me, il dolce dolore del suo ritmo dentro di me mi impediva completamente di pensare ed era ciò che davvero volevo.

Il telefono squillò ma il getto dell’acqua ne coprì il suono. Se avessi risposto a quella chiamata cosa sarebbe successo?

Numero anonimo.

C’era forse mia madre dall’altro capo della linea o probabilmente era solo uno sbaglio. Non potrò mai scoprirlo, ma in me sento che era davvero qualcosa di importante.

Al dormì a casa mia.

Entrambi non avevamo nessuno che ci aspettasse, nessuno da dover avvertire o da cui nasconderci.

– Hai intenzione di andare al funerale domani? – Mi chiese d’improvviso.

– No! Farei un torto a mia madre se mi ci presentassi. – Era una fottuta bugia.

L’ansia mi ucciedeva.

Una parte di me era curiosa di sapere, l’altra aveva timore di incontrare nuovamente Sam. Come avrei reagito? I sentimenti che stavo cercando di accantonare e distruggere per sempre, sarebbero esplosi nuovamente.

– Se cambiassi idea, sappi che io verrei con te. Non ti lascerei mai solo in queste circostanze. – Abbracciati alle lenzuola, guardai il soffitto immobile e, lentamente, scivolai nel sonno.

I miei sogni furono inquieti.

C’era mia madre che piangeva ed io, trasparente, non potevo sorreggerla mentre cadeva. Non era solo un brutto incubo, io ero davvero in quel modo: inutile ed incapace di restarle accanto! Mi risvegliai con il rumore sordo del campanello.

Il sole non era ancora sorto quando aprii gli occhi. Il suono era così insistente che, controvoglia, mi alzai cercando di non barcollare. La mia mente era vuota, incapace di formulare alcun pensiero. Stavo ancora galleggiando nel mare incontrollato del limbo quando presi per mano la maniglia della porta.

L’uomo che avevo di fronte a me era in divisa ma ciò che capitò dopo fù così irreale che non misi subito a fuoco di chi si trattasse. Solo dopo mi accorsi che era un agente di polizia e che non aveva belle notizie da darmi. La voce di quell’uomo era come sfocata.

Parlava ma già ai primi suoni, iniziai a perdermi non assimilando le sue informazioni.

– Buonasera Colin, mi dispiace disturbarti a quest’ora della notte ma c’è stato un piccolo incidente… - Conoscevo quell’uomo fin da piccolo ma, istintivamente, non riuscii a seguire più le sue parole. Ciò che appresi furono solo alcune parole “ incidente d’auto” “ospedale” “prognosi riservata”.

Non mi accorsi neppure che Al, che avevo lasciato nel letto a dormire, mi aveva raggiunto, né che iniziò a tenermi forte la mano per evitare che crollassi.

Tutto si fece lontano, tremendamente distante da me.

– Mia madre è in ospedale? – Riuscii solo a sillabare.

– Mi dispiace dovertelo dire. Un’auto l’ha investita in pieno, è in coma in questo momento. Sarebbe utile se venissi con me, ti accompagnerò da lei. – Improvvisamente quella chiamata che avevo perso, divenne importante.

Immaginai un universo parallelo in cui io riuscivo ad arrivare a rispondere. Mia madre che rispondeva alla chiamata ed io che riuscivo a convincerla a tornare  a casa. In quella realtà alternativa, lei non finiva in coma.

Sicuramente non era successo nulla di tutto ciò! Mi ero alienato così tanto in quella realtà immaginaria che non mi accorsi neanche di come fossi giunto nella sua stanza, osservando il suo corpo pieno di cicatrici attaccato ad una macchina.

Ciò che mi importava era solamente vivere in quella piccola bolla di sapone in cui lei era ancora insieme a me, niente aveva più importanza.

“– Piccolo mio, andiamo a fare la spesa insieme? - - No mamma, sono ormai grande. -”

Il mio corpo era aptico. Non riuscivo a piangere, né a mostrare alcuna emozione perché io in realtà non ero neanche lì. Non facevo parta di quei momenti dato che la mia mente navigava per i fatti propri.

Avevo bisogno di scappare.

Sono solo un vigliacco che si è rifugiato nel tuo amore per cercare un conforto al mio cuore. Ho provato ad usarti, ma nonostante tutto so che non potrai mai odiarmi così come anche io non ci riesco nei tuoi confronti.

Desidero essere più forte, per questo non posso incontrarti.

Un giorno ti chiederò davvero perdono ed in quel momento forse potremo ricostruire una vita insieme, ma quella data è ancora molto lontana.

Molto, molto lontana.

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Capitolo 22
*** Il funerale ***


I momenti che seguirono si confondono ancora nella mia mente.
E’ come se i minuti fossero troppo lenti mentre io, immobile, aspetto una notizia che non mi piacerà. So che Al era al mio fianco, ma non sentivo né il suo calore, né il suo conforto.
Ero in trance.
Non esisteva nulla dentro di me, perché mi ero praticamente svuotato. Il dottore ogni tanto veniva da noi, qualche parola di conforto e un invito a lasciare l’ospedale, ma come potevo farlo? Non avevo la forza necessaria per muovermi, né il desiderio di essere altrove. Improvvisamente mi ridestai dal mio sonno con un’unica certezza: io devo sapere cos’è successo!
– Al, io voglio andare al funerale. – Lui mi guardò solamente, come conscio di quel mio desiderio recondito e mi strinse più forte la mano.
– Ci andremo insieme. – Io annii.
Avevo bisogno di trarre a me la sua forza, come una sanguisuga che non può fare altro che servirsi del suo calore. Ero così, purtroppo ed anche adesso me ne vergogno.
Il viaggio fino alla parrocchia fu lento e devastante. Cosa ci avrei trovato? Sicuramente avrei rivisto Sam e Leo, ma non ero sicuro di ciò che avrei provato in quel preciso istante.
Dopo aver saputo di Leo, dopo le sue parole, come potevo presentarmi a quel funerale? E Sam, che faccia avrebbe fatto nel rivedermi? Mi tremava il cuore e sentivo in me un calore sconosciuto che non provavo da tanto tempo.
La chiesa la vidi da lontano, non era un monumento sfarzoso, ma decisamente faceva la sua figura. Fuori vidi un grande striscione fuori che annunciava il funerale del Signor Colin Bergi. Mi fece uno strano effetto vedere il mio nome a grandi caratteri in quella circostanza.
– Ci siamo, forse adesso saprò qualcosa in più. – Sussurrai lentamente. Entrammo che la funzione era già quasi al capolinea, ma non era la messa che mi interessava. Restammo indietro, come aspettando che finisse il tutto e da lì, potei guardare indisturbato le prime file. C’era molta gente ma di certo non era una folla gremita.
Vidi il padre di Sam al centro, circondato da una figura femminile che immaginai fosse la madre di Leo,bionda e bellissima. Lateralmente vidi la figura altisonante di Leo e, quasi impacciato Sam. Li vidi di spalle,ma sapevo per certo che fossero loro.
– Fratelli diciamo addio al caro professor Bergi, una persona fedele e religiosa che ha dedicato la sua vita ai suoi allievi ed alla sua splendida famiglia. Preghiamo. – Il silenzio era qualcosa di forte, sgradevole. – La messa è finita andate in pace. – Tutti si alzarono e fu in preciso istante che Sam, voltandosi, incrociò i miei occhi.
Non riuscii a credere alle emozioni che provai in quel breve e fuggente attimo. Fu come un mare in tempesta! Sebbene amassi da sempre Al, sapevo che non avevo mai sperimentato quel batticuore funesto.
Sembrò quasi che tutto il resto non esistesse più, il resto delle persone si era eclissato mentre lui mi fissava triste. Sentii quasi la sua voce rotta dal pianto, i suoi dolci gemiti di dolore per la perdita di suo nonno. Non lo avevo considerato. Non volevo sentire quelle emozioni, non più. Mi accorsi solo dopo che anche suo padre, che si era voltato nella nostra direzione, ci stava osservando. Fu lui ad avvicinarsi, con passo lento ed incredibilmente sottile. Arrivò da me come un’ombra, un passo felino ed invisibile.
– Non pensavo di vederti qui. Sono contento che hai accettato di presentarti, anche se speravo che ci fosse anche tua madre. Lui ne sarebbe stato contento. – Io, che fino a quel momento avevo mantenuto il contatto elettrico con Sam, mi voltai verso la sua figura alta ed atletica.
– Mi dispiace comunicarti che mia madre è in un letto di ospedale in questo momento. Anzi… forse ne sei anche più felice. So che la odi. – Ciò che lessi però, fu tutt’altro.
– Cos’è successo ad Isabella? – Per la prima volta sembrava davvero preoccupato. Quasi triste.
– Ha avuto un incidente, un’auto l’ha investita mentre cercava di attraversare la statale 86. Credo che stesse cercando di scappare, ma non ho idea di dove volesse andare né il perché della sua fuga. Per questo sono qui. Mi devi spiegare perché questo funerale l’ha sconvolta tanto ed anche il motivo per cui piangeva così tanto dopo averti incontrato. Io devo sapere la verità altrimenti finirò per impazzire. – Lui mi strinse la spalla amareggiato.
Dov’era l’uomo che mi intimava di uscire dalla casa di suo figlio? Dov’era quella persona adesso? Sentivo una forte dolcezza ma non ero sicuro di poterla accettare.
– Ti dirò tutto, ma prima fammi seppellire mio padre. Verrai con noi? – Io annuii e aspettai che la bara uscisse dalla chiesa. Insieme la portarono sull’auto e camminammo in silenzio verso il cimitero. Io mi trovavo in centro al corteo, davanti l’uomo che odiavo ed i suoi figli, i miei amici più vecchi. Accanto a me c’era Al che evitava ogni parola.
Sapevo che avrei dovuto evitargli quella sofferenza. Non avrei dovuto portarlo con me, perché stava soffrendo più di tutti, ma il mio egocentrismo vinse ancora. Così come quando lo lasciai andare via senza di me, dandomi la possibilità di capire i miei sentimenti, di nuovo stavo agendo per mio solo interesse. Passò così anche quel momento così triste.
Arrivammo al cimitero, salimmo verso la tomba della famiglia Bergi ed aspettammo che venne sigillato al “suo posto”. Chissà poi se fosse quello giusto. Dopo ciò molti se ne andarono in lacrime, altri si strinsero ai familiari per gli ultimi saluti, solo io ed Al eravamo in disparte.
Lui si voltò dalla nostra parte e solo dopo che quasi tutti fossero andati via, venne da noi. Sam e Leo non osarono venire da noi, sapevano che non dovevano intromettersi eppure avrei tanto preferito la loro vicinanza. Quella lacrima sul viso di Sam non mi preannunciava nulla di buono, perché sapevo che sarebbe venuto da me. Se la colpa non fosse di mia madre, lui sarebbe stato al mio fianco.
– Ti ringrazio ancora di essere venuto, spero mi permetterai di venire a trovare tua madre, ma forse lei non vuole neanche vedermi. – Lui sorrise leggermente, ma di un sorriso triste e vuoto.
– Hai promesso di dirmi tutto. Fallo! – Mi intimò di seguirlo e così feci. L’aria era frizzante e leggermente fresca, quasi da pungermi il viso.
– Sai, mio padre era l’insegnante di tua madre alle scuole superiori. E’ così che ci siamo conosciuti. Lei aveva delle insufficienze in tutte le materie tranne la matematica, ciò che insegnava mio padre. Lui aveva una forte stima di Isabella tanto da chiedermi di aiutarla con lo studio. Ben presto però capii che tua madre stava diventando per me qualcosa di più di una semplice studentessa a cui dare ripetizioni. – Si interruppe un attimo. – Isabella era bellissima a quel tempo, ma anche terribilmente innamorata di un altro uomo: mio padre. Più passava il tempo più mi innamoravo così mi dichiarai a lei e scoprii che anche lei stava iniziando a provare gli stessi sentimenti per me. Fu lì che presentai tua madre al mio migliore amico. Non la presentai come un ragazza qualsiasi ma come la mia ragazza. Credo che quello fu il momento più bello della mia esistenza, qualcosa che non credevo possibile. Dentro di me però avevo sempre paura, non so perché. Sentivo che non potevo competere contro mio padre perché lui era una persona meravigliosa mentre io un umile ragazzino che si crede forte e desiderabile. Ebbi la possibilità di entrare in un college americano, ma non volli accettare. Sentivo di dover restare con Isabella perché quello era il mio destino. – Si fermò a riprendere fiato.
 – Tu amavi mia madre? – Lui annuì come un ebete, guardando chissà dove tra le lapidi.
– Capii solo dopo che Isabella mi spinse ad andarmene. Ero così stupido da credere che mi avesse tradito eppure ero solo così ingenuo. Tua madre chiese al mio migliore amico di baciarla, perché sapeva che lui lo avrebbe fatto. Non riuscii a reggere così me ne andai. Presi la mia roba e mi trasferii in America, mentre lei ricominciava la sua vita da sola. Credevo davvero che non mi amava, ne ero convinto, ma ero solo uno stupido, un vero stupido. Poi trovai Ramona ed inizia a vivere un nuovo tenero amore. Un amore diverso ma pur sempre amore, credo. La mia attuale moglie è una donna forte ed autoritaria, sa cosa vuole e questo lo ha trasmesso a Leonardo, nostro figlio. Era piccolo quando venni a trovare mio padre nuovamente, e dopo tanto tempo incontrai tua madre. Era diventata una bellissima giovane donna, ma ancora nutrivo quel leggero rammarico verso di lei. Credevo che si fosse sposata, probabilmente col mio migliore amico ed invece era rimasta per tutti quegli anni da sola. In quel momento capii e divenni fragile. Mi riavvicinai a lei sperando forse di colmare quel vuoto che avevo creato. Volevo lasciare tutto, restare al suo fianco e creare una nuova famiglia con lei, ma avevo frainteso tutto. Tua madre non era sola, forse non lo era mai stata. So che è difficile da accettare e forse non ci riuscirai mai. La trovai a letto con mio padre, l’uomo che stimavo e che adoravo sotto ogni punto di vista. Tu non sei il frutto dell’amore tra tua madre e tuo padre, ovvero il mio migliore amico che mi tradì alle spalle, tu sei mio fratello! – Spalancai gli occhi, non era possibile, vero?
Improvvisamente tutte le parole che mi vennero dette, ogni sguardo ogni immagine andò al suo posto. Mia nonna che non era rimasta al fianco di mia madre, i vicini che ridevano sotto i baffi vedendomi, tutto andava chiarendosi come un puzzle.
– Non è possibile! – Dissi indietreggiando.
– Mi dispiace Colin. Tu hai il suo stesso nome perché sei suo figlio. Il tuo vero padre così come il mio è appena stato sotterrato. Mi dispiace di non averti mai detto nulla, forse avresti potuto conoscerlo meglio. Non ti ho mai accettato come fratello, ma adesso che lui non c’è più, non riesco ad odiarlo così come non posso odiare te. Sarà difficile, ma spero che potrai perdonarmi. – Non potevo più sentire.
Non era vero! Non potevo essere suo fratello, non potevo aver amato mio nipote!
– No! Tu menti! – Dissi solamente e, separandomi dalla mano di Al, corsi più lontano possibile da tutto.
Volevo annientami, indietreggiare per poi sparire. Fino a quando rimasi solo, con la mia disperazione ed il mio rimpianto.

NOTA AUTRICE: mi dispiace tanto non aver più pubblicato altri capitoli della storia da secoli. Purtroppo ho avuto grossi problemi che me lo hanno impedito. Spero che sia rimasto qualcuno a seguire la storia se così non fosse pazienza continuerò a scriverla almeno per darle una fine perchè davvero adoro questa piccola e complicata storia tra Coco Al Sam e così via. Per chi non ha mai letto vi prego iniziate e fatemi sapere cosa ne pensate grazie mille e per chi la seguiva con interesse SCUSATEMIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIII

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Capitolo 23
*** Smidollato ***


Brrrrrr….. brrrrrrrrrr …

 Lo squillo incessante del telefono mi innervosiva. Ero scappato via da tutto e da tutti, volevo stare solo e quell’aggeggio non me lo permetteva.

Una parte di me voleva liberarsene, lanciarlo lontano o addirittura romperlo in mille pezzi. Mi avrebbe fatto bene, eppure desistii.

Sapevo bene che Al mi stava cercando, anche senza guardare lo schermo del telefono. Mi aveva seguito dopo la mia corsa, ma non riuscii a restargli accanto. Sentivo i suoi passi verso di me, ma accelerai ancora di più, coscientemente.

Dovevo capire fino in fondo se ciò che il signor Bergi mi aveva detto fosse la verità oppure no, e per farlo dovevo essere da solo. Vagai senza meta, evitando le strade che percorrevo di solito proprio per restare solo. Andai involontariamente da lei, l’unica che conosceva una parte di verità. La trovai in casa, come al suo solito, e quando mi vide capì subito.

– E’ vero? – Chiesi io. Mia nonna rimase in piedi, di fronte la porta in silenzio prima di invitarmi ad entrare.

– Ti dissi di essere comprensivo e credere in tua madre, ma forse non sei ancora pronto. – Rispose sommessamente, ma cosa significava veramente?

– Tu le credi? Dimmelo onestamente. – Mi fece accomodare in casa con fare molto mansueto, il volto triste e segnato dall’età.

– Sai piccolo mio, io non capisco bene i sentimenti di mia figlia, ma so una cosa con sicurezza. Lei ha sempre e solo amato un uomo nella sua intera vita. Se mi avessi chiesto tempo fa chi fosse, forse ti avrei dato la risposta sbagliata, ma attualmente credo di aver capito davvero cosa le passasse per la testa. Penso che anche tu debba trovare la tua personale risposta, senza che io o qualcun altro debba interferire. Se vuoi però, posso raccontarti meglio cosa accadde, dirti ciò che Lui non sa e darti modo di vedere tutto dalla prospettiva migliore. – Io annuii e le presi la mano pronto ad ascoltare il suo racconto.

– Isabella non era una ragazza stupida, ma odiava la scuola. Non aveva molte amicizie, ci andava controvoglia e si impegnava solo nello studio della matematica, il cui professore era il Signor Bergi. Fu grazie a lui che conobbe suo figlio; Reynold. Vidi tua madre trasformata grazie al suo incontro. Da timida ed introversa,divenne solare e piena di vita, ma fu proprio in quel periodo che scoprii la cotta che aveva per il suo insegnante. Non ci diedi peso, inoltre aveva conosciuto un ragazzo della sua età e credevo davvero che fosse solo una breve fase della sua vita. In breve si fece altre amicizie tra cui il suo futuro marito, Riccardo. – Fece una piccola pausa, forse per raggomitolare le idee, prima di riprendere il suo racconto.

– Ricordo ancora il giorno in cui mi racconto’ di essersi fidanzata proprio con Reynold, aveva una strana luce negli occhi, quella che ho sempre creduto fosse amore. Poi, però, come ogni fiaba, anche la sua si scontrò con la dura realtà. -

Lei capì di essere un peso per Reynold! Lui aveva una prospettiva di vita così entusiasmante di fronte a sé che Isabella non riuscì a fermarlo. Non voleva che fosse quel loro rapporto la causa della fine di ogni cosa. Così arrivò il momento per lei di dirgli addio. Pianse molto piccolo mio, così tanto che credevo davvero che avesse versato ogni lacrima del suo piccolo e fragile corpicino. Poi il tempo passò.

Non sentii più nominare il Professore o nemmeno Reynold. Tua madre studiò e divenne una bellissima donna. Continuò a frequentare Riccardo, sembrava davvero che tra loro potesse nascere qualcosa. Non mi accorsi di nulla, non sapevo neanche che una volta a settimana si incontrava con il Professor Bergi, né che stava cambiando.

Reynold tornò e subito la sicurezza che la contraddistingueva si affievolì.  Non so cosa accadde realmente, ma ci fu quel brutto scandalo. Lui disse di aver trovato suo padre a letto con la nostra Isabella, ed io non ebbi la forza di proteggerla. Lei venne accusata da tutti, emarginata e sola non le restò niente a cui aggrapparsi, tranne tuo padre. L’unico che le credette fu lui, così scapparono quella notte stessa. Tua madre partì con Riccardo chissà dove e per mesi e mesi non seppi nulla di loro due. – Si vedeva che soffriva nel parlare.

– Se non le avessi detto quelle cattiverie, forse le cose sarebbero andate diversamente. Forse non sarebbe fuggita in quel modo facendo confermare così le malelingue. Dopo 9 mesi arrivasti tu. In paese tutti dissero che tu fossi il figlio illegittimo di Bergi, ma tua madre lo negò sempre con forza, anche dopo essere tornata a casa. Il nome che scelse per te non aiutò a fermare i pettegolezzi, ma almeno riuscì sempre a tenerti tutto nascosto, per proteggerti.. – Una piccola lacrima si appoggiò alla sua guancia smagrita.

– Adesso non mi importa più di chi sei davvero figlio, anche se io voglio credere in tua madre. Ciò che non feci anni fa, adesso penso sia possibile per me. Le voltai le spalle ferendola più di tutti al mondo perché io sono sua madre. Cosa vuoi che abbia pensato quando proprio chi l’ha fatta nascere, non le abbia creduto? Ho perso mia figlia per delle stupide chiacchiere. Tu pensi davvero che tua madre ti abbia mentito in tutti questi anni? Conosci meglio di me quella donna, dovresti rispondere benissimo a questa domanda. – La possibilità di sbagliare a giudicare mi atterrì.

Mia madre aveva sofferto per la separazione da Reynold, che questo l’abbia spinta nelle braccia di suo padre? E se invece fosse stato tutto uno strano e misterioso equivoco?

Se davvero…

Eppure c’era così tanto da assimilare, così tanto da capire. Un leggero bussare alla porta mi fece trasalire.

– Nonna… - Lei capì. Sapeva che non ero pronto così mi fece segno e sparii dietro la porta.

– Oh, sei tu. Sentivo che saresti tornato a trovarmi. – Da quell’angolazione non riuscivo a vedere chi fosse, ma sentii uno strano calore dentro di me.

– Mi dispiace nonnina – disse la voce – ti ho sempre mentito in questi anni. –

Sam!

– Lo so. L’ho sempre saputo piccolo e forse è per questo che ti ho sempre fatto restare di più e ti ho raccontato tante cose su di lui. Nei tuoi occhi c’era tutto stampato a lettere cubitali. – Ci fu del silenzio.

– Non le ho detto tutto nonnina. Ho sempre avuto paura che lei mi avesse cacciato via se avesse saputo chi ero in realtà. Io… - Sam aveva la voce rotta dal pianto. Fui tentato di uscire e rivelare la mia presenza quando mia nonna mi spiazzò.

– So che sei suo figlio. Anche se sembro una stupida vecchina, ho le mie doti nascoste e poi gli somigli così tanto. Non devi chiedermi scusa, né dispiacerti. Tu sei stato un conforto per me e sapere il bene che provavi per mio nipote mi ha sempre riscaldato il cuore. Confesso che speravo che ti trovasse per primo, che capisse che tu lo continuavi ad osservare in silenzio, ma Coco è sempre stato così sbadato. – Sentire quella conversazione mi straziò il cuore.

– Nonnina, io non credo alle voci su mio nonno e sua figlia. Non c’era a quel tempo, è vero, ma io credo fermamente che la mamma di Coco abbia amato più mio padre, il suo trovarsi in quel letto ha un’altra spiegazione, ne sono certo. – La nonna non rispose. Da quell’angolo non potevo sapere che la nonna lo avesse accolto tra le sue braccia, né che lui stava piangendo come un bambino.

Il cuore mi si fermò alla gola; faceva male da morire.

Anche dopo che lui uscì di casa, quando sentii i passi di mia nonna avvicinarsi, non potei fare a meno di restare in quella posizione, agonizzante e in preda al panico.

– Perché non me lo hai detto? Quella stupida battuta su Sam l’altro giorno, era solo per farmi del male? – Avevo paura di sentire la sua risposta.

– Non dire idiozie! Volevo solo capire se lo avessi incontrato, se finalmente avessi scoperto la sua presenza. Quel ragazzo ti ama da impazzire Coco… -

- BASTA! Non anche tu! Non chiamarmi così! Io sono Colin, lo sai! – Stavo urlando. Non lo avevo mai fatto di fronte a lei eppure mi trovavo lì e la stavo sgridando come uno stupido.

– So che mi ama, lo so benissimo e… - anche io lo amo. Non lo dissi! Le parole erano difficili da pronunciare.

– E’ fragile Coco, molto fragile. – Lo so! Pensai. Lo so anche io che è debole e ferito.

– Ti ha sempre guardato, anche se tu non ricordavi nulla di lui. Era così attento a sentire gli aneddoti della tua vita da farmi tenerezza. Ho sperato che anche tu ti innamorassi di lui, ma so che è crudele da parte mia. –

- No nonna, non dire più nulla. Ti prego, lasciami solo. – E’ così che volevo stare: solo!

Non c’era altro che desideravo e così fù. Presi ciò che potei, misi l’essenziale in valigia ed uscii di casa.

Un solo bacio sulla fronte e via, non c’ero già più.

Già lo so! So di essere un codardo ed un vigliacco ed anche io odio tutto questo.

Non posso permettere a questa parte di me di prendere il sopravvento ma è ciò che non posso controllare. Già prima abbandonai Al, poi respinsi quei sentimenti per Sam ed ancora il ritorno al calore familiare che poteva darmi un amore sicuro e confortevole ed adesso l’abbandono. Mi odio e continuerò così fino a quando non avrò il coraggio di tornare e prendermi le mie responsabilità, ma già so che in quel momento, proprio in quell’istante, avrò perso tutto.

 

Tre mesi dopo

 

Sono passati tre mesi da quando presi il primo treno alla stazione e fuggii in cerca di chiarezza mentale e fisica.

Mia nonna rimase l’unico appiglio al mio passato. Il tempo vola in fretta quando si viaggia ed io rimasi ben poco in un solo luogo.

– Come sta la mamma? – E’ l’unica cosa che chiedevo nelle mie telefonate giornaliere. Passò qualche giorno dopo che lei si svegliò.

Al suo fianco trovò proprio la nonna e forse questo fu il regalo più grande che potessi farle. Non so cosa accadde quando si rividero, ma sono sicura che vennero versate molte lacrime. Sapere che erano insieme mi diede forza.

Ogni tanto parlai anche con lei, mi chiese molto ma io dissi il meno possibile. Volevo chiarezza, ma non era il momento adatto. La nonna aveva ragione: prima di affrontarla dovevo sapere da che parte volevo stare.

– Al chiede spesso di te. Non si da pace da quando sei sparito. – Lo sapevo, ne ero consapevole, ma in quello stato era inutile restare al suo fianco: non se lo meritava.

Più maturo, presi quell’ultimo treno, quello che mi avrebbe rispedito a casa, ad affrontare la vita finalmente a testa alta.

Non ho mai avuto paura, è solo il coraggio che mi è mancato! Perdonami per averti fatto attendere.

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Capitolo 24
*** 20.5 Tra le pagine di un libro, una lettera di scuse ***


Caro Reynold,

So di averti deluso più di tutti al mondo, ma so pure di non avere il coraggio di spiegarti pienamente le mie azioni, per questo ti scrivo questa lettera. Anche se subito dopo aver posato la penna strapperò questi fogli in mille pezzi, penso che dirti ciò che successe sia la cosa più logica per alleviare le mie sofferenze ora che la salute va peggiorando.

Sono sempre stato un umile insegnante di matematica, non potevo credere alla fortuna che mi capitò nella vita: avere un figlio come te, studioso e ricco di ingegno, è l’orgoglio più grande che potessi sperare. Sapevo però che qualcosa ti mancava, ma non avrei mai pensato che ciò sarebbe stato allo stesso tempo la tua ricchezza e sfortuna.

Se avessi minimamente capito, mi sarei fermato ancor prima di provarci, te lo giuro. Quando ti chiesi di seguire Isabella nello studio, avevo tutte le migliori intenzioni.

Avevo capito da tempo che quella povera ragazza, vittima quotidianamente di bullismo, continuasse a venire a scuola per quella futile cotta che provava nei miei confronti. So che ti sembrerà sciocco, ma avevo davvero paura che se avessi bloccato quello sfogo, avrebbe potuto metter fine alla sua vita. Ogni giorno portava qualche cicatrice più pressante e costantemente cercavo in tutti i modi di alleviare le sue sofferenze con parole gentili e sorrisi ingenui.

Se ti portai da lei non fu solamente per il suo bene, ma anche per il tuo. Ricordi com’eri in quel periodo? Non c’era nulla che ti emozionasse, niente che potesse dar colore alle tue giornate. Ero davvero ben intenzionato ed inizialmente credetti pure di aver fatto la scelta migliore.

Vedevo in Isabella un miglioramento sostanziale e persino tu iniziavi a sorridere di più. Ero convinto che sarebbe durato sempre così, ma qualcosa si incrinò.

– Non posso venire con te. – Sentii le parole di Isabella quel giorno, chiunque poté sentirla.

– Perché? Staremo insieme. Pensi che non riuscirai ad entrare al college? Ti preparerò io. – La tua preoccupazione era così palpabile che anche io iniziai a tremare.

– Non è questo. Non posso lasciare la mia famiglia in questo modo. Mia madre ne sarebbe distrutta e poi lo sai meglio di me; posso essere una cima in matematica ma non esiste solo quello. Ho trascurato per troppo tempo gli studi, non riuscirei a farcela in tempo. Preferisco avere sogni più modesti, non voglio illudermi. – Parlaste tanto tempo, più calmi e con voce più pacata tanto che non udì più ciò che vi confidavate. Andava anche bene così, poteva andare bene, o forse no…

Il giorno dopo la trovai nel mio ufficio, con le lacrime agli occhi. Sapevo già perché si trovasse lì, ma non riuscivo a capire per quale motivo lei fosse così agitata.

– Isabella, perché piangi? – Lei rimase immobile, sguardo vitreo ed indecifrabile.

– Professor Bergi, devo confessarle una cosa. – Disse lei. – In passato ero convinta di amarla. Lei era la mia guida, il mio unico amico in una società cattiva. La consideravo più che una figura maschile di riferimento, la adoravo totalmente. Mi dispiace, però ho capito che quel sentimento non era reale, era solo un modo per non scomparire. – Le sue parole erano impastate con le lacrime. – Io ho finalmente capito cos’è l’amore professore. Fa male e ti disintegra, ma al tempo stesso ti da  forza e coraggio per affrontare la vita. Io amo Reynold, ma al tempo stesso non posso andare via con lui. So che se restassimo insieme finirei per essere una limitazione troppo grande da sopportare, non voglio che accada. Non posso permettere che in futuro lui possa arrivare ad odiarmi. – Cercai di consolarla, ma in fin dei conti non ero sicuro che ciò che avesse detto fosse sbagliato.

Se lei non ti avesse spinto via, la tua carriera sarebbe arrivata a questo punto? Puoi giurare che avresti lasciato l’Italia per andare a fare quelle strepitose esperienze di vita che ti hanno portato lustro e prestigio? Io non credo figliolo.

– Lui ti ama! Sono sicuro che non esisterà mai una donna che potrà amare come te. – Lei non rispose, si alzò e camminò in silenzio fino alla porta.

– Mi perdoni se farò del male a suo figlio, ma la prego non gli dica mai e poi mai nulla di questa nostra conversazione. Voglio che mi odi per tutta la vita, perché così potrà ricordarsi sempre di me. Ho bisogno di sapere che potrò sempre essere nel suo cuore. – Dovevo fermarla! Ero sicuro che avrei potuto farle cambiare idea, ma non volevo che tu fossi imprigionato in questa maledetta città come accadde a me.

Perdonami per ciò che feci.

Col tempo ho capito che l’amore della persona che ami è il dono più bello, ma a quel tempo desideravo una vita migliore per te. Isabella baciò Riccardo, proprio quel giorno in cui avevi deciso di rinunciare a tutto per lei, ti ricordi? Te lo lasciai credere, volevo che partissi senza voltarti a guardare.

Da quel giorno la tua vita cambiò ed inizialmente mi sentii veramente soddisfatto. Avevi conosciuto Ramona, ed aspettavate il nostro meraviglioso Leonardo. Tutto sembrava così perfetto da spaventare. Non ti avevo detto però che mentre tu vivevi la tua vita, Isabella veniva tutte le settimane per parlare di te. Aveva il costante desiderio di conoscere dettagli sulla tua vita. Voleva vedere le tue foto, conoscere le tue novità, o semplicemente parlare di te, dei tempi passati. Non è mai riuscita ad andare avanti davvero, perché la sua vita si era fermata in quel tradimento proposito. Ogni volta che la incontravo sentivo la vergogne ed il dispiacere che ne derivavano da quella tremenda omissione, ma ad ogni tuo risultato positivo capivo che avevo fatto la scelta giusta.

Sapevo anche che Riccardo continuava a vedersi con lei, come amici però. Non riusciva ad innamorarsi di lui, né a pensare ad un futuro da donna sposata e con figli, non senza di te.

Poi facesti il tremendo sbaglio di tornare.

Perché? Figliolo non riesco ancora a capire, eppure sento che forse al tuo posto avrei agito allo stesso modo. Ricordo quei giorni; sembravi essere tornato il ragazzo di quei giorni felici. In America eri sempre occupato, sempre insoddisfatto. Avevi questa “fame” di emozioni. Dovevi dimostrare di essere il migliore, perché a questo era dovuto il tutto.

In Italia invece era come se non ti importasse più nulla, solo Isabella.

– Papà, io l’amo ancora. – Mi hai confidato e tutto crollò. I sacrifici che avevate fatto per restare lontani si frantumarono. Se feci ciò che accadde dopo è stato solo per il tuo bene.

– Devi farlo di nuovo, altrimenti resterà qui. Abbandonerà tutto per te Isabella. Non hai tradito la sua fiducia proprio per mandarlo a vivere quella vita che senza di te non avrebbe avuto? – Tu eri cambiata. Forse ritornare alla solitudine ti aveva annientata, fatto sta che quella ragazzina in lacrime non c’era più.

– Professor Bergi, è davvero necessario? So che la sua vita qui sarà totalmente diversa, ma forse insieme possiamo farcela. Forse se gli confessassi che lo amo ancora, potrebbe decidere di restare per sempre con me, di vivere una vita più semplice. – C’era speranza nel suo sguardo.

E’ lì che ho deciso!

Non potevo lasciarti abbandonare tutto per un amore infantile  e mutevole. Cosa sarebbe successo se, restando qui qualche anno, ti fossi pentito di aver lasciato quella vita fatta di successo? Avevi un figlio, una moglie ed un lavoro in espansione, non ti avrei lasciato buttare tutto all’aria.

Presi le pasticche che uso per dormire e, senza che se ne accorgesse, le feci sciogliere nell’acqua. Mi tremavano le gambe al solo pensiero, perché sapevo che quelle azioni erano così orrende, da dovermele addossare per tutta la vita.

Le offrii quel bicchiere di acqua con la scusa di calmarla, ma in realtà doveva servire a farla crollare lentamente, in un sonno profondo. La svestii e la adagiai sul mio letto. Tua madre non ci sarebbe stata quella settimana e sapevo bene che saresti passato, me lo avevi detto poco prima.

Feci finta di dormire abbracciato a lei mentre aspettavo che ci scoprissi. Fu devastante quell’attesa. Più di una volta fui tentato di abbandonare quella decisione. Pensavo di svegliare Isabella, chiederle perdono e spiegarti la situazione, ma non lo feci.

Rimasi lì in attesa.

Tu entrasti e ci trovasti lì. Lei praticamente nuda, adagiata sul mio corpo e già sai. La cosa che mi fece più male non furono i tuoi insulti, ma lo sguardo di Isabella nello scoprire ciò che avevo provocato.

Non era odio! No! La sua era solo una tremenda delusione.

Quando si svegliò e trovò le cose fatte, Reynold di fronte al letto e le mie braccia su di lei, non disse una sola parola, semplicemente mi guardò triste e spaventata. Tu urlasti tanto, devastandoci totalmente, poi andasti via senza controllare cos’avevi abbandonato.

– Non vado bene, vero? – La sua voce rotta dal pianto urtò nelle pareti. – Non dire così, sai che non è vero. – Isabella si vestì lentamente, con le dita tremolanti.

– Cerca di capire, è mio figlio e so che può fare tanto in questo mondo. Lui diventerà una persona importante, lo sai anche tu. Dovevo farlo! – Piangeva solamente, incapace di fare altro.

– Ti chiedo di perdonarmi, è tutta colpa mia e del mio egoismo di padre. – Prima di uscire, mi guardò intensamente.

– Prof. Questa è l’ultima volta che ci vedremo. Non la odio per ciò che ha fatto, in me resterà sempre il dolce ricordo dei suoi insegnamenti, il sostegno che mi ha dato ed il coraggio che mi ha infuso sempre, anche quando volevo scomparire. Eppure, nonostante questo non potrò più incontrarla. Uscendo da questa porta tutti crederanno ad una bugia ed io tornerò ad essere umiliata, ma va bene così. Un giorno tutto questo passerà e forse qualcuno crederà in me. Continuerò ad ammirarla ed a cercare la sua approvazione, fino a quando avrò respiro. Un giorno, quando avrò un figlio, spero che sia come lei, buono e gentile con il prossimo. Questo sarà il nostro ultimo legame, perché io le vorrò bene per sempre, proprio come se lei fosse davvero il padre che non ho mai avuto. Grazie di tutto Colin. – La porta si chiuse così come il mio cuore.

Figlio mio, adesso che sto per morire credo che potrei anche dirti la verità, ma forse non saresti più pronto ad ascoltarla.

Dovrei davvero distruggere questa lettera? Farti credere tutta la vita questa bugia forse darà uno scopo all’odio che provi per me, ti renderà più forte, ma già so che non ci riuscirò.

Nasconderò bene questo tesoro, in attesa che un giorno qualcuno lo trovi e te lo dia, quando già io non sarò più su questo mondo. In quel momento si che continuerai ad odiarmi, magari tornerai umiliato alla sua porta e le chiederai perdono anche da parte mia.

Le ho distrutto la vita sai?

No, non puoi saperlo. Non hai idea di ciò che dissero, di quello che ha dovuto subire.

Quella donna non lasciò mai sua madre, anche dopo che lei si allontanò lasciandola sola, rimase in questa città ad ascoltare gli insulti, le beffe e le atrocità.

Dovrò pagare, anche per questo. Perdonami e se puoi rimedia ai miei errori, perché lei non si meritava tutto ciò. Corri, scappa da quella donna prima che il momento fugga e perderai nuovamente questa opportunità.

Se però non avrai mai l’opportunità di scoprire queste righe, allora la mia morte, sarà invana.

Addio figlio mio, e se ci riesci, non odiarmi.

                                                                                                        Tuo padre: Colin Bergi

Note dell'autrice: Forse non c'è più nessuno che segue attivamente la mia storia, ma se ancora qualche lettrice è rimasta, spero che non siate deluse da ciò che accadde e dal modo in cui l'ho scritto. Ho pensato molto a cosa far accadere ed al come, ma alla fine le parole sono uscite da sole come se davvero fosse accaduto. Forse la fine sta un pò accavallando la prima parte più Yaoi, ma secondo me questa parte della storia va raccontata prima che la fine del racconto arrivi e sicuramente siamo agli sgoccioli. Dopo ciò mancheranno pochi capitoli prima del capolinea, quindi spero davvero che qualcuno commenti e mi faccia sapere cosa davvero ne pensa ma se non ve la sentite o non trovate nulla da dire, fa niente. Io continuerò nella speranza che siate ancora lì a seguirmi.

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