Waiting for Silver Bullet

di JAPAN_LOVER
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il Boss ***
Capitolo 2: *** Indagini ***
Capitolo 3: *** Una nuova missione ***
Capitolo 4: *** Il dirottamento dell'autobus ***
Capitolo 5: *** Scontro diretto in una notte di luna (Prima parte) ***
Capitolo 6: *** Scontro diretto in una notte di luna (Seconda parte) ***
Capitolo 7: *** Scontro diretto in una notte di luna (Terza parte) ***



Capitolo 1
*** Il Boss ***


IL BOSS


Era una fredda notte d’inverno.
Dopo una lunga giornata, Vermouth era alla guida della sua moto, una Harley-Davidson V-Rod viola fiammante. L’aderentissima tuta nera da motociclista non la riparava adeguatamente dal freddo invernale. Per la prima volta, non vedeva l’ora di arrivare in quell’appartamento, se non altro per ripararsi dal gelo.
Le strade di Tokyo erano ormai deserte. Arrivata a destinazione, Vermouth svoltò ed entrò in un parcheggio sotterraneo privato. Poi accostò la motocicletta sul quadrante 33°, il suo posto riservato.
Tolse il casco integrale che le copriva il volto e reclinò il capo per portare indietro i suoi lunghi capelli biondo platino. Tutto intorno era deserto e il tacchettio delle sue decolté nere faceva eco, mentre lei si dirigeva verso l’ascensore. Poi, strisciò il cartellino lungo il lettore – autenticando così la sua presenza – e le porte dell’ascensore si spalancarono davanti a lei. La donna entrò e premette il pulsante 36, per essere trasportata ancora una volta da lui.
Sola, in quell’ampia cabina, la donna osservò il suo riflesso allo specchio.
Il suo formidabile trucco copriva perfettamente le profonde occhiaie attorno agli occhi color ghiaccio, mentre i lunghi capelli mossi incorniciavano, sinuosi, un viso scarno e diafano.
Quell’aria stanca non rendeva giustizia alla sua bellezza.
Perché lei era bella. Semplicemente, era consapevole di esserlo. Senza la minima esitazione, Vermouth poteva affermare che nella sua vita aveva saputo mettere a frutto le sue doti.
Sei bella come una dea, e sei anche molto intelligente. Lassù qualcuno deve averti amato molto le ripeteva sempre lui.
Le labbra si contrassero in una smorfia di disgusto. Anche struccata, anche con degli stracci, Vermouth sapeva che lui l’avrebbe trovata sempre irresistibile. Proprio come quando l’aveva incontrata per la prima volta – venti anni prima – all’appassire della sua bellezza, allo spegnersi dei riflettori sulla sua corriera.
Cosa ne sarebbe stato di lei, se non avesse incontrato lui?
E’ meglio una vecchiaia tranquilla e serena o un’eterna giovinezza piena di rimorsi?
Come accade a ogni diva dello spettacolo che si rispetti, a Vermouth faceva ribrezzo la vecchiaia, lo squallore della pelle cadente, raggrinzita e puzzolente.
Fino a quel momento le cose erano andate bene. Erano 20 anni che si era unita all’Organizzazione, erano 20 lunghi anni che aveva sposato quel fatale compromesso. Nessun ripensamento, fintanto che nella sua mente – come un sogno ricorrente – non era andato fermandosi quel quesito.
L’ascensore si fermò e un tintinnio l’avvisò che era giunta a destinazione.
Vermouth inspiró profondamente prima di uscire, all’apertura delle porte.
Quando si trovò davanti alla porta dell’appartamento abbassò il pomello. Sapeva di trovarla aperta.
Le luci erano spente, ma il fioco chiarore lunare filtrava attraverso le finestre. Vermouth si muoveva nell’oscurità con sicurezza: conosceva alla perfezione quel salotto.
“Capo…” lo chiamò lei.
All’improvviso, due forti braccia la immobilizzarono da dietro.
Vermouth non riusciva a muoversi. Detestava quella sensazione, la faceva sentire in trappola nonostante – almeno per lei – quel posto fosse il più sicuro al mondo.
“Mi sei mancata” sussurrò lui, inalando il dolce profumo di quei capelli biondi.
Nonostante il suo unico desiderio fosse che quell’uomo si scollasse di dosso, Vermouth lasciò che quelle mani grandi e impazienti percorressero il suo corpo.
“Davvero ti sono mancata?” gemette lei, mentre un dito cominciò a premere prepotentemente contro le sue labbra scarlatte, fino a penetrarle.
Quando, per poter respirare, fu costretta a succhiare quel pollice, Vermouth sentì sfuggirgli un mugolio di eccitazione.
“Si…. – ansimò lui, soddisfatto – adesso ti mostro quanto!”
Mentre con quel dito continuava ad esplorarle la bocca, con la mano libera il Boss le tirò giù la lampo della tuta.
“Questa notte mi dedicherò a te” promise lui, in un sussurro.
Con disgusto, Vermouth leccò un’ultima volta quel pollice prima di liberarsene.
“Sono molto stanca – disse lei, sperando, almeno per una volta, di riuscire a defilarsi dai suoi doveri – è stata una giornata piuttosto movimentata!”
“Shh… tu non dovrai fare nulla – replicò lui – solo godere!”
Nonostante il tono di voce rassicurante del Boss, quell’ultima frase le suonò come un ordine. Perché quello era diventato il suo compito più ardo: aprire le gambe a comando.
L’attesa non era il forte del Boss e – a quell’ora tarda – non aveva fatto che aumentare il suo desiderio. In men che non si dica, Vermouth si era ritrovata nuda nella camera da letto. Nel grande letto a baldacchino, lui la sovrastava e si spingeva sempre più a fondo nella sua intimità.
Lei era completamente alla sua mercé, mente lui la osservava, pieno di desiderio.
Il Boss godeva di quel corpo sottile sotto il suo, imvece, così forte e possente. Accolse un suo capezzolo fra le labbra, strappandole quello che credeva fosse un mugolio di godimento, mentre lei non vedeva l’ora che quel supplizio giungesse alla fine.
Il Boss aveva il fiato corto quando giunge all’apice. Urlò il suo nome – come a dedicarle l’orgasmo – e si abbandonò nella sua parte del letto per riprendere fiato.
Mentre il loro respiro comincia a regolarizzarsi, lui le accarezzò la gota rosea.
“Ho dato ordine a Gin e a Vodka di trovare Akai” mormorò placidamente lui.
Vermouth spalancò gli occhi.
Gin e Vodka erano pericolosi. All’interno dell’Organizzazione, occupavano i gradini più alti. Vemouth sapeva bene di non star loro molto a genio, per via della sua posizione privilegiata con il Boss.
“Perché? – replicò lei, visibilmente risentita – hai incaricato me la scorsa settimana di farlo. Sono già sulle sue tracce, mi spieghi perché hai coinvolto anche loro?”
Vermouth era la sola che poteva permettersi di rivolgersi al capo in quel modo, perché lei era la sua preferita. Tuttavia, anche per lei valevano certi confini.
“Davvero? Saresti sulle sue tracce? – la incalzò lui, un po’ scettico – sono già tre giorni che non fai rapporto”
Lei alzò gli occhi al cielo. Poi, si tirò su seduta e cominciò ad esplorargli con i polpastrelli il petto scolpito. Compiaciuto, lui lasciò che la sua preferita lo distraesse.
“Non mi hai chiesto un resoconto giornaliero ma, se preferisci così, ti accontenterò – esalò lei – ma dì loro di starne fuori, almeno per il momento voglio vedermela da sola”
L’uomo inarcò un sopracciglio, perfettamente consapevole di quel che Vermouth stesse facendo.
“Per favore...” gemette lei, mentre, sinuosa, montò su di lui.
Al solo contatto di lei, l’uomo avvertì la sua eccitazione tornare a riaccendersi. Il Boss lasciò, quindi, che la sua Vermouth esercitasse la sua malia su di lui.
“D’accordo – rispose – ma se la situazione dovesse diventare troppo pericolosa per te, non esiterò a farli intervenire”
Soddisfatta, tentò di celare un ghigno compiaciuto: ce l’aveva fatta.
Poi, spostò all’indietro una ciocca di capelli e divaricò le gambe per accogliere ancora una volta dentro di sé il suo amante.
“Grazie…” ansimò lei.

***
***
***
BUONASERA!
E’ LA PRIMA VOLTA CHE SCRIVO NELLA SEZIONE DI DETECTIVE CONAN.
BEH, IN REALTA’ HO GIA’ SCRITTO DUE CROSS-OVER SU QUESTO ANIME (CHE RIENTRA DECISAMENTE TRA I MIEI PREFERITI), MA E’ LA MIA PRIMA VOLTA CHE MI CONCENTRO ESCLUSIVAMENTE SU QUESTO UNIVERSO.
SPERO CHE VI SIA PIACIUTO QUESTO PRIMO CAPITOLO E CHE VI ABBIA INCURIOSITO. NEI PROSSIMI CAPITOLI APPROFONDIRO’ IL PASSATO DI VERMOUTH E LA SUA POSIZIONE ALL’INTERNO DELL’ORGANIZZAZIONE, DOPO DI CHE DARO’ UN VOLTO AL BOSS.
A PRESTO,
JAPAN_LOVER < 3

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Capitolo 2
*** Indagini ***


INDAGINI


Vermouth aveva appurato la presenza a Tokyo di altri agenti dell’FBI, ma del suo uomo ancora nessuna traccia.
La Preferita del Boss era perfettamente consapevole che, se quegli uomini non erano già sulle sue tracce, era solo questione di tempo. Doveva agire.
Nel cuore della notte, Vermouth se ne stava nell’ombra, appostata davanti all’Agenzia Investigativa di Goro Mouri. Aveva atteso pazientemente che le luci dell’appartamento al secondo piano si spegnessero, per poi salire furtivamente per le scale al primo piano, fino nell’ufficio del famoso detective.
Con l’ausilio dei grimaldelli, aprì la porta senza lasciare alcun segno di forzatura. Era abile nell’aprire le serrature tanto quanto era brava nei travestimenti.
Entrando, Vermouth aggrottò la fronte perplessa.
E questo sarebbe l’ufficio di quel detective?
Non si aspettava certo che l’ufficio di un detective tanto famoso potesse essere così disordinato: pantofole in giro, pile di carte sparpagliate sulla scrivania, lattine di birra vuote ovunque.
Quando Vermouth si avvicinò a quel tavolo da lavoro, dovette tapparsi il naso per l’odore nauseabondo di rimasugli organici nel cestino della spazzatura, dietro la scrivania.
Disgustoso! sbottò tra sé.
Spazientita, si affrettò nella ricerca del materiale. Nonostante quel caos, trovò subito quello che stava cercando. Soddisfatta, raccolse tutto in una cartella vacante, che infilò dietro nell’incavo del pantalone della tuta.
Quando uscì, si accertò che per strada non ci fossero nessuno e raggiunse l’Harley, che aveva lasciato posteggiata per sicurezza a qualche isolato.
Una volta tornata nel suo appartamento, versò del vermouth in un bicchiere di cristallo. Si inumidì le labbra scarlatte con il suo liquore preferito e, nonostante l’ora tarda, come da accordo, telefonò a lui .
“Non mi aspettavo più la tua telefonata!” le disse il Boss.
Il suo tono di voce era neutro come sempre. Non sembrava arrabbiato. D’altronde, a Vermouth non importava se lo avesse interrotto in un momento intimo con Kir, o qualsiasi altra sottoposta.
“Spero di non averti disturbato” replicò lei, simulando un tono quasi dispiaciuto.
“Tu non disturbi mai – rispose lui, come a volerla rassicurare – ci sono novità?”
“Volevo soltanto informarti che ho fatto un altro passo avanti!” disse Vermouth, mandando giù un altro sorso di Vermouth.
“Cioè? Sei già sulle tracce di Akai?”
Il tono di voce del Boss, sempre fermo e controllato, si era fatto improvvisamente impaziente.
“Non ancora! – rispose la bionda, divertita dalla quella reazione – ma ormai è solo questione di tempo”
Le era sempre più chiaro che, per il Boss, trovare Akai era una questione di vita o di morte.
“Mhm…. – il Boss emise un mormorio, lasciando trasparire un po’ di delusione – enigmatica come sempre”
In quel momento, Vermouth sentì dall’altro capo del telefono un gemito che senz’altro non proveniva dal Boss.
La bionda incurvò le labbra in un sorriso beffardo.
Allora è vero che ho interrotto qualcosa!
“Lo sai bene. Non scopro mai le carte finché non ho la certezza di non avere la vittoria in pungo” proseguì lei, con disinvoltura.
Il Boss fece una breve una pausa, sapendo che per il momento da Vermouth non avrebbe ottenuto altro.
“Fa attenzione – si raccomandò lui, prima di riagganciare – sii prudente e, per qualsiasi evenienza, rivolgiti a Gin o direttamente a me. Questo è un ordine!”
“Si. Lo farò, Capo!” rispose lei, prima di riagganciare.
Vermouth mandò giù, tutto d’un sorso, il vino liquoroso aromatizzato rimasto.
Attese un moto di rabbia e di gelosia, che però non arrivò. Rimase quasi delusa della totale assenza di quelle emozioni, del tutto umane e lecite.
Poi, tirò fuori la refurtiva di quella notte e la lasciò cadere lì sul bancone, proprio accanto al bicchiere di vermouth ormai vuoto.
Certa che ad attenderla ci sarebbero state delle giornate lunghe e impegnative, Vermouth si ritirò nell’intimità della sua camera da letto, lasciando fuori ogni cosa.

UNA SETTIMANA DOPO


Suonò il campanello a casa Mouri.
“Conan, vai ad aprire!” ordinò Goro, senza molta gentilezza.
Il bambino con gli occhiali corse alla porta. Dovette reggersi sulle punte, per riuscire ad arrivare alla cornetta del citofono.
“Sì? Chi è?” domandò il piccolo.
“Ciao, Conan – rispose un’allegra voce maschile – sono il dottor Araide”
“Ah, dottore! – esclamò Conan, premendo il pulsante – la stavamo aspettando!”
Pochi secondi dopo, un ragazzo di appena 25 anni varcò la soglia dell’appartamento del detective Goro. Il dottor Tomoaki era un uomo affabile e gentile; aveva occhi castani, capelli chiari e il sorriso dolce e rassicurante, che ci si aspetterebbe da un buon medico curante.
“Ciao, Conan, ho fatto il prima che ho potuto. Qual è l’emergenza?” domandò l’uomo, sistemandogli gli occhiali sul naso e togliendosi il cappotto.
“Si tratta di Ran!” rispose il bambino, accogliendo servizievolmente tra le braccia il soprabito del dottore.
La camera di Ran si trovava in fondo dal corridoio. Da lì di affacciò Goro, con l’aria preoccupata:
“Dottore, da questa parte!”
Medico raggiunse subito la stanza, trovando Ran a letto, sotto le coperte, con un impacco sulla fronte.
La ragazza si agiva debolmente nel letto, pervasa da brividi di freddo. Tossì ripetutamente, cercando di portarsi su, in posizione seduta.
Con premura, il piccolo Conan l’aiutò a sistemarsi il cuscino dietro la schiena.
“E’ da giorni che dice di non sentirsi molto bene – spiegò Goro, con apprensione – poco fa le ho misurato la febbre, la temperatura è a 38 e mezzo!”
Il dottore si avvicinò alla paziente e le toccò la fronte. Scottava.
“Accidenti! – esclamò il medico – ha tutta l’aria di trattarsi di quella brutta influenza che c’è in giro!” disse il dottore.
Goro e Conan uscirono, lasciando che il dottore estrasse dalla borsa l’attrezzatura e svolgesse il suo lavoro. Quando furono richiamati in stanza da quest’ultimo, il dottore confermò la diagnosi:
“Era come temevo – disse l’uomo – si tratta di un’influenza che porta febbre e coinvolge il sistema respiratorio. Posso solo prescriverle un antibiotico, da prendere due volte al giorno, e uno sciroppo per la tosse grasse. Mi raccomando, Ran, la prossima volta non prendere sottogamba i primi segnali. Chiamami subito!”
“Grazie – rispose la ragazza, grata – grazie mille, dottore!”
“Grazie per essere venuto subito, dottore!” esclamò Goro, grato, riaccompagnando il medico alla porta.
Il dottor Araide salutò il detective, scese le scale ed entrò nella sua auto. Mettendosi la cintura di sicurezza, notò quattro bambini avvicinarsi lungo il marciapiede. Incredulo, aguzzò la vista: fra questi c’era una bambina con gli occhi versi, il caschetto color nocciola e lo sguardo impassibile, che catturò l’attenzione del dottore.
Incredibile!
L’allegro gruppetto svoltò e salì lungo le scale che conducevano all’appartamento del detective Goro.
Quindi, il dottor Araide mise moto la Nissan grigia e si diresse in direzione di Shibuya.
Era ormai sera quando aprì la porta dell’appartamento. Chiusa la porta alle spalle, tirò via quel cerone dalla faccia e sciolse i lunghi capelli color platino che, liberi, scesero lungo la schiena.
A Vermouth bastò qualche attimo, prima di accorgersi che si era intrufolato nel suo appartamento. La porta non presentava segni di scasso e tutto era come lo aveva lasciato, ma il suo fiuto l’avvertiva che qualcuno era stato lì, mentre lei aveva passato la giornata in ambulatorie, vestendo i panni del dottor Araide.
Respirò profondamente e cercò di comportarsi esattamente come avrebbe fatto, se non si fosse accorta dell’intrusione.
Si tolse la giacca di qualche taglia più grande e l’attaccò all’appendiabiti all’ingresso. Poi, andò in cucina e, vedendo il frigo, ricordò di aversi affisso le foto dei suoi bersagli: la foto della bambina incredibilmente somigliante a Sherry e di Shuichi Akai.
Da brava attrice quale era, Vermouth mantenne la calma. Il nemico adesso conosceva i suoi obbiettivi ma, con un po’ di fortuna, avrebbe potuto sfruttare questo punto a suo favore in un punto di forza.
Si versò del succo d’arancia e cominciò a ispezionare l’appartamento. Lo rivoltò in lungo e in largo come un calzino, ma non trovò traccia di cimici o microspie. Tutto era al proprio posto, anche il dossier sottratto al detective Goto
Chiunque si fosse introdotto lì dentro non puntava a tenerla sotto sorveglianza.
Vermouth odiò l’idea che qualcuno fosse stato in casa sua a sua insaputa. Il suo appartamento era il riparo da tutto. Era il suo rifugio dal lavoro, dall’organizzazione, dal Boss e odiava che fosse stato violato.
In quel momento, suonò il cellulare placandola dalla sua furia.
Era lui .
“Pronto?” rispose.
“Che succede? – domandò il Capo – qualcosa non va?”
Vermouth cercò di schiarirsi la voce. Non immaginava di essere rimasta scossa fino a quel punto.
“No, capo – gli assicurò lei – va tutto bene!”
“Ti sento strana!” osservò lui. Non sembrava molto convinto.
Lei rise, cercando in tutti i modi di persuaderlo del contrario.
“Sono solo un po’ stanca – rispose Vermouth – fingere ogni giorno di essere il dottor Araide è decisamente stancante”
“Dì un po’, che fine avrebbe fatto quel tizio? – replicò l’uomo – spero solo che tutto questo ci conduca al nostro vero obbiettivo”
Vermouth portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio e lanciò un’occhiata alla foto appesa al frigorifero, restituendo un’occhiata di sfida all’uomo che vi era raffigurato.
“Non ti preoccupare, il caro dottor Tomoaki Araide è in un posto migliore, dove non potrà nuocerci in alcun modo. Ti assicuro che catturerò Akai, non ha scampo – promise lei – piuttosto, perché hai chiamato?”
“Ti ho telefonato per avvisarti che d’ora in avanti sarai affiancata da Calvados – la informò lui – per cui non spaventarti se ti ritroverai attorno un omaccione armato fino ai denti”
Per un momento a Vermouth balenò l’idea che potesse essere stato Calvados ad intrufolarsi in casa sua, ma ben presto scartò questa ipotesi.
Calvados non avrebbe avuto nessun motivo per farlo. Lui era un abile cecchino, ma non era altrettanto abile nel valicare porte e sistemi di sicurezza.
“I giochi cominciano a farsi pericolosi, Vermouth – disse il Boss – Calvados ti guarderà le spalle, ma tu fai attenzione!”
“Tranquillo, Capo – gli rispose lei – ho tutto sotto controllo!”
“Lo spero – replicò lui – domani notte ti aspetto al solito posto!”
Vermouth fu percorsa da un brivido di repulsione.
“Non vedo l’ora!” mentì, simulando un languido tono di voce.
***
***
***
BUONASERA A TUTTI!
ECCOMI TORNATA CON UN NUOVO CAPITOLO.
CREDO CHE VI SIATE ACCORTI CHE – IN LINEA DI MASSIMA – TENDE A REPLICARE I FATTI PRECEDENTI LE PUNTATE DI “MISTERI IN UNA NOTTE DI LUNA PIENA” (VOLUME 42 DEL MANGA).
SPERO CHE LA STORIA VI STIA PIACENDO, BUONA LETTURA! : )
A PRESTO,
JAPAN_LOVER < 3

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Capitolo 3
*** Una nuova missione ***


UNA NUOVA MISSIONE


La mattina dopo, Vermouth si svegliò sola in quel grande letto a baldacchino.
Si tirò su, coprendosi con il lenzuolo immacolato, come se volesse nascondere il suo bel corpo per non ricordare quel che aveva fatto durante quella lunga notte.
Lui era come un’ombra. Come sempre, al mattino spariva.
A Vermouth, questo non dispiaceva: amava la propria indipendenza e sapeva perfettamente di essere la Preferita e, di conseguenza, non la sola.
Amante della libertà e gelosa dei propri spazi, la donna apprezzava la politica del Boss: lei accorreva ad ogni suo ordine e, in cambio, lui le lasciava la sua indipendenza e la assecondava in ogni suo desiderio.
Vermouth si rivestì velocemente e, in sella sua alla moto, tornò finalmente nel suo appartamento: un lussuosissimo appartamento di 300 mq nel quartiere di Shibuya.
Finalmente a casa, non vedeva l’ora di farsi una di quelle solite docce fredde e rigeneramenti, che riuscivano a rimetterla al mondo.
Si strinse nell’accappatoio e ciondolò in cucina, fino ad arrivare al bancone. Sentendo un impellente bisogno di energia, prese un coltello dal cassetto e due arance dalla cesta. Le tagliò in due e, poi, con forza, strinse ciascun mezzo frutto sullo spremiagrumi, fino ad ottenere la spremuta d’arancia.
Lì accanto, sul bancone, c’era la foto che il Boss le aveva consegnato quando le aveva assegnato il suo ultimo incarico.
‘Ti affido questo incarico, trova quest’uomo. Lo voglio vivo o morto – le aveva detto il capo – si chiama Shuichi Akai ed è un agente dell’FBI molto pericoloso. Sta molto attenta e non abbassare mai la guardia con lui. È un abile cecchino e un ottimo combattente… senza contare che è il mio miglior nemico!’
La foto in questione raffigurava il mezzobusto di un uomo dai tratti vagamente orientali. I capelli, scuri e ondulati, erano coperti per lo più da un berretto di lana grigio; gli occhi verdi e penetranti erano segnati da borse e, impassibili, scrutavano l’obbiettivo.
Il Capo le aveva dato tutto le informazioni di cui si trovava in possesso. Per un attimo, Vermouth si chiese perché il Boss lo avesse definito “il suo miglior nemico”, ma la cosa non la riguardava.
Prese la foto e l’appiccicò al frigorifero.
Poi, continuando a fissare il suo obbiettivo, estrasse una sigaretta slim dal pacchetto e l’accese, aspirando una prima appagante boccata. Le labbra si contrassero in un’espressione di beatitudine.
“Bene, bene – ghignò Vermouth, eccitata dalla sfida – devi essere un tipo pericoloso, se persino il Boss ti teme...”
In quel momento suonò il cellulare.
“E ora chi è?”
Quando lesse sul display UNKNOWN , capì che non poteva che trattarsi di una sola persona: Gin.
“Che c’è?” rispose lei, prima di aspirare un’altra boccata di sigaretta.
Con Gin, Vermouth andava sempre subito al dunque.
Lui era fatto così: non amava perdersi in chiacchiere.
“Estremità sudorientale del molo di Daikoku, capannone 13 – proferì l’uomo, dall’altro capo del telefono – vieni il prima possibile!”
TUN-TUN-TUN
Sbrigativo come sempre, Gin! osservò tra sé Vermouth, mettendo giù il cellulare.
Domandandosi quale fosse l’emergenza, Vermouth tornò in camera da letto per vestirsi. Legò i capelli in una lunga treccia bionda, si infilò una tuta nera da motociclista e un paio di occhiali da sole scuri. Era pronta.
In sella all’ Harley Davisdon, sfrecciò a tutta velocità verso la zona portuale. Nonostante fosse pieno giorno, l’area indicata da Gin era deserta. Senza alcuna difficoltà, Vermouth si aggirava fra quei depositi abbandonati, costituiti per lo più da inferriate pericolanti e vecchie lamiere.
Quando la numerazione progressiva di quei casolari arrivò al 15, la motociclista si addentrò, portandosi al centro di quell’enorme capannone.
La porsche 356 nera di Gin era già parcheggiata lì. Appena Vermouth arrivò, due uomini vestiti di nero uscirono da quell’auto: uno molto alto, con lunghi capelli argentei e l’altro un po’ più basso e robusto.
In quello stesso momento, arrivò in volata una Dodge Viper blu, con due strisce bianche.
Vermouth tolse il casco, portando all’indietro la sua treccia color platino, deliziata da quell’inaspettata “riunioncina”. Dal Dodge blu fiammante scesero altre due figure.
Dal sedile dalla guida scese una donna, imbracciando un fucile, un semiautomatico PSG-1 da cecchino. La donna era piuttosto bassa e minuta, portava un caschetto biondo sbarazzino, ma le sue labbra sottili si incurvarono in un ghigno contrito e pieno di stupore alla vista di Vermouth.
“Vermouth! Quanto tempo! – esclamò quella donna – qual malvento ti porta da queste parti?”
Quelle parole non furono pronunciate con disprezzo, ma Vermouth sapeva ben discernere quando la sua presenza era apprezzata e quando non lo era.
“Chianti!” la rimproverò l’individuo sceso dal sedile passeggero del Dodge.
L’uomo, il cui nome in codice era Korn, cercava di tenere a bada la lingua della sua partner sempre molto vivace impulsiva. Si sistemò il cappello nero e gli occhiali spessi sul naso e poi tirò fuori il Kalasnikov.
“Va tutto bene, Korn – lo rassicurò Vermouth, prima di rivolgersi a Chianti – ho ricevuto una telefonata da Gin, ma non mi aspettavo ci fossimo tutti. Deve trattarsi di qualcosa di grosso!”
In quel momento, con un forte rombo, fece il suo ingresso una Honda CB 300 R. La moto fece un giro trionfale attorno i presenti e si fermò davanti a loro.
“Ora si che ci siamo tutti! – osservò Chianti, con un ghigno compiaciuto – benvenuta, Kir!”
Esibizionista… pensò Vermouth, alzando istintivamente gli occhi al cielo ci mancava solo lei.
Il motociclista scese dalla moto e tolse il casco, scoprendo così il volto di un’altra bellissima donna. Kir era altra, con grandi occhi azzurri e lunghi capelli castani. Vermouth non poteva averne l’assoluta certezza, ma era piuttosto sicura che lei era una delle altre .
“Ci siete già tutti!” esclamò Kir, con un sorriso compiaciuto.
“Bando alle ciance! – tagliò corto seccamente Gin – vi ho radunato tutti, perché ho qualcosa di molto importante da comunicarvi. Ci giunta voce dalle nostre fonti, che Sherry è stata avvistata nel quartiere di Beika, in una zona non molto lontana da qui!”
“Sherry?” sussultò, Chianti, come se avesse visto l’ombra di un fantasma.
“Non è possibile! – commentò Korn – Sherry deve essere morta. Una persona non può sparire in quel modo senza lasciare traccia”
Gin li incenerì spietatamente con uno sguardo agghiacciante:
“Silenzio!” tuonò lui, ammutolendo tutti i presenti.
“I nostri informatori sono infallibili – disse Vodka – e poi, il corpo di Sherry non è mai stato ritrovato. Se anche fosse morta, dopo la sua fuga il cadavere avrebbe dovuto saltar fuori, non credete?”
“E c’è di più – soggiunse Gin, estraendo una fotografia dal taschino interno del cappotto nero – secondo i nostri informatori, non solo Sherry non sarebbe morta, ma vivrebbe sotto nuove sembianze”
Quella foto raffigurava una bambina straordinariamente somigliante a Sherry.
“Incredibile!” mormorarono Vermouth e Kir, all’unisono.
Le due donne si lanciarono un’occhiata, per poi tornare ad ignorarsi vicendevolmente.
“D’ora in avanti, il nostro obbiettivo è verificare questa possibilità – disse Gin, infilando nuovamente la foto nel taschino – e se questa bambina si rivelerà davvero Sherry, non avremo pietà”
“Se davvero quella bambina è Sherry, la toglierò di mezzo io!” disse Chianti stringendo i pugni.
“Nessuna pietà con i traditori!” convenne Korn.
Vodka e Gin annuirono placidamente. A loro non importava se a premere il grilletto sarebbe stato l’uno o l’altro cecchino. L’importante era far fuori definitivamente quella donna.
“Se c’è bisogno di me, chiamatemi – disse Vermouth, rivolgendosi particolarmente a Gin e a Vodka – in questo momento mi sto occupando di una missione molto importante, ma se si tratta di catturare Sherry sarò ben lieta di aiutare a stanarla!”
Gin e Vodka annuirono placidamente, mentre Vermouth si sistemava il caso sulla e testa e montava in sella alla Harley. Invece, Chianti, Korn e Kir la seguirono sbigottiti con lo sguardo, mentre la bionda metteva in moto per poi sfrecciare verso l’esterno.
“Se ne va così?” domandò Korn, attonito.
“Già, il Boss le ha affidato una missione molto importante – rispose Gin, secco – il Capo l’ha incaricata di stanare Akai!”
“Akai?” Kir ebbe un sussulto.
Un moto di gelosia le ottenebrò la mente, finché non si impose di tornare lucida. Non poteva permettersi di perdere la testa: se voleva spodestare Vermouth, doveva rimanere presente a sé stessa.
Dapprima sgomenta, Chianti scoppiò poi in una risata fragorosa.
“Akai? – fece la bionda con il caschetto – Kir hai sentito? Il Boss vuole proprio toglierla di mezzo, se la ha incaricata di far fuori Shuichi Akai!”
“Chianti!” la redarguì ancora una volta Korn.
“Che c’è? – replicò Chianti – è la verità. Stanare Shuichi Akai è una missione suicida. Non ce la farà mai da sola…”
Kir non proferì parola. Sperava dentro di sé che le parole di Chianti corrispondessero a verità, ma sapeva bene che il Capo non aveva bisogno di ricorre a certi trucchetti per sbarazzarsi di una sua sottoposta. Se lui le aveva affidato un compito così delicato, era perché si fidava di lei.
Finita la riunione, Gin salì sull’auto seguito da Vodka. Non avendo osato intervenire durante la riunione con gli altri membri, Vodka apostrofò subito il suo compagno:
“Come sarebbe che il Boss ha affidato a lei il compito di catturare Akai? Solo ieri, non si era rivolto a noi per quella missione?”
Spazientito, Gin estrasse una sigaretta e l’accese con l’accendisigari della Porsche.
“Il Capo aveva affidato a Vermouth questa missione già una settimana fa – spiegò l’uomo dai lunghi capelli argenti – ma poi, rendendosi conto del pericolo, si è rivolto a noi. Lei si sarò impuntata e, di conseguenza, il Capo mi ha telefonato questa mattina ordinandoci di farci da parte finché la situazione per lei non si fa troppo pericolosa!”
“Tsk, quella donna! – biascicò Vodka – che cosa vuole dimostrare?”
Il viso di Gin si contrasse in una smorfia truce:
“Sono stufo dei capricci di quella donna! – disse a denti stretti – farà meglio a non tirare troppo la corda o la ucciderò con le mie stesse mani, non mi importa se è la sua Preferita!”
***
***
***
BUONASERA!
RIECCOMI CON UN NUOVO CAPITOLO.
HO VOLUTO COMINCIARE SCHIERANDO – SU UNA SCACCHIERA IMMAGINARIA – LE PEDINE NERE, LE FORZE DEL MALE, OVVERO I MEMBRI DELL’ORGANIZZAZIONE.
I CARATTERI, BENE O MALE, RISPECCHIANO QUELLI DEL MANGA/ANIME. IN PIU’ HO AGGIUNTO QUESTA SORTA DI RIVALITA’ TRA KIR E VERMOUTH.
QUEST’ULTIMA, NONOSTANTE LE PARVENZE DI CIRCOSTANZA, SEMBRA ESSERE ODIATA UN PO’ DA TUTTI I MEMBRI DELL’ORGANIZZAZIONE…ECCEZION FATTA DAL CAPO (NATURALMENTE).
VI AUGURO BUONA LETTURA,
A PRESTO,
JAPAN_LOVER < 3

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Capitolo 4
*** Il dirottamento dell'autobus ***


IL DIROTTAMENTO DELL'AUTOBUS


Da quando aveva scoperto che la bambina sospetta viveva nel quartiere di Beika, Vermouth aveva cominciato a utilizzare i mezzi pubblici nei panni del dottor Araide, proprio in quella zona.
Quella mattina faceva piuttosto freschetto, quando Vermouth giunse alla fermata dell’autobus. Si stava ancora sistemando la giacca verde da uomo, sopra al lupetto blu, quando una donna sbucata improvvisamente dal nulla le si affiancò.
“Buongiorno!” salutò quest’ultima con un sorriso fin troppo cordiale.
“Buongiorno!” ricambiò Vermouth, senza riuscire a nascondere la sua perplessità.
Vermouth sapeva bene chi fosse quella donna di bell’aspetto, con vivaci occhi azzurri, capelli biondi lunghi fino al collo ed eccentrici occhiali da vista. Tuttavia, per il momento non poteva fare altro che fare finta di niente e non cedere a quella che chiaramente era una provocazione. Non si aspettava certo che quella donna fosse così incauta da uscire allo scoperto.
Quando l’autobus arrivò, Vermouth salì immediatamente a bordo, timbrò il biglietto e si diresse in fondo, seguita a ruota da quella donna. Nonostante la sua attenzione fosse tutta rivolta alla bionda alle sue calcagna, Vermouth si accorse subito della presenza dei cinque bambini.
“Guardate chi c’è – sussultò allegramente una bambina dai vivaci occhioni azzurri e i capelli castani raccolti all’indietro con una fascetta rosa – è il dottor Araide!”
Vermouth increspò le labbra in un caloroso sorriso e rispose:
“Ciao ragazzi, che sorpresa! Ci siete tutti!”
Quella bambina, Ayumi, era seduta accanto i suoi amichetti Genta e Mistuiko. Sui sedili davanti ai loro, c’erano Conan e Ai. Il fatto che Conan frequentasse la bambina sospetta, rendeva ovvio il fatto che quest’ultima fosse davvero la traditrice.
È talmente evidente che mi riesce difficile crederci! – pensò tra sé Vermouth – e così sei proprio tu, Sherry!
“Dottore, ha per coso un appuntamento galante?” sogghignò maliziosamente Genta, il ragazzino paffutello.
“Cosa?” domandò Vermouth, stranita.
La donna bionda sputò da dietro le sue spalle e scoppiò a ridere divertita, agitando a mezz’aria un dito in segno di diniego. Poi, con uno spiccato accento americano, si rivolse loro:
“Oh, good morning boys and girl! Niente affatto, ci siamo incontrati casualmente alla stessa fermata – squittì ammiccando ai bambini, finché non si accorse della presenza di Conan – oh cool guy , ci incontriamo di nuovo!”
Mentre Vermouth prese posto sul sedile dall'altra parte della corsia, la professoressa andò a sedersi accanto a lei.
“Professoressa Jodie! – esclamò sorpreso Conan, riconoscendo subito la donna – ragazzi, lei è l’insegnante d’inglese di Ran!”
“Hello, io sono Jodie Saintemillion! – si presentò la bionda – molto piacere!”
In quel momento, salì sull’autobus un uomo alto avvolto in un lungo impermeabile grigio. Un passamontagna scuro e una mascherina gli coprivano metà volto, ma Vermouth notò subito quei penetranti occhi verdi sotto il berretto di lana scuro. Sembravano gli occhi intensi di un falco, gli occhi di un vero predatore, che fino a quel momento, Vermouth aveva poturo ammirare soltanto in una foto, ma non avava alcun dubbio che appartenessero a lui , Shuichi Akai.
Ma che diavolo sta succedendo? – si domandò Vermouth, cominciando a sentirsi braccata – no, non è il momento di perdere la calma.
Solo in quel momento, Conan si accorse che nel sedile accanto Ai tremava avvolta nella mantellina rossa, stringendo saldamente i pugni sulle ginocchia.
“Non ti senti bene, piccola?” domandò a sua volta Vermouth, con apprensione.
“Ha solo un brutto raffreddore!” rispose Conan, al posto di quella bambina taciturna.
“Eh, già. Povera cara, questo è il periodo delle influenze!” cinguettò quella stramba professoressa d’inglese.
Vermouth stava per replicare acidamente qualcosa, quando l’attenzione di tutti i passeggeri fu catturata dal clip di una semi-automatica, suono familiare alle orecchie di Vermouth. Due uomini, col volto interamente coperto da un passamontagna, impugnavano delle pistole.
“Fermi, che nessuno si muova! – disse uno dei malviventi, puntando una pistola alla tempia dell’autista – restate seduti ai vostri posti, avete capito bene?”
Il complice al suo fianco, caricò la pistola e la puntò contrò i passeggeri ormai in preda al panico.
“Niente scherzi, provate a fare gli eroi e ci lascerete le penne – ghignò quest’ultimo – ora, da bravi, tirate fuori i cellulari e consegnatemeli senza fare i furbi!”
Il terrore era calato sull’autobus, mentre il conducente tenuto come ostaggio continuava a guidare saltando ogni fermata.
Mentre il secondo uomo cominciò a perquisire uno per uno i passeggeri, il malvivente rimasto accanto all’autista si rivolse al suo ostaggio:
“Apri bene le orecchie, al primo semaforo rosso ti metti in contatto con l’azienda per cui lavori!”
L’uomo terrorizzato annuì ed eseguì gli ordini. Al primo stop, con mano tremante prese il telefono.
“Q…qui Kobayashi…qui Kobayashi… – balbettò – mi sentite?”
Il criminale gli strappò l’apparecchio dalle mani in malomodo e comunicò:
“Abbiamo appena dirottato un autobus della vostra azienda di trasporti. Vogliamo una sola cosa da voi, mandate una macchina alla fermata di Yamanote. Al volante deve esserci una donna con una valigetta contenente 3 miliardi di yen. Deve essere lì prima del nostro arrivo, sono stato chiaro? – tuonò l’uomo – se fate scherzi o avvisate la polizia, ammazziamo tutti i passeggeri!”
L’uomo getto a terra l’apparecchio e lo stritolò sotto la suola degli scarponi, così da chiudere definitivamente i contatti con l’esterno.
Quando il complice finì di perquisire i passeggeri, tornò avanti dal suo compagno e dall’autista. A quel punto, Conan estrasse il telefonino miniaturizzato – ultima geniale invenzione del professor Agasa – per riuscire a mettersi in contatto con l’Ispettore Megure e informarlo di quanto stesse accadendo.
Conan si era appena infilato l’auricolare, quando un’ombra gli si parò davanti.
“Cosa diavolo stai cercando di fare, moccioso? – gridò minacciosamente il criminale afferrando per il colletto il bambino, sollevandolo e scaraventandolo furiosamente a terra – ti serve una bella lezione!”
Il bambino con gli occhiali gemette dal dolore, mentre l’uomo gli puntava crudelmente la pistola contro.
Vermouth perse un battito e, senza esitazione, si parò davanti al bambino.
“Tu, levati di mezzo!” ringhiò l’uomo furibondo.
“La prego non lo faccia – supplicò lei, avvicinando cautamente le mani alla pistola – è soltanto un bambino innocente. Non si macchi di una colpa simile, ce l’avrà sulla coscienza per sempre!”
Il malvivente stava cominciando a perdere la pazienza, mentre Vermouth abilmente disattivò la semiautomatica senza che quell’energumeno se ne accorgesse.
L’uomo spinse Vermouth, che ricadde in malo modo seduta al suo posto accanto a Jodie.
“Fermo, lascia stare – gli intinò il suo complice – se sparassi adesso, rischieresti solo di attirare l’attenzione dall’esterno, senza contare che se lo manchi potresti colpire quella roba!”
“Oh – esclamò l’uomo, rimasto interdetto – hai ragione!”
“Tutti ai vostri posti!” ringhiò l’uomo accanto all’autista, mentre il suo complice tornò a raggiungerlo.
Conan si rialzò e tornò a sedersi accanto ad una Ai, sempre più terrorizzata.
Mentre il bambino con gli occhiali si massaggiava la schiena ancora dolorante per il violento impatto, si accorse di una scatola incustodita sotto qualche sedile più avanti.
No, non può essere – realizzò Conan, con sgomento – una bomba!
Quando l’autobus stava ormai per avvicinarsi alla fermata, i malviventi si voltarono verso i passeggeri e poi apostrofarono Vermouth:
“Hey, tu con gli occhiali e la giacca verde! Si, proprio tu, eroe! Alzati e vieni qui! – ghignò beffarlo, il malvivente che Vermouth aveva sfidato apertamente – e anche tu, ragazzo indietro con la mascherina. Venite tutti e due qui vicino a voi!”
Vermouth sussultò, ma non osò obiettare. Si alzò lentamente, notando con la coda dell’occhio che Conan aveva fatto scivolare verso Jodie una minuscola agendina. La professoressa bionda l’aprì sulle ginocchia e scorse fra le pagine bianche finché non arrivò su una pagina con su scritto: HA UN ROSSETTO?
Cool guy, cosa intendi fare con il rossetto? – si interrogò segretamente tra sé Vermouth – il nostro destino è nelle tue mani, show me your magic!
Lento ma deciso, l’uomo con l’impermeabile grigio e la mascherina si incamminò verso i malviventi seguito da Vermouth.
Fissando quelle spalle larghe che le facevano strada verso il suo destino, a Vermouth scappò un sorriso amaro. Per un beffardo gioco della sorte, stava rischiando di morire proprio insieme al suo principale bersaglio.
I malviventi si tolsero velocemente i loro giubbotti e i passamontagna, scoprendo le loro turpi e orribili facce.
“Avanti, toglietevi i vostri soprabiti e indossate questi!”
Vermouth ringraziò di aver provveduto a indossare una fascia stringente al petto, che le appiattisse il seno, nonostante quella doveva essere una semplice uscita mattiniera di ronda.
Solo mentre si spogliava della giacca verde, Vermouth si accorse che Akai la stesse osservando con un’espressione indecifrabile, mentre infilava il giubbotto del malvivente.
Che si sia accorto di me? – si domandò lei, mentre il cuore palpitante sembrava esploderle nel petto.
Forse era effetto adrenalinico che le pulsava nelle vene, ma quegli occhi verdi magnetici sembravano avere il potere di inchiodare chiunque incrociassero.
“Non dimenticate il passamontagna – ricordò uno dei criminali, sogghignando – prenderete il nostro posto per qualche ora, per farci guadagnare un po’ di tempo! Passeremo per gli ostaggi liberati, ma non temete: ci penseranno gli altri passeggeri a scagionarvi!”
Nel frattempo, Jodie aveva passato furtivamente il rossetto al bambino con gli occhiali.
Non c’è dubbio - digrignò i denti Conan - appena lasciato il mezzo, faranno esplodere la bomba. Salteremo tutti in aria e nessuno potrà testimoniare contro di loro. Dal momento che i corpi del dottor Araide e del giovanotto con la mascherina verranno ritrovati con indosso il passamontagna, verranno considerati i veri colpevoli, mentre quei criminali la passeranno liscia. Sono stati molto furbi, devo riconoscerlo!
Conan sfruttò il favore del buio di un sottopassaggio, corse verso la busta contenente l’ordigno e, con il rossetto scarlatto, vi scrisse sopra STOP. Quando la luce del sole riprese ad illuminare l’autobus, Conan si rivolse ai malviventi sollevando con cautela la busta:
“Siete dei bugiardi! – esclamò il bambino, attirando su di sé l’attenzione di tutti i presenti – è chiaro che ci ucciderete tutti, altrimenti non vi sareste mai fatti vedere a volto scoperto! Signori, dobbiamo agire o ci faranno saltare in aria, attivando questa bomba!”
“Accidenti! Sei sempre tu! – imprecò uno dei criminali – hai finito di vivere, ragazzino!”
“Fermo, idiota, non puoi sparargli – gridò il suo complice, strabuzzando gli occhi – ma cos’è quelle scritta?”
“Autista!” gridò Conan, attirando l’attenzione del conducente.
Il malcapitato ostaggio lesse la parola STOP, guardando attraverso lo specchietto retrovisore.
“Si fermi!” lo esortò Jodie.
A quel punto, l’autista inchiodò e perse il controllo del mezzo, che cominciò a slittare.
Conan teneva stretta al petto la busta e Jodie corse in suo soccorso, perché il bambino e l’ordigno non perdessero l’equilibrio e battessero da qualche parte.
Vermouth e Akai si aggrapparono alle inferriate dell’autobus, mentre quei criminali caddero a terra.
“Ce l’abbiamo fatta!” sospirò Jodie, con entusiasmo quando l’autobus si fermò.
Quindi, la donna prese in consegna la busta e si complimentò con il bambino.
Quando i malviventi si rialzarono, uno di questi puntò furiosamente la pistola contro Conan:
“Maledetto moccioso, ti faccio secco!”
Akai stava per stecchirlo con una gomitata, ma Conan lo anticipò e addormentò il criminale, utilizzando l’orologio spara aghi anestetici.
Vermouth afferrò l’altro uomo per i polsi e glieli strinse dietro la schiena, consapevole che alla pistola che brandiva fosse stata innestata da lei la sicura, durante il loro faccia a faccia.
La polizia e gli artificieri furono prontamente allertatati, ma al loro arrivo il misterioso uomo con l’impermeabile e la mascherina si era già dileguato nel nulla.

Vermouth si era liberata dai panni maschili del dottor Araide e indossava una succinta vestaglia nera di seta.
Una sigaretta slim fumava ancora intonsa nel posacenere, insieme ad altri mozziconi ormai spenti, mentre le dita di Vermouth battevano insistentemente sui tasti del computer.
In quella stanza buia, la luce iridescente del monitor illuminava il suo bel volto di un colore innaturale, mentre stava per compiere un altro passo.
Soddisfatta, Vermouth mandò in stampa il testo, mettendo nero su bianco il messaggio preparato con amore:

CARO STUDENTE DETECTIVE,
IN QUESTA NOTTE DI LUNA PIENA, TI INVITO A UN LUGUBRE BANCHETTO. CI SARA’ UNA FESTA CHE SI TINGERA’ DI MISTERO A BORDO DI UNA NAVE. SAPPI CHE, SE TU SIA PRESENTE O MENO, UN INNOCENTE AGNELLO SU CUI SI E’ ABBATTUTA LA SFORTUNA ANDRA’ INCONTRO AL SUO DESTINO E IL SUO CARNEFICE SI RALLEGRERA’ NEL VEDERE LA SUA FINE.

VERMOUTH


Vermouth si era firmata con il suo nome in codice, consapevole del fatto che il destinatario avrebbe compreso. Vermouth è il nome di un liquore italiano e Conan Edogawa o, per meglio dire, Shinichi Kudo, non poteva ignorarlo. Il giovane detective l’avrebbe immediatamente collegata alla misteriosa Organizzazione in cui si era malauguratamente imbattuto.
Vermouth stava sigillando la lettera con una la ceralacca, quando il suo cellulare suonò.
“Vermouth, cos’è successo? – la voce del Boss giunse irata e piena di preoccupazione – stai bene?”
“Capo – rispose lei, con stupore – si, sto bene. Mi sono imbattuta accidentalmente in un dirottamento.”
Doveva immaginarselo che la notizia potesse essere già giunta alle orecchie del Boss.
Pur avendone avuto la possibilità, Vermouth gli aveva taciuto che qualcuno si era intrufolato nel suo appartamento, ma lo aveva messo al corrente di essersi imbattuta nella bambina che somigliava in modo incredibile a Sherry.
Dal momento che era già sulle sue tracce, il Boss le aveva permesso di indagare in prima persona sulla bambina sospetta.
“Devi stare attenta! Se quella bambina è Sherry, non ha scampo – disse il Capo – tu però non esporti più del necessario, ricordati di tutelare prima di tutto la tua vita!”
Vermouth rimase interdetta per qualche attimo, sinceramente colpita da quelle parole.
“Non preoccuparti – gli assicurò lei – anche se sull’autobus era presente anche lui , non ho rischiato la vita neanche per un secondo!”
“Lui? – domandò il Boss, incredulo – Shuichi Akai era su quell’autobus?”
“Si, anche se il suo volto era semicoperto da una mascherina e da un passamontagna, non c’è dubbio che fosse lui – rispose Vermouth con decisione – è stato preso come ostaggio e quando l’autobus si è fermato è sparito nel nulla!”
Quegli occhi… quegli occhi li riconoscerei fra mille al mondo!
“Tipico, lui è come la peggiore delle malattie – ghignò il Boss, con disprezzo – invisibile e silenzioso, infetta tutto ciò che tocca e poi sparisce come se niente fosse!”
“Lascia fare a me – disse Vermouth, aspirando una boccata di sigaretta – la prossima volta non avrà scampo, finirà dritto in una bara!”
***
***
***
CIAO A TUTTI,
QUESTO CAPITOLO E’ DECISAMENTE MENO CUPO DI QUELLI PRECEDENTI. SPERO VI SIA PIACIUTO, PERCHE’ IO MI SONO DIVERTITA MOLTO A SCRIVERLO :D
FINALMENTE VERMOUTH E AKAI SI SONO INCONTRATI E IL TENEBROSO AGENTE DELL’FBI SEMBRA AVER FATTO UN CERTO EFFETTO ALLA DONNA DAI MILLE TRAVESTIMENTI.
PER IL MOMENTO NON CI E’ DATO SAPERE IL PUNTO DI VISTA DI AKAI E SE SAPPIA CHI SI CELI DIETRO LE MENTITE SPOGLIE DEL DOTTOR ARAIDE. PER ADESSO, RIMANE UN MISTERIOSO UOMO IN UN AUTOBUS!
VI AUGURO BUONA LETTURA E VI RINGRAZIO PER CONTINUARE A LEGGERE QUESTA STORIA.
A PRESTO,
JAPAN_LOVER < 3

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Capitolo 5
*** Scontro diretto in una notte di luna (Prima parte) ***


SCONTRO DIRETTO IN UNA NOTTE DI LUNA

(Prima parte)


Nella notte, la Porsche 365A di Gin viaggiava a tutta velocità sul Rainbow Bridge, il ponte sospeso che attraversa la parte settentrionale della baia di Tokyo.
Nell’abitacolo Gin stava informando Vodka, il suo inseparabile partener, delle ultime direttive giunte dai piani alti.
“Ho capito bene? Ci sarà una festa per Halloween fuori stagione? – domandò Vodka, seduto sul sedile passeggero – e quando, Gin?”
“Domani – rispose l’uomo in nero dai lunghi capelli argentei, alla guida della Porsche – la festa si terrà domani sera, comincerà circa alle 7!”
“Ma è soltanto una stupida mascherata! – protestò Vodka, perplesso – perché mai dovremmo andare a una festa del genere?”
“E’ un ordine, c’è Vermouth dietro questa storia – piegò Gin – il nostro compito sarà quello di controllare la zona!”
“Vermouth?” fece eco Vodka.
Gin, piuttosto seccato, si domandò il perché di tanta meraviglia.
“Già! Anche io mi sono stancato del comportamento misterioso di quella donna – biasciò Gin, a denti stretti – per colpa sua non ho avuto il via libera quando si è trattato di stanare Akai, ma chi se ne frega. Se quella donna si mette strane idee in testa e comincia a fare i capricci, non avremo pietà. Non mi importa se lei è la sua Preferita!
Vodka deglutì, intimorito dallo sguardo glaciale del suo complice.

Vermuoth era solita fermarsi nell’ambulatorio del dottor Araide fino a chiusura, alle 19:00.
Quella sera, però, si trattenne oltre l’orario di chiusura. Quando anche l’ultimo degli assistiti si congedò, Vermouth alzò la cornetta e digitò quel numero reperito fra l’elenco recapiti dei pazienti. Dopo svariati squilli, rispose una voce di bambina, preceduta da insistenti colpi di tosse:
Coff Coff Pronto? coff coff ?” rispose Ai.
“Sono il dottor Araide, mi scuso per l’ora tarda – asserì Vermouth, imitano come sempre alla perfezione la voce del dottore– c’è il professor Agasa?”
“No… coff coff credo sia uscito con Conan… – rispose la bambina – vuole che gli riferisca qualcosa?”
Ottimo – ghignò tra sé Vermouth – tutto secondo i miei piani!
“Beh no, a dire il vero cercavo proprio te! Non mi piace la tua tosse, pensavo di farti esaminare in una clinica attrezzata – spiegò la donna – ho chiesto a un mio amico medico e ha detto che potrebbe visitarti subito, però purtroppo è libero solo questa sera perché domani parte per un viaggio di lavoro. So che è una cosa un po’ improvvisa, però… che ne dici se ti passo a prendere? Tranquilla, poi ci penserò io ad avvertire il professore!”
“Si, va bene – acconsentì placidamente la bambina – tanto mi stavo annoiando. Mi hanno piantata qui in asso, senza neanche avvisarmi!”
Vermouth non si aspettava che sarebbe stato così facile persuadere quella bambina schiva e diffidente, ma ormai ce l’aveva impugno.
Dì le tue ultime preghiere, Sherry ! – ghigno Vermouth – se davvero ti stai nascondendo nel corpo di quella bambina, non hai scampo!
Vestendo ancora i panni del dottor Araide, Vermouth salì sulla Lanos Daewoo grigia del medico e si diresse a casa del professor Agasa.
La luna piena splendeva già alta nel cielo. Era il momento più propizio per entrare in azione, perché i membri dell’organizzazione agivano sempre così: notturni come corvi, colpivano sempre con il favore delle tenebre.
Lungo il tragitto, Vermouth dovette frenare di colpo.
Costretta a fermarsi, abbassò finestrino per interagite con un uomo con la pettorina catarifrangente arancione.
“Scusi, cos’è successo?” domandò lei perplessa.
“Mi rincresce molto, signore! Un camion ha perso un carico e ha bloccato la strada – spiegò l’operaio del soccorso stradale – stiamo cercando di sgomberare, se ha pazienza tra una ventina di minuti potrà passare!”
Vermouth fu costretta ad attendere. Impaziente, ticchettava impaziente sul quadrante dell’orologio da polso, finché non tornò quel signore per avvisarla:
“Ecco signore, ora può passare. La strada è libera!”
Qualcosa in quell’uomo non convinceva molto Vermouth, la quale, però, decise di sorvolare. Doveva arrivare a destinazione il prima possibile.
Quando giunse sul vialetto, Vermouth vide un’auto parcheggiato davanti alla villa del dottor Agasa; una donna bionda dall’aria familiare stava facendo salire Ai su una Peugeot 508 nera.
Jodie!
La Peugeot partì, seguita a ruota dalla Lanos Daewoo grigia metallizzata. Forte della consapevolezza di trovarsi in netto vantaggio, Vermouth non si scompose. Piuttosto, non vedeva l’ora di scoprire fino a che punto avesse intenzione di spingersi quella donna.
Jodie guidava a una velocità piuttosto sostenuta; arrivata in una zona portuale deserta, inchiodò bruscamente e, slittando, si ritrovò, muso contro muso, a un palmo dall’auto di Vermouth, la quale dovette frenare per non incorrere in un incidente frontale.
Jodie scese dall’auto, lasciando la bambina in macchina. La bionda indossava in vestito di lana amaranto piuttosto corto, sotto un cappotto scuro.
Vermouth avrebbe tanto voluto cancellarle il ghigno soddisfatto dalle labbra di quella seccatrice. Quindi, si slacciò svelta la cintura e scese dalla Lanos, per fronteggiarla.
“Ma che cosa sta facendo?” la apostrofò, per prima.
“Oh, ma è lei, dottor Araide? – cinguettò Jodie, come se davvero cascasse dalle nuvole – cosa ci fa qui e perché ci seguiva?”
“Hey, non faccia la finta tonta con me – replicò Vermouth, veramente irritata – che cosa aveva intenzione di fare con quella bambina?”
Jodie scoppiò in una risata divertita.
“Calma, dottore. Calma. Stavamo solo facendo un giro in macchina – rise lei, sistemandosi gli eccentrici occhiali da vista sul naso – io ho un sacco di tempo libero, lei invece ha ben altro a cui pensare, giusto?”
Jodie aveva inscenato un bel teatrino. Vermouth dovette ammettere che quella donna ci sapeva davvero fare.
“Cosa vorrebbe dire?” replicò Vermouth.
“Non se lo ricorda? Fra qualche giorno ci sarà il processo per quel caso di omicidio e come persona a conoscenza dei fatti dovrà testimoniare – osservò Jodie – dovrà dire a tutti che è stata la sua domestica Ikaru Tamoto a premere il grilletto e a uccidere suo padre”
Ma dove vuole andare a parare? – si chiese Vermouth.
“Che cosa?” rispose, quindi Vermouth.
“Ora è lei che cade dalle nuvole, caro il mio dottore! – sogghignò Jodie – guardi che il detective Goro mi ha spiegato per filo e per segno cosa è successo!”
“Non è vero, mi sta prendendo in giro. Lo sanno tutti che è stata la mia matrigna ad uccidere mio padre! – rispose Vermouth – inoltre, non è stato colpito da un proiettile, ma è morto per una scarica elettrica!”
Jodie incrociò le braccia sul petto e scoppiò in un'altra risata.
“Lo sapevo… stavo solo usando una metafora. Si rilassi, dottore – disse Jodie – quando ho detto che Ikaru aveva premuto il grilletto, volevo dire che aveva premuto l’interruttore dell’elettricità. È naturale che l’assassino è colei che ha architettato il piano per uccidere suo padre. Per non fare passare guai a quella povera ragazza, la sua matrigna e la polizia hanno falsificato gli atti delle indagini. Infatti, nei documenti c’è scritto che la causa della morte di suo padre è un’altra”
Vermouth rimase interdetta e Jodie se ne avvide.
“Si, si, lo so! Lei è all’oscuro di tutto – continuò quell’esuberante professoressa, con espressione trionfante – quello che le ho detto non è riportato nel dossier in suo possesso, ovvero quello che lei ha rubato al signor Goro, ma è negli atti ufficiali della polizia.”
Scacco matto! – esultò tra sé Jodie.
“Ma lei chi è? Che cosa vuole?” domandò Vermouth, continuando a tenere su quel teatrino, ma sapendo bene che ormai era fatta.
A secret makes a woman woman – recitò Jodie – sono queste le parole che ho sentito pronunciare da lei tanti anni fa e che ho continuato a ripetere, per tenerle bene a mente. Già, le parole pronunciate dalla persona che ha ucciso mio padre. Ho indovinato, vero? Tu sei Chris Vineyard o forse dovrei usare un altro nome… Vermouth?”
Vermouth incurvò le labbra in un ghigno compiaciuto. Era ora, finalmente!
Con le unghie, cercò le increspature alla base del collo. In un solo fluido movimento, il cerone venne via, strappando via la maschera e rivelando il suo bellissimo viso angelico e diafano, mentre lunghi capelli color platino ricaddero disordinati lungo la schiena.
***
***
***
CIAO A TUTTI,
DAL MOMENTO CHE IL CAPITOLO MINACCIAVA DI DIVENTARE DAVVERO LUNGO, HO DECISO DI DIVIDERLO IN DUE PARTI. CREDO CHE RICORDIATE QUESTA PARTE DEL MANGA, E’ UNA DELLE PARTI CHE AMO DI PIU’ *-*
HO MODIFICATO QUALCOSA, PER ADATTARLO ALLA MIA STORIA. RICORDERETE CHE NEL CAPITOLO 3, VERMOUTH SI E’ INTRUFOLATA NELL’UFFICIO DI GORO, FRA L’ALTRO RIMANENDONE TRAUMATIZZATA, E HA RUBATO DEI DOSSIER :’D, BEH NEL PROSSIMO CAPITOLO SPIEGHERO’ – ATTRAVERSO VERMOUTH – IL PERCHE’.
SPERO CHE QUESTA STORIA VI STIA PIANO PIANO APPASSIONANDO,
GRAZIE PER CONTINUARE A SEGUIRLA!!
BUONA LETTURA E A PRESTO,
JAPAN_LOVER < 3

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Capitolo 6
*** Scontro diretto in una notte di luna (Seconda parte) ***


SCONTRO DIRETTO IN UNA NOTTE DI LUNA

(Seconda parte)


Al tenue chiarore lunare, le Vermouth e Jodie si studiavano in un intenso gioco di sguardi.
Le nuvole passano veloci sulla luna, concedendole di assistere dal suo posto privilegiato al grande scontro che da un momento all’altro sarebbe scoppiato.
Gli occhi di ghiaccio della prima scrutavano attentamente quelli azzurri della seconda, domandandosi cosa avesse in serbo per lei quell’agente dell’FBI tanto sicura di sé.
The secret makes a woman woman sono queste le parole che pronunciasti alla commemorazione funebre dei miei genitori, da allora le ripeto sempre per tenere bene a mente le parole della donna che me li ha portate via! – disse Jodie, interrompendo per prima quel profondo silenzio – sei tu che hai ucciso i miei genitori e hai appiccato l’incendio che ha distrutto la mia casa. Mio padre era un agente dell’FBI, la sua umica colpa è stata quella di aver raccolto informazioni sul suo conto!”
Vermouth sorrise e intrecciò fra le dita la fronda platino svolazzante.
“Ma tu guarda! – esclamò colpita – eri tu la bambina sopravvissuta all’incendio! Quando seppi che tra le macerie erano stati trovati soltanto i resti di due adulti ti cercai dappertutto!”
“Mi salvai perché uscii di casa a comprare una spremuta d’arancia per papà – spiegò l’agente – credetti che stesse dormendo profondamente, ma sono quasi certa che tu l’avessi ucciso già prima di appiccare fuoco alla casa. Io fui protetta dai colleghi di mio padre, che tempestivamente mi inserirono nel programma protezione testimoni!”
Quell’inaspettato retroscena, fu una vera sorpresa per Vermouth. Erano trascorsi circa 24 anni da quando si era introdotta nella Villa dei Saintmillion, per recuperare dossier incriminanti sul suo conto e scomparire così dal registro degli indagati. Quella bambina era riuscita a sparire e, finalmente, Vermouth si spiegava anche come avesse fatto.
Quindi, Vermouth scrollò all’indietro una ciocca di platino e ritornò a concentrarsi sul presente, sulla resa dei conti in atto. Per Jodie doveva trattarsi sicuramente di una questione privata.
“Deve essere stata dura per te, non è vero? Vivere con un'altra identità, lontana dai propri affetti…povera cara! – ghignò Vermouth, con una velata punta d’ironia – scommetto che hai seguito le orme di tuo padre e ti sei impegnata a darmi la caccia… giusto, agente dell’FBI Jodie Starling?”
L’agente sotto copertura strinse i pugni, tesi lungo i fianchi. Quel giorno, sull’autobus dirottato, le si era presentata con il nome fittizio di Jodie Saintmillion.
“Sei una strega dalle mille facce, Vermouth, ma io ti ho scoperta – ghignò con astio Jodie – grazie alla tua abilità nel travestirti, riesci ad intrufolarti ovunque e a tenere le situazioni sotto controllo”
Vermouth fece spallucce, senza curarsi di nascondere il suo compiacimento.
“Devi ammettere, però, che il mio dottor Araide era perfetto! – replicò lei – come hai fatto a scoprire che ero io?”
“Molto semplice – spiegò Jodie, sistemandosi gli occhiali sul naso – ti abbiamo notata quando hai cominciato a frequentare assiduamente il suo ospedale. Entravi e uscivi senza travestirti, quindi era ovvio che il tuo scopo era ucciderlo, prendere il suo posto e agire indisturbata!”
“Un momento! Dalle tue parole, deduco che quell’incidente è stata una messa in scena – replicò Vermouth perplessa – ma io ho visto con i miei occhi la macchina di famiglia del dottor Araide passarmi davanti, sfondare il guardrail per poi finire in mare…!”
Jodie incurvò le labbra in un sorriso compiaciuto, prima di rivelarle lo stratagemma che aveva architettato:
“Vedi, noi abbiamo solo assecondato il tuo piano: abbiamo finto di credere che tu fossi solo il dottor Araide. La persona alla guida di quell’auto era un collega dotato di maschera e bombola da sub… un piccolo stratagemma per evitare che tu uccidessi il vero dottore, che è vivo e abita al sicuro in un posto molto lontano”
“I miei complimenti, sei stata davvero abile!” sorrise Vermouth, sinceramente colpita.
“Grazie – continuò Jodie – come previsto, una volta insediata nel suo studio, ti sei messa a fare delle ricerche. Ti abbiamo tenuto d’occhio e, mentre non c’eri, siamo entrati di nascosto nel tuo appartamento; sul frigo in cucina c’erano attaccate due foto con un bersaglio: una raffigurava un mio collega, mentre l’altra ritraeva la graziosa bambina con il caschetto castano che è nella mia macchina… naturalmente verrà immediatamente inserita nel programma protezione testimoni. Ora, vorrei capire una cosa: posso capire che la tua banda ricerchi Shuichi Akai, ma perché state dando la caccia a quella bambina?”
Vermouth la fissava con un sorriso quasi divertito: non aveva nessuna intenzione di dare risposta a quelle domande.
“E va bene, se ti interessa te lo dico…” ghignò sardonica Vermouth, infilando velocemente una mano nella giacca per recuperare la Beretta semiautomatica.
Ma Jodie fu molto più svelta di lei: estrasse la sua Smith & Wesson e con un solo colpo disarmò la rivale, facendole roteare la pistola di qualche metro, provocandole un dolore acuto alle nocche.
“Ferma dove sei!” gridò Jodie, con tutto l’astio che si portava dentro da quasi 30 anni.
A Vermouth non restò che alzare le mani.
“OK, sta calma…. hai un giocattolino molto pericoloso tra le mani – sorrise lei, come se si stesse rivolgendo davvero a quella bambina bionda di molti anni prima – hai chiesto alla polizia giapponese il permesso di tenere quella pistola?”
“Prima ti arresto e poi chiederò alla polizia locale di unirsi all’FBI per effettuare tutte le indagini del caso – rispose Jodie, con determinazione – però, prima di metterti le manette ai polsi, c’è ancora una cosa che vorrei sapere. Come mai tu non invecchi? Come fai ad essere uguale a quel giorno?”
Vermouth rimase ancora una volta impassibile e lanciò un’occhiata sul capannone attiguo. Lassù in cima, Calvados se ne stava ben posizionato nell’ombra in attesa di un suo ordine, tenendo costantemente nel mirino l’agente Jodie Starling.
Calvados era senz’altro il cecchino migliore all’interno dell’Organizzazione, il Boss glielo aveva affiancato per stare più tranquillo.
“Non vuoi dirmelo, eh? Ma non importa, quando la polizia giapponese mi darà la tua custodia ti farò confessare! – disse Jodie, per poi rivolgersi trionfale ai suoi uomini incaricati di appostarsi sul luogo stabilito per l’imboscata – avanti, ragazzi! Venite a mettere le manette a questa donna!”
A quel punto, Vermouth fece un lieve cenno con la testa. Calvados captò il segnale e fece fuoco, colpendo Jodie. La donna venne ferita superficialmente, ma all’addome. Cacciò un grido di dolore, si accasciò allo sportello della sua auto e scivolò inesorabilmente a terra.
“Grazie, Calvados! Ottimo lavoro! – disse Vermouth, avvicinandosi lentamente a Jodie – aspetta a finirla!”
Questa la prendo io! – fece Vermouth, chinandosi e sfilando dalle mani deboli e intorpidite di Jodie la pistola semiautomatica.
La mente di Jodie era confusa, senz’altro non si aspettava questo colpo di scena.
“Lo sapevo che volevi fregarmi – le spiegò Vermouth, beffarda – avevi organizzato una bella trappola con i tuoi uomini. Mi dispiace per te, ma non sei riuscita a mettermi con spalle al muro. Purtroppo per te, ci ha pensato Calvados a sistemare i tuoi amichetti!”
“N…no!” riuscì ad esalare soltanto Jodie, ancora sotto choc.
“Non lo hai ancora capito? – ghignò Vermouth – c’è un altro motivo per cui ho sottratto il dossier al detective Goro. Infatti, non ho preso soltanto quello che mi serviva, vale a dire la documentazione relativa alla famiglia Araide, per appropriarmi dell’identità del dottore, ma li ho presi tutti in modo che nessuno potesse risalire a me. Volevo farvi credere che il mio prolungato soggiorno in Giappone avesse qualcosa a che fare con le indagini del detective Goro, così avreste tenuto sotto sorveglianza la sua agenzia investigativa, permettendomi di scoprire chi erano gli agenti dell’FBI. Come prevedevo, ho scoperto in quanti eravate, il posto in cui stavate e il modo in cui vi scambiavate le informazioni. Inoltre, ho anche scoperto che mi stavate tendendo una trappola proprio su questo modo, ciò mi ha permesso di giocare d’anticipo”
Jodie portò una mano al petto per tamponare la ferita. Tra un ansito e l’altro, respirava affannosamente e cominciava ad accarezzare con terrore la possibilità che per lei potesse essere finita.
“E così… sapevi che ci eravamo introdotti nel tuo appartamento…” mormorò lei, con un filo di voce.
“Ma certo che si. Ho solo fatto finta di niente. Sapevo che vedendo quella ragazzina l’avreste trovata per proteggerla, risparmiandomi la fatica di cercarla! – rise Vermouth soddisfatta, puntando poi la SMITH & WESSEN contro la sua stessa propietaria – credo che ci siamo dette tutto. A questo punto, direi che possiamo concludere qui il nostro incontro… non trovi?”
Jodie inorridì, al pensiero di dover morire per mano della stessa donna che aveva ucciso i suoi genitori.
“Che muso lungo – ghignò Vermouth, puntando la pistola alla fronte della sua nemica – dai, fammi un sorriso. Non sei contenta? Fra poco rivedrai la tua mamma e il tuo papa…!”
La donna dai capelli color platino, fece appena in tempo a pronunciare quelle parole, che un pallone da calcio – sfondando il vetro della Peujout di Jodie – la colpì violentemente in pieno volto e face schizzare via la pistola a diversi metri di distanza.
La bambina dal caschetto castano scese dall’auto. Anche se ancora scossa, Vermouth notò subito le scintille avvolgere quelle scarpette da tennis. Subito si fece largo in lei l’ombra di un terribile dubbio.
Tu? Non è possibile… tu dovresti essere lontano da qui…dovresti essere salpato a bordo di quella maledetta nave… Dovevo immaginare che avresti trovato un modo per aggirare il mio piano, Cool Guy!
Ogni dubbio fu immediatamente dissipato, quando la maschera che ritraeva i graziosi lineamenti di quella bambina venne giù, svelando il volto di Conan.
“Ma certo! – sorrise amaramente Vermouth – questa deve essere opera della mia amica Yukiko!”
Per tutta risposta, Conan le sorrise di rimando.
Il detective bambino si era piazzato sotto il casolare, al sicuro dalla portata del cecchino.
“Non fare scherzi, hai un’arma puntata – l’avvertì il piccolo detective – sali in macchina dopo Jodie, ok? Andiamo a fare un bel giro alla centrale di polizia!”
Jodie stava per raccogliere le forze necessarie per tirarsi su, quando il rombo di un motore e il bagliore di un’auto gialla catturarono l’attenzione di tutti.
Un taxi? – Conan ebbe un sussulto, realizzando che non poteva trattarsi che di una sola persona – oh no! Ai!
***
***
***
CIAO,
MI DISPIACE INTERROMPERE PROPRIO NEL MOMENTO IN CUI L’AZIONE SI FACEVA PIU’ INTERESSANTE, MA MI SONO RESA CONTO IL CHE STAVA VENENDO ECCESSIVAMENTE LUNGO. PROPRIO COME NEL MANGA, CONAN SALTA FUORI E RIESCE A METTERE ALLE STRETTE VERMOUTH…
SPERO DI RIUSCIRE AD AGGIORNARE PRESTO!
GRAZIE DI SEGUIRE QUESTA STORIA… NON SPOILERO NIENTE, MA PRESTO SCOPRIREMO QUALCOSA DI PIU’ SUL PASSATO DI VERMOUTH!
A PRESTO,
JAPAN_LOVER <3

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Capitolo 7
*** Scontro diretto in una notte di luna (Terza parte) ***


SCONTRO DIRETTO IN UNA NOTTE DI LUNA

(Terza parte)


La bambina con il grazioso caschetto castano si strinse nel giubbottino verde, mentre il taxi da cui era scesa spariva nell’oscurità da dove era sbucato.
Il viso di Conan si contrasse per lo sgomento, nel vedere la sua amica materializzarsi. Eppure, si era assicurato di averla richiusa nello scantinato del professor Agasa.
“No Ai, non ti avvicinare. Vattene! Va via!” le gridò il bambino, con tutto il fiato che aveva nei polmoni.
Ma Ai si avvicinava col passo lento e deciso di chi avanza verso la propria inevitabile condanna. Non poteva tollerare che persone innocenti pagassero per lei: solo lei poteva porre fine a tutto questo.
L’arrivo di Ai aveva destato grande stupore in Conan, in Jodie, ma anche nella stessa Vermouth, la quale – proprio in virtù della sua inaspettata apparizione – poté tirare un sospiro di sollievo.
Tempismo perfetto. Arrivi proprio al momento giusto, cara Sherry! – ghignò soddisfatta.
Approfittando del momento, Vermouth si chinò su Conan, ne afferrò con destrezza il polso minuto e puntò l’orologio spara aghi anestetici contro il suo stesso proprietario.
Bastò un CLIC e Conan cadde addormentato, in un sonno profondo. La donna dai lunghi capelli di platino accompagnò dolcemente a terra il corpo addormentato del bambino.
“Buonanotte e sogni d’oro, piccolo!” sussurrò, quasi con dolcezza.
Quel bambino sveglio l’aveva stupita, togliendosi la maschera e rivelando la propria presenza, ed era quasi riuscito a catturarla.
Vermouth estrasse una beretta dalla fondina alla caviglia, si sollevò e puntò l’arma contro la bambina che si stava spontaneamente consegnando a lei:
“In quanto a te… felice di rivederti, cara Sherry!”
Ai non aveva mai provato tanta paura come in quel momento, ma non arretrò di un solo passo. Con indomito coraggio, sostenne lo sguardo algido della sua acerrima nemica.
“Sai, hai fatto una grande sciocchezza! – le disse Vermouth, con un ghigno di trionfo – venendo qui, hai mandato all’aria il piano del tuo amichetto. Pessima idea! Non ci tieni poi tanto alla tua vita!”
“Non sono qui per farmi eliminare, ma per porre fine a questa storia – rispose la bambina castana, serrando i piccoli pugni – anche se la polizia ti arrestasse, so che finché avrò vita voi non la smetterete mai di darmi la caccia. Quello che ti chiedo è di farmi una promessa: non dovrai torcere un capello a nessun altro, tranne me. Mi dai la tua parola d’onore?”
Vermouth scrollò le spalle: non aveva alcuna intenzione di fare del male a quel bambino, che in realtà le stava profondamente a cuore.
“Per me va bene! Risparmierò tutti, tranne questa donna che è un’agente dell’FBI, ma non prima di aver fatto fuori te – le rispose placidamente – e se cerchi qualcuno a cui dare la colpa, cara Sherry, prenditela con i tuoi genitori che hanno cominciato questa stupida inchiesta!”
Jodie era a terra, ferita e disarmata. Le forze venivano sempre meno e si sentiva terribilmente impotente.
Proprio mentre Vermouth stava per infliggere il colpo, il cofano di Jodie si spalancò, lasciando uscire un’agile figura femminile: Ran. Come una saetta, la liceale schivò la pioggia di proiettili cadenti dall'alto di Calvados e schizzò verso Ai.
“No! – riuscì a sibilare Vermouth, accorgendosi della nuova presenza – Calvados, fermo!”
Ran afferrò la bambina, avvolgendola tra le sue braccia e travolgendola. Le due persero l’equilibrio, finendo rovinosamente a terra. Ran tremava di paura, facendo del proprio corpo lo scudo a quell’incessante pioggia di pallottole.
“No, Calvados, basta! – urlò Vermouth – non sparare!”
Lassù in alto sul casolare, l’uomo rimase perplesso ma ubbidì. Calvados le avrebbe obbedito sempre, anche se non glielo avesse ordinato il Capo.
Vermuoth si rivolse così a Ran, quella creatura angelica che solo due anni prima le aveva salvato la vita in una notte di luna, proprio come quella:
“Hey, tu! Allontanati da quella bambina! A meno che tu non voglia morire con lei, spostati!”
Per tutta risposta, Ran si strinse ancora di più ad Ai.
Entrambe erano terrorizzate, tremavano come delle foglie, ma Ran sentiva di non poter fare a meno di proteggere quella bambina innocente.
“Hai sentito? Obbedisci e levati di mezzo!” tuonò ancora una volta Vermouth, spazientita.
Vermouth non era preparata a questo. Lo sconfinato altruismo, la fiducia cieca nella giustizia, l’amore incondizionato per la vita… tutto questo colpì il cuore arido di Vermouth, facendolo vacillare ancora una volta.
Fuori di sé, Vemouth cominciò a sparare colpi intimidatori a vuoto, ma non ottenne reazione: lei era ancora lì, a proteggere Sherry.
Non ce la faceva, non poteva colpirla. Quello ero uno scrupolo di coscienza, che andava oltre la semplice gratitudine: quella notte a New York Ran e Shinichi non le avevano soltanto salvato la vita, ma le avevano fatto scoprire l’esistenza dell’amore disinteressato, l’amore per la vita. In qualche modo, quei due ragazzi avevano piantato in lei un germoglio di speranza. Le avevano ricordato, dopo troppo tempo, che l’amore e la giustizia esistono davvero. <
Nell frattempo, la pistola si era scaricata di tutti i proiettili. Dopo quell’attimo di confusione, Vermouth tornò in sé e caricò l’arma con una nuova cartuccia.
Non poteva permettere che Cool Guy ed Angel si frapponessero, non adesso che finalmente Sherry era nelle sue mani. Quindi, urlò ancora una volta:
“Angel, spostati prima che sia troppo tardi…!”
Un bruciore al braccio la colse all’improvviso, facendola urlare di dolore. Digrignando i denti, Vemouth si voltò e vide Jodie a terra che, trascinandosi, era riuscita a recuperare la SMITH & WESSEN che era schizzata via.
“Ma che hai fatto?” urlò di rabbia e di dolore Vermouth, mentre un rivolo di sangue le scorreva caldo lungo il braccio.
Un rumore di passi ruppe il silenzio carico di tensione e i lineamenti contratti sul volto di Vermouth si del viso si rilassarono visibilmente.
“Arrivi giusto in tempo, Calvados, così non possono sfuggirci!” ghignò Vermouth.
Jodie deglutì di puro terrore, mentre quei passi si facevano spaventosamente più vicini.
“Avanti, Calvados – esortò ancora una volta Vermouth, trionfale – usa quel tuo micidiale fucile e togli di mezzo questa ficcanaso di agente dell’FBI!”
Quando per Jodie sembrava tutto finito, una voce maschile a lei familiare le fece balzare il cuore nel petto:
“Ah, questo non lo sapevo! Si chiama Calvados, eh? Peggio per lui – esclamò beffardo – aveva un fucile, una doppietta e tre pistole. Con un arsenale del genere credevo che fosse un venditore d’armi”
Dall’ombra uscì fuori un uomo alto, con un gilet mimetico, un passamontagna scuro e penetranti occhi grigi e marcati da profonde borse.
“Cosa? – sussultò Vermouth con un filo di voce – non ci posso credere! Shuichi Akai!”
Lui era un agente federale dell’FBI, ma agiva come un lupo solitario. Vermouth si pentì amaramente di non aver messo in conto un suo intervento.
“Povero Calvados! – ghignò Shuichi, imbracciando il fucile – mi dispiace, ma con due gambe rotte, non potrà tornare al lavoro molto presto!”
Vermouth aguzzò la vista verso l’alto e vide sporgere dal tetto del casolare l’ombra del suo partner accasciato. Con rabbia, lanciò un’occhiata ostile all’uomo sbucato dal nulla, per rovinarle i piani.
“Shuichi!” gemette di gioia Jodie, felice dell’arrivo a sorpresa del suo amico.
“Sai una cosa? Il nome del tuo amico ricorda molto il distillato di mele – ghignò Shuichi – e tutto sommato è il compagno ideale per una mela marcia come te!”
“Io sarei una mela marcia?” replicò Vermouth, punta nella sua vanità.
“Quando la grande Sharon era all’apice della sua carriera era soprannominata la mela d’oro . E’ vero che sei bella come a quei tempi, ma dentro sei tutta un’altra persona – spiegò lui, con disprezzo – sei anche peggio di una mela marcia!”
Se pensi di ferirmi, ti sbagli di grosso! – sprezzò lei, con rabbia.
Vermouth puntò la pistola, ma Akai fu più rapido. Prima ancor che potesse premere il grilletto, lui aveva già fatto fuoco contro di lei. Vermouth cadde violentemente a terra per quel colpo così preciso e ravvicinato.
Cominciava ad esserle chiaro, perché il Capo lo temesse così tanto.
“No, fermo Shuichi! – intervenne preoccupata Jodie – adesso basta!”
Finita con violenza contro l’asfalto, Vermouth gemeva e, al contempo, stringeva i denti per non dargli la soddisfazione della sua sofferenza. Ma anche il più minimo movimento sembrava dilaniarle la carne dal di dentro, come aghi pungenti. Fece appello a tutte le sue forze, quando lentamente cercò di tirarsi su.
“Tsk, non preoccuparti – minimizzò Shuichi – da come si muove, intuisco che la nostra Vermouth indossa un giubbotto antiproiettile…ecco! Si sta già rialzando, ma credo che abbia qualche costola rotta. Guardala in faccia, il suo bel volto è trasfigurato dal dolore. Questo è il viso di una donna che ormai ha perso lo splendore della gioventù!”
Vermouth lo guardò con odio. Strinse i denti – cercando di ignorare le fitte di dolore che le mozzavano il respiro – e con uno scatto balzò verso quel bambino addormentato.
Shuichi tentò di sparare, ma lei aveva già afferrato Conan, facendosene scudo.
“Cavolo!” imprecò lui, fra i denti.
Puntando la pistola contro Conan, Vermouth entrò svelta nella Peujeot di Jodie.
“Oh, no! Ha preso il bambino!” esclamò la bionda agente dell’FBI, nel panico.
Al sicuro nell’abitacolo, Vermouth scaricò senza successo qualche colpo sui due agenti dell’FBI.
Akai rispose al fuoco, per quanto poté, ma aveva le mani legate per via del giovane ostaggio.
Grazie al cielo quella donna aveva lasciato le chiavi attaccate all’auto, e Vermouth poté mettere in moto e sfrecciare via verso un qualsiasi luogo sicuro.
Allontanandosi, si sporse verso il finestrino e puntò la pistola indietro. Scaricò gli ultimi tre colpi e l’auto del dottor Araide andò in fiamme: non poteva certo rischiare di essere inseguita.
L’esplosione che si scatenò davanti gli occhi dei due agenti, suscitò un moto di ammirazione nel cuore di cecchino che pulsava nel petto di Shuichi Akai, il quale non poté che commentare l’azione con un fischio di ammirazione:
FIIIIIIU FIIIIIU ha fatto saltare la macchina, mirando al serbatoio dallo specchietto retrovisore – osservò, sinceramente colpito – è proprio brava!”
Lui la seguì con lo sguardo, mentre spariva nel buio, certo che si sarebbero incontrati di nuovo.
“Shuichi! – lo rimproverò Jodie, ancora provata – questo non è il momento di farle i complimenti. È scappata con un bambino in ostaggio!”
Shuichi la inchiodò con uno sguardo fulmineo, prima di replicare:
“E tu perché hai lasciato la chiave nel cruscotto?”
“Mi dispiace! Non ho pensato a toglierla!” gemette lei, colpevole.
Shuichi le porse una mano per aiutarla a tirarsi su, che Jodie accettò con gratitudine.
“Comunque lei avrà pure preso il moccioso, ma noi abbiamo ancora il suo amico!” osservò Shuichi, ma in quell’esatto momento riecheggiò lo scoppio di una pistola.
“Accidenti! – sussultò Jodie – non mi dire che si è sparato!”
“Maledizione – imprecò fra i denti Akai – e così quel Calvados aveva ancora un’altra pistola!”
In quel momento, udirono un frenetico spiegamento di sirene della polizia farsi sempre più vicino.
“E’ la polizia! – sussultò Jodie, lanciando un’occhiata a Ran e ad Ai – deve averla chiamata Ran. Era nel mio bagagliaio, non credo che abbia sentito le nostre conversazioni di stasera, ma avrà sentito gli spari. Scommetto che ha visto alcune foto di tutti loro in camera mia e si sarà insospettita. È entrata nel cofano per perquisire la mia auto e quando ha sentito gli spari è saltata fuori e ha cercato di difendere quella bambina, facendole scudo con il suo corpo! Devono essere svenute entrambe, credendo di essere state colpite! Accidenti, certo che queste due devono aver avuto un bel coraggio!”
Shuichi lanciò una rapida occhiata a quelle due ragazze distese a terra e prive di sensi. Stavano bene, e tanto gli bastava.
Poi, scrollò le spalle e sistemò accuratamente il fucile sulle spalle.
“Me ne vado. Tu resta qui e pensa a come spiegare alla polizia come un agente dell’FBI in aspettativa è venuta in Giappone e si è trovata coinvolta nel rapimento di un bambino – le disse severamente – e dato che quella donna si è dileguata col moccioso, temo che la polizia farà fatica a credere alla nostra versione dei fatti”
Shuichi sparì così all’arrivò delle volanti, dileguandosi nell’ombra da cui era eroicamente sbucato.

*


Vermouth aveva accostato l’auto poco fuori città.
Fremeva di dolore e di rabbia, Al più semplice movimento, un una fitta acuta e pungente la dilaniava come se una lama le stesse trafiggendo la carne dal di dentro.
Estrasse dalla tasca della giacca il cellulare. 57 chiamate e 13 messaggi, tutti del Boss. Si diede pena a leggere soltanto l’ultimo messaggio:
TI HO CONCESSO TROPPA LIBERTA’.
TORNA DA ME, VERMOUTH!
“Ok, va bene, Capo – gemette lei, con amarezza – ho capito!”
Rispose con un messaggio rassicurante, prima che la batteria si esaurisse del tutto.
Poi, si voltò verso il bambino adagiato sul sedile accanto e un sorriso l’ombra di un sorrise le spuntò sulle labbra.
“E adesso ne sarà di lui? – chiese, reprimendo alla tentazione di scompigliargli i capelli – cosa faccio con questo ragazzino, che pensa di essere capace di tutto?”
Solo in quel momento di assoluto silenzio, Vermouth udì uno strano ticchettio provenire da Conan.
Afferrò un coltellino, che per le evenienze teneva sempre nella giacca, e squarciò la maglietta del ragazzino, scoprendo un apparecchio collegato a un dispositivo di rintracciamento e a un registratore.
Avevo il cellulare sotto controllo! – realizzò Vermouth.
Istintivamente, potrò il coltello ai fili che collegavano il torace del bambino al dispositivo.
“Non ti conviene farlo! – disse Conan, spalancando gli occhi – se adesso stacchi quel cavetto, penseranno che il mio cuore abbia smesso di battere e l’indirizzo mail a cui hai mandato il messaggio sul cellulare sarà di dominio pubblico. La società telefonica deve proteggere la privacy dei propri clienti, ma alla polizia per avere questa informazione basta semplicemente compilare un paio di moduli. In un minuto avranno tutti i dati. Quello che sto cercando di dire è che il suo che ha registrato questo dispositivo può essere decifrato e dai codici alfanumerici si può risalire al nome del tuo capo e alla sua posizione!”
“…”
Vermouth era esterrefatta.
“Ho capito che stavate cercando Sherry e sapevo che se tu l’avresti trovata, avresti avvertito il tuo capo – spiegò il piccolo detective, con un ghignò soddisfatto – se non vuoi che la polizia sia informata, devi portarmi dal tuo capo. Non ho più intenzione di nascondermi, voglio affrontarlo, voglio risolvere la faccenda una volta per tutte!”
Non hai la minima idea di cosa mi stai chiedendo, Cool guy! non poté fare a meno di pensare Vermouth, protettiva.
La donna sospirò amaramente e decise di affidare tutto al destino.
“E va bene. Smetterò di dare la caccia a Sherry!” promise lei.
Poi, sfilò un piccolo apparecchio dal taschino e premette un pulsante. Conan trasalì nel veder fuoriuscire a quel piccolo apparecchio una nuvola di fumo, che presto si diffuse per tutto l’abitacolo.
“Tranquillo, è solo un gas narcotizzante!” lo rassicurò lei, bonariamente.
“Non capisco, in questo modo lo stai respirando anche tu!”
“Si, è un gioco rischioso – ammise Vermouth – se ti svegli prima tu, andrai a chiamare la polizia e mi farai arrestare. Poi, andrete a cercare il mio capo e arresterete anche lui…ma cosa succederà se mi sveglio prima io?”
Inevitabilmente, le palpebre si fecero più pesanti e le loro coscienze sempre più deboli, finché il buio non prese il sopravvento.

*


L’alba si stagliava rosea in cielo.
Neanche Vermouth sapeva come fosse riuscita a trascinarsi fino alla prima cabina telefonica disponibile. Non senza difficoltà, riuscì ad allungare la mano verso la cornetta e a digitare il numero di Gin.
“Pronto?”
“Gin, s… sono io. Sono in una cabina telefonica sulla 26° strada, p…puoi venirmi a prendere? È stata una serata movimentata e ho un problemino… faccio fatica a muovermi!” la voce di Vermouth era malferma e smussata dal dolore.
“Si, certo. Arriviamo! – rispose l’uomo dalla lunga capigliatura argentata – ma dì un po’, almeno sei riuscita a trovare quello che cercavi?”
Da brava donna del mistero, Vermouth aveva agito in gran segreto. Del suo piano per stanare Sherry, non ne era al corrente nessuno, neanche il Capo. Soltanto lei e Calvados, in quanto suo cecchino.
Oh, no! Calvados! – solo in quel momento, si ricordò del suo partener.
“N… no, purtroppo no – rispose lei – Calvados è rimasto al molo ovest di Shinzu. È ferito, ha le gambe rotte…”
“Recupereremo anche lui! – sentenziò Gin, prima di riagganciare – resisti, stiamo arrivando!”
Vermouth si abbandonò con le spalle contro le pareti sudicie della cabina. Le riusciva difficile persino respirare mentre annoverava, una ad una, tutte le sue ferite.
Sapeva che molto difficilmente Calvados, con due gambe spezzate, potesse essersi messo al sicuro, tuttavia sperò che Gin riuscisse arrivare in tempo.
Se solo non fosse arrivato lui! – sospirò, piena di rammarico per l’occasione mancata e di odio, per quell’uomo che le aveva strappato la vittoria dalle mani.
Quell’uomo che persino il Capo temeva.
Quell’uomo che sembrava sapere molto di lei.
Quell’uomo spavaldo e arrogante…
Quell’uomo tanto sfrontato da sfidarla e così impudente da colpirla da ferirla…anche nell’orgoglio.
Io non sono una mala marcia!

*


Nel gelido casolare abbandonato, dove solitamente Korn e Chianti si esercitavano al piattello, giunsero presto le ultime novità.
La donna cecchino con il caschetto castano chiuse con rabbia la telefonata e strinse forte il cellulare nella mano, come a volerlo stritolare.
“Chianti, che c’è? Cos’è successo?” domandò Korn tutto accigliato nel vedere il volto della sua partner così stravolto.
“Calvados…Calvados è…. – la voce di Chianti tramava dalla rabbia – quella strega! Io l’ammazzo!”
Come una furia, Chianti scaraventò il cellulare a terra, mandando in frantumi. Poi, scaricò tutti i colpi sul bersaglio posto a 150 m di distanza.
Se Korn era il suo partner sul lavoro, Calvados era il compagno di una vita intera, l’amico di sempre, il fratello che non aveva mai avuto. Calvados era il suo punto di riferimento e sapere che non c’era più per mano di lei , rendeva la tragedia un affronto personale.
“Non starai mica dicendo che Calvados è morto!” trasalì Korn, incredulo.
“E’ stata lei! – gridò a pieni polmoni la cecchina – io la ammazzo, la faccio fuori con le mie stesse mani”
L’intesa tra i due cecchini era tale, che ormai Korn la capiva al volo.
“Stai parlando di Vermouth, vero? – replicò lui – vedi, Calvados l’amava molto…”
“E guarda che fine ha fatto! – replicò lei, piena di veleno – la pagherà, stai sicuro che la pagherà cara!”
Korn avrebbe voluto consolarla, dirle che non ne valeva la pena incorrere nell’ira del Boss. Purtroppo, Calvados non sarebbe più tornato indietro.
Chianti scoppiò in un pianto inconsolabile e il cecchino la abbracciò, lasciando che lei sfogasse tutte le lacrime sul suo petto, con la speranza che in un impeto di rabbia non commettesse l’irreparabile.
***
***
***
BUONASERA,
MI SCUSO PER LA LUNGHEZZA DEL CAPITOLO…MA E’ STATA DAVVERO UNA LUNGA NOTTE PER VERMOUTH E TUTTI GLI ALTRI PROTAGONISTI COINVOLTI ! SPERO CHE VI SIA PIACIUTO!
IN QUESTA STORIA, SHUICHI SEMBRA SAPERE MOLTO SU VERMOUTH… PIU’ AVANTI VEDREMO CHI DEI DUE RIUSCIRA’ A CATTURARE CHI :’D
GRAZIE PER ESSERE PASSATI, MI FA DAVVERO UN IMMENSO PIACERE *_*
A PRESTO,
JAPAN_LOVER < 3

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