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di SherLokid221B
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I ***
Capitolo 2: *** II ***
Capitolo 3: *** III ***



Capitolo 1
*** I ***


note: Ciao a tutti, questa è la mia prima fanfiction su Kingsman, spero vi piaccia! È ambientata post TGC e l'unica cosa che c'è da sapere è che, in questa versione, Roxy e Merlin non sono mai morti. Il primo capitolo è abbastanza breve perché mi serve per capire se la ff può piacere e se, in caso, continuare ad aggiornarla. Buona lettura! 
Blake
 

Harry fece scorrere per l’ennesima volta la punta del dito sulla cicatrice che occupava il posto un tempo appartenuto al suo occhio. Vide il suo sguardo triste rispondergli dallo specchio, mentre nella sua testa iniziavano a turbinare i soliti incubi e le solite preoccupazioni. Nonostante fossero passati mesi, nonostante ogni mattina Harry si svegliasse con Eggsy che gli sorrideva dolcemente dall’altro lato del letto, la sua mente continuava a tornare a quel pub nel Kentucky, al momento in cui aveva dovuto togliersi la benda per indossare i nuovi occhiali che Merlin aveva creato per lui, al momento in cui Eggsy non era riuscito a sostenere il suo sguardo, in cui Eggsy non era riuscito a guardarlo in faccia per colpa di quella cicatrice. Harry non lo aveva mai ammesso a nessuno, né mai l’avrebbe fatto, ma sapeva di non essere abbastanza per lui. Eggsy meritava il meglio dalla vita e Harry era sicuro di non essere la persona migliore che il ragazzo avrebbe potuto avere. Quella cicatrice era semplicemente un promemoria del fatto che Eggsy prima o poi si sarebbe stancato di lui e lo avrebbe lasciato. Probabilmente l’unico motivo per cui non se ne era ancora andato era perché aveva pietà di lui, perché non voleva abbandonarlo così presto dopo il trauma che aveva vissuto.

Harry venne riportato alla realtà dal rumore di ripetuti colpi contro la porta del bagno in cui si era rifugiato.

“Arthur, stai bene? Sei chiuso lì dentro da venti minuti”. Era la voce di Merlin.

Dal loro ritorno dal Kentucky i suoi colleghi, e soprattutto Merlin, si erano dimostrati anche fin troppo attenti alla sua salute. Erano preoccupati per lui e ne avevano tutte le ragioni, dato che le allucinazioni continuavano a tornare praticamente a giorni alterni, esattamente come gli incubi, l’insonnia e i tremori alle mani. Tuttavia, Harry aveva condiviso parte di quei problemi solo con Eggsy e Merlin, ma neanche loro sapevano tutto, né quanto grave la situazione in realtà fosse. Harry aveva dovuto da subito assumere il titolo di Arthur e l’intero peso della compagnia - che andava interamente ricostruita - era ricaduto su di lui, come se tutto il resto non fosse già stato abbastanza. Per questo motivo Harry sentiva di non poter dire a nessuno quello che stava succedendo nella sua testa. Un grande numero di persone contava su di lui e lui solo. Era diventato il punto di riferimento per tutti, doveva essere forte, i suoi problemi avrebbero potuto aspettare. Senza contare che non avrebbe mai ammesso davanti ad Eggsy un’altra debolezza, si sentiva già inadeguato abbastanza.

“Tutto bene, Merlin”. Harry si spruzzò dell’acqua in faccia per riprendersi, indossò di nuovo i suoi occhiali e uscì dal bagno.

Merlin lo osservò attentamente, cercando di capire se stesse mentendo, ma decise di tralasciare il problema per il momento. “Ho individuato quelli che ritengo essere gli ultimi seguaci di Poppy Adams. Al momento sono nascosti in uno stabilimento in Svizzera”.

“Ottimo, prenderò con me Eggsy e Roxy e ci occuperemo della situazione oggi stesso”.

“Arthur…” mormorò Merlin, che era certo che avrebbe dovuto affrontare quella conversazione.

“Contattali e dì loro di prepararsi” continuò Harry, ignorandolo.

“Arthur!” insistette Merlin, alzando il tono della voce.

“Tu, come al solito, dirigerai le operazioni da qui” replicò Harry, facendo per andarsene.

“HARRY!” Tutti i presenti si girarono di scatto, ma ad un’occhiata severa di Merlin tornarono ad occuparsi dei loro compiti.

Harry si fermò e lo guardò con aria stanca: “Che cosa c’è?”

“Probabilmente è meglio che tu resti qui, possiamo mandare qualcun’altro. È ancora troppo presto e tu non hai ancora accettato di sottoporti alla valutazione psicologica”.

“Non ho ancora accettato perché sono perfettamente in grado di svolgere qualsiasi tipo di missione e credo che il successo in Kentucky lo abbia provato”.

“Per prima cosa, durante la tua trasferta in Italia, non si può dire che sia andato tutto bene. Non da quello che mi ha riferito Eggsy. E il fatto che non ti sia successo niente mentre eravamo in Cambogia non prova che tu stia bene ora…perché non dirmi che devo farti notare le condizioni in cui ti trovi in queste settimane”. Merlin si stava trattenendo dall’urlare solo perché non voleva mettere Harry in imbarazzo davanti a tutti. “Io e Eggsy siamo preoccupati a morte e puoi anche provare a tenerci all’oscuro, ma non è facile come credi”. Breve pausa. “E scommetto che, nonostante tutto, non sappiamo neanche la metà di quello che ti sta succedendo”.

Harry non era riuscito a dire una parola. Deglutì e rispose lentamente: “Potete pensare quello che volete, ma Arthur sono io, fino a prova contraria, e decido io cosa è meglio fare, quindi io vado in missione. Ora fai come ti ho detto e dì a Galahad e Lancelot di prepararsi”. Senza aggiungere altro, girò le spalle a Merlin e se ne andò verso il suo ufficio. Odiava essersi comportato così, specialmente perché sapeva che Merlin stava solo cercando di aiutarlo, ma non riusciva più a rimanere seduto alla sua scrivania senza fare niente, a lasciare che i suoi ricordi riaffiorassero. Doveva tornare in azione, doveva tornare a fare ciò per cui era nato.

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Capitolo 2
*** II ***


“Harry…” iniziò Eggsy, non appena scesero dal jet privato che li aveva portati fino in Svizzera. Roxy, su richiesta del suo migliore amico, li aveva lasciati soli e li stava precedendo.

“Non ora, Eggsy”.

Harry cercò di interromperlo, ma Eggsy proseguì lo stesso: “Merlin stava solo cercando di aiutarti e…credo avesse ragione, saresti dovuto rimanere alla base”.
Constatare che Eggsy era d’accordo con Merlin gli provocò una stretta al cuore, ma alimentò anche il suo orgoglio. “Non preoccuparti per me, so badare a me stesso” rispose, cercando di mantenere un tono di voce calmo e baciandolo delicatamente sulle labbra. “E poi è semplicemente una missione di routine, abbiamo visto di peggio”.

Eggsy lo guardò con apprensione, ma non aggiunse niente, sapendo che sarebbe stata comunque una battaglia persa, e i due si affrettarono a raggiungere Roxy.

Camminarono in silenzio per quasi trenta minuti, seguendo le direzioni che Merlin stava dando loro attraverso gli auricolari, fino a quando non ordinò loro di fermarsi di fronte ad un alto edificio di cemento, ricoperto di graffiti, quasi del tutto privo di finestre e abbandonato da tempo. Uno dei tanti nella periferia di Ginevra.

“Ho rilevato la presenza di 20 persone in totale all’interno della struttura. Quattro all’ingresso, le restanti al secondo piano. Buona fortuna”.

Dopo aver ringraziato Merlin, Harry contò mentalmente fino a tre e fece segno agli altri di procedere. Varcata la soglia, Eggsy e Roxy si occuparono velocemente delle guardie all’ingresso. Quasi sicuramente il suono degli spari avrebbe attirato l’attenzione degli uomini al secondo piano, ma gli agenti non si preoccuparono di non fare rumore, non avrebbero avuto difficoltà a occuparsi anche degli altri. O almeno, questo era ciò di cui Harry era convinto.

Al primo sparo, l’uomo si immobilizzò completamente per un lunghissimo istante e davanti ai suoi occhi tornarono a ripresentarsi le scene del V-day: la rabbia irrefrenabile durante la strage nella chiesa, i volti di Eggsy e Merlin impressi nella sua mente, anche nel momento in cui aveva sentito la pallottola perforargli il cranio e il forte impatto con il terreno. Poi il vuoto successivo e il panico che aveva provato nel risvegliarsi in una cella, da solo, con volti sconosciuti che lo guardavano. Risperimentò tutto questo nel giro di qualche secondo, fino a quando riuscì a chiudere gli occhi e a respingere quelle terribili immagini. Quando li riaprì, Roxy aveva appena ucciso la quarta guardia. Sperò con tutto il suo cuore che né lei né Eggsy avessero notato quello che era appena successo. Il ragazzo gli rivolse una rapida occhiata, per controllare se stesse andando tutto bene e non sembrò accorgersi di niente. Harry gli rispose con un sorriso debole e fece segno di proseguire. Tutte le sue certezze lo stavano abbandonando, ma decise di essere forte e di continuare, anche quando vide le sue mani, strette attorno all’ombrello, iniziare a tremare lievemente. Se avesse parlato avrebbe messo in pericolo se stesso, i suoi colleghi e l’intera missione. Non poteva permetterselo.

Come previsto alcuni uomini, richiamati dal rumore, iniziarono ad arrivare loro incontro. Questa volta anche Harry sparò alcuni colpi, che andarono tutti a segno. Dovevano essere veloci, salire le due rampe di scale che li separavano dalla quella stanza in cui avrebbero neutralizzato per sempre ciò che rimaneva dell’organizzazione di Poppy Adams. I tre piombarono, armi cariche in pugno, in un ambiente spoglio, realizzato in cemento esattamente come l’esterno dell’edificio e illuminato da due finestre senza vetri e non troppo ampie. Al centro si trovava un tavolo di legno al quale erano sedute cinque persone, protetti da uomini che impugnavano grandi armi da fuoco.

“Non dovete farvene scappare neanche uno” ordinò Merlin nei loro auricolari.

A quel punto tutto iniziò ad accadere molto velocemente. Tutti iniziarono a sparare, fino a quando i colpi si esaurirono. Roxy fu la prima a gettare la pistola a terra e, con un coltello in mano, bloccò la strada a due uomini che stavano cercando di scappare, aprendo dei tagli profondi nelle loro gole. Eggsy si occupò degli altri tre che gli erano arrivati incontro.

“No, non adesso…” mormorò Harry tra sé. Quelle maledette farfalle erano tornate.

Nello stesso istante due uomini lo attaccarono contemporaneamente. Non fu abbastanza veloce per schivare il primo pugno, che lo colpì sulla mascella, lasciandolo stordito per un attimo. Harry si riprese velocemente e notò che le farfalle erano scomparse, cosa che gli diede di nuovo sicurezza sufficiente per spezzare il collo ad uno in poche mosse e buttare l’altro a terra semincosciente. Puntò l’ombrello su di lui e si preparò a sparare. Era pronto, stava per premere il grilletto, ma ad un certo punto i rumori attorno a lui si fecero ovattati, distanti e Harry vide alcune farfalle svolazzare davanti ai suoi occhi. Provò a chiuderli e a riaprirli di scatto, ma le farfalle non avevano fatto altro che moltiplicarsi. Harry indietreggiò di qualche passo, abbassando l’ombrello. Nel frattempo l’uomo disteso ai suoi piedi si era ripreso e aveva tirato fuori un coltello dalla cintura. Harry non riusciva a rendersi conto di quello che stava succedendo, sapeva che era tutto un prodotto della sua mente, sapeva che non c’erano davvero farfalle che gli sfrecciavano davanti agli occhi. Nonostante questo non poté evitare di far cadere l’ombrello a terra per proteggersi il viso da quelle creature che ora avevano deciso di attaccarlo. L’uomo con il coltello si rialzò in fretta e gli si lanciò addosso, affondando un colpo, che, però, non raggiunse mai Harry. Eggsy, dopo aver ucciso il suo ultimo opponente, aveva assistito a gran parte della scena e si era gettato davanti al suo partner, cercando di parare il colpo, che, invece, gli sfuggì. Eggsy sentì la lama fredda del coltello entrare ed uscire rapidamente dal suo corpo. Si lasciò sfuggire un gemito, ma soffocò il dolore e riprese a combattere. La ferita era più grave di quanto avesse immaginato all’inizio, stava perdendo molto sangue e le fitte, che si propagavano lungo tutto il suo corpo, gli rendevano difficile difendersi, tanto che sarebbe stato sopraffatto di nuovo se Roxy non fosse piombata alle spalle del criminale, colpendolo alla schiena con il suo coltello.
Eggsy le sorrise riconoscente, ma cadde a terra subito dopo. Roxy gli fu accanto in un secondo, tirando fuori dallo zaino un kit di pronto soccorso e iniziò a medicare la ferita dell’amico il più velocemente possibile. Harry nel frattempo si era ripreso e si stava guardando intorno confuso, cercando di capire cosa fosse successo, fino a quando il suo sguardo non si posò su Eggsy, disteso per terra con il sangue che gli impregnava i vestiti.

“Eggsy!” gridò allarmato, lanciandosi verso di lui. "Eggsy…Eggsy...che cosa ho fatto?" La sua voce, che da quando Eggsy lo conosceva era sempre stata così calma e controllata, non riusciva a nascondere il panico che lo pervadeva.

"Harry, tu stai bene? Non preoccuparti, non è niente di grave". Il ragazzo gli sorrise, cercando di rassicurarlo.

"Che cosa cazzo sta succedendo??" chiese Merlin, il forte accento scozzese ancora più mercato per la preoccupazione.

"È tutto ok…" rispose Roxy, prendendo il controllo della situazione, dato che Harry non era in grado di articolare una frase e si limitava a fissare Eggsy in shock. "Eggsy è stato ferito, ma se la caverà con qualche cucitura. Ho fermato l'emorragia, ma ci serve un mezzo di trasporto al più presto".

"Siete circondati da edifici, non posso far atterrare niente lì vicino. Lo può portare Harry".

Roxy lanciò una rapida occhiata ad Harry, che stava mormorando parole sconnesse, stringendo la mano di Eggsy tra le sue. "Harry...non credo... non credo ne sia in grado al momento"

Merlin non disse una parola. Harry sollevò lentamente lo sguardo da Eggsy e fissò Roxy negli occhi. Poi, cercando di suonare convincente, disse: "N-no, lo posso portare. Lo porto io".

“Ne sei sicuro?” gli chiese Roxy, con una punta di preoccupazione nella voce che non riuscì a nascondere.

L’uomo annuì, cercando di riacquistare la confidenza dell’Harry Hart di un tempo. Poi si rivolse ad Eggsy: “Ti solleverò al mio tre, va bene? Uno…due…tre!”
Eggsy si lasciò sfuggire un gemito di dolore nel momento in cui Harry lo alzò da terra, tenendolo stretto tra le sue braccia.
Roxy raccolse l’ombrello di Harry e i loro zaini e chiese a Merlin di tenere pronto il jet. Harry non avrebbe saputo dire come fece a ripercorrere tutta la strada che li separava dall’aereo, lo sguardo sempre fisso su Eggsy, che cominciava a fare fatica a tenere gli occhi aperti, e una miriade di pensieri che sfrecciavano nella sua testa ancora più velocemente di quanto non avessero fatto le farfalle durante lo scontro.

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Capitolo 3
*** III ***


Merlin li stava aspettando insieme a quattro infermieri, che, nel momento in cui il jet atterrò, salirono rapidamente a bordo con una barella per Eggsy. Harry e Roxy li guardarono sollevare delicatamente il ragazzo, per poi seguirli all’esterno, dove Merlin iniziò ad impartire ordini, facendo attenzione a non guardare Harry negli occhi.

“Portatelo subito in infermeria.” ordinò agli uomini.

“Roxy, avrò bisogno del rapporto sulla missione entro stasera.” le disse, salutandola con un leggero sorriso. “Per il momento, però, vai con Eggsy.”

Merlin fece cenno agli infermieri di proseguire. Harry non aveva detto una parola, era stato fermo ad osservare Eggsy con il senso di colpa che aumentava ogni volta che posava gli occhi su di lui.

“Harry.” gli sussurrò Eggsy, mentre gli infermieri lo trasportavano vicino a lui. “Harry!” ripeté per richiamare la sua attenzione, dato che l’uomo si rifiutava di guardarlo. “Harry…starò bene, okay? Non preoccuparti per me. Tornerò in men che non si dica, così potrò prendermi cura di te.”

L’ultima cosa che Harry vide prima che Eggsy venisse portato via fu il suo sorriso, stanco ma dolce, quello che riservava soltanto per lui. Poi sentì la voce di Merlin.

“Arthur…posso parlarti un attimo in privato?”

“Certo.” Harry cercò mantenere i modi da gentiluomo che gli erano stati insegnati. In realtà non voleva altro che tornare al più presto a casa sua.

I due camminarono in silenzio fino a quando raggiunsero lo studio di Harry, che prese posto alla sua scrivania, invitando l’amico a sedersi di fronte a lui.

“Cosa è successo là fuori?” chiese Merlin, andando subito al punto, con un tono misto tra il rimprovero e la preoccupazione.

“Non lo so…non…avevo calcolato che potesse succedere una cosa del genere…io…” Harry smise di parlare. Qualsiasi cosa avesse detto non sarebbe comunque bastata a cancellare quello che era accaduto.

“Avresti dovuto ascoltarmi. Eggsy sarebbe potuto morire…dannazione, sareste potuti morire tutti!” Merlin non voleva fare la parte del cattivo, ma, a quel punto, era più la preoccupazione a parlare. Semplicemente era il suo compito assicurarsi che nessuno si facesse del male e, in quel momento, Harry era un pericolo per se stesso e per gli altri.

“Credi che non lo sappia??” sbottò Harry. Si pentì immediatamente di aver urlato, soprattutto considerando che Merlin stava solo cercando di aiutarlo. Tuttavia non era riuscito a trattenersi, non aveva bisogno di qualcun altro che gli ricordasse quello che aveva fatto. I suoi continui sensi di colpa erano abbastanza.

Merlin rimase in silenzio, guardandolo fisso negli occhi. Harry mise da parte la rabbia e, quando riprese a parlare, lo fece con un tono di voce più basso: “Che cosa mi è successo? Non mi riconosco più…non sono più Galahad, non sono più Harry Hart, mi sento solo il fantasma di quello che ero. Non posso andare avanti così…”

“Harry, datti tempo, dobbiamo solo lavorarci insieme. Seriamente, questa volta, senza più distrazioni. Qualcun altro può sostituirti come Arthur mentre troviamo un modo per aiutarti. L’importante è che tu non rimanga da solo ad affrontare tutta questa merda.”

“Merlin, non c’è più niente che tu possa fare.”

“Harry…”

“È finita. Domani dirò addio a tutti.” I suoi occhi non tradivano alcuna emozione, il tono di voce era distaccato e professionale, ma, dentro di sé, Harry stava lottando per impedire alle lacrime di iniziare a scendere. Non solo per il senso di colpa riguardo a ciò che era successo, ma anche perché aveva realizzato che quello era davvero il momento in cui avrebbe dovuto dire addio al suo lavoro come spia, a tutto quello che conosceva, alla sua vita. Cos’era lui senza Kingsman?

Merlin aprì la bocca per provare a controbattere, ma Harry gli lanciò un’occhiata che lasciava intendere che non avevano più niente da dirsi. Quando Merlin si chiuse la porta alle spalle, Harry permise finalmente alle lacrime di bagnargli le guance.

***
 
Eggsy venne a sapere che Harry aveva lasciato Kingsman il pomeriggio del giorno seguente. Ad informarlo fu Merlin durante una delle sue visite in infermeria.

“No…no…non è possibile! Lasciami uscire di qui, devo andare a parlargli!” Eggsy fece per alzarsi, ma Merlin lo fermò all’istante.

“Devi ancora guarire del tutto, Eggsy. E poi…forse dovremmo lasciargli un po’ di spazio.”

“Cosa cazzo stai dicendo, Merlin?? Harry ha bisogno di noi, devo aiutarlo!”

“Eggsy…” Merlin esitò, ma realizzò di non poter far altro che dirglielo. “Harry ha lasciato detto che preferisce non ricevere visite per il momento. Ci farà sapere lui quando è pronto.”

“Stai scherzando, vero? Merlin, dimmi che stai scherzando…”

“È meglio che tu stia da tua mamma, o da Roxy, per il momento. È meglio così. Sono sicuro che sarà solo una cosa temporanea.”

***
 
Il suo cellulare vibrò all’improvviso e lo schermo si illuminò. Al rumore, Harry, seduto su una poltrona nel suo salotto, immerso nei suoi pensieri, sussultò appena. Prese il dispositivo e aprì il messaggio. Per un attimo fece fatica a distinguere le parole a causa di un leggero tremore nella mano.

-Harry, sono passate due settimane. Possiamo parlare? Ti amo-

Eggsy. Harry non poteva nemmeno leggere il suo nome sullo schermo senza sentirsi mancare il respiro, il senso di colpa che lo assaliva. Non voleva pensare come sarebbe stato sentire la sua voce, o rivederlo. Non che quelle due settimane passate senza vederlo né sentirlo fossero andate bene.

Decise di ignorare il messaggio e spense il telefono. Nell’appoggiarlo sul tavolino di fronte a sé, scorse la sua immagine nello schermo e faticò a riconoscersi. Un sottile strato di barba gli ricopriva le guance e il mento, dovevano essere passati giorni dall’ultima volta che l’aveva tagliata, i capelli arricciati gli ricadevano scomposti sulla fronte e aveva due segni scuri sotto gli occhi, perfettamente comprensibile, dato che non riusciva a dormire per più di due ore di seguito a causa degli incubi. Quel giorno indossava una t-shirt nera, che aveva trovato nell’armadio e che probabilmente apparteneva ad Eggsy, e una tuta grigia, che gli ricordava terribilmente quella che aveva dovuto indossare nella cella degli Statesman. Non si preoccupava neanche più di coprirsi la cicatrice sull’occhio con la benda o gli occhiali. Non ne aveva alcun motivo visto che i suoi unici compagni erano Mr. Pickle e le sue farfalle, che spesso prendevano vita improvvisamente e gli sfrecciavano davanti agli occhi in un turbinio di colori, lasciandolo ogni volta incapace di reggersi sulle ginocchia e con una fortissima emicrania. Aveva affidato Hamish, il cagnolino che Eggsy gli aveva regalato, a Roxy, il giorno in cui aveva detto addio a tutti, con la raccomandazione di lasciarlo al ragazzo una volta che si fosse rimesso. Le sue giornate passavano lentamente: durante quelle buone riusciva a leggere qualche pagina di un libro che aveva scelto a caso dalla sua libreria, anche se doveva spesso interrompersi per non affaticare troppo l’occhio, a cucinarsi qualcosa di diverso e più elaborato dei soliti sandwich e insalata, addirittura a fare qualche esercizio fisico. Nelle giornate cattive, invece, stava semplicemente sdraiato nel letto o sulla poltrona e piangeva, sopraffatto dai ricordi di tutto quello che aveva fatto. Le notti erano praticamente tutte uguali: una serie incessante di incubi diversi che si concludevano tutti con lui che si svegliava coperto di sudore, urlando e stringendo le coperte, cercando invano il corpo caldo di Eggsy.

Non aveva più visto nessuno dei suoi amici e colleghi. Aveva ricevuto una telefonata da Merlin, che voleva accertarsi che andasse tutto bene e al quale aveva risposto, sperando di suonare convincente, che se la stava cavando. Prima di terminare la chiamata, però, non aveva potuto non chiedere come stesse Eggsy.

“Gli manchi.” aveva risposto semplicemente Merlin.

Anche a lui mancava Eggsy, ovviamente. Era la sua ancora di salvezza, l’unico che aveva creduto in lui quando nessun altro l’aveva fatto. Il suo Eggsy. Tuttavia, non poteva assolutamente permettersi di vederlo, doveva essere forte per entrambi, in modo che il ragazzo potesse andare avanti con la sua vita.

Aveva provato a tenersi lontano dagli alcolici con tutte le sue forze. Sapeva che se avesse ceduto, sarebbero diventati il suo unico rifugio – un po’ come gli era accaduto prima di conoscere Eggsy – e allora tutto sarebbe stato irrimediabilmente perso. Per fortuna, il suo autocontrollo aveva sempre avuto la meglio e Harry si concedeva un bicchiere di whisky solo quando il peso dei ricordi diventava troppo grande e minacciava di schiacciarlo o dopo un attacco di panico causato da quelle maledette farfalle.

Stava sorseggiando un bicchiere di whisky quando, un giorno, all’improvviso, sentì suonare il campanello. Si alzò lentamente dalla poltrona e controllò chi ci fosse alla porta.

La voce di Eggsy risuonò nelle sue orecchie poco dopo: “Harry, lo so che ci sei. Ho ancora un paio di chiavi, quindi entrerò lo stesso, che tu mi apra o no.”
Le dannate chiavi di scorta! Quella era stata l’unica condizione per la quale Merlin gli aveva concesso di vivere da solo, che Eggsy conservasse il suo paio di chiavi in caso qualcosa andasse sorto.

“Harry…” continuò Eggsy. “Merlin ti sta ancora monitorando, mi ha tenuto aggiornato su tutto quello che stai passando. Fammi entrare, Harry.”

Harry fece un lungo sospiro, raccolse tutto il coraggio che aveva in corpo e aprì la porta, ringraziando il cielo di essersi fatto la barba il giorno prima.

“Ciao, Eggsy.”

Eggsy restò per un attimo a fissarlo senza dire niente, poi sorrise e lo abbracciò dolcemente, mormorando il suo nome. Harry si rese conto di non essere così forte da riuscire a resistergli e si abbandonò completamente sulla sua spalla. Era passato così tanto tempo da quando qualcuno, da quando Eggsy lo aveva stretto tra le proprie braccia.
Quando si separarono, Harry lo condusse nel suo salotto…nel loro salotto, a dire il vero. Eggsy si guardò intorno, come per cercare segni del fatto che le cose stessero andando peggio di quanto lui e Merlin pensassero, ma trovò la stanza praticamente come l’aveva vista l’ultima volta, fatta eccezione per il buio causato dalle tende tirate a coprire totalmente le finestre e il bicchiere accanto alla bottiglia di whisky.

“Perché sei qui, Eggsy?” gli chiese subito Harry. Quando vide lo sguardo del ragazzo indugiare sulla bottiglia, aggiunse: “Non sto passando le mie giornate ad ubriacarmi, non preoccuparti. E poi, Merlin lo saprebbe, no?”.

Eggsy annuì piano. Non era lì per qualcosa in particolare. Voleva solo vedere Harry, voleva…convincerlo a tornare dai suoi Kingsman, a tornare da lui.

“Sono preoccupato per te…” fu l’unica cosa che riuscì a dire.

“Non devi, davvero.” Harry pregò di riuscire a sopprimere tutte le emozioni che si stavano affollando nel suo cervello in quel momento.

“Harry, ti ho appena avuto indietro, non voglio perderti di nuovo.” mormorò Eggsy, avvicinandosi lentamente all’uomo per sfiorargli la guancia.

A quel gesto Harry indietreggiò, impedendogli di toccarlo, e poté vedere chiaramente, nella sua espressione, il cuore del ragazzo che si spezzava.

“Eggsy, io…” provò a trovare una giustificazione. “…sei quasi morto per causa mia, non me lo perdonerò mai. Non posso. Non…non riesco neanche a guardarti senza volermi sparare un colpo in testa e farla finita.”

Eggsy lo guardò senza credere a quello che aveva appena sentito, le lacrime gli riempirono gli occhi e subito dopo iniziarono a scorrere lungo le sue guance. Harry avrebbe voluto stringerlo tra le sue braccia, baciarlo fino a che non avesse smesso di piangere, ma non poteva.  

“Lascia che ti aiuti, Harry! Tutto può tornare come prima, ma devi lasciare che io ti aiuti, cazzo!” gli disse quasi urlando.

“Non c’è niente che tu possa fare per me, è troppo tardi. Tu meriti di meglio, meriti di essere felice, con qualcun altro, con qualcuno che possa darti tranquillità e sicurezza. Non puoi sprecare la tua giovinezza prendendoti cura di uno come me.” Finalmente Harry lo aveva detto, ora Eggsy doveva solo realizzare che l’uomo aveva ragione e poi sarebbe stato libero di trovare la persona giusta per lui. Non importava quanto facesse male, l’importante era che Eggsy fosse felice.

Eggsy lo guardò scioccato per un attimo, senza sapere cosa dire. Prima di parlare, aprì le labbra più volte, ma non riuscì ad articolare alcun suono. Alla fine, l’unica cosa che riuscì ad urlare fu: “Come fai a non capire che tu sei l'unica persona di cui mi voglio prendere cura??”

Harry ammutolì all’istante. Il ragazzo aspettò una risposta che non arrivò in tempo e fece la cosa di cui poi si sarebbe pentito per il resto dei suoi giorni. Se ne andò. Lasciò Harry da solo. Semplicemente non poteva sopportare di guardarlo dopo che gli aveva detto quelle cose. Davvero Harry aveva un’opinione così bassa di lui? Davvero credeva che lo avrebbe abbandonato alla prima difficoltà? Non si rendeva conto che lo amava davvero? Che avrebbe fatto qualsiasi cosa per lui? Eggsy camminò oltre il taxi che lo aveva portato fino a lì e iniziò semplicemente a correre senza una meta precisa, con le lacrime che gli offuscavano la vista.

Harry era rimasto fermo, in piedi nel suo salotto, anche dopo aver sentito Eggsy sbattere la porta d’ingresso. Dopo qualche minuto, la maschera che aveva indossato cadde all’improvviso e Harry si lasciò cadere sul pavimento, con la testa tra le mani e lacrime calde che gli bagnavano le guance e i palmi delle mani. Non poteva credere alle parole che erano uscite dalla sua bocca, ma voleva solo che Eggsy fosse felice e lui non poteva garantirgli quella felicità.

Quando, una decina di minuti dopo, Harry alzò lo sguardò, gli occhi arrossati e la testa che pulsava, la prima cosa che vide fu la bottiglia di whisky, più invitante che mai.

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